Benvenuta in questo mondo monocromatico!

di Tayr Seirei
(/viewuser.php?uid=22243)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blanc ***
Capitolo 2: *** Noir e Leo ***



Capitolo 1
*** Blanc ***


F:\Blanc.rtf


Noticine preliminari:
Yoh! Non è mia abitudine mettere le note ad inizio fanfic - infatti non le troverete né nelle mie altre storie, salvo casi specifici, né nelle mie future fanfic in questo fandom - ma dato che è la mia prima storia sui Vocaloid, mi sembrava carino presentarmi prima!
Allora, come il nick in alto suggerisce qui vi parla Tayr Soranance Eyes. Adesso che ho cominciato a scrivere anche sui Voca, potete stare tranquilli che non vi libererete mai più di me. *__*v (Oppure tornerò una volta all'anno, chi può dirlo?)
Dunque, sulla fanfic in sé ho solo un paio di cosette da dire: A) Se non avete mai visto Yumekui Shirokuro Baku rimediate, che è una gran figata di canzone (e vi aiuterà ovviamente a comprendere meglio la storia). B) Sì, lo so che la ragazza che il baku circuisce nel video sembra Miku piuttosto che Rin, ma mi prendo la licenza poetica. C) Siccome l'idea dell'ambientazione sarebbe tipo "Parigi di inizio '900" - l'anno si capisce nel secondo capitolo, LOL - anche se non è molto importante ai fini di trama, Rin e Len in questa storia avranno altri due nomi facilmente riconoscibili. Ah, quando Rin nomina le biciclette naturalmente non intende le mountain bike di adesso. ù.ù
Bene, ho detto tutto. Buona lettura!




Benvenuta in questo mondo monocromatico!



Capitolo Primo - Blanc




I guanti neri.

Dalla porta spalancata entrava l'aria fresca, quasi frizzante, della notte. Sembrava chiamarlo, invitante.
Il cappello.

Lo spiraglio dell'entrata ritagliava un rettangolino nel cielo. Un rettangolo ricolmo di stelle. Era una bella serata.
Il bastone.

Il campanile batté un colpo, due, tre... fino ad arrivare a dodici.
Era mezzanotte, e quasi tutta la città si cullava già in un dolce sonno ristoratore.
Il baku si leccò le labbra. Alzò le mani, lisciò una volta di più l'elegante giacca che portava - ci teneva ad essere in perfetta tenuta, quando si dedicava al lavoro -, strinse appena il fiocco che teneva i suoi capelli biondi legati in un semplice codino. Aveva preso tutto e completato anche gli ultimi preparativi: poteva andare.
C'erano un sacco di palpitanti sogni ad attenderlo, in città.

Saltava da un tetto all'altro, tranquillo, come se non avesse fatto altro in vita sua.
Beh, in effetti era così. Quella era la sua vita: riposare di giorno, uscire la notte. Respirare quell'aria fredda che ghiaccia i polmoni e fa pizzicare il naso, essere perennemente frustato da un vento freddo o accarezzato da una piacevole brezza, vedere spesso e volentieri pipistrelli svolazzare in giro. E i pipistrelli non erano le uniche cose che se ne andavano in giro a quell'ora... Senza neanche ricorrere ai sempre citati vampiri, una città di notte - nello specifico: il cielo di una città di notte - sapeva essere molto più popolato delle sue strade al mattino.
Nulla di strano, comunque: era un baku. Faceva anche lui parte di quelle strane "creature".
Andava in giro, di casa in casa, e la sua strade erano i tetti, le terrazze, i comignoli.
Era la sua vita, il suo lavoro. I baku si nutrono di sogni; quindi suo compito - o meglio, piacere - era visitare gli umani, nel sonno, per rubare e mangiare ogni loro fantasia notturna.
Gli uomini sì che erano creature bizzarre: anche se tutti i loro sogni venivano distrutti, infranti, o divorati, ne producevano in continuazione di nuovi, inarrestabili.
Il baku si posò su un comignolo e rimase un po' fermo, pensoso. Questa era una cosa che trovava difficile da comprendere, ma a lui andava benissimo anche così. D'altronde - e qui si strinse nelle spalle - gli faceva solo comodo. Significava avere una scorta di cibo vasta e inesauribile.
Portò una mano al mento e si guardò intorno, più pensoso di prima. Quale casa non aveva ancora visitato?
E poi udì un rumore. Un rumore che lo fece sorridere.
Un rumore che implica anche il vero inizio della nostra storia.
Era un singhiozzo, un singhiozzo di bambina.
Il sorriso del baku si era fatto famelico: i sogni dei bambini erano sempre i più saporiti.
Andiamo,
disse solo, fra sé e sé.

Davanti alla finestra aperta della sua camera, la ragazzina teneva le mani giunte e pregava. Pregava la luna e le stelle di cancellare i suoi brutti sogni e le sue paure; pregava di poter dormire. E, ogni tanto, per quanto cercasse disperatamente di trattenersi per non farsi sentire dalla mamma, le sfuggiva un singhiozzo.
- ... Aiuto... - disse alla fine, depressa, posando il capo sulle braccia conserte.
- Mi hai chiamato?
La giovane sobbalzò: in piedi, sul davanzale della finestra, c'era un ragazzo. Sbucato dal nulla.
- A meno che non ti chiami "Aiuto", no. - Replicò, secca, voltandosi appena, di fretta, e strofinando gli occhi con la manica della sua camicina da notte. Non le piaceva molto farsi vedere quando piangeva.
Il ragazzo sorrise indulgente, accovacciandosi, minimamente toccato dal suo sarcasmo. - Chiunque pianga davanti ad una finestra di notte ha bisogno del mio aiuto. Perché, generalmente, questo significa che ha fatto un brutto sogno.
La ragazzina lo scrutò, indecisa su cosa pensarne: quel tizio doveva avere al massimo tre anni più di lei (dunque quattordici contro i suoi undici) ed era vestito elegantissimo. Giacca lunga di quelle con due code, panciotto, camicia, papillon, guanti, un bel cappello, bastone... un po' come si vestiva il suo papà, prima, quando doveva andare ad una festa con la mamma. E ai piedi aveva un paio di scarponcini che non c'entravano granché con il resto, ma aveva da tempo concluso che i maschi e l'abbigliamento non andavano eccessivamente d'accordo. - Chi sei? - domandò infine, diffidente.
- Qualcuno che stanotte si prenderà cura di te. - L'altro continuava a sorridere, paziente. - Posso entrare?
La ragazza lo fissò di nuovo, per un lunghissimo momento. Aveva perfino le orecchie a punta...
Ma poi lo sguardo le cadde sugli occhi del ragazzo. Occhi che, nonostante la penombra, erano di un intenso color ghiaccio. Occhi che, tutto sommato, le ispirarono fiducia.
Annuì lentamente. - Va bene, entra. - Gli porse la mano. - Io sono Corinne!

Dopo il primo momento di smarrimento, quella fanciullina bionda gli aveva dato fiducia. Non che si aspettasse altro. Lui era sempre gentilissimo con le sue prede, e queste erano sempre ben felici di concedergli ciò di cui aveva bisogno. E lui in cambio realizzava i loro desideri.
Più o meno, certo.

Quello che non sapeva neanche il baku era che, stavolta, le cose non sarebbero andate esattamente come pensava...
E infatti, arrivò una domanda che non si aspettava.
- E tu come ti chiami? - gli chiese Corinne, curiosa, mentre studiava il suo visetto grazie alla luce della lampada.
Come mi chiamo...?

- Io... - esitò un momento. Quella era una domanda che non gli aveva mai fatto nessuno.
- Blanc. - Rispose dopo una lunga pausa, soppesando con cura la parola. Non era la verità, non tutta, almeno, ma in fin dei conti cosa importava a quella bambina del suo nome...?
L'altra socchiuse gli occhi. - Blanc. E' un bel nome. A te piace?
Sempre più strana...
Beh, era un essere umano. Al di fuori della sua comprensione.
- Sì. Sì, non è male - affermò lentamente, e intanto si rendeva conto che c'era qualcosa che non quadrava. Qualcosa di... diverso. Di solito, quando trovava i suoi "obiettivi" svegli, non si perdevano molto in chiacchiere. Lo pregavano di mangiarsi i loro brutti sogni, lui era ben felice di accontentarli, fine della questione. Questa ragazzina, invece, la tirava per le lunghe. Sembrava fosse più interessata a far conversazione con lui che a dormire bene. La cosa più strana, però, era che sentiva un moto di curiosità crescere anche dentro di lui. E non era una buona cosa. Lui mangiava i sogni, non consolava i bambini. E li mangiava per fame, non certo per gentilezza.
- Uhm. E dove abiti? Anzi, no, fammi indovinare. Sei apparso sul davanzale, non ci sono appigli e siamo al terzo piano. Forse... voli? - cominciò a buttare fuori teorie Corinne, lo sguardo perso nel cielo stellato oltre la finestra. - Sarebbe così bello, volare. Comunque, devi abitare in alto.
"Blanc" la guardava, vagamente spiazzato, cercando di tenere il filo del discorso; effettivamente, ci aveva visto giusto. Abitava in alto, per la precisione sotto il campanile della città. Grazie alla sua natura sovrannaturale e alla sua immensa resistenza fisica, i forti rintocchi non gli causavano alcun fastidio. Comunque fosse, decise che a quel punto il discorso stava andando un po' troppo fuori dai binari. - Sì, abito in alto. Molto in alto. Ma non ti dirò dove - Prima che Corinne potesse vivacemente replicare come sembrava aver intenzione di fare, il baku le posò un dito sulle labbra - Non pensi che sia molto più intrigante lasciarlo avvolto dal mistero? E' un segreto da scoprire. Ti divertirai più a cercare di svelarlo che non a saperlo da me.
La ragazza annuì piano, sempre con l'indice dell'altro sulle labbra. E il baku, con un certo insolito piacere, notò che le sue guance si erano tinte di una leggerissima sfumatura rossiccia. Se non fosse stato molto lesivo per la sua immagine, si sarebbe tirato una manata in fronte.
Sto lavorando. La-vo-ran-do. E' il mio spettacolo, non posso pensare ad altro.

- E adesso, che ne diresti se ti aiutassi a dormire? Ormai si è fatto tardi, se rimandiamo ancora non avrai più tempo per riposare. Lascia che divori i tuoi incubi...
Corinne parve indecisa. - E va bene così? Non vuoi niente in cambio?
Eh, sì, quella ragazzina era decisamente più sveglia di tutti gli altri suoi "clienti".
- Certo che no, signorina - "Blanc" si chinò e, con dolcezza, le prese la sinistra, per poi esibirsi in un galante baciamano - Non potrei mai. Lo faccio solo per la gioia di vederti dormire serena.
E per poter finalmente cenare che ho i crampi allo stomaco, ma questo è un altro discorso.

- Oh, be'... - Sembrava che il baciamano l'avesse colpita più delle sue selezionatissime parole. - Se proprio insisti...
- Insisto. - Sorrise solo lui. Senza lasciare la sua mano, l'aiutò a rialzarsi dal lettino dove entrambi si erano seduti per farla coricare. Appena si fu sdraiata per bene, poi, le rimboccò le coperte, gentile.
- E adesso dormi pure, signorina. Sarà una buona notte, credimi.
L'altra, che pareva già assonnata, gli rivolse l'accenno di un sorriso. - Torna anche domani notte - tirò un braccio fuori dalla coperta e lo afferrò per la giacca. - Mi raccomando. Così potrò ringraziarti.
Gli occhi del baku si dilatarono impercettibilmente. Ringraziarlo? Perché?
Chi l'aveva mai ringraziato...?
- Certo - continuò lei, lasciando ricadere la mano - Se non funziona e quindi sei un bugiardo, sappi che quando tornerai ti picchierò. Anzi, ti investirò con la mia bicicletta.
E fu il momento di un'altra esperienza insolita per il baku. Gli venne voglia di ridere. Sorrise, e stavolta era un sorriso sincero. - Non preoccuparti, signorina. So fare molto bene il mio lavoro...
E cominciò a canticchiare una canzone. Delle parole appena sussurrate, incomprensibili, in una lingua che Corinne non conosceva. L'unica cosa distinguibile di quella dolce nenia era un delicato "Ru ri ra, ru ri ra" che di tanto in tanto inframmezzava le parole. Era la ninna nanna del baku, quella che avrebbe potuto far addormentare chiunque. Per l'appunto, ben presto le palpebre della ragazza si chiusero.
L'altro rimase fermo, impalato, a fissarla. E dire che di umani addormentati ne aveva visti parecchi...
Sospirò. Meglio concentrarsi sul lavoro, per ora.
Tese la mano. - Vieni fuori, incubo. - Al suo imperioso comando, dall'orecchio sinistro della ragazza fuoriuscì uno sbuffo di polvere dorata. E poi un altro, e un altro ancora. Alla fine, tutta la polverina si condensò, assumendo la forma di una stellina color oro pallido, larga quanto il palmo di una mano. "Blanc" la prese con due dita. La cena era servita. Ma l'avrebbe mangiata a casa, con calma, dopo aver raccolto qualche altro sogno.
Solo... qual era l'incubo che tanto la spaventava?

Ancora quella curiosità imprevista. Ancora... quell'interesse.
Tuttavia, addentò la punta della stellina. Così, per sapere.
Era piacevolmente salata. E profumava di mare.


Capitolo Primo - Fine.


Questa fanfiction consta di due capitoli, di cui anche il secondo è già scritto; l'idea iniziale era una oneshot, ma poi sarebbe venuta troppo lunga per i miei gusti, quindi ho preferito optare per una minilong. Aggiornerò... boh, quando mi va. X°D
Bye!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Noir e Leo ***


F:\Noir.rtf


Capitolo Secondo - Noir e Leo



- Hai paura del mare?
Neanche il baku avrebbe saputo dire perché gliel'avesse chiesto. Così, senza preavviso, la notte successiva si era ripresentato alla finestra della bambina curiosa - in tutti i sensi - con quella domanda sulle labbra. E ora la fissava, con vago interesse.
Corinne sulle prime aveva avuto un moto di spavento (d'altro canto, era apparso di punto in bianco, dal nulla, proprio come la sera prima), ma si era subito ripresa. - Oh, sei tu, Blanc. - Sorrise e balzò fuori dalle coperte, posando però i piedi scalzi sul parquet con delicatezza, come se stesse cercando di non farlo cigolare. - Ti aspettavo.
In molti mi aspettano, ma nessuno è mai stato tanto contento di vedermi.
Pensò lui, suo malgrado. Visto che stavolta la preda sembrava una degna avversaria, decise di giocarci un po'.
- Blanc? - Sbatté le palpebre, fingendosi innocentemente perplesso. - Mi chiamo Noir. Non ricordi, signorina?
La ragazza lo guardò male. - No, ieri hai detto di chiamarti Blanc. - Ribatté, decisa.
Ah, quella ragazzina era davvero uno spasso. Poi il suo personalissimo "spasso" rivoltò le carte in tavola, cogliendolo di sorpresa: - Non mi vuoi dire il tuo vero nome, giusto? Non ti fidi. D'accordo, allora ti darò io un nome. Che ne dici di Leonard?
- Ma, veramente... - Per una volta, il baku rimase senza parole. Cosa voleva quella ragazzina? Anzi... chi era?
- Leonard. Leo, per fare prima. - Corinne annuì, pienamente soddisfatta. - Siamo d'accordo?
E il baku finì per annuire piano, di rimando. Più che altro, perché quella ragazzina riusciva a coglierlo di sorpresa, come mai altri esseri umani avevano fatto. Era curiosa, e... era interessata a lui. Gli altri lo temevano e ricercavano solo per bisogno; di giorno chiunque, perfino i suoi clienti di fiducia (perché non erano tanti quelli che "serviva" anche da svegli, o meglio, quelli che sapevano delle sue incursioni notturne. Li preferiva addormentati e docili), avrebbero giurato sulla propria testa che i baku fossero solo favolette per spaventare i bambini. Si servivano di lui, ma lo rinnegavano. Non gli era mai importato granché perché anche lui si serviva di loro. Anzi, era quello che reggeva il gioco. Invece, ora...
Pensieri nuovi si rincorrevano per il suo capo, pensieri a cui non aveva mai prestato eccessiva attenzione. Pensieri che lo stavano distraendo dal suo mestiere e, soprattutto, dalla sua cena. Doveva dunque provvedere.
- Vada per Leo.
Poteva chiamarlo in qualunque modo desiderasse, purché gli fornisse sogni a volontà.
Dopodiché, dalla sua bocca uscì in maniera quasi automatica, senza che se ne rendesse conto: - Ma non hai risposto alla domanda, signorina. Hai paura del mare?
... Certo, decideva di dedicarsi solo al lavoro e poi continuava a dialogare amabilmente con la sua preda. Geniale, davvero.
E' solo che... questa ragazzina... mi diverte.

Gli occhi di Corinne si rabbuiarono - cosa che a Leo stranamente dispiacque - e, dopo averlo preso per la mano guantata, lo guidò fino al suo letto, dove si accomodarono per poter parlare faccia a faccia.
Ma neanche dopo che si furono seduti lasciò andare la sua mano.
- Il mare mi terrorizza. - Ammise la ragazza, con lo sguardo piantato nei suoi occhi di un celeste glaciale - E questo esattamente dall'anno scorso. Prima mi piaceva. Poi, un giorno... mio padre, per un viaggio di lavoro, salì su una nave, una nave grandissima, una nave così bella e piena di luci che ci sarei voluta salire anche io... Dicevano tutti che quella nave fosse la migliore mai costruita. E che non potesse affondare. Anche la mamma lo diceva. Eppure, la nave è affondata lo stesso. Si è scontrata con un iceberg. E il mare si è mangiato mio padre.
Era così triste, quella ragazzina. Prima che potesse controllare i suoi impulsi, le strinse dolcemente la mano fra le sue. Corinne gli sorrise con gratitudine. - Da allora, il mare mi fa una paura tremenda. Però, sai... - e qui lo fissò con un qualche sentimento negli occhi che il baku non riuscì bene ad identificare (Forse... affetto?) - ... da quando ieri ti sei preso il mio incubo, non mi sento più tanto spaventata. E' come se ti fossi portato via anche la mia paura!
Leo inarcò appena un sopracciglio. Era così felice... così felice che si fosse mangiata il suo sogno! Non aveva mai pensato che le sue azioni potessero giovare o fare del male a qualcuno. Non si era mai posto il problema. Lui i sogni li mangiava perché altrimenti sarebbe morto di fame; non c'era scampo, era una cosa da fare. Non esisteva il "E' bene"/"E' male". Era così e basta. Solo che, a giudicare dallo spavento delle persone che lo scorgevano per sbaglio vicino al letto, o dalle facce che facevano quando rubava loro i sogni, aveva sempre dato per scontato che quello che faceva fosse tendenzialmente negativo. Non che gli interessasse molto, a dir la verità. Ma il sorriso sul volto della ragazza era così bello, così splendente... che si sentì orgoglioso di esserne la causa.
- Sono contento di esserti stato utile. - E, quella volta, erano parole dette con gran sincerità, non solo modi educati atti a mascherare le sue vere intenzioni. - E dimmi, signorina. Hai altri incubi di cui ti vuoi liberare?
La ragazza sospirò. - Sì, parecchi. Puoi pensarci tu?
Non senza un certo sforzo, il baku si impedì di leccarsi le labbra. Sarebbe stato piuttosto inquietante. - Oh, sì. Posso pensarci io. Non c'è nessun problema, signorina. Ma, se vuoi diventare mia cliente, dobbiamo fare una promessa.
D'un tratto sospettosa, la ragazzina si tirò appena indietro. - Che genere di promessa?
L'altro rispose con un sorriso amabile. - Una promessa con un bacio. Ti va, signorina? E io porterò via tutti i tuoi brutti sogni...
Nella penombra della stanza - stavolta Corinne non aveva sentito il bisogno di accendere la lampada - il viso della fanciulla avvampò di botto. - Con un bacio? Non ho mai baciato nessuno, non so se ne sono capace...
Anche se ci avesse provato, Leo avrebbe avuto serie difficoltà a descrivere l'intenerimento che quella ragazzina gli causava. Era divertente, sveglia, e a suo modo incredibilmente ingenua.
Ecco perché bramava tanto i suoi sogni. L'incubo del giorno prima era stato uno dei migliori pasti che faceva da giorni.
- Non ti preoccupare - sussurrò Leo, chinandosi piano verso di lei e portando una mano guantata sotto il suo mento - Penserò a tutto io. Tu chiudi gli occhi...
... e firmarono quella promessa con un bacio.

E così il baku cominciò a fare visita a quella ragazzina tutte le notti.
No.
E così Leo cominciò a fare visita a Corinne tutte le notti.
Incontro dopo incontro, portò via tutti gli incubi dell'altra. Mangiò la sua paura di attraversare la strada da sola, in quella città ultratrafficata; fece scempio delle sue paure più infantili, come quella del mostro sotto il letto; divorò con gusto una delle preoccupazioni più grandi della bambina, ovvero che sua madre non le volesse più bene (perché, ormai, passava tutto il tempo a piangere il marito perduto e non badava più alla figlia). Quindi Corinne aveva scoperto che il mare sa essere crudele, ma anche buono e prospero; che le strade non erano campi minati, ma bastava prestare molta attenzione prima di attraversare (e anche usare le scorciatoie, quando possibile); che il mostro sotto il letto era solo un grumo di polvere (e, perdiana, passava tutta la notte a chiacchierare con una creatura sovrannaturale!); che la mamma le voleva bene, ma aveva solo bisogno di tempo e tanto conforto per la tristezza - perché, come aveva sofferto lei per la perdita, doveva esserci rimasta male anche la donna -. Leo l'aveva aiutata a comprendere tutte queste cose. E lei, in cambio, lo aiutava a comprendere meglio gli esseri umani. Passavano tutte le nottate, prima che arrivasse il momento di dormire, a chiacchierare, giocare, raccontarsi storie assurde. Lui le raccontava le cose straordinarie che poteva vedere grazie ai sogni di cui si nutriva; lei gli raccontava dei sogni grandiosi che si costruiva da sola. La ragazzina si era palesemente presa una grande cotta per lui, ma... non poteva di certo dire che non la ricambiasse. Sì, Corinne gli piaceva. Era la persona - non "l'essere umano" - che gli aveva insegnato, alla fine, il vero valore dei sogni. E aveva finalmente capito la differenza fra "sogno" e "incubo". (Anche se a mangiarli per lui erano buoni tutti e due, nella sua mente si era delineata nettamente la differente essenza che i diversi sogni avevano...)
Un dialogo avuto con lei l'aveva colpito in particolar modo...
- Oh, Leo - l'aveva chiamato Corinne, mentre giacevano insieme, sdraiato l'uno accanto all'altra a guardare il cielo - Ma i baku possono sognare?
- No, certo che no. Sarebbe un suicidio, come un serpente che si mangia la coda.
- Capisco. - Aveva annuito allora lei, grave. - E' per questo che mangiate i sogni degli altri. Vivere senza sogni dev'essere davvero terribilmente triste.
E lui era rimasto a guardarla, con gli occhi sgranati, come tutte le altre volte che diceva cose così semplici ma, in fin dei conti, così vere.

Sì, aveva ormai riscoperto il suo cuore.
Ma questo lo intristiva profondamente. Un baku non poteva legarsi ad un essere umano. Semplicemente perché quelli della sua razza attiravano i sogni; se avesse passato troppo tempo con una persona, i suoi sogni avrebbero cominciato ad andare da lui spontaneamente, senza che li chiamasse, come attratti da una calamita invisibile. E aveva ormai divorato tutti gli incubi di Corinne.
Ora rimanevano solo i sogni belli, quelli che lei amava e che avrebbe voluto realizzare.
I sogni che non avrebbe mai potuto portarle via.
Quindi
si disse, quando quella sera come tutte le altre si posò leggero sul davanzale della ragazza Questa è l'ultima notte.

Lei lo aspettava seduta sul letto, facendo dondolare le gambe. - Leo! - Esclamò illuminandosi, appena lo intravide sulla finestra. - Sei arrivato!
L'altro abbracciò la stanza con un unico sguardo azzurrino. Era una cameretta semplice, con scaffali di libri alle pareti, una cesta di giocattoli ai piedi del letto, un soffice tappeto dove si erano seduti più di una volta. Si era abituato a quell'atmosfera pacifica, alle sottili ombre dei soprammobili sulle pareti.
Mi mancherà perfino la camera...

- Sì - rispose mentre, con calma e grazia, saltava dentro la stanza. - Hai dormito bene ieri notte, vero?
Una delle domande che le faceva ogni sera quando arrivava. Una domanda che aveva fatto ad un sacco di altre persone. La differenza era che con loro lo faceva per lavoro, a lei lo chiedeva per il sincero e puro desiderio di farla dormire bene.
- Naturalmente. Come sempre da quando ci sei tu - rispose lei, radiosa.
Al centro del suo petto, in un posticino non meglio localizzato, sentì qualcosa stringersi dolorosamente.
- Stasera vorrei parlarti proprio di questo.
La sua voce atona fece ammutolire la ragazza, che aspettò in silenzio di essere raggiunta sul letto dall'altro. - C'è qualcosa che non va, Leo? - trovò infine il coraggio di chiedergli.
L'altro sospirò amaro, fra sé e sé. Ma non voleva che l'altra si intristisse più del dovuto. - Questa è l'ultima notte che posso venire a trovarti. Non tornerò più.
Osservò bene il visetto della ragazza: prima, quell'attimo di shock che impedisce di spiccicar parola per qualche istante. Poi, la perplessità. Per concludere, la tristezza che le fece riempire gli occhi di lacrime, quando si rese conto di aver sentito benissimo. - Ma perché, Leo? A me piace stare con te! Anzi, vorrei... - le si incrinò la voce -... starci di più...
Leo la strinse a sé, mantenendo sul viso un'espressione gentile e malinconica, ma dentro di sé si sentiva malissimo. - Perché il mio lavoro si è concluso. Non hai più incubi, Corinne; sono rimasti solo i veri sogni.
La ragazza si scostò improvvisamente da lui, a bocca aperta. Era la prima volta che la chiamava per nome e non "signorina" anche ad alta voce. Leo si chinò, poggiando la sua fronte su quella della ragazza. I baku non sapevano sognare, forse, ma sapevano piangere. E stava per farlo. Sorrise mesto. - Non ti dimenticherai di me, vero?
- Certo che no! - Corinne si aggrappò con forza alla sua vita. - Ma perché non possiamo stare insieme...?
Leo depositò un dolce bacio sulla punta del naso di quella fanciullina che tanto gli piaceva. - Perché sono un baku, Corinne, e mi nutro di sogni. Anche senza volerlo, finirei per mangiarmi i tuoi. Tu sei un essere umano; la tua vita sarebbe troppo miserabile senza sogni in cui credere. Ma - e qui le scompigliò teneramente i capelli - D'ora in avanti, non farai mai più brutti sogni. Neanche uno. Te lo prometto!
La ragazza gli sorrise fra le lacrime. - Mi fido di te. Mi canti un'ultima volta la tua ninna nanna?
- Ma certo, signorina Corinne. - Accettò lui, vezzeggiandola con quel "signorina" che non avrebbe mai più potuto dirle. La cullò fra le sue braccia, cantando la ninna nanna del baku e facendola scivolare in un sonno assolutamente privo di incubi, sulle note del suo "Ru ri ra". - Buonanotte, Corinne.
Prima di andarsene, la sistemò per bene sotto le coperte, rimboccandogliele, e asciugò le lacrime che la ragazza aveva ancora negli occhi. E sfiorò appena le sue labbra con un ultimo bacio.
- La nostra promessa con un bacio. Gli manterrò fede, sempre...
Silenzioso come un'ombra, saltò di nuovo sul davanzale, e tornò a guardare la ragazza. Adesso, anche i suoi di occhi erano lucidi. Infilò una mano guantata nella tasca della sua giacca e ne estrasse una stellina. Questa, però, era sfumata di tanti colori, come se l'avesse prodotta con della polvere arcobaleno.
Era uno dei sogni più belli che avesse mai rubato; lo teneva da parte per mangiarlo nelle grandi occasioni.
Ma tanto mi sa che d'ora in poi mi metterò un po' a dieta...
scherzò, a metà fra le tristezza e l'ironia, mentre una singola lacrima gli rotolava giù per la guancia sinistra. Scagliò la stellina verso la ragazza: poco prima di colpirla in fronte, esplose in uno sbuffo di polvere viola, oro, verde, blu, e un sacco di altri colori. (Non le avrebbe comunque fatto niente: era un sogno, non un sasso.)
Ti auguro di fare i sogni più belli del mondo, Corinne.

Portò una mano in alto e si sciolse i capelli, lasciandoli ondeggiare al vento. La ragazza non aveva mai avuto modo di accorgersene pienamente, ma loro due si somigliavano pure. Stessa grandezza fisica, stessi capelli biondi, stessi occhi azzurri. Il baku, però, se n'era accorto eccome.
Fra tanto tempo potremo rivederci. Una promessa è una promessa...

E se ne andò via.
Il mattino dopo, Corinne trovò sul davanzale della finestra aperta un nastrino nero: era quello con cui Leo soleva farsi la coda. Da allora, non smise mai di mettersi un fiocco fra i capelli.

- Rin! Rin! Diamine, che sonno pesante! RIN!
Rin Kagamine si svegliò di botto, acciambellata sul divano del soggiorno, con l'infuocata luce del tramonto che filtrava dalle finestre. Len la stava scuotendo per le spalle.
- Pfui, che gemella dormigliona. Hai dormito tanto che ho fatto in tempo ad uscire, fare la spesa e rientrare!
Fissò il fratello ad occhi spalancati, quasi fosse sorpresa di vederlo lì.
In effetti, lo era: aveva ancora addosso la vivida realtà del sogno, la sensazione dell'abbandono del baku... che però, in realtà, non l'aveva mai abbandonata.
- Tutto bene, Rin? - domandò perplesso Len, senza capire il perché della sua aria tanto spaesata. - Oh, be'. Guarda che ti ho comprato! - Fece, tirando fuori da dietro la schiena un acchiappasogni indiano tutto piume e perline. - Questo ti difenderà dai brutti sogni: non ne farai più neanche uno!
La gemella rimase del tutto spiazzata, senza parole. O meglio, era stata completamente inibita dall'immenso attacco d'amore che le era venuto nei confronti del suo fratellino (nonché, cough cough, fidanzato). - Oh, LEN! - Gridò saltandogli addosso e intrappolandolo in un abbraccio tanto affettuoso quanto stritolatore: - GRAZIE! Ma non ho bisogno di un acchiappasogni. Mi basta dormire accanto a te per fare sogni bellissimi!
Il ragazzo la stritolò di rimando e rise. - Beh, sì, hai ragione. Dopotutto, con me accanto, è decisamente impossibile fare degli incubi! E adesso - le accarezzò i capelli - Andiamo a fare un giro col rodo-roda, signorina Rin...?
Signorina.
Rin sorrise, felicissima. - YEAH!

Fine!


Yoh!
Come già detto, stavolta le note in basso. XD
Dunque, con questo si conclude la mia prima fanfic sui Vocaloid.
... Considerando che sono una ritardataria cronica e che in linea generale ci metto secoli ad aggiornare, sono estremamente soddisfatta di me stessa.
Un paio di note finali sulla fanfic! ^^
- Sì, da un certo punto in poi potrebbe sembrare che gli eventi si siano leggermente affrettati. In realtà non è esattamente così, oltre ad essere un "effetto voluto", in un certo senso: mi sono limitata a seguire il "ritmo narrativo" della canzone, ma a differenza di quella qui le cose finiscono - in modo relativo - bene.
- Pare che Corinne e il baku abbiano un concetto molto semplicistico dell'amore. Beh, Corinne ha undici anni e Leo aveva appena cominciato a destreggiarsi con le emozioni umane. Mi pare plausibile. X°D (Oltre al fatto che, a mio parere, l'amore così "semplice" è anche il più sincero).
- I "due nomi" del baku derivano da un gioco di parole. Il titolo della canzone è Yumekui Shirokuro baku, che letteralmente sarebbe "Il baku monocromatico mangiatore di sogni" O "Shirokuro, il baku mangiatore di sogni". Perché tecnicamente "shirokuro" vuol dire "monocromatico", ma non ho mai capito se fosse intenso come aggettivo o come nome. XD A prescindere da questo, dato che è composto dalle parole "shiro" (bianco) e "kuro" (nero), ho pensato sarebbe stato un modo simpatico per sottolineare l'ambivalenza del baku, quindi i suoi nomi sono stati Blanc e Noir, cioè le traduzioni francesi. Quando poi diventa più umano, giustamente, assume un nome umano. XD
- Sì, lo so che "rodo-roda" si scrive "road-roller", o che potrei anche tradurlo con "schiacciasassi". ... Ma andiamo, potevo forse perdermi un'occasione per nominare il rodo-roda? *rotola*
Bene, ho detto tutto. Ah: come ha notato Sefiriel nella sua recensione, il "Ru ri ra" è un vaghissimo riferimento alla Saga del Male. Solo una parola (o due): Re-birthday. Non c'entrava granché, ma piace creare collegamenti fra le varie canzoni e le varie vite. <3
Io mi sono divertita molto a scrivere questa fanfiction. E ci sono pure affezionata. Credo sia stato un buon inizio. XD D'ora in poi, mi vedrete spesso in circolazione in questo fandom (... probabilmente.)! Ho in mente una shottina RinxLen (stavolta ambientata ai giorni nostri, e sono proprio "Rin" e "Len" XD), potrei scrivere una songfic a breve e, soprattutto, mi sto progettando una certa long (sempre Kagamine!cest, più della sana KaiMei e forse pure un po' di MikuxLuka).
E adesso il gran finale: i ringraziamenti. ^^
Per essere la mia prima fanfiction da queste parti, ha avuto un buon successo. Ringrazio quindi moltissimo Claud10107, hanahanachan, Sefiriel, diokoxkristof, Soe Mame e JennyMatt che hanno recensito e/o aggiunto a Preferiti/Seguite. Sono stata molto contenta! **
Adesso vi saluto, sperando di tornare dalle vostre parti MOLTO presto!
Bye!



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1046674