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Nota: La frase che fa da titolo
al racconto è anche una famosa (e splendida) canzone dei Depeche
Mode.
Chapter 1 – THE BOY
E’ tutto bianco.
Di un bianco alienante.
Una luce soprannaturale
che sembra arrivare direttamente dal luogo maledetto in cui nascono gli incubi
degli uomini.
A volte ho la sensazione
che questa stanza sia una cosa viva, un'entità a sé stante, una volontà aliena,
qualcosa che continuerebbe ad esistere anche se di colpo tutti gli esseri umani
sparissero. La sua luce continuerebbe a splendere in eterno.
La stanza è enorme,
sterminata... così grande che dal centro non se ne vedono i confini.
La gravità è dieci volte
superiore rispetto a quella terrestre e l'aria è rarefatta. Il clima al suo
interno è freddissimo, o caldissimo. Non esiste una via di mezzo.
Ed io ci sono dentro.
Questo posto ha il dono di
farti sentire pieno di energia, ma la realtà è che te la sta togliendo.
Sebbene tutto sia fatto di luce, c'è un'ombra oscura che mi sento addosso, e
dentro.
Cerco una via di fuga,
come si cerca di sfuggire ai sogni angosciosi della notte.
Ma non c'è nessuna uscita.
Cerco passaggi segreti,
botole, trabocchetti, qualunque cosa. Ma non c'è nient'altro che il bianco
lugubre della mia solitudine. Solo. Non mi ero mai sentito così solo.
Non riesco a udire il
mondo al di fuori della stanza, ma se chiudo gli occhi posso ancora vederlo: il
delicato verde della natura, il caldo rosso del tramonto, il blu profondo del
mare, l’azzurro limpido negli occhi di mia madre.
Ma qui dentro sono solo.
Completamente solo.
Mi resta solo la nostalgica, irriducibile Speranza di una persona che desidera
qualcosa che le è preclusa e che le sarà negata per sempre: l'amore di un
padre.
Lui è qui, ma è come se
non ci fosse.
Vegeta.
Una macchia di nero in questo infinito pianeta bianco.
Il riflesso di tutta questa luce non fa altro che nobilitare la sua figura,
eppure...
Mamma mi aveva avvertito, mi aveva detto di non farmi illusioni, ed invece nel
mio mondo immaginario lui era sempre stato un eroe, un mito.
Poi ho capito di avere torto.
Mio padre è un megalomane. Un arrogante. Altezzoso e spregevole.
Quando ho saputo che
avremo passato un intero anno insieme non mi ero di certo aspettato un
sentimento dalle parti dell'amicizia, ma avevo almeno sperato in un affetto
istintivo, genetico, istituzionale.
Molte volte mi chiedo se
esiste qualcosa che possa increspare la superficie di quel lago gelato che è
mio padre.
Altre volte, invece, mi
sorprendo a desiderare di avere un padre come Goku.
Lui è così familiare, è così protettivo, è così... umano.
Sono partito nel passato con una grande speranza nel cuore.
Ora non so più in cosa sperare.
** ** ** ** **
Centoventidue.
Centoventitre.
Centoventiquattro.
Trunks si stava allenando senza un attimo di tregua. Una flessione dietro
l’altra, ad una gravità insostenibile per un qualsiasi essere umano, ma non per
lui.
Poi una voce.
”Ciao. Che cosa stai facendo?”
Trunks si mise diritto e, stupito, fissò la persona
davanti a sé. Era un bambino piccolo, e teneva un pallone rosso tra le mani. Trunks
gli si avvicinò piano, temendo di intimidirlo, e gli mormorò “Cosa stai facendo
TU qui? Io sono forte, e posso sopportare tutto questo!” Indicò l’immenso
spazio bianco intorno a sé. “Ma tu sei troppo piccolo. Perché sei qui?”
Il bambino fece rimbalzare il pallone per terra, e
lo riprese tra le mani.
”Mi sono perso. Questo posto è talmente grande che, se ti allontani troppo
dall’ingresso, finisci col non uscire mai più all’esterno!”
Trunks s’inginocchiò di fronte al bambino, specchiandosi nei suoi occhi, laghi
gemelli, azzurri e conosciuti. “Anch’io temo di essermi perso.”
Il pallone rosso esplose tra le mani del bimbo, e schizzi di sangue tinsero le
pareti e i pavimenti della stanza, e colpirono anche il volto di Trunks. Un
sorriso triste si dipinse nel giovane volto del bambino.
“Sei cresciuto senza un padre. Sei cresciuto nel
terrore di una guerra senza fine. Sei cresciuto sopra le tombe dei tuoi amici.
Sei cresciuto in un mondo senza alcuna gioia. Probabilmente… non sei cresciuto
affatto.”
A quelle parole, Trunks pianse.
Pianse a lungo, pianse con disperazione; pianse e abbracciò quel bambino che
era la copia sputata di sé stesso da piccolo.
Trunks, scivolato in una
specie di dormiveglia, si era trovato immerso in uno strano sogno che lo aveva
colpito per la straordinaria nitidezza delle immagini.
La sua vulnerabilità è talmente manifesta che, più
passa il tempo più sento di odiarlo, soprattutto per quel suo patetico attaccamento
alla vita e per quella penosa luce di adorazione che
ha nello sguardo ogni qualvolta i suoi occhi si posano su di me.
Trunks è docile, arrendevole, sempre presente, incollato a me per ricordarmi,
mio malgrado, che esisto. Se gli concedessi un minimo spazio, una piccola
dimostrazione di affetto paterno, lui mi starebbe
incollato come un tatuaggio, ne sono certo.
Lo detesto profondamente e nello stesso tempo...
invidio la perfezione della sua nullità.
Ha una grande forza, e sa
come usarla. E potrebbe anche essere un ottimo
compagno per i miei allenamenti se solo ogni volta non si preoccupasse di non
ferirmi. Quando combatte contro di me usa la metà del suo potere per paura di
uccidermi, ed è una cosa che non posso tollerare.
Chi diamine è lui?
Di certo non è mio figlio.
Lo guardo e non riesco a farmene una ragione. Non
può essere l'erede del principe dei Saiyan! Un Saiyan non ha gli occhi azzurri e i capelli di quel
ridicolo colore.
Eppure abbiamo più cose in comune di quanto si possa
pensare.
Entrambi abbiamo visto il nostro popolo cadere sconfitto per colpa di un essere
superiore: per me è stato Freezer, per lui sono stati i cyborg.
Entrambi sappiamo cosa significa allenarsi
duramente giorno e notte, con tutta l’energia del proprio corpo, con tutta
l’anima, con il solo scopo di sconfiggere un nemico troppo forte per chiunque:
per me è stato Freezer, per lui sono stati i cyborg.
E’ ironico che Trunks sia riuscito a fare a pezzi Freezer con la sua spada.
Quel mostro ha ucciso mio padre, ma ha lasciato in
vita ME firmando così la sua condanna, perché io ho generato
colui che lo ha eliminato per sempre.
Trunks.
** ** ** **
C'era una luce così chiara
ed estranea, una pace stranamente inadeguata in quel luogo in cui Vegeta stava
conducendo la sua grande guerra contro sé stesso e
contro il mondo.
Vegeta era un uomo che
aveva passato tutta la vita da solo e, quando una voce gli aveva chiesto il
senso di quella solitudine, lui aveva preferito ignorarla. In passato la sua
vita aveva attraversato più volte il corso di altre
vite, ma non c'erano stati gesti di affetto, di fiducia, di promesse, di amore.
In definitiva aveva incrociato altre vite per... spezzarle.
Anche ora avrebbe voluto essere solo, in quella stanza
che poteva dargli la forza che da tempo bramava, ed invece… doveva trascorrere il
tempo in compagnia di un figlio che non aveva mai riconosciuto come suo, venuto
dal futuro per salvarlo.
Il loro rapporto non era né
migliorato né peggiorato nel corso dell'allenamento nella stanza dello Spirito
e del Tempo: semplicemente non si poteva definire un rapporto. Per entrambi era
rimasto, fino a quel momento, una condizione di lavoro forzato temporaneo.
Ora quel ragazzo si
agitava nel proprio letto a baldacchino, ignaro dello sguardo fisso e soppesante
di suo padre. A Vegeta era parso, nel silenzio della Stanza, di sentirlo
piangere nel sonno in più di un’occasione. Ma quando
si rivedevano al risveglio, di quel pianto, se c'era stato, sul viso di Trunks non
ne restava alcuna traccia.
** ** ** **
Trunks si stiracchiò e
desiderò respirare una boccata d'aria fresca.
Suo padre era già in
piedi, accanto al tavolo della cucina.
Trunks lo osservò in
silenzio, e si rese conto di non sapere nulla di lui e del motivo per cui sua madre lo aveva scelto. Non riusciva a capire se
non gli chiedeva nulla del suo passato per timore di essere
indiscreto o per timore di quello che Vegeta avrebbe potuto dire.
Si alzò dal letto, lo salutò senza ricevere risposta, e preparò la colazione
per entrambi.
"Ecco qui. Nero,
ristretto e senza zucchero. Come piace a te."
Trunks posò la tazzina di caffé sul tavolo di fronte a Vegeta. Il principe
rimase silenzioso, col volto stranamente disteso e rilassato. Trunks pensò che
quello poteva essere il momento più adatto per domandargli
ciò che lo tormentava da anni.
"Cosa
provi per mia madre?"
Vegeta si alzò di scatto,
quasi come se la sedia avesse cominciato a scottare. Sputò il caffé che era
diventato improvvisamente molto più amaro di quanto già non lo fosse.
"Quello che c'è tra
me e quella donna..." Cominciò a dire,
ringhiando. Poi si corresse.
"Quello che c'è stato tra me e lei, non ti riguarda”.
Trunks strinse la tazzina
che teneva tra le mani, frantumandola in mille pezzi.
"Certo che mi
riguarda. Io sono vostro figlio! Ho il diritto di sapere PERCHE’sono venuto al mondo”.
Vegeta tornò a guardarlo
con l'espressione più irritante di cui era capace.
"Abbiamo solo un
allenamento da fare insieme. Anomalo fin che vuoi, ma pur
sempre un allenamento, non una felice riunione familiare. Perciò smettila con queste domande stupide! Tu ti allenerai
per i tuoi motivi, io per i miei. Ognuno avrà i propri vantaggi..."
“Ma
papà…”
”IO NON SONO TUO PADRE, E TU NON SEI MIO FIGLIO! Tuo padre è morto, e mio
figlio è un moccioso appena nato. Mettitelo bene in testa!” disse
Vegeta, guardando il ragazzo, ma era come se non lo vedesse.
Trunks avrebbe voluto
gridare fino a staccarsi le corde vocali, ed invece, rimase in silenzio,
nascosto, come aveva fatto quasi sempre nella sua
vita.
Il suono dei loro passi si
scompose in uno strano riverbero nello spazio semivuoto della Stanza.
“E’ arrivato il momento di
sgranchirsi le ossa, ragazzo…”
La voce di Vegeta era calma
e Trunks ammirò come riusciva a mascherare il tempo che sicuramente sentiva
scandire veloce dentro.
I due si collocarono uno di fronte all’altro, e le parole non dette adesso
erano tutte racchiuse nello sguardo che si scambiarono: Vegeta e Trunks erano
fisicamente diversi, e soltanto il cipiglio era somigliante.
Combatterono muovendosi in
sincrono perfetto con le esigenze dell'esercizio, che richiedeva di non fuggire
dalle proprie paure ma piuttosto di lanciarsi verso di esse.
Ogni volta che lottavano,
Vegeta sentiva spingere dentro di lui una forza consumante, simile all'orgasmo.
Al contrario, Trunks sentiva il rigurgito acido del cibo salirgli in bocca ad
ogni colpo ricevuto, ma non si sarebbe sottratto a quegli attimi di lotta
contro suo padre per nulla al mondo. Erano gli unici momenti in cui sentiva di
non essere del tutto indifferente all’orgoglioso principe.
Sferrò una sfera di energia contro di lui, ma Vegeta la scansò agilmente.
"Sei patetico"
gli disse, osservandolo con un'aria che voleva essere di sufficienza, ma
il tono della sua voce, invece, mascherava a malapena
l'ammirazione.
Subito dopo Trunks vide
come al rallentatore un velocissimo pugno diritto verso
il suo viso. Quando lo colpì, prima ancora di sentire
il dolore, i suoi occhi furono attraversati da un lampo accecante di luce
gialla. Il contraccolpo lo spinse all'indietro, e al dolore del viso corrispose
quasi istantaneamente il dolore ad una spalla lussata che usciva dalla sua
sede.
Vegeta decise di dargli un attimo di tregua, e si fermò ad osservare il
ragazzo.
Il calore dell'allenamento
gli aveva provocato due leggere chiazze rosse sulle guance, ma a parte questo
non mostrava alcun segno di stanchezza. Vegeta fu ammirato per la sua
resistenza al dolore e per la sua strenua opposizione, ma capì che non avrebbe
retto ancora per molto. Anzi, era sorpreso che non fosse ancora svenuto per il
bruciore.
Quando gli diede il colpo decisivo, Trunks cadde a terra urlando, ed il
dolore lo obbligò a richiudersi in posizione fetale. Alzò piano il capo per
cercare con gli occhi suo padre, e per la prima volta si rese conto di quanto
potesse essere freddo un sorriso.
“Non c’è gusto a
combattere contro di te. Sei talmente debole…”
"No. Io... sono
forte..."
Vegeta sogghignò. "Si
vede che hai avuto un sempliciotto come Gohan a farti
da maestro”.
"Non… non ti
permetterò di parlare male di Gohan. Lui… non era un
sempliciotto. Era il migliore!" disse Trunks,
trattenendo a stento le lacrime.
"Così non va bene.
NO! Dannazione! Devi usare la rabbia, devi usare
l’odio che provi nei miei confronti per diventare più forte!”
Trunks si rimise in piedi
a fatica, e voltò il capo per evitare di sostenere lo sguardo di quegli occhi
iniettati di sangue.
"Ti sbagli. Io non
combatto usando la forza del mio odio, papà. Io combatto per un futuro
migliore. Io combatto perchè Gohan mi ha insegnato
che se il mondo che hai attorno non ti piace, devi
trovare dentro di te il modo di cambiarlo."
Il tono e il significato
di quelle parole avevano sciolto come un getto d'acqua calda l'espressione
glaciale di Vegeta. Ma egli tacque e lasciò che Trunks
continuasse il suo discorso.
"E
in ogni caso io non ti odio, sei tu ad odiarmi. Mi stupisco che tu non mi abbia
strangolato, quando ero ancora nella culla. Ma non
devo e non voglio provare alcun rancore nei tuoi confronti."
”Allora penso non ci sia altro da dire”.
“No, al contrario. Ci
sarebbe molto da dire. Ma non vale la pena di
investire altro tempo in un discorso con te”.
In verità Trunks sentiva dentro un groviglio di parole, eppure non riusciva a
dirne nemmeno una.
Proseguirono il
combattimento, in silenzio, ed era come se il lungo tempo che stavano
trascorrendo insieme, invece di unirli, stesse scavando ancora di più il solco
che li divideva.
** ** **
Mentre si avviava verso il bagno, vide delle macchie
di sangue sul pavimento bianco e capì che era il suo. Sentiva le orecchie che
gli ronzavano per i colpi ed un dolore sordo alla spalla. Trunks si appoggiò
alla porta dello stanzino e tirò un lungo respiro, guardando suo padre che
stava continuando ad allenarsi da solo.
Entrò nello stanzino e si avvicinò allo specchio. Osservò la sua faccia e
dovette constatare che Vegeta aveva fatto un buon lavoro: l'occhio si stava
gonfiando e la bocca e il naso erano sporchi di
sangue rappreso a metà. Aprì il rubinetto e si lavò
sentendo il piacere del contatto dell'acqua fredda sul viso tumefatto. Dopo di
che, soffocando un gemito di dolore, diede un colpo
secco all'articolazione della spalla che tornava al suo posto.
Infine prese una
decisione.
“Sono solo un intralcio per lui. Da domani mi
allenerò dalla parte opposta della Stanza e non gli recherò più alcun
fastidio”.
CONTINUA…
Nda: Un doveroso ringraziamento a chi mi sta seguendo e recensendo. Non è stato facile per me decidere di scrivere qualcosa di così
drammatico e violento, non è il mio genere di sempre e chi ha letto le altre
mie storie lo sa bene. Perciò grazie per i vostri
incoraggiamenti, e continuate a leggermi: vi anticipo che presto entrerà in
scena anche Bulma!
Vegeta percepì la presenza
di Trunks all’interno della Stanza, ma capì che doveva essersi notevolmente
allontanato da lui.
”Non era quello che volevo?” si disse, sfilandosi di dosso la tuta fradicia di
sangue e di sudore.
Già, allontanare Trunks era quello che aveva sempre voluto, sin
dal primo momento in cui aveva saputo che quel ragazzo era suo figlio.
E allora perché, ora che aveva
raggiunto il suo scopo, si sentiva così scontento, irritato e… abbandonato?
Si liberò dei sandali scalciando, e infine si distese nel proprio
letto, esausto.
Quanti giorni erano trascorsi dacché erano entrati nella Stanza? Due? Venti?
Duecento? Un’infinità…
Chiuse gli occhi e si rilassò. D’un
tratto gli pervase la sensazione che Bulma lo stesse pensando. Aveva capito che
c’era una qualche sorta di telepatia tra loro, ma era troppo occupato a
dimostrare di non aver bisogno di nessuno per ponderare certe stregonerie del
cuore.
Ecco Bulma. Poteva vederla in tutto il suo splendore.
Lei era
bellissima, e vivace, e intelligente.
Lei era TUTTO e gli aveva dato TUTTO senza chiedere in cambio niente. Così come
gli aveva offerto un posto dove stare, gli aveva dato liberamente anche il suo
cuore e il suo corpo.
Il suo corpo…
Vegeta pensò che fosse quella la cosa che più gli mancava e ricordò la prima
volta che l’aveva avuto, che l’aveva fatto suo.
”Al diavolo
lei, al diavolo ogni cosa! Se solo non ci fosse tutta
questa maledetta luce adesso starei già dormendo!” si
sfogò ad alta voce, sapendo che nessuno poteva sentirlo.
Una vampata di
calore lo colse di sorpresa, infiammandogli il viso e seccandogli la gola.
Vegeta si chiese se a causarla fosse stato il pensiero di Bulma nuda sopra di
lui o se, all’interno della Stanza, la temperatura stesse inaspettatamente
mutando.
** ** **
Troppo.
Si era allontanato troppo.
Trunks aveva volato a lungo con solo la rabbia e la delusione in corpo, e non
aveva badato al fatto che, quasi certamente, non avrebbe ritrovato l’ingresso
della Stanza. Gli vennero in mente le parole del suo incubo, e solo in quel
momento le comprese veramente.
”… Questo posto è talmente grande che, se
ti allontani troppo dall’ingresso, finisci col non uscire mai più all’esterno!”
Trunks si disse che infondo era meglio così. Sarebbe rimasto lontano
da suo padre e si sarebbe allenato a lungo con la sola forza della Speranza,
che da sempre aveva illuminato il suo cammino.
”E quando sarò diventato imbattibile sfiderò Vegeta, e
vedremo se oserà ancora darmi del debole!”
Però tutto il suo ottimismo svanì di colpo, quando si accorse
che la temperatura stava salendo vertiginosamente. Trunks cominciò a sudare e
boccheggiare, e lo sgomento fu di colpo qualcosa di viscido e gelato nello
stomaco.
Trentacinque gradi.
Quaranta gradi.
Quarantacinque gradi.
Cinquanta gradi.
Sentì che i denti iniziavano a battere il ritmo incontrollabile della paura,
mentre cadeva in ginocchio e tentava di portare aria ai polmoni.
“Papà!” Un grido disperato
uscì dalle sue labbra nel momento in cui venne avvolto
da fiamme immaginarie.
”Non ce la faccio. Non posso sopportare tutto questo!” disse
strappandosi la tuta da combattimento, che sentiva all’improvviso incandescente
e insopportabile sul suo corpo.
Poi arrivò Vegeta.
”Papà! Ho troppo caldo, papà! Sto bruciando!”
Per un istante suo padre
gli sembrò un essere umano, con quello sguardo turbato e quella
smorfia addolorata sulle labbra.
“Che
ti succede, ragazzo?”
C'era inquietudine in quelle poche parole e qualcosa di nuovo, qualcosa che
Trunks non avrebbe mai pensato di sentire nella voce di suo padre. C’era APPRENSIONE.
Perso in quella specie di
delirio isterico Trunks si mosse verso suo padre, camminando a scatti
attraverso fiamme che solo lui riusciva a vedere e continuando a spogliarsi in
modo forsennato.
Ma neanche la sua completa nudità bastò a placarlo.
“NON VOGLIO BRUCIARE! NON
MERITO L’INFERNO!” Sbraitò strappandosi i capelli e conficcandosi
le unghie sulla fronte, che cominciò a sanguinare copiosamente.
Infine si lasciò cadere di
schiena, con le gambe e le braccia aperte, come crocifisso
nella sua disperazione. Per un attimo ebbe il terrore di essere diventato
pazzo.
Il sangue che gli colava
dalla ferita sulla fronte colorò le sue lacrime di
rosso.
E mentre tutto diventava buio, Trunks si ritrovò a
pensare quanto faceva male morire.
Trunks aprì gli occhi e
subito li richiuse, ferito dalla luce. Si sentiva la lingua impastata e un
sapore terribile di sangue in bocca. Ebbe la percezione del suo corpo steso fra
le lenzuola soffici e annusò il lieve odore di disinfettante che c'era nell'aria.
Sollevò una mano, e toccò il tessuto leggermente ruvido delle garze che gli
coprivano la fronte e parte del viso. Si sentiva esausto, come dopo un incubo o
dopo un orgasmo.
In your room
Where time stands still
Or moves at your will
Will you let the morning come soon
Or will you leave me lying here
Vegeta era in piedi di
fronte al suo letto. Trunks girò istintivamente la testa da una parte per non
mostrargli le lacrime che stava piangendo sotto le garze e che il leggero
tessuto bevve come sangue.
Sangue del suo sangue…
Rimasero per un po’ in
silenzio, ognuno portando sulla testa la nuvola invisibile dei propri pensieri.
In your favourite darkness
Your favourite half-light
Your favourite consciousness
Your favourite slave
Fu Trunks a parlare per
primo.
”Non ricordo bene… quello
che è cos’è successo”.
”Hai la febbre. Hai avuto
delle allucinazioni e hai perso la testa… I continui sbalzi di temperatura di
questa stanza hanno gravato sulla tua salute.”
”Capisco. Sei stato tu a curarmi?” domandò il ragazzo, stringendo le labbra.
Non ricevette risposta ad
una domanda talmente ovvia.
“Bèh, grazie.” Sussurrò
Trunks “Ti prometto che guarirò, e riprenderò ad allenarmi. Presto, molto
presto!”
“No.”
Sorpreso dalla crudezza di
quel monosillabo, Trunks si mise a sedere e fissò negli occhi suo padre.
”Perché no?”
”Perché uscirai da questa Stanza. Adesso! E’ chiaro che non sei capace di
sopportare tutto questo…”
”TI SBAGLI! Io ce la posso fare!” Ma le proteste di Trunks furono inutili.
"Alzati e vattene!"
Il tono di voce di Vegeta era quello altezzoso di chi è abituato al comando.
Ma stavolta, pensò Trunks,
il principe non avrebbe potuto dire e fare nulla per farlo uscire dalla Stanza
dello Spirito e del Tempo.
“Non me ne andrò papà. Da
solo non riuscirai a sconfiggere quei mostri, e comunque… Non mi voglio
arrendere, non mi arrenderò mai! Devo distruggerli! A causa di quei cyborg non
c'è niente in quello che ho vissuto che vale la pena di esser conservato.
Nemmeno la memoria. Io… io ho sopportato molto più di questo.
Io ho vissuto nel caos,
nel terrore! La mia intera esistenza è stata una condanna! Non sarà facile
stare qui per altri cinque mesi, ma niente è mai stato semplice per me.”
"Neanche per me.”
Disse Vegeta, col viso rivolto verso il vuoto di quella stanza.
”Allora, probabilmente, non siamo così differenti come tu credi”.
Trunks scostò le coperte
e, con le forze che la febbre non gli aveva ancora sottratto, si mise in piedi.
Vegeta scosse il capo,
arrendendosi alla testardaggine del figlio e cercando di non ammettere a sé stesso
che era terribilmente compiaciuto. Ora sì che riconosceva in Trunks il figlio
del principe dei saiyan!
”Va bene, resta. Ma ti avverto… un altro attacco di isteria e panico, e ti
sbatto fuori da quella porta a calci!”
Per Trunks furono le più belle parole che Vegeta gli avesse mai rivolto.
In your room
Your burning eyes
Cause flames to arise
Will you let the fire die down soon
Or will I always be here
Your favourite passion
Your favourite game
Your favourite mirror
Your favourite slave
Bulma si affacciò alla
finestra, godendo della sensazione di fresco
attraverso il tessuto leggero della vestaglia. Illuminata dalla sola luce delle
stelle, si ritrovò a pensare a tutta la successione degli avvenimenti di quegli
ultimi giorni. Trunks e Vegeta avevano superato illivello di super saiyan
e avevano combattuto contro Cell, senza riuscire
tuttavia a sconfiggerlo. Il mostro aveva poi annunciato in diretta televisiva di
voler organizzare un torneo di arti marziali…
Il Cell Game.
La posta in gioco era il destino della Terra e dell’intero universo.
Nulla, nella pace notturna della città, lasciava presagire quel che l’indomani
sarebbe accaduto, pensò Bulma richiudendo la finestra che l’aveva affacciata al
mondo.
Per l’ultima volta?
Questa domanda avrebbe trovato risposta solo il giorno dopo, ed intanto conservava il dubbio e l’angoscia.
“Credevo stessi dormendo”.
Si girò verso la porta.
Dalla penombra della soglia emerse una figura d’uomo, e la bellezza aliena di
Vegeta le esplose in viso. Bulma sentì una vampata percorrerla da cima a piedi
come un soffio di fornace, e pregò Dende che dal di fuori non trasparisse niente del marasma che aveva
dentro.
”Dormivo. Poi ho avuto un incubo e non sono più riuscita a prender sonno”.
Disse Bulma, e abbassando leggermente la voce aggiunse “Ho visto Trunks morire…”
“Se lasci che quella
svitata di tua madre gli faccia da babysitter avrai
sempre di questi incubi…”
Bulma cercò di sorridere e
lo guardò negli occhi.
”No, stupido! Intendevo l’altro Trunks. Quello grande, quello forte.”
Bulma tentò di ricacciare
indietro un’immagine di morte ma ogni tentativo fu
inutile.
”L’ho visto cadere a terra, vomitare sangue, col petto squarciato e…”
Vegeta ebbe una rapida visione dei suoi occhi pieni di lacrime, ma fu solo per un
istante. Immediatamente Bulma Briefs aveva ripreso il
solito atteggiamento da donna matura, forte, determinata.
”Proteggilo. Promettimi che domani lo proteggerai!”
”Stai scherzando, vero? La sua forza è simile, se non pari, alla mia. Non
morirà per mano di Cell. E’ da escludere.” Vegeta sperò che la sua voce fosse più ferma di quanto non
lo fosse lui, dentro di sé.
Bulma si rilassò e cercò
di allontanare pensieri, presentimenti ed incubi con un gesto secco della mano.
“Va bene. Hai ragione tu. Grazie
per avermi tranquillizzata un po’, ora credo che riuscirò a dormire…”
”Non sono venuto qui per cercare di farti addormentare,
Bulma.”
”Ah, no?” Una pausa. Più
lunga del previsto. Il silenzio era assurdo e assoluto all’interno della
stanza. Infine Vegeta rispose. ”No.”
Bulma sentì che sarebbe
morta di infarto, e che sarebbe comunque stata
felicissima di morire così, ora, mentre correva a gettarsi tra le braccia
dell’uomo che amava.
”Mi sei mancato, Vegeta.” Mormorò sincera e dolcissima come sempre, affondando
la faccia contro il petto del saiyan. Un attimo di
riflessione, come per seguire un ricordo. Poi riprese a
parlare “Tutti questi mesi, senza avere tue notizie…”
Vegeta riuscì con difficoltà a rimanere impassibile a quelle parole
sussurrate con delicatezza. Sentì un tuffo di rimorso dentro e si maledisse per questo.
”Mesi? Per me è passato
più di un anno…”
”Già, dimenticavo! Trunks
me lo aveva detto… la Stanza
dello Spirito e del Tempo, dove un anno corrisponde ad un solo giorno
terrestre”.
“Sai quante volte, mentre
ero chiuso in quella Stanza, ho desiderato essere nella Tua Stanza?
Proprio come in questo momento…”
Le prese il mento tra le dita, e le alzò il capo per poterla guardare dritta
negli occhi.
”E cos’altro hai desiderato, mentre eri lì?”
”Ho desiderato fare questo…”
Vegeta si chinò a
mordicchiarle il lobo dell’orecchio, facendola ridacchiare un poco per il
solletico.
“E
poi questo.” Bulma appoggiò la fronte sulla sua spalla, mentre le labbra di
Vegeta andavano ad assaggiare il collo candido e delicato della sua donna. E mentre la riempiva di carezze e baci, Bulma si rese conto
che aveva bisogno di lui come dell’aria che respirava. Era passato troppo tempo
dall’ultima volta in cui erano stati così vicini e Bulma si era disperata nel
dubbio che forse non sarebbe mai più accaduto. Ed
invece lui la voleva ancora, la desiderava ancora.
La voce roca e ansante di
Vegeta la ridestò dai suoi pensieri.
“Poi, nei miei sogni, accadeva
che io ti guardavo, mentre ti spogliavi per me”.
L’uomo si allontanò un
poco, andando a sedersi nel bordo del letto. Bulma non se lo fece ripetere due
volte, e con lentezza esasperante slacciò il nodo che chiudeva la sua vestaglia
da notte. La sfilò, lasciando che cadesse piano ai suoi piedi, e rimase nuda e
splendida davanti ad un Vegeta impietrito ed estasiato.
Lui sentì l’eccitazione farsi calda e tendere la tela della patta dei
pantaloni. Bulma si avvicinò a lui con la sua andatura leggera e il passo pieno
di echi di promesse ardenti. Attirò il suo viso a sé e
lo baciò piano. Adesso Bulma era di nuovo parte del
suo presente e lui era di nuovo invischiato fino al collo in tutto quello che
aveva sempre desiderato fuggire: l’amore.
La tenerezza di quel bacio
fu subito tramutata in passione. Si avvinghiarono in una lotta di unghie, lingue e seni… di mani e di pelle calda. Di baci,
spinte, sospiri e odori. E quando esausti crollarono tra le lenzuola bagnate di
piacere, Vegeta disse una parola che raramente aveva osato pronunciare nella
sua vita.
“Grazie…”
Bulma, che stava
lentamente abbandonandosi al sonno, domandò “Per cosa?”
”Per avermi dato un degno
erede. Grazie per Trunks.”
In your room Where souls disappear
Only you exist here
Will you lead me to your armchair
Or leave me lying here
Your favourite innocence Your favourite prize
Your favourite smile
Your favourite slave
I'm hanging on your words Living on your breath
Feeling with your skin
Will I always be here
I'm hanging on your words Living on your breath
Feeling with your skin
Will I always be here