Down in a Hole di AgnesDayle (/viewuser.php?uid=112611)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** London Calling ***
Capitolo 3: *** The Fifth Beatle ***
Capitolo 4: *** The Invisible Agnes ***
Capitolo 5: *** Ulysses, I've found a new way ***
Capitolo 6: *** Today is the greatest day I've ever know ***
Capitolo 7: *** Tonight, so bright tonight ***
Capitolo 8: *** There is a light that never goes out ***
Capitolo 9: *** Agnes in the sky with diamonds ***
Capitolo 10: *** You used to be alright, What happened? ***
Capitolo 11: *** Blackberry Stone ***
Capitolo 12: *** Where do his intentions lay? ***
Capitolo 13: *** Outside the Wall ***
Capitolo 14: *** Down in a hole ***
Capitolo 15: *** Despair in the departure lounge ***
Capitolo 16: *** Empty Spaces ***
Capitolo 17: *** Lord knows it would be the first time ***
Capitolo 18: *** Sutcliffe ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo bis
Down in a Hole
Londra, 4 agosto 2013
I giornalisti erano in agitazione. Da ore aspettavano nella
piccola sala stampa dell'ospedale "Chelsea and Westminster" senza che
nessuno accennasse al motivo della loro convocazione. Nonostante fosse
agosto e quella fosse l'estate più torrida a memoria d'uomo,
dovettero pazientare: sapevano che ne sarebbe valsa la pena.
Tutti i giornalisti, i soliti in realtà, si confrontavano tra
loro, chiedendosi cosa li stesse aspettando. Cercavano indizi negli
avvenimenti degli ultimi giorni; tentavano d’interpretare le
ultime dichiarazioni.
Se quel mestiere esigeva un gioco d'anticipo, loro ne erano sempre
stati all’altezza, tranne quando la notizia riguardava quei tre:
Simonon, Dayle e Sutcliffe.
Fin dall'inizio delle loro carriere, l'attenzione dei tabloid si era
inevitabilmente concentrata su quei ragazzi dai modi di fare schivi e
riservati e, proprio per questo, ancora più seducenti. Ogni
aspetto del loro passato, da quello più insignificante a quello
più sordido, era stato svelato. Ogni uscita era stata
fotografata e i loro atteggiamenti studiati in ogni particolare. Capire
che tipo di legame
ci fosse tra i tre era diventata l’ossessione di ogni giornalista
scandalistico. Chiunque si fosse fatto un’idea del loro rapporto,
l’aveva venduta come una verità assoluta, senza provvedere
a verificarne l’attendibilità e i tre d’altra parte
non si erano mai preoccupati di smentire, disinteressandosi del tutto
di quelle storie.
Verso mezzogiorno la modella entrò scortata dalla sua agente e
da altri collaboratori: con lei anche il primario di Chirurgia generale
dell'ospedale. I giornalisti si mossero impazienti sulle sedie.
Agnes Dayle ancora una volta li spiazzava. Nulla del suo aspetto faceva
pensare ai giorni difficili che aveva appena vissuto. Composta.
Impeccabile. Un volto limpido, senza trucco. Una semplice camicia
bianca su un pantalone blu. Eppure la sua immagine trasmetteva un
dolore così insopportabile che smosse l'animo di qualche
giornalista. Da cosa traspariva quel dolore nessuno sapeva dirlo con
certezza. Forse dalla posizione un po' incurvata delle spalle. Forse da
come tremavano le labbra quando scambiava qualche parola con la sua
agente. Forse dallo sguardo: i suoi occhi non si fermavano mai su
qualcuno; vagavano da un volto a un altro dei presenti, come se al suo
passaggio ogni viso scomparisse.
Prese la parola l'agente.
-La signorina Dayle vi ha convocati qui per rilasciare un importante
comunicato. Prego tutti i giornalisti di non interrompere la mia
cliente; le domande saranno ammesse solo dopo che lei avrà
finito. Se qualcuno la interromperà sarà subito
allontanato dalla sala. Grazie.
I giornalisti impugnarono i registratori, i cameramen e i fotografi puntarono l'obiettivo sulla modella. Tutti in attesa.
La giovane si sporse appena verso il microfono. Prese un respiro e disse quello che nessuno poteva nemmeno immaginare.
-Oggi Sutcliffe è morto.
Agnes osservò i volti sconosciuti davanti a lei, determinata a
non far trapelare nessuna emozione. "Quando verranno a chiederti del
nostro amore, un amore così lungo tu non darglielo in fretta".
Un ingorgo di parole premeva sulle labbra serrate, ma quella promessa,
almeno quella, l'avrebbe mantenuta. Non avrebbe omesso nulla. Avrebbe
parlato della grande passione che li aveva uniti, dell'abisso nero e
profondo in cui era stato facile perdersi e di un legame, d'affetto e
d'amore: l'unica luce che non sarebbe mai andata via.
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Capitolo 2 *** London Calling ***
DIAH 1
London Calling
La vita non poteva essere tutta lì. Agnes voleva di
più, molto di più. Quel pensiero la assillava da quando
si era diplomata e aveva deciso di interrompere gli studi. Nonostante i
suoi genitori avessero tentato di dissuaderla, lei era stata
irremovibile: lo studio non era la sua strada. Non perché fosse
stupida o svogliata, ma semplicemente perché in quel
campo non aveva mai primeggiato e Agnes aveva un'unica
certezza: qualsiasi cosa avrebbe fatto della sua vita, lei sarebbe
stata la migliore.
L'ultimo anno era volato e non era affatto soddisfatta di
sé: mentre le sue ex compagne erano tutte impegnate a
sperimentare la vita fuori casa, ad assaporare le grandi città
dell'Inghilterra e a programmare il loro futuro, lei era rimasta
bloccata nel paesino a fare da semplice assistente al padre. Non poteva
crederci nemmeno lei: la popolare Agnes, la ragazza più carina
dell'ultimo anno era ancora lì, in quell'angolino di mondo
così angusto da non poter contenere nemmeno uno dei suoi tanti
sogni.
In quella tiepida sera di settembre, Agnes si sedette su una panchina
del giardino di casa, quello stesso giardino, rigoglioso e
verdeggiante, che la faceva sentire
protetta tanto da superare le sue insicurezze e riuscire a
strimpellare la chitarra e a intonare qualche ballata rock dai toni
delicati.
Agnes amava la musica. Si può dire che fosse l'unica cosa a
coinvolgerla fino in fondo. Sapeva anche di avere una voce particolare
che poteva risultare piacevole se controllata, ma le rare volte in
cui aveva tentato di cantare davanti a qualcuno che non fossero i suoi
genitori o suo fratello, si era sempre bloccata, beccando delle
stonature che l'avevano fatta sprofondare dall'imbarazzo. Si
accontentava di cantare per sé, tra i roseti del suo giardino.
-Agnes.
La ragazza fermò le mani sulla chitarra e si girò verso
la figura slanciata che stava camminando nella sua direzione: Teodore
Dayle, stimato medico della piccola comunità di cui facevano
parte, si sedette accanto alla figlia e rimase un po' in
silenzio.
Paternale in arrivo, pensò scocciata la ragazza.
-Diventi sempre più brava.
Quel commento finì con il sorprenderla: suo padre non aveva
mai commentato la sua passione per la musica, nonostante
l'avesse ereditata proprio da lui.
Da quello che aveva capito Agnes, ai tempi del college, il suo
mite e dolce papà non era esattamente quello che si direbbe uno
studente modello. Lungi dall'essere interessato ai suoi studi, Teo
Dayle, con la sua fedele Strato, aveva suonato nelle band dai nomi
più improbabili; i componenti di queste finivano quasi
sempre con il prendersi a scazzottate davanti a quelli che solo
qualcuno un po' troppo di parte, o troppo ubriaco, avrebbe chiamato
fans. Non sapeva come né perché, ma a un certo punto Teo
aveva smesso di crederci; accantonato l'amore per la sua chitarra, ne
aveva scoperto uno tutto nuovo per una donna: la ragazza
più studiosa del suo anno, Andy. Per lei, e per lei soltanto,
aveva desiderato qualcosa di diverso, di migliore: Teo voleva essere
all'altezza di quella donna e ancora ora, dopo anni di matrimonio, non
provava alcuna vergogna nel riconoscere che non aveva smesso di provare
a meritarsela davvero.
Agnes non seppe come rispondere a quel complimento inaspettato.
-Non guardarmi così: dico davvero,- le rivolse un'occhiata intenerita,- dovresti prendere coraggio, però.
Puntuale come sempre, suo padre era andato dritto a colpire il solito
tasto dolente. Non gliene faceva una colpa, in fondo. Ma
quell’argomento sembrava diventato il preferito dei suoi
genitori, insieme all’aumento vertiginoso delle imposte negli
ultimi anni e alle discutibili doti culinarie della zia Molly. Agnes
abbassò lo sguardo e cominciò a pizzicare le corde della
sua chitarra.
-A quanto pare questo è il tema della mia vita,- replicò con una piccola smorfia.
Il padre sospirò, passandole un braccio intorno alla spalla.
-Cosa vuoi, Agnes? Vuoi continuare a farmi da segretaria? Sai che per
me non c'è problema, ma ti conosco e so che non vuoi questo.
Vuoi passare la vita a sognare senza mai provare a realizzare i tuoi
sogni? Vuoi stare qui a chiederti come sarebbe vivere davvero?
Nonostante il tono dolce erano parole dure, pesanti come solo la
verità può essere. Qualcosa si mosse dentro Agnes.
-Io vorrei...
-Io voglio, Agnes. Tu vuoi qualcosa e te lo vai a prendere.
-Voglio Londra, papà.
Lui sorrise, soddisfatto. -E ci hai messo un anno prima di capirlo?-
replicò fingendosi burbero, prima di alzarsi. -Sai che non
sarà facile convincerla, vero?
Lei non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, prima di annuire.
-E sai anche che non devi dirle che ti ho spinto io a prendere questa decisione, vero?
-Lo chiamavano Cuor di leone,- commentò con un sorriso ironico.
***
Il cambiamento iniziava con un viaggio in treno. Agnes avrebbe dovuto
essere soddisfatta, forse addirittura compiaciuta di un taglio
così netto rispetto alla sua vita precedente. Ma qualcosa le
impediva di gustare a pieno quel particolare momento, distraendola dal
libro che aveva portato con sé e persino dalla musica che,
attraverso le cuffie, filtrava nelle orecchie. Un sottile senso
irrequietezza la portava a girarsi nervosamente sullo scomodo sedile e
a guardare l’ora sul cellulare stretto tra le mani.
La verità era che non riusciva a provare neanche una goccia
dell’entusiasmo che tante volte aveva immaginato che
l’avrebbe colta in una situazione del genere.
"Un conto è sognare, un altro è vivere...", constatò con gli occhi fissi sul finestrino.
Sì, perché nel sogno lei era sorridente, allegra e finiva
con il fare amicizia con qualcuno seduto sul sedile accanto, fino a
scoprire che anche lei o lui si recava a Londra per realizzare i propri
sogni. La realtà, invece, era terribilmente noiosa. Tra uno
sbadiglio e l'altro, si rendeva conto che non aveva molto per cui
sorridere e che nessuno sul sedile accanto avrebbe ricambiato il
sorriso. Né i marmocchi che bisticciavano sui sedili di
fronte né l'uomo di mezza età, impegnato a leggere
il Financial Times.
Un messaggio in arrivo giunse a distrarla dal torpore del viaggio.
"Sei stata grande sorellina.
Non pensare troppo alla mamma. Nonostante tutto, sono sicuro che la farai ricredere.
Papà ti ricorda di non dare confidenza ai clienti di Gheorghe…Né a Gheorghe, soprattutto!
Rey."
Agnes sorrise davanti a tanta dolcezza. Nata solo dopo undici mesi
dalla nascita di Rey, non aveva mai avuto un rapporto idilliaco con il
fratello: dopo un'infanzia passata a bisticciare e un'adolescenza
trascorsa ad ignorarsi amabilmente, avevano finalmente capito che nella
continua lotta con i genitori l'altro poteva essere un alleato e non un
nemico.
Le sue labbra si strinsero in una smorfia infastidita, quando
ricordò a se stessa che più che lotta con i genitori il
tutto si risolveva in un perenne scontro tra ciò che volevano i
figli e quelle che erano le aspettative di sua madre.
Quei pensieri riportarono alla mente di Agnes la discussione che era
esplosa in casa alcuni giorni prima, quando si era decisa a parlare dei
suoi progetti futuri. Poteva ancora sentire il tono con cui la madre
aveva pronunciato le parole "irresponsabile", "come tuo padre" e "piedi per terra".
Fortunatamente per lei, Teo, sentitosi chiamare in causa, era
intervenuto nella discussione. E da lì il compromesso era
arrivato presto.
La madre aveva contattato una sua compagna del college, chiedendole se
per i primi tempi potesse accogliere la scapestrata figlia facendole da
guida.
Il padre le aveva trovato un lavoro di cameriera presso un suo vecchio
amico, sotto gli occhi inviperiti della moglie che tremava al pensiero
di che razza di amico potesse mai trattarsi.
E Agnes... Agnes si sentiva un bel pacco postale formato gigante.
***
La prima volta fu rapida e - quasi - indolore, senza uno scambio di parole.
Erano trascorse due settimane dal suo trasferimento a Londra e non
aveva avuto un attimo per riflettere sulla portata di questo
avvenimento. Per lei, da sempre portata ad analizzare tutto ciò
che le accadeva, era un’autentica novità.
Ogni risveglio era accompagnato dalla voce petulante di Kayla Bishop,
l’amica cui sua madre aveva voluto affidarla. Kayla, una
divorzista di successo con due matrimoni alle spalle, aveva la
fastidiosa tendenza a controllare ogni suo movimento e a criticare
tutto ciò che la riguardava. Ormai Agnes si era convinta che sua
madre l’avesse mandata di proposito da quella donna, dal momento
che era così odiosa, petulante e ligia al dovere da poter
scoraggiare chiunque in brevissimo tempo. Ma si sbagliava,
perché non solo Agnes non si sarebbe arresa, ma anzi era
più motivata che mai a cercare una diversa sistemazione.
Il lavoro, invece, le aveva riservato delle sorprese, alcune delle
quali non molto piacevoli. Più che una cameriera, Gheorghe
cercava una barista che fosse disposta a pulire e rassettare il locale.
Così, quando aveva scoperto che Agnes non sapeva nulla di
cocktail e soprattutto di whiskey, aveva iniziato a maledire Teo Dayle
e tutta la sua discendenza. Poi, passata l’incazzatura per la
bugia che gli aveva rifilato il vecchio amico, aveva iniziato a
spiegarle pazientemente le differenze tra i vari alcolici, i marchi
migliori e come servire i diversi drink, avvisandola che se non avesse
imparato in fretta l’avrebbe rispedita indietro.
A quanto pareva, però, oltre all’altezza e
all’interesse per la musica, sembrava che Agnes avesse ereditato
dal padre anche una certa predisposizione per i drink. Così,
sotto la rigida supervisione di Gheorghe e quella fastidiosa di Kirk,
l’altro barista che lavorava solo occasionalmente al
Kirchherr’s, Agnes aveva imparato a destreggiarsi dietro al
bancone del locale, tra Guinness e Scotch.
Erano le quattro del pomeriggio, il pub era pressoché deserto e
Agnes era in pausa. Seduta sulla panchina, si stava gustando qualche
pagina del suo nuovo romanzo, quando li vide. Sapeva di essere
un'attenta osservatrice, ma era chiaro che per chissà quale
motivo quei due ragazzi li avrebbe notati chiunque. Stupidamente, per
prima cosa provò un moto di invidia, perché il suo sogno
inconfessato era proprio quello: non passare mai inosservata. Tuttavia
le bastò una semplice occhiata per capire che a quei due non
fregava proprio niente dell'effetto che facevano sul mondo intorno a
loro.
Erano belli, in due modi molto diversi l'uno dall'altro, e in quel
momento Agnes non era in grado di stabilire chi dei due lo fosse di
più.
Forse il ragazzo appena un po' più alto, magro ma
più largo di spalle. Bello anche con i capelli castani malamente
coperti da un berretto da baseball, così come gli occhi erano
nascosti dietro un bel paio di Rayban neri; Agnes si sentì
attratta dalla forma particolare del viso e quel filo di barba incolta
che gli conferiva un'aria decisamente virile.
Ma poi il suo sguardo si soffermò sull'altro ragazzo e
capì che non era affatto da meno: i capelli scuri, quasi neri,
gli ricadevano appena sulla fronte liscia; anche i suoi occhi si
nascondevano beffardi dietro delle lenti scure. Agnes si
soffermò su quelle labbra carnose che rosse spiccavano
rispetto al viso chiaro e imberbe.
Camminavano lungo la strada con un'espressione poco rilassata sul viso
e ogni tanto uno dei due si girava verso l'altro rivolgendogli qualche
parola: erano nervosi, scocciati per qualcosa.
Agnes fu sorpresa nel vederli fermarsi proprio vicino a lei. Colse
l'occasione per osservarli con la precisione che solo lei sapeva
dedicare ai dettagli più insignificanti: quello con il berretto
si era attaccato al cellulare e si guardava nervoso intorno; indossava
una di quelle camicie a quadrettoni, larga, lasciata aperta a scoprire
una semplice t-shirt bianca, sopra un paio di jeans scuri.
L'altro, dalla figura più sottile, le dava le spalle con una
mano sul fianco, intento anche lui a guardarsi intorno. Indossava una
t-shirt con una stampa particolare e dei jeans chiari. Mentre
l'altro era impegnato nella telefonata, lui si accese una sigaretta e
si girò verso Agnes.
Non abbassò lo sguardo. Non era timida, Agnes ma neanche
sfacciata: rimase nell'esatta posizione e con la stessa espressione in
cui il ragazzo l'aveva beccata a fissarlo, pregando che non l'avesse
notata e sperando segretamente di non essere talmente anonima da non
poter essere notata neanche a una distanza così ravvicinata.
Lui, per tutta risposta, sollevo un po' il capo, portò la sigaretta alle labbra e infine le rivolse un sorriso obliquo.
Agnes quasi sgranò gli occhi per la sorpresa. Se l'era immaginato o le aveva sorriso davvero?
-Alla buon'ora, ragazzi!
L'inconfondibile vocione di Gheorghe la distrasse da quella muta
domanda. Si era affacciato da una finestra del piano superiore e,
sventolando la mano con cui teneva il cellulare, stava richiamando
l'attenzione dei due giovani.
Come se ne avesse bisogno, con quella voce!
-Che fate lì imbambolati? Su entrate.
I due stavano entrando nel pub, quando il vocione tornò a tuonare inesorabile.
-Agnes sei ancora lì? Benedetta ragazza...Ti avevo detto di andare a comprare qualcosa per il cesso intasato!
I due, come il resto dei passanti, si girarono ghignando nella sua
direzione. Stavolta non poté fare a meno di sgranare davvero gli
occhi e dileguarsi quanto più veloce possibile. Quei due,
talmente perfetti da farla star male, l'avrebbero associata a un cesso
intasato.
Ringrazio Trigger per la splendida immagine che fa da copertina
e un grazie a chi passa da qui e regala un po' del suo tempo alla mia storia.
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Capitolo 3 *** The Fifth Beatle ***
capitolo 2
The Fifth Beatle
La seconda volta era preparata. Ma non meno agitata.
Quando era
tornata al pub con il suo acquisto prodigioso, aveva tergiversato
davanti all'ingresso. Non voleva sottoporsi allo sberleffo di quei due.
Forse era poco autoironica ma non voleva essere ridicolizzata proprio
da quei due ragazzi, quando lei aveva perso diversi minuti ad ammirarli
da lontano.
Si disse che
farsi trovare lì sarebbe stato anche peggio. Quindi
entrò. Per non trovarvi nessuno. O meglio, qualcuno c'era ma i
suoi occhi avevano deciso, chissà per quale motivo, di
ignorare l'immagine di Gheorghe intento a passare lo straccio.
-Ce ne hai messo di tempo, ragazza...-
Lei si disse
sollevata. Ma per quell'assenza si sorprese a sentire anche un po' di delusione.
Si costrinse a
non pensarci e si mise a lavorare. Ovviamente non ci riusciva. Si
chiedeva chi fossero quei due ragazzi; come mai avessero un
appuntamento con Gheorghe; e, soprattutto, cosa più importante,
se sarebbero tornati.
Il magnanimo Gheorhe le diede la risposta senza sapere quanto lei ci tenesse.
-Dobbiamo fare un po' di spazio lì-le disse indicando una zona del locale- per la band che suonerà stasera.
-I ragazzi di poco fa?- chiese lei con un'indifferenza che era ben lungi dal provare.
-Si. I ragazzi
sono venuti per vedere le condizioni del locale, "se è
abbastanza grande"- disse in tono canzonatorio -Bah...Ragazzini, come se
il Kirchherr's non fosse alla loro altezza-
-Presuntuosi?-
Lui la
guardò con un sorriso nostalgico per poi spiegarle -Cara, devi
sapere una cosa sui musicisti: sono tutti arroganti e presuntuosi. E'
una continua competizione il mondo della musica e per emergere, per
essere qualcuno...devi essere semplicemente il più stronzo degli
stronzi- Concluse ghignando ma, evidentemente, perso nei suoi gloriosi
ricordi.
-E tu lo eri, vero?-
-Cosa?
-Il più stronzo degli stronzi!- disse lei con un sorrisetto.
Sapeva di
potersi prendersi queste libertà con Gheorghe. E poi avrebbe
capito che si trattava di un complimento. Ogni sera, quando i clienti
diminuivano, il vecchio rocker prendeva il posto del chitarrista di
turno e suonava con un gruppo di ragazzini a cui faceva sudare freddo.
Il sorrisetto
però scomparve nel momento in cui sentì Gheorghe dire
piano, con una voce appena un po' malinconica -Forse no, dopotutto-
Ecco, ora lo
sapeva. Li avrebbe rivisti. Avrebbe potuto soddisfare la sua
curiosità su quei due ragazzi. Agnes sapeva che normalmente le
persone non si ossessionano per degli estranei e d'altra parte non
stava minimamente pensando alla possibilità di scambiarci
qualche parola. Voleva osservarli da lontano, come aveva fatto quel
pomeriggio. Capirli. Agnes era da sempre convinta che una conversazione
dicesse troppo poco di una persona.
Sì,
perché ognuno è così preso dalla voglia di farsi
accettare che finisce con il dire solo bugie e omettere tutto
ciò che ritiene inaccettabile.
Meglio osservare, quindi.
-Anche perché così non ti esponi.- Le sussurrava una voce maligna nella testa.
Quando la
persona non si considera sotto giudizio non può fare a meno di
essere se stessa, con i suoi pregi e i suoi difetti. E Agnes riteneva
molto più interessanti i difetti. I difetti dicevano molto di
più della persona, rivelavano la natura di ognuno e anche il suo
vissuto. E così Agnes stava in silenzio, osservando quei gesti e
quei modi di fare che sarebbero parsi insignificanti a chiunque altro.
Le ore erano
trascorse con lentezza. Agnes aveva finito di sistemare il locale ed
ora si trovava in una stanza al piano di sopra. Quella che Gheorghe
chiamava casa, e una persona appena un po' più assennata avrebbe
chiamato topaia. Una stanza che constava di un letto, un
cucinino, due chitarre e un impianto stereo da centinaia di sterline.
Paradosso dei musicisti. Si disse.
Fortunatamente
la casa-topaia aveva anche uno specchio, che guarda caso era proprio
quello che cercava la ragazza. Magari un po' meno pulito di come
avrebbe voluto ma, pazienza, non si può avere tutto.
Rivolse un primo sguardo al suo abbigliamento. E storse la bocca. Anonima,
giudicò impassibile. Una tshirt aderente da cui sbucavano
due braccia magre e pallide, jeans scuri non troppo stretti che
evidenziavano la magrezza delle cosce e ai piedi delle consunte
converse dal colore indefinito.
Aveva
sempre desiderato trovare un abbigliamento particolare, ricercato.
Puntualmente, però, quando entrava nei negozi tutto le sembrava
eccessivo e finiva con il comprare cose rassicuranti, semplici. Anonime. Ripetè infastidita.
Il suo sguardo
andò poi sul viso. E quello le dava una qualche consolazione.
Era carina. Qualcuno avrebbe detto molto bella. Ma non le bastava.
Voleva essere particolare, magnetica, catturare l'attenzione di
chiunque. Ma non si vedeva affatto così. I capelli castani erano
tenuti su da una crocchia, la frangia perfettamente liscia
copriva la fronte fino agli occhi di un particolare azzurro-grigio. Si
diceva soddisfatta anche del suo naso, molto dritto e ben proporzionato
e anche le labbra andavano bene, giuste anche se un po' screpolate, ora
che ci faceva caso.
Ciò che
veramente detestava di sè era quella pelle così pallida.
Diafana, di porcellana le ripeteva sua madre. No, è proprio pallida.
Si ripetè infastidita. Evitava, però, di mettere
fondotinta e robacce varie perché non era capace di truccarsi e sarebbe finita col sembrare un pagliaccio.
Prese il
beautycase che si portava sempre dietro. Passò velocemente la
matita sugli occhi e il gloss sulle labbra e si ritenne pronta per
l'incontro.
L'incontro,
ovviamente, non avvenne come aveva più volte immaginato nel
corso del pomeriggio. Impegnata a fantasticare e soprattutto rintontita
dagli AC/DC che "se non li ascolti ad alto volume è un insulto alla loro memoria",
parola di capo Gheorghe, non si accorse che ormai da diversi minuti
oltre a lei, Gheorghe e gli AC/DC nel locale c'erano altre sei persone.
Persone che la fissavano.
Persone che, davanti al bancone, stavano cercando di attirare la sua attenzione.
Si girò
verso Gheorghe. Era seduto ad un tavolo, fumando beato e muovendo la
testa a tempo di musica. E ovviamente dava loro le spalle. Bene,
benissimo. Si voltò e spense il lettore.
1...2...
-Ma...ma che diavolo fai?- Tuonò l'attempato rocker con i suoi soliti modi gentili e garbati.
Agnes stava per rispondergli a tono come faceva normalmente quando capì che non era il caso.
-Ci sono persone per te-
-Ragazzi- tuonò contento mentre andava loro incontro- scusate, sapete gli AC/DC...-
Chiunque, davanti a quella (non)spiegazione, lo avrebbe guardato come se fosse un po' strano.
-Figurati- gli
rispose con un sorrisetto uno dei sei- Tempo fa non ho sentito
l'allarme antincendio per colpa dei Black Label Society!-
Ma, ovviamente, non qualcuno come lui.
Agnes continuò a fare quello che stava facendo prima del loro arrivo.
No aspetta, prima fingevo di pulire il bancone mentre li aspettavo.
...
Quindi si mise a pulire con molta cura il bancone e ogni tanto buttava l'occhio sui nuovi arrivati.
In
realtà si mise a osservare con molta cura i ragazzi e ogni tanto
muoveva lo straccio sul bancone. Ma concediamole questa illusione.
Loro erano fra quei sei. Li aveva notati immediatamente.
-Siete arrivati in anticipo- disse Gheorghe nel suo solito modo rude.
-Si, vogliamo sistemare gli impianti e le casse per provare il suono-
Aveva parlato proprio uno di loro. Il moro.
-Senti ragazzino...- disse spiccio Gheorghe
-Ian, il mio
nome è Ian-lo interruppe infastidito il moro. Fin troppo
infastidito, in effetti. Chiunque avesse parlato anche solo per dieci
minuti con Gheorghe avrebbe capito che non c'era cattiveria nel suo
modo di fare. Forse si era fatto troppi acidi da ragazzo e il suo
cervello non era più in grado di distinguere l'appropriato
dall'inappropriato, ma nessuno se la prendeva mai per le sparate di
Gheorghe.
Lui infatti si sorprese davanti a quel tono tagliente. Ma decise di non darlo a vedere.
-Al Kirchherr's
si fa rock da vent'anni. E ti assicuro che il suono è sempre
stato perfetto-lo guardò sprezzante per poi rivolgersi agli
altri con il suo solito tono-Comunque fate pure le vostre prove
signorine-
Detto questo,
Gheorghe si avvicinò al bancone e mentre prendeva qualche birra
per portarsela su alla casa-topaia si rivolse piano ad Agnes.
-Pensaci tu ai capricci di questi ragazzini-
Ben presto i ragazzini iniziarono con i capricci.
-Senti, non
è che avete un cavo più lungo?- Si era avvicinato uno dei
sei. Non uno di Loro, uno appena passabile. Le venne spontaneo
associarlo a qualcosa di nero. Capelli neri, carnagione olivastra,
barba nera, maglia nera a evidenziare il corpo muscoloso. Batteria. Si
disse sicura. Era brava ad inquadrare la gente. Un po' meno a prestare
attenzione alle domande che le ponevano.
-Eh..- cosa le aveva chiesto?Ah si, il cavo- Devo controllare. Aspetta-
-E chi si muove-
Andò in
quello che Gheorghe si ostinava a chiamare magazzino ma che in
realtà chiunque avrebbe chiamato sfascio
di roba inutile. Dopo diversi minuti trovò qualcosa che
assomigliava ad un cavo e lo portò al nerboruto batterista.
-Questo va bene?-
-Si gioia-
-Ugh- non potè trattenere l'espressione schifata-Agnes, no gioia.-
-Ah, ok. Dave- le si presentò a quel punto. Non che ce ne fosse bisogno visto che lo chiamarono subito dopo.
-Dave, allora il cavo?-
Ormai era
trascorsa un'ora dall'arrivo dei sei. Da quanto aveva capito, origliato
sarebbe più corretto, i musicisti erano in quattro mentre gli
altri era solo degli amici che li accompagnavano. Dave era
effettivamente il batterista. Al basso c'era un nanerottolo dai capelli
lunghi e una barba lasciata incolta. E poi c'erano loro. Ian alla
chitarra. Colin la voce.
Nessuno dei due
le aveva rivolto la parola finora. E a lei andava benissimo
così. Dopo aver sistemato il suono e aver convinto
Agnes a dargli qualche birra, i ragazzi iniziarono a suonare. Non
seriamente, così per passare il tempo. Per primo iniziò
il bassista con un assolo che stava stordendo Agnes peggio degli AC/DC; poi, sentendosi sfidato, iniziò il
batterista e allora la ragazza sentì il bisogno di allontanarsi
da tanto testosterone riunito insieme.
Si rifuggiò fuori, dove si appoggiò ad una parete socchiudendo appena gli occhi.
-Sei già stanca? la serata non è ancora iniziata-
Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò Ian poggiato alla parete opposta. A dividerli la porta d'ingresso.
-Non sono stanca- rispose, dandosi della cretina per la risposta idiota.
-Devo dedurre
che non apprezzi la nostra musica?- le chiese con un sorrisetto
arrogante mentre si portava una sigaretta alle labbra.
-Vuoi dirmi che
quella lì è la vostra musica?- chiese Agnes sicura che
anche lui fosse uscito perché infastidito dalla scena.
Anzichè
risponderle si accese la sigaretta e proprio mentre faceva il primo
tiro, sollevò per la prima volta lo sguardo su di lei.
-Fumi?-
Occhi
cristallini. Fu la prima cosa che le venne in mente. Così chiari
da potervi leggere dentro. Occhi di un'innocenza inquietante,
così carichi di significati da metterla in soggezione.
Si era distratta, dannazione. Cosa le aveva chiesto?
La guardava interrogativo.
-S..si-
E
fortunatamente bloccò l'impulso di darsi una manata sulla fronte
quando lo vide offrirle la sigaretta che aveva in mano.
Agnes non aveva mai fumato, anzi odiava l'odore acre della
sigaretta. E ora questo tizio, questo tizio bello e magnetico, le stava offrendo la sua sigaretta.
La prese dalle
sue mani e nel portarla alle labbra non potè fare a meno di
voltare il capo verso la strada. Si sentiva bugiarda e lei non era mai
stata in grado di mentire. Fece due tiri frettolosi e gliela porse.
Lui la guardò perplesso prima di rivolgerle l'ennesimo sorriso tagliente.
-Proprio un'accanita fumatrice-
Lei, presa in
contropiede, non gli rispose. I minuti passavano e nessuno dei due
aveva più parlato. Doveva averla presa per deficiente, si disse
sconsolata.
In momenti come
quello, Agnes si detestava con tutte le sue forze. Odiava non
riuscire ad essere se stessa con certe persone e rimbecillire al punto
da non tenere una normale conversazione.
Voleva scappare
da lì ma allo stesso tempo avrebbe voluto prendere il coraggio e
parlargli. Chiedergli quale genere di musica facessero, com'era
arrivato lì, la sua storia, perché quegli occhi
così chiari parlavano di solitudine. E invece stava lì,
in silenzio.
Si
azzardò a sbirciare nella sua direzione. Non la guardava. Si
stava godendo la sua sigaretta con occhi fissi, o meglio persi, sulla
strada. Non sembrava affatto infastidito dal suo silenzio. Veramente,
sembrava non fregargliene proprio niente.
***
-Diavoli di
ragazzi- urlò divertito Gheorghe mentre preparava dei
cocktail-Ma guarda quanta bella gente è venuta per loro! E chi
lo sapeva che fossero così famosi!-
Il Kirchherr's
era un locale rock abbastanza conosciuto a Londra. Ma effettivamente
non si era mai vista così tanta gente. Normalmente era
frequentato da patiti dell'heavy metal che sono ormai una
nicchia nel panorama musicale. Ora invece Agnes aveva la
possibilità di apprezzare a pieno la bellezza di Londra, sotto
quell'aspetto che l'aveva sempre più affascinata della City: la
varietà. Agnes non aveva mai visto così tanti ragazzi
dalle etnie diverse, dai modi di vestire stravaganti e particolari,
dalle capigliature più improponibili. Ovviamente c'era
anche chi indossava una semplice tshirt sopra un jeans scolorito ma
anche loro lo facevano in un modo tutto personale. Quello che
affascinava Agnes era che ognuno di quei giovani sembrava un mondo a
sè, nessuno si adeguava allo stile del momento
ma tendevano a personalizzare tutto ciò che indossavano. I
risultati erano a volte assurdi, come per esempio la ragazza che le
aveva appena chiesto una birra. Sembrava che mescolare quanti
più colori fluo fosse la sua missione di vita, così aveva
una casacca verde che le lasciava una spalla scoperta, dei leggins
fucsia e una miriade di bracciali gialli. Il risultato inaspettatamente
era stupendo perché esaltava la pelle nera della giovane.
Gli occhi
curiosi si posarono su un giovane dai lineamenti orientali proprio di
fronte al bancone. I capelli rasati ai lati facevano spiccare una
cresta color rame. Indossava una giacca rossa sopra una tshirt bianca
con stampe dai colori più vari e pantaloni neri a sigaretta.
Parlava con una ragazza dall'abitino semplice ma che ai piedi portava
degli ingombranti anfibi.
Agnes si
sentiva su di giri e più volte era stata ripresa da
Gheorghe perché faceva aspettare i clienti tra un drink e
l'altro. Non poteva farci nulla. Quella gente attirava la sua
curiosità in un modo che non poteva controllare.
Curiosità, questa, vinta solo da quella per i "The Fifth Beatle",
il gruppo che avrebbe suonato quella sera. Il gruppo di Ian, Colin,
Dave e... Com'è che si chiama quell'altro?
Finalmente la sua attesa fu premiata. A un certo punto della serata, i membri della band uscirono da...dal magazzino/sfascio di roba?? Ovviamente
faceva più effetto un ingresso del genere, anche se fino a
qualche momento prima erano stati a bighellonare dentro al locale. O forse sono andati lì per fare qualche rito di scongiuro. O più semplicemente per una canna.
Il tempo di farsi quelle domande e i ragazzi erano già posizionati.
- Buonasera a
tutti- prese la parola Colin con un sorriso aperto e la chitarra in
mano- Siamo i The Fifth Beatle e questa è la nostra musica-
E iniziò il delirio.
Le due
chitarre, il basso e la batteria iniziarono a suonare quasi nello
stesso momento. Una musica dura, intensa che penetrava dentro
rimbombando nella cassa toracica di tutti, facendoli tremare. La
canzone parlava di una solitudine disperata, dell'incapacità di
convivere con se stessi e di una fantomatica lei da cui farsi salvare.
E la voce graffiata e sporca del cantante lasciava Agnes come
ipnotizzata, lo sguardo fisso sul gruppo e incapace di muoversi.
-Agnes datti
una mossa! Stasera sei più fuori del solito!- le urlò
Gheorghe. Si girò verso di lui e dal suo sorrisetto capì
che anche lui era affascinato dal gruppo. Cercò quindi di
concentrarsi sul suo lavoro e di non permettere più a quella
musica né a quelle parole di ipnotizzarla.
Non sapeva dire
quanto tempo fosse trascorso dall'inizio del concerto. Agnes era nel
suo elemento e aveva finito con il perdere la cognizione del tempo e
dello spazio. Avvertiva una sensazione di estraneazione, era altro da
sè. C'era la Agnes che come un automa preparava un drink dopo
l'altro, e poi l'altra Agnes, quella che non pensava a niente che non
fosse quella musica, quella voce, quelle parole.
Quando la musica cessò, il silenzio improvviso la stordì.
Ancora. Non smettete.
Li avrebbe pregati di continuare, se non fosse stata impegnata a preparare i cocktail.
-Agnes- La
chiamò una voce gentile, una voce un po' affaticata, una voce
che l'aveva ipnotizzata fino a quel momento. Alzò la testa
all'improvviso e si vide Colin intento a fissarla, un sorriso a
illuminare il viso-Agnes, giusto?- chiese dubbioso, visto il silenzio
della giovane.
-S..si, dimmi pure-
-Ci servirebbero cinque Guinness. Gheorghe vuole brindare alla serata-
-Non glielo
hanno spiegato che si brinda con lo spumante?-Disse lei alzando gli
occhi al cielo, come ormai faceva fin troppo di frequente.
-I rockers non bevono spumante. Birra per festeggiare, scotch per deprimersi.- Replicò l'altro divertito.
-Oh mi
dispiace...ho lasciato la mia copia di "Come vivere con un rocker" a
casa- rispose lei con un sorriso mentre preparava le birre che le aveva
chiesto.
-Questo locale
è davvero bello. Sembra un tempio dedicato al rock con quelle
stampe alle pareti e l'ambiente un po' decadente. Non si direbbe a
guardarlo ma devo ammettere che Gheorghe ha gusto-
Lei alzò lo sguardo verso il giovane con aria cospiratrice.
-E' tutto un bluff-
Colin inarcò appena le sopraciglia.
-In che senso?-
Agnes si sporse appena verso di lui.
-Il vecchio non
ha abbastanza soldi per comprare dei veri quadri né per cambiare
quei mobili che lui e qualche amico sbronzo hanno sfasciato anni fa-
Colin si mise a ridere di gusto. E lei sorrise, sinceramente divertita, mentre continuava.
-Non dire niente a nessuno, mi raccomando. Rischio il licenziamento per questa soffiata!-
Lui si portò una mano sul mento, fingendo di rifletterci su con un'espressione scherzosamente pensierosa.
-Mh, il mio silenzio ha un prezzo-
Agnes sgranò gli occhi sorpresa. -Che prezzo?-
Il ragazzo prese il vassoio con le birre e le dedicò un ultimo sorriso.
-Te lo farò sapere-
E si allontanò verso gli amici.
Agnes lo
seguì con lo sguardo e fu sorpresa nel trovare Ian girato nella
sua direzione. Guardava verso lei senza un'espressione particolare.
Forse aveva semplicemente lo sguardo fisso sul vuoto. E anche ad una
simile distanza lei avvertì quel senso di inadeguatezza che
l'aveva colta nel pomeriggio durante il loro breve incontro.
C'erano persone
che sembravano fatte apposta per metterla a suo agio, così da
riuscire ad essere quell'Agnes che lei stessa apprezzava: quella
spiritosa e dalla risposta pronta.
E poi c'erano
persone nate per metterla in difficoltà con la loro semplice
presenza. Persone che tiravano fuori il suo lato peggiore,
trasformandola in un esserino timido ed impacciato.
Con i primi
riusciva ad entrare subito in sintonia. Li conosceva, ci parlava un po'
e già li considerava amici da sempre. Con i secondi finiva
sempre con il chiudere qualsiasi contatto. Agnes era fatta così.
Evitava tutto ciò che non capiva. Qualcuno avrebbe potuto
chiamarla semplicemente paura.
***
Fine serata.
Finalmente anche gli ultimi ragazzi erano andati via e Gheorghe
potè chiudere la porta del locale. Normalmente Gheorghe la
mandava a casa verso mezzanotte, massimo l'una. Ma quella sera c'era
troppa gente e non avrebbe potuto facela da solo.
-Lascia stare tutto, Agnes. Ci pensiamo domani mattina-
-Finisco di lavare questi e vado-
-Ho detto no. che direbbe Teo se sapesse che sfrutto sua figlia fino alle 4 del mattino? Vai-
Agnes spazientita lasciò perdere.
-E non fare quella faccia ragazzina. Ti sto facendo un favore!-
-Solo perché conosci mio padre-
-E ancora di più conosco il suo destro!-Disse Gheorghe lisciandosi la mandibola come se avesse appena fatto a pugni.
Fu solo quando intervenne un'altra voce che i due si ricordarono che non erano affatto soli nel locale.
-Scusami Agnes, ma penso che Gheorghe abbia ragione. E' tardi- Era Colin, con quella voce calda e gentile.
La band stava
ancora raccogliendo l'attrezzatura e, ovviamente, aveva assistito alla
scena. Lei li guardò accigliata. Cominciava a sentirsi una
bimbetta irragionevole.
-Infatti stavo per andare- disse con un tono indifferente e controllato, nel tentativo di salvare almeno un po' la faccia.
-Ma...da sola? Dove abiti?-
-South Kensington-
-Ah però, la ragazzina si tratta bene- la canzonò Dave.
-Sto da
un'amica di mia madre- Si sentì in dovere di spiegare. Poi
tornò a rivolgersi a Colin-Prendo un autobus che mi lascia
praticamente davanti casa-
-Ma è troppo tardi per girare da sola!-
Agnes non era
affatto un tipo coraggioso. Quando le capitava di camminare la notte da
sola vedeva pericoli dappertutto e doveva trattenersi dal mettersi a
correre, così senza motivo. Allo stesso tempo, però,
odiava essere un peso per gli altri e quindi non osava mai chiedere un
passaggio a qualcuno.
-Non sarebbe la prima volta, tranquillo-
-E guardandoti
ci stiamo tutti chiedendo come non ti sia successo nulla finora- Una
voce tagliente, anche un po' cattiva. Ian. Non potè fare a meno
di guardarlo stralunata. Cosa intendeva? Cosa aveva che non andava? Ma
lui non lasciava trapelare nulla. Aveva sempre quell'espressione
noncurante stampata su quel viso perfetto. Con qualsiasi persona
avrebbe alzato la voce, si sarebbe difesa per bene, con le unghie e con
i denti come le aveva insegnato suo padre. Con lui no. Con lui
diventava debole e indifesa. O, forse lo era davvero debole e
indifesa. E Ian, senza rendersene conto e soprattutto senza che gliene
importasse, faceva uscire fuori la vera Agnes.
Colin, dopo aver guardato un po' stranito l'amico, tornò a sorriderle.
-Agnes ci ho
pensato bene. Ricordi che il mio silenzio ha un prezzo?-le disse quasi
compiaciuto. Dopo che la giovane ebbe annuito, continuò- Bene,
non svelerò il nostro segreto a condizione che accetti il nostro
passaggio!-
Lei scosse la
testa tra il divertito e il rassegnato, decidendo di accettare. Non per
il segreto. Si trattava di una sciocchezza bella e buona. Era per la
gentilezza con cui Colin le era venuto in aiuto, vedendola spiazzata
davanti all'uscita fuori luogo dell'amico.
Note:
Salve
a tutti!! Da tempo ho in mente questa storia e solo oggi mi sono decisa
a pubblicarla. E' difficile mettersi alla prova, esporsi al "giudizio"
degli altri. E stranamente proprio questo è il tema di
questa storia. I miei tre protagonisti sono molto diversi tra loro ma
c'è qualcosa che li accomuna: l'insicurezza.
Penso che il più delle volte siamo proprio noi i nostri peggiori
nemici. Noi che ci poniamo degli ostacoli insormontabili con le nostre
paure, a volte anche insensate. Agnes, Ian e Colin sono proprio
così: hanno tutti i mezzi per essere felici ma troppo spesso si
lasciano prendere dalle loro incertezze. Anche la scelta del nome del
gruppo non è casuale ma questo lo farò spiegare ad uno
dei miei personaggi.
Un'altra costante di questa storia è la musica. Preferibilmente
musica rock. Qualcuno avrà già notato qualche riferimento
ai Beatles, ai Clash e ai Joy Division. I nomi dei personaggi, del
gruppo, del locale...tutto richiama la musica.
Ora la cosa più importante, vorrei sapere il vostro parere su
quello che scrivo. Anche due parole, giusto per conoscere il punto di
vista di qualcuno che non mi conosce!!! Non vi chiedo lodi ma delle
recensioni costruttive, un'occasione per imparare.
Grazie per la vostra attenzione,
Agnes
|
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Capitolo 4 *** The Invisible Agnes ***
capitolo 3
The invisible Agnes
I giorni erano trascorsi lenti dopo quella sera. La mattina apriva gli
occhi con nessuna voglia di andare a lavoro. Dopo quella botta di vita,
il Kirchherr's le appariva mortalmente noioso tanto che iniziava a
confondere i giorni tra loro. Non ricordava cosa fosse successo la sera
prima.
Forse perché non c'è un bel niente da ricordare.
E l'inquietudine, mista a quel familiare senso di insoddisfazione, tornava a bussare alla sua porta.
Agnes non era andata a Londra per preparare drink e servire birre.
Voleva di più. Ma come al solito non era in grado di
cercarlo questo di più. Figuriamoci ottenerlo.
A peggiorare tutto, un lunedì mattina, Kayla decise di infierire.
Agnes, mezza addormentata, stava facendo colazione nella grande cucina
dalle tinte pastello. Gli occhi fissi sul televisore non vedevano nulla
del telefilm che stavano mandando in onda. Era il suo giorno libero.
Normalmente lo passava ad esplorare qualche parco della City. Forse
l'unica cosa che le mancava del suo piccolo paese erano proprio gli
ampi spazi di verde in cui amava rifugiarsi. Nel suo paese,
però, la solitudine della natura le infondeva un tale
coraggio da prendere in mano la chitarra e intonare qualche
canzone. A Londra non era mai abbastanza sola da riuscire a trovare
quella serenità. Si accontentava quindi di un romanzo come unico
compagno dei suoi pomeriggi a Kensington Gardens o a St.James Park.
Stava appunto per decidere in quale dei tanti parchi londinesi
trascorrere la giornata quando la sua quiete venne disturbata dalla
cornacchia impicciona.
-Programmi per oggi?-
Agnes finse di essere parecchio interessata al telefilm e scrollò le spalle.
-Il solito- disse con studiata indifferenza.
-Il solito?Un'altra giornata a bighellonare per i parchi?! Agnes cosa direbbe tua madre?-
Continuò a fissare ostinata il televisore mentre le rispondeva.
-Non lo so. Ma immagino che lo scoprirò stasera quando tu la informerai su tutto-
-Sei proprio una bimbetta viziata! Tua madre mi ha chiesto espressamente di informarla su ogni tuo movimento...-
Ora iniziava il solito discorso che magari cambiava nella forma ma non nella sostanza.
Uno. Senso di colpa.
-I tuoi genitori si sono preoccuparti di trovarti una sistemazione temporanea e un lavoro...-
Due. Ingratitudine.
-E tu non fai altro che lamentarti di me e di quel tuo datore di lavoro...-
Tre. Pigrizia.
-E non fai altro che dormire e leggere...-
E dulcis in fundo, inettitudine.
-La verità è che non hai idea di cosa vuoi e anche se lo sapessi non avresti i mezzi per realizzarlo-
Stronza per i modi. Stronza per le parole. Stronza perché ogni volta ci azzeccava in pieno.
E disse la sua solita battuta. Quella che ogni volta metteva a tacere quella zitella acida.
-Se ti sono di peso me ne vado oggi stesso.-
La donna roteò pericolosamente gli occhi.
-Non dire stupidaggini. Dove dovresti andare tutta sola?-
E se ne andò dalla stanza lasciandola sola a sentirsi, come sempre, una fallita.
Finalmente una novità. Visto il successo ottenuto, i The Fifth
Beatle avrebbero suonato tutti i giovedì sera al Kirchherr's.
Gheorghe l'aveva informata con tono disinvolto quando invece era fin
troppo evidente la sua soddisfazione per quel risultato.
Il giovedì non si fece attendere troppo. Agnes era carica di
aspettative per quella serata. Magari sarebbe riuscita a conoscere
gente nuova, magari Colin si sarebbe ricordato di lei e avrebbero
scambiato qualche chiacchiera come la settimana scorsa.
Anche quel pomeriggio salì nell'appartamento-topaia di Gheorghe
per truccarsi un po'. Anche quel giorno si disse del tutto
insoddisfatta del suo aspetto ordinario. Nessuno l'avrebbe notata in
mezzo alla folla con quella tshirt bianca e quei pantaloni neri. Di
diverso aveva solo i capelli: stavolta erano lasciati sciolti. Sai che
novità! Si disse infastidita.
I ragazzi stavolta arrivarono un po' più tardi. Salutarono
Gheorghe come se fossero amici da sempre. E Colin e Dave si
avvicinarono al bancone per salutare Agnes.
-Ciao gioia- La salutò in maniera rude Dave.
- Dave ha detto di non chiamarla così!- lo bacchettò l'amico dedicandole un sorriso aperto- Ciao Agnes-
-Ciao ragazzi- disse sorridente-Allora vi siete già affezionati al Kirchherr's?!-
-Certo che si sono affezionati- quasi tuonò il proprietario- non c'è locale migliore per fare del buon rock!-
Colin aggrottò le sopraciglia pensieroso per poi rivolgersi ad Agnes.
-Sta forse ammettendo che gli piace la nostra musica?-
Lei non potè fare a meno di rivolgergli un sorrisetto complice.
-Si è il suo personale modo per fare un complimento. Non ti aspettare di più!-
-Chiedilo alla ragazzina se le piace la vostra musica- Disse divertito Gheorghe- dovevate vederla questa settimana-
Agnes non potè fare a meno di sgranare gli occhi. Oh cavolo, era stata così palese?
-Dire che era impaziente di risentirvi sarebbe troppo poco-
Sorrisero tutti mentre lei avvampava dall'imbarazzo.
-Vuol dire che sa apprezzare la buona musica-
Sollevò lo sguardo sorpresa verso chi aveva appena parlato. Era stato Ian, che la guardava con un autentico sorriso.
Quella sera il locale era ancora più affollato della volta
precedente. Per fortuna Gheorghe si era convinto a prendere un altro
ragazzo per il giovedì. Il ragazzo, di nome Kirk, era un tipetto
nervoso dai capelli rossi sparati in ogni direzione. Agnes era
particolarmente di cattivo umore perché doveva stare
continuamente dietro a quell'idiota. Spesso rispondeva male ai clienti
e allora Agnes cercava di calmare un po' gli animi. Ancora più
spesso non capiva, o peggio faceva finta di non capire, le ordinazioni.
E allora interveniva Gheorghe a offrire un drink all'insoddisfatto di
turno. Poi ogni momento era buono per sgattaiolare fuori a
sfumacchiarsi una sigaretta e, cosa ancora più assurda, la
riprendeva quando lei si fermava per qualche minuto.
L'unica nota positiva della serata era proprio il gruppo. Quella sera
erano particolarmente su di giri. Le cover erano i migliori pezzi
punk-rock del passato e i ragazzi li suonavano con grinta e dedizione.
Gli avventori conoscevano ognuno di quei pezzi e cercavano di stare
dietro a Colin. Anche Agnes tra un drink e l'altro canticchiava qualche
pezzo più famoso. Non era un genere che conosceva bene ma con un
padre come il suo era praticamente cresciuta con pezzi come God save
the queen, London calling e Should I stay or should I go.
Finalmente si stava distraendo grazie alla buona musica quando Kirk ne
fece una delle sue. Agnes fu attratta da alcune voci alterate al suo
fianco e allarmata si avvicinò al collega.
-Senti è inutile che insisti. Non te lo cambio il drink-quasi
gridò Kirk ad un palmo dal naso di un cliente dall'aria
scocciata.
-Ti ho detto che la birra non la bevo e voglio un Bellini-
-Invece di fare il frocio beviti questa birra e non rompere il cazzo-
Il ragazzo rimase interdetto davanti a quella uscita e non seppe come
rispondere. Agnes ritenne opportuno intervenire, facendo ciò che
avrebbe fatto Gheorghe se fosse stato nelle vicinanze. Preparò
velocemente un Bellini e lo porse al giovane rimasto ammutolito.
-Prego, questo lo offre la casa-gli disse con un sorriso gentile-Per stasera sei ospite del Kirchherr's, ok?-
Il cliente sembrò ancora più spiazzato davanti a quella
improvvisa gentilezza e si limitò ad annuire prima di andare a
mescolarsi tra la folla.
-Visto che c'eri potevi dargli un buono per il prossimo mese, bah!- le disse Kirk in modo odioso.
-Stavo cercando di riparare al tuo errore!- rispose la giovane spazientita.
-Errore?? Ragazzina qui se non fai così ti mangiano vivo. Questo
è l'unico modo per non farsi mettere i piedi in testa-le
dedicò uno sguardo di sufficienza prima di continuare-ma che ci
parlo a fare con te?
-Perché scusa cos'ho che non va?- chiese Agnes pronta a dirgliene quattro.
-Guardi tutti con quella faccia adorante- le rispose canzonatorio- guarda che è inutile, sei comunque invisibile-
Questa non se l'aspettava. Era arrivata dritta, a colpirla nel suo punto più debole. Invisibile.
Lei che se lo ripeteva sempre, appena sveglia e prima di addormentarsi.
Ora aveva la conferma di ciò che fino a quel momento aveva solo
sospettato. Non seppe rispondere e si odiò per questo. Lo
guardò attentamente mentre ghignava mostando quei denti
giallognoli e la deridava con quegli occhi un po' strabici. Agnes non
era capace di difendersi dagli attacchi di un simile esemplare di
omuncolo. E si odiò ancora di più.
-Agnes prenditi una pausa- tuonò seccato Gheorghe.
Quand'era arrivato? Cosa aveva sentito? Aveva assistito a quella umiliazione?
Sentì una presa salda sulla sua spalla. L'inconfondibile mano di
Gheorghe. L'unico gesto di affetto che le aveva concesso da quando si
conoscevano.
-Hai avuto a che fare con abbastanza cazzoni per stasera, non credi?-
Lei, ancora ammutolita, gli rivolse un breve sorriso prima di prendere una cola dal frigo e dirigersi verso l'uscita del locale.
L'ormai nota aria gelida delle notti londinesi la schiaffeggiò
violentemente appena mise un piede fuori dal Kirchherr's. Agnes le fu
grata. Dopo tutte quelle ore trascorse tra l'afa e l'aria pesante del
locale aveva proprio bisogno di respirare quella brezza gelata.
Poiché un capannello di persone era raccolto davanti
all'ingresso del locale, Agnes preferì allontanarsi un po'. Si
accovacciò su un gradino poco distante e prese un primo sorso di
cola. Le parole di quel tizio odioso le ronzavano ancora in testa,
facendola sentire particolarmente depressa.
-Se ti piace la nostra musica perché senti il bisogno di scappare ogni volta?-
Agnes trasalì vistosamente prima di riconoscere chi le aveva
rivolto la parola così all'improvviso: Ian. Ian, che non aveva
sentito arrivare; Ian che la guardava con un sorriso mite; Ian che...
-Ma tu non stavi suonando?-
Lui la guardò come se si fosse ammattita.
-Veramente siamo andati in pausa da una decina di minuti-
Non ci aveva fatto caso. Doveva essere completamente scollegata per non
rendersi conto che da ormai diversi minuti quella musica ruvida,
penetrante e a volte anche aspra aveva smesso di risuonare per la
Camden. Ian dovette leggerle la verità in viso perché le
rivolse un risolino un po' forzato mentre si sedeva accanto a lei.
-Ah gran bella considerazione che hai di noi! Ti ringrazio a nome dell'intero gruppo!-
Lei ricambiò quel sorriso con uno un po' timido e appena accennato.
-Ero distratta da certi pensieri-
-L'avevo notato-
Agnes sollevò la testa stupita. Che avesse assistito anche lui a quella scena imbarazzante? Ian le sorrise nuovamente per poi indicare un gruppo di ragazzi poco distanti.
-Parlavo con alcuni amici quando ti ho vista qui con quest'aria pensierosa-
Si era avvicinato appositamente per lei. Era strano. Non li conosceva
bene ma un gesto del genere se lo sarebbe aspettato da Colin. Da quello
che aveva osservato fino a quel momento, Ian aveva un modo di fare
distaccato e tendeva a tenere a distanza tutti gli altri.
Non seppe come rispondere ma gli dedicò un altro sorriso. Lui allora continuò.
-Pensieri buoni o pensieri cattivi?-
-Decisamente cattivi-
-Ti va di parlarne?-
Le andava? Le andava di parlare con quello sconosciuto delle sue
debolezze? Quello sconosciuto dall'aria perfetta e invulnerabile che da
quando si era seduto accanto a lei si era messo a scrutarla con
attenzione, come a volerla valutare sotto ogni aspetto. Forse era
proprio quell'aura di perfezione che la faceva sentire a disagio in sua
presenza; un disagio che non era scomparso nemmeno in quel momento,
nonostante la gentilezza con cui le aveva parlato.
Decise, però, di voler condividere qualcosa di ciò che la stava torturando.
-Il mio collega-iniziò indicando con il capo il locale-ha detto qualcosa di spiacevole-
Lui stava per prendere la parola ma lei continuò.
-E anche l'amica di mia madre, la donna che mi ospita, mi ripete spesso
quanto sono...inconcludente- spiegò con non poca
difficoltà.
-Permetti agli altri di definirti?- Le chiese con tono duro.
-Il fatto è che...- questo era davvero difficile dirlo.
-Sono cose che pensi anche tu- Concluse Ian per lei.
Agnes si strinse le spalle imbarazzata.
-Agnes perché sei venuta a Londra?- Le chiese mentre con noncuranza si accendeva una sigaretta.
Non rispose subito perché a quella domanda aveva tante risposte
in realtà. Cercò quindi di fare chiarezza in quel
groviglio di emozioni che provava e tentò di dare una risposta
soddisfacente.
-Volevo qualcosa di più. Ho sempre provato una sensazione di
inadeguatezza nel posto in cui vivevo. Hai presente le costruzioni per
bambini? Ecco, vedevo le persone intorno a me trovare il pezzo cui
incastrarsi: un lavoro soddisfacente, amici con cui divertirsi e stare
bene, qualcuno da amare. Io ero un pezzo anomalo. Puoi forzarlo a stare
bene con gli altri ma finirà sempre con il rovinare il risultato
finale, a far cadere tutto giù.-
Non si era resa conto di aver parlato così tanto. Si chiese se
lo stesse annoiando. Aveva una strana espressione in quel momento:
seria e concentrata.
-Se quel qualcosa in più l'hai trovato qui al Kirchherr's non devi farti influenzare dall'opinione degli altri.-
Lei sorrise mesta.
-No, non l'ho trovato. Voglio di più ma non so neanch'io cosa.-
Fu sincera nonostante sapesse che in quel modo non ci faceva una bella
figura.
-Sicuramente non puoi capirlo stando qui a preparare da bere- Fu duro
ma sincero.-Prova ad uscire dai tuoi schemi. Fa qualcosa che
segretamente hai immaginato di fare ma che non hai mai avuto il
coraggio di tentare. Qualcosa che ti possa sembrare folle. Cambiando
prospettiva potresti capire di cosa hai bisogno.-
Quel consiglio era strano ma le piacque. Normalmente le persone si
limitavano a giudicarla per le sue fragilità. Ian invece era
andato oltre consigliandole una via per risolvere il suo problema.
Stava per ringraziarlo quando qualcuno li interruppe.
-Ian ti aspettano dentro per ricominciare-
-Arrivo-disse distratto, senza alzare troppo la voce. Poi si voltò verso lei- tu resti o torni dentro?-
-Devo tornare altrimenti Gheorghe non mi darà più nessuna
pausa!- Rispose mentre si alzava dal suo rifugio e lo affiancava.
Stavano per entrare quando Ian si voltò repentinamente e,
guardandola molto attentamente negli occhi, le sussurrò piano:
-Sei tutto tranne che invisibile, Agnes.
-
Note:
Ciao a tutti! Eccomi con il terzo capitolo. Forse risulta un po' lento
ma, come avrete intuito dal prologo, nel corso della storia questi tre
personaggi subiranno cambiamenti significativi e sarebbe poco credibile
affrettare troppo i tempi.
Il titolo del capitolo The Invisible Agnes riprende la canzone dei The Queen The invisible man
Mi piacerebbe molto sapere il vostro parere su quello che ho scritto finora,
Un bacio
Agnes
|
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Capitolo 5 *** Ulysses, I've found a new way ***
capitolo 4
Ulysses, I've found a new way
A fine serata Kirk fu sbattuto fuori dal Kirchherr's da un
Gheorghe alquanto divertito. Come la volta precedente i membri della
band insistettero per accompagnarla a casa, ma stavolta una Agnes un
po' più a proprio agio accettò volentieri il
passaggio. Quando finalmente potè mettersi a letto,
nonostante la stanchezza, faticò a prendere sonno. La sua mente
era occupata da un unico pensiero, uno di quelli ingombranti che
portano con sè domande e incertezze. In una parola, Ian. La
volta precedente era stato freddo, sprezzante nei modi e nelle parole.
Quella sera, invece, aveva mostrato un vero e proprio interesse nei
suoi confronti.
Sei tutto tranne che invisibile.
Si addormentò con un piccolo sorriso sulle labbra.
***
Quella settimana Agnes era stata più taciturna del solito. E non
tanto perché, nonostante fosse a Londra da più di un
mese, gli unici con cui poteva scambiare qualche parola fossero i
clienti fissi del Kirchherr's. No, c'entrava la conversazione avuta con
Ian giovedì notte.
"Prova ad uscire dai tuoi schemi. Fa qualcosa che segretamente hai
immaginato di fare ma che non hai mai avuto il coraggio di tentare.
Qualcosa che ti possa sembrare folle. Cambiando prospettiva potresti
capire di cosa hai bisogno"
Erano tante le cose che aveva immaginato di fare. Ma ancor di
più le strade che, fino a quel momento, non aveva avuto il
coraggio di seguire. Eppure, ora doveva osare. Sentiva che se avesse
tentato quel temuto salto nel vuoto tutto sarebbe parso più
chiaro.
Trascorse l'intera settimana a rimuginare su quelle parole. Dapprima la
sua mente, o per meglio dire, il suo cuore, andò alla musica.
Diverse volte si era immaginata davanti a una folla con la sua chitarra
come unica compagna. Scartò comunque quella possibilità.
In passato, cercando di vincere le proprie paure, aveva cantato davanti
ad alcuni amici ma puntualmente aveva finito con il fare delle
figuracce colossali che a distanza di tempo le rinfacciavano ancora.
Quindi, niente da fare.
In realtà Agnes sapeva bene quale fosse il suo punto di forza e
quella settimana le era servita soltanto per prenderne coscienza: lei
era una bella ragazza. Molto alta, magra e dalle forme proporzionate,
un viso pulito senza troppe imperfezioni. Sì, quando si guardava
allo specchio non era mai soddisfatta di sè per un motivo o per
un altro, ma la verità era sempre stata lì davanti a lei,
troppo palese per essere negata.
La piccola Agnes aveva avuto il suo primo corteggiatore
all'età di cinque anni. Un corteggiatore che sembrava più
interessato a giocare con le sue treccine che con lei. Fatto il suo
glorioso ingresso alla Primary School, tra le bambine era quella che
riceveva più caramelle e penne colorate da parte dei compagni.
Sin da quei primi regali falsamente innocenti, Teo Dayle capì di
dover correre ai ripari e preparò la sua dolce bambina a quella
vita di lusinghe colme di secondi fini. Pur senza entrare nel
dettaglio, le spiegò quanto fossero bieche le reali intenzioni
dei "maschietti". E, sebbene alla piccola Agnes le preoccupazioni
paterne risultassero incomprensibili- in quanto per lei "i maschietti"
erano soltanto compagni di giochi, scherzi e avventure-ben presto
capì quanto fossero fondate.
Già al primo anno della Secondary School il suo corpicino aveva
assunto le fattezze di donna, tanto da rendere gli sguardi e le
attenzioni dei ragazzi sempre più insistenti e smaliziati. E,
quanto più gli ammonimenti del padre diventavano espliciti,
tanto più Agnes realizzava di essere bella e da quella
consapevolezza si lasciava imbarazzare.
Ma, se in passato aveva avuto un cattivo rapporto con la propria bellezza, ora era arrivato il momento di sfruttarla.
Ci aveva pensato: la moda poteva essere la sua strada e il problema adesso era trovare il "passaggio" giusto per poterla percorrere!
Certo, non poteva sapere che quel passaggio le sarebbe stato offerto proprio quel giorno.
Era la sua prima domenica fuori dal pub. Gheorghe aveva deciso di tener
chiuso il locale perché doveva far visita a certi suoi parenti a
Birmingham e le aveva dato un'intera giornata libera. Come al solito
aveva deciso di trascorrere il pomeriggio in uno dei suoi amati
parchi. Stavolta l'Hyde Park. Presa com'era da quei pensieri e dal
ricordo degli ammonimenti di suo padre, si accorse della suoneria del
cellulare dopo un bel pezzo.
Un numero sconosciuto.
-Pronto?-
-Ciao Agnes, sono Colin-
Come se non lo avesse riconosciuto appena aveva pronunciato la prima
sillaba. C'era qualcosa nella voce di Colin di così caldo e
familiare da renderla inconfondibile.
-Hei..ciao-
-Sono andato al Kirchherr's e quando non ho trovato nessuno ho telefonato a Gheorghe.-
-Oggi giornata libera-
-Si me l'ha spiegato. Gli ho chiesto il tuo numero perché mi andava di vederti-
Agnes non potè fare a meno di sorridere. L'aveva cercata. Era andato al Kirchherr's di proposito per vederla.
-Non dovevo?- Chiese un po' preoccupato davanti al suo silenzio.
-No, figurati! Hai fatto bene-disse in modo precipitoso-Io comunque sono ad Hyde Park-
-Se mi aspetti, ti raggiungo-
-Ti aspetto-
Colin la raggiunse in poco tempo. Ora era seduto vicino a lei su quella
panchina che dava verso il Serpentine. Il cielo, colorato dai primi
schizzi di tramonto, si rifletteva sul lago, immobile se non per
qualche increspatura dovuta ai movimenti dei cigni sull'acqua.
-Quindi sei un tipo solitario, Agnes Dayle?- le domandò Colin
come a volerla intervistare, come se volesse scoprire qualcosa di lei.
-Se rispondessi di sì, penseresti a me come una persona sfuggente e
misteriosa-cominciò lei con il sorriso sulle labbra-ma forse la
verità è che non conosco praticamente nessuno qui a
Londra e l'unica alternativa sarebbe uscire con le amiche della mia
padrona di casa e...No, grazie!-
-Ma conosci me!- disse lui offeso- d'ora in poi tienimi sempre presente
per le tue uscite- poi aggrottò leggermente le sopraciglia
prendendo le riviste accanto a lei-certo, se preferisci la mia
compagnia a quella di Harper's Bazar, Face, Elle e Vogue! Ti interessi
di moda, forse?-
Inevitabilmente Agnes avvampò dall'imbarazzo, domandandosi come gli avrebbe spiegato
che voleva tentare la carriera di modella, temendo, soprattutto, che l'avrebbe presa per
presuntuosa.
-Guarda, questa qui ti somiglia!- disse lui divertito indicando una modella in copertina.-Hai mai pensato di fare la modella?-
Sentì di volergli davvero bene. Senza saperlo l'aveva tolta dall'imbarazzo di introdurre l'argomento.
-Veramente stavo riflettendo proprio su questo- spiegò un po' incerta.
Temeva che scoppiasse a riderle in faccia e invece il ragazzo annuì serio.
-Certo, è difficile per chi non ha mai avuto esperienza però posso aiutarti se vuoi-
-E come?- chiese lei rabbrividendo. Il pallido sole era ormai calato e
cominciava a fare freddo su quella panchina. Colin se ne rese conto e
si alzò porgendole la mano.
-Entriamo al Serpentinea prendere qualcosa di caldo-
Il Serpentine Bar era un posto incantevole. Una struttura in legno con
delle ampie vetrate che davano direttamente sul lago cui doveva il suo
nome. Al suo interno aleggiava un'atmosfera calda e accogliente,
grazie soprattutto ai colori del tramonto che filtravano attraverso le
finestre. Colin scelse per loro un divano dall'aria consunta ma
inaspettatamente comodo. Sul tavolino dinnanzi a loro qualcuno aveva
lasciato una vecchia copia di Harry Potter and the Goblet of Fire. I
due giovani ordinarono del tè e due muffins. Mentre attendevano
le loro ordinazioni Colin riprese il discorso lasciato a metà.
-Conosco una fotografa che lavora nel campo della moda. Niente di che,
attenzione. Però sarebbe un buon modo per iniziare, non credi?-
-Certo! Ti confesso che non ne capisco proprio nulla di moda-
-Ti capisco. E' facile fare sogni ma realizzarli è tutta un'altra cosa- Le disse con un tono un po' amaro
che strideva con l'idea che si era fatta di lui.
-Ma voi ci riuscite, no?-
Al suo sguardo interrogativo, dovette spiegare meglio.
-Intendo con il gruppo. Siete bravissimi e avete successo. Non
trascorrerà molto tempo prima che vi contatti qualche casa
discografica-
-Ah ti riferivi a quello- disse un po' pensieroso-Si, qualcuno
già ci ha contattati ma Ian ha detto di no. Lui punta in alto-
Era strano. Sembrava quasi che non gliene importasse nulla del gruppo.
Eppure durante le esibizioni dei The Fifth Beatle le aveva dato
un'impressione completamente diversa: le era apparso come l'elemento
carismatico del gruppo, il leader, il trascinatore, quello che ci
credeva di più insomma. Con quella reazione e soprattutto quella
frase, Colin aveva smentito questa idea. Era Ian a decidere. Era Ian a
puntare in alto. E Colin?
***
Colin non scherzava affatto quando aveva detto che l'avrebbe aiutata.
La sera stessa, subito dopo cena, Agnes ricevette un suo messaggio. Le
diceva di aver contattato la sua amica fotografa che era disponibile
ad incontrarla proprio l'indomani. Perfetto, lunedì era il
giorno di chiusura al Kirchherr's e non avrebbe avuto problemi.
Dopo questa considerazione pratica arrivarono i soliti dubbi. Dubbi
peraltro giustificati, visto che Colin non le aveva detto nulla su
quell'incontro. Non aveva idea di cosa si aspettasse la fotografa da
lei; non sapeva se avrebbe posato per qualche scatto o se avrebbero
semplicemente parlato. Inevitabilmente immaginò di essere
cacciata a suon di risate da una vecchia arpia dall'aria snob.
Il sonno tardava ad arrivare e lei non migliorava certo la situazione
ripetendosi costantemente che doveva dormire altrimenti sarebbe stata
impresentabile. Tra un'imprecazione e l'altra si addormentò,
anche se si trattò di un sonno confuso e poco ristoratore.
Aveva dormito. Ma era lo stesso impresentabile.
Il lenzuolo spiegazzato le aveva lasciato un segno lungo tutta la
guancia. Le occhiaie svettavano in mezzo al pallore del suo viso. Un
brufolo stava lì sul mento a prenderla in giro.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di evitare quell'incontro ma ormai
Colin la aspettava e non poteva più scappare. Come al solito si
preparò in poco tempo, senza esagerare né con il trucco
né con l'abbigliamento. Aveva una stramaledetta paura di
rendersi ridicola.
Lo studio della fotografa era a Shoreditch, un quartiere che
Agnes non aveva ancora visitato. Mentre attendevano la
metro, Colin le spiegò che era il quartiere cui si dovevano
tutte le ultime tendenze in fatto di arte e per questo meta molto
ambita da tutti gli artisti di Londra e dintorni. Nei pub che
affollavano quel quartiere si potevano scorgere individui dagli
abbigliamenti eccentrici, l'aria bohèmien e distaccata e dagli
stili di vita più inconsueti.
Lo studio era al terzo piano di una palazzina vecchio stile. Colin
suonò il campanello e, in attesa che qualcuno aprisse, le
sorrise incoraggiante.
Non c'era nessuno. Avevano atteso per qualche minuto e poi suonato insistentemente. Niente.
Si guardarono interrogativi proprio quando sentirono dei passi sulle scale. Qualcuno saliva di corsa.
-Colin perdonami. Mi ero dimenticata!-
Aveva parlato prima ancora di arrivare al pianerottolo.
Colin scosse la testa divertito.
-Non preoccuparti. D'altronde dovevo aspettarmelo. Tu e gli
appuntamenti non siete mai andati molto d'accordo. Quante volte mi hai
bidonato?-
Non aveva ancora finito di parlare che la donna fu al loro cospetto.
Agnes sapeva che non era buona educazione stare lì ad osservare
un'estranea ma tutto di quella donna richiamava la sua attenzione.
Minuta com'era, la sua testa arrivava a mala appena all'altezza delle spalle di
Agnes. Eppure chiunque per strada avrebbe ignorato la slanciata Agnes
in favore di quella rossa dall'aria esplosiva. I capelli ricci e
rossi erano raccolti in un distratto chignon che lasciava dei ciuffi
scomposti sulla fronte dandole un'aria alquanto stravagante. Il
trucco, leggero ma curato, valorizzava il suo incarnato chiaro. Le
labbra erano piegate in una smorfia furba di chi sa di non passare
certo inosservata. Anche l'abbigliamento destò la curiosità di
Agnes. La fotografa aveva appena tolto la mantella di lana beige
scoprendo un abbigliamento studiato in ogni particolare. Un gilet dai
toni tenui, che le cadeva morbido sulle spalle fino a metà
coscia, mostrava una semplice canotta bianca e dei pantaloni marroni
dal taglio maschile. Per proteggersi dal freddo sembravano
sufficienti degli scaldapolsi e una sciarpa rosso ruggine che faceva a
pugni con il rosso dei suoi capelli. Ai piedi delle
décolleté dalla forma un po' retrò e dal tacco
vertiginoso.
Ancora intenta nella sua osservazione, non aveva fatto caso che nel
frattempo la fotografa aveva aperto la porta dello studio e fatto loro
cenno di accomodarsi.
-Astrid lei è Agnes, l'amica di cui ti ho parlato ieri!- Iniziò con il suo solito tono cortese Colin.
Astrid, ancora intenta ad aprire le persiane e a fare ordine tra le sue cose, si girò distratta verso loro.
-Si si, tanto piacere. Posso offrirvi un caffè?-
-Veramente noi...-
-Oh, per favore. Non ho chiuso occhio stanotte. Sono stata alla Counter
Gallery per la mostra di Anthony, hai presente quel mio amico? Quello
che ti ho presentato l'ultima volta, da Julia!-
Colin stava per rispondere quando lei continuò a parlare noncurante.
-Dopo la presentazione ci siamo spostati al Florist e lì abbiamo
fatto baldoria tutta la notte- Disse gesticolando in maniera
forsennata, mentre azionava la macchinetta per il caffè. In un
gesto repentino si voltò verso i due giovani ancora fermi vicino
la porta.
-Ma cosa aspettate? Su, accomodatevi lì- indicò dei divanetti posizionati malamente in un angolo della stanza.
Fu solo quando prese il primo sorso di caffè che la fotografa portò l'attenzione sui suoi ospiti.
-Mi dovete scusare ma non ho altro da offrirvi oltre al caffè- disse sempre con quell'aria esagitata.
Forse dovrebbe stare molto ma molto lontana dal caffè. Pensò Agnes divertita.
Finalmente la donna si accomodò davanti a loro, portando elegantemente i piedi scalzi sul divano e continuando
a sorseggiare il caffè.
Colin approfittò di quell'improvviso silenzio.
-Ti dicevo, questa è Agnes. La ragazza di cui ti ho parlato ieri-
Astrid si girò, forse per la prima volta, verso di lei.
Socchiuse leggermente gli occhi, come a volerla studiare. E, forse, lo
stava facendo davvero.
-Colin ha detto che vuoi fare la modella-
Non era una vera domanda ma Agnes si sentì in dovere di dire qualcosa.
-Ecco, io non so se sono adatta ma vorrei fare un tentativo- spiegò insicura.
-Adatta? Tesoro sei bella e hai due gambe da mozzare il fiato!- le rispose divertita-Ora facciamo qualche scatto, ok?-
-Ok-
Neanche il tempo di risponderle che Astrid si era alzata e aveva preso a sistemare la sua Reflex.
-Sistemati lì, su quello sgabello- le ordinò con tono pratico senza neanche guardarla.
Erano trascorse ormai delle ore. Astrid in un primo momento le era
apparsa un po' svampita e logorroica. Ed effettivamente lo era ma
sapeva essere anche professionale nel suo lavoro. Anzi, con quel modo
di fare aveva messo Agnes a suo agio permettendole di non essere troppo
ingessata o innaturale al momento degli scatti. L'aveva tartassata di
domande personali così strane da distrarla completamente da
ciò che stava facendo.
Ora erano davanti ad un pc e Astrid stava selezionando le foto che la convicevano di più.
-Vediamo un po'- mugugnò Astrid concentrata -il viso è
molto espressivo- le indicò alcune foto sullo schermo -lo sguardo
c'è- assottigliò lo sguardo pensierosa -c'è
qualcosa che stona, che non ti valorizza. Ma non riesco a capire
cosa!- esclamò scocciata. Poi vedendo la sua espressione delusa
precisò gentile -Non sto dicendo che non hai possibilità.
Ma devi capire che il campo della moda è molto competitivo e
ci sono modelle che alla tua età hanno già anni di
gavetta alle spalle o addirittura cachet stellari. Se vuoi essere
qualcuno in questo campo devi avere un qualcosa che ti contraddistingua
dalle altre. Hai del potenziale, sicuramente. Quindi puoi iniziare e ti
aiuterò volentieri. Ma rifletti sulle mie parole e cerca in te
stessa qualcosa che ti possa fare emergere-
Non la stava buttando a terra. Agnes cercò di essere ottimista e
di guardare al tono incoraggiante che la fotografa aveva appena usato.
Certo, si chiese se le stesse parlando in quel modo solo per l'amicizia
che la legava a Colin. Ma fu solo un momento. Decise di accantonare la
sua solita insicurezza e tentare davvero qualcosa di significativo. A
parte l'imbarazzo iniziale, si era sentita a suo agio davanti
all'obiettivo e voleva riprovare quell'esperienza. Non si sarebbe data
per vinta e avrebbe tentato davvero quella strada, anche se ora
appariva così difficile.
Astrid dovette leggerle quella determinazione sul viso perché le rivolse un sorriso compiaciuto.
Nei giorni successivi Agnes instaurò una relazione al limite del
morboso con il suo cellulare. Lo teneva sempre con sé,
controllava che la batteria fosse carica quando usciva, chiudeva il
telefono in faccia alla madre ogni volta che la chiamava.
La telefonata arrivò proprio quando Agnes si era convinta che
per una volta poteva anche lasciare il cellulare in camera mentre
faceva una doccia. Come da copione, insomma.
Ringraziò il suo super-udito mentre con ancora la schiuma fra i
capelli sfrecciava verso la camera e prendeva il cellulare tra le mani.
Inspirò profondamente per darsi un certo contegno e...
-Pronto?-
Note:
Ciao a tutti!
Eccomi con il nuovo capitolo! Ringrazio chi ha inserito la storia tra
le seguite e le preferite. Un grazie particolare a Rachael che è
stata davvero gentile nella sua recensione.
Per quanto riguarda il capitolo è suddiviso in tre momenti:
-Uno spazio introspettivo dedicato ad Agnes
-La conversazione tra Agnes e Colin da cui emergono alcuni punti interrogativi su quest'ultimo
-L'entrata in scena di Astrid
Il titolo del capitolo è una frase tratta da Ulysses dei Franz Ferdinand.
Nel capitolo nomino diversi posti di Londra, tutti esistenti:
ovviamente Hyde Park con il suo Serpentine e l'incantevole Serpentine Bar dove ho avuto il piacere di prendere una tazza di tè al tramonto, proprio come Agnes e Colin!
Shoreditch è davvero il quartiere più "alternativo" di
Londra con le sue gallerie d'arte e i suoi locali particolari.
Il prossimo capitolo è quasi pronto e ci sarà più spazio al lato romantico della storia.
A presto
Agnes
|
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Capitolo 6 *** Today is the greatest day I've ever know ***
capitolo 5
Today is the greatest day I've ever know
Ci sono dei momenti,
rari ma esistono, in cui camminiamo in mezzo alla gente a testa alta,
con un sorriso soddisfatto e pieni di aspettative. E' come se fossimo
circondati da una particolare aura, resistente a tutte le brutture del
mondo. Non vediamo la discussione in atto tra gli automobilisti, non ci
infastidisce essere pressati dalla gente in metro e non ce la prendiamo
con l'auto che non ci ha dato la precedenza.
Agnes quella sera, di ritorno dal suo primo servizio fotografico, stava
vivendo uno di quei momenti. La musica dell'ipod era la perfetta
colonna sonora per il suo stato d'animo. Camminava per le strade,
scendeva le scale della metro, stava seduta sul sedile senza mai
smettere di sorridere, muovere la testa a tempo di musica e
canticchiare piano. Se ne fregava degli sguardi incuriositi delle
persone intorno a lei e dei risolini che le rivolgevano le due
ragazzine sedute accanto. C'erano solo lei e la sua felicità.
Il servizio fotografico non era niente di che, un lavoretto di poco
conto e non molto remunerativo. Aveva posato con degli abiti di
un'azienda emergente e le foto sarebbero finite in uno di quei
cataloghi che la gente sfoglia frettolosamente. Ma non era questo
il punto. La sua felicità dipendeva dal fatto che per la prima
volta non aveva provato né imbarazzo né incertezza. Dopo
i primi ammonimenti e alcune spiegazioni da parte del fotografo, aveva
capito come doveva comportarsi e da lì era andato tutto liscio.
A fine giornata aveva ricevuto anche dei complimenti.
Per non vedere rovinato il suo buon umore, decise di non passare da
casa. Kayla aveva un'impressionante capacità di buttarla a terra
e quella sera non aveva proprio intenzione di abbandonarsi alla solita
malinconia. Sarebbe andata direttamente al Kirchherr's, dove la
attendeva una serata di duro lavoro poiché era giovedì e
giovedì significava solo una cosa: The Fifth Beatle.
Era trascorsa un'oretta dal suo arrivo ed aveva appena finito di
sistemare il locale. Gheorghe non aveva fatto altro che prenderla in
giro per il suo nuovo lavoro.
-Lo chiami lavoro quello?! Stai senza far nulla mentre ti fanno trucco
e parrucco, stai immobile mentre un tizio ti fotografa e ti pagano
pure!!! Bah... Certe cose non le capirò mai!-
-Ma che dici? Non sto immobile. Devo stare in posa e cercare di essere espressiva!-provò a spiegargli pazientemente.
-Questo per te è abbastanza
espressivo?- berciò sogghignando mentre le mostrava un
certo dito dal significato inequivocabile.
-Sei proprio irrecuperabile!- rispose lei scuotendo la testa divertita.
Era impaziente. Voleva raccontare tutto a Colin e magari....sì, magari
anche ad Ian. Dopotutto avevano mostrato un sincero interesse nei suoi
confronti e forse avrebbe fatto piacere ad entrambi sapere che la sua
avventura, il suo cambiamento, aveva avuto inizio.
Come se li avesse chiamati, i ragazzi entrarono proprio in quel
momento. Colin si nascondeva, senza troppo successo, dietro Ian e le
rivolgeva occhiate divertite. Ian, invece, dalle occhiate perplesse che
rivolgeva all'amico, non sembrava capirci molto. Quando Ian
affrettò il passo lasciandolo scoperto, Colin nascose di gran
fretta qualcosa dietro la schiena dirigendosi verso il bancone.
-Cosa nascondi lì?- chiese divertita Agnes.
Lui sgranò gli occhi. Un'espressione dolcissima da bambino colto
a combinare qualche marachella. Si guardò attorno con modo di
fare teatrale per poi sorriderle furbo.
-Dici a me?-
-Si dico a te, Colin!- gli fece il verso.
Quando fu arrivato proprio davanti a lei, le mise davanti una bella bottiglia.
-Qualcuno mi ha detto che si brinda solo con lo spumante- spiegò
con tono solenne -Per quanto mi riguarda preferirei una Guinness
ghiacciata, ma visto che sei tu la festeggiata noi trogloditi
cercheremo di accontentare questa bella signorina!- continuò la
spiegazione divertito.
Agnes era rimasta senza parole. I suoi occhi andavano increduli dal viso di Colin alla bottiglia.
-Ma come...?-
-Visto che qualcuno si è dimenticato di informarmi- iniziò
con uno sguardo scherzosamente inquisitore -ho contattato Astrid per
avere tue notizie!-
Agnes non seppe fare altro che rivolgergli un sorriso pieno di gratitudine.
-Ma cosa avete da confabulare voi due?- si intromise a quel punto il bassista del gruppo. Com'è che si chiamava?Bart, Matt... Diamine, non lo ricordava mai.
-Festeggiamo il primo ingaggio della qui presente modella- illustrò Colin indicando Agnes.
Anche Ian si avvicinò, apparentemente incuriosito da quella novità.
-In
realtà devo ringraziare Colin- disse lei imbarazzata -è
stato lui a mettermi in contatto con una fotografa inserita
nell'ambiente-
Vedendo Ian avvicinarsi gli sorrise radiosa. Voleva dirgli che questo
piccolo risultato lo doveva anche a quel consiglio che lui le aveva
dato tempo prima. Voleva dirgli che aveva cambiato prospettiva ed
effettivamente cominciava a vedere davvero una strada, un percorso da
seguire. Voleva dirgli tante cose, in realtà. Ma lui la
anticipò.
-Hai il Talisker?- chiese annoiato.
-Cosa?- chiese stranita.
-Il whiskey- le spiegò spazientito.
-Ah...sì. Mi pare di sì- Rispose mordendosi il labbro inferiore per l'imbarazzo -Ora controllo-
E, felice che i whiskey fossero disposti alle sue spalle, si girò
in modo da sottrarsi a quello sguardo indifferente. Sapeva bene dov'era
il Talisker ma doveva prendersi un momento.
Che figura! Sicuramente neanche si ricorda di avermi parlato e io lo stavo pure ringraziando!
Gli versò da bere e azzardò un'occhiata nella sua direzione.
Stava seduto per i fatti suoi senza dar corda alle chiacchiere allegre
degli amici. Sorseggiava il suo whiskey e ogni tanto si portava in
maniera distratta una mano fra i capelli scuri. Non sembrava né
malinconico né nervoso. Semplicemente annoiato. E pensare che
poco tempo prima era stato gentile e disponibile nei suoi confronti.
"Sei tutto tranne che invisibile, Agnes."
Ora si comportava come un estraneo, con un distacco che lei faticava
davvero a comprendere. Come se lei fosse invisibile, per lui.
***
Anche quel giovedì il Kirchherr's fu preso d'assalto dai
giovani amanti del rock. Anche quella sera i The Fifth Beatle non
tradirono le aspettative della clientela e fecero ballare tutti fino a
notte fonda. Nonostante la freddezza di Ian, Agnes aveva trascorso una
bella serata. Il suo buon umore era intoccabile.
Verso fine serata, i ragazzi si avvicinarono al bancone per bere
qualcosa. Le solite ragazzette li accerchiarono nel tentativo di fare
conquiste. Sconsolate, si videro ignorate dall'oggetto delle loro
attenzioni: Ian e Colin che, seduti al bancone, parlavano tra loro di
qualche pezzo da aggiungere alla scaletta.
-Agnes sono finite le birre. Riesci a prendere una cassa?- le chiese Gheorghe, occupato a preparare dei drink.
- Si, vado-
Prese la chiave e si diresse verso il magazzino-sfascio di roba, con la strana sensazione di essere osservata.
Intenta com'era ad aprire la porta, non si rese conto che qualcuno
l'aveva seguita fino a quando non senti delle mani grandi ma gentili
poggiarsi ai lati delle sue spalle. Sorpresa, cercò di girarsi
ma la presa si fece più salda. Poi una delle mani, come a
volerla tranquillizzare, scivolò lenta sul suo braccio fino a
sfiorarle la mano stretta a pugno.
Agnes non ebbe neanche il tempo di formulare un pensiero logico che
lui, era sicura che fosse un Lui, se ne andò. Non si era nemmeno
voltata per accertarsene. Non serviva, avvertiva il vuoto alle sue
spalle.
Frastornata prese la cassa e tornò al bancone.
-Quindi?-le chiese Gheorghe con fare interrogativo.
-Quindi cosa?-
-Non sono venuti ad aiutarti?-
-Ma chi?-
-Razza di idioti nullafacenti!-commentò schifato Gheorghe -Avevo
chiesto a Ian e Colin di aiutarti con le birre, visto che una cassa non
bastava-
-Ian e Colin...- sussurrò Agnes pensierosa.
Forse uno dei due l'aveva seguita e...Neanche lei sapeva dare un
significato a quel gesto. Mentre tornava indietro a prendere un'altra
cassa, si guardò intorno alla ricerca dei protagonisti dei suoi
interrogativi.
Colin stava parlando animatamente con Dave e le dava le spalle. Ian
stava riponendo la chitarra nella custodia e non le prestava alcuna
attenzione.
Era stato davvero uno dei due?
Qualcosa di indefinito la fece rabbrividire mentre ripensava alle
sensazioni provate in quel breve attimo, nel tentativo di decifrarle.
Aveva provato attrazione. Come facesse a provare attrazione per
qualcuno che non aveva nemmeno visto, non sapeva spiegarselo. Ma aveva
provato indiscutibilmente attrazione. Forse qualcosa in lei aveva
riconosciuto la persona alle sue spalle e le aveva suggerito il nome.
Note:
Ciao a tutti! Nuovo capitolo e nuovi interrogativi per Agnes.
Il titolo è tratto dalla canzone Today
dei The Smashing Pumpkins e ovviamente fa riferimento all'entusiasmo di
Agnes per questa nuova esperienza. Entusiasmo a cui si unisce
Colin ma non Ian. Chissà come mai...
Per quanto riguarda la persona dietro di Agnes, ovviamente si tratta di....non so, voi l'avete capito??
Capitolo molto breve, lo so. Ma volevo concentrare l'attenzione su
questi due momenti e non avrebbe avuto senso accorparli al prossimo
capitolo che è già molto ricco di avvenimenti ed è
quasi pronto per la pubblicazione.
A presto
Agnes
|
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Capitolo 7 *** Tonight, so bright tonight ***
capitolo 6
Tonight, so bright tonight
-Ci siamo persi- si lamentò una voce dietro Agnes. Non seppe riconoscerla con sicurezza. Dave o forse Karl, o come diavolo si chiama il bassista.
Qualcuno mugugnò spazientito -Non ci siamo persi- l'inconfodibile voce di Colin.
Passò qualche minuto prima che la stessa persona tornasse all'attacco.
-Amico, è inutile che lo neghi. Ci siamo persi. Questo buio poi mette un'angoscia- si lamentò rabbrividendo.
-Karl, non rompere. Woody mi ha spiegato la strada-
Ad Agnes non sfuggì il tono un po' incerto con cui aveva parlato.
L'amico
sbuffò sonoramente-Ma non senti questi rumori? Saranno dei cani
da guardia. Già immagino, domani ci troveranno tutti a
pezzettini-
Di rumori se ne
sentivano ma nulla che facesse pensare a qualche bestia feroce.
Ciò nonostante anche Agnes iniziava a spazientirsi. Ormai da
mezz'ora vagavano per quel bosco e aveva la netta impressione che Karl
avesse ragione. Impressione sicuramente accentuata dal fatto che non
avesse idea di dove Colin la stesse portando.
-Venerdì esci con noi-
Aveva
esordito così, dal nulla. Non era una domanda, né un
invito. Un'imposizione. Colin era fatto così. Si faceva prendere
dalle novità con un'esuberanza degna di un bambino e, proprio
come un bambino, non ammetteva mai un no come risposta.
Agnes
si era quindi limitata a chiedergli quali fossero i programmi e, di
fronte al suo sorrisetto enigmatico, aveva sbuffato e insistito ancora.
-Niente da fare, ti rovinerei la serata se te lo dicessi!-
-Ma dimmi almeno come devo vestirmi!-
-Come ti pare- le rispose stringendosi nelle spalle con fare indifferente.
Davanti
al broncio di Agnes, però, capì che doveva darle almeno
qualche indizio.- Magari osa un po', qualcosa di particolare- Stava per
allontanarsi dal bancone quando tornò indietro con un sorriso
furbo -Ma porta il costume, mi raccomando!- Poi sembrò pensarci
ancora un po' prima di aggiungere-Ed eviterei scarpe scomode-
Ed eccoli lì, tre ragazzi e due ragazze a vagare per i boschi di una località sconosciuta fuori Londra.
Si
erano dati appuntamento al Kirchherr's, dove i ragazzi erano arrivati
con mezz'ora di ritardo. Sorpresa aveva visto l'auto allontanarsi prima
dal centro, poi dalla periferia. Avevano viaggiato per un bel pezzo e
si erano fermati in mezzo al nulla.
Appena
scesi dall'auto, Colin le si era avvicinato tenendo fra le mai qualcosa
di ingombrante che Agnes non aveva riconosciuto subito.
-Ecco un capo d'alta moda tutto per lei, Miss Dayle!-
-Che cos'è?-
Per tutta risposta, Colin glielo piantò sulla testa con poca gentilezza.
-Un casco di protezione con annessa lampadina-Le spiegò divertito.
-Ahi! E cosa dovrei farci?-
-Seguimi e lo capirai-
Dopo appena qualche passo tra quella buia sterpaglia aveva ben capito cosa doveva farci. Evitare di fare qualche capitombolo!
Dopo dieci
minuti, invece, aveva ringraziato la sua naturale predisposizione a
fidarsi degli altri. Indecisa tra le scarpe da indossare, aveva
preferito dare retta al consiglio di Colin ed evitare scarpe scomode.
Quel giorno aveva piovuto e il terreno era piuttosto umido. I suoi
stivali dovevano essere impresentabili ma almeno non era ridotta come
Misaki, l'unica ragazza oltre lei di quel gruppetto di sprovveduti, che
dall'alto dei suoi tacchi rischiava di cadere un passo sì e
l'altro pure.
Dei suoni in lontananza destarono la sua attenzione.
-Sentite?-chiese a quel punto.
-Siamo
arrivati-esclamò fin troppo sorpreso Colin. A quanto pare non
era così sicuro di conoscere la strada come aveva detto qualche
minuto prima.
Man mano che
camminavano i suoni si facevano sempre più alti e Agnes li
identificò come musica. Musica assordante in effetti.
Dave prese le
mano di Misaki e si mise a correrre ululando verso la fonte di quei
suoni. La bella giapponese urlava dietro di lui, forse più per
il dolore ai piedi che per l'entusiasmo.
Il nervoso Karl li seguì poco dopo, lasciando Agnes e Colin dietro.
-Ma cosa c'è lì? Un concerto?-
Colin scosse la testa divertito.
-I concerti li trovi anche a Londra, non credi?-
***
Fu sufficiente allungare il passo per scoprire che posto fosse.
Era
una villa. E lì niente di strano, se non fosse che si trattava
di una villa grandiosa, una di quelle che Agnes aveva visto solo nei
film. La struttura, tutta bianca, si articolava su tre piani
caratterizzati da ampie vetrate che, grazie all'illuminazione,
lasciavano intravedere la moltitudine di persone al loro interno.
All'esterno il prato, perfettamente curato, era interrotto da una
piscina dalla forma particolare, attorniata da grandi ombrelloni,
salottini e sdraio. Delle piccole luci, disseminate lungo il
giardino, conferivano al tutto un'aria ancora più ricercata ed
elegante.
-Conosci persone che possono permettersi un posto del genere?-Chiese con gli occhi incollati su quella villa da sogno.
-Certo che no- le sorrise scaltro Colin.
-E quindi che ci facciamo in un posto del genere? Ci imbuchiamo?-
-Mai sentito parlare degli Squatters?-
-Gli anarchici che occupano abusivamente le case?- domandò incuriosita.
-Proprio così-
-Ma...Una villa del genere?-
-Da un po' di tempo si sono dati al lusso!-
-Come fanno a passarla liscia?-
-Qui
in Inghilterra non è reato l'occupazione abusiva. Basta evitare
di farsi cogliere in flagrante durante lo scasso. Dopo bisogna solo non
lasciare l'abitazione vuota: finché c'è qualcun altro
dentro il proprietario non può farci niente!-
Nel
frattempo erano arrivati presso la grande terrazza attigua
all'abitazione. Era stracolma di gente: ragazzi e ragazze
dall'abbigliamento più vario si dimenavano e urlavano mentre un
gruppo suonava White Riot. Dall'interno proveniva, un po' attenuata per
via delle vetrocamere, una musica diversa, anche se altrettanto
chiassosa.
-Beviamo qualcosa- le disse all'orecchio mentre le prendeva la mano per non perdersi tra la folla.
Presero delle birre e iniziarono a ballare, scambiandosi ogni tanto qualche parola.
-E'
una jam session...- iniziò a spiegarle -Gran parte di questi
ragazzi sono dei musicisti. Ognuno aspetta il proprio turno per suonare
qualche pezzo-
-Suonerete anche voi?-
-Non
so. Ian all'ultimo momento mi ha detto che sarebbe venuto con altre
persone-le spiegò un po' risentito -è fatto
così: a volte sei il suo più grande amico, altre
scompare e non conti più nulla-
-Questa è bella!!!-Urlò divertito -Hei Oh, Let's Go!- gridò insieme agli altri al tempo di Blitzkrieg Bop.
Ben presto i due iniziarono a pogare, contagiati dall'euforia dei ragazzi intorno a loro.
-Hei ragazzi- rimbombò una voce mentre qualcuno li afferrava per le spalle.
-Dave! Dove sei stato?-
-E' una sera che vi cerco!-
Dall'odore di alcol che proveniva dalla sua bocca e dalla voce strascicata, Agnes ne dubitava molto.
-Venite dentro, siamo tutti lì. Woody voleva salutarti-
Senza
attendere una risposta, mise le sue pesanti braccia intorno alle spalle
di Agnes e Colin per spingerli brutalmente verso l'ingresso.
L'interno
era ancora più stupefacente. Attraverso una portafinestra si
accedeva ad uno spazioso ingresso che in quel momento era gremito di
gente. Dave li spinse verso un'altra stanza, bianca come il resto della
casa, e da lì salirono al primo piano, affollato come gli altri.
-C'è
da perdersi in questa reggia!-si lamentò Dave-Quel Woody ha
proprio gusto, però! Dovresti vedere poi che gran belle...-
-Dave...-Lo riprese Colin.
-Eccoli-
Li
abbandonò subito per andare di gran fretta da Misaki che non
sembrava affatto felice e infatti gli rivolse uno sguardo di
sufficienza prima di voltarsi e andare via con un'altra ragazza.
-Topolina, perdonami. Non riuscivo a trovare Colin-
Quando però la nipponica si fu allontanata, fece spallucce e si mise a parlare con una tizia lì accanto.
Ma l'attenzione di Agnes fu ben presto catturata da qualcos'altro.
Su un grande divano stavano seduti comodamente un gruppo di persone e, tra quelle, eccolo lì: Ian.
Uno di loro si alzò dal divano per venire loro incontro, subito seguito da Ian.
Lo
sconosciuto aveva un'aria alquanto eccentrica. Non alto ma molto magro,
portava i capelli indietro lasciando intravedere una calvizie
incipiente. Il naso piuttosto pronunciato e la dentatura un po'
cavallina facevano sì che la sua immagine fosse riconoscibile
anche a distanza di tempo. Indossava una giacca dal taglio elegante
sopra una tshirt dai colori accessi e dei pantaloni molto stretti che
sottolineavano le gambe magre.
-Colin anche tu qui! Mi fa veramente piacere- esordì cerimonioso, come se fosse il padrone di casa.
-Woody, quanto tempo!! Ne hai fatta di strada da quando occupavi il 101 di Walterton Road-
Il tipo indicò la gente attorno a loro -Siamo cresciuti in numero e serve più spazio-
-Uno spazio molto lussuoso, a quanto vedo-
Woody agitò una mano in segno di noncuranza, mentre il suo sguardo curioso si posava su Agnes.
-Sempre il solito cafone, Colin. Non dovresti presentarmi quest'incantevole ragazza?-
-Piacere, Agnes!-si presentò sorridente la giovane.
-Che adorabile fidanzata. E' proprio vero, le perle vanno...-
-Sono solo un'amica-si premurò di precisare lei quasi all'unisono con Colin.
Woody li guardò divertito prima di rivolgersi all'amico.
-Purtroppo
io stasera sono impegnato- disse indicando un gruppetto di ragazze che,
sedute sul divano, la guardavano minacciose -Ma posso presentarti il
mio amico Ian! Ha dei gusti davvero difficili- spiegò avvilito.
Dopo
l'ultimo incontro, Agnes non sapeva davvero che comportamento
aspettarsi da parte di Ian. Se era un giorno no, poteva arrivare a
fingere di non conoscerla. Se era un giorno sì, le avrebbe
rivolto uno dei suoi rari sorrisi.
Giorno sì. Pensò con un sospiro di sollievo davanti all'espressione serena con cui il ragazzo la guardò.
-Ci conosciamo già. E' una barista del Kirchherr's-spiegò conciso.
"Sì, e un giorno le faccio da confidente e il giorno dopo la ignoro completamente" aggiunse scocciata nella sua testa.
-Ah, il locale dove suonate voi bambocci-
-Noi bambocci?!- domandarono all'unisono Ian e Colin indignati.
-Dimmi un po' caro Woody, quante offerte avete avuto tu e i 101'ers quest'anno?- Chiese Ian insinuante.
-Nemmeno una- rispose Colin scandendo ogni sillaba.
-Fottetevi!-
si limitò a dire l'amico sbeffeggiato prima di rivolgersi
nuovamente ad Agnes. -Allora barista, cosa può offrirti il buon
vecchio Woody? Birra, whiskey, assenzio, Black-birds o magari qualche
Blotter-Acid?-
-Una birra andrà benissimo- rispose scocciato Ian al suo posto.
-Ma io dicevo tanto per dire. Sempre permaloso-
***
Era
brilla. Non aveva bevuto molto ma la birra aveva prodotto comunque il
suo effetto. Una sensazione di leggerezza la avvolgeva così che
tutto intorno a lei le appariva ovattato. Ballava da chissà
quanto tempo. Il tempo aveva perso la sua importanza. Di importante
c'era solo la musica e quel fastidio alle guance causato dal
sorriso cristallizzato sul suo volto. Continuava a portare le mani
sulle gote accaldate e indolenzite in un'espressione che doveva essere
molto buffa visto che Colin rideva ogni volta.
La
mente, fortunatamente, non aveva perso lucidità. Non aveva avuto
problemi a capire le intenzioni di uno sconosciuto che l'aveva presa
per i fianchi così da allontanarsi subito. Aveva rifiutato le
pasticche che Misaki le aveva offerto. E si era goduta al meglio la
serata.
C'era
qualcosa, però. Qualcosa che la distraeva continuamente, che
portava i suoi occhi lontano da Colin, Dave e tutti gli altri. Una
curiosità che sconfinava nell'ossessione, un pensiero fisso.
Senza rendersene conto lo cercava tra le persone intorno a lei e,
quando lo individuava, si perdeva nella sua immagine.
Ian
era sempre accerchiato da persone. Eppure qualcosa di lui trasmetteva
un senso di isolamento, voluto e mai forzato. Uno strano pensiero,
forse dettato dai fumi dell'alcol, la attraversò. Ian viveva in
una perenne notte affollata e solitaria insieme, preferendo
chissà per quale motivo danzare da solo.
I
ragazzi intorno a lui, compreso quel Woody, pendevano dalle sue labbra.
Gli ponevano domande e affascinati lo ascoltavano rispondere. Le
ragazze, invece, facevano di tutto per attirare la sua attenzione. Gli
portavano da bere, ballavano con lui e qualcuna osava anche di
più. Il protagonista di quelle attenzioni non si mostrava mai
indifferente o sgarbato. Era gentile, affabile con alcuni di loro.
Davanti ad alcune domande, che Agnes non aveva potuto sentire, aveva
risposto in maniera entusiasta e aveva parlato ininterrottamente per
diversi minuti. Con le donne, poi, era sempre impeccabile e non aveva
rifiutato alcun invito. Solo, non rispondeva alle loro avances come
avrebbero voluto. Certo, le abbracciava e le stringeva a sè
mentre ballavano ma non andava mai oltre. Agnes interpretò
quell'atteggiamento come un'avversione verso gli atteggiamenti troppo
audaci in pubblico. Avversione che non sembravano provare né
Karl, impegnato in un discorso molto licenzioso con Misaki né
Dave che, dopo aver fissato basito l'amico baciare la giapponese si era
subito ripreso provandoci con la amica di lei, tal Jilian o Joanna.
-Ragazzi lasciatele respirare un po'- li esortò divertito Colin. Niente da fare, neanche lo sentivano.
-Dai, non sta suonando nessuno ed ho chiesto a Woody di farci fare qualche pezzo-
A
quelle parole i due lasciarono in modo rude le due malcapitate e quasi
di corsa si avvicinarono agli strumenti messi a disposizione da Woody.
Colin si guardava intorno un po' contrariato.
-Dove diavolo si è cacciato?-
-Colin qui il silenzio comincia a dare fastidio. Qual è il problema?- domandò divertito Woody.
- Il problema è che non trovo il mio chitarrista-
-E
io che ci sto a fare qua?-gli rispose quello indicandosi con entrambe
le mani -Che c'è, non mi trovi alla vostra altezza?-
Colin gli lanciò un'occhiata scherzosa come a volerlo valutare.
-Vedi di non sbagliare troppi accordi- Disse avvicinandosi al microfono.
-E tu non prendere troppe stecche!-
***
Fin dalle prime note Agnes
si mise a ballare, incurante del fatto che i suoi amici l'avessero
lasciata sola in mezzo a quel gruppo di sconosciuti. Forse era l'alcol
a donarle disinvoltura ma non voleva stare lì a pensarci. Voleva
solo godersi la musica.
Presto, ognuno
di quei volti a lei estranei scomparvero dalla sua visuale, lasciando
posto a una figura più familiare e decisamente più
magnetica. Ian, che sembrava nato per muoversi al tempo di quel pezzo,
ballava poco distante da lei. Anche lui da solo. Lo guardò a
lungo, ma soltanto quando lo sguardo risalì lungo la figura
slanciata, fino a incrociare i suoi occhi, capì che anche lui le
stava dedicando la stessa attenzione.
Ian non ballava
davvero. Si limitava a muovere in modo quasi impercettibile la testa e
il corpo e a portare in maniera distratta la sigaretta alle labbra. E
questo bastava per farle provare un'attrazione mai provata in vita sua.
Quasi
ipnotizzata da quelle movenze, Agnes non si rese conto che si era fatto
vicino, molto vicino e ora, accennando appena un sorriso, sembrava
invitarla a ballare. Trovò naturale adeguarsi ai suoi movimenti
e si ritrovò a ricambiare quel sorriso. Si irrigidì solo
un po' quando sentì la mano di Ian posarsi sul suo fianco
sinistro. Il ragazzo sembrò cercare sul suo viso un segno di
fastidio ma quello che vide dovette tranquillizzarlo perché quei
pochi centimetri che li separavano continuavano a ridursi sotto il
volere di Ian. Ormai il fianco di lei si muoveva come guidato da quella
mano ferma e sicura tanto da aumentare la tensione del momento. Una
tensione che, Agnes ne era convinta, avvertivano entrambi. Una tensione
che si scaricò immediatamente quando Woody urlò al
microfono -Donne in acqua!-
Mentre Agnes si
sentiva smarrita in mezzo alle urla divertite dei ragazzi intorno, Ian
le sorrise diabolico, la afferrò per i fianchi e se la
caricò sulle spalle per poi dirigersi verso la piscina.
-No ti prego. Fa freddo-urlò Agnes allarmata.
Le suppliche non furono sufficienti a dissuaderlo.
Ma quando cercò di gettarla in acqua lei gli tirò con forza la tshirt trascinandoselo dietro.
E poi fu solo
acqua. Acqua riscaldata, per fortuna. Una volta toccato il fondo della
piscina si diede una spinta verso l'esterno e, quando riemerse, Ian era
già lì ad attenderla.
-E' stupendo qui! A saperlo mi sarei gettato prima!- esclamò il ragazzo avvicinandosi a lei.
-Dimentichi che sono stata io a farti cadere-
-Solo perché te l'ho permesso!-
-Ma che
bugiardo!- commentò lei piccata per poi mettersi a ridere quando
lui iniziò a gettarle degli schizzi d'acqua in pieno volto.
Ben presto li
raggiunsero anche gli altri ragazzi, con i quali ingaggiarono una vera
e propria lotta a suon di risa e di schiamazzi.
C'era qualcosa,
in quella notte, di indelebile. Ma nessuno di quei ragazzi, dai
caratteri così diversi e particolari, a volte anche complicati,
se ne rese conto mentre accadeva. Presi com'erano dal divertimento,
dalle risa e dalle urla non potevano capire che, in quella villa,
avevano dato via a qualcosa di grande che li avrebbe per sempre
cambiati.
Quella
notte si stavano consumando momenti irripetibili delle loro vite.
Momenti così perfetti che in futuro non sarebbero più
riusciti nemmeno a descrivere.
Note:
Ciao a tutti! Questo è un capitolo un po' particolare che merita alcune precisazioni.
Innanzitutto
la figura di Woody è ispirata a Joe Strummer dei The Clash. Agli
esordi si faceva chiamare appunto Woody e faceva parte dei 101'ers dal
nome della casa che aveva occupato insieme a un gruppo di hippies.
Nel
capitolo si fa riferimento agli Squatters. Si tratta di una piaga della
società inglese dovuta, come spiega lo stesso Colin, a un
paradosso della legislazione britannica. Vero è anche il fatto
che di recente gli squatters hanno iniziato ad occupare case lussuose.
Nella
scrittura di questo capitolo mi hanno influenzata, ancora più
del solito, certe canzoni tanto che ne faccio riferimento anche nel
testo:
Il momento in cui Agnes osserva Ian e le sue impressioni è ispirato da Dancing with myself. di Billy Idol
La canzone che mi ha ispirato il momento Agnes-Ian è Come on dei The Panderers (l'avrò ascoltata una decina di volte!!)
Infine il titolo del capitolo così come il periodo che lo conclude fa riferimento alla stupenda Tonight, tonight dei The Smashing Pumpkins.
Nel corso del capitolo ho anche menzionato altre due canzoni per rendere l'idea dell'ambiente che circonda Agnes: White Riot dei The Clash e Blitzkrieg bop dei Ramones.
Ringrazio sempre chi ha recensito e chi segue la mia storia e adesso mi rimetto al vostro parere!
Al prossimo capitolo
Agnes
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Capitolo 8 *** There is a light that never goes out ***
capitolo 7
There is a light that never goes out
Quella mattina
di dicembre la sveglia suonò puntuale. Ma, come accadeva ormai
da un po' di tempo, Agnes era già alzata. Alle prime luci
del mattino la sua mente diventava vigile, pronta a captare qualsiasi
avvicinamento del nemico.
La sveglia fu
quindi zittita con un gesto spazientito mentre la giovane rivolse
un'occhiata preoccupata in direzione della porta.
Silenziosa,
entrò nel bagno personale. Dopo una rapida doccia si
vestì frettolosamente nonostante il corpo fosse ancora bagnato e
tremante per il freddo.
Un'occhiata
veloce allo specchio e si avvicinò alla porta. Era quella la
parte più difficile, che avrebbe condizionato il suo umore quel
giorno. Si trattava di evitare la padrona di casa, Kayla.
Fin dal suo arrivo a Londra, Kayla aveva deciso che "avrebbe sopperito alle mancanze di sua madre, riportando la giovane sulla retta via".
Sostanzialmente, l'avrebbe persuasa a smetterla con i capricci e ad
iscriversi all'università. Da brava avvocato sapeva quali tasti
toccare e i motivi su cui insistere e, cosa ancora più
pericolosa, individuava con assoluta precisione il momento propizio per
attaccare la sua preda.
Quando l'aveva
informata del suo primo servizio fotografico, Kayla non aveva detto
nulla limitandosi a storcere elegantemente il naso. Sapeva bene che
l'entusiasmo avrebbe reso la giovane sorda alle sue parole e un tipo
pratico come lei detestava parlare inutilmente.
Quindi stette in silenzio, attendendo che arrivasse inesorabile la disillusione.
Come previsto,
dopo un po' di tempo Agnes si trovò di fronte ad un'amara
realtà. La sua carriera nella moda era ancora ben lontana
dall'iniziare. Nonostante tentasse diversi provini, veniva scelta solo
per incarichi di poco conto, niente che le desse un'adeguata
visibilità. Aveva sottovalutato le difficoltà di quel
percorso e ora ne stava pagando le conseguenze.
Fu in quel
momento che ebbe inizio la guerra all'interno di quell'elegante
appartamento di South Kensington. Per Kayla ogni momento era buono per
attaccarla e rinfacciarle la sua inadeguatezza per quel mondo. Agnes,
vista l'inconciliabilità delle loro posizioni, preferiva
difendersi in due modi diversi: o stava in silenzio mentre l'altra le
rivolgeva le solite parole di biasimo o, soluzione altamente
preferibile, evitava semplicemente di imbattersi nella sua avversaria.
Quella mattina
stava appunto provando a mettere in pratica quest'ultima soluzione
quando, arrivata a metà corridoio, il cellulare prese a
squillare.
-Pronto?- bisbigliò
All'altro capo del telefono, Colin si mise a sghignazzare.
-Ancora con questa storia?- le chiese divertito.
-Ti prego, non infierire.-
-Mandala al diavolo una volta e per tutte, no?-
Agnes sbuffò sonoramente -la fai facile, tu-
Nel frattempo prese a scendere le scale che l'avrebbero portata all'ingresso. La salvezza era vicina.
Avvertì dei rumori alle sue spalle. La megera doveva essere ancora al piano di sopra.
-Forse per una volta riesco a fare colazione a casa- comunicò sempre a bassa voce all'amico.
-Veramente ti avevo telefonato proprio per...-
Aveva appena
messo un piede in cucina quando si ritrovò davanti la figura di
Kayla intenta a preparare la colazione. Prima che potesse vederla, fece
un rapido dietrofront e tornò in salotto.
-Mmh..-si lamentò scocciata.
-Che c'è adesso?- chiese lui divertito.
-Comincio a pensare che questa donna abbia il dono dell'ubiquità e che ci siano almeno tre Kayla Bishop in questa casa-
-Agnes, sei tu?-
-Oh, dannazione! Mi ha sentita ed è tutta colpa tua-
-Mia?? Io volevo solo invitarti a colazione-
-Agnes?- insistette la voce proveniente dalla cucina.
-Va bene. A tra po'-
Appena il tempo di chiudere la conversazione e Kayla fu dietro di lei.
-La colazione è pronta- l'avvertì con un tono degno di un generale delle SS.
-Veramente ho fretta. Prenderò un muffin e lo mangerò strada facendo-
-La colazione si fa seduti a tavola- le rispose facendo un cenno imperioso verso la sedia.
-Ma...-
Assottigliò lo sguardo mentre le lanciava un'occhiata valutativa -Non è che sei anoressica?-
Agnes si morse
con forza un labbro per evitare di rispondere in modo scortese. Si
sedette e prese a mangiare svelta il suo muffin.
-Come mai questa fretta?-
-Ho due provini oggi- spiegò tra un boccone e l'altro.
-Oh, Agnes cara...Non credi che sia il caso di smetterla?-
La ragazza
posò lentamente il muffin sul piattino, si grattò nervosa
un sopracciglio ripetendosi che non valeva la pena di risponderle e si
alzò.
-Io vado-
-Ti ho fatto una domanda-esclamò indignata.
-Una domanda inutile- le rispose con un distacco che era ben lontana dal provare.
-Tua madre mi
ha chiesto di occuparmi di te e non posso ignorare la brutta strada che
stai prendendo. Ogni mattina salti la colazione e dio solo sa cosa
mangi quando sei fuori. Durante il giorno non ti fai vedere né
sentire e se ti chiamo non ti degni di rispondere. Perdi tempo dietro
la moda mentre i tuoi coetanei fanno progetti seri e, come se tutto
questo non bastasse, ogni sera esci con quei tipi loschi.-
Forse sentendosi svantaggiata dalla posizione, Kayla si alzò per fronteggiare la giovane.
-Non sono nata
ieri, carina. Immagino cosa fate tu e quei...-un'espressione disgustata
le deformò il viso. Vista la sua incapacità di continuare
quello sproloquio, Agnes ne approfittò per dileguarsi.
-Se hai finito io andrei- le chiese con la peggiore faccia da schiaffi del suo repertorio.
-Ma, ma...-
-Buona giornata- La salutò con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
-Buona giornata
un corno- si disse scocciata dopo che ebbe chiuso la porta dietro di
sè. Era diventata davvero brava a non dare soddisfazioni alla
gente, a Kayla in particolare. Ma se davanti alla megera riusciva a
fingersi indifferente alle sue parole, almeno con se stessa doveva
essere sincera: quelle continue critiche colpivano il suo già
precario stato d'animo.
Ci stava
mettendo tutto l'impegno possibile. Aveva seguito i preziosi consigli
di Astrid sul suo look; aveva contattato diverse agenzie e soprattutto
si era presentata a tutti i provini, dando il meglio di sè.
Non è sufficiente.
Lo aveva pensato quando, all'ultimo provino, l'incaricato aveva appeso
l'elenco e il suo nome non figurava tra le assunte. Lo aveva ripetuto
tra sè quando una ragazzina di sedici anni era stata accolta
come una diva. E questo pensiero tornava anche quando i fotografi la
osservavano perplessi, come se qualcosa di lei non andasse. Non era sufficiente.
Agnes dentro di sè cominciava a dare ragione a Kayla e questo la spaventava più di ogni altra cosa.
Gettò un'occhiata a quella palazzina che ormai da diversi mesi la ospitava.
"Non è casa." Realizzò prima di voltarsi e dirigersi verso la metro.
Casa è dove trovi riposo e conforto, al riparo da torti e paure.
Se avesse
potuto avrebbe lasciato l'appartamento di Kayla quel giorno stesso. Era
un lusso che non poteva permettersi. Per poter partecipare ai casting
ed essere sempre disponibile per l'agenzia che la seguiva, aveva dovuto
rinunciare al suo lavoro di barista a tempo pieno. Gheorghe aveva
assunto un'altra ragazza, permettendo ad Agnes di lavorare al
Kirchherr's solo saltuariamente. Questo significava una drastica
riduzione dello stipendio e, visto lo scarso successo nel mondo della
moda, la prospettiva di trovare un monolocale tutto per sè le
appariva sempre più lontana.
Un messaggio di Colin arrivò a distrarla. L'avvisava che la stava aspettando al solito Starbucks.
Non potè trattenere un sorriso.
Colin, Ian, Dave e Karl. Dopo la famosa sera alla villa, Agnes era entrata a far parte del loro mondo. Un vero privilegio, avrebbe commentato qualcuno come Kayla. Ma per Agnes quell'amicizia era qualcosa di stupefacente.
Affrettò il passo per raggiungere Colin mentre la sua mente ripercorreva le ultime serate trascorse insieme ai ragazzi.
Gran parte
delle loro uscite ruotavano intorno alla musica. Spesso si ritrovavano
in locali notturni dall'aria decadente, dove i The Fifth Beatle
suonavano qualche pezzo per il semplice gusto di suonare. Agnes restava
dietro le quinte, occupata a spiare i volti che affollavano quegli
strani locali e soprattutto a indovinare le storie che si nascondevano
dietro quei volti.
Altre volte
trascorrevano intere serate a bere birra in qualche pub, dove
puntualmente qualcuno di loro finiva con il dare spettacolo. E quando
Agnes era di turno al Kirchherr's, il gruppo si ritrovava lì con
la scusa di scroccare qualche Guinness.
Una volta Colin
l'aveva portata alle prove del gruppo. Dal momento che potevano provare
solo di sera, erano costretti a riunirsi nello scantinato della
galleria d'arte della madre di Colin. Quando entrarono, Ian le rivolse
un'occhiata non proprio felice. Colin le spiegò che quando si
trattava di musica, Ian diventava un vero stacanovista e non ammetteva
distrazioni durante le prove tanto da aver vietato ai ragazzi di
portare le loro conquiste. "Ma per te può fare un'eccezione."
Spesso, a notte
fonda, camminavano a piedi per le strade di Londra. Agnes in quei
momenti non temeva nulla. Nè le ombre dei vicoli, rispetto alle
quali avvertiva un senso di appartenenza; nè le persone che
incontravano strada facendo, fantasmi così simili a loro.
Dopo che
l'incontro con Colin le aveva permesso di recuperare almeno in parte il
suo buon umore, si preparò ad affrontare una difficile giornata.
***
Quella sera neanche i ragazzi riuscivano a farla svagare. I casting
erano andati male e al ritorno aveva discusso di nuovo con l'arpia.
Quando era salita in auto Colin l'aveva osservata un po' preoccupato e
davanti al suo sorriso tirato aveva assunto un'aria pensierosa.
Le ore trascorrevano lente e Agnes sentiva il bisogno di starsene un
po' da sola. Si trovava invece in un pub molto affollato, seduta tra il
possente Dave e il mingherlino Karl, intenti a litigare nel tentativo
di stabilire quale fosse la miglior band punk di sempre.
Poichè non ne poteva più di sentire parlare di "Clash",
"Sex Pistols", "Rock the Casbah" e "God save the queen", decise di
raggiungere Ian e Colin impegnati in una partita a freccette.
Arrivò silenziosa dietro di loro e, quando stava per fargli notare la sua presenza, li sentì fare il suo nome.
-Non capisco perché fai quella faccia. Che fastidio ti darebbe?-
-Il problema non è Agnes- rispose Ian irritato, mentre cercava
di prendere la mira tenendo la freccetta tra le dita sottili.
-Ma vedi Ian- iniziò esasperato l'amico -Non capisco quale possa essere il problema visto che si tratta di Agnes-
Ian non rispose. Sembrava voler prendere tempo mentre occhieggiava il
bersaglio. Dopo aver ottenuto venticinque punti, si voltò verso
Colin. Agnes riusciva a vederne solo il profilo ma le sembrava incerto,
titubante.
-Non sarebbe un po' complicato due ragazzi e una ragazza?-
Colin fece un gesto noncurante con la mano mentre prendeva una freccetta e si preparava al tiro.
-Agnes non si farebbe nessun problema con noi due-
-E tu sei sicuro che dirà di sì?-
Dopo aver tirato la freccetta, Colin lo guardò divertito.
-Ne ha troppo bisogno!-
Se i due si fossero girati avrebbero trovato un'Agnes a dir poco
sconcertata. Quella conversazione non lasciava ampi margini
d'interpretazione.
-Va bene allora- acconsentì Ian di malavoglia -Però...-
-Però?-
-Glielo proponi tu.- Disse mentre lasciava andare l'ennesima freccetta.
***
Agnes si era rifugiata al bancone, dove ormai da diversi minuti era
seduta con una Coca come unica compagna. Ogni tanto gettava un'occhiata
dietro di lei alla ricerca dei due ragazzi. Nervosa si chiedeva di cosa
stessero parlando poco prima.
-Cosa ci fai qui tutta sola?-
Colin si sedette sullo sgabello accanto a lei. La guardava con quella
dolcezza che le aveva riservato fin dal loro primo incontro. Agnes
però era di cattivo umore e non riusciva a ricambiarla.
-I discorsi sul punk mi hanno stancata- Spiegò scocciata. Una
mezza verità: in realtà stava scappando dalla proposta
che Colin avrebbe dovuto farle.
L'amico si sporse nella sua direzione, sfiorandole la spalla con la sua.
-E' strano vederti così- le disse con un sorriso un po' triste.
-Così come?-
Lui sembrò cercare le parole giuste e dopo qualche minuto di silenzio parlò.
-Stai sprofondando...-
Agnes si irrigidì e non potè fare a meno di voltarsi nella direzione opposta.
-Ma io ho la soluzione ad almeno uno dei tuoi problemi- Le disse
strattonando appena la manica della tshirt nel tentativo di farla
girare nella sua direzione.
-Non tutto può essere risolto, Colin-
-Questi toni drammatici lasciamoli alle soap, ok?-
Agnes si ritrovò a sorridere suo malgrado.
-Ecco, così va meglio. Stavo dicendo che ho una proposta per te-
le spiegò recuperando il tono divertito che lo aveva sempre
contraddistinto.
Agnes si mosse nervosa rischiando di cascare dallo sgabello.
-Io e Ian abbiamo pensato che ti farebbe bene...-
-Certo, non so se i tuoi approverebbero...-
-Anche tu potresti sentirti a disagio con due uomini-
-Ma penso che se metti da parte ogni pregiudizio potresti stare bene con noi-
Agnes era allibita. Strabuzzò gli occhi mentre l'amico continuava a blaterare senza mai arrivare al punto.
-Colin-lo interruppe incerta.
-Che c'è?-
-Di che diavolo stai parlando?-
Lui la guardò come se si fosse ammattita, come se fosse ovvio il significato delle sue parole.
-Ti sto chiedendo di venire a vivere con me e Ian-
***
-Non far caso
al disordine- esordì Colin mentre apriva la porta
d'ingresso.-Stamattina non ho avuto neanche il tempo di sistemare-
Era circa
mezzogiorno. Agnes e Colin avevano trascorso l'intera mattina a
raccogliere le cose di lei per portarle all'appartamento. Erano stanchi
ma entrambi di buon umore. Guardandoli nessuno avrebbe immaginato la
vivace discussione che aveva condotto i due a quel momento. Non era
stato facile convincere la ragazza a trasferirsi. E non perché
avesse delle remore a vivere con due uomini. Si sentiva un peso, come
qualcosa di cui Colin aveva deciso di prendersi cura e Ian di
sopportare. Le appariva inaccettabile.
Per fortuna
erano giunti ad un compromesso: Agnes avrebbe contribuito alle spese.
Colin era a conoscenza delle sue difficoltà economiche e avrebbe
voluto accoglierla come un'ospite ma Agnes era stata irremovibile su
quel punto. Pagare la sua parte l'avrebbe fatta sentire meno in colpa.
Quando furono
dentro, Agnes notò che non c'era affatto il disordine a cui
l'aveva preparata Colin il quale, a sua volta, si grattò la
testa confuso.
-Sarà stato Ian a fare ordine- Poi sorrise scuotendo la testa -Vuol dire che ci teneva a farti una buona impressione!-
Agnes
però non lo stava ascoltando più. Si guardava intorno,
come a voler imprimere nella mente ogni aspetto dell'appartamento.
Il parquet
aveva un'aria consunta, il legno degli infissi e delle porte era
rovinato e le pareti necessitavano di una riverniciata. Eppure tutti i
difetti lasciarono indifferente Agnes, intenta com'era a cercare
qualcosa che le parlasse di Ian e Colin. Sfiorò la grande
libreria che faceva anche da divisorio tra la piccola cucina e il
soggiorno. Lo sguardo si spostò sul televisore di ultima
generazione, accanto al quale erano accatastati dei dvd. L'impianto
stereo doveva essergli costato parecchio, e sicuramente molto di
più del grande divano che occupava la stanza.
Le quattro pile
di cd e dischi in vinile le parlavano di un amore sconfinato per la
musica. Così come le riviste di musica lasciate sul tavolino di
fronte al divano e la chitarra elettrica poggiata ad un angolo della
stanza.
Un'intera
parete tapezzata di foto parlava di un legame, quello fra Ian e Colin,
tanto forte quanto particolare. Già dalle foto si notava quanto
i due fossero diversi. Alcune immortalavano l'allegra risata di Colin,
mentre altre il carattere schivo di Ian. Ma ciò che traspariva
davvero dalle foto era qualcosa di profondo, di cui anche Agnes avrebbe
voluto far parte.
La giovane si
guardò di nuovo intorno e per la prima volta sentì di
aver trovato un posto che le apparteneva davvero. Un posto che avrebbe
potuto chiamare Casa.
Note:
Ciao a tutti! Stavolta ho tardato ad aggiornare perché ho voluto
fare una revisione dei primi capitoli(mi manca il capitolo 4). Non ho
modificato nulla a livello di trama ma ho cercato di migliorare un po'
lo stile e alleggerire alcune parti. Spero che il risultato sia
soddisfacente. Per quanto riguarda il nuovo capitolo, invece, si tratta
di un momento fondamentale che avvicinerà ancora di più
Agnes a Ian e Colin. Le canzoni che mi hanno aiutata nella scrittura
stavolta sono due: there is a light that never goes out dei The Smiths (canzone dai toni molto cupi) e Nightclubbing di Iggy Pop (per la parte in cui Agnes pensa alle sue serate con i ragazzi).
Nel prossimo capitolo ci sarà molto spazio per Ian e un colpo di scena...
Alla prossima!
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Capitolo 9 *** Agnes in the sky with diamonds ***
capitolo 8
Agnes in the sky with diamonds
Agnes aveva davanti una giornata tutta per sè.
Colin avrebbe
trascorso la giornata fuori ed era stato piuttosto evasivo sui motivi
di quell'uscita. Cosa strana, visto che aveva la tendenza a renderla
partecipe di qualsiasi cosa facesse.
Ian, come al
solito, non si sarebbe fatto vedere fino a sera. Normalmente passava le
sue giornate al negozio di dischi dove lavorava. L'impiego perfetto per
lui visto che, da quanto le aveva raccontato Colin, anzichè
servire i clienti occupava il suo tempo tra dischi e riviste di musica.
Non le
dispiaceva stare sola. Voleva ricambiare la disponibilità dei
due ragazzi sistemando l'appartamento. E soprattutto sentiva il
bisogno di sentirsi parte di quella casa per cancellare la sensazione
di estraneazione che a volte la prendeva. Piena di energia accese lo
stereo per trovare un po' di compagnia nella musica. Scartò i
Joy Division e The Smiths, decisa a mantenere intatto il suo buon
umore. Quando ebbe trovato qualcosa che le desse la carica,
iniziò le pulizie. Pulizie che non durarono nemmeno venti
minuti.
Mentre era intenta a spazzare il soggiorno, arrivò qualcosa a distrarla. Qualcosa che di nome faceva Are you gonna be my girl.
Iniziò a muovere la testa a tempo della batteria. Da lì a
ritrovarsi a ballare come una forsennata il passo fu molto breve.
Scelse il momento meno opportuno per impugnare la scopa come un
microfono e inscenare un immaginario concerto.
Il fantomatico
concerto, infatti, aveva un pubblico che immaginario non lo era
affatto. Appoggiato alla libreria c'era uno spettatore in carne, ossa e
faccia da schiaffi. Ian.
Agnes rimase
impietrita sotto lo sguardo divertito del suo osservatore. Mentre i Jet
venivano sostituiti dagli Arctic Monkeys, la giovane rivolse qualche
occhiata verso Ian il quale aggrottò le sopracciglia fingendosi
pensieroso.
-Se questa canzone non ti ispira possiamo cambiarla- la canzonò indicando lo stereo.
Agnes gli dedicò un'occhiataccia che lo portò a ridere apertamente.
-Potevi farmi
notare la tua presenza- disse poggiando la scopa lontano da lei, nel
vano tentativo di recuperare un po' di dignità.
-Mi stavo divertendo. Hai un modo di ballare buffo-
-Buffo?!-replicò la giovane con aria bellicosa.
-Da ragazzina- le spiegò mentre si sedeva sul divano.
-Non mi sembra esattamente un complimento- disse spazientita.
Lui si strinse
nelle spalle prima di continuare -Non mi piacciono le ragazze che si
atteggiano quando ballano. Mi piace la spontaneità e tu... Tu ti
lasci prendere dalla musica, senza freni e senza trucchi.-
Agnes si fece scappare un sorrisetto compiaciuto mentre riprendeva in mano la scopa.
-Che fai?- domandò incuriosito.
-Sai, la scopa non serve solo come microfono! Ha anche altre utilità-
-Hai intenzione di restare a casa?- chiese ignorando la sua risposta.
-Sì, perché?-
-Io devo uscire
e mi chiedevo se volessi venire con me. Certo...- disse dedicandole
un'occhiata divertita -se non preferisci tenere il tuo concerto-
Agnes lo
guardò sorpresa. Era la prima volta che Ian le chiedeva di
uscire. Anzi, da quando si era trasferita nel loro appartamento, erano
davvero poche le volte in cui si erano ritrovati da soli. Ian era quasi
sempre fuori e anche quando non lo era tendeva a stare nella sua
stanza, lontano dalle allegre conversazioni di Agnes e Colin. A volte
si era chiesta se fosse colpa sua, se lui non la volesse
nell'appartamento e Colin, intuendo i suoi dubbi, le aveva spiegato che
era fatto così: bastava a se stesso.
-Vengo con te- gli sorrise radiosa.
***
Era davvero strano camminare accanto ad Ian. Senza la rassicurante
presenza di Colin e gli altri ragazzi, Agnes tornava a sentirsi come la
prima volta in cui aveva scambiato qualche parola con lui. Timida ed
impacciata. In quel momento, mentre camminavano tra le bancarelle del
mercato di Brixton, si sentiva divisa tra due sensazioni opposte: da un
lato la curiosità per la figura che le camminava accanto,
dall'altro una inspiegabile voglia di fuggire lontano.
-Allora, che te ne pare di Brixton?- le chiese riferendosi al quartiere in cui abitavano.
-Sinceramente ne avevo sentito parlare come un quartiere poco raccomandabile-
-Per via delle guerriglie di anni fa?- chiese lui stranito.
Agnes annuì prima di continuare -Ma basta camminare anche una
sola volta tra queste bancarelle per capire che non è affatto
così. E' il quartiere più colorato di Londra!-
La guardò incuriosito, in evidente attesa che continuasse a parlare.
-Ci sono i colori vivaci del mango e della papaia- spiegò
indicando una bancarella poco distante da loro -e poi quelli legnosi
delle noci di cocco-
Si guardò ancora intorno per poi continuare -Sete dalle
tonalità calde, quadri variopinti e abiti vintage dai colori
particolari...- All'improvviso si voltò verso di lui -Potrei
continuare all'infinito e non voglio annoiarti- Un ampio sorriso le
illuminava il volto.
Ian scosse la testa divertito -Non mi annoi. Anzi, sono d'accordo con
te. Trovo che Brixton sia il volto più autentico di Londra.
Questo quartiere riesce a comporre culture, lingue ed etnie diverse in
un'unica melodia dai sapori caraibici.-
In quel momento Agnes comprese l'interesse che tutti avevano per Ian.
Come Agnes anche lui guardava il mercato e le persone intorno a loro,
ma lo sguardo limpido di Ian andava in un luogo in cui lei sentiva di
non poterlo raggiungere. Un luogo dove tutto sembrava avere un
significato che era altro rispetto a quello comune.
***
Attraverso la Victoria Line arrivarono a Oxford Circus, da dove
raggiunsero la loro meta. Un negozio di abbigliamento presso Carnaby
Street, al cui interno alcuni amici di Ian si stavano esibendo in un
concerto sotto lo sguardo incuriosito dei turisti di passaggio.
-E' uno dei pochi negozi indipendenti rimasti qui a Carnaby- le
spiegò Ian -Per il resto trovi solo grandi catene e ristoranti-
Il ragazzo si guardò intorno alla ricerca di qualcosa.
-Voglio farti conoscere la proprietaria-
Quando l'ebbe individuata, prese per mano Agnes e si avvicinarono ad
una donna che dava loro le spalle, intenta a sistemare la gonna di un
manichino.
-Mary-
La donna si voltò verso i due e, dopo averli squadrati per bene, assunse un'espressione diffidente.
-Gli estranei mi chiamano Mrs. Green- replicò mentre serrava le braccia sotto il seno.
-Mary Mary non sai che il broncio ti farà venire le rughe- le
disse Ian con uno sguardo furbo. Quando si avvicinò per
salutarla, però, la donna anzichè un bacio gli diede uno
schiaffetto sulla guancia.
-Non vieni a trovarmi da mesi e alla prima occasione mi manchi pure di rispetto-
Agnes constatò che quella donna non aveva alcun motivo di
offendersi. Era la classica persona dall'età indefinibile. Le
avrebbe dato non più di trent'anni se si fosse concentrata solo
su quell'adorabile caschetto castano e l'abitino colorato che copriva
il corpo esile e minuto. Ma i suoi occhi e il suo sorriso emanavano una
consapevolezza che solo una quarantenne può possedere.
-Posso presentarti la mia amica Agnes?-
-Tanto piacere- la salutò Mary porgendole la mano in modo elegante.
-Ha iniziato da poco la carriera di modella- Spiegò con
tono allusivo a Mary la quale dedicò un'occhiata più
attenta ad Agnes.
-Carriera è un parolone- disse Agnes mentre con un dito grattava
il solito sopracciglio, gesto che denotava tutto il suo
nervosismo.
Sembrò parlare al nulla visto che nessuno dei due le rispose e Mary continuò a guardarla come a volerla valutare.
-Ti va di provare qualche abito per me?-
-Certo- rispose la giovane precipitosa.
***
Non
si era mai divertita così tanto. Inizialmente si era chiesta il
motivo di quella strana richiesta, poichè non vedeva alcuna
utilità nel provare degli abiti. Quando però una commessa
arrivò nel camerino con una decina di capi da provare, il
suo lato vanitoso ebbe la meglio su quello riflessivo e le
suggerì di viversi quel momento.
Il gruppo continuava a suonare all'interno del negozio attirando sempre
più gente. Anche gli abiti particolari provati di volta in volta
da Agnes cominciarono ad incuriosire la clientela tanto che ad ogni
uscita trovava sempre più persone ad attenderla.
Presa dall'euforia, aprì con entusiasmo la tendina del camerino
trovandosi davanti una piccola folla. Le venne naturale sgranare gli
occhi e portare le mani sulle labbra, come a voler nascondere il
sorriso furfante che si era delineato sul suo viso. Forse intuendo il
suo imbarazzo per tutta quella attenzione, Ian le si avvicinò e
con un breve cenno del capo le porse la mano. Un po' insicura
sfiorò quelle dita che sicure la strinsero per poi condurla tra
la gente.
C'era chi si limitava ad osservarla, chi faceva apprezzamenti e chi
esprimeva le sue preferenze. Ma gli occhi di Agnes cercavano il parere
di Mary, la quale si limitava a cenni di assenso o diniego.
Agnes, dal canto suo, iniziava a capire il motivo di quella specie di
sfilata. Mary la stava aiutando a cercare un suo look, qualcosa che
esprimesse la sua personalità e non la imbrigliasse nei soliti
schemi della moda. Un elegante tailleur dalle forme asimmetriche fu
subito bocciato da Mary con un gesto della mano. Un abitino corto
giallo sembrò convincerla un po' di più. Quando si
mostrò con un vestito di tulle rosa confetto Ian sgranò
gli occhi, scuotendo la testa schifato.
Dopo diverse prove, sembrò che Mary si fosse fatta un'idea ben
precisa. Gli ultimi capi indossati avevano un qualcosa che li
accomunava: uno stile eccentrico, non convenzionale caratterizzato da
giubbotti di pelle, tshirt con stampe colorate, camicie maschili,
giacche fluo e contrasti forti. Le piaceva e, nonostante l'audacia di
alcuni abbinamenti, si sentiva davvero a suo agio con quell'esplosione
di colori addosso.
-Penso che abbiamo trovato il mio stile- disse guardandosi con una certa soddisfazione.
-No cara. L'hai trovato tutto da sola. Io ho cercato solo qualcosa che
ti facesse sorridere come stai facendo adesso- le rispose gentile la
donna.
Mary la osservò mentre si tirava indietro i lunghi capelli
castani raccogliendoli in una coda alta, un'abitudine che aveva ogni
volta che si guardava allo specchio.
-Non hai un buon rapporto con i tuoi capelli-osservò interessata.
-No. Ho l'impressione che mi rendano scialba-
-Qui ci vuole Vidal- disse prima di volatilizzarsi da qualche parte.
Un po' stranita per quel comportamento, tornò a guardarsi
compiaciuta allo specchio quando vide il riflesso di Ian avvicinarsi
alle sue spalle e poggiare le mani sui suoi fianchi. Gesto che le
suscitò una strana sensazione di déjà vu.
-Stiamo diventando vanitose?- le chiese guardandola negli occhi attraverso lo specchio.
-Forse. Ti dispiacerebbe?- chiese Agnes, ammaliata dal tocco sui suoi
fianchi e ancora di più da quello sguardo irresistibile puntato
su di lei.
Ian si limitò a sorriderle enigmatico senza darle la risposta che attendeva.
-Dov'è andata Mary?- chiese mentre le lasciava i fianchi e si allontanava appena da lei, consentendole di voltarsi.
-Ha detto che ci vuole Vi..Viqualchecosa!-
Dopo qualche minuto Mary fu di ritorno con un'espressione vittoriosa.
Vidal era un parrucchiere molto affermato che, per gentile
intercessione di Mrs Green, era disponibile a ricevere Agnes proprio in
quel momento. Nonostante fosse quasi ora di pranzo, Ian non si
mostrò spazientito e la accompagnò volentieri.
***
Non
era lei. La ragazza che sullo specchio ricambiava il suo sguardo
perplesso non poteva essere lei. Vidal, un uomo piuttosto basso e
avanti con gli anni, l'aveva tenuta praticamente all'oscuro di
ciò che aveva fatto ai suoi capelli. Non le aveva nemmeno
rivolto la parola mentre era stato alquanto cortese con Ian, forse
anche troppo.
Aveva visto lunghe ciocche di capelli castani ai suoi piedi e aveva
visto l'assistente preparare la tintura. L'effetto finale, però,
era qualcosa di stupefacente.
I capelli erano di un biondo chiarissimo, tendente al platino e il
taglio, cortissimo e spettinato, le dava un'aria da maschiaccio.
-Finalmente quegli occhi blu hanno lo spazio che si meritano-
Ian la guardava divertito, in attesa di una reazione.
-Hai ragione. Non vedevo degli occhi così grandi dai tempi di
Twiggy- esclamò Vidal, mentre Agnes continuava a guardarsi allo
specchio senza proferire parola.
-Agy- la chiamò gentile il ragazzo -guarda che ti stanno bene-
-Si, mi stanno bene- sussurrò.
Era vero. Per la prima volta guardandosi allo specchio non riusciva a
scorgere qualcosa di cui lamentarsi. Per la prima volta sentiva di
essere veramente se stessa.
***
Dopo
aver consumato un rapido pasto, Agnes ed Ian si diressero verso la
metropolitana. Mentre si trovavano sulla scala mobile che li avrebbe
portati sempre più in profondità, Agnes continuava
a portarsi la mano tra i capelli stupendosi ogni volta di quanto
fossero corti.
-Non riesci a non toccarli?- le chiese divertito Ian.
-Sono così corti!- esclamò la ragazza arricciando il naso.
-Immagino che se fosse dipeso da te non li avresti mai tagliati così tanto, vero?-
-Diciamo che il coraggio non è il mio forte-replicò mesta.
-Secondo me sei troppo severa con te stessa. Hai questo bisogno di
essere perfetta e non vedi che qui nessuno lo è- fece un cenno
verso la gente intorno a loro per poi continuare lentamente -Siamo
imperfetti, fragili, ognuno con le proprie debolezze da affrontare-
Agnes lo guardò perdendosi nei dettagli del suo viso: la pelle
liscia delle guance, gli zigomi un po' pronunciati, le
sopracciglia scure aggrottate e le labbra carnose appena dischiuse.
-Ma tu, tu trasmetti molta sicurezza-
Ian anzichè risponderle le disse di affrettare il passo per
riuscire a prendere il treno in arrivo. Quando furono dentro ed ebbero
trovato due sedili, riprese a parlare.
-Colin ti ha mai spiegato come è nato il nome del gruppo?-
-No-
-Scommetto che The Fifth Beatle
ti sarà parsò come un atto di presunzione, la voglia di
metterci sullo stesso piano dei Beatles- disse mentre si sistemava sul
sedile.
Agnes annuì imbarazzata ma il ragazzo sorrise rilassato.
-Per capire cosa c'è dietro questo nome devi conoscere la storia
del primo bassista dei Beatles, Stuart Sutcliffe. Grande appassionato
di pittura, fu convinto dall'amico John Lennon a vendere uno dei suoi
dipinti e comprare con il ricavato un basso. Entrò a far parte
del gruppo insieme a Lennon, Harrison, McCartney e l'allora batterista
Best. Non era granchè come musicista o comunque non era
all'altezza dei suoi amici. La sua insicurezza spesso lo portava a
suonare dando le spalle al pubblico, forse alla ricerca della
serenità che solo John gli sapeva trasmettere. Fu solo grazie ad
una donna che capì di non poter continuare ad essere mediocre
tra i grandi. Così lasciò il gruppo e si diede alla sua
vera passione, quella che faceva per lui e che gli avrebbe consentito
di essere grande: la pittura-
-The Fifth Beatle significa fragilità, quindi?-
-Significa quello che ti ho detto prima. Ogni persona ha paure e
debolezze. A volte le affronti e le superi, altre volte sono talmente
radicate in te che puoi soltanto cambiare strada-
-Una visione un po' pessimistica- commentò Agnes.
-Chi l'ha detto? Anche l'altra strada può rendere felici-
-Allora Stuart è riuscito ad essere un grande pittore?-
-Non ha avuto il tempo-
-Perché?-
-Sutcliffe è morto a ventidue anni-
***
Era
il trenta dicembre. Natale era ormai passato e gli inquilini del
vecchio appartamento di Brixton si apprestavano a festeggiare il
Capodanno. Agnes aveva insistito per organizzare il cenone lì da
loro. Non importava se non c'era abbastanza spazio per tutti e se
avrebbero dovuto stringersi. Li voleva tutti lì, nella sua casa,
per festeggiare l'inizio del duemiladodici.
Dopo un'intera
giornata trascorsa tra i fornelli, però, Agnes si sentiva a
pezzi. Soprattutto perché non era per niente brava in cucina e
aveva dovuto faticare il doppio per non fare danni.
-Per fortuna
non ho ascoltato Ian- sbuffò la ragazza mentre si accomodava sul
divano accanto a Colin.-Secondo lui dovevamo rassettare e cucinare
domani-
-In questo modo
altro che capodanno, alle dieci saremmo crollati- Le rispose l'amico
scotendo la testa.-Non che a lui sarebbe cambiato nulla visto che non
si è fatto vedere tutto il giorno-
Si alzò dal divano e tornò con una scatoletta in mano.
-Ho proprio voglia di una paglia e un bel film- disse mentre tirava fuori l'occorrente per preparare uno spinello.
-Guardiamo Across the universe- esclamò Agnes con vocetta stridula.
Colin sbuffò-Ma è un musical, roba da femminucce!-
-Dai, ci sono le canzoni dei Beatles!- Rispose mentre inseriva il dvd nel lettore.
Verso metà film, Colin iniziò a ridacchiare. Non che la cosa la stupisse dato che di "paglie" se ne era fatto tre.
-Perché ridi?-
-Fatti un tiro e lo capisci- la esortò passandole lo spinello.
Faceva bene a
fidarsi sempre di Colin. Dopo qualche tiro, infatti, aveva capito cosa
c'era da ridere. Assolutamente nulla. Eppure, era bello sogghignare
senza un motivo.
-All you need is love- si trovarono a canticchiare alla fine del film.
-Mi piacerebbe vivere una storia d'amore del genere- disse lei con un sorriso artificioso, indotto dalla marjuana.
-Vuoi farmi credere che uno splendore come te non ha mai provato nulla del genere?-
-Storie di poco conto-rispose lei scrollando le spalle -Mai qualcosa di lontanamente romantico-
-Se penso al mio primo bacio mi vengono i brividi- disse sconsolata.
-Racconta-
-Stavo tornando
da scuola insieme ad un compagno quando all'improvviso lui mi mise
pesantemente una mano sulla spalla e si avvicinò con troppa foga
al mio viso. Il suo apparecchio andò a scontrarsi contro il mio
labbro, provocandomi una fitta di dolore. Ora che ci penso non lo
chiamerei nemmeno bacio-
Agnes decise di ignorare la risata di Colin che seguì quel racconto e continuò a parlare
-Ho avuto anche
esperienze piacevoli con i baci, per carità. Ma nelle mie
storie, nei miei ammiratori c'era sempre qualcosa che mi lasciava
indifferente-
Colin a quelle
parole assunse un'aria pensierosa che destò l'attenzione di
Agnes. Teneva gli occhi verdi puntati sul vuoto e torturava le labbra
in un gesto palesemente nervoso.
-E pensi che io ti lascerei indifferente?-
Agnes
impiegò qualche secondo di troppo a comprendere il senso di
quella domanda. Il tempo necessario affinché Colin si girasse
verso di lei e avvicinasse le labbra alle sue.
Un bacio morbido e gentile che le scaldò il cuore.
Quando Colin si
allontanò, la guardò negli occhi mentre un sorriso sempre
più ampio si andava delineando sulle sue labbra fino a ridere
apertamente.
-Perché ridi adesso?- chiese Agnes basita.
-Perché stiamo pensando la stessa cosa e nessuno dei due ha il coraggio di ammetterlo-
-Cioè?-
-Che lo scontro con un apparecchio sarebbe stato molto più intenso di questo bacio-
Anche Agnes si mise a ridere -Non so se sentirmi sollevata o profondamente offesa!-
-Guarda cara,
solitamente le ragazze fanno la fila per me e quindi penso proprio che
la colpa sia tua. Devi avere qualcosa che non va-
La ragazza sgranò gli occhi e iniziò a picchiarlo con l'aiuto di un cuscino.
-Rimangiati quello che hai detto- gridò divertita.
-Ma che state
facendo?- li interruppe una voce atona. Ian era sbucato dalla porta
della sua camera e li guardava con un'espressione vagamente incuriosita.
Agnes, presa dall'euforia, gli rispose continuando a ridere spensierata.
-L'erba ha fatto venire a Colin la voglia di baciarmi!-
-Ma non è stata l'erba, stupida- si lamentò l'altro mentre riceveva l'ennesima cuscinata.
-Bene, se magari fate più piano riesco a dormire-
Agnes
riuscì a sentire solo questa frase. Non lo vide nemmeno girarsi
e tornare nella sua stanza. E soprattutto non percepì l'astio
che trapelava da quelle parole.
Note:
Ciao a tutte! Questo capitolo mi ha messa davvero in difficoltà
e non sono sicura del risultato finale. Allo stesso tempo mi è
piaciuto scriverlo perché mi ha dato l'occasione di parlare(a
modo mio) di un periodo che mi ha sempre affascinata. Gli anni '60.
Partiamo dal titolo del capitolo: Agnes in the sky with diamonds. Una frase che significa tutto e niente e che ovviamente si riferisce alla canzone dei Beatles Lucy in the sky with diamonds. Penso che questa frase descriva bene lo stato d'animo di Agnes.
Altro richiamo agli anni '60 lo troviamo nelle figure di Mary Green,
Vidal e nel riferimento di questi a Twiggy. Green è il cognome
da sposata della stilista Mary Quant, famosa oltre che per aver
inventato la minigonna anche per il suo caschetto, caschetto che fu
appunto ideato da Vidal Sassoon. Twiggy invece è la modella che
rappresenta la generazione di Carnaby Street.
Infine la spiegazione del nome del gruppo e la storia di Stuart Sutcliffe(qui
l'immagine). Adesso posso dire che questa storia mi è balenata
in mente proprio quando ho letto la biografia di questo personaggio
tanto che nel corso della storia ci sono tantissimi richiami a lui.
Per completare il tutto, Agnes e Colin guardano Across the
universe(film che io adoro). Idea nata grazie alla gentilissima
LTL con cui mi sono ritrovata a parlare di film sulla musica rock.
Questa è la modella che mi ha ispirata per il personaggio di Agnes: Agyness Deyn, a mio parere una delle poche modelle con una vera personalità e uno stile invidiabile.
Ci terrei veramente a conoscere il parere di chi passa da qui, per
capire se la direzione presa sia giusta o se sbaglio in qualcosa.
Agnes
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Capitolo 10 *** You used to be alright, What happened? ***
capitolo 9
You used to be alright, What happened?
-Ragazze pronte per l'uscita finale-
Agnes si posizionò dietro la lituana di cui non aveva afferrato
il nome. In ordine uscirono e, tra i flash dei fotografi e gli applausi
degli spettatori, si disposero lungo la passerella. Il corridoio
formato dalle modelle fu quindi attraversato dalla vera destinataria di
quelle ovazioni: Vivienne Westwood.
Si concludeva così la prima Settimana della Moda
di Agnes Dayle. Stentava a crederci: non solo aveva sfilato per
Vivienne Westwood ma aveva anche ottenuto un ingaggio come testimonial
della nuova linea. Il che significava una serie di scatti che avrebbero
fatto il giro del mondo.
Fu aiutata da un'assistente a togliere l'abito mentre intorno a lei le altre ragazze ciarlavano allegre e i 'bye-bye' si mescolavano ai 'do svidanyia' e ai 'revoir'.
Quando ebbe indossato il pesante cappotto che l'avrebbe protetta dal
freddo pungente di febbraio, si incamminò verso l'uscita di
Somerset House.
-Scusi signorina-
Agnes si guardò intorno notando una donna agghindata in maniera
appariscente affiancata da un cameramen. Stava per voltarsi quando la
donna, forse una giornalista, le fece un cenno con la mano mentre le
veniva incontro.
-Le va di fare un'intervista?- le chiese la donna con un pessimo inglese.
-Ma, ma sono solo una modella- rispose incerta. Forse l'aveva scambiata per qualcun'altro.
-Non importa. Stiamo facendo un servizio sulla Fashion Week e lei mi ha colpito molto per il taglio di capelli e lo stile punk!-
***
Agnes aprì la porta di casa piena di entusiasmo e, notando Colin seduto sul divano, si precipitò nel soggiorno.
-Colin! Non puoi capire che intervista mi hanno fatto- esclamò
allegra. -Una tizia che di moda non ne capiva assolutam...-
Entrata nel soggiorno, Agnes si rese conto che, seduto su un pouf,
c'era anche Ian. Dall'ingresso non avrebbe potuto notarlo perché
era nascosto dalla libreria.
Ian sollevò lo sguardo nella sua direzione, palesemente infastidito.
-Su raccontaci dell'intervista, Agnes- la sollecitò con tono
sarcastico mentre si alzava. -Tanto stavamo parlando solo di cazzate-
continuò mentre la fronteggiava guardandola dall'alto in basso.
-Ian smettila- lo ammonì l'amico.
Non disse nient'altro ma continuò a guardarla per qualche
secondo mentre lei si sentiva pietrificata, incapace di mandarlo al
diavolo come avrebbe meritato.
La superò per poi dirigersi verso l'ingresso. Mentre indossava la giacca si rivolse a Colin mantenendo il tono aspro.
-Vado a parlare con Dave e Karl di questa offerta-
Quando chiuse la porta dietro di sè non fece alcun rumore, mostrando più garbo per un oggetto che per Agnes.
-Dai non te la prendere, sai come è fatto-
Le sorrise gentile Colin. Vedendola deglutire a fatica, però, si rabbuiò.
-Agy...-
-Non mi chiamare così.- lo interruppe la ragazza riscotendosi.
-Va bene- rispose cauto -però sai che tra un po' gli passa-
Si sedette accanto a lui imbronciata.
-I suoi cambi d'umore mi fanno girare la testa, Colin. Non so mai cosa
aspettarmi: un giorno è gentile, un altro indifferente, l'altro
ancora scontroso-
-E' così con tutti...-
-A costo di sembrarti egocentrica ho la sensazione che negli ultimi tempi sia io il suo bersaglio preferito!-
Voleva essere ironica ma quell'ultima frase le uscì quasi come
un singhiozzo. Singhiozzo che destò l'attenzione di Colin, il
quale la osservò con maggiore attenzione.
Agnes era davvero stanca. Da gennaio il suo rapporto con Ian era
progressivamente peggiorato e non riusciva a comprenderne il motivo.
Spesso si aggrappava a quella lontana giornata di dicembre trascorsa
con lui, ricordando le tante attenzioni che le aveva dedicato.
Soprattutto un particolare la torturava: quel giorno , quando, in preda
all'imbarazzo, aveva faticato ad uscire dal camerino, Ian le aveva
offerto la mano trasmettendole tutta la sicurezza di cui aveva bisogno.
Quel gesto riassumeva ciò che il ragazzo aveva fatto per lei. Le
aveva insegnato ad essere se stessa e a liberarsi da quell'eccessiva
modestia che troppo a lungo l'aveva caratterizzata.
Gli era grata e tante volte in quei mesi aveva tentato di fargli capire
quanto lo fosse. Ma lui sembrava del tutto indifferente alla sua
gratitudine ed ostile a lei.
-No- La voce soffocata di Colin interruppe quei pensieri.
-Cosa no?-
-Non è il ragazzo giusto per te, Agnes- rispose duro.
-Ma cosa stai dicendo?-
-Non negarlo, è chiaro che sei innamorata di lui- le disse guardandola dritto negli occhi.
Di fronte al suo silenzio, lo sguardo di Colin si addolcì.
-Ormai ti conosco e so che hai bisogno di un ragazzo che ti dia
equilibrio e certezze. Ian lo conosco da ancora più tempo e non
sarebbe in grado di darti nulla di tutto questo. Ha un lato buono che
lo porta ad aiutare chi si trova in difficoltà ma lo vedi anche
tu com'è fatto. La sua indipendenza e il suo carattere
imprevedibile potrebbero solo ferirti-
Agnes non sapeva dare un nome a ciò che provava per Ian. A volte
attrazione, più spesso ammirazione e in certi casi persino un
senso di soggezione. Se questo fosse sufficiente per chiamarlo amore,
non ne era affatto sicura ma preferì comunque non contraddire
Colin.
-Come vi siete conosciuti?- chiese la sua voce ridotta a un sussurro.
***
5 Settembre 2000
L'imponente edificio si ergeva davanti ai suoi occhi. Gli dedicò
un'occhiata fugace prima di addentrarsi nel vasto cortile. Un cortile
che esisteva dal 1440 e che, prima di lui, era stato attraversato da
personalità come il Duca di Wellington, George Orwell e
Shelley. Era qualcosa che i suoi insegnanti gli ricordavano tutte le
volte che lo riprendevano per il suo comportamento inappropriato. E
poco importava se Colin avesse un'idea alquanto vaga di chi fossero
quelle persone, perché non era affatto difficile per un
ragazzino lasciarsi intimorire dal King's College Of Our Lady Of Eton beside Windsor, o più semplicemente l'Eton College.
Figlio di un ricco industriale londinese, il quindicenne Colin si
apprestava ad iniziare il terzo anno nella scuola maschile più
prestigiosa dell'intero Regno Unito.
Mentre percorreva il cortile, fu salutato da alcuni coetanei e persino
da ragazzi più grandi. Non se ne stupì particolarmente.
Non era più il bimbetto smilzo che due anni prima qualcuno aveva
tormentato nei bagni o negli spogliatoi. Ormai sapeva che per
sopravvivere in quel posto doveva tener sotto controllo ogni paura,
mostrarsi sorridente e sicuro. E soprattutto doveva essere prepotente
con i più deboli, cosa che peraltro trovava divertente.
Quando il vecchio Mr. Everett fece il suo ingresso in aula, gli
Etonians si alzarono in segno di rispetto. Solo quando l'insegnante
trovò posto dietro la cattedra, gli studenti si accomodorano
senza fare troppo frastuono.
-Buongiorno ragazzi. Prima di iniziare la nostra lezione voglio
informarvi che da quest'anno avrete un nuovo compagno- gettò
un'occhiata all'esterno dell'aula facendo un cenno elegante a qualcuno
rimasto fuori -Prego, accomodati-
Di nome faceva Ian. Era figlio di un diplomatico inglese e prima
d'allora aveva vissuto ad Ankara, poi nel Cairo e infine a Bonn. Il
padre, trasferitosi temporaneamente al Ministero degli esteri, aveva
deciso di iscrivere i suoi due figli nel prestigioso college. Tutto
questo stuzzicò la curiosità di Colin e inevitabilmente
anche la sua invidia per quello sconosciuto dalla vita
così interessante e avventurosa. Con una certa soddifazione
maligna notò la corporatura gracile del nuovo compagno, il
broncio introverso e l'incarnato pallido. Poi guardò i suoi
compagni e in particolare Andrew, il leader della classe. La stessa
idea era balenata nelle loro menti: avrebbero dato il benvenuto
al nuovo compagno, a modo loro ovviamente.
***
6 Marzo 2002
Quella mattina Colin si alzò dal letto con grande fatica. La
notte prima lui e la sua combriccola di amici erano riusciti ad eludere
la sorveglianza ed avevano fatto baldoria in un pub di Eton. Avevano
atteso la mezzanotte per brindare ai diciassette anni di Colin, il
quale con il ruolo di wing aveva procurato innumerevoli vittorie alla
squadra di rugby della sua casa.
Mentre si dirigeva al bagno, un moto di nausea lo fece vacillare. Aveva
bevuto talmente tanto quella sera da non ricordare nemmeno come fosse
arrivato nel suo dormitorio. Aveva solo qualche ricordo vago: gli inni
intonati dai suoi compagni mentre camminavano spavaldi lungo le strade
silenziose; le urla sguaiate per attirare l'attenzione di qualcuno di
passaggio e altre bravate di cui dentro di sè non andava molto
fiero.
Poi ricordava un viso, un viso che conosceva bene. Magro, pallido,
incorniciato da capelli scuri. Un viso che, una volta riconosciuti, si
deformò in una smorfia di timore.
Non ricordando altro decise di non pensarci e di godersi il giorno del suo compleanno.
Arrivato in classe, ricevette gli auguri di tutti e persino l'arcigno
Mr. Everett gli rivolse un rigido sorriso prima di interrogare un
compagno.
Il giovane iniziò a leggere con voce sicura e cantilenante:
-Soles occidere et redire possunt:
nobis, cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.-
Mentre iniziava la traduzione, qualcuno bussò ed entrò in
classe. Si trattava di un addetto alla sorveglianza che, con faccia
scura, si avvicinò alla cattedra mentre il professore invitava
Maxwell a proseguire la traduzione.
-Il sole può tramontare e poi risorgere.-
L'uomo parlò con tono concitato con il professore il quale sbiancò paurosamente.
-Noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne,-
Mr. Everett spostò lo sguardo turbato sulla classe, posandolo su un ragazzo in particolare.
-abbiamo davanti il sonno di una notte senza fine.-
-Ian per favore seguimi fuori.-
***
Maggio 2002
I ragazzi entrarono esultanti negli spogliatoi, festeggiando la
vittoria del campionato. Anche Colin era felice ma non riusciva a
lasciarsi andare come un tempo.
-Colin ti unisci a noi? Andiamo a festeggiare al solito pub- chiese allegro Andrew.
-Mi piacerebbe ma sono troppo stanco- rispose con un sorriso di circostanza.
-Ma che ti succede? E' da mesi che te ne stai sempre per i fatti tuoi-
Colin si morse con forza un labbro per evitare di rispondere come
avrebbe voluto. Prese il borsone e si allontanò da quelli che
fino a un po' di tempo prima aveva considerato amici. Mentre si trovava
in uno dei tanti corridoi del college, le note malinconiche di un
pianoforte destarono la sua attenzione. La curiosità lo spinse
ad aprire la porta dell'aula di musica. Quando si ritrovò gli
occhi gelidi di Ian puntati contro, tornò sui suoi passi con un
opprimente senso di vergogna.
C'erano tante dicerie su ciò che era accaduto la notte del sei
marzo. Ma un unico fatto era certo ed innegabile: Daniel si era tolto
la vita.
I maligni con un certo stupore avevano bisbigliato che si sarebbero
aspettati un simile gesto dal fratello minore, Ian. Il solitario e cupo
Ian. E non da Daniel che, pur non essendo brillante come il fratello,
era riuscito a crearsi un giro di amici.
Colin, invece, non provava stupore. In passato lui e i suoi amici
avevano tormentato in egual misura i due fratelli, i quali avevano
avuto reazioni opposte. Daniel accettava il ruolo di vittima, tremando
e piangendo. Ian, invece, non cedeva mai e l'espressione del suo viso
rimaneva superba anche quando il suo corpo esile soccombeva a quello
dei suoi compagni.
Quando gli avevano comunicato la morte di Daniel, la sua mente gli
aveva suggerito un fugace ricordo della notte del suo compleanno: il
volto spaventato del compagno. Un ricordo che in quei due mesi lo aveva
perseguitato, portandolo ad allontanarsi dalle sue vecchie amicizie. E
poco importava se, secondo i ricordi di Andrew, Daniel quella notte era
fuggito e non lo avevano nemmeno inseguito; nè importava se era
stato ritrovato un suo biglietto di addio in cui parlava di
mediocrità e inettitudine. Colin non si sarebbe più tolto
dalla mente il ricordo di quel viso spaventato.
Anche quando si mise a letto, quei pensieri continuarono a tormentarlo.
Doveva essere passata da poco la mezzanotte quando decise di rinunciare
al sonno e fare una passeggiata notturna nel silenzioso edificio.
Mentre camminava dei suoni richiamarono la sua attenzione. Non un
pianoforte, nè altro strumento musicale stavolta. Dall'aula di
musica provenivano risate e schiamazzi, qualcosa che gli era
terribilmente familiare. Non fu la curiosità a fargli aprire la
porta, ma una voglia di riscatto. Si ritrovò così con i
pugni serrati tra Ian e i suoi compagni.
Ma qualcosa non andò come aveva previsto. Nonostante Colin fosse
intervenuto per difendere Ian, quest'ultimo, anzichè essergli
grato, lo riempì di epiteti con cui maledisse i suoi avi, i
genitori, sorelle e tutti i suoi discendenti per poi mollargli un pugno
sotto l'occhio sinistro. Colin lo guardò spaesato e, realizzando
che lo aveva picchiato, reagì anche lui. I due diedero inizio a
una rissa che ben presto richiamò l'attenzione degli addetti
alla sorveglianza che arrivarono proprio quando gli altri ragazzi erano
scappati via.
***
Maggio 2003
-Sei sicuro della tua scelta?-
Colin sbuffò a causa dell'ennesima domanda dell'amico.
-Quante volte devo dire di sì per convincerti? Giusto per capire- rispose ironico.
Ian gli rivolse un sorriso soddisfatto.
-Potresti pentirtene un giorno- Disse fingendo noncuranza. Fino a un
anno prima Colin ci sarebbe cascato ma ormai aveva imparato a capire
cosa si nascondeva dietro quella facciata di indifferenza.
-Se la metti così, è come se stessi facendo un favore a
te. Ma non è così...Voglio suonare!- rispose con il tono
più sicuro che conosceva.
L'amico continuò a sorridere mentre si dirigevano all'ultima lezione della giornata.
Amico.
Tutto era iniziato quando i due avevano dovuto scontare la punizione
per quella famosa rissa. Quando si erano ritrovati insieme nell'aula di
detenzione, più volte Colin aveva chiesto all'altro cosa gli
fosse preso senza ottenere risposta. "Cazzo, ti stavo difendendo contro i miei amici di sempre!" gli aveva urlato frustrato da quel silenzio. Ian si tolse la cuffia da un orecchio e lo guardò annoiato. "Hai detto qualcosa?" Colin lo osservò come a volerlo valutare e gli chiese"Cosa ascolti? Roba classica?"
L'altro mosse appena la testa mentre con un sorrisetto gli passava una
delle cuffie, iniziandolo alla musica rock. Dovettero ascoltare cinque
o sei canzoni dei Joy Division prima che Colin riuscisse a dirgli
quello che più gli stava a cuore. "Mi dispiace per tuo fratello" L'altro, tenendo il mento appoggiato sulla mano, lo guardò con la coda dell'occhio. "Daniel è sempre stato troppo codardo."
Dovette passare del tempo prima che Colin potesse considerarsi suo
amico. Ian lo guardava annoiato quando parlava di film e sport. Si
infervorava quando gli chiedeva il suo parere sul nuovo album degli Arctic Monkeys o sui romanzi di Palanhiuk. Era come se parlasse una lingua diversa. E Colin ci mise tutto l'impegno possibile per imparare quella lingua fatta di diesis e bemolle, Fender e Steinway.
Seppe che erano amici quando Ian gli fece leggere i testi delle sue
canzoni e gli disse che avrebbero dovuto suonare, piuttosto che seguire
la strada scelta dai loro genitori.
In quel momento, poco prima di diplomarsi, Colin aveva deciso. Poteva
accettare l'idea di deludere i suoi genitori. Si sarebbero infuriati,
gli avrebbero rinfacciato tutte le loro speranze tradite. Ma alla fine
avrebbero capito e se ne sarebbero fatti una ragione. Forse lo
avrebbero amato allo stesso modo. Ian, invece, non avrebbe ripetuto la
sua richiesta una seconda volta. Se Colin avesse detto no, Ian avrebbe
seguito la sua strada e non si sarebbe più voltato indietro. Se
avesse detto sì, accettando di suonare una chitarra che non
aveva in un gruppo che ancora non esisteva, avrebbe ottenuto il suo
rispetto.
***
Agnes aveva ascoltato Colin in silenzio, interrompendolo solo quando
qualche passaggio non le era stato chiaro o magari quando lui stesso
aveva cercato di glissare su certi aspetti del suo passato.
-Penso che in fondo Ian mi abbia rispettato sempre, anche quando mi
comportavo come un idiota. E penso anche che la mia stima per lui conti
qualcosa. Ma vedi...- disse assorto -è questo il punto: sono
solo pensieri. Lui non parla mai chiaramente ma pretende che tu capisca
cosa si aspetta da te-
-E le sue aspettative contano così tanto?-
Colin sorrise ironico -Chiamarle aspettative sarebbe riduttivo. Ian
vive come se fosse protagonista e autore di un romanzo. Ad ogni persona
che lo circonda ha cucito addosso un ruolo ben determinato e se a
quella persona non sta bene, Ian la cancella.- Si alzò per
fumare una sigaretta vicino la grande finestra che dava sul quartiere
di Brixton. Quando buttò fuori dalla bocca il fumo acre,
proseguì con tono duro -E' quello che ha fatto con suo fratello-
-Magari non ne parla perché ne soffre ancora- Agnes sentì il bisogno di difenderlo.
-No, Ian non lo ha mai perdonato per averlo lasciato solo-
-Come fai a dirlo?-
-Agnes hai mai prestato attenzione ai testi dei The Fifth Beatle?- le domandò con un'ironia amara che strideva con l'immagine del solito Colin.
-Perché parli così?-
Il ragazzo serrò la mandibola nervoso. -Anni fa ho abbandonato
la strada tracciata dai miei genitori. Ma per cosa? Per una strada che
non ho scelto io, ma Ian-
-Non sei felice?- chiese turbata.
-Mi piace la musica- le rispose continuando a fumare -Ma mi piace come
mi piaceva giocare a rugby o come magari mi sarebbe piaciuto gestire la
società di mio padre-
-Non sei felice- concluse lei al suo posto.
-Hai presente quando sparisco per intere giornate?- Aspettò che Agnes annuisse prima di proseguire. -Vado al Barn Theatre Club, una scuola di recitazione. E' iniziata per gioco ma...sì, è questo che mi rende felice- concluse convinto.
***
Quando Agnes si mise a letto ripensò a tutto ciò che
aveva scoperto quel giorno. Dietro il perenne sorriso di Colin, si
nascondevano delle ombre. E Agnes si chiese cosa sarebbe arrivato a
fare l'amico pur di non deludere Ian.
Note:
Ciao a tutte! Stavolta preferisco non dare spiegazioni in merito al
capitolo. So che in certi momenti è molto triste, so che
è lungo ma spero che vi abbia trasmesso qualcosa. Spero che
siate voi a dirmi la vostra idea sui caratteri di Ian e Colin.
Solite precisazioni: ho cercato di riprodurre l'atmosfera austera del College di Eton (qui la foto).
La poesia in latino è di Catullo.
Il titolo è una frase tratta dalla canzone 15 step dei Radiohead e si riferisce più che altro ai pensieri di Colin, visto che la narrazione avviene dal suo punto di vista.
Al prossimo capitolo,
Agnes
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Capitolo 11 *** Blackberry Stone ***
capitolo 10
Blackberry Stone
Mr
Parrish teneva le mani sul volante con la consueta eleganza, attendendo
il via libera del semaforo. Aveva appena accompagnato una coppia araba
in uno degli hotel più lussuosi di Londra. Gli orientali erano i
migliori clienti. Silenziosi e riservati. Proprio quello che ci voleva
dopo una giornata di lavoro.
Quando
scattò il verde, Mr Parrish piggiò sul pedale
dell'acceleratore per poi frenare bruscamente. Una coppia di
squinternati era balzata in mezzo alla strada per fermarlo.
-Che idioti- mugugnò mentre i due si avvicinavano alla vettura.
-Ci
scusi tanto ma abbiamo una certa fretta- iniziò la ragazza con
tono disinvolto. Mr Parrish non la degnò di una risposta ma non
potè fare a meno di sbirciarla dallo specchietto. Aveva dei
sorprendenti capelli rossi che teneva raccolti in un disordinato
chignon. Gli occhiali da vista neri evidenziavano l'incarnato chiaro e
delicato, conferendole un'aria intellettuale.
-Dove vi accompagno?- chiese con il suo solito tono neutro.
-Camden Town- Rispose il ragazzetto smilzo dai capelli color platino, destando la sua attenzione.
Diamine, alla faccia del ragazzetto!
Il
giacchetto di pelle e quei capelli corti lo avevano tratto in inganno.
Bastò un'occhiata allo specchietto per notare i lineamenti
delicati del viso e il taglio femminile di due occhi blu. Era una
ragazza, una ragazza molto bella in effetti.
Mentre
Mr Parrish si dirigeva verso la loro meta, le due ragazze iniziarono a
ciarlare allegre. Mr Parrish si mise all'ascolto, pur fingendo la
discrezione che ci si sarebbe attesi da un perfetto tassista londinese
come lui.
-Francine mi ha confermato che porterà almeno sei persone- disse la rossa mentre leggeva qualcosa al cellulare.
-Questa è la volta buona che Gheorghe mi uccide!- rispose l'altra.
-Suvvia, per un po' di persone nel suo locale-
-Un po' dici? Astrid gli avevamo assicurato una festa tra pochi intimi-
Astrid
fece un gesto di elegante noncuranza. -Sciocchezze! Perché sia
una vera festa devono esserci un po' di musicisti, qualche artista per
come si deve e una sfilza di modelle. E' questione di equilibri,
tesoro!-
La bionda scosse la testa tra il divertito e il rassegnato, mentre l'altra continuava.
-Quindi
di musicisti ne avremo in abbondanza perché quel Woody
porterà la sua banda di anarchici. Agli artisti ci ho pensato io
e alle modelle tu. Perfetto, no?-
-Immagino la faccia di Colin quando vedrà tutte quelle persone-
-Sarà
felice. Dacchè lo conosco non ha mai festeggiato il suo
compleanno ma i ventisette anni non possono passare così
inosservati.
***
Agnes
continuava a guardare l'orologio. Aveva detto a Colin di vedersi al
Kirchherr's alle dieci. A breve l'amico sarebbe arrivato, trovando ad
attenderlo una vera e propria folla. Agnes si guardò intorno con
un sorriso soddisfatto. Chissà quante persone lì dentro
conoscevano davvero Colin. Ma non era importante; Colin si sarebbe
divertito sicuramente.
La porta d'ingresso venne aperta con forza e Karl entrò di corsa gridando nella sua direzione.
-Arriva!-
Agnes
fece un cenno verso Dave che, per attirare l'attenzione delle persone
così da costringerle al silenzio, improvvisò un assolo
con la sua batteria.
Dopo
qualche minuto di silenzio, la folla accolse Colin con un boato. Il
festeggiato sgranò gli occhi stupito ma, ben lontano dalla
solita allegria, si voltò indietro alla ricerca di qualcuno.
Dall'espressione sorpresa e un po' accigliata di Ian, Colin
sembrò capire che l'amico non ne sapesse nulla. Ian lo
guardò e con un breve sorriso gli fece cenno verso le persone
davanti a loro. Il ragazzo annuì dandogli le spalle.
Questo
scambio silenzioso durò appena una manciata di secondi. Poi
Colin si gettò tra la folla di amici pronti a festeggiarlo.
***
Finalmente anche Agnes si stava godendo la festa.
Presa
dai sensi di colpa nei confronti del suo ex datore di lavoro, aveva
trascorso la prima parte della serata dietro al bancone. Gheorghe aveva
capito tutto e se ne era ampiamente approfittato. Sbuffando e
mugugnando le aveva chiesto di fare questo e quello senza che Agnes
riuscisse a dirgli di no. Fortunatamente era giunta a salvarla Astrid.
A passo di carica aveva raggiunto Agnes, le aveva preso un polso e,
rivolgendo a Gheorghe uno sguardo di sfida, se l'era trascinata in
pista.
Una birra in mano e una bombetta nera sul capo, Agnes ballava al tempo di Chelsea Dagger
insieme ad Astrid e alcune delle modelle che aveva invitato. Una
fotocamera passava da una mano all'altra, catturando sorrisi smaglianti
e in certi casi ebbri, pose seducenti e facce buffe. Qualcuno
alle sue spalle le sfilò il particolare copricapo che teneva
sulla testa. Si girò irritata, pensando di trovare un idiota
pronto ad importunarla. Un Colin raggiante si stava portando la
bombetta fra i folti capelli castani.
-Prendilo come il tuo regalo di compleanno!- le disse con un sorriso luminoso.
-Pensavo che la festa bastasse- rispose con tono scherzosamente sostenuto.
Lui per tutta risposta la abbracciò forte, e le disse all'orecchio -Sei un tesoro, Agy-
-Questo
è niente rispetto a quello che avete...che hai fatto per me-
sentì il bisogno di correggersi all'ultimo istante.
Il ragazzo le prese la mano, iniziando a ballare con lei.
***
Ormai ne era certa. La festa era riuscita e tutti si stavano
divertendo. Agnes aveva riso di gusto quando Astrid per scacciare un
Dave alquanto insistente aveva preso Ietva, la modella lituana,
baciandola con finto trasporto. Si era stupita vedendo il successo
riscosso da Colin tra le sue amiche modelle, pronte a tutto pur di
attirare la sua attenzione. D'altra parte il festeggiato, ormai ubriaco
per i micidiali mix alcolici ingeriti, non era tanto restio a concedere
la sua attenzione a simili bellezze. Anche Agnes aveva un certo
successo. Gli amici di Astrid avevano mostrato un autentico interesse
nei suoi confronti, così come Woody che più volte l'aveva
avvicinata con una scusa o un'altra.
Agnes
avvertiva il familiare fastidio alle guance. Aveva riso tanto quella
sera. E il sorriso non era mai scomparso dalle sue labbra. Ma aveva la
sensazione che fosse un sorriso di plastica, come se qualcuno le avesse
vietato di smettere. E forse era così: lei stessa si era
proibita di pensare alla nota stonata di quella serata e della sua vita
in generale.
La
nota che rendeva stonata la gioia di quel momento se ne stava in
disparte. Seduto ad un tavolo con un bicchiere in mano, Ian non aveva
partecipato alla festa. Anzi, ad ogni ora sembrava incupirsi sempre di
più.
Più
volte i loro sguardi si erano incrociati. Gli occhi chiari di Ian si
erano posati su quelli scuri di lei. Non erano ostili, ma vacui,
neutri. Negli ultimi mesi si era abituata a leggere avversione in
quegli occhi cerulei e quel vuoto la spaventava più di ogni
altra cosa.
Nonostante
Colin le avesse raccontato qualcosa del loro passato, continuava a non
capire cosa spingesse il ragazzo ad essere così scostante
nei suoi confronti.
Il
comportamento di quella sera, poi, la stava infastidendo oltre misura.
Colin spesso lo aveva cercato con lo sguardo e, quando l'aveva visto
seduto in disparte, aveva chinato il capo per celare agli altri
un'espressione buia e malinconica.
Agnes
fece le sue conclusioni. Ian, preso com'era dai suoi impenetrabili
pensieri, non si era preoccupato di ferire i sentimenti del suo amico.
Era un egosita.
***
L'ennesimo gruppo aveva smesso di suonare da qualche minuto. I ragazzi
in pista già scalpitavano per tornare a ballare e si udì
qualcuno reclamare i The Fifth Beatle.
Dave e Karl si avvicinarono subito ai loro preziosi strumenti,
guardandosi in giro alla ricerca degli altri due componenti. Colin,
vicino ad Agnes, scosse la testa ridendo sguaiatamente.
-No sono troppo ubriaco. Rischierei di perdere la faccia!-
Agnes
guardò in direzione del tavolo di Ian. Lo vide alzarsi a fatica,
come se fosse stanco. Non una stanchezza fisica, ma qualcosa che lo
corrodeva dentro.
Da
lontano lo vide scambiare qualche parola con Dave e Karl i quali
annuirono e si misero uno alla batteria e l'altro al basso. Ian,
invece, si avvicinò al microfono e stringendo la chitarra prese
parola.
-Visto che il nostro cantante ha disertato, ci tocca fare a meno di lui-
Al microfono la voce di Ian aveva un tono basso, coinvolgente.
-Spero che vi saprete accontentare dei Fifth Beatle meno uno-
In
quel momento si rese conto di non aver mai sentito cantare Ian e si
scoprì impaziente di ascoltarlo. Tanto impaziente da non
riuscire a muoversi tra la folla e distogliere gli occhi da lui.
La
musica iniziò. Dura e violenta, superava qualsiasi barriera.
Agnes aveva la sensazione che ogni parte del suo corpo fosse
attraversata da quei suoni che la facevano tremare nel più
profondo di se stessa.
Ian
le appariva immobile nonostante le sue mani si muovessero lungo la
chitarra, accarezzandola con devozione e rabbia insieme. Con un cenno
impercettibile del capo si chinò verso il microfono e
iniziò a cantare parole di rabbia.
Agnes
conosceva quella canzone, l'aveva sentita cantare spesso ai loro
concerti. Ma la voce di Ian, rauca e spinta al massimo, le dava un
altro significato, ponendo l'accento sulle parti più oscure. Il
testo parlava di qualcuno angosciato da un insano attaccamento alla
propria tristezza, come se fosse qualcosa di cui non poter fare a meno.
Quella canzone, come quasi tutte quelle dei Fifth Beatle, l'aveva scritta Ian. E nelle corde vocali del suo autore emanava tutta la sua inquietante bellezza.
***
-Prima di salutarvi con l'ultima canzone, ci teniamo ad annunciarvi che presto i The Fifth Beatle pubblicheranno il primo album con la EMI-
Ian attese che gli applausi e le urla finissero per continuare a parlare.
-E'
un risultato che non avrei potuto realizzare senza di te, amico mio-
disse cercando con lo sguardo Colin -Voglio quindi ringraziarti
suonando un pezzo speciale, la nostra prima canzone-
Mentre
la musica iniziava, Agnes guardando i ragazzi suonare non potè
trattenere un dolce sorriso. Quella era la parte di Ian che le piaceva
davvero. Quello era un bel gesto. Si voltò verso Colin convinta
di trovarlo sorridente. Niente di più sbagliato. Colin aveva gli
occhi sbarrati e la mascella serrata. Qualcosa l'aveva turbato. Ma cosa?
Agnes
si guardò in giro confusa fino a quando la sua mente
catturò il senso di quella canzone. Era rivolta a qualcuno, una
persona a cui si sentiva legato da sentimenti forti e contrastanti. Lo
aveva deluso così profondamente da voler eliminare dalla sua
mente tutto ciò che lo riguardava; ma fra loro esisteva un
legame indissolubile che li avrebbe uniti per sempre.
Mentre
cantava, il volto di Ian era contratto in un'espressione dura. Sembrava
che facesse uno sforzo immane a cantare quel pezzo tanto che la sua
voce, già di per sè bassa, era poco più di un
sussurro. Ma l'attenzione di Agnes si concentrò su Colin che
tratteneva a stento le lacrime. Qualcosa dentro di lei si
ribellò davanti a quella scena. Quando Ian concluse il pezzo,
rivolse un sorriso soddisfatto a Colin, come se avesse ottenuto proprio
quello che voleva. In quell'istante quel qualcosa dentro di lei
scoppiò, spingendola a muoversi verso il tavolo a cui stava
tornando Ian.
***
-Si può sapere che problemi hai?-
Ian si voltò a guardarla sorpreso. Ovvio, fino a quel momento nessuno l'aveva mai sentita alzare la voce in quel modo.
-In che senso?- chiese confuso.
-Se vuoi startene qui da solo, sono fatti tuoi. Ma perché lo devi fare stare male proprio oggi? E' il suo compleanno-
Ian
continuava a non capire e adesso la guardava come se si fosse
rincretinita. Questo ovviamente la fece infuriare ancora di più.
-Perché proprio quella canzone poi? Ti diverti a farlo sentire uno schifo?-
Finalmente
sembrò capire di cosa stesse parlando. Anche se adesso i suoi
occhi chiari si erano stretti in un'espressione tesa e qualche parola
sferzante si apprestava ad uscire dalle labbra serrate.
Una
mano si strinse intorno al suo esile polso e qualcuno la
trascinò lontano da Ian. Non aveva bisogno di guardarlo
perché sapeva di chi si trattava. Quando arrivarono al bancone,
Colin si voltò nella sua direzione senza lasciarle il polso.
-Hai frainteso la situazione-
-Colin
quella canzone ti faceva male e ho visto che per tutta la sera hai
continuato a cercarlo- rispose dura -Che c'è, non hai il
permesso di divertirti nemmeno per il tuo compleanno?-
-Lascialo
stare. Stasera non ha torto- disse con l'espressione angosciata che gli
aveva visto poco prima -Proprio stasera lascialo stare- ripetè
senza nemmeno guardarla in viso.
Proprio stasera...
Fu in
quel momento che Agnes mise insieme i pezzi. Ricordò la
conversazione avuta con Colin qualche settimana prima, quella in cui le
aveva raccontato com'era iniziata l'amicizia tra i due ragazzi. Le
tornò alla mente un particolare che le era sfuggito. Il sei
marzo. E allora capì.
Capì perché Colin non festeggiava il suo compleanno da anni.
Capì perché al suo ingresso nel locale aveva atteso un cenno di Ian per lasciarsi andare ai festeggiamenti.
Capì perché si era adombrato quando lo aveva visto in disparte.
Capì a chi era dedicata quella canzone e la fatica che era costata a Ian cantarla.
In definitiva, capì di essere un'idiota.
-Il sei marzo è il giorno in cui suo fratello...-
Colin annuì serio.
L'impulso
di voltarsi nella direzione di Ian fu troppo forte da trattenere. In
questo modo lui, rimasto proprio dove lo avevano lasciato, potè
vedere i suoi occhi sbarrati e l'espressione colpevole. Agnes
deglutì lentamente mentre tornava a guardare Colin.
-Domani mattina- iniziò con voce tremante -domani mattina ho un incontro di lavoro-
Colin la guardò interrogativo.
-Devo fare presto- continuò a fatica -Tu resta e cerca di divertirti, anche se...sì insomma...Divertiti, ok?-
-Agnes, per favore...-
Gli voltò le spalle e tornò a parlargli solo dopo aver recuperato la giacca di pelle.
-Se Gheorghe si lamenta, digli che tornerò domani per pulire-
-Agnes...-
***
Le due e mezza. Chissà per quanto tempo aveva vagato lungo il
Regent's Canal. Il cellulare aveva suonato diverse volte e pur non
avendo risposto aveva mandato qualche messaggio per tranquillizzare chi
aveva chiamato. Aveva scritto "sto bene". Una bugia, ovviamente. Ma era
facile fingere quando l'altra persona non poteva vedere l'impronta del
tuo malessere: il trucco sbavato a causa delle lacrime, le labbra
martoriate dai morsi e gli occhi gonfi di pianto. Dopo
aver visto l'ora decise che per quella sera aveva rischiato abbastanza
ad andarsene in giro da sola. Chiamò un taxi e tornò a
casa, sperando che nessuno dei due coinquilini fosse ancora tornato.
Non voleva affrontarli proprio in quel momento, perché avrebbe
sicuramente pianto. A causa di quella festa, aveva la sensazione di
aver rovinato il precario equilibrio su cui si reggeva il rapporto tra
due ragazzi così diversi come loro. Avrebbe pianto e non voleva
che la vedessero così, come una ragazzina che cerca di togliersi
dai guai con qualche lacrimuccia.
Quei
pensieri richiamarono le lacrime cosicché, quando fu arrivata
davanti la porta, fece una certa fatica a centrare la serratura. Quando
fu dentro, il silenzio e il buio la accolsero come i migliori padroni
di casa.
Nemmeno
una doccia calda e il comodo pigiama riuscirono a calmarla. In quelle
condizioni mettersi a letto avrebbe soltanto peggiorato il suo stato
d'animo. Così fece una cosa che in tutti quei mesi non aveva
osato nemmeno pensare. Prese la vecchia chitarra di suo padre, tenuta
nascosta sotto il letto, e si mise sul comodo divano del soggiorno. E
cantò.
***
Le sottili dita si muovevano lungo la chitarra delicate e, sotto un
impulso irrazionale, suonarono proprio quella canzone. Una canzone che
da un po' di tempo associava a Ian. O più precisamente, quello
che lei provava per lui. In quel momento aveva la strana sensazione che
intonandola in qualche modo sarebbe riuscita a farsi perdonare. O, cosa
più probabile, sarebbe stata lei a perdonarsi.
Non
sbagliò nemmeno una nota, la sua voce non ebbe nessuna
incertezza nè esitazione. Era rimasta concentrata sul pensiero
di Ian, cantando per lui. E non aveva commesso errori.
-Canta ancora-
Nonostante
fino a quel momento aveva creduto di essere sola, Agnes non
sussultò davanti alla richiesta di Ian. La sua mente era
occupata unicamente dal pensiero di lui. E la sua voce, sbucata
repentinamente da dietro le spalle, non la spaventò. Aveva quel
tono basso che usava quando voleva mostrare il suo lato migliore.
Socchiuse gli occhi come a volersi fare coraggio e si voltò
verso il piccolo corridoio dove si trovavano le loro stanze. Ian era
appoggiato alla parete, lontano da lei. La guardava con
un'intensità tale da illuminare i suoi occhi chiari.
-Non vuoi farlo?-
Agnes ci mise qualche secondo per comprendere il senso della domanda.
-S-si, ma...- guardò preoccupata la chitarra tra le sue mani. Avrebbe stonato, lo sapeva già.
Ian
la guardò mentre faceva scivolare un dito lungo una corda della
chitarra. Sembrò capire qualcosa dei suoi pensieri
perché, anziché insistere, andò a sedersi
silenziosamente sul divano, accanto a lei. In quella posizione non
riusciva a vederlo perché mentre lei era seduta
sull'estremità del divano, lui era comodamente appoggiato allo
schienale così da starle dietro.
Comprese
il suo gesto solo quando posò una mano sul suo fianco sinistro.
La presa era delicata e lei avrebbe potuto scostarsi in ogni momento.
In effetti, era più una carezza. Le trasmise la calma che tanto
desiderava. Le stava dicendo "non lasciarti soffocare dalla mia presenza". Quella mano le ricordava che pur non vedendolo, Ian era lì. Ed era lì per lei e per nessun'altro motivo.
Suonò
e cantò, come le aveva chiesto. La presenza di Ian era come
quella presa sul suo fianco. Gentile, rassicurante e voluta.
Quando terminò, posò la chitarra ai suoi piedi e si voltò raggiante verso il ragazzo.
Ian
si sollevò appena dal divano e, spostando la mano sulla schiena
di lei, la avvicinò a sè. Agnes capì le sue
intenzioni solo quando era troppo tardi per tirarsi indietro. Le labbra
di lui si posarono sulle sue, pronte a ricevere quel bacio da
chissà quanto tempo.
Quando
Ian la baciò, qualcosa dentro di Agnes si fece in mille pezzi.
Quando lei rispose al suo bacio, Ian le sorrise sulle labbra e con
l'altra mano le accarezzò il collo scoperto. E allora quei pezzi
si ricomposero in qualcosa di nuovo e diverso. Quel bacio, quel lungo e
profondo bacio, l'aveva cambiata per sempre.
Note:
Ciao a tutte! Stavolta sono davvero in ritardo e mi scuso con chi mi
aveva chiesto di aggiornare presto. Diciamo che è stato un
periodo no: sono stata male, sono iniziate le lezioni e si è
ridotto il tempo per scrivere e altri problemi...
Ma eccomi qui, con un capitolo a cui tengo molto ma che non mi convince affatto.
Forse la vera protagonista di questo capitolo è la Musica, uno
strumento che consente ai personaggi di comunicare quello che hanno
dentro.
Andiamo in ordine: Chelsea Dagger dei The Fratellis ha l'unico scopo di trasmettere un po' di gioia ^_^
Per la prima canzone cantata da Ian mi sono ispirata a Zero degli The Smashing Pumpkins. In pratica ho descritto le sensazioni che mi trasmette.
Per la canzone che canta Agnes ho fatto riferimento a Blackberry stone
di Laura Marling, un genere molto diverso rispetto a quello che ho
usato nei capitoli precedenti ma che trovo azzeccato per esprimere i
sentimenti di Agnes per Ian.
Ringrazio le persone che seguono la storia e le ragazze che mi hanno resa davvero felice con le loro recensioni!
A presto,
Agnes
|
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Capitolo 12 *** Where do his intentions lay? ***
capitolo 11
Where do his intentions lay?
Quella mattina
il risveglio di Agnes fu piacevole e morbido. Mentre lentamente si
liberava dagli ultimi frammenti di sonno, la parte lucida di sè
ripercorse la notte appena trascorsa.
Dopo
quel primo bacio ce ne erano stati altri. E più i loro corpi si
facevano vicini, più si radicava in lei una nuova
consapevolezza: aveva atteso quel momento a lungo. Consapevolezza,
questa, che la portava a ricambiare i baci di Ian con un trasporto mai
provato.
Fiduciosa
si lasciava trasportare dalla percezione delle mani di Ian che, a
tratti esitanti, percorrevano ora la schiena, poi i fianchi, il collo e
su fino alle guance. Mani gentili e attente a non imbarazzarla, come se
potessero leggerle sul viso la sua inesperienza.
Presa
com'era da tutte quelle emozioni, si sorprese quando improvvisamente
Ian interruppe il bacio. Lo guardò disorientata mentre lui
puntava gli occhi sulla porta d'ingresso. Prestando maggiore
attenzione, Agnes capì cosa aveva distratto il ragazzo. Delle
voci e strani rumori provenivano da dietro la porta. Quando i due
sentirono la chiave girare all'interno della serratura, come a un
segnale convenuto, si alzarono e si diressero dove Colin, una volta
entrato, non sarebbe andato: il piccolo corridoio da cui si accedeva
alle camere di Agnes e Ian. Rimasero lì in silenzio mentre Colin
invitava qualcuno ad entrare in casa. A modo suo, ovviamente...
-Sshhhhhhh, fai piano- urlò il ragazzo per poi mettersi a ridere insieme al suo ospite.
-Sei
tu che gridi, kvailas!- rispose una voce femminile che, nonostante
fosse alterata dall'alcol, Agnes riconobbe subito come appartenente a
Ieva, la modella lituana.
Agnes
rivolse un sorrisetto divertito a Ian che le stava di fronte e, da
quello che poteva scorgere grazie alla fievole luce proveniente dal
soggiorno, sembrava voler continuare quel discorso lasciato interrotto
pochi istanti prima.
-Non ti è bastato al locale?- chiese Colin con voce arrochita.
-No, ti voglio ancora- rispose la ragazza nel suo inglese stentato.
Suoni lascivi arrivarono alle orecchie di Agnes mettendola in imbarazzo.
-Andiamo in camera tua!-
La
porta della camera di Colin venne aperta e subito richiusa con energia,
cosicché i rumori divennero più flebili e soffusi.
Agnes
riportò lo sguardo sul ragazzo davanti a lei. Vedendo come era
proteso verso di lei, si chiese se anche lui si aspettasse una
richiesta così sfacciata e sicura.Mentre si mordicchiava un
labbro, le labbra di Ian si distesero in un meraviglioso sorriso.
-Buonanotte Agy- le disse piano mentre lasciava scorrere due dita sulla pelle liscia che andava dalla tempia fino al mento.
Quando si
convinse ad aprire gli occhi, guardò la porta chiusa della sua
camera. Lì fuori l'attendeva Ian e lei non sapeva davvero cosa
aspettarsi. Mal celando la sua impazienza si alzò e dopo aver
dato un'occhiata allo specchio si ricordò che il ragazzo l'aveva
vista anche in condizioni peggiori. Con un brivido di disgusto
pensò a quando aveva avuto un'orribile influenza.
Attratta dai
rumori provenienti dalla cucina, vi entrò proprio nel momento in
cui Ian stava posando tazza e cereali sul tavolo.
-Buongiorno- lo salutò con un sorriso.
-Ben svegliata- replicò la voce bassa di lui.
Il silenzio si
protrasse per qualche secondo di troppo. Nell'aria c'erano i ricordi
dei baci che si erano scambiati la sera prima. E inaspettatamente fu
proprio Ian a toglierla da quell'imbarazzo.
-Che fai lì? Vieni a sederti- la invitò con un cenno alla sedia.
Mentre si
sedeva, Ian prese un'altra tazza e la riempì di latte freddo e
caffè. Proprio quello che lei preferiva, pensò
distrattamente. Dopo averle messo la colazione davanti, si sedette
anche lui.
-Oggi non dovevi lavorare?-
-No- rispose stranita da quella domanda.
-Ieri a Colin hai detto così-
-Ah. No, era
una scusa per andarmene dal Kirchherr's- Sgranò gli occhi per
quello che aveva detto. Quando era nervosa tendeva a straparlare.
Ian le sorrise divertito.
-Quando sei agitata fai delle smorfie spassose!-
-Chi ha detto che sono agitata?-
-Mh,
vediamo...C'è il tavolo che trema perché non riesci a
tener fermo il piede lì sotto- fece un movimento elegante e
allusivo con la mano -C'è che pochi minuti fa sembravi voler
fare un tutt'uno con la parete- continuò sorridendo furbo -E poi
c'è il fatto che ancora non mi hai guardato-
-Sì che ti ho guardato- rispose piccata.
-Non negli occhi, però...-
Sentendosi sfidata, alzò gli occhi su quelli di lui. Erano luminosi e allegri come poche volte aveva visto.
-Eccoti qui-
disse piegando leggermente il capo -Buongiorno- mormorò
continuando a tenerla legata ai suoi occhi, mentre lei si scioglieva
nel dolce sorriso di chi si sente colto in fallo.
-Adesso potresti anche darmi un bacio-
Un suono di
passi incerti e malfermi distrasse i due. Quasi contemporaneamente si
voltarono in direzione di Ieva che avanzava lentamente tenendosi il
capo.
-Buongiorno!-
salutò allegro Colin mentre usciva dalla sua stanza. A guardarlo
così pimpante nessuno avrebbe detto che aveva trascorso la
nottata a bere, fumare e...insomma, a fare altro!
La lituana non sembrò apprezzare quell'allegria e lo guardò oltraggiata.
-Buongiorno un corno, silpnaprotis!-
Nonostante nessuno conoscesse il lituano, tutti intuirono l'incazzatura della ragazza.
-Su non te la prendere...tesoro- la esortò gentile ma stranamente incerto.
-Ieva. Il mio nome è Ieva-
-Aah, ecco...- sospirò contento -In fin dei conti non ho sbagliato così tanto!-
La ragazza lo fulminò con lo sguardo.
-Mi hai chiamata Svetlana!-
-Ma sai, è un nome così diffuso in Russia- tentò di giustificarsi inutilmente.
-Russia?-
sibilò la ragazza che sembrava essersi del tutto ripresa dal suo
mal di testa -Io sono lituana, razza di idiota!-
Ahi, mai scambiare le ragazze dell'est per russe, pensò Agnes preoccupata.
-Per voi siamo
tutte uguali, vero? Quando sono nata, mio padre era fuori a combattere
per scacciare i sovietici dalla nostra patria-
Colin era ammutolito. Ian tratteneva a stento le risa. E Agnes si sentì in dovere di calmare la patriottica lituana.
-Ieva, gradisci un caffè?-
Insomma, suonava un po' fuoriluogo, ora che ci faceva caso.
-Ti ringrazio Agnes- replicò l'altra con tono sostenuto -Ma preferisco andare via-
Pochi minuti
più tardi e dopo un dignitoso tonfo della porta d'ingresso,
Agnes e Ian si ritrovarono a sghignazzare mentre un paonazzo Colin li
guardava inebetito.
-Che avete da ridere? Mi ha massacrato!-
-Amico mio, sei proprio un silpa..quello che ha detto lei!- rispose divertito Ian.
-Potrebbe essere il tuo nome d'arte- gli diede man forte Agnes.
Da parte sua
Colin mostrò di non essere così idiota come pensavano
tutti quanti. Infatti notò che i due erano stranamente vicini e
complici, decidendo così di sfruttare questa novità a suo
vantaggio.
-E voi, invece, cosa avete combinato stanotte mentre non c'ero?-
Agnes quasi
sputò il latte, mentre Ian inarcò semplicemente le
sopracciglia mentre domandava innocente -In che senso?-
-Considerando
la tensione degli ultimi mesi, temo che Agnes si sia decisa a dartele-
poi sembrò riflettere su qualcosa ed Agnes temette il suo
sorriso malizioso -Certo, c'è un altro modo per scaricare la
tensione ma confido nella sanità mentale di Agnes-
Ian ignorò bellamente la domanda sottintesa in quella frase provocatoria, cambiando discorso.
-Sai, ho scoperto una cosa molto interessante ieri sera-
-Ian arrivi troppo tardi. Il mio cuore ormai appartiene a Svetl..a Ieva-
-Me ne farò una ragione. Comunque, ho scoperto il segreto di Agnes-
-E quale sarebbe?- chiese Colin cauto e Agnes pensò di aver capito a quale tipo di segreto stesse pensando l'amico.
"-Non è il ragazzo giusto per te, Agnes- rispose duro.
-Ma cosa stai dicendo?-
-Non negarlo, è chiaro che sei innamorata di lui- le disse guardandola dritto negli occhi."
-Agnes ha una
voce stupenda- Spiegò il ragazzo posando il suo sguardo vivace
sulla smorfia che arricciò le labbra di Agnes.
-Non esagerare adesso-
-Non sto esagerando- disse con semplicità.
Colin non fece alcun commento, intento com'era a studiare gli sguardi dei due.
***
-Manca il detersivo per i piatti e poi possiamo spostarci al reparto
macelleria- mormorò Agnes controllando la lista della spesa.
-Lo prendo io-
Agnes rimase ferma con le mani poggiate sul carrello, mentre osservava Ian scegliere il detersivo più economico.
Dopo la colazione e la rivelazione del segreto di Agnes, Ian le aveva
proposto con molta naturalezza di fare la spesa insieme. Fatto mai
verificatosi nei quasi tre mesi di convivenza.
Nonostante il ricordo vivido della notte appena trascorsa, fra i due vi
era un clima disteso e sereno. Avevano chiacchierato, avevano
bisticciato per la scelta dei biscotti e fatto dello spirito su qualche
sciocchezza.
-Ecco qua- disse Ian mentre posava il prodotto nel carrello.
Mentre spingeva il carrello, Agnes azzardò un'occhiata verso il
ragazzo. Ora sembrava un po' pensieroso pur conservando la
serenità con cui l'aveva accolta quel mattino. Inaspettatamente
posò una mano sul carrello facendola fermare.
-Non ci siamo-
-In che senso?- chiese stranita.
-Oggi non mi hai ancora dato un bacio- Le spiegò mentre la guardava severo e sicuro al tempo stesso.
Agnes comprese l'invito sotteso a quel finto rimprovero e sorridendo
alzò il capo nella sua direzione. Ian si chinò
leggermente e la baciò con delicatezza.
Il bacio fu blando e agli occhi degli estranei potè sembrare
innocuo. Ma Agnes, presa com'era, pensò distrattamente che non
c'era nulla di innocuo in Ian né nel modo in cui la stava
baciando.
Quando si scostò da lei, Ian prese subito a camminare e dopo qualche secondo di smarrimento Agnes lo seguì.
-Tra due settimane abbiamo un concerto molto importante. La EMI ci ha procurato uno spazio di un'ora al Rock Calling Festival-
-Per promuovere l'album?-
-Più che altro per controllare che il loro investimento vada a
buon fine!- le spiegò con un sorriso sarcastico -Comunque vada,
per noi è una grande occasione-
-Andrà bene sicuramente- lo rassicurò lei.
-Non ne ho dubbi.- rispose sicuro -Ma non è per questo che te ne
sto parlando. Tempo fa ho scritto una canzone che Colin non riesce
proprio a cantare; non la rende come vorrei. Quando ti ho ascoltata
ieri sera ci ho subito pensato: potresti cantarla tu!-
A quelle parole Agnes quasi investì un bambino fermo davanti a lei.
L'impulso iniziale fu dire un no fermo, forse anche brusco. Ma
conosceva Ian abbastanza bene da sapere che avrebbe reagito male ad una
risposta così diretta. Così si prese un momento per
cercale le parole adatte ad un rifiuto, qualcosa che non rovinasse il
loro buonumore.
-Ci stai pensando?- Chiese il ragazzo davanti a quel silenzio prolungato.
-Ian c'è un motivo per cui non mi avevi mai sentita cantare- iniziò cauta.
-Forse perché sei la persona più insicura e modesta che conosco?-
Quel colpo basso ebbe l'effetto di far aprire gli occhi ad Agnes.
In realtà da vero furbo Ian aveva capito che lei si apprestava a
rifiutare la sua proposta. E la ragazza aveva il sospetto che lo
sapesse ancora prima di parlargliene.
-No, perché quando in passato ho provato a cantare davanti ad estranei non ho mai fatto una bella figura!-
-Ma ieri sei stata formidabile!-
-Mi dispiace ma non sei obiettivo.-
La guardò spazientito facendole temere la sua risposta. Una risposta che, tuttavia, la stupì.
-Non voglio costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Ma stanotte ti
ho osservata e il tuo amore per la musica e la felicità che
provavi erano troppo evidenti per essere ignorati. Era come se qualcosa
ti avesse rapita e i tuoi occhi vedessero un mondo sottratto agli occhi
degli altri.-
Agnes lo guardò sentendosi in difficoltà. Quelle parole
l'avevano colpita, perché descrivevano i suoi pensieri ogni
volta che aveva ascoltato la chitarra di Ian o quando lo sentiva
parlare di cose che gli erano care. L'idea di avere qualcosa in comune
con lui le provocò un brivido.
Avrebbe voluto essere più forte e accettare la sua proposta.
Sarebbe bastato un semplice sì. Le venne alla mente quella sera
di settembre in cui suo padre l'aveva spinta a prendere ciò che
voleva. Ricordò quando, nel giro di qualche ora, Colin e Astrid
l'avevano catapultata nel mondo della moda. Infine, ricordò
quando Ian l'aveva aiutata a far emergere la sua personalità.
Ora le veniva richiesto l'ennesimo cambiamento ma stavolta gli altri
non potevano aiutarla. Era lei a dover affrontare i suoi fantasmi e
nessun'altro avrebbe potuto farlo al suo posto.
-Non te lo chiederò un'altra volta. Se cambierai idea ricorda che la proposta sarà sempre valida.-
La conversazione si interruppe quando, arrivato il loro turno, i due
iniziarono a porre i prodotti e le cibarie sul ripiano della cassa.
***
A partire da quel giorno, in casa si iniziò a parlare solo
dell'imminente debutto dei The Fifth Beatle. Ian e Colin discutevano
delle canzoni da inserire in scaletta, finendo puntualmente con il
litigare sulle scelte e sull'ordine.
Il gruppo provava praticamente ogni sera e, quando il lavoro glielo consentiva, Agnes cercava di non mancare mai.
Ian era stato di parola e non aveva più insistito sulla sua
proposta. Ciò nonostante Agnes poteva avvertire la sua
impazienza, il suo desiderio di averla con sé in
quell'esperienza. E se da un lato questo la faceva sentire sotto
pressione, dall'altro era colpita da tanto attaccamento.
Fra loro c'erano stati altri baci ma sempre fugaci e quasi fortuiti. In
ogni caso, mai di fronte agli altri ragazzi. Poteva imputare tale
comportamento a quella riservatezza tipica di Ian, ma l'insicurezza di
Agnes la portava a chiedersi se ci fosse sotto qualche altra
motivazione. Forse che si fosse pentito di essersi legato ad una
persona così fragile come lei? Non lo capiva e ne soffriva in
silenzio.
Quella sera si erano dati tutti appuntamento alla sala prove,
conosciuta dai più come lo scantinato della galleria d'arte
della madre di Colin. Agnes e Colin arrivarono in netto anticipo
rispetto agli altri. Fatto strano visto che il primo ad arrivare
normalmente era Ian il quale, una volta chiuso il negozio di dischi, si
recava direttamente lì senza passare da casa.
-Quindi...- disse Colin un po' nervoso per poi starsene zitto a guardare gli strumenti intorno a lui.
-Quindi cosa?-
-Noi comuni mortali non avremo mai l'occasione di sentirti cantare?-
Cercò di usare il suo solito tono spiritoso ma qualcosa
tradì la sua impazienza.
Agnes lo guardò scocciata.
-No, non penso- rispose semplicemente.
-Agnes cosa c'è che non va? Negli ultimi giorni sei stata taciturna.-
-Non ho nulla-
-Qualcosa ti turba. Ora cortesemente puoi evitare di negare l'evidenza e spiegarmi cosa ti prende?-
Nonostante il tono perentorio, Agnes capì che Colin come al
solito stava tentando di capirla e aiutarla. E allora decise di parlare.
-Ian mi ha chiesto di cantare una canzone con voi-
-E?- la esortò a continuare.
-E io gli ho detto di no-
-Non devi sentirti in colpa; non può costringerti a fare qualcosa che non vuoi!- proruppe visibilmente scocciato.
Buffo, aveva usato le stesse parole con cui Ian aveva chiuso la loro conversazione sull'argomento.
-Non è questo. Io lo vorrei, credimi Colin- gli spiegò vedendo l'epressione scettica -Ma non posso.-
-Perché non puoi?-
-Non so cantare in pubblico- spiegò desolata.
L'amico la guardò attentamente, poi si alzò dalla sedia in modo brusco e prese la sua chitarra.
-Quale canzone preferisci?- le domandò mentre si accomodava sulla sedia vicino a lei.
Lei si grattò nervosamente il sopracciglio, incerta su cosa fare.
-Non sto cercando di convicerti. Voglio solo suonare- disse semplicemente.
-Va bene. Facciamo una cover però-
Colin ci pensò un po' su e poi con un sorrisetto le chiese se le andasse bene Hey Jude.
Agnes gli disse di sì e mentre ripensava alle parole della canzone lo guardò irritata.
-Sei proprio un simpaticone-
-Perché?- domandò l'altro ingenuamente.
-Lascia stare e suona.-
***
Non stava andando affatto male. Colin cantava insieme a lei e questo le
dava maggiore sicurezza. Gli sorrise grata e lui fece spallucce come a
voler dire che se lo aspettava. Nel frattempo qualcuno aveva aperto la
porta ed era entrato nello scantinato. Agnes, tentata dal fermarsi, fu
quasi costretta da Colin a continuare.
Una fugace occhiata le svelò che il nuovo arrivato era proprio
Ian. Sorpresa notò la calma con cui cantava e in quel
momento qualcosa dentro di lei le suggerì che, se non si
lasciava prendere dalle solite paure davanti a due musicisti
così bravi come loro, forse avrebbe potuto cantare anche in
pubblico. Forse anche quel cambiamento era possibile.
Le venne voglia di condividere quei pensieri con qualcuno e, nonostante
Colin avesse voluto aiutarla, la sua mente andò subito a Ian.
Quando le ultime note della canzone scemarono nell'aria, Agnes sorrise
di nuovo a Colin e quando stava per dirgli qualcosa lui la interruppe.
-Sì, lo so. "Ti ringrazio blabla..."Non c'è bisogno!- Le disse bonario.
Quello scambio fu comunque interrotto dal chiassoso arrivo di Karl e
Dave. Agnes dovette quindi attendere la fine delle prove per poter
scambiare qualche parola con Ian, un Ian che le apparve subito distante
come non lo vedeva da giorni.
***
Era da poco
passata mezzanotte quando Agnes, Ian e Colin entrarono in casa. Agnes
era particolarmente nervosa perché aveva l'impressione che Ian
non la stesse degnando d'attenzione. La parte di lei pronta a
giustificare tutto e tutti le diceva che il ragazzo in quel periodo era
concentrato sulla musica e non aveva tempo per altro. L'altra parte di
lei piagnucolava sentendosi abbandonata.
Vedendo che i
due ragazzi continuavano a parlare di canzoni, accordi, intro e altre
cose che non potevano attendere, decise di congedarsi e prepararsi per
la notte. Due stentati "buonanotte" peggiorarono ulteriormente il suo
umore.
Si era quasi
messa a letto quando notò che la sua bottiglia d'acqua, quella
che doveva essere sempre a sua portata di mano durante la notte, era
vuota. Scocciata si alzò e, arrivata in cucina, trovò Ian
intento a prepararsi un panino.
Non sollevò nemmeno lo sguardo quando lei si avvicinò al frigorifero.
Nonostante le premesse non fossero delle migliori, decise comunque di parlargli.
-Ian...- Lo chiamò cauta, come se temesse la sua reazione.
-Dimmi-
-Ho pensato
che..sì, insomma..se la proposta è ancora valida...-oddio
si sentiva una perfetta idiota.-Mi piacerebbe fare un tentativo con la
tua canzone-
Lui annuì, rimanendo un po' in silenzio.
-E' stato Colin a farti cambiare idea?- chiese con tono neutro.
-Sì, diciamo di sì- rispose confusa.
La bottiglia
era ormai piena fino all'orlo e non aveva più scuse per restare
lì a fissarlo. Stava per allontanarsi quando l'istinto la
portò a chiedere spiegazioni.
-Perché...?-
-Perché cosa?- le chiese voltandosi verso di lei.
-Perché non mi guardi?-
-Ti sto guardando-
-Non negli
occhi...- Sperò davvero che lui sollevasse lo sguardo nel suo.
Sperò invano perché il ragazzo tornò a darle le
spalle.
-Ti sbagli.-
Note:
Ciao ragazze! Ecco il nuovo capitolo...Spero vi piaccia!
Il titolo del capitolo è tratto dalla bella(e quanto mai azzeccata) Girl afraid dei The Smiths. L'altra canzone citata ovviamente è Hey, Jude dei Beatles (in questo caso nella bella versione del film Across the Universe).
Ringrazio sempre chi segue la storia e chi mi fa sapere il suo parere.
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Capitolo 13 *** Outside the Wall ***
capitolo 12
Outside the Wall
Berwick Street. Erano le dieci del mattino e, nonostante la concorrenza fosse già all'opera, Championship Vynil
era ben lontano dall'apertura. Non che questo facesse molta differenza
per le tasche del suo proprietario. Davanti al vecchio negozio di
dischi non c'era una fila di clienti desiderosi di entrare. E Ian non
se ne stupiva affatto. Championship non esercitava alcuna attrattiva
sulle persone che passavano lì davanti. Non aveva vetrine dai
colori vivaci né insegne accattivanti e già dall'esterno
si poteva avvertire l'odore di umidità che vi aleggiava dentro.
Per l'ennesima volta tornò a guardare lungo la strada e
finalmente vide il proprietario venirgli incontro. La mano destra stava
tirando fuori dalla giacca le chiavi del negozio.
-Alla buon'ora!-
-Dannazione, non potresti arrivare almeno una volta in ritardo?- Si
lamentò una voce rauca e affaticata mentre l'uomo si apprestava
ad aprire la porta del negozio.
-Forse sei l'unico datore di lavoro a lamentarsi della diligenza del suo impiegato- Rispose Ian divertito.
-Io sapevo che ieri sera avevi le prove con il gruppo, tu sapevi che mi
sarei visto con Laura. Mi sembrava scontato che avremmo aperto
più tardi!-
Ian scosse la testa rassegnato.
-La prossima volta puoi anche avvisarmi! E se ti decidessi a darmi una chiave sarebbe anche meglio-
-Sì, ci manca solo questo. Non usciresti più da questa
bettola e cambieresti l'ordine degli album, come quando sono partito
per Dublino.-
Nel frattempo i due erano entrati e avevano iniziato le attività con cui inauguravano l'inizio di ogni giornata.
Per Ian non era stato affatto facile trovare un lavoro adatto a lui. Il
suo carattere scostante e a volte scontroso non era esattamente una
qualità che i commercianti cercavano nei loro dipendenti. Con
Hornby, invece, era scattata fin da subito una certa affinità.
Hornby era quel raro tipo di persona con cui Ian riusciva ad andare
d'accordo. Era un uomo interessante, una sorta di enciclopedia
ambulante di musica pop. Gli piaceva parlare ma non era logorroico
né impiccione. Le faccende personali erano quasi sempre escluse
dalle loro conversazioni, come se anni prima avessero stretto un patto
in tal senso. Aveva però quella strana fissazione di dover
stilare una classifica di tutto ciò che lo riguardava: dischi,
libri, film, musicisti peggiori, gruppi migliori. E così
trascorrevano intere giornate a discutere di quelle insolite
classifiche. Neanche a dirlo, non erano mai d'accordo su niente.
Hornby era attento anche alle sue esigenze di musicista. Se aveva
qualche concerto gli permetteva di uscire prima da lavoro e in alcuni
casi anche di prendersi l'intera giornata libera. Certo, la paga non
era granché e più volte, per pagare l'affitto, aveva
dovuto contare su Colin, o meglio sui genitori di quest'ultimo i quali,
nonostante l'iniziale ritrosia, volevano che il figlio pensasse
unicamente a realizzare i suoi sogni.
La mattina stava trascorrendo con l'usuale lentezza. Il campanello
della porta aveva suonato due volte: la prima volta era entrato un
turista che in un inglese stentato aveva chiesto se avessero qualcosa
dei REM, niente di difficile
se avesse saputo pronunciare correttamente il nome della band. Il tizio
per diversi minuti gli aveva ripetuto lentamente "Rem"
fino a quando Ian gli aveva dato carta e penna e aveva finalmente
capito che si trattava del gruppo rock inglese, così da
esclamare oltraggiato "Oh, AR I EM??".
La seconda volta era entrato un cliente abituale che ogni giorno
tornava per controllare se era arrivato un vecchio quarantacinque giri
degli Smiths.
Verso mezzogiorno, il campanello segnalò l'ingresso di
qualcun altro. Ian, intento a lavorare sul testo di una canzone,
sollevò lo sguardo annoiato. Erano tre ragazzine in divisa
scolastica. Sì, erano già state lì qualche altra
volta. In realtà non capiva cosa ci facessero in un posto come
il Championship. E non tanto perché a quell'ora avrebbero dovuto
essere a scuola, piuttosto perché tipe come quelle sarebbero
state meglio nei grandi magazzini della Virgin.
In particolare due di loro non sembravano avere alcun interesse per la
musica: camminavano per l'angusto locale senza curarsi dei dischi,
chiacchierando rumorosamente. Ian aveva già deciso che le
avrebbe ignorate quando i suoi occhi si posarono in maniera distratta
sulla terza ragazzina. Se ne stava in silenzio a fissare gli album e i
vinili come qualcosa di prezioso e dal valore inestimabile. Pareva non
sentire la conversazione delle altre due e rispondeva meccanicamente
quando veniva interpellata.
Qualcosa di quella ragazzina lo portò a pensare ad Agnes. Forse
era quel suo mettersi in un angolo, la modestia dei suoi movimenti
impercettibili, la paura di recare fastidio con la sua sola presenza.
Un involontario sorriso si delineò sulle sue labbra mentre
trovava naturale alzarsi e andare incontro alla ragazzina.
-Posso esserti utile?- chiese gentile.
-Sì, io...- la ragazzina sembrò essere in difficoltà.
-La mia amica cerca un cd dei Pink Floyd- intervenne un'altra.
-Non un cd!- disse scandalizzata la ragazzina mentre le sue guance
segnalavano un forte imbarazzo. -Vorrei comprare tre album dei Pink Floyd, qualcosa che racconti del loro percorso artistico.- Spiegò frettolosamente ma con una certa convinzione.
Anche quest'uscita gli ricordò Agnes. Nonostante la sua innata
timidezza, nelle situazioni di difficoltà anche lei riusciva a
tirare fuori un caratterino niente male. Agnes sapeva essere
caparbia, a volte anche cocciuta. Ricordava ancora quando si erano
conosciuti. In un primo momento l'aveva etichettata semplicemente come
una ragazzina timida e impacciata, poi a fine serata l'aveva sentita
discutere con Gheorghe e Colin perché voleva tornarsene a casa
da sola.
-Uuuuh, che paroloni!- la canzonò una delle amiche senza
particolare cattiveria. Ma quella battuta sembrò andare a segno
perché la ragazzina si morse nervosamente il labbro inferiore e
abbassò lo sguardo.
-Dai Lucy, stiamo scherzando. Non ti vergognare!- La esortò ridacchiando l'altra.
Quella era una cosa che Ian non riusciva davvero a sopportare: vedere
una persona in difficoltà e qualcun altro palesemente divertito.
Seppelliti dentro la sua testa teneva ancora i ricordi di Eton e dei
torti subiti da parte dei suoi compagni. Così, quando assisteva
a scene del genere, anziché prendersela con il fautore di
quell'imbarazzo e rispondere alla cattiveria con altra cattiveria,
qualcosa lo spingeva a mostrarsi solidale e gentile con la persona che
aveva subito il torto.
-Quindi, Lucy, vorresti imparare qualcosa in più sui Pink Floyd?-
La ragazza, ridestandosi dall'imbarazzo, fece sì con la testa.
-Bene. Abbiamo The Piper At The Gates Of Dawn dalle atmosfere psichedeliche e risalente a quando ancora nella band suonava Barrett. Poi devi ascoltare assolutamente The dark side of the moon con le sue The great gig in the sky e Time. E ovviamente c'è The Wall
che, se saprai ascoltarla, ti apparirà come un romanzo che narra
la storia di Pink, una celebrità rock le cui debolezze e i cui
traumi esistenziali costituiscono un muro di isolamento che lo
allontana dalla realtà. E' uno dei miei cinque album preferiti
in assoluto- Concluse con un sorriso gentile.
Nel frattempo aveva trovato le copie degli album di cui aveva parlato e
li aveva lasciati tra le mani di una Lucy estasiata. Le altre
assistevano alla scena ammutolite. Ogni tanto la sua innata
capacità di mettere gli altri in soggezione serviva a qualcosa.
-Li compro-
-Tutti e tre? Guarda che costano...-
-Sì, tutti.- rispose risoluta.
-Bene. Hornby tratta bene la ragazza. E' mia amica!- Disse strizzando l'occhio alla ragazzina.
Proprio in quel momento fece il suo ingresso un'altra persona. A Ian
bastò una fugace occhiata per riconoscere Agnes, forse evocata
dai suoi pensieri. O più prosaicamente, era lì per via
dell'appuntamento che avevano dopo pranzo con il resto del gruppo.
-Buongiorno- Salutò insolitamente rigida la ragazza, ma senza perdere l'innata gentilezza che la caratterizzava.
Ian la guardò attentamente, desiderando per un momento
sorriderle e salutarla allegramente. Come al solito non ci
riuscì e dovette accontentarsi di un 'Ciao' poco entusiasmante.
Le tre ragazzine si girarono a guardare la nuova arrivata e, dopo aver
aggrottato le sopracciglia ed essersi consultate tra loro, fecero una
faccia sorpresa.
-Ma lei è...- Proruppe quella che a Ian era apparsa come la più spavalda.
Agnes si voltò in direzione delle tre con uno sguardo interrogativo.
Stranamente prese la parola proprio la timida Lucy.
-Ci stavamo chiedendo se sei la modella del profumo di Jean Paul Gaultier- spiegò imbarazzata.
Ma quell'imbarazzo era nulla se paragonato a quello che fece
imporporare le guance di Agnes. Ecco perché Ian continuava e
avrebbe continuato ad adorarla. Faceva un mestiere che le avrebbe
dovuto dare alla testa ma restava comunque totalmente ignara della sua
bellezza.
-Sì, sono io- rispose concisa.
-Oh, di presenza sei ancora più bella!- Esclamò una delle
ragazzine facendo avvampare di imbarazzo l'oggetto dei suoi complimenti.
-Emh, ti ringrazio- disse con un sorriso forzato.
-Come mai qui?- Si decise a chiederle anche per toglierla dall'imbarazzo.
-Ero qui vicino per un servizio e ho pensato che potremmo andare
insieme alle prove- Gli lanciò un'occhiata stranamente
preoccupata -Certo, se ti va...-
-Va bene. Hai già pranzato?- chiese quasi meccanicamente.
Ian si maledisse per quella conversazione così piatta. Nelle
ultime settimane, qualcosa nel loro rapporto si era incrinato e non
riuscivano più ad essere naturali. Agnes gli parlava sempre con
quel tono cauto, come se si aspettasse una scenata o chissà
cos'altro. A volte gli rivolgeva sguardi interrogativi nel tentativo di
capirlo. Ian, da parte sua, sentiva il bisogno di allontanarsi da lei,
perché qualcosa in quella ragazza lo faceva stare male.
Decisero di pranzare insieme e quasi immediatamente Ian se ne
pentì. Agnes era a disagio e lui non riusciva a farsi passare
dalla mente i pensieri che avevano iniziato a assillarlo da quando
l'aveva baciata.
Fu un pasto silenzioso e rapido. Quando finalmente si alzarono, Ian
dovette trattenere l'impulso di voltarle le spalle e andarsene per
un'altra strada.
***
-No, non ci siamo. Fermi un attimo-
I ragazzi smisero subito di suonare dietro l'invito di Agnes. Ian la guardò confuso.
-Cosa non andava?-
-Ero fuori tempo-
Ian trattenne a stento una risposta delle sue. Da quando avevano
iniziato le prove si era svelato un lato tutto nuovo di Agnes. Era un
tipo puntiglioso, perfezionista. E, dannazione, tendeva a criticare
tutto quello che faceva.
-Agnes eri perfetta- intervenne Colin in un tono ragionevole che mal
celava la sua esasperazione. Cosa che ovviamente la irritò.
-Colin se usi questo tono potrei pensare che mi consideri pazza-
-Pazza tu? Ma cosa vai pensando! Magari un po' maniacale, ma pazza mai.
Te lo giuro!- Rispose con fare teatrale portando una mano sul petto.
Agnes si mise a ridacchiare.
-Te l'ho mai detto che sei un idiota?- chiese ironica.
-Oggi no ma credo che tra un po' mi regalerai la tua dose giornaliera di insulti-
-Colin ce la fate a provare senza di me?- li interruppe Ian, avvertendo un familiare peso al petto.
L'amico aggrottò le sopracciglia e annuì serio.
-Certo, perché?-
-Mi sono venute delle idee per un pezzo a cui sto lavorando da un po'-
spiegò mentre, sotto lo sguardo attonito di quattro persone,
posava la chitarra e prendeva dallo zaino uno dei suoi tanti bloc
notes. -Voi continuate pure, però.-
Odiava quando lo guardavano in quel modo. Come un enigma irrisolto, uno
stramaledetto cubo di Rubik che tutti si intestardiscono a risolvere
pur odiandolo. Per evitare di incrociare i loro sguardi, chinò
la testa sul foglio bianco che aveva di fronte e iniziò a
scribacchiare parole prive di senso.
Solo quando il gruppo riprese a suonare, Ian potè tirare un
sospiro di sollievo. Ma uno strano impulso lo spinse a sollevare lo
sguardo e quello che vide gli procurò una fitta. Agnes, Colin e
gli altri erano proprio lì a due passi da lui, tanto che se
avesse allungato le mani avrebbe potuto toccarli, stringerli. Ma ai
suoi occhi apparivano distanti e inavvicinabili.
Tutti lì dentro nascondevano le proprie chimere, timori
inconfessati, sogni spezzati e fragili insicurezze. Eppure non si
lasciavano sopraffare e provavano a mandare avanti le loro vite. Ogni
giorno affrontavano coraggiosi cambiamenti, reinventavano se stessi
secondo le esigenze del mondo circostante. Anche Agnes, nonostante non
ne fosse del tutto cosciente, si lasciava travolgere da quel fiume in
piena che era la vita. E guardandola adesso, così sicura mentre
impugnava il microfono quasi come uno scettro, anche a lui veniva
voglia di lasciarsi andare.
Ma questo slancio non era sufficiente. Lui rimaneva immobile, immutato.
Dentro di sè era ancora il ragazzino silenzioso che alla scuola
e ai rapporti interpersonali preferiva la musica. Un ragazzino
rassegnato che, consapevole dei suoi limiti, non credeva nella
possibilità di un cambiamento.
Quei pensieri gli diedero almeno l'ispirazione giusta per scrivere il
testo di una canzone. Aveva riempito tre pagine di appunti quando la
porta dello scantinato si aprì lasciando entrare Astrid.
Dopo qualche minuto i ragazzi decisero di fare una pausa per salutare l'amica.
-Tesoro, c'è Londra piena di te mezza nuda!- Esclamò con
il solito entusiasmo, riferendosi ai cartelloni pubblicitari del
profumo di cui Agnes era testimonial.
-Mezza nuda...Un parolone! Non si vede neanche mezza tetta-
-Colin- lo rimproverò oltraggiata Agnes.
-Se vuoi ti faccio avere uno degli scatti di prova in cui si vede più roba!-
-Astrid!-
-Stai facendo l'appello, tesoro?-
Agnes la fulminò con lo sguardo, decidendo infine di cambiare discorso.
-A cosa dobbiamo la tua presenza molesta?-
-Avevo voglia di cantare- Rispose la rossa alzando le spalle come se fosse ovvio.
-Carina, guarda che qui non facciamo karaoke- Rispose sprezzante Karl che venne ignorato da tutti quanti.
-Cosa vuoi cantare, dolcezza?- Chiese Dave prendendo in mano le bacchette.
-Rendiamo omaggio alla nostra Regina!-
I ragazzi iniziarono a suonare God save the Queen, accompagnati dalle voci allegre e a tratti stridule di Agnes e Astrid. E così, le ultime prove dei Fifth Beatle prima del grande debutto si trasformarono in una sorta di jam session in cui ognuno suonava e cantava un po' come gli pareva.
Ian li osservava con l'ombra di un sorriso sulle labbra. Per evitare di
farsi coinvolgere, si preparò uno spinello e si mise a fumare
con molta calma. Ogni sospiro avvelenava gola e polmoni, forse anche la
testa. Quasi lo stesso effetto che gli faceva ogni occhiata ad Agnes e
Colin. Lo faceva stare male ma non poteva fare a meno di guardarli.
Agnes e Colin erano complici. Si punzecchiavano, si sfottevano ma solo
un cieco non avrebbe notato il legame che li univa. Erano due luci che
si fondevano insieme, senza che una prevaricasse l'altra. Erano giusti
insieme.
E per questo Ian li odiava.
Odiava Colin perché era la persona migliore che lui conosceva,
una di quelle persone pronte a tutto pur di vederti sorridere. Lo
odiava perché arrivava sempre primo, anche quando si trattava di
aiutare Agnes.
Odiava Agnes. E ancora di più odiava i suoi occhi blu
perché, quando si posavano su di lui, attraversavano inesorabili
quel muro che lo circondava e gli donavano brividi preziosi. Quegli
occhi luminosi lo illudevano, gli facevano credere che la
felicità fosse proprio lì, a porta di mano. Ma cosa gli
restava quando quegli stessi occhi si chiudevano o venivano rapiti da
qualcos'altro? Niente, se non lui e il muro che aveva messo tra
sé e il mondo.
***
I Fifth Beatle attendevano
dietro le quinte il loro momento. A breve avrebbero suonato davanti a
qualche migliaio di ragazzi. Gran parte di loro non aveva mai sentito
parlare del gruppo ed era lì solo per sballarsi mentre giovani
sconosciuti si susseguivano sul palco. Ma non importava, quel concerto
era decisivo per il loro ingaggio con la EMI. Se fossero riusciti ad attirare l'attenzione del pubblico, la EMI avrebbe investito molto più denaro sul loro album.
I ragazzi intorno a Ian cercavano di dissimulare il nervosismo. Dave
con le bacchette si picchiettava le cosce muscolose a tempo di qualche
loro canzone. Karl e Colin commentavano tutto, dai gruppi che stavano
suonando prima di loro fino alle tipe che gli passavano accanto.
Ian, invece, stava seduto in silenzio. Non pensava alle canzoni in
scaletta, né a quanta gente fosse pronta a farli a pezzi. Ian
conosceva con estrema esattezza i pregi e i limiti della band. E per
fortuna la paura da palcoscenico non apparteneva a nessuno di loro. O
forse, a qualcuno sì...
-Dov'è Agnes?- Chiese a Colin.
-E' andata a salutare Astrid e qualche altra amica. Ma ormai è passata quasi un'ora da quando si è allontanata.-
-Dove stai andando?- Domandò Karl vedendolo alzarsi.
-Vado a cercarla.-
Per fortuna non ci mise troppo tempo. Era in un angolo da sola e l'ansia la stava divorando.
-Agnes, guarda che siamo lì- disse indicando il punto da cui era arrivato.
-Ah, sì. Ora vi raggiungo- rispose la ragazza con voce stranamente acuta.
Ian si chiese come potesse aiutarla a superare le sue paure.
Poiché non c'era molto tempo decise per qualcosa di molto
diretto.
-Hai visto quante persone ci sono lì fuori?-
-Sì. E' una fortuna. Sì, insomma..Per voi, intendo.-
Continuava a parlare in quello strano modo, sembrava che fosse
sull'orlo di una crisi di nervi.
-Ma se sbagliamo qualcosa può anche essere una sfortuna. Sì insomma...sarà una figura di merda colossale!-
Ian la vide torturarsi il labbro inferiore con i denti. Se continuava così ci sarebbero voluti i punti.
-Agnes...-
-Ian forse è meglio che mi cancelliate dalla scaletta-
Ecco, la voleva portare proprio a quello. Doveva sfogarsi.
-Posso accettare che mi consideri una ragazzina senza spina dorsale ma
l'idea di rovinare la vostra occasione... No, non posso sopportarla!-
-Agnes tu non rovinerai proprio nulla. In queste settimane ti sei
esercitata in ogni momento e non ti ho mai sentita fare chissà
quali errori imperdonabili-
-Sei tu, cioè voi...siete voi che mi trasmettete sicurezza- gli spiegò senza osare guardarlo negli occhi.
Ian le si fece più vicino e con una mano sul mento la indusse a sollevare lo sguardo.
-Ti ricordi cosa ti ho detto di Stuart Sutcliffe?-
Agnes battè le palpebre mentre mormorava un sì stentato.
-Se quegli estranei lì fuori ti fanno così paura, puoi
non guardarli. Se vuoi, guarda me.- deglutì a fatica mentre
aggiungeva -O Colin, ciò che ti fa stare meglio.-
***
Il concerto era giunto a metà e i Fifth Beatle
si erano mostrati all'altezza delle aspettative. Ian aveva notato
quattro errori fino a quel momento. Ma non contavano assolutamente
nulla in un concerto. Quello che contava davvero era saper coinvolgere
il pubblico, farlo muovere, cantare e urlare. E loro ci stavano
riuscendo.
Quando Agnes salì sul palco, Colin le fece spazio spostandosi
alla sua sinistra. Non troppo distante. Come a un segnale convenuto,
nello stesso istante anche Ian la affiancò. Era il loro modo di
starle vicini.
Ian quasi sbagliò accordo quando vide Agnes spingere in maniera
impercettibile l'asta del microfono verso destra. In quella posizione,
quando lasciò fluire la voce attraverso le labbra, i suoi occhi
blu poterono trovare con più facilità e discrezione
quelli di Ian. E non li lasciarono per tutta la durata della canzone.
Con quel gesto Agnes aveva riposto in lui tutta la sua fiducia. Gli
stava dimostrando che, con lui accanto, poteva superare le sue paure e
i suoi limiti. E quell'abbandono così ingenuo gli accese dentro
la speranza: con quella donna nella sua vita, Ian sentiva di poter
vivere fra tutti coloro che andavano e venivano al di fuori del muro.
***
Gli applausi scroscianti ed entusiasti salutarono la band mentre
abbandonava il palco e si dirigeva dietro le quinte. I ragazzi non la
smettevano di ridere e compiacersi di quel risultato. E come dargli
torto? Erano anni che aspettavano quel momento. E a quanto sembrava
quello era solo l'inizio. Il dirigente della EMI
li attendeva proprio ai piedi della scalinata: una sfilza di elogi
pronti ad uscire dalle labbra stirate in un sorriso compiaciuto.
Ian lo vide appena con la coda dell'occhio. Il suo campo visivo era
occupato da ben altra immagine. Agnes era appoggiata ad una parete,
dritta e nervosa. Quando lo vide camminare nella sua direzione, assunse
un'aria diffidente che mal celava una certa preoccupazione. Forse era
colpa del cipiglio sicuro che aveva assunto. Quando le fu di fronte,
però, le rivolse un sorriso pieno di calore mentre le portava le
mani sui fianchi sottili. L'avvicinò a sè e la
baciò come la cosa più naturale e spontanea del mondo.
***
Quando Ian aprì la porta di casa, non ebbero bisogno di
accendere alcuna luce. Dalla grande vetrata del soggiorno filtravano le
prime luci dell'alba. L'appartamento era immerso in un tenue chiarore.
Fu strano ritrovarsi lì da soli dopo quello che avevano appena
vissuto. Un brusco ritorno alla realtà mentre si sta ancora
sognando. Quando si voltò in direzione di Agnes, sul suo viso
lesse la stessa desolazione.
Lo superò un po' impacciata e si chiuse nella sua stanza. Lui le
concesse qualche minuto e la seguì, bussando e aprendo la
porta con cautela. La trovò seduta sul letto, lo sguardo basso e
un'espressione contrariata.
-Agy...-
-Niente Agy, Ian. Ho bisogno di capirti- lo interruppe guardandolo
dura. -Anzi no, tu devi capire me. Io sono fatta così. Mi manca
il coraggio, sono piena di paure. E tu non puoi punirmi quando mi
mostro debole e premiarmi quando provo a non esserlo. E' questione di
tempo ma prima o poi ti deluderò di nuovo, perché, vedi,
questo è un lato di me. Posso provare a correggerlo ma ci
sarà sempre. Quindi è meglio se lasciamo perdere, ok?-
-Sei stanca di me-
Agnes alzò la mano come a volerlo bloccare.
-Sono i tuoi sbalzi d'umore, Ian. Mi feriscono-
-E credi che mi comporto così perché ti mostri debole- constatò lui mentre si appoggiava alla parete.
-Sì e non te ne faccio una colpa, credimi. Anche a me...-
-Ma ti sei vista stasera?- sentì il bisogno di interromperla -O
magari negli scatti di Astrid? O nell'intervista per quella rivista
italiana? Non c'entra niente la tua presunta fragilità.-
-Cos'altro può essere?-
Ian voleva davvero che lei capisse. Voleva raccontarle tutto ma trovare
le parole per spiegare quello che aveva dentro era davvero difficile.
-Conosci The Wall dei Pink Floyd?- Cazzo, non sapeva spiegarsi senza dover ricorrere alla musica. Era davvero un idiota.
-Sì ma...- rispose incerta.
-Ma non abbastanza bene, ho capito- Rimase un attimo in silenzio e poi
parlò. Parlo per quella che a lui sembrò
un'eternità.
-Da bambino ero costretto a trasferirmi da un posto all'altro per via
del lavoro di mio padre. Sai, era un diplomatico. Quando arrivavamo in
una nuova città, io e mio fratello Daniel non parlavamo con
nessuno. Circostanza normale, visto che non conoscevamo la lingua del
posto. Poi ci siamo trasferiti a Londra e io continuavo a non parlare
nemmeno tra gli inglesi. Mio fratello, invece, ha tentato
di...sì, insomma...di adeguarsi. Ma non ha avuto buoni
risultati-
Si interruppe mentre un sorriso cinico gli stirava a forza le labbra.
-E considerata la brutta fine che ha fatto, per molto tempo mi sono
convinto che adeguarsi a quello che vogliono gli altri sia sbagliato,
oltre che inutile. Poi ho conosciuto te e mi hai costretto a rivedere
le mie convinzioni. Tu mi fai venire voglia di cambiare, mi hai dato un
motivo per collegarmi a questa realtà che ho sempre detestato.
Per te vorrei essere un uomo migliore.-
-Ian, io non voglio cambiarti. Voglio te, così come sei- Gli disse con semplicità.
-Questa è una bugia, ingenua ma pur sempre una bugia. A un certo
punto capirai di meritare di più e troverai qualcuno che ti
merita davvero.-
-Non pretendere di sapere meglio di me quello che voglio.- Lo
avvertì mentre arrabbiata si alzava dal letto e gli veniva
incontro -Io non ti lascerò.-
-Non fare promesse che non sai se potrai mantenere- Le disse guardandola in quegli occhi blu screziati da ombre grigie.
-E' una promessa e la manterrò, se me ne darai la possibilità.-
-Tutto quello che vuoi, Agnes- mormorò lui.
***
Mentre l'alba lasciava posto ad un mattino insolitamente luminoso,
Agnes fece l'amore con Ian. La naturalezza con cui gli fece dono della
forma di fiducia più grande gli procurò un profondo
brivido. Cercò di darle una prima volta speciale che fosse degna
di lei, qualcosa che si avvicinasse alla fragile perfezione di cui si
era innamorato.
Quando stavano per addormentarsi, vide che i suoi occhi blu erano limpidi. Non c'era nessun'ombra a incupirli.
Note:
Ciao a tutte! Oltre che il capitolo, oggi trovo difficile anche
scrivere le note. Da un lato vorrei spiegare ogni parola,ogni gesto;
dall'altro capisco che è meglio non farlo e lasciarvi alle
vostre impressioni.
Mi limito quindi alle solite precisazioni su citazioni e riferimenti musicali.
Nella prima parte c'è un "omaggio" ad un romanzo a cui sono molto affezionata: Alta fedeltà di Nick Hornby. Qui
trovate la recensione. I riferimenti sono diversi: il nome del negozio,
il suo titolare e ovviamente la particolarità delle classifiche.
Il riferimento ai Rem è stupido, lo so! Ma molti italiani
continuano a chiamarli con il nome italianizzato e immagino la faccia
schifata di un fissato e snob come Ian.
La foto del profumo a cui si riferiscono tutti nel corso del capitolo è questa.
Nel capitolo più volte faccio riferimento al "muro". Questo
perché i pensieri di Ian sono ispirati da The Wall dei Pink
Floyd, album che mi ha accompagnata nella scrittura di questo pezzo.
Anche il titolo del capitolo è tratto da questo splendido album
ed è la canzone che lo conclude: Outside the Wall. Ci sono altre canzoni che mi hanno ispirata: To Sheila dei The Smashing Pumpkins(non ho trovato una bella versione su youtube) e Creep dei Radiohead.
Come sempre, mi rimetto al vostro parere.
A presto,
Agnes
|
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Capitolo 14 *** Down in a hole ***
Capitolo 13
A Valentina,
Alle nostre chiacchierate su Amy e Pete,
Alla tua capacità di vedere.
Down in a hole
4 Agosto 2012
Un attimo prima
di uscire dal locale, Agnes dedicò un'occhiata alle due figure
che le stavano accanto. Si chiese che fine avessero fatto il
divertimento e la spensieratezza di poche ore prima.
Al fianco
sinistro c'era tanta, troppa ebbrezza. Di quella che ti fa tenere gli
occhi socchiusi e rallenta i movimenti del corpo e della mente. Colin.
Al fianco destro una cieca ostilità. Il corpo era teso, i pugni vibravano, la mascella contratta. Ian.
Entrambe le
immagini le provocavano una stretta al cuore. Con delicatezza
posò le mani sui gomiti di entrambi, come a volerli rassicurare
e sostenere.
Colin la guardò stralunato. Forse in quello stato neanche la riconosceva.
Ian, invece, rimase con lo sguardo puntato sulla porta. Ma il corpo sembrò rilassarsi al tocco della ragazza.
Quando la
guardia del corpo aprì la porta del locale e iniziò a
fare spazio tra i fotografi, Agnes sospinse leggermente entrambi
affinché uscissero tutti insieme.
Non voleva lasciarli neanche un momento. Erano troppo vulnerabili, seppure in due modi molto diversi.
I flash dei
fotografi la accecavano, i loro nomi urlati di qua e di là la
confondevano. Ma diverse volte le avevano spiegato che il segreto stava
nel non fermarsi. Continuare a camminare.
-Cazzone,
perché non ti giri?- Agnes si voltò alla ricerca del
fotografo che aveva parlato. Con angoscia vide che ce l'aveva proprio
con Ian. -Smettila con queste cazzate del musicista maledetto
ché non vali niente!-
Allarmata provò ad accelerare il passo, ma le fu impossibile.
Ian si era fermato.
Intimorita sollevò gli occhi nella sua direzione e lo vide immobile. Gli occhi erano puntati sempre avanti.
-Grazie,- disse il fotografo con voce divertita. - Se adesso ti giri, faccio anche una fotografia a quella faccia di culo!-
In un attimo
Ian gli fu addosso. Atterrita lo vide alzare il pugno e scaricarlo con
tutta la sua forza contro il viso dell'uomo. Più e più
volte.
Si guardò intorno alla ricerca di aiuto e vide che nessuno osava avvicinarsi per fermarlo.
Senza pensarci,
gli andò vicino e gli strinse il gomito con forza. Quando lui si
voltò sorpreso verso di lei, ne approfittò per mettersi
subito tra Ian e il fotografo.
Gli portò le mani al petto e iniziò ad allontarlo con calma.
Con la coda
dell'occhio vide Colin fissarli. Quello non era uno sguardo ebbro, ma
furibondo e pieno di astio. Come se fosse arrabbiato con lei per aver
impedito a Ian di continuare.
Poi
portò lo sguardo sugli occhi di Ian e ciò che vide la
atterrì. La guardavano, ma sembravano non vederla davvero. Era
come se si fossero persi dentro a un buco nero, dove nemmeno lei poteva
raggiungerli.
Sconfortata si chiese come fossero arrivati a quel punto.
***
La campagna inglese scorreva velocemente sotto i suoi occhi sereni.
Appoggiata al sedile, teneva il capo rivolto verso il finestrino. Il
paesaggio verdeggiante e carico di umidità, così come i
tetti scuri delle case e i giardini ben curati, le parlavano della sua
semplice infanzia, di tutti gli anni trascorsi a sognare.
Sorrise teneramente al ricordo di quella piccola Agnes che si muoveva
tra le sparute strade del suo paese, così simile a quelli che
ora le passavano davanti. Tornarono alla mente tutte le volte in cui si
era detta che avrebbe avuto qualcosa di più che una semplice
esistenza tra quelle strade. E solo lei sapeva quante volte se l'era
ripetuto.
Qualcosa di più...
Un leggero movimento al suo fianco la distrasse da quei pensieri.
-Qualcosa ti fa sorridere?- le domandò una voce bassa e serena, più vicina di quanto avrebbe dovuto.
-Niente di importante- gli rispose mentre si voltava così da
dedicargli l'attenzione che nel suo solito modo sottile le stava
chiedendo.
Quel qualcosa di più era proprio lì, in quel pullman che la stava portando a Liverpool.
Non era un mezzo lussuoso, ma neanche il catorcio che fino a qualche
mese prima i Fifth Beatle avevano dovuto usare per spostarsi a Londra.
Riuscivano a stare tutti comodi. E questo era più che
sufficiente, considerato che erano in dieci.
Accanto a lei c'era seduto Ian, affiancato dallo scontroso Karl. Nei
sedili di fronte c'erano Dave, Colin e una mora dagli occhi maliziosi.
Davanti, insieme all'autista, c'erano quelli che Dave aveva
ribattezzato 'Sanguisughe', più semplicemente l'agente di Agnes e l'incaricato della EMI.
Alle sue spalle un ragazzo smilzo stava sistemando la sua telecamera.
-Sei nervosa?- le domandò Ian con un cenno della testa verso il cameramen.
Agnes sollevò le spalle in segno di noncuranza.
-Direi di no. Tu?-
-Sai che parlare non è il mio forte- rispose con un sorrisetto allusivo.
-Per fortuna abbiamo la prima donna- commentò lei posando gli
occhi su un Colin più ciarliero e allegro del solito. Ovviamente
lui non li degnò di uno sguardo, impegnato com'era a flirtare
con la giornalista che di lì a poco li avrebbe intervistati.
-Che ne dite di iniziare?- domandò impaziente l'incaricato della EMI.
La giornalista distolse gli occhi da Colin visibilmente infastidita da
quella intromissione. Gettò un'occhiata altezzosa al cameramen e
gli disse di prepararsi.
Agnes lo vide assumere una posizione alquanto scomoda che, a quanto pareva, gli avrebbe consentito di inquadrare tutti.
-Quando vuoi, Kate- biascicò annoiato.
In pochi secondi nel volto della giornalista scomparve ogni traccia di
superbia e venne sostituita da un luminoso sorriso, della cui
autenticità nessuno avrebbe mai dubitato.
-Ciao a tutti, amici di RockPlanet.
Oggi siamo in viaggio per Liverpool, in compagnia di un gruppo
indie-rock che sta facendo parlare molto di sé. Ovviamente parlo
dei The Fifth Beatle e dei
suoi splendidi componenti: Sutcliffe, Simonon, Keese e Maddock- li
presentò, rivolgendo quell'inquietante sorriso a ognuno di loro.
-Con noi anche Agnes Dayle, giovane volto della moda inglese e occasionale voce femminile del gruppo.-
Sembrò illuminarsi ancora di più quando finalmente potè rivolgere la sua attenzione a Colin.
-Dopo l'uscita del primo album e due strepitosi concerti a Londra, avrete grandi aspettative per la tappa di Liverpool.-
-Più che grandi aspettative direi che abbiamo un sano terrore,-
rispose Colin con un sorriso sfrontato e sicuro che tutto trasmetteva
fuorché terrore.
-Vedi, Londra è la nostra donna, la conosciamo e sappiamo come
amarla e farla ricambiare. Liverpool è ancora una sconosciuta,
dobbiamo ancora capire come prenderla,- spiegò rivolgendole
un'occhiata allusiva.
Agnes si portò la mano alle labbra per nascondere il sorriso divertito causato dall'assurda risposta di Colin.
-La conquisterete sicuramente,- commentò la giornalista stringendo le labbra in una smorfia furba.
L'intervista proseguì con domande pertinenti alla musica, ai
testi e ai gruppi cui si ispiravano. Alle domande più tecniche
rispondeva quasi sempre Ian con la sua solita serietà e
compostezza. Agnes aveva notato che il sorriso di Kate tendeva a
incrinarsi quando si rivolgeva a lui. Sembrava che la mettesse a
disagio. E ripensando al primo incontro con Ian e al senso di distanza
che aveva provato davanti a quegli occhi chiari, Agnes non si
sentì in grado di biasimarla.
L'intervista fu comunque molto piacevole, perché alle domande si
alternavano le canzoni del gruppo e qualche cover particolarmente
bella. Ian e Colin suonavano le loro chitarre acustiche e tutti,
compresa Kate, cantavano spensierati.
Concluso un pezzo allegro, Kate posò i suoi occhi castani su Agnes.
-Secondo alcuni rumors Agnes, Ian e Colin condividono un appartamento a Brixton. E' vero?-
Agnes vide l'agente e l'incaricato della EMI voltarsi nella loro
direzione. Lo sguardo era attento e vigile. Ma lei non vide nulla di
male in quella domanda, così non perse tempo a rispondere.
-Sì, vivo con loro da Dicembre- disse semplicemente.
-Sempre secondo le stesse fonti, c'è un legame particolare tra due di voi.-
Forse era stata un po' troppo ingenua. Avrebbe dovuto immaginare
che la sua storia con Ian non sarebbe passata in sordina. Ma non capiva
a quali fonti si riferisse, visto che in pubblico tendevano a non
lasciarsi andare ad effusioni. Fin da subito Agnes aveva capito il
profondo bisogno di riservatezza di Ian e si era quindi adeguata al suo
comportamento. Persino davanti agli amici più stretti evitavano
di baciarsi e abbracciarsi. A volte ripensandoci, si stupiva di
come questo non la colpisse minimamente. Il fatto era che Ian,
pur non essendo un tipo espansivo, riusciva comunque a darle tutto
quello di cui aveva bisogno. Anche un suo sguardo particolarmente
significativo bastava a colmare il suo bisogno di amore.
Sentendo Ian irrigidirsi al suo fianco, preferì dare una risposta vaga ma allo stesso tempo sincera.
-Sono molto legata a tutti e due. Se oggi sono quella che sono, lo devo ad entrambi.-
-Sicuramente,- annuì Kate assottigliando lo sguardo. -Ma
è chiaro che c'è qualcosa di più di una semplice
amicizia tra te e Colin.-
Agnes trattenne a stento una risata. Ricordava a malapena
quell'insignificante bacio che si era scambiata con Colin, ricordo reso
ancora più sbiadito a causa dell'erba che avevano fumato quella
lontana sera di dicembre.
Decise comunque di prendere un po' in giro l'impertinente giornalista, stuzzicandola con una risposta ambigua.
-Hai ragione, è qualcosa di più. Colin è quel
genere di persona che chiunque vorrebbe avere nella propria vita.-
-Quindi siete più che amici...- constatò l'altra portando lo sguardo malizioso sul ragazzo accanto a lei.
-Oh, Agnes è sicuramente magnifica. Ho provato a conquistarla,
ma lei non ne vuole sapere di me- rispose Colin con un'adorabile faccia
da schiaffi.
Mentre ridacchiava, Agnes notò appena lo sguardo d'intesa che si
stavano scambiando i due manager. Non ne capì il significato e
accantonò con troppa rapidità quell'insignificante
episodio. Solo a distanza di mesi avrebbe richiamato alla mente
quel momento. Il momento in cui quei due avevano fiutato odore di soldi
e avevano concordato di gettare tre giovani inesperti in un buco troppo
nero per non perdersi.
***
Odiava gli aeroporti. Sì, non poteva ignorare le facce allegre e
curiose dei turisti di passaggio né la felicità di chi
tornava a casa dopo un lungo viaggio. Ma ad Agnes trasmettevano sempre
sensazioni negative, come un cattivo presagio.
Forse, e anche più semplicemente, li detestava perché erano testimoni dei suoi continui cambi d'umore.
Quando lasciava Londra, era sempre irrequieta. Senza dubbio c'era la
curiosità per le grandi città della moda, come Parigi,
Milano e New York. Ma ogni partenza aveva un retrogusto amaro. Forse
era il distacco che ogni volta leggeva negli occhi chiari di Ian; forse
era il tanfo di erba e alcol che aleggiava nel vecchio appartamento di
Brixton; o magari la nota tetra che aveva scorto sotto la solita patina
di allegria di Colin.
Quando tornava a Londra, invece, la felicità era resa sfocata da
un altro tipo di irrequietezza. Non sapeva mai cosa avrebbe trovato al
suo ritorno. Magari qualche nuovo scatto che avrebbe fatto infuriare
Ian; o forse qualche stroncatura ai danni di Colin e del gruppo. In
ogni caso, qualcosa che avrebbe reso ancora più complicati i
rapporti tra loro.
Per ingannare il tempo in attesa del volo che l'avrebbe riportata a
casa in quell'afosa giornata di fine Luglio, entrò nella
libreria dell'aeroporto.
Nel reparto di musica notò The Fifth Beatle,
l'album di esordio del gruppo. Non si spiegava ancora l'enorme successo
che avevano riscosso in così poco tempo tra i giovani europei.
Anche lì in Italia si iniziava a parlare di quel particolare
gruppo inglese che veniva accostato all'Alternative Rock dei Franz Ferdinand e degli Arctic Monkeys. Proprio qualche giorno prima, con enorme orgoglio aveva sfilato per D&G con una delle loro canzoni.
Quando si spostò davanti all'espositore delle riviste, non
potè trattenere un'espressione di disappunto. Giornali
scandalistici e riviste di musica: suoi nemici in egual misura, seppure
per motivi differenti.
Non sapeva dire con esattezza quando era iniziata l'ossessione dei
paparazzi nei loro confronti. E soprattutto non sapeva spiegarsi il
motivo di tutta quell'attenzione per le loro vite. Restava il fatto che
da aprile in poi era diventato pressoché impossibile condurre
una vita normale. Certamente in un primo momento questa
curiosità nei suoi confronti l'aveva divertita e gratificata. Ma
quando aveva iniziato a vedere fotografi nascosti anche nei posti
più impensabili, quando aveva visto sulle riviste foto di lei e
Colin in un Blockbuster o ad Hide Park, o di lei e Ian tra le
bancarelle di Portobello Road, qualcosa dentro Agnes si era ribellato.
Ciò che davvero la irritava erano le assurde congetture dei giornalisti.
Alcuni la rappresentavano come una ragazzina desiderosa di attenzioni,
che giocava con i sentimenti dei due musicisti per avere più
successo. Altri, e purtroppo erano più numerosi, erano convinti
che tra lei e Colin ci fosse una storia ostacolata da Ian. Il
più delle volte, infatti, era quest'ultimo ad essere messo in
cattiva luce dai giornalisti.
Secondo Agnes era una sorta di vendetta per il comportamento astioso di
Ian nei loro confronti. Ormai il chitarrista aveva preso l'abitudine di
ignorare qualsiasi domanda non attinente alla musica che gli veniva
posta. Spesso dopo aver suonato in qualche trasmissione, se ne andava
senza rivolgere parola al conduttore.
E più si richiudeva in se stesso, più curiosità
destava nei fans e nei giornalisti. Così erano venuti fuori la
sua infanzia senza radici, il suicidio del giovane Daniel, la rottura
con i ricchi genitori. E quegli orribili articoli mescolavano fatti
veri con congetture amorali e irrispettose che davano un'immagine del
tutto distorta del suo Ian.
Ma se Ian era preso di mira dai giornalisti, nemmeno Colin se la
passava bene. Cambiavano soltanto i detrattori. Nel caso del frontman
del gruppo, infatti, le critiche erano mosse proprio dagli esperti
musicali. La critica era inspiegabilmente spietata nei suoi confronti.
Ne parlavano come di un fantoccio messo lì per il suo bel viso e
che nulla capiva di musica. Secondo le riviste Colin doveva il suo
successo alla genialità di Ian, vero leader del gruppo e autore
della maggior parte dei testi.
Al ricordo degli ultimi mesi, Agnes voltò le spalle
all'espositore e andò alla ricerca di un romanzo nella sua
lingua.
Ma ormai non poteva più interrompere quel flusso di pensieri
negativi. Così ripensò alla tensione che si era venuta a
creare tra i due amici, nonostante nessuno dei due parlasse chiaramente
all'altro.
Ian si indisponeva quando, a suo modo di vedere, Agnes e Colin si
concedevano troppo ai giornalisti, parlando delle loro vite o
sorridendo ai fotografi. Ma ciò che davvero gli faceva perdere
la sua già scarsa pazienza era il comportamento di Colin in
presenza dei giornalisti. Questi, infatti, tendeva a non prendere sul
serio le loro congetture sul suo rapporto con Agnes, così se ne
usciva con assurde dichiarazioni d'amore ad Agnes o con sguardi
falsamente languidi. Ma se in un primo momento Agnes era sicura che
ciò fosse dettato solo dalla voglia di scherzare, con il passare
del tempo aveva iniziato a notare una certa soddisfazione negli occhi
verdi di Colin. Come se quelle piazzate fossero una sorta di vendetta
ai danni di Ian. Vendetta per cosa, Agnes non sapeva proprio
spiegarselo.
Troppo nervosa per via di quei pensieri, abbandonò l'idea del
romanzo e tornò alla panchina dove l'attendeva Bernie.
-Cos'è quella faccia lunga? Non sei felice di tornare a casa?-
-Certo. Sono solo un po' nervosa- rispose sedendosi accanto al suo manager.
-Per via della festa? Sono sicuro che sarà un successo, tranquilla.-
Quell'uomo la infastidiva enormemente. Non la capiva affatto e la trattava come una ragazzina superficiale.
Come poteva una stupida festa di compleanno innervosirla?
Sicuramente l'aveva organizzata con molta cura, selezionando le persone
che lui avrebbe apprezzato e predisponendo il tutto in modo da evitare
l'intromissione dei paparazzi. Ma di certo non era la festa a renderla
così nervosa e cupa.
Era qualcosa di poco chiaro, simile a un presagio, che inspiegabilmente
la spingeva a temere il 4 agosto, il giorno in cui Ian avrebbe compiuto
ventisette anni.
***
Mentre lasciava andare il capo su e giù. Mentre muoveva i
fianchi senza inibizioni e con forza batteva gli anfibi contro il
pavimento. Mentre insieme ad Astrid urlava a squarciagola "I'll have to tell her, you tell her tonight".
Proprio in quel momento, quella parte di lei che non poteva fare a meno
della sua razionalità capiva che poteva ancora mettere da parte
ogni malessere e divertirsi come un tempo.
Non si pentiva di aver organizzato quella festa. Nonostante in un primo
momento Ian si fosse mostrato contrario, era riuscita a convincerlo che
una serata di svago avrebbe giovato a tutti.
E guardando i volti dei suoi amici non poteva che essere soddisfatta.
Aveva selezionato gli invitati con molta cura, scegliendo solo amici
che si erano mostrati tali prima del successo, quando suonavano in
locali decadenti e giravano per Londra con un furgone scassato:
Gheorghe e qualche cliente particolarmente fedele del Kichherr's;
Astrid e certi suoi amici; l'immancabile Woody e i suoi compari
squattrinati; Mary e Mr Green; musicisti sconosciuti, modelle anonime e
persone comuni.
Ovviamente questa scelta aveva infastidito Bernie e Rhodes, manager di
Agnes uno e del gruppo l'altro. Questi, infatti, avrebbero voluto un
evento mondano, che avesse una certa risonanza mediatica. In altre
parole, foto ufficiali e personaggi noti.
Ad Agnes era apparsa strana la facilità con cui avevano
rinunciato alla loro idea dopo il netto rifiuto del gruppo. Ma aveva
accantonato la questione vedendo come i due effettivamente non avessero
più messo il becco in quella festa, limitandosi a storcere il
naso davanti alla lista degli invitati.
-Mi stai evitando?-
Anche se non avesse parlato, lo avrebbe riconosciuto comunque da quel
particolare modo che aveva di prenderla per i fianchi. Agli occhi di
chiunque quella presa salda sarebbe parsa un gesto possessivo, ma lei
sentiva che avrebbe potuto scostarsi in ogni momento perché quel
tocco era sempre gentile, più una richiesta di aiuto che un
gesto di possesso.
-Sì, ti sto evitando,- rispose quando si fu voltata nella sua direzione.
-E perché dovresti?-
La presa sui fianchi si fece ancora più salda e trovò naturale fare un passo verso di lui.
-Perché abbiamo bevuto, amore mio- gli spiegò ridacchiando.
-E quindi?- insistette con il suo sorriso furbo.
-Quindi so già che finiremmo con il dare spettacolo e noi...-
calcò volutamente quest'ultima parola -non vogliamo rendere gli
altri partecipi della nostra vita personale. Giusto?-
Brilla com'era non si rese conto di aver preso un argomento alquanto
spinoso, che in passato li aveva visti discutere animatamente. Secondo
Agnes, se avessero dichiarato di stare insieme, l'attenzione dei
paparazzi e dei giornalisti sarebbe subito scemata. Ma Ian, stranamente
appoggiato da Rodhes, si era intestardito a non voler troncare le
congetture dei giornalisti. Nessuno doveva intromettersi nella sua
vita; e seppure di fatto lo facevano, da lui non avrebbero ottenuto
alcuna risposta.
Fortunatamente anche Ian doveva essere brillo, quella sera.
Perché non raccolse il tono provocatorio di quella frase e
continuò a sorridere.
-Ma due amici possono anche ballare insieme.-
Bastarono qualche altra canzone e altri due bicchieri di superalcolici
perché quel ballo perdesse quel po' di innocenza che aveva avuto
all'inizio.
I loro corpi erano troppo vicini; i movimenti sempre più
languidi e appena accennati, nonostante la musica movimentata; i loro
sorrisi troppo carichi di malizia e seduzione.
Quando un getto d'acqua li colpì, Agnes faticò qualche
momento prima di ricordare che in previsione della torrida serata
d'agosto aveva ideato quel piccolo espediente per rinfrescare gli
invitati.
Mentre urla divertite mostravano l'apprezzamento di tutti per quella
trovata, Agnes riportò la sua ebbra attenzione sul viso di Ian.
I suoi occhi, accesi da una luce stuzzicante, erano rapiti dalle gocce
d'acqua che scivolavano lungo il collo di Agnes per poi perdersi sotto
i vestiti.
-Cosa stai guardando?- domandò con voce sottile e maliziosa.
Ian scosse la testa fingendosi rassegnato.
-Di' la verità, hai organizzato tutto questo per farmi impazzire...-
Con l'indice iniziò a percorrere le sue labbra in una carezza
gentile, come a volerle disegnare: prima il labbro inferiore, poi
quello superiore.
-In che senso?- domandò con finta ingenuità.
Il ragazzo portò la mano dietro la sua nuca e la baciò
con forza, dimostrandole quanto gli fosse costato trattenersi fino a
quel momento.
Click.
Una luce abbagliante.
Click.
Confusa vide Ian scostarsi da lei con espressione irata e voltarsi alla
ricerca di qualcosa. La lasciò da sola per seguire un uomo che
si stava allontanando in fretta.
Forse era l'istinto, o forse una sensazione che aveva già da
tempo, ma qualcosa la portò a cercare il suo manager. Non
dovette faticare tanto, visto che si trovava solo a qualche metro di
distanza. La stava guardando con un ghigno soddisfatto accanto a un
Rodhes altrettatnto sorridente.
L'espressione dei loro visi le ricordò lo sguardo d'intesa che
pochi mesi prima aveva appena notato nel pulmann che li aveva portati a
Liverpool.
E allora capì chi c'era dietro all'interesse dei tabloid per Agnes Dayle e per i The Fifth Beatle.
Capì che per gli abili Bernie e Rhodes erano solo un prodotto da
vendere nella maniera più spregiudicata possibile. Già da
tempo i due dovevano aver intuito che un triangolo avrebbe destato
molto più interesse di una banale storia d'amore tra una modella
e un musicista.
Ecco perché avevano incoraggiato il testardo Ian a non
rilasciare nessuna dichiarazione. Ecco perché non avevano mai
ripreso l'avventato Colin per le sue scherzose dichiarazioni. Ecco
perché, in definitiva, avevano lasciato entrare un paparazzo che
aveva fotografato lo scabroso bacio tra Agnes e Ian.
Certo, furbi com'erano non avevano messo in conto Astrid.
L'amica, avendo assistito alla scena, riuscì infatti a bloccare
il fotografo per il tempo necessario ad Ian per giungere sul posto.
Conoscendo il suo carattere permaloso, Agnes preferì avvicinarsi per impedirgli di fare qualche sciocchezza.
Quando li raggiunse, la questione sembrava già risolta. Astrid
aveva provveduto a cancellare la foto e a minacciare di denuncia il
paparazzo. Ian, invece, si limitava a guardarlo in silenzio con
espressione schifata.
-Che succede qui?-
Quando riconobbe la voce falsamente sorpresa di Rodhes, Agnes trattenne
a stento l'impulso di voltarsi e mandarlo a quel paese. Qualcuno di sua
conoscenza, però, non fece altrettanto.
-C'è che sei licenziato.- rispose un Ian particolarmente sarcastico.
-Cosa?- domandò quello sconcertato.
-Questo è il tuo modo di farci pubblicità?- chiese
indicando la macchina fotografica nelle mani di Astrid. -Bene. A me non
sta bene e ti licenzio.-
Agnes stava per dare il benservito anche al suo manager, quando la anticipò una voce impastata.
-Tu non licenzi proprio nessuno.-
Colin.
Ian lo guardò stranito. -Forse non hai capito...-
-Certo, noi non capiamo mai niente- lo interruppe beffardo. -Per fortuna che ci sei tu, vero?-
-Colin, sei ubriaco. Domani ti spiego- lo liquidò spazientito.
Agnes vide gli occhi di Colin accendersi di rabbia.
-Rodhes rimane fino a quando il gruppo non deciderà altrimenti.
Il gruppo, Ian. Non tu- gli disse facendosi più vicino.
-Non te ne frega così tanto del gruppo quando fai le tue scenate
davanti alle telecamere- gli rispose l'altro inviperito mentre gli
andava incontro.
-Smettetela.-
Per Agnes al mondo non c'era niente di altrettanto scomodo e patetico
che stare lì in mezzo tra Ian e Colin, le due persone più
importanti della sua vita.
***
A distanza di tempo Agnes avrebbe ricordato sempre la notte del 4 agosto 2012.
Ma non per il licenziamento di Bernie e Rhodes. E neanche per l'arresto
di Ian per lesioni ai danni del fotografo che lo aveva provocato.
Lo avrebbe
ricordato perché gli eventi di quella notte li avevano spinti
sul ciglio di un dirupo. Negli occhi di Ian aveva intravisto quanto
fosse profondo. Negli occhi di Colin quanto fosse pericoloso.
Sarebbe bastata una leggera spinta per fare sprofondare tutti.
Note:
Ed eccomi finalmente con il nuovo capitolo... Che vergogna ù.ù
Ragazze,
so bene che è passato troppo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma
purtroppo è stato un mese pieno di impegni. Sono partita, ho
avuto un esame e come se ciò non bastasse ho voluto anche
partecipare a un Contest molto carino. In attesa del risultato ho
iniziato a pubblicarlo. Se siete interessate, lo trovate qui!
Sì lo so, è un genere molto diverso da Down in a Hole. Ma
se farete bene attenzione, noterete certe somiglianze tra Agnes e
Biancaurora.
Per
quanto riguarda il capitolo devo dire che ho trovato molto difficile
scriverlo e tuttora non sono completamente soddisfatta.
Come avrete notato, il capitolo porta il titolo della storia. Down in a Hole. Dall'omonima
canzone degli Alice in Chains. Si tratta di un'espressione che si
presta a diversi significati. In questo capitolo indica la condizione
dei tre protagonisti nel mondo dello spettacolo, un mondo a mio parere
troppo cinico perché persone dotate di una certa
sensibilità possano trovarsi a loro agio. La mente
ovviamente va ai controversi Amy Winehouse e Pete Doherty, ma anche
allo schivo Alex Turner.
Altra canzone che mi ha ispirata è Happiness is a warm gun dei Beatles.
La canzone che canta Agnes è Tell her tonight dei Franz Ferdinand.
Ai
manager del gruppo e di Agnes ho dato due nomi particolari. In
realtà Bernie Rhodes è stato il famoso manager dei Clash.
Ho scelto di dare loro questi nomi perché si dice che fu proprio
Bernie Rhodes a convincere Joe Strummer ad estromettere dal gruppo
l'amico Mick Jones, dando così inizio alla fine del gruppo punk.
Adesso
smetto di annoiarvi dicendovi che per il prossimo aggiornamento non
dovrete attendere così tanto. Credo che arriverà durante
le feste.
Grazie a tutte, alle ragazze che ci sono state fin dall'inizio e a quelle che si sono aggiunte di recente.
Al prossimo capitolo,
Agnes.
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Capitolo 15 *** Despair in the departure lounge ***
capitolo 14
Despair in the departure lounge
Il sogno stava lentamente lasciando spazio alla realtà. Una
realtà fatta di una coperta leggera che non arrivava a coprire
il ginocchio piegato e di una fresca aria settembrina che filtrava
dalle imposte. Una realtà in cui qualcuno si stava muovendo
piano sul materasso per avvolgere il suo fianco in un abbraccio leggero.
Agnes e Ian non dormivano mai abbracciati. Fin dall'inizio avevano
preso l'abitudine di dormire ai lati sbagliati del letto e così
per entrambi era impossibile prendere sonno senza darsi le spalle.
Se in un primo momento si era chiesta se avrebbe dovuto provare
fastidio davanti a una simile mancanza di romanticismo, poi si era resa
conto che nel loro rapporto non aveva senso attaccarsi a simili
clichè. La parte più romantica di lei, poi, si era detta
che in quel modo aveva la possibilità di vedere ogni mattina se
continuava ad essere il primo pensiero di Ian.
Era così.
Non aveva nemmeno aperto gli occhi e già la cercava.
-Buongiorno- lo salutò mentre si stiracchiava tra le sue braccia.
-Buongiorno a te- mormorò baciandole il collo e provocandole così un sottile brivido.
-Se fai così non ti lascio alzare- lo avvertì sorridendo.
-Purtroppo devo alzarmi per forza.
Ignorando le sue stesse parole, continuò comunque ad accarezzarle il collo con le labbra e a darle morsi maliziosi.
-Ian...- sospirò a quel punto.
-Sì, hai ragione. Mi alzo.
-Devi proprio?- domandò mentre si girava imbronciata e lo guardava allontanarsi.
-Alle nove ho appuntamento con Wilson.
-Ti fidi di lui?- sentì il bisogno di chiedergli.
Ian, che nel frattempo si era alzato e aveva scelto la felpa e i jeans
che avrebbe indossato, si voltò a guardarla con espressione
accigliata.
-Dopo Bernie e Rhodes credo che non mi fiderò mai più di
un manager, ma Wilson sembra il male minore. Alla fine non devo
fidarmi, mi basta che ci sappia pubblicizzare per come si deve.
-Per me la fiducia è tutto.
-Tu puoi permettertelo. Astrid non è solo una buona amica; dopo
l'esperienza accumulata come fotografa sarà anche un'ottima
agente per te.
Annuì sorridendo. Dopo la brutta esperienza con Bernie, non era
più riuscita ad affidarsi ad altri manager. Poi proprio Ian le
aveva consigliato di scegliere Astrid, che ormai da tempo considerava
la sua più cara amica.
-E Colin non viene con te?
A quella domanda Ian si rabbuiò.
-Stanotte è tornato di nuovo tardi ed era in compagnia. Meglio lasciarlo dormire.
Chiuse così l'argomento, lasciandola sul grande letto che
condividevano tutte le volte che i reciproci impegni consentivano loro
di trascorrere del tempo insieme.
Tornato in camera, la baciò e andò via solo dopo aver
indossato l'immancabile cappello con visiera e gli occhiali scuri: un
cruccio da star agli occhi degli sconosciuti, una difesa secondo Agnes.
Trascore circa mezz'ora prima che Agnes si decidesse ad alzarsi.
Preparò la colazione per sé e, mentre annoiata girava il
cucchiaio nella tazza, rivolse qualche occhiata incerta alla porta
chiusa davanti a lei.
Colin...
Dopo il duro scontro durante il compleanno di Ian, non c'erano state
più liti né discussioni. Ian aveva spiegato ai ragazzi
che tipo di pubblicità aveva fatto loro Rhodes e tutti erano
stati d'accordo nel licenziarlo. Ma da quel momento Colin non era stato
più lo stesso. Si era allontanato dai componenti del gruppo e da
Agnes, aveva iniziato a frequentare altre persone e si faceva vedere
solo per gli impegni ufficiali del gruppo.
Come se avesse avvertito il suo bisogno di parlare con l'amico, la
porta della camera si aprì sotto i suoi occhi. Ma non
potè nascondere la sua delusione quando fu chiaro che non si
trattava di Colin.
Sì, nell'ultimo mese era cambiato; ma non così tanto da
avere lunghi capelli biondi e un corpo formoso e assolutamente
femminile.
Le due donne rimasero ferme a guardarsi. Gli occhi di Agnes erano
neutri e indifferenti, forse con una traccia di superbia; la
sconosciuta, dopo un attimo di smarrimento, le aveva rivolto uno
sfacciato sorriso compiaciuto.
Certo, pensò inacidita Agnes, mi crede la compagna di Colin.
-L'ha mandata via?- domandò amabile con un cenno alla porta
socchiusa. -Non se la prenda, è quello che fa ogni mattina. Per
fortuna lei sembra una persona abbastanza matura da non crearsi inutili
illusioni.
La sconosciuta serrò le labbra offesa, ma fu solo un momento.
L'attimo dopo infatti sorrideva di nuovo, affabile e sincera quanto lo
era stata Agnes poco prima.
-In realtà stavo andando via di mia iniziativa. Il nostro...-
fece una pausa per sottolineare l'ultima parola -...ragazzo dorme
ancora.
-Ah sì? La porta è di là- rispose Agnes indicandole l'uscita.
Quando finalmente la donna se ne fu andata, Agnes scoprì che il
suo nervosismo non era affatto scemato. La colpa non era delle donne
che Colin si portava a casa, né delle nuove compagnie che
frequentava. La colpa, ammesso che ce ne fosse una, stava altrove.
Forse proprio nel silenzio, nel rifiuto di parlare e chiarirsi.
Presa da quella illuminazione, si alzò e camminò con
passo sicuro verso la camera di Colin. Aprì la porta e si
ritrovò immersa nel buio e in un odore che davvero non aveva
intenzione di identificare. A passo di carica si avvicinò alla
finestra e scostò le tende con un violento strattone e con lo
stesso impeto aprì le finestre.
-Alzati.
Silenzio.
-Colin, alzati.
Un mugolio sommesso proveniente da sotto il cuscino rese chiaro che l'amico era già sveglio.
-Alzati e raggiungimi in cucina- ordinò perentoria. -Adesso.
Quando lo vide comparire in cucina dopo appena dieci minuti, Agnes
ringraziò che non avesse lo stesso carattere permaloso di Ian.
-Agy, sei un tesoro. Mi è sembrato quasi di essere tornato a
casa, quando ad occuparsi del mio risveglio era la gentilissima Mrs.
Dominika.
Lei ignorò il suo tentativo di scherzare e gli fece cenno di sedersi mentre gli portava la colazione a tavola.
Dopo quasi un anno di conoscenza, sapeva che lo spirito e il fare
scanzonato erano le sue difese. Un muro diverso da quello che usava
Ian, ma non meno saldo e resistente.
-Sei uno straccio- commentò atona.
-Grazie, anche tu sei splendida.
Poteva anche sorriderle, ma il suo sorriso era sbiadito e non riusciva
più a scaldarla come aveva fatto un tempo. Il motivo era
evidente: non ci credeva neanche lui in quel sorriso.
-Colin, sei uno straccio- ripetè nella speranza che il tono serio gli facesse comprendere la sua preoccupazione.
-Ho solo bevuto un po' troppo ieri sera- spiegò lui continuando imperterrito in quel sorriso stentato.
-E la sera prima. E la sera prima ancora...-lo interruppe senza nascondere il suo scontento.
-Da quando sei diventata così bacchettona?
Sarebbe stato più semplice parlare se avesse messo da parte quel dannato sorrisetto.
-Non sono bacchettona e non è disapprovazione, la mia. Non mi
preoccuperei se fossi il solito Colin. Ma non lo sei. E sì, hai
sempre bevuto e ti ho visto conciato anche peggio di così- disse
indicando il suo viso sbattuto e gli occhi arrossati. -Ma c'è
qualcosa di diverso adesso.
-E cosa sarebbe cambiato?- domandò aggrottando appena le sopracciglia.
-Adesso sembra che hai un motivo per bere.
I minuti passarono lenti e il silenzio si protrasse più del
dovuto, trasformadosi in qualcosa di scomodo e tristemente nuovo tra i
due.
Quando Colin si decise a parlare, le sue parole non furono quelle che Agnes si aspettava.
-Ho lasciato casa dei miei per non sentirmi fare discorsi del genere.
Abbassò lo sguardo sulla tazza che aveva di fronte e sorrise stancamente.
-Non ho voglia di fare colazione- le spiegò dispiaciuto mentre si alzava e le dava le spalle.
-E' per qualcosa che ha fatto Ian, vero?
Colin si fermò.
-Non lo fare, Agy- le disse con una stanchezza così estranea a
lui da farla tremare. -Non costringermi a metterti in una posizione
scomoda. Sei la sua ragazza...
-Ma sono anche tua amica- lo interruppe infastidita. -E voglio capire cosa ti passa per la testa negli ultimi tempi!
-Gli ultimi tempi...- lo sentì mormorare ironico. -No, tesoro. E' qualcosa che va avanti da più tempo.
-Bene. Siediti e prendi il tè- gli disse con rinnovata
sicurezza. -Parleremo. Io non sarò la ragazza di Ian, ma solo la
tua amica. Non prenderò le sue difese né ti
attaccherò per quello che dirai contro di lui.
Colin tornò a sedersi, mentre borbottava a voce non troppo
bassa: -E dire che mi sembrava una ragazzina tanto timida e dolce...
Ma fu l'unica battutina che si concesse. Dopo un momento di silenzio in
cui avevano bevuto il tè, Agnes si ritrovò a perdersi tra
le ombre che Colin aveva imparato a celare dietro il suo splendido
sorriso e il comportamento sicuro e strafottente.
Le parlò di un ragazzino che su consiglio del padre aveva
imparato a giocare a rugby, ignorando la costante paura di essere
colpito da uno dei compagni più grandi. E quando poi era
diventato il migliore della squadra, venerato e adorato da tutta Eton,
aveva scoperto di non provare nulla: non c'era gioia nella vittoria,
né sconforto nella sconfitta.
Le parlò con sorprendente sincerità anche di un idiota
che aveva iniziato a dare fastidio ai compagni più giovani, pur
di far parte della cerchia più in vista della scuola. E quando
poi ne era stato leader indiscusso aveva desiderato essere altrove,
magari tra gli stessi secchioni che si era tanto divertito a torturare.
E poi aveva smesso di parlare di sé, e le aveva raccontato di
Ian. Lui che fin da ragazzino era sempre stato fedele a se stesso, al
costo di non piacere agli altri. Quanta invidia, quanto rispetto aveva
provato per quel compagno scorbutico e imbronciato. Forse perché
a differenza sua non aveva mai fatto nulla per rendersi qualcuno amico.
Forse perché fin da allora aveva avuto chiaro chi fosse e quali
fossero i suoi sogni. E lui, stupido Colin, che si era sempre
affannato a cercare una strada che non fosse né imposta
né suggerita, ma sua e sua soltanto.
E poi lo stesso ragazzino solitario lo aveva illuso. Gli aveva fatto
credere di aver trovato quella strada, che fosse identica alla sua. Era
proprio lì a portata di mano, potevano percorrerla insieme
e avrebbero realizzato quei sogni di grandezza di cui avevano tanto
parlato nel cortile del College.
E così Colin aveva commesso per l'ennesima volta l'errore di mettersi nelle mani di qualcuno che non fosse lui.
-Tuttora non so se sia stato lui a convicermi che la musica fosse la
mia strada. Forse in realtà sono stato io a voler prendere in
prestito i suoi sogni.
Agnes li conosceva ormai entrambi e si ritrovò a pensare che molto probabilmente entrambe le ipotesi fossero veritiere.
Quando Ian si intestardiva su qualcosa non c'era modo di fargli
cambiare opinione. E se si trattava di musica, poi, avrebbe sempre
fatto qualsiasi cosa per realizzare i suoi sogni. Anche ignorare il
malessere di un amico.
Ma d'altra parte era innegabile che Colin avesse la tendenza ad
accontentare tutti, a voler soddisfare le aspettative dei suoi cari. E
forse, pensò intenerita, Ian era la persona a cui teneva di
più, quella per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederla
felice.
-Il problema è che adesso hai trovato qualcosa che ti fa sentire
davvero vivo...-concluse il suo pensiero ad alta voce.-E non è
la musica.
L'amico annuì appena.
-Non so quanto sono portato né se ho qualche chance, ma quando
recito capisco fino in fondo Ian. In quei momenti anch'io riesco a
provare quella passione totalizzante che ti rende cieco e sordo a tutto
il resto. E' assurdo, forse anche ridicolo- disse con un sorriso per
nulla divertito, -ma non gli sono mai stato più vicino di quanto
lo sono ora.
-Dovresti seguire la tua strada.
Colin la guardò come se fosse impazzita.
-Agnes, è arrivata la fama, il punto di non ritorno. Non sarò io a mettere fine ai The Fifth Beatle. Non me lo perdonerebbe mai.
-Si può sempre trovare un compromesso. E poi in questo modo sei tu a portargli rancore, ti sembra meglio?
-Non mi sembra meglio, ma più sopportabile. Comunque, stai tranquilla, è solo un periodo. Passerà.
***
Appena l'auto si fu accostata al ciglio della strada, Agnes scese di
gran fretta e, ignorando la guardia del corpo, si incamminò
verso casa. L'andatura era sicura e impaziente, le labbra contratte in
un'espressione risoluta e soddisfatta e lo sguardo andava compiaciuto
sulla carpetta che teneva tra le mani.
Quando entrò in casa, il suo entusiasmo venne appena incrinato
dall'atmosfera tetra che aleggiava all'interno dell'appartamento. Le
tende erano ancora tirate e non permettevano alla luce esterna di
illuminare la stanza; e poi c'era quel silenzio così innaturale
per quell'ora del giorno.
-Colin- chiamò mentre apriva la porta della camera.
Non le rispose nessuno e, quando fu dentro, il motivo fu chiaro.
Una donna, che poco prima doveva essere stata occupata a svegliare il
ragazzo disteso accanto, la guardava attonita. Quasi provò pena
per gli occhi terrorizzati che la scrutavano come se fossero in attesa
di qualcosa. Forse temeva una scenata o magari di essere sbattuta fuori
a calci. Agnes, però, preferì ignorarla e si
avvicinò direttamente all'amico ancora assopito.
-Colin- lo strattonò con poca gentilezza.
Le rispose un mormorio sommesso e non potè trattenersi di
picchiarlo con la carpetta quando lo vide girare la testa nella
direzione opposta alla sua.
-E' mezzogiorno, idiota. Alzati.
Nonostante l'irritazione, dovette trattenere un sorriso divertito
davanti alla faccia di Colin quando si mise seduto sul letto e si
guardò confuso a destra e a sinistra.
-Ah, sei tu?- mormorò quando l'ebbe riconosciuta. -Ciao Agy!-
Il sorriso ebete le suggerì che ancora doveva essere stordito
dalle schifezze che aveva preso la sera prima. L'occhio le cadde sul
comodino e notò qualche cartina e il posacenere pieno di
robaccia.
-Manda a casa la tua amica e raggiungimi in cucina. Devo parlarti.
Senza dargli possibilità di replica, gli voltò le spalle e andò a preparargli la colazione.
Quando Colin e la donna uscirono dalla camera, Agnes voltò loro
le spalle fingendosi occupata, ma non potè evitare di ascoltare
ciò che si stavano dicendo.
-Ma dico, hai visto come mi ha trattata? Ma chi si crede?
-Eh?- domandò indifferente Colin.
-Mi riferisco a quella là. E tu non mi hai nemmeno difesa- replicò offesa la sconosciuta.
Agnes strinse le labbra infastidita e stava per girarsi quando sentì la risposta di Colin.
-Quella là è Agnes. Tu invece....com'è che ti chiami?
Quasi si metteva a ridere, immaginandosi l'espressione furba che Colin aveva rivolto alla donna.
Dopo che un'oltraggiata Jennifer ebbe sibilato a denti stretti il suo
nome e se ne fu andata, Colin si avvicinò alla tavola e si
sedette davanti alla sua colazione.
-Cos'è questo?
Agnes aveva ormai recuperato il suo buon umore e si voltò verso lui con un bel sorriso compiaciuto.
-E' un regalo- rispose posando gli occhi sulla carpetta che aveva lasciato al posto della tazza.
Lo guardò aprire la carpetta e corrugare appena le sopracciglia mentre leggeva la prima pagina.
-Somewhere, Somehow... Sceneggiatura tratta dall'omonimo romanzo...
Colin interruppe la lettura e alzò gli occhi confusi su Agnes.
-Cosa significa questo?
-Significa che ti ho procurato un provino- gli rispose sollevando il
mento per prepararsi a ciò che avrebbe sicuramente obiettato.
-Ma come?- domandò ancora più confuso.
Agnes sorrise intenerita quando lo vide posare lo sguardo sul copione.
-Ho parlato di te al regista, gli ho spiegato che da più di un anno sei iscritto alla Barnes Theatre Company e lui ha deciso di darti una possibilità!
In realtà non era stato così semplice convincerlo e
sospettava che, se in passato non avessero lavorato insieme per uno
spot pubblicitario, quel regista non l'avrebbe nemmeno degnata di
attenzione. Ma importava poco, ciò che contava era regalare una
possibilità a Colin.
Doveva solo avere un'occasione per mostrare il suo talento. Qualcosa
che, comunque sarebbe andata, avrebbe risposto alle domande che lo
assillavano.
-Ma qui vedo solo grandi nomi- disse gettando un altro sguardo al
copione. -Come puoi pensare che sia in grado di partecipare a un film
del genere?-
Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare nervoso per la stanza.
-Avresti dovuto parlarmene, Agnes.
-Per sentirmi dire che non sei pronto o che non potresti recare danni ai The Fifth Beatle?- lo provocò con aria ironica.
-Sì. Questa è una follia.
-Come fu una follia obbligare una fotografa affermata a promuovere una ragazzina inesperta tra le varie case di moda?-
-Ma che c'entra. Era chiaro che avevi bisogno solo di una spinta- la fermò spazientito.
-Bene- annuì lei. -E' chiaro che anche tu hai bisogno di una spinta. Eccola- concluse con un cenno del mento al copione.
-E per il gruppo le due cose non si escludono a vicenda. Con un po' di fortuna potrai avere tutto.
-Ma...
Lo interruppe con un gesto imperioso della mano.
-Ma ci penseremo se e quando supererai il provino. Ora devo andare...
Fingendosi indifferente all'espressione attonita dell'amico,
recuperò la borsa e le chiavi. Poi si avvicinò a lui e lo
baciò sulla guancia.
-Hai fatto tanto per me, Colin. Come hai potuto pensare che sarei stata a guardarti cadere giù senza fare nulla?
***
Il cellulare, nascosto in chissà quale angolo della borsa, si
mise a suonare per l'ennesima volta. Dal momento che quella era la
quarta o quinta telefonata, ormai sapeva bene chi fosse all'altro capo
del telefono. Lo ignorò e preferì cercare le dannate
chiavi di casa. Non trovandole tornò a bussare alla porta.
Quando il campanello si rivelò inutile, usò il pugno.
Ancora più nervosa per essersi ferita la mano, cercò di nuovo le chiavi.
Maledette, erano nella tasca del trench.
Entrò senza degnare d'attenzione il buio che l'accolse e andò decisa nella camera di Colin.
Quando fu dentro e lo vide rigirarsi tra le coperte, deglutì e strinse i pugni fino a farsi male.
La sua voce uscì come un sibilo.
-Dovevi essere al provino tre ore fa. Quando non sono riusciti a
rintracciarti hanno chiamato me; io ho lasciato un servizio fotografico
con la faccia mezza truccata per vedere che fine avessi fatto; e
tu...-prese un profondo respiro per provare a calmarsi, ma fu tutto
inutile. -E tu stai dormendo!- sputò oltraggiata.
-Agy...-mormorò lui visibilmente assonnato e fin troppo poco dispiaciuto.
-Agy un corno- lo fermò alzando la voce. -Ora tu ti alzi, fai
una doccia e ti rendi presentabile. E poi insieme andremo a quel
dannato provino.
Era quasi l'una quando arrivarono a teatro. Quasi quattro ore di ritardo.
Vennero accolti da un gelido silenzio e da sguardi stizziti. Per fortuna, o forse no, erano rimaste solo poche persone.
Non appena ebbe individuato il regista, Agnes si costrinse a distendere
le labbra nel più amabile dei sorrisi. Ormai conosceva
l'ambiente e sapeva bene che era di vitale importanza non mostrarsi mai
deboli o impacciati.
-Chuck, tesoro...- lo salutò schioccando un bacio sulla guancia
ossuta del regista. -Hai aspettato molto? Credo di aver fatto
confusione con gli orari, ero convinta che il provino fosse di
pomeriggio. Colin si è precipitato qui quando l'ho informato del
mio errore- spiegò con tono svampito e superficiale.
Chuck le rivolse un sorriso indulgente. Forse falso quanto lo era stata lei.
-Non ti preoccupare. L'ultimo attore se n'è appena andato e
abbiamo atteso solo un po'- fece una pausa guardando il ragazzo alle
sue spalle. -Tu devi essere Colin.
Sentitosi chiamare in causa, questi allungò la mano e strinse
quella che il regista gli tendeva. Agnes notò con disagio che il
suo fare scanzonato era stato sostituito da un cipiglio nervoso.
-Ovviamente il tuo nome lo conosciamo già- constatò il
regista con un sorrisetto sgradevole. -Non ti nascondo che mi ha
stupito sapere che oltre a strimpellare ti diletti anche con la
recitazione.
Agnes non potè trattenere una smorfia infastidita davanti a quel
commento velatamente offensivo, né una stretta al cuore quando
vide il sorriso triste di Colin.
-Sì, la recitazione è uno svago alquanto interessante- asserì con indifferenza.
Mentre cercava di non picchiare l'amico davanti a tutti, Agnes
notò lo sguardo attento di una donna alle spalle di Chuck Royce.
Aveva un'aria ordinaria e forse non l'avrebbe nemmeno notata se non
avesse avuto quella vaporosa chioma di capelli ricci. La donna
non le aveva prestato nessuna attenzione, ma appariva del tutto rapita
da Colin.
-Direi di iniziare con il provino.
Chuck si rivolse al suo assistente, incaricandolo di avvisare Miss
Parker che l'ultimo attore della giornata era arrivato e doveva
prepararsi per provare la scena in cui i due protagonisti si
incontravano a teatro.
-Oh dimenticavo...Vi presento Mrs Loup, l'autrice del romanzo da cui è tratto il film.
La donna rivolse ai due un sorriso timido e impacciato.
-Potete chiamarmi Mandy!- disse mentre era impegnata a spostare i riccioli dalla fronte.
Dopo qualche minuto il provino di Colin ebbe inizio.
Nelle ultime settimane Agnes aveva avuto modo di leggere il copione e,
incuriosita, aveva finito con il comprare anche il romanzo Somewhere, Somehow.
Era un racconto fantasy che aveva inizio a teatro. Una giovane veniva
presentata a un violinista altezzoso e arrogante e, non appena i
loro sguardi si incrociavano, lei avvertiva un senso di
déjà vu, come se fosse sicura di aver già
incontrato quell'uomo. Nel corso del concerto uno strano torpore la
avviluppava fino a ritrovarsi nello stesso luogo, ma esattamente due
secoli prima.
Colin avrebbe interpretato il ruolo di Elijah, il violinista. Serena
Parker, un'attrice americana molto promettente, si era vista già
assegnato il ruolo di Nicole.
Seduta alle spalle del regista e dell'autrice del libro, Agnes assistette al cambiamento di Colin.
Se quando erano arrivati aveva avuto un atteggiamento svogliato e
indifferente da gran celebrità, in quel momento non ne restava
traccia. Era serio, concentrato. E quando sollevò gli occhi
sull'attrice, Agnes non vide più Colin. Al suo posto, nel suo
corpo, c'era il personaggio che stava impersonando.
Catturata com'era dalla scena, Agnes impiegò un po' di tempo prima di notare l'alterco tra Chuck e Mrs Loup.
-Senta, lei forse è attratta dal suo bel viso. Ma non possiamo
scegliere un dilettante- stava dicendo spazientito il regista.
-Ma li vede insieme? Sono perfetti. Mi sembra di avere Nicole ed Elijah proprio di fronte a me, in carne e ossa.
Agnes riuscì a intravedere gli occhi sgranati della scrittrice
un attimo prima che riportasse la sua attenzione sui due attori.
-Parlerò con la produzione- la sentì parlare risoluta. -Lui sarà Elijah.
***
A volte, quando sta per succedere qualcosa di brutto, qualcosa che ci
cambierà per sempre, accade che la nostra mente riesca a
percepirlo. Quando questo avviene, la mente ci manda un segnale
cogliendo un particolare insignificante che stona con le nostre
abitudini, un'inezia che non si era mai verificata prima. Col
trascorrere del tempo quel particolare, quell'inezia saranno sempre
collegati a quel triste evento.
Per Agnes ciò accadde una sera di novembre.
Era appena tornata da Parigi e aveva tanta voglia di riabbracciare Ian,
di raccontargli tutte le novità e soprattutto...sì,
soprattutto di baciarlo. Non appena arrivò davanti casa,
notò la porta spalancata. Era assurdo, ma questo fatto le mise
addosso un'angoscia insopportabile. Mentre si affrettava a salire le
scale fu presa da un cattivo presentimento. E, arrivata sul
pianerottolo, la sua mente trovò un'inspiegabile conferma nella
porta socchiusa che le stava di fronte.
Un momento prima di spingere la porta, Agnes sapeva già cosa avrebbe trovato una volta dentro l'appartamento.
-Pensavi che non l'avrei scoperto? Pensavi che quei fottuti giornalisti non ne avrebbero parlato?
Ian.
-Aspettavo il momento giusto. E questo non ha niente a che fare con te. Smettila di fare la prima donna!
Colin.
La fine di un'amicizia.
-Sai cosa mi fa davvero incazzare?- domandò un Ian
pericolosamente vicino a Colin. -Quello che mi fa davvero incazzare
è che io lo sapevo, lo sapevo che a te non te ne fotteva niente
del gruppo. Tu sei così, Colin. Sei solo un ragazzino viziato
che passa da un giochino all'altro, un debole senza personalità
che va dietro agli altri. Un attimo prima sei capace di picchiare
qualcuno, l'attimo dopo di difenderlo. E sai perché questo?
Perché vuoi l'approvazione di tutti, perché sei patetico.
Non aveva urlato, ma appena alzato la voce. Le parole erano
uscite dalle sue labbra chiare e nette, ciascuna diretta a colpire con
assoluta precisione tutti i punti deboli e i rimorsi di Colin.
Colin avrebbe potuto picchiarlo, Agnes lo sapeva e lo avrebbe anche
capito. Ma quelle parole erano troppo perfide, troppo mirate
perché avesse una reazione di quel tipo.
-Non avevo intenzione di lasciare il gruppo- mormorò senza
guardarlo in viso. -Adesso riesco a capire cosa significa per te la
musica e non ti avrei mai privato del tuo sogno. E questo non
perché ho bisogno della tua approvazione. Ma perché ero
tuo amico.
Nel silenzio che seguì quelle parole un singhiozzo catturò l'attenzione dei due.
Agnes stava piangendo davanti alla porta.
Entrambi la fissarono quasi dispiaciuti. Poi Colin voltò le
spalle a Ian, prese la giacca abbandonata sul divano e si
avvicinò ad Agnes. No, non ad Agnes. Alla porta.
-Dove stai andando?- gli domandò mentre con le mani cacciava via le lacrime.
Lui le rivolse il fantasma di uno dei suoi vecchi sorrisi. Poi scosse le spalle con finta indifferenza.
-Ho bisogno di starmene un po' per conto mio.
Si avvicinò e, accarezzandole una guancia, le pose un bacio pieno di affetto sulla tempia.
-Non ti mettere in mezzo, Agy. Promettimelo- le mormorò vicino all'orecchio.
Lei lo guardò male, ma annuì silenziosamente. Non voleva ferirlo più di quanto lo era stato.
***
La porta si chiuse lasciando Agnes e Ian da soli. Lui si muoveva
nell'appartamento alla ricerca di qualcosa. Lei lo guardava silenziosa.
Non sopportando più quell'immobilità decise di portare il
piccolo trolley in camera.
Quando tornò nel soggiorno trovò Ian sul divano. La chitarra in mano e l'espressione indecifrabile.
-In realtà sono più incazzato con me stesso- disse all'improvviso senza nemmeno guardarla.
-Perché?
-Ho sempre saputo di poter contare solo su di me. Non dovevo mettere i miei sogni nelle mani di un...
-Taci.
Aveva parlato come lui, dura e perentoria.
Ian sollevò il capo e posò i suoi occhi confusi su di lei. Un interrogativo aleggiava fra loro.
-Non voglio più sentire cattiverie su Colin.
Da confuso lo sguardo si fece gelido e distante.
-Ti capisco, so quanto è importante per te Colin- biascicò sarcastico.
-Tu non capisci proprio niente...
Sono stata io a procurargli quel provino. E quando lo ha superato
voleva rifiutare perché non voleva dare problemi al gruppo. L'ho
convinto io, gli ho detto che tu avresti capito-
Mentre parlava il cuore le batteva troppo rapido, il respiro era troppo
affannato. Le mani tremavano incontrollate per la rabbia trattenuta
fino a quel momento.
- In fondo perché non avresti dovuto capire? Non eri tu a
parlare di Stuart Sutcliffe, a predicare di come ognuno debba capire
quale sia la sua strada, di come si debba avere il coraggio di cambiare
quella che sembra sbagliata?
Gli rivolse una smorfia amareggiata.
-La verità è che sei un ipocrita, Ian. Tu ci vuoi
cambiare tutti, ma a tuo piacimento, secondo le tue condizioni.
Agnes vide l'esatto momento in cui Ian realizzò il significato
delle sue parole. Il momento in cui ogni sentimento per lei fu
sostituito dall'odio.
-Sei stata tu- sbottò incredulo. -In ventisette anni ho voluto
solo una cosa per me, una maledetta cosa. E quando stavo per ottenerla,
tu, proprio tu, me l'hai tolta.
Mentre parlava furibondo aveva messo da parte la chitarra e ora le
stava di fronte. Per un attimo folle Agnes pensò a tutte le
volte che se l'era ritrovato davanti. Quando la guardava malizioso e le
accarezzava le spalle prima di baciarla.
-Se tu non avessi reagito in questo modo, avremmo trovato un compromesso, un modo per far funzionare le cose.
Ian le rise in faccia. Una risata così forzata e cattiva da ferirla più delle sue parole.
-Un compromesso? A volte mi chiedo se sei veramente così ingenua
o sei fai finta. Non ci sono compromessi nel nostro campo, Agnes. Mi
dici come cazzo posso funzionare senza Colin?- sembrò cacciare
via un pensiero e subito aggiunse -Come posso suonare senza un cantante?
-Anche tu canti, Ian. E diciamocelo, canti anche meglio di Colin. Solo
che per qualche motivo ti sei convinto di dover stare per forza nelle
retrovie. Forse la verità è che hai paura di esporti.
A quelle parole lui si scostò bruscamente, facendo un passo
indietro. La guardò sprezzante e parlò con voce
controllata e tagliente.
-Non mi dare lezioni di vita dopo che me l'hai rovinata. Non ne ho bisogno. Non ho bisogno di te.
Ian quella sera aveva detto molte cose che l'avevano ferita. Ma quella le superava tutte.
Si guardarono in silenzio a le sembrò quasi di poter vedere la
persona di cui si era innamorata dietro quel muro di indifferenza.
Forse aveva capito che era andato oltre il limite, forse avrebbe voluto
scusarsi.
Ma Agnes era terrorizzata dall'altro Ian, quello che fino a quel
momento non aveva mai conosciuto se non attraverso le parole di Colin.
-Bene- mormorò annuendo senza alcuna ragione.-Allora vado via.
***
In camera aveva aperto il trolley, aveva tolto i vestiti usati e ne
aveva preso altri. Aveva recuperato un po' di contante che teneva per
le emergenze e aveva cambiato borsa.
Poi non aveva avuto altri motivi per tergiversare. Ian non l'avrebbe
fermata. E in realtà lo sapeva già. Ma stupida com'era, o
ingenua per usare le parole di Ian, aveva sperato fino all'ultimo.
Quando ritornò nel soggiorno per un attimo si illuse, o temette,
che Ian fosse uscito, permettendole di andarsene senza altri scomodi
scambi di parole. Ma poi lo vide seduto sul divano. Se ne stava a
fumare al buio, immobile se non per il movimento necessario a scostare
la sigaretta dalle labbra.
Non potè evitare di chinare il capo colpevole, mentre quel
terribile silenzio si protraeva ancora. Poi lui parlò e una
fievole speranza tornò ad accendersi dentro di lei.
-Non so né come né quando, ma a un certo punto la gente
lì fuori verrà a sapere di noi. Ovviamente nessuno
vorrà parlarne con me- un sorriso amaro e quasi colpevole gli
increspò le labbra. -E quindi verranno tutti da te a chiederti
di noi. E immagino che tu avrai la tentazione di parlare con troppa
fretta, di giustificarti e forse anche la tentazione di darmi la colpa
di tutto ciò che è andato male. Io ti chiedo questo, non
essere troppo impaziente di dare agli altri un amore come il nostro.
Prenditi il tempo necessario, e cerca di ricordare tutto.
Ricorda come ti ho guardata la prima volta, quando non eri altro che
una ragazzina annoiata e fin troppo curiosa. Ricorda il sapore della
tua prima sigaretta, quella che hai dovuto fumare per salvarti la
faccia- le gettò uno sguardo che era solo una fragile eco
dell'ironia passata.
-Ricorda come ti cercavo sempre con lo sguardo e quanto ero incuriosito
da te. Anche se forse sarebbe più esatto dire attratto. E questo
sia quando eri una barista piena di insicurezze sia quando sei
diventata una modella affermata.
E se si stupiranno perché non mi bastavi, sforzati di ricordare
ancora. Ripensa a come non riuscivo a starti lontano, a come i miei
occhi e le mie mani non smettevano mai di posarsi su di te.
E se avranno ancora dei dubbi, raccontagli di come non ti ho mai
forzata a cambiare, ma ho sempre cercato di assecondare quelle che
erano le tue speranze e i tuoi desideri. Eri tu a voler cambiare,
amore. A me saresti bastata così com'eri.
Un sentimento, un misto di tenerezza e nostalgia, attraversò gli
occhi di Ian mentre si ostinava a quell'inquietante immobilità.
Poi continuò.
-E non appena starai per raccontare di tutte le volte che ti ho ferita,
ripensa a cosa significavi per me: eri la mia possibilità, il
mio cambiamento.
-Ian...- sussurrò a quel punto, senza sapere come riuscisse a
trattenere le lacrime. Ma lui la ignorò e la sua voce si fece
improvvisamente dura.
-Promettilo, Agnes. E almeno questa promessa cerca di mantenerla.
Quando gli occhi feriti di Agnes incontrarono quelli gelidi di Ian, lei
si chiese come si potesse parlare di amore con un tale rancore e astio
nel volto.
Sapeva che le stava chiedendo di restare nel suo modo contorto, forse
anche sbagliato. Sapeva anche che quel livore e quella freddezza non
erano altro che il suo muro, la sua difesa. Ma lei non aveva mai
opposto alcuna difesa fra loro, era sempre stata vulnerabile credendo
ingenuamente che lui non l'avrebbe mai ferita volutamente.
Con un cenno della testa annuì, senza trovare voce per
raccontare a lui, in quel momento, di come le avesse appena spezzato il
cuore.
***
Agnes odiava gli aeroporti.
Quando partì da Londra, quella sera di novembre, lasciò
un pezzetto di sé nella sala partenze. Le lacrime che aveva
così ostinatamente trattenuto fino a quel momento alla fine
l'avevano sopraffatta e solo grazie alle braccia di Astrid era riuscita
a non crollare del tutto.
Quando quella sera stessa arrivò a Parigi, il vuoto
sostituì quel pezzo perduto. Non c'era nessuno ad attenderla,
non c'era nessuna casa, solo il buio.
Odiava gli aeroporti.
Note:
Ho appena finito di scrivere il capitolo e sono ancora presa da quello
che ho scritto, dalle parole che Colin, Ian ed Agnes si sono scambiati.
Sapete quanto sia facile farsi trascinare dalla storia e dai personaggi
e quindi spero capirete che su questo capitolo non riesco ad essere
obiettiva. Forse non vi piacerà, forse deluderà le vostre
aspettative. Non lo so, ma questo capitolo è nato circa sei mesi
fa insieme al prologo. Avevo molte aspettative per questo momento della
storia; ora non vi nascondo che l'ho riletto a fatica, come se avessi
fretta di abbandonarlo. Spero però che per voi non sia stato lo
stesso...
Venendo alle citazioni, abbiamo il titolo (Despair in the departure lounge degli Arctic Monckeys), poi ci sono stati gli Oasis che mi fanno pensare tanto a Colin ( in particolare Stop crying you heart out ); e infine c'è l'unica canzone italiana di Down in a Hole: Verranno a chiederti del nostro amore di De Andrè, canzone cui è ispirato il monologo di Ian.
Mi dispiace dirvi che per il prossimo capitolo dovrete aspettare un
po'. A breve inizieranno gli esami e non avrò molto tempo da
dedicare alla scrittura.
Ora voglio ringraziare le splendide persone che hanno consigliato Down
in a Hole e che con il loro entusiasmo mi fanno venire voglia di
scrivere sempre. Sapete a chi mi riferisco, ma voglio fare i vostri
splendidi nomi: Matisse, Emily Alexandre, Lela Sognatrice, Elle(hai
notato qualcosa di strano??), Erica, Khristh e CinziaBella. E
ovviamente un grazie va a tutte coloro che hanno dato una
possibilità a Down e me, lettrici silenziose e coloro che mi
fanno sapere il loro prezioso parere.
Al prossimo capitolo,
Agnes.
|
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Capitolo 16 *** Empty Spaces ***
capitolo 15
Immagine creata da Elle Sinclaire
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Le dita
scorrevano lungo la fila di dischi alla ricerca di qualcosa. Come
guidate da una volontà propria si fermarono ed estrassero un
disco dall'aria consunta. Su uno sfondo grigio e nero un inconfondibile
Iggy Pop lo guardava con espressione indecifrabile. Non riuscì a
capire perché tenere The Idiot tra le mani gli facesse provare una simile paura.
Dal giradischi
partì la voce di Iggy, più rauca e strascicata che mai.
Accesa una sigaretta e fatto il primo tiro, avvertì il bisogno
di muoversi. Inspiegabilmente si ritrovò in cucina.
Qualcosa che
non aveva mai notato catturò la sua attenzione. Due grossi pioli
piantati sulla parete e una spessa corda tesa tra loro. Rastrelliera gli suggerì la sua mente.
Stava per allungare la mano quando qualcuno lo spinse di lato: un giovane dai capelli scuri e dalla corporatura smilza.
Quando lo
sconosciuto si avvicinò alla rastrelliera, lui si accorse di
tremare. Voleva avvertirlo del pericolo, voleva dirgli di stare lontano
da quella corda. Ma il terrore era così intenso da bloccare in
gola ogni parola, ogni respiro.
Il giovane
sembrò avvertire la sua angoscia e si voltò nella sua
direzione. La corda in mano e un sorriso ironico sulle labbra. Labbra
che erano identiche alle sue, come il resto del volto.
L'orrore fu così grande da riuscire a svegliarlo. Il respiro era irregolare, il cuore martellava contro il petto.
E' solo un sogno, si disse mentre distendeva le gambe sul materasso e si girava dall'altro lato.
Gli occhi ancora chiusi. Un braccio che si allungava sul letto e una mano che non trovava nulla se non l'aria fredda.
No, non era solo un sogno.
***
-Senta, so per certo che alloggia lì da voi. Sono solo un amico e vorrei parlarle.
Cercò di trattenere tutto il suo nervosismo e mostrarsi
paziente. E per farlo si ripetè per l'ennesima volta che urlare
contro quella stronza di una receptionist non sarebbe stato utile allo
scopo.
-Mi dispiace- rispose la voce distaccata all'altro capo del telefono. -Non possiamo dare informazioni del genere.
-Ma almeno ha capito chi sono?- sbottò senza più curarsi di mantenere la calma.
-Sì, ma vede...-replicò in difficoltà.-Abbiamo ricevuto...come si dice...ordres?-
-Disposizioni da chi?- domandò mentre iniziava a intuire quale fosse il problema.
-Oh, non avrei dovuto dirlo- si lamentò la donna al telefono, -Je suis désolè...- mormorò poco prima di interrompere la telefonata.
Mentre ancora teneva il cellulare appiccicato all'orecchio, Colin
sbattè il pugno contro il tavolo. Erano trascorse due settimane.
E a quanto pareva, due settimane erano state sufficienti perché
il suo mondo venisse stravolto. Se in meglio o in peggio era ancora
un'incognita.
Tutto era iniziato con una notizia sui giornali, la cui verità
era stata riveduta e corretta come solo i giornalisti sapevano fare. I
titoli recitavano qualcosa che suonava come "Colin abbandona i Fifth Beatle per il cinema."
E così, mentre Colin si preparava un discorso molto maturo e
pieno di tatto per fare capire a Ian le sue posizioni, i giornalisti lo
avevano fottuto sul tempo.
Una parte di lui, forse quella meno nobile, era grata a quella
intrusione, che, per quanto capziosa, gli aveva comunque evitato un
momento difficile. Il momento in cui Ian aveva realizzato che, tutte le
volte che avevano parlato dei loro progetti, Colin aveva mentito.
Dopotutto era stato relativamente facile rispondere alla rabbia con
altra rabbia. Era bastato farsi trascinare dal rancore e dai torti
passati e presenti. Sì, nulla di paragonabile al momento in cui
stima e rispetto si erano trasformati in qualcos'altro.
Nei giorni successivi alla lite, Colin era rimasto chiuso in un hotel a
causa della scomoda curiosità dei giornalisti. Volevano
risposte, chiarimenti sulla fine dei Fifth Beatle.
E se anche riusciva a capire che in quel mondo le cose funzionavano
così e che era giusto dar conto delle proprie decisioni, in quel
momento non si sentiva in grado di dare spiegazioni. Forse
perché non ne aveva nemmeno per se stesso.
Poi era arrivata un'altra notizia. Agnes Dayle aveva lasciato
l'appartamento di Brixton. Nonostante le numerose versioni, tutte
discordanti fra loro, ce n'era una che andava per la maggiore. Secondo
i giornalisti la modella aveva finalmente scoperto gli innumerevoli
tradimenti di Colin, tanto da avere una reazione violenta ed esagerata
davanti alla nuova compagna del cantante, Jennifer Goosey.
Davanti a simili congetture aveva avuto la tentazione di mettersi a
sghignazzare e telefonare a uno di quegli idioti per chiedergli cosa si
fossero fumati. Ma tra quelle idiozie c'era qualcosa di tristemente
vero. Agnes aveva lasciato l'appartamento, come gli aveva
confermato Dave nel corso di una breve e difficile telefonata.
A quel punto era iniziata la ricerca, ma né Agnes né
Astrid avevano risposto alle sue telefonate e, se non fosse stato per i
soliti tabloid, non avrebbe mai scoperto che l'amica era tornata a
Parigi.
Non la capiva. Aveva lasciato Ian, questo era chiaro. Ma aveva lasciato
anche Londra e ora si negava a lui. Poteva immaginare cosa
provasse in quel momento; poteva supporre le ragioni di quella fuga. Ma
si fermava lì. Per la prima volta da quando la conosceva, non
gli era chiaro cosa ci fosse dietro il silenzio di Agnes.
Innervositosi a causa di quei pensieri, accese la televisione nella
speranza di distrarsi da quei pensieri. Speranza peraltro vana, dato
che si ritrovò faccia a faccia con la fonte dei suoi problemi,
la causa del suo malumore.
Sullo schermo scorrevano le immagini di una sala conferenze piena di giornalisti e una figura ben nota intenta a parlare.
***
Quella posizione rialzata rispetto alla platea avrebbe dovuto dargli un
senso di controllo. Controllo della situazione, di sè e di tutto
ciò che lo circondava.
Ma Ian, seduto in quella sala conferenze con accanto il suo manager,
aveva la sensazione di essere tornato a scuola, quando gli insegnanti
lo guardavano impazienti di ricevere risposta alle loro domande. Ecco,
si sentiva esattamente un moccioso.
-Ian, come spiega la fine dei Fifth Beatle?-
Pochi minuti prima era immerso dentro
una grande vasca. Niente di lussuoso o di moderno. Una di quelle
vecchio stile e dallo smalto giallastro.
-Capita- si costrinse a rispondere seccamente. -Capita di sbagliarsi e
di credere in un progetto che poi si rivela un fallimento.
L'acqua lo avvolgeva piacevolmente,
rendendolo insensibile ad ogni interferenza esterna. Ed era così
calda e morbida da liquefare ogni inquietudine.
-E quali sono i suoi progetti futuri?
Aveva notato con disappunto che il
vapore gli impediva di guardarsi intorno. E dopotutto quell'acqua forse
era davvero troppa. Forse anche troppo calda.
-Ian ha concordato con Dave e Karl di continuare il progetto senza
Colin- intervenne Wilson togliendolo da quell'incombenza. -Ma il
progetto ora porterà il nome del suo vero leader- spiegò
con uno sguardo orgoglioso in direzione di Ian.
Il leggero fastidio si era trasformato in una strana ansia. Voleva alzarsi da lì, ma non ci riusciva.
-I suoi rapporti con Colin si sono interrotti?
Iniziava a bruciare maledettamente.
-No-si sforzò di ricordare le parole che gli avevano imposto di
dire in quel caso. -Ci sono state delle divergenze, diversi punti di
vista. Ma adesso è tutto chiarito e auguro al mio collega di
avere successo con i suoi progetti futuri.
E quando aveva pensato che a momenti
si sarebbe sciolto in quel liquido rovente, questo si era
raffreddato. A quel punto l'acqua, sempre più gelida,
aveva iniziato a penetrare la pelle e a percorrergli ogni singola vena,
ogni singolo capillare.
-Sa dirci qualcosa sull'allontanamento di Miss Dayle? Come mai ha lasciato il vostro appartamento?
Attraverso i vasi sanguigni era
arrivata dritta al cuore. E lui aveva avvertito l'esatto momento in cui
questo si era fermato.L'avrebbero trovato in quella vasca, con il capo
inclinato e un'espressione compiaciuta in volto.
-Era stanca del tanfo di sigaretta.
Non ricordava a che ora si fosse alzato quella mattina.
Mi sono svegliato stamattina?
***
La macchina si fermò in attesa che le sbarre venissero
sollevate. Colin gettò un'occhiata all'enorme insegna che
recitava Pinewood Studios.
C'era già stato nel mese di dicembre per prendere
familiarità con quello che era uno dei più famosi teatri
di posa d'Europa. Ma quel giorno, il 20 gennaio 2013, tutto acquisiva
un nuovo significato. Quel giorno, infatti, sarebbero iniziate le
riprese del film.
Da quando si era visto assegnato il ruolo di Elijah,
aveva studiato il copione con una dedizione del tutto nuova per lui.
Sapeva bene che senza Agnes e la sua notorietà non avrebbe mai
ottenuto una parte così importante. Ma più volte aveva
messo a tacere le sue insicurezze dicendosi che presto avrebbe mostrato
di essere all'altezza delle aspettative.
Tuttavia, adesso che quel momento era infine giunto, una più che
giustificata ansia lo aveva paralizzato sul sedile dell'elegante auto
che l'aveva portato lì. Così, quando questa arrivò
a destinazione, dovette imporsi con la forza di alzarsi e uscire
fuori.
Dentro lo studio lo accolsero volti che già aveva avuto modo di conoscere.
-Ah, il nostro campione è arrivato,-lo salutò sorridente
Chuck Royce. Ogni volta che parlavano, Colin stentava a riconoscere nel
regista la stessa persona che lo aveva trattato con tanta indifferenza
e superiorità nel corso del provino. Adesso era affabile e pieno
di attenzioni, asfissianti attenzioni per l'esattezza.
-Ciao Chuck- lo salutò sorridente. Non sapeva se quel
cambiamento fosse genuino o no, ma nel dubbio avrebbe ricambiato la sua
cortesia.
Dopo che ebbe salutato i due incaricati della casa di produzione, fu preso in consegna da truccatori e costumisti.
Quella mattina avrebbero girato una scena che si collocava a metà film. Nicole, trovatasi catapultata nella Londra dell'800,
andava alla ricerca dell'unico legame con il suo mondo: l'enigmatico
violinista che aveva visto suonare a teatro. La scena si svolgeva
all'interno della casa di Elijah.
Mentre si aggirava nervoso tra i corridoi degli studios, Colin
sentì qualcuno pronunciare il suo nome. Attirato dallo strano
tono usato da chi stava parlando, si fermò ad acoltare.
-Ma almeno sa recitare?
Dalla pesante cadenza americana Colin intuì subito di chi si
trattava. I due incaricati della produzione: Mitchell e Morgan.
-Chuck sostiene di sì. Ma alla fine che te ne frega? Negli ultimi tempi tirano solo i vampiri e il 3D.
Questo film non aveva possibilità di successo. Ora i giornalisti
ne parlano continuamente per quella faccenda del gruppo...
-Con il nostro incoraggiamento, ovviamente- ghignò l'altro.
-Comunque, chiedevo per prepararmi. Se è un disastro, dovremmo
cercare di tagliare un po' delle sue scene.
-Per quello c'è sempre la post-produzione, tranquillo.
Colin si allontanò rapidamente dai due. Alla fine ecco svelata
la verità; ecco l'unico motivo per cui la produzione aveva
scelto di dare il ruolo di Elijah a un attore esordiente.
Distratto com'era, non si accorse nemmeno di essere arrivato nelle
vicinanze del set. Gli diedero in mano il violino di Elijah e l'aiuto
regista gli ricordò la serie di gesti che doveva compiere nella
scena.
Si posizionò davanti a una finestra e sistemò il violino
sulla spalla come aveva imparato nel corso di alcune lezioni. Avrebbe
solo finto di suonare, ma doveva comunque mostrare una buona
familiarità con lo strumento.
-Silenzio.
Adesso che era arrivato il suo momento, non avrebbe permesso a quei due
sconosciuti di rovinarglielo. Non aveva rinunciato all'amicizia di Ian
per vedersi trattato come un povero idiota, come uno strumento per far
soldi.
-Motore.
Poteva farcela, poteva dimostrare di essere all'altezza del film.
D'altronde non c'erano neanche delle aspettative da poter deludere...
-Ciak.
Fece un respiro profondo e scacciò via ogni pensiero che fosse appartenuto a Colin.
-Azione.
E fu Elijah.
***
-Ian, amico mio!
Woody gli veniva incontro con il suo solito modo di fare: un brutto
sorriso, braccia aperte e un intercedere da re del mondo. Non importava
dove si trovasse o quale compagnia più o meno raccomandabile lo
circondasse. Woody era sempre il solito musicista arrogante e borioso
dalle cui labbra tutti pendevano. Tutti tranne Ian. E forse proprio
quel suo essere l'eccezione che confermava la regola aveva permesso
loro di stringere un legame sincero privo di inutili formalismi.
Si abbracciarono brevemente e subito Woody iniziò con i soliti rimproveri allegri e poco sentiti.
-Cazzo, ti avrò chiesto di venire una decina di volte. Ma tu devi fare sempre l'eremita in quel buco di appartamento!
-Adesso che sono qui mi pento di averti dato retta- gli rispose
dedicando un'occhiata ironica all'atmosfera decadente del locale.
Era poco più di un vecchio garage dai muri imbrattati da
graffiti più o meno artistici. A destra c'era un bancone contro
cui si accalcava la gente, in fondo la zona in cui un gruppo emergente
si stava esibendo. Loro si trovavano in un'area delimitata da un paio
di cordoni rovinati e divanetti rossi che dovevano aver visto giorni
migliori.
-Voglio presentarti a qualche amico,- gli disse mentre con un ghigno
divertito lo spingeva verso un gruppo di persone poco più in
là.-Visto che ti sei degnato di venire nel mio esclusivo locale,
non ti seccherà farmi un po' di pubblicità.
-Il tuo nuovo locale....-commentò Ian ironico.-Chi hai fregato stavolta?
L'altro gli rivolse un sorriso enigmatico prima di gettarlo in mezzo a
quel miscuglio di artisti dallo sguardo vacuo, intellettuali
logorroici, poveracci altezzosi e sconosciuti troppo cortesi.
Poco prima di lasciarlo a quell'indesiderato pubblico, Woody gli diede
una pacca sulla spalla e fece cadere sulla mano qualcosa di
estremamente leggero e apparentemente innocuo.
-Per rilassarti un po'...
Un paio di minuti dopo o forse dopo interminabili ore, Ian parlava.
Parlava di argomenti insignificanti e che non conosceva. Fumava anche:
tiri lunghi e profondi a volte, troppo brevi e nervosi altre. Ballava
al tempo di una musica che davvero non riusciva a sentire e sorrideva a
battute che non coglieva.
Non seppe dire come fosse arrivato al divano su cui ora era seduto. Accanto a lui c'era qualcuno.
-Amo i tuoi testi. Quando ascolto le tue canzoni riesco a ritrovare me stessa...
Aveva parlato abbastanza per quella sera. Ora non ne aveva più voglia. Voleva qualcos'altro e non sapeva bene cosa.
Si girò a guardare la donna che da un po' di tempo era seduta
vicino a lui. Dovette scrutarla con particolare attenzione per
comprendere che in realtà era poco più di una ragazzina.
-Cosa vuoi?- le domandò mentre il suo sguardo si faceva più sottile.
La ragazza sembrò imbarazzarsi e ad occhi bassi gli disse ciò che voleva.
-Conoscerti- spiegò con un sorriso semplice.
Non appena sollevò lo sguardo nella sua direzione, Ian si
scostò bruscamente da lei. Due occhi grandi e ingenui lo stavano
fissando. Non era questo che voleva.
-Ti accontenterò un'altra volta,- mormorò nello stesso momento in cui si alzava e si allontanava verso il bagno.
C'era qualcosa di cui aveva bisogno. Uno spazio vuoto da qualche parte dentro di lui.
-Ian, attento a quello che fai. Ho visto due tipi fotografarti.- lo
avvertì Woody non appena ebbe rimesso piede nel privè.
Si aggirava per le stanze, guardandosi intorno con attenzione. Dov'era? Cosa cercava?
Si sedette su un divano e riconobbe i due fotografi. -Patetici,- mormorò.
Mosso da quell'inspiegabile bisogno
era entrato nella camera da letto. Un mucchio di vestiti sul
pavimento, i resti di una notte di delirio sul comodino e un corpo
avvolto tra le coperte.
-Posso sedermi qui?
Ian gettò un'occhiata ai due tizi intenti a studiare ogni suo
gesto. Ghignò mentre si sistemava sul divano e annuiva alla
donna che era appena comparsa davanti a lui.'
Preso da una strana euforia, si era
disteso accanto a quel corpo caldo e l'aveva chiamata per nome.
Soddisfatto, l'aveva sentita prendere coscienza.
-Cosa vuoi?- domandò senza che ce ne fosse bisogno. La donna
infatti gli stava appiccicata e aveva già portato una mano sulla
sua coscia.
-Te.
L'aveva guardata girarsi lentamente e aveva trattenuto il respiro non appena il volto di lei gli aveva svelato l'inganno.
Nel tentativo di scacciare quelle immagini insensate, Ian
lanciò un'occhiata distratta ai fotografi e una ancora
più indifferente alla donna.
-Allora baciami.
Non era lei. Lei era perduta. E su
quel grande letto c'era solo un volto anonimo, una patetica imitazione
di ciò che aveva perso.
Mentre le sue labbra scivolavano su quelle della sconosciuta, Ian sentì gli occhi bruciare a causa dei flash.
-Ma...-esclamò la donna che confusa prese a guardarsi intorno.
-Non ci pensare, baciami-le disse senza alcuna gentilezza.
Appena chiuse gli occhi le immagini tornarono a scorrere nella sua mente...
Poteva avvertire su di sé il
corpo della sconosciuta. Tentava di arrivare a lui e così
colmare quello spazio vuoto. Ma era inutile. Le sue carezze, il suo
sguardo, i suoi baci...tutto in lei era tiepido e lo attraversava da
parte a parte senza lasciare traccia dentro di lui.
-Lo sai che domani ne parleranno tutti, vero?- gli domandò
contro le labbra che non davano cenno di volersi fermare. -Non ti
dà fastidio?- insistette con un cenno divertito ai fotografi.
-Sì.- si costrinse a risponderle.
-E allora perché lo fai?
Preso dalla frustrazione aveva
allontanato la donna da sé e le aveva voltato le spalle,
incurante delle offese mormorate a denti stretti.E quando poi era
arrivato il familiare torpore, lo aveva accolto come un buon amico. Non
aveva paura, solo... la voleva accanto. No, non quella sconosciuta, ma
lei. Lei che era perduta.
-Così lei saprà.
Forse Ian non era in quel locale. Forse in realtà quel giorno non si era mai svegliato.
***
-Non puoi amarci entrambi. Stai mentendo.
Si alzò dal divano e le si avvicinò pericolosamente. La
mandibola contratta, gli occhi furibondi fissi sul volto confuso di lei.
-Mi dispiace...Io lo amo.- gli rispose ad occhi bassi.
-Come puoi dire questo?-la interruppe bruscamente.-Come puoi amare un simile tipo d'uomo?
Lasciò scorrere due dita tremanti sul volto pallido della donna.
-Nicole, lui non ti amerà mai come ti amo io.-mormorò
sempre più vicino alle sue labbra.-Lui ti farà a pezzi,
ti toglierà tutto quello che hai di buono, tutta la tua purezza.
-Guardami-la pregò mentre le sollevava il mento.
-Dimmi che non è stato tutto inutile.
Strinse la presa sul mento ferendola.
-Dimmi che almeno stavolta non sceglierai lui.
Come per farsi perdonare, avvicinò le labbra a quelle della donna e le accarezzò con una lentezza esasperante.
-Dimmi che resterai con me.
E la baciò.
-Eee....Stop!
Colin si scostò rapidamente da Serena.
-Hei, solitamente fanno la fila per baciarmi!- lo canzonò fingendosi risentita.
Colin si sentiva troppo scosso per ricambiare la battuta e si
limitò a sorriderle controvoglia. Per fortuna arrivò il
regista a toglierlo da quell'impaccio.
-Ragazzi, scena perfetta. Più tardi la gireremo da altre angolazioni. Ora prendetevi pure una pausa.
Ne approfittò subito per rifugiarsi nel suo camerino e, non
appena vi fu arrivato, aprì la finestra per lasciare entrare
l'aria gelida di febbraio. Respirò a pieni polmoni e scosse la
testa per scacciare via i pensieri che lo stavano infastidendo.
Nel momento in cui stava per accendere una sigaretta, il silenzio venne interrotto bruscamente.
-E quando stavo per cambiare opinione sul tuo conto, tu fai qualcosa
che conferma la mia prima impressione. Sei proprio un imbecille.
-Non puoi fare a meno di me, ammettillo.- le rispose rivolgendole il sorrisetto che tanto detestava.
-Oh, ma perché stai fumando?- commentò spazientita.-Avevi promesso che avresti smesso.
-Non ho mai detto nulla del genere.- rispose mentre faceva un tiro particolarmente profondo.
-E va bene...ti ho pregato di non fumare in mia presenza.-ammise
imbronciata. Colin si mise a ridere appena la vide tirare fuori dalla
tasca una bustina e aprirla.
-Serena...-la chiamò senza smettere di ridere.-Non avevi detto che avresti smesso
-Non posso farci niente. Amo questa roba,- gli rispose mentre si portava alla bocca quella cosa appiccicosa. -Ne vuoi?
-Quella cosa non è cibo. Il cibo non può essere rosa...
-La solita storia...-scosse la testa afflitta. -E' zucchero filato ed
è buonissimo.-gli spiegò come se fosse un bambino.
Colin spense la sigaretta e si andò a sedere accanto a lei sul
divano. Prese un po' di quella roba inconsistente e quando gli si
sciolse subito in bocca la guardò schifato. Poi però
continuò a mangiarlo, mentre lei lo guardava pensierosa.
-Mi dici cosa ti passa per la mente?
Colin la guardò un attimo prima di riportare l'attenzione sullo zucchero filato.
La conosceva da poco più di un mese ed era la seconda persona
con cui era riuscito a creare da subito un rapporto così forte.
Per il resto del mondo Serena Parker era una delle tante attrici
emergenti degli Stati Uniti, conosciuta nel mondo cinematografico per
il suo carattere volubile e capriccioso. Ed effettivamente era anche
questo, Serena. Perfezionista e pedante nel lavoro, maniaca del
controllo nella vita privata. Ma Serena era anche una persona che amava
osservare gli altri, capirli come nemmeno loro riuscivano a fare con se
stessi. Ed era una dote, questa, che aveva usato fin da subito nei
confronti di Colin.
-Quella scena...-gli disse con il tono più gentile.-Eri davvero
immedesimato in Elijah. Anzi, direi che c'era davvero poco del
personaggio in quel che hai fatto.
-La spiegazione non è quella che pensi tu.-le rispose tranquillo.
-Non hai pensato ad Agnes e Ian?
Colin sorrise divertito.
-Sì, ho pensato a loro. Ma io non sono innamorato di Agnes.
-E allora perché hai stretto il mio povero mento in quel modo?
-Ho sempre saputo con estrema chiarezza come sarebbe finita tra Agnes e
Ian. Si amano, di questo ne sono sicuro. Ma Ian ha troppi spazi vuoti
da colmare, insicurezze troppo radicate. Non potrà mai mettere
al primo posto il bene di Agnes e dubito che lei sia abbastanza forte
da non farsi trascinare insieme a lui. L'amore di Ian potrebbe farla a
pezzi, potrebbe portarle via il suo lato migliore...
-L'amore di Ian te l'ha portata via...-commentò l'altra
accarezzandogli la spalla.-Continua a non rispondere alle tue
telefonate, vero?
Colin annuì impercettibilmente.
-Non capisco perché mi rifiuta.
***
C'era qualcosa di estremamente ridicolo in quella folla urlante davanti
a lui. E anche se poteva vedere solo qualcuno di quei visi deformati
nell'atto di cantare, ciò era comunque sufficiente a
trasmettergli un familiare senso di repulsione.
Questo era uno di quei pensieri pericolosi che avrebbe dovuto cacciare
via. Ma suonava meccanicamente, cantava senza fatica. E su qualcosa
doveva pure concentrare la mente. E quindi eccoli lì, pensieri
pericolosi e domande insinuanti.
Mentre rivolgeva ringraziamenti distratti e dava inizio a un nuovo
pezzo, tornò a chiedersi se davvero fosse così facile
ingannare gli altri e, come tutte le volte, si domandò come la
gente potesse entusiasmarsi tanto per qualcuno come lui.
Lì c'era uno spettacolo che avrebbe dovuto lasciarlo senza
fiato: ragazzi che conoscevano le sue parole, si muovevano al tempo
della sua musica e chiamavano il suo nome. Ma Ian avrebbe voluto essere
altrove. Non che fosse cambiato il suo rapporto con la musica. Non che
qualcosa in lui fosse mai cambiato. Di diverso c'era che adesso non
stava più alla destra del palco, ma al centro. E questo
insignificante particolare lo faceva sentire un truffatore, un bugiardo.
Non era fatto per quel ruolo. Per lui la musica era sempre stata
qualcosa di intimo, personale. Aveva sempre scritto e suonato solo per
se stesso, senza illudersi che quei testi e quella musica avrebbero
significato qualcosa per qualcun altro. Aveva sempre saputo di non
essere bravo a interagire con gli altri.
Poi aveva conosciuto Colin e in lui aveva trovato la soluzione.
Con la sua empatia e quella straordinaria capacità di
accattivarsi la simpatia altrui, Colin era stato per molto tempo la
voce con cui Ian aveva potuto esprimere se stesso.
Voce che adesso se ne era andata, lasciando uno spazio vuoto e un altro mattone a comporre il muro.
E allora perché aveva accettato quel progetto in cui non credeva?
Perché scrivere e suonare erano parte di lui, ciò che lo
definiva. Erano azioni naturali e meccaniche. Che lo facesse in una
bettola, a casa o davanti a una folla urlante non cambiava poi molto.
Ma in quel modo riusciva a non sentirsi solo per un paio di ore e la
vita gli sembrava trascorrere appena un po' più rapida.
E' così lunga la vita quando si è soli.
***
-Credevo che la parte più difficile fosse girare il film.
-Questo perché sei solo un dilettante,-rispose Serena accomodandosi sulla poltrona accanto a lui.
-Credo che quando finirà la promozione del film non
sorriderò mai più.- continuò senza prestare
attenzione al suo commento ironico.-Non avevo mai sorriso quanto nelle
ultime settimane.
Serena lo guardò con sufficienza mentre si massaggiava la mandibola.
-Cerca di resistere, povero tesoro. Ne abbiamo per un altro mese...
Le riprese del film erano terminate a metà maggio. Da ormai due
settimane, aveva avuto inizio un'agguerita campagna di promozione che
aveva come protagonisti gli attori di Somewhere, Somehow.
Colin e Serena dovevano presenziare a eventi mondani, sfilate e show
televisivi. Per non parlare dei numerosi servizi fotografici e delle
interviste per i giornali.
Un tonfo attirò l'attenzione di entrambi. Una donna era
inciampata su se stessa mentre si stava avvicinando allo studio dove si
sarebbe tenuta l'ennesima intervista promozionale.
-Mandy!-la salutarono all'unisono.
L'autrice rivolse loro un sorriso imbarazzato che finì con l'evidenziare il rossore delle sue guance.
Pochi minuti dopo ebbe inizio l'intervista.
Dopo una serie di domande innocue, la giornalista rivolse la sua attenzione a Colin.
-Come sai già, c'è chi ha espresso delle
perplessità nei tuoi confronti. Come rispondi a chi non ti
ritiene all'altezza del ruolo?
Quando in passato venivano messe in dubbio le sue capacità come
musicista, Colin rispondeva sempre con una battuta stupida, ma dentro
di sé accusava sempre il colpo. Se lui stesso non si sentiva un
musicista eccellente, come poteva smentire quelle critiche?
A quella domanda, invece, rispose in modo serio, senza lasciare spazio a nessuna insicurezza.
-Somewhere, Somehow è
il mio primo film, ma questo lo sapete già...-disse
sorridendo.-Ho cercato di compensare la mia inesperienza con l'impegno
e l'amore per la storia e il personaggio. Spero che il pubblico
riuscirà ad apprezzare entrambe le cose.
-Mi dispiace deludere il mio collega,-si intromise Serena.- Penso che
il pubblico apprezzerà soprattutto la scena in cui Nicole lo
sorprende mezzo nudo.
Dopo che ebbe rivolto altre domande a Mrs. Loup, la giornalista fece la
domanda che concludeva quasi tutte le interviste di Colin.
-Ha interrotto ogni rapporto con Agnes e Ian, come mai?
-In realtà siamo solo molto impegnati con il lavoro. Io ho
finito da poco le riprese del film, Ian è in giro per la sua
tourné e Agnes...Agnes non si ferma in una città per
più di un giorno.
-Quindi è solo il lavoro a tenervi lontani?-domandò scettica.
-Sì, ci sentiamo praticamente ogni giorno.-rispose con un sorriso che gli fece dolere le guance.
Quando arrivò nel camerino che gli era stato riservato, il suo cellulare iniziò a squillare.
Non ebbe bisogno di controllare lo schermo per sapere chi lo stava
chiamando. Aveva desiderato così intensamente quella telefonata
che doveva essere per forza quella persona.
Si portò il cellulare all'orecchio e la salutò.
-Ciao, Agy...
***
Quando
arrivò sul pianerottolo di casa, Ian rimase un attimo fermo a
guardare la porta. Era da almeno tre mesi che non entrava nel suo
appartamento. A marzo lo aveva lasciato per dare inizio a quella serie
di concerti che lo avevano portato nelle maggiori città
del Regno Unito. Si trattava di una strategia della EMI
per abituare i fans a quel progetto solista. L'idea era che Ian si
sarebbe fatto apprezzare nelle altre città, così da far
parlare di sé e creare delle aspettative tra i londinesi. E
così le ultime due tappe della tourné erano previste
proprio nella sua città: il 15 giugno e il 20 luglio.
Mentre infilava
la chiave nella serratura, notò infastidito un leggero tremore
alle mani. Cercò di ignorarlo e aprì la porta con uno
strattone.
Non aveva fatto
che un semplice passo quando il borsone gli scivolò dalla mano e
cadde sul pavimento. Un attimo dopo aveva già dato le spalle al
buio e al silenzio che lo avevano accolto. Un attimo dopo era
già in macchina, senza nessuna meta ad attenderlo.
Senza nemmeno
prestarci attenzione, si ritrovò a posteggiare nelle vicinanze
della Camden. C'era un posto lì vicino che conosceva bene, un
posto che gli era mancato molto.
-Guarda chi si vede. La star è tornata in città!
In passato quel
tono canzonatorio lo avrebbe offeso. Ma per quella volta lasciò
correre e si limitò a sorridere al vecchio barista.
-Ciao anche a te, Gheorghe.
Questi gli fece cenno di sedersi davanti al bancone.
-Cosa ti offro?
-Ah, adesso offri? Quando suonavo qui, dovevamo rubartele le birre...- scosse la testa divertito.
-Che c'entra,
ai tempi non me la passavo così bene come ora. Grazie ai Fifth
Beatle questa topaia è diventata luogo di ritrovo di tutti gli
alternativi, intellettualoidi e finti musicisti di Londra. Ora posso
offrirti ciò che vuoi,- concluse con un cenno alle bottiglie
dietro di lui.
-Un single malt.
-Ho un Glenfiddich
di diciotto anni che è una meraviglia,- gli rispose mentre
compiaciuto cercava la bottiglia.-Comunque se stasera cercavi
tranquillità hai sbagliato posto. Abbiamo un concerto e ci
sarà un bel po' di movimento.
Ian scosse la testa indifferente.
-Non cercavo nulla.
Lentamente il
locale iniziò a riempirsi. Alcuni clienti mostrarono una certa
curiosità per Ian, riconoscendolo immediatamente. Ma fu
sufficiente una sua occhiata per scoraggiarli dall'avvicinarsi.
Man mano che il
posto si andava facendo sempre più affollato, Gheorghe aveva
sempre più difficoltà a parlare con lui. Non che a Ian
cambiasse molto, ma sembrava che al vecchio interessasse
particolarmente quello scambio di parole.
-Ho sentito che la tourné sta andando bene...
-Sì, non c'è male.
-Magari potrei venire alla tappa di Londra. Quand'è?- domandò mentre puliva un bicchiere.
-In realtà sono due. Una è il 15 giugno e l'ultima il 20 luglio.
Gheorghe sgranò gli occhi e, nonostante li avesse abbassati subito, Ian lo notò comunque.
-Che c'è, sei impegnato? Non preoccuparti, non mi offendo!-lo rassicurò sorridendo.
-No, tranquillo. Il 15 sono libero. Il problema sarebbe il 20 luglio...
-Cazzo, come fai ad avere un impegno per quel giorno? Mancano quasi due mesi!
-In realtà quel giorno c'è la prima del film di Colin,-gli spiegò l'altro un po' imbarazzato.
Ian sorrise
ironico e quando parlò non gli riuscì di trattenere
l'amarezza che gli avevano provocato quelle parole.
-Sempre pronto a rubare la scena, il nostro attore.
Si alzò e, dopo essersi scusato con Gheoghe, andò verso i bagni del locale. Prima di lasciare il Kirchherr's doveva fare qualcosa.
Tornò al
bancone solo per salutare Gheorghe, ma nel momento in cui gli si stava
per voltare le spalle questi gli afferrò il polso.
-Sei proprio un ragazzino- commentò disgustato.
-Cosa?
-Guardami.-gli ordinò con voce dura.
Non capendo a cosa alludesse non si fece troppi problemi a portare lo sguardo sul viso di Gheorghe.
-Di cosa ti sei
fatto nel mio bagno, mh?- gli domandò mentre la presa sul polso
si faceva sempre più pressante e dolorosa.
-Una canna,- scandì Ian avvicinandosi al suo volto. Poi fece un cenno al suo braccio -Ora mi lasci?
-Una canna...- ripetè l'altro scuotendo la testa.-Senti, ragazzino, con chi pensi di parlare? Cosa hai preso?
-Penso di parlare con un coglione- rispose ignorando l'ultima domanda.
Lo vide annuire e poi muoversi rapidamente verso di lui.
-Ma che...?
Mentre con una mano continuava a tenerlo fermo, con l'altra gli stava perquisendo le tasche.
-Si dà
il caso che questo coglione ti ha fregato,- gli disse sventolandogli le
chiavi davanti al viso.-Non vuoi dirmi cosa hai preso? Cazzi tuoi. Per
quanto mi riguarda te ne puoi andare a piedi.
-Dai, Gheorghe. Dammi le chiavi...-gli disse mentre una strana ansia si faceva spazio dentro di lui.
L'altro
annuì e gli diede il mazzo di chiavi. Stava per tranquillizzarsi
quando notò che mancava quella dell'auto.
-E' uno scherzo?- gli domandò nervoso.
Gheorghe sembrò ammorbidirsi un attimo, ma scosse la testa.
-Non è uno scherzo. Chiama qualcuno che ti venga a prendere.
-Non c'è nessuno.
Si guardarono
in silenzio per qualche secondo, come se quell'ammissione avesse
sorpreso entrambi. Poi Ian gli voltò le spalle e si diresse
verso l'uscita. Sentì Gheorghe richiamarlo ripetutamente, ma non
gli prestò attenzione. Nessuno dei due avrebbe ceduto di un
passo, era chiaro.
Quando fu
fuori, però, quella strana ansia si ripresentò. La
ignorò e prese a camminare alla ricerca della fermata più
vicina. Non seppe dire per quale motivo non volesse semplicemente
chiamare un taxi. Sentiva il bisogno di camminare un po'.
Man mano che si
addentrava tra le strade e i vicoli, però, l'angoscia si faceva
più pressante. E non importava se intorno a lui si
avvicendassero gruppetti di giovani alla ricerca del divertimento
serale; ai suoi occhi quella zona di Londra appariva deserta, un luogo
che pullulava di nemici nascosti nell'ombra.
Una parte di
lui, forse l'ultimo brandello di razionalità rimastogli,
ripeteva più e più volte che non c'era nulla da temere,
che quella paura era insensata e priva di ogni fondamento. Ma quel
pensiero era uno spiraglio troppo esiguo nell'ombra che aveva
avviluppato la sua mente; e così si lasciava andare alle
fantasie più inquietanti.
All'improvviso,
tra tutte quelle fantasie e immagini terrificanti, una acquisì
contorni chiari e vividi. Dietro l'angolo a cui si stava avvicinando
c'era qualcuno. A breve sarebbe comparso da quell'angolo, gli avrebbe
chiesto il suo nome e poi gli avrebbe sparato addosso cinque colpi di
pistola, uccidendolo.
-Sto impazzendo...-mormorò portandosi una mano alla tempia.
Non riuscendo
più a mettere un passo dietro l'altro, si fermò e si
accasciò contro un muro. Chiuse gli occhi nel vano tentativo di
calmarsi e per l'ennesima volta si ripetè che non c'era nessuno
pronto a minacciarlo.
-Hey, Ian.
Lo colpirono al viso. Ripetutamente.
-Ian, che ci fai qui da solo?
Con estrema
lentezza si portò una mano davanti agli occhi. I flash
continuavano a colpirlo in viso, aumentando la sua confusione.
-Ci sembri un po' confuso. Hai preso qualcosa?
Quelle voci
odiose lo stavano prendendo per il culo. Aveva una vaga percezione di
che genere di spettacolo stesse dando in quel momento. Ma in quel
momento non pensava né alle foto né ai video che
l'indomani avrebbero messo in giro. No, voleva solo che lo lasciassero
in pace.
-Non sto bene. Per favore...-mormorò a fatica.
L'ennesimo flash gli ferì gli occhi.
Dal momento che
i fotografi non davano segno di smettere, si sforzò di prendere
il cellulare dalla tasca. Quando un lampo di lucidità gli rese
chiaro il nome della persona a cui stava telefonando, subito chiuse la
chiamata. Poi cercò il numero dell'unica persona che aveva
il dovere di toglierlo da quella situazione.
Wilson
arrivò dopo più di mezzora. E per tutto quel tempo i
fotografi erano rimasti a fotografarlo. E quando aveva chiesto loro "non ne avete fatte abbastanza?", quelli avevano ridacchiato noncuranti e non gli avevano nemmeno risposto.
Il manager lo
aiutò a farsi strada tra i paparazzi e a salire in auto. Solo
quando furono abbastanza lontani, Ian si concesse un sospiro di
sollievo.
-Ero convinto
che avrei trovato qualche fotografo con un occhio nero e un paio di
ossa rotte- tentò di scherzare l'agente.
Ian scosse le spalle indifferente.
-Non importa.
-Cosa?-chiese l'altro stranito.-Domani ti faranno a pezzi con quelle foto...
-Non fa niente. Volevo solo andarmene a casa.
Wilson dovette
percepire qualcosa nel tono con cui aveva parlato, perché si
schiarì la voce. Cosa che faceva quando voleva fargli un
discorso serio.
-Ian, non ti
capisco. La tourné sta andando alla grande, i concerti sono un
successone e i fans ti amano. I tuoi sogni si stanno realizzando e tu
sembri indifferente, quasi infastidito da tutto questo.
Ian si appoggiò meglio al sedile e sorrise stancamente.
-Quando siamo
ragazzini crediamo che il nostro sogno sia talmente grande che ci
porterà avanti per tutta la vita, e talmente puro da non poter
essere intaccato dalle brutture che ci circondano. Ma questa è
solo una bugia. La realtà è che anche i sogni più
belli finiscono con il deperirsi: man mano che cresciamo si
accartocciano su se stessi fino a scomparire. La realtà è
che arrivi al punto di non volere più nulla, di perdere la
voglia stessa di volere di più.
-Sei soltanto
spaventato, Ian. Ottenere quello che si è sempre voluto fa
paura, è normale...-cercò di rassicurarlo l'altro.
-Non hai capito. Non sono affatto spaventato. Io non sento nulla.
Fece una pausa e guardò scorrere quella fila interminabile di palazzi identici gli uni agli altri.
-I fans, la
musica, la scrittura, le persone che mi circondano...-elencò con
voce monocorde mentre la fronte si contraeva in un'espressione
accigliata,-Non c'è niente che riesca a colmare gli spazi vuoti
che ho dentro.
Era
una giornata di nuvole,vento e pioggia. Appena era uscito dalla vecchia
villa si era subito ritrovato con i vestiti appiccicati addosso.
Nonostante l'aria fredda lo facesse rabbrividire, si muoveva
lentamente, curandosi di proteggere solo i fogli che teneva in mano.
-Ho sempre
invidiato Colin.-disse dopo un momento di silenzio.-La gente per lui
è sempre stata fonte da cui trarre forza e l'entusiasmo che gli
altri mostravano nei suoi confronti lo esaltavano. In tutta
onestà non capisco come possa aver rinunciato a una cosa del
genere...
Aveva
trovato riparo all'interno di una serra poco distante da casa. Era il
suo posto preferito di quel luogo. L'aria era quasi irrespirabile a
causa delle piante e dell'odore di terra umida; il silenzio era
interrotto solo dal lieve gocciolio dell'acqua che filtrava dalle
numerose crepe del tetto. Si era seduto su una cassa di legno e aveva
iniziato a scrivere.
-Io ci ho
provato. Ho tentato di liberarmi da quei condizionamenti che mi
perseguitano da quando sono nato. E per un po' di tempo mi sono anche
illuso di poterci riuscire, di poter essere felice come chiunque altro.
Ma per quanto ci abbia provato sono ancora fermo al punto di partenza.
Mentre
le sue parole imbrattavano il foglio intonso, un raggio di sole era
riuscito a filtrare dalle nubi e ad arrivare a lui. Aveva sollevato il
capo e ad occhi socchiusi si era lasciato baciare dalla luce. Poi un
lieve bruciore all'orecchio aveva attirato la sua attenzione facendogli
portare una mano sulla testa.
-A quanto pare il muro è troppo alto perché la fuga possa riuscire-commentò con un sorriso ironico.
La
mano aveva toccato qualcosa di viscoso e caldo e, incuriosito, l'aveva
portata davanti al viso. Nessuno stupore, nessuna paura quando l'aveva
vista insaguinata né quando, portando gli occhi sull'altra,
l'aveva vista impugnare un'arma.
Wilson prese a
parlare, rivolgendogli parole di incoraggiamento e speranza. Ma Ian non
riusciva a sentirlo, preso com'era dalle immagini che gli
attraversavano la mente.
Si
era disteso sul pavimento sporco di terriccio ed erba e aveva sollevato
il capo di nuovo verso quel raggio di sole. L'unico dubbio, l'unico
pensiero che lo attraversava era chi l'avrebbe trovato, quanto tempo ci
avrebbero messo.
Rispose
qualcosa a Wilson, ma non seppe dire cosa gli stesse dicendo. Non
sentiva nemmeno se stesso: muoveva le labbra, ma lui ormai era in
quella serra, sotto quel pallido raggio di sole che a stento gli
illuminava il viso.
L'avrebbero mai trovato?
Note:
Ed eccomi con il
nuovo capitolo. Per prima cosa voglio ringraziarvi per essere
state pazienti, ma soprattutto per l'affetto che mi avete dimostrato.
Tengo molto a ringraziare le tre splendide ragazze che hanno segnalato
Down per l'inserimento tra le scelte: Elle, Sara e Matisse.
Risponderò ad ognuna di voi, ma ci tengo molto a farvi sapere
quanto mi hanno emozionata le vostre parole e la vostra fiducia nei
miei confronti.
Ora, per quanto
riguarda il capitolo, so bene che è qualcosa di diverso rispetto
ai precedenti. Ma spero che l'alternanza dei punti di vista, l'assenza
di Agnes, l'intreccio tra realtà e allucinazioni non vi abbiano
spiazzate troppo.
Ciò che è poco chiaro sarà comunque chiarito meglio nel prossimo capitolo.
Le
citazioni e la musica hanno un ruolo fondamentale in questo momento
della storia. I sogni e le allucinazioni di Ian sono tutti dei
riferimenti ad episodi reali o presunti tali che hanno interessato
nell'ordine Ian Curtis, Jim Morrison, Sid Vicious, John Lennon e Kurt
Cobain. Potrei stare ore a spiegarvi le storie di questi musicisti e
come le ho interpretate, ma non vorrei annoiarvi! ^_^
Per rendere i pensieri e le sensazioni di Ian, mi hanno aiutata tanto: Insight dei Joy Division, Empty Spaces e Hey, you dei Pink Floyd e alla fine Meds dei Placebo(Un grazie speciale a Elle per questa perla, ma soprattutto per lo stupendo banner!)
Come avrete
capito, Down in a Hole volge verso la fine e per l'esattezza mancano
solo due capitoli. Proprio per questo motivo ho bisogno di tempo per
scriverli e spero che saprete pazientare ancora un po'. Dopo tutta la
fiducia che mi avete dimostrato, non vorrei mai deludervi con un finale
affrettato o poco curato.
Vi ringrazio ancora.
Agnes
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Capitolo 17 *** Lord knows it would be the first time ***
A Mia Sorella,
A chi mi rende reale
Lord knows it would be the first time
─ Buonasera, Miss Dayle. Prego, di qua troverà il suo posto.
Dopo
che l'ebbe accompagnata a sedersi, l'hostess prese gentilmente il suo
bagaglio e lo posizionò nell'apposito scompartimento.
─ Per qualsiasi cosa, non esiti a chiamarci,─ si congedò sorridente.
Agnes
si sistemò sul comodo sedile della prima classe. Lasciò
scorrere la mano sinistra lungo il collo teso e sospirò stanca.
E
nonostante le fosse sembrato di aver atteso un'eternità, in
realtà l'aereo partì dal JFK di New York puntuale.
L'arrivo era previsto per le nove di mattina, secondo il fuso di Londra.
Al pensiero della capitale inglese, Agnes chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
Stava
tornando a casa. E poco importava se nei mesi precedenti aveva
più volte raggiunto Londra per motivi di lavoro. Come le aveva
ripetuto Astrid in quelle occasioni, quella non era la sua
città, ma solo un posto come un altro dove sfilare o fare
servizi fotografici. Ciò nonostante, durante quei giorni di
permanenza, aveva sempre programmato tutti i suoi spostamenti con
massima attenzione, in modo da evitare incontri difficili.
Adesso,
invece, tornava a casa. E non tanto perché non aveva con
sé il biglietto di ritorno. No, quello aveva poco a che fare con
quel miscuglio di ansia e tepore che l'aveva presa nel momento stesso
in cui aveva deciso di partire. Stava tornando da Colin, la persona che
nonostante tutto aveva sempre significato casa e conforto.
Non era affatto sicura di quella scelta.
Quel
lontano novembre in cui aveva lasciato l'appartamento di Brixton, aveva
rinunciato ad entrambi. Da un lato sentiva di non poter stare con
Ian, non dopo averlo visto trattare in quel modo odioso il loro
amico; dall'altro aveva dovuto tagliare ogni rapporto con Colin. Era
assurdo, illogico sicuramente, ma sentiva che il suo venir meno alla
promessa fatta a Ian sarebbe stato ancora più grave se non
avesse rinunciato anche a Colin.
E
così, per diversi mesi, non aveva risposto alle sue telefonate
ed era arrivata a cambiare numero; anche Astrid, pur non condividendo
la sua decisione, aveva evitato di parlare con Colin e vietato ad ogni
reception di passare loro qualsiasi telefonata.
─ Miss Dayle, vorrebbe cenare?
Una
voce cortese la distrasse per un attimo dai suoi pensieri. Agnes
annuì rivolgendo un breve sorriso all'hostess, che subito le
porse il menù.
─ Preferisce carne o pesce?
Dicembre
"Agnes,
vuoi carne o pesce?" Una voce aspra, ma non meno ansiosa le stava
parlando. Poteva sentirla chiaramente nonostante avesse il cuscino
sopra la testa.
"Ho già mangiato" mormorò sistemandosi meglio il cuscino per rendere chiaro il suo bisogno di dormire.
"Non
abbastanza" replicò Astrid infastidita. Un attimo dopo con un
gesto brusco le tolse le coperte e il cuscino, lasciandola sguarnita di
ogni protezione.
"E va bene..." sbuffò guardandola di sbieco. “Decidi tu, per me è lo stesso."
L'altra annuì e, mentre si allontanava per chiedere il servizio in camera, le ordinò di alzarsi e vestirsi.
Per
un momento Agnes ebbe voglia di fare quello che le aveva detto l'amica.
Sì, avrebbe fatto una doccia, si sarebbe truccata e avrebbe
scelto con cura i vestiti da indossare. Poi sarebbe uscita per un
motivo che non fosse il lavoro, così...per il gusto di fare una
passeggiata.
Ma
il momento dopo questo slancio sfumò rapidamente. Scosse la
testa e tornò a distendersi. Quando ebbe sistemato su di
sé anche l'ultima coperta, chiuse gli occhi.
Dei
brividi, che non avevano nulla a che fare con il freddo, la percorsero
lungo le gambe, la schiena e le braccia: sentiva il suo corpo
intorpidirsi, qualcosa dentro di lei farsi sempre più piccolo.
Ad occhi chiusi riusciva a vedersi dentro, a vedere la sua
fragilità esposta al mondo esterno. Senza nessuna protezione.
L'hostess
tornò con la sua cena a base di carne. La ringraziò con
un ampio sorriso, silenziosamente grata per averla distratta da quel
ricordo spiacevole.
─ Ha fatto una buona scelta.
Si
voltò alla sua destra e notò per la prima volta la donna
che le sedeva accanto: le rivolgeva un sorriso cortese e luminoso.
─
Non che il pesce sia brutto; ma vede...─ si avvicinò appena in
segno di complicità,─ sa di tutto fuorché di pesce!
Agnes si ritrovò a ridacchiare.
─
Piacere, Adina Marshall.─ si presentò porgendole la mano. La
pelle ambrata, gli occhi scuri e dalla forma particolare, così
come la leggera difficoltà con cui aveva pronunciato il suo
cognome suggerirono ad Agnes che non si trattava della classica donna
inglese.
─ Piacere, io...
─ Agnes Dayle, ovviamente.─ la interruppe l'altra. ─ L'ho vista praticamente tutti i giorni, nelle ultime settimane.
Agnes
trascorse la mezzora successiva ad annuire educatamente mentre la donna
le raccontava la sua vita. Adina aveva origini brasiliane, aveva avuto
un discreto successo come modella, ma aveva abbandonato le passerelle
quando un giovane Lord inglese le aveva proposto di sposarlo.
Agnes
finse di ignorare la nota malinconica che aveva adombrato gli occhi di
Adina quando le aveva raccontato che durante le sfilate anziché
guardare i begli abiti, si perdeva ad osservare le modelle, le loro
espressioni e i loro gesti.
─ Va a Londra per motivi di lavoro?─ le domandò guardandola con occhi curiosi e vitali.
Maggio
"Ciao, Agy."
Quando
sentì la voce di Colin, la tenerezza con cui aveva pronunciato
il suo nome, gli occhi si inumidirono e portò una mano alla
bocca per bloccare la commozione, come se se ne vergognasse.
"Non
parli?" insistette lui. E Agnes immaginò il sorriso che doveva
illuminargli il volto mentre pronunciava quelle parole.
"Così
non vale: se mi chiami così, non posso non piangere,"
cercò di scherzare mentre con l'indice cacciava via le lacrime
dagli occhi.
"E' quello che meriti dopo tutto questo silenzio."
"Colin, io..."iniziò a scusarsi, ma lui la interruppe subito.
"Agnes,
sto scherzando. Non ti nascondo che in questi mesi ho provato anche
rabbia nei tuoi confronti. Ma adesso...Non voglio nessuna spiegazione."
concluse calmo e rassicurante.
Lei rimase in silenzio nel tentativo di calmarsi e non farsi prendere dall'emozione.
Poi
parlarono e ad Agnes sembrò di essere seduta sul vecchio divano
di casa o su una panchina di Hyde Park. Certo, c'era quel confine che
non doveva mai essere superato: dovevano stare attenti a non parlare di
ciò che li aveva divisi per tanto tempo. Ma fu più facile
del previsto: Colin le raccontò delle riprese, degli attori e di
Chuck Royce; lei parlò delle città che aveva visto, di
eccentrici fotografi e di simpatici episodi che l'avevano interessata.
Una
parte di lei ammirava la facilità con cui avevano recuperato la
loro complicità. Ma c'era anche quell'altra parte, quella che si
sentiva in colpa per tutta la felicità che le stava regalando
quel momento insieme a Colin.
Era
la stessa parte che l'aveva spinta a rinunciare all'amico, una parte
che in ogni caso aveva messo a tacere quando aveva deciso di
telefonargli.
Nel
corso dei mesi l'aveva osservato da lontano, grazie agli articoli di
giornale e alle interviste; e, nonostante le critiche e le domande
insinuanti, questo le aveva permesso di assistere al suo lento
cambiamento: Colin non si nascondeva più dietro battute
spiritose e frasi strampalate; era serio e con le sue risposte
trasmetteva un equilibrio tutto nuovo.
Quella
sera, nell'appartamento che aveva affittato lì a Parigi, Agnes
aveva guardato in tv l'ennesima intervista di Colin e, non appena la
giornalista aveva nominato lei e Ian, era rimasta disarmata davanti al
sorriso tirato e allo sguardo malinconico dell'amico. E si era arresa.
"Mi piacerebbe essere presente la sera della prima."
Per una volta fu Colin a tacere in difficoltà.
"Piacerebbe anche a me." mormorò dopo un po' di tempo.
"Ci
sarò! Tra qualche giorno andrò a New York per alcune
sfilate di Ferragamo. Sarò impegnata fino ai primi di luglio. Ma
il 20 sarò lì con te, promesso."
Grazie
ad Adina il tempo sembrò scorrere più rapidamente. Era
una persona molto loquace e allegra, ma affatto invadente; rispettava i
suoi silenzi e la distraeva dai pensieri più tristi. Guardarono
un film e lo commentarono ampiamente dopo che fu finito.
A
un certo punto, però, Adina si assopì e Agnes, fin troppo
sveglia, controllò l'ora: erano ancora le due di mattina,
secondo il fuso di New York. Poiché mancavano ancora due ore di
viaggio, cercò qualcosa per impiegare il tempo e lo trovò
proprio sul tavolino davanti al sedile di Adina. Allungò la mano
e prese la rivista.
Appena ebbe sfogliato le prime pagine, però, rimpianse la sua scelta: c'era un intero articolo dedicato a Ian.
Come
tutte le volte, non poté impedirsi di leggere nella speranza di
scoprire qualcosa di lui. Ma le bastarono alcuni righi e le immagini
per comprendere ancora una volta che non c'era traccia del suo Ian.
L'articolo
parlava di un esibizionista pronto a tutto pur di fare scalpore; di un
musicista che sprecava il suo potenziale con droghe e alcol; di denunce
e arresti per lesioni e, infine, di una tournée andata
complessivamente bene ma senza l'entusiasmo che aveva contraddistinto
le prime esibizioni dei Fifth Beatle.
Il
rapporto tra Ian e i giornalisti si era fatto ancora più teso e
complicato: i fotografi gli stavano sempre con il fiato sul collo,
perennemente pronti a ritrarlo in atteggiamenti scandalosi e
mortificanti; lui, invece, era del tutto imprevedibile: c'erano volte
in cui sembrava cercarli per dare il peggio di sé, cosa che
aveva fatto quando nel corso di una festa aveva aperto le finestre e,
insieme ad altri uomini visibilmente ubriachi, aveva quasi buttato dal
primo piano una ragazza; e c'erano volte in cui si mostrava
insofferente a qualsiasi attenzione, chiudendosi in un silenzio carico
di tensione e arrivando in certi casi a picchiare quei fotografi
particolarmente insistenti.
Agnes
odiava gli articoli dedicati a Ian, perché ogni volta la
illudevano di poterlo ritrovare, anche per un solo momento; odiava
quelle fotografie, perché ritraevano un guscio vuoto e uno
sguardo vacuo; e ancora di più sentiva di odiare i giornalisti e
i fotografi, colpevoli, con la loro inopportuna invadenza, di
accelerare l'inesorabile caduta di cui lei era stata la vera
responsabile.
Agnes lo sapeva ormai da tempo: era colpa sua.
Febbraio
"Agnes, per favore..."
"Cosa c'è adesso?" domandò infastidita senza nemmeno sollevare lo sguardo dal tablet.
Vide
di sfuggita Astrid fare uno sbrigativo cenno di scuse alla truccatrice
e, appena quest'ultima si fu allontanata, tornò a parlare con
quel tono piccato che tanto detestava.
"Guardati... Non riesci a farne a meno neppure quando sei a lavoro."
"Ma che dici? Stavo cercando di ingannare il tempo mentre Isobel mi truccava."
"Ah, ingannare il tempo..."ripeté l'altra malevola. "E come? Cercando articoli e foto su un certo musicista?"
Agnes
poggiò il tablet sul tavolo e si voltò finalmente a
guardarla: l'ansia e la preoccupazione erano fin troppo evidenti sul
volto di Astrid; ma non poteva e non voleva darvi importanza in quel
momento.
"Non sono affari tuoi."
L'amica scosse la testa mentre un sorriso beffardo prendeva spazio sul suo viso.
"Ma
lo diventano quando ti trovo in lacrime dopo la sua ennesima bravata,
vero? Agnes, devi lasciarlo andare. Se continui così..."
"L'ho
già lasciato." la interruppe con voce improvvisamente acuta.
Fece un profondo respiro per calmarsi e tornò a parlare: la voce
forzatamente bassa. "Sarà infantile, forse masochista, ma hai
ragione: non posso farne a meno. Io devo sapere come sta, cosa gli
succede."
Astrid fece per parlare, ma uno sguardo di Agnes la fece desistere.
"Ti prometto che cercherò di non piangere più. Ma adesso lasciami stare."
Nel
pronunciare le ultime parole aveva abbassato lo sguardo e ripreso il
tablet tra le mani. Mentre Astrid si allontanava, probabilmente per
cercare la truccatrice, Agnes si vide comparire sullo schermo le
immagini di un noto locale londinese e di due persone avvinghiate su un
divano rosso.
Non
ebbe bisogno di leggere la didascalia per capire di chi si trattava.
Avrebbe riconosciuto ovunque quelle dita affusolate che stringevano i
capelli castani della donna.
Ian.
Non
si concesse né lacrime né espressioni di dolore
mentre scorreva le foto una dietro l'altra. Si fermò solo quando
ne trovò una in cui si intravedeva il suo volto, e in
particolare gli occhi. Quello sguardo parlava di sfida e rancore ed era
lo stesso che l'aveva ferita la notte in cui era venuta meno alla sua
promessa. Quello sguardo era per lei.
Era colpa sua.
Assorta
com'era nei suoi pensieri, impiegò qualche secondo per capire
l'origine dell'improvviso chiarore all'interno della cabina: in
lontananza stava nascendo il sole. Stranita guardò l'ora per poi
ricordarsi del fuso orario. Si stava avvicinando all'Europa, stava
arrivando a casa.
Ma quell'alba così repentina lasciò spazio, dopo pochi minuti, a una luce molto più intensa.
Era
come se negli ultimi mesi il tempo si fosse fermato e adesso, a un
passo da Londra, era tornato a correre troppo rapidamente e a prendersi
gioco di lei, senza darle altra possibilità se non quella di
lasciarsi trascinare dalla sua forza ineluttabile.
***
Era
una calda domenica estiva; ma i londinesi rimasti in città non
sembravano troppo scontenti di non trovarsi su una spiaggia assolata: i
prati di Hyde Park erano gremiti di ragazze distese al sole e di
ragazzi occupati ad inseguire un pallone; delle barchette si muovevano
pigre sul Serpentine, la cui superficie era increspata da onde vivaci;
c’era poi chi si ostinava a leggere all’ombra di un albero
nonostante le occasionali urla dei bambini che, divertiti, cercavano di
catturare gli scoiattoli o le oche.
Seduta
su una panchina posta sulla riva del lago, Agnes ricordò i primi
tempi della sua vita lì a Londra, e in particolare come fosse
solita rifugiarsi in uno di quei grandi parchi e trascorrere il suo
tempo ad osservare la gente che le passava accanto. Era qualcosa che
non faceva da tempo, un lusso che non si era più potuta
permettere.
Dentro
Agnes non c’era un vuoto da colmare, ma tutto il contrario. Anni
prima aveva desiderato qualcosa di più che una semplice
esistenza in un piccolo angolo di mondo, ma non aveva idea che ci
sarebbe stato un simile prezzo da pagare. Dentro di lei, infatti, non
c’era spazio per nulla: né amicizie né amori,
né interessi né passioni. Tempo addietro aveva avuto
tutto quello che aveva sempre desiderato; poi le circostanze glielo
avevano sottratto e lei aveva perso interesse per ciò che la
circondava.
Non
c’era niente che potesse competere con quello che le aveva
regalato Londra. Non c’era nulla con cui barattare ciò che
le era rimasto della sua passata felicità.
─ Sei sempre stata un tipo sentimentale.
Non dovette impiegare neanche un momento per riconoscere la voce che aveva parlato alle sue spalle.
─ Proprio questa panchina poi…
Quando
sentì le mani posarsi sulle sue spalle, piegò il capo nel
tentativo di cacciare via le lacrime. Non voleva mostrargli per
l’ennesima volta la sua fragilità. Voleva solo
sorridergli, senza nessuna nota malinconica a rovinare
quell’incontro.
─ Come hai fatto? Hai dovuto scacciare malamente il povero vecchio che l’aveva già occupata?
E sorrise scuotendo la testa: era sempre lui, non avrebbe detto nulla sui suoi occhi umidi.
─
No, ho dovuto pagarlo.─ rispose mentre si voltava a guardarlo.
Poteva avvertire lei stessa come il sorriso che le illuminava il viso
fosse il più sincero degli ultimi mesi.
E
nonostante tutto, quando incontrò gli occhi verdi e luminosi di
Colin, non pianse: la felicità era così grande da
impedire a qualsiasi altra emozione di sopraffarla.
Non
appena le si sedette accanto, Agnes ebbe bisogno di toccarlo, per
essere certa che fosse proprio lì con lei: gli prese una mano
tra le sue.
Iniziarono
a parlare quasi subito, senza nessuno strano imbarazzo né
recriminazioni: c’era solo la voglia di parlare e di assaporare
la voce dell’altro. Quando Colin le raccontava qualcosa di cui
lei era già a conoscenza, Agnes lo ascoltava comunque senza
fermarlo o mettergli fretta; e da come la guardava, anche Colin
sembrava preso da quella stessa smania.
Si
interruppero solo quando cominciarono ad avvertire fame e decisero di
lasciare la panchina che avevano occupato nell’ultima ora.
Mentre camminavano verso l’uscita del parco, Agnes si fermò bruscamente.
Attirato dal suo borbottio carico di astio, Colin si fermò a sua volta e si voltò a guardarla incuriosito.
─ Che c’è?
─ Fotografi.─ rispose facendo un cenno ai due tizi che poco più avanti li stavano già fotografando.
Colin si strinse nelle spalle e, dopo averle preso la mano, se la trascinò dietro.
─ Non ci pensare. Gli passeremo davanti, faranno le loro foto e poi ce ne andremo a pranzo.
Nelle
città in cui aveva vissuto negli ultimi mesi, Agnes aveva smesso
di essere oggetto della morbosa curiosità dei tabloid e dei
paparazzi. Nonostante il suo nome fosse ormai associato ai grandi
stilisti e alle più rinomate case di moda, a Parigi e a New York
Agnes Dayle era una semplice modella e non l’apice di un
allettante triangolo amoroso.
Non era più abituata a quell’attenzione; non le era mancata e non la voleva.
Colin
tornò a parlare con quel tono allegro e incurante che aveva
caratterizzato le loro chiacchiere fino a quel momento. Voleva
distrarla, questo era chiaro; ma quell’indifferenza la
colpì comunque.
─ A te non danno fastidio?─ sbottò all’improvviso.
Colin la guardò con una strana smorfia sul viso.
─
Ci sono abituato.─ rispose tranquillo. ─ E a dirla tutta credo che li
abbia mandati qualcuno della produzione!─ le rivelò senza
dare cenno di impazienza.
Dopo aver riso davanti alla sua espressione incredula, riprese a parlare.
─
Funziona così, tesoro. Io sono lo strumento per pubblicizzare il
film e credimi, ricorrerebbero a qualsiasi cosa pur di assicurare
successo al film.
─ E tu li lasci fare?
─ Ho la fortuna di fare quello che ho sempre sognato. Non mi sembra un prezzo così caro…
Presa
com’era dalle parole di Colin e da quell’espressione seria
e risoluta che poche volte gli aveva visto, Agnes si rese conto troppo
tardi di essere arrivati davanti ai fotografi. Non ebbe nemmeno il
tempo di mettere su la maschera di indifferenza che in passato
l’aveva sempre salvata da quelle situazioni.
Così,
quando i fotografi iniziarono a fare domande insinuanti apposta per
provocarla, lei non si mostrò affatto preparata.
─ Siete tornati insieme?
─ Perché ha lasciato Londra?
─ Ha perdonato Colin per i suoi tradimenti?
─ Dove avete lasciato Ian?
Agnes
si fermò fremente di rabbia e li guardò con sufficienza
uno per uno. Stava per parlare quando avvertì la mano di Colin
stringere la sua in segno di avvertimento.
Ripresero
a camminare e, solo quando furono nell’auto di Colin, si accorse
del peso che aveva sullo stomaco. Detestava quell’aspetto del
mondo in cui aveva scelto di vivere. Poteva sembrare un’ingrata
forse, ma era più forte di lei: cosa c’entrava quella
intromissione nella sua vita personale con il suo lavoro? Chi diceva
che dovevano pagare un prezzo per il successo?
Uno strano brivido la colse quando si domandò quanto potesse essere alto il prezzo da pagare.
Durante
il pranzo riuscirono ad accantonare il fastidioso episodio e ripresero
a chiacchierare allegramente del più e del meno:
l’argomento intorno al quale ruotava la loro attenzione era
l’uscita di Somewhere, Somehow.
─
E quindi avrò l’onore di vederti in smoking?─ lo prese in
giro quando le ebbe raccontato del suo disperato tentativo di
convincere la produzione che quel tipo di abbigliamento non fosse
adatto a lui.
Stranamente Colin non rispose alla sua battuta, ma le rivolse uno sguardo particolare: era dolce e carico di malinconia.
─ In realtà vorrei parlarti proprio di questo…─ disse con tono improvvisamente serio.
─ Che c’è? Non hai trovato un biglietto per me?─ chiese senza capire dove volesse arrivare.
Le sorrise mentre con una mano si lisciava la guancia ricoperta di un sottile strato di barba.
─ La prima è il venti luglio…
─ Questo lo so.
Ogni traccia di sorriso era venuta meno; si guardavano attenti, come a volersi valutare a vicenda.
─ Quella sera c’è il suo ultimo concerto.
Quelle
parole la colpirono da qualche parte dentro di lei, costringendola a
scostarsi da Colin…come se fosse stata ferita davvero.
─ So anche questo.─ gli rispose fingendosi indifferente.
─ Voglio che tu vada da lui.
Ebbe
l’impulso di alzarsi e dargli uno strattone, uno schiaffo,
qualsiasi cosa pur di togliergli quell’espressione convinta dal
viso. Ciò nonostante riuscì a mantenere il controllo di
sé, ma quando parlò la sua voce uscì gelida.
─ Credo che questa scelta spetti a me.
─
Agy, ascoltami. Mesi fa hai scelto me, hai anteposto me a lui. Lo
apprezzo e ti sarò grato per sempre; ma ora Ian ha bisogno di te.
Deglutì a fatica mentre si stringeva le braccia addosso, come a volersi proteggere.
─ Io l’ho lasciato per me stessa; tu non c’entri nulla.
Lo vide annuire, ma senza perdere quel cipiglio sicuro con cui le aveva parlato fino a quel momento.
─ Se non provi più nulla per lui, allora fallo per me: va’ al concerto e accertati che Ian stia bene.
Davanti al suo silenzio, Colin si mise una mano in tasca e tirò fuori due biglietti.
─
Questo è il pass per la prima del film. Se verrai sarò
felice di averti accanto,─ le spiegò mentre ne posava uno vicino
a lei. ─ Questo invece è il numero dell’agente di Ian. Si
chiama Wilson, non so se ricordi. Basterà una tua telefonata e
ti farà entrare.
Occupata a guardare i due biglietti, lo sentì mormorare piano: ─ Pensaci.
***
La notte prima aveva fatto uno dei suoi soliti incubi: erano venuti a
trovarlo i suoi fantasmi e lo avevano processato per tutte le sue
debolezze. Suo fratello Daniel lo aveva accusato di inettitudine,
rinfacciandogli che lui aveva avuto almeno il coraggio di togliersela
quella vita che non aveva saputo mandare avanti; i suoi genitori lo
avevano accusato di aver convinto il fratello ad uccidersi, nella vana
e ridicola speranza di ricevere il loro affetto; il suo maestro di
musica lo aveva accusato di essere stato un totale spreco di tempo.
In
quel momento stava scontando la sua pena: suonare su un palco vuoto
davanti a migliaia di persone, il che rappresentava il suo più
grande desiderio e la sua più grande paura.
Qualche
ora prima era successo di nuovo: per tutto il giorno si era ripetuto
che tutto sarebbe andato bene e che non ci fosse nulla da temere; poi,
quando mancava poco meno di mezzora all’inizio del concerto, era
tornato il familiare peso al petto e il respiro si era fatto doloroso.
Il suo corpo aveva manifestato così ciò che lui si
ostinava a ignorare: il suo rifiuto di salire sul palco. Quel male lo
prendeva tutte le volte che doveva dare inizio a un concerto, ma per
fortuna Ian aveva scoperto qualcosa che riuscisse a farglielo passare
per tutta la durata dell’esibizione.
Giunto
quasi alla fine del concerto, però, gli effetti dell’LSD
andavano scemando. Aveva la sensazione di trovarsi sull’orlo di
un precipizio, il timore che a momenti sarebbe sprofondato in quella
realtà che tanto lo spaventava.
Concluse
la canzone e, mentre la folla urlava parole sconnesse e
incomprensibili, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro nel
tentativo di cacciare via l’ansia che lo aveva preso.
Quando
riprese a cantare, distolse lo sguardo dal pubblico e lo portò
su un angolo alla sua destra. Aveva chiesto a Wilson di lasciare quello
spazio vuoto e di vietare l’ingresso a chiunque; l’agente
aveva accolto quella strana richiesta, senza nemmeno cercare
spiegazioni.
Scosse la testa appena gli fu chiaro che l’LSD stava facendo ancora il suo effetto.
In
quell’angolo poco illuminato, dove lui aveva l’abitudine di
rifugiarsi quando lo prendeva l’ansia, c’era lei.
Stava
all’in piedi a braccia conserte. Purtroppo non poteva vederla
bene in viso: era troppo lontana. Evidentemente anche le sue
allucinazioni si prendevano gioco di lui. Ma poco importava: avrebbe
guardato la sua allucinazione e avrebbe cantato per lei.
Con
la sua musica e la voce rauca le parlò del vuoto che aveva
dentro e di come era la sua vita senza lei, le chiese perdono per tutto
ciò che le aveva fatto, la pregò di tornare. E per tutto
il tempo desiderò che lei fosse davvero lì, che non fosse
una maledetta allucinazione.
Quando la vide voltargli le spalle, trattenne il respiro e per un attimo dimenticò le parole della canzone.
Forse per una volta aveva ottenuto ciò che voleva.
Ma nel momento stesso in cui quella fievole speranza lo ferì, l’angolo tornò vuoto.
Per
il resto del concerto, che scivolò via con una lentezza
esasperante, Ian non osò più guardare in quella
direzione: dopo la sua comparsa, non avrebbe più potuto
sopportare la vista di quell’angolo buio.
Arrivato
nel camerino, si ritrovò nervoso e irrequieto: non riusciva a
stare fermo, si portava continuamente le mani tra i capelli, si
guardava intorno confuso. Sentiva di dover fare qualcosa, di dover
capire se quella sera, dopo mesi di silenzio e assenza, lei era stata
davvero a pochi passi da lui.
Prese il cellulare e fece quella dannata telefonata.
Stava
quasi per riattaccare, quando all’altro capo del telefono una
voce affaticata e assonnata disse “pronto”.
─ Sono Ian…─ disse con tono distaccato.
─ Sì, me l’aveva suggerito il display del cellulare.
Ian
si sistemò su una poltrona, senza preoccuparsi di nascondere il
sorriso pigro che gli era appena comparso sulle labbra.
─ Com’è andata la prima del film?
─ Non c’è male. Dopotutto è solo l’inizio…
─ Sei sempre stato bravo a fingerti spavaldo.─ commentò sorridendo.
─ A te com’è andato il concerto?
─ Non c’è male. Dopotutto era l’ultimo.─ rispose usando lo stesso tono indifferente dell’altro.
Cadde un pesante silenzio e fu Colin a interromperlo, andando finalmente al punto.
─ Perché questa telefonata?
─ Lei…─ disse a fatica, ─ Lei era qui stasera.
Se
fino a un momento prima aveva avuto un minimo dubbio che l’avesse
solo immaginata, ormai era sicuro: glielo aveva suggerito il tono per
nulla sorpreso con cui Colin aveva accolto la sua telefonata.
─ Sì, lo so.
Benché ormai se ne fosse convinto, quella conferma fredda e noncurante gli tolse comunque il respiro.
─ Io non capisco.─ ammise confuso.
─ Cosa c’è da capire?─ gli domandò l’altro infastidito.
─ Colin, sono passati mesi. Io credevo che…
─
Cosa credevi?─ sbottò all’improvviso. ─ Che se avessi dato
il peggio di te, Agnes ti avrebbe cancellato? Che bastassero foto
patetiche e articoli disgustosi per farla dimenticare?
─ In tutta onestà non so più cosa pensare. Ti ho telefonato proprio perché voglio capire.
─ Mi hai telefonato perché sei un idiota. Non è a questo numero che devi cercare spiegazioni.
─ Lo so, ma dopo tutto questo tempo…
Nervoso,
prese una sigaretta dal pacchetto e, solo quando se la mise tra le
labbra, si rese conto che in realtà si trattava dello spinello
che qualche ora prima aveva nascosto lì. Lo accese comunque e
fece un tiro lento e profondo.
─
Senti, sono solo stronzate.─ lo interruppe per l’ennesima volta.
─ Hai paura e lo capisco. Ma lei stasera era al concerto, ha scelto di
essere lì con te.
─ Non mi ha cercato però.─ commentò lapidario.
Se
veramente avesse voluto tornare da lui, si sarebbe fatta vedere. Invece
era andata via proprio quando lui l’aveva notata.
─
Ian, stavolta tocca a te.─ gli rispose duro. ─ E credimi, se neanche
stavolta farai nulla, io farò in modo che lei si dimentichi
davvero di te.
Mentre un nuovo tiro gli fece andare in fiamme la gola e i polmoni, guardò la cenere cadere ai suoi piedi.
─ Ne saresti in grado?
─ Sì, ci riuscirei.─ gli rispose semplicemente.
─ Se fossi meno egoista credo che te lo lascerei fare.
─ Se fossi più egoista credo che lo avrei fatto già da tempo.
Ian
si morse un labbro nervoso e parlò solo quando ebbe fatto un
ultimo tiro particolarmente profondo ed ebbe spento lo spinello sul
posacenere.
─ Dove la trovo?
***
Si
sistemò sul divano e dalla tasca dell’elegante smoking
tirò fuori il pacchetto di sigarette; poi, resosi conto di non
aver voglia di fumare, lasciò cadere il pacchetto accanto a lui.
Rivolse un’occhiata tetra all’altra mano, quella che ancora
stringeva il cellulare che aveva usato fino a un attimo prima.
Quando
aveva finito di dettare il nuovo numero di Agnes e l’indirizzo
dell’hotel in cui alloggiava, per diversi minuti nessuno dei due
aveva più parlato: erano rimasti in silenzio, ognuno preso a
ricordare come fossero arrivati a quel punto.
In
quei lunghi minuti Colin avrebbe voluto dire tante cose, iniziando con
delle semplice scuse: si sarebbe scusato non per aver scelto una strada
diversa da quella che avrebbe voluto Ian, ma per non averne parlato
quando era in tempo; sì, gli sarebbe piaciuto scusarsi per non
aver creduto nella loro amicizia e per aver pensato che senza
quell’interesse ad unirli non ci sarebbe stato nient’altro
che li avrebbe tenuti insieme.
Nel silenzio di quella telefonata, qualcosa gli aveva suggerito che anche Ian avrebbe voluto scusarsi.
Ma
poi Colin si era detto che meritavano di più che delle scuse
frettolose per telefono; si era convinto che avevano molto tempo a
disposizione e la loro amicizia avrebbe potuto aspettare un altro
po’; e così, quando aveva parlato, gli aveva detto
semplicemente di andare da lei.
─ Chi stavi minacciando al telefono?
Quella
domanda assonnata e velata da un cenno di ironia lo colse alla
sprovvista. Assorto com’era nei suoi pensieri, non l’aveva
sentita arrivare alle sue spalle.
─ Un idiota.─ rispose con un ghigno stentato.
La
osservò sedersi sul divano e portare entrambe le gambe sul
cuscino; davanti al suo abbigliamento discinto e l’espressione
del viso appena corrucciata, si sentì in colpa per averla
lasciata da sola in camera. Si stava per scusare, quando lei gli fece
un’altra domanda.
─ E chi convincerai a dimenticarsi di Ian?
Le
rivolse uno sguardo fintamente severo ma, anziché accusarla di
aver origliato la telefonata con Ian, la abbracciò e la
avvicinò a sé.
─
Nessuno. Non credo sia possibile e non lo farei in ogni caso.─ le
mormorò all’orecchio, mentre le mani scivolavano sui suoi
fianchi.
Ben
lontana dall’essere ammaliata dalle sue carezze, Serena si
voltò all’improvviso verso di lui e quasi lo colpì
sul naso.
─ Perché l’hai fatto?
Scosse la testa esasperato, ma quando le rispose usò un tono serio: ─ Perché merita di essere felice.
─ Agnes?
Lui
le rivolse un sorriso indecifrabile e si sistemò meglio sul
divano. Le rispose tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
─
Sì, anche Agnes. Ma nonostante lei non lo creda possibile,
nonostante negli ultimi mesi abbia praticamente rifiutato di mandare
avanti la sua vita, Agnes potrebbe essere felice anche senza di Ian.
Forse sarebbe quel tipo d’amore che richiede troppi compromessi,
qualcosa di tiepido che per quanto ci provi non ti riscalda mai dentro.
Ma il tempo l’aiuterebbe a dimenticare e ad accettare una
felicità mite, ma continua.
Ian
è diverso: non è fatto per i compromessi; una volta
scelto qualcuno, quella scelta è assoluta e non ammette
condizioni o ripensamenti; lui ama e lo fa fino in fondo ed
inevitabilmente esige di essere amato con la stessa folle
intensità. Un amore tiepido non fa per Ian, quel genere di amore
lo ucciderebbe.
***
Le era mancato girovagare per le strade di Londra senza una meta.
Abbandonato il concerto, aveva preso un taxi che l’aveva lasciata
a Piccadilly e da lì aveva proseguito a piedi, perdendosi tra i
vicoli affollati di giovani turisti che non l’avevano
riconosciuta. Era qualcosa di straordinariamente confortante.
Quando
giunse davanti all’hotel che l’ospitava era quasi
l’alba. Sbuffò al pensiero che di lì a poche ore
avrebbe dovuto essere ad un incontro di lavoro: alle nove di mattina,
infatti, avrebbe conosciuto i membri di un’associazione no profit
che da tempo cercavano di mettersi in contatto con lei per un progetto.
Aveva approfittato della sua venuta a Londra per acconsentire
finalmente a quell’incontro.
Il
cellulare tornò a squillare per l’ennesima volta.
Era un numero sconosciuto. Lo ignorò mentre saliva la gradinata
che conduceva all’ingresso dell’hotel. Era sicura che a
telefonare era Colin, desideroso di raccontarle della prima, ma
soprattutto di chiederle di Ian.
Ma lei non aveva nulla da dirgli, perché quella sera non aveva visto Ian.
Richiamò
alla mente il volto emaciato e lo sguardo distante e perso
chissà dove del giovane che aveva osservato sul palco qualche
ora prima; poi ripensò a come le fosse apparsa fredda la
sua voce e indifferente la sua musica, prive di quella scintilla che
aveva sempre contraddistinto entrambe.
Non c’era traccia di Ian in quell’estraneo.
E
quando si era voltato nella sua direzione e l’aveva riconosciuta,
Agnes aveva dovuto voltargli le spalle. Mentre attendeva che
l’ascensore arrivasse al suo piano, realizzò il motivo di
quella scelta impulsiva: aveva avuto paura di lui e della sua reazione
nel ritrovarsela davanti dopo mesi.
Non avrebbe più potuto sopportare un altro sguardo carico di risentimento da parte sua.
Quei
pensieri accesero dentro di lei il senso di colpa, un vecchio e
amaro compagno ormai. Lasciò l’ascensore e impiegò
un po’ di tempo ad individuare il corridoio in cui si trovava la
sua camera.
Quando vi giunse, però, si dovette fermare.
C’era
un uomo seduto sul pavimento con le spalle poggiate alla parete. Le
lunghe gambe piegate contro il busto e le braccia posate sulle
ginocchia lo facevano apparire come un ragazzino indifeso e
vulnerabile; lo sguardo fisso sulla parete e le labbra serrate
parlavano di un dolore che chissà per quale ragione
sembrava nato insieme a lui.
Non
si era accorto della sua presenza o forse le stava dando la
possibilità di voltargli le spalle e allontanarsi. Chiuse gli
occhi per decidere cosa fare e ripensò a tutte le volte che,
consapevole o meno, Ian l’aveva ferita: c’era un limite al
male che poteva accettare da parte sua e quel limite era già
stato superato.
Avrebbe
dovuto lasciare quel corridoio: lo doveva al suo orgoglio ferito e
all’amore che nutriva per se stessa; lo doveva a tutte quelle
mattine in cui si era costretta ad alzarsi dal letto e alle lacrime che
aveva versato in silenzio; lo doveva a quella parte di lei che a un
certo punto si era spenta a causa sua.
Si
disse tutto questo mentre camminava verso lui. Non poteva fare altro,
perché da quando lo aveva conosciuto ogni passo era stato nella
sua direzione, testardi tentativi di avvicinarsi alla parte
più nascosta di Ian, quella che aveva scorto solo in rare e
preziose occasioni.
Sebbene
avesse mille motivi per andare via, le bastava un’unica ragione
per non farlo: lo amava. Nonostante i suoi difetti e il dolore,
nonostante il tempo e la lontananza, non aveva mai avuto dubbi su
questo: lo amava e lo amava semplicemente, senza ostacoli né
ripensamenti. Anche quando era andata via, ancora di più quando
era andata via.
─ Cosa stai facendo?
Lo
vide sollevare il capo e farle dono di quello sguardo che tante volte
le aveva tolto il respiro: occhi chiari, occhi innocenti di chi ha una
visione tutta sua del mondo e la vede continuamente frustrata dalla
realtà.
─ Aspetto te.─ le rispose con un sorriso incerto.
─
Perché?─ gli domandò cercando di mantenere un controllo
che aveva perso nell’esatto momento in cui aveva messo piede in
quel corridoio.
Anziché
risponderle, Ian si alzò a fatica dal pavimento: la lentezza dei
suoi movimenti, così come le pupille dilatate dei suoi
occhi resero fin troppo evidente le sue condizioni.
─ Come sei arrivato qui?─ chiese senza nascondere la preoccupazione.
La guardò stranito e rispose scrollando le spalle: ─ Guidando.
─ Ian, perché sei qui?─ insistette.
La guardò improvvisamente stanco e quando parlò la voce risuonò ancora più bassa del solito.
─ Voglio solo parlare.
Agnes annuì e, avvicinatasi alla porta, la aprì e gli fece spazio per farlo entrare.
Quando furono entrambi dentro la camera buia, chiuse la porta e accese la luce.
Senza guardarlo andò vicino alla grande finestra e, mentre osservava sorgere l’alba, sorrise.
─ Hai mai notato che i momenti più importanti della nostra storia sono avvenuti di notte o al sorgere del sole?
─ Sì, lo trovi romantico?─ le domandò alle sue spalle.
Agnes scosse la testa in segno di diniego.
─
È come se la nostra storia fosse solo un sogno,─ gli
spiegò senza distogliere lo sguardo dal sole che iniziava a
scorgersi in lontananza. ─ Come se potessimo viverla solo di notte, in
una dimensione che di reale non ha nulla. E non sai cosa significa per
me ogni volta… Poter sfiorare la bellezza del tuo mondo, avere
la possibilità, anche per un solo momento, di vedere la
realtà con i tuoi occhi e poi scorgere l’idea che hai di
me, un’idea perfetta quanto dolorosa.
Ma
poi il sole sorge, portando con sé la realtà. E quel
sogno, così fragile nonostante la sua intensità,
inevitabilmente svanisce.
Lo
sentì avvicinarsi e, non appena posò le mani sulle sue
spalle, socchiuse gli occhi e lasciò scorrere le lacrime: non
avrebbe potuto fermarle neanche se avesse voluto.
─
Mi senti?─ le domandò rafforzando la presa. ─ Questo è
reale. Io sono qui…─ le mormorò all’orecchio.
Agnes
piegò appena il capo fino a sfiorare con la guancia quella di
lui, mentre le spalle tremavano e si facevano più piccole sotto
il suo tocco.
Ian
le posò delicatamente le labbra sulla guancia e rimasero fermi a
guardare il sole sorgere, come a volerlo sfidare a togliere loro quel
legame di cui entrambi avevano bisogno.
***
L’aveva ascoltata parlare senza interromperla e, messo davanti a
tutta quella malinconia, aveva fatto l’unica cosa possibile:
avvicinarsi a lei e toccarla.
Per
tutto il tempo che la tenne abbracciata a sé, Ian cercò
le parole adatte a quel momento: avrebbe voluto scusarsi, raccontarle
di com’era stata la vita senza di lei e dello spazio vuoto che
gli aveva lasciato dentro.
Ma
poi Agnes voltò le spalle alla finestra e finalmente si
ritrovarono una di fronte all’altro e la vista di quegli occhi
blu gli fece dimenticare l’importanza delle parole.
La
strinse a sé e, ignorando il tremore alle mani, la baciò.
Quando sentì le labbra di lei cedere e farsi morbide, qualcosa
lo raggiunse dentro e lo riscaldò fino a bruciarlo: era lei, la
sensazione di averla lì con sé.
Quell’emozione
così intensa, la prima che provava da mesi, lo spinse a
stringere la presa sui suoi fianchi, fino a sentirla mugugnare
qualcosa. Portò la mano sulla sua guancia e la accarezzò
con delicatezza, come a chiederle perdono per la sua irruenza. Ma
scosse la testa, quando gli fu chiaro che non sarebbe riuscito ad
essere cauto come avrebbe dovuto: aveva bisogno di lei, del suo corpo e
del suo abbandono. Voleva sentire quel calore che lo aveva scosso
dentro e così colmare quel maledetto spazio vuoto.
Agnes
si scostò un attimo da lui, puntandogli addosso i suoi occhi
lucidi; lui abbassò il capo per sfuggire a quello sguardo
attento, sentendosi in colpa per aver avanzato simili pretese.
Ma
un attimo dopo lei lo colse alla sprovvista, portandogli le braccia
intorno al collo e riprendendo il bacio che avevano interrotto poco
prima, timida e seducente come solo lei sapeva essere.
Non
poté impedirsi di sorriderle contro le labbra mentre con le mani
percorreva il suo corpo sottile; non le tolse lo sguardo di dosso
mentre lentamente la spogliava e si lasciava spogliare; e non smise di
baciarla, mentre cercavano il letto e, in questa ricerca, urtavano
sedie e facevano cadere oggetti.
Fecero l’amore come se fosse la prima volta, incuranti del sole che si stava sollevando alto nel cielo.
Fecero l’amore come se fosse l’ultima: si persero e si ritrovarono l’uno nell’altra.
E quando la stanchezza ebbe la meglio su di loro, Ian la baciò morbidamente sulla guancia e le rimase accanto.
La
guardò chiudere gli occhi e, nonostante il sonno, si
rifiutò di fare altrettanto. Continuò ad osservarla,
studiando ogni suo tratto e ogni piccola smorfia. Neanche si rese conto
che aveva iniziato a canticchiare tra sé.
─ Cosa canti?─ gli domandò ad occhi chiusi.
─ Niente di che… una canzone a cui sto lavorando da un po’.
─ È bella. Cosa dice?─ sussurrò con voce assonnata.
Ian
sorrise e con un dito le scostò qualche ciocca scomposta dalla
fronte. I capelli erano ancora biondissimi, ma erano cresciuti. Come
anche lei, del resto.
─ Tu mi rendi reale.
─ Ed è una cosa buona?─ domandò con finta ingenuità.
─ Direi stupenda.
Da
quando aveva memoria, a Ian non era mai importato molto di ciò
che aveva intorno: aveva la musica e qualche romanzo e per il resto
trovava ciò di cui aveva bisogno in sé. La realtà
gli era sempre apparsa insidiosa ed estranea, a volte anche
prevedibile.
Poi
aveva conosciuto Agnes ed era avvenuto il cambiamento, lento ma
inevitabile: in lei aveva finalmente trovato qualcosa che lo ancorasse
alla realtà; grazie a lei il suo mondo diventava sostanza,
qualcosa di tangibile con le mani oltre che con lo spirito.
Agnes lo rendeva reale.
─ Che ore sono?─ domandò stiracchiandosi contro di lui.
Ian diede un’occhiata distratta alla sveglia e rispose: ─ Le 8:15. Hai da fare?
Dal brontolio infastidito capì di aver indovinato.
─ Ho un incontro di lavoro.─ gli spiegò mentre si alzava.
Andò
in bagno e tornò poco dopo avvolta in un accappatoio; si
vestì in fretta senza fare attenzione a ciò che indossava
e finalmente si voltò nella sua direzione.
─ Mi dispiace lasciarti da solo; ma ho detto che sarei andata e…
─ Non preoccuparti,─ la interruppe tranquillo. ─ Mi troverai al tuo ritorno.
Agnes gli rivolse un sorriso carico di imbarazzo e gli andò vicino.
─ Bene. A dopo amore.
Un fugace bacio e lasciò la stanza.
***
La doccia calda non aveva aiutato a rilassarlo e, nonostante la
profonda stanchezza, qualcosa gli aveva impedito di prendere sonno.
Un pensiero fisso…
Quella
mattina, quel 21 luglio, sembrava tutto perfetto: tra qualche ora Agnes
sarebbe tornata dall’incontro di lavoro e lui sarebbe stato
lì ad attenderla.
Ma mancava qualcosa perché tutto tornasse al suo posto.
Fu
sufficiente qualche telefonata per scoprire in quale hotel alloggiasse
il suo vecchio amico; si vestì rapidamente, prese le chiavi e
uscì: se avesse fatto in fretta, sarebbe tornato prima di lei.
Quando
ebbe preso posto sul sedile, fu abbagliato da un raggio di sole: era il
giorno giusto per il cambiamento, il momento migliore per mettere a
posto quella parte di lui che era nata sbagliata.
Fermo ad un semaforo, accese la radio e si ritrovò a sorridere non appena riconobbe una delle sue canzoni preferite.
Mentre
a voce bassa accompagnava Morrissey, pensò che gli sarebbe
piaciuto creare qualcosa di così perfetto come Please degli
Smiths: perfetto perché era così breve che, nel preciso
momento in cui eri completamente coinvolto, il pezzo finiva, lasciando
un malinconico rimpianto che non si riusciva mai ad appagare.
A
un certo punto qualcosa riflesso sullo specchietto attirò la sua
attenzione. Tornò a guardarlo e allora capì: una macchina
lo tallonava da dietro. Non servì chissà quale
riflessione per capire che si trattava di qualche fotografo alla
ricerca di notizie.
Allora
scosse la testa e sbuffò irritato ma, appena riportò
l’attenzione sulla strada, qualcosa lo abbagliò
togliendogli la vista.
Il
tempo smise di correre mentre Ian si passava la mano sugli occhi
nell’insensato tentativo di cacciare via le immagini che gli
passavano davanti. Poi un violento fragore e una forza inarrestabile
travolsero il suo corpo.
Il tempo riprese il suo normale cammino.
Ian
non tentò nemmeno di liberarsi dalla ferraglia che teneva il suo
corpo incastrato, ma rimase immobile senza nemmeno chiedersi come mai
si trovasse sull'asfalto rovente e gli occhi fissi sul cielo di
metà luglio.
Mentre
le forze gli venivano meno e sentiva qualcosa di umido scivolargli
lungo la tempia, un pensiero illogico gli attraversò la mente:
c'era qualcosa di profondamente sbagliato nel sole accecante che gli
illuminava il volto.
Avrebbe
preferito il buio, la pioggia, la tempesta. E, invece, si ritrovava
avvolto in una torrida giornata estiva, immerso in una luce calda
quanto beffarda.
Affaticato, socchiuse gli occhi, senza tuttavia distoglierli dal sole.
Mormorò una preghiera a denti stretti, o forse la pensò soltanto. O magari stava sognando ed era morto da tempo.
Ti prego, ripeteva. Ti prego.
Lasciami prendere ciò che voglio.
Almeno stavolta.
Per una volta.
Solo il silenzio accolse quella preghiera. E poco dopo anche la luce sparì dai suoi occhi.
Giunse il buio e se ne andò portando Sutcliffe con sé.
Note:
Pubblico questo capitolo quasi controvoglia. In questi giorni avrei
dovuto studiare, ma Down esigeva di essere scritta e quindi eccomi qui.
Non dirò nulla su questo capitolo, non perché mi manchi
la voglia, ma perché avrei troppe cose da dire.
Credo sia importante precisare cosa succede a Ian mentre è alla
guida. Quando una persona fa uso di LSD può capitare che dopo
giorni o addirittura mesi dall'assunzione subisca il cosiddetto
flashback: un'allucinazione che non può in alcun modo
controllare.
Voglio solo dire questo a chi pensava che Sutcliffe fosse Colin: non
avete sbagliato. Il motivo lo spiegherò nel prossimo e ultimo
capitolo.
Vi lascio la musica che mi ha fatto compagnia in questi giorni: Until we bleed e Tonight di Lykke Li; Blissed and gone degli Smashing Pumpkins; e ovviamente Please, please, please let me get what I want degli Smiths di cui vi consiglio di leggere il testo.
Ora devo uscire e starò fuori tutto il giorno. Al mio ritorno
risponderò alle recensioni al precedente capitolo. Vi chiedo
scusa per non aver ancora risposto, ma come ho accennato a breve
avrò un esame.
Ringrazio TriggerHappy per lo splendido banner che fa da copertina a Down in a Hole. Ringrazio chi legge e chi recensisce.
Al prossimo capitolo,
Agnes.
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Capitolo 18 *** Sutcliffe ***
Sutcliffe
Sutcliffe
La grande
finestra che dava sul mercato di Brixton era l’unica fonte di
luce e aria nella stanza grigia e anonima che presto sarebbe diventata
il loro soggiorno. Quando ebbero portato dentro anche l’ultimo
scatolone pieno di album, videocassette e dvd, spalancarono la
finestra, nella speranza che l’aria pulita si portasse via
l’odore stantio che aleggiava all’interno
dell’appartamento. Una delle imposte, però, si richiuse
subito e non ci fu verso di farla restare aperta come la sua gemella.
Rassegnati, decisero di riposarsi per qualche minuto: uno si
accomodò sul divano, trattenendo a stento una smorfia di
disgusto per la polvere che si era sollevata; l’altro, invece,
prese la sua nuova chitarra e si sedette sul pavimento.
─ Sutcliffe.
Colin fermò il plettro a mezz’aria e sollevò il capo verso Ian.
─ Perché?
Lo
guardò accomodarsi meglio sul logoro divano che con tanta fatica
avevano portato lì dentro. Quasi sorrise al pensiero della
reazione che avrebbero avuto i suoi genitori alla vista di quella
bettola. Poco importava che non gli avessero rivolto parola per
più di un mese; li conosceva fin troppo bene: alla fine si
sarebbero arresi e lo avrebbero aiutato. Non erano come…
─
Dev’esserci per forza un perché?─ interruppe i suoi
pensieri, mentre si allungava in direzione del tavolino e prendeva una
lattina di birra.
─ Quando si tratta di musica, c’è sempre un motivo.
Lo guardò sorseggiare la birra e sorrise quando imprecò perché troppo calda.
─ E poi cos’ha che non va il tuo cognome?─ insistette sinceramente confuso.
Ian assunse
un’aria pensosa, corrucciata. ─ Non lo so…─ sollevò
le spalle indifferente,─ Non mi sembra più il caso di usarlo,
non per seguire una strada che mio padre detesta…
─ Poi,
sinceramente, non capisco questo legame con Stuart Sutcliffe.─
commentò cercando di riportare l’attenzione sulla sua
chitarra,─ Non era nemmeno un vero musicista…─ disse mentre
lasciava scivolare il plettro lungo le corde.
─ Sutcliffe è…─ iniziò a spiegargli in difficoltà,─ Sutcliffe è un’idea. Solo questo.
Le ultime
parole le aveva appena mormorate e, nella vana attesa che si spiegasse
meglio, Colin lo aveva guardato irritato, ma l’altro neanche se
ne accorse, preso com’era a guardare qualcosa alla sua sinistra.
Seduto
sul pavimento, tra la polvere e gli album dei Pink Floyd, tra vecchie
riviste e amplificatori, Colin si sentiva euforico e impaziente di
iniziare quella nuova esperienza con l’amico; non importava se
gran parte dei loro soldi fosse andata persa nell’acquisto della
sua chitarra e nella caparra per quel decrepito appartamento;
né importava che fossero poco più di due ragazzini
inesperti. Quel giorno aveva il sapore di una promessa, qualcosa che
prima o poi avrebbero gustato sicuramente…era solo questione di
tempo.
Sembrava,
tuttavia, che solo Colin fosse preso da quel senso di aspettativa. Ian
se ne stava in silenzio, sorseggiava una birra che neanche gli piaceva
e teneva lo sguardo fisso sulla finestra. In un primo momento, Colin
pensò che fosse attirato dalle palazzine che si vedevano al di
là di essa; ma seguendo più attentamente il suo sguardo,
si rese conto che oggetto del suo interesse fosse in realtà
l’imposta rimasta chiusa. Gli occhi leggermente socchiusi la
studiavano con attenzione e, dall’espressione corrucciata, fu
chiaro che non vedessero semplicemente una finestra: andavano oltre, un
luogo il cui accesso era precluso agli occhi di Colin.
***
Stare seduto in
macchina lo faceva impazzire. Per tutto il tempo in cui si trovava da
solo su quel sedile posteriore, mentre un estraneo guidava
l’elegante automobile, era costretto a un’inerzia che da
giorni cercava in tutti i modi di evitare. Da giorni…Quasi gli
venne da ridere quando si accorse di non avere idea che giorno fosse.
Doveva essere mercoledì. Il trentuno…Esisteva il trentuno
di luglio? Sì, era il trentuno.
Erano trascorsi
dieci giorni, quindi; ma a lui apparivano come una matassa di
avvenimenti intrecciati tra loro in maniera confusa: corse
all’ospedale, incredulità, telefonate e attesa, lunga ed
estenuante attesa.
Forse detestava quell’immobilismo forzato proprio perché gli mostrava la sua condizione.
Stavolta non
poteva aiutare Agnes: non aveva parole di conforto perché non ne
aveva nemmeno per se stesso né poteva alleviare il suo
dolore, perché solo una persona avrebbe potuto farlo e
Colin lo sapeva fin troppo bene, visto che aveva il suo stesso bisogno.
Ma soprattutto non poteva fare nulla per Ian.
— Siamo arrivati.— lo avvertì l’autista.
In
realtà aveva tenuto lo sguardo fisso sul finestrino e lo aveva
già capito da sé; ma stava cercando di prepararsi ad
uscire dal veicolo.
— Non si
stancano mai…— commentò guardando la piccola folla
raccolta all’ingresso dell’ospedale.
— Le conviene aspettare i ragazzi.— rispose l’altro voltandosi appena verso di lui.
Pochi minuti
dopo venne aperto lo sportello e Colin uscì fuori con un
cappello e un paio di occhiali da sole a proteggerlo da fotografi e
fans. Ripensò a tutte le volte in cui aveva preso in giro Ian
perché ricorreva sempre a questi espedienti; adesso, invece,
comprendeva l’amico: era qualcosa di necessario per proteggere la
parte più vulnerabile di sé dalle intrusioni esterne.
— Colin!— lo chiamavano tutti insistentemente mentre camminava verso l’entrata, scortato dalle guardie.
Ma lui non
rispose a nessuno. Neanche in quei giorni difficili i giornalisti e i
paparazzi li avevano lasciati stare: c’era chi si era introdotto
nell’ospedale alla ricerca di notizie e chi aveva ipotizzato che
Ian non avesse sterzato volontariamente. E poi c’erano gli
ipocriti che piangevano l’ennesimo membro del Club27, lasciandosi
andare a commemorazioni fuori luogo.
Dopo aver salutato qualche medico e infermiere, gli fu dato il permesso di entrare nella stanza di Ian.
Chiuse la porta
con attenzione e prese un po’ di tempo prima di voltarsi. Quando
lo fece, provò un senso di fastidio nel trovare le tende
accostate e la stanza in penombra: c’era il sole al di là
di esse, era un peccato.
Fece qualche passo verso il lettino e si costrinse a rivolgervi lo sguardo.
Alla vista del
corpo fragile avvolto da tubi, bende e gesso, chiuse gli occhi e si
strinse le braccia addosso. Sospirò e lo guardò di nuovo.
Avrebbe voluto scuoterlo e gridargli qualcosa contro.
Già da
tempo aveva capito che quel giorno Ian stava andando da lui e
più volte aveva immaginato cosa si sarebbero detti se fossero
riusciti a vedersi.
Ian lo avrebbe
trovato cambiato, ne era certo. Forse avrebbe visto nei suoi occhi la
stessa sicurezza che anni prima Colin aveva scorto in quelli chiari del
ragazzino che suonava il pianoforte in un’aula vuota: la
sicurezza di chi ha scelto la propria strada ed è pronto a tutto
pur di percorrerla.
Forse alla fine
Ian aveva capito le ragioni di Colin: solo se avesse trovato un
percorso che fosse solo suo, sarebbero riusciti ad essere davvero
amici, senza ombre e senza recriminazioni.
E così era stato. Colin alla fine era tornato. Mancava solo Ian.
***
Aveva trovato
Ian davanti alla finestra, intento ad osservare il violento temporale
che infuriava oltre le imposte spalancate. Stranita, gli aveva chiesto
cosa gli fosse preso e perché se ne stesse lì a prendere
freddo e acqua. Poi lui si era voltato a guardarla con un sorriso
enigmatico e Agnes aveva dimenticato le sue domande.
Quel giorno,
Ian era bello da togliere il fiato. Il suo aspetto era inspiegabilmente
diverso: non era qualcosa di nuovo, qualcosa di cui difettasse gli
altri giorni; piuttosto era la mancanza di qualcosa., una leggerezza
insolita e proprio per questo commovente.
Lo guardò con dolcezza mentre le camminava incontro.
─ Finalmente sei a casa.─ le disse baciandola sulle labbra.─ Mi sei mancata oggi…
─ Guardati, sei
tutto bagnato.─ lo rimproverò scostandosi da lui che, senza
nemmeno risponderle, la riavvicinò a sé facendola
borbottare infastidita.
─ Avevo voglia di uscire, oggi.─ soffiò sulla pelle delicata del collo, provocandole un brivido.
─ Con questo tempo?─ chiese stranita.
Lui sollevò il volto e, dopo averle sorriso di nuovo, le prese la mano e la fece avvicinare alla finestra.
─ Non sono
uscito proprio per non fare borbottare la mia ansiosa ragazza.─ le
spiegò mentre la spingeva ad affacciarsi: lo scroscio della
pioggia era interrotto solo dal fragore dei tuoni; il buio era spezzato
solo da lampi improvvisi.
— Perché te ne stai qua?— chiese spingendolo un po’ con la spalla.
— Te l’ho detto…— le rispose con quel sorriso un po’ storto.— Avevo voglia di uscire.
— Io, invece, volevo solo tornare a casa e starmene al caldo.
—
Va’ a metterti più comoda.— le suggerì
allontanandosi dalla finestra. Mentre entrava nella camera che ormai
condividevano, lo vide armeggiare con i suoi album, forse
indeciso tra quale inserire nel giradischi.
Quando, pochi
minuti dopo, tornò nel soggiorno, lo trovò
comodamente seduto sul divano con i piedi appoggiati sul tavolino: una
mano era ferma tra i capelli umidi e l’altra portava alle labbra
quella che sembrava una sigaretta; la testa si muoveva appena al tempo
della musica e mormorava le parole della canzone.
— Vieni?— le domandò facendole cenno accanto a sé.
Non se lo fece
ripetere neanche mezza volta e gli corse accanto, facendolo ridere. Da
quando avevano fatto l’amore per la prima volta, qualcosa tra
loro si era sbloccato: era come se Agnes avesse trovato la chiave per
accedere al mondo di Ian, quel mondo che aveva solo intravisto
ascoltando le sue canzoni. E il premio per tutta la fatica fatta, per
tutte le incertezze che aveva dovuto sopportare era proprio lì,
davanti a lei: Ian, senza muri a dividerli, né difese a ferirla;
Ian…
— Rock’n’Roll Star?— chiese sollevando le sopracciglia.— Da quando ti piacciono gli Oasis?
La
guardò stranito per un momento e, appena l’ebbe
abbracciata a sé, le rispose scrollando le spalle: —
Praticamente da sempre.
—
Sarà, ma credo che sia la prima volta che li sento in questa
casa…— commentò accoccolandosi meglio tra le sue
braccia. Fattasi più vicina, però, fu attratta da
qualcos’altro.
— Ma cosa fumi?— gli domandò sospettosa.
— Non
fare l’innocentina adesso.— la redarguì mentre,
sollevata la testa, cacciava fuori il fumo dalle labbra. Gli sorrise
colpevole, al ricordo degli spinelli divisi con Colin e a volte anche
con Astrid.
— Infatti
chiedevo perché lo voglio anch’io!— lo sorprese con
un’espressione buffa che lo fece ridere.
— Solo se
prometti di non farmi confessioni imbarazzanti dopo solo un
tiro!— la provocò, allontanando lo spinello da lei, che
prontamente cercò di rubarglielo.
Dopo quel
piccolo battibecco, decisero di dividersi lo spinello e un pacco di
patatine e di innaffiare il tutto con una Guinness. Agnes non seppe
dire né come né quando, ma a un certo punto si
ritrovarono a cantare a squarciagola una canzone: i loro visi erano
vicini, il sorriso di uno sul sorriso dell’altra. E quelle
parole…
Maybe I just want to fly
I want to live I don't want to die
Maybe I just want to breath
Quando la
canzone finì, Agnes si concesse un attimo per guardare Ian:
sorrideva, quel giorno. Le sue labbra erano distese, serene; i suoi
occhi chiari erano lì con lei, non recavano traccia della patina
di malinconia che li adombrava normalmente. Stava disteso sul divano,
rilassato e apparentemente spensierato. La guardava ed era una di
quelle rare volte in cui non sembrava vedere nient’altro che lei.
Era qualcosa di così raro che Agnes avrebbe voluto fermare quel
momento e godere anche del più piccolo particolare.
— Lo so,
mi ami e non puoi vivere senza di me.— affermò fingendosi
comprensivo.— Ma non dirlo, lo so che lo faresti solo per colpa
dell’erba.
— Ma…— esclamò fulminandolo,— Ian Sutcliffe sei proprio un…—
— Nah…Non chiamarmi Sutcliffe.— la interruppe con una piccola smorfia di fastidio.— Non oggi.
Lo
guardò più attentamente e quasi le venne voglia di
mettersi le mani sulle tempie. — Oggi sei più
incomprensibile del solito. Lo sai, vero?— vedendolo scuotere la
testa divertito, continuò a parlare: — E poi
cos’è questa storia di Sutcliffe? Colin mi ha raccontato
che hai deciso di suonare al Kirchherr’s per via del suo nome e
che avete anche litigato per questo! Che c’è, adesso ti
farai chiamare Best?— gli domandò con un sorriso ironico.
—
Agy…— iniziò dopo aver riflettuto un
po’.— La verità è che Stu Sutcliffe ha
vissuto gran parte della sua vita in modo sbagliato, tentando di
fuggire da quella che fin dall’inizio sapeva essere la sua
strada. Quando finalmente aveva trovato il suo cambiamento,
morì.— terminò socchiudendo appena gli occhi.
— Cosa vuoi dire con questo?
— Che
oggi non voglio essere chiamato Sutcliffe.— le rispose sollevando
gli occhi verso di lei, occhi che impiegarono qualche istante prima di
tornare di nuovo sereni. — Solo questo.
***
— Te
l’ho detto, non c’è bisogno.— ripeté
dopo un profondo sospiro. — Mamma, rimani a casa. Se ci sono
novità, ti faccio sapere.
All’altro capo del telefono rispose un mormorio incomprensibile.
— Di nuovo?— chiese incredula,— Mamma, non l’hai nemmeno conosciuto.— commentò spazientita.
— Sì, ma è così triste.— le rispose con la voce rotta.— Così giovane…
— Mamma,
non è morto.— la interruppe nervosamente,— È
in coma e può svegliarsi da un momento all’altro.
Il sospiro
sconfortato di sua madre la fece sentire una bambina ingenua, ma
cacciò subito quella sensazione e senza troppe cerimonie
salutò sua madre e cacciò il telefono in tasca.
Avrebbe voluto
essere l’unica persona al mondo a interessarsi delle condizioni
di Ian. Aveva perso il conto delle persone che avevano telefonato o
erano andate all’ospedale con l’intento di confortarla e si
erano invece trovate a piangere tra le sue braccia. E poi c’erano
quelle che lei stessa teneva alla larga da sé perché
sapeva che sarebbero riuscite a farla crollare. Sì, ad Agnes
sarebbe piaciuto interpretare la parte della ragazzina fragile
confortata da tutti; ma era ben consapevole di non potersi permettere
debolezze.
L’unico
momento in cui aveva davvero ceduto, lasciandosi andare a un pianto
straziante, era stato diversi giorni prima, quel famoso 21 luglio. Non
aveva pianto quando Colin le aveva telefonato nel corso
dell’incontro di lavoro. Né aveva pianto quando, alcuni
minuti dopo, aveva telefonato un incredulo Woody. Lo aveva fatto solo
quando, in hotel, aveva trovato la sua camera vuota: il letto era stato
rifatto, tutto era stato rassettato. Non aveva trovato traccia di lui,
di loro. Come se quella stanza non li avesse mai visti insieme, come se
la notte scorsa fosse stata davvero un sogno.
Poi c’era
stato l’ospedale, con il via vai dei medici e parole di cui
faticava a comprendere il significato: shock emorragico, ipovolemia da
correggere, insufficienza respiratoria, fratture al femore e al bacino.
E dopo era arrivato il peggio e proprio quel peggio era ciò che
in un primo momento non aveva ben capito: emorragia subaracnoidea.
Aveva compreso l’entità del pericolo soltanto quando i
medici avevano nominato qualcosa di noto: coma. Solo di sfuggita aveva
afferrato percentuali di sopravvivenza, ma chissà come queste
erano scivolate subito via dalla sua memoria. Forse era stato un
meccanismo di difesa, forse non era stata in grado di accettare anche
questo.
L’iniziale
spaesamento, però, aveva ben presto lasciato spazio a una forza
nuova, che aveva lasciato tutti sorpresi: quelle parole incomprensibili
erano diventate parte di lei, i medici e gli infermieri erano diventati
volti conosciuti; stava tutti i giorni attaccata al telefono alla
ricerca dei migliori chirurghi dello stato; litigava per ottenere
informazioni precise sulla pressione arteriosa, frequenza cardiaca e
frequenza respiratoria.
Una nuova
Agnes, aveva detto qualcuno. E forse era davvero così: faticava
lei stessa a riconoscersi in quella giovane donna dagli occhi stanchi,
ma decisi; era quasi incredibile come tutti si fossero appoggiati a lei
in quella situazione. Persino i genitori di Ian…
Quando erano
arrivati, Agnes non li aveva accolti con il distacco e il gelo di
Colin. Era stata gentile, per un momento aveva anche abbracciato sua
madre. Sapeva che Ian aveva sofferto molto per il loro allontanamento
e, benché nessuno glielo avesse confermato, aveva anche intuito
che il ragazzo era arrivato persino a sentirsi colpevole ai loro occhi
per quello che era successo a suo fratello. Nonostante questo,
però, non si era sentita di trattarli con sufficienza. Lei li
capiva: era facile amare Ian, volergli bene; meno facile era stargli
accanto, sopportare le sue fragilità. Dopotutto non si era
comportata in modo così diverso da loro: anche Agnes aveva
abbandonato Ian nel momento in cui aveva più bisogno di lei,
voltando le spalle a quel lato del ragazzo che lui stesso detestava
più di ogni altro.
Ora lo sapeva.
Da quando si
erano conosciuti, Ian l’aveva aiutata ad uscire dalla condizione
di anonimato in cui aveva sempre vissuto la sua vita, arrivando persino
a costringerla ad affrontare tutte le sue debolezze e paure. Solo che
lo aveva fatto in silenzio, senza clamore, nel solito modo sfuggente di
chi fa del bene agli altri senza chiedere un riconoscimento. E proprio
per questo, tutti quei gesti erano passati inosservati; stupida e
cieca, non aveva capito cosa avesse fatto per lei: aveva cancellato le
sue insicurezze.
Tranne una.
Quella più importante, quella più dannosa: la
fragilità di un amore sincero davanti alle ombre più nere
dell’altro.
Ora sapeva di
essere fuggita nel momento in cui aveva visto quanto fossero profondi
gli spazi vuoti nell’animo di Ian, con quanta forza fossero
sbarrate certe finestre, come fosse solido il muro. E questa era la sua
colpa più grande: se solo fosse rimasta con lui, se solo gli
avesse mostrato di amare anche le sue difese, Ian avrebbe imparato a
non temere se stesso, ad accettarsi.
Ora aveva capito.
L’amore
vero aspetta. Non lascia mai andare. Lotta. Senza condizioni, senza
cedimenti. Lotta anche quando tutti attorno hanno abbassato lo sguardo,
sconfitti.
L’amore
vero aspetta. Ti troverà, ti verrà a
prendere…Ovunque. Nella vita, nella morte. E se c’è
qualcosa tra la vita e la morte, arriverà anche lì.
L’amore vero aspetta. Fino alla fine, anche dopo la fine.
— Peter, cosa aspettiamo?
Una voce di
bambina la riscosse dai suoi pensieri. Non si era nemmeno accorta che,
mentre ripercorreva le ultime settimane, due bambini si erano seduti
accanto a lei nella sala d’aspetto dell’ospedale.
Vide il
ragazzino più grande rivolgere un’occhiata infastidita
alla bambina che aveva posto la domanda. Si sistemò meglio sullo
scomodo sedile, forse proprio per prendere tempo, e quando rispose, lo
fece con voce brusca: — Aspettiamo che nonno muoia.
Agnes trattenne
il respiro, come se quelle parole dure fossero rivolte proprio a lei.
Con la coda dell’occhio, vide la bambina abbassare un po’
il capo e rivolgere uno sguardo desolato verso la porta socchiusa
davanti a loro: si intravedevano delle persone sedute attorno a un
letto, in silenzio. In attesa.
— Miss Dayle?
Agnes sollevò lo sguardo e ritrovò il volto familiare di uno dei medici che si erano occupati di Ian.
— Di qua, prego.— le fece un cenno gentile verso un’altra porta lì vicino.
Si alzò
a fatica dal sedile e, appena prima di muoversi verso quella porta
chiusa, rivolse uno sguardo a quei due bambini. Poi diede loro le
spalle e si costrinse a fare qualche passo incerto.
L’amore vero aspetta.
***
Era rimasto
appoggiato alla parete per tutto il tempo in cui Agnes aveva parlato.
Le braccia conserte, il capo appena chinato e un’impellente
voglia di fumare. Non si era mosso da quel corridoio che avrebbe dovuto
portarlo alla sala conferenze del Chelsea and Westminster, nella sedia rimasta vuota accanto ad Agnes.
All’ultimo
momento non aveva avuto la sua stessa forza: l’idea di rivivere
quegli ultimi due anni davanti a degli estranei lo aveva paralizzato e,
prima che Agnes iniziasse a parlare, non ne aveva nemmeno compreso
l’utilità, il senso.
Quando le aveva
parlato di quelle perplessità, Agnes gli aveva sorriso e gli
aveva spiegato che era una promessa e lo doveva a tutti e tre. Colin
non aveva comunque capito.
Poi la voce
delicata di Agnes aveva iniziato a raccontare e tutti i suoi dubbi
erano spariti, lasciando spazio unicamente al passato.
“Sentire
suonare i Fifth Beatle, lasciare entrare le parole di Ian era qualcosa
di sconvolgente. Io sono cresciuta con la musica, ma nelle loro canzoni
ritrovavo me stessa e tutte le mie paure…”
La passione che li aveva uniti.
“Quando
io e Colin portammo le mie cose nel loro appartamento, trovai davvero
la mia casa: appoggio incondizionato e caloroso conforto.”
L’affetto.
“Ho quest’immagine nella mente: il sorriso di Ian mentre mi porge la mano per tirarmi fuori dal camerino.”
L’amore.
“Cantavo davanti a una folla di sconosciuti e le uniche persone che vedevo davvero erano loro: Ian e Colin.”
L’unica luce che non sarebbe mai andata via.
— Ammetto
che siamo stati ingenui, a volte anche ingrati. Ogni intrusione nella
nostra vita privata è stata giustificata con qualcosa che
suonava come “siete stati voi a scegliere questa vita”.
E forse avete ragione voi. Ma quello che ferisce è che nessuno
ha davvero tentato di conoscerci: siete stati fin troppo rapidi ad
affibbiarci ruoli e caratteri. E così facendo abbiamo perso
tutti. Ian in particolar modo, perché lui stesso si era
già dato una parte da interpretare e voi avete portato a termine
il lavoro che aveva iniziato .
Ian
è diventato Sutcliffe, l’artista dannato, incapace di
vivere tra le persone comuni. Ma, come vi ho mostrato, Ian era anche
altro. E non raccontatevi che era lui a nascondersi, perché
avreste potuto vederlo in ogni momento: la sua musica e le sue parole
erano delle imposte socchiuse verso la realtà, verso chiunque
fosse disposto a guardare davvero.
Il nemico di
Ian non era né la vita né la realtà, come troppo
spesso io stessa ho pensato; la sua peggiore paura, il suo più
grande turbamento era Sutcliffe, la fragilità di chi vuole
vivere fino in fondo, di chi vuole sentire davvero e non sa trovare il
modo.
Ora Sutcliffe è morto ed è rimasto solo Ian. Vi prego di averne maggiore cura.
***
Qualche ora prima
— Avevi promesso che mi avresti aspettata in hotel.
— Dovremmo smetterla con le promesse. È chiaro che non sono il nostro forte.
Sospirò
quando sentì la sua risata fievole trasformarsi in un pianto
pieno di angoscia. Piegò la testa un po’ di lato e si
sforzò di sorriderle nonostante ogni piccolo movimento lo
facesse soffrire.
— Vieni qui…
La vide respirare profondamente per calmarsi e andargli incontro con passi incerti.
— Sto
bene. Davvero. Non farti condizionare da tutti questi macchinari.
Starò bene.— tentò di rassicurarla. Ma lei non lo
guardava nemmeno in viso, i suoi occhi sfuggivano ai suoi.
— Lo so.— mormorò sfiorando appena le lenzuola che lo coprivano.
La
guardò spaesato e cercò di toccarle la mano, ma lei la
spostò per portarla sul viso e asciugare l’ennesima
lacrima che era scivolata sulla guancia.
— Agy?— la chiamò confuso dal senso di distacco che riusciva ad avvertire.
— Ti ho
aspettato….— disse dopo quella che a era parsa
un’eternità,— Ti ho aspettato e ho fatto di tutto
per arrivare a questo momento. Ti ho aspettato anche quando tutti mi
ripetevano di prepararmi a lasciarti andare. E quando rispondevo che ti
avrei aspettato sempre, nessuno riusciva a capire. L’unico che
avrebbe capito eri tu, ma tu non c’eri.
Allungò la mano e trovò il suo polso sottile. La presa non era salda, ma lei l’avvertì subito.
— Sono qui, amore.
Finalmente i
loro occhi riuscirono a incontrarsi, indifesi e spauriti come mai prima
d’allora: — Eri andato via di nuovo.— sussurrò
mentre nuove lacrime minacciavano di sopraffarla.
La
guardò senza sapere cosa dire per tranquillizzarla, per
cancellare la paura dai suoi occhi. Come la notte in cui era andato nel
suo hotel, non poteva fare altro se non mostrarle come fosse lì,
come anche lui avesse fatto di tutto per tornare da lei.
— C’è una promessa che devo mantenere.— disse improvvisamente.
Ian la guardò stranito: — Quale?
— Voglio raccontare di questi due anni.
— Perché?
—
Perché meritiamo di essere visti davvero, Ian. Soprattutto tu.
Dovrebbero vederti come ti vedo io. E anche tu dovresti.
Nonostante non
ne fosse particolarmente convinto, non poté che annuire quando
notò gli occhi di Agnes illuminarsi a quell’idea. —
Fai pure.— disse alla fine e da come lo guardò capì
di averla sorpresa.
Agnes sorrise e
Ian seppe di aver fatto la cosa giusta. La vide abbassarsi verso lui e
sentì le sue labbra poggiarsi sulle sue delicatamente: non si
sarebbe mai stancato di quella delicatezza.
— Andrà bene dopo…— bisbigliò guardandolo dritto negli occhi.
La porta si chiuse dietro Agnes e, senza nemmeno rendersene conto, Ian si assopì quasi subito.
Quando si
svegliò, gli occhi leggermente socchiusi vennero colpiti da una
luce molto forte. Qualcuno aveva scostato le tende dalla finestra e da
questa facevano capolino i raggi del sole, che arrivavano dritti sul
suo viso procurandogli un piacevole tepore. Per la prima volta
sentì di non avere paura di quella luce, era come se si fosse
riappacificato con essa.
Sapeva che
alcuni spazi sarebbero rimasti sempre vuoti, ma ora capiva che questo
era normale; sapeva che ci sarebbero stati giorni in cui Sutcliffe
avrebbe fatto di tutto per tornare, spingendolo sull’orlo di quel
precipizio in cui era crollato tempo prima e da cui era risalito a
fatica; sapeva che avrebbe avuto la tentazione di lasciare che
Sutcliffe colmasse quegli spazi vuoti con le sue innumerevoli ombre.
Ma c’era qualcuno per cui valeva la pena tentare di aggrapparsi alla realtà.
C’era chi lo avrebbe aspettato sempre.
C’era quel 4 agosto 2013: il giorno del suo ventottesimo compleanno.
Tutto era possibile, quel giorno.
Anche l’impossibile.
***
Quando le imposte sono spalancate
E non temi né il temporale né il sole
Quando finalmente ti svegli
E scopri che Sutcliffe è andato via.
Note d’autore:
Credevo che non
ci sarei mai riuscita e invece eccomi qui: la mia prima long conclusa.
Già al pensiero di pubblicare e inserire ‘completa’
tra gli avvisi mi viene un nodo alla gola, ma mi tocca farlo. Anche
perché vi ho fatte penare abbastanza. Forse il finale di questa
storia lascerà qualcuno deluso e sì, ammetto che mi
dispiacerebbe; ma quello che davvero volevo per i miei protagonisti era
una crescita. E così in realtà Sutcliffe sono tutti
e tre, sebbene in tre modi differenti: Sutcliffe è Agnes quando
ha paura di buttarsi prima, quando ha paura di amare il lato più
oscuro di Ian dopo; Sutcliffe è Colin perché ha messo la
sua vita nelle mani degli altri; Sutcliffe, più di ogni altro,
è Ian perché ha sempre avuto paura di esporsi, persino
nella musica. Sutcliffe è chi sceglie di vivere all’ombra
e di non vedere mai la luce, chi ha paura di cambiare strada per le sue
insicurezze e quando decide di farlo è troppo tardi.
Quindi Sutcliffe è un’idea che muore tre volte nel corso di questo capitolo conclusivo.
La storia è conclusa e io devo smettere di parlare! Ma ci sono alcune cose che mi preme dire.
Mi piacerebbe
conoscere il parere di tutte voi. Capisco che recensire può
venire difficile a volte e se adesso ve lo chiedo è solo
perché mi piacerebbe ringraziarvi tutte personalmente, sapere
cosa vi ha portate fin qui e se questo finale in fondo ve lo
aspettavate oppure no.
Ringrazio tutte
voi per aver voluto trascorrere un po’ del vostro tempo insieme
ad Ian, Agnes e Colin. Ringrazio chi mi ha incoraggiata con pazienza,
anche quando i miei tre personaggi prendevano il sopravvento!
Ringrazio chi ha
segnalato la storia, spendendo parole meravigliose e ovviamente
ringrazio l’amministrazione del sito per averla inserita tra le
storie scelte.
Ringrazio mia sorella, perché senza di lei questa storia non avrebbe mai visto una fine.
Ringrazio Agnes, Ian e Colin per avermi permesso di conoscere lati nuovi di me stessa e affrontarne altri più bui.
Ringrazio quelle persone che sono diventate amiche speciali.
Se avete voglia di seguirmi, qui trovate il mio link su fb e qui trovate la mia nuova storia.
Vi saluto e mando un abbraccio a tutte,
Agnes.
True Love waits
Live forever
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