June's Flowers

di ArtemisiaSando
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Per la prima volta da quando aveva cominciato il lavoro, Victor Sullivan decise di prendersi una pausa, una delle sue: ovvero qualcosa che prevedesse un bicchiere di scotch e un sigaro, qualsiasi bettola sarebbe andata più che bene.

Infondo la città non era poi così male, considerando che le terre di confine erano ancora martoriate dalla guerra recente. Junon sembrava ancora conservare quel fascino discreto di cittadina di provincia che le permetteva di non annegare completamente nel marciume e nell’illegalità che la guerra aveva portato con sé.

La gente era ancora infelice e povera, ma qua e là c’era chi tentava di riprendersi e di certo i bar del sobborgo erano l’attività più redditizia. Erano frequentati da gentaglia d’ogni tipo, militari disertori compresi, ma Sully non era un tipo schizzinoso e se qualcuno aveva intenzione di rompergli le uova nel paniere quella sera avrebbe trovato ciò che gli spettava.

 

Entrò da una porticina consunta all’angolo di un palazzo. Sembrava di discendere agli inferi tanto erano angusti i maledetti scalini, ma di certo pareva quello meno mal frequentato data la scarsità di loschi ceffi all’entrata. L’odore di fumo nella fastidiosa penombra era forte, ma non quanto si sarebbe aspettato e non si pentì della scelta considerando l’opzione di fumarsi un sigaro in santa pace. Un vago sentore di benzina da quattro soldi riempiva l’aria, ma, a parte il tintinnio di bicchieri e bottiglie, regnava uno strano silenzio.

Si diresse immediatamente verso il bancone, curandosi bene di non guardare in faccia nessuno, non era mai prudente in posti come quello. Il barista era un individuo magro e slavato, non molto più giovane di lui, e pareva estremamente infastidito dal dover asciugare bicchieri su bicchieri.

Ordinò uno scotch senza ghiaccio, ma dubitò seriamente che fosse anche solo lontanamente il migliore che avevano, nonostante questo per una volta non protestò, voleva solo starsene una serata tranquillo, senza che qualche stronzo gli puntasse addosso una pistola o cercasse di fregarlo.

Solo quando si fu sistemato sullo sgabello che, a occhio, avrebbe sostenuto bene il suo peso, si voltò verso l’estremità opposta della stanza notando che addossato alla parete si trovava un cencioso palchetto. Ciò che lo stupì davvero fu ciò che sopra vi si trovava: nella tenue penombra, illuminata a giorno solamente in quell’angolo di stanza, individuò una ragazza.

Strizzò appena gli occhi azzurro mare per vederla meglio e quasi si rovesciò addosso tutto il bicchiere, che gli fosse venuto un colpo se in piedi su quel palco non c’era la ragazza più bella che avesse mai camminato sulla terra! Non era certo il genere di donna che di solito aveva occupato il suo letto, ma non c’era nulla da obbiettare a quella sua paralizzante bellezza.

Il delicato vestito bianco fasciava un corpo esile che pure avrebbe fatto invidia a qualsiasi modella da copertina, con quei fianchi stretti e sinuosi, il seno generoso, le gambe candide e tornite. La osservò come uno scolaretto fino a che la ragazza non ebbe alzato il viso, guardando apparentemente dalla sua parte e il cuore sembrò schizzargli in gola per un lungo istante. Su quel viso dolce e gentile, circondato dai lunghissimi e lisci capelli mogano ramato, si apriva un sorriso degno di una dea della primavera tra le labbra piene di un tenue color pesca.

Solo quando la sconosciuta posò gli occhi grandi e profondi distrattamente su di lui, Sully poté notare l’oro puro in cui navigavano le sue pupille, iridi che brillavano alla luce degli sgangherati riflettori come pietre di rara bellezza. Victor gracchiò un istintivo sorriso quando si accorse di aver trovato un tesoro d’immenso valore proprio in quella squallida bettola.

La osservò ancora un istante senza la minima idea di che cosa ci facesse in un posto come quello, fino a che la ragazza cominciò ad intonare una canzone. Non gli sembrò affatto strana la mancanza di un accompagnamento, nonostante di musica non ne capisse un accidente, poteva di sicuro affermare di non aver mai ascoltato niente di simile.

Improvvisamente capì il perché del silenzio al suo arrivo, la ragazza doveva lavorare lì ogni sera e chiunque in quella stanza aveva aspettato di sentirne la voce in religioso mutismo.

 

Estel conosceva ormai ogni canzone talmente a memoria che cantare non le recava il benché minimo disturbo o impegno, così poteva guardare attentamente chiunque nella sala. Nonostante tutto la gente ancora la incuriosiva, riusciva a ferirsi così a fondo da radere al suolo città, spezzare vite e famiglie eppure c’era chi era ancora là per lei, commuovendosi a sentirla cantare.

La clientela era di solito abituale, più che altro ex militari ritrovatisi senza lavoro dopo la fine della guerra, persone sole al mondo, mariti infedeli e gentaglia di qualsiasi specie, che si inventava i mestieri più sgradevoli pur di uscire dalla povertà. Quella sera però c’era una faccia nuova proprio davanti al bancone, lo strano individuo non sembrava essere afflitto dagli stessi problemi che tormentavano gli altri, anzi, aveva un cauto sorriso sulle labbra sottili ad illuminare gli impavidi occhi azzurri.

Sorriso a cui Estel si sentì istintivamente di rispondere: rispetto agli altri clienti del locale era dotato di una bellezza virile e spavalda, che si rifletteva nel viso squadrato dai lineamenti gentili e rassicuranti. Non doveva avere più di trenta o trentacinque anni, ma a June sembrò stranamente maturo, come se la sapesse più lunga di quanto non desse a vedere in realtà. I capelli castani erano compostamente tirati indietro sulle tempie se non per un corto ciuffo scomposto sulla fronte, la barba sembrava volutamente non rasata di qualche giorno contrapponendosi ai baffi leggermente più lunghi.

Era davvero alto e il corpo piazzato e muscoloso traspariva dai pantaloni beige e dalla camicia verde chiaro aperta sul petto. Lo fissò tanto intensamente che si sentì sussultare quando, sul finire della canzone, l’uomo allargò il proprio sorriso per lei.

 

Con un guizzo degli occhi d’oro la ragazza distolse lo sguardo arrossendo e Sully capì di essere cotto, posò distrattamente il bicchiere sul bancone lanciandole un ultimo, furbo, sorriso.

- Amico, sai chi è la ragazza?- si rivolse allo svogliato barista, quando la melodia si fu spenta:- Non sei il primo e non sarai l’ultimo a volerlo sapere, “amico”. Non voglio problemi con la mia cantante, quindi tutto ciò che devi sapere è che si è presentata qui tre giorni fa. Non ho idea di chi sia, né da dove venga, ma ho il forte sospetto che sia una vagabonda, però è bella, sa cantare e questo è quanto.- rispose acido facendo sorridere Sully, aveva già promesso a se stesso una pausa e da quell’idiota non avrebbe ottenuto che i vaneggiamenti di un meschino, perciò si rassegnò a godersi il resto della serata.

La sconosciuta cantò ancora diverse canzoni, fino a che fu abbastanza tardi per il proprietario per accennarle con un gesto che poteva andare. Ringraziò fugacemente gli avventori e voltò loro le spalle uscendo dalla porta di servizio, Victor, colto di sorpresa, ricevette da lei un ultimo timido sguardo, ma non poté seguirla dato che il barista lo teneva strettamente sotto controllo. La lasciò andare a malincuore, sperando di ritrovarla il giorno seguente e pensando ad una tattica per avvicinarsi a lei, almeno per sapere il nome della ragazza che, con un solo sguardo, aveva tenuto una notte intera in scacco il suo cuore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Sullivan non si limitò a tornare la sera seguente, ma per molte sere a seguire si ripresentò nel minuscolo bar solo per vederla. Ormai conosceva molte delle sue canzoni e riusciva comunque ad apprezzarle ogni giorno, era sicuro che la ragazza si fosse accorta della sua presenza ed ogni sera la scopriva ad osservarlo attentamente mentre beveva il suo scotch o fumava il sigaro. Forse era semplicemente una sua impressione, ma più si abituava alla sua presenza più la ragazza gli sembrava bella, anche se bellezza per lei sembrava più un eufemismo che un attributo. Qualche volta gli era parso quasi impossibile che potesse esistere qualcosa del genere al mondo, un tesoro di una preziosità talmente rara ed inestimabile da non poter essere paragonato a nulla che Sullivan avesse mai rubato in vita sua.

Alla decima sera Sully decise di attuare il suo piano: sarebbe uscito dal locale molto prima della fine dell’esibizione e l’avrebbe aspettata nel vicolo su cui dava la porta sul retro.

Quando fu nel vicolo tenuemente illuminato si accese un sigaro, e accostandosi al muro accanto alla porta attese pazientemente.

 

Lo straniero se ne era andato presto quella sera, ed Estel l’aveva osservato uscire con un tenue senso di disagio. Si era abituata alla presenza dell’uomo che gentilmente l’ascoltava ogni sera con un dolce sorriso sulle labbra, se avesse avuto più rispetto per se stessa avrebbe chiesto il suo nome, si sarebbe avvicinata al bello sconosciuto ricambiando quell’interesse che sembrava provare per lei. L’istinto le diceva che avrebbe potuto fidarsi, lasciarlo entrare, il buon senso la rimetteva in riga ogni sera, ricordandole che avere un qualsiasi tipo di relazione con qualcuno sarebbe stato un rischio che non poteva permettersi di correre.

Non sapeva quanto a lungo sarebbe rimasta, né quanto a lungo sarebbe rimasto lui, probabilmente quell’improvvisa uscita significava un’imminente partenza e il pensiero le punse spiacevolmente il cuore, ma allo stesso tempo la costrinse a riportare i piedi saldamente a terra.

Concluse la serata e, come sempre, si avviò verso la porta sul retro. Le sembrò strano, appena uscita sul vicolo, sentire un forte odore di sigaro impregnare l’aria.

 

Il cuore mise Victor Sullivan in allarme ancor prima che il cervello elaborasse il rumore della serratura che scattava. Col battito irregolare ancora nella gola, lanciò il mozzicone di sigaro a terra e aspettò che la ragazza si facesse strada attraverso l’uscio. I capelli ramati ondeggiarono appena alla brezza della sera e un intenso profumo di fiori freschi gli inondò i polmoni, non appena la donna gli passò accanto senza accorgersi della sua presenza.

- Ehi!- la fermò con voce più rauca di quanto si sarebbe aspettato, non appena quella prese a camminare nella direzione opposta, ondeggiando piacevolmente i fianchi. La ragazza si arrestò a pochi passi da lui, voltandosi, apparentemente tranquilla. Un mare d’oro lo inondò, nonostante lo sguardo di lei non fosse dei più amichevoli:- Non voglio problemi.- fiottò distogliendo lo sguardo e riprendendo a camminare.

Sully si morse distrattamente il labbro inferiore, non poteva lasciarla scappare così:- Aspetta.- disse piano afferrandole delicatamente il braccio esile e caldo, questa volta la ragazza rilassò lo sguardo, stupita.

- Tranquilla, non voglio farti del male. Non sono come gli altri sciacalli lì dentro.- continuò dolcemente lasciandola, l’ultima cosa che voleva era metterla in una brutta situazione.

- No, infatti non sei come loro. Sei l’unico che è stato tanto sfrontato da seguirmi fin qui.- scherzò lei, nascondendo per un istante gli occhi d’oro tra le lunghe ciglia nere. Sully si sentì mancare il respiro, averla così vicina era tutta un’altra cosa e per un attimo non seppe cosa rispondere, se non sfoderando un modesto sorriso dei suoi che di solito con le donne aveva sempre funzionato.

Poi improvvisamente la risata leggera e melodiosa di lei ruppe il silenzio, suscitando in Sullivan la stessa reazione:- Davvero, che sei venuto a fare?- sorrise dolcemente, ma senza indietreggiare.

 

- Volevo solo sapere il tuo nome. – si sentì rispondere e per un attimo Estel rimase confusa dal calore che il viso dello sconosciuto aveva acceso nel suo cuore. Lo guardò intensamente nelle iridi azzurre e seppe che poteva fidarsi, il cuore gli batteva talmente forte nel petto che quasi arrossì per lui e per un istante la tentazione di toccarlo fu così forte che temette di non resistere.

 

Sully ricevette lo sguardo più intenso che avesse mai visto, quasi la ragazza gli stesse guardando direttamente attraverso l’anima. Resistette all’impulso di abbassare gli occhi e dopo un lungo istante la vide tornare a sorridere, bella come la primavera. In quel momento capì che ormai la sua priorità non era portarsela a letto, improvvisamente quel desiderio era stato scalzato da qualcosa a cui non avrebbe saputo dare un nome.

- Estel. Il mio nome è Estel June. – soffiò e solo allora l’uomo si accorse di quanto erano rimasti vicini, sorrise appena sperando di non sembrare troppo idiota e resistette all’impulso di abbracciarla.

- Victor Sullivan, per gli amici sono Sully.- ghignò abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe, non gli era mai successo di essere tanto impacciato con una donna, soprattutto una che doveva essere press’a poco di dieci anni più giovane.

- Ora devo proprio andare.- sorrise lei indietreggiando di qualche passo, non sembrava infastidita e Victor ne fu piacevolmente sorpreso.

- Stai attenta.- gracchiò istintivamente vedendola girare le spalle e allontanarsi, lei si voltò con un gesto distratto della mano:- So badare a me stessa.- lo canzonò, non poteva darle torto, era stata una delle frasi più stupide che avesse mai usato per approcciare qualcuno. Gli rivolse un ultimo fugace sorriso e con una scrollata di spalle se ne andò, salendo in fretta le scale alla fine del vicolo male illuminato.

Sully guardò la figura esile dai capelli ramati sparire in lontananza maledicendosi tra i denti:- Stai attenta? E chi cazzo sono? Sua madre?- si rimproverò con voce roca, prendendo un altro sigaro dal taschino della guayabera. Non riuscì ad accenderlo, invece si lasciò pesantemente andare contro il muro battendovi forte i palmi di entrambe le mani, notando solo in quel momento che tremavano.

- Diavolo! Il cuore … - ghignò dovendo ansimare per riprendere velocemente il controllo, e quello cos’era? Non aveva mai avuto una reazione del genere, anche con le donne più belle che aveva incontrato e ora il cuore gli batteva in petto come ad un ragazzino alla sua prima cotta.

Prese un respiro profondo e passandosi una mano tra i capelli decise che era ora di smetterla con quella farsa, non poteva lasciarsi vincere da una ragazzina, doveva dimostrare a se stesso che poteva essere una delle tante. Accese il sigaro prendendo una generosa boccata e si avviò verso il suo albergo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Il giorno seguente Estel sentiva ancora nelle orecchie la profonda voce dell’uomo che l’aveva sfrontatamente fermata nel vicolo. Dopo tutto il tempo che avevano passato osservandosi a prudente distanza, ritrovarlo così vicino era stato disarmante per lei. Avrebbe mentito a se stessa se non avesse ammesso di nutrire per lui un certo interesse, infondo non solo era bellissimo, ma c’era qualcosa nel suo sguardo, nel suo sorriso che riusciva a penetrare le sue difese, farla sentire al sicuro.

Con il cestino pieno di fiori tra le mani, si avviò distrattamente per la strada principale della città. Cosa sapeva di lui infondo, a parte il nome? Non era il caso di lasciarsi avvicinare, nonostante si presentasse assiduamente al locale per vederla da più di una settimana.

Il vestito che sfilò nella vetrina accanto a lei la distrasse, sospirò pensando che non se lo sarebbe mai potuto permettere e prima di potersene accorgere sbatté violentemente contro qualcosa di solido. Il cestino rovinò a terra e di sicuro sarebbe caduta se qualcuno non l’avesse prontamente sorretta tra le braccia.

- Oh dio, mi scusi! Sono mortificata, è colpa mia, ero distratta.- esclamò velocemente, vergognandosi ad alzare lo sguardo.

- Dovresti stare più attenta quando cammini!- la rimproverò una voce rauca e profonda, che la indusse immediatamente a rivolgere il viso verso l’uomo che ancora la sorreggeva tra le braccia forti.

 

Sully quasi si strozzò con la propria saliva quando si accorse che la ragazza che teneva tra le braccia era la stessa Estel del bar. Si guardarono stupiti per un lungo, imbarazzante momento e per un attimo, premuti ancora l’uno contro l’altro, sentirono i loro cuori galoppare all’unisono nella confusione della strada.

- Ma tu sei il pedinatore del bar! Sullivan … - esclamò la ragazza quando Victor la liberò dall’abbraccio, ancora confuso e meravigliato.

- Diavolo, ragazzina! Non ti stavo pedinando!- rimbrottò di rimando con un gesto stizzito delle braccia, sperando che il calore che sentiva in tutto il corpo non si desse a vedere anche sul viso.

- E comunque puoi chiamarmi Sully.- scosse la testa sconsolato, ma dovette rialzare lo sguardo quando Estel scoppiò in una dolce risata:- Ok … Sully. Allora fai anche qualcosa che non sia bere scotch e fumare sigari in un bar, eh?- lo canzonò mentre si chinava a raccogliere i fiori che le erano caduti insieme al cestino di vimini.

Victor si chinò ad aiutarla, lasciandosi prendere in giro, era semplicemente adorabile:- Già, ti stupirebbe sapere che ho persino un lavoro.- ghignò reggendole il gioco, sfiorandole volutamente la mano. Lei arrossì visibilmente, ma non perse il dolce sorriso:- Sono impressionata. Grazie … - sussurrò poi rialzandosi, Sully la seguì.

- Allora … te lo comprerai questo vestito?- scherzò sperando ancora di fare breccia nel cuore di lei, o forse ci era già riuscito, dato che, nonostante la tranquillità con cui stavano chiacchierando, poteva sentire di non esserle indifferente.

- Oh, no. Magari! Il massimo che posso permettermi per ora sono questi fiori.- sorrise gettando un’occhiata distratta alla vetrina, ma Victor trattenne l’impulso di entrare e comprale l’intero negozio, non sembrava il tipo di donna che accettasse regali immotivati. Con la fierezza che aveva nello sguardo di lupo piuttosto Sullivan con molta probabilità avrebbe ricevuto uno schiaffo.

- Sono per qualcuno di speciale?- non poteva resistere all’impulso di flirtare, voleva starle vicino il più a lungo possibile.

- Per la mia padrona di casa. Vive sola, il marito non c’è più da qualche anno e i figli sono morti in guerra, sai … - rispose dolcemente, abbassando lo sguardo come se ricordasse qualcosa di bello. Ok, il cielo ce l’aveva con i suoi principi morali, il primo dei quali era sempre stato “non farti accalappiare da una donna”.

Si limitò a rispondere al sorriso, senza dar retta alla voce che gli diceva di riprenderla tra le proprie braccia:

- Posso accompagnarti? – chiese quasi senza pensare e la ragazza parve piacevolmente colpita.

- Non stavi lavorando?- lo guardò circospetta, senza trattenere un sorriso:- Mai detto. Vengo volentieri però.- scherzò puntandosi le mani sui fianchi.

- Certo che sei un bel tipo. – osservò Estel passandogli accanto, aspettando che Sully la seguisse. L’uomo sorrise appena con una strana tenerezza che gli invadeva poco a poco il petto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

Camminarono fianco a fianco per un po’ chiacchierando piacevolmente, la presenza di lui la rasserenava in maniera curiosa nonostante l’avesse conosciuto solo la sera prima. Sentire i passi di Sully accanto ai suoi, il respiro ritmico e calmo, il calore del corpo alto e piazzato le avevano acceso nel cuore un sentimento che non provava da troppo tempo. Era un uomo divertente, arguto e brillante nonostante non perdesse occasione per flirtare con lei, ma non si sentiva affatto infastidita, anzi le sue leggere avances la scaldavano piacevolmente restituendole una sensazione che temeva di aver dimenticato anni prima.

Quando arrivarono nella stradina di periferia dove abitava la sua affittuaria, Estel bussò pazientemente alla porta non aspettandosi subito una risposta. Bussò di nuovo, questa volta provando a farsi riconoscere:

- Signora Jennings, sono Estel! È permesso?- esclamò gettando un’occhiata attraverso la finestra aperta.

La donna si alzò lentamente dalla poltrona del salotto:- Oh, Estel, tesoro entra. È aperto.- rispose una voce squillante dall’altra parte della porta.

June sorrise spingendo la maniglia e involontariamente afferrò la mano di Sully in piedi dietro di sé:- Vieni.- sussurrò, col cuore che batteva un po’ più forte quando l’uomo rispose rafforzando la stretta.

- Come sta, signora? Ha dormito bene?- le chiese accorata, abbracciandola di slancio con il braccio non impegnato nella stretta di Sully, stranamente non voleva lasciarlo andare.

- Così, così … sai, la schiena.- rispose lei in tono confidenziale:- Ma non dovevi disturbarti a passare, fai già tanto per me.- la rimproverò dolcemente, ma Estel non poté frenare un largo sorriso.

- Per me è un piacere. Se non le dispiace, oggi ho portato una persona.- rise appena mostrando la mano stretta in quella di Sullivan, lo guardò fugacemente e la dolcezza negli occhi azzurri di lui la fece arrossire.

- Cielo, no che non mi dispiace! Che bel ragazzo! Era ora, piccola mia … - esclamò mettendola in improvviso imbarazzo:- NO, ma che ha capito signora … - rispose accaldata, la voce leggermente più forte di quanto avrebbe voluto.

Accanto a lei il respiro di Sully cambiò, come se stesse sorridendo:- Ci sto lavorando.- sussurrò l’uomo con fare confidenziale, sporgendosi leggermente verso la donna. Estel si schermì appena, sperando che le dita coprissero il rossore sul viso:- Sa, vorrei tanto vederla sistemata con un bel giovanotto come lei, signor … - cominciò la signora Jennings indicando il petto di Victor.

- Sullivan.- finì per lei, forse divertito dalla situazione, ma non accennava a volerle lasciare la mano.

- Oh, signor Sullivan lei mi ricorda tanto mio marito alla sua età! L’ho conosciuto in un periodo di licenza dalla marina, buon anima … anche lei ha tutta l’aria di esserci stato.- sospirò strizzando gli occhi per vederlo meglio ed anche Estel si voltò a guardarlo, mentre, ad un gesto della signora, si accomodavano tutti e tre intorno al tavolo della cucina.

Non aveva notato prima quanto brillassero le iridi azzurre di lui, quanto fossero belle e piene di sentimenti. Voleva sapere ogni cosa sull’uomo che, d’improvviso, era piombato nella sua vita, voleva rimanergli accanto, con tutto il cuore.

- Si, mi hanno congedato cinque anni fa. Lei la sa lunga.- ghignò con un mezzo sorriso dei suoi ed anche la signora Jennings si trovò accattivata dalla voce di lui rauca e profonda, scoppiando in una risatina adulatrice.

Passarono un’ora estremamente piacevole, vista la straordinaria capacità di Sully di intrattenere sempre conversazioni divertenti ed interessanti. Estel non ricordava di aver riso in quel modo da molti, troppi anni e la sensazione di contare di nuovo qualcosa per qualcuno le scaldò il cuore quando pensava ormai non fosse più possibile.

Lo sguardo dell’uomo sembrava di sincero interesse per lei, quando le riservava dolci e fugaci occhiate tra un argomento e l’altro. Senza accorgersene accostarsi a lui, toccargli gentilmente il braccio, sfiorarne la mano erano diventati gesti spontanei e sinceri.

Quando salutarono la signora Jennings, con la promessa di tornare al più presto in compagnia di Sullivan, era già mattina inoltrata. Si fermarono un istante davanti alla porticina a volta e June sentì di dover, almeno in parte, esprimere quei sentimenti che aveva provato durante quella loro passeggiata.

- Grazie … - sussurrò senza riuscire a guardarlo negli occhi, aveva paura di leggervi qualcosa di più della semplice gratitudine.

 

- Di cosa?- le chiese Sully, colto di sorpresa, era la creatura più dolce e gentile che avesse mai conosciuto in vita sua.

- Per avermi accompagnata, per tutto … sei stato … grazie … - sorrise poi, rossa in viso rialzando lo sguardo per sostenere il suo. Era andato, perso, ormai si sentiva un caso irrecuperabile, ora che l’aveva conosciuta Sully sapeva di non poter più tornare indietro. C’era qualcosa in lei che riusciva a portare alla luce la parte migliore di lui e l’unica cosa che poteva fare era rispondere al sorriso, questa volta sperando che la ragazza vi cogliesse i sentimenti che stavano nascendo nel suo cuore.

- Grazie a te, per avermi concesso il tuo tempo.- scherzò distogliendo lo sguardo, non sapeva quanto ancora avrebbe resistito dal posare le labbra su quelle di lei.

- Senti … conosco un posto bellissimo qua vicino, possiamo andare se ti va. – propose cautamente la ragazza torturandosi una ciocca di capelli ramati, Sully sollevò un sopracciglio, stupito che si fosse improvvisamente sciolta.

- Ora?- rise appena, senza volerlo, non desiderava prenderla in giro, ma solo dissimulare il proprio entusiasmo.

- Se non hai da fare ovviamente … bada che non si può fumare però!- lo rimbeccò alla fine, con un cipiglio adorabile:- Sul mio onore.- sorrise Sullivan posandosi una mano sul petto, Estel scosse le spalle facendo ondeggiare la chioma color mogano.

Raggiunsero un piccolo parco di periferia proliferato accanto alla sponda di un fiumiciattolo, il primo verde che vedeva nella città ancora coperta di macerie. Non smisero un secondo di punzecchiarsi, di giocare con le parole e gli sguardi almeno finché Estel non scelse una tranquilla panchina adagiata, in apparente precario equilibrio, sotto uno dei maestosi ciliegi in fioritura. Si sedettero in silenzio l’uno accanto all’altra godendo del panorama, coperto qua e là del rosa dei petali di ciliegio strappati dal vento.

Sully la sentì sospirare lasciandosi andare allo schienale della panchina:- Hai fatto colpo. Sembra che la signora Jennings si sia innamorata di te.- ridacchiò, cominciando ad intrecciare i folti capelli lisci in una morbida treccia.

- Peccato che il mio cuore stia già battendo per qualcun altro.- fiottò Victor senza riuscire a trattenersi, ma distolse lo sguardo da lei, fissandolo invece in un punto imprecisato in lontananza. Non era una menzogna, il cuore batteva davvero veloce sotto la canottiera bianca tesa sui pettorali.

- Sully … stai flirtando con me?- lo canzonò la ragazza, smettendo di toccare i capelli e voltandosi a guardarlo, poteva sentire le iridi d’oro di lei scrutargli dolcemente il viso. L’uomo accennò una rauca risata, sperando di buttarla sullo scherzo:- Hai ragione. Perdono.- sospirò alzando le mani, sconfitto.

Lei lo seguì, accennando una risata ma di nuovo i loro sguardi si allacciarono e Sully non poté fare a meno di notare quanto grandi e profondi fossero gli occhi della ragazza: erano animati da qualcosa che non si sentiva di riconoscere in nessuna delle donne con cui aveva avuto una relazione.

La cosa lo rassicurava e spaventava allo stesso tempo. Sapere di aver trovato in lei qualcosa che nella sua vita non aveva precedenti faceva oscillare i suoi pensieri dove non avrebbero dovuto, ma l’idea che June avesse potuto scoprire chi fosse in realtà Victor Sullivan lo terrorizzava. Se avesse saputo che razza di criminale aveva di fronte, quanti uomini aveva ucciso per il semplice piacere del denaro e della sua carriera di donnaiolo incallito l’avrebbe sicuramente perduta.

Eppure non poteva ignorare il tiepido sorriso che le illuminava il volto guardandolo, l’istinto comandava il suo corpo e i suoi sentimenti, ma sapeva che l’avrebbe ferita … prima o poi sarebbe accaduto.

 

Estel sentiva il proprio cuore attanagliato da quello sguardo limpido e sincero, le dolci avances dell’uomo stavano lasciando un impronta sul suo corpo, un segno che non avrebbe potuto ignorare per sempre.

Più trascorreva del tempo con lui, più Sully le sembrava l’uomo più bello che avesse mai visto e per un intenso istante dovette lottare contro l’impulso di toccarlo, sentire se era caldo come immaginava, se le orecchie non la stavano tradendo trasmettendole il battito accelerato che proveniva dal petto di lui. Di nuovo il suo corpo reagì di conseguenza, il sangue fluido e caldo che le viaggiava veloce fino al viso.

- Che c’è?- chiese sulle sue, distogliendo lo sguardo al sorriso divertito del ragazzo.

Il gesto inaspettato di Sully le bloccò il respiro a metà dei polmoni: la mano di lui slittò lentamente verso i suoi capelli, districandone gentilmente un fiore caduto dall’albero sopra di loro. Il cuore le mancò una contrazione, riprendendo subito a battere velocemente:- Oh … - riuscì solamente a sospirare sperando che lui non si accorgesse di quel momento di debolezza.

Si rimproverò per aver sperato in un abbraccio, in una carezza e prontamente riacquistò un sorriso apparentemente tranquillo nonostante Sullivan la guardasse ancora con estrema dolcezza, forse combattuto quanto lei.

- Merda!- imprecò poi, quando lo sguardo gli cadde inavvertitamente sull’orologio:- Devo andare, avevo dimenticato di avere un impegno per pranzo.- le spiegò irritato con quella sua voce profonda.

- Mi spiace, è colpa mia. Ti ho chiesto io di venire.- sospirò Estel, delusa, ma il sentimento non le impedì di sfiorare gentilmente la mano di Victor con la sua.

- Quando posso rivederti?- le chiese suadente, confondendola:- A parte il bar? Qui … vengo qui ogni giorno prima di pranzo. Ti aspetterò.- sorrise di cuore e per la prima volta lo vide in seria difficoltà. Neppure lei si sarebbe mai sognata di poter pronunciare quelle parole, ma si fidava di Sully, voleva averlo vicino finché fosse stato possibile. Forse se ne stava persino innamorando.

- O-Ok … a presto allora.- ghignò l’uomo, con voce più rauca del solito, ma il sorriso non abbandonò nessuno dei due neppure quando Sully si fu alzato e allontanato di qualche passo. Le voltò le spalle solamente quando June l’ebbe salutato appena con la mano esile e tiepida, lasciandola sola col proprio cuore.

Cos’era quella strana sensazione di vuoto nel petto? Si sentiva talmente ingenua che dovette lottare contro l’impulso di allontanarlo, non permettere a se stessa di rivederlo, di provare qualcosa di più profondo del timido sentimento che cresceva in un angolo della sua anima che fino a quel momento aveva creduto freddo e perduto.

- Che stai facendo, Estel?- si rimproverò con un sorriso, le dita strette intorno alla collana che portava sul petto.

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Questa volta il capitolo è un pò più lungo, mi scuso, ma non vorrei dovermi trovare ad aggiungerne troppi :)  (Anche se premetto di essere una gran logorroica e la storia è lunga, nonostante la gran parte sia già pronta al sicuro nel mio pc ^-^ )

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Per quasi una settimana Sullivan tornò nel bar ogni sera, ed ogni mattina in quel piccolo parco che Estel gli aveva mostrato. Passavano lunghe ore a chiacchierare e scherzare senza che l’uomo sentisse l’urgenza di concludere qualcosa con lei, gli bastava averla vicina, poter godere della luce che gettava su qualsiasi cosa avesse la fortuna di incontrare il suo sguardo.

Victor era già nel bar quando June arrivava per lo spettacolo, lei aveva preso l’abitudine di salutarlo leggermente con la mano prima di iniziare a cantare, mentre per Sully le parole d’amore che la ragazza pronunciava nelle sue canzoni avevano assunto nuovi significati. Era diventato suo amico, ma sapeva che cosa si agitava sotto la superficie, perché la voce di lei era riuscita ad insinuarsi così a fondo nel suo cuore.

Aveva sempre creduto di aver amato ogni donna con cui aveva diviso il letto almeno una notte, ma dovette ammettere di essersi sbagliato. Per nessuna aveva mai provato neppure la metà di ciò che Estel riusciva a scatenare dentro di lui, non era mai stato innamorato ed ogni sera, per brevi momenti, riusciva ad accettare che cosa stesse succedendo. Si stava innamorando di lei …

L’idea gli fu chiara solamente la sera in cui Estel cambiò la sua ultima canzone. Nel silenzio del bar Sully ascoltò parole che mai aveva sentito:

“ Whenever I sang my songs, on the stage, on my own

   Whenever I said these words, wishing they would be heard

   I saw you smiling at me, was it real or just my fantasy?

   You’d always be there in the corner of this tiny little bar

 

  My last night here for you, same old songs just once more

  My last night here with you? Maybe yes, maybe no

  I kind of liked it your way

  How you shyly placed your eyes on me

 

  Oh, did you ever know that I had mine on you?

 

  Darling so there you are, with that look on your face

  As if you’re never hurt, as if you’re never down

  Shall I be the one for you

  Who pinches you softly but sure, if frown is shown then

  I will know that you’re no dreamer

 

  So let me come to you, close as I want to be

  Close enough for me to feel your heart beating fast

  And stay there as I whisper how I loved your peaceful eyes on me

  Did you ever know that I had mine on you?

 

  Darling so share with me your love if you have enough

  Your tears if you’re holding back, or pain if that’s what it is

  How can I let you know, I’m more than the dress and the voice?

  Just reach me out then, you will know that you’re not dreaming

 

  Darling so there you are, with that look on your face

  As if you’re never hurt, as if you’re never down

  Shall I be the one for you

  Who pinches you softly but sure, if frown is shown then

  I will know that you’re no dreamer”

 

Il cuore di Sully batteva tanto forte da coprire persino i suoi pensieri mentre gli occhi di lei brillanti e profondi lo osservavano ancora teneramente, forse sperando in una reazione che non fosse la sua bocca aperta in modo piuttosto ebete. Distolse lo sguardo, sapendo di essere arrossito fin sopra le orecchie senza però riuscire a trattenere un ghigno dei suoi, sperando di ricacciare indietro la commozione.

- Ehi, amico … la canzone sembrava proprio per te. Che fai? Te la porti a letto la troietta? Deve scopare bene … - interruppe i suoi pensieri l’uomo che era stato seduto accanto a lui al bancone, fino a quel momento in silenzio.

Qualcosa scattò rumorosamente nella mente di Sully e solo dopo si accorse che non era stato altro che il rumore delle sue mascelle che si serravano:- Già … - ghignò, apparentemente tranquillo scuotendo le spalle.

La sua leggera risata si interruppe immediatamente, mettendo troppo tardi l’uomo in allarme, infatti con un movimento fulmineo si voltò sferrandogli un destro dritto in faccia.

I movimenti all’interno del locale si fecero convulsi mentre l’uomo cadeva dallo sgabello battendo la testa sul pavimento polveroso. Victor sentì Estel chiamare il suo nome dal palco, ma per una volta non l’ascoltò, mentre si voltava con la guardia alzata per fronteggiare i quattro o cinque uomini che ora lo stavano attorniando.

Non era di certo la prima volta che veniva coinvolto in una rissa e di certo non sarebbe stata l’ultima, vedere il sangue lo eccitava, la rabbia lo accecava e riusciva a sgombrare la mente, dando retta solo al suono del proprio cuore che accelerava i battiti. Sullivan seppe incassare egregiamente i colpi che ricevette al volto e allo stomaco, senza mai cadere, restituendone il doppio e con il doppio della forza.

La rissa andò avanti per lunghi minuti finché uno schiocco metallico piuttosto familiare rievocò il silenzio. Sully lasciò la presa sull’uomo che teneva per il bavero della giacca e si voltò verso il bancone, da dove il barista gli stava puntando al petto una grossa doppietta. Sorrise, spavaldo come al solito, cosciente di avere solo un coltello con sé: mai partecipare ad una sparatoria con un coltello, di solito se lo era sempre ricordato.

- Non pensare che non ti sparerò, amico. Non è la prima volta che vedo un piantagrane come te … - lo minacciò il proprietario senza abbassare il tiro:- Puoi provarci.- gracchiò Sullivan fronteggiandolo a testa alta.

- NO!- gridò qualcuno alle sue spalle, poi, come un vortice di capelli ramati, la ragazza si interpose tra lui e il fucile, forse appena riuscita ad attraversare la folla di uomini carichi di testosterone.

Sully guardò le spalle delicate di lei, ferme e sicure muoversi appena più velocemente in accordo con il respiro leggermente accelerato.

- No … lascialo stare, ti prego. Non causerà più problemi, mi prendo io la responsabilità per questo.- affermò sicura nel silenzio attonito del bar:- Come vuoi ragazzina, ma se lo rivedo qui attorno non ci penserò due volte. Lo stesso vale anche per te … non voglio problemi io. – abbaiò il barista posando il fucile sul bancone. Victor sentì la ragazza sospirare appena prima di voltarsi verso di lui:- Sully andiamo … No! Lascia perdere, lascia stare … usciamo di qui.- lo rimproverò leggermente quando vide che i pugni di lui si stavano serrando di nuovo.

June insinuò la mano tiepida nella sua, facendolo rilassare un poco anche se il cuore batteva ancora veloce per la rabbia e lo sforzo, annebbiandogli leggermente i pensieri. Si lasciò trascinare fuori dal bar fino al vicolo dove le aveva parlato la prima volta.

- Ma che diavolo credevi di fare? Sei stanco di vivere?- esclamò stupita quando si furono fermati. Le ferite al viso pulsavano incredibilmente, così come le sue tempie.

- Ahhh quell’idiota ti aveva insultata, per quel che vale.- gracchiò chiudendo gli occhi per ridurre la pressione alla testa. Aspettò di sentirla gridare, insultarlo per ciò di cui era stato responsabile, invece il calore della mano di lei sul viso lo fece sussultare.

- Sei ferito … - sussurrò accigliata, ma i sentimenti che vide nei suoi occhi gli stritolarono il cuore:- Non è niente.- rispose con un mezzo sorriso, accorgendosi di quanto fossero vicini, gli sarebbe bastato sporgersi per baciarla. Estel sospirò delicatamente, abbassando per un attimo gli occhi d’oro, belli come il sole al tramonto.

- Quanto sei testardo. Vieni.- sorrise appena allontanando la mano dal suo viso, Sully preferì che non l’avesse fatto, era la prima volta che lo sfiorava a quel modo.

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Ovviamente la canzone in questo capitolo non è mia, ma è tratta dal videogioco Final Fantasy VIII e si intitola "Eyes on me" cantata da Faye Wong. Di solito non inserisco testi delle canzoni nei miei scritti, ma questa nelle parole era particolarmente azzeccata e quindi ho dovuto fare un'eccezione ^-^ . La fromattazione della canzone è un pò strana, ma il programma l'ha deciso di testa sua e non sono riuscita a porre rimedio, quindi vi prego di scusarmi. Ringrazio ancora infinitamente chi sta continuando a sopportare i miei deliri, se scrivo ancora in parte è anche merito vostro :) Buona lettura!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

Estel lo condusse in silenzio, nelle strade poco illuminate, fino a casa dato che ignorava totalmente dove alloggiasse lui. Era piuttosto tardi e le luci nell’appartamento della signora Jennings erano già spente, perciò cercò di fare meno rumore possibile guidando l’uomo per le scale fino alla porta verde del suo pianerottolo.

La ragazza era stranamente consapevole della mano di Sully nella propria e non poteva ignorare i propri sentimenti mentre elaborava poco a poco ciò che l’uomo aveva fatto per lei quella sera.

Gli aveva sfiorato il viso e, di nuovo nella sua vita, era stata invasa da qualcosa che pensava non sarebbe tornato mai più per lei, qualcosa che pensava fosse morto con Zell.

Accese la lampada a piantana del salotto in modo che gli occhi di entrambi si abituassero gradualmente alla luce e lasciò Victor seduto su una delle sedie attorno al tavolo circolare della sala da pranzo, mentre andava in bagno a prendere il necessario per disinfettare i tagli al viso e alle mani di lui.

 

Tutta la casa era pervasa dallo stesso delicato odore di fiori freschi che emanava la pelle della ragazza e solo allora Sully si rese totalmente conto di dove fosse, dato che l’aveva solo seguita in silenzio fino all’appartamento senza riuscire a trovare qualcosa di adatto da dire.

Ora che cuore e cervello si erano calmati riuscì a mettere a fuoco più chiaramente che cosa fosse accaduto, le parole della canzone tornarono a pulsare fastidiosamente nella sua testa, ma non avrebbe mai trovato il coraggio di chiederle se fossero state per lui, non dal momento in cui si era comportato da perfetto attaccabrighe.

Mossa stupida la sua, dannatamente idiota. Si era lasciato prendere dalla foga e tutto ciò che aveva concluso era stato quasi far ammazzare entrambi e aver fatto perdere alla ragazza il lavoro che la sosteneva.

Appoggiò la testa sulle mani, espirando forzatamente: “Non va bene, Sully, non va per niente bene, dannazione! La farai ammazzare così!” si rimproverò serrando gli occhi, ma si riprese velocemente quando la ragazza fece la sua comparsa dal corridoio.

Si raddrizzò, passandosi entrambe le mani tra i capelli, eppure rimase ancora in silenzio, sperando di capire se Estel fosse arrabbiata con lui. Lei gli si sedette con calma davanti, posandosi in grembo delle piccole garze di cotone e una bottiglietta di disinfettante, bagnò una delle garze e si sistemò ancora più vicina con le gambe che si inserirono tra quelle aperte di Sully.

- Brucerà un pochino.- soffiò dolcemente cominciando a tamponare il taglio sul labbro, Victor sorrise teneramente senza potersi trattenere e capì che non c’era altra spiegazione per ciò che stava provando … si era innamorato di lei.

- Non fa niente.- rispose piano senza poter smettere di guardarla negli occhi, non era mai stata così vicina perché Sully potesse distinguere chiaramente ogni suo respiro. La osservò in silenzio per ancora qualche minuto, concentrata sulle sue labbra, ma completamente rossa in viso.

- Vuoi spiegarmi perché? Potevano ferirti più seriamente di così, potevi morire.- fiottò la ragazza ad un certo punto, passando a tamponare la ferita vicino al sopracciglio destro, ora che era costretta a guardarlo negli occhi Sullivan notò quanto brillassero alla tenue luce della lampada.

- Non ha importanza. Non è la prima volta che mi puntano addosso un’arma. Sei tu … ad essere importante.- ridacchiò, più serio di quanto avesse voluto, fermando la mano della ragazza. Non riusciva a capire se erano sempre stati così vicini o fosse stata lei ad avvicinarsi progressivamente, sta di fatto che il respiro di lei gli stava piacevolmente scaldando le labbra.

Eppure Estel non sorrise come faceva di solito alle sue spudorate avances, ma si accigliò impercettibilmente e Sully si chiese se fosse dolore quello che aveva intravisto nei profondi occhi d’oro. Lo guardò per un lungo istante mentre la mano tremava appena sul suo viso, poi, senza che l’uomo se lo aspettasse, June posò delicatamente le labbra sulle sue.

Sullivan si sentì girare la testa per l’improvviso batticuore, ma osservò la ragazza nascondere i grandi occhi tra le ciglia scure mentre premeva ancora la bocca calda e gentile sulla sua. Durò solo una manciata secondi, ma furono sufficienti per spiazzarlo, il profumo della pelle di lei lo travolse scaldando ogni angolo del suo corpo e della sua anima. Avrebbe approfondito il bacio, ma Estel si allontanò prima che Sully potesse stringerla al petto.

- Ti prego, Sully … ti prego, non farlo mai più. Non voglio perderti … - sussurrò rossa in viso, gli occhi gialli che brillavano di quelle lacrime che forse stava cercando di trattenere.

A Victor si spezzò il cuore, non pensava di significare così tanto per lei e l’idea lo sollevò e affondò allo stesso tempo:- Piccola … non vado da nessuna parte.- le rispose con un mezzo sorriso, allungando la mano per sfiorarle il viso caldo e gentile.

C’era qualcosa che però, in tutto quel discorso, lo turbava profondamente, qualcosa di cui non si era consciamente accorto prima:- Estel … perché non hai avuto paura? Ti preoccupi per me, ma non per te. Ti hanno già puntato un’arma addosso, dico bene?- chiese accigliato, sapendo di toccare forse un pessimo discorso. June allargò gli occhi accusando il colpo e Sully poté quasi sentire il sussulto nel suo petto, prontamente la ragazza si allontanò dalla sua mano, alzandosi smarrita dalla sedia.

 

Si era ripromessa che mai Victor avrebbe saputo del suo passato, avrebbe preferito soffrire tutto il tempo necessario piuttosto che perderlo, ma sembrava che l’uomo l’avesse messa alle strette quindi meritava di sapere almeno in parte chi fosse Estel June.

Afferrò sconsolata la collana di Zell, che le scaldava il petto da più anni di quanti riusciva a ricordarne, come per aggrapparvisi:- E’ vero … ho usato una pistola per la prima volta quando avevo cinque anni. Io sono nata a Spira, in un villaggio di mercenari a est di Midgar, sono stata addestrata tutta la vita per poter continuare il “mestiere” dei miei genitori. Quando arrivò la guerra avevo solo quindici anni, i mercenari erano una razza scomoda, combattevamo meglio dei militari e con molti meno rimorsi quindi il governo pensò bene di darci la caccia. Fortunatamente vivevamo tra le montagne e non eravamo degli sprovveduti, quindi per un po’ di tempo riuscimmo ad evitare attacchi esterni.

Una notte ci colsero di sorpresa con un attacco in massa, non avevamo idea che ci avessero localizzati ed eravamo pochi. A noi ragazzini non fu permesso di aiutare e venimmo solamente nascosti, quando, dopo tre giorni, tornammo al villaggio non esisteva più nulla, comprese le persone che avevamo più amato. Nessuno si arrese, soprattutto Zell … - sospirò il suo nome, sperando che il dolore non la spezzasse, che il ricordo del suo viso non tornasse a tormentarla:

- Eravamo nati insieme, cresciuti insieme e affrontammo le nostre perdite insieme. Io lo amavo, lo amavo più di qualsiasi altra cosa, da più tempo di quanto riesca a ricordare e, nonostante tutto, saperlo vicino non mi permetteva di crollare.

Passammo cinque anni nel villaggio che avevamo ricostruito con le nostre forze, a progettare un futuro che non arrivò mai. Le acque sembravano calme, ma il nuovo governo si ricordò delle forze che nella passata guerra avevano fatto la differenza e mandò i suoi soldati migliori a finire il lavoro.

Dodici, eravamo solo dodici … dodici ragazzi di vent’anni, ma secondo qualcuno avremmo potuto ribaltare il paese. Li vidi morire uno ad uno, cadevano come se non avessero avuto una vita prima di quel momento, quasi non fossero mai esistiti. 

A volte i ricordi sembrano così confusi da sembrare quelli di qualcun altro … però ricordo la mano di Zell stretta nella mia, la sua voce che mi gridava di non guardarmi indietro. Tentammo di fuggire, ma ci accerchiarono quasi subito.

Sentii i fucili caricarsi e capii che sarebbe finita così, me ne sarei andata come avevo vissuto, con lui accanto … invece, quando fu il momento, ricordo che Zell mi guardò come faceva sempre, prepotente, saccente, ma lui non si scansò dai proiettili, scansò me.

Mi amava così forte da dare la vita per me e allo stesso tempo mi privava della facoltà di amarlo a mia volta. Non voleva che ripagassi il mio debito, si è portato via tutto ciò che avevo, ma ha anche voluto che fossi la sola che lo avrebbe ricordato. È qualcosa che riesco, a malapena, ad accettare solo adesso che sono passati cinque anni. Invece di essere quello che avevo sognato per noi, la famiglia che progettavamo la sera, da soli, ha scelto di essere un ricordo.

Mi ha salvato e distrutto la vita nello stesso momento e questo non potrò mai perdonarglielo.- fiottò senza poter trattenere le lacrime, ferita dallo sguardo di Sully allarmato e smarrito. Gli voltò le spalle, cercando di calmare i singhiozzi che la scuotevano nel profondo, disorientata dall’amore che provava verso l’uomo che ancora la guardava in silenzio, sperando che non la rifiutasse.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

Sully si sentiva esattamente come sballottato durante una rissa, il cervello che lavorava stranamente lento, non permettendogli di dire qualcosa per consolarla. Col petto in una morsa cercò di prendere un respiro per guadagnare aria, ma, anche se disorientato, trovò la forza di alzarsi spinto dal cuore che gli gridava di stringerla a sé.

Si sentiva ferito dall’amore di lei verso qualcuno che da anni non esisteva più e, per uno sgradevole attimo, si sentì un intruso nella sua vita, eppure la raggiunse abbracciando le spalle esili con le proprie braccia improvvisamente più grandi e forti di quanto non si fosse mai accorto.

- Sono qui … va tutto bene, sono qui con te.- le sussurrò all’orecchio e per la prima volta si rese conto di quanto fosse sottile e fragile il corpo di lei, di come si adagiasse perfettamente alle forme del suo. Allora Estel allontanò le mani dal viso e, calde e confortanti, le posò sui suoi avambracci stringendoli appena:- Mi dispiace, Sully … mi dispiace così tanto … - soffiò tra le lacrime, turbandolo.

- Di cosa? Non è colpa tua … - rispose stupito, mentre poteva sentire il cuore di lei battere veloce contro le proprie braccia:- Di non essere quella che credevi. Pensavo che se te l’avessi detto … ti avrei perduto … - sussurrò adagiando piano la testa sulla spalla di Sully. L’uomo scosse appena le spalle, sorridendo, la sua carriera di donnaiolo era finita, mai più una in ogni porto. Sarebbe stata lei, sempre.

- Estel … ma lo senti il mio cuore? Sei esattamente quella che credevo.- ghignò raucamente mentre la ragazza smetteva per un istante di respirare, rimase un attimo ancora in ascolto mentre i cuori di entrambi battevano all’unisono, poi la sentì allentare la presa e voltarsi nella stretta delle sue braccia.

Con estrema naturalezza lo guardò nelle iridi azzurre quasi fosse il suo tesoro più caro, uno sguardo che Sully non aveva mai ricevuto da nessuna donna, e, ancora una volta, premette le sue labbra calde su quelle di lui.

Finalmente Victor poté baciarla come aveva sempre voluto, serrandola tra le braccia, adagiandola contro il proprio petto, cercando la lingua di lei con la sua. Si baciarono a lungo, intensamente, senza preoccuparsi di respirare o delle lacrime che ancora bagnavano il viso della ragazza. Sully la accarezzò, la leccò come per riguadagnare il tempo perduto, senza saziarsi dei deboli gemiti che emetteva quando le sue mani le sfioravano i fianchi, e la sua lingua le percorreva la linea del collo.

Eccitato ed emozionato si lasciò sfilare la camicia mentre le mani di Estel percorrevano lentamente il suo torace, le braccia fino al viso.

- Non voglio metterti fretta … - ansimò ad un certo punto, cosciente di tutto quello che la ragazza aveva dovuto sopportare in una sola sera. La fissò nei grandi occhi d’oro, splendenti come pietre preziose, accesi di meravigliosi sentimenti e, rossa in viso, con le mani infilate sotto la canottiera bianca, la vide sorridere.

- E’ l’unica cosa che desidero davvero in questo momento.- sussurrò facendogli perdere la testa.

Guidato dalle mani di lei tolse la canottiera, mentre l’aria nella stanza si riempiva dei sospiri di entrambi, Estel lo abbracciò teneramente accoccolandosi contro il suo petto costringendolo a respirare ancora più velocemente:- Sei così caldo … - sussurrò, facendo scivolare lentamente le mani lungo la schiena di Sully.

L’uomo sorrise, stranamente intenerito, nessuna donna con cui era stato si era soffermata su certi particolari, aveva piuttosto preferito fare l’amore in maniera istintiva, tenendo fuori ciò che non fosse la propria necessità ormonale. June invece si stava affidando a lui, completamente, sinceramente e il pensiero lo scosse nel profondo; le sollevò il viso dal petto, osservando un istante quel dolce e luminoso sorriso capace di sciogliere il cuore, poi riprese il bacio.

Nella tenue luce della stanza Sully non riusciva più a capire di chi fosse il calore che sentiva, se il suo o quello della ragazza a cui stava sfilando il semplice vestito lilla. Rimasta in biancheria, bella e seducente come nessun’altra donna, si adagiò di nuovo su di lui, il corpo premuto contro il suo in modo che le forme di entrambi si completassero. Sentì il proprio cuore battere furiosamente contro le costole, quasi volesse uscire dal petto e fronteggiare quello della ragazza che galoppava silenziosamente, facendole avvampare il viso.

- Stai tremando … - si accigliò Sully, sentendo il corpo di lei scuotersi leggermente a contatto col proprio:

- Scusami è che … non pensavo che mi avresti voluta davvero … - sorrise Estel di rimando, schermendosi appena e di nuovo Victor fu sopraffatto dai sentimenti che provava per lei. La sollevò gentilmente tra le braccia, causandole una momentanea protesta:- Sully! Che fai?- esclamò senza perdere il piacevole rossore al viso.

- Taci, ragazzina.- gracchiò lui in risposta, portandola direttamente nella camera da letto e adagiandola sulle lenzuola pulite. Sfoderò un sorriso dei suoi, sapendo che effetto avrebbe avuto su di lei e godette del rossore che le si accese sul viso quando, con delicatezza, le si sistemò cavalcioni allargando le braccia ai lati del suo viso. La ragazza rispose teneramente al sorriso attirandolo verso di sé con le mani piccole e calde aggrappate alle spalle larghe di Victor.

Per la prima volta nella sua vita Sully capì perché il suo corpo era così alto e forte, lo era per lei, per amarla, per proteggere ciò che si nascondeva sotto quegli occhi fieri e determinati, dietro l’animo di chi agisce non perché non abbia nulla da perdere, ma per poter dire di aver amato davvero. Estel lo baciò di nuovo, accarezzandogli il viso, passando le dita sottili tra i suoi capelli, rubandogli il cuore. Lasciò che June slacciasse la sua cintura e poi i pantaloni, sfilandoli delicatamente ma abbastanza velocemente da eccitarlo in maniera irresistibile.

Senza neppure respirare fece scivolare entrambe le mani lungo tutto il torace di lei, provocandole un gemito a stento trattenuto, fino a raggiungere i ganci del reggiseno. Estel inarcò la schiena delicata e sensuale, premendo tutto il corpo contro la sua eccitazione, rendendogli semplice l’operazione. Quando l’ebbe sfilato, per fare compagnia a tutti i loro indumenti sul pavimento, si prese un istante per osservarla alla tenue luce che proveniva dalla sala.

L’aria intorno a loro sembrava illuminata dagli occhi di Estel, fieri e profondi che risplendevano silenziosamente come pietre dal valore inestimabile, fissi teneramente nei suoi. Nonostante il forte rossore al viso non tentò di coprirsi, tutto il corpo di lei sembrava pronto ad accogliere il suo e l’idea lo eccitò talmente che quasi non riuscì più a trattenersi.

- Che c’è?- sussurrò la ragazza ansimando appena, i capelli ramati sparsi sulle lenzuola profumavano degli stessi fiori che coprivano la sponda del fiume, riflettendo gentilmente la luce della luna che proveniva dalla finestra aperta.

- Maledizione, sei ancora più bella di quanto pensassi.- ghignò Sully, stupito e accaldato, il sangue che scorreva veloce in ogni parte del corpo. Estel si schermì appena, distogliendo lo sguardo, ma guidò lentamente la mano dell’uomo fino alle mutandine di pizzo bianco. Sullivan ne afferrò un lembo nella mano grande e calda, prendendo a sfilarle senza distogliere un secondo lo sguardo dal viso di lei, immaginando quanto forte dovesse batterle il cuore.

Bastò una carezza a farla sussultare e Sully capì di volere di più, molto di più. Sentì le dita bagnarsi immediatamente quando entrò gentilmente in lei, sperando di farle provare lo stesso piacere che stava sentendo in quel momento. La ragazza gemette forte, sempre più forte adattando il respiro ai suoi leggeri affondi, nascondendo di tanto in tanto i prodigiosi occhi d’oro dietro le lunghe ciglia scure. Ben presto Victor si scoprì ad ansimare e, con la mente ormai preda del proprio desiderio, si chinò su di lei insinuandosi tra le gambe sottili.

June prese a sussurrare il suo nome tra un respiro e l’altro, e Sullivan temette quasi di impazzire mentre i fianchi di lei si muovevano in sincronia con la sua lingua, e tutto il corpo tremava alle carezze delle sue mani.

- Sully, sto per … - ansimò ad un certo punto e l’uomo si arrestò, alzandosi di nuovo su di lei, pulendosi distrattamente le labbra col dorso della mano.

Gli occhi gialli erano stranamente languidi e velati da un desiderio che mai vi aveva letto, era davvero la creatura più bella che avesse mai visto, anche ora, arresa a lui come lo erano state tante altre. Eppure Victor sapeva che qualcosa era cambiato, era lui a vedere le cose diversamente, ora le vedeva attraverso quell’immenso mare d’oro, un mondo perfetto che avrebbe volentieri condiviso con lei e con nessun’altra.

Si unì a lei con una delicatezza che non riconobbe nel proprio corpo e sdraiandosi su quello della ragazza capì che Estel lo completava perfettamente, quasi entrambi fossero nati solo per scoprirlo. Respirarono all’unisono, adattando il respiro involontariamente a quello dell’altro; June sussurrò molte volte il suo nome all’orecchio e lui fece altrettanto, la ragazza lo accarezzò con dolcezza e passione, muovendosi con lui, godendo con lui.

Per lunghi minuti Sully non riuscì più a distinguere di chi fosse quel continuo pulsare tra loro, se il suo cuore o quello di Estel. La desiderò più forte di quanto non avesse mai desiderato qualsiasi altra donna:

- Vengo … - sussurrò lei ad un tratto, stringendogli le spalle, quando ormai anche l’uomo sentiva di essere arrivato al limite.

La guardò negli occhi di lupo vicinissima al suo viso e respirò sulle sue labbra col petto che ancora si alzava e abbassava frenetico:- Anche io.- ghignò poco prima di lasciarsi andare completamente. La ragazza gemette piacevolmente forte, quasi gridando e Sully espirò rumorosamente in un rantolo basso e prolungato.

Quando riaprì gli occhi azzurri notò che June lo guardava teneramente sorpresa, ancora appena ansimante:- Sei bellissimo, Sully … l’uomo più bello che abbia mai visto.- sorrise con dolcezza, accarezzandogli il viso con la mano piacevolmente calda. Estel non era la prima donna ad avergli detto qualcosa del genere, eppure per la prima volta l’uomo non seppe che cosa rispondere, per una volta l’audacia di cui di solito si era sempre vantato non riuscì a salire alle sue labbra.

Abbozzò invece un impacciato sorriso continuando a fissarla nelle iridi d’oro sorprese e brillanti. Era strano come, adesso che si erano uniti, tutto fosse estremamente naturale. Non sentì il bisogno di dire una sola parola mentre la ragazza rispondeva quieta al suo sorriso, bella come una ninfa, come una di quelle infelici principesse di cui erano piene tutte le leggende che aveva sentito.

 

Estel non fece fatica a corrispondere quel dolce sorriso, nonostante l’uomo con cui avesse appena fatto l’amore, per la prima volta dopo Zell, fosse pressoché uno sconosciuto. Nelle iridi azzurre, velate dalla stanchezza piacevole dell’orgasmo, poteva intravedere quell’animo da donnaiolo di cui aveva fatto sfoggio sin dalla prima sera che aveva incontrato il suo sguardo, eppure si fidava di lui. Non aveva importanza chi fosse stato fino a quel momento l’uomo accanto a lei, che cosa avesse fatto prima d’incontrarla, voleva solo che rimanesse così, ansante sopra di lei.

Quello che c’era stato tra loro non era stato solo mera istintività, lussuria, lo avevano voluto, lo avevano assaporato come fosse stata la prima volta, poteva sentirlo. Lo sentiva nel corpo teso di lui, nei muscoli ancora contratti per non farle avvertire il peso del corpo alto e muscoloso. Tra le braccia di Sully, indifesa ed inerme, si sentì al sicuro, come se in quella cella impenetrabile che formavano i suoi bicipiti e le gambe intrecciate alle sue, niente più potesse raggiungerla.

Non voleva allontanare la mano dal viso di Victor, che aveva chiamato per nome molte volte quella notte, privarsi del piacere di sentirlo vivo e caldo sotto il suo palmo, di osservarlo respirare ancora freneticamente, di disegnare con le dita i contorni delle labbra, giocare con i capelli castani.

Con un sospiro appena più forte, Sullivan si lasciò gentilmente andare su di lei accostando il viso al suo petto, abbracciandola con una tenerezza che, visto da fuori, sembrava non avere. La ragazza osservò, sorridendo, l’espressione soddisfatta disegnarsi sotto i baffi castani di lui mentre il battito del cuore decelerava lentamente per tornare regolare.

- Resta … questa notte, resta con me … - sussurrò Estel, sistemando di nuovo sulla fronte una ciocca di capelli ribelli di lui, scompigliati dalla foga dell’atto.

- Diavolo! Non me ne andrei per niente al mondo … - ghignò in risposta, le labbra così vicine alla sua pelle da farla rabbrividire. Estel non volle chiedersi se quella notte avrebbe avuto un seguito, se sarebbe rimasta solo una luce lontana nella vita dell’uomo e un’ombra nella propria … volle illudersi che lo straniero dalla voce profonda avrebbe accolto il suo cuore spezzato, l’avrebbe custodito accanto al proprio. Forse avrebbe potuto persino amarla, ma non ora. Quella notte sarebbero stati solamente due amanti, quello era il tempo della loro prima intimità.

Dopo gli anni passati nel vuoto dato dalla perdita dell’unico uomo che avesse mai amato, Estel si sentì stranamente libera.

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Diciamo che questo è un piccolo esperimento, non è facile descrivere una scena di intimità cercando di velare i particolari ed al tempo stesso renderla emozionante. Ho provato, spero vi piaccia e, se volete, dite liberamente che ne pensate. Grazie a tutti!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

Per un po’ nessuno dei due riuscì ad assopirsi. Nonostante le braccia di Sully la stringessero più forte di quanto June ricordasse in un uomo, la pelle ruvida e calda di lui scottava ancora a contatto con il suo corpo impedendole di chiudere gli occhi.

Lo guardò solamente occupare quella metà del letto che credeva potesse rimanere vuota per sempre, freddo specchio della propria anima e, quando un sorriso si affacciò nei suoi occhi, Victor colse ancora una volta l’occasione per accostare le labbra alle sue. Sembrava perfettamente a suo agio, lui, con quel sorriso prepotentemente stampato sulla bocca piacevole e sottile, e la ragazza sperò ardentemente che non si accorgesse della propria emozione. Una felicità che quasi non riuscì a trattenere, nel momento in cui, istintivamente, ripresero ad accarezzarsi.

Continuarono ad amarsi per ore, perché Sully non sembrava mai stanco, quasi non volesse più abbandonare quell’adorabile ghigno di soddisfazione che Estel notava allargarsi sul suo viso ad ogni pausa. 

Era quasi l’alba quando la ragazza, ancora rannicchiata contro il petto di lui, sentì il sonno prendere il sopravvento e Sullivan la lasciò chiudere gli occhi d’oro, stringendola gentilmente.

 

Fu l’uomo a svegliarla qualche ora più tardi, chiamando sottovoce il suo nome con una tenerezza che la ferì nel profondo, ricordandole inevitabilmente quella vita lontana e confusa, quasi fosse stata vissuta da qualcun altro.

Si lasciò andare al calore del corpo di lui che la stringeva ancora dolcemente, ispirando l’odore di colonia e sigaro di cui la sua pelle era impregnata, ascoltando quella risata bassa e roca che l’aveva sempre affascinata. Rimasero stretti a lungo, parlando a malapena, senza riuscire a smettere di sorridere e solo quando Estel si offrì di preparargli la colazione Sully sembrò in difficoltà.

- Piccola, sono stato io a farti perdere il lavoro … e vuoi offrirmi la colazione? – si schermì con un ghigno, mentre la ragazza si sistemava seduta sul letto.

- Ho un piano anche per quello. – sospirò June raccogliendo distrattamente i capelli ramati sulla spalla, lasciandosi sfuggire un sorriso all’espressione stupita di lui.

- Avrei dovuto immaginarlo. – gracchiò Victor in risposta infilando i boxer, ai piedi del letto fino a qualche momento prima. Estel lo osservò attentamente rivestirsi, incapace invece di alzarsi a sua volta, confusa dall’amore che sentiva dominare i propri pensieri.

Infondo non sapeva quasi nulla di lui, eppure aveva affidato nelle sue mani qualcosa di cui solo Zell era stato in possesso, qualcosa per cui un solo uomo aveva lottato. Cosa ne sarebbe stato di quei sentimenti se Sully fosse partito?

Si sentì improvvisamente sciocca, guardandolo infilare la canottiera bianca a coprire il corpo solido e piazzato … di certo non poteva essere stata la prima e dubitava sarebbe stata l’unica. Allora perché non poteva nascondere quel sincero sorriso incontrando gli occhi limpidi e azzurri? Perché di nuovo si accostava a lui, lasciandosi cingere i fianchi, permettendogli di sfiorare la sua pelle con le labbra morbide e sottili?

June, nonostante il pungente orgoglio la mettesse in guardia, sapeva di aver perso quella battaglia contro il proprio cuore, sapeva che ormai non poteva porre rimedio a ciò che sentiva, si era innamorata di lui.

 

La ragazzina aveva davvero un piano, e glielo dimostrò già dal giorno seguente quando, con uno speranzoso sorriso, gli comunicò che da quello stesso pomeriggio avrebbe lavorato per il fioraio del quartiere.

Il lavoro procedeva a rilento per Sully ed era felice di potersi concedere una pausa, di quando in quando, per fumare un sigaro osservando la ragazza dietro la mezza serranda del negozio. Si divertiva a flirtare con lei affacciandosi al bancone, fingendo sfacciatamente di essere un cliente.

Era talmente piacevole vederla arrossire quando passava a prenderla alla fine della giornata, che quasi pensò che quella vita potesse durare per sempre. Che, se glielo avesse chiesto, Estel sarebbe diventata l’unica.

Nonostante la sua naturale avversione per le storie a lungo termine, Victor riusciva ad intravedere nello sguardo sincero di lei qualcosa di cui, stranamente, ogni donna con cui aveva condiviso più di una notte d’amore peccava terribilmente.

Se non fosse stato sicuro che il suo “lavoro” avrebbe presto o tardi rovinato tutto, di certo non avrebbe esitato un istante a parlarle dei propri sentimenti, di quanto fossero belli e profondi.

Eppure, anche quando le teneva la mano, la stringeva con più dolcezza di quanto pensasse di essere capace, non riusciva ad essere sincero con lei. Puntualmente gli mancava il cuore di raccontarle che razza di mascalzone avesse accanto, che cosa aveva fatto per denaro e che costa stava facendo tutt’ora dietro compenso.

Standole così vicino, come mai era stato con nessun altra donna, Sully sperò con tutto se stesso che nulla l’avrebbe mai costretto a ferirla, a mostrare quella parte di sé di cui andava meno orgoglioso. Purtroppo Victor era anche un uomo intelligente e, nel profondo, sapeva che non avrebbe potuto ingannarla per sempre, che, prima o poi, ciò che faceva della propria vita sarebbe venuto a galla. 

Almeno, non così presto.

Stava frequentando la ragazza ormai da un paio di settimane, assopendosi sempre più spesso nel suo appartamento la notte, rubando tempo alle sue ricerche per bighellonarle attorno, quando arrivò l’invito a pranzo di Marlowe, cosa che, di certo, non lo colse certo impreparato.

Victor sapeva benissimo che cosa stava rischiando temporeggiando a quel modo e conosceva Kate abbastanza bene da credere che la donna avesse intuito qualcosa. Forse per questo non se la sentì di rifiutare l’invito, si armò invece della faccia più tosta di cui disponeva per presentarsi all’incontro.

Il tempo minacciava stranamente pioggia, conferendo all’intero quartiere un’aria opprimente di città in rovina qual’era.

Durante il tragitto Sully si accese prudentemente un sigaro, sperando che l’odore pungente del tabacco coprisse quello floreale delle lenzuola su cui aveva dormito fino a qualche ora prima.

Aveva lasciato Estel nella piccola cucina, intenta a preparare il pranzo che avrebbe portato quella mattina stessa alla signora Jennings in segno di gratitudine per la proroga che le aveva concesso sull’affitto. Le aveva sorriso prima di lasciare l’appartamento, curandosi di non farle notare la propria preoccupazione: Marlowe era una donna egoista oltre che estremamente intelligente, se avesse intuito i sentimenti di Victor per la ragazza di sicuro l’istinto le avrebbe ordinato di far terra bruciata su tutto ciò che non poteva controllare.

La donna bionda in tailleur l’aspettava già accanto alla fontana spenta della piazza principale, riservandogli quel sorriso soddisfatto che l’animava solo quando poteva ammirare qualcosa che le apparteneva. Sully abbozzò un sorriso in risposta, trattenendo ancora il sigaro tra i denti, gesto che la fece immediatamente volare tra le sue braccia.

L’uomo la strinse distrattamente accennando una raspante risata delle sue:- Kate. – la salutò furbo, mentre la bella donna stringeva le mani alle sue braccia.

- Pensavo mi avessi dimenticata, Victor. – sorrise divertita, allontanandosi.

- E come potrei? Abbiamo un contratto, no? – rispose Sully sfacciatamente e non poté fare a meno di notare quanto fossero freddi gli occhi della donna in confronto a quelli di Estel.

- Già, un contratto. Sono contenta che te ne ricordi ancora, dato che in questo periodo sembri … distratto. – osservò sollevando un sopracciglio, Victor capì di essere nei guai. Katherine, con ogni probabilità, sapeva della ragazzina.

- Bé … sono a un punto morto. Ma penso di potermela cavare. – gracchiò mantenendo la calma.

Per tutta risposta Marlowe gli rivolse un sorriso beffardo, quasi ad insultare quella sua sfacciata bugia.

- E questo punto morto … non è per caso un’attraente ragazzina del posto? – insinuò raggiungendo il suo petto con le dita sottili, gli occhi azzurri che, nonostante tutto, tradivano il desiderio che provava per lui.

Sully sapeva che un’esitazione a quel punto avrebbe potuto costare molto cara ad entrambi, ed avrebbe negato qualsiasi cosa pur di risparmiare alla piccola Estel quel pericolo.

- Quella? È solo una bambina. Mi sto divertendo un po’, tutto qui. È talmente ingenua che, se sparissi, non se ne accorgerebbe. – rise forte per allontanare la vergogna per ciò che aveva detto.

- Ah, davvero? Se dovesse essere lei la causa di questa tua negligenza mi troverei costretta a … darti un incentivo. – sorrise come una scolaretta, quasi non lo avesse appena minacciato di far sparire la donna che amava.  

- Diavolo, Kate! Non essere gelosa. – gracchiò con un mezzo sorriso, senza tradirsi.

- Provamelo allora. Provami che quell’orfanella non conta niente. – soffiò avvicinandosi al suo corpo e, senza pensarci due volte, l’uomo la strinse e la baciò come, fino a qualche ora, prima aveva stretto e baciato la piccola June.

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Il capitolo purtroppo è un pò corto e non ho avuto tempo di rivederlo come avrei voluto, se quindi ci dovesse essere qualcosa che stona siate liberi di comunicarlo che poi farò i debiti aggiustamenti ;) Grazie a tutti i lettori!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

Il cielo plumbeo e pesante convinse Estel ad affrettarsi, nonostante fosse il suo giorno libero, nel riportare a casa quei pochi fiori freschi che spesso comprava per la sua affittuaria.

Nonostante le nuvole scure gravassero sulla città togliendole quel poco di dignità che riaffiorava insieme alla luce del sole, la ragazza non poté che rivolgere loro un sorriso distratto. Era ancora confusa per la piega inaspettata che stava prendendo la sua vita.

Fino a poco tempo prima non avrebbe mai creduto di poter provare ancora per qualcuno quei teneri sentimenti che, di tanto in tanto, si affacciavano al suo cuore mentre era in compagnia di Sully. All’improvviso avere accanto qualcuno non le ricordava solo ciò che aveva perduto, non la costringeva ad affrontare i sentimenti che erano per anni rimasti in sospeso dove nessuno prima di Zell era stato.

Victor era stato così gentile con lei, l’aveva corteggiata tanto spietatamente che si meritava la verità, meritava l’amore che ancora June poteva dare.

Nelle strade deserte rimbombava appena l’eco dei sandali della ragazza che premevano sui sampietrini dissestati in più punti, quasi il silenzio avesse inghiottito anche le persone oltre che la luce.

Solo due persone restavano abbracciate accanto alla grande fontana spenta della piazza, e, per un attimo, l’immagine le ricordò quanto desiderasse vedere Sully.

Distolse velocemente lo sguardo avvicinandosi, quasi non volesse spiare, ma ciò che infine colse con la coda dell’occhio, passando ai margini della piazza circolare, la colpì così forte da immobilizzarla.

- Diavolo, Kate! Non essere gelosa. –

- Provamelo allora. Provami che quell’orfanella non conta niente. –

Le dita persero la stretta sul cestino pieno di dalie ed orchidee, quando realizzò che le braccia che stringevano l’affascinante donna bionda in tailleur nero, erano le stesse in cui aveva dormito fino a poche ore prima.

Il cervello della ragazza si rifiutò di lavorare per un tempo che parve infinito, tentando sicuramente di ingannarla, perché non poteva essere lo stesso Victor a cui aveva appena pensato di confessare il suo amore, quello che stava premendo avidamente le labbra su quelle della sconosciuta.

Prima di poter vedere o sentire altro la coscienza di Estel si svegliò bruscamente, ordinandole vigliaccamente di scappare, di non lasciare che la ferita si approfondisse. Corse nella direzione opposta con quanto fiato aveva in corpo, pensando che la distanza potesse allontanare la delusione della fiducia tradita, la solitudine di sentimenti che, adesso, sembravano ridicoli.

Si fermò solo quando, arrivata alla porta, si lasciò andare leggermente contro lo stipite in legno. Come poteva essere stata tanto stupida? Lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Se c’era qualcuno da biasimare, sapeva di dover essere la prima.

Tutte quelle avances, i sorrisi, gli sguardi erano stati solo un gioco, e lei c’era cascata in pieno. La cosa peggiore, oltre la rabbia, oltre la frustrazione, era che lui non avrebbe mai saputo quanto l’avesse ferita. Probabilmente il suo cuore spezzato non sarebbe mai contato nulla.

Improvvisamente si sentì di nuovo sola, più sola di quanto non fosse mai stata. Eppure, accostata allo stipite del portone di legno verniciato, June non riuscì a piangere. Non c’erano lacrime per quel vuoto che tornava come una marea, più potente di quando se n’era andato. Vi guardò dentro e capì che, probabilmente, era ciò che meritava, era ciò che le era sempre spettato.

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Purtroppo il capitolo non è completo, ma ultimamente non ho avuto un attimo di respiro. Quindi mi scuso in anticipo per le poche righe e ringrazio sempre tutti i lettori!

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