With or without you

di fragolottina
(/viewuser.php?uid=66427)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


sora Prologo

Non ricordava quando avesse iniziato a sentirlo.
    A casa, lontano dalla battaglia e dalle continue botte di adrenalina per questo o quel mostro, ascoltare cosa c’era nel suo cuore era stato più semplice. Nel suo cuore c’era un’anima malinconica e triste. Qualcuno che si era arreso ad essere soltanto l’ombra nel cuore di un ragazzo fortunato. Qualcuno che aveva perso tutto.
    Si era sentito in colpa, ma aveva fatto finta di niente, perché aveva il terrore che aiutare lui avrebbe significato perdere sé stesso. Si era perso tante di quelle volte e tutte le volte un miracolo lo aveva acciuffato per la coda prima che fosse troppo tardi. Non poteva continuare a sperare nei miracoli, non poteva continuare a perdersi, prima o poi, non sarebbe più riuscito a ritrovarsi.

La bomba l’aveva fatta esplodere Kairi.
    Kairi che nella sua immensa solitudine non ricordava come si facesse a stare tutti e tre insieme. Lui e Riku continuavano a giocare, ridere, talmente euforici per essere riusciti a cavarsela; a casa, tutti e due, normali, tutti i due. Due anni prima non ci avrebbe scommesso nemmeno un capello, nonostante continuasse a ripetere che l’avrebbe ritrovato e l’avrebbe riportato a casa. Lei li guardava da lontano, anche se entrambi ce la mettevano tutta per coinvolgerla.
    «È strana.» aveva detto un giorno a Riku guardandola mentre raccoglieva conchiglie sul bagnasciuga.
    Lui aveva riso, prendendolo in giro come sempre. «Non siamo più entrati nel posto segreto. Né tu, né io, né lei.» aveva fatto forza sulle braccia per sedersi sul tronco dove Sora stava appoggiato con la schiena. «Siamo tutti diversi da tre anni fa.»
    «Ma lei è quella più strana.»
    Riku aveva scosso la testa osservandolo, non era Kairi ad essere strana, non così tanto perché Sora se ne accorgesse almeno; era lui che non riusciva a collegare qualcosa di fondamentale, aveva diciassette anni ora, non quattordici, non gli bastava più guardarla raccogliere conchiglie o stringere tra le mani il portafortuna che gli aveva fatto.
    Aveva guardato su, una palma ed i bizzarri frutti paupou attaccati appena sotto le foglie. «Sbaglio o c’era una cosa che volevi fare prima che un mostro si mangiasse la nostra isola?»

Ci aveva messo una vita ad arrivare in cima, arrampicarsi sugli alberi non gli riusciva più così bene, aveva perso l’allenamento, in più aveva Riku che continuava a prenderlo in giro e minacciarlo di fare prima di lui; per un attimo gli era sembrato di tornare indietro nel tempo, tornare il ragazzino in continua competizione con lui, perché, accidenti, Riku era migliore di lui in tutto. Per un attimo aveva anche pensato di ricordargli che l’aveva battuto, diverse volte, ma gli era sembrato di cattivo gusto, perciò aveva lasciato perdere.

Kairi non si aspettava la sua visita e quando era andata alla porta dopo che suo padre l’aveva chiamata, gli era sembrata curiosa e sorpresa.
    «Dovevamo vederci in spiaggia.» aveva detto sorridendo.
    Lui non aveva trovato niente da rispondere, il che era abbastanza sconvolgente, visto che era un chiacchierone. Era Riku il silenzioso, il misterioso.
    Tutto quello che avrebbe voluto dirle era ‘grazie’: per avergli donato il suo cuore quando lui aveva perso il proprio ed allo stesso tempo, per aver pensato che il suo cuore fosse al sicuro solo con lui; per aver abbracciato un Hertless ed avergli mostrato come uscire da quell'oscurità in cui si era invischiato; per aver dimenticato il suo nome, ma esserselo ricordato dopo solo un aiutino; per essersi buttata in un buco nero per andarlo a cercare, nonostante l’ansia per lei l’avesse quasi ucciso; per averlo abbracciato, appena prima della battaglia finale, per avergli fatto sentire quanto le era mancato, per avergli dato un motivo in più per combattere, per avergli fatto credere che stesse combattendo dalla parte giusta.
    Non aveva detto niente invece. Si era solo tolto una mano da dietro la schiena per mostrarle quello che nascondeva, non c’era niente da dire, lo sapevano tutti e due.
    Kairi era rimasta interdetta a guardare l’enorme stella gialla nella sua mano. «È un…»
    «Si.» aveva annuito interrompendola.
    «Wow…» aveva sorriso, ma i suoi occhi luccicavano bagnati di lacrime. «non credevo fossero così grandi.»
    Per la prima volta Sora aveva capito tutto, tutto insieme ed aveva trovato la giusta cosa da dire. «È da dividere.»
    Lei aveva sospirato, un sospiro pesante come un macigno, che aveva aspettato fino a quel momento di poter lasciare andare, poi gli aveva buttato le braccia al collo ed era scoppiata a piangere. Sora l’aveva stretta, lasciando andare il frutto paupou – gliene avrebbe colti mille se avesse voluto – e con il viso immerso nei suoi capelli aveva riconosciuto il profumo di casa, non si era mai sentito tanto bene in vita sua.
    Kairi l’aveva baciato e lui non ricordava di aver mai baciato nessun altro in vita sua, ma non gli importava, comunque era lei che voleva baciare.

Solo quando era tornato a casa sua aveva iniziato ad ascoltare di nuovo l’ombra nel suo cuore. Gli era sembrata confusa, non capiva. Certo, che non capiva. Aveva controllato che in corridoio non ci fosse nessuno, poi si era sdraiato sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, talmente in pace con il mondo da non capire quanto odio e rabbia avrebbe scatenato spiegando quello che era successo.
    «È una leggenda.» aveva iniziato sentendosi un po’ stupido a parlare da solo, ma in realtà non stava parlando da solo. «Se dividi un frutto paupou con qualcuno le vostre vite rimarranno legate per sempre.»
    Quando si era leccato le labbra il sapore salato delle lacrime lo aveva sorpreso, non si era nemmeno accorto che stesse piangendo e di sicuro lui non ne aveva motivo.
    Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…
    Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
    Ma di certo, non l’ultima.

boh...ci sono ricascata credo...mi mancavano!
non so bene cosa scrivervi...spero che vi piaccia!
fatemi sapere che ne pensate!
baci


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


sora ok, devo pur darvi qualche spiegazione...
dunque, rimuginando nella mia testa ho scoperto che io non avevo mai scritto niente su Kingdom Hearts che parlasse di Kingdom Hearts, mi ero sempre limitata a leggere qui e là...solo che mi è venuta una travolgente voglia di mettermi giù e scrivere, scrivere, scrivere...
volevo una storia che parlasse di Sora - perchè io lo adoro, davvero, gli sono affezionata - che stesse insieme a Kairi - lo so, sono quasi banale, ma per me sono troppo carini insieme - e che fossero cresiciuti, un po'...ovviamente metterci Sora e fingere che Roxas non esistesse, mi pareva una decisione impraticabile. Roxas c'è, è una tortura emotiva enorme, ma sappiamo tutti che c'è.
cmq, sempre nel mio rimuginare ho pensato che se io fossi stata Roxas - ricordatevi dove siamo partiti e dove sono arrivata, dovreste fare una colleta per spedirmi da uno psichiatra - nel vedere Sora e Kairi vivere felici e contenti mi sarebbero girate, eccome se mi sarebbero girate...ed ecco a grandi linee quello che state leggendo...
chiedetemelo...
ok, faccio da me...
'E Axel?'
eh...Axel...vedremo...


Capitolo 1


‘Era l’unico che mi piacesse,
mi faceva sentire come se avessi un cuore.
Era divertente.’

Aveva sempre trovato insolito che una cosa che si chiamava ‘corridoio oscuro’ fosse in realtà tanto colorata. Era lì in quel momento, anzi, forse sarebbe stato più esatto dire che lui era lì, perché anche se Sora ricordava di aver avuto quell’uomo vestito di nero tra le braccia, anche se i suoi occhi verdi avevano fissato i propri, cercandovi qualcuno di assopito al loro interno, in quel momento era Roxas a piangere sul corpo ancora bollente per il colpo inferto.
    Accarezzava i suoi capelli rossi e spinosi come se cercasse la fonte di un ricordo, con un’adorazione che a Sora fece stringere il cuore, il suo.
    Roxas alzò gli occhi su di lui che guardava la scena senza sapere da dove, ma adesso lo stava fissando, il suo sguardo affogato nelle lacrime, il viso piegato in un’espressione di dolore e tormento. Rabbia, rabbia per quello che poteva essere, per quello che era quasi stato, per quello che ormai era irraggiungibile.
    È morto per te, per salvarti, perché somigliavi a me! – un singhiozzo a spezzare quell’ira – ed io non ho potuto nemmeno stringerlo un ultima volta… – mormorò posando gli occhi su quelli di Axel che una volta erano stati verdissimi, ormai chiusi – ho dovuto piangerlo con le tue lacrime. Perché io sono dovuto sparire dentro di te e non il contrario?! – urlò di nuovo.

Sora sussultò balzando a sedere nel letto, stringendosi una mano sul cuore, in quei momenti gli faceva così male che si sarebbe scavato un buco nel petto per tirarlo fuori, strappare via quella dannata ombra e rimetterlo dentro. Era come avere il proprio corpo infestato da un fantasma, un fantasma che di tanto in tanto – sempre più frequentemente, in realtà – prendeva il sopravvento e ti schiaffeggiava con la sua sofferenza. Era doloroso, doloroso in un modo che non avrebbe saputo spiegare, ma che una parte di sé credeva di meritare. Ansimò e deglutì, cercando aria come se avesse passato gli ultimi minuti in apnea, la voce di Roxas che continuava a gridare e strepitare nella sua testa.
    ‘Perché tu sei il mio Nessuno e non il contrario.’
    Non servì a niente se non a farlo infuriare di più.
    Io sono Roxas! Io non sono tuo!
    «Sora?» chiamò dolcemente la voce di Kairi, mentre si alzava e lo abbracciava da dietro.
    Deglutì ancora. «Un incubo.» mentì, perché Roxas non gli permetteva di chiamare incubi quelli in cui c’era Axel, nemmeno quelli in cui moriva.
    «Heartless?» domandò, appoggiando la guancia calda contro la sua schiena nuda.
    «No.»
    «Nobody?» chiese ancora.
    Fece un mezzo sorriso, confortato, c’era qualcosa di appacificante nel modo con cui Kairi scavava tra le sue guerre, tra le sue cicatrici, fino a trovare quella che pungesse di più. «No.»
    Kairi gli prese il viso tra le mani per guardarlo negli occhi, asciugandogli piano le guancie, Roxas piangeva attraverso i suoi occhi. «Roxas?»
    Il sorriso di Sora si spense ed abbassò lo sguardo in un muto cenno di assenso, le appoggiò piano una mano sulla canottiera che usava per dormire, all’altezza del cuore. «Tu senti mai Naminè?» le domandò per cercare un corrispettivo per il suo tormento.
    «Sai, com’è fatta Naminè.» gli rispose sorridendo. «Si, la sento, ma è tranquilla nel mio cuore come è sempre stata.»
    Roxas era tutto fuorché tranquillo.
    «Ce la fai a riaddormentarti?»
    Scosse la testa, sentiva il cuore in mezzo ad una morsa che continuava a stringere e stringere e stringere. Però si lasciò cadere sul letto con le mani sul viso, mentre Kairi gli si accoccolava addosso paziente.
    «Non puoi continuare così.» gli disse.
    «Non so cosa fare.»
    Kairi gli accarezzò il torace. «Chiediti cosa vuole.»
    Sospirò, poi le passò una mano tra i capelli. «Lo so, cosa vuole.» rispose guardando fuori dalla finestra aperta dove si sorprendeva tutte le notti di trovare una luna tonda e non Kingdom Hearts.
    «Hai modo di farlo contento?»
    Si strinse nelle spalle. «Non lo so, non saprei nemmeno da dove cominciare.»
    Kairi sollevò la testa rimanendo appoggiata con il mento sulla sua pancia, sorrise con quel sorriso che lo faceva sentire tremendamente al posto giusto. «Perché quando hai salvato il mondo sapevi da dove cominciare?» gli domandò ironica.

Si sedette sulla sabbia con le gambe raccolte a guardare l’oceano davanti a lui, la linea netta che divideva il cielo dalla terra, un limite. Non importava quanto avesse vagato per mondi, avere un limite lo faceva sentire costretto, gli faceva venire voglia di andare un po’ più là. Rise, scuotendo la testa. Se Kairi avesse solo immaginato che lui faceva certi pensieri lo avrebbe ucciso e seppellito sull’isola dei bambini.
    Allungò una mano e davanti a lui, tante lucine simili a lucciole si unirono fino a formare l’abbozzo di un keyblade luminescente che poi lasciò il posto ad un vero keyblade, nero. Il suo keyblade. Oblivion.
    «Continui a portartela dietro?» chiese una voce che non fece fatica a riconoscere. «Credevo ti fossi stancato di aprire e chiudere porte.»
    Non gli rispose che non era lui a portarsela dietro, ma che continuava a seguirlo ovunque ed avrebbe continuato a farlo. Il keyblade sceglie il suo possessore ed aveva scelto Sora. Lui non poteva farci niente. A volte, più spesso di quanto gli piacesse ammettere, aveva provato la destabilizzante sensazione di essere lui stesso l’arma, lo strumento, che fosse la chiave a possederlo.
    Riku si sedette accanto a lui. «Nostalgia?»
    Sora sentì i peli su tutto il corpo rizzarsi e lo guardò ad occhi sbarrati, terrorizzato: se era Riku ad avere nostalgia di girovagare poteva essere grave, l’ultima volta che aveva ceduto alla tentazione dell’ignoto aveva distrutto il loro mondo.
    Il suo amico scoppiò spietatamente a ridere. «Tranquillo, non vado da nessuna parte!»
    Si permise un sospiro di sollievo e tornò a guardare il mare. «Non mi lascia in pace, mai. Il suo dolore mi sta mangiando il cuore. Un giorno o l’altro diventerò un heartless.» confessò, lasciò il keyblade che si dissolse automaticamente per stringersi le mani nei capelli. «Se sono solo si deprime, se sto con te è geloso, se sto con Kairi gli manca…» si interruppe guardandolo, chiedendosi se fosse o meno il caso di ammettere con il suo migliore amico, che l’ombra nel suo cuore amava un uomo. Gli faceva un po’ strano visto che era la sua controparte. «Se solo sapessi come…»
    «Chiediglielo.» lo disse con una tranquillità ed una naturalezza che lo fecero arrossire.
    Lo fissò eloquente. «All’ombra nel mio cuore?» qualcosa, chiamato pudore, gli aveva impedito di dirgli della voce nella sua testa. Lo prendeva già in giro per cose relativamente normali, meglio non dargli un boccone prelibato come quello. Si era limitato a confessargli un certo malessere più o meno pronunciato…
    Riku ricambiò il suo sguardo con rimprovero. «Lo so, che ci parli. Me lo ha detto tua madre, era preoccupata che qualche rotella nella tua testa avesse smesso di funzionare.»
    Sora diede un pugno nella sabbia frustrato, ci mancava solo che i suoi pensassero che stesse lentamente andando fuori di testa.
    ‘Sarai la mia rovina.’
    Roxas ghignò con calcolata soddisfazione.
    È giusto, tu sei stato la mia.
    Riku si appoggiò alla sua spalla per tirarsi su. «Trova il modo.» lanciò un’occhiata alle sue spalle verso la casa di Kairi.
    Lo guardò allontanarsi e, anche se non lo avrebbe ammesso mai, controllò che si dirigesse verso la sua di casa e non quella della sua fidanzata. Riku aveva ragione – era fastidioso da ammettere – e ce l’aveva anche Kairi, doveva trovare un modo per gestire quel tormento, o per estirparlo. In entrambi i casi far finta di niente non lo avrebbe aiutato.
    Guardò ancora il mare, poi la luna che ci si specchiava sopra creando un sentiero increspato sul pelo dell’acqua. Si alzò si tolse la maglietta, le scarpe ed i pantaloni, si guardò intorno, poi anche i boxer ed entrò in acqua; quando il mare gli sfiorò l’ombelico cercò il proprio riflesso, solo per trovare il suo. Identici, sarebbero potuti essere gemelli, lui era soltanto più biondo.
    «Ok, mi sento decisamente idiota.» continuò a controllare che nessuno lo sorprendesse di notte, nudo nell’acqua, a parlare da solo; si tuffò per allontanarsi ancora un po’ dalla riva, lontano da orecchie ed occhi indiscreti. Sora e Roxas immersi nel buio. «Ci ho messo due anni per tornare a casa, ho combattuto battaglie per tornare a casa, ho salvato il mondo e l’ho fatto solo ed esclusivamente per tornare a casa. Non permetterò al tuo odio per me di rovinare tutto ora che ho finalmente raggiunto il mio obbiettivo.» parlare a voce alta lo metteva in posizione di vantaggio, lui poteva farlo, Roxas no.
    Ora che hai finalmente scoperto le gioie del sesso, ora che hai finalmente la tua bella ragazzina da sbattere. Sai, secondo me il tuo amico è geloso… – gli lanciò un’occhiata maliziosa – e non di lei.
    Sora lo fulminò con lo sguardo. «Io non sono come te. I capelli lunghi e gli assassini non mi eccitano.» stava parlando con il suo riflesso nell’acqua, un riflesso che vedeva leggermente diverso, che vedeva muovere autonomamente e che – la pazzia non gli era mai sembrata tanto vicina – gli rispondeva.
    Ma i capelli rossi, si. – insinuò.
    Sospirò passandosi le mani sul viso, poi tra i capelli. «Hai sentito Kairi, no? Naminè è tranquilla, perché non puoi esserlo anche tu?» se avesse previsto la sua reazione non avrebbe detto niente.
    Perché Naminè era un Nessuno! – gridò così forte che, anche se la voce era nella sua testa, l’istinto lo costrinse a tapparsi le orecchie con le mani.
    «Anche tu lo eri ed anche lui.»
    Come puoi parlare così di qualcuno che ti ha salvato la vita? Lui non era solo un Nessuno, lui era…
    A Sora vennero in mente milioni di aggettivi per descrivere Axel, spietato, terrificante, affilato, pericoloso.
    …caldo.
    Quella parola lo sorprese, ‘caldo’ era familiare, confortevole; ‘caldo’ era talmente intenso da farlo zittire per un lungo istante. ‘Caldo’ era amore. Roxas abbassò lo sguardo, ma nel blu dei suoi occhi che era anche il proprio, Sora riconobbe nostalgia. «Non sapevo che sarebbe morto per salvare me.» disse sincero, quando una persona tenta di ucciderti diverse volte è difficile prevedere che si sacrifichi al tuo posto. «Non sapevo che tu e lui foste…e che tu fossi…me. Non si è mai fermato nessuno a spiegarmi la situazione, a volte credo che mi abbiano solo usato per i loro scopi e che io sia stato tanto stupido da permetterglielo. Uno non dovrebbe affrontare una missione solo perché gli hanno detto che è giusto.» rifletté.
    Silenzio.
    Lo ho fatto anche io. – mormorò Roxas pacatamente.
    Per la prima volta nessuno gridava nel suo cuore, nessuna voce, nessun pianto, nessun dolore, solo malinconia, ma in confronto a tutto quello che c’era stato fino a quel momento, gli sembrò un silenzio paradisiaco. Forse per Roxas, Sora non era l’eroe, ma era sincero, sempre. Conosceva il suo cuore abbastanza da credere che fosse vero, che probabilmente a saperlo non avrebbe permesso che qualcuno scombinasse i ricordi di chiunque per risvegliarlo, non avrebbe retto il senso di colpa. Lo osservò al di là dello specchio d’acqua, non lo reggeva nemmeno in quel momento; se non fosse stato tanto tormentato di per sé stesso, Roxas non avrebbe trovato una crepa abbastanza grande da cui urlare tutto il suo scontento. Sora era stato un soldato bambino che aveva realizzato in ritardo gli orrori della guerra.
    Vorrei che avesse una tomba.
    Guardò la sua faccia sul pelo dell’acqua confuso. «Una tomba?»
    Si. Un posto dove possa riposare in pace, così tutti sapranno che è esistito. Lui voleva essere ricordato.
    «Ok.» acconsentì annuendo solenne.
    In un bel posto.
    «Twilight town?» suggerì ricordando che quella città era perennemente nei pensieri di Roxas.
    N-no. – deglutì con fatica – Un posto che abbia più di un tramonto da guardare.
    Sora sorrise. «C’è un mondo bellissimo, è la città dove è nata Kairi. Gli Heartless l’avevano distrutta lasciando solo rovine, ma immagino che ormai sia stata ricostruita del tutto. Sembra un immenso giardino.»
    Credi, che gli piacerebbe?
    Iniziò a nuotare per tornare indietro, gli sembrava di camminare su un filo, un equilibrista che sarebbe potuto cadere da un momento all’altro; sapeva che se avesse detto una parola sbagliata, Roxas avrebbe ricominciato ad urlare. Ma per il momento sembrava essersi placato, quindi, forse, quella era la via giusta. «Ci andiamo. Tu lo conoscevi meglio di me.»
    Non rispose e Sora si rivestì con calma, sentiva ancora dolore, ma sentiva anche che quello era il dolore giusto; non era più odio, era un lutto, lo avrebbero portato insieme. Avrebbe cercato un bel posticino tranquillo dove piantare una lapide con scritte quattro lettere, ci avrebbe portato dei fiori, sarebbe rimasto in piedi con le mani giunte per tutto il tempo che Roxas avrebbe ritenuto necessario.
    Posso chiederti di fare un’altra cosa per me? – gli domandò, cercando di essere gentile per non rovinare l’armistizio che avevano raggiunto.
    ‘Dimmi.’ Non gli interessava più essere in una posizione di vantaggio, per il momento non era più necessario.
    Ti… – per la prima volta gli sembrò di percepire imbarazzo nella sua voce – il mare è salato e la tua pelle è calda.
    Arrossì anche Sora. ‘Oh…’ sospirò. ‘beh, immagino di poterlo fare, anche se effettivamente è un po’…bah…e va bene, chiudi gli occhi e goditelo.’
    Si diede un’occhiata intorno imbarazzato, sospirò ancora, si leccò le labbra e baciò il proprio palmo ricoperto di salsedine; cercò di farlo bene, per ringraziarlo della pace che dopo anni gli stava regalando, cercò di immaginare un bacio di Kairi. Ma si sentì particolarmente ridicolo e scoppiò a ridere.
    Roxas che nella sua testa aveva trattenuto il fiato ad occhi chiusi, espirò tutto insieme.
    ‘Mi dispiace.’ si scusò per la risata.
    Grazie…
    Sora si stiracchiò e sbadigliò.
    Vai da lei, ti lascio in pace.

La mattina dopo guardava Kairi in cucina intenta a preparargli la colazione, sostenendosi il viso con le mani continuava a chiedersi da che parte cominciare per dirle che doveva andarsene a Radiant Garden a costruire una tomba per Axel – sempre che a Roxas fosse piaciuto il posto; non era costruire la tomba il problema, ma Kairi impallidiva davanti a tutti tempi del verbo ‘andare’. La capiva, certo che la capiva, ma lei doveva capire lui e questo gli sembrò meno immediato.
    Ti ha aspettato tutto questo tempo. – cercò di tranquillizzarlo, senza grandi risultati in realtà.
    Tra l’altro, come ci arrivava a Radiant Garden? Non aveva una Gummi ship.
    Scosse la testa: prima Kairi, poi il resto.
    «Perché non me lo dici e basta?» lo incoraggiò la ragazza lanciandogli un’occhiata sorniona, mentre con il bricco del caffè ritornava al tavolo.
    Sora incrociò le braccia sul tavolo appoggiandoci sopra il mento. «Non ti piacerà.»
    Non disse niente, attese.
    Lui si tirò su inquieto – quella mattina non riusciva a trovare una posizione – appoggiandosi allo schienale della sedia. «Non prendermi per pazzo.»
    Sorrise. «Non l’ho mai fatto.» e dio solo sapeva quanto doveva essere stata dura a volte.
    «Ho parlato con Roxas.» ‘parlare’ gli sembrava una parola complicata in quella circostanza, ma il senso era quello. «Vuole una tomba per Axel in modo che non venga dimenticato…» azzardò uno sguardo veloce nei suoi occhi per tastare la situazione. «a Radiant Garden.»
    Come prevedibile Kairi perse colore tutto insieme.
    Lui le prese una mano sbrigandosi a tranquillizzarla. «Non è come in passato. Vado lì, mi faccio aiutare da Cloud a sistemare una lapide e torno qui.»
    «Oh, Sora.» si lamentò lei.
    «Tornerò te lo pr…»
    La mano sulla sua bocca ed i suoi occhi ammonitori gli impedirono di andare oltre. «Non ti azzardare a dirlo.» lo minacciò.
    «Ti prego, Kairi.»
    La ragazza si alzò iniziando a camminare per la cucina, Sora rimase in silenzio a guardarla abbattuto; non che impazzisse dalla gioia di ripartire – anche se effettivamente non gli dispiaceva fare una visita ad i suoi vecchi amici – ma era stata proprio lei ad incoraggiarlo di chiedersi cosa volesse Roxas. Roxas voleva una tomba per Axel, si sentiva anche piuttosto fortunato, avrebbe potuto chiedergli qualcosa di più complicato, e non poteva tirarsi indietro.
    La raggiunse bloccandole i gomiti e tenendola di fronte a lui, ma Kairi sfuggì il suo sguardo, in una muta protesta. «Non succederà niente di male questa volta, non c’è niente di male in giro che possa bloccarmi.»
    «Troverai qualcosa.» mormorò. «Una missione, un amico da salvare, un mondo che ha bisogno di te.» c’era una nota spaventosa nella sua voce, una strana consapevolezza, Kairi era arresa, quasi quanto Roxas.
    E Sora non poteva fare altro se non sentirsi in colpa.
    Le accarezzò il viso. «Aiuterò Roxas, poi tornerò da te.»
    «Ti perderai.»
    «No.» disse deciso. «Non lo farò.»
    Kairi lo fissò sospirando, desiderò di chiuderlo dentro ad una scatola, desiderò incatenarlo a qualcosa, ma ovviamente non poteva fare niente di tutto questo. «Non c’è niente che io possa dire per trattenerti, vero?» domandò affranta.
    Sora scosse la testa. «Avevi ragione, non posso continuare così.»
    Avrebbe voluto urlare, darsi una botta in testa, perché non era stata zitta? Perché non aveva finto di dormire?
    «Sai già come andare a Radiant Garden?» gli chiese invece.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


sora buongiorno...
allora, dopo questo capitolo la piantiamo con le scemenze, diciamo che fin qui era tipo introduzione, dal prossimo facciamo sul serio!
se vi va di farmi sapere che ne pensate mi farà piacere!

Capitolo 2

La prima cosa che vide Riku quando aprì gli occhi fu Sora, seduto su una sedia nella sua camera; per un po’ si guardarono e basta, uno sbracato a pancia in giù sul letto, mezzo nudo e con i capelli sparsi un po’ ovunque, l’altro sveglio, pimpante e vestito. Riku lo studiò più attentamente, studiò come giocherellava con le mani nervoso, a guardarlo con sufficiente attenzione di Sora si poteva capire tutto, anche cosa aveva mangiato a colazione, anche per quanto tempo aveva fatto sesso con Kairi. Tutto.
    In quel momento aveva la tipica espressione di chi vuole qualcosa – ma qualcosa di davvero grande – che non è sicuro di ottenere.
    Riku sbuffò e si soffiò via i capelli da davanti al viso. «Che ti serve?» chiese direttamente.
    Sora fece un’espressione stupita. «Come?»
    «Eddai…» lo incoraggiò lui tirandosi su a sedere e stiracchiandosi. «quando piombi a casa mia con quella faccia, i convenevoli sono inutili.»
    «Che faccia?» domandò senza capire.
    Sospirò e recuperò una maglietta che si infilò, poi iniziò a frugare nel letto alla ricerca dell’elastico che evidentemente doveva aver perduto. «La faccia di chi deve chiedermi un favore.» si aspettava che protestasse, in genere protestava sempre, ma quella mattina per qualche strano motivo, abbassò solo gli occhi sulle sue scarpe. Riku si fece guardingo. «Tutto bene?»
    «Hai ragione…» mormorò. «ho bisogno di un favore e, credimi.» alzò gli occhi su di lui per fissarlo. «Sarebbe l’ultima cosa al mondo che ti chiederei se trovassi altro modo.»
    Lui lo osservò incerto, tirando giù i piedi dal letto ed infilando le ciabatte. «Ok, mi hai sufficientemente incuriosito ed agitato, è ora di arrivare al nocciolo della questione.» lo invitò alzandosi e dirigendosi verso la porta.
    Sora lo seguì come un cucciolo al quale è stata promessa una colazione da gourmet. «Devo andare a Radiant Garden, starò pochissimo.»
    Fece un paio di scalini, poi si fermò per lanciargli un’occhiata, Sora preso a trotterellare gli finì addosso, per scusarsi subito dopo.
    «Ti ha chiamato re Topolino? Qualcosa non va?» più di una volta si era sorpreso a scrutare l’oceano con apprensione, spaventato di veder spuntare tra la schiuma delle onde il collo di una bottiglia con dentro un messaggio.
    «No, per Roxas. Vuole un tomba per Axel.»
    Riku riprese a scendere leggermente sollevato.
    In cucina frugò tra i vari bricchi lasciati dai suoi genitori, scovandovi un goccio di caffè anche per lui, cercò il cartone del latte nel frigo e lo mise a scaldare; i primi tempi dopo il suo ritorno continuava a comportarsi come un ricercato o un rifugiato – non come una persona normale, comunque – ma sua madre gli stava piano, piano insegnando ad essere di nuovo umano. E c’era quasi riuscita.
    «Non hai bisogno di chiederlo.» ebbe un’improvvisa intuizione, aveva talmente senso che si chiese come avesse potuto non pensarci prima. «Bado io a Kairi, tranquillo. Lo avrei fatto comunque.»
    Sora sorrise. «Lo so, non è quello.»
    Ci fu un lampo di luce, poi un suono freddo, metallico; Riku si girò di colpo, facendo rovesciare il latte, ma quasi non se ne accorse preso ad osservare Oblivion che faceva bella mostra di sé nella sua mano. Questa volta non era soltanto incuriosito o agitato, il suo cuore batteva sospinto da un brivido che gli correva a fior di pelle.
    «Sora, che ti serve?» sussurrò, che se ne stesse sulla spiaggia a rimirarla perso in riflessioni era una cosa, che la tirasse fuori nella sua cucina, per mostrargliela era un’altra.
    Sora lo fissò, keyblade master fino al midollo. «Sai farlo ancora?» e non era un cucciolo, non era un ragazzino che trotterellando giù per le scale gli finiva addosso. Era il prescelto dal keyblade, era forte e ne era talmente consapevole da ricordargli che se avessero combattuto, se lo avessero fatto sul serio, lui avrebbe vinto. Quello non saresti riuscito a capirlo nemmeno fissandolo per un giorno intero.
    Riku trattenne il fiato e rimase zitto per un lungo momento, arrivando finalmente a quello che il suo migliore amico gli stava candidamente chiedendo. «Stai scherzando.» sperò, pregò.
    Ma lui scrollò le spalle innocente. «Come altro potrei fare?»
    «Sono sicuro, che ci sia un altro modo.» guardò i fornelli tutti impiastricciati di latte. Fantastico, lui era un keyblade master, Riku doveva prendere lo sgrassatore e fare la casalinga.
    Sora si allungò sul tavolo pungolandogli la schiena con la chiave. «Ho promesso a Kairi di non perdermi.» quel gesto tanto naturale lo colpì, lui, anche se nell’ultima lotta aveva impugnato la chiave, non ne sarebbe mai stato capace. Quella che era stata fatta a Riku era stata una concessione, il keyblade aveva scelto Sora, apparteneva a Sora e viceversa. Era come un prolungamento del suo corpo.
    Scosse la testa, tornando al fulcro della questione: Kairi. «E te lo ha permesso?» domandò stupito. «Non ha realizzato che quando tu prometti in genere si scatena l’apocalisse.»
    «Si.» ammise a malincuore. «Va beh, promessa o non promessa, devo stare attento.»
    Riku si girò di botto studiandolo. «Appunto.» disse eloquente. «Farmi aprire un corridoio oscuro, sempre che io ne sia ancora capace, non è una cosa molto prudente.»
    «Io mi fido di te.»
    «Perché non sei mai stato molto sveglio.» questa frase ebbe lo strabiliante potere di zittirlo. Riku sospirò, iniziando ad asciugare l’acciaio tra i fornelli con un panno. «Perché non ti metti in contatto con Cid o con il re Topolino? Perché non Pippo e Paperino? Troverebbero un modo sicuro e sarebbero contenti di accompagnarti.»
    «Sono tutte persone per cui i Nobody erano errori da eliminare!» si lamentò. «Senti, non ti sto chiedendo di tornare a bazzicare The World That Never Was, né di abbandonarti all’oscurità dentro di te. Voglio solo piantare quella diavolo di lapide senza che qualcuno si metta in mezzo a dirmi che non ha senso, che sono pazzo, che sono solo dei poveretti senza emozioni e con la nostalgia di un cuore.»
    «Ma è questo che sono i Nobody.» gli spiegò Riku paziente, come se non avessero avuto abbastanza a che fare con i Nobody da sapere cosa sono, come sono e tutto il resto.
    Sora sorrise e scosse la testa. «Forse sarebbe più comodo pensarla così, ma alcuni Nessuno erano caldi
    A Riku passò per la mente il ricordo di un abbraccio, la sensazione di un abbraccio, non era proprio un ricordo; una ragazza svenuta sull’isola dei bambini e lui che la soccorreva. Calda.
    Si passò una mano sul viso sconsolato. «Mettiamo che io decida di assecondare la tua follia, potrei affogare nelle tenebre, è già successo.» e non aveva intenzione di ripetere l’esperienza.
    Il suo amico si strinse nelle spalle come se fosse un problema già analizzato, affrontato e risolto. «Avrai una luce da seguire.»
    Riku scosse la testa. «Niente è tanto luminoso laggiù.»
    Sora assottigliò lo sguardo per un secondo lasciando che il keyblade scomparisse, poi lo fissò con aria di sfida e sorrise. «Nemmeno il cuore di una delle sette principesse?»

Sospirò fissando la benda ferma a mezz’aria davanti ai suoi occhi.
    «Dimmi tu, quando posso andare.» disse dolcemente Kairi con voce flautata, senza mettergli fretta.
    Riku osservò quel pazzo criminale, attentatore della pace nei mondi, sistemarsi uno zaino sulle spalle. «Come è riuscito a convincerci?» domandò affranto.
    La ragazza lasciò andare un sospiro tormentato. «Sora è Sora.» era incredibile come nonostante fosse naturalmente arrabbiata con lui, riuscisse a far trasparire tanto amore nella sua voce. Quando era stata in pericolo, Kairi aveva capito che il suo cuore sarebbe stato al sicuro solo con Sora. Quella notte aveva scelto molto più di un custode, quella notte Riku aveva scoperto che non sarebbe stata sua. Mai.
    «Ricordami di massacrarlo quando torna.»
    Non disse ‘se’, perché anche se Kairi aveva paura, anche se quella era una delle idee più sbagliate che Sora avesse mai avuto – e si che ne aveva avute di cattive idee – sarebbe tornato. I mondi erano in pace, Hollow Bastion era tornato ad essere Radiant Garden, l’Organizzazione era distrutta e Xemnas sconfitto.
    «Se torna.» sussurrò comunque lei a voce tanto bassa da non essere sicuro di averla sentita davvero.
    «Ok, vai.» chiuse gli occhi e sentì la stoffa posarsi delicata sulle sue palpebre abbassate, il nodo premere sulla nuca, era una sensazione talmente e dolorosamente familiare che gli diede i brividi.
    «Non lasciarlo andare via.» ricordò Sora a Kairi, ma quel rischio in effetti non c’era, perché la sentiva appena dietro di lui, calda. Un viso sfiorò la sua memoria come una carezza, un viso bello e dolce come quello di lei, ma gli sembrava che i capelli fossero più scuri dei suoi, neri, e gli occhi erano assolutamente gli occhi di Sora. Non trovò nessun nome da darle, ma sapeva che un nome ce l’aveva e lui lo aveva conosciuto.
    Kairi gli strinse una mano, ricordandogli dove sarebbe dovuto tornare, allungò un braccio concentrandosi all’interno di sé stesso sulla gelosia, l’invidia, la vergogna...tutte sensazioni che cercava ogni giorno di tenere a bada e che ora si trovava costretto a stuzzicare. Sentì la stretta alla sua mano aumentare, mentre il corridoio oscuro si espandeva in spire fumose, Sora lo osservò curioso. «Sicuro che mi porti a Radiant Garden?»
    Annuì distrattamente, cercando di tenere lontano dal suo cuore l’immagine della prima volte che aveva visto Kairi persa negli occhi di Sora, mentre con le braccia al suo collo lo baciava: in quel periodo la gelosia era l’emozione più difficile da circuire.
    Kairi lasciò la sua mano per andarlo ad abbracciare prima che scomparisse in quel buco nero, lui sorrise tranquillo. «Tornerò presto.» la rassicurò.
    «Verrò a prenderti fra tre giorni.» lo avvisò Riku, mentre stava già entrando nel passaggio.
    Ci fu un momento di quiete, spezzato soltanto da un sospiro di Kairi, prima che si avvicinasse a lui e sciogliesse la sua benda. «Sono ancora io?» le domandò non appena scorse il suo viso davanti al proprio.
    Lei annuì.
    «Tornerà.» la rassicurò ancora, leggendo nella sua espressione incertezza, rassegnazione.
    Kairi abbassò gli occhi sul fazzoletto stringendolo tra le mani. «C’è un motivo per cui dovrebbe restare.» rivelò in un sussurro.
    «Di che si tratta?» chiese precipitoso e confuso, perché l’aveva lasciato andare se c’era effettivamente il rischio che non tornasse.
    La ragazza guardò il punto in cui il suo fidanzato era scomparso, distante da Riku e da tutto il resto, i suoi occhi blu agitati come un mare in tempesta. «Non lo so, ma è forte.»
    Le diede un buffetto sulla guancia, strappandole un sorriso. «Il tuo nome è sempre sulla sua bocca, dubito che trovi qualcos’altro che riempia tanto i suoi pensieri.» nessuna risposta se non un altro sospiro. «Lo senti? Il motivo intendo.»
    «Ne è sicura Naminè.» non ne parlava mai, ma Riku sapeva che la presenza di Naminè nel suo cuore non era meno influente di quella di Roxas in Sora; avevano soltanto un approccio diverso, lei era collaborativa e condividevano sensazioni, presentimenti, conoscenza, ricordi.
    Le passò un braccio intorno alle spalle, stringendosela addosso, avrebbe voluto fare di più, molto di più, ma non poteva, il suo ruolo non lo permetteva. «Ho voglia di un noce di cocco.» le disse per cercare di distrarla. «Mi accompagni all’isola dei bambini?» le propose.
    Kairi rise. «Hai bisogno di me per cogliere una noce di cocco?» lo prese in giro.
    «Sai, di avere un sesto senso nell’individuare quella più matura.»

Radiant Garden era bellissima. Niente Heartless, niente Nobody, niente mostri. Erano sbucati nel giardino vicino al borgo, ma non aveva niente a che vedere con il mondo grigio che ricordava; erano stati ripiantati tutti i fiori e le aiuole sembravano un immenso tappeto colorato, dove giocavano alcuni bambini. Sora ne scorse due che fingevano un eccessivo interesse nel combattere con due spade di legno, ma che in realtà si contendevano le attenzioni di una terza amichetta, gli ricordarono lui, Riku e Kairi.
    All’inizio non la vide, sembrava un fiore anche lei con il suo vestito rosa, ma osservandola con più attenzione riconobbe una treccia castana che poteva appartenere soltanto ad una persona.
    «Aeris?» chiamò piacevolmente sorpreso.
    La ragazza sollevò il viso, scostandosi la frangetta dagli occhi con il dorso della mano, non appena lo riconobbe i suoi occhi verdi brillarono. «Sora!» lo raggiunse e lo abbracciò affettuosa, sporcandolo anche di terra, visto che stava sistemando alcune piante, ma non era importante. «Oh, mi sembra ieri che eri un ragazzino che si portava appresso una chiave più grande di lui!» lo allontanò studiandolo. «Ti trovo bene, che ci fai da queste parti?»
    «C’è una cosa che devo fare.» rispose vago.
    Aeris lo studiò con più attenzione. «Niente di preoccupante, spero. I tuoi amici sono alle isole?»
    Annuì. «Si, questa volta non si è perso nessuno.»
    Sospirò posandosi una mano sul petto. «Meno male.» poi tornò a sorridere afferrandolo per un braccio e tirandolo verso il centro del borgo. «Ma vieni, sono sicura che lei sarà contenta di vederti.»
    Lo trascinò fino a fargli attraversare tutto il giardino, lasciando indietro tutta la sua attrezzatura da giardinaggio; Aeris era buona ed ottimista, pervasa dalla speranza che tutte le persone fossero buone quanto lei. Fiduciosa di ritrovare la paletta, i vasetti e la terra, quando sarebbe tornata a prenderli. Forse era ingenua, ma quando lo pensava rivolto a lei, quell’aggettivo acquistava le doti di un complimento.
    Non lo portò a casa di Merlino, una volta era stato il loro quartier generale, ma con il ritorno progressivo alla normalità e la ricostruzione – quasi del tutto ultimata da quel che poteva vedere – immaginava che tutti fossero tornati alle loro rispettive dimore. Quella di Aeris era dall’altra parte della piazza rispetto all’abitazione del mago, se anche lei non lo avesse guidato, l’avrebbe riconosciuta dai tulipani sui davanzali delle finestre o dalla pianta di gelsomino che si arrampicava sul muro; doveva essere piacevole, quando fioriva in primavera, vivere in una casa tutta profumata, a Kairi avrebbe fatto impazzire.
    «Ehilà!» fece la ragazza entrando in casa. «Ho un ospite.»
    La sua mora coinquilina scese dalle scale stiracchiandosi, ci mise meno di un secondo a riconoscerla; Tifa piegò il viso di lato studiandolo, poi sorrise. «Dai tuoi capelli a punta, ma non abbastanza a punta direi di conoscerti.» lo prese in giro. «A cosa dobbiamo la visita di un keyblade master?» domandò eccessivamente cerimoniosa facendolo arrossire.
    «Oh…» fece Aeris cospiratrice. «il nostro eroe è molto vago al riguardo…»
    La ragazza assottigliò lo sguardo studiandolo attenta. «Ma davvero…non è che stai semplicemente scappando da Kairi dopo averne fatta una troppo grossa?» cercò di provocarlo.
    Sora incrociò le braccia sul petto infastidito. «Non dovreste prendermi in giro, vi ho salvato…» lanciò ad entrambe un’occhiata presuntuosa. «due volte…»
    «Si, si, ti ringraziamo e blablabla…» fece Tifa sventolandogli una mano davanti e superandolo diretta al frigorifero dal quale tirò fuori una mela. «facciamo che ti prepariamo un letto, siamo pari e non se ne parla più.» disse strofinandosi il frutto sulla maglietta per poi addentarlo.
    «Ok…» rise Sora incrociando le braccia dietro alla nuca e guardandosi intorno. «Dove sono Cloud e Leon?»
    «Al ricovero.» rispose Aeris disinvolta chinandosi davanti ad un credenza per estrarne un paio di coperte. «A dare una mano.»
    «Ricovero?» domandò con una smorfia di stupore.
    Sia Aeris che Tifa si bloccarono per studiarlo, fu la seconda a parlare. «Le Isole del Destino sono davvero così lontane?»

Il ricovero era una costruzione alta e massiccia, poco distante dal borgo, immersa in un silenzio sepolcrale; Cloud era fuori, appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto, dovevano essere state le ragazze ad avvertirlo del suo arrivo, perché aveva tutta l’aria di aspettare lui.
    «Che succede qui?» domandò spaventato, anzi, terrorizzato che ci fosse qualcosa in corso, qualcosa che necessitasse dell’intervento del prescelto dal keyblade.
    «Prima dimmi perché sei a Radaint Garden.» ribatté lui serio.
    Lo guardò. «Roxas vuole che costruisca una tomba per Axel, lui…» abbassò lo sguardo non sapendo esattamente come continuare. «erano molto legati.»
    Per un lungo istante Cloud rimase fermo, immerso nei suoi pensieri. «Lo senti, quindi.» non rispose, non servivano risposte. «Quando Xemnas è stato sconfitto molti dei cuori che aveva imprigionato sono tornati al loro posto.» iniziò. «Scavando tra le rovine della fortezza abbiamo trovato dei corpi, né vivi, né morti, sono i corpi di quelli che sono rimasti coinvolti nell’incidente. Alcuni hanno cominciato a svegliarsi…»
    Si fermò ancora dando tempo a Sora di digerire quello che gli stava dicendo, ma lui si sentiva due volte confuso, la prima per sé stesso, la seconda per Roxas.
    «Io e Leon abbiamo costruito questo ricovero e li abbiamo spostati qui, per monitorarli, controllarli, il re ci ha aiutato.»
    «Topolino?» domandò incredulo.
    Cloud ridacchiò. «Chi altri?» si schiarì la voce tornando serio. «Alcuni si sono già svegliati, altri sono definitivamente morti, altri ancora sono rimasti sospesi…»
    Sora smise di ascoltarlo e fece un passo verso la porta, spinto da una forza ed una speranza che non erano le sue, ma Cloud lo trattenne afferrandolo per un braccio. «Il punto è, Sora, che sapere potrebbe incastrarti qui.»
    Non voglio vedere il suo cadavere…
    «Sono venuto a costruire una tomba per lui…»
    Non voglio vederlo sospeso…
    «ma se non è morto…»
    Non voglio credere che sia vivo per poi piangere ancora la sua morte…
    «Cloud, lui…?»
    No!
    Roxas riuscì a bloccarlo prima che desse voce ai suoi desideri.
    «Si chiama Lea, non sono i Nobody a svegliarsi, ma quelli che una volta erano qui.» spiegò Cloud con calma. «Axel è morto, chiunque sia il ragazzo che abbiamo trovato tra le macerie, non è lui come tu non sei Roxas.»
    Sora lo guardò indeciso.
    Voglio solo una tomba, non voglio nient’altro.
    «Ok…» mormorò ad entrambi. «dove posso trovare una lapide?»
    Lui gli diede una pacca sulla spalla. «Saggia decisione, ragazzo.»

ho dovuto prendermi un po' di libertà, lo so, certo che lo so....spero comunque ch emi perdonerete, dai non ho tirato giù baggianate troppo fastidiose, no?
due cose: primo, Riku che è innamorato di Kairi, ma che si è fatto una ragione del suo amore per Sora, mi piace parecchio...i triangoli sono sempre punti di pertenza favolosi per un racconto; secondo, ricordatevi il discorso di Kairi che comunica con Naminè, più in là sarà decisamente importante...
beh...al prossimo aggiornamento!
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


sora vi do una buona notizia...da questo capitolo si inizia a capire di cosa intendo parlare...
ve ne do anche una cattiva...esattamente dopo aver finito questo capitolo potreste cedere alla tentazione di linciarmi...
è un bel enigma, no?
signore e signori, mi rimetto al vostro giudizio...accetterò di buon grado i fiori che vorrete regalarmi (perchè fragolottina nonostanto tutto è schifosamente ottimista), ma sarò anche tanto umile da prendermi tutti i pomodori che vorrete lanciarmi!
c'est la vie!
un bacio however...

Capitolo 3


A volte non sapere è molto meglio…
    ‘Se lo dici tu.’
    Cloud li aveva spediti alla cava, era il posto dove portavano le macerie che rallentavano la ricostruzione, gli aveva suggerito di andare lì, perché avevano dovuto togliere anche alcuni dei massi colorati che una volta occupavano la caverna che portava alla fortezza. Da quelle avrebbe potuto intagliare una lapide bellissima.
    L’unica cosa negativa era che la cava si trovava esattamente dall’altra parte della città e nessuno si era offerto di accompagnarlo, quindi si era pazientemente messo in marcia, ignorando il sole che si abbassava sempre di più; ora che era sicura, Radiant Garden era bella anche di notte, non c’era un angolo che non fosse illuminato e molti negozi rimanevano aperti anche dopo il tramonto. Fu proprio passando davanti ad uno di questi che si chiese quanto buio potesse fare in questa misteriosa cava.
    ‘Forse avremo bisogno di una torcia.’
    Fece per entrare dentro un Item Shop, ma si fermò ad osservare la vetrina con alcuni peluche, avrebbe dovuto portare un regalo a Kairi, qualcosa che le dicesse che, anche lontano, tutti i suoi pensieri erano stati per lei. Osservò un cuore peloso con attaccate sul retro delle aluccie di plastica lucida: quella era una buona idea.
    Non seppe mai cosa gli avesse fatto cambiare prospettiva, improvvisamente si trovò a fissare con uno strano groppo pulsante all’altezza del petto il riflesso delle persone che passavano alle sue spalle. Il riflesso di una persona, che disinvolta e con le mani in tasca, attraversava la via. Senza che ne fosse pienamente consapevole, sfiorò il vetro con una mano nella speranza di accarezzare quell’immagine.
    Il riflesso sparì e Sora si chiese se non si fosse trattato solo di un sogno, un moto nostalgico di Roxas. Ma guardò lo stesso verso la via che doveva aver imboccato.
    Non seguirlo. – lo ammonì, ma in realtà lo stava già facendo. Prima di corsa per raggiungerlo, poi più lentamente per studiarlo, per essere sicuro che fosse lui, ma senza farsi vedere. – Non può essere.
    ‘Guardagli i capelli, credi che possano essere di qualcun altro?’ gli domandò sarcastico, ma non erano solo i capelli – una massa ispida e rossa che dava l’idea di pungere solo a guardarla – era la camminata, le braccia e le gambe lunghe, la forma flessuosa. Se avesse avuto la divisa dell’Organizzazione non avrebbe avuto dubbi.
    Perché no? Magari qui è di moda…
    Sora scosse la testa con rimprovero, alzando per un attimo gli occhi al cielo per guardare le stelle. ‘Controllare non costa niente, se è morto sarà morto anche domani, quindi saremo comunque in tempo per costruirgli la tomba.’ tra quelle stelle, lontana eppure vicina, c’era Kairi sonnacchiosa nel letto che avevano condiviso tante volte di nascosto, per poi lasciarsi appena prima dell’alba e ritrovarsi un paio di ore dopo con un segreto che si scambiavano i loro occhi.
    Lui è morto, te lo ha detto anche Cloud, se anche fosse identico, sarebbe quel…quel…Lea. – la sua voce si affievolì triste – Non voglio vederlo guardarmi e chiedersi chi sono.
    ‘Tu ricordi lui ed io ti sento forte e chiaro, magari Lea avrà una specie di de-ja vu.’
    O magari chiamerà Leon per farsi aiutare a liberarsi di uno stalker.
    Sbuffò senza rispondergli e si guardò intorno, erano in una parte dove evidentemente i lavori erano iniziati da poco, le case erano disabitate e le persone che incrociavano sul cammino erano sempre più sporadiche; Sora rallentò e si fermò, rabbrividendo, se non fosse stato sicuro che quello non era più Axel si sarebbe preoccupato, perché aveva tutto l’aria di uno che stava cercando di isolarli il più possibile per poi derubarli, o ucciderli. Anzi, isolarlo, derubarlo, ucciderlo; avere una voce nella testa a volte confondeva, gli dava l’illusione di essere realmente in due, ma la verità era che lui era completamente solo.
    Averlo seguito non gli sembrò più un’idea così intelligente, cosa avrebbe fatto se lo avesse attaccato? Scosse la testa davanti a quella stupida paura, un Lea qualsiasi non poteva avere alcun motivo di volergli male, anzi, se era il corrispettivo di Axel come lui lo era di Roxas, avrebbero dovuto provare una sorta di empatia, o simpatia subitanea. Riprese a camminare più velocemente per non farsi lasciare indietro.
    Roxas valutò tutta la situazione incerto almeno quanto Sora, ma molto meno ottimista, cosa poteva fare lì un Lea qualsiasi? Forse era una specie di criminale, ma gli faceva strano pensare che il posto dove nascevano le principesse dal cuore puro potesse ospitare la criminalità organizzata. Cercò di cambiare punto di vista, si costrinse a prendere in considerazione l’impossibile. Se dentro a quel corpo, dentro a quel cuore ci fosse stata l’anima di Axel, se avesse pensato a lui giorno e notte, se avesse visto Sora e lo avesse riconosciuto…
    Torna indietro! – gridò dentro la sua testa.
    Sora si bloccò ancora. ‘Perché?’
    Vuole ucciderti.
    ‘Cosa?’ guardò l’uomo davanti a lui, sembrava essersi fermato, forse doveva incontrarsi con qualcuno.
    Ha un cuore, potrebbe amarmi, ma non può farlo perché…
    Un suono metallico costrinse Sora a fissarlo, nelle sue mani brillavano, sotto la luce di una luna tonda, due chakram; si voltò con calcolata lentezza e lo fissò, gli occhi sottili, minaccioso come un felino. Sora fece un passo indietro, senza staccare gli occhi da lui: pessima idea venire a Radiant Garden, pessima idea non dare ascolto a Cloud, pessima idea averlo seguito. E mentre il suo cuore batteva all’impazzata per la paura e per l’ansia di non sapere cosa fare – combattere? Non combattere? Scappare? Parlargli? – sentì la parte che apparteneva a Roxas sciogliersi nel calore della speranza.
    «Sora, tu sei Sora.»
    Deglutì chiedendosi se negare avrebbe potuto fare qualche differenza.
    Axel o Lea, o chiunque fosse ghignò. «Certo che sei tu.»
    «N-non farlo.» provò a farlo ragionare Sora, indietreggiando ancora. «Te ne pentiresti.»
    L’uomo fece schioccare la lingua contro il palato, sorridendo. «Pentirmi?» chiese sarcastico. «No…» scosse la testa. «credo proprio di no.»
    Axel sparì davanti ai suoi occhi, stava per attaccare, e Sora allungò una mano con la cieca fiducia nell’unica cosa che sapeva fare, l’unica cosa che era; ma il suo keyblade quel giorno pareva intimidito e lui fece appena in tempo a buttarsi di lato su un cumulo di sassi prima che Axel lo avesse raggiunto e gli avesse tagliato di netto un braccio con uno dei suoi dischi infuocati. Tutto il suo fianco sinistro si lamentò in previsione di un livido per niente piacevole e tanto meno sexy.
    ‘ROXAS!!’ ringhiò nella sua testa, perché aveva il sospetto che avessero idee differenti su come affrontare la crisi; lui gli fu addosso di nuovo, questa volta puntava a staccargli un piede probabilmente, allargò le gambe ed il colpo andò fortunatamente a vuoto, si tirò indietro febbrilmente aiutandosi con gambe e mani, faticosamente su quel mucchio sdrucciolevole di pietre.
    Riprovò ad afferrare il keyblade, davanti all’impossibilità di mettere abbastanza distanza tra lui ed il suo assalitore – che non era mai abbastanza morto per i suoi gusti – ma di nuovo il suo pugno si strinse intorno al niente.
    Non te lo farò uccidere! È il mio keyblade non il tuo!
    Oh, fantastico!
    «Non capisci, lui c’è, è dentro di me, se uccidi me lo perderai per sempre!»
    Si fermò sovrastandolo e nascondendolo in un ombra fitta e buia come le spire dei corridoi oscuri. «A queste cazzate non ci credo più.»
    Hai vinto, diglielo!
    «No, io non mi arrendo!» sbottò Sora fregandosene di chi poteva prenderlo per pazzo, tanto lo avrebbe ucciso comunque, no?
    Non devi arrenderti. – spiegò Roxas impaziente. – Digli ‘hai vinto’ e che quel bastoncino gliel’ho dato perché potessimo dividere il premio.
    Il colpo successivo lo sentì sibilare sopra la sua testa, mentre si lasciava scivolare di nuovo giù tra le sue gambe, passandogli sotto, la maglietta gli si arrotolò sulla schiena ed i sassi provvidero a graffirgliela tutta a dovere, ma era libero e fuori mira, aveva dieci secondi per scappare il più lontano possibile, non era il caso di lamentarsi.
    «Che diavolo stai farneticando?» chiese intanto alla voce suicida nella sua testa.
    Fallo! Lui capirà!
    Ma scappare gli sembrava un’idea molto più saggia, almeno finché Axel non lo raggiunse e lo colpì alla schiena; buttò fuori l’aria tutta insieme, rimanendo per un attimo completamente e spaventosamente senza fiato. Inciampò nei suoi stessi piedi e cadde a terra rotolando per un paio di metri. Quando si fermò era sdraiato a pancia in giù sulle macerie, prese aria deglutendo anche polvere e terra, fissando le scarpe ed i pantaloni dell’uomo avvicinarsi sinistramente; immerso nel panico e spaventato da morire, pensò, comunque, a quanto sembrasse strano Axel con i jeans e le scarpe da ginnastica.
    Lo rigirò sulla schiena con un calcio e Sora fu quasi sul punto di ringraziarlo perché in quel modo respirava meglio, respirava bene, aria pulita e senza polvere.
    Diglielo…
    Il viso gli pizzicava, doveva essersi graffiato anche quello.
    Diglielo, Sora!
    «Hai…» lo vide tirare indietro il chakram pronto per finirlo, strizzo gli occhi e si parò il viso con le mani, istintivamente. «hai vinto!» urlò con quanto fiato era riuscito a recuperare.
    Il colpo non arrivò, aprì gli occhi e lo vide immobile sopra di sé, combattuto, ma immobile, almeno per il momento.
    Continua!
    Prese fiato rincuorato, non ci capiva niente, ma evidentemente funzionava, frugò nella sua mente, com’è che era? Ah, si. «Il bastoncino, te l’ha dato perché condivideste il premio.» si fermò incerto. «Ma che significa?»
    Axel tirò ancora indietro il braccio pronto a farlo fuori e Sora recuperò la sua posizione accartocciata, ma il chakram si abbatté appena sopra di lui tintinnando; aprì gli occhi e si trovò davanti il proprio keyblade splendente, si sporse a baciarlo riconoscente, poi spinse aiutandosi con i piedi e riuscendo a respingerlo. Si sollevò sulle braccia e guardò Axel barcollare all’indietro confuso, grazie al cielo non si fece sotto di nuovo.
    Sora piantò la chiave a terra e la usò per sollevarsi in piedi, si sentiva sballottato e strapazzato – non era più abituato a lotte improvvisate – scrollandosi un po’ di terra di dosso fece una stima dei danni: tutto il fianco sinistro gli doleva, con due picchi alla spalla ed all’osso del bacino; la maglietta era appiccicata alla schiena e visto che non stava sudando, c’era solo un’altra alternativa; si toccò il viso per poi studiarsi le punte delle dita sporche di rosso e nero: sangue e terra. «Sono da buttare.»
    Fu il suo ultimo commento prima che Axel lo assalisse di nuovo, ma stavolta senza chakram; pensò di proteggersi con il suo keyblade ritrovato, ma Roxas non glielo permise, guidato da un’intuizione più allettante della propria sopravvivenza, e prima che realizzasse davvero cosa stesse succedendo si trovò le sue mani sulla schiena e la sua bocca premuta sulla propria. Pensò di lamentarsi, pensò di spingerlo via, pensò a Kairi ed alle sue labbra, le uniche che avesse mai baciato fino a quel momento; ma non fece niente, il desiderio di Roxas nella testa era talmente totalizzante che Sora non seppe più a chi appartenesse quel corpo. E nel dubbio lo lasciò alla sua controparte che sembrava decisamente meno confusa.
    Roxas gli afferrò il collo della maglia con le sue mani, se lo tirò addosso, andando incontro alla sua bocca dischiusa; la schiena gli doleva, dove Axel lo stringeva, premendo su tutta una serie di ferite, ma fermarsi e dirgli di lasciarlo gli sembrava assolutamente un’idea impraticabile.
    Axel distolse le labbra senza allontanarlo, studiandolo con i suoi occhi sottili e verdi esattamente come Roxas li ricordava. «Allora è vero.»
    Sora riprese coscienza di sé tutta insieme, anche se forse in quel momento avrebbe preferito che continuasse a vedersela quell’altro; si toccò le labbra e lo lasciò facendo un passo indietro colpevole, cosa avrebbe pensato Kairi? Come avrebbe fatto a dirlo a Riku? Non poteva nasconderglielo, aveva l’impressione che avesse una lettera scarlatta marchiata a fuoco sulla fronte. La ‘A’ di Axel.
    «Tu non dovresti essere Lea?» gli domandò indispettito, ottenendo una risata come una reazione.
    «Io sono Lea.»
    «Ma…»
    Non gli diede il tempo di finire. «Sei ridotto uno schifo.» osservò, poi gli indico una stradina dietro di lui con un cenno del capo. «Ti porto a casa e ti do una sistemata.»
    Si incamminò di nuovo davanti a lui.
    Sora si nascose il viso nelle mani, aveva baciato un uomo! Ed a lui non piacevano gli uomini, piacevano alla vocina nella sua testa. Mugugnò scuotendo la testa ancora immerso nei suoi palmi, sarebbe potuto essere a casa di Kairi in quel momento, lui avrebbe finto di dormire e lei gli avrebbe fatto le coccole, finché sarebbero diventate più languide e lui non avesse capito che c’era un ottimo motivo per fingere di risvegliarsi.
    Scusa…
    Forse lo avrebbe consolato se lui non fosse stato così sfacciatamente su di giri e felice, incredibile che Roxas contento fosse più detestabile di Roxas depresso.
    Lanciò un’occhiata alla figura dell’uomo che senza guardarsi indietro, camminava tranquilla in direzione di casa sua.
    ‘Ti fidi di lui?’
    Certo. – lo tranquillizzò.
    Sora deglutì. ‘Non mi violenterà, vero?’ domandò con apprensione.
    La sentì, dolce e densa, la tenerezza nei pensieri di Roxas per quella schiena, di secondo in secondo più lontana, era quasi palpabile. – Nah…non te.
    Sospirò, facendo alcuni passi nella stessa direzione; piano, piano scopriva nuovi acciacchi, la caviglia nella quale era inciampato che cedeva un po’ se ci caricava troppo peso, le ginocchia che pizzicavano a contatto con la stoffa dei jeans, ma ognuno dei quei piccoli doloretti non riusciva a bilanciare il benessere intenso che veniva dall’ombra del suo cuore.
    ‘Rassicurante, se non fosse che tu sei me.’

AAAHH!! non linciatemi, vi prego!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


sora questo capitolo lo adoro...
guarda che quelli che non mi hanno linciato nello scorso lo fanno adesso, eh? no dai, è bello...un po' triste, ma bello!
allora, niente non vi dico niente leggete!

Capitolo 4


La casa di Lea era un monolocale non molto grande. Puzzava. Con questo non voleva dire che non fosse stato pulito, ma puzzava di chiuso, di pietra; si guardò intorno curioso, era un bilocale a voler essere precisi: il salone principale, ospitava un angolo cottura, un tavolo ed un divano con annessa tv, proprio accanto al divano c’era una porta chiusa che, intuì, doveva portare nella sua camera o in bagno.
    «Aspettami qui.» disse dirigendosi verso quella porta.
    Sora rimase lì impacciato, con la sensazione che tutto quello avrebbe portato problemi, su problemi; gli sembrava già di sentire la voce di Roxas annunciarglielo, l’intonazione, il sospiro iniziale, il rammarico, ma si rifiutò di formulare le parole che avrebbe usato. Anche se le conosceva.
    Lea, ritornò con una bacinella, una pezzuola ed una bottiglietta di disinfettante; appoggiò tutto sul tavolo e gli scostò una sedia per invitarlo a sedersi, poi si sistemò davanti a lui.
    «Serviti pure.»
    Dopo un’iniziale resistenza, decise di approfittare della sua insperata ospitalità, contava ancora di tornare a dormire da Aeris e Tifa, ma presentarsi ridotto in quel modo le avrebbe fatte preoccupare. Nella bacinella c’era dell’acqua tiepida, ci versò un tappino di disinfettante e ci inzuppò la pezzuola per poi passarsela prima di tutto sul viso; per un secondo rivide Kairi fare quello stesso lavoro mille volte, dopo che lui e Riku se le erano date dopo una litigata. In quel momento avrebbe voluto da pazzi che lei si prendesse cura della sua povera carcassa, anche solo per dargli l’illusione che non erano appena cambiate tutte le carte in tavola.
    «Quando mi hai baciato la prima volta?»
    Sora arrossì come non credeva nemmeno possibile. «Ha iniziato lui?!» domandò incredulo, ma Lea non si scompose, attese paziente.
    Quando è tornato dal C.O., credevo fosse morto. Credevo che tu lo avessi ucciso.
    ‘Lo credevo anche io’. E forse sarebbe stato meglio.
    «Dice…» mise in chiaro per dividere la propria personalità da quella di Roxas. «al tuo ritorno dal Castello dell’Oblio.»
    «Che abbiamo fatto dopo?» continuò ad indagare.
    A Sora mancò il fiato per rispondere, mentre gli passava davanti agli occhi, come il ricordo di una fotografia: lui ed Axel uno sopra l’altro, a volerla dire tutta, Axel era sopra a Roxas, sdraiato a pancia in giù su un letto bianco mentre stringeva spasmodicamente un cuscino.
    «Voi avete…» si morse il labbro, sciacquando la pezzuola, con un gemito assordante – decisamente più rumoroso dei suoi o di quelli di Kairi – in mente. «voi avete…»
    «Si?» lo imboccò sadicamente.
    Sora sbuffò. «Avete fatto sesso!» si sedette ed arrotolò i pantaloni per scoprirgli le ginocchia che provvide a pulire dal sangue rappreso.
    Chiedigli qualcosa tu.
    ‘Cosa?’
    Chiedigli dov’è Demix.
    Sospirò stanco di fare il portavoce. «Vuole sapere dov’è Demyx.» bofonchiò.
    Lea rise sorpreso, intenerito, sembrava quasi provare sentimenti umani, rifletté Sora. «Non ha preso il tuo posto, piccolo.» disse fissandolo, ma era come se non guardasse i suoi occhi, come se al centro esatto delle sue pupille, lontano, lontano, avesse trovato Roxas, era a lui che si stava riferendo.
    ‘Piccolo? Ti chiama davvero piccolo?’
    Ma quell’aggettivo che lo faceva sentire tanto schifato aveva un effetto del tutto diverso sull’ombra nel suo cuore, gli sembrava quasi di vederlo sorridere, melenso, stucchevole, commosso. Si. – ammise semplicemente. – lui mi chiama ‘ piccolo’.
    In realtà il significato delle parole di Roxas era un altro ed era evidente anche a lui, era qualcosa che somigliava a: che mi chiami come vuole, basta che mi chiami.
    «Dai, girati e togliti la maglia.» lo invitò Lea.
    Sora deglutì con la bocca improvvisamente asciutta. «P-perché?» balbettò, non avrebbe avuto niente da temere da Lea se non fosse stato così palesemente Axel.
    «Voglio darti una ripulita.»
    Lui continuò a studiarlo incerto. «Ehm…»
    Non fare il bambino! – lo rimproverò Roxas. – Non ti farà niente…
    Dopo un’ultima occhiata sospettosa Sora decise di dargli ascolto, anche perché non poteva fare da solo; gli diede le spalle, poi si arrotolò la maglietta fino a scoprirsi tutta la schiena. Sentì Lea rimescolare nella bacinella, mentre teneva scoperta la parte infortunata, pratico ed attento iniziò a passare il panno su tutte i puntini che gli sembrava quasi di veder bruciare; era sicuro che fossero ferite superficiali e che probabilmente non c’era nemmeno bisogno di tanta attenzione, ma quando iniziò a farlo…non riuscì più a fermarlo. Sicuramente quelle emozioni erano di Roxas, ma per un attimo gli sembrò che lì, in quel momento, si sentisse a casa. Esattamente come si era sentito a casa la prima volta che Kairi lo aveva baciato.
    Lea si spostò posandogli una mano sul fianco nudo per pulirlo meglio, ma l’impronta della sua mano fu spedita al suo cervello, Roxas la intercettò, amplificando quel brivido mille volte. Sora si chiese se non fosse rimasto tipo marchiato. Ma ancora non si mosse, fermo a capo chino, immaginando con un attenzione quasi morbosa tutti i suoi movimenti.
    «Che dice?»
    Sora rimase immobile ed in silenzio per un lungo momento, era come se tutte le sue terminazioni nervose andassero a rilento, poi deglutì e si leccò le labbra. «Non parla.»
    Lea ridacchiò. «Tipico di Roxas.»
    Ti amo.
    ‘Non posso dirglielo.’
    Ti prego, deve saperlo. – lo supplicò.
    Doveva tornare alle Isole del Destino. Doveva abbracciare forte Kairi e non lasciarla mai più. Doveva chiudere quella coscienza indipendente in una gabbia e non ascoltare mai più quello che voleva. Lui doveva salvare il proprio cuore e la propria vita.
    Improvvisamente la paura di perdersi tornò di a farsi sentire con prepotenza.
    Fece un passo avanti mettendo un metro di distanza tra lui ed Axel – era inutile chiamarlo in un altro modo, non sapeva esattamente come funzionava, ma quello era Axel – e si rilasciò cadere la maglietta a coprirlo tutto, perché la propria pelle lo chiamava così forte, che temeva potesse cedere alla tentazione di rispondere.
    «Grazie, ma io ora devo andare.» disse senza voltarsi, senza guardarlo, ignorando Roxas che scalpitava e cercava di ribellarsi. Quel corpo era suo e finché lo fosse stato, lui decideva il da farsi.
    «Anche lui vuole andarsene?» gli chiese infinitamente paziente.
    NO!
    Sora rise, una risata così disperata ed amara che sembrava la risata di Riku. «Se dessi retta a lui rimarrei qui per sempre.» ed era esattamente per quello che doveva andarsene.
    «Un secondo.» fece lui alzandosi ed andando a frugare tra gli sportelli della cucina.
    Aspettò inquieto come se più tempo fosse rimasto lì, più sarebbe stato difficile andarsene.
    Gli si avvicinò piano e si fermò ad una distanza ragionevole, per poi allungare una mano e porgergli qualcosa. «Se ci ripensassi, puoi venire quando vuoi.» era una chiave, Sora ridacchiò non riuscendo proprio ad ignorare il lato comico della cosa. Una chiave per il keyblade master, divertente.
    La prese, però, e se la mise in tasca, sperando con tutto il cuore di perderla; lui perdeva tutto, anche il proprio cuore, perché non avrebbe potuto seminare da qualche parte quel piccolo pezzetto di metallo. «Ne dubito, ma ok.»
    Si girò diretto verso la porta, fece appena in tempo a posare una mano sul pomello che Axel lo abbracciò; il braccio gli ricadde lungo il fianco, mentre miseramente osservava quelle braccia avvolgerlo e prendeva coscienza di ogni millimetro dei loro corpi a contatto. Avrebbe voluto scrollarselo di dosso e Roxas avrebbe voluto voltarsi e baciarlo, non andarsene mai più, ma dividevano un corpo ora, dovevano collaborare: Sora non gli negò quell’abbraccio e Roxas non lo costrinse a quel bacio.
    Forse gli era capitato ancora di essere così disperato, ma in qual momento non riusciva proprio a ricordarsi quando, né perché.
    Axel gli lasciò un bacio sulla nuca, proprio sotto l’attaccatura dei capelli, un brivido caldo scese da quel punto lungo tutta la colonna vertebrale, risvegliando milioni di impronte di altri baci. «Nessuno potrà mai prendere il tuo posto, piccolo.»
    Non avrebbe mai perso la chiave di casa di Axel, se fosse caduta, Roxas si sarebbe fermato a raccoglierla.

Camminò e camminò ancora, con un senso di spossatezza che lo travolgeva ad ondate, gli sembrava di essere sul ponte di una nave in tempesta, che dondolava e dondolava.
    Si fermò quando raggiunse il giardino dove era arrivato solo quel pomeriggio, gli sembrava che fossero passati secoli da quando, pieno di buoni propositi, era giunto lì deciso a costruire una tomba. Si sedette su un gradino e rimase immobile nel fresco della sera ad occhi chiusi, cercando in tutti i modi di impedirsi di pensare; quando era a casa di lui non gli era sembrato di essere tanto stanco, ma ora sentiva che avrebbe quasi potuto addormentarsi su quel gradino.
    Sora…
    «Sta zitto!» borbottò secco, tirandosi indietro per appoggiarsi ai gomiti; cercò di convincersi che se avesse aperto gli occhi ora, avrebbe visto il viso di Kairi davanti a lui, l’azzurro intenso dell’oceano, annusò l’aria alla ricerca dell’odore di salsedine, ma sentì solo il profumo dei fiori di Radiant Garden. Tristemente aprì gli occhi e guardò il cielo, le stelle gli apparvero scombinate, non erano le stesse stelle che guardava mano nella mano con lei.
    Sora… – ripeté Roxas incerto.
    Non rispose, ma questa volta non gli intimò nemmeno di tacere.
    Sora, io apprezzò tanto che tu mi abbia portato fin qui… – iniziò con delicatezza – ed ero davvero disposto a farmi da parte, la tomba era un bel gesto da parte tua, ma ora…
    «Smettila!» gli intimò affranto, lui doveva tornare da Kairi.
    Devi capire! Lui è vivo!
    «Lo so, l’ho visto!» si tirò su appoggiando i gomiti alle ginocchia con le mani tra i capelli.
    Ed io ora…
    «Ti prego, non dirlo.» supplicò piano.
    Una lapide non può bastarmi.
    «E che cosa dovrei fare?!» domandò stravolto. «Cosa ti aspetti che faccia esattamente?!»
    Io non… – sospirò anche lui – non lo so, ma…
    Sentì dei passi e si guardò intorno individuando una figura ancora in ombra, ma che si avvicinava; Cloud si sedette accanto a lui tranquillo e lo studiò. Sora evitò il suo sguardo finché gli fu possibile, chiedendosi al contempo che faccia avesse, quanto avrebbe potuto capire guardandolo, cielo, se fosse stato Riku avrebbe saputo tutto.
    «Come è andata alla cava?» gli domandò, ebbe l’impressione che lo stesse prendendo in giro, ma decise di ignorare la cosa.
    Si strinse nelle spalle. «Non ho trovato quello che cercavo.»
    Gli occhi di Cloud praticamente gli fecero una radiografia. «Sei caduto?» chiese ancora con quella nota sarcastica, e se era Cloud a fare del sarcasmo era ridotto proprio male. «O ti sei accapigliato con un tigre?»
    «Sono scivolato.» borbottò.
    «Te lo avevo detto, Sora.»
    Sospirò. «Lo so.»
    Il suo amico si massaggiò le mani. «Cosa hai intenzione di fare, quindi?»
    «Questo non lo so.» ribatté indispettito, probabilmente lui la faceva facile, non aveva mica un altro dentro al cuore. «Suggerimenti?»
    «Vai da Aeris e Tifa, ti hanno preparato il letto e se domani mattina lo trovano intatto si preoccuperanno.» gli diede una pacca sulla spalla che in realtà gli fece un male infernale, ma non fiatò. «La notte porta consiglio.»
    Gli obbedì, non perché credesse che la notte gli avrebbe portato consiglio, ma perché aveva bisogno di fare qualcosa ed alzarsi, camminare fino alla casa delle ragazze, mettersi nel letto che gli avevano improvvisato sul pavimento della cucina era già qualcosa. Ci mise parecchio per trovare una posizione che non lo facesse urlare di dolore ed il fatto che fosse sul pavimento duro non aiutava, ma rotolando e scalciando si ritrovò in qualche modo sul fianco destro e realizzò che poteva andare; certo, la mattina dopo si sarebbe sentito tutto indolenzito, ma almeno avrebbe dormito. Chiuse gli occhi svuotando la mente e concentrandosi solo sul suo respiro.
    Voglio dormire da lui.
    Addio sonno. ‘Sai che significa che anche io dovrò dormire da lui, vero?’
    Ci darebbe un letto vero. – provò a tentarlo.
    ‘Non è così allettante come proposta, visto che sarebbe il suo letto.’
    Anche il divano sarebbe meglio del pavimento.
    Quando aveva ragione, aveva ragione, ma… ‘Non resterò qui, Roxas.’
    Lo so. – e dalla rassegnazione addolorata e malinconica che sentiva nella sua voce capì che lo sapeva davvero. – Ho solo questi due giorni, per favore.
    Sora aprì gli occhi fissando il buio. ‘Niente porcate.’ Intimò.
    Sembrò già che l’umore di Roxas si risollevasse. – No, te lo prometto.
    ‘Non ho detto di si.’ Precisò. ‘Se domani mattina sarò di buon umore potrei decidere di accontentarti. Se non dormo almeno un pochino non sarò di buon umore.’
    Grazie! – per essere un’ombra nel suo cuore era decisamente luminosa.
    ‘Roxas.’ Lo rimproverò.
    Si. Capito. Sto zitto. Dormi.

niente porcate, capito?
fate i bravi...

AH!! chi l'ha tirato quel pomodoro?!

addio, sanità mentale...

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


sora succedono tante cose simpatiche in questo capitolo...
non vi dico altro, leggete!

Capitolo 5

Lea continuava a chiedersi se non avesse sognato, un bel sogno indubbiamente, ma quanto poteva essere reale?
    Sora era vivo, l’aveva sempre saputo, o almeno nessuno gli aveva mai detto il contrario e, trattandosi di una specie di celebrità, si aspettava che tutti i mondi fossero in lutto se gli fosse accaduto qualcosa. Quando si era risvegliato aveva sentito il re, Cloud e Leon parlare di lui e di come fosse finalmente tornato alle Isole del Destino. Meglio, non era stato sicuro che trovandoselo davanti avrebbe resistito alla tentazione di ucciderlo, gli aveva portato via qualcosa di troppo importante e se era vero che se gli fosse successo qualcosa tutti i mondi sarebbero stati in lutto, sospettava anche che, chi gli avesse fatto qualcosa, non avrebbe di certo ottenuto la migliore delle accoglienze.
    Ma Sora era Sora, l’aveva incontrato e, nonostante la somiglianza fisica decisamente fuorviante, continuava ad essere Sora; nemmeno nei suoi sogni più coraggiosi aveva provato ad immaginare che in qualche modo, nascosto da qualche parte, Roxas – tutto quello che lo rendeva Roxas – esistesse ancora.
    Per gli altri Nessuno, per lui, era stato diverso. Lui era sempre stato sé stesso, Axel e Lea erano sempre stati la stessa persona, solo che i sentimenti di Axel erano slavati dalla mancanza di un cuore; non aveva mai dimenticato chi era stato, non aveva mai dimenticato com’era vivere a Radiant Garden, quando era Radiant Garden. Lui non dimenticava niente, tanto meno sé stesso.
    E nemmeno gli altri Nobody lo facevano.
    Si, Even continuava a darsi per smemorato, ma Lea sospettava che avesse solo paura. Era stato un pezzo grosso nell’Organizzazione, era a lui che si rivolgeva Xemnas quando doveva fare qualcosa; la squadra dei ‘buoni’ avrebbe potuto decidere di prendere e spremerlo fino all’ultima informazione. In realtà anche Lea iniziava a volerlo fare: c’era qualcosa che lui aveva fatto, qualcosa che non ricordava, ma sapeva fosse importante.
    Isa lo afferrò per un braccio tirandolo via proprio prima che un camion di macerie gli fosse scaricato addosso, avevano dato un lavoro a tutti gli ex membri dell’Organizzazione: dovevano ripulire la città. C’era un sorta di giustizia in quel compito, gran parte della distruzione poteva essersi definita colpa loro.
    «Lea, ci sei?» gli domandò il suo amico studiandolo. «Stamattina sei troppo distratto, finirai per farti ammazzare.»
    Scosse la testa. «Ho solo dormito male.» aveva appena visto la cosa che più si avvicinava ad un fantasma, si era sentito in diritto di rigirarsi nelle lenzuola.
    «Sei sicuro?» c’era troppa apprensione nella sua voce, così gli lanciò un’occhiata indagatrice. Isa abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. «So che Sora è qui.»
    Ah, ecco perché.
    Lea si strinse nelle spalle ignorandolo. «Si, l’ho visto.» confessò con tranquillità. Facendo il doppio gioco nell’Organizzazione aveva imparato che non dire alcune cose era molto più facile che mentire, era vero che lo aveva incontrato, ma niente lo obbligava a rivelare che ci fosse stato dell’altro. «Mi è sembrato in forma.» Isa lo fissava sorpreso e lui scrollò ancora le spalle. «Cosa?»
    «Tutto qui?»
    «Ti aspettavi che gli offrissi da bere? Certe inimicizie sono dure da seppellire.»
    L’uomo si passò una mano tra i capelli imbarazzato. «Non lo so…mi aspettavo…boh…visto che lui è…»
    «Non è Roxas.» disse con un tono che non ammetteva repliche, non gli piaceva che la gente insinuasse il contrario.
    «No, certo, ma…»
    «Ehilà, bellezze!» li chiamò Cid da sopra il camion. «C’è del lavoro da fare, voglio finire di sgombrare almeno la parte ad ovest della città! Rimandate le chiacchiere a dopo!»

Tornò a casa che era il tramonto, si sentiva stanco e sporco, agognava il getto bollente della doccia…ma in casa sua c’era qualcuno. Lo guardò seduto comodamente sul divano, mentre leccava uno dei suoi gelati; per un attimo la cosa lo disturbò come se stesse prepotentemente forzando la porta della propria intimità: lui e Roxas mangiavano gelati al sale marino, non Sora.
    «Li adora.» disse lui con semplicità, stringendosi nelle spalle. «Non mi avrebbe dato pace.»
    Cautamente Lea chiuse a chiave la porta alle sue spalle. «Credevo che non avessi intenzione di tornare.» disse cercando di mostrarsi indifferente, anche se si sentiva stranamente adulato: quanto poteva avergli dato il tormento Roxas per farlo venire fin lì? E tutto perché voleva stare con lui.
    «Non ce l’avevo infatti, ma…» rimase fermo, pensieroso ed un poco triste, mentre il ghiacciolo si scioglieva colandogli tra le dita; una parte molto possessiva di sé stesso, gli suggerì di avvicinarsi e laccargliele. Rise sotto i baffi, chissà che faccia avrebbe fatto? Era andato a fuoco la notte prima solo perché gli aveva detto di togliersi la maglietta.
    «Dice che se fosse stato lui l’avrebbe già fatto.» Sora lo fissò con espressione perplessa. «Che mi sono perso?»
    Lea scoppiò a ridere, era la cosa più assurda che gli fosse mai capitata e lui aveva conosciuto Demyx. «Niente, di cui vorresti essere messo a conoscenza.» si avvicinò al frigo e si prese da bere, c’era della limonata fatta da Aeris. Gli piaceva quella ragazza, era una delle poche persone a trattarli come gli esseri umani che erano tornati ad essere; era venuta spesso a casa sua a trovarlo, a volte accompagnata dai propri amici, a volte sola.
    Prese la brocca e se ne versò un bicchiere. «Perché siete qui?» non aveva importanza in realtà, lui gli mancava così tanto che anche sentire le sue parole ripetute dalla bocca di un altro lo confortava. E comunque, Sora era abbastanza uguale da rendere la cosa piacevole. Un discreto sostituto.
    «Da Tifa ed Aeris non c’è posto, stanotte ho dormito per terra, così mi chiedevo se non potessi accamparmi sul tuo divano.»
    Lea ridacchiò. «È l’unico motivo?»
    «Certo.» rispose troppo veloce e con una strana nota isterica nella voce, ma davanti alla sua espressione scettica sospirò, gettando via la maschera di sicurezza. «Situazione complicata, ok?» sbottò nervoso. «Non è così semplice. Credevo che lo fosse, che anche se lo sentivo parlare era il mio corpo, quindi era mio diritto scegliere come farci vivere. Ma…» la sua voce si perse in un altro sospiro. «lui ti ha preso e baciato, lui è rabbrividito ed io avevo la pelle d’oca e…» lo fissò supplichevole come se sapesse anche da sé quanto fosse difficile trovare un senso nelle proprie parole, eppure Lea capiva. «Siamo in due.» disse infine riassumendo tutto.
    Lea continuò a studiarlo, aveva sempre pensato che fosse un ragazzo un po’ lento per trattarsi del keyblade master e di quello che, in definitiva, aveva fatto il culo a tutti; Roxas gli era subito sembrato più sveglio, più acuto, spesso distratto, ma brillante. Forse soltanto perché era Roxas.
    Si appoggiò al lavello del suo angolo cucina dietro di lui. «Puoi accamparti sul divano se vuoi.» disse mettendo fine a quel discorso al quale nessuno dei due avrebbe saputo mettere un punto: come avrebbero fatto? Che sarebbe successo? Se ne sarebbe andato davvero? «Vado a farmi la doccia, di là c’è la mia camera…» disse indicandogli una porta. «cercati delle coperte.» superò il divano diretto in bagno.
    «Mi dispiace.» mormorò Sora ad occhi bassi. «Vorrei che poteste stare insieme, ma io devo tornare da Kairi.»
    Qualcosa stuzzicò la mente di Lea, come se lo pungesse, qualcosa che gli suggeriva di fare attenzione, Kairi era importante, lo era sempre stata in tutta quella vicenda, non avrebbe smesso di esserlo proprio allora. Qualcosa che in qualche modo si collegava a Even che fingeva di non ricordare, ma che se avesse passato un quarto d’ora con lui avrebbe sicuramente ricordato ogni cosa, comprese le misure di Xemnas se ne avesse avuto bisogno. Il problema è che non riusciva a realizzare ‘a cosa’ gli dovessero servire.

«Roxas, no!» bisbigliò Sora indispettito. «Ti ho portato nella tana del lupo, accontentati.»
    Una sbirciatina?
    Studiò la camera piuttosto spartana di Lea, non sapeva esattamente perché si era aspettato qualcosa di molto più eccentrico ed appariscente, probabilmente dipendeva dal fatto che Lea era eccentrico ed appariscente.
    «No.» rispose secco.
    Il letto era un po’ più grande del suo sulle Isole, forse doveva essere da una piazza e mezzo, ed ordinatamente rifatto, lenzuola bianche, una coperta bordeaux, due cuscini. Tanto normale da dargli fastidio. Non c’era molto altro, una panca ai piedi del letto, che – seppe dopo aver sbirciato – conteneva le coperte che lo aveva mandato a cercare.
    L’acqua che sentiva scorrere nella doccia gli creava un blocco fumoso e fitto nel cervello – che aveva molto a che fare con Roxas – si sentiva ovattato e si era riscosso più di una volta fare alcuni passi in direzione del bagno; c’era da dire che effettivamente l’ombra nel suo cuore lo voleva molto intensamente. Ed ecco di nuovo affacciarsi i sensi di colpa.
    Sbuffando tirò fuori una trapunta e la dispiegò davanti per vedere la grandezza ed una volta convenuto che ci si sarebbe potuto creare un bel bozzolo, le diede una risistemata. Si sentiva ancora fuori luogo – a differenza di quell’altro che era a suo agio come un cagnolino in una cuccia – e non voleva che niente portasse l’impronta del suo passaggio.
    Apri l’armadio?
    «Perché?» domandò senza capire. «Abbiamo quello che ci serve e che ci ha mandati a prendere.»
    Sei un fifone, Sora, cosa vuoi che ti faccia? – l’eccitata aspettativa nella sua voce lo fece rabbrividire.
    Lo accontentò, più che altro perché non voleva sentirlo.
    Fece scorrere le stampelle sotto i suoi occhi, c’erano magliette, pantaloni, giacche, qualche camicia; si chiese cosa si era aspettato di trovare in un armadio, di diverso o se fosse una specie di feticista dei vestiti.
    Che c’è laggiù?
    «Sei un ficcanaso, Roxas.» sbottò facendo per richiudere, ma non ci riuscì. Qual fagotto nell’angolo aveva qualcosa di familiare, lo raccolse cautamente e lo strinse tra le dita; accadde in fretta, in qualche modo Roxas prese il sopravvento: chiuse gli occhi, se lo portò al viso ed inspirò forte. E quell’odore gli era familiare come se per tanto tempo lo avesse portato sulla pelle.
    Lui l’aveva portato sulla pelle, effettivamente, per trecento cinquantotto giorni e mezzo, per la precisione.
    «Cielo…» mormorò Sora allontanandosi di poco e studiandolo. «è il mio.» Roxas non precisò che era il proprio, non avrebbe avuto senso.
    La divisa dell’Organizzazione non era cambiata per niente, sembrava nuova, nuova.
    Sono resistenti, ci dovevamo combattere! – gli spiegò.
    Sora guardò il proprio riflesso, nello specchio interno all’anta. Il cuore gli batteva forte mentre infilava le maniche, in un misto di eccitazione, curiosità ed al contempo paura; gli calzava a pennello, come se gli fosse stata cucita addosso. Si osservò ancora con attenzione e si tirò su il cappuccio, ora era come loro, un’ombra, un errore.
    Ce ne sono altri.
    Altri due per la precisione, uno più grande, doveva essere stato quello di Axel, ed uno piccolino. «Di chi è questo?» domandò senza capire. A parte Roxas, con il quale comunque aveva stretto una certa confidenza, avrebbe dovuto conoscere tutti e tredici i membri dell’Organizzazione…non ricordava nessuno così minuto.
    La sua controparte non rispose, sentiva come un blocco che veniva da lui. Non ricordava e la cosa, per motivi che non riusciva a comprendere, lo rattristava enormemente.

Lea rimase a guardarlo sconcertato. C’erano due opzioni possibili: o era appena sbucato in un universo parallelo, oppure Sora aveva trovato le divise dell’Organizzazione ed aveva deciso di misurare quella di Roxas. Avrebbe dovuto fargli una foto, avrebbe dovuto sbatterlo sul letto. Si chiese quanto influente potesse essere Roxas e se riuscisse a rinchiudere quel chiacchierone eroico lontano per un’oretta.
    La risposta che si diede non lo soddisfò: non abbastanza.
    «Sai, se avessi preso questa decisione in tempo utile, avremmo evitato un bel po’ di casini.» lo prese in giro appoggiandosi a braccia incrociate contro lo stipite della porta.
    Sora sussultò e lasciò cadere quello che aveva tra le mani, fissandolo imbarazzato, fece un sorrisetto colpevole. «Ero curioso…» si specchiò ancora. «dove li hai trovati?»
    Lea ci rifletté, l’immensa fiducia che aveva in Roxas, non riusciva ad estendersi fino a Sora, lui era il paladino della squadra dei 'buoni'. «Tra le macerie.» non era mica strettamente necessario spiegare tra le macerie di cosa, no?
    «Ti manca?» gli domandò curioso come un gattino.
    Gli si avvicinò recuperando la divisa che aveva lasciato cadere, la propria, quel nero continuava ad avere una certa attrattiva, nonostante il cuore che ora gli batteva nel petto. «Essere un assassino o l’Organizzazione?»
    Sora arrossì realizzando che era in accappatoio, un normalissimo accappatoio azzurro, e che probabilmente sotto era nudo; deglutì maledicendo Roxas, se fosse stato solo non sarebbe arrossito, un ragazzo che vede nudo un altro ragazzo non arrossisce.
    «L’Organizzazione.»
    Lea rise. «Mi manca anche essere un assassino se è per questo.» Axel e Lea erano la stessa persona, nessun dei due avrebbe fatto niente che l'altro non avrebbe condiviso. Ripiegò il mantello con cura e devozione, sistemandolo di nuovo nell’armadio, mentre Sora si toglieva quello che aveva provato per permettergli di metterlo via. «A te non mancano le tue missioni?» gli domandò più per cortesia che altro.
    «No.» fu la sua unica, monosillabica risposta, mentre continuava a stare ad occhi bassi; si strinse nelle spalle, sembrava piccolissimo ed infinitamente solo, tanto da non fargli venir voglia di chiedergli il perché.
    «Vai a dormire, va.» lo spinse piano verso la porta per una spalla. «Puoi guardare la tv se ti va, ma io ho sonno.» ammassare macerie tutto il giorno era stancante. Chi è che aveva detto che il lavoro nobilitava l'uomo? Di certo uno che non sapeva di cosa parlava.
    Sora annuì, pronto per lasciare la stanza prima che Lea si togliesse quell'accappatoio ed iniziasse a vestirsi; l'intuito gli suggeriva di non permettere a Roxas di assistere alla scena, ma si fermò ad un passo dall'attraversare la soglia. «Ah, grazie.» 
    Lea aggrottò le sopracciglia perplesso. «Di cosa?»
    «Del divano…» rise provocatorio. «e di avermi fatto provare il brivido di essere il quindicesimo membro dell’Organizzazione.»
    Scosse la testa guardandolo uscire con l'ombra di un sorriso di simpatia sulle labbra, poi ci ripensò…non il quattordicesimo?

Qualcuno gli pungolò il braccio, Lea lo scacciò come se fosse una mosca e si girò dall’altra parte.
    Qualcuno lo pungolò di nuovo e questa volta Lea fu sul punto di girarsi e dargli una manata, ma poteva essere solo una persona e quella persona somigliava troppo a Roxas perché gli venisse voglia di picchiarlo.
    «Che vuoi?» biascicò senza aprire gli occhi.
    «Mi fai posto?» gli domandò in un bisbiglio.
    Per un attimo rimase in silenzio, poi si voltò a guardarlo incredulo. Sora era lì, con un cuscino tra le mani che continuava a stringere tra le dita in modo nervoso. «Eh?» sbottò stupito.
    «Non lo sopporto più. Non mi lascia dormire.» piagnucolò.
    Sospirò, ma quel rompiscatole non gli diede nemmeno il tempo di parlare.
    «Vuole stare con te, continua a ripetermi che domani o dopo domani al massimo Riku verrà a prendermi, che lo porterò via da te e…e…» avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, si vedeva, ma rinunciò davanti all'evidenza di non riuscire a riassumere tutto quello che lui e l'ombra nel suo cuore si dicevano di continuo.
    Lea sospirò, avere di nuovo un cuore lo rendeva estremamente paziente, per fortuna di quel moccioso - lo dicevano tutti che era un ragazzo fortunato - poi rotolò sull’altro lato del letto, lasciandogli spazio a disposizione; Sora sistemò un cuscino tra i loro due corpi e, rigido come un manico di scopa, si stese dandogli le spalle. L’uomo ridacchiò ma decise di non infierire, infondo, non doveva essere facile per lui gestire due personalità così contrastanti e dai desideri così opposti.
    «Axel.» lo chiamò.
    «Nh?»
    «Niente porcate, ho avvertito anche lui.»
    Questa volta non poté proprio trattenersi dal ridere di gusto. «Ok, mi impegnerò a non molestarti.»
    Sora sospirò sprofondando con la testa nel cuscino di Lea, gli occhi aperti nell’oscurità. «Axel?»
    «Che c’è ancora?»
    «Lui ti ama.» bisbigliò incerto continuandosi a mordere il labbro.
    Lea rimase in silenzio per tanto tempo, come se stesse cercando il giusto ripostiglio dove nascondere quell’informazione. «Lo so.» mormorò pianissimo.
    Per tutta la notte continuò a guardare fisso la spalla di Sora che vedeva spuntare oltre il cuscino, praticamente identica a quella di Roxas.

niente questo capitolo non voleva uscire, ma alla fine ce l'abbiamo fatta!
nel prossimo capitolo ci sono Riku e c'è Kairi...non sarà un capitolo allegro, proprio per niente...
ma a ben vedere sono pochi i capitoli allgri che ho scritto in questa fanfiction...

ah, tipo dal prossimo capitolo - ma forse anche in quello dopo ancora - inizieranno ad esserci traccie di come vorrei gestire la situazione...secondo me il discorso potrebbe anche filare...ma mi rimetto al vostro giudizio...

ho in mente una cosa da far fare a Sora che ha del blasfemo...


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


sora scusate il ritardo, ma questo capitolo è un po' complicato...c'erano tante cose da scrivere...
però mi piace parecchio...è bello tormentoso...
ci vediamo più giù...


Capitolo 6

Kairi era immobile sulla barca, sembrava un manichino. Riku evitava di guardarla, non sapeva se lei se ne fosse accorta, ma vederla così distante, così persa, gli ricordava troppo aver avuto a che fare con una Kairi incosciente; continuava a remare ad occhi bassi, ripetendosi come un mantra una frase semplicissima: ‘se non viene di sua spontanea volontà gli do una botta in testa e lo chiudo dentro ad un sacco’.
    «Non cercare di rassicurarmi, Riku, davvero.» lo prese in giro lanciandogli un’occhiata, cercava di alleggerire l’atmosfera, ma dava l’idea di essere sul punto di scoppiare a piangere.
    Vedere i suoi occhi di nuovo luccicanti di vita, comunque, gli scaldò il cuore; sorrise fingendosi tranquillo. «Non ce n’è bisogno.» ‘se non viene di sua spontanea volontà gli do una botta in testa e lo chiudo in un sacco’.
    «Allora, perché non vuoi portarmi con te?» domandò guardandolo fisso, infelice.
    Riku si fermò, davanti a lui c’era l’Isola dei Bambini, era vicina, probabilmente da lì anche nuotando l’avrebbero potuta raggiungere in poco tempo. Non le inventò una scusa, niente missioni per riscattarsi, niente ferite da risanare, niente risposte da cercare. «Ho paura.» da morire. «Non puoi chiedermi di trascinarti in un corridoio oscuro.» scosse la testa, guardandola come la guardava sempre in assenza di Sora. Non l’avrebbe toccata, nemmeno sfiorata, finché fosse stata sua. E se fosse stata sua per sempre, lui non l’avrebbe mai toccata; ma non riusciva ad impedirsi di guardarla, ogni volta che poteva, come a chiederle se fosse sicura della sua scelta. «Non puoi.» mormorò piano. Perché lei aveva un’altra scelta e l’unica cosa che poteva fare era continuare a ricordarglielo.
    Kairi fu la prima a distogliere lo sguardo, rifugiandosi in Sora. «Lo so.» disse solo.
    Riku riprese a remare con calma, ‘se non viene di sua spontanea volontà gli do una botta in testa e lo chiudo in un sacco.’
    Legò la barca al piccolo molo, mentre la ragazza faceva forza sulle braccia per salirci. Si rivide per un attimo bambini, tutti e tre su quella stessa barchetta. Lui era l’unico a riuscire a salire sul ponticello da solo – perché era più grande e più alto – una volta su, aiutava Sora che in ogni caso era abbastanza bravo ad arrampicarsi, poi in due tiravano su Kairi. Una volta lei amava indistintamente entrambi, se non avesse fatto tutta quella serie di cazzate…chiuse gli occhi e scosse la testa, pensare ai ‘se’ non serviva a niente. Ancora una volta si ripeté che non sarebbe cambiato nulla in ogni caso, ma per quanto continuasse a dirselo, non riusciva mai a crederci del tutto.
    Si fermarono sulla spiaggia, il vento le scompigliava i capelli, così se li ritirò indietro con cura. «Aspetterò fino al tramonto.» gli disse.
    «Non sarà necessario.» sorrise. «Il tempo di trovarlo e saremo di ritorno.»
    Kairi abbassò lo sguardo sconsolata. «Già…» sussurrò più a sé stessa che a lui, tremò e per un momento non scoppiare ad urlare fu tremendamente difficile; ma poi si riprese e sorrise, un sorriso debole, ma pur sempre un sorriso. Gli mostrò la benda che aveva portato di uno squillante azzurro elettrico.
    Riku rise. «Wow.» esclamò divertito.
    «Ho pensato che visto che non sei più in missione e non devi confonderti con loro tanto vale essere allegri, no?»
    «Un bel pensiero, sarò sicuramente alla moda.»
    Finalmente Kairi rise davvero e quello quasi lo ripagò di tutto. «Pronto?»
    «Te lo riporterò.»
    Il suo sorriso fu l’ultima cosa che vide prima che il buoi piombasse su di lui. «So che lo farai.»
    Kairi lo guardò addentrarsi nell’oscurità filamentosa del corridoio oscuro appena aperto, si morse il labbro incerta e spaventata. Era di nuovo sola. Si frugò nelle tasche della gonna e tirò fuori il portafortuna di conchiglie fatto anni prima, rise: non aveva portato poi così tanta fortuna. Questa volta Sora non aveva nessun pegno da riportare, si era dimenticata di dargli qualcosa a cui aggrapparsi, se qualcuno avesse cercato di portargli via il proprio ricordo. Lo strinse tra le mani poi contro il petto, non riuscendo ad impedirsi di piangere.
    «Ti prego, Sora, torna da me.»

Sora aprì gli occhi nel letto di Axel con il profumo di salsedine nelle narici. Kairi sembrava tanto vicina da poterla accarezzare. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché, girandosi, potesse trovarsi davanti il suo faccino addormentato; si sarebbe avvicinato a lei con calma, la avrebbe abbracciata piano per non svegliarla e se la sarebbe stretta addosso, godendosi la pace che gli dava il suo contatto.
    Ma sdraiato accanto a lui c’era Axel.
    E nella sua testa solo la stucchevole e melensa adorazione di Roxas.
    Quella mattina Sora voleva tornare a casa.
    «Tutto bene?» gli chiese Lea, lanciandogli un’occhiata.
    Sora annuì senza pensarci davvero. «Perché?»
    L’uomo sbadigliò. «Sei sveglio e non hai ancora iniziato a fare casino.» il che era davvero un evento sconvolgente.
    Sora rimase zitto per un lunghissimo momento, gli sembrava quasi che la sua risata fosse nell’aria trasportata dal vento. Alle Isole del Destino aveva sempre l’impressione di poterla sentir ridere a chilometri di distanza, sarebbe successo anche da lì? Sospirò cupo, dubitava che in quel momento Kairi fosse felice.
    «Nostalgia.» confessò infine.
    «Di casa?»
    Sorrise triste. «Casa è dove è Kairi.»
    Lea si girò per poterlo guardare, era immobile con le braccia incrociate dietro la testa, fissava il soffitto come se lei fosse lì. Quella mattina non c’era niente di Roxas in lui: era talmente soggiogato dalla malinconia per l’assenza di quella ragazza, da dimenticarsi di tutto il resto.
    «Trasferitevi qui.» era un’idea folle, lo sapeva anche da solo.
    Sora gli lanciò un’occhiata ironica. «E che faccio? Sto una settimana con te ed una con lei?» gli domandò sarcastico. «In ogni caso, non credere che farei sesso con te.»
    Lea sbuffò. «Sesso, come se si fosse mai trattato solo di quello.» borbottò tra sé. «Kairi ti manca per il sesso?»
    Il ragazzo si coprì il viso con le mani disperato. «Ok…» annuì guardandolo. «adesso vado da lei e le dico ‘Kairi, ci trasferiamo a Radiant Garden, perché a giorni alterni devo essere il ragazzo di Axel. No, tranquilla, non faremo sesso, perché lui lo ama davvero.’» si strinse nelle spalle. «Mi uccide.»
    «Oh, ti prego!» sbottò. «Miss bontà non ucciderebbe nemmeno una mosca.»
    Questa volta fu il turno di Sora di ridere. «Probabilmente no. Ma mi odierebbe, forse sono l’unico che riuscirebbe ad odiare davvero.»
    «Nah…» Lea si tirò su e recuperò una maglietta da infilarsi. Roxas si era di nuovo abituato alla sua fisicità mezza nuda e non si lasciava più sconvolgere, anche se tutte le volte lo obbligava a fissarlo morbosamente catturandone ogni dettaglio. «ti ama.»   
    «Già…» e Sora era sicuro che questo fosse il motivo principale per cui l’avrebbe odiato, sarebbe riuscita in qualche modo ad incanalare tutto l’amore e trasformarlo in odio.
    Qualcuno bussò alla porta e Sora si voltò in quella direzione curioso, da quando era lì, non era mai venuto nessuno, ma infondo, quel giorno Lea non andava a lavoro, forse i suoi amici non venivano a trovarlo perché li vedeva lì. L’uomo si alzò tranquillo, dirigendosi con passo strascicato verso il soggiorno.
    «Sarà Aeris, è l’unica a venire.»
    Ma quando aprì la porta si rese conto del suo enorme errore di valutazione.
    Riku lo squadrò tutto a bocca aperta per lo stupore, come se si trattasse di un fantasma ed in realtà non riusciva ad immaginare niente di più vicino ad un fenomeno paranormale. Quello…quello era Axel. Anche l’uomo gli sembrò in difficoltà, impacciato, aveva interrotto qualcosa.
    Sora aveva Roxas dentro la testa.
    Fissò i suoi occhi verdi alla ricerca di indizi.
    E Roxas amava Axel.
    Sgranò gli occhi per la sorpresa, fissando alle sue spalle due piedi sul suo letto, due piedi inconfondibilmente grandi.
    Riku spostò Axel dalla porta ed entrò come una furia, l’uomo non fece niente per trattenerlo, lo guardò soltanto dirigersi verso la sua camera da letto, chiedendosi se si sarebbe trovato nelle condizione di dover dividere due stupidi ragazzini che litigavano.
    Era già successo.
    Sora sobbalzò tirandosi su a sedere come se lo avesse sorpreso a fare qualcosa di straordinariamente sbagliato, perché negli occhi di Riku c’era un’accusa di alto tradimento: se avesse consegnato re Topolino ai Nessuno, legato ed imbavagliato, era sicuro che l’avrebbe guardato nello stesso modo. Il suo amico non disse niente, lo studiò tutto e lui cercò di mantenere un’espressione neutra, perché sapeva quanto bravo fosse a leggerlo. Quando tornò ad osservare i suoi occhi, era disgustato.
    «Ma che diavolo stai facendo?» sbraitò.
    Il ragazzo si alzò a disagio. «È complicato.» mormorò piano, non c’era altro che potesse dire.
    «Le hai detto che venivi per la tomba, non per…» lanciò un’occhiata fulminante al padrone di casa. «per spassartela con lui.»
    «Cosa?!» Sora guardò prima Lea poi Riku, realizzando quello che stava insinuando. «Io…no! Come puoi credere che lo abbia fatto?»
    «Cosa dovrei credere?»
    Gli si avvicinò. «Sono venuto per la tomba, ti giuro che non ne sapevo niente! L’ho incontrato mentre andavo alla cava.»
    «Ok…» Riku si massaggiò le tempie, sospirando. «sai che c’è? Non mi interessa.» studiò la camera di Axel attento, individuando i suoi vestiti e lo zaino con cui era partito. «Il mio compito è riportarti a casa. Quindi, racimola le tue cose ed andiamo.»
    Sora guardò Lea, in piedi appoggiato allo stipite della porta e realizzò che non aveva mai smesso di tenere gli occhi su di lui. Voleva davvero tanto andare a casa, fingere di non averlo visto, ricominciare ad ignorare Roxas. Ma ora erano cambiate tutte le carte in tavola, lo sapeva.
    Sora…
    Spostò lo sguardo su Riku, poi abbassò gli occhi sui suoi piedi e pensò a Kairi. Pensò tantissimo a lei, così tanto che quasi riusciva a vederla lì. «Non posso.» sussurrò a capo chino.
    Silenzio.
    «Come?!»
    Non c’era un come, non c’era nemmeno un perché. Non poteva farlo. Lui e Roxas condividevano un corpo, se se ne fosse andato avrebbero condiviso la tristezza della separazione; il suo dolore avrebbe sopraffatto ogni altra cosa, proprio come quella mattina Roxas non era riuscito a penetrare nelle sua testa per la nostalgia di Kairi. Non sarebbe riuscito ad amare Kairi tutto perso nell’assenza di Axel.
    «Prima non sapeva che fosse vivo e pensa a quanto mi finiva…» scosse la testa. «non riuscirò a vivere.» fissò Riku deciso. «Ho bisogno di tempo, devo mettere a posto le cose.»
    Riku nemmeno ci pensò. Allungò un braccio, aprì il pugno e scaraventò Sora contro il muro con la barriera oscura. Il comodino accanto al letto di Axel si spaccò ed il ragazzo ricadde tra i pezzi di legno, tossicchiando per la botta alla schiena; in due giorni aveva preso più mazzate da gente che doveva essergli ‘amica’, che in due anni dagli heartless.
    «Non puoi continuare a sparire!» urlò. «Non puoi continuare ad abbandonarla su quell’isola con la promessa del tuo ritorno! È troppo speciale perché tu possa continuare a trattarla così…» il keyblade gli apparve automaticamente nella mano, guidato dal suo tormento, non credeva di poterlo fare ancora. «Io non te lo permetterò!»
    Fece per colpirlo, non mirava ad ucciderlo, cercava solo di seguire il piano – ‘se non viene di sua spontanea volontà gli do una botta in testa e lo chiudo in un sacco’ – ma l’unica cosa che colpì, fu l’incrocio creato dal keyblade di Sora e quello di Roxas che lo respinse, facendolo barcollare all’indietro.
    Il ragazzo si alzò lentamente. «La amo anche io.» disse con decisione e Riku scattò all’indietro come se gli avesse dato un pugno: Sora sapeva. Poi il ragazzo lo fissò furioso. «Smettila di credere di essere l’unico ad amarla!» gridò. «Tutto questo è colpa tua! Non sono io che volevo girare i mondi, io volevo stare con lei, darle il frutto paupou e vivere sulle Isole. Sei stato tu ad aprire la porta!» i keyblade iniziarono a brillare nelle sue mani, come se stessero diventando incandescenti e Riku pensò che quella era una cosa decisamente da keyblade master.
    Si acquattò, rigirandosi la sua arma tra le mani pronto a parare e contrattaccare.
    «BASTA!» Lea si mise in mezzo impedendo loro di uccidersi a vicenda. «Tutti e due!»
    E tutto si fermò.
    Riku guardò Axel ad occhi sgranati: lo aveva già visto accadere e lui lo sapeva.
    C’era Roxas, era in un cimitero e combatteva con qualcuno troppo forte per lui. Qualcuno che non riusciva a riconoscere, perché se lo avesse fatto non avrebbe mai potuto nemmeno fingere di ucciderlo. Stava per intervenire, perché Roxas non doveva assolutamente morire, ma Axel riusciva a precederlo ed a dividerli.
    Fece un passo indietro confuso. «Lui…» sussurrò.
    «No…» Axel scosse la testa. «Lei.»
    Si prese la testa tra le mani, mentre flash di ricordi che non riusciva a riordinare gli passavano davanti: gli occhi blu di Sora, il sorriso di Kairi, capelli neri. Un fantoccio.
    ‘Parlami di Sora e di quella ragazza che è sempre con lui…’
    «Xion.» tutti e due guardarono Sora sorpresi, lasciò andare le else delle chiavi che scomparvero, per poi stringersi nelle spalle indifferente. «Lei si chiamava Xion.»
    Ed io l’ho uccisa. – Sora percepì l’orrore nella voce di Roxas. – Io non volevo sparire…lei era mia amica…ma lei era te…
    Non c’era modo di fare chiarezza, i suoi ricordi riguardo a quella ragazza erano frammentari e poco chiari. Odio ed affetto si mescolavano ed intrecciavano, creando un sentimento nuovo quanto indecifrabile.
    Lei era stata creata. 
    ‘Come?’
    Non lo so. Da me, da te…tutti insieme formiamo te.
    Sora chiuse gli occhi. Si fermò, si estraniò da tutto. Aveva perduto il cuore e dall’oscurità che era entrata in lui era nato Roxas; gli avevano rubato i ricordi per sfruttare il potere del keyblade, finché Naminè non li aveva traditi; avevano creato Xion con i suoi ricordi.
    Quando li riaprì tutti e due lo stavano osservando con attenzione, incerti sul da farsi, preoccupati che si trattasse di uno di quei momenti molto alla Sora – o alla Roxas – in cui dimenticava pezzi di sé – o li ricordava. Ma lui sorrise ed a Riku vennero i brividi, mentre Axel spalancava gli occhi per paura della speranza.
    «Xion.» ripeté come se fosse una formula magica. «Hanno creato Xion.»

Kairi continuava a tenere gli occhi fissi sul tramonto davanti a lei. Quando sentì il familiare ed allo stesso tempo esotico rumore della gummi ship che atterrava dietro di lei, accompagnato da una leggere brezza che le scombinò i capelli, nemmeno si voltò: Sora non c’era. Non aveva mai creduto davvero che sarebbe tornato. Naminé non era una sciocca.
    «Kairi.» la chiamò Riku rammaricato.
    Si asciugò svelta il viso con le mani e quando si girò stava sorridendo, ma era impossibile credere che fosse un sorriso felice. «Ha trovato il motivo, immagino.»
    Il ragazzo abbassò lo sguardo in difficoltà. «Abbiamo bisogno di te e di…» deglutì. «lei
    Kairi scosse la testa, indietreggiando di un passo, finendo con i piedi in acqua. «No.»
    «Mi ha mandato a prenderti.» continuò allungando il braccio per porgerle la mano.
    «NO!» gridò lei stringendo i pugni. «Non posso farlo. Non voglio farlo.»
    Riku sospirò, si era offerto di andarla a prendere perché Sora aveva ragione: tutto quello era colpa sua, il compito peggiore spettava a lui. «Ho visto Axel.» la fissò. «Se lo trascini qui ora, senza aiutarlo…» lui non avrebbe retto il senso di colpa, ricordavano tutti e due quanto lo stesse logorando anche prima. Le notti insonni, gli incubi, i discorsi deliranti con sé stesso. «non può vivere con lui
    Kairi deglutì ed il suo viso si tirò in un sorriso amaro. «Se è per questo non può vivere nemmeno senza di lui

perchè anche se sembra che tiri giù i titoli a casaccio, non è così...
uff...si, lo so...ma alla fine secondo me funziona...
cmq...vi ho già detto che questo capitolo mi piace?
ed a voi?
baci


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


sora questo capitolo è stato una bella sorpresa...non credevo che venisse così bello...ecco, se adesso mi dite che fa schifo potrei davvero deprimermi!
leggete ci vediamo giù...

Capitolo 7

«Allora, qual è il piano?» bisbigliò Sora a Lea ed Isa, mentre si dirigevano al castello dove una volta Ansem svolgeva i suoi esperimenti. Nessuno sembrava essere molto interessato a loro, anzi, tutte le persone che incontravano avevano l’aria di essere piuttosto indaffarate, ma il ragazzo sapeva che quello che stavano cercando di fare era sbagliato – o almeno ai più sarebbe apparso tale – e continuava imperterrito a bisbigliare.
    Isa si strinse nelle spalle. «Andiamo da Even, gli ricordiamo che è Vexen, poi Lea lo minaccia per farsi dare delle informazioni.» non era esattamente un piano, ma funzionava quasi sempre.
    Stavano seguendo il programma alla lettera. Dopo l’illuminazione della mattina, per un po’ avevano continuato a confabulare, coinvolgendo, suo malgrado, anche Riku nella loro teoria tutt’altro che verificata o verificabile. C’era stato un precedente e tanto bastava. Lui aveva continuato ad osservare Sora, che passava dal parlare con le persone che aveva davanti a quello nella sua testa, in modo piuttosto agghiacciante. Alla fine si era offerto per il compito più ingrato: andare a prendere Kairi.
    Quando si era proposto l’entusiasmo di Sora era scemato tutto insieme ed aveva colto negli occhi del suo migliore amico la ferita che gli aveva lasciato, quando aveva, con poca grazia, dato la colpa di tutto a lui.
    Avrebbe dovuto parlarci ed avrebbe dovuto chiedergli scusa; ci aveva provato, ma Riku lo aveva interrotto con un: ‘Vado ad inventarmi una scusa per farmi prestare una gummi ship da Cid. Non è sicuro portare Kairi in un corridoio oscuro.’ E Sora aveva dovuto rimandare i ‘mi dispiace’.
    Se Riku andava a recuperare Kairi a loro non restava che andare a parlare con Even. Even che non ricordava – o diceva di non ricordare – niente del suo passato da terrorista dei mondi.
    «Perché Lea?» domandò curioso osservando l’uomo che non aveva aperto bocca da quando erano partiti per quella missione.
    Lui scrollò le spalle tranquillo. «Perché la gente si ricorda sempre di me.»

Sora rimase immobile con la testa all’insù a guardare il maestoso castello che lo sovrastava. Sospirò, in un modo o nell’altro era di nuovo lì, di nuovo in missione, di nuovo ad un soffio dal perdersi. Tutte le pessimistiche previsioni di Kairi si erano avverate con triste puntualità: aveva trovato una missione, un amico da salvare, certo, non c’era nessun mondo in pericolo, ma visto che Roxas doveva in qualche modo salvarlo da sé stesso, credeva che compensasse.
    Siamo amici? – Roxas sembrava davvero incredulo da quello strano sentimento di affetto.
    Era buffo, Sora non sapeva come era successo, ma ad un certo punto avevano smesso di odiarsi ed avevano iniziato a collaborare. ‘Credo di si a questo punto’. Riprese a camminare raggiungendo gli altri che non si erano presi la briga di aspettarlo, l’ombra nel suo cuore era preoccupata, ma non gli disse perché, anche se avrebbe potuto arrivarci da solo: Roxas aveva visto morire tutti i suoi amici.
    Sia Lea che Isa sapevano esattamente come muoversi all’interno del castello ed era un bene, Sora non ricordava tutti quei vicoli. Even era dentro lo studio di Ansem con un ragazzo – ci mise alcuni secondi a riconoscerlo come Zexion – tutto preso dal riordinare; andava da una parte all’altra della stanza esaminando, catalogando e mettendo al proprio posto tutti i libri del Saggio, mentre l’altro lo seguiva come un’ombra senza parlare. Non appena li sentì arrivare si voltò ad osservarli con vacua curiosità, come se dovesse pensarci prima di ricordare chi fossero.
    «Ma certo!» esclamò dopo alcuni secondi in cui li aveva studiati. «Lea ed Isa e tu…» assottigliò lo sguardo scrutando il terzo personaggio. «hai l’aria familiare…»
    Gli fece un cenno con la mano a mo’ di saluto. «Sono Sora.»
    Un muscolo involontario guizzò sul viso Even e Lea prese a fissarlo con più insistenza: ma certo che ricordava, si rassicurò con un sorriso.
    «Si, credo di ricordare qualcosa.» mormorò tornando al suo lavoro.
    «Meno male.» esclamò Lea. «Perché è proprio dei tuoi ricordi che abbiamo bisogno.»
    Even li ignorò, di nuovo concentrato sui libri, ma a nessuno dei tre sfuggirono i suoi movimenti tattici che, in qualche modo, mettevano sempre Zexion tra lui ed i suoi visitatori. «Non so se potrò aiutarvi.» si scusò con falso dispiacere. «La mia memoria è troppo ingarbugliata, ci sono informazioni andate perse per sempre.»
    Isa fece un passo verso di lui con le mani aperte in segno di pace. «Ehi! Siamo tutti nella stessa squadra, no?» sorrise e Sora pensò che i membri dell’Organizzazione gli avevano sempre sorriso in quel modo minaccioso quando li aveva incontrati: facevano venire i brividi. «Tu farai quello che puoi per aiutarci, giusto?»
    L’uomo li osservò attento e palesemente in apprensione. «Certo.» mormorò.
    «E allora non ci saranno problemi.» lo rassicurò Lea, anche se in quel momento, niente nella sua figura avrebbe potuto renderlo più spaventoso, si avvicinò alla scrivania al centro della stanza e ci si appoggiò con le mani nelle tasche, in attesa.
    Ovviamente non c’era niente di spaventoso in lui agli occhi di Roxas, anzi, Sora lo sentiva fremere di aspettativa, mentre valutava l’eventualità di avvicinarsi, inginocchiarsi tra le sue gambe e prendere tutto quello che avrebbe voluto dargli. Scosse la testa realizzando che non era solo un’idea, era un ricordo, Roxas l’aveva già fatto, ma in un altro castello.
    ‘Piantala!’
    «Quindi dicci, Even…» iniziò Lea tranquillo, fermandosi per aggiungere drammaticità al discorso. Il suo interlocutore si immobilizzò ed a Sora sembrò quasi di sentir ronzare il suo cervello alla ricerca di una via d’uscita. «cosa ricordi di Xion?»
    «Niente.» lo disse troppo presto, come se avesse già immaginato il motivo della loro visita e si fosse preparato la risposta.
    Lea rimase imperturbabile, se c’era un’emozione all’interno dei suoi occhi, era molto bravo a tenerla nascosta. «Quella ragazzina mora, che era sempre con me e Roxas. Anche più del voluto.»
    Sora sentì che Roxas non aveva apprezzato quel commento. - Era geloso di lei, perché era identica a Kairi ed io avevo un po’ di te dentro di me.
    ‘Una Kairi mora deve essere bella.’ rifletté Sora, anche se stava pensando a qualcosa di più che ‘bella’, sexy. Kairi gli mancava.
    Sbuffò indispettito. – Come se potessi davvero pensare a lei in quel modo...
    ‘Beh, tu eri geloso di Demyx.’ Come si faceva ad essere geloso di lui? Era Demyx.
    Si, ma lui c’è andato a letto! – sbottò acido.
    ‘No!’ osservò con occhi diversi Lea, influenzato da quel nuovo scoop. In qualche modo infastidiva anche lui. No, molto più che infastidito: Axel era andato a letto con Demyx. Come aveva potuto?
    Prima che ci conoscessimo… - cercò di giustificarlo debolmente Roxas, certe cose bruciavano nonostante l’amore; anzi, bruciavano proprio perché l’amava. – Che ti aspettavi? Che fosse vergine? – il vuoto eccitato che percepì nello stomaco della sua controparte fu un ottima risposta a quelle due domande: no, non era vergine, perchè al dunque aveva saputo fin troppo bene cosa fare.
    ‘Saresti dovuto andare con Xion. Così ora sareste pari.’
    Sembrava un po’ schifato. – In un certo senso so com’è fare l’amore con una ragazza, attraverso te. La cosa non mi entusiasma…e comunque, mi sembra un po’ infantile.
    ‘Se lo sarebbe meritato. Dopo glielo dico.’
    Non ti azzardare. – minacciò. – O farò in modo che Kairi sappia quello che vuoi e che non hai il coraggio di chiederle…
    «Non puoi!!»
    I tre uomini presi da tutt’altra conversazione si voltarono a guardarlo sorpresi. Sora si passò una mano tra i capelli arrossendo imbarazzato.
    Even fece un passo verso di lui, gli occhi spalancati ed un sorriso folle sulle labbra. «Affascinante…» mormorò a sé stesso, dimenticandosi la sua parte da smemorato. Si fermò ad un soffio dal ragazzo e lo fissò dritto negli occhi. Sora guardò Lea spaesato e tirò indietro la testa, cercando di scappare da quella vicinanza improvvisa. «e così la nostra giovane chiave non si arrende.» allungò una mano prendendogli il viso e girandolo prima da un parte poi dall’altra, come cercando tracce in superficie dell’ombra che gli si annidava all’interno.
    Rabbia.
    Roxas lo afferrò per il collo del camicie di botto, segregando Sora in un angolo solo per un attimo. Non avrebbe mai più permesso a nessun membro dell’Organizzazione di trattarlo come se fosse uno strumento a loro disposizione. Oblivion brillava di nero tra i loro corpi, mentre lo fissava infuriato. «Non toccarmi!» sibilò spingendo la punta della chiave sotto il mento dell’uomo; avrebbe potuto staccargli la testa in un colpo se avesse voluto. «Tutte quelle dannate missioni solo per spremermi e buttarmi via quando non sarei più servito.»
    «Roxas.» alzò gli occhi, Lea era accanto a lui e lo osservava comprensivo. «Lascialo.»
    Per un secondo fu davvero sul punto di ucciderlo.
    ‘Se lo fai come faccio a tirarti fuori!’
    Lo lasciò, spingendolo lontano da lui, Lea gli lanciò un’ultima occhiata, poi si posizionò tra i due con i chakram che gli brillavano nelle mani: odiava stare in mezzo, ma quel giorno sembrava non poter far altro.
    «Proviamo con un’altra domanda, che ne dici, vecchio?» domandò fissando Even intensamente. «A che temperatura fonde il tuo scudo?»
    Per un po’ l’uomo continuò a studiarlo, sfidandolo a portare a termine quella minaccia, Lea non vacillò nemmeno per un secondo.
    Sora ripiombò nel suo corpo confuso ed Oblivion scivolò via in un’ombra di luce dalla sua mano. «Forte…» mormorò, cogliendo al margine del suo campo visivo il sorriso compiaciuto di Isa.
    «So cosa volete, ma senza la strega non potete fare niente.» spiegò.
    «Abbiamo la strega.» disse solo Lea.
    Even si portò le braccia dietro la schiena, prendendo a camminare come per trovare spunti per il discorso che si accingeva a fare. «Creare un organismo indipendente con solo dei ricordi non è una cosa semplice. È un processo troppo complicato perché possa conservarsi nel trasferimento che hanno subito le nostre coscienze.» si interruppe.
    Sora sospirò. «Puoi aiutarci o no?»
    «No.» si strinse nelle spalle. «Non io.» ma riprese a camminare dando loro la speranza che potesse aggiungere altro. «Ad ogni modo, ho sempre considerato molto seriamente una tale eventualità e per far sì che i miei studi non andassero perduti…»
    «Oh, no.» si lamentò Sora affranto. «Fammi indovinare: hai scritto un trattato che si è sparpagliato per i mondi?» domandò sarcastico.
    Lea, Isa ed Even si fermarono ad osservarlo stupiti. «Come fai a saperlo?» domandò il vecchio, soprannome che Roxas trovava quanto mai azzeccato.
    Sbuffò. «C’è sempre un trattato perduto da rimettere insieme!» spiegò senza entusiasmo.
    «Hai quasi ragione.» sorrise affilato. «Ma il mio non è affatto andato perduto.»
    «Dov’è allora?»
    La risata con cui gli rispose fece raggelare tutti quanti. «Sono sicuro che quando te lo dirò, capirai che sarebbe stato molto meglio cercarlo per tutti i mondi.»
    «Oddio…» sospirò con un improvviso presentimento.
    «Esatto.»

Lasciarono il castello abbattuti e pensierosi. Era impossibile recuperare quel libro, forse peggio che impossibile. Incrociò le braccia dietro la testa, cercando di spremere dal suo cervello un’idea geniale, o che la tirasse fuori Roxas, ma non potevano esserci idee se una cosa era impossibile.
    Isa era scappato via, mentre erano ancora tra i corridoi; Roxas immerso nei suoi pensieri, aveva alzato la testa, come prestando di nuovo attenzione al mondo che lo circondava. E la stava prestando ancora, con un misto di anticipazione e desiderio che Sora non riusciva a spiegarsi e che lui non aveva intenzione di spiegargli.
    «Cos’era quello?» domandò Lea serio.
    Sora piegò la testa lanciandogli un’occhiata confusa. «Quello cosa?»
    «Roxas.»
    «Oh…» assentì. «a volte riesce a prendere il controllo, se una cosa coinvolge più lui che me…» si zittì, perché Lea si era fermato alle sue spalle e lo fissava in un modo che non lasciava presagire niente di buono.
    Ora Roxas era attento come un felino a caccia.
    L’uomo continuò a studiarlo come se guardandolo con abbastanza insistenza avesse potuto trasformarlo in qualcun altro. Fu con orrore che il ragazzo realizzò, che era proprio quello che aveva intenzione di fare.
    Si avvicinò piano come se avesse paura di farlo scappare e Sora iniziò ad indietreggiare altrettanto lentamente; non aveva armi con Axel, Roxas non gli avrebbe permesso di torcergli un capello, era completamente indifeso. Sussultò quando si accorse di essere finito contro il muro: in trappola.
    Voltò la testa di lato studiando con ansia il corridoio che avrebbe dovuto percorrere, sarebbe riuscito a scappare?
    Non farlo. – era la supplica più intensa che avesse mai sentito nella sua mente, se avesse avuto un corpo, Roxas si sarebbe prostrato pur di farsi dire di sì. – Ti prego, un minuto. Nessuno lo saprà mai.
    Sora si sentiva schiacciato, di troppo, preso in mezzo alla morsa di due volontà che lo avrebbero volentieri eliminato per stare insieme. Si chiese con dolore e colpa se fosse così che Roxas si sentiva tutte le volte che lui era con Kairi.
    Si.
    E Sora sospirò affranto, abbattuto, mentre Axel si fermava troppo vicino a lui, appoggiando le braccia contro il muro, ai lati della sua testa, intrappolandolo nella gabbia del suo corpo. I suoi occhi lo terrorizzavano, perché non guardavano lui.
    «Chiudi gli occhi, Sora.»
    Lo baciò e lui rimase immobile come una statua di sale.
    «Chiudi gli occhi, Sora.» ripeté come se fosse un incantesimo, ‘liberalo, Sora’ era la parafrasi. Una mano si fermò sul suo collo e scivolò giù con lasciva tenerezza, fino a fermarsi al lato del suo ombelico. Avevano promesso niente porcate e nessuno dei due voleva spaventarlo e rischiare di perdere tutto.
    ‘Beh, che aspetti?’ – l’aveva fatto arrivare fin lì, a quel punto non poteva tirarsi indietro.
    Chiudi gli occhi, Sora.
    E Sora li chiuse.
    E nello stesso momento fu come se Roxas li aprisse.
    «Axel.» soffiò contro la sua bocca dischiusa con la propria voce.
    Sorrise di sfuggita a quel miracolo e lo baciò di nuovo, stavolta con la giusta partecipazione, di chi veniva baciato a sua volta. Roxas strinse i pugni di Sora, accertandosi di riuscire a controllare tutto. Alzò le braccia allacciandole al collo di Axel e strattonò i suoi capelli con dolce abitudine, spinosi, duri, di certo non soffici come quelli di Kairi che aveva sentito mille volte sotto i suoi palmi.
    L’uomo tirò indietro la testa, lasciando le sue labbra libere di scivolargli sul collo; strusciò il naso contro la sua pelle, immagazzinando ogni minima particella del suo odore. «Axel.» mormorò ancora, beandosi di ascoltare il nome della sua voce chiamarlo; era una supplica a farsi dare di più, mentre staccava la schiena dal muro, contro il quale Sora si era rifugiato e gli andava incontro, le gambe che si intrecciavano nei loro passi. Gli sembrava quasi di sentire il rumore inconfondibile delle tuniche nere che si strusciavano insieme a loro.
    Lea gli prese il viso tra le mani e lo fissò, occhi negli occhi. «Presto.»
    Roxas tremò un’ultima volta, poi lui lo lasciò andare e si allontanò, permettendo a Sora di ritrovare la lucidità e di riprendere il suo posto. Si accorse del cambiamento quando il viso iniziò ad arrossire: ci sarebbe voluto molto di più per fare arrossire Roxas.
    Sbuffò imbarazzato a livelli inimmaginabili. «A costo di invadere il loro mondo, giuro di recuperare quel dannato trattato!»
    Lea ridacchiò senza dire niente.

La felicità lo abbandonò appena si trovarono nel giardino davanti al castello; Riku li aspettava lì con le braccia incrociate sul petto e l’aria severa. Lea deglutì lanciando un’occhiata triste a Sora ed a quello che conteneva: se Riku era tornato, significava che anche la ragazzina era da qualche parte nei paraggi.
    Aspettò che si avvicinassero prima di parlare, il suo sguardo era duro e gelido come una tormenta. «Stiamo da Aeris e Tifa.» scoccò un’occhiata tagliente a Lea. «Dove saresti dovuto essere.»
    Sora sospirò, percependo il possesso di quel ‘stiamo’, capisci di aver sbagliato qualcosa quando il tuo migliore amico cerca di ferirti; quando Riku aveva provato ad ucciderlo – una delle prime volte – lui aveva capito di aver commesso un errore nel credere di essere l’unico a trovare Kairi straordinaria. Ora stava sbagliando tutto.
    «Ok.» disse solo con voce piatta.
    «Non vuole vederti.» lo minacciò.
    Non lo ascoltò. «Sei mio amico si o no?» gli domandò a bruciapelo.
    Riku fu preso alla sprovvista e per alcuni secondi fu troppo sorpreso per mantenere lo stesso livello di odio. «Come?» perché non era odio suo, era l’odio di Kairi.
    «Ti sto chiedendo se mi aiuterai, se posso fidarmi di te.» spiegò fissandolo.
    Rimase in silenzio riflettendo. «Si, ti aiuterò.» decise in fine.
    Sora sorrise. «Ci sarà da sporcarsi le mani.» lo provocò.
    Riku rise divertito. «Ho cercato di rubare i cuori delle principesse, forse nemmeno lui ha le mani più sporche delle mie!» esclamò indicando con un cenno della testa Lea.
    «Dobbiamo ritrovare un trattato.»
    «Un classico.» Riku finse uno sbadiglio. «Sparso per i mondi?»
    «Peggio.» confidò con una smorfia.
    Lo studiò alcuni secondi con aria di sfida, poi lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Tu sai dov’è, vero?» annuì. «Non sarà mica…»
    «Oh no, non preoccuparti.» lo tranquillizzò. «Niente ‘Oscurolandia’…si tratta solo di rubarlo a re Topolino.»
    Per la prima volta nella sua vita ebbe l’onore di lasciare Riku completamente senza parole, Lea ridacchiò. «Sei pazzo.» sussurrò.
    «Inizia a pensare ad un modo.» disse superandolo. «Io devo andare da Kairi.»
    «Ma non vuole vederti!» provò a protestare.
    Si fermò e si strinse nelle spalle. «Non importa, io devo andare da lei lo stesso.»

momento di silenzio per un sexy Roxas che strapazza Vexen...
fatto?
allora, ditemi...che ne pensate? quanto siete sconvolte?
...oddio quante di voi stanno pensando di strozzarmi?!
baci...

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


sora scusate per il tremendo ritardo, ma ho dovuto dare un esame e sono rimasta indietro...
allora, questo capitolo è un pochino corto, ma succedono molte cose.
su leggete!

Capitolo 8

Kairi era seduta nella cucina di Aeris, tra le mani stringeva una tazza con disegnati dei fiori e sembrava del tutto assente. Era carina, come se quella fosse un’occasione importante: un vestitino bianco senza maniche né spalline con un’ampia gonna lunga fino al ginocchio. La faceva somigliare ad una ballerina. Si era raccolta i capelli in un chignon disordinato che gli era sembrato sempre tremendamente complicato a vedersi, ma che le aveva visto fare con poche abili e sapienti mosse. Ed aveva messo il profumo, quello che avevano scelto insieme, perché piacesse ad entrambi.   
    Per terra le ragazze avevano di nuovo sistemato le coperte, per lei questa volta, distrattamente Sora si chiese se avessero fatto in tempo a disfarlo.
    Tirò indietro una sedia dal tavolo e si sedette accanto a lei, al margine del suo campo visivo colse Tifa ed Aeris uscire con discrezione per lasciarli soli. Per un lungo secondo la guardò e basta, mentre lei continuava testardamente a tenere gli occhi fermi sulla finestra, sui tulipani rossi che si scorgevano al di là delle tendine semitrasparenti.
    «Kairi.» la chiamò piano, avvicinando una mano alle sue.
    La ragazza si ritrasse, incrociando le braccia in grembo, lasciando la tazza, che fino a quel momento aveva stretto, orfana e sola in mezzo a quel tavolo enorme: Sora provava una strana empatia per quella tazza. Gli era mancata così tanto, l’unica cosa che voleva era parlare con lei, avere un suo consiglio.
    «Tifa mi ha detto del ricovero.» cominciò riportando le mani vicine a sé, per non essere costretto a pensare di continuo che Kairi non voleva nemmeno toccarlo. «Sono andato a vedere e Cloud mi ha detto che i Nessuno si stavano svegliando, alcuni almeno. Non Demyx.» come se a Kairi importasse davvero che Demyx si svegliasse o no, si diede mentalmente dell’idiota. «Sarei dovuto tornare da te in quel preciso momento, lo so, mi dispiace, ma gli avevo promesso la tomba, ricordi?» nessun cenno da parte di lei. «Ho incontrato Axel. Ha cercato di uccidermi perché lui…» si interruppe. «perché lui ama Roxas. Così ho cercato di dimostrargli che se lo avesse fatto lo avrebbe perso per sempre e…»
    Kairi si mosse, lo fissò apertamente, sfidandolo a continuare.
    Sora sospirò. «Mi ha baciato.» l’inizio della sua fine per colpa di un solo, unico bacio.
    «Mi hai tradito.» mormorò amara.
    «No!» si sbrigò a giustificarsi. «Kairi, no! Lui ha baciato Roxas!»
    «Ma Roxas è te.» la logica di Kairi era inappuntabile quanto frustrante.
    «Si, ma…» ci rinunciò. «non è questo il punto.» si fermò, prese due respiri e si preparò a continuare. «Io ho sentito com’era, quando Axel l’ha baciato…» arrossì, ma proseguì ignorando l’imbarazzo. «lui si sentiva come mi sento io quando bacio te.»
     La ragazza si morse il labbro nervosa. «Continua.»
    «Xion.»
    Kairi si coprì il viso con le mani disperata. «Sora, tu non capisci.»
    Questa volta però lui le afferrò gentilmente, ma con decisione i polsi, scostandoglieli e fissandola. «Naminè sa come fare. Sono sicuro che lo sa. Puoi prendere una parte dei miei ricordi e…» si interruppe, perché la ragazza lo stava osservando inorridita.
    «Sora, ma ti senti?» non rispose la guardò e basta. «Quando Xion era in giro, quando tu eri senza ricordi, Naminè ti aveva chiuso in un acquario.» gli spiegò spietatamente, cercando di essere il più chiara possibile. «Non ti svegli senza ricordi, figurarsi se ti svegli senza Roxas.»
    «Tu mi hai già svegliato senza Roxas.»
    «Non è un scienza esatta.»
    «Kairi…» iniziò deciso. «ti prometto che mi sveglierò.»
    La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Oh, beh, allora di cosa mi preoccupo?!» disse tra sé ironica.
    Lui la guardò sconsolato, a parte un eterno ed infinito ‘ti prego’ non c’era niente che potesse dire per convincerla. «Io non la volevo questa chiave.» sapeva – come? Non aveva spiegazioni – che gente si era allenata, aveva lottato per diventare keyblade master. Sora non avrebbe voluto, non capiva perché volere spontaneamente un peso del genere sulle spalle.
    Ora l’universo sarebbe oscuro senza di te.
    Sospirò chiedendosi cosa fosse passato per la testa del re Topolino per dare una responsabilità del genere ad un ragazzino, sospettava che ci fosse un trucco dietro.
    È il keyblade a scegliere il suo possessore. – gli ripeté ancora Roxas, come una filastrocca. In quella frase era celata la loro maledizione.
    «Così non posso tornare alle Isole con te.» le disse stringendosi nelle spalle. «Axel ha suggerito di trasferirci qui, se ti sembra un’alternativa accettabile, così Roxas starebbe con Axel ed io con te.» propose fissandola con aria di sfida.
    «Sora.» lo rimproverò. Poi chiuse gli occhi e si addolcì: doveva provare, doveva almeno provare. Scostò al sedia, posizionandola più vicina a lui e gli prese le mani. «Torniamo a casa, Sora. Torna a casa insieme a me, pensa a quanto eravamo felici.» si fermò per guardarlo supplichevole. «Torniamo a casa.» ripeté.
    E l’unica cosa che avrebbe voluto rispondere Sora era sì. Sì, perché gli mancava la sua casa; sì, perché l’unica cosa che volesse davvero era stare con lei, addormentarsi con lei e svegliarcisi; sì, perché aveva paura di perderla. La cosa peggiore di perdere sé stesso sarebbe stato perdere lei.
    Ma no. No, per tutte le volte che le aveva accarezzato i capelli e qualcosa dentro di lui li avrebbe voluti più aranciati; no, per la prima volta che avevano fatto l’amore, per quanto era stato bello, perché non avrebbe voluto fare nient’altro per mesi. Non c’era mai stato niente soddisfacente quanto la pace del dopo orgasmo, quando sembrava di galleggiare come a Neverland, e lei era nuda e calda e stretta tra le sue braccia. E Roxas nella sua testa urlava straziando la sua mente.
    Come lei, anche Sora le si avvicinò. Le sue gambe magre e pallide, nonostante il sole costante sull’Isola, tra le proprie. Si tirò le sue mani al viso e le baciò con adorazione, perché lui l’adorava. «Kairi, ti amo.»
    Lei sbatté le ciglia umide di un pianto che ancora non riusciva a liberarsi. «Ma allora perché?» gli domandò disperata.
    «Perché l’unica cosa che voglio è stare con te.» la fissò, i suoi occhi azzurri nel blu infinitamente immenso di Kairi, cercando di trasmetterle per altre vie quello che lei non voleva capire a parole. Eppure gli sembrava così immediato. «Perché se qualcuno me lo impedisse, se mi legassero in un posto dove tu non potessi sentirmi io scalcerei, urlerei, farei tutto per tornare da te. Come sta facendo Roxas.»
    Lei chiuse gli occhi. «Non puoi chiedermelo, Sora.» 
    Le prese il viso tra le mani. «Tornerò sempre da te, non c’è altro posto dove tornare. Casa è dove sei tu.»
    «Sora…»
    «Ti prego, credimi!»

Lea non si sorprese quando si accorse che a casa sua – di nuovo – qualcuno era entrato senza consenso. La ignorò diretto in bagno, non perché avesse effettiva urgenza di usarlo, ma perché se c’era una persona che non sapeva davvero come affrontare quella era lei.
    Rimase per alcuni secondi davanti al lavello a fissare il suo riflesso sullo specchio con l’acqua aperta, sperando che quando fosse tornato di là se ne sarebbe già andata e, al contempo, del tutto consapevole che non sarebbe stato così. Provò seriamente a formulare delle scuse, ma doveva scusarsi? Perché se lì dentro c’era Roxas quel corpo era suo quanto proprio.
    Kairi era seduta sul suo divano, sullo stesso divano sul quale si era fatto trovare il suo ragazzo giorni prima, lo stesso divano che avrebbe dovuto fargli da letto, lo stesso divano che era rimasto inutilizzato. Sulle sue gambe c’era un keyblade chiaro, leggero, pieno di fiori; ne stringeva l’asta tra le mani, accarezzandola dolcemente come se fosse l’unica ancora che le fosse rimasta a cui aggrapparsi.
    Lea non disse niente, si sedette accanto a lei nel più completo silenzio. Era come un funerale, realizzò, ed avrebbe dovuto sentirsi triste quanto lei, perché nessuno di loro due sapeva in onore di chi fosse.
    «Ho pensato di ucciderti.» disse piano. «Sono venuta qui con l’intenzione di tenderti un’imboscata e prendermi il tuo cuore.»
    «Perché non l’hai fatto?» domandò senza scomporsi, senza allontanarsi. E se fosse stato Roxas quello a finire dentro ad una bara? Per un secondo gli passò per la mente l’immagine di Sora in lacrime – perché Lea sapeva che Sora avrebbe pianto – abbracciato a Kairi che gli sussurrava dolcemente: ‘Hai provato, ma non ci siamo riusciti.’, felice e sollevata nonostante cercasse di nasconderlo.
    «Credi che Roxas ti amerebbe meno da morto?» gli chiese in risposta, il keyblade sparì in un’impronta di luce.
    Lui lo avrebbe amato meno da morto? No, altrimenti non avrebbe cercato di uccidere Sora quella maledetta notte.
    Scosse la testa. «Ci sono quattro possibilità: funziona, tutti e due sopravvivono e siamo felici; non funziona, entrambi rimarranno eternamente addormentati.» Kairi tremò. «Funziona solo per Roxas e Sora non ce la fa. Oppure…»
    «Abbracciami.» lo interruppe.
    Lea la guardò sorpreso. «Come?»
    «Abbracciami come se entrambi non ce l’avessero fatta.»
    Sospirando, Lea si avvicinò e la strinse. E non appena anche Kairi gli passò le braccia intorno alle spalle, scoppiò nel pianto più disperato che avesse mai sentito; un pianto nascosto, tenuto segreto, coltivato con affetto e cresciuto fino a diventare l’unica voce per il dolore più devastante del mondo. L’uomo non le disse parole consolanti, non poteva quando c’era la possibilità che al suo eterno dolore corrispondesse la sua più grande felicità. L’abbracciò come lei aveva chiesto, cercando di non pensare al volto cinereo di Roxas dentro una bara.
    Kairi era una cosa piccolissima e fragile eppure il suo cuore era l’unico a non essersi mai perso, fedele a sé stessa ed al suo amore, aveva abbandonato il suo corpo solo per nascondersi in quello di Sora. Kairi era l’unica cosa che terrorizzava Lea, perché quella piccolissima e fragile ragazzina avrebbe potuto trovare le parole per impedire a Sora di tentare.
    «Promettimi di abbracciarmi così se non ce la fanno.»
    «Ok.»
    «Anche se ce la fa soltanto Roxas.» precisò.
    «Te lo prometto.»

Quando Sora entrò in casa li guardò tanto stupefatto da credere di essere nell’abitazione sbagliata. «Beh, cos’è questa storia?!» lo dissero in due, Roxas era stato l’eco perfetto nella sua mente.
    Kairi era ancora seduta sul divano, lui non la abbracciava più, ma continuava a tenerle un braccio intorno alle spalle. Aveva smesso di piangere, ma appariva comunque depressa, il naso e le guancie arrossate. Lea capiva perché Sora l’amasse, era bella sul serio e per un moccioso con un ingombrante destino da salvatore di damigelle in difficoltà doveva essere il massimo.
    «Mentre voi confabulavate, noi parlavamo.» fu la semplice risposta di Lea del tutto concentrato sulla ragazza al suo fianco. Non sapeva perché, ma provava la destabilizzante sensazione che se avesse smesso di toccarla sarebbe scomparsa. E se fosse scomparsa, niente Roxas. Badare a Kairi a quel punto, era un compito anche suo.
    Il ragazzo li osservò per niente contento. «Roxas non è felice della situazione.» disse infastidito.
    Parla per te! – sbottò per niente contento che lo tirasse in ballo senza un vero motivo. Axel con una ragazza? Improbabile.
    ‘Riesci ad essere geloso di Demyx e non di Kairi…’ rifletté sconcertato. ‘io proprio non ti capisco.’
    Ma l’uomo rise di gusto. «Invece tu sei pazzo di gioia, vero?» gli domandò sarcastico distraendolo dalla sua conversazione interiore.
    Riuscì a non ringhiare, ma ci fu tremendamente vicino.
    «Sora mi ha detto che hai conservato alcune tuniche dell’Organizzazione.» iniziò Riku ignorando la gelosia dell’amico, lui era più abituato a gestirla. «Ce le puoi prestare?»
    «Che dovete farci?» non avrebbe ceduto quella di Roxas tanto facilmente, era l’unica cosa che gli rimaneva di lui, l’unica cosa che portasse ancora il suo odore.
    «Una festa in maschera!» sbottò Sora ancora indispettito. «Qual era l’argomento della puntata precedente?»
    Lea li studiò entrambi incredulo. «State davvero pianificando un assalto al castello del re travestiti da Organizzazione?!» chiese, quasi sperando che dicendola ad alta voce quella folle idea avesse senso, ma non era così. «Cos’è, avete manie di suicidio?»
    «Se ci andiamo con i corridoi oscuri sarà praticamente impossibile per loro prenderci, ma se ci riconoscono – ed è scontato che sia così – verranno a cercarci.»
    L’uomo provò davvero a riflettere sul loro piano, ma continuò a sembrargli semplicemente una pazzia e quel ‘praticamente impossibile’ non lo tranquillizzava nemmeno un po’. Se avesse perso Sora, niente Roxas. Riaverlo indietro iniziava a portare un sacco di responsabilità.
    «Non sarà un assalto…» precisò Riku. «un furtino, una cosa veloce ed indolore.»
    «Io vengo con voi.»
    Tutti e tre si zittirono e fissarono Kairi sconvolti.
    «Non è il caso.» rispose dolce Sora.
    La ragazza si alzò decisa, i pugni stretto lungo i fianchi. «Non era una proposta: io vengo con voi. Non avete idea di quale sia il libro, ma Naminè sì.»
    Sora la guardò sconsolato per un lungo istante, pensò a tutto quanto e nessuno dei suoi pensieri aveva esiti positivi.
    La nostra disfatta ha i capelli rossi. – commentò Roxas, ma non avrebbe saputo dire se si riferisse ad Axel o a Kairi.
    «Descrivicelo.» disse Riku pratico. «Facci un disegno, Naminè disegnava praticamente tutto, un libro non sarà un problema per lei.»
    Kairi assottigliò lo sguardo furiosa e lo fissò. «Io non sono Naminè, io non disegno.» si fermò, poi tornò a guardare Sora. «Io vengo con voi oppure mi farò riportare da Cid alle Isole del Destino.» incrociò le braccia sul petto testarda, non avrebbe cambiato idea, sarebbe stato inutile provare.  «Decidete subito.» lanciò un’occhiata a Lea, una chiara richiesta di aiuto.
    «C’è una terza divisa.» disse lui. «Sono praticamente certo che le calzerebbe a pennello.»
    «Kairi…» la supplicò Sora.
    Lei lo fissò ancora. «Io vengo con voi.»

prossimamente...nel prossimo capitolo, ma più probabilmente in quello dopo ancora succederà un cosa...ah! sconvolgente!
...sono l'unica a pensare che Sora vestiro da Organization XIII sia sexy?!
va beh, stupidaggini a parte...nella prossima puntata si va in missione!
cercherò di scriverlo più in fretta possibile, ma sarà sicuramente un capitolo complicato, quindi se ci saranno ritardi cercate di capirmi!
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


sora fare la spavalda ed inventarvi che io sono meravigliosa a scrivere scene d'azione, sarebbe una cazzata imperdonabile (pardon il termine estremamente aristocratico...). la realtà è che: non ho mai scritto scene d'azione, questa è la prima; non ho mai scritto scene d'azione perchè sento di non esserne in grado - questo la dice lunga su quello che leggerete.
perciò, siate clementi e mi scuso anticipatamente se è un disastro.
l'ho letta, riscritta, riletta e ricorretta fino alla psicosi e spero di aver raggiunto un livello almeno (perchè non si può chiedere troppo dalla vita) accettabile...
buona lettura!
ps delle 9:42: se penso che dovo rileggerla ancora per l'ultima correzione, mi sento morire...

Capitolo 9

Sora guardò ancora il viso di Kairi dentro il cappuccio della divisa dell’Organizzazione sospirando; non poteva essere una buona idea portarla in una missione del genere, ma visto che lei era parte integrante, anzi, era la parte fondamentale di tutta la faccenda, non potevano fare altro se non accettare le sue condizioni. Si stava specchiando come se quella fosse davvero una specie di festa in maschera: era pericoloso ed essere carina non l’avrebbe di certo aiutata.
    «Tu lo sai, vero, che Topolino batte Sora, Riku ed anche Sora e Riku?»
    Sora sussultò sorpreso, concentrato com’era sulla propria ragazza, che improvvisamente stava diventando troppo impavida, non si era accorto di Riku alle sue spalle. Stavano guardando le stesse cose e, probabilmente, arrivando alle stesse conclusioni. «Se ci trova lo distraggo io.» disse automaticamente.
    «Non è una buona idea, anzi, è meglio che sia io ad affrontarlo. Infondo per riportare indietro Roxas servite tutti e due.» si strinse nelle spalle con noncuranza. «Io sono sacrificabile.»
    «No.» esclamò con decisione guardandolo, non ammetteva contrattazioni su quel punto. «Se Topolino ci scopre la prima cosa da fare è portare via Kairi e tu sei l’unico a saperlo fare.» ridacchiò con aria di sfida, incrociando le braccia dietro la testa. «Riuscirò a dare del filo da torcere a sua Maestà per qualche minuto.»
    Riku rimase in silenzio per alcuni secondi. «È un pessimo piano.» commentò infine incrociando le braccia sul petto e scuotendo la testa. Non poteva ribattere niente, Sora aveva ragione, la priorità sarebbe stata Kairi, non si poteva discutere su quello.
    «Già.» convenne il ragazzo. «Ma, ehi! Tutti i nostri piani geniali si sono sempre rivelati un fallimento, magari questo ci riesce.»
    «Topolino non ucciderà il prescelto dal keyblade.» rifletté. «Porto via Kairi e torno a prenderti, ma se ti trovi male, togliti il cappuccio.»
    «Spero di non doverlo fare.» sospirò.
    «Lo stiamo facendo solo per Roxas?» gli chiese.
    «Lo stiamo facendo perché è giusto.»
    Silenzio.
    «Riku, se ti riesce cerca di non aprire il corridoio oscuro proprio davanti al naso di Topolino.» lo prese in giro.
    Lui gli lanciò un’occhiataccia. «Mi hai preso per un dilettante?»

Paperino e Pippo fissarono a bocca aperta le tre figure incappucciate appena comparse di fronte a loro.
    «Ops…» fece quello più alto tirandosi la più minuta dietro di lui.
    «Chi è che non era un dilettante?!» sbottò sarcastico l’altro.
    «Pippo, vai a dare l’allarme a sua Maestà!» esclamò risoluto il papero biascicando, mentre sfoderava il suo scettro. «Io cerco di tenerli impegnati!» per essere un volatile, aveva un cipiglio decisamente minaccioso.
    «Yuk! Subito!» rispose quello dileguandosi.
    «Io fermo lui!» disse uno dei tre seguendolo. «Voi raggiungete lo studio!»
    Paperino pensò che quella voce gli era estremamente familiare.

Pippo non era particolarmente veloce, né particolarmente atletico. Sora si era trovato almeno tre volte a portata di colpo, ma sfoderare il keyblade e colpire uno dei suoi migliori amici…non ce l’aveva fatta. Pippo gli voleva bene, lo aveva seguito in tutti suoi viaggi, lo aveva protetto quando Riku aveva cercato di colpirlo, lui solo. Perché erano amici.
    Sperò che anche Riku si ponesse gli stessi problemi morali.
    Devi farlo, Sora, se lo raggiunge e dà l’allarme, ‘sua Maestà’ non ti userà la stessa premura!
    Ed era vero, cielo, Topolino li avrebbe sbriciolati senza la minima esitazione. C’era un perché se l’Organizzazione non si era mai spinta a tanto. Ma Sora, semplicemente, non era in grado di far comparire il keyblade per uno scopo del genere.
    ‘È Pippo!’, cercò di spiegargli, spingendolo ad osservare tutti i suoi ricordi – quelli che gli rimanevano almeno – tutte le loro avventure, tutta la sua vita. Doveva capire: se condividevano un cuore, gli stessi sentimenti di profonda amicizia che stava provando in quel momento avrebbe dovuto provarli anche lui.
    E Roxas li provava, ma semplicemente per lui la posta in palio era troppo alta. – Vuoi che lo faccia io? – gli propose.
    «No!» gridò con orrore e nel suo urlo doveva esserci qualcosa di inconfondibile, perché Pippo si fermò nascondendosi dietro il suo scudo e scrutandolo con attenzione. Sora si fermò immobile, a disagio, improvvisamente si sentì sporco dentro il cappuccio dell’Organizzazione: non si erano mai trovati ai due lati opposti di un campo di battaglia, erano sempre stati fianco a fianco.
    Finirai per farti scoprire così!
    Senza guardare Sora gli scaraventò contro il keyblade in un colpo aereo, una finta che non lo colpì né all’andata né al ritorno, ma lo convinse a riprendere a scappare.
    Devi solo fermarlo. – cercò di farlo ragionare Roxas. – Non devi necessariamente colpirlo.
    Quella era una buona idea.
    Sora scattò per avvicinarsi ancora al suo bersaglio e gli saltò addosso, atterrandolo; rotolarono insieme per alcuni metri in un groviglio contorto di braccia, gambe ed il mantello dell’Organizzazione che li avvolgeva entrambi come un bozzolo. Pippo ebbe l’impressione di vedere un volto inconfondibile dentro il cappuccio, se ne accorsero entrambi. Lo sentì.
    «Yuk! Ma è impossibile!» esclamò.
    Sbatterono contro qualcosa e si fermarono, Sora controllò immediatamente di avere ancora il cappuccio in testa; avrebbe negato, avrebbe finto di ridere di quella sciocca ipotesi ed avrebbe negato ancora. Sora? Il keyblade master? Non poteva davvero scambiarlo per lui.
    Sollevò il viso per non perdere di vista il proprio obbiettivo, quando si rese conto che probabilmente a quel punto, la preda era diventata proprio lui.

«Oh, Topolino.» disse dolce Minnie, mentre finalmente poteva godersi una semplice passeggiata con il suo re. «Non è bellissima la pace.»
    Lui le sorrise appoggiando la propria mano su quella di lei, compostamente e regalmente aggrappata al suo braccio; da quando Sora li aveva salvati e lui era finalmente potuto tornare a casa, soddisfatto della propria vittoria, quelle passeggiate lungo il chiostro interno erano diventate una piacevole abitudine. Non ci avrebbe rinunciato per niente al mondo, nemmeno per…il capo delle sue guardie che rotolava verso di loro insieme a quello che aveva tutta l’aria di essere…
    «Ma è impossibile!» disse ad occhi sgranati.
    «Oh, santo cielo!» esclamò lei agitata. «Qui, nel nostro regno!»
    «Minnie!» Topolino se la portò alla spalle sfoderando il keyblade. «Stai indietro!»
    L’Organizzazione – ma quale se l’avevano sconfitta? – era in casa sua, minacciando il suo popolo e la sua regina.
    Fece appena in tempo a sollevare la chiave per creare una barriera difensiva, prima che il groviglio di corpi ci sbattesse contro sciogliendosi. Per un lungo e distinto secondo il rumore metallico dello scudo di Pippo che rotolava a terra fu l’unico suono, fu anche l’unica cosa a muoversi.
    Il ragazzo incappucciato si sollevò e lo fissò per alcuni secondi e Topolino sentì al centro del petto il ricordo di un legame che li univa, un filo luminoso annodato al cuore – se c’era – di quella creatura immonda. Ma non ci badò come avrebbe dovuto, continuando a brandire il suo keyblade, troppo occupato a difendere la propria regina per prestare davvero attenzione a quello che il suo cuore cercava di spiegargli: se lo avesse fatto, avrebbe capito che combattere contro quel ragazzo era un errore.
    Il ragazzo incappucciato si agitò febbrilmente per rialzarsi in piedi e quando ci riuscì, fece dietro front per scappare. «Non ti lascerò andartene!» minacciò Topolino prendendo ad inseguirlo.
    «No, aspetta!» disse Minnie cercando di trattenerlo, anni sola a difendere quel castello affidandosi soltanto al proprio istinto, l’avevano resa più attenta a quello che il suo cuore aveva da dire. «Quello è…» ma erano troppo lontani per sentirla. «lui.» mormorò a sé stessa, lasciando ricadere tra i drappi del suo abito la mano con la quale aveva cercato di afferrarlo, mentre la sorpresa lasciava il posto alla confusione. Cosa ci faceva lì? Travestito da membro dell’Organizzazione per giunta?
    «Pippo, porta in salvo la regina, potrebbero esserci degli heartless.» si sentì urlare in lontananza.
    La guardia si alzò brandendo il proprio scudo come se dovesse impressionare qualcuno, ma poi vinse la sua perplessità. «Yuk! È strano, regina, ma…per un attimo mi è sembrato che…yuk! Ma non può essere!»
    «Temo proprio di sì, mio fedele Pippo.»

Kairi e Riku si nascosero dietro una siepe per ripararsi dall’ennesimo attacco di tuono di Paperino. Inizialmente aveva provato a respingerlo con la barriera oscura, ma l’aveva vista incrinarsi: non poteva essere sicuro di quanto reggesse. Se fosse stato solo, probabilmente avrebbe corso il rischio, ma non era solo. Guardò la ragazza accanto a lui con il fiato corto ed un ciuffo di capelli rossi che spiccava come un freccia luminosa sulla divisa dell’Organizzazione: scappando e nascondendosi doveva esserle sfuggito. Se non fosse stato per quella singola ciocca di capelli, avrebbe potuto tranquillamente dire che insieme a lui, a nascondersi da Paperino, ci fosse Xion.
    «È inutile che vi nascondiate!» sentirono biascicare proprio dietro di loro, un attimo prima che la siepe alle loro spalle, prendesse fuoco come un enorme falò.
    Riku fece appena in tempo ad afferrare la ragazza e buttarla a terra insieme a lui. Avrebbe dovuto contrattaccare, ma non ne aveva il cuore; quello era Paperino e non stava facendo altro se non proteggere il suo mondo e le persone che amava: come avrebbe fatto lui, del resto, se qualcuno avesse minacciato le Isole.
    Dovevano andarsene di lì, era l’unica soluzione.
    Studiò con attenzione tutte le uscite che rilucevano dell’incantesimo fatto dal papero per non farli scappare come Sora, avrebbe dovuto aprire un corridoio oscuro, ma non aveva tempo per concentrarsi, preso com’era ad evitare i colpi del mago.
    «Tienimi il gioco!» gli gridò Kairi per sovrastare il rumore del tuono che si era abbattuto ad un passo da loro. Vedere quella freccia scintillante carbonizzare una pianta a pochi centimetri da lei, lo sconvolse e lo spaventò. Per anni c’era stata una specie di lotta silenziosa tra chi dei due sarebbe stato in grado di proteggerla; essere il più forte, il più veloce, tutte le loro gare avevano il semplice scopo di dimostrare chi fosse il più adatto a prendersi cura di lei. Eppure quel giorno erano entrambi lì e non riuscivano a tenerla lontana dai pericoli.
    «Ascoltami!» lo pergò Kairi, scrollandolo per un braccio.
    Lui le lanciò un’occhiata curiosa, mentre si alzava e la aiutava a sollevarsi.
    Kairi si abbassò il cappuccio e gli si allungò addosso come se stesse cercando di raggiungere Paperino ed il ragazzo incappucciato glielo impedisse. «Ti prego, aiutami!» lo supplicò.
    Il mago aveva lo scettro sollevato e la parola per evocare una pioggia di meteore bloccata in gola, ma l’unica cosa che uscì dal suo becco fu: «Kairi!»
    «Sei pazza come quell’altro!» bisbigliò trattenendola, ma non poté impedirsi di pensare che quella era probabilmente la loro sola possibilità: come lui non riusciva a colpire Paperino per paura di fargli male, così Paperino non avrebbe rischiato l’incolumità di Kairi.
    Si voltò tenendola per la vita, facendosi scudo con il suo corpo – cielo, era terribile – fronteggiando il papero.
    «Lasciala andare, mostro!» ma, come previsto, non ci fu nessun attacco.
    Riku allungò una mano ignorandolo e quando vide le spire del corridoio oscuro diramarsi, fu sul punto di piangere di sollievo. Continuando a tenere Kairi tra lui e Paperino ci entrò dentro proprio mentre un’esplosione faceva cadere l’incantesimo per sigillarli.

Sora stava rotolando per la forza dell’esplosione. Sbatté una spalla, poi il ginocchio, ma quasi non li sentì. Aveva visto Riku e Kairi sparire nel corridoio; avevano preso il libro? Stavano bene? Fra quanto sarebbe tornato a prenderlo? Riku sapeva, vero, che quando aveva detto di riuscire a tenere a bada Topolino per alcuni minuti, intendeva pochi minuti.
    Si alzò e corse via, stringendo i denti per andare più veloce possibile nonostante il ginocchio ed altri mille acciacchi, che si era dimenticato di avere, ma che avevano tutta l’intenzione di ricordargli la loro presenza proprio in quel momento. Davanti a lui c’era lo studio del re, se fosse riuscito a raggiungerlo, forse avrebbe potuto barricarsi dentro per il tempo necessario.
    Se fosse riuscito a raggiungerlo.
    Con un balzo Topolino gli si parò davanti, brandendo il suo keyblade con aria minacciosa. Sora era stato abbastanza acuto – sotto suggerimento di Roxas, doveva ammetterlo – da non tirare fuori il proprio per non rivelarsi troppo, visto che era sicuro che Pippo lo avesse riconosciuto e sospettava anche Minnie, ma ora dubitava di poter desistere ancora.
    Come comprensibile, non appena lo attaccò, ed il keyblade del re cozzò contro il proprio, sul suo viso rotondo apparve un’espressione incredula; saltò indietro, facendo un’elegante capriola in aria e fermandosi in posizione di difesa a pochi passi dal suo avversario. «Un keyblade.» mormorò fissando l’arma che stava impugnato. «Chi sei tu?» gli domandò a voce più alta.
    Sora ghignò nascosto dal cappuccio, a volte era bello avere una risposta tanto d’effetto già pronta. «Nessuno.» disse, per lanciargli subito dopo un colpo aereo all’improvviso. Non si premurò di non colpirlo, convinto che lo avrebbe respinto, ma approfittò di quel diversivo per superarlo e continuare a scappare. Purtroppo non riuscì ad essere abbastanza veloce da evitare la botta pazzesca che il re gli diede alla schiena, non appena realizzò la sua strategia.
    Il respiro che prese subito dopo fu profondo e sibilante e gli fece un male cane.
    È lì, sei quasi arrivato, non fermarti! – lo incoraggiò Roxas ed aveva ragione, c’era troppo vicino per arrendersi.
    Riuscì a raggiungere la porta, la aprì e la richiuse alle proprie spalle, un secondo prima che Topolino la colpisse.
    Ma il sospiro di sollievo che si sarebbe meritato gli morì in gola, guardando Kairi aggrappata alla libreria alla ricerca del volume giusto. Solo in quel momento capì quanto sbagliata fosse stata quella mossa. «Che ci fate ancora qui?» domandò sconvolto, spingendo il più possibile la schiena contro la porta per non farla aprire al re.
    «Perché l’hai portato qui?» sbraitò Riku in preda al panico quanto lui, prendendolo a braccetto ed aiutandolo. Le loro braccia intrecciate erano proprio davanti all’apertura e Riku non poté impedirsi di immaginarsi le ossa rotte, quando Topolino avrebbe buttato giù la porta.
    «Credevo che ve ne foste andati…» un colpo. «vi ho visti entrare nel corridoio ed ho pensato che aveste il libro…» un altro colpo. «ora che facciamo?» gli chiese disperato, gemendo al terzo colpo.
    Riku puntò i piedi a terra più saldamente. «Teniamo duro.»
    «Lasciate che vi aiuti, Maestà!» sentirono biascicare dietro di loro.
    Tutto tacque. Sora e Riku si guardarono trattenendo il fiato, anche Kairi interruppe la sua frenetica ricerca per guardarli.
    Sentirono un crepitio poco rassicurante, poi la porta alle loro spalle diventò bollente ed, infine, una lunga lingua di fuoco fece breccia tra le due ante, bruciando le loro braccia e costringendoli ad allontanarsi per non ustionarsi del tutto.
    Sora si voltò e guardò Kairi che per un secondo continuò a fissarlo ansiosa, i suoi occhi spaventati correvano dal suo braccio ormai nudo ed il suo viso alla ricerca di un segno di dolore. «Sicura che sia qui?» le domandò lui, stringendo i denti per non far trasparire nemmeno una smorfia, perché sperava ancora di sentirsi rispondere di no. In quel momento ‘no, dobbiamo andare da qualche altra parte’ sarebbe stata la cosa più bella che le sue labbra potessero pronunciare.
    «Si.» rispose lei senza la minima esitazione e senza alcun rispetto per le sue inutili speranze. «Lo sento, ma non riesco a trovarlo.» si lamentò.
    Il ragazzo sospirò e, dopo aver fatto comparire Oblivion tra le sue mani, la porse a Riku. Per alcuni istanti rimasero entrambi con la mano sull’elsa in uno scambio di idee silenziose.
    «Pessima idea, tanto per cambiare.» commentò gelido.
    Questa volta Sora non lo contraddisse, troppo nervoso per essere ottimista. «Sbrigatevi d’accordo?» disse solo, lasciandogli la chiave di Roxas ed appoggiando una mano sul battente: quella porta non avrebbe retto ancora a lungo se qualcuno non le avesse dato una mano. «Non appena sono uscito, tu chiudi e bloccala con il keyblade.» gli disse imperioso. «Pronto?» domandò, ma non sapeva se a Riku o a sé stesso.
    Il suo amico annuì, studiandolo mentre gli sfuggiva un sospiro. «Perché non riusciamo mai essere allo stesso lato di una porta?»
    «Sbrigatevi.» ripeté Sora e sembrava così tanto una supplica che gli fece venire i brividi.
    Deglutì, prese fiato, si rigirò il proprio keyblade tra le mani come se potesse diventare più forte e più grande.
    Ce la faremo. – ma nemmeno Roxas sembrava molto fiducioso.
    Sora chiuse gli occhi, mandò un pensiero a Kairi, un pensiero pregno di tutto il suo amore, ma non si voltò per paura di perdere la volontà di andare avanti.
    Poi aprì la porta.

è ufficiale: sto odiando questo capitolo...no, non è vero, tutto sommato penso che non sia venuto così male...
...ma mi spiegate come si fa a creare tensione ed aspettativa con un papero biascicante ed un cane che fa'yuk'?! penso che quelli della square enix siano dei geni di sceneggiatura...
ad ogni modo...
oh mio dio! io so che succede nel prossimo capitolo...
grazie al caspian! se non lo sapevo era grave, cmq...succederà una cosa cosa sconvolgente...o per lo meno quando l'ho detto a mia sorella lei conveniva con me che era sconvolgente...speriamo bene...
mi manca Axel...anche Roxas, qui ha un po' disertato...
cmq fatemi sapere che ne pensate!
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


sora ce la farò? che dite?
dunque vi chiedo scusa...lo faccio così spesso che sta diventanto un discorso inflazionato...tutto quello che posso dirvi per giustificarmi è che, mentre scrivevo, ho finito (finito, finito, finito) Birth by Sleep...che fatica!
ma soprattutto che tristezza!
ce la farà un giorno la square enix a farmi un Kingdom Hearts che finisce seriamente bene? non lo so, con questo ho pensatodi morire!
per cui...
la mia trama non credo che lo prenderà davvero in considerazione, finora l'ho scritto ignara di quell'altro dramma (dio, questo videogioco è tutto un dramma) quindi ormai mi sa che ne resta fuori - spero, ancora non sono pronta per parlarne - ma qua e là una parolina potrebbe sfuggirmi...
se vi rovino qualche sorpresa sono davvero mortificata, spero di cuore di no...


Capitolo 10


Tutto si era fermato esattamente nel momento in cui dalla porta era provenuto un lento cigolio, promessa di una possibilità concreta. Una porta cigolava all’apertura ed alla chiusura e, visto che pochi secondi prima era barricata – non in modo inviolabile, ma quasi – significava che si stava aprendo.
    Una delle figure incappucciate uscì lentamente. Paperino aveva rivelato al re che erano due e che avevano rapito Kairi; avevano raggiunto il loro mondo con un corridoio oscuro, in perfetto stile Nobody. Ma mentre Topolino cercava di buttare giù la porta, un bersaglio che non aveva bisogno di tutta la sua concentrazione per essere sconfitto, si era concesso di riflettere.
    Perché i Nobody avrebbero dovuto rapire Kairi?
    Improvvisamente tutto aveva acquistato un significato. Era già successo che qualcuno trovasse l’unica chiave in grado di aprire le porte della volontà del keyblade master. Kairi era l’unica leva che avesse davvero presa su Sora. Nessun dubbio sul combattere contro Riku, il suo migliore amico, una volta scoperto che era posseduto da un uomo malvagio; ma quando si era trattato di lei, aveva abbassato le armi e si era piantato una chiave in petto per ridarle il suo cuore. Condannare i mondi all’oscurità, perdere sé stesso, consegnare la vittoria di una guerra in mano all’essere più corrotto che gli venisse in mente, erano tutte cose che era disposto ad accettare di buon grado pur di salvare lei.
    Sora aveva una sola missione: Kairi. Tutto quello che aveva fatto, per lui, per i mondi, non era altro che una trasformazione della sua unica missione: Kairi.
    Non c’era niente che un Nobody potesse volere dal re o da Kairi in senso stretto, ma si sentiva autorizzato a pensare che in realtà, loro volessero Sora e che la principessa non fosse altro che un’esca. Infondo, era sempre lui quello che avevano voluto. Ma questo apriva un altro interrogativo, perchè ora avevano bisogno di Sora?
    Il ragazzo incappucciato allungò un braccio e puntò la propria chiave alla serratura del suo studio per sigillarla. Quello continuava ad essere un mistero, poteva davvero esistere un altro Nessuno in grado di utilizzare la chiave? Chi era?
    «Paperino.» sussurrò al fedele mago di corte al suo fianco. «Raggiungi Pippo, dovete andare a prendere Sora e Riku. Se hanno rapito Kairi questa è anche una loro guerra.»
    «Agli ordini, Maestà.» rispose senza incertezze, correndo a cercare il capo delle guardie.
    Tenne gli occhi sul nemico per essere sicuro che non tentasse di rincorrerlo, ma non sembrava affatto interessato a farlo.
    «Non ti lascerò fare del male a Sora o ad uno dei suoi amici!» esclamò fissandolo duro.
    Il ragazzo scoppiò a ridere spietatamente, gelidamente, come se fosse a conoscenza di qualcosa di cui il suo avversario era all’oscuro. «Lo avete già fatto, altezza.» si acquattò, pronto a difendersi o ad attaccare se necessario.
    E Topolino capì che l’unica cosa da fare era combattere.

«Pippo, sbrigati!» biascicò agitato il papero, scrollandolo per una manica. Dovevano avvertire Cip e Ciop, saltare sulla gummi ship ed andare a prendere Sora, prima che un corridoio oscuro inghiottisse quei due mostri e Kairi.
    Il cuore gli si strinse quando pensò ‘mostri’.
    «Paperino, no, aspetta. C’è una cosa che devi sapere.»
    Erano almeno dieci preziosissimi minuti che continuava quel tira e molla: di qualsiasi cosa dovesse essere messo a conoscenza ci sarebbe stato un poi. «Kairi è in pericolo!» se non bastava quello a mettergli fretta, non sapeva proprio cosa altro inventarsi.
    «Lui è Sora.»
    Paperino si fermò e guardò alle proprie spalle la regina Minnie che avanzava regalmente con qualcosa di luccicante tra le mani. Sora, non era possibile. Eppure…
    «Vi prego, di scortarmi nei sotterranei, raggiungeremo lo studio del re e parleremo con la principessa.»
    «Sora…ma…ma…perché è qui in quel modo? Perché non ha chiesto?»
    Minnie scosse la testa. «Non lo so, ma se una delle sette principesse dal cuore puro ha bisogno di aiuto non sarà questo il mondo dove glielo negheranno.»

Ormai Sora si stava limitando a difendersi, a farsi sempre più piccolo ad ogni frammento della sua difesa che veniva scalfito. Aveva cercato di combattere seriamente, ma per ogni colpo che riceveva, Topolino era in grado non solo di schivare, ma anche di contrattaccarlo in modo brutale. Il re aveva combattuto molte più guerre di lui e non era stata la fortuna a tenerlo in vita.
    Il nuovo affondo fu talmente forte da schiacciarlo contro quella porta, la stessa porta che aveva avuto intenzione di aiutare, ma che ormai lo stava sorreggendo. Iniziava a provare affetto per lei, se la sarebbe portata via prima di andarsene e l’avrebbe montata nella sua camera.
    Le Isole non gli erano mai sembrate tanto distanti.
    Sentì un ‘crack’ qualcosa che si incrinava e si fece forza per smettere di appoggiarsi: quello a cui il re continuava ad incastrarlo era solo legno, sperava che la sua anima, il suo cuore ed il suo corpo fossero più duri da scalfire. Lui non avrebbe fatto ‘crack’, giusto?
    Topolino attese, gli stava dando il tempo di riprendere fiato, era un buono, era un avversario leale. Si passò il keyblade nell’altro braccio scrollando forte il destro, gli faceva un male del diavolo, sospettava che quel ‘crack’ appartenesse proprio al suo osso.
    «Arrenditi!»
    Non c’era una parte di lui che non avrebbe voluto rispondere di sì. Si sentiva attraversato da crepe profonde, un incrinatura per ogni colpo incassato negli ultimi giorni, o forse negli ultimi anni. Un’incrinatura per Riku che cercava di ucciderlo; un'incrinatura per tutti i suoi ricordi andati perduti; un'incrinatura per la devastante scoperta di una coscienza indipendente nella propria mente che lo odiava; un’incrinatura per la vita ancora sfavillante di Axel che l’avrebbe voluto morto al posto di Roxas; un’incrinatura per il bacio che aveva dato all'ombra nel suo cuore, ignorando lui; un’incrinatura per la rabbia di Riku che cercava soltanto di difendere Kairi, che amava Kairi; un’incrinatura per il dolore di Kairi. Un’incrinatura che spaccava il suo cuore a metà, tra quello che voleva Sora e quello che voleva Roxas.
    Deglutì tremando. «No.»
    Non si era mai sentito tanto male quanto in quel momento, non era un male fisico, era un male interno ed invisibile, ma proprio per questo ancora più tremendo. In quel momento fu talmente chiaro: stava combattendo dalla parte sbagliata, stava combattendo per permettere che lo distruggessero. Perché non si stava arrendendo? Perché non stava chiedendo aiuto a Topolino invece di combatterlo?
    Topolino lo attaccò ancora ed il ‘crack’ si fece ancora sentire.
    Non era la porta, alla quale non aveva fatto in tempo ad appoggiarsi; non era il braccio, visto che ora stava impugnando il keyblade con l’altro. Sia lui che il suo assalitore fissarono gli occhi sulla chiave che aveva preso a scintillare luminosa come non mai, avvolta da uno strano fumo nero, violaceo, come quello dei corridoi oscuri.

Tifa si sedette accanto a Lea. Lo aveva cercato ovunque, temendo che avesse fatto una follia tipo seguire Sora, Riku e Kairi a Topolinia. Ai Nessuno, o ex Nessuno, era severamente vietato quel posto e la pena era la prigione dei mondi. Con sgomento aveva scoperto di essere preoccupata per lui.
    Ma evidentemente non ne aveva motivo. Erano nel giardino esterno, con le gambe verso il canale che attraversava tutta la città e portava acqua dappertutto. L’uomo era immobile e silenzioso, perso in riflessioni talmente profonde che non si sarebbe accorto di niente; se lo avesse attaccato in quel momento lo avrebbe colpito.
    «Cid si è lamentato perché non eri a lavoro.»
    Fece un mezzo sorriso. «Ti sembrerà strano, ma lo scontento di Cid non è tra i miei pensieri al momento.»
    «Sei preoccupato?» gli domandò.
    «Ti interessa?»
    Doveva ammettere di non essere mai stata particolarmente gentile con quelli che erano stati dei Nobody, nonostante Aeris continuasse a darle il buon esempio, ma non per cattiveria. Nel suo cuore continuava a ricordare le loro facce sulle tuniche nere che avevano quasi distrutto il loro bel mondo, proprio non riusciva ad impedirsi di dare loro la colpa. Quando era successo quello che era successo, alcuni, i più forti secondo Leon, erano stati sbalzati a Traverse Town, quelli che erano rimasti erano diventati Nessuno. Lea era rimasto, Lea era diventato un Nessuno e Tifa non riusciva ad impedirsi di pensare che lo fosse ancora.
    «Noi ci conoscevamo prima dell’incidente.»
    Tifa lo osservò stupita.
    «Eri una bambina.» sorrise. «Avevi una cotta per me e Cloud era geloso.»
    La ragazza arrossì continuando a studiarlo. «Non me lo ricordo.»
    «Te l’ho detto, eri una bambina e l’incidente ha fatto parecchi danni. Non mi stupirei di scoprire che oltre ai nostri cuori abbia portato via anche alcuni dei vostri ricordi.»
    Rimase a pensare. «Forse.» abbassò lo sguardo sulle proprie mani. «Se Cloud era geloso di me doveva essere prima che conoscesse Aeris.»
    «Lui ama anche te.»
    «Come Sora.» per alcuni secondi stettero in silenzio con l’acqua che scorreva gorgogliando piacevolmente sotto i loro piedi. In qualche modo Tifa riusciva a capirlo, se avesse scoperto che anche Cloud aveva due coscienze una delle quali follemente e disperatamente innamorata di lei, non avrebbe cercato in tutti i modi di dividerli?
    «Gli voglio bene.» confidò in un sussurro. «A Sora intendo. Sembra sciocco, ne ho di motivi per odiarlo, ma è come se fosse il fratello rompiscatole del mio fidanzato. Se Roxas ce la facesse e tornasse, ma senza Sora, mi sentirei terribilmente in colpa.»
    Tifa incrociò le braccia sul petto e rise scuotendo la testa. «Voi dell’Organizzazione siete proprio buffi.» Lea la studiò stranito, nessuno lo aveva mai definito ‘buffo’. «Quante volte avete provate ad ucciderlo o distruggerlo?» tantissime, missioni su missioni per renderlo innocuo e comunque lui li aveva sbaragliati tutti senza eccessiva difficoltà. «Fatevene una ragione, Sora è indistruttibile.»
    Lea si alzò e le porse la mano, Tifa lo osservò senza capire. «Non ho intenzione di andare a lavoro, ché ne dica Cid. Vogliamo usare il tempo a mia disposizione per cercare di far ingelosire Cloud?»
    La ragazza rise. «Sai, dopo Roxas non credo che funzionerebbe.»
    Lui si strinse nelle spalle. «Tentar non nuoce.»
    Lea sperò che Tifa avesse ragione, che Sora fosse davvero indistruttibile.

Vicini, con i keyblade incrociati uno contro l’altro, sussultarono entrambi quando sentirono di nuovo quel rumore. Questa volta a Sora era rimbombato nelle orecchie, gli era scorso nelle vene, lo aveva attraversato tutto come un brivido che aveva portato una consapevolezza sconvolgente a schiarirgli la mente.
    Una consapevolezza che indusse perfino Roxas a rimanere a bocca aperta.
    Guidato da quell’intuizione Sora fissò il corpo della propria chiave: era percorso da crepe seghettate e luminose, un disegno complicato di incrinature come una ragnatela. Un frammento si staccò brillando, scivolò via spegnendosi e si posò a terra con un tintinnio delicatissimo.
    E quel suono delicato e limpido risvegliò qualcosa nel cuore del re, qualcosa che non avrebbe più potuto ignorare. Cercò un viso dentro quel cappuccio, cercò i suoi occhi e con orrore li trovò. «Sora.» mormorò sconvolto.

Kairi si fermò aggrappata alla libreria con un volume in mano. Guardò verso la porta chiusa, con il cuore stretto in una morsa di dolore e angoscia. Sora. Scese e fece per raggiungerla, sapeva che nessun blocco da parte dei keyblade avrebbe limitato i suoi movimenti – era una principessa dal cuore puro, qualcosa doveva pur contare – ma Riku sì.
    Si piazzò davanti alla porta a braccia incrociate. «Che succede?» le chiese, impedendole di proseguire.
    La ragazza si strinse una mano sul cuore. «Sora!» disse solo fissando la porta tanto intensamente da sentirsi autorizzata a sperare di riuscire a distruggerla con il pensiero. Non sapeva cosa esattamente lo stesse ferendo, ma sentiva di starlo perdendo.
    «Hai trovato il libro?»
    «Il libro?!» gli domandò furiosa. «Gli sta succedendo qualcosa di brutto, di molto brutto e tu pensi al libro?!»
    «Trova il libro, poi ti porto lontano da qui e vengo a prenderlo.»
    Kairi lo spinse, non sperava davvero di riuscire ad ottenere un risultato ed infatti Riku fece appena un mezzo passo indietro. «Sarà troppo tardi.» gridò. Sora stava soffrendo, lo percepiva come se fosse la propria sofferenza, il suo cuore era stato tanto a lungo nel suo petto da rimanere legato a lui. Ed anche se così non fosse stato, lui era Sora, dopo tutto.
    «Quale libro state cercando?» domandò una voce.
    Sia lei che Riku si voltarono a guardare la regina Minnie che saliva, tenendosi sollevate le gonne, gli scalini di una botola che si era aperta silenziosa sotto la scrivania di Topolino. Era seguita da Paperino e Pippo e si fermò esattamente davanti a Kairi. «Ebbene?» la invitò a parlare.
    La ragazza deglutì sentendo pesare tutta la sua regalità, Minnie era piccola e sembrava innocua, ma era pur sempre la regina di Topolino. C’era molto più di quanto appariva in lei. «Il trattato di Vexen, signora.»
    Riku allungò un braccio verso di lei. «Regina, è stata un’idea mia, non…non fatele del male.» la supplicò.
    Minnie lo guardò come se avesse parlato in una lingua sconosciuta. «Farle del male?» ripeté senza capire, poi levò gli occhi al cielo. «Tutte queste guerre vi hanno resi paranoici.» commentò, prima di tornare a rivolgersi a Kairi. «Mia cara, nessuno ha intenzione di farti del male. Voglio capire, aiutarti se posso ed impedire a Topolino di commettere un errore di cui si pentirebbe per tutta la vita.»
    La ragazza fissò a lungo la regina, poi Riku che si limitò a stringersi nelle spalle; sapeva che il libro era lì intorno, lo sentiva vicino, ma non riusciva a localizzarlo esattamente. Decise di fidarsi, anche Minnie aveva aspettato a lungo per poter stringere di nuovo tra le braccia suo marito, se c’era una che avrebbe potuto capirla quella era lei. «Sora e Roxas sono sempre più due parti divise. So che in passato l’Organizzazione ha creato un essere con i ricordi di Sora e poco altro, devo provare.»
    La regina la osservò pensierosa e seria. «So perché Topolino non vuole che tentiate. Una volta un esperimento del genere ha quasi portato ad una seconda Guerra dei Keyblade.» tacque turbata. «Molti cuori forti sono andati perduti per colpa di un maldestro tentativo di dividere la luce dall'oscurità di un cuore.» continuò con un sussurro.
    «Farò attenzione.» supplicò in fretta, perché le sembrava che Sora si stesse sbriciolando dall’altra parte di quella porta. «La prego.»
    «Io mi fido di te, principessa.» sorrise. «Per questo crederò alla risposta che mi darai: tu pensi che Roxas sia fatto di sola oscurità?» scosse la testa. «Perché se è così non posso aiutarti.»
    Se avesse risposto di sì, tutti i suoi problemi sarebbe finiti: Topolino non avrebbe mai ucciso Sora, sarebbero tornati a Radiant Garden sconfitti, si sarebbe presa cura di lui guarendo il suo cuore ed il suo corpo, Axel avrebbe dovuto continuare a cercare il riflesso di Roxas negli occhi di Sora. Non avrebbe rischiato di perderlo.
    Tutto quello che voleva era racchiuso in una parola di due lettere, un ‘sì’ per la felicità.

«Sora.» ripeté il re facendo un passo indietro. «Io non capisco.»
    Il ragazzo tirò indietro il keyblade strusciando la punta sul pavimento, non gli era mai sembrato così pesante, altri frammenti si staccarono lasciando una scia come stelle cadenti.
    Sora? – cercò di raggiungerlo Roxas, ma senza trovarlo.
    Si abbassò il cappuccio e guardò il re con un misto di colpa e paura, ormai non aveva più senso mentire. «Devo tirare fuori Roxas.» confessò.
    «Roxas?!» domandò incredulo il re.
    Sora sollevò una mano battendosi due colpetti sul cuore, per poco non urlò di dolore. «Qui. Lui non è me.»
    Topolino sospirò affranto, a Sora sembrò così dispiaciuto da sconvolgerlo, cosa si era aspettato? Il re gli voleva bene, loro erano amici.
    «Mi dispiace.»
    «Quello con te…»
    «Riku.» ammise.
    «Kairi è al sicuro.»
    Annuì.
    «Sora…»
    Chiuse gli occhi sapeva cosa stava per dire, gli leggeva negli occhi il rammarico. Strinse più forte l'elsa del suo keyblade rovinato.
    «Sora, non posso lasciartelo fare.» e ne sembrava davvero, davvero dispiaciuto. «Purtroppo è un rischio che non posso lasciarti correre, potresti mettere in pericolo l’intero universo e…» assurdo come la parte peggiore non fosse ancora arrivata. «non credo che tu ce la faresti.»
    Deglutì. «Il mio keyblade si sta distruggendo.» constatò con uno strano distacco. Era pieno di buchi dai quali si sollevava un fumo nero-violaceo, della splendente e limpida luce che aveva sempre avuto, non c’era più traccia.
    «Tu e Roxas avete mischiato cuori, sensazione, vita, creando un nodo troppo stretto da sciogliere, ma un composto non abbastanza omogeneo da essere solido. Sei fragile.»
    ‘Sei debole.’ Era stato Riku a dirglielo, prima di rubargli il keyblade.
    «Non costringermi ad attaccarti ancora, Sora. Io non voglio farti del male.»

«No.» Kairi aveva le lacrime agli occhi. Lo odiava profondamente, ma Roxas non era fatto di oscurità. Glielo suggeriva Naminè, glielo confermava Axel, ne sarebbe stato sicuro Sora. Roxas era ferito, arrabbiato, ma anche innamorato: doveva esserci almeno una scintilla di luce in lui per permettergli di provare amore.
    La regina sorrise e si avvicinò alla libreria, quando lo fece, i volumi si scostarono automaticamente, rivelando una porticina nascosta. Kairi non sarebbe mai riuscita a trovarla. Dentro, immerso in un liquido verde, fluttuava un rotolo di fogli tenuto insieme da un sigillo reale. Minnie allungò le mani sotto il trattato e quello le si posò delicatamente tra i palmi, come se riconoscesse la propria padrona e probabilmente era così.
    Si avvicinò a Kairi e glielo consegnò, poi si frugò tra i drappi dell’abito e le mise in mano anche uno strano oggetto. Era una sfera azzurra con incastrata nel mezzo quella che sembrava una stella gialla.
    «Un frammento di stella.» gli spiegò la regina. «Può portarti a casa e Riku potrà andare subito ad aiutare Sora.»
    La ragazza si asciugò il viso. «E se mi sbagliassi?» chiese con voce rotta. Se l’intero universo fosse affogato nell’oscurità per colpa sua? Tenne gli occhi fissi sul rotolo di fogli che le sembrava pesare una tonnellata; c’era molto più che il destino di Sora nelle sue mani, c’era il destino dei mondi.
    La regina le sfiorò delicatamente il mento costringendola a guardarla. «Combatteremo. Come abbiamo sempre fatto. Non è vero?» domandò rivolgendosi a Pippo e Paperino che annuirono vigorosamente.
    «Yuk! Ai suoi ordini, principessa.»
    Ma lei si voltò e guardò Riku, lui scrollò le spalle. «Tu hai combattuto per me, io combatterò per te.»
    Sorrise tornando a fissare il viso solare e comprensivo della regina. «Ora vai!» la incoraggiò.
    Un secondo dopo un lampo di luce la trascinò via.

No, niente da fare...e si che ci speravo anche io di chiudere questa parte e tornare finalmente a RAdiant Garden per proseguire...ma ci sono troppe cose da scrivere ancora.
allora, ovviamente non vi dico chi cosa come perchè nel settimo paragrafo se lo sapete bene sennò fidatevi...
comunque se il cielo mi assiste - non mi ha assistita finora, ma la speranza è l'ultima a morire - spero di scirvere in fretta il nuovo capitolo ed andare avanti con la trama...
lo so che mi sto un po' fossilizzando su questa parte, ma a ben vedere, è quella più importante...il suocco di tutte le teorie, di tutti i loro piani si riduce a questo...
tra l'altro, voglio dire, Topolino vs Sora, potrei continuare a scrivere di loro due forever!
ma non lo farò...
baci
ps. Topolinia, non lo so, se il mondo di Topolino su Kingdom Hearts si chiama così, se mi sono sbaglaita chiedo scusa!
pps: AH! si sta rompendo il keyblade di Sora...
ppps: dai, davvero devo dirvi di fare due secondi di silenzio per un sexy Sora vestito da Organizzazione, in frantumi e disperato? certe cose vengono da sè!
ok, basta alla prossima!



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


sora io ve lo dico, a me questo capitolo ha fatto venire una voglia di piangere incredibile...ora magari sono io con la lacrimuccia facile, ma mi è saputo di un triste...ma perchè ho iniziato una roba tanto deprimente?! che ansia...
cmq, a parte che è lungo una cosa oscena...e io che avevo paura che venisse corto...
dai, fatevi forza e coraggio che ci vediamo giù...

Capitolo 11

Il keyblade ormai non era altro che il mozzicone di una chiave. La punta era diventata polvere, dandogli la terrificane sensazione che gli avessero amputato una mano, e galleggiava nell’aria impreziosendo l’atmosfera di milioni di riflessi brillanti. Non riuscì proprio ad impedirsi di pensare che circondati dalla luce, era un bel modo per morire.
    Noi non moriremo! – lo spronò Roxas cercando di far breccia nel muro che si stava alzando tra di loro. Si trovavano nello stesso cuore, nello stesso corpo, eppure se fossero stati su due mondi diversi non avrebbe potuto sentirlo più lontano.
    Sora osservò ancora il keyblade e sorrise. ‘Stiamo già morendo.’ quello era il suo cuore ed era in frantumi.
    Il re attaccò ancora ed il ragazzo usò quel che restava della sua arma per bloccare il colpo; ci riuscì, ma solo  inizialmente, perché improvvisamente anche il corpo della chiave si spezzò. Esplose in mille schegge tutto intorno a lui e la sferzata lo raggiunse anche se la sua forza era stata in parte stemperata. Lo colpì in mezzo al petto, scaraventandolo contro la porta. Sora si sentì attraversare dalla chiave, infilzare. Poi non sentì più niente, né dolore, né tristezza, né gioia.
    Accasciato contro l’angolo tra la porta ed il muro, la mano sinistra ricoperta di polvere luccicante, non trovò la forza di rialzarsi. Ripensò a quello che gli aveva detto Riku, che Topolino non avrebbe mai ucciso il prescelto dal keyblade, ma lui non lo era più. Non era più niente. Non era più nessuno. Respirò una volta, poi un’altra, alla terza volta iniziò a pensare che fosse una fatica inutile.

Non può essere una fatica inutile. Respira! – gli ordinò e lui gli obbedì, con la stessa arrendevole obbedienza di una bambino davanti ad un adulto.
    Strinse il pugno scosso, tremava come una foglia e Roxas ebbe paura che forse, quello del re, non fosse stato soltanto un normale attacco: aveva cercato di liberare l’ombra nel suo cuore per distruggerla.
    Me… - rifletté ferito.
    Se avesse saputo che bastava così poco a riscuoterlo glielo avrebbe detto prima.
    ‘Tu non vai da nessuna parte finché non te lo dico io.’ Puntellandosi con la schiena al muro si rialzò, anche se, disarmato in quel modo, non aveva alcuna possibilità di salvarsi. Vedeva Topolino davanti a lui attento ad ogni sua possibile mossa, deciso e per niente pentito di quello che aveva cercato di fare. Ma vedeva anche Riku dietro di quello, gli occhi verdi e sbarrati sul volto pallido; lo sguardo del suo amico correva dal re a lui, in una ricerca disperata della via d’uscita, non sapeva cosa fare, non sapeva come aiutarlo. Sora rise, evidentemente, keyblade o non keyblade, era ancora un ragazzo fortunato.
    Oblivion c’era ancora. Brillava della solita luce fioca e scura, ma era vera, reale, intera, nelle mani di Riku.
    Strinse il pugno di nuovo. Oblivion era nata nel regno dell’oscurità, avere un’ombra nel cuore non avrebbe potuto fare altro se non renderla più forte.
    ‘Questa meravigliosa tradizione di prendere pezzi del mio cuore, della mia memoria, del mio keyblade, come se fossi un puzzle deve giungere al termine.’
    Il re attaccò intuendo i suoi tentativi, ma si era deciso troppo tardi, perché Sora era in piedi. ‘Aiutami!’
    Farà male.
    ‘Non sarà peggio di…’
    Roxas scivolò sopra il suo essere senza aspettare che finisse, lui era solo spirito, non aveva ossa da rompere; aveva un pezzo di cuore e se Sora si preoccupava di tenerselo stretto, lui poteva muovergli il braccio.
    Deglutì e strizzò gli occhi, per un lungo interminabile secondo fu sul punto di urlare a Roxas di lasciarlo, ma aveva bisogno di entrambe le braccia per respingere il re. Prese fiato, il keyblade stretto tra le sue mani, indistruttibile come tutte le chiavi sarebbero dovute essere. Con la coda dell’occhio vide Riku osservarlo ed annuire, allungò il braccio e chiuse gli occhi cercando di aprire un corridoio oscuro. Tutto quello che doveva fare era tenerlo impegnato ancora un po’, soltanto un altro pochino.
    Topolino saltò, fece un capriola in aria prima di abbattersi per colpirlo dall’alto. Cozzò contro il keyblade con uno stridio metallico che fece rizzare a Sora i peli su tutto il corpo, ma la chiave non vacillò. Lo spinse via forzando con entrambe le braccia e corse per arrivare a colpirlo prima che atterrasse. Nessun dubbio, nessun tentennamento, nessun rimorso. Lui non ne aveva avuti. Lo attaccò alla schiena scaraventandolo contro il muro che si crepò, ma il re non finì al tappeto, anzi, ammortizzò il suo tentativo piegando appena le ginocchia sul muro prima di saltare di nuovo contro di lui.
    Non potevano farcela nemmeno con Oblivion, soprattutto perché si sentiva a pezzi, non c’era più un muscolo che non gli facesse male, il braccio era soltanto la punta dell’iceberg. Parò e si girò il più veloce possibile per cercare di sorprenderlo alle spalle, ma era già in ritardo e quando colpì, il keyblade del re gli diede la scossa. L’istinto lo costrinse a ritirare le mani ed Oblivion scomparve lasciandolo ancora, terribilmente disarmato.
    ‘Muoviti, Riku’, fu l’unica cosa che riuscì a pensare, mentre, sibilando nell’aria, la chiave di Topolino lo sbatteva a terra colpendolo allo stomaco.
    Quando aprì gli occhi constatando che, contro ogni logica, era ancora vivo, il re gli stava puntando la chiave alla gola. «Guarda…cosa sei diventato.»
    Sora sorrise vittorioso che avesse almeno il fiato corto. «Guardate cosa sono stato costretto a diventare per combattere la vostra guerra.» sussurrò.
    «Era la guerra di tutti.»
    «Ma avete mandato noi in prima linea.»
    Lo vide sussultare a quel ‘noi’. «Sora.» gli disse abbassando l’arma. «Eri il prescelto dal keyblade.» gli spiegò porgendogli la punta della chiave per aiutarlo ad alzarsi.
    Sora fu sul punto di afferrarla, ma si fermò a pochi centimetri e lo fissò negli occhi. «Non più.»
    Proprio in quel momento qualcuno lo prese per la vita tirandolo in basso.   

Precipitò tra i colori incredibili dell’intermezzo tra un corridoio oscuro ed un altro. Fermo a terra scoprì di non essere sicuro di riuscire ad alzarsi. «Comunque lo stavo battendo.» proclamò trovando infine le braccia – o un braccio, visto che il destro ululò di dolore non appena provò a muoverlo – e puntellandosi su quelle per tirarsi su.
    «Ah-ah.» disse scettico Riku. «E chi ne dubitava?!» improvvisamente gemette e cadde a terra in ginocchio con la testa tra le mani.
    Sora gli fu accanto in un secondo, dimostrando che effettivamente un modo per alzarsi c’era. «Riku?» lo chiamò preoccupato.
    Non rispose, il cuore gli batteva come un tamburo nel petto, pompandogli sangue marcio fino al più piccolo capillare. «N-non…» era come se ogni cellula del suo corpo lo tirasse verso una strada che non voleva più percorrere.
    Si sentì afferrare per un braccio. «Ehi! Resta qui!»
    Aprì gli occhi per ricordare a Sora che non si stava muovendo, ma fissando i suoi, enormi ed ansiosi, non fece altro se non scuotere la testa. «De-devi uscire di qui.» doveva aprire la porta per Radiant Garden finché ce la faceva.
    «Dov’è Kairi?»
    «Sta bene…» ansimò. «Minnie le ha dato un coso…» avrebbe voluto spiegargli, ma erano troppe parole, gli sembrava che il suo campo visivo si restringesse piano, piano. Sora però c’era sempre.
    Sora lo lasciò e si sedette a terra accanto a lui con gemito. «Allora non abbiamo fretta. Aspettiamo!»
    Per alcuni secondi rimasero in silenzio, Riku stette anche immobile, ma conoscendo il suo amico dubitava che fosse lo stesso, sentiva i suoi vestiti frusciare. E Ansem era ovunque ad inquinargli i pensieri, provocandolo con quell’immagine drammatica di Kairi incosciente.
    «Cosa aspettiamo?»
    «Che stai meglio.»
    Gli lanciò un’occhiata, era sdraiato per terra con le braccia e le gambe larghe, Riku contò almeno tre macchie di sangue sui suoi vestiti, che rendevano macabramente lucida la divisa dell’Organizzazione. «Posso aprirti una porta, poi ti raggiungo.»
    Fece un sorrisetto. «Ma così ti posso raccontare dettagliatamente e senza interruzioni come stavo per sconfiggere Topolino.» esclamò eccitato.
    «Strano, quando vi ho visto non mi è sembrato proprio così.»
    «Era una finta, sai, per aumentare la suspense.»
    Quando fu sicuro che non avrebbe cercato di distruggere l’universo muovendosi, si sdraiò piano, piano accanto a lui.
    Sora sollevò una mano, la sinistra, notò Riku, e se la posò sul cuore. «Ha cercato di portarmi via il cuore.» mormorò.
    «Lo ha fatto per il tuo bene.»
    Sbuffò. «Peccato che non l’ho ringraziato.» sbottò sarcastico.
    «Che ha il tuo braccio?» gli domandò.
    «Potrebbe essere rotto.»
    «Dobbiamo andare, allora!» fece per alzarsi precipitoso.
    Ma il suo amico non si mosse di un centimetro. «Hai aperto un sacco di corridoi oscuri oggi, tutti ad occhi aperti. È meglio aspettare ancora un po’.»
    Riku lo guardò. «Più aspettiamo, più ci metterai a guarire.»
    Si strinse nelle spalle, facendo una smorfia di dolore subito dopo. «Ho distrutto il keyblade, non serve che guarisca in fretta.» la tristezza nella sua voce non poteva essere ignorata da nessuno, tanto meno da Riku, ma non disse niente. «Ho avuto paura che non tornassi a prendermi.» confessò poco dopo, piano come se fosse un peccato.
    «Cosa?» domandò incredulo Riku fissandolo.
    «Mi odi.» disse con semplicità. «Hai cercato di uccidermi…»
    Ha cercato di uccidere anche me… - si accodò Roxas.
    «Ah, già: hai cercato di uccidere anche Roxas. Ce l’hai con me per Kairi…non potevo essere così sicuro che corressi il rischio di tornare indietro.»
    Riku continuò a guardarlo, mentre gli occhi di Sora erano fissi sopra di lui, come se fosse sdraiato alle Isole del Destino e stesse guardando le stelle; non c’era una parola che avesse pronunciato che non fosse vera, ma lui era Sora. Aveva vegliato sulla sua boccia dei pesci, sul suo Nobody, era venuto a compromessi con la sua parte oscura per lui, perché voleva salvarlo e perché infondo, infondo, aveva sempre sperato di riuscire a tornare insieme a lui alle Isole. Eppure, quando ci era riuscito, aveva finito per fare un casino.
    «Se non eri sicuro che ti aiutassi perché mi hai portato?»
    «Per Kairi.» si interruppe per un lungo istante. «Se mi succedesse qualcosa io starei tranquillo, perché so che tu baderesti a lei con tre volte più attenzione di me.» finalmente il suo sguardo lasciò il soffitto del corridoio oscuro e si posò su di lui. «Se…»
    Non dirlo.
    «Sta zitto.» Riku gli lanciò un’occhiata perplessa. «Non ce l’avevo con te.» si tirò su appoggiandosi sul gomito sinistro. «Se mi assentassi e non dessi segni di ritorno…»
    «Sora…» lo interruppe.
    «Se lei vuole, puoi.» lo disse così in fretta da lasciarlo senza fiato. «Non so se ti amerebbe, ma se è così…»
    «Siamo amici, anzi, sei il mio migliore amico.» disse ad occhi bassi interrompendolo, quanto tempo era che non guardava Sora ricordandosi che era suo amico e non un suo aspirante nemico o il fidanzato di Kairi? «Se ti assentassi e non dessi segni di ritorno verrei a cercarti. Tu mi hai rincorso per tutti i mondi per lo stesso motivo.»
    «No.» rise. «Io ti ho rincorso per tutti i mondi per dimostrarti che ero il più forte.»
    «Illuso.» borbottò, ma poi sospirò. «Mi dispiace di aver cercato di ucciderti…» ora sembrava così sciocco che non glielo avesse detto prima, infondo, aveva sempre voluto farlo.
    «Quale volta?»
    Riku sbuffò. «Se devo scusarmi per tutte le volte, staremo qui per sempre.»
    «Facciamo le ultime dieci?»
    «Ok…» ci ripensò. «no, aspetta, di dieci volte almeno tre sono sicuro di aver avuto ragione.»
    «Ultime sette, quindi. Scuse accettate.» sospirò. «Riku, ora che faccio senza keyblade?»
    Lui rise presuntuoso. «Lasci salvare il mondo a me.» si guardò intorno, l’interno dei corridoi oscuri, con tutti quegli arancioni, quei rosa e quei gialli, era imprevedibilmente accogliente. «Che dici andiamo?»
    «Non voglio.»
    «Perché?»
    Sospirò. «Non ho idea di come fare ad alzarmi e…» la aveva odiata quella chiave, detestata. «qui si sta bene, è tutto semplice.» eppure non essere più sicuro che sarebbe apparsa stringendo il pugno era destabilizzante. Lo faceva sentire vulnerabile, fragile, debole, solo.
    Ci sono io. – lo rassicurò Roxas.
    ‘Non per sempre.’
    Si, invece. – disse tranquillo. – Avere un corpo non mi costringerà a dividerci.
    Riku si alzò in piedi e lo guardò dall’alto. «Andiamo, grande eroe.» disse tirandolo per il braccio buono e facendoselo passare sulle spalle, mentre lo trascinava verso l’apertura del corridoio si rese conto che zoppicava anche.
    «Sai, nel caso il mio aumentare la suspense mi avesse portato a morire…» iniziò. «grazie.»
    «Non c’è di che.»

Nel giardino interno dove sbucarono c’era una specie di comitato di accoglienza. Cloud, Leon e Aeris erano lì in attesa, quest’ultima stringendo una mano di Kairi.
    Kairi era bellissima. A distanza di anni Sora avrebbe ricordato soltanto quello: Kairi era bellissima.
    Lo guardava da lontano senza avvicinarsi, sorrideva e Sora riusciva a leggere il sollievo nei suoi occhi. Nessun gesto eclatante, nessun abbraccio strappalacrime, non serviva. Non aveva più la divisa dell’Organizzazione – conoscendola immaginava che l’avesse bruciata, per non far più venire loro idee tanto folli – ora indossava una gonnellina di jeans ed una canottiera, sembrava così normale, eppure era così speciale.
    Cloud e Leon li circondarono per rubare loro un racconto e Sora lasciò quel compito a Riku togliendogli il braccio dalle spalle per zampettare fino a lei. Percepì lo sguardo dell’amico sulla sua schiena per tutto il tragitto e sapere che questa volta non doveva dubitare del suo aiuto se ne avesse avuto bisogno, gli diede una nuova, strana, ma piacevole sensazione di calore.
    «Stai bene?» le chiese quando furono abbastanza vicini.
    Lei annuì e fece un passo verso di lui, gli sfiorò il braccio destro, abbandonato lungo il fianco, in punta di dita. «Penso che ti servirà il gesso.» commentò. La sua mano si fermò in alto a sinistra, si morse il labbro premendo leggermente. «Ti ho sentito.» sussurrò. «Ti ha fatto male.»
    Sora prese un profondo respiro. «Si.» disse solo, era diviso a metà tra la voglia di raccontarle quanto fosse stato brutto quel vuoto e la certezza di spaventarla.
    «Però non ti ha lasciato.»
    «Senza Roxas non so se ce l’avrei fatta.» lo disse e basta. Sapeva che questo le avrebbe portato dubbi, incertezze, paure, ma non poteva nasconderle la sua stessa ansia. Anche Topolino aveva espresso il suo scetticismo per la riuscita del loro piano e, inutile negarlo, era stato Roxas ad impedirgli di arrendersi.
    Kairi appoggiò la fronte contro il suo petto ad occhi chiusi. «Sora, vuoi ancora farlo?»
    Sospirò, poi le cinse la vita con il braccio buono e la baciò.

«E quindi, ti sono sempre piaciuti i ragazzi biondi con gli occhi blu?»
    Lea lanciò un’occhiata curiosa alla sua impicciona ospite. «E a te?» le chiese di rimando. «Perché non sei andata a festeggiare il loro ritorno?» lui non c’era andato per rispetto di Kairi – scoprire di rispettarla tanto, l’aveva decisamente sorpreso – ma si era aspettato che Tifa fosse in prima linea ovunque fosse Cloud.
    Si strinse nelle spalle. «Magari avrà paura che io e te stiamo…»
    «Ciao.»
    Tutti e due si voltarono verso Sora che aveva parlato dalla soglia della porta. A Lea sembrò un agglomerato di bende tenute insieme dal sangue raggrumato. Il braccio destro era ingessato e legato al collo con un fazzoletto, sulla parte superiore dell’avambraccio sinistro c’era un grande cerotto; le mani erano fasciate fino alle nocche ed anche se aveva i pantaloni lunghi e non poteva vedergli le gambe, capiva dalla sua postura che non stava appoggiando il piede sinistro.
    Lea sospirò scuotendo la testa. «Io l’avevo detto che era un suicidio.» rifletté tra sé, si chiese anche come fossero ridotte le loro divise, perché le avrebbe rivolute indietro.
    «Ti cerca Cloud.» disse a Tifa.
    A nessuno sfuggì che fosse una scusa palese per cacciarla e rimanere soli, così la ragazza si alzò. «Lo raggiungo.» esclamò. «Fate i bravi!» li prese in giro, sventolando una mano in segno di saluto.
    Sora zoppicò fino al divano e ci si sedette, lasciando cadere indietro la testa. «Abbiamo il trattato di Vexen.» esordì.
    Per alcuni secondi Lea continuò ad osservarlo e basta, era sfinito ed abbattuto: Topolino doveva averlo strapazzato ben, benino. Non gli chiese come stesse – se fosse stato nelle sue stesse condizioni e qualcuno gli avesse una domanda tanto stupida lo avrebbe incenerito – si limitò a stare fermo, seduto al tavolo della propria cucina, con una bottiglia di birra tra le mani. Esattamente come era stato con Tifa. «Ottimo.» commentò.
    «Il re ha distrutto il mio keyblade…» annunciò senza tanti preamboli.
    I keyblade si rompevano? Non c’era tutto un discorso di luce e di cuori dietro?
    «Perché la presenza di Roxas ha reso il mio cuore fragile.» scrollò piano, piano le spalle, come se un movimento appena più pronunciato lo avrebbe potuto far urlare di dolore. «O almeno così mi ha detto Topolino.»
    Se il suo cuore era debole…
    «Secondo te mi risveglierò?» gli chiese, dando voce ai suoi pensieri. «Perché io non penso.»
    Lea lo studiò chiedendosi quanti anni avesse, con i Nobody determinare un’età era complicato. Ricordava teorie su teorie mentre mangiava un gelato al sale marino con Roxas; erano giunti alla conclusione che l’età di Axel oscillasse tra i diciannove e i vent’anni, mentre quella di lui intorno ai quindici, sedici. ‘Una cosa è chiara.’ Aveva esordito Roxas sorridendo e studiando il bastoncino del gelato con fin troppo attenzione. ‘Hai una fissa inquietante per i ragazzini.’ Ora sarebbe stato più grande, ora sarebbe stato grande quanto Sora.
    Ma i Nessuno non erano mai veramente ragazzini, nascevano sapendo di non aver un cuore e di dover combattere per giustificare la loro presenza nel mondo. Però quello sul suo divano era stato davvero un bambino ed era ancora solo un ragazzo.
    Era agghiacciante vedere un ragazzo normale, parlare dell’eventualità di perdersi per sempre in un limbo dal quale non sarebbe più potuto tornare.
    Lea si alzò ed andò a sedersi accanto a lui. «Hai paura?» si domandò se qualcuno glielo avesse mai chiesto.
    «Sempre.»
    Per un po’ rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
    «Perché Roxas?»
    Fatti i fatti tuoi!
    Lea lo guardò e Sora sorrise ricambiando. «Perché vuoi tanto lui? Non hai pensato di…beh…»
    «Era triste.» mormorò in un sussurro. «Ero circondato da gente fuori di testa, esseri incoscienti perché a malapena consapevoli di essere vivi. Tutto quello che ero in grado di provare era noia e per gli altri era lo stesso. Oscillava tra malinconia e nostalgia, ma eravamo sempre annoiati.» rise. «A pensarci bene, può darsi che Xemnas abbia cercato di distruggere il mondo perché non sapeva cos’altro fare. Ma Roxas era triste, una tristezza intensa, dolorosa, vera. Provava qualcosa e mi faceva sentire, vedevo le sue emozioni e diventavano mie.» rimase in silenzio. «Quando sono scappato dal C.O. ero mezzo morto.»
    «Oh, si.» si vantò Sora.
    Lea gli lanciò un’occhiataccia. «Per un po’ sono stato nascosto perché avevo paura che qualcuno ne approfittasse per farmi fuori definitivamente. Alla fine sono tornato e Saix che era stato per secoli il mio migliore amico, mi aveva regalato appena un’occhiata fredda. Roxas era talmente sollevato, talmente felice di vedermi da essere sul punto di piangere.» fece una mezza risata sorpresa. «Io non mi ricordavo nemmeno che sapore avessero le lacrime.»
    Salate.
    ‘Era per questo che volevi che mi baciassi il palmo quella notte.’ Pensò Sora sorridendo. ‘La prima volta che vi siete baciati tu piangevi, sapeva di sale.’
    Roxas non rispose, non ce n’era bisogno.
    «Voglio tanto lui, perché in un mondo che non sarebbe mai dovuto esistere, in mondo senza senso, lui ne ha dato uno a me. Lui era il mio motivo per avere un cuore.» Lea si strinse nella spalle. «E tu perché Kairi?»
    «Il paese delle meraviglie le sarebbe piaciuto tantissimo. Avrei voluto volare con lei per tutta Neverland. Sarebbe stato carino trovarsi ad Halloween Town e ballare tra le zucche insieme a Jack e Sally. Ho pensato che sarebbe stata proprio bene vestita da odalisca come Jasmine. O con un bell’abito da principessa come Belle. Ovunque andassi c’era qualcosa che me la ricordava e mi faceva sentire la sua mancanza, ma non come Riku…» ci pensò, si morse le labbra senza guardare niente e tutto. «Insomma per quel che ne sapevo io, Riku poteva essere morto, era normale che volessi trovarlo e portarlo a casa. Kairi era al sicuro eppure ero così egoista che avrei voluto esporla a tutti quei rischi per averla accanto.» sorrise guardandolo di sbieco. «Lei è il mio motivo per non farmi rubare il cuore.»
    «Capirei se non te la sentissi più di provare.»
    «No.» sospirò. «L’esperimento si farà, non…» chiuse gli occhi scuotendo la testa. «non ce la faccio.» non gli spiegò a fare cosa ed Axel non glielo chiese.

no, seriamente, ma fa sentire depressa solo me?
che poi buffo, perchè non è che succedano cose poi così tristi...bah, ditemi voi...
baci
ps. visto come sono stata brava e veloce?!


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


sora vi giuro che ci ho provato...dico adesso scrivo un capitoletto allegrotto di passaggio, un po' di vita tranquilla a Radiant Garden, prima di andare dritti, dritti verso l'apocalisse...
niente da fare...
cioè sono partita bene e per essere di passaggio il capitolo è di passaggio, ma in quanto all'allegrotto...beh, giudicate un po' voi!

Capitolo 12

Sora si intrufolò nella casa di Aeris e Tifa di nascosto. Chiuse piano la porta per non svegliare nessuno e ci si lasciò scivolare con la schiena. Kairi era a pochi passi da lui, addormentata placida tra quelle stesse coperte dove avrebbe dovuto dormire fin dall'inizio, rannicchiata come una bambina. Il suo respiro rilassato e regolare gli scivolava addosso come una carezza e la voglia di lei era più intensa del buonsenso, così piano, piano le strisciò accanto e si sdraiò alle sue spalle senza sfiorarla, le bastava sapere che fosse tanto vicina da percepire il suo calore.
    Chiuse gli occhi cercando di sistemare il gesso in modo che non gli desse fastidio durante la notte.
    Kairi si girò e si intrufolò tra le sue braccia, accoccolandosi al suo petto. Il braccio ingessato, intorno alla sua schiena, era nella posizione giusta per non fargli male e non dargli fastidio.
    «Grazie.» mormorò contro i suoi capelli.
    «Non c’è di che.»

Riku non si stupì di trovare anche Axel fuori, incapace di dormire. Era seduto su una panchina, la testa all’indietro ed il viso rivolto alle stelle, lontano, perso in chissà quale galassia, in chissà quale mondo.
    Gli si sedette accanto. «Hai già un luogo in mente?» gli domandò.
    «Twilight Town, quella fasulla.» sospirò. «Per un po’ non mi dispiacerebbe la prevedibilità di un mondo preconfezionato. Mi dareste un Roxas tanto simile all’originale da farmi relativamente contento, una vita che non si sia bruscamente spezzata ad un certo punto per riaggiustarsi dieci anni dopo, non incontrerei mai Sora.»
    Per un attimo Riku pensò a come sarebbe stato: una Kairi tutta sua, innamorata di lui; un sacco di amici che non aveva cercato di uccidere; nessuna missione, nessun mondo, nessun tentativo di scappare. Nessuna volontà. Non sapeva se sentirsi un ingrato a voler perdere quella che dettava i limiti della sua libertà, ma se la tua volontà ti aveva tradito, spingendoti a ferire persone a cui volevi bene e che ne volevano a te, forse il suo era un desiderio lecito.
    «Ci pensi? L’Organizzazione ha cercato in miliardi di modi di ucciderlo ed io, che sono l’unico che ci sta riuscendo, non lo vorrei più.»
    Riku rise. «Tipico di Sora, dare il meglio di sé mentre stai per farlo fuori.»
    «Se non si sveglia mi odierai anche tu, non fingere di essere mio amico.» aveva commento cupo, senza raccogliere la sua ironia, più Nobody che uomo.
    «Se non si sveglia, odiarti non servirà a niente.» quanto ci aveva messo a capirlo? Sicuramente troppo, ma l’odio non era mai la chiave. «Se non si sveglia dovrò consolare Kairi, non avrò tempo di prendermela con te.»
    «E se non si sveglia Roxas?»

Tifa era uscita presto quella mattina, aveva visto Sora e Kairi accoccolati insieme in salotto, come due micini che dormono uno sull’altro per stare caldi; quell’immagine le aveva scaldato il cuore, ma glielo aveva anche fatto sprofondare nel dolore.
    Così era scappata di lì prima qualcuno scoprisse le lacrime che gli rotolavano sulle guancie, rifugiandosi nel punto più lontano del giardino esterno. Aveva invidiato Aeris che riusciva a mimetizzarsi completamente tra i fiori, lei con quei capelli neri non ci sarebbe mai riuscita. Non esistevano fiori neri a Radiant Garden e forse non esistevano da nessuna parte. Qualsiasi cosa succedesse sembrava scritto nel suo destino l’invidia per Aeris, nonostante fosse la sua migliore amica.
    «Tifa, che hai?»
    Aveva deglutito due volte prima di voltarsi verso quella voce, la voce di Cloud. «N-niente.» aveva risposto precipitosa togliendosi le lacrime dalle guancie. «Tutte queste preoccupazioni per Sora e Roxas, credo di avere un crollo nervoso.»
    «Voglio andare a fare un giro in moto, fuori città. Vieni con me?»
    «Non lo chiedi ad Aeris?»
    Cloud aveva riso. «Eddai, Tifa, Aeris ti sembra davvero tipo da moto?»

«Credi che ce la faranno, Ienzo?» chiese Even sbirciando dalle alte finestre di quella che era stata la Fortezza Oscura. «Certo, sarebbe un’opportunità fantastica, il cuore del prescelto dal keyblade indifeso per il tempo necessario a…» si bloccò e si accasciò a terra.
    Ienzo rimase a guardarlo per alcuni secondi, con il proprio libro aperto ancora tra le mani. Lo chiuse e lo nascose di nuovo. Certe persone non sarebbero mai cambiate, nemmeno dopo aver rischiato di rimanere per sempre esseri immondi e senza cuore, per questo lui era restato in quel luogo pieno di ricordi nefasti, per essere sicuro che nessuno cercasse più di fare esperimenti con l’oscurità: ora che la porta era stata finalmente chiusa, nessuno avrebbe più dovuto aprirla.
    Avrebbe dovuto dire alla ragazza di stare attenta, di chiamare tutte l’aiuto possibile per impedire che qualcuno approfittasse di un’occasione tanto unica.
    «Oh, cielo, cosa è successo?» Ienzo guardò Even, che si stava risvegliando. «Puoi aiutarmi, per favore?» si avvicinò e gli afferrò gentilmente il braccio per farlo alzare. All’Organizzazione aveva imparato a tenersi vicini gli amici e più vicini ancora i nemici.

Kairi aprì gli occhi in quelli di Sora e sorrise. «Ciao.» non riusciva a ricordare l’ultima volta che si erano svegliati insieme nel suo letto alle Isole. Sapeva che non poteva essere passato poi così tanto tempo, eppure le sembrava che fosse un secolo.
    «Ciao.» le rispose lui nello stesso sussurro.
    Per alcuni secondi rimase in ascolto, aspettandosi di sentire qualche rumore provenire dal piano superiore, ma sembrava deserto. Si sentiva la bocca secca, così si alzò e si avvicinò al lavandino per prendere un bicchiere d’acqua, facendo forza sulle braccia per sedersi sul piano della cucina, così da poter guardare Sora. Lui aveva continuato a farlo per tutto il tempo.
    «Credi che ci sia qualcuno in casa?» gli domandò.
    Il silenzio era pesante ed elettrico, come l’aria prima dello scatenarsi di una tempesta.
    Sora si alzò, appoggiandosi al braccio sinistro e le si avvicinò, con i capelli tutti schiacciati da una parte ed il segno del cuscino sul viso. Si fermò soltanto quando le sue gambe batterono contro le ginocchia di Kairi, lasciate nude dalla sua camicia da notte a pallini troppo corta.
    «Credo che non mi importi, e a te?»
    Kairi appoggiò le mani sul suo petto, il suo cuore, bellissimo, prezioso, bussava con delicatezza e regolarità contro il suo palmo aperto. Scosse la testa e sollevò il viso per guardarlo negli occhi. «No, credo di no.»
    Quando dischiuse le ginocchia appoggiandole ai suoi fianchi, Sora le stava già sfilando la camicia dalla testa.

Re Topolino era davanti a quella finestra dall’alba, gli occhi immobili al di là del vetro. Minnie rimase ad osservarlo per alcuni secondi, poi gli si avvicinò appoggiandogli con delicatezza una mano sulla spalla.
    «Sono sicura che capisca.»
    «L’ho colpito.» mormorò, scuotendo amaramente la testa. «Non sono poi un così bravo amico.»
    La regina sorrise. «Pippo e Paperino litigano di continuo, questo non significa che non si vogliano bene.»
    «Sono preoccupato, per il nostro mondo, per l’universo, per lui.»
    «Perché sei un buon re.» lo voltò verso di lei. «Lui avrebbe fatto lo stesso al tuo posto.»
    Tra le mani di Topolino c’era una boccetta piena di liquido verde, Minnie sorrise. «Ottima idea.»

Lea tornò a casa il pomeriggio, si era degnato di andare ad aiutare Cid, almeno un pochino, per ingannare il tempo; salvo scoprire che la notte insonne passata non l’aiutava di certo a concentrarsi e che Isa non avrebbe rischiato di farsi scaricare in testa una valanga di macerie solo per lasciarlo distrarsi.
    Avrebbe fatto una doccia si sarebbe messo a letto ed avrebbe dormito. Basta pensieri nefasti a tenergli compagnia tra le coperte.
    Guardò curioso Sora, chino dentro il suo frigorifero, in forma come di certo non era stato la notte prima: una mano era appoggiata allo sportello giallo, mentre nell’altra c’era l’elsa di Oblivion.
    «Ti prego, dimmi che non hai usato il keyblade per scassinarmi il frigorifero.» trovava quell’idea stranamente blasfema.
    Il ragazzo si voltò di scatto, arrossì come un peperone e nascose la chiave dietro la schiena, mossa ridicola, visto che in ogni caso, almeno dieci centimetri spuntavano sopra la sua testa.
    Lea lo studiò perplesso aggrottando le sopracciglia. «Fingendo che quello che stavi facendo fosse minimamente normale, il braccio?»
    Lui si schiarì la voce guardandolo. «Una pozione di Topolino, si scusa e lo…» si interruppe. «ehm…mi prega di non farlo.»
    «Mica male. Vale sempre la pena prendersela con voi.» disse congedando quella discussione e dirigendosi verso la camera. Voleva ancora fare la sua doccia e mettersi a letto, Sora o non Sora. Che poi nel suo frigorifero continuava a non esserci niente: la limonata di Aeris era finita – aveva promesso di portargliene dell’altra, ma ancora non si era vista – c’era un mezza bottiglia di birra lasciata da Tifa e qualche ghiacciolo per i momenti nostalgici. «A proposito, il tuo keyblade è tornato a quanto vedo.» urlò dalla camera fermandosi al centro di essa, sentiva la fastidiosa sensazione che gli fosse sfuggito qualcosa, qualcosa di tanto palese da riuscire, per assurdo, a passare inosservato. «Sora?»
    Sentì un sospiro, un sospiro decisamente pesante se riusciva a sentirlo da un’altra stanza. «Axel.» nel suo nome c’era un cadenza strana: era un rimprovero, una supplica, un’offesa. E sotto c’era qualcosa di più familiare ancora, qualcosa che, se ne accorse solo in quel momento, gli impediva di essere Lea, almeno finché lui avesse continuato a chiamarlo Axel.
    Ritornò in cucina lentamente e lo guardò, come si era abituato a guardarlo nell’Organizzazione, alla ricerca di punti deboli. Non ne aveva. O sarebbe stato meglio dire che ne aveva, ma lui li avrebbe ignorati.
    «Mi aspetti?» gli domandò soltanto.
    Lui guardò la mano che stringeva Oblivion. «Kairi ci ha concesso un’ora e mezza. Sbrigati.»

Ienzo la trovò chiusa in una camera al secondo piano, china sui fogli che era riuscita a prendere dal castello del re, concentrata. Era stato abbastanza silenzioso e furtivo da non farsi sentire ed a quel punto realizzò di non sapere come annunciarsi, o cosa dire.
    «Even potrebbe approfittarne.»
    La vide sobbalzare al suono di una voce che non conosceva, lo osservò, gli occhi spalancati e blu. Naminè era stata una copia imperfetta, un ritratto sbiadito di quello che era veramente la principessa. Come tutti i Nobody d'altronde.
    «Ienzo?» domandò incerta, scrutandolo. «Come sei entrato?»
    «A Radiant Garden c’è la sconsigliabile abitudine di non chiudere le porte a chiave.»
    «Oh.» mormorò.
    «Even potrebbe approfittarne.» ripeté. Non era interessato a fare conversazione, voleva metterla in guardia per il bene di tutti, poi tornare a vegliare sulla Fortezza Oscura nel silenzio più totale.
    «Perché?» domandò.
    «Potere.» scosse la testa. «Alcune persone non cambieranno mai, alcune persone erano più colpevoli di altre, alcune persone meritavano quella condanna senza cuore.»
    «Puoi aiutarmi?»
    Quella domanda riuscì a sorprenderlo.
    «Non è stata Naminè a creare Xion, non…» abbassò gli occhi sul trattato combattuta. «ci sono punti che non mi sono chiari.» confessò. «Se mi hai avvertito, sarai anche disposto ad aiutarmi.»
    Ienzo si avvicinò e le si sedette accanto, su una sedia libera. «Nessuno dovrà mai saperlo.»
    Annuì tirandosi indietro, per lasciargli leggere gli appunti di Vexen. «Perché non parli mai?» domandò, evidentemente incapace di trattenere la curiosità. Il ragazzo si chiese quante altre cose avrebbe voluto domandargli.
    «Perché le persone sono disposte a rivelarti tutti i loro segreti se sono sicuri che tu non possa riferirli a qualcuno.» per alcuni secondi rimase in silenzio, poi la guardò. «Ti aiuterò, ma tu fai in modo di tenere l’esperimento al sicuro.»

Kairi sembrava stanca, stanca ma determinata. Aveva i capelli legati in modo disordinato e le dita sporche di inchiostro, si guardò intorno cospiratrice, poi afferrò il braccio di Riku trascinandolo con sé. Camminarono fino al giardino esterno, ma non si fermarono nemmeno lì; scesero per una porta segreta, giù fino ad una stanza nascosta e circondata d’acqua.
    «Ienzo dice che dovremmo procurarci delle guardie per proteggere il procedimento.» sussurrò.
    «Ienzo dice?!» domandò lui incredulo.
    Lei scosse la testa scrollandogli il braccio che non aveva lasciato. «Riku!» lo rimproverò.
    «Tranquilla, ci penso io, d’accordo?»
    «Basterà?»
    «Sicuramente anche Cloud e Leon saranno disposti a darci una mano.»
    «Ho paura. E se gli rubano il cuore, mentre io sono lì a giocarci?» si coprì il viso con le mani. «Sono esattamente come loro.» mormorò affranta.
    «Kairi, calmati.» questa volta fu lui a posarle le mani sulle spalle e strofinarle piano le braccia nude. «Andrà tutto bene e prima di quanto immagini saremo alle Isole a prendere il sole.» Riku si guardò intorno. «Sora dov’è?»
    «È Roxas per un’ora e mezza.»

«Come ci riesci?» domandò Axel facendo un cenno con il capo in direzione di Oblivion.
    Roxas nel corpo di Sora, completamente padrone del corpo di Sora, sospirò. «Purtroppo adesso è molto più semplice di quanto dovrebbe, il keyblade mi aiuta ad avere stabilità.»
    Nessuno dei due aggiunse la palese conclusione: non c’era nessun keyblade a tenere stabile Sora.
    «Sono un po’ offeso che tu non mi abbia riconosciuto.» cambiò argomento, addentando il ghiacciolo e sperando che lui raccogliesse la sua supplica a non parlarne più. La vista che si godeva dalla torre più alta della Fortezza Oscura non era come il tramonto di Twilight Town, ma dovevano accontentasi.
    «Beh, non sono più abituato ad averti intorno.»
    «Io ti avrei riconosciuto.»
    «Oh, ti prego!» lo rimproverò. «Sappiamo tutti e due che non è così. E comunque non sei proprio tu.»
    «Siamo molto simili.» disse infelice, come soltanto Roxas sarebbe potuto essere.
    Axel scosse la testa, potevano sembrare gemelli, riflessi speculari di una stessa persona, ma… «Non sei tu.»
    Roxas lo guardò, poi sorrise distogliendo lo sguardo dalla sua figura. Axel continuava essere dinoccolato, altissimo, feroce nel suo sguardo perennemente affamato; bello, in ogni suo lineamento troppo spigoloso. Perfetto.
    «Quand’è che la strega farà l’esperimento?»
    «Domani.»
    «Ti senti pronto?»

Aeris era affacciata dal davanzale della sua camera intenta ad annaffiare i tulipani. Osservò Cloud parcheggiare la sua moto sotto casa loro e far scendere Tifa, raggiante come la vedeva troppo di rado.
    Si fece piccina sbirciandoli mentre parlottavano di cose inutili e li trovò così carini.
    Sapeva di piacere a Cloud e, certo, lui era bellissimo, ma…non era suo. Era di Tifa, era la prima cosa di cui si era accorta arrivata a Radiant Garden. Si sentiva anche un po’ in colpa per aver portato tanto scompiglio nella loro ‘quasi coppia’, ma era sicura che lei fosse soltanto una sbandata temporanea da parte di lui, il vero amore resiste a tutto, anche alle fioraie belle e dolci.

Kairi, Sora e Riku erano seduti su una panchina e guardavano tre bambini giocare, come avevano fatto loro per anni. Erano in silenzio da un po’, la mano di Kairi in quella di Sora, quella di Sora in quella di Riku, un modo come un altro per tenerlo a terra.
    Ci aveva messo molto più di un’ora e mezza a tornare, anche se Roxas era stato puntualissimo e si era impegnato a rifarsi piccolo e sparire. Kairi non avrebbe mai dimenticato il suo sguardo, dagli occhi di Sora, fissarla colpevole e dispiaciuto, mentre gli confessava di non riuscire a trovarlo. ‘Non ha mai parlato, credevo che volesse semplicemente lasciarmi solo con Axel’.
    Alla fine era ricomparso, in un attimo, senza senso, ‘puf!’: Sora era tornato. Riku gli aveva dato un pugno sul braccio ormai di nuovo intero, mentre Kairi si era seduta, con le mani tremanti, pallida come un foglio di carta.
    Ci aveva provato a tranquillizzarla con il suo sorriso migliore. ’Lui è un keyblade master, io no. È normale che il suo cuore sia più forte del mio in questo momento’.
    Il problema era che di cuore nel petto, Sora ne aveva soltanto uno. Anche ammesso che fosse possibile sezionarlo in due parti, una di Sora ed una di Roxas, se a quel punto la parte di Roxas fosse stata troppo grande e troppo forte, che sarebbe rimasto di Sora una volta divisi?
    «Non sono ancora morto.» sussurrò ad un certo punto, proprio lui.
    «Sei ancora in tempo per ripensarci o rimandare.» commentò neutro Riku. «Roxas capirebbe.»
    Roxas non disse niente, avergli defraudato il corpo, lo spavento di averlo potuto far sparire, la colpa nel terrore cieco di Kairi, lo avevano reso titubante. Lui che fino a pochi minuti prima aveva avuto davanti agli occhi la sua posta in gioco.
    «Se non lo faccio ora non ne troverò mai più il coraggio.»
    «Troverai Naminè dall’altra parte, devi mostrarle quale ricordo vuoi che ti porti via. Deve essere qualcosa di grande o il suo corpo sarà instabile come quello di Xion.» spiegò Kairi con una praticità che poteva essere dettata soltanto dalla disperazione e lo shock.
    «Posso scegliere?» chiese contento e sorpreso Sora. «Quale onore…»
    «Non c’è da scherzare.» sbottò Riku secco.
    Sora lo guardò con rimprovero. «Che faccio allora? Sto qui a piangere sul mio spirito diviso?»
    Il ragazzo sospirò. «Vorrei che almeno il re non avesse distrutto Oathkeeper.»
    «Non l’ha fatto.» commentò Kairi. «Si è sbriciolata per colpa di Sora, nemmeno Topolino è tanto forte da rompere un keyblade.»
    Lui si alzò dirigendosi verso i bambini e lasciandoli lì, stanco di quelle discussioni che non servivano a niente; puntavano a farlo desistere, ma non ci sarebbero riuscite. Si sedette sul prato e chiese loro di prestargli alcuni dei pezzi di legno con cui stavano cercando di costruire delle spade.
    I suoi due amici continuarono ad osservarlo con apprensione. «Se sparisce mentre io sto pasticciando con la sua mente, sarà come se lo uccidessi.» sussurrò Kairi senza staccargli gli occhi di dosso, come se da un momento all’altro avrebbe potuto vederlo vaporizzarsi.
    Riku la guardò sospirando, ma non trovò niente da dire.
    Sora studiò il keyblade di legno che aveva costruito con un misto di nostalgia e rammarico.
    Aspettiamo. – propose Roxas. – Recuperi le forze, ti riprendi il tuo spazio…
    ‘E se fosse sempre stato il tuo?’

signori e signore, questo è il mio capitolo allegrotto.
si vede, eh?
mamma mia, che tristezza...
beh, come sempre aspetto i vostri giudizi...
baci

ps. cioè io non ho il coraggio di scrivere il prossimo...per carità!




   
   





Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


sora 2 mi sono ufficialmente rifiutata di scrivere questo capitolo durante le feste... era Natale, non volevo deprimermi...
ma visto che la Befana s'è portata via tutte le feste, ricominciamo con i kleenex...
dai non fatr quella faccia! questo capitolo era una morte annunciata!

Capitolo 13

Era questione di equilibrio.
    Schiena a schiena, seduti chissà dove e chissà come.
    Senza memoria di nessuno se non del ragazzo alle proprie spalle.
    Sora allungò la mano e strinse quella di Roxas. «Si sta bene qui, vero?» disse con un sorriso.
    E Roxas doveva ricordare, doveva sapere, doveva fare qualcosa, ma la sua mente galleggiava nella serenità perfetta di quel posto e non trovò niente altro da rispondere se non: «Si.»

Riku posò una mano sulla schiena di Kairi, aveva la testa appoggiata sul letto di Sora, gli occhi chiusi; erano al ricovero, fuori Cloud, Leon, Cid, Tifa e Yuffie controllavano che nessuno cercasse di irrompere all’interno, dentro non c’era altro da fare se non aspettare. Pregare. Sperare.
    «Posso fare qualcosa per te?»
    La ragazza si tirò su e si passò una mano sul viso. «Sveglialo.» disse solo, piano, come se avesse effettivamente paura di turbare il suo sonno.
    Riku sospirò. «Hai mangiato?» scrutò i segni scuri sotto gli occhi, segnali di insonnia e qualcos’altro.
    «Quanto tempo?»
    «Kairi, il tempo non conta…» tentò.
    «Quanto tempo?» lo interruppe decisa.
    Riku guardò il suo migliore amico addormentato, non riusciva ad impedirsi di sovrapporre quell’immagine ad un’altra di anni prima, quando Sora non era altro che un organismo incosciente dentro un’ampolla. Quando Kairi si ricordava a malapena di lui. Avrebbe voluto vederlo raccogliere un paio di ciottoli dalla spiaggia dell’Isola dei Bambini e sfidarlo a chi lo lanciasse più lontano; avrebbe voluto sbirciare i suoi occhi mentre rideva con Kairi, del tutto perso dentro la magia incredibile di Kairi; avrebbe voluto guardarli abbracciati, soffocare l’invidia ed ammettere quanto fossero carini. Avrebbe voluto prenderlo in giro ancora un po’. Sarebbe voluto tornare nel regno dell’Oscurità, persi, a chiacchierare tranquilli davanti a quel fiume – o lago, o mare – persi, ma insieme.
    Sospirò ancora. «Tre giorni.»

«Secondo te dove siamo?» domandò curioso Sora, guardandosi in giro.
    Roxas osservò il bordo della piattaforma rotonda dove si erano ritrovati. «Non saprei.» mormorò, doveva esserci un disegno sotto di loro, riusciva a riconoscerne alcune sezioni colorate e quella sembrava proprio una mano che impugnava… aggrottò le sopracciglia incerto, studiando quella che aveva tutta l’aria di essere una chiave gigante.
    «Credi che dovremmo andare da qualche parte?» continuò a chiedere.
    «Si…» disse in un sussurro confuso. Dovevano andare in un posto in cui erano già stati, quindi, dovevano… tornare. Girò poco il viso e si sporse per guardare quello dell’altro che si era fermato a fissare il buio in alto. «chi sono?» gli domandò.
    «Roxas.» rispose senza nemmeno pensarci.
    «E Roxas chi è?» continuò quello.
    «Parte di me…» distolse lo sguardo dall’oscurità in alto per studiarlo e si riscosse sussultando. «io sono qui per far uscire te.» disse in fretta, concitato, come se potesse dimenticarsi di quell’informazione fondamentale.
    «Da dove?» chiese allarmato Roxas, gli sembrava che fossero placidamente in pace da secoli e quell’improvviso scatto di agitazione lo turbava.
    Lo sguardo di Sora si fece vago, sperduto, ma comunque lucido. «Da me.»

Axel guardò il viso immobile di Roxas. Non era come lo aveva immaginato, grigio e spento, sembrava soltanto addormentato. Ma se l’avesse scrollato, anche con tutta la foga di cui era capace, non si sarebbe svegliato.
    Lanciò un’occhiata speculativa a Kairi, seduta in angolo della stanza, le ginocchia strette contro il petto, spettro di sé stessa. Era più piccola ogni giorno che passava. Accanto a lei c’era una coperta, poco più là un piatto di cibo smosso, non era affatto sicuro che avesse davvero mangiato qualcosa.
    «Quanto tempo?» chiese in un sussurro appena udibile.
    Axel tornò con gli occhi su Roxas e gli sfiorò con timore la punta delle dita, consistenti, vere, sue. ‘Svegliati.’ Supplicò dentro di sé.
    «Sei giorni.» sospirando fece alcuni passi verso di lei e le si accucciò davanti, Kairi non sembrò nemmeno accorgersene. «Non puoi stare ferma qui a lasciarti morire.» le disse piano, poi le afferrò un polso tirandola; la ragazza tentò debolmente di protestare, ma era come se ogni sua energia fosse scivolata via insieme a tutte le lacrime notturne. «Ora ti porto a mangiare da Aeris e tu mangerai, perché Aeris è una cuoca provetta e non si può sprecare quello che cucina.»
    Lei guardò lui, poi di nuovo Sora, combattuta.
    «Non vanno da nessuna parte e fuori c’è un esercito pronto a far fuori chiunque somigli vagamente ad una minaccia.»

Roxas si guardò la punta delle dita curioso, si sfiorò i polpastrelli con il pollice.
    «Fa male?» domandò Sora inutilmente preoccupato, niente poteva ferirli, lo sentiva, non lì.
    «No, è…» si interruppe e la sua mente venne invasa da miliardi di brividi. Le sue terminazioni nervose impazzirono, mandandogli ombre di ricordi della stessa identica sensazione, ma su tutto il corpo. Fissò gli occhi enormi e celesti in quelli di Sora. «caldo
    Per alcuni secondi entrambi rimasero in silenzio. «Forse sta toccando il tuo corpo.» ipotizzò Sora infine con un sorriso.
    «Il mio corpo?» si morse il labbro, sentiva le parole fiorirgli sulla lingua senza avere la più pallida idea di dove si formassero. «Io non ho un corpo.» mormorò realizzando con un momento di ritardo l’orrore di quella verità.
    «Caldo!» gridò Sora improvvisamente facendolo sobbalzare, si prese la testa tra le mani con un’espressione affranta sul viso. «Caldo è amore.» gemette e Roxas gli posò una mano sulla schiena in apprensione. «Un corpo ti serve, ti serve perché sei caldo.»
    «Ma io…» provò a ribattere.
    Sora lo interruppe prendendolo per le spalle. «Non puoi averlo dimenticato.» lo scosse leggermente. «Lo hai amato così tanto dalla mia mente da costringere anche me ad amarlo, siamo qui per lui.»
    «Lui chi?» chiese, sconvolto dalla memoria a pezzi di Sora, sembrava che i suoi ricordi riuscissero a palesarsi soltanto in risposta a delle parole chiavi, era inquietante.
    Sora si alzò in piedi sulla scia di quelle emozioni contrastanti e confuse e si guardò intorno. Sulla superficie sotto di loro erano disegnati un Roxas ed un Sora schiena a schiena, entrambi con in mano un keyblade.
    «Axel.»

Aeris fu ben lieta di averli come ospiti a pranzo, visto che non era una combattente e che di certo non sarebbe stata d’aiuto a sorvegliare il ricovero si occupava di rifocillare le truppe. La cucina, che, fino a pochi giorni prima, Kairi ricordava ordinata e pulita, era diventata un accumulo di cartocci e pentole.
    «Sarete costretti a mangiare senza tavolo.» si scusò con un sorriso. «Ed a fare finta che io ci sia…» continuò sollevando un paio di buste. «devo andare a consegnare il pranzo agli altri.»
    Kairi fece un sorriso debole e sconfortato, mentre lei usciva, poi affondò la forchetta in quello che sembrava sformato di… qualcosa, senza però dare l’impressione di voler davvero portare un boccone alla bocca.
    A differenza di Axel.
    «Devi mangiare per davvero.» le intimò, dopo aver deglutito.
    La ragazza sollevò il viso e lo guardò. «Come fai ad essere così tranquillo?» gli chiese.
    Axel posò piano la forchetta sul piatto, attento a non farla cadere. «Non posso fare niente.» confessò. «Cerco di ragionare, dovresti farlo anche tu.» le lanciò un’occhiata. «Se ti lasci morire pensi di riuscire a rivederlo?» le domandò a bruciapelo.
    Kairi scosse piano la testa, provando a seguire i suoi pensieri.
    «Allora, devi restare viva, perché, per quanto minime, ci sono più probabilità che tu riesca a rivederlo se sei viva.» Axel sorrise. «Era lo stesso ragionamento che facevo da Nobody in attesa di un cuore, sai? Attaccati alla vita più che vuoi, resta in vita il più tempo possibile.»
    Per alcuni secondi la ragazza rimase in silenzio, poi fece un sorriso e raccolse una forchettata di stufato. «Accidenti!» esclamò, coprendosi educatamente la bocca con la mano. «Aeris è brava davvero.»
    «Te l’ho detto.»
    Infondo, a lui il tempo aveva dato ragione.

Axel era caldo.
    Roxas trattenne il fiato fissando Sora, immobile nonostante il lavorio frenetico della sua mente ed il bussare insistente del suo cuore.
    Axel aveva i capelli di un colore impossibile, pettinati in modo da renderli ancora più improbabili.
    Axel aveva mani lunghissime, tutti le sue ossa erano lunghissime; era figlio di un gigante e del fuoco, perché non era soltanto caldo, era ustionante. Ti marchiava con gli occhi, troppo verdi, dal taglio troppo affilato. Ogni suo particolare era troppo ‘qualcosa’ eppure si armonizzava in modo perfetto al resto.
    Axel era una macchia di colore in mondo nato dal nero.
    Axel che lo cercava attraverso Sora, che toccava Sora per arrivare a lui.
    Gli serviva un corpo per poterlo toccare, baciare, guardare con i proprio occhi.
    Aveva una corpo e dovunque fosse doveva raggiungerlo, perché non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
    Roxas si alzò in piedi di scatto e guardò Sora che non aveva smesso di fissarlo dal basso. «Devo tornare da lui.» ed era come se fosse la sua volontà a dare ordini in quel mondo, si osservò le mani e strinse i pugni, erano vere, erano da qualche parte. «Anche tu devi tornare, Sora!» esclamò.
    Il ragazzo lo guardò. «Non lo so.» mormorò, lasciando che il suo sguardo vagasse per quel piccolo mondo circolare. «Forse starei meglio qui.» continuò con immenso orrore di Roxas. «Non ne sono sicuro, ma non credo di essermi mai sentito tanto in pace.»
    «Ma Riku e Kairi…» il resto gli morì sulle labbra davanti all’espressione curiosa di Sora.
    Piegò la testa di lato e fece una smorfia. «Chi?»

Roxas spalancò gli occhi di colpo e sobbalzò, facendo gridare Kairi per la sorpresa.
    «Axel.» fu la prima parola che disse, prima di tirarsi su a sedere e guardarsi intorno. Tutto gli sembrò troppo vivido, come se improvvisamente gli avessero tolto da davanti agli occhi un filtro che rendeva il mondo opaco. Gli avevano tolto Sora.
    Lo guardò immobile, ancora addormentato nel letto accanto a lui.
    «Roxas.» sussurrò Kairi.
    La guardò senza essere capace di dire niente, che avrebbe potuto dirle? Che il suo ragazzo, tra le milioni di cose che avrebbe potuto lasciare a Naminé, aveva scelto proprio lei ed il suo migliore amico? Che senza di loro non aveva niente di così forte a cui aggrapparsi per tornare? Che qualsiasi fosse stato il motivo per cui lo aveva fatto era stato l’errore più grave di tutta la sua giovane e travagliata vita?
    «Kairi.» disse solo, ma nei suoi occhi doveva esserci più coraggio che nelle sue parole, perché la ragazza scoppiò a piangere.
    Lo spostarono in un’altra stanza, Aeris lo abbracciò forte e Roxas pensò che non la conosceva praticamente, ma la strinse lo stesso anche se con la mente assente.
    Sora non si sarebbe mai svegliato.
    Lei e Leon lo visitarono, controllarono i suoi riflessi, che ogni sua giuntura si piegasse a dovere, che la sua mente fosse lucida. Controllarono che Kairi avesse fatto un buon lavoro nel costruire il suo corpo, anche se non serviva, Roxas sentiva che era perfetto… e lui le aveva portata via la cosa più importante della sua vita.
    Non gli lasciarono vedere Axel, continuavano a dirgli tutti che sarebbe potuto essere troppo scioccante, che era presto, che volevano essere sicuri della sua stabilità. Ma Sora aveva dato i suoi due ricordi più forti ed importanti per lui, era stabile come non era mai stato; e comunque, era per Axel che aveva voluto quel corpo, se non avesse retto lo shock tanto valeva tornare indietro. Osservò con attenzione la finestrella della sua stanza e sorrise.

Axel fissò Roxas, con la schiena premuta contro la porta come un animale braccato, e lo spazzolino da denti gli cadde dalla bocca.
    «Sono io.» gli disse con gli occhi sgranati e celesti, come quelli di Sora non erano mai stati.
    «Lo so.» rispose Axel.
    Sorrise e per anni l’uomo aveva creduto di essere in grado di gestire milioni di crisi, nemici, situazioni impossibile, ma si rese conto di non riuscire a gestire il proprio ragazzo nella sua casa. Realizzò che non si era mai concesso la possibilità di sperare davvero nella riuscita di quel piano. Rimase immobile ad osservarlo, come uno spettro, una visione, un sogno; era vestito da ragazzo normale, anche se sembravano abiti troppo grandi per lui e… era vero.
    «Non mi hanno avvertito che… sarei venuto.» si giustificò Axel pulendosi la bocca con il dorso della mano ed ingoiando il dentifricio.
    «Non volevano che ci vedessimo, hanno paura che… non sia pronto.» disse Roxas avvicinandosi a lui, senza esitazione, senza paura, come se fosse passato soltanto un giorno dall’ultima volta che aveva avuto un corpo.
    «Credi di non essere pronto?» gli domando Axel immediatamente, ma passandogli una mano tra i capelli biondissimi e tirandoli leggermente; era più alto, era cresciuto anche attraverso Sora.
    «Credo di esserlo sempre stato.» disse mettendo fine a quel discorso e premendo il proprio corpo contro quello di lui. Incastrò il viso nella curva del suo collo, la guancia, sulla sua pelle rovente, percepiva il bussare lento e regolare del cuore che pompava sangue nelle vene; lasciò andare un sospiro ed Axel chinò il viso verso di lui, mentre le sue mani percorrevano le sue braccia, sfioravano le sue spalle, le sue dita premevano sulle scapole. Percepiva i suoi pugni stretti alla sua maglietta, sentiva ogni minimo movimento del suo corpo, amplificato mille volte dalla mancanza, da tutto quel tempo, da tutte le notti nel letto ad occhi chiusi a ripercorrere ogni istante, ogni momento passato insieme a The World That Never Was.
    Quando lo baciò, umido, intenso, profondo, talmente e concretamente reale da togliergli il fiato, Axel sentì scivolargli in gola, come una sostanza densa e viscosa, l’essenza vera di Roxas, quella che Sora non aveva mai avuto. Quel Roxas che giorni, mesi, anni prima, gli aveva sussurrato nella propria stanza, con voce incredibilmente salda tra le lacrime ‘Mi sei mancato molto più di un bacio’. Quel Roxas che pretendeva che lui lo prendesse. Quel Roxas che sorrideva dolcemente a Xion, poi, fingendo noncuranza, leccava tutto un ghiacciolo al sale marino per leggere la reazione di Axel. Quel Roxas che gli era mancato così tanto… da fargli dimenticare tutto il resto.
    Però non riuscì a trattenersi.
    Schivò la sua bocca e lo guardò negli occhi. «E Sora?» aveva fatto una promessa, doveva sapere se era necessario che la mantenesse.
    «Ha fatto uscire me…» mormorò ad occhi bassi, mentre l’eccitazione scemava per lasciare il posto alla tristezza; gli dispiaceva, ma, infondo, Roxas era anche quello. «ora non ha niente che lo riporti qui.»
    ‘È tutta colpa mia.’
    Non lo disse, ma Axel lo sentì lo stesso. Lo abbracciò teneramente e lui appoggiò la fronte contro il suo petto. «Tornerà.»
    «Posso restare?» gli chiese improvvisamente fragile.
    Axel scoppiò a ridere della sua follia, insomma dieci secondi prima avevano imboccato una strada che inevitabilmente avrebbe comportato la permanenza a casa sua e non è che gli avesse chiesto il permesso.
    «Che c’è?» gli domandò indispettito.
    «Niente.» disse scuotendo la testa. «Muoviti, a dormire.»
    Roxas si lasciò cadere a peso morto sul letto di Axel, poi gattonò fino a raggiungere il bordo delle coperte e ci si infilò dentro. L’uomo lo raggiunse stendendosi alle sue spalle, molto meno vicino di quanto avrebbe voluto, tanto per scoprire cosa volesse lui.
    «Mi manca.» sussurrò con la voce soffice di chi sta per addormentarsi.
    Axel allungò una mano e gliela posò al centro della schiena. «Lo so.»

La mattina dopo si svegliò prima di Roxas, per alcuni secondi continuò ad osservarlo, arrotolato nelle sue coperte ancora vestito. In realtà Axel non aveva dormito molto, non era riuscito, soprattutto perché il suo compagno di letto aveva continuato a mormorare il nome di Sora nel sonno.
    Gli lasciò un biglietto attaccato al frigorifero, tanto per non farlo preoccupare della sua assenza: doveva mantenere una promessa.
    Kairi era sempre nella stanza di Sora, ma stava mille volte peggio. Era come se il risveglio di Roxas avesse messo un punto definitivo alle sue speranze. Vide come guardava il ragazzo addormentato, come Axel si era immaginato guardare una bara scoperchiata.
    Lo fissò, la furia nascosta dietro una maschera di dolore. «Contento?»
    L’uomo scosse la testa e trascinò una sedia fino a sistemarla accanto a lei. Per un attimo provò uno strano timore, una specie di riverenziale rispetto, poi se ne dimenticò; le passò un braccio intorno alle spalle, l’altro sotto le ginocchia e se la portò in braccio. Lei si rannicchiò contro di lui, una bambina terrorizzata da un incubo, una donna consapevole di non potersi svegliare perché non si trovava in un incubo, ma era la realtà.
    La tenne stretta fissando il corpo vuoto come un guscio di Sora, pregando che si svegliasse, finché Riku non si offrì di dargli il cambio.

eravate state avverite...
sigh...Soooooraaaa....sigh!
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


sora 2 questo capitolo mi piace proprio tanto...
a parte il fatto che la piantiamo con tutti quei capitoletti spezzettati che, ok, che non mi veniva in mente nessun modo per scrivere tutte quelle cose che avevo intenzione di scrivere, ma non se ne poteva più!
questo è denso, lineare, si parla di Axel e Roxas... insomma, ha tutte le carte in regola per essere nel mio cuore...
poi io sono la scrittrice, gli voglio bene per contratto... giudicate voi!

Capitolo 14

Un ‘toc,toc’ familiare e strano allo stesso tempo lo fece svegliare. Roxas si tirò su e si guardò intorno spaesato, toccandosi in modo compulsivo addosso per essere sicuro di essere ancora lì; era ancora lì, tra le lenzuola fresche e profumate di Axel, ma, con suo sommo dispiacere, di Axel non c’era traccia.
    Qualcuno bussò ancora e lui rotolò giù dal letto, inciampando nelle proprie scarpe e finendo a terra. Cielo, era un disastro, sembrava un bambino imbranato, altro che chiave del destino.
    Si fermò improvvisamente in piedi al centro della camera, ignorando chiunque lo stesse aspettando fuori: era ancora la chiave del destino? Si studiò il palmo, concentrato a cercare qualche segno sulle sue mani; aveva ancora i calli alla base delle dita, i calli di Sora e, quindi, anche suoi.
    Scoprì di non volerlo sapere, non ancora.
    Raggiunse la porta e, durante il tragitto, sperò che fosse Axel, anche se temeva che si trattasse di Leon o Aeris che lo avrebbero sgridato perché era fuggito. Quasi, quasi gli mancava il disinteresse per i cavoli suoi dell’Organizzazione; senza missioni impellenti, lui ed Axel si erano fatti giornate interminabili di sesso e nessuno era mai venuto a rompere. A parte Xion, qualche volta, ma perché era ingenua ed era l’unica a non aver capito le dinamiche del loro rapporto di ‘amicizia’.
    Era Riku.
    «Ciao.»
    Roxas rimase in silenzio fissandolo, poi l’istinto gli suggerì di stare attento: i suoi incontri con Riku non erano mai stati esattamente amichevoli. Fece un passo indietro, pronto a prevedere ogni sua eventuale mossa.
    Ma lui allargò le braccia per mostrargli che era disarmato e che non aveva intenzione di armarsi. «Non voglio farti del male.» lo tranquillizzò.
    Roxas rise e si rilassò. «Non puoi, l’ultima volta hai barato ed ora non puoi più farlo.» rise di più, valeva la pena avere una voce propria per ricordargli come erano davvero andate le cose. Riku non era il più forte, probabilmente non lo era nemmeno contro Sora, solo che lui gli voleva bene e non si impegnava mai davvero. Era stato nella sua testa, lo sapeva.
    Lo vide trattenere un risposta velenosa. «Voglio notizie di Sora, tu sai perché non si sveglia, vero?»
    Abbassò lo sguardo, se il prezzo da pagare era Sora, forse non ne valeva così tanto la pena. «Entra.» si scostò dalla porta. «Ti conviene sederti.»
    Gli raccontò tutto, soltanto perché era il migliore amico di Sora e perché se quello rimasto di là fosse stato lui, sapeva che avrebbe affrontato ogni possibile – e probabile – scatto d’ira di Axel, ma gli avrebbe raccontato la verità.
    «Il ricordo di Axel mi ha portato qui. Se lui non ricorda né te, né Kairi non so proprio come possa fare.»
    ‘Casa è dove è Kairi’, quante volte lo aveva ripetuto?
    Riku chiuse gli occhi ed appoggiò la fronte sul tavolo, i capelli gli scivolarono addosso nascondendo il suo viso ed ogni suo dolore. «Ho tentato di ucciderlo, credo bene che abbia voluto dimenticarmi, ma Kairi…»
    «Non l’ha fatto per quello.» allungò una mano e gliela appoggiò sulla schiena. «Lui ti voleva davvero bene e ti aveva davvero perdonato, lo ha fatto perché voleva che fossi stabile, siete il ricordo più forte che ha!»
    Lui non si mosse.
    «Se dico a Kairi che Sora ha barattato lei per il tuo corpo morirà di dolore.» mormorò ancora, la voce ovattata da quella posizione.
    Roxas chiuse gli occhi. «Non dirglielo.» sentì Riku muoversi e tirarsi su, aprì gli occhi per fissare i suoi verdissimi, ma non verdi come quelli di Axel. «Portala a casa, dille che tornerai a controllare e che comunque, se ci fossero novità, vi contatterei.»
    «Vuoi che menta a Kairi?» gli domandò ad occhi sgranati.
    Lui ruotò gli occhi al cielo esasperato. «Non per mettere il dito nella piaga, ma hai fatto di peggio.»
    «Ma mentire a Kairi.» ripeté sconvolto.
    «Adesso è l’unica cosa da fare, se non te la senti ci parlo io.» disse deciso.
    Per alcuni secondi si fissarono e basta, poi Riku annuì. «No, lo faccio io.»
    «D’accordo.» sospirò.
    Lo guardò alzarsi, sconfitto, ed avvicinarsi alla porta. Si fermò con una mano sul pomello, senza guardarlo. «Ascoltalo, Roxas.»
    «Nh?» sbottò con sguardo interrogativo.
    «Lui ti ha tenuto in vita ascoltandoti, forse devi soltanto ascoltare.»
    Roxas annuì. «Lo farò.»

Quando Axel tornò a casa, dopo che Riku gli aveva chiesto di lasciarlo solo con Kairi, trovò Roxas rannicchiato tra il comodino ed il muro della camera da letto in compagnia di Oblivion. Gli si accucciò vicino e lo osservò, inizialmente non si mosse né parlo, poi: «Riku è stato qui.» gli spiegò continuando a non guardarlo.
    «Lo so.» annuì. «Mi aveva chiesto di badare a Kairi per venirti a parlare.» aspettò che l’altro aggiungesse qualcosa, senza risultato. «Aeris e Leon sono agitatissimi perché non sanno dove sei e come stai.»
    «Sto bene.» disse seguendo l’asta di Oblivion con le dita, dal manico alla punta.
    «Davvero?»
    Gli allungò un braccio. «Tocca. È tutto apposto.» bofonchiò.
    Axel non lo sfiorò, indispettito dalla sua glacialità, ma non si lasciò neanche allontanare; nonostante i suoi tentativi di essere scorbutico con lui, sapeva che era con sé stesso che ce l’aveva. «Non è colpa tua.» cercò di consolarlo e, anche se non avrebbe voluto, rimpianse il Roxas che gli si strusciava addosso la sera prima.
    Lasciò andare una mezza risata. «Ah, no?» gli domandò lanciandogli un’occhiata derisoria.
    «Non l’hai obbligato.»
    «E invece si!» gridò fuori di sé, lasciando che Oblivion scomparisse. «L’ho portato qui, l’ho costretto a baciarti, l’ho costretto a litigare con Kairi e con Riku, l’ho costretto a combattere contro i suoi migliori amici.» si mise le mani tra i capelli. «L’ho pungolato, infastidito, stuzzicato così a lungo da esasperarlo, da fargli perdere sé stesso. Io l’ho obbligato.» balzò in piedi talmente in fretta che Axel perse l’equilibrio – al quale, comunque, non era così attento – e finì seduto per terra.
    Axel era un tipo stranamente paziente e razionale, quindi mantenne il sangue freddo, nonostante avesse voglia di dargli una manata; riusciva quasi a vederla, la psiche autonoma di Roxas, cercare in tutta fretta di prendere possesso del proprio nuovo corpo, di tutte le emozione che non si preoccupava da tempo di gestire, perché filtrate da Sora. Sospirò appoggiando le braccia dietro di lui per puntellarsi, fissandolo da sotto in su in attesa. Non fece domande, lo conosceva abbastanza da sapere che l’avrebbero soltanto spinto a diventare più ingestibile.
    La migliore difesa che aveva Roxas contro ogni problema, contro ogni dolore, era la solitudine. Quindi si limitò a guardarlo uscire da casa sua sbattendo la porta, sperando che tornasse e di non trovare da qualche parte, in una busta, un bastoncino del ghiacciolo con scritto ‘Hai vinto’.

Tifa lo guardò sorridendo con un sacchetto in mano. Stranamente quel giorno raccogliere cose già distrutte o frantumare cose ancora non abbastanza distrutte, gli andava decisamente a genio. Roxas era sempre stato un concentrato di confusione, con il tempo ci si era anche abituato ed il suo autocontrollo e la sua innata calma, bilanciavano i suoi sbalzi di umore. Solo che anni senza averlo intorno glieli avevano fatti dimenticare.
    Perciò guardò Tifa, guardò una bella ragazza, sicuramente femminile e prosperosa, considerando l’idea di tornare ad occuparsi di donne. Era stato a letto con Larxene, sapeva cosa fare e come funzionava.
    «Come è andata la nottata?» le domandò lei quando fu abbastanza vicino.
    Axel si tirò indietro i capelli. «La nottata bene. Poi si è svegliato.»
    La ragazza rise e sollevò il sacchetto che aveva in mano per mostrarglielo. «Ti ho portato il pranzo.»
    «Anche a me?» si mise in mezzo Isa.
    Axel la guardò chiedendosi se avesse davvero accettato l’idea di frequentare degli ex Nobody, o se era gentile con lui soltanto per empatia. Tifa lo studiò con i suoi occhi rossi ed improbabili. «Riusciremo a dividere tutto in tre porzioni.» acconsentì infine.

«Ce l’hai fatta.»
    Roxas si girò frugando con gli occhi tutto il giardino interno, stranamente deserto, e strinse il pugno afferrando l’elsa di Oblivion. Finalmente lo vide, era Even, appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto. «Ho sempre saputo che scommettere su Xion non era la cosa giusta da fare. Sei sempre stato tu a condurre il gioco.»
    Un gioco. Xion era morta tra le sue braccia, Roxas era stato intrappolato nel cuore di Sora, che aveva visto morire Axel per salvare il proprio riflesso negli occhi di lui, che poi era rimasto intrappolato nell’oblio. E lui definiva quel massacro un gioco.
    «Tu sai perché non si sveglia, vero?» gli chiese conoscendo già la risposta.
    «Mi sembra evidente.» allungò una mano e Roxas si trovò circondato da un gruppo di Simili.
    «N-non…» deglutì guardandoli con orrore, quell’incubo sarebbe dovuto essere finito. «non è possibile.»
    Even rise. «Certo che no, sono soltanto delle copie. Dei giocattoli da allenamento, vediamo se ti ricordi come si fa.»
    Strinse più forte Oblivion fissandolo, solo un gruppo di copie di Simili, poi finalmente avrebbe potuto occuparsi di lui. Un ‘giocattolo’ – come li definiva lui – lo attaccò, stranamente diretto per trattarsi di uno di loro, ed il ragazzo non ebbe problemi a colpirlo e distruggerlo. Fece lo stesso con il secondo.
    Era troppo semplice, mentre schivava un tentativo incredibilmente maldestro di ferirlo, lanciò un’occhiata curiosa ad Even; se intendeva metterlo in difficoltà, per un qualche motivo, avrebbe dovuto impegnarsi di più. A Twilight Town quei mostriciattoli li aveva colpiti anche con una mazza da struggle; ora che aveva i suoi keyblade di certo non gli facevano paura.
    Studiò gli ultimi due pronti per assalirlo ancora, colpì il più vicino immediatamente, poi saltò all’indietro per sorprendere alle spalle l’altro e finirlo.
    Solo a quel punto realizzò. Nella mano destra c’era Oblivion, come era sempre stata, nella sinistra Oathkeeper era lucente.
    Even rise. «Capisci ora?» disse avvicinandosi e sfiorando la chiave di Sora che incredibilmente aveva risposto al suo richiamo. «Ora tu sei quello che Sora è stato. Per uno di voi che resta, l’altro se ne va.» Roxas sollevò il viso e lo guardò spaventato. «Non c’è modo perché possiate coesistere.» disse fissandolo, gli premette le dita al centro del torace. «Quello che ti batte nel petto, è il cuore del keyblade master.»
   
Si sedette su una sedia e lo guardò, non lo aveva mai guardato di persona, perché non erano mai stati faccia a faccia. Avrebbe voluto ridere con lui, giocare, parlare; il brutto di essere rimasto così tanto dentro di lui era che tra loro si era formato un contatto speciale. Sora era l’unico che lo sentiva, l’unico con cui parlava e – perché no? – anche l’unico con cui litigava. Per anni Sora era stato la sola persona a sapere che esisteva e, ascoltandolo e rispondendogli, l’unico a garantire la sua esistenza.
    Gli aveva dato i limiti di un cuore, di una coscienza, l’aveva fatto a tavolino, sconvolto da tutte le idea contrastanti che gli passavano per la testa: ‘Axel nudo è un sogno tuo, Kairi che mi fa lo streaptese riguarda me’; ‘la rabbia indimenticabile per Riku, per come ti ha ingannato ed imprigionato è tua, l’affetto e la tristezza per un rapporto che si sfalda sempre di più, miei’. E così via, pensieri che gli dicevano chi era.
    Per assurdo, avere un corpo, ma non avere Sora non bastava a dirgli chi era.
    «Devi trovare il modo di tornare. Qui è un casino.» mormorò prendendogli una mano. «Mi hai scaricato tutti i tuoi problemi, non è mica giusto, sai?» la pelle di Sora era abbronzata e scura, quella di Roxas pallidissima, eppure in quel momento era lui quello più caldo. Lo guardò aspettandosi davvero, che potesse dire qualcosa, poi lasciò cadere la testa sul suo materasso.
    Si leccò le labbra, bagnate e salate, e si diede dello stupido per aver parlato in quel modo ad Axel, quando era tanto evidente che avesse bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi.
    «Puoi aggrapparti a me…» Roxas sollevò il viso di scatto. «io mi aggrapperò a te, giusto per un secondo.»
    «Io…» era una figura sbiadita e poco distinta, tra le lacrime che gli velavano gli occhi, ma non era la vista a suggerirgli il suo nome. ‘Insultami, uccidimi, odiami.’ «m-mi dispiace.»
    Kairi si avvicinò si fermò davanti a lui, appoggiata al letto di Sora, tra le sue ginocchia. Frugò nella tracolla che portava appesa alla spalla fino ad estrarne un fazzoletto, poi gli prese il mento delicatamente con le dita, tenendogli il viso sollevato. «Ho visto un sacco di cose frugando nei vostri cuori…» sussurrò piano, asciugandogli gli occhi, poi le guance. «ho visto quanto eri preoccupato per Sora…» gli scostò i capelli dal viso, con dolcezza e Roxas pensò razionalmente e lucidamente che capiva Sora, capiva Riku e chiunque altro si fosse innamorato di lei: se gli fossero piaciute le ragazze anche lui l’avrebbe adorata. «ho visto quanto ami lui.»
    «Axel.»
    Annuì. «So che vuoi veramente bene a Sora, almeno quanto lui ne vuole a te.»
    Roxas gli lanciò un’occhiata. «Forse è stato il mio unico vero amico.»
    «Forse.» convenne. «Ma penso che si tratti di qualcosa di più.» seguì il contorno delle sue labbra umide con un dito, per poi tamponargli con il fazzoletto anche quelle. «Non lo abbandonerai, vero? Quando me ne sarò andata.» qualcosa si incrinò appena nei suoi occhi, la paura di un rifiuto, come se chiunque avrebbe mai potuto negarle qualcosa.
    «No, certo che no.» la tranquillizzò in fretta.
    «D’accordo.» si abbassò su di lui fino a posargli un bacio sulla fronte. «Aspetto tue notizie.» gli disse prima di andarsene.

Roxas rientrò tardissimo. Axel era già nel letto sveglio ed attento: lo sentì chiudere piano la porta, lo sentì lasciare le scarpe, lo sentì sospirare, lo sentì sedersi sulle coperte; ma non fece niente. Rimase immobile nel suo letto con gli occhi aperti fissi su di lui.
    Lo sentì scostare le lenzuola ed infilarsi sotto, rannicchiandosi nell’angolo più lontano da quello dell’uomo. «Lo so che sei sveglio.»
    Fece un mezzo sorriso invisibile nell’oscurità.
    «Kairi e Riku se ne sono andati. Sono voluto rimanere un po’ con lui.» spiegò piano, si fermò, ma Axel intuì che si trattasse di una pausa, non di una vera interruzione. «Even mi ha attaccato…» l’uomo si irrigidì. «cioè, non lui, ha usato delle copie di Simili.»
    «Stai bene?» gli chiese, avrebbe dovuto uccidere di nuovo Vexen, era fastidioso che, per quanto ti impegnassi a far fuori qualcuno, c’erano sempre quei due o tre che tornavano.
    «Certo.» mormorò quasi indispettito che non lo ritenesse in grado di sconfiggere un mazzo di Simili. «Devo farti vedere una cosa, però non devi dirlo a nessuno, perché…» sospirò esasperato. «non lo so perché, ma preferisco che non si sappia.»
    Axel si tirò su ed accese la lampada accanto a letto, anche Roxas si mise a sedere, fece un profondo respiro, tremolante ed impaurito. «D’accordo.» lo tranquillizzò, infondo, lui era sempre stato piuttosto bravo a mantenere i segreti.
    Il ragazzo allungò una mano davanti a lui, la sinistra ed Axel capì cosa voleva mostrargli ancora prima che Oathkeeper gli comparisse nel palmo. Roxas lo fissò ad occhi sgranati. «Gli ho rubato tutto.»
    L’uomo sospirò senza sapere cosa dire. Certo, il fatto che fosse lui ad impugnare la chiave che era esclusivamente di Sora, costruita per Sora, non era un buon segno. Gli si avvicinò e si allungò per togliergliela di mano, ovviamente, senza più il contatto con il suo possessore, scomparve. «Non deve essere per forza così.» cercò di tranquillizzarlo, mentre lui continuava a stare ad occhi bassi. «Sora non era più il prescelto del keyblade, eppure era vivo, non è la chiave il motivo per cui non si sveglia.»
    «Non ha più il keyblade, non ha più i ricordi dei suoi amici più cari… non c’è niente che possa guidarlo!» esclamò stravolto.
    «Guidalo tu.» fu la semplice risposta di Axel. «Gli vuoi bene, si ricorda di te, ti vuole bene. Puoi essere tu.»

Roxas guardò il cielo, che brillava di stelle sopra a Radiant Garden. C’era il cuore di Sora lì da qualche parte, era smarrito, debole e solo, ma c’era e questo era l’importante.
    Chiuse gli occhi, dimenticò tutto, concentrandosi unicamente sul proprio battito regolare per estraniare ogni altro rumore, poi lasciò indietro anche quello. Sollevò il viso offrendo al loro legame un visione più totale di tutto quello che era lassù.
    ‘Ehi, mi senti?’

Il suo cuore iniziò a galoppare, poi Sora spalancò gli occhi. ‘Roxas’ fu la prima parola che disse.

oh! abbiamo resuscitato anche lui...
ancora non vi spiego l'inghippo, però vi assicuro che c'è e prima o poi lo scopriremo...
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


sora 3 finalmente!
sorvoliamo sul fatto che sono in ritardissimo, sennò dovrei di nuovo chiedervi infinite scuse e sta diventando una triste abitudine che non voglio avere - anche se dovrei scusarmi...
cmq, vi dico subito, subito che per un po' starò più tranquilla, quindi spero di avere più tempo per scrivere ed aggiornare...
buona lettura...

Capitolo 15

A Riku bastò un’occhiata per capire che qualcosa non andava, che quello era Sora, con i suoi capelli, i suoi occhi, le sue mani e le sue gambe, ma che, allo stesso tempo, non lo era e forse non lo sarebbe stato mai più.
    La cosa incredibile fu che gli bastò un’occhiata a Roxas per rendersene conto. Un’occhiata a quell’impostore con il suo viso che non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia e rivendicare la sua colpa, come se avesse potuto credere che non si fosse accorto del suo arrivo. Sora invece non lo aveva notato davvero, perché per lui in quel momento non era diverso dagli altri estranei che riempivano la stanza. Riku li sentì bisbigliare, tutti a raccontarsi che era confuso, che quello che aveva passato gli aveva scombussolato cuore e mente, che sicuramente con un po’ di tempo e l’aiuto dei suoi amici avrebbe ricordato tutto.
    Solo Roxas continuava a guardare il suo volto inconsapevole con un misto di frustrazione e scoraggiamento, la voglia di fare qualcosa per aiutarlo gli si leggeva negli occhi; la certezza di non poter fare assolutamente niente, anche.
    E poi la sua voce a dare forma ad ogni inquietudine. «Chi è lui?»
    Roxas chiuse gli occhi, Riku non rispose. Che avrebbe potuto dire? Il tuo migliore amico, quello per cui hai girato tutti i mondi, quello per cui sei diventato l’eroe del keyblade, quello che ha cercato di ucciderti dieci volte e che ti ha chiesto scusa per sette.
    «Ciao.» aveva detto soltanto, fissando Roxas che ancora non trovava il coraggio di alzare gli occhi su di lui. «Mi chiamo Riku.» e poi, mentre si avvicinava, la mano tesa per stringere la sua: «Sono contento di conoscerti.»
    Di nuovo.

«Che hai detto a Kairi?» gli chiese Roxas una volta soli. Nessuno dei presenti al capezzale di Sora era stato abbastanza impavido da pronunciare quel nome, come se lei fosse un segreto.
    Riku prese un respiro profondo come l’oceano, cercando di trovare un po’ di lucidità, invano. Quello che era successo prima di arrivare lì era un concetto troppo astratto: niente riusciva ad essere reale quanto lo sguardo vago di Sora che gli chiedeva chi era. «Non lo so.»
    «Che significa ‘non lo so’?» aveva ribattuto infastidito. «Qualcosa devi averle detto.»
    In realtà no, era soltanto scappato. Non voleva mentirle, ma non voleva nemmeno trascinarla a Radiant Garden senza sapere di persona che la situazione si era risolta, che poteva tornare ad essere la principessa di Sora, che quell’avventura aveva avuto un lieto fine. A quel punto sapeva di aver fatto bene.
    «Non le dirò che si è svegliato.» disse fissandolo negli occhi.
    Il suo migliore amico, forse l’unico, vero amico che aveva mai avuto non si ricordava di lui.
    «Cosa?!» domandò Roxas incredulo. «Tu devi farlo!»
    Scosse la testa, tenendosi una mano sulla fronte, sostituendo la propria personale delusione con il dolore che avrebbe provato Kairi: il dolore di Kairi era più importante.
    «No, non devo.» era sicuro, per quanto sembrasse assurdo, che anche Sora l’avrebbe pensata come lui.
    «Oh, capisco…» aveva annuito con enfasi. «Ora che il tuo rivale numero uno non è in grado di farsi rispettare hai intenzione di approfittarne per…»
    Lo sbatté con la schiena al muro senza sapere prima che potesse finire di dar voce ad un'accusa tanto orribile, il corpo liscio e lungo del keyblade contro la sua gola; Roxas deglutì sotto i suoi occhi di ghiaccio. «Kairi sta con Sora.» gli sibilò arrabbiato. Il suo migliore amico, forse l’unico, vero amico che avesse mai avuto non si ricordava di lui ed era tutta colpa sua. «Ed io non la toccherei nemmeno con il pensiero.» spinse più forte la chiave sotto il suo mento.
    Per Roxas stringere i pugni fu quasi un riflesso involontario.
    Riku studiò con amarezza Oathkeeper nel suo palmo lucida e luminosa, talmente diversa da Oblivion. «Non sono io ad avergli rubato qualcosa che gli appartiene.» disse lasciandolo e dirigendosi verso la stanza di Sora.
    «Devi riportarlo a casa!» gli urlò dietro Roxas tremante, ma non di paura.
    «Lo farò.» disse Riku piano, senza voltarsi. «Quando ricorderà dov’è casa.»
    Rientrò nella camera e trovò Aeris che gli raccontava la storia di Radiant Garden, mentre gli porgeva un fagotto con del cibo; gli stava parlando dell’incidente che aveva portato alla creazione dei Nobody, doveva ricordare, come poteva non farlo? Ma non c’era segno di coscienza nei suoi occhi, la ascoltava con grande interesse, non avrebbe dimenticato una sola parola di quello che stava dicendo. Eppure non avrebbe mai saputo il ruolo fondamentale che aveva avuto in quella vicenda.
    E se avesse scelto lucidamente di dimenticare tutto? Quale persona avrebbe voluto certi ricordi. Non metteva ovviamente in dubbio che volesse scordarsi anche di Kairi, ma lei sarebbe potuta essere soltanto un errore commesso nel strappargli via anni di guerre dal cuore. Non sapeva cosa avrebbe dato per poter parlare con Naminé.
    «Io me ne vado.»
    Sora aveva distolto l’attenzione da Aeris per guardarlo con un panino in mano. «Non abiti qui?» gli chiese candidamente.
    Avrebbe voluto rispondergli che non ci abitava nemmeno lui, che casa sua era dov’era Kairi e Kairi era alle Isole del Destino, ma si limitò a scuotere la testa. «No.»
    «Tornerai a trovarmi?» aveva occhi enormi e sperduti e… era pur sempre Sora.
    «Si.» acconsentì con un sorriso. «Verrò presto.»
    Lui si strinse nelle spalle. «Magari diventiamo amici.»
    Riku scosse la testa deglutendo. «Magari.»

Kairi lo trovò seduto sul tronco dove in genere stavano in tre, dove non sarebbero mai potuti essere in due.
    «Ehi, ti ho cercato per tutto il giorno.»
    Non la guardò, non voleva vederla e pensare quanto fosse bella, sarebbe stato come dar ragione a Roxas. Si ripeté per la milionesima volta perché non volesse raccontare a Kairi che Sora era sveglio, senza memoria, senza ricordi, senza di lei, ma sveglio: non lo avrebbe mai perdonato. Aveva fatto in modo che potesse scegliere quali ricordi lasciar andare proprio per evitare di perderlo, si era impegnata per dargli la possibilità di non dover rischiare lei e nonostante tutto, lui l’aveva scambiata con un corpo per quell’impostore.
    «Sono andato a Radiant Garden.» le confessò, una mezza verità.
    Per alcuni secondi rimase in silenzio.
    «Non avresti dovuto andare da solo.» disse gentile. «Avrei potuto accompagnarti.»
    Stava meglio, averlo lontano, non essere costretta ad avere davanti agli occhi la sua condizione, le faceva bene.
    Aveva ripreso a mangiare, passava molto tempo a casa dei genitori di Sora, cercando di consolare loro, mentre loro cercavano di consolare lei. Riku però sapeva anche che ogni notte prendeva la barca ed andava all’Isola dei Bambini; avvolta in una coperta, dormiva sotto il disegno che lei e Sora avevano fatto anni prima. Lo sapeva perché una volta suo padre lo aveva chiamato disperato: Kairi non era nel suo letto, poteva aver fatto qualche sciocchezza. Invece era soltanto nel posto dove sentiva più vicino il suo cuore.

«Ma sei pazzo!» gridò Roxas, trovando finalmente Sora.
    Quando Aeris gli aveva detto che era sparito, aveva avuto un attacco di panico, di quelli che non aveva da quando aveva distrutto i macchinari che tenevano insieme la Twilight Town fasulla. Aveva avuto un attacco di panico, perché, vista la memoria bucata di Sora, tutti correvano da lui quando c’era un problema, tutti contavano su di lui perché prendesse quelle decisioni di cui nessuno voleva farsi carico.
    Ed Axel non era lì.
    Roxas non era Sora, avrebbe voluto gridarlo così forte che l’eco si sarebbe estesa per tutti i mondi.
    E mentre lui impazziva, dove era il prescelto dal keyblade?!
    In una casetta mezzo distrutta.
    «Io mi sono preoccupato, non sapevo dove fossi, pensavo che ti avessero rapito, credevo che…» si bloccò, Sora non stava ascoltando niente di quello che stava sbraitando. Era seduto a gambe incrociate per terra, puntellato sulle braccia, e guardava un vaso di fiori incredibilmente freschi nonostante la rovina dell’abitazione. Sembravano quasi la rosa che la Bestia teneva sotto chiave come il più prezioso dei suoi tesori.
    «Non volevo farti preoccupare, ma qui…» si interruppe non riuscendo a spiegare. «tu non senti?» gli chiese lanciandogli un’occhiata.
    Roxas sospirò esasperato. «Cosa?»
    Scrollò le spalle. «Non so, è che…» lo vide chiudere gli occhi. «c’è tanta luce.»
    Continuò ad osservarlo perplesso; aveva fatto perdere la ragione al keyblade master per eccellenza, fantastico. Quella casa diroccata doveva essere rimasta chiusa e disabitata dall’incidente, era tutto polveroso, le finestre erano sbarrate da tavole incrociate: luce, era l’ultima parola al mondo che si sarebbe sognato di affiancare a quel posto.
    Sospirò. «Devo riportarti al ricovero.»
    «Non ci voglio andare.»
    «Perché?»
    Sora si alzò lentamente e lo guardò titubante. «Sono addormentati per colpa mia.»
    Per alcuni secondi Roxas non poté fare altro se non fissarlo ad occhi sgranati.
    «Tu ricordi?!» chiese incredulo.
    Ma lui scosse la testa. «Però lo so.» intrecciò le dita dietro la testa e fece un giro su sé stesso guardandosi intorno. «Posso stare qui?»
    Roxas non sentì la luce, ma qualcosa gli suggerì che quello era proprio il posto dove Sora sarebbe dovuto stare, anche se non ne conosceva la ragione.
    «Temo di no.» disse dispiaciuto, posando una mano sullo stipite graffiato della porta. «Potrebbe caderti in testa il soffitto.» sospirò ancora, lanciandogli un’occhiata. Si sentiva più calmo ora, e non solo perché lo aveva ritrovato; Sora continuava ad essere il suo contatto con un mondo dal quale lui era stato esiliato per troppo tempo, gli serviva averlo vicino. «Però puoi venire a casa di Axel con me…» si strinse nelle spalle. «non credo che impazzirà di gioia all’idea di avere tanti coinquilini, ma riusciremo a convincerlo.» quando alzò di nuovo gli occhi su Sora, lui stava sorridendo.
    «Sono contento che vi siate ricongiunti.» disse dirigendosi verso la porta per uscire di lì. «Almeno è servito a qualcosa…»
    «Co…» fece per chiedere Roxas quando realizzò che Sora ricordava lui, Axel, l’Organizzazione e di averlo avuto nel suo cuore. Lo rincorse, quando era già uscito nel giardino interno.
    Se avesse guardato con più attenzione avrebbe trovato una cornice nascosta sotto un velo di polvere, avrebbe visto una foto che ritraeva i vecchi inquilini di quel domicilio, avrebbe riconosciuto una ragazzina sorridente con i capelli rossi e gli occhi blu come l’oceano.

Axel li guardò, tutti e due fermi davanti alla porta di casa sua, sembravano due cuccioli che supplicavano una ciotola di latte. Ecco, un altro degli inconvenienti di scegliersi come amante il più complesso dei Nobody.
    «Ehilà, Sora, ti sei svegliato!» lo salutò studiandolo tutto da capo a piedi, ignorando volutamente l’altro, che in realtà non sembrava affatto amichevole, anzi, si aspettava quasi che iniziasse ad urlargli contro. Se era ancora lì, se il suo amico rompiscatole non lo aveva portato via, significava che da qualche parte doveva esserci un intoppo.
    Sora sorrise annuendo. «Ho sentito Roxas.» spiegò, come se davvero quella potesse essere una delucidazione invece che l’inizio di tutta una serie di altri interrogativi.
    Ma Axel, oltre ad essere un uomo molto paziente, era assuefatto alle stranezze, quindi, non fece una piega e spostò lo sguardo su Roxas. «Fammi indovinare…» cominciò.
    «Non ricorda lei.» disse sfidandolo con lo sguardo a non accettare una proposta già di per sé eloquente. «Non ricorda Riku, ricorda noi e noi dobbiamo prenderci cura di lui.» annunciò, non era né un’offerta né una proposta: lui doveva farlo, se Axel non avesse acconsentito non sarebbe rimasto.
    Axel si scostò dalla porta per farli entrare. «Starete in camera mia.» disse arreso. «Non fate casino o vi butto fuori.»
    Roxas lo guardò dal centro della stanza con una punta di offesa per quell’offerta che in realtà era molto più che gentile, Axel non era un tipo esattamente altruista, quindi sarebbero dovuti essergli molto più che riconoscenti, però…
    «Non è necessario.» rispose con cortesia Sora, quasi leggendogli nel pensiero. «Posso dormire sul divano, ci sono già stato, sarà sicuramente più comodo per me che per te.» spiegò riferendosi alla sua altezza.
    «Sei un ospite, no?»
    Lui gli lanciò un’occhiata gelida. «Lo ero anche prima e non mi ha usato le stesse premure.» lo rimproverò.
    L’uomo rise.
    Roxas li guardava senza sapere cosa dire, cosa fare, cosa pensare. Aveva una corpo, ma in ogni caso lui ed Axel non erano ‘insieme’, non si stavano baciando, né toccando, figurarsi fare l’amore. Dopo quella prima notte in cui abbracciarlo e baciarlo era stato come affermare la sua esistenza dopo anni di morte, non c’erano stati più contatti tra loro. Ed ora l’unica cosa che riusciva a fare era rinunciare anche al posto accanto a lui nel letto in favore di Sora.
    Che poteva fare se non fingere di essere d’accordo?
    «Ti conviene approfittarne.» disse sorridendo a Sora. «Potrebbe ripensarci.»
    Il ragazzo lo guardò combattuto e lui gli fece un cenno con la testa. «Va bene, allora.»

«Qual è il vostro problema?» domandò Sora sfilandosi la maglietta.
    Roxas seduto sul bordo del letto calciò via le scarpe. «Non lo so.»
    «Insomma, mi aspettavo che non mi avrebbe voluto per non avere altra gente in casa se non te…» si strinse nelle spalle togliendosi anche scarpe e pantaloni, non poteva esserci nessun tipo di pudore tra loro, il corpo di uno era il corpo dell’altro, era come guardarsi allo specchio. «mi aspettavo di sentirvi litigare dal salotto, perché in quel modo avreste avuto delle limitazioni per colpa mia.»
    Sospirò, un tempo probabilmente sarebbe stato così. «Ci hai pensato parecchio.» commentò con amarezza.
    Sbadigliando Sora si buttò sul letto e prese a stiracchiarsi. «Non volevo essere ancora di impiccio.»
    Roxas non voleva pensare all’eventualità che per qualche motivo Axel avrebbe potuto non volerlo, meglio pensare al suo mezzo fratello che ricordava soltanto cose inutili: parlava di tutta la loro recente avventura a Radiant Garden come se la sua memoria fosse a prova di bomba, eppure non sapeva più chi era Kairi. Come poteva non sapere più chi era Kairi? Era Kairi!
    «Roxas?» iniziò sprofondando con il viso nel cuscino. «Secondo te chi ci abitava in quella casa dove sono stato oggi?»
    Spense la luce e si tuffò sul cuscino di Axel, non avevano nemmeno dovuto parlarne, tutti e due ricordavano bene che Axel dormiva a destra e tutti e due convenivano che quello fosse il posto di Roxas. «Non so.» ammise.
    «C’era qualcosa nell’aria…» sospirò, quasi un gemito.
    Roxas si strinse addosso il cuscino di Axel tanto forte da lasciarci l’impronta del proprio corpo, a volte lo faceva così arrabbiare… morse la federa perché non poteva mordere lui.
    «Dovresti parlargli.» gli suggerì Sora.
    «Di che?» sbottò irritato. «Non ho niente da dirgli.»
    «Ok, ci parlo io.»
    «Non ti conviene.» borbottò Roxas tetro.
    «Perché?»
    «Perché adesso posso prenderti a calci.» lo minacciò.
    Sora ridacchiò.
    «Pensa a sistemare le tue di cose.» in qualche modo alle sue ci avrebbe pensato lui.

Si alzò dal letto quando fu certo che Sora fosse addormentato, portandosi dietro il cuscino di Axel. Aprì con attenzione la porta che l’uomo aveva lasciato socchiusa, probabilmente per essere certo che in caso di bisogno li avesse sentiti, come se fossero due ragazzini e lui il baby-sitter annoiato. Davvero, umiliante. Non lo riteneva un ragazzino quando lo baciava attraverso Sora, non lo trattava da ragazzino quando gli infilava le mani nei pantaloni, non lo guardava come un ragazzino quando era accucciato tra le sue gambe a trastullarlo.
    No, che non lo faceva.
    Lui la chiuse la porta, perché aveva paura di svegliare e magari spaventare Sora. In realtà la chiuse soprattutto perché se avesse realizzato che uccidere Axel fosse l’unica soluzione possibile, voleva poterlo fare in tranquillità e senza interruzioni.
    Si avvicinò al divano furtivo come un gatto, strinse il cuscino tra le mani e lo colpì infastidito.
    Axel soffocò un ‘ahi’, seguito da un’imprecazione piuttosto fantasiosa. «Rox, ma che ca…?»
    Per un attimo il fatto che fosse sicuro che si trattasse di lui lo gratificò quasi, poi comprese che tra quelle quattro mura, lui era l’unico che avrebbe potuto prendere a cuscinate Axel.
    «Si può sapere dov’eri finito oggi?» chiese nel suo migliore bisbiglio indispettito, prima di colpirlo ancora. «Avevo perso Sora e tutti si aspettavano qualche miracolo da me!» un’altra cuscinata, ma stavolta l’uomo fu abbastanza pronto da afferrare ‘l’arma’ e tirare fino a farselo cadere addosso in un incrocio di gambe e braccia, familiare quanto il sapore dolce e salato dei ghiaccioli al sale marino.
    «Ma sei impazzito?» domandò, tenendo il cuscino tra i loro corpi in modo che Roxas colpisse quello e non lui stesso.
    «Ho fatto tutto questo casino per te e mi fai dormire nel letto con Sora come se avessi dodici anni!»
    Axel sospirò e lanciò lontano il cuscino trovandosi faccia a faccia con lui. Gli posò le mani sulle braccia per tenerlo fermo, per quanto fosse cresciuto era ancora più piccolo di lui. «Calmati!» ordinò, per tutta risposta Roxas sbuffò, ma non tentò di liberarsi dalla sua stretta. «Lui ha bisogno di te, ma anche tu hai bisogno di lui adesso.»
    Non rispose, cosa che poteva significare il suo tacito consenso.
    «Non ho avuto fretta per tutto questo tempo, dovrei iniziarne ad avere ora?»
    Ancora silenzio, poi: «Volevo questo corpo per poterti baciare e…»
    Axel lo baciò, interrompendo ogni suo ulteriore tentativo di spiegazione, Roxas rispose con l’entusiasmo di un ragazzino eccitato e la disperazione di un uomo abbandonato e ritrovato. «Niente sesso finché Sora è fra queste quattro mura.» sussurrò sulle sue labbra dischiuse.
    Lui mugugnò, mordendolo piano. «Perché?» chiese in un lamento.
    «Perché è Sora.»
    Roxas sospirò, ma non perse ulteriore tempo a parlare quando poteva baciarlo, andava già meglio in quel modo.

Se in quel momento qualcuno fosse stato con Sora, lo avrebbe sentito invocare il nome di Kairi.

date retta a Sora!!
niente da fare, ma vedrete che pian pianino ne usciamo!
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


sora 3 pulcine, devo dirvi una cosa che però è uno spoiler di Kingdom Hearts 3D... che però devo condividere con qualcuno che capisce la portata della scoperta... alla fine è lo spoiler del trailer, non si può mica fare lo spoiler del trailer... facciamo così io ve lo scrivo qui sotto in bianco, se volete leggete sennò no...
c'è Axel!! vi giuro che io e mia sorella abbiamo lanciato un urlo pazzesco quando lo abbiamo visto, ci sono anche uscite due lacrime perchè... sigh... oh, mio dio c'è Axel!
vi lascio al capitolo... ci vediamo più giù...

Capitolo 16


Sora spalancò gli occhi nella stanza ancora buia di Axel con un gemito intrappolato tra i denti ed il respiro ansante. Deglutì e guardò il letto mezzo vuoto per l’assenza di Roxas. Doveva essere molto presto se ancora non era tornato.
    Sospirò per poi prendere fiato, un respiro tremolante, quasi di paura, in realtà di voglia; tutte le notti era la stessa storia, tutte le notti sognava la stessa ragazza bellissima, tutte le notti si svegliava con un’erezione molto ingombrante. Solo che quando si apriva gli occhi non se la ricordava. Era strano, l’aveva in mente, ma al tempo stesso non avrebbe saputo descriverla.
    Però era bellissima, lo sapeva il suo cuore.
    Sentì dei passi e si voltò su un fianco per impedire a Roxas di vedere in che condizioni fosse. Lui si infilò nel letto, sospirò sognante, come tutte le volte che Axel non lo vedeva, poi iniziò ad indietreggiare con la schiena fino ad appoggiarsi a quella di Sora. Sorrise pensando che probabilmente erano entrambi eccitati fino alla disperazione. Avrebbe potuto darsi un po’ di sollievo, avrebbe potuto alzarsi andare in bagno e finire quello che nel sogno era stato iniziato, ma non l’avrebbe fatto: finché la voleva, lei esisteva.
    Fece una smorfia pensando che, infondo, se non fosse stato per lui Roxas avrebbe potuto farsi dare sollievo: era stufo di essere d’impiccio.
    «Non aspettarmi stasera.» buttò lì con noncuranza, mentre sostituiva le tegole rotte della casetta dove era scappato il primo giorno con altre sane. Aveva deciso di rimetterla in sesto in modo da poterci passare tutto il tempo che voleva senza che Roxas fosse ansioso, a volte era un fratello un po’ troppo apprensivo.
    Lui sollevò gli occhi e lo fissò. «Perché?»
    «Dormo fuori.» disse solo. Sora non aveva ancora pensato a dove avrebbe potuto dormire, ma Cloud o Tifa non si sarebbero sicuramente fatti problemi ad ospitarlo; per conoscerlo da così poco erano straordinariamente ospitali.
    Roxas continuò a tenergli gli occhi puntati addosso. «Dormi fuori dove?» chiese sospettoso.
    Si strinse nelle spalle. «Non so.» ‘dormo fuori’ era stata la frase sbagliata, avrebbe dovuto dire semplicemente che avrebbe fatto tardi, molto tardi, così tardi che né Axel né Roxas si sarebbero accorti del suo rientro. «Ma magari poi torno…» cercò di rimediare. «solo che potrei fare tardi.» gli lanciò un’occhiata tanto per vedere se lo stesse imbrogliando. Ovviamente no, come aveva potuto pensare di riuscire a mentire proprio a lui: se si fosse messo davanti allo specchio a dirsi un bugia non ci avrebbe creduto, per quanto potesse impegnarsi.
    «Sora?»
    «Nh?» mugugnò fingendosi molto impegnato nel piantare il chiodo sulla tegola e molto tranquillo della versione che gli aveva dato, in entrambi i casi con scarsi risultati. Sbuffò. «Senti, stai tranquillo, ok? Faccio un giro con Cloud e Leon, chiacchiero con Tifa ed Aeris, poi torno a casa…» sollevò lo sguardo su di lui. «così tu puoi stare un po’ con Axel.»

«Rosso, c’è uno dei tuoi ragazzini che ti cerca!» lo chiamò Cid con il suo solito tono di voce flautato.
    Axel sollevò lo sguardo verso il suo furgono, coprendosi gli occhi con una mano per il sole. «Quale dei due?» gridò di rimando.
    «E che ne so, sono uguali! Vuoi che li riconosca? Mettigli una targhetta al collo.»
    Era Roxas, a differenza di Cid, lui non aveva bisogno di nessun cartello per riconoscerlo; gli bastava un’occhiata nemmeno tanto accurata e lo avrebbe identificato tra miliardi di copie identiche a lui. Lo osservò, sembrava indispettito con le mani infilate nelle tasche della felpa troppo grande, sia lui che Sora parevano sempre affogare nei vestiti, come se non trovassero mai niente della loro taglia.
    «Ho paura che Sora abbia una ragazza.» disse fissandolo, con un tono che non ammetteva obiezioni: era sicuramente colpa sua.
    «Sora ha una ragazza.» lo corresse Axel, Kairi era un ricordo doloroso, incredibilmente. Praticamente avevano combattuto la stessa battaglia, aveva sviluppato una sorta di empatia per lei, avrebbe voluto festeggiare la vittoria insieme a lei.
    Lui gli lanciò un’occhiataccia. «Con cui uscirà stasera e conta di passare la notte?!» domandò sarcastico. «Non credo sia il suo caso.»
    Finalmente Axel capì e sgranò gli occhi come Roxas si era aspettato che facesse, trovava consolante a volte che reagisse esattamente come aveva previsto. «E che intendi fare?»
    «Seguirlo e vedere che combina.»
    Axel sospirò e si nascose gli occhi dietro ad una mano. «Questo è il momento in cui mi dici che non sarai a casa stasera?» provò a domandare anche se intuiva già che fosse la conclusione sbagliata.
    «Questo è il momento in cui ti dico che tu vieni con me.»

Kairi si guardò intorno sotto la notte stellata delle Destiny Island, ultimamente le sembrava che ci fosse qualcuno che la seguiva, ma forse era la paranoia. Spinse la barchetta, bagnandosi fino alle ginocchia, poi vi salì sopra ed iniziò a remare in direzione dell’Isola dei bambini, il profumo di mare le scivolava sulla pelle, tra i capelli, le riempiva i polmoni.

Sora scrollò la testa, mentre Yuffie gli spiegava perché Tifa e Cloud non stavano insieme ancora. C’era un odore strano, l’aria gli sembrava densa, appiccicosa, salata. Profumo di mare. Sora non sapeva dov’era quella distesa infinita di acqua blu, ma non era soltanto un’immagine, era una sensazione. Forse stava in un mondo lontano da Radiant Garden – c’erano altri mondi oltre Radiant Garden? – forse sul viso di una persona.
    «Devo andare.» disse a Yuffie, interrompendo il suo racconto.

Roxas ed Axel lo videro uscire insicuro.
    «Cos’ha?» domandò il ragazzo accucciato dietro una siepe con fare cospiratore.
    Axel ridacchiò, lui era in piedi, semplicemente nascosto dietro l’angolo di una casa. «Saranno i postumi di un orgasmo devastante.» lo prese in giro, aggiudicandosi un’occhiata minacciosa.
    «Come fai ad essere così menefreghista!» lo accusò.
    L’uomo lo fissò apertamente irritato, il mondo intero avrebbe potuto lamentarsi perché non gli importava un bel niente del suo destino. Xemnas aveva tentato di distruggere l’universo e nel suo boicottaggio non c’era alcun interesse per tutte le creature che lo abitavano. Lo aveva fatto per una persona, solo per un Nessuno che era profondamente diverso da tutti gli altri, e quell’ingrato lo stava accusando di menefreghismo.
    «E se non se la ricorderà mai?» domandò spietato. «Che intendete fare tu ed il suo amico? Vietargli di vedere altre ragazze per sempre?» Roxas non rispose, si limitò a fissarlo rabbioso. «Se non la ricorda, prima o poi si innamorerà e se gli vuoi bene quel giorno dovrai essere felice per lui.»
    Il ragazzo lo guardò fare alcuni passi e sedersi su uno scalino del giardino interno.
    «Se mi fossi innamorato di un altro che non eri tu…» iniziò Roxas senza guardarlo, fissando soltanto la schiena di Sora, il suo viso all’indietro a guardare le stelle. Il legame tra loro tanto forte da fargli provare sulla propria pelle il suo stesso smarrimento. «sarebbe stato… doloroso.» deglutì. «Si è già fatto troppo male per colpa mia.»
    Axel sospirò guardandolo, guardandoli, poi si accucciò accanto a lui. «Ti saresti innamorato di un altro?»
    Il ragazzo lo fissò quasi sorpreso per tanta vicinanza inattesa, si sarebbe innamorato di un altro? Certo, se avesse avuto i suoi occhi, i suoi capelli, la sua voce, quel modo irritante di prenderlo in giro. Scosse la testa, mentre lui tornava ad osservare la schiena di Sora. «Allora, dovresti avere fiducia in loro due.» si strinse nelle spalle. «In un modo o nell’altro finora sono riusciti a tenersi abbastanza stretti da non perdersi.» constatò.
    Roxas gli buttò le braccia al collo baciandolo con foga, facendolo sbilanciare all’indietro e cadere sulla schiena. La sorpresa di Axel durò pochi secondi, perché con la sua lingua in bocca il suo cervello trovava sempre la lucidità necessaria per sapere esattamente cosa fare: per essere il suo amante, ci voleva per forza il sangue freddo di un assassino.
    Si lasciò sdraiare sulla schiena, cercò le sue spalle e si spinse ancora più giù, fino alla cinta dei suoi pantaloni enormi, perfetti per infilarci le sue mani lunghe e sottili. Quando gli sfiorò appena la pelle liscia del sedere, indugiando sul primo solco tra le natiche, Roxas si bloccò di colpo e ad Axel venne quasi da ridere, perché si bloccò esattamente com’era: ad un passo dal prenderglielo in mano e con la lingua che abbracciava la sua. Si interruppe per un istante, poteva quasi immaginare il suo cervello correre a valutare ogni possibile dettaglio, poi si riaccese. Non si spense più.

Sora trovava quasi offensivo che il suo impegno a lasciarli soli si riducesse ad un tale fallimento. Li sentiva sospirare e gemere dietro di lui, ma aspettò ancora un pochino, almeno finché fosse stato sicuro che andandosene non li avrebbe interrotti.
    Quando capì che quei gemiti iniziarono ad essere troppo intossicanti per permettere loro di notare alcun ché, si alzò e si diresse verso la sua casetta.

Kairi entrò nel posto segreto, strofinandosi le braccia; quando ci veniva da piccola, quando ci veniva con Sora, non sembrava così tremendamente umido, spaventoso, triste. Guardò la coperta che aveva portato lì la prima notte che ci aveva dormito, la raccolse e ci si avvolse prima di accucciarsi in angolo e chiudere gli occhi.

C’era un letto ancora immacolato, certo la coperta superiore era piena di polvere, la tirò via con attenzione per non sporcare le altre. Prese la seconda e ci si arrotolò tutto per poi rannicchiarsi in angolo e chiudere gli occhi. Con la mente già persa per metà nell’oblio del sonno, non c’erano dubbi che lei esistesse.

Spalancò gli occhi ancora con la sensazione di essere spiata, si guardò intorno guardinga e fissò un’ombra all’entrata del posto segreto.
    «Sono io.» la tranquillizzò Riku.
    Kairi fece un sospiro di sollievo. «Mi hai spaventata.» disse solo riabbassando le palpebre.
    «Kairi…» li aprì e lo fissò, era difficile vedere le sue espressioni al buio, ma gli sembrava assolutamente colpevole. «c’è una cosa che non ti ho detto.»

La ragazza fissò il corpo accartocciato di Sora con ancora il frammento di stella stretto nel pugno, dormiva e lei era stata tanto silenziosa da non svegliarlo. Lo vide grattarsi la testa ancora addormentato, muoversi e si coprì le bocca con la mano per nascondere un verso di stupore: era vivo e non glielo avevano detto.

Non appena Roxas aprì la porta mezzo nudo, Kairi gli diede uno schiaffo. Lui si coprì la guancia colpita con la mano, ma non reagì, la ragazza vide alle sue spalle Axel osservare la scena, lo ignorò.
    «Quanto ancora pensavi di tenermelo nascosto?» gridò stravolta, ferita, tradita. Così stupida da pensare che somigliando tanto a lui ci fosse nel suo cuore abbastanza affetto per lei da volerli aiutare. Ma Roxas era stato un Nobody, che non lo fosse più era un dettaglio, un abominio senza cuore, come aveva potuto essere tanto sciocca da aspettarsi affetto?
    Il ragazzo sospirò, come avrebbe fatto Sora, lei lo trovò detestabile e non riuscì ad impedirsi di dargli un altro schiaffo. Roxas non reagì nemmeno a quello. «Kairi…» provò ad iniziare.
    «Non parlare!»
    «Ti avrebbe fatto più male saperlo sveglio.» le spiegò. «Lui non avrebbe mai voluto farti del male, ma qualcosa è andato storto…»
    Gli occhi le si riempirono di lacrime e fece un passo indietro, Riku, appena arrivato, le sfiorò un braccio con la mano e lei si tuffo nel suo abbraccio alla ricerca disperata di qualcosa a cui sostenersi.
    Aveva pasticciato con i suoi ricordi, con la sua memoria, si era creduta all’altezza di un tale compito, si era ritenuta più in gamba ed accurata dell’Organizzazione. Ed ora avrebbe pagato la sua superbia.

Sora spalancò gli occhi di botto, con l’impressione di essere fatalmente in ritardo.
    «Si chiama Kairi.» guardò Axel, appoggiato allo stipite della porta. «Sei fortunato, perché è molto bella e ti ama tantissimo.»
    «Kairi.» ripeté. «Chi è?»
    «La tua fidanzata.» rise, strofinandosi il collo con la mano. «Fidanzata è riduttivo, lei è il tuo cuore.»
    «Non me la ricordo…» mormorò tra sé. «perché non me lo avete detto prima?»
    «Non te la ricordavi, speravamo che prima o poi ti sarebbe tornata in mente.» scrollò le spalle, ma sotto la sicurezza che ostentava gli sembrava che ci fosse dell’altro.
    Per alcuni secondi rimase in silenzio, rimettendo insieme due pezzi in mezzo ad un marasma di frantumi. «Quel ragazzo con i capelli bianchi, Riku…» Axel lo guardò. «non è soltanto uno sconosciuto, vero?»
    «Era il tuo migliore amico.»
    Sora assottigliò lo sguardo incerto. «Perché non li ricordo?»
    «Hai dato via il loro ricordo per liberare Roxas.» disse atono.
    Il ragazzo strizzò gli occhi in difficoltà, alla ricerca di qualcosa che le loro menti avevano diviso e che a quel punto non era più così chiaro. «No, non è stato così. Avevamo fatto un patto, per non perdere nulla.» si prese la testa tra le mani.
    «Che tipo di patto?» domandò Axel improvvisamente guardingo.
    «Non volevamo più perdere niente…» scosse la testa.
    Lui si guardò intorno curioso, studiando quella casetta mezzo diroccata alla quale Sora continuava a tornare, una volta ci abitavano una vecchietta ed una bambina. «Perché vieni sempre qui?»
    Lui si strinse nelle spalle. «Mi ci porta il mio cuore.»
    «Perché?» chiese ancora.
    «Non lo so…» rispose in difficoltà. «perché qui mi sembra che esista.»
    «Chi?» continuò, accucciandosi accanto a lui e tirandogli via una mano dalla testa brusco.
    «Ehi!» si lamentò, cercando di ritirare il polso che gli stava stringendo.
    Axel lo tenne più saldamente. «Sora, chi?»
    «La ragazza che sogno.» sbottò, continuando a cercare di liberarsi, aiutandosi con l’altra mano.
    Continuò a fissarlo, ignorando ogni suo tentativo, ogni sua lamentela. «Come è fatta?»
    «Non me lo ricordo.»
    «Ha i capelli rossi? Gli occhi blu?» lo incalzò.
    «Non lo so!» gridò Sora alzando lo sguardo su di lui. «Non ero io a dovermi ricordare di lei, io dovevo ricordarmi di te!»
    Axel lo lasciò improvvisamente senza fiato, Sora si massaggiò il polso arrossato, addossandosi il più possibile contro la parete. «Non volevo essere in Roxas ieri notte, se sei sempre così aggressivo!» si lamentò.
    «Era questo il patto che avete fatto.» mormorò più a sé stesso che a lui. «Tu avresti dato via Riku e Kairi, lui me. Tu gli avresti raccontato di me, Roxas avrebbe dovuto raccontarti di lei.»

eh, già...
ma quanto sono carini in questo capitolo Sora e Kairi... cucciolotti...
cmq, fanciulle, siamo agli sgoccioli: Roxas è vivo, Sora pure, pian, pianino recuperiamo anche tutti i ricordi... che manca? ah, il keyblade... sicure di rivolerlo!
vi annuncio che, se tutto va come dovrebbe - il che non è affatto scontato - conto di scrivere ancora un capitolo ed un epigolo carino... e vorrei che la square enix leggesse questa storia così impara a fare finali decenti! e che cos'è...
spero, che questo capitolo vi sia piaciuto!
baci
ps. ho quasi paura a giocare a Kingdom Hearts 3D... prevedo disgrazie!


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


sora 3 ce la faccio... zitte che ce la faccio...
allora, siccome - come sempre - sono grafomane c'è l'eventualità che non riesca a finirla qui!
conto ancora che il prossimo sia l'epilogo perchè è anche ora... magari sarà un epilogo luuungo...
poi, quella è assolutamente la mia citazione preferita di Kingodm Hearts... lo so, sembra scema, sarà che mentre ci giocavo e l'ho sentita mi è uscita la lacrimuccia - perchè sono cosi commuovevole - per me Sora e Kairi sono tutti lì... patatini!



Capitolo 17


‘Non ti ricordi il mio nome?!
Grazie tante, Kairi…
Ok, ti do un aiutino.
Inizia per S’

Sora la guardava sempre, un po’ morboso forse, ma non riusciva a farne a meno.
    Esisteva, bella come aveva sempre sperato che fosse, sorridente, dolce… perfetta.
    I ricordi erano tornati, non tutti quanti, ma abbastanza da averlo spinto fin lì, su un altro mondo per vederla. Voleva soffocare la paura rimastagli di non trovarla mai, di essere costretto a sognarla soltanto, per sempre. Anche in quel momento, con lei tanto vicina da sentire distintamente il suono della sua voce, la certezza che esistesse e le appartenesse non riusciva a convincerlo del tutto.

    Non staccava mai gli occhi da lei, per essere certo che non sparisse.
    Kairi faceva tante cose: andava in spiaggia con una sua amichetta, che la sua mente associava al nome Selphie; nuotava con altri due ragazzi, Tidus e Wakka; andava al posto segreto ed accarezzava le rocce disegnate da loro. Abbracciava sua madre e piangeva tutto il dolore per la sua assenza.
    In quei momenti sarebbe voluto andare da lei, abbracciarla, dirle che era lì, era tornato, non se ne sarebbe andato mai più. Le avrebbe giurato mille volte che non c’era più alcun keyblade. L’avrebbe baciata fino a convincerla che era lui, lui soltanto, nessun Roxas, nessun altro, da nessuna parte. Poi però vinceva sempre l’incertezza, il dubbio: se i ricordi di Roxas fossero stati imperfetti? Se non avesse raccontato proprio tutto? E se avesse dimenticato proprio quella cosa fondamentale, il dettaglio più importante?
    «Ma la vuoi piantare di startene arrampicato lassù come una scimmia?!»
    Sussultò, perse la presa e cadde a terra. Per fortuna, non era un albero così alto. «Riku!» bisbigliò, guardandosi intorno per essere sicuro che nessuno lo avesse visto, che lei non lo avesse visto.
    «Va da lei!» gli ordinò, lanciandogli un panino. Riku aveva trovato la serenità. Sora non aveva idea di come fosse successo, un tale miracolo poteva essere opera soltanto di Kairi e la cosa lo preoccupava. «Questa situazione sta diventando ridicola!» si stiracchiò, sbadigliando.
    Sora raccolse il panino ed iniziò a giocherellarci nervoso, senza fare niente per dirigersi verso di lei.
    Riku lo studiò sospirando. «Non hai voglia di parlarle?» gli chiese con un sorriso, che lui non ricambiò.
    Aveva ricominciato ad osservarla, nascosto sotto l’ombra di una palma, serio come Riku lo vedeva davvero di rado. «Ho paura.»
    Rise, poi si tolse la maglietta e guardò il mare. «Ad un certo punto, bisogna smettere di avere paura.» disse come se fosse al cosa più importante del mondo, prima di tuffarsi e nuotare.

Sora si morse il labbro inferiore con il pugno chiuso sollevato davanti alla sua porta. La sua mente gli diceva ‘Bussa, bussa, bussa’, il suo cuore ‘no, no, no’.
    Era il tramonto e Roxas gli aveva mandato tanti di quei ricordi piacevoli nel caldo colore del sole che si abbassava, da convincerlo che fosse l’unico momento possibile per un’azione del genere.
    ‘Muoviti, fifone!’ – lo rimproverò.
    Kairi aprì la porta e lui rimase pietrificato davanti a lei; anche la ragazza sembrò piuttosto sconvolta, immobile con la bocca dischiusa e gli occhi sgranati in attesa. In attesa che gli dimostrasse che era lui, tutto lui.
    «Io non…» non sapeva cosa dire, da dove iniziare, come farle capire. Non ne era sicuro nemmeno lui, però era lì.
    Kairi sospirò fissandolo tetra, scoraggiata e per niente contenta di vederlo. «Come ci sei arrivato fin qui?» gli chiese paziente, chiudendosi la porta alle spalle ed incamminandosi verso la spiaggia. Aveva una borsa enorme con sé, così grande che dentro ci stava un cuscino.
    «Cid mi ha prestato una gummiship.» le spiegò prendendo ad inseguirla, nonostante lei non lo avesse invitato e non stesse, in nessun modo, lasciando ad intendere che le facesse piacere essere accompagnata.
    Rise amara. «Un’idea di Roxas, vero?» non gli sfuggì il velato disprezzo che trapelò quando pronunciò il suo nome, Kairi ce l’aveva ancora con lui evidentemente.
    «Veramente no.» cercò di giustificarlo.«Volevo vederti e…»
    «Resta lì.» ordinò interrompendolo, degnandolo appena di uno sguardo, come se posare gli occhi su di lui più a lungo le avesse potuto fare male. «Dirò a Riku di venirti a recuperare e riportare a Radiant Garden.»
    Le cose decisamente non stavano andando come aveva voluto. «Kairi…» supplicò.
    Tornò indietro con tanto impeto che Sora sollevò le mani, preoccupato che lo colpisse. Avrebbe voluto che Axel fosse lì, così avrebbe visto da sé se Miss Bontà poteva odiare. «Non pensare che ti basti tornare qui e chiamarmi come ti ha detto di fare.»
    «Ma io…»
    «Sai, che c’è?» gli chiese arrabbiata come non l’aveva mai vista. «La smemorata stavolta la faccio io: non mi ricordo niente di te, nemmeno il tuo nome!» gridò.
    Si rigirò e riprese a camminare decisa in direzione della spiaggia.

«Secondo te, ce la faccio ad arrivare all’Isola dei Bambini a nuoto?» chiese mordendo la cena che gli aveva portato, mentre con lo sguardo cercava di misurare quanto mare ci fosse tra loro e l’isoletta lì davanti.
    «Una volta ci hai provato e meno male che tua padre era andato a pesca e stava tornando in quel momento, altrimenti saresti affogato.» gli raccontò. «Quindi, non è il caso di ripetere la performance.» suggerì, osservandolo prendere un altro morso. «Tua madre dice che è stanca di prepararti panini, si può sapere perché non torni semplicemente a casa?»
    «Non torno se Kairi non mi vuole.» disse deciso.
    Riku sbuffò. «Kairi ti vuole, Sora.»
    «Non è quello che ha detto.» mormorò ad occhi bassi.
    Sospirando si arrese. «Che ha detto?»
    «Che devi riportarmi a Radiant Garden.» borbottò con la bocca piena.
    Una risata echeggiò nella sua testa, del tutto molesta. ‘Sembri me che parlo di lui.’
    «Non credo proprio.» rispose a qualcuno che non era Riku.
    Il suo amico lo studiò, vagamente perplesso. «Come pensi di gestire questa cosa?» non era la prima volta che lo sorprendeva a parlare da solo, ancora. E visto tutto quello che era successo per toglierlo dalla sua testa, la cosa era decisamente preoccupante.
    Sora sorrise e si strinse nelle spalle. «Non ho intenzione di farlo.»
    Lui sollevò le sopracciglia scettico.
    «Dopo tutti questi anni, penso che non saprei stare senza.»
    Riku rimase a studiarlo per qualche secondo in silenzio. «Puoi prendere la mia barca.» gli propose infine.

Sbatté con la testa contro il soffitto della grotta, l’ultima volta che ci era stato non era così alta.
    «Riku?» domandò Kairi con voce leggermente ansiosa.
    «No, sono io.»
    Lei sospirò. «Non dovresti essere a Radiant Garden?»
    Non rispose, strizzò gli occhi, mentre aspettava impaziente che si abituassero al buio, quando intuì la forma di una fagotto che sarebbe potuta essere lei ci si sedette vicino. Ma non troppo vicino, anche se avrebbe voluto. «E così non ricordi il mio nome.» iniziò.
    La sentì muoversi. «No, vattene o stai zitto.» disse brusca. «Voglio dormire.»
    Deglutì agitato dall’idea di averla tanto vicina in un posto tanto intimo. Ricordava la prima volta che lei lo aveva toccato, lui ci aveva provato tempo prima, ma Kairi gli aveva scostato la mano e non aveva più avuto il coraggio. Quindi il primo passo l’aveva fatto lei. Era rimasto immobile, pietrificato, terrorizzato di poter dire la cosa sbagliata, di fare la cosa sbagliata; Kairi si era sporta e gli aveva dato un bacino, il bacio più dolce e zuccheroso del mondo, per tranquillizzarlo, se fossero state parole avrebbero detto: ‘Va tutto bene, ti amo’.
    In quel momento si sentiva allo stesso modo, ma era sicuro che lei non gli avrebbe detto ‘Ti amo’.
    «Calmati.» gli disse annoiata. «Il tuo cuore fa le capriole e non mi lascia dormire.»
    Sora sorrise, stranamente onorato che lei sentisse ancora così tanto il suo cuore. Certo che faceva la capriole, galoppava.
    «Non…» si schiarì la voce che gli era uscita roca per il nervosismo. «non importa se non ricordi il mio nome.» iniziò. «Posso suggerirtelo io e quando me lo ripeterai faremo finta che te ne sia ricordata da sola.»
    Un sospiro. «Non è questo quello che intendevo.»
    «Inizia per S.» azzardò uno sguardo in sua direzione, tornandola con gli occhi fissi ed enormi su di lui.
    Per qualche minuto l’unico suono che sentì fu veramente il battito irregolare del proprio cuore, poi percepì qualcos’altro, un fruscio, un fruscio sul quale si permise di dischiudere un sospiro di sollievo.
    «S, eh?» fece lei, con aria meditabonda, immaginò il sorriso sulle sue labbra: doveva aver capito, non poteva star pensando ad una coincidenza. «Seifer?»
    Sora arricciò il naso e scosse la testa con un sorriso sulle labbra. «Nah.» e si permise di avvicinarsi a lei di pochissimi centimetri. Se l’aveva vicina non si sentiva impacciato, non si sentiva nervoso. Infondo, la prima volta che l’aveva toccato, dopo che gli aveva dato il bacino più dolce e zuccheroso del mondo, tutto era stato semplice, naturale come respirare, come evocare il keyblade davanti ad un nemico.
    «Sephirot, allora?»
    Roxas nella sua mente scoppiò a ridere. ‘Non hai altro da fare che spiare me?!’. Lo sentì gemere subito dopo, qualcos’altro da fare ce lo aveva, eccome.
    «Questa è cattiveria!» sbottò divertito.
    Kairi rimase zitta per una manciata di secondi. «Non voglio perdonarti così.»
    «Non farlo.» accettò semplicemente, cercando la sua mano piccola e morbida da stringere.
    «Mi hai fatto fare una cosa tremenda.» continuò, ma senza sciogliere la loro stretta. «Se non fossi stato tu, Riku ti avrebbe ucciso per avermelo chiesto.»
    «Lo so.»
    «Non solo mi hai lasciata ancora, ma qualsiasi effetto indesiderato sarebbe stato colpa mia.»
    «Io non ti avrei mai incolpata di niente.»
    Kairi gli diede uno schiaffo in pieno viso, uguale, identico a quello che aveva dato a Roxas. «Ma io sì!» gridò. Si prese la testa tra le mani. «In quel momento mi sarei strappata il cuore e l’avrei gettato lontano per poterti dire che Naminè non mi parlava e non potevo sapere come fare.» scoppiò a piangere e Sora sentì il cuore chiudersi in una morsa.
    Incerto si avvicinò ancora, azzerando quasi del tutto la distanza che li divideva, e la cinse con le braccia; lei gli si strinse addosso come se aspettasse di farlo da secoli e la abbracciò con più decisione, appoggiando la guancia sui suoi capelli. Si sentì davvero un ragazzo fortunato.
    «Ho bisogno di tempo.» mormorò. «Se non te la senti di aspettare…»
    Sora le prese il viso tra le mani, sollevandolo davanti al suo. «Mi mancavi anche quando non ricordavo che esistessi.» le sue mani erano ruvide, consumate, in confronto alla pelle morbida e liscia del suo bel viso. «Esisti, ti aspetterò tutta al vita.»
    Kairi si scostò e si asciugò il viso con le dita. «Inizia per S.» lui annuì piano e lei si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. «Sora.»

Axel si chinò sul suo viso e leccò via la lacrima dalla sua guancia, mentre Roxas nascondeva un gemito. Si chiese se fosse stato troppo brusco, quando ne vide un’altra e un’altra ancora. «Vuoi che rallenti?» gli chiese leggermente allarmato, puntellando i gomiti ai lati della sua testa, una lacrima poteva anche essere, ma non gli sembrava di essere stato così tanto brusco da farlo piangere.
    Questa volta più che un  gemito, Roxas trattenne un singhiozzo, che comunque lo scosse tutto come un colpo di tosse. Axel si allontanò velocemente e gli scostò le coperte di dosso, preoccupato di scoprirle macchiate, non aveva fatto le cose per bene? Era entrato troppo presto? Ma erano pulite, bianche, limpide.
    «Roxas?» lo chiamò stendendosi al suo fianco, guardandolo nascondere in un cuscino quel pianto a dirotto. Gli posò una mano sulla spalla nuda e leggermente umida di sudore. «Che hai?»
    «N-non…» si allontanò dal cuscino e le sue labbra si piegarono in un sorriso umido. «non ci ho mai creduto fino ad adesso.» disse guardandolo.
    Axel sbatté le palpebre senza capire.
    «Il tuo cuore batte.» annuì. «Io sono vero.» si guardò i palmi, che aprì e chiuse a pugno un paio di volte. «Sora sta bene ed è con Kairi.»   
    Intuendo il succo della faccenda, Axel allungò una mano e prese la sua. «Si, resti qui.» gli assicurò paziente.
    Singhiozzò. «Con te.» rise nervoso. «E non c’è davvero niente che possa portarmi via!»
    Axel scosse la testa, pensando che forse tutti loro avrebbero avuto bisogno di tempo per abituarsi alla normalità. «Beh, c’è sempre la voce nella tua mente.» gli ricordò battendogli piano un dito tra i capelli.
    Roxas sorrise e si asciugò gli occhi con il lenzuolo. «Mi sentirei perso se non ci fosse.» gli confessò ad alta voce. «Ti sembra strano?»
    L’uomo sbuffò e si lasciò cadere a pancia in su, intrecciando le braccia dietro la testa. «Mi sembra da te. Tutto quello che ti riguarda è strano.»
    Gli lanciò un’occhiata divertita. «Anche tu, quindi.» disse studiandolo.
    Lui rise, quasi gli avesse fatto un complimento. «Credi che lo perdonerà?»
    Roxas rotolò più vicino a lui, strusciando il viso contro il suo fianco nudo come una gattino. «Credo che l’abbia già perdonato.»
    Era importante che Sora e Kairi stessero insieme, fondamentale. «Beh, io non ti perdono per avermi interrotto così.»
    Roxas lo guardò con il mento appoggiato al suo ventre piatto ed era uno sguardo così tanto suo che lo portava indietro: alle notti nelle stanze di The World That Never Was, a tutti quei mondi esotici e tutti quei nascondigli improvvisati perché se avessero mandato a monte una missione per del sesso Xemnas li avrebbe uccisi, alle bugie raccontate a Xion da dietro una porta chiusa, mentre loro erano già oltre le parole.
    Spostò gli occhi in basso, sulla coperta che lo copriva un po’ e che lui tirò via piano, prima di leccarsi le labbra. «Vediamo se mi ricordo come si fa…» rifletté.
    Ed Axel fu ben lieto di scoprire che certe cose non le aveva dimenticate.

«Sora, non mi sembra una grande idea.» commentò Roxas preoccupato, mentre lui continuava a tirarlo per una mano verso casa sua. Cercò di liberarsi dalla sua stretta con scarsi risultati.
    «Ti vuoi fidare!» si lamentò sbuffando. «Non lo farei se pensassi che ti tirerebbero una vaso, no?»
    Sospirò. «Lo so, ma… insomma…» fissò con paura la porta di casa della famiglia ‘prescelto dal keyblade’ avvicinarsi pericolosamente. «sono quasi sicuro che non piacerò ai tuoi.»
    Sora si fermò e lo guardò. «Come puoi non piacergli, sei me!»
    «Forse proprio per questo.» annuì eloquente.
    Scosse la testa. «Smettila, saranno contenti di conoscerti.» si strinse nelle spalle. «Mia madre ha sempre voluto due figli.»
    Roxas però, era quasi sicuro che non avrebbe voluto due figli in quel modo, non avrebbe potuto giurarci, ma si entiva autorizzato a credere che sua madre avrebbe voluto due figli alla vecchia maniera. Strattonò forte la mano che stava continuando a stringere, facendolo fermare. «Sora, ascoltami.»
    Lo guardò in attesa.
    «Lo so, che questo è un modo per tenerci in contatto.» abbassò gli occhi. «Radiant Garden e le Isole del Destino sono lontani, ma non così lontani.»
    Sora lasciò la sua mano e sospirò. «Io vengo con te, ne ho parlato con Riku…» iniziò, intrecciando le braccia dietro la testa ed abbracciando con lo sguardo tutto il piccolo mondo dove si trovavano. «restare qui significherebbe mettere ancora in pericolo tutti.»
    Roxas scosse la testa, sfiorandogli piano una spalla. «Non è così, è finita.»
    Gli lanciò un’occhiata scettica. «Ci credi davvero?» non sembrava più stanco di combattere, era più una muta accettazione del suo compito, del destino, di chi era: Sora ed il prescelto del keyblade, ma...
    «Non hai più il keyblade, perché non ti limiti a vivere felice e contento?» gli propose.
    Sora si morse il labbro inferiore e non rispose. «Sai, quella casetta?» gli chiese invece, sviando l’attenzione da quel discorso. «Ci abitava Kairi, per questo mi piaceva tanto, voglio stare lì.»
    Si prese qualche secondo prima di chiederglielo. «Lei verrà?»
    Non lo guardò. «Non lo so.» sorrise nostalgico.
    Sospirando Roxas afferrò la mano di Sora, trascinandolo verso casa sua. «Andiamo a conoscere i tuoi.»

parliamo di Roxas che piange.
ero scettica quando l'ho scritto, insomma, puoi dargli dodici cuori, Roxas resta Roxas, tutto indifferenza ed apatia, però... anni dentro Sora a desiderare una vita vera, quello che aveva lui, arreso alla certezza di doversi accontentare di essere un'ombra nel suo cuore. a chiedersi se poi avrebbe senso vivere una vita con Axel morto.
poi si trova sveglio, vivo, normale, a fare sesso con Axel... anche io a fare sesso con Axel mi sarei messa a piangere di gioia...p questo sarebbe stato meglio ometterlo... cmq, secondo me ha senso che pianga. si, ho fatto tutta questa pippa solo per questo...
e Kairi perdona Sora. non so esattamente dove trovi la forza, però se c'è una che lo può fare quella è lei, non credete?
ci vediamo al prossimo capitolo, chiamato dagli intimi 'L'Epilogo Infinito!'
baci

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Epilogo ***


sora 3 invece mi è venuto anche di una lunghezza onesta... visto?!
non vi dico nulla... leggete!


Epilogo


«Me la ricordo, sai?»
    Sora si voltò di botto e guardò re Topolino seduto sul tetto dietro di lui, non si era nemmeno accorto del suo arrivo, ma immaginava che fosse normale. Non rispose, continuò il suo lavoro di riparazione, ripensando con rammarico all’ultima volta che si erano visti, quando si erano battuti, quando gli aveva spezzato un braccio. Quando poi gli aveva mandato una pozione curativa, quando lui avrebbe voluto chiedergli scusa mille volte per aver usato il keyblade contro di lui.
    «Kairi bambina. Era luminosissima.» gli spiegò.
    «Lo è ancora.»
    Topolino sospirò. «Eravate tutti dei ragazzini quando il vostro destino è stato deciso e non eravate nemmeno i primi. Il fatto che siate sopravvissuti dovrebbe darmi speranza, gli altri non ce l’hanno fatta.» raccontò pianissimo, come se si trattasse di un segreto. Sora sentì il suono metallico del keyblade che veniva evocato, e, prima ancora di potersi maledire per averlo fatto, si voltò a guardarlo; era identico al suo primo keyblade e lui aveva avuto appena quattordici anni la prima volta che l’aveva impugnato. «Anche io ho dei dubbi a volte, credi che non avrei voluto non vederti sballottato di mondo in mondo? Credi, che quando ho visto Riku cambiare aspetto per salvarti non mi sia detto ‘sarei dovuto essere io’?»
    Lui scosse la testa. «Maestà, quello che ho detto…»
    «Mi hanno dato un’arma che non capisco.» continuò interrompendolo. «Che sceglie il proprio possessore e gli fa pagare la forza che dona.» sorrise. «Che ti condanna ad una vita di guerre, una vita di sacrifici, una vita di fallimenti…» un altro sospiro. «che ti fa abbandonare di continuo la persona che ami più al mondo per andare dove la luce ha più bisogno di essere protetta. Capisco la tua frustrazione, Sora.»
    Il ragazzo era sicuro che fosse così, in realtà non lo aveva mai dubitato. «Mi avete salvato la vita mille volte, è stato terribile venire in casa vostra, combattervi e derubarvi.»
    «Ti sei mai chiesto cosa sarebbe successo se la chiave non avesse scelto te?» gli domandò.
    Se lo era chiesto milioni di volte, ogni volta che uccideva un mostro si chiedeva cosa sarebbe potuto succedere se semplicemente non fosse toccato a lui. «Certo.»
    «Dovresti smettere di farlo.» gli consigliò con un sorriso. «Non è fortuna, Sora, il keyblade sa quello che vuole, sa a chi appartiene, in ogni mondo ipotetico, in ogni ‘se’, è tua. È un’arma testarda, ti avrebbe cercato ovunque.»
    Si morse il labbro senza guardarlo. «L’ho fatta troppo grossa, non mi vuole più.» fece un mezzo sorriso incerto.
    Topolino gli diede una pacca sulla spalla. «Sono molto vecchio e molto saggio, ragazzo…» gli lanciò un’occhiata scettica. «non credere di potermi prendere in giro.»

«Hai presente il keyblade?»
    Roxas gli lanciò un’occhiata di rimprovero. «Quella specie di spada a forma di chiave?» domandò sarcastico. «No, pensa, non me la ricordo.» continuò sempre più ironico, se non lo avesse conosciuto come lo conosceva, non avrebbe mai potuto capire come, a volte, potessero uscirgli di bocca certe domande improbabili. Poi si ricordava che Sora faceva domande sceme quando non sapeva come introdurre un discorso. Quindi, iniziò a prestargli più attenzione, nonostante stesse sistemando casa di Axel… all’incirca, si stava limitando a prendere le cose in giro e riportarle alla stanza dove appartenevano.
    «Se ti dico una cosa tu non la dici a nessuno?» gli domandò.
    Lui si fermò del tutto e lo guardò curioso con un fagotto di vestiti in mano. «Ok.» acconsentì con una scrollata di spalle.
    «Nemmeno ad Axel.» continuò Sora e Roxas annuì con la testa. «Il keyblade…» iniziò, fissandolo. «lo sento.»
    Trattenne il fiato. «L’hai mai evocato?» Sora scosse la testa, sembrava quasi spaventato. «Hai intenzione di farlo?»
    Sospirò ed abbassò lo sguardo. «Non lo so.»
    Roxas continuò a studiarlo per alcuni secondi, poi lasciò i vestiti e si avvicinò di un passo. «Sora, qualsiasi cosa succederà…» il ragazzo alzò gli occhi su di lui. «questo volta non siamo soli, la affronteremo insieme.» promise serio.
    Sora sorrise. «Credi che in due lo avremmo sconfitto Topolino?» gli chiese.
    Lui recuperò i vestiti e li buttò sul letto. «Credo che non riusciremmo a sconfiggere Topolino nemmeno con un martello, mentre dorme.» confessò a malincuore. «Kairi?»
    Si strinse nelle spalle e saltò giù dallo sgabello sul quale era seduto. «Non dovresti più chiamarti Roxas.» gli suggerì. «È un nome da Nessuno.»

Riku si guardò intorno accertandosi che non ci fosse nessuno, poi lanciò il keyblade in alto, quando riatterrò era diventato una specie di moto monoposto, pensò che a Cloud sarebbe piaciuta parecchio. Era stato il re ad insegnarglielo e gli aveva consigliato di fare attenzione, ‘ma che sei più forte del tuo predecessore ce lo hai dimostrato’. Non aveva capito cosa intendesse dire, ma lo aveva ringraziato comunque.
    «Te ne vai senza salutarmi?!» domandò incredulo Sora.
    Lui si voltò come se lo avesse sorpreso a fare chissà cosa. «Sarei passato a Radiant Garden.» si giustificò.
    Scosse la testa. «Sappiamo entrambi che non è vero.» gli si avvicinò, tenendo gli occhi fissi sul suo mezzo di trasporto. «Dove andrai?»     Riku guardò il cielo, vasto infinito. «Voglio vedere altri mondi, altri cieli.»
    «C’è un solo cielo, l’ha detto Kairi, e…» lo guardò sconvolto. «davvero? Altri mondi? Non ne hai abbastanza?»
    Lui scoppiò a ridere. «Infondo è quello che ho sempre voluto fare, ho dovuto rimandare troppo a lungo questo viaggio.»
    Per alcuni secondi nessuno dei due disse nulla e l’unico rumore a riempire quel silenzio fu il ritmico suono della risacca delle onde. «Che ti ha detto per farti sentire così sollevato?» non c’era bisogno di aggiungere un ‘chi’.
    Riku lo guardò, aveva gli occhi fissi sull’oceano, l’espressione tesa, non si era mai chiesto se Sora fosse geloso di lui e Kairi, dell’amicizia che li legava nonostante tutto, ma se si fosse posto quella domanda lì, in quel momento, la risposta sarebbe stata ‘si’.
    Scosse la testa e sorrise. «Che avrebbe scelto te, in ogni caso.» il suo amico lo guardò. «Che non è stato perché sono diventato il bambolotto di Malefica, o perché tu sei più forte.»
    «Mi dispiace.»
    Riku gli lanciò un’occhiata scettica. «Che sia tua e non mia?»
    Sora rise. «Adesso non la sento molto mia.» commentò. «Che non ce ne siano due.»
    «Forse non devono essercene, forse basta che io cerchi quella che appartiene a me.»
    «Tornerai?»
    Salì sul keyblade e gli lanciò un’occhiata. «Non sto scappando.» lo tranquillizzò. «E devo tornare, devo assicurarmi che stiate bene. Siete i miei migliori amici ed ora sei disarmato, devo prendermi cura di voi.»
    Sora lo guardò, ma non disse niente. Riku pensò che fosse meglio in quel modo, un ragazzo normale, una ragazza normale, una vita normale. Lui avrebbe controllato che nessuno interrompesse la loro pace.
    Quando fu lontano e guardò dietro di sé, Sora era ancora lì, il capo chino a fissare il proprio palmo aperto, vuoto.

Kairi aprì la porta, trovandosi davanti Sora, intenso, come era sempre stato. Per tutti era vivace, inquieto, iperattivo, per lei era semplicemente intenso, in ogni cosa che faceva. Fu sul punto di salutarlo, dirgli qualcosa, ma lui la precedette.
    «Non dovresti ricordarti il mio nome, sai?» la ragazza sbatté le palpebre sorpresa. «Non dovresti tornare con me, non sarebbe saggio.» scosse la testa. «Io il keyblade ce l’ho ancora.» confessò agitato. «E prima o poi lo tirerò fuori e sarà un disastro, perché ci saranno altre guerre, altre vittime…» la fissò. «potrei essere io e ti lascerei sola di nuovo.»
    «Sora?» cercò di interromperlo.
    «Ma il fatto è che in te c’è tanta luce.» spiegò ignorandola. «L’ha detto anche il re. Se ci sarà una guerra, tu sarai sempre coinvolta e senza keyblade non posso proteggerti. Non posso fare niente senza keyblade!»
    «Sora?» provò ancora.
    «Se sto con te senza keyblade, non posso salvarti!» esclamò con vigore. «Non è più importante salvarti?» le domandò.
    Kairi si coprì la bocca con la mano per nascondere un sorriso.
    «Quindi, non dovresti stare con me. Perché io voglio poterti salvare e non voglio che sia Riku a farlo.» sbottò irritato.
    «E non dovrei amare il mio salvatore.» tentò di concludere il suo delirante discorso.
    «No, basta un ‘grazie’.»
    Annuì incerta, ma senza smettere di sorridere. «Ok.»
    «Bene.»
    Si allontanò quasi correndo, lei continuò a rimanere sulla soglia anche dopo che fu sparito dal suo campo visivo. Sorrise da sola e scosse la testa. «Grazie, Sora.»

Axel entrò nel soggiorno vuoto e si passò una mano tra i capelli sporchi di tutto, distrattamente si chiese dove fosse Roxas e se sarebbe tornato presto, poi ricordò che, infondo, non c’era più niente di cui preoccuparsi. Si sfilò la maglia ed entrò in bagno, trovandoci l’altro seduto sulla tavoletta del water abbassata in attesa.
    Lo studiò per qualche secondo, fiducioso che un attento studio dell’ambiente circostante potesse fornirgli qualche dettaglio sulla situazione, speranza vana. «Che stai facendo?»
    «Come potrei chiamarmi?» gli domandò di rimando lui, chinandosi a slacciarsi le scarpe.
    Axel rimase in silenzio per qualche secondo, studiandolo. «Eh?» sbottò infine.
    «Sora ha detto che secondo lui non dovrei più avere il nome del suo Nobody, ma un nome tutto mio.» continuò a spiegargli, mentre lottava con i gomiti dentro la maglia grande per toglierla.
    «Tu mi chiami Axel.» gli ricordò, slacciandosi i pantaloni.
    Roxas sbuffò ed incrociò le braccia sul petto infastidito. «Si, ma tu eri il Nessuno di te stesso.»
    L’uomo sospirò. «Hai pensato a qualche nome che ti piace?» si allungò dentro la doccia ed aprì il getto dell’acqua per farla scaldare.
    Lui scosse la testa rammaricato. «Come faccio a dare il nome a me stesso?»
    Axel si ritirò indietro e lo guardò. «E perché dovrei farlo io?» capì di aver fatto la domanda sbagliata quando sgranò gli occhi, fissandolo come lo fissava sempre sul punto di offendersi.
    Distolse lo sguardo dal suo, cupo. «Sei sempre stato quello che chiama il mio nome più spesso.» borbottò.
    Sorrise e scosse la testa. «Ven ti piace?» gli chiese.
    «Ven?!» domandò, storcendo il naso.
    «Di Ventus.»
    Ripeté quel nome un paio di volte ed Axel pensò che fosse il nome perfetto, gli piaceva come la sua bocca si muoveva per pronunciarlo.
    «Perché mi è familiare?»
    Si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
    «Ven.» mormorò ancora. «Mi piace.» e sorrise, togliendosi il resto dei vestiti ed infilandosi sotto la doccia insieme a lui.

Sora e Kairi erano immobili davanti alla Fortezza Oscura, mano nella mano.
    «Sei sicura?» le chiese.
    Lei sorrise ed annuì.
    «Poi non potremo tornare indietro, sarà come dire a tutti che, sì, c’è ancora un nemico da sconfiggere.» continuò.
    «Non posso amarti senza.» disse semplicemente.
    Sora le lanciò un’occhiataccia. «Questo non è carino da dire.»
    Kairi si strinse nelle spalle. «Ma è la realtà.» fece un mezzo passo laterale, appoggiandosi al suo braccio. «Sei Sora e sei il prescelto dal keyblade. Essere il prescelto dal keyblade ti rende Sora, essere Sora ti rende il prescelto dal keyblade.» la ragazza si portò una mano al petto, stringendo» nel pugno il ciondolo che aveva sempre portato con sé. «Una volta una fata gentile e dai capelli blu mi ha fatto un incantesimo…» iniziò a raccontare, sorprendendolo, perché la conosceva da sempre ed aveva ancora qualcosa da raccontargli che non sapesse già. «ha detto che se mi fossi trovata in pericolo la sua magia mi avrebbe guidata al cuore più luminoso e forte.» lo guardò. «Sora, io sono venuta da te.»
    «Magari avresti trovato un altro cuore luminoso.»
    Kairi sorrise e scosse la testa. «Il mio cuore è testardo, ti avrei cercato ovunque.»
    Lui la fissò senza dire niente, poi allungò il braccio. «E va bene…» sospirò, ma poi sorrise, mentre la luce li avvolgeva.


signora square enix? lo vede come si scrive un lieto fine? ecco, IMPARI!!
fanciulle e fanciulli, ce l'abbiamo fatta, mica è poco!
spero che l'epilogo vi soddisfi e mi scuso se non rispondo alle vostre recensioni... vado un po' di fretta, ma volevo assolutamente postarvi il capitolo e scrivere la parola 'fine' a questa storia!

però, vi preannuncio che non ho intenzione di sparire dal fandom... adoro Kingdom Hearts ed un buon 90% dei suoi personaggi, in più ho una cotta per Sora dai miei... ehm... sedici anni? è quasi amore! quindi non vado da nessuna parte!

ci vediamo presto!

un bacione ed un grazie a tutte quelle che mi hanno seguita, preferita, ricordata o recensita...

un saluto speciale a Ka93 che mis egue fedelmente dal prologo!

alla prossiam avventura!


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=775132