Fratelli di Sangue di Morgaine You (/viewuser.php?uid=129520)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Novizio ***
Capitolo 2: *** Tenebre ***
Capitolo 3: *** Fiamme Infernali ***
Capitolo 1 *** Il Novizio ***
“Quando il prezioso scrigno si
aprirà
E la bellezza
primaverile fiorirà
Il
bel cavaliere la mia mano avrà.”
1492
– Palazzo del Vaticano
“A chi appartiene mai questa soave voce?” si chiese
Cesare, mentre
passeggiava tranquillo e spensierato lungo il colonnato del grande
chiostro del
Vaticano.
Questa leggera voce femminile gli arrivava da non molto lontano.
Era una giornata soleggiata, ma malinconica e vuota.
Da quando il nuovo papa Alessandro VI, appena eletto, lo aveva
convocato
a Roma per qualche ragione a lui ancora oscura, circa un mese prima,
Cesare non
aveva ancora avuto l’occasione, o meglio l’ardire,
di parlare ad alcuno.
Tutti lo guardavano circospetti, ma anche con deferenza, a tratti, e
questo ancora non riusciva a spiegarselo.
Non aveva amici lì, da quando lo avevano strappato dalla sua
scuola di
Pisa, dove studiava per avviarsi alla carriera ecclesiastica insieme ai
suoi
cari compagni Alessandro Farnese e Giovanni de’Medici.
Sentiva una vocazione, diceva; ma ora la sola cosa che desiderava era
parlare e confessare i suoi segreti e tormenti ad una persona amica.
Aveva sempre vissuto con i due ragazzi nel dormitorio del palazzo
pisano, senza mai conoscere i suoi genitori; era di nascita nobile,
questo lo
sapeva, ma nulla di più.
Che fosse destinato a qualcosa di più grande, questo no, non
lo poteva
sapere, ne sospettare.
Abbandonato a questi pensieri nelle sue vesti di damasco nero, quasi
non si accorse che aveva seguito involontariamente quella melodia, quel
canto
di sirena che lo aveva condotto fino a una delle stanze riservate alle
dame
della corte papale, al piano rialzato rispetto al chiostro.
Una porta semiaperta dava su una piccola stanza, probabilmente dedicata
agli svaghi, irradiata di luce, dove sedeva di spalle, ricamando, una
giovane
fanciulla, nel fiore dei suoi anni migliori; i suoi rossi e lunghi
capelli,
simili a una cascata vermiglia, fluttuavano alla leggera brezza
d’aprile, che
entrava dalla finestrella sulla destra.
Senza il minimo rumore, egli entrò nella stanza, ammaliato e
muto,
come i giovani che durante la notte sognano imprese eroiche e al
risveglio
rimangono spaesati dalla loro condizione.
La ragazza, ignara della sua presenza, continuava intanto il suo
canto, dolce come il miele, che richiamava immagini di racconti epici e
cavallereschi non dissimili a quelli che si insegnano agli infanti
ancora nella
culla.
Cesare, dal canto suo, non sapeva da quanto tempo era immobile dietro
di lei, simile a pietra, il suo corpo rifiutava ogni minimo movimento,
quasi a
voler prolungare quegli attimi, già eterni.
Avrebbe potuto rimanere lì per sempre, pensava.
“Lucrezia, Lucrezia!”
Di chi era questa
nuova voce? E
Lucrezia era forse il nome della soave creatura davanti agli occhi del
giovane
novizio?
Non fece in tempo a concludere il flusso dei suoi pensieri che la
giovane si girò, balzando indietro e gridando dallo spavento.
“Chi siete? E cosa stavate facendo negli appartamenti delle
dame, di
grazia?”
“Vi-Vi chiedo scusa, madonna. Non avevo alcuna intenzione di
spaventarvi o crearvi disturbo…”
“Lucrezia! Per l’amor di Dio, è da
un’ora che nostro padre Alessandro
vi cerca. Vi prega di allietarlo con la vostra presenza.”
A parlare fu il nuovo arrivato: era un ragazzo alto, robusto e dai
capelli e occhi scuri come l’ebano. A lui apparteneva la voce
che richiamava
all’attenzione la giovane dai capelli rossi poco prima.
Cesare lo aveva già notato durante la sua permanenza a Roma
naturalmente;
aveva fame di rissoso e vorace, e di lussurioso come pochi.
Ma suscitava in Cesare un senso di familiarità che ancora
non sapeva
decifrare.
“Sorella, chi è costui? Uno dei vostri nuovi
trastulli?” Rise il nuovo
arrivato, con accenno di malizia.
“Giovanni, non vi smentite mai. Vi prego di essere
più rispettoso in
presenza di estranei. Comunque” disse lei dolcemente,
rivolgendosi a Cesare “Permettetemi
di presentarmi: sono donna Lucrezia, e questo rozzo individuo
è mio fratello, don
Giovanni. Siamo due dei figli di Sua Santità papa
Alessandro, come avrete
potuto capire. E voi siete..?”
Gli occhi azzurri di donna Lucrezia brillavano come pietre preziose
bagnate dall’acqua cristallina dei ruscelli di montagna.
“Don Cesare, per servirvi. Sono stato convocato da vostro
padre circa
un mese fa, ma non sono ancora a conoscenza del motivo preciso,
madonna”
“Oh, interessante. Teneteci informati, don Cesare. Giovanni,
venite. Vogliate
scusarci, ma abbiamo delle incombenze. Arrivederci, e statemi
allegro.”
“Ossequi, madonna.”
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Capitolo 2 *** Tenebre ***
La
notte di
Cesare fu lunga, travagliata.
La
pesante
cena che aveva consumato non era stata ben digerita, e verso le tre
aveva
deciso di passeggiare per qualche tempo negli ampi e ambigui corridoi
del
palazzo papale.
Erano
pieni
d’ombre, quei corridoi.
Alessandro
Farnese usava narrargli degli intrighi e degli scandali che
quotidianamente
caratterizzavano la corte romana.
Corruzione,
simonia e lussuria sfrenata: non era certo questo che Cesare avrebbe
immaginato
di trovare in un luogo frequentato da coloro che avevano deciso, per
scelta
propria o per volontà familiare, di dedicare la propria
vita, anima e corpo, a
Dio.
Eppure,
finchè non vide con i propri occhi, non si era reso
completamente conto della
veridicità delle parole del giovane Farnese, fratello, non
di meno, di Giulia
la Bella, amante dell’attuale papa.
Svoltando
nei ricchi corridoi decorati con colone arzigogolate e tende di velluto
scarlatto, sordide e lascive ombre apparivano in ogni angolo e anfratto
agli
occhi del ragazzo come fantasmi.
Ma
chi erano
dunque? Prostitute, certo raccolte nei più degradati
bordelli per il piacere
dei cardinali.
E
poi
soldati Colonna, ambasciatori d’Este e spie orsini; tutti convocati da papa
Alessandro VI per
assassinare, confiscare, tradire,
pugnalare e quant’altro: perché di questo di
trattava, e Cesare lo sapeva bene.
Non
sarebbe
mai diventato come loro, pensava tra sé mentre proseguiva
nel suo girovagare
senza meta alcuna.
Il
male cresce in seno a chi dovrebbe
contrastarlo e distruggerlo.
A
Roma i soldati
di Belzebù si mescolavano a questi cardinali corrotti come
il vino si miscela
all’acqua santa; e questi ambasciatori d’inferno imbrigliano i loro fragili
cuori con catene d’oro
e potere.
Danzate,
ombre ribelli! Le fiamme infernali vi attendono.
Questa
è la
mia maledizione! E che sia destinata a perseguitarvi nei secoli e nei
secoli.
Ma
c’era
qualcosa di più nella mente di Cesare.
Non
era
certo capitato lì, in quel rozzo tugurio, per pura
casualità.
Da
tempo,
ormai, sentiva che la sua vocazione non era più la stessa; o
meglio, prendeva
giorno per giorno le sembianze di un’ossessione
terrena.
La
poteva
percepire, vedere, ovunque: nei fiori,
negli animali, nelle donne.
Nelle
buie
notti si svegliava spesso ansante in preda ad allucinazioni mostruose;
e doveva
sconfiggerle da solo. Sogni rivelatori, forse?
Era
forse
questo il vero motivo per cui il papa lo aveva chiamato così
repentinamente a
Roma?
Un
secondo
Messia, dunque, aveva riconosciuto in lui!
Oh,
mai
prima di allora si era sentito così onorato e fervente di
pura fede e amore per
quel dio che, a parer suo, lo stava elevando a una posizione
ecclesiastica molto,
molto importante.
Fiero
e
inorgoglito, ritornò nelle sue stanze.
Mai
una notte
cambiò, in modo così rapido e travolgente , un
uomo come questa; Cesare, da
umile novizio devoto, mutava, ma non certo come i serpenti che si
liberano solamente
dell’involucro esteriore.
Quasi
dimenticandosi dei fatti accaduti il giorno prima, Cesare lasciava che
un
fantasma oscuro si insediasse dentro il suo petto, catturasse la sua
anima.
Questo
pensiero gli toglieva il sonno e l’appetito,
quasi lo soffocava.
Era
forse la
luna che, con i suoi oscuri messaggi che nelle leggende tramutava gli
uomini in
bestie assetate di sangue, cambiava
la
natura benevola di Cesare? Nella sua incostanza, spesso egli ci si
poteva
identificare.
Al
plenilunio in un modo, al novilunio in un altro.
Questo
era
il nuovo Cesare.
Il
Cesare
che ora apparteneva a Roma e dimorava presso i ricchi palazzi papali.
Egli,
che
per ossessione avrebbe ucciso e estirpato l’intera casta dei
cardinali
immorali, diventava, or ora,
molto
simile
a loro.
E,
infine,
il Cesare che bramava per una donna.
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Capitolo 3 *** Fiamme Infernali ***
Cesare non aveva una grande considerazione per le donne: esse
portavano in grembo il peccato originale.
Le lunghe ciglia e le ampie gonne di raso non avevano quasi mai avuto
alcun effetto sulla sua mente, sul suo corpo o sul suo
spirito; o almeno, fino ad allora.
Quel pensiero lo sgomentava.
Cesare, attirato come un animale e imbrigliato
nell’invincibile trappola del desiderio, del peccato?
Si sentiva soffocare, e non trovava rimedio a questa costante pena che
da un paio di settimane lo opprimeva.
Aria fresca? Mai, il profumo di
lei si sarebbe insediato nelle sue narici senza
più uscire.
Un bagno forse? No, nel riflesso dell’acqua avrebbe
certamente visto il volto di lei.
Avrebbe potuto scrivere una lettera ad Alessandro; ma per
quale fine? Raccontargli il suo dolore, ben più forte di un
semplice malessere fisico, causato dalla presenza di lei?
Doveva sicuramente essere una turbolenza passeggera. Era un uomo anche
lui d’altronde.
Aveva un compito da assolvere ben più importante del
sospirare per una graziosa fanciulla.
Decise di uscire.
Non sapeva dove andare, ma qualunque luogo sarebbe stato meglio del
Vaticano.
Dopo il lungo colonnato, prese la via dei mercati; era
mercoledì, ed era piuttosto affollato.
Piccole gocce di sudore gli percorrevano le linee dei suoi muscoli
scolpiti sotto il farsetto nero come la pece.
Con una mano si asciugò la fronte; i ricci capelli rossi
erano oramai incollati al suo collo.
Imboccò la via degli speziali; l’odore di garofano
e ginepro si mescolavano all’assenzio in un tumulto di
insieme.
Passò in rassegna i volti delle donne; vecchie sfigurate da
piaghe, giovani prostitute in cerca di clienti, ma anche nobildonne di
rango pari al suo, riparate da ventagli di foggia spagnola o turca.
In ognuno di quei volti si rifletteva la sua ossessione; si
calò il pesante cappello sugli occhi, così da non
vedere altro che la strada, le pietre, la polvere.
Svoltò alla sua sinistra; le voci di donne e uomini si
levavano stonate e troppo alte in quelle sporche vie di Roma. Il Papa
avrebbe dovuto ripulire radicalmente la città da quegli
esseri la cui esistenza era inutile.
La rabbia e la vanità gli attanagliavano le membra, e
immerso com’era nei suoi cupi pensieri non si accorse di
urtare violentemente una persona; una giovane donna, a giudicare dalla
sua voce.
“La prego di fare più attenzione la prossima
volta, signore. Mi ha quasi fatta cadere al suolo. I miei preziosi
abiti avrebbero potuto rovinarsi”
Quella voce.
Cesare si levò il cappello, e alzo gli occhi sulla donna.
Lucrezia.
Quale fato meschino li aveva fatti incontrare, in mezzo ad una strada
malfamata come quella, proprio mentre lui cercava di rifuggire al
pensiero di lei?
Cesare mormorò una veloce preghiera sottovoce.
“Perdonatemi, madonna. I miei pensieri a volte sopraffanno le
mie volontà. Non vi avevo vista”
Lucrezia incrociò i suoi occhi, e riconobbe le sfumature
d’azzurro intenso che tanto l’avevano colpita in
precedenza.
“Ma voi siete don Cesare! Non vi avevo
riconosciuto” abbozzando un sorriso, fece un leggero inchino,
sollevandosi la gonna verde smeraldo.
Il corpetto che le avvolgeva la vita era riccamente decorato di fili
d’oro, mentre i lunghi e ondulati capelli vermigli su
muovevano al vento come guidati da una musica inudibile se non da
quell’angelo che tanto adombrava Cesare.
“Permettetemi di riaccompagnarvi a casa, madonna; non
è bene che una giovane dama come voi giri sola per le strade
di una città come questa!”
Il tono irruento di Cesare la sorprese; vide una strana luce nei suoi
occhi, ma non la preoccupò.
Cesare, dal canto suo,non era riuscito a controllarsi, al pensiero di
quello che le sarebbe potuto succedere.
“Oh, ma non sono affatto sola; la mia damigella Pantasilea mi
segue fedelmente, non corro alcun rischio”
“Vi accompagnerò ugualmente”
Il fiato di Cesare si era fatto corto, e un lieve rossore gli colorava
le guance.
A quella vista, Lucrezia si intenerì.
“E così sia”
I tre si avviarono docilmente verso il palazzo papale; era quasi ora di
pranzo, ma Cesare non sentiva i morsi della fame.
Arrivati davanti al portone degli appartamenti di madonna Lucrezia,
Pantasilea li lasciò soli.
“Ho delle commissioni urgenti” si scusò.
Lucrezia, accordatole il permesso di ritirarsi, si rivolse nuovamente a
Cesare.
“Vi ringrazio infinitamente per la vostra gentilezza. Non so
chi voi siate, ne per quanto potrò godere ancora dei vostri
servigi, ma so che posso fidarmi di voi. Lasciate che vi ricambi il
favore…”
Cesare, che fino ad allora era rimasto immobile, vide Lucrezia
avvicinarsi a lui con dei movimenti lenti e sensuali che lo avrebbero
facilmente trascinato all’inferno.
Si scambiarono un bacio appassionato.
Le loro lingue si incontrarono in giocosi movimenti infuocati, mentre
le mai di Cesare cingevano gli esili fianchi di Lucrezia, spingendola
con le spalle al muro.
I tessuti che avvolgevano i loro corpi non sembravano un ostacolo al
loro piacere.
Cesare sentiva il sangue ribollirgli nelle vene come mai prima
d’allora; si accorse lentamente di perdere le forze. Stava
per essere soggiogato dal diavolo.
Qualcosa gli disse che non poteva continuare, e così si
stacco, districandosi dal lussurioso abbraccio della
sua amante.
“Qualcosa non va Don Cesare?”
Gli occhi di lei si riempirono di calde lacrime.
A quella vista, Cesare non resistette; senza degnarsi di rispondere, le
voltò le spalle e scappò via.
Corse, corse, corse.
Uscì dal colonnato vaticano, e si immerse nel grande parco
interno.
Continuò a correre, finchè il fiato gli venne
meno, e così si accasciò al suolo.
Le palpebre, ormai pesanti, non ressero, e, addormenta dosi, gli
sembrò che uno stiletto affilatosi infilasse nel suo petto,
fino al cuore.
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