Il migliore amico

di rolly too
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Kidd sapeva di stare esagerando, di tirare troppo la corda, ma non si aspettava nulla del genere.
Lui non era mai stato bravo a capire le persone, ma pensava di aver colto qualcosa su di lui. E invece si era sbagliato, e aveva dato per scontato che sarebbe stato sempre con lui, che gli avrebbe perdonato il suo brutto carattere e le sue cattiverie.
Ed era sempre stato così, fino al momento in cui non aveva raggiunto il limite, e poi, anche se non sapeva nemmeno lui come, l'aveva superato.
E a quel punto tutto era precipitato, e forse questa volta era davvero troppo tardi per cercare di rimediare.
Innanzitutto, non aveva nessuna idea di dove potesse essere andato.
In secondo luogo, la sua ciurma non gli avrebbe più rivolto la parola, dopo quello che aveva combinato.
E per terzo, non era certo che sarebbe sopravvissuto. Aveva sentito dire quanto fossero pericolose le emorragie, e anche se era solito minimizzare i propri problemi di salute, doveva riconoscere che la quantità di sangue che stava perdendo era spaventosa. Iniziava a non vederci più bene, a non sentire. Forse era scivolato nell'acqua? La sensazione era più o meno quella di affondare nell'oceano... Se fosse stato così, avrebbe voluto rimanere lì. Sperava che nessuno lo tirasse fuori, nessuno lo salvasse.
Non voleva aprire gli occhi e scoprire che era accaduto tutto sul serio, che aveva fatto la cazzata più grande della sua vita e che era stato battuto dall'ultima persona che riteneva in grado di fargli del male.
Non voleva ricordare che lui era solo, perché Killer se n'era andato e adesso era lui l'unico nemico da cui doveva davvero guardarsi.

«Questa è stata una settimana bellissima fino al momento in cui sei arrivato qui, Eustass-ya.»
La prima cosa che Kidd vide, anche se in modo piuttosto confuso, fu il volto emaciato di Law. Era  certo che l'ultima volta che si erano visti l'altro fosse più in forma, ma non poteva fidarsi del proprio sguardo appannato. Tentò di parlare un paio di volte, ma non ci riuscì.
Ma alla fine, che cosa avrebbe mai potuto dire? Non aveva idea di quello che stesse accadendo.
«Che fine ha fatto la tua ciurma?» continuò Law, ignorando deliberatamente il suo silenzio. «E come hai fatto ad arrivare qui nelle condizioni in cui sei?»
«Condizioni?» gracchiò Kidd, a fatica, cercando di guardarsi intorno. Dov'era? Nel sottomarino? Era probabile. Ma allora dov'era la sua ciurma? E come aveva fatto a trovare Law?
Già, questo gliel'aveva appena chiesto lui. Ma non avrebbe saputo rispondere. Ricordava solo a tratti quello che era successo, e ciò che ricordava era tanto assurdo e confuso che non sapeva se  fosse accaduto davvero o se fosse soltanto un sogno troppo brutto.
Trafalgar lo guardò in silenzio, e nonostante riuscisse a vedere solo in modo sfocato capì che c'era qualcosa che non andava. E Law, per la prima volta da quando lo conosceva, sembrava non avere la forza di parlare.
Kidd tentò di muoversi. Ma il corpo era pesante, fin troppo, e non rispondeva ai suoi ordini. Ricordava d'aver perso molto sangue, ma non ricordava perché. Che cosa era successo? Dov'erano i suoi uomini? Dov'era Killer? Perché non era lì con lui?
«Dov'è Killer?» chiese quando riuscì a prendere abbastanza fiato da poter parlare.
«Sei arrivato da solo.» replicò Trafalgar armeggiando con qualcosa accanto al letto. «Pensavo che saresti morto, ma sfortunatamente sembra che te la caverai.»
Kidd non trovò la forza di rispondere. Trafalgar aveva un bel dire sostenendo che era in condizioni gravi, che pensava che sarebbe morto, ma in realtà non si sentiva così male. Confuso, sì, e pesante, ma non male.
«Che cos'ho?» si sforzò allora di domandare.
Trafalgar sospirò, guardandolo con incertezza, ma poi si chinò su di lui e con lo sguardo più cupo che Kidd avesse mai visto sul suo volto gli afferrò la mano destra, la strinse appena e gliela portò alla spalla sinistra, facendogliela poi spostare verso il basso.
Kidd lo lasciò fare, e sentì la pelle calda e subito dopo una fasciatura. Lasciò che Law gli guidasse la mano ancora più giù, e gli mancò il fiato quando si accorse che più giù della spalla non c'era niente.
Sollevò lo sguardo su Law, ma quello distolse gli occhi dai suoi. Gli strinse la mano con più forza, e Kidd non avrebbe saputo dire se lo facesse per incoraggiarlo o per una reazione involontaria. Quello che sapeva era che il suo braccio non c'era più, e lui non aveva la minima idea di come fosse potuto accadere.
«Eri già così quando Bepo ti ha trovato.»
Bepo? Per un istante Kidd non capì. Solo dopo averci riflettuto gli venne in mente che sì, Bepo era l'orso, quello che Law si portava sempre dietro... L'aveva trovato lui? Ma dove diavolo erano?
Gli sembrava di ricordare che Trafalgar Law non era uno con cui scherzare, e non doveva dargli motivo di essere in vantaggio su di lui, ma non capiva più nulla di ciò che stava succedendo, e comunque Law non sembrava aver voglia di giocare.
«Non mi ricordo niente.»
«Eri vicino al sottomarino quando Bepo ti ha trovato, svenuto. Non so da dove sei arrivato. Hai lasciato sangue dappertutto e siamo dovuti salpare, o ci avrebbero trovati. Abbiamo cercato la tua ciurma, ma non l'abbiamo trovata. Penguin sta cercando di mettersi in contatto con Killer. Ha lui il vostro lumacofono, no?»
Ce l'aveva Killer? Non lo ricordava.
Ma sapeva che c'era anche qualcos'altro, qualcosa di importante, che non ricordava su Killer. Nella sua mente c'erano solo immagini confuse. Vedeva il suo vice combattere, nei pochi ricordi che avessero un senso, ma non sapeva con chi. Se era ferito in quel modo era perché un nemico li aveva battuti? Ma allora perché Killer non era con lui? Forse era morto? Poteva essere, una cosa simile?
Ma c'era qualcosa che gli diceva che no, non era quello il problema...
«Cerca di startene buono.» lo rimbrottò Law lanciando un'occhiata sbieca a uno dei misteriosi macchinari a cui l'aveva attaccato. «Lo troverà sicuramente.»
Chi troverà? Oh, Killer. Giusto. Penguin stava cercando di mettersi in contatto con Killer.
E il braccio. Aveva perso il braccio, dannazione! E ora? Ora che cosa avrebbe fatto?
Senza un braccio era un capitano inetto, un uomo inutile. Ricordava d'aver pensato, qualche tempo prima, che non gli sarebbe dispiaciuto morire. Era per il braccio? Non gli sembrava. In ogni caso, non voleva essere senza un braccio.
Avrebbe voluto piangere, o almeno urlare, ma non ne aveva la forza. Se ci fosse stato Killer avrebbe saputo che cosa dirgli per farlo stare meglio, invece c'era solo Trafalgar che lo guardava, serio, seduto sul letto, accanto a lui.
Kidd non l'aveva mai visto tanto sfibrato. Eppure, era lui quello che doveva star male, non quel cretino di Trafalgar! Lui avrebbe dovuto aiutarlo, avrebbe dovuto salvargli il braccio... Ma non aveva potuto, a quanto diceva. Quando l'avevano trovato era già senza. E quindi, che fine aveva fatto? Perché l'aveva perso? Con chi diavolo aveva avuto a che fare?
Avrebbe voluto alzarsi, camminare, fare una corsa. Si sentiva carico di rabbia e di frustrazione. Come aveva potuto perdere il braccio? Cosa avrebbe fatto, ora?
A fatica, reprimendo un gemito di dolore e un'imprecazione, cercò di sedersi sul letto, sotto lo sguardo vigile di Law. Ma solo quel piccolo movimento bastò a causargli un violento capogiro, e fu solo perché l'altro lo strinse a sé che non ricadde sul cuscino.
Kidd rimase immobile, rigido, tra le braccia di Law. Se stava cercando di consolarlo, non poteva pensare che sarebbe bastato. Ma lui aveva davvero bisogno di qualcuno che lo aiutasse, e decise che se non poteva essere Killer almeno poteva approfittare di quel momento di dolcezza che Law sembrava disposto a regalargli. Poggiò la testa sulla spalla di Trafalgar, e con l'unica mano che gli era rimasta si strinse a lui, cercando conforto nel calore del suo corpo, sperando che questo bastasse a lenire, almeno in parte, il suo dolore.
Ma forse non era sufficiente. Forse avrebbero fatto meglio a lasciarlo morire dissanguato, per non costringerlo ad affrontare l'umiliazione di non essere più autosufficiente, di aver bisogno di aiuto anche per le piccole cose. Non voleva vivere così.
«Devi riposare, Eustass-ya.» mormorò Law carezzandogli piano i capelli. «Vedrai che nel giro di qualche giorno recupererai le forze.»
Sì, ma non avrebbe mai potuto recuperare il braccio. Era quello che gli premeva. Era il braccio.
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. Trafalgar lo aiutò a ridistendersi, prima di andare ad aprire. Kidd riuscì a seguirlo con lo sguardo, nonostante la stanchezza, e vide che sull'uscio c'era Penguin. Aveva con sé il lumacofono, e anche se Kidd non avrebbe potuto giurarlo, gli sembrò che le sue mani stessero tremando. Mormorò qualcosa a Law e lui non riuscì a sentire, ma non dovevano essere buone notizie.
Quando Trafalgar si voltò verso di lui e Kidd riuscì a intercettare il suo sguardo capì che non si era sbagliato, e c'era qualcosa che non andava.
Sperò che informassero pure lui, che gli dicessero che avevano trovato Killer – in qualunque condizioni fosse, stava impazzendo senza ricordare dove diavolo l'avesse lasciato – ma quando Law tornò ad avvicinarsi al letto capì che le sue intenzioni erano del tutto diverse.
«Che cosa sta succedendo, Trafalgar?» tentò di chiedergli, ma l'altro lo ignorò.
Afferrò una siringa piena di un liquido chiaro, lo guardò negli occhi e gli iniettò quella strana sostanza che, Kidd ne era certo, non l'avrebbe aiutato a capire cosa stesse accadendo.
«Adesso è ora di dormire, Eustass-ya.» annunciò Law.
Kidd avrebbe voluto maledirlo, sputargli in faccia, ma non riuscì nemmeno a muovere la bocca. Provò seriamente a combattere la stanchezza, ma non ottenne risultati e alla fine, colmo di bile, fu costretto a chiudere gli occhi.


Questa è la mia personale versione di come Kidd ha perso il braccio.
Non dico nulla di più, perché avrei talmente tante precisazioni da fare che alla fine è meglio se taccio.
Vi dico solo che la storia verrà aggiornato ogni domenica, ma così come è accaduto per "Il nemico sbagliato" troverete il capitolo in anteprima nel mio blog, nella pagina "Capitoli in anteprima" già di sabato.
Detto questo, vi saluto e vi ringrazio per aver letto fin qui.

E ne approfitto per farmi un po' di pubblicità: oggi è iniziata anche la mia nuova raccolta. Sono cinquanta drabble, una al giorno, dedicate alla coppia KakuLucci. Se vi va, la trovate qui: Istanti.

Baci,
rolly too

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Se quando aveva realizzato di essere sul sottomarino di Law gli sembrava di aver avuto il corpo pesante, in quel momento si sentiva anche peggio. Qualunque cosa Law gli avesse dato gli aveva prosciugato anche quel poco di energia che aveva avuto, prima, anche se non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato da quando aveva chiuso gli occhi.
In ogni caso, dopo qualche tentativo fallito riuscì a muoversi quel tanto che bastava per avere una panoramica completa della stanza in cui si trovava. Non era la cabina di Law, ma quella che loro chiamavano infermeria e che a Kidd era sempre sembrata, più che altro, una stanza degli orrori, con strumenti medici e foto ingrandite di interiora umane appese alle pareti.
Una volta aveva beccato Killer e Penguin che facevano sesso lì dentro, e ricordava benissimo di essersi chiesto come potesse il suo vice riuscire a eccitarsi in un luogo del genere.
«Sei sveglio?» gli chiese qualcuno che non era Law.
Voltò il capo fino a riuscire a scorgere il proprietario della voce e distinse quell'uomo che era a Sabaody con Trafalgar, quando l'aveva conosciuto, e che gli pareva si chiamasse Shachi. O almeno, se anche quello non era il suo nome, era così che lo chiamavano i suoi compagni.
Annuì in risposta alla sua domanda, ma quando cercò di aprire la bocca per parlare scoprì che non sapeva che cosa chiedere.
«Ti ha dato un sonnifero.» spiegò Shachi. «Hai dormito tutto il giorno.»
«Che ore sono?» chiese allora, a fatica, Kidd. Non era quello che gli premeva sapere, ma da qualche parte doveva pure cominciare. E gli faceva male il braccio. Avrebbe dovuto dirlo, a quello lì... Anche se il braccio non c'era più, gli faceva male da morire.
«Quasi le dieci di sera.» Shachi gli si avvicinò con un'altra siringa, ma Kidd non aveva nessuna intenzione di farsi fregare di nuovo. Fece per muoversi, e impedirgli di addormentarlo di nuovo, ma l'altro lo costrinse a rimanere sdraiato usando solo una mano. Era troppo debole anche per uno come lui?
«È un antidolorifico, non ti faccio dormire.» lo rassicurò allora Shachi, e Kidd si diede mentalmente dell'idiota per avergli permesso di capire quale fosse il suo timore. Lasciò che gli facesse l'iniezione e lo guardò.
«Dov'è il tuo capitano? Devo parlare con lui.»
«Dorme.»
Kidd annuì e non si sognò nemmeno per un istante di chiedere all'altro pirata di andarlo a chiamare, anche se sentiva di avere davvero bisogno di lui, soprattutto perché aveva bisogno di informazioni e non intendeva chiederle al primo capitato. Ma sapeva che svegliare Trafalgar era sempre una pessima idea, e si rassegnò ad aspettare.
Però, rifletté, se avevano trovato la sua ciurma anche Shachi doveva saperlo. La questione era che non ricordava minimamente perché i suoi non fossero con lui. Forse aveva dato lui stesso l'ordine di partire? O magari erano stati attaccati, ed erano stati costretti ad andarsene nonostante lui fosse ancora nell'isola? Ma Killer non avrebbe mai dato un ordine simile. Sarebbe tornato a cercarlo.
«Avete trovato la mia ciurma?» chiese.
«Non lo so, devi parlare con il capitano.»
«Allora fammi parlare con Penguin. Lui doveva contattare Killer.»
Shachi lo guardò qualche secondo, indeciso, ma alla fine annuì.
«Vado a chiamarlo.»
Lo lasciò solo nella stanza, con troppo tempo a disposizione per pensare, e per sentirsi del tutto inutile. Per pietà, che almeno Penguin avesse trovato Killer! Lui poteva aiutarlo, ne era certo. Per quanto Trafalgar potesse fare per lui, non era la stessa cosa. Aveva bisogno di Killer. Anche solo per ricordare, perché c'era qualcosa sul suo vice che in quel momento proprio gli sfuggiva.
«Kidd?» Kidd si voltò verso la porta e vide Penguin. Ebbe l'impressione che l'altro non fosse per niente entusiasta di trovarsi lì con lui, ma l'entusiasmo degli uomini di Trafalgar, in quella situazione, era l'ultimo dei suoi problemi.
«Dov'è Killer?» lo aggredì Kidd.
«Non lo so.»
A Kidd ci volle qualche istante per capire quello che l'altro aveva detto. Non sapeva dove fosse Killer.
«Ma gli hai parlato?»
«Io... no. No, non gli ho parlato.»
«Trafalgar ha detto che con il lumacofono...» Kidd s'interruppe a metà frase. Trafalgar aveva detto che Penguin avrebbe provato a mettersi in contatto con Killer, perché forse era Killer quello che aveva il lumacofono. Ma forse l'aveva perso, se c'era stata una battaglia. Sì, era impensabile che ci fossero altri motivi. L'aveva perso, ecco tutto. Killer stava bene, solo che non aveva con sé il lumacofono, tutto qui.
«Non ha risposto.» chiarì Penguin. «Tra poco riprovo.»
Kidd annuì, ma non aveva senso. Se non aveva risposto la prima volta era davvero improbabile che lo facesse in seguito.
«Sei venuto a intrattenere il nostro ospite?»
«Voleva sapere se avevo trovato Killer, capitano.» Penguin attese che Trafalgar entrasse nella stanza prima di andarsene. Mentre usciva, Kidd riuscì a cogliere l'occhiata che si scambiò con il suo capitano e non gli piacque per niente.
«Sei uno stronzo.» disse quando Law si avvicinò al letto su cui l'aveva relegato e su cui stava, alla fine, anche parecchio comodo.
«Avevi bisogno di dormire.» tagliò corto l'altro.
«Hai trovato la mia ciurma?»
«No.»
Kidd si morse il labbro per impedirsi di urlare e tornò a guardare Trafalgar.
«Da quanto tempo sono qui?»
«Sei giorni.»
Kidd boccheggiò a quella notizia. Sei giorni? E che cos'era successo in tutto quel tempo? I suoi uomini non erano venuti a cercarlo? Killer non si era fatto vedere, e ora non rispondeva al lumacofono...
«Se alla tua ciurma fosse successo qualcosa sarebbe stato scritto nei giornali.» commentò Trafalgar sedendosi sul letto e intrecciando le dita in grembo.
«Non c'è niente?»
«No, stiamo controllando.»
Poteva permettersi di sospirare di sollievo? No, non poteva. Lui era il capitano. Non poteva dare per scontato che la sua ciurma stesse bene solo perché nei giornali non era scritto il contrario. La Marina poteva avere mille motivi per tenere nascosta la loro eventuale cattura. Non si poteva fidare di fonti del Governo.
«Siamo lontani dal posto dove mi hai trovato?»
«Non molto.»
Kidd guardò Trafalgar con attenzione e gli sembrò parecchio strano. Non lo prendeva in giro, parlava poco. Sentiva che c'era qualcosa che non gli stava dicendo, ma cosa? Chiederglielo non sarebbe servito, e lui non era abbastanza intelligente da farlo parlare. Trafalgar era abbastanza sveglio da evitare tutti i suoi possibili trucchi, e sapeva bene come tenere la bocca chiusa.
«Non intendo tenerti qui per sempre.» continuò Trafalgar. «Ci stiamo dando da fare per ritrovare i tuoi. Ma credo che Killer non sia con loro.»
Kidd lo guardò male. E quell'idea idiota da dove gli veniva?
«Perché dici così?»
Trafalgar gli rivolse un'occhiata pensierosa.
«È una sensazione.»
Kidd non replicò, ma provò a concentrarsi e dopo qualche secondo che ci rifletteva si rese conto che aveva la stessa identica sensazione.
Killer non era con la ciurma, e per qualche motivo questo doveva collegarsi al fatto che non rispondeva al lumacofono.
Sentiva che le cose, da quel momento, sarebbero solo peggiorate.

L'odore metallico del sangue, e il dolore lancinante al braccio.
Aveva colpito qualcosa, aveva ferito, ma chi?
Qualcuno gridava, ma non riusciva a capire che cosa stesse dicendo.
E poi una fitta al petto, la sensazione di non poter respirare... La sensazione che tutto fosse sbagliato, che qualcosa gli fosse sfuggito di mano.
La consapevolezza che questa volta era davvero troppo tardi.
I capelli chiari di Killer, e poi, all'improvviso, i suoi occhi azzurri. Che fine aveva fatto il casco?
E il sangue. Vedeva il sangue, tanto, troppo.
E Killer... cosa non riusciva a ricordare su Killer?
«Eustass-ya!»
C'era qualcosa di importante su Killer, qualcosa di fondamentale...
«Eustass-ya!» La voce di Trafalgar, alla fine, lo raggiunse e fu costretto ad aprire gli occhi. Come era accaduto diverse volte, da quando era su quel sottomarino, la prima cosa che vide furono gli occhi stanchi di Law.
«Che c'è?» riuscì a chiedere, con voce roca. Perché quel demente l'aveva svegliato?
«Gridavi.» spiegò Law con gli occhi gonfi e lucidi di stanchezza e la bocca impastata per il sonno. «Mi svegli tutta la ciurma, così.»
Kidd rimase in silenzio. Non avrebbe avuto senso negarlo. Per quanto bastardo fosse Trafalgar, si stava prendendo cura di lui con tutte le premure che poteva offrirgli e non l'avrebbe svegliato senza motivo. Se diceva che stava gridando, allora era probabile che fosse vero.
D'altra parte, a occhio e croce doveva aver svegliato almeno Trafalgar e sapeva bene quanto quello odiasse essere svegliato. Si aspettava già di sentirlo lamentarsi, ma Law rimase in silenzio, prima di incrociare nuovamente le braccia sull'orlo del letto e poggiarvi la testa.
Doveva stare particolarmente scomodo, in quella posizione, e nonostante tutto a Kidd un po' dispiacque. Sapeva che Trafalgar non meritava la sua comprensione, perché gli stava tenendo nascosto qualcosa, ma non riuscì a impedirsi di pensare che stava facendo tutto quello per lui, ed erano diverse notti che rimaneva accanto a lui senza mai alzarsi, e dormiva con il capo poggiato al bordo del letto, rannicchiato su una sedia di legno.
«Vattene nella tua cabina, invece che stare qui.» lo rimbrottò scuotendolo appena per impedirgli di riaddormentarsi. «E lasciami in pace.»
«Questo è il mio sottomarino e io ci faccio quello che mi pare. E poi, ti devo controllare.»
«Non devi controllare proprio un bel niente.»
Trafalgar non gli rispose nemmeno, ma si accoccolò di nuovo sulla sedia, brontolò qualcosa sul fatto che aveva sonno e prima che Kidd potesse dire qualsiasi cosa si era addormentato di nuovo.
Kidd aveva bisogno di sapere che cosa gli stesse nascondendo. Forse poteva provare ad affrontarlo, e domandarglielo direttamente? A Trafalgar non piaceva mentire. Magari gli avrebbe risposto senza troppi problemi. D'altra parte, se si stava prendendo cura di lui non poteva essere bastardo come quando stava bene.
Allungò faticosamente una mano verso di lui, pronto a svegliarlo, ma alla fine ci ripensò. Se doveva convincerlo a parlare, non poteva iniziare mettendolo di cattivo umore.
E poi, la tentazione di rimettersi a dormire era forte anche per lui...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Trafalgar alla fine gli concesse di mettersi almeno seduto, ma solo sotto la sua stretta sorveglianza e, in qualunque caso, mai se era da solo.
Comunque le sue raccomandazioni erano inutili, perché una volta che Law l'aveva aiutato a mettersi seduto, sbruffando e lamentandosi della sua cocciutaggine, a nessuno era venuto in mente di costringerlo a sdraiarsi di nuovo, e lui aveva potuto perlomeno vedere per bene il luogo in cui si trovava senza essere costretto a fare forza sull'unico braccio che gli era rimasto, e che all'improvviso gli sembrava troppo debole per fare qualunque cosa. Ma non poteva piangersi addosso. Ora la priorità doveva essere ritrovare la sua ciurma, e soprattutto Killer. Perché c'era qualcosa di importante su Killer, solo che non ricordava cosa.
«Ti avevo detto di non sederti se eri da solo, Eustass-ya.» brontolò Law entrando nella stanza e guardandolo con aria torva.
Si sedette accanto al letto, e senza aggiungere altro iniziò a sciogliere la benda che gli fasciava il braccio – o ciò che ne restava – borbottando qualcosa, ogni tanto, sulla sua idiozia.
«Sto bene.» replicò Kidd evitando di guardare ciò che Trafalgar stava facendo. Non aveva ancora voluto vedere la spalla, nonostante l'altro avesse tentato più di una volta di convincerlo a guardarsi allo specchio. Non voleva vedersi debole. Anche se la mancanza del braccio era qualcosa con cui avrebbe dovuto fare i conti, una volta che Trafalgar gli avesse permesso di camminare.
«Sai qualcosa sui miei uomini?»
«Non sono riuscito a trovarli né ad avere loro notizie.»
«I giornali?»
«Non dicono nulla di interessante.» Trafalgar sospirò e prese a toccare l'arto amputato, con circospezione, come per voler controllare la situazione. Kidd, voltato dalla parte opposta, tentò di ignorare il fastidio che quel tocco gli procurava.
«È vero che non ha trovato Killer?»
«No.»
Kidd rimase in silenzio. Che Penguin avesse mentito era una possibilità che aveva escluso. E quindi cosa era che non doveva sapere?
«Che sta succedendo?»
«Non lo so.» confessò Trafalgar passandogli una sostanza gelida sulla ferita. «Penguin ha contattato il vostro lumacofono, e qualcuno ha risposto. Ma chiunque fosse, non ha detto una parola.»
«Forse non era Killer.»
«O forse lo era e non voleva parlare con noi.»
Kidd sbuffò. Sì, ma Killer non aveva motivi di evitare Trafalgar e i suoi. Sapeva che erano la via più breve per giungere a lui e alla ciurma, se si disperdevano in quel modo.
«Non ricordo niente, non puoi farci qualcosa?»
«No.»
«Sei un dottore inutile.»
«E tu sei un paziente impossibile.» lo rimbrottò Law. «La memoria ti tornerà.» continuò. «Sei solo molto confuso»
«Tu mi stai tenendo nascosto qualcosa.»
«No.» rispose Law, iniziando a rifare la fasciatura. «C'era quella cosa sul lumacofono, adesso te l'ho detto. Non so nient'altro, né della tua ciurma, né di Killer né di quello che ti è successo.»
Kidd rimase in silenzio e decise che l'unica cosa che poteva fare, a quel punto, era aspettare di riprendersi, per poi andare personalmente a cercare Killer e la sua ciurma.
«Fammi alzare, sono stanco di stare sdraiato.»
«In questo momento sei seduto, Eustass-ya.» lo rimbeccò Trafalgar. «E ti alzerai da quel letto solo dopo che io avrò detto che puoi alzarti da quel letto
«Solo un minuto, per camminare.» tentò di nuovo Kidd. «Se sto fermo ancora impazzisco.»
«Non ce la fai a reggerti in piedi, in quelle condizioni.»
Kidd imprecò. Sì, lo sapeva, si sentiva debolissimo. Ma a stare fermo lì, con Trafalgar che lo guardava accigliato e le bende sporche di sangue nella bacinella accanto al letto, sarebbe impazzito. Doveva fare qualcosa. Camminare poteva essere un modo per schiarire la mente, almeno per qualche secondo. Aveva bisogno di riflettere, e non ci riusciva se stava fermo.
«Trenta secondi.»
«Ti ho già detto di no.»
«Trafalgar!» sbraitò allora. «Fammi alzare da questo letto almeno per qualche secondo!»
Era seriamente vicino a perdere la pazienza. Doveva muoversi, camminare. Si sentiva fremere, e se l'altro non l'avesse assecondato gli avrebbe distrutto il sottomarino con il suo potere. Per quanto lo riguardava, si sarebbe messo in piedi anche subito, ma la verità era che non ce la faceva. Aveva bisogno che Law lo aiutasse, ed era importante che lo facesse, perché rischiava davvero di perdere la ragione. Non era il tipo che se ne rimaneva buono ad agonizzare, non lo era mai stato.
Alla fine Trafalgar gli rivolse uno sguardo indecifrabile e si decise ad annuire.
«Ma solo dieci secondi.» lo ammonì. Si alzò dalla sedia, si chinò su di lui e lo aiutò a cingergli la spalla con il braccio. Gli scostò la coperta dalle gambe, attese che poggiasse i piedi a terra e, tenendolo stretto per la vita, lo aiutò a mettersi in piedi. A Kidd bastò quel movimento per essere colpito da un violento capogiro e da un'ondata di nausea che lo fece annaspare.
«Te l'avevo detto che non ce la facevi.» brontolò Trafalgar guardandolo.
«Ce la faccio.» replicò Kidd, risoluto. Ma forse Law aveva ragione, si sentiva come in procinto di svenire. Chissà se l'altro aveva abbastanza forza da reggerlo, nel caso avesse perso i sensi. Probabilmente no, ma magari avrebbe potuto attutirgli la caduta.
«Voglio camminare.» disse ancora.
Trafalgar scosse la testa con un fare che sembrava sconsolato, ma lo aiutò a muovere un passo.
Allora, innanzitutto c'era il fatto che Killer non si trovava più, così come la sua ciurma.
I motivi di questa stranezza l'avrebbe riservata al secondo passo, ora la questione era capire perché aveva la sensazione che Killer non fosse più con la ciurma e cercare di ricordare che cosa ci fosse di importante sul suo vice. Sentiva che i suoi ricordi erano lì, a portata di mano... Però lui non ci arrivava. E non c'era verso di capire che cosa fosse successo.
Fece un secondo passo senza aspettare l'aiuto di Trafalgar, e questo quasi incespicò per quel movimento improvviso.
«Idiota!» lo rimbrottò.
Dov'era Killer?
Cosa c'era da ricordare su di lui?
L'immagine sfocata di una lama ricurva che lo colpiva al fianco gli attraversò la mente, e per un istante gli mancò il fiato. No, non poteva essere.
«Fammi sedere.»
Trafalgar lo guardò senza capire, ma lo assecondò. Lo aiutò a raggiungere di nuovo il letto, e rimase a osservarlo, in silenzio, mentre l'altro sollevava la maglia che gli aveva messo addosso fino a scoprire il fianco.
Kidd sentì il cuore che accelerava, quando si accorse che c'era una ferita, proprio lì, dove la sua memoria gli aveva indicato. Trafalgar ci aveva messo sopra un grande cerotto bianco, ma era ovvio che sotto c'era un taglio. E quel taglio era stato provocato da un'arma di Killer.
«Hai dei punti, lì.» commentò Law. «Non giocarci. Ti fa male?»
«No. Non è niente. Mi è solo venuta in mente una cosa.»
«Se ti fa male me lo devi dire, Eustass-ya.»
«Non mi fa male!» ringhiò allora Kidd. «E adesso lasciami in pace, dannazione!»
Trafalgar gli rivolse uno sguardo freddo e Kidd capì d'aver esagerato. Ma voleva restare solo, e riflettere, e capire perché era stato ferito da un'arma di Killer.
Ma Trafalgar non sembrava minimamente intenzionato a muoversi. E non staccò gli occhi da lui nemmeno quando si sedette accanto al letto, con le gambe divaricate, i gomiti sulle ginocchia e le dita intrecciate.
«Vai via.» sibilò Kidd. «Voglio restare da solo.»
«Mi pare d'averti già detto che sul mio sottomarino faccio quello che mi pare.»
«E io ti ho detto che voglio restare solo! Ti è così difficile da capire?»
«No.» Law lo guardò, serio. «Ma ti devo controllare.»
«Sto bene. Non ho bisogno di te.»
«Se stai bene lo decido io.» replicò Trafalgar, e gli rivolse uno sguardo enigmatico che Kidd non riuscì a interpretare e che lo fece innervosire ancora di più.
«Esci da questa stanza!» gli urlò, ma Law si limitò a scrollare le spalle.
«Se insisti me ne vado, ma manderò comunque qualcun altro a controllarti.»
«Si può sapere perché insisti tanto? Sto bene e voglio restare solo.» ringhiò Kidd. E poi capì. A Trafalgar non interessava che stesse bene o no, sapeva che stava male. Quello che gli importava era che non facesse cazzate. Di che cosa avesse paura, Kidd non avrebbe saputo dirlo. Temeva che gli distruggesse il sottomarino? O magari che si alzasse senza il suo permesso, che le sue ferite si riaprissero? No, non poteva essere quello. Il timore di Law, ne era certo, era più profondo.
Law temeva che tentasse di uccidersi.
«Se ti prometto che me ne sto buono a letto» tentò allora, sperando di far ragionare l'altro «mi lasci da solo?»
«No.» ribadì Trafalgar. «Non sei obbligato a dirmi che cosa stai pensando, ma qualunque cosa tu dica o faccia sappi che non me ne andrò di qui finché non verrà qualcuno a sostituirmi.»
Il fatto non era che temeva di dire a Trafalgar cosa si era ricordato.
Il punto era che voleva essere solo mentre si sforzava di rimettere insieme i pezzi, per non essere costretto a fingere che non gliene fregasse nulla. Però sapeva bene che ragionare con un Trafalgar così risoluto era tutto fiato sprecato, e si rassegnò a fare del proprio meglio per ignorare l'altro capitano, che in risposta al suo atteggiamento si limitò a ghignare e a concentrarsi sul mare che si vedeva dall'oblò.

«Non mi va, lasciami stare.» diceva la voce di Killer nella sua testa.
Ma che cosa non gli andasse, non ne aveva idea. Non sapeva nemmeno che cosa aveva fatto lui, davanti a quelle parole, né se fossero effettivamente rivolte a lui o a qualcun altro.
No, parlava con lui. Erano soli, mentre Killer lo diceva. Sì, di questo era abbastanza convinto. Erano in una stanza in ombra, fredda. Doveva trattarsi della cabina di Killer. Lui e la sua maledetta mania di tenere tutte le finestre spalancate.
Ricordava l'odore dell'alcool. Probabilmente era lui stesso a puzzare, nell'ultimo periodo beveva parecchio.
Ma il suo ricordo finiva lì. Dopo, c'era soltanto un grande vuoto e un grande freddo. Ma il freddo non era fuori, era dentro, dentro di lui.
Solo che, davvero, non sapeva a cosa fosse dovuto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Trafalgar gli depositò un fagotto sulle gambe e lo fissò con un'espressione indecifrabile.
«C'è roba tua, lì dentro.» lo informò.
Kidd gli rivolse uno sguardo confuso, poi aprì il pacchetto e per un istante non capì. Solo dopo si rese conto che quelli erano i suoi bracciali, quelli che portava al braccio sinistro. Proprio quello che non c'era più. Erano ancora sporchi di sangue, il suo sangue, ormai incrostato, ma c'era di più.
Sollevò con circospezione, quasi fosse stato pronto a esplodere, un pezzo di plastica dura e spessa, a righe bianche e azzurre, e lo sollevò fino a portarlo all'altezza degli occhi, pietrificato.
Quello era, senza dubbio, un pezzo della maschera di Killer. E anche questo era sporco di un sangue scuro e rappreso che gli fece salire un conato di vomito, anche se era abituato a visioni ben peggiori, anche se quelle erano solo poche macchie. Ma quello lì era il sangue del suo vice, e la probabilità che fosse stato lui stesso a ferirlo era sempre più alta.
«Dove l'hai trovato?» chiese a Trafalgar quando riuscì a parlare.
«Me l'ha dato una ragazzina, giù, nell'isola. Ha detto che un tipo le ha dato venti bery per portarmelo.»
Kidd rimase in silenzio. Il tipo era Killer?
«Ti sei ricordato qualcosa?»
«No.» mentì Kidd. «Niente.»
Trafalgar gli rivolse un'occhiata penetrante e Kidd capì che non se l'era bevuta, ma non era dell'umore adatto per pensarci.
Si rigirò il pezzo di plastica tra le mani, fissandolo, sperando di riuscire a cancellare ciò che era successo solo convincendosi che non era accaduto.
All'improvviso ricordò che quando era piccolo sua madre gli diceva che se aveva paura bastava chiudere gli occhi, e tutto sarebbe passato.
Ma lui aveva provato a chiudere gli occhi, e non aveva funzionato.
Chiudendo gli occhi, erano apparsi gli incubi.

Nel sogno cammina barcollando, raggiunge la cabina di Killer e spalanca la porta senza nemmeno bussare.
Il suo vice si volta verso di lui, calmo; forse lo guarda, forse no. Il suo volto è coperto dal casco e a Kidd dà incredibilmente fastidio.
«Hai bisogno di qualcosa, Kidd?» domanda Killer.
Kidd non risponde, gli va vicino. Lo afferra malamente per un braccio, con il cervello annebbiato dall'alcool. È da tanto che non beve così.
«Che vuoi?» il tono di Killer diventa freddo, e lui si infuria. Perché Killer è il suo vice, e non ha nessun diritto di trattarlo così. Deve fare quello che lui gli ordina. Deve fare quello che lui vuole.
E in questo momento vuole andare a letto con lui e possederlo, e Killer non può tirarsi indietro, perché ha già deciso e non ammette obiezioni.
Lo stringe con più forza, gli blocca anche l'altro braccio, lo spinge verso il letto e nonostante Killer sia rigido, e opponga resistenza, alla fine non riesce a evitare di caderci in cima.
«Piantala, Kidd.» la sua voce è secca e sembra il rumore del ghiaccio che si spezza.
È fastidiosa.
«Taci!» lo zittisce Kidd, sdraiandosi su di lui, impedendogli di muoversi con il suo peso.
È sempre così. Killer all'inizio gli dice che non ci sta, ma poi lo asseconda e gli permette di fare quello che vuole. Ma quando Kidd porta la mano tra le sue gambe, certo che anche questa volta andrà come sempre, dal petto di Killer nasce un ringhio gutturale e spaventoso che fa capire a Kidd, pur nella confusione causata dall'alcool, che qualcosa tra loro si è rotto.
Killer si agita sotto di lui, lo afferra per le spalle, lo spinge lontano e salta in piedi, furioso.
Apre la bocca per parlare, ma a quel punto Kidd non sente già più.

Kidd aprì gli occhi e di nuovo si maledisse, perché il sogno finiva sempre lì e non c'era verso di capire che cosa fosse accaduto dopo. E poi, non era nemmeno certo che fosse accaduto davvero. Forse era soltanto uno stupido sogno che lo tormentava, e non c'era nulla di cui preoccuparsi. Potevano esserci mille motivi per cui la sua ciurma non si trovava, e, alla fine, non aveva nessuna prova che Killer non fosse più con loro. Non poteva basarsi su delle sensazioni per farsi venire dubbi di quel genere.
Si alzò cautamente dal letto, poggiandosi alla parete per rimanere in equilibrio, e attese che il capogiro gli passasse. Law gli aveva dato il permesso di camminare per un paio di minuti al giorno, anche se gli aveva raccomandato di attendere che ci fosse qualcuno ad aiutarlo.
Ma lui non aveva tempo per attendere. Gli bastava rimanere vicino alla parete, e poteva tranquillamente andare dove voleva. Si sentiva debole e stanco, ma poteva farcela. E poi, a quel punto nessuno avrebbe potuto fermarlo.
Uscì dalla cabina in cui Law l'aveva relegato e per un attimo si guardò intorno, tentando di capire dove dovesse andare. Aveva un ricordo molto confuso dei corridoi che doveva percorrere per giungere almeno alla cabina di comando. C'era stato solo un paio di volte, e con Trafalgar che gli faceva strada. Ora, invece, non c'era nessuno a cui chiedere. La ciurma di Law sembrava essersi volatilizzata proprio nel momento in cui, gli doleva ammetterlo, aveva bisogno di loro.
Ma non era il tipo da farsi scoraggiare da un inconveniente del genere. Decise di proseguire verso sinistra e percorse a caso i corridoi che incontrò, finché capì d'essere davanti alla cucina.
Non aveva la minima idea di che ora fosse, ma se avesse avuto un po' di fortuna avrebbe trovato quello che cercava. Forse stavano mangiando, e per quello non c'era nessuno in giro?
Aprì la porta pregando di non trovare Trafalgar, perché quell'idiota l'avrebbe rispedito a letto di forza se avesse visto che si era alzato da solo e aveva camminato per tutto il sottomarino, infischiandosene delle sue raccomandazioni.
Ma non era il suo giorno fortunato. La cucina era pressoché vuota, fatta eccezione per Law, che, appoggiato al tavolo, sfogliava con aria svogliata una serie di fogli riempiti con una grafia fitta e disordinata.
Kidd fece per chiudere la porta e andarsene, ma non fu abbastanza veloce.
«Ti avevo detto di non alzarti se sei da solo.»
«Non mi rompere.» ringhiò Kidd di rimando.
«Torna a letto, Eustass-ya.»
«Non esiste, voglio parlare con Penguin.»
Trafalgar rimase in silenzio, come titubante, e Kidd ebbe il dubbio che si stesse convincendo che aveva perso la testa. Sì, era vero che a lui Penguin non piaceva proprio per niente, soprattutto da quando aveva iniziato ad andare a letto con Killer, ma era proprio quello il motivo per cui voleva parlare con lui.
«Penguin?»
«Sì, Penguin.» annuì Kidd, esasperato. Quell'imbecille gli stava solo facendo perdere tempo, ma parlare e arrabbiarsi lo indeboliva. Sentiva, a ogni secondo che passava, il corpo farsi più pesante, e le gambe che si rifiutavano di reggerlo.
Tentò di muovere un passo verso una sedia, ma barcollò. Ed era già pronto a cadere a terra, troppo debole per arrestare la caduta, che Trafalgar gli era venuto in aiuto, anche se Kidd avrebbe preferito schiantarsi a terra e spaccarsi la faccia piuttosto che riconoscere che il provvidenziale intervento di Law, che gli era corso accanto e gli aveva permesso di poggiarsi a lui, facendogli recuperare l'equilibrio, gli aveva evitato una figura decisamente imbarazzante. Scoccandogli un'occhiata feroce, Law lo aiutò a raggiungere la tanto agognata sedia e quando fu certo che fosse stabile si allontanò da lui e gli riservò l'occhiata più severa del suo repertorio.
«Ti do due secondi per riprendere fiato e ti riporto a letto.» lo minacciò con tono freddo.
«Porta qui Penguin, piuttosto che rompermi le palle.»
«Che vuoi da lui?» domandò allora Law. Kidd ebbe il forte sospetto che Trafalgar, di nuovo, gli stesse nascondendo qualcosa, ma non aveva nessuna intenzione di caderci di nuovo. Avrebbe insistito finché tutto non fosse stato chiaro, nella sua mente.
«Parlargli.»
Trafalgar lo studiò ancora, a lungo, con uno sguardo indecifrabile, ma alla fine annuì.
«Non azzardarti a muoverti, Eustass-ya.» lo ammonì mentre si avvicinava alla porta. «Giuro che se ti trovo in piedi ti ta... ti lego al letto.»
Se ti trovo in piedi ti taglio le gambe. Kidd ricambiò l'occhiata di Law, ma quello distolse lo sguardo. Kidd si morse il labbro per non offenderlo. Si era corretto perché pensava che non fosse abbastanza forte da sopportare una minaccia simile? O solo perché pensava di metterlo a disagio? Non gli piacevano quelle attenzioni, non le voleva. Voleva che almeno Trafalgar si comportasse come se tutto fosse stato normale. Anche se non era normale per niente.
Law lo lasciò solo e lui ebbe fin troppo tempo per pensare a ciò che avrebbe dovuto fare.
Innanzitutto, voleva parlare con Penguin, di persona, e ottenere da lui tutte le informazioni che non era riuscito a ottenere da Trafalgar.
In secondo luogo voleva essere lui stesso a contattare il lumacofono della sua ciurma, perché era vero – gli era tornato in mente – che lo teneva Killer, e non si fidava delle parole di Law. Se nessuno rispondeva, ebbene, voleva accertarsene di persona.
E poi voleva riprendersi più in fretta possibile e convincere Law ad andare ovunque a cercare la sua ciurma. Avrebbe dovuto metterlo in chiaro fin da subito, e sperare che Trafalgar non gli facesse troppe storie.
«Una cosa veloce, Eustass-ya.» borbottò Trafalgar rientrando nella stanza insieme a Penguin. «Devi riposare.»
Kidd non rispose nemmeno e attese, fremendo, che Penguin si sedette di fronte a lui. Diamine, quanto lo odiava. Non ne sopportava nemmeno la vista. Aveva una faccia irritante. E poi, lo infastidiva non riuscire a vederne gli occhi. Riflettendoci, già solo per il fatto che si chiamava Penguin meritava di sparire dalla terra. Ma come diamine si faceva a chiamarsi Penguin?
«Trafalgar ha detto che hai parlato con Killer.» esordì quando decise che non sarebbe stata una buona idea uccidere l'unica persona che poteva dargli qualche informazione.
«Ci ho provato.» ribatté Penguin, gelido.
«Non ha detto proprio niente?» insistette Kidd. «Nemmeno una parola?»
Era impossibile. Se ci fosse stato davvero Killer dall'altra parte, avrebbe detto qualcosa. Qualsiasi cosa. Anche che lo voleva morto, se le cose erano andate davvero come temeva e avevano combattuto uno contro l'altro. Non sarebbe rimasto in silenzio.
«No. Non so nemmeno se era lui.»
«Ma dici che qualcuno ha risposto.»
«Sì. Ho sentito che ha acceso il lumacofono, ma poi non ha detto nulla. Sentivo dei rumori di sottofondo.»
Ecco, quello poteva essere un indizio.
«Che tipo di rumori?»
«Lascia perdere, Eustass-ya, questi non sono indizi e non portano da nessuna parte.»
«Taci tu!» lo aggredì Kidd. Faceva presto Trafalgar a parlare. Se fosse stato il suo orso a scomparire avrebbe fatto molto di più di ciò che stava facendo lui. Non aveva nessun diritto di dirgli che cosa doveva fare. E non voleva sentirsi dire che quello che faceva era stupido.
«Non saprei.» sospirò Penguin. «Sembrava che ci fosse vento. Non mi pareva ci fosse gente.»
E quindi, se era davvero Killer quello dall'altra parte, era solo? Ma magari era solo in una parte della nave un po' isolata. Saliva spesso sulla coffa, quando era di cattivo umore. Poteva aver risposto da lì. Ma perché tacere?
«Voglio chiamarlo io.»
Trafalgar gli rivolse un'occhiata esasperata e Penguin si ritrasse, a quelle parole.
«Che c'è?» insistette Kidd. «Dammi il lumacofono.»
«No.» intervenne Trafalgar, secco. «Adesso te ne torni a letto.»
«Se non mi lasci usare il lumacofono ti distruggo il sottomarino.» minacciò Kidd. Sollevò una mano e attirò a sé uno dei bulloni che tenevano insieme le parti del sottomarino. Quello scricchiolò in maniera preoccupante, e prese a vibrare, ancora fermo al suo posto. Avrebbe dovuto metterci un po' di energia in più per tirarlo via, ma sapeva che non sarebbe servito. Lo sguardo di Trafalgar era sufficientemente allarmato e alla fine, lentamente, annuì.
«Penguin, va bene, fa' come dice.»
Penguin guardò il suo capitano, o almeno, a Kidd parve che l'avesse guardato, perché non riusciva a vederne gli occhi con quel cappello in testa, e alla fine mise una mano in tasca e ne estrasse un lumacofono.
Kidd lo prese e per un istante gli venne l'istinto di ripensarci.
Ma era tardi, ormai. Compose il numero del lumacofono della sua ciurma in fretta, quasi senza guardare la pulsantiera, quasi sperando che nessuno ricevesse quella chiamata.
Invece, con sua grande sorpresa, qualcuno rispose.
«Sì?»
Ma non era Killer.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


«Heat?»
«Capitano? Dove sei? Che fine avete fatto tu e Killer?»
Kidd rimase in silenzio. E quella domanda che significava?
«Che stai dicendo?» si sforzò di chiedere. Tentò di ignorare Trafalgar che si accomodava su una sedia accanto a lui, fin troppo vicino. Ne intercettò lo sguardo pensieroso e non gli piacque.
«Come sarebbe a dire che sto dicendo? Siamo tornati nell'isola e tu e Killer non c'eravate, era pieno di sangue dappertutto e c'era il lumacofono a terra... E c'era un pezzo del casco di Killer di fianco, e le tue pistole. Ci siamo preoccupati, e non saltate fuori da nessuna parte.»
«Killer non è con me.»
Il silenzio che le sue parole provocarono nella ciurma che lo ascoltava, dall'altra parte del lumacofono, era il più doloroso a cui Kidd avesse mai assistito.
«Capitano, che cosa è successo?» chiese allora, tesa, la voce di Wire.
Kidd fece per aprire la bocca e rispondere, e inventarsi qualcosa, perché non aveva idea di quello che era accaduto, ma Trafalgar lo precedette.
Gli strappò il lumacofono dalle mani e parlò con tono deciso, senza dargli tempo di protestare.
«Sono Law. Eustass-ya è sul mio sottomarino, ci rimarrà finché lo deciderò io e ora non può proprio chiacchierare con voi.»
Poi, senza dare tempo a nessuno di dire nulla, chiuse la conversazione. Lanciò il lumacofono a Penguin e guardò Kidd.
«Adesso ti riporto a letto.»
«Scordatelo!» Kidd tentò di alzarsi e di afferrare il lumacofono, ma Penguin fu decisamente più veloce di lui e si allontanò in fretta, reggendo l'oggetto, mentre Trafalgar, tenendolo con entrambe le mani, gli impediva al contempo di afferrare il compagno e di cadere a terra.
Kidd fu costretto, di nuovo, ad appoggiarsi a lui e non riuscì a impedire che lo trascinasse fuori dalla cucina, e poi lungo i corridoi, ignorando le sue proteste, fino all'infermeria.
«Trafalgar!» sbraitò mentre tentava di opporsi all'altro, senza riuscirvi «Voglio parlare con la mia ciurma!»
«Ci parlerai un altro giorno.» tagliò corto Law. «Ora devi riposare.»
«Mollami, bastardo. Portami il lumacofono!»
Ma Trafalgar non sembrava intenzionato ad ascoltarlo. Tenendolo stretto a sé con un braccio, usò la mano libera per aprire la porta dell'infermeria e ci mise tutte la forza che aveva nel trascinalo all'interno. Kidd sapeva bene che l'unico modo per liberarsi di Law, in quel momento, era ucciderlo. Ma oltre a essere una pessima idea, gli era anche fisicamente impossibile, almeno per ora.
«Pensa a quello che volevi fare, Eustass-ya!» esclamò Trafalgar quando riuscì a farlo sdraiare sul letto. Non gli diede il tempo di rispondere, e proseguì: «Anche se dici di non ricordare cosa ti è successo, hai perso un braccio e non sai che fine abbia fatto Killer. Per quanto mi riguarda è successo qualcosa tra voi due, e c'è la possibilità che abbiate combattuto e potresti averlo ucciso.»
«Non avrei mai fatto una cosa simile.» gracchiò Kidd, ma quell'ipotesi, pronunciata da Trafalgar, sembrava molto più credibile che nella sua mente. Ma non poteva aver ucciso Killer. Lui era il suo migliore amico, se anche avevano combattuto era impensabile che l'avesse ammazzato.
«E invece potrebbe essere.» insistette Law. «Lo sai meglio di me che quando ti arrabbi perdi la testa e non ragioni più. Che cosa volevi dire alla tua ciurma? Che non sai nemmeno tu che cosa è successo, però nel frattempo sei senza un braccio? Lasciali stare finché non troviamo Killer.»
Kidd rimase in silenzio.
Provava una sensazione strana, che non aveva ricordato fino al momento in cui aveva sentito che gli si formava un nodo in gola, ed era terribilmente difficile da mandare giù. Era quello che si provava prima di mettersi a piangere? Gli sembrava di sì. Ma non aveva nessuna intenzione di scoppiare in lacrime, e soprattutto non davanti a Trafalgar.
Ma se avesse aperto bocca per parlare, non sarebbe riuscito a trattenersi. E perciò doveva rimanere in silenzio almeno fino a recuperare il controllo di sé. Poi avrebbe potuto maledire Trafalgar, perché quel dannato aveva ragione, e non poteva mettere in allarme la sua ciurma per nulla. Inspirò a fondo un paio di volte, e alla fine decise che era abbastanza calmo da poter parlare.
«Va bene.» mormorò, stanco. «Va bene. Però chiamali, inventati una balla qualsiasi e di' loro che non c'è niente di cui preoccuparsi.»
Trafalgar si limitò ad annuire.
Poi, di nuovo, prese a cercare qualcosa nei cassetti e alla fine ne tirò fuori una siringa con lo stesso liquido chiaro che l'aveva fatto dormire, qualche giorno prima. Ma questa volta Kidd non si oppose.
Era stanco, e aveva bisogno di riposare. In quei giorni i suoi sonni erano stati un susseguirsi di incubi, e si sentiva sfinito.
Porse il braccio a Trafalgar e lasciò che gli facesse l'iniezione. Non fece nemmeno in tempo ad accorgersi di avere sonno, e già dormiva.

Alla sua ciurma Law aveva raccontato che si era preso una pericolosa malattia infettiva, ed era opportuno che rimanesse isolato fino alla completa guarigione. E così, ogni giorno i suoi si facevano sentire e lui doveva inventarsi qualcosa da dire, sotto le indicazioni di Trafalgar.
Non aveva ancora detto nulla sul braccio. Non gli sembrava una buona idea, e preferiva parlargliene di persona. E poi, ancora non se n'era fatto una ragione.
Alla fine era riuscito a guardarsi allo specchio, e quella menomazione gli era sembrata tanto grave quanto orribile. Non sembrava nemmeno più lui, ecco qual era la verità.
Non si era riconosciuto, nel riflesso pallido e sconvolto che aveva visto nello specchio. Sapeva bene di essere lontano dalla propria forma migliore, ma le condizioni in cui era andavano oltre il peggio. Se aveva trovato Law emaciato quando aveva ripreso i sensi per la prima volta, nel sottomarino – aveva scoperto poi che quel pallore e quelle occhiaie erano dovute alle due notti passate insonni nel tentativo disperato di salvargli la vita – lui era ridotto molto peggio.
Non si era mai visto tanto pallido, tanto smunto. Persino i capelli sembravano meno rossi del solito. E aveva scoperto con orrore, mentre si pettinava, che ne perdeva a ciocche. Trafalgar gli aveva spiegato che era per l'ansia e la debolezza, ma quello poco cambiava le cose. Se si fosse trovato senza un braccio e anche senza capelli si sarebbe buttato in mare e sarebbe morto.
E poi, quel corpo non gli sembrava nemmeno più il suo. Era brutto, sgraziato. Quando camminava gli sembrava di dover perdere l'equilibrio ogni secondo, spesso si trovava a barcollare e non sapeva perché. Si sentiva meglio, la testa non girava più, ma lui sembrava essere diventato incapace di camminare in linea retta.
«È perché senza un braccio sei sbilanciato.» aveva spiegato Trafalgar. «Ti ci vorrà un po' di tempo per abituarti.»
Ma lui non aveva un po' di tempo. Anzi, non ne aveva proprio per niente. Mentre se ne stava a fare la muffa nel sottomarino di Law Killer era chissà dove, a fare chissà cosa, e chissà perché.
«Voglio venire nell'isola.» disse quando Law gli annunciò che erano giunti in un nuovo porto.
«Sei debole per camminare.»
«Non ne posso più di questo sottomarino.»
«Magari alla prossima isola, Eustass-ya.» replicò Law, ma questa volta Kidd non era disposto a farsi fregare. Sarebbe sceso a terra, a costo di andarci strisciando, perché nonostante tutto il sottomarino di Law era piccolo e claustrofobico, e le pareti metalliche cominciavano a mettergli ansia. E poi, nella ciurma del chirurgo erano in troppi. Gli sembrava di avere gli occhi di tutti puntati addosso, troppa gente che lo controllava. Aveva bisogno di respirare un'aria diversa.
«Ce la faccio.» ringhiò Kidd. Non aveva ancora abbandonato del tutto l'idea di distruggere il sottomarino per dimostrare a Law che faceva sul serio, ma dal momento che questa volta Law aveva con sé la nodachi preferì non rischiare.
Trafalgar gli lanciò uno sguardo dubbioso, ma alla fine scrollò le spalle.
«Intanto vado io.» gli disse. «Se trovo una locanda vicina in cui puoi riuscire ad arrivare torno a prenderti. Questi sono i patti, Eustass-ya.»
«Bastardo! Non sono un bambino, non hai nessun diritto di trattarmi così. Vengo con te subito!»
«Questi sono i patti.» ripeté Law. «Altrimenti ti addormento di nuovo.»
Kidd imprecò e ringhiò, ma non aveva voglia di litigare. Andare nell'isola poteva essere un buon modo per avere informazione su Killer, e non poteva lasciare che Law gli negasse anche questa possibilità. Sapeva bene che Trafalgar faceva tutto quello solo per proteggerlo, e impedirgli di peggiorare le proprie condizioni, ma non gli importava. Non voleva pietà.
Si rassegnò ad annuire e ad aspettare di avere più forza per contrastare a dovere Law, e obbedì anche quando l'altro gli intimò di aspettarlo a letto.
Se doveva fare questo per recuperare Killer, l'avrebbe fatto. Perché doveva assolutamente ricordare quello che era successo, e uscire dal sottomarino poteva essere una buona idea. Magari avrebbe visto qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo a ricordare, e a ricostruire ciò che era accaduto dal momento in cui Killer l'aveva respinto in poi.

Trafalgar rimase fuori a lungo e ben presto gli venne il sospetto che non sarebbe tornato a prenderlo.
Ma non fece nemmeno in tempo a infuriarsi, perché mentre progettava la vendetta per averlo trattato come un idiota la porta dell'infermeria si aprì, e Trafalgar rientrò.
«C'è una locanda a cinquanta metri da qui.» comunicò. «Non è un granché, ma ti concedo mezzo boccale di birra.»
Doveva esserci qualcosa di losco sotto. Non poteva consentirgli di uscire dall'infermeria, dal sottomarino, di andare su un'isola e anche di bere alcolici nella stessa giornata. Kidd decise che Law aveva combinato qualcosa, o forse – ed era una sensazione che non riusciva a togliersi di dosso – gli stava ancora nascondendo qualcosa, e cercava di guadagnare punti per farsi, poi, perdonare.
In ogni caso era meglio approfittarne finché poteva. Doveva sfruttare quell'occasione per cercare informazioni.
Si alzò cautamente dal letto per non dare a Law motivi di lamentarsi del suo comportamento, anche se ormai si sentiva abbastanza in forze, e lo seguì per il sottomarino.
Le cose si fecero più complesse quando si trovò davanti alla scaletta di corda che l'avrebbe portato a terra. Con un braccio solo, dubitava di riuscire a scendere. Sapeva bene che avrebbe potuto chiedere a Law di fargli usare la passerella, ma non voleva. Avrebbe trovato un modo per scendere di lì anche senza stare a scomodare mezzo mondo.
«Ti aiuto io, Eustass-ya.» gli disse invece Trafalgar senza nemmeno degnarsi di guardarlo. Kidd non rispose, ma se voleva davvero scendere da quel sottomarino di merda doveva per forza accettare l'aiuto di Law. Lasciò che l'altro si arrampicasse per primo su quella scala di corda e gli permise di aiutarlo a tenere l'equilibrio mentre spostava l'unica mano rimasta sul lato della scala. Trafalgar gli impediva di cadere e alla fine, dopo un paio di tentativi, riuscì a capire come fare per rendere quell'operazione più agevole possibile, ma quando toccò finalmente terra era comunque sfinito.
«Niente male.» si complimentò Law. «Pensavo che saresti caduto in acqua.»
«Ti sarebbe piaciuto, immagino.»
«Dopo tutta la fatica che ho fatto a salvarti la pelle? Mi conosci davvero poco, Eustass-ya.»
Kidd annuì distrattamente. Era vero. Nonostante si conoscessero ormai da qualche anno, e Law fosse il suo amante, non riusciva ancora a interpretare le sue espressioni. Però Trafalgar non gliel'aveva mai fatto notare, prima, anche se Kidd sapeva che gli pesava, perché invece a lui bastava uno sguardo per capire tutto ciò che gli passava per la testa, mentre Kidd non avrebbe saputo dire che cosa pensava Trafalgar nemmeno se questo gli avesse recitato i propri pensieri.
«Di qua.» gli disse Law facendogli un cenno con il capo. Kidd lo seguì, camminando lento, cercando di evitare di fermarsi per riprendere fiato. Incontrarono alcuni marinai, ma loro non li riconobbero. Nonostante questo, gli sembrava che tutti lo fissassero.
Era il braccio, si disse, era tutta colpa del braccio. La fasciatura che Law gli aveva fatto era stretta, e improvvisamente gli faceva male. Ma doveva sopportare, o le sue ricerche non avrebbero avuto fine.

Quella che Trafalgar aveva definito locanda era, in realtà, ben diversa dai locali che abitualmente Kidd frequentava. Non aveva mai visto un locale tanto ordinato e pulito, con una luce così ben distribuita e con cameriere che non somigliassero a combattenti o a prostitute. Non c'erano marinai né pirati, fatta eccezione per la ciurma di Law che già aveva iniziato a bere, causando disagio negli altri clienti.
Ma in fin dei conti i compagni di Law sapevano essere gente tranquilla se nessuno li provocava, e ben presto fu chiaro a tutti che non c'era motivo di temere quella compagnia.
La cameriera che si avvicinò – e Kidd non ricordava d'aver ricevuto un trattamento simile almeno negli ultimi dieci anni – a prendere gli ordini era pallida e tremava come una foglia, ma poteva capire la poverina, che non doveva essere abituata a trattare con gente del genere.
Nonostante questo, si dimostrò cortese, fin troppo, e Kidd decise che quel posto puzzava troppo di educazione per uno come lui.
«Non ti farà male comportarti bene per una sera, Eustass-ya.» lo prese in giro Trafalgar, che al contrario di lui non sembrava minimamente a disagio in quella situazione.
Ma tutti gli fissavano il braccio. Questa volta ne era certo, lo sentiva. I clienti della locanda lo guardavano perché quella menomazione attirava gli sguardi, e si sentiva ridicolizzato e offeso dal loro comportamento, ma non aveva la forza nemmeno di aggredirli a parole, e anzi, fece anche fatica a sollevare il proprio boccale quando la ragazza tornò.
«Metà, e non un goccio di più.» lo ammonì Trafalgar mentre Kidd mandava giù il primo sorso, mentre lui aveva già svuotato il proprio boccale e si accingeva a bere il secondo, quando, improvvisamente, Kidd lo vide farsi pallido e capì che c'era qualcosa che non andava.
Uno dopo l'altro, gli uomini di Trafalgar si riversarono sui tavoli, lasciando cadere i boccali e tutto ciò che reggevano nelle mani, con le pelli livide e sudate, i respiri affannosi. Alcune delle cameriere urlarono, il padrone della locanda si precipitò da loro.
Trafalgar afferrò il boccale che Kidd teneva ancora in mano e lo gettò lontano, imprecò e fece per alzarsi e raggiungere i suoi uomini, preoccupato, mentre alcuni iniziavano ad avere delle convulsioni e dalle sedie rovinavano al suolo, ma non fece nemmeno in tempo ad alzarsi del tutto che ricadde, accasciandosi accanto a Kidd, nelle stesse condizioni della sua ciurma.
«Trafalgar!» lo chiamò Kidd, allarmato, ma quello sembrò non sentire. Kidd lo vide chiudere gli occhi, come se fosse stato colto da un sonno improvviso, e si affrettò a scuoterlo con forza e a chiamarlo con voce più alta.
«Trafalgar!» ripeté, e quello si ridestò, aprendo appena gli occhi, ma non appena Kidd si voltò a guardare il resto della ciurma li richiuse. E adesso che diavolo stava succedendo? Che cosa doveva fare?
L'unico, in mezzo a tutto quel disastro, a sembrare stare bene era lui e, se ne accorse poi, Penguin. Ma l'altro uomo era come paralizzato davanti alle condizioni dei compagni, e gli ci vollero diversi secondi prima di scattare in piedi per correre a controllare le condizioni dei compagni più vicini.
«Che cosa sta succedendo?» gli domandò Kidd, scuotendo nuovamente Trafalgar per cercare di svegliarlo, ma questa volta inutilmente.
«C'era qualcosa nelle bevande!»
«Signore...» pigolò la cameriera che li aveva serviti avvicinandosi a Kidd, che si voltò di scatto verso di lei, pronto a uccidere chiunque fosse stato il responsabile di quello scempio «Signore, un uomo mi ha detto di darle questo.»
Gli porse un fagotto simile a quello che gli aveva dato Trafalgar qualche giorno prima, e Kidd sapeva già che cosa ci avrebbe trovato. Un altro pezzo della maschera di Killer, e poi, inspiegabilmente, un fiore.
Kidd lo sollevò per osservarlo meglio, senza capire, senza sapere cosa fare con Law, che si era poggiato a lui e aveva il respiro sempre più affannato, e la pelle sempre più sudata, mentre Penguin tentava di alleviare il dolore dei compagni, e il locandiere si dava da fare per sgombrare il locale e mettere a disposizione dei pirati i tavoli su cui adagiare i membri della ciurma agonizzanti. Una delle cameriere corse fuori, a cercare un medico, e a Kidd non venne nemmeno in mente di fermarla, perché se un medico li avesse denunciati alla Marina sarebbe stato un guaio.
«È il fiore!» esclamò all'improvviso Penguin precipitandosi verso Kidd e strappandogli la pianta dalla mano. «È velenosissimo.»
Si voltò in fretta verso Trafalgar, e mentre studiava le sue condizioni la ragazza che gli aveva dato il fagotto rivolse a Kidd uno sguardo colmo di lacrime.
«Mi dispiace!» esclamò. «Mi ha costretta!»
«Chi?» si sforzò di domandare Kidd, ma conosceva già la risposta.
«Non lo so, non lo conosco, un uomo con gli occhi chiari e i capelli biondi e il volto coperto di cicatrici.»
Già. Kidd faticava ancora ad abituarcisi, ma Killer ora girava a volto scoperto. La sua maschera era in frantumi, e ognuno di quei pezzi era diventato un indizio che quel bastardo gli mandava.
«Mi ha costretta, ha detto che avrebbe ucciso la mia famiglia... Ha detto che dovevo assicurarmi soltanto che voi due» e accennò con la mano a lui e Penguin «non beveste quella roba.»
Kidd non aveva più voglia di ascoltare.
«Dobbiamo portarli subito sul sottomarino!» esclamò Penguin mentre controllava il battito di Trafalgar. «Se vanno avanti così, non dureranno che qualche ora.»
Kidd annuì, ma non sapeva che cosa fare.
Per colpa di quel dannato braccio, ora era soltanto un peso inutile.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il locandiere e alcuni uomini, inspiegabilmente, li avevano aiutati a riportare tutta la ciurma sul sottomarino. Penguin, dopo aver lasciato a Kidd il compito di ringraziare quelle persone, aveva brontolato qualche cosa riguardo al fiore e alla necessità di svuotare lo stomaco, e Kidd non aveva capito cosa avesse in mente fino a quando si rese conto che i farmaci che Penguin aveva propinato ai compagni servivano solo a farli vomitare.
Mentre Penguin si occupava di tenerli sotto controllo e di ripulire, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, lui preferì rintanarsi nella cabina di Law, che al momento era libera dato che il capitano era in infermeria insieme a tutti gli altri.
Perché Killer si comportava così? Ormai era fin troppo chiaro che ce l'aveva con lui. Ma perché non l'aveva attaccato direttamente? Non era da Killer comportarsi in quel modo. Avrebbe potuto avvelenare lui, e lasciarlo morire. Invece aveva pensato bene di colpire l'intera ciurma di Trafalgar, e lasciare stare lui. E Penguin, naturalmente.
Quindi l'obiettivo non poteva essere il massacro della ciurma di Law, perché Killer sapeva che Penguin li avrebbe curati. E dunque voleva solo spaventarlo? Voleva mostrargli che, anche se lui non sapeva dove fosse, invece Killer sapeva dov'era lui, ed era anche pronto a colpirlo?
Ma forse Killer non l'aveva attaccato perché non poteva. Forse era ferito, e temeva uno scontro fisico. Già, non c'erano altre spiegazioni. Killer non era tipo da piani strategici e sotterfugi. Era più uno che cercava lo scontro diretto, come lui. Se non l'aveva fatto era perché non poteva.
Ma questo voleva dire che, ora, aveva un nemico pericoloso alle calcagna. Perché Killer lo conosceva bene, e sapeva che cosa era in grado di fare e cosa no. E soprattutto, sapeva dove colpire. Il messaggio era fin troppo chiaro: il suo obiettivo adesso era Trafalgar. Kidd non aveva nessun dubbio in proposito.
Killer voleva Law morto.
La questione era decidere se era in grado di ucciderlo oppure no. Conosceva il proprio vice – ma poteva ancora considerarlo tale, a questo punto? – e sapeva che cosa era in grado di fare, quello su cui nutriva dei dubbi era Trafalgar. Oh, non che pensasse che non fosse in grado di difendersi contro Killer, tutt'altro. Kidd non aveva il minimo dubbio che Law fosse perfettamente in grado di uccidere anche lui, magari impegnandosi un pochino.
Ma quale sarebbe stata la sua reazione davanti alla minaccia di Killer? Aveva il dubbio, e non capiva per quale motivo, che Law non avrebbe combattuto seriamente contro Killer. Perché lo pensasse, non ne aveva idea, ma era così.
Non aveva ancora finito di ragionare che la porta della cabina si aprì ed entrò Penguin. Kidd gli rivolse un'occhiata feroce, perché aveva interrotto i suoi pensieri e poi perché lo odiava, e non voleva essere disturbato da lui, ma sapeva bene che, in una situazione del genere, non doveva ignorarlo.
«Che c'è?» gli ringhiò contro.
«Trafalgar ti vuole.»
Kidd annuì. Sì, era comprensibile. Se l'idiota si era ripreso quel tanto che bastava per parlare era ovvio che avrebbe voluto fare il punto della situazione. Era lui che non ne aveva per niente voglia.
Nonostante questo si alzò dal letto e seguì Penguin fino all'infermeria, ma non fu lì che dovette entrare. Penguin lo portò dritto dritto alla cabina in cui Law faceva i suoi esperimenti, e Kidd avrebbe seriamente preferito andare ovunque, ma non lì.
Era la prima volta che entrava in quella stanza, e già da fuori aveva deciso che non gli piaceva neanche un po', e quando entrò la sua idea fu confermata.
C'era un odore nauseabondo di farmaci, lì dentro, e l'aria era pesante e irrespirabile. Non c'era nemmeno un oblò o un'apertura qualsiasi, ma dei grandi fari sopra a un tavolo di metallo sì, e Kidd non aveva nessuna difficoltà a immaginare che cosa ci facesse Law con quel tavolo e, soprattutto, con quello che ci finiva sopra.
Gli ci volle un po' per accorgersi del lettino incastrato tra due sporgenze della parete. Trafalgar era lì, più pallido del lenzuolo che lo copriva, madido di sudore, con le mani e le braccia che gli tremavano. Se si accorse della sua presenza, Kidd non avrebbe saputo dirlo, ma si avvicinò al letto e rimase a guardare l'altro capitano che respirava pesantemente.
«Mi pare evidente» gracchiò Trafalgar all'improvviso, con gli occhi coperti dal braccio «che Killer ce l'ha con te.»
«Già.»
«Come stanno gli altri?»
«Non ne ho idea. Chiedi a quel tuo pinguino scocciatore.»
«È impegnato.» mormorò Law. Con gesti lenti spostò il braccio da davanti agli occhi e a Kidd mancò il fiato vedendo quanto fosse distrutto. Se di solito le occhiaie di Law erano evidenti, in quel momento erano indescrivibili, di un nero pesto che gli dava un aspetto più che mai malato, e gli occhi gonfi, rossi e lucidi come se avesse avuto la febbre alta, risaltavano ancora di più nel volto scarno che aveva raggiunto una tonalità gialla malsana che a Kidd non piacque per niente.
Killer avrebbe dovuto pagarla, per quello.
«Se fosse morto qualcuno te l'avrebbe detto.» stabilì.
«Sì, immagino di sì.» soffiò Law. Anche solo a guardarlo, Kidd riusciva a vedere il senso di pesantezza che l'altro provava. Ogni movimento sembrava costargli una fatica immensa, e ogni volta che si spostava, anche di poco, un sudore freddo dall'odore acre gli scorreva dalla fronte lungo le tempie, tra i capelli fradici, e bagnava il cuscino.
«Che cosa vi ha dato?» chiese Kidd.
«Non saprei.» borbottò Law a voce tanto bassa che Kidd fu costretto ad avvicinarsi per sentirlo. «C'era un fiore, no?»
«Sì, con i petali viola.»
«È Penguin quello che conosce i veleni.» tagliò corto Law. «Che cosa intendi fare, adesso?»
Kidd sospirò e si sedette ai piedi del letto, senza guardare l'altro.
La verità era che gli girava la testa, si sentiva debole e forse doveva vomitare. Killer... Era l'ultima persona da cui si sarebbe aspettato tutto quell'odio. Ma al di là di quello che effettivamente era successo, era ovvio che le ferite che aveva sul corpo se le era procurate combattendo contro di lui, o non c'era modo di spiegare quell'attacco alla ciurma di Law. Killer ce l'aveva con lui per qualche motivo, e fin qui ci stava. Aveva ricordato quell'episodio della cabina, quando aveva tentato di iniziare un rapporto che Killer non voleva, ma su ciò che era successo dopo non sapeva nulla. Nonostante questo, sapeva che non era nulla di buono. La prossima volta che avesse incontrato Killer, avrebbe dovuto combattere di nuovo, e non voleva.
«Non lo so.» ammise alla fine. Tanto valeva essere sinceri, a quel punto. Che cos'aveva da dimostrare, ormai? Non era nemmeno capace di tenersi stretti i suoi uomini. Se era arrivato al punto d'aver combattuto contro il suo migliore amico in una battaglia che doveva per forza essere stata terrificante, se lui c'aveva addirittura perso il braccio, allora non meritava né stima né rispetto. Non aveva più alcun motivo per mostrarsi coriaceo. La verità era che aveva soltanto voglia di piangere e disperarsi, e lasciare che fosse qualcun altro a sistemare quel casino, se mai c'erano possibilità di sistemare qualcosa.
«Che cosa faresti al posto mio?» domandò quando gli fu chiaro che non sapeva più da che parte sbattere la testa.
A quella domanda Trafalgar lo guardò in silenzio per qualche istante, poi, dopo quella che sembrava essere stata una lunga riflessione, mormorò:
«Lo cercherei.»
«Anche se sapessi che vi battereste?»
«Sì.»
«Non voglio combattere contro di lui.»
Kidd sapeva che in un momento diverso si sarebbe pentito di quelle parole, che lo rendevano uno stupido sentimentale, ma non ce la faceva davvero a trattenersi. Aveva dannatamente bisogno di essere onesto. E in quel momento, senza Killer che potesse ascoltarlo, Trafalgar era l'unica persona su cui fare affidamento.
Law non rispose. Poggiò la mano al materasso, piegando il gomito, e cercò di tirarsi a sedere facendo leva sul braccio, ma non ci riuscì. Kidd lo guardò mentre tentava una seconda volta, poi si chinò su di lui, gli cinse le spalle con il braccio e lo aiutò a sedersi.
E prima che potesse rendersene conto si trovò con la fronte poggiata alla spalla di Law, le sue dita tra i capelli bagnati del chirurgo, mentre l'altro lo stringeva a sé, aggrappandosi a lui, forse per non crollare di nuovo sul materasso, forse per consolarlo. O forse per entrambi i motivi.
«Devi cercarlo.» gracchiò ancora Trafalgar, debole. Kidd sentiva la sua pelle ghiacciata contro la propria, e sapeva che sbagliava a permettergli di sedersi mentre era in quelle condizioni, ma non riusciva a smettere di pensare che quell'abbraccio, per quanto gelido fosse il corpo di Trafalgar, gli stava dando più calore di quanto avesse mai ricevuto.
«Non mi va.»
«Lui ti troverà comunque. Non hai capito? È per questo che ci ha avvelenati. Vuole che lo cerchi.»
Fu scosso da un tremito e da un forte colpo di tosse, e Kidd capì che non poteva farlo sforzare troppo, che era ancora debole. Tenendolo stretto a sé si chinò sul materasso finché Trafalgar non fu del tutto sdraiato, poi si allontanò da lui. A vederlo così, pallido e distrutto, il pensiero di andare a massacrare Killer si faceva più forte. Ma poi ci ripensava, e si diceva che tra i due non poteva preferire Law. Era sbagliato. O forse no? Forse era giusto, dato che Killer stava facendo così tanto per uccidere chi non c'entrava niente? Non lo sapeva più.
Non capiva che cosa avrebbe dovuto fare.
In ogni caso, combattere contro Killer in quelle condizioni era impensabile. D'altra parte, lo era anche lasciarlo libero di scorrazzare come gli pareva, avvelenando ciurme e seminando il panico in locande di brava gente.
Non era quello il Killer che aveva conosciuto lui. Il suo compagno avrebbe affrontato apertamente il nemico. Quella serpe infida, invece, era vile. E non sapeva come affrontarlo. Forse si era sempre sbagliato a giudicare, in realtà, e Killer era come si stava mostrando ora, a lasciargli pezzi della sua maschera per dargli indizi e fargli capire che sì, dietro a tutta quella sofferenza c'era lui.
Non ne voleva sapere di incontrarlo di nuovo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Trafalgar dormiva, pallido come un morto, da almeno venti ore.
Bepo, seduto accanto al letto, gli asciugava il sudore dal volto con un panno e di tanto in tanto gli rassettava le coperte, come avrebbe fatto una madre con il proprio bambino.
L'orso, insieme al resto della ciurma, ci aveva messo qualche giorno prima di riuscire a rimettersi in piedi e tentare di riprendere una vita quasi normale. Ma Trafalgar, nonostante le cure, faticava ancora a mettersi seduto da solo.
«La dose che ha bevuto lui era quasi doppia rispetto a quella degli altri.» aveva commentato Penguin il giorno prima, quando Kidd gli aveva chiesto il motivo di quella debolezza. «È già tanto se non è morto. Ma si riprenderà.»
Kidd guardò di nuovo l'orso e si chiese ancora una volta per quanto ancora avrebbe avuto la pazienza di occuparsi di Trafalgar. Da quanto ne sapeva, era lì dal momento in cui era stato in grado di reggersi in piedi. Non aveva fatto una pausa nemmeno di cinque minuti, ma era rimasto a prendersi cura di Law senza lamentarsi neanche per un istante.
Chissà se Killer avrebbe fatto lo stesso per lui, se si fosse trovato nella stessa situazione. A lui non era mai capitato di ridursi così, prima. Però Killer di solito era abbastanza insofferente a quel genere di cose. Certo, lo aveva aiutato se era stato male. Ma non aveva mai avuto quell'affetto sconfinato e quella premura che Bepo stava regalando a Trafalgar.
Non era invidia, quella che Kidd provava. No, assolutamente. Lui non voleva che ci fosse qualcuno che si prendesse cura di lui in quel modo morboso. E tanto, se anche ci fosse stato, non sarebbe stato Killer. Non più, ormai.
«Quell'idiota del tuo capitano dorme ancora?» domandò all'orso, giusto per fare qualcosa. Certo che dormiva. Kidd ne sentiva il respiro lento e pesante anche se si trovava dall'altra parte della stanza, seduto sul tavolo operatorio dove sperava di non doversi trovare mai, ma dove, ormai, passava buona parte delle sue giornate a guardare Law che dormiva o sonnecchiava, vittima della debolezza che il veleno gli aveva procurato.
Nel frattempo, la sua ciurma aveva saputo quel che era accaduto da Shachi, che aveva ricevuto una chiamata di Heat sul lumacofono, e che non era stato in grado di dire chi avrebbe potuto nascondersi dietro a quell'attacco così vile.
«Deve riposare.» replicò Bepo, piccato.
Kidd ebbe la sensazione di non essere per niente benvoluto su quel dannato sottomarino. Un conto era mentre Trafalgar stava bene, e teneva la ciurma al proprio posto e soprattutto passava le giornate con lui, per evitargli di impazzire e di fare cazzate, un conto era in quel momento, mentre Trafalgar era immerso nella stanchezza e la sua ciurma era libera di fare e dire quello che voleva.
Con Penguin Kidd si aspettava di dover litigare, prima o poi. Il solo modo in cui lo guardava, quasi accusandolo – ma di cosa, poi, non avrebbe saputo dirlo – gli faceva saltare i nervi. E poi, continuava ad avere la sensazione che quell'essere insopportabile stesse nascondendo qualcosa.
Per quanto riguardava Bepo, però, Kidd prima d'allora non aveva mai avuto la sensazione di non piacergli. Per la verità non ci aveva mai parlato, non sul serio, almeno, ma l'orso non si era mai lamentato della sua presenza ed era sempre stato cortese, nei suoi confronti, anche quando Law, dopo qualche litigio, gli ordinava di buttare in mare Eustass-ya. Ma ora lo guardava male, e se osava rivolgergli la parola, solo perché si stava annoiando, quello stupido animale gli ringhiava risposte monosillabiche, come augurandogli di morire tra le più atroci sofferenze.
«Non è colpa mia quello che vi è successo.» sbraitò Kidd guardandolo. «Quindi piantala di parlarmi così.»
A quelle parole, però, Bepo non rispose. Rimase chino sul suo capitano, ignorandolo completamente, e a Kidd bastò per perdere la testa. Non aveva nessun diritto di ignorarlo così. Se aveva un problema con lui, ebbene, doveva dirglielo.
Si avventò su di lui, incurante di essere ancora debole, di non avere più un braccio e di essersi messo contro un orso che era il doppio di lui e che, in quel momento, viste le sue condizioni, era decisamente fuori dalla sua portata. Ma non gli importava. Gli avrebbe spaccato quel brutto muso peloso e allora forse avrebbe capito che non lo doveva ignorare.
Lo afferrò per il bavero della tuta e fece per colpirlo, già pronto a incassare il colpo di risposta, ma con sua grande sorpresa l'orso lo lasciò fare. Bepo non sembrava per nulla intimorito da lui e soprattutto non sembrava aver voglia di combattere. Lo offendeva, trattandolo come un fastidioso inconveniente per nulla minaccioso.
«Prendimi sul serio!» gli urlò Kidd, ma Bepo si limitò ad afferrarlo per le spalle, sollevandolo senza alcuna difficoltà e gettandolo dall'altra parte, lontano dal letto di Law. E Kidd tornò a colpirlo, e gli batté il pugno sul petto, furioso per quel comportamento, ma ancora Bepo non tentò nemmeno di fermarlo e si lasciò colpire, come se non ci fosse stato nulla di più naturale da fare.
E solo allora Kidd capì.
Era sbagliato, era tutto sbagliato. Era quel suo modo di fare che aveva fatto allontanare Killer. Però, ormai che aveva attaccato Bepo, non poteva più tirarsi indietro. Anche se sapeva bene che era ridicolo, perché l'orso non stava affatto facendo sul serio e lui, colpendolo con tutta la forza di cui era capace, era riuscito solo a farsi male alla mano. E perché Bepo non rispondeva ai suoi colpi?
Gli girava la testa dalla rabbia. Avrebbe voluto uccidere quell'animale, e farlo a pezzi, ma la voce roca e bassa di Trafalgar lo fermò.
«Basta, Eustass-ya.»
Kidd si costrinse a guardare il letto su cui Law riposava e vide che l'altro si era svegliato, si era seduto e lo fissava con uno sguardo di commiserazione che lo mandava in bestia. E allora, se anche lui doveva compatirlo per ciò che stava succedendo, anche lui meritava di soffrire. Fece per slanciarsi verso di lui e colpirlo, ma questa volta Bepo non rimase solo a guardare. Lo fermò prima ancora che riuscisse ad arrivare abbastanza vicino a Law da poter essere considerato una vera minaccia e lo buttò a terra, tenendolo giù con il proprio peso, quasi impedendogli di respirare.
«Non ci provare, Kidd.» gli ringhiò contro, e Kidd capì benissimo che l'avrebbe ucciso davvero, se avesse tentato di far del male a Trafalgar.
Ma non aveva senso lottare. Era solo stanco di tutto. Si sentiva svuotato, come se ogni energia fosse scomparsa. Smise di muoversi, di agitarsi, e un po' alla volta sentì che la pressione del peso di Bepo sul suo corpo diminuiva.
«Lasciarlo andare, Bepo.» disse Trafalgar, e l'altro obbedì. Kidd si tirò a sedere sul pavimento, sotto lo sguardo furibondo dell'orso, e non ebbe nemmeno il coraggio di sollevare lo sguardo su Law. In condizioni diverse, forse, avrebbe detto qualcosa, l'avrebbe maledetto... Ma ora? Era soltanto un uomo inutile, un capitano incapace. Non c'era più alcun motivo per difendere la propria dignità.
Si alzò senza nemmeno rendersi conto di quello che stava facendo, diede le spalle a Trafalgar e Bepo e uscì dalla stanza senza dire una parola. Senza riflettere, con passi veloci, attraversò il sottomarino e si trovò ben presto davanti alla cabina di Trafalgar. Entrò e chiuse la porta a chiave dietro di sé, accorgendosi appena che, per qualche strano motivo, la mano gli tremava.
Si lasciò cadere sul letto dell'altro capitano, affondò il volto nel cuscino e chiuse gli occhi, aspettando che il tremito passasse e che se ne andasse anche la voglia di piangere.

A risvegliarlo fu una mano gelida sul collo.
Aprì gli occhi di scatto e scoprì che Trafalgar era seduto sul letto e lo fissava, ancora pallido e sudato, e la mano che l'aveva svegliato era la sua.
«Come ci sei arrivato fin qui?» gli chiese Kidd, con la voce ancora impastata per il sonno, tirandosi a sedere sul letto.
«Mi ha portato Bepo.»
Kidd non rispose. Bepo, già. Quel dannato orso.
«Quel tuo peluche ce l'ha con me.» accusò, senza sapere bene che cosa dire. Sapeva che la cosa migliore sarebbe stata scusarsi per la scenata di poco prima. Ma anche Trafalgar doveva essere ben consapevole che non l'avrebbe mai fatto, anche se, dentro di sé, era già pentito. Non gli capitava da tantissimo tempo di perdere il controllo in quel modo. Non gli piaceva.
«Non ce l'ha proprio con nessuno, Eustass-ya.» replicò Law. Lo guardò per un po' e Kidd si chiese se non fosse sul punto di svenire, bianco com'era, ma alla fine sembrava che l'altro avesse recuperato almeno un po' di energia, e ora parlava senza dover prendere fiato ogni due parole.
«Mi ha aggredito.»
«Tu hai aggredito lui.» lo rimproverò Law.
«Mi ignorava!» s'inalberò Kidd. A ripensarci gli veniva ancora il nervoso. Ma poteva essere ignorato da un orso?
«Smettila di fare il bambino.»
Kidd fece per aprire bocca e replicare a tono, ma la richiuse subito. Tanto, che cosa avrebbe potuto dire per giustificarsi? Trafalgar aveva ragione. Si era comportato come un pazzo, e difendersi era ridicolo.
«Intendi agonizzare ancora per molto?» domandò allora, tanto per cambiare argomento.
«Sto bene.»
Kidd annuì e non rispose. In realtà non si aspettava una risposta diversa da uno come Trafalgar. Anche se avesse avuto un pugnale piantato nel petto sarebbe stato in grado di dirgli che stava bene.
«Se avesse voluto uccidervi avrebbe avvelenato anche Penguin.» sospirò alla fine.
Lui, da solo, non ne andava fuori. Non riusciva a capire che cosa avesse in mente Killer, ma forse Law si era fatto qualche idea, e poteva aiutarlo a fare un po' di chiarezza in quella situazione.
«Sì, immagino di sì.» annuì Trafalgar.
Poggiò entrambe le mani sul letto e rimase immobile qualche secondo, poi si sdraiò lentamente accanto a Kidd, tentando di dominare il respiro che s'era fatto affannoso. Kidd si spostò verso il bordo del materasso per fargli posto, gli passò una mano sulla fronte sudata per scostargli i capelli dalla pelle e attese che l'altro fosse abbastanza in forma per parlare.
«Ma a dire la verità sarebbe bastata una dose maggiore di veleno.»
«Penguin ha detto che a te ne ha dato il doppio.»
«Be', non mi ha mai sopportato.» tagliò corto Law. «Ma non ce l'aveva con la ciurma.»
«Tu credi?»
«Avrebbe messo più veleno.»
«Ma lui non è un medico. Forse ha sbagliato dose.» insistette Kidd.
«Appunto.» gracchiò Law. «Io lo so benissimo che del veleno che ci ha dato bastano cinque o sei gocce per uccidere un uomo adulto. Ma lui no. Andiamo, se avesse sul serio voluto farci fuori avrebbe abbondato con le dosi. Invece sembra che avesse paura di ucciderci. Ce n'erano una o due gocce in tutto, di quella schifezza, nelle bevande degli altri.»
Già. Degli altri. La ciurma non era un obiettivo, ma Trafalgar sì.
Quanto era disposto a spingersi oltre, Killer, pur di ammazzare Law? Adesso non aveva più alcun motivo per sopportarlo. Prima tentava di essere civile con lui, perché Law era, senza troppi misteri, l'amante di Kidd.
Ma ora voleva farlo fuori proprio per lo stesso motivo.
«Cazzo!» imprecò Kidd, furibondo per quella situazione. Non sapeva davvero più che cosa pensare.
«Proprio così.» mormorò Law, assonnato, mentre chiudeva gli occhi. «Ti sei proprio infilato in una situazione di merda, Eustass-ya.»

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ormai aveva imparato a bilanciare il proprio corpo abbastanza bene, e riusciva a camminare senza incespicare più di tanto e senza barcollare. Salire le scale era un po' più complicato, ma con un po' di allenamento era riuscito a fare anche quelle.
Ben presto sarebbe stato di nuovo autosufficiente, almeno per quanto riguardava gli spostamenti. Non riusciva ancora a vestirsi da solo, cosa che lo infastidiva furiosamente, anche perché per il momento era costretto a farsi aiutare da Trafalgar, che ogni volta, prima di chiudergli i pantaloni, faceva di tutto per farlo impazzire con i suoi giochetti.
Ma almeno poteva andare in giro per il sottomarino senza dover chiedere aiuto a nessuno. Trafalgar stava recuperando la salute piuttosto lentamente, per i suoi gusti, e per buona parte della giornata continuava a dormire, ma nel tempo restante veniva a tormentarlo, e spesso le cose si erano concluse con i loro abiti sul pavimento e un niente di fatto, dato che l'altro era davvero troppo debole per il sesso e lui non ne aveva voglia, con tutta quella situazione di merda da cui non riusciva a uscire.
Quando si avvicinò alla porta del dormitorio della ciurma di Law e sentì la voce dell'altro capitano, cupa e preoccupata, sapeva che non ci avrebbe guadagnato nulla a origliare, ma la tentazione era forte, e lui voleva capire che cosa sapesse Trafalgar su quello che stava accadendo... E poi, era probabile che l'argomento di conversazione non c'entrasse nulla con lui e con quello che stava succedendo. Law, d'altra parte, era un capitano, i problemi si presentavano in continuazione e il suo compito era risolverli.
«Fammi scendere a terra.» diceva quella che gli sembrava la voce di Penguin. Aveva un tono frettoloso, urgente, come se avesse già fatto molte volte quel discorso.
«No.» rispose la voce bassa di Law.
«Tornerò presto, te lo giuro.» Ancora Penguin. Era una sua impressione, o quell'uomo era disperato?
«No.» ribadì Law.
«È ferito, capitano.»
«Lo so. Ma non ci vai.»
Seguì un lungo silenzio e Kidd si trovò a chiedersi dove diavolo volesse andare Penguin. Se diceva che qualcuno era ferito, però, aveva una mezza idea di chi potesse essere. Perché, dopotutto, Killer e Penguin erano, più o meno, amanti, e chi altri poteva esserci lontano dal sottomarino, in quel momento, che fosse ferito e che interessasse a Penguin?
Quell'ipotesi gli fece venire un cerchio alla testa. Era impossibile che la ciurma di Law fosse in contatto con Killer e non gliel'avesse detto. Per quanto Trafalgar fosse bastardo, non gli avrebbe tenuta nascosta una cosa simile, ne era certo.
«Perché no?» fece Penguin, e per un istante a Kidd fece quasi pena, perché poche volte nella sua vita, aveva sentito una voce tanto disperata. «Capitano, ti prego.»
«No.» La voce di Trafalgar, secca e dura. Kidd avrebbe capito benissimo Penguin, se fosse saltato al collo dell'altro. Ma sapeva che non l'avrebbe fatto.
«Tu hai portato qui Kidd!» quello di Penguin era un urlo carico di dolore, persino Kidd se ne accorse. Ma se quel bastardo davvero sapeva dov'era Killer e non gliel'aveva detto...
«Ci è arrivato da solo al sottomarino.» replicò Law. «Senti,» proseguì con tono più condiscendente «se la situazione fosse diversa ti ci farei andare subito. Ma Killer vuole Kidd morto, e non voglio che tu sia in mezzo quando combatteranno.»
«Farò attenzione. Ti prego, Law. Se riesci a trattenere Kidd qui finché non torno... Voglio solo curarlo.»
Seguì un lungo silenzio, durante il quale Kidd dovette fare appello a tutta la propria volontà per evitare di spalancare la porta e andare ad ammazzarli entrambi.
«Dov'è?» chiese alla fine la voce di Law.
«Non lontano.»
«Dove vuoi che ti porti?»
«Nella prima isola che troviamo. Andrò da solo da lui. Grazie, capitano.»
Non poteva accettarlo. Non poteva assolutamente fingere di non aver sentito. Penguin sapeva dove fosse Killer, e Trafalgar ne era consapevole, e nonostante questo non gli aveva detto nulla! E poi, se il lumacofono ce l'aveva la sua ciurma, come aveva fatto Penguin a parlare con Killer?
Non ci pensò nemmeno per un istante, portò la mano alla maniglia e spalancò la porta, furente, pronto ad ammazzarli entrambi, perché era quello che si meritavano per tutte le menzogne che gli avevano raccontato. Poteva capire Penguin, ma Law! Law... No, da lui non si sarebbe mai aspettato una cosa simile. L'aveva tradito, proprio come aveva fatto Killer. E faceva male, e lui non poteva sopportare un dolore del genere.
Voleva Law morto.
Il suo ingresso nella stanza raggelò l'atmosfera. I due uomini gli rivolsero uno sguardo allarmato, e Law, seduto sul letto, ancora debole, fece per alzarsi, forse per farlo calmare. Ma né lui né Penguin furono abbastanza veloci da fermarlo.
Kidd si avventò su di lui e lo colpì con il dorso della mano sul volto, e poi ancora, con la mano chiusa a pugno, sul petto, sul viso, sulle gambe e le braccia e su qualunque parte di Trafalgar riuscisse a raggiungere, ignorando i gemiti di dolore e le parole dell'altro. Con un braccio solo non poteva tenerlo fermo, ma Law non era pericoloso in quelle condizioni, e non sembrava nemmeno in grado di difendersi. Il problema era Penguin, che nel momento esatto in cui aveva colpito Law per la prima volta si era gettato su di lui, tentando di fermarlo. E Kidd picchiò anche lui, furioso, e morse e graffiò entrambi, colpendoli, senza sapere nemmeno chi fosse vittima della sua violenza e che cosa stessero facendo loro a lui, consapevole solo di volerli ammazzare.
E poi, all'improvviso, qualcuno – e non riuscì a capire chi dei due, ma ebbe il sospetto che fosse stato Penguin – lo colpì con forza sul braccio mozzato, causandogli una fitta di dolore che lo costrinse a fermarsi, ansimante, e cercare qualcosa cui poggiarsi per evitare di crollare al suolo.
Penguin lo afferrò per il braccio e lo allontanò da Trafalgar, facendolo sbattere contro il muro.
«Pezzo di merda!» ululò Kidd guardando l'altro capitano. Sanguinava dal naso e dalla bocca, aveva segni sanguinolenti di graffi su tutto il volto e sul collo. Tremava di dolore, tentando di regolarizzare il respiro affannato, e, colpito da una forte tosse, non riuscì nemmeno a rispondere. Kidd fece per muoversi di nuovo verso di lui, ma fu fermato da due zampe pelose che lo trattennero con forza.
«Ho sentito chiasso.» spiegò Bepo quando anche Trafalgar si rese conto della sua presenza. Kidd si agitò, cercando di liberarsi dalla presa di quell'animale, perché doveva uccidere Trafalgar, e anche se sapeva che non ci sarebbe riuscito non intendeva smettere di tentare.
«Pezzo di merda!» ripeté. Tentò di riprendere fiato e di calmarsi, perché urlando così non sarebbe riuscito a parlare ancora per molto, ma non ci riuscì. Era folle di rabbia, e se solo quel dannato orso l'avesse lasciato andare Trafalgar sarebbe morto tra le più atroci sofferenze. Ma quei due idioti dei suoi sottoposti almeno stavano in silenzio, e Kidd fece di tutto per ignorarli, anche se la presa di Bepo era terrificante e gli faceva male.
Law alzò su di lui uno sguardo debole, appannato, ma a Kidd non riuscì a far pena nemmeno quando si accasciò con un gemito di dolore tra le braccia aperte di Penguin, che rivolse a Kidd uno sguardo feroce. Senza dire una parola sdraiò il capitano su uno dei letti e scattò in piedi, avvicinandosi all'altro.
Kidd non lo temeva. Era solo un sottoposto di Law, uno che non aveva nessuna speranza contro di lui. Eppure gli era bastato tanto poco per allontanarlo da Law, prima. Quel dannato braccio era una seccatura, e quel Penguin era abbastanza bastardo da usare la sua menomazione per i propri scopi.
Con un movimento tanto rapido che Kidd fece fatica a seguirlo, Penguin gli puntò la pistola sotto al mento. Il metallo era freddo, e il contatto dell'arma con la sua pelle sudata lo fece rabbrividire. In condizioni normali sarebbe bastato pochissimo per togliergli l'arma dalle mani e ucciderlo, ma in quelle condizioni... Era troppo debole per strappargliela di mano. Ed era troppo furioso per concentrarsi e utilizzare il proprio potere.
«Bastardo!» si trovò a urlare. «Se sai dov'è Killer, me lo devi dire!»
«Bepo, lascialo andare. Penso che il capitano abbia bisogno di aiuto.» disse Penguin con voce tranquilla. Attese che l'orso mollasse Kidd e corresse a soccorrere Law, che stava riprendendo i sensi, poi sollevò con la mano libera il cappello, in modo che Kidd potesse vedergli gli occhi.
«Dov'è Killer?» lo aggredì di nuovo Kidd.
«Da me non saprai nulla.» replicò Penguin spingendo con più forza la pistola contro di lui. «E la prossima volta che alzi anche un solo dito sul capitano senza il suo permesso, giuro che ti faccio saltare il cervello.»
«Tu dimmi dove cazzo è Killer, o sarò io a ucciderti!» Doveva saperlo. E se non poteva rischiare di colpirlo, con la pistola puntata addosso in quel modo, poteva pur sempre gridare. Non intendeva farsi ammazzare da un idiota simile, ma se sapeva dove si trovava Killer l'avrebbe fatto parlare, in un modo o nell'altro.
«Se avesse voluto farsi trovare sapresti anche tu dov'è.»
«Dimmi dov'è!» ringhiò ancora Kidd, ma tutto quello che ottenne fu di far infuriare Penguin.
«E perché dovrei?» gli urlò contro. «Vuoi andarlo a riprendere? Non sai nemmeno perché se n'è andato! Non ti è mai venuto in mente che forse non ne può più di te?»
«Abbiamo litigato!» sbraitò Kidd. Avevano litigato, e Killer era andato via. E il motivo di quel litigio era stato quel suo tentativo, finito male, di portarselo a letto. Ma se non ci avesse parlato non sarebbe mai riuscito a sistemare le cose.
«No.» rispose Penguin, abbassando il tono della voce. Di nuovo calmo, ma freddo, proseguì: «Killer se n'è andato perché in tutti gli anni che è stato con te non sei mai riuscito a capirlo, e non te ne sei nemmeno reso conto.»
«Taci, bastardo.» ringhiò Kidd. Come si permetteva quell'idiota di dirgli cose del genere? Non aveva la minima idea di quello che era accaduto in quegli anni. Aveva affidato a Killer la sua vita, si era fidato di lui in ogni secondo che avevano passato insieme. L'aveva salvato dalla follia della vita violenta di prima, l'aveva accolto sulla sua nave senza nemmeno sapere chi fosse.
Killer era il suo migliore amico, e Penguin non aveva nessun diritto di giudicare il loro rapporto.
«Non conosci nemmeno il suo vero nome.»
Quella frase colpì Kidd come un proiettile e lui non riuscì a trovare nulla da dire in merito. Era vero. Non ci aveva mai pensato, prima d'ora. Killer si era presentato a lui con quel nome, e gli era andato bene. Ma sarebbe bastato rifletterci per capire che non era così che si chiamava. Quale genitore avrebbe chiamato il proprio figlio Killer?
Non rispose all'insinuazione di Penguin e anche l'altro tacque, mentre Bepo, accanto al letto, ogni tanto mormorava qualcosa a Law. Ma Kidd non aveva nemmeno la forza di sentire quello che si dicevano. Era stanco di tutto.
«Penguin» chiamò all'improvviso Law con voce roca «basta così.»
L'uomo si voltò verso Trafalgar, senza allontanare la pistola da Kidd, ma dopo qualche secondo di indecisione annuì e fece un passo indietro, abbassando l'arma.
«Adesso, per favore, vai via. Bepo, anche tu. Lasciateci soli.»

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Trafalgar lo fissò a lungo, in silenzio, senza preoccuparsi nemmeno di ripulire il sangue che gli colava ancora dai graffi che Kidd gli aveva procurato.
«Se vuoi uccidermi questo è il momento giusto, Eustass-ya.» gli disse alla fine.
Kidd lo guardò. Sì, se voleva ammazzarlo doveva farlo ora, che erano soli e nessuno lo poteva fermare. Sapeva bene che gli altri due non sarebbero rientrati senza l’esplicito permesso di Law, anche se avessero sentito il rumore di uno scontro.
Ma era troppo stanco per combattere. Poggiò la schiena alla parete e si lasciò scivolare a terra, senza distogliere lo sguardo da Law.
«Sapevi tutto.» mormorò.
Non aveva la forza di dire altro. Non aveva intenzione di dirglielo, ma Law aveva una vaga idea del male che gli aveva fatto scoprirlo? Lui non era tipo da ammettere quelle debolezze o da lasciarsi andare allo sconforto. Se aveva un problema lo teneva per sé, e lo affrontava a testa alta. Ma sapeva che Trafalgar capiva tutto ciò che gli passava per la testa e doveva aver compreso quanto quella situazione lo stesse facendo soffrire. E nonostante questo gli aveva tenuto nascosto tutto, pugnalandolo alle spalle con una crudeltà ancora maggiore di quella che aveva avuto Killer.
Perché Penguin aveva ragione, e forse Killer un motivo per odiarlo ce l’aveva. Ma Trafalgar no. Trafalgar era l’unico su cui potesse contare, lì in mezzo, e lui lo sapeva. E l’aveva tradito.
«So che Killer è vivo.» rispose Trafalgar. «Quando Penguin l’ha contattato per la prima volta ha risposto, gli ha detto quello che è successo. Ha tentato di tenermelo nascosto, ma alla fine ho capito. Non so dove sia, Penguin non me l’ha detto e io non gliel’ho chiesto. È ferito. Probabilmente è grave.»
Kidd annuì, incapace di parlare. Qualunque cosa avesse da dire Trafalgar, gli conveniva farlo finché riprendeva fiato. Dopo, avrebbe anche potuto decidere di ucciderlo comunque.
«Perché dici che è grave?» chiese. Ma la voce faceva dannatamente fatica a uscire.
Sapeva che non avrebbe dovuto preoccuparsi per Killer, perché aveva iniziato lui a combattere, e si meritava di soffrire dopo quello che gli aveva fatto, ma non ci riusciva. Voleva solo assicurarsi che anche l’altro stesse bene. Per quanto ce l’avesse con lui, non voleva che morisse da solo, magari per una qualche infezione che Trafalgar e i suoi avrebbero benissimo potuto curare.
«Aveva il respiro affannato, faticava a parlare. Penguin dice che l’ha trovato molto confuso. Deve aver perso molto sangue. Ma è difficile da dire, senza averlo visto.»
Kidd ricordava vagamente d’averlo ferito, quindi sì, era probabile che avesse perso sangue. Ma non aveva la minima idea di cos’altro fosse accaduto. Ma, alla fine, se aveva avuto abbastanza forza per seguire la ciurma di Law e avvelenarla non poteva stare così male.
«E Penguin vuole andarlo a curare.»
«Sì.»
«E tu non vuoi.»
Trafalgar rimase in silenzio per qualche istante.
«No, infatti.» ammise alla fine.
«Perché no?»
«Se hai sentito tutto dovresti saperlo, Eustass-ya.» replicò l’altro. «Killer ti vuole morto ed è ovvio che combatterete di nuovo. Non voglio che nessuno dei miei uomini sia in mezzo, quando accadrà.»
No, certo. Law non voleva che i suoi ci rimettessero per questioni che non c’entravano nulla con loro. Lo capiva, ma quella frase lo infastidì. Non sapeva nemmeno lui perché, ma avrebbe preferito non averlo sentito. E tuttavia conosceva l’altro, e sapeva che ci teneva a mettere tutto in chiaro fin da subito.
Evitò di pensare che gli aveva mentito, e che gli aveva tenuto nascosti fatti importanti.
Rimase in silenzio, a riflettere su ciò che aveva appena scoperto.
Innanzitutto, Killer era vivo. Dunque era vero che avevano combattuto, era vero che lo odiava. Ed era ferito. Sì, questo era importante. Era ferito e sarebbe potuto essere molto grave. Se Trafalgar diceva così era probabile che fosse vero, perché Law non avrebbe detto una cosa del genere se non ne fosse stato convinto.
Quindi la questione era decidere che cosa fare. Volendo, avrebbe potuto costringere Penguin a rivelargli dove diamine fosse Killer, andare lì e approfittare della sua debolezza per fargliela pagare. O per parlargli, se l’altro avesse voluto stare ad ascoltare.
Ma per convincere Penguin a parlare avrebbe dovuto come minimo combattere contro di lui, e a quel punto sarebbe intervenuto Law, e lui non aveva nessuna speranza di batterli entrambi, anche se Law era ancora debole. Anche perché rischiava di trovarsi di nuovo a combattere contro l’orso, e lì non ci sarebbe stato davvero nessun modo per salvarsi.
Quindi, quell’idea era da scartare.
«Porta da lui quell’idiota del tuo sottoposto.» disse alla fine. «Io non ci vengo. Non lo voglio vedere. Non voglio nemmeno sapere che cos’ha. Però fallo curare.»
Trafalgar lo guardò in silenzio, ma alla fine annuì.
Fece per alzarsi dal letto, ma barcollò e con un gemito di dolore fu costretto a sedersi di nuovo.
«Sei un idiota, Eustass-ya.» mormorò passandosi la mano sul volto coperto di tagli. «Se avessi un minimo di cervello parleresti, invece che menar le mani.»
Kidd aprì la bocca, pronto a ribattere, ma Trafalgar aveva ragione. Non era disposto ad ammetterlo, in ogni caso.
«Comunque credo che tu abbia preso la decisione giusta.» concluse Law.
Kidd rimase in silenzio.

Tornarono indietro e dopo due giorni lasciarono Penguin nell’isola in cui erano approdati tempo addietro, quando Killer gli aveva fatto recapitare il primo pezzo della maschera.
Kidd si rifiutò anche di uscire dalla cabina di Law e non volle sapere nulla di ciò che accadeva mentre erano lì.
«Rimarremo qui finché non tornerà Penguin.» gli disse Trafalgar qualche ora dopo che il compagno se ne fu andato. «Potrebbe volerci un po’.»
«Non me ne frega un cazzo di dove stiamo.» brontolò Kidd.
«La tua ciurma ha detto che ci raggiungerà domani.»
Kidd si voltò verso di lui.
«Li hai chiamati tu?»
«Ormai stai abbastanza bene da andartene, Eustass-ya.» Ghignò. «Oppure puoi restare, avrei bisogno di un altro mozzo.»
Kidd annuì. Sì, tornare sulla sua nave poteva essergli di aiuto. Ma l’idea di rimettere piede lì, dove aveva condiviso tutto con Killer, gli faceva venire la nausea. Eppure lui era il capitano, ed era ormai quasi un mese che stava sul sottomarino di Law. Doveva tornare dalla sua ciurma, riprendere il proprio ruolo. Chissà chi aveva dato gli ordini, mentre lui e Killer erano assenti. Heat, probabilmente. O forse Wire.
Con loro sarebbe ripartito alla ricerca di Killer. L’avrebbe trovato, e in un modo o nell’altro avrebbe chiarito con lui. Forse non si sarebbero più rivolti la parola, forse l’altro sarebbe tornato. In ogni caso, non voleva avere conti in sospeso. E doveva fargliela pagare per quello che aveva fatto alla ciurma di Law. Anche se non era sua intenzione ucciderli, ma Trafalgar se l’era davvero vista brutta. A lui non era sembrato, ma il giorno prima Shachi gli aveva spiegato che Law era stato davvero sul punto di morire e nonostante avesse ormai recuperato le forze non si era ancora ripreso del tutto.
«Se dovesse affrontare un combattimento non ce la farebbe e il suo cuore potrebbe anche cedere. Ci vorrà molto tempo prima che torni in forze, forse anche qualche mese.» aveva concluso.
Kidd sollevò lo sguardo su Law. Eppure, sembrava davvero che stesse bene. Aveva recuperato il suo solito colorito, le mani non tremavano più. Camminava lesto per i corridoi del sottomarino, si arrampicava senza fatica sulle coffe quando emergevano e senza nemmeno passare per il buco del gatto*.
«Hai finito?» gli chiese. Lanciò uno sguardo sbieco al liquido freddo che gli stava passando sul braccio mutilato e si trattenne dal vomitare. Ridotto in quel modo faceva davvero schifo. Ma aveva avuto una mezza idea per rimediare a quel braccio perduto, e non vedeva l’ora che Law la smettesse di tormentarlo per provare a metterla in atto.
«Abbi pazienza, Eustass-ya.» lo rimproverò. «Se si infetta sarà un problema. E dovrai imparare a fare queste cose da solo, a meno che tu non voglia restare qui finché non sarai davvero guarito.»
«Lo farà Heat, o Wire.» tagliò corto Kidd. No, non aveva nessuna intenzione di mettere le mani su quell’orribile ferita. Non voleva toccare quella schifezza.
«Come ti pare.»
Kidd rimase ancora in silenzio. Erano approdati da poco più di cinque ore. Che Penguin avesse già trovato Killer? Non sapeva se il suo vice – anche se non era più il suo vice, ma non ci voleva pensare – fosse su quell’isola o magari in qualcun’altra lì vicino, ma sperava che l’altro lo trovasse in fretta. Voleva vendicarsi, sì, ma d’altra parte voleva anche sapere che l’altro stava bene. Voleva uno scontro alla pari.
Avrebbe seriamente preferito non combattere, ma vista la piega che prendevano le cose sarebbe stato impossibile. E dunque, mentre lui era tenuto sotto controllo da Trafalgar, che gli aveva offerto le migliori cure, voleva essere certo che anche Killer avesse qualcuno che si occupava di lui e delle sue ferite.
«Finito.» annunciò Law gettando le vecchie garze in un catino. «Che problemi hai, Eustass-ya?»
«Quel Penguin… È bravo come medico?»
«Troverà sicuramente un modo per curarlo.» replicò Law. «Ma non credevo che ci tenessi tanto a lui, considerato quello che ti ha fatto.»
«Voglio solo essere certo che sarà in forma, quando lo troverò e lo ammazzerò.»
Law non rispose, ma gli rivolse un’occhiata intensa che Kidd non seppe decifrare.
Odiava gli occhi di quell’uomo. Era talmente freddo, talmente impassibile… Eppure sapeva bene che, nonostante tutto, Law era tutt’altro che apatico come voleva sembrare. L’aveva capito quando l’aveva abbracciato, nel momento in cui si era svegliato per la prima volta. Quando si era aggrappato a lui, indebolito dal veleno. Quando gli aveva detto che sì, aveva preso la decisione giusta nel voler far curare Killer.
Ma nonostante sapesse che Trafalgar provava dei sentimenti, non riusciva mai a capire che cosa gli passasse per la testa. E lo odiava per questo.

Cosa avrebbe detto ai suoi, una volta che l’avessero visto senza il braccio?
Forse poteva raccontare loro la verità, e dire che era stato Killer a ferirlo in quel modo. La cosa migliore da fare era essere onesti, sì. Dire la verità poteva essere un buon modo per iniziare a fare chiarezza in tutta quella situazione.
Trafalgar l’aveva aiutato a scendere dal sottomarino e l’aveva accompagnato fino alla baia in cui si doveva ricongiungere con la sua ciurma, ma una volta giunti in prossimità del luogo era rimasto indietro, aveva composto un numero con il lumacofono e con il capo gli aveva fatto cenno di lasciarlo stare.
Kidd aveva intuito che sarebbe stato Penguin a rispondere a quella chiamata e decise che era davvero meglio se non ne sentiva una parola.
Si portò al centro della baia, in attesa della sua nave, e quando finalmente la vide ricomparire all’orizzonte si sentì di nuovo se stesso. I suoi stavano tornando. Insieme avrebbero potuto risolvere le cose anche con Killer, e tutto sarebbe tornato come prima.
Si voltò verso Law, cercando di capire che fine avesse fatto quel deficiente, e lo vide borbottare qualcosa al lumacofono con espressione cupa. Che le cose con Killer stessero andando male? Forse Penguin aveva trovato l’altro in brutte condizioni…
Trafalgar chiuse la chiamata e gli si avvicinò.
«Devo andare.» gli disse. Gli passò un sacchetto. «Qui ci sono le cose che servono per la tua ferita, dalle al tuo medico. Saprà che cosa farci. Tienila pulita.»
«Perché così di fretta?»
Era Killer? Se il problema era Killer, dannazione, doveva saperlo. Poteva essere in condizioni critiche, se quel Penguin aveva bisogno di Trafalgar. Forse era già morto? No, non poteva essere. Se fosse stato così non ci sarebbe stato bisogno di alcun aiuto.
Trafalgar lo guardò in silenzio, poi spostò lo sguardo sulla nave di Kidd che stava ormai per attraccare.
«Non mentirmi di nuovo, Trafalgar.» lo ammonì Kidd. «Adesso sto bene, e sono perfettamente in grado di farti fuori.»
«Killer è in condizioni molto gravi.» spiegò alla fine l’altro. «Devo andare ad aiutare Penguin.»
Kidd ci mise qualche istante ad assimilare la notizia.
«Ha cercato di ucciderti.» riuscì ad articolare alla fine. «Davvero gli vuoi salvare la vita?»
«No. Per quanto mi riguarda sarebbe molto meglio se morisse, Eustass-ya.»
«E dunque?»
«Non lo faccio per lui.»
No, certo. Penguin. Law lo faceva per Penguin.
Se era davvero disposto a salvare l’uomo che lo voleva uccidere per un suo sottoposto, allora, be’, Kidd non aveva difficoltà ad ammettere che era migliore di lui, come capitano. Per quanto lo riguardava i suoi uomini erano la cosa più importante da proteggere. Ma da lì a sacrificarsi in quel modo assurdo per loro… No. Decisamente non faceva per lui.

*Il Buco del Gatto è un termine che nella marineria indica il passaggio attraverso cui si potevano raggiungere le coffe passando dalle sartie. Un marinaio provetto non l’avrebbe usato, ma si sarebbe arrampicato esternamente.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Trafalgar si disse che, sul serio, Penguin avrebbe dovuto fare qualcosa di epico per sdebitarsi. Era pur vero che non gli aveva chiesto lui di andarlo ad aiutare, ma quando aveva sentito la sua voce tanto cupa e disperata, attraverso il lumacofono, non aveva potuto fare altro che prendere quella decisione.
Era tornato nel sottomarino per chiamare Bepo con sé, e si era messo alla ricerca del luogo che Penguin gli aveva indicato. Ma quell'isola sembrava davvero tutta uguale, e per di più stava scendendo la notte.
«Da questa parte, capitano.» disse all'improvviso Bepo annusando l'aria.
«Penguin?» domandò Law.
«No, sangue. È un odore molto forte. Però sembra vecchio.»
«Vecchio?»
«Sangue vecchio. Asciutto.»
Trafalgar annuì. Killer aveva combattuto contro Kidd quasi un mese prima. Se era sempre rimasto in quella zona, poteva essere che ci fosse sangue rappreso in giro.
Seguì Bepo senza discutere, fidandosi del fiuto del suo vice, e alla fine l'orso lo condusse nel bel mezzo di un piccolo bosco, e dopo poco si trovarono davanti a una misera casupola di legno.
«Qui?» domandò Law.
«Sì.»
Sembrava il genere di riparo che un tempo i taglialegna avrebbero potuto usare di notte, ma pareva essere stata abbandonata molto tempo prima. In ogni caso, non era opportuno farsi cogliere impreparato. Ci sarebbero potuti essere dei nemici, lì dentro.
Trafalgar scostò Bepo, deciso a entrare per primo. Mise mano alla nodachi, pronto a un eventuale attacco, e lentamente aprì la porta.
L'interno era ancora più spoglio di quello che si era immaginato. Non c'era nulla a parte un tavolino e uno sgabello malandato, e l'ambiente era umido e freddo.
«Capitano!» esclamò Penguin quando lo vide entrare. Trafalgar lo guardò.
Era chino a terra, accanto al corpo privo di sensi di Killer. Gli aveva tolto il casco e scostato i capelli dal volto. Trafalgar lanciò un'occhiata priva di interesse alle orribili cicatrici sul viso dell'altro, poi si chinò a sua volta per cercare di capire quali fossero le condizioni dell'uomo.
«Che brutta infezione.» commentò osservandogli le ferite rosse e gonfie, piene di pus. «Chissà da quanto è in queste condizioni.»
«Parecchio, a quanto ho capito.» replicò Penguin. «Ha detto che ci ha seguiti fino a qualche giorno fa, poi ha incrociato per caso la sua ciurma e per evitarli è tornato indietro.»
Law annuì. Poggiò una mano sulla fronte di Killer e la sentì bollente. La febbre era alta, la pelle sudata e il respiro affannoso. L'odore di sangue vecchio che Bepo aveva sentito era quello, che ora avvertiva anche lui, degli abiti di Killer, impregnati di sangue scuro che si era ormai rappreso. Ma era una quantità spaventosa. Come diamine aveva fatto a sopravvivere fino a quel momento, trovando anche la forza per seguirli e avvelenarli?
«Penguin, spostati.» disse alla fine. Sapeva che si sarebbe pentito di quella scelta, ma non c'era altro da fare. Non avrebbe lasciato morire quell'uomo, non così. Penguin non gliel'avrebbe mai perdonato. «Bepo, tiralo su.»
«Aye, capitano.»
Law si fece da parte mentre il suo vice si chinava su Killer e, facendo attenzione a non fargli male, lo prendeva tra le zampe.
«Capitano...» mormorò Penguin. «Sei sicuro?»
«Per quanto tu possa fare per lui, non sopravvivrebbe in un posto del genere.»
«E Kidd?»
Law rimase in silenzio.
Kidd non aveva diritto di dire nulla. L'aveva curato perché sì, erano amanti e non gli andava di perdere il suo passatempo, ma non poteva pretendere che ora tutte le sue azioni fossero condizionate da quel mese che l'altro capitano aveva passato sul suo sottomarino.
«Kidd è tornato con i suoi. Può dire quello che gli pare, io non prendo ordini da lui.»
Penguin annuì. Lanciò un'occhiata preoccupata a Killer, poi si volse a guardare Law.
«Grazie.»
L'altro non rispose. Seguì Bepo fuori dal rifugio, e poi di nuovo nel bosco, lungo la costa e infine lo aiutò a trasportare Killer all'interno del sottomarino.
Tentò di cacciare la sensazione che tutto quello avrebbe portato solo guai, perché sapeva bene che a quel punto non sarebbe riuscito a rimanere fuori dai problemi tra quei due, ma ci riuscì solo in parte. Kidd sapeva che stava aiutando Killer, e fin qui andava bene. Il problema era quanto sarebbe durata quella sua condiscendenza. Conosceva l'altro capitano e sapeva che faceva presto a perdere la testa, anche senza un motivo preciso. E quella situazione lo stava mettendo tanto sotto stress che Trafalgar non si sarebbe per nulla stupito se l'altro fosse impazzito. Lui, al suo posto, non sarebbe riuscito a resistere per un mese senza perdere il senno.
«Capitano!» esclamò Shachi quando vide Trafalgar che tornava insieme a Bepo e Penguin. Lanciò uno sguardo stupito a Killer, ancora privo di sensi tra le braccia di Bepo, e proseguì: «Capitano... È il vice di Kidd?»
Trafalgar guardò il volto sfigurato dell'altro e si disse che si sarebbe infuriato parecchio, se avesse scoperto che la sua ciurma l'aveva visto in faccia, ma non era un problema suo. Gli stava salvando la vita, dopotutto.
«Già. Aiuta Penguin a curarlo.»
Non attese una risposta e non si preoccupò nemmeno di guardare quello che i suoi facevano. Sapeva bene che Penguin e Shachi avevano tutte le conoscenze necessarie per guarire le ferite di Killer. D'altra parte, si trattava di un'infezione. Se ci fosse stato bisogno di un'operazione sarebbe intervenuto, ma visto come stavano le cose non serviva il suo aiuto.

Bepo raggiunse la cabina del suo capitano un paio d'ore dopo essere tornato nel sottomarino.
Aprì la porta senza bussare, perché sapeva che a Trafalgar non sarebbe importato se anche avesse interrotto qualunque cosa stesse facendo, e rimase sorpreso soltanto nel constatare che il capitano dormiva, raggomitolato sul letto, sopra alle coperte, con il cappello in procinto di rotolare via.
Rimase fermo sulla porta per un po', indeciso se restare lì e aspettare che si svegliasse o tornare in seguito, ma alla fine si risolse di rimanere, anche perché iniziava ad abbassarsi la temperatura, mentre stavano emersi a quell'ora della notte, e Trafalgar era coperto solo dai suoi vestiti.
Gli sistemò sopra una coperta e si sedette a terra, dall'altra parte della stanza, in attesa che si svegliasse.
Ma non passò molto tempo prima che Law cominciasse ad agitarsi, nel sonno.
Bepo si alzò e gli si avvicinò, cauto. Osservò il suo volto contratto in quella che sembrava una smorfia di dolore, ma non fece nemmeno in tempo a muovere la zampa verso di lui, pronto a svegliarlo, che l'altro aprì di scatto gli occhi.
Si guardò intorno per un po', come spaesato, poi si accorse di Bepo.
«Va tutto bene, capitano?» domandò l'orso.
Trafalgar si sedette sul letto e annuì.
«Colpa di Kidd.» brontolò.
«Colpa...?»
«Mi tormenta anche in sogno.» spiegò Law. Afferrò il suo vice per la tuta, e tirandolo verso di sé lo costrinse a sedersi sul letto. Bepo lo lasciò fare, e circondò Law con le zampe pelose quando quello si rilassò contro di lui, facendo aderire la schiena al suo torace, e gli poggiò la testa sulla spalla.
Per Bepo, quello era un segnale più che sufficiente per capire che il suo capitano aveva qualcosa che non andava. Forse il sogno era stato più brutto di quello che aveva pensato all'inizio, o forse il sogno non c'entrava nulla ed era tutta quella situazione che metteva Law di cattivo umore.
Ma non disse nulla. Sapeva che se l'altro avesse voluto parlare l'avrebbe fatto da solo, e una sua eventuale domanda avrebbe solo avuto l'effetto di farlo chiudere in se stesso, e a quel punto per lui sarebbe stato impossibile aiutarlo.
«Finiremo tutti nei guai per questa storia.» disse alla fine Law. Si passò una mano sugli occhi e inarcò la schiena fino a che non riuscì a guardare Bepo.
«Nel mio sogno Eustass muore sempre, Bepo.» mormorò con voce tanto flebile che Bepo, per un istante, pensò di averla immaginata. «È tutto come nella realtà. Tu lo trovi vicino al sottomarino, lo porti dentro, io cerco di curarlo. Ma sbaglio gruppo sanguigno per la trasfusione, non me ne accorgo in tempo e lui muore.»
Bepo annuì, ma ancora rimase in silenzio. Trafalgar non aveva finito.
«Questa storia è pericolosa.» proseguì con voce più alta. «Eustass-ya sa che intendevo curare Killer-ya, ma a essere onesto non so come possa reagire Killer-ya a tutto quello che sta succedendo. Eustass-ya è un tipo semplice, non ci vuole tanto per farlo stare buono. Ma Killer-ya è tutta un'altra cosa. Mi odia, e io non posso mettermi contro di lui perché Penguin non me lo perdonerebbe, ma allo stesso tempo non posso stare dalla sua parte perché avrei contro Eustass-ya, e non mi va.»
Sospirò, e Bepo si limitò a stringerlo un po' di più, attendendo che l'altro tirasse le proprie conclusioni prima di dare la propria opinione.
«Se ci fossi in mezzo solo io non me ne fregherebbe nulla. Farei quello che mi pare e poi starei a vedere che succede, sarebbe interessante. Ma sono il capitano, e Killer-ya vi ha già messi in mezzo. È questo il problema. Non voglio che vi succeda qualcosa per un motivo stupido come questo.»
Bepo annuì di nuovo.
«Siamo consapevoli dei rischi, capitano.» disse solo.
«Sì, ma è una follia se sono rischi inutili. Non si tratta di un combattimento o cose del genere...»
«Ma può darsi che Killer non faccia tante storie, dato che lo stiamo curando.»
«Non so. Forse se Penguin gli parla... Però non posso fidarmi.»
«E dunque che cosa vuoi fare, capitano?»
«Non lo so.» ammise Law. «Per ora cureremo Killer-ya, poi lo lasceremo da qualche parte e ce ne andremo.»
«Forse ti fai problemi per cose che non succederanno mai.» considerò Bepo. Quando faceva così, il capitano gli sembrava un bambino, in ansia per mille problemi che forse non si sarebbero mai verificati. Era così da sempre, da quando l'aveva conosciuto. E da sempre lui era l'unico che poteva vederlo in quei momenti di debolezza, quando credeva di non farcela, e di essere un pessimo capitano. Bepo, quando lo trovava in quegli stati d'animo, si limitava ad abbracciarlo. Trafalgar ci avrebbe pensato da solo a rimettere ordine nella propria mente. Aveva solo bisogno di qualcuno che lo stringesse a sé e gli infondesse un po' di coraggio.
«Forse.»
Trafalgar si rigirò nel suo abbraccio, gli circondò il collo con le braccia e poggiò il capo sulla sua spalla. Allungò una mano fino a toccargli un orecchio, e prese a giocherellare con il suo pelo. Bepo lo sentì sbadigliare contro di sé.
Si sdraiò sul letto, trascinando con sé anche il capitano, e si mise d'impegno per rimanere immobile anche se il corpo di Trafalgar sopra il suo era caldo, e lo faceva sudare.
Guardò Law per un po', finché quello non chiuse gli occhi, senza smettere di giocare con il suo pelo. Ma alla fine anche quel piccolo movimento della mano cessò, e Bepo ebbe la certezza che si fosse addormentato.
Non gli sembrava d'avere sonno, ma in mancanza di meglio da fare chiuse a sua volta gli occhi.
Si addormentò in pochi minuti.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


«Capitano?» balbettò Heat vedendolo.
Kidd annuì. Gli occhi della sua ciurma erano puntati sul suo braccio, o su ciò che ne restava, da troppo tempo per i suoi gusti. Ma capiva il loro stupore, e si decise a lasciar loro il tempo necessario per assimilare la novità. D'altra parte, lui c'aveva messo due settimane prima di avere il coraggio di guardarsi allo specchio. E dopo che l'aveva fatto non era ancora riuscito ad accettarsi. Se n'era fatto una ragione, ormai, perché il braccio non sarebbe ricresciuto, ma non riusciva ancora a capacitarsi di ciò che era successo.
Non era tanto per il braccio, in realtà. Quello che lo uccideva era la consapevolezza era che l'aveva perso a causa di Killer. Il suo migliore amico... Ma poteva ancora definirlo così? Forse era sempre stata un'amicizia a senso unico. Forse Killer aveva fatto finta per tutto il tempo.
Ma no, no, quello era impossibile. Era solo che nell'ultimo periodo andavano poco d'accordo. Ma prima si erano voluti bene. Era stata un'amicizia sincera.
«Che cosa è successo?» domandò Heat.
«Ho perso il braccio.» replicò Kidd, contrito. «Non mi ricordo come.»
Seguì un lungo silenzio e Kidd si rese conto che come risposta non era stata granché. Come si faceva a non ricordare il modo in cui si aveva perso in braccio? Sapeva che era una cazzata, detta così, però era la verità. Sapeva che era accaduto durante il combattimento con Killer, e che probabilmente era stato proprio l'amico a tagliarglielo, ma nella sua mente mancava il ricordo di quel momento. Pertanto, era inutile annoiare la ciurma con stupide supposizioni. Una volta che avesse trovato Killer gli avrebbe chiesto di spiegargli cosa diavolo fosse successo, prima non poteva dire nulla.
«È stato... Killer?»
Kidd guardò Wire e rimase immobile per qualche istante. La verità, si disse. Doveva raccontare la verità.
«È probabile.» rispose. «Ma non ricordo bene quello che è successo. Non ricordo quasi nulla.»
«Pensavamo che fosse una cosa da poco.» disse Wire, sotto gli sguardi attenti della ciurma.
Temevano forse che perdesse la testa? Poteva essere. D'altra parte, si era fatto conoscere per la velocità con cui perdeva la pazienza. Ma se la sua ciurma sapeva qualcosa su ciò che era successo, allora doveva mantenere la calma e farsi spiegare per bene com'erano andate le cose.
Si sedette a terra, sulla sabbia fredda, e alcuni uomini della ciurma lo imitarono.
«Che cosa sapete?» domandò allora.
«Una sera tu e Killer avete litigato. Avete iniziato a urlare» spiegò Wire «Killer era fuori di sé. Non l'ho mai visto così.» Alcuni della ciurma assentirono. «Tu eri...» s'interruppe, titubante «be', eri ubriaco, capitano.»
Kidd annuì, fremendo. Dopo tutto quello che era successo... Sì, ricordava l'odore dell'alcol. Quindi era vero che era lui a puzzare. D'altra parte, Killer beveva poco, di solito. E se non ricordava ciò che era successo, magari anche l'alcol aveva aiutato.
«Ci hai detto di attraccare nella prima isola e di tornare dopo tre giorni. Abbiamo obbedito, ma quando siamo tornati non c'era più nessuno. Solo sangue... e un pezzo della maschera di Killer, vicina al lumacofono.»
Quindi, Killer doveva essere entrato in contatto con la ciurma di Law in quei tre giorni, prima di lasciare il lumacofono. E poi come avevano fatto a tenersi in contatto? Qualcuno doveva averlo incontrato, per dargli un altro apparecchio. Oppure l'aveva comprato, o rubato.
A ragionare in quel modo non avrebbe ottenuto nulla. Le possibilità erano davvero troppe.
«Vi abbiamo  cercati dappertutto, ma non vi trovavamo. Siamo andati nelle isole vicine, ovunque. E poi ci hai chiamati dal sottomarino degli Hearts.»
«Già.» annuì Heat interrompendo l'amico. «E poi hai avuto quell'infezione...»
Gli ci volle un po' per ricordare che una pericolosissima malattia infettiva era stata la scusa con cui Trafalgar l'aveva tenuto in ostaggio nel suo sottomarino senza essere disturbato.
Sì, adesso Kidd cominciava a vederci chiaro. Quell'idiota di un chirurgo gli aveva salvato la vita, e andava bene, ma quell'uomo non faceva mai nulla per nulla e questo significava che aveva un doppio – o forse anche un triplo – fine.
Si sentiva al centro di un gioco in cui lui era soltanto il premio in palio. Killer voleva ucciderlo perché l'aveva fatto soffrire, Trafalgar voleva salvarlo per qualche strana ragione nota solo a lui. E lui che cosa poteva fare, a quel punto? Era una lotta tra quei due. Il fatto che ci fosse lui in mezzo non era importante.
Dovevano vedersela loro due. Sperava solo che il chirurgo evitasse di ammazzargli il vice. Voleva essere lui stesso a mettere per primo le mani su Killer.

«Quali sono gli ordini, Capitano?» Kidd riuscì a vedere che Heat tentava di evitare di posare troppo a lungo lo sguardo sul braccio mancante, e gliene fu grato. Non voleva diventare l'attrazione principale della ciurma. Si trattava solo di un braccio, e aveva già iniziato a lavorare al proprio progetto. Forse sarebbe riuscito ad avere di nuovo due braccia, doveva solo pazientare e accumulare il metallo giusto, e poi modellarlo a dovere... Ci sarebbe voluto un po' di tempo, ma ne sarebbe valsa la pena.
«Intanto allontaniamoci dall'isola.»
Non voleva rischiare di incontrare Killer prima del tempo. Doveva prima decidere che cosa avrebbe fatto una volta che si fossero visti di nuovo. Se Killer fosse sopravvissuto, naturalmente.
Non aveva dubbi che Law avesse le capacità per salvargli la vita, ma non si poteva mai dire quello che sarebbe potuto accadere. D'altra parte, Killer aveva tentato di uccidere Law e soprattutto aveva avvelenato la sua ciurma. Law non era esattamente il tipo di uomo che perdonava un comportamento simile. Non si sarebbe stupito più di tanto se avesse avvelenato Killer, o se l'avesse usato per i suoi esperimenti.
L'idea del suo vice – aveva deciso che sarebbe rimasto tale finché si fossero incontrati di nuovo, al diavolo ciò che era accaduto – adagiato su quel tavolo di metallo, in quella stanza buia e fredda, con Law che frugava tra i suoi organi, immerso fino ai gomiti nelle viscere ancora calde e sanguinanti di Killer, gli rovesciò lo stomaco. Ma no, Law non l'avrebbe fatto. Per quanto bastardo fosse, avrebbe avuto rispetto per lui.
Cercò di convincersene con scarso successo, poi, rivolgendo a Heat uno sguardo stanco, si ritirò nella propria cabina.
Si guardò intorno a lungo, ma non c'era nulla di diverso dal solito. Era tutto come sempre. C'erano le sue cose, si sentiva il suo odore. Nessuna traccia di Killer. Nessuna traccia di ciò che era successo. Eppure, quando si sedette sul letto, gli sembrò di immaginare il proprio vice che veniva a chiamarlo per comunicargli qualcosa di importante. Gli sembrò di vederlo, quelle sere in cui era abbattuto perché non riusciva a scordare il passato e a lasciarselo alle spalle, e cercava conforto da Kidd. Gli sembrò di sentire i suoi lamenti, nelle notti tormentate in cui gli incubi non lo lasciavano. O i suoi gemiti sommessi, quando il sottomarino di Law era nelle vicinanze e Killer lasciava che Penguin salisse di nascosto sulla nave e Kidd fingeva di non saperlo, per non metterlo in imbarazzo, per non costringerlo a dargli spiegazioni.
Dove aveva sbagliato con lui? Forse era stato prepotente, sì. Ma quello era il suo carattere, e Killer era abbastanza forte da tenergli testa, anche se gli rispondeva male, anche se alzava la voce. Non era un bambino, dannazione!
Non conosci nemmeno il suo vero nome.
La voce irritante di Penguin gli infiammò la mente.
Non conosci nemmeno il suo vero nome.
Non conosci nemmeno il suo vero nome.

Aprì di scatto la porta della cabina, uscì camminando rapido. S'imbatté in Wire e gli rivolse un'occhiata furiosa.
«Come si chiama?» gli ringhiò.
«Come...?» fece Wire, spiazzato.
«Come si chiama?»
«Chi?»
«Killer. Qual è il vero nome di Killer?»
Wire lo fissò per qualche istante, poi scosse la testa.
«Non lo so, capitano. Non ci avevo mai pensato, prima.»
Kidd annuì. Ma dunque, Penguin invece quel nome lo conosceva? Era probabile. Altrimenti non gli avrebbe detto quella frase. Killer si era sempre confidato con Penguin, e aveva lasciato lui in disparte. Ma se aveva un problema con lui, dannazione, doveva comportarsi da uomo, e affrontarlo per risolverlo. Non andare a piangere da qualcuno che non c'entrava nulla.
Kidd guardò di nuovo Wire, poi decise di andare a cercare Heat.
«Qual è il vero nome di Killer?» gli domandò una volta che l'ebbe trovato.
«Non lo so.» rispose Heat. «Gliel'ho chiesto, una volta. Non me l'ha voluto dire.»
«Perché no?»
«Ah, non ne ho idea. Mi ha detto solo che andava bene se lo chiamavo Killer.»
Kidd rimase in silenzio. Forse se gliel'avesse chiesto lui gliel'avrebbe detto? Perché non gli era mai venuto in mente? Eppure era così semplice da capire, così immediato... Nessuno poteva chiamarsi davvero Killer. E lui era stato così stupido da non rendersi conto di una cosa del genere. Forse non ci aveva mai pensato seriamente. Forse Penguin aveva ragione, quando diceva che non aveva mai capito Killer.
Però, si disse infuriato, non era solo colpa sua. Non era solo lui quello che aveva sbagliato.
Era vero che non aveva mai capito Killer, ora se ne rendeva conto con una forza disarmante.
Ma in tutto quel tempo, che cosa mai aveva fatto Killer per farsi capire?

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Penguin rivolse un'occhiata dubbiosa al suo capitano e decise che non valeva la pena di ricordargli che il digiuno non gli faceva bene. Sapeva che era preoccupato per Kidd, ma se andava avanti di quel passo rischiava davvero di morire di fame.
Lo guardò mentre rigirava il riso nella ciotola con le bacchette, svogliato, sotto gli occhi attenti della ciurma.
«Dovresti mangiare, capitano.» tentò Shachi. «È da due giorni che sei a digiuno.»
«Sì, lo so.» Trafalgar gli rivolse uno sguardo indifferente, come se fosse stato troppo immerso nei propri pensieri per ascoltare ciò che aveva da dire, e non mangiò nemmeno un boccone.
Penguin si morse la lingua per evitare di dire qualcosa di sconveniente. Se Law aveva problemi con il fatto che Killer era nel sottomarino, la colpa era solo sua. Aveva gestito male la situazione fin dall'inizio. Aveva creduto di poter tenere nascosti i fatti al suo capitano, e quello che aveva ottenuto era che Law li aveva scoperti lo stesso e che per tale motivo le aveva prese da Kidd. E lui non era riuscito a impedirlo.
«Penguin, smetti di darti il tormento.» lo rimbrottò Trafalgar all'improvviso, senza nemmeno guardarlo. Non attese una risposta. Abbandonò la ciotola ancora piena sulla tavola, lasciò le bacchette lì accanto, si alzò e uscì dalla cucina, in silenzio, così com'era entrato.
«È strano.» commentò Ban sistemandosi la fascia tra i capelli. «Era un po' che non faceva così.»
«Aye, aye. Non c'è bisogno di preoccuparsi.»
Penguin guardò Bepo.
«Tu dici così» replicò «ma quando si comporta in questo modo non va mai a finire bene.»
«Scusatemi.»
«Non scusarti, di' piuttosto quello che sai!» s'infervorò Penguin. Perché non era capace di credere di più in se stesso? Stupido orso. Non aveva ancora capito che era l'unico che potesse aiutarli a comprendere il capitano e a stargli accanto mentre affrontava quella situazione difficile? O forse sì, l'aveva capito, e proprio per questo sapeva che non c'era motivo di preoccuparsi.
Anche Penguin lo sapeva. Trafalgar non aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a riflettere. Ci pensava da solo a risolvere i propri problemi. Ma si stava distruggendo nel tentativo di venirne a capo, e si vedeva. Il digiuno per lui stava diventando fin troppo abituale.
Prima era stato per Kidd, giunto al sottomarino già in fin di vita, coperto di sangue e senza un braccio, ora per il timore che Killer li mettesse in mezzo, o, peggio, riuscisse, una volta guarito, a uccidere davvero Kidd.
Anche se lui non l'aveva mai confessato, Penguin aveva capito che Law era stato terrorizzato dall'idea di perdere Kidd. Quando si era chiuso da solo in sala operatoria, e non aveva voluto aiuto per occuparsi dell'altro capitano, Penguin era riuscito a intercettare il suo sguardo, e a vedere i suoi occhi disperati. Sapeva che aveva pianto, quella notte, accanto al letto di Kidd. Non gli serviva averlo visto per esserne consapevole. L'aveva capito anche prima di vedere i suoi occhi gonfi, lucidi e rossi, la mattina dopo.
«Senti, Penguin...» disse a un certo punto Wakane, guardando l'amico di sottecchi «ma il vice di Kidd?»
«Il vice di Kidd cosa?»
«Che ci fa qui? Perché non è con la sua ciurma? E anche Kidd, prima...»
Penguin sospirò. Era ovvio che sarebbe arrivato il momento delle domande, ma sperava che sarebbe toccato a Trafalgar rispondere. Invece quello se n'era andato. E anche se il vice era Bepo, la ciurma guardava lui.
«È una scelta del capitano.» intervenne l'orso a sorpresa. «Se non vuole parlarne, non dobbiamo fare domande.»
«Sì, però potremmo metterci nei guai, così.» protestò Shachi.
«Trafalgar sa quello che fa.» concluse Bepo con tono secco.
Penguin annuì, e dato che la conversazione sembrava chiusa decise di lasciare la stanza. Uscì dalla cucina e si diresse verso l'infermeria, certo che non ci avrebbe trovato nessuno. Da quando avevano portato Killer nel sottomarino Trafalgar gli aveva rivolto solo un'occhiata sospettosa, e l'aveva poi lasciato alla cura di Penguin e Shachi.

Killer era ancora addormentato quando Penguin si avvicinò al suo letto.
Controllò le sue condizioni e si convinse che a quel punto non poteva fare molto, dato che ormai  c'era solo da attendere che la trasfusione lo rimettesse in forze e che le ferite si rimarginassero, possibilmente senza infettarsi di nuovo.
Si accorse che qualcuno gli aveva cambiato le garze sul braccio, e dal momento che non era stato lui, né, presumibilmente, Shachi, doveva essere stato Law.
Quindi, alla fine, non era così furioso. Magari gliel'avrebbe fatta pagare una volta che Killer si fosse ripreso, ma nel frattempo voleva salvarlo.
Certo, rifletté Penguin, Killer aveva sbagliato. Una parte di lui non poteva perdonarlo per ciò che aveva fatto. Quando si era trovato davanti i compagni agonizzanti, senza sapere se sarebbe riuscito a salvarli oppure no, aveva veramente desiderato ucciderlo. Quando aveva capito che le condizioni di Trafalgar erano anche più gravi, quando aveva sentito il suo cuore rallentare, e il suo respiro farsi flebile e sconnesso, aveva pensato anche di andarlo a cercare, di andarlo a massacrare con le sue stesse mani. Perché Law era il suo capitano, e Penguin gli voleva bene. L'aveva amato, un tempo. Ma quello era stato prima di conoscere la ciurma di Kidd.
Guardò Killer e si domandò, ancora una volta, perché l'avesse fatto. A dire la verità immaginava la risposta. Una volta ucciso Law, Kidd ne sarebbe stato distrutto. Anche se nessuno dei due lo ammetteva, anche se fingevano di odiarsi, entrambe le ciurme sapevano che Kidd e Law non potevano fare a meno l'uno dell'altro. Fingevano di non vedere quando i due capitani modificavano di nascosto le rotte per potersi incontrare, facendo finta che fosse un caso, stuzzicandosi e offendendosi solo per poi trovare il tempo di stare insieme. Ma il gesto di Killer era andato ben al di là della semplice vendetta. Quella crudeltà... Ci avrebbe riprovato? Law era ancora in pericolo? Penguin decise che, una volta che Killer si fosse svegliato, gli avrebbe parlato. Non poteva permettergli di fare di nuovo del male alla ciurma, ai suoi compagni. E soprattutto, non poteva permettergli di tentare di nuovo di uccidere Law. Perché forse la prossima volta sarebbe andata male, e Law sarebbe morto davvero.
Un rumore sulla porta lo fece distrarre dalla contemplazione del viso pallido di Killer.
«Finiremo in un mare di guai.» si lamentò Ban entrando nella stanza.
Penguin lo guardò in silenzio prima di annuire con un gesto secco.
«Perché il capitano non ci dice niente?»
Penguin scrollò le spalle. Ban era arrivato nella ciurma per ultimo, ma ormai avrebbe dovuto imparare com'era Law. Invece sembrava ancora incapace di accettare il carattere del loro capitano. E ogni volta, quando aveva un problema che lo disturbava, andava a lamentarsi da Penguin.
«E Bepo non dice nulla.» aggiunse il ragazzo. «Se ci parlassero, potremmo aiutare, no?»
«Lo sai come è fatto Trafalgar. Non gli piace che la gente si intrometta.»
«Ma noi siamo la sua ciurma.» protestò ancora Ban. «Dovrebbe fidarsi.»
«Abbiamo già fatto questo discorso. Non è questione di fiducia.»
«Lo so, lo so, non vuole che ci preoccupiamo.»
«Esatto.»
«Però questa volta è diverso. Se questo qui» e accennò con un gesto del capo a Killer «tenta di nuovo di ucciderci dobbiamo sapere che cosa fare.»
«Non ha cercato di uccidervi.» replicò Penguin, piccato.
«Sì, invece.»
«Quel veleno era troppo poco per essere letale.»
«Se non ci fossi stato tu saremmo morti. Il capitano si è salvato per caso, stava morendo. E comunque non mi sta simpatico uno che mi mette il veleno nel rum.»
Penguin non riuscì a trovare un argomento con cui controbattere. Era vero, Killer avrebbe tranquillamente potuto ucciderli. I suoi compagni erano sani e forti, e la dose che l'altro aveva propinato loro era servito solo a metterli fuori gioco per qualche giorno, ma se uno di loro avesse avuto anche solo un po' di febbre a debilitarlo non sarebbe sopravvissuto. E il capitano aveva resistito solo perché era troppo testardo per morire, ma c'era andato spaventosamente vicino.
Chi gli garantiva che Killer non c'avrebbe provato di nuovo? Non aveva mai fatto mistero del proprio odio per Trafalgar, e ora che le cose avevano preso quella brutta piega, colpire Law era il modo più veloce per colpire Kidd. Penguin ne era consapevole, e conosceva anche l'altro abbastanza bene da poter affermare che non avrebbe rinunciato ai propri propositi solo perché Law aveva dato l'ordine di curarlo, e soprattutto lui non sarebbe riuscito a convincerlo a lasciar perdere.
Killer era troppo pieno di odio per abbandonare i propri propositi di vendetta e Penguin, che stava in mezzo tra lui e Law, non sapeva che cosa fare.



Grazie di cuore a tutti quelli che hanno commentato, le vostre recensioni mi hanno davvero fatto molto piacere! Scusate se non ho risposto a ognuno di voi.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 Kidd camminò un po' intorno al metallo che aveva raccolto, studiandolo con attenzione.
Era riuscito a mettere insieme una buona quantità di materiale, aiutato anche dalla sua ciurma che inizialmente l'aveva guardato un po' stranita, come se fosse improvvisamente impazzito, poi avevano assecondato la sua richiesta senza fare tante storie.
Aveva accumulato i pezzi migliori in una cabina della nave che usavano poco, e aveva iniziato a lavorare per tentare di mettere in atto la sua idea.
Innanzitutto, decise di scartare tutto ciò che era arrugginito, o entro un mese sarebbe dovuto tornare da Trafalgar a farsi amputare anche la parte del braccio che gli era rimasta.
Un tempo si sarebbe fatto aiutare da Killer, ma in mancanza del suo vice aveva preferito ripiegare su Wire.
«Questi li buttiamo via.» gli disse passandogli il metallo arrugginito.
«Che ne vuoi fare di tutto questo ferro?»
«Un esperimento.»
Wire scrollò le spalle e prese ad ammucchiare ciò che il capitano scartava.
«Pensi che tornerà?» domandò alla fine.
Kidd lo guardò. Killer, già. Sarebbe tornato? Avrebbe voluto dire di sì, perché gli mancava terribilmente e pensare che sarebbe tornato era un buon modo per consolarsi, ma visto come stavano andando le cose ne dubitava. E poi, non era detto che avesse smesso di tirargli strani scherzi. La ciurma di Law era stato uno e l'avrebbe pagata, perché Law non lasciava conti in sospeso, soprattutto quando si trattava dei suoi uomini. Forse non l'avrebbe ucciso, però, anche perché a quanto aveva capito stava tentando di salvargli la vita, però forse l'avrebbe menomato, o chissà che altro.
Ma Killer poteva ancora organizzare altri sistemi per vendicarsi. Prima o poi avrebbe colpito anche la ciurma, Kidd ne era certo. Perché ormai non c'era più motivo di comportarsi bene, e Killer era cieco di odio, incapace di controllarsi.
Kidd aveva già visto cosa era in grado di fare il suo vice.
Era accaduto poco dopo essersi conosciuti, in quell'isola calda e umida in cui l'altro era nato. E lì, prigioniero di una vita violenta di cui non aveva mai voluto parlare più di tanto, raccontandogli solo pochi fatti, con la voce che tremava e gli occhi lucidi, liberi dalla maschera, aveva subito per anni le violenze di un gruppo di uomini rilevanti nella criminalità locale. Alcuni li aveva uccisi Kidd, ma gli altri... La fine che quei tizi avevano fatto, vittime della vendetta di Killer, era stata terrificante. Adesso la stessa fine poteva toccare a loro.
«Non lo so. Forse.»
«Questa volta... è diverso dalle altre volte che avete litigato.»
«Sì. E adesso quell'idiota si è messo contro Law.» aggiunse. A quel punto, non gli importava più di far finta che andasse tutto bene. Non andava bene, e la ciurma doveva saperlo. Se volevano Killer indietro, dovevano unire le forze. Dovevano, tutti insieme, capire dove Kidd avesse sbagliato, dove tutti loro avessero sbagliato, e cercare di rimediare.
«Contro Law?»
«Shachi vi ha detto del veleno, no?»
«Sì, ma...» fece Wire, senza capire. Poi sgranò gli occhi, come colto da una rivelazione improvvisa. «È stato Killer?»
«Già.»
Wire rimase in silenzio, forse colpito da quella notizia. Kidd non aveva idea di ciò che gli passava per la testa e non era nemmeno certo che gli interessasse saperlo. Voleva solo sbrigarsi. Di piani non ne aveva, ma un obiettivo sì ed era recuperare Killer. Non era nemmeno certo di rivolerlo nella ciurma, ma doveva parlargli. Anche solo per capire. Chiarire, a quel punto, forse era impossibile. Forse non c'erano possibilità di rappacificarsi, erano successe troppe cose. Il braccio, per esempio. Non poteva dire che l'avrebbe perdonato, perché una menomazione era per sempre. E lui avrebbe dovuto farci i conti ogni giorno della sua vita.
«Penso che possa bastare.» disse quando si rese conto d'aver eliminato tutto il ferro arrugginito dal mucchio.
«A che ti serve?» domandò di nuovo Wire.
«Voglio provare a fare una cosa, per il braccio.»
«Come la mano che usi per combattere?»
«Sì, una cosa simile. Ma dovrebbe essere fatta un po' meglio.»
Wire annuì e non chiese altre spiegazioni.
«Va bene così, Wire.» disse alla fine Kidd. «Puoi andare, adesso mi arrangio.»
«Come vuoi.»
Una volta rimasto solo Kidd si disse che non poteva iniziare a lavorare senza aver prima chiaro in testa un progetto dettagliato. Doveva utilizzare metalli leggeri, altrimenti si sarebbe stancato troppo a sollevare un braccio di metallo. E poi doveva riunire il tutto in un blocco unico, oppure avrebbe rischiato di perdere pezzi per strada. Quindi per prima cosa gli servivano delle viti.
Uscì dalla cabina e si diresse verso l'armeria, sicuro che lì avrebbe trovato ciò che cercava.

L'armeria era il luogo in cui l'aveva fatto con Killer la prima volta.
Era stato qualche settimana dopo che si erano conosciuti.
Quel giorno pioveva, e Kidd non ricordava bene perché era entrato nell'armeria. Forse aveva solo seguito Killer per vedere che cosa faceva. Era una cosa che gli capitava di fare ancora, ogni tanto. In ogni caso, si era trovato solo con lui, nella stanza un po' buia, fredda. Circondati da tutti quelle armi, non avevano potuto fare altro che guardarsi. E Kidd, davanti a quel nuovo compagno, non era riuscito a trattenersi.
«Fammi vedere di nuovo il tuo viso.» gli aveva detto. Killer era rimasto in silenzio per un po' e a Kidd era sembrato titubante. Poi, però, aveva annuito. Aveva tolto il casco, permettendo a Kidd di guardarlo negli occhi.
E a Kidd era sembrato molto bello, nonostante le cicatrici che gli deturpavano buona parte del volto. Non gli aveva chiesto chi gliele avesse procurate, sapeva bene che potevano essere stati solo quegli uomini che l'avevano vessato per tanti anni.
Quella volta era stato Killer a cercarlo per primo. Era stato lui ad avvicinarsi a Kidd. Sì, si era fermato davanti a lui, immobile, ma quando Kidd l'aveva baciato non si era ritratto, tutt'altro. Aveva risposto con ardore, aggrappandosi a lui, facendogli cadere la pelliccia, socchiudendo le labbra per permettere a Kidd di forzarle con la lingua.
Aveva lasciato che Kidd lo spogliasse, e lui stesso aveva aiutato l'altro a togliersi i vestiti. Quando Kidd si era trovato sdraiato su di lui, eccitato come non mai, Killer gli si era stretto contro, cingendogli i fianchi con le gambe, gemendo e baciandolo ogni volta che Kidd lo toccava.
A ripensarci dopo tutto quel tempo, con la consapevolezza che le cose sarebbero sempre state diverse, che Killer non gli avrebbe più permesso di andargli vicino, e forse nemmeno di parlargli, Kidd sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa e per un attimo fu certo che avrebbe vomitato.
Ma quel dolore durò pochissimo. Sostituito da una rabbia cieca, terribile, Kidd uscì dall'armeria sbattendo la porta, senza nemmeno preoccuparsi di prendere con sé le viti che era andato a cercare. Attraversò in fretta la nave, ben deciso a trovare un modo per sfogare la furia che l'aveva invaso. L'unica cosa che gli veniva in mente di fare era tornare a cercare Killer, prenderlo, costringerlo a parlargli e trovare una soluzione, ma vista la predisposizione d'animo in cui si trovava era certo che avrebbe cercato di ucciderlo. Non poteva farlo. Ora che sapeva che Killer era ancora vivo, non poteva meditare propositi di vendetta e andare ad ammazzarlo.
Entrò nella propria cabina, furibondo, e prese a girare in tondo, sbuffando e ringhiando, facendo di tutto per controllarsi. Ma non ci riusciva, dannazione, non ci riusciva!
Si sedette sul letto e affondò il volto tra le mani, respirò a fondo e si disse che non ne valeva la pena. No, non ne valeva la pena.

Sentì l'esplosione, forte, terribile, e poi le urla dei suoi uomini.
Scattò in piedi e corse fuori dalla cabina per vedere cosa fosse successo, ma la prima cosa che vide fu il fumo. Solo dopo si accorse del fuoco, e con gli occhi che lacrimavano e bruciavano, mentre respirare diventava difficile, con la gola in fiamme, cercò i suoi uomini e il cuore gli saltò un battito quando si rese conto che non riusciva a vederli.
Il crepitio del legno che bruciava copriva i rumori, ma gli sembrò ugualmente di sentire la voce di qualcuno che gridava di portare acqua e coperte.
Si avvicinò, tentando di scorgere i suoi uomini, ancora non ci riuscì.
«Heat!» chiamò ad alta voce, tossendo e respirando a fatica. «Wire!»
Fece per aprire di nuovo la bocca a chiamare anche gli altri, ma la tosse glielo impedì. Cercò di riprendere fiato, non ci riuscì.
Gli bruciava la bocca, la gola, il petto. Respirare faceva male, e stava diventando sempre più difficile.
Con la vista appannata e la visuale coperta dal fumo mosse qualche passo in avanti. Riuscì a scorgere una figura che gli veniva incontro e allungava un braccio verso di lui. Cercò di afferrare la mano che gli porgeva, ma non ci riuscì.
Fece a malapena a tempo a distinguere la figura sconvolta di Heat, e prima di poter dire qualunque cosa perse i sensi.

Quando riaprì gli occhi si rese conto di essere nella propria cabina, circondato dalla ciurma.
«Che cosa è successo?» riuscì a gracchiare con grande fatica. Gli sembrava di avere un fuoco che gli bruciava la gola e il petto. Gli occhi gli facevano male, e temeva che presto si sarebbero messi a lacrimare. Ma non era solo la disperazione per ciò che era appena successo, si disse. Era il fumo. Era soltanto il fumo.
«C'è stata un'esplosione, e ha provocato un incendio.» rispose Peak.
«Cosa è saltato in aria?»
«Qualcuno ha sostituito il rum con un esplosivo.»
Non aveva nessuna difficoltà a immaginare chi fosse quel qualcuno. Ma si rendeva conto del pericolo in cui aveva messo la ciurma? Se qualcuno, magari già ubriaco, avesse bevuto quel liquido... Non poteva nemmeno pensarci.
«Dov'è Heat?» chiese, notando che l'uomo mancava all'appello.
«Con Wire.»
«È ferito?»
«Sì, la bottiglia gli è praticamente esplosa davanti. Ha pezzi di vetro incastrati ovunque, e bruciature...»
Kidd rimase in silenzio. La situazione sembrava grave, quindi forse c'era bisogno di chiamare un medico più preparato di Heat. Anche se Law aveva curato Killer... Non poteva rischiare di perdere un altro uomo.
«Law può aiutarlo.» considerò.
Quando Peak scosse la testa, con espressione più che mai cupa, Kidd sapeva che non gli avrebbe detto nulla di rassicurante. Non voleva sentire le parole che aveva da dire.
«Heat ha detto che è inutile, Kidd-san. Wire... Non resisterà che qualche ora. Forse un giorno.»
Quelle parole furono più tremende di qualunque altra cosa. Wire sarebbe morto. Lo sapevano, eppure non potevano farci niente. Solo aspettare che la sua vita finisse, e sperare che per lui fosse il meno doloroso possibile.
«Kidd-san!» intervenne un altro. «Kidd-san, Killer ha ucciso Wire! Anche se non è morto, morirà, e Killer l'ha ucciso! Voleva ucciderci tutti!»
Kidd annuì, la gola ancora più secca di prima.
Lo stomaco gli si annodò per la rabbia e si disse che no, non poteva piangere davanti alla sua ciurma.
Si mise in piedi a fatica, lanciò uno sguardo carico di furia al navigatore.
«Fai in modo di trovare il sottomarino di Law. Lui sa dov'è Killer. Ce lo faremo dire, e lo troveremo. Posso perdonarlo per il braccio, ma Wire... Ce la pagherà.»
Adesso si era stancato di giocare. Se Killer voleva la guerra, ebbene, l'avrebbe avuta. Ma sarebbe stata faccia a faccia, e, dannazione, l'avrebbe ucciso.
Sì, ormai non c'era più niente da fare.
Killer doveva morire.




Grazie di cuore a tutti quelli che hanno commentato lo scorso capitolo, le vostre recensioni mi hanno davvero resa felicissima.
Scusate se non ho risposto a ognuno di voi singolarmente.
Baci,
rolly too

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Penguin si morse la parte interna della guancia nel tentativo di resistere allo sguardo severo di Law, ma non ci riuscì. Fu costretto a distogliere gli occhi dalla figura del suo capitano, sconfitto.
«Non intendo mettermi contro Eustass-ya.» ribadì Law. «Perciò appena Killer-ya starà meglio lo lasceremo nella prima isola che troveremo, e non ti metterai in contatto con lui finché le cose non si saranno sistemate.»
Per quanto lo riguardava, il comportamento di Law era sbagliato e pericoloso, almeno per Killer. Forse se la sarebbe potuta cavare contro Kidd, ma se Law decideva di aiutare l'altro capitano, allora non aveva speranze.
«Non intendo nemmeno fargli del male, comunque.» sospirò Trafalgar. «Quindi stai tranquillo. Anche se vorrei fargliela pagare per quello che ha fatto alla ciurma, gli concederò di andarsene senza conseguenze.»
«Grazie, capitano.»
«Ma se vi mette in mezzo di nuovo lo ucciderò.»
Penguin si sentì gelare a quelle parole. Sapeva che non era nella natura di Law perdonare chi aveva fatto del male alla ciurma, e già la concessione che gli stava regalando era fuori dall'ordinario. Sperava davvero che Killer evitasse di fare cose eccessivamente idiote, perché aveva la possibilità di salvarsi e l'avrebbe sprecata, se Law avesse avuto anche solo il sospetto che la ciurma rischiava qualcosa. Questa volta non poteva permettersi di giocare, perché si era scelto un avversario più temibile ancora di Kidd.
Doveva parlargli, per spiegargli come si stavano mettendo le cose e qual era la posta in gioco.
Inaspettatamente, Law gli rivolse un piccolo sorriso.
«Nelle condizioni in cui è non penso che sia una minaccia. Piuttosto che stare qui a discutere con me, però, dovresti andare da lui. Parlagli, e fallo ragionare.»

Penguin entrò nell'infermeria con passi lenti, insicuro.
Non era certo che Killer si fosse svegliato, e non voleva disturbarlo. Quando fu dentro, però, si rese conto che l'altro non dormiva più.
Erano passati solo pochi giorni da quando l'aveva trovato in quella capanna e nonostante le sue condizioni fossero gravi era migliorato molto, e, anche se con un po' di fatica, aveva ripreso a parlare.
«Come ti senti?» gli chiese Penguin avvicinandosi al letto.
«Sto bene.»
«Sì, certo.» Penguin lo fissò. Era la prima volta che gli parlava da quando l'avevano portato sul sottomarino. Quando si era svegliato c'era Wakane con lui, e nell'unica altra occasione che aveva avuto di vederlo era stato accompagnato da Trafalgar, e non avevano avuto modo di stare soli. Però voleva davvero parlargli, e cercare di capire che cosa gli passasse per la testa.
«Te la sei vista proprio brutta.» commentò sedendosi accanto al letto. «Se non ti avessi trovato saresti morto entro un paio di giorni, lo sai?»
Killer non rispose. Gli rivolse uno sguardo stanco, sfibrato, e Penguin si limitò a scostargli i capelli biondi dal volto carezzandogli la fronte.
«Spero che tu non abbia in mente altri scherzi come quello del veleno.» gli disse, serio. «Law questa volta te la fa passare, ma se ci riprovi non credo che ti andrà così bene.»
Ma Killer rimase ancora in silenzio, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi e Penguin, nonostante tutto, non riuscì a capire che cosa passasse per la mente dell'altro.
«Va bene che non ti piace Trafalgar» riprese allora «ma lui ti sta curando. So che sei forte, ma non pensi che sia rischioso mettersi contro Kidd e anche contro Law?»
«Kidd non capisce.» rispose Killer.
Penguin rimase in silenzio, cercando di capire come quelle parole si collegassero a ciò che aveva appena detto. Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che Killer aveva ignorato la sua domanda, ma nonostante questo decise di assecondare il suo discorso per vedere dove voleva arrivare.
«Che cosa non capisce?»
«Tutto.»
«Di te?»
«Sì.»
Penguin fu costretto a riflettere diversi istanti su quelle parole, ma non riuscì a darci un senso compiuto.
«Vuoi parlarne?» domandò alla fine.
Killer lo guardò solo per poco, e subito spostò lo sguardo verso la parete, impedendo a Penguin di incrociare il suo sguardo.
«Kidd mi ha portato via da lì.» iniziò Killer.
Penguin annuì. Aveva già sentito quella storia, ma se Killer voleva ripeterla andava bene. Se poteva aiutarlo, qualunque cosa andava bene.
«Ha ucciso quegli uomini e mi ha fatto curare. Si è preso cura di me.»
Sapeva anche quello.
Kidd, ormai diversi anni prima, era entrato per errore nel locale in cui Killer era costretto a vivere. Si trattava di una sola stanza, sporca e calda, con una forte illuminazione. Così la descriveva Killer.
Kidd aveva visto Killer, allora ridotto a poco più di uno scheletro sporco ed emaciato, con gli zigomi troppo sporgenti e il volto deturpato da orribili cicatrici che quegli uomini gli avevano causato con il fuoco di alcuni accendini e ferri incandescenti, e accanto a lui un uomo morto.
E a sovrastare il ragazzo, che non aveva ormai neanche la forza per reggersi in piedi, c'erano altri uomini armati di bastoni e spranghe di ferro, e lo colpivano con forza, ormai in procinto di ucciderlo.
Killer aveva spiegato a Penguin che lo stavano punendo per aver ucciso il loro compagno, e poco importava se l'aveva fatto perché quello intendeva fargli del male. Per quella gente Killer non era altro che una proprietà su cui sfogare le frustrazioni alla fine della giornata, e non aveva diritto di lamentarsi per il trattamento che subiva.
E lui, ormai incapace di difendersi, senza nemmeno riuscire più a lamentarsi per il dolore che quei colpi gli procuravano, si era rassegnato a morire. E poi, anche se non aveva capito bene come fosse successo, i quattro uomini che lo aggredivano erano morti a terra, e chino su di lui c'era Kidd che gli parlava. Killer aveva confessato che non ricordava assolutamente nulla di ciò che Kidd gli aveva detto, né tanto meno cosa lui avesse risposto, ma Kidd l'aveva preso in braccio e portato via da lì.
L'aveva condotto sulla nave, e lì, insieme a Wire, si era preso cura di lui. Avevano pulito le sue ferite, gli avevano dato abiti caldi e avevano fatto di tutto per salvargli la vita. Gli davano da mangiare e ripulivano quando vomitava ciò che era troppo pesante per il suo stomaco, e non si lamentavano mai.
Kidd, soprattutto, lo teneva d'occhio, lo spronava a fare del proprio meglio per rimettersi in forze. Gli parlava per evitare che impazzisse a causa degli incubi, del terrore.
Quando si era reso conto che Killer non riusciva nemmeno a mettersi in piedi, privo di energie come era, aveva fatto di tutto per aiutarlo a camminare di nuovo, portandolo in giro per la nave sostenendo tutto il suo peso, portandogli il cibo migliore, finché Killer non era stato meglio.
«Gli devo tutto.» sussurrò Killer. «E gli voglio bene. Lui è il mio migliore amico. Ma non capisce.»
«Per questo l'hai attaccato?»
Killer scosse la testa.
«È stato lui ad attaccare me. È venuto nella mia cabina, voleva fare sesso. Io non volevo. Non mi piace farlo con lui, mi fa male.» Parlava a voce bassa, lentamente, senza nemmeno guardare Penguin. Era come se stesse parlando da solo. «Prima era diverso.» sospirò Killer, sofferente. «Mi andava bene, perché non avevo conosciuto nient'altro che violenza da quegli uomini, e invece Kidd voleva che piacesse anche a me, e anche se mi faceva male non mi importava, perché non lo faceva con cattiveria, era solo il suo modo di fare.» Prese un respiro profondo, tremando appena, poi proseguì con la voce che s'incrinava: «È diverso da quando ho conosciuto te. Quando lo facciamo... Non mi fai male, e mi piace. Ho iniziato a rifiutare Kidd, e lui s'infuria. Non lo faccio perché  ho qualcosa che non va con lui, solo che non mi piace andarci a letto insieme. Quella sera era ubriaco... Non ne potevo più, Pen. Ogni sera era così. Se era sobrio faceva un po' di storie, e basta. Ma Kidd beveva tanto nell'ultimo periodo, e per me era un incubo. Mi sembrava di essere tornato in quella stanza. Avevo paura che perdesse la testa e mi costringesse. Non volevo più cedere solo per non litigare. E quella sera... è venuto da me, ha cercato di buttarmi sul letto. Lo so che non lo faceva con l'intento di farmi male, so che non era in sé. Ma io davvero non ce la facevo più. L'ho allontanato, l'ho buttato fuori dalla mia cabina.»
Fece una pausa, riprese fiato. Penguin rimase in silenzio e si limitò a prendergli delicatamente la mano e lasciare che si sfogasse come meglio credeva.
«Gli ho detto che doveva smetterla, che non sono una sua proprietà. Gli ho detto che non volevo più fare sesso con lui, che doveva andare a tormentare qualcun altro. Gli ho detto... gli ho detto che è come quegli uomini. Che mi fa male come me ne facevano loro, e lui non ci ha più visto. So che ho sbagliato a dirgli quella cosa.» Sospirò, mordendosi il labbro, e proseguì : «Non voglio che mi facciano di nuovo quelle cose. E non voglio che me le faccia Kidd. Non volevo fargli del male, non volevo che perdesse il braccio. Tutto quello che è successo...»
Interruppe il discorso a metà, si guardò intorno con sguardo preoccupato, e continuò con tono urgente:
«Tutto quello che è successo... L'ho preparato subito dopo che me ne sono andato dalla ciurma. Anche il veleno. In quel momento volevo solo fargli più male possibile, per questo ho mirato a voi e a Law. Poi vi ho seguiti, e quando ho capito quello che avevo fatto mi sono pentito. Ho cercato di tornare indietro, perché c'era anche un'altra cosa, Pen, più pericolosa del veleno e se per caso fosse già successo tutto... Ero così arrabbiato, lo volevo solo uccidere! Ma adesso non voglio più, ho capito che sto sbagliando, non voglio fargli male. Devo avvertirlo di quello che ho fatto, così potrà evitare una tragedia... Dovevo tornare indietro, ma non ci sono riuscito.»
Penguin annuì e si alzò.
«Allora lascia che vada a parlare con il capitano. Gli spiegherò che non vuoi farci del male, e farò in  modo che si metta in contatto con Kidd, e gli potrai parlare, d'accordo?»
Killer annuì distrattamente, ma Penguin si accorse subito che quel discorso doveva averlo stancato più del dovuto. Aveva gli occhi appannati, lo sguardo vacuo, e nel momento in cui gli toccò la fronte sentì che era bagnata di un sudore freddo. Prima che potesse fare qualunque cosa si rese conto che l'altro aveva perso i sensi, e si affrettò a farlo sdraiare nuovamente, prima di alzarsi per andare a cercare Law.
Uscì dall'infermeria e si diresse verso la cabina di Law. Entrò senza bussare, e quando lo vide Trafalgar gli rivolse uno sguardo soddisfatto, come se avesse portato a termine un compito che lui stesso gli aveva dato.
«Ti ha spiegato come sono andate le cose?»
«Sì. Capitano, senti...» Ma Penguin fu costretto a interrompersi.
Anche Trafalgar aveva sentito. Le pareti del sottomarino e il pavimento tremavano, come scossi da brividi, e l'intera imbarcazione aveva iniziato a oscillare in modo preoccupante. Si resero conto solo dopo pochi secondi che stavano tornando in superficie, ma nessuno aveva dato l'ordine di risalire.
«Che succede?» domandò Penguin.
Il metallo prese a incrinarsi e cigolare, come se fosse stato sottoposto a un grande sforzo.
Penguin vide Law farsi mortalmente pallido e correre fuori dalla cabina, ignorandolo completamente.
«Eustass-ya!» lo sentì solo chiamare, in un'imprecazione furiosa che Penguin riuscì a cogliere prima che il capitano sparisse dalla sua vista.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


L'aria nella stanza era fredda, o forse era solo una sua impressione.
Kidd si avvicinò cautamente al letto su cui avevano adagiato Wire, e cercò di non guardare la pelle bruciata, cercò di non sentire il puzzo di morte che riempiva la stanza.
Sapeva che Heat non aveva fatto altro che riempire l'amico di antidolorifici, ma si chiese ugualmente se stesse soffrendo. Si chiese anche se sarebbe stato in grado di farla pagare a Killer per ciò che aveva fatto, o se, piuttosto, fosse impossibile trovare una punizione adeguata.
«Sei in gran forma.» disse a Wire quando gli si avvicinò, facendo di tutto per mantenere un tono gioviale. Tanto, non sarebbe servito a nulla. Ma non voleva che Wire morisse vedendolo disperato. Lui era il capitano, e il suo compito era proteggere i suoi uomini. Dal momento che non ci era riuscito, doveva almeno incoraggiarli, anche se in cuor suo avrebbe preferito abbracciare l'amico e piangere, perché quello che stava accadendo non era giusto.
«Visto, capitano?» replicò quello con voce flebile. «Sono bello come un fiore.»
«Già.» Aveva un nodo in gola che faceva dannatamente fatica a mandare giù, e la voce gli uscì strozzata, molto più di quanto avrebbe voluto. Peak e Heat lo guardarono straniti, ma non fecero commenti.
«Vuol dire che sarò bello anche al mio funerale.»
«Non dire cazzate. Non si muore per così poco.» tentò di prenderlo in giro.
Non voleva che Wire morisse con quell'espressione triste sul volto. Se quella era la fine, non doveva essere così brutta.
«Penso di sì, invece.»
«Lo dici solo perché ti piace stare qui a poltrire, ecco la verità.»
Wire fece una piccola smorfia simile a un sorriso e Kidd capì che ormai era davvero inutile. Non c'erano più parole.
«La pagherà per questo, Wire.» si limitò a dire, con la voce che tremava e gli occhi che, lo sentiva, diventavano lucidi. Ma non gli importava, in quel momento. Non gli importava proprio per nulla.
«Non essere cattivo con lui.» mormorò a sorpresa Wire. Kidd lo guardò, stupefatto.
Non essere cattivo? Dopo quello che aveva fatto! Dopo che l'aveva ucciso! E Wire, nonostante tutto, aveva ancora il coraggio di difendere Killer, e di non odiarlo?
«È solo un ragazzo, e ha sofferto tanto.» proseguì l'uomo, con voce flebile. «Quello che ha fatto... è perché soffriva, e noi non abbiamo capito. Non sarebbe mai riuscito a dircelo... Noi dovevamo capire. Lui ha lanciato molti messaggi, non li abbiamo colti. Sono sicuro che non voleva questo, né voleva uccidere te, o la ciurma di Law. Ha solo bisogno di essere ascoltato. Non fargli male, capitano.»
«La pagherà.» ripeté Kidd, incapace di formulare un pensiero diverso dai propositi di vendetta. Quello che Wire gli chiedeva era troppo. Killer meritava di morire, e allora perché risparmiarlo? Tutti soffrivano, tutti avevano avuto i loro problemi. Il fatto che la sua vita fosse stata peggiore di quella degli altri non lo autorizzava a comportarsi così. E se aveva bisogno di aiuto, avrebbe dovuto chiederlo. Sapeva che Kidd non era bravo a cogliere i messaggi nascosti.
«No, capitano, per favore.» si agitò Wire. «Non fargli male...»
«Wire...»
«Ti ricordi quando l'hai trovato?»
Sì, certo che lo ricordava. E nonostante tutto quello che era successo, non se la sentiva di pentirsi per averlo portato via dall'inferno in cui aveva vissuto fino ad allora. Aveva accolto Killer nella sua nave senza nemmeno averlo visto combattere, senza sapere nulla di lui, solo perché aveva resistito a tutte quelle percosse nonostante le condizioni in cui versava.
«Era ridotto a uno scheletro, capitano... Solo un ragazzo...» Wire tentò di parlare ancora, ma gli mancò il fiato e non riuscì più a dire nulla. «Non fargli male...»

Kidd pensava che fosse incredibile quanto potesse essere silenziosa la morte di una persona.
Lui era abituato ai decessi durante le battaglie. Allora, con ferite profonde e sanguinanti, c'erano grida, convulsioni e a volte pianti. C'era la sofferenza visibile di chi se ne andava.
Con Wire invece non c'era stato nulla di tutto ciò.
Era morto, e basta. Forse non se n'era nemmeno accorto, anzi, era probabile che fosse così, perché dopo quelle preghiere di risparmiare Killer aveva perso i sensi.
Kidd guardò il corpo del suo amico in silenzio.
Pensava che sarebbe stato distrutto, invece non era così. La verità era che non sentiva nulla. Le lacrime silenziose della ciurma non gli interessavano, né gli importava che avrebbe dovuto decidere che cosa farne di quel corpo che andava raffreddandosi. Gli venne in mente che Law avrebbe potuto farci degli esperimenti, con quel cadavere, ma quel pensiero gli attraversò la mente e se ne andò senza dargli emozioni. Era solo una sequenza di immagini che gli passava davanti agli occhi, e nulla di più.
Uscì dall'infermeria, perché tanto lì non c'era più nulla da fare.
Si diresse sul ponte della nave, ma anche lì non c'era nulla da fare. La verità era che l'unica cosa da fare era andare a prendere Killer e ucciderlo. In tutta onestà, però, non gli importava nemmeno di quello.
Guardò il mare e si disse che forse non sarebbe stato così male buttarsi in acqua e lasciare che lo trascinasse sul fondo, e restare lì. La sua ciurma non si sarebbe accorta di nulla, erano tutti a guardare il corpo di Wire, come se questo avesse potuto aiutarli a riportarlo in vita.
Si guardò intorno per qualche istante, mosse un passo verso la murata, pronto a scavalcarla.
No, non poteva comportarsi così.
Era il capitano, e doveva proteggere i propri uomini. Avevano detto che era stata una bottiglia di rum a esplodere, perciò era suo preciso dovere controllare che non ci fossero altri trucchetti del genere in giro per la nave.
Andò in cambusa camminando lento, con lo sguardo appannato e il braccio che gli faceva male da morire, ma non aveva voglia di controllare se la ferita si fosse riaperta o se – e sarebbe stato peggio – avesse fatto infezione.
Le scale che portavano alla dispensa, il mobilio, l'arredamento. Era tutto stato distrutto dalla bomba, tutto annerito dal fuoco che ne era scaturito. La sua nave, la sua casa... Killer. Wire.
Allungò una mano verso ciò che rimaneva dello scaffale dei liquori, attento a non ferirsi mentre cercava tra i resti di vetro e di legno altre tracce di esplosivo, o di qualunque altra cosa avesse macchinato Killer.
Sapeva che era stato lui, e non ci sarebbe nemmeno stato bisogno del frammento di maschera ormai mezzo fuso incastrato tra le travi a ricordarglielo, però quel pezzo di plastica deformato riuscì a riportarlo alla realtà.
Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa dolorosa, e tutto quello che riuscì a fare fu chinarsi e vomitare anche ciò che non aveva mangiato. Strinse quel frammento tra le dita fino a ferirsi con i suoi bordi taglienti, fino a sanguinare.
Uscì dalla cabina, con l'immagine di Wire morente nella testa, si diresse sul ponte e quando fu lì si lasciò cadere in ginocchio, folle di rabbia, di disperazione. Sentiva un urlo disperato e gli ci volle qualche istante per capire che era lui stesso a urlare, e mentre urlava tremava e piangeva, perché non ce la faceva più e non sapeva più che cosa doveva fare.
Sentì i passi di qualcuno che arrivava sul ponte e forse era la sua ciurma che lo raggiungeva, allarmata, ma non gli importava. Gli mancò il fiato, fu costretto a interrompere il proprio grido e vomitò ancora, con lo stomaco che bruciava e faceva male, la menomazione che pulsava e doleva e le lacrime che non volevano saperne di fermarsi.

Non avrebbe saputo dire quanto rimase sul ponte, né quanto ci mise la ciurma a capire che dovevano lasciarlo solo.
Gli ci volle molto tempo per ritrovare la calma, e quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi faticò a tornare sottocoperta.
Qualcuno dei più solerti tra i suoi uomini aveva iniziato a riordinare e ripulire. La porta dell'infermeria era chiusa, ma era quasi sicuro che, a parte il cadavere di Wire – e faceva male pensarci – non ci fosse nessun altro dentro.
Voleva vendetta. Anche se non sarebbe servito a nulla, anche se Wire l'aveva pregato di non fare del male a Killer, voleva vendicarsi per tutto ciò che quello che era stato il suo migliore amico gli stava facendo.
«Fai in modo di raggiungere il sottomarino di Law!» sbraitò al suo navigatore quando lo trovò. «E vedi anche di fare in fretta.» aggiunse, adirato.
Se prima desiderava soltanto evitare di scontrarsi con Killer, adesso aveva cambiato idea.
Adesso voleva solo andarlo a prendere e massacrarlo, senza nemmeno ascoltare quello che aveva da dire, perché alla fine che cosa c'era da dire davanti a una situazione simile? Killer doveva solo chinare la testa e lasciare che Kidd lo ammazzasse. Era quello che si meritava.

Ci vollero tre giorni di viaggio per arrivare nella zona in cui, secondo il suo navigatore, era immerso Law.
Avevano buttato il cadavere di Wire in mare con una cassa di rum legata ai piedi per trascinarlo sul fondo. L'idea del liquore era stata di Heat, e Kidd l'aveva lasciato fare, perché Wire l'avrebbe trovato divertente. Qualcuno era riuscito persino a ridere, durante quella specie di funerale. Anche Kidd aveva sorriso, senza nemmeno sapere bene perché. Forse era l'idea della vendetta imminente a rilassarlo.
Ormai, Killer non contava più nulla. Era solo un nemico, uno di quelli che lo facevano sudare, perché era forte per davvero. Lui però era ancora più forte.
«Dove sono?» urlò, furioso, sporgendosi oltre la murata della nave per poter osservare il mare e vedere se riusciva a individuare il sottomarino. «Dove sono?»
«Da queste parti, capitano, ma è impossibile dire di preciso dove, devono essere molto in profondità.»
«Trafalgar!» gridò alle onde. Ma tanto Trafalgar non sentiva, lo sapeva.
Però lui sapeva dov'era Killer, e glielo doveva dire, così avrebbe potuto ucciderlo.
«Trafalgar!»
Fece appello a tutto il proprio potere e lo sentì, quel sottomarino di merda, che era lì, a pochi metri da loro, immerso nelle profondità marine. Non era abbastanza lontano per scappare al suo magnetismo, però, e non aveva nessuna intenzione di aspettare che Law desse autonomamente l'ordine di risalire.
Attirò a sé il metallo, sapendo che poteva anche ucciderli tutti, ma non gli importava. Voleva solo che gli dicessero dov'era Killer, e non gli interessava che conseguenze avrebbe potuto avere il suo gesto.
Imprecava e sbraitava mentre la rabbia cresceva in lui ogni secondo di più, finché non iniziò a vedere il metallo giallo che gemeva e strideva e si accartocciava mentre usciva dall'acqua, e quando il boccaporto emerse completamente dal mare si aprì di botto e Trafalgar ne uscì di corsa, pallido e ansimante, quasi scivolando sul ponte ancora in parte immerso.
«Eustass-ya!» urlò, furioso, ma i suoi occhi avevano una luce terrorizzata che Kidd non riuscì a non notare.
«Eustass-ya, smettila subito!» Ansimò, e Kidd quasi si aspettava di essere fatto a pezzi dalla Room, ma non ci mise molto ad accorgersi che Law stava ancora male, e se non lo attaccava era perché non ce la faceva. Vedendo che comunque sembrava disposto ad ascoltarlo, rilasciò il proprio potere e il sottomarino smise di mandare quei lamenti inquietanti.
Lo osservò in silenzio, studiandone la fronte imperlata di sudore e il lieve tremolio delle mani. Era perché aveva corso che era ridotto così? Forse aveva attraversato l'intero sottomarino correndo, ma bastavano davvero quei pochi metri a sfiancarlo in quel modo?
Non riuscì a non pensare che era anche quella colpa di Killer, e che forse Law era ancora in pericolo di vita.
Per qualche strana ragione, l'idea di perdere Trafalgar gli fece più male dell'idea di perdere Killer.
«Che cosa vuoi?» ansò ancora Law, aggrappandosi al bordo della murata. «Cosa cazzo vuoi?» ripeté a voce più alta.
Kidd lo fissò in silenzio, immobile tra i suoi uomini, mentre anche Penguin, Bepo e alcuni altri raggiungevano il loro capitano sul ponte, preoccupati quanto lui.
«Che cosa vuoi?» urlò ancora Trafalgar.
«Killer.»

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Tremava, e faceva fatica a respirare.
Sapeva che era colpa della corsa che l'aveva portato fin lì, sul ponte della nave, davanti a Kidd, ma non credeva che si sarebbe ridotto così per quei pochi metri. E ora che era lì, Kidd pretendeva di avere Killer.
«Killer?»
«Già. L'hai curato, quindi sai dov'è. Adesso me lo dici, e io lo vado ad ammazzare!» urlò Kidd in risposta.
Quindi non aveva capito che l'aveva portato nel sottomarino?
Lanciò un'occhiata veloce a Penguin e lo vide teso.
«Capitano...» mormorò l'altro, attento a non farsi sentire da Kidd. «Che cosa vuoi fare, adesso?»
Law sollevò una mano, facendogli cenno di tacere. E adesso? Adesso cosa doveva fare?
Tentò di imporsi la calma. Innanzitutto, doveva riflettere.
Se avesse detto a Kidd che Killer era nel sottomarino quello si sarebbe avventato sulla loro imbarcazione, avrebbe tentato di uccidere il proprio vice, Penguin si sarebbe messo in mezzo, Kidd l'avrebbe attaccato e Penguin sarebbe morto.
Dire di non sapere dove fosse, però, equivaleva a mentire di nuovo, e se Kidd l'avesse scoperto li avrebbe fatti fuori tutti quanti. Anche perché nelle condizioni in cui era dubitava di poter combattere al massimo delle proprie capacità, mentre Kidd sembrava aver recuperato le forze anche troppo in fretta.
Per cominciare doveva prendere tempo.
«Perché all'improvviso lo vuoi morto?»
«Ha ucciso Wire!»
A quelle parole seguì un silenzio incredulo che aveva qualcosa di terrificante. Trafalgar studiò a fondo Kidd, e si rese conto che ciò che diceva non poteva essere una menzogna. Aveva l'espressione folle di chi aveva appena perso qualcuno di importante, e il fatto che il responsabile fosse proprio Killer non faceva che peggiorare le cose.
Tentò di immaginare che cosa sarebbe successo se Bepo avesse ucciso Penguin, o Shachi, per cercare di capire che cosa passasse per la testa dell'altro, ma quell'ipotesi era talmente surreale che non ci riuscì. Solo a pensarci gli sembrava che la terra mancasse da sotto ai piedi, come se stesse camminando su una nuvola. Eppure, nonostante quella sensazione, la sua mente non riusciva a elaborare un'eventualità simile. Probabilmente se si fosse trovato nella stessa situazione di Kidd non avrebbe reagito. Ecco cosa lo differenziava dall'altro capitano: Kidd era sempre in grado di guardare avanti, di affrontare le cose. Lui, in una situazione simile, probabilmente non sarebbe riuscito a cavarne niente. Avrebbe smesso di mangiare e di dormire, tutto qui, come faceva tutte le volte che qualcosa andava male. I problemi restavano, si accumulavano in lui. Fingeva di dimenticarsene, riprendeva a mangiare, dormiva qualche ora per notte; ma li sentiva; scorrevano sotto alla pelle e turbavano i suoi sonni.
«Wire è morto?» domandò Shachi con voce rotta, lo sguardo fisso su Kidd.
L'altro annuì, senza staccare gli occhi da Law.
«Dov'è Killer?» ripeté ancora Kidd, con tono urgente.
E Law, alla fine, prese la propria decisione. Non avrebbe più mentito a Kidd, non era ciò che voleva. Sapeva che l'altro si era sentito tradito quando aveva scoperto che gli aveva tenute nascoste informazioni importanti, sapeva di averlo pugnalato alle spalle.
Era stato un gesto vile, egoista. Lui non era così.
«Non puoi vederlo.» disse soltanto, sapendo che era la strategia sbagliata, che la reazione sarebbe stata violenta. «Mi hai detto tu di curarlo, Eustass-ya!» aggiunse, tentando di ignorare l'occhiata sofferente che Penguin gli rivolse.
Sì, lo sapeva. Era come se avesse svenduto il suo amante, ma non era così. Anche se aveva detto a Kidd che Killer era lì – perché era vero – non gli avrebbe mai permesso di fargli del male. Non gli importava di Killer, ma di Penguin sì.
Anche se Kidd avesse cercato di ucciderlo, non gli sarebbe importato. Adesso la priorità era salvare Killer.
«È nel sottomarino?» fece Kidd.
Gli occhi sgranati, sporto verso di lui, mostrava un'incredulità che, Law lo sapeva, non avrebbe portato a nulla di buono.
«L'hai portato sul sottomarino?»
«Aveva bisogno di cure. È grave, e non ti permetterò di vederlo.»
«Non voglio vederlo, voglio ammazzarlo!»
«Non ti permetterò di fargli del male, Eustass-ya.»
Kidd rimase in silenzio qualche istante, con un'espressione folle sul volto, come se le parole di Law l'avessero stupito e offeso.
Poi accadde tutto molto in fretta.
Kidd sparò e Penguin rispose al colpo quasi immediatamente, tanto in fretta che Law fece fatica a capire ciò che era successo. Sentì il rumore secco degli spari, il fruscio del proiettile che passava accanto al suo volto.
«Stai cercando di uccidere i miei uomini?» urlò rivolto all'altro capitano.
«Sto cercando di uccidere te!» ululò Kidd in risposta. «Da che parte stai? Killer ha ucciso Wire!»
«Come cazzo facevo a saperlo?»
Non gli sarebbe importato nemmeno se l'avesse saputo. Penguin gli aveva chiesto di salvare Killer, e lui aveva il dovere di farlo. Quello che accadeva all'interno della ciurma di Kidd non era cosa che lo riguardasse.
Alla sua domanda Kidd non rispose, ma si bloccò, come se si fosse appena reso conto di un'ovvietà.
«Ha ucciso Wire.» ripeté, atono, fissando davanti a sé come un folle «Voglio vendetta. Ora mi porti qui Killer, oppure vengo sul tuo sottomarino e lo trovo da solo.»
Law sentì la minaccia nelle parole dell'altro capitano, e sapeva che avrebbe fatto bene a lasciarlo fare, se non voleva mettere in pericolo la ciurma, ma gli bastò spostare per un secondo lo sguardo su Penguin per capire che cosa doveva fare.
«Bepo, ci immergiamo. In fretta!» ordinò.
Guardò il suo vice che correva a dare istruzione al resto della ciurma e tentò di ignorare la voce furibonda di Kidd che lo malediceva e lo minacciava.
«Non te lo permetterò, Law!»
Sparò ancora e colpì lo scafo, Penguin rispose al colpo e riuscì solo a rovinare una parte della murata della nave di Kidd. Un altro colpo, un'altra risposta e poi anche la pistola di Shachi fece fuoco, mancando – forse di proposito – gli uomini di Kidd, mentre il sottomarino vibrava e gemeva, sottoposto allo sforzo di tentare di immergersi mentre di nuovo era trattenuto dal magnetismo dell'altro capitano.
Trafalgar imprecò sentendo il metallo sotto ai propri piedi che tremava, incapace di determinare quanti danni avrebbe potuto fare quell'idiota di Kidd opponendosi in quel modo al movimento del suo sottomarino.
Sapeva che non doveva esagerare, che se si fosse sforzato troppo sarebbe morto, ma davanti alla possibilità di mettere in pericolo la ciurma l'eventualità di morire non gli sembrò nemmeno così terribile.
«Capitano, non farlo!» urlò Shachi quando si rese conto di ciò che Law aveva in mente, ma l'altro già non lo ascoltava più.
Evocò la Room, e fece di tutto per ampliarla il più possibile, fino a comprendere l'intera nave di Kidd e buona parte del mare circostante. La vista gli si appannò, le orecchie iniziarono a fischiargli, ma invece che ascoltare i compagni – che, gli sembrava, urlavano di smettere – si sforzò per aumentare ancora il diametro, mentre sentiva le forze che gli venivano meno. E poi il rumore forte di uno sparo, altre grida e delle braccia che lo afferravano e lo sostenevano.
Fece un ultimo, terribile sforzo e forse riuscì a ottenere il risultato in cui sperava, ma non vedeva più nulla, non sentiva nulla. Non poteva controllare cos'era successo, non si rendeva conto di ciò che lo circondava.
Sentiva che qualcuno lo stava toccando, lo teneva stretto e gli impediva di rovinare al suolo, sentiva una voce, ma non distingueva nessuna parola.
Tentò di recuperare l'equilibrio, non ci riuscì. Il fiato gli mancò, un dolore atroce in mezzo al petto lo fece fremere.
Chiuse gli occhi.

Avrebbe voluto muoversi, ma il corpo era pesante e non rispondeva.
Avrebbe voluto aprire gli occhi, ma anche le palpebre erano pesanti e non ci riuscì.
Sentiva dei rumori ovattati, ma non avrebbe saputo dire che cosa fossero. C'era una specie di ronzio, e poi quella che sembrava una voce. Non avrebbe potuto scommetterci, comunque.
Aveva caldo, ma non aveva forza per dirlo, così a nessuno sarebbe venuto in mente di togliergli le coperte. Si sentiva ribollire, respirare era difficile. Che qualcuno gli togliesse quelle coperte, per pietà!
Tentò di nuovo di aprire gli occhi, di nuovo non ci riuscì e decise di rinunciare.
Aveva sonno, e pensò che forse era meglio smettere di tentare di agitarsi.
Tanto, alla fine non sarebbe servito a nulla.

Non avrebbe saputo dire se si fosse addormentato o se avesse solo perso la cognizione del tempo, in ogni caso non si sentiva meglio.
Aprire gli occhi era ancora fuori discussione, ma riuscì a cogliere una voce e non gli ci volle molto per rendersi conto che a parlare era Ban.
«Come sta?»
Gli faceva male la testa, il petto gli bruciava ogni volta che respirava. Però bisognava respirare.
«Se l'è vista brutta.»
Era Wakane l'altro che parlava? Ma Wakane non era un medico, non poteva sapere come stava.
Forse era Penguin? Eppure, la voce di Penguin era diversa da quella di Wakane.
«Ma si riprenderà, vero?»
«Sì, credo di sì. Penso che non ci vorrà molto prima che si svegli.»
No, non era Wakane. Però non era nemmeno Penguin. Forse era Umigame?
Lui era un medico. Di solito era Penguin che si prendeva cura di lui, ma magari aveva avuto da fare.
«Cosa pensi che succederà, adesso?» ancora la voce di Ban. Era inconfondibile.
«Non so. Se il capitano non avesse spostato la nave di Kidd... È stato un incosciente, sapeva che stava rischiando la vita. L'abbiamo preso appena in tempo, il cuore stava per fermarsi. Comunque, per ora sembra che le cose si siano calmate, anche se non è finita. Qui siamo al sicuro, ma non possiamo rimanere immersi per sempre.»
«Lo so. Sono preoccupato, Umigame-san.»
Ecco, aveva indovinato, era Umigame. Ma allora dov'era finito Penguin?
«Non preoccuparti, Law sa quello che fa.»
Seguirono alcuni istanti di silenzio.
«Mi dite tutti così» replicò Ban «ma sai una cosa? A me sembra che finora sia stato solo capace di metterci tutti nei guai.»
Trafalgar imprecò mentalmente.
Aveva ragione.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Kidd imprecò, battendo di nuovo il pugno chiuso contro la murata della nave.
«Maledetto Trafalgar!» urlò a nessuno in particolare. «Lo ucciderò. Lo ucciderò!»
«Calmati, capitano.» tentò Heat. «Non poteva sapere quello che è successo.»
«È vero.» annuì Kidd. «Ma dopo che gliel'ho detto, quel pezzo di merda ha comunque deciso di aiutare Killer. Lo ucciderò!»
Quell'uomo... L'aveva tradito. Dopo tutto quello che c'era stato tra di loro, l'aveva tradito!
Oh, conosceva benissimo il motivo di quel comportamento.
A Trafalgar non importava nulla di Killer. Lo odiava, lo aveva sempre odiato e non ne aveva mai fatto mistero. All'inizio non era raro vederlo mentre lanciava occhiate assassine all'altro uomo, o sentirlo mentre, con frecciatine più o meno velate, faceva di tutto per irritarlo.
Poi aveva smesso. Kidd ci aveva messo un po' per capire, e solo quando si era reso conto del rapporto che si era creato tra il suo vice e Penguin aveva compreso il motivo del cambiamento di Law.
A Trafalgar non interessava Killer, ma non voleva far soffrire Penguin. E quel Penguin era appunto il motivo per cui lo tradiva, difendendo l'assassino di Wire!
«Adesso perché non ci racconti quello che è successo mentre eri con Law, capitano?» fece Peak.
«Non c'è niente da dire.» ringhiò Kidd. «Mi ha curato, ecco tutto. E vi ha mentito. Non avevo nessuna malattia, è solo che non volevo dirvi del braccio, non in quel modo.»
«Sospettavamo una cosa del genere.» commentò Peak. «Comunque, sei sicuro che sia un avversario contro cui vuoi combattere?»
«Ti riferisci a Law o a Killer?»
«A entrambi.»
«Per quanto riguarda Killer, sì. Dopo tutto quello che ha fatto si merita di morire, anche se abbiamo litigato per colpa mia. Io non me lo ricordo e voi non lo sapete, va bene, ma non aveva nessun motivo per attaccare la ciurma di Law, e soprattutto non doveva...» s'interruppe. La gola gli si strinse e capì che se avesse parlato si sarebbe messo a piangere. Ma non c'era bisogno di continuare, la ciurma aveva capito.
«E Law?» fece allora Heat con voce cupa.
«Trafalgar è un bastardo, e ucciderò anche lui.»
Non era quello che voleva. Sapeva di aver bisogno di Trafalgar, nonostante tutto, nonostante quello che aveva fatto, ed era anche consapevole del fatto che se l'altro aveva aiutato Killer un motivo c'era, e non era soltanto Penguin. Stava cercando di dargli una possibilità di chiarire con il suo vice? Ma era tempo sprecato, era un'assurdità. Dopo ciò che era successo... Non poteva perdonarlo. Non poteva permettergli di vivere.

Strinse con più forza la vite e guardò il risultato ottenuto. Non era proprio quello che aveva in mente, ma non era male.
Se fosse riuscito a costruire il braccio di metallo più o meno come aveva progettato, aveva buone probabilità di cavarsela sia contro Killer sia contro Law. Erano entrambi avversari temibili, lo sapeva bene, tanto più che ucciderli sarebbe stato doloroso.
Forse non era disposto a perdere nessuno dei due, ma non riusciva a pensare di poterli lasciar vivere. Killer si era macchiato della colpa più grave che potesse esserci. Uccidere un proprio compagno era ciò che di più vile esisteva al mondo, e poco importavano i motivi per cui l'aveva fatto. Doveva pagare, era giusto. D'altra parte, era adulto e poteva assumersi le responsabilità delle proprie azioni.
Per Trafalgar valeva lo stesso discorso. Aveva dovuto scegliere da che parte stare, e l'aveva fatto, ma era ovvio che ormai avesse scelto Killer. E quindi, anche se il pensiero era doloroso, perché non avrebbe dovuto uccidere anche lui? Adesso erano nemici. Tutto quello che c'era stato prima non contava nulla, non più.
L'immagine di Trafalgar che pallido, con le guance bagnate dalle lacrime, si chinava su di lui e gli mormorava qualcosa gli attraversò la mente come un lampo. Quando era successo? Non ricordava d'aver vissuto una cosa simile, eppure era lì, nella sua testa, la memoria di qualcosa che doveva per forza essere accaduto. Forse erano i ricordi di quando Trafalgar l'aveva curato? Dei momenti successivi a quelli in cui Bepo l'aveva portato sul sottomarino?
Cercò di sforzarsi, per richiamare alla mente ciò che Trafalgar gli aveva detto, ma nonostante gli sembrasse di udire il ricordo della voce roca di Law, non riusciva a distinguerne le parole. Si sforzò ancora, si concentrò sulle labbra dell'uomo per cercare di decifrare ciò che gli aveva detto, ma ancora una volta non ci riuscì. Probabilmente non l'aveva sentito la prima volta, ecco perché non riusciva a ricordare, quindi era inutile stare tanto a sforzarsi.
Gli sembrò anche di sentire la voce di Killer che lo chiamava Capitano. Lo rivide in quella stanza sporca e calda in cui l'aveva trovato, tremante, coperto di sangue, che osservava con gli occhi azzurri sgranati i corpi degli uomini che l'avevano segregato lì. Gli parve di sentire lo stesso calore di quando l'aveva sollevato, leggero come un gattino, bruciante di febbre, e l'aveva portato via da quel luogo che era stato per tanti anni la sua prigione.
E poi, ancora, il sapore dei suoi baci di tanti anni prima, quando era arrivato da poco, prima che comparissero Law e Penguin, prima che le cose tra loro due precipitassero definitivamente.
Quante volte avevano litigato? Infinite.
Eppure non era mai andata a finire così, mai. Quand'era stato che le cose avevano iniziato a distruggersi? Quando si erano allontanati al punto di non potersi più riavvicinare?
Non era stata colpa di Trafalgar, perché era successo molto dopo che si erano conosciuti, e anche se si odiavano lui e Killer non avevano nessun motivo di prendersela l'uno con l'altro. Il motivo era stato quel Penguin.
Doveva essere stato il momento in cui Killer era entrato in confidenza con Penguin, quando aveva fatto il confronto tra lui e Kidd e aveva deciso che il carattere del suo capitano non gli piaceva più. Sì, si disse Kidd, le cose dovevano essere andate così.
Adesso che ci pensava, Killer aveva iniziato a rifiutarlo nel periodo in cui aveva iniziato ad andare a letto con Penguin.
All'inizio lui non aveva capito, ma poi... come sempre, era servito l'aiuto di Trafalgar per arrivarci. Era stato lui a fargli notare il rapporto che si era creato tra i due uomini, con quelle sue parole pacate e le sue allusioni che non volevano dire nulla, ma che l'avevano portato nella giusta direzione di pensiero.
Penguin era quello di cui Killer aveva bisogno? No, non credeva. Poteva capire la questione del sesso, anche lui preferiva Trafalgar. Ma per tutto il resto? Perché aveva detto il proprio nome a Penguin e non l'aveva detto a lui? Perché a Penguin aveva raccontato la propria storia – era certo che l'avesse fatto – e a lui no? Perché non era mai riuscito a confidarsi con lui?
Di cosa aveva paura? Di deludere le sue aspettative, forse. Di mostrarsi debole? Era questo che preoccupava Killer?
Kidd imprecò, osservando il proprio riflesso su uno dei pezzi di metallo su cui stava lavorando.
Ecco, forse era stato quello il problema. Forse Killer aveva paura di non sembrare più così forte com'era, aveva paura che l'avrebbe rimpiazzato. Per questo si era tenuto tutto dentro? Per questo si era allontanato così tanto da lui?
Ma non era questo quello che voleva da Killer. Era il suo migliore amico, e non l'avrebbe mai giudicato. Non l'avrebbe reputato debole solo perché aveva paura di tornare in quella stanza. E d'altra parte, come avrebbe potuto?
Aveva sempre dato a Killer un'impressione sbagliata di sé. Lui l'aveva visto come un padrone, invece avrebbe dovuto vederlo solo come un amico, e niente di più.
Non era stato capace di fargli capire cosa gli importasse veramente di lui, e adesso era tardi per rimediare. Adesso in mezzo c'erano troppe cose, troppi disastri.
Improvvisamente si sentì stanco, debole.
Si alzò da terra, mise a posto il metallo e gli strumenti che aveva usato e si diresse verso la propria cabina.
Gli si attorcigliò lo stomaco quando passò davanti alla cambusa, dove il legno era ancora nero per l'esplosione e ancora c'erano frammenti di vetro a terra, in qualche angolo, ma si fece forza e tirò dritto.
Non aveva tempo per piangere, non aveva tempo per fare nulla. Doveva seguire a distanza il sottomarino di Law, aspettare che riemergessero, e ottenere la propria vendetta. Cosa avrebbe fatto poi? Non lo sapeva, non gli interessava.
Niente aveva più senso, non c'era motivo di stare a preoccuparsi per il futuro. Con due nemici così, sarebbe già stato incredibile sopravvivere. Avrebbe pensato a quello che avrebbe fatto dopo soltanto dopo essersi preso la propria vendetta, perché Wire era morto e qualcuno doveva pagare.
Quando raggiunse la propria cabina tirò un profondo sospiro, si sdraiò sul letto e senza nemmeno togliersi gli stivali né coprirsi chiuse gli occhi.
All'improvviso, l'eco della voce di Law gli rimbombò nella testa. Era la voce della notte in cui l'aveva curato, quando l'aveva visto pallido e disperato. Allora aveva sentito quello che gli aveva detto! L'aveva sentito, e ora, improvvisamente, se n'era ricordato.
Non morire, Eustass-ya. Hai capito, idiota? Non morire. Non lasciarmi da solo.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Trafalgar fece del suo meglio per ignorare Ban che brontolava qualcosa di incomprensibile riguardo all'essere stato avventato e al dover gettare in mare Killer, mentre lo accompagnava in infermeria sostenendo praticamente tutto il suo peso.
Se Penguin, Shachi o Umigame avessero scoperto che si era alzato da letto probabilmente avrebbe avuto un bel daffare per calmarli e spiegare loro che no, non poteva davvero aspettare per parlare con Killer e che sì, sapeva bene che muoversi nelle sue condizioni non era un'idea brillante.
Ban lo aveva guardato con sospetto quando Law aveva chiesto il suo aiuto per alzarsi, ma alla fine aveva ceduto.
«Per me stai facendo qualcosa che non dovresti fare, capitano.» gli disse. «Altrimenti avresti chiesto a qualcun altro di accompagnarti.»
«Ti ho già detto che non ci sono problemi.»
«Sì, va bene, va bene, ho capito. Sei tu il dottore qui...»
Non aveva un tono convinto, ma Law lo ignorò. Doveva parlare con Killer, capire quali fossero le sue intenzioni e cosa, soprattutto, dovesse fare lui.
«Ti sei appena svegliato, e gli altri hanno detto che devi riposare.» insistette ancora Ban.
«Smettila di dirmi quello che devo fare.»
«Non abbiamo voglia di farti il funerale.»
«Non ce ne sarà bisogno.» ansimò Law. Però Ban aveva ragione, non si sarebbe dovuto sforzare. Anche mettersi seduto era doloroso, e l'idea di alzarsi e attraversare praticamente l'intero sottomarino non era stata intelligente. Però doveva parlare con Killer prima che fosse troppo tardi. Ormai ragionare con Kidd era impossibile, perciò tanto valeva tentare di discutere con l'altra parte in causa.
Sentì un rumore di passi lungo il corridoio e si disse che non poteva rischiare di farsi scoprire dai ragazzi mentre se ne andava in giro in quel modo.
«Sbrighiamoci.» incalzò.
«Sì, sì...»

Killer era seduto sul letto e quando lo vide trasalì.
Law lasciò che Ban lo portasse fino a una delle sedie sulla stanza e senza nemmeno guardare Killer vi si lasciò adagiare, stanco come non mai. Se fosse dipeso da lui sarebbe tornato immediatamente a letto e si sarebbe messo a dormire, ma ormai che era arrivato fin lì, tanto valeva che andasse fino in fondo.
Attese che Ban uscisse dalla stanza, raccomandandosi di chiamarlo per tornare indietro, e di non tentare nemmeno di mettersi in piedi da solo, e solo quando fu certo che la porta fosse ben chiusa alle sue spalle si decise a guardare Killer.
Stava guarendo, alla fine. Non aveva ancora un bell'aspetto, ma non era un problema suo. Non appena fosse stato in grado di camminare l'avrebbe lasciato da qualche parte, poi si sarebbe arrangiato. Era grande abbastanza da potersi cercare un medico che lo aiutasse.
«Hai ucciso Wire.» gli disse senza tanti giri di parole.
Killer sgranò gli occhi, ma rimase in silenzio. Gli rivolse solo uno sguardo assente.
«Spero che tu ti renda conto da solo della situazione.» continuò, ignorando la reazione dell'altro. «Comunque, giusto per essere chiaro, ti dirò come stanno le cose. Tu hai avvelenato la mia ciurma, hai cercato di uccidermi, hai ucciso Wire e per poco sei morto anche tu. Kidd ti sta cercando, è già venuto qui e per questa volta ti ho protetto, ma ti sia ben chiara una cosa: non ho dimenticato quello che hai fatto ai miei uomini.»
Ancora nessuna risposta. Gli sembrava che Killer quasi non respirasse, tanto era teso. Stava aspettando che se ne andasse per mettersi a piangere? Era probabile. Ma era soltanto un vigliacco, perché quando aveva preparato la morte dei suoi compagni sapeva quello che sarebbe successo, e ora che era accaduto aveva poco da dispiacersi. Avrebbe dovuto pensarci prima.
«In ogni caso, per ora non intendo ucciderti, anche se te lo meriteresti. Ringrazia Penguin, è lui che ha insistito perché ti risparmiassi.»
«Sei venuto a dirmi questo?» domandò allora Killer. La sua voce era priva di tono, roca e bassa come se fosse stato un morto a parlare.
«No. Sono venuto a chiederti cosa intendi fare adesso.»
Ancora silenzio. La pausa fu lunga, insostenibile. Law ebbe la forte tentazione di richiamare Ban e farsi aiutare ad andare via, ma sapeva che Killer avrebbe parlato.
Quello stupido... Perché aveva combinato tutto quel casino? Forse non si rendeva nemmeno conto dei guai in cui si era cacciato. Non che gli importasse, in realtà, ma ormai anche la ciurma era coinvolta, e a quel punto tanto valeva cercare di aiutare tutti e sperare che poi se ne ricordassero, una volta che fossero giunti alla resa dei conti.
Non poteva schierarsi da nessuna delle due parti, ma non poteva nemmeno averli contro tutti e due. Il rapporto con Kidd ormai forse era irrecuperabile, ma doveva rendere inoffensivo Killer. Avrebbe avuto tempo per rammaricarsi d'aver perso il proprio amante dopo, una volta che fosse stato solo. Quello non era il momento adatto.
«Non lo so.» disse alla fine Killer.
«Eustass-ya ti cercherà. Vuole ucciderti. Fuggirai? O lo affronterai?»
«Non lo so.» ribadì Killer.
«Sei un vigliacco.»
«Sì.»
«E un assassino.»
«Sì.»
«Hai ucciso un tuo compagno.»
«Sì.»
«Perché l'hai fatto?»
Killer tacque. Sembrò rifletterci, aprì la bocca per parlare e la richiuse subito dopo.
Law sbuffò, irritato. Cos'era che spingeva un uomo a uccidere un suo amico? Era questo che gli premeva sapere. Che cosa aveva pensato Killer quando aveva piazzato l'esplosivo?
Heat l'aveva spiegato bene a Shachi, quando l'aveva chiamato per chiedere, di nascosto da Kidd, come stesse Killer. L'uomo aveva sostituito il rum con dell'esplosivo, e quando Wire l'aveva tirato fuori dalla cambusa, era bastato aprire la bottiglia per causare la detonazione.
Le conseguenze erano note.
«Non lo so.»
«Non lo sai?»
«No, non lo so. Volevo uccidere Kidd, credo.»
«Avresti potuto colpire direttamente lui.»
«Lo so. Non so perché ho messo quella trappola.»
«Mi sembra che siano parecchie le cose che non sai.»
«Sì.»
«Quindi? Non hai niente da dire riguardo a ciò che hai fatto o ciò che intendi fare?»
«No.»
Trafalgar sospirò e una fitta lancinante gli traversò lo sterno, facendogli mancare il fiato.
Avevano ragione gli altri, sarebbe dovuto restare a letto. Solo che proprio non poteva, perché il momento per decidere che cosa fare era quello, mentre Kidd era lontano dal sottomarino. Non ci sarebbe voluto molto prima che riuscisse a tirarli su di nuovo e lui non poteva permettersi di farsi cogliere di nuovo impreparato.
«Allora lascia che ti dica qualcosa io.» soffiò quando la fitta passò. «Ascoltami bene, perché non lo ripeterò.» Prese fiato e continuò, tentando di ignorare la nausea e la debolezza che l'avevano invaso: «Per il momento non puoi lasciare il sottomarino, non sopravvivresti nemmeno mezza giornata, ma presto starai meglio. Voglio fare un patto con te.»
«Un patto?» La voce di Killer era ancora incredibilmente piatta, e Law ebbe il sospetto che non comprendesse fino in fondo le sue parole. Avrebbe dovuto dargli il tempo di riflettere sulla morte di Wire, e magari di sfogarsi, ma non c'era tempo.
«Sì. Le possibilità sono due: o muori o te ne vai. Per quanto mi riguarda sarebbe meglio se tu morissi, ma se fai quello che ti dico non ti ucciderò.»
Killer non rispose, si limitò a fissarlo. Ancora una volta, a Trafalgar sembrò che quello sguardo non significasse nulla. Lo guardava, ma lo vedeva davvero? Era probabile che non si rendesse nemmeno conto di ciò che stava accadendo.
«Voglio che tu te ne vada. Quando ti sarai ripreso, voglio che tu te ne vada e che non torni. Non metterti in contatto con nessuno. Con Penguin, soprattutto. Non tirarci di nuovo in mezzo, perché ti giuro che a costo di morire io ti ucciderò. Se la mia ciurma verrà coinvolta di nuovo vi faccio fuori tutti e due e non m'importa quello che accadrà a me.» prese fiato, ignorando il dolore che lo attraversava, piantandosi in lui come una lancia conficcata nello sterno. «Non cercare di metterti in contatto con Eustass-ya, non farti trovare. So che sai farlo. È l'unico modo che hai di sopravvivere.»
«Perché ti interessa così tanto salvarmi la vita?»
«Non mi interessa affatto. Lo faccio perché mi va di farlo.»
E per Penguin. Soprattutto per Penguin. Ma quelli non erano affari di Killer.
Eppure, l'uomo gli rivolse uno sguardo strano, poi mormorò, più a se stesso che a Law:
«Penguin è davvero fortunato ad avere un capitano del genere.»
«Eustass-ya...» sospirò Law «ti avrebbe perdonato per il braccio.»
«Non sarebbe comunque tornato come prima.»
Law annuì. Sì, sospettava una cosa del genere. Non aveva idea di cosa fosse accaduto tra quei due, ma aveva dei sospetti, e probabilmente era giusto che Killer fosse infuriato con Eustass. Se lo conosceva, sapeva che aveva combinato qualcosa di inappropriato, forse senza nemmeno accorgersene.
«No.» ammise con il fiato corto. Iniziava anche a girargli la testa. «Però ricordatelo, questo. Lui ti avrebbe perdonato, senza alcun dubbio.»
«Con questo cosa stai cercando di dirmi?»
«Non pensare che Eustass-ya sia un pessimo capitano solo perché non siete stati in grado di capirvi. La colpa è anche tua. Se mai ti verrà voglia di andarlo a cercare per ammazzarlo per quello che ti ha fatto, qualunque cosa sia, ricordati di questo: lui ti avrebbe perdonato anche se gli hai tagliato un braccio, anche se l'hai quasi ucciso.»
Aveva solo bisogno di sfogare la rabbia, Law ne era certo.
A Killer, Kidd avrebbe perdonato qualsiasi cosa. Forse anche la morte di Wire, perché Wire era uno dei suoi uomini ma Killer era il suo migliore amico, la persona di cui Eustass aveva più bisogno al mondo. Law lo sapeva.
Era solo una questione di tempo prima che Kidd si accorgesse di non potersi vendicare su Killer.
Eustass era capace di perdonarlo, di lasciarlo andare via senza fargli del male.
Era lui quello che non ne era capace. Era lui quello che voleva davvero vendetta.
Non aveva dimenticato ciò che Killer aveva fatto alla sua ciurma.
Ci stava provando, tutto qui, a lasciar perdere. Ma lui non era capace di perdonare.
Non lo era mai stato.



Il prossimo capitolo uscirà sabato, invece che domenica.
Grazie a tutti voi che avete letto!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Penguin aprì la porta dell'infermeria di botto, pronto a prendere Trafalgar e a fargli rimpiangere d'essersi alzato dal letto, ma Shachi lo precedette.
«Sei impazzito?» berciò guardando il capitano. «Se stai cercando di ucciderti, basta dirlo!»
Law si voltò lentamente verso di loro, in silenzio.
A Penguin mancò il fiato. Pallido come non l'aveva mai visto, con gli occhi opachi e le mani e le braccia che tremavano, tirò un breve sospiro e quel piccolo movimento sembrò costargli un dolore atroce.
«Perché sei venuto fin qui?» gli domandò avvicinandoglisi.
«Dovevo parlare con lui.» mormorò l'altro.
Penguin rimase in silenzio, teso, e nemmeno Shachi osò parlare. Che cosa diamine aveva voluto dirgli? Conoscendolo, probabilmente l'aveva minacciato, gli aveva dato un ultimatum, cose di quel genere. Non gli veniva in mente nessun altro motivo per cui Law avrebbe voluto parlare con Killer, e l'idea non gli piaceva.
«Devi tornare a letto, comunque.» disse Shachi. «Sei in condizioni pietose.»
«Era importante.»
«Sei un pazzo!» esclamò Penguin. «Non potevi aspettare?»
«No.»
«Adesso ti riportiamo a letto, e vedi di non provare più ad alzarti.»
«No, non posso.»
Penguin tentennò. Stava davvero cercando di uccidersi, quell'idiota? Quand'era stato che era diventato tanto irresponsabile?
«Perché no?» sospirò. Cercare di ragionare con Law era un'impresa impossibile. Tanto valeva assecondarlo, fintanto che fosse possibile, e poi portarlo di nuovo nella sua stanza con la forza, se necessario.
«Perché non mi ha risposto.»
«Non ti ha...?»
«Non mi ha risposto.» ripeté Law. «Gli ho fatto una proposta. Ma non mi ha detto se accetta o no.»
Penguin guardò Killer. Era stanco, sfibrato. Non occorreva impegnarsi molto per capirlo. I suoi occhi erano spenti, lo sguardo perso nel vuoto. Forse non si era nemmeno accorto di ciò che era accaduto fino a quel momento. Chissà se aveva sentito ciò che Law gli aveva detto.
Gli si strinse lo stomaco a vederlo così.
«Qualunque cosa tu gli abbia detto, dagli tempo di pensarci. E adesso torna a letto.» tentò. Killer non poteva ragionare, in quelle condizioni, e Law aveva bisogno di riposare.
«Non c'è tempo per pensarci.» Ma Law non stava già più parlando con lui. Si era voltato verso Killer, e attendeva.
Penguin sospirò, mentre Shachi si limitò a lanciargli un'occhiataccia, sperando solo che tutto quel casino si risolvesse in fretta. Anche perché c'era Kidd che sbraitava, incombendo sul loro sottomarino, appena qualche metro più su, in superficie.
Sarebbe stato molto pericoloso se li avesse tirati su un'altra volta. Law non era in grado di combattere – non era nemmeno in grado di restare in piedi – e loro non erano all'altezza di Kidd. L'obiettivo dell'altro capitano era Killer, ma non poteva permettergli di ucciderlo, anche se capiva le sue motivazioni. Lui stesso non riusciva a perdonare a Killer quell'atto di vigliaccheria, quella pugnalata alle spalle. Perché uccidere i propri compagni? Perché macchiarsi di una colpa simile? Non era da lui.
«Allora?» incalzò Law, lo sguardo stanco fisso su Killer.
L'altro rimase in silenzio.
«Capitano, lascialo in pace.» mormorò Penguin. Non poteva vedere Killer così. «Dagli tempo di pensarci.»
«Voglio una risposta adesso.»
«Adesso ti riportiamo a letto.» intervenne Shachi. «E poi, quando Killer ci darà una risposta, te lo veniamo a dire.»
«No, io...»
«Ascolta Shachi, capitano.» lo interruppe Penguin.
Ignorò l'occhiata furente che gli lanciò Law e insieme all'amico gli si avvicinò. Fecero finta di non sentire le sue proteste e le sue imprecazioni, insieme lo afferrarono sotto le braccia e lo costrinsero ad alzarsi, sostenendo tutto il suo peso, stando attenti a non farlo cadere e a non fargli fare movimenti troppo bruschi.
«Voglio una risposta.» ripeté ancora, cercando di divincolarsi, ma in quelle condizioni non aveva forza nemmeno per allentare la loro presa di poco. Penguin gli strinse di più il braccio e anche Shachi sembrò fare lo stesso, perché Law ringhiò qualcosa sul fargliela pagare e sul vendicarsi, e per tutta risposta Penguin, invece che prenderlo sul serio, gli soffiò in faccia.
«Sì, certo, capitano. Nelle condizioni in cui sei è già tanto se riesci a parlare, vorrei proprio vederti a farcela pagare. E adesso smettila di agitarti.»
Law non rispose, ma sembrò calmarsi. Penguin non aveva idea di cosa gli passasse per la testa e non era nemmeno certo di volerlo sapere, quello di cui era certo era che doveva capire cosa fosse successo tra Killer e il capitano e non poteva farlo se aveva Law e Shachi tra i piedi.
«Io devo fare delle cose.» disse. Aiutò Shachi a sostenere meglio il peso di Law, che ancora protestava, nonostante avesse smesso di dibattersi, e attese che i due uscissero lentamente dalla stanza.
Quando fu certo che si fossero allontanati sospirò, e passandosi una mano sulla fronte afferrò il cappello, lo tolse e lo gettò ai piedi del letto di Killer.
Ban era corso a chiamarli poco prima, spiegando loro che il capitano aveva insistito per essere portato nella stanza di Killer, e dato che tardava a finire forse era il caso che andassero a controllare.
Chissà cosa gli aveva detto. Comunque fosse, Penguin aveva l'impressione di essere arrivato tardi.
Killer sembrava essere in un mondo a parte, insensibile a ciò che accadeva accanto a lui.
«Non me l'hai detto.» disse, monocorde. Non ci voleva molto a capire di cosa stesse parlando.
«Di Wire?»
«Già.»
«Non lo sapevo nemmeno io. È stato Kidd a dircelo, prima. Abbiamo dovuto occuparci di Law, e quando sono venuto a parlarti dormivi, non ho voluto svegliarti.»
In realtà era rimasto ore a osservarlo, invece che andare ad aiutare nelle cure per Law, solo per trovare la forza di non odiarlo per ciò che aveva fatto. Non ci era riuscito.
«Avresti dovuto.»
«Forse sì, ma nelle condizioni in cui sei hai bisogno di dormire. E non volevo agitarti.»
Seguì un lungo silenzio. Dal momento che Killer non sembrava intenzionato a parlare di nuovo, proseguì:
«Che cosa ti ha detto Law?»
«Vuole fare un patto.»
«Sì, lo so. Ma che cosa vuole?»
«Non ho capito.»
«Non hai capito il patto?»
«Cosa gli importa. Non ho capito cosa gli importa.»
«Ah.» Penguin rimase per un po' in silenzio a riflettere. Killer si stava comportando in modo strano, ed era comprensibile, ma almeno parlava. Poco e con voce priva di intonazione, ma parlava. Questo significava che ascoltava e comprendeva. Il suo cervello non si era bloccato alla morte di Wire, se stava cercando di capire quello che accadeva.
Cercò di sentirsi sollevato a quel pensiero, ma non ci riuscì. Come poteva, sapendo ciò che Killer aveva fatto? Uccidere un compagno era la colpa più grave di cui ci si potesse macchiare, e non riusciva a perdonarlo. Capiva Kidd, che lo voleva morto. Lo capiva davvero.
«Cosa ti ha chiesto?» domandò di nuovo.
Stare accanto a Killer dopo quello che era successo era difficile. Sentiva la sua presenza come una minaccia, come una nube scura sopra al mare. Era una sensazione opprimente. Avrebbe voluto ucciderlo per ciò che aveva fatto. Come si poteva macchiarsi di una colpa simile?
Allo stesso tempo desiderava, però, abbracciarlo, dirgli che andava tutto bene, che gli voleva bene lo stesso, anche se si era comportato in quel modo assurdo. Avrebbe voluto dirgli che poteva contare su di lui, che le cose non sarebbero cambiate e lui sarebbe rimasto sempre al suo fianco. Però non ci riusciva. Avrebbe davvero voluto farcela, ma era impossibile. Desiderava solo andarsene, e smettere di guardare gli occhi chiari di Killer che lo fissavano, privi di espressione, e i suoi capelli biondo grano.
«Se vuoi andartene, vai.» replicò Killer.
Penguin ci mise diversi secondi a capire che cosa significassero quelle parole.
«Cosa?» fece.
«Se vuoi andartene, vai.»
«Che cosa stai dicendo?»
«Ti faccio schifo. Lo vedo.»
Avrebbe voluto dire che non era così, ma non era mai stato bravo a dire le bugie. Nemmeno il volto pallido di Killer poteva aiutarlo a mascherare quello che aveva dentro.
«Quello che hai fatto è schifoso.» rispose.
«Lo so.»
«Non riesco a capire come un uomo come te abbia potuto fare una cosa simile.»
«Non lo so.»
«Be',» esclamò Penguin facendo un passo in direzione del letto «questa non è una risposta. E non è nemmeno una giustificazione. Stai cercando di dirmi che sei impazzito, è questo? Sei impazzito e hai fatto le cose senza pensare, è andata così?»
Solo silenzio.
«Questo comportamento è vigliacco, e patetico.» proseguì Penguin. «E tu non sei né l'uno né l'altro. O almeno, credevo che non lo fossi. So cosa hai passato, so cosa ti ha fatto Kidd e capisco come ti senti. Davvero, lo capisco.»
«Non credo. Non capisci niente, tu. Proprio come tutti gli altri.»




E con questo, vi annuncio che io domani parto per il mare e quindi domenica prossima non ci sarà il capitolo.
Tornerò con il ventesimo capitolo domenica 19 agosto.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Penguin sgranò gli occhi a quelle parole, ferito come se Killer gli avesse piantato una lama nel petto.
Però non aveva il diritto di dirgli quelle cose, perché lui gli era sempre stato accanto, l'aveva sempre difeso e aveva fatto di tutto per permettergli di vivere, mettendosi contro il proprio capitano, rischiando di essere cacciato dalla ciurma per la propria risolutezza. E Killer, in risposta, sapeva solo dirgli che non lo capiva?
Killer, che era stato quello che aveva sbagliato per primo!
«È vero che non ho passato quello che hai passato tu.» gli disse. «Ma questo non significa che non capisca! E tu non hai nessun motivo per rinfacciarmi una cosa simile, e lo sai.»
Silenzio.
«Io ti sono sempre stato accanto! Ho sempre fatto di tutto per proteggerti, anche quando sarebbe stato molto più comodo lasciar perdere, e a quest'ora tu saresti morto in quella baracca in cui ti ho trovato!»
«Non ti ho chiesto io di venirmi a prendere.»
Penguin si avventò su di lui, lo afferrò per il collo della maglia e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
«Avrei dovuto lasciarti morire, allora?» gli urlò.
Killer se lo staccò di dosso, lo sguardo gelido, la voce atona.
«Sarebbe stato meglio.» disse.
Penguin respirò a fondo, lentamente. Concentrarsi sul proprio respiro e sul battito del proprio cuore per calmarsi, gliel'aveva insegnato Ban. Quando sei furioso, gli aveva detto, pensa al tuo respiro e al tuo cuore che batte. Funzionava, un po'. Sperava che fosse abbastanza da costringerlo a trattenersi e a non fare del male a Killer.
«E tutto quel discorso che mi hai fatto sull'aver sbagliato a cercare di uccidere Kidd, sull'essere pentito?»
«Non ho sbagliato. È stato Kidd a sbagliare.»
A Penguin ci volle qualche secondo per assimilare la risposta. Cos'era successo nella testa di quell'uomo da quando avevano parlato l'ultima volta? Perché era giunto a una conclusione simile?
E dire che era stato tanto terrorizzato all'idea di aver fatto del male alla propria ciurma! Era stata la consapevolezza d'aver ucciso Wire a fargli pensare quelle cose?
«Che cosa stai dicendo?»
«Non sono stato io a uccidere Wire. La colpa è di Kidd.»
«Ti rendi conto dell'assurdità di quello che stai dicendo?»
«È stato Kidd a uccidere Wire, la colpa è sua.» ripeté Killer, monocorde. Aveva quindi perso il senno? Gli sembrava assurdo ciò che stava succedendo. Era assurdo.
«Sei stato tu a piazzare l'esplosivo.»
«Se Kidd mi avesse lasciato in  pace quando gliel'ho chiesto, non l'avrei fatto.»
«Ma l'hai fatto tu! La colpa è tua, sei tu l'assassino!»
Killer gli rivolse un'occhiata truce e Penguin si disse che forse aveva esagerato, ma non poteva farci nulla. Quei tentativi di giustificarsi erano patetici. Killer poteva convincere solo se stesso con un'argomentazione del genere, e sembrava che ci stesse riuscendo benissimo. Se prima aveva avuto una speranza di credere che fosse in grado di ragionare lucidamente, si sbagliava. Forse Law aveva ragione a dire che la cosa migliore per tutti loro era interrompere le cure e lasciare che Killer morisse.
Gli mancò il fiato davanti a una possibilità del genere, ma forse non c'era davvero scelta. Killer era uscito di testa, e loro erano talmente a portata di mano... Con chi se la sarebbe presa questa volta? Con lui, che l'aveva accusato dell'omicidio di Wire? O forse con Law, perché colpire Law voleva dire colpire Kidd. Ci avrebbe provato di nuovo, Penguin ne era certo. Nessuno di loro era al sicuro con Killer nel sottomarino. Però adesso, dopo quello che era successo, tra Law e la ciurma e Killer non poteva più schierarsi dalla parte di Killer.
E non ce la faceva più a stare in quella stanza con lui.
«Trafalgar vuole una risposta.» si limitò a dire.
Killer lo guardò, spostò lo sguardo contro la parete e poi di nuovo su di lui.
«Digli che si faccia gli affari suoi.»

Quando entrò nella cabina di Trafalgar la trovò particolarmente affollata.
Accanto al letto su cui il capitano era seduto c'era Bepo, e davanti a lui Shachi, Ban e Umigame. Avevano espressioni cupe, furibonde. Il silenzio che regnava nella stanza era tanto carico di tensione che Penguin, a disagio, prese in considerazione l'idea di andarsene da lì all'istante. Non era proprio dell'umore adatto per affrontare altri problemi.
Gli altri uomini sembrarono non accorgersi nemmeno della sua presenza, anche se Bepo gli fece un piccolo cenno col capo per indicargli d'aver notato la sua presenza.
«Questa storia sta diventando intollerabile!» diceva Ban guardando fisso Law e gesticolando con foga. «Rischiamo di morire tutti quanti per un capriccio!»
«Ci stai mettendo tutti in pericolo per quei due pazzi.» rincarò Umigame.
«E anche tu per poco ci lasci la pelle.» aggiunse Shachi.
Law, in silenzio, ascoltava le parole della sua ciurma.
«Non intendo assolutamente assecondarti ancora, capitano.» disse Ban. «Io non sono un eroe, e non sono nemmeno come te, che non te ne frega niente di nulla. Io ho paura! Non voglio morire per quelli là!»
Umigame annuì a quelle parole, ma Law, ancora una volta, non rispose.
«Quello che stiamo cercando di dire, capitano» intervenne Shachi, con tono più pacato di quello del compagno «è che non vogliamo che qualcuno di noi muoia per colpa di un litigio in cui non c'entriamo niente.»
«No, non è questo.» lo corresse Ban. Penguin lo guardò e vide che tremava, e quelle parole sembravano costargli una fatica enorme. Non riuscì a non provare pena per lui. Ban era giovane, giovanissimo, e non era mai stato capace di comprendere il carattere chiuso e solitario del loro capitano. Lui, allegro e solare, lo seguiva perché lo ammirava e perché con loro stava bene, ma non riusciva ad accettare le decisioni di Law, che non faceva nulla per metterli al corrente delle situazioni e che più volte li aveva cacciati in problemi difficili da superare. Quella volta, però, aveva esagerato. Anche lui se ne rendeva conto. Ban non aveva i nervi abbastanza saldi per riuscire a mantenere la calma in una situazione del genere. «Io sto dicendo, capitano, che non ce la faccio più. Voglio andare via. Quando raggiungeremo la prossima isola... Per favore, lasciami andare via.»
Law sgranò gli occhi e si limitò a guardarlo, con un'espressione addolorata sul volto pallido.
«È una tua scelta.» disse.
«No!» esclamò l'altro, la voce vibrante di dolore «Io vorrei restare, però non ce la faccio. È questa la verità. Se resto, non sarei capace di obbedirti ancora. Ho troppa paura, e tu non dici niente a nessuno e fai le cose di testa tua. Non capisco cos'hai in mente, e dopo tutto quello che è successo non mi fido più. Adesso c'è nel sottomarino un uomo che sicuramente tenterà di ucciderci tutti, e in superficie c'è Kidd che aspetta per ammazzarci. Non voglio restare.»
Law sembrò riflettere qualche istante, poi, con voce pacata e un tono dolce, rassicurante, parlò.
«Questa storia finirà, Ban.»
«Sì, ma quando? E come? È questo che mi fa paura! Perché non lo capisci?»
«Lo capisco, invece.» Sollevò sui suoi uomini uno sguardo sfibrato, poi continuò, parlando lento: «Anch'io ho paura. Anch'io so quanto sono pericolosi Killer-ya e Eustass-ya, e so anche che in questo momento noi non siamo in grado di affrontarli. Nonostante questo, non ho nessuna intenzione di lasciare che voi finiate in mezzo un'altra volta.»
«Però se muori tu non t'importa.» disse Shachi.
Law rimase in silenzio.
«Invece a noi importa.» completò Umigame. «Vogliamo che cacci Killer dal sottomarino, e che tu la smetta di interessarti a questa faccenda. Vogliamo cambiare rotta.»
«Non...» tentò di dire Law, ma Umigame lo interruppe, parlando con voce calma e profonda.
«Questa volta non abbiamo più voglia di fidarci.» disse. «O ci dici cos'hai in mente e ci lasci decidere se ne vale la pena o no, oppure noi ci rifiutiamo di obbedire.»
Law sospirò e nel farlo il suo volto fu attraversato da una smorfia di dolore, ma fu questione di qualche istante.
«Quindi vi state ammutinando?»
«Sì.» confermò Umigame. «Più o meno. Non vogliamo usare la violenza, capitano, non vogliamo fare male a nessuno. L'ha detto anche Shachi prima, non vogliamo che qualcuno dei nostri muoia in modo così assurdo. Non lo faremmo, se la situazione fosse diversa.»
«Tu la pensi come loro?» chiese allora Law, voltandosi verso Bepo. L'orso annuì.
«Non me andrei nemmeno se cercassi di uccidermi, capitano, ma hanno ragione loro. Scusa.»
«E tu?» aggiunse guardando Shachi.
L'uomo si limitò ad annuire.
«Anche gli altri?»
«Sì.» confermò Umigame. «Penguin è l'unico che non ne sa niente, perché quando ne abbiamo parlato era con Killer e noi...»
Law si voltò verso di lui, in attesa, ma Penguin non sapeva che cosa dire. Non gli avevano detto nulla perché temevano la sua vicinanza con Killer?
Essere tenuto fuori da un piano del genere lo rendeva furioso, ma capiva le motivazioni dei propri compagni e, tutto sommato, le condivideva. Avevano il diritto di decidere e Law lo sapeva. Con quel suo comportamento assurdo, doveva aver saputo anche che un ammutinamento di quel genere sarebbe arrivato. Era solo fortunato che non erano dei pazzi sanguinari, e avevano deciso di parlargli piuttosto che usare la violenza.
«Sono d'accordo con loro.» ammise alla fine. «Lasciamo perdere questa storia.»
«Capitano...» intervenne Ban con voce sottile, tremante «Anche Hoeru vuole lasciare la ciurma.»
Hoeru, Ban. Il cuoco e il carpentiere se ne andavano. I due ragazzini della ciurma, più giovani anche di Law, avevano appena vent'anni e tanta allegria, che in una ciurma come la loro non bastava mai a compensare il carattere cupo di Law. All'idea che entrambi se ne sarebbero andati, Penguin dovette faticare per ricacciare giù il fastidioso nodo che gli si era formato in gola.
«Siete liberi di farlo.» disse Law con voce spenta. Si voltò di nuovo verso Penguin. «Che cosa ti ha detto?»
Killer, già. C'era anche quella questione in sospeso.
«Di farti gli affari tuoi.»
«Penso che voglia dire che ha rifiutato il patto?»
«Sì, credo di sì.»
Law prese un profondo respiro, guardò Penguin negli occhi e attese diversi secondi prima di parlare di nuovo.
«Gli ho detto che l'avrei ucciso se avesse rifiutato il patto.»
Penguin annuì. Era stanco, era talmente stanco... Killer non meritava la pietà di nessuno.
«Lo sospettavo.»
«Non hai obiezioni?»
«Non lo so nemmeno io, capitano. Mi dispiace, però penso che se la sia cercata. Se devi ammazzarlo, allora fallo.»
Law annuì.
«Tra pochi giorni dovremmo arrivare in un'isola.» disse. «Chi vuole andarsene potrà farlo. Adesso, per favore, lasciatemi solo. Voglio riposare. Spegnete la luce.»
Obbedirono. Bepo uscì per primo, seguito da Ban, Shachi e Umigame.
Penguin fu l'ultimo a lasciare la stanza e prima di chiudere la porta guardò un'altra volta il proprio capitano.
Non avrebbe potuto giurarlo, ma gli sembrò di scorgere il luccichio di una lacrima sul volto di Law.


Grazie di cuore a tutti quelli che hanno commentato lo scorso capitolo, le vostre bellissime recensioni mi hanno resa felicissima!
Scusate se non ho risposto singolarmente a ognuno di voi.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 La porta si aprì cigolando e Penguin seppe anche da prima di voltarsi che era Law.
«Come ti senti?» gli domandò senza neanche guardarlo.
«Sto bene.»
«Ti ostini ancora a mentire su queste cose?»
«Non c'è nient'altro da dire.»
«Come ti senti?» tentò ancora Penguin.
Law sbuffò.
«Ban e Hoeru lasceranno la ciurma. Eustass-ya vuole farmi la pelle. Tu mi hai dato il permesso di uccidere il tuo amante. Sto bene.»
«Non è più il mio amante.» Quelle parole avevano un suono strano. Era strano anche quel pensiero, in realtà, ma era molto più inconsistente delle parole. Non c'era bisogno di parlare di nuovo con Killer, era fin troppo ovvio che le cose tra loro erano finite e non c'era modo di tornare indietro.
«Quello che è.» tagliò corto Law.
La cabina che Penguin divideva con Shachi era poco illuminata, fresca. Penguin si era chiuso dentro quella mattina presto, e a nessuno era venuto in mente di disturbarlo. Ma Law, a quanto pareva, non aveva intenzione di lasciargli il tempo di riflettere. Gli si avvicinò e si sdraiò sul letto, accanto a lui. Incrociò le braccia dietro la testa a mo' di cuscino e chiuse gli occhi.
«Non potremo rimanere immersi ancora a lungo.» disse. «Non abbiamo quasi più niente da mangiare, e anche il carburante sta finendo.»
«Come facciamo? Se emergiamo, la ciurma di Kidd ci ucciderà.»
«Intanto stiamo cercando di allontanarci. Vuoi davvero che lo uccida?»
Killer. Allora era venuto a parlare di questo.
La verità era che Law sapeva quanto fosse difficile per lui. Non era uno stupido, e lo conosceva bene. E poi, a dispetto delle apparenze, sapeva essere comprensivo.
«Non lo so nemmeno io. Abbiamo litigato, non penso che ci rimanga molto da dirci.»
«È così grave?»
«Sì, te l'ho detto. Probabilmente non ci parleremo mai più.»
«Capisco quello che vuoi dire.»
Penguin annuì. Lui era nella stessa situazione, d'altra parte. Non aveva speranze di recuperare un rapporto civile con Kidd, figurarsi tornare a essere amanti. Che entrambi fossero ancora innamorati l'uno dell'altro non era nemmeno da discutere, era fin troppo ovvio. Il fatto era che in mezzo c'erano troppe cose, troppi rancori.
«Killer... Non so, è come se fosse impazzito. Non lo capisco più, ecco.»
«Ti ha detto che cosa è successo con Eustass-ya?»
«Sì.»
«Pensi che abbia ragione a essere così infuriato?»
«Sì, credo di sì. Questo però non gli dà il diritto di andare in giro a fare quello che ha fatto.»
Law sospirò e annuì con un gesto secco.
«A volte si fanno le cose senza motivo.» disse. «Quando non si riesce più a fare ordine nella propria testa. E Killer-ya... L'ho trovato molto confuso.»
«Può darsi. Io, comunque, non riesco a perdonarlo.»
«Lo so.»
Seguirono diversi istanti di silenzio e Penguin non riuscì a non chiedersi che cosa volesse ottenere Law parlando con lui. Perché non c'era solo la volontà di aiutarlo, nella sua voce. Non era raro che Law si chiudesse in una stanza con qualcuno della ciurma e parlasse con lui fino a tirargli fuori i problemi e ad aiutarlo a fare ordine tra i pensieri, ma in questo caso era diverso. Sembrava che nemmeno Law sapesse bene perché si trovava lì.
«Ban e Hoeru lasceranno la ciurma.» disse all'improvviso Law.
Penguin si prese qualche istante per riflettere prima di rispondere. D'altra parte, che cosa c'era da dire? I due sembravano piuttosto determinati ad andarsene, anche se sapeva bene che Ban aveva passato l'intera notte in lacrime a quell'idea. L'aveva sentito singhiozzare, attraverso le pareti sottili del sottomarino.
«Potrebbero ancora cambiare idea.» replicò lentamente. «Sono giovani, è normale che prendano le decisioni d'impulso.»
«Penso che ci abbiano riflettuto, invece.»
«Non è ancora detto, però.»
«Abbiamo bisogno di un altro meccanico, e di un nuovo cuoco.» La voce di Law si era improvvisamente fatta dura, fredda e Penguin sapeva che il suo capitano stava solo cercando di nascondere il proprio dolore, di chiuderlo dentro di sé e di andare avanti a testa alta, come faceva sempre.
«Aspetta a prendere queste decisioni, capitano. Forse resteranno.»
«Forse. Ma probabilmente no. Forse è meglio così.»
Quelle parole erano inaspettate anche per lui.
«Cosa vuoi dire?»
Law fece un respiro profondo, aprì gli occhi e fissò il soffitto.
«Niente di particolare. Stavo solo pensando che se se ne vanno è meglio.»
«Meglio per chi, Law?» sbottò Penguin sedendosi di scatto sul letto. «Per te? Per loro? Per la ciurma? Perché è meglio se i nostri compagni vogliono andarsene?»
Perché un uomo come lui diceva cose simili? Law non era un capitano allegro come poteva essere Cappello di Paglia, né aveva la sua irruenza, ma sicuramente aveva la medesima determinazione quando si trattava di aiutare i propri compagni. Penguin sapeva che Law non avrebbe mai fatto nulla di sensazionale come attaccare il Governo Mondiale o introdursi a Impel Down per loro, ma non significava nulla. Se Law avesse avuto anche solo la sensazione che uno di loro fosse stato in pericoloso, sarebbe corso in suo aiuto. A qualsiasi costo.
L'amore che provava nei loro confronti era sconfinato, la dedizione che metteva nel proteggerli infinita. Eppure, sembrava quasi sollevato nel sapere che due di loro preferivano andare via da lì invece che rimanere con lui.
«È meglio e basta.» tagliò corto Law per risposta. «Non me ne faccio nulla di gente che ha paura di tutto come loro due.»
Penguin rimase in silenzio. Avrebbe risposto se non avesse sentito la voce di Law incrinarsi, anche se solo per un istante; se non si fosse accorto che aveva chiuso di scatto gli occhi pur di non mostrare che erano lucidi di lacrime.
«Se vogliono andarsene, va bene.» concluse il capitano alzandosi dal letto. «Se hanno paura allora hanno sbagliato a imbarcarsi. Che scendano a terra, e se ne stiano in un posto sicuro. Se va bene a loro, non ho niente da dire.»
Si alzò e si avvicinò alla porta senza nemmeno voltarsi una volta verso Penguin, che si limitò a fissare la sua schiena, stupefatto.
Law aprì la porta e mosse un passo verso l'esterno.
«È una scelta loro.» disse.

Ban guardò gli occhi chiari di Hoeru e si passò le mani su entrambe le guance, ancora bagnate dalle lacrime.
«Ho troppa paura per restare.» disse con voce flebile «Ma ho anche paura ad andare via.»
Hoeru annuì.
«Il capitano» prese un profondo respiro per riuscire a controllare la voce che tremava «ha detto che se vogliamo andare è una scelta nostra, ma mi sento in colpa.»
Hoeru annuì di nuovo.
«Quando siamo andati via dalla sua cabina sembrava che stesse per mettersi a piangere.»
«È umano.»
«Lo so, ma è la prima volta che lo vedo così abbattuto! Non l'hai notato? Mangia poco, passa tutto il giorno a dormire...»
«Sta male.»
«Lo so, lo so. E se fosse costretto a combattere? Non ce la farebbe mai in quelle condizioni. Ecco, allora noi dovremmo dare una mano, e invece vogliamo andare via...»
«È pericoloso.»
«Restare o andare via?»
Hoeru scrollò le spalle e si limitò a fissarlo.
Forse intendeva dire entrambe le cose. Restare era pericoloso, ma anche andare via lo era.
«Che cosa pensi che farai quando saremo di nuovo a terra?»
«Sono un cuoco.»
Ban apprezzava Hoeru e sapeva che con le sue capacità culinarie sarebbe stato in grado di trovare presto un nuovo lavoro. Se non imparava a esprimersi in modo più umano, però, avrebbe avuto dei problemi. Anche se rideva sempre, sembrava essere incapace di mettere più di un paio di parole una di seguito all'altra. In quel momento, però, non c'era niente da ridere. Era solo difficile capire che cosa volesse dire.
Ban sospirò.
In quella nave, di problemi ce n'erano tanti. Tutti loro avevano tante cose da nascondere, tanti scheletri in tanti armadi. Nessuno faceva domande, lì. Ban non sapeva come fossero entrati i suoi compagni nella ciurma, quelli che erano arrivati prima di lui. Non sapeva com'era la vita di Jean Bart quando era schiavo e non sapeva nemmeno come avevano fatto a catturarlo. Non aveva idea di ciò che avessero fatto gli altri prima di diventare pirati. Tutto ciò di cui era certo era che avevano deciso di seguire Trafalgar, e anche lui aveva fatto lo stesso.
Aveva promesso a se stesso che l'avrebbe seguito e adesso lo abbandonava come il peggiore dei codardi, perché aveva paura.
«Mi sento un mostro.»
Hoeru rimase ancora in silenzio. Gli si avvicinò con il suo passo lento, cadenzato, e gli batté un paio di volte la mano sulla spalla, forse per fargli coraggio. Ban non aveva mai capito il suo amico fino in fondo, anche se erano cresciuti insieme. In ogni caso, sarebbe stato con lui ancora una volta, con i suoi silenzi e le sue risposte monosillabiche.
Ban sospirò. Aveva davvero troppa paura per restare. Era da vigliacchi, lo sapeva, ma non ci riusciva. Non ce la faceva più, si sentiva soffocare. Non riusciva a dormire, a mangiare. Forse era così che si sentiva Law? Ma lui non era come Law. Lui non era capace di mandare giù la paura e il dolore come faceva il capitano. Si limitava a lasciarsi sopraffare.
Bussarono alla porta e prima che uno dei due potesse parlare entrò Shachi.
«Siamo arrivati su un'isola.» disse. «Il capitano ha detto che se volete andarvene dovete prendere i bagagli e scendere, possibilmente in fretta.»
Ban annuì e Hoeru fece lo stesso.
In fretta, per non dare tempo a Kidd di raggiungerli e far del male alla ciurma di cui ormai non facevano più parte; per non dar tempo ai compagni di piangere, e di trasformare quell'addio in qualcosa di molto più doloroso; per non dar tempo a Law di costringerli a restare, né a loro di cambiare idea.
Salirono sul ponte e i loro compagni erano già lì, pronti a salutarli. Il capitano non c'era. Nessuno degli altri si mosse, molti restarono in silenzio. Shachi li abbracciò entrambi, con le lacrime agli occhi, ma non sembrò trovare voce per salutarli.
Fu Bepo il primo a parlare, a bassa voce, rivolgendosi solo a loro due.
«Il Capitano vi augura di stare bene.» mormorò. «Ha detto che se vorrete tornare, per voi ci sarà sempre posto qui.»
Ban annuì, incapace di rispondere, con un nodo in gola dannatamente pesante da mandare giù.
«Dov'è?» chiese Hoeru.
«Nella sua cabina. Dorme.»
Ban sospettava che fosse una menzogna, ma non lo disse. D'altra parte, la tuta di Bepo sembrava umida più o meno all'altezza della spalla, dove si sarebbe posato il volto di Law se si fosse messo a piangere stringendosi a lui. Era un particolare che aveva notato molte volte da quando era con la ciurma, e come lui tutti gli altri, ma tutti lo ignoravano allo stesso modo.
«Digli che...» tentò, ma le parole gli morirono in gola. Riuscì solo a produrre un sorriso triste. «No, non dirgli niente.» Law sapeva già quanto bene gli volesse. Sapeva che se avesse avuto bisogno di lui, avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Non c'era bisogno di farglielo riferire.
Scese camminando lento sulla passerella, con Hoeru che gli andava dietro.
Sentiva gli sguardi dei compagni su di sé, e davanti solo una spiaggia con poca vegetazione intorno e molte pietre. Da quel luogo si faticava a vedere il resto dell'isola, ma sembrava abitata.
«Oltre quelle piante c'è un sentiero.» gridò Penguin dal sottomarino. «Vi porterà in città.»
Quella voce, all'improvviso, sembrava talmente lontana...
«Andiamo.» disse Hoeru, monocorde. Lo superò e Ban si trovò a camminare dietro di lui, osservando la schiena magra coperta da una felpa leggera. Avevano entrambi conservato le loro tute con il simbolo degli Hearts, ma non avevano avuto il coraggio di indossarle mentre se ne andavano. O almeno, lui non ne aveva avuto il coraggio. Non sapeva cosa avesse spinto Hoeru a cambiarsi d'abito.
Superarono quella leggera vegetazione in pochi passi, e si trovarono ben presto davanti al sentiero.
Ban deglutì e Hoeru mosse istintivamente un passo all'indietro, portando la mano alla pistola.
A sbarrare loro la strada c'era Kidd.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Dei colpi secchi fin troppo simili a spari, urla e passi veloci sul ponte.
Qualcuno che correva.
Ancora colpi.
Law aprì gli occhi di scatto e si tirò a sedere. Doveva essersi addormentato dopo che Bepo se n'era andato, prima – anche se non aveva idea di quanto tempo fosse effettivamente passato – ma i rumori che aveva sentito erano senza dubbio reali, non poteva averli sognati.
Che cosa fossero, però, non avrebbe saputo dirlo.
Il silenzio durò meno di un istante, giusto il tempo per capire che c'era qualcosa che non andava. E poi, di nuovo, il rumore di qualcuno che correva, gente che gridava, colpi di pistola. Un combattimento.
Non fece nemmeno in tempo ad alzarsi dal letto, deciso ad andare a controllare cosa stesse accadendo, che la porta della cabina si aprì di scatto.
Heat e Peak entrarono decisi nella stanza, si avventarono su di lui. Law alzò un braccio per colpirli, evocare la room, non fu abbastanza veloce. Heat lo colpì alla testa con il gomito, il dolore gli fece mancare il fiato e annebbiare la vista; le orecchie sembravano rifiutarsi di sentire.
Tentò ancora di evocare la room, ma di nuovo fallì. I due uomini lo afferrarono malamente per le braccia, senza dire nulla, lo trascinarono fuori. Attraversarono i corridoi in fretta, con Heat e Peak che quasi lo trascinavano, stringendo forte le sue braccia, colpendolo se si dimenava.
Sentì passi veloci che andavano in un'altra direzione. Avrebbe saputo riconoscere quei passi in qualsiasi situazione e seppe con certezza che Kidd era lì, e stava andando da Killer.
Dov'era la sua ciurma? Che cosa stava succedendo?
Da fuori, il frastuono di un combattimento.
Senza nemmeno il fiato per lamentarsi, con le forze lo abbandonavano, socchiuse involontariamente gli occhi quando i due pirati di Kidd lo trascinarono all'aperto, alla luce del sole.
Vide il sangue, rosso; sangue a terra e sui vestiti dei suoi compagni, sangue sul volto di Shachi e sulle mani di Penguin, sangue sul pelo di Bepo, sangue sulla spiaggia, sangue sulle armi dei pirati di Kidd.
Sangue dappertutto e a lui il sangue non aveva mai fatto impressione, non gliene era mai importato. In quel momento, gli sembrava di vedere solo rosso. La testa prese a girargli e prima che potesse rendersene conto le gambe non lo ressero più. Heat e Peak, impreparati, lo lasciarono cadere a terra.
Law udì il ringhio prima ancora di vederlo. Riuscì a notare una zampa bianca fendere l'aria, vide il sangue – ancora – che schizzava nell'aria e Heat e Peak che cadevano a terra.
Bepo si chinò su di lui e lo prese tra le braccia, sollevandolo con la stessa facilità con cui lui avrebbe sollevato una bambola di pezza, lo allontanò dal sottomarino e lo fece sedere a terra.
«Respira, capitano.» gli disse con voce urgente.
Solo allora Law si rese conto di quanto fosse irregolare e affannato il proprio respiro. Tentò di regolarlo, ma non ci riuscì. Cosa diamine stava succedendo? Di chi era tutto quel sangue? I suoi uomini erano feriti? Dov'era Kidd? Doveva uccidere Kidd.
Attaccare il sottomarino, ordinare un massacro... Kidd era pericoloso. Doveva ucciderlo. Ma non ne aveva la forza. Non aveva la forza di fare niente.
«I ragazzi...» riuscì a gracchiare, ma Bepo sollevò una zampa per tranquillizzarlo.
«Stiamo bene. Ma tu devi restare in disparte. Io devo andare ad aiutare gli altri.»
Gli altri, già. Un urlo squarciò l'aria e Law seppe ancora prima di cercare chi avesse gridato che era uno dei suoi. Diversi metri davanti a loro, Umigame si accasciò a terra.
Uno degli uomini di Kidd si gettò su di lui, Shachi si mise in mezzo. Si sentì il rumore dello sparo e  l'altro pirata si allontanò, colpito dal proiettile di Shachi, che rimise in piedi Umigame facendosi carico del suo peso e aiutandolo ad allontanarsi, tenendo lontani gli uomini di Kidd a colpi d'arma da fuoco, a volte sparando e a volte usando la pistola come clava, colpendo con forza chiunque gli capitasse a tiro.
E poi, all'improvviso, l'aria parve gelarsi quando apparvero loro.
Kidd trascinò Killer fuori dal sottomarino, tenendolo per i capelli, con il volto insanguinato e le armi sguainate. Le lame di Killer grondavano sangue, lui faticava anche a reggersi in piedi. Quando Kidd fece per scagliarlo a terra riuscì a evitare di crollare, ma barcollò e tanto bastò a Kidd per colpirlo con forza, troppa, tanto che Law si chiese se il massacratore fosse sopravvissuto, se il suo cuore avesse retto a tanta violenza.
Perché se fosse morto, su chi avrebbe sfogato la rabbia Eustass? Bisognava che Kidd se la prendesse con Killer, o sarebbe stata la fine.
«Quando ho finito con lui» urlò Kidd guardando Law «tocca a te, bastardo! A te e a tutti i tuoi uomini!»
Law non riuscì a rispondere. I suoi uomini. Kidd ce l'aveva con i suoi uomini e lui, da capitano inutile quale era, non aveva nemmeno la forza di tentare di fermarlo.
Dal petto di Bepo nacque un ringhio basso e cavernoso, furioso come Trafalgar non l'aveva mai sentito, e i suoi occhi scuri, di solito tanto pacati, si fecero minacciosi.
«Se se la prende con me, va bene.» gli mormorò Law con il fiato corto, allungando una mano per sfiorargli la zampa. «Permettigli di attaccarmi, Bepo. Devi proteggere tutti gli altri.»
«Capitano...»
«Devi promettermi che proteggerai gli altri e ignorerai me.»
«Capitano, non posso.»
«Invece lo farai. Il mio dovere è proteggerli, e tu sei il mio vice. Se io non riesco ad adempiere ai miei doveri, lo devi fare tu.»
Bepo assunse un'espressione dura, sembrò riflettere e quando parlò Law capì che poteva anche fare a meno di sprecare fiato per cercare di convincerlo.
«Questa volta non posso obbedire ai tuoi ordini. Scusami. Proteggerò gli altri» promise «ma proteggerò anche te. Anche tu sei importante, Trafalgar.»
Non lo chiamava mai così davanti agli altri e Law seppe che questa volta era serio. Bepo pronunciava il suo nome solo nei momenti in cui erano soli e lui cercava conforto tra le sue zampe; quando piangeva affondando il volto sul suo petto. Lo chiamava così solo quando voleva fargli sentire che gli voleva bene, che gli era accanto.
Non sarebbe servito a niente discutere.
Rimase in silenzio e tornò a guarda la spiaggia rossa di sangue davanti a sé, con il cuore che martellava in gola e il respiro che non voleva saperne di regolarizzarsi.
Killer si stava riprendendo dal colpo appena ricevuto. Law lo vide stringere con più forza le lame, gettarsi su Kidd e ciò che seguì fu solo un movimento tanto rapido che non riuscì a capire bene che cosa fosse accaduto. Killer si avventò su Eustass, disse qualcosa che Law non sentì e Kidd lanciò un urlo terrificante, colmo di rabbia e, forse, di dolore.
Attaccò Killer di nuovo, lo colpì, e poi, prima che chiunque potesse rendersene conto, si gettò su Penguin.
Il rumore del proiettile riempì l'aria e Law scattò in piedi, senza curarsi delle proprie condizioni, mentre Bepo si lanciava in avanti, pronto ad aiutare l'amico.
Trafalgar, con il cuore in gola, non aveva il coraggio di guardare verso i due che combattevano. Killer, di nuovo in piedi, si apprestava a colpire Kidd alle spalle, ma cosa era successo a Penguin? Il proiettile da chi era partito? Kidd e Penguin erano tanto vicini che era impossibile capire di chi fosse il sangue che colava sulla sabbia.
Anche gli uomini di Kidd che stavano combattendo con la sua ciurma si fermarono. Per alcuni istanti regnò un silenzio stupefatto, carico di attesa. Gli occhi di tutti, puntati sui due, tentavano di comprendere cosa fosse accaduto. Persino Killer si era fermato.
Poi Law capì. Vide il braccio di Penguin tenere stretto a sé Kidd, e la sua espressione cupa sul volto. Lo vide abbassare la pistola con calma, sistemarla sotto alla cintura e afferrare Kidd anche con l'altra mano, mentre le gambe dell'altro capitano cedevano e il suo peso gravava su Penguin, che si chinò, facendolo stendere a terra, per poi rimettersi in piedi.
Law tornò a respirare.
Penguin stava bene, e Kidd era ferito. Ma Penguin non l'aveva ucciso, e, Law se ne rese conto in un istante, aveva fatto male.
Con un movimento rapido, troppo, Kidd sollevò la mano che ancora reggeva la pistola, gli occhi socchiusi, la puntò a caso e fece fuoco.
Si udì il rumore secco dello sparo, poi Bepo crollò a terra.

Law si mosse ignorando il dolore tra le scapole, il respiro affannato, il cuore che probabilmente non avrebbe retto e tutto ciò che gli stava intorno.
Non riuscì a capire cosa stesse accadendo, non era nemmeno certo di ciò che faceva. Sentiva d'avere in mano qualcosa e sapeva che era la nodachi, ma non aveva idea di come l'avesse recuperata. Non era rimasta nella cabina quando Heat e Peak l'avevano portato fuori?
Si mosse, avanzò, mosse un braccio in modo istintivo quando qualcuno gli si parò davanti ma non riuscì nemmeno a vedere chi fosse. Non capì cosa accadde dopo. Sentiva solo un fastidioso fischio alle orecchie, e tutto gli sembrava particolarmente sfuocato. Forse evocò la room, forse no. Sentì il suo corpo muoversi, ma non avrebbe saputo dire perché. La nodachi sporca di sangue, le sue mani che si stringevano attorno al collo di qualcuno. E la rabbia. La rabbia la sentiva, e lo accecava. Bepo era a terra, ferito, forse ucciso da uno scontro che non era il loro, e la colpa era solo di Kidd e Killer, perché loro non c'entravano nulla e quei due li avevano coinvolti, e adesso dovevano pagare.
Si riscosse solo quando qualcuno lo chiamò a gran voce, e abbassando lo sguardo si rese conto che era Kidd, e lui l'aveva raggiunto e con il piede lo teneva giù e gli puntava la punta della nodachi sul ventre. Osservandolo, vide la ferita che gli aveva lasciato Penguin. Aveva colpito il fianco, ma non bastava.
«Cosa vuoi fare adesso? Ammazzarmi?» ansimò Kidd.
«Hai colpito Bepo.» replicò Law, monocorde.
«Siete voi che vi siete messi in mezzo, non è colpa mia.»
Se Kidd aveva avuto una speranza di calmarlo, l'aveva perduta.
Tutto quello che avevano passato a causa di quei due era sufficiente a fargli perdere la testa. Quante volte la sua ciurma era stata in pericolo per quello che Kidd e Killer facevano? Quante volte erano stati tirati in mezzo? No, non poteva sopportarlo. Non poteva perdonarlo.
«Mi dispiace, Eustass-ya.» gracchiò. «Ti avevo detto che se avessi coinvolto i miei uomini non ve l'avrei perdonata.»
Affondò la lama nella carne.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***



«Adesso tocca a te.» gli disse soltanto.
Killer era, a conti fatti, fisicamente più forte di lui. In condizioni normali non sarebbe stato in grado nemmeno di fargli un graffio, a dover combattere a distanza ravvicinata, ma ora?
Killer era debole, ferito, ancora bruciante di febbre e Law, nonostante versasse in condizioni quasi peggiori, aveva dalla sua una rabbia che gli dava la forza di combattere.
Si gettò su di lui con la nodachi stretta in pugno, deciso a ucciderlo, e non gliene fregava nulla se così rischiava di uccidersi, se il cuore batteva forte, come impazzito, se il respiro gli veniva meno e le gambe tremavano.
Killer fermò il suo colpo con una delle sue lame e tremò sotto la violenza di quell'attacco, ma resistette e ricambiò con un pugno in pieno petto.
Law annaspò, ingoiò il dolore e la debolezza e mise tutta la forza che aveva nell'attacco successivo, ma Killer lo evitò e lui si trovò a barcollare in mezzo alla spiaggia, mentre l'altro uomo si allontanava.
Nessuno, nelle due ciurme, sembrava intenzionato a intervenire. Quelli che non erano impegnati a soccorrere Bepo e Kidd si limitavano a osservare, in attesa, paralizzati.
Law attaccò di nuovo, più rapido, più determinato. Killer barcollava, pallido, ferito dal precedente scontro con Kidd; debole. Fece un salto all'indietro e riuscì per un soffio a evitare la lama e a non cadere, ma Law fu più rapido.
Davanti a sé riuscì a riconoscere, pur con la vista annebbiata, la forma di un sasso. Evocò la room anche se sapeva che non avrebbe dovuto, e nel momento in cui Killer, scambiato con la piccola pietra, si trovò di fronte a lui lo colpì.
Sentì il sangue caldo dell'altro colargli sulla mano che reggeva la spada, un gemito strozzato e il peso di Killer che cadeva e lo trascinava giù.
Gli cadde sopra, o almeno così gli parve.
Udì una voce che chiamava «Capitano!» e tentò di rispondere, ma non ci riuscì.
Il rumore sordo del suo cuore che batteva troppo rapido gli riempiva le orecchie, non sentiva nulla.
Non vedeva più nulla.
Non di nuovo. Pensò.
Perse i sensi.

Quando si svegliò era nella sua cabina.
Shachi era nella stessa stanza, ma dormiva, seduto accanto al letto. Quanto tempo era passato dalla battaglia? Kidd e Killer erano morti?
E Bepo? Cos'era successo a Bepo? Dov'era? La sua ferita era grave? Si sarebbe salvato?
Law lanciò un'occhiata appannata alla flebo e ai macchinari a cui l'avevano attaccato, poi a Shachi. Era certo che dormisse di un sonno profondo, e se anche avesse fatto rumore non l'avrebbe svegliato.
Non era certo che le gambe l'avrebbero retto, ma non poteva restare lì. Doveva andare a vedere come stava Bepo, perché si rifiutava di riposare e cercare di riprendersi se il suo vice non poteva fare altrettanto.
Forse era già morto.
Scacciò quel pensiero, a fatica, in un angolo della propria mente. No, non era possibile. Bepo era un orso, ed era stato colpito da una sola pallottola. Uccidere un orso a colpi di pistola non è facile, Law lo sapeva bene, e Bepo era molto forte. Se la sarebbe senza dubbio cavata.
Si tolse la flebo, staccò i macchinari facendo attenzione a non fare rumore.
Si mise seduto sul letto e quel movimento gli costò una fatica e un dolore che non pensava che un essere umano potesse provare. Si trattenne dall'urlare, sapendo che non poteva assolutamente svegliare Shachi se voleva uscire da quella stanza, si passò una mano tra i capelli fradici di sudore e tentò di mettersi in piedi.
Non riuscì nemmeno a far forza sulle gambe che perdette l'equilibrio, preso da un violento capogiro e da fitte intense che gli traversarono tutto il corpo come pugnali. Ricadde sul materasso e si rannicchiò, stringendo le ginocchia al petto, sperando di riuscire, almeno, a cacciare il dolore. Quando gli sembrò di stare meglio si rimise seduto, a fatica, cercando di restare lucido e di non svenire.
Non poteva permettersi di restare lì senza sapere che cosa stava accadendo fuori dalla cabina.
Al secondo tentativo le gambe lo ressero, o almeno così sembrava. Decise che non poteva perdere tempo a fare cose stupide come cercare di regolarizzare il respiro, tanto comunque non ci sarebbe riuscito, perciò era meglio impiegare le forze per camminare, e uscire dalla cabina senza svegliare Shachi.
Riuscì a muovere qualche passo a costo di un dolore atroce che lo faceva annaspare, ma non gli importava. Doveva vedere Bepo, e i suoi uomini.
Shachi non sembrava ferito, ma chissà come stavano gli altri.
Chissà se Ban e Hoeru erano riusciti ad andarsene prima di essere coinvolti nella battaglia. Chissà se stavano bene.
Sentì lacrime di dolore e di tristezza che gli salivano agli occhi e le ricacciò, perché non era il momento di piangere, e si diresse barcollando verso l'infermeria.
Però, nonostante tutta la sua determinazione, la strada da fare era talmente lunga... Si appoggiò alla parete, tentando di sostenersi, premendo la fronte contro il metallo freddo sperando che lo aiutasse a restare lucido, ma non funzionò. Sentì il proprio corpo scivolare contro il muro ed era già pronto all'impatto con il pavimento che si rese conto che non stava cadendo.
«Sei un incosciente, capitano.» mormorò Penguin, sostenendolo.
Law si aspettava di essere rimproverato, ma gli bastò guardare l'uomo che l'aveva soccorso per rendersi conto che non era in vena di preoccuparsi per lui. Doveva essere successo per forza qualcosa.
«Bepo...» gracchiò, ma Penguin scosse la testa, aiutandolo a raddrizzarsi.
«Non è Bepo, capitano.»
«Non è...?» Significava dunque che era qualcun altro?
«Forse è meglio se non vedi.»
Quella frase fu più dolorosa di una pugnalata e Law seppe che era successo qualcosa di orribile.
«Che cosa è successo?»
«È meglio se ti siedi, capitano.»
No, non voleva sedersi. Voleva sapere che cosa era successo, voleva sapere che cosa non doveva vedere.
«Dimmelo subito.» Avrebbe voluto dare un tono minaccioso alla propria voce, ma tutto quello che riuscì a ottenere fu un rantolo patetico.
«Vieni.» sussurrò Penguin. Non aggiunse altro, gli cinse la vita con un braccio e sostenne praticamente tutto il suo peso, poi lo portò davanti a una porta.
Law inorridì e gli ci volle tutta la volontà per non vomitare. L'obitorio. Quella era la porta del loro obitorio. Accanto alla stanza degli esperimenti, dopo il bagno, alla fine del corridoio. Era l'obitorio e non c'era nessuna possibilità che si fosse sbagliato.
«Penguin...» riuscì a sussurrare, ma l'uomo non disse nulla.
Aprì la porta con una mano e con l'altra Law sentì che lo stringeva con più forza, come a dargli coraggio, poi, insieme, entrarono.
Riconobbe l'odore prima ancora di vedere.
Era il lezzo nauseabondo del corpo umano aperto in due, con il sangue che ristagnava negli intestini lacerati, gli organi immobili che non facevano più il loro lavoro. Era un odore a cui era abituato, quello in cui era immerso durante le sue giornate, chino sui cadaveri a fare esperimenti, a volte quando già il corpo cominciava a imputridire, e non gli aveva mai dato fastidio.
Ma in quel momento...
«Due...» sussurrò con la voce che si faceva roca. Sentì che la gola gli si chiudeva.
«Capitano, non dovresti guardare. Sono...»
Chi erano? Chi?
«Voglio vedere.»
Penguin rimase immobile, teso, per qualche istante. Poi annuì.
Lentamente, Law si lasciò aiutare a raggiungere i tavoli su cui erano adagiati i due cadaveri. Sentiva il proprio corpo che si faceva più pesante, e seppe che non era un'illusione nel momento in cui si rese conto che Penguin faceva più fatica a portarlo. Stava perdendo le forze senza nemmeno accorgersene, troppo impegnato a concentrarsi su quei due corpi.
Quando fu vicino al primo dei due morti rimase senza fiato.
Chi diavolo era, quello? A chi apparteneva quel volto sfigurato, ormai impossibile anche da riconoscere?
E poi la vide. La fascia tra i capelli, con le righe bianche e blu; gli parve di vedere il volto sorridente di quello che era stato il più giovane nella sua ciurma sovrapporsi alla massa sanguinolenta del volto di quel cadavere e senza nemmeno guardarlo seppe chi era l'altro.
«Ban.» mormorò. «Hoeru.»
Penguin annuì, pallido.
«Kidd li ha fermati quando sono andati via dalla spiaggia. Ha cercato di farsi dire dov'eravamo, dov'era Killer. Hanno cercato di fermarlo. Loro... Kidd... Lui è su un altro livello.»
Law rimase in silenzio.
Ban e Hoeru... Se n'erano appena andati. Erano andati via perché si sentivano in pericolo, e sulla loro strada avevano trovato Kidd. Sarebbero potuti vivere felici, se non l'avessero incontrato. Ban avrebbe trovato un lavoro e Hoeru sarebbe stato assunto in un ristorante, perché era davvero bravo. Sarebbero rimasti amici. Erano così giovani, e così allegri...
Lo stomaco gli si contrasse in uno spasmo doloroso, ma durò solo un istante.
«Dov'è Kidd?»
Penguin titubò a lungo prima di rispondere.
«L'abbiamo... portato qui. Anche Killer. Li stiamo curando. Le loro ferite... Erano gravi, ma non letali, e così...»
Law annuì.
All'improvviso ebbe la sensazione che qualcosa nel suo cervello si fosse rotto. Gli diede l'impressione di qualcuno che spegneva una candela in una stanza troppo buia, e l'unica fonte di luce spariva.
Si sentì stanco e si lasciò crollare a terra, troppo rapidamente perché Penguin potesse sostenere il suo peso. Si trovò sdraiato sul pavimento freddo dell'obitorio e quando Penguin gli afferrò le braccia per tirarlo di nuovo su lui le lasciò ricadere.
Si rannicchiò, sdraiato a terra, raccogliendo le ginocchia al petto. Decise che aveva sonno, e doveva dormire.
Non gli importava nient'altro.
«Lasciami riposare.» disse.
Chiuse gli occhi, e dopo poco s'era già addormentato.



Grazie a tutti per i bellissimi commenti. Scusate se non ho risposto a ognuno di voi.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Quando Shachi gli comunicò che Law non era più nell'obitorio, dove l'aveva lasciato, e che non era nemmeno nella sua cabina, Penguin non ebbe alcun dubbio che il capitano si fosse trascinato da Bepo.
Annuì alle parole dell'amico e gli rivolse un'occhiata triste.
«Erano appena andati via.» mormorò Shachi con voce rotta. «È così sbagliato! Perché adesso dobbiamo curare i loro assassini?»
«Perché non sappiamo quello che vuole fare Law. Se li avessimo lasciati morire... Deve decidere lui. Ed è l'unico modo per tenere buoni i pirati di Kidd, nel frattempo. Non possiamo combattere ancora contro di loro.»
Shachi si morse un labbro, chinò la testa e Penguin fece finta non vedere che aveva iniziato a piangere.
Ma quello che aveva detto era vero, e Shachi lo sapeva. Anche se Kidd e Killer erano gli assassini di Ban e Hoeru, erano anche la loro unica speranza di uscire vivi da quel disastro. I pirati di Kidd erano temibili, sanguinari, e loro erano feriti e demoralizzati.
Jean Bart era stato ferito, e non poteva combattere. Umigame aveva perso un occhio oltre, probabilmente, alla capacità di camminare. Dalla battaglia non aveva più detto una parola e nessuno era riuscito a smuoverlo da quel suo silenzio.
Ban e Hoeru, anche se avevano abbandonato la ciurma, erano morti. Ma poi, si poteva ancora dire che l'avessero lasciata, dato che erano morti per tentare di proteggerli? Sentì le lacrime che salivano agli occhi e le ricacciò, perché non poteva far vedere a Shachi, che già era disperato, quanto anche lui fosse addolorato.
Bepo rimaneva un'incognita. Allo stato delle cose, era impossibile dire se si sarebbe salvato.
Al momento, gli unici due che sapevano con certezza che se la sarebbero cavata erano Killer e Kidd.
«Vado da Law.» disse, e uscendo dalla stanza si limitò a stringere un po' la spalla di Shachi, che aveva preso a singhiozzare, per consolarlo. Non aveva davvero la forza per fare di più.

Aprì la porta dell'infermeria ed entrò con passo felpato.
Come aveva pensato, Law era lì. Era sdraiato accanto a Bepo, abbracciato all'orso, con gli occhi che fissavano solo il vuoto davanti a lui e una mano che solleticava il pelo bianco dell'animale, alla base dell'orecchio.
Penguin si sentì fuori luogo. Quella era una scena che non avrebbe dovuto vedere, e lo sapeva. Quella era un'intimità che a lui era preclusa, e non doveva entrarci in nessun modo.
Gli ci volle poco, però, per accorgersi che qualcosa che non andava. Le guance di Law erano bagnato da lacrime che scendevano dai suoi occhi, lucidi e vuoti, e lui non si mosse né lo guardò nemmeno quando Penguin si avvicinò al letto. E Bepo era troppo immobile.
«Capitano...» lo chiamò con voce rotta. Ma non poteva piangere, non poteva disperarsi. Ora che la ciurma cadeva a pezzi, lui aveva il dovere di essere forte.
Solo che c'era quel nodo in gola che non voleva saperne di andare giù, e se non bastavano Ban e Hoeru, ora...
«Capitano.» ripeté. Allungò cautamente una mano e sfiorò la fronte bollente di Law. «Capitano.»
«Che cosa faccio adesso?» soffiò Law. La sua voce, bassissima, uscì incrinata.
Penguin lo guardò mentre fermava il movimento della mano sul pelo di Bepo e tentava di mettersi seduto.
«Law, ci siamo noi. Ti aiuteremo.»
«Che cosa faccio adesso?» ripeté Law.
Penguin non rispose. Lanciò un'occhiata sofferente a Bepo, poi di nuovo a Law.
«Perché non ci hai chiamato? Forse potevamo fare qualcosa.»
«Non si poteva fare niente. Il proiettile ha quasi colpito il cuore.»
Penguin annuì e non riuscì a dire altro.
Ban, Hoeru. E poi Bepo.
Ora che anche Bepo era morto, e Law l'aveva visto morire ed era rimasto accanto al suo cadavere, cosa restava da fare? Non era certo che il capitano sarebbe stato in grado di superare quella situazione. Non piangeva più, e la sua voce era tornata quella fredda di sempre, ma Penguin si chiese cosa stesse succedendo nella sua mente, ora che anche Bepo, che era sempre stato il suo unico appiglio contro la follia, era morto.
Loro non erano in grado di sostenere il carattere terribile di Law. Non riuscivano a opporglisi come faceva Bepo, non riuscivano a costringerlo a combattere contro se stesso. Perché il problema di Law era sempre stato quello, e l'unico che poteva fare qualcosa contro il suo istinto autodistruttivo era stato Bepo. Nessuno di loro era capace di sostituire l'orso in quel compito.
«Killer-ya e Eustass-ya in che condizioni sono?» domandò Law con voce priva d'intonazione.
Penguin ci mise qualche istante a riprendersi dalla sorpresa che quella domanda gli aveva procurato. Perché all'improvviso gli interessavano quei due?
«Sono stabili.» replicò. «Tra i due, Kidd è più grave. Se la caveranno entrambi, comunque.»
«Questo lo vedremo.» ghignò Law.
Penguin rimase in silenzio. Quello era un comportamento normale per Law, ma in quella situazione non era ciò che si sarebbe aspettato da lui. Era vero che l'aveva trovato in lacrime – e chissà quanto aveva pianto prima che lui arrivasse – ma quella ripresa era stata anche troppo rapida.
Ebbe la certezza che il capitano avesse perso il senno e seppe che non era un buon segno. E poi, quel sorrisetto poteva significare solo una cosa.
Law aveva in mente qualcosa.
«Questa storia è durata abbastanza.» riprese Law. «E io mi sono stancato. Non posso più mettervi in pericolo in questo modo.»
Se non avesse saputo che le sue parole avrebbero fatto definitivamente crollare il capitano, Penguin avrebbe risposto che, con tre morti e metà della ciurma ferita, forse era tardi per pensarci.
Tenne quel pensiero per sé. Era certo che anche Law fosse arrivato alla medesima conclusione.
«Falli portare in laboratorio.» aggiunse Law.
«In laboratorio?»
«Sì. Tutti e tre.»
Penguin annuì, ma non riuscì a capire subito cosa il capitano stesse dicendo. Poi realizzò. I tre erano Ban, Hoeru e Bepo. E lui voleva farci degli esperimenti, o non avrebbe chiesto di farli portare in laboratorio.
«Ma...» tentò di protestare.
«Falli portare in laboratorio.» ripeté Law.
«Sono i nostri compagni!»
«Non mi interessa chi sono.»
«Capitano, non posso permetterti di fare una cosa del genere. Se lo scoprissero i ragazzi della ciurma...»
«Non mi interessa quello che pensate voi.» replicò Law. «Voglio che tu li faccia portare in laboratorio. Se qualcuno ha qualcosa in contrario, di' che venga a lamentarsi con me.»
Penguin si morse il labbro. Non poteva, non poteva davvero permettere che Law facesse esperimenti sui corpi dei loro compagni. Però, e lo sapeva bene, non poteva nemmeno impedirglielo. In quel momento Law ne aveva bisogno, e lui ne era consapevole. Quello era il suo modo per rapportarsi con la realtà. Analizzare i loro corpi lo avrebbe aiutato a superare il dolore, ma che ne sarebbe stato del dolore degli altri?
Sapevano tutti cosa faceva Law nel laboratorio, e a nessuno di loro importava. Erano loro che gli procuravano i cadaveri che desiderava, spesso uccidevano per farlo, indipendentemente da chi fosse la vittima. Law diceva di cos'aveva bisogno per il suo esperimento, e loro glielo procuravano.
Quello, però, era troppo. Nessuno avrebbe consegnato i corpi dei loro amici.
In condizioni normali sarebbe stato Bepo quello incaricato di farlo ragionare, ma Bepo era morto. Quindi, toccava a lui? Non l'aveva mai fatto, prima. Non sapeva cosa bisognasse dire a Law per convincerlo. In ogni caso, decise di tentare. Al massimo sarebbe stato ucciso, ma tanto cosa c'era da perdere?    
«Tu sei il capitano.» disse con voce pacata. «Non puoi farlo. Quelli sono i corpi dei tuoi uomini. Se ci fai degli esperimenti, gli altri ti odieranno.»
«Non mi interessa. Voglio analizzarli.» Lo sguardo di Law si fece duro.
«Be', questa volta non puoi. Trafalgar» tentò, con tono più condiscendente «cerca di pensarci. Sono tutti disperati per quello che è successo. Facciamo un funerale per loro e basta. Non puoi metterti ad aprire dei cadaveri che sono già irriconoscibili. La ciurma non reggerebbe.»
Seguì un lungo silenzio e Penguin si chiese se non avrebbe dovuto aggiungere qualcos'altro, ma non gli venne in mente nulla da dire. Attese che Law riflettesse e che rispondesse, ma quello non disse nulla. Gli rivolse uno sguardo gelido e si limitò a voltargli le spalle e a barcollare verso l'uscita.
«Almeno vai a riposare, capitano.» lo pregò con voce stanca.
Ci mancava solo che morisse anche lui, e a quel punto non ci sarebbe stato più niente da fare.
Law si fermò sulla porta.
«Voglio altri tre cadaveri da analizzare.» gli disse. «Portatemi chi vi pare. Ma ne voglio tre.»
«Sì, va bene.»
«C'è un'altra cosa, Penguin.»
«Sì?»
Law si voltò verso di lui. Lo guardò e Penguin non riuscì a leggere nulla nei suoi occhi chiari.
«Eustass-ya e Killer-ya... Buttateli in mare.»




Grazie a tutti per le bellssime recensioni, scusate se non vi ho risposto singolarmente.
Knouge99, mancano due capitoli alla fine della storia, anche se forse il secondo verrà tagliato in due perché troppo lungo.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Due degli uomini della ciurma di Law lo afferrarono sotto alle braccia senza troppi complimenti. Si mosse di scatto, tentando di liberarsi, ma era troppo debole.
Uno dei due lo guardò, serio, e Kidd non fece in tempo a fare né dire nulla, con la bocca impastata e il corpo pesante, che quello gli fece un'iniezione che, lo sapeva, non serviva a farlo sentire meglio.
Perché avessero deciso di curarlo nonostante ciò che aveva fatto, per lui era un mistero, ma quello di cui era certo era che quel trattamento di favore era finito.
Era riuscito a mettere le mani su Killer, però. Non l'aveva ucciso, ma non importava. Probabilmente l'aveva ammazzato Law dopo aver messo fuori gioco lui, quando era impazzito.
Solo che, a quanto pareva, il tempo dei giochi era finito.
Si rese conto che quella roba che gli avevano dato gli aveva fatto passare il dolore, ma anche la capacità di muoversi. Lo sollevarono dal letto e lui non poté fare nulla per liberarsi, non poté nemmeno parlare.
Riuscì a scorgere i volti dei due uomini che lo stavano portando fuori dalla cabina e vide che uno dei due era Penguin.
«Hai ucciso Bepo, sai?» gli disse con voce secca. «Trafalgar ha perso la testa. È un miracolo che non ti abbia ucciso con quel colpo, ma va bene così. Tanto, stai per morire. Spero solo che tu ti renda conto di quello che gli hai fatto. Puoi dire quello che ti pare, so bene che il mio capitano è importante per te. Mi chiedo se lo sia ancora, ecco. Per quello che ho capito di Law in questi anni, ti posso assicurare che non si riprenderà mai più. Capisci quello che ti dico? Non è solo che hai ucciso Bepo. Quello che sto cercando di farti capire è che, uccidendo Bepo, tu hai ucciso Trafalgar. Respira, si muove, ma è come se fosse morto. E l'assassino sei tu. Pensaci, mentre aspetti di morire. Che razza di uomo sei, se uccidi la persona che ami?»
Era la prima volta che Penguin gli rivolgeva la parola tanto a lungo, ma avrebbe preferito fosse stato zitto. Aveva ucciso l'orso... Sì, sapeva che cosa comportasse.
Sapeva quanto quell'animale era importante per Trafalgar, quanto avesse bisogno di lui. Trafalgar, senza Bepo, non era nulla. E lui aveva ucciso l'unica creatura vivente che fosse in grado di dare serenità al chirurgo.
Le parole di Penguin l'avrebbero irritato, in una situazione diversa. Ma ora, mentre quei due – l'aveva capito – lo portavano verso la murata del sottomarino per buttarlo nell'acqua, si sarebbe volentieri messo a piangere. Sarebbe voluto correre da Trafalgar, perché non era giusto che le cose tra loro finissero così.
Sarebbe voluto andare da Killer, per chiarire, per capire dove avesse sbagliato.
Adesso che sapeva che per lui era la fine, mentre l'acqua del mare si avvicinava sempre di più e lui non si poteva muovere, era pieno di rimorsi. Aveva sbagliato tutto con le due persone che aveva amato di più nella sua vita, ed era tardi anche solo per tentare di spiegare loro che quella cattiveria non era voluta.
Ma tanto, si disse mentre i due lo lasciavano andare e lui sprofondava nel mare, a che cosa sarebbe servito?

L'acqua lo avvolgeva, annebbiava i suoi sensi.
Gli mancava il fiato, ma quasi non se ne accorgeva. Quella era una sensazione che aveva dimenticato. Il mare lo tirava giù e lui stava per morire, ma stava bene. Quell'assenza di forza era assenza di tutto.
Le ferite si erano aperte, l'acqua intorno a lui si tingeva di rosso, ma non gli importava. Non provava dolore. Se a morire si provava quello, sperava di morire presto. Sperava che il potere che il mare aveva su di lui facesse effetto in fretta, e cancellasse anche i suoi ultimi pensieri. Voleva perdere tutti i propri ricordi. Smettere di pensare a Law, a Killer...
Sentì la gola stringersi. I volti dei due uomini gli traversarono la mente e fu doloroso, molto più di qualunque ferita. Quanto aveva sbagliato, nella sua vita! Fino a che punto era arrivato!
Avrebbe fatto qualunque cosa per tornare indietro. Ma era tardi per pensarci, ormai.
Glielo diceva sempre Trafalgar: alle cose bisognava pensarci prima.
Lui non ne era mai stato capace, e quello era il risultato. Ah, ma presto sarebbe finito tutto. Presto sarebbe morto, e lui non aspettava altro...
Si sentì all'improvviso trascinare verso l'alto. Sentì la pressione del mare che diminuiva e presto fu in superficie. Il suo corpo cercò istintivamente l'ossigeno, tirò un profondo respiro e riempì i polmoni in modo quasi doloroso.
Ma come c'era arrivato lassù? Com'era possibile? Il Frutto del Diavolo gli impediva di galleggiare.
Vide i capelli biondi e si rese conto che era Killer, era lui che l'aveva tirato su e che ora stava cercando, con le poche forze che gli rimanevano, di trascinarsi verso la spiaggia. Law li aveva fatti buttare in mare entrambi, dunque? Ma quanto lontani erano dalla riva? E quanto poteva resistere Killer, in quelle condizioni?
Era vero che era successo tanto tra di loro. Era vero che aveva desiderato uccidere Killer con tutte le sue forze. Ma solo poco prima si era pentito, e allora doveva comportarsi di conseguenza.
«Lasciami andare.» riuscì a dire. Si sentiva la bocca intorpidita e non era certo che le sue parole fossero state comprensibili, ma almeno qualche suono era uscito.
«Sta' zitto.» ansimò Killer continuando a nuotare.
«Mollami. Che cazzo stai facendo? Ho cercato di ucciderti.»
«Anch'io.» Dei respiri affannati, ancora qualche metro percorso con immensa fatica e «Dobbiamo parlare.»
«Non arriverai mai alla spiaggia portando anche me. Lasciami qui.»
«Sta' zitto.» ripeté Killer in un ansito. «Fammi un favore e sta' zitto. Sei capace solo di dire cazzate.»
Kidd tacque. Killer lo stava trascinando con sé, lasciando nell'acqua una scia di sangue. Di chi fosse, Kidd non avrebbe saputo dirlo. Probabilmente di entrambi.
Non sapeva quantificare il tempo che ci stavano mettendo a raggiungere la terra, ma iniziava ad avere freddo. Oltre all'acqua, anche la perdita di sangue stava iniziando a far sentire i suoi effetti. La ferita aveva ricominciato a fare male. Ma doveva sopportare in silenzio, si disse. Chissà che sforzo stava facendo Killer trasportando entrambi nelle condizioni in cui era.
Chissà quanto soffriva.
Chissà quanto aveva sofferto, fino a quel momento.

Killer perse i sensi nel momento esatto in cui finì di trascinarsi a riva.
Kidd crollò sopra di lui e gli ci volle diverso tempo per capire che lo stava soffocando, e che l'avrebbe ucciso se non si fosse tolto subito da lui. Fece del proprio meglio per rotolare su un fianco e riuscì a spostarsi sul terreno.
Chiuse gli occhi e si accorse che riusciva a muoversi un pochino. Forse l'effetto del farmaco stava svanendo, o forse aveva perso talmente tanto sangue che anche quel medicinale era uscito dal suo corpo. Non ne aveva idea e non gli interessava. Quello che era importante era, innanzitutto, vedere se poteva fare qualcosa per fermare il sangue, e poi controllare in che condizioni fosse Killer.
Lui l'aveva salvato. Aveva detto che dovevano parlare e aveva ragione, perciò intendeva fare del suo meglio per riuscirci.
Si fasciò come meglio riuscì, tenendo un lembo della stoffa che aveva strappato dai propri vestiti con i denti, e quando ci riuscì era sfinito e sudato.
«Dannazione, Killer.» brontolò. «La prossima volta evita di tagliarmi le braccia. Mi servono.»
Si chinò sul suo vice e con il braccio fece forza, per quanto possibile, per voltarlo.
Crollando supino sulla spiaggia, il volto sfigurato di Killer si era riempito di sabbia. Kidd lo guardò, indeciso, e alla fine gli passò un dito sulle labbra per farla cadere, per evitare che la ingoiasse; gli ripulì le guance, la fronte e le palpebre chiuse, guardando per la prima volta per davvero le cicatrici che solcavano il viso dell'altro uomo.
Studiò a lungo le bruciature, i tagli profondi. Alcuni erano deformati e Kidd si rese conto che era perché glieli avevano procurati da bambino, e crescendo erano cambiati.
Quanto aveva sofferto, Killer, a causa di quegli uomini? Aveva pregato di morire, mentre lo torturavano? E che cosa aveva pensato quando l'aveva visto per la prima volta? Aveva pensato che anche lui gli avrebbe fatto del male? Cosa gli era passato per la testa in tutti quegli anni?
Si chinò su di lui e ascoltò attentamente il suo respiro affannoso. Poggiò l'orecchio sul suo petto e sentì il cuore che batteva velocissimo, come impazzito.
Gli sollevò la maglia, vide la ferita che gli aveva procurato Law e vide che era stata medicata con cura, come se non fosse successo nulla, come se nessuno dei due avesse causato tutti quei guai.
Era stato bendato, e anche se le fasce erano sporche di sangue Kidd si disse che non era il caso di mettere le mani su una medicazione del genere. Avrebbero trovato un dottore, se fossero riusciti a sopravvivere abbastanza tempo per farlo.
Ma dovevano sopravvivere abbastanza. Dovevano.
Si alzò in piedi a fatica, cercò di caricarsi Killer sulle spalle e ci riuscì, anche se dopo molti tentativi. Gli girava la testa, e il peso di Killer gravava su di lui, minacciando in ogni momento di farlo crollare a terra.
Ma non sarebbe crollato.
Avrebbe salvato Killer, non importava come.



Grazie a tutti per i meravigliosi commenti che mi avete lasciato.
Scusate se non ho risposto singolarmente a ognuno di voi.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 Killer aprì piano gli occhi e Kidd sospirò di sollievo.
Il medico li aveva lasciati soli nella stanza in cui aveva messo a riposare Killer, aveva detto che sarebbe andato a comprare delle medicine adeguate e se n'era andato.
Era un vecchietto arzillo, che non appena aveva visto Kidd che si trascinava in strada, sanguinando e cercando aiuto per Killer, era corso nella sua direzione e l'aveva spronato a seguirlo. Aveva medicato le ferite di entrambi, aveva messo a loro disposizione una parte della casa e poi se n'era andato.
Al pagamento penseremo quando il tuo amico starà meglio, gli aveva detto.
Il suo amico. Il suo migliore amico, l'unico che potesse davvero considerare tale. La persona a cui voleva più bene a questo mondo, la persona che più amava, perché l'amicizia è amore e lui non se n'era mai accorto; la persona che più l'aveva fatto soffrire e quella che lui stesso aveva fatto soffrire tanto, tantissimo.
«Killer.» lo chiamò.
L'altro si voltò verso di lui, fissandolo per un po' con gli occhi azzurri annebbiati, colmi di sonno, di debolezza.
«Kidd?»
«E chi altri, se no?» Kidd sentì che la voce gli tremava di sollievo, perché Killer si era svegliato, e sarebbe stato meglio. Anche se le cose tra loro non sarebbero mai più tornate come prima, mai più.
Ma Killer si sarebbe salvato. Era questa la cosa importante.
«Pensavo... che mi avresti... lasciato lì.» soffiò Killer, sofferente, prendendo fiato tra una parola e l'altra.
«Se fosse successo due giorni fa l'avrei fatto.» confessò Kidd.
«Ti devo... parlare.»
«Sì. Anch'io.» Guardò gli strani macchinari a cui il medico aveva attaccato Killer e per un secondo gli sembrò di essere di nuovo sul sottomarino di Law. Passò subito, ma il pensiero di quell'uomo gli fece stringere lo stomaco. Law... Cos'aveva fatto?
L'hai ucciso. Così aveva detto Penguin. Era vero, lo sapeva, perché uccidere l'orso e uccidere Law era la stessa cosa, e lui aveva ammazzato l'orso. Non avrebbe mai pagato abbastanza per quella colpa. Non c'era nulla da pagare, in fondo. Aveva sbagliato. Aveva fatto il male più grande a una persona che amava, e anche se si fosse ucciso non avrebbe cambiato le cose.
«Ho sentito quello che... ti ha detto Penguin.» mormorò Killer. «Quando ci hanno... buttati... in mare.»
«Sì. Già. Ho ucciso Bepo. Law... È uscito di testa.»
Ma era comprensibile. Anche lui sarebbe uscito di testa se gli fosse accaduta una cosa simile.
«Non stavo nemmeno mirando a lui.»
«E a chi, allora?»
«A te.»
Kidd aveva puntato Killer, quando aveva sollevato la pistola. E l'avrebbe colpito, se la sua mano non si fosse rifiutata di collaborare all'ultimo momento, se non si fosse spostata da sola, colpendo l'orso invece di Killer.
Killer rimase in silenzio.
Kidd lo guardò. Se dovevano parlare, allora tanto valeva iniziare. C'era una cosa che gli premeva sapere.
«Qual è il tuo vero nome?»
Killer lo guardò, fece una smorfia di disappunto e spostò lo sguardo sul soffitto.
«Perché... lo vuoi sapere?»
«Perché non lo conosco. Perché non vuoi dirmelo?»
Seguì un silenzio lungo, teso. Kidd avrebbe voluto insistere, ma decise di non farlo. Era il suo atteggiamento ad aver allontanato Killer la prima volta. Doveva essere più paziente, lasciandogli i suoi tempi e i suoi spazi.
«Quegli uomini... mi chiamavano così. Non so se il nome me l'abbiano dato loro, non me lo ricordo. Non volevo più sentirlo pronunciare. Ecco perché non te l'ho detto. Volevo dimenticare.»
«Se è così, se non vuoi dirmelo va bene lo stesso.»
Forse capiva quello che Killer stava dicendo, quel suo desiderio di proteggersi. Poteva davvero prendersela per una scelta simile?
Guardò Killer e vide che stava riflettendo. Non era abituato a guardarlo in faccia, tra loro c'era sempre stata la barriera creata dal casco. Con quelle cicatrici e quegli occhi malinconici gli sembrava spaventosamente indifeso.
«No, va bene, te lo dico.» decise Killer alla fine. «Ma mi devi giurare che non lo dirai a nessuno. Anche se... probabilmente non vedrò più nessuno degli altri.»
Kidd non rispose. Si limitò ad annuire, cercando di non pensare a quello che Killer gli aveva appena detto.
«Aki.»
Aki. Autunno. Se la situazione fosse stata diversa, Kidd si sarebbe messo a ridere. Poteva esistere un nome più adatto a uno con il carattere ombroso e mutevole di Killer? A volte freddo, a volte caldo.
«Quando ti ho visto per la prima volta...» mormorò Killer, la voce stanca «Ho avuto paura. Pensavo che saresti stato come loro.»
«Anche se li avevo uccisi?»
«Non era la prima volta che capitava.» Un sospiro pesante, sofferente; la voce gli si incrinò e Kidd dovette fare del suo meglio per resistere all'impulso, mai provato prima, di stringergli la mano per fargli coraggio. Ma forse stringere la mano di Killer sarebbe stato un modo per far coraggio a se stesso, era quella la verità. «Si uccidevano tra di loro, ne arrivavano altri... È stato così per tanto tempo. Poi mi hai portato via, e io non capivo perché ti prendessi tanto cura di me. Nemmeno adesso capisco perché l'hai fatto.»
Kidd capì che Killer voleva una spiegazione, ma non era ben chiaro nemmeno a lui.
«Perché eri forte.» si limitò a rispondere. Davanti all'occhiata interrogativa dell'altro, proseguì: «Eri in condizioni pietose. Ed eri ridotto a poco più di uno scheletro, pieno di ferite... Eppure hai ucciso uno di loro, a mani nude. E stavi sopravvivendo a quelle torture. Ho pensato che non avrei mai trovato nessuno forte come te.»
«Devo essere stata... una bella delusione.»
«Idiota.» lo rimbrottò Kidd. «Non mi aspettavo niente. Mi sembravi forte e ti ho portato via, non me ne fregava niente di nient'altro. Non ho mai pensato che ti avrei cacciato se non fossi stato forte come mi aspettavo.»
Killer rimase in silenzio.
«Ma a quanto pare io e te non riusciamo a capirci, perché tu pensavi che l'avrei fatto, vero?» concluse allora Kidd.
Ancora silenzio.
«Se non volevi che ti toccassi, perché non me l'hai detto?» chiese allora.
«Ma te l'ho detto! È per questo che sono infuriato!»
«No, intendevo prima. Quella sera ero ubriaco, non capivo un cazzo e lo sai. Ma non mi avevi mai respinto, prima.»
Killer sospirò ancora, guardò altrove. Ancora tacque.
«Pensavi che me la sarei presa?»
Killer inspirò.
«Ti devo tutto.» disse soltanto.
Kidd si sentì gelare a quelle parole.
«Vuol dire che l'hai sempre fatto per sdebitarti?»
Killer non rispose, ma il suo silenzio era più che sufficiente.
«Non avresti dovuto! Io non volevo nulla da te!» Si passò l'unica mano che gli era rimasta sul volto. Era stata tutta una menzogna, quella loro amicizia. Lui considerava Killer il suo migliore amico, Killer lo considerava un creditore e il suo obiettivo era stato quello di sdebitarsi. Niente di più. Che valore poteva avere un rapporto del genere?
Saltò in piedi e prese ad aggirarsi per la stanza, indeciso se essere furibondo o deluso. O entrambe le cose, magari. Come aveva fatto a non accorgersene? Perché era stato tanto cieco?
«Non hai mai capito niente di me.» gli disse. «Io ti consideravo... Ti considero mio amico.»
Killer chinò il capo.
«Non serve a un cazzo parlare se tu non dici niente!» lo aggredì Kidd. «È per questo che siamo arrivati a cercare di ammazzarci a vicenda! Perché non parli!»
Lui non si era mai accorto dei problemi di Killer, era vero ed era colpa sua. Ma se l'altro avesse parlato... Non sarebbero arrivati a quel punto.
«Non so cosa dire.» rispose Killer.
«Di' la verità! È solo che ti senti debitore? Solo questo? Non mi hai considerato tuo amico?»
«Non è così.» Killer sollevò lo sguardo su di lui, poi lo scostò. «Ti considero un amico, il migliore che abbia. Però non è solo questo. Non ci riesco, anche se ci ho provato. Per me resterai sempre quello che mi ha portato via da lì.»
Inspirò a fondo, incapace di pensare. Decise che forse cambiare argomento poteva essere un aiuto per calmarsi, almeno un po'.
«Hai risolto le cose con Penguin? So che avete litigato.» Aveva sentito Law e Penguin che ne parlavano, quando ancora Trafalgar non lo odiava. Pensare a lui faceva male, tantissimo.
Gli occhi di Killer si fecero lucidi ed ebbe il terrore che si sarebbe messo a piangere. Ma non pianse.
«Mi ha rivolto la parola solo quando mi ha buttato in mare. Ha detto...» inspirò e il suo fiato tremò. Kidd, istintivamente, allungò la mano e prima di afferrare quella dell'altro la posò sul materasso, poco distante dall'amico. «Ha detto che andranno via, per un po'. Vogliono tornare nel Mare Settentrionale, almeno finché non capiranno cosa fare con Law.»
Kidd annuì e non disse nulla. E come poteva, d'altra parte? Era stato lui a far impazzire Law. Una parte di lui si disse che si sarebbe ripreso, perché Law era forte. Ma l'altra era perfettamente consapevole che invece non ci sarebbe stato niente in grado di far rinsavire il chirurgo. Sapeva bene che non sarebbe sopravvissuto a lungo, dopo ciò che aveva fatto alla sua ciurma. Sapeva bene che non l'avrebbe mai più rivisto, e quell'idea era insopportabile tanto quanto il pensiero che la colpa era solo sua.
Killer sospirò.
«Anch'io me ne andrò per un po'.» mormorò.
Kidd si voltò a guardarlo. Sì, si aspettava una cosa del genere. E d'altra parte, non voleva nemmeno che tornasse nella ciurma, non dopo tutto quello che era successo.
«Non posso chiederti di tornare.»
«Lo so.» Killer guardò altrove. «Dopo quello che ho fatto...» Gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma ancora una volta non pianse «Wire è sempre stato tanto buono con me.» sussurrò con voce rotta.
Kidd non seppe cosa dire.
Avrebbe voluto consolarlo, almeno un po', ma come poteva? Era vero che aveva ucciso Wire, anche se l'aveva fatto nel tentativo di uccidere lui.
«Sarei dovuto saltare in aria io, insieme a quella bottiglia.» disse alla fine.
Se fosse morto allora, tanti problemi si sarebbero evitati.
«No!» soffiò Killer. «No, no. Non avrei dovuto piazzare quell'esplosivo, e basta. Ma è tardi per pentirsi.»
«Sì.» annuì Kidd. Era tardi, e non solo per Killer. Anche lui aveva tante cose di cui pentirsi.
«Dovresti andare.» disse alla fine Killer, dopo diversi istanti di silenzio. «Gli altri ti staranno cercando.»
Kidd inspirò profondamente. Killer aveva ragione. Non restava più nulla da dire, ormai. Non c'era più modo per risanare quella situazione. Alla fine, quello era solo un modo per dirsi che non avrebbero più cercato di uccidersi a vicenda. Si alzò dalla sedia in cui era rimasto accoccolato da quando il vecchio li aveva portati in casa sua e rivolse un ultimo sguardo all'amico.
«Sulla nave non c'è più posto per te.» disse.
Killer annuì, lo sguardo addolorato come non l'aveva mai visto.
«Però se hai bisogno di me chiamami.» concluse Kidd. «Io... correrò ad aiutarti.»
Killer annuì un'altra volta, ma non disse niente.
Kidd uscì dalla stanza. Lanciò sul tavolo tutte le monete che si era trovato in tasca, come compenso per il vecchio; uscì dalla casa e richiuse la porta alle spalle.
Era stato così difficile, si disse, che gli sembrava quasi impossibile che andarsene fosse tanto semplice. Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo, ma chi? Sapeva fin dall'inizio che le cose sarebbero andate così.
A quel punto, Killer non faceva più parte della sua ciurma.

Vide che c'era scompiglio al porto, e si diresse lì istintivamente, in cerca di qualcosa con cui distrarsi. Magari era una ciurma sconosciuta, con cui avrebbe potuto sfogare la rabbia e il dolore.
Invece, quando arrivò, si rese conto che non era così fortunato da aver tregua nemmeno per un secondo.
I suoi uomini avevano intercettato il sottomarino di Law che aveva attraccato, forse per fare rifornimento, e sembravano essere del tutto intenzionati a farli colare a picco.
Si avvicinò alle due ciurme camminando lento, attirando a sé le armi con il suo potere. Si voltarono tutti verso di lui.
La sua ciurma sembrò rilassarsi nel vederlo vivo, non proprio incolume ma almeno in grado di camminare; gli uomini di Law si irrigidirono e sembrarono prepararsi  a combattere.
«Lasciateli stare.» ordinò alla propria ciurma.
I contendenti di entrambe le parti sgranarono gli occhi, stupefatti.
«Capitano, questi ti hanno buttato in mare! Volevano ucciderti!» protestò Heat.
«Non basterà a farti perdonare, Kidd.» lo apostrofò invece Penguin con tono duro.
«Non mi aspetto di essere perdonato.» replicò Kidd. Gli si avvicinò, e quando gli fu abbastanza vicino da parlargli senza dover urlare si fermò. «Come sta Trafalgar?»
«Con che coraggio chiedi una cosa del genere?» lo aggredì Shachi.
Kidd lo guardò. Era pallido, sfatto; sfinito come se non avesse dormito per giorni, come se non stesse mangiando. Si chiese se fosse lui quello che si stava prendendo cura di Law. Doveva essere sfiancante, adesso.
«È tutta colpa tua!» urlò ancora.
Penguin lo zittì con un cenno della mano. Era lui che comandava, adesso?
«Se gli avessi sparato in testa avresti fatto meno danni.» commentò. «È distrutto. Per il momento non riusciamo nemmeno a farlo mangiare, e non parla più. Forse sopravvivrà, forse no. Visto come sono le cose, forse è meglio di no.»
Annuì. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non c'era niente da dire. Non aveva nemmeno la forza di sentirsi in colpa. Si sentiva solo vuoto dentro, e basta. Killer, Law. Le due persone a cui più teneva al mondo. Le aveva ferite, allontanate. Non riusciva nemmeno a sentirsi un mostro.
Si voltò verso i suoi uomini.
«Salpiamo.» ordinò.
«Capitano... Che cosa è successo a Killer?» si azzardò a chiedere Heat.
«Sta bene.» replicò. «Se ne è andato. Se lo rivedremo, e non credo... Lasciatelo stare.»
Qualcuno della sua ciurma mise su una faccia contrariata, Penguin sospirò di sollievo.
Nessuno disse nulla.
I suoi uomini risalirono sulla nave, curandosi solo di riservare occhiate truci alla ciurma di Law.
In poco tempo furono pronti a partire. La nave si mosse lenta, allontanandosi dall'isola su cui aveva lasciato Killer e Law.
Sospirò, poggiò il braccio sulla murata e vi poggiò la fronte.
Era stato un disastro. Era andato tutto male, e sarebbe andata peggio con il tempo, quando la mancanza di quei due uomini si sarebbe fatta sentire.
È tardi per pentirsi, così aveva detto Killer.
Aveva ragione.

-FINE-
 

E anche questa è finita. Mi mancherà, lo ammetto.
Ci tengo a ringraziare di cuore tutti quelli che mi hanno seguita fin qui, tutti quelli che hanno commentato e quelli che hanno letto in silenzio; quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate.
Grazie a tutti.

Baci,
rolly too

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