profumo d'oriente.

di Kira Kinohari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lasciarsi. ***
Capitolo 2: *** Arrendersi ***
Capitolo 3: *** Ultimo desiderio. ***
Capitolo 4: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 5: *** Ricordare ***



Capitolo 1
*** Lasciarsi. ***


Leggere seduta in piazza San Marco le era mancato molto da quando era partita da casa per affrontare il suo faticoso viaggio in Giappone. Le sembrava di essere rimasta lontana degli anni, invece erano passati pochi mesi. Aveva usufruito della borsa di studio Erasmus per vivere quell'esperienza fantastica, ma attraversare tutto un continente per vivere un'avventura non era qualcosa di leggero come si aspettava. Intanto la lingua, nonostante la studiasse da due anni, non era semplice come avrebbe voluto, non era ancora sciolta quando parlava, quindi aveva fatto fatica a farsi capire, ma dopo il primo mese si sentiva molto a suo agio, non aveva nulla da dire su quell'aspetto della sua esperienza, vivere un mese in un paese straniero ti permette di imparare molte più cose su quel paese rispetto a studiarne la cultura e la storia per anni. Facendo un bilancio finale degli ultimi sei mesi, poteva ritenersi soddisfatta di aver preso la decisione di partire, ma la famiglia e gli amici di sempre le erano mancati moltissimo.

La pensava ancora, non poteva dimenticarla, erano stati sei mesi intensi con lei, erano stati i sei mesi più belli della sua vita, eppure, ora non le rimaneva nulla di lei, non conosceva ancora il sapore delle sue labbra,non conosceva ogni singolo dettaglio del suo corpo nudo contro il suo. Come poteva avere una seconda possibilità? Semplicemente non poteva, doveva rimanre in silenzio e dimenticarla. AH, dimenticarla! Che cosa impossibile, lui l'amava! L'amava così tanto! Non c'era un minuto che passava senza pensarla almeno una volta, la immaginava a casa sua, sorridente, tra le gondole che ondeggiavano mollemente nei canali di Venezia.
Continuò a camminare lungo il solito sentiero, abitava ormai in Giappone da cinque anni, da quando suo padre era stato trasferito lì dall'America perchè era il miglior consigliere finanziario del mondo. Sapeva la strada a memoria, conosceva Kyoto come le sue tasche, anche se avrebbe voluto abitare a Tokyo. Sorrise, attraversando la porta e notando un cappellino di lana rosso. Aveva qualcosa di lei che non gli avrebbe permesso di dimenticarla.

Il telefono le squillò.
<< Uh, come sei ricercata da quando sei tornata a casa! >> disse Marta, sorridendole maliziosamente.
Marta era la sua migliore amica dai tempi dell'asilo, non si erano mai lasciate, nonostante avessero discusso molte volte e per molte questioni diversi, non si erano mai lasciate vincere da niente, avevano combattuto per la loro amicizia.
<< Smettila! >> le disse tirandole amorevolmente la lunga treccia.
Risero insieme, poi la bionda prese il telefono e premette l'icona della lettera che zampillava sullo schermo.
hi my beautiful friend, I miss you very much.
<< Ma guarda, il famoso amico del cuore americano. >>
<< Sento note d'invidia nella tua vocetta mielosa, amica mia. >>
<< Invidia? Fosse figo, ma tu non me lo vuoi fare vedere! >> rispose l'amica mettendo il muso. In quella posizione risaltavano gli occhi neri e le fossette alle guance che la facevano sembrare una bambina appena cresciuta. Nonostante il suo aspetto da ragazza più giovane della sua età di ventidue anni, era sempre stata prematura su tutto, il primo seno, le prime mestruazioni, il primo ragazzo, la prima ceretta, il primo bacio e la prima volta, di tutta la classe storica della città, che si era accompagnata dalle elementari alle superiori, lei era sempre stata la prima in tutto. Le piacevano gli uomini, forse anche troppo, diciamo che aveva una specie di malattia per certe esperienze di coppia, quindi le sembrava logico che la sua amica non le facesse vedere quel ragazzo, avrebbe potuto farsi strani pensieri e Sara ci teneva troppo al suo amico, avrebbe fatto la brava, per la sua amica questo ed altro.

Era già passato un mese da quando era partita e lui continuava ad avere quei fastidiosi mal di testa che lo facevano rimanere a letto per ore intere. I suoi amici gli dicevano che era colpa dello stress e della mancanza di quella ragazza, ma lui non credeva fosse possibile
. << Jack? >>
<< Papà, sono a letto. >>
<< Stai di nuovo male? >>
<< Sì. >>
<< Adesso basta, ti prenoto una visita specialistica. Non si può continuare così. >>
Jack si tirò la coperta su fino al naso, poi si voltò dall'altro lato del letto e riprese a riposare.Odiava quei momenti perchè nemmeno la musica che tanto amava riusciva a farlo stare meglio. Qualsiasi rumore veniva amplificato di mille volte nel suo cranio, provocandoli dolori lancinanti, eppure lui non si lamentava, diceva di avere un debole dolore di testa, in realtà sembrava affrontare un inferno.
Era coraggioso?
No, anzi, tuttaltro, non voleva fare visite, non voleva scoprire ciò che aveva realmente. La paura era più grande di qualsiasi dolore.


Aveva un nodo in gola mentre guardava le foto di quei bellissimi sei mesi, ora che era tornata a casa sentiva molto la mancanza di tutti gli amici che aveva lasciato laggiù e che non avrebbe mai più rivisto. In particolare sentiva la mancanza di Jack come un peso sul cuore, era diventato parte di lei in quei cento ottanta giorni di profumi orientali. Le emozioni che quel ragazzo le aveva fatto provare erano forti, eppure non forti come quelle che le aveva causato il suo ragazzo perfetto che aveva lasciato in Italia.
Riccardo, come dimenticare uno come lui? Occhi neri, capelli biondi, fisico asciutto, era il ragazzo più ambito di tutta la città, eppure non si era mai fidanzato.
<< E' gay. >> continuava a dire Marta. Sara continuava a negare, ma in cuor suo se ne era fatta una ragione.

<< Ho appena parlato con il dottore. Ha detto che domani devi assolutamente andare, è molto preoccupato, non perchè sia qualcosa di grave, ma è necessario fare qualche visita di controllo, ed è necessario farla nel più breve tempo possibile. >> disse suo padre.
Jack sorrise, ci aveva provato, aveva provato a nascondere che non fosse grave, ma in realtà si era tradito da solo con le parole.
Faceva proprio bene ad aver paura.
<< Bene, andiamo a fare questa visita domani, mi accompagni? >>
<< Certo. >>


Sara stava dormendo quando le arrivò il messaggio, lo lesse subito, perchè quando qualcuno ti scrive a quell'ora di notte dev'essere importante.
Ehy, baby. I have a medical this morning. I'll write you.
Una visita? Sara iniziò ad essere preoccupata.

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Capitolo 2
*** Arrendersi ***



Avete mai pensato come sarebbe bello se ognuno di noi potesse rinascere dalle sue stesse ceneri, come una fenice? Sarebbe meraviglioso morire e vivere infinite volte, perfezionando i propri pregi e cercando di elimianre i difetti, di trovare rimedio agli errori commessi. Meraviglioso, ma la vita non è di certo un gioco, una magia, un libro, la vita è sudore, dolore e gioia, un miscuglio di emozioni che si presentano sotto ifninite forme ed aspetti e ad ognuno spetta riconoscerle per farne uso nel miglior modo possibile, ognuno deve imparare a convivervi senza diventare matto. La vita non è un libro, non è un film, la vita è una sfida, devi scegliere se accettarla o fuggire.

Sara stava seduta a gambe incrociate, osservando il libro di filologia romanza che la osservava, famelico. Le aveva sottratto ogni genere di energia negli ultimi giorni, ma non era la sola cosa a preoccuparla. Jack iniziava ad allontanarsi, evadeva le sue domande, e questo la faceva stare in ansia. Come poteva comportarsi così quando le aveva promesso che mai e poi mai, per nulla al mondo, avrebbe smesso di volerle bene e di sentirla? Si erano promessi almeno un messaggio al giorno, a costo di pagare uno sproposito, ma in realtà esistevano i social network che salvavano i loro portafogli, quindi non vedeva come quel problema potesse bloccare quell'amicizia così forte, così vera.
Please, answer me. Gli scrisse un'ultima volta, non voleva più aspettare che lui si svegliasse dal suo sogno ad occhi aperti e si ricordasse di lei quando il resto del mondo non gli importava più. Era stanca di persone che la trattavano come l'ultima ruota del carro. Se per le persone non era importante allora queste persone avrebbero smesso di essere importanti per lei.
Sicura di quella sua teoria, si stesse sul letto, prese l'ultimo libro da una lunga mensola ed iniziò a leggere. "il piccolo principe" l'aveva sempre fatta sentire meglio in quei momenti, sentiva di tornare alla sua infanzia felice, con mamma e papà che la coccolavano, che provvedevano ad ogni suo bisogno, ma senza viziarla.

Era davvero difficile resistere all'impulso di risponderle, ma d'altronde non poteva far altro, ormai aveva deciso che Sara sarebbe uscita dalla sua vita, non poteva fare altrimenti, era l'unica soluzione per evitare tutta la sofferenza. Certo, con suo padre che rincarava la dose ogni sera tornando a casa non era facile. << Come sta Sara? >> continuava a chiedere e lui rimaneva muto, allora suo padre non faceva altre domande, ma il giorno dopo si ripeteva la scena, senza un'apparente fine.
Jack guardava la gente camminare per strada, tranquilla. Era così felice mentre viveva la sua vita a pieni polmoni, non costretta in una casa chiusa, vuota, dove lafelicità non attraversava più la porta da anni ormai.
Please, answer me. Un'altra pugnalata al cuore, come poteva dimenticarla che si comportava così? Avrebbe smesso di cercarlo prima o poi? Sarebbe bastato il suo silenzio per farle capire che era finita?
Sì. avrebbe dovuto dirle tutto, avrebbe dovuto scriverle che non voleva più niente a che fare con lei, ma si vergognava troppo, aveva una paura folle e preferiva dimostrarsi perfido.
Perfido come lo era la vita.


Nessuna risposta. Nessuna risposta per nessuno dei tre giorni in cui lei lo aveva tempestato di domande. Dovevano chiarire, ma lui non rispondeva nemmeno al telefono.
Sara era stanca, distrutta. Marta, che era la sua migliore amica e l'aveva sempre consolata in qualche modo, ora non riusciva a trovare alcun metodo per farla sentire meglio. Era un caso clinico.
Fuck you. You are like other guys, like other people. Damn. I taught you would be different.
"E' finita", pensò.
Finalmente aveva il coraggio di arrendersi e non provarci più. Aveva il coraggio di ammettere che erano tutti uguali, che tutti deludevano nella vita, che nessuno ti ama davvero come vorresti, che nessuno ti potrà amare come ti puoi amare solo tu, allora bisogna smettere di pensare agli altri prima, bisogna essere egoisti, solo così si smette di soffrire.
<< Mi dispiace, amica mia. >>
<< Non preoccuparti, Marta. Tornerò a sorridere. >>

<< Ecco Jack, ora sei felice? >> si chiese, affrontando il silenzio della casa. << No, sei solo. Solo più di prima, solo come sempre. >>
Rilesse il messaggio ancora una volta.
Ok. It's over.
Non sapeva nemmeno lui con che coraggio aveva risposto, ma gli sembrava il minimo mandare quel messaggio, segnava la fine di qualcosa che era durata maledettamente poco, ma era stata maledettamente bella.


Era talmente arrabbiata che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rilassarsi, provò con una corsa. Equipaggiata di cuffiette e lettore musicale, uscì di casa e prese una corriera che l'avrebbe portata fuori città, poi corse, corse, corse cercando di dimenticare tutto il mondo attorno a lei ed inizio ad immaginare la sua vita sotto le note di una canzone, come faceva sempre. Le avrebbero potuto assegnare un premio da milionaria per tutti i suoi film mentali. Per complessità ed originalità erano sicuramente i migliori.
Anche i suoi discorsi filosofici erano i migliori, soprattutto in quel genere di situazioni. Pensava, quel giorno, che tutti noi siamo accecati dalla luce di ciò che non potrà mai renderci felici, perchè non potremmo mai permetterci di averlo, una persona, un gioiello, un abito o un genere di vita a cui aspiriamo stupidamente ferendoci più di quanto non ce ne beneficiamo. Quanto era assurdo tutto questo! Alla ricerca di amori non ricambiati, di gioie passeggere, qualsiasi cosa che ci sembrava violenta ci piaceva, ma quando arrivavano i postumi dell'esperienza ce ne lamentavamo fino alla fine della nostra vita, sempre alla ricerca di qualcosa di più forte che ci avrebbe fatto dimenticare quel dispiacere.
La mente umana sarebbe sempre stata per lei qualcosa di incomprensibile, a cui si sarebbe arresa, perchè non c'era nulla da fare. Nella vita tutti dicono che bisogna combattere per i propri obbiettivi, Sara pensava che bisognasse semplicemente arrendersi ai compromessi, a sognare la cima dell'Everest si rischia di rimanere congelati e di cadere e farsi male, molto. Lei si sarebbe accontentata di una riva al mare, di una campagna. Ecco, si era arresa.

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Capitolo 3
*** Ultimo desiderio. ***



La giornata sembrava splendida, il sole si era stabilito al centro del cielo sereno, di un azzurro talmente puro da sembrare lo scenario di un film. La testa di Sara, ora, era come quel cielo, sgombero da ogni nube, da ogni incertezza od ostacolo. Era sdraiata su un asciugamano, sul terrazzo di casa sua, e mentre guardava il cielo, controllava il suo sinuoso gatto rosso che la osservava da sopra la ringhiera.
<< Briciola, vieni, bella. >>
<< Meow >>
No, la gatta non accennava a muoversi, lei era indipendente e ci teneva, i gatti sono orgogliosi più delle persone, a volte. Sara sorrise, poi riprese a leggere il suo bel libro. Era talmente rapita da non accorgersi delle voci che si diffondevano tutto intorno. Tanto presa dalla storia, che quando vide due intensi occhi neri, quasi non si mise ad urlare.
<< Ri... Riccardo? >> chiese, spavantata.
<< Ciao, Sara. Ti disturbo? Tua mamma mi ha fatto entrare e mi ha detto che ti avrei trovata qui. >>
Sara contò mentalmente fino a dieci e decise che dopo avrebbe fatto i conti con sua madre.
<< No, figurati. Nessun disturbo. Di cosa hai bisogno? >>

Il silenzio in cui si piombava a cena ormai da settimane, era un peso sempre più grande per Jack. Avrebbe voluto girarsi gridare, urlare a suo padre di smetterla di star zitto, di aiutarlo nella sua decisione, perchè da solo non poteva farcela, ma non aveva più forze. Non aveva la forza di fare niente, lui. Finì la cena, poi si alzò con il suo piatto ed il suo bicchiere e si diresse al lavandino. Dopo aver aperto l'acqua calda, iniziò a strofinare le stoviglie, ma per colpa di un capogiro finì a terra.
La mattina dopo si svegliò in una stanza d'ospedale. Attorno a lui due infermiere ed un dottore, tutti osservavano ogni suo movimento.
<< Cos'è successo?>> chiese con voce flebile.
<< E' svenuto. Signor Wickham, la prego, cambi idea. >>
<< Ho già scelto. Non voglio cambiare la mia decisione. Vi prego di accettare il mio volere. >>
Tutti tacquero.
<< Vi prego, lasciateci soli. >> suo padre era fermo sulla porta, con un volto pallido e stanco e due grandi occhiaie nere che gli solcavano il volto. Quel suo aspetto trascurato, anche se solo per una notte, lo spaventò e capì che anche lui stava soffrendo di quella cosa, che suo padre non si sarebbe mai tirato indietro dall'aiutarlo, perchè lo amava.
<< Certo. >> rispose il dottore uscendo con le due infermiere.
Rimasero soli in quella stanzina, ancora una volta astenuti dal parlare, aspettavano solo che le loro menti iniziassero a comunicare, perchè in certe situazioni non c'è nulla da dire, non si sa come comportarsi.
<< Papà, io... >>
<< No, ho sbagliato Jack. Ho sbagliato a starmene zitto per tutto questo tempo, a non parlarti a non chiederti nulla, se eri stanco, come ti sentivi. Ho lasciato correre tutto perchè ero troppo spaventato. Solitamente sono i genitori quelli forti, ma in questo caso quello forte sei tu, che resiste e non cade. Mi dispiace, figlio mio. >>
<< Papà, va tutto bene. >>
<< No, non va bene. Ti prego, spiegami perchè ti rifiuti di fare la chemio. Ti prego. >>
<< Sappiamo entrambi che non servirà, non voglio ridurmi ad un ragazzo senza capelli e senza più nulla. Voglio far finta di star bene, voglio tirare avanti, fino all'ultimo minuto. >>
Fu in quel momento che suo padre pianse.


Erano già passate due settimane e finalmente Sara aveva il sorriso addosso, costantemente. Ma chiunque avrebbe detto che era l'effetto dell'amore. Ora, insieme a Riccardo, riusciva ad essere felice, a sentirsi migliore. Averlo riscoperto innamorato di lei l'aveva sorpresa, aveva confessato di non essersi mai fidanzato perchè aspettava lei da tutta la vita. Era così bello che ancora faceva fatica a crederlo.
Ti aspetto al solito posto, R.
< Sara non poté fare a meno di sorridere, lui era maledettamente dolce. Fece le scale di corsa, e quando fu nel suo appartamento salutò la sua gatta e la sua mamma, intenta a preparare una delle sue meravigliose torte.
<< Che buon profumino! >> esclamò
<< Grazie. Ascolta, ti sono arrivate delle lettere, le ho posate sulla scrivania, e ha chiamato un signore inglese, cercandoti, ma non ho saputo rispondergli. Mi dispiace molto. >>
<< Richiamerà. >> disse, cercando di capire chi sarebbe potuto essere. Qualche amico dal Giappone, forse?
Entrò nella sua stanza, posò la borsa al solito posto e prese immediatamente tra le mani le due lettere. Arrivavano dal Giappone.
Si mise comoda sul letto ed iniziò a leggerle. Lacrime iniziarono a scorrere copiose lungo le guance della ragazza, più leggeva più sentiva il cuore spezzarsi.
<< Oh, Jack. >>

Il televisore continuava ad emettere parole, chissà cosa aveva da dire tutta quella gente, forse chi ha una vita davanti non si accorge di quanto sia significativo il silenzio, Jack lo aveva scoperto, ormai non parlava quasi più, usciva di rado, ma quando usciva si abbandonava a piaceri che prima non gli sembravano possibili alla sua età, lui e suo padre avevano cenato più di una volta in ristoranti esclusivi, avevano fatto dei viaggi nel week-end. Era molto stancante star dietro a tutte le sciocchezze che diceva la gente, però. Era demotivante vedere che gli altri avevano molte porte aperte, da chiudere, lui aveva un'unica porta e non aveva il coraggio di aprirla, non era quello il momento. Quello che non riusciva a dire, però, lo scriveva. Si sentiva a suo agio con una penna in mano, si sentiva bene a buttar giù i sentimenti, così bene che era diventata un'ossessione, una mania, e forse anche una cura alla sua malattia. Lui non combatteva contro un tumore che lo avrebbe portato via da quel mondo pieno di corruzione, lui combatteva contro se stesso, combatteva contro i suoi vecchi ideali, contro la vita stessa. Lui cercava dentro di sé ciò che realmente contava.
Era così difficile!
Spense l'apparecchio e si diresse verso la sua stanza. Suo padre sarebbe arrivato a momenti, lui doveva aggiornare il suo diario su tutta la giornata. Seduto alla sua scrivania,si fece assorbire completamente dalla sua nuova passione. Era talmente assorto che non si rese conto che suo padre aveva rincasato e lo stava osservando, muto, mentre gettava i suoi pensieri nero su bianco.
<< Papà! >> esclamò, spaventato.
<< Scusami, non volevo disturbarti. Vieni a cena, c'è qualcosa di cui dobbiamo parlare. >>
<< Ok, arrivo. >>
Venti minuti dopo erano entrambi a tavola e si osservavano. Il signor Wickham non sapeva come spiegare al figlio che aveva letto il suo diario, che aveva scoperto qual'era il suo vero desiderio, che il suo cuore non era in quello stato, ma era in Italia, a Venezia, dove viveva la ragazza che l'aveva privato di quell'organo così importante. Non osava dirgli che si era intrufolato in camera sua, mentre dormiva, e che si era fatto i fatti suoi, solo per il suo bene. Eppure lo disse.
<< Partiamo a fine settimana. >>


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Capitolo 4
*** Ritrovarsi ***



Non se lo sarebbe mai aspettato. Forse un poco ci sperava, ma non credeva che tutto sarebbe successo per quelle ragioni e in quei modi. Stava aspettando il suo migliore amico, ma l'aereo di Jack aveva del ritardo, non si sarebbe visto prima di mezz'ora. Ciondolava, spostandosi ora qui, ora là, all'interno dell'aeroporto. Pensava e ripensava alla lettera che aveva ricevuto qualche giorno prima. Le parole del padre di Jack l'avevano colpita nel profondo. Il suo amico aveva un tumore, un tumore che nessuno poteva curare e Jack, piuttosto di cercare di curarsi senza successo aveva preferito evitare di accettare la realtà, aveva preferito nascondersi, far finta di nulla, perchè un problema non esiste se non lo dichiari
“Che pensiero stupido!”
Ora attendeva il loro arrivo, aveva trovato un appartamento per entrambi, aveva trovato una scuola perfetta per Jack, anche se non sapeva quanto sarebbe andato a scuola. Continuò a camminare avanti e indietro, fin quando non annunciarono il volo.
“Eccoli.” pensò mentre il telefono le vibrava.
Ehi, piccola. Dove sei? R.
Aeroporto, a dopo

Si sentiva così agitato mentre l'aereo atterrava. Suo padre sedeva accanto a lui, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. Aveva letto per tutto il tempo un libro, mentre lui dormiva, poi avevano parlato, ma erano finito per litigare di nuovo. A Jack proprio non scendeva giù il fatto che suo padre avesse curiosato nel suo diario, non gli importava che l'avesse fatto per esprimere l'unico desiderio che suo figlio non avrebbe mai avuto il coraggio di esprimere, aveva varcato la sua proprietà, aveva toccato ciò che aveva di più intimo, era come sentirselo dentro, ora. Lo trovava stabilizzante, essere così influenzati dal fatto che qualcuno avesse scritto ciò che sentiva di più intimo, era come se scrivendo avesse lasciato un pezzo di sé e permettere a qualcuno di leggerlo fosse come mettersi nudo davanti a questa persona, oppure aprire il proprio petto e farlo entrare a curiosare. Era assurdo, in effetti, ma lo sentiva profondamente.
L'aereo atterrò, scesero in fila indiana, ordinatamente, poi si diressero al ritiro bagagli e quasi all'uscita trovarono Sara.
La ragazza che gli aveva rubato il cuore era lì, di fronte a lui, con il più bello dei sorrisi e le lacrime che già le sgorgavano dagli occhi. Questo voleva dire che sapeva tutto, suo padre l'aveva preceduto, e non avrebbe perdonato facilmente questo affronto.


Non si erano detti molto durante quel breve periodo in cui il taxi li aveva accompagnati alla loro nova casa ammobiliata. Si trovava proprio sul Canal Grande. Dalle finestre del soggiorno si potevano vedere le gondole ed altre barche che si facevano prendere dal dondolio dell'acqua.
<< Vedrete che spettacolo questa sera. Il Canal Grande illuminato dalle luci della sera è veramente bellissimo. >>
<< Grazie, Sara. Sei stata gentilissima. >>
Spiegò loro come potevano iniziare ad ambientarsi, poi tornò a casa sua, dove Riccardo la stava aspettando.
<< Sono arrivati? >>
<< Sì. >>
<< Come l'hai trovato? >>
<< Non ha detto praticamente niente. E' così cambiato. >>
Sara pianse.
Passò una settimana prima che Jack ritornasse quello di una volta, o almeno in apparenza. La loro amicizia si era rafforzata, si sentiva molto meglio, ora, in sua presenza, eppure sentiva che lei gli nascondeva qualcosa, come del resto faceva lui. Non erano più sinceri su tutto come lo erano stati per sei mesi. Non lo sarebbero più stati perchè tutto era cambiato, loro compresi. Iniziarono a passare molte delle giornate insieme, Sara faceva da cicerone per Venezia, Jack si godeva il bel tempo, il cibo, si sentiva leggermente meglio, non aveva più quei forti mal di testa, ma sempre più spesso si sentiva stanco. Non riusciva a girare molto, non più di un'ora al giorno, quindi si dedicavano ad una cosa per volta. Sara lo vedeva sempre più giù, aveva bisogno di sapere nel dettaglio come stavano le cose, così una sera decise di parlare con suo padre e venne a scoprire quello che temeva già da un po'.
<< E' irrecuperabile, i dottori non hanno saputo dare una diagnosi precisa, potrebbe essere un mese, due, o forse meno. Quando si è così giovani la malattia corre, non si può fermare. L'ho portato qui perchè nel suo diario ho letto che lui avrebbe voluto vederti prima di andarsene, avrebbe voluto avere il coraggio di dirti che ti ama, avrebbe voluto un'occasione. Ora, io non posso chiederti tanto, ma almeno di stare con lui e tenergli compagnia fin quando sarà, solo questo ti chiedo. >>
<< Non è un problema. Vorrei solo che si potesse fare qualcosa. >>
<< Ti capisco. >>
Sara tornò a casa, di nuovo con le lacrime. Riccardo e Marta volevano conoscere il ragazzo che rubava così tanto tempo a quella giovane ragazza sempre sorridente, non erano ancora riusciti a farselo presentare, lei cercava di evitare di far sapere a quel ragazzo che era fidanzata, ora. Voleva che stesse tranquillo, in pace, non voleva fargli altro male.
Si trovavano davanti a Piazza San marco nel momento in cui lui prese coraggio e le disse ciò che avrebbe voluto dirle molto tempo prima, ovvero, che l'amava. Lei rimase muta, cosa avrebbe dovuto dirgli? No, lei non lo amava, eppure gli voleva un gran bene e non voleva distruggere i suoi sogni, soprattutto visto che erano così fragili, così innoqui e irrealizzabili.
<< Pensavo che non me l'avresti detto mai più. >> disse la ragazza, con un sorriso timido.
<< Pensavo che non ti importasse di me. >>
<< E' a te che non importava di me! >>
<< Stavo solo cercando di nasconderti questo, non volevo che tu lo sapessi, non volevo che ti affezionassi a qualcuno che doveva andarsene, penso che sia sbagliato ancora oggi, penso che avrei dovuto rifiutare con più convinzione, ma in realtà il tuo appoggio mi serve. >>
<< Sei un amico speciale. >>
<< Un amico. >>
<< Dammi tempo. >>
<< Ti rendi conto che ne ho veramente poco? >>
<< Certamente. Domani saprò dirti. >>
Ci volle una notte intera per cercare di far comprendere a Riccardo la situazione, ma alla fine lui comprese e le diede il permesso. Solo perchè l'amava, volle sottolineare. Lei era molto felice e fortunata ad avere un ragazzo come lui. Si baciarono, poi si separarono, e lei sentì un pezzo del suo cuore andare via con lui.
La mattina dopo fu fantastica per Jack, si sentì vivere una seconda volta quando lei gli disse che le sarebbe piaciuto esser più di una amica. Non si era certo messo in testa che lei lo amasse, ma era un'amica tanto buona da sacrificare il suo tempo per lui. Iniziarono a rimanere in casa, Jack era troppo stanco per uscire, iniziarono a vedere la televisione mentre parlavano di loro, poi i primi baci. Così passarono i giorni della seconda settimana a Venezia. Sia Sara che il signor Wickham pensavano che sarebbe potuto migliorare, visto il suo umore. Tutti ne erano felici.

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Capitolo 5
*** Ricordare ***



Il mazzo di fiori era pesante, ma Sara lo portava con piacere. C'erano fiori di tutti i colori, di tutti i profumi. Mentre saliva lungo il pendio del cimitero, ripensava agli ultimi giorni felici passati con Jack, il ragazzo più solare che abbia mai conosciuto. Il ragazzo più dolce, l'unico amico vero che avrebbe voluto accanto a sé per tutta la vita. Il cancro se l'era portato via a soli vent'anni. La malattia li aveva separati ed ora si dovevano parlare a distanza, senza sentirsi davvero. Dovevano parlare al vento, ai sogni, alla natura. Qualsiasi modo andava bene. Anche scrivere lettere.
Anche Sara ora scriveva, scriveva di Jack, scriveva tutto ciò che ricordava delle loro avventure. Sei mesi e due settimane di amicizia intensa.
Ormai non piangeva più, fortunatamente aveva finito le lacrime da sgorgare su guanciali pallidi e lenzuola profumate. “Il fatto è” pensava “che la vita non aspetta nulla e nessuno. Non ascolta, lei, può fare ciò che vuole, giocare con chi vuole, poi quando un giocattolo ha stufato, allora chiama la morte e lo caccia via. Sembra quasi uno show, si va ad eliminazione. Eppure nulla è così vero come la vita, nulla così maledettamente, dolorosamente reale. La salita era ancora lunga, ma già riusciva a vedere la lapide e da laggiù Jack sorrideva nella sua ultima foto. Aveva ancora tutti i capelli e mangiava un piatto di spaghetti. Era stato lui a volere quella foto, l'aveva espresso come desiderio. Come potevano non esaudirlo?
La salita era dura e i fiori pesavano, ma il profumo tirava su il morale, nulla a che vedere con il profumo di Jack, il suo profumo d'oriente, che ora infestava la sua vita, ogni cosa, perchè Jack non l'aveva abbandonata, ora Jack era sempre con lei, ovunque, parte del mondo, del tutto.

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