Innocent Romance

di Pendragon of the Elves
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga ***
Capitolo 2: *** Passione ***
Capitolo 3: *** Romanza ***



Capitolo 1
*** Fuga ***


Fuga

La casa si svuotò ad una velocità sorprendente, come se gli ospiti, per scaramanzia, avessero fretta di allontanarsi dal luogo del matrimonio scongiurato per non subire la stessa onta in futuro. Oppure per arrivare il prima possibile in un caldo salotto e sfogarsi sparlandone animatamente davanti ad una tazza di tè col latte. Perché, si sa, i parigini sono altruisti: non possono resistere tanto senza un pettegolezzo e decidono di condividerlo al più presto con gli altri parigini, conoscendo la comune necessità quasi morbosa della loro specie.
"Che pena!". Con passo grave e risoluto e un sorriso sprezzante dipinto in viso, Eugenia si ritirò nella sua stanza tirandosi dietro Louise, ancora scossa per l'accaduto. Chiusero l'uscio a chiave.
«Mio Dio, che terribile disgrazia!», mormorò infine la bionda giovane, sedendosi sul bordo del letto, «chi avrebbe potuto immaginarlo… il signor Cavalcanti… un assassino…».
«Per me non fa molta differenza», sentenziò la signorina Danglas in risposta all'incredulità dell'amica, «sia pure un assassino, un evaso, un ladro: ai miei occhi resta sempre un essere meschino solo per il suo essere uomo!»
«Oh, non dite così!», esclamò la dolce d'Armilly, sconvolta, «Non potete condannare tutti gli uomini partendo dal singolo!».
«Voi fraintendete, amica mia», rispose Eugenia, un sorriso dipinto in volto che, per quanto fosse sprezzante, amaro e disgustato, nessun altro termine avrebbe potuto descrivere meglio di "assolutamente fuori luogo", «io condanno il singolo partendo dall'insieme che si presenta ogni giorno ai miei occhi in una chiara e lampante luce, come un immondo e ignobile pantano putrescente. I "singoli", come dite voi, fanno altro -come avete potuto vedere- che confermare ogni volta, colpo su colpo, le mie idee: gli uomini sono tutti feccia!».
«Eugenia!»
«Non mentire, Louise!», sbottò, «Non far finta di non pensarla come me: siamo tra amiche, puoi abbandonare il contegno che la buona società ti impone e parlare liberamente, parlare di verità. Non è forse vero che anche tu la pensi così?».
Il viso di Louise si imporporò, ma la giovane tacque.
«Quanti uomini hai ritenuti degni di altra considerazione? Guardate Alberto di Morcef, un codardo senza neanche il fegato di vendicare suo padre, il conte di Morcef, un traditore che ha consegnato Alì Pascià, suo signore e padrone, in mano al nemico; il signor Debray, lurido verme che ronza così disinvoltamente attorno a mia madre. Ed infine il  signor Cavalcanti, un ex galeotto, un ladro ed un ignobile assassino! Ma non sarà mai tanto ignobile quanto il signor Danglas, l'uomo che ho la sfortuna di chiamare padre, che tra le braccia di questo individuo di ed altri personaggi come lui vorrebbe spingermi solo per l'interesse delle proprie, avide tasche! Credete che, dopo questi ultimi fatti, la lezione gli basterà? No: cercherà subito il prossimo candidato che vedrà luccicare d'oro e gli regalerà la mia mano in cambio del suo splendore, senza curarsi del mio pensiero o del marcio ch'io vedrò in egli!»
«Eugenia!», fece la signorina d'Armilly, pallida in viso, «come potete dire queste cose di vostro padre? Non potrebbe mai fare delle cose simili!». Nonostante l'aria di rimprovero, si notava benissimo che nemmeno lei era intimamente convinta di ciò che stava dicendo.
«Oh, giusto, avete ragione!», fece la signorina Danglas, ironica, «forse non mi prometterà subito, così, senza aver preso delle precauzioni… prima vorrà fare un po' i conti: chissà quanto intascherà dalla vendita della sua stessa figlia!». Poi, il suo tono si fece più dolce:«Louise», disse prendendo le mani dell'amica, «ve lo chiedo dal cuore: volete davvero vedermi in balia di simili uomini?».
La giovane arrossì e volse altrove lo sguardo. «Cosa faremo dunque?»
«Ciò che da tempo intendevamo di fare».
«Quindi cosa?»
«I nostri piani non cambieranno: partiremo!».
In uno slancio d'euforia, Eugenia compì una piccola piroetta, trascinando l'amica in un ballo per la stanza: «Saremo sole, io e voi, in viaggio verso la libertà!»
Louise non sembrò molto entusiasta: quella fuga non l'aveva mai convinta. La prospettiva la spaventava terribilmente. Dentro di se aveva sempre, segretamente sperato che la signorina Danglas abbandonasse il progetto spericolato e si rassegnasse alla sua tranquilla vita da donna sposata. Perfino ora, in fondo al cuore, nonostante la gioia dell'amica, si sentiva stordita e impaurita. Ma, nonostante i suoi timori, non pensava di convincerla del contrario: forse la cosa che più la atterriva era la prospettiva che ella si sposasse…
Represse con forza questi pensieri: il suo unico interesse era che la sua amica fosse felice e lei non l'avrebbe ostacolata nella ricerca della sua felicità. «Ma, come faremo?»
«Voi con la vostra musica, io con la mia voce: ci guadagneremo da vivere come artiste e vivremo a modo nostro! Al diavolo la società, al diavolo i genitori, al diavolo il costume!».
«Al diavolo i mariti!», tentò timidamente la bionda fanciulla.
«Ben detto, mia cara!  Noi inseguiremo la nostra strada da sole! Ora, prepariamo le valigie!».
La signorina d'Armilly, rincuorata dalle parole dell'amica, cominciò a raccattare per la stanza tutto ciò che poteva essere utile nel loro viaggio: non riusciva a rimanere estranea alla foga gioiosa della signorina Danglas.
«Tutto pronto?», chiese infine Eugenia.
«Credo di si».
«Vestiti e vettovaglie sono impacchettate?»
«Sì»
«La carrozza?».
«è stata noleggiata da tempo».
«Bene. Il passaporto?»
«Eccolo», Louise glielo porse con mano tremante, deglutendo.
La signorina Danglas lo prese in mano e lo lesse:
"Signor Leon d'Armilly, di anni venti; professione artista: capelli e occhi neri; viaggia con sua sorella".
«Benissimo: come te lo sei procurato?».
«Me l'ha fatto avere il conte di Montecristo», mormorò.
«Ecco un uomo che ha saputo rendersi utile», esclamò la ragazza, dimenticandosi nell'entusiasmo del tono di disprezzo che utilizzava quando si parlava di uomini.
«Hai anche quell'altra cosa che ti ho chiesto?»
«S-sì», balbettò e porse all'amica un vestito scuro.
Eugenia si ritirò dentro il camerino e, quando ne uscì, indossava un elegante completo da uomo, con giacca e pantaloni neri mentre, su un panciotto bianco, risaltava una cravatta, nera anch'essa.
Inoltre, aveva indossato un corpetto in modo che le sue forme e la curva del suo seno venissero  camuffati e nascosti agli occhi degli osservatori. La signorina d'Armilly sentiva il cuore in gola nell'ammirarla.
«Ora, non resta che il tocco finale!», esclamò allegra, guardandosi allo specchio, «Louise, passatemi le forbici!».
L'attrezzo passò dalle tremanti mani di Louise a quelle salde e sicure di Eugenia che, con due precise sforbiciate, si recise le trecce. Le lunghe ciocche nere caddero abbandonate a terra, come senza via.
«Allora?», chiese poi voltandosi.
La giovane musicista non aveva parole. Corte ciocche ribelli ricadevano ora in una irregolare frangia sulla fronte della ragazza, incorniciando il suo viso che sorrideva fanciullescamente. Le sue maniere brusche e forti sembravano calzare perfettamente in quei vestiti che la slanciavano magnificamente come un magro e aitante giovane nei cui panni sembrava sentirsi a suo completo agio. Ora la sua amica pareva in tutto e per tutto un uomo. Non riusciva a credere a quanto fosse magnifica conciata a quel modo. Quanto avrebbe voluto avere parole per dirle quanto le piaceva.
«Che peccato! Dei capelli così stupendi…», disse invece, abbassando lo sguardo a terra.
«Ma, non preoccuparti per quelli: i tuoi sono molto più belli».
Louise la guardò, sorpresa e stupita da quel complimento.
«Ora, mi dici come sto?», chiese Eugenia.
«Sei…», l'imbarazzo le montava dentro ma c'erano sentimenti altrettanto pressanti che premevano per uscire, «il ragazzo più bello che abbia mai visto, Leon», disse infine Louise, girandosi a chiudere la valigia per nascondere il violento rossore che le colorava il volto. Cominciò a spingere impacciatamente il coperchio del bagaglio senza risultati.
«Serve aiuto, madamoiselle?», sussurrò premurosamente una voce al suo orecchio.
Louise si fece velocemente da parte, balbettando un "Sì". Eugenia/Leon appoggiò un ginocchio sul coperchio e, premendo con le sue bianche e muscolose braccia, richiuse la valigia un po' troppo piena.
«Ecco fatto», disse battendo le mani e poi porgendo il braccio all'amica, «E ora, signorina, vogliamo andare?».
Louise ormai era completamente catturata dal fascino della ragazza, sentiva il suo cuore battere forte come non mai, il respiro le riusciva quasi affannoso a causa di quei potenti battiti. Avrebbe anche potuto svenire. Si contenne e sorrise.
«Si, mio cavaliere», disse stringendo con gioioso slancio il braccio dell'amica. Questa volta fu il suo turno di arrossire.
Uscirono in strada, strette a braccetto, dove le aspettava la carrozza. Louise non era ancora riuscita a distogliere lo sguardo da Eugenia: sotto la luce della luna appariva ancora più bella.
L'amica, però, notò il suo sguardo: «Che c'è Louise? Che guardi?».
La ragazza bionda, abbandonando un po' del suo abituale contegno e della sua inibizione, sorrise e cinguettò:«Te, Eugenia: sei così graziosa. Penseranno che tu mi abbia rapita!».
«E avrebbero ragione, per Giove!», esclamò Eugenia, ridendo.
La carrozza filò veloce per le strade di Parigi. Le due fanciulle guardavano eccitate fuori dai finestrini il mondo che conoscevano filare veloce sotto i loro occhi. La signorina d'Armilly, in fuga assieme alla sua migliore amica, non aveva più paura, stretta così nella notte al suo cavaliere.


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Ecco il primo capitolo di questa inusuale interpretazione del personaggio - a mia opinione molto all'avanguardia e del tutto fuori dagli schemi- Eugenia Danglas. Questa è la palese re-interpretazione del capitolo 98: "La strada per il Belgio", durante il quale la giovane, che non intende sposarsi (!) poiché considera tutti gli uomini feccia (!!), decide di fuggire travestita da uomo (!!!) con la sua migliore amica (!!!!) Louise d'Armilly.
Come ho cercato di farvi notare da questi allarmati punti esclamativi, io non sono una pervertita perchè i fatti citati in questo capitolo esistono veramente nella storia e quindi sono stata, in un certo senso indotta a pensare una cosa del genere (dovrete tutti ammettere che un sospettuccio sul orientamento sessuale della giovane viene...). Ci tengo a specificare che questa non è assolutamente una storia lemon, hentai o volgare in alcun modo, tratta semplicemente di una relazione omosessuale. è la prima che scrivo appartenete a questo genere e, devo dire, che, dopo un momento di malizia iniziale, mi sono divertita a scriverla ed è stato un ottimo esercizio contro quel piccolo timore omofobico che tutti ci teniamo dentro: ora mi sento in pace col mondo e le tutte le sue forme di amore. Insomma, è una storia semplicemente romantica dove questa relazione non presenta nessun tipo di perversione e appare totalmente normale: nulla di porno per parlare schiettamente.
Detto questo, grazie per aver letto e mettetevi comodi e godetevi questa Innocente Romanza. Buona lettura a tutti. ^ ^

Pendragon of the Elves

P.S.: Ovviamente la storia originale non è mia ma del grande Alexandre Dumas. (ci tengo a specificarlo per paura che il suo fantasma mi spedisca il Conte per un piccolo regolamento di conti, non so se cogliete...)

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Capitolo 2
*** Passione ***


Passione

«Su, Louise, brindiamo ancora alla nostra salute!».
Eugenia Danglas, ancora nelle vesti di Leon d'Armilly, la trattenne per la manica. Erano sedute nella locanda, una bottiglia di vino vuota appoggiata sul tavolo e un bicchiere pieno nelle mani della ragazza.
«No, Eugenia», disse Louise, dimenticando che, in quel momento, la sua amica era un ragazzo, «abbiamo bevuto un po' troppo… non trovate…».
«Mai abbastanza per festeggiare!», disse Eugenia, vuotando il bicchiere d'un fiato e poi sbattendolo sul piano del tavolo con un gran sospiro: pareva un gesto da comune frequentatore di osterie.
«Sono contenta anch'io ma… comincio a sentirmi stanca», fece Louise, reprimendo un singhiozzo. L'alcol l'aveva resa sonnolenta e rossa in viso: da brava giovane parigina, non era abituata a bere, anche se aveva preso solo due bicchieri.
Eugenia, invece, sembrava reggere meglio l'alcol, ma cominciava a manifestare i segni della bevuta. Non erano ancora ubriache, solamente un po' alticce. Eppure la notte cominciava ad invecchiare.
Le parole dell'amica sembrarono riportare un po' di senso nella mente della signorina Danglas.
«Avete ragione…», fece alzandosi lentamente.
Anche Louise si alzò ma le gambe, da tempo dimenticate sotto al tavolo, le cedettero e cadde dritta in braccio al suo giovane accompagnatore.
«Signorina d'Armilly!», scherzò Eugenia Danglas, «un po' di contegno!».
«Ha ragione, mi scusi, è stato un lieve capogiro… mi metta giù, ora, riuscirò a camminare da sol… ah!».
Eugenia la prese di nuovo al volo, in tempo per impedire che la delicata fanciulla stramazzasse inerte al suolo.
«Siete poco stabile sui piedi, mia cara», osservò, «ora vi porto nella vostra stanza dove potrete riposare. Sarà meglio togliervi di dosso il corsetto prima che sveniate!».
Così, prendendola in braccio, si fece dare le chiavi dell'oste e salì le scale. Giunta davanti alla porta della loro camera, la aprì con un piede.
«Pronta a fare l'ingresso nella camera nuziale, moglie mia?», scherzò, riferendosi alla dinamica della scanna, molto simile a quella della prima entrata dei novelli sposi nel loro nido d'amore.
«Ma che dite…», bofonchiò Louise confusa, «voi dovreste esser mio fratello…».
«Giusto, avete ragione», disse Eugenia, «è che siete tanto bella, mi fate venire brutti pensieri…».
«Ah ah ah! Ma finitela!», rise Louise, mentre veniva poggiata sul letto.
«è ora di andare a dormire, credo», fece poi, «domani dovremmo organizzarci per bene».
«Avete ragione, mia cara», fece Eugenia, allargandosi con un dito il nodo della cravatta, «e io non riesco più a sopportare questo vestito: non vedo l'ora di tornare donna come voi!».
«Oh, vi prego, Eugenia! Aiutate prima me a svestirmi: mi sento soffocare!», si lamentò Louise.
«Va bene: qualsiasi cosa per un'amica», fece Eugenia, aiutando la fanciulla a svestirsi e a togliersi lo stretto corsetto che rinchiudeva il suo corpo come una gabbia inaccessibile. Alla fine la signorina d'Armilly ricadde semi-svestita sul letto, libera finalmente di respirare a pieni polmoni.
Non seppe per quale strana alchimia ma, Eugenia, fu catturata da quella visione e non riuscì più a staccarle gli occhi di dosso. Le due avevano condiviso la camera e dormito assieme innumerevoli volte eppure, probabilmente a causa dei fumi del vino, il corpo quasi nudo dell'amica le appariva ora ancora più bello e -Dio la perdoni- desiderabile. La sua pelle era bianca e perfetta come  raffinata porcellana. Le gambe affusolate erano abbandonate mollemente sul materasso assieme alle braccia inerti. La sottoveste trasparente lasciava intravvedere il delicato ombelico e le femminee curve. E, sotto lo stesso traslucido tessuto, il procace seno si alzava e si abbassava al ritmo accelerato del respiro e i biondi capelli, ricadevano ora spettinati attorno al viso accaldato della giovane. Le sue labbra rosse parevano un bocciolo di rosa abbandonato su quel viso di purissimo avorio.
Ma non era solo a causa de vino bevuto che ora Leon d'Armilly fissava la fanciulla con uno sguardo  decisamente poco consono a quello di un normale fratello.
«Signorina d'Armilly», disse togliendosi lentamente il vestito, «lo sapete che siete molto bella…».
Senza aspettare una risposta, Eugenia si chinò sull'amica e la baciò. Louise ebbe solo il tempo di spalancare gli occhi per lo stupore: il suo cuore aveva preso a battere talmente forte nel suo petto  che sentiva che avrebbe potuto scoppiare. Per un lungo, interminabile istante, il respiro e le labbra di Eugenia furono tutto il suo mondo. Poi, la sua mente si schiarì e, quando realizzò cosa stava accadendo, si discostò fulmineamente dal volto della ragazza, le guance imporporate improvvisamente per l'emozione.
«C-che fate, signorina Danglas!», esclamò portandosi le mani alla bocca con espressione sconvolta: il tono di voce severo intendeva mantenere non le riuscì come desiderava poiché la sua voce fremeva incontrollabilmente.
«Bacio una bella ragazza…», rispose questa.
 «Siete sotto l'effetto del vino!», fece, le spalle scosse da incontrollabili tremiti.
«No», fece Eugenia. Prese il volto della fanciulla bionda e lo avvicinò al suo: la sua espressione era assolutamente seria. Louise poté specchiarsi nei suoi occhi neri, limpidi come due polle d'acqua, assolutamente lucidi e sinceri. Louise si sentì quasi spaventata dalla loro sincerità.
«Voi mi piacete, Louise».
La giovane musicista combatté fortemente per ricacciare indietro le lacrime:«Smettetela! Voi… vi state prendendo gioco di me!». Se da un lato il suo cuore smaniava per credere a tali parole, nella sua testa continuava a lottare per convincersi che invece era tutto falso, era solo per colpa dell'alcol.
«Non è il vino, Louise», continuò imperterrita Eugenia, come se avesse indovinato i suoi pensieri , «non è neanche per divertimento, neanche per scherzo…».
«E allora per cosa?», chiese Louise, speranzosa in fondo al cuore di sentire dalle dolci labbra che aveva appena assaggiato le parole che ogni notte aveva sognato di sentite cantare da quella voce.  Era troppa la voglia di sentirle che, quando vibrarono nell'aria, non credette neppure lei alle sue stesse orecchie.
«Perché io vi amo».
Quante volte si era sorpresa a fantasticarlo, quante volte aveva allontanato quei pensieri crudeli, tanto era il terrore che la dura e crudele realtà divorasse i suoi sogni e le ferisse il cuore. Tutte quelle notti infami, passate nell'insonnia a cercare di cancellare dalla mente e dal cuore quel sentimento vedevano ora coronare i loro sogni. Singhiozzando disperatamente, Louise prese il volto dell'amica e la condusse in un'altro bacio, intrecciando le braccia attorno al suo collo.
«Sapete…», sussurrò infine, calma, «anche io…».
«Anche voi cosa?»
«Anche io vi ho sempre amata!», gridò Louise.
«Oh, amica mia cara!», esclamò Eugenia.
E tra le lacrime di contentezza di entrambe, finirono di spogliarsi. Si abbracciarono sul letto, continuando a baciarsi: le dita dell'una nei capelli dell'altra, le gambe intrecciate assieme, i seni che premevano gli uni contro gli altri nel loro abbraccio. Ad un certo punto, Louise sussultò nel sentire le mani di Eugenia che la accarezzavano.
«Eugenia…».
«Rilassatevi», disse questa, anche se il suo volto dimostrava che era emozionata quanto lei, «non voglio farle nulla di male: voglio solo… che tu sia felice, mia amata Louise».
I cuore della giovane scoppiò di commozione mentre l'amica le copriva entrambe con le lenzuola: nel buio le sue mani la sfiorarono ancora e ancora.
 «Eugenia…».
Smise di pensare, abbandonò ogni inibizione perché non poteva far altro che amare. E non provò più imbarazzo poiché amarla le riusciva talmente naturale che non poteva -non avrebbe in alcun modo potuto- essere sbagliato. Solo in quel momento realizzò quanto significasse per entrambe quel momento, quanto tutte e due l'avessero aspettato e sognato per intere notti passate da sole, quante minacce avevano quasi impedito che accadesse: era qualcosa di troppo prezioso e delicato per lasciarlo andare. Nulla ora avrebbe potuto impedirle di esprimere quello che provava, nulla avrebbe potuto eguagliare quello che sentiva, nessuna parola avrebbe potuto descriverlo: era il coronamento di ogni sua speranza, di ogni suo sogno… era pura felicità. Era qualcosa... qualcosa solo per loro. Non si vergognava di ciò che stava facendo, perché ogni gesto, le riusciva naturale, come fosse stato già scritto da tempo… oltretutto, per Eugenia quella avrebbe dovuto essere la prima notte di nozze.


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Eccoci qua, come disse la stessa Louise d'Armilly:"Il ratto è consumato, ma senza violenza".
Come potete facilmente capire, questo è il pezzo che nel libro non c'è. Ma, a mio parere potrebbe tranquillamente esserci poichè, il capitolo sucesivo, le vede addormentate nello stesso letto... forse non nude, ma nello stesso letto.
Alla fine, questa è la scena più spinta della storia ma credo di essere riuscita a rappresentarla con tutta la naturalezza di cui sono capace. Solo di una cosa mi pento: di aver inserito il classico cliché dell'ubriachezza. So che non è molto originle ma, in una società ristretta come quella e tutte quelle odiose regole di etichetta, solo il vino poteva aiutarle a sciogliere un po' la lingua. Ho cercato di calcare la mano sulla dolorosa repressione che Louise deve attuare sui propri sentimenti che il mondo parigino non avrebbe mai approvato.
Detto questo, non ho altro da dire.
Appuntamento al prossimo ed ultimo capitolo!

Pendragon of the Elves

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Capitolo 3
*** Romanza ***


Romanza

Indistinguibilmente, in modo troppo sfumato, Louise passò dal sonno profondo a una sorta di pesante dormiveglia intrisa di una stanchezza tale che non riuscì neppure a realizzare di non essere più addormentata. Era l'effetto del vino che le appesantiva le palpebre e attutiva i sensi, rinchiudendola in un tiepido magma che confondeva ogni percezione. Riusciva solo a sentire il corpo nudo di Eugenia ancora stretto contro il suo. Poi, cominciò a udire dei rumori attutiti provenire da fuori: attorno alla locanda c'era una certa agitazione. Nel suo cervello insonnolito cominciò a ronzare una preoccupazione: che le avessero già trovate?
Proprio in quel momento le sue preoccupazioni furono smentite. Accadde tutto in pochi secondi: Louise sentì dei pesanti passi sul tetto e, subito dopo, qualcosa cadde giù dalla cappa del camino dentro la loro stanza. Si tirò su a sedere di colpo: non era qualcosa, era qualcuno. E quel qualcuno era Andrea Cavalcati.
Senza pensarci due volte, invasa da un folle terrore, la sua mano corse al campanello e chiamò aiuto. Nella confusione, si svegliò anche Eugenia, alzandosi di soprassalto. I suoi occhi neri si fissarono immediatamente implacabili sul suo ex promesso sposo.
«Voi», sibilò, tradendo comunque una certa sorpresa.
«Per pietà!», urlò l'uomo senza vederle, cercando affannosamente di pulirsi gli occhi dalla fuliggine:«Per pietà, salvatemi! Non voglio farvi nulla di male!».
«Alquanto ironico detto da un assassino della vostra risma».
Andrea Cavalcanti parve riconoscere la sua voce. Pulitosi infine le palpebre dalla cenere aprì gli occhi e le guardo. «Eugenia!», esclamò stupefatto.
«Che volete, Cavalcanti?», la mano di lei pendeva ancora terribilmente sulla corda del campanello.
«No, ve ne prego: non chiamate aiuto! Salvatemi, sono inseguito!».
«Troppo tardi per della feccia come voi», disse sprezzante Eugenia, «salgono». In quel momento, infatti, avevano cominciato a sentirsi dei passi concitati per le scale.
Ma Andrea Cavalcanti, da ex galeotto che era, non intendeva darsi per vinto fino alla fine. Veloce come il lampo, estrasse dai meandri della giacca un coltello e lo puntò contro le giovani.
«Ora voi mi nasconderete in qualche angolo e mi aiuterete a fuggire. Se non direte nulla avrete salva la vita!».
Louise si lasciò sfuggire un gemito. Eugenia mantenne invece il sangue freddo.
Proprio in quel momento, si udì la voce di un gendarme da fuori la porta:«è qui dentro!». Poi, dei forti colpi: qualcuno, da fuori, stava cercando di sfondare i cardini.
Louise, vedendo l'espressione terrorizzata del giovane, fu presa da uno slancio, non del tutto di pietà, ma terrorizzato, perché sperava solo di riuscire a sfuggire al criminale:«Fuggite dunque!», strillò disperata, con una certa nota d'isteria nella voce che tradiva il suo terrore.
«Oppure uccidetevi», propose beffardamente Eugenia con lo stesso tono col quale avrebbe consigliato dei dolci agli ospiti, del tutto indifferente al coltello puntato contro la sua persona, «potreste fuggire alla ghigliottina e avrete salvo l'onore: sempre che ne abbiate mai posseduto alcuno».
Andrea fremette e la guardò con astio: ormai si vedeva perduto. Poi, mentre faceva scorrere lo sguardo su di loro, un sorriso di disprezzo si delineò sul suo volto sfigurato dalla follia e dal terrore:«E voi? Che fine ha fatto il vostro pudore? Se qualcuno ha perso l'onore oggi, quella siete voi, signorina Danglas».
Solo in quel momento Louise realizzò che erano entrambe nude. Con un moto di terrore, cercò di coprirsi con le lenzuola, tremando di disgusto. Eugenia, invece, fremente di rabbia, continuava a esporre fieramente al criminale il suo seno nudo in segno di sfida, semplicemente per fargli credere che le sue parole la turbassero.
«Dopotutto», continuò Cavalcanti con lascivia, «sembra che il mio matrimonio voi l'abbiate già consumato…». Louise ebbe un moto di disgusto quando gli occhi del uomo si posarono su di lei. Si portò velocemente una mano al collo, ormai troppo tardi per impedirgli di notare i segni dei baci che le labbra di Eugenia le aveva lasciato la notte prima.
Il sorriso di Cavalcanti si fece -se possibile- ancora più sgradevole di fronte alla disperazione della ragazza:«Ma non preoccuparti, Eugenia», disse poi, rivolto alla giovane bruna, «Non sfuggirò alla ghigliottina, no… ma queste saranno le mie ultime parole prima dell'esecuzione!» disse accennando ai loro corpi nudi.
In quel momento, i gendarmi riuscirono ad irrompere nella stanza e si lanciarono su Andrea Cavalcanti, immobilizzandolo. Quando lo portarono via, stava ancora ridendo.

Le due giovani furono lasciate in balia dei curiosi. Il ronzio dei commenti che fioccavano indiscretamente da ogni dove risultava quasi assordante per le orecchie. Immediatamente successive all'arresto di Andrea Cavalcanti, avevano cominciato a circolare strane voci su di loro, come se più eccitante dell'arresto di un assassino evaso fosse stato il loro ritrovamento nella stanza, come fosse più interessante accanirsi sulle povere vittime che sul criminale.
Alla fine, erano state costrette a fare le valigie in quattro a quattr'otto e a lasciare ingloriosamente la loro stanza e la locanda. Mentre uscivano dall'osteria furono immediatamente attorniate da una folla di curiosi, una marea umana che bisbigliava concitata. Louise, col capo chino, trascinava la sua valigia con le lacrime agli occhi. Se avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto invece Eugenia (ormai privata del suo travestimento e in vesti da donna) che avanzava rigida verso la carrozza con uno sguardo che, se soltanto essa l'avesse alzato dalla polvere della strada, avrebbe fatto zittire perfino le cicale.
Salirono in fretta nella carrozza e ordinarono seccamente al cocchiere di partire.
Louise si sedette rigidamente sul sedile, le mani che si tormentavano a vicenda poggiate in grembo, con capo chino per nascondere la lacrime di vergogna. Eugenia dall'altra parte teneva i pugni serrati e fremeva per la rabbia, non solo di vederle entrambe umiliate, ma di veder svanire le speranze della loro fuga sotto i propri occhi increduli. Se mai aveva detestato Andrea Cavalcanti, ora lo odiava con tutto il suo cuore e non poteva fare a meno di sperare che la ghigliottina non fosse che l'ultima della sue pene. Ma non esternò questi suoi funesti pensieri all'amica per non turbarla. D'altronde, la signorina d'Armilly pareva sconvolta già per conto suo: ora che era perfettamente lucida si ricordava perfettamente gli avvenimenti della sera prima e si accorgeva completamente dell'onta riservatale da Cavalcanti. E non solo a lei, anche alla cara Eugenia che, figlia di uno stimato banchiere, vedeva la sua fama rovinata. La sua reputazione le importava ben poco in confronto a quella dell'amica e, interpretando il suo silenzio alle triste luce dei suoi pensieri, credette che ella le serbasse del rancore. Dopotutto, la sera prima ella aveva bevuto più di lei, poteva essersi pentita di quello che aveva fatto: il fatto che lei, invece, non se ne vergognasse la rendeva ancora più spregevole ai suoi stessi occhi. Quella che meritava infamia era lei, non la figlia di Danglas. Alla fine, non riuscì più a tollerarlo, e scoppiò a dirotto  in un gran pianto.
«Louise, che avete? Perché piangete?», chiese premurosamente Eugenia.
«Mi chiedete perché piango?», singhiozzò Louise, senza più contegno, «come fate a non capire! ciò che è appena successo…».
«Povera amica mia, è naturale che siate turbata ma non dovrete preoccuparvi oltre: Cavalcanti avrà presto quello che si merita. La giustizia lo punirà anche per la minaccia che vi ha fatta».
«Non è per questo che piango…».
«Per cosa allora? perché siete così infelice? Non riesco a capire…».
«Non riuscite a capire?», strillò Louise, «quello che è accaduto ieri sera… segnerà la fine della vostra buona reputazione ed è tutta una mia colpa! Eugenia, capirò se mi odierete: ne avreste tutto il diritto!».
«Louise, che dite!», esclamò Eugenia, sconvolta, «pensate che ieri… sia stato un errore?».
«Perché è successo tutto questo?! Mi perdoni, Eugenia: ho rovinato tutto!».
La signorina Danglas non poté più reggere lo struggente dolore dell'amica e non poteva lasciare che fraintendesse oltre. Le prese il volto tra le mani e la baciò con passione sulle labbra. Quando si discostò, vide il volto rigato di lacrime di Louise che la guardava senza proferir parola: erano solo i suoi occhi a parlare, esprimendo tutta la sua confusione. La baciò nuovamente, se possibile, ancora con maggiore ardore, prima di staccarsi di nuovo da lei.
«Oh, Louise…», mormorò dolcemente, «pensate ancora che sia stato un errore?».
«Io…»
Eugenia la strinse tra le braccia:«Io vi ho detto che vi amo, non vi ho mai odiata per questo e mai lo farò: la cosa che mi fa soffrire è che voi non crediate alle parole del mio cuore, perché è stato questo mio cuore ieri sera a parlarvi come sta facendo ora, mia amica adorata, ma voi sembrate non sentirlo! Quale dolore mi provocate in petto!».
«Ma io… ho rovinato la vostra fuga… ho rovinato tutto…».
«No, Louise, non è vero! Non dite così…».
E, vedendo che la giovane stava per ricominciare a piangere, chiese, «Ditemelo, Louise, voi mi amate?».
La giovane, ricacciò indietro le lacrime ed enunciò con voce tremante:«Sì, Eugenia, io… vi amo».
«Allora non c'è problema», sorrise Eugenia, «perché io vi amo dal profondo del cuore e non mi interessa cosa dirà la gente: noi proseguiremo per la nostra strada per conto nostro. Non l'abbiamo forse detto all'inizio del nostro viaggio, "al diavolo il costume"?».
Lo sguardo che Louise le riservò, era così innamorato e carico di riconoscenza che la signorina Danglas, senza riuscire a contenersi, la strinse forte a se, come aveva fatto la sera prima. Poi, ridendo gioiosamente si sporse dal finestrino e gridò al cocchiere un ordine:«Non andiamo più a Parigi! Invertite la marcia! Svelto abbiamo fretta, noi!».
«Fretta per cosa?», domandò rincuorata Louise.
«Di vivere la mia vita con te, Louise, ovunque vorremo e come vorremo: che il mondo dica quello che vuole, non potrà biasimare due persone felici».
«Oh, Eugenia, voi mi riempite il cuore di gioia!».
Lo disse con una tale ed autentica contentezza che la signorina Danglas si commosse:«E voi riempirete la mia vita di felicità!». E, presole il volto tra le mani, la baciò nuovamente con infinita dolcezza.
La signorina d'Armilly, abbandonato ogni contegno, le si avvinghiò contro, rispondendo appassionatamente all'amica. E non si curò del fatto che qualcuno potesse vederle dal finestrino della carrozza perché il suo mondo ora vorticava così velocemente attorno a quelle dolci labbra tanto che non si ricordava quasi di respirare. Perché quello che provava in quel momento, era la magica e vecchia favola che incendiava i cuori di tutte le fanciulle mentre sospiravano malinconiche guardando il tramonto da sole, era tutto ciò che ogni ragazza sognava di trovare nella propria vita e che lei aveva trovato nella persona che le era stata più vicina: quello era amore. E tutte quelle ragazze per bene che aspettavano ancora il loro principe azzurro non potevano disprezzarla poiché loro erano ancora ad attendere su un davanzale che i loro genitori la vendessero al migliore offerente e lei era lì a baciare la persona che amava. Ogni imbarazzo era ora sparito dal suo cuore e il solo rossore rimasto sul suo viso era quello della contentezza. Non voleva più vergognarsi del sentimento che provava nel petto, non voleva più celarlo ingloriosamente reprimendo la tristezza e soffrendo la solitudine: voleva solamente esprimerlo, gridarlo forte e chiaro, lasciarlo andare e lasciarsi travolgere dalla potenza di quelle emozioni. Perché non c'era nulla di male in quel piccolo, innocente,  grande amore.




                                                        



Fine

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Salve a tutti quelli che hanno avuto il coraggio di avventurarsi fino a qui!
Non ho molte parole da spendere su quest'ultimo capitolo. Chi ha letto il libro avrà sicuramente notato che questa è la re-interpretazione del capitolo 99, dove Andrea Cavalcanti fa la sua comparsa in scena. Il giovane, fuggendo dai gendarmi, si getta nella cappa del camino della stanza delle due ragazze (che, ripeto, dormivano nello stesso letto... >_>). Ho cambiato i dialoghi e il punto di vista che, nell'originale opera di Dumas, è quello di Cavalcanti in fuga mentre qui rimane sempre principalmente su Louise, solamente nel ultimissimo pezzo si sposta su Eugenia.
Spero riusciate anche qui a cogliere il pathos e le gioie e le sofferenze di questo piccolo, innocente, grande amore, rinchiuso come un uccellino in gabbia in un mondo ostile e omofobo che, purtroppo, non è troppo diverso da quello in cui viviamo. Dedico questo racconto a tutte la coppie omosessuali (ma in particolare quelle lesbiche) che lottano ancora per esprimere il loro amore.
Qui questa storia finisce ed il resto è silenzio.
Un grazie a tutti quelli che hanno letto questa fanfiction!

Un ringraziamento speciale a Branka, (per il supporto) e ad Hamber of the Elves, che non hanno mai mancato di recensire i precedenti capitoli.

Pendragon of the Elves


P.S.: (non possiedo i diritti per il conte di Montecristo, scritto dal grandissimo Dumas, e neanche per l'immagine che appartiene alla fantastica Kechake (Deviantart): è stato anche pensando a questa immagine che ho deciso di scrivere questa storia)

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