A Rose's Tale di Martyx1988 (/viewuser.php?uid=51220)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La bambina che parlava con le rose ***
Capitolo 2: *** L'uomo dalla maschera di ferro ***
Capitolo 3: *** La casa delle donne mascherate ***
Capitolo 4: *** Il coltivatore di rose velenose ***
Capitolo 1 *** La bambina che parlava con le rose ***
A
Rose's Tale
La
bambina che parlava con le rose
Quando,
alla maggior parte della gente, chiedono qual è il suo primo
ricordo, spesso risponde che è qualcosa di confuso. Il mio,
invece,
è rimasto nitido nella mia mente fino ad oggi.
Il
mio primo ricordo è una rosa e, col tempo, mi sono convinta
che quel
ricordo abbia segnato la mia intera vita.
Quando
mia madre scoprì di essere incinta di me, il medico non le
nascose
che sarebbe stata una gravidanza difficile, a causa delle sue
già
precarie condizioni di salute. E così è stato.
È morta dandomi
alla luce.
La
rosa del mio ricordo era appesa sopra la mia culla. Ce l'aveva messa
mio padre, perché, secondo lui, era ciò a cui
somigliavo di più
quando mi ha vista, appena nata.
Mio
padre faceva il fioraio. Aveva una piccola bottega ad Atene che gli
permetteva di sbarcare il lunario, grazie alla clientela fissa che
preferiva i suoi fiori 'normali' a quelli 'magnifici' della bottega
dell'Acropoli.
Non
era un uomo attaccato ai soldi né schiavo della concorrenza.
Accettava col sorriso tutto ciò che di buono gli capitava e
con
filosofia ciò che, invece, era meno buono.
Non
mi ha mai sgridata, nemmeno le poche volte che gliene ho dato motivo,
ma semplicemente rimproverata, perché capissi il mio errore
e non lo
ripetessi. E io capivo sempre quello che voleva dirmi, anche se erano
concetti troppo complessi per una bambina di pochi anni, e lui capiva
che io capivo, e diceva che aveva scelto bene il mio nome.
Mi
chiamo Psiche. Significa 'mente' in greco.
Non
è un nome comune ai giorni nostri, ma a me è
sempre piaciuto
proprio perché mi distingueva, così come i miei
capelli. Quando
sono nata sembravano di un caldo biondi fragola, poi, crescendo,
hanno assunto un'inusuale tonalità rosa. Quando quella
stranezza
divenne evidente, mio padre, che si chiamava Kostas, mi disse che, se
volevo, potevo cambiare quel colore in uno più normale, ma
rifiutai.
“Sono
così perché io sono una rosa, giusto,
papà?” gli dissi.
Lui
non rispose, ma si limitò a sorridere.
In
poco tempo divenni la mascotte del quartiere. I clienti non mancavano
mai di lasciarmi un sorriso, una carezza o, quando erano molto
generosi, una caramella o un cioccolatino.
La
figlia dei proprietari del bar vicino al nostro negozio veniva spesso
a chiamarmi per giocare insieme con le sue bambole. Ne aveva tante e
tutte diverse, ma io sceglievo sempre la stessa. Somigliava molto ad
Alice, la bimba che cadeva nel buco per inseguire il bianconiglio
e arrivava nel Paese delle Meraviglie, la cui immagine
l'avevo
vista sulla copertina di un libro in biblioteca. Il giorno del mio
quinto compleanno Georgia, la mia amica, me la regalò. Fu il
giorno
più felice della mia vita, fino ad allora, e non me lo
dimenticherò
mai, come non scorderò mai il giorno che la mia vita la
cambiò per
sempre.
Quel
giorno scoprii che anche mio padre era un uomo normale e, come gli
altri, si arrabbiava.
Eravamo
nel retrobottega e mio padre stava sfogando la sua rabbia su un
triste cespuglio di rose dai fiori spenti e piccoli. Le rose non
erano il nostro prodotto migliore, ma qualcuna riuscivamo sempre a
venderla. Secondo mio padre, però, le rose di quel cespuglio
erano
invendibili.
Era
strano che papà si arrabbiasse per così poco,
dopotutto nel negozio
c'erano molti altri fiori belli che avremmo potuto vendere.
Arrivò,
poi, un altro uomo nel retro, e tutto mi fu chiaro. Il camion con gli
altri fiori aveva avuto un incidente lungo il tragitto e non era
stato possibile recuperare il resto del carico. Quel cespuglio di
rose, l'unico sopravvissuto, sembrava solamente voglioso di
raggiungere gli altri fiori.
Mio
padre, esasperato, colpì l'alberello con le cesoie e
tornò in
negozio per chiudere, seguito dal corriere. Io rimasi lì, a
fissare
il cespuglio pensando a come aiutare papà, e mi vennero in
mente le
sue parole la prima volta che mi rimproverò.
“È
importante che tu capisca ciò che si può fare e
ciò che non si può
fare. Molti altri genitori, al posto mio, ti avrebbero già
dato una
sculacciata per quello che hai fatto ma io no, perché so che
basta
spiegartele, le cose, perché tu ti comporti come si
deve”
Mi
avvicinai al cespuglio e mi inginocchiai di fronte a lui, presi un
respiro profondo ed iniziai a parlargli.
“Per
favore, cespuglio, puoi crescere di più? Il mio
papà ha bisogno
delle tue rose, sennò non possiamo prenderci da mangiare.
Tutti gli
altri fiori sono morti in un incidente, abbiamo solo te e devi
aiutarci, ti prego”
Non
percepii subito quella strana sensazione che mi percorse il corpo,
quel calore strano, perché ero troppo concentrata ad
osservare ciò
che stava accadendo. Le rose mi avevano ascoltata e avevano iniziato
a crescere e a diventare di un rosso brillante e pieno di vita. I
rami del cespuglio si allungarono così come le radici, che
ruppero
il vaso di terracotta e si insinuarono tra le travi di legno del
pavimento per raggiungere il terreno sottostante.
Mio
padre sentì probabilmente il rumore di cocci rotti e si
precipitò
nel retrobottega per vedere che non mi fossi fatta niente.
“Psiche,
cosa...?” iniziò a chiedere, prima di ammutolire
di fronte a ciò
che stava accadendo davanti ai suoi occhi.
“Psiche,
allontanati!” mi intimò subito, prendendomi per un
braccio e
mettendomi in piedi, ma io opposi resistenza.
“No,
papà, non fa niente, gli ho detto io di crescere”
gli spiegai, pur
sapendo che era quasi impossibile che mi credesse.
“Psiche,
non è il momento di fare la spiritosa” mi
rimproverò, infatti, ma
io insistetti.
“È
vero, papà! Guarda... per favore, stai spaventando
papà, non
crescere più. Così va bene”
E
la pianta mi obbedì di nuovo, arrestando la sua incredibile
crescita.
Mio
padre fece saettare per qualche attimo lo sguardo da me al cespuglio,
ora rigoglioso e carico di rose rosse come mai se ne erano viste. La
sua mano continuava a stringere il mio braccio e, a parte la testa,
il corpo sembrava totalmente paralizzato.
“Cosa...
come...” iniziò poi a balbettare, indicando le
rose.
“Mi
dici sempre che basta spiegarle le cose. Io le ho spiegate a quel
cespuglio e lui ha capito e ci ha aiutati” gli spiegai con
ingenua
semplicità.
Mio
padre biascicò ancora qualcosa e ringraziò il
cielo, prima di
abbracciarmi come mai aveva fatto. Quando sciolse l'abbraccio, mi
guardò poi con serietà.
“Psiche,
ti piacerebbe aiutare papà con i fiori?” mi
chiese, tremante.
“Ma
io non so contare i soldi” risposi con sincerità.
“Non
dovrai farlo, dovrai solo curare i fiori qui, come hai fatto adesso,
ma solo se è una cosa che ti piace fare e se hai voglia di
farla.
Non voglio costringerti a fare nulla, chiaro?”
Sembrava
timoroso mentre mi spiegava tutto quanto, ma io capii quello che
voleva dirmi.
“Io
l'ho fatto per aiutarti, papà. E voglio aiutarti anche
domani,
finché Georgia non mi viene a chiamare per giocare”
“Certo,
piccola mia” accettò mio padre, con le lacrime
agli occhi, per poi
abbracciarmi nuovamente.
Il
giorno dopo le rose che avevo fatto crescere andarono a ruba,
ripagandoci in buona parte del guadagno perso per l'incidente. Il
mattino seguente giunse il nuovo carico. Piena di entusiasmo, provai
a parlare anche agli altri fiori, ma ottenni risultati più
mediocri
che con le rose. Le vendite, comunque, aumentarono notevolmente,
così
come il carico di lavoro per mio padre, che però non mi
chiese mai
di rinunciare al mio pomeriggio di giochi con Georgia.
Il
cespuglio grazie al quale avevo scoperto quel mio talento rimase
piantato nel retrobottega ed era il primo a cui dedicavo le mie
attenzioni la mattina, perché era l'unico che sembrava
capire
appieno ciò che gli chiedevo. Con gli altri fiori non
sentivo la
stessa sintonia, lo stesso brivido caldo che mi percorreva il corpo.
Una
settimana dopo la mia scoperta era il giorno del mio sesto compleanno
e mio padre mi regalò un vestito nuovo e uno zainetto con
una rosa
ricamata sopra. Quattro mesi dopo, a settembre, avrei dovuto
cominciare la scuola elementare insieme a Georgia e decisi che quello
sarebbe stato il mio zaino per la scuola.
Il
destino volle, però, che iniziassi la scuola molto prima
degli altri
bimbi, nonché da tutt'altra parte.
Un
giorno venne in negozio un ragazzo e la prima cosa che notai di lui
fu che era esageratamente bello. Doveva avere massimo quindici anni,
ma sembrava già un uomo adulto e possedeva un'eleganza nei
movimenti
che mai avevo visto. Quando lo vidi, smisi di parlare con le mie
rose, totalmente rapita dal suo fascino. Anche lui mi scrutò
intensamente, nell'attesa che mio padre finisse di servire una
cliente, quindi scambiò poche veloci parole con lui. Intuii
che
stessero parlando di me quando lo sguardo cordiale di mio padre si
fece preoccupato e guardò per un attimo nella mia direzione.
Non
sentii cosa disse al ragazzo, ma lo accompagnò personalmente
da me
e, seppur con riluttanza, ci lasciò soli per servire i
clienti in
negozio.
“Ciao,
Psiche” mi salutò lui, accovacciandosi vicino a me
e sorridendo.
Il neo vicino all'occhio sinistro sembrò più
evidente.
“Ciao”
risposi educatamente, ma con un certo imbarazzo.
“Ti
piacciono le rose?” mi chiese, accennando col capo al mio
cespuglio.
“Mmh,
mmh” annuii col capo. “Se ne vuoi una devi chiedere
a papà, io
non so contare i soldi”
“Grazie,
ma io ho già le mie, di rose”
Dal
nulla, il ragazzo tirò fuori la rosa più bella
che avessi mai
visto, ma quando feci per toccarla, me la tolse da sotto le dita.
“Attenta,
queste rose non si possono toccare” mi mise in guardia e
inevitabilmente mi sentii offesa, pensando che mi reputasse una
sprovveduta.
“Lo
so, anche le mie hanno le spine che pungono” gli feci notare,
ma
lui scosse la testa.
“Già,
ma non sono velenose come le mie” mi spiegò a voce
bassa perché
solo io sentissi, lasciandomi senza parole. Non avevo mai sentito
parlare di rose velenose, né da mio padre né da
altri.
“E
come fanno ad essere velenose?” gli chiesi, pendendo
totalmente
dalle sue labbra.
“È
un segreto che non posso rivelarti, a meno che tu non mi spieghi come
fai a creare queste bellissime rose”
Mi
ritrovai spiazzata di fronte a quella condizione, perché
nessuno
sapeva del mio talento, a parte mio padre. Era stata una sua precisa
scelta quella di non rivelare niente a nessuno. Come faceva quel
ragazzo a sapere?
“Io...
non faccio niente, lo giuro!”
“A
me puoi dirlo, Psiche” mi assicurò con dolcezza,
accarezzandomi la
testa. “Io sono come te”
Detto
questo, il ragazzo chiuse gli occhi e un'aura dorata iniziò
ad
emanare dal suo corpo. Mi sentì pervadere dalla stessa
sensazione
che provavo quando parlavo ai fiori, solo innumerevoli volte
più
forte. Quella luce dorata, poi, sembrava in grado di illuminare tutta
la stanza.
“Che
cos'è?” gli domandai, estasiata.
“Si
chiama cosmo, e ne possiedi uno anche tu” mi
rivelò il ragazzo.
“Davvero?”
presi a guardarlo con tanto d'occhi. Lui annuì.
“Sì, ed è grazie
a lui che riesci a creare questi fiori meravigliosi, mentre col mio
posso rendere le rose velenose”
“Anche
il mio è d'oro come il tuo?” chiesi ancora, spinta
da
un'irrefrenabile curiosità.
“Non
so di che colore sia il tuo, non è ancora abbastanza
sviluppato”
“E
come hai fatto a vederlo, allora?”
“Il
cosmo non è solo quest'aura dorata che vedi intorno a me.
È
qualcosa che è dentro di noi, un piccolo universo da cui
possiamo
trarre energia” mi spiegò con pazienza.
“Io
ho un universo... dentro di me?” scandii, incredula.
“Sì,
un piccolo universo che posso vedere attraverso i tuoi occhi”
Sorrisi
meravigliata, quindi mi lasciai di nuovo travolgere dalla
curiosità.
“Posso vedere il tuo?”
“Se
ci riesci” acconsentì il ragazzo, per poi
lasciarsi scrutare dal
mio sguardo intenso e concentrato. Già dopo qualche secondo
sbuffai,
convinta di poter vedere soltanto il nero delle sue pupille, ma poi
in quel nero vidi qualcosa di luminoso e pulsante, come una stella. E
poi un'altra e un'altra ancora. Tutte quelle stelle divennero,
infine, un piccolo cielo che continuava ad espandersi. Era il suo
cosmo.
“L'ho
visto! Ho visto il tuo universo! Era un cielo pieno di
stelle!”
esclamai al massimo della felicità.
Il
ragazzo rise della mia gioia e mi tenne le mani mentre saltellavo per
la stanza. Ma attese poco, prima di interrompere quel tripudio di
felicità.
“Sì,
sei stata bravissima, ma adesso devo dirti una cosa molto
importante”
Smisi
allora di saltare. Avevo il fiatone, ma non riuscivo a smettere di
sorridere. Mi feci, comunque, attenta, come quando dovevo ascoltare
mio padre che mi spiegava qualcosa di importante.
“Il
potere che possiedi, di parlare coi fiori, potrebbe diventare
qualcosa di molto più grande, se allenato. Io sono venuto
sin qui da
un luogo dove si fa proprio questo, si allenano i talenti come te a
diventare più forti, a coltivare le loro capacità
perché possano
sfruttarle al massimo. Ognuno di noi ha un universo dentro di
sé che
era piccolo come il tuo e che, col tempo e il duro lavoro, è
diventato grande come il mio”
“È
tipo una scuola?” domandai, interessata.
“Esatto,
una scuola speciale per persone speciali come te. Io ti propongo di
venire con me in questa scuola e di diventare mia allieva. Ti
seguirò
per tutto il tempo che sarà necessario affinché
sviluppi al massimo
il tuo potere”
Pur
non sapendo ancora nulla di quel mondo che mi aveva descritto in
poche parole, sentivo che quella era la strada giusta da
intraprendere. Quel cosmo che avevo visto in fondo ai suoi occhi era
così caldo e accogliente che mi era stato impossibile non
sentirmi
attratta da lui. Ma ero ancora una bambina e, come tale, legata per
prima cosa alla mia famiglia.
“Tanto
poi torno a casa da papà per cena, no?” gli chiesi
ancora, ma per
la prima volta da quando era arrivato, il volto del ragazzo assunse
un'espressione che mi fece capire che non avrei ricevuto la risposta
che desideravo.
“No,
Psiche. Se accetti di venire con me, non potrai più vedere
tuo papà
né nessun altro”
Psiche, Kostas, Georgia ©
Martyx1988
Aphrodite © Masami Kurumada
Buongiorno a tutti! Con questa storia mi piacerebbe (se riesco)
approfondire la storia di Psiche, del suo addestramento e della sua
vita da Sacerdotessa, nonchè alcuni aspetti più
personali che non riuscirei a trattare in Babylon. L'inizio non
è molto lungo, ma ho preferito farlo concludere a questo
punto per poi trattare separatamente il suo arrivo al Santuario.
Spero che anche solo il primo cap sia di vostro gradimento e che arrivi
qualche commento :)
Martyx1988
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Capitolo 2 *** L'uomo dalla maschera di ferro ***
A
Rose's Tale
L'uomo
dalla maschera di ferro
Aphrodite
– così si chiamava il ragazzo che mi venne a
prendere – mi
portò, per prima cosa, nel negozio di fiori dell'Acropoli,
quello
che vendeva le rose più belle di Atene. Questo
perché erano le rose
che Aphrodite coltivava personalmente, col suo cosmo, infondendovi un
po' della sua enorme bellezza.
Con
la corolla di una di queste rose mi asciugò l'ennesima
lacrima che
era uscita dai miei occhi. Non avevo smesso di piangere da quando
avevo lasciato il negozio di mio padre, dopo che lui mi aveva
regalato un orsacchiotto di peluches da portare con me, l'unico
oggetto legato alla mia precedente vita che Aphrodite aveva
acconsentito che tenessi. Da come mi aveva guardata appena ero
scoppiata in lacrime, avevo capito che non approvava il mio
comportamento, così avevo cercato di piangere il
più
silenziosamente possibile.
“Dove
stiamo andando adesso non si può piangere, Psiche”
mi disse,
osservando la piccola sfera trasparente che una volta era stata la
mia lacrima. “Oltre questa bottega, oltre il villaggio dopo
di
essa, ci troveremo in un posto dove bisogna essere forti per
sopravvivere e dove chi si lascia sopraffare dagli eventi è
perduto.
Io so che tu sei forte, Psiche, ma sappi che dovrai esserlo da
subito, perciò basta lacrime. Quando mi hai detto di
sì, al
negozio, hai anche accettato questo destino. Dimostrami che ho fatto
bene a portarti qui”
Aphrodite
mi mise i fiore tra i capelli e rimase in attesa.
In
quel momento avevo una paura terribile, ma ero anche consapevole
della scelta che avevo fatto e delle sue conseguenze. Non volevo
deludere quel ragazzo che aveva visto in me qualcosa di speciale.
Tirai
su col naso e mi asciugai gli occhi con la manica, quindi annuii.
Aphrodite si distese in un sorriso soddisfatto e, presami per mano,
mi condusse fuori dalla bottega. Ci addentrammo nell'antico villaggio
di Rodorio, custode del segreto dei Cavalieri di Atena e del loro
Santuario, con le sue botteghe e le sue piccole abitazioni d'altri
tempi. Ero talmente affascinata da quel luogo che mi dimenticai per
un attimo della tristezza di prima.
Dedussi
che Aphrodite doveva essere una persona importante, perché
tutti si
inchinavano al suo passaggio e lo salutavano con riverenza. Tuttavia
lui sembrava restio a ricambiare i saluti, solo qualche volta si
sbilanciò con un cenno della testa.
Lo
seguii fiduciosa tra quel dedalo di vicoli, finché non ci si
parò
davanti il tempio più grande che avessi mai visto, forse
più del
Partenone, per i miei occhi di bambina. Mi lasciai scappare
un'esclamazione estasiata che fece sorridere il mio cicerone.
“Benvenuta
al Santuario, Psiche. Questa è la Casa dell'Ariete Bianco,
la prima
delle Dodici Case dello Zodiaco che ci accingeremo ad attraversare.
Al momento questa è vuota, perciò non occorre
chiedere il permesso
di passare. Vieni”
Salimmo
la breve scalinata di marmo bianco che ci condusse alla soglia del
tempio e ci addentrammo dentro di esso senza indugi, col solo
rimbombo dei nostri passi ad accompagnarci.
“Conosci
lo Zodiaco, Psiche?” mi domandò Aphrodite.
Feci
di no con la testa. “So solo di essere del Toro, ma non ho
mai
capito cosa significa”
“Significa
che sei nata sotto il segno del Toro, che, guarda caso, è
quello
della prossima Casa che attraverseremo” mi spiegò,
paziente.
“Memorizza bene tutti i segni delle prossime Case. Quando
saremo
arrivati all'ultima, la Dodicesima, la mia, te li chiederò
tutti”
Annuii
con vigore, fermamente intenzionata a non deluderlo.
“Questa
è la base da conoscere, per diventare un guerriero di Atena.
Oh,
ecco Aldebaran, il custode della Casa del Toro”
Aphrodite
mi indicò un energumeno che, dalla mia prospettiva, sembrava
occupare tutta l'entrata del tempio. Se ne stava lì davanti
a
braccia conserte e con un cipiglio che non prometteva niente di
buono.
Ci
fermammo a pochi passi da lui. Sapevo che lo stavo guardando dal
basso in alto con tanto d'occhi, ma non potevo farne a meno. Era
l'essere umano più grosso che avessi mai visto.
“Nobile
Aldebaran, ti chiediamo il permesso di attraversare la tua
dimora”
domandò cortesemente Aphrodite, che si ritrovò,
però, la manona di
Aldebaran davanti alla faccia.
“Momento”
disse perentorio, prima di accovacciarsi per raggiungere la mia
altezza.
Seguii
la sua discesa sempre con gli occhi spalancati, ma mi ricordai di
chiudere la bocca. Mi vergognavo dei denti mancanti.
Aldebaran
mi squadrò con gli occhi socchiusi e in silenzio per molti
secondi,
prima di parlare.
“Tu
sei del Toro, vero?” mi chiese ed io annuii lentamente.
“Lo
sapevo, il mio intuito non fallisce mai”. Sapeva che stava
continuando a sorprendermi da tanto grandi erano diventati i miei
occhi. Forse fu per questo che, subito dopo, si mise a ridere a
crepapelle.
“Ahahah!
Ma no, ti ho preso in giro, funghetto. Ho sentito che lo dicevi al
coso qui poco fa”
“Mi
chiamo Aphrodite” puntualizzò stizzito il mio
accompagnatore.
“Come
ti pare. Passate pure, comunque, e tu vieni a trovarmi, qualche
volta, funghetto”
Mentre
lo sorpassavamo ad una velocità più alta di
prima, Aldebaran mi
fece l'occhiolino e io gli risposi salutandolo con la mano.
Non
dovemmo chiedere nessun permesso nemmeno nella Terza Casa, quella dei
Gemelli. Aphrodite mi spiegò che era disabitata da molti
anni e che
del suo custode non erano più pervenute notizie.
Il
custode della Casa del Cancro non era grosso quanto Aldebaran, ma se
possibile mi mise ancora più paura. Aveva un ghigno perenne
stampato
sul volto e sembrava guardarmi famelico, nonostante i rimproveri di
Aphrodite, che sembrava essere l'unico a cui desse ascolto. Non ci
fece comunque problemi per passare, ma, col senno di poi, avrei
preferito il contrario. Le pareti del tempio erano un museo di volti
straziati dal dolore. Dovetti impormi di non piangere, non volevo
rompere la promessa che, dentro di me, avevo fatto ad Aphrodite, la
cui mano stringevo convulsamente tra le mie.
“Capisco
il tuo turbamento, Psiche, ma ho voluto che vedessi quell'orrore per
testare la tua forza. Sapevo che non mi avresti deluso.
Procediamo”
Al
centro della Casa del Leone troneggiava, su un piedistallo, uno
scrigno d'oro con incisi dei bassorilievi raffiguranti, appunto, un
leone. L'armatura stava per essere assegnata, mi spiegò il
mio
amico, ma non riteneva il futuro custode della Quinta degno di tale
ruolo.
Il
Cavaliere della Vergine era estremamente giovane, ma emanava un'aura
di estrema saggezza. Nonostante la mia inesperienza, ero in grado di
percepire il suo cosmo potentissimo. Probabilmente era impossibile
non sentirlo. Il giovane si chiamava Shaka e si diceva fosse la
reincarnazione del Buddha, nonché l'essere umano
più vicino agli
dei. Quando lo raggiungemmo, stava ad occhi chiusi e a gambe
incrociate su un grandissimo fiore di loto. Aphrodite mi disse che
stava meditando.
Potete
passare. Le
sue parole
rimbombarono nella mia testa e, pensai, anche in quella di Aphrodite,
perché subito dopo mi condusse fuori dal Sesto tempio.
Non
incontrammo altri ostacoli fino al decimo tempio. Come per il
Cavaliere di Gemini, anche il guerriero di Libra non dava notizie di
sé da molto tempo. L'armatura dello Scorpione non era stata
ancora
né trovata né tanto meno assegnata. Su di essa e
su quella
dell'Acquario correvano varie leggende, mi disse Aphrodite, la
più
attendibile delle quali riferiva che esse fossero imprigionate nei
ghiacci eterni dell'Artico da più di duecento anni,
esattamente dove
i loro precedenti possessori persero la vita.
Sorte
simile era capitata all'armatura del Sagittario, ma su di essa non
giravano leggende bensì sospetti. Il suo ultimo proprietario
era
considerato dagli abitanti del Santuario un traditore che si era
macchiato di colpe indicibili ad una bambina di sei anni quale ero,
di cui la meno grave pareva essere il furto delle sue sacre vestigia.
Oltre a questo, Aphrodite mi avvertì che non era prudente
parlare di
quell'uomo, all'interno del Santuario come, e soprattutto, al
cospetto del Cavaliere successivo.
Shura
di Capricorn era un uomo taciturno, più grande e maturo
della mia
guida, che ispirava rispetto alla prima occhiata. Il suo volto
sembrava scolpito nel marmo tanto era fermo e impassibile e quasi non
mosse le labbra quando ci disse che potevamo passare.
Superata,
infine, l'Undicesima Casa ancora incustodita, raggiungemmo l'ultima,
la Dodicesima, la Casa dei Pesci.
Non
era molto diversa dalle precedenti, alte colonne che sorreggevano una
volta cassettonata e delimitavano i vari luoghi della casa, primo fra
tutti la sala dei combattimenti.
Aphrodite
si fermò al centro di essa e mi affrontò a
braccia conserte, lo
sguardo serio e non più dolce come prima.
“Bene,
Psiche, adesso ripetimi i dodici segni dello Zodiaco” mi
ordinò
con fermezza ed io eseguii subito.
“Ariete,
Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione,
Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci”
“Eccellente,
ma questo è solo l'inizio” mi disse il Cavaliere,
senza scomporsi.
“Ora aspettami qui, non muoverti, chiaro? Io torno
subito”
Aphrodite
sparì tra le colonne, lasciandomi sola a contemplare
l'immensità
della sua dimora. Provai ad allungare il collo nella speranza di
scorgere qualcosa di interessante tra le colonne, ma non vidi nulla.
Tornai allora all'entrata per osservare la maestosità degli
undici
templi sotto di me, le altre undici perle di quella stupenda collana
che era il Santuario di Atene. Oltre di esso si poteva scorgere il
mare, le cui propaggini raggiungevano anche il lato orientale del
promontorio su cui il complesso si estendeva. Oltre alle Dodici Case
dello Zodiaco riuscii a scorgere molti altri edifici, che si
alternavano a rovine di ogni sorta ed epoca. Vidi anche uno stadio e
mi sembrò che, al suo interno, vi fossero delle figure in
movimento.
Lasciai
l'ingresso della Casa per andare dalla parte opposta, anche se non mi
aspettavo di vedere qualcosa di più bello di quel panorama.
Quanto
mi sbagliavo. Il tappeto di rose che ricopriva la scalinata dietro la
Dodicesima mi tolse il fiato. Le rose che avevo creato io non erano
neanche l'ombra di quelle che mi trovai davanti, così rosse
e
cariche di petali da sembrare finte. Subito mi venne voglia di
coglierne una, ma non feci in tempo a muovere il primo passo che una
mano ferma si chiuse sulla mia spalla, bloccandomi. Quando alzai gli
occhi incontrai quelli cerulei di Aphrodite. Era vestito della sua
armatura d'oro ed era più bello di un dio, tuttavia il suo
sguardo
era contrariato.
“Ti
avevo detto di restare nel tempio” mi rimproverò.
“Mi
dispiace, scusami, ma sono così belle...”
“Non
sei ancora ufficialmente mia allieva, perciò
chiuderò un occhio, ma
la prossima volta che mi disobbedirai, sarò costretto a
punirti,
Psiche”
Annuii
svelta. “Non succederà più, lo
giuro”
Aphrodite
mi squadrò con severità ancora per qualche
secondo, prima di
volgere lo sguardo al giardino di fronte a noi.
“Questo
giardino è l'ultima difesa posta a salvaguardia del Gran
Sacerdote e
di Atena stessa e, pertanto, è letale per chiunque lo
attraversi”
disse solennemente, ma riuscii a percepire una nota di orgoglio nel
suo tono.
“E
noi come facciamo a passare?” chiesi ingenuamente,
suscitandogli un
sorriso spontaneo.
“L'ho
creato io, Psiche, e io posso annullarne l'effetto affinchè
possiamo
passare oltre. Stammi vicina”
Aphrodite
mi prese di nuovo per mano ed accese il suo cosmo quel tanto che
bastava perché inglobasse anche me, quindi ci accingemmo ad
attraversare la distesa di rose. Queste sembravano spostarsi al
nostro passaggio, in modo da non essere calpestate, quindi tornavano
al loro posto.
Ben
presto tornammo a camminare sul marmo e salimmo l'ennesima scalinata,
quella che ci avrebbe condotto nelle stanze del Gran Sacerdote di
Atena. A quanto pareva, serviva il suo benestare perché
diventassi
allieva di Aphrodite.
Ci
accolsero due guardie, che ci sbarrarono la strada incrociando le
lance.
“Gigars
mi aspetta” disse semplicemente il Cavaliere e una delle
guardie si
congedò per riferire.
Riapparve
poco dopo, preceduta da un ometto basso, con barba e capelli lunghi e
grigi e un diamante al posto dell'occhio sinistro. Aveva una specie
di elmo in testa e, per camminare, si sorreggeva ad un lungo bastone
di metallo.
Arrivò
al cospetto di Aphrodite con lentezza e lo guardò con
disprezzo,
prima di parlare.
“È
questa la bambina?” domandò con voce gracchiante.
“Sì,
è lei. Desidero presentarla al Gran Sacerdote”
“Mmh...”
mugugnò l'uomo, per poi voltarsi e farci strada tra i
corridoi del
tempio, fino alle porte della Sala del Trono. Ci disse di aspettare,
quindi entrò per annunciarci.
“Sommo
Arles, Aphrodite dei Pesci chiede la vostra udienza per mostrarvi una
bambina che sembra avere del potenziale”
“Molto
bene, fallo entrare” rispose una voce profonda e metallica,
che
riecheggiò per tutta la sala. “E tu sparisci. Hai
cose molto più
importanti di cui occuparti, se non sbaglio”
“Sì,
certo” balbettò Gigars, mentre arretrava.
“Ai vostri ordini,
Eccellenza”
Raggiunta
la soglia della sala, decise finalmente di voltarsi e di correre
altrove, sotto lo sguardo soddisfatto di Aphrodite.
“Entra,
Cavaliere di Pisces” ordinò Arles, permettendoci
così di entrare
nell'immensa sala.
Arrivammo
a qualche metro dall'immenso trono che stava in fondo alla stanza e
su cui era seduto il Gran Sacerdote. Ebbi timore di lui al primo
sguardo. Indossava una lunga tunica scura tenuta in vita da una
cinta, il volto era coperto da un'inespressiva maschera di metallo e
dagli occhi rossi come il sangue, e rosso era anche l'elmo che gli
sormontava il capo e che raffigurava una creatura alata. Distolsi
subito lo sguardo da lui, in quanto approfittai del fatto che
Aphrodite si era inchinato a lui per imitarlo e concentrarmi sul
tappeto rosso sotto i miei piedi.
“Alzatevi”
comandò di nuovo e noi eseguimmo, seppur fossi un po'
riluttante.
“Parla Aphrodite, perché mi hai portato questa
bambina?”
“Possiede
un cosmo acerbo ma potente, Sommo Arles, e penso di essere in grado
di farglielo sviluppare al meglio. La piccola Psiche ha della
capacità affini alle mie e già senza un
allenamento sulle spalle è
in grado di fare molto” spiegò il Cavaliere in
modo conciso.
“Mostramelo”
fu l'ennesimo ordine del Gran Sacerdote.
Aphrodite
annuì col capo e mi porse una delle sue rose, che
però non mi
azzardai a toccare, memore del suo avvertimento del giorno prima.
“Tranquilla,
non ti farà niente” mi rassicurò lui,
al che la presi tra le dita
tremanti.
“Cosa
devo fare?” gli domandai, tremante, ma il guerrieri mi
sorrise
teneramente.
“Cosa
sei in gradi di farle fare?”
Mi
venne in mente una volta in cui dovevamo pulire il retrobottega da
tutti i petali di rosa caduti dal cespuglio, ma sapevo che avrei
dovuto fare molto di più per sorprendere il Gran Sacerdote.
Presi
un respiro profondo e mi concentrai. Ad uno ad uno, i petali della
rosa si staccarono dal fiore e si incolonnarono a mezz'aria, formando
un nastro che fluttuò per tutta la stanza, intorno a noi e
davanti
al volto mascherato di Arles, che ne seguì il volo
finché non
tornarono a costituire la corolla del fiore, esattamente come prima.
Quando
l'ultimo petalo tornò al suo posto, distolsi la
concentrazione della
rosa e guardai Aphrodite. Sembrava soddisfatto.
“Sono
d'accordo, la bambina ha del potenziale e tu solo, al momento, sei in
grado di coltivarlo. Va e istruiscila secondo le regole del Santuario
e di Atena” decise il Celebrante.
Il
Cavaliere accennò un inchino e, presami per mano, mi
condusse fuori
dalla Sala del Trono.
Psiche ©
Martyx1988
Aphrodite e gli altri Gold Saint, Gigars e Arles © Masami
Kurumada
Salve a tutti! Ecco a voi l'arrivo di Psiche al Santuario e la sua
presentazione ad Arles. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento
e di essermi abbastanza attenuta allo spirito di Saint Seiya. A voi i
commenti!
Martyx1988
|
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Capitolo 3 *** La casa delle donne mascherate ***
A
Rose's Tale
3-
La casa delle donne mascherate
La
stanza di Aphrodite,
del mio Maestro, come avrei dovuto chiamarlo da quel momento in poi,
era la più bella e la più ordinata che avessi mai
visto. Il letto
era perfettamente fatto, la scrivania non aveva un foglio o una
matita fuori posto, l'armadio non lasciava uscire la manica di nessun
abito dalla fessura tra le ante e gli specchi su di esse erano
perfettamente puliti, senza ditate o aloni di sporco.
Il
Maestro, spogliatosi
delle sue vestigia dorate, prese delle lenzuola e un cuscino dal
fondo dell'armadio e mi disse di seguirlo nella stanza accanto.
Questa era arredata in modo molto simile a quella di Aphrodite, ma
mancava del suo tocco personale.
“Questa
è la tua
stanza, Psiche, e lo sarà per tutta la durata
dell'addestramento.
Iniziamo dalle regole di convivenza: sveglia all'alba e colazione,
dedicherai la mattinata all'ampliamento del tuo cosmo e delle tue
capacità innate, quindi pranzo al primo rintocco del
mezzodì; al
pomeriggio ti recherai al campo di addestramento femminile, dove le
Sacerdotesse più grandi ti inizieranno all'arte del
combattimento
corpo a corpo; cena al tramonto e a letto. Tutto chiaro?”
Stavo
per chiedere quando
avrei potuto giocare con le amiche che si sarei fatta in quella nuova
scuola, ma una vocina nella mia testa mi suggerì che non era
una
domanda appropriata, quindi mi limitai ad annuire col capo e a
chiedere un'altra informazione, più attinente.
“Dove
si trova il campo
di... dove sono le monache più grandi?” domandai.
“Sacerdotesse,
non
monache” precisò il mio Maestro, leggermente
divertito. “Ci
andiamo proprio adesso. Memorizza bene il percorso, perché
da domani
dovrai andarci da sola”
Non
mi prese per mano
durante la discesa delle Dodici Case, ma rimase sempre quattro o
cinque passi davanti a me. Camminava spedito, e io feci non poca
fatica a stargli dietro, tanto che, una volta arrivati a
destinazione, avevo il fiatone.
Il
campo di addestramento
delle Sacerdotesse si trovata dalla parte opposta di un piccolo
boschetto che lo nascondeva agli occhi del resto del Santuario,
principalmente abitato da uomini. Mi spiegarono che era una regola
ferrea del Tempio che le Sacerdotesse guerriere e le apprendiste,
come io sarei stata, dovevano avere meno contatti possibile coi
restanti guerrieri del Tempio, almeno all'inizio, e che, al loro
cospetto, il loro viso doveva essere totalmente coperto da una
maschera. Ognuna delle guerriere ne aveva una, simile nella foggia ma
diversa nella decorazione, che dipendeva dal gusto personale di
ciascuna. C'era chi aveva optato per una serigrafia semplice, chi per
una molto elaborata e chi, invece, aveva preferito lasciare la
propria maschera anonima.
Questa
era stata la
scelta della Sacerdotessa che ci venne ad accogliere, una ragazzina
dai folti capelli rossi e dal fisico slanciato.
“Nobile
Aphrodite” si
inchinò lei, prima di volgere lo sguardo inespressivo verso
di me.
“Una nuova allieva?”
“Sì,
è arrivata oggi.
Ha bisogno di una maschera” spiegò sbrigativo.
La
Sacerdotessa annuì e
ci fece strada all'interno del dormitorio femminile. Il mio Maestro
preferì, però, aspettarmi fuori e mi
lasciò alle cure della
ragazza, che scoprii chiamarsi Marin.
Il
dormitorio consisteva
in quattro grandi camerate, ciascuna con numerosi letti a castello
molto vicini tra loro e dotati del minimo comfort indispensabile: un
materasso sottile e, il più delle volte, sfondato, un
cuscino con
uno o due buchi, lenzuola sgualcite e, per i periodi freddi, una
ruvida coperta di lana. Ai piedi di ogni letto c'era un baule che
conteneva i pochi effetti personali delle due ragazze che lo
occupavano.
Superati
i dormitori,
entrammo in un ampio salone con tre tavolate messe a ferro di cavallo
e affiancate da lunghe panche di legno. Raggiungemmo, infine,
l'armeria, dove venivano tenute tutte le armi e le corazze necessarie
all'addestramento.
Marin
si diresse verso un
grosso baule in fondo alla stanza, lo aprì e mi fece cenno
di
avvicinarmi per vederne in contenuto. Una serie infinita di maschere
come quella che indossava lei erano impilate fino in cima al
contenitore, tutte uguali come aspetto, ma di dimensioni diverse.
Marin ne prese una e l'avvicinò al mio viso per valutarne la
misura,
scosse la testa, ne prese un'altra e fece la stessa cosa. Al terzo
tentativo parve trovare la maschera della misura giusta. Mi
ravviò i
capelli dietro le orecchie e poggiò il bordo superiore della
maschera contro la mia fronte, quindi l'abbassò piano piano
finché
non aderì completamente al mio viso. Due fori a livello
degli occhi
mi permettevano di vedere, altri due, più piccoli,
all'altezza del
naso mi permettevano di respirare. Dalla bocca avevo lo spazio
sufficiente per parlare.
Senza
nemmeno
accorgermene, mi misi a piangere silenziosamente. Marin
inclinò la
testa e immaginai avesse un'espressione intenerita sul volto. Mi
accarezzò la testa con fare materno e cercò di
consolarmi.
“Lo
so, non è facile,
all'inizio” mi disse dolcemente. “Ma col tempo ti
ritroverai a
non poterne fare a meno. È solo una questione di abitudine.
E poi,
quando vorrai toglierla un attimo, potrai sempre venire qui”
Mi
tolse la maschera e si
rimosse anche la sua. Aveva un bel viso sorridente e due occhi
profondi che sembravano comprenderti all'istante.
“Adesso
asciugati il
viso. Aphrodite non tollera molto le lacrime, penso te l'abbia
già
detto”
Annuii,
mi passai i pugni
sugli occhi e tirai su col naso. Marin mi porse la maschera e mi
aiutò ad indossarla, quindi coprì il suo volto
con la sua.
“Se
e quando saprai
come decorarla, passa pure qui. Sarò felice di
aiutarti”
Mi
riaccompagnò fuori
dai dormitori, dove il Maestro mi stava aspettando con aria
impaziente.
“Perdonate
l'attesa.
Non trovavamo la misura giusta” si scusò Marin con
un inchino che
Aphrodite non parve nemmeno notare.
“Sì,
certo. Andiamo,
Psiche” si congedò frettolosamente.
“Ciao,
Marin!”
salutai io, ricevendo una semplice alzata di mano dalla Sacerdotessa.
Sempre
di gran lena
tornammo alla Dodicesima Casa, dove incrociammo un'ancella
indaffarata a prepararmi la stanza con le poche cose che Aphrodite mi
aveva dato. Appena ci vide entrare, lasciò perdere
ciò che stava
facendo e si inchinò di fronte al Maestro.
“Nobile
Aphrodite! Ho
portato gli abiti che avete richiesto e stavo preparando la stanza
della vostra allieva, come mi avete ordinato”
“Sì,
bene. Adesso puoi
andare” la accomiatò lui col solito modo di fare.
L'ancella non se
lo fece ripetere due volte e si dileguò, lasciandoci soli.
Guardai
il mio maestro
dai fori della mia maschera. Aveva perso tutta l'avvenenza che mi
aveva colpita la prima volta e mi fissava severo, dall'alto, con le
braccia incrociate.
“Togliti
quegli abiti.
Non sono adatti alla vita che farai da oggi in avanti”
“Va
bene” acconsentii
e feci per togliermi la maschera, ma il Maestro mi bloccò.
“No!”
Rimasi
con la mano a
mezz'aria, impietrita dall'ordine perentorio che mi era stato dato.
“Non
puoi toglierti
quella maschera in presenza di un uomo” mi spiegò,
dopo aver
ripreso la calma.
“Perchè
no?...
Maestro?” domandai intimorita. Come Marin poco prima, mi
accarezzò
il capo e si inginocchiò di fronte a me.
“Perchè
questa è la
tua unica protezione, qui dentro. Con questa maschera sul volto sarai
trattata esattamente come un uomo, come uno degli altri guerrieri del
Santuario. Sarai immune da qualsiasi tipo di scherno e sopruso. E se
mai un uomo dovesse vederti il volto, allora avrai solo due
possibilità: ucciderlo o innamorarti di lui. Capisci
perché è
importante che nessun uomo ti veda senza di essa?”
“Credo...
di sì...
Maestro”
Sul
suo viso passò un
rapido sorriso, che subito mutò nell'espressione seria di
poco
prima.
“Forza,
spogliati. Ti
prendo gli abiti nuovi”
Mi
consegnò una
calzamaglia pruriginosa e troppo larga per le mie esili gambe, una
casacca a mezze maniche, una cintura e dei calzari relativamente
comodi che si fissavano sotto il ginocchio. Senza perdersi in
chiacchiere, poi, mi voltò e mi legò i capelli in
un'acconciatura
comoda, come la definì lui, che lo impegnò per
diversi minuti.
Quando ebbe finito, guardò il risultato ottenuto.
“Direi
che può andare”
decretò dopo alcuni secondi, quindi mosse qualche passo
verso
l'uscita.
“Adesso
andiamo ad
allenarci, Maestro?” gli chiesi bramosa, forse solo per paura
di
restare da sola in quel posto nuovo e sconosciuto.
“No,
Psiche, inizieremo
domani. Puoi andare a vedere il Santuario, se vuoi. Io ho delle cose
da fare”
“Devo
tornare al
rintocco del mezzodì, Maestro?” domandai ancora,
memore
dell'avvertimento che mi aveva dato prima dell'incontro col Gran
Sacerdote.
“Sì,
per il pranzo. E
non devi chiamarmi sempre Maestro, non è
necessario” rispose, e
stranamente mi sembrò in difficoltà.
“Va
bene”
Aphrodite
abbozzò di
nuovo un sorriso, quindi uscì dalla stanza. Poco dopo,
sentii
chiudersi la porta della stanza accanto. Solo allora mi azzardai ad
uscire dalla mia. Raggiunsi la sala dei combattimenti e la esplorai
con lo sguardo. Ogni colonna, ogni anfratto, ogni ombra era
silenziosa come solo le cose antiche lo sono, e per la prima volta in
tutta la mia vita, mi sentii sola. Mi venne quasi subito da piangere,
ma ricordai immediatamente le parole del mio Maestro e ricacciai
indietro le lacrime. Dovevo essere forte.
Uscii
dal tempio ed
iniziai a scendere la scalinata. Come aveva fatto Aphrodite tutte le
volte, chiesi ai proprietari dei templi abitati il permesso di
passare. Nessuno di essi mi impedì il passaggio e presto mi
ritrovai
sulla soglia della Casa del Toro.
“Nobile
Aldebaran, ti
chiedo il permesso di attraversare la tua dimora”
Nessuno
rispose, ma dopo
qualche secondo l'omone comparve dalle colonne, con uno sguardo
sorpreso sul volto.
“Funghetto!
Che ci fai
qui tutta sola?”
Aldebaran
mi venne
incontro veloce e si accovacciò davanti a me.
“Il
mio Maestro aveva
da fare e mi ha detto di andare a visitare il Santuario fino al
rintocco del mezzodì” spiegai. “Allora
posso passare?”
“Sì,
certo, ma...
insomma, è pericoloso per una bambina girare da sola per il
tempio”
mi fece notare, sconcertato.
Scrollai
le spalle, non
sapendo come ribattere a quell'appunto, nel mio inconscio rassegnata
a passare quella giornata da sola. Aldebaran si sfregò il
mento per
molti secondi con fare pensieroso, prima di espormi la sua idea.
“Se
mi aspetti qualche
minuto, ti accompagno io a visitare la baracca. Ti va?”
A
quelle parole riuscii a
sorridere spontaneamente per la prima volta da quando ero al
Santuario. Accettai entusiasta la proposta e il Toro rispose con lo
stesso entusiasmo. Presami in braccio come se non pesassi
più di una
piuma, mi portò nei suoi alloggi privati e mi fece sedere
sul
divano, davanti ad un tavolino basso totalmente ricoperto di
souvenir.
“Gioca
con quelli,
mentre finisco quello che ho da fare, ma fai attenzione al Cristo
Redentor”
“Qual
è il Cristo
Ritento?” domandai, totalmente persa in quella miriade di
statuine
strane.
“Quello
alto, grigio,
coi capelli lunghi, le braccia aperte e un piedistallo con scritto
sopra 'Rio'” urlò Aldebaran, dall'altra stanza.
Individuai
la statuetta a
cui si riferiva, era posta esattamente al centro del tavolino. Ne
presi una vicina, raffigurante una strana creatura col corpo di uomo
e la testa di lupo. Indossava un gonnellino e un copricapo egizi e,
in un'altra occasione, il Cavaliere mi spiegò che era la
raffigurazione del dio egizio Anubis e che quel souvenir era un
regalo che Aiolos del Sagittario gli aveva portato dall'Egitto. Poco
lontano trovai una bambolina hawaiana con tanto di collana di fiori,
e nella mia mente nacque la storia d'amore perfetta.
Aldebaran
tornò che il
mio uomo lupo e la mia indigena stavano facendo conoscenza. Li riposi
al loro posto e mi ripromisi di riprendere la loro storia se fossi
tornata a trovare il mio amico.
Il
Cavaliere mi prese per
mano ed insieme uscimmo dalla Seconda Casa.
“A
proposito, bella
maschera!” mi disse, strizzando l'occhio.
Vi
portai d'istinto le
mani sopra. Sentivo che stava già diventando parte di me.
Psiche ©
Martyx1988
Aphrodite, Aldebaran e Marin © Masami Kurumada
Ciao a tutti! Scusate il ritardo, ma gli esami mi stanno prendendo un
sacco di tempo e ho trovato giusto questo poco tempo per buttare
giù questo breve capitolo, ultimo di quelli introduttivi, in
cui Psiche scopre piano piano quell'universo complesso che è
il Santuario di Atene. Avvertimento importante: non l'ho riletto
perciò non so che strafalcioni io abbia scritto, sia
grammaticali che concettuali, vi chiedo quindi cortesemente di
comunicarmeli e vi rimedierò quando la mia testa
avrà smesso di girare :) a presto!
Martyx1988
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Capitolo 4 *** Il coltivatore di rose velenose ***
A
Rose's Tale
4-
Il coltivatore di rose velenose
Sentii
la rosa passarmi
con un sibilo vicino alla guancia e piantarsi nella colonna alle mie
spalle. Non l'avevo neanche vista partire dalla mano del mio maestro.
“Dovrai
lavorare molto
sui riflessi” mi disse Aphrodite, avanzando con passo
elegante
verso di me per recuperare la rosa che aveva lanciato.
Era
il mio secondo giorno
al Santuario e il mio addestramento era ufficialmente cominciato. Ero
impaurita da quello che avrei dovuto affrontare da lì per
gli anni a
venire, ma non volevo nemmeno deludere Aphrodite, che sembrava tenere
molto al mio addestramento per diventare Sacerdotessa. A quanto avevo
capito, ero la sua prima allieva, nonché l'unica. Gli altri
sacri
guerrieri del Santuario ne avevano tutti due o tre, almeno per quello
che ero riuscita a vedere mentre passavamo vicino all'arena dei
combattimenti per dirigerci verso il nostro campo di addestramento.
Ci
trovavamo in un'area
ai confini del Grande Tempio, battuta raramente e solo dalle guardie
di ronda. In questo modo, mi aveva detto il maestro, nessuno avrebbe
potuto disturbarci.
“Provvederò
ad
avvertire le Sacerdotesse più grandi di concentrarsi su
questo
aspetto del tuo addestramento, oltre che sullo sviluppo della tua
forza fisica” decise Aphrodite.
“Sì,
maestro!”
approvai. Lui accennò un mezzo sorriso e tanto mi
bastò per
convincermi di averlo soddisfatto del mio entusiasmo.
Mi
porse quindi la rosa,
che afferrai facendo attenzione alle spine.
“Sarà
questa la tua
arma, d'ora in poi, oltre al tuo corpo” mi spiegò.
“Le leggi di
Atena vietano ai sacri guerrieri di fare uso di qualsiasi tipo di
arma. Unica eccezione è il Cavaliere di Libra,
più volte arbitro
delle sorti delle sacre battaglie combattute secoli fa proprio grazie
alle sei coppie di armi di cui è provvista la sua
armatura”
Un'altra
rosa comparve
tra le sue mani, candida come la neve. “Ma questo
è un privilegio
per uno solo di noi dodici, gli altri si sono dovuti arrangiare con
le loro uniche capacità. C'è chi manipola il
ghiaccio, chi avvelena
il sangue degli avversari con un pungiglione e chi, come noi, sfrutta
la grazia delle rose a scopo offensivo e difensivo”
Aphrodite
scagliò la
rosa bianca, prendendo un gabbiano in pieno petto. L'uccello
precipitò rapidamente al suolo, a pochi passi da noi.
Sotto
i miei occhi, la
rosa bianca lanciata dal mio maestro si stava pian piano tingendo di
rosso.
“Il
sangue di quel
gabbiano trasformerà quell'innocente rosa bianca in una
seducente
rosa rossa. Quella è l'arma più potente di cui
dispongo, la Bloody
Rose. Vedremo se sarai capace di elaborare una tecnica tanto
micidiale. Nel frattempo, dovrai lavorare molto sulla tua
capacità
di manipolazione delle rose. Ti insegnerò tutto quello che
so in
proposito, ma sarai tu, col tuo cosmo, a rendere questa tua
capacità
la tua arma”
Guardai
la rosa che avevo
in mano e mi chiesi come un qualcosa di così bello potesse
diventare
allo stesso tempo estremamente letale, tanto da dissanguare un essere
vivente come il gabbiano caduto davanti a me. Allo stesso modo mi
chiesi se sarei mai stata in grado di uccidere un essere vivente con
la stessa freddezza che il mio maestro mi aveva dimostrato. Sentivo
dentro di me che non era nelle mie corde compiere un atto simile, ma
sapevo anche che era necessario, se non altro per sopravvivere
all'interno del Santuario. Dovevo smettere di essere la piccola e
dolce Psiche che ero ad Atene, per diventare un vero sacro guerriero
del Santuario di Atena.
Durante
gli allenamenti
mattutini col mio maestro, scoprii che uccidere con un fiore era un
mio talento innato.
Dedicavo
i pomeriggi
all'addestramento fisico insieme alle altre Sacerdotesse guerriere,
nonostante il mio maestro non ne fosse molto entusiasta. Aphrodite
sapeva, tuttavia, di non possedere le conoscenze necessarie per
quella parte del mio allenamento, cosa di cui invece Marin e la sua
compagna Shaina erano maestre.
Noi
giovani eravamo
affidate alla loro custodia. Marin era più comprensiva
rispetto a
Shaina, dal carattere ruvido e velenoso. I loro insegnamenti si
dimostrarono comunque utili in ogni occasione.
Come
richiesto dal mio
maestro, entrambe si prodigarono a farmi migliorare sotto il punto di
vista dei riflessi e della forza fisica, di cui ero totalmente priva.
I primi allenamenti con loro si dimostrarono estenuanti fin quasi
alla morte e, più di una volta, dovetti restare qualche
giorno a
letto per riprendermi dalle ferite e dalla fatica. In breve,
però,
la mia resistenza aumentò esponenzialmente, così
come la mia forza
e la mia velocità. Insieme ad esse crebbe anche il mio cosmo.
Iniziai
ad elaborare
delle tecniche d'attacco personali, diverse da quelle del mio maestro
ma comunque fiduciosa che, col tempo, sarebbero diventate altrettanto
letali.
Sconfissi
il mio primo avversario con le Spine di Rosa a distanza di otto mesi
dal mio arrivo al tempio. Il giovane guerriero si ritrovò
completamente avvolto da lunghi e flessuosi steli di rose irti di
spine che lo graffiavano in ogni dove, stillandogli lentamente
piccole gocce di sangue rosso come la corolla del fiore che avevo
conficcato nel terreno alle sue spalle, senza che lui se ne
accorgesse. Alla fine di quell'incontro, lasciai la presa sotto
indicazione di Aphrodite. Il ragazzo di fronte a me era diventato
pallido come un cencio e a malapena si reggeva in piedi.
“Hai
rischiato di
raggiungere il limite massimo di perdita di sangue che consente la
sopravvivenza umana” mi spiegò il mio maestro,
sulla via del
ritorno verso la Dodicesima Casa. “Per quanto, lo ammetto,
sia una
tecnica molto efficace, va usata con attenzione, soprattutto entro i
confini del Santuario. Basta poco per contravvenire alle leggi di
Atena ed essere condannati per questo, ricordatelo bene”
“Certo,
maestro.
Perdonatemi” mi affrettai a scusarmi, inchinandomi davanti al
mio
mentore, il quale, tuttavia, pareva molto soddisfatto di me,
nonostante tutto.
“Perdonarti?
Per cosa?
Per essere sulla strada dell'eccellenza? Non credo proprio”
Da
quel giorno gli
allenamenti del mattino vennero intensificati per perfezionare la mia
nuova tecnica e metterne a punto altre. Per quanto mi sforzassi,
però, non riuscivo ad ottenere niente di talmente micidiale
quanto
la Bloody Rose del mio maestro. Ero comunque intenzionata a sfruttare
anch'io il candore delle rose bianche, forse perché in esse
vedevo
rispecchiato il mio animo: una volta immacolato, si stava piano
tingendo delle tinte forti della violenza e della sofferenza che
provavo e arrecavo, cancellando la Psiche di un tempo per lasciare
spazio alla nuova Psiche, la guerriera aggraziata ma letale che
donava la morte con la morbida carezza di una rosa.
Negli
anni le mie abilità
crebbero a dismisura e, senza accorgermene, stavo diventando la copia
femminile del mio maestro.
Aiutata
anche dalle forme
che via via andarono a modellare il mio corpo, divenni conosciuta,
ammirata e temuta da tutti gli aspiranti sacri guerrieri come la Rosa
Velenosa di Aphrodite, il pezzo più pregiato tra
quelle che il
Cavaliere dei Pesci coltivava.
Soltanto
Marin, Shaina,
rispettivamente futuri Cavalieri d'Argento dell'Aquila e dell'Ofiuco,
e i Cavalieri d'Oro parevano essere in grado di tenermi testa.
Tuttavia, sembrava che per me, nonostante i miei continui
miglioramenti, non vi fosse nessuna armatura in palio.
Così
non era, invece,
per l'uomo che mi trovai davanti durante un combattimento
dimostrativo all'arena.
Lo
conoscevo per fama, ma
era la prima volta che lo vedevo: Aiolia, fratello del traditore,
destinato all'armatura d'oro del Leone. Dovetti ammettere, appena lo
vidi, che io stessa non avrei scelto proprietario più degno
per
quell'armatura: i suoi occhi chiari lampeggiavano di zanne di
determinazione, la sua corporatura scattante sembrava pronta
all'agguato, la sua folta criniera bionda ondeggiava al ritmo del
vento. Nonostante ciò che di lui avevo sentito, da Aphrodite
e da
altri, tutto in lui mi dimostrava onore e determinazione.
Di
riflesso mi sentii
onorata io per essere stata scelta da quell'uomo, poco più
giovane
del mio maestro, per essere sua avversaria in un duello,
nonché
fiera di aver accettato la sfida, nonostante Aphrodite me lo avesse
caldamente sconsigliato.
“Finalmente
conosco la
Rosa Velenosa del Santuario” esordì a gran voce,
senza nascondere
quanto fosse elettrizzato all'idea di battersi con me.
“Vorrei
dire lo stesso
di te” ribattei. “Ma gli appellativi che ti danno
qui al
Santuario non sono proprio intrisi di gloria”
Aiolia
mi mostrò un
bianco ed amaro sorriso. “Ognuno ha la fama che si merita.
Dimostrami di meritarti la tua”
Assumemmo
contemporaneamente le posizioni di guardia ed iniziammo a studiarci.
Le situazioni di stallo, però, non mi erano mai piaciute,
così
attaccai per prima. Quando ero ormai sicura che il mio colpo sarebbe
andato a segno, il mio pugno si perse nel vuoto. Una folata d'aria
sulla nuca mi indicò la nuova posizione del mio avversario,
che
tentai di colpire nuovamente con un calcio rotante il quale, come
successo poco prima, frustò l'aria.
Aiolia
era a pochi metri
da me, nella stessa posizione di guardia di pochi istanti prima.
Sembrava non essersi mosso di un millimetro quando invece sapevo
che l'aveva fatto, e ad una velocità incomparabile.
“Allora
sono vere, le
altre voci che girano su di te” dissi, elettrizzata dalla
potenza
che il mio avversario era riuscito a dimostrarmi senza colpo ferire.
“E
che cosa dicono
queste voci?” mi domandò Aiolia, nonostante fossi
sicura che
sapesse già la risposta.
“Che
padroneggi la
velocità della luce, e non solo negli spostamenti”
“Me
lo confermerai tu a
fine scontro, d'accordo?”
Annuii
e al contempo
ripartii all'attacco, fermamente intenzionata a non risparmiare una
singola particella di me. Aiolia era il primo avversario veramente
degno di nota che mi trovavo di fronte: una prova come quella non
l'avrei trovata da nessun'altra parte.
Mi
dimostrò la sua
superiorità da subito, ma riuscii comunque a metterlo in
difficoltà
con le tecniche che avevo elaborato insieme al mio maestro.
Più di
una volta gli steli delle mie rose lo imprigionarono e le spine si
bagnarono del suo sangue caldo, ma i suoi colpi, portati alla
velocità della luce, divennero ad un certo punto imparabili
e non
potei fare altro che soccombere sotto di essi.
Nonostante
la sconfitta,
mi sentivo soddisfatta di me e della mia prova, così come lo
fu il
mio avversario, che accorse per aiutarmi a rimettermi in piedi, in un
boato di urla, applausi e fischi.
Di
nuovo faccia a faccia,
il futuro Leone mi strinse la mano con più forza.
“Complimenti!
Gran bel combattimento, mi sono proprio divertito e, sì, la
tua fama
è più che meritata. Ne porto anche i
segni”
Sorrisi
sotto la
maschera, come era tanto che non facevo, ma nessuno poté
vederlo e,
forse, era meglio così.
“Anche
la tua. L'altra,
intendo”
“Posso
sapere il vero
nome della Rosa Velenosa?” mi domandò.
“Per quanto sia un nome
d'effetto, preferisco usare quelli veri”
“Mi
chiamo Psiche”
“Quanti
anni hai, se
posso permettermi?”
Era
una domanda che mai
nessuno dei miei avversari mi aveva fatto e che, quindi, mi
lasciò
spiazzata.
“Dodici
anni” risposi
dopo qualche attimo.
“È
troppo giovane per
te, Aiolia!” urlò qualcuno alle spalle del
ragazzo, il quale non
si voltò nemmeno verso i due giovani guerrieri che lo
stavano
raggiungendo. Uno dei due, dalla folta chioma color oltreoceano, gli
andò a circondare il collo col braccio muscoloso e finse di
strozzarlo.
“E
poi non lo sai che è
maleducazione chiedere l'età ad una signora? Non ti
offendere,
dolcezza, è che non ci sa fare, con le donne”
Il
nuovo arrivato mi rivolse uno sguardo limpido e vivace. Per la prima
volta, sentii il mio cuore perdere un battito.
Psiche ©
Martyx1988
Aphrodite, Aiolia, Marin, Shaina © Masami Kurumada
Salve a tutti!
Il ritardo, ovviamente, è dovuto allo stesso motivo
dell'altra volta, oltre che ad una momentanea perdita dell'ispirazione
:) per i lettori di questo capitolo, vorrei precisare che non tengo
conto degli avvenimenti e delle caratterizzazioni dell'Episode G, che
sto leggendo, quando riesco, al momento e di cui non conosco ancora
bene le sfaccettature. Per il resto, spero che il capitolo sia di
vostro gradimento e che gli strafalcioni siano il meno possibile ^^
Martyx1988
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