With or without you di fragolottina (/viewuser.php?uid=66427)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
sora
Prologo
Non ricordava quando avesse iniziato a sentirlo.
A casa, lontano dalla battaglia e dalle continue
botte di adrenalina per questo o quel mostro, ascoltare cosa
c’era nel suo cuore era stato più semplice. Nel suo cuore
c’era un’anima malinconica e triste. Qualcuno che si era
arreso ad essere soltanto l’ombra nel cuore di un ragazzo
fortunato. Qualcuno che aveva perso tutto.
Si era sentito in colpa, ma aveva fatto finta di
niente, perché aveva il terrore che aiutare lui avrebbe
significato perdere sé stesso. Si era perso tante di quelle
volte e tutte le volte un miracolo lo aveva acciuffato per la coda
prima che fosse troppo tardi. Non poteva continuare a sperare nei
miracoli, non poteva continuare a perdersi, prima o poi, non sarebbe
più riuscito a ritrovarsi.
La bomba l’aveva fatta esplodere Kairi.
Kairi che nella sua immensa solitudine non ricordava
come si facesse a stare tutti e tre insieme. Lui e Riku continuavano a
giocare, ridere, talmente euforici per essere riusciti a cavarsela; a
casa, tutti e due, normali, tutti i due. Due anni prima non ci avrebbe
scommesso nemmeno un capello, nonostante continuasse a ripetere che
l’avrebbe ritrovato e l’avrebbe riportato a casa. Lei li
guardava da lontano, anche se entrambi ce la mettevano tutta per
coinvolgerla.
«È strana.» aveva detto un giorno
a Riku guardandola mentre raccoglieva conchiglie sul bagnasciuga.
Lui aveva riso, prendendolo in giro come sempre.
«Non siamo più entrati nel posto segreto. Né tu,
né io, né lei.» aveva fatto forza sulle braccia per
sedersi sul tronco dove Sora stava appoggiato con la schiena.
«Siamo tutti diversi da tre anni fa.»
«Ma lei è quella più strana.»
Riku aveva scosso la testa osservandolo, non era
Kairi ad essere strana, non così tanto perché Sora se ne
accorgesse almeno; era lui che non riusciva a collegare qualcosa di
fondamentale, aveva diciassette anni ora, non quattordici, non gli
bastava più guardarla raccogliere conchiglie o stringere tra le
mani il portafortuna che gli aveva fatto.
Aveva guardato su, una palma ed i bizzarri frutti
paupou attaccati appena sotto le foglie. «Sbaglio o c’era
una cosa che volevi fare prima che un mostro si mangiasse la nostra
isola?»
Ci aveva messo una vita ad arrivare in cima, arrampicarsi sugli alberi
non gli riusciva più così bene, aveva perso
l’allenamento, in più aveva Riku che continuava a
prenderlo in giro e minacciarlo di fare prima di lui; per un attimo gli
era sembrato di tornare indietro nel tempo, tornare il ragazzino in
continua competizione con lui, perché, accidenti, Riku era
migliore di lui in tutto. Per un attimo aveva anche pensato di
ricordargli che l’aveva battuto, diverse volte, ma gli era
sembrato di cattivo gusto, perciò aveva lasciato perdere.
Kairi non si aspettava la sua visita e quando era andata alla porta
dopo che suo padre l’aveva chiamata, gli era sembrata curiosa e
sorpresa.
«Dovevamo vederci in spiaggia.» aveva detto sorridendo.
Lui non aveva trovato niente da rispondere, il che
era abbastanza sconvolgente, visto che era un chiacchierone. Era Riku
il silenzioso, il misterioso.
Tutto quello che avrebbe voluto dirle era
‘grazie’: per avergli donato il suo cuore quando lui aveva
perso il proprio ed allo stesso tempo, per aver pensato che il suo
cuore fosse al sicuro solo con lui; per aver abbracciato un Hertless ed
avergli mostrato come uscire da quell'oscurità in cui si era
invischiato; per aver dimenticato il suo nome, ma esserselo ricordato
dopo solo un aiutino; per essersi buttata in un buco nero per andarlo a
cercare, nonostante l’ansia per lei l’avesse quasi ucciso;
per averlo abbracciato, appena prima della battaglia finale, per
avergli fatto sentire quanto le era mancato, per avergli dato un motivo
in più per combattere, per avergli fatto credere che stesse
combattendo dalla parte giusta.
Non aveva detto niente invece. Si era solo tolto una
mano da dietro la schiena per mostrarle quello che nascondeva, non
c’era niente da dire, lo sapevano tutti e due.
Kairi era rimasta interdetta a guardare
l’enorme stella gialla nella sua mano. «È
un…»
«Si.» aveva annuito interrompendola.
«Wow…» aveva sorriso, ma i suoi
occhi luccicavano bagnati di lacrime. «non credevo fossero
così grandi.»
Per la prima volta Sora aveva capito tutto, tutto
insieme ed aveva trovato la giusta cosa da dire. «È da
dividere.»
Lei aveva sospirato, un sospiro pesante come un
macigno, che aveva aspettato fino a quel momento di poter lasciare
andare, poi gli aveva buttato le braccia al collo ed era scoppiata a
piangere. Sora l’aveva stretta, lasciando andare il frutto paupou
– gliene avrebbe colti mille se avesse voluto – e con il
viso immerso nei suoi capelli aveva riconosciuto il profumo di casa,
non si era mai sentito tanto bene in vita sua.
Kairi l’aveva baciato e lui non ricordava di
aver mai baciato nessun altro in vita sua, ma non gli importava,
comunque era lei che voleva baciare.
Solo quando era tornato a casa sua aveva iniziato ad ascoltare di nuovo
l’ombra nel suo cuore. Gli era sembrata confusa, non capiva.
Certo, che non capiva. Aveva controllato che in corridoio non ci fosse
nessuno, poi si era sdraiato sul letto con le braccia incrociate dietro
la testa, talmente in pace con il mondo da non capire quanto odio e
rabbia avrebbe scatenato spiegando quello che era successo.
«È una leggenda.» aveva iniziato
sentendosi un po’ stupido a parlare da solo, ma in realtà
non stava parlando da solo. «Se dividi un frutto paupou con
qualcuno le vostre vite rimarranno legate per sempre.»
Quando si era leccato le labbra il sapore salato
delle lacrime lo aveva sorpreso, non si era nemmeno accorto che stesse
piangendo e di sicuro lui non ne aveva motivo.
Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…
Era stata la prima volta che lo aveva sentito
parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva
ricordato qualcos’altro.
Ma di certo, non l’ultima.
boh...ci sono ricascata credo...mi mancavano!
non so bene cosa scrivervi...spero che vi piaccia!
fatemi sapere che ne pensate!
baci
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
sora
ok, devo pur darvi qualche spiegazione...
dunque, rimuginando nella mia testa ho scoperto che io non avevo mai
scritto niente su Kingdom Hearts che parlasse di Kingdom Hearts, mi ero
sempre limitata a leggere qui e là...solo che mi è venuta
una travolgente voglia di mettermi giù e scrivere, scrivere,
scrivere...
volevo una storia che parlasse di Sora - perchè io lo adoro,
davvero, gli sono affezionata - che stesse insieme a Kairi - lo so,
sono quasi banale, ma per me sono troppo carini insieme - e che fossero
cresiciuti, un po'...ovviamente metterci Sora e fingere che Roxas non
esistesse, mi pareva una decisione impraticabile. Roxas c'è,
è una tortura emotiva enorme, ma sappiamo tutti che c'è.
cmq, sempre nel mio rimuginare ho pensato che se io fossi stata Roxas -
ricordatevi dove siamo partiti e dove sono arrivata, dovreste fare una
colleta per spedirmi da uno psichiatra - nel vedere Sora e Kairi vivere
felici e contenti mi sarebbero girate, eccome se mi sarebbero
girate...ed ecco a grandi linee quello che state leggendo...
chiedetemelo...
ok, faccio da me...
'E Axel?'
eh...Axel...vedremo...
Capitolo 1
‘Era l’unico che mi piacesse,
mi faceva sentire come se avessi un cuore.
Era divertente.’
Aveva sempre trovato
insolito che una cosa che si chiamava ‘corridoio oscuro’
fosse in realtà tanto colorata. Era lì in quel momento,
anzi, forse sarebbe stato più esatto dire che lui
era lì, perché anche se Sora ricordava di aver avuto
quell’uomo vestito di nero tra le braccia, anche se i suoi occhi
verdi avevano fissato i propri, cercandovi qualcuno di assopito al loro
interno, in quel momento era Roxas a piangere sul corpo ancora bollente
per il colpo inferto.
Accarezzava i suoi capelli rossi e spinosi come se cercasse la fonte di
un ricordo, con un’adorazione che a Sora fece stringere il cuore,
il suo.
Roxas
alzò gli occhi su di lui che guardava la scena senza sapere da
dove, ma adesso lo stava fissando, il suo sguardo affogato nelle
lacrime, il viso piegato in un’espressione di dolore e tormento.
Rabbia, rabbia per quello che poteva essere, per quello che era quasi
stato, per quello che ormai era irraggiungibile.
È morto per te, per salvarti, perché somigliavi a me! – un singhiozzo a spezzare quell’ira – ed io non ho potuto nemmeno stringerlo un ultima volta… – mormorò posando gli occhi su quelli di Axel che una volta erano stati verdissimi, ormai chiusi – ho dovuto piangerlo con le tue lacrime. Perché io sono dovuto sparire dentro di te e non il contrario?! – urlò di nuovo.
Sora sussultò
balzando a sedere nel letto, stringendosi una mano sul cuore, in quei
momenti gli faceva così male che si sarebbe scavato un buco nel
petto per tirarlo fuori, strappare via quella dannata ombra e
rimetterlo dentro. Era come avere il proprio corpo infestato da un
fantasma, un fantasma che di tanto in tanto – sempre più
frequentemente, in realtà – prendeva il sopravvento e ti
schiaffeggiava con la sua sofferenza. Era doloroso, doloroso in un modo
che non avrebbe saputo spiegare, ma che una parte di sé credeva
di meritare. Ansimò e deglutì, cercando aria come se
avesse passato gli ultimi minuti in apnea, la voce di Roxas che
continuava a gridare e strepitare nella sua testa.
‘Perché tu sei il mio Nessuno e non il contrario.’
Non servì a niente se non a farlo infuriare di più.
Io sono Roxas! Io non sono tuo!
«Sora?» chiamò dolcemente la voce di Kairi, mentre si alzava e lo abbracciava da dietro.
Deglutì ancora. «Un incubo.» mentì,
perché Roxas non gli permetteva di chiamare incubi quelli in cui
c’era Axel, nemmeno quelli in cui moriva.
«Heartless?» domandò, appoggiando la guancia calda contro la sua schiena nuda.
«No.»
«Nobody?» chiese ancora.
Fece
un mezzo sorriso, confortato, c’era qualcosa di appacificante nel
modo con cui Kairi scavava tra le sue guerre, tra le sue cicatrici,
fino a trovare quella che pungesse di più. «No.»
Kairi
gli prese il viso tra le mani per guardarlo negli occhi, asciugandogli
piano le guancie, Roxas piangeva attraverso i suoi occhi.
«Roxas?»
Il
sorriso di Sora si spense ed abbassò lo sguardo in un muto cenno
di assenso, le appoggiò piano una mano sulla canottiera che
usava per dormire, all’altezza del cuore. «Tu senti mai
Naminè?» le domandò per cercare un corrispettivo
per il suo tormento.
«Sai, com’è fatta Naminè.» gli rispose
sorridendo. «Si, la sento, ma è tranquilla nel mio cuore
come è sempre stata.»
Roxas era tutto fuorché tranquillo.
«Ce la fai a riaddormentarti?»
Scosse la testa, sentiva il cuore in mezzo ad una morsa che continuava
a stringere e stringere e stringere. Però si lasciò
cadere sul letto con le mani sul viso, mentre Kairi gli si accoccolava
addosso paziente.
«Non puoi continuare così.» gli disse.
«Non so cosa fare.»
Kairi gli accarezzò il torace. «Chiediti cosa vuole.»
Sospirò, poi le passò una mano tra i capelli. «Lo
so, cosa vuole.» rispose guardando fuori dalla finestra aperta
dove si sorprendeva tutte le notti di trovare una luna tonda e non
Kingdom Hearts.
«Hai modo di farlo contento?»
Si strinse nelle spalle. «Non lo so, non saprei nemmeno da dove cominciare.»
Kairi
sollevò la testa rimanendo appoggiata con il mento sulla sua
pancia, sorrise con quel sorriso che lo faceva sentire tremendamente al
posto giusto. «Perché quando hai salvato il mondo sapevi
da dove cominciare?» gli domandò ironica.
Si sedette sulla sabbia
con le gambe raccolte a guardare l’oceano davanti a lui, la linea
netta che divideva il cielo dalla terra, un limite. Non importava
quanto avesse vagato per mondi, avere un limite lo faceva sentire
costretto, gli faceva venire voglia di andare un po’ più
là. Rise, scuotendo la testa. Se Kairi avesse solo immaginato
che lui faceva certi pensieri lo avrebbe ucciso e seppellito
sull’isola dei bambini.
Allungò una mano e davanti a lui, tante lucine simili a lucciole
si unirono fino a formare l’abbozzo di un keyblade luminescente
che poi lasciò il posto ad un vero keyblade, nero. Il suo keyblade. Oblivion.
«Continui a portartela dietro?» chiese una voce che non
fece fatica a riconoscere. «Credevo ti fossi stancato di aprire e
chiudere porte.»
Non
gli rispose che non era lui a portarsela dietro, ma che continuava a
seguirlo ovunque ed avrebbe continuato a farlo. Il keyblade sceglie il
suo possessore ed aveva scelto Sora. Lui non poteva farci niente. A
volte, più spesso di quanto gli piacesse ammettere, aveva
provato la destabilizzante sensazione di essere lui stesso
l’arma, lo strumento, che fosse la chiave a possederlo.
Riku si sedette accanto a lui. «Nostalgia?»
Sora
sentì i peli su tutto il corpo rizzarsi e lo guardò ad
occhi sbarrati, terrorizzato: se era Riku ad avere nostalgia di
girovagare poteva essere grave, l’ultima volta che aveva ceduto
alla tentazione dell’ignoto aveva distrutto il loro mondo.
Il suo amico scoppiò spietatamente a ridere. «Tranquillo, non vado da nessuna parte!»
Si
permise un sospiro di sollievo e tornò a guardare il mare.
«Non mi lascia in pace, mai. Il suo dolore mi sta mangiando il
cuore. Un giorno o l’altro diventerò un heartless.»
confessò, lasciò il keyblade che si dissolse
automaticamente per stringersi le mani nei capelli. «Se sono solo
si deprime, se sto con te è geloso, se sto con Kairi gli
manca…» si interruppe guardandolo, chiedendosi se fosse o
meno il caso di ammettere con il suo migliore amico, che l’ombra
nel suo cuore amava un uomo. Gli faceva un po’ strano visto che
era la sua controparte. «Se solo sapessi come…»
«Chiediglielo.» lo disse con una tranquillità ed una naturalezza che lo fecero arrossire.
Lo
fissò eloquente. «All’ombra nel mio cuore?»
qualcosa, chiamato pudore, gli aveva impedito di dirgli della voce
nella sua testa. Lo prendeva già in giro per cose relativamente
normali, meglio non dargli un boccone prelibato come quello. Si era
limitato a confessargli un certo malessere più o meno
pronunciato…
Riku
ricambiò il suo sguardo con rimprovero. «Lo so, che ci
parli. Me lo ha detto tua madre, era preoccupata che qualche rotella
nella tua testa avesse smesso di funzionare.»
Sora
diede un pugno nella sabbia frustrato, ci mancava solo che i suoi
pensassero che stesse lentamente andando fuori di testa.
‘Sarai la mia rovina.’
Roxas ghignò con calcolata soddisfazione.
È giusto, tu sei stato la mia.
Riku
si appoggiò alla sua spalla per tirarsi su. «Trova il
modo.» lanciò un’occhiata alle sue spalle verso la
casa di Kairi.
Lo
guardò allontanarsi e, anche se non lo avrebbe ammesso mai,
controllò che si dirigesse verso la sua di casa e non quella
della sua fidanzata. Riku aveva ragione – era fastidioso da
ammettere – e ce l’aveva anche Kairi, doveva trovare un
modo per gestire quel tormento, o per estirparlo. In entrambi i casi
far finta di niente non lo avrebbe aiutato.
Guardò ancora il mare, poi la luna che ci si specchiava sopra
creando un sentiero increspato sul pelo dell’acqua. Si
alzò si tolse la maglietta, le scarpe ed i pantaloni, si
guardò intorno, poi anche i boxer ed entrò in acqua;
quando il mare gli sfiorò l’ombelico cercò il
proprio riflesso, solo per trovare il suo. Identici, sarebbero potuti
essere gemelli, lui era soltanto più biondo.
«Ok, mi sento decisamente idiota.» continuò a
controllare che nessuno lo sorprendesse di notte, nudo
nell’acqua, a parlare da solo; si tuffò per allontanarsi
ancora un po’ dalla riva, lontano da orecchie ed occhi
indiscreti. Sora e Roxas immersi nel buio. «Ci ho messo due anni
per tornare a casa, ho combattuto battaglie per tornare a casa, ho
salvato il mondo e l’ho fatto solo ed esclusivamente per tornare
a casa. Non permetterò al tuo odio per me di rovinare tutto ora
che ho finalmente raggiunto il mio obbiettivo.» parlare a voce
alta lo metteva in posizione di vantaggio, lui poteva farlo, Roxas no.
Ora
che hai finalmente scoperto le gioie del sesso, ora che hai finalmente
la tua bella ragazzina da sbattere. Sai, secondo me il tuo amico
è geloso… – gli lanciò un’occhiata maliziosa – e non di lei.
Sora
lo fulminò con lo sguardo. «Io non sono come te. I capelli
lunghi e gli assassini non mi eccitano.» stava parlando con il
suo riflesso nell’acqua, un riflesso che vedeva leggermente
diverso, che vedeva muovere autonomamente e che – la pazzia non
gli era mai sembrata tanto vicina – gli rispondeva.
Ma i capelli rossi, si. – insinuò.
Sospirò passandosi le mani sul viso, poi tra i capelli.
«Hai sentito Kairi, no? Naminè è tranquilla,
perché non puoi esserlo anche tu?» se avesse previsto la
sua reazione non avrebbe detto niente.
Perché Naminè era un Nessuno!
– gridò così forte che, anche se la voce era nella
sua testa, l’istinto lo costrinse a tapparsi le orecchie con le
mani.
«Anche tu lo eri ed anche lui.»
Come puoi parlare così di qualcuno che ti ha salvato la vita? Lui non era solo un Nessuno, lui era…
A
Sora vennero in mente milioni di aggettivi per descrivere Axel,
spietato, terrificante, affilato, pericoloso.
…caldo.
Quella parola lo sorprese, ‘caldo’ era familiare,
confortevole; ‘caldo’ era talmente intenso da farlo zittire
per un lungo istante. ‘Caldo’ era amore. Roxas
abbassò lo sguardo, ma nel blu dei suoi occhi che era anche il
proprio, Sora riconobbe nostalgia. «Non sapevo che sarebbe morto
per salvare me.» disse sincero, quando una persona tenta di
ucciderti diverse volte è difficile prevedere che si sacrifichi
al tuo posto. «Non sapevo che tu e lui foste…e che tu
fossi…me. Non si è mai fermato nessuno a spiegarmi la
situazione, a volte credo che mi abbiano solo usato per i loro scopi e
che io sia stato tanto stupido da permetterglielo. Uno non dovrebbe
affrontare una missione solo perché gli hanno detto che è
giusto.» rifletté.
Silenzio.
Lo ho fatto anche io. – mormorò Roxas pacatamente.
Per
la prima volta nessuno gridava nel suo cuore, nessuna voce, nessun
pianto, nessun dolore, solo malinconia, ma in confronto a tutto quello
che c’era stato fino a quel momento, gli sembrò un
silenzio paradisiaco. Forse per Roxas, Sora non era l’eroe, ma
era sincero, sempre. Conosceva il suo cuore abbastanza da credere che
fosse vero, che probabilmente a saperlo non avrebbe permesso che
qualcuno scombinasse i ricordi di chiunque per risvegliarlo, non
avrebbe retto il senso di colpa. Lo osservò al di là
dello specchio d’acqua, non lo reggeva nemmeno in quel momento;
se non fosse stato tanto tormentato di per sé stesso, Roxas non
avrebbe trovato una crepa abbastanza grande da cui urlare tutto il suo
scontento. Sora era stato un soldato bambino che aveva realizzato in
ritardo gli orrori della guerra.
Vorrei che avesse una tomba.
Guardò la sua faccia sul pelo dell’acqua confuso. «Una tomba?»
Si. Un posto dove possa riposare in pace, così tutti sapranno che è esistito. Lui voleva essere ricordato.
«Ok.» acconsentì annuendo solenne.
In un bel posto.
«Twilight town?» suggerì ricordando che quella
città era perennemente nei pensieri di Roxas.
N-no. – deglutì con fatica – Un posto che abbia più di un tramonto da guardare.
Sora
sorrise. «C’è un mondo bellissimo, è la
città dove è nata Kairi. Gli Heartless l’avevano
distrutta lasciando solo rovine, ma immagino che ormai sia stata
ricostruita del tutto. Sembra un immenso giardino.»
Credi, che gli piacerebbe?
Iniziò a nuotare per tornare indietro, gli sembrava di camminare
su un filo, un equilibrista che sarebbe potuto cadere da un momento
all’altro; sapeva che se avesse detto una parola sbagliata, Roxas
avrebbe ricominciato ad urlare. Ma per il momento sembrava essersi
placato, quindi, forse, quella era la via giusta. «Ci andiamo. Tu
lo conoscevi meglio di me.»
Non
rispose e Sora si rivestì con calma, sentiva ancora dolore, ma
sentiva anche che quello era il dolore giusto; non era più odio,
era un lutto, lo avrebbero portato insieme. Avrebbe cercato un bel
posticino tranquillo dove piantare una lapide con scritte quattro
lettere, ci avrebbe portato dei fiori, sarebbe rimasto in piedi con le
mani giunte per tutto il tempo che Roxas avrebbe ritenuto necessario.
Posso chiederti di fare un’altra cosa per me? – gli domandò, cercando di essere gentile per non rovinare l’armistizio che avevano raggiunto.
‘Dimmi.’ Non gli interessava più essere in una
posizione di vantaggio, per il momento non era più necessario.
Ti… – per la prima volta gli sembrò di percepire imbarazzo nella sua voce – il mare è salato e la tua pelle è calda.
Arrossì anche Sora. ‘Oh…’ sospirò.
‘beh, immagino di poterlo fare, anche se effettivamente è
un po’…bah…e va bene, chiudi gli occhi e
goditelo.’
Si
diede un’occhiata intorno imbarazzato, sospirò ancora, si
leccò le labbra e baciò il proprio palmo ricoperto di
salsedine; cercò di farlo bene, per ringraziarlo della pace che
dopo anni gli stava regalando, cercò di immaginare un bacio di
Kairi. Ma si sentì particolarmente ridicolo e scoppiò a
ridere.
Roxas che nella sua testa aveva trattenuto il fiato ad occhi chiusi, espirò tutto insieme.
‘Mi dispiace.’ si scusò per la risata.
Grazie…
Sora si stiracchiò e sbadigliò.
Vai da lei, ti lascio in pace.
La mattina dopo guardava
Kairi in cucina intenta a preparargli la colazione, sostenendosi il
viso con le mani continuava a chiedersi da che parte cominciare per
dirle che doveva andarsene a Radiant Garden a costruire una tomba per
Axel – sempre che a Roxas fosse piaciuto il posto; non era
costruire la tomba il problema, ma Kairi impallidiva davanti a tutti
tempi del verbo ‘andare’. La capiva, certo che la capiva,
ma lei doveva capire lui e questo gli sembrò meno immediato.
Ti ha aspettato tutto questo tempo. – cercò di tranquillizzarlo, senza grandi risultati in realtà.
Tra l’altro, come ci arrivava a Radiant Garden? Non aveva una Gummi ship.
Scosse la testa: prima Kairi, poi il resto.
«Perché non me lo dici e basta?» lo
incoraggiò la ragazza lanciandogli un’occhiata sorniona,
mentre con il bricco del caffè ritornava al tavolo.
Sora incrociò le braccia sul tavolo appoggiandoci sopra il mento. «Non ti piacerà.»
Non disse niente, attese.
Lui
si tirò su inquieto – quella mattina non riusciva a
trovare una posizione – appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Non prendermi per pazzo.»
Sorrise. «Non l’ho mai fatto.» e dio solo sapeva quanto doveva essere stata dura a volte.
«Ho parlato con Roxas.» ‘parlare’ gli sembrava
una parola complicata in quella circostanza, ma il senso era quello.
«Vuole una tomba per Axel in modo che non venga
dimenticato…» azzardò uno sguardo veloce nei suoi
occhi per tastare la situazione. «a Radiant Garden.»
Come prevedibile Kairi perse colore tutto insieme.
Lui
le prese una mano sbrigandosi a tranquillizzarla. «Non è
come in passato. Vado lì, mi faccio aiutare da Cloud a sistemare
una lapide e torno qui.»
«Oh, Sora.» si lamentò lei.
«Tornerò te lo pr…»
La
mano sulla sua bocca ed i suoi occhi ammonitori gli impedirono di
andare oltre. «Non ti azzardare a dirlo.» lo
minacciò.
«Ti prego, Kairi.»
La
ragazza si alzò iniziando a camminare per la cucina, Sora rimase
in silenzio a guardarla abbattuto; non che impazzisse dalla gioia di
ripartire – anche se effettivamente non gli dispiaceva fare una
visita ad i suoi vecchi amici – ma era stata proprio lei ad
incoraggiarlo di chiedersi cosa volesse Roxas. Roxas voleva una tomba
per Axel, si sentiva anche piuttosto fortunato, avrebbe potuto
chiedergli qualcosa di più complicato, e non poteva tirarsi
indietro.
La
raggiunse bloccandole i gomiti e tenendola di fronte a lui, ma Kairi
sfuggì il suo sguardo, in una muta protesta. «Non
succederà niente di male questa volta, non c’è
niente di male in giro che possa bloccarmi.»
«Troverai qualcosa.» mormorò. «Una missione,
un amico da salvare, un mondo che ha bisogno di te.» c’era
una nota spaventosa nella sua voce, una strana consapevolezza, Kairi
era arresa, quasi quanto Roxas.
E Sora non poteva fare altro se non sentirsi in colpa.
Le accarezzò il viso. «Aiuterò Roxas, poi tornerò da te.»
«Ti perderai.»
«No.» disse deciso. «Non lo farò.»
Kairi
lo fissò sospirando, desiderò di chiuderlo dentro ad una
scatola, desiderò incatenarlo a qualcosa, ma ovviamente non
poteva fare niente di tutto questo. «Non c’è niente
che io possa dire per trattenerti, vero?» domandò affranta.
Sora scosse la testa. «Avevi ragione, non posso continuare così.»
Avrebbe voluto urlare, darsi una botta in testa, perché non era
stata zitta? Perché non aveva finto di dormire?
«Sai già come andare a Radiant Garden?» gli chiese invece.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
sora
buongiorno...
allora, dopo questo capitolo la piantiamo con le scemenze, diciamo che
fin qui era tipo introduzione, dal prossimo facciamo sul serio!
se vi va di farmi sapere che ne pensate mi farà piacere!
Capitolo 2
La prima cosa che vide Riku quando aprì gli occhi fu Sora,
seduto su una sedia nella sua camera; per un po’ si guardarono e
basta, uno sbracato a pancia in giù sul letto, mezzo nudo e con
i capelli sparsi un po’ ovunque, l’altro sveglio, pimpante
e vestito. Riku lo studiò più attentamente, studiò
come giocherellava con le mani nervoso, a guardarlo con sufficiente
attenzione di Sora si poteva capire tutto, anche cosa aveva mangiato a
colazione, anche per quanto tempo aveva fatto sesso con Kairi. Tutto.
In quel momento aveva la tipica espressione di chi
vuole qualcosa – ma qualcosa di davvero grande – che non
è sicuro di ottenere.
Riku sbuffò e si soffiò via i capelli
da davanti al viso. «Che ti serve?» chiese direttamente.
Sora fece un’espressione stupita. «Come?»
«Eddai…» lo incoraggiò lui
tirandosi su a sedere e stiracchiandosi. «quando piombi a casa
mia con quella faccia, i convenevoli sono inutili.»
«Che faccia?» domandò senza capire.
Sospirò e recuperò una maglietta che
si infilò, poi iniziò a frugare nel letto alla ricerca
dell’elastico che evidentemente doveva aver perduto. «La
faccia di chi deve chiedermi un favore.» si aspettava che
protestasse, in genere protestava sempre, ma quella mattina per qualche
strano motivo, abbassò solo gli occhi sulle sue scarpe. Riku si
fece guardingo. «Tutto bene?»
«Hai ragione…» mormorò.
«ho bisogno di un favore e, credimi.» alzò gli occhi
su di lui per fissarlo. «Sarebbe l’ultima cosa al mondo che
ti chiederei se trovassi altro modo.»
Lui lo osservò incerto, tirando giù i
piedi dal letto ed infilando le ciabatte. «Ok, mi hai
sufficientemente incuriosito ed agitato, è ora di arrivare al
nocciolo della questione.» lo invitò alzandosi e
dirigendosi verso la porta.
Sora lo seguì come un cucciolo al quale
è stata promessa una colazione da gourmet. «Devo andare a
Radiant Garden, starò pochissimo.»
Fece un paio di scalini, poi si fermò per
lanciargli un’occhiata, Sora preso a trotterellare gli
finì addosso, per scusarsi subito dopo.
«Ti ha chiamato re Topolino? Qualcosa non
va?» più di una volta si era sorpreso a scrutare
l’oceano con apprensione, spaventato di veder spuntare tra la
schiuma delle onde il collo di una bottiglia con dentro un messaggio.
«No, per Roxas. Vuole un tomba per Axel.»
Riku riprese a scendere leggermente sollevato.
In cucina frugò tra i vari bricchi lasciati
dai suoi genitori, scovandovi un goccio di caffè anche per lui,
cercò il cartone del latte nel frigo e lo mise a scaldare; i
primi tempi dopo il suo ritorno continuava a comportarsi come un
ricercato o un rifugiato – non come una persona normale, comunque
– ma sua madre gli stava piano, piano insegnando ad essere di
nuovo umano. E c’era quasi riuscita.
«Non hai bisogno di chiederlo.» ebbe
un’improvvisa intuizione, aveva talmente senso che si chiese come
avesse potuto non pensarci prima. «Bado io a Kairi, tranquillo.
Lo avrei fatto comunque.»
Sora sorrise. «Lo so, non è quello.»
Ci fu un lampo di luce, poi un suono freddo,
metallico; Riku si girò di colpo, facendo rovesciare il latte,
ma quasi non se ne accorse preso ad osservare Oblivion che faceva bella
mostra di sé nella sua mano. Questa volta non era soltanto
incuriosito o agitato, il suo cuore batteva sospinto da un brivido che
gli correva a fior di pelle.
«Sora, che ti serve?» sussurrò,
che se ne stesse sulla spiaggia a rimirarla perso in riflessioni era
una cosa, che la tirasse fuori nella sua cucina, per mostrargliela era
un’altra.
Sora lo fissò, keyblade master fino al
midollo. «Sai farlo ancora?» e non era un cucciolo, non era
un ragazzino che trotterellando giù per le scale gli finiva
addosso. Era il prescelto dal keyblade, era forte e ne era talmente
consapevole da ricordargli che se avessero combattuto, se lo avessero
fatto sul serio, lui avrebbe vinto. Quello non saresti riuscito a
capirlo nemmeno fissandolo per un giorno intero.
Riku trattenne il fiato e rimase zitto per un lungo
momento, arrivando finalmente a quello che il suo migliore amico gli
stava candidamente chiedendo. «Stai scherzando.»
sperò, pregò.
Ma lui scrollò le spalle innocente. «Come altro potrei fare?»
«Sono sicuro, che ci sia un altro modo.»
guardò i fornelli tutti impiastricciati di latte. Fantastico,
lui era un keyblade master, Riku doveva prendere lo sgrassatore e fare
la casalinga.
Sora si allungò sul tavolo pungolandogli la
schiena con la chiave. «Ho promesso a Kairi di non
perdermi.» quel gesto tanto naturale lo colpì, lui, anche
se nell’ultima lotta aveva impugnato la chiave, non ne sarebbe
mai stato capace. Quella che era stata fatta a Riku era stata una
concessione, il keyblade aveva scelto Sora, apparteneva a Sora e
viceversa. Era come un prolungamento del suo corpo.
Scosse la testa, tornando al fulcro della questione:
Kairi. «E te lo ha permesso?» domandò stupito.
«Non ha realizzato che quando tu prometti in genere si scatena
l’apocalisse.»
«Si.» ammise a malincuore. «Va beh, promessa o non promessa, devo stare attento.»
Riku si girò di botto studiandolo.
«Appunto.» disse eloquente. «Farmi aprire un
corridoio oscuro, sempre che io ne sia ancora capace, non è una
cosa molto prudente.»
«Io mi fido di te.»
«Perché non sei mai stato molto
sveglio.» questa frase ebbe lo strabiliante potere di zittirlo.
Riku sospirò, iniziando ad asciugare l’acciaio tra i
fornelli con un panno. «Perché non ti metti in contatto
con Cid o con il re Topolino? Perché non Pippo e Paperino?
Troverebbero un modo sicuro e sarebbero contenti di
accompagnarti.»
«Sono tutte persone per cui i Nobody erano
errori da eliminare!» si lamentò. «Senti, non ti sto
chiedendo di tornare a bazzicare The World That Never Was, né di
abbandonarti all’oscurità dentro di te. Voglio solo
piantare quella diavolo di lapide senza che qualcuno si metta in mezzo
a dirmi che non ha senso, che sono pazzo, che sono solo dei poveretti
senza emozioni e con la nostalgia di un cuore.»
«Ma è questo che sono i Nobody.»
gli spiegò Riku paziente, come se non avessero avuto abbastanza
a che fare con i Nobody da sapere cosa sono, come sono e tutto il resto.
Sora sorrise e scosse la testa. «Forse sarebbe
più comodo pensarla così, ma alcuni Nessuno erano caldi.»
A Riku passò per la mente il ricordo di un
abbraccio, la sensazione di un abbraccio, non era proprio un ricordo;
una ragazza svenuta sull’isola dei bambini e lui che la
soccorreva. Calda.
Si passò una mano sul viso sconsolato.
«Mettiamo che io decida di assecondare la tua follia, potrei
affogare nelle tenebre, è già successo.» e non
aveva intenzione di ripetere l’esperienza.
Il suo amico si strinse nelle spalle come se fosse
un problema già analizzato, affrontato e risolto. «Avrai
una luce da seguire.»
Riku scosse la testa. «Niente è tanto luminoso laggiù.»
Sora assottigliò lo sguardo per un secondo
lasciando che il keyblade scomparisse, poi lo fissò con aria di
sfida e sorrise. «Nemmeno il cuore di una delle sette
principesse?»
Sospirò fissando la benda ferma a mezz’aria davanti ai suoi occhi.
«Dimmi tu, quando posso andare.» disse
dolcemente Kairi con voce flautata, senza mettergli fretta.
Riku osservò quel pazzo criminale,
attentatore della pace nei mondi, sistemarsi uno zaino sulle spalle.
«Come è riuscito a convincerci?» domandò
affranto.
La ragazza lasciò andare un sospiro
tormentato. «Sora è Sora.» era incredibile come
nonostante fosse naturalmente arrabbiata con lui, riuscisse a far
trasparire tanto amore nella sua voce. Quando era stata in pericolo,
Kairi aveva capito che il suo cuore sarebbe stato al sicuro solo con
Sora. Quella notte aveva scelto molto più di un custode, quella
notte Riku aveva scoperto che non sarebbe stata sua. Mai.
«Ricordami di massacrarlo quando torna.»
Non disse ‘se’, perché anche se
Kairi aveva paura, anche se quella era una delle idee più
sbagliate che Sora avesse mai avuto – e si che ne aveva avute di
cattive idee – sarebbe tornato. I mondi erano in pace, Hollow
Bastion era tornato ad essere Radiant Garden, l’Organizzazione
era distrutta e Xemnas sconfitto.
«Se torna.» sussurrò comunque lei
a voce tanto bassa da non essere sicuro di averla sentita davvero.
«Ok, vai.» chiuse gli occhi e
sentì la stoffa posarsi delicata sulle sue palpebre abbassate,
il nodo premere sulla nuca, era una sensazione talmente e dolorosamente
familiare che gli diede i brividi.
«Non lasciarlo andare via.»
ricordò Sora a Kairi, ma quel rischio in effetti non
c’era, perché la sentiva appena dietro di lui, calda. Un
viso sfiorò la sua memoria come una carezza, un viso bello e
dolce come quello di lei, ma gli sembrava che i capelli fossero
più scuri dei suoi, neri, e gli occhi erano assolutamente gli
occhi di Sora. Non trovò nessun nome da darle, ma sapeva che un
nome ce l’aveva e lui lo aveva conosciuto.
Kairi gli strinse una mano, ricordandogli dove
sarebbe dovuto tornare, allungò un braccio concentrandosi
all’interno di sé stesso sulla gelosia, l’invidia,
la vergogna...tutte sensazioni che cercava ogni giorno di tenere a bada
e che ora si trovava costretto a stuzzicare. Sentì la stretta
alla sua mano aumentare, mentre il corridoio oscuro si espandeva in
spire fumose, Sora lo osservò curioso. «Sicuro che mi
porti a Radiant Garden?»
Annuì distrattamente, cercando di tenere
lontano dal suo cuore l’immagine della prima volte che aveva
visto Kairi persa negli occhi di Sora, mentre con le braccia al suo
collo lo baciava: in quel periodo la gelosia era l’emozione
più difficile da circuire.
Kairi lasciò la sua mano per andarlo ad
abbracciare prima che scomparisse in quel buco nero, lui sorrise
tranquillo. «Tornerò presto.» la rassicurò.
«Verrò a prenderti fra tre
giorni.» lo avvisò Riku, mentre stava già entrando
nel passaggio.
Ci fu un momento di quiete, spezzato soltanto da un
sospiro di Kairi, prima che si avvicinasse a lui e sciogliesse la sua
benda. «Sono ancora io?» le domandò non appena
scorse il suo viso davanti al proprio.
Lei annuì.
«Tornerà.» la rassicurò
ancora, leggendo nella sua espressione incertezza, rassegnazione.
Kairi abbassò gli occhi sul fazzoletto
stringendolo tra le mani. «C’è un motivo per cui
dovrebbe restare.» rivelò in un sussurro.
«Di che si tratta?» chiese precipitoso e
confuso, perché l’aveva lasciato andare se c’era effettivamente il rischio che non tornasse.
La ragazza guardò il punto in cui il suo
fidanzato era scomparso, distante da Riku e da tutto il resto, i suoi
occhi blu agitati come un mare in tempesta. «Non lo so, ma
è forte.»
Le diede un buffetto sulla guancia, strappandole un
sorriso. «Il tuo nome è sempre sulla sua bocca, dubito che
trovi qualcos’altro che riempia tanto i suoi pensieri.»
nessuna risposta se non un altro sospiro. «Lo senti? Il motivo
intendo.»
«Ne è sicura Naminè.» non
ne parlava mai, ma Riku sapeva che la presenza di Naminè nel suo
cuore non era meno influente di quella di Roxas in Sora; avevano
soltanto un approccio diverso, lei era collaborativa e condividevano
sensazioni, presentimenti, conoscenza, ricordi.
Le passò un braccio intorno alle spalle,
stringendosela addosso, avrebbe voluto fare di più, molto di
più, ma non poteva, il suo ruolo non lo permetteva. «Ho
voglia di un noce di cocco.» le disse per cercare di distrarla.
«Mi accompagni all’isola dei bambini?» le propose.
Kairi rise. «Hai bisogno di me per cogliere una noce di cocco?» lo prese in giro.
«Sai, di avere un sesto senso nell’individuare quella più matura.»
Radiant Garden era bellissima. Niente Heartless, niente Nobody, niente
mostri. Erano sbucati nel giardino vicino al borgo, ma non aveva niente
a che vedere con il mondo grigio che ricordava; erano stati ripiantati
tutti i fiori e le aiuole sembravano un immenso tappeto colorato, dove
giocavano alcuni bambini. Sora ne scorse due che fingevano un eccessivo
interesse nel combattere con due spade di legno, ma che in
realtà si contendevano le attenzioni di una terza amichetta, gli
ricordarono lui, Riku e Kairi.
All’inizio non la vide, sembrava un fiore
anche lei con il suo vestito rosa, ma osservandola con più
attenzione riconobbe una treccia castana che poteva appartenere
soltanto ad una persona.
«Aeris?» chiamò piacevolmente sorpreso.
La ragazza sollevò il viso, scostandosi la
frangetta dagli occhi con il dorso della mano, non appena lo riconobbe
i suoi occhi verdi brillarono. «Sora!» lo raggiunse e lo
abbracciò affettuosa, sporcandolo anche di terra, visto che
stava sistemando alcune piante, ma non era importante. «Oh, mi
sembra ieri che eri un ragazzino che si portava appresso una chiave
più grande di lui!» lo allontanò studiandolo.
«Ti trovo bene, che ci fai da queste parti?»
«C’è una cosa che devo fare.» rispose vago.
Aeris lo studiò con più attenzione.
«Niente di preoccupante, spero. I tuoi amici sono alle
isole?»
Annuì. «Si, questa volta non si è perso nessuno.»
Sospirò posandosi una mano sul petto.
«Meno male.» poi tornò a sorridere afferrandolo per
un braccio e tirandolo verso il centro del borgo. «Ma vieni, sono
sicura che lei sarà contenta di vederti.»
Lo trascinò fino a fargli attraversare tutto
il giardino, lasciando indietro tutta la sua attrezzatura da
giardinaggio; Aeris era buona ed ottimista, pervasa dalla speranza che
tutte le persone fossero buone quanto lei. Fiduciosa di ritrovare la
paletta, i vasetti e la terra, quando sarebbe tornata a prenderli.
Forse era ingenua, ma quando lo pensava rivolto a lei,
quell’aggettivo acquistava le doti di un complimento.
Non lo portò a casa di Merlino, una volta era
stato il loro quartier generale, ma con il ritorno progressivo alla
normalità e la ricostruzione – quasi del tutto ultimata da
quel che poteva vedere – immaginava che tutti fossero tornati
alle loro rispettive dimore. Quella di Aeris era dall’altra parte
della piazza rispetto all’abitazione del mago, se anche lei non
lo avesse guidato, l’avrebbe riconosciuta dai tulipani sui
davanzali delle finestre o dalla pianta di gelsomino che si arrampicava
sul muro; doveva essere piacevole, quando fioriva in primavera, vivere
in una casa tutta profumata, a Kairi avrebbe fatto impazzire.
«Ehilà!» fece la ragazza entrando in casa. «Ho un ospite.»
La sua mora coinquilina scese dalle scale
stiracchiandosi, ci mise meno di un secondo a riconoscerla; Tifa
piegò il viso di lato studiandolo, poi sorrise. «Dai tuoi
capelli a punta, ma non abbastanza a punta direi di conoscerti.»
lo prese in giro. «A cosa dobbiamo la visita di un keyblade
master?» domandò eccessivamente cerimoniosa facendolo
arrossire.
«Oh…» fece Aeris cospiratrice.
«il nostro eroe è molto vago al riguardo…»
La ragazza assottigliò lo sguardo studiandolo
attenta. «Ma davvero…non è che stai semplicemente
scappando da Kairi dopo averne fatta una troppo grossa?»
cercò di provocarlo.
Sora incrociò le braccia sul petto
infastidito. «Non dovreste prendermi in giro, vi ho
salvato…» lanciò ad entrambe un’occhiata
presuntuosa. «due volte…»
«Si, si, ti ringraziamo e
blablabla…» fece Tifa sventolandogli una mano davanti e
superandolo diretta al frigorifero dal quale tirò fuori una
mela. «facciamo che ti prepariamo un letto, siamo pari e non se
ne parla più.» disse strofinandosi il frutto sulla
maglietta per poi addentarlo.
«Ok…» rise Sora incrociando le
braccia dietro alla nuca e guardandosi intorno. «Dove sono Cloud
e Leon?»
«Al ricovero.» rispose Aeris disinvolta
chinandosi davanti ad un credenza per estrarne un paio di coperte.
«A dare una mano.»
«Ricovero?» domandò con una smorfia di stupore.
Sia Aeris che Tifa si bloccarono per studiarlo, fu
la seconda a parlare. «Le Isole del Destino sono davvero
così lontane?»
Il ricovero era una costruzione alta e massiccia, poco distante dal
borgo, immersa in un silenzio sepolcrale; Cloud era fuori, appoggiato
al muro con le braccia incrociate sul petto, dovevano essere state le
ragazze ad avvertirlo del suo arrivo, perché aveva tutta
l’aria di aspettare lui.
«Che succede qui?» domandò
spaventato, anzi, terrorizzato che ci fosse qualcosa in corso, qualcosa
che necessitasse dell’intervento del prescelto dal keyblade.
«Prima dimmi perché sei a Radaint Garden.» ribatté lui serio.
Lo guardò. «Roxas vuole che costruisca
una tomba per Axel, lui…» abbassò lo sguardo non
sapendo esattamente come continuare. «erano molto legati.»
Per un lungo istante Cloud rimase fermo, immerso nei
suoi pensieri. «Lo senti, quindi.» non rispose, non
servivano risposte. «Quando Xemnas è stato sconfitto molti
dei cuori che aveva imprigionato sono tornati al loro posto.»
iniziò. «Scavando tra le rovine della fortezza abbiamo
trovato dei corpi, né vivi, né morti, sono i corpi di
quelli che sono rimasti coinvolti nell’incidente. Alcuni hanno
cominciato a svegliarsi…»
Si fermò ancora dando tempo a Sora di
digerire quello che gli stava dicendo, ma lui si sentiva due volte
confuso, la prima per sé stesso, la seconda per Roxas.
«Io e Leon abbiamo costruito questo ricovero e
li abbiamo spostati qui, per monitorarli, controllarli, il re ci ha
aiutato.»
«Topolino?» domandò incredulo.
Cloud ridacchiò. «Chi altri?» si
schiarì la voce tornando serio. «Alcuni si sono già
svegliati, altri sono definitivamente morti, altri ancora sono rimasti
sospesi…»
Sora smise di ascoltarlo e fece un passo verso la
porta, spinto da una forza ed una speranza che non erano le sue, ma
Cloud lo trattenne afferrandolo per un braccio. «Il punto
è, Sora, che sapere potrebbe incastrarti qui.»
Non voglio vedere il suo cadavere…
«Sono venuto a costruire una tomba per lui…»
Non voglio vederlo sospeso…
«ma se non è morto…»
Non voglio credere che sia vivo per poi piangere ancora la sua morte…
«Cloud, lui…?»
No!
Roxas riuscì a bloccarlo prima che desse voce ai suoi desideri.
«Si chiama Lea, non sono i Nobody a
svegliarsi, ma quelli che una volta erano qui.» spiegò
Cloud con calma. «Axel è morto, chiunque sia il ragazzo
che abbiamo trovato tra le macerie, non è lui come tu non sei
Roxas.»
Sora lo guardò indeciso.
Voglio solo una tomba, non voglio nient’altro.
«Ok…» mormorò ad entrambi. «dove posso trovare una lapide?»
Lui gli diede una pacca sulla spalla. «Saggia decisione, ragazzo.»
ho
dovuto prendermi un po' di libertà, lo so, certo che lo
so....spero comunque ch emi perdonerete, dai non ho tirato giù
baggianate troppo fastidiose, no?
due cose: primo, Riku che è innamorato di Kairi, ma che si
è fatto una ragione del suo amore per Sora, mi piace
parecchio...i triangoli sono sempre punti di pertenza favolosi per un
racconto; secondo, ricordatevi il discorso di Kairi che comunica con
Naminè, più in là sarà decisamente
importante...
beh...al prossimo aggiornamento!
baci
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
sora
vi do una buona notizia...da questo capitolo si inizia a capire di cosa intendo parlare...
ve ne do anche una cattiva...esattamente dopo aver finito questo capitolo potreste cedere alla tentazione di linciarmi...
è un bel enigma, no?
signore e signori, mi rimetto al vostro giudizio...accetterò di
buon grado i fiori che vorrete regalarmi (perchè fragolottina
nonostanto tutto è schifosamente ottimista), ma sarò
anche tanto umile da prendermi tutti i pomodori che vorrete lanciarmi!
c'est la vie!
un bacio however...
Capitolo 3
A volte non sapere è molto meglio…
‘Se lo dici tu.’
Cloud li aveva spediti alla cava, era il posto dove
portavano le macerie che rallentavano la ricostruzione, gli aveva
suggerito di andare lì, perché avevano dovuto togliere
anche alcuni dei massi colorati che una volta occupavano la caverna che
portava alla fortezza. Da quelle avrebbe potuto intagliare una lapide
bellissima.
L’unica cosa negativa era che la cava si
trovava esattamente dall’altra parte della città e nessuno
si era offerto di accompagnarlo, quindi si era pazientemente messo in
marcia, ignorando il sole che si abbassava sempre di più; ora
che era sicura, Radiant Garden era bella anche di notte, non
c’era un angolo che non fosse illuminato e molti negozi
rimanevano aperti anche dopo il tramonto. Fu proprio passando davanti
ad uno di questi che si chiese quanto buio potesse fare in questa
misteriosa cava.
‘Forse avremo bisogno di una torcia.’
Fece per entrare dentro un Item Shop, ma si
fermò ad osservare la vetrina con alcuni peluche, avrebbe dovuto
portare un regalo a Kairi, qualcosa che le dicesse che, anche lontano,
tutti i suoi pensieri erano stati per lei. Osservò un cuore
peloso con attaccate sul retro delle aluccie di plastica lucida: quella
era una buona idea.
Non seppe mai cosa gli avesse fatto cambiare
prospettiva, improvvisamente si trovò a fissare con uno strano
groppo pulsante all’altezza del petto il riflesso delle persone
che passavano alle sue spalle. Il riflesso di una persona, che
disinvolta e con le mani in tasca, attraversava la via. Senza che ne
fosse pienamente consapevole, sfiorò il vetro con una mano nella
speranza di accarezzare quell’immagine.
Il riflesso sparì e Sora si chiese se non si
fosse trattato solo di un sogno, un moto nostalgico di Roxas. Ma
guardò lo stesso verso la via che doveva aver imboccato.
Non seguirlo.
– lo ammonì, ma in realtà lo stava già
facendo. Prima di corsa per raggiungerlo, poi più lentamente per
studiarlo, per essere sicuro che fosse lui, ma senza farsi vedere.
– Non può essere.
‘Guardagli i capelli, credi che possano essere
di qualcun altro?’ gli domandò sarcastico, ma non erano
solo i capelli – una massa ispida e rossa che dava l’idea
di pungere solo a guardarla – era la camminata, le braccia e le
gambe lunghe, la forma flessuosa. Se avesse avuto la divisa
dell’Organizzazione non avrebbe avuto dubbi.
Perché no? Magari qui è di moda…
Sora scosse la testa con rimprovero, alzando per un
attimo gli occhi al cielo per guardare le stelle. ‘Controllare
non costa niente, se è morto sarà morto anche domani,
quindi saremo comunque in tempo per costruirgli la tomba.’ tra
quelle stelle, lontana eppure vicina, c’era Kairi sonnacchiosa
nel letto che avevano condiviso tante volte di nascosto, per poi
lasciarsi appena prima dell’alba e ritrovarsi un paio di ore dopo
con un segreto che si scambiavano i loro occhi.
Lui è morto, te lo ha detto anche Cloud, se anche fosse identico, sarebbe quel…quel…Lea. – la sua voce si affievolì triste – Non voglio vederlo guardarmi e chiedersi chi sono.
‘Tu ricordi lui ed io ti sento forte e chiaro, magari Lea avrà una specie di de-ja vu.’
O magari chiamerà Leon per farsi aiutare a liberarsi di uno stalker.
Sbuffò senza rispondergli e si guardò
intorno, erano in una parte dove evidentemente i lavori erano iniziati
da poco, le case erano disabitate e le persone che incrociavano sul
cammino erano sempre più sporadiche; Sora rallentò e si
fermò, rabbrividendo, se non fosse stato sicuro che quello non
era più Axel si sarebbe preoccupato, perché aveva tutto
l’aria di uno che stava cercando di isolarli il più
possibile per poi derubarli, o ucciderli. Anzi, isolarlo, derubarlo,
ucciderlo; avere una voce nella testa a volte confondeva, gli dava
l’illusione di essere realmente in due, ma la verità era
che lui era completamente solo.
Averlo seguito non gli sembrò più
un’idea così intelligente, cosa avrebbe fatto se lo avesse
attaccato? Scosse la testa davanti a quella stupida paura, un Lea
qualsiasi non poteva avere alcun motivo di volergli male, anzi, se era
il corrispettivo di Axel come lui lo era di Roxas, avrebbero dovuto
provare una sorta di empatia, o simpatia subitanea. Riprese a camminare
più velocemente per non farsi lasciare indietro.
Roxas valutò tutta la situazione incerto
almeno quanto Sora, ma molto meno ottimista, cosa poteva fare lì
un Lea qualsiasi? Forse era una specie di criminale, ma gli faceva
strano pensare che il posto dove nascevano le principesse dal cuore
puro potesse ospitare la criminalità organizzata. Cercò
di cambiare punto di vista, si costrinse a prendere in considerazione
l’impossibile. Se dentro a quel corpo, dentro a quel cuore ci
fosse stata l’anima di Axel, se avesse pensato a lui giorno e
notte, se avesse visto Sora e lo avesse riconosciuto…
Torna indietro! – gridò dentro la sua testa.
Sora si bloccò ancora. ‘Perché?’
Vuole ucciderti.
‘Cosa?’ guardò l’uomo
davanti a lui, sembrava essersi fermato, forse doveva incontrarsi con
qualcuno.
Ha un cuore, potrebbe amarmi, ma non può farlo perché…
Un suono metallico costrinse Sora a fissarlo, nelle
sue mani brillavano, sotto la luce di una luna tonda, due chakram; si
voltò con calcolata lentezza e lo fissò, gli occhi
sottili, minaccioso come un felino. Sora fece un passo indietro, senza
staccare gli occhi da lui: pessima idea venire a Radiant Garden,
pessima idea non dare ascolto a Cloud, pessima idea averlo seguito. E
mentre il suo cuore batteva all’impazzata per la paura e per
l’ansia di non sapere cosa fare – combattere? Non
combattere? Scappare? Parlargli? – sentì la parte che
apparteneva a Roxas sciogliersi nel calore della speranza.
«Sora, tu sei Sora.»
Deglutì chiedendosi se negare avrebbe potuto fare qualche differenza.
Axel o Lea, o chiunque fosse ghignò. «Certo che sei tu.»
«N-non farlo.» provò a farlo
ragionare Sora, indietreggiando ancora. «Te ne pentiresti.»
L’uomo fece schioccare la lingua contro il
palato, sorridendo. «Pentirmi?» chiese sarcastico.
«No…» scosse la testa. «credo proprio di
no.»
Axel sparì davanti ai suoi occhi, stava per
attaccare, e Sora allungò una mano con la cieca fiducia
nell’unica cosa che sapeva fare, l’unica cosa che era; ma
il suo keyblade quel giorno pareva intimidito e lui fece appena in
tempo a buttarsi di lato su un cumulo di sassi prima che Axel lo avesse
raggiunto e gli avesse tagliato di netto un braccio con uno dei suoi
dischi infuocati. Tutto il suo fianco sinistro si lamentò in
previsione di un livido per niente piacevole e tanto meno sexy.
‘ROXAS!!’ ringhiò nella sua
testa, perché aveva il sospetto che avessero idee differenti su
come affrontare la crisi; lui gli fu addosso di nuovo, questa volta
puntava a staccargli un piede probabilmente, allargò le gambe ed
il colpo andò fortunatamente a vuoto, si tirò indietro
febbrilmente aiutandosi con gambe e mani, faticosamente su quel mucchio
sdrucciolevole di pietre.
Riprovò ad afferrare il keyblade, davanti
all’impossibilità di mettere abbastanza distanza tra lui
ed il suo assalitore – che non era mai abbastanza morto per i
suoi gusti – ma di nuovo il suo pugno si strinse intorno al
niente.
Non te lo farò uccidere! È il mio keyblade non il tuo!
Oh, fantastico!
«Non capisci, lui c’è, è dentro di me, se uccidi me lo perderai per sempre!»
Si fermò sovrastandolo e nascondendolo in un
ombra fitta e buia come le spire dei corridoi oscuri. «A queste
cazzate non ci credo più.»
Hai vinto, diglielo!
«No, io non mi arrendo!» sbottò
Sora fregandosene di chi poteva prenderlo per pazzo, tanto lo avrebbe
ucciso comunque, no?
Non devi arrenderti. – spiegò Roxas impaziente. – Digli ‘hai vinto’ e che quel bastoncino gliel’ho dato perché potessimo dividere il premio.
Il colpo successivo lo sentì sibilare sopra
la sua testa, mentre si lasciava scivolare di nuovo giù tra le
sue gambe, passandogli sotto, la maglietta gli si arrotolò sulla
schiena ed i sassi provvidero a graffirgliela tutta a dovere, ma era
libero e fuori mira, aveva dieci secondi per scappare il più
lontano possibile, non era il caso di lamentarsi.
«Che diavolo stai farneticando?» chiese intanto alla voce suicida nella sua testa.
Fallo! Lui capirà!
Ma scappare gli sembrava un’idea molto
più saggia, almeno finché Axel non lo raggiunse e lo
colpì alla schiena; buttò fuori l’aria tutta
insieme, rimanendo per un attimo completamente e spaventosamente senza
fiato. Inciampò nei suoi stessi piedi e cadde a terra rotolando
per un paio di metri. Quando si fermò era sdraiato a pancia in
giù sulle macerie, prese aria deglutendo anche polvere e terra,
fissando le scarpe ed i pantaloni dell’uomo avvicinarsi
sinistramente; immerso nel panico e spaventato da morire, pensò,
comunque, a quanto sembrasse strano Axel con i jeans e le scarpe da
ginnastica.
Lo rigirò sulla schiena con un calcio e Sora
fu quasi sul punto di ringraziarlo perché in quel modo respirava
meglio, respirava bene, aria pulita e senza polvere.
Diglielo…
Il viso gli pizzicava, doveva essersi graffiato anche quello.
Diglielo, Sora!
«Hai…» lo vide tirare indietro il
chakram pronto per finirlo, strizzo gli occhi e si parò il viso
con le mani, istintivamente. «hai vinto!» urlò con
quanto fiato era riuscito a recuperare.
Il colpo non arrivò, aprì gli occhi e
lo vide immobile sopra di sé, combattuto, ma immobile, almeno
per il momento.
Continua!
Prese fiato rincuorato, non ci capiva niente, ma
evidentemente funzionava, frugò nella sua mente,
com’è che era? Ah, si. «Il bastoncino, te l’ha
dato perché condivideste il premio.» si fermò
incerto. «Ma che significa?»
Axel tirò ancora indietro il braccio pronto a
farlo fuori e Sora recuperò la sua posizione accartocciata, ma
il chakram si abbatté appena sopra di lui tintinnando;
aprì gli occhi e si trovò davanti il proprio keyblade
splendente, si sporse a baciarlo riconoscente, poi spinse aiutandosi
con i piedi e riuscendo a respingerlo. Si sollevò sulle braccia
e guardò Axel barcollare all’indietro confuso, grazie al
cielo non si fece sotto di nuovo.
Sora piantò la chiave a terra e la usò
per sollevarsi in piedi, si sentiva sballottato e strapazzato –
non era più abituato a lotte improvvisate – scrollandosi
un po’ di terra di dosso fece una stima dei danni: tutto il
fianco sinistro gli doleva, con due picchi alla spalla ed
all’osso del bacino; la maglietta era appiccicata alla schiena e
visto che non stava sudando, c’era solo un’altra
alternativa; si toccò il viso per poi studiarsi le punte delle
dita sporche di rosso e nero: sangue e terra. «Sono da
buttare.»
Fu il suo ultimo commento prima che Axel lo
assalisse di nuovo, ma stavolta senza chakram; pensò di
proteggersi con il suo keyblade ritrovato, ma Roxas non glielo permise,
guidato da un’intuizione più allettante della propria
sopravvivenza, e prima che realizzasse davvero cosa stesse succedendo
si trovò le sue mani sulla schiena e la sua bocca premuta sulla
propria. Pensò di lamentarsi, pensò di spingerlo via,
pensò a Kairi ed alle sue labbra, le uniche che avesse mai
baciato fino a quel momento; ma non fece niente, il desiderio di Roxas
nella testa era talmente totalizzante che Sora non seppe più a
chi appartenesse quel corpo. E nel dubbio lo lasciò alla sua
controparte che sembrava decisamente meno confusa.
Roxas gli afferrò il collo della maglia con
le sue mani, se lo tirò addosso, andando incontro alla sua bocca
dischiusa; la schiena gli doleva, dove Axel lo stringeva, premendo su
tutta una serie di ferite, ma fermarsi e dirgli di lasciarlo gli
sembrava assolutamente un’idea impraticabile.
Axel distolse le labbra senza allontanarlo,
studiandolo con i suoi occhi sottili e verdi esattamente come Roxas li
ricordava. «Allora è vero.»
Sora riprese coscienza di sé tutta insieme,
anche se forse in quel momento avrebbe preferito che continuasse a
vedersela quell’altro; si toccò le labbra e lo
lasciò facendo un passo indietro colpevole, cosa avrebbe pensato
Kairi? Come avrebbe fatto a dirlo a Riku? Non poteva nasconderglielo,
aveva l’impressione che avesse una lettera scarlatta marchiata a
fuoco sulla fronte. La ‘A’ di Axel.
«Tu non dovresti essere Lea?» gli
domandò indispettito, ottenendo una risata come una reazione.
«Io sono Lea.»
«Ma…»
Non gli diede il tempo di finire. «Sei ridotto
uno schifo.» osservò, poi gli indico una stradina dietro
di lui con un cenno del capo. «Ti porto a casa e ti do una
sistemata.»
Si incamminò di nuovo davanti a lui.
Sora si nascose il viso nelle mani, aveva baciato un
uomo! Ed a lui non piacevano gli uomini, piacevano alla vocina nella
sua testa. Mugugnò scuotendo la testa ancora immerso nei suoi
palmi, sarebbe potuto essere a casa di Kairi in quel momento, lui
avrebbe finto di dormire e lei gli avrebbe fatto le coccole,
finché sarebbero diventate più languide e lui non avesse
capito che c’era un ottimo motivo per fingere di risvegliarsi.
Scusa…
Forse lo avrebbe consolato se lui non fosse stato
così sfacciatamente su di giri e felice, incredibile che Roxas
contento fosse più detestabile di Roxas depresso.
Lanciò un’occhiata alla figura
dell’uomo che senza guardarsi indietro, camminava tranquilla in
direzione di casa sua.
‘Ti fidi di lui?’
Certo. – lo tranquillizzò.
Sora deglutì. ‘Non mi violenterà, vero?’ domandò con apprensione.
La sentì, dolce e densa, la tenerezza nei
pensieri di Roxas per quella schiena, di secondo in secondo più
lontana, era quasi palpabile. – Nah…non te.
Sospirò, facendo alcuni passi nella stessa
direzione; piano, piano scopriva nuovi acciacchi, la caviglia nella
quale era inciampato che cedeva un po’ se ci caricava troppo
peso, le ginocchia che pizzicavano a contatto con la stoffa dei jeans,
ma ognuno dei quei piccoli doloretti non riusciva a bilanciare il
benessere intenso che veniva dall’ombra del suo cuore.
‘Rassicurante, se non fosse che tu sei me.’
AAAHH!! non linciatemi, vi prego!
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
sora
questo capitolo lo adoro...
guarda che quelli che non mi hanno linciato nello scorso lo fanno adesso, eh? no dai, è bello...un po' triste, ma bello!
allora, niente non vi dico niente leggete!
Capitolo 4
La casa di Lea era un
monolocale non molto grande. Puzzava. Con questo non voleva dire che
non fosse stato pulito, ma puzzava di chiuso, di pietra; si
guardò intorno curioso, era un bilocale a voler essere precisi:
il salone principale, ospitava un angolo cottura, un tavolo ed un
divano con annessa tv, proprio accanto al divano c’era una porta
chiusa che, intuì, doveva portare nella sua camera o in bagno.
«Aspettami qui.» disse dirigendosi verso quella porta.
Sora
rimase lì impacciato, con la sensazione che tutto quello avrebbe
portato problemi, su problemi; gli sembrava già di sentire la
voce di Roxas annunciarglielo, l’intonazione, il sospiro
iniziale, il rammarico, ma si rifiutò di formulare le parole che
avrebbe usato. Anche se le conosceva.
Lea,
ritornò con una bacinella, una pezzuola ed una bottiglietta di
disinfettante; appoggiò tutto sul tavolo e gli scostò una
sedia per invitarlo a sedersi, poi si sistemò davanti a lui.
«Serviti pure.»
Dopo
un’iniziale resistenza, decise di approfittare della sua
insperata ospitalità, contava ancora di tornare a dormire da
Aeris e Tifa, ma presentarsi ridotto in quel modo le avrebbe fatte
preoccupare. Nella bacinella c’era dell’acqua tiepida, ci
versò un tappino di disinfettante e ci inzuppò la
pezzuola per poi passarsela prima di tutto sul viso; per un secondo
rivide Kairi fare quello stesso lavoro mille volte, dopo che lui e Riku
se le erano date dopo una litigata. In quel momento avrebbe voluto da
pazzi che lei si prendesse cura della sua povera carcassa, anche solo
per dargli l’illusione che non erano appena cambiate tutte le
carte in tavola.
«Quando mi hai baciato la prima volta?»
Sora
arrossì come non credeva nemmeno possibile. «Ha iniziato
lui?!» domandò incredulo, ma Lea non si scompose, attese
paziente.
Quando è tornato dal C.O., credevo fosse morto. Credevo che tu lo avessi ucciso.
‘Lo credevo anche io’. E forse sarebbe stato meglio.
«Dice…» mise in chiaro per dividere la propria
personalità da quella di Roxas. «al tuo ritorno dal
Castello dell’Oblio.»
«Che abbiamo fatto dopo?» continuò ad indagare.
A
Sora mancò il fiato per rispondere, mentre gli passava davanti
agli occhi, come il ricordo di una fotografia: lui ed Axel uno sopra
l’altro, a volerla dire tutta, Axel era sopra a Roxas, sdraiato a
pancia in giù su un letto bianco mentre stringeva
spasmodicamente un cuscino.
«Voi avete…» si morse il labbro, sciacquando la
pezzuola, con un gemito assordante – decisamente più
rumoroso dei suoi o di quelli di Kairi – in mente. «voi
avete…»
«Si?» lo imboccò sadicamente.
Sora
sbuffò. «Avete fatto sesso!» si sedette ed
arrotolò i pantaloni per scoprirgli le ginocchia che provvide a
pulire dal sangue rappreso.
Chiedigli qualcosa tu.
‘Cosa?’
Chiedigli dov’è Demix.
Sospirò stanco di fare il portavoce. «Vuole sapere
dov’è Demyx.» bofonchiò.
Lea
rise sorpreso, intenerito, sembrava quasi provare sentimenti umani,
rifletté Sora. «Non ha preso il tuo posto, piccolo.»
disse fissandolo, ma era come se non guardasse i suoi occhi, come se al
centro esatto delle sue pupille, lontano, lontano, avesse trovato
Roxas, era a lui che si stava riferendo.
‘Piccolo? Ti chiama davvero piccolo?’
Ma
quell’aggettivo che lo faceva sentire tanto schifato aveva un
effetto del tutto diverso sull’ombra nel suo cuore, gli sembrava
quasi di vederlo sorridere, melenso, stucchevole, commosso. Si. – ammise semplicemente. – lui mi chiama ‘ piccolo’.
In
realtà il significato delle parole di Roxas era un altro ed era
evidente anche a lui, era qualcosa che somigliava a: che mi chiami come
vuole, basta che mi chiami.
«Dai, girati e togliti la maglia.» lo invitò Lea.
Sora
deglutì con la bocca improvvisamente asciutta.
«P-perché?» balbettò, non avrebbe avuto
niente da temere da Lea se non fosse stato così palesemente Axel.
«Voglio darti una ripulita.»
Lui continuò a studiarlo incerto. «Ehm…»
Non fare il bambino! – lo rimproverò Roxas. – Non ti farà niente…
Dopo
un’ultima occhiata sospettosa Sora decise di dargli ascolto,
anche perché non poteva fare da solo; gli diede le spalle, poi
si arrotolò la maglietta fino a scoprirsi tutta la schiena.
Sentì Lea rimescolare nella bacinella, mentre teneva scoperta la
parte infortunata, pratico ed attento iniziò a passare il panno
su tutte i puntini che gli sembrava quasi di veder bruciare; era sicuro
che fossero ferite superficiali e che probabilmente non c’era
nemmeno bisogno di tanta attenzione, ma quando iniziò a
farlo…non riuscì più a fermarlo. Sicuramente
quelle emozioni erano di Roxas, ma per un attimo gli sembrò che
lì, in quel momento, si sentisse a casa. Esattamente come si era
sentito a casa la prima volta che Kairi lo aveva baciato.
Lea
si spostò posandogli una mano sul fianco nudo per pulirlo
meglio, ma l’impronta della sua mano fu spedita al suo cervello,
Roxas la intercettò, amplificando quel brivido mille volte. Sora
si chiese se non fosse rimasto tipo marchiato. Ma ancora non si mosse,
fermo a capo chino, immaginando con un attenzione quasi morbosa tutti i
suoi movimenti.
«Che dice?»
Sora
rimase immobile ed in silenzio per un lungo momento, era come se tutte
le sue terminazioni nervose andassero a rilento, poi deglutì e
si leccò le labbra. «Non parla.»
Lea ridacchiò. «Tipico di Roxas.»
Ti amo.
‘Non posso dirglielo.’
Ti prego, deve saperlo. – lo supplicò.
Doveva tornare alle Isole del Destino. Doveva abbracciare forte Kairi e
non lasciarla mai più. Doveva chiudere quella coscienza
indipendente in una gabbia e non ascoltare mai più quello che
voleva. Lui doveva salvare il proprio cuore e la propria vita.
Improvvisamente la paura di perdersi tornò di a farsi sentire con prepotenza.
Fece
un passo avanti mettendo un metro di distanza tra lui ed Axel –
era inutile chiamarlo in un altro modo, non sapeva esattamente come
funzionava, ma quello era Axel – e si rilasciò cadere la
maglietta a coprirlo tutto, perché la propria pelle lo chiamava
così forte, che temeva potesse cedere alla tentazione di
rispondere.
«Grazie, ma io ora devo andare.» disse senza voltarsi,
senza guardarlo, ignorando Roxas che scalpitava e cercava di
ribellarsi. Quel corpo era suo e finché lo fosse stato, lui
decideva il da farsi.
«Anche lui vuole andarsene?» gli chiese infinitamente paziente.
NO!
Sora
rise, una risata così disperata ed amara che sembrava la risata
di Riku. «Se dessi retta a lui rimarrei qui per sempre.» ed
era esattamente per quello che doveva andarsene.
«Un secondo.» fece lui alzandosi ed andando a frugare tra gli sportelli della cucina.
Aspettò inquieto come se più tempo fosse rimasto
lì, più sarebbe stato difficile andarsene.
Gli
si avvicinò piano e si fermò ad una distanza ragionevole,
per poi allungare una mano e porgergli qualcosa. «Se ci
ripensassi, puoi venire quando vuoi.» era una chiave, Sora
ridacchiò non riuscendo proprio ad ignorare il lato comico della
cosa. Una chiave per il keyblade master, divertente.
La
prese, però, e se la mise in tasca, sperando con tutto il cuore
di perderla; lui perdeva tutto, anche il proprio cuore, perché
non avrebbe potuto seminare da qualche parte quel piccolo pezzetto di
metallo. «Ne dubito, ma ok.»
Si
girò diretto verso la porta, fece appena in tempo a posare una
mano sul pomello che Axel lo abbracciò; il braccio gli ricadde
lungo il fianco, mentre miseramente osservava quelle braccia avvolgerlo
e prendeva coscienza di ogni millimetro dei loro corpi a contatto.
Avrebbe voluto scrollarselo di dosso e Roxas avrebbe voluto voltarsi e
baciarlo, non andarsene mai più, ma dividevano un corpo ora,
dovevano collaborare: Sora non gli negò quell’abbraccio e
Roxas non lo costrinse a quel bacio.
Forse
gli era capitato ancora di essere così disperato, ma in qual
momento non riusciva proprio a ricordarsi quando, né
perché.
Axel
gli lasciò un bacio sulla nuca, proprio sotto
l’attaccatura dei capelli, un brivido caldo scese da quel punto
lungo tutta la colonna vertebrale, risvegliando milioni di impronte di
altri baci. «Nessuno potrà mai prendere il tuo posto,
piccolo.»
Non avrebbe mai perso la chiave di casa di Axel, se fosse caduta, Roxas si sarebbe fermato a raccoglierla.
Camminò e
camminò ancora, con un senso di spossatezza che lo travolgeva ad
ondate, gli sembrava di essere sul ponte di una nave in tempesta, che
dondolava e dondolava.
Si
fermò quando raggiunse il giardino dove era arrivato solo quel
pomeriggio, gli sembrava che fossero passati secoli da quando, pieno di
buoni propositi, era giunto lì deciso a costruire una tomba. Si
sedette su un gradino e rimase immobile nel fresco della sera ad occhi
chiusi, cercando in tutti i modi di impedirsi di pensare; quando era a
casa di lui non gli era sembrato di essere tanto stanco, ma ora sentiva
che avrebbe quasi potuto addormentarsi su quel gradino.
Sora…
«Sta zitto!» borbottò secco, tirandosi indietro per
appoggiarsi ai gomiti; cercò di convincersi che se avesse aperto
gli occhi ora, avrebbe visto il viso di Kairi davanti a lui,
l’azzurro intenso dell’oceano, annusò l’aria
alla ricerca dell’odore di salsedine, ma sentì solo il
profumo dei fiori di Radiant Garden. Tristemente aprì gli occhi
e guardò il cielo, le stelle gli apparvero scombinate, non erano
le stesse stelle che guardava mano nella mano con lei.
Sora… – ripeté Roxas incerto.
Non rispose, ma questa volta non gli intimò nemmeno di tacere.
Sora, io apprezzò tanto che tu mi abbia portato fin qui… – iniziò con delicatezza – ed ero davvero disposto a farmi da parte, la tomba era un bel gesto da parte tua, ma ora…
«Smettila!» gli intimò affranto, lui doveva tornare da Kairi.
Devi capire! Lui è vivo!
«Lo so, l’ho visto!» si tirò su appoggiando i
gomiti alle ginocchia con le mani tra i capelli.
Ed io ora…
«Ti prego, non dirlo.» supplicò piano.
Una lapide non può bastarmi.
«E che cosa dovrei fare?!» domandò stravolto.
«Cosa ti aspetti che faccia esattamente?!»
Io non… – sospirò anche lui – non lo so, ma…
Sentì dei passi e si guardò intorno individuando una
figura ancora in ombra, ma che si avvicinava; Cloud si sedette accanto
a lui tranquillo e lo studiò. Sora evitò il suo sguardo
finché gli fu possibile, chiedendosi al contempo che faccia
avesse, quanto avrebbe potuto capire guardandolo, cielo, se fosse stato
Riku avrebbe saputo tutto.
«Come è andata alla cava?» gli domandò, ebbe
l’impressione che lo stesse prendendo in giro, ma decise di
ignorare la cosa.
Si strinse nelle spalle. «Non ho trovato quello che cercavo.»
Gli
occhi di Cloud praticamente gli fecero una radiografia. «Sei
caduto?» chiese ancora con quella nota sarcastica, e se era Cloud
a fare del sarcasmo era ridotto proprio male. «O ti sei
accapigliato con un tigre?»
«Sono scivolato.» borbottò.
«Te lo avevo detto, Sora.»
Sospirò. «Lo so.»
Il suo amico si massaggiò le mani. «Cosa hai intenzione di fare, quindi?»
«Questo non lo so.» ribatté indispettito,
probabilmente lui la faceva facile, non aveva mica un altro dentro al
cuore. «Suggerimenti?»
«Vai da Aeris e Tifa, ti hanno preparato il letto e se domani
mattina lo trovano intatto si preoccuperanno.» gli diede una
pacca sulla spalla che in realtà gli fece un male infernale, ma
non fiatò. «La notte porta consiglio.»
Gli
obbedì, non perché credesse che la notte gli avrebbe
portato consiglio, ma perché aveva bisogno di fare qualcosa ed
alzarsi, camminare fino alla casa delle ragazze, mettersi nel letto che
gli avevano improvvisato sul pavimento della cucina era già
qualcosa. Ci mise parecchio per trovare una posizione che non lo
facesse urlare di dolore ed il fatto che fosse sul pavimento duro non
aiutava, ma rotolando e scalciando si ritrovò in qualche modo
sul fianco destro e realizzò che poteva andare; certo, la
mattina dopo si sarebbe sentito tutto indolenzito, ma almeno avrebbe
dormito. Chiuse gli occhi svuotando la mente e concentrandosi solo sul
suo respiro.
Voglio dormire da lui.
Addio sonno. ‘Sai che significa che anche io dovrò dormire da lui, vero?’
Ci darebbe un letto vero. – provò a tentarlo.
‘Non è così allettante come proposta, visto che sarebbe il suo letto.’
Anche il divano sarebbe meglio del pavimento.
Quando aveva ragione, aveva ragione, ma… ‘Non resterò qui, Roxas.’
Lo so. – e dalla rassegnazione addolorata e malinconica che sentiva nella sua voce capì che lo sapeva davvero. – Ho solo questi due giorni, per favore.
Sora aprì gli occhi fissando il buio. ‘Niente porcate.’ Intimò.
Sembrò già che l’umore di Roxas si risollevasse. – No, te lo prometto.
‘Non ho detto di si.’ Precisò. ‘Se domani
mattina sarò di buon umore potrei decidere di accontentarti. Se
non dormo almeno un pochino non sarò di buon umore.’
Grazie! – per essere un’ombra nel suo cuore era decisamente luminosa.
‘Roxas.’ Lo rimproverò.
Si. Capito. Sto zitto. Dormi.
niente porcate, capito?
fate i bravi...
AH!! chi l'ha tirato quel pomodoro?!
addio, sanità mentale...
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
sora
succedono tante cose simpatiche in questo capitolo...
non vi dico altro, leggete!
Capitolo 5
Lea continuava a chiedersi se non avesse sognato, un bel sogno indubbiamente, ma quanto poteva essere reale?
Sora era vivo, l’aveva sempre saputo, o almeno
nessuno gli aveva mai detto il contrario e, trattandosi di una specie
di celebrità, si aspettava che tutti i mondi fossero in lutto se
gli fosse accaduto qualcosa. Quando si era risvegliato aveva sentito il
re, Cloud e Leon parlare di lui e di come fosse finalmente tornato alle
Isole del Destino. Meglio, non era stato sicuro che trovandoselo
davanti avrebbe resistito alla tentazione di ucciderlo, gli aveva
portato via qualcosa di troppo importante e se era vero che se gli
fosse successo qualcosa tutti i mondi sarebbero stati in lutto,
sospettava anche che, chi gli avesse fatto qualcosa, non avrebbe di
certo ottenuto la migliore delle accoglienze.
Ma Sora era Sora, l’aveva incontrato e,
nonostante la somiglianza fisica decisamente fuorviante, continuava ad
essere Sora; nemmeno nei suoi sogni più coraggiosi aveva provato
ad immaginare che in qualche modo, nascosto da qualche parte, Roxas
– tutto quello che lo rendeva Roxas – esistesse ancora.
Per gli altri Nessuno, per lui, era stato diverso.
Lui era sempre stato sé stesso, Axel e Lea erano sempre stati la
stessa persona, solo che i sentimenti di Axel erano slavati dalla
mancanza di un cuore; non aveva mai dimenticato chi era stato, non
aveva mai dimenticato com’era vivere a Radiant Garden,
quando era Radiant Garden. Lui non dimenticava niente, tanto meno
sé stesso.
E nemmeno gli altri Nobody lo facevano.
Si, Even continuava a darsi per smemorato, ma Lea
sospettava che avesse solo paura. Era stato un pezzo grosso
nell’Organizzazione, era a lui che si rivolgeva Xemnas quando
doveva fare qualcosa; la squadra dei ‘buoni’ avrebbe potuto
decidere di prendere e spremerlo fino all’ultima informazione. In
realtà anche Lea iniziava a volerlo fare: c’era qualcosa
che lui aveva fatto, qualcosa che non ricordava, ma sapeva fosse
importante.
Isa lo afferrò per un braccio tirandolo via
proprio prima che un camion di macerie gli fosse scaricato addosso,
avevano dato un lavoro a tutti gli ex membri dell’Organizzazione:
dovevano ripulire la città. C’era un sorta di giustizia in
quel compito, gran parte della distruzione poteva essersi definita
colpa loro.
«Lea, ci sei?» gli domandò il suo
amico studiandolo. «Stamattina sei troppo distratto, finirai per
farti ammazzare.»
Scosse la testa. «Ho solo dormito male.»
aveva appena visto la cosa che più si avvicinava ad un fantasma,
si era sentito in diritto di rigirarsi nelle lenzuola.
«Sei sicuro?» c’era troppa
apprensione nella sua voce, così gli lanciò
un’occhiata indagatrice. Isa abbassò lo sguardo sulle sue
scarpe. «So che Sora è qui.»
Ah, ecco perché.
Lea si strinse nelle spalle ignorandolo. «Si,
l’ho visto.» confessò con tranquillità.
Facendo il doppio gioco nell’Organizzazione aveva imparato che
non dire alcune cose era molto più facile che mentire, era vero
che lo aveva incontrato, ma niente lo obbligava a rivelare che ci fosse
stato dell’altro. «Mi è sembrato in forma.»
Isa lo fissava sorpreso e lui scrollò ancora le spalle.
«Cosa?»
«Tutto qui?»
«Ti aspettavi che gli offrissi da bere? Certe inimicizie sono dure da seppellire.»
L’uomo si passò una mano tra i capelli
imbarazzato. «Non lo so…mi
aspettavo…boh…visto che lui è…»
«Non è Roxas.» disse con un tono
che non ammetteva repliche, non gli piaceva che la gente insinuasse il
contrario.
«No, certo, ma…»
«Ehilà, bellezze!» li
chiamò Cid da sopra il camion. «C’è del
lavoro da fare, voglio finire di sgombrare almeno la parte ad ovest
della città! Rimandate le chiacchiere a dopo!»
Tornò a casa che era il tramonto, si sentiva stanco e sporco,
agognava il getto bollente della doccia…ma in casa sua
c’era qualcuno. Lo guardò seduto comodamente sul divano,
mentre leccava uno dei suoi gelati; per un attimo la cosa lo
disturbò come se stesse prepotentemente forzando la porta della
propria intimità: lui e Roxas mangiavano gelati al sale marino,
non Sora.
«Li adora.» disse lui con
semplicità, stringendosi nelle spalle. «Non mi avrebbe
dato pace.»
Cautamente Lea chiuse a chiave la porta alle sue
spalle. «Credevo che non avessi intenzione di tornare.»
disse cercando di mostrarsi indifferente, anche se si sentiva
stranamente adulato: quanto poteva avergli dato il tormento Roxas per
farlo venire fin lì? E tutto perché voleva stare con lui.
«Non ce l’avevo infatti,
ma…» rimase fermo, pensieroso ed un poco triste, mentre il
ghiacciolo si scioglieva colandogli tra le dita; una parte molto
possessiva di sé stesso, gli suggerì di avvicinarsi e
laccargliele. Rise sotto i baffi, chissà che faccia avrebbe
fatto? Era andato a fuoco la notte prima solo perché gli aveva
detto di togliersi la maglietta.
«Dice che se fosse stato lui l’avrebbe
già fatto.» Sora lo fissò con espressione
perplessa. «Che mi sono perso?»
Lea scoppiò a ridere, era la cosa più
assurda che gli fosse mai capitata e lui aveva conosciuto Demyx.
«Niente, di cui vorresti essere messo a conoscenza.» si
avvicinò al frigo e si prese da bere, c’era della limonata
fatta da Aeris. Gli piaceva quella ragazza, era una delle poche persone
a trattarli come gli esseri umani che erano tornati ad essere; era
venuta spesso a casa sua a trovarlo, a volte accompagnata dai propri
amici, a volte sola.
Prese la brocca e se ne versò un bicchiere.
«Perché siete qui?» non aveva importanza in
realtà, lui gli mancava così tanto che anche sentire le
sue parole ripetute dalla bocca di un altro lo confortava. E comunque,
Sora era abbastanza uguale da rendere la cosa piacevole. Un discreto
sostituto.
«Da Tifa ed Aeris non c’è posto,
stanotte ho dormito per terra, così mi chiedevo se non potessi
accamparmi sul tuo divano.»
Lea ridacchiò. «È l’unico motivo?»
«Certo.» rispose troppo veloce e con una
strana nota isterica nella voce, ma davanti alla sua espressione
scettica sospirò, gettando via la maschera di sicurezza.
«Situazione complicata, ok?» sbottò nervoso.
«Non è così semplice. Credevo che lo fosse, che
anche se lo sentivo parlare era il mio corpo, quindi era mio diritto
scegliere come farci vivere. Ma…» la sua voce si perse in
un altro sospiro. «lui ti ha preso e baciato, lui è
rabbrividito ed io avevo la pelle d’oca e…» lo
fissò supplichevole come se sapesse anche da sé quanto
fosse difficile trovare un senso nelle proprie parole, eppure Lea
capiva. «Siamo in due.» disse infine riassumendo tutto.
Lea continuò a studiarlo, aveva sempre
pensato che fosse un ragazzo un po’ lento per trattarsi del
keyblade master e di quello che, in definitiva, aveva fatto il culo a
tutti; Roxas gli era subito sembrato più sveglio, più
acuto, spesso distratto, ma brillante. Forse soltanto perché era
Roxas.
Si appoggiò al lavello del suo angolo cucina
dietro di lui. «Puoi accamparti sul divano se vuoi.» disse
mettendo fine a quel discorso al quale nessuno dei due avrebbe saputo
mettere un punto: come avrebbero fatto? Che sarebbe successo? Se ne
sarebbe andato davvero? «Vado a farmi la doccia, di là
c’è la mia camera…» disse indicandogli una
porta. «cercati delle coperte.» superò il divano
diretto in bagno.
«Mi dispiace.» mormorò Sora ad
occhi bassi. «Vorrei che poteste stare insieme, ma io devo
tornare da Kairi.»
Qualcosa stuzzicò la mente di Lea, come se lo
pungesse, qualcosa che gli suggeriva di fare attenzione, Kairi era
importante, lo era sempre stata in tutta quella vicenda, non avrebbe
smesso di esserlo proprio allora. Qualcosa che in qualche modo si
collegava a Even che fingeva di non ricordare, ma che se avesse passato
un quarto d’ora con lui avrebbe sicuramente ricordato ogni cosa,
comprese le misure di Xemnas se ne avesse avuto bisogno. Il problema
è che non riusciva a realizzare ‘a cosa’ gli
dovessero servire.
«Roxas, no!» bisbigliò Sora indispettito. «Ti ho portato nella tana del lupo, accontentati.»
Una sbirciatina?
Studiò la camera piuttosto spartana di Lea,
non sapeva esattamente perché si era aspettato qualcosa di molto
più eccentrico ed appariscente, probabilmente dipendeva dal
fatto che Lea era eccentrico ed appariscente.
«No.» rispose secco.
Il letto era un po’ più grande del suo
sulle Isole, forse doveva essere da una piazza e mezzo, ed
ordinatamente rifatto, lenzuola bianche, una coperta bordeaux, due
cuscini. Tanto normale da dargli fastidio. Non c’era molto altro,
una panca ai piedi del letto, che – seppe dopo aver sbirciato
– conteneva le coperte che lo aveva mandato a cercare.
L’acqua che sentiva scorrere nella doccia gli
creava un blocco fumoso e fitto nel cervello – che aveva molto a
che fare con Roxas – si sentiva ovattato e si era riscosso
più di una volta fare alcuni passi in direzione del bagno;
c’era da dire che effettivamente l’ombra nel suo cuore lo
voleva molto intensamente. Ed ecco di nuovo affacciarsi i sensi di
colpa.
Sbuffando tirò fuori una trapunta e la
dispiegò davanti per vedere la grandezza ed una volta convenuto
che ci si sarebbe potuto creare un bel bozzolo, le diede una
risistemata. Si sentiva ancora fuori luogo – a differenza di
quell’altro che era a suo agio come un cagnolino in una cuccia
– e non voleva che niente portasse l’impronta del suo
passaggio.
Apri l’armadio?
«Perché?» domandò senza
capire. «Abbiamo quello che ci serve e che ci ha mandati a
prendere.»
Sei un fifone, Sora, cosa vuoi che ti faccia? – l’eccitata aspettativa nella sua voce lo fece rabbrividire.
Lo accontentò, più che altro perché non voleva sentirlo.
Fece scorrere le stampelle sotto i suoi occhi,
c’erano magliette, pantaloni, giacche, qualche camicia; si chiese
cosa si era aspettato di trovare in un armadio, di diverso o se fosse
una specie di feticista dei vestiti.
Che c’è laggiù?
«Sei un ficcanaso, Roxas.» sbottò
facendo per richiudere, ma non ci riuscì. Qual fagotto
nell’angolo aveva qualcosa di familiare, lo raccolse cautamente e
lo strinse tra le dita; accadde in fretta, in qualche modo Roxas prese
il sopravvento: chiuse gli occhi, se lo portò al viso ed
inspirò forte. E quell’odore gli era familiare come se per
tanto tempo lo avesse portato sulla pelle.
Lui l’aveva portato sulla pelle,
effettivamente, per trecento cinquantotto giorni e mezzo, per la
precisione.
«Cielo…» mormorò Sora allontanandosi di poco e studiandolo. «è il mio.» Roxas non precisò che era il proprio, non avrebbe avuto senso.
La divisa dell’Organizzazione non era cambiata per niente, sembrava nuova, nuova.
Sono resistenti, ci dovevamo combattere! – gli spiegò.
Sora guardò il proprio riflesso, nello
specchio interno all’anta. Il cuore gli batteva forte mentre
infilava le maniche, in un misto di eccitazione, curiosità ed al
contempo paura; gli calzava a pennello, come se gli fosse stata cucita
addosso. Si osservò ancora con attenzione e si tirò su il
cappuccio, ora era come loro, un’ombra, un errore.
Ce ne sono altri.
Altri due per la precisione, uno più grande,
doveva essere stato quello di Axel, ed uno piccolino. «Di chi
è questo?» domandò senza capire. A parte Roxas, con
il quale comunque aveva stretto una certa confidenza, avrebbe dovuto
conoscere tutti e tredici i membri dell’Organizzazione…non
ricordava nessuno così minuto.
La sua controparte non rispose, sentiva come un
blocco che veniva da lui. Non ricordava e la cosa, per motivi che non
riusciva a comprendere, lo rattristava enormemente.
Lea rimase a guardarlo sconcertato. C’erano due opzioni
possibili: o era appena sbucato in un universo parallelo, oppure Sora
aveva trovato le divise dell’Organizzazione ed aveva deciso di
misurare quella di Roxas. Avrebbe dovuto fargli una foto, avrebbe
dovuto sbatterlo sul letto. Si chiese quanto influente potesse essere
Roxas e se riuscisse a rinchiudere quel chiacchierone eroico lontano
per un’oretta.
La risposta che si diede non lo soddisfò: non abbastanza.
«Sai, se avessi preso questa decisione in
tempo utile, avremmo evitato un bel po’ di casini.» lo
prese in giro appoggiandosi a braccia incrociate contro lo stipite
della porta.
Sora sussultò e lasciò cadere quello
che aveva tra le mani, fissandolo imbarazzato, fece un sorrisetto
colpevole. «Ero curioso…» si specchiò ancora.
«dove li hai trovati?»
Lea ci rifletté, l’immensa fiducia che
aveva in Roxas, non riusciva ad estendersi fino a Sora, lui era il
paladino della squadra dei 'buoni'. «Tra le macerie.» non era
mica strettamente necessario spiegare tra le macerie di cosa, no?
«Ti manca?» gli domandò curioso come un gattino.
Gli si avvicinò recuperando la divisa che
aveva lasciato cadere, la propria, quel nero continuava ad avere una
certa attrattiva, nonostante il cuore che ora gli batteva nel petto.
«Essere un assassino o
l’Organizzazione?»
Sora arrossì realizzando che era in
accappatoio, un normalissimo accappatoio azzurro, e che probabilmente
sotto era nudo; deglutì maledicendo Roxas, se fosse stato solo
non sarebbe arrossito, un ragazzo che vede nudo un altro ragazzo non
arrossisce.
«L’Organizzazione.»
Lea rise. «Mi manca anche essere un assassino
se è per questo.» Axel e Lea erano la stessa persona,
nessun dei due avrebbe fatto niente che l'altro non avrebbe condiviso.
Ripiegò il mantello con cura e
devozione, sistemandolo di nuovo nell’armadio, mentre Sora si
toglieva quello che aveva provato per permettergli di metterlo via.
«A te non mancano le tue missioni?» gli
domandò più per cortesia che altro.
«No.» fu la sua unica, monosillabica
risposta, mentre continuava a stare ad occhi bassi; si strinse nelle
spalle, sembrava piccolissimo ed infinitamente solo, tanto da non
fargli venir voglia di chiedergli il perché.
«Vai a dormire, va.» lo spinse piano
verso la porta per una spalla. «Puoi guardare la tv se ti va, ma
io ho
sonno.» ammassare macerie tutto il giorno era stancante. Chi
è che aveva detto che il lavoro nobilitava l'uomo? Di certo uno
che non sapeva di cosa parlava.
Sora annuì, pronto per lasciare la stanza
prima che Lea si togliesse quell'accappatoio ed iniziasse a vestirsi;
l'intuito gli suggeriva di non permettere a Roxas di assistere alla
scena, ma si fermò ad un passo dall'attraversare la soglia.
«Ah, grazie.»
Lea aggrottò le sopracciglia perplesso. «Di cosa?»
«Del divano…» rise provocatorio. «e di
avermi fatto provare il brivido di essere il quindicesimo membro
dell’Organizzazione.»
Scosse la testa guardandolo uscire con l'ombra
di un sorriso di simpatia sulle labbra, poi ci
ripensò…non il quattordicesimo?
Qualcuno gli pungolò il braccio, Lea lo scacciò come se fosse una mosca e si girò dall’altra parte.
Qualcuno lo pungolò di nuovo e questa volta
Lea fu sul punto di girarsi e dargli una manata, ma poteva essere solo
una persona e quella persona somigliava troppo a Roxas perché
gli venisse voglia di picchiarlo.
«Che vuoi?» biascicò senza aprire gli occhi.
«Mi fai posto?» gli domandò in un bisbiglio.
Per un attimo rimase in silenzio, poi si
voltò a guardarlo incredulo. Sora era lì, con un cuscino
tra le mani che continuava a stringere tra le dita in modo nervoso.
«Eh?» sbottò stupito.
«Non lo sopporto più. Non mi lascia dormire.» piagnucolò.
Sospirò, ma quel rompiscatole non gli diede nemmeno il tempo di parlare.
«Vuole stare con te, continua a ripetermi che
domani o dopo domani al massimo Riku verrà a prendermi, che lo
porterò via da te e…e…» avrebbe voluto
aggiungere qualcos’altro, si vedeva, ma rinunciò davanti
all'evidenza di non riuscire a riassumere tutto quello che lui e
l'ombra nel suo cuore si dicevano di continuo.
Lea sospirò, avere di nuovo un cuore lo
rendeva estremamente paziente, per fortuna di quel moccioso - lo
dicevano tutti che era un ragazzo fortunato - poi rotolò
sull’altro lato
del letto, lasciandogli spazio a disposizione; Sora
sistemò un cuscino tra i loro due corpi e, rigido come un manico
di scopa, si stese dandogli le spalle. L’uomo ridacchiò ma
decise di non infierire, infondo, non doveva essere facile per lui
gestire due personalità così contrastanti e dai desideri
così opposti.
«Axel.» lo chiamò.
«Nh?»
«Niente porcate, ho avvertito anche lui.»
Questa volta non poté proprio trattenersi dal
ridere di gusto. «Ok, mi impegnerò a non molestarti.»
Sora sospirò sprofondando con la testa nel
cuscino di Lea, gli occhi aperti nell’oscurità.
«Axel?»
«Che c’è ancora?»
«Lui ti ama.» bisbigliò incerto continuandosi a mordere il labbro.
Lea rimase in silenzio per tanto tempo, come se
stesse cercando il giusto ripostiglio dove nascondere
quell’informazione. «Lo so.» mormorò
pianissimo.
Per tutta la notte continuò a guardare fisso
la spalla di Sora che vedeva spuntare oltre il cuscino, praticamente
identica a quella di Roxas.
niente questo capitolo non voleva uscire, ma alla fine ce l'abbiamo fatta!
nel prossimo capitolo ci sono Riku e c'è Kairi...non sarà un capitolo allegro, proprio per niente...
ma a ben vedere sono pochi i capitoli allgri che ho scritto in questa fanfiction...
ah, tipo dal prossimo capitolo - ma forse anche in quello dopo ancora -
inizieranno ad esserci traccie di come vorrei gestire la
situazione...secondo me il discorso potrebbe anche filare...ma mi
rimetto al vostro giudizio...
ho in mente una cosa da far fare a Sora che ha del blasfemo...
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
sora
scusate il ritardo, ma questo capitolo è un po' complicato...c'erano tante cose da scrivere...
però mi piace parecchio...è bello tormentoso...
ci vediamo più giù...
Capitolo 6
Kairi era immobile sulla barca, sembrava un manichino. Riku evitava di
guardarla, non sapeva se lei se ne fosse accorta, ma vederla
così distante, così persa, gli ricordava troppo aver
avuto a che fare con una Kairi incosciente; continuava a remare ad
occhi bassi, ripetendosi come un mantra una frase semplicissima:
‘se non viene di sua spontanea volontà gli do una botta in
testa e lo chiudo dentro ad un sacco’.
«Non cercare di rassicurarmi, Riku,
davvero.» lo prese in giro lanciandogli un’occhiata,
cercava di alleggerire l’atmosfera, ma dava l’idea di
essere sul punto di scoppiare a piangere.
Vedere i suoi occhi di nuovo luccicanti di vita,
comunque, gli scaldò il cuore; sorrise fingendosi tranquillo.
«Non ce n’è bisogno.» ‘se non viene di
sua spontanea volontà gli do una botta in testa e lo chiudo in
un sacco’.
«Allora, perché non vuoi portarmi con te?» domandò guardandolo fisso, infelice.
Riku si fermò, davanti a lui c’era
l’Isola dei Bambini, era vicina, probabilmente da lì anche
nuotando l’avrebbero potuta raggiungere in poco tempo. Non le
inventò una scusa, niente missioni per riscattarsi, niente
ferite da risanare, niente risposte da cercare. «Ho paura.»
da morire. «Non puoi chiedermi di trascinarti in un corridoio
oscuro.» scosse la testa, guardandola come la guardava sempre in
assenza di Sora. Non l’avrebbe toccata, nemmeno sfiorata,
finché fosse stata sua. E se fosse stata sua per sempre, lui non
l’avrebbe mai toccata; ma non riusciva ad impedirsi di guardarla,
ogni volta che poteva, come a chiederle se fosse sicura della sua
scelta. «Non puoi.» mormorò piano. Perché lei
aveva un’altra scelta e l’unica cosa che poteva fare era
continuare a ricordarglielo.
Kairi fu la prima a distogliere lo sguardo, rifugiandosi in Sora. «Lo so.» disse solo.
Riku riprese a remare con calma, ‘se non viene
di sua spontanea volontà gli do una botta in testa e lo chiudo
in un sacco.’
Legò la barca al piccolo molo, mentre la
ragazza faceva forza sulle braccia per salirci. Si rivide per un attimo
bambini, tutti e tre su quella stessa barchetta. Lui era l’unico
a riuscire a salire sul ponticello da solo – perché era
più grande e più alto – una volta su, aiutava Sora
che in ogni caso era abbastanza bravo ad arrampicarsi, poi in due
tiravano su Kairi. Una volta lei amava indistintamente entrambi, se non
avesse fatto tutta quella serie di cazzate…chiuse gli occhi e
scosse la testa, pensare ai ‘se’ non serviva a niente.
Ancora una volta si ripeté che non sarebbe cambiato nulla in
ogni caso, ma per quanto continuasse a dirselo, non riusciva mai a
crederci del tutto.
Si fermarono sulla spiaggia, il vento le
scompigliava i capelli, così se li ritirò indietro con
cura. «Aspetterò fino al tramonto.» gli disse.
«Non sarà necessario.» sorrise. «Il tempo di trovarlo e saremo di ritorno.»
Kairi abbassò lo sguardo sconsolata.
«Già…» sussurrò più a sé
stessa che a lui, tremò e per un momento non scoppiare ad urlare
fu tremendamente difficile; ma poi si riprese e sorrise, un sorriso
debole, ma pur sempre un sorriso. Gli mostrò la benda che aveva
portato di uno squillante azzurro elettrico.
Riku rise. «Wow.» esclamò divertito.
«Ho pensato che visto che non sei più
in missione e non devi confonderti con loro tanto vale essere allegri,
no?»
«Un bel pensiero, sarò sicuramente alla moda.»
Finalmente Kairi rise davvero e quello quasi lo ripagò di tutto. «Pronto?»
«Te lo riporterò.»
Il suo sorriso fu l’ultima cosa che vide prima
che il buoi piombasse su di lui. «So che lo farai.»
Kairi lo guardò addentrarsi
nell’oscurità filamentosa del corridoio oscuro appena
aperto, si morse il labbro incerta e spaventata. Era di nuovo sola. Si
frugò nelle tasche della gonna e tirò fuori il
portafortuna di conchiglie fatto anni prima, rise: non aveva portato
poi così tanta fortuna. Questa volta Sora non aveva nessun pegno
da riportare, si era dimenticata di dargli qualcosa a cui aggrapparsi,
se qualcuno avesse cercato di portargli via il proprio ricordo. Lo
strinse tra le mani poi contro il petto, non riuscendo ad impedirsi di
piangere.
«Ti prego, Sora, torna da me.»
Sora aprì gli occhi nel letto di Axel con il profumo di
salsedine nelle narici. Kairi sembrava tanto vicina da poterla
accarezzare. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché, girandosi,
potesse trovarsi davanti il suo faccino addormentato; si sarebbe
avvicinato a lei con calma, la avrebbe abbracciata piano per non
svegliarla e se la sarebbe stretta addosso, godendosi la pace che gli
dava il suo contatto.
Ma sdraiato accanto a lui c’era Axel.
E nella sua testa solo la stucchevole e melensa adorazione di Roxas.
Quella mattina Sora voleva tornare a casa.
«Tutto bene?» gli chiese Lea, lanciandogli un’occhiata.
Sora annuì senza pensarci davvero. «Perché?»
L’uomo sbadigliò. «Sei sveglio e
non hai ancora iniziato a fare casino.» il che era davvero un
evento sconvolgente.
Sora rimase zitto per un lunghissimo momento, gli
sembrava quasi che la sua risata fosse nell’aria trasportata dal
vento. Alle Isole del Destino aveva sempre l’impressione di
poterla sentir ridere a chilometri di distanza, sarebbe successo anche
da lì? Sospirò cupo, dubitava che in quel momento Kairi
fosse felice.
«Nostalgia.» confessò infine.
«Di casa?»
Sorrise triste. «Casa è dove è Kairi.»
Lea si girò per poterlo guardare, era
immobile con le braccia incrociate dietro la testa, fissava il soffitto
come se lei fosse lì. Quella mattina non c’era niente di
Roxas in lui: era talmente soggiogato dalla malinconia per
l’assenza di quella ragazza, da dimenticarsi di tutto il resto.
«Trasferitevi qui.» era un’idea folle, lo sapeva anche da solo.
Sora gli lanciò un’occhiata ironica.
«E che faccio? Sto una settimana con te ed una con lei?»
gli domandò sarcastico. «In ogni caso, non credere che
farei sesso con te.»
Lea sbuffò. «Sesso, come se si fosse
mai trattato solo di quello.» borbottò tra sé.
«Kairi ti manca per il sesso?»
Il ragazzo si coprì il viso con le mani
disperato. «Ok…» annuì guardandolo.
«adesso vado da lei e le dico ‘Kairi, ci trasferiamo a
Radiant Garden, perché a giorni alterni devo essere il ragazzo
di Axel. No, tranquilla, non faremo sesso, perché lui lo ama
davvero.’» si strinse nelle spalle. «Mi uccide.»
«Oh, ti prego!» sbottò. «Miss bontà non ucciderebbe nemmeno una mosca.»
Questa volta fu il turno di Sora di ridere.
«Probabilmente no. Ma mi odierebbe, forse sono l’unico che
riuscirebbe ad odiare davvero.»
«Nah…» Lea si tirò su e
recuperò una maglietta da infilarsi. Roxas si era di nuovo
abituato alla sua fisicità mezza nuda e non si lasciava
più sconvolgere, anche se tutte le volte lo obbligava a fissarlo
morbosamente catturandone ogni dettaglio. «ti
ama.»
«Già…» e Sora era sicuro
che questo fosse il motivo principale per cui l’avrebbe odiato,
sarebbe riuscita in qualche modo ad incanalare tutto l’amore e
trasformarlo in odio.
Qualcuno bussò alla porta e Sora si
voltò in quella direzione curioso, da quando era lì, non
era mai venuto nessuno, ma infondo, quel giorno Lea non andava a
lavoro, forse i suoi amici non venivano a trovarlo perché li
vedeva lì. L’uomo si alzò tranquillo, dirigendosi
con passo strascicato verso il soggiorno.
«Sarà Aeris, è l’unica a venire.»
Ma quando aprì la porta si rese conto del suo enorme errore di valutazione.
Riku lo squadrò tutto a bocca aperta per lo
stupore, come se si trattasse di un fantasma ed in realtà non
riusciva ad immaginare niente di più vicino ad un fenomeno
paranormale. Quello…quello era Axel. Anche l’uomo gli
sembrò in difficoltà, impacciato, aveva interrotto
qualcosa.
Sora aveva Roxas dentro la testa.
Fissò i suoi occhi verdi alla ricerca di indizi.
E Roxas amava Axel.
Sgranò gli occhi per la sorpresa, fissando
alle sue spalle due piedi sul suo letto, due piedi inconfondibilmente
grandi.
Riku spostò Axel dalla porta ed entrò
come una furia, l’uomo non fece niente per trattenerlo, lo
guardò soltanto dirigersi verso la sua camera da letto,
chiedendosi se si sarebbe trovato nelle condizione di dover dividere
due stupidi ragazzini che litigavano.
Era già successo.
Sora sobbalzò tirandosi su a sedere come se
lo avesse sorpreso a fare qualcosa di straordinariamente sbagliato,
perché negli occhi di Riku c’era un’accusa di alto
tradimento: se avesse consegnato re Topolino ai Nessuno, legato ed
imbavagliato, era sicuro che l’avrebbe guardato nello stesso
modo. Il suo amico non disse niente, lo studiò tutto e lui
cercò di mantenere un’espressione neutra, perché
sapeva quanto bravo fosse a leggerlo. Quando tornò ad osservare
i suoi occhi, era disgustato.
«Ma che diavolo stai facendo?» sbraitò.
Il ragazzo si alzò a disagio. «È
complicato.» mormorò piano, non c’era altro che
potesse dire.
«Le hai detto che venivi per la tomba, non
per…» lanciò un’occhiata fulminante al
padrone di casa. «per spassartela con lui.»
«Cosa?!» Sora guardò prima Lea
poi Riku, realizzando quello che stava insinuando. «Io…no!
Come puoi credere che lo abbia fatto?»
«Cosa dovrei credere?»
Gli si avvicinò. «Sono venuto per la
tomba, ti giuro che non ne sapevo niente! L’ho incontrato mentre
andavo alla cava.»
«Ok…» Riku si massaggiò le
tempie, sospirando. «sai che c’è? Non mi
interessa.» studiò la camera di Axel attento, individuando
i suoi vestiti e lo zaino con cui era partito. «Il mio compito
è riportarti a casa. Quindi, racimola le tue cose ed
andiamo.»
Sora guardò Lea, in piedi appoggiato allo
stipite della porta e realizzò che non aveva mai smesso di
tenere gli occhi su di lui. Voleva davvero tanto andare a casa, fingere
di non averlo visto, ricominciare ad ignorare Roxas. Ma ora erano
cambiate tutte le carte in tavola, lo sapeva.
Sora…
Spostò lo sguardo su Riku, poi abbassò
gli occhi sui suoi piedi e pensò a Kairi. Pensò
tantissimo a lei, così tanto che quasi riusciva a vederla
lì. «Non posso.» sussurrò a capo chino.
Silenzio.
«Come?!»
Non c’era un come, non c’era nemmeno un
perché. Non poteva farlo. Lui e Roxas condividevano un corpo, se
se ne fosse andato avrebbero condiviso la tristezza della separazione;
il suo dolore avrebbe sopraffatto ogni altra cosa, proprio come quella
mattina Roxas non era riuscito a penetrare nelle sua testa per la
nostalgia di Kairi. Non sarebbe riuscito ad amare Kairi tutto perso
nell’assenza di Axel.
«Prima non sapeva che fosse vivo e pensa a
quanto mi finiva…» scosse la testa. «non
riuscirò a vivere.» fissò Riku deciso. «Ho
bisogno di tempo, devo mettere a posto le cose.»
Riku nemmeno ci pensò. Allungò un
braccio, aprì il pugno e scaraventò Sora contro il muro
con la barriera oscura. Il comodino accanto al letto di Axel si
spaccò ed il ragazzo ricadde tra i pezzi di legno, tossicchiando
per la botta alla schiena; in due giorni aveva preso più mazzate
da gente che doveva essergli ‘amica’, che in due anni dagli
heartless.
«Non puoi continuare a sparire!»
urlò. «Non puoi continuare ad abbandonarla su
quell’isola con la promessa del tuo ritorno! È troppo
speciale perché tu possa continuare a trattarla
così…» il keyblade gli apparve automaticamente
nella mano, guidato dal suo tormento, non credeva di poterlo fare
ancora. «Io non te lo permetterò!»
Fece per colpirlo, non mirava ad ucciderlo, cercava
solo di seguire il piano – ‘se non viene di sua spontanea
volontà gli do una botta in testa e lo chiudo in un sacco’
– ma l’unica cosa che colpì, fu l’incrocio
creato dal keyblade di Sora e quello di Roxas che lo respinse,
facendolo barcollare all’indietro.
Il ragazzo si alzò lentamente. «La amo
anche io.» disse con decisione e Riku scattò
all’indietro come se gli avesse dato un pugno: Sora sapeva. Poi
il ragazzo lo fissò furioso. «Smettila di credere di
essere l’unico ad amarla!» gridò. «Tutto
questo è colpa tua! Non sono io che volevo girare i mondi, io
volevo stare con lei, darle il frutto paupou e vivere sulle Isole. Sei
stato tu ad aprire la porta!» i keyblade iniziarono a brillare
nelle sue mani, come se stessero diventando incandescenti e Riku
pensò che quella era una cosa decisamente da keyblade master.
Si acquattò, rigirandosi la sua arma tra le mani pronto a parare e contrattaccare.
«BASTA!» Lea si mise in mezzo impedendo loro di uccidersi a vicenda. «Tutti e due!»
E tutto si fermò.
Riku guardò Axel ad occhi sgranati: lo aveva già visto accadere e lui lo sapeva.
C’era Roxas, era in un cimitero e combatteva
con qualcuno troppo forte per lui. Qualcuno che non riusciva a
riconoscere, perché se lo avesse fatto non avrebbe mai potuto
nemmeno fingere di ucciderlo. Stava per intervenire, perché
Roxas non doveva assolutamente morire, ma Axel riusciva a precederlo ed
a dividerli.
Fece un passo indietro confuso. «Lui…» sussurrò.
«No…» Axel scosse la testa. «Lei.»
Si prese la testa tra le mani, mentre flash di
ricordi che non riusciva a riordinare gli passavano davanti: gli occhi
blu di Sora, il sorriso di Kairi, capelli neri. Un fantoccio.
‘Parlami di Sora e di quella ragazza che è sempre con lui…’
«Xion.» tutti e due guardarono Sora
sorpresi, lasciò andare le else delle chiavi che scomparvero,
per poi stringersi nelle spalle indifferente. «Lei si chiamava
Xion.»
Ed io l’ho uccisa. – Sora percepì l’orrore nella voce di Roxas. – Io non volevo sparire…lei era mia amica…ma lei era te…
Non c’era modo di fare chiarezza, i suoi
ricordi riguardo a quella ragazza erano frammentari e poco chiari. Odio
ed affetto si mescolavano ed intrecciavano, creando un sentimento nuovo
quanto indecifrabile.
Lei era stata creata.
‘Come?’
Non lo so. Da me, da te…tutti insieme formiamo te.
Sora chiuse gli occhi. Si fermò, si
estraniò da tutto. Aveva perduto il cuore e
dall’oscurità che era entrata in lui era nato Roxas; gli
avevano rubato i ricordi per sfruttare il potere del keyblade,
finché Naminè non li aveva traditi; avevano creato Xion
con i suoi ricordi.
Quando li riaprì tutti e due lo stavano
osservando con attenzione, incerti sul da farsi, preoccupati che si
trattasse di uno di quei momenti molto alla Sora – o alla Roxas
– in cui dimenticava pezzi di sé – o li ricordava.
Ma lui sorrise ed a Riku vennero i brividi, mentre Axel spalancava gli
occhi per paura della speranza.
«Xion.» ripeté come se fosse una formula magica. «Hanno creato Xion.»
Kairi continuava a tenere gli occhi fissi sul tramonto davanti a lei.
Quando sentì il familiare ed allo stesso tempo esotico rumore
della gummi ship che atterrava dietro di lei, accompagnato da una
leggere brezza che le scombinò i capelli, nemmeno si
voltò: Sora non c’era. Non aveva mai creduto davvero che
sarebbe tornato. Naminé non era una sciocca.
«Kairi.» la chiamò Riku rammaricato.
Si asciugò svelta il viso con le mani e
quando si girò stava sorridendo, ma era impossibile credere che
fosse un sorriso felice. «Ha trovato il motivo, immagino.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo in
difficoltà. «Abbiamo bisogno di te e di…»
deglutì. «lei.»
Kairi scosse la testa, indietreggiando di un passo, finendo con i piedi in acqua. «No.»
«Mi ha mandato a prenderti.» continuò allungando il braccio per porgerle la mano.
«NO!» gridò lei stringendo i pugni. «Non posso farlo. Non voglio farlo.»
Riku sospirò, si era offerto di andarla a
prendere perché Sora aveva ragione: tutto quello era colpa sua,
il compito peggiore spettava a lui. «Ho visto Axel.» la
fissò. «Se lo trascini qui ora, senza
aiutarlo…» lui non avrebbe retto il senso di colpa,
ricordavano tutti e due quanto lo stesse logorando anche prima. Le
notti insonni, gli incubi, i discorsi deliranti con sé stesso.
«non può vivere con lui.»
Kairi deglutì ed il suo viso si tirò
in un sorriso amaro. «Se è per questo non può
vivere nemmeno senza di lui.»
perchè anche se sembra che tiri giù i titoli a casaccio, non è così...
uff...si, lo so...ma alla fine secondo me funziona...
cmq...vi ho già detto che questo capitolo mi piace?
ed a voi?
baci
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
sora
questo
capitolo è stato una bella sorpresa...non credevo che venisse
così bello...ecco, se adesso mi dite che fa schifo potrei
davvero deprimermi!
leggete ci vediamo giù...
Capitolo 7
«Allora, qual è il piano?» bisbigliò Sora a
Lea ed Isa, mentre si dirigevano al castello dove una volta Ansem
svolgeva i suoi esperimenti. Nessuno sembrava essere molto interessato
a loro, anzi, tutte le persone che incontravano avevano l’aria di
essere piuttosto indaffarate, ma il ragazzo sapeva che quello che
stavano cercando di fare era sbagliato – o almeno ai più
sarebbe apparso tale – e continuava imperterrito a bisbigliare.
Isa si strinse nelle spalle. «Andiamo da Even,
gli ricordiamo che è Vexen, poi Lea lo minaccia per farsi dare
delle informazioni.» non era esattamente un piano, ma funzionava
quasi sempre.
Stavano seguendo il programma alla lettera. Dopo
l’illuminazione della mattina, per un po’ avevano
continuato a confabulare, coinvolgendo, suo malgrado, anche Riku nella
loro teoria tutt’altro che verificata o verificabile. C’era
stato un precedente e tanto bastava. Lui aveva continuato ad osservare
Sora, che passava dal parlare con le persone che aveva davanti a quello
nella sua testa, in modo piuttosto agghiacciante. Alla fine si era
offerto per il compito più ingrato: andare a prendere Kairi.
Quando si era proposto l’entusiasmo di Sora
era scemato tutto insieme ed aveva colto negli occhi del suo migliore
amico la ferita che gli aveva lasciato, quando aveva, con poca grazia,
dato la colpa di tutto a lui.
Avrebbe dovuto parlarci ed avrebbe dovuto chiedergli
scusa; ci aveva provato, ma Riku lo aveva interrotto con un:
‘Vado ad inventarmi una scusa per farmi prestare una gummi ship
da Cid. Non è sicuro portare Kairi in un corridoio
oscuro.’ E Sora aveva dovuto rimandare i ‘mi
dispiace’.
Se Riku andava a recuperare Kairi a loro non restava
che andare a parlare con Even. Even che non ricordava – o diceva
di non ricordare – niente del suo passato da terrorista dei mondi.
«Perché Lea?» domandò
curioso osservando l’uomo che non aveva aperto bocca da quando
erano partiti per quella missione.
Lui scrollò le spalle tranquillo. «Perché la gente si ricorda sempre di me.»
Sora rimase immobile con la testa all’insù a guardare il
maestoso castello che lo sovrastava. Sospirò, in un modo o
nell’altro era di nuovo lì, di nuovo in missione, di nuovo
ad un soffio dal perdersi. Tutte le pessimistiche previsioni di Kairi
si erano avverate con triste puntualità: aveva trovato una
missione, un amico da salvare, certo, non c’era nessun mondo in
pericolo, ma visto che Roxas doveva in qualche modo salvarlo da
sé stesso, credeva che compensasse.
Siamo amici? – Roxas sembrava davvero incredulo da quello strano sentimento di affetto.
Era buffo, Sora non sapeva come era successo, ma ad
un certo punto avevano smesso di odiarsi ed avevano iniziato a
collaborare. ‘Credo di si a questo punto’. Riprese a
camminare raggiungendo gli altri che non si erano presi la briga di
aspettarlo, l’ombra nel suo cuore era preoccupata, ma non gli
disse perché, anche se avrebbe potuto arrivarci da solo: Roxas
aveva visto morire tutti i suoi amici.
Sia Lea che Isa sapevano esattamente come muoversi
all’interno del castello ed era un bene, Sora non ricordava tutti
quei vicoli. Even era dentro lo studio di Ansem con un ragazzo –
ci mise alcuni secondi a riconoscerlo come Zexion – tutto preso
dal riordinare; andava da una parte all’altra della stanza
esaminando, catalogando e mettendo al proprio posto tutti i libri del
Saggio, mentre l’altro lo seguiva come un’ombra senza
parlare. Non appena li sentì arrivare si voltò ad
osservarli con vacua curiosità, come se dovesse pensarci prima
di ricordare chi fossero.
«Ma certo!» esclamò dopo alcuni
secondi in cui li aveva studiati. «Lea ed Isa e tu…»
assottigliò lo sguardo scrutando il terzo personaggio.
«hai l’aria familiare…»
Gli fece un cenno con la mano a mo’ di saluto. «Sono Sora.»
Un muscolo involontario guizzò sul viso Even
e Lea prese a fissarlo con più insistenza: ma certo che
ricordava, si rassicurò con un sorriso.
«Si, credo di ricordare qualcosa.» mormorò tornando al suo lavoro.
«Meno male.» esclamò Lea.
«Perché è proprio dei tuoi ricordi che abbiamo
bisogno.»
Even li ignorò, di nuovo concentrato sui
libri, ma a nessuno dei tre sfuggirono i suoi movimenti tattici che, in
qualche modo, mettevano sempre Zexion tra lui ed i suoi visitatori.
«Non so se potrò aiutarvi.» si scusò con
falso dispiacere. «La mia memoria è troppo ingarbugliata,
ci sono informazioni andate perse per sempre.»
Isa fece un passo verso di lui con le mani aperte in
segno di pace. «Ehi! Siamo tutti nella stessa squadra, no?»
sorrise e Sora pensò che i membri dell’Organizzazione gli
avevano sempre sorriso in quel modo minaccioso quando li aveva
incontrati: facevano venire i brividi. «Tu farai quello che puoi
per aiutarci, giusto?»
L’uomo li osservò attento e palesemente in apprensione. «Certo.» mormorò.
«E allora non ci saranno problemi.» lo
rassicurò Lea, anche se in quel momento, niente nella sua figura
avrebbe potuto renderlo più spaventoso, si avvicinò alla
scrivania al centro della stanza e ci si appoggiò con le mani
nelle tasche, in attesa.
Ovviamente non c’era niente di spaventoso in
lui agli occhi di Roxas, anzi, Sora lo sentiva fremere di aspettativa,
mentre valutava l’eventualità di avvicinarsi,
inginocchiarsi tra le sue gambe e prendere tutto quello che avrebbe
voluto dargli. Scosse la testa realizzando che non era solo
un’idea, era un ricordo, Roxas l’aveva già fatto, ma
in un altro castello.
‘Piantala!’
«Quindi dicci, Even…»
iniziò Lea tranquillo, fermandosi per aggiungere
drammaticità al discorso. Il suo interlocutore si
immobilizzò ed a Sora sembrò quasi di sentir ronzare il
suo cervello alla ricerca di una via d’uscita. «cosa
ricordi di Xion?»
«Niente.» lo disse troppo presto, come
se avesse già immaginato il motivo della loro visita e si fosse
preparato la risposta.
Lea rimase imperturbabile, se c’era
un’emozione all’interno dei suoi occhi, era molto bravo a
tenerla nascosta. «Quella ragazzina mora, che era sempre con me e
Roxas. Anche più del voluto.»
Sora sentì che Roxas non aveva apprezzato quel commento. - Era geloso di lei, perché era identica a Kairi ed io avevo un po’ di te dentro di me.
‘Una Kairi mora deve essere bella.’
rifletté Sora, anche se stava pensando a qualcosa di più
che ‘bella’, sexy. Kairi gli mancava.
Sbuffò indispettito. – Come se potessi davvero pensare a lei in quel modo...
‘Beh, tu eri geloso di Demyx.’ Come si faceva ad essere geloso di lui? Era Demyx.
Si, ma lui c’è andato a letto! – sbottò acido.
‘No!’ osservò con occhi diversi
Lea, influenzato da quel nuovo scoop. In qualche modo infastidiva anche
lui. No, molto più che infastidito: Axel era andato a letto con
Demyx. Come aveva potuto?
Prima che ci conoscessimo… -
cercò di giustificarlo debolmente Roxas, certe cose bruciavano
nonostante l’amore; anzi, bruciavano proprio perché
l’amava. – Che ti aspettavi? Che fosse vergine?
– il vuoto eccitato che percepì nello stomaco della sua
controparte fu un ottima risposta a quelle due domande: no, non era
vergine, perchè al dunque aveva saputo fin troppo bene cosa fare.
‘Saresti dovuto andare con Xion. Così ora sareste pari.’
Sembrava un po’ schifato. – In
un certo senso so com’è fare l’amore con una
ragazza, attraverso te. La cosa non mi entusiasma…e comunque, mi
sembra un po’ infantile.
‘Se lo sarebbe meritato. Dopo glielo dico.’
Non ti azzardare. – minacciò. – O farò in modo che Kairi sappia quello che vuoi e che non hai il coraggio di chiederle…
«Non puoi!!»
I tre uomini presi da tutt’altra conversazione
si voltarono a guardarlo sorpresi. Sora si passò una mano tra i
capelli arrossendo imbarazzato.
Even fece un passo verso di lui, gli occhi
spalancati ed un sorriso folle sulle labbra.
«Affascinante…» mormorò a sé stesso,
dimenticandosi la sua parte da smemorato. Si fermò ad un soffio
dal ragazzo e lo fissò dritto negli occhi. Sora guardò
Lea spaesato e tirò indietro la testa, cercando di scappare da
quella vicinanza improvvisa. «e così la nostra giovane
chiave non si arrende.» allungò una mano prendendogli il
viso e girandolo prima da un parte poi dall’altra, come cercando
tracce in superficie dell’ombra che gli si annidava
all’interno.
Rabbia.
Roxas lo afferrò per il collo del camicie di
botto, segregando Sora in un angolo solo per un attimo. Non avrebbe mai
più permesso a nessun membro dell’Organizzazione di
trattarlo come se fosse uno strumento a loro disposizione. Oblivion
brillava di nero tra i loro corpi, mentre lo fissava infuriato.
«Non toccarmi!» sibilò spingendo la punta della
chiave sotto il mento dell’uomo; avrebbe potuto staccargli la
testa in un colpo se avesse voluto. «Tutte quelle dannate
missioni solo per spremermi e buttarmi via quando non sarei più
servito.»
«Roxas.» alzò gli occhi, Lea era
accanto a lui e lo osservava comprensivo. «Lascialo.»
Per un secondo fu davvero sul punto di ucciderlo.
‘Se lo fai come faccio a tirarti fuori!’
Lo lasciò, spingendolo lontano da lui, Lea
gli lanciò un’ultima occhiata, poi si posizionò tra
i due con i chakram che gli brillavano nelle mani: odiava stare in
mezzo, ma quel giorno sembrava non poter far altro.
«Proviamo con un’altra domanda, che ne
dici, vecchio?» domandò fissando Even intensamente.
«A che temperatura fonde il tuo scudo?»
Per un po’ l’uomo continuò a
studiarlo, sfidandolo a portare a termine quella minaccia, Lea non
vacillò nemmeno per un secondo.
Sora ripiombò nel suo corpo confuso ed
Oblivion scivolò via in un’ombra di luce dalla sua mano.
«Forte…» mormorò, cogliendo al margine del
suo campo visivo il sorriso compiaciuto di Isa.
«So cosa volete, ma senza la strega non potete fare niente.» spiegò.
«Abbiamo la strega.» disse solo Lea.
Even si portò le braccia dietro la schiena,
prendendo a camminare come per trovare spunti per il discorso che si
accingeva a fare. «Creare un organismo indipendente con solo dei
ricordi non è una cosa semplice. È un processo troppo
complicato perché possa conservarsi nel trasferimento che hanno
subito le nostre coscienze.» si interruppe.
Sora sospirò. «Puoi aiutarci o no?»
«No.» si strinse nelle spalle.
«Non io.» ma riprese a camminare dando loro la speranza che
potesse aggiungere altro. «Ad ogni modo, ho sempre considerato
molto seriamente una tale eventualità e per far sì che i
miei studi non andassero perduti…»
«Oh, no.» si lamentò Sora
affranto. «Fammi indovinare: hai scritto un trattato che si
è sparpagliato per i mondi?» domandò sarcastico.
Lea, Isa ed Even si fermarono ad osservarlo stupiti.
«Come fai a saperlo?» domandò il vecchio, soprannome
che Roxas trovava quanto mai azzeccato.
Sbuffò. «C’è sempre un
trattato perduto da rimettere insieme!» spiegò senza
entusiasmo.
«Hai quasi ragione.» sorrise affilato.
«Ma il mio non è affatto andato perduto.»
«Dov’è allora?»
La risata con cui gli rispose fece raggelare tutti
quanti. «Sono sicuro che quando te lo dirò, capirai che
sarebbe stato molto meglio cercarlo per tutti i mondi.»
«Oddio…» sospirò con un improvviso presentimento.
«Esatto.»
Lasciarono il castello abbattuti e pensierosi. Era impossibile
recuperare quel libro, forse peggio che impossibile. Incrociò le
braccia dietro la testa, cercando di spremere dal suo cervello
un’idea geniale, o che la tirasse fuori Roxas, ma non potevano
esserci idee se una cosa era impossibile.
Isa era scappato via, mentre erano ancora tra i
corridoi; Roxas immerso nei suoi pensieri, aveva alzato la testa, come
prestando di nuovo attenzione al mondo che lo circondava. E la stava
prestando ancora, con un misto di anticipazione e desiderio che Sora
non riusciva a spiegarsi e che lui non aveva intenzione di spiegargli.
«Cos’era quello?» domandò Lea serio.
Sora piegò la testa lanciandogli un’occhiata confusa. «Quello cosa?»
«Roxas.»
«Oh…» assentì. «a
volte riesce a prendere il controllo, se una cosa coinvolge più
lui che me…» si zittì, perché Lea si era
fermato alle sue spalle e lo fissava in un modo che non lasciava
presagire niente di buono.
Ora Roxas era attento come un felino a caccia.
L’uomo continuò a studiarlo come se
guardandolo con abbastanza insistenza avesse potuto trasformarlo in
qualcun altro. Fu con orrore che il ragazzo realizzò, che era
proprio quello che aveva intenzione di fare.
Si avvicinò piano come se avesse paura di
farlo scappare e Sora iniziò ad indietreggiare altrettanto
lentamente; non aveva armi con Axel, Roxas non gli avrebbe permesso di
torcergli un capello, era completamente indifeso. Sussultò
quando si accorse di essere finito contro il muro: in trappola.
Voltò la testa di lato studiando con ansia il
corridoio che avrebbe dovuto percorrere, sarebbe riuscito a scappare?
Non farlo.
– era la supplica più intensa che avesse mai sentito nella
sua mente, se avesse avuto un corpo, Roxas si sarebbe prostrato pur di
farsi dire di sì. – Ti prego, un minuto. Nessuno lo saprà mai.
Sora si sentiva schiacciato, di troppo, preso in
mezzo alla morsa di due volontà che lo avrebbero volentieri
eliminato per stare insieme. Si chiese con dolore e colpa se fosse
così che Roxas si sentiva tutte le volte che lui era con Kairi.
Si.
E Sora sospirò affranto, abbattuto, mentre
Axel si fermava troppo vicino a lui, appoggiando le braccia contro il
muro, ai lati della sua testa, intrappolandolo nella gabbia del suo
corpo. I suoi occhi lo terrorizzavano, perché non guardavano lui.
«Chiudi gli occhi, Sora.»
Lo baciò e lui rimase immobile come una statua di sale.
«Chiudi gli occhi, Sora.» ripeté
come se fosse un incantesimo, ‘liberalo, Sora’ era la
parafrasi. Una mano si fermò sul suo collo e scivolò
giù con lasciva tenerezza, fino a fermarsi al lato del suo
ombelico. Avevano promesso niente porcate e nessuno dei due voleva
spaventarlo e rischiare di perdere tutto.
‘Beh, che aspetti?’ –
l’aveva fatto arrivare fin lì, a quel punto non poteva
tirarsi indietro.
Chiudi gli occhi, Sora.
E Sora li chiuse.
E nello stesso momento fu come se Roxas li aprisse.
«Axel.» soffiò contro la sua bocca dischiusa con la propria voce.
Sorrise di sfuggita a quel miracolo e lo
baciò di nuovo, stavolta con la giusta partecipazione, di chi
veniva baciato a sua volta. Roxas strinse i pugni di Sora, accertandosi
di riuscire a controllare tutto. Alzò le braccia allacciandole
al collo di Axel e strattonò i suoi capelli con dolce abitudine,
spinosi, duri, di certo non soffici come quelli di Kairi che aveva
sentito mille volte sotto i suoi palmi.
L’uomo tirò indietro la testa,
lasciando le sue labbra libere di scivolargli sul collo;
strusciò il naso contro la sua pelle, immagazzinando ogni minima
particella del suo odore. «Axel.» mormorò ancora,
beandosi di ascoltare il nome della sua voce chiamarlo; era una
supplica a farsi dare di più, mentre staccava la schiena dal
muro, contro il quale Sora si era rifugiato e gli andava incontro, le
gambe che si intrecciavano nei loro passi. Gli sembrava quasi di
sentire il rumore inconfondibile delle tuniche nere che si strusciavano
insieme a loro.
Lea gli prese il viso tra le mani e lo fissò, occhi negli occhi. «Presto.»
Roxas tremò un’ultima volta, poi lui lo
lasciò andare e si allontanò, permettendo a Sora di
ritrovare la lucidità e di riprendere il suo posto. Si accorse
del cambiamento quando il viso iniziò ad arrossire: ci sarebbe
voluto molto di più per fare arrossire Roxas.
Sbuffò imbarazzato a livelli inimmaginabili.
«A costo di invadere il loro mondo, giuro di recuperare quel
dannato trattato!»
Lea ridacchiò senza dire niente.
La felicità lo abbandonò appena si trovarono nel giardino
davanti al castello; Riku li aspettava lì con le braccia
incrociate sul petto e l’aria severa. Lea deglutì
lanciando un’occhiata triste a Sora ed a quello che conteneva: se
Riku era tornato, significava che anche la ragazzina era da qualche
parte nei paraggi.
Aspettò che si avvicinassero prima di
parlare, il suo sguardo era duro e gelido come una tormenta.
«Stiamo da Aeris e Tifa.» scoccò un’occhiata
tagliente a Lea. «Dove saresti dovuto essere.»
Sora sospirò, percependo il possesso di quel
‘stiamo’, capisci di aver sbagliato qualcosa quando il tuo
migliore amico cerca di ferirti; quando Riku aveva provato ad ucciderlo
– una delle prime volte – lui aveva capito di aver commesso
un errore nel credere di essere l’unico a trovare Kairi
straordinaria. Ora stava sbagliando tutto.
«Ok.» disse solo con voce piatta.
«Non vuole vederti.» lo minacciò.
Non lo ascoltò. «Sei mio amico si o no?» gli domandò a bruciapelo.
Riku fu preso alla sprovvista e per alcuni secondi
fu troppo sorpreso per mantenere lo stesso livello di odio.
«Come?» perché non era odio suo, era l’odio di
Kairi.
«Ti sto chiedendo se mi aiuterai, se posso fidarmi di te.» spiegò fissandolo.
Rimase in silenzio riflettendo. «Si, ti aiuterò.» decise in fine.
Sora sorrise. «Ci sarà da sporcarsi le mani.» lo provocò.
Riku rise divertito. «Ho cercato di rubare i
cuori delle principesse, forse nemmeno lui ha le mani più
sporche delle mie!» esclamò indicando con un cenno della
testa Lea.
«Dobbiamo ritrovare un trattato.»
«Un classico.» Riku finse uno sbadiglio. «Sparso per i mondi?»
«Peggio.» confidò con una smorfia.
Lo studiò alcuni secondi con aria di sfida,
poi lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Tu sai
dov’è, vero?» annuì. «Non sarà
mica…»
«Oh no, non preoccuparti.» lo
tranquillizzò. «Niente
‘Oscurolandia’…si tratta solo di rubarlo a re
Topolino.»
Per la prima volta nella sua vita ebbe l’onore
di lasciare Riku completamente senza parole, Lea ridacchiò.
«Sei pazzo.» sussurrò.
«Inizia a pensare ad un modo.» disse superandolo. «Io devo andare da Kairi.»
«Ma non vuole vederti!» provò a protestare.
Si fermò e si strinse nelle spalle. «Non importa, io devo andare da lei lo stesso.»
momento di silenzio per un sexy Roxas che strapazza Vexen...
fatto?
allora, ditemi...che ne pensate? quanto siete sconvolte?
...oddio quante di voi stanno pensando di strozzarmi?!
baci...
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
sora
scusate per il tremendo ritardo, ma ho dovuto dare un esame e sono rimasta indietro...
allora, questo capitolo è un pochino corto, ma succedono molte cose.
su leggete!
Capitolo 8
Kairi era seduta nella cucina di Aeris, tra le mani stringeva una tazza
con disegnati dei fiori e sembrava del tutto assente. Era carina, come
se quella fosse un’occasione importante: un vestitino bianco
senza maniche né spalline con un’ampia gonna lunga fino al
ginocchio. La faceva somigliare ad una ballerina. Si era raccolta i
capelli in un chignon disordinato che gli era sembrato sempre
tremendamente complicato a vedersi, ma che le aveva visto fare con
poche abili e sapienti mosse. Ed aveva messo il profumo, quello che
avevano scelto insieme, perché piacesse ad
entrambi.
Per terra le ragazze avevano di nuovo sistemato le
coperte, per lei questa volta, distrattamente Sora si chiese se
avessero fatto in tempo a disfarlo.
Tirò indietro una sedia dal tavolo e si
sedette accanto a lei, al margine del suo campo visivo colse Tifa ed
Aeris uscire con discrezione per lasciarli soli. Per un lungo secondo
la guardò e basta, mentre lei continuava testardamente a tenere
gli occhi fermi sulla finestra, sui tulipani rossi che si scorgevano al
di là delle tendine semitrasparenti.
«Kairi.» la chiamò piano, avvicinando una mano alle sue.
La ragazza si ritrasse, incrociando le braccia in
grembo, lasciando la tazza, che fino a quel momento aveva stretto,
orfana e sola in mezzo a quel tavolo enorme: Sora provava una strana
empatia per quella tazza. Gli era mancata così tanto,
l’unica cosa che voleva era parlare con lei, avere un suo
consiglio.
«Tifa mi ha detto del ricovero.»
cominciò riportando le mani vicine a sé, per non essere
costretto a pensare di continuo che Kairi non voleva nemmeno toccarlo.
«Sono andato a vedere e Cloud mi ha detto che i Nessuno si
stavano svegliando, alcuni almeno. Non Demyx.» come se a Kairi
importasse davvero che Demyx si svegliasse o no, si diede mentalmente
dell’idiota. «Sarei dovuto tornare da te in quel preciso
momento, lo so, mi dispiace, ma gli avevo promesso la tomba,
ricordi?» nessun cenno da parte di lei. «Ho incontrato
Axel. Ha cercato di uccidermi perché lui…» si
interruppe. «perché lui ama Roxas. Così ho cercato
di dimostrargli che se lo avesse fatto lo avrebbe perso per sempre
e…»
Kairi si mosse, lo fissò apertamente, sfidandolo a continuare.
Sora sospirò. «Mi ha baciato.»
l’inizio della sua fine per colpa di un solo, unico bacio.
«Mi hai tradito.» mormorò amara.
«No!» si sbrigò a giustificarsi. «Kairi, no! Lui ha baciato Roxas!»
«Ma Roxas è te.» la logica di Kairi era inappuntabile quanto frustrante.
«Si, ma…» ci rinunciò.
«non è questo il punto.» si fermò, prese due
respiri e si preparò a continuare. «Io ho sentito
com’era, quando Axel l’ha baciato…»
arrossì, ma proseguì ignorando l’imbarazzo.
«lui si sentiva come mi sento io quando bacio te.»
La ragazza si morse il labbro nervosa. «Continua.»
«Xion.»
Kairi si coprì il viso con le mani disperata. «Sora, tu non capisci.»
Questa volta però lui le afferrò
gentilmente, ma con decisione i polsi, scostandoglieli e fissandola.
«Naminè sa come fare. Sono sicuro che lo sa. Puoi prendere
una parte dei miei ricordi e…» si interruppe,
perché la ragazza lo stava osservando inorridita.
«Sora, ma ti senti?» non rispose la
guardò e basta. «Quando Xion era in giro, quando tu eri
senza ricordi, Naminè ti aveva chiuso in un acquario.» gli
spiegò spietatamente, cercando di essere il più chiara
possibile. «Non ti svegli senza ricordi, figurarsi se ti svegli
senza Roxas.»
«Tu mi hai già svegliato senza Roxas.»
«Non è un scienza esatta.»
«Kairi…» iniziò deciso. «ti prometto che mi sveglierò.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
«Oh, beh, allora di cosa mi preoccupo?!» disse tra
sé ironica.
Lui la guardò sconsolato, a parte un eterno
ed infinito ‘ti prego’ non c’era niente che potesse
dire per convincerla. «Io non la volevo questa chiave.»
sapeva – come? Non aveva spiegazioni – che gente si era
allenata, aveva lottato per diventare keyblade master. Sora non avrebbe
voluto, non capiva perché volere spontaneamente un peso del
genere sulle spalle.
Ora l’universo sarebbe oscuro senza di te.
Sospirò chiedendosi cosa fosse passato per la
testa del re Topolino per dare una responsabilità del genere ad
un ragazzino, sospettava che ci fosse un trucco dietro.
È il keyblade a scegliere il suo possessore. – gli ripeté ancora Roxas, come una filastrocca. In quella frase era celata la loro maledizione.
«Così non posso tornare alle Isole con
te.» le disse stringendosi nelle spalle. «Axel ha suggerito
di trasferirci qui, se ti sembra un’alternativa accettabile,
così Roxas starebbe con Axel ed io con te.» propose
fissandola con aria di sfida.
«Sora.» lo rimproverò. Poi chiuse
gli occhi e si addolcì: doveva provare, doveva almeno provare.
Scostò al sedia, posizionandola più vicina a lui e gli
prese le mani. «Torniamo a casa, Sora. Torna a casa insieme a me,
pensa a quanto eravamo felici.» si fermò per guardarlo
supplichevole. «Torniamo a casa.» ripeté.
E l’unica cosa che avrebbe voluto rispondere
Sora era sì. Sì, perché gli mancava la sua casa;
sì, perché l’unica cosa che volesse davvero era
stare con lei, addormentarsi con lei e svegliarcisi; sì,
perché aveva paura di perderla. La cosa peggiore di perdere
sé stesso sarebbe stato perdere lei.
Ma no. No, per tutte le volte che le aveva
accarezzato i capelli e qualcosa dentro di lui li avrebbe voluti
più aranciati; no, per la prima volta che avevano fatto
l’amore, per quanto era stato bello, perché non avrebbe
voluto fare nient’altro per mesi. Non c’era mai stato
niente soddisfacente quanto la pace del dopo orgasmo, quando sembrava
di galleggiare come a Neverland, e lei era nuda e calda e stretta tra
le sue braccia. E Roxas nella sua testa urlava straziando la sua mente.
Come lei, anche Sora le si avvicinò. Le sue
gambe magre e pallide, nonostante il sole costante sull’Isola,
tra le proprie. Si tirò le sue mani al viso e le baciò
con adorazione, perché lui l’adorava. «Kairi, ti
amo.»
Lei sbatté le ciglia umide di un pianto che
ancora non riusciva a liberarsi. «Ma allora perché?»
gli domandò disperata.
«Perché l’unica cosa che voglio
è stare con te.» la fissò, i suoi occhi azzurri nel
blu infinitamente immenso di Kairi, cercando di trasmetterle per altre
vie quello che lei non voleva capire a parole. Eppure gli sembrava
così immediato. «Perché se qualcuno me lo
impedisse, se mi legassero in un posto dove tu non potessi sentirmi io
scalcerei, urlerei, farei tutto per tornare da te. Come sta facendo
Roxas.»
Lei chiuse gli occhi. «Non puoi chiedermelo, Sora.»
Le prese il viso tra le mani. «Tornerò
sempre da te, non c’è altro posto dove tornare. Casa
è dove sei tu.»
«Sora…»
«Ti prego, credimi!»
Lea non si sorprese quando si accorse che a casa sua – di nuovo
– qualcuno era entrato senza consenso. La ignorò diretto
in bagno, non perché avesse effettiva urgenza di usarlo, ma
perché se c’era una persona che non sapeva davvero come
affrontare quella era lei.
Rimase per alcuni secondi davanti al lavello a
fissare il suo riflesso sullo specchio con l’acqua aperta,
sperando che quando fosse tornato di là se ne sarebbe già
andata e, al contempo, del tutto consapevole che non sarebbe stato
così. Provò seriamente a formulare delle scuse, ma doveva
scusarsi? Perché se lì dentro c’era Roxas quel
corpo era suo quanto proprio.
Kairi era seduta sul suo divano, sullo stesso divano
sul quale si era fatto trovare il suo ragazzo giorni prima, lo stesso
divano che avrebbe dovuto fargli da letto, lo stesso divano che era
rimasto inutilizzato. Sulle sue gambe c’era un keyblade chiaro,
leggero, pieno di fiori; ne stringeva l’asta tra le mani,
accarezzandola dolcemente come se fosse l’unica ancora che le
fosse rimasta a cui aggrapparsi.
Lea non disse niente, si sedette accanto a lei nel
più completo silenzio. Era come un funerale, realizzò, ed
avrebbe dovuto sentirsi triste quanto lei, perché nessuno di
loro due sapeva in onore di chi fosse.
«Ho pensato di ucciderti.» disse piano.
«Sono venuta qui con l’intenzione di tenderti
un’imboscata e prendermi il tuo cuore.»
«Perché non l’hai fatto?»
domandò senza scomporsi, senza allontanarsi. E se fosse stato
Roxas quello a finire dentro ad una bara? Per un secondo gli
passò per la mente l’immagine di Sora in lacrime –
perché Lea sapeva che Sora avrebbe pianto – abbracciato a
Kairi che gli sussurrava dolcemente: ‘Hai provato, ma non ci
siamo riusciti.’, felice e sollevata nonostante cercasse di
nasconderlo.
«Credi che Roxas ti amerebbe meno da
morto?» gli chiese in risposta, il keyblade sparì in
un’impronta di luce.
Lui lo avrebbe amato meno da morto? No, altrimenti
non avrebbe cercato di uccidere Sora quella maledetta notte.
Scosse la testa. «Ci sono quattro
possibilità: funziona, tutti e due sopravvivono e siamo felici;
non funziona, entrambi rimarranno eternamente addormentati.»
Kairi tremò. «Funziona solo per Roxas e Sora non ce la fa.
Oppure…»
«Abbracciami.» lo interruppe.
Lea la guardò sorpreso. «Come?»
«Abbracciami come se entrambi non ce l’avessero fatta.»
Sospirando, Lea si avvicinò e la strinse. E
non appena anche Kairi gli passò le braccia intorno alle spalle,
scoppiò nel pianto più disperato che avesse mai sentito;
un pianto nascosto, tenuto segreto, coltivato con affetto e cresciuto
fino a diventare l’unica voce per il dolore più devastante
del mondo. L’uomo non le disse parole consolanti, non poteva
quando c’era la possibilità che al suo eterno dolore
corrispondesse la sua più grande felicità.
L’abbracciò come lei aveva chiesto, cercando di non
pensare al volto cinereo di Roxas dentro una bara.
Kairi era una cosa piccolissima e fragile eppure il
suo cuore era l’unico a non essersi mai perso, fedele a sé
stessa ed al suo amore, aveva abbandonato il suo corpo solo per
nascondersi in quello di Sora. Kairi era l’unica cosa che
terrorizzava Lea, perché quella piccolissima e fragile ragazzina
avrebbe potuto trovare le parole per impedire a Sora di tentare.
«Promettimi di abbracciarmi così se non ce la fanno.»
«Ok.»
«Anche se ce la fa soltanto Roxas.» precisò.
«Te lo prometto.»
Quando Sora entrò in casa li guardò tanto stupefatto da
credere di essere nell’abitazione sbagliata. «Beh,
cos’è questa storia?!» lo dissero in due, Roxas era
stato l’eco perfetto nella sua mente.
Kairi era ancora seduta sul divano, lui non la
abbracciava più, ma continuava a tenerle un braccio intorno alle
spalle. Aveva smesso di piangere, ma appariva comunque depressa, il
naso e le guancie arrossate. Lea capiva perché Sora
l’amasse, era bella sul serio e per un moccioso con un
ingombrante destino da salvatore di damigelle in difficoltà
doveva essere il massimo.
«Mentre voi confabulavate, noi
parlavamo.» fu la semplice risposta di Lea del tutto concentrato
sulla ragazza al suo fianco. Non sapeva perché, ma provava la
destabilizzante sensazione che se avesse smesso di toccarla sarebbe
scomparsa. E se fosse scomparsa, niente Roxas. Badare a Kairi a quel
punto, era un compito anche suo.
Il ragazzo li osservò per niente contento.
«Roxas non è felice della situazione.» disse
infastidito.
Parla per te! – sbottò per niente contento che lo tirasse in ballo senza un vero motivo. Axel con una ragazza? Improbabile.
‘Riesci ad essere geloso di Demyx e non di
Kairi…’ rifletté sconcertato. ‘io proprio non
ti capisco.’
Ma l’uomo rise di gusto. «Invece tu sei
pazzo di gioia, vero?» gli domandò sarcastico distraendolo
dalla sua conversazione interiore.
Riuscì a non ringhiare, ma ci fu tremendamente vicino.
«Sora mi ha detto che hai conservato alcune
tuniche dell’Organizzazione.» iniziò Riku ignorando
la gelosia dell’amico, lui era più abituato a gestirla.
«Ce le puoi prestare?»
«Che dovete farci?» non avrebbe ceduto
quella di Roxas tanto facilmente, era l’unica cosa che gli
rimaneva di lui, l’unica cosa che portasse ancora il suo odore.
«Una festa in maschera!» sbottò
Sora ancora indispettito. «Qual era l’argomento della
puntata precedente?»
Lea li studiò entrambi incredulo.
«State davvero pianificando un assalto al castello del re
travestiti da Organizzazione?!» chiese, quasi sperando che
dicendola ad alta voce quella folle idea avesse senso, ma non era
così. «Cos’è, avete manie di suicidio?»
«Se ci andiamo con i corridoi oscuri
sarà praticamente impossibile per loro prenderci, ma se ci
riconoscono – ed è scontato che sia così –
verranno a cercarci.»
L’uomo provò davvero a riflettere sul
loro piano, ma continuò a sembrargli semplicemente una pazzia e
quel ‘praticamente impossibile’ non lo tranquillizzava
nemmeno un po’. Se avesse perso Sora, niente Roxas. Riaverlo
indietro iniziava a portare un sacco di responsabilità.
«Non sarà un assalto…»
precisò Riku. «un furtino, una cosa veloce ed
indolore.»
«Io vengo con voi.»
Tutti e tre si zittirono e fissarono Kairi sconvolti.
«Non è il caso.» rispose dolce Sora.
La ragazza si alzò decisa, i pugni stretto
lungo i fianchi. «Non era una proposta: io vengo con voi. Non
avete idea di quale sia il libro, ma Naminè sì.»
Sora la guardò sconsolato per un lungo
istante, pensò a tutto quanto e nessuno dei suoi pensieri aveva
esiti positivi.
La nostra disfatta ha i capelli rossi. – commentò Roxas, ma non avrebbe saputo dire se si riferisse ad Axel o a Kairi.
«Descrivicelo.» disse Riku pratico.
«Facci un disegno, Naminè disegnava praticamente tutto, un
libro non sarà un problema per lei.»
Kairi assottigliò lo sguardo furiosa e lo
fissò. «Io non sono Naminè, io non disegno.»
si fermò, poi tornò a guardare Sora. «Io vengo con
voi oppure mi farò riportare da Cid alle Isole del
Destino.» incrociò le braccia sul petto testarda, non
avrebbe cambiato idea, sarebbe stato inutile provare.
«Decidete subito.» lanciò un’occhiata a Lea,
una chiara richiesta di aiuto.
«C’è una terza divisa.»
disse lui. «Sono praticamente certo che le calzerebbe a
pennello.»
«Kairi…» la supplicò Sora.
Lei lo fissò ancora. «Io vengo con voi.»
prossimamente...nel
prossimo capitolo, ma più probabilmente in quello dopo ancora
succederà un cosa...ah! sconvolgente!
...sono l'unica a pensare che Sora vestiro da Organization XIII sia sexy?!
va beh, stupidaggini a parte...nella prossima puntata si va in missione!
cercherò di scriverlo più in fretta possibile, ma
sarà sicuramente un capitolo complicato, quindi se ci saranno
ritardi cercate di capirmi!
baci
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
sora
fare
la spavalda ed inventarvi che io sono meravigliosa a scrivere scene
d'azione, sarebbe una cazzata imperdonabile (pardon il termine
estremamente aristocratico...). la realtà è che: non ho
mai scritto scene d'azione, questa è la prima; non ho mai
scritto scene d'azione perchè sento di non esserne in grado -
questo la dice lunga su quello che leggerete.
perciò, siate clementi e mi scuso anticipatamente se è un disastro.
l'ho letta, riscritta, riletta e ricorretta fino alla psicosi e spero
di aver raggiunto un livello almeno (perchè non si può
chiedere troppo dalla vita) accettabile...
buona lettura!
ps delle 9:42: se penso che dovo rileggerla ancora per l'ultima correzione, mi sento morire...
Capitolo 9
Sora guardò ancora il viso di Kairi dentro il cappuccio della
divisa dell’Organizzazione sospirando; non poteva essere una
buona idea portarla in una missione del genere, ma visto che lei era
parte integrante, anzi, era la parte fondamentale di tutta la faccenda,
non potevano fare altro se non accettare le sue condizioni. Si stava
specchiando come se quella fosse davvero una specie di festa in
maschera: era pericoloso ed essere carina non l’avrebbe di certo
aiutata.
«Tu lo sai, vero, che Topolino batte Sora, Riku ed anche Sora e Riku?»
Sora sussultò sorpreso, concentrato
com’era sulla propria ragazza, che improvvisamente stava
diventando troppo impavida, non si era accorto di Riku alle sue spalle.
Stavano guardando le stesse cose e, probabilmente, arrivando alle
stesse conclusioni. «Se ci trova lo distraggo io.» disse
automaticamente.
«Non è una buona idea, anzi, è
meglio che sia io ad affrontarlo. Infondo per riportare indietro Roxas
servite tutti e due.» si strinse nelle spalle con noncuranza.
«Io sono sacrificabile.»
«No.» esclamò con decisione
guardandolo, non ammetteva contrattazioni su quel punto. «Se
Topolino ci scopre la prima cosa da fare è portare via Kairi e
tu sei l’unico a saperlo fare.» ridacchiò con aria
di sfida, incrociando le braccia dietro la testa.
«Riuscirò a dare del filo da torcere a sua Maestà
per qualche minuto.»
Riku rimase in silenzio per alcuni secondi.
«È un pessimo piano.» commentò infine
incrociando le braccia sul petto e scuotendo la testa. Non poteva
ribattere niente, Sora aveva ragione, la priorità sarebbe stata
Kairi, non si poteva discutere su quello.
«Già.» convenne il ragazzo.
«Ma, ehi! Tutti i nostri piani geniali si sono sempre rivelati un
fallimento, magari questo ci riesce.»
«Topolino non ucciderà il prescelto dal
keyblade.» rifletté. «Porto via Kairi e torno a
prenderti, ma se ti trovi male, togliti il cappuccio.»
«Spero di non doverlo fare.» sospirò.
«Lo stiamo facendo solo per Roxas?» gli chiese.
«Lo stiamo facendo perché è giusto.»
Silenzio.
«Riku, se ti riesce cerca di non aprire il
corridoio oscuro proprio davanti al naso di Topolino.» lo prese
in giro.
Lui gli lanciò un’occhiataccia. «Mi hai preso per un dilettante?»
Paperino e Pippo fissarono a bocca aperta le tre figure incappucciate appena comparse di fronte a loro.
«Ops…» fece quello più alto tirandosi la più minuta dietro di lui.
«Chi è che non era un dilettante?!» sbottò sarcastico l’altro.
«Pippo, vai a dare l’allarme a sua
Maestà!» esclamò risoluto il papero biascicando,
mentre sfoderava il suo scettro. «Io cerco di tenerli
impegnati!» per essere un volatile, aveva un cipiglio decisamente
minaccioso.
«Yuk! Subito!» rispose quello dileguandosi.
«Io fermo lui!» disse uno dei tre seguendolo. «Voi raggiungete lo studio!»
Paperino pensò che quella voce gli era estremamente familiare.
Pippo non era particolarmente veloce, né particolarmente
atletico. Sora si era trovato almeno tre volte a portata di colpo, ma
sfoderare il keyblade e colpire uno dei suoi migliori amici…non
ce l’aveva fatta. Pippo gli voleva bene, lo aveva seguito in
tutti suoi viaggi, lo aveva protetto quando Riku aveva cercato di
colpirlo, lui solo. Perché erano amici.
Sperò che anche Riku si ponesse gli stessi problemi morali.
Devi farlo, Sora,
se lo raggiunge e dà l’allarme, ‘sua
Maestà’ non ti userà la stessa premura!
Ed era vero, cielo, Topolino li avrebbe sbriciolati
senza la minima esitazione. C’era un perché se
l’Organizzazione non si era mai spinta a tanto. Ma Sora,
semplicemente, non era in grado di far comparire il keyblade per uno
scopo del genere.
‘È Pippo!’, cercò di
spiegargli, spingendolo ad osservare tutti i suoi ricordi –
quelli che gli rimanevano almeno – tutte le loro avventure, tutta
la sua vita. Doveva capire: se condividevano un cuore, gli stessi
sentimenti di profonda amicizia che stava provando in quel momento
avrebbe dovuto provarli anche lui.
E Roxas li provava, ma semplicemente per lui la posta in palio era troppo alta. – Vuoi che lo faccia io? – gli propose.
«No!» gridò con orrore e nel suo
urlo doveva esserci qualcosa di inconfondibile, perché Pippo si
fermò nascondendosi dietro il suo scudo e scrutandolo con
attenzione. Sora si fermò immobile, a disagio, improvvisamente
si sentì sporco dentro il cappuccio dell’Organizzazione:
non si erano mai trovati ai due lati opposti di un campo di battaglia,
erano sempre stati fianco a fianco.
Finirai per farti scoprire così!
Senza guardare Sora gli scaraventò contro il
keyblade in un colpo aereo, una finta che non lo colpì né
all’andata né al ritorno, ma lo convinse a riprendere a
scappare.
Devi solo fermarlo. – cercò di farlo ragionare Roxas. – Non devi necessariamente colpirlo.
Quella era una buona idea.
Sora scattò per avvicinarsi ancora al suo
bersaglio e gli saltò addosso, atterrandolo; rotolarono insieme
per alcuni metri in un groviglio contorto di braccia, gambe ed il
mantello dell’Organizzazione che li avvolgeva entrambi come un
bozzolo. Pippo ebbe l’impressione di vedere un volto
inconfondibile dentro il cappuccio, se ne accorsero entrambi. Lo
sentì.
«Yuk! Ma è impossibile!» esclamò.
Sbatterono contro qualcosa e si fermarono, Sora
controllò immediatamente di avere ancora il cappuccio in testa;
avrebbe negato, avrebbe finto di ridere di quella sciocca ipotesi ed
avrebbe negato ancora. Sora? Il keyblade master? Non poteva davvero
scambiarlo per lui.
Sollevò il viso per non perdere di vista il
proprio obbiettivo, quando si rese conto che probabilmente a quel
punto, la preda era diventata proprio lui.
«Oh, Topolino.» disse dolce Minnie, mentre finalmente
poteva godersi una semplice passeggiata con il suo re. «Non
è bellissima la pace.»
Lui le sorrise appoggiando la propria mano su quella
di lei, compostamente e regalmente aggrappata al suo braccio; da quando
Sora li aveva salvati e lui era finalmente potuto tornare a casa,
soddisfatto della propria vittoria, quelle passeggiate lungo il
chiostro interno erano diventate una piacevole abitudine. Non ci
avrebbe rinunciato per niente al mondo, nemmeno per…il capo
delle sue guardie che rotolava verso di loro insieme a quello che aveva
tutta l’aria di essere…
«Ma è impossibile!» disse ad occhi sgranati.
«Oh, santo cielo!» esclamò lei agitata. «Qui, nel nostro regno!»
«Minnie!» Topolino se la portò
alla spalle sfoderando il keyblade. «Stai indietro!»
L’Organizzazione – ma quale se
l’avevano sconfitta? – era in casa sua, minacciando il suo
popolo e la sua regina.
Fece appena in tempo a sollevare la chiave per
creare una barriera difensiva, prima che il groviglio di corpi ci
sbattesse contro sciogliendosi. Per un lungo e distinto secondo il
rumore metallico dello scudo di Pippo che rotolava a terra fu
l’unico suono, fu anche l’unica cosa a muoversi.
Il ragazzo incappucciato si sollevò e lo
fissò per alcuni secondi e Topolino sentì al centro del
petto il ricordo di un legame che li univa, un filo luminoso annodato
al cuore – se c’era – di quella creatura immonda. Ma
non ci badò come avrebbe dovuto, continuando a brandire il suo
keyblade, troppo occupato a difendere la propria regina per prestare
davvero attenzione a quello che il suo cuore cercava di spiegargli: se
lo avesse fatto, avrebbe capito che combattere contro quel ragazzo era
un errore.
Il ragazzo incappucciato si agitò
febbrilmente per rialzarsi in piedi e quando ci riuscì, fece
dietro front per scappare. «Non ti lascerò
andartene!» minacciò Topolino prendendo ad inseguirlo.
«No, aspetta!» disse Minnie cercando di
trattenerlo, anni sola a difendere quel castello affidandosi soltanto
al proprio istinto, l’avevano resa più attenta a quello
che il suo cuore aveva da dire. «Quello è…»
ma erano troppo lontani per sentirla. «lui.» mormorò
a sé stessa, lasciando ricadere tra i drappi del suo abito la
mano con la quale aveva cercato di afferrarlo, mentre la sorpresa
lasciava il posto alla confusione. Cosa ci faceva lì? Travestito
da membro dell’Organizzazione per giunta?
«Pippo, porta in salvo la regina, potrebbero
esserci degli heartless.» si sentì urlare in lontananza.
La guardia si alzò brandendo il proprio scudo
come se dovesse impressionare qualcuno, ma poi vinse la sua
perplessità. «Yuk! È strano, regina, ma…per
un attimo mi è sembrato che…yuk! Ma non può
essere!»
«Temo proprio di sì, mio fedele Pippo.»
Kairi e Riku si nascosero dietro una siepe per ripararsi
dall’ennesimo attacco di tuono di Paperino. Inizialmente aveva
provato a respingerlo con la barriera oscura, ma l’aveva vista
incrinarsi: non poteva essere sicuro di quanto reggesse. Se fosse stato
solo, probabilmente avrebbe corso il rischio, ma non era solo.
Guardò la ragazza accanto a lui con il fiato corto ed un ciuffo
di capelli rossi che spiccava come un freccia luminosa sulla divisa
dell’Organizzazione: scappando e nascondendosi doveva esserle
sfuggito. Se non fosse stato per quella singola ciocca di capelli,
avrebbe potuto tranquillamente dire che insieme a lui, a nascondersi da
Paperino, ci fosse Xion.
«È inutile che vi nascondiate!»
sentirono biascicare proprio dietro di loro, un attimo prima che la
siepe alle loro spalle, prendesse fuoco come un enorme falò.
Riku fece appena in tempo ad afferrare la ragazza e
buttarla a terra insieme a lui. Avrebbe dovuto contrattaccare, ma non
ne aveva il cuore; quello era Paperino e non stava facendo altro se non
proteggere il suo mondo e le persone che amava: come avrebbe fatto lui,
del resto, se qualcuno avesse minacciato le Isole.
Dovevano andarsene di lì, era l’unica soluzione.
Studiò con attenzione tutte le uscite che
rilucevano dell’incantesimo fatto dal papero per non farli
scappare come Sora, avrebbe dovuto aprire un corridoio oscuro, ma non
aveva tempo per concentrarsi, preso com’era ad evitare i colpi
del mago.
«Tienimi il gioco!» gli gridò
Kairi per sovrastare il rumore del tuono che si era abbattuto ad un
passo da loro. Vedere quella freccia scintillante carbonizzare una
pianta a pochi centimetri da lei, lo sconvolse e lo spaventò.
Per anni c’era stata una specie di lotta silenziosa tra chi dei
due sarebbe stato in grado di proteggerla; essere il più forte,
il più veloce, tutte le loro gare avevano il semplice scopo di
dimostrare chi fosse il più adatto a prendersi cura di lei.
Eppure quel giorno erano entrambi lì e non riuscivano a tenerla
lontana dai pericoli.
«Ascoltami!» lo pergò Kairi, scrollandolo per un braccio.
Lui le lanciò un’occhiata curiosa, mentre si alzava e la aiutava a sollevarsi.
Kairi si abbassò il cappuccio e gli si
allungò addosso come se stesse cercando di raggiungere Paperino
ed il ragazzo incappucciato glielo impedisse. «Ti prego,
aiutami!» lo supplicò.
Il mago aveva lo scettro sollevato e la parola per
evocare una pioggia di meteore bloccata in gola, ma l’unica cosa
che uscì dal suo becco fu: «Kairi!»
«Sei pazza come quell’altro!»
bisbigliò trattenendola, ma non poté impedirsi di pensare
che quella era probabilmente la loro sola possibilità: come lui
non riusciva a colpire Paperino per paura di fargli male, così
Paperino non avrebbe rischiato l’incolumità di Kairi.
Si voltò tenendola per la vita, facendosi
scudo con il suo corpo – cielo, era terribile –
fronteggiando il papero.
«Lasciala andare, mostro!» ma, come previsto, non ci fu nessun attacco.
Riku allungò una mano ignorandolo e quando
vide le spire del corridoio oscuro diramarsi, fu sul punto di piangere
di sollievo. Continuando a tenere Kairi tra lui e Paperino ci
entrò dentro proprio mentre un’esplosione faceva cadere
l’incantesimo per sigillarli.
Sora stava rotolando per la forza dell’esplosione. Sbatté
una spalla, poi il ginocchio, ma quasi non li sentì. Aveva visto
Riku e Kairi sparire nel corridoio; avevano preso il libro? Stavano
bene? Fra quanto sarebbe tornato a prenderlo? Riku sapeva, vero, che
quando aveva detto di riuscire a tenere a bada Topolino per alcuni
minuti, intendeva pochi minuti.
Si alzò e corse via, stringendo i denti per
andare più veloce possibile nonostante il ginocchio ed altri
mille acciacchi, che si era dimenticato di avere, ma che avevano tutta
l’intenzione di ricordargli la loro presenza proprio in quel
momento. Davanti a lui c’era lo studio del re, se fosse riuscito
a raggiungerlo, forse avrebbe potuto barricarsi dentro per il tempo
necessario.
Se fosse riuscito a raggiungerlo.
Con un balzo Topolino gli si parò davanti,
brandendo il suo keyblade con aria minacciosa. Sora era stato
abbastanza acuto – sotto suggerimento di Roxas, doveva ammetterlo
– da non tirare fuori il proprio per non rivelarsi troppo, visto
che era sicuro che Pippo lo avesse riconosciuto e sospettava anche
Minnie, ma ora dubitava di poter desistere ancora.
Come comprensibile, non appena lo attaccò, ed
il keyblade del re cozzò contro il proprio, sul suo viso rotondo
apparve un’espressione incredula; saltò indietro, facendo
un’elegante capriola in aria e fermandosi in posizione di difesa
a pochi passi dal suo avversario. «Un keyblade.»
mormorò fissando l’arma che stava impugnato. «Chi
sei tu?» gli domandò a voce più alta.
Sora ghignò nascosto dal cappuccio, a volte
era bello avere una risposta tanto d’effetto già pronta.
«Nessuno.» disse, per lanciargli subito dopo un colpo aereo
all’improvviso. Non si premurò di non colpirlo, convinto
che lo avrebbe respinto, ma approfittò di quel diversivo per
superarlo e continuare a scappare. Purtroppo non riuscì ad
essere abbastanza veloce da evitare la botta pazzesca che il re gli
diede alla schiena, non appena realizzò la sua strategia.
Il respiro che prese subito dopo fu profondo e sibilante e gli fece un male cane.
È lì, sei quasi arrivato, non fermarti! – lo incoraggiò Roxas ed aveva ragione, c’era troppo vicino per arrendersi.
Riuscì a raggiungere la porta, la aprì
e la richiuse alle proprie spalle, un secondo prima che Topolino la
colpisse.
Ma il sospiro di sollievo che si sarebbe meritato
gli morì in gola, guardando Kairi aggrappata alla libreria alla
ricerca del volume giusto. Solo in quel momento capì quanto
sbagliata fosse stata quella mossa. «Che ci fate ancora
qui?» domandò sconvolto, spingendo il più possibile
la schiena contro la porta per non farla aprire al re.
«Perché l’hai portato qui?»
sbraitò Riku in preda al panico quanto lui, prendendolo a
braccetto ed aiutandolo. Le loro braccia intrecciate erano proprio
davanti all’apertura e Riku non poté impedirsi di
immaginarsi le ossa rotte, quando Topolino avrebbe buttato giù
la porta.
«Credevo che ve ne foste andati…»
un colpo. «vi ho visti entrare nel corridoio ed ho pensato che
aveste il libro…» un altro colpo. «ora che
facciamo?» gli chiese disperato, gemendo al terzo colpo.
Riku puntò i piedi a terra più saldamente. «Teniamo duro.»
«Lasciate che vi aiuti, Maestà!» sentirono biascicare dietro di loro.
Tutto tacque. Sora e Riku si guardarono trattenendo
il fiato, anche Kairi interruppe la sua frenetica ricerca per guardarli.
Sentirono un crepitio poco rassicurante, poi la
porta alle loro spalle diventò bollente ed, infine, una lunga
lingua di fuoco fece breccia tra le due ante, bruciando le loro braccia
e costringendoli ad allontanarsi per non ustionarsi del tutto.
Sora si voltò e guardò Kairi che per
un secondo continuò a fissarlo ansiosa, i suoi occhi spaventati
correvano dal suo braccio ormai nudo ed il suo viso alla ricerca di un
segno di dolore. «Sicura che sia qui?» le domandò
lui, stringendo i denti per non far trasparire nemmeno una smorfia,
perché sperava ancora di sentirsi rispondere di no. In quel
momento ‘no, dobbiamo andare da qualche altra parte’
sarebbe stata la cosa più bella che le sue labbra potessero
pronunciare.
«Si.» rispose lei senza la minima
esitazione e senza alcun rispetto per le sue inutili speranze.
«Lo sento, ma non riesco a trovarlo.» si lamentò.
Il ragazzo sospirò e, dopo aver fatto
comparire Oblivion tra le sue mani, la porse a Riku. Per alcuni istanti
rimasero entrambi con la mano sull’elsa in uno scambio di idee
silenziose.
«Pessima idea, tanto per cambiare.» commentò gelido.
Questa volta Sora non lo contraddisse, troppo
nervoso per essere ottimista. «Sbrigatevi d’accordo?»
disse solo, lasciandogli la chiave di Roxas ed appoggiando una mano sul
battente: quella porta non avrebbe retto ancora a lungo se qualcuno non
le avesse dato una mano. «Non appena sono uscito, tu chiudi e
bloccala con il keyblade.» gli disse imperioso.
«Pronto?» domandò, ma non sapeva se a Riku o a
sé stesso.
Il suo amico annuì, studiandolo mentre gli
sfuggiva un sospiro. «Perché non riusciamo mai essere allo
stesso lato di una porta?»
«Sbrigatevi.» ripeté Sora e
sembrava così tanto una supplica che gli fece venire i brividi.
Deglutì, prese fiato, si rigirò il
proprio keyblade tra le mani come se potesse diventare più forte
e più grande.
Ce la faremo. – ma nemmeno Roxas sembrava molto fiducioso.
Sora chiuse gli occhi, mandò un pensiero a
Kairi, un pensiero pregno di tutto il suo amore, ma non si voltò
per paura di perdere la volontà di andare avanti.
Poi aprì la porta.
è
ufficiale: sto odiando questo capitolo...no, non è vero, tutto
sommato penso che non sia venuto così male...
...ma mi spiegate come si fa a creare tensione ed aspettativa con un
papero biascicante ed un cane che fa'yuk'?! penso che quelli della
square enix siano dei geni di sceneggiatura...
ad ogni modo...
oh mio dio! io so che succede nel prossimo capitolo...
grazie al caspian! se non lo sapevo era grave, cmq...succederà
una cosa cosa sconvolgente...o per lo meno quando l'ho detto a mia
sorella lei conveniva con me che era sconvolgente...speriamo bene...
mi manca Axel...anche Roxas, qui ha un po' disertato...
cmq fatemi sapere che ne pensate!
baci
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
sora
ce la farò? che dite?
dunque vi chiedo scusa...lo faccio così spesso che sta
diventanto un discorso inflazionato...tutto quello che posso dirvi per
giustificarmi è che, mentre scrivevo, ho finito (finito, finito,
finito) Birth by Sleep...che fatica!
ma soprattutto che tristezza!
ce la farà un giorno la square enix a farmi un Kingdom Hearts
che finisce seriamente bene? non lo so, con questo ho pensatodi morire!
per cui...
la mia trama non credo che lo prenderà davvero in
considerazione, finora l'ho scritto ignara di quell'altro dramma (dio,
questo videogioco è tutto un dramma) quindi ormai mi sa che ne
resta fuori - spero, ancora non sono pronta per parlarne - ma qua e
là una parolina potrebbe sfuggirmi...
se vi rovino qualche sorpresa sono davvero mortificata, spero di cuore di no...
Capitolo 10
Tutto si era fermato esattamente nel momento in cui dalla porta era
provenuto un lento cigolio, promessa di una possibilità
concreta. Una porta cigolava all’apertura ed alla chiusura e,
visto che pochi secondi prima era barricata – non in modo
inviolabile, ma quasi – significava che si stava aprendo.
Una delle figure incappucciate uscì
lentamente. Paperino aveva rivelato al re che erano due e che avevano
rapito Kairi; avevano raggiunto il loro mondo con un corridoio oscuro,
in perfetto stile Nobody. Ma mentre Topolino cercava di buttare
giù la porta, un bersaglio che non aveva bisogno di tutta la sua
concentrazione per essere sconfitto, si era concesso di riflettere.
Perché i Nobody avrebbero dovuto rapire Kairi?
Improvvisamente tutto aveva acquistato un
significato. Era già successo che qualcuno trovasse
l’unica chiave in grado di aprire le porte della volontà
del keyblade master. Kairi era l’unica leva che avesse davvero
presa su Sora. Nessun dubbio sul combattere contro Riku, il suo
migliore amico, una volta scoperto che era posseduto da un uomo
malvagio; ma quando si era trattato di lei, aveva abbassato le armi e
si era piantato una chiave in petto per ridarle il suo cuore.
Condannare i mondi all’oscurità, perdere sé stesso,
consegnare la vittoria di una guerra in mano all’essere
più corrotto che gli venisse in mente, erano tutte cose che era
disposto ad accettare di buon grado pur di salvare lei.
Sora aveva una sola missione: Kairi. Tutto quello
che aveva fatto, per lui, per i mondi, non era altro che una
trasformazione della sua unica missione: Kairi.
Non c’era niente che un Nobody potesse volere
dal re o da Kairi in senso stretto, ma si sentiva autorizzato a pensare
che in realtà, loro volessero Sora e che la principessa non
fosse altro che un’esca. Infondo, era sempre lui quello che
avevano voluto. Ma questo apriva un altro interrogativo, perchè
ora avevano bisogno di Sora?
Il ragazzo incappucciato allungò un braccio e
puntò la propria chiave alla serratura del suo studio per
sigillarla. Quello continuava ad essere un mistero, poteva davvero
esistere un altro Nessuno in grado di utilizzare la chiave? Chi era?
«Paperino.» sussurrò al fedele
mago di corte al suo fianco. «Raggiungi Pippo, dovete andare a
prendere Sora e Riku. Se hanno rapito Kairi questa è anche una
loro guerra.»
«Agli ordini, Maestà.» rispose senza incertezze, correndo a cercare il capo delle guardie.
Tenne gli occhi sul nemico per essere sicuro che non
tentasse di rincorrerlo, ma non sembrava affatto interessato a farlo.
«Non ti lascerò fare del male a Sora o
ad uno dei suoi amici!» esclamò fissandolo duro.
Il ragazzo scoppiò a ridere spietatamente,
gelidamente, come se fosse a conoscenza di qualcosa di cui il suo
avversario era all’oscuro. «Lo avete già fatto,
altezza.» si acquattò, pronto a difendersi o ad attaccare
se necessario.
E Topolino capì che l’unica cosa da fare era combattere.
«Pippo, sbrigati!» biascicò agitato il papero,
scrollandolo per una manica. Dovevano avvertire Cip e Ciop, saltare
sulla gummi ship ed andare a prendere Sora, prima che un corridoio
oscuro inghiottisse quei due mostri e Kairi.
Il cuore gli si strinse quando pensò ‘mostri’.
«Paperino, no, aspetta. C’è una cosa che devi sapere.»
Erano almeno dieci preziosissimi minuti che
continuava quel tira e molla: di qualsiasi cosa dovesse essere messo a
conoscenza ci sarebbe stato un poi. «Kairi è in
pericolo!» se non bastava quello a mettergli fretta, non sapeva
proprio cosa altro inventarsi.
«Lui è Sora.»
Paperino si fermò e guardò alle
proprie spalle la regina Minnie che avanzava regalmente con qualcosa di
luccicante tra le mani. Sora, non era possibile. Eppure…
«Vi prego, di scortarmi nei sotterranei,
raggiungeremo lo studio del re e parleremo con la principessa.»
«Sora…ma…ma…perché
è qui in quel modo? Perché non ha chiesto?»
Minnie scosse la testa. «Non lo so, ma se una
delle sette principesse dal cuore puro ha bisogno di aiuto non
sarà questo il mondo dove glielo negheranno.»
Ormai Sora si stava limitando a difendersi, a farsi sempre più
piccolo ad ogni frammento della sua difesa che veniva scalfito. Aveva
cercato di combattere seriamente, ma per ogni colpo che riceveva,
Topolino era in grado non solo di schivare, ma anche di contrattaccarlo
in modo brutale. Il re aveva combattuto molte più guerre di lui
e non era stata la fortuna a tenerlo in vita.
Il nuovo affondo fu talmente forte da schiacciarlo
contro quella porta, la stessa porta che aveva avuto intenzione di
aiutare, ma che ormai lo stava sorreggendo. Iniziava a provare affetto
per lei, se la sarebbe portata via prima di andarsene e l’avrebbe
montata nella sua camera.
Le Isole non gli erano mai sembrate tanto distanti.
Sentì un ‘crack’ qualcosa che si
incrinava e si fece forza per smettere di appoggiarsi: quello a cui il
re continuava ad incastrarlo era solo legno, sperava che la sua anima,
il suo cuore ed il suo corpo fossero più duri da scalfire. Lui
non avrebbe fatto ‘crack’, giusto?
Topolino attese, gli stava dando il tempo di
riprendere fiato, era un buono, era un avversario leale. Si
passò il keyblade nell’altro braccio scrollando forte il
destro, gli faceva un male del diavolo, sospettava che quel
‘crack’ appartenesse proprio al suo osso.
«Arrenditi!»
Non c’era una parte di lui che non avrebbe
voluto rispondere di sì. Si sentiva attraversato da crepe
profonde, un incrinatura per ogni colpo incassato negli ultimi giorni,
o forse negli ultimi anni. Un’incrinatura per Riku che cercava di
ucciderlo; un'incrinatura per tutti i suoi ricordi andati perduti;
un'incrinatura per la devastante scoperta di una coscienza indipendente
nella propria mente che lo odiava; un’incrinatura per la vita
ancora sfavillante di Axel che l’avrebbe voluto morto al posto di
Roxas; un’incrinatura per il bacio che aveva dato all'ombra nel
suo cuore, ignorando lui; un’incrinatura per la rabbia di Riku
che cercava soltanto di difendere Kairi, che amava Kairi;
un’incrinatura per il dolore di Kairi. Un’incrinatura che
spaccava il suo cuore a metà, tra quello che voleva Sora e
quello che voleva Roxas.
Deglutì tremando. «No.»
Non si era mai sentito tanto male quanto in quel
momento, non era un male fisico, era un male interno ed invisibile, ma
proprio per questo ancora più tremendo. In quel momento fu
talmente chiaro: stava combattendo dalla parte sbagliata, stava
combattendo per permettere che lo distruggessero. Perché non si
stava arrendendo? Perché non stava chiedendo aiuto a Topolino
invece di combatterlo?
Topolino lo attaccò ancora ed il ‘crack’ si fece ancora sentire.
Non era la porta, alla quale non aveva fatto in
tempo ad appoggiarsi; non era il braccio, visto che ora stava
impugnando il keyblade con l’altro. Sia lui che il suo assalitore
fissarono gli occhi sulla chiave che aveva preso a scintillare luminosa
come non mai, avvolta da uno strano fumo nero, violaceo, come quello
dei corridoi oscuri.
Tifa si sedette accanto a Lea. Lo aveva cercato ovunque, temendo che
avesse fatto una follia tipo seguire Sora, Riku e Kairi a Topolinia. Ai
Nessuno, o ex Nessuno, era severamente vietato quel posto e la pena era
la prigione dei mondi. Con sgomento aveva scoperto di essere
preoccupata per lui.
Ma evidentemente non ne aveva motivo. Erano nel
giardino esterno, con le gambe verso il canale che attraversava tutta
la città e portava acqua dappertutto. L’uomo era immobile
e silenzioso, perso in riflessioni talmente profonde che non si sarebbe
accorto di niente; se lo avesse attaccato in quel momento lo avrebbe
colpito.
«Cid si è lamentato perché non eri a lavoro.»
Fece un mezzo sorriso. «Ti sembrerà
strano, ma lo scontento di Cid non è tra i miei pensieri al
momento.»
«Sei preoccupato?» gli domandò.
«Ti interessa?»
Doveva ammettere di non essere mai stata
particolarmente gentile con quelli che erano stati dei Nobody,
nonostante Aeris continuasse a darle il buon esempio, ma non per
cattiveria. Nel suo cuore continuava a ricordare le loro facce sulle
tuniche nere che avevano quasi distrutto il loro bel mondo, proprio non
riusciva ad impedirsi di dare loro la colpa. Quando era successo quello
che era successo, alcuni, i più forti secondo Leon, erano stati
sbalzati a Traverse Town, quelli che erano rimasti erano diventati
Nessuno. Lea era rimasto, Lea era diventato un Nessuno e Tifa non
riusciva ad impedirsi di pensare che lo fosse ancora.
«Noi ci conoscevamo prima dell’incidente.»
Tifa lo osservò stupita.
«Eri una bambina.» sorrise. «Avevi una cotta per me e Cloud era geloso.»
La ragazza arrossì continuando a studiarlo. «Non me lo ricordo.»
«Te l’ho detto, eri una bambina e
l’incidente ha fatto parecchi danni. Non mi stupirei di scoprire
che oltre ai nostri cuori abbia portato via anche alcuni dei vostri
ricordi.»
Rimase a pensare. «Forse.»
abbassò lo sguardo sulle proprie mani. «Se Cloud era
geloso di me doveva essere prima che conoscesse Aeris.»
«Lui ama anche te.»
«Come Sora.» per alcuni secondi stettero
in silenzio con l’acqua che scorreva gorgogliando piacevolmente
sotto i loro piedi. In qualche modo Tifa riusciva a capirlo, se avesse
scoperto che anche Cloud aveva due coscienze una delle quali follemente
e disperatamente innamorata di lei, non avrebbe cercato in tutti i modi
di dividerli?
«Gli voglio bene.» confidò in un
sussurro. «A Sora intendo. Sembra sciocco, ne ho di motivi per
odiarlo, ma è come se fosse il fratello rompiscatole del mio
fidanzato. Se Roxas ce la facesse e tornasse, ma senza Sora, mi
sentirei terribilmente in colpa.»
Tifa incrociò le braccia sul petto e rise
scuotendo la testa. «Voi dell’Organizzazione siete proprio
buffi.» Lea la studiò stranito, nessuno lo aveva mai
definito ‘buffo’. «Quante volte avete provate ad
ucciderlo o distruggerlo?» tantissime, missioni su missioni per
renderlo innocuo e comunque lui li aveva sbaragliati tutti senza
eccessiva difficoltà. «Fatevene una ragione, Sora è
indistruttibile.»
Lea si alzò e le porse la mano, Tifa lo
osservò senza capire. «Non ho intenzione di andare a
lavoro, ché ne dica Cid. Vogliamo usare il tempo a mia
disposizione per cercare di far ingelosire Cloud?»
La ragazza rise. «Sai, dopo Roxas non credo che funzionerebbe.»
Lui si strinse nelle spalle. «Tentar non nuoce.»
Lea sperò che Tifa avesse ragione, che Sora fosse davvero indistruttibile.
Vicini, con i keyblade incrociati uno contro l’altro,
sussultarono entrambi quando sentirono di nuovo quel rumore. Questa
volta a Sora era rimbombato nelle orecchie, gli era scorso nelle vene,
lo aveva attraversato tutto come un brivido che aveva portato una
consapevolezza sconvolgente a schiarirgli la mente.
Una consapevolezza che indusse perfino Roxas a rimanere a bocca aperta.
Guidato da quell’intuizione Sora fissò
il corpo della propria chiave: era percorso da crepe seghettate e
luminose, un disegno complicato di incrinature come una ragnatela. Un
frammento si staccò brillando, scivolò via spegnendosi e
si posò a terra con un tintinnio delicatissimo.
E quel suono delicato e limpido risvegliò
qualcosa nel cuore del re, qualcosa che non avrebbe più potuto
ignorare. Cercò un viso dentro quel cappuccio, cercò i
suoi occhi e con orrore li trovò. «Sora.»
mormorò sconvolto.
Kairi si fermò aggrappata alla libreria con un volume in mano.
Guardò verso la porta chiusa, con il cuore stretto in una morsa
di dolore e angoscia. Sora. Scese e fece per raggiungerla, sapeva che
nessun blocco da parte dei keyblade avrebbe limitato i suoi movimenti
– era una principessa dal cuore puro, qualcosa doveva pur contare
– ma Riku sì.
Si piazzò davanti alla porta a braccia
incrociate. «Che succede?» le chiese, impedendole di
proseguire.
La ragazza si strinse una mano sul cuore.
«Sora!» disse solo fissando la porta tanto intensamente da
sentirsi autorizzata a sperare di riuscire a distruggerla con il
pensiero. Non sapeva cosa esattamente lo stesse ferendo, ma sentiva di
starlo perdendo.
«Hai trovato il libro?»
«Il libro?!» gli domandò furiosa.
«Gli sta succedendo qualcosa di brutto, di molto brutto e tu
pensi al libro?!»
«Trova il libro, poi ti porto lontano da qui e vengo a prenderlo.»
Kairi lo spinse, non sperava davvero di riuscire ad
ottenere un risultato ed infatti Riku fece appena un mezzo passo
indietro. «Sarà troppo tardi.» gridò. Sora
stava soffrendo, lo percepiva come se fosse la propria sofferenza, il
suo cuore era stato tanto a lungo nel suo petto da rimanere legato a
lui. Ed anche se così non fosse stato, lui era Sora, dopo tutto.
«Quale libro state cercando?» domandò una voce.
Sia lei che Riku si voltarono a guardare la regina
Minnie che saliva, tenendosi sollevate le gonne, gli scalini di una
botola che si era aperta silenziosa sotto la scrivania di Topolino. Era
seguita da Paperino e Pippo e si fermò esattamente davanti a
Kairi. «Ebbene?» la invitò a parlare.
La ragazza deglutì sentendo pesare tutta la
sua regalità, Minnie era piccola e sembrava innocua, ma era pur
sempre la regina di Topolino. C’era molto più di quanto
appariva in lei. «Il trattato di Vexen, signora.»
Riku allungò un braccio verso di lei.
«Regina, è stata un’idea mia, non…non fatele
del male.» la supplicò.
Minnie lo guardò come se avesse parlato in
una lingua sconosciuta. «Farle del male?» ripeté
senza capire, poi levò gli occhi al cielo. «Tutte queste
guerre vi hanno resi paranoici.» commentò, prima di
tornare a rivolgersi a Kairi. «Mia cara, nessuno ha intenzione di
farti del male. Voglio capire, aiutarti se posso ed impedire a Topolino
di commettere un errore di cui si pentirebbe per tutta la vita.»
La ragazza fissò a lungo la regina, poi Riku
che si limitò a stringersi nelle spalle; sapeva che il libro era
lì intorno, lo sentiva vicino, ma non riusciva a localizzarlo
esattamente. Decise di fidarsi, anche Minnie aveva aspettato a lungo
per poter stringere di nuovo tra le braccia suo marito, se c’era
una che avrebbe potuto capirla quella era lei. «Sora e Roxas sono
sempre più due parti divise. So che in passato
l’Organizzazione ha creato un essere con i ricordi di Sora e poco
altro, devo provare.»
La regina la osservò pensierosa e seria.
«So perché Topolino non vuole che tentiate. Una volta un
esperimento del genere ha quasi portato ad una seconda Guerra dei
Keyblade.» tacque turbata. «Molti cuori forti sono andati
perduti per colpa di un maldestro tentativo di dividere la luce
dall'oscurità di un cuore.» continuò con un
sussurro.
«Farò attenzione.»
supplicò in fretta, perché le sembrava che Sora si stesse
sbriciolando dall’altra parte di quella porta. «La
prego.»
«Io mi fido di te, principessa.»
sorrise. «Per questo crederò alla risposta che mi darai:
tu pensi che Roxas sia fatto di sola oscurità?» scosse la
testa. «Perché se è così non posso
aiutarti.»
Se avesse risposto di sì, tutti i suoi
problemi sarebbe finiti: Topolino non avrebbe mai ucciso Sora,
sarebbero tornati a Radiant Garden sconfitti, si sarebbe presa cura di
lui guarendo il suo cuore ed il suo corpo, Axel avrebbe dovuto
continuare a cercare il riflesso di Roxas negli occhi di Sora. Non
avrebbe rischiato di perderlo.
Tutto quello che voleva era racchiuso in una parola
di due lettere, un ‘sì’ per la felicità.
«Sora.» ripeté il re facendo un passo indietro. «Io non capisco.»
Il ragazzo tirò indietro il keyblade
strusciando la punta sul pavimento, non gli era mai sembrato
così pesante, altri frammenti si staccarono lasciando una scia
come stelle cadenti.
Sora? – cercò di raggiungerlo Roxas, ma senza trovarlo.
Si abbassò il cappuccio e guardò il re
con un misto di colpa e paura, ormai non aveva più senso
mentire. «Devo tirare fuori Roxas.» confessò.
«Roxas?!» domandò incredulo il re.
Sora sollevò una mano battendosi due colpetti
sul cuore, per poco non urlò di dolore. «Qui. Lui non
è me.»
Topolino sospirò affranto, a Sora
sembrò così dispiaciuto da sconvolgerlo, cosa si era
aspettato? Il re gli voleva bene, loro erano amici.
«Mi dispiace.»
«Quello con te…»
«Riku.» ammise.
«Kairi è al sicuro.»
Annuì.
«Sora…»
Chiuse gli occhi sapeva cosa stava per dire, gli
leggeva negli occhi il rammarico. Strinse più forte l'elsa del
suo keyblade rovinato.
«Sora, non posso lasciartelo fare.» e ne
sembrava davvero, davvero dispiaciuto. «Purtroppo è un
rischio che non posso lasciarti correre, potresti mettere in pericolo
l’intero universo e…» assurdo come la parte peggiore
non fosse ancora arrivata. «non credo che tu ce la
faresti.»
Deglutì. «Il mio keyblade si sta
distruggendo.» constatò con uno strano distacco. Era pieno
di buchi dai quali si sollevava un fumo nero-violaceo, della splendente
e limpida luce che aveva sempre avuto, non c’era più
traccia.
«Tu e Roxas avete mischiato cuori, sensazione,
vita, creando un nodo troppo stretto da sciogliere, ma un composto non
abbastanza omogeneo da essere solido. Sei fragile.»
‘Sei debole.’ Era stato Riku a dirglielo, prima di rubargli il keyblade.
«Non costringermi ad attaccarti ancora, Sora. Io non voglio farti del male.»
«No.» Kairi aveva le lacrime agli occhi. Lo odiava
profondamente, ma Roxas non era fatto di oscurità. Glielo
suggeriva Naminè, glielo confermava Axel, ne sarebbe stato
sicuro Sora. Roxas era ferito, arrabbiato, ma anche innamorato: doveva
esserci almeno una scintilla di luce in lui per permettergli di provare
amore.
La regina sorrise e si avvicinò alla
libreria, quando lo fece, i volumi si scostarono automaticamente,
rivelando una porticina nascosta. Kairi non sarebbe mai riuscita a
trovarla. Dentro, immerso in un liquido verde, fluttuava un rotolo di
fogli tenuto insieme da un sigillo reale. Minnie allungò le mani
sotto il trattato e quello le si posò delicatamente tra i palmi,
come se riconoscesse la propria padrona e probabilmente era così.
Si avvicinò a Kairi e glielo consegnò,
poi si frugò tra i drappi dell’abito e le mise in mano
anche uno strano oggetto. Era una sfera azzurra con incastrata nel
mezzo quella che sembrava una stella gialla.
«Un frammento di stella.» gli
spiegò la regina. «Può portarti a casa e Riku
potrà andare subito ad aiutare Sora.»
La ragazza si asciugò il viso. «E se mi
sbagliassi?» chiese con voce rotta. Se l’intero universo
fosse affogato nell’oscurità per colpa sua? Tenne gli
occhi fissi sul rotolo di fogli che le sembrava pesare una tonnellata;
c’era molto più che il destino di Sora nelle sue mani,
c’era il destino dei mondi.
La regina le sfiorò delicatamente il mento
costringendola a guardarla. «Combatteremo. Come abbiamo sempre
fatto. Non è vero?» domandò rivolgendosi a Pippo e
Paperino che annuirono vigorosamente.
«Yuk! Ai suoi ordini, principessa.»
Ma lei si voltò e guardò Riku, lui
scrollò le spalle. «Tu hai combattuto per me, io
combatterò per te.»
Sorrise tornando a fissare il viso solare e
comprensivo della regina. «Ora vai!» la incoraggiò.
Un secondo dopo un lampo di luce la trascinò via.
No,
niente da fare...e si che ci speravo anche io di chiudere questa parte
e tornare finalmente a RAdiant Garden per proseguire...ma ci sono
troppe cose da scrivere ancora.
allora, ovviamente non vi dico chi cosa come perchè nel settimo paragrafo se lo sapete bene sennò fidatevi...
comunque se il cielo mi assiste - non mi ha assistita finora, ma la
speranza è l'ultima a morire - spero di scirvere in fretta il
nuovo capitolo ed andare avanti con la trama...
lo so che mi sto un po' fossilizzando su questa parte, ma a ben vedere,
è quella più importante...il suocco di tutte le teorie,
di tutti i loro piani si riduce a questo...
tra l'altro, voglio dire, Topolino vs Sora, potrei continuare a scrivere di loro due forever!
ma non lo farò...
baci
ps. Topolinia, non lo so, se il mondo di Topolino su Kingdom Hearts si chiama così, se mi sono sbaglaita chiedo scusa!
pps: AH! si sta rompendo il keyblade di Sora...
ppps: dai, davvero devo dirvi di fare due secondi di silenzio per un
sexy Sora vestito da Organizzazione, in frantumi e disperato? certe
cose vengono da sè!
ok, basta alla prossima!
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
sora
io
ve lo dico, a me questo capitolo ha fatto venire una voglia di piangere
incredibile...ora magari sono io con la lacrimuccia facile, ma mi
è saputo di un triste...ma perchè ho iniziato una roba
tanto deprimente?! che ansia...
cmq, a parte che è lungo una cosa oscena...e io che avevo paura che venisse corto...
dai, fatevi forza e coraggio che ci vediamo giù...
Capitolo 11
Il keyblade ormai non era altro che il mozzicone di una chiave. La
punta era diventata polvere, dandogli la terrificane sensazione che gli
avessero amputato una mano, e galleggiava nell’aria impreziosendo
l’atmosfera di milioni di riflessi brillanti. Non riuscì
proprio ad impedirsi di pensare che circondati dalla luce, era un bel
modo per morire.
Noi non moriremo!
– lo spronò Roxas cercando di far breccia nel muro che si
stava alzando tra di loro. Si trovavano nello stesso cuore, nello
stesso corpo, eppure se fossero stati su due mondi diversi non avrebbe
potuto sentirlo più lontano.
Sora osservò ancora il keyblade e sorrise.
‘Stiamo già morendo.’ quello era il suo cuore ed era
in frantumi.
Il re attaccò ancora ed il ragazzo usò
quel che restava della sua arma per bloccare il colpo; ci
riuscì, ma solo inizialmente, perché
improvvisamente anche il corpo della chiave si spezzò. Esplose
in mille schegge tutto intorno a lui e la sferzata lo raggiunse anche
se la sua forza era stata in parte stemperata. Lo colpì in mezzo
al petto, scaraventandolo contro la porta. Sora si sentì
attraversare dalla chiave, infilzare. Poi non sentì più
niente, né dolore, né tristezza, né gioia.
Accasciato contro l’angolo tra la porta ed il
muro, la mano sinistra ricoperta di polvere luccicante, non
trovò la forza di rialzarsi. Ripensò a quello che gli
aveva detto Riku, che Topolino non avrebbe mai ucciso il prescelto dal
keyblade, ma lui non lo era più. Non era più niente. Non
era più nessuno. Respirò una volta, poi un’altra,
alla terza volta iniziò a pensare che fosse una fatica inutile.
Non può essere una fatica inutile. Respira! – gli ordinò e lui gli obbedì, con la stessa arrendevole obbedienza di una bambino davanti ad un adulto.
Strinse il pugno scosso, tremava come una foglia e
Roxas ebbe paura che forse, quello del re, non fosse stato soltanto un
normale attacco: aveva cercato di liberare l’ombra nel suo cuore
per distruggerla.
Me… - rifletté ferito.
Se avesse saputo che bastava così poco a riscuoterlo glielo avrebbe detto prima.
‘Tu non vai da nessuna parte finché non
te lo dico io.’ Puntellandosi con la schiena al muro si
rialzò, anche se, disarmato in quel modo, non aveva alcuna
possibilità di salvarsi. Vedeva Topolino davanti a lui attento
ad ogni sua possibile mossa, deciso e per niente pentito di quello che
aveva cercato di fare. Ma vedeva anche Riku dietro di quello, gli occhi
verdi e sbarrati sul volto pallido; lo sguardo del suo amico correva
dal re a lui, in una ricerca disperata della via d’uscita, non
sapeva cosa fare, non sapeva come aiutarlo. Sora rise, evidentemente,
keyblade o non keyblade, era ancora un ragazzo fortunato.
Oblivion c’era ancora. Brillava della solita
luce fioca e scura, ma era vera, reale, intera, nelle mani di Riku.
Strinse il pugno di nuovo. Oblivion era nata nel
regno dell’oscurità, avere un’ombra nel cuore non
avrebbe potuto fare altro se non renderla più forte.
‘Questa meravigliosa tradizione di prendere
pezzi del mio cuore, della mia memoria, del mio keyblade, come se fossi
un puzzle deve giungere al termine.’
Il re attaccò intuendo i suoi tentativi, ma
si era deciso troppo tardi, perché Sora era in piedi.
‘Aiutami!’
Farà male.
‘Non sarà peggio di…’
Roxas scivolò sopra il suo essere senza
aspettare che finisse, lui era solo spirito, non aveva ossa da rompere;
aveva un pezzo di cuore e se Sora si preoccupava di tenerselo stretto,
lui poteva muovergli il braccio.
Deglutì e strizzò gli occhi, per un
lungo interminabile secondo fu sul punto di urlare a Roxas di
lasciarlo, ma aveva bisogno di entrambe le braccia per respingere il
re. Prese fiato, il keyblade stretto tra le sue mani, indistruttibile
come tutte le chiavi sarebbero dovute essere. Con la coda
dell’occhio vide Riku osservarlo ed annuire, allungò il
braccio e chiuse gli occhi cercando di aprire un corridoio oscuro.
Tutto quello che doveva fare era tenerlo impegnato ancora un po’,
soltanto un altro pochino.
Topolino saltò, fece un capriola in aria
prima di abbattersi per colpirlo dall’alto. Cozzò contro
il keyblade con uno stridio metallico che fece rizzare a Sora i peli su
tutto il corpo, ma la chiave non vacillò. Lo spinse via forzando
con entrambe le braccia e corse per arrivare a colpirlo prima che
atterrasse. Nessun dubbio, nessun tentennamento, nessun rimorso. Lui
non ne aveva avuti. Lo attaccò alla schiena scaraventandolo
contro il muro che si crepò, ma il re non finì al
tappeto, anzi, ammortizzò il suo tentativo piegando appena le
ginocchia sul muro prima di saltare di nuovo contro di lui.
Non potevano farcela nemmeno con Oblivion,
soprattutto perché si sentiva a pezzi, non c’era
più un muscolo che non gli facesse male, il braccio era soltanto
la punta dell’iceberg. Parò e si girò il più
veloce possibile per cercare di sorprenderlo alle spalle, ma era
già in ritardo e quando colpì, il keyblade del re gli
diede la scossa. L’istinto lo costrinse a ritirare le mani ed
Oblivion scomparve lasciandolo ancora, terribilmente disarmato.
‘Muoviti, Riku’, fu l’unica cosa
che riuscì a pensare, mentre, sibilando nell’aria, la
chiave di Topolino lo sbatteva a terra colpendolo allo stomaco.
Quando aprì gli occhi constatando che, contro
ogni logica, era ancora vivo, il re gli stava puntando la chiave alla
gola. «Guarda…cosa sei diventato.»
Sora sorrise vittorioso che avesse almeno il fiato
corto. «Guardate cosa sono stato costretto a diventare per
combattere la vostra guerra.» sussurrò.
«Era la guerra di tutti.»
«Ma avete mandato noi in prima linea.»
Lo vide sussultare a quel ‘noi’.
«Sora.» gli disse abbassando l’arma. «Eri il
prescelto dal keyblade.» gli spiegò porgendogli la punta
della chiave per aiutarlo ad alzarsi.
Sora fu sul punto di afferrarla, ma si fermò
a pochi centimetri e lo fissò negli occhi. «Non
più.»
Proprio in quel momento qualcuno lo prese per la vita tirandolo in basso.
Precipitò tra i colori incredibili dell’intermezzo tra un
corridoio oscuro ed un altro. Fermo a terra scoprì di non essere
sicuro di riuscire ad alzarsi. «Comunque lo stavo
battendo.» proclamò trovando infine le braccia – o
un braccio, visto che il destro ululò di dolore non appena
provò a muoverlo – e puntellandosi su quelle per tirarsi
su.
«Ah-ah.» disse scettico Riku. «E
chi ne dubitava?!» improvvisamente gemette e cadde a terra in
ginocchio con la testa tra le mani.
Sora gli fu accanto in un secondo, dimostrando che
effettivamente un modo per alzarsi c’era. «Riku?» lo
chiamò preoccupato.
Non rispose, il cuore gli batteva come un tamburo
nel petto, pompandogli sangue marcio fino al più piccolo
capillare. «N-non…» era come se ogni cellula del suo
corpo lo tirasse verso una strada che non voleva più percorrere.
Si sentì afferrare per un braccio. «Ehi! Resta qui!»
Aprì gli occhi per ricordare a Sora che non
si stava muovendo, ma fissando i suoi, enormi ed ansiosi, non fece
altro se non scuotere la testa. «De-devi uscire di qui.»
doveva aprire la porta per Radiant Garden finché ce la faceva.
«Dov’è Kairi?»
«Sta bene…» ansimò.
«Minnie le ha dato un coso…» avrebbe voluto
spiegargli, ma erano troppe parole, gli sembrava che il suo campo
visivo si restringesse piano, piano. Sora però c’era
sempre.
Sora lo lasciò e si sedette a terra accanto a
lui con gemito. «Allora non abbiamo fretta. Aspettiamo!»
Per alcuni secondi rimasero in silenzio, Riku stette
anche immobile, ma conoscendo il suo amico dubitava che fosse lo
stesso, sentiva i suoi vestiti frusciare. E Ansem era ovunque ad
inquinargli i pensieri, provocandolo con quell’immagine
drammatica di Kairi incosciente.
«Cosa aspettiamo?»
«Che stai meglio.»
Gli lanciò un’occhiata, era sdraiato
per terra con le braccia e le gambe larghe, Riku contò almeno
tre macchie di sangue sui suoi vestiti, che rendevano macabramente
lucida la divisa dell’Organizzazione. «Posso aprirti una
porta, poi ti raggiungo.»
Fece un sorrisetto. «Ma così ti posso
raccontare dettagliatamente e senza interruzioni come stavo per
sconfiggere Topolino.» esclamò eccitato.
«Strano, quando vi ho visto non mi è sembrato proprio così.»
«Era una finta, sai, per aumentare la suspense.»
Quando fu sicuro che non avrebbe cercato di
distruggere l’universo muovendosi, si sdraiò piano, piano
accanto a lui.
Sora sollevò una mano, la sinistra,
notò Riku, e se la posò sul cuore. «Ha cercato di
portarmi via il cuore.» mormorò.
«Lo ha fatto per il tuo bene.»
Sbuffò. «Peccato che non l’ho ringraziato.» sbottò sarcastico.
«Che ha il tuo braccio?» gli domandò.
«Potrebbe essere rotto.»
«Dobbiamo andare, allora!» fece per alzarsi precipitoso.
Ma il suo amico non si mosse di un centimetro.
«Hai aperto un sacco di corridoi oscuri oggi, tutti ad occhi
aperti. È meglio aspettare ancora un po’.»
Riku lo guardò. «Più aspettiamo, più ci metterai a guarire.»
Si strinse nelle spalle, facendo una smorfia di
dolore subito dopo. «Ho distrutto il keyblade, non serve che
guarisca in fretta.» la tristezza nella sua voce non poteva
essere ignorata da nessuno, tanto meno da Riku, ma non disse niente.
«Ho avuto paura che non tornassi a prendermi.»
confessò poco dopo, piano come se fosse un peccato.
«Cosa?» domandò incredulo Riku fissandolo.
«Mi odi.» disse con semplicità. «Hai cercato di uccidermi…»
Ha cercato di uccidere anche me… - si accodò Roxas.
«Ah, già: hai cercato di uccidere anche
Roxas. Ce l’hai con me per Kairi…non potevo essere
così sicuro che corressi il rischio di tornare indietro.»
Riku continuò a guardarlo, mentre gli occhi
di Sora erano fissi sopra di lui, come se fosse sdraiato alle Isole del
Destino e stesse guardando le stelle; non c’era una parola che
avesse pronunciato che non fosse vera, ma lui era Sora. Aveva vegliato
sulla sua boccia dei pesci, sul suo Nobody, era venuto a compromessi
con la sua parte oscura per lui, perché voleva salvarlo e
perché infondo, infondo, aveva sempre sperato di riuscire a
tornare insieme a lui alle Isole. Eppure, quando ci era riuscito, aveva
finito per fare un casino.
«Se non eri sicuro che ti aiutassi perché mi hai portato?»
«Per Kairi.» si interruppe per un lungo
istante. «Se mi succedesse qualcosa io starei tranquillo,
perché so che tu baderesti a lei con tre volte più
attenzione di me.» finalmente il suo sguardo lasciò il
soffitto del corridoio oscuro e si posò su di lui.
«Se…»
Non dirlo.
«Sta zitto.» Riku gli lanciò
un’occhiata perplessa. «Non ce l’avevo con te.»
si tirò su appoggiandosi sul gomito sinistro. «Se mi
assentassi e non dessi segni di ritorno…»
«Sora…» lo interruppe.
«Se lei vuole, puoi.» lo disse
così in fretta da lasciarlo senza fiato. «Non so se ti
amerebbe, ma se è così…»
«Siamo amici, anzi, sei il mio migliore
amico.» disse ad occhi bassi interrompendolo, quanto tempo era
che non guardava Sora ricordandosi che era suo amico e non un suo
aspirante nemico o il fidanzato di Kairi? «Se ti assentassi e non
dessi segni di ritorno verrei a cercarti. Tu mi hai rincorso per tutti
i mondi per lo stesso motivo.»
«No.» rise. «Io ti ho rincorso per
tutti i mondi per dimostrarti che ero il più forte.»
«Illuso.» borbottò, ma poi
sospirò. «Mi dispiace di aver cercato di
ucciderti…» ora sembrava così sciocco che non
glielo avesse detto prima, infondo, aveva sempre voluto farlo.
«Quale volta?»
Riku sbuffò. «Se devo scusarmi per tutte le volte, staremo qui per sempre.»
«Facciamo le ultime dieci?»
«Ok…» ci ripensò.
«no, aspetta, di dieci volte almeno tre sono sicuro di aver avuto
ragione.»
«Ultime sette, quindi. Scuse accettate.»
sospirò. «Riku, ora che faccio senza keyblade?»
Lui rise presuntuoso. «Lasci salvare il mondo
a me.» si guardò intorno, l’interno dei corridoi
oscuri, con tutti quegli arancioni, quei rosa e quei gialli, era
imprevedibilmente accogliente. «Che dici andiamo?»
«Non voglio.»
«Perché?»
Sospirò. «Non ho idea di come fare ad
alzarmi e…» la aveva odiata quella chiave, detestata.
«qui si sta bene, è tutto semplice.» eppure non
essere più sicuro che sarebbe apparsa stringendo il pugno era
destabilizzante. Lo faceva sentire vulnerabile, fragile, debole, solo.
Ci sono io. – lo rassicurò Roxas.
‘Non per sempre.’
Si, invece. – disse tranquillo. – Avere un corpo non mi costringerà a dividerci.
Riku si alzò in piedi e lo guardò
dall’alto. «Andiamo, grande eroe.» disse tirandolo
per il braccio buono e facendoselo passare sulle spalle, mentre lo
trascinava verso l’apertura del corridoio si rese conto che
zoppicava anche.
«Sai, nel caso il mio aumentare la suspense mi
avesse portato a morire…» iniziò.
«grazie.»
«Non c’è di che.»
Nel giardino interno dove sbucarono c’era una specie di comitato
di accoglienza. Cloud, Leon e Aeris erano lì in attesa,
quest’ultima stringendo una mano di Kairi.
Kairi era bellissima. A distanza di anni Sora avrebbe ricordato soltanto quello: Kairi era bellissima.
Lo guardava da lontano senza avvicinarsi, sorrideva
e Sora riusciva a leggere il sollievo nei suoi occhi. Nessun gesto
eclatante, nessun abbraccio strappalacrime, non serviva. Non aveva
più la divisa dell’Organizzazione – conoscendola
immaginava che l’avesse bruciata, per non far più venire
loro idee tanto folli – ora indossava una gonnellina di jeans ed
una canottiera, sembrava così normale, eppure era così
speciale.
Cloud e Leon li circondarono per rubare loro un
racconto e Sora lasciò quel compito a Riku togliendogli il
braccio dalle spalle per zampettare fino a lei. Percepì lo
sguardo dell’amico sulla sua schiena per tutto il tragitto e
sapere che questa volta non doveva dubitare del suo aiuto se ne avesse
avuto bisogno, gli diede una nuova, strana, ma piacevole sensazione di
calore.
«Stai bene?» le chiese quando furono abbastanza vicini.
Lei annuì e fece un passo verso di lui, gli
sfiorò il braccio destro, abbandonato lungo il fianco, in punta
di dita. «Penso che ti servirà il gesso.»
commentò. La sua mano si fermò in alto a sinistra, si
morse il labbro premendo leggermente. «Ti ho sentito.»
sussurrò. «Ti ha fatto male.»
Sora prese un profondo respiro. «Si.»
disse solo, era diviso a metà tra la voglia di raccontarle
quanto fosse stato brutto quel vuoto e la certezza di spaventarla.
«Però non ti ha lasciato.»
«Senza Roxas non so se ce l’avrei
fatta.» lo disse e basta. Sapeva che questo le avrebbe portato
dubbi, incertezze, paure, ma non poteva nasconderle la sua stessa
ansia. Anche Topolino aveva espresso il suo scetticismo per la riuscita
del loro piano e, inutile negarlo, era stato Roxas ad impedirgli di
arrendersi.
Kairi appoggiò la fronte contro il suo petto ad occhi chiusi. «Sora, vuoi ancora farlo?»
Sospirò, poi le cinse la vita con il braccio buono e la baciò.
«E quindi, ti sono sempre piaciuti i ragazzi biondi con gli occhi blu?»
Lea lanciò un’occhiata curiosa alla sua
impicciona ospite. «E a te?» le chiese di rimando.
«Perché non sei andata a festeggiare il loro
ritorno?» lui non c’era andato per rispetto di Kairi
– scoprire di rispettarla tanto, l’aveva decisamente
sorpreso – ma si era aspettato che Tifa fosse in prima linea
ovunque fosse Cloud.
Si strinse nelle spalle. «Magari avrà paura che io e te stiamo…»
«Ciao.»
Tutti e due si voltarono verso Sora che aveva
parlato dalla soglia della porta. A Lea sembrò un agglomerato di
bende tenute insieme dal sangue raggrumato. Il braccio destro era
ingessato e legato al collo con un fazzoletto, sulla parte superiore
dell’avambraccio sinistro c’era un grande cerotto; le mani
erano fasciate fino alle nocche ed anche se aveva i pantaloni lunghi e
non poteva vedergli le gambe, capiva dalla sua postura che non stava
appoggiando il piede sinistro.
Lea sospirò scuotendo la testa. «Io
l’avevo detto che era un suicidio.» rifletté tra
sé, si chiese anche come fossero ridotte le loro divise,
perché le avrebbe rivolute indietro.
«Ti cerca Cloud.» disse a Tifa.
A nessuno sfuggì che fosse una scusa palese
per cacciarla e rimanere soli, così la ragazza si alzò.
«Lo raggiungo.» esclamò. «Fate i bravi!»
li prese in giro, sventolando una mano in segno di saluto.
Sora zoppicò fino al divano e ci si sedette,
lasciando cadere indietro la testa. «Abbiamo il trattato di
Vexen.» esordì.
Per alcuni secondi Lea continuò ad osservarlo
e basta, era sfinito ed abbattuto: Topolino doveva averlo strapazzato
ben, benino. Non gli chiese come stesse – se fosse stato nelle
sue stesse condizioni e qualcuno gli avesse una domanda tanto stupida
lo avrebbe incenerito – si limitò a stare fermo, seduto al
tavolo della propria cucina, con una bottiglia di birra tra le mani.
Esattamente come era stato con Tifa. «Ottimo.»
commentò.
«Il re ha distrutto il mio keyblade…» annunciò senza tanti preamboli.
I keyblade si rompevano? Non c’era tutto un discorso di luce e di cuori dietro?
«Perché la presenza di Roxas ha reso il
mio cuore fragile.» scrollò piano, piano le spalle, come
se un movimento appena più pronunciato lo avrebbe potuto far
urlare di dolore. «O almeno così mi ha detto
Topolino.»
Se il suo cuore era debole…
«Secondo te mi risveglierò?» gli
chiese, dando voce ai suoi pensieri. «Perché io non
penso.»
Lea lo studiò chiedendosi quanti anni avesse,
con i Nobody determinare un’età era complicato. Ricordava
teorie su teorie mentre mangiava un gelato al sale marino con Roxas;
erano giunti alla conclusione che l’età di Axel oscillasse
tra i diciannove e i vent’anni, mentre quella di lui intorno ai
quindici, sedici. ‘Una cosa è chiara.’ Aveva
esordito Roxas sorridendo e studiando il bastoncino del gelato con fin
troppo attenzione. ‘Hai una fissa inquietante per i
ragazzini.’ Ora sarebbe stato più grande, ora sarebbe
stato grande quanto Sora.
Ma i Nessuno non erano mai veramente ragazzini,
nascevano sapendo di non aver un cuore e di dover combattere per
giustificare la loro presenza nel mondo. Però quello sul suo divano era
stato davvero un bambino ed era ancora solo un ragazzo.
Era agghiacciante vedere un ragazzo normale, parlare
dell’eventualità di perdersi per sempre in un limbo dal
quale non sarebbe più potuto tornare.
Lea si alzò ed andò a sedersi accanto
a lui. «Hai paura?» si domandò se
qualcuno glielo avesse mai chiesto.
«Sempre.»
Per un po’ rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
«Perché Roxas?»
Fatti i fatti tuoi!
Lea lo guardò e Sora sorrise ricambiando.
«Perché vuoi tanto lui? Non hai pensato
di…beh…»
«Era triste.» mormorò in un
sussurro. «Ero circondato da gente fuori di testa, esseri
incoscienti perché a malapena consapevoli di essere vivi. Tutto
quello che ero in grado di provare era noia e per gli altri era lo
stesso. Oscillava tra malinconia e nostalgia, ma eravamo sempre
annoiati.» rise. «A pensarci bene, può darsi che
Xemnas abbia cercato di distruggere il mondo perché non sapeva
cos’altro fare. Ma Roxas era triste, una tristezza intensa,
dolorosa, vera. Provava qualcosa e mi faceva sentire, vedevo le sue
emozioni e diventavano mie.» rimase in silenzio. «Quando
sono scappato dal C.O. ero mezzo morto.»
«Oh, si.» si vantò Sora.
Lea gli lanciò un’occhiataccia.
«Per un po’ sono stato nascosto perché avevo paura
che qualcuno ne approfittasse per farmi fuori definitivamente. Alla
fine sono tornato e Saix che era stato per secoli il mio migliore
amico, mi aveva regalato appena un’occhiata fredda. Roxas era
talmente sollevato, talmente felice di vedermi da essere sul punto di
piangere.» fece una mezza risata sorpresa. «Io non mi
ricordavo nemmeno che sapore avessero le lacrime.»
Salate.
‘Era per questo che volevi che mi baciassi il
palmo quella notte.’ Pensò Sora sorridendo. ‘La
prima volta che vi siete baciati tu piangevi, sapeva di sale.’
Roxas non rispose, non ce n’era bisogno.
«Voglio tanto lui, perché in un mondo
che non sarebbe mai dovuto esistere, in mondo senza senso, lui ne ha
dato uno a me. Lui era il mio motivo per avere un cuore.» Lea si
strinse nella spalle. «E tu perché Kairi?»
«Il paese delle meraviglie le sarebbe piaciuto
tantissimo. Avrei voluto volare con lei per tutta Neverland. Sarebbe
stato carino trovarsi ad Halloween Town e ballare tra le zucche insieme
a Jack e Sally. Ho pensato che sarebbe stata proprio bene vestita da
odalisca come Jasmine. O con un bell’abito da principessa come
Belle. Ovunque andassi c’era qualcosa che me la ricordava e mi
faceva sentire la sua mancanza, ma non come Riku…» ci
pensò, si morse le labbra senza guardare niente e tutto.
«Insomma per quel che ne sapevo io, Riku poteva essere morto, era
normale che volessi trovarlo e portarlo a casa. Kairi era al sicuro
eppure ero così egoista che avrei voluto esporla a tutti quei
rischi per averla accanto.» sorrise guardandolo di sbieco.
«Lei è il mio motivo per non farmi rubare il cuore.»
«Capirei se non te la sentissi più di provare.»
«No.» sospirò.
«L’esperimento si farà, non…» chiuse
gli occhi scuotendo la testa. «non ce la faccio.» non gli
spiegò a fare cosa ed Axel non glielo chiese.
no, seriamente, ma fa sentire depressa solo me?
che poi buffo, perchè non è che succedano cose poi così tristi...bah, ditemi voi...
baci
ps. visto come sono stata brava e veloce?!
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
sora
vi
giuro che ci ho provato...dico adesso scrivo un capitoletto allegrotto
di passaggio, un po' di vita tranquilla a Radiant Garden, prima di
andare dritti, dritti verso l'apocalisse...
niente da fare...
cioè sono partita bene e per essere di passaggio il capitolo
è di passaggio, ma in quanto all'allegrotto...beh, giudicate un
po' voi!
Capitolo 12
Sora si intrufolò nella casa di Aeris e Tifa di nascosto. Chiuse
piano la porta per non svegliare nessuno e ci si lasciò
scivolare con la schiena. Kairi era a pochi passi da lui, addormentata
placida tra quelle stesse coperte dove avrebbe dovuto dormire fin
dall'inizio, rannicchiata come una bambina. Il suo respiro rilassato e
regolare gli scivolava addosso come una carezza e la voglia di lei era
più intensa del buonsenso, così piano, piano le
strisciò accanto e si sdraiò alle sue spalle senza
sfiorarla, le bastava sapere che fosse tanto vicina da percepire il suo
calore.
Chiuse gli occhi cercando di sistemare il gesso in modo che non gli desse fastidio durante la notte.
Kairi si girò e si intrufolò tra le
sue braccia, accoccolandosi al suo petto. Il braccio ingessato, intorno
alla sua schiena, era nella posizione giusta per non fargli male e non
dargli fastidio.
«Grazie.» mormorò contro i suoi capelli.
«Non c’è di che.»
Riku non si stupì di trovare anche Axel fuori, incapace di
dormire. Era seduto su una panchina, la testa all’indietro ed il
viso rivolto alle stelle, lontano, perso in chissà quale
galassia, in chissà quale mondo.
Gli si sedette accanto. «Hai già un luogo in mente?» gli domandò.
«Twilight Town, quella fasulla.»
sospirò. «Per un po’ non mi dispiacerebbe la
prevedibilità di un mondo preconfezionato. Mi dareste un Roxas
tanto simile all’originale da farmi relativamente contento, una
vita che non si sia bruscamente spezzata ad un certo punto per
riaggiustarsi dieci anni dopo, non incontrerei mai Sora.»
Per un attimo Riku pensò a come sarebbe
stato: una Kairi tutta sua, innamorata di lui; un sacco di amici che
non aveva cercato di uccidere; nessuna missione, nessun mondo, nessun
tentativo di scappare. Nessuna volontà. Non sapeva se sentirsi
un ingrato a voler perdere quella che dettava i limiti della sua
libertà, ma se la tua volontà ti aveva tradito,
spingendoti a ferire persone a cui volevi bene e che ne volevano a te,
forse il suo era un desiderio lecito.
«Ci pensi? L’Organizzazione ha cercato
in miliardi di modi di ucciderlo ed io, che sono l’unico che ci
sta riuscendo, non lo vorrei più.»
Riku rise. «Tipico di Sora, dare il meglio di sé mentre stai per farlo fuori.»
«Se non si sveglia mi odierai anche tu, non
fingere di essere mio amico.» aveva commento cupo, senza
raccogliere la sua ironia, più Nobody che uomo.
«Se non si sveglia, odiarti non servirà
a niente.» quanto ci aveva messo a capirlo? Sicuramente troppo,
ma l’odio non era mai la chiave. «Se non si sveglia
dovrò consolare Kairi, non avrò tempo di prendermela con
te.»
«E se non si sveglia Roxas?»
Tifa era uscita presto quella mattina, aveva visto Sora e Kairi
accoccolati insieme in salotto, come due micini che dormono uno
sull’altro per stare caldi; quell’immagine le aveva
scaldato il cuore, ma glielo aveva anche fatto sprofondare nel dolore.
Così era scappata di lì prima qualcuno
scoprisse le lacrime che gli rotolavano sulle guancie, rifugiandosi nel
punto più lontano del giardino esterno. Aveva invidiato Aeris
che riusciva a mimetizzarsi completamente tra i fiori, lei con quei
capelli neri non ci sarebbe mai riuscita. Non esistevano fiori neri a
Radiant Garden e forse non esistevano da nessuna parte. Qualsiasi cosa
succedesse sembrava scritto nel suo destino l’invidia per Aeris,
nonostante fosse la sua migliore amica.
«Tifa, che hai?»
Aveva deglutito due volte prima di voltarsi verso
quella voce, la voce di Cloud. «N-niente.» aveva risposto
precipitosa togliendosi le lacrime dalle guancie. «Tutte queste
preoccupazioni per Sora e Roxas, credo di avere un crollo
nervoso.»
«Voglio andare a fare un giro in moto, fuori città. Vieni con me?»
«Non lo chiedi ad Aeris?»
Cloud aveva riso. «Eddai, Tifa, Aeris ti sembra davvero tipo da moto?»
«Credi che ce la faranno, Ienzo?» chiese Even sbirciando
dalle alte finestre di quella che era stata la Fortezza Oscura.
«Certo, sarebbe un’opportunità fantastica, il cuore
del prescelto dal keyblade indifeso per il tempo necessario
a…» si bloccò e si accasciò a terra.
Ienzo rimase a guardarlo per alcuni secondi, con il
proprio libro aperto ancora tra le mani. Lo chiuse e lo nascose di
nuovo. Certe persone non sarebbero mai cambiate, nemmeno dopo aver
rischiato di rimanere per sempre esseri immondi e senza cuore, per
questo lui era restato in quel luogo pieno di ricordi nefasti, per
essere sicuro che nessuno cercasse più di fare esperimenti con
l’oscurità: ora che la porta era stata finalmente chiusa,
nessuno avrebbe più dovuto aprirla.
Avrebbe dovuto dire alla ragazza di stare attenta,
di chiamare tutte l’aiuto possibile per impedire che qualcuno
approfittasse di un’occasione tanto unica.
«Oh, cielo, cosa è successo?»
Ienzo guardò Even, che si stava risvegliando. «Puoi
aiutarmi, per favore?» si avvicinò e gli afferrò
gentilmente il braccio per farlo alzare. All’Organizzazione aveva
imparato a tenersi vicini gli amici e più vicini ancora i nemici.
Kairi aprì gli occhi in quelli di Sora e sorrise.
«Ciao.» non riusciva a ricordare l’ultima volta che
si erano svegliati insieme nel suo letto alle Isole. Sapeva che non
poteva essere passato poi così tanto tempo, eppure le sembrava
che fosse un secolo.
«Ciao.» le rispose lui nello stesso sussurro.
Per alcuni secondi rimase in ascolto, aspettandosi
di sentire qualche rumore provenire dal piano superiore, ma sembrava
deserto. Si sentiva la bocca secca, così si alzò e si
avvicinò al lavandino per prendere un bicchiere d’acqua,
facendo forza sulle braccia per sedersi sul piano della cucina,
così da poter guardare Sora. Lui aveva continuato a farlo per
tutto il tempo.
«Credi che ci sia qualcuno in casa?» gli domandò.
Il silenzio era pesante ed elettrico, come l’aria prima dello scatenarsi di una tempesta.
Sora si alzò, appoggiandosi al braccio
sinistro e le si avvicinò, con i capelli tutti schiacciati da
una parte ed il segno del cuscino sul viso. Si fermò soltanto
quando le sue gambe batterono contro le ginocchia di Kairi, lasciate
nude dalla sua camicia da notte a pallini troppo corta.
«Credo che non mi importi, e a te?»
Kairi appoggiò le mani sul suo petto, il suo
cuore, bellissimo, prezioso, bussava con delicatezza e
regolarità contro il suo palmo aperto. Scosse la testa e
sollevò il viso per guardarlo negli occhi. «No, credo di
no.»
Quando dischiuse le ginocchia appoggiandole ai suoi
fianchi, Sora le stava già sfilando la camicia dalla testa.
Re Topolino era davanti a quella finestra dall’alba, gli occhi
immobili al di là del vetro. Minnie rimase ad osservarlo per
alcuni secondi, poi gli si avvicinò appoggiandogli con
delicatezza una mano sulla spalla.
«Sono sicura che capisca.»
«L’ho colpito.» mormorò,
scuotendo amaramente la testa. «Non sono poi un così bravo
amico.»
La regina sorrise. «Pippo e Paperino litigano
di continuo, questo non significa che non si vogliano bene.»
«Sono preoccupato, per il nostro mondo, per l’universo, per lui.»
«Perché sei un buon re.» lo
voltò verso di lei. «Lui avrebbe fatto lo stesso al tuo
posto.»
Tra le mani di Topolino c’era una boccetta
piena di liquido verde, Minnie sorrise. «Ottima idea.»
Lea tornò a casa il pomeriggio, si era degnato di andare ad
aiutare Cid, almeno un pochino, per ingannare il tempo; salvo scoprire
che la notte insonne passata non l’aiutava di certo a
concentrarsi e che Isa non avrebbe rischiato di farsi scaricare in
testa una valanga di macerie solo per lasciarlo distrarsi.
Avrebbe fatto una doccia si sarebbe messo a letto ed
avrebbe dormito. Basta pensieri nefasti a tenergli compagnia tra le
coperte.
Guardò curioso Sora, chino dentro il suo
frigorifero, in forma come di certo non era stato la notte prima: una
mano era appoggiata allo sportello giallo, mentre nell’altra
c’era l’elsa di Oblivion.
«Ti prego, dimmi che non hai usato il keyblade
per scassinarmi il frigorifero.» trovava quell’idea
stranamente blasfema.
Il ragazzo si voltò di scatto, arrossì
come un peperone e nascose la chiave dietro la schiena, mossa ridicola,
visto che in ogni caso, almeno dieci centimetri spuntavano sopra la sua
testa.
Lea lo studiò perplesso aggrottando le
sopracciglia. «Fingendo che quello che stavi facendo fosse
minimamente normale, il braccio?»
Lui si schiarì la voce guardandolo.
«Una pozione di Topolino, si scusa e lo…» si
interruppe. «ehm…mi prega di non farlo.»
«Mica male. Vale sempre la pena prendersela
con voi.» disse congedando quella discussione e dirigendosi verso
la camera. Voleva ancora fare la sua doccia e mettersi a letto, Sora o
non Sora. Che poi nel suo frigorifero continuava a non esserci niente:
la limonata di Aeris era finita – aveva promesso di portargliene
dell’altra, ma ancora non si era vista – c’era un
mezza bottiglia di birra lasciata da Tifa e qualche ghiacciolo per i
momenti nostalgici. «A proposito, il tuo keyblade è
tornato a quanto vedo.» urlò dalla camera fermandosi al
centro di essa, sentiva la fastidiosa sensazione che gli fosse sfuggito
qualcosa, qualcosa di tanto palese da riuscire, per assurdo, a passare
inosservato. «Sora?»
Sentì un sospiro, un sospiro decisamente
pesante se riusciva a sentirlo da un’altra stanza.
«Axel.» nel suo nome c’era un cadenza strana: era un
rimprovero, una supplica, un’offesa. E sotto c’era qualcosa
di più familiare ancora, qualcosa che, se ne accorse solo in
quel momento, gli impediva di essere Lea, almeno finché lui
avesse continuato a chiamarlo Axel.
Ritornò in cucina lentamente e lo
guardò, come si era abituato a guardarlo
nell’Organizzazione, alla ricerca di punti deboli. Non ne aveva.
O sarebbe stato meglio dire che ne aveva, ma lui li avrebbe ignorati.
«Mi aspetti?» gli domandò soltanto.
Lui guardò la mano che stringeva Oblivion.
«Kairi ci ha concesso un’ora e mezza. Sbrigati.»
Ienzo la trovò chiusa in una camera al secondo piano, china sui
fogli che era riuscita a prendere dal castello del re, concentrata. Era
stato abbastanza silenzioso e furtivo da non farsi sentire ed a quel
punto realizzò di non sapere come annunciarsi, o cosa dire.
«Even potrebbe approfittarne.»
La vide sobbalzare al suono di una voce che non
conosceva, lo osservò, gli occhi spalancati e blu. Naminè
era stata una copia imperfetta, un ritratto sbiadito di quello che era
veramente la principessa. Come tutti i Nobody d'altronde.
«Ienzo?» domandò incerta, scrutandolo. «Come sei entrato?»
«A Radiant Garden c’è la
sconsigliabile abitudine di non chiudere le porte a chiave.»
«Oh.» mormorò.
«Even potrebbe approfittarne.»
ripeté. Non era interessato a fare conversazione, voleva
metterla in guardia per il bene di tutti, poi tornare a vegliare sulla
Fortezza Oscura nel silenzio più totale.
«Perché?» domandò.
«Potere.» scosse la testa. «Alcune
persone non cambieranno mai, alcune persone erano più colpevoli
di altre, alcune persone meritavano quella condanna senza cuore.»
«Puoi aiutarmi?»
Quella domanda riuscì a sorprenderlo.
«Non è stata Naminè a creare
Xion, non…» abbassò gli occhi sul trattato
combattuta. «ci sono punti che non mi sono chiari.»
confessò. «Se mi hai avvertito, sarai anche disposto ad
aiutarmi.»
Ienzo si avvicinò e le si sedette accanto, su
una sedia libera. «Nessuno dovrà mai saperlo.»
Annuì tirandosi indietro, per lasciargli
leggere gli appunti di Vexen. «Perché non parli
mai?» domandò, evidentemente incapace di trattenere la
curiosità. Il ragazzo si chiese quante altre cose avrebbe voluto
domandargli.
«Perché le persone sono disposte a
rivelarti tutti i loro segreti se sono sicuri che tu non possa
riferirli a qualcuno.» per alcuni secondi rimase in silenzio, poi
la guardò. «Ti aiuterò, ma tu fai in modo di tenere
l’esperimento al sicuro.»
Kairi sembrava stanca, stanca ma determinata. Aveva i capelli legati in
modo disordinato e le dita sporche di inchiostro, si guardò
intorno cospiratrice, poi afferrò il braccio di Riku
trascinandolo con sé. Camminarono fino al giardino esterno, ma
non si fermarono nemmeno lì; scesero per una porta segreta,
giù fino ad una stanza nascosta e circondata d’acqua.
«Ienzo dice che dovremmo procurarci delle
guardie per proteggere il procedimento.» sussurrò.
«Ienzo dice?!» domandò lui incredulo.
Lei scosse la testa scrollandogli il braccio che non
aveva lasciato. «Riku!» lo rimproverò.
«Tranquilla, ci penso io, d’accordo?»
«Basterà?»
«Sicuramente anche Cloud e Leon saranno disposti a darci una mano.»
«Ho paura. E se gli rubano il cuore, mentre io
sono lì a giocarci?» si coprì il viso con le mani.
«Sono esattamente come loro.» mormorò affranta.
«Kairi, calmati.» questa volta fu lui a
posarle le mani sulle spalle e strofinarle piano le braccia nude.
«Andrà tutto bene e prima di quanto immagini saremo alle
Isole a prendere il sole.» Riku si guardò intorno.
«Sora dov’è?»
«È Roxas per un’ora e mezza.»
«Come ci riesci?» domandò Axel facendo un cenno con il capo in direzione di Oblivion.
Roxas nel corpo di Sora, completamente padrone del
corpo di Sora, sospirò. «Purtroppo adesso è molto
più semplice di quanto dovrebbe, il keyblade mi aiuta ad avere
stabilità.»
Nessuno dei due aggiunse la palese conclusione: non c’era nessun keyblade a tenere stabile Sora.
«Sono un po’ offeso che tu non mi abbia
riconosciuto.» cambiò argomento, addentando il ghiacciolo
e sperando che lui raccogliesse la sua supplica a non parlarne
più. La vista che si godeva dalla torre più alta della
Fortezza Oscura non era come il tramonto di Twilight Town, ma dovevano
accontentasi.
«Beh, non sono più abituato ad averti intorno.»
«Io ti avrei riconosciuto.»
«Oh, ti prego!» lo rimproverò.
«Sappiamo tutti e due che non è così. E comunque
non sei proprio tu.»
«Siamo molto simili.» disse infelice, come soltanto Roxas sarebbe potuto essere.
Axel scosse la testa, potevano sembrare gemelli,
riflessi speculari di una stessa persona, ma… «Non sei
tu.»
Roxas lo guardò, poi sorrise distogliendo lo
sguardo dalla sua figura. Axel continuava essere dinoccolato,
altissimo, feroce nel suo sguardo perennemente affamato; bello, in ogni
suo lineamento troppo spigoloso. Perfetto.
«Quand’è che la strega farà l’esperimento?»
«Domani.»
«Ti senti pronto?»
Aeris era affacciata dal davanzale della sua camera intenta ad
annaffiare i tulipani. Osservò Cloud parcheggiare la sua moto
sotto casa loro e far scendere Tifa, raggiante come la vedeva troppo di
rado.
Si fece piccina sbirciandoli mentre parlottavano di cose inutili e li trovò così carini.
Sapeva di piacere a Cloud e, certo, lui era
bellissimo, ma…non era suo. Era di Tifa, era la prima cosa di
cui si era accorta arrivata a Radiant Garden. Si sentiva anche un
po’ in colpa per aver portato tanto scompiglio nella loro
‘quasi coppia’, ma era sicura che lei fosse soltanto una
sbandata temporanea da parte di lui, il vero amore resiste a tutto,
anche alle fioraie belle e dolci.
Kairi, Sora e Riku erano seduti su una panchina e guardavano tre
bambini giocare, come avevano fatto loro per anni. Erano in silenzio da
un po’, la mano di Kairi in quella di Sora, quella di Sora in
quella di Riku, un modo come un altro per tenerlo a terra.
Ci aveva messo molto più di un’ora e
mezza a tornare, anche se Roxas era stato puntualissimo e si era
impegnato a rifarsi piccolo e sparire. Kairi non avrebbe mai
dimenticato il suo sguardo, dagli occhi di Sora, fissarla colpevole e
dispiaciuto, mentre gli confessava di non riuscire a trovarlo.
‘Non ha mai parlato, credevo che volesse semplicemente lasciarmi
solo con Axel’.
Alla fine era ricomparso, in un attimo, senza senso,
‘puf!’: Sora era tornato. Riku gli aveva dato un pugno sul
braccio ormai di nuovo intero, mentre Kairi si era seduta, con le mani
tremanti, pallida come un foglio di carta.
Ci aveva provato a tranquillizzarla con il suo
sorriso migliore. ’Lui è un keyblade master, io no.
È normale che il suo cuore sia più forte del mio in
questo momento’.
Il problema era che di cuore nel petto, Sora ne
aveva soltanto uno. Anche ammesso che fosse possibile sezionarlo in due
parti, una di Sora ed una di Roxas, se a quel punto la parte di Roxas
fosse stata troppo grande e troppo forte, che sarebbe rimasto di Sora
una volta divisi?
«Non sono ancora morto.» sussurrò ad un certo punto, proprio lui.
«Sei ancora in tempo per ripensarci o
rimandare.» commentò neutro Riku. «Roxas
capirebbe.»
Roxas non disse niente, avergli defraudato il corpo,
lo spavento di averlo potuto far sparire, la colpa nel terrore cieco di
Kairi, lo avevano reso titubante. Lui che fino a pochi minuti prima
aveva avuto davanti agli occhi la sua posta in gioco.
«Se non lo faccio ora non ne troverò mai più il coraggio.»
«Troverai Naminè dall’altra
parte, devi mostrarle quale ricordo vuoi che ti porti via. Deve essere
qualcosa di grande o il suo corpo sarà instabile come quello di
Xion.» spiegò Kairi con una praticità che poteva
essere dettata soltanto dalla disperazione e lo shock.
«Posso scegliere?» chiese contento e sorpreso Sora. «Quale onore…»
«Non c’è da scherzare.» sbottò Riku secco.
Sora lo guardò con rimprovero. «Che
faccio allora? Sto qui a piangere sul mio spirito diviso?»
Il ragazzo sospirò. «Vorrei che almeno il re non avesse distrutto Oathkeeper.»
«Non l’ha fatto.» commentò
Kairi. «Si è sbriciolata per colpa di Sora, nemmeno
Topolino è tanto forte da rompere un keyblade.»
Lui si alzò dirigendosi verso i bambini e
lasciandoli lì, stanco di quelle discussioni che non servivano a
niente; puntavano a farlo desistere, ma non ci sarebbero riuscite. Si
sedette sul prato e chiese loro di prestargli alcuni dei pezzi di
legno con cui stavano cercando di costruire delle spade.
I suoi due amici continuarono ad osservarlo con
apprensione. «Se sparisce mentre io sto pasticciando con la sua
mente, sarà come se lo uccidessi.» sussurrò Kairi
senza staccargli gli occhi di dosso, come se da un momento
all’altro avrebbe potuto vederlo vaporizzarsi.
Riku la guardò sospirando, ma non trovò niente da dire.
Sora studiò il keyblade di legno che aveva costruito con un misto di nostalgia e rammarico.
Aspettiamo. – propose Roxas. – Recuperi le forze, ti riprendi il tuo spazio…
‘E se fosse sempre stato il tuo?’
signori e signore, questo è il mio capitolo allegrotto.
si vede, eh?
mamma mia, che tristezza...
beh, come sempre aspetto i vostri giudizi...
baci
ps. cioè io non ho il coraggio di scrivere il prossimo...per carità!
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
sora 2
mi sono ufficialmente rifiutata di scrivere questo capitolo durante le feste... era Natale, non volevo deprimermi...
ma visto che la Befana s'è portata via tutte le feste, ricominciamo con i kleenex...
dai non fatr quella faccia! questo capitolo era una morte annunciata!
Capitolo 13
Era questione di equilibrio.
Schiena a schiena, seduti chissà dove e chissà come.
Senza memoria di nessuno se non del ragazzo alle proprie spalle.
Sora allungò la mano e strinse quella di
Roxas. «Si sta bene qui, vero?» disse con un sorriso.
E Roxas doveva ricordare, doveva sapere, doveva fare
qualcosa, ma la sua mente galleggiava nella serenità perfetta di
quel posto e non trovò niente altro da rispondere se non:
«Si.»
Riku posò una mano sulla schiena di Kairi, aveva la testa
appoggiata sul letto di Sora, gli occhi chiusi; erano al ricovero,
fuori Cloud, Leon, Cid, Tifa e Yuffie controllavano che nessuno
cercasse di irrompere all’interno, dentro non c’era altro
da fare se non aspettare. Pregare. Sperare.
«Posso fare qualcosa per te?»
La ragazza si tirò su e si passò una
mano sul viso. «Sveglialo.» disse solo, piano, come se
avesse effettivamente paura di turbare il suo sonno.
Riku sospirò. «Hai mangiato?»
scrutò i segni scuri sotto gli occhi, segnali di insonnia e
qualcos’altro.
«Quanto tempo?»
«Kairi, il tempo non conta…» tentò.
«Quanto tempo?» lo interruppe decisa.
Riku guardò il suo migliore amico
addormentato, non riusciva ad impedirsi di sovrapporre
quell’immagine ad un’altra di anni prima, quando Sora non
era altro che un organismo incosciente dentro un’ampolla. Quando
Kairi si ricordava a malapena di lui. Avrebbe voluto vederlo
raccogliere un paio di ciottoli dalla spiaggia dell’Isola dei
Bambini e sfidarlo a chi lo lanciasse più lontano; avrebbe
voluto sbirciare i suoi occhi mentre rideva con Kairi, del tutto perso
dentro la magia incredibile di Kairi; avrebbe voluto guardarli
abbracciati, soffocare l’invidia ed ammettere quanto fossero
carini. Avrebbe voluto prenderlo in giro ancora un po’. Sarebbe
voluto tornare nel regno dell’Oscurità, persi, a
chiacchierare tranquilli davanti a quel fiume – o lago, o mare
– persi, ma insieme.
Sospirò ancora. «Tre giorni.»
«Secondo te dove siamo?» domandò curioso Sora, guardandosi in giro.
Roxas osservò il bordo della piattaforma
rotonda dove si erano ritrovati. «Non saprei.»
mormorò, doveva esserci un disegno sotto di loro, riusciva a
riconoscerne alcune sezioni colorate e quella sembrava proprio una mano
che impugnava… aggrottò le sopracciglia incerto,
studiando quella che aveva tutta l’aria di essere una chiave
gigante.
«Credi che dovremmo andare da qualche parte?» continuò a chiedere.
«Si…» disse in un sussurro
confuso. Dovevano andare in un posto in cui erano già stati,
quindi, dovevano… tornare. Girò poco il viso e si sporse
per guardare quello dell’altro che si era fermato a fissare il
buio in alto. «chi sono?» gli domandò.
«Roxas.» rispose senza nemmeno pensarci.
«E Roxas chi è?» continuò quello.
«Parte di me…» distolse lo
sguardo dall’oscurità in alto per studiarlo e si riscosse
sussultando. «io sono qui per far uscire te.» disse in
fretta, concitato, come se potesse dimenticarsi di
quell’informazione fondamentale.
«Da dove?» chiese allarmato Roxas, gli
sembrava che fossero placidamente in pace da secoli e
quell’improvviso scatto di agitazione lo turbava.
Lo sguardo di Sora si fece vago, sperduto, ma comunque lucido. «Da me.»
Axel guardò il viso immobile di Roxas. Non era come lo aveva
immaginato, grigio e spento, sembrava soltanto addormentato. Ma se
l’avesse scrollato, anche con tutta la foga di cui era capace,
non si sarebbe svegliato.
Lanciò un’occhiata speculativa a Kairi,
seduta in angolo della stanza, le ginocchia strette contro il petto,
spettro di sé stessa. Era più piccola ogni giorno che
passava. Accanto a lei c’era una coperta, poco più
là un piatto di cibo smosso, non era affatto sicuro che avesse
davvero mangiato qualcosa.
«Quanto tempo?» chiese in un sussurro appena udibile.
Axel tornò con gli occhi su Roxas e gli
sfiorò con timore la punta delle dita, consistenti, vere, sue.
‘Svegliati.’ Supplicò dentro di sé.
«Sei giorni.» sospirando fece alcuni
passi verso di lei e le si accucciò davanti, Kairi non
sembrò nemmeno accorgersene. «Non puoi stare ferma qui a
lasciarti morire.» le disse piano, poi le afferrò un polso
tirandola; la ragazza tentò debolmente di protestare, ma era
come se ogni sua energia fosse scivolata via insieme a tutte le lacrime
notturne. «Ora ti porto a mangiare da Aeris e tu mangerai,
perché Aeris è una cuoca provetta e non si può
sprecare quello che cucina.»
Lei guardò lui, poi di nuovo Sora, combattuta.
«Non vanno da nessuna parte e fuori
c’è un esercito pronto a far fuori chiunque somigli
vagamente ad una minaccia.»
Roxas si guardò la punta delle dita curioso, si sfiorò i polpastrelli con il pollice.
«Fa male?» domandò Sora
inutilmente preoccupato, niente poteva ferirli, lo sentiva, non
lì.
«No, è…» si interruppe e
la sua mente venne invasa da miliardi di brividi. Le sue terminazioni
nervose impazzirono, mandandogli ombre di ricordi della stessa identica
sensazione, ma su tutto il corpo. Fissò gli occhi enormi e
celesti in quelli di Sora. «caldo.»
Per alcuni secondi entrambi rimasero in silenzio.
«Forse sta toccando il tuo corpo.» ipotizzò Sora
infine con un sorriso.
«Il mio corpo?» si morse il labbro,
sentiva le parole fiorirgli sulla lingua senza avere la più
pallida idea di dove si formassero. «Io non ho un corpo.»
mormorò realizzando con un momento di ritardo l’orrore di
quella verità.
«Caldo!» gridò Sora
improvvisamente facendolo sobbalzare, si prese la testa tra le mani con
un’espressione affranta sul viso. «Caldo è
amore.» gemette e Roxas gli posò una mano sulla schiena in
apprensione. «Un corpo ti serve, ti serve perché sei
caldo.»
«Ma io…» provò a ribattere.
Sora lo interruppe prendendolo per le spalle.
«Non puoi averlo dimenticato.» lo scosse leggermente.
«Lo hai amato così tanto dalla mia mente da costringere
anche me ad amarlo, siamo qui per lui.»
«Lui chi?» chiese, sconvolto dalla
memoria a pezzi di Sora, sembrava che i suoi ricordi riuscissero a
palesarsi soltanto in risposta a delle parole chiavi, era inquietante.
Sora si alzò in piedi sulla scia di quelle
emozioni contrastanti e confuse e si guardò intorno. Sulla
superficie sotto di loro erano disegnati un Roxas ed un Sora schiena a
schiena, entrambi con in mano un keyblade.
«Axel.»
Aeris fu ben lieta di averli come ospiti a pranzo, visto che non era
una combattente e che di certo non sarebbe stata d’aiuto a
sorvegliare il ricovero si occupava di rifocillare le truppe. La
cucina, che, fino a pochi giorni prima, Kairi ricordava ordinata e
pulita, era diventata un accumulo di cartocci e pentole.
«Sarete costretti a mangiare senza
tavolo.» si scusò con un sorriso. «Ed a fare finta
che io ci sia…» continuò sollevando un paio di
buste. «devo andare a consegnare il pranzo agli altri.»
Kairi fece un sorriso debole e sconfortato, mentre
lei usciva, poi affondò la forchetta in quello che sembrava
sformato di… qualcosa, senza però dare
l’impressione di voler davvero portare un boccone alla bocca.
A differenza di Axel.
«Devi mangiare per davvero.» le intimò, dopo aver deglutito.
La ragazza sollevò il viso e lo
guardò. «Come fai ad essere così tranquillo?»
gli chiese.
Axel posò piano la forchetta sul piatto,
attento a non farla cadere. «Non posso fare niente.»
confessò. «Cerco di ragionare, dovresti farlo anche
tu.» le lanciò un’occhiata. «Se ti lasci
morire pensi di riuscire a rivederlo?» le domandò a
bruciapelo.
Kairi scosse piano la testa, provando a seguire i suoi pensieri.
«Allora, devi restare viva, perché, per
quanto minime, ci sono più probabilità che tu riesca a
rivederlo se sei viva.» Axel sorrise. «Era lo stesso
ragionamento che facevo da Nobody in attesa di un cuore, sai? Attaccati
alla vita più che vuoi, resta in vita il più tempo
possibile.»
Per alcuni secondi la ragazza rimase in silenzio,
poi fece un sorriso e raccolse una forchettata di stufato.
«Accidenti!» esclamò, coprendosi educatamente la
bocca con la mano. «Aeris è brava davvero.»
«Te l’ho detto.»
Infondo, a lui il tempo aveva dato ragione.
Axel era caldo.
Roxas trattenne il fiato fissando Sora, immobile
nonostante il lavorio frenetico della sua mente ed il bussare
insistente del suo cuore.
Axel aveva i capelli di un colore impossibile, pettinati in modo da renderli ancora più improbabili.
Axel aveva mani lunghissime, tutti le sue ossa erano
lunghissime; era figlio di un gigante e del fuoco, perché non
era soltanto caldo, era ustionante. Ti marchiava con gli occhi, troppo
verdi, dal taglio troppo affilato. Ogni suo particolare era troppo
‘qualcosa’ eppure si armonizzava in modo perfetto al resto.
Axel era una macchia di colore in mondo nato dal nero.
Axel che lo cercava attraverso Sora, che toccava Sora per arrivare a lui.
Gli serviva un corpo per poterlo toccare, baciare, guardare con i proprio occhi.
Aveva una corpo e dovunque fosse doveva raggiungerlo, perché non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
Roxas si alzò in piedi di scatto e
guardò Sora che non aveva smesso di fissarlo dal basso.
«Devo tornare da lui.» ed era come se fosse la sua
volontà a dare ordini in quel mondo, si osservò le mani e
strinse i pugni, erano vere, erano da qualche parte. «Anche tu
devi tornare, Sora!» esclamò.
Il ragazzo lo guardò. «Non lo
so.» mormorò, lasciando che il suo sguardo vagasse per
quel piccolo mondo circolare. «Forse starei meglio qui.»
continuò con immenso orrore di Roxas. «Non ne sono sicuro,
ma non credo di essermi mai sentito tanto in pace.»
«Ma Riku e Kairi…» il resto gli
morì sulle labbra davanti all’espressione curiosa di Sora.
Piegò la testa di lato e fece una smorfia. «Chi?»
Roxas spalancò gli occhi di colpo e sobbalzò, facendo gridare Kairi per la sorpresa.
«Axel.» fu la prima parola che disse,
prima di tirarsi su a sedere e guardarsi intorno. Tutto gli
sembrò troppo vivido, come se improvvisamente gli avessero tolto
da davanti agli occhi un filtro che rendeva il mondo opaco. Gli avevano
tolto Sora.
Lo guardò immobile, ancora addormentato nel letto accanto a lui.
«Roxas.» sussurrò Kairi.
La guardò senza essere capace di dire niente,
che avrebbe potuto dirle? Che il suo ragazzo, tra le milioni di cose
che avrebbe potuto lasciare a Naminé, aveva scelto proprio lei
ed il suo migliore amico? Che senza di loro non aveva niente di
così forte a cui aggrapparsi per tornare? Che qualsiasi fosse
stato il motivo per cui lo aveva fatto era stato l’errore
più grave di tutta la sua giovane e travagliata vita?
«Kairi.» disse solo, ma nei suoi occhi
doveva esserci più coraggio che nelle sue parole, perché
la ragazza scoppiò a piangere.
Lo spostarono in un’altra stanza, Aeris lo
abbracciò forte e Roxas pensò che non la conosceva
praticamente, ma la strinse lo stesso anche se con la mente assente.
Sora non si sarebbe mai svegliato.
Lei e Leon lo visitarono, controllarono i suoi
riflessi, che ogni sua giuntura si piegasse a dovere, che la sua mente
fosse lucida. Controllarono che Kairi avesse fatto un buon lavoro nel
costruire il suo corpo, anche se non serviva, Roxas sentiva che era
perfetto… e lui le aveva portata via la cosa più
importante della sua vita.
Non gli lasciarono vedere Axel, continuavano a
dirgli tutti che sarebbe potuto essere troppo scioccante, che era
presto, che volevano essere sicuri della sua stabilità. Ma Sora
aveva dato i suoi due ricordi più forti ed importanti per lui,
era stabile come non era mai stato; e comunque, era per Axel che aveva
voluto quel corpo, se non avesse retto lo shock tanto valeva tornare
indietro. Osservò con attenzione la finestrella della sua stanza
e sorrise.
Axel fissò Roxas, con la schiena premuta contro la porta come un
animale braccato, e lo spazzolino da denti gli cadde dalla bocca.
«Sono io.» gli disse con gli occhi sgranati e celesti, come quelli di Sora non erano mai stati.
«Lo so.» rispose Axel.
Sorrise e per anni l’uomo aveva creduto di
essere in grado di gestire milioni di crisi, nemici, situazioni
impossibile, ma si rese conto di non riuscire a gestire il proprio
ragazzo nella sua casa. Realizzò che non si era mai concesso la
possibilità di sperare davvero nella riuscita di quel piano.
Rimase immobile ad osservarlo, come uno spettro, una visione, un sogno;
era vestito da ragazzo normale, anche se sembravano abiti troppo grandi
per lui e… era vero.
«Non mi hanno avvertito che… sarei
venuto.» si giustificò Axel pulendosi la bocca con il
dorso della mano ed ingoiando il dentifricio.
«Non volevano che ci vedessimo, hanno paura
che… non sia pronto.» disse Roxas avvicinandosi a lui,
senza esitazione, senza paura, come se fosse passato soltanto un giorno
dall’ultima volta che aveva avuto un corpo.
«Credi di non essere pronto?» gli
domando Axel immediatamente, ma passandogli una mano tra i capelli
biondissimi e tirandoli leggermente; era più alto, era cresciuto
anche attraverso Sora.
«Credo di esserlo sempre stato.» disse
mettendo fine a quel discorso e premendo il proprio corpo contro quello
di lui. Incastrò il viso nella curva del suo collo, la guancia,
sulla sua pelle rovente, percepiva il bussare lento e regolare del
cuore che pompava sangue nelle vene; lasciò andare un sospiro ed
Axel chinò il viso verso di lui, mentre le sue mani percorrevano
le sue braccia, sfioravano le sue spalle, le sue dita premevano sulle
scapole. Percepiva i suoi pugni stretti alla sua maglietta, sentiva
ogni minimo movimento del suo corpo, amplificato mille volte dalla
mancanza, da tutto quel tempo, da tutte le notti nel letto ad occhi
chiusi a ripercorrere ogni istante, ogni momento passato insieme a The
World That Never Was.
Quando lo baciò, umido, intenso, profondo,
talmente e concretamente reale da togliergli il fiato, Axel
sentì scivolargli in gola, come una sostanza densa e viscosa,
l’essenza vera di Roxas, quella che Sora non aveva mai avuto.
Quel Roxas che giorni, mesi, anni prima, gli aveva sussurrato nella
propria stanza, con voce incredibilmente salda tra le lacrime ‘Mi
sei mancato molto più di un bacio’. Quel Roxas che
pretendeva che lui lo prendesse. Quel Roxas che sorrideva dolcemente a
Xion, poi, fingendo noncuranza, leccava tutto un ghiacciolo al sale
marino per leggere la reazione di Axel. Quel Roxas che gli era mancato
così tanto… da fargli dimenticare tutto il resto.
Però non riuscì a trattenersi.
Schivò la sua bocca e lo guardò negli
occhi. «E Sora?» aveva fatto una promessa, doveva sapere se
era necessario che la mantenesse.
«Ha fatto uscire me…»
mormorò ad occhi bassi, mentre l’eccitazione scemava per
lasciare il posto alla tristezza; gli dispiaceva, ma, infondo, Roxas
era anche quello. «ora non ha niente che lo riporti qui.»
‘È tutta colpa mia.’
Non lo disse, ma Axel lo sentì lo stesso. Lo
abbracciò teneramente e lui appoggiò la fronte contro il
suo petto. «Tornerà.»
«Posso restare?» gli chiese improvvisamente fragile.
Axel scoppiò a ridere della sua follia,
insomma dieci secondi prima avevano imboccato una strada che
inevitabilmente avrebbe comportato la permanenza a casa sua e non
è che gli avesse chiesto il permesso.
«Che c’è?» gli domandò indispettito.
«Niente.» disse scuotendo la testa. «Muoviti, a dormire.»
Roxas si lasciò cadere a peso morto sul letto
di Axel, poi gattonò fino a raggiungere il bordo delle coperte e
ci si infilò dentro. L’uomo lo raggiunse stendendosi alle
sue spalle, molto meno vicino di quanto avrebbe voluto, tanto per
scoprire cosa volesse lui.
«Mi manca.» sussurrò con la voce soffice di chi sta per addormentarsi.
Axel allungò una mano e gliela posò al centro della schiena. «Lo so.»
La mattina dopo si svegliò prima di Roxas, per alcuni secondi
continuò ad osservarlo, arrotolato nelle sue coperte ancora
vestito. In realtà Axel non aveva dormito molto, non era
riuscito, soprattutto perché il suo compagno di letto aveva
continuato a mormorare il nome di Sora nel sonno.
Gli lasciò un biglietto attaccato al
frigorifero, tanto per non farlo preoccupare della sua assenza: doveva
mantenere una promessa.
Kairi era sempre nella stanza di Sora, ma stava
mille volte peggio. Era come se il risveglio di Roxas avesse messo un
punto definitivo alle sue speranze. Vide come guardava il ragazzo
addormentato, come Axel si era immaginato guardare una bara
scoperchiata.
Lo fissò, la furia nascosta dietro una maschera di dolore. «Contento?»
L’uomo scosse la testa e trascinò una
sedia fino a sistemarla accanto a lei. Per un attimo provò uno
strano timore, una specie di riverenziale rispetto, poi se ne
dimenticò; le passò un braccio intorno alle spalle,
l’altro sotto le ginocchia e se la portò in braccio. Lei
si rannicchiò contro di lui, una bambina terrorizzata da un
incubo, una donna consapevole di non potersi svegliare perché
non si trovava in un incubo, ma era la realtà.
La tenne stretta fissando il corpo vuoto come un
guscio di Sora, pregando che si svegliasse, finché Riku non si
offrì di dargli il cambio.
eravate state avverite...
sigh...Soooooraaaa....sigh!
baci
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
sora 2
questo capitolo mi piace proprio tanto...
a parte il fatto che la piantiamo con tutti quei capitoletti
spezzettati che, ok, che non mi veniva in mente nessun modo per
scrivere tutte quelle cose che avevo intenzione di scrivere, ma non se
ne poteva più!
questo è denso, lineare, si parla di Axel e Roxas... insomma, ha tutte le carte in regola per essere nel mio cuore...
poi io sono la scrittrice, gli voglio bene per contratto... giudicate voi!
Capitolo 14
Un ‘toc,toc’ familiare e strano allo stesso tempo lo fece
svegliare. Roxas si tirò su e si guardò intorno spaesato,
toccandosi in modo compulsivo addosso per essere sicuro di essere
ancora lì; era ancora lì, tra le lenzuola fresche e
profumate di Axel, ma, con suo sommo dispiacere, di Axel non
c’era traccia.
Qualcuno bussò ancora e lui rotolò
giù dal letto, inciampando nelle proprie scarpe e finendo a
terra. Cielo, era un disastro, sembrava un bambino imbranato, altro che
chiave del destino.
Si fermò improvvisamente in piedi al centro
della camera, ignorando chiunque lo stesse aspettando fuori: era ancora
la chiave del destino? Si studiò il palmo, concentrato a cercare
qualche segno sulle sue mani; aveva ancora i calli alla base delle
dita, i calli di Sora e, quindi, anche suoi.
Scoprì di non volerlo sapere, non ancora.
Raggiunse la porta e, durante il tragitto,
sperò che fosse Axel, anche se temeva che si trattasse di Leon o
Aeris che lo avrebbero sgridato perché era fuggito. Quasi, quasi
gli mancava il disinteresse per i cavoli suoi
dell’Organizzazione; senza missioni impellenti, lui ed Axel si
erano fatti giornate interminabili di sesso e nessuno era mai venuto a
rompere. A parte Xion, qualche volta, ma perché era ingenua ed
era l’unica a non aver capito le dinamiche del loro rapporto di
‘amicizia’.
Era Riku.
«Ciao.»
Roxas rimase in silenzio fissandolo, poi
l’istinto gli suggerì di stare attento: i suoi incontri
con Riku non erano mai stati esattamente amichevoli. Fece un passo
indietro, pronto a prevedere ogni sua eventuale mossa.
Ma lui allargò le braccia per mostrargli che
era disarmato e che non aveva intenzione di armarsi. «Non voglio
farti del male.» lo tranquillizzò.
Roxas rise e si rilassò. «Non puoi,
l’ultima volta hai barato ed ora non puoi più
farlo.» rise di più, valeva la pena avere una voce propria
per ricordargli come erano davvero andate le cose. Riku non era il
più forte, probabilmente non lo era nemmeno contro Sora, solo
che lui gli voleva bene e non si impegnava mai davvero. Era stato nella
sua testa, lo sapeva.
Lo vide trattenere un risposta velenosa.
«Voglio notizie di Sora, tu sai perché non si sveglia,
vero?»
Abbassò lo sguardo, se il prezzo da pagare
era Sora, forse non ne valeva così tanto la pena.
«Entra.» si scostò dalla porta. «Ti conviene
sederti.»
Gli raccontò tutto, soltanto perché
era il migliore amico di Sora e perché se quello rimasto di
là fosse stato lui, sapeva che avrebbe affrontato ogni possibile
– e probabile – scatto d’ira di Axel, ma gli avrebbe
raccontato la verità.
«Il ricordo di Axel mi ha portato qui. Se lui
non ricorda né te, né Kairi non so proprio come possa
fare.»
‘Casa è dove è Kairi’, quante volte lo aveva ripetuto?
Riku chiuse gli occhi ed appoggiò la fronte
sul tavolo, i capelli gli scivolarono addosso nascondendo il suo viso
ed ogni suo dolore. «Ho tentato di ucciderlo, credo bene che
abbia voluto dimenticarmi, ma Kairi…»
«Non l’ha fatto per quello.»
allungò una mano e gliela appoggiò sulla schiena.
«Lui ti voleva davvero bene e ti aveva davvero perdonato, lo ha
fatto perché voleva che fossi stabile, siete il ricordo
più forte che ha!»
Lui non si mosse.
«Se dico a Kairi che Sora ha barattato lei per
il tuo corpo morirà di dolore.» mormorò ancora, la
voce ovattata da quella posizione.
Roxas chiuse gli occhi. «Non dirglielo.»
sentì Riku muoversi e tirarsi su, aprì gli occhi per
fissare i suoi verdissimi, ma non verdi come quelli di Axel.
«Portala a casa, dille che tornerai a controllare e che comunque,
se ci fossero novità, vi contatterei.»
«Vuoi che menta a Kairi?» gli domandò ad occhi sgranati.
Lui ruotò gli occhi al cielo esasperato.
«Non per mettere il dito nella piaga, ma hai fatto di
peggio.»
«Ma mentire a Kairi.» ripeté sconvolto.
«Adesso è l’unica cosa da fare, se non te la senti ci parlo io.» disse deciso.
Per alcuni secondi si fissarono e basta, poi Riku annuì. «No, lo faccio io.»
«D’accordo.» sospirò.
Lo guardò alzarsi, sconfitto, ed avvicinarsi
alla porta. Si fermò con una mano sul pomello, senza guardarlo.
«Ascoltalo, Roxas.»
«Nh?» sbottò con sguardo interrogativo.
«Lui ti ha tenuto in vita ascoltandoti, forse devi soltanto ascoltare.»
Roxas annuì. «Lo farò.»
Quando Axel tornò a casa, dopo che Riku gli aveva chiesto di
lasciarlo solo con Kairi, trovò Roxas rannicchiato tra il
comodino ed il muro della camera da letto in compagnia di Oblivion. Gli
si accucciò vicino e lo osservò, inizialmente non si
mosse né parlo, poi: «Riku è stato qui.» gli
spiegò continuando a non guardarlo.
«Lo so.» annuì. «Mi aveva
chiesto di badare a Kairi per venirti a parlare.» aspettò
che l’altro aggiungesse qualcosa, senza risultato. «Aeris e
Leon sono agitatissimi perché non sanno dove sei e come
stai.»
«Sto bene.» disse seguendo l’asta di Oblivion con le dita, dal manico alla punta.
«Davvero?»
Gli allungò un braccio. «Tocca. È tutto apposto.» bofonchiò.
Axel non lo sfiorò, indispettito dalla sua
glacialità, ma non si lasciò neanche allontanare;
nonostante i suoi tentativi di essere scorbutico con lui, sapeva che
era con sé stesso che ce l’aveva. «Non è
colpa tua.» cercò di consolarlo e, anche se non avrebbe
voluto, rimpianse il Roxas che gli si strusciava addosso la sera prima.
Lasciò andare una mezza risata. «Ah,
no?» gli domandò lanciandogli un’occhiata derisoria.
«Non l’hai obbligato.»
«E invece si!» gridò fuori di
sé, lasciando che Oblivion scomparisse. «L’ho
portato qui, l’ho costretto a baciarti, l’ho costretto a
litigare con Kairi e con Riku, l’ho costretto a combattere contro
i suoi migliori amici.» si mise le mani tra i capelli.
«L’ho pungolato, infastidito, stuzzicato così a
lungo da esasperarlo, da fargli perdere sé stesso. Io l’ho
obbligato.» balzò in piedi talmente in fretta che Axel
perse l’equilibrio – al quale, comunque, non era
così attento – e finì seduto per terra.
Axel era un tipo stranamente paziente e razionale,
quindi mantenne il sangue freddo, nonostante avesse voglia di dargli
una manata; riusciva quasi a vederla, la psiche autonoma di Roxas,
cercare in tutta fretta di prendere possesso del proprio nuovo corpo,
di tutte le emozione che non si preoccupava da tempo di gestire,
perché filtrate da Sora. Sospirò appoggiando le braccia
dietro di lui per puntellarsi, fissandolo da sotto in su in attesa. Non
fece domande, lo conosceva abbastanza da sapere che l’avrebbero
soltanto spinto a diventare più ingestibile.
La migliore difesa che aveva Roxas contro ogni
problema, contro ogni dolore, era la solitudine. Quindi si
limitò a guardarlo uscire da casa sua sbattendo la porta,
sperando che tornasse e di non trovare da qualche parte, in una busta,
un bastoncino del ghiacciolo con scritto ‘Hai vinto’.
Tifa lo guardò sorridendo con un sacchetto in mano. Stranamente
quel giorno raccogliere cose già distrutte o frantumare cose
ancora non abbastanza distrutte, gli andava decisamente a genio. Roxas
era sempre stato un concentrato di confusione, con il tempo ci si era
anche abituato ed il suo autocontrollo e la sua innata calma,
bilanciavano i suoi sbalzi di umore. Solo che anni senza averlo intorno
glieli avevano fatti dimenticare.
Perciò guardò Tifa, guardò una
bella ragazza, sicuramente femminile e prosperosa, considerando
l’idea di tornare ad occuparsi di donne. Era stato a letto con
Larxene, sapeva cosa fare e come funzionava.
«Come è andata la nottata?» le domandò lei quando fu abbastanza vicino.
Axel si tirò indietro i capelli. «La nottata bene. Poi si è svegliato.»
La ragazza rise e sollevò il sacchetto che
aveva in mano per mostrarglielo. «Ti ho portato il pranzo.»
«Anche a me?» si mise in mezzo Isa.
Axel la guardò chiedendosi se avesse davvero
accettato l’idea di frequentare degli ex Nobody, o se era gentile
con lui soltanto per empatia. Tifa lo studiò con i suoi occhi
rossi ed improbabili. «Riusciremo a dividere tutto in tre
porzioni.» acconsentì infine.
«Ce l’hai fatta.»
Roxas si girò frugando con gli occhi tutto il
giardino interno, stranamente deserto, e strinse il pugno afferrando
l’elsa di Oblivion. Finalmente lo vide, era Even, appoggiato al
muro con le braccia incrociate sul petto. «Ho sempre saputo che
scommettere su Xion non era la cosa giusta da fare. Sei sempre stato tu
a condurre il gioco.»
Un gioco. Xion era morta tra le sue braccia, Roxas
era stato intrappolato nel cuore di Sora, che aveva visto morire Axel
per salvare il proprio riflesso negli occhi di lui, che poi era rimasto
intrappolato nell’oblio. E lui definiva quel massacro un gioco.
«Tu sai perché non si sveglia, vero?» gli chiese conoscendo già la risposta.
«Mi sembra evidente.» allungò una
mano e Roxas si trovò circondato da un gruppo di Simili.
«N-non…» deglutì
guardandoli con orrore, quell’incubo sarebbe dovuto essere
finito. «non è possibile.»
Even rise. «Certo che no, sono soltanto delle
copie. Dei giocattoli da allenamento, vediamo se ti ricordi come si
fa.»
Strinse più forte Oblivion fissandolo, solo
un gruppo di copie di Simili, poi finalmente avrebbe potuto occuparsi
di lui. Un ‘giocattolo’ – come li definiva lui
– lo attaccò, stranamente diretto per trattarsi di uno di
loro, ed il ragazzo non ebbe problemi a colpirlo e distruggerlo. Fece
lo stesso con il secondo.
Era troppo semplice, mentre schivava un tentativo
incredibilmente maldestro di ferirlo, lanciò un’occhiata
curiosa ad Even; se intendeva metterlo in difficoltà, per un
qualche motivo, avrebbe dovuto impegnarsi di più. A Twilight
Town quei mostriciattoli li aveva colpiti anche con una mazza da
struggle; ora che aveva i suoi keyblade di certo non gli facevano paura.
Studiò gli ultimi due pronti per assalirlo
ancora, colpì il più vicino immediatamente, poi
saltò all’indietro per sorprendere alle spalle
l’altro e finirlo.
Solo a quel punto realizzò. Nella mano destra
c’era Oblivion, come era sempre stata, nella sinistra Oathkeeper
era lucente.
Even rise. «Capisci ora?» disse
avvicinandosi e sfiorando la chiave di Sora che incredibilmente aveva
risposto al suo richiamo. «Ora tu sei quello che Sora è
stato. Per uno di voi che resta, l’altro se ne va.» Roxas
sollevò il viso e lo guardò spaventato. «Non
c’è modo perché possiate coesistere.» disse
fissandolo, gli premette le dita al centro del torace. «Quello
che ti batte nel petto, è il cuore del keyblade master.»
Si sedette su una sedia e lo guardò, non lo aveva mai guardato
di persona, perché non erano mai stati faccia a faccia. Avrebbe
voluto ridere con lui, giocare, parlare; il brutto di essere rimasto
così tanto dentro di lui era che tra loro si era formato un
contatto speciale. Sora era l’unico che lo sentiva, l’unico
con cui parlava e – perché no? – anche l’unico
con cui litigava. Per anni Sora era stato la sola persona a sapere che
esisteva e, ascoltandolo e rispondendogli, l’unico a garantire la
sua esistenza.
Gli aveva dato i limiti di un cuore, di una
coscienza, l’aveva fatto a tavolino, sconvolto da tutte le idea
contrastanti che gli passavano per la testa: ‘Axel nudo è
un sogno tuo, Kairi che mi fa lo streaptese riguarda me’;
‘la rabbia indimenticabile per Riku, per come ti ha ingannato ed
imprigionato è tua, l’affetto e la tristezza per un
rapporto che si sfalda sempre di più, miei’. E così
via, pensieri che gli dicevano chi era.
Per assurdo, avere un corpo, ma non avere Sora non bastava a dirgli chi era.
«Devi trovare il modo di tornare. Qui è
un casino.» mormorò prendendogli una mano. «Mi hai
scaricato tutti i tuoi problemi, non è mica giusto, sai?»
la pelle di Sora era abbronzata e scura, quella di Roxas pallidissima,
eppure in quel momento era lui quello più caldo. Lo
guardò aspettandosi davvero, che potesse dire qualcosa, poi
lasciò cadere la testa sul suo materasso.
Si leccò le labbra, bagnate e salate, e si
diede dello stupido per aver parlato in quel modo ad Axel, quando era
tanto evidente che avesse bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi.
«Puoi aggrapparti a me…» Roxas
sollevò il viso di scatto. «io mi aggrapperò a te,
giusto per un secondo.»
«Io…» era una figura sbiadita e
poco distinta, tra le lacrime che gli velavano gli occhi, ma non era la
vista a suggerirgli il suo nome. ‘Insultami, uccidimi,
odiami.’ «m-mi dispiace.»
Kairi si avvicinò si fermò davanti a
lui, appoggiata al letto di Sora, tra le sue ginocchia. Frugò
nella tracolla che portava appesa alla spalla fino ad estrarne un
fazzoletto, poi gli prese il mento delicatamente con le dita,
tenendogli il viso sollevato. «Ho visto un sacco di cose frugando
nei vostri cuori…» sussurrò piano, asciugandogli
gli occhi, poi le guance. «ho visto quanto eri preoccupato per
Sora…» gli scostò i capelli dal viso, con dolcezza
e Roxas pensò razionalmente e lucidamente che capiva Sora,
capiva Riku e chiunque altro si fosse innamorato di lei: se gli fossero
piaciute le ragazze anche lui l’avrebbe adorata. «ho visto
quanto ami lui.»
«Axel.»
Annuì. «So che vuoi veramente bene a Sora, almeno quanto lui ne vuole a te.»
Roxas gli lanciò un’occhiata. «Forse è stato il mio unico vero amico.»
«Forse.» convenne. «Ma penso che
si tratti di qualcosa di più.» seguì il contorno
delle sue labbra umide con un dito, per poi tamponargli con il
fazzoletto anche quelle. «Non lo abbandonerai, vero? Quando me ne
sarò andata.» qualcosa si incrinò appena nei suoi
occhi, la paura di un rifiuto, come se chiunque avrebbe mai potuto
negarle qualcosa.
«No, certo che no.» la tranquillizzò in fretta.
«D’accordo.» si abbassò su
di lui fino a posargli un bacio sulla fronte. «Aspetto tue
notizie.» gli disse prima di andarsene.
Roxas rientrò tardissimo. Axel era già nel letto sveglio
ed attento: lo sentì chiudere piano la porta, lo sentì
lasciare le scarpe, lo sentì sospirare, lo sentì sedersi
sulle coperte; ma non fece niente. Rimase immobile nel suo letto con
gli occhi aperti fissi su di lui.
Lo sentì scostare le lenzuola ed infilarsi
sotto, rannicchiandosi nell’angolo più lontano da quello
dell’uomo. «Lo so che sei sveglio.»
Fece un mezzo sorriso invisibile nell’oscurità.
«Kairi e Riku se ne sono andati. Sono voluto
rimanere un po’ con lui.» spiegò piano, si
fermò, ma Axel intuì che si trattasse di una pausa, non
di una vera interruzione. «Even mi ha attaccato…»
l’uomo si irrigidì. «cioè, non lui, ha usato
delle copie di Simili.»
«Stai bene?» gli chiese, avrebbe dovuto
uccidere di nuovo Vexen, era fastidioso che, per quanto ti impegnassi a
far fuori qualcuno, c’erano sempre quei due o tre che tornavano.
«Certo.» mormorò quasi
indispettito che non lo ritenesse in grado di sconfiggere un mazzo di
Simili. «Devo farti vedere una cosa, però non devi dirlo a
nessuno, perché…» sospirò esasperato.
«non lo so perché, ma preferisco che non si sappia.»
Axel si tirò su ed accese la lampada accanto
a letto, anche Roxas si mise a sedere, fece un profondo respiro,
tremolante ed impaurito. «D’accordo.» lo
tranquillizzò, infondo, lui era sempre stato piuttosto bravo a
mantenere i segreti.
Il ragazzo allungò una mano davanti a lui, la
sinistra ed Axel capì cosa voleva mostrargli ancora prima che
Oathkeeper gli comparisse nel palmo. Roxas lo fissò ad occhi
sgranati. «Gli ho rubato tutto.»
L’uomo sospirò senza sapere cosa dire.
Certo, il fatto che fosse lui ad impugnare la chiave che era
esclusivamente di Sora, costruita per Sora, non era un buon segno. Gli
si avvicinò e si allungò per togliergliela di mano,
ovviamente, senza più il contatto con il suo possessore,
scomparve. «Non deve essere per forza così.»
cercò di tranquillizzarlo, mentre lui continuava a stare ad
occhi bassi. «Sora non era più il prescelto del keyblade,
eppure era vivo, non è la chiave il motivo per cui non si
sveglia.»
«Non ha più il keyblade, non ha
più i ricordi dei suoi amici più cari… non
c’è niente che possa guidarlo!» esclamò
stravolto.
«Guidalo tu.» fu la semplice risposta di
Axel. «Gli vuoi bene, si ricorda di te, ti vuole bene. Puoi
essere tu.»
Roxas guardò il cielo, che brillava di stelle sopra a Radiant
Garden. C’era il cuore di Sora lì da qualche parte, era
smarrito, debole e solo, ma c’era e questo era l’importante.
Chiuse gli occhi, dimenticò tutto,
concentrandosi unicamente sul proprio battito regolare per estraniare
ogni altro rumore, poi lasciò indietro anche quello.
Sollevò il viso offrendo al loro legame un visione più
totale di tutto quello che era lassù.
‘Ehi, mi senti?’
Il suo cuore iniziò a galoppare, poi Sora spalancò gli occhi. ‘Roxas’ fu la prima parola che disse.
oh! abbiamo resuscitato anche lui...
ancora non vi spiego l'inghippo, però vi assicuro che c'è e prima o poi lo scopriremo...
baci
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Capitolo 16 *** Capitolo 15 ***
sora 3
finalmente!
sorvoliamo sul fatto che sono in ritardissimo, sennò dovrei di
nuovo chiedervi infinite scuse e sta diventando una triste abitudine
che non voglio avere - anche se dovrei scusarmi...
cmq, vi dico subito, subito che per un po' starò più
tranquilla, quindi spero di avere più tempo per scrivere ed
aggiornare...
buona lettura...
Capitolo 15
A Riku bastò un’occhiata per capire che qualcosa non
andava, che quello era Sora, con i suoi capelli, i suoi occhi, le sue
mani e le sue gambe, ma che, allo stesso tempo, non lo era e forse non
lo sarebbe stato mai più.
La cosa incredibile fu che gli bastò
un’occhiata a Roxas per rendersene conto. Un’occhiata a
quell’impostore con il suo viso che non aveva nemmeno il coraggio
di guardarlo in faccia e rivendicare la sua colpa, come se avesse
potuto credere che non si fosse accorto del suo arrivo. Sora invece non
lo aveva notato davvero, perché per lui in quel momento non era
diverso dagli altri estranei che riempivano la stanza. Riku li
sentì bisbigliare, tutti a raccontarsi che era confuso, che
quello che aveva passato gli aveva scombussolato cuore e mente, che
sicuramente con un po’ di tempo e l’aiuto dei suoi amici
avrebbe ricordato tutto.
Solo Roxas continuava a guardare il suo volto
inconsapevole con un misto di frustrazione e scoraggiamento, la voglia
di fare qualcosa per aiutarlo gli si leggeva negli occhi; la certezza
di non poter fare assolutamente niente, anche.
E poi la sua voce a dare forma ad ogni inquietudine. «Chi è lui?»
Roxas chiuse gli occhi, Riku non rispose. Che
avrebbe potuto dire? Il tuo migliore amico, quello per cui hai girato
tutti i mondi, quello per cui sei diventato l’eroe del keyblade,
quello che ha cercato di ucciderti dieci volte e che ti ha chiesto
scusa per sette.
«Ciao.» aveva detto soltanto, fissando
Roxas che ancora non trovava il coraggio di alzare gli occhi su di lui.
«Mi chiamo Riku.» e poi, mentre si avvicinava, la mano tesa
per stringere la sua: «Sono contento di conoscerti.»
Di nuovo.
«Che hai detto a Kairi?» gli chiese Roxas una volta soli.
Nessuno dei presenti al capezzale di Sora era stato abbastanza impavido
da pronunciare quel nome, come se lei fosse un segreto.
Riku prese un respiro profondo come l’oceano,
cercando di trovare un po’ di lucidità, invano. Quello che
era successo prima di arrivare lì era un concetto troppo
astratto: niente riusciva ad essere reale quanto lo sguardo vago di
Sora che gli chiedeva chi era. «Non lo so.»
«Che significa ‘non lo so’?»
aveva ribattuto infastidito. «Qualcosa devi averle detto.»
In realtà no, era soltanto scappato. Non
voleva mentirle, ma non voleva nemmeno trascinarla a Radiant Garden
senza sapere di persona che la situazione si era risolta, che poteva
tornare ad essere la principessa di Sora, che quell’avventura
aveva avuto un lieto fine. A quel punto sapeva di aver fatto bene.
«Non le dirò che si è svegliato.» disse fissandolo negli occhi.
Il suo migliore amico, forse l’unico, vero amico che aveva mai avuto non si ricordava di lui.
«Cosa?!» domandò Roxas incredulo. «Tu devi farlo!»
Scosse la testa, tenendosi una mano sulla fronte,
sostituendo la propria personale delusione con il dolore che avrebbe
provato Kairi: il dolore di Kairi era più importante.
«No, non devo.» era sicuro, per quanto
sembrasse assurdo, che anche Sora l’avrebbe pensata come lui.
«Oh, capisco…» aveva annuito con
enfasi. «Ora che il tuo rivale numero uno non è in grado
di farsi rispettare hai intenzione di approfittarne per…»
Lo sbatté con la schiena al muro senza sapere
prima che potesse finire di dar voce ad un'accusa tanto orribile, il
corpo liscio e lungo del keyblade contro la sua gola; Roxas
deglutì sotto i suoi occhi di ghiaccio. «Kairi sta con
Sora.» gli sibilò arrabbiato. Il suo migliore amico, forse
l’unico, vero amico che avesse mai avuto non si ricordava di lui
ed era tutta colpa sua. «Ed io non la toccherei nemmeno con il
pensiero.» spinse più forte la chiave sotto il suo mento.
Per Roxas stringere i pugni fu quasi un riflesso involontario.
Riku studiò con amarezza Oathkeeper nel suo
palmo lucida e luminosa, talmente diversa da Oblivion. «Non sono
io ad avergli rubato qualcosa che gli appartiene.» disse
lasciandolo e dirigendosi verso la stanza di Sora.
«Devi riportarlo a casa!» gli urlò dietro Roxas tremante, ma non di paura.
«Lo farò.» disse Riku piano,
senza voltarsi. «Quando ricorderà dov’è
casa.»
Rientrò nella camera e trovò Aeris che
gli raccontava la storia di Radiant Garden, mentre gli porgeva un
fagotto con del cibo; gli stava parlando dell’incidente che aveva
portato alla creazione dei Nobody, doveva ricordare, come poteva non
farlo? Ma non c’era segno di coscienza nei suoi occhi, la
ascoltava con grande interesse, non avrebbe dimenticato una sola parola
di quello che stava dicendo. Eppure non avrebbe mai saputo il ruolo
fondamentale che aveva avuto in quella vicenda.
E se avesse scelto lucidamente di dimenticare tutto?
Quale persona avrebbe voluto certi ricordi. Non metteva ovviamente in
dubbio che volesse scordarsi anche di Kairi, ma lei sarebbe potuta
essere soltanto un errore commesso nel strappargli via anni di guerre
dal cuore. Non sapeva cosa avrebbe dato per poter parlare con
Naminé.
«Io me ne vado.»
Sora aveva distolto l’attenzione da Aeris per
guardarlo con un panino in mano. «Non abiti qui?» gli
chiese candidamente.
Avrebbe voluto rispondergli che non ci abitava
nemmeno lui, che casa sua era dov’era Kairi e Kairi era alle
Isole del Destino, ma si limitò a scuotere la testa.
«No.»
«Tornerai a trovarmi?» aveva occhi enormi e sperduti e… era pur sempre Sora.
«Si.» acconsentì con un sorriso. «Verrò presto.»
Lui si strinse nelle spalle. «Magari diventiamo amici.»
Riku scosse la testa deglutendo. «Magari.»
Kairi lo trovò seduto sul tronco dove in genere stavano in tre, dove non sarebbero mai potuti essere in due.
«Ehi, ti ho cercato per tutto il giorno.»
Non la guardò, non voleva vederla e pensare
quanto fosse bella, sarebbe stato come dar ragione a Roxas. Si
ripeté per la milionesima volta perché non volesse
raccontare a Kairi che Sora era sveglio, senza memoria, senza ricordi,
senza di lei, ma sveglio: non lo avrebbe mai perdonato. Aveva fatto in
modo che potesse scegliere quali ricordi lasciar andare proprio per
evitare di perderlo, si era impegnata per dargli la possibilità
di non dover rischiare lei e nonostante tutto, lui l’aveva
scambiata con un corpo per quell’impostore.
«Sono andato a Radiant Garden.» le confessò, una mezza verità.
Per alcuni secondi rimase in silenzio.
«Non avresti dovuto andare da solo.» disse gentile. «Avrei potuto accompagnarti.»
Stava meglio, averlo lontano, non essere costretta
ad avere davanti agli occhi la sua condizione, le faceva bene.
Aveva ripreso a mangiare, passava molto tempo a casa
dei genitori di Sora, cercando di consolare loro, mentre loro cercavano
di consolare lei. Riku però sapeva anche che ogni notte prendeva
la barca ed andava all’Isola dei Bambini; avvolta in una coperta,
dormiva sotto il disegno che lei e Sora avevano fatto anni prima. Lo
sapeva perché una volta suo padre lo aveva chiamato disperato:
Kairi non era nel suo letto, poteva aver fatto qualche sciocchezza.
Invece era soltanto nel posto dove sentiva più vicino il suo
cuore.
«Ma sei pazzo!» gridò Roxas, trovando finalmente Sora.
Quando Aeris gli aveva detto che era sparito, aveva
avuto un attacco di panico, di quelli che non aveva da quando aveva
distrutto i macchinari che tenevano insieme la Twilight Town fasulla.
Aveva avuto un attacco di panico, perché, vista la memoria
bucata di Sora, tutti correvano da lui quando c’era un problema,
tutti contavano su di lui perché prendesse quelle decisioni di
cui nessuno voleva farsi carico.
Ed Axel non era lì.
Roxas non era Sora, avrebbe voluto gridarlo
così forte che l’eco si sarebbe estesa per tutti i mondi.
E mentre lui impazziva, dove era il prescelto dal keyblade?!
In una casetta mezzo distrutta.
«Io mi sono preoccupato, non sapevo dove
fossi, pensavo che ti avessero rapito, credevo che…» si
bloccò, Sora non stava ascoltando niente di quello che stava
sbraitando. Era seduto a gambe incrociate per terra, puntellato sulle
braccia, e guardava un vaso di fiori incredibilmente freschi nonostante
la rovina dell’abitazione. Sembravano quasi la rosa che la Bestia
teneva sotto chiave come il più prezioso dei suoi tesori.
«Non volevo farti preoccupare, ma
qui…» si interruppe non riuscendo a spiegare. «tu
non senti?» gli chiese lanciandogli un’occhiata.
Roxas sospirò esasperato. «Cosa?»
Scrollò le spalle. «Non so, è
che…» lo vide chiudere gli occhi. «c’è
tanta luce.»
Continuò ad osservarlo perplesso; aveva fatto
perdere la ragione al keyblade master per eccellenza, fantastico.
Quella casa diroccata doveva essere rimasta chiusa e disabitata
dall’incidente, era tutto polveroso, le finestre erano sbarrate
da tavole incrociate: luce, era l’ultima parola al mondo che si
sarebbe sognato di affiancare a quel posto.
Sospirò. «Devo riportarti al ricovero.»
«Non ci voglio andare.»
«Perché?»
Sora si alzò lentamente e lo guardò titubante. «Sono addormentati per colpa mia.»
Per alcuni secondi Roxas non poté fare altro se non fissarlo ad occhi sgranati.
«Tu ricordi?!» chiese incredulo.
Ma lui scosse la testa. «Però lo
so.» intrecciò le dita dietro la testa e fece un giro su
sé stesso guardandosi intorno. «Posso stare qui?»
Roxas non sentì la luce, ma qualcosa gli
suggerì che quello era proprio il posto dove Sora sarebbe dovuto
stare, anche se non ne conosceva la ragione.
«Temo di no.» disse dispiaciuto, posando
una mano sullo stipite graffiato della porta. «Potrebbe caderti
in testa il soffitto.» sospirò ancora, lanciandogli
un’occhiata. Si sentiva più calmo ora, e non solo
perché lo aveva ritrovato; Sora continuava ad essere il suo
contatto con un mondo dal quale lui era stato esiliato per troppo
tempo, gli serviva averlo vicino. «Però puoi venire a casa
di Axel con me…» si strinse nelle spalle. «non credo
che impazzirà di gioia all’idea di avere tanti
coinquilini, ma riusciremo a convincerlo.» quando alzò di
nuovo gli occhi su Sora, lui stava sorridendo.
«Sono contento che vi siate
ricongiunti.» disse dirigendosi verso la porta per uscire di
lì. «Almeno è servito a qualcosa…»
«Co…» fece per chiedere Roxas
quando realizzò che Sora ricordava lui, Axel,
l’Organizzazione e di averlo avuto nel suo cuore. Lo rincorse,
quando era già uscito nel giardino interno.
Se avesse guardato con più attenzione avrebbe
trovato una cornice nascosta sotto un velo di polvere, avrebbe visto
una foto che ritraeva i vecchi inquilini di quel domicilio, avrebbe
riconosciuto una ragazzina sorridente con i capelli rossi e gli occhi
blu come l’oceano.
Axel li guardò, tutti e due fermi davanti alla porta di casa
sua, sembravano due cuccioli che supplicavano una ciotola di latte.
Ecco, un altro degli inconvenienti di scegliersi come amante il
più complesso dei Nobody.
«Ehilà, Sora, ti sei svegliato!»
lo salutò studiandolo tutto da capo a piedi, ignorando
volutamente l’altro, che in realtà non sembrava affatto
amichevole, anzi, si aspettava quasi che iniziasse ad urlargli contro.
Se era ancora lì, se il suo amico rompiscatole non lo aveva
portato via, significava che da qualche parte doveva esserci un intoppo.
Sora sorrise annuendo. «Ho sentito
Roxas.» spiegò, come se davvero quella potesse essere una
delucidazione invece che l’inizio di tutta una serie di altri
interrogativi.
Ma Axel, oltre ad essere un uomo molto paziente, era
assuefatto alle stranezze, quindi, non fece una piega e spostò
lo sguardo su Roxas. «Fammi indovinare…»
cominciò.
«Non ricorda lei.» disse sfidandolo con
lo sguardo a non accettare una proposta già di per sé
eloquente. «Non ricorda Riku, ricorda noi e noi dobbiamo
prenderci cura di lui.» annunciò, non era né
un’offerta né una proposta: lui doveva farlo, se Axel non
avesse acconsentito non sarebbe rimasto.
Axel si scostò dalla porta per farli entrare.
«Starete in camera mia.» disse arreso. «Non fate
casino o vi butto fuori.»
Roxas lo guardò dal centro della stanza con
una punta di offesa per quell’offerta che in realtà era
molto più che gentile, Axel non era un tipo esattamente
altruista, quindi sarebbero dovuti essergli molto più che
riconoscenti, però…
«Non è necessario.» rispose con
cortesia Sora, quasi leggendogli nel pensiero. «Posso dormire sul
divano, ci sono già stato, sarà sicuramente più
comodo per me che per te.» spiegò riferendosi alla sua
altezza.
«Sei un ospite, no?»
Lui gli lanciò un’occhiata gelida.
«Lo ero anche prima e non mi ha usato le stesse premure.»
lo rimproverò.
L’uomo rise.
Roxas li guardava senza sapere cosa dire, cosa fare,
cosa pensare. Aveva una corpo, ma in ogni caso lui ed Axel non erano
‘insieme’, non si stavano baciando, né toccando,
figurarsi fare l’amore. Dopo quella prima notte in cui
abbracciarlo e baciarlo era stato come affermare la sua esistenza dopo
anni di morte, non c’erano stati più contatti tra loro. Ed
ora l’unica cosa che riusciva a fare era rinunciare anche al
posto accanto a lui nel letto in favore di Sora.
Che poteva fare se non fingere di essere d’accordo?
«Ti conviene approfittarne.» disse sorridendo a Sora. «Potrebbe ripensarci.»
Il ragazzo lo guardò combattuto e lui gli fece un cenno con la testa. «Va bene, allora.»
«Qual è il vostro problema?» domandò Sora sfilandosi la maglietta.
Roxas seduto sul bordo del letto calciò via le scarpe. «Non lo so.»
«Insomma, mi aspettavo che non mi avrebbe
voluto per non avere altra gente in casa se non te…» si
strinse nelle spalle togliendosi anche scarpe e pantaloni, non poteva
esserci nessun tipo di pudore tra loro, il corpo di uno era il corpo
dell’altro, era come guardarsi allo specchio. «mi aspettavo
di sentirvi litigare dal salotto, perché in quel modo avreste
avuto delle limitazioni per colpa mia.»
Sospirò, un tempo probabilmente sarebbe stato
così. «Ci hai pensato parecchio.» commentò
con amarezza.
Sbadigliando Sora si buttò sul letto e prese
a stiracchiarsi. «Non volevo essere ancora di impiccio.»
Roxas non voleva pensare
all’eventualità che per qualche motivo Axel avrebbe potuto
non volerlo, meglio pensare al suo mezzo fratello che ricordava
soltanto cose inutili: parlava di tutta la loro recente avventura a
Radiant Garden come se la sua memoria fosse a prova di bomba, eppure
non sapeva più chi era Kairi. Come poteva non sapere più
chi era Kairi? Era Kairi!
«Roxas?» iniziò sprofondando con
il viso nel cuscino. «Secondo te chi ci abitava in quella casa
dove sono stato oggi?»
Spense la luce e si tuffò sul cuscino di
Axel, non avevano nemmeno dovuto parlarne, tutti e due ricordavano bene
che Axel dormiva a destra e tutti e due convenivano che quello fosse il
posto di Roxas. «Non so.» ammise.
«C’era qualcosa nell’aria…» sospirò, quasi un gemito.
Roxas si strinse addosso il cuscino di Axel tanto
forte da lasciarci l’impronta del proprio corpo, a volte lo
faceva così arrabbiare… morse la federa perché non
poteva mordere lui.
«Dovresti parlargli.» gli suggerì Sora.
«Di che?» sbottò irritato. «Non ho niente da dirgli.»
«Ok, ci parlo io.»
«Non ti conviene.» borbottò Roxas tetro.
«Perché?»
«Perché adesso posso prenderti a calci.» lo minacciò.
Sora ridacchiò.
«Pensa a sistemare le tue di cose.» in qualche modo alle sue ci avrebbe pensato lui.
Si alzò dal letto quando fu certo che Sora fosse addormentato,
portandosi dietro il cuscino di Axel. Aprì con attenzione la
porta che l’uomo aveva lasciato socchiusa, probabilmente per
essere certo che in caso di bisogno li avesse sentiti, come se fossero
due ragazzini e lui il baby-sitter annoiato. Davvero, umiliante. Non lo
riteneva un ragazzino quando lo baciava attraverso Sora, non lo
trattava da ragazzino quando gli infilava le mani nei pantaloni, non lo
guardava come un ragazzino quando era accucciato tra le sue gambe a
trastullarlo.
No, che non lo faceva.
Lui la chiuse la porta, perché aveva paura di
svegliare e magari spaventare Sora. In realtà la chiuse
soprattutto perché se avesse realizzato che uccidere Axel fosse
l’unica soluzione possibile, voleva poterlo fare in
tranquillità e senza interruzioni.
Si avvicinò al divano furtivo come un gatto,
strinse il cuscino tra le mani e lo colpì infastidito.
Axel soffocò un ‘ahi’, seguito da
un’imprecazione piuttosto fantasiosa. «Rox, ma che
ca…?»
Per un attimo il fatto che fosse sicuro che si
trattasse di lui lo gratificò quasi, poi comprese che tra quelle
quattro mura, lui era l’unico che avrebbe potuto prendere a
cuscinate Axel.
«Si può sapere dov’eri finito
oggi?» chiese nel suo migliore bisbiglio indispettito, prima di
colpirlo ancora. «Avevo perso Sora e tutti si aspettavano qualche
miracolo da me!» un’altra cuscinata, ma stavolta
l’uomo fu abbastanza pronto da afferrare
‘l’arma’ e tirare fino a farselo cadere addosso in un
incrocio di gambe e braccia, familiare quanto il sapore dolce e salato
dei ghiaccioli al sale marino.
«Ma sei impazzito?» domandò,
tenendo il cuscino tra i loro corpi in modo che Roxas colpisse quello e
non lui stesso.
«Ho fatto tutto questo casino per te e mi fai
dormire nel letto con Sora come se avessi dodici anni!»
Axel sospirò e lanciò lontano il
cuscino trovandosi faccia a faccia con lui. Gli posò le mani
sulle braccia per tenerlo fermo, per quanto fosse cresciuto era ancora
più piccolo di lui. «Calmati!» ordinò, per
tutta risposta Roxas sbuffò, ma non tentò di liberarsi
dalla sua stretta. «Lui ha bisogno di te, ma anche tu hai bisogno
di lui adesso.»
Non rispose, cosa che poteva significare il suo tacito consenso.
«Non ho avuto fretta per tutto questo tempo, dovrei iniziarne ad avere ora?»
Ancora silenzio, poi: «Volevo questo corpo per poterti baciare e…»
Axel lo baciò, interrompendo ogni suo
ulteriore tentativo di spiegazione, Roxas rispose con
l’entusiasmo di un ragazzino eccitato e la disperazione di un
uomo abbandonato e ritrovato. «Niente sesso finché Sora
è fra queste quattro mura.» sussurrò sulle sue
labbra dischiuse.
Lui mugugnò, mordendolo piano. «Perché?» chiese in un lamento.
«Perché è Sora.»
Roxas sospirò, ma non perse ulteriore tempo a
parlare quando poteva baciarlo, andava già meglio in quel modo.
Se in quel momento qualcuno fosse stato con Sora, lo avrebbe sentito invocare il nome di Kairi.
date retta a Sora!!
niente da fare, ma vedrete che pian pianino ne usciamo!
baci
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Capitolo 17 *** Capitolo 16 ***
sora 3
pulcine,
devo dirvi una cosa che però è uno spoiler di Kingdom
Hearts 3D... che però devo condividere con qualcuno che capisce
la portata della scoperta... alla fine è lo spoiler del trailer,
non si può mica fare lo spoiler del trailer... facciamo
così io ve lo scrivo qui sotto in bianco, se volete leggete
sennò no...
c'è Axel!! vi giuro che
io e mia sorella abbiamo lanciato un urlo pazzesco quando lo abbiamo
visto, ci sono anche uscite due lacrime perchè... sigh...
oh, mio dio c'è Axel!
vi lascio al capitolo... ci vediamo più giù...
Capitolo 16
Sora spalancò gli occhi nella
stanza ancora buia di Axel con un gemito intrappolato tra i denti ed il
respiro ansante. Deglutì e guardò il letto mezzo vuoto
per l’assenza di Roxas. Doveva essere molto presto se ancora non
era tornato.
Sospirò
per poi prendere fiato, un respiro tremolante, quasi di paura, in
realtà di voglia; tutte le notti era la stessa storia, tutte le
notti sognava la stessa ragazza bellissima, tutte le notti si svegliava
con un’erezione molto ingombrante. Solo che quando si apriva gli
occhi non se la ricordava. Era strano, l’aveva in mente, ma al
tempo stesso non avrebbe saputo descriverla.
Però era bellissima, lo sapeva il suo cuore.
Sentì dei
passi e si voltò su un fianco per impedire a Roxas di vedere in
che condizioni fosse. Lui si infilò nel letto, sospirò
sognante, come tutte le volte che Axel non lo vedeva, poi iniziò
ad indietreggiare con la schiena fino ad appoggiarsi a quella di Sora.
Sorrise pensando che probabilmente erano entrambi eccitati fino alla
disperazione. Avrebbe potuto darsi un po’ di sollievo, avrebbe
potuto alzarsi andare in bagno e finire quello che nel sogno era stato
iniziato, ma non l’avrebbe fatto: finché la voleva, lei
esisteva.
Fece una smorfia pensando che, infondo, se non fosse stato per lui Roxas avrebbe potuto farsi dare sollievo: era stufo di essere d’impiccio.
«Non
aspettarmi stasera.» buttò lì con noncuranza,
mentre sostituiva le tegole rotte della casetta dove era scappato il
primo giorno con altre sane. Aveva deciso di rimetterla in sesto in
modo da poterci passare tutto il tempo che voleva senza che Roxas fosse
ansioso, a volte era un fratello un po’ troppo apprensivo.
Lui sollevò gli occhi e lo fissò. «Perché?»
«Dormo
fuori.» disse solo. Sora non aveva ancora pensato a dove avrebbe
potuto dormire, ma Cloud o Tifa non si sarebbero sicuramente fatti
problemi ad ospitarlo; per conoscerlo da così poco erano
straordinariamente ospitali.
Roxas continuò a tenergli gli occhi puntati addosso. «Dormi fuori dove?» chiese sospettoso.
Si strinse nelle
spalle. «Non so.» ‘dormo fuori’ era stata la
frase sbagliata, avrebbe dovuto dire semplicemente che avrebbe fatto
tardi, molto tardi, così tardi che né Axel né
Roxas si sarebbero accorti del suo rientro. «Ma magari poi
torno…» cercò di rimediare. «solo che potrei
fare tardi.» gli lanciò un’occhiata tanto per vedere
se lo stesse imbrogliando. Ovviamente no, come aveva potuto pensare di
riuscire a mentire proprio a lui: se si fosse messo davanti allo
specchio a dirsi un bugia non ci avrebbe creduto, per quanto potesse
impegnarsi.
«Sora?»
«Nh?»
mugugnò fingendosi molto impegnato nel piantare il chiodo sulla
tegola e molto tranquillo della versione che gli aveva dato, in
entrambi i casi con scarsi risultati. Sbuffò. «Senti, stai
tranquillo, ok? Faccio un giro con Cloud e Leon, chiacchiero con Tifa
ed Aeris, poi torno a casa…» sollevò lo sguardo su
di lui. «così tu puoi stare un po’ con Axel.»
«Rosso, c’è uno
dei tuoi ragazzini che ti cerca!» lo chiamò Cid con il suo
solito tono di voce flautato.
Axel
sollevò lo sguardo verso il suo furgono, coprendosi gli occhi
con una mano per il sole. «Quale dei due?» gridò di
rimando.
«E che ne so, sono uguali! Vuoi che li riconosca? Mettigli una targhetta al collo.»
Era Roxas, a
differenza di Cid, lui non aveva bisogno di nessun cartello per
riconoscerlo; gli bastava un’occhiata nemmeno tanto accurata e lo
avrebbe identificato tra miliardi di copie identiche a lui. Lo
osservò, sembrava indispettito con le mani infilate nelle tasche
della felpa troppo grande, sia lui che Sora parevano sempre affogare
nei vestiti, come se non trovassero mai niente della loro taglia.
«Ho paura
che Sora abbia una ragazza.» disse fissandolo, con un tono che
non ammetteva obiezioni: era sicuramente colpa sua.
«Sora ha
una ragazza.» lo corresse Axel, Kairi era un ricordo doloroso,
incredibilmente. Praticamente avevano combattuto la stessa battaglia,
aveva sviluppato una sorta di empatia per lei, avrebbe voluto
festeggiare la vittoria insieme a lei.
Lui gli
lanciò un’occhiataccia. «Con cui uscirà
stasera e conta di passare la notte?!» domandò sarcastico.
«Non credo sia il suo caso.»
Finalmente Axel
capì e sgranò gli occhi come Roxas si era aspettato che
facesse, trovava consolante a volte che reagisse esattamente come aveva
previsto. «E che intendi fare?»
«Seguirlo e vedere che combina.»
Axel
sospirò e si nascose gli occhi dietro ad una mano. «Questo
è il momento in cui mi dici che non sarai a casa stasera?»
provò a domandare anche se intuiva già che fosse la
conclusione sbagliata.
«Questo è il momento in cui ti dico che tu vieni con me.»
Kairi si guardò intorno sotto
la notte stellata delle Destiny Island, ultimamente le sembrava che ci
fosse qualcuno che la seguiva, ma forse era la paranoia. Spinse la
barchetta, bagnandosi fino alle ginocchia, poi vi salì sopra ed
iniziò a remare in direzione dell’Isola dei bambini, il
profumo di mare le scivolava sulla pelle, tra i capelli, le riempiva i
polmoni.
Sora scrollò la testa, mentre
Yuffie gli spiegava perché Tifa e Cloud non stavano insieme
ancora. C’era un odore strano, l’aria gli sembrava densa,
appiccicosa, salata. Profumo di mare. Sora non sapeva dov’era
quella distesa infinita di acqua blu, ma non era soltanto
un’immagine, era una sensazione. Forse stava in un mondo lontano
da Radiant Garden – c’erano altri mondi oltre Radiant
Garden? – forse sul viso di una persona.
«Devo andare.» disse a Yuffie, interrompendo il suo racconto.
Roxas ed Axel lo videro uscire insicuro.
«Cos’ha?» domandò il ragazzo accucciato dietro una siepe con fare cospiratore.
Axel
ridacchiò, lui era in piedi, semplicemente nascosto dietro
l’angolo di una casa. «Saranno i postumi di un orgasmo
devastante.» lo prese in giro, aggiudicandosi un’occhiata
minacciosa.
«Come fai ad essere così menefreghista!» lo accusò.
L’uomo lo
fissò apertamente irritato, il mondo intero avrebbe potuto
lamentarsi perché non gli importava un bel niente del suo
destino. Xemnas aveva tentato di distruggere l’universo e nel suo
boicottaggio non c’era alcun interesse per tutte le creature che
lo abitavano. Lo aveva fatto per una persona, solo per un Nessuno che
era profondamente diverso da tutti gli altri, e quell’ingrato lo
stava accusando di menefreghismo.
«E se non
se la ricorderà mai?» domandò spietato. «Che
intendete fare tu ed il suo amico? Vietargli di vedere altre ragazze
per sempre?» Roxas non rispose, si limitò a fissarlo
rabbioso. «Se non la ricorda, prima o poi si innamorerà e
se gli vuoi bene quel giorno dovrai essere felice per lui.»
Il ragazzo lo guardò fare alcuni passi e sedersi su uno scalino del giardino interno.
«Se mi
fossi innamorato di un altro che non eri tu…»
iniziò Roxas senza guardarlo, fissando soltanto la schiena di
Sora, il suo viso all’indietro a guardare le stelle. Il legame
tra loro tanto forte da fargli provare sulla propria pelle il suo
stesso smarrimento. «sarebbe stato… doloroso.»
deglutì. «Si è già fatto troppo male per
colpa mia.»
Axel
sospirò guardandolo, guardandoli, poi si accucciò accanto
a lui. «Ti saresti innamorato di un altro?»
Il ragazzo lo
fissò quasi sorpreso per tanta vicinanza inattesa, si sarebbe
innamorato di un altro? Certo, se avesse avuto i suoi occhi, i suoi
capelli, la sua voce, quel modo irritante di prenderlo in giro. Scosse
la testa, mentre lui tornava ad osservare la schiena di Sora.
«Allora, dovresti avere fiducia in loro due.» si strinse
nelle spalle. «In un modo o nell’altro finora sono riusciti
a tenersi abbastanza stretti da non perdersi.» constatò.
Roxas gli
buttò le braccia al collo baciandolo con foga, facendolo
sbilanciare all’indietro e cadere sulla schiena. La sorpresa di
Axel durò pochi secondi, perché con la sua lingua in
bocca il suo cervello trovava sempre la lucidità necessaria per
sapere esattamente cosa fare: per essere il suo amante, ci voleva per
forza il sangue freddo di un assassino.
Si lasciò
sdraiare sulla schiena, cercò le sue spalle e si spinse ancora
più giù, fino alla cinta dei suoi pantaloni enormi,
perfetti per infilarci le sue mani lunghe e sottili. Quando gli
sfiorò appena la pelle liscia del sedere, indugiando sul primo
solco tra le natiche, Roxas si bloccò di colpo e ad Axel venne
quasi da ridere, perché si bloccò esattamente
com’era: ad un passo dal prenderglielo in mano e con la lingua
che abbracciava la sua. Si interruppe per un istante, poteva quasi
immaginare il suo cervello correre a valutare ogni possibile dettaglio,
poi si riaccese. Non si spense più.
Sora trovava quasi offensivo che il
suo impegno a lasciarli soli si riducesse ad un tale fallimento. Li
sentiva sospirare e gemere dietro di lui, ma aspettò ancora un
pochino, almeno finché fosse stato sicuro che andandosene non li
avrebbe interrotti.
Quando
capì che quei gemiti iniziarono ad essere troppo intossicanti
per permettere loro di notare alcun ché, si alzò e si
diresse verso la sua casetta.
Kairi entrò nel posto
segreto, strofinandosi le braccia; quando ci veniva da piccola, quando
ci veniva con Sora, non sembrava così tremendamente umido,
spaventoso, triste. Guardò la coperta che aveva portato
lì la prima notte che ci aveva dormito, la raccolse e ci si
avvolse prima di accucciarsi in angolo e chiudere gli occhi.
C’era un letto ancora
immacolato, certo la coperta superiore era piena di polvere, la
tirò via con attenzione per non sporcare le altre. Prese la
seconda e ci si arrotolò tutto per poi rannicchiarsi in angolo e
chiudere gli occhi. Con la mente già persa per metà
nell’oblio del sonno, non c’erano dubbi che lei esistesse.
Spalancò gli occhi ancora con
la sensazione di essere spiata, si guardò intorno guardinga e
fissò un’ombra all’entrata del posto segreto.
«Sono io.» la tranquillizzò Riku.
Kairi fece un sospiro di sollievo. «Mi hai spaventata.» disse solo riabbassando le palpebre.
«Kairi…» li aprì e lo fissò, era
difficile vedere le sue espressioni al buio, ma gli sembrava
assolutamente colpevole. «c’è una cosa che non ti ho
detto.»
La ragazza fissò il corpo
accartocciato di Sora con ancora il frammento di stella stretto nel
pugno, dormiva e lei era stata tanto silenziosa da non svegliarlo. Lo
vide grattarsi la testa ancora addormentato, muoversi e si coprì
le bocca con la mano per nascondere un verso di stupore: era vivo e non
glielo avevano detto.
Non appena Roxas aprì la
porta mezzo nudo, Kairi gli diede uno schiaffo. Lui si coprì la
guancia colpita con la mano, ma non reagì, la ragazza vide alle
sue spalle Axel osservare la scena, lo ignorò.
«Quanto
ancora pensavi di tenermelo nascosto?» gridò stravolta,
ferita, tradita. Così stupida da pensare che somigliando tanto a
lui ci fosse nel suo cuore abbastanza affetto per lei da volerli
aiutare. Ma Roxas era stato un Nobody, che non lo fosse più era
un dettaglio, un abominio senza cuore, come aveva potuto essere tanto
sciocca da aspettarsi affetto?
Il ragazzo
sospirò, come avrebbe fatto Sora, lei lo trovò
detestabile e non riuscì ad impedirsi di dargli un altro
schiaffo. Roxas non reagì nemmeno a quello.
«Kairi…» provò ad iniziare.
«Non parlare!»
«Ti avrebbe
fatto più male saperlo sveglio.» le spiegò.
«Lui non avrebbe mai voluto farti del male, ma qualcosa è
andato storto…»
Gli occhi le si
riempirono di lacrime e fece un passo indietro, Riku, appena arrivato,
le sfiorò un braccio con la mano e lei si tuffo nel suo
abbraccio alla ricerca disperata di qualcosa a cui sostenersi.
Aveva pasticciato
con i suoi ricordi, con la sua memoria, si era creduta
all’altezza di un tale compito, si era ritenuta più in
gamba ed accurata dell’Organizzazione. Ed ora avrebbe pagato la
sua superbia.
Sora spalancò gli occhi di botto, con l’impressione di essere fatalmente in ritardo.
«Si chiama
Kairi.» guardò Axel, appoggiato allo stipite della porta.
«Sei fortunato, perché è molto bella e ti ama
tantissimo.»
«Kairi.» ripeté. «Chi è?»
«La tua
fidanzata.» rise, strofinandosi il collo con la mano.
«Fidanzata è riduttivo, lei è il tuo cuore.»
«Non me la
ricordo…» mormorò tra sé.
«perché non me lo avete detto prima?»
«Non te la
ricordavi, speravamo che prima o poi ti sarebbe tornata in
mente.» scrollò le spalle, ma sotto la sicurezza che
ostentava gli sembrava che ci fosse dell’altro.
Per alcuni
secondi rimase in silenzio, rimettendo insieme due pezzi in mezzo ad un
marasma di frantumi. «Quel ragazzo con i capelli bianchi,
Riku…» Axel lo guardò. «non è soltanto
uno sconosciuto, vero?»
«Era il tuo migliore amico.»
Sora assottigliò lo sguardo incerto. «Perché non li ricordo?»
«Hai dato via il loro ricordo per liberare Roxas.» disse atono.
Il ragazzo
strizzò gli occhi in difficoltà, alla ricerca di qualcosa
che le loro menti avevano diviso e che a quel punto non era più
così chiaro. «No, non è stato così. Avevamo
fatto un patto, per non perdere nulla.» si prese la testa tra le
mani.
«Che tipo di patto?» domandò Axel improvvisamente guardingo.
«Non volevamo più perdere niente…» scosse la testa.
Lui si
guardò intorno curioso, studiando quella casetta mezzo diroccata
alla quale Sora continuava a tornare, una volta ci abitavano una
vecchietta ed una bambina. «Perché vieni sempre qui?»
Lui si strinse nelle spalle. «Mi ci porta il mio cuore.»
«Perché?» chiese ancora.
«Non lo
so…» rispose in difficoltà. «perché
qui mi sembra che esista.»
«Chi?» continuò, accucciandosi accanto a lui e tirandogli via una mano dalla testa brusco.
«Ehi!» si lamentò, cercando di ritirare il polso che gli stava stringendo.
Axel lo tenne più saldamente. «Sora, chi?»
«La ragazza
che sogno.» sbottò, continuando a cercare di liberarsi,
aiutandosi con l’altra mano.
Continuò a
fissarlo, ignorando ogni suo tentativo, ogni sua lamentela. «Come
è fatta?»
«Non me lo ricordo.»
«Ha i capelli rossi? Gli occhi blu?» lo incalzò.
«Non lo
so!» gridò Sora alzando lo sguardo su di lui. «Non
ero io a dovermi ricordare di lei, io dovevo ricordarmi di te!»
Axel lo
lasciò improvvisamente senza fiato, Sora si massaggiò il
polso arrossato, addossandosi il più possibile contro la parete.
«Non volevo essere in Roxas ieri notte, se sei sempre così
aggressivo!» si lamentò.
«Era questo
il patto che avete fatto.» mormorò più a sé
stesso che a lui. «Tu avresti dato via Riku e Kairi, lui me. Tu
gli avresti raccontato di me, Roxas avrebbe dovuto raccontarti di
lei.»
eh, già...
ma quanto sono carini in questo capitolo Sora e Kairi... cucciolotti...
cmq, fanciulle, siamo agli sgoccioli:
Roxas è vivo, Sora pure, pian, pianino recuperiamo anche tutti i
ricordi... che manca? ah, il keyblade... sicure di rivolerlo!
vi annuncio che, se tutto va come
dovrebbe - il che non è affatto scontato - conto di scrivere
ancora un capitolo ed un epigolo carino... e vorrei che la square enix
leggesse questa storia così impara a fare finali decenti! e che
cos'è...
spero, che questo capitolo vi sia piaciuto!
baci
ps. ho quasi paura a giocare a Kingdom Hearts 3D... prevedo disgrazie!
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
sora 3
ce la faccio... zitte che ce la faccio...
allora, siccome - come sempre - sono grafomane c'è l'eventualità che non riesca a finirla qui!
conto ancora che il prossimo sia l'epilogo perchè è anche ora... magari sarà un epilogo luuungo...
poi, quella è assolutamente la mia citazione preferita di
Kingodm Hearts... lo so, sembra scema, sarà che mentre ci
giocavo e l'ho sentita mi è uscita la lacrimuccia -
perchè sono cosi commuovevole - per me Sora e Kairi sono tutti
lì... patatini!
Capitolo 17
‘Non ti ricordi il mio nome?!
Grazie tante, Kairi…
Ok, ti do un aiutino.
Inizia per S’
Sora la guardava sempre, un po’ morboso forse, ma non riusciva a farne a meno.
Esisteva, bella come aveva sempre sperato che fosse, sorridente, dolce… perfetta.
I ricordi erano tornati, non tutti quanti, ma
abbastanza da averlo spinto fin lì, su un altro mondo per
vederla. Voleva soffocare la paura rimastagli di non trovarla mai, di
essere costretto a sognarla soltanto, per sempre. Anche in quel
momento, con lei tanto vicina da sentire distintamente il suono della
sua voce, la certezza che esistesse e le appartenesse non riusciva a
convincerlo del tutto.
Non staccava mai gli occhi da lei, per essere certo che non sparisse.
Kairi faceva
tante cose: andava in spiaggia con una sua amichetta, che la sua mente
associava al nome Selphie; nuotava con altri due ragazzi, Tidus e
Wakka; andava al posto segreto ed accarezzava le rocce disegnate da
loro. Abbracciava sua madre e piangeva tutto il dolore per la sua
assenza.
In quei momenti
sarebbe voluto andare da lei, abbracciarla, dirle che era lì,
era tornato, non se ne sarebbe andato mai più. Le avrebbe
giurato mille volte che non c’era più alcun keyblade.
L’avrebbe baciata fino a convincerla che era lui, lui soltanto,
nessun Roxas, nessun altro, da nessuna parte. Poi però vinceva
sempre l’incertezza, il dubbio: se i ricordi di Roxas fossero
stati imperfetti? Se non avesse raccontato proprio tutto? E se avesse
dimenticato proprio quella cosa fondamentale, il dettaglio più
importante?
«Ma la vuoi piantare di startene arrampicato lassù come una scimmia?!»
Sussultò,
perse la presa e cadde a terra. Per fortuna, non era un albero
così alto. «Riku!» bisbigliò, guardandosi
intorno per essere sicuro che nessuno lo avesse visto, che lei non lo
avesse visto.
«Va da
lei!» gli ordinò, lanciandogli un panino. Riku aveva
trovato la serenità. Sora non aveva idea di come fosse successo,
un tale miracolo poteva essere opera soltanto di Kairi e la cosa lo
preoccupava. «Questa situazione sta diventando ridicola!»
si stiracchiò, sbadigliando.
Sora raccolse il
panino ed iniziò a giocherellarci nervoso, senza fare niente per
dirigersi verso di lei.
Riku lo
studiò sospirando. «Non hai voglia di parlarle?» gli
chiese con un sorriso, che lui non ricambiò.
Aveva
ricominciato ad osservarla, nascosto sotto l’ombra di una palma,
serio come Riku lo vedeva davvero di rado. «Ho paura.»
Rise, poi si
tolse la maglietta e guardò il mare. «Ad un certo punto,
bisogna smettere di avere paura.» disse come se fosse al cosa
più importante del mondo, prima di tuffarsi e nuotare.
Sora si morse il labbro inferiore
con il pugno chiuso sollevato davanti alla sua porta. La sua mente gli
diceva ‘Bussa, bussa, bussa’, il suo cuore ‘no, no,
no’.
Era il tramonto e
Roxas gli aveva mandato tanti di quei ricordi piacevoli nel caldo
colore del sole che si abbassava, da convincerlo che fosse
l’unico momento possibile per un’azione del genere.
‘Muoviti, fifone!’ – lo rimproverò.
Kairi aprì
la porta e lui rimase pietrificato davanti a lei; anche la ragazza
sembrò piuttosto sconvolta, immobile con la bocca dischiusa e
gli occhi sgranati in attesa. In attesa che gli dimostrasse che era
lui, tutto lui.
«Io
non…» non sapeva cosa dire, da dove iniziare, come farle
capire. Non ne era sicuro nemmeno lui, però era lì.
Kairi
sospirò fissandolo tetra, scoraggiata e per niente contenta di
vederlo. «Come ci sei arrivato fin qui?» gli chiese
paziente, chiudendosi la porta alle spalle ed incamminandosi verso la
spiaggia. Aveva una borsa enorme con sé, così grande che
dentro ci stava un cuscino.
«Cid mi ha
prestato una gummiship.» le spiegò prendendo ad
inseguirla, nonostante lei non lo avesse invitato e non stesse, in
nessun modo, lasciando ad intendere che le facesse piacere essere
accompagnata.
Rise amara.
«Un’idea di Roxas, vero?» non gli sfuggì il
velato disprezzo che trapelò quando pronunciò il suo
nome, Kairi ce l’aveva ancora con lui evidentemente.
«Veramente no.» cercò di giustificarlo.«Volevo vederti e…»
«Resta
lì.» ordinò interrompendolo, degnandolo appena di
uno sguardo, come se posare gli occhi su di lui più a lungo le
avesse potuto fare male. «Dirò a Riku di venirti a
recuperare e riportare a Radiant Garden.»
Le cose decisamente non stavano andando come aveva voluto. «Kairi…» supplicò.
Tornò
indietro con tanto impeto che Sora sollevò le mani, preoccupato
che lo colpisse. Avrebbe voluto che Axel fosse lì, così
avrebbe visto da sé se Miss Bontà poteva odiare.
«Non pensare che ti basti tornare qui e chiamarmi come ti ha
detto di fare.»
«Ma io…»
«Sai, che
c’è?» gli chiese arrabbiata come non l’aveva
mai vista. «La smemorata stavolta la faccio io: non mi ricordo
niente di te, nemmeno il tuo nome!» gridò.
Si rigirò e riprese a camminare decisa in direzione della spiaggia.
«Secondo te, ce la faccio ad
arrivare all’Isola dei Bambini a nuoto?» chiese mordendo la
cena che gli aveva portato, mentre con lo sguardo cercava di misurare
quanto mare ci fosse tra loro e l’isoletta lì davanti.
«Una volta
ci hai provato e meno male che tua padre era andato a pesca e stava
tornando in quel momento, altrimenti saresti affogato.» gli
raccontò. «Quindi, non è il caso di ripetere la
performance.» suggerì, osservandolo prendere un altro
morso. «Tua madre dice che è stanca di prepararti panini,
si può sapere perché non torni semplicemente a
casa?»
«Non torno se Kairi non mi vuole.» disse deciso.
Riku sbuffò. «Kairi ti vuole, Sora.»
«Non è quello che ha detto.» mormorò ad occhi bassi.
Sospirando si arrese. «Che ha detto?»
«Che devi riportarmi a Radiant Garden.» borbottò con la bocca piena.
Una risata echeggiò nella sua testa, del tutto molesta. ‘Sembri me che parlo di lui.’
«Non credo proprio.» rispose a qualcuno che non era Riku.
Il suo amico lo
studiò, vagamente perplesso. «Come pensi di gestire questa
cosa?» non era la prima volta che lo sorprendeva a parlare da
solo, ancora. E visto tutto quello che era successo per toglierlo dalla
sua testa, la cosa era decisamente preoccupante.
Sora sorrise e si strinse nelle spalle. «Non ho intenzione di farlo.»
Lui sollevò le sopracciglia scettico.
«Dopo tutti questi anni, penso che non saprei stare senza.»
Riku rimase a
studiarlo per qualche secondo in silenzio. «Puoi prendere la mia
barca.» gli propose infine.
Sbatté con la testa contro il soffitto della grotta, l’ultima volta che ci era stato non era così alta.
«Riku?» domandò Kairi con voce leggermente ansiosa.
«No, sono io.»
Lei sospirò. «Non dovresti essere a Radiant Garden?»
Non rispose,
strizzò gli occhi, mentre aspettava impaziente che si
abituassero al buio, quando intuì la forma di una fagotto che
sarebbe potuta essere lei ci si sedette vicino. Ma non troppo vicino,
anche se avrebbe voluto. «E così non ricordi il mio
nome.» iniziò.
La sentì muoversi. «No, vattene o stai zitto.» disse brusca. «Voglio dormire.»
Deglutì
agitato dall’idea di averla tanto vicina in un posto tanto
intimo. Ricordava la prima volta che lei lo aveva toccato, lui ci aveva
provato tempo prima, ma Kairi gli aveva scostato la mano e non aveva
più avuto il coraggio. Quindi il primo passo l’aveva fatto
lei. Era rimasto immobile, pietrificato, terrorizzato di poter dire la
cosa sbagliata, di fare la cosa sbagliata; Kairi si era sporta e gli
aveva dato un bacino, il bacio più dolce e zuccheroso del mondo,
per tranquillizzarlo, se fossero state parole avrebbero detto:
‘Va tutto bene, ti amo’.
In quel momento
si sentiva allo stesso modo, ma era sicuro che lei non gli avrebbe
detto ‘Ti amo’.
«Calmati.» gli disse annoiata. «Il tuo cuore fa le capriole e non mi lascia dormire.»
Sora sorrise,
stranamente onorato che lei sentisse ancora così tanto il suo
cuore. Certo che faceva la capriole, galoppava.
«Non…» si schiarì la voce che gli era uscita
roca per il nervosismo. «non importa se non ricordi il mio
nome.» iniziò. «Posso suggerirtelo io e quando me lo
ripeterai faremo finta che te ne sia ricordata da sola.»
Un sospiro. «Non è questo quello che intendevo.»
«Inizia per
S.» azzardò uno sguardo in sua direzione, tornandola con
gli occhi fissi ed enormi su di lui.
Per qualche
minuto l’unico suono che sentì fu veramente il battito
irregolare del proprio cuore, poi percepì qualcos’altro,
un fruscio, un fruscio sul quale si permise di dischiudere un sospiro
di sollievo.
«S,
eh?» fece lei, con aria meditabonda, immaginò il sorriso
sulle sue labbra: doveva aver capito, non poteva star pensando ad una
coincidenza. «Seifer?»
Sora
arricciò il naso e scosse la testa con un sorriso sulle labbra.
«Nah.» e si permise di avvicinarsi a lei di pochissimi
centimetri. Se l’aveva vicina non si sentiva impacciato, non si
sentiva nervoso. Infondo, la prima volta che l’aveva toccato,
dopo che gli aveva dato il bacino più dolce e zuccheroso del
mondo, tutto era stato semplice, naturale come respirare, come evocare
il keyblade davanti ad un nemico.
«Sephirot, allora?»
Roxas nella sua
mente scoppiò a ridere. ‘Non hai altro da fare che spiare
me?!’. Lo sentì gemere subito dopo, qualcos’altro da
fare ce lo aveva, eccome.
«Questa è cattiveria!» sbottò divertito.
Kairi rimase zitta per una manciata di secondi. «Non voglio perdonarti così.»
«Non farlo.» accettò semplicemente, cercando la sua mano piccola e morbida da stringere.
«Mi hai
fatto fare una cosa tremenda.» continuò, ma senza
sciogliere la loro stretta. «Se non fossi stato tu, Riku ti
avrebbe ucciso per avermelo chiesto.»
«Lo so.»
«Non solo mi hai lasciata ancora, ma qualsiasi effetto indesiderato sarebbe stato colpa mia.»
«Io non ti avrei mai incolpata di niente.»
Kairi gli diede
uno schiaffo in pieno viso, uguale, identico a quello che aveva dato a
Roxas. «Ma io sì!» gridò. Si prese la testa
tra le mani. «In quel momento mi sarei strappata il cuore e
l’avrei gettato lontano per poterti dire che Naminè non mi
parlava e non potevo sapere come fare.» scoppiò a piangere
e Sora sentì il cuore chiudersi in una morsa.
Incerto si
avvicinò ancora, azzerando quasi del tutto la distanza che li
divideva, e la cinse con le braccia; lei gli si strinse addosso come se
aspettasse di farlo da secoli e la abbracciò con più
decisione, appoggiando la guancia sui suoi capelli. Si sentì
davvero un ragazzo fortunato.
«Ho bisogno di tempo.» mormorò. «Se non te la senti di aspettare…»
Sora le prese il
viso tra le mani, sollevandolo davanti al suo. «Mi mancavi anche
quando non ricordavo che esistessi.» le sue mani erano ruvide,
consumate, in confronto alla pelle morbida e liscia del suo bel viso.
«Esisti, ti aspetterò tutta al vita.»
Kairi si
scostò e si asciugò il viso con le dita. «Inizia
per S.» lui annuì piano e lei si lasciò sfuggire un
mezzo sorriso. «Sora.»
Axel si chinò sul suo viso e
leccò via la lacrima dalla sua guancia, mentre Roxas nascondeva
un gemito. Si chiese se fosse stato troppo brusco, quando ne vide
un’altra e un’altra ancora. «Vuoi che
rallenti?» gli chiese leggermente allarmato, puntellando i gomiti
ai lati della sua testa, una lacrima poteva anche essere, ma non gli
sembrava di essere stato così tanto brusco da farlo piangere.
Questa volta
più che un gemito, Roxas trattenne un singhiozzo, che
comunque lo scosse tutto come un colpo di tosse. Axel si
allontanò velocemente e gli scostò le coperte di dosso,
preoccupato di scoprirle macchiate, non aveva fatto le cose per bene?
Era entrato troppo presto? Ma erano pulite, bianche, limpide.
«Roxas?» lo chiamò stendendosi al suo fianco,
guardandolo nascondere in un cuscino quel pianto a dirotto. Gli
posò una mano sulla spalla nuda e leggermente umida di sudore.
«Che hai?»
«N-non…» si allontanò dal cuscino e le sue
labbra si piegarono in un sorriso umido. «non ci ho mai creduto
fino ad adesso.» disse guardandolo.
Axel sbatté le palpebre senza capire.
«Il tuo
cuore batte.» annuì. «Io sono vero.» si
guardò i palmi, che aprì e chiuse a pugno un paio di
volte. «Sora sta bene ed è con
Kairi.»
Intuendo il succo
della faccenda, Axel allungò una mano e prese la sua. «Si,
resti qui.» gli assicurò paziente.
Singhiozzò. «Con te.» rise nervoso. «E non
c’è davvero niente che possa portarmi via!»
Axel scosse la
testa, pensando che forse tutti loro avrebbero avuto bisogno di tempo
per abituarsi alla normalità. «Beh, c’è
sempre la voce nella tua mente.» gli ricordò battendogli
piano un dito tra i capelli.
Roxas sorrise e
si asciugò gli occhi con il lenzuolo. «Mi sentirei perso
se non ci fosse.» gli confessò ad alta voce. «Ti
sembra strano?»
L’uomo
sbuffò e si lasciò cadere a pancia in su, intrecciando le
braccia dietro la testa. «Mi sembra da te. Tutto quello che ti
riguarda è strano.»
Gli lanciò un’occhiata divertita. «Anche tu, quindi.» disse studiandolo.
Lui rise, quasi gli avesse fatto un complimento. «Credi che lo perdonerà?»
Roxas
rotolò più vicino a lui, strusciando il viso contro il
suo fianco nudo come una gattino. «Credo che l’abbia
già perdonato.»
Era importante
che Sora e Kairi stessero insieme, fondamentale. «Beh, io non ti
perdono per avermi interrotto così.»
Roxas lo
guardò con il mento appoggiato al suo ventre piatto ed era uno
sguardo così tanto suo che lo portava indietro: alle notti nelle
stanze di The World That Never Was, a tutti quei mondi esotici e tutti
quei nascondigli improvvisati perché se avessero mandato a monte
una missione per del sesso Xemnas li avrebbe uccisi, alle bugie
raccontate a Xion da dietro una porta chiusa, mentre loro erano
già oltre le parole.
Spostò gli
occhi in basso, sulla coperta che lo copriva un po’ e che lui
tirò via piano, prima di leccarsi le labbra. «Vediamo se
mi ricordo come si fa…» rifletté.
Ed Axel fu ben lieto di scoprire che certe cose non le aveva dimenticate.
«Sora, non mi sembra una
grande idea.» commentò Roxas preoccupato, mentre lui
continuava a tirarlo per una mano verso casa sua. Cercò di
liberarsi dalla sua stretta con scarsi risultati.
«Ti vuoi
fidare!» si lamentò sbuffando. «Non lo farei se
pensassi che ti tirerebbero una vaso, no?»
Sospirò.
«Lo so, ma… insomma…» fissò con paura
la porta di casa della famiglia ‘prescelto dal keyblade’
avvicinarsi pericolosamente. «sono quasi sicuro che non
piacerò ai tuoi.»
Sora si fermò e lo guardò. «Come puoi non piacergli, sei me!»
«Forse proprio per questo.» annuì eloquente.
Scosse la testa.
«Smettila, saranno contenti di conoscerti.» si strinse
nelle spalle. «Mia madre ha sempre voluto due figli.»
Roxas
però, era quasi sicuro che non avrebbe voluto due figli in quel
modo, non avrebbe potuto giurarci, ma si entiva autorizzato a credere
che sua madre avrebbe voluto due figli alla vecchia maniera.
Strattonò forte la mano che stava continuando a stringere,
facendolo fermare. «Sora, ascoltami.»
Lo guardò in attesa.
«Lo so, che
questo è un modo per tenerci in contatto.» abbassò
gli occhi. «Radiant Garden e le Isole del Destino sono lontani,
ma non così lontani.»
Sora
lasciò la sua mano e sospirò. «Io vengo con te, ne
ho parlato con Riku…» iniziò, intrecciando le
braccia dietro la
testa ed abbracciando con lo sguardo tutto il piccolo mondo dove si
trovavano. «restare qui significherebbe mettere ancora in
pericolo tutti.»
Roxas scosse la
testa, sfiorandogli piano una spalla. «Non è così,
è finita.»
Gli lanciò
un’occhiata scettica. «Ci credi davvero?» non
sembrava più stanco di combattere, era più una muta
accettazione del suo compito, del destino, di chi era: Sora ed il
prescelto del keyblade, ma...
«Non hai più il keyblade, perché non ti limiti a
vivere felice e contento?» gli propose.
Sora si morse il
labbro inferiore e non rispose. «Sai, quella casetta?» gli
chiese invece, sviando l’attenzione da quel discorso. «Ci
abitava Kairi, per questo mi piaceva tanto, voglio stare
lì.»
Si prese qualche secondo prima di chiederglielo. «Lei verrà?»
Non lo guardò. «Non lo so.» sorrise nostalgico.
Sospirando Roxas
afferrò la mano di Sora, trascinandolo verso casa sua.
«Andiamo a conoscere i tuoi.»
parliamo di Roxas che piange.
ero scettica quando l'ho scritto, insomma, puoi dargli dodici cuori,
Roxas resta Roxas, tutto indifferenza ed apatia, però... anni
dentro Sora a desiderare una vita vera, quello che aveva lui, arreso
alla certezza di doversi accontentare di essere un'ombra nel suo cuore.
a chiedersi se poi avrebbe senso vivere una vita con Axel morto.
poi si trova sveglio, vivo, normale, a fare sesso con Axel... anche io
a fare sesso con Axel mi sarei messa a piangere di gioia...p questo
sarebbe stato meglio ometterlo... cmq, secondo me ha senso che pianga.
si, ho fatto tutta questa pippa solo per questo...
e Kairi perdona Sora. non so esattamente dove trovi la forza,
però se c'è una che lo può fare quella è
lei, non credete?
ci vediamo al prossimo capitolo, chiamato dagli intimi 'L'Epilogo Infinito!'
baci
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Capitolo 19 *** Epilogo ***
sora 3
invece mi è venuto anche di una lunghezza onesta... visto?!
non vi dico nulla... leggete!
Epilogo
«Me la ricordo, sai?»
Sora si
voltò di botto e guardò re Topolino seduto sul tetto
dietro di lui, non si era nemmeno accorto del suo arrivo, ma immaginava
che fosse normale. Non rispose, continuò il suo lavoro di
riparazione, ripensando con rammarico all’ultima volta che si
erano visti, quando si erano battuti, quando gli aveva spezzato un
braccio. Quando poi gli aveva mandato una pozione curativa, quando lui
avrebbe voluto chiedergli scusa mille volte per aver usato il keyblade
contro di lui.
«Kairi bambina. Era luminosissima.» gli spiegò.
«Lo è ancora.»
Topolino
sospirò. «Eravate tutti dei ragazzini quando il vostro
destino è stato deciso e non eravate nemmeno i primi. Il fatto
che siate sopravvissuti dovrebbe darmi speranza, gli altri non ce
l’hanno fatta.» raccontò pianissimo, come se si
trattasse di un segreto. Sora sentì il suono metallico del
keyblade che veniva evocato, e, prima ancora di potersi maledire per
averlo fatto, si voltò a guardarlo; era identico al suo primo
keyblade e lui aveva avuto appena quattordici anni la prima volta che
l’aveva impugnato. «Anche io ho dei dubbi a volte, credi
che non avrei voluto non vederti sballottato di mondo in mondo? Credi,
che quando ho visto Riku cambiare aspetto per salvarti non mi sia detto
‘sarei dovuto essere io’?»
Lui scosse la testa. «Maestà, quello che ho detto…»
«Mi hanno
dato un’arma che non capisco.» continuò
interrompendolo. «Che sceglie il proprio possessore e gli fa
pagare la forza che dona.» sorrise. «Che ti condanna ad una
vita di guerre, una vita di sacrifici, una vita di
fallimenti…» un altro sospiro. «che ti fa
abbandonare di continuo la persona che ami più al mondo per
andare dove la luce ha più bisogno di essere protetta. Capisco
la tua frustrazione, Sora.»
Il ragazzo era
sicuro che fosse così, in realtà non lo aveva mai
dubitato. «Mi avete salvato la vita mille volte, è stato
terribile venire in casa vostra, combattervi e derubarvi.»
«Ti sei mai chiesto cosa sarebbe successo se la chiave non avesse scelto te?» gli domandò.
Se lo era chiesto
milioni di volte, ogni volta che uccideva un mostro si chiedeva cosa
sarebbe potuto succedere se semplicemente non fosse toccato a lui.
«Certo.»
«Dovresti
smettere di farlo.» gli consigliò con un sorriso.
«Non è fortuna, Sora, il keyblade sa quello che vuole, sa
a chi appartiene, in ogni mondo ipotetico, in ogni ‘se’,
è tua. È un’arma testarda, ti avrebbe cercato
ovunque.»
Si morse il
labbro senza guardarlo. «L’ho fatta troppo grossa, non mi
vuole più.» fece un mezzo sorriso incerto.
Topolino gli
diede una pacca sulla spalla. «Sono molto vecchio e molto saggio,
ragazzo…» gli lanciò un’occhiata scettica.
«non credere di potermi prendere in giro.»
«Hai presente il keyblade?»
Roxas gli
lanciò un’occhiata di rimprovero. «Quella specie di
spada a forma di chiave?» domandò sarcastico. «No,
pensa, non me la ricordo.» continuò sempre più
ironico, se non lo avesse conosciuto come lo conosceva, non avrebbe mai
potuto capire come, a volte, potessero uscirgli di bocca certe domande
improbabili. Poi si ricordava che Sora faceva domande sceme quando non
sapeva come introdurre un discorso. Quindi, iniziò a prestargli
più attenzione, nonostante stesse sistemando casa di
Axel… all’incirca, si stava limitando a prendere le cose
in giro e riportarle alla stanza dove appartenevano.
«Se ti dico una cosa tu non la dici a nessuno?» gli domandò.
Lui si
fermò del tutto e lo guardò curioso con un fagotto di
vestiti in mano. «Ok.» acconsentì con una scrollata
di spalle.
«Nemmeno ad
Axel.» continuò Sora e Roxas annuì con la testa.
«Il keyblade…» iniziò, fissandolo. «lo
sento.»
Trattenne il
fiato. «L’hai mai evocato?» Sora scosse la testa,
sembrava quasi spaventato. «Hai intenzione di farlo?»
Sospirò ed abbassò lo sguardo. «Non lo so.»
Roxas
continuò a studiarlo per alcuni secondi, poi lasciò i
vestiti e si avvicinò di un passo. «Sora, qualsiasi cosa
succederà…» il ragazzo alzò gli occhi su di
lui. «questo volta non siamo soli, la affronteremo
insieme.» promise serio.
Sora sorrise. «Credi che in due lo avremmo sconfitto Topolino?» gli chiese.
Lui
recuperò i vestiti e li buttò sul letto. «Credo che
non riusciremmo a sconfiggere Topolino nemmeno con un martello, mentre
dorme.» confessò a malincuore. «Kairi?»
Si strinse nelle
spalle e saltò giù dallo sgabello sul quale era seduto.
«Non dovresti più chiamarti Roxas.» gli
suggerì. «È un nome da Nessuno.»
Riku si guardò intorno
accertandosi che non ci fosse nessuno, poi lanciò il keyblade in
alto, quando riatterrò era diventato una specie di moto
monoposto, pensò che a Cloud sarebbe piaciuta parecchio. Era
stato il re ad insegnarglielo e gli aveva consigliato di fare
attenzione, ‘ma che sei più forte del tuo predecessore ce
lo hai dimostrato’. Non aveva capito cosa intendesse dire, ma lo
aveva ringraziato comunque.
«Te ne vai senza salutarmi?!» domandò incredulo Sora.
Lui si
voltò come se lo avesse sorpreso a fare chissà cosa.
«Sarei passato a Radiant Garden.» si giustificò.
Scosse la testa.
«Sappiamo entrambi che non è vero.» gli si
avvicinò, tenendo gli occhi fissi sul suo mezzo di trasporto.
«Dove andrai?» Riku guardò il cielo, vasto infinito. «Voglio vedere altri mondi, altri cieli.»
«C’è un solo cielo, l’ha detto Kairi,
e…» lo guardò sconvolto. «davvero? Altri
mondi? Non ne hai abbastanza?»
Lui
scoppiò a ridere. «Infondo è quello che ho sempre
voluto fare, ho dovuto rimandare troppo a lungo questo viaggio.»
Per alcuni
secondi nessuno dei due disse nulla e l’unico rumore a riempire
quel silenzio fu il ritmico suono della risacca delle onde. «Che
ti ha detto per farti sentire così sollevato?» non
c’era bisogno di aggiungere un ‘chi’.
Riku lo
guardò, aveva gli occhi fissi sull’oceano,
l’espressione tesa, non si era mai chiesto se Sora fosse geloso
di lui e Kairi, dell’amicizia che li legava nonostante tutto, ma
se si fosse posto quella domanda lì, in quel momento, la
risposta sarebbe stata ‘si’.
Scosse la testa e
sorrise. «Che avrebbe scelto te, in ogni caso.» il suo
amico lo guardò. «Che non è stato perché
sono diventato il bambolotto di Malefica, o perché tu sei
più forte.»
«Mi dispiace.»
Riku gli lanciò un’occhiata scettica. «Che sia tua e non mia?»
Sora rise.
«Adesso non la sento molto mia.» commentò.
«Che non ce ne siano due.»
«Forse non devono essercene, forse basta che io cerchi quella che appartiene a me.»
«Tornerai?»
Salì sul
keyblade e gli lanciò un’occhiata. «Non sto
scappando.» lo tranquillizzò. «E devo tornare, devo
assicurarmi che stiate bene. Siete i miei migliori amici ed ora sei
disarmato, devo prendermi cura di voi.»
Sora lo
guardò, ma non disse niente. Riku pensò che fosse meglio
in quel modo, un ragazzo normale, una ragazza normale, una vita
normale. Lui avrebbe controllato che nessuno interrompesse la loro pace.
Quando fu lontano
e guardò dietro di sé, Sora era ancora lì, il capo
chino a fissare il proprio palmo aperto, vuoto.
Kairi aprì la porta,
trovandosi davanti Sora, intenso, come era sempre stato. Per tutti era
vivace, inquieto, iperattivo, per lei era semplicemente intenso, in
ogni cosa che faceva. Fu sul punto di salutarlo, dirgli qualcosa, ma
lui la precedette.
«Non
dovresti ricordarti il mio nome, sai?» la ragazza sbatté
le palpebre sorpresa. «Non dovresti tornare con me, non sarebbe
saggio.» scosse la testa. «Io il keyblade ce l’ho
ancora.» confessò agitato. «E prima o poi lo
tirerò fuori e sarà un disastro, perché ci saranno
altre guerre, altre vittime…» la fissò.
«potrei essere io e ti lascerei sola di nuovo.»
«Sora?» cercò di interromperlo.
«Ma il
fatto è che in te c’è tanta luce.»
spiegò ignorandola. «L’ha detto anche il re. Se ci
sarà una guerra, tu sarai sempre coinvolta e senza keyblade non
posso proteggerti. Non posso fare niente senza keyblade!»
«Sora?» provò ancora.
«Se sto con
te senza keyblade, non posso salvarti!» esclamò con
vigore. «Non è più importante salvarti?» le
domandò.
Kairi si coprì la bocca con la mano per nascondere un sorriso.
«Quindi,
non dovresti stare con me. Perché io voglio poterti salvare e
non voglio che sia Riku a farlo.» sbottò irritato.
«E non dovrei amare il mio salvatore.» tentò di concludere il suo delirante discorso.
«No, basta un ‘grazie’.»
Annuì incerta, ma senza smettere di sorridere. «Ok.»
«Bene.»
Si
allontanò quasi correndo, lei continuò a rimanere sulla
soglia anche dopo che fu sparito dal suo campo visivo. Sorrise da
sola e scosse la testa. «Grazie, Sora.»
Axel entrò nel soggiorno
vuoto e si passò una mano tra i capelli sporchi di tutto,
distrattamente si chiese dove fosse Roxas e se sarebbe tornato presto,
poi ricordò che, infondo, non c’era più niente di
cui preoccuparsi. Si sfilò la maglia ed entrò in bagno,
trovandoci l’altro seduto sulla tavoletta del water abbassata in
attesa.
Lo studiò
per qualche secondo, fiducioso che un attento studio
dell’ambiente circostante potesse fornirgli qualche dettaglio
sulla situazione, speranza vana. «Che stai facendo?»
«Come potrei chiamarmi?» gli domandò di rimando lui, chinandosi a slacciarsi le scarpe.
Axel rimase in silenzio per qualche secondo, studiandolo. «Eh?» sbottò infine.
«Sora ha
detto che secondo lui non dovrei più avere il nome del suo
Nobody, ma un nome tutto mio.» continuò a spiegargli,
mentre lottava con i gomiti dentro la maglia grande per toglierla.
«Tu mi chiami Axel.» gli ricordò, slacciandosi i pantaloni.
Roxas
sbuffò ed incrociò le braccia sul petto infastidito.
«Si, ma tu eri il Nessuno di te stesso.»
L’uomo
sospirò. «Hai pensato a qualche nome che ti piace?»
si allungò dentro la doccia ed aprì il getto
dell’acqua per farla scaldare.
Lui scosse la testa rammaricato. «Come faccio a dare il nome a me stesso?»
Axel si
ritirò indietro e lo guardò. «E perché
dovrei farlo io?» capì di aver fatto la domanda sbagliata
quando sgranò gli occhi, fissandolo come lo fissava sempre sul
punto di offendersi.
Distolse lo
sguardo dal suo, cupo. «Sei sempre stato quello che chiama il mio
nome più spesso.» borbottò.
Sorrise e scosse la testa. «Ven ti piace?» gli chiese.
«Ven?!» domandò, storcendo il naso.
«Di Ventus.»
Ripeté
quel nome un paio di volte ed Axel pensò che fosse il nome
perfetto, gli piaceva come la sua bocca si muoveva per pronunciarlo.
«Perché mi è familiare?»
Si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
«Ven.» mormorò ancora. «Mi piace.» e
sorrise, togliendosi il resto dei vestiti ed infilandosi sotto la
doccia insieme a lui.
Sora e Kairi erano immobili davanti alla Fortezza Oscura, mano nella mano.
«Sei sicura?» le chiese.
Lei sorrise ed annuì.
«Poi non
potremo tornare indietro, sarà come dire a tutti che, sì,
c’è ancora un nemico da sconfiggere.»
continuò.
«Non posso amarti senza.» disse semplicemente.
Sora le lanciò un’occhiataccia. «Questo non è carino da dire.»
Kairi si strinse
nelle spalle. «Ma è la realtà.» fece un mezzo
passo laterale, appoggiandosi al suo braccio. «Sei Sora e sei il
prescelto dal keyblade. Essere il prescelto dal keyblade ti rende Sora,
essere Sora ti rende il prescelto dal keyblade.» la ragazza si
portò una mano al petto, stringendo» nel pugno il ciondolo
che aveva sempre portato con sé. «Una volta una fata
gentile e dai capelli blu mi ha fatto un incantesimo…»
iniziò a raccontare, sorprendendolo, perché la conosceva
da sempre ed aveva ancora qualcosa da raccontargli che non sapesse
già. «ha detto che se mi fossi trovata in pericolo la sua
magia mi avrebbe guidata al cuore più luminoso e forte.»
lo guardò. «Sora, io sono venuta da te.»
«Magari avresti trovato un altro cuore luminoso.»
Kairi sorrise e scosse la testa. «Il mio cuore è testardo, ti avrei cercato ovunque.»
Lui la
fissò senza dire niente, poi allungò il braccio. «E
va bene…» sospirò, ma poi sorrise, mentre la luce
li avvolgeva.
signora square enix? lo vede come si scrive un lieto fine? ecco, IMPARI!!
fanciulle e fanciulli, ce l'abbiamo fatta, mica è poco!
spero che l'epilogo vi soddisfi e mi scuso se non rispondo alle vostre
recensioni... vado un po' di fretta, ma volevo assolutamente postarvi
il capitolo e scrivere la parola 'fine' a questa storia!
però, vi preannuncio che non ho intenzione di sparire dal
fandom... adoro Kingdom Hearts ed un buon 90% dei suoi personaggi, in
più ho una cotta per Sora dai miei... ehm... sedici anni?
è quasi amore! quindi non vado da nessuna parte!
ci vediamo presto!
un bacione ed un grazie a tutte quelle che mi hanno seguita, preferita, ricordata o recensita...
un saluto speciale a Ka93 che mis egue fedelmente dal prologo!
alla prossiam avventura!
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