Heaven

di Ninnii
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 C'era una volta. Once upon a time.. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


....Heaven.....







“Tanto non riuscirai ad impedirmelo…”
Paris alza le sopracciglia senza degnarmi nemmeno di un piccolo sguardo nel sussurrare queste parole. Si limita a bucare con la cannuccia il foro del cartoncino del succo d’arancia che ha appena tirato fuori dal frigorifero. Il movimento è deciso, l’aria indifferente e “superiore”, di chi è certo che avrà quello che vuole, nonostante tutto e tutti.
Un sorso, poi due, mentre nella cucina regna il silenzio.
Distolgo lo sguardo dal tagliere di legno sul quale stavo tagliando le zucchine fino a mezzo secondo fa. La fisso per qualche istante senza dare troppo nell’occhio. I capelli sono raccolti in una coda e il suo volto è ombreggiato dalla visiera del cappellino rosso e bianco che indossa. Non devo e non voglio in alcun modo sembrare turbata o offesa da questo suo atteggiamento.  Allora, ritorno al mio lavoro.
“Penso che tu non sia abbastanza grande per prendere da sola decisioni del genere…” Ribatto, cercando di mantenere la voce pacata.
Il coltello picchietta sul legno, mentre altri lunghi sorsi interrompono  nuovamente il silenzio.
Poi le labbra si staccano dalla cannuccia emettendo un mugolio. Adesso mi fissa . La canotta da basket di Prince che ha addosso è troppo grande e lunga per un fisico minuto come il suo. Le copre persino i pantaloncini  ma è ideale per giocare con i fratelli in giardino. Mi viene da ridere. Probabilmente, anzi, sicuramente, se non fossimo stati un momento così serio, l’avrei presa in giro . Così piccola e così adulta nello stesso tempo...
“Ormai ho già preso la mia decisione ,mamma.” Afferma, seria.
I suoi grandi occhi color mare ora sembrano sfidarmi ad un duello che cerco di evitare. Non mi piace discutere. Preferisco di gran lunga parlare, ragionare e far ragionare. Il litigio è sempre la mia ultima sponda.
Interrompo ancora la preparazione della cena, momentaneamente, lasciando giacere coltello e brandelli di zucchine sul ripiano. Appoggio il polso della mano destra sulla fronte umida, cercando di asciugare le goccioline di sudore. Decido di provare con la comprensione.
“Tesoro, io capisco il fatto che tu lo voglia fare per una giusta causa, ma non penso che sia una decisione da prendere in questo momento…”
Mentre le parlo continua a guardarmi. Sembra interessata ad avere una mia opinione o un mio parere. Finisce di sorseggiare il succo, lo agita vicino all’orecchio convinta che ne sia avanzato ancora. Lo riconstata con un ultimo sorso. Adesso la guardo anche io.
“Credo che tu ci debba pensare ancora un po’… Rifletti. Sei ancora così giovane…”.
 “La verità è che non ti fidi di me…”  Mi interrompe.
 La vedo aprire di scatto il mobile della spazzatura , per gettare dentro il cestino in acciaio il suo rifiuto.
 “ Dillo!” Sbotta.
Prevedo tempesta, il cielo sta iniziando a farsi nuvoloso. Mai tirare fuori il discorso dell’età con un’adolescente.
“Non è una questione di fidarsi o meno… “
“E invece sì!” Il tono della sua voce inizia a crescere sempre di più “Nessuno qui si fida di me, NESSUNO!”
Sta decisamente urlando adesso. Sbatte l’anta del mobile.
 La fisso in modo serio e severo, cercando di monitorarla in qualche modo. Ma lei non sembra accorgersene e si prepara ad abbandonare la cucina, continuando a borbottare e lamentarsi, mentre si dirige verso la porta.
“E comunque sono grande, oramai! Ho TREDICI ANNI!”.
Esce di scena da vera artista, camminando in modo veloce e sicuro, sotto il mio sguardo alquanto contrariato, prima che potessi controbattere con qualsiasi argomentazione.
 Forse è stato meglio così. Si è sfogata. Le passerà.
Almeno spero.
Avrei  voluto e dovuto fermarla in qualche modo, ma la conosco troppo bene. Quando si mette in testa di fare una cosa non c’è santo che tenga.
Ha deciso che vuole essere la protagonista di un nuovo film di animazione e lo sarà, costi quel che costi.
Anche se tutto il ricavato verrà donato alle scuole pubbliche statunitensi, non sono propensa a condividere questa sua scelta di iniziare una carriera da attrice così presto. Dovrebbe godersi l’adolescenza. Una volta compiuti i diciotto anni avrà tutto il tempo per prenderle queste decisioni.
Afferro il coltello e riprovo a cucinare ma la mia vista si blocca sulla fede in oro bianco che ho all’anulare e subito iniziano a riaffiorare i ricordi.
Michael. Il mio Michael. Paris me lo ricorda tanto. È quella che gli somiglia meno fisicamente ma è uguale e identica a lui per molti aspetti caratteriali.
Anche lui, come lei, se voleva fare qualcosa la faceva e basta.
Anche lui, come lei, doveva avere sempre l’ultima parola, quando discutevamo.
Anche lui, come lei, ha iniziato la sua carriera lavorativa da bambino. Forse è per questo che non voglio che Paris faccia lo stesso identico errore .
Certo, lei non è stata costretta. È tutto frutto di una sua libera scelta, ma ho paura di non riuscire a gestire da sola questa situazione.
Chissà cosa direbbe e farebbe lui se fosse al mio posto o se solo fosse ancora qui con me, con noi. Me lo chiedo spesso, soprattutto in certe situazioni, quando prendevamo insieme certe decisioni.
Chissà se sarebbe d’accordo.
“Mamma, mamma!” .
La voce del bambino più bello del mondo, provenendo dal corridoio, interrompe i miei pensieri.
In men che non si dica, Blanket è in cucina. Come la sorella maggiore ha i lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo e indossa una  canotta verde e bianca, di non so quale giocatore di basket. A lui, però, si intravedono i pantaloncini grigi.
“Heavy  si è svegliata perché ha sentito Paris urlare e adesso è spaventata…”. Mi dice, guardandomi con i due occhioni neri e profondi, preoccupato. A volte mi ricorda il gatto con gli stivali di Shrek.
“Arrivo subito…” lo rassicuro, sorridendo, mentre mollo nuovamente tutto sul ripiano della cucina e mi asciugo le mani sul grembiule.
“Che c’è per cena?” chiede, curioso, raggiungendomi  e mutando repentinamente la sua espressione.
Dà un occhiata al tagliere, a quello che c’è sopra , poi al coltello e infine ai fornelli. Forse spera di trovare qualcosa di meglio. Poi, prende con due dita un pezzo di buccia di zucchina fissandolo con aria leggermente schifata. Mi guarda, quasi supplichevole.
Ok, non è serata di verdure. Avrei dovuto capirlo già da un pezzo.
“…Pizza?!?” propongo.
La bocca del bambino si spalanca in un enorme sorriso. Gli accarezzo la testa e gli stampo un bacio sulla fronte, mentre lui rilancia la buccia sul ripiano in legno.
Poi, insieme, ci dirigiamo verso la camera della piccola Heaven.
Chi è Heaven?!?
Forse è meglio che vi racconti una storia….









Buon giorno a tutti:)
Mi presento, sono l'autrice di questa storia e sono molto lieta di essere qui e conoscervi;)

Mi sto per laureare, quindi perdonatemi se non riuscirò ad essere molto presente su efp ma vi prometto che posterò non appena riesco a trovare un attimino di tempo libero;O).
Certo, avrò sempre tempo per voi e per mantenerci in contatto .... Perchè? Ma semplice, perchè c'è un filo che ci lega e perchè  siamo una grande famiglia!!
In attesa di un vostro riscontro vi abbraccio!

A Prestissimo.
Vi voglio bene.
God Bless You.
Ninnii






















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Capitolo 2
*** capitolo 1 C'era una volta. Once upon a time.. ***


Capitolo 1
C'era una volta... Once upon a Time


Tutti sappiamo quanto i ragazzi con la sindrome di down tante volte siano possessivi e ossessivi.
Ecco, Angela, mia sorella minore, era così. Soprattutto quando le toccavi il suo cantante preferito.
Aveva la camera tappezzata di poster e fotografie, un armadietto pieno di musicassette, videocassette e vinile, un cassetto pieno di magliette  e chi più ne ha più ne metta.
Si era persino fatta regalare uno stereo con giradischi incorporato che utilizzava solo ed esclusivamente lei. Guai a chi si azzardava a toccarlo.
Io e papà conoscevamo bene questa sua passione e non perdevamo l’occasione di acquistarle qualsiasi cosa ci capitasse di trovare in giro che riguardava il cantante in questione. Vivendo in provincia di Milano, la cosa non era mai semplice e immediata come lo è di questi tempi. Prima era tutto completamente differente. Dovevi farti letteralmente il “culo” (lasciatemi passare il termine, perché rende)per  riuscire ad avere qualcosa di diverso rispetto alla consuetudine. Ed era anche gustoso da un certo punto di vista perché riuscivi ad assaporare la sensazione di vittoria e realizzazione una volta raggiunto il tuo obiettivo. Non come oggi che se non trovi qualcosa fuori casa, basta accendere il pc, pigiare due tasti su internet e “taaac”, ecco il sito di e-bay con tutto quello che ti serve!
A quei tempi non sapevo neppure cosa fosse un computer…
In ogni caso, cercavamo di accontentare Angioletta (la chiamavamo sempre così) in tutto, tanto che il solo sentire una canzone alla radio o il solo vedere quel l’uomo che lei tanto ammirava in tv, bastavano a farmi venire il mal di testa e tante volte anche una leggera sensazione di nausea. Provate voi a sorbirvi per anni e anni la stessa musica, quasi 24/24h e poi vedete!
Forse succedeva perché consideravo quelle canzoni orecchiabili, senza averle mai ascoltate veramente. Per me si trattava di un artista come tanti altri. Ecco tutto.
Angela, invece, pur non sapendo una parola in inglese, sembrava aver colto fin da bambina l’essenza di quella musica che tanto le piaceva. Forse da quando papà riuscì a farla addormentare facendole ascoltare  “ABC” dei Jackson 5 che stavano trasmettendo su non so più quale radio che mandava esclusivamente musica  anni ’60- ’70.
Io ero più un tipo da Umberto Tozzi e da Pooh,  e mi capitava spesso di preferire una “Gloria” o una“Ti amo” ad una “Thriller”. Preferivo cantare a squarciagola un  “NON RESTARE CHIUSO QUI! PENSIEROOO!”, piuttosto che ascoltare una “Wanna be starting something”. Che scema.
Cantanti stranieri? Dunque…i Beatles mi piacevano da piccolina. Ascoltavo anche qualche canzone degli Europe e di Alice Cooper. Poche, però. Preferivo gli italiani anche perché non ero una cima in inglese avendo fatto le magistrali.
Mia sorella esordiva con un “Che schifo” ogni volta che tentavo di farle ascoltare qualcosa di diverso. Papà una volta ha provato persino con Massimo Ranieri… Niente da fare. Anzi, vi lascio immaginare la sua reazione.
Mike… Michael Jackson. Era lui e solo lui il suo idolo.
Mi vengono ancora i brividi, e non sapete quanto sia difficile per me riuscire solo a pensare di pronunciare il suo nome per intero. Faccio fatica a trattenere le lacrime. So che lui non vorrebbe vedermi piangere, ma tante volte è davvero difficile. Sento un grande peso sul petto e un gigante groppo in gola che non riesco a mandare giù. Prima o poi ci rimango secca…
Tutto è cominciato quel fatidico giorno, il 22 dicembre del 1987. Avevo 17 anni ed era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale.
Ricordo che io e Sandra, la mia migliore amica, non vedevamo l’ora che la lezione terminasse. Purtroppo, però,  il tempo sembrava non passare ed eravamo costrette, insieme ad altre diciassette persone, ad ascoltare la Rossetti, la nostra prof di italiano e latino, intenta a spiegare Manzoni.
Sapevamo che i compiti riservati alle vacanze di Natale di quell’anno sarebbero stati molti e non sarebbe stata colpa solo della severità eccessiva della Rossetti. A giugno avremmo avuto la maturità.
“Conoscendola ci darà da leggere tutto i Promessi Sposi… Che palle!” Mi sussurrò Sandra, cercando di non togliere gli occhi dal libro per non farsi vedere distratta. Non le piaceva molto italiano. Ha sempre preferito la matematica, fin da piccola.
“Anche secondo me… Pensa anche alle versioni che ci darà da fare. Ho l’impressione che quest’anno sarà dura!” Mormorai anche io, cercando di seguire il suo stesso stratagemma.
“Allora sai cosa ti dico?!? Manzoni … Tiè!”
“Fusati! Cosa stai facendo?”
Avete presente  cosa vuol dire  “Volere sprofondare”?  Ecco, era quello che stava succedendo a me in quel momento. Sentii un caldo allucinante sul viso, improvvisamente. Non riuscivo a credere al fatto che la prof avesse beccato la mia amica nel bel mezzo del gesto dell’ombrello al povero Manzoni.
Sandra è sempre stata molto spontanea ma credo che quella figura di m. non ce la dimenticheremo mai.  È stata una delle migliori. Non oso immaginare come si sia sentita lei in quell’istante, quando la voce grave e squillante della professoressa ha interrotto il suo momento di gloria. In più tutti i nostri compagni si sono girati verso l’ultima fila, proprio dove eravamo noi…
“Non tollero questi gesti nella mia classe! Stiamo scherzando?!?”
La Rossetti sembrava davvero infuriata. Gli occhi quasi le uscivano dalle orbite mentre quasi tutti la osservavano ridacchiando sotto i baffi. Sandra stava zitta, a testa bassa. Più per trattenere le risate che per paura…
“Durante le vacanze di Natale leggerai tutto il libro dei Promessi Sposi. Tutto! Così non avrai nemmeno il tempo di farli certi gesti…”
“Manzoni di merda…”
La sentii sussurrare, e non riuscii a trattenere una risatina.
“E tu Robustelli? Che c’è di così tanto divertente?!?”
Ricordo di essermi bloccata improvvisamente. Non mi aspettavo di essere messa in mezzo alla discussione. Sgranai gli occhi e riuscii a malapena ad aprire la bocca.
“Ni.. Niente.” Riuscii a balbettare.
“La stessa cosa vale anche per te! Non credo che la Fusati sia così stupida da parlare da sola!”.
Beh, veramente sì. Anzi, no. In quell’occasione è stata così stupida da parlare con un morto. Piuttosto che niente…
“E a gennaio racconterete tutto per filo e per segno ai vostri compagni che leggeranno solo i primi dieci capitoli. Sono stata chiara?!? E non voglio sentire storie…”
Veramente con la Rossetti nessuno ha mai avuto il coraggio di fare storie in quattro anni di scuola superiore. Forse, sotto sotto, avevamo tutti un po’ paura di lei, ma per lo meno si faceva rispettare. Sono sicura che anche lei avesse un lato umano. Una volta l’ho vista offrire del denaro ad un ragazzino che chiedeva l’elemosina, davanti al cimitero. Gli ha pure parlato e accarezzato la testa…
In ogni caso, come avete potuto capire, io e Sandra, quell’anno, ci siamo beccate davvero una marea di compiti e questa cosa mi preoccupava un sacco perché avevo paura che non sarei riuscita a lavorare durante l’inverno.
Mio padre portava avanti la baracca da solo e mi pagava gli studi quindi, finchè riuscivo e potevo, cercavo di trovare qualche lavoretto per contribuire, anche solo minimamente, alle spese . Per quattro anni ho lavorato in un bar gestito da una coppia di amici di papà. Mi chiamavano quando avevano bisogno. Intorno a settembre, però, si erano trasferiti a Roma ed io dovevo assolutamente cercare un nuovo posto di lavoro. Oltretutto loro, conoscendo la nostra situazione familiare, mi permettevano di portare con me Angela perché non potevo lasciarla da zia tutto il tempo.  Non sapevo davvero che pesci pigliare.
Papà mi ha sempre detto che il mio vero lavoro era la scuola e che sarebbe stato molto più contento se mi fossi dedicata a quello per tutto l’anno. E da come si stavano evolvendo le cose ero davvero convinta che sarei stata costretta a prendermi un anno di pausa dal lavoro. Mi sarei dedicata anche di più ad Angioletta.
 Forse era destino. Anzi, sicuramente. E adesso, a distanza di anni ne sono assolutamente convinta.
Dicono che la fortuna bussi sempre solo una volta nella vita. Basta saperla cogliere al volo. E io penso di averlo fatto.
Ho salutato tutti i miei compagni di classe molto velocemente quel giorno. Dovevo correre a prendere il treno. Ci sarebbe stato lo sciopero  dalle 14 e se non volevo rimanere bloccata a Milano per un giorno intero, dovevo assolutamente prendere l’ultimo delle 13 e 47. Disagi su disagi. Questo non è cambiato nel tempo!
“Denise, Denise!”
La voce di Roberto, uno dei pochi “uomini” della classe, proveniente dalle mie spalle, mi costrinse a fermarmi e voltarmi. Gli sorrisi aspettando che mi raggiungesse.
“So che stai cercando un lavoro!”
Perché gli annunci interessanti arrivano sempre quando sei super di fretta?!?
“Non è una cosa immediata… Mia madre lavora nello staff della sicurezza dei concerti. C’è bisogno nei prossimi mesi di personale a Torino perché ci sarà il concerto di Michael Jackson a maggio… Hai presente?”
Non so se mi fece più ridere quel “hai presente?” o  il fatto che mi sarei dovuta sorbire anche quel giorno quella musica che conoscevo a memoria grazie a mia sorella, fatto sta che la cosa mi sembrò in quel momento un po’ insolita. Quasi ridicola azzarderei.
“Sì, sì ho presente… Non sai quanto”. Risposi ironica.
Lui continuò. Faceva freddo quel giorno, gli tremavano i denti.
“Ci sarà un sacco di gente, e mi chiedevo se potresti essere interessata…”.
Ero titubante. Avevo un treno da prendere, per cui cercai di liquidarlo in fretta. Non per qualcosa ma proprio perché avevo bisogno di pensarci.
“Posso chiamarti settimana prossima? Ci penso e poi ti dò la risposta definitiva. Ok?” Proposi.
Vidi il suo sguardo accigliato, i suoi occhiali appannati continuavano a muoversi sul naso che continuava ad arricciare.
“Ehm. Veramente dovresti darmi una risposta entro oggi…”.
Pure la fretta ci mancava. Ho sempre odiato il fatto di sentirmi sotto pressione. Avrei solo voluto parlarne in casa. Anche il fatto che fosse a Torino non mi rassicurava affatto.
Se solo fossero già esistiti i cellulari per poter chiamare papà per chiedere un piccolo parere… Ma forse è stato meglio così. A volte l’impulso è fondamentale e aiuta a crescere. Ma non sempre, non fraintendetemi! Cielo, se mi sentisse Paris…
E, placata dalla fretta e da un treno che stava per partire, cosa avrei potuto rispondere secondo voi?!?

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