Over the moon

di Ariel Bliss Russo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Over the moon

Capitolo 1


Sorridete al mondo, perchè il vostro sorriso è bello..
e se vi dicono qualcosa, ridete ancora più forte
(e alzate il volume della radio, che la musica aiuta sempre) :D

{_Jane_7
*non sapevo se mettere il tuo nome o meno,
perciò ho scritto il tuo nick.
Grazie ancora per le belle parole*


«No»
Interruppe la conversazione, le labbra serrate in un’espressione rabbiosa che la persona fino a pochi secondi prima dall’altro capo del telefono non avrebbe potuto vedere, ma ben intuire.
Tirò indietro la sedia, facendola stridere contro il pavimento, e vi si abbandonò sopra pesantemente.
Emise un leggero sospiro, cercando di controllare il tremore che la scuoteva e i bruciore agli occhi.
Non ci poteva credere.
Sembrava tutto così irreale, nella sua testa, eppure ora ogni cosa aveva un senso, ogni gesto trovava il suo significato.
Gli sguardi bassi, le parole incerte.
Le bugie evidenti, le scuse inventate su due piedi.
La fuga.
E poi la telefonata.
Non ci voleva credere, ma era così.
Era stata tradita.
E lei non avrebbe perdonato nessuno.
Lo giurò a se stessa mentre i suoi occhi cedevano alle lacrime.
 
 
Janet chiuse la cerniera della sua valigia, nera e anonima come lei ed il suo stato d’animo attuale.
Certo, normalmente non si sentiva poi tanto meglio, dato che a scuola sembrava che il suo nome corrispondesse alla formula dell’invisibilità, e ciò nonostante la sua fosse una famiglia molto in vista a Reims.
Sua madre insegnava storia e filosofia in una scuola superiore -non la sua, fortunatamente- e suo padre era uno dei più importanti produttori di champagne della Marna e aveva il compito di controllarne la produzione e di organizzare e pianificare l’esportazione nel mondo.
Da piccola, ogni tanto, la portava a vedere i vigneti in cui moltissimi contadini e specialisti lavoravano, curavano e raccoglievano l’uva.
E’ importante che ogni grappolo sia maturo al punto giusto le ripeteva sempre, con quella scintilla negli occhi che chiunque avrebbe interpretato come orgoglio per il suo lavoro.
L’affascinava  l’entusiasmo e la dedizione che ogni lavoratore dimostrava svolgendo il proprio ruolo, inoltre tutti erano stati sempre gentili con lei, quelle volte in cui suo padre discuteva di compravendite e lei girava da sola per il grande vigneto per combattere la noia.
Era strano, in quel momento, dare la colpa a quel lavoro e a suo padre per il trasferimento, ma una parte di lei non poteva farne a meno.
«Tesoro? Scendi, la macchina è pronta!»
Janet sospirò, afferrando la maniglia della sua valigia e tirandola giù dal letto.
Fece vagare lo sguardo per l’ultima volta sui mobili della camera, lì sulla scrivania che solo il giorno prima era piena di libri e foto, o anche sull’armadio vuoto e la cassettiera all’angolo.
Le sarebbe mancata la sua casa, la sua città, persino la sua scuola e i suoi compagni.
In pochi si sarebbe accorti della sua partenza e forse quella era uno dei pretesti a cui l’altra parte di se si attaccava.
Quella che amava sognare, viaggiare, leggere, suonare e che non voleva essere riconosciuta solo come la figlia del grande Joseph Moreau.
Quella che voleva essere Janet, e basta.
 
Era stata già a Londra, in passato, e le era sempre piaciuta.
La vita non era frenetica e movimentata come a New York, però aveva un qualcosa che la rendeva magica ai suoi occhi.
Una realtà più vicina alle sue fantasie, quelle dove ogni giorno somigliava un po’ ai film o ai romanzi di cui tanto amava cibarsi, metaforicamente parlando.
L’incipit stesso del trasferimento le aveva suggerito la speranza di un nuovo modo di vivere, una nuova linea di partenza, dove poteva trovare qualcuno che magari le sarebbe diventato amico, che le avesse detto e poi dimostrato di volerle bene.
D'altronde, l’idea di quel cambiamento radicale la spaventava, e probabilmente era anche per questo che si era arrabbiata tanto quando suo padre le aveva detto che si sarebbe trasferiti.
Quella a Reims era una vita noiosa e triste, ma almeno era solida, era una certezza, le dava la possibilità di sapere con sicurezza cosa faceva e cosa avrebbe fatto dopo.
Era stata strappata dalla comodità, da qualcosa che si adattava a lei rendendo tutto più semplice.
Adesso però era lei a doversi adattare, ricominciare, osare, provare, costruire il futuro in una possibile nuove casa permanente.
E questo la spaventava, la sola prospettiva la riempiva d’ansia e le faceva venire mal di pancia, però ne avrebbe potuto ricavare qualcosa di buono, se solo si fosse decisa ad essere un ò più coraggiosa.
Era davvero tanto stupida a pensarlo o si sentiva così solo lei?
 
«Bene Janet» disse sua madre, accostando di fronte ad un grande edificio grigio spento, in un tono allegro che non riusciva a contagiarla.
Le mani della ragazza si contorcevano replicando in modo visibile l’agitazione che tormentava il suo stomaco.
Ed era ancora chiusa nell’abitacolo.
Non osava pensare a cosa sarebbe successo dentro…
«Tesoro, mi stai ascoltando?» le chiese sua madre con voce addolcita, senza curarsi del nervosismo della figlia.
«Si…» sussurrò lei, lasciandosi andare ad un sospiro e portando dietro l’orecchio una ciocca nera, sperando di ritrovare la calma.
«Bene» ripeté, più a se stessa che a Janet «Devi andare in segreteria per prendere l’orario delle lezioni. Ti daranno un modulo da riempire in cui dovrai segnare le attività artistiche che preferisci. Ovviamente ci sarà anche il corso di violino, così potrai continuare qui gli studi, e potrai fare canto se ti va. Oh, quasi dimenticavo, sarò la tua insegnanti di storia e filosofia! Non è meraviglioso?»
Ogni piccola informazione entrò nel suo cervello a rallentatore, analizzata attentamente mentre il suo corpo era troppo occupato nel trovare un modo per calmare i battiti furiosi del cuore.
Poi decifrò anche l’ultima frase e, ad occhi sbarrati, si girò verso la madre.
«Come? Spero sia uno scherzo, mamma!» disse con voce quasi stridula, stringendo forte le mani finché non sentì qualche ossicino scricchiolare.
«Non urlare in questo modo con me» la rimproverò lei, guardando la ragazza severamente negli occhi.
Per un attimo Janet non seppe cosa dire.
Non era da lei rivolgersi in quel modo a sua madre, ma l’idea di averla sotto uno stesso tetto che non fosse casa loro l’aveva scioccata.
«Scusami» dissero entrambe, guardandosi negli occhi e accennando una risatina.
«So che per te è difficile. Ci siamo appena trasferiti e dovrai abituarti a questo posto, ma vedrai che col tempo ti piacerà. Londra è splendida. E… cercherò di non farti pesare la mia presenza a scuola» la voce sincera e comprensiva di Sarah l’aiutò a calmarsi e toccò una corda della sua anima che non aveva mai suonato, prima.
Sua madre era inglese, in realtà, perciò Janet sapeva parlare entrambe le lingue ed il trasferimento, da quel punto di vista, non era un problema.
Lei, però, non le aveva mai davvero parlato come… beh, come una madre.
A casa si incrociavano solo per pranzare e cenare, oltre che al mattino per dedicarsi ognuno alle proprie attività.
Lei e il suo fratellino di undici anni andavano a scuola in auto con il padre, dato che l’altra insegnava più lontano dalla loro villetta un po’ isolata e solitamente usciva presto la mattina.
Perciò quel cambiamento improvviso la sorprese, ma le fece piacere.
Aveva sempre pensato che sua madre avesse nostalgia della sua città d’origine e forse, ora che erano lì, si sentiva più se stessa di quanto non fosse stata prima.
«Ora scendiamo»
Magari non sarà così difficile abitare qui pensò, scendendo finalmente dalla macchina e puntando gli occhi verso la sua nuova scuola.
L’edificio grigio ed imponente le ricordò l’ansia che l’aveva colpita quella mattina appena sveglia.
Non era esattamente un tipo pauroso, erano le cose nuove, quelle che non conosceva, a spaventarla.
Nel cortile c’erano ancora pochi ragazzi -d’altronde mancava ancora mezz’ora all’inizio delle lezioni e lì sembrava che tutti se la prendessero comoda- e in pochi si accorsero del loro arrivo.
All’interno la scuola era ancora più banale che da fuori, con gli armadietti incollati a muro e le porte per le varie aule sparse per il corridoio spazioso e illuminato.
Per quanto fosse semplice, qui tutto sembrava gridare libertà e spensieratezza, tutta un’altra cosa rispetto alla rigidità e all’obbligatoria e severa attenzione per le regole che vigeva nella scuola privata di Reims in cui andava.
E ciò la faceva sentire un po’ piccola e impaurita, oltre che emozionata.
Era una cosa buona, no?
Sperava di si, e che magari col tempo si sarebbe potuta abituare.
Sarah le mise una mano sul braccio per attirare la sua attenzione, sorridendole teneramente.
«Vai a cercare la segreteria da sola? Io devo andare dal preside per…»
«Non c’è problema» la interruppe la ragazza, sforzando un sorriso.
Sua madre la ringraziò con gli occhi, lasciando la presa e facendo qualche passetto rumoroso -non andava da nessuna parte senza i tacchi- indietro.
«Grazie piccola, ci vediamo dopo» salutò la figlia frettolosamente, girandosi poi per allontanarsi in cerca dell’ufficio del preside.
Vedendola andare via, Janet fece un bel respiro, costringendosi e guardarsi attorno, sperando di trovare qualcuno a cui chiedere informazioni.
Rimase ferma sul posto, attorcigliandosi i capelli fra le dita, non pensando davvero a cosa fare.
Non conosceva nessuno lì, ma sperava di poter rimediare, in qualche modo.
Doveva trovare qualcuno di strano come lei, o era meglio lasciare che fosse qualcun altro a decidere di avvicinarsi?
«Sei quella nuova?»
Il suo cuore sussultò, colto di sorpresa da una voce tanto vicina.
Voltò la testa di lato, lentamente, incrociando gli occhi castano chiaro, quasi dorati, di una ragazza dal viso gentile.
Aveva i capelli corti, sulle spalle, di un bel biondo scuro che s’intonava con la pelle rosea delle guance.
E aveva qualcosa nello sguardo… Janet non riusciva a capirlo, ma era come ci fosse una macchia -e non un colore diverso, ma una macchia in profondità- che le offuscava gli occhi.
Batté le palpebre, sentendosi stupida per aver messo in imbarazzo quella ragazza, che ora la guardava un po’ confusa, con le sue solite stranezze.
«Io, ehm… si. Stavo cercando la segreteria» riuscì a dire, cercando di non apparire patetica.
L’altra rise leggermente, facendole un cenno con la mano.
«Ti ci porto io»
Presero un piccolo corridoio sulla destra, anziché continuare dritto come aveva fatto sua madre.
La segreteria era proprio in fondo, lì dove il passaggio si apriva in una sala più grande con tre persone davanti a dei computer vecchiotti, solo il rumore dei tasti ad eliminare il silenzio.
«Ehi Maggie, ti ho portato la nuova» disse la ragazza accanto a lei, appoggiando una mano sul tavolo di una signora dall’aria simpatica.
«Sempre a soccorrere i bisognosi, eh?!» ribatté l’altra, facendo spuntare un sorriso canzonatorio sul viso.
La sua accompagnatrice arricciò le labbra, poi si girò verso di lei.
«Il mio compito è finito» sospirò, indicando la signora che aveva appena parlato.
«Se hai delle domande, Maggie saprà senz’altro come aiutarti. Per il resto dovrai cavartela da sola» aggiunse, muovendo qualche passo verso l’uscita.
Si fermò prima di poter riprendere il corridoio però, rivolgendo nuovamente la sua attenzione alla ragazza.
«Come hai detto di chiamarti?» domandò, agitando un dito verso di lei e socchiudendo gli occhi con un mezzo sorriso sul viso.
Non l’ho detto infatti rifletté, aggrottando le sopracciglia.
«Sono Janet» rispose, stringendo lo zaino assicurato alla sua schiena per una spalla sola.
«Nuova e francese» mormorò, inclinando la testa «almeno sarò la prima a saperlo. E comunque, io sono Mimì» completò, a mo’ di saluto, sparendo oltre la porta.
Janet rimase a fissarla per qualche secondo, poi si girò verso la segretaria, che le fece segno di accomodarsi.
Come ad interpretare i suoi pensieri, la donna rise, inforcando gli occhiali appesi al collo e sistemandoli sulla punta del naso.
«Non preoccuparti cara, Mimì fa così con tutti. Questa è una scuola molto particolare, ti ambienterai in poco tempo» disse, concentrandosi poi sullo schermo del pc.
Janet sospirò, cominciando a rimpiangere la sua vecchia città.
I cambiamenti fanno paura a tutti le aveva detto una volta suo padre.
Beh, succedeva anche se il cambiamento consisteva nel piombare in una scuola particolare?
La ragazza sospettò di si.
Che l’avventura cominci, allora. Janet, benvenuta alla Arts and Music Academy.

L'angolo del Cappuccino (?)!
Saaaalve :D
Sono tornata a torturare le vostre vite riaffermando la mia presena in questo sito.
Ahahah, no okkei, ho una nuova storia da proporvi.
Questa è molto diversa dalla prima, perchè è la mia versione del come sarebbe la vita dei ragazzi se non fossero famosi.
Stanno tutti in questo bel posto inventato da me e che ho stupidamente denominato Accademia dell'arte e della musica, tanto per sembrare professionale xD
Perchè si, tutto quello che scrivo deve assolutamente avere a che fare con la musica.
Ringrazio, come sempre, le mie fanciulle, le ragazze del gruppo Scrivere bevendo un Cappuccino che rendono colorate le mie giornate.
La citazione ad inizio capitolo è farina del sacco di una di loro, che ringrazio di cuore per avermi permesso di usarla.
Anna, grazieeeeeeee (?) :3
Bene, ho finito.
Perciò.. addio, aspetto i vostri commenti :)
Appuntamento alla prossima settimana, baci!
Ariel Bliss Russo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Over the moon

Capitolo 2

You move in circles
You don’t need an invitation
You play it right so you can get the right reaction
{Falling Down - Selena Gomez


 

L’edifico e il cortile di fronte si riempirono solo negli ultimi dieci minuti.
I ragazzi si salutavano a distanza o si fermavano per quattro chiacchere, e ognuno sembrava avere il suo gruppo.
Janet si sentiva un po’ spaesata, ma quel caos e l’energia che vibrava nell’aria la rendeva di buon umore.
Il peso dello zaino si era di gran lunga alleggerito, dopo aver sistemato molti dei libri che portava nel suo nuovo armadietto, ed era ancora intenta a memorizzare gli orari delle lezioni appuntati su un foglio, quando andò accidentalmente a sbattere contro qualcuno.
«Ehi, attenta a dove cammini!» protestò la ragazza con cui si era scontrata.
Alzò gli occhi, mortificata, incontrando quelli verdi e irritati dell’altra.
Come al solito ne aveva fatta una delle sue, il primo giorno nella nuova scuola.
«Scusami, non volevo…»  
Prima che potesse dire altro, mettendosi a farfugliare frasi incomprensibili, lo sguardo della ragazza cambiò, con una punta di sorpresa mista a curiosità.
Si accorse solo in quel momento che dietro di lei c’erano altre ragazze, le quali osservavano la scena bisbigliando a mezza voce e lanciando occhiatine furtive.
Janet ammutolì quando le rivolse nuovamente la parola, stavolta con tono più cordiale.
«Sei la ragazza nuova, quella che viene dalla Francia?»
Annuì, sempre più sorpresa dalla rapidità con cui le notizie giravano in quella scuola.
Ed era arrivata da quanto? Due giorni?
Probabilmente qui è normale si disse, abbozzando un mezzo sorriso.
«Oh, è un piacere conoscerti!» esclamò quella, battendo entusiasta le mani fra di loro.
«Io sono Katrina» aggiunse, allungando una mano verso Janet che, confusa dall’ improvviso cambio d’umore della ragazza, la strinse senza badarci troppo.
«Janet» replicò educatamente.
«Mi piace» commentò un’altra delle bionde accanto a Katrina, facendole l’occhiolino «io mi chiamo Sarah»
Janet annuì di nuovo, mentre la dolorosa stretta di paura e disagio nel suo stomaco andò attenuandosi, e avrebbe forse accennato ad un ‘piacere’ un po’ più caloroso se Katrina non l’avesse interrotta.
«Sarah, non c’è fretta di presentarsi, Janet avrà tutto il tempo di conoscerci e, perchè no!, entrare nel nostro gruppo!» esclamò con voce un tantino stridula, inclinando leggermente la testa per squadrare attentamente Janet.
Lei non sapeva che dire.
Possibile che lì si legasse tanto in fretta?
Oh, ma perché tante domande!? Cosa ne sapeva, lei, delle scuole private di Londra se l’unica istruzione che aveva ricevuto era stata rigida e limitata solo alla buona educazione e alla severa disciplina?
«Sarebbe bello» balbettò imbarazzata, abbassando lo sguardo da quello pungente e curiosa della ragazza.
 Katrina fece un sorriso che, ad un occhio inesperto come quello di Janet, poteva sembrare dolce, ma che andava totalmente verso la strada opposta.
Avere una nuova pedina serviva sempre, in una scuola come la loro.
«Ottimo. Benvenuta alla Arts and Music Academy, piccola Janet»
Bizzarro, si era detta la stessa cosa poco fa.
Abbozzò un sorriso più convinto, seguendo il gruppetto di ragazze quando Katrina fece loro cenno di muoversi.
Magari si sarebbe adattata prima di quanto pensasse.
 
«Louis, ehi!»
Il moro si girò udendo il suo nome, la mano ancora sullo sportello aperto dell’armadietto, con le sopracciglia aggrottate alla ricerca della persona che lo aveva chiamato.
Il suo sguardo incontrò quello di Harry, a pochi passi dietro di lui, con quel suo modo di camminare e lanciare sguardi che attirava il sesso opposto come la luce con le falene.
Ruotò gli occhi per quella giornaliera dimostrazione di mascolinità, fissando l’amico con fare divertito.
«Hai finito di sfilare per i corridoi della scuola?» gli chiese non appena quello fu abbastanza vicino.
L’altro non degnò di nota quel commento sarcastico, facendo schioccare rumorosamente la lingua con la consapevolezza di quanto desse fastidio a Louis ogni volta che lo faceva.
Era un segno di novità e spesso, spessissimo anzi, Harry gli portava racconti delle sue ultime avventure.
E Louis si annoiava da morire.
«Ok amico, sai che giorno è oggi?» domandò il riccio, sbuffando mentre l’altro era occupato a raccogliere i libri dall’armadietto.
Louis però non rispose subito, intento a cercare il libro di matematica che gli sarebbe servito per la lezione successiva.
Ma dove diavolo l’aveva buttato?
«Ascoltami, dai!» si lamentò Harry, spingendolo fuori da quel buco di metallo e sbattendo lo sportello per obbligarlo a ascoltare ciò che aveva da dirgli.
«Katrina rompe ancora le palle? Diglielo chiaro e tondo anziché portartela a letto ogni volta, no?» lo precedette Louis, poggiando una spalla all’armadietto.
«Non c’entra Katrina, spero. Cioè, non so se lei… ok, il punto è che oggi è il primo lunedì di ottobre» fece lui, passando distrattamente una mano fra i riccioli.
«So leggerlo anche io il calendario… e quindi?»
«Ma come, lo hai dimenticato?»
«Cosa?»
Harry guardò male il ragazzo, scuotendo la testa.
A volte Louis sembrava vivere in un altro pianeta.
«Oggi ci sono le prime audizioni per l’organizzazione dei nuovi gruppi!» esclamò spazientito, lasciando poi sorgere un sorriso calcolatore sul viso.
Merda, Louis lo aveva dimenticato.
Si portava la testa da giorni con quel grande evento, che li vedeva impegnati come parte della giuria, ma non per il vero motivo che avevano le audizioni in sé, no.
La A.M.A, letteralmente Academy of Music and Arts, era un liceo-istituto, il loro ovviamente, situato nel centro di Londra, che dava agli alunni la possibilità di frequentare le lezioni tradizionali come letteratura, matematica, storia, filosofia, biologia e quant’altro insieme a corsi musicali che prevedevano l’uso di almeno uno strumento e il canto o più strumenti insieme, oltre i corsi extra di ballo.
Ogni anno si facevano delle audizioni per raccogliere gli elementi migliori e inserirli nello spettacolo di fine anno.
Più o meno era tutto.
«Hai idea di quante ragazze si esibiranno di fronte a noi? Faremo una lista delle migliori, puoi starne certo» aggiunse, annuendo a se stesso per quell’idea geniale.
Ed ecco perché Harry aveva insistito tanto con la preside per inserire i loro nomi.
Che poi perché ha coinvolto anche me in questa cosa?
Ah giusto, era il suo migliore amico, dovevano fare le cose insieme.
Tsz, fortuna che non facevano tutto insieme, anche se Harry gli aveva detto più volte che c’era stata qualche ragazza che avrebbe accettato una cosa a tre.
Bleah, il solo pensiero gli rivoltava lo stomaco e doveva ancora mangiare.
E poi lui era occupato, ma ad Harry non importava perché Melissa non gli piaceva proprio.
«Non ricordavo fosse oggi» si scusò, approfittando della distrazione di Harry per riaprire l’armadietto e cercare il volume di matematica.
Ecco dov’era! Ma chi ce lo portava dietro il mattone di letteratura?
«Louis, questa cosa del voto basso in matematica ti sta mandando a puttane il cervello. Hai una buona media, non sarà un solo quattro a rovinarla!» sbottò Harry, incrociando le braccia nel momento in cui Louis gli lanciò un’occhiataccia.
«Fatti bocciare anche tu in terza e poi vediamo se non ti viene la voglia di studiare un po’ di più e mandare a fanculo il liceo quando finisci» commentò il moro, richiudendo l’armadietto e avviandosi nel corridoio.
Dopo un secondo Harry lo affiancò con le mani nelle tasche.
Lui non era mai stato bocciato ed era al quarto anno, mentre Louis, che aveva dovuto ripetere il terzo, ora era all’ultimo.
In effetti l’idea di dover ripetere un intero anno lo spaventava.
Peggio, lo terrorizzava completamente.
«Hai ragione. Però questa è un’occasione per svagare un po’!» riprovò, sapendo di avere ragione.
«Non giocare la carta dello studio che mette pressione»
Harry lo superò e gli si parò davanti.
«Louis, Louis, Louis» disse con tono fintamente amareggiato, scuotendo i riccioli e poggiandogli una mano sulla spalla.
L’altro inarcò un sopracciglio, non sapendo se ridere o mandarlo a quel paese.
«Quando capirai che lo faccio per il tuo bene? Studiare è giusto, ovviamente, ma dovresti staccare un attimo la presa» continuò, mimando a gesti il filo che viene via dalla presa nel muro.
Louis sospirò, grattandosi la nuca.
Non gli avrebbe dato tregua finché non avesse acconsentito.
Magari ne ricavava qualcosa di buono.
Vabbè.
«Dove e quando?» chiese svogliatamente, lasciandosi scappare un sorriso quando il viso dell’amico si illuminò a giorno.
Poteva fare il figo quanto voleva, ma in fondo Harry era un tenerone come lui e non avrebbe fatto niente senza Louis.
«All’auditorium dell’ala est, alle quattro. Sei il migliore Louis! Ci vediamo a pranzo!» esordì con foga, lasciandolo con una pacca sulla spalla e correndo per arrivare puntuale alla prossima lezione.
A proposito, lui dove doveva andare adesso?
Quarta ora, quindi… matematica!
Cacchio, se l’era levato dalla testa nel giro di pochi secondi!
Si affrettò verso il lato opposto del corridoio, ignorando che qualcun altro avesse appena assistito alla sua chiacchierata con Harry.
 
E così stava davvero con lui, il famoso Louis.
Louis Tomlinson.
Il ragazzo di sua sorella Melissa.
La bionda sorrise, esaltata da quella piccola conferma, mentre poggiava completamente le spalle contro la piccola parte di muro compresa fra le due file di armadietti.
Melissa non l’aveva mai portato a casa, non aveva nemmeno mai detto il suo nome davanti a lei, però era riuscita a origliare una conversazione telefonica con una delle sue amiche pettegole e così… ora ne era sicura.
Seguì con gli occhi la figura del ragazzo moro, che in quel momento le passò davanti distratto dal suono irritante della campanella, senza accorgersi di lei.
Il sorriso diabolico sul suo viso si allargò in un ghigno.
Gli avrebbe fatto cambiare idea, eccome se ci sarebbe riuscita.
E sarebbe riuscita a ritornarle il torto, finalmente.

L'angolo del Cappuccino (?)!
Saaaalve! xD
Okkei, wau, 10 recensioni, preferita da 7, ricordata da 1 e seguita da 9??
Vi adorooo *w*
Sono contenta che questa FF sia stata accolta tanto bene, davvero, e spero che continuerete a seguirla così! :)
Aspetto i vostri commenti, MIAAAAAAAO (?)
Baciiii xD
Bliss Ariel Russo

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