Down in a Hole

di AgnesDayle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** London Calling ***
Capitolo 3: *** The Fifth Beatle ***
Capitolo 4: *** The Invisible Agnes ***
Capitolo 5: *** Ulysses, I've found a new way ***
Capitolo 6: *** Today is the greatest day I've ever know ***
Capitolo 7: *** Tonight, so bright tonight ***
Capitolo 8: *** There is a light that never goes out ***
Capitolo 9: *** Agnes in the sky with diamonds ***
Capitolo 10: *** You used to be alright, What happened? ***
Capitolo 11: *** Blackberry Stone ***
Capitolo 12: *** Where do his intentions lay? ***
Capitolo 13: *** Outside the Wall ***
Capitolo 14: *** Down in a hole ***
Capitolo 15: *** Despair in the departure lounge ***
Capitolo 16: *** Empty Spaces ***
Capitolo 17: *** Lord knows it would be the first time ***
Capitolo 18: *** Sutcliffe ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


prologo bis



Down in a Hole





Londra, 4 agosto 2013

I giornalisti erano in agitazione. Da ore aspettavano nella piccola sala stampa dell'ospedale "Chelsea and Westminster" senza che nessuno accennasse al motivo della loro convocazione. Nonostante fosse agosto e quella fosse l'estate più torrida a memoria d'uomo, dovettero pazientare: sapevano che ne sarebbe valsa la pena.
Tutti i giornalisti, i soliti in realtà, si confrontavano tra loro, chiedendosi cosa li stesse aspettando. Cercavano indizi negli avvenimenti degli ultimi giorni; tentavano d’interpretare le ultime dichiarazioni.
Se quel mestiere esigeva un gioco d'anticipo, loro ne erano sempre stati all’altezza, tranne quando la notizia riguardava quei tre: Simonon, Dayle e Sutcliffe.
Fin dall'inizio delle loro carriere, l'attenzione dei tabloid si era inevitabilmente concentrata su quei ragazzi dai modi di fare schivi e riservati e, proprio per questo, ancora più seducenti. Ogni aspetto del loro passato, da quello più insignificante a quello più sordido, era stato svelato. Ogni uscita era stata fotografata e i loro atteggiamenti studiati in ogni particolare. Capire che tipo di legame ci fosse tra i tre era diventata l’ossessione di ogni giornalista scandalistico. Chiunque si fosse fatto un’idea del loro rapporto, l’aveva venduta come una verità assoluta, senza provvedere a verificarne l’attendibilità e i tre d’altra parte non si erano mai preoccupati di smentire, disinteressandosi del tutto di quelle storie.

Verso mezzogiorno la modella entrò scortata dalla sua agente e da altri collaboratori: con lei anche il primario di Chirurgia generale dell'ospedale. I giornalisti si mossero impazienti sulle sedie.
Agnes Dayle ancora una volta li spiazzava. Nulla del suo aspetto faceva pensare ai giorni difficili che aveva appena vissuto. Composta. Impeccabile. Un volto limpido, senza trucco. Una semplice camicia bianca su un pantalone blu. Eppure la sua immagine trasmetteva un dolore così insopportabile che smosse l'animo di qualche giornalista. Da cosa traspariva quel dolore nessuno sapeva dirlo con certezza. Forse dalla posizione un po' incurvata delle spalle. Forse da come tremavano le labbra quando scambiava qualche parola con la sua agente. Forse dallo sguardo: i suoi occhi non si fermavano mai su qualcuno; vagavano da un volto a un altro dei presenti, come se al suo passaggio ogni viso scomparisse.
Prese la parola l'agente.
-La signorina Dayle vi ha convocati qui per rilasciare un importante comunicato. Prego tutti i giornalisti di non interrompere la mia cliente; le domande saranno ammesse solo dopo che lei avrà finito. Se qualcuno la interromperà sarà subito allontanato dalla sala. Grazie.
I giornalisti impugnarono i registratori, i cameramen e i fotografi puntarono l'obiettivo sulla modella. Tutti in attesa.
La giovane si sporse appena verso il microfono. Prese un respiro e disse quello che nessuno poteva nemmeno immaginare.
-Oggi Sutcliffe è morto.


Agnes osservò i volti sconosciuti davanti a lei, determinata a non far trapelare nessuna emozione. "Quando verranno a chiederti del nostro amore, un amore così lungo tu non darglielo in fretta". Un ingorgo di parole premeva sulle labbra serrate, ma quella promessa, almeno quella, l'avrebbe mantenuta. Non avrebbe omesso nulla. Avrebbe parlato della grande passione che li aveva uniti, dell'abisso nero e profondo in cui era stato facile perdersi e di un legame, d'affetto e d'amore: l'unica luce che non sarebbe mai andata via.

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Capitolo 2
*** London Calling ***


DIAH 1



London Calling




La vita non poteva essere tutta lì. Agnes voleva di più, molto di più. Quel pensiero la assillava da quando si era diplomata e aveva deciso di interrompere gli studi. Nonostante i suoi genitori avessero tentato di dissuaderla, lei era stata irremovibile: lo studio non era la sua strada. Non perché fosse stupida o svogliata, ma semplicemente perché in quel campo non aveva mai primeggiato e Agnes aveva un'unica certezza: qualsiasi cosa avrebbe fatto della sua vita, lei sarebbe stata la migliore.
L'ultimo anno era volato e non era affatto soddisfatta di sé: mentre le sue ex compagne erano tutte impegnate a sperimentare la vita fuori casa, ad assaporare le grandi città dell'Inghilterra e a programmare il loro futuro, lei era rimasta bloccata nel paesino a fare da semplice assistente al padre. Non poteva crederci nemmeno lei: la popolare Agnes, la ragazza più carina dell'ultimo anno era ancora lì, in quell'angolino di mondo così angusto da non poter contenere nemmeno uno dei suoi tanti sogni.
In quella tiepida sera di settembre, Agnes si sedette su una panchina del giardino di casa, quello stesso giardino, rigoglioso e verdeggiante, che la faceva sentire protetta tanto da superare le sue insicurezze e riuscire a strimpellare la chitarra e a intonare qualche ballata rock dai toni delicati.
Agnes amava la musica. Si può dire che fosse l'unica cosa a coinvolgerla fino in fondo. Sapeva anche di avere una voce particolare che poteva risultare piacevole se controllata, ma le rare volte in cui aveva tentato di cantare davanti a qualcuno che non fossero i suoi genitori o suo fratello, si era sempre bloccata, beccando delle stonature che l'avevano fatta sprofondare dall'imbarazzo. Si accontentava di cantare per sé, tra i roseti del suo giardino.
-Agnes.
La ragazza fermò le mani sulla chitarra e si girò verso la figura slanciata che stava camminando nella sua direzione: Teodore Dayle, stimato medico della piccola comunità di cui facevano parte, si sedette accanto alla figlia e rimase un po' in silenzio.
Paternale in arrivo, pensò scocciata la ragazza.
-Diventi sempre più brava.
Quel commento finì con il sorprenderla: suo padre non aveva mai commentato la sua passione per la musica, nonostante l'avesse ereditata proprio da lui.
Da quello che aveva capito Agnes, ai tempi del college, il suo mite e dolce papà non era esattamente quello che si direbbe uno studente modello. Lungi dall'essere interessato ai suoi studi, Teo Dayle, con la sua fedele Strato, aveva suonato nelle band dai nomi più improbabili; i componenti di queste finivano quasi sempre con il prendersi a scazzottate davanti a quelli che solo qualcuno un po' troppo di parte, o troppo ubriaco, avrebbe chiamato fans. Non sapeva come né perché, ma a un certo punto Teo aveva smesso di crederci; accantonato l'amore per la sua chitarra, ne aveva scoperto uno tutto nuovo per una donna: la ragazza più studiosa del suo anno, Andy. Per lei, e per lei soltanto, aveva desiderato qualcosa di diverso, di migliore: Teo voleva essere all'altezza di quella donna e ancora ora, dopo anni di matrimonio, non provava alcuna vergogna nel riconoscere che non aveva smesso di provare a meritarsela davvero.
Agnes non seppe come rispondere a quel complimento inaspettato.
-Non guardarmi così: dico davvero,- le rivolse un'occhiata intenerita,- dovresti prendere coraggio, però.
Puntuale come sempre, suo padre era andato dritto a colpire il solito tasto dolente. Non gliene faceva una colpa, in fondo. Ma quell’argomento sembrava diventato il preferito dei suoi genitori, insieme all’aumento vertiginoso delle imposte negli ultimi anni e alle discutibili doti culinarie della zia Molly. Agnes abbassò lo sguardo e cominciò a pizzicare le corde della sua chitarra.
-A quanto pare questo è il tema della mia vita,- replicò con una piccola smorfia.
Il padre sospirò, passandole un braccio intorno alla spalla.
-Cosa vuoi, Agnes? Vuoi continuare a farmi da segretaria? Sai che per me non c'è problema, ma ti conosco e so che non vuoi questo. Vuoi passare la vita a sognare senza mai provare a realizzare i tuoi sogni? Vuoi stare qui a chiederti come sarebbe vivere davvero?
Nonostante il tono dolce erano parole dure, pesanti come solo la verità può essere. Qualcosa si mosse dentro Agnes.
-Io vorrei...
-Io voglio, Agnes. Tu vuoi qualcosa e te lo vai a prendere.
-Voglio Londra, papà.
Lui sorrise, soddisfatto. -E ci hai messo un anno prima di capirlo?- replicò fingendosi burbero, prima di alzarsi. -Sai che non sarà facile convincerla, vero?
Lei non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, prima di annuire.
-E sai anche che non devi dirle che ti ho spinto io a prendere questa decisione, vero?
-Lo chiamavano Cuor di leone,- commentò con un sorriso ironico.




***


Il cambiamento iniziava con un viaggio in treno. Agnes avrebbe dovuto essere soddisfatta, forse addirittura compiaciuta di un taglio così netto rispetto alla sua vita precedente. Ma qualcosa le impediva di gustare a pieno quel particolare momento, distraendola dal libro che aveva portato con sé e persino dalla musica che, attraverso le cuffie, filtrava nelle orecchie. Un sottile senso irrequietezza la portava a girarsi nervosamente sullo scomodo sedile e a guardare l’ora sul cellulare stretto tra le mani.
La verità era che non riusciva a provare neanche una goccia dell’entusiasmo che tante volte aveva immaginato che l’avrebbe colta in una situazione del genere.
"Un conto è sognare, un altro è vivere...", constatò con gli occhi fissi sul finestrino.
Sì, perché nel sogno lei era sorridente, allegra e finiva con il fare amicizia con qualcuno seduto sul sedile accanto, fino a scoprire che anche lei o lui si recava a Londra per realizzare i propri sogni. La realtà, invece, era terribilmente noiosa. Tra uno sbadiglio e l'altro, si rendeva conto che non aveva molto per cui sorridere e che nessuno sul sedile accanto avrebbe ricambiato il sorriso. Né i marmocchi che bisticciavano sui sedili di fronte né l'uomo di mezza età, impegnato a leggere il Financial Times.
Un messaggio in arrivo giunse a distrarla dal torpore del viaggio.
"Sei stata grande sorellina.
Non pensare troppo alla mamma. Nonostante tutto, sono sicuro che la farai ricredere.
Papà ti ricorda di non dare confidenza ai clienti di Gheorghe…Né a Gheorghe, soprattutto!
Rey."
Agnes sorrise davanti a tanta dolcezza. Nata solo dopo undici mesi dalla nascita di Rey, non aveva mai avuto un rapporto idilliaco con il fratello: dopo un'infanzia passata a bisticciare e un'adolescenza trascorsa ad ignorarsi amabilmente, avevano finalmente capito che nella continua lotta con i genitori l'altro poteva essere un alleato e non un nemico.
Le sue labbra si strinsero in una smorfia infastidita, quando ricordò a se stessa che più che lotta con i genitori il tutto si risolveva in un perenne scontro tra ciò che volevano i figli e quelle che erano le aspettative di sua madre.
Quei pensieri riportarono alla mente di Agnes la discussione che era esplosa in casa alcuni giorni prima, quando si era decisa a parlare dei suoi progetti futuri. Poteva ancora sentire il tono con cui la madre aveva pronunciato le parole "irresponsabile", "come tuo padre" e "piedi per terra". Fortunatamente per lei, Teo, sentitosi chiamare in causa, era intervenuto nella discussione. E da lì il compromesso era arrivato presto.
La madre aveva contattato una sua compagna del college, chiedendole se per i primi tempi potesse accogliere la scapestrata figlia facendole da guida.
Il padre le aveva trovato un lavoro di cameriera presso un suo vecchio amico, sotto gli occhi inviperiti della moglie che tremava al pensiero di che razza di amico potesse mai trattarsi.
E Agnes... Agnes si sentiva un bel pacco postale formato gigante.




***


La prima volta fu rapida e - quasi - indolore, senza uno scambio di parole.
Erano trascorse due settimane dal suo trasferimento a Londra e non aveva avuto un attimo per riflettere sulla portata di questo avvenimento. Per lei, da sempre portata ad analizzare tutto ciò che le accadeva, era un’autentica novità.
Ogni risveglio era accompagnato dalla voce petulante di Kayla Bishop, l’amica cui sua madre aveva voluto affidarla. Kayla, una divorzista di successo con due matrimoni alle spalle, aveva la fastidiosa tendenza a controllare ogni suo movimento e a criticare tutto ciò che la riguardava. Ormai Agnes si era convinta che sua madre l’avesse mandata di proposito da quella donna, dal momento che era così odiosa, petulante e ligia al dovere da poter scoraggiare chiunque in brevissimo tempo. Ma si sbagliava, perché non solo Agnes non si sarebbe arresa, ma anzi era più motivata che mai a cercare una diversa sistemazione.
Il lavoro, invece, le aveva riservato delle sorprese, alcune delle quali non molto piacevoli. Più che una cameriera, Gheorghe cercava una barista che fosse disposta a pulire e rassettare il locale. Così, quando aveva scoperto che Agnes non sapeva nulla di cocktail e soprattutto di whiskey, aveva iniziato a maledire Teo Dayle e tutta la sua discendenza. Poi, passata l’incazzatura per la bugia che gli aveva rifilato il vecchio amico, aveva iniziato a spiegarle pazientemente le differenze tra i vari alcolici, i marchi migliori e come servire i diversi drink, avvisandola che se non avesse imparato in fretta l’avrebbe rispedita indietro.
A quanto pareva, però, oltre all’altezza e all’interesse per la musica, sembrava che Agnes avesse ereditato dal padre anche una certa predisposizione per i drink. Così, sotto la rigida supervisione di Gheorghe e quella fastidiosa di Kirk, l’altro barista che lavorava solo occasionalmente al Kirchherr’s, Agnes aveva imparato a destreggiarsi dietro al bancone del locale, tra Guinness e Scotch.
Erano le quattro del pomeriggio, il pub era pressoché deserto e Agnes era in pausa. Seduta sulla panchina, si stava gustando qualche pagina del suo nuovo romanzo, quando li vide. Sapeva di essere un'attenta osservatrice, ma era chiaro che per chissà quale motivo quei due ragazzi li avrebbe notati chiunque. Stupidamente, per prima cosa provò un moto di invidia, perché il suo sogno inconfessato era proprio quello: non passare mai inosservata. Tuttavia le bastò una semplice occhiata per capire che a quei due non fregava proprio niente dell'effetto che facevano sul mondo intorno a loro.
Erano belli, in due modi molto diversi l'uno dall'altro, e in quel momento Agnes non era in grado di stabilire chi dei due lo fosse di più.
Forse il ragazzo appena un po' più alto, magro ma  più largo di spalle. Bello anche con i capelli castani malamente coperti da un berretto da baseball, così come gli occhi erano nascosti dietro un bel paio di Rayban neri; Agnes si sentì attratta dalla forma particolare del viso e quel filo di barba incolta che gli conferiva un'aria decisamente virile.
Ma poi il suo sguardo si soffermò sull'altro ragazzo e capì che non era affatto da meno: i capelli scuri, quasi neri, gli ricadevano appena sulla fronte liscia; anche i suoi occhi si nascondevano beffardi dietro delle lenti scure. Agnes si soffermò su quelle labbra carnose che rosse spiccavano rispetto al viso chiaro e imberbe.
Camminavano lungo la strada con un'espressione poco rilassata sul viso e ogni tanto uno dei due si girava verso l'altro rivolgendogli qualche parola: erano nervosi, scocciati per qualcosa.
Agnes fu sorpresa nel vederli fermarsi proprio vicino a lei. Colse l'occasione per osservarli con la precisione che solo lei sapeva dedicare ai dettagli più insignificanti: quello con il berretto si era attaccato al cellulare e si guardava nervoso intorno; indossava una di quelle camicie a quadrettoni, larga, lasciata aperta a scoprire una semplice t-shirt bianca, sopra un paio di jeans scuri.
L'altro, dalla figura più sottile, le dava le spalle con una mano sul fianco, intento anche lui a guardarsi intorno. Indossava una t-shirt con una stampa particolare e dei jeans chiari. Mentre l'altro era impegnato nella telefonata, lui si accese una sigaretta e si girò verso Agnes.
Non abbassò lo sguardo. Non era timida, Agnes ma neanche sfacciata: rimase nell'esatta posizione e con la stessa espressione in cui il ragazzo l'aveva beccata a fissarlo, pregando che non l'avesse notata e sperando segretamente di non essere talmente anonima da non poter essere notata neanche a una distanza così ravvicinata.
Lui, per tutta risposta, sollevo un po' il capo, portò la sigaretta alle labbra e infine le rivolse un sorriso obliquo.
Agnes quasi sgranò gli occhi per la sorpresa. Se l'era immaginato o le aveva sorriso davvero?  
-Alla buon'ora, ragazzi!
L'inconfondibile vocione di Gheorghe la distrasse da quella muta domanda. Si era affacciato da una finestra del piano superiore e, sventolando la mano con cui teneva il cellulare, stava richiamando l'attenzione dei due giovani.
Come se ne avesse bisogno, con quella voce!
-Che fate lì imbambolati? Su entrate.
I due stavano entrando nel pub, quando il vocione tornò a tuonare inesorabile.
-Agnes sei ancora lì? Benedetta ragazza...Ti avevo detto di andare a comprare qualcosa per il cesso intasato!
I due, come il resto dei passanti, si girarono ghignando nella sua direzione. Stavolta non poté fare a meno di sgranare davvero gli occhi e dileguarsi quanto più veloce possibile. Quei due, talmente perfetti da farla star male, l'avrebbero associata a un cesso intasato.





Ringrazio Trigger per la splendida immagine che fa da copertina
e un grazie a chi passa da qui e regala un po' del suo tempo alla mia storia.

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Capitolo 3
*** The Fifth Beatle ***


capitolo 2
The Fifth Beatle


La seconda volta era preparata. Ma non meno agitata.
Quando era tornata al pub con il suo acquisto prodigioso, aveva tergiversato davanti all'ingresso. Non voleva sottoporsi allo sberleffo di quei due. Forse era poco autoironica ma non voleva essere ridicolizzata proprio da quei due ragazzi, quando lei aveva perso diversi minuti ad ammirarli da lontano.
Si disse che farsi trovare lì sarebbe stato anche peggio. Quindi entrò. Per non trovarvi nessuno. O meglio, qualcuno c'era ma i suoi occhi avevano deciso, chissà per quale motivo,  di ignorare l'immagine di Gheorghe intento a passare lo straccio.
-Ce ne hai messo di tempo, ragazza...-
Lei si disse sollevata. Ma per quell'assenza si sorprese a sentire anche un po' di delusione.
Si costrinse a non pensarci e si mise a lavorare. Ovviamente non ci riusciva. Si chiedeva chi fossero quei due ragazzi; come mai avessero un appuntamento con Gheorghe; e, soprattutto, cosa più importante, se sarebbero tornati.
Il magnanimo Gheorhe le diede la risposta senza sapere quanto lei ci tenesse.
-Dobbiamo fare un po' di spazio lì-le disse indicando una zona del locale- per la band che suonerà stasera.
-I ragazzi di poco fa?- chiese lei con un'indifferenza che era ben lungi dal provare.
-Si. I ragazzi sono venuti per vedere le condizioni del locale, "se è abbastanza grande"- disse in tono canzonatorio -Bah...Ragazzini, come se il Kirchherr's  non fosse alla loro altezza-
-Presuntuosi?-
Lui la guardò con un sorriso nostalgico per poi spiegarle -Cara, devi sapere una cosa sui musicisti: sono tutti arroganti e presuntuosi. E' una continua competizione il mondo della musica e per emergere, per essere qualcuno...devi essere semplicemente il più stronzo degli stronzi- Concluse ghignando ma, evidentemente, perso nei suoi gloriosi ricordi.
-E tu lo eri, vero?-
-Cosa?
-Il più stronzo degli stronzi!- disse lei con un sorrisetto.
 Sapeva di potersi prendersi queste libertà con Gheorghe. E poi avrebbe capito che si trattava di un complimento. Ogni sera, quando i clienti diminuivano, il vecchio rocker prendeva il posto del chitarrista di turno e suonava con un gruppo di ragazzini a cui faceva sudare freddo.
Il sorrisetto però scomparve nel momento in cui sentì Gheorghe dire piano, con una voce appena un po' malinconica -Forse no, dopotutto-


Ecco, ora lo sapeva. Li avrebbe rivisti. Avrebbe potuto soddisfare la sua curiosità su quei due ragazzi. Agnes sapeva che normalmente le persone non si ossessionano per degli estranei e d'altra parte non stava minimamente pensando alla possibilità di scambiarci qualche parola. Voleva osservarli da lontano, come aveva fatto quel pomeriggio. Capirli. Agnes era da sempre convinta che una conversazione dicesse troppo poco di una persona.
Sì, perché ognuno è così preso dalla voglia di farsi accettare che finisce con il dire solo bugie e omettere tutto ciò che ritiene inaccettabile.
Meglio osservare, quindi.
-Anche perché così non ti esponi.- Le sussurrava una voce maligna nella testa.
Quando la persona non si considera sotto giudizio non può fare a meno di essere se stessa, con i suoi pregi e i suoi difetti. E Agnes riteneva molto più interessanti i difetti. I difetti dicevano molto di più della persona, rivelavano la natura di ognuno e anche il suo vissuto. E così Agnes stava in silenzio, osservando quei gesti e quei modi di fare che sarebbero parsi insignificanti a chiunque altro.
Le ore erano trascorse con lentezza. Agnes aveva finito di sistemare il locale ed ora si trovava in una stanza al piano di sopra. Quella che Gheorghe chiamava casa, e una persona appena un po' più assennata avrebbe chiamato topaia. Una stanza che constava di un letto,  un cucinino, due chitarre e un impianto stereo da centinaia di sterline. Paradosso dei musicisti. Si disse.
Fortunatamente la casa-topaia aveva anche uno specchio, che guarda caso era proprio quello che cercava la ragazza. Magari un po' meno pulito di come avrebbe voluto ma, pazienza, non si può avere tutto.
Rivolse un primo sguardo al suo abbigliamento. E storse la bocca. Anonima, giudicò impassibile. Una tshirt aderente da cui sbucavano  due braccia magre e pallide, jeans scuri non troppo stretti che evidenziavano la magrezza delle cosce e ai piedi delle consunte converse dal colore indefinito.
 Aveva sempre desiderato trovare un abbigliamento particolare, ricercato. Puntualmente, però, quando entrava nei negozi tutto le sembrava eccessivo e finiva con il comprare cose rassicuranti, semplici. Anonime. Ripetè infastidita.
Il suo sguardo andò poi sul viso. E quello le dava una qualche consolazione. Era carina. Qualcuno avrebbe detto molto bella. Ma non le bastava. Voleva essere particolare, magnetica, catturare l'attenzione di chiunque. Ma non si vedeva affatto così. I capelli castani erano tenuti su da una crocchia, la frangia perfettamente liscia copriva la fronte fino agli occhi di un particolare azzurro-grigio. Si diceva soddisfatta anche del suo naso, molto dritto e ben proporzionato e anche le labbra andavano bene, giuste anche se un po' screpolate, ora che ci faceva caso.
Ciò che veramente detestava di sè era quella pelle così pallida. Diafana, di porcellana le ripeteva sua madre. No, è proprio pallida. Si ripetè infastidita. Evitava, però, di mettere fondotinta e robacce varie perché non era capace di truccarsi e sarebbe finita col sembrare un pagliaccio.
Prese il beautycase che si portava sempre dietro. Passò velocemente la matita sugli occhi e il gloss sulle labbra e si ritenne pronta per l'incontro.

L'incontro, ovviamente, non avvenne come aveva più volte immaginato nel corso del pomeriggio. Impegnata a fantasticare e soprattutto rintontita dagli AC/DC che "se non li ascolti ad alto volume è un insulto alla loro memoria", parola di capo Gheorghe, non si accorse che ormai da diversi minuti oltre a lei, Gheorghe e gli AC/DC nel locale c'erano altre sei persone.
Persone che la fissavano.
Persone che, davanti al bancone, stavano cercando di attirare la sua attenzione.
Si girò verso Gheorghe. Era seduto ad un tavolo, fumando beato e muovendo la testa a tempo di musica. E ovviamente dava loro le spalle. Bene, benissimo. Si voltò e spense il lettore.
1...2...
-Ma...ma che diavolo fai?- Tuonò l'attempato rocker con i suoi soliti modi gentili e garbati.
Agnes stava per rispondergli a tono come faceva normalmente quando capì che non era il caso.
-Ci sono persone per te-
-Ragazzi- tuonò contento mentre andava loro incontro- scusate, sapete gli AC/DC...-
Chiunque, davanti a quella (non)spiegazione, lo avrebbe guardato come se fosse un po' strano.
-Figurati- gli rispose con un sorrisetto uno dei sei- Tempo fa non ho sentito l'allarme antincendio per colpa dei Black Label Society!-
Ma, ovviamente, non qualcuno come lui.
Agnes continuò a fare quello che stava facendo prima del loro arrivo.
 No aspetta, prima fingevo di pulire il bancone mentre li aspettavo.
...
Quindi si mise a pulire con molta cura il bancone e ogni tanto buttava l'occhio sui nuovi arrivati.
In realtà si mise a osservare con molta cura i ragazzi e ogni tanto muoveva lo straccio sul bancone. Ma concediamole questa illusione.
Loro erano fra quei sei. Li aveva notati immediatamente.
-Siete arrivati in anticipo- disse Gheorghe nel suo solito modo rude.
-Si, vogliamo sistemare gli impianti e le casse per provare il suono-
Aveva parlato proprio uno di loro. Il moro.
-Senti ragazzino...- disse spiccio Gheorghe
-Ian, il mio nome è Ian-lo interruppe infastidito il moro. Fin troppo infastidito, in effetti. Chiunque avesse parlato anche solo per dieci minuti con Gheorghe avrebbe capito che non c'era cattiveria nel suo modo di fare. Forse si era fatto troppi acidi da ragazzo e il suo cervello non era più in grado di distinguere l'appropriato dall'inappropriato, ma nessuno se la prendeva mai per le sparate di Gheorghe.
Lui infatti si sorprese davanti a quel tono tagliente. Ma decise di non darlo a vedere.
-Al Kirchherr's si fa rock da vent'anni. E ti assicuro che il suono è sempre stato perfetto-lo guardò sprezzante per poi rivolgersi agli altri con il suo solito tono-Comunque fate pure le vostre prove signorine-
Detto questo, Gheorghe si avvicinò al bancone e mentre prendeva qualche birra per portarsela su alla casa-topaia si rivolse piano ad Agnes.
-Pensaci tu ai capricci di questi ragazzini-


Ben presto i ragazzini iniziarono con i capricci.
-Senti, non è che avete un cavo più lungo?- Si era avvicinato uno dei sei. Non uno di Loro, uno appena passabile. Le venne spontaneo associarlo a qualcosa di nero. Capelli neri, carnagione olivastra, barba nera, maglia nera a evidenziare il corpo muscoloso. Batteria. Si disse sicura. Era brava ad inquadrare la gente. Un po' meno a prestare attenzione alle domande che le ponevano.
-Eh..- cosa le aveva chiesto?Ah si, il cavo- Devo controllare. Aspetta-
-E chi si muove-
Andò in quello che Gheorghe si ostinava a chiamare magazzino ma che in realtà chiunque avrebbe chiamato sfascio di roba inutile. Dopo diversi minuti trovò qualcosa che assomigliava ad un cavo e lo portò al nerboruto batterista.
-Questo va bene?-
-Si gioia-
-Ugh- non potè trattenere l'espressione schifata-Agnes, no gioia.-
-Ah, ok. Dave- le si presentò a quel punto. Non che ce ne fosse bisogno visto che lo chiamarono subito dopo.
-Dave, allora il cavo?-

Ormai era trascorsa un'ora dall'arrivo dei sei. Da quanto aveva capito, origliato sarebbe più corretto, i musicisti erano in quattro mentre gli altri era solo degli amici che li accompagnavano. Dave era effettivamente il batterista. Al basso c'era un nanerottolo dai capelli lunghi e una barba lasciata incolta. E poi c'erano loro. Ian alla chitarra. Colin la voce.
Nessuno dei due le aveva rivolto la parola finora. E a lei andava benissimo così. Dopo aver sistemato il suono e aver convinto Agnes  a dargli qualche birra, i ragazzi iniziarono a suonare. Non seriamente, così per passare il tempo. Per primo iniziò il bassista con un assolo che stava stordendo Agnes peggio degli AC/DC; poi, sentendosi sfidato, iniziò il batterista e allora la ragazza sentì il bisogno di allontanarsi da tanto testosterone riunito insieme.
Si rifuggiò fuori, dove si appoggiò ad una parete socchiudendo appena gli occhi.
-Sei già stanca? la serata non è ancora iniziata-
Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò Ian poggiato alla parete opposta. A dividerli la porta d'ingresso.
-Non sono stanca- rispose, dandosi della cretina per la risposta idiota.
-Devo dedurre che non apprezzi la nostra musica?- le chiese con un sorrisetto arrogante mentre si portava una sigaretta alle labbra.
-Vuoi dirmi che quella lì è la vostra musica?- chiese Agnes sicura che anche lui fosse uscito perché infastidito dalla scena.
Anzichè risponderle si accese la sigaretta e proprio mentre faceva il primo tiro, sollevò per la prima volta lo sguardo su di lei.
-Fumi?-
Occhi cristallini. Fu la prima cosa che le venne in mente. Così chiari da potervi leggere  dentro. Occhi di un'innocenza inquietante, così carichi di significati da metterla in soggezione.
Si era distratta, dannazione. Cosa le aveva chiesto?
La guardava interrogativo.
-S..si-
E fortunatamente bloccò l'impulso di darsi una manata sulla fronte quando lo vide offrirle la sigaretta che aveva in mano. Agnes non aveva mai fumato, anzi odiava l'odore acre della sigaretta. E ora questo tizio, questo tizio bello e magnetico, le stava offrendo la sua sigaretta.
La prese dalle sue mani e nel portarla alle labbra non potè fare a meno di voltare il capo verso la strada. Si sentiva bugiarda e lei non era mai stata in grado di mentire. Fece due tiri frettolosi e gliela porse.
Lui la guardò perplesso prima di rivolgerle l'ennesimo sorriso tagliente.
-Proprio un'accanita fumatrice-
Lei, presa in contropiede, non gli rispose. I minuti passavano e nessuno dei due aveva più parlato. Doveva averla presa per deficiente, si disse sconsolata.
In momenti come quello, Agnes si detestava con tutte le sue forze.  Odiava non riuscire ad essere se stessa con certe persone e rimbecillire al punto da non tenere una normale conversazione.
Voleva scappare da lì ma allo stesso tempo avrebbe voluto prendere il coraggio e parlargli. Chiedergli quale genere di musica facessero, com'era arrivato lì, la sua storia, perché quegli occhi così chiari parlavano di solitudine. E invece stava lì, in silenzio.
Si azzardò a sbirciare nella sua direzione. Non la guardava. Si stava godendo la sua sigaretta con occhi fissi, o meglio persi, sulla strada. Non sembrava affatto infastidito dal suo silenzio. Veramente, sembrava non fregargliene proprio niente.
 


***



-Diavoli di ragazzi- urlò divertito Gheorghe mentre preparava dei cocktail-Ma guarda quanta bella gente è venuta per loro! E chi lo sapeva che fossero così famosi!-
Il Kirchherr's era un locale rock abbastanza conosciuto a Londra. Ma effettivamente non si era mai vista così tanta gente. Normalmente era frequentato da patiti dell'heavy metal che sono ormai una nicchia nel panorama musicale. Ora invece Agnes aveva la possibilità di apprezzare a pieno la bellezza di Londra, sotto quell'aspetto che l'aveva sempre più affascinata della City: la varietà. Agnes non aveva mai visto così tanti ragazzi dalle etnie diverse, dai modi di vestire stravaganti e particolari, dalle capigliature più improponibili.  Ovviamente c'era anche chi indossava una semplice tshirt sopra un jeans scolorito ma anche loro lo facevano in un modo tutto personale. Quello che affascinava Agnes era che ognuno di quei giovani sembrava un mondo a sè, nessuno si adeguava allo stile del momento ma tendevano a personalizzare tutto ciò che indossavano. I risultati erano a volte assurdi, come per esempio la ragazza che le aveva appena chiesto una birra. Sembrava che mescolare quanti più colori fluo fosse la sua missione di vita, così aveva una casacca verde che le lasciava una spalla scoperta, dei leggins fucsia e una miriade di bracciali gialli. Il risultato inaspettatamente era stupendo perché esaltava la pelle nera della giovane.
Gli occhi curiosi si posarono su un giovane dai lineamenti orientali proprio di fronte al bancone. I capelli rasati ai lati facevano spiccare una cresta color rame. Indossava una giacca rossa sopra una tshirt bianca con stampe dai colori più vari e pantaloni neri a sigaretta. Parlava con una ragazza dall'abitino semplice ma che ai piedi portava degli ingombranti anfibi.
Agnes si sentiva su di giri e più volte era stata ripresa da Gheorghe perché faceva aspettare i clienti tra un drink e l'altro. Non poteva farci nulla. Quella gente attirava la sua curiosità in un modo che non poteva controllare. Curiosità, questa, vinta solo da quella per i "The Fifth Beatle", il gruppo che avrebbe suonato quella sera. Il gruppo di Ian, Colin, Dave e... Com'è che si chiama quell'altro?
Finalmente la sua attesa fu premiata. A un certo punto della serata, i membri della band uscirono da...dal magazzino/sfascio di roba?? Ovviamente faceva più effetto un ingresso del genere, anche se fino a qualche momento prima erano stati a bighellonare dentro al locale. O forse sono andati lì per fare qualche rito di scongiuro. O più semplicemente per una canna.
Il tempo di farsi quelle domande e i ragazzi erano già posizionati.
- Buonasera a tutti- prese la parola Colin con un sorriso aperto e la chitarra in mano- Siamo i The Fifth Beatle e questa è la nostra musica-
E iniziò il delirio.
Le due chitarre, il basso e la batteria iniziarono a suonare quasi nello stesso momento. Una musica dura, intensa che penetrava dentro rimbombando nella cassa toracica di tutti, facendoli tremare. La canzone parlava di una solitudine disperata, dell'incapacità di convivere con se stessi e di una fantomatica lei da cui farsi salvare. E la voce graffiata e sporca del cantante lasciava Agnes come ipnotizzata, lo sguardo fisso sul gruppo e incapace di muoversi.
-Agnes datti una mossa! Stasera sei più fuori del solito!- le urlò Gheorghe. Si girò verso di lui e dal suo sorrisetto capì che anche lui era affascinato dal gruppo. Cercò quindi di concentrarsi sul suo lavoro e di non permettere più a quella musica né a quelle parole di ipnotizzarla.
Non sapeva dire quanto tempo fosse trascorso dall'inizio del concerto. Agnes era nel suo elemento e aveva finito con il perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Avvertiva una sensazione di estraneazione, era altro da sè. C'era la Agnes che come un automa preparava un drink dopo l'altro, e poi l'altra Agnes, quella che non pensava a niente che non fosse quella musica, quella voce, quelle parole.
Quando la musica cessò, il silenzio improvviso la stordì.
Ancora. Non smettete.
Li avrebbe pregati di continuare, se non fosse stata impegnata a preparare i cocktail.
-Agnes- La chiamò una voce gentile, una voce un po' affaticata, una voce che l'aveva ipnotizzata fino a quel momento. Alzò la testa all'improvviso e si vide Colin intento a fissarla, un sorriso a illuminare il viso-Agnes, giusto?- chiese dubbioso, visto il silenzio della giovane.
-S..si, dimmi pure-
-Ci servirebbero cinque Guinness. Gheorghe vuole brindare alla serata-
-Non glielo hanno spiegato che si brinda con lo spumante?-Disse lei alzando gli occhi al cielo, come ormai faceva fin troppo di frequente.
-I rockers non bevono spumante. Birra per festeggiare, scotch per deprimersi.- Replicò l'altro divertito.
-Oh mi dispiace...ho lasciato la mia copia di "Come vivere con un rocker" a casa- rispose lei con un sorriso mentre preparava le birre che le aveva chiesto.
-Questo locale è davvero bello. Sembra un tempio dedicato al rock con quelle stampe alle pareti e l'ambiente un po' decadente. Non si direbbe a guardarlo ma devo ammettere che Gheorghe ha gusto-
Lei alzò lo sguardo verso il giovane con aria cospiratrice.
-E' tutto un bluff-
Colin inarcò appena le sopraciglia.
-In che senso?-
Agnes si sporse appena verso di lui.
-Il vecchio non ha abbastanza soldi per comprare dei veri quadri né per cambiare quei mobili che lui e qualche amico sbronzo hanno sfasciato anni fa-
Colin si mise a ridere di gusto. E lei sorrise, sinceramente divertita, mentre continuava.
-Non dire niente a nessuno, mi raccomando. Rischio il licenziamento per questa soffiata!-
Lui si portò una mano sul mento, fingendo di rifletterci su con un'espressione scherzosamente pensierosa.
-Mh, il mio silenzio ha un prezzo-
Agnes sgranò gli occhi sorpresa. -Che prezzo?-
Il ragazzo prese il vassoio con le birre e le dedicò un ultimo sorriso.
-Te lo farò sapere-
E si allontanò verso gli amici.
Agnes lo seguì con lo sguardo e fu sorpresa nel trovare Ian girato nella sua direzione. Guardava verso lei senza un'espressione particolare. Forse aveva semplicemente lo sguardo fisso sul vuoto. E anche ad una simile distanza lei avvertì quel senso di inadeguatezza che l'aveva colta nel pomeriggio durante il loro breve incontro.
C'erano persone che sembravano fatte apposta per metterla a suo agio, così da riuscire ad essere quell'Agnes che lei stessa apprezzava: quella spiritosa e dalla risposta pronta.
E poi c'erano persone nate per metterla in difficoltà con la loro semplice presenza. Persone che tiravano fuori il suo lato peggiore, trasformandola in un esserino timido ed impacciato.
Con i primi riusciva ad entrare subito in sintonia. Li conosceva, ci parlava un po' e già li considerava amici da sempre. Con i secondi finiva sempre con il chiudere qualsiasi contatto. Agnes era fatta così. Evitava tutto ciò che non capiva. Qualcuno avrebbe potuto chiamarla semplicemente paura.


***

Fine serata. Finalmente anche gli ultimi ragazzi erano andati via e Gheorghe potè chiudere la porta del locale. Normalmente Gheorghe la mandava a casa verso mezzanotte, massimo l'una. Ma quella sera c'era troppa gente e non avrebbe potuto facela da solo.
-Lascia stare tutto, Agnes. Ci pensiamo domani mattina-
-Finisco di lavare questi e vado-
-Ho detto no. che direbbe Teo se sapesse che sfrutto sua figlia fino alle 4 del mattino? Vai-
Agnes spazientita lasciò perdere.
-E non fare quella faccia ragazzina. Ti sto facendo un favore!-
-Solo perché conosci mio padre-
-E ancora di più conosco il suo destro!-Disse Gheorghe lisciandosi la mandibola come se avesse appena fatto a pugni.
Fu solo quando intervenne un'altra voce che i due si ricordarono che non erano affatto soli nel locale.
-Scusami Agnes, ma penso che Gheorghe abbia ragione. E' tardi- Era Colin, con quella voce calda e gentile.
La band stava ancora raccogliendo l'attrezzatura e, ovviamente, aveva assistito alla scena. Lei li guardò accigliata. Cominciava a sentirsi una bimbetta irragionevole.
-Infatti stavo per andare- disse con un tono indifferente e controllato, nel tentativo di salvare almeno un po' la faccia.
-Ma...da sola? Dove abiti?-
-South Kensington-
-Ah però, la ragazzina si tratta bene- la canzonò Dave.
-Sto da un'amica di mia madre- Si sentì in dovere di spiegare. Poi tornò a rivolgersi a Colin-Prendo un autobus che mi lascia praticamente davanti casa-
-Ma è troppo tardi per girare da sola!-
Agnes non era affatto un tipo coraggioso. Quando le capitava di camminare la notte da sola vedeva pericoli dappertutto e doveva trattenersi dal mettersi a correre, così senza motivo. Allo stesso tempo, però, odiava essere un peso per gli altri e quindi non osava mai chiedere un passaggio a qualcuno.
-Non sarebbe la prima volta, tranquillo-
-E guardandoti ci stiamo tutti chiedendo come non ti sia successo nulla finora- Una voce tagliente, anche un po' cattiva. Ian. Non potè fare a meno di guardarlo stralunata. Cosa intendeva? Cosa aveva che non andava? Ma lui non lasciava trapelare nulla. Aveva sempre quell'espressione noncurante stampata su quel viso perfetto. Con qualsiasi persona avrebbe alzato la voce, si sarebbe difesa per bene, con le unghie e con i denti come le aveva insegnato suo padre. Con lui no. Con lui diventava debole e indifesa. O, forse lo era davvero debole e indifesa. E Ian, senza rendersene conto e soprattutto senza che gliene importasse, faceva uscire fuori la vera Agnes.
Colin, dopo aver guardato un po' stranito l'amico, tornò a sorriderle.
-Agnes ci ho pensato bene. Ricordi che il mio silenzio ha un prezzo?-le disse quasi compiaciuto. Dopo che la giovane ebbe annuito, continuò- Bene, non svelerò il nostro segreto a condizione che accetti il nostro passaggio!-
Lei scosse la testa tra il divertito e il rassegnato, decidendo di accettare. Non per il segreto. Si trattava di una sciocchezza bella e buona. Era per la gentilezza con cui Colin le era venuto in aiuto, vedendola spiazzata davanti all'uscita fuori luogo dell'amico.





Note:
Salve a tutti!! Da tempo ho in mente questa storia e solo oggi mi sono decisa a pubblicarla. E' difficile mettersi alla prova, esporsi al "giudizio" degli altri. E stranamente proprio questo è il tema di questa storia. I miei tre protagonisti sono molto diversi tra loro ma c'è qualcosa che li accomuna: l'insicurezza.
Penso che il più delle volte siamo proprio noi i nostri peggiori nemici. Noi che ci poniamo degli ostacoli insormontabili con le nostre paure, a volte anche insensate. Agnes, Ian e Colin sono proprio così: hanno tutti i mezzi per essere felici ma troppo spesso si lasciano prendere dalle loro incertezze. Anche la scelta del nome del gruppo non è casuale ma questo lo farò spiegare ad uno dei miei personaggi.
Un'altra costante di questa storia è la musica. Preferibilmente musica rock. Qualcuno avrà già notato qualche riferimento ai Beatles, ai Clash e ai Joy Division. I nomi dei personaggi, del gruppo, del locale...tutto richiama la musica.
Ora la cosa più importante, vorrei sapere il vostro parere su quello che scrivo. Anche due parole, giusto per conoscere il punto di vista di qualcuno che non mi conosce!!! Non vi chiedo lodi ma delle recensioni costruttive, un'occasione per imparare.
Grazie per la vostra attenzione,
Agnes

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Capitolo 4
*** The Invisible Agnes ***


capitolo 3


The invisible Agnes


I giorni erano trascorsi lenti dopo quella sera. La mattina apriva gli occhi con nessuna voglia di andare a lavoro. Dopo quella botta di vita, il Kirchherr's le appariva mortalmente noioso tanto che iniziava a confondere i giorni tra loro. Non ricordava cosa fosse successo la sera prima.
Forse perché non c'è un bel niente da ricordare.
E l'inquietudine, mista a quel familiare senso di insoddisfazione, tornava a bussare alla sua porta.
Agnes non era andata a Londra per preparare drink e servire birre. Voleva di più. Ma come al solito non era  in grado di cercarlo questo di più. Figuriamoci ottenerlo.
A peggiorare tutto, un lunedì mattina, Kayla decise di infierire.
Agnes, mezza addormentata, stava facendo colazione nella grande cucina dalle tinte pastello. Gli occhi fissi sul televisore non vedevano nulla del telefilm che stavano mandando in onda. Era il suo giorno libero. Normalmente lo passava ad esplorare qualche parco della City. Forse l'unica cosa che le mancava del suo piccolo paese erano proprio gli ampi spazi di verde in cui amava rifugiarsi. Nel suo paese, però, la solitudine della natura le infondeva un tale  coraggio  da prendere in mano la chitarra e intonare qualche canzone. A Londra non era mai abbastanza sola da riuscire a trovare quella serenità. Si accontentava quindi di un romanzo come unico compagno dei suoi pomeriggi a Kensington Gardens o a St.James Park.
Stava appunto per decidere in quale dei tanti parchi londinesi trascorrere la giornata quando la sua quiete venne disturbata dalla cornacchia impicciona.
-Programmi per oggi?-
Agnes finse di essere parecchio interessata al telefilm e scrollò le spalle.
-Il solito- disse con studiata indifferenza.
-Il solito?Un'altra giornata a bighellonare per i parchi?! Agnes cosa direbbe tua madre?-
Continuò a fissare ostinata il televisore mentre le rispondeva.
-Non lo so. Ma immagino che lo scoprirò stasera quando tu la informerai su tutto-
-Sei proprio una bimbetta viziata! Tua madre mi ha chiesto espressamente di informarla su ogni tuo movimento...-
Ora iniziava il solito discorso che magari cambiava nella forma ma non nella sostanza.
Uno. Senso di colpa.
-I tuoi genitori si sono preoccuparti di trovarti una sistemazione temporanea e un lavoro...-
Due. Ingratitudine.
-E tu non fai altro che lamentarti di me e di quel tuo datore di lavoro...-
Tre. Pigrizia.
-E non fai altro che dormire e leggere...-
E dulcis in fundo, inettitudine.
-La verità è che non hai idea di cosa vuoi e anche se lo sapessi non avresti i mezzi per realizzarlo-
Stronza per i modi. Stronza per le parole. Stronza perché ogni volta ci azzeccava in pieno.
E disse la sua solita battuta. Quella che ogni volta metteva a tacere quella zitella acida.
-Se ti sono di peso me ne vado oggi stesso.-
La donna roteò pericolosamente gli occhi.
-Non dire stupidaggini. Dove dovresti andare tutta sola?-
E se ne andò dalla stanza lasciandola sola a sentirsi, come sempre, una fallita.







Finalmente una novità. Visto il successo ottenuto, i The Fifth Beatle avrebbero suonato tutti i giovedì sera al Kirchherr's. Gheorghe l'aveva informata con tono disinvolto quando invece era fin troppo evidente la sua soddisfazione per quel risultato.
Il giovedì non si fece attendere troppo. Agnes era carica di aspettative per quella serata. Magari sarebbe riuscita a conoscere gente nuova, magari Colin si sarebbe ricordato di lei e avrebbero scambiato qualche chiacchiera come la settimana scorsa.
Anche quel pomeriggio salì nell'appartamento-topaia di Gheorghe per truccarsi un po'. Anche quel giorno si disse del tutto insoddisfatta del suo aspetto ordinario. Nessuno l'avrebbe notata in mezzo alla folla con quella tshirt bianca e quei pantaloni neri. Di diverso aveva solo i capelli: stavolta erano lasciati sciolti. Sai che novità! Si disse infastidita.
I ragazzi stavolta arrivarono un po' più tardi. Salutarono Gheorghe come se fossero amici da sempre. E Colin e Dave si avvicinarono al bancone per salutare Agnes.
-Ciao gioia- La salutò in maniera rude Dave.
- Dave ha detto di non chiamarla così!- lo bacchettò l'amico dedicandole un sorriso aperto- Ciao Agnes-
-Ciao ragazzi- disse sorridente-Allora vi siete già affezionati al Kirchherr's?!-
-Certo che si sono affezionati- quasi tuonò il proprietario- non c'è locale migliore per fare del buon rock!-
Colin aggrottò le sopraciglia pensieroso per poi rivolgersi ad Agnes.
-Sta forse ammettendo che gli piace la nostra musica?-
Lei non potè fare a meno di rivolgergli un sorrisetto complice.
-Si è il suo personale modo per fare un complimento. Non ti aspettare di più!-
-Chiedilo alla ragazzina se le piace la vostra musica- Disse divertito Gheorghe- dovevate vederla questa settimana-
Agnes non potè fare a meno di sgranare gli occhi. Oh cavolo, era stata così palese?
-Dire che era impaziente di risentirvi sarebbe troppo poco-
Sorrisero tutti mentre lei avvampava dall'imbarazzo.
-Vuol dire che sa apprezzare la buona musica-
Sollevò lo sguardo sorpresa verso chi aveva appena parlato. Era stato Ian, che la guardava con un autentico sorriso.

Quella sera il locale era ancora più affollato della volta precedente. Per fortuna Gheorghe si era convinto a prendere un altro ragazzo per il giovedì. Il ragazzo, di nome Kirk, era un tipetto nervoso dai capelli rossi sparati in ogni direzione.  Agnes era particolarmente di cattivo umore perché doveva stare continuamente dietro a quell'idiota. Spesso rispondeva male ai clienti e allora Agnes cercava di calmare un po' gli animi. Ancora più spesso non capiva, o peggio faceva finta di non capire, le ordinazioni. E allora interveniva Gheorghe a offrire un drink all'insoddisfatto di turno. Poi ogni momento era buono per sgattaiolare fuori a sfumacchiarsi una sigaretta e, cosa ancora più assurda, la riprendeva quando lei si fermava per qualche minuto.
L'unica nota positiva della serata era proprio il gruppo. Quella sera erano particolarmente su di giri. Le cover erano i migliori pezzi punk-rock del passato e i ragazzi li suonavano con grinta e dedizione. Gli avventori conoscevano ognuno di quei pezzi e cercavano di stare dietro a Colin. Anche Agnes tra un drink e l'altro canticchiava qualche pezzo più famoso. Non era un genere che conosceva bene ma con un padre come il suo era praticamente cresciuta con pezzi come God save the queen, London calling e Should I stay or should I go.
Finalmente si stava distraendo grazie alla buona musica quando Kirk ne fece una delle sue. Agnes fu attratta da alcune voci alterate al suo fianco e allarmata si avvicinò al collega.
-Senti è inutile che insisti. Non te lo cambio il drink-quasi gridò Kirk ad un palmo dal naso di un cliente dall'aria scocciata.
-Ti ho detto che la birra non la bevo e voglio un Bellini-
-Invece di fare il frocio beviti questa birra e non rompere il cazzo-
Il ragazzo rimase interdetto davanti a quella uscita e non seppe come rispondere. Agnes ritenne opportuno intervenire, facendo ciò che avrebbe fatto Gheorghe se fosse stato nelle vicinanze. Preparò velocemente un Bellini e lo porse al giovane rimasto ammutolito.
-Prego, questo lo offre la casa-gli disse con un sorriso gentile-Per stasera sei ospite del Kirchherr's, ok?-
Il cliente sembrò ancora più spiazzato davanti a quella improvvisa gentilezza e si limitò ad annuire prima di andare a mescolarsi tra la folla.
-Visto che c'eri potevi dargli un buono per il prossimo mese, bah!- le disse Kirk in modo odioso.
-Stavo cercando di riparare al tuo errore!- rispose la giovane spazientita.
-Errore?? Ragazzina qui se non fai così ti mangiano vivo. Questo è l'unico modo per non farsi mettere i piedi in testa-le dedicò uno sguardo di sufficienza prima di continuare-ma che ci parlo a fare con te?
-Perché scusa cos'ho che non va?- chiese Agnes pronta a dirgliene quattro.
-Guardi tutti con quella faccia adorante- le rispose canzonatorio- guarda che è inutile, sei comunque invisibile-
Questa non se l'aspettava. Era arrivata dritta, a colpirla nel suo punto più debole. Invisibile. Lei che se lo ripeteva sempre, appena sveglia e prima di addormentarsi. Ora aveva la conferma di ciò che fino a quel momento aveva solo sospettato. Non seppe rispondere e si odiò  per questo. Lo guardò attentamente mentre ghignava mostando quei denti giallognoli e la deridava con quegli occhi un po' strabici. Agnes non era capace di difendersi dagli attacchi di un simile esemplare di omuncolo. E si odiò ancora di più.
-Agnes prenditi una pausa- tuonò seccato Gheorghe.
Quand'era arrivato? Cosa aveva sentito? Aveva assistito a quella umiliazione?
Sentì una presa salda sulla sua spalla. L'inconfondibile mano di Gheorghe. L'unico gesto di affetto che le aveva concesso da quando si conoscevano.
-Hai avuto a che fare con abbastanza cazzoni per stasera, non credi?-
Lei, ancora ammutolita, gli rivolse un breve sorriso prima di prendere una cola dal frigo e dirigersi verso l'uscita del locale.

L'ormai nota aria gelida delle notti londinesi la schiaffeggiò violentemente appena mise un piede fuori dal Kirchherr's. Agnes le fu grata. Dopo tutte quelle ore trascorse tra l'afa e l'aria pesante del locale aveva proprio bisogno di respirare quella brezza gelata.
Poiché un capannello di persone era raccolto davanti all'ingresso del locale, Agnes preferì allontanarsi un po'. Si accovacciò su un gradino poco distante e prese un primo sorso di cola. Le parole di quel tizio odioso le ronzavano ancora in testa, facendola sentire particolarmente depressa.
-Se ti piace la nostra musica perché senti il bisogno di scappare ogni volta?-
Agnes trasalì vistosamente prima di riconoscere chi le aveva rivolto la parola così all'improvviso: Ian. Ian, che non aveva sentito arrivare; Ian che la guardava con un sorriso mite; Ian che...
-Ma tu non stavi suonando?-
Lui la guardò come se si fosse ammattita.
-Veramente siamo andati in pausa da una decina di minuti-
Non ci aveva fatto caso. Doveva essere completamente scollegata per non rendersi conto che  da ormai diversi minuti quella musica ruvida, penetrante e a volte anche aspra aveva smesso di risuonare per la Camden. Ian dovette leggerle la verità in viso perché le rivolse un risolino un po' forzato mentre si sedeva accanto a lei.
-Ah gran bella considerazione che hai di noi! Ti ringrazio a nome dell'intero gruppo!-
Lei ricambiò quel sorriso con uno un po' timido e appena accennato.
-Ero distratta da certi pensieri-
-L'avevo notato-
Agnes sollevò la testa stupita. Che avesse assistito anche lui a quella scena imbarazzante? Ian le sorrise nuovamente per poi indicare un gruppo di ragazzi poco distanti.
-Parlavo con alcuni amici quando ti ho vista qui con quest'aria pensierosa-
Si era avvicinato appositamente per lei. Era strano. Non li conosceva bene ma un gesto del genere se lo sarebbe aspettato da Colin. Da quello che aveva osservato fino a quel momento, Ian aveva un modo di fare distaccato e tendeva a tenere a distanza tutti gli altri.
Non seppe come rispondere ma gli dedicò un altro sorriso. Lui allora continuò.
-Pensieri buoni o pensieri cattivi?-
-Decisamente cattivi-
-Ti va di parlarne?-
Le andava? Le andava di parlare con quello sconosciuto delle sue debolezze? Quello sconosciuto dall'aria perfetta e invulnerabile che da quando si era seduto accanto a lei si era messo a scrutarla con attenzione, come a volerla valutare sotto ogni aspetto. Forse era proprio quell'aura di perfezione che la faceva sentire a disagio in sua presenza; un disagio che non era scomparso nemmeno in quel momento, nonostante la gentilezza con cui le aveva parlato.
Decise, però, di voler condividere qualcosa di ciò che la stava torturando.
-Il mio collega-iniziò indicando con il capo il locale-ha detto qualcosa di spiacevole-
Lui stava per prendere la parola ma lei continuò.
-E anche l'amica di mia madre, la donna che mi ospita, mi ripete spesso quanto sono...inconcludente- spiegò con non poca difficoltà.
-Permetti agli altri di definirti?- Le chiese con tono duro.
-Il fatto è che...- questo era davvero difficile dirlo.
-Sono cose che pensi anche tu- Concluse Ian per lei.
Agnes si strinse le spalle imbarazzata.
-Agnes perché sei venuta a Londra?- Le chiese mentre con noncuranza si accendeva una sigaretta.
Non rispose subito perché a quella domanda aveva tante risposte in realtà. Cercò quindi di fare chiarezza in quel groviglio di emozioni che provava e tentò di dare una risposta soddisfacente.
-Volevo qualcosa di più. Ho sempre provato una sensazione di inadeguatezza nel posto in cui vivevo. Hai presente le costruzioni per bambini? Ecco, vedevo le persone intorno a me trovare il pezzo cui incastrarsi: un lavoro soddisfacente, amici con cui divertirsi e stare bene, qualcuno da amare. Io ero un pezzo anomalo. Puoi forzarlo a stare bene con gli altri ma finirà sempre con il rovinare il risultato finale, a far cadere tutto giù.-
Non si era resa conto di aver parlato così tanto. Si chiese se lo stesse annoiando. Aveva una strana espressione in quel momento: seria e concentrata.
-Se quel qualcosa in più l'hai trovato qui al Kirchherr's non devi farti influenzare dall'opinione degli altri.-
Lei sorrise mesta.
-No, non l'ho trovato. Voglio di più ma non so neanch'io cosa.- Fu sincera nonostante sapesse che in quel modo non ci faceva una bella figura.
-Sicuramente non puoi capirlo stando qui a preparare da bere- Fu duro ma sincero.-Prova ad uscire dai tuoi schemi. Fa qualcosa che segretamente hai immaginato di fare ma che non hai mai avuto il coraggio di tentare. Qualcosa che ti possa sembrare folle. Cambiando prospettiva potresti capire di cosa hai bisogno.-
Quel consiglio era strano ma le piacque. Normalmente le persone si limitavano a giudicarla per le sue fragilità. Ian invece era andato oltre consigliandole una via per risolvere il suo problema. Stava per ringraziarlo quando qualcuno li interruppe.
-Ian ti aspettano dentro per ricominciare-
-Arrivo-disse distratto, senza alzare troppo la voce. Poi si voltò verso lei- tu resti o torni dentro?-
-Devo tornare altrimenti Gheorghe non mi darà più nessuna pausa!- Rispose mentre si alzava dal suo rifugio e lo affiancava.
Stavano per entrare quando Ian si voltò repentinamente e, guardandola molto attentamente negli occhi, le sussurrò piano:
-Sei tutto tranne che invisibile, Agnes. -




Note:
Ciao a tutti! Eccomi con il terzo capitolo. Forse risulta un po' lento ma, come avrete intuito dal prologo, nel corso della storia questi tre personaggi subiranno cambiamenti significativi e sarebbe poco credibile affrettare troppo i tempi.
Il titolo del capitolo The Invisible Agnes riprende la canzone dei The Queen The invisible man
Mi piacerebbe molto sapere il vostro parere su quello che ho scritto finora,
Un bacio
Agnes





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Capitolo 5
*** Ulysses, I've found a new way ***


capitolo 4

Ulysses, I've found a new way


 A fine serata Kirk fu sbattuto fuori dal Kirchherr's da un Gheorghe alquanto divertito. Come la volta precedente i membri della band insistettero per accompagnarla a casa, ma stavolta una Agnes un po' più a proprio agio accettò volentieri il passaggio. Quando finalmente potè mettersi a letto, nonostante la stanchezza, faticò a prendere sonno. La sua mente era occupata da un unico pensiero, uno di quelli ingombranti che portano con sè domande e incertezze. In una parola, Ian. La volta precedente era stato freddo, sprezzante nei modi e nelle parole. Quella sera, invece, aveva mostrato un vero e proprio interesse nei suoi confronti.

Sei tutto tranne che invisibile.

Si addormentò con un piccolo sorriso sulle labbra.


                                           ***              



Quella settimana Agnes era stata più taciturna del solito. E non tanto perché, nonostante fosse a Londra da più di un mese, gli unici con cui poteva scambiare qualche parola fossero i clienti fissi del Kirchherr's. No, c'entrava la conversazione avuta con Ian giovedì notte.

"Prova ad uscire dai tuoi schemi. Fa qualcosa che segretamente hai immaginato di fare ma che non hai mai avuto il coraggio di tentare. Qualcosa che ti possa sembrare folle. Cambiando prospettiva potresti capire di cosa hai bisogno"

Erano tante le cose che aveva immaginato di fare. Ma ancor di più le strade che, fino a quel momento, non aveva avuto il coraggio di seguire. Eppure, ora doveva osare. Sentiva che se avesse tentato quel temuto salto nel vuoto tutto sarebbe parso più chiaro.
Trascorse l'intera settimana a rimuginare su quelle parole. Dapprima la sua mente, o per meglio dire, il suo cuore, andò alla musica. Diverse volte si era immaginata davanti a una folla con la sua chitarra come unica compagna. Scartò comunque quella possibilità. In passato, cercando di vincere le proprie paure, aveva cantato davanti ad alcuni amici ma puntualmente aveva finito con il fare delle figuracce colossali che a distanza di tempo le rinfacciavano ancora. Quindi, niente da fare.
In realtà Agnes sapeva bene quale fosse il suo punto di forza e quella settimana le era servita soltanto per prenderne coscienza: lei era una bella ragazza. Molto alta, magra e dalle forme proporzionate, un viso pulito senza troppe imperfezioni. Sì, quando si guardava allo specchio non era mai soddisfatta di sè per un motivo o per un altro, ma la verità era sempre stata lì davanti a lei, troppo palese per essere negata.
 La piccola Agnes aveva avuto il suo primo corteggiatore all'età di cinque anni. Un corteggiatore che sembrava più interessato a giocare con le sue treccine che con lei. Fatto il suo glorioso ingresso alla Primary School, tra le bambine era quella che riceveva più caramelle e penne colorate da parte dei compagni.
Sin da quei primi regali falsamente innocenti, Teo Dayle capì di dover correre ai ripari e preparò la sua dolce bambina a quella vita di lusinghe colme di secondi fini. Pur senza entrare nel dettaglio, le spiegò quanto fossero bieche le reali intenzioni dei "maschietti". E, sebbene alla piccola Agnes le preoccupazioni paterne risultassero incomprensibili- in quanto per lei "i maschietti" erano soltanto compagni di giochi, scherzi e avventure-ben presto capì quanto fossero fondate.
Già al primo anno della Secondary School il suo corpicino aveva assunto le fattezze di donna, tanto da rendere gli sguardi e le attenzioni dei ragazzi sempre più insistenti e smaliziati. E, quanto più gli ammonimenti del padre diventavano espliciti, tanto più Agnes realizzava di essere bella e da quella consapevolezza si lasciava imbarazzare.
Ma, se in passato aveva avuto un cattivo rapporto con la propria bellezza, ora era arrivato il momento di sfruttarla.
Ci aveva pensato: la moda poteva essere la sua strada e il problema adesso era trovare il "passaggio" giusto per poterla percorrere!

Certo, non poteva sapere che quel passaggio le sarebbe stato offerto proprio quel giorno.

Era la sua prima domenica fuori dal pub. Gheorghe aveva deciso di tener chiuso il locale perché doveva far visita a certi suoi parenti a Birmingham e le aveva dato un'intera giornata libera. Come al solito aveva deciso di trascorrere il pomeriggio in uno dei suoi amati parchi. Stavolta l'Hyde Park. Presa com'era da quei pensieri e dal ricordo degli ammonimenti di suo padre, si accorse della suoneria del cellulare dopo un bel pezzo.
 Un numero sconosciuto.
-Pronto?-
-Ciao Agnes, sono Colin-
Come se non lo avesse riconosciuto appena aveva pronunciato la prima sillaba. C'era qualcosa nella voce di Colin di così caldo e familiare da renderla inconfondibile.
-Hei..ciao-
-Sono andato al Kirchherr's e quando non ho trovato nessuno ho telefonato a Gheorghe.-
-Oggi giornata libera-
-Si me l'ha spiegato. Gli ho chiesto il tuo numero perché mi andava di vederti-
Agnes non potè fare a meno di sorridere. L'aveva cercata. Era andato al Kirchherr's di proposito per vederla.
-Non dovevo?- Chiese un po' preoccupato davanti al suo silenzio.
-No, figurati! Hai fatto bene-disse in modo precipitoso-Io comunque sono ad Hyde Park-
-Se mi aspetti, ti raggiungo-
-Ti aspetto-

Colin la raggiunse in poco tempo. Ora era seduto vicino a lei su quella panchina che dava verso il Serpentine. Il cielo, colorato dai primi schizzi di tramonto, si rifletteva sul lago, immobile se non per qualche increspatura dovuta ai movimenti dei cigni sull'acqua.
-Quindi sei un tipo solitario, Agnes Dayle?- le domandò Colin come a volerla intervistare, come se volesse scoprire qualcosa di lei.
-Se rispondessi di sì, penseresti a me come una persona sfuggente e misteriosa-cominciò lei con il sorriso sulle labbra-ma forse la verità è che non conosco praticamente nessuno qui a Londra e l'unica alternativa sarebbe uscire con le amiche della mia padrona di casa e...No, grazie!-
-Ma conosci me!- disse lui offeso- d'ora in poi tienimi sempre presente per le tue uscite- poi aggrottò leggermente le sopraciglia prendendo le riviste accanto a lei-certo, se preferisci la mia compagnia a quella di Harper's Bazar, Face, Elle e Vogue! Ti interessi di moda, forse?-
Inevitabilmente Agnes avvampò dall'imbarazzo, domandandosi come gli avrebbe spiegato che voleva tentare la carriera di modella, temendo, soprattutto, che l'avrebbe presa per presuntuosa.
-Guarda, questa qui ti somiglia!- disse lui divertito indicando una modella in copertina.-Hai mai pensato di fare la modella?-
Sentì di volergli davvero bene. Senza saperlo l'aveva tolta dall'imbarazzo di introdurre l'argomento.
-Veramente stavo riflettendo proprio su questo- spiegò un po' incerta.
Temeva che scoppiasse a riderle in faccia e invece il ragazzo annuì serio.
-Certo, è difficile per chi non ha mai avuto esperienza però posso aiutarti se vuoi-
-E come?- chiese lei rabbrividendo. Il pallido sole era ormai calato e cominciava a fare freddo su quella panchina. Colin se ne rese conto e si alzò porgendole la mano.
-Entriamo al Serpentinea prendere qualcosa di caldo-
Il Serpentine Bar era un posto incantevole. Una struttura in legno con delle ampie vetrate che davano direttamente sul lago cui doveva il suo nome. Al suo interno aleggiava un'atmosfera calda e accogliente,  grazie soprattutto ai colori del tramonto che filtravano attraverso le finestre. Colin scelse per loro un divano dall'aria consunta ma inaspettatamente comodo. Sul tavolino dinnanzi a loro qualcuno aveva lasciato una vecchia copia di Harry Potter and the Goblet of Fire. I due giovani ordinarono del tè e due muffins. Mentre attendevano le loro ordinazioni Colin riprese il discorso lasciato a metà.
-Conosco una fotografa che lavora nel campo della moda. Niente di che, attenzione. Però sarebbe un buon modo per iniziare, non credi?-
-Certo! Ti confesso che non ne capisco proprio nulla di moda-
-Ti capisco. E' facile fare sogni ma realizzarli è tutta un'altra cosa- Le disse con un tono un po' amaro che strideva con l'idea che si era fatta di lui.
-Ma voi ci riuscite, no?-
Al suo sguardo interrogativo, dovette spiegare meglio.
-Intendo con il gruppo. Siete bravissimi e avete successo. Non trascorrerà molto tempo prima che vi contatti qualche casa discografica-
-Ah ti riferivi a quello- disse un po' pensieroso-Si, qualcuno già ci ha contattati ma Ian ha detto di no. Lui punta in alto-
Era strano. Sembrava quasi che non gliene importasse nulla del gruppo. Eppure durante le esibizioni dei The Fifth Beatle le aveva dato un'impressione completamente diversa: le era apparso come l'elemento carismatico del gruppo, il leader, il trascinatore, quello che ci credeva di più insomma. Con quella reazione e soprattutto quella frase, Colin aveva smentito questa idea. Era Ian a decidere. Era Ian a puntare in alto. E Colin?


***


Colin non scherzava affatto quando aveva detto che l'avrebbe aiutata. La sera stessa, subito dopo cena, Agnes ricevette un suo messaggio. Le diceva di aver contattato la sua amica fotografa che era disponibile ad incontrarla proprio l'indomani. Perfetto, lunedì era il giorno di chiusura al Kirchherr's e non avrebbe avuto problemi.
Dopo questa considerazione pratica arrivarono i soliti dubbi. Dubbi peraltro giustificati, visto che Colin non le aveva detto nulla su quell'incontro. Non aveva idea di cosa si aspettasse la fotografa da lei; non sapeva se avrebbe posato per qualche scatto o se avrebbero semplicemente parlato. Inevitabilmente immaginò di essere cacciata a suon di risate da una vecchia arpia dall'aria snob.
Il sonno tardava ad arrivare e lei non migliorava certo la situazione ripetendosi costantemente che doveva dormire altrimenti sarebbe stata impresentabile. Tra un'imprecazione e l'altra si addormentò, anche se si trattò di un sonno confuso e poco ristoratore.


Aveva dormito. Ma era lo stesso impresentabile.
Il lenzuolo spiegazzato le aveva lasciato un segno lungo tutta la guancia. Le occhiaie svettavano in mezzo al pallore del suo viso. Un brufolo stava lì sul mento a prenderla in giro.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di evitare quell'incontro ma ormai Colin la aspettava e non poteva più scappare. Come al solito si preparò in poco tempo, senza esagerare né con il trucco né con l'abbigliamento. Aveva una stramaledetta paura di rendersi ridicola.
Lo studio della fotografa era a Shoreditch, un quartiere che Agnes non aveva ancora visitato. Mentre attendevano la metro, Colin le spiegò che era il quartiere cui si dovevano tutte le ultime tendenze in fatto di arte e per questo meta molto ambita da tutti gli artisti di Londra e dintorni. Nei pub che affollavano quel quartiere si potevano scorgere individui dagli abbigliamenti eccentrici, l'aria bohèmien e distaccata e dagli stili di vita più inconsueti.
Lo studio era al terzo piano di una palazzina vecchio stile. Colin suonò il campanello e, in attesa che qualcuno aprisse, le sorrise incoraggiante.
Non c'era nessuno. Avevano atteso per qualche minuto e poi suonato insistentemente. Niente.
Si guardarono interrogativi proprio quando sentirono dei passi sulle scale. Qualcuno saliva di corsa.
-Colin perdonami. Mi ero dimenticata!-
Aveva parlato prima ancora di arrivare al pianerottolo.
Colin scosse la testa divertito.
-Non preoccuparti. D'altronde dovevo aspettarmelo. Tu e gli appuntamenti non siete mai andati molto d'accordo. Quante volte mi hai bidonato?-
Non aveva ancora finito di parlare che la donna fu al loro cospetto. Agnes sapeva che non era buona educazione stare lì ad osservare un'estranea ma tutto di quella donna richiamava la sua attenzione. Minuta com'era, la sua testa arrivava a mala appena all'altezza delle spalle di Agnes. Eppure chiunque per strada avrebbe ignorato la slanciata Agnes in favore di quella rossa dall'aria esplosiva.  I capelli ricci e rossi erano raccolti in un distratto chignon che lasciava dei ciuffi scomposti sulla fronte dandole un'aria alquanto stravagante. Il trucco, leggero ma curato, valorizzava il suo incarnato chiaro. Le labbra erano piegate in una smorfia furba di chi sa di non passare certo inosservata. Anche l'abbigliamento destò la curiosità di Agnes. La fotografa aveva appena tolto la mantella di lana beige scoprendo un abbigliamento studiato in ogni particolare. Un gilet dai toni tenui, che le cadeva morbido sulle spalle fino a metà coscia, mostrava una semplice canotta bianca e dei pantaloni marroni dal taglio maschile.  Per proteggersi dal freddo sembravano sufficienti degli scaldapolsi e una sciarpa rosso ruggine che faceva a pugni con il rosso dei suoi capelli. Ai piedi delle décolleté dalla forma un po' retrò e dal tacco vertiginoso.
Ancora intenta nella sua osservazione, non aveva fatto caso che nel frattempo la fotografa aveva aperto la porta dello studio e fatto loro cenno di accomodarsi.
-Astrid lei è Agnes, l'amica di cui ti ho parlato ieri!- Iniziò con il suo solito tono cortese Colin.
Astrid, ancora intenta ad aprire le persiane e a fare ordine tra le sue cose, si girò distratta verso loro.
-Si si, tanto piacere. Posso offrirvi un caffè?-
-Veramente noi...-
-Oh, per favore. Non ho chiuso occhio stanotte. Sono stata alla Counter Gallery per la mostra di Anthony, hai presente quel mio amico? Quello che ti ho presentato l'ultima volta, da Julia!-
Colin stava per rispondere quando lei continuò a parlare noncurante.
-Dopo la presentazione ci siamo spostati al Florist e lì abbiamo fatto baldoria tutta la notte- Disse gesticolando in maniera forsennata, mentre azionava la macchinetta per il caffè. In un gesto repentino si voltò verso i due giovani ancora fermi vicino la porta.
-Ma cosa aspettate? Su, accomodatevi lì- indicò dei divanetti posizionati malamente in un angolo della stanza.
Fu solo quando prese il primo sorso di caffè che la fotografa portò l'attenzione sui suoi ospiti.
-Mi dovete scusare ma non ho altro da offrirvi oltre al caffè- disse sempre con quell'aria esagitata.
Forse dovrebbe stare molto ma molto lontana dal caffè. Pensò Agnes divertita.
Finalmente la donna si accomodò davanti a loro, portando elegantemente i piedi scalzi sul divano e continuando a sorseggiare il caffè.
Colin approfittò di quell'improvviso silenzio.
-Ti dicevo, questa è Agnes. La ragazza di cui ti ho parlato ieri-
Astrid si girò, forse per la prima volta, verso di lei. Socchiuse leggermente gli occhi, come a volerla studiare. E, forse, lo stava facendo davvero.
-Colin ha detto che vuoi fare la modella-
Non era una vera domanda ma Agnes si sentì in dovere di dire qualcosa.
-Ecco, io non so se sono adatta ma vorrei fare un tentativo- spiegò insicura.
-Adatta? Tesoro sei bella e hai due gambe da mozzare il fiato!- le rispose divertita-Ora facciamo qualche scatto, ok?-
-Ok-
Neanche il tempo di risponderle che Astrid si era alzata e aveva preso a sistemare la sua Reflex.
-Sistemati lì, su quello sgabello- le ordinò con tono pratico senza neanche guardarla.

Erano trascorse ormai delle ore. Astrid in un primo momento le era apparsa un po' svampita e logorroica. Ed effettivamente lo era ma sapeva essere anche professionale nel suo lavoro. Anzi, con quel modo di fare aveva messo Agnes a suo agio permettendole di non essere troppo ingessata o innaturale al momento degli scatti. L'aveva tartassata di domande personali così strane da distrarla completamente da ciò che stava facendo.
Ora erano davanti ad un pc e Astrid stava selezionando le foto che la convicevano di più.
-Vediamo un po'- mugugnò Astrid concentrata -il viso è molto espressivo- le indicò alcune foto sullo schermo -lo sguardo c'è- assottigliò lo sguardo pensierosa -c'è qualcosa che stona, che non ti valorizza. Ma non riesco a capire cosa!- esclamò scocciata. Poi vedendo la sua espressione delusa precisò gentile -Non sto dicendo che non hai possibilità. Ma devi capire che il campo della moda è molto competitivo e ci sono modelle che alla tua età hanno già anni di gavetta alle spalle o addirittura cachet stellari. Se vuoi essere qualcuno in questo campo devi avere un qualcosa che ti contraddistingua dalle altre. Hai del potenziale, sicuramente. Quindi puoi iniziare e ti aiuterò volentieri. Ma rifletti sulle mie parole e cerca in te stessa qualcosa che ti possa fare emergere-
Non la stava buttando a terra. Agnes cercò di essere ottimista e di guardare al tono incoraggiante che la fotografa aveva appena usato. Certo, si chiese se le stesse parlando in quel modo solo per l'amicizia che la legava a Colin. Ma fu solo un momento. Decise di accantonare la sua solita insicurezza e tentare davvero qualcosa di significativo. A parte l'imbarazzo iniziale, si era sentita a suo agio davanti all'obiettivo e voleva riprovare quell'esperienza. Non si sarebbe data per vinta e avrebbe tentato davvero quella strada, anche se ora appariva così difficile.
Astrid dovette leggerle quella determinazione sul viso perché le rivolse un sorriso compiaciuto.


Nei giorni successivi Agnes instaurò una relazione al limite del morboso con il suo cellulare. Lo teneva sempre con sé, controllava che la batteria fosse carica quando usciva, chiudeva il telefono in faccia alla madre ogni volta che la chiamava.
La telefonata arrivò proprio quando Agnes si era convinta che per una volta poteva anche lasciare il cellulare in camera mentre faceva una doccia. Come da copione, insomma.
Ringraziò il suo super-udito mentre con ancora la schiuma fra i capelli sfrecciava verso la camera e prendeva il cellulare tra le mani. Inspirò profondamente per darsi un certo contegno e...
-Pronto?-







Note:
Ciao a tutti!
Eccomi con il nuovo capitolo! Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite. Un grazie particolare a Rachael che è stata davvero gentile nella sua recensione.
Per quanto riguarda il capitolo è suddiviso in tre momenti:
-Uno spazio introspettivo dedicato ad Agnes
-La conversazione tra Agnes e Colin da cui emergono alcuni punti interrogativi su quest'ultimo
-L'entrata in scena di Astrid
Il titolo del capitolo è una frase tratta da Ulysses dei Franz Ferdinand.
Nel capitolo nomino diversi posti di Londra, tutti esistenti:
ovviamente Hyde Park con il suo Serpentine e l'incantevole Serpentine Bar dove ho avuto il piacere di prendere una tazza di tè al tramonto, proprio come Agnes e Colin!
Shoreditch è davvero il quartiere più "alternativo" di Londra con le sue gallerie d'arte e i suoi locali particolari.
Il prossimo capitolo è quasi pronto  e ci sarà più spazio al lato romantico della storia.
A presto
Agnes




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Capitolo 6
*** Today is the greatest day I've ever know ***


capitolo 5


Today is the greatest day I've ever know




Ci sono dei momenti, rari ma esistono, in cui camminiamo in mezzo alla gente a testa alta, con un sorriso soddisfatto e pieni di aspettative. E' come se fossimo circondati da una particolare aura, resistente a tutte le brutture del mondo. Non vediamo la discussione in atto tra gli automobilisti, non ci infastidisce essere pressati dalla gente in metro e non ce la prendiamo con l'auto che non ci ha dato la precedenza.
Agnes quella sera, di ritorno dal suo primo servizio fotografico, stava vivendo uno di quei momenti. La musica dell'ipod era la perfetta colonna sonora per il suo stato d'animo. Camminava per le strade, scendeva le scale della metro, stava seduta sul sedile senza mai smettere di sorridere, muovere la testa a tempo di musica e canticchiare piano. Se ne fregava degli sguardi incuriositi delle persone intorno a lei e dei risolini che le rivolgevano le due ragazzine sedute accanto. C'erano solo lei e la sua felicità.
Il servizio fotografico non era niente di che, un lavoretto di poco conto e non molto remunerativo. Aveva posato con degli abiti di un'azienda emergente e le foto sarebbero finite in uno di quei cataloghi che la gente sfoglia frettolosamente.  Ma non era questo il punto. La sua felicità dipendeva dal fatto che per la prima volta non aveva provato né imbarazzo né incertezza. Dopo i primi ammonimenti e alcune spiegazioni da parte del fotografo, aveva capito come doveva comportarsi e da lì era andato tutto liscio. A fine giornata aveva ricevuto anche dei complimenti.
Per non vedere rovinato il suo buon umore, decise di non passare da casa. Kayla aveva un'impressionante capacità di buttarla a terra e quella sera non aveva proprio intenzione di abbandonarsi alla solita malinconia. Sarebbe andata direttamente al Kirchherr's, dove la attendeva una serata di duro lavoro poiché era giovedì e giovedì significava solo una cosa: The Fifth Beatle.

Era trascorsa un'oretta dal suo arrivo ed aveva appena finito di sistemare il locale. Gheorghe non aveva fatto altro che prenderla in giro per il suo nuovo lavoro.

-Lo chiami lavoro quello?! Stai senza far nulla mentre ti fanno trucco e parrucco, stai immobile mentre un tizio ti fotografa e ti pagano pure!!! Bah... Certe cose non le capirò mai!-

-Ma che dici? Non sto immobile. Devo stare in posa e cercare di essere espressiva!-provò a spiegargli pazientemente.
-Questo per te è abbastanza espressivo?- berciò  sogghignando mentre le mostrava un certo dito dal significato inequivocabile.
-Sei proprio irrecuperabile!- rispose lei scuotendo la testa divertita.

Era impaziente. Voleva raccontare tutto a Colin e magari....sì, magari anche ad Ian. Dopotutto avevano mostrato un sincero interesse nei suoi confronti e forse avrebbe fatto piacere ad entrambi sapere che la sua avventura, il suo cambiamento, aveva avuto inizio.
Come se li avesse chiamati, i ragazzi entrarono proprio in quel momento. Colin si nascondeva, senza troppo successo, dietro Ian e le rivolgeva occhiate divertite. Ian, invece, dalle occhiate perplesse che rivolgeva all'amico, non sembrava capirci molto. Quando Ian affrettò il passo lasciandolo scoperto, Colin nascose di gran fretta qualcosa dietro la schiena dirigendosi verso il bancone.
 -Cosa nascondi lì?- chiese divertita Agnes.
Lui sgranò gli occhi. Un'espressione dolcissima da bambino colto a combinare qualche marachella. Si guardò attorno con modo di fare teatrale per poi sorriderle furbo.
-Dici a me?-
-Si dico a te, Colin!- gli fece il verso.
Quando fu arrivato proprio davanti a lei, le mise davanti una bella bottiglia.
-Qualcuno mi ha detto che si brinda solo con lo spumante- spiegò con tono solenne -Per quanto mi riguarda preferirei una Guinness ghiacciata, ma visto che sei tu la festeggiata noi trogloditi cercheremo di accontentare questa bella signorina!- continuò la spiegazione divertito.
Agnes era rimasta senza parole. I suoi occhi andavano increduli dal viso di Colin alla bottiglia.
-Ma come...?-
-Visto che qualcuno si è dimenticato di informarmi- iniziò con uno sguardo scherzosamente inquisitore -ho contattato Astrid per avere tue notizie!-
Agnes non seppe fare altro che rivolgergli un sorriso pieno di gratitudine.
-Ma cosa avete da confabulare voi due?- si intromise a quel punto il bassista del gruppo. Com'è che si chiamava?Bart, Matt... Diamine, non lo ricordava mai.
-Festeggiamo il primo ingaggio della qui presente modella- illustrò Colin indicando Agnes.
Anche Ian si avvicinò, apparentemente incuriosito da quella novità.
-In realtà devo ringraziare Colin- disse lei imbarazzata -è stato lui a mettermi in contatto con una fotografa inserita nell'ambiente-
Vedendo Ian avvicinarsi gli sorrise radiosa. Voleva dirgli che questo piccolo risultato lo doveva anche a quel consiglio che lui le aveva dato tempo prima. Voleva dirgli che aveva cambiato prospettiva ed effettivamente cominciava a vedere davvero una strada, un percorso da seguire. Voleva dirgli tante cose, in realtà. Ma lui la anticipò.
-Hai il Talisker?- chiese annoiato.
-Cosa?- chiese stranita.
-Il whiskey- le spiegò spazientito.
-Ah...sì. Mi pare di sì- Rispose mordendosi il labbro inferiore per l'imbarazzo -Ora controllo-
E, felice che i whiskey fossero disposti alle sue spalle, si girò in modo da sottrarsi a quello sguardo indifferente. Sapeva bene dov'era il Talisker ma doveva prendersi un momento.
Che figura! Sicuramente neanche si ricorda di avermi parlato e io lo stavo pure ringraziando!
Gli versò da bere e azzardò un'occhiata nella sua direzione.
Stava seduto per i fatti suoi senza dar corda alle chiacchiere allegre degli amici. Sorseggiava il suo whiskey e ogni tanto si portava in maniera distratta una mano fra i capelli scuri. Non sembrava né malinconico né nervoso. Semplicemente annoiato. E pensare che poco tempo prima era stato gentile e disponibile nei suoi confronti.
"Sei tutto tranne che invisibile, Agnes."
Ora si comportava come un estraneo, con un distacco che lei faticava davvero a comprendere. Come se lei fosse invisibile, per lui.

***

Anche quel giovedì il Kirchherr's fu preso d'assalto dai giovani amanti del rock. Anche quella sera i The Fifth Beatle non tradirono le aspettative della clientela e fecero ballare tutti fino a notte fonda. Nonostante la freddezza di Ian, Agnes aveva trascorso una bella serata. Il suo buon umore era intoccabile.
Verso fine serata, i ragazzi si avvicinarono al bancone per bere qualcosa. Le solite ragazzette li accerchiarono nel tentativo di fare conquiste. Sconsolate, si videro ignorate dall'oggetto delle loro attenzioni: Ian e Colin che, seduti al bancone, parlavano tra loro di qualche pezzo da aggiungere alla scaletta.
-Agnes sono finite le birre. Riesci a prendere una cassa?- le chiese Gheorghe, occupato a preparare dei drink.
- Si, vado-
Prese la chiave e si diresse verso il magazzino-sfascio di roba, con la strana sensazione di essere osservata.
Intenta com'era ad aprire la porta, non si rese conto che qualcuno l'aveva seguita fino a quando non senti delle mani grandi ma gentili poggiarsi ai lati delle sue spalle. Sorpresa, cercò di girarsi ma la presa si fece più salda. Poi una delle mani, come a volerla tranquillizzare, scivolò lenta sul suo braccio fino a sfiorarle la mano stretta a pugno.
Agnes non ebbe neanche il tempo di formulare un pensiero logico che lui, era sicura che fosse un Lui, se ne andò. Non si era nemmeno voltata per accertarsene. Non serviva, avvertiva il vuoto alle sue spalle.
Frastornata prese la cassa e tornò al bancone.
-Quindi?-le chiese Gheorghe con fare interrogativo.
-Quindi cosa?-
-Non sono venuti ad aiutarti?-
-Ma chi?-
-Razza di idioti nullafacenti!-commentò schifato Gheorghe -Avevo chiesto a Ian e Colin di aiutarti con le birre, visto che una cassa non bastava-
-Ian e Colin...- sussurrò Agnes pensierosa.
Forse uno dei due l'aveva seguita e...Neanche lei sapeva dare un significato a quel gesto. Mentre tornava indietro a prendere un'altra cassa, si guardò intorno alla ricerca dei protagonisti dei suoi interrogativi.
Colin stava parlando animatamente con Dave e le dava le spalle. Ian stava riponendo la chitarra nella custodia e non le prestava alcuna attenzione.
Era stato davvero uno dei due?
Qualcosa di indefinito la fece rabbrividire mentre ripensava alle sensazioni provate in quel breve attimo, nel tentativo di decifrarle. Aveva provato attrazione. Come facesse a provare attrazione per qualcuno che non aveva nemmeno visto, non sapeva spiegarselo. Ma aveva provato indiscutibilmente attrazione. Forse qualcosa in lei aveva riconosciuto la persona alle sue spalle e le aveva suggerito il nome.



Note:
Ciao a tutti! Nuovo capitolo e nuovi interrogativi per Agnes.
Il titolo è tratto dalla canzone Today dei The Smashing Pumpkins e ovviamente fa riferimento all'entusiasmo di Agnes per questa nuova esperienza. Entusiasmo a cui si unisce Colin ma non Ian. Chissà come mai...
Per quanto riguarda la persona dietro di Agnes, ovviamente si tratta di....non so, voi l'avete capito??
Capitolo molto breve, lo so. Ma volevo concentrare l'attenzione su questi due momenti e non avrebbe avuto senso accorparli al prossimo capitolo che è già molto ricco di avvenimenti ed è quasi pronto per la pubblicazione.
A presto
Agnes


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Capitolo 7
*** Tonight, so bright tonight ***


capitolo 6


Tonight, so bright tonight


-Ci siamo persi- si lamentò una voce dietro Agnes. Non seppe riconoscerla con sicurezza. Dave o forse Karl, o come diavolo si chiama il bassista.
Qualcuno mugugnò spazientito -Non ci siamo persi- l'inconfodibile voce di Colin.
Passò qualche minuto prima che la stessa persona tornasse all'attacco.
-Amico, è inutile che lo neghi. Ci siamo persi. Questo buio poi mette un'angoscia- si lamentò rabbrividendo.
-Karl, non rompere. Woody mi ha spiegato la strada-
Ad Agnes non sfuggì il tono un po' incerto con cui aveva parlato.
L'amico sbuffò sonoramente-Ma non senti questi rumori? Saranno dei cani da guardia. Già immagino, domani ci troveranno tutti a pezzettini-
Di rumori se ne sentivano ma nulla che facesse pensare a qualche bestia feroce. Ciò nonostante anche Agnes iniziava a spazientirsi. Ormai da mezz'ora vagavano per quel bosco e aveva la netta impressione che Karl avesse ragione. Impressione sicuramente accentuata dal fatto che non avesse idea di dove Colin la stesse portando.

-Venerdì esci con noi-
Aveva esordito così, dal nulla. Non era una domanda, né un invito. Un'imposizione. Colin era fatto così. Si faceva prendere dalle novità con un'esuberanza degna di un bambino e, proprio come un bambino, non ammetteva mai un no come risposta.
Agnes si era quindi limitata a chiedergli quali fossero i programmi e, di fronte al suo sorrisetto enigmatico, aveva sbuffato e insistito ancora.
-Niente da fare, ti rovinerei la serata se te lo dicessi!-
-Ma dimmi almeno come devo vestirmi!-
-Come ti pare- le rispose stringendosi nelle spalle con fare indifferente.
Davanti al broncio di Agnes, però, capì che doveva darle almeno qualche indizio.- Magari osa un po', qualcosa di particolare- Stava per allontanarsi dal bancone quando tornò indietro con un sorriso furbo -Ma porta il costume, mi raccomando!- Poi sembrò pensarci ancora un po' prima di aggiungere-Ed eviterei scarpe scomode-

Ed eccoli lì, tre ragazzi e due ragazze a vagare per i boschi di una località sconosciuta fuori Londra.
 
Si erano dati appuntamento al Kirchherr's, dove i ragazzi erano arrivati con mezz'ora di ritardo. Sorpresa aveva visto l'auto allontanarsi prima dal centro, poi dalla periferia. Avevano viaggiato per un bel pezzo e si erano fermati in mezzo al nulla.
Appena scesi dall'auto, Colin le si era avvicinato tenendo fra le mai qualcosa di ingombrante che Agnes non aveva riconosciuto subito.
-Ecco un capo d'alta moda tutto per lei, Miss Dayle!-
-Che cos'è?-
Per tutta risposta, Colin glielo piantò sulla testa con poca gentilezza.
-Un casco di protezione con annessa lampadina-Le spiegò divertito.
-Ahi! E cosa dovrei farci?-
-Seguimi e lo capirai-
Dopo appena qualche passo tra quella buia sterpaglia aveva ben capito cosa doveva farci. Evitare di fare qualche capitombolo!
Dopo dieci minuti, invece, aveva ringraziato la sua naturale predisposizione a fidarsi degli altri. Indecisa tra le scarpe da indossare, aveva preferito dare retta al consiglio di Colin ed evitare scarpe scomode. Quel giorno aveva piovuto e il terreno era piuttosto umido. I suoi stivali dovevano essere impresentabili ma almeno non era ridotta come Misaki, l'unica ragazza oltre lei di quel gruppetto di sprovveduti, che dall'alto dei suoi tacchi rischiava di cadere un passo sì e l'altro pure.

Dei suoni in lontananza destarono la sua attenzione.
-Sentite?-chiese a quel punto.
-Siamo arrivati-esclamò fin troppo sorpreso Colin. A quanto pare non era così sicuro di conoscere la strada come aveva detto qualche minuto prima.
Man mano che camminavano i suoni si facevano sempre più alti e Agnes li identificò come musica. Musica assordante in effetti.
Dave prese le mano di Misaki e si mise a correrre ululando verso la fonte di quei suoni. La bella giapponese urlava dietro di lui, forse più per il dolore ai piedi che per l'entusiasmo.
Il nervoso Karl li seguì poco dopo, lasciando Agnes e Colin dietro.
-Ma cosa c'è lì? Un concerto?-
Colin scosse la testa divertito.
-I concerti li trovi anche a Londra, non credi?-


***

Fu sufficiente allungare il passo per scoprire che posto fosse.
Era una villa. E lì niente di strano, se non fosse che si trattava di una villa grandiosa, una di quelle che Agnes aveva visto solo nei film. La struttura, tutta bianca, si articolava su tre piani caratterizzati da ampie vetrate che, grazie all'illuminazione, lasciavano intravedere la moltitudine di persone al loro interno. All'esterno il prato, perfettamente curato, era interrotto da una piscina dalla forma particolare, attorniata da grandi ombrelloni, salottini e sdraio.  Delle piccole luci, disseminate lungo il giardino, conferivano al tutto un'aria ancora più ricercata ed elegante.
-Conosci persone che possono permettersi un posto del genere?-Chiese con gli occhi incollati su quella villa da sogno.
-Certo che no- le sorrise scaltro Colin.
-E quindi che ci facciamo in un posto del genere? Ci imbuchiamo?-
-Mai sentito parlare degli Squatters?-
-Gli anarchici che occupano abusivamente le case?- domandò incuriosita.
-Proprio così-
-Ma...Una villa del genere?-
-Da un po' di tempo si sono dati al lusso!-
-Come fanno a passarla liscia?-
-Qui in Inghilterra non è reato l'occupazione abusiva. Basta evitare di farsi cogliere in flagrante durante lo scasso. Dopo bisogna solo non lasciare l'abitazione vuota: finché c'è qualcun altro dentro il proprietario non può farci niente!-
Nel frattempo erano arrivati presso la grande terrazza attigua all'abitazione. Era stracolma di gente: ragazzi e ragazze dall'abbigliamento più vario si dimenavano e urlavano mentre un gruppo suonava White Riot. Dall'interno proveniva, un po' attenuata per via delle vetrocamere, una musica diversa, anche se altrettanto chiassosa.
-Beviamo qualcosa- le disse all'orecchio mentre le prendeva la mano per non perdersi tra la folla.
Presero delle birre e iniziarono a ballare, scambiandosi ogni tanto qualche parola.
-E' una jam session...- iniziò a spiegarle -Gran parte di questi ragazzi sono dei musicisti. Ognuno aspetta il proprio turno per suonare qualche pezzo-
-Suonerete anche voi?-
-Non so. Ian all'ultimo momento mi ha detto che sarebbe venuto con altre persone-le spiegò un po' risentito -è fatto così:  a volte sei il suo più grande amico, altre scompare e non conti più nulla-

-Questa è bella!!!-Urlò divertito -Hei Oh, Let's Go!- gridò insieme agli altri al tempo di  Blitzkrieg Bop.
Ben presto i due iniziarono a pogare, contagiati dall'euforia dei ragazzi intorno a loro.
-Hei ragazzi- rimbombò una voce mentre qualcuno li afferrava per le spalle.
-Dave! Dove sei stato?-
-E' una sera che vi cerco!-
Dall'odore di alcol che proveniva dalla sua bocca e dalla voce strascicata, Agnes ne dubitava molto.
-Venite dentro, siamo tutti lì. Woody voleva salutarti-
Senza attendere una risposta, mise le sue pesanti braccia intorno alle spalle di Agnes e Colin per spingerli brutalmente verso l'ingresso.
L'interno era ancora più stupefacente. Attraverso una portafinestra si accedeva ad uno spazioso ingresso che in quel momento era gremito di gente. Dave li spinse verso un'altra stanza, bianca come il resto della casa, e da lì salirono al primo piano, affollato come gli altri.
-C'è da perdersi in questa reggia!-si lamentò Dave-Quel Woody ha proprio gusto, però! Dovresti vedere poi che gran belle...-
-Dave...-Lo riprese Colin.
-Eccoli-
Li abbandonò subito per andare di gran fretta da Misaki che non sembrava affatto felice e infatti gli rivolse uno sguardo di sufficienza prima di voltarsi e andare via con un'altra ragazza.
-Topolina, perdonami. Non riuscivo a trovare Colin-
Quando però la nipponica si fu allontanata, fece spallucce e si mise a parlare con una tizia lì accanto.
Ma l'attenzione di Agnes fu ben presto catturata da qualcos'altro.
Su un grande divano stavano seduti comodamente un gruppo di persone e, tra quelle, eccolo lì: Ian.
Uno di loro si alzò dal divano per venire loro incontro, subito seguito da Ian.
Lo sconosciuto aveva un'aria alquanto eccentrica. Non alto ma molto magro, portava i capelli indietro lasciando intravedere una calvizie incipiente. Il naso piuttosto pronunciato e la dentatura un po' cavallina facevano sì che la sua immagine fosse riconoscibile anche a distanza di tempo. Indossava una giacca dal taglio elegante sopra una tshirt dai colori accessi e dei pantaloni molto stretti che sottolineavano le gambe magre.
-Colin anche tu qui! Mi fa veramente piacere- esordì cerimonioso, come se fosse il padrone di casa.
-Woody, quanto tempo!! Ne hai fatta di strada da quando occupavi il 101 di Walterton Road-
Il tipo indicò la gente attorno a loro -Siamo cresciuti in numero e serve più spazio-
-Uno spazio molto lussuoso, a quanto vedo-
Woody agitò una mano in segno di noncuranza, mentre il suo sguardo curioso si posava su Agnes.
-Sempre il solito cafone, Colin. Non dovresti presentarmi quest'incantevole ragazza?-
-Piacere, Agnes!-si presentò sorridente la giovane.
-Che adorabile fidanzata. E' proprio vero, le perle vanno...-
-Sono solo un'amica-si premurò di precisare lei quasi all'unisono con Colin.
Woody li guardò divertito prima di rivolgersi all'amico.
-Purtroppo io stasera sono impegnato- disse indicando un gruppetto di ragazze che, sedute sul divano, la guardavano minacciose -Ma posso presentarti il mio amico Ian! Ha dei gusti davvero difficili- spiegò avvilito.
Dopo l'ultimo incontro, Agnes non sapeva davvero che comportamento aspettarsi da parte di Ian. Se era un giorno no, poteva arrivare a fingere di non conoscerla. Se era un giorno sì, le avrebbe rivolto uno dei suoi rari sorrisi.
Giorno sì. Pensò con un sospiro di sollievo davanti all'espressione serena con cui il ragazzo la guardò.
-Ci conosciamo già. E' una barista del Kirchherr's-spiegò conciso.
"Sì, e un giorno le faccio da confidente e il giorno dopo la ignoro completamente" aggiunse scocciata nella sua testa.
-Ah, il locale dove suonate voi bambocci-
-Noi bambocci?!- domandarono all'unisono Ian e Colin indignati.
-Dimmi un po' caro Woody, quante offerte avete avuto tu e i 101'ers quest'anno?- Chiese Ian insinuante.
-Nemmeno una- rispose Colin scandendo ogni sillaba.
-Fottetevi!- si limitò a dire l'amico sbeffeggiato prima di rivolgersi nuovamente ad Agnes. -Allora barista, cosa può offrirti il buon vecchio Woody? Birra, whiskey, assenzio, Black-birds o magari qualche Blotter-Acid?-
-Una birra andrà benissimo- rispose scocciato Ian al suo posto.
-Ma io dicevo tanto per dire. Sempre permaloso-


***

Era brilla. Non aveva bevuto molto ma la birra aveva prodotto comunque il suo effetto. Una sensazione di leggerezza la avvolgeva così che tutto intorno a lei le appariva ovattato. Ballava da chissà quanto tempo. Il tempo aveva perso la sua importanza. Di importante c'era solo la musica e quel fastidio alle guance causato dal sorriso cristallizzato sul suo volto. Continuava a portare le mani sulle gote accaldate e indolenzite in un'espressione che doveva essere molto buffa visto che Colin rideva ogni volta.
La mente, fortunatamente, non aveva perso lucidità. Non aveva avuto problemi a capire le intenzioni di uno sconosciuto che l'aveva presa per i fianchi così da allontanarsi subito. Aveva rifiutato le pasticche che Misaki le aveva offerto. E si era goduta al meglio la serata.
C'era qualcosa, però. Qualcosa che la distraeva continuamente, che portava i suoi occhi lontano da Colin, Dave e tutti gli altri. Una curiosità che sconfinava nell'ossessione, un pensiero fisso. Senza rendersene conto lo cercava tra le persone intorno a lei e, quando lo individuava, si perdeva nella sua immagine.
Ian era sempre accerchiato da persone. Eppure qualcosa di lui trasmetteva un senso di isolamento, voluto e mai forzato. Uno strano pensiero, forse dettato dai fumi dell'alcol, la attraversò. Ian viveva in una perenne notte affollata e solitaria insieme, preferendo chissà per quale motivo danzare da solo.
I ragazzi intorno a lui, compreso quel Woody, pendevano dalle sue labbra. Gli ponevano domande e affascinati lo ascoltavano rispondere. Le ragazze, invece, facevano di tutto per attirare la sua attenzione. Gli portavano da bere, ballavano con lui e qualcuna osava anche di più. Il protagonista di quelle attenzioni non si mostrava mai indifferente o sgarbato. Era gentile, affabile con alcuni di loro. Davanti ad alcune domande, che Agnes non aveva potuto sentire, aveva risposto in maniera entusiasta e aveva parlato ininterrottamente per diversi minuti. Con le donne, poi, era sempre impeccabile e non aveva rifiutato alcun invito. Solo, non rispondeva alle loro avances come avrebbero voluto. Certo, le abbracciava e le stringeva a sè mentre ballavano ma non andava mai oltre. Agnes interpretò quell'atteggiamento come un'avversione verso gli atteggiamenti troppo audaci in pubblico. Avversione che non sembravano provare né Karl, impegnato in un discorso molto licenzioso con Misaki né Dave che, dopo aver fissato basito l'amico baciare la giapponese si era subito ripreso provandoci con la amica di lei, tal Jilian o Joanna.
-Ragazzi lasciatele respirare un po'- li esortò divertito Colin. Niente da fare, neanche lo sentivano.
 -Dai, non sta suonando nessuno ed ho chiesto a Woody di farci fare qualche pezzo-
A quelle parole i due lasciarono in modo rude le due malcapitate e quasi di corsa si avvicinarono agli strumenti messi a disposizione da Woody.
Colin si guardava intorno un po' contrariato.
-Dove diavolo si è cacciato?-
-Colin qui il silenzio comincia a dare fastidio. Qual è il problema?- domandò divertito Woody.
- Il problema è che non trovo il mio chitarrista-
-E io che ci sto a fare qua?-gli rispose quello indicandosi con entrambe le mani -Che c'è, non mi trovi alla vostra altezza?-
Colin gli lanciò un'occhiata scherzosa come a volerlo valutare.
-Vedi di non sbagliare troppi accordi- Disse avvicinandosi al microfono.
-E tu non prendere troppe stecche!-

***


Fin dalle prime note Agnes si mise a ballare, incurante del fatto che i suoi amici l'avessero lasciata sola in mezzo a quel gruppo di sconosciuti. Forse era l'alcol a donarle disinvoltura ma non voleva stare lì a pensarci. Voleva solo godersi la musica.
Presto, ognuno di quei volti a lei estranei scomparvero dalla sua visuale, lasciando posto a una figura più familiare e decisamente più magnetica. Ian, che sembrava nato per muoversi al tempo di quel pezzo, ballava poco distante da lei. Anche lui da solo. Lo guardò a lungo, ma soltanto quando lo sguardo risalì lungo la figura slanciata, fino a incrociare i suoi occhi, capì che anche lui le stava dedicando la stessa attenzione.
Ian non ballava davvero. Si limitava a muovere in modo quasi impercettibile la testa e il corpo e a portare in maniera distratta la sigaretta alle labbra. E questo bastava per farle provare un'attrazione mai provata in vita sua.
Quasi ipnotizzata da quelle movenze, Agnes non si rese conto che si era fatto vicino, molto vicino e ora, accennando appena un sorriso, sembrava invitarla a ballare. Trovò naturale adeguarsi ai suoi movimenti e si ritrovò a ricambiare quel sorriso. Si irrigidì solo un po' quando sentì la mano di Ian posarsi sul suo fianco sinistro. Il ragazzo sembrò cercare sul suo viso un segno di fastidio ma quello che vide dovette tranquillizzarlo perché quei pochi centimetri che li separavano continuavano a ridursi sotto il volere di Ian. Ormai il fianco di lei si muoveva come guidato da quella mano ferma e sicura tanto da aumentare la tensione del momento. Una tensione che, Agnes ne era convinta, avvertivano entrambi. Una tensione che si scaricò immediatamente quando Woody urlò al microfono -Donne in acqua!-
Mentre Agnes si sentiva smarrita in mezzo alle urla divertite dei ragazzi intorno, Ian le sorrise diabolico, la afferrò per i fianchi e se la caricò sulle spalle per poi dirigersi verso la piscina.
-No ti prego. Fa freddo-urlò Agnes allarmata.
Le suppliche non furono sufficienti a dissuaderlo.
Ma quando cercò di gettarla in acqua lei gli tirò con forza la tshirt trascinandoselo dietro.
E poi fu solo acqua. Acqua riscaldata, per fortuna. Una volta toccato il fondo della piscina si diede una spinta verso l'esterno e, quando riemerse, Ian era già lì ad attenderla.
-E' stupendo qui! A saperlo mi sarei gettato prima!- esclamò il ragazzo avvicinandosi a lei.
-Dimentichi che sono stata io a farti cadere-
-Solo perché te l'ho permesso!-
-Ma che bugiardo!- commentò lei piccata per poi mettersi a ridere quando lui iniziò a gettarle degli schizzi d'acqua in pieno volto.
Ben presto li raggiunsero anche gli altri ragazzi, con i quali ingaggiarono una vera e propria lotta a suon di risa e di schiamazzi.  

C'era qualcosa, in quella notte, di indelebile. Ma nessuno di quei ragazzi, dai caratteri così diversi e particolari, a volte anche complicati, se ne rese conto mentre accadeva. Presi com'erano dal divertimento, dalle risa e dalle urla non potevano capire che, in quella villa, avevano dato via a qualcosa di grande che li avrebbe per sempre cambiati.
 Quella notte si stavano consumando momenti irripetibili delle loro vite. Momenti così perfetti che in futuro non sarebbero più riusciti nemmeno a descrivere.





Note:

Ciao a tutti! Questo è un capitolo un po' particolare che merita alcune precisazioni.
Innanzitutto la figura di Woody è ispirata a Joe Strummer dei The Clash. Agli esordi si faceva chiamare appunto Woody e faceva parte dei 101'ers dal nome della casa che aveva occupato insieme a un gruppo di hippies.

Nel capitolo si fa riferimento agli Squatters. Si tratta di una piaga della società inglese dovuta, come spiega lo stesso Colin, a un paradosso della legislazione britannica. Vero è anche il fatto che di recente gli squatters hanno iniziato ad occupare case lussuose.

Nella scrittura di questo capitolo mi hanno influenzata, ancora più del solito, certe canzoni tanto che ne faccio riferimento anche nel testo:
Il momento in cui Agnes osserva Ian e le sue impressioni è ispirato da Dancing with myself. di Billy Idol
La canzone che mi ha ispirato il momento Agnes-Ian è Come on dei The Panderers (l'avrò ascoltata una decina di volte!!)
Infine il titolo del capitolo così come il periodo che lo conclude fa riferimento alla stupenda Tonight, tonight dei The Smashing Pumpkins.
Nel corso del capitolo ho anche menzionato altre due canzoni per rendere l'idea dell'ambiente che circonda Agnes: White Riot dei The Clash e Blitzkrieg bop dei Ramones.

Ringrazio sempre chi ha recensito e chi segue la mia storia e adesso mi rimetto al vostro parere!
Al prossimo capitolo
Agnes
















 

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Capitolo 8
*** There is a light that never goes out ***


capitolo 7


There is a light that never goes out


Quella mattina di dicembre la sveglia suonò puntuale. Ma, come accadeva ormai da un po' di tempo, Agnes era già alzata. Alle prime luci del mattino la sua mente diventava vigile, pronta a captare qualsiasi avvicinamento del nemico.
La sveglia fu quindi zittita con un gesto spazientito mentre la giovane rivolse un'occhiata preoccupata in direzione della porta.
Silenziosa, entrò nel bagno personale. Dopo una rapida doccia si vestì frettolosamente nonostante il corpo fosse ancora bagnato e tremante per il freddo.
Un'occhiata veloce allo specchio e si avvicinò alla porta. Era quella la parte più difficile, che avrebbe condizionato il suo umore quel giorno. Si trattava di evitare la padrona di casa, Kayla.
Fin dal suo arrivo a Londra, Kayla aveva deciso che "avrebbe sopperito alle mancanze di sua madre, riportando la giovane sulla retta via". Sostanzialmente, l'avrebbe persuasa a smetterla con i capricci e ad iscriversi all'università. Da brava avvocato sapeva quali tasti toccare e i motivi su cui insistere e, cosa ancora più pericolosa, individuava con assoluta precisione il momento propizio per attaccare la sua preda.
Quando l'aveva informata del suo primo servizio fotografico, Kayla non aveva detto nulla limitandosi a storcere elegantemente il naso. Sapeva bene che l'entusiasmo avrebbe reso la giovane sorda alle sue parole e un tipo pratico come lei detestava parlare inutilmente.
Quindi stette in silenzio, attendendo che arrivasse inesorabile la disillusione.
Come previsto, dopo un po' di tempo Agnes si trovò di fronte ad un'amara realtà. La sua carriera nella moda era ancora ben lontana dall'iniziare. Nonostante tentasse diversi provini, veniva scelta solo per incarichi di poco conto, niente che le desse un'adeguata visibilità. Aveva sottovalutato le difficoltà di quel percorso e ora ne stava pagando le conseguenze.
Fu in quel momento che ebbe inizio la guerra all'interno di quell'elegante appartamento di South Kensington. Per Kayla ogni momento era buono per attaccarla e rinfacciarle la sua inadeguatezza per quel mondo. Agnes, vista l'inconciliabilità delle loro posizioni, preferiva difendersi in due modi diversi: o stava in silenzio mentre l'altra le rivolgeva le solite parole di biasimo o, soluzione altamente preferibile, evitava semplicemente di imbattersi nella sua avversaria.
Quella mattina stava appunto provando a mettere in pratica quest'ultima soluzione quando, arrivata a metà corridoio, il cellulare prese a squillare.
-Pronto?- bisbigliò
All'altro capo del telefono, Colin si mise a sghignazzare.
-Ancora con questa storia?- le chiese divertito.
-Ti prego, non infierire.-
-Mandala al diavolo una volta e per tutte, no?-
Agnes sbuffò sonoramente -la fai facile, tu-
Nel frattempo prese a scendere le scale che l'avrebbero portata all'ingresso. La salvezza era vicina.
Avvertì dei rumori alle sue spalle. La megera doveva essere ancora al piano di sopra.
-Forse per una volta riesco a fare colazione a casa- comunicò sempre a bassa voce all'amico.
-Veramente ti avevo telefonato proprio per...-
Aveva appena messo un piede in cucina quando si ritrovò davanti la figura di Kayla intenta a preparare la colazione. Prima che potesse vederla, fece un rapido dietrofront e tornò in salotto.
-Mmh..-si lamentò scocciata.
-Che c'è adesso?- chiese lui divertito.
-Comincio a pensare che questa donna abbia il dono dell'ubiquità e che ci siano almeno tre Kayla Bishop in questa casa-
-Agnes, sei tu?-
-Oh, dannazione! Mi ha sentita ed è tutta colpa tua-
-Mia?? Io volevo solo invitarti a colazione-
-Agnes?- insistette la voce proveniente dalla cucina.
-Va bene. A tra po'-
Appena il tempo di chiudere la conversazione e Kayla fu dietro di lei.
-La colazione è pronta- l'avvertì con un tono degno di un generale delle SS.
-Veramente ho fretta. Prenderò un muffin e lo mangerò strada facendo-
-La colazione si fa seduti a tavola- le rispose facendo un cenno imperioso verso la sedia.
-Ma...-
Assottigliò lo sguardo mentre le lanciava un'occhiata valutativa -Non è che sei anoressica?-
Agnes si morse con forza un labbro per evitare di rispondere in modo scortese. Si sedette e prese a mangiare svelta il suo muffin.
-Come mai questa fretta?-
-Ho due provini oggi- spiegò tra un boccone e l'altro.
-Oh, Agnes cara...Non credi che sia il caso di smetterla?-
La ragazza posò lentamente il muffin sul piattino, si grattò nervosa un sopracciglio ripetendosi che non valeva la pena di risponderle e si alzò.
-Io vado-
-Ti ho fatto una domanda-esclamò indignata.
-Una domanda inutile- le rispose con un distacco che era ben lontana dal provare.
-Tua madre mi ha chiesto di occuparmi di te e non posso ignorare la brutta strada che stai prendendo. Ogni mattina salti la colazione e dio solo sa cosa mangi quando sei fuori. Durante il giorno non ti fai vedere né sentire e se ti chiamo non ti degni di rispondere. Perdi tempo dietro la moda mentre i tuoi coetanei fanno progetti seri e, come se tutto questo non bastasse, ogni sera esci con quei tipi loschi.-
Forse sentendosi svantaggiata dalla posizione, Kayla si alzò per fronteggiare la giovane.
-Non sono nata ieri, carina. Immagino cosa fate tu e quei...-un'espressione disgustata le deformò il viso. Vista la sua incapacità di continuare quello sproloquio, Agnes ne approfittò per dileguarsi.
-Se hai finito io andrei- le chiese con la peggiore faccia da schiaffi del suo repertorio.
-Ma, ma...-
-Buona giornata- La salutò con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.




-Buona giornata un corno- si disse scocciata dopo che ebbe chiuso la porta dietro di sè. Era diventata davvero brava a non dare soddisfazioni alla gente, a Kayla in particolare. Ma se davanti alla megera riusciva a fingersi indifferente alle sue parole, almeno con se stessa doveva essere sincera: quelle continue critiche colpivano il suo già precario stato d'animo.
Ci stava mettendo tutto l'impegno possibile. Aveva seguito i preziosi consigli di Astrid sul suo look; aveva contattato diverse agenzie e soprattutto si era presentata a tutti i provini, dando il meglio di sè.
Non è sufficiente. Lo aveva pensato quando, all'ultimo provino, l'incaricato aveva appeso l'elenco e il suo nome non figurava tra le assunte. Lo aveva ripetuto tra sè quando una ragazzina di sedici anni era stata accolta come una diva. E questo pensiero tornava anche quando i fotografi la osservavano perplessi, come se qualcosa di lei non andasse. Non era sufficiente.
Agnes dentro di sè cominciava a dare ragione a Kayla e questo la spaventava più di ogni altra cosa.
Gettò un'occhiata a quella palazzina che ormai da diversi mesi la ospitava.
"Non è casa." Realizzò prima di voltarsi e dirigersi verso la metro.
 Casa è dove trovi riposo e conforto, al riparo da torti e paure.
Se avesse potuto avrebbe lasciato l'appartamento di Kayla quel giorno stesso. Era un lusso che non poteva permettersi. Per poter partecipare ai casting ed essere sempre disponibile per l'agenzia che la seguiva, aveva dovuto rinunciare al suo lavoro di barista a tempo pieno. Gheorghe aveva assunto un'altra ragazza, permettendo ad Agnes di lavorare al Kirchherr's solo saltuariamente. Questo significava una drastica riduzione dello stipendio e, visto lo scarso successo nel mondo della moda, la prospettiva di trovare un monolocale tutto per sè le appariva sempre più lontana.
Un messaggio di Colin arrivò a distrarla. L'avvisava che la stava aspettando al solito Starbucks.
Non potè trattenere un sorriso.
Colin, Ian, Dave e Karl. Dopo la famosa sera alla villa, Agnes era entrata a far parte del loro mondo. Un vero privilegio, avrebbe commentato qualcuno come Kayla. Ma per Agnes quell'amicizia era qualcosa di stupefacente.
Affrettò il passo per raggiungere Colin mentre la sua mente ripercorreva le ultime serate trascorse insieme ai ragazzi.

Gran parte delle loro uscite ruotavano intorno alla musica. Spesso si ritrovavano in locali notturni dall'aria decadente, dove i The Fifth Beatle suonavano qualche pezzo per il semplice gusto di suonare. Agnes restava dietro le quinte, occupata a spiare i volti che affollavano quegli strani locali e soprattutto a indovinare le storie che si nascondevano dietro quei volti.
Altre volte trascorrevano intere serate a bere birra in qualche pub, dove puntualmente qualcuno di loro finiva con il dare spettacolo. E quando Agnes era di turno al Kirchherr's, il gruppo si ritrovava lì con la scusa di scroccare qualche Guinness.
Una volta Colin l'aveva portata alle prove del gruppo. Dal momento che potevano provare solo di sera, erano costretti a riunirsi nello scantinato della galleria d'arte della madre di Colin. Quando entrarono, Ian le rivolse un'occhiata non proprio felice. Colin le spiegò che quando si trattava di musica, Ian diventava un vero stacanovista e non ammetteva distrazioni durante le prove tanto da aver vietato ai ragazzi di portare le loro conquiste. "Ma per te può fare un'eccezione."
Spesso, a notte fonda, camminavano a piedi per le strade di Londra. Agnes in quei momenti non temeva nulla. Nè le ombre dei vicoli, rispetto alle quali avvertiva un senso di appartenenza; nè le persone che incontravano strada facendo, fantasmi così simili a loro.

Dopo che l'incontro con Colin le aveva permesso di recuperare almeno in parte il suo buon umore, si preparò ad affrontare una difficile giornata.

***



Quella sera neanche i ragazzi riuscivano a farla svagare. I casting erano andati male e al ritorno aveva discusso di nuovo con l'arpia. Quando era salita in auto Colin l'aveva osservata un po' preoccupato e davanti al suo sorriso tirato aveva assunto un'aria pensierosa.
Le ore trascorrevano lente e Agnes sentiva il bisogno di starsene un po' da sola. Si trovava invece in un pub molto affollato, seduta tra il possente Dave e il mingherlino Karl, intenti a litigare nel tentativo di stabilire quale fosse la miglior band punk di sempre.
Poichè non ne poteva più di sentire parlare di "Clash", "Sex Pistols", "Rock the Casbah" e "God save the queen", decise di raggiungere Ian e Colin impegnati in una partita a freccette.
Arrivò silenziosa dietro di loro e, quando stava per fargli notare la sua presenza, li sentì fare il suo nome.
-Non capisco perché fai quella faccia. Che fastidio ti darebbe?-
-Il problema non è Agnes- rispose Ian irritato, mentre cercava di prendere la mira tenendo la freccetta tra le dita sottili.
-Ma vedi Ian- iniziò esasperato l'amico -Non capisco quale possa essere il problema visto che si tratta di Agnes-
Ian non rispose. Sembrava voler prendere tempo mentre occhieggiava il bersaglio. Dopo aver ottenuto venticinque punti, si voltò verso Colin. Agnes riusciva a vederne solo il profilo ma le sembrava incerto, titubante.
-Non sarebbe un po' complicato due ragazzi e una ragazza?-
Colin fece un gesto noncurante con la mano mentre prendeva una freccetta e si preparava al tiro.
-Agnes non si farebbe nessun problema con noi due-
-E tu sei sicuro che dirà di sì?-
Dopo aver tirato la freccetta, Colin lo guardò divertito.
-Ne ha troppo bisogno!-
Se i due si fossero girati avrebbero trovato un'Agnes a dir poco sconcertata. Quella conversazione non lasciava ampi margini d'interpretazione.
-Va bene allora- acconsentì Ian di malavoglia -Però...-
-Però?-
-Glielo proponi tu.- Disse mentre lasciava andare l'ennesima freccetta.
 


***


Agnes si era rifugiata al bancone, dove ormai da diversi minuti era seduta con una Coca come unica compagna. Ogni tanto gettava un'occhiata dietro di lei alla ricerca dei due ragazzi. Nervosa si chiedeva di cosa stessero parlando poco prima.
-Cosa ci fai qui tutta sola?-
Colin si sedette sullo sgabello accanto a lei. La guardava con quella dolcezza che le aveva riservato fin dal loro primo incontro. Agnes però era di cattivo umore e non riusciva a ricambiarla.
-I discorsi sul punk mi hanno stancata- Spiegò scocciata. Una mezza verità: in realtà stava scappando dalla proposta che Colin avrebbe dovuto farle.
L'amico si sporse nella sua direzione, sfiorandole la spalla con la sua.
-E' strano vederti così- le disse con un sorriso un po' triste.
-Così come?-
Lui sembrò cercare le parole giuste e dopo qualche minuto di silenzio parlò.
-Stai sprofondando...-
Agnes si irrigidì e non potè fare a meno di voltarsi nella direzione opposta.
-Ma io ho la soluzione ad almeno uno dei tuoi problemi- Le disse strattonando appena la manica della tshirt nel tentativo di farla girare nella sua direzione.
-Non tutto può essere risolto, Colin-
-Questi toni drammatici lasciamoli alle soap, ok?-
Agnes si ritrovò a sorridere suo malgrado.
-Ecco, così va meglio. Stavo dicendo che ho una proposta per te- le spiegò recuperando il tono divertito che lo aveva sempre contraddistinto.
Agnes si mosse nervosa rischiando di cascare dallo sgabello.
-Io e Ian abbiamo pensato che ti farebbe bene...-
-Certo, non so se i tuoi approverebbero...-
-Anche tu potresti sentirti a disagio con due uomini-
-Ma penso che se metti da parte ogni pregiudizio potresti stare bene con noi-
Agnes era allibita. Strabuzzò gli occhi mentre l'amico continuava a blaterare senza mai arrivare al punto.
-Colin-lo interruppe incerta.
-Che c'è?-
-Di che diavolo stai parlando?-
Lui la guardò come se si fosse ammattita, come se fosse ovvio il significato delle sue parole.
-Ti sto chiedendo di venire a vivere con me e Ian-


***


-Non far caso al disordine- esordì Colin mentre apriva la porta d'ingresso.-Stamattina non ho avuto neanche il tempo di sistemare-
Era circa mezzogiorno. Agnes e Colin avevano trascorso l'intera mattina a raccogliere le cose di lei per portarle all'appartamento. Erano stanchi ma entrambi di buon umore. Guardandoli nessuno avrebbe immaginato la vivace discussione che aveva condotto i due a quel momento. Non era stato facile convincere la ragazza a trasferirsi. E non perché avesse delle remore a vivere con due uomini. Si sentiva un peso, come qualcosa di cui Colin aveva deciso di prendersi cura e Ian di sopportare. Le appariva inaccettabile.
Per fortuna erano giunti ad un compromesso: Agnes avrebbe contribuito alle spese. Colin era a conoscenza delle sue difficoltà economiche e avrebbe voluto accoglierla come un'ospite ma Agnes era stata irremovibile su quel punto. Pagare la sua parte l'avrebbe fatta sentire meno in colpa.
Quando furono dentro, Agnes notò che non c'era affatto il disordine a cui l'aveva preparata Colin il quale, a sua volta, si grattò la testa confuso.
-Sarà stato Ian a fare ordine- Poi sorrise scuotendo la testa -Vuol dire che ci teneva a farti una buona impressione!-
Agnes però non lo stava ascoltando più. Si guardava intorno, come a voler imprimere nella mente ogni aspetto dell'appartamento.
Il parquet aveva un'aria consunta, il legno degli infissi e delle porte era rovinato e le pareti necessitavano di una riverniciata. Eppure tutti i difetti lasciarono indifferente Agnes, intenta com'era a cercare qualcosa che le parlasse di Ian e Colin. Sfiorò la grande libreria che faceva anche da divisorio tra la piccola cucina e il soggiorno. Lo sguardo si spostò sul televisore di ultima generazione, accanto al quale erano accatastati dei dvd. L'impianto stereo doveva essergli costato parecchio, e sicuramente molto di più del grande divano che occupava la stanza.
Le quattro pile di cd e dischi in vinile le parlavano di un amore sconfinato per la musica. Così come le riviste di musica lasciate sul tavolino di fronte al divano e la chitarra elettrica poggiata ad un angolo della stanza.
Un'intera parete tapezzata di foto parlava di un legame, quello fra Ian e Colin, tanto forte quanto particolare. Già dalle foto si notava quanto i due fossero diversi. Alcune immortalavano l'allegra risata di Colin, mentre altre il carattere schivo di Ian. Ma ciò che traspariva davvero dalle foto era qualcosa di profondo, di cui anche Agnes avrebbe voluto far parte.
La giovane si guardò di nuovo intorno e per la prima volta sentì di aver trovato un posto che le apparteneva davvero. Un posto che avrebbe potuto chiamare Casa.


 

Note:
Ciao a tutti! Stavolta ho tardato ad aggiornare perché ho voluto fare una revisione dei primi capitoli(mi manca il capitolo 4). Non ho modificato nulla a livello di trama ma ho cercato di migliorare un po' lo stile e alleggerire alcune parti. Spero che il risultato sia soddisfacente. Per quanto riguarda il nuovo capitolo, invece, si tratta di un momento fondamentale che avvicinerà ancora di più Agnes a Ian e Colin. Le canzoni che mi hanno aiutata nella scrittura stavolta sono due: there is a light that never goes out dei The Smiths (canzone dai toni molto cupi) e Nightclubbing di Iggy Pop (per la parte in cui Agnes pensa alle sue serate con i ragazzi).
Nel prossimo capitolo ci sarà molto spazio per Ian e un colpo di scena...
Alla prossima!






 


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Capitolo 9
*** Agnes in the sky with diamonds ***


capitolo 8


Agnes in the sky with diamonds




Agnes aveva davanti una giornata tutta per sè.
Colin avrebbe trascorso la giornata fuori ed era stato piuttosto evasivo sui motivi di quell'uscita. Cosa strana, visto che aveva la tendenza a renderla partecipe di qualsiasi cosa facesse.
Ian, come al solito, non si sarebbe fatto vedere fino a sera. Normalmente passava le sue giornate al negozio di dischi dove lavorava. L'impiego perfetto per lui visto che, da quanto le aveva raccontato Colin, anzichè servire i clienti occupava il suo tempo tra dischi e riviste di musica.
Non le dispiaceva stare sola. Voleva ricambiare la disponibilità dei due ragazzi  sistemando l'appartamento. E soprattutto sentiva il bisogno di sentirsi parte di quella casa per cancellare la sensazione di estraneazione che a volte la prendeva. Piena di energia accese lo stereo per trovare un po' di compagnia nella musica. Scartò i Joy Division e The Smiths, decisa a mantenere intatto il suo buon umore. Quando ebbe trovato qualcosa  che le desse la carica, iniziò le pulizie. Pulizie che non durarono nemmeno venti minuti.
Mentre era intenta a spazzare il soggiorno, arrivò qualcosa a distrarla. Qualcosa che di nome faceva Are you gonna be my girl. Iniziò a muovere la testa a tempo della batteria. Da lì a ritrovarsi a ballare come una forsennata il passo fu molto breve.  Scelse il momento meno opportuno per impugnare la scopa come un microfono e inscenare un immaginario concerto.
Il fantomatico concerto, infatti, aveva un pubblico che immaginario non lo era affatto. Appoggiato alla libreria c'era uno spettatore in carne, ossa e faccia da schiaffi. Ian.
Agnes rimase impietrita sotto lo sguardo divertito del suo osservatore. Mentre i Jet venivano sostituiti dagli Arctic Monkeys, la giovane rivolse qualche occhiata verso Ian il quale aggrottò le sopracciglia fingendosi pensieroso.
-Se questa canzone non ti ispira possiamo cambiarla- la canzonò indicando lo stereo.
Agnes gli dedicò un'occhiataccia che lo portò a ridere apertamente.
-Potevi farmi notare la tua presenza- disse poggiando la scopa lontano da lei, nel vano tentativo di recuperare un po' di dignità.
-Mi stavo divertendo. Hai un modo di ballare buffo-
-Buffo?!-replicò la giovane con aria bellicosa.
-Da ragazzina- le spiegò mentre si sedeva sul divano.
-Non mi sembra esattamente un complimento- disse spazientita.
Lui si strinse nelle spalle prima di continuare -Non mi piacciono le ragazze che si atteggiano quando ballano. Mi piace la spontaneità e tu... Tu ti lasci prendere dalla musica, senza freni e senza trucchi.-
Agnes si fece scappare un sorrisetto compiaciuto mentre riprendeva in mano la scopa.
-Che fai?- domandò incuriosito.
-Sai, la scopa non serve solo come microfono! Ha anche altre utilità-
-Hai intenzione di restare a casa?- chiese ignorando la sua risposta.
-Sì, perché?-
-Io devo uscire e mi chiedevo se volessi venire con me. Certo...- disse dedicandole un'occhiata divertita -se non preferisci tenere il tuo concerto-
Agnes lo guardò sorpresa. Era la prima volta che Ian le chiedeva di uscire. Anzi, da quando si era trasferita nel loro appartamento, erano davvero poche le volte in cui si erano ritrovati da soli. Ian era quasi sempre fuori e anche quando non lo era tendeva a stare nella sua stanza, lontano dalle allegre conversazioni di Agnes e Colin. A volte si era chiesta se fosse colpa sua, se lui non la volesse nell'appartamento e Colin, intuendo i suoi dubbi, le aveva spiegato che era fatto così: bastava a se stesso.
-Vengo con te- gli sorrise radiosa.


***


Era davvero strano camminare accanto ad Ian. Senza la rassicurante presenza di Colin e gli altri ragazzi, Agnes tornava a sentirsi come la prima volta in cui aveva scambiato qualche parola con lui. Timida ed impacciata. In quel momento, mentre camminavano tra le bancarelle del mercato di Brixton, si sentiva divisa tra due sensazioni opposte: da un lato la curiosità per la figura che le camminava accanto, dall'altro una inspiegabile voglia di fuggire lontano.
-Allora, che te ne pare di Brixton?- le chiese riferendosi al quartiere in cui abitavano.
-Sinceramente ne avevo sentito parlare come un quartiere poco raccomandabile-
-Per via delle guerriglie di anni fa?- chiese lui stranito.
Agnes annuì prima di continuare -Ma basta camminare anche una sola volta tra queste bancarelle per capire che non è affatto così. E' il quartiere più colorato di Londra!-
La guardò incuriosito, in evidente attesa che continuasse a parlare.
-Ci sono i colori vivaci del mango e della papaia- spiegò indicando una bancarella poco distante da loro -e poi quelli legnosi delle noci di cocco-
Si guardò ancora intorno per poi continuare -Sete dalle tonalità calde, quadri variopinti e abiti vintage dai colori particolari...- All'improvviso si voltò verso di lui -Potrei continuare all'infinito e non voglio annoiarti- Un ampio sorriso le illuminava il volto.
Ian scosse la testa divertito -Non mi annoi. Anzi, sono d'accordo con te. Trovo che Brixton sia il volto più autentico di Londra. Questo quartiere riesce a comporre culture, lingue ed etnie diverse in un'unica melodia dai sapori caraibici.-
In quel momento Agnes comprese l'interesse che tutti avevano per Ian. Come Agnes anche lui guardava il mercato e le persone intorno a loro, ma lo sguardo limpido di Ian andava in un luogo in cui lei sentiva di non poterlo raggiungere. Un luogo dove tutto sembrava avere un significato che era altro rispetto a quello comune.


***

Attraverso la Victoria Line arrivarono a Oxford Circus, da dove raggiunsero la loro meta. Un negozio di abbigliamento presso Carnaby Street, al cui interno alcuni amici di Ian si stavano esibendo in un concerto sotto lo sguardo incuriosito dei turisti di passaggio.
-E' uno dei pochi negozi indipendenti rimasti qui a Carnaby- le spiegò Ian -Per il resto trovi solo grandi catene e ristoranti-
Il ragazzo si guardò intorno alla ricerca di qualcosa.
-Voglio farti conoscere la proprietaria-
Quando l'ebbe individuata, prese per mano Agnes e si avvicinarono ad una donna che dava loro le spalle, intenta a sistemare la gonna di un manichino.
-Mary-
La donna si voltò verso i due e, dopo averli squadrati per bene, assunse un'espressione diffidente.
-Gli estranei mi chiamano Mrs. Green- replicò mentre serrava le braccia sotto il seno.
-Mary Mary non sai che il broncio ti farà venire le rughe- le disse Ian con uno sguardo furbo. Quando si avvicinò per salutarla, però, la donna anzichè un bacio gli diede uno schiaffetto sulla guancia.
-Non  vieni a trovarmi da mesi e alla prima occasione mi manchi pure di rispetto-
Agnes constatò che quella donna non aveva alcun motivo di offendersi. Era la classica persona dall'età indefinibile. Le avrebbe dato non più di trent'anni se si fosse concentrata solo su quell'adorabile caschetto castano e l'abitino colorato che copriva il corpo esile e minuto. Ma i suoi occhi e il suo sorriso emanavano una consapevolezza che solo una quarantenne può possedere.
-Posso presentarti la mia amica Agnes?-
-Tanto piacere- la salutò Mary porgendole la mano in modo elegante.
-Ha iniziato da poco la carriera di modella-  Spiegò con tono allusivo a Mary la quale dedicò un'occhiata più attenta ad Agnes.
-Carriera è un parolone- disse Agnes mentre con un dito grattava il solito sopracciglio,  gesto che denotava tutto il suo nervosismo.
Sembrò parlare al nulla visto che nessuno dei due le rispose e Mary continuò a guardarla come a volerla valutare.
-Ti va di provare qualche abito per me?-
-Certo- rispose la giovane precipitosa.

***
Non si era mai divertita così tanto. Inizialmente si era chiesta il motivo di quella strana richiesta, poichè non vedeva alcuna utilità nel provare degli abiti. Quando però una commessa arrivò nel camerino con una decina di capi da provare,  il suo lato vanitoso ebbe la meglio su quello riflessivo e le suggerì di viversi quel momento.
Il gruppo continuava a suonare all'interno del negozio attirando sempre più gente. Anche gli abiti particolari provati di volta in volta da Agnes cominciarono ad incuriosire la clientela tanto che ad ogni uscita trovava sempre più persone ad attenderla.
Presa dall'euforia, aprì con entusiasmo la tendina del camerino trovandosi davanti una piccola folla. Le venne naturale sgranare gli occhi e portare le mani sulle labbra, come a voler nascondere il sorriso furfante che si era delineato sul suo viso. Forse intuendo il suo imbarazzo per tutta quella attenzione, Ian le si avvicinò e con un breve cenno del capo le porse la mano. Un po' insicura sfiorò quelle dita che sicure la strinsero per poi condurla tra la gente.
C'era chi si limitava ad osservarla, chi faceva apprezzamenti e chi esprimeva le sue preferenze. Ma gli occhi di Agnes cercavano il parere di Mary, la quale si limitava a cenni di assenso o diniego.
Agnes, dal canto suo, iniziava a capire il motivo di quella specie di sfilata. Mary la stava aiutando a cercare un suo look, qualcosa che esprimesse la sua personalità e non la imbrigliasse nei soliti schemi della moda. Un elegante tailleur dalle forme asimmetriche fu subito bocciato da Mary con un gesto della mano. Un abitino corto giallo sembrò convincerla un po' di più. Quando si mostrò con un vestito di tulle rosa confetto Ian sgranò gli occhi, scuotendo la testa schifato.
Dopo diverse prove, sembrò che Mary si fosse fatta un'idea ben precisa. Gli ultimi capi indossati avevano un qualcosa che li accomunava: uno stile eccentrico, non convenzionale caratterizzato da giubbotti di pelle, tshirt con stampe colorate, camicie maschili, giacche fluo e contrasti forti. Le piaceva e, nonostante l'audacia di alcuni abbinamenti, si sentiva davvero a suo agio con quell'esplosione di colori addosso.
-Penso che abbiamo trovato il mio stile- disse guardandosi con una certa soddisfazione.
-No cara. L'hai trovato tutto da sola. Io ho cercato solo qualcosa che ti facesse sorridere come stai facendo adesso- le rispose gentile la donna.
Mary la osservò mentre si tirava indietro i lunghi capelli castani raccogliendoli in una coda alta, un'abitudine che aveva ogni volta che si guardava allo specchio.
-Non hai un buon rapporto con i tuoi capelli-osservò interessata.
-No. Ho l'impressione che mi rendano scialba-
-Qui ci vuole Vidal- disse prima di volatilizzarsi da  qualche parte.
Un po' stranita per quel comportamento, tornò a guardarsi compiaciuta allo specchio quando vide il riflesso di Ian avvicinarsi alle sue spalle e poggiare le mani sui suoi fianchi. Gesto che le suscitò una strana sensazione di déjà vu.
-Stiamo diventando vanitose?- le chiese guardandola negli occhi attraverso lo specchio.
-Forse. Ti dispiacerebbe?- chiese Agnes, ammaliata dal tocco sui suoi fianchi e ancora di più da quello sguardo irresistibile puntato su di lei.
Ian si limitò a sorriderle enigmatico senza darle la risposta che attendeva.
-Dov'è andata Mary?- chiese mentre le lasciava i fianchi e si allontanava appena da lei, consentendole di voltarsi.
-Ha detto che ci vuole Vi..Viqualchecosa!-
Dopo qualche minuto Mary fu di ritorno con un'espressione vittoriosa.
Vidal era un parrucchiere molto affermato che, per gentile intercessione di Mrs Green, era disponibile a ricevere Agnes proprio in quel momento. Nonostante fosse quasi ora di pranzo, Ian non si mostrò spazientito e la accompagnò volentieri.

***
Non era lei. La ragazza che sullo specchio ricambiava il suo sguardo perplesso non poteva essere lei. Vidal, un uomo piuttosto basso e avanti con gli anni, l'aveva tenuta praticamente all'oscuro di ciò che aveva fatto ai suoi capelli. Non le aveva nemmeno rivolto la parola mentre era stato alquanto cortese con Ian, forse anche troppo.
Aveva visto lunghe ciocche di capelli castani ai suoi piedi e aveva visto l'assistente preparare la tintura. L'effetto finale, però, era qualcosa di stupefacente.
I capelli erano di un biondo chiarissimo, tendente al platino e il taglio, cortissimo e spettinato, le dava un'aria da maschiaccio.
-Finalmente quegli occhi blu hanno lo spazio che si meritano-
Ian la guardava divertito, in attesa di una reazione.
-Hai ragione. Non vedevo degli occhi così grandi dai tempi di Twiggy- esclamò Vidal, mentre Agnes continuava a guardarsi allo specchio senza proferire parola.
-Agy- la chiamò gentile il ragazzo -guarda che ti stanno bene-
-Si, mi stanno bene- sussurrò.
Era vero. Per la prima volta guardandosi allo specchio non riusciva a scorgere qualcosa di cui lamentarsi. Per la prima volta sentiva di essere veramente se stessa.

***
Dopo aver consumato un rapido pasto, Agnes ed Ian si diressero verso la metropolitana. Mentre si trovavano sulla scala mobile che li avrebbe portati sempre più in profondità,  Agnes continuava a portarsi la mano tra i capelli stupendosi ogni volta di quanto fossero corti.
-Non riesci a non toccarli?- le chiese divertito Ian.
-Sono così corti!- esclamò la ragazza arricciando il naso.
-Immagino che se fosse dipeso da te non li avresti mai tagliati così tanto, vero?-
-Diciamo che il coraggio non è il mio forte-replicò mesta.
-Secondo me sei troppo severa con te stessa. Hai questo bisogno di essere perfetta e non vedi che qui nessuno lo è- fece un cenno verso la gente intorno a loro per poi continuare lentamente -Siamo imperfetti, fragili, ognuno con le proprie debolezze da affrontare-
Agnes lo guardò perdendosi nei dettagli del suo viso: la pelle liscia delle guance, gli zigomi  un po' pronunciati, le sopracciglia scure aggrottate e le labbra carnose appena dischiuse.
-Ma tu, tu trasmetti molta sicurezza-
Ian anzichè risponderle le disse di affrettare il passo per riuscire a prendere il treno in arrivo. Quando furono dentro ed ebbero trovato due sedili, riprese a parlare.
-Colin ti ha mai spiegato come è nato il nome del gruppo?-
-No-
-Scommetto che The Fifth Beatle ti sarà parsò come un atto di presunzione, la voglia di metterci sullo stesso piano dei Beatles- disse mentre si sistemava sul sedile.
Agnes annuì imbarazzata ma il ragazzo sorrise rilassato.
-Per capire cosa c'è dietro questo nome devi conoscere la storia del primo bassista dei Beatles, Stuart Sutcliffe. Grande appassionato di pittura, fu convinto dall'amico John Lennon a vendere uno dei suoi dipinti e comprare con il ricavato un basso. Entrò a far parte del gruppo insieme a Lennon, Harrison, McCartney e l'allora batterista Best. Non era granchè come musicista o comunque non era all'altezza dei suoi amici. La sua insicurezza spesso lo portava a suonare dando le spalle al pubblico, forse alla ricerca della serenità che solo John gli sapeva trasmettere. Fu solo grazie ad una donna che capì di non poter continuare ad essere mediocre tra i grandi. Così lasciò il gruppo e si diede alla sua vera passione, quella che faceva per lui e che gli avrebbe consentito di essere grande: la pittura-
-The Fifth Beatle significa fragilità, quindi?-
-Significa quello che ti ho detto prima. Ogni persona ha paure e debolezze. A volte le affronti e le superi, altre volte sono talmente radicate in te che puoi soltanto cambiare strada-
-Una visione un po' pessimistica- commentò Agnes.
-Chi l'ha detto? Anche l'altra strada può rendere felici-
-Allora Stuart è riuscito ad essere un grande pittore?-
-Non ha avuto il tempo-
-Perché?-
-Sutcliffe è morto a ventidue anni-




***

Era il trenta dicembre. Natale era ormai passato e gli inquilini del vecchio appartamento di Brixton si apprestavano a festeggiare il Capodanno. Agnes aveva insistito per organizzare il cenone lì da loro. Non importava se non c'era abbastanza spazio per tutti e se avrebbero dovuto stringersi. Li voleva tutti lì, nella sua casa, per festeggiare l'inizio del duemiladodici.
Dopo un'intera giornata trascorsa tra i fornelli, però, Agnes si sentiva a pezzi. Soprattutto perché non era per niente brava in cucina e aveva dovuto faticare il doppio per non fare danni.
-Per fortuna non ho ascoltato Ian- sbuffò la ragazza mentre si accomodava sul divano accanto a Colin.-Secondo lui dovevamo rassettare e cucinare domani-
-In questo modo altro che capodanno, alle dieci saremmo crollati- Le rispose l'amico scotendo la testa.-Non che a lui sarebbe cambiato nulla visto che non si è fatto vedere tutto il giorno-
Si alzò dal divano e tornò con una scatoletta in mano.
-Ho proprio voglia di una paglia e un bel film- disse mentre tirava fuori l'occorrente per preparare uno spinello.
-Guardiamo Across the universe- esclamò Agnes con vocetta stridula.
Colin sbuffò-Ma è un musical, roba da femminucce!-
-Dai, ci sono le canzoni dei Beatles!- Rispose mentre inseriva il dvd nel lettore.
Verso metà film, Colin iniziò a ridacchiare. Non che la cosa la stupisse dato che di "paglie" se ne era fatto tre.
-Perché ridi?-
-Fatti un tiro e lo capisci- la esortò passandole lo spinello.
Faceva bene a fidarsi sempre di Colin. Dopo qualche tiro, infatti, aveva capito cosa c'era da ridere. Assolutamente nulla. Eppure, era bello sogghignare senza un motivo.
-All you need is love- si trovarono a canticchiare alla fine del film.
-Mi piacerebbe vivere una storia d'amore del genere- disse lei con un sorriso artificioso, indotto dalla marjuana.
-Vuoi farmi credere che uno splendore come te non ha mai provato nulla del genere?-
-Storie di poco conto-rispose lei scrollando le spalle -Mai qualcosa di lontanamente romantico-
-Se penso al mio primo bacio mi vengono i brividi- disse sconsolata.
-Racconta-
-Stavo tornando da scuola insieme ad un compagno quando all'improvviso lui mi mise pesantemente una mano sulla spalla e si avvicinò con troppa foga al mio viso. Il suo apparecchio andò a scontrarsi contro il mio labbro, provocandomi una fitta di dolore. Ora che ci penso non lo chiamerei nemmeno bacio-
Agnes decise di ignorare la risata di Colin che seguì quel racconto e continuò a parlare
-Ho avuto anche esperienze piacevoli con i baci, per carità. Ma nelle mie storie, nei miei ammiratori c'era sempre qualcosa che mi lasciava indifferente-
Colin a quelle parole assunse un'aria pensierosa che destò l'attenzione di Agnes. Teneva gli occhi verdi puntati sul vuoto e torturava le labbra in un gesto palesemente nervoso.
-E pensi che io ti lascerei indifferente?-
Agnes impiegò qualche secondo di troppo a comprendere il senso di quella domanda. Il tempo necessario affinché Colin si girasse verso di lei e avvicinasse le labbra alle sue.
Un bacio morbido e gentile che le scaldò il cuore.
Quando Colin si allontanò, la guardò negli occhi mentre un sorriso sempre più ampio si andava delineando sulle sue labbra fino a ridere apertamente.
-Perché ridi adesso?- chiese Agnes basita.
-Perché stiamo pensando la stessa cosa e nessuno dei due ha il coraggio di ammetterlo-
-Cioè?-
-Che lo scontro con un apparecchio sarebbe stato molto più intenso di questo bacio-
Anche Agnes si mise a ridere -Non so se sentirmi sollevata o profondamente offesa!-
-Guarda cara, solitamente le ragazze fanno la fila per me e quindi penso proprio che la colpa sia tua. Devi avere qualcosa che non va-
La ragazza sgranò gli occhi e iniziò a picchiarlo con l'aiuto di un cuscino.
-Rimangiati quello che hai detto- gridò divertita.
-Ma che state facendo?- li interruppe una voce atona. Ian era sbucato dalla porta della sua camera e li guardava con un'espressione vagamente incuriosita.
Agnes, presa dall'euforia, gli rispose continuando a ridere spensierata.
-L'erba ha fatto venire a Colin la voglia di baciarmi!-
-Ma non è stata l'erba, stupida- si lamentò l'altro mentre riceveva l'ennesima cuscinata.
-Bene, se magari fate più piano riesco a dormire-
Agnes riuscì a sentire solo questa frase. Non lo vide nemmeno girarsi e tornare nella sua stanza. E soprattutto non percepì l'astio che trapelava da quelle parole.




Note:
Ciao a tutte! Questo capitolo mi ha messa davvero in difficoltà e non sono sicura del risultato finale. Allo stesso tempo mi è piaciuto scriverlo perché mi ha dato l'occasione di parlare(a modo mio) di un periodo che mi ha sempre affascinata. Gli anni '60. Partiamo dal titolo del capitolo: Agnes in the sky with diamonds. Una frase che significa tutto e niente e che ovviamente si riferisce alla canzone dei Beatles Lucy in the sky with diamonds. Penso che questa frase descriva bene lo stato d'animo di Agnes.
Altro richiamo agli anni '60 lo troviamo nelle figure di Mary Green, Vidal e nel riferimento di questi a Twiggy. Green è il cognome da sposata della stilista Mary Quant, famosa oltre che per aver inventato la minigonna anche per il suo caschetto, caschetto che fu appunto ideato da Vidal Sassoon. Twiggy invece è la modella che rappresenta la generazione di Carnaby Street.
Infine la spiegazione del nome del gruppo e la storia di Stuart Sutcliffe(qui l'immagine). Adesso posso dire che questa storia mi è balenata in mente proprio quando ho letto la biografia di questo personaggio tanto che nel corso della storia ci sono tantissimi richiami a lui.
Per completare il tutto, Agnes e Colin guardano Across the universe(film che io adoro). Idea nata grazie alla gentilissima LTL con cui mi sono ritrovata a parlare di film sulla musica rock.
Questa è la modella che mi ha ispirata per il personaggio di Agnes: Agyness Deyn, a mio parere una delle poche modelle con una vera personalità e uno stile invidiabile. 
Ci terrei veramente a conoscere il parere di chi passa da qui, per capire se la direzione presa sia giusta o se sbaglio in qualcosa.
Agnes















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Capitolo 10
*** You used to be alright, What happened? ***


capitolo 9


You used to be alright, What happened?




-Ragazze pronte per l'uscita finale-
Agnes si posizionò dietro la lituana di cui non aveva afferrato il nome. In ordine uscirono e, tra i flash dei fotografi e gli applausi degli spettatori, si disposero lungo la passerella. Il corridoio formato dalle modelle fu quindi attraversato dalla vera destinataria di quelle ovazioni: Vivienne Westwood.
Si concludeva così la prima Settimana della Moda di Agnes Dayle. Stentava a crederci: non solo aveva sfilato per Vivienne Westwood ma aveva anche ottenuto un ingaggio come testimonial della nuova linea. Il che significava una serie di scatti che avrebbero fatto il giro del mondo.
Fu aiutata da un'assistente a togliere l'abito mentre intorno a lei le altre ragazze ciarlavano allegre e i 'bye-bye' si mescolavano ai 'do svidanyia' e ai 'revoir'.
Quando ebbe indossato il pesante cappotto che l'avrebbe protetta dal freddo pungente di febbraio, si incamminò verso l'uscita di Somerset House.
-Scusi signorina-
Agnes si guardò intorno notando una donna agghindata in maniera appariscente affiancata da un cameramen. Stava per voltarsi quando la donna, forse una giornalista, le fece un cenno con la mano mentre le veniva incontro.
-Le va di fare un'intervista?- le chiese la donna con un pessimo inglese.
-Ma, ma sono solo una modella- rispose incerta. Forse l'aveva scambiata per qualcun'altro.
-Non importa. Stiamo facendo un servizio sulla Fashion Week e lei mi ha colpito molto per il taglio di capelli e lo stile punk!-

***

Agnes aprì la porta di casa piena di entusiasmo e, notando Colin seduto sul divano, si precipitò nel soggiorno.
-Colin! Non puoi capire che intervista mi hanno fatto- esclamò allegra. -Una tizia che di moda non ne capiva assolutam...-
Entrata nel soggiorno, Agnes si rese conto che, seduto su un pouf, c'era anche Ian. Dall'ingresso non avrebbe potuto notarlo perché era nascosto dalla libreria.
 Ian sollevò lo sguardo nella sua direzione, palesemente infastidito.
-Su raccontaci dell'intervista, Agnes- la sollecitò con tono sarcastico mentre si alzava. -Tanto stavamo parlando solo di cazzate- continuò mentre la fronteggiava guardandola dall'alto in basso.
-Ian smettila- lo ammonì l'amico.
Non disse nient'altro ma continuò a guardarla per qualche secondo mentre lei si sentiva pietrificata, incapace di mandarlo al diavolo come avrebbe meritato.
La superò per poi dirigersi verso l'ingresso. Mentre indossava la giacca si rivolse a Colin mantenendo il tono aspro.
-Vado a parlare con Dave e Karl di questa offerta-
Quando chiuse la porta dietro di sè non fece alcun rumore, mostrando più garbo per un oggetto che per Agnes.
-Dai non te la prendere, sai come è fatto-
Le sorrise gentile Colin. Vedendola deglutire a fatica, però, si rabbuiò.
-Agy...-
-Non mi chiamare così.- lo interruppe la ragazza riscotendosi.
-Va bene- rispose cauto -però sai che tra un po' gli passa-
Si sedette accanto a lui imbronciata.
-I suoi cambi d'umore mi fanno girare la testa, Colin. Non so mai cosa aspettarmi: un giorno è gentile, un altro indifferente, l'altro ancora scontroso-
-E' così con tutti...-
-A costo di sembrarti egocentrica ho la sensazione che negli ultimi tempi sia io il suo bersaglio preferito!-
Voleva essere ironica ma quell'ultima frase le uscì quasi come un singhiozzo. Singhiozzo che destò l'attenzione di Colin, il quale la osservò con maggiore attenzione.
Agnes era davvero stanca. Da gennaio il suo rapporto con Ian era progressivamente peggiorato e non riusciva a comprenderne il motivo. Spesso si aggrappava a quella lontana giornata di dicembre trascorsa con lui, ricordando le tante attenzioni che le aveva dedicato. Soprattutto un particolare la torturava: quel giorno , quando, in preda all'imbarazzo, aveva faticato ad uscire dal camerino, Ian le aveva offerto la mano trasmettendole tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Quel gesto riassumeva ciò che il ragazzo aveva fatto per lei. Le aveva insegnato ad essere se stessa e a liberarsi da quell'eccessiva modestia che troppo a lungo l'aveva caratterizzata.
Gli era grata e tante volte in quei mesi aveva tentato di fargli capire quanto lo fosse. Ma lui sembrava del tutto indifferente alla sua gratitudine ed ostile a lei.
-No- La voce soffocata di Colin interruppe quei pensieri.
-Cosa no?-
-Non è il ragazzo giusto per te, Agnes- rispose duro.
-Ma cosa stai dicendo?-
-Non negarlo, è chiaro che sei innamorata di lui- le disse guardandola dritto negli occhi.
Di fronte al suo silenzio, lo sguardo di Colin si addolcì. -Ormai ti conosco e so che hai bisogno di un ragazzo che ti dia equilibrio e certezze. Ian lo conosco da ancora più tempo e non sarebbe in grado di darti nulla di tutto questo. Ha un lato buono che lo porta ad aiutare chi si trova in difficoltà ma lo vedi anche tu com'è fatto. La sua indipendenza e il suo carattere imprevedibile potrebbero solo ferirti-
Agnes non sapeva dare un nome a ciò che provava per Ian. A volte attrazione, più spesso ammirazione e in certi casi persino un senso di soggezione. Se questo fosse sufficiente per chiamarlo amore, non ne era affatto sicura ma preferì comunque non contraddire Colin.
-Come vi siete conosciuti?- chiese la sua voce ridotta a un sussurro.

***

5 Settembre 2000

L'imponente edificio si ergeva davanti ai suoi occhi. Gli dedicò un'occhiata fugace prima di addentrarsi nel vasto cortile. Un cortile che esisteva dal 1440 e che, prima di lui, era stato attraversato da personalità come il Duca di Wellington, George  Orwell e Shelley. Era qualcosa che i suoi insegnanti gli ricordavano tutte le volte che lo riprendevano per il suo comportamento inappropriato. E poco importava se Colin avesse un'idea alquanto vaga di chi fossero quelle persone, perché non era affatto difficile per un ragazzino lasciarsi intimorire dal King's College Of Our Lady Of Eton beside Windsor, o più semplicemente l'Eton College.
Figlio di un ricco industriale londinese, il quindicenne Colin si apprestava ad iniziare il terzo anno nella scuola maschile più prestigiosa dell'intero Regno Unito.
Mentre percorreva il cortile, fu salutato da alcuni coetanei e persino da ragazzi più grandi. Non se ne stupì particolarmente. Non era più il bimbetto smilzo che due anni prima qualcuno aveva tormentato nei bagni o negli spogliatoi. Ormai sapeva che per sopravvivere in quel posto doveva tener sotto controllo ogni paura, mostrarsi sorridente e sicuro. E soprattutto doveva essere prepotente con i più deboli, cosa che peraltro trovava divertente.
Quando il vecchio Mr. Everett fece il suo ingresso in aula, gli Etonians si alzarono in segno di rispetto. Solo quando l'insegnante trovò posto dietro la cattedra, gli studenti si accomodorano senza fare troppo frastuono.
-Buongiorno ragazzi. Prima di iniziare la nostra lezione voglio informarvi che da quest'anno avrete un nuovo compagno- gettò un'occhiata all'esterno dell'aula facendo un cenno elegante a qualcuno rimasto fuori -Prego, accomodati-
Di nome faceva Ian. Era figlio di un diplomatico inglese e prima d'allora aveva vissuto ad Ankara, poi nel Cairo e infine a Bonn. Il padre, trasferitosi temporaneamente al Ministero degli esteri, aveva deciso di iscrivere i suoi due figli nel prestigioso college. Tutto questo stuzzicò la curiosità di Colin e inevitabilmente anche  la sua invidia per quello sconosciuto dalla vita così interessante e avventurosa. Con una certa soddifazione maligna notò la corporatura gracile del nuovo compagno, il broncio introverso e l'incarnato pallido. Poi guardò i suoi compagni e in particolare Andrew, il leader della classe. La stessa idea era balenata nelle loro menti: avrebbero dato il  benvenuto al nuovo compagno, a modo loro ovviamente.

***

6 Marzo 2002

Quella mattina Colin si alzò dal letto con grande fatica. La notte prima lui e la sua combriccola di amici erano riusciti ad eludere la sorveglianza ed avevano fatto baldoria in un pub di Eton. Avevano atteso la mezzanotte per brindare ai diciassette anni di Colin, il quale con il ruolo di wing aveva procurato innumerevoli vittorie alla squadra di rugby della sua casa.
Mentre si dirigeva al bagno, un moto di nausea lo fece vacillare. Aveva bevuto talmente tanto quella sera da non ricordare nemmeno come fosse arrivato nel suo dormitorio. Aveva solo qualche ricordo vago: gli inni intonati dai suoi compagni mentre camminavano spavaldi lungo le strade silenziose; le urla sguaiate per attirare l'attenzione di qualcuno di passaggio e altre bravate di cui dentro di sè non andava molto fiero.
Poi ricordava un viso, un viso che conosceva bene. Magro, pallido, incorniciato da capelli scuri. Un viso che, una volta riconosciuti, si deformò in una smorfia di timore.
Non ricordando altro decise di non pensarci e di godersi il giorno del suo compleanno.
Arrivato in classe, ricevette gli auguri di tutti e persino l'arcigno Mr. Everett gli rivolse un rigido sorriso prima di interrogare un compagno.
Il giovane iniziò a leggere con voce sicura e cantilenante:
-Soles occidere et redire possunt:
nobis, cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.-
Mentre iniziava la traduzione, qualcuno bussò ed entrò in classe. Si trattava di un addetto alla sorveglianza che, con faccia scura, si avvicinò alla cattedra mentre il professore invitava Maxwell a proseguire la traduzione.
-Il sole può tramontare e poi risorgere.-
L'uomo parlò con tono concitato con il professore il quale sbiancò paurosamente.
-Noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne,-
Mr. Everett spostò lo sguardo turbato sulla classe, posandolo su un ragazzo in particolare.
-abbiamo davanti il sonno di una notte senza fine.-
-Ian per favore seguimi fuori.-

***

Maggio 2002

I ragazzi entrarono esultanti negli spogliatoi, festeggiando la vittoria del campionato.  Anche Colin era felice ma non riusciva a lasciarsi andare come un tempo.
-Colin ti unisci a noi? Andiamo a festeggiare al solito pub- chiese allegro Andrew.
-Mi piacerebbe ma sono troppo stanco- rispose con un sorriso di circostanza.
-Ma che ti succede? E' da mesi che te ne stai sempre per i fatti tuoi-
Colin si morse con forza un labbro per evitare di rispondere come avrebbe voluto. Prese il borsone e si allontanò da quelli che fino a un po' di tempo prima aveva considerato amici. Mentre si trovava in uno dei tanti corridoi del college, le note malinconiche di un pianoforte destarono la sua attenzione. La curiosità lo spinse ad aprire la porta dell'aula di musica. Quando si ritrovò gli occhi gelidi di Ian puntati contro, tornò sui suoi passi con un opprimente senso di vergogna.
C'erano tante dicerie su ciò che era accaduto la notte del sei marzo. Ma un unico fatto era certo ed innegabile: Daniel si era tolto la vita.
I maligni con un certo stupore avevano bisbigliato che si sarebbero aspettati un simile gesto dal fratello minore, Ian. Il solitario e cupo Ian. E non da Daniel che, pur non essendo brillante come il fratello, era riuscito a crearsi un giro di amici.
Colin, invece, non provava stupore. In passato lui e i suoi amici avevano tormentato in egual misura i due fratelli, i quali avevano avuto reazioni opposte. Daniel accettava il ruolo di vittima, tremando e piangendo. Ian, invece, non cedeva mai e l'espressione del suo viso rimaneva superba anche quando il suo corpo esile soccombeva a quello dei suoi compagni.
Quando gli avevano comunicato la morte di Daniel, la sua mente gli aveva suggerito un fugace ricordo della notte del suo compleanno: il volto spaventato del compagno. Un ricordo che in quei due mesi lo aveva perseguitato, portandolo ad allontanarsi dalle sue vecchie amicizie. E poco importava se, secondo i ricordi di Andrew, Daniel quella notte era fuggito e non lo avevano nemmeno inseguito; nè importava se era stato ritrovato un suo biglietto di addio in cui parlava di mediocrità e inettitudine. Colin non si sarebbe più tolto dalla mente il ricordo di quel viso spaventato.
Anche quando si mise a letto, quei pensieri continuarono a tormentarlo. Doveva essere passata da poco la mezzanotte quando decise di rinunciare al sonno e fare una passeggiata notturna nel silenzioso edificio.
Mentre camminava dei suoni richiamarono la sua attenzione. Non un pianoforte, nè altro strumento musicale stavolta. Dall'aula di musica provenivano risate e schiamazzi, qualcosa che gli era terribilmente familiare. Non fu la curiosità a fargli aprire la porta, ma una voglia di riscatto. Si ritrovò così con i pugni serrati tra Ian e i suoi compagni.
Ma qualcosa non andò come aveva previsto. Nonostante Colin fosse intervenuto per difendere Ian, quest'ultimo, anzichè essergli grato, lo riempì di epiteti con cui maledisse i suoi avi, i genitori, sorelle e tutti i suoi discendenti per poi mollargli un pugno sotto l'occhio sinistro. Colin lo guardò spaesato e, realizzando che lo aveva picchiato, reagì anche lui. I due diedero inizio a una rissa che ben presto richiamò l'attenzione degli addetti alla sorveglianza che arrivarono proprio quando gli altri ragazzi erano scappati via.

***

Maggio 2003

-Sei sicuro della tua scelta?-
Colin sbuffò a causa dell'ennesima domanda dell'amico.
-Quante volte devo dire di sì per convincerti? Giusto per capire- rispose ironico.
Ian gli rivolse un sorriso soddisfatto.
-Potresti pentirtene un giorno- Disse fingendo noncuranza. Fino a un anno prima Colin ci sarebbe cascato ma ormai aveva imparato a capire cosa si nascondeva dietro quella facciata di indifferenza.
-Se la metti così, è come se stessi facendo un favore a te. Ma non è così...Voglio suonare!- rispose con il tono più sicuro che conosceva.
L'amico continuò a sorridere mentre si dirigevano all'ultima lezione della giornata.
Amico.
Tutto era iniziato quando i due avevano dovuto scontare la punizione per quella famosa rissa. Quando si erano ritrovati insieme nell'aula di detenzione, più volte Colin aveva chiesto all'altro cosa gli fosse preso senza ottenere risposta. "Cazzo, ti stavo difendendo contro i miei amici di sempre!" gli aveva urlato frustrato da quel silenzio. Ian si tolse la cuffia da un orecchio e lo guardò annoiato. "Hai detto qualcosa?" Colin lo osservò come a volerlo valutare e gli chiese"Cosa ascolti? Roba classica?" L'altro mosse appena la testa mentre con un sorrisetto gli passava una delle cuffie, iniziandolo alla musica rock. Dovettero ascoltare cinque o sei canzoni dei Joy Division prima che Colin riuscisse a dirgli quello che più gli stava a cuore. "Mi dispiace per tuo fratello" L'altro, tenendo il mento appoggiato sulla mano, lo guardò con la coda dell'occhio. "Daniel è sempre stato troppo codardo."
Dovette passare del tempo prima che Colin potesse considerarsi suo amico. Ian lo guardava annoiato quando parlava di film e sport. Si infervorava quando gli chiedeva il suo parere sul nuovo album degli Arctic Monkeys o sui romanzi di Palanhiuk. Era come se parlasse una lingua diversa. E Colin ci mise tutto l'impegno possibile per imparare quella lingua fatta di diesis e bemolle, Fender e Steinway.
Seppe che erano amici quando Ian gli fece leggere i testi delle sue canzoni e gli disse che avrebbero dovuto suonare, piuttosto che seguire la strada scelta dai loro genitori.
In quel momento, poco prima di diplomarsi, Colin aveva deciso. Poteva accettare l'idea di deludere i suoi genitori. Si sarebbero infuriati, gli avrebbero rinfacciato tutte le loro speranze tradite. Ma alla fine avrebbero capito e se ne sarebbero fatti una ragione. Forse lo avrebbero amato allo stesso modo. Ian, invece, non avrebbe ripetuto la sua richiesta una seconda volta. Se Colin avesse detto no, Ian avrebbe seguito la sua strada e non si sarebbe più voltato indietro. Se avesse detto sì, accettando di suonare una chitarra che non aveva in un gruppo che ancora non esisteva, avrebbe ottenuto il suo rispetto.

***

Agnes aveva ascoltato Colin in silenzio, interrompendolo solo quando qualche passaggio non le era stato chiaro o magari quando lui stesso aveva cercato di glissare su certi aspetti del suo passato.
-Penso che in fondo Ian mi abbia rispettato sempre, anche quando mi comportavo come un idiota. E penso anche che la mia stima per lui conti qualcosa. Ma vedi...- disse assorto -è questo il punto: sono solo pensieri. Lui non parla mai chiaramente ma pretende che tu capisca cosa si aspetta da te-
-E le sue aspettative contano così tanto?-
Colin sorrise ironico -Chiamarle aspettative sarebbe riduttivo. Ian vive come se fosse protagonista e autore di un romanzo. Ad ogni persona che lo circonda ha cucito addosso un ruolo ben determinato e se a quella persona non sta bene, Ian la cancella.- Si alzò per fumare una sigaretta vicino la grande finestra che dava sul quartiere di Brixton. Quando buttò fuori dalla bocca il fumo acre, proseguì con tono duro -E' quello che ha fatto con suo fratello-
-Magari non ne parla perché ne soffre ancora- Agnes sentì il bisogno di difenderlo.
-No, Ian non lo ha mai perdonato per averlo lasciato solo-
-Come fai a dirlo?-
-Agnes hai mai prestato attenzione ai testi dei The Fifth Beatle?- le domandò con un'ironia amara che strideva con l'immagine del solito Colin.
-Perché parli così?-
Il ragazzo serrò la mandibola nervoso. -Anni fa ho abbandonato la strada tracciata dai miei genitori. Ma per cosa? Per una strada che non ho scelto io, ma Ian-
-Non sei felice?- chiese turbata.
-Mi piace la musica- le rispose continuando a fumare -Ma mi piace come mi piaceva giocare a rugby o come magari mi sarebbe piaciuto gestire la società di mio padre-
-Non sei felice- concluse lei al suo posto.
-Hai presente quando sparisco per intere giornate?- Aspettò che Agnes annuisse prima di proseguire. -Vado al Barn Theatre Club, una scuola di recitazione. E' iniziata per gioco ma...sì, è questo che mi rende felice- concluse convinto.

***

Quando Agnes si mise a letto ripensò a tutto ciò che aveva scoperto quel giorno. Dietro il perenne sorriso di Colin, si nascondevano delle ombre. E Agnes si chiese cosa sarebbe arrivato a fare l'amico pur di non deludere Ian.



Note:
Ciao a tutte! Stavolta preferisco non dare spiegazioni in merito al capitolo. So che in certi momenti è molto triste, so che è lungo ma spero che vi abbia trasmesso qualcosa. Spero che siate voi a dirmi la vostra idea sui caratteri di Ian e Colin.
Solite precisazioni: ho cercato di riprodurre l'atmosfera austera del College di Eton (qui la foto).
La poesia in latino è di Catullo.
Il titolo è una frase tratta dalla canzone 15 step dei Radiohead e si riferisce più che altro ai pensieri di Colin, visto che la narrazione avviene dal suo punto di vista.
Al prossimo capitolo,
Agnes

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Capitolo 11
*** Blackberry Stone ***


capitolo 10
Blackberry Stone


Mr Parrish teneva le mani sul volante con la consueta eleganza, attendendo il via libera del semaforo. Aveva appena accompagnato una coppia araba in uno degli hotel più lussuosi di Londra. Gli orientali erano i migliori clienti. Silenziosi e riservati. Proprio quello che ci voleva dopo una giornata di lavoro.
Quando scattò il verde, Mr Parrish piggiò sul pedale dell'acceleratore per poi frenare bruscamente. Una coppia di squinternati era balzata in mezzo alla strada per fermarlo.
-Che idioti- mugugnò mentre i due si avvicinavano alla vettura.
-Ci scusi tanto ma abbiamo una certa fretta- iniziò la ragazza con tono disinvolto. Mr Parrish non la degnò di una risposta ma non potè fare a meno di sbirciarla dallo specchietto. Aveva dei sorprendenti capelli rossi che teneva raccolti in un disordinato chignon. Gli occhiali da vista neri evidenziavano l'incarnato chiaro e delicato, conferendole un'aria intellettuale.
-Dove vi accompagno?- chiese con il suo solito tono neutro.
-Camden Town- Rispose il ragazzetto smilzo dai capelli color platino, destando la sua attenzione.
Diamine, alla faccia del ragazzetto!
Il giacchetto di pelle e quei capelli corti lo avevano tratto in inganno. Bastò un'occhiata allo specchietto per notare i lineamenti delicati del viso e il taglio femminile di due occhi blu. Era una ragazza, una ragazza molto bella in effetti.
Mentre Mr Parrish si dirigeva verso la loro meta, le due ragazze iniziarono a ciarlare allegre. Mr Parrish si mise all'ascolto, pur fingendo la discrezione che ci si sarebbe attesi da un perfetto tassista londinese come lui.
-Francine mi ha confermato che porterà almeno sei persone- disse la rossa mentre leggeva qualcosa al cellulare.
-Questa è la volta buona che Gheorghe mi uccide!- rispose l'altra.
-Suvvia, per un po' di persone nel suo locale-
-Un po' dici? Astrid gli avevamo assicurato una festa tra pochi intimi-
Astrid fece un gesto di elegante noncuranza. -Sciocchezze! Perché sia una vera festa devono esserci un po' di musicisti, qualche artista per come si deve e una sfilza di modelle. E' questione di equilibri, tesoro!-
La bionda scosse la testa tra il divertito e il rassegnato, mentre l'altra continuava.
-Quindi di musicisti ne avremo in abbondanza perché quel Woody porterà la sua banda di anarchici. Agli artisti ci ho pensato io e alle modelle tu. Perfetto, no?-
-Immagino la faccia di Colin quando vedrà tutte quelle persone-
-Sarà felice. Dacchè lo conosco non ha mai festeggiato il suo compleanno ma i ventisette anni non possono passare così inosservati.

***

Agnes continuava a guardare l'orologio. Aveva detto a Colin di vedersi al Kirchherr's alle dieci. A breve l'amico sarebbe arrivato, trovando ad attenderlo una vera e propria folla. Agnes si guardò intorno con un sorriso soddisfatto. Chissà quante persone lì dentro conoscevano davvero Colin. Ma non era importante; Colin si sarebbe divertito sicuramente.
La porta d'ingresso venne aperta con forza e Karl entrò di corsa gridando nella sua direzione.
-Arriva!-
Agnes fece un cenno verso Dave che, per attirare l'attenzione delle persone così da costringerle al silenzio, improvvisò un assolo con la sua batteria.
Dopo qualche minuto di silenzio, la folla accolse Colin con un boato. Il festeggiato sgranò gli occhi stupito ma, ben lontano dalla solita allegria, si voltò indietro alla ricerca di qualcuno. Dall'espressione sorpresa e un po' accigliata di Ian, Colin sembrò capire che l'amico non ne sapesse nulla. Ian lo guardò e con un breve sorriso gli fece cenno verso le persone davanti a loro. Il ragazzo annuì dandogli le spalle.
Questo scambio silenzioso durò appena una manciata di secondi. Poi Colin si gettò tra la folla di amici pronti a festeggiarlo.

***

Finalmente anche Agnes si stava godendo la festa.

Presa dai sensi di colpa nei confronti del suo ex datore di lavoro, aveva trascorso la prima parte della serata dietro al bancone. Gheorghe aveva capito tutto e se ne era ampiamente approfittato. Sbuffando e mugugnando le aveva chiesto di fare questo e quello senza che Agnes riuscisse a dirgli di no. Fortunatamente era giunta a salvarla Astrid. A passo di carica aveva raggiunto Agnes, le aveva preso un polso e, rivolgendo a Gheorghe uno sguardo di sfida, se l'era trascinata in pista.
Una birra in mano e una bombetta nera sul capo, Agnes ballava al tempo di Chelsea Dagger insieme ad Astrid e alcune delle modelle che aveva invitato. Una fotocamera passava da una mano all'altra, catturando sorrisi smaglianti e in certi casi ebbri, pose seducenti e facce buffe. Qualcuno alle sue spalle le sfilò il particolare copricapo che teneva sulla testa. Si girò irritata, pensando di trovare un idiota pronto ad importunarla. Un Colin raggiante si stava portando la bombetta fra i folti capelli castani.
-Prendilo come il tuo regalo di compleanno!- le disse con un sorriso luminoso.
-Pensavo che la festa bastasse- rispose con tono scherzosamente sostenuto.
Lui per tutta risposta la abbracciò forte, e le disse all'orecchio -Sei un tesoro, Agy-
-Questo è niente rispetto a quello che avete...che hai fatto per me- sentì il bisogno di correggersi all'ultimo istante.
Il ragazzo le prese la mano, iniziando a ballare con lei.

***

Ormai ne era certa. La festa era riuscita e tutti si stavano divertendo. Agnes aveva riso di gusto quando Astrid per scacciare un Dave alquanto insistente aveva preso Ietva, la modella lituana, baciandola con finto trasporto. Si era stupita vedendo il successo riscosso da Colin tra le sue amiche modelle, pronte a tutto pur di attirare la sua attenzione. D'altra parte il festeggiato, ormai ubriaco per i micidiali mix alcolici ingeriti, non era tanto restio a concedere la sua attenzione a simili bellezze. Anche Agnes aveva un certo successo. Gli amici di Astrid avevano mostrato un autentico interesse nei suoi confronti, così come Woody che più volte l'aveva avvicinata con una scusa o un'altra.

Agnes avvertiva il familiare fastidio alle guance. Aveva riso tanto quella sera. E il sorriso non era mai scomparso dalle sue labbra. Ma aveva la sensazione che fosse un sorriso di plastica, come se qualcuno le avesse vietato di smettere. E forse era così: lei stessa si era proibita di pensare alla nota stonata di quella serata e della sua vita in generale.
La nota che rendeva stonata la gioia di quel momento se ne stava in disparte. Seduto ad un tavolo con un bicchiere in mano, Ian non aveva partecipato alla festa. Anzi, ad ogni ora sembrava incupirsi sempre di più.
Più volte i loro sguardi si erano incrociati. Gli occhi chiari di Ian si erano posati su quelli scuri di lei. Non erano ostili, ma vacui, neutri. Negli ultimi mesi si era abituata a leggere avversione in quegli occhi cerulei e quel vuoto la spaventava più di ogni altra cosa.
Nonostante Colin le avesse raccontato qualcosa del loro passato, continuava a non capire  cosa spingesse il ragazzo ad essere così scostante nei suoi confronti.
Il comportamento di quella sera, poi, la stava infastidendo oltre misura. Colin spesso lo aveva cercato con lo sguardo e, quando l'aveva visto seduto in disparte, aveva chinato il capo per celare agli altri un'espressione buia e malinconica.
Agnes fece le sue conclusioni. Ian, preso com'era dai suoi impenetrabili pensieri, non si era preoccupato di ferire i sentimenti del suo amico. Era un egosita.

***

L'ennesimo gruppo aveva smesso di suonare da qualche minuto. I ragazzi in pista già scalpitavano per tornare a ballare e si udì qualcuno reclamare i The Fifth Beatle. Dave e Karl si avvicinarono subito ai loro preziosi strumenti, guardandosi in giro alla ricerca degli altri due componenti. Colin, vicino ad Agnes, scosse la testa ridendo sguaiatamente.

-No sono troppo ubriaco. Rischierei di perdere la faccia!-
Agnes guardò in direzione del tavolo di Ian. Lo vide alzarsi a fatica, come se fosse stanco. Non una stanchezza fisica, ma qualcosa che lo corrodeva dentro.
Da lontano lo vide scambiare qualche parola con Dave e Karl i quali annuirono e si misero uno alla batteria e l'altro al basso. Ian, invece, si avvicinò al microfono e stringendo la chitarra prese parola.
-Visto che il nostro cantante ha disertato, ci tocca fare a meno di lui-
Al microfono la voce di Ian aveva un tono basso, coinvolgente.
-Spero che vi saprete accontentare dei Fifth Beatle meno uno-
In quel momento si rese conto di non aver mai sentito cantare Ian e si scoprì impaziente di ascoltarlo. Tanto impaziente da non riuscire a muoversi tra la folla e distogliere gli occhi da lui.
La musica iniziò. Dura e violenta, superava qualsiasi barriera. Agnes aveva la sensazione che ogni parte del suo corpo fosse attraversata da quei suoni che la facevano tremare nel più profondo di se stessa.
Ian le appariva immobile nonostante le sue mani si muovessero lungo la chitarra, accarezzandola con devozione e rabbia insieme. Con un cenno impercettibile del capo si chinò verso il microfono e iniziò a cantare parole di rabbia.
 Agnes conosceva quella canzone, l'aveva sentita cantare spesso ai loro concerti. Ma la voce di Ian, rauca e spinta al massimo, le dava un altro significato, ponendo l'accento sulle parti più oscure. Il testo parlava di qualcuno angosciato da un insano attaccamento alla propria tristezza, come se fosse qualcosa di cui non poter fare a meno.
Quella canzone, come quasi tutte quelle dei Fifth Beatle, l'aveva scritta Ian. E nelle corde vocali del suo autore emanava tutta la sua inquietante bellezza.

***

-Prima di salutarvi con l'ultima canzone, ci teniamo ad annunciarvi che presto i The Fifth Beatle  pubblicheranno il primo album con la EMI-

Ian attese che gli applausi e le urla finissero per continuare a parlare.
-E' un risultato che non avrei potuto realizzare senza di te, amico mio- disse cercando con lo sguardo Colin -Voglio quindi ringraziarti suonando un pezzo speciale, la nostra prima canzone-
Mentre la musica iniziava, Agnes guardando i ragazzi suonare non potè trattenere un dolce sorriso. Quella era la parte di Ian che le piaceva davvero. Quello era un bel gesto. Si voltò verso Colin convinta di trovarlo sorridente. Niente di più sbagliato. Colin aveva gli occhi sbarrati e la mascella serrata. Qualcosa l'aveva turbato. Ma cosa?
Agnes si guardò in giro confusa fino a quando la sua mente catturò il senso di quella canzone. Era rivolta a qualcuno, una persona a cui si sentiva legato da sentimenti forti e contrastanti. Lo aveva deluso così profondamente da voler eliminare dalla sua mente tutto ciò che lo riguardava; ma fra loro esisteva un legame indissolubile che li avrebbe uniti per sempre.
Mentre cantava, il volto di Ian era contratto in un'espressione dura. Sembrava che facesse uno sforzo immane a cantare quel pezzo tanto che la sua voce, già di per sè bassa, era poco più di un sussurro. Ma l'attenzione di Agnes si concentrò su Colin che tratteneva a stento le lacrime. Qualcosa dentro di lei si ribellò davanti a quella scena. Quando Ian concluse il pezzo, rivolse un sorriso soddisfatto a Colin, come se avesse ottenuto proprio quello che voleva. In quell'istante quel qualcosa dentro di lei scoppiò, spingendola a muoversi verso il tavolo a cui stava tornando Ian.

***

-Si può sapere che problemi hai?-

Ian si voltò a guardarla sorpreso. Ovvio, fino a quel momento nessuno l'aveva mai sentita alzare la voce in quel modo.
-In che senso?- chiese confuso.
-Se vuoi startene qui da solo, sono fatti tuoi. Ma perché lo devi fare stare male proprio oggi? E' il suo compleanno-
Ian continuava a non capire e adesso la guardava come se si fosse rincretinita. Questo ovviamente la fece infuriare ancora di più.
-Perché proprio quella canzone poi? Ti diverti a farlo sentire uno schifo?-
Finalmente sembrò capire di cosa stesse parlando. Anche se adesso i suoi occhi chiari si erano stretti in un'espressione tesa e qualche parola sferzante si apprestava ad uscire dalle labbra serrate.
Una mano si strinse intorno al suo esile polso e qualcuno la trascinò lontano da Ian. Non aveva bisogno di guardarlo perché sapeva di chi si trattava. Quando arrivarono al bancone, Colin si voltò nella sua direzione senza lasciarle il polso.
-Hai frainteso la situazione-
-Colin quella canzone ti faceva male e ho visto che per tutta la sera hai continuato a cercarlo- rispose dura -Che c'è, non hai il permesso di divertirti nemmeno per il tuo compleanno?-
-Lascialo stare. Stasera non ha torto- disse con l'espressione angosciata che gli aveva visto poco prima -Proprio stasera lascialo stare- ripetè senza nemmeno guardarla in viso.
Proprio stasera...
Fu in quel momento che Agnes mise insieme i pezzi. Ricordò la conversazione avuta con Colin qualche settimana prima, quella in cui le aveva raccontato com'era iniziata l'amicizia tra i due ragazzi. Le tornò alla mente un particolare che le era sfuggito. Il sei marzo. E allora capì.
Capì perché Colin non festeggiava il suo compleanno da anni.
Capì perché al suo ingresso nel locale aveva atteso un cenno di Ian per lasciarsi andare ai festeggiamenti.
Capì perché si era adombrato quando lo aveva visto in disparte.
Capì a chi era dedicata quella canzone e la fatica che era costata a Ian cantarla.
In definitiva, capì di essere un'idiota.
 -Il sei marzo è il giorno in cui suo fratello...-
Colin annuì serio.
L'impulso di voltarsi nella direzione di Ian fu troppo forte da trattenere. In questo modo lui, rimasto proprio dove lo avevano lasciato, potè vedere i suoi occhi sbarrati e l'espressione colpevole. Agnes deglutì lentamente mentre tornava a guardare Colin.
-Domani mattina- iniziò con voce tremante -domani mattina ho un incontro di lavoro-
 Colin la guardò interrogativo.
-Devo fare presto- continuò a fatica -Tu resta e cerca di divertirti, anche se...sì insomma...Divertiti, ok?-
-Agnes, per favore...-
Gli voltò le spalle e tornò a parlargli solo dopo aver recuperato la giacca di pelle.
-Se Gheorghe si lamenta, digli che tornerò domani per pulire-
-Agnes...-

***

Le due e mezza. Chissà per quanto tempo aveva vagato lungo il Regent's Canal. Il cellulare aveva suonato diverse volte e pur non avendo risposto aveva mandato qualche messaggio per tranquillizzare chi aveva chiamato. Aveva scritto "sto bene". Una bugia, ovviamente. Ma era facile fingere quando l'altra persona non poteva vedere l'impronta del tuo malessere: il trucco sbavato a causa delle lacrime, le labbra martoriate dai morsi e gli occhi gonfi di pianto.
Dopo aver visto l'ora decise che per quella sera aveva rischiato abbastanza ad andarsene in giro da sola. Chiamò un taxi e tornò a casa, sperando che nessuno dei due coinquilini fosse ancora tornato. Non voleva affrontarli proprio in quel momento, perché avrebbe sicuramente pianto. A causa di quella festa, aveva la sensazione di aver rovinato il precario equilibrio su cui si reggeva il rapporto tra due ragazzi così diversi come loro. Avrebbe pianto e non voleva che la vedessero così, come una ragazzina che cerca di togliersi dai guai con qualche lacrimuccia.
Quei pensieri richiamarono le lacrime cosicché, quando fu arrivata davanti la porta, fece una certa fatica a centrare la serratura. Quando fu dentro, il silenzio e il buio la accolsero come i migliori padroni di casa.
Nemmeno una doccia calda e il comodo pigiama riuscirono a calmarla. In quelle condizioni mettersi a letto avrebbe soltanto peggiorato il suo stato d'animo. Così fece una cosa che in tutti quei mesi non aveva osato nemmeno pensare. Prese la vecchia chitarra di suo padre, tenuta nascosta sotto il letto, e si mise sul comodo divano del soggiorno. E cantò.

***

Le sottili dita si muovevano lungo la chitarra delicate e, sotto un impulso irrazionale, suonarono proprio quella canzone. Una canzone che da un po' di tempo associava a Ian. O più precisamente, quello che lei provava per lui. In quel momento aveva la strana sensazione che intonandola in qualche modo sarebbe riuscita a farsi perdonare. O, cosa più probabile, sarebbe stata lei a perdonarsi.

Non sbagliò nemmeno una nota, la sua voce non ebbe nessuna incertezza nè esitazione. Era rimasta concentrata sul pensiero di Ian, cantando per lui. E non aveva commesso errori.
-Canta ancora-
Nonostante fino a quel momento aveva creduto di essere sola, Agnes non sussultò davanti alla richiesta di Ian. La sua mente era occupata unicamente dal pensiero di lui. E la sua voce, sbucata repentinamente da dietro le spalle, non la spaventò. Aveva quel tono basso che usava quando voleva mostrare il suo lato migliore. Socchiuse gli occhi come a volersi fare coraggio e si voltò verso il piccolo corridoio dove si trovavano le loro stanze. Ian era appoggiato alla parete, lontano da lei. La guardava con un'intensità tale da illuminare i suoi occhi chiari.
-Non vuoi farlo?-
Agnes ci mise qualche secondo per comprendere il senso della domanda.
-S-si, ma...- guardò preoccupata la chitarra tra le sue mani. Avrebbe stonato, lo sapeva già.
Ian la guardò mentre faceva scivolare un dito lungo una corda della chitarra. Sembrò capire qualcosa dei suoi pensieri perché, anziché insistere, andò a sedersi silenziosamente sul divano, accanto a lei. In quella posizione non riusciva a vederlo perché mentre lei era seduta sull'estremità del divano, lui era comodamente appoggiato allo schienale così da starle dietro.
Comprese il suo gesto solo quando posò una mano sul suo fianco sinistro. La presa era delicata e lei avrebbe potuto scostarsi in ogni momento. In effetti, era più una carezza. Le trasmise la calma che tanto desiderava. Le stava dicendo "non lasciarti soffocare dalla mia presenza". Quella mano le ricordava che pur non vedendolo, Ian era lì. Ed era lì per lei e per nessun'altro motivo.
Suonò e cantò, come le aveva chiesto. La presenza di Ian era come quella presa sul suo fianco. Gentile, rassicurante e voluta.
Quando terminò, posò la chitarra ai suoi piedi e si voltò raggiante verso il ragazzo.
Ian si sollevò appena dal divano e, spostando la mano sulla schiena di lei, la avvicinò a sè. Agnes capì le sue intenzioni solo quando era troppo tardi per tirarsi indietro. Le labbra di lui si posarono sulle sue, pronte a ricevere quel bacio da chissà quanto tempo.
Quando Ian la baciò, qualcosa dentro di Agnes si fece in mille pezzi. Quando lei rispose al suo bacio, Ian le sorrise sulle labbra e con l'altra mano le accarezzò il collo scoperto. E allora quei pezzi si ricomposero in qualcosa di nuovo e diverso. Quel bacio, quel lungo e profondo bacio, l'aveva cambiata per sempre.



Note:
Ciao a tutte! Stavolta sono davvero in ritardo e mi scuso con chi mi aveva chiesto di aggiornare presto. Diciamo che è stato un periodo no: sono stata male, sono iniziate le lezioni e si è ridotto il tempo per scrivere e altri problemi...
Ma eccomi qui, con un capitolo a cui tengo molto ma che non mi convince affatto.
Forse la vera protagonista di questo capitolo è la Musica, uno strumento che consente ai personaggi di comunicare quello che hanno dentro.
Andiamo in ordine: Chelsea Dagger dei The Fratellis ha l'unico scopo di trasmettere un po' di gioia ^_^
Per la prima canzone cantata da Ian mi sono ispirata a Zero degli The Smashing Pumpkins. In pratica ho descritto le sensazioni che mi trasmette.
Per la canzone che canta Agnes ho fatto riferimento a Blackberry stone di Laura Marling, un genere molto diverso rispetto a quello che ho usato nei capitoli precedenti ma che trovo azzeccato per esprimere i sentimenti di Agnes per Ian.
Ringrazio le persone che seguono la storia e le ragazze che mi hanno resa davvero felice con le loro recensioni!
A presto,
Agnes

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Capitolo 12
*** Where do his intentions lay? ***


capitolo 11


Where do his intentions lay?


Quella mattina il risveglio di Agnes fu piacevole e morbido. Mentre lentamente si liberava dagli ultimi frammenti di sonno, la parte lucida di sè ripercorse la notte appena trascorsa.
Dopo quel primo bacio ce ne erano stati altri. E più i loro corpi si facevano vicini, più si radicava in lei una nuova consapevolezza: aveva atteso quel momento a lungo. Consapevolezza, questa, che la portava a ricambiare i baci di Ian con un trasporto mai provato.
Fiduciosa si lasciava trasportare dalla percezione delle mani di Ian che, a tratti esitanti, percorrevano ora la schiena, poi i fianchi, il collo e su fino alle guance. Mani gentili e attente a non imbarazzarla, come se potessero leggerle sul viso la sua inesperienza.
Presa com'era da tutte quelle emozioni, si sorprese quando improvvisamente Ian interruppe il bacio. Lo guardò disorientata mentre lui puntava gli occhi sulla porta d'ingresso. Prestando maggiore attenzione, Agnes capì cosa aveva distratto il ragazzo. Delle voci e strani rumori provenivano da dietro la porta. Quando i due sentirono la chiave girare all'interno della serratura, come a un segnale convenuto, si alzarono e si diressero dove Colin, una volta entrato, non sarebbe andato: il piccolo corridoio da cui si accedeva alle camere di Agnes e Ian. Rimasero lì in silenzio mentre Colin invitava qualcuno ad entrare in casa. A modo suo, ovviamente...
-Sshhhhhhh, fai piano- urlò il ragazzo per poi mettersi a ridere insieme al suo ospite.
-Sei tu che gridi, kvailas!- rispose una voce femminile che, nonostante fosse alterata dall'alcol, Agnes riconobbe subito come appartenente a Ieva, la modella lituana.
Agnes rivolse un sorrisetto divertito a Ian che le stava di fronte e, da quello che poteva scorgere grazie alla fievole luce proveniente dal soggiorno, sembrava voler continuare quel discorso lasciato interrotto pochi istanti prima.
-Non ti è bastato al locale?- chiese Colin con voce arrochita.
-No, ti voglio ancora- rispose la ragazza nel suo inglese stentato.
Suoni lascivi arrivarono alle orecchie di Agnes mettendola in imbarazzo.
-Andiamo in camera tua!-
La porta della camera di Colin venne aperta e subito richiusa con energia, cosicché i rumori divennero più flebili e soffusi.
Agnes riportò lo sguardo sul ragazzo davanti a lei. Vedendo come era proteso verso di lei, si chiese se anche lui si aspettasse una richiesta così sfacciata e sicura.Mentre si mordicchiava un labbro, le labbra di Ian si distesero in un meraviglioso sorriso.
-Buonanotte Agy- le disse piano mentre lasciava scorrere due dita sulla pelle liscia che andava dalla tempia fino al mento.

Quando si convinse ad aprire gli occhi, guardò la porta chiusa della sua camera. Lì fuori l'attendeva Ian e lei non sapeva davvero cosa aspettarsi. Mal celando la sua impazienza si alzò e dopo aver dato un'occhiata allo specchio si ricordò che il ragazzo l'aveva vista anche in condizioni peggiori. Con un brivido di disgusto pensò a quando aveva avuto un'orribile influenza.
Attratta dai rumori provenienti dalla cucina, vi entrò proprio nel momento in cui Ian stava posando tazza e cereali sul tavolo.
-Buongiorno- lo salutò con un sorriso.
-Ben svegliata- replicò la voce bassa di lui.
Il silenzio si protrasse per qualche secondo di troppo. Nell'aria c'erano i ricordi dei baci che si erano scambiati la sera prima. E inaspettatamente fu proprio Ian a toglierla da quell'imbarazzo.
-Che fai lì? Vieni a sederti- la invitò con un cenno alla sedia.
Mentre si sedeva, Ian prese un'altra tazza e la riempì di latte freddo e caffè. Proprio quello che lei preferiva, pensò distrattamente. Dopo averle messo la colazione davanti, si sedette anche lui.
-Oggi non dovevi lavorare?-
-No- rispose stranita da quella domanda.
-Ieri a Colin hai detto così-
-Ah. No, era una scusa per andarmene dal Kirchherr's- Sgranò gli occhi per quello che aveva detto. Quando era nervosa tendeva a straparlare.
Ian le sorrise divertito.
-Quando sei agitata fai delle smorfie spassose!-
-Chi ha detto che sono agitata?-
-Mh, vediamo...C'è il tavolo che trema perché non riesci a tener fermo il piede lì sotto- fece un movimento elegante e allusivo con la mano -C'è che pochi minuti fa sembravi voler fare un tutt'uno con la parete- continuò sorridendo furbo -E poi c'è il fatto che ancora non mi hai guardato-
-Sì che ti ho guardato- rispose piccata.
-Non negli occhi, però...-
Sentendosi sfidata, alzò gli occhi su quelli di lui. Erano luminosi e allegri come poche volte aveva visto.
-Eccoti qui- disse piegando leggermente il capo -Buongiorno- mormorò continuando a tenerla legata ai suoi occhi, mentre lei si scioglieva nel dolce sorriso di chi si sente colto in fallo.
-Adesso potresti anche darmi un bacio-
Un suono di passi incerti e malfermi distrasse i due. Quasi contemporaneamente si voltarono in direzione di Ieva che avanzava lentamente tenendosi il capo.
-Buongiorno!- salutò allegro Colin mentre usciva dalla sua stanza. A guardarlo così pimpante nessuno avrebbe detto che aveva trascorso la nottata a bere, fumare e...insomma, a fare altro!
La lituana non sembrò apprezzare quell'allegria e lo guardò oltraggiata.
-Buongiorno un corno, silpnaprotis!-
Nonostante nessuno conoscesse il lituano, tutti intuirono l'incazzatura della ragazza.
-Su non te la prendere...tesoro- la esortò gentile ma stranamente incerto.
-Ieva. Il mio nome è Ieva-
-Aah, ecco...- sospirò contento -In fin dei conti non ho sbagliato così tanto!-
La ragazza lo fulminò con lo sguardo.
-Mi hai chiamata Svetlana!-
-Ma sai, è un nome così diffuso in Russia- tentò di giustificarsi inutilmente.
-Russia?- sibilò la ragazza che sembrava essersi del tutto ripresa dal suo mal di testa -Io sono lituana, razza di idiota!-
Ahi, mai scambiare le ragazze dell'est per russe, pensò Agnes preoccupata.
-Per voi siamo tutte uguali, vero? Quando sono nata, mio padre era fuori a combattere per scacciare i sovietici dalla nostra patria-
Colin era ammutolito. Ian tratteneva a stento le risa. E Agnes si sentì in dovere di calmare la patriottica lituana.
-Ieva, gradisci un caffè?-
Insomma, suonava un po' fuoriluogo, ora che ci faceva caso.
-Ti ringrazio Agnes- replicò l'altra con tono sostenuto -Ma preferisco andare via-
Pochi minuti più tardi e dopo un dignitoso tonfo della porta d'ingresso, Agnes e Ian si ritrovarono a sghignazzare mentre un paonazzo Colin li guardava inebetito.
-Che avete da ridere? Mi ha massacrato!-
-Amico mio, sei proprio un silpa..quello che ha detto lei!- rispose divertito Ian.
-Potrebbe essere il tuo nome d'arte- gli diede man forte Agnes.
Da parte sua Colin mostrò di non essere così idiota come pensavano tutti quanti. Infatti notò che i due erano stranamente vicini e complici, decidendo così di sfruttare questa novità a suo vantaggio.
-E voi, invece, cosa avete combinato stanotte mentre non c'ero?-
Agnes quasi sputò il latte, mentre Ian inarcò semplicemente le sopracciglia mentre domandava innocente -In che senso?-
-Considerando la tensione degli ultimi mesi, temo che Agnes si sia decisa a dartele- poi sembrò riflettere su qualcosa ed Agnes temette il suo sorriso malizioso -Certo, c'è un altro modo per scaricare la tensione ma confido nella sanità mentale di Agnes-
Ian ignorò bellamente la domanda sottintesa in quella frase provocatoria, cambiando discorso.
-Sai, ho scoperto una cosa molto interessante ieri sera-
-Ian arrivi troppo tardi. Il mio cuore ormai appartiene a Svetl..a Ieva-
-Me ne farò una ragione. Comunque, ho scoperto il segreto di Agnes-
-E quale sarebbe?- chiese Colin cauto e Agnes pensò di aver capito a quale tipo di segreto stesse pensando l'amico.
"-Non è il ragazzo giusto per te, Agnes- rispose duro.
-Ma cosa stai dicendo?-
-Non negarlo, è chiaro che sei innamorata di lui- le disse guardandola dritto negli occhi."
-Agnes ha una voce stupenda- Spiegò il ragazzo posando il suo sguardo vivace sulla smorfia che arricciò le labbra di Agnes.
-Non esagerare adesso-
-Non sto esagerando- disse con semplicità.
Colin non fece alcun commento, intento com'era a studiare gli sguardi dei due.

***

-Manca il detersivo per i piatti e poi possiamo spostarci al reparto macelleria- mormorò Agnes controllando la lista della spesa.
-Lo prendo io-
Agnes rimase ferma con le mani poggiate sul carrello, mentre osservava Ian scegliere il detersivo più economico.
Dopo la colazione e la rivelazione del segreto di Agnes, Ian le aveva proposto con molta naturalezza di fare la spesa insieme. Fatto mai verificatosi nei quasi tre mesi di convivenza.
Nonostante il ricordo vivido della notte appena trascorsa, fra i due vi era un clima disteso e sereno. Avevano chiacchierato, avevano bisticciato per la scelta dei biscotti e fatto dello spirito su qualche sciocchezza.
-Ecco qua- disse Ian mentre posava il prodotto nel carrello.
Mentre spingeva il carrello, Agnes azzardò un'occhiata verso il ragazzo. Ora sembrava un po' pensieroso pur conservando la serenità con cui l'aveva accolta quel mattino. Inaspettatamente posò una mano sul carrello facendola fermare.
-Non ci siamo-
-In che senso?- chiese stranita.
-Oggi non mi hai ancora dato un bacio- Le spiegò mentre la guardava severo e sicuro al tempo stesso.
Agnes comprese l'invito sotteso a quel finto rimprovero e sorridendo alzò il capo nella sua direzione. Ian si chinò leggermente e la baciò con delicatezza.
Il bacio fu blando e agli occhi degli estranei potè sembrare innocuo. Ma Agnes, presa com'era, pensò distrattamente che non c'era nulla di innocuo in Ian né nel modo in cui la stava baciando.
Quando si scostò da lei, Ian prese subito a camminare e dopo qualche secondo di smarrimento Agnes lo seguì.
-Tra due settimane abbiamo un concerto molto importante. La EMI ci ha procurato uno spazio di un'ora al Rock Calling Festival-
-Per promuovere l'album?-
-Più che altro per controllare che il loro investimento vada a buon fine!- le spiegò con un sorriso sarcastico -Comunque vada, per noi è una grande occasione-
-Andrà bene sicuramente- lo rassicurò lei.
-Non ne ho dubbi.- rispose sicuro -Ma non è per questo che te ne sto parlando. Tempo fa ho scritto una canzone che Colin non riesce proprio a cantare; non la rende come vorrei. Quando ti ho ascoltata ieri sera ci ho subito pensato: potresti cantarla tu!-
A quelle parole Agnes quasi investì un bambino fermo davanti a lei.
L'impulso iniziale fu dire un no fermo, forse anche brusco. Ma conosceva Ian abbastanza bene da sapere che avrebbe reagito male ad una risposta così diretta. Così si prese un momento per cercale le parole adatte ad un rifiuto, qualcosa che non rovinasse il loro buonumore.
-Ci stai pensando?- Chiese il ragazzo davanti a quel silenzio prolungato.
-Ian c'è un motivo per cui non mi avevi mai sentita cantare- iniziò cauta.
-Forse perché sei la persona più insicura e modesta che conosco?-
Quel colpo basso ebbe l'effetto di far aprire gli occhi ad Agnes. In realtà da vero furbo Ian aveva capito che lei si apprestava a rifiutare la sua proposta. E la ragazza aveva il sospetto che lo sapesse ancora prima di parlargliene.
-No, perché quando in passato ho provato a cantare davanti ad estranei non ho mai fatto una bella figura!-
-Ma ieri sei stata formidabile!-
-Mi dispiace ma non sei obiettivo.-
La guardò spazientito facendole temere la sua risposta. Una risposta che, tuttavia, la stupì.
-Non voglio costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Ma stanotte ti ho osservata e il tuo amore per la musica e la felicità che provavi erano troppo evidenti per essere ignorati. Era come se qualcosa ti avesse rapita e i tuoi occhi vedessero un mondo sottratto agli occhi degli altri.-
Agnes lo guardò sentendosi in difficoltà. Quelle parole l'avevano colpita, perché descrivevano i suoi pensieri ogni volta che aveva ascoltato la chitarra di Ian o quando lo sentiva parlare di cose che gli erano care. L'idea di avere qualcosa in comune con lui le provocò un brivido.
Avrebbe voluto essere più forte e accettare la sua proposta. Sarebbe bastato un semplice sì. Le venne alla mente quella sera di settembre in cui suo padre l'aveva spinta a prendere ciò che voleva. Ricordò quando, nel giro di qualche ora, Colin e Astrid l'avevano catapultata nel mondo della moda. Infine, ricordò quando Ian l'aveva aiutata a far emergere la sua personalità.
Ora le veniva richiesto l'ennesimo cambiamento ma stavolta gli altri non potevano aiutarla. Era lei a dover affrontare i suoi fantasmi e nessun'altro avrebbe potuto farlo al suo posto.
-Non te lo chiederò un'altra volta. Se cambierai idea ricorda che la proposta sarà sempre valida.-
La conversazione si interruppe quando, arrivato il loro turno, i due iniziarono a porre i prodotti e le cibarie sul ripiano della cassa.

***

A partire da quel giorno, in casa si iniziò a parlare solo dell'imminente debutto dei The Fifth Beatle. Ian e Colin discutevano delle canzoni da inserire in scaletta, finendo puntualmente con il litigare sulle scelte e sull'ordine.
Il gruppo provava praticamente ogni sera e, quando il lavoro glielo consentiva, Agnes cercava di non mancare mai.
Ian era stato di parola e non aveva più insistito sulla sua proposta. Ciò nonostante Agnes poteva avvertire la sua impazienza, il suo desiderio di averla con sé in quell'esperienza. E se da un lato questo la faceva sentire sotto pressione, dall'altro era colpita da tanto attaccamento.
Fra loro c'erano stati altri baci ma sempre fugaci e quasi fortuiti. In ogni caso, mai di fronte agli altri ragazzi. Poteva imputare tale comportamento a quella riservatezza tipica di Ian, ma l'insicurezza di Agnes la portava a chiedersi se ci fosse sotto qualche altra motivazione. Forse che si fosse pentito di essersi legato ad una persona così fragile come lei? Non lo capiva e ne soffriva in silenzio.
Quella sera si erano dati tutti appuntamento alla sala prove, conosciuta dai più come lo scantinato della galleria d'arte della madre di Colin. Agnes e Colin arrivarono in netto anticipo rispetto agli altri. Fatto strano visto che il primo ad arrivare normalmente era Ian il quale, una volta chiuso il negozio di dischi, si recava direttamente lì senza passare da casa.
-Quindi...- disse Colin un po' nervoso per poi starsene zitto a guardare gli strumenti intorno a lui.
-Quindi cosa?-
-Noi comuni mortali non avremo mai l'occasione di sentirti cantare?- Cercò di usare il suo solito tono spiritoso ma qualcosa tradì la sua impazienza.
Agnes lo guardò scocciata.
-No, non penso- rispose semplicemente.
-Agnes cosa c'è che non va? Negli ultimi giorni sei stata taciturna.-
-Non ho nulla-
-Qualcosa ti turba. Ora cortesemente puoi evitare di negare l'evidenza e spiegarmi cosa ti prende?-
Nonostante il tono perentorio, Agnes capì che Colin come al solito stava tentando di capirla e aiutarla. E allora decise di parlare.
-Ian mi ha chiesto di cantare una canzone con voi-
-E?- la esortò a continuare.
-E io gli ho detto di no-
-Non devi sentirti in colpa; non può costringerti a fare qualcosa che non vuoi!- proruppe visibilmente scocciato.
Buffo, aveva usato le stesse parole con cui Ian aveva chiuso la loro conversazione sull'argomento.
-Non è questo. Io lo vorrei, credimi Colin- gli spiegò vedendo l'epressione scettica -Ma non posso.-
-Perché non puoi?-
-Non so cantare in pubblico- spiegò desolata.
L'amico la guardò attentamente, poi si alzò dalla sedia in modo brusco e prese la sua chitarra.
-Quale canzone preferisci?- le domandò mentre si accomodava sulla sedia vicino a lei.
Lei si grattò nervosamente il sopracciglio, incerta su cosa fare.
-Non sto cercando di convicerti. Voglio solo suonare- disse semplicemente.
-Va bene. Facciamo una cover però-
Colin ci pensò un po' su e poi con un sorrisetto le chiese se le andasse bene Hey Jude.
Agnes gli disse di sì e mentre ripensava alle parole della canzone lo guardò irritata.
-Sei proprio un simpaticone-
-Perché?- domandò l'altro ingenuamente.
-Lascia stare e suona.-

***

Non stava andando affatto male. Colin cantava insieme a lei e questo le dava maggiore sicurezza. Gli sorrise grata e lui fece spallucce come a voler dire che se lo aspettava. Nel frattempo qualcuno aveva aperto la porta ed era entrato nello scantinato. Agnes, tentata dal fermarsi, fu quasi costretta da Colin a continuare.
Una fugace occhiata le svelò che il nuovo arrivato era proprio Ian.  Sorpresa notò la calma con cui cantava e in quel momento qualcosa dentro di lei le suggerì che, se non si lasciava prendere dalle solite paure davanti a due musicisti così bravi come loro, forse avrebbe potuto cantare anche in pubblico. Forse anche quel cambiamento era possibile.
Le venne voglia di condividere quei pensieri con qualcuno e, nonostante Colin avesse voluto aiutarla, la sua mente andò subito a Ian.
Quando le ultime note della canzone scemarono nell'aria, Agnes sorrise di nuovo a Colin e quando stava per dirgli qualcosa lui la interruppe.
-Sì, lo so. "Ti ringrazio blabla..."Non c'è bisogno!- Le disse bonario.
Quello scambio fu comunque interrotto dal chiassoso arrivo di Karl e Dave. Agnes dovette quindi attendere la fine delle prove per poter scambiare qualche parola con Ian, un Ian che le apparve subito distante come non lo vedeva da giorni.

***

Era da poco passata mezzanotte quando Agnes, Ian e Colin entrarono in casa. Agnes era particolarmente nervosa perché aveva l'impressione che Ian non la stesse degnando d'attenzione. La parte di lei pronta a giustificare tutto e tutti le diceva che il ragazzo in quel periodo era concentrato sulla musica e non aveva tempo per altro. L'altra parte di lei piagnucolava sentendosi abbandonata.
Vedendo che i due ragazzi continuavano a parlare di canzoni, accordi, intro e altre cose che non potevano attendere, decise di congedarsi e prepararsi per la notte. Due stentati "buonanotte" peggiorarono ulteriormente il suo umore.
Si era quasi messa a letto quando notò che la sua bottiglia d'acqua, quella che doveva essere sempre a sua portata di mano durante la notte, era vuota. Scocciata si alzò e, arrivata in cucina, trovò Ian intento a prepararsi un panino.
Non sollevò nemmeno lo sguardo quando lei si avvicinò al frigorifero.
Nonostante le premesse non fossero delle migliori, decise comunque di parlargli.
-Ian...- Lo chiamò cauta, come se temesse la sua reazione.
-Dimmi-
-Ho pensato che..sì, insomma..se la proposta è ancora valida...-oddio si sentiva una perfetta idiota.-Mi piacerebbe fare un tentativo con la tua canzone-
Lui annuì, rimanendo un po' in silenzio.
-E' stato Colin a farti cambiare idea?- chiese con tono neutro.
-Sì, diciamo di sì- rispose confusa.
La bottiglia era ormai piena fino all'orlo e non aveva più scuse per restare lì a fissarlo. Stava per allontanarsi quando l'istinto la portò a chiedere spiegazioni.
-Perché...?-
-Perché cosa?- le chiese voltandosi verso di lei.
-Perché non mi guardi?-
-Ti sto guardando-
-Non negli occhi...- Sperò davvero che lui sollevasse lo sguardo nel suo. Sperò invano perché il ragazzo tornò a darle le spalle.
-Ti sbagli.-




Note:
Ciao ragazze! Ecco il nuovo capitolo...Spero vi piaccia!
Il titolo del capitolo è tratto dalla bella(e quanto mai azzeccata) Girl afraid dei The Smiths. L'altra canzone citata ovviamente è Hey, Jude dei Beatles (in questo caso nella bella versione del film Across the Universe).
Ringrazio sempre chi segue la storia e chi mi fa sapere il suo parere.



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Capitolo 13
*** Outside the Wall ***


capitolo 12


Outside the Wall



Berwick Street. Erano le dieci del mattino e, nonostante la concorrenza fosse già all'opera, Championship Vynil era ben lontano dall'apertura. Non che questo facesse molta differenza per le tasche del suo proprietario. Davanti al vecchio negozio di dischi non c'era una fila di clienti desiderosi di entrare. E Ian non se ne stupiva affatto. Championship non esercitava alcuna attrattiva sulle persone che passavano lì davanti. Non aveva vetrine dai colori vivaci né insegne accattivanti e già dall'esterno si poteva avvertire l'odore di umidità che vi aleggiava dentro.
Per l'ennesima volta tornò a guardare lungo la strada e finalmente vide il proprietario venirgli incontro. La mano destra stava tirando fuori dalla giacca le chiavi del negozio.
-Alla buon'ora!-
-Dannazione, non potresti arrivare almeno una volta in ritardo?- Si lamentò una voce rauca e affaticata mentre l'uomo si apprestava ad aprire la porta del negozio.
-Forse sei l'unico datore di lavoro a lamentarsi della diligenza del suo impiegato- Rispose Ian divertito.
-Io sapevo che ieri sera avevi le prove con il gruppo, tu sapevi che mi sarei visto con Laura. Mi sembrava scontato che avremmo aperto più tardi!-
Ian scosse la testa rassegnato.
-La prossima volta puoi anche avvisarmi! E se ti decidessi a darmi una chiave sarebbe anche meglio-
-Sì, ci manca solo questo. Non usciresti più da questa bettola e cambieresti l'ordine degli album, come quando sono partito per Dublino.-
Nel frattempo i due erano entrati e avevano iniziato le attività con cui inauguravano l'inizio di ogni giornata.
Per Ian non era stato affatto facile trovare un lavoro adatto a lui. Il suo carattere scostante e a volte scontroso non era esattamente una qualità che i commercianti cercavano nei loro dipendenti. Con Hornby, invece, era scattata fin da subito una certa affinità.
Hornby era quel raro tipo di persona con cui Ian riusciva ad andare d'accordo. Era un uomo interessante, una sorta di enciclopedia ambulante di musica pop. Gli piaceva parlare ma non era logorroico né impiccione. Le faccende personali erano quasi sempre escluse dalle loro conversazioni, come se anni prima avessero stretto un patto in tal senso. Aveva però quella strana fissazione di dover stilare una classifica di tutto ciò che lo riguardava: dischi, libri, film, musicisti peggiori, gruppi migliori. E così trascorrevano intere giornate a discutere di quelle insolite classifiche. Neanche a dirlo, non erano mai d'accordo su niente.
Hornby era attento anche alle sue esigenze di musicista. Se aveva qualche concerto gli permetteva di uscire prima da lavoro e in alcuni casi anche di prendersi l'intera giornata libera. Certo, la paga non era granché e più volte, per pagare l'affitto, aveva dovuto contare su Colin, o meglio sui genitori di quest'ultimo i quali, nonostante l'iniziale ritrosia, volevano che il figlio pensasse unicamente a realizzare i suoi sogni.
La mattina stava trascorrendo con l'usuale lentezza. Il campanello della porta aveva suonato due volte: la prima volta era entrato un turista che in un inglese stentato aveva chiesto se avessero qualcosa dei REM, niente di difficile se avesse saputo pronunciare correttamente il nome della band. Il tizio per diversi minuti gli aveva ripetuto lentamente "Rem" fino a quando Ian gli aveva dato carta e penna e aveva finalmente capito che si trattava del gruppo rock inglese, così da esclamare oltraggiato "Oh, AR I EM??". La seconda volta era entrato un cliente abituale che ogni giorno tornava per controllare se era arrivato un vecchio quarantacinque giri degli Smiths.
Verso mezzogiorno, il campanello segnalò l'ingresso di qualcun altro. Ian, intento a lavorare sul testo di una canzone, sollevò lo sguardo annoiato. Erano tre ragazzine in divisa scolastica. Sì, erano già state lì qualche altra volta. In realtà non capiva cosa ci facessero in un posto come il Championship. E non tanto perché a quell'ora avrebbero dovuto essere a scuola, piuttosto perché tipe come quelle sarebbero state meglio nei grandi magazzini della Virgin. In particolare due di loro non sembravano avere alcun interesse per la musica: camminavano per l'angusto locale senza curarsi dei dischi, chiacchierando rumorosamente. Ian aveva già deciso che le avrebbe ignorate quando i suoi occhi si posarono in maniera distratta sulla terza ragazzina. Se ne stava in silenzio a fissare gli album e i vinili come qualcosa di prezioso e dal valore inestimabile. Pareva non sentire la conversazione delle altre due e rispondeva meccanicamente quando veniva interpellata.
Qualcosa di quella ragazzina lo portò a pensare ad Agnes. Forse era quel suo mettersi in un angolo, la modestia dei suoi movimenti impercettibili, la paura di recare fastidio con la sua sola presenza. Un involontario sorriso si delineò sulle sue labbra mentre trovava naturale alzarsi e andare incontro alla ragazzina.
-Posso esserti utile?- chiese gentile.
-Sì, io...- la ragazzina sembrò essere in difficoltà.
-La mia amica cerca un cd dei Pink Floyd- intervenne un'altra.
-Non un cd!- disse scandalizzata la ragazzina mentre le sue guance segnalavano un forte imbarazzo. -Vorrei comprare tre album dei Pink Floyd, qualcosa che racconti del loro percorso artistico.- Spiegò frettolosamente ma con una certa convinzione.
Anche quest'uscita gli ricordò Agnes. Nonostante la sua innata timidezza, nelle situazioni di difficoltà anche lei riusciva a tirare fuori un caratterino niente male.  Agnes sapeva essere caparbia, a volte anche cocciuta. Ricordava ancora quando si erano conosciuti. In un primo momento l'aveva etichettata semplicemente come una ragazzina timida e impacciata, poi a fine serata l'aveva sentita discutere con Gheorghe e Colin perché voleva tornarsene a casa da sola.
-Uuuuh, che paroloni!- la canzonò una delle amiche senza particolare cattiveria. Ma quella battuta sembrò andare a segno perché la ragazzina si morse nervosamente il labbro inferiore e abbassò lo sguardo.
-Dai Lucy, stiamo scherzando. Non ti vergognare!- La esortò ridacchiando l'altra.
Quella era una cosa che Ian non riusciva davvero a sopportare: vedere una persona in difficoltà e qualcun altro palesemente divertito. Seppelliti dentro la sua testa teneva ancora i ricordi di Eton e dei torti subiti da parte dei suoi compagni. Così, quando assisteva a scene del genere, anziché prendersela con il fautore di quell'imbarazzo e rispondere alla cattiveria con altra cattiveria, qualcosa lo spingeva a mostrarsi solidale e gentile con la persona che aveva subito il torto.
-Quindi, Lucy, vorresti imparare qualcosa in più sui Pink Floyd?-
La ragazza, ridestandosi dall'imbarazzo, fece sì con la testa.
-Bene. Abbiamo The Piper At The Gates Of Dawn dalle atmosfere psichedeliche e risalente a quando ancora nella band suonava Barrett. Poi devi ascoltare assolutamente The dark side of the moon con le sue The great gig in the sky e Time. E ovviamente c'è The Wall che, se saprai ascoltarla, ti apparirà come un romanzo che narra la storia di Pink, una celebrità rock le cui debolezze e i cui traumi esistenziali costituiscono un muro di isolamento che lo allontana dalla realtà. E' uno dei miei cinque album preferiti in assoluto- Concluse con un sorriso gentile.
Nel frattempo aveva trovato le copie degli album di cui aveva parlato e li aveva lasciati tra le mani di una Lucy estasiata. Le altre assistevano alla scena ammutolite. Ogni tanto la sua innata capacità di mettere gli altri in soggezione serviva a qualcosa.
-Li compro-
-Tutti e tre? Guarda che costano...-
-Sì, tutti.- rispose risoluta.
-Bene. Hornby tratta bene la ragazza. E' mia amica!- Disse strizzando l'occhio alla ragazzina.
Proprio in quel momento fece il suo ingresso un'altra persona. A Ian bastò una fugace occhiata per riconoscere Agnes, forse evocata dai suoi pensieri. O più prosaicamente, era lì per via dell'appuntamento che avevano dopo pranzo con il resto del gruppo.
-Buongiorno- Salutò insolitamente rigida la ragazza, ma senza perdere l'innata gentilezza che la caratterizzava.
Ian la guardò attentamente, desiderando per un momento sorriderle e salutarla allegramente. Come al solito non ci riuscì e dovette accontentarsi di un 'Ciao' poco entusiasmante.
Le tre ragazzine si girarono a guardare la nuova arrivata e, dopo aver aggrottato le sopracciglia ed essersi consultate tra loro, fecero una faccia sorpresa.
-Ma lei è...- Proruppe quella che a Ian era apparsa come la più spavalda.
Agnes si voltò in direzione delle tre con uno sguardo interrogativo.
Stranamente prese la parola proprio la timida Lucy.
-Ci stavamo chiedendo se sei la modella  del profumo di Jean Paul Gaultier- spiegò imbarazzata.
Ma quell'imbarazzo era nulla se paragonato a quello che fece imporporare le guance di Agnes. Ecco perché Ian continuava e avrebbe continuato ad adorarla. Faceva un mestiere che le avrebbe dovuto dare alla testa ma restava comunque totalmente ignara della sua bellezza.
-Sì, sono io- rispose concisa.
-Oh, di presenza sei ancora più bella!- Esclamò una delle ragazzine facendo avvampare di imbarazzo l'oggetto dei suoi complimenti.
-Emh, ti ringrazio- disse con un sorriso forzato.
-Come mai qui?- Si decise a chiederle anche per toglierla dall'imbarazzo.
-Ero qui vicino per un servizio e ho pensato che potremmo andare insieme alle prove- Gli lanciò un'occhiata stranamente preoccupata -Certo, se ti va...-
-Va bene. Hai già pranzato?- chiese quasi meccanicamente.
Ian si maledisse per quella conversazione così piatta. Nelle ultime settimane, qualcosa nel loro rapporto si era incrinato e non riuscivano più ad essere naturali. Agnes gli parlava sempre con quel tono cauto, come se si aspettasse una scenata o chissà cos'altro. A volte gli rivolgeva sguardi interrogativi nel tentativo di capirlo. Ian, da parte sua, sentiva il bisogno di allontanarsi da lei, perché qualcosa in quella ragazza lo faceva stare male.
Decisero di pranzare insieme e quasi immediatamente Ian se ne pentì. Agnes era a disagio e lui non riusciva a farsi passare dalla mente i pensieri che avevano iniziato a assillarlo da quando l'aveva baciata.
Fu un pasto silenzioso e rapido. Quando finalmente si alzarono, Ian dovette trattenere l'impulso di voltarle le spalle e andarsene per un'altra strada.

***

-No, non ci siamo. Fermi un attimo-
I ragazzi smisero subito di suonare dietro l'invito di Agnes. Ian la guardò confuso.
-Cosa non andava?-
-Ero fuori tempo-
Ian trattenne a stento una risposta delle sue. Da quando avevano iniziato le prove si era svelato un lato tutto nuovo di Agnes. Era un tipo puntiglioso, perfezionista. E, dannazione, tendeva a criticare tutto quello che faceva.
-Agnes eri perfetta- intervenne Colin in un tono ragionevole che mal celava la sua esasperazione. Cosa che ovviamente la irritò.
-Colin se usi questo tono potrei pensare che mi consideri pazza-
-Pazza tu? Ma cosa vai pensando! Magari un po' maniacale, ma pazza mai. Te lo giuro!- Rispose con fare teatrale portando una mano sul petto.
Agnes si mise a ridacchiare.
-Te l'ho mai detto che sei un idiota?- chiese ironica.
-Oggi no ma credo che tra un po' mi regalerai la tua dose giornaliera di insulti-
-Colin ce la fate a provare senza di me?- li interruppe Ian, avvertendo un familiare peso al petto.
L'amico aggrottò le sopracciglia e annuì serio.
-Certo, perché?-
-Mi sono venute delle idee per un pezzo a cui sto lavorando da un po'- spiegò mentre, sotto lo sguardo attonito di quattro persone, posava la chitarra e prendeva dallo zaino uno dei suoi tanti bloc notes. -Voi continuate pure, però.-
Odiava quando lo guardavano in quel modo. Come un enigma irrisolto, uno stramaledetto cubo di Rubik che tutti si intestardiscono a risolvere pur odiandolo. Per evitare di incrociare i loro sguardi, chinò la testa sul foglio bianco che aveva di fronte e iniziò a scribacchiare parole prive di senso.
Solo quando il gruppo riprese a suonare, Ian potè tirare un sospiro di sollievo. Ma uno strano impulso lo spinse a sollevare lo sguardo e quello che vide gli procurò una fitta. Agnes, Colin e gli altri erano proprio lì a due passi da lui, tanto che se avesse allungato le mani avrebbe potuto toccarli, stringerli. Ma ai suoi occhi apparivano distanti e inavvicinabili.
Tutti lì dentro nascondevano le proprie chimere, timori inconfessati, sogni spezzati e fragili insicurezze. Eppure non si lasciavano sopraffare e provavano a mandare avanti le loro vite. Ogni giorno affrontavano coraggiosi cambiamenti, reinventavano se stessi secondo le esigenze del mondo circostante. Anche Agnes, nonostante non ne fosse del tutto cosciente, si lasciava travolgere da quel fiume in piena che era la vita. E guardandola adesso, così sicura mentre impugnava il microfono quasi come uno scettro, anche a lui veniva voglia di lasciarsi andare.
Ma questo slancio non era sufficiente. Lui rimaneva immobile, immutato. Dentro di sè era ancora il ragazzino silenzioso che alla scuola e ai rapporti interpersonali preferiva la musica. Un ragazzino rassegnato che, consapevole dei suoi limiti, non credeva nella possibilità di un cambiamento.
Quei pensieri gli diedero almeno l'ispirazione giusta per scrivere il testo di una canzone. Aveva riempito tre pagine di appunti quando la porta dello scantinato si aprì lasciando entrare Astrid.
Dopo qualche minuto i ragazzi decisero di fare una pausa per salutare l'amica.
-Tesoro, c'è Londra piena di te mezza nuda!- Esclamò con il solito entusiasmo, riferendosi ai cartelloni pubblicitari del profumo di cui Agnes era testimonial.
-Mezza nuda...Un parolone! Non si vede neanche mezza tetta-
-Colin- lo rimproverò oltraggiata Agnes.
-Se vuoi ti faccio avere uno degli scatti di prova in cui si vede più roba!-
-Astrid!-
-Stai facendo l'appello, tesoro?-
Agnes la fulminò con lo sguardo, decidendo infine di cambiare discorso.
-A cosa dobbiamo la tua presenza molesta?-
-Avevo voglia di cantare- Rispose la rossa alzando le spalle come se fosse ovvio.
-Carina, guarda che qui non facciamo karaoke- Rispose sprezzante Karl che venne ignorato da tutti quanti.
-Cosa vuoi cantare, dolcezza?- Chiese Dave prendendo in mano le bacchette.
-Rendiamo omaggio alla nostra Regina!-
I ragazzi iniziarono a suonare God save the Queen, accompagnati dalle voci allegre e a tratti stridule di Agnes e Astrid. E così, le ultime prove dei Fifth Beatle prima del grande debutto si trasformarono in una sorta di jam session in cui ognuno suonava e cantava un po' come gli pareva.
Ian li osservava con l'ombra di un sorriso sulle labbra. Per evitare di farsi coinvolgere, si preparò uno spinello e si mise a fumare con molta calma. Ogni sospiro avvelenava gola e polmoni, forse anche la testa. Quasi lo stesso effetto che gli faceva ogni occhiata ad Agnes e Colin. Lo faceva stare male ma non poteva fare a meno di guardarli.
Agnes e Colin erano complici. Si punzecchiavano, si sfottevano ma solo un cieco non avrebbe notato il legame che li univa. Erano due luci che si fondevano insieme, senza che una prevaricasse l'altra. Erano giusti insieme.
E per questo Ian li odiava.
Odiava Colin perché era la persona migliore che lui conosceva, una di quelle persone pronte a tutto pur di vederti sorridere. Lo odiava perché arrivava sempre primo, anche quando si trattava di aiutare Agnes.
Odiava Agnes. E ancora di più odiava i suoi occhi blu perché, quando si posavano su di lui, attraversavano inesorabili quel muro che lo circondava e gli donavano brividi preziosi. Quegli occhi luminosi lo illudevano, gli facevano credere che la felicità fosse proprio lì, a porta di mano. Ma cosa gli restava quando quegli stessi occhi si chiudevano o venivano rapiti da qualcos'altro? Niente, se non lui e il muro che aveva messo tra sé e il mondo.

***

I Fifth Beatle attendevano dietro le quinte il loro momento. A breve avrebbero suonato davanti a qualche migliaio di ragazzi. Gran parte di loro non aveva mai sentito parlare del gruppo ed era lì solo per sballarsi mentre giovani sconosciuti si susseguivano sul palco. Ma non importava, quel concerto era decisivo per il loro ingaggio con la EMI. Se fossero riusciti ad attirare l'attenzione del pubblico, la EMI avrebbe investito molto più denaro sul loro album.
I ragazzi intorno a Ian cercavano di dissimulare il nervosismo. Dave con le bacchette si picchiettava le cosce muscolose a tempo di qualche loro canzone. Karl e Colin commentavano tutto, dai gruppi che stavano suonando prima di loro fino alle tipe che gli passavano accanto.
Ian, invece, stava seduto in silenzio. Non pensava alle canzoni in scaletta, né a quanta gente fosse pronta a farli a pezzi. Ian conosceva con estrema esattezza i pregi e i limiti della band. E per fortuna la paura da palcoscenico non apparteneva a nessuno di loro. O forse, a qualcuno sì...
-Dov'è Agnes?- Chiese a Colin.
-E' andata a salutare Astrid e qualche altra amica. Ma ormai è passata quasi un'ora da quando si è allontanata.-
-Dove stai andando?- Domandò Karl vedendolo alzarsi.
-Vado a cercarla.-
Per fortuna non ci mise troppo tempo. Era in un angolo da sola e l'ansia la stava divorando.
-Agnes, guarda che siamo lì- disse indicando il punto da cui era arrivato.
-Ah, sì. Ora vi raggiungo- rispose la ragazza con voce stranamente acuta.
Ian si chiese come potesse aiutarla a superare le sue paure. Poiché non c'era molto tempo decise per qualcosa di molto diretto.
-Hai visto quante persone ci sono lì fuori?-
-Sì. E' una fortuna. Sì, insomma..Per voi, intendo.- Continuava a parlare in quello strano modo, sembrava che fosse sull'orlo di una crisi di nervi.
-Ma se sbagliamo qualcosa può anche essere una sfortuna. Sì insomma...sarà una figura di merda colossale!-
Ian la vide torturarsi il labbro inferiore con i denti. Se continuava così ci sarebbero voluti i punti.
-Agnes...-
-Ian forse è meglio che mi cancelliate dalla scaletta-
Ecco, la voleva portare proprio a quello. Doveva sfogarsi.
-Posso accettare che mi consideri una ragazzina senza spina dorsale ma l'idea di rovinare la vostra occasione... No, non posso sopportarla!-
-Agnes tu non rovinerai proprio nulla. In queste settimane ti sei esercitata in ogni momento e non ti ho mai sentita fare chissà quali errori imperdonabili-
-Sei tu, cioè voi...siete voi che mi trasmettete sicurezza- gli spiegò senza osare guardarlo negli occhi.
Ian le si fece più vicino e con una mano sul mento la indusse a sollevare lo sguardo.
-Ti ricordi cosa ti ho detto di Stuart Sutcliffe?-
Agnes battè le palpebre mentre mormorava un sì stentato.
-Se quegli estranei lì fuori ti fanno così paura, puoi non guardarli. Se vuoi, guarda me.- deglutì a fatica mentre aggiungeva -O Colin, ciò che ti fa stare meglio.-

***

Il concerto era giunto a metà e i Fifth Beatle si erano mostrati all'altezza delle aspettative. Ian aveva notato quattro errori fino a quel momento. Ma non contavano assolutamente nulla in un concerto. Quello che contava davvero era saper coinvolgere il pubblico, farlo muovere, cantare e urlare. E loro ci stavano riuscendo.
Quando Agnes salì sul palco, Colin le fece spazio spostandosi alla sua sinistra. Non troppo distante. Come a un segnale convenuto, nello stesso istante anche Ian la affiancò. Era il loro modo di starle vicini.
Ian quasi sbagliò accordo quando vide Agnes spingere in maniera impercettibile l'asta del microfono verso destra. In quella posizione, quando lasciò fluire la voce attraverso le labbra, i suoi occhi blu poterono trovare con più facilità e discrezione quelli di Ian. E non li lasciarono per tutta la durata della canzone.
Con quel gesto Agnes aveva riposto in lui tutta la sua fiducia. Gli stava dimostrando che, con lui accanto, poteva superare le sue paure e i suoi limiti. E quell'abbandono così ingenuo gli accese dentro la speranza: con quella donna nella sua vita, Ian sentiva di poter vivere fra tutti coloro che andavano e venivano al di fuori del muro.

***

Gli applausi scroscianti ed entusiasti salutarono la band mentre abbandonava il palco e si dirigeva dietro le quinte. I ragazzi non la smettevano di ridere e compiacersi di quel risultato. E come dargli torto? Erano anni che aspettavano quel momento. E a quanto sembrava quello era solo l'inizio. Il dirigente della EMI li attendeva proprio ai piedi della scalinata: una sfilza di elogi pronti ad uscire dalle labbra stirate in un sorriso compiaciuto.
Ian lo vide appena con la coda dell'occhio. Il suo campo visivo era occupato da ben altra immagine. Agnes era appoggiata ad una parete, dritta e nervosa. Quando lo vide camminare nella sua direzione, assunse un'aria diffidente che mal celava una certa preoccupazione. Forse era colpa del cipiglio sicuro che aveva assunto. Quando le fu di fronte, però, le rivolse un sorriso pieno di calore mentre le portava le mani sui fianchi sottili. L'avvicinò a sè e la baciò come la cosa più naturale e spontanea del mondo.

***

Quando Ian aprì la porta di casa, non ebbero bisogno di accendere alcuna luce. Dalla grande vetrata del soggiorno filtravano le prime luci dell'alba. L'appartamento era immerso in un tenue chiarore.
Fu strano ritrovarsi lì da soli dopo quello che avevano appena vissuto. Un brusco ritorno alla realtà mentre si sta ancora sognando. Quando si voltò in direzione di Agnes, sul suo viso lesse la stessa desolazione.
Lo superò un po' impacciata e si chiuse nella sua stanza. Lui le concesse qualche minuto e  la seguì, bussando e aprendo la porta con cautela. La trovò seduta sul letto, lo sguardo basso e un'espressione contrariata.
-Agy...-
-Niente Agy, Ian. Ho bisogno di capirti- lo interruppe guardandolo dura. -Anzi no, tu devi capire me. Io sono fatta così. Mi manca il coraggio, sono piena di paure. E tu non puoi punirmi quando mi mostro debole e premiarmi quando provo a non esserlo. E' questione di tempo ma prima o poi ti deluderò di nuovo, perché, vedi, questo è un lato di me. Posso provare a correggerlo ma ci sarà sempre. Quindi è meglio se lasciamo perdere, ok?-
-Sei stanca di me-
Agnes alzò la mano come a volerlo bloccare.
-Sono i tuoi sbalzi d'umore, Ian. Mi feriscono-
-E credi che mi comporto così perché ti mostri debole- constatò lui mentre si appoggiava alla parete.
-Sì e non te ne faccio una colpa, credimi. Anche a me...-
-Ma ti sei vista stasera?- sentì il bisogno di interromperla -O magari negli scatti di Astrid? O nell'intervista per quella rivista italiana? Non c'entra niente la tua presunta fragilità.-
-Cos'altro può essere?-
Ian voleva davvero che lei capisse. Voleva raccontarle tutto ma trovare le parole per spiegare quello che aveva dentro era davvero difficile.
-Conosci The Wall dei Pink Floyd?- Cazzo, non sapeva spiegarsi senza dover ricorrere alla musica. Era davvero un idiota.
-Sì ma...- rispose incerta.
-Ma non abbastanza bene, ho capito- Rimase un attimo in silenzio e poi parlò. Parlo per quella che a lui sembrò un'eternità.
-Da bambino ero costretto a trasferirmi da un posto all'altro per via del lavoro di mio padre. Sai, era un diplomatico. Quando arrivavamo in una nuova città, io e mio fratello Daniel non parlavamo con nessuno. Circostanza normale, visto che non conoscevamo la lingua del posto. Poi ci siamo trasferiti a Londra e io continuavo a non parlare nemmeno tra gli inglesi. Mio fratello, invece, ha tentato di...sì, insomma...di adeguarsi. Ma non ha avuto buoni risultati-
Si interruppe mentre un sorriso cinico gli stirava a forza le labbra.
-E considerata la brutta fine che ha fatto, per molto tempo mi sono convinto che adeguarsi a quello che vogliono gli altri sia sbagliato, oltre che inutile. Poi ho conosciuto te e mi hai costretto a rivedere le mie convinzioni. Tu mi fai venire voglia di cambiare, mi hai dato un motivo per collegarmi a questa realtà che ho sempre detestato. Per te vorrei essere un uomo migliore.-
-Ian, io non voglio cambiarti. Voglio te, così come sei- Gli disse con semplicità.
-Questa è una bugia, ingenua ma pur sempre una bugia. A un certo punto capirai di meritare di più e troverai qualcuno che ti merita davvero.-
-Non pretendere di sapere meglio di me quello che voglio.- Lo avvertì mentre arrabbiata si alzava dal letto e gli veniva incontro -Io non ti lascerò.-
-Non fare promesse che non sai se potrai mantenere- Le disse guardandola in quegli occhi blu screziati da ombre grigie.
-E' una promessa e la manterrò, se me ne darai la possibilità.-
-Tutto quello che vuoi, Agnes- mormorò lui.

***

Mentre l'alba lasciava posto ad un mattino insolitamente luminoso, Agnes fece l'amore con Ian. La naturalezza con cui gli fece dono della forma di fiducia più grande gli procurò un profondo brivido. Cercò di darle una prima volta speciale che fosse degna di lei, qualcosa che si avvicinasse alla fragile perfezione di cui si era innamorato.
Quando stavano per addormentarsi, vide che i suoi occhi blu erano limpidi. Non c'era nessun'ombra a incupirli.




Note:
Ciao a tutte!  Oltre che il capitolo, oggi trovo difficile anche scrivere le note. Da un lato vorrei spiegare ogni parola,ogni gesto; dall'altro capisco che è meglio non farlo e lasciarvi alle vostre impressioni.
Mi limito quindi alle solite precisazioni su citazioni e riferimenti musicali.
Nella prima parte c'è un "omaggio" ad un romanzo a cui sono molto affezionata: Alta fedeltà di Nick Hornby. Qui trovate la recensione. I riferimenti sono diversi: il nome del negozio, il suo titolare e ovviamente la particolarità delle classifiche.
Il riferimento ai Rem è stupido, lo so! Ma molti italiani continuano a chiamarli con il nome italianizzato e immagino la faccia schifata di un fissato e snob come Ian.
La foto del profumo a cui si riferiscono tutti nel corso del capitolo è questa.
Nel capitolo più volte faccio riferimento al "muro". Questo perché i pensieri di Ian sono ispirati da The Wall dei Pink Floyd, album che mi ha accompagnata nella scrittura di questo pezzo. Anche il titolo del capitolo è tratto da questo splendido album ed è la canzone che lo conclude: Outside the Wall. Ci sono altre canzoni che mi hanno ispirata: To Sheila dei The Smashing Pumpkins(non ho trovato una bella versione su youtube) e Creep dei Radiohead.
Come sempre, mi rimetto al vostro parere.
A presto,
Agnes








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Capitolo 14
*** Down in a hole ***


Capitolo 13



 A Valentina,
Alle nostre chiacchierate su Amy e Pete,
Alla tua capacità di vedere.



Down in a hole



4 Agosto 2012

Un attimo prima di uscire dal locale, Agnes dedicò un'occhiata alle due figure che le stavano accanto. Si chiese che fine avessero fatto il divertimento e la spensieratezza di poche ore prima.
Al fianco sinistro c'era tanta, troppa ebbrezza. Di quella che ti fa tenere gli occhi socchiusi e rallenta i movimenti del corpo e della mente. Colin.
Al fianco destro una cieca ostilità. Il corpo era teso, i pugni vibravano, la mascella contratta. Ian.
Entrambe le immagini le provocavano una stretta al cuore. Con delicatezza posò le mani sui gomiti di entrambi, come a volerli rassicurare e sostenere.
Colin la guardò stralunato. Forse in quello stato neanche la riconosceva.
Ian, invece, rimase con lo sguardo puntato sulla porta. Ma il corpo sembrò rilassarsi al tocco della ragazza.
Quando la guardia del corpo aprì la porta del locale e iniziò a fare spazio tra i fotografi, Agnes sospinse leggermente entrambi affinché uscissero tutti insieme.
Non voleva lasciarli neanche un momento. Erano troppo vulnerabili, seppure in due modi molto diversi.
I flash dei fotografi la accecavano, i loro nomi urlati di qua e di là la confondevano. Ma diverse volte le avevano spiegato che il segreto stava nel non fermarsi. Continuare a camminare.
-Cazzone, perché non ti giri?- Agnes si voltò alla ricerca del fotografo che aveva parlato. Con angoscia vide che ce l'aveva proprio con Ian. -Smettila con queste cazzate del musicista maledetto ché non vali niente!-
Allarmata provò ad accelerare il passo, ma le fu impossibile.
Ian si era fermato.
Intimorita sollevò gli occhi nella sua direzione e lo vide immobile. Gli occhi erano puntati sempre avanti.
-Grazie,- disse il fotografo con voce divertita. - Se adesso ti giri, faccio anche una fotografia a quella faccia di culo!-
In un attimo Ian gli fu addosso. Atterrita lo vide alzare il pugno e scaricarlo con tutta la sua forza contro il viso dell'uomo. Più e più volte.
Si guardò intorno alla ricerca di aiuto e vide che nessuno osava avvicinarsi per fermarlo.
Senza pensarci, gli andò vicino e gli strinse il gomito con forza. Quando lui si voltò sorpreso verso di lei, ne approfittò per mettersi subito tra Ian e il fotografo.
Gli portò le mani al petto e iniziò ad allontarlo con calma.
Con la coda dell'occhio vide Colin fissarli. Quello non era uno sguardo ebbro, ma furibondo e pieno di astio. Come se fosse arrabbiato con lei per aver impedito a Ian di continuare.
Poi portò lo sguardo sugli occhi di Ian e ciò che vide la atterrì. La guardavano, ma sembravano non vederla davvero. Era come se si fossero persi dentro a un buco nero, dove nemmeno lei poteva raggiungerli.
Sconfortata si chiese come fossero arrivati a quel punto.

***

La campagna inglese scorreva velocemente sotto i suoi occhi sereni. Appoggiata al sedile, teneva il capo rivolto verso il finestrino. Il paesaggio verdeggiante e carico di umidità, così come i tetti scuri delle case e i giardini ben curati, le parlavano della sua semplice infanzia, di tutti gli anni trascorsi a sognare.
Sorrise teneramente al ricordo di quella piccola Agnes che si muoveva tra le sparute strade del suo paese, così simile a quelli che ora le passavano davanti. Tornarono alla mente tutte le volte in cui si era detta che avrebbe avuto qualcosa di più che una semplice esistenza tra quelle strade. E solo lei sapeva quante volte se l'era ripetuto.

Qualcosa di più...


Un leggero movimento al suo fianco la distrasse da quei pensieri.
-Qualcosa ti fa sorridere?- le domandò una voce bassa e serena, più vicina di quanto avrebbe dovuto.
-Niente di importante- gli rispose mentre si voltava così da dedicargli l'attenzione che nel suo solito modo sottile le stava chiedendo.
Quel qualcosa di più era proprio lì, in quel pullman che la stava portando a Liverpool.
Non era un mezzo lussuoso, ma neanche il catorcio che fino a qualche mese prima i Fifth Beatle avevano dovuto usare per spostarsi a Londra. Riuscivano a stare tutti comodi. E questo era più che sufficiente, considerato che erano in dieci.
Accanto a lei c'era seduto Ian, affiancato dallo scontroso Karl. Nei sedili di fronte c'erano Dave, Colin e una mora dagli occhi maliziosi. Davanti, insieme all'autista, c'erano quelli che Dave aveva ribattezzato 'Sanguisughe', più semplicemente l'agente di Agnes e l'incaricato della EMI.
Alle sue spalle un ragazzo smilzo stava sistemando la sua telecamera.
-Sei nervosa?- le domandò Ian con un cenno della testa verso il cameramen.
Agnes sollevò le spalle in segno di noncuranza.
-Direi di no. Tu?-
-Sai che parlare non è il mio forte- rispose con un sorrisetto allusivo.
-Per fortuna abbiamo la prima donna- commentò lei posando gli occhi su un Colin più ciarliero e allegro del solito. Ovviamente lui non li degnò di uno sguardo, impegnato com'era a flirtare con la giornalista che di lì a poco li avrebbe intervistati.
-Che ne dite di iniziare?- domandò impaziente l'incaricato della EMI.
La giornalista distolse gli occhi da Colin visibilmente infastidita da quella intromissione. Gettò un'occhiata altezzosa al cameramen e gli disse di prepararsi.
Agnes lo vide assumere una posizione alquanto scomoda che, a quanto pareva, gli avrebbe consentito di inquadrare tutti.
-Quando vuoi, Kate- biascicò annoiato.
In pochi secondi nel volto della giornalista scomparve ogni traccia di superbia e venne sostituita da un luminoso sorriso, della cui autenticità nessuno avrebbe mai dubitato.
-Ciao a tutti, amici di RockPlanet. Oggi siamo in viaggio per Liverpool, in compagnia di un gruppo indie-rock che sta facendo parlare molto di sé. Ovviamente parlo dei The Fifth Beatle e dei suoi splendidi componenti: Sutcliffe, Simonon, Keese e Maddock- li presentò, rivolgendo quell'inquietante sorriso a ognuno di loro.
-Con noi anche Agnes Dayle, giovane volto della moda inglese e occasionale voce femminile del gruppo.-
Sembrò illuminarsi ancora di più quando finalmente potè rivolgere la sua attenzione a Colin.
-Dopo l'uscita del primo album e due strepitosi concerti a Londra, avrete grandi aspettative per la tappa di Liverpool.-
-Più che grandi aspettative direi che abbiamo un sano terrore,- rispose Colin con un sorriso sfrontato e sicuro che tutto trasmetteva fuorché terrore.
-Vedi, Londra è la nostra donna, la conosciamo e sappiamo come amarla e farla ricambiare. Liverpool è ancora una sconosciuta, dobbiamo ancora capire come prenderla,- spiegò rivolgendole un'occhiata allusiva.
Agnes si portò la mano alle labbra per nascondere il sorriso divertito causato dall'assurda risposta di Colin.
-La conquisterete sicuramente,- commentò la giornalista stringendo le labbra in una smorfia furba.
L'intervista proseguì con domande pertinenti alla musica, ai testi e ai gruppi cui si ispiravano. Alle domande più tecniche rispondeva quasi sempre Ian con la sua solita serietà e compostezza. Agnes aveva notato che il sorriso di Kate tendeva a incrinarsi quando si rivolgeva a lui. Sembrava che la mettesse a disagio. E ripensando al primo incontro con Ian e al senso di distanza che aveva provato davanti a quegli occhi chiari, Agnes non si sentì in grado di biasimarla.
L'intervista fu comunque molto piacevole, perché alle domande si alternavano le canzoni del gruppo e qualche cover particolarmente bella. Ian e Colin suonavano le loro chitarre acustiche e tutti, compresa Kate, cantavano spensierati.
Concluso un pezzo allegro, Kate posò i suoi occhi castani su Agnes.
-Secondo alcuni rumors Agnes, Ian e Colin condividono un appartamento a Brixton. E' vero?-
Agnes vide l'agente e l'incaricato della EMI voltarsi nella loro direzione. Lo sguardo era attento e vigile. Ma lei non vide nulla di male in quella domanda, così non perse tempo a rispondere.
-Sì, vivo con loro da Dicembre- disse semplicemente.
-Sempre secondo le stesse fonti, c'è un legame particolare tra due di voi.-
Forse era stata un po' troppo ingenua. Avrebbe dovuto immaginare  che la sua storia con Ian non sarebbe passata in sordina. Ma non capiva a quali fonti si riferisse, visto che in pubblico tendevano a non lasciarsi andare ad effusioni. Fin da subito Agnes aveva capito il profondo bisogno di riservatezza di Ian e si era quindi adeguata al suo comportamento. Persino davanti agli amici più stretti evitavano di baciarsi e abbracciarsi. A volte ripensandoci, si stupiva di come  questo non la colpisse minimamente. Il fatto era che Ian, pur non essendo un tipo espansivo, riusciva comunque a darle tutto quello di cui aveva bisogno. Anche un suo sguardo particolarmente significativo bastava a colmare il suo bisogno di amore.
Sentendo Ian irrigidirsi al suo fianco, preferì dare una risposta vaga ma allo stesso tempo sincera.
-Sono molto legata a tutti e due. Se oggi sono quella che sono, lo devo ad entrambi.-
-Sicuramente,- annuì Kate assottigliando lo sguardo. -Ma è chiaro che c'è qualcosa di più di una semplice amicizia tra te e Colin.-
Agnes trattenne a stento una risata. Ricordava a malapena quell'insignificante bacio che si era scambiata con Colin, ricordo reso ancora più sbiadito a causa dell'erba che avevano fumato quella lontana sera di dicembre.
Decise comunque di prendere un po' in giro l'impertinente giornalista, stuzzicandola con una risposta ambigua.
-Hai ragione, è qualcosa di più. Colin è quel genere di persona che chiunque vorrebbe avere nella propria vita.-
-Quindi siete più che amici...- constatò l'altra portando lo sguardo malizioso sul ragazzo accanto a lei.
-Oh, Agnes è sicuramente magnifica. Ho provato a conquistarla, ma lei non ne vuole sapere di me- rispose Colin con un'adorabile faccia da schiaffi.
Mentre ridacchiava, Agnes notò appena lo sguardo d'intesa che si stavano scambiando i due manager. Non ne capì il significato e accantonò con troppa rapidità quell'insignificante episodio. Solo a distanza di mesi  avrebbe richiamato alla mente quel momento. Il momento in cui quei due avevano fiutato odore di soldi e avevano concordato di gettare tre giovani inesperti in un buco troppo nero per non perdersi.

***

Odiava gli aeroporti. Sì, non poteva ignorare le facce allegre e curiose dei turisti di passaggio né la felicità di chi tornava a casa dopo un lungo viaggio. Ma ad Agnes trasmettevano sempre sensazioni negative, come un cattivo presagio.
Forse, e anche più semplicemente, li detestava perché erano testimoni dei suoi continui cambi d'umore.
Quando lasciava Londra, era sempre irrequieta. Senza dubbio c'era la curiosità per le grandi città della moda, come Parigi, Milano e New York. Ma ogni partenza aveva un retrogusto amaro. Forse era il distacco che ogni volta leggeva negli occhi chiari di Ian; forse era il tanfo di erba e alcol che aleggiava nel vecchio appartamento di Brixton; o magari la nota tetra che aveva scorto sotto la solita patina di allegria di Colin.
Quando tornava a Londra, invece, la felicità era resa sfocata da un altro tipo di irrequietezza. Non sapeva mai cosa avrebbe trovato al suo ritorno. Magari qualche nuovo scatto che avrebbe fatto infuriare Ian; o forse qualche stroncatura ai danni di Colin e del gruppo. In ogni caso, qualcosa che avrebbe reso ancora più complicati i rapporti tra loro.
Per ingannare il tempo in attesa del volo che l'avrebbe riportata a casa in quell'afosa giornata di fine Luglio, entrò nella libreria dell'aeroporto.
Nel reparto di musica notò The Fifth Beatle, l'album di esordio del gruppo. Non si spiegava ancora l'enorme successo che avevano riscosso in così poco tempo tra i giovani europei. Anche lì in Italia si iniziava a parlare di quel particolare gruppo inglese che veniva accostato all'Alternative Rock dei Franz Ferdinand e degli Arctic Monkeys. Proprio qualche giorno prima, con enorme orgoglio aveva sfilato per D&G con una delle loro canzoni.
Quando si spostò davanti all'espositore delle riviste, non potè trattenere un'espressione di disappunto. Giornali scandalistici e riviste di musica: suoi nemici in egual misura, seppure per motivi differenti.
Non sapeva dire con esattezza quando era iniziata l'ossessione dei paparazzi nei loro confronti. E soprattutto non sapeva spiegarsi il motivo di tutta quell'attenzione per le loro vite. Restava il fatto che da aprile in poi era diventato pressoché impossibile condurre una vita normale. Certamente in un primo momento questa curiosità nei suoi confronti l'aveva divertita e gratificata. Ma quando aveva iniziato a vedere fotografi nascosti anche nei posti più impensabili, quando aveva visto sulle riviste foto di lei e Colin in un Blockbuster o ad Hide Park, o di lei e Ian tra le bancarelle di Portobello Road, qualcosa dentro Agnes si era ribellato.
Ciò che davvero la irritava erano le assurde congetture dei giornalisti.
Alcuni la rappresentavano come una ragazzina desiderosa di attenzioni, che giocava con i sentimenti dei due musicisti per avere più successo. Altri, e purtroppo erano più numerosi, erano convinti che tra lei e Colin ci fosse una storia ostacolata da Ian. Il più delle volte, infatti, era quest'ultimo ad essere messo in cattiva luce dai giornalisti.
Secondo Agnes era una sorta di vendetta per il comportamento astioso di Ian nei loro confronti. Ormai il chitarrista aveva preso l'abitudine di ignorare qualsiasi domanda non attinente alla musica che gli veniva posta. Spesso dopo aver suonato in qualche trasmissione, se ne andava senza rivolgere parola al conduttore.
E più si richiudeva in se stesso, più curiosità destava nei fans e nei giornalisti. Così erano venuti fuori la sua infanzia senza radici, il suicidio del giovane Daniel, la rottura con i ricchi genitori. E quegli orribili articoli mescolavano fatti veri con congetture amorali e irrispettose che davano un'immagine del tutto distorta del suo Ian.
Ma se Ian era preso di mira dai giornalisti, nemmeno Colin se la passava bene. Cambiavano soltanto i detrattori. Nel caso del frontman del gruppo, infatti, le critiche erano mosse proprio dagli esperti musicali. La critica era inspiegabilmente spietata nei suoi confronti. Ne parlavano come di un fantoccio messo lì per il suo bel viso e che nulla capiva di musica. Secondo le riviste Colin doveva il suo successo alla genialità di Ian, vero leader del gruppo e autore della maggior parte dei testi.
Al ricordo degli ultimi mesi, Agnes voltò le spalle all'espositore e andò alla ricerca di un romanzo nella sua lingua.
Ma ormai non poteva più interrompere quel flusso di pensieri negativi. Così ripensò alla tensione che si era venuta a creare tra i due amici, nonostante nessuno dei due parlasse chiaramente all'altro.
Ian si indisponeva quando, a suo modo di vedere, Agnes e Colin si concedevano troppo ai giornalisti, parlando delle loro vite o sorridendo ai fotografi. Ma ciò che davvero gli faceva perdere la sua già scarsa pazienza era il comportamento di Colin in presenza dei giornalisti. Questi, infatti, tendeva a non prendere sul serio le loro congetture sul suo rapporto con Agnes, così se ne usciva con assurde dichiarazioni d'amore ad Agnes o con sguardi falsamente languidi. Ma se in un primo momento Agnes era sicura che ciò fosse dettato solo dalla voglia di scherzare, con il passare del tempo aveva iniziato a notare una certa soddisfazione negli occhi verdi di Colin. Come se quelle piazzate fossero una sorta di vendetta ai danni di Ian. Vendetta per cosa, Agnes non sapeva proprio spiegarselo.
Troppo nervosa per via di quei pensieri, abbandonò l'idea del romanzo e tornò alla panchina dove l'attendeva Bernie.
-Cos'è quella faccia lunga? Non sei felice di tornare a casa?-
-Certo. Sono solo un po' nervosa- rispose sedendosi accanto al suo manager.
-Per via della festa? Sono sicuro che sarà un successo, tranquilla.-
Quell'uomo la infastidiva enormemente. Non la capiva affatto e la trattava come una ragazzina superficiale.
Come poteva una stupida festa di compleanno innervosirla?
Sicuramente l'aveva organizzata con molta cura, selezionando le persone che lui avrebbe apprezzato e predisponendo il tutto in modo da evitare l'intromissione dei paparazzi. Ma di certo non era la festa a renderla così nervosa e cupa.
Era qualcosa di poco chiaro, simile a un presagio, che inspiegabilmente la spingeva a temere il 4 agosto, il giorno in cui Ian avrebbe compiuto ventisette anni.

***

Mentre lasciava andare il capo su e giù. Mentre muoveva i fianchi senza inibizioni e con forza batteva gli anfibi contro il pavimento. Mentre insieme ad Astrid urlava a squarciagola "I'll have to tell her, you tell her tonight". Proprio in quel momento, quella parte di lei che non poteva fare a meno della sua razionalità capiva che poteva ancora mettere da parte ogni malessere e divertirsi come un tempo.
Non si pentiva di aver organizzato quella festa. Nonostante in un primo momento Ian si fosse mostrato contrario, era riuscita a convincerlo che una serata di svago avrebbe giovato a tutti.
E guardando i volti dei suoi amici non  poteva che essere soddisfatta.
Aveva selezionato gli invitati con molta cura, scegliendo solo amici che si erano mostrati tali prima del successo, quando suonavano in locali decadenti e giravano per Londra con un furgone scassato: Gheorghe e qualche cliente particolarmente fedele del Kichherr's; Astrid e certi suoi amici; l'immancabile Woody e i suoi compari squattrinati; Mary e Mr Green; musicisti sconosciuti, modelle anonime e persone comuni.
Ovviamente questa scelta aveva infastidito Bernie e Rhodes, manager di Agnes uno e del gruppo l'altro. Questi, infatti, avrebbero voluto un evento mondano, che avesse una certa risonanza mediatica. In altre parole, foto ufficiali e personaggi noti.
Ad Agnes era apparsa strana la facilità con cui avevano rinunciato alla loro idea dopo il netto rifiuto del gruppo. Ma aveva accantonato la questione vedendo come i due effettivamente non avessero più messo il becco in quella festa, limitandosi a storcere il naso davanti alla lista degli invitati.
-Mi stai evitando?-
Anche se non avesse parlato, lo avrebbe riconosciuto comunque da quel particolare modo che aveva di prenderla per i fianchi. Agli occhi di chiunque quella presa salda sarebbe parsa un gesto possessivo, ma lei sentiva che avrebbe potuto scostarsi in ogni momento perché quel tocco era sempre gentile, più una richiesta di aiuto che un gesto di possesso.
-Sì, ti sto evitando,- rispose quando si fu voltata nella sua direzione.
-E perché dovresti?-
La presa sui fianchi si fece ancora più salda e trovò naturale fare un passo verso di lui.
-Perché abbiamo bevuto, amore mio- gli spiegò ridacchiando.
-E quindi?- insistette con il suo sorriso furbo.
-Quindi so già che finiremmo con il dare spettacolo e noi...- calcò volutamente quest'ultima parola -non vogliamo rendere gli altri partecipi della nostra vita personale. Giusto?-
Brilla com'era non si rese conto di aver preso un argomento alquanto spinoso, che in passato li aveva visti discutere animatamente. Secondo Agnes, se avessero dichiarato di stare insieme, l'attenzione dei paparazzi e dei giornalisti sarebbe subito scemata. Ma Ian, stranamente appoggiato da Rodhes, si era intestardito a non voler troncare le congetture dei giornalisti. Nessuno doveva intromettersi nella sua vita; e seppure di fatto lo facevano, da lui non avrebbero ottenuto alcuna risposta.
Fortunatamente anche Ian doveva essere brillo, quella sera. Perché non raccolse il tono provocatorio di quella frase e continuò a sorridere.
-Ma due amici possono anche ballare insieme.-
Bastarono qualche altra canzone e altri due bicchieri di superalcolici perché quel ballo perdesse quel po' di innocenza che aveva avuto all'inizio.
I loro corpi erano troppo vicini; i movimenti sempre più languidi e appena accennati, nonostante la musica movimentata; i loro sorrisi troppo carichi di malizia e seduzione.
Quando un getto d'acqua li colpì, Agnes faticò qualche momento prima di ricordare che in previsione della torrida serata d'agosto aveva ideato quel piccolo espediente per rinfrescare gli invitati.
Mentre urla divertite mostravano l'apprezzamento di tutti per quella trovata, Agnes riportò la sua ebbra attenzione sul viso di Ian. I suoi occhi, accesi da una luce stuzzicante, erano rapiti dalle gocce d'acqua che scivolavano lungo il collo di Agnes per poi perdersi sotto i vestiti.
-Cosa stai guardando?- domandò con voce sottile e maliziosa.
Ian scosse la testa fingendosi rassegnato.
-Di' la verità, hai organizzato tutto questo per farmi impazzire...-
Con l'indice iniziò a percorrere le sue labbra in una carezza gentile, come a volerle disegnare: prima il labbro inferiore, poi quello superiore.
-In che senso?- domandò con finta ingenuità.
Il ragazzo portò la mano dietro la sua nuca e la baciò con forza, dimostrandole quanto gli fosse costato trattenersi fino a quel momento.
Click.
Una luce abbagliante.
Click.
Confusa vide Ian scostarsi da lei con espressione irata e voltarsi alla ricerca di qualcosa. La lasciò da sola per seguire un uomo che si stava allontanando in fretta.
Forse era l'istinto, o forse una sensazione che aveva già da tempo, ma qualcosa la portò a cercare il suo manager. Non dovette faticare tanto, visto che si trovava solo a qualche metro di distanza. La stava guardando con un ghigno soddisfatto accanto a un Rodhes altrettatnto sorridente.
L'espressione dei loro visi le ricordò lo sguardo d'intesa che pochi mesi prima aveva appena notato nel pulmann che li aveva portati a Liverpool.
E allora capì chi c'era dietro all'interesse dei tabloid per Agnes Dayle e per i The Fifth Beatle. Capì che per gli abili Bernie e Rhodes erano solo un prodotto da vendere nella maniera più spregiudicata possibile. Già da tempo i due dovevano aver intuito che un triangolo avrebbe destato molto più interesse di una banale storia d'amore tra una modella e un musicista.
Ecco perché avevano incoraggiato il testardo Ian a non rilasciare nessuna dichiarazione. Ecco perché non avevano mai ripreso l'avventato Colin per le sue scherzose dichiarazioni. Ecco perché, in definitiva, avevano lasciato entrare un paparazzo che aveva fotografato lo scabroso bacio tra Agnes e Ian.
Certo, furbi com'erano non avevano messo in conto Astrid.
L'amica, avendo assistito alla scena, riuscì infatti a bloccare il fotografo per il tempo necessario ad Ian per giungere sul posto.
Conoscendo il suo carattere permaloso, Agnes preferì avvicinarsi per impedirgli di fare qualche sciocchezza.
Quando li raggiunse, la questione sembrava già risolta. Astrid aveva provveduto a cancellare la foto e a minacciare di denuncia il paparazzo. Ian, invece, si limitava a guardarlo in silenzio con espressione schifata.
-Che succede qui?-
Quando riconobbe la voce falsamente sorpresa di Rodhes, Agnes trattenne a stento l'impulso di voltarsi e mandarlo a quel paese. Qualcuno di sua conoscenza, però, non fece altrettanto.
-C'è che sei licenziato.- rispose un Ian particolarmente sarcastico.
-Cosa?- domandò quello sconcertato.
-Questo è il tuo modo di farci pubblicità?- chiese indicando la macchina fotografica nelle mani di Astrid. -Bene. A me non sta bene e ti licenzio.-
Agnes stava per dare il benservito anche al suo manager, quando la anticipò una voce impastata.
-Tu non licenzi proprio nessuno.-
Colin.
Ian lo guardò stranito. -Forse non hai capito...-
-Certo, noi non capiamo mai niente- lo interruppe beffardo. -Per fortuna che ci sei tu, vero?-
-Colin, sei ubriaco. Domani ti spiego- lo liquidò spazientito.
Agnes vide gli occhi di Colin accendersi di rabbia.
-Rodhes rimane fino a quando il gruppo non deciderà altrimenti. Il gruppo, Ian. Non tu- gli disse facendosi più vicino.
-Non te ne frega così tanto del gruppo quando fai le tue scenate davanti alle telecamere- gli rispose l'altro inviperito mentre gli andava incontro.
-Smettetela.-
Per Agnes al mondo non c'era niente di altrettanto scomodo e patetico che stare lì in mezzo tra Ian e Colin, le due persone più importanti della sua vita.

***

A distanza di tempo Agnes avrebbe ricordato sempre la notte del 4 agosto 2012. Ma non per il licenziamento di Bernie e Rhodes. E neanche per l'arresto di Ian per lesioni ai danni del fotografo che lo aveva provocato.
Lo avrebbe ricordato perché gli eventi di quella notte li avevano spinti sul ciglio di un dirupo. Negli occhi di Ian aveva intravisto quanto fosse profondo. Negli occhi di Colin quanto fosse pericoloso.
Sarebbe bastata una leggera spinta per fare sprofondare tutti.




Note:
Ed eccomi finalmente con il nuovo capitolo... Che vergogna ù.ù
Ragazze, so bene che è passato troppo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma purtroppo è stato un mese pieno di impegni. Sono partita, ho avuto un esame e come se ciò non bastasse ho voluto anche partecipare a un Contest molto carino. In attesa del risultato ho iniziato a pubblicarlo. Se siete interessate, lo trovate qui! Sì lo so, è un genere molto diverso da Down in a Hole. Ma se farete bene attenzione, noterete certe somiglianze tra Agnes e Biancaurora.
Per quanto riguarda il capitolo devo dire che ho trovato molto difficile scriverlo e tuttora non sono completamente soddisfatta.
Come avrete notato, il capitolo porta il titolo della storia. Down in a Hole. Dall'omonima canzone degli Alice in Chains. Si tratta di un'espressione che si presta a diversi significati. In questo capitolo indica la condizione dei tre protagonisti nel mondo dello spettacolo, un mondo a mio parere troppo cinico perché persone dotate di una certa sensibilità possano trovarsi a loro agio. La mente ovviamente va ai controversi Amy Winehouse e Pete Doherty, ma anche allo schivo Alex Turner.
Altra canzone che mi ha ispirata è Happiness is a warm gun dei Beatles.
La canzone che canta Agnes è Tell her tonight dei Franz Ferdinand.
Ai manager del gruppo e di Agnes ho dato due nomi particolari. In realtà Bernie Rhodes è stato il famoso manager dei Clash. Ho scelto di dare loro questi nomi perché si dice che fu proprio Bernie Rhodes a convincere Joe Strummer ad estromettere dal gruppo l'amico Mick Jones, dando così inizio alla fine del gruppo punk.
Adesso smetto di annoiarvi dicendovi che per il prossimo aggiornamento non dovrete attendere così tanto. Credo che arriverà durante le feste.
Grazie a tutte, alle ragazze che ci sono state fin dall'inizio e a quelle che si sono aggiunte di recente.
Al prossimo capitolo,
Agnes.

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Capitolo 15
*** Despair in the departure lounge ***


capitolo 14









Despair in the departure lounge




Il sogno stava lentamente lasciando spazio alla realtà. Una realtà fatta di una coperta leggera che non arrivava a coprire il ginocchio piegato e di una fresca aria settembrina che filtrava dalle imposte. Una realtà in cui qualcuno si stava muovendo piano sul materasso per avvolgere il suo fianco in un abbraccio leggero.
Agnes e Ian non dormivano mai abbracciati. Fin dall'inizio avevano preso l'abitudine di dormire ai lati sbagliati del letto e così per entrambi era impossibile prendere sonno senza darsi le spalle.
Se in un primo momento si era chiesta se avrebbe dovuto provare fastidio davanti a una simile mancanza di romanticismo, poi si era resa conto che nel loro rapporto non aveva senso attaccarsi a simili clichè. La parte più romantica di lei, poi, si era detta che in quel modo aveva la possibilità di vedere ogni mattina se continuava ad essere il primo pensiero di Ian.
Era così.
Non aveva nemmeno aperto gli occhi e già la cercava.
-Buongiorno- lo salutò mentre si stiracchiava tra le sue braccia.
-Buongiorno a te- mormorò baciandole il collo e provocandole così un sottile brivido.
-Se fai così non ti lascio alzare- lo avvertì sorridendo.
-Purtroppo devo alzarmi per forza.
Ignorando le sue stesse parole, continuò comunque ad accarezzarle il collo con le labbra e a darle morsi maliziosi.
-Ian...- sospirò a quel punto.
-Sì, hai ragione. Mi alzo.
-Devi proprio?- domandò mentre si girava imbronciata e lo guardava allontanarsi.
-Alle nove ho appuntamento con Wilson.
-Ti fidi di lui?- sentì il bisogno di chiedergli.
Ian, che nel frattempo si era alzato e aveva scelto la felpa e i jeans che avrebbe indossato, si voltò a guardarla con espressione accigliata.
-Dopo Bernie e Rhodes credo che non mi fiderò mai più di un manager, ma Wilson sembra il male minore. Alla fine non devo fidarmi, mi basta che ci sappia pubblicizzare per come si deve.
-Per me la fiducia è tutto.
-Tu puoi permettertelo. Astrid non è solo una buona amica; dopo l'esperienza accumulata come fotografa sarà anche un'ottima agente per te.
Annuì sorridendo. Dopo la brutta esperienza con Bernie, non era più riuscita ad affidarsi ad altri manager. Poi proprio Ian le aveva consigliato di scegliere Astrid, che ormai da tempo considerava la sua più cara amica.
-E Colin non viene con te?
A quella domanda Ian si rabbuiò.
-Stanotte è tornato di nuovo tardi ed era in compagnia. Meglio lasciarlo dormire.
Chiuse così l'argomento, lasciandola sul grande letto che condividevano tutte le volte che i reciproci impegni consentivano loro di trascorrere del tempo insieme.
Tornato in camera, la baciò e andò via solo dopo aver indossato l'immancabile cappello con visiera e gli occhiali scuri: un cruccio da star agli occhi degli sconosciuti, una difesa secondo Agnes.
Trascore circa mezz'ora prima che Agnes si decidesse ad alzarsi. Preparò la colazione per sé e, mentre annoiata girava il cucchiaio nella tazza, rivolse qualche occhiata incerta alla porta chiusa davanti a lei.
Colin...
Dopo il duro scontro durante il compleanno di Ian, non c'erano state più liti né discussioni. Ian aveva spiegato ai ragazzi che tipo di pubblicità aveva fatto loro Rhodes e tutti erano stati d'accordo nel licenziarlo. Ma da quel momento Colin non era stato più lo stesso. Si era allontanato dai componenti del gruppo e da Agnes, aveva iniziato a frequentare altre persone e si faceva vedere solo per gli impegni ufficiali del gruppo.
Come se avesse avvertito il suo bisogno di parlare con l'amico, la porta della camera si aprì sotto i suoi occhi. Ma non potè nascondere la sua delusione quando fu chiaro che non si trattava di Colin.
Sì, nell'ultimo mese era cambiato; ma non così tanto da avere lunghi capelli biondi e un corpo formoso e assolutamente femminile.
Le due donne rimasero ferme a guardarsi. Gli occhi di Agnes erano neutri e indifferenti, forse con una traccia di superbia; la sconosciuta, dopo un attimo di smarrimento, le aveva rivolto uno sfacciato sorriso compiaciuto.
Certo, pensò inacidita Agnes, mi crede la compagna di Colin.
-L'ha mandata via?- domandò amabile con un cenno alla porta socchiusa. -Non se la prenda, è quello che fa ogni mattina. Per fortuna lei sembra una persona abbastanza matura da non crearsi inutili illusioni.
La sconosciuta serrò le labbra offesa, ma fu solo un momento. L'attimo dopo infatti sorrideva di nuovo, affabile e sincera quanto lo era stata Agnes poco prima.
-In realtà stavo andando via di mia iniziativa. Il nostro...- fece una pausa per sottolineare l'ultima parola -...ragazzo dorme ancora.
-Ah sì? La porta è di là- rispose Agnes indicandole l'uscita.
Quando finalmente la donna se ne fu andata, Agnes scoprì che il suo nervosismo non era affatto scemato. La colpa non era delle donne che Colin si portava a casa, né delle nuove compagnie che frequentava. La colpa, ammesso che ce ne fosse una, stava altrove. Forse proprio nel silenzio, nel rifiuto di parlare e chiarirsi.
Presa da quella illuminazione, si alzò e camminò con passo sicuro verso la camera di Colin. Aprì la porta e si ritrovò immersa nel buio e in un odore che davvero non aveva intenzione di identificare. A passo di carica si avvicinò alla finestra e scostò le tende con un violento strattone e con lo stesso impeto aprì le finestre.
-Alzati.
Silenzio.
-Colin, alzati.
Un mugolio sommesso proveniente da sotto il cuscino rese chiaro che l'amico era già sveglio.
-Alzati e raggiungimi in cucina- ordinò perentoria. -Adesso.
Quando lo vide comparire in cucina dopo appena dieci minuti, Agnes ringraziò che non avesse lo stesso carattere permaloso di Ian.
-Agy, sei un tesoro. Mi è sembrato quasi di essere tornato a casa, quando ad occuparsi del mio risveglio era la gentilissima Mrs. Dominika.
Lei ignorò il suo tentativo di scherzare e gli fece cenno di sedersi mentre gli portava la colazione a tavola.
Dopo quasi un anno di conoscenza, sapeva che lo spirito e il fare scanzonato erano le sue difese. Un muro diverso da quello che usava Ian, ma non meno saldo e resistente.
-Sei uno straccio- commentò atona.
-Grazie, anche tu sei splendida.
Poteva anche sorriderle, ma il suo sorriso era sbiadito e non riusciva più a scaldarla come aveva fatto un tempo. Il motivo era evidente: non ci credeva neanche lui in quel sorriso.
-Colin, sei uno straccio- ripetè nella speranza che il tono serio gli facesse comprendere la sua preoccupazione.
-Ho solo bevuto un po' troppo ieri sera- spiegò lui continuando imperterrito in quel sorriso stentato.
-E la sera prima. E la sera prima ancora...-lo interruppe senza nascondere il suo scontento.
-Da quando sei diventata così bacchettona?
Sarebbe stato più semplice parlare se avesse messo da parte quel dannato sorrisetto.
-Non sono bacchettona e non è disapprovazione, la mia. Non mi preoccuperei se fossi il solito Colin. Ma non lo sei. E sì, hai sempre bevuto e ti ho visto conciato anche peggio di così- disse indicando il suo viso sbattuto e gli occhi arrossati. -Ma c'è qualcosa di diverso adesso.
-E cosa sarebbe cambiato?- domandò aggrottando appena le sopracciglia.
-Adesso sembra che hai un motivo per bere.
I minuti passarono lenti e il silenzio si protrasse più del dovuto, trasformadosi in qualcosa di scomodo e tristemente nuovo tra i due.
Quando Colin si decise a parlare, le sue parole non furono quelle che Agnes si aspettava.
-Ho lasciato casa dei miei per non sentirmi fare discorsi del genere.
Abbassò lo sguardo sulla tazza che aveva di fronte e sorrise stancamente.
-Non ho voglia di fare colazione- le spiegò dispiaciuto mentre si alzava e le dava le spalle.
-E' per qualcosa che ha fatto Ian, vero?
Colin si fermò.
-Non lo fare, Agy- le disse con una stanchezza così estranea a lui da farla tremare. -Non costringermi a metterti in una posizione scomoda. Sei la sua ragazza...
-Ma sono anche tua amica- lo interruppe infastidita. -E voglio capire cosa ti passa per la testa negli ultimi tempi!
-Gli ultimi tempi...- lo sentì mormorare ironico. -No, tesoro. E' qualcosa che va avanti da più tempo.
-Bene. Siediti e prendi il tè- gli disse con rinnovata sicurezza. -Parleremo. Io non sarò la ragazza di Ian, ma solo la tua amica. Non prenderò le sue difese né ti attaccherò per quello che dirai contro di lui.
Colin tornò a sedersi, mentre borbottava a voce non troppo bassa: -E dire che mi sembrava una ragazzina tanto timida e dolce...
Ma fu l'unica battutina che si concesse. Dopo un momento di silenzio in cui avevano bevuto il tè, Agnes si ritrovò a perdersi tra le ombre che Colin aveva imparato a celare dietro il suo splendido sorriso e il comportamento sicuro e strafottente.
Le parlò di un ragazzino che su consiglio del padre aveva imparato a giocare a rugby, ignorando la costante paura di essere colpito da uno dei compagni più grandi. E quando poi era diventato il migliore della squadra, venerato e adorato da tutta Eton, aveva scoperto di non provare nulla: non c'era gioia nella vittoria, né sconforto nella sconfitta.
Le parlò con sorprendente sincerità anche di un idiota che aveva iniziato a dare fastidio ai compagni più giovani, pur di far parte della cerchia più in vista della scuola. E quando poi ne era stato leader indiscusso aveva desiderato essere altrove, magari tra gli stessi secchioni che si era tanto divertito a torturare.
E poi aveva smesso di parlare di sé, e le aveva raccontato di Ian. Lui che fin da ragazzino era sempre stato fedele a se stesso, al costo di non piacere agli altri. Quanta invidia, quanto rispetto aveva provato per quel compagno scorbutico e imbronciato. Forse perché a differenza sua non aveva mai fatto nulla per rendersi qualcuno amico. Forse perché fin da allora aveva avuto chiaro chi fosse e quali fossero i suoi sogni. E lui, stupido Colin, che si era  sempre affannato a cercare una strada che non fosse né imposta né suggerita, ma sua e sua soltanto.
E poi lo stesso ragazzino solitario lo aveva illuso. Gli aveva fatto credere di aver trovato quella strada, che fosse identica alla sua. Era proprio lì  a portata di mano, potevano percorrerla insieme e avrebbero realizzato quei sogni di grandezza di cui avevano tanto parlato nel cortile del College.
E così Colin aveva commesso per l'ennesima volta l'errore di mettersi nelle mani di qualcuno che non fosse lui.
-Tuttora non so se sia stato lui a convicermi che la musica fosse la mia strada. Forse in realtà sono stato io a voler prendere in prestito i suoi sogni.
Agnes li conosceva ormai entrambi e si ritrovò a pensare che molto probabilmente entrambe le ipotesi fossero veritiere.
Quando Ian si intestardiva su qualcosa non c'era modo di fargli cambiare opinione. E se si trattava di musica, poi, avrebbe sempre fatto qualsiasi cosa per realizzare i suoi sogni. Anche ignorare il malessere di un amico.
Ma d'altra parte era innegabile che Colin avesse la tendenza ad accontentare tutti, a voler soddisfare le aspettative dei suoi cari. E forse, pensò intenerita, Ian era la persona a cui teneva di più, quella per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederla felice.
-Il problema è che adesso hai trovato qualcosa che ti fa sentire davvero vivo...-concluse il suo pensiero ad alta voce.-E non è la musica.
L'amico annuì appena.
-Non so quanto sono portato né se ho qualche chance, ma quando recito capisco fino in fondo Ian. In quei momenti anch'io riesco a provare quella passione totalizzante che ti rende cieco e sordo a tutto il resto. E' assurdo, forse anche ridicolo- disse con un sorriso per nulla divertito, -ma non gli sono mai stato più vicino di quanto lo sono ora.
-Dovresti seguire la tua strada.
Colin la guardò come se fosse impazzita.
-Agnes, è arrivata la fama, il punto di non ritorno. Non sarò io a mettere fine ai The Fifth Beatle. Non me lo perdonerebbe mai.
-Si può sempre trovare un compromesso. E poi in questo modo sei tu a portargli rancore, ti sembra meglio?
-Non mi sembra meglio, ma più sopportabile. Comunque, stai tranquilla, è solo un periodo. Passerà.

***

Appena l'auto si fu accostata al ciglio della strada, Agnes scese di gran fretta e, ignorando la guardia del corpo, si incamminò verso casa. L'andatura era sicura e impaziente, le labbra contratte in un'espressione risoluta e soddisfatta e lo sguardo andava compiaciuto sulla carpetta che teneva tra le mani.
Quando entrò in casa, il suo entusiasmo venne appena incrinato dall'atmosfera tetra che aleggiava all'interno dell'appartamento. Le tende erano ancora tirate e non permettevano alla luce esterna di illuminare la stanza; e poi c'era quel silenzio così innaturale per quell'ora del giorno.
-Colin- chiamò mentre apriva la porta della camera.
Non le rispose nessuno e, quando fu dentro,  il motivo fu chiaro.
Una donna, che poco prima doveva essere stata occupata a svegliare il ragazzo disteso accanto, la guardava attonita. Quasi provò pena per gli occhi terrorizzati che la scrutavano come se fossero in attesa di qualcosa. Forse temeva una scenata o magari di essere sbattuta fuori a calci. Agnes, però, preferì ignorarla e si avvicinò direttamente all'amico ancora assopito.
-Colin- lo strattonò con poca gentilezza.
Le rispose un mormorio sommesso e non potè trattenersi di picchiarlo con la carpetta quando lo vide girare la testa nella direzione opposta alla sua.
-E' mezzogiorno, idiota. Alzati.
Nonostante l'irritazione, dovette trattenere un sorriso divertito davanti alla faccia di Colin quando si mise seduto sul letto e si guardò confuso a destra e a sinistra.
-Ah, sei tu?- mormorò quando l'ebbe riconosciuta. -Ciao Agy!-
Il sorriso ebete le suggerì che ancora doveva essere stordito dalle schifezze che aveva preso la sera prima. L'occhio le cadde sul comodino e notò qualche cartina e il posacenere pieno di robaccia.
-Manda a casa la tua amica e raggiungimi in cucina. Devo parlarti.
Senza dargli possibilità di replica, gli voltò le spalle e andò a preparargli la colazione.
Quando Colin e la donna uscirono dalla camera, Agnes voltò loro le spalle fingendosi occupata, ma non potè evitare di ascoltare ciò che si stavano dicendo.
-Ma dico, hai visto come mi ha trattata? Ma chi si crede?
-Eh?- domandò indifferente Colin.
-Mi riferisco a quella là. E tu non mi hai nemmeno difesa- replicò offesa la sconosciuta.
Agnes strinse le labbra infastidita e stava per girarsi quando sentì la risposta di Colin.
-Quella là è Agnes. Tu invece....com'è che ti chiami?
Quasi si metteva a ridere, immaginandosi l'espressione furba che Colin aveva rivolto alla donna.
Dopo che un'oltraggiata Jennifer ebbe sibilato a denti stretti il suo nome e se ne fu andata, Colin si avvicinò alla tavola e si sedette davanti alla sua colazione.
-Cos'è questo?
Agnes aveva ormai recuperato il suo buon umore e si voltò verso lui con un bel sorriso compiaciuto.
-E' un regalo- rispose posando gli occhi sulla carpetta che aveva lasciato al posto della tazza.
Lo guardò aprire la carpetta e corrugare appena le sopracciglia mentre leggeva la prima pagina.
-Somewhere, Somehow... Sceneggiatura tratta dall'omonimo romanzo...
Colin interruppe la lettura e alzò gli occhi confusi su Agnes.
-Cosa significa questo?
-Significa che ti ho procurato un provino- gli rispose sollevando il mento per prepararsi a ciò che avrebbe sicuramente obiettato.
-Ma come?- domandò ancora più confuso.
Agnes sorrise intenerita quando lo vide posare lo sguardo sul copione.
-Ho parlato di te al regista, gli ho spiegato che da più di un anno sei iscritto alla Barnes Theatre Company e lui ha deciso di darti una possibilità!
In realtà non era stato così semplice convincerlo e sospettava che, se in passato non avessero lavorato insieme per uno spot pubblicitario, quel regista non l'avrebbe nemmeno degnata di attenzione. Ma importava poco, ciò che contava era regalare una possibilità a Colin.
Doveva solo avere un'occasione per mostrare il suo talento. Qualcosa che, comunque sarebbe andata, avrebbe risposto alle domande che lo assillavano.
-Ma qui vedo solo grandi nomi- disse gettando un altro sguardo al copione. -Come puoi pensare che sia in grado di partecipare a un film del genere?-
Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare nervoso per la stanza.
-Avresti dovuto parlarmene, Agnes.
-Per sentirmi dire che non sei pronto o che non potresti recare danni ai The Fifth Beatle?- lo provocò con aria ironica.
-Sì. Questa è una follia.
-Come fu una follia obbligare una fotografa affermata a promuovere una ragazzina inesperta tra le varie case di moda?-
-Ma che c'entra. Era chiaro che avevi bisogno solo di una spinta- la fermò spazientito.
-Bene- annuì lei. -E' chiaro che anche tu hai bisogno di una spinta. Eccola- concluse con un cenno del mento al copione.
-E per il gruppo le due cose non si escludono a vicenda. Con un po' di fortuna potrai avere tutto.
-Ma...
Lo interruppe con un gesto imperioso della mano.
-Ma ci penseremo se e quando supererai il provino. Ora devo andare...
Fingendosi indifferente all'espressione attonita dell'amico, recuperò la borsa e le chiavi. Poi si avvicinò a lui e lo baciò sulla guancia.
-Hai fatto tanto per me, Colin. Come hai potuto pensare che sarei stata a guardarti cadere giù senza fare nulla?

***

Il cellulare, nascosto in chissà quale angolo della borsa, si mise a suonare per l'ennesima volta. Dal momento che quella era la quarta o quinta telefonata, ormai sapeva bene chi fosse all'altro capo del telefono. Lo ignorò e preferì cercare le dannate chiavi di casa. Non trovandole tornò a bussare alla porta. Quando il campanello si rivelò inutile, usò il pugno.
Ancora più nervosa per essersi ferita la mano, cercò di nuovo le chiavi.
Maledette, erano nella tasca del trench.
Entrò senza degnare d'attenzione il buio che l'accolse e andò decisa nella camera di Colin.
Quando fu dentro e lo vide rigirarsi tra le coperte, deglutì e strinse i pugni fino a farsi male.
La sua voce uscì come un sibilo.
-Dovevi essere al provino tre ore fa. Quando non sono riusciti a rintracciarti hanno chiamato me; io ho lasciato un servizio fotografico con la faccia mezza truccata per vedere che fine avessi fatto; e tu...-prese un profondo respiro per provare a calmarsi, ma fu tutto inutile. -E tu stai dormendo!- sputò oltraggiata.
-Agy...-mormorò lui visibilmente assonnato e fin troppo poco dispiaciuto.
-Agy un corno- lo fermò alzando la voce. -Ora tu ti alzi, fai una doccia e ti rendi presentabile. E poi insieme andremo a quel dannato provino.
Era quasi l'una quando arrivarono a teatro. Quasi quattro ore di ritardo.
Vennero accolti da un gelido silenzio e da sguardi stizziti. Per fortuna, o forse no, erano rimaste solo poche persone.
Non appena ebbe individuato il regista, Agnes si costrinse a distendere le labbra nel più amabile dei sorrisi. Ormai conosceva l'ambiente e sapeva bene che era di vitale importanza non mostrarsi mai deboli o impacciati.
-Chuck, tesoro...- lo salutò schioccando un bacio sulla guancia ossuta del regista. -Hai aspettato molto? Credo di aver fatto confusione con gli orari, ero convinta che il provino fosse di pomeriggio. Colin si è precipitato qui quando l'ho informato del mio errore- spiegò con tono svampito e superficiale.
Chuck le rivolse un sorriso indulgente. Forse falso quanto lo era stata lei.
-Non ti preoccupare. L'ultimo attore se n'è appena andato e abbiamo atteso solo un po'- fece una pausa guardando il ragazzo alle sue spalle. -Tu devi essere Colin.
Sentitosi chiamare in causa, questi allungò la mano e strinse quella che il regista gli tendeva. Agnes notò con disagio che il suo fare scanzonato era stato sostituito da un cipiglio nervoso.
-Ovviamente il tuo nome lo conosciamo già- constatò il regista con un sorrisetto sgradevole. -Non ti nascondo che mi ha stupito sapere che oltre a strimpellare ti diletti anche con la recitazione.
Agnes non potè trattenere una smorfia infastidita davanti a quel commento velatamente offensivo, né una stretta al cuore quando vide il sorriso triste di Colin.
-Sì, la recitazione è uno svago alquanto interessante- asserì con indifferenza.
Mentre cercava di non picchiare l'amico davanti a tutti, Agnes notò lo sguardo attento di una donna alle spalle di Chuck Royce. Aveva un'aria ordinaria e forse non l'avrebbe nemmeno notata se non avesse avuto quella vaporosa chioma di capelli ricci.  La donna non le aveva prestato nessuna attenzione, ma appariva del tutto rapita da Colin.
-Direi di iniziare con il provino.
Chuck si rivolse al suo assistente, incaricandolo di avvisare Miss Parker che l'ultimo attore della giornata era arrivato e doveva prepararsi per provare la scena in cui i due protagonisti si incontravano a teatro.
-Oh dimenticavo...Vi presento Mrs Loup, l'autrice del romanzo da cui è tratto il film.
La donna rivolse ai due un sorriso timido e impacciato.
-Potete chiamarmi Mandy!- disse mentre era impegnata a spostare i riccioli dalla fronte.
Dopo qualche minuto il provino di Colin ebbe inizio.
Nelle ultime settimane Agnes aveva avuto modo di leggere il copione e, incuriosita, aveva finito con il comprare anche il romanzo Somewhere, Somehow.
Era un racconto fantasy che aveva inizio a teatro. Una giovane veniva presentata a un violinista altezzoso e arrogante e, non appena  i loro sguardi si incrociavano, lei avvertiva un senso di déjà vu, come se fosse sicura di aver già incontrato quell'uomo. Nel corso del concerto uno strano torpore la avviluppava fino a ritrovarsi nello stesso luogo, ma esattamente due secoli prima.
Colin avrebbe interpretato il ruolo di Elijah, il violinista. Serena Parker, un'attrice americana molto promettente, si era vista già assegnato il ruolo di Nicole.
Seduta alle spalle del regista e dell'autrice del libro, Agnes assistette al cambiamento di Colin.
Se quando erano arrivati aveva avuto un atteggiamento svogliato e indifferente da gran celebrità, in quel momento non ne restava traccia. Era serio, concentrato. E quando sollevò gli occhi sull'attrice, Agnes non vide più Colin. Al suo posto, nel suo corpo, c'era il personaggio che stava impersonando.
Catturata com'era dalla scena, Agnes impiegò un po' di tempo prima di notare l'alterco tra Chuck e Mrs Loup.
-Senta, lei forse è attratta dal suo bel viso. Ma non possiamo scegliere un dilettante- stava dicendo spazientito il regista.
-Ma li vede insieme? Sono perfetti. Mi sembra di avere Nicole ed Elijah proprio di fronte a me, in carne e ossa.
Agnes riuscì a intravedere gli occhi sgranati della scrittrice un attimo prima che riportasse la sua attenzione sui due attori.
-Parlerò con la produzione- la sentì parlare risoluta. -Lui sarà Elijah.

***

A volte, quando sta per succedere qualcosa di brutto, qualcosa che ci cambierà per sempre, accade che la nostra mente riesca a percepirlo. Quando questo avviene, la mente ci manda un segnale cogliendo un particolare insignificante che stona con le nostre abitudini, un'inezia che non si era mai verificata prima. Col trascorrere del tempo quel particolare, quell'inezia saranno sempre collegati a quel triste evento.
Per Agnes ciò accadde una sera di novembre.
Era appena tornata da Parigi e aveva tanta voglia di riabbracciare Ian, di raccontargli tutte le novità e soprattutto...sì, soprattutto di baciarlo. Non appena arrivò davanti casa, notò la porta spalancata. Era assurdo, ma questo fatto le mise addosso un'angoscia insopportabile. Mentre si affrettava a salire le scale fu presa da un cattivo presentimento. E, arrivata sul pianerottolo, la sua mente trovò un'inspiegabile conferma nella porta socchiusa che le stava di fronte.
Un momento prima di spingere la porta, Agnes sapeva già cosa avrebbe trovato una volta dentro l'appartamento.
-Pensavi che non l'avrei scoperto? Pensavi che quei fottuti giornalisti non ne avrebbero parlato?
Ian.
-Aspettavo il momento giusto. E questo non ha niente a che fare con te. Smettila di fare la prima donna!
Colin.
La fine di un'amicizia.
-Sai cosa mi fa davvero incazzare?- domandò un Ian pericolosamente vicino a Colin. -Quello che mi fa davvero incazzare è che io lo sapevo, lo sapevo che a te non te ne fotteva niente del gruppo. Tu sei così, Colin. Sei solo un ragazzino viziato che passa da un giochino all'altro, un debole senza personalità che va dietro agli altri. Un attimo prima sei capace di picchiare qualcuno, l'attimo dopo di difenderlo. E sai perché questo? Perché vuoi l'approvazione di tutti, perché sei patetico.
 Non aveva urlato, ma appena alzato la voce. Le parole erano uscite dalle sue labbra chiare e nette, ciascuna diretta a colpire con assoluta precisione tutti i punti deboli e i rimorsi di Colin.
Colin avrebbe potuto picchiarlo, Agnes lo sapeva e lo avrebbe anche capito. Ma quelle parole erano troppo perfide, troppo mirate perché avesse una reazione di quel tipo.
-Non avevo intenzione di lasciare il gruppo- mormorò senza guardarlo in viso. -Adesso riesco a capire cosa significa per te la musica e non ti avrei mai privato del tuo sogno. E questo non perché ho bisogno della tua approvazione. Ma perché ero tuo amico.
Nel silenzio che seguì quelle parole un singhiozzo catturò l'attenzione dei due.
Agnes stava piangendo davanti alla porta.
Entrambi la fissarono quasi dispiaciuti. Poi Colin voltò le spalle a Ian, prese la giacca abbandonata sul divano e si avvicinò ad Agnes. No, non ad Agnes. Alla porta.
-Dove stai andando?- gli domandò mentre con le mani cacciava via le lacrime.
Lui le rivolse il fantasma di uno dei suoi vecchi sorrisi. Poi scosse le spalle con finta indifferenza.
-Ho bisogno di starmene un po' per conto mio.
Si avvicinò e, accarezzandole una guancia, le pose un bacio pieno di affetto sulla tempia.
-Non ti mettere in mezzo, Agy. Promettimelo- le mormorò vicino all'orecchio.
Lei lo guardò male, ma annuì silenziosamente. Non voleva ferirlo più di quanto lo era stato.

***

La porta si chiuse lasciando Agnes e Ian da soli. Lui si muoveva nell'appartamento alla ricerca di qualcosa. Lei lo guardava silenziosa. Non sopportando più quell'immobilità decise di portare il piccolo trolley in camera.
Quando tornò nel soggiorno trovò Ian sul divano. La chitarra in mano e l'espressione indecifrabile.
-In realtà sono più incazzato con me stesso- disse all'improvviso senza nemmeno guardarla.
-Perché?
-Ho sempre saputo di poter contare solo su di me. Non dovevo mettere i miei sogni nelle mani di un...
-Taci.
Aveva parlato come lui, dura e perentoria.
Ian sollevò il capo e posò i suoi occhi confusi su di lei. Un interrogativo aleggiava fra loro.
-Non voglio più sentire cattiverie su Colin.
Da confuso lo sguardo si fece gelido e distante.
-Ti capisco, so quanto è importante per te Colin- biascicò sarcastico.
-Tu non capisci proprio niente...
Sono stata io a procurargli quel provino. E quando lo ha superato voleva rifiutare perché non voleva dare problemi al gruppo. L'ho convinto io, gli ho detto che tu avresti capito-
Mentre parlava il cuore le batteva troppo rapido, il respiro era troppo affannato. Le mani tremavano incontrollate per la rabbia trattenuta fino a quel momento.
- In fondo perché non avresti dovuto capire? Non eri tu a parlare di Stuart Sutcliffe, a predicare di come ognuno debba capire quale sia la sua strada, di come si debba avere il coraggio di cambiare quella che sembra sbagliata?
Gli rivolse una smorfia amareggiata.
-La verità è che sei un ipocrita, Ian. Tu ci vuoi cambiare tutti,  ma a tuo piacimento, secondo le tue condizioni.
Agnes vide l'esatto momento in cui Ian realizzò il significato delle sue parole. Il momento in cui ogni sentimento per lei fu sostituito dall'odio.
-Sei stata tu- sbottò incredulo. -In ventisette anni ho voluto solo una cosa per me, una maledetta cosa. E quando stavo per ottenerla, tu, proprio tu, me l'hai tolta.
Mentre parlava furibondo aveva messo da parte la chitarra e ora le stava di fronte. Per un attimo folle Agnes pensò a tutte le volte che se l'era ritrovato davanti. Quando la guardava malizioso e le accarezzava le spalle prima di baciarla.
-Se tu non avessi reagito in questo modo, avremmo trovato un compromesso, un modo per far funzionare le cose.
Ian le rise in faccia. Una risata così forzata e cattiva da ferirla più delle sue parole.
-Un compromesso? A volte mi chiedo se sei veramente così ingenua o sei fai finta. Non ci sono compromessi nel nostro campo, Agnes. Mi dici come cazzo posso funzionare senza Colin?- sembrò cacciare via un pensiero e subito aggiunse -Come posso suonare senza un cantante?
-Anche tu canti, Ian. E diciamocelo, canti anche meglio di Colin. Solo che per qualche motivo ti sei convinto di dover stare per forza nelle retrovie. Forse la verità è che hai paura di esporti.
A quelle parole lui si scostò bruscamente, facendo un passo indietro. La guardò sprezzante e parlò con voce controllata e tagliente.
-Non mi dare lezioni di vita dopo che me l'hai rovinata. Non ne ho bisogno. Non ho bisogno di te.
Ian quella sera aveva detto molte cose che l'avevano ferita. Ma quella le superava tutte.
Si guardarono in silenzio a le sembrò quasi di poter vedere la persona di cui si era innamorata dietro quel muro di indifferenza. Forse aveva capito che era andato oltre il limite, forse avrebbe voluto scusarsi.
Ma Agnes era terrorizzata dall'altro Ian, quello che fino a quel momento non aveva mai conosciuto se non attraverso le parole di Colin.
-Bene- mormorò annuendo senza alcuna ragione.-Allora vado via.

***

In camera aveva aperto il trolley, aveva tolto i vestiti usati e ne aveva preso altri. Aveva recuperato un po' di contante che teneva per le emergenze e aveva cambiato borsa.
Poi non aveva avuto altri motivi per tergiversare. Ian non l'avrebbe fermata. E in realtà lo sapeva già. Ma stupida com'era, o ingenua per usare le parole di Ian, aveva sperato fino all'ultimo.
Quando ritornò nel soggiorno per un attimo si illuse, o temette, che Ian fosse uscito, permettendole di andarsene senza altri scomodi scambi di parole. Ma poi lo vide seduto sul divano. Se ne stava a fumare al buio, immobile se non per il movimento necessario a scostare la sigaretta dalle labbra.
Non potè evitare di chinare il capo colpevole, mentre quel terribile silenzio si protraeva ancora. Poi lui parlò e una fievole speranza tornò ad accendersi dentro di lei.
-Non so né come né quando, ma a un certo punto la gente lì fuori verrà a sapere di noi. Ovviamente nessuno vorrà parlarne con me- un sorriso amaro e quasi colpevole gli increspò le labbra. -E quindi verranno tutti da te a chiederti di noi. E immagino che tu avrai la tentazione di parlare con troppa fretta, di giustificarti e forse anche la tentazione di darmi la colpa di tutto ciò che è andato male. Io ti chiedo questo, non essere troppo impaziente di dare agli altri un amore come il nostro. Prenditi il tempo necessario, e cerca di ricordare tutto.
Ricorda come ti ho guardata la prima volta, quando non eri altro che una ragazzina annoiata e fin troppo curiosa. Ricorda il sapore della tua prima sigaretta, quella che hai dovuto fumare per salvarti la faccia- le gettò uno sguardo che era solo una fragile eco dell'ironia passata.
-Ricorda come ti cercavo sempre con lo sguardo e quanto ero incuriosito da te. Anche se forse sarebbe più esatto dire attratto. E questo sia quando eri una barista piena di insicurezze sia quando sei diventata una modella affermata.
E se si stupiranno perché non mi bastavi, sforzati di ricordare ancora. Ripensa a come non riuscivo a starti lontano, a come i miei occhi e le mie mani non smettevano mai di posarsi su di te.
E se avranno ancora dei dubbi, raccontagli di come non ti ho mai forzata a cambiare, ma ho sempre cercato di assecondare quelle che erano le tue speranze e i tuoi desideri. Eri tu a voler cambiare, amore. A me saresti bastata così com'eri.
Un sentimento, un misto di tenerezza e nostalgia, attraversò gli occhi di Ian mentre si ostinava a quell'inquietante immobilità. Poi continuò.
-E non appena starai per raccontare di tutte le volte che ti ho ferita, ripensa a cosa significavi per me: eri la mia possibilità, il mio cambiamento.
-Ian...- sussurrò a quel punto, senza sapere come riuscisse a trattenere le lacrime. Ma lui la ignorò e la sua voce si fece improvvisamente dura.
-Promettilo, Agnes. E almeno questa promessa cerca di mantenerla.
Quando gli occhi feriti di Agnes incontrarono quelli gelidi di Ian, lei si chiese come si potesse parlare di amore con un tale rancore e astio nel volto.
Sapeva che le stava chiedendo di restare nel suo modo contorto, forse anche sbagliato. Sapeva anche che quel livore e quella freddezza non erano altro che il suo muro, la sua difesa. Ma lei non aveva mai opposto alcuna difesa fra loro, era sempre stata vulnerabile credendo ingenuamente che  lui non l'avrebbe mai ferita volutamente.
Con un cenno della testa annuì, senza trovare voce per raccontare a lui, in quel momento, di come le avesse appena spezzato il cuore.

***

Agnes odiava gli aeroporti.
Quando partì da Londra, quella sera di novembre, lasciò un pezzetto di sé nella sala partenze. Le lacrime che aveva così ostinatamente trattenuto fino a quel momento alla fine l'avevano sopraffatta e solo grazie alle braccia di Astrid era riuscita a non crollare del tutto.
Quando quella sera stessa arrivò a Parigi, il vuoto sostituì quel pezzo perduto. Non c'era nessuno ad attenderla, non c'era nessuna casa, solo il buio.
Odiava gli aeroporti.






Note:
Ho appena finito di scrivere il capitolo e sono ancora presa da quello che ho scritto, dalle parole che Colin, Ian ed Agnes si sono scambiati. Sapete quanto sia facile farsi trascinare dalla storia e dai personaggi e quindi spero capirete che su questo capitolo non riesco ad essere obiettiva. Forse non vi piacerà, forse deluderà le vostre aspettative. Non lo so, ma questo capitolo è nato circa sei mesi fa insieme al prologo. Avevo molte aspettative per questo momento della storia; ora non vi nascondo che l'ho riletto a fatica, come se avessi fretta di abbandonarlo. Spero però che per voi non sia stato lo stesso...
Venendo alle citazioni, abbiamo il titolo (Despair in the departure lounge degli Arctic Monckeys), poi ci sono stati gli Oasis che mi fanno pensare tanto a Colin ( in particolare Stop crying you heart out ); e infine c'è l'unica canzone italiana di Down in a Hole: Verranno a chiederti del nostro amore di De Andrè, canzone cui è ispirato il monologo di Ian.
Mi dispiace dirvi che per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po'. A breve inizieranno gli esami e non avrò molto tempo da dedicare alla scrittura.
Ora voglio ringraziare le splendide persone che hanno consigliato Down in a Hole e che con il loro entusiasmo mi fanno venire voglia di scrivere sempre. Sapete a chi mi riferisco, ma voglio fare i vostri splendidi nomi: Matisse, Emily Alexandre, Lela Sognatrice, Elle(hai notato qualcosa di strano??), Erica, Khristh e CinziaBella. E ovviamente un grazie va a tutte coloro che hanno dato una possibilità a Down e me, lettrici silenziose e coloro che mi fanno sapere il loro prezioso parere.
Al prossimo capitolo,
Agnes.

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Capitolo 16
*** Empty Spaces ***


capitolo 15



Immagine creata da Elle Sinclaire





Empty Spaces



Le dita scorrevano lungo la fila di dischi alla ricerca di qualcosa. Come guidate da una volontà propria si fermarono ed estrassero un disco dall'aria consunta. Su uno sfondo grigio e nero un inconfondibile Iggy Pop lo guardava con espressione indecifrabile. Non riuscì a capire perché tenere The Idiot tra le mani gli facesse provare una simile paura.
Dal giradischi partì la voce di Iggy, più rauca e strascicata che mai. Accesa una sigaretta e fatto il primo tiro, avvertì il bisogno di muoversi. Inspiegabilmente si ritrovò in cucina.
Qualcosa che non aveva mai notato catturò la sua attenzione. Due grossi pioli piantati sulla parete e una spessa corda tesa tra loro. Rastrelliera gli suggerì la sua mente.
Stava per allungare la mano quando qualcuno lo spinse di lato: un giovane dai capelli scuri e dalla corporatura smilza.
Quando lo sconosciuto si avvicinò alla rastrelliera, lui si accorse di tremare. Voleva avvertirlo del pericolo, voleva dirgli di stare lontano da quella corda. Ma il terrore era così intenso da bloccare in gola ogni parola, ogni respiro.
Il giovane sembrò avvertire la sua angoscia e si voltò nella sua direzione. La corda in mano e un sorriso ironico sulle labbra. Labbra che erano identiche alle sue, come il resto del volto.
L'orrore fu così grande da riuscire a svegliarlo. Il respiro era irregolare, il cuore martellava contro il petto.
E' solo un sogno, si disse mentre distendeva le gambe sul materasso e si girava dall'altro lato.
Gli occhi ancora chiusi. Un braccio che si allungava sul letto e una mano che non trovava nulla se non l'aria fredda.
No, non era solo un sogno.

***

-Senta, so per certo che alloggia lì da voi. Sono solo un amico e vorrei parlarle.
Cercò di trattenere tutto il suo nervosismo e mostrarsi paziente. E per farlo si ripetè per l'ennesima volta che urlare contro quella stronza di una receptionist non sarebbe stato utile allo scopo.
-Mi dispiace- rispose la voce distaccata all'altro capo del telefono. -Non possiamo dare informazioni del genere.
-Ma almeno ha capito chi sono?- sbottò senza più curarsi di mantenere la calma.
-Sì, ma vede...-replicò in difficoltà.-Abbiamo ricevuto...come si dice...ordres?-
-Disposizioni da chi?- domandò mentre iniziava a intuire quale fosse il problema.
-Oh, non avrei dovuto dirlo- si lamentò la donna al telefono, -Je suis désolè...- mormorò poco prima di interrompere la telefonata.
Mentre ancora teneva il cellulare appiccicato all'orecchio, Colin sbattè il pugno contro il tavolo. Erano trascorse due settimane. E a quanto pareva, due settimane erano state sufficienti perché il suo mondo venisse stravolto. Se in meglio o in peggio era ancora un'incognita.
Tutto era iniziato con una notizia sui giornali, la cui verità era stata riveduta e corretta come solo i giornalisti sapevano fare. I titoli recitavano qualcosa che suonava come "Colin abbandona i Fifth Beatle per il cinema."
E così, mentre Colin si preparava un discorso molto maturo e pieno di tatto per fare capire a Ian le sue posizioni, i giornalisti lo avevano fottuto sul tempo.
Una parte di lui, forse quella meno nobile, era grata a quella intrusione, che, per quanto capziosa, gli aveva comunque evitato un momento difficile. Il momento in cui Ian aveva realizzato che, tutte le volte che avevano parlato dei loro progetti, Colin aveva mentito.
Dopotutto era stato relativamente facile rispondere alla rabbia con altra rabbia. Era bastato farsi trascinare dal rancore e dai torti passati e presenti. Sì, nulla di paragonabile al momento in cui stima e rispetto si erano trasformati in qualcos'altro.
Nei giorni successivi alla lite, Colin era rimasto chiuso in un hotel a causa della scomoda curiosità dei giornalisti. Volevano risposte, chiarimenti sulla fine dei Fifth Beatle. E se anche riusciva a capire che in quel mondo le cose funzionavano così e che era giusto dar conto delle proprie decisioni, in quel momento non si sentiva in grado di dare spiegazioni. Forse perché non ne aveva nemmeno per se stesso.
Poi era arrivata un'altra notizia. Agnes Dayle aveva lasciato l'appartamento di Brixton. Nonostante le numerose versioni, tutte discordanti fra loro, ce n'era una che andava per la maggiore. Secondo i giornalisti la modella aveva finalmente scoperto gli innumerevoli tradimenti di Colin, tanto da avere una reazione violenta ed esagerata davanti alla nuova compagna del cantante, Jennifer Goosey.
Davanti a simili congetture aveva avuto la tentazione di mettersi a sghignazzare e telefonare a uno di quegli idioti per chiedergli cosa si fossero fumati. Ma tra quelle idiozie c'era qualcosa di tristemente vero. Agnes aveva  lasciato l'appartamento, come gli aveva confermato Dave nel corso di una breve e difficile telefonata.
A quel punto era iniziata la ricerca, ma né Agnes né Astrid avevano risposto alle sue telefonate e, se non fosse stato per i soliti tabloid, non avrebbe mai scoperto che l'amica era tornata a Parigi.
Non la capiva. Aveva lasciato Ian, questo era chiaro. Ma aveva lasciato anche Londra e ora  si negava a lui. Poteva immaginare cosa provasse in quel momento; poteva supporre le ragioni di quella fuga. Ma si fermava lì. Per la prima volta da quando la conosceva, non gli era chiaro cosa ci fosse dietro il silenzio di Agnes.
Innervositosi a causa di quei pensieri, accese la televisione nella speranza di distrarsi da quei pensieri. Speranza peraltro vana, dato che si ritrovò faccia a faccia con la fonte dei suoi problemi, la causa del suo malumore.
Sullo schermo scorrevano le immagini di una sala conferenze piena di giornalisti e una figura ben nota intenta a parlare.

***

Quella posizione rialzata rispetto alla platea avrebbe dovuto dargli un senso di controllo. Controllo della situazione, di sè e di tutto ciò che lo circondava.
Ma Ian, seduto in quella sala conferenze con accanto il suo manager, aveva la sensazione di essere tornato a scuola, quando gli insegnanti lo guardavano impazienti di ricevere risposta alle loro domande. Ecco, si sentiva esattamente un moccioso.
-Ian, come spiega la fine dei Fifth Beatle?-
Pochi minuti prima era immerso dentro una grande vasca. Niente di lussuoso o di moderno. Una di quelle vecchio stile e dallo smalto giallastro.
-Capita- si costrinse a rispondere seccamente. -Capita di sbagliarsi e di credere in un progetto che poi si rivela un fallimento.
L'acqua lo avvolgeva piacevolmente, rendendolo insensibile ad ogni interferenza esterna. Ed era così calda e morbida da liquefare ogni inquietudine.
-E quali sono i suoi progetti futuri?
Aveva notato con disappunto che il vapore gli impediva di guardarsi intorno. E dopotutto quell'acqua forse era davvero troppa. Forse anche troppo calda.
-Ian ha concordato con Dave e Karl di continuare il progetto senza Colin- intervenne Wilson togliendolo da quell'incombenza. -Ma il progetto ora porterà il nome del suo vero leader- spiegò con uno sguardo orgoglioso in direzione di Ian.
Il leggero fastidio si era trasformato in una strana ansia. Voleva alzarsi da lì, ma non ci riusciva.
-I suoi rapporti con Colin si sono interrotti?
Iniziava a bruciare maledettamente.
-No-si sforzò di ricordare le parole che gli avevano imposto di dire in quel caso. -Ci sono state delle divergenze, diversi punti di vista. Ma adesso è tutto chiarito e auguro al mio collega di avere successo con i suoi progetti futuri.
E quando aveva pensato che a momenti si sarebbe sciolto in quel liquido rovente, questo si era raffreddato.  A quel punto l'acqua, sempre più gelida, aveva iniziato a penetrare la pelle e a percorrergli ogni singola vena, ogni singolo capillare.
-Sa dirci qualcosa sull'allontanamento di Miss Dayle? Come mai ha lasciato il vostro appartamento?
Attraverso i vasi sanguigni era arrivata dritta al cuore. E lui aveva avvertito l'esatto momento in cui questo si era fermato.L'avrebbero trovato in quella vasca, con il capo inclinato e un'espressione compiaciuta in volto.
-Era stanca del tanfo di sigaretta.
Non ricordava a che ora si fosse alzato quella mattina.
Mi sono svegliato stamattina?

***

La macchina si fermò in attesa che le sbarre venissero sollevate. Colin gettò un'occhiata all'enorme insegna che recitava Pinewood Studios. C'era già stato nel mese di dicembre per prendere familiarità con quello che era uno dei più famosi teatri di posa d'Europa. Ma quel giorno, il 20 gennaio 2013, tutto acquisiva un nuovo significato. Quel giorno, infatti, sarebbero iniziate le riprese del film.
Da quando si era visto assegnato il ruolo di Elijah, aveva studiato il copione con una dedizione del tutto nuova per lui. Sapeva bene che senza Agnes e la sua notorietà non avrebbe mai ottenuto una parte così importante. Ma più volte aveva messo a tacere le sue insicurezze dicendosi che presto avrebbe mostrato di essere all'altezza delle aspettative.
Tuttavia, adesso che quel momento era infine giunto, una più che giustificata ansia lo aveva paralizzato sul sedile dell'elegante auto che l'aveva portato lì. Così, quando questa arrivò a destinazione, dovette  imporsi con la forza di alzarsi e uscire fuori.
Dentro lo studio lo accolsero volti che già aveva avuto modo di conoscere.
-Ah, il nostro campione è arrivato,-lo salutò sorridente Chuck Royce. Ogni volta che parlavano, Colin stentava a riconoscere nel regista la stessa persona che lo aveva trattato con tanta indifferenza e superiorità nel corso del provino. Adesso era affabile e pieno di attenzioni, asfissianti attenzioni per l'esattezza.
-Ciao Chuck- lo salutò sorridente. Non sapeva se quel cambiamento fosse genuino o no, ma nel dubbio avrebbe ricambiato la sua cortesia.
Dopo che ebbe salutato i due incaricati della casa di produzione, fu preso in consegna da truccatori e costumisti.
Quella mattina avrebbero girato una scena che si collocava a metà film. Nicole, trovatasi catapultata nella Londra dell'800, andava alla ricerca dell'unico legame con il suo mondo: l'enigmatico violinista che aveva visto suonare a teatro. La scena si svolgeva all'interno della casa di Elijah.
Mentre si aggirava nervoso tra i corridoi degli studios, Colin sentì qualcuno pronunciare il suo nome. Attirato dallo strano tono usato da chi stava parlando, si fermò ad acoltare.
-Ma almeno sa recitare?
Dalla pesante cadenza americana Colin intuì subito di chi si trattava. I due incaricati della produzione: Mitchell e Morgan.
-Chuck sostiene di sì. Ma alla fine che te ne frega? Negli ultimi tempi tirano solo i vampiri e il 3D. Questo film non aveva possibilità di successo. Ora i giornalisti ne parlano continuamente per quella faccenda del gruppo...
-Con il nostro incoraggiamento, ovviamente- ghignò l'altro. -Comunque, chiedevo per prepararmi. Se è un disastro, dovremmo cercare di tagliare un po' delle sue scene.
-Per quello c'è sempre la post-produzione, tranquillo.
Colin si allontanò rapidamente dai due. Alla fine ecco svelata la verità; ecco l'unico motivo per cui la produzione aveva scelto di dare il ruolo di Elijah a un attore esordiente.
Distratto com'era, non si accorse nemmeno di essere arrivato nelle vicinanze del set. Gli diedero in mano il violino di Elijah e l'aiuto regista gli ricordò la serie di gesti che doveva compiere nella scena.
Si posizionò davanti a una finestra e sistemò il violino sulla spalla come aveva imparato nel corso di alcune lezioni. Avrebbe solo finto di suonare, ma doveva comunque mostrare una buona familiarità con lo strumento.
-Silenzio.
Adesso che era arrivato il suo momento, non avrebbe permesso a quei due sconosciuti di rovinarglielo. Non aveva rinunciato all'amicizia di Ian per vedersi trattato come un povero idiota, come uno strumento per far soldi.
-Motore.
Poteva farcela, poteva dimostrare di essere all'altezza del film. D'altronde non c'erano neanche delle aspettative da poter deludere...
-Ciak.
Fece un respiro profondo e scacciò via ogni pensiero che fosse appartenuto a Colin.
-Azione.
E fu Elijah.

***

-Ian, amico mio!
Woody gli veniva incontro con il suo solito modo di fare: un brutto sorriso, braccia aperte e un intercedere da re del mondo. Non importava dove si trovasse o quale compagnia più o meno raccomandabile lo circondasse. Woody era sempre il solito musicista arrogante e borioso dalle cui labbra tutti pendevano. Tutti tranne Ian. E forse proprio quel suo essere l'eccezione che confermava la regola aveva permesso loro di stringere un legame sincero privo di inutili formalismi.
Si abbracciarono brevemente e subito Woody iniziò con i soliti rimproveri allegri e poco sentiti.
-Cazzo, ti avrò chiesto di venire una decina di volte. Ma tu devi fare sempre l'eremita in quel buco di appartamento!
-Adesso che sono qui mi pento di averti dato retta- gli rispose dedicando un'occhiata ironica all'atmosfera decadente del locale.
Era poco più di un vecchio garage dai muri imbrattati da graffiti più o meno artistici. A destra c'era un bancone contro cui si accalcava la gente, in fondo la zona in cui un gruppo emergente si stava esibendo. Loro si trovavano in un'area delimitata da un paio di cordoni rovinati e divanetti rossi che dovevano aver visto giorni migliori.
-Voglio presentarti a qualche amico,- gli disse mentre con un ghigno divertito lo spingeva verso un gruppo di persone poco più in là.-Visto che ti sei degnato di venire nel mio esclusivo locale, non ti seccherà farmi un po' di pubblicità.
-Il tuo nuovo locale....-commentò Ian ironico.-Chi hai fregato stavolta?
L'altro gli rivolse un sorriso enigmatico prima di gettarlo in mezzo a quel miscuglio di artisti  dallo sguardo vacuo, intellettuali logorroici, poveracci altezzosi e sconosciuti troppo cortesi.
Poco prima di lasciarlo a quell'indesiderato pubblico, Woody gli diede una pacca sulla spalla e fece cadere sulla mano qualcosa di estremamente leggero e apparentemente innocuo.
-Per rilassarti un po'...
Un paio di minuti dopo o forse dopo interminabili ore, Ian parlava. Parlava di argomenti insignificanti e che non conosceva. Fumava anche: tiri lunghi e profondi a volte, troppo brevi e nervosi altre. Ballava al tempo di una musica che davvero non riusciva a sentire e sorrideva a battute che non coglieva.
Non seppe dire come fosse arrivato al divano su cui ora era seduto. Accanto a lui c'era qualcuno.
-Amo i tuoi testi. Quando ascolto le tue canzoni riesco a ritrovare me stessa...
Aveva parlato abbastanza per quella sera. Ora non ne aveva più voglia. Voleva qualcos'altro e non sapeva bene cosa.
Si girò a guardare la donna che da un po' di tempo era seduta vicino a lui. Dovette scrutarla con particolare attenzione per comprendere che in realtà era poco più di una ragazzina.
-Cosa vuoi?- le domandò mentre il suo sguardo si faceva più sottile.
La ragazza sembrò imbarazzarsi e ad occhi bassi gli disse ciò che voleva.
-Conoscerti- spiegò con un sorriso semplice.
Non appena sollevò lo sguardo nella sua direzione, Ian si scostò bruscamente da lei. Due occhi grandi e ingenui lo stavano fissando. Non era questo che voleva.
-Ti accontenterò un'altra volta,- mormorò nello stesso momento in cui si alzava e si allontanava verso il bagno.
C'era qualcosa di cui aveva bisogno. Uno spazio vuoto da qualche parte dentro di lui.
-Ian, attento a quello che fai. Ho visto due tipi fotografarti.- lo avvertì Woody non appena ebbe rimesso piede nel privè.
Si aggirava per le stanze, guardandosi intorno con attenzione. Dov'era? Cosa cercava?
Si sedette su un divano e riconobbe i due fotografi. -Patetici,- mormorò.
Mosso da quell'inspiegabile bisogno era entrato  nella camera da letto. Un mucchio di vestiti sul pavimento, i resti di una notte di delirio sul comodino e un corpo avvolto tra le coperte.
-Posso sedermi qui?
Ian gettò un'occhiata ai due tizi intenti a studiare ogni suo gesto. Ghignò mentre si sistemava sul divano e annuiva alla donna che era appena comparsa davanti a lui.'
Preso da una strana euforia, si era disteso accanto a quel corpo caldo e l'aveva chiamata per nome. Soddisfatto, l'aveva sentita prendere coscienza.
-Cosa vuoi?- domandò senza che ce ne fosse bisogno. La donna infatti gli stava appiccicata e aveva già portato una mano sulla sua coscia.
-Te.
L'aveva guardata girarsi lentamente e aveva trattenuto il respiro non appena il volto di lei gli aveva svelato l'inganno.
Nel tentativo di scacciare quelle immagini insensate, Ian  lanciò un'occhiata distratta ai fotografi e una ancora più indifferente alla donna.
-Allora baciami.
Non era lei. Lei era perduta. E su quel grande letto c'era solo un volto anonimo, una patetica imitazione di ciò che aveva perso.
Mentre le sue labbra scivolavano su quelle della sconosciuta, Ian sentì gli occhi bruciare a causa dei flash.
-Ma...-esclamò la donna che confusa prese a guardarsi intorno.
-Non ci pensare, baciami-le disse senza alcuna gentilezza.
Appena chiuse gli occhi le immagini tornarono a scorrere nella sua mente...
Poteva avvertire su di sé il corpo della sconosciuta. Tentava di arrivare a lui e così colmare quello spazio vuoto. Ma era inutile. Le sue carezze, il suo sguardo, i suoi baci...tutto in lei era tiepido e lo attraversava da parte a parte senza lasciare traccia dentro di lui.
-Lo sai che domani ne parleranno tutti, vero?- gli domandò contro le labbra che non davano cenno di volersi fermare. -Non ti dà fastidio?- insistette con un cenno divertito ai fotografi.
-Sì.- si costrinse a risponderle.
-E allora perché lo fai?
Preso dalla frustrazione aveva allontanato la donna da sé e le aveva voltato le spalle, incurante delle offese mormorate a denti stretti.E quando poi era arrivato il familiare torpore, lo aveva accolto come un buon amico. Non aveva paura, solo... la voleva accanto. No, non quella sconosciuta, ma lei. Lei che era perduta.
-Così lei saprà.
Forse Ian non era in quel locale. Forse in realtà quel giorno non si era mai svegliato.

***

-Non puoi amarci entrambi. Stai mentendo.
Si alzò dal divano e le si avvicinò pericolosamente. La mandibola contratta, gli occhi furibondi fissi sul volto confuso di lei.
-Mi dispiace...Io lo amo.- gli rispose ad occhi bassi.
-Come puoi dire questo?-la interruppe bruscamente.-Come puoi amare un simile tipo d'uomo?
Lasciò scorrere due dita tremanti sul volto pallido della donna.
-Nicole, lui non ti amerà mai come ti amo io.-mormorò sempre più vicino alle sue labbra.-Lui ti farà a pezzi, ti toglierà tutto quello che hai di buono, tutta la tua purezza.
-Guardami-la pregò mentre le sollevava il mento.
-Dimmi che non è stato tutto inutile.
Strinse la presa sul mento ferendola.
-Dimmi che almeno stavolta non sceglierai lui.
Come per farsi perdonare, avvicinò le labbra a quelle della donna e le accarezzò con una lentezza esasperante.
-Dimmi che resterai con me.
E la baciò.
-Eee....Stop!
Colin si scostò rapidamente da Serena.
-Hei, solitamente fanno la fila per baciarmi!- lo canzonò fingendosi risentita.
Colin si sentiva troppo scosso per ricambiare la battuta e si limitò a sorriderle controvoglia. Per fortuna arrivò il regista a toglierlo da quell'impaccio.
-Ragazzi, scena perfetta. Più tardi la gireremo da altre angolazioni. Ora prendetevi pure una pausa.
Ne approfittò subito per rifugiarsi nel suo camerino e, non appena vi fu arrivato, aprì la finestra per lasciare entrare l'aria gelida di febbraio. Respirò a pieni polmoni e scosse la testa per scacciare via i pensieri che lo stavano infastidendo.
Nel momento in cui stava per accendere una sigaretta, il silenzio venne interrotto bruscamente.
-E quando stavo per cambiare opinione sul tuo conto, tu fai qualcosa che conferma la mia prima impressione. Sei proprio un imbecille.
-Non puoi fare a meno di me, ammettillo.- le rispose rivolgendole il sorrisetto che tanto detestava.
-Oh, ma perché stai fumando?- commentò spazientita.-Avevi promesso che avresti smesso.
-Non ho mai detto nulla del genere.- rispose mentre faceva un tiro particolarmente profondo.
-E va bene...ti ho pregato di non fumare in mia presenza.-ammise imbronciata. Colin si mise a ridere appena la vide tirare fuori dalla tasca una bustina e aprirla.
-Serena...-la chiamò senza smettere di ridere.-Non avevi detto che avresti smesso
-Non posso farci niente. Amo questa roba,- gli rispose mentre si portava alla bocca quella cosa appiccicosa. -Ne vuoi?
-Quella cosa non è cibo. Il cibo non può essere rosa...
-La solita storia...-scosse la testa afflitta. -E' zucchero filato ed è buonissimo.-gli spiegò come se fosse un bambino.
Colin spense la sigaretta e si andò a sedere accanto a lei sul divano. Prese un po' di quella roba inconsistente e quando gli si sciolse subito in bocca la guardò schifato. Poi però continuò a mangiarlo, mentre lei lo guardava pensierosa.
-Mi dici cosa ti passa per la mente?
Colin la guardò un attimo prima di riportare l'attenzione sullo zucchero filato.
La conosceva da poco più di un mese ed era la seconda persona con cui era riuscito a creare da subito un rapporto così forte. Per il resto del mondo Serena Parker era una delle tante attrici emergenti degli Stati Uniti, conosciuta nel mondo cinematografico per il suo carattere volubile e capriccioso. Ed effettivamente era anche questo, Serena. Perfezionista e pedante nel lavoro, maniaca del controllo nella vita privata. Ma Serena era anche una persona che amava osservare gli altri, capirli come nemmeno loro riuscivano a fare con se stessi. Ed era una dote, questa, che aveva usato fin da subito nei confronti di Colin.
-Quella scena...-gli disse con il tono più gentile.-Eri davvero immedesimato in Elijah. Anzi, direi che c'era davvero poco del personaggio in quel che hai fatto.
-La spiegazione non è quella che pensi tu.-le rispose tranquillo.
-Non hai pensato ad Agnes e Ian?
Colin sorrise divertito.
-Sì, ho pensato  a loro. Ma io non sono innamorato di Agnes.
-E allora perché hai stretto il mio povero mento in quel modo?
-Ho sempre saputo con estrema chiarezza come sarebbe finita tra Agnes e Ian. Si amano, di questo ne sono sicuro. Ma Ian ha troppi spazi vuoti da colmare, insicurezze troppo radicate. Non potrà mai mettere al primo posto il bene di Agnes e dubito che lei sia abbastanza forte da non farsi trascinare insieme a lui. L'amore di Ian potrebbe farla a pezzi, potrebbe portarle via il suo lato migliore...
-L'amore di Ian te l'ha portata via...-commentò l'altra accarezzandogli la spalla.-Continua a non rispondere alle tue telefonate, vero?
Colin annuì impercettibilmente.
-Non capisco perché mi rifiuta.

***

C'era qualcosa di estremamente ridicolo in quella folla urlante davanti a lui. E anche se poteva vedere solo qualcuno di quei visi deformati nell'atto di cantare, ciò era comunque sufficiente a trasmettergli un familiare senso di repulsione.
Questo era uno di quei pensieri pericolosi che avrebbe dovuto cacciare via. Ma suonava meccanicamente, cantava senza fatica. E su qualcosa doveva pure concentrare la mente. E quindi eccoli lì, pensieri pericolosi e domande insinuanti.
Mentre rivolgeva ringraziamenti distratti e dava inizio a un nuovo pezzo, tornò a chiedersi se davvero fosse così facile ingannare gli altri e, come tutte le volte, si domandò come la gente potesse entusiasmarsi tanto per qualcuno come lui.
Lì c'era uno spettacolo che avrebbe dovuto lasciarlo senza fiato: ragazzi che conoscevano le sue parole, si muovevano al tempo della sua musica e chiamavano il suo nome. Ma Ian avrebbe voluto essere altrove. Non che fosse cambiato il suo rapporto con la musica. Non che qualcosa in lui fosse mai cambiato. Di diverso c'era che adesso non stava più alla destra del palco, ma al centro. E questo insignificante particolare lo faceva sentire un truffatore, un bugiardo.
Non era fatto per quel ruolo. Per lui la musica era sempre stata qualcosa di intimo, personale. Aveva sempre scritto e suonato solo per se stesso, senza illudersi che quei testi e quella musica avrebbero significato qualcosa per qualcun altro. Aveva sempre saputo di non essere bravo a interagire con gli altri.
Poi aveva conosciuto Colin e in lui aveva trovato la soluzione.  Con la sua empatia e quella straordinaria capacità di accattivarsi la simpatia altrui, Colin era stato per molto tempo la voce con cui Ian aveva potuto esprimere se stesso.
Voce che adesso se ne era andata, lasciando uno spazio vuoto e un altro mattone a comporre il muro.
E allora perché aveva accettato quel progetto in cui non credeva?
Perché scrivere e suonare erano parte di lui, ciò che lo definiva. Erano azioni naturali e meccaniche. Che lo facesse in una bettola, a casa o davanti a una folla urlante non cambiava poi molto. Ma in quel modo riusciva a non sentirsi solo per un paio di ore e la vita gli sembrava trascorrere appena un po' più rapida.
E' così lunga la vita quando si è soli.

***

-Credevo che la parte più difficile fosse girare il film.
-Questo perché sei solo un dilettante,-rispose Serena accomodandosi sulla poltrona accanto a lui.
-Credo che quando finirà la promozione del film non sorriderò mai più.- continuò senza prestare attenzione al suo commento ironico.-Non avevo mai sorriso quanto nelle ultime settimane.
Serena lo guardò con sufficienza mentre si massaggiava la mandibola.
-Cerca di resistere, povero tesoro. Ne abbiamo per un altro mese...
Le riprese del film erano terminate a metà maggio. Da ormai due settimane, aveva avuto inizio un'agguerita campagna di promozione che aveva come protagonisti gli attori di Somewhere, Somehow. Colin e Serena dovevano presenziare a eventi mondani, sfilate e show televisivi. Per non parlare dei numerosi servizi fotografici e delle interviste per i giornali.
Un tonfo attirò l'attenzione di entrambi. Una donna era inciampata su se stessa mentre si stava avvicinando allo studio dove si sarebbe tenuta l'ennesima intervista promozionale.
-Mandy!-la salutarono all'unisono.
L'autrice rivolse loro un sorriso imbarazzato che finì con l'evidenziare il rossore delle sue guance.
Pochi minuti dopo ebbe inizio l'intervista.
Dopo una serie di domande innocue, la giornalista rivolse la sua attenzione a Colin.
-Come sai già, c'è chi ha espresso delle perplessità nei tuoi confronti. Come rispondi a chi non ti ritiene all'altezza del ruolo?
Quando in passato venivano messe in dubbio le sue capacità come musicista, Colin rispondeva sempre con una battuta stupida, ma dentro di sé accusava sempre il colpo. Se lui stesso non si sentiva un musicista eccellente, come poteva smentire quelle critiche?
A quella domanda, invece, rispose in modo serio, senza lasciare spazio a nessuna insicurezza.
-Somewhere, Somehow è il mio primo film, ma questo lo sapete già...-disse sorridendo.-Ho cercato di compensare la mia inesperienza con l'impegno e l'amore per la storia e il personaggio. Spero che il pubblico riuscirà ad apprezzare entrambe le cose.
-Mi dispiace deludere il mio collega,-si intromise Serena.- Penso che il pubblico apprezzerà soprattutto la scena in cui Nicole lo sorprende mezzo nudo.
Dopo che ebbe rivolto altre domande a Mrs. Loup, la giornalista fece la domanda che concludeva quasi tutte le interviste di Colin.
-Ha interrotto ogni rapporto con Agnes e Ian, come mai?
-In realtà siamo solo molto impegnati con il lavoro. Io ho finito da poco le riprese del film, Ian è in giro per la sua tourné e Agnes...Agnes non si ferma in una città per più di un giorno.
-Quindi è solo il lavoro a tenervi lontani?-domandò scettica.
-Sì, ci sentiamo praticamente ogni giorno.-rispose con un sorriso che gli fece dolere le guance.
Quando arrivò nel camerino che gli era stato riservato, il suo cellulare iniziò a squillare.
Non ebbe bisogno di controllare lo schermo per sapere chi lo stava chiamando. Aveva desiderato così intensamente quella telefonata che doveva essere per forza quella persona.
Si portò il cellulare all'orecchio e la salutò.
-Ciao, Agy...

***

Quando arrivò sul pianerottolo di casa, Ian rimase un attimo fermo a guardare la porta. Era da almeno tre mesi che non entrava nel suo appartamento. A marzo lo aveva lasciato per dare inizio a quella serie di concerti che lo avevano portato nelle maggiori città del  Regno Unito. Si trattava di una strategia della EMI per abituare i fans a quel progetto solista. L'idea era che Ian si sarebbe fatto apprezzare nelle altre città, così da far parlare di sé e creare delle aspettative tra i londinesi. E così le ultime due tappe della tourné erano previste proprio nella sua città: il 15 giugno e il 20 luglio.
Mentre infilava la chiave nella serratura, notò infastidito un leggero tremore alle mani. Cercò di ignorarlo e aprì la porta con uno strattone.
Non aveva fatto che un semplice passo quando il borsone gli scivolò dalla mano e cadde sul pavimento. Un attimo dopo aveva già dato le spalle al buio e al silenzio che lo avevano accolto. Un attimo dopo era già in macchina, senza nessuna meta ad attenderlo.
Senza nemmeno prestarci attenzione, si ritrovò a posteggiare nelle vicinanze della Camden. C'era un posto lì vicino che conosceva bene, un posto che gli era mancato molto.
-Guarda chi si vede. La star è tornata in città!
In passato quel tono canzonatorio lo avrebbe offeso. Ma per quella volta lasciò correre e si limitò a sorridere al vecchio barista.
-Ciao anche a te, Gheorghe.
Questi gli fece cenno di sedersi davanti al bancone.
-Cosa ti offro?
-Ah, adesso offri? Quando suonavo qui, dovevamo rubartele le birre...- scosse la testa divertito.
-Che c'entra, ai tempi non me la passavo così bene come ora. Grazie ai Fifth Beatle questa topaia è diventata luogo di ritrovo di tutti gli alternativi, intellettualoidi e finti musicisti di Londra. Ora posso offrirti ciò che vuoi,- concluse con un cenno alle bottiglie dietro di lui.
-Un single malt.
-Ho un Glenfiddich di diciotto anni che è una meraviglia,- gli rispose mentre compiaciuto cercava la bottiglia.-Comunque se stasera cercavi tranquillità hai sbagliato posto. Abbiamo un concerto e ci sarà un bel po' di movimento.
Ian scosse la testa indifferente.
-Non cercavo nulla.
Lentamente il locale iniziò a riempirsi. Alcuni clienti mostrarono una certa curiosità per Ian, riconoscendolo immediatamente. Ma fu sufficiente una sua occhiata per scoraggiarli dall'avvicinarsi.
Man mano che il posto si andava facendo sempre più affollato, Gheorghe aveva sempre più difficoltà a parlare con lui. Non che a Ian cambiasse molto, ma sembrava che al vecchio interessasse particolarmente quello scambio di parole.
-Ho sentito che la tourné sta andando bene...
-Sì, non c'è male.
-Magari potrei venire alla tappa di Londra. Quand'è?- domandò mentre puliva un bicchiere.
-In realtà sono due. Una è il 15 giugno e l'ultima il 20 luglio.
Gheorghe sgranò gli occhi e, nonostante li avesse abbassati subito, Ian lo notò comunque.
-Che c'è, sei impegnato? Non preoccuparti, non mi offendo!-lo rassicurò sorridendo.
-No, tranquillo. Il 15 sono libero. Il problema sarebbe il 20 luglio...
-Cazzo, come fai ad avere un impegno per quel giorno? Mancano quasi due mesi!
-In realtà quel giorno c'è la prima del film di Colin,-gli spiegò l'altro un po' imbarazzato.
Ian sorrise ironico e quando parlò non gli riuscì di trattenere l'amarezza che gli avevano provocato quelle parole.
-Sempre pronto a rubare la scena, il nostro attore.
Si alzò e, dopo essersi scusato con Gheoghe, andò verso i bagni del locale. Prima di lasciare il Kirchherr's doveva fare qualcosa.
Tornò al bancone solo per salutare Gheorghe, ma nel momento in cui gli si stava per voltare le spalle questi gli afferrò il polso.
-Sei proprio un ragazzino- commentò disgustato.
-Cosa?
-Guardami.-gli ordinò con voce dura.
Non capendo a cosa alludesse non si fece troppi problemi a portare lo sguardo sul viso di Gheorghe.
-Di cosa ti sei fatto nel mio bagno, mh?- gli domandò mentre la presa sul polso si faceva sempre più pressante e dolorosa.
-Una canna,- scandì Ian avvicinandosi al suo volto. Poi fece un cenno al suo braccio -Ora mi lasci?
-Una canna...- ripetè l'altro scuotendo la testa.-Senti, ragazzino, con chi pensi di parlare? Cosa hai preso?
-Penso di parlare con un coglione- rispose ignorando l'ultima domanda.
Lo vide annuire e poi muoversi rapidamente verso di lui.
-Ma che...?
Mentre con una mano continuava a tenerlo fermo, con l'altra gli stava perquisendo le tasche.
-Si dà il caso che questo coglione ti ha fregato,- gli disse sventolandogli le chiavi davanti al viso.-Non vuoi dirmi cosa hai preso? Cazzi tuoi. Per quanto mi riguarda te ne puoi andare a piedi.
-Dai, Gheorghe. Dammi le chiavi...-gli disse mentre una strana ansia si faceva spazio dentro di lui.
L'altro annuì e gli diede il mazzo di chiavi. Stava per tranquillizzarsi quando notò che mancava quella dell'auto.
-E' uno scherzo?- gli domandò nervoso.
Gheorghe sembrò ammorbidirsi un attimo, ma scosse la testa.
-Non è uno scherzo. Chiama qualcuno che ti venga a prendere.
-Non c'è nessuno.
Si guardarono in silenzio per qualche secondo, come se quell'ammissione avesse sorpreso entrambi. Poi Ian gli voltò le spalle e si diresse verso l'uscita. Sentì Gheorghe richiamarlo ripetutamente, ma non gli prestò attenzione. Nessuno dei due avrebbe ceduto di un passo, era chiaro.
Quando fu fuori, però, quella strana ansia si ripresentò. La ignorò e prese a camminare alla ricerca della fermata più vicina. Non seppe dire per quale motivo non volesse semplicemente chiamare un taxi. Sentiva il bisogno di camminare un po'.
Man mano che si addentrava tra le strade e i vicoli, però, l'angoscia si faceva più pressante. E non importava se intorno a lui si avvicendassero gruppetti di giovani alla ricerca del divertimento serale; ai suoi occhi quella zona di Londra appariva deserta, un luogo che pullulava di nemici nascosti nell'ombra.
Una parte di lui, forse l'ultimo brandello di razionalità rimastogli, ripeteva più e più volte che non c'era nulla da temere, che quella paura era insensata e priva di ogni fondamento. Ma quel pensiero era uno spiraglio troppo esiguo nell'ombra che aveva avviluppato la sua mente; e così si lasciava andare alle fantasie più inquietanti.
All'improvviso, tra tutte quelle fantasie e immagini terrificanti, una acquisì contorni chiari e vividi. Dietro l'angolo a cui si stava avvicinando c'era qualcuno. A breve sarebbe comparso da quell'angolo, gli avrebbe chiesto il suo nome e poi gli avrebbe sparato addosso cinque colpi di pistola, uccidendolo.
-Sto impazzendo...-mormorò portandosi una mano alla tempia.
Non riuscendo più a mettere un passo dietro l'altro, si fermò e si accasciò contro un muro. Chiuse gli occhi nel vano tentativo di calmarsi e per l'ennesima volta si ripetè che non c'era nessuno pronto a minacciarlo.
-Hey, Ian.
Lo colpirono al viso. Ripetutamente.
-Ian, che ci fai qui da solo?
Con estrema lentezza si portò una mano davanti agli occhi. I flash continuavano a colpirlo in viso, aumentando la sua confusione.
-Ci sembri un po' confuso. Hai preso qualcosa?
Quelle voci odiose lo stavano prendendo per il culo. Aveva una vaga percezione di che genere di spettacolo stesse dando in quel momento. Ma in quel momento non pensava né alle foto né ai video che l'indomani avrebbero messo in giro. No, voleva solo che lo lasciassero in pace.
-Non sto bene. Per favore...-mormorò a fatica.
L'ennesimo flash gli ferì gli occhi.
Dal momento che i fotografi non davano segno di smettere, si sforzò di prendere il cellulare dalla tasca. Quando un lampo di lucidità gli rese chiaro il nome della persona a cui stava telefonando, subito chiuse la chiamata. Poi cercò il numero dell'unica persona  che aveva il dovere di toglierlo da quella situazione.
Wilson arrivò dopo più di mezzora. E per tutto quel tempo i fotografi erano rimasti a fotografarlo. E quando aveva chiesto loro "non ne avete fatte abbastanza?", quelli avevano ridacchiato noncuranti e non gli avevano nemmeno risposto.
Il manager lo aiutò a farsi strada tra i paparazzi e a salire in auto. Solo quando furono abbastanza lontani, Ian si concesse un sospiro di sollievo.
-Ero convinto che avrei trovato qualche fotografo con un occhio nero e un paio di ossa rotte- tentò di scherzare l'agente.
Ian scosse le spalle indifferente.
-Non importa.
-Cosa?-chiese l'altro stranito.-Domani ti faranno a pezzi con quelle foto...
-Non fa niente. Volevo solo andarmene a casa.
Wilson dovette percepire qualcosa nel tono con cui aveva parlato, perché si schiarì la voce. Cosa che faceva quando voleva fargli un discorso serio.
-Ian, non ti capisco. La tourné sta andando alla grande, i concerti sono un successone e i fans ti amano. I tuoi sogni si stanno realizzando e tu sembri indifferente, quasi infastidito da tutto questo.
Ian si appoggiò meglio al sedile e sorrise stancamente.
-Quando siamo ragazzini crediamo che il nostro sogno sia talmente grande che ci porterà avanti per tutta la vita, e talmente puro da non poter essere intaccato dalle brutture che ci circondano. Ma questa è solo una bugia. La realtà è che anche i sogni più belli finiscono con il deperirsi: man mano che cresciamo si accartocciano su se stessi fino a scomparire. La realtà è che arrivi al punto di non volere più nulla, di perdere la voglia stessa di volere di più.
-Sei soltanto spaventato, Ian. Ottenere quello che si è sempre voluto fa paura, è normale...-cercò di rassicurarlo l'altro.
-Non hai capito. Non sono affatto spaventato. Io non sento nulla.
Fece una pausa e guardò scorrere quella fila interminabile di palazzi identici gli uni agli altri.
-I fans, la musica, la scrittura, le persone che mi circondano...-elencò con voce monocorde mentre la fronte si contraeva in un'espressione accigliata,-Non c'è niente che riesca a colmare gli spazi vuoti che ho dentro.
Era una giornata di nuvole,vento e pioggia. Appena era uscito dalla vecchia villa si era subito ritrovato con i vestiti appiccicati addosso. Nonostante l'aria fredda lo facesse rabbrividire, si muoveva lentamente, curandosi di proteggere solo i fogli che teneva in mano.
-Ho sempre invidiato Colin.-disse dopo un momento di silenzio.-La gente per lui è sempre stata fonte da cui trarre forza e l'entusiasmo che gli altri mostravano nei suoi confronti lo esaltavano. In tutta onestà non capisco come possa aver rinunciato a una cosa del genere...
Aveva trovato riparo all'interno di una serra poco distante da casa. Era il suo posto preferito di quel luogo. L'aria era quasi irrespirabile a causa delle piante e dell'odore di terra umida; il silenzio era interrotto solo dal lieve gocciolio dell'acqua che filtrava dalle numerose crepe del tetto. Si era seduto su una cassa di legno e aveva iniziato a scrivere.
-Io ci ho provato. Ho tentato di liberarmi da quei condizionamenti che mi perseguitano da quando sono nato. E per un po' di tempo mi sono anche illuso di poterci riuscire, di poter essere felice come chiunque altro. Ma per quanto ci abbia provato sono ancora fermo al punto di partenza.
Mentre le sue parole imbrattavano il foglio intonso, un raggio di sole era riuscito a filtrare dalle nubi e ad arrivare a lui. Aveva sollevato il capo e ad occhi socchiusi si era lasciato baciare dalla luce. Poi un lieve bruciore all'orecchio aveva attirato la sua attenzione facendogli portare una mano sulla testa.
-A quanto pare il muro è troppo alto perché la fuga possa riuscire-commentò con un sorriso ironico.
La mano aveva toccato qualcosa di viscoso e caldo e, incuriosito, l'aveva portata davanti al viso. Nessuno stupore, nessuna paura quando l'aveva vista insaguinata né quando, portando gli occhi sull'altra, l'aveva vista impugnare un'arma.
Wilson prese a parlare, rivolgendogli parole di incoraggiamento e speranza. Ma Ian non riusciva a sentirlo, preso com'era dalle immagini che gli attraversavano la mente.
Si era disteso sul pavimento sporco di terriccio ed erba e aveva sollevato il capo di nuovo verso quel raggio di sole. L'unico dubbio, l'unico pensiero che lo attraversava era chi l'avrebbe trovato, quanto tempo ci avrebbero messo.
Rispose qualcosa a Wilson, ma non seppe dire cosa gli stesse dicendo. Non sentiva nemmeno se stesso: muoveva le labbra, ma lui ormai era in quella serra, sotto quel pallido raggio di sole che a stento gli illuminava il viso.
L'avrebbero mai trovato?










Note:
Ed eccomi con il nuovo capitolo. Per prima cosa voglio ringraziarvi per  essere state pazienti, ma soprattutto per l'affetto che mi avete dimostrato. Tengo molto a ringraziare le tre splendide ragazze che hanno segnalato Down per l'inserimento tra le scelte: Elle, Sara e Matisse. Risponderò ad ognuna di voi, ma ci tengo molto a farvi sapere quanto mi hanno emozionata le vostre parole e la vostra fiducia nei miei confronti.
Ora, per quanto riguarda il capitolo, so bene che è qualcosa di diverso rispetto ai precedenti. Ma spero che l'alternanza dei punti di vista, l'assenza di Agnes, l'intreccio tra realtà e allucinazioni non vi abbiano spiazzate troppo.
Ciò che è poco chiaro sarà comunque chiarito meglio nel prossimo capitolo.

Le citazioni e la musica hanno un ruolo fondamentale in questo momento della storia. I sogni e le allucinazioni di Ian sono tutti dei riferimenti ad episodi reali o presunti tali che hanno interessato nell'ordine Ian Curtis, Jim Morrison, Sid Vicious, John Lennon e Kurt Cobain. Potrei stare ore a spiegarvi le storie di questi musicisti e come le ho interpretate, ma non vorrei annoiarvi! ^_^
Per rendere i pensieri e le sensazioni di Ian, mi hanno aiutata tanto: Insight dei Joy Division, Empty Spaces e Hey, you dei Pink Floyd e alla fine Meds dei Placebo(Un grazie speciale a Elle per questa perla, ma soprattutto per lo stupendo banner!)
Come avrete capito, Down in a Hole volge verso la fine e per l'esattezza mancano solo due capitoli. Proprio per questo motivo ho bisogno di tempo per scriverli e spero che saprete pazientare ancora un po'. Dopo tutta la fiducia che mi avete dimostrato, non vorrei mai deludervi con un finale affrettato o poco curato.
Vi ringrazio ancora.
Agnes








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Capitolo 17
*** Lord knows it would be the first time ***





A Mia Sorella,
A chi mi rende reale



Lord knows it would be the first time




─ Buonasera, Miss Dayle. Prego, di qua troverà il suo posto.

Dopo che l'ebbe accompagnata a sedersi, l'hostess prese gentilmente il suo bagaglio e lo posizionò nell'apposito scompartimento.
─ Per qualsiasi cosa, non esiti a chiamarci,─ si congedò sorridente.
Agnes si sistemò sul comodo sedile della prima classe. Lasciò scorrere la mano sinistra lungo il collo teso e sospirò stanca.
E nonostante le fosse sembrato di aver atteso un'eternità, in realtà l'aereo partì dal JFK di New York  puntuale. L'arrivo era previsto per le nove di mattina, secondo il fuso di Londra.
Al pensiero della capitale inglese, Agnes chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
Stava tornando a casa. E poco importava se nei mesi precedenti aveva più volte raggiunto Londra per motivi di lavoro. Come le aveva ripetuto Astrid in quelle occasioni, quella non era la sua città, ma solo un posto come un altro dove sfilare o fare servizi fotografici. Ciò nonostante, durante quei giorni di permanenza, aveva sempre programmato tutti i suoi spostamenti con massima attenzione, in modo da evitare incontri difficili.
Adesso, invece, tornava a casa. E non tanto perché non aveva con sé il biglietto di ritorno. No, quello aveva poco a che fare con quel miscuglio di ansia e tepore che l'aveva presa nel momento stesso in cui aveva deciso di partire. Stava tornando da Colin, la persona che nonostante tutto aveva sempre significato casa e conforto.
Non era affatto sicura di quella scelta.
Quel lontano novembre in cui aveva lasciato l'appartamento di Brixton, aveva rinunciato ad entrambi. Da un lato sentiva di non poter stare con Ian,  non dopo averlo visto trattare in quel modo odioso il loro amico; dall'altro aveva dovuto tagliare ogni rapporto con Colin. Era assurdo, illogico sicuramente, ma sentiva che il suo venir meno alla promessa fatta a Ian sarebbe stato ancora più grave se non avesse rinunciato anche a Colin.
E così, per diversi mesi, non aveva risposto alle sue telefonate ed era arrivata a cambiare numero; anche Astrid, pur non condividendo la sua decisione, aveva evitato di parlare con Colin e vietato ad ogni reception di  passare loro qualsiasi telefonata.
─ Miss Dayle, vorrebbe cenare?
Una voce cortese la distrasse per un attimo dai suoi pensieri. Agnes annuì rivolgendo un breve sorriso all'hostess, che subito le porse il menù.
─ Preferisce carne o pesce?

Dicembre

"Agnes, vuoi carne o pesce?" Una voce aspra, ma non meno ansiosa le stava parlando. Poteva sentirla chiaramente nonostante avesse il cuscino sopra la testa.
"Ho già mangiato" mormorò sistemandosi meglio il cuscino per rendere chiaro il suo bisogno di dormire.
"Non abbastanza" replicò Astrid infastidita. Un attimo dopo con un gesto brusco le tolse le coperte e il cuscino, lasciandola sguarnita di ogni protezione.
"E va bene..." sbuffò guardandola di sbieco. “Decidi tu, per me è lo stesso."
L'altra annuì e, mentre si allontanava per chiedere il servizio in camera, le ordinò di alzarsi e vestirsi.
Per un momento Agnes ebbe voglia di fare quello che le aveva detto l'amica. Sì, avrebbe fatto una doccia, si sarebbe truccata e avrebbe scelto con cura i vestiti da indossare. Poi sarebbe uscita per un motivo che non fosse il lavoro, così...per il gusto di fare una passeggiata.
Ma il momento dopo questo slancio sfumò rapidamente. Scosse la testa e tornò a distendersi. Quando ebbe sistemato su di sé anche l'ultima coperta, chiuse gli occhi.
Dei brividi, che non avevano nulla a che fare con il freddo, la percorsero lungo le gambe, la schiena e le braccia: sentiva il suo corpo intorpidirsi, qualcosa dentro di lei farsi sempre più piccolo. Ad occhi chiusi riusciva a vedersi dentro, a vedere la sua fragilità esposta al mondo esterno. Senza nessuna protezione.

L'hostess tornò con la sua cena a base di carne. La ringraziò con un ampio sorriso, silenziosamente grata per averla distratta da quel ricordo spiacevole.
─ Ha fatto una buona scelta.
Si voltò alla sua destra e notò per la prima volta la donna che le sedeva accanto: le rivolgeva un sorriso cortese e luminoso.
─ Non che il pesce sia brutto; ma vede...─ si avvicinò appena in segno di complicità,─ sa di tutto fuorché di pesce!
Agnes si ritrovò a ridacchiare.
─ Piacere, Adina Marshall.─ si presentò porgendole la mano. La pelle ambrata, gli occhi scuri e dalla forma particolare, così come la leggera difficoltà con cui aveva pronunciato il suo cognome suggerirono ad Agnes che non si trattava della classica donna inglese.
─ Piacere, io...
─ Agnes Dayle, ovviamente.─ la interruppe l'altra.  ─ L'ho vista praticamente tutti i giorni, nelle ultime settimane.
Agnes trascorse la mezzora successiva ad annuire educatamente mentre la donna le raccontava la sua vita. Adina aveva origini brasiliane, aveva avuto un discreto successo come modella, ma aveva abbandonato le passerelle quando un giovane Lord inglese le aveva proposto di sposarlo.
Agnes finse di ignorare la nota malinconica che aveva adombrato gli occhi di Adina quando le aveva raccontato che durante le sfilate anziché guardare i begli abiti, si perdeva ad osservare le modelle, le loro espressioni e i loro gesti.
─ Va a Londra per motivi di lavoro?─  le domandò guardandola con occhi curiosi e vitali.

Maggio
"Ciao, Agy."
Quando sentì la voce di Colin, la tenerezza con cui aveva pronunciato il suo nome, gli occhi si inumidirono e portò una mano alla bocca per bloccare la commozione, come se se ne vergognasse.
"Non parli?" insistette lui. E Agnes immaginò il sorriso che doveva illuminargli il volto mentre pronunciava quelle parole.
"Così non vale: se mi chiami così, non posso non piangere," cercò di scherzare mentre con l'indice cacciava via le lacrime dagli occhi.
"E' quello che meriti dopo tutto questo silenzio."
"Colin, io..."iniziò a scusarsi, ma lui la interruppe subito.
"Agnes, sto scherzando. Non ti nascondo che in questi mesi ho provato anche rabbia nei tuoi confronti. Ma adesso...Non voglio nessuna spiegazione." concluse calmo e rassicurante.
Lei rimase in silenzio nel tentativo di calmarsi e non farsi prendere dall'emozione.
Poi parlarono e ad Agnes sembrò di essere seduta sul vecchio divano di casa o su una panchina di Hyde Park. Certo, c'era quel confine che non doveva mai essere superato: dovevano stare attenti a non parlare di ciò che li aveva divisi per tanto tempo. Ma fu più facile del previsto: Colin le raccontò delle riprese, degli attori e di Chuck Royce; lei parlò delle città che aveva visto, di eccentrici fotografi e di simpatici episodi che l'avevano interessata.
Una parte di lei ammirava la facilità con cui avevano recuperato la loro complicità. Ma c'era anche quell'altra parte, quella che si sentiva in colpa per tutta la felicità che le stava regalando quel momento insieme a Colin.
Era la stessa parte che l'aveva spinta a rinunciare all'amico, una parte che in ogni caso aveva messo a tacere quando aveva deciso di telefonargli.
Nel corso dei mesi l'aveva osservato da lontano, grazie agli articoli di giornale e alle interviste; e, nonostante le critiche e le domande insinuanti, questo le aveva permesso di assistere al suo lento cambiamento: Colin non si nascondeva più dietro battute spiritose e frasi strampalate; era serio e con le sue risposte trasmetteva un equilibrio tutto nuovo.
Quella sera, nell'appartamento che aveva affittato lì a Parigi, Agnes aveva guardato in tv l'ennesima intervista di Colin e, non appena la giornalista aveva nominato lei e Ian, era rimasta disarmata davanti al sorriso tirato e allo sguardo malinconico dell'amico. E si era arresa.
"Mi piacerebbe essere presente la sera della prima."
Per una volta fu Colin a tacere in difficoltà.
"Piacerebbe anche a me." mormorò dopo un po' di tempo.
"Ci sarò! Tra qualche giorno andrò a New York per alcune sfilate di Ferragamo. Sarò impegnata fino ai primi di luglio. Ma il 20 sarò lì con te, promesso."


Grazie ad Adina il tempo sembrò scorrere più rapidamente. Era una persona molto loquace e allegra, ma affatto invadente; rispettava i suoi silenzi e la distraeva dai pensieri più tristi. Guardarono un film e lo commentarono ampiamente dopo che fu finito.
A un certo punto, però, Adina si assopì e Agnes, fin troppo sveglia, controllò l'ora: erano ancora le due di mattina, secondo il fuso di New York. Poiché mancavano ancora due ore di viaggio, cercò qualcosa per impiegare il tempo e lo trovò proprio sul tavolino davanti al sedile di Adina. Allungò la mano e prese la rivista.
Appena ebbe sfogliato le prime pagine, però, rimpianse la sua scelta: c'era un intero articolo dedicato a Ian.
Come tutte le volte, non poté impedirsi di leggere nella speranza di scoprire qualcosa di lui. Ma le bastarono alcuni righi e le immagini per comprendere ancora una volta che non c'era traccia del suo Ian.
L'articolo parlava di un esibizionista pronto a tutto pur di fare scalpore; di un musicista che sprecava il suo potenziale con droghe e alcol; di denunce e arresti per lesioni e, infine, di una tournée andata complessivamente bene ma senza l'entusiasmo che aveva contraddistinto le prime esibizioni dei Fifth Beatle.
Il rapporto tra Ian e i giornalisti si era fatto ancora più teso e complicato: i fotografi gli stavano sempre con il fiato sul collo, perennemente pronti a ritrarlo in atteggiamenti scandalosi e mortificanti; lui, invece, era del tutto imprevedibile: c'erano volte in cui sembrava cercarli per dare il peggio di sé, cosa che aveva fatto quando nel corso di una festa aveva aperto le finestre e, insieme ad altri uomini visibilmente ubriachi, aveva quasi buttato dal primo piano una ragazza; e c'erano volte in cui si mostrava insofferente a qualsiasi attenzione, chiudendosi in un silenzio carico di tensione e arrivando in certi casi a picchiare quei fotografi particolarmente insistenti.
Agnes odiava gli articoli dedicati a Ian, perché ogni volta la illudevano di poterlo ritrovare, anche per un solo momento; odiava quelle fotografie, perché ritraevano un guscio vuoto e uno sguardo vacuo; e ancora di più sentiva di odiare i giornalisti e i fotografi, colpevoli, con la loro inopportuna invadenza, di accelerare l'inesorabile caduta di cui lei era stata la vera responsabile.
Agnes lo sapeva ormai da tempo: era colpa sua.

Febbraio

"Agnes, per favore..."
"Cosa c'è adesso?" domandò infastidita senza nemmeno sollevare lo sguardo dal tablet.
Vide di sfuggita Astrid fare uno sbrigativo cenno di scuse alla truccatrice e, appena quest'ultima si fu allontanata, tornò a parlare con quel tono piccato che tanto detestava.
"Guardati... Non riesci a farne a meno neppure quando sei a lavoro."
"Ma che dici? Stavo cercando di ingannare il tempo mentre Isobel mi truccava."
"Ah, ingannare il tempo..."ripeté l'altra malevola. "E come? Cercando articoli e foto su un certo musicista?"
Agnes poggiò il tablet sul tavolo e si voltò finalmente a guardarla: l'ansia e la preoccupazione erano fin troppo evidenti sul volto di Astrid; ma non poteva e non voleva darvi importanza in quel momento.
"Non sono affari tuoi."
L'amica scosse la testa mentre un sorriso beffardo prendeva spazio sul suo viso.
"Ma lo diventano quando ti trovo in lacrime dopo la sua ennesima bravata, vero? Agnes, devi lasciarlo andare. Se continui così..."
"L'ho già lasciato." la interruppe con voce improvvisamente acuta. Fece un profondo respiro per calmarsi e tornò a parlare: la voce forzatamente bassa. "Sarà infantile, forse masochista, ma hai ragione: non posso farne a meno. Io devo sapere come sta, cosa gli succede."
Astrid fece per parlare, ma uno sguardo di Agnes la fece desistere.
"Ti prometto che cercherò di non piangere più. Ma adesso lasciami stare."
Nel pronunciare le ultime parole aveva abbassato lo sguardo e ripreso il tablet tra le mani. Mentre Astrid si allontanava, probabilmente per cercare la truccatrice, Agnes si vide comparire sullo schermo le immagini di un noto locale londinese e di due persone avvinghiate su un divano rosso.
Non ebbe bisogno di leggere la didascalia per capire di chi si trattava. Avrebbe riconosciuto ovunque quelle dita affusolate che stringevano i capelli castani della donna.
Ian.
Non si concesse né lacrime né espressioni di dolore  mentre scorreva le foto una dietro l'altra. Si fermò solo quando ne trovò una in cui si intravedeva il suo volto, e in particolare gli occhi. Quello sguardo parlava di sfida e rancore ed era lo stesso che l'aveva ferita la notte in cui era venuta meno alla sua promessa. Quello sguardo era per lei.
Era colpa sua.

Assorta com'era nei suoi pensieri, impiegò qualche secondo per capire l'origine dell'improvviso chiarore all'interno della cabina: in lontananza stava nascendo il sole. Stranita guardò l'ora per poi ricordarsi del fuso orario. Si stava avvicinando all'Europa, stava arrivando a casa.
Ma quell'alba così repentina lasciò spazio, dopo pochi minuti, a una luce molto più intensa.
Era come se negli ultimi mesi il tempo si fosse fermato e adesso, a un passo da Londra, era tornato a correre troppo rapidamente e a prendersi gioco di lei, senza darle altra possibilità se non quella di lasciarsi trascinare dalla sua forza ineluttabile.

***

Era una calda domenica estiva; ma i londinesi rimasti in città non sembravano troppo scontenti di non trovarsi su una spiaggia assolata: i prati di Hyde Park erano gremiti di ragazze distese al sole e di ragazzi occupati ad inseguire un pallone; delle barchette si muovevano pigre sul Serpentine, la cui superficie era increspata da onde vivaci; c’era poi chi si ostinava a leggere all’ombra di un albero nonostante le occasionali urla dei bambini che, divertiti, cercavano di catturare gli scoiattoli o le oche.
Seduta su una panchina posta sulla riva del lago, Agnes ricordò i primi tempi della sua vita lì a Londra, e in particolare come fosse solita rifugiarsi in uno di quei grandi parchi e trascorrere il suo tempo ad osservare la gente che le passava accanto. Era qualcosa che non faceva da tempo, un lusso che non si era più potuta permettere.
Dentro Agnes non c’era un vuoto da colmare, ma tutto il contrario. Anni prima aveva desiderato qualcosa di più che una semplice esistenza in un piccolo angolo di mondo, ma non aveva idea che ci sarebbe stato un simile prezzo da pagare. Dentro di lei, infatti, non c’era spazio per nulla: né amicizie né amori, né interessi né passioni. Tempo addietro aveva avuto tutto quello che aveva sempre desiderato; poi le circostanze glielo avevano sottratto e lei aveva perso interesse per ciò che la circondava.
Non c’era niente che potesse competere con quello che le aveva regalato Londra. Non c’era nulla con cui barattare ciò che le era rimasto della sua passata felicità.
─ Sei sempre stata un tipo sentimentale.
Non dovette impiegare neanche un momento per riconoscere la voce che aveva parlato alle sue spalle.
─ Proprio questa panchina poi…
Quando sentì le mani posarsi sulle sue spalle, piegò il capo nel tentativo di cacciare via le lacrime. Non voleva mostrargli per l’ennesima volta la sua fragilità. Voleva solo sorridergli, senza nessuna nota malinconica a rovinare quell’incontro.
─ Come hai fatto? Hai dovuto scacciare malamente il povero vecchio che l’aveva già occupata?
E sorrise scuotendo la testa: era sempre lui, non avrebbe detto nulla sui suoi occhi umidi.
─ No, ho dovuto pagarlo.─  rispose mentre si voltava a guardarlo. Poteva avvertire lei stessa come il sorriso che le illuminava il viso fosse il più sincero degli ultimi mesi.
E nonostante tutto, quando incontrò gli occhi verdi e luminosi di Colin, non pianse: la felicità era così grande da impedire a qualsiasi altra emozione di sopraffarla.
Non appena le si sedette accanto, Agnes ebbe bisogno di toccarlo, per essere certa che fosse proprio lì con lei: gli prese una mano tra le sue.
Iniziarono a parlare quasi subito, senza nessuno strano imbarazzo né recriminazioni: c’era solo la voglia di parlare e di assaporare la voce dell’altro. Quando Colin le raccontava qualcosa di cui lei era già a conoscenza, Agnes lo ascoltava comunque senza fermarlo o mettergli fretta; e da come la guardava, anche Colin sembrava preso da quella stessa smania.
Si interruppero solo quando cominciarono ad avvertire fame e decisero di lasciare la panchina che avevano occupato nell’ultima ora.
Mentre camminavano verso l’uscita del parco, Agnes si fermò bruscamente.
Attirato dal suo borbottio carico di astio, Colin si fermò a sua volta e si voltò a guardarla incuriosito.
─ Che c’è?
─ Fotografi.─ rispose facendo un cenno ai due tizi che poco più avanti li stavano già fotografando.
Colin si strinse nelle spalle e, dopo averle preso la mano, se la trascinò dietro.
─ Non ci pensare. Gli passeremo davanti, faranno le loro foto e poi ce ne andremo a pranzo.
Nelle città in cui aveva vissuto negli ultimi mesi, Agnes aveva smesso di essere oggetto della morbosa curiosità dei tabloid e dei paparazzi. Nonostante il suo nome fosse ormai associato ai grandi stilisti e alle più rinomate case di moda, a Parigi e a New York Agnes Dayle era una semplice modella e non l’apice di un allettante triangolo amoroso.
Non era più abituata a quell’attenzione; non le era mancata e non la voleva.
Colin tornò a parlare con quel tono allegro e incurante che aveva caratterizzato le loro chiacchiere fino a quel momento. Voleva distrarla, questo era chiaro; ma quell’indifferenza la colpì comunque.
─ A te non danno fastidio?─ sbottò all’improvviso.
Colin la guardò con una strana smorfia sul viso.
─ Ci sono abituato.─ rispose tranquillo. ─ E a dirla tutta credo che li abbia mandati qualcuno della produzione!─  le rivelò senza dare cenno di impazienza.
Dopo aver riso davanti alla sua espressione incredula, riprese a parlare.
─ Funziona così, tesoro. Io sono lo strumento per pubblicizzare il film e credimi, ricorrerebbero a qualsiasi cosa pur di assicurare successo al film.
─ E tu li lasci fare?
─ Ho la fortuna di fare quello che ho sempre sognato. Non mi sembra un prezzo così caro…
Presa com’era dalle parole di Colin e da quell’espressione seria e risoluta che poche volte gli aveva visto, Agnes si rese conto troppo tardi di essere arrivati davanti ai fotografi. Non ebbe nemmeno il tempo di mettere su la maschera di indifferenza che in passato l’aveva sempre salvata da quelle situazioni.
Così, quando i fotografi iniziarono a fare domande insinuanti apposta per provocarla, lei non si mostrò affatto preparata.
─ Siete tornati insieme?
─ Perché ha lasciato Londra?
─ Ha perdonato Colin per i suoi tradimenti?
─ Dove avete lasciato Ian?
Agnes si fermò fremente di rabbia e li guardò con sufficienza uno per uno. Stava per parlare quando avvertì la mano di Colin stringere la sua in segno di avvertimento.
Ripresero a camminare e, solo quando furono nell’auto di Colin, si accorse del peso che aveva sullo stomaco. Detestava quell’aspetto del mondo in cui aveva scelto di vivere. Poteva sembrare un’ingrata forse, ma era più forte di lei: cosa c’entrava quella intromissione nella sua vita personale con il suo lavoro? Chi diceva che dovevano pagare un prezzo per il successo?
Uno strano brivido la colse quando si domandò quanto potesse essere alto il prezzo da pagare.
Durante il pranzo riuscirono ad accantonare il fastidioso episodio e ripresero a chiacchierare allegramente del più e del meno: l’argomento intorno al quale ruotava la loro attenzione era l’uscita di Somewhere, Somehow.
─ E quindi avrò l’onore di vederti in smoking?─ lo prese in giro quando le ebbe raccontato del suo disperato tentativo di convincere la produzione che quel tipo di abbigliamento non fosse adatto a lui.
Stranamente Colin non rispose alla sua battuta, ma le rivolse uno sguardo particolare: era dolce e carico di malinconia.
─ In realtà vorrei parlarti proprio di questo…─ disse con tono improvvisamente serio.
─ Che c’è? Non hai trovato un biglietto per me?─ chiese senza capire dove volesse arrivare.
Le sorrise mentre con una mano si lisciava la guancia ricoperta di un sottile strato di barba.
─ La prima è il venti luglio…
─ Questo lo so.
Ogni traccia di sorriso era venuta meno; si guardavano attenti, come a volersi valutare a vicenda.
─ Quella sera c’è il suo ultimo concerto.
Quelle parole la colpirono da qualche parte dentro di lei, costringendola a scostarsi da Colin…come se fosse stata ferita davvero.
─ So anche questo.─ gli rispose fingendosi indifferente.
─ Voglio che tu vada da lui.
Ebbe l’impulso di alzarsi e dargli uno strattone, uno schiaffo, qualsiasi cosa pur di togliergli quell’espressione convinta dal viso. Ciò nonostante riuscì a mantenere il controllo di sé, ma quando parlò la sua voce uscì gelida.
─ Credo che questa scelta spetti a me.
─ Agy, ascoltami. Mesi fa hai scelto me, hai anteposto me a lui. Lo apprezzo e ti sarò grato per sempre; ma ora Ian ha bisogno di te.
Deglutì a fatica mentre si stringeva le braccia addosso, come a volersi proteggere.
─ Io l’ho lasciato per me stessa; tu non c’entri nulla.
Lo vide annuire, ma senza perdere quel cipiglio sicuro con cui le aveva parlato fino a quel momento.
─ Se non provi più nulla per lui, allora fallo per me: va’ al concerto e accertati che Ian stia bene.
Davanti al suo silenzio, Colin si mise una mano in tasca e tirò fuori due biglietti.
─ Questo è il pass per la prima del film. Se verrai sarò felice di averti accanto,─ le spiegò mentre ne posava uno vicino a lei. ─ Questo invece è il numero dell’agente di Ian. Si chiama Wilson, non so se ricordi. Basterà una tua telefonata e ti farà entrare.
Occupata a guardare i due biglietti, lo sentì mormorare piano: ─ Pensaci.

***

La notte prima aveva fatto uno dei suoi soliti incubi: erano venuti a trovarlo i suoi fantasmi e lo avevano processato per tutte le sue debolezze. Suo fratello Daniel lo aveva accusato di inettitudine, rinfacciandogli che lui aveva avuto almeno il coraggio di togliersela quella vita che non aveva saputo mandare avanti; i suoi genitori lo avevano accusato di aver convinto il fratello ad uccidersi, nella vana e ridicola speranza di ricevere il loro affetto; il suo maestro di musica lo aveva accusato di essere stato un totale spreco di tempo.

In quel momento stava scontando la sua pena: suonare su un palco vuoto davanti a migliaia di persone, il che rappresentava il suo più grande desiderio e la sua più grande paura.
Qualche ora prima era successo di nuovo: per tutto il giorno si era ripetuto che tutto sarebbe andato bene e che non ci fosse nulla da temere; poi, quando mancava poco meno di mezzora all’inizio del concerto, era tornato il familiare peso al petto e il respiro si era fatto doloroso. Il suo corpo aveva manifestato così ciò che lui si ostinava a ignorare: il suo rifiuto di salire sul palco. Quel male lo prendeva tutte le volte che doveva dare inizio a un concerto, ma per fortuna Ian aveva scoperto qualcosa che riuscisse a farglielo passare per tutta la durata dell’esibizione.
Giunto quasi alla fine del concerto, però, gli effetti dell’LSD andavano scemando. Aveva la sensazione di trovarsi sull’orlo di un precipizio, il timore che a momenti sarebbe sprofondato in quella realtà che tanto lo spaventava.
Concluse la canzone e, mentre la folla urlava parole sconnesse e incomprensibili, chiuse gli occhi e fece un profondo respiro nel tentativo di cacciare via l’ansia che lo aveva preso.
Quando riprese a cantare, distolse lo sguardo dal pubblico e lo portò su un angolo alla sua destra. Aveva chiesto a Wilson di lasciare quello spazio vuoto e di vietare l’ingresso a chiunque; l’agente aveva accolto quella strana richiesta, senza nemmeno cercare spiegazioni.
Scosse la testa appena gli fu chiaro che l’LSD stava facendo ancora il suo effetto.
In quell’angolo poco illuminato, dove lui aveva l’abitudine di rifugiarsi quando lo prendeva l’ansia, c’era lei.
Stava all’in piedi a braccia conserte. Purtroppo non poteva vederla bene in viso: era troppo lontana. Evidentemente anche le sue allucinazioni si prendevano gioco di lui. Ma poco importava: avrebbe guardato la sua allucinazione e avrebbe cantato per lei.
Con la sua musica e la voce rauca le parlò del vuoto che aveva dentro e di come era la sua vita senza lei, le chiese perdono per tutto ciò che le aveva fatto, la pregò di tornare. E per tutto il tempo desiderò che lei fosse davvero lì, che non fosse una maledetta allucinazione.
Quando la vide voltargli le spalle, trattenne il respiro e per un attimo dimenticò le parole della canzone.
Forse per una volta aveva ottenuto ciò che voleva.
Ma nel momento stesso in cui quella fievole speranza lo ferì, l’angolo tornò vuoto.
Per il resto del concerto, che scivolò via con una lentezza esasperante, Ian non osò più guardare in quella direzione: dopo la sua comparsa, non avrebbe più potuto sopportare la vista di quell’angolo buio.
Arrivato nel camerino, si ritrovò nervoso e irrequieto: non riusciva a stare fermo, si portava continuamente le mani tra i capelli, si guardava intorno confuso. Sentiva di dover fare qualcosa, di dover capire se quella sera, dopo mesi di silenzio e assenza, lei era stata davvero a pochi passi da lui.
Prese il cellulare e fece quella dannata telefonata.
Stava quasi per riattaccare, quando all’altro capo del telefono una voce affaticata e assonnata disse “pronto”.
─ Sono Ian…─ disse con tono distaccato.
─ Sì, me l’aveva suggerito il display del cellulare.
Ian si sistemò su una poltrona, senza preoccuparsi di nascondere il sorriso pigro che gli era appena comparso sulle labbra.
─ Com’è andata la prima del film?
─ Non c’è male. Dopotutto è solo l’inizio…
─ Sei sempre stato bravo a fingerti spavaldo.─ commentò sorridendo.
─ A te com’è andato il concerto?
─ Non c’è male. Dopotutto era l’ultimo.─ rispose usando lo stesso tono indifferente dell’altro.
Cadde un pesante silenzio e fu Colin a interromperlo, andando finalmente al punto.
─ Perché questa telefonata?
─ Lei…─ disse a fatica, ─ Lei era qui stasera.
Se fino a un momento prima aveva avuto un minimo dubbio che l’avesse solo immaginata, ormai era sicuro: glielo aveva suggerito il tono per nulla sorpreso con cui Colin aveva accolto la sua telefonata.
─ Sì, lo so.
Benché ormai se ne fosse convinto, quella conferma fredda e noncurante gli tolse comunque il respiro.
─ Io non capisco.─ ammise confuso.
─ Cosa c’è da capire?─ gli domandò l’altro infastidito.
─ Colin, sono passati mesi. Io credevo che…
─ Cosa credevi?─ sbottò all’improvviso. ─ Che se avessi dato il peggio di te, Agnes ti avrebbe cancellato? Che bastassero foto patetiche e articoli disgustosi per farla dimenticare?
─ In tutta onestà non so più cosa pensare. Ti ho telefonato proprio perché voglio capire.
─ Mi hai telefonato perché sei un idiota. Non è a questo numero che devi cercare spiegazioni.
─ Lo so, ma dopo tutto questo tempo…
Nervoso, prese una sigaretta dal pacchetto e, solo quando se la mise tra le labbra, si rese conto che in realtà si trattava dello spinello che qualche ora prima aveva nascosto lì. Lo accese comunque e fece un tiro lento e profondo.
─ Senti, sono solo stronzate.─ lo interruppe per l’ennesima volta. ─ Hai paura e lo capisco. Ma lei stasera era al concerto, ha scelto di essere lì con te.
─ Non mi ha cercato però.─ commentò lapidario.
Se veramente avesse voluto tornare da lui, si sarebbe fatta vedere. Invece era andata via proprio quando lui l’aveva notata.
─ Ian, stavolta tocca a te.─ gli rispose duro. ─ E credimi, se neanche stavolta farai nulla, io farò in modo che lei si dimentichi davvero di te.
Mentre un nuovo tiro gli fece andare in fiamme la gola e i polmoni, guardò la cenere cadere ai suoi piedi.
─ Ne saresti in grado?
─ Sì, ci riuscirei.─ gli rispose semplicemente.
─ Se fossi meno egoista credo che te lo lascerei fare.
─ Se fossi più egoista credo che lo avrei fatto già da tempo.
Ian si morse un labbro nervoso e parlò solo quando ebbe fatto un ultimo tiro particolarmente profondo ed ebbe spento lo spinello sul posacenere.
─ Dove la trovo?

***

Si sistemò sul divano e dalla tasca dell’elegante smoking tirò fuori il pacchetto di sigarette; poi, resosi conto di non aver voglia di fumare, lasciò cadere il pacchetto accanto a lui. Rivolse un’occhiata tetra all’altra mano, quella che ancora stringeva il cellulare che aveva usato fino a un attimo prima.
Quando aveva finito di dettare il nuovo numero di Agnes e l’indirizzo dell’hotel in cui alloggiava, per diversi minuti nessuno dei due aveva più parlato: erano rimasti in silenzio, ognuno preso a ricordare come fossero arrivati a quel punto.
In quei lunghi minuti Colin avrebbe voluto dire tante cose, iniziando con delle semplice scuse: si sarebbe scusato non per aver scelto una strada diversa da quella che avrebbe voluto Ian, ma per non averne parlato quando era in tempo; sì, gli sarebbe piaciuto scusarsi per non aver creduto nella loro amicizia e per aver pensato che senza quell’interesse ad unirli non ci sarebbe stato nient’altro che li avrebbe tenuti insieme.
Nel silenzio di quella telefonata, qualcosa gli aveva suggerito che anche Ian avrebbe voluto scusarsi.
Ma poi Colin si era detto che meritavano di più che delle scuse frettolose per telefono; si era convinto che avevano molto tempo a disposizione e la loro amicizia avrebbe potuto aspettare un altro po’; e così, quando aveva parlato, gli aveva detto semplicemente di andare da lei.
─ Chi stavi minacciando al telefono?
Quella domanda assonnata e velata da un cenno di ironia lo colse alla sprovvista. Assorto com’era nei suoi pensieri, non l’aveva sentita arrivare alle sue spalle.
─ Un idiota.─ rispose con un ghigno stentato.
La osservò sedersi sul divano e portare entrambe le gambe sul cuscino; davanti al suo abbigliamento discinto e l’espressione del viso appena corrucciata, si sentì in colpa per averla lasciata da sola in camera. Si stava per scusare, quando lei gli fece un’altra domanda.
─ E chi convincerai a dimenticarsi di Ian?
Le rivolse uno sguardo fintamente severo ma, anziché accusarla di aver origliato la telefonata con Ian, la abbracciò e la avvicinò a sé.
─ Nessuno. Non credo sia possibile e non lo farei in ogni caso.─ le mormorò all’orecchio, mentre le mani scivolavano sui suoi fianchi.
Ben lontana dall’essere ammaliata dalle sue carezze, Serena si voltò all’improvviso verso di lui e quasi lo colpì sul naso.
─ Perché l’hai fatto?
Scosse la testa esasperato, ma quando le rispose usò un tono serio: ─ Perché merita di essere felice.
─ Agnes?
Lui le rivolse un sorriso indecifrabile e si sistemò meglio sul divano. Le rispose tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
─ Sì, anche Agnes. Ma nonostante lei non lo creda possibile, nonostante negli ultimi mesi abbia praticamente rifiutato di mandare avanti la sua vita, Agnes potrebbe essere felice anche senza di Ian. Forse sarebbe quel tipo d’amore che richiede troppi compromessi, qualcosa di tiepido che per quanto ci provi non ti riscalda mai dentro. Ma il tempo l’aiuterebbe a dimenticare e ad accettare una felicità mite, ma continua.
Ian è diverso: non è fatto per i compromessi; una volta scelto qualcuno, quella scelta è assoluta e non ammette condizioni o ripensamenti; lui ama e lo fa fino in fondo ed inevitabilmente esige di essere amato con la stessa folle intensità. Un amore tiepido non fa per Ian, quel genere di amore lo ucciderebbe.

***

Le era mancato girovagare per le strade di Londra senza una meta. Abbandonato il concerto, aveva preso un taxi che l’aveva lasciata a Piccadilly e da lì aveva proseguito a piedi, perdendosi tra i vicoli affollati di giovani turisti che non l’avevano riconosciuta. Era qualcosa di straordinariamente confortante.

Quando giunse davanti all’hotel che l’ospitava era quasi l’alba. Sbuffò al pensiero che di lì a poche ore avrebbe dovuto essere ad un incontro di lavoro: alle nove di mattina, infatti, avrebbe conosciuto i membri di un’associazione no profit che da tempo cercavano di mettersi in contatto con lei per un progetto. Aveva approfittato della sua venuta a Londra per acconsentire finalmente a quell’incontro.
Il cellulare tornò a squillare per l’ennesima volta.  Era un numero sconosciuto. Lo ignorò mentre saliva la gradinata che conduceva all’ingresso dell’hotel. Era sicura che a telefonare era Colin, desideroso di raccontarle della prima, ma soprattutto di chiederle di Ian.
Ma lei non aveva nulla da dirgli, perché quella sera non aveva visto Ian.
Richiamò alla mente  il volto emaciato e lo sguardo distante e perso chissà dove del giovane che aveva osservato sul palco qualche ora prima; poi ripensò a come le fosse apparsa  fredda la sua voce e indifferente la sua musica, prive di quella scintilla che aveva sempre contraddistinto entrambe.
Non c’era traccia di Ian in quell’estraneo.
E quando si era voltato nella sua direzione e l’aveva riconosciuta, Agnes aveva dovuto voltargli le spalle. Mentre attendeva che l’ascensore arrivasse al suo piano, realizzò il motivo di quella scelta impulsiva: aveva avuto paura di lui e della sua reazione nel ritrovarsela davanti dopo mesi.
Non avrebbe più potuto sopportare un altro sguardo carico di risentimento da parte sua.
Quei pensieri  accesero dentro di lei il senso di colpa, un vecchio e amaro compagno ormai. Lasciò l’ascensore e impiegò un po’ di tempo ad individuare il corridoio in cui si trovava la sua camera.
Quando vi giunse, però, si dovette fermare.
C’era un uomo seduto sul pavimento con le spalle poggiate alla parete. Le lunghe gambe piegate contro il busto e le braccia posate sulle ginocchia lo facevano apparire come un ragazzino indifeso e vulnerabile; lo sguardo fisso sulla parete e le labbra serrate parlavano di un dolore che chissà per quale ragione sembrava  nato insieme a lui.
Non si era accorto della sua presenza o forse le stava dando la possibilità di voltargli le spalle e allontanarsi. Chiuse gli occhi per decidere cosa fare e ripensò a tutte le volte che, consapevole o meno, Ian l’aveva ferita: c’era un limite al male che poteva accettare da parte sua e quel limite era già stato superato.
Avrebbe dovuto lasciare quel corridoio: lo doveva al suo orgoglio ferito e all’amore che nutriva per se stessa; lo doveva a tutte quelle mattine in cui si era costretta ad alzarsi dal letto e alle lacrime che aveva versato in silenzio; lo doveva a quella parte di lei che a un certo punto si era spenta a causa sua.
Si disse tutto questo mentre camminava verso lui. Non poteva fare altro, perché da quando lo aveva conosciuto ogni passo era stato nella sua direzione,  testardi tentativi di avvicinarsi alla parte più nascosta di Ian, quella che aveva scorto solo in rare e preziose occasioni.
Sebbene avesse mille motivi per andare via, le bastava un’unica ragione per non farlo: lo amava. Nonostante i suoi difetti e il dolore, nonostante il tempo e la lontananza, non aveva mai avuto dubbi su questo: lo amava e lo amava semplicemente, senza ostacoli né ripensamenti. Anche quando era andata via, ancora di più quando era andata via.
─ Cosa stai facendo?
Lo vide sollevare il capo e farle dono di quello sguardo che tante volte le aveva tolto il respiro: occhi chiari, occhi innocenti di chi ha una visione tutta sua del mondo e la vede continuamente frustrata dalla realtà.
─ Aspetto te.─ le rispose con un sorriso incerto.
─ Perché?─ gli domandò cercando di mantenere un controllo che aveva perso nell’esatto momento in cui aveva messo piede in quel corridoio.
Anziché risponderle, Ian si alzò a fatica dal pavimento: la lentezza dei suoi movimenti, così come  le pupille dilatate dei suoi occhi resero fin troppo evidente le sue condizioni.
─ Come sei arrivato qui?─ chiese senza nascondere la preoccupazione.
La guardò stranito e rispose scrollando le spalle: ─ Guidando.
─ Ian, perché sei qui?─ insistette.
La guardò improvvisamente stanco e quando parlò la voce risuonò ancora più bassa del solito.
─ Voglio solo parlare.
Agnes annuì e, avvicinatasi alla porta, la aprì e gli fece spazio per farlo entrare.
Quando furono entrambi dentro la camera buia, chiuse la porta e accese la luce.
Senza guardarlo andò vicino alla grande finestra e, mentre osservava sorgere l’alba, sorrise.
─ Hai mai notato che i momenti più importanti della nostra storia sono avvenuti di notte o al sorgere del sole?
─ Sì, lo trovi romantico?─ le domandò alle sue spalle.
Agnes scosse la testa in segno di diniego.
─ È come se la nostra storia fosse solo un sogno,─ gli spiegò senza distogliere lo sguardo dal sole che iniziava a scorgersi in lontananza. ─ Come se potessimo viverla solo di notte, in una dimensione che di reale non ha nulla. E non sai cosa significa per me ogni volta… Poter sfiorare la bellezza del tuo mondo, avere la possibilità, anche per un solo momento, di vedere la realtà con i tuoi occhi e poi scorgere l’idea che hai di me, un’idea perfetta quanto dolorosa.
Ma poi il sole sorge, portando con sé la realtà. E quel sogno, così fragile nonostante la sua intensità, inevitabilmente svanisce.
Lo sentì avvicinarsi e, non appena posò le mani sulle sue spalle, socchiuse gli occhi e lasciò scorrere le lacrime: non avrebbe potuto fermarle neanche se avesse voluto.
─ Mi senti?─ le domandò rafforzando la presa. ─ Questo è reale. Io sono qui…─ le mormorò all’orecchio.
Agnes piegò appena il capo fino a sfiorare con la guancia quella di lui, mentre le spalle tremavano e si facevano più piccole sotto il suo tocco.
Ian le posò delicatamente le labbra sulla guancia e rimasero fermi a guardare il sole sorgere, come a volerlo sfidare a togliere loro quel legame di cui entrambi avevano bisogno.

***

L’aveva ascoltata parlare senza interromperla e, messo davanti a tutta quella malinconia, aveva fatto l’unica cosa possibile: avvicinarsi a lei e toccarla.

Per tutto il tempo che la tenne abbracciata a sé, Ian cercò le parole adatte a quel momento: avrebbe voluto scusarsi, raccontarle di com’era stata la vita senza di lei e dello spazio vuoto che gli aveva lasciato dentro.
Ma poi Agnes voltò le spalle alla finestra e finalmente si ritrovarono una di fronte all’altro e la vista di quegli occhi blu gli fece dimenticare l’importanza delle parole.
La strinse a sé e, ignorando il tremore alle mani, la baciò. Quando sentì le labbra di lei cedere e farsi morbide, qualcosa lo raggiunse dentro e lo riscaldò fino a bruciarlo: era lei, la sensazione di averla lì con sé.
Quell’emozione così intensa, la prima che provava da mesi, lo spinse a stringere la presa sui suoi fianchi, fino a sentirla mugugnare qualcosa. Portò la mano sulla sua guancia e la accarezzò con delicatezza, come a chiederle perdono per la sua irruenza. Ma scosse la testa, quando gli fu chiaro che non sarebbe riuscito ad essere cauto come avrebbe dovuto: aveva bisogno di lei, del suo corpo e del suo abbandono. Voleva sentire quel calore che lo aveva scosso dentro e così colmare quel maledetto spazio vuoto.
Agnes si scostò un attimo da lui, puntandogli addosso i suoi occhi lucidi; lui abbassò il capo per sfuggire a quello sguardo attento, sentendosi in colpa per aver avanzato simili pretese.
Ma un attimo dopo lei lo colse alla sprovvista, portandogli le braccia intorno al collo e riprendendo il bacio che avevano interrotto poco prima, timida e seducente come solo lei sapeva essere.
Non poté impedirsi di sorriderle contro le labbra mentre con le mani percorreva il suo corpo sottile; non le tolse lo sguardo di dosso mentre lentamente la spogliava e si lasciava spogliare; e non smise di baciarla, mentre cercavano il letto e, in questa ricerca, urtavano sedie e facevano cadere oggetti.
Fecero l’amore come se fosse la prima volta, incuranti del sole che si stava sollevando alto nel cielo.
Fecero l’amore come se fosse l’ultima: si persero e si ritrovarono l’uno nell’altra.
E quando la stanchezza ebbe la meglio su di loro, Ian la baciò morbidamente sulla guancia e le rimase accanto.
La guardò chiudere gli occhi e, nonostante il sonno, si rifiutò di fare altrettanto. Continuò ad osservarla, studiando ogni suo tratto e ogni piccola smorfia. Neanche si rese conto che aveva iniziato a canticchiare tra sé.
─ Cosa canti?─ gli domandò ad occhi chiusi.
─ Niente di che… una canzone a cui sto lavorando da un po’.
─ È bella. Cosa dice?─ sussurrò con voce assonnata.
Ian sorrise e con un dito le scostò qualche ciocca scomposta dalla fronte. I capelli erano ancora biondissimi, ma erano cresciuti. Come anche lei, del resto.
Tu mi rendi reale.
─ Ed è una cosa buona?─ domandò con finta ingenuità.
─ Direi stupenda.
Da quando aveva memoria, a Ian non era mai importato molto di ciò che aveva intorno: aveva la musica e qualche romanzo e per il resto trovava ciò di cui aveva bisogno in sé. La realtà gli era sempre apparsa insidiosa ed estranea, a volte anche prevedibile.
Poi aveva conosciuto Agnes ed era avvenuto il cambiamento, lento ma inevitabile: in lei aveva finalmente trovato qualcosa che lo ancorasse alla realtà; grazie a lei il suo mondo diventava sostanza, qualcosa di tangibile con le mani oltre che con lo spirito.
Agnes lo rendeva reale.
─ Che ore sono?─ domandò stiracchiandosi contro di lui.
Ian diede un’occhiata distratta alla sveglia e rispose: ─ Le 8:15. Hai da fare?
Dal brontolio infastidito capì di aver indovinato.
─ Ho un incontro di lavoro.─ gli spiegò mentre si alzava.
Andò in bagno e tornò poco dopo avvolta in un accappatoio; si vestì in fretta senza fare attenzione a ciò che indossava e finalmente si voltò nella sua direzione.
─ Mi dispiace lasciarti da solo; ma ho detto che sarei andata e…
─ Non preoccuparti,─ la interruppe tranquillo. ─ Mi troverai al tuo ritorno.
Agnes gli rivolse un sorriso carico di imbarazzo e gli andò vicino.
─ Bene. A dopo amore.
Un fugace bacio e lasciò la stanza.

***

La doccia calda non aveva aiutato a rilassarlo e, nonostante la profonda stanchezza, qualcosa gli aveva impedito di prendere sonno.

Un pensiero fisso…
Quella mattina, quel 21 luglio, sembrava tutto perfetto: tra qualche ora Agnes sarebbe tornata dall’incontro di lavoro e lui sarebbe stato lì ad attenderla.
Ma mancava qualcosa perché tutto tornasse al suo posto.
Fu sufficiente qualche telefonata per scoprire in quale hotel alloggiasse il suo vecchio amico; si vestì rapidamente, prese le chiavi e uscì: se avesse fatto in fretta, sarebbe tornato prima di lei.
Quando ebbe preso posto sul sedile, fu abbagliato da un raggio di sole: era il giorno giusto per il cambiamento, il momento migliore per mettere a posto quella parte di lui che era nata sbagliata.
Fermo ad un semaforo, accese la radio e si ritrovò a sorridere non appena riconobbe una delle sue canzoni preferite.
Mentre a voce bassa accompagnava Morrissey, pensò che gli sarebbe piaciuto creare qualcosa di così perfetto come Please degli Smiths: perfetto perché era così breve che, nel preciso momento in cui eri completamente coinvolto, il pezzo finiva, lasciando un malinconico rimpianto che non si riusciva mai ad appagare.
A un certo punto qualcosa riflesso sullo specchietto attirò la sua attenzione. Tornò a guardarlo e allora capì: una macchina lo tallonava da dietro. Non servì chissà quale riflessione per capire che si trattava di qualche fotografo alla ricerca di notizie.
Allora scosse la testa e sbuffò irritato ma, appena riportò l’attenzione sulla strada, qualcosa lo abbagliò togliendogli la vista.
Il tempo smise di correre mentre Ian si passava la mano sugli occhi nell’insensato tentativo di cacciare via le immagini che gli passavano davanti. Poi un violento fragore e una forza inarrestabile travolsero il suo corpo.
Il tempo riprese il suo normale cammino.
Ian non tentò nemmeno di liberarsi dalla ferraglia che teneva il suo corpo incastrato, ma rimase immobile senza nemmeno chiedersi come mai si trovasse sull'asfalto rovente e gli occhi fissi sul cielo di metà luglio.
Mentre le forze gli venivano meno e sentiva qualcosa di umido scivolargli lungo la tempia, un pensiero illogico gli attraversò la mente: c'era qualcosa di profondamente sbagliato nel sole accecante che gli illuminava il volto.
Avrebbe preferito il buio, la pioggia, la tempesta. E, invece, si ritrovava avvolto in una torrida giornata estiva, immerso in una luce calda quanto beffarda.
Affaticato, socchiuse gli occhi, senza tuttavia distoglierli dal sole.
Mormorò una preghiera a denti stretti, o forse la pensò soltanto. O magari stava sognando ed era morto da tempo.
Ti prego, ripeteva. Ti prego.
Lasciami prendere ciò che voglio.
Almeno stavolta.
Per una volta.
Solo il silenzio accolse quella preghiera. E poco dopo anche la luce sparì dai suoi occhi.
Giunse il buio e se ne andò portando Sutcliffe con sé.









Note:
Pubblico questo capitolo quasi controvoglia. In questi giorni avrei dovuto studiare, ma Down esigeva di essere scritta e quindi eccomi qui. Non dirò nulla su questo capitolo, non perché mi manchi la voglia, ma perché avrei troppe cose da dire.
Credo sia importante precisare cosa succede a Ian mentre è alla guida. Quando una persona fa uso di LSD può capitare che dopo giorni o addirittura mesi dall'assunzione subisca il cosiddetto flashback: un'allucinazione che non può in alcun modo controllare.
Voglio solo dire questo a chi pensava che Sutcliffe fosse Colin: non avete sbagliato. Il motivo lo spiegherò nel prossimo e ultimo capitolo.
Vi lascio la musica che mi ha fatto compagnia in questi giorni: Until we bleed  e  Tonight di Lykke Li; Blissed and gone degli Smashing Pumpkins; e ovviamente Please, please, please let me get what I want degli Smiths di cui vi consiglio di leggere il testo.
Ora devo uscire e starò fuori tutto il giorno. Al mio ritorno risponderò alle recensioni al precedente capitolo. Vi chiedo scusa per non aver ancora risposto, ma come ho accennato a breve avrò un esame.
Ringrazio TriggerHappy per lo splendido banner che fa da copertina a Down in a Hole. Ringrazio chi legge e chi recensisce.
Al prossimo capitolo,
Agnes.






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Capitolo 18
*** Sutcliffe ***


Sutcliffe










Sutcliffe






La grande finestra che dava sul mercato di Brixton era l’unica fonte di luce e aria nella stanza grigia e anonima che presto sarebbe diventata il loro soggiorno. Quando ebbero portato dentro anche l’ultimo scatolone pieno di album, videocassette e dvd, spalancarono la finestra, nella speranza che l’aria pulita si portasse via l’odore stantio che aleggiava all’interno dell’appartamento. Una delle imposte, però, si richiuse subito e non ci fu verso di farla restare aperta come la sua gemella. Rassegnati, decisero di riposarsi per qualche minuto: uno si accomodò sul divano, trattenendo a stento una smorfia di disgusto per la polvere che si era sollevata; l’altro, invece, prese la sua nuova chitarra e si sedette sul pavimento.
─ Sutcliffe.
Colin fermò il plettro a mezz’aria e sollevò il capo verso Ian.
─ Perché?
Lo guardò accomodarsi meglio sul logoro divano che con tanta fatica avevano portato lì dentro. Quasi sorrise al pensiero della reazione che avrebbero avuto i suoi genitori alla vista di quella bettola. Poco importava che non gli avessero rivolto parola per più di un mese; li conosceva fin troppo bene: alla fine si sarebbero arresi e lo avrebbero aiutato. Non erano come…
─ Dev’esserci per forza un perché?─ interruppe i suoi pensieri, mentre si allungava in direzione del tavolino e prendeva una lattina di birra.
─ Quando si tratta di musica, c’è sempre un motivo.
Lo guardò sorseggiare la birra e sorrise quando imprecò perché troppo calda.
─ E poi cos’ha che non va il tuo cognome?─ insistette sinceramente confuso.
Ian assunse un’aria pensosa, corrucciata. ─ Non lo so…─ sollevò le spalle indifferente,─ Non mi sembra più il caso di usarlo, non per seguire una strada che mio padre detesta…
─ Poi, sinceramente, non capisco questo legame con Stuart Sutcliffe.─ commentò cercando di riportare l’attenzione sulla sua chitarra,─ Non era nemmeno un vero musicista…─ disse mentre lasciava scivolare il plettro lungo le corde.
─ Sutcliffe è…─ iniziò a spiegargli in difficoltà,─ Sutcliffe è un’idea. Solo questo.
Le ultime parole le aveva appena mormorate e, nella vana attesa che si spiegasse meglio, Colin lo aveva guardato irritato, ma l’altro neanche se ne accorse, preso com’era a guardare qualcosa alla sua sinistra.
 Seduto sul pavimento, tra la polvere e gli album dei Pink Floyd, tra vecchie riviste e amplificatori, Colin si sentiva euforico e impaziente di iniziare quella nuova esperienza con l’amico; non importava se gran parte dei loro soldi fosse andata persa nell’acquisto della sua chitarra e nella caparra per quel decrepito appartamento;  né importava che fossero poco più di due ragazzini inesperti. Quel giorno aveva il sapore di una promessa, qualcosa che prima o poi avrebbero gustato sicuramente…era solo questione di tempo.
Sembrava, tuttavia, che solo Colin fosse preso da quel senso di aspettativa. Ian se ne stava in silenzio, sorseggiava una birra che neanche gli piaceva e teneva lo sguardo fisso sulla finestra. In un primo momento, Colin pensò che fosse attirato dalle palazzine che si vedevano al di là di essa; ma seguendo più attentamente il suo sguardo, si rese conto che oggetto del suo interesse fosse in realtà l’imposta rimasta chiusa. Gli occhi leggermente socchiusi la studiavano con attenzione e, dall’espressione corrucciata, fu chiaro che non vedessero semplicemente una finestra: andavano oltre, un luogo il cui accesso era precluso agli occhi di Colin.

***

Stare seduto in macchina lo faceva impazzire. Per tutto il tempo in cui si trovava da solo su quel sedile posteriore, mentre un estraneo guidava l’elegante automobile, era costretto a un’inerzia che da giorni cercava in tutti i modi di evitare. Da giorni…Quasi gli venne da ridere quando si accorse di non avere idea che giorno fosse. Doveva essere mercoledì. Il trentuno…Esisteva il trentuno di luglio? Sì, era il trentuno.
Erano trascorsi dieci giorni, quindi; ma a lui apparivano come una matassa di avvenimenti intrecciati tra loro in maniera confusa: corse all’ospedale, incredulità, telefonate e attesa, lunga ed estenuante attesa.
Forse detestava quell’immobilismo forzato proprio perché gli mostrava la sua condizione.
Stavolta non poteva aiutare Agnes: non aveva parole di conforto perché non ne aveva nemmeno per se stesso né poteva alleviare il suo dolore,  perché solo una persona avrebbe potuto farlo e Colin lo sapeva fin troppo bene, visto che aveva il suo stesso bisogno.
Ma soprattutto non poteva fare nulla per Ian.
— Siamo arrivati.— lo avvertì l’autista.
In realtà aveva tenuto lo sguardo fisso sul finestrino e lo aveva già capito da sé; ma stava cercando di prepararsi ad uscire dal veicolo.
— Non si stancano mai…— commentò guardando la piccola folla raccolta all’ingresso dell’ospedale.
— Le conviene aspettare i ragazzi.— rispose l’altro voltandosi appena verso di lui.
Pochi minuti dopo venne aperto lo sportello e Colin uscì fuori con un cappello e un paio di occhiali da sole a proteggerlo da fotografi e fans. Ripensò a tutte le volte in cui aveva preso in giro Ian perché ricorreva sempre a questi espedienti; adesso, invece, comprendeva l’amico: era qualcosa di necessario per proteggere la parte più vulnerabile di sé dalle intrusioni esterne.
— Colin!— lo chiamavano tutti insistentemente mentre camminava verso l’entrata, scortato dalle guardie.
Ma lui non rispose a nessuno. Neanche in quei giorni difficili i giornalisti e i paparazzi li avevano lasciati stare: c’era chi si era introdotto nell’ospedale alla ricerca di notizie e chi aveva ipotizzato che Ian non avesse sterzato volontariamente. E poi c’erano gli ipocriti che piangevano l’ennesimo membro del Club27, lasciandosi andare a commemorazioni fuori luogo.
Dopo aver salutato qualche medico e infermiere, gli fu dato il permesso di entrare nella stanza di Ian.
Chiuse la porta con attenzione e prese un po’ di tempo prima di voltarsi. Quando lo fece, provò un senso di fastidio nel trovare le tende accostate e la stanza in penombra: c’era il sole al di là di esse, era un peccato.
Fece qualche passo verso il lettino e si costrinse a rivolgervi lo sguardo.
Alla vista del corpo fragile avvolto da tubi, bende e gesso, chiuse gli occhi e si strinse le braccia addosso. Sospirò e lo guardò di nuovo.
Avrebbe voluto scuoterlo e gridargli qualcosa contro.
Già da tempo aveva capito che quel giorno Ian stava andando da lui e più volte aveva immaginato cosa si sarebbero detti se fossero riusciti a vedersi.
Ian lo avrebbe trovato cambiato, ne era certo. Forse avrebbe visto nei suoi occhi la stessa sicurezza che anni prima Colin aveva scorto in quelli chiari del ragazzino che suonava il pianoforte in un’aula vuota: la sicurezza di chi ha scelto la propria strada ed è pronto a tutto pur di percorrerla.
Forse alla fine Ian aveva capito le ragioni di Colin: solo se avesse trovato un percorso che fosse solo suo, sarebbero riusciti ad essere davvero amici, senza ombre e senza recriminazioni.
E così era stato. Colin alla fine era tornato. Mancava solo Ian.

***

Aveva trovato Ian davanti alla finestra, intento ad osservare il violento temporale che infuriava oltre le imposte spalancate. Stranita, gli aveva chiesto cosa gli fosse preso e perché se ne stesse lì a prendere freddo e acqua. Poi lui si era voltato a guardarla con un sorriso enigmatico e Agnes aveva dimenticato le sue domande.
Quel giorno, Ian era bello da togliere il fiato. Il suo aspetto era inspiegabilmente diverso: non era qualcosa di nuovo, qualcosa di cui difettasse gli altri giorni; piuttosto era la mancanza di qualcosa., una leggerezza insolita e proprio per questo commovente.
Lo guardò con dolcezza mentre le camminava incontro.
─ Finalmente sei a casa.─ le disse baciandola sulle labbra.─ Mi sei mancata oggi…
─ Guardati, sei tutto bagnato.─ lo rimproverò scostandosi da lui che, senza nemmeno risponderle, la riavvicinò a sé facendola borbottare infastidita.
─ Avevo voglia di uscire, oggi.─ soffiò sulla pelle delicata del collo, provocandole un brivido.
─ Con questo tempo?─ chiese stranita.
Lui sollevò il volto e, dopo averle sorriso di nuovo, le prese la mano e la fece avvicinare alla finestra.
─ Non sono uscito proprio per non fare borbottare la mia ansiosa ragazza.─ le spiegò mentre la spingeva ad affacciarsi: lo scroscio della pioggia era interrotto solo dal fragore dei tuoni; il buio era spezzato solo da lampi improvvisi.
— Perché te ne stai qua?— chiese spingendolo un po’ con la spalla.
— Te l’ho detto…— le rispose con quel sorriso un po’ storto.— Avevo voglia di uscire.
— Io, invece, volevo solo tornare a casa e starmene al caldo.
— Va’ a metterti più comoda.— le suggerì allontanandosi dalla finestra. Mentre entrava nella camera che ormai condividevano, lo vide armeggiare con i suoi album,  forse indeciso tra quale inserire nel giradischi.
Quando, pochi minuti dopo, tornò nel soggiorno, lo trovò  comodamente seduto sul divano con i piedi appoggiati sul tavolino: una mano era ferma tra i capelli umidi e l’altra portava alle labbra quella che sembrava una sigaretta; la testa si muoveva appena al tempo della musica e mormorava le parole della canzone.
— Vieni?— le domandò facendole cenno accanto a sé.
Non se lo fece ripetere neanche mezza volta e gli corse accanto, facendolo ridere. Da quando avevano fatto l’amore per la prima volta, qualcosa tra loro si era sbloccato: era come se Agnes avesse trovato la chiave per accedere al mondo di Ian, quel mondo che aveva solo intravisto ascoltando le sue canzoni. E il premio per tutta la fatica fatta, per tutte le incertezze che aveva dovuto sopportare era proprio lì, davanti a lei: Ian, senza muri a dividerli, né difese a ferirla; Ian…
— Rock’n’Roll Star?— chiese sollevando le sopracciglia.— Da quando ti piacciono gli Oasis?
La guardò stranito per un momento e, appena l’ebbe abbracciata a sé, le rispose scrollando le spalle: — Praticamente da sempre.
— Sarà, ma credo che sia la prima volta che li sento in questa casa…— commentò accoccolandosi meglio tra le sue braccia. Fattasi più vicina, però, fu attratta da qualcos’altro.
— Ma cosa fumi?— gli domandò sospettosa.
— Non fare l’innocentina adesso.— la redarguì mentre, sollevata la testa, cacciava fuori il fumo dalle labbra. Gli sorrise colpevole, al ricordo degli spinelli divisi con Colin e a volte anche con Astrid.
— Infatti chiedevo perché lo voglio anch’io!— lo sorprese con un’espressione buffa che lo fece ridere.
— Solo se prometti di non farmi confessioni imbarazzanti dopo solo un tiro!— la provocò, allontanando lo spinello da lei, che prontamente cercò di rubarglielo.
Dopo quel piccolo battibecco, decisero di dividersi lo spinello e un pacco di patatine e di innaffiare il tutto con una Guinness. Agnes non seppe dire né come né quando, ma a un certo punto si ritrovarono a cantare a squarciagola una canzone: i loro visi erano vicini, il sorriso di uno sul sorriso dell’altra. E quelle parole…

Maybe I just want to fly

I want to live I don't want to die
Maybe I just want to breath

Quando la canzone finì, Agnes si concesse un attimo per guardare Ian: sorrideva, quel giorno. Le sue labbra erano distese, serene; i suoi occhi chiari erano lì con lei, non recavano traccia della patina di malinconia che li adombrava normalmente. Stava disteso sul divano, rilassato e apparentemente spensierato. La guardava ed era una di quelle rare volte in cui non sembrava vedere nient’altro che lei. Era qualcosa di così raro che Agnes avrebbe voluto fermare quel momento e godere anche del più piccolo particolare.
— Lo so, mi ami e non puoi vivere senza di me.— affermò fingendosi comprensivo.— Ma non dirlo, lo so che lo faresti solo per colpa dell’erba.
— Ma…— esclamò fulminandolo,— Ian Sutcliffe sei proprio un…—
— Nah…Non chiamarmi Sutcliffe.— la interruppe con una piccola smorfia di fastidio.— Non oggi.
Lo guardò più attentamente e quasi le venne voglia di mettersi le mani sulle tempie. — Oggi sei più incomprensibile del solito. Lo sai, vero?— vedendolo scuotere la testa divertito, continuò a parlare: — E poi cos’è questa storia di Sutcliffe? Colin mi ha raccontato che hai deciso di suonare al Kirchherr’s per via del suo nome e che avete anche litigato per questo! Che c’è, adesso ti farai chiamare Best?— gli domandò con un sorriso ironico.
— Agy…— iniziò dopo aver riflettuto un po’.— La verità è che Stu Sutcliffe ha vissuto gran parte della sua vita in modo sbagliato, tentando di fuggire da quella che fin dall’inizio sapeva essere la sua strada. Quando finalmente aveva trovato il suo cambiamento, morì.— terminò socchiudendo appena gli occhi.
— Cosa vuoi dire con questo?
— Che oggi non voglio essere chiamato Sutcliffe.— le rispose sollevando gli occhi verso di lei, occhi che impiegarono qualche istante prima di tornare di nuovo sereni. — Solo questo.

***

— Te l’ho detto, non c’è bisogno.— ripeté dopo un profondo sospiro. — Mamma, rimani a casa. Se ci sono novità, ti faccio sapere.
All’altro capo del telefono rispose un mormorio incomprensibile.
— Di nuovo?— chiese incredula,— Mamma, non l’hai nemmeno conosciuto.— commentò spazientita.
— Sì, ma è così triste.— le rispose con la voce rotta.— Così giovane…
— Mamma, non è morto.— la interruppe nervosamente,— È in coma e può svegliarsi da un momento all’altro.
Il sospiro sconfortato di sua madre la fece sentire una bambina ingenua, ma cacciò subito quella sensazione e senza troppe cerimonie salutò sua madre e cacciò il telefono in tasca.
Avrebbe voluto essere l’unica persona al mondo a interessarsi delle condizioni di Ian. Aveva perso il conto delle persone che avevano telefonato o erano andate all’ospedale con l’intento di confortarla e si erano invece trovate a piangere tra le sue braccia. E poi c’erano quelle che lei stessa teneva alla larga da sé perché sapeva che sarebbero riuscite a farla crollare. Sì, ad Agnes sarebbe piaciuto interpretare la parte della ragazzina fragile confortata da tutti; ma era ben consapevole di non potersi permettere debolezze.
L’unico momento in cui aveva davvero ceduto, lasciandosi andare a un pianto straziante, era stato diversi giorni prima, quel famoso 21 luglio. Non aveva pianto quando Colin le aveva telefonato nel corso dell’incontro di lavoro. Né aveva pianto quando, alcuni minuti dopo, aveva telefonato un incredulo Woody. Lo aveva fatto solo quando, in hotel, aveva trovato la sua camera vuota: il letto era stato rifatto, tutto era stato rassettato. Non aveva trovato traccia di lui, di loro. Come se quella stanza non li avesse mai visti insieme, come se la notte scorsa fosse stata davvero un sogno.
Poi c’era stato l’ospedale, con il via vai dei medici e parole di cui faticava a comprendere il significato: shock emorragico, ipovolemia da correggere, insufficienza respiratoria, fratture al femore e al bacino. E dopo era arrivato il peggio e proprio quel peggio era ciò che in un primo momento non aveva ben capito: emorragia subaracnoidea. Aveva compreso l’entità del pericolo soltanto quando i medici avevano nominato qualcosa di noto: coma. Solo di sfuggita aveva afferrato percentuali di sopravvivenza, ma chissà come queste erano scivolate subito via dalla sua memoria. Forse era stato un meccanismo di difesa, forse non era stata in grado di accettare anche questo.
L’iniziale spaesamento, però, aveva ben presto lasciato spazio a una forza nuova, che aveva lasciato tutti sorpresi: quelle parole incomprensibili erano diventate parte di lei, i medici e gli infermieri erano diventati volti conosciuti; stava tutti i giorni attaccata al telefono alla ricerca dei migliori chirurghi dello stato; litigava per ottenere informazioni precise sulla pressione arteriosa, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria.
Una nuova Agnes, aveva detto qualcuno. E forse era davvero così: faticava lei stessa a riconoscersi in quella giovane donna dagli occhi stanchi, ma decisi; era quasi incredibile come tutti si fossero appoggiati a lei in quella situazione. Persino i genitori di Ian…
Quando erano arrivati, Agnes non li aveva accolti con il distacco e il gelo di Colin. Era stata gentile, per un momento aveva anche abbracciato sua madre. Sapeva che Ian aveva sofferto molto per il loro allontanamento e, benché nessuno glielo avesse confermato, aveva anche intuito che il ragazzo era arrivato persino a sentirsi colpevole ai loro occhi per quello che era successo a suo fratello. Nonostante questo, però, non si era sentita di trattarli con sufficienza. Lei li capiva: era facile amare Ian, volergli bene; meno facile era stargli accanto, sopportare le sue fragilità. Dopotutto non si era comportata in modo così diverso da loro: anche Agnes aveva abbandonato Ian nel momento in cui aveva più bisogno di lei, voltando le spalle a quel lato del ragazzo che lui stesso detestava più di ogni altro.
Ora lo sapeva.
Da quando si erano conosciuti, Ian l’aveva aiutata ad uscire dalla condizione di anonimato in cui aveva sempre vissuto la sua vita, arrivando persino a costringerla ad affrontare tutte le sue debolezze e paure. Solo che lo aveva fatto in silenzio, senza clamore, nel solito modo sfuggente di chi fa del bene agli altri senza chiedere un riconoscimento. E proprio per questo, tutti quei gesti erano passati inosservati; stupida e cieca, non aveva capito cosa avesse fatto per lei: aveva cancellato le sue insicurezze.
Tranne una. Quella più importante, quella più dannosa: la fragilità di un amore sincero davanti alle ombre più nere dell’altro.
Ora sapeva di essere fuggita nel momento in cui aveva visto quanto fossero profondi gli spazi vuoti nell’animo di Ian, con quanta forza fossero sbarrate certe finestre, come fosse solido il muro. E questa era la sua colpa più grande: se solo fosse rimasta con lui, se solo gli avesse mostrato di amare anche le sue difese, Ian avrebbe imparato a non temere se stesso, ad accettarsi.
Ora aveva capito.
L’amore vero aspetta. Non lascia mai andare. Lotta. Senza condizioni, senza cedimenti. Lotta anche quando tutti attorno hanno abbassato lo sguardo, sconfitti.
L’amore vero aspetta. Ti troverà, ti verrà a prendere…Ovunque. Nella vita, nella morte. E se c’è qualcosa tra la vita e la morte, arriverà anche lì.
L’amore vero aspetta. Fino alla fine, anche dopo la fine.
— Peter, cosa aspettiamo?
Una voce di bambina la riscosse dai suoi pensieri. Non si era nemmeno accorta che, mentre ripercorreva le ultime settimane, due bambini si erano seduti accanto a lei nella sala d’aspetto dell’ospedale.
Vide il ragazzino più grande rivolgere un’occhiata infastidita alla bambina che aveva posto la domanda. Si sistemò meglio sullo scomodo sedile, forse proprio per prendere tempo, e quando rispose, lo fece con voce brusca: — Aspettiamo che nonno muoia.
Agnes trattenne il respiro, come se quelle parole dure fossero rivolte proprio a lei. Con la coda dell’occhio, vide la bambina abbassare un po’ il capo e rivolgere uno sguardo desolato verso la porta socchiusa davanti a loro: si intravedevano delle persone sedute attorno a un letto, in silenzio. In attesa.
— Miss Dayle?
Agnes sollevò lo sguardo e ritrovò il volto familiare di uno dei medici che si erano occupati di Ian.
— Di qua, prego.— le fece un cenno gentile verso un’altra porta lì vicino.
Si alzò a fatica dal sedile e, appena prima di muoversi verso quella porta chiusa, rivolse uno sguardo a quei due bambini. Poi diede loro le spalle e si costrinse a fare qualche passo incerto.
L’amore vero aspetta.

***

Era rimasto appoggiato alla parete per tutto il tempo in cui Agnes aveva parlato. Le braccia conserte, il capo appena chinato e un’impellente voglia di fumare. Non si era mosso da quel corridoio che avrebbe dovuto portarlo alla sala conferenze del Chelsea and Westminster, nella sedia rimasta vuota accanto ad Agnes.
All’ultimo momento non aveva avuto la sua stessa forza: l’idea di rivivere quegli ultimi due anni davanti a degli estranei lo aveva paralizzato e, prima che Agnes iniziasse a parlare, non ne aveva nemmeno compreso l’utilità, il senso.
Quando le aveva parlato di quelle perplessità, Agnes gli aveva sorriso e gli aveva spiegato che era una promessa e lo doveva a tutti e tre. Colin non aveva comunque capito.
Poi la voce delicata di Agnes aveva iniziato a raccontare e tutti i suoi dubbi erano spariti, lasciando spazio unicamente al passato.
“Sentire suonare i Fifth Beatle, lasciare entrare le parole di Ian era qualcosa di sconvolgente. Io sono cresciuta con la musica, ma nelle loro canzoni ritrovavo me stessa e tutte le mie paure…”
La passione che li aveva uniti.
“Quando  io e Colin portammo le mie cose nel loro appartamento, trovai davvero la mia casa: appoggio incondizionato e caloroso conforto.”
L’affetto.
“Ho quest’immagine nella mente: il sorriso di Ian mentre mi porge la mano per tirarmi fuori dal camerino.”
L’amore.
“Cantavo davanti a una folla di sconosciuti e le uniche persone che vedevo davvero erano loro: Ian e Colin.”
L’unica luce che non sarebbe mai andata via.
— Ammetto che siamo stati ingenui, a volte anche ingrati. Ogni intrusione nella nostra vita privata è stata giustificata con qualcosa che suonava come “siete stati voi a scegliere questa vita”.  E forse avete ragione voi. Ma quello che ferisce è che nessuno ha davvero tentato di conoscerci: siete stati fin troppo rapidi ad affibbiarci ruoli e caratteri. E così facendo abbiamo perso tutti. Ian in particolar modo, perché lui stesso si era già dato una parte da interpretare e voi avete portato a termine il lavoro che aveva iniziato .
 Ian è diventato Sutcliffe, l’artista dannato, incapace di vivere tra le persone comuni. Ma, come vi ho mostrato, Ian era anche altro. E non raccontatevi che era lui a nascondersi, perché avreste potuto vederlo in ogni momento: la sua musica e le sue parole erano delle imposte socchiuse verso la realtà, verso chiunque fosse disposto a guardare davvero.
Il nemico di Ian non era né la vita né la realtà, come troppo spesso io stessa ho pensato; la sua peggiore paura, il suo più grande turbamento era Sutcliffe, la fragilità di chi vuole vivere fino in fondo, di chi vuole sentire davvero e non sa trovare il modo.
Ora Sutcliffe è morto ed è rimasto solo Ian. Vi prego di averne maggiore cura.

***

Qualche ora prima

— Avevi promesso che mi avresti aspettata in hotel.
— Dovremmo smetterla con le promesse. È chiaro che non sono il nostro forte.
Sospirò quando sentì la sua risata fievole trasformarsi in un pianto pieno di angoscia. Piegò la testa un po’ di lato e si sforzò di sorriderle nonostante ogni piccolo movimento lo facesse soffrire.
— Vieni qui…
La vide respirare profondamente per calmarsi e andargli incontro con passi incerti.
— Sto bene. Davvero. Non farti condizionare da tutti questi macchinari. Starò bene.— tentò di rassicurarla. Ma lei non lo guardava nemmeno in viso, i suoi occhi sfuggivano ai suoi.
— Lo so.— mormorò sfiorando appena le lenzuola che lo coprivano.
La guardò spaesato e cercò di toccarle la mano, ma lei la spostò per portarla sul viso e asciugare l’ennesima lacrima che era scivolata sulla guancia.
— Agy?— la chiamò confuso dal senso di distacco che riusciva ad avvertire.
— Ti ho aspettato….— disse dopo quella che a era parsa un’eternità,— Ti ho aspettato e ho fatto di tutto per arrivare a questo momento. Ti ho aspettato anche quando tutti mi ripetevano di prepararmi a lasciarti andare. E quando rispondevo che ti avrei aspettato sempre, nessuno riusciva a capire. L’unico che avrebbe capito eri tu, ma tu non c’eri.
Allungò la mano e trovò il suo polso sottile. La presa non era salda, ma lei l’avvertì subito.
— Sono qui, amore.
Finalmente i loro occhi riuscirono a incontrarsi, indifesi e spauriti come mai prima d’allora: — Eri andato via di nuovo.— sussurrò mentre nuove lacrime minacciavano di sopraffarla.
La guardò senza sapere cosa dire per tranquillizzarla, per cancellare la paura dai suoi occhi. Come la notte in cui era andato nel suo hotel, non poteva fare altro se non mostrarle come fosse lì, come anche lui avesse fatto di tutto per tornare da lei.
— C’è una promessa che devo mantenere.— disse improvvisamente.
Ian la guardò stranito: — Quale?
— Voglio raccontare di questi due anni.
— Perché?
— Perché meritiamo di essere visti davvero, Ian. Soprattutto tu. Dovrebbero vederti come ti vedo io. E anche tu dovresti.
Nonostante non ne fosse particolarmente convinto, non poté che annuire quando notò gli occhi di Agnes illuminarsi a quell’idea. — Fai pure.— disse alla fine e da come lo guardò capì di averla sorpresa.
Agnes sorrise e Ian seppe di aver fatto la cosa giusta. La vide abbassarsi verso lui e sentì le sue labbra poggiarsi sulle sue delicatamente: non si sarebbe mai stancato di quella delicatezza.
— Andrà bene dopo…— bisbigliò guardandolo dritto negli occhi.
La porta si chiuse dietro Agnes e, senza nemmeno rendersene conto, Ian si assopì quasi subito.
Quando si svegliò, gli occhi leggermente socchiusi vennero colpiti da una luce molto forte. Qualcuno aveva scostato le tende dalla finestra e da questa facevano capolino i raggi del sole, che arrivavano dritti sul suo viso procurandogli un piacevole tepore. Per la prima volta sentì di non avere paura di quella luce, era come se si fosse riappacificato con essa.
Sapeva che alcuni spazi sarebbero rimasti sempre vuoti, ma ora capiva che questo era normale; sapeva che ci sarebbero stati giorni in cui Sutcliffe avrebbe fatto di tutto per tornare, spingendolo sull’orlo di quel precipizio in cui era crollato tempo prima e da cui era risalito a fatica; sapeva che avrebbe avuto la tentazione di lasciare che Sutcliffe colmasse quegli spazi vuoti con le sue innumerevoli ombre.
Ma c’era qualcuno per cui valeva la pena tentare di aggrapparsi alla realtà.
C’era chi lo avrebbe aspettato sempre.
C’era quel 4 agosto 2013: il giorno del suo ventottesimo compleanno.
Tutto era possibile, quel giorno.
Anche l’impossibile.

***


Quando le imposte sono spalancate

E non temi né il temporale né il sole
Quando finalmente ti svegli
E scopri che Sutcliffe è andato via.





Note d’autore:

Credevo che non ci sarei mai riuscita e invece eccomi qui: la mia prima long conclusa. Già al pensiero di pubblicare e inserire ‘completa’ tra gli avvisi mi viene un nodo alla gola, ma mi tocca farlo. Anche perché vi ho fatte penare abbastanza. Forse il finale di questa storia lascerà qualcuno deluso e sì, ammetto che mi dispiacerebbe; ma quello che davvero volevo per i miei protagonisti era una crescita. E così in realtà Sutcliffe sono  tutti e tre, sebbene in tre modi differenti: Sutcliffe è Agnes quando ha paura di buttarsi prima, quando ha paura di amare il lato più oscuro di Ian dopo; Sutcliffe è Colin perché ha messo la sua vita nelle mani degli altri; Sutcliffe, più di ogni altro, è Ian perché ha sempre avuto paura di esporsi, persino nella musica. Sutcliffe è chi sceglie di vivere all’ombra e di non vedere mai la luce, chi ha paura di cambiare strada per le sue insicurezze e quando decide di farlo è troppo tardi.
Quindi Sutcliffe è un’idea che muore tre volte nel corso di questo capitolo conclusivo.
La storia è conclusa e io devo smettere di parlare! Ma ci sono alcune cose che mi preme dire.
Mi piacerebbe conoscere il parere di tutte voi. Capisco che recensire può venire difficile a volte e se adesso ve lo chiedo è solo perché mi piacerebbe ringraziarvi tutte personalmente, sapere cosa vi ha portate fin qui e se questo finale in fondo ve lo aspettavate oppure no.
Ringrazio tutte voi per aver voluto trascorrere un po’ del vostro tempo insieme ad Ian, Agnes e Colin. Ringrazio chi mi ha incoraggiata con pazienza, anche quando i miei tre personaggi prendevano il sopravvento!
Ringrazio chi ha segnalato la storia, spendendo parole meravigliose e ovviamente ringrazio l’amministrazione del sito per averla inserita tra le storie  scelte.
Ringrazio mia sorella, perché senza di lei questa storia non avrebbe mai visto una fine.
Ringrazio Agnes, Ian e Colin per avermi permesso di conoscere lati nuovi di me stessa e affrontarne altri più bui.
Ringrazio quelle persone che sono diventate amiche speciali.
Se avete voglia di seguirmi, qui trovate il mio link su fb e qui trovate la mia nuova storia.
Vi saluto e mando un abbraccio a tutte,
Agnes.


True Love waits
Live forever

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