Hogwarts Legend

di Savannah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part #1: It was a Dark and Stormy Night... ***
Capitolo 2: *** Part #2: Lullabye for a Stormy Night ***



Capitolo 1
*** Part #1: It was a Dark and Stormy Night... ***


Di nuovo qua, in tutti i sensi ^_^
Questo non è esattamente il sequel di Original Sin che in tanti mi hanno chiesto, ma si colloca in quel breve intervallo tra The Ground Beneath Her Feet e Original Sin.
Spero che vi piaccia comunque e di non aver sbagliato i riferimenti!


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HOGWARTS LEGEND


[ Part#1: It Was a Dark and Stormy Night…]





Suddenly!
A movement in the corner of the room!
And there is nothing I can do

The Cure, Lullaby


La donna canticchiava tra sé, la voce tremante nella solitudine della sua casa, isolata nella campagna.
Quella sera in casa non c’era nessuno, a parte lei. Il marito era ancora in ufficio, i figli adulti ormai abitavano per conto loro, i figli più giovani erano a scuola. La donna continuò a cantare prestando orecchio distratto alla musica che usciva, insieme a una quantità di fruscii, dalla vecchia radio in un angolo.
Dalla pentola sulla cucina economica si sollevava una nube di vapore profumato di spezie e di verdura, che si mescolava al gradevole odore del fumo di legna del camino, dove un grosso ciocco di betulla crollò nel rumore familiare delle braci che si sgretolavano.
Nell’acquaio che perdeva, una goccia d’acqua scandiva con regolarità il pigro scorrere dei secondi. L’orologio sulla parete invece non produceva alcun ticchettio o suono tipico: non possedeva nemmeno le ore e i minuti e sul quadrante, al loro posto, c’erano i luoghi e le situazioni in cui potevano trovarsi i componenti della famiglia, ognuno rappresentato da una delle lancette.
La donna udì un rumore strano e interruppe a metà il movimento della bacchetta; il cucchiaio, che rimestava la zuppa, crollò contro il bordo della pentola e giacque immobile.
- Chi è? – domandò, la voce ferma che vibrava di un sottofondo di inquietudine – Chi c’è? -
Le rispose solo il silenzio, così lei sollevò la bacchetta e, ripetendo a mente un incantesimo di difesa, si avviò verso la stanza di soggiorno.
Sollevata, constatò che non c’era nessuno e dopo aver compiuto una breve perlustrazione della casa, tornò ai suoi fornelli. Gettando un’occhiata alla finestra si accorse che era socchiusa: strano, avrebbe giurato che era sprangata. La richiuse e ricominciò, in santa pace, a dedicarsi alla cena. Sul quadrante dell’orologio appeso alla parete, la lancetta che rappresentava proprio lei, si spostò dalla postazione “pericolo mortale” a quella “casa”…
***


Little child, be not afraid
The rain pounds harsh against the glass
Like an unwanted stranger
There is no danger
I am here tonight

Vienna Tengs, Lullabye for a Stormy Night

Naturalmente era una notte buia e tempestosa.
A stento c’era da specificare questa cosa, perché ogni volta che succedeva qualcosa di sinistro era sempre una notte buia e tempestosa, tanto che c’era da chiedersi perché mai, la gente, quando vedeva calare la sera e cadere dal cielo qualcosa di più di una semplice pioggerella, non cominciasse a prendere tutte le precauzioni del caso: Incantesimo Anti-Maniaco, qualche lampada stregata invece delle semplici candele pronte a spegnersi sempre al momento meno opportuno…
(Una Mano della Gloria che avrebbe immancabilmente fregato il maniaco in questione, pensava Malfoy).
… Oppure, magari, la semplice precauzione di chiedere chi diavolo fosse alla porta, invece del solito, distratto Alohomora dalla cucina o dalla vasca da bagno, preludio inevitabile a cruenti rituali che si concludevano immancabilmente con la famiglia affranta che, il mattino dopo, si doveva esibire nelle Olimpiadi del Gratta e Netta per ripulire la casa dal sangue e da tracce di materia cerebrale.
(Ammesso che l’aggredito possedesse un cervello, pensò Malfoy rivolgendo un’occhiata oziosa a Potter. In caso contrario la gente si sarebbe risparmiata parecchia fatica).
Tante volte l’aggressione era perpetrata con l’aiuto di una Pozione Polisucco e, in vista di quella eventualità, le mamme streghe di solito invitavano i rampolli maghi – oltre che a non accettare passaggi su scope o Cioccorane dagli sconosciuti – a tenere la gente fuori dalla porta un’oretta prima di aprire, controllando di tanto in tanto dallo spioncino se non sapevano ancora effettuare un Incantesimo Trasparente.
(Dilettanti. Malfoy sogghignò, lui conosceva quell’incantesimo da secoli, parecchie volte gli era tornato utile per rendersi conto che sotto il maglioncino della divisa di Hermione Granger non c’era solo un gran cuore dal coraggio Gryffindor).
Poco male che fuori della porta ci fosse l’ansiosissima e protettiva mammina bloccata con venti gradi sotto zero dalle sue stesse raccomandazioni.
Malfoy era pronto a scommettere che, la protagonista della storiella che stava raccontando Ron Weasley, fosse appunto una signora di mezza età, ansiosa, trascurata e grassa, con un cespuglio di capelli color rame e l’aria preoccupata, che stava cucinando per una nidiata di cenciosi figlioli uno più stupido dell’altro.
Una mamma a caso di un tizio lentigginoso a caso, insomma.
In ogni modo, nonostante le sue virtù di narratore fossero avvincenti quanto quelle del Professor Ruf, il Re delle Donnole era arrivato al clou della storiella – raccontata all’amico dell’amico, dal cugino in terzo grado che era emigrato in America nel quarantotto – cioè quando alla malcapitata madre, rimestando lo stufato, era capitato di vedere un dito umano andare su e giù nella sua pentola insieme alle patate e alle carote e aveva cacciato un urlo che aveva fatto accorrere i vicini, i quali, via camino, si erano precipitati da lei, e avevano trovato un cadavere a pezzi nel suo giardino, tra la pegola e le tane degli gnomi.
Potter sembrava improvvisamente tutto interessato.
- Quale dito? -
Il medio, pensò Malfoy.
Ginevra Weasley sembrava sul punto di mostrarglielo addirittura, realizzando una sua peccaminosa fantasia, tuttavia dovette ricordarsi, all’ultimo momento, che erano in pubblico.
- Il dito di chi? – insistette Potter.
Sicuramente il Ministero della Magia Svedese non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad assegnare quel tale premio, che Malfoy non riusciva mai a ricordare come si chiamasse, intitolato a quel tale mago che aveva inventato l’Incantesimo Dinamitardo: con ogni probabilità tutti i membri del Comitato sarebbero saltati in piedi urlando ”Potter! Potter!”, così il Bambin Sopravvissuto avrebbe avuto un’altra onorificenza da aggiungere alla sua ampia quantità di boria.
Hermione Granger, che purtroppo adorava il suo migliore amico, ma per fortuna si rendeva anche conto che, a volte, non era propriamente un asso nel cogliere l’essenziale di un discorso, gli diede un’amichevole pacca sul ginocchio e disse, paziente – Harry, credo non sia questo il punto –
Potter sgranò gli occhioni verdi.
Passaporta per la Svezia pronta per l’uso, uno, due…
- E qual è? -
…Vi ringrazia per la vostra scelta e si augura di avervi come ospiti al più presto!
- Harry – il tono di Ginny Weasley avrebbe indotto le legioni infernali ad aprire la prima sciovia per spostarsi da un girone all’altro – E’ una leggenda metropolitana -
Potter si massaggiò il mento e considerò prima la sua migliore amica e poi la sorella del suo migliore amico – Come quella del libro della strega che viveva a Bath e dei Sonetti di uno Stregone? –
- Quelle sono vere! Me lo ha detto papà! – disse Ron Weasley, in tono indignato – E anche il fatto del libro che bruciava gli occhi! -
Potter gli rivolse un’occhiata sorpresa e non rispose. Il Re, in maniche di camicia e con gli avambracci muscolosi scoperti, distolse lo sguardo dalla scatola dei biscotti al burro per puntarlo sul Migliore Amico, assumendo un’espressione profondamente ferita, tipo qualcuno che ha ricevuto la classica coltellata nell’arteria inguinale durante un fraterno abbraccio.
- Papà ti ha detto anche che esisteva Babbo Natale – intervenne impietosamente la Weasley.
- Oddio, Ron – sospirò Hermione – Non mi dire che ci hai creduto. E’ solo una leggenda metropolitana -
- Leggenda metropolitana – intervenne una voce limpida e vivace, vicino al tavolo verde, con il tono di chi ha trovato due parole particolarmente piacevoli da ripetere.
La ragazza dai lunghi capelli d’oro filato trattenuti da un nastro di velluto blu, fece dondolare la scarpa di vernice azzurra dal piedino snello fasciato di seta e annuì un paio di volte.
- Ne ho sentito parlare. Per esempio, in giro si dice che i testi delle canzoni di Celestina Warbeck contengano messaggi sublimi –
- Subliminali, Tessie, cara – corresse amorevolmente Reese Hewitt – Quella vecchia storia degli inviti a unirsi ai Mangiamorte e a usare Artigli di Drago e Pietra di Luna -
Jalice Love guardò le due amiche e sorrise – Avete ragione entrambe. I messaggi sono subliminali, ma le canzoni di Celestina sono … - sospirò – sublimi –
- E poi naturalmente, c’è quella faccenda delle canzoni delle sorelle Stravagarie. Sapete, pare che sentite al contrario contengano messaggi satanici… -
Anthony Goldstein, adagiato in una poltrona di pelle sfondata, che un tempo aveva fatto bella mostra di sé nello studio di Vitious, faceva roteare in un bicchiere panciuto del Firewhisky Gran Riserva di cui, prima o poi, suo padre avrebbe notato la scomparsa dalla cantina della loro casa nel Somerset.
Nel suo regno, la saletta del Club dei Duellanti, sereno e a suo agio, con la cravatta allentata e il colletto sbottonato, rivolse un sorriso indulgente alle Blue Ladies. I suoi occhi bruni, così profondi nella penombra del fuoco, si fermarono su Tess Steeval con un’espressione di dolcezza quasi dolorosa.
Spostandosi verso la parte opposta della saletta, lo sguardo del Caposcuola di Ravenclaw incontrò quello di Malfoy e il suo sogghigno canzonatorio, così abbozzò con un lieve scrollare di spalle e ricambiò il sorriso.
Malfoy guardò, di nuovo, interessato, quel gruppetto di Ravenclaw, svampite fino a chiedersi se avessero ingurgitato una tonnellata di Lunaria dopo aver subito un Incantesimo di Memoria riuscito male e magari fatto una nuotatina in una piscina di Firewhisky.
Infine si domandò se davvero Celestina Warbeck lavorasse per la Causa.
Un sospiro turbò l’aria che stava respirando, costringendolo a dimenticare ogni altro pensiero per seguirne il suono fino a lei.
Labbra pallide accese dalla stretta nervosa di denti candidi.
Denti gentili, di cui ricordava il morso sulla spalla nuda, subito lenito dal tocco di un respiro dolce e affannoso.
La sensazione di tenerla tra le braccia, di sentire sotto le labbra le sue palpebre serrate e le ciglia, la sua bocca socchiusa e poi bere il suo grido sommesso, le mani nelle sue e su di lui.
Immagini che non dimoravano più tra l’incubo e l’immaginazione, ma erano il ricordo di quanto era successo la notte precedente, e quella prima ancora.
Ricordo e anticipazione.

Icicle dreams are the memories gone by
Have you ever seen a lullaby on fire

Darling Violetta, Beautiful

Ciglia scure che, per un istante, si alzarono per incrociare il suo sguardo, poi si riabbassarono sulle fiamme del camino, le guance che si imporporavano per un calore che non era soltanto quello del fuoco.
Ricordo.
Lui osservò affascinato quel rossore, la mano che gli correva alla spalla per tracciare idealmente il marchio delle sue labbra; il graffio che le sue unghie gli avevano disegnato sulla schiena palpitava piano, un dolore dolce che si alzava e abbassava al ritmo delle fiamme nel camino, gonfiandosi e poi piegandosi in un’onda ardente.
Che bruciava, lenta, costante, intensa.
Anticipazione.
Lasciò ricadere bruscamente la mano con cui aveva preso a massaggiarsi, inconsapevole, la spalla, e distolse lo sguardo da lei, spezzando quel contatto di respiri e pensieri; e all’improvviso, fu come se intorno a lui qualcuno avesse alzato bruscamente il volume: tutti parlavano ad alta voce, contemporaneamente, con l’applicazione di chi cerca di coprire un rumore di fondo fin troppo nitido.
Fingendo di guardare, a caso, verso il tavolo da gioco, incrociò gli occhi blu di Tess Steeval, che gli restituì uno sguardo sagace e poi sbirciò, con intenzione, verso Hermione Granger.
Malfoy la guardò male e quella, per tutta risposta, ammiccò, per niente disturbata dalla sua irritazione.
- Tipo la storia della pianta carnivora nella serra numero sette? – stava dicendo Terry Steeval – Quella che ha ingoiato uno studente di Hufflepuff che poi è spuntato in primavera dentro un baccello gigante? -
- Non esiste una serra numero sette – disse Ginny Weasley, piegandosi verso Jalice per farsi accendere una sigaretta, un gradevole odore di menta e cioccolato si diffuse come una nuvola intorno alla sua figurina snella – A meno che non sia la famosa serra che compare solo nelle notti di novilunio –
- Esatto – rispose Terry, ridendo – Altra leggenda di Hogwarts –
- Beh – intervenne King Weasley – C’è anche quella del ragazzo che è entrato a bere qualcosa alla Testa di Porco e dopo ha un vuoto mentale completo. Ricorda solo di essersi svegliato in una vasca da bagno piena di ghiaccio e che stava malissimo: lo portano di corsa al San Mungo e lì scoprono che gli avevano fatto Evanescere un rene –
- Se invece del rene si fosse trattato del cervello, avrei giurato che eri tu il protagonista della storia – intervenne una voce scocciata e fredda, proveniente dalla parte opposta del camino rispetto a quella dove si erano asserragliate le Tre Grazie del Gryffindor.
- Ma come sei gentile – replicò Ron Weasley, contrariato.
Nell’ombra, un piede, calzato di pelle di drago verniciata, oscillava con un movimento che tradiva una certa impazienza, l’altro piede piantava saldamente un tacco nella trama lisa di un tappeto raffigurante un gruppo di unicorni; le caviglie snelle, appena scoperte dall’orlo di un paio di costosi pantaloni neri, continuavano in un paio di gambe flessuose della cui proprietaria, seduta sul bracciolo di una poltrona, si poteva intuire solo un’aureola di capelli biondi che balenava nell’ombra non raggiunta dai bagliori del camino.
Un sottile profumo selvatico e raffinato, rose canine e bruma, si allargava come una rete intorno a lei.
Impigliata in quella rete, una mano grande e abbronzata, gemelli d’oro che chiudevano un polsino perfettamente inamidato, si mosse, tamburellando le dita sulla spalliera della poltrona, come percorsa da un fremito nervoso.
- Daphne, - intervenne una voce profonda, distaccata, accanto a lei – stai riempiendomi la camicia di cenere -
Il volto del giovane rimaneva celato nell’identica ombra che nascondeva quello della ragazza; nella luce scarsa, che le fiamme del camino aggiungevano a quelle di due candele su uno scaffale, si delineavano spalle larghe e capelli neri sul bianco immacolato di una camicia dal taglio magnifico.
- Ne hai un altro centinaio, di camicie – rispose quella, pungente – Se la cosa non ti sta bene, spostati –
- Sempre una nobildonna – la canzonò l’altro.
La voce aveva accordi profondi, di rara armonia, e un’eco amara che, anche nell’inflessione salottiera, non riusciva a dissolversi completamente.
Con un gesto distratto della bacchetta, il giovane chiamò a sé un posacenere di vetro. Lo porse alla ragazza, che lo prese senza una parola di ringraziamento, sfiorandogli appena la mano, per caso, con la naturalezza indifferente e familiare delle battute aspre che si erano scambiati un istante prima.
- Non c’è di che – mormorò lui, in tono amabile.
Daphne Greengrass emise uno sbuffo di fumo alle rose selvatiche, che in parte voleva essere un verso di scherno, e si tese in avanti dal bracciolo della poltrona dov’era appollaiata alla destra di Blaise Zabini, gli occhi verdi erano sarcastici come la sua voce.
- Va bene, - disse – Adesso ascoltate questa -
***

Il castello che ospitava la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts era un intero mondo: superfici che si estendevano per piani e piani, mansarde inesplorate, sotterranei che sprofondavano nella terra e poi corridoi labirintici che si dipanavano per miglia e miglia; senza contare gli ambienti segreti, quelli itineranti e quelli che comparivano e scomparivano a seconda delle condizioni atmosferiche, dei bisogni di chi li cercava, dell’avvicendarsi dei giorni o dei mesi…
Hogwarts era anche un immenso magazzino: stanze e stanze in disuso, stipate di vecchio mobilio e oggetti perduti e mai rivendicati o, semplicemente, di cui negli anni si era persa memoria della funzione e del proprietario. Soffitte e ripostigli, cantine e armadi, nascondigli collegati da passaggi segreti o vegliati da quadri e statue dotate di ingegno e volontà, gallerie interne e montacarichi che correvano all’interno delle mura massicce.
Era naturale, nel caso qualcuno lo decidesse, avere la concreta possibilità di nascondersi al suo interno.
(Era innaturale e disumano, obiettava qualcuno, a mezza voce, che vista la quantità di spazio a disposizione, gli allievi fossero barbaramente costretti a stipare i loro effetti personali in un unico baule quattrostagioni).
Tra l’altro era perfettamente inutile che qualcuno cominciasse a obiettare che la scuola era perfettamente protetta da intrusioni.
(Grasse risate nella zona Slytherin della platea, mugugni di protesta da parte dei Gryffindor, qualche occhiataccia che rimbalzava da un lato all’altro del camino).
A memoria di studente, infatti, risultava che chiunque, a cui fosse venuto il capriccio di scorrazzare per il Castello, ci fosse riuscito senza incorrere in eccessive difficoltà.
Questa considerazione poteva essere foriera di parecchi brontolii di malcontento dalla curva Gryffindor; ma, sinceramente, non erano nemmeno da prendere in considerazione le obiezioni di un branco di storditi che se ne erano andati in giro per giorni, tronfi di orgoglio, perché un Mangiamorte sotto mentite spoglie aveva caldamente raccomandato loro di diventare Auror e, a posteriori, non si erano nemmeno sentiti presi per il …
(Qualcuno tossicchiò con discrezione).
…Per il deretano.
Senza, ovviamente, fare menzione della piccola svista in cui tutti erano incorsi il primo anno non accorgendosi che lo stesso Signore Oscuro aveva goduto dell’ospitalità del Castello, dell’eccellente sangue degli unicorni della sua riserva e della piacevole compagnia dei suoi nemici giurati; lasciando da parte vecchie pazze inquietanti (e vivamente rimpiante dagli Slytherin) - libere di torturare gli allievi, senza considerare che c’era gente che era stata segnalata a Gufo Azzurro ed era finita in galera per molto meno - tra i delinquenti che avevano piantato felicemente le tende in quel di Hogwarts, si registrava una sensibile percentuale di gente scappata da Azkaban, insieme a quella che ovviamente sembrava scappata dal Reparto Psichiatrico del San Mungo.
Morale della favola: Hogwarts era impenetrabile meno di quanto Azkaban fosse a prova di evasione, con la buona pace dei Presidi che erano i Più Grandi Maghi dell’Universo Creato e delle prigioni sulle isole sperdute nel mare che magari avevano anche l’arsenico nella carta da parati.
Tant’era che quando Sirius Black aveva deciso di entrare nel dormitorio di Gryffindor non aveva certo trovato gli Squadroni della Morte a fermarlo, ma un cortese bigliettino di benvenuto con tutte le parole d’ordine; inoltre, quando dopo la Coppa del Mondo di Quidditch, qualcuno aveva avuto il sospetto che il Lato Oscuro si trovasse in vago fermento e non si era trovato di meglio da fare che assumere un Mangiamorte che insegnasse agli allievi a difendersi dai Mangiamorte, tutti avevano perso all’istante il diritto di proferire verbo sull’argomento sistemi di sicurezza.
Tutto ciò premesso e ritenuto, tempo prima, era successo che, nei dintorni del Castello, all’interno dei ripostigli dello stesso e nei pressi della Foresta Proibita - vale a dire ovunque si trovassero fratte, in senso reale o figurato, conformi a ospitare i momenti di intimità delle coppiette – era iniziata a circolare una voce abbastanza allarmante: dalle frequenze di Radio Strega Network e di Radio Strega Rock era giunta la notizia che un pazzo maniaco era scappato da Azkaban e si aggirava nei dintorni di Hogsmeade.
Poco male, avevano pensato tutti, ricominciando a tubare in piccionaia coi rispettivi, non che ci fosse da preoccuparsi in maniera eccessiva: tanto, quando un pazzo maniaco evadeva da Azkaban, di solito lo faceva per accoppare Potter e non per nuocere ai privati cittadini.
La considerazione che, però, negli anni, si era registrato un sensibile numero di vittime collaterali, aveva presto raffreddato gli entusiasmi provocando un crollo verticale dei desideri.
In effetti, a pensarci bene, sempre più spesso, c’era qualcuno che ci rimetteva le penne o che, per lo meno, veniva acchiappato per i capelli prima di farlo. Tanti raggiungevano la Terra dei Più (in altre parole Azkaban), altri, tra un inciampo nei pressi di qualche Velo, per colpa, poniamo, della zietta di qualcuno, e un incidente in un cimitero, lasciavano inesorabilmente questa valle di lacrime.
Come dimenticare, per esempio, la buonanima di Cedric Diggory?
Su quello che era successo nel cimitero di Little Hangleton tutti avevano qualcosa da dire e da commentare. Certo, chi aveva visto Mastro Gazza portare fuori carriole di detriti dalla Camera dei Segreti, aveva rivolto un pensiero di sincera partecipazione a quelli che, il giorno dopo il fattaccio, erano andati al cimitero per mettere fiori sulla tomba dei cari defunti e, vedendo il disastro, avevano ricevuto un colpo tale da rischiare di defungere a loro volta.
(Tra l’altro, ingiustamente vilipesi e accusati di omertà, gli Slytherin avevano, al solito, viste ignorate le loro opinioni in merito. Che sciocchezza, avevano tuonato dai sotterranei: non si trattava affatto del ritorno del Signore Oscuro, ma di un delitto passionale! Insomma, nessuno aveva notato che la benedett’anima era stato avversario al Tremaghi nonché rivale in amore di Potter?).
Insomma, fatte tutte queste considerazioni, le coppiette non si erano più sentite tanto al sicuro e avevano cominciato a dare segni di agitazione; avevano abbandonato il ripostiglio coniugale o l’aula nuziale, e avevano fatto ritorno nei dormitori a tremare in santa pace ognuno sotto il proprio baldacchino.
A quanto si diceva, il pazzo maniaco in questione aveva anche un aspetto particolarmente raccapricciante e un uncino al posto della mano.
Una di queste coppiette, che aveva trovato la giusta privacy in uno stanzino delle scope presso il terzo piano, a un certo punto della notte aveva sentito dei rumori strani provenienti dal corridoio.
All’inizio non ci avevano badato. Probabilmente lui, che era un autentico porco, era occupato a fare tutt’altro che preoccuparsi di una cosa trascurabile come la possibilità di finire sbudellati.
Lei invece, con ogni probabilità, era angosciata all’idea di morire di una morte infinitamente peggiore.
***

- Fermati. E’ la seconda volta che sento un rumore. Forse c’è qualcuno fuori della porta -
Un respiro impaziente aveva fatto eco alle sue parole, poi labbra tenere si erano posate di nuovo sulla sua spalla per un breve bacio.
- Sarà quel guardone di Potter – aveva risposto lui, in tono leggero – Sei preoccupata per la tua reputazione, mia sfacciata Caposcuola? Tranquillizzati: dubito che, anche se dovesse continuare a spiarci, riuscirebbe a capire cosa stiamo facendo -
- Idiota – il pugno di lei sulla spalla nuda gli aveva strappato una risatina – Non mi sento tranquilla -
- Hai paura che sia il maniaco pronto a levarci le budella? –
- Peggio: – aveva proferito lei in tono lugubre - la Professoressa McGranitt pronta a espellerci

I know what you want
And I'll give you everything
In twilight morning while all the world sleeps
Cinnamon sins are all safe here with me

Darling Violetta, Say you love me

La risata sommessa che aveva fatto eco alle sue parole si era spenta contro il suo seno. Lei aveva mosso una mano per immergerla trai suoi capelli, seta di luna sotto le dita, ed era rimasta assorta nella sensazione di averlo tra le braccia, la sua guancia sul petto e il respiro che le solleticava la pelle, mentre lui rideva ancora, piano.
Era passato così poco tempo, ancora, e amarsi era sempre un po’ essere ai ferri corti.
Una lotta silenziosa tra parole eluse e sospiri trattenuti e poi abbandonarsi, non senza avere combattuto, quando tutto diventava semplicemente troppo.
Lui le risalì con le dita lungo il fianco e girò il volto per imprimerle sulla carne un bacio gentile, l’ennesimo marchio invisibile che lei, la mattina dopo, avrebbe cercato nello specchio e nei propri occhi.
Gli passò l’altro braccio intorno alle spalle, con la mano ridiscese, assorta, a godersi la linea della sua nuca e della schiena. Sotto le sue dita i muscoli del dorso si mossero, mentre lui le passava un braccio attorno alla vita.
- A cosa stai pensando, mia piccola Mezzosangue? -
Rispose da solo alla propria domanda, puntellandosi sui gomiti e scivolando su di lei fino a che i loro visi si toccarono. Posò la fronte contro la sua, poi abbassò il capo per baciarle il collo, i suoi capelli morbidi e sottili le accarezzarono il viso e la gola.
A cosa stai pensando?
Lei rilasciò le gambe in modo che si separassero naturalmente, chiuse gli occhi, assorbita solo dalla sensazione di avere addosso il suo peso.
Cosa sogni quando dormi e quando sei sveglia.
Solo te, solo di te.
Prometti che sarà sempre così.
Te lo prometto.
Qualcuno, fuori dalla porta, produsse un suono simile a un grattare contro il legno…

Your eyes speak so silently
They tell me what you want from me
There is no more I can do
I’ll always be inside of you

Darling Violetta, Beautiful
***

La testa le ciondolò sul petto un attimo e lei la rialzò automaticamente, svegliandosi di colpo. In preda al vago vuoto di stomaco e al disorientamento conseguente al brusco risveglio. Si guardò intorno, fino a che non mise a fuoco un paio d’occhi grigi fissi su di lei.
Appena sveglia, lo cercava come avrebbe cercato una qualsiasi luce.
Si era assopita per qualche minuto e Daphne Greengrass era quasi giunta al termine del suo racconto.
Allarmata dai rumori, la ragazza del ripostiglio, aveva puntato la bacchetta contro la porta e aveva scagliato l’Incantesimo di Disarmo.
Per precauzione, i due avevano usato un passaggio segreto, per abbandonare il ripostiglio, invece della porta sul corridoio: la mattina dopo, andando in perlustrazione, avevano trovato, appeso alla maniglia della porta del loro ripostiglio, un uncino di ferro…
Hermione rabbrividì, battendo le palpebre per scacciare le ultime tracce di sopore.
- Quel maniaco, povero infelice – sospirò Blaise Zabini, – Era sicuramente qualche complesso irrisolto a spingerlo a comportarsi così -
Parecchi sguardi si spostarono si di lui, alcuni incuriositi, altri decisamente meravigliati per quello sfoggio di fine criminologia.
Daphne Greengrass e Draco Malfoy invece lo guardavano come se gli fossero spuntati improvvisamente una certa quantità di tentacoli dalle orecchie.
- Voglio dire, - Zabini scosse il capo – un uncino al posto della mano: era naturale che soffrisse. Con ogni probabilità non poteva indossare un vestito senza strapparlo -
L’intera Club House piombò nel silenzio più assoluto, spezzato solo dal sospiro partecipe di Tess Steeval.
- Oh Blaise, sei sempre così sensibile -
***
Tra le leggende che giravano a Hogwarts, naturalmente, non potevamo mancare quelle sugli insegnati.
- Io ne so una favolosa su Piton -
- Che è un Mangiamorte? –
Insinuazione a mezza voce di Weasel, occhiata da parte degli Slytherin. Non si capiva bene se volesse significare che i Gryffindor cominciavano a diventare monotoni o sincera incredulità perché ci avevano messo anni ad afferrare il concetto – in ogni modo, si guardarono malissimo, poi Ginny Weasley continuò a raccontare.
Uno studente di Gryffindor, un giorno era stato interrogato da Piton. Si trattava di un ragazzo che notoriamente in Pozioni andava molto male ed era cliente affezionato dei commercianti di calderoni; ma l’interrogazione non giungeva inattesa, così lo studente era preparatissimo.
Arrivare alla cattedra era già stata un’impresa di grande coraggio, visto che lo studente era letteralmente terrorizzato da Piton. Trattandosi però di un Gryffindor, faceva parte del suo destino sopportare simili sfide alla sorte.
Dapprima balbettando poi, facendosi pian piano quasi sicuro, aveva risposto brillantemente a un fuoco di fila di domande, tanto che Piton era addirittura livido
A un certo punto il professore aveva tentato l’ultima domanda: lo studente avrebbe dovuto illustragli la preparazione della Pozione Antilupo, i modi e i tempi in cui andava assunta.
Lo studente aveva risposto perfettamente e anche Piton alla fine era stato costretto ad abbozzare, dichiarandosi tacitamente sconfitto.
Improvvisamente tutto gentile, il professore di Pozioni aveva detto allo studente che si complimentava con lui e con un colpo di bacchetta aveva fatto apparire sulla cattedra una grossa confezione di zollette di zucchero colorate.
Le aveva offerte allo studente, pregandolo di accettarle in segno di stima per addolcire le sue Pozioni Antilupo.
Lo studente aveva accettato, tutto trionfante…
Hermione Granger sbuffò in segno di dissenso, scuotendo il capo – Io non lo avrei fatto –
…e Piton aveva sorriso.
Già vedere Piton sorridere era uno spettacolo tale che la gente di solito ricorreva a ogni sorta di scongiuri conosciuti; vederlo sorridere a un Gryffindor, naturalmente, non poteva preludere che a qualcosa di estremamente piacevole.
Per gli Slytherin tutti.
- Lo zucchero annulla completamente gli effetti della Pozione Antilupo. A posto: insufficiente -
Malfoy che aveva cominciato a sogghignare non appena aveva sentito parlare di zucchero, scoppiò in una risata e considerò la Weasley con aria di sufficienza.
- Anche io ne conosco una simile – intervenne, la voce fredda, lo sguardo che si fissava su un punto a caso della stanza, per non dare nemmeno l’apparenza di rispondere a una persona che considerava così in basso - Però l’insegnante in questione è la McGranitt -
- Sentiamo –
Anthony Goldstein si protese in avanti, gli avambracci sulle ginocchia, la camicia bianca che creava un contrasto piacevole con la carnagione olivastra – Par condicio – aggiunse, con un sorriso, rivolto ai Gryffindor che si erano rabbuiati – Slytherin ha diritto di replica – Dietro l’intonazione affabile si avvertiva una certa ilarità. I Ravenclaw erano del tutto immuni al senso di rivalità che correva tra le due Case: di volta in volta divertiti o irritati per i risvolti esasperati della situazione, consideravano i loro spazi neutrali, nei quali si era i benvenuti, ma si doveva fare di tutto per non turbarne l’armonia.
Era la forza della personalità di Anthony che permetteva a tre Gryffindor di guardare in cagnesco tre Slytherin da un lato all’altro di in caminetto senza che si saltassero più o meno metaforicamente alla gola.
Malfoy e Potter si ignoravano accuratamente, con una tale, perfetta, padronanza che solo gettare un Mantello dell’Invisibilità addosso a uno dei due avrebbe permesso di raggiungere un effetto migliore.
Tutto ciò in onore del quarto Gryffindor, quello che spostava ansiosamente lo sguardo dall’uno all’altro ragazzo, senza riuscire a rilassarsi veramente per un solo momento.
Tranne cadere addormentata per qualche istante e fare un sogno che le sembrava chiunque le potesse leggere negli occhi, nel momento in cui aveva incontrato quelli di lui.
Hermione abbassò gli occhi sul ricamo d’ombra che il parafuoco di ferro battuto disegnava sul tappeto, poi li spostò sui gemelli Steeval, poco distanti da lei. Due teste bionde chine l’una verso l’altra in una confidenza affettuosa che lei aveva sempre immaginato potesse esistere tra fratelli. Terry, seduto su una sedia al contrario, le braccia incrociate sulla spalliera e il maglione della divisa annodato al collo per le maniche, si piegava all’indietro per farsi accendere una sigaretta dalla sua gemella, mentre un gradevole odore di brezze marine si diffondeva per la stanza.
Tess, seduta sul tavolo verde, intercettò lo sguardo di Hermione e le sorrise.
Era un sorriso di generico incoraggiamento, comprensivo e allegro. La piccola Blue Lady le soffiò un bacio sulla punta delle dita insieme a un nuvola di fumo al gelsomino e articolò una frase affettuosa, in silenzio.
Ti voglio bene, Capogranger.
Poi si piegò in avanti per accostare il viso a quello di Anthony, sulla poltrona accanto a Terry, includendo idealmente anche lui in quel cerchio di calda vicinanza.
***

La storia raccontata da Malfoy suonava più o meno così: una triste mattina, un povero, incompreso, ingiustamente disprezzato Slytherin – situazione, la sua, tristemente consueta, in quella scuola dittatoriale, dove una stupida cicatrice contava più di intere generazioni di sangue purissimo e di un padre Consigliere – si era recato alla cattedra a ritirare il compito di Trasfigurazione.
La Professoressa – siccome erano tra persone corrette non si facevano nomi: si poteva solo dire che trattavasi del braccio destro del peggiore Preside che Hogwarts avesse mai avuto, donna di estrema parzialità, sempre pronta ad avere un occhio di riguardo verso la sua Casa, non come quell’icona di assoluta equità che era il Professor Piton – aveva squadrato il ragazzo in questione, dalla cima dei capelli biondi fino alla punta delle scarpe in pelle di drago acquistata a peso d’oro da onesti e laboriosi bracconieri, infine aveva proferito, gelida:
– Signor Malfoy, quando ti ho chiesto di documentare un caso pratico di Trasfigurazione Umana a Semispecie Animale non volevo certo invitarti a fornire il signor Paciock di un paio di orecchie da coniglio -
Ferito nel suo orgoglio di studioso dedito con abnegazione alla ricerca, lo studente Slytherin si era limitato a proferire una contegnosa protesta – mi premurerò di informare mia madre, forse ha dimenticato chi è mio padre, lei-non-sa-chi-sono-io - prima di chiudersi in un dignitoso silenzio.
Forse considerando tutti i galeoni che i Malfoy avevano sborsato per fornire la scuola di attrezzature nuove di zecca per le aule di Pozioni e delle munifiche donazioni per rimpolpare, con grande lungimiranza e spirito educativo, la Sezione Proibita della Biblioteca, la Professoressa si era lasciata indurre a osservare con attenzione lo studente incompreso.
- Va bene – aveva decretato infine – che cosa preferisci? Un Accettabile qui oppure un Oltre Ogni Previsione in giardino? -
Ovviamente il senso di giustizia del giovane Slytherin aveva preteso solo quello che gli spettava di diritto – Un Oltre Ogni Previsione in giardino –
Sul bordo del suo compito era subito comparsa la sigla in lettere violette OOP e poi…
- Relascio -
Con un preciso incantesimo di Esilio, la Vecchiaccia aveva spedito il compito della povera vittima Slytherin fuori dalla finestra dritto dritto in cortile.
Per la verità la storia non era nulla di particolare. Alla fine però, tutti gli Slytherin esibivano dei sogghigni molto soddisfatti a fronte dei cipigli scuri dei Gryffindor.
- Non sarebbe da lei comportarsi così! -
La voce irata di Harry Potter gli valse uno sguardo gelido da parte di Malfoy, profondamente seccato per essere stato interrotto in una delle sue fantasie narcisistiche preferite.
Potter non aveva inteso rivolgersi a lui direttamente e, naturalmente, lui non avrebbe mai messo da parte la sua dignità per rispondergli, così si limitò a squadrarlo con astio per poi distogliere subito lo sguardo e fissare le fiamme del camino.
Daphne Greengrass, invece, era quel tipo di persona che, quando riteneva qualcuno un idiota non riusciva a esimersi dal renderlo partecipe della cosa, così lasciò esplodere una risatina sgradevole.
– Taci, Potter, nessuno ha inalberato dignità ferite quando avete dipinto Piton come un maniaco che distribuisce zucchero ai ragazzini –
Lo sguardo che in quel momento stava rivolgendo a Harry Potter aveva una dotazione di disprezzo sufficiente da aspergersi con generosità anche sui due Weasley che, al solito, non abbandonavano il fianco del Fanciullo Che Li Avrebbe Seppelliti Tutti.
Blaise Zabini non avrebbe abdicato alla sua dignità nemmeno per l’attimo occorrente a prendere atto della presenza di gente come Potter e i Weasley, così finse di non notare quei tafferugli mascherati da sguardi, erigere e smontare barricate ai lati di un camino, sotto l’attenzione sempre meno paziente dei Ravenclaw.
Draco Malfoy esibiva un sorriso di una dolcezza scivolosa e infida come marmo bagnato, pronto a ospitare passi falsi e venature scure sul candore apparente. La soddisfazione celata solo da una pudicizia di facciata, da zitella che si segna la croce sul petto davanti al nudo di una statua antica, sogguardò una burla silenziosa, all’indirizzo di Potter.
Hermione Granger, accorgendosene, gli rivolse un’occhiata di irritazione esasperata e lui sentì il proprio sorriso incrinarsi. Tuttavia resistette, uno sforzo di muscoli facciali e di occhi sempre più freddi di muto rimprovero.
Senso dell’humor Gryffindor: rigorosamente eterodiretto, si disse, con rabbia, alzandosi di scatto per raggiungere un tavolino apparecchiato con un vassoio in argento e bicchieri di cristallo pesante e, cosa più importante, la bottiglia di Hogden Gran Riserva del signor Goldstein padre.
Un tossire garbato sfumò la nube di tensione al grado di nebbia leggera – Io ne conosco una molto interessante! – disse Tess Steeval, scambiando un’occhiata con Reese Hewitt e poi con Jalice Love che sembrarono capire al volo.
- Quella della compagna di stanza? – domandò Jalice – No, ti prego, mi terrorizza -
- Oh, è cruenta – commentò Reese, rabbrividendo delicatamente.
Malfoy pensò che al momento non poteva essere più cruenta di certe sue fantasie. Il suo sguardo saettò su Potter e poi su Weasley, prima di tornare al bicchiere che stringeva nella destra, sfaccettature di cristallo, pesanti sporgenze intagliate dove la luce si confondeva col riverbero alcolico di un abbandono contraffatto. Ambra liquida avverso bagliore di fuoco che giungeva dal camino bagnandogli la mano e tenendo il resto nell’ombra.
Dove gli spettava restare.
Ingoiare un sorso, insieme al liquido salato che qualche anno addietro gli avrebbe bagnato le guance, prima che il senso dell’ingiustizia inflitta ad altri medicasse di sano disincanto gli occhi con cui guardava il mondo, era segnare un punto fermo nella parabola discendente di quella serata.
Con l’anima nello stomaco, ustionato dall’acido che gli scendeva per la gola, fece un gesto distratto della bacchetta e attirò a sé un portasigarette d’argento, il cui proprietario si limitò a lanciargli un’occhiata simile a sartiame teso a sostenere un sussulto di orgoglio rabbioso, di quelli che non fanno prigionieri nemmeno nelle proprie file.
Blaise Zabini rilassò la schiena contro l’imbottitura pesta della poltrona, un sorriso malinconico e saputo, eluso nel doveroso tributo di ilarità alla storiella che stava raccontando Tess Steeval. Accanto a lui Daphne Greengrass fumava in silenzio, secchi gesti della mano che avvicinavano alle labbra la sigaretta consumata e una smorfia sempre più evidente: lo sguardo tempestoso di Weasley che si rifiutava di incontrare il suo e lei che, al solito, tirava dritto davanti a quella freddezza.
Nature morte di rapporti intorno a un fuoco, fiori secchi non abbastanza lontani dalle fiamme.
- E’ una storia vera – stava dicendo Tess.
- Siamo pronti a scommetterci – Terry scosse il capo con un sorriso mentre Reese Hewitt annuiva con aria saggia – No, Terry, Tessie ha ragione: ce lo ha raccontato un amico di Roger Davies che aveva un cugino in secondo grado che frequentava Hogwarts quando è successo –
Terry si allentò il nodo della cravatta e accettò il bicchiere che Ginny Weasley gli porgeva. La studiata cortesia di Terry, allo stesso modo della vivacità di Tess, riuscivano dove nessun silenzio avrebbe potuto. Da quando lui e Ginny si erano lasciati, il ragazzo sfoggiava un imperscrutabile buonumore, come un vestito di eleganza trascurata, non abbastanza formale da necessitare di giustificazioni, ma così gradevole da non sollecitare troppe indagini.
- E’ successo a un settimo anno Ravenclaw – la voce limpida di Tess era un refolo di aria pura nel fumo vagamente opprimente della saletta – Una delle ragazze, che occupava la stanza dove stiamo noi adesso, aveva l’abitudine di portarsi in camera i ragazzi, la notte. Le altre sopportavano, un po’ per solidarietà femminile e un po’ per fastidio -
- Il chiasso era parecchio – specificò la bruna Jalice suscitando un coro di risatine grate per averle dato l’occasione di riempire quel silenzio ancora teso.
- Così le ragazze presero l’abitudine di chiudere i baldacchini e Imperturbarli – continuò Tess – anche perché la situazione andava pian piano facendosi letteralmente insostenibile. Così successe che una sera, durante le vacanze di Natale, quando le altre del settimo erano partite, una delle ragazze torna in camera per mettersi a letto e, al solito sente dei rumori provenire nel buio, dal letto della compagna –
Hermione cincischiò, distratta, un orlo della gonna e ne lisciò le pieghe sulle ginocchia prima di azzardare un’occhiata furtiva verso la zona oltre le spalle di Zabini dove, nella semioscurità vicino agli scaffali, il cerchio di una candela solitaria arrivava appena a illuminare dita bianche e nervose dalle quali si alzava una spirale di fumo profumato al bergamotto. Il volto restava in ombra tanto da lasciare solo all’intuito la linea impassibile delle labbra e il distacco degli occhi, il profilo affilato del viso che le avrebbe nascosto fino all’ultima briciola dei suoi pensieri se anche fosse riuscita a intravederlo.

We'll laugh as we die
And we'll celebrate the end of things
With cheap champagne

My Chemical Romance, Drowning Lessons

La ragazza, continuò a raccontare Tess, si era spogliata al buio, senza nemmeno accendere una candela oppure illuminare la bacchetta. Aveva chiuso le tende del baldacchino e le aveva Imperturbate, poi si era addormentata.
Il mattino dopo si era svegliata e subito, un’enorme scritta sulla parete, in rosso che sembrava sangue sbavato, aveva attirato la sua attenzione: Sei contenta di non aver acceso la bacchetta stanotte?
Sul suo letto, tra le cortine impudicamente aperte, la sua compagna di stanza giaceva sgozzata e col sangue che colava dai polsi…
- Che schifo – commentò la Greengrass guardando Weasley.
Jalice afferrò la mano di Reese, in cerca di conforto – Stanotte non dormirò – si lamentò – se c’è qualcosa che mi terrorizza è l’idea di trovarmi davanti un pazzo –
Gli altri la guardarono, inespressivi. Qualcuno si stava sicuramente domandando, con queste premesse, come riuscisse a ovviare quando si guardava allo specchio.
- Anche io sono letteralmente terrorizzata ogni volta che sento questa storia – gemette Reese – Poi passo giorni e giorni a immaginarmi che ci sia qualche squilibrato nella mia stanza –
Altra tornata di occhiate accuratamente neutre che si spostarono, discrete, da lei, a Jalice, a Tess.
- Poi guardo bene e ci siete solo voi – sospirò, con un sorriso affettuoso tutto per le amiche.
Appunto.
- Non è veramente possibile che sia successo – intervenne Ginny Weasley – Voglio dire: come sarebbe stato possibile evitare che la notizia si diffondesse? –
- Ma si è diffusa – disse Terry – tramite l’amico del cugino di secondo grado di Roger Davies, no? -
Ginny gli fece una smorfia, mentre Anthony Goldstein scoppiava a ridere – Una volta l’ha raccontata quando ero anche io presente, c’era anche Cho Chang se non ricordo male –
- Fammi indovinare – replicò Ginny, serafica – vi siete ritrovati con la sala comune allagata di lacrime? -
***

Vista l’ora tarda era piuttosto normale che i racconti scivolassero verso l’intimo coinvolgimento della paura. Quel delizioso solletico da gustare al sicuro tra le mura di una stanza riparata e della compagnia di altre persone.
Il testimone era passato a Terry Steeval che, col consueto garbo, cercava di riunire tra le dita le fila dell’attenzione, intrecciandoli in una parvenza di armonia.
Tre ragazzini del primo anno, stava dicendo, si erano persi nella Foresta Proibita e non sapevano come uscirne…
- Sicuramente non si trattava di Piccoli Gryffindor – mormorò Draco Malfoy chinandosi verso l’orecchio di Blaise Zabini – Tant’è che la Foresta Proibita esiste ancora -
Harry Potter trasalì e gettò un’occhiata in tralice verso Hermione. Vedendo che anche lei si irrigidiva masticò un’imprecazione e fissò, rabbioso, le fiamme del camino.
Era uno di quei momenti, che si succedevano con triste cadenza, nell’ultima settimana, in cui la spiava, ansioso di vedere confermato quel timore superstizioso che lo accompagnava dal famoso giorno in cui lei gli aveva rivelato tutto.
Che cosa aspetti di vedere? Ron rideva, ai suoi timori, forse esorcizzando i propri. Forse capelli biondi spuntarle in testa?
No, ma forse l’ombra argentea e fredda di uno sguardo alieno emergere di riflesso nel calore dei suoi occhi?
Harry, devo parlarti.
La rabbia e l’impotenza, vedere sbriciolarsi tra le dita anni trascorsi insieme.
Lei gli aveva mentito.
Se ne era innamorata, anche se non glielo aveva ancora detto.
Proprio di lui, la lezione d’odio.
Lui che aveva vinto la più disperata delle battaglie semplicemente rendendo le armi.
E adesso a lui, Harry, toccava restare fermo davanti a una verità che non aveva nessuna intenzione di digerire.
Il fumo negli occhi e il calore delle fiamme non gli piacevano. Arrivavano troppo spesso a ricordargli lunghi minuti di sopore tormentoso in cui gli occhi gli bruciavano di immagini che non avrebbe voluto vedere, il sudore che si asciugava sgradevolmente sotto la maglietta; la cicatrice che prudeva in maniera fastidiosa, piaga che suppurava di pensieri suoi e altrui, moti di un animo che era il complementare del suo. L’altro lato della moneta con cui avrebbe pagato il pedaggio per la strada che aveva scelto di percorrere.
Ascoltava con una parte della mente le parole di Terry Steeval, chiedendosi, anche a quel riguardo, se fosse solo un’eco della sua rabbia o semplice amarezza, quella che provava.
Per una sola volta, durante il corso di quella serata assurda, aveva incrociato lo sguardo di Terry e aveva compreso che gli era anche stata negata la banalità di una rivalità amorosa. In quel blu limpido non aveva visto traccia di odio o di rivalsa, solo la rispettosa compassione di chi abbandona, con un colpo di remo, le rive di un’isola distrutta.
E Ginny era sempre lì, a fumare, tranquilla. Con quella derisoria calma che era un colpo calcolato a quanto cercasse di opporle del suo orgoglio. Lei che aveva siglato col suo nome la clausola secondo la quale riservava solo a se stessa il privilegio di ferirlo.
A quel bacio silenzioso nel parco, quando lei lo aveva messo con le spalle al muro per costringerlo ad affrontare quello che stava succedendo tra Hermione e Malfoy, era seguito un silenzio ancora più pesante.
Generale di strategie sanguinarie, esasperante temporeggiatrice, lei si era ritirata nelle retrovie; aveva scavato trincee in cui lui inciampava in continuazione.

I miss you,
I miss you so far
And the collision of your kiss that made it so hard

My Chemical Romance, Cemetery Drive

L’infelicità sul viso di Hermione era una patina in cui specchiare la propria, il suo silenzio intrappolato la misura di uno dei tanti suoi fallimenti.
Il calore del camino era opprimente e lui così intorpidito da non essere nemmeno capace di raccogliere abbastanza energie per spostarsi. Respirare l’aria consumata di braci lo stordiva e gli dava un leggero e costante dolore di testa.
Rimandava di istante in istante la gravosa operazione di spostare una gamba o sgranchirsi la schiena, piegata sotto il peso di un torpore che gli riempiva la testa di ovatta e la mente di frammenti luminosi che scomparivano all’orizzonte di un tunnel troppo lungo e buio.
I tre bambini nella Foresta Proibita avevano tredici anni d’età e l’esperienza per muoversi con spavalderia nel buio delle notti di Hogwarts, ma non abbastanza per dominare l’inquietudine, rumore di fondo che accompagnava i loro passi.
Harry pensò che avrebbe voluto fermarli e avvertirli.
Non sapeva che cosa avrebbe detto loro, forse si sarebbe limitato a guardarli senza riuscire a spiccicare una parola che potesse illustrare la paura e l’amarezza, il dolore e la speranza, la disperata certezza di dover correre incontro a una fine, una qualsiasi, purché fine fosse.
In ogni caso, si disse, avrebbe dovuto avvertirli.
***

Little child
Be not afraid
The wind makes creatures of our trees
And the branches to hands
They're not real, understand
And I am here tonight

Vienna Teng, Lullabye for a Stormy Night

La nebbia livida, bassa trai tronchi degli alberi, creava un rimando di finto chiarore laddove il tetto fitto di fronde lasciava filtrare un raggio di luna. Sotto i loro piedi lo scricchiolio delle foglie secche e dei rametti morti era la protesta sommessa di quel cimitero vegetale che chiedeva soltanto di essere abbandonato a se stesso nella sua notte infinita.
I tronchi degli alberi, così larghi che non sarebbero bastate le braccia di un adulto per circondarle, si innalzavano come colonne leggendarie a sorreggere un cielo fitto di foglie buie, in cui si annidavano nuvole di nebbia abitate da creature che di angelico non avevano nulla.
Se le frecce dei centauri, scagliate per superare quella cortina di rami, intrecciati ad accogliere il fondo dell’inferno, potevano giungere a toccare il cielo, i loro sguardi spauriti non potevano. Si limitavano a velarsi di spavalderia non appena incrociavano quello degli amici, correndo poi ad assicurarsi che la luce sulla bacchetta fosse ancora abbastanza viva, lucciola nella notte, da consolare in segreto il loro cuore.
- Secondo me dobbiamo tornare indietro -
La voce della ragazzina aveva quella nota perentoria che, avevano imparato bene, andava assecondata oppure poteva tradursi nel preludio di qualche solenne baruffa.
- Hermione, non so nemmeno come si fa a tornare indietro -
Ron alzò gli occhi al cielo o meglio, alle foglie – Stiamo girando in tondo – disse – Forse ci conviene trovare un modo per chiamare aiuto –
- La Professoressa McGranitt ci espellerà – sbottò Hermione con aria tragica.
Un attimo prima la prospettiva, per esempio, di finire divorata da un ragno gigantesco, non l’aveva turbata in quel modo.
- Sbagliato – disse Harry – Prima ci ucciderà -
Hermione soppesò attentamente le sue parole, con l’aria di chi decisamente preferisce la morte biologica a quella civile.
- Che ore saranno? – domandò Ron e con un gesto carico di ribrezzo si allontanò dal filo argenteo teso trai rami di un arbusto basso – Ragni, dannazione -
- Non lo so – ripose Hermione, esasperata – Guardando la posizione delle stelle potrei arrivare a capirlo, ma le stelle non si vedono. Qui non si vede un bel niente –
Non aveva nemmeno finito di parlare che un braccio la tirò bruscamente di lato; un corpo magro e alto si frappose tra lei e una pioggia di foglie che si riversavano verso di loro.
Era sempre stato così: proteggersi a vicenda, e dietro la sua forza lei aveva delle fragilità inaspettate, tenere.
- Harry! -
Anche adesso, mentre dava le spalle a lei e la faccia a una minaccia sconosciuta, c’era una goccia di serenità che cadeva nel lago oscuro del pericolo, allargando cerchi sempre più ampi intorno a sé.
Uno scoppio di risa allegre indusse sia lui che Ron ad abbassare le bacchette, stupiti, mentre Hermione si faceva largo tra loro due, varcando la soglia immaginaria della prima linea.
- Vi siete persi? -
Un altro, allegro, scoppio di risa seguì quella domanda retorica.
- Che razza di domande, certo che si sono persi -
- Pivelli –
Erano in tre, e chi aveva proferito quel commento oltraggioso era un ragazzo alto e snello, sui diciassette anni, coi capelli bruni e gli occhiali sghembi, un sorriso bianco e accattivante che si fermò subito sull’unica ragazza presente, Hermione, accentuandosi. Il ragazzo sollevò una mano, con un gesto che sembrava dettato da una lunga consuetudine, e si arruffò i capelli – Possiamo riportarvi noi, al Castello – il tono di voce si era abbassato e aveva assunto una sfumatura decisamente affascinante.
Questo gli volse un’occhiata torva da parte di Ron e l’ammorbidirsi del cipiglio di Hermione che, tuttavia, non abbassò la bacchetta di un millimetro. Negli altri due ragazzi invece scatenò un’ondata clamorosa di ilarità. Quello dai lisci capelli neri si appoggiò con un gomito al tronco di un albero e crollò il capo in avanti scosso dalle risate. Quando sollevò la testa, i capelli oscillarono intorno ai lineamenti del viso che sembravano scolpiti col cesello, e gli occhi catturarono ogni essenza d’argento che danzasse nell’aria: la seta umida e lucente delle ragnatele, i raggi di luna, il bagliore perlato della nebbia, la stessa freschezza del vento.
- Ramoso, stai attento prima di andare a pascolare nei giardini altrui – la sua voce era dolce e pastosa, l’accento elegante aveva la stessa armonia del gesto seducente con cui si scostò una ciocca dalla fronte.
Il terzo ragazzo nascose, con garbo, un sorriso dietro il dorso della mano. Aveva capelli castani e un maglione troppo largo per lui, sdrucito sui gomiti ossuti; vivaci occhi scuri velati di dolcezza e malinconia, appena dissipata dalla scintilla della gaiezza; un’aura ineffabile di forza tranquilla si irradiava da lui simile alla vibrazione di una nenia gentile, nel buio.
- Lunastorta, che cosa ne dici? – il ragazzo con gli occhiali gettò la testa all’indietro e si unì al coro di risate – Questo screanzato mi ha dato del farfallone. Per tua norma, Felpato, io sono un tipo fedele! -
- Non c’è da stupirsi che i suoi vecchi lo abbiano buttato fuori di casa, coi modi che si ritrova - commentò Lunastorta staccando le spalle dal tronco dove era appoggiato, per affiancarsi all’amico con gli occhiali.
- Screanzato? Farfallone? – il ragazzo dai capelli bruni e lisci inarcò un sopraciglio, una pennellata di nero sulla pelle vellutata – Ti sei controllato per riguardo alle signore? –
- Davvero, Felpato, dovremmo mostrare la strada ai pivelli, prima che il vecchio Argus decida di appenderli per i pollici a qualche trave… -
Si scambiarono sguardi di identica complicità e poi esplosero in una nuova risata, di cuore, per qualcosa che, era evidente, conoscevano loro soltanto.
La faccia di Ron era sempre più contrariata, mentre squadrava con evidente diffidenza quei tre ragazzi che erano apparsi da nulla.
Tuttavia i suoi timori, come quelli di Hermione, erano del tutto infondati. Quei ragazzi erano studenti di Hogwarts e lui sapeva benissimo che facevano parte del Gryffindor, anche se non riusciva a collocarli esattamente in nessun momento vissuto a scuola.
Indossavano la divisa, in vari gradi di domestica trascuratezza che assumeva un aspetto di volta in volta disinvolto, nel ragazzo con gli occhiali che portava il maglione sulla camicia fuori dai pantaloni e la cravatta allentata; un po’ gualcito e fuori moda nel ragazzo dai capelli castani che gli altri avevano chiamato Lunastorta; e, infine, di negligente eleganza nel ragazzo dagli occhi grigi.
Quest’ultimo portava i baveri della camicia candida rialzati a sfiorargli il tratto deciso e delicato della mandibola, come se l’avessero sorpreso un istante prima di mettersi la cravatta, semivestito e non per questo meno attraente.
Accorgendosi che lo guardavano sorrise, con una grazia irresistibile che parve convogliare ogni barlume di luce disciolto nella notte.
- Andiamo – disse – Raccogliamo questi ragazzini e riportiamoli alla base. Comincia a essere tardi e la Foresta è un posto pericoloso -
Gli altri si dichiararono d’accordo e voltarono appena loro le spalle, incamminandosi e invitandoli tacitamente a seguirli.
Harry tese una mano con un nodo di pianto e di gioia nella gola dei quali non riusciva a comprendere il motivo. Sapeva soltanto che voleva seguire quei ragazzi con tutte le sue forze; che si sarebbe accontentato di osservare da lontano e di sorridere alla loro spensieratezza nello sforzo di custodirla dentro di sé a ogni costo.
Il suo sguardo scivolava sul sorriso del ragazzo chiamato Lunastorta, con affetto, per poi soffermarsi su Felpato, e allora una morsa gli stritolava il petto e lui non riusciva a spiegarsi il perché. I suoi occhi però erano sempre, irresistibilmente attratti dall’altro ragazzo, Ramoso.
Lo seguivano nelle sue evoluzioni disinvolte quando, insieme agli altri amici, intesseva il tragitto nella Foresta con le sue burle e l’eco della sua voce piena e allegra sembrava diffondersi nel buio disperdendo all’istante i fruscii che prima lo avevano spaventato, proteggendolo dagli occhi malevoli che lo avevano spiato.
Insieme agli amici giocava a nascondersi tra i tronchi poderosi, velati dalla nebbia spessa e viscida della notte; nulla sembrava spaventarlo, come se fosse realmente invulnerabile, lui e gli altri, alle minacce nascoste nel folto della Foresta. A un certo punto sparì alla vista ma, prima che Harry sentisse le ginocchia mancargli e l’angoscia farsi troppo forte per poterlo sopportare, sbucò da dietro un cespuglio dritto sulla schiena di Lunastorta che fece un salto e cacciò un urlo poco virile.
- Non è divertente James, non è affatto divertente! -
James.
- Sì che lo è! Terribilmente divertente – l’altro rise – Che cosa credevi fosse, Moony? Un licantropo forse? -
Questa battuta gli valse una risata da parte di Felpato e un’occhiata esasperata da parte di Lunastorta che però fu svelto a lasciarsi rabbonire, quando James gli diede un’amichevole stretta al collo.
Harry sentiva Ron e Hermione vicini, che camminavano accanto a lui, ma non si voltò verso di loro, non voleva che lo vedessero così, a sorridere come un idiota battendo le palpebre per disperdere le lacrime.
Gli altri tre ragazzi cominciarono a cantare una versione stonatissima dell’inno di Hogwarts, decorandola con gemiti agghiaccianti, strofe in falsetto e versacci buffi, mentre continuavano a rincorrersi tra gli stracci di nebbia che si impigliavano, strappandosi, trai rami bassi dei cespugli, alla luce della luna che andava facendosi sempre più forte a mano a mano che uscivano dal folto del bosco.
La sagoma del Castello emergeva dalle brume del lago, le mura poderose ingentilite dalle luci delle finestre.
I tre ragazzi li salutarono con la mano, sembravano terribilmente lontani, adesso.
- La prossima volta state attenti, pivelli, si possono fare brutti incontri nel bosco! – urlò Felpato.
- Per esempio dei lupi mannari – gli fece eco Ramoso.
Papà, aspetta.
- E falla finita! – Lunastorta diede un pugno scherzoso sul braccio di James.
- Ramoso, perdonami a battuta ovvia e trita, ma forse sarebbe il caso di andare a controllare cosa sta facendo la tua ragazza … -
Non andartene, è troppo presto e io non sono ancora pronto.
I tre ragazzi esplosero in una risata che sembrò soffiare insieme al vento, intrecciandosi alle foglie tenere e mosse i fili argentei a cui erano appese campanelle invisibili che continuarono il loro rintocco struggente, anche quando il vento ne portò l’eco lontano da loro.
***

- Harry! -
La mano aggrappata al braccio con cui si puntellava il mento provocò una frana del volto, occhiali, frammenti di espressione, tutto.
Terry Steeval aveva concluso il suo racconto e Anthony Goldstein stava facendo un’osservazione, la voce calda e riposante come sempre – Ci sono parecchie varianti di questa storia. Di solito però si conclude con un ritorno tranquillo e chi riporta indietro i dispersi è un gruppo di sconosciuti che poi si scopre essere gli spiriti di altri ragazzi che invece non sono mai più tornati a casa -
Mai più tornati a casa.
- Oppure è una singola persona che lascia indietro un oggetto suo, utilizzato per risalire alla sua identità, scoprendo immancabilmente che si tratta di una persona morta nei luoghi o nelle circostanze in cui si è manifestata o magari una persona collegata in qualche modo a quella a cui è apparsa -
- Molto più rassicurante di quella del tizio che si appende alla coda delle scope e poi abbatte il pilota a colpi d’ascia – disse Terry con un gran sorriso – Almeno questo tipo di storia contiene un messaggio positivo –
Incurante della conversazione, Hermione continuò a fissare Harry, toccandolo appena, in un gesto inconsapevole e rassicurante.
- Harry, tutto bene? -
Il ragazzo riscosse girando automaticamente il viso verso una spalla, un istintivo gesto di protezione, mentre il braccio correva sugli occhi.
- Mi ero addormentato, scusa Hermione -
La lana ruvida del maglione strofinata contro le palpebre era un ottimo alibi per il rossore degli occhi, il sonno la scusa adatta per potersene finalmente andare.
Il sorriso che rivolse all’amica si sgretolò, veloce, gli occhi si abbassarono sulla mano che ancora indugiava sopra il suo braccio.
Un tenue sorriso segnò la riconciliazione per un litigio mai avvenuto, intorno al quale giravano, timorosi, da qualche giorno a quella parte.
Harry, ti devo parlare.
Il colore livido del cielo, all’interno della stanza del settimo Gryffindor e l’unica parola che lo aveva soffocato come un boccone avvelenato, prima di sputarla addosso a lei.
Vattene.
- Va tutto bene? – le domandò lei, sommessa.
Hermione sollevò una mano per posargliela, di nuovo, sul braccio, ma l’indecisione tradita da quel gesto incontrò la condanna ferita di un paio di occhi grigi che la trafissero prima di ritornare nel buio da cui erano usciti.
Quella domanda non si riferiva soltanto agli alle palpebre arrossate e all’espressione smarrita che sapeva di portare stampata in viso. Harry lo comprese e, istintivamente, posò una mano su quella di lei.
- Sai, - disse, in un tono che avrebbe voluto scherzoso – credo di averti sognata -
L’impulso successivo fu sollevare lo sguardo per scandagliare le ombre dall’altro lato della saletta.
Sapeva di trovarlo come l’altro sapeva benissimo che l’avrebbe cercato.
Lei era l’unica cosa che potevano avere in comune due nemici: un campo su cui massacrarsi.

You're running after something
That you'll never kill
If this is what you want
Then fire at will

My Chemical Romance, Thank you for venom

Adesso Draco Malfoy lo stava osservando, il volto parzialmente mascherato dalle ombre, dove la luce della candela non arrivava a toccargli il viso.
Nonostante questo, nella rigidità delle spalle, nel tamburellare delle dita sul ripiano del tavolo, nella linea delle labbra, poteva leggere ogni carattere dell’ultimatum che gli aveva porto qualche giorno prima, in quel parco invaso da un sole autunnale che creava l’illusione di una primavera risvegliata per sbaglio dal suo sonno segreto.
Lentamente, il giovane si piegò in avanti, appoggiando entrambi gli avambracci sul tavolo. La studiata pigrizia di quel gesto non dissimulava la tensione che emanava dalla sua persona, né il deliberato chinarsi del volto, per gettargli uno sguardo, da sotto in su, che era l’aperto invito ad arretrare oltre la linea di confine, nella zona di sua competenza, quella, per intendersi, più lontana possibile dalla sua ragazza
Harry Potter aveva sempre saputo che al tavolo delle trattative ci sarebbe stato qualche intoppo.
Le delegazioni erano più occupate ad sgomberare le ambasciate che a preoccuparsi dei protocolli, i generali affilavano le spade.
Sì, si disse Harry, prima o poi qualcuno sarebbe stato sorpreso in clandestinità oltre la frontiera e giustiziato a vista, senza processo.
***


If you weren’t ever coming back
Why didn’t you just tell me that
Dressed in sex and stardust lies
Subconscious dreams are so unkind
Sometimes I hear your voice

Darling Violetta, Beautiful

- Draco, vecchio mio, hai trovato qualcosa di interessante sul fondo del bicchiere? -
Una breve risata, gaia e priva di spensieratezza.
- No, infatti adesso sto cercando sul fondo della bottiglia -
Era evidente che Blaise Zabini, da buon amico, aveva deciso di aiutarlo nelle ricerche, perché si versò una razione generosa di liquore nel bicchiere, poi lo sollevò in un brindisi generico e nemmeno troppo ironico, alla riuscita di quella serata.
Hermione osservò lo sguardo silenzioso che si lanciarono poi attese, paziente, che Draco ammettesse, tacitamente, di aver notato la sua presenza.
Si era alzata - turbando appena il filo delle chiacchiere tranquille dei ragazzi Ravenclaw, la quiete argentina delle voci femminili, il fermo calore di quelle maschili, parasoli di seta cinese in un uragano - e lo aveva raggiunto sospinta dall’irritazione e da quella strana nostalgia che la coglieva ogni qual volta c’erano pause di distacco tra loro.
Blaise Zabini non girò nemmeno lo sguardo nella sua direzione, ma, impassibile come una scultura, abbandonò il campo, lasciandolo nelle sue mani, come se lei avesse saputo esattamente cosa farsene.
In silenzio appoggiò entrambe le mani sul ripiano del tavolo, lucido e profumato di cera, studiando le graffiature e le macchie lasciate sulla sua superficie dagli anni. Draco le girò intorno, un movimento in apparenza distratto, con cui si avvicinò al vassoio d’argento con la bottiglia di cristallo e i bicchieri che si trovava alla sua destra.
Cincischiò col tappo sfaccettato della bottiglia, lasciò cadere qualche goccia nel bicchiere ancora pieno per metà, le gettò, da sotto le ciglia, uno sguardo che avrebbe liquefatto anche il granito.
Lei sollevò il mento e sostenne i suoi occhi, le mani premute con forza sul tavolo; forse, si disse lei, per impedirle di mettergliele intorno al collo e non per delle carezze; e forse, ammise con una parte infinitesimale dei suoi pensieri, per evitare che tremassero.
Era passato troppo poco tempo, lui le faceva ancora quell’effetto.
Sogguardandolo spostarsi di nuovo intorno a lei, lento, senza toglierle di dosso quegli occhi freddi, sfiorandola con deliberata casualità, si domandò se mai si sarebbe abituata completamente alla sua presenza.
Era una trazione sottile, una vibrazione dei sensori della pelle che avvertivano la sua vicinanza e poi qualcosa di più primitivo, mentre le girava intorno con l’ipnotica regolarità della fiera che aspetta solo il momento perfetto per attaccare.
- Sembri nervosa -
La dolcezza ironica della sua voce bassa, intima, racchiudeva appieno mille corollari ai suoi pensieri che lui aveva intuito con una sicurezza istintiva.
- Non mi stai rendendo le cose facili - sussurrò.
- Non ho mai detto che lo avrei fatto –
Limpida e di gola, la sua voce era una lusinga impalpabile, era la certezza di qualcosa di tenero e oscuro che avrebbe consumato insieme a lei da lì a poco.
Dietro quella calma apparente, era contrariato e non si dava nemmeno la pena di nasconderglielo, semplicemente il suo autocontrollo era l’abito che avrebbe smesso solo se provocato oltre misura.
La guardò ancora, nuda riprovazione questa volta.
- Che dolce, - disse con una tenerezza ineffabile che le fece risuonare dentro una sinfonia di campanelli d’allarme – ti ha sognata -
Il disprezzo era tangibile al punto che avrebbe potuto tagliarlo con un coltello o forse, era esso stesso un coltello.
- Allora ci senti, Malfoy – gli rispose, calma – quando decidi di farlo -
La tensione adesso era talmente forte che lei fantasticava, con timore e anticipazione, sul momento in cui l’avrebbe sentita addosso.
Anche i momenti in cui lo odiava erano confuse vampate di calore e collera incandescente in cui le carezze e gli schiaffi si sarebbero confusi fino a rivelare quel nucleo di violenza che risiede in ogni passione.
- Abbastanza da farmi recedere dalla decisione di ammazzarlo – spiegò lui in tono discorsivo – Sai, non vorrei che il suo sonno eterno fosse allietato da sogni che possono irritarmi –
- Ti rendi conto da solo dell’assurdità dei tuoi argomenti o preferisci che sia io a sottolinearla? –
Se la sua lingua poteva essere più rapida e velenosa di quella di qualsiasi serpente, non poteva certo credere di poterla tacitare con così poco.
- Credo di averti già detto che devo avere un motivo valido per discutere con te. Non ritengo tale l’oggetto di questa conversazione -
- Allora perché l’hai cominciata? –
- Attenta –
- Sono attenta –
Si studiarono per un lungo momento, in silenzio. Le chiacchiere di sottofondo erano una nenia monotona, la calma relegata in un punto lontano dalla loro tregua armata. La luce del camino illuminava il cerchio di persone tenendo, per contrasto, loro due in un’alcova d’ombra. Intimità soltanto apparente, Hermione poteva immaginare che molti degli altri avessero un orecchio rivolto alle chiacchiere salottiere e l’altro a captare le loro parole.
- Che cosa vuoi farne di questo momento, Malfoy? – gli domandò, con semplicità – Trasformarlo in un litigio? -
Lui spalancò leggermente gli occhi, facendole capire di averlo preso in contropiede, tuttavia piegò la testa di lato come se volesse soppesare attentamente le sue parole prima di risponderle, così i capelli scivolarono a sfiorargli la guancia, soffici, biondi come miele chiaro. Lei tese una mano, nel gesto amato e consueto, ravviandoglieli dietro l’orecchio, seta soffice e pelle calda e delicata sotto le sue dita. Lui non si mosse, tranne il reclinarsi impercettibile della testa per assecondare il suo movimento e accentuare il contatto con la sua mano. Gli occhi grigi rimasero inchiodati ai suoi, nuvole chiaroscure li attraversavano, velandone la limpidezza di una miriade di pensieri. - Stai cercando di manipolarmi? -
Gentilezza quasi priva di sottintesi nel suo tono, adesso. Lei comprese di poter prolungare quella carezza e gli lasciò scivolare la mano verso la nuca, posando il palmo sul suo collo.
- Dei due, non sono io a chiamarmi Draco Malfoy -
Vide la scintilla di una risata incendiargli lo sguardo prima di raggiungere le labbra. Spostò la mano dal suo collo alla spalla dove le labbra di lui la raggiunsero per un rapido bacio.
Che cosa vuoi farne di questo momento?
Dopodichè lasciò ricadere la mano mente lui indietreggiava di un passo. Le tenne discosta una sedia, formale ed educato, per invitarla tacitamente a sedersi, poi prese posto accanto a lei. Subito accolse l’invito della mano che lei lasciò tra le loro sedie, nascosta dal tavolo, e le sue dita, fredde come ogni volta che si innervosiva, strinsero quelle di lei, lasciandosi scaldare.
Il contraccolpo di emozione al cuore era previsto, ma non per questo fu meno violento. Hermione si portò la sua mano in grembo e la coprì anche con l’altra, crogiolandosi nella sensazione di essere libera di riempirla di carezze.
Lui, con un sospiro, si sollevò quel tanto che bastava per unire la sedia alla sua.
***

And I feel like I'm being eaten
by a thousand million shivering furry holes
and I know that in the morning
I will wake up
in the shivering cold
and the spiderman
is always
hungry …

The Cure, Lullaby


Qualcuno aveva tirato fuori un cesto di noci e castagne e adesso si stavano divertendo ad aprirle a colpi di bacchetta e a gettare i gusci nel fuoco.
Nemmeno un minuto prima, Daphne aveva praticamente fatto esplodere il guscio di una noce i cui frammenti avevano accidentalmente raggiunto la faccia di Ronald Weasley.
Poco male, pensò Blaise, eventuali cicatrici si sarebbero potute confondere comodamente con quella marea di ineleganti lentiggini, inoltre per suo sommo giubilo il Migliore Amico avrebbe avuto qualcos’altro di sgradevole in comune con Potter, a parte l’idiozia, ovvio. Zabini scosse il capo, perplesso: da che esisteva il mondo, una cicatrice era più o meno una tragedia. Bene inteso, non che il Ragazzo Sopravvissuto avesse chissà quali lineamenti perfetti da preservare, ma al suo posto lui sarebbe corso dal miglior Guaritore di Magia Estetica in circolazione per rimediare al disastro, non se ne sarebbe andato in giro tranquillo e orgoglioso con quello sfregio a sfigurargli la fronte (la sua era liscia e marmorea anche senza ricorrere alla Fattura del Botulino).
Anzi, a pensarci bene, visto che aveva l’aria di una deturpazione irreparabile, nei suoi panni, avrebbe preferito che il famoso Avada Kedavra fosse andato a buon fine. Ma quelle, del resto, erano scelte personali e non poteva pretendere che tutti possedessero il coraggio di affrontare la morte in nome di un nobile ideale.
Spostò di nuovo lo sguardo da Harry Potter, che sembrava abbacchiato e aveva, se possibile, l’aria ancora meno intelligente del solito, a Ronald Weasley, soffermandosi su di lui con una blanda curiosità accademica che era più o meno l’unico motivo che poteva spingerlo a notare l’esistenza di quel bipede a pelo rosso.
A proposito di creature inferiori, il Re stava osservando, da un pezzo, con palese diffidenza, i ciocchi di legno ammucchiati in una cesta vicino al camino. Blaise estrasse dal taschino della giacca il portasigarette d’argento e si infilò una sigaretta tra le labbra; prevedibile come un’armata di Gryffindor nel luogo giusto al momento sbagliato, Daphne gli sventolò la mano impaziente sotto il naso e lui vi depose il portasigarette che, un attimo dopo, gli veniva ributtato in grembo senza garbo né ringraziamento.
- Di nulla – mormorò nascondendo un sorriso che ebbe in risposta solo uno sbuffo irritato.
La cesta, per quanto lo riguardava, conteneva normalissimi ciocchi di legno, a meno che tutti non si fossero sbagliati di grosso e non fossero in realtà Mangiamorte che, per cause di servizio, avevano corretto con la segatura la loro Pozione Polisucco.
Sui normalissimi ciocchi, però, brulicava una certa quantità di ragnetti scuri che zampettavano alacremente forse sospettando che, se non si fossero affrettati a sgomberare il campo, molto presto sarebbero finiti arrosto.
Colto da improvvisa ispirazione, Blaise, mascherando abilmente il movimento della bacchetta con quello, banale, per accendere la sigaretta, mormorò – Relascio
Uno o due ragnetti volarono dalla cesta al bordo del tappeto, quasi sul piede di Ronald Weasley. Il Re impallidì e si tirò precipitosamente indietro nemmeno avesse avuto davanti la McGranitt in sottoveste e di umore particolarmente romantico.
Terry Steeval aveva raccontato una sfilza di storielle abbastanza raccapriccianti, da quella della vecchietta che per asciugare il cane aveva puntato la bacchetta e detto Incendio; a quella della studentessa di Hogwarts che riceveva gufi anonimi in continuazione e aveva scoperto che provenivano dalla guferia della scuola solo tre minuti prima di essere sgozzata. Ginny Weasley aveva rincarato la dose con quella della tizia che, per scommessa, era andata di notte nel cimitero di Hogsmeade ed era rimasta impigliata con l’orlo del mantello al bordo di una pietra tombale, così, credendo che fosse una mano sbucata dalla tomba, ci era rimasta d’infarto a causa dello spavento.
Seguendo l’estro del momento, Blaise richiamò l’attenzione generale con un gesto leggiadro della mano.
- Ho sentito una storia abbastanza verosimile -
Soddisfatto, si accorse di essere riuscito a dare alla propria, splendida voce, l’intonazione desiderata, a metà tra la confidenza e una certa, pudica, reticenza, che poteva soltanto stimolare la curiosità.
Le Blue Ladies lo guardavano con occhi amorevoli, che rilucevano di tutta la loro predilezione per lui.
Daphne sbuffò.
- Verosimile – ripeté, con evidente scherno.
- Non sto scherzando – replicò lui, serio – Tempo fa l’ho sentita raccontare dal nostro chiarissimo docente di Cura delle Creature Magiche alla nostra illustrissima insegnante di Trasfigurazione. Vi dirò, sembrava anche molto preoccupato -
- C’era stata una moria di Vermicoli Venefici? – intervenne una voce fredda e strascicata alle sue spalle.
Sussulti di Gryffindor indignati, nella loro trincea dall’altro lato del camino, una voce dolce di donna, con parole indistinte di rimprovero, sedava quel guizzo di Umorismo Malfoy.
Blaise si schiarì, con discrezione, la voce, e attese, paziente, che si facesse silenzio, poi continuò – Una situazione simile si era verificata anni or sono e aveva creato non pochi problemi alla scuola. Purtroppo, sembra che ci siano fondati motivi per ritenere che la storia si stia ripetendo
Teste che annuivano da parte dei Ravenclaw, pieni di sincera curiosità; sguardi giustamente allarmati da parte dei Gryffindor che, di solito, quando la storia si ripeteva, finivano immancabilmente per ritrovarsi pietrificati in Infermeria, a sgozzare galletti o con una sorella che sgozza galletti, a un rendez-vous con un Basilisco, in mezzo a uno zoo di Animagi e mannari e Piton incavolato come una bestia, oppure legati a un lapide con una fetta di braccio in meno e, di sicuro, con il numero dei parenti vivi in forte calo.
- C’era una specie di creature maligne – disse Zabini, in tono accuratamente vago, dosando bene e parole – che vivevano nel castello. Molto pericolose, a quanto pare -
- Oh! – i fatati occhi blu di Tess Steeval erano sgomenti – Parli degli alligatori che vivono nelle fogne di Hogwarts? –
Molte paia d’occhi si spostarono da Zabini a lei e Jalice Love mormorò a bassa voce – E’ vero, questo fatto degli alligatori, me lo ha raccontato l’amico di un cugino del fratellastro della cognata di Warrington –
- Allora sarà sicuramente vero – esalò Reese in tono ancora più sommesso – il cugino del fratellastro della cognata di The War è una fonte attendibile -
Blaise attese nuovamente che si creasse la giusta aspettativa e lasciò cadere lì, con studiata gravità – Non si tratta di alligatori, ma di una rarissima specie di ragni velenosi –
Ebbe la soddisfazione di vedere Weasley che impallidiva nemmeno avesse avuto davanti la McGranitt in sottoveste e di umore particolarmente romantico che inoltre lo invitava a una cosa a tre con Piton.
- Dannato inferno – imprecò il Re – Non è vero -
- Pare che questo tipo di ragni ami nidificare nelle travi delle Torri – continuò Zabini ignorando l’obiezione e suscitando un’ulteriore deflusso di sangue dal viso di Weasley.
- Il nostro professore emerito di Cura delle Creature Magiche stava per l’appunto raccontando all’eccellentissima professoressa di Trasfigurazione, che anni fa un ragazzo era stato punto nel sonno, in testa, da quello che sembrava un innocuo ragnetto. Si era svegliato, ma naturalmente non aveva dato importanza alla cosa. Qualche giorno dopo lo avevano portato d’urgenza in infermeria a causa di dolori atroci alla testa e di allucinazioni terribili –
In breve, era stato necessario trasferire il ragazzo al San Mungo dove, avevano presto scoperto una realtà molto sgradevole: quando il ragno aveva punto il ragazzo, aveva deposto delle uova che si erano schiuse nella sua testa…
Il volto di Ronald Weasley aveva assunto una gradevole sfumatura tra il verde e il grigio che, pensava Zabini, si accordava molto male col colore chiassoso dei suoi capelli.
- Io credo che andrò a dormire – Ronald Weasley si alzò, precipitoso, fissando la porta con un desiderio che lo proiettava già a miglia di distanza da lì.
- Non è una cattiva idea – Harry Potter si alzò a sua volta.
Ginny Weasley si attardò per dare la buona notte alle Blue Ladies e ai ragazzi Ravenclaw, Ron Weasley guardava di sottecchi in direzione di Daphne che, fissava il pavimento, in attesa.
Le chiacchiere delle Blue Ladies e gli accenti più profondi di Steeval e Goldstein, che salutavano i ragazzi Gryffindor non riuscivano a distendere quel momento così teso che tutti, in un modo o nell’altro, non potevano fare a meno di avvertire. Infine Daphne parve decidersi e, con riluttanza, fece per avvicinarsi a Weasley.
Blaise Zabini abbandonò il braccio sinistro lungo la sponda della poltrona e mosse la bacchetta in silenzio – Aracnis – esalò, appena con un filo di voce.
- Ma che roba è? – esclamò Daphne, sorpresa, per nulla spaventata. Con un gesto infastidito, ma tranquillo, spazzò via dal braccio un paio di ragnetti che zampettavano tranquilli sul suo maglione bianco aderente.
Ronald Weasley invece la guardò, inorridito, e fece un salto indietro, Daphne lo fissò a bocca aperta, lasciando ricadere lungo il fianco la mano ancora tesa verso di lui.
- Weasley, - proferì, la voce molto simile al suono prodotto dall’attrito tra due faglie di ghiaccio – che razza di comportamento è mai questo. Non puoi controllarti? -
Con le orecchie rosse per l’imbarazzo, Ronald Weasley, forse per dimostrare di essere ancora all’altezza del suo soprannome, si diresse regalmente verso la porta seguito dal lampo freddo di un paio di occhi verdi che si soffermarono su di lui, duri come sassi nelle mani di un teppista.
- Daphne – disse lui, con una mano sulla maniglia, – Vieni via? -
Lei non rispose, ma non prima di aver atteso, con ostinata pazienza, che lui si voltasse a guardarla.
- Sì, ma non con te –
***

Don't you forget I get what I want
All I want is you
Red rubies, daffodils
Gentle breezes and windowsills
Starlight silver radiation

Darling Violetta, Spoiled and Rotten

Il parafuoco proveniva dalla sala comune di Slytherin. Un cimelio dell’anteguerra, non si sa quale. Serpenti di ferro battuto che si intrecciavano intorno a tralci di spine, proiettando ombre contorte sul tappeto.
Sulla sua mano, tatuaggi di impressioni volatili, destinate a perdersi nel fumo che saliva verso il buio del cielo.
- Hai finito di giocare alle ombre cinesi? -
Brusca, la voce di Daphne Greengrass non conteneva traccia di quelle incrinature acute, accuratamente femminili, che denunciavano la raggiunta frontiera di una gracile tolleranza.
Ma lei, in fondo, creatura cantata nei miti, corpo di dea e cuore di serpente, portava nelle mani una capacità di sopportazione così imprevedibile da essere un’arma troppo infida anche per essere usata in una guerra.
Rischiava di esplodere nelle mani sbagliate.
Seduta al suo fianco, a respirare fumo di legna e di rose selvatiche, bruma nel buio, indurita da un’ira silenziosa, si piegava appena, ma solo come un nerbo pronto a scattare in tutta la sua brutalità.
- Sì, ho finito, di giocare -
Le sfumature si aprivano, delicate corolle di fiori mortali, intorno all’essenza della sua voce, nettare dorato e veleno.
Centellinò le parole come la feccia di un calice, un attimo prima di rovesciarlo per sacrificare le ultime gocce; come la conta dei secondi prima di scagliare una maledizione, quei tre istanti scanditi solo per indicare, sadici, la spada di Damocle che cala e troppo brevi per evitare la sua lama.
Lei infatti vibrò del gesto con cui si volse di scatto a guardarlo, fredda e tempestosa – Hai intenzione di stare zitto? –
Quel sibilo di taglio aveva smesso di scalfirlo da tempo perchè riconosceva le implicazioni della vicinanza; essere il primo bersaglio significava, in ultima analisi, essere il bersaglio più prossimo. Bersaglio e scudo, poi la freccia avvelenata della provocazione.
- E tu hai intenzione di lasciarti ancora umiliare così? -
Daphne si alzò, la grazia innata che non celava del tutto l’impeto d’ira che aveva dettato quel movimento, e si diresse verso il tavolo e le bottiglie di Firewhisky.
Anthony Goldstein continuò a raccontare, indisturbato, la gustosa storiella della ragazza scoperta accidentalmente dal futuro sposo mentre intratteneva il di lui testimone in quello che sarebbe dovuto essere il nido futuro d’amore.
- …Lui però esce di casa senza farsi notare e non dice nulla. Il giorno dopo si presenta lo stesso sull’altare e alla domanda di rito: vuoi tu prendere come tua legittima eccetera eccetera, risponde tranquillamente un bel no; poi dice ad alta voce, al testimone, “Magari puoi sposartela tu questa Donna Scarlatta, così continuate quello che stavate facendo ieri notte nel mio letto”; infine si gira verso gli invitati e conclude “Andate pure alla cena nuziale, tanto pagano i genitori della Donna Scarlatta” -
- Lodevole – disse Blaise, distrattamente – Un’uscita in grande stile –
- Ma questa non è una leggenda metropolitana – disse Jalice Love – E’ successo davvero a un amico di un mio amico –
- L’ho sentita anche io questa storia – intervenne Reese Hewitt – Me l’ha raccontata un cugino del Northumberland di Susan Bones, che lo aveva saputo da un amico di un altro cugino alla lontana, però forse ho capito male perché doveva parlare a bassa voce: eravamo al funerale di Diggory … -
- Ma dai… -
- Stai scherzando -
- Giura –
Reese guardò le amiche, perplessa, forse un po’ dispiaciuta perché la sua parola era stata messa in dubbio – Non sto scherzando: giuro che eravamo al funerale di Diggory -
Anthony Goldstein spostava lo sguardo dall’una all’altra, seguendo quel surreale scambio di battute stile palleggio dei pazzi, del tutto impotente, non riuscendo a capacitarsi di aver scoperchiato un tale vaso di Pandora.
- Non ci riferivamo a quello, cara. Lo sappiamo che eri a quel funerale: ci sei venuta con noi – disse Tess, in tono affettuoso – In ogni caso, chi era lei? La sposa, intendo -
- La sorella maggiore di Josie Macnair – rispose Reese, immediatamente - Non mi ricordo mai come si chiama … -
- Stella – intervenne Jalice.
- Giusto, Stella. E’ successo a lei –
- Noooo …e com’è finita? –
- Beh – Reese scrollò le spalle – Tu avresti dato della Donna Scarlatta alla figlia di un boia per ben due volte di seguito? –
***

Justin Finch Fletchley, segretario del Club dei Duellanti, fece capolino dalla porta della saletta, denominata, forse con un po’ troppo ottimismo “Club House”, che era quasi mezzanotte.
L’esodo dei Gryffindor verso la loro Torre e l’inoltrarsi della notte, avevano causato un ulteriore slittamento verso la fase di relax. I ragazzi, che per quasi tutto il pomeriggio erano stati occupati a tenere lezioni al Club dei Duellanti per dimostrare ai professori che consideravano il duello una disciplina sportiva e non un metodo per il regolamento dei conti, erano a dir poco estenuati; la lunga serata di racconti a lume di camino non era stata riposante se non in parte, così, dopo che anche le Blue Ladies si erano ritirate – Tess si era sbracciata dalla soglia stile sposa di guerra che penzola dal parapetto del Queen Mary in partenza per l’Europa, dichiarando che andavano a mettere a punto due cosine per La Festa – gli ultimi rimasti si godevano chiacchiere a bassa voce, su argomenti poco impegnativi.
Terry Steeval si era quasi addormentato e Daphe Greengrass continuava a fumare chiusa in un silenzio cupo; anche Hermione si assopiva a tratti, sprofondando nei cuscini pesti di una poltrona accanto al fuoco, svegliandosi quando sentiva la voce di Draco intrecciarsi a quelle di Anthony Goldstein e di Blaise Zabini.
Draco si era seduto per terra, la schiena appoggiata alla sua poltrona, le lunghe gambe incrociate sul tappeto. Schiacciava noci tra le dita e gettava i gusci nel camino, il bicchiere al suo fianco, adesso, conteneva solo succo di zucca, e l’espressione del suo viso aveva riacquistato una serenità che lei amava osservare in tutte le sue sfumature, dal gesto disattento con cui avvicinava le mani bianche al parafiamma per scaldarsele, a quello, rilassato, con cui sciolse il nodo della cravatta che lasciò a penzolare intorno al collo.
Lei aveva una mano abbandonata sulla pelle consumata del bracciolo e per sfiorare i suoi capelli le sarebbe bastato spostarla di poco, ma al momento si stava godendo la semplice consapevolezza di averne la facoltà, di poter semplicemente protendersi per poterlo toccare a piacimento. Lui non si sarebbe opposto, ma avrebbe socchiuso gli occhi nell’espressione che ben conosceva, un felino soddisfatto, un serpente che raccoglieva le spire, permettendole di scaldare la sua pelle morbida e fredda.
Come se avesse colto il filo dei suoi pensieri, Draco si voltò sollevando il viso per guardarla.
Lei aveva una mano trai suoi capelli e poi sulla sua spalla ancora prima di rendersene conto.
Draco la coprì con la propria e lei fu grata di non aver partecipato alla conversazione, perché in quel momento sentiva una stretta alla gola che le soffocava la voce.
Quella di lui era velata, mentre rispondeva al saluto generico di Justin Finch Fletchley che entrava nella stanza.
Malfoy si schiarì la voce, senza lasciarle la mano, e accolse il suo segretario con un sogghigno.
- Torni sul luogo del misfatto? Le tue fidanzate sono appena andate via -
Justin fece una smorfia, ma, naturalmente, una rimostranza così blanda e garbata non poteva avere ragione di quella faccia di bronzo, così Malfoy scoppiò apertamente a ridere e gli rivolse un’occhiata apertamente canzonatoria. Anthony Goldstein si unì alla sua risata.
- Anthony, anche tu? -
Justin era il tipo di ragazzo che avrebbe reso furiosa d’orgoglio la metà delle madri e indotto l’altra metà a cercare di accalappiarlo per la propria figliola.
Il suo inglese colto e i suoi modi aristocratici facevano venire in mente battute di caccia e cognomi con un paio di secoli cadauno e contea d’ordinanza; energiche nonne nobildonne, in ghette e cappello di paglia, che si coltivavano da sole i piselli odorosi, mentre stuoli di cameriere lucidavano tiare e corone ducali.
Alle ore trascorse a snocciolare declinazioni latine e alle conferenze in frac all’ombra di Horace Warpole e Percy Bysshe Shelley, Justin aveva preferito respirare i fumi di un calderone e mandare a memoria formule magiche; ritratti che parlavano a quelli lugubri dei suoi antenati, incidenti che mai avrebbe potuto raccontare alla nonna col parasole e alle debuttanti che presto avrebbero cominciato a piazzargli sotto il naso.
Ogni tanto Hermione lo sorprendeva soppesare camicie splendenti di alcuni compagni e scarpe di disarmante lucore, confrontandole con le proprie giacche, vecchie e di splendida fattura e con le proprie valigie ereditate dal padre; poi scuoteva impercettibilmente la testa, nell’unico atteggiamento blasè che si concedeva, probabilmente chiedendosi quale fosse il concetto di “nuovi ricchi” nel Mondo dei Maghi.
Era il classico tipo che ci si sarebbe immaginato, imbacuccato in un vecchio giaccone di Burberry, a portare a spasso un paio di cagnoni affettuosi in una tenuta di campagna, mentre mamma organizzava il tè delle cinque.
Era il tipo che, da qualche giorno, mezza Hogwarts, compresa la povera, tragicamente incredula, professoressa Sprite, si immaginava coinvolto in un torrido convegno amoroso con Jalice Love e Reese Hewitt, contemporaneamente, proprio all’interno del Club dei Duellanti.
- Malfoy, – protestò Justin – avrei dovuto lasciare che ti rispedissero nel Wiltshire -
- Invece di essermi grato per essere diventato l’eroe di Paciok -
Hermione sospirò rumorosamente per manifestare la sua disapprovazione, Malfoy si limitò a farle una carezza furtiva sulla mano. Lei gli affondò un’unghia aguzza nel palmo e lui sobbalzò, rivolgendole un’occhiata di rimprovero.
- In ogni caso, credo che per stasera tu abbia finito di battere la fiacca, Malfoy – riprese Justin, in tono decisamente soddisfatto – Sta succedendo qualcosa di strano e sembrano tutti molto preoccupati. Stanno chiamando a raccolta i Caposcuola e Pansy non si trova, credo ti toccherà intervenire -
L’espressione di Malfoy si era rabbuiata, quella di Justin, invece, era alquanto compiaciuta.
Desolante.
Malfoy riusciva a instillare insani propositi di vendetta anche nel Piccolo Lord.
- Accidenti – Malfoy si passò una mano sul collo – Dove sarà Pansy? -
- E’ nelle cucine – rispose Blaise, pronto.
- E a fare cosa? –
- Sta stirando le mie camicie –
Tre paia d’occhi perplessi si spostarono automaticamente su di lui, i restanti due paia erano rivolti al soffitto in un atteggiamento di muta esasperazione.
- Deve fare esercizio – Blaise scrollò le spalle – E’ letteralmente un disastro -
- Ovunque sia – Justin sembrava particolarmente contento di rincarare la dose – Ti conviene andare a recuperarla, Malfoy. Piton vi sta cercando e anche la McGranitt, nessuno dei due sembra particolarmente contento di non avervi ancora trovato –
- Accidenti –
Justin non fece in tempo a godersi la sua contrarietà, che Padma Patil entrò a precipizio nella stanza. Era vestita in modo approssimativo, la camicetta sotto il maglione della divisa sembrava sbottonata e i capelli neri erano fissati sulla nuca da un semplice spillone di legno.
- Anthony – i suoi occhi neri si fermarono sull’altro Caposcuola di Ravenclaw – Abbiamo un problema -


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L’ispirazione di questa storia immagino sia abbastanza chiara: in parte Urban Legend e in generale le leggende metropolitane che si raccontano in giro, alcune riadattate allo scopo.
Per prima cosa volevo ringraziare moltissimo tutti quelli che hanno recensito Purify: è stata una sorpresa grandissima trovare tante persone dopo tutto quel tempo che non pubblicavo nulla. Grazie davvero a tutti, è stato bellissimo ritrovare, insieme a nomi nuovi, anche nomi di persone che leggevo tra le recensioni quando pubblicavo tempo fa ^____^

Questa storia è sempre dedicata alle persone che mi si sciroppano e che si sciroppani i paragrafetti parziali nel periodo di stesura con annessi e connessi di dubbi, lamentele e insulti ai Fondatori.
A Opalix soprattutto, che era con me quando è nata l’idea di questa fanfic e dopo averglielo comunicato si è astenuta dall’accoltellarmi nel sonno. Ha invece diviso con me, con enorme disinvoltura, l’imbarazzante momento dell’affitto di DVD non propriamente da Festival di Cannes, ricambiando lo sguardo sornione del tizio dietro il bancone e sollevando il Malfoyesco sopraciglio come a dire “Vabbuò, siamo quasi a The Skulls …e allora?”
A Euridice che mi ha controllato la timeline (ergo se ho sbagliato qualcosa è colpa sua :DD) e che ha detto arf e sniff con grande partecipazione e che quando le abbiamo riferito, tutte orgogliose, di aver visto un film che iniziava con un ululato a schermo nero ha detto, con aria di enorme sufficienza: “Dilettanti”
A Chiara che ha dei gusti più raffinati, ma che non disdegna di scendere di tanto in tanto (precipitare, meglio) al nostro livello.

Wherena, se ripassi ...grazie!! Non sono ancora brava con questo programma per l'HTML, quindi scusatemi!


Questa fic ha una seconda parte che è già pronta, devo solo correggerla, quindi per la pubblicazione non impiegherò una vita.
Grazie ancora a tutti ^_^

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Capitolo 2
*** Part #2: Lullabye for a Stormy Night ***


HL2
HOGWARTS LEGEND


[Part #2: Lullabye for a Stormy Night]




Black is the kiss, the touch of the serpent sun
It ain't the mark or the scar that makes you run
And run,
And run,
And run

My Chemical Romance, Thank you for the venom

Pansy Parkinson aveva l’aspetto stravolto di chi ha passato la giornata a potare un Tranello del Diavolo particolarmente infernale.
Gli occhi brillavano e le guance erano accese come se fosse stata preda di una febbre altissima. Hermione vide il suo sguardo oltrepassare, impaziente, Draco Malfoy, per poi frugare, frenetico, alle sue spalle, alla ricerca dell’ombra di Zabini.
Per la verità, la Caposcuola Slytherin doveva sapere benissimo che Zabini non aveva nessun motivo valido per trovarsi lì in quel momento, ma la remota possibilità che potesse succedere, bastava ad accenderla, come un fiammifero, di una vampata destinata a spegnersi presto in un fumo soffocante di zolfo.
Per colpa di quel giovane demonio che camminava un passo davanti a lei.
Gli effetti di un Filtro d’Amore, intensi e dolorosi, disorientamento e sofferenza che trovavano senso e causa solo nell’esistenza di una persona; desideri oscuri e dolcezza travolgente, sogni che erano come sangue che spandeva goccia a goccia da una vena recisa.
E lui le avrebbe inflitto tutto questo solo per averla.
Ma, del resto, che cosa aveva creduto?
Che lui non avrebbe usato una qualsiasi scorciatoia, quel viottolo sepolto nella boscaglia che serve per prendere l’avversario alla schiena?
Avvelenare i pozzi e bruciarsi città alle spalle.
Nessun espediente era troppo basso per una persona che conosceva a memoria ogni termine dei patti a cui era sceso con se stesso.
Draco fissava Pansy, tranquillo, troppo indifferente per essere veramente divertito. Aveva avuto la sua vendetta perché fosse chiaro – a se stesso non meno che agli altri – che non avrebbe mai lasciata impunita una colpa nei suoi confronti. La Viola di Slytherin aveva accumulato abbastanza debiti di quella natura, da riuscire a saldarli solo nel lungo periodo. Tuttavia la sua sofferenza non lo toccava: non era una benda da applicare alla ferita della loro storia finita o del duplice tradimento di un’amicizia.
Era solo una voce da depennare sul libro nero per poi non pensarci più.
- Che cosa ti succede? -
La precedeva di un passo e pur non guardandola direttamente, la sua voce era sicura nel porle quella domanda, tanto da spingerla a domandarsi se il suo intuito fosse davvero un’estensione di quello che provava per lei.
Draco Malfoy non era una persona sensibile, non nella comune accezione del termine, ma il suo istinto aveva qualcosa di disturbante, quando sembrava che la violenza di un’emozione potesse rompere anche l’argine del suo corpo e giungere fino a lui, per quanto lei potesse sforzarsi di mantenerla nei confini dell’autocontrollo.
Aveva un’inclinazione naturale per avvertire all’istante qualsiasi turbamento nella serenità altrui, ed era infallibile nel riconoscere un momento di debolezza, quel punto vulnerabile in cui scavare, il tallone in cui spezzare la punta di una freccia; il nervo scoperto con precisione chirurgica, su cui battere fino al tracollo dei nervi.
- Nulla -
- Stai mentendo –
Pansy aveva voltato loro le spalle e non poteva sentire i loro discorsi né la sicurezza del suo tono. Si era allontanata da loro come ci si allontana da una palude infetta.
Questo non le dispiaceva, nonostante i suoi pensieri volgessero, rapidi, verso la tempesta, desiderava poter restare sola con lui.
A litigare, a tacere, ma sola, insieme con lui.
Lui che aspettava in silenzio l’eventualità che volesse comunicargli qualcosa.
Non voleva sapere se per Pansy aveva avuto gli stessi silenzi e le stesse attese, quando l’amore artificiale del filtro gli era entrato in circolo.
Probabilmente no, Pansy lo amava e lottava da anni per averlo: chi gli aveva inflitto la condanna, gli aveva anche dato la grazia.
Non era stato lo stesso, quando aveva sospettato di amare lei, Hermione, quando il dolore e una rabbia inimmaginabile avevano consumato la sua resistenza.
Aveva sofferto.
Inciampare in quel pensiero la costrinse ad aggrapparsi alla sua mano per non cadere, o forse per trascinarlo con sé mentre cadeva.
Draco intrecciò le dita alle sue e ricambiò la sua stretta con la forza che, senza parole, gli aveva chiesto. Si fermò di colpo, cosicché lei gli finì addosso e per un lungo, estatico attimo, si appoggiò al suo fianco e alla sua spalla, sentì il suo sospiro come un’estensione del proprio.
- Nemmeno un minuto fa, sembrava volessi vedermi morto – disse lui e, voltando il capo, sfiorò con le labbra quella testa abbandonata contro la sua spalla – Adesso mi sei di nuovo …affezionata? -
Hermione ebbe quasi l’impulso di ridere: quando credeva di doverla trattare con circospezione, si rivolgeva a lei sempre in quel tono estremamente educato, ai limiti della formalità e i suoi eufemismi diventavano tali fino all’esasperazione.
- Già -
Lui sospirò ancora e riprese a camminare, adeguando il passo al suo. Erano soli, così lei si avvinghiò al suo braccio e gli appoggiò la guancia sotto la spalla.
- Sì, - mormorò lui, in tono basso e decisamente soddisfatto - sei molto affettuosa. Qualcuno ti ha già fatto notare i tuoi squilibri mentali o sono il primo anche in questo? -
La voce strascicata e cerimoniosa le fece vibrare le spalle di una risatina silenziosa, nondimeno si sentì in dovere di dargli un pizzicotto, visto che la sua frase era doppiamente oltraggiosa.
- No, non sei decisamente il primo - rispose, parodiando il suo tono e trascinando le parole in maniera esagerata – Ron mi dice in continuazione che sono pazza, ultimamente più del solito. Hai idea del motivo? -
- E’ superfluo farti notare che Weasley con le donne non ci sa davvero fare – rispose lui, con sufficienza – Non bisogna dirti che sei pazza: bisogna trattarti come tale senza fartelo capire –
Questa volta si guadagnò un pugno sul bicipite e scoppiò a ridere. Scesero una rampa di scale fino al pianerottolo del primo piano; Draco si voltò e le posò le mani intorno alla vita, aiutandola a saltare l’ultimo gradino.
Le sue mani le scivolarono sui fianchi, mentre la traeva a sé, poi l’abbracciò e chinò la testa verso il suo collo.
Labbra fresche e tenere l’accarezzarono sotto l’orecchio, ma la delicatezza di quel gesto era largamente bilanciata dalla sfacciataggine di una mano che risaliva, disinvolta, sotto la sua gonna.
Lei l’allontanò, strattonandogli il polso – Malfoy! C’è mezza scuola in giro stanotte! –
Ebbe come risposta un’altra risata sommessa, lui tirò indietro il viso per guardarla, un braccio che le cingeva ancora la vita, se c’era qualcosa che aveva sempre il potere di divertirlo era vedere la sua espressione scandalizzata.
- Andiamo a sbrigare in fretta questa seccatura, mia pudibonda Caposcuola – le disse – Così dopo potremo stare un po’ in un posto dove non c’è mezza scuola in giro -
- Quando ci saremo sbrigati sarò stanchissima – mormorò lei.
- Allora vorrà dire che quando ti riporterò al tuo dormitorio sarai distrutta -
Soffice e tentatrice, la sua voce era glassa da raccogliere con le dita sulla superficie di un dolce, era solo l’avvisaglia di quanto sarebbe successo dopo.
Quando si chinò per baciarla, chiuse gli occhi e gli porse le labbra aspettandosi il seguito appassionato di quella promessa. Il bacio vellutato che le toccò la guancia la colse completamente di sorpresa e, senza pensare, girò il viso per inseguire il suo, alla cieca: labbra, pelle serica, le ciglia che l’avevano sfiorata. Lui le racchiuse il volto tra due mani e le premette un altro bacio, casto, sulla fronte.
- Questo per dimostrare che tu con le donne ci sai fare? – tentò di scherzare lei. La voce rauca le cedette prima di riuscire a completare la frase.
Lui rise, piano, le mani ancora sul suo viso.
Aveva tanta luce negli occhi da rischiarare anche una notte di incubi e lei sentì male alla gola, la stretta della tenerezza talmente violenta da inumidirle le palpebre.
- Non è una fortuna che, in caso contrario, io possa sempre chiedere una consulenza a Paciock? -
***

Looking for the victim
Shivering in bed
Searching out fear in the gathering gloom


The Cure, Lullaby

Nella Sala d’Ingresso, c’era una grossa confusione di professori, Capiscuola, Prefetti, studenti e fantasmi e custode. I quadri ci mettevano del loro, facendo domande ad alta voce e allungando il collo dalle loro cornici per capire cosa stesse succedendo.
La Professoressa McGranitt era vestita di tutto punto nonostante l’ora, mentre il piccolo Professor Vitiuos aveva l’aria sconsolata di chi è stato interrotto durante la parte migliore del sonno. La Vicepreside spostò lo sguardo da Malfoy a Hermione senza che sul suo volto si registrasse una sola increspatura. Probabilmente aveva rimosso all’istante la sola idea che loro due stessero scendendo la medesima rampa di scale senza insultarsi, pensò Hermione; al contrario di Severus Piton, i cui occhi scuri e freddi come cubetti di fango ghiacciato, si soffermarono su di lei, malevoli.
- Credi che Piton sospetti qualcosa? – domandò sottovoce a Draco, senza guardarlo.
- Solo perché ti ha appena accoltellata con gli occhi? – fece lui, di rimando – No, è solo geloso: del resto tu gli hai dichiarato il tuo amore e adesso vai in giro con un altro –
La superò per raggiungere il direttore della sua Casa, lasciandola a mordersi le labbra per trattenere una risata. Hermione si premette il dorso della mano sulla bocca, emettendo qualche artistico colpo di tosse che le valse un’occhiata poco convinta della McGranitt e un’energica battuta sulle spalle da parte di Ron.
- Va meglio? – le domandò il ragazzo, serafico.
- Grazie, Ron – disse lei, ironica.
Lui le diede un ultimo colpo in mezzo alle scapole – E’ sempre un piacere –
Padma Patil e Anthony Goldstein erano occupati a sedare una piccola rivolta tra gli allievi di Ravenclaw che non volevano saperne di tornare nel loro dormitorio. Ragazzini del primo e del secondo anno, letteralmente terrorizzati, correvano ad ammucchiarsi dietro le spalle del Professor Vitious, con il solo risultato di rischiare di schiacciarlo. Quelli più grandi stavano mantenendo la calma, ma non per questo sembravano maggiormente disposti a mostrarsi ragionevoli.
Padma Patil aveva l’atteggiamento combattivo di chi si prepara a rimboccarsi le maniche e prendere i bambini per la collottola, rimandandoli di sopra a calci; Anthony cercava di mettere ordine con la sua voce calma e i modi pacati e decisi, senza, in verità, raggiungere più risultati della collega. Dal suo fianco, Tess si sbracciò all’indirizzo di Hermione come se la rivedesse dopo dieci anni o giù di lì.
- Signorina Granger, sei in ritardo, mi meraviglio di te - disse la Vicepreside in tono secco e, senza aspettare che lei si scusasse, proseguì – Sembra che sia sorto un problema nel dormitorio di Ravenclaw … -
- Ehi, Capogranger! –
Tess indossava il mantello della divisa, chiudendo il colletto sulla gola con una mano; sotto l’orlo inferiore spuntavano pantofoline dai tacchi alti, di vernice e piume turchesi, molto femminili e perfettamente intonate alla vestaglia di seta finissima che si intravedeva tra le falde del mantello.
- Non abbiamo ancora prove che sia in realtà successo qualcosa. Tuttavia se dovessimo capire che è così, la situazione si prospetterebbe alquanto difficile -
La Professoressa McGranitt stava parlando, e Hermione sollevò le sopraciglia e roteò gli occhi per segnalare a Tess di fare silenzio. Ron, approfittando di un momento in cui la McGranitt non stava guardando dalla loro parte, fece un gesto molto eloquente sollevando le palme al cielo e strabuzzando gli occhi. Per prima cosa Hermione pensò che gli avessero scagliato a tradimento una Maledizione Cruciatus, poi comprese che stava domandandosi quando diavolo la professoressa si sarebbe decisa a dire cosa stava succedendo e, allo stesso tempo, stava chiedendo lumi a Hermione. Lei però era troppo occupata a zittire Tess.
La Vicepreside non parve notare tutto quel tramestio, ma le sue narici fremettero.
- In ogni caso il Preside vuole che si faccia una perlustrazione dell’intero Castello, dalle soffitte ai sotterranei -
- Capogranger! Hai saputo la novità? –
Inutile, Tess non aveva intenzione di desistere.
- Vi darò istruzioni su chi e cosa cercare – continuò la McGranitt – State all’erta e comunicate via fantasma -
Di qualsiasi cosa si trattasse, non doveva avere lasciato strascichi eccessivi, a giudicare dalla disinvoltura delle Blue Ladies. Jalice Love, per la verità sembrava molto pallida, ma stava rimediando largamente al problema passandosi di nascosto il rossetto e una buona mano di rosa naturale sulle guance; Reese Hewitt teneva un braccio intorno alle spalle di Jalice, con aria incoraggiante e protettiva.
- A questo punto è il caso di dirvi cosa sta succedendo – la McGranitt guardò i ragazzi radunati intorno a lei e un’espressione di autentica preoccupazione le attraversò il volto; abbassò la voce nell’evidente sforzo di comunicare la cosa in modo delicato.
- E’ possibile che qualcuno si sia introdotto nella nostra scuola – riprese a bassa voce – Ma non allarmatevi prima del dovuto –
A giudicare dalle facce, la gente che aveva intorno non doveva considerare la cosa esattamente un inedito storico.
- Capogranger, è una cosa terribilmente eccitante! -
- E’ possibile che … - la McGranitt prese un respiro.
Tess sprizzava eccitazione da tutti i pori.
- C’è pazzo con l’ascia che gira intorno al nostro dormitorio! –
***

So many
Bright lights to cast a shadow
But can I speak?
Well is it hard understanding
I'm incomplete

My Chemical Romance, Famous Last Words



Testimone d’eccezione era stata Jalice Love. Reese Hewitt era arrivata in un secondo momento e Tess era intervenuta insieme a mezzo dormitorio Ravenclaw richiamato dalle urla disperate delle sue amiche.
Era andata più o meno così: Jalice e Reese erano uscite dal dormitorio per andarsene a fare la loro toilette in un più ampio e accogliente bagno riservato ai Prefetti o ai Capiscuola – le parole d’ordine ovviamente non erano un problema, visto che anche i pivelli del primo conoscevano quelle dei bagni riservati – solo che, poco fuori del loro dormitorio, avevano sentito un rumore strano. Avevano acceso le bacchette e avevano visto una porta aprirsi lentamente e…
E adesso tutti si ritrovavano a ricostruire la situazione in base ai ricordi di Jalice.
Hermione pensò che peggio di così non poteva andare.
- Quell’attrezzo con un bastone e una cosa tagliente in cima è un’ascia, vero? -
Evidentemente si sbagliava.
- Beh, anche una lancia è fatta così – osservò Reese Hewitt, piena di buon senso – Ma dovrei controllare -
Poteva andare peggio.
- Oh, - Jalice si guardò intorno, con aria delusa – Forse, dopotutto, era un pazzo con la lancia -
- L’ho intravisto anche io. Ma mi è sembrato che avesse un uncino – aggiunse Reese, timidamente, poi si affrettò a rassicurare l’amica – Non per contraddirti, tesoro. Vedrai che sicuramente era un’ascia o una lancia –
Era un incubo, e per nessun motivo che riguardasse pazzi con l’ascia, la lancia e simili quisquilie.
- Tesoro, - Jalice strinse affettuosamente la mano dell’amica – se anche dovesse risultare che era un uncino, non mi offenderei -
La verità era che non si riusciva assolutamente a venire a capo di quella faccenda. Da quel poco che si sapeva con sicurezza, verso le undici e mezza, Radio Strega Network e Radio Strega Rock e Radio Dimensione Strega, avevano allarmato la popolazione in merito a un’evasione da Azkaban: sembrava che un pazzo maniaco, condannato in passato per una serie di efferati delitti, fosse di nuovo in circolazione.
Gli Slytherin, a quel punto del racconto, si erano guardati, speranzosi, chiedendosi quale fosse il fortunato trai loro parenti.
- Malfoy, secondo me è tua zia – disse, in tono esperto, un pupetto ridicolmente piccolo, introdottosi clandestinamente nella saletta dei Caposcuola, dove si stava cercando di fare il punto della situazione.
Malfoy lo fissò, stupito e infastidito: difficilmente qualcuno gli si rivolgeva direttamente, specialmente trai più piccoli.
- Ci conosciamo? - domandò, freddo.
- Rosier, primo anno –
Rosier. Un’antichissima, onorata, famiglia di purosangue che aveva fornito ad Azkaban il suo doveroso tributo di presenze.
Malfoy si rilassò all’istante, poi considerò quanto aveva detto e scosse il capo, dubbioso. I suoi parenti – che da soli avevano fornito un valido pretesto per tenere aperte, e col personale a pieni ranghi, le patrie galere – erano evasi da parecchio tempo. Nonostante il Mondo Magico preferisse glissare sugli aspetti meno gradevoli della sua cronaca nera, la notizia che la famiglia Black-Malfoy-Lestrange aveva felicemente tagliato la corda, si era sparsa già alla fine del quinto anno.
Causando al rampollo, rimasto in quel di Hogwarts, non pochi problemi, tanto per chiosare.
- Non è lei? – bisbigliò il piccolo Rosier – Cioè, non voglio dire che tua zia è una pazza che se ne va in giro ad ammazzare gente, secondo me è solo una patriota … -
- E’ già evasa da tempo. Inoltre hanno detto che si tratta di un maschio – disse Malfoy.
Rosier annuì – Giusto – disse, assorbendo quella confutazione che poteva mettere un punto fermo alla faccenda.
- Fuori! -
Hermione Granger si erse in tutta la sua altezza davanti a quel soldo di cacio e gli indicò la porta – Non è prudente che i più piccoli stiano in giro, con quello che sta succedendo, trova immediatamente qualcuno che ti accompagni in Sala Grande -
Rosier la guardò in cagnesco, aveva capelli lisci e neri come spaghetti, limpidi occhioni azzurro chiaro,e un visetto, nemmeno troppo pulito, che lei avrebbe trovato adorabile, se non avesse avuto stampato sopra un ringhio da mettere spavento anche a una tigre inferocita.
– Stai attenta, Caposcuola Mezzosangue – abbaiò – Sono piccolo, ma sono anche potente e incavolato -
Prima che riuscisse ad aggiungere altro, Malfoy si alzò e gli indicò la porta verso la quale lo accompagnò, assicurandosi che uscisse – Qui sono ammessi solo i Caposcuola – disse – Torna immediatamente di sotto e rimani in Sala Grande. Se scopro che mi hai disobbedito te ne pentirai. Chiaro? -
Quello che complicava le cose in maniera spropositata, era che ciascuno raccontava una storia diversa. Padma Patil era talmente esausta che poco prima aveva mandato a chiamare la sorella e le aveva rifilato una cravatta di Ravenclaw. Adesso come Caposcuola di Ravenclaw c’era effettivamente una Padma Patil (l’altra si era eclissata per fumare), ma nessuno sapeva se fosse quella giusta.
Hermione pensò che bastava sventolarle sotto il naso un gustoso pettegolezzo e la sua comare Lavanda, per vederle gettare la maschera.
Tuttavia era troppo indaffarata per farlo: insieme a Anthony Goldstein stava rimettendo insieme, con pazienza, pezzi diversi di storia di almeno due dozzine di ragazzi di Ravenclaw del primo e del secondo anno.
Il maniaco era un tizio alto. No, era basso, replicava un altro. Aveva il naso adunco e i capelli unti. No, quello era Piton, che era andato a controllare che diavolo fosse tutto quel chiasso che arrivava fino ai sotterranei.
Il fantomatico pazzo, insomma, aveva un uncino al posto della mano. No, aveva delle lame al posto delle dita. Aveva una bacchetta in mano e sembrava sul punto di scagliare qualche Avada Kedavra a casaccio. No, no, quello era ancora Piton.
Portava una maschera bianca davanti alla faccia. No, la maschera era traforata. Aveva un vestito nero veramente brutto e un mantello nero, che, se possibile, era ancora più brutto. No, quello era sempre Piton, che era nero anche in faccia, a voler essere pignoli…
- Jalice – Anthony sembrava distrutto – Per favore, puoi ripetermi com’era vestito il maniaco? -
Se la stava interrogando per cercare di mettere ordine in quel caos, pensò Hermione, Anthony doveva essere davvero disperato.
- Beh – Jalice parve lievemente perplessa, come se non si fosse aspettata una domanda così ovvia – Esattamente come si presume debba essere vestito un maniaco -
- Vale a dire? -
- Male
Appunto.
Per sicurezza tutti i dormitori erano stati evacuati e gli studenti si stavano godendo una romantica nottata a far finta di dormire sotto le stelle della Sala Grande, come succedeva ogni volta che un pazzo assassino scappava da Azkaban, con gli occhi socchiusi, le orecchie e le antenne tese, modello Spioscopio di ultima generazione, pronte a captare ogni parola degli insegnanti o dei Capiscuola di guardia, e a dividerla, fraternamente, con il resto del corpo studentesco.
Pansy Parkinson, era ancora alla ricerca di Zabini, così affidò gli studenti più giovani a un Prefetto di Slytherin, Elinor Nott, una rossa snella e nervosa, sorella di Theodore Nott che al momento non era reperibile, ma che sicuramente era da qualche parte a osservare la luna.
Nott non era mai stato un tipo propriamente normale, però ultimamente, dopo la rischiata espulsione per via di un duello che aveva coinvolto lui e Malfoy - ma la cui responsabilità si erano dovuti addossare soltanto Nott e lei, Pansy, che gli aveva fatto da secondo – aveva cominciato seriamente a dare i numeri.
Tanto per cominciare Gregory Goyle sosteneva di averlo visto appollaiato sul bastioni dell’ala est mentre urlava verso la luna. Vincet Tiger, con un tono pesante come il piombo, aveva detto che in realtà Nott non stava urlando, ma ululando; e che subito dopo era corso da lui per chiedergli di controllare se gli fossero spuntati peli in faccia.
Adesso, Tiger non era sicuramente tipo da rispondere con cortesia a un tizio che pretendeva gli si facesse la conta dei peli, così gli aveva mollato un cazzotto. Quello allora si era messo a guaire per il dolore.
Poi aveva cercato di mordere Goyle.
La Caposcuola Pansy Parkinson, stava pensando a queste cose poco piacevoli, quando inciampò in un bimbo alto più o meno come due mele impilate.
- Di che Casa sei? – domandò, aguzzando la vista nella penombra della Sala Grande, dove gli insegnanti sorvegliavano il riposo apparente e forzato dei loro allievi.
- Slytherin – bisbigliò quello – Rosier -
Pansy gli diede una lieve scrollata alla spalla – Allora vai dai tuoi compagni –
Quello la guardò andare via e un’espressione determinata si disegnò sul suo visetto da monello - Non prima di averla fatta pagare a quella Caposcuola insolente – borbottò, sgattaiolando verso la porta.
***
- Ron, vieni con noi? -
Da sempre, Anthony Goldstein, aveva la posizione, tacitamente assegnatagli, di coordinatore delle attività dei Capiscuola. Era l’unico ad avere il carattere adatto: Hermione Granger, per esempio, era troppo rigorosa e autoritaria e qualcuno avrebbe finito per strozzarla, mentre Padma Patil aveva decisamente altri interessi; Draco Malfoy avrebbe probabilmente inviato Ron Weasley di ronda nelle fogne un giorno sì e l’altro pure, quindi era fuori discussione, e Weasley avrebbe ricambiato con gli interessi di un’occhiatina alla Foresta Proibita, settore Centauri, quindi era fuori discussione pure lui. L’unico altro candidato adatto era Ernie Macmillan, che insieme a Anthony era forse il solo che per un motivo o per l’altro non aveva smesso di rivolgersi la parola con uno dei colleghi – fattore da non sottovalutare per via delle necessarie comunicazioni riguardo le attività – ma il pacioso e solenne Caposcuola di Hufflepuff non aveva aspirazioni del genere.
Al momento Anthony stava organizzando la squadra che avrebbe effettuato una perlustrazione nei dintorni della Torre di Ravenclaw.
- Certo, sono dei vostri – rispose Ron, di buon grado.
- Malfoy, tu cosa fai? -
Malfoy scrollò le spalle e fece per andarsene – No, devo tornare nei sotterranei –
Weasley tossì – Vigliacco –
Ci fu un attimo di silenzio completo, in cui Anthony Goldstein investì Ron con un’occhiata irosa, che andò del tutto sprecata, poiché l’altro era troppo occupato a trattenere lo sguardo di Malfoy, con quel solito atteggiamento che avevano dalla prima volta che si erano visti: quando sembrava che ne sarebbe andato della vita di chi avesse abbassato gli occhi per primo.
Draco Malfoy si limitò piegare la testa da un lato e sulle sue labbra apparve una specie di sorriso, quasi quello che aveva davanti agli occhi fosse qualcosa di incredibilmente divertente per un motivo noto soltanto a lui.
Per un attimo Hermione vide un bambino sottile, con un ghigno di rabbia sul viso, stringere i pugni le guance chiazzate di rosa per l’ira, pronto a saltare al collo di chi aveva davanti; al suo posto, poi, apparve un ragazzino ugualmente magro col il viso infiammato da una rabbia che esplodeva dentro di lui senza trovare sfogo esterno.
Infine entrambi disparvero, lasciando il giovane uomo controllato, i suoi occhi amari e irridenti, le ombre che si avvicendavano sul suo viso, così rapide che era impossibile indovinarne la forma.
Tre gradi diversi di vita, tre gradi di dominio sulle proprie apparenze, tre gradi d’orgoglio.
- Vuoi andare tu a perlustrare il sotterraneo, Weasley? - la sua voce era dolce come il miele, come sapeva essere solo quando il morso delle sue parole gocciolava veleno – Poco fa mi hanno mandato a dire che anche lì è stato visto qualcosa di strano. Vuoi accomodarti? -
Ronald Weasley sollevò il mento, risoluto – Certo che posso farlo, se è necessario – replicò, brusco.
Di nuovo il fremito di un sorriso sulle labbra di Malfoy, Hermione scorse, inquieta, il bagliore che gli attraversò gli occhi, un fulmine su cielo già illividito dalla tempesta.
- Accomodati, Weasley – un aperto sorriso sbocciò sulla bocca di Malfoy – Il sotterraneo è pericoloso per chi non lo conosce: rischi di perdere la strada o di finire in un trabocchetto. Ma chi sono io per ostacolare il coraggio Gryffindor? -
Ecco cos’era quel lampo nei suoi occhi.
- Oppure preferisci che ti accompagni? -
La gentilezza impalpabile della sua voce era la sottigliezza di una ragnatela, vischiosa, la trappola nemmeno del tutto invisibile in cui un insetto attende paziente la propria fine.
Hermione, quel tono di voce, lo conosceva bene.
- Cercate di non fare gli idioti – intervenne, dura – Non abbiamo tempo da perdere con queste cose -
Ron la guardò, rabbuiato. Draco invece la gratificò con uno sguardo singolare, che somigliava alla malizia.
Lei comprese, oscuramente, che col suo intervento, aveva salvato Ron da qualche strano incidente. Conoscendo Draco, sarebbe stato da lui fare affidamento sull’ostinazione di Ron in modo da averlo tra le grinfie, mentre si trovavano da soli nel sotterraneo.
Tre diversi stadi di pericolo.
Malfoy aveva imparato a controllare le proprie reazioni, non il proprio odio.
Adesso comprendeva anche quello sguardo: si era aspettato un suo intervento, quindi non era troppo arrabbiato perché lei gli aveva rovinato il divertimento.
Senza aggiungere altro, Malfoy voltò loro le spalle e si allontanò lungo il corridoio, il serpente tornava nella sua tana sprofondata nelle viscere del castello. Hermione fissò la sua schiena rigida e poi la faccia di Ron, nera di rabbia.
Sospirò e seguì gli altri verso le scale che li avrebbero condotti verso le Torri dell’ala ovest. Ron aveva le mani contratte e una smorfia che non sarebbe sparita tanto presto; e non appena lei cercò di incrociare il suo sguardo, si girò dall’altra parte. Indispettita, Hermione voltò la testa verso la fila di strette finestre alla sua sinistra.
Il cielo era così nero e pesto che tutto l’esterno sembrava coperto da una colata di vernice scura, né una stella né un raggio di luna a romperne l’uniformità; ma ad un tratto, una luce livida e il rumore di una scarica di energia ferirono il cielo, rivelando coaguli di nuvole gonfie e livide. L’attimo di silenzio sospeso, in cui le pietre del castello sembrarono trattenere il fiato, sembrò infinito e, allo stesso tempo, troppo breve. Poi esplose il tuono e una pioggia torrenziale cominciò a riversarsi dal cielo.
Non fu graduale, piuttosto sembrò che lassù si fosse squarciata la parete di una diga, lasciando cadere sulla terra cascate incontrollate di un’acqua nera e fredda come lo sconforto di un demonio, di quelli che, in definitiva, alla Grande Ribellione nemmeno ci avevano creduto, ma che per indolenza o opportunismo, o forse sperando in un nuovo Miracolo Celeste, avevano votato per un partito fino ad allora relegato all’opposizione senza speranza.
Accidenti, pensò Hermione, era davvero una notte buia e tempestosa.
***

Little child, be not afraid
The rain pounds harsh against the glass
Like an unwanted stranger
There is no danger
I am here tonight

- Caposcuola Mezzosangue -
Quel bisbiglio proveniva da dietro un angolo del corridoio; tuttavia, quando Hermione si girò, non vide nessuno. Il richiamo si ripeté e lei, con una smorfia di disappunto si fermò. Le mani sui fianchi e l’espressione contrariata, allungò una mano nell’ombra per afferrare un braccio magrolino. Lo scricciolo era decisamente più veloce dei suoi riflessi allenati da Prefetto e Caposcuola perché lo rivide, parecchio più lontano di quanto si sarebbe aspettata, che la guardava e ridacchiava.
- Rosier, vero? – ringhiò lei puntando l’indice ai propri piedi – Qui! -
Il bambino le mostrò un largo ghigno insolente.
Lei proruppe in un’esclamazione irritata che riuscì solo a farlo ridere di più – Devi tornare di sotto! – lo sgridò lei – In questo momento ho altro di cui occuparmi che non di giocare a nascondino con un bimbo indisponente! –
- Non sono un bimbo! – gridò lui, stringendo i pugni, ugualmente infuriato.
- Oh, va bene, Signor Rosier, fammi la cortesia di andartene in Sala Grande o giuro che … -
- Hermione, perché stai gridando? –
A giudicare dal rumore pesante e cadenzato dei passi, Ron stava correndo verso di lei a tutta velocità. Tutto il disappunto era scomparso quando si fermò davanti a lei, sostituito da un’espressione allarmata che le avrebbe strappato un sorriso se non fosse stata arrabbiata con lui e con quella miniatura di peste che aveva davanti.
- Va tutto bene, Ron – rispose, impaziente – Solo che Mister Rosier si rifiuta di raggiungere i suoi compagni in Sala Grande. Voi andate pure avanti, io vi raggiungo subito –
- Ma… - Ron era titubante. Spostò lo sguardo da lei al piccolo, poi dovette decidere che dopotutto quel cosino non doveva essere particolarmente nocivo.
- Mister Rosier – disse, spalancando un sogghigno per la verità abbastanza amabile.
Rosier gli rivolse un’occhiataccia da sotto in su - da molto sotto a molto in su, visto che, considerata l’altezza di Ron, forse gli arrivava al fianco – ma così feroce che Ron smise all’istante di ridere e sollevò un sopraciglio, incredulo.
- Beh – sentenziò – Ti lascio con questo campione, Hermione. Ma eravamo così piccoli noi, quando eravamo al primo anno? -
Se ne andò alla svelta, ridendo, e lasciando Rosier letteralmente fumante di rabbia a dare in escandescenze battendo i piedi sul pavimento.
- Andiamo di sotto – Hermione tese tranquillamente una mano per acciuffarlo, ma ancora una volta doveva aver calcolato male le distanze perché la spalla scarna del ragazzino non era là dove aveva pensato che fosse.
- Vacci da sola, se ne hai tanta voglia –
Hermione trasse un profondo respiro e alla fine esplose - Accidenti, ma lo vuoi capire che non ho tempo da perdere? Parlerò col Direttore della tua Casa e da domani sei in punizione! -
Riuscì a stento a terminare la frase perché un altro boato percosse le nuvole, lo schianto fu così violento che per un istante temette di essersi sbagliata sulla sua natura e che, in realtà, il pavimento di pietra sotto i suoi piedi stesse andando in pezzi.
Il piccolo Rosier se ne stava finalmente zitto, con le braccia magre strette intorno al corpo, ma gli occhi azzurri che le restituirono lo sguardo avevano l’indefesso orgoglio di prima.
Il cipiglio di Hermione si ammorbidì – Niente punizione, va bene? Ma adesso lascia che ti accompagni in Sala Grande. E’ pericoloso stare in giro: hai sentito cosa sta succedendo, vero? –
Il ragazzino la guardò – Già. Quanto chiasso – disse, con sufficienza.
Sembrava scettico e per niente impaurito, sicuramente l’idea di un pazzo armato in giro per il Castello lo preoccupava molto meno del temporale. Infatti, quando credeva che lei non se ne accorgesse, rivolgeva occhiate apprensive alla finestra, come temendo che, da un momento all’altro, l’impeto del vento che sferzava i vetri d’acqua torrenziale, potesse sfondare le finestre.

Little child
Be not afraid
Though thunder explodes
And lightning flash
Illuminates your tearstained face
I am here tonight

Vienna Teng, Lullabye for a Stormy Night

Un altro fulmine disegnò la sua silenziosa cicatrice sulle nuvole, illuminando il visino inquieto di Rosier, che si irrigidì percettibilmente, in attesa. Approfittando di quel momento di distrazione, prima che il tuono percuotesse l’aria, Hermione riuscì finalmente ad afferrargli il polso.
Almeno credeva che fosse così, ma ancora una volta lui era stato più veloce e lei era riuscita solo a sfiorarlo: se il suo aspetto era fragile ed emaciato, al tatto era addirittura inconsistente e aveva la pelle gelata. Istintivamente, lei gli si inginocchiò davanti, frapponendosi tra lui e la finestra sulla quale l’acqua scorreva a torrenti.
Il tuono finalmente riversò tutto il suo fragore sul castello, ma Hermione vide che questa volta, il viso del bimbo non era atterrito. Aveva invece un’espressione tranquillissima e i grandi occhi la guardavano intenti, così luminosi nella luce scarsa del corridoio.
Il suo aspetto era abbastanza selvatico, pensò Hermione: i capelli neri spiovevano dappertutto sul visetto bianchissimo, lisci come filo bagnato; sotto la frangia un paio di sopraciglia nerissime e oblique sormontavano occhi azzurro chiaro, enormi sul faccino sottile e così limpidi e luminosi da sembrare cristalli bagnati; sulla guancia destra aveva uno sbaffo di sudiciume, e sotto un ciuffo di capelli neri qualcosa che sembrava una ferita rimarginata.
- Qualcuno ti ha fatto male? – domandò lei, improvvisamente allarmata.
Rosier scosse il capo – No, è successo molto tempo fa – disse.
Lei allungò una mano ma, mentre faceva per toccargli il viso, il ragazzino indietreggiò. Hermione guardò la propria mano, vuota, dove prima c’era il suo polso esile e poi guardò di nuovo lui.
- Anche l’altra Caposcuola è stata gentile con me -
Hermione inarcò un sopraciglio – Hanna Abbott? – domandò – Pansy Parkinson? –
- La Caposcuola Mezzosangue – disse lui, che chiaramente preferiva fare l’insolente invece di rispondere, infatti le rivolse un sorriso sfrontato mentre indugiava su quel termine scortese – La fidanzata dell’altro Caposcuola, quello antipatico e strafottente, che infastidisce sempre tutti –
- Oh – le guance di Hermione si imporporarono di dispetto – Devo andare – disse in fretta, alzandosi e slacciandosi, nel contempo, il colletto del mantello – Adesso tu resta qui e non ti muovere, chiaro? –
- Ma … -
- Zitto. Hai capito che puoi essere un pericolo? -
Soffocando le sue proteste con un’occhiataccia, lei gli buttò addosso il proprio mantello e si rialzò.
- Non ti muovere da qui -
- Non lo voglio il mantello di una Mezzosangue! – ringhiò lui.
Hermione sbuffò una mezza risata, andandosene – Vorrà dire che domattina me lo ridarai – concluse, poi all’ultimo istante si girò – Come ti chiami? -
Quello ci pensò un istante di troppo, sempre imbronciato, poi quando lei stava per andarsene rispose.
- Hartemius Rosier –
- Hartemius?
Lui la fulminò con un’occhiataccia, evidentemente imbarazzato da quel nome pomposo – Harry – disse, arrabbiato.
A quel punto lei scoppiò francamente a ridere – E non ti imbarazza chiamarti come Harry Potter? –
Lo aveva detto per farlo infuriare, ma, inaspettatamente, Hartemius Rosier, il visetto pallido che spuntava dal groviglio nero del mantello, piegò la testa verso una spalla e le rivolse un ampio sogghigno sarcastico, assolutamente irresistibile.
- Oh no – sussurrò – E’ lui che si chiama come me -
Hermione rise.
- Resta qui e se senti qualcosa di strano, nasconditi, va bene? -
Poi corse via.
***
Nei pressi della Torre di Ravenclaw c’era un gran trambusto. Nel momento in cui Hermione stava svoltando per uno corridoio, nei pressi del quale era nascosto l’accesso segreto al dormitorio, un fracasso terrificante stava facendo concorrenza ai tuoni – ampiamente surclassandoli – e un coro di strilli femminili stava svegliando anche i morti.
Quelli dei cimiteri australiani, per l’esattezza.
- E’ lì che l’ho visto! -
- Anche io! – strillò un’altra voce terrorizzata – E aveva l’ascia! E’ così grossa! –
Il tono di Jalice Love era così impressionato che un qualsiasi maniaco si sarebbe sentito estremamente fiero delle dimensioni della propria ascia.
- Stai indietro Jalice! – quella era la voce di Tess, decisamente, – Ci penso io! -
- Oh no!
Hermione, la bacchetta stretta nella destra, aumentò il ritmo della corsa.
- Mi si è rotto un tacco! -
Se il problema era quello, dopotutto, poteva anche rallentare.
- Reducto! -
Una voce regale, ruggì quell’incantesimo al quale fecero seguito urla ancora più alte che, tuttavia, sembravano di protesta più che di terrore.
- Ron quello era solo un lampadario! – protestò Padma Patil
- Scusate –
Altro schianto che somigliava sinistramente al suono di un muro che si sgretolava.
- Accidenti …il soffitto. E adesso Gazza chi lo sente? -
- Scusate – ripeté la voce di Ron.
- Perché Weasley è il nostro Re –
L’ultima voce che aveva parlato, fredda e sarcastica, convinse Hermione che, davvero, era il caso di affrettarsi.
- Malfoy chiudi il becco! -
- Altrimenti cosa mi fai? Mi fai cadere addosso un lampadario? –
- Bada piuttosto alla voragine che hai fatto sul pavimento! -
Ecco, per l’appunto.
Il corridoio in cui sbucò avrebbe indotto un triste senso di déjà-vu nelle Squadre per la Pulizia Magica alle quali era toccato mettere in ordine quello che restava del Dipartimento dei Misteri. Qualche mente superiore aveva con estrema furbizia fatto cadere le torce e adesso l’illuminazione era solo quella di un paio di volenterose bacchette, ma visto che quella di Reese era momentaneamente impiegata per esaminare il suo tacco rotto, la situazione da quel punto di vista era alquanto infelice. Sul pavimento c’era un cratere di discrete dimensioni col suo gradevole pendant sul soffitto, dove prima c’era il lampadario. Da un lato c’erano pezzi di legno, che potevano appartenere indistintamente a un armadietto, a una scultura o a una grossa sedia, ma che in ogni caso erano destinati a giacere in un ripostiglio per l’eternità a rendere più scomodi gli appuntamenti delle coppiette.
Quando Tess la vide arrivare, le spalancò un sorriso di benvenuto, stile incontro in una sala da tè del centro.
- Ciao, Capogranger! -
- Tess – disse lei, col fiato corto – che cosa ci fate voi qui? – e con un gesto deciso del mento indicò anche Jalice e Reese.
- Non riuscivano a individuare il punto esatto dell’avvistamento – spiegò Tess – Così hanno chiesto a Jalice e Reese di indicarglielo –
Erano tutte e tre in delicate vestagliette di raso e seta pastello, le gambe nude e il mantello nero sulle spalle, perfette (tacco a parte), truccate e sorridenti.
Hermione si chiese se, dopotutto, non fossero supereroine sotto mentite spoglie.
- Gli altri stanno decidendo cosa fare – spiegò Tess.
A giudicare dalle discussioni, non sembravano essere giunti a grandi risultati. Ron e Malfoy si urlavano ancora addosso indicando il buco sul soffitto e quello sul pavimento. Anthony Goldstein e Padma Patil stavano parlando con Hannah Abbott che, a un certo punto, si girò per correre via, dicendo – Vado a chiamare gli insegnanti -
Hermione si diresse verso Ron e Draco, a passo di marcia e parecchio arrabbiata.
- Ma vi sembra il momento di litigare? -
Era una domanda retorica, ma naturalmente, per precauzione, aveva pronta la risposta. Quello che non si aspettava era che entrambi si girassero verso di lei e cominciassero a urlare in simultanea.
- Dove dannazione sei stata? -
- Mi allontano un attimo ed ecco che sparisci e per giunta senza avvertire! –
- Avevi detto che arrivavi subito! -
- Donna, ti pare il momento di andartene in giro da sola? –
Con somma indignazione di Hermione, Ron non insorse in sua difesa davanti al tono un tantino maschilista di Draco, ma, se il suo intero patrimonio genetico non gli avesse ingiunto a gran voce di fermarsi, probabilmente avrebbe anche applaudito.
Li fissò, oltraggiata, poi girò sui tacchi e li mandò a quel paese, decidendo che dopotutto era meglio piantarli lì a decidere di chi fosse il buco più grosso.
- Anthony – esclamò, rivolgendosi all’unica persona ragionevole che c’era nei paraggi – Allora, dov’è? -
Anthony indicò davanti a sé con un cenno del capo – Precisamente, lì dentro -
Esisteva un luogo di intrighi e arcani, dimora di spettri del passato e dolorose memorie, dove si erano consumate trame contorte, iniziative audaci e azioni suicide; in quei luoghi si erano compiuti efferati delitti, lì si era deciso il destino di intere generazioni, si erano orditi complotti e lì avevano avuto inizio eventi destinati a influire sulla distruzione o la salvezza del Mondo Magico.
Lo aveva compreso per primo il Fondatore che, come in una metafora ispirata, aveva celato in quel luogo avvolto dal mistero l’accesso della sua Camera dei Segreti; lo aveva compreso il suo Erede, Tom Marvolo Riddle che, essendo lo studente brillante che tutti gli Slytherin ricordavano (altro che Black & Potter), era andato proprio lì a cercarne l’accesso al Sacrario che gli avrebbe restituito la sua Eredità.
Hermione Granger seguì la direzione indicata da Anthony Goldstein e spalancò gli occhi.
Un attimo di silenzio.
- Un bagno delle femmine? -
***

Little child
Be not afraid
The wind makes creatures of our trees
And the branches to hands
They're not real, understand
And I am here tonight

Vienna Teng, Lullabye for a Stormy Night

Beh, il bagno delle femmine era sempre stato punto di incontri abbastanza imprevedibili e non sempre piacevoli. Una volta, per esempio, lei ci aveva trovato un troll con la clava (ed era stata salvata da due troll con la bacchetta); in un altro celebre frangente, un Leggendario Signore del Male ci aveva portato a pascolare un Basilisco. Quindi non era troppo irragionevole supporre che in un altro bagno si fosse nascosto un pazzo maniaco scappato da Azkaban.
Che fosse un mitomane?
- Di che cosa è armato? – domandò Hermione, ansiosa.
- Ascia – disse, laconico, Anthony – anche se Reese continua a sostenere che forse è un uncino -
- Un’ascia grossa – specificò Jalice Love dietro le loro spalle.
Qualcosa si agitò dietro la porta del bagno delle femmine: forse il maniaco stava esprimendo tutto il suo compiacimento.
Immediatamente otto bacchette si puntarono in quella direzione e Ron Weasley mosse un passo avanti, di conseguenza, tutti i Ravenclaw presenti, sollevarono uno sguardo preoccupato verso l’alto, in corrispondenza del loro dormitorio.
All’improvviso, dall’altro lato del corridoio, avvolto nella più fitta oscurità, si intuì un movimento.
- Chi è là? – ruggì Ron.
- Sono il maniaco – parodiò una voce in falsetto.
- Taci, Malfoy –
Oddio, ecco che ricominciavano, ma non erano occupati a confrontare il diametro dei rispettivi buchi?
- Non è niente – disse Padma, aguzzando la vista.
- Se è uscito siamo nei guai – disse Anthony – Anche se …come avrebbe potuto con noi tutto il tempo qui fuori? –
- Forse c’è un’altra uscita – ipotizzò Ron.
- Come no, – commentò Malfoy – lo scarico del gabinetto -
- Malfoy, per quanto è vero Merlino, io prima o poi … -
- Abbiamo solo un modo per scoprirlo – esclamò Hermione, più che altro nell’intento di distrarre Ron – Al mio tre apriamo quella porta! –
- Sono con te Capogranger – disse Tess liberandosi tranquillamente dei tacchi con un calcio. A piedi nudi si mosse verso l’amica.
- No! – strillò Reese, terrorizzata, zoppicando in avanti per via del tacco rotto – Non aprite quella porta! –
Jalice la seguì, tenendola per un braccio – Per favore – supplicò – Aspettate! -
Ron Weasley avanzò di qualche passo e si affiancò a Hermione Granger, si guardarono poi lui disse – Stai dietro di me. Sei pronta? –
- Sì, ma non starò dietro di te – rispose lei, sfrontata. Poi si sorrisero, sorriso virile: sarebbe stato di una pignoleria imperdonabile rilevare che uno dei due era una femmina.
Scambio di coraggiosi convenevoli Gryffindor, di quelli che avrebbero reso fiero un sergente istruttore dell’Accademia Auror.
Draco Malfoy li fissò, poi commentò, acido, rivolto ai Ravenclaw – Sarete fortunati se vi ritroverete almeno con delle macerie del vostro dormitorio –
Il suo sarcasmo da manuale andò completamente sprecato: i Ravenclaw, al momento, erano fin troppo propensi a condividere quel tipo di preoccupazione, infatti Ron Weasley stava cominciando a contare.
O a dare i numeri, che dir si voglia.
- Uno, due … -
- Tre!
La porta del bagno si spalancò e Jalice urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre una figura alta ed emaciata, avvolta in abiti laceri, emergeva dall’oscurità. Nella luce scarsissima, si intravide una faccia distorta e occhi vuoti, il riflesso di una bacchetta illuminata balenò per un attimo sulla lama di una grossa ascia.
- Oddio è lui! - disse Reese, con un singhiozzo. Cercò di tirare via Jalice, ma la ragazza, impietrita, guardava l’uomo con gli occhi sbarrati colmi di panico. La sua paura era così intensa che sembrava irradiarsi tutto intorno a lei, gli occhi erano spalancati e vitrei e le gambe tremavano. Stava aggrappata a Reese, che aveva anche lei il viso congelato dal terrore.
Il maniaco sollevò il braccio sinistro: invece della mano aveva un uncino che scintillò, sinistro, alla luce di un fulmine che per un attimo, illuminò a giorno il corridoio.
- Sembra Potter – commentò qualcuno di molto prevedibile.
- Stupeficium
- Stupeficium
- Stupeficium!
- Stupido imbecille! – urlò Ron rivolto a Malfoy.
Il maniaco, nel mentre, non sembrava per nulla toccato dalla pioggia di Schiantesimi che gli era finita addosso. Imperturbabile, mosse un altro passo avanti.
- Qualcosa non va – Draco Malfoy sembrava aver perso tutta la voglia di fare lo spiritoso. Rivolse un’occhiata preoccupata all’espressione combattiva della sua ragazza, la quale non staccava gli occhi dalla figura emaciata che continuava ad avanzare, lenta e barcollante, verso di loro.
Hermione era pallida, ma la mano che stringeva la bacchetta aveva una fermezza che Malfoy aveva visto raramente anche negli adulti, i suoi occhi scuri non abbandonavano l’obiettivo nemmeno per un istante, sembrava che quasi non battesse le palpebre. Incurante della propria incolumità, quasi nemmeno possedesse un corpo da ferire, teneva la guardia alta e se indietreggiava era soltanto per cercare un punto migliore da cui prendere la mira.
Jalice urlò ancora e Draco, con un’imprecazione sulle labbra, procedette verso Hermione, deciso, in caso di necessità, ad afferrarla e portarla via a costo di Schiantarla.
Poi col maniaco se la sarebbero potuta anche vedere gli eroi di professione.
Loro, intanto, sarebbero stati in salvo.
Prima che potesse raggiungerla Hermione sollevò la bacchetta – Incarceramus –
Quella variante della formula lui non l’aveva mai sentita, così vide, con stupore misto a dispetto e ammirazione, un getto di luce uscire dalla bacchetta di Hermione e poi scindersi in anelli di luce rossa che raggiunsero la figura del maniaco e la circondarono, ancorandogli saldamente le braccia al corpo.
L’uomo o quello che era emise un urlo e allargò le braccia forzando gli anelli che però non parvero cedere né allargarsi di un millimetro. Sulle labbra di Hermione si dipinse, lento, un sorriso trionfante.
- Non funzionerà – singhiozzò Jalice, con la voce appena udibile.
Fu solo un attimo, poi gli anelli di luce, semplicemente, scomparvero.
- Non è possibile! – gridò Hermione, incredula e per un istante parve perdere il suo sangue freddo. Immediatamente però puntò di nuovo la bacchetta, mentre intorno a lei ricominciavano a piovere Schiantesimi.
- Impedimenta -
Anche questa volta, l’incantesimo aveva una precisione millimetrica e colpì l’uomo alle ginocchia.
Anche questa volta non sortì alcun effetto.
- Tess, rimanete indietro – Anthony si parò di fronte alla ragazza e superò anche Padma, ponendosi tra loro e la prima linea – Jalice, Reese, allontanatevi -
Tess, ignorando l’ordine, andò verso le amiche e afferrò Jalice per un braccio, nel tentativo di farla arretrare. Quella però sembrava radicata al suolo e, con il viso estraniato in un incubo, fissava l’uomo e l’ascia affilata che brandiva.
- Schiantesimi al mio tre –
Ron Weasley diede quell’ordine e sollevò la bacchetta all’altezza della testa. Il viso concentrato, gli occhi blu rannuvolati dalla tensione, con due passi delle gambe lunghissime si portò a pochissima distanza dall’individuo.
Senza perdere d’occhio la situazione, Draco si spostò accanto a Hermione e calcolò velocemente il tempo che gli sarebbe occorso per trascinarla via.
- Uno – disse Weasley.
Poi accaddero contemporaneamente molte cose. L’uomo, invece di muoversi col solito passo barcollante, parve volare letteralmente in avanti verso di loro. Jalice Love si accasciò al suolo, svenuta. Tess e Reese furono velocissime ad afferrarla per le spalle e a trascinarla via.
Scartando precipitosamente di lato, Malfoy alzò la bacchetta mentre, nella sua mente, un’altra formula si sostituiva a quella dello Schiantesimo.
Hermione si girò verso di lui e i loro occhi si incontrarono e lui lesse, insieme alla preoccupazione che l’aveva spinta a cercarlo, anche la consapevolezza di quello che lui stava per fare.
Poi il corpo dell’uomo cadde a peso morto in terra e Ronald Weasley emise un urlo di raccapriccio.
Improvvisamente non era più una figura umana, ma aveva lunghe zampe e un corpo grosso e peloso.
- Un ragno? – esclamò una delle ragazze, forse Padma, sbalordita.
- Fatevi indietro! – urlò una voce inaspettata, e, quello che prima era un ragno, cambiò di nuovo.
Uno spirare di vento gelido e putrescente, e ancora il lampo che illuminava il cielo livido e il fragore di un tuono, poi la figura si erse dal pavimento, alta, avvolta in cenciosi strati di stoffa incolore. Una mano putrida e coperta di pelle squamosa si fece spazio tra i lembi del lacero mantello e si sollevò verso di loro, lucida, biancastra, come una mano di cadavere rimasta troppo tempo esposta all’umidità.
All’improvviso un’ondata di sconforto, fredda come era freddo il respiro della creatura, dilagò intorno a loro, seppellendo le loro speranze di riuscita. Sarebbero morti lì, prima che qualcuno potesse arrivare a salvarli.
Poi, tenue come la ragione nel panico, Hermione riuscì ad afferrare il filo di un pensiero. Si slanciò in avanti, schivando la mano di Draco che cercava di trattenerla. Spinse via Harry, lontano dal Dissennatore e subito dopo si ritrovò a guardare gli occhi neri e freddi della professoressa McGranitt – Signorina Granger - proferì quella, fredda – Mi hai estremamente delusa: andarsene in quel modo in giro per ripostigli e aule – le narici della donna fremettero, prima di esprimere la sua condanna finale – Consegnami il tuo distintivo: sei espulsa e in più sei bocciata in tutte le materie -
Era talmente reale che per un attimo le prese un colpo. Poi, furibonda e rossa in faccia come un pomodoro troppo maturo, Hermione sollevò la bacchetta.
- Riddikulus! -
La professoressa McGranitt la fissò, perplessa, poi barcollò, inciampando nella lunga gonna scozzese.
- Riddikulus – ringhiò di nuovo Hermione e poi gettò indietro la testa e urlò – Harry James Potter, giuro che avrò la tua testa prima dell’alba! -
Ron e Harry la superarono per affrontare il Molliccio e lei vacillò. Era il momento che Draco stava aspettando: tese entrambe le braccia per circondarle la vita e la tirò indietro.
- Sta’ giù, - disse, brusco, posandole una mano sulla testa mentre sopra di loro volavano lampi di luce – Hai fatto la tua parte, adesso levati dalla linea di tiro -
- Malfoy, che ti salta in mente? Lasciami! -
La perentorietà di quell’ordine non lo toccò minimamente: accentuò la stretta del braccio intorno alla sua vita per prevenire prevedibili gesti di ribellione e la trascinò via, recalcitrante. A un certo punto lei, però, riuscì a respingerlo, ma inciampò a cadde sulle ginocchia. Rialzandosi si trovò davanti una gonna scozzese e poi un maglione verde fuori moda e poi, due occhi scuri freddi e pungenti circondati da occhiali squadrati.
- Riddikulus – strillò.
La professoressa McGranitt deviò l’incantesimo con un movimento automatico della bacchetta.
- Signorina Granger – disse, stupefatta – Che cosa stai facendo? -
***
Harry Potter aveva salvato la situazione. Era incredibile: per quanto potesse essere un guaio ambulante, se il complesso dell’eroe non avesse fatto la sua parte, forse, trascinati dall’idea del maniaco, avrebbero impiegato ore prima di accorgersi che si trattava di un Molliccio, combattendo con la paura di avere davanti un pazzo per di più invulnerabile. Naturalmente anche Jalice aveva contribuito, perdendo i sensi e smettendola di proiettare il suo terrore sul Molliccio, per il resto dell’anno scolastico Malfoy avrebbe sostenuto che era stato tutto merito suo. Adesso le Blue Ladies erano probabilmente assiepate davanti a qualche specchio per controllare se l’intonaco teneva oppure se era il caso di dare un ritocco.
Invece, Blaise Zabini che, grazie al grosso ascendente che aveva sulla Caposcuola Parkinson, non era sicuramente obbligato a restare relegato insieme agli altri, si era recato sulla scena del crimine per raccogliere notizie di prima mano.
- Visto che c’era Potter, questa sarà ricordata come la Grande Battaglia del Bagno delle Femmine? – domandò.
- C’è una forte probabilità – rispose Malfoy, annoiato.
- La Torre di Ravenclaw è ancora tutta intera? –
- Stranamente, sì –
Attimo di pausa, poi Zabini aggiunse.
- A proposito, quel poveretto scappato da Azkaban lo hanno trovato -
- Dove? –
- Daphne mi ha detto che lo hanno preso nemmeno una mezz’ora fa vicino Hogsmeade. Era solo un ex Mangiamorte che voleva tentare di abbattere Potter -
La significativa scelta del termine non sfuggì a Malfoy che annuì, concorde.
Entrambi dedicarono un minuto di silenzio commosso all’ennesimo Caduto per la Causa.
- Come al solito, – disse Zabini, malinconico, - si rivela una missione suicida -
Draco annuì ancora, ugualmente scoraggiato.
La sua ragazza, che qualche minuto prima aveva cercato di assassinare la Direttrice della sua Casa, adesso sedeva, distrutta, sul pavimento, con Piattola Weasley accanto, spuntata col medesimo tempismo di Potter, che le teneva la mano e cercava di consolarla.
Aveva detto che avrebbe ammazzato Potter e aveva cercato di ammazzare la McGranitt.
Altro che consolarla, Draco l’avrebbe sposata.
Per il resto c’era solo da chiedersi quando avrebbero fatto la loro comparsa i giornalisti della Gazzetta del Profeta. Potter a breve sarebbe stato convocato nell’ufficio del Preside, dove avrebbe rilasciato una deposizione che sarebbe stata conservata negli Annali dell’Eroismo lasciando cadere qua e là, casualmente, il nome del Signore Oscuro pronunciato per esteso.
Poi Gryffindor avrebbe avuto qualche miliardo di punti o giù di lì, la Coppa del Quidditch e la Coppa delle Case, tanto per gradire, e tutta la scuola avrebbe festeggiato: era sempre così quando Potter salvava la situazione. Tranne che al quarto anno, naturalmente, perché, visto che c’era Diggory da seppellire, la cosa sarebbe parsa di cattivo gusto. In quel caso però Potter si era portato a casa anche la Coppa del Tremaghi.
Decisamente inacidito da quei pensieri, Malfoy si avvicinò a Anthony Goldstein che, insieme a Padma Patil, stava spiegando a Hannah Abbott e Ernie Macmillan, che cosa era successo.
- Questa sera siamo rimasti ore a raccontarci storie del terrore al Club – stava dicendo – Quando le ragazze sono uscite dalle Torre, il Molliccio nel bagno si è trasformato in un maniaco. Lo avevano detto, che era la cosa che le spaventava di più… -
Padma aveva l’aria di una che desidera ardentemente avere la propria gemella presente per poter lasciare la controfigura e imboscarsi da qualche parte a fumare. Non in un bagno, per una volta.
- Già, - commentò – e tutti quelli che si sono affacciati per vedere, quando loro si sono messe a urlare, avevano la testa piena di tutte quelle storie che avevano appena ascoltato per radio sul pazzo scappato da Azkaban –
- Che come ogni volta, finisce qui – Draco Malfoy rise, sarcastico, e gettò un’occhiata a Potter – Che coincidenza –
- Tutti si sono fatti prendere dal panico per questa storia del maniaco e così il Molliccio ha preso quella forma – continuò Padma – Era per questo che ognuno dava una versione diversa: ognuno l’ha visto esattamente nel modo in cui immaginava fosse un pazzo maniaco -
- E nel modo in cui immaginava dovesse essere vestito – mormorò Anthony - Benedetta Jalice, aveva ragione lei –
- Beh, - intervenne Ron con espressione pensierosa – Allora Piton c’era sul serio, oppure era sempre il Molliccio? –
- No, Weasley - intervenne una voce gelida alle loro spalle – C’ero davvero -
Dall’altro lato del corridoio Hermione Granger si copriva la faccia con la mano desiderando solo di avere al più presto una buona scusa per andarsene.
A impiccarsi nel bagno di Mirtilla oppure a buttarsi dalla Torre di Astronomia, per esempio, ma era sempre aperta a nuove proposte purché, al momento, contemplassero il suicidio.
- Hermione, calmati – le disse Ginny, spazientita – Non è successo niente –
- Ho cercato di uccidere la McGranitt! -
- Non è che Malfoy … -
- Ginny, non essere ridicola -
- Scusa, era tanto per dire –
Hermione tiro su col naso e fissò il vuoto con gli occhi sbarrati, poi dopo un poco parve riaversi e sollevò lo sguardo verso l’amica.
Ginny aveva l’aria di una che desidera fumare, così disperatamente da essere disposta a dividere fraternamente il bagno con un Molliccio.
- Ma non ti avevamo detto di trattenere Harry nel dormitorio?-
L’altra alzò le spalle – Sai com’è fatto: si è messo a strillare che Tu-Sai-Chi aveva ucciso i suoi genitori e poi è schizzato via a tutta velocità -
Ginny aveva una gran faccia tosta, di quelle contro le quali si poteva sbriciolare anche il granito, così sostenne il suo sguardo con estrema disinvoltura.
- Ci ho provato -
Hermione stava per risponderle che beh, non c’era decisamente riuscita, quando comprese che l’amica intendeva nell’accezione gergale nonché letterale dell’ espressione.
- Merlino, Ginny… - esclamò esasperata – Ti avevamo chiesto di trattenerlo non di obbligarlo a scappare –
Nel mentre, Draco Malfoy aveva deciso che la nostalgica rimpatriata tra Potter e un Dissennatore meritava una deroga alla regola dell’ostentata indifferenza, in vista di opportuni festeggiamenti.
Così, bellamente incurante del fatto che era passata l’alba e che tutti avevano avuto una nottata a dir poco spossante, si era avvicinato al Ragazzo-Sopravvissuto-Alla-Toilette-Delle-Femmine e poi si era immobilizzato, con gli occhi dilatati per il terrore e le labbra socchiuse.
- Un Di.. Di.. Dissennatore! -
Il suo talento interpretativo era da sempre notevole, gli istinti omicidi che scatenava pure.
Harry gli rivolse un’occhiata raggelante – Taci, Malfoy –
- Potty – naturalmente non ancora domo, Malfoy gli rivolse un sorriso accattivante – Però fai progressi. Questa volta non sei svenuto, almeno -
Così dicendo si portò le mani alla gola, strabuzzò gli occhi e fece finta di accasciarsi per terra.
Harry strinse gli occhi verdi in due fessure gelide – Come è successo a te quando ti sei mascherato da Dissennatore e ti sei beccato il mio Patronus? –
Il sorriso di Malfoy perse un poco di smalto – No, come è successo a te quando hai visto quelli veri e sei caduto dalla scopa -
Uno pari e Pluffa al centro.
Deprimente.
Forse comportarsi come imbecilli poteva essere un modo per smaltire lo stress. Alla luce di questo, si poteva ragionevolmente dedurre che Malfoy e Potter ne avessero accumulato parecchio e che le operazioni di smaltimento richiedessero da anni buona parte del loro tempo e tutta la loro applicazione.
Di quel passo, dopo aver esaurito tutti i loro dissidi dei tredici e dei dodici anni, probabilmente si sarebbero ritrovati a rinfacciarsi la faccenda dell’uovo di drago o la trappola del duello del primo anno: tanto per celebrare il periodo in cui la loro maturazione mentale si era inesorabilmente arrestata.
- Potter, non mi sei piaciuto dalla prima volta che ti ho visto sul maledetto treno della scuola -
Ecco, appunto.
Intorno a loro c’era il solito capannello di spettatori perplessi, Hermione e Ginny li stavano guardando con delle facce addirittura schifate.
- Professore, Potter mi rompe i Bolidi – parodiò Ginny, spalancando la bocca in uno sberleffo sprezzante – Professoressa, Malfoy fa il Dissennatore -
- Idioti – borbottò Hermione, alzandosi.
La Pluffa era in mano Gryffindor e in campo Slytherin.
- Sentiamo, Malfoy, che forma prenderebbe il tuo Molliccio? Il Boccino d’Oro? Deve spaventarti parecchio da come te ne tieni alla larga –
- No, Potter – a giudicare dal tono serafico, la parata Slytherin si preannunciava efficace – Prenderebbe la forma di te che hai perso la verginità: praticamente il Primo Segno dell’Apocalisse -
Le guance di Ginny si chiazzarono di rosso – Andiamocene – disse – Sono stufa –
- Che razza di deficienti – borbottò Hermione, preparandosi a seguirla.
- Malfoy! – stava dicendo Harry, a voce bassa e minacciosa – Giuro che un giorno io … -
- Vai con le minacce – disse Ginny - Ma sentilo, l’uomo coi calderoni e i controcalderoni
- Ridicolo. Andiamocene, Gin –
- Già, tanto sono così maturi che tra poco finiranno da qualche parte a misurarsi la bacchetta magica -
Mentre le due ragazze si allontanavano lungo il corridoio, il piccolo professor Vitious e Piton stavano cercando di decidere cosa farne del Molliccio.
Hermione aveva sentito, di sfuggita, che per il momento intendevano lasciarlo nel bagno – opportunamente segnalato - per vedere se poteva tornare utile in futuro, magari per tenere qualche lezione. Stava pensando che poteva trattarsi di una buona idea, quando una mano le afferrò il braccio, costringendola a fermarsi.
Era Draco. Ginny proseguì, con discrezione, lasciandoli soli.
- Hai finito di dare sfoggio di intelligenza? – sbottò Hermione.
Lui la guardò, indispettito – Non sono stato io a cominciare –
La sua faccia tosta era addirittura scandalosa – Come non sei stato tu a cominciare? E chi ha nominato per primo i Dissennatori? –
- Beh – non si chiamava Draco Malfoy senza un motivo, in fondo, - Lui non era certo obbligato a rispondermi, no? -
Hermione alzò le mani al cielo per non stringergliele intorno a collo, poi gli voltò le spalle e ricominciò a percorrere il corridoio a passo marziale.
- Dove stai andando? – fece lui, in tono decisamente contrariato, standole dietro senza nessuna difficoltà.
- A fare quello che tu dovresti fare. Invece di metterti a litigare a bella posta per delle stupidaggini – esclamò lei, infuriata, fermandosi e puntandogli un dito contro il petto – Vado a recuperare uno dei tuoi e lo riporto vicino al dormitorio di Slytherin –
- Ma di chi parli? –
- Di Hartemius Rosier, l’ho lasciato in un corridoio qui vicino ed è rimasto al freddo tutta la notte! –
- Aspetta un attimo –
Mentre lei si voltava per andarsene, Draco le afferrò il polso, costringendola a girarsi di nuovo. Lo sguardo con cui ricambiò quello di lui aveva la perentorietà di un ordine che non andava disatteso.
- Lasciami andare, dopo parleremo -
Draco Malfoy socchiuse gli occhi e il suo volto perse immediatamente ogni espressione, tuttavia non accennò a recepire il tono di avvertimento nelle sue parole. Al contrario, la stretta intorno al suo polso aveva la gentilezza che soltanto lui sapeva dare a una minaccia: le aveva messo in chiaro più di una volta che non avrebbe preso ordini da lei e provocarlo su quel punto poteva portare a una serie di conseguenze, non tutte piacevoli.
Inciampare in uno scontro di volontà era inevitabile, per quanto accuratamente potessero cercare di evitarlo. Ancora si giravano intorno, circospetti, emozioni e coltelli in mezzo ai denti, fiere costrette a condividere lo stesso territorio: ogni giorno era conquistare e perdere un palmo di terreno.
Hermione strappò il polso dalla sua presa e gli voltò le spalle.
Draco fece per inseguirla, ma una voce dal timbro profondo e tetro lo fermò.
- Rosier, ha detto? -
Malfoy si voltò, incredulo, riconoscendo a stento quella voce. In sette anni, forse era la terza volta che sentiva parlare il Barone Sanguinario.
Rimase ad ascoltarlo a lungo, nel corridoio che andava lentamente sgombrandosi, mentre Vitious e la McGranitt mettevano una segnalazione di stelline rosse intorno alla porta del bagno delle ragazze. Infine, comprese che doveva andare a cercare Hermione.
***
If I'm so wrong
How can you listen all night long?

My Chemical Romance, Disenchanted

- Sapevo che saremmo arrivati a questo punto -
La voce aveva una freddezza che si avvicinava più alla noia che non alla collera e questo faceva male.
Ma lui sapeva benissimo a che cosa andava incontro: il dolore a distanza di sicurezza e maledizione a Potter che lo aveva costretto a pensarci.
- Vorrei sapere che cosa speri di ottenere, tutte le volte, quando litighi coi miei amici. Desideri per caso che io prenda una posizione? -
Una vena di disprezzo, di quelle da recidere con una lama e poi cauterizzare.
Lui non rispose, si limitò a guardare i raggi del sole che piovevano dalla finestra direttamente sui suoi capelli castani, lasciando striature di miele scuro, dolci come quelle che lei aveva negli occhi.
Ma non in quel momento; adesso i suoi occhi erano duri e freddi.
Non ripose, non avrebbe detto una parola, era lì per ascoltare ed era l’unica cosa che avrebbe fatto.
Attaccato al metaforico tronco di un albero, avrebbe atteso che le frecce gli si conficcassero nella carne, convergendo lentamente verso i punti vitali, fino a che l’ultima non gli avrebbe trafitto l’anima.
- Ma non è soltanto questo. Posso sapere che cosa stavi per fare quando stavamo affrontando quello che credevamo un malato di mente? -
Lei si voltò, la furia fredda sul suo volto era pietra contro cui avrebbe voluto infrangere una carezza.
- Una Maledizione senza Perdono? E’ con l’assassinio che ti hanno insegnato a reagire? Avresti torturato o ucciso uno sconosciuto, senza nemmeno valutare le circostanze, soltanto perché non sai come gestire una situazione? Forse l’avresti fatto per me? -
Lui attese, sapeva che quello era soltanto l’inizio.
- E’ questo che hai tu da offrirmi? -
Sì, era questo.
Senza Perdono né sconti sulla pena, e quella era una promessa: una prigione che avrebbe avuto le sbarre più tenaci che fosse riuscito a costruirle intorno.
Poi le sevizie delle emozioni e dei sogni.
Avrebbe salvaguardato ciò che era suo a qualsiasi costo e, per Dio, lei era sua.
- E che altro? Il tuo nome è rovinato, la tua reputazione non esiste più, se mai ne hai avuta una. Perché credi che abbia cercato di condurre la nostra storia con più discrezione possibile? Non capisci che il tuo comportamento mi mette in imbarazzo? Ron mi ha sempre offerto rispettabilità, invece -
C’era disprezzo nelle sue parole e da qualche parte, vicino alle costole, lui sentì la prima fitta. I polsi e la gola - sentieri di vene che stabilivano quale sangue dovesse prendere la via del cuore e quale sangue, nero e sporco e usato, dovesse essere gettato via - gli dolevano già da un pezzo, dal momento in cui aveva incrociato i suoi occhi a aveva letto quello che era andato a cercarvi.
- E’ stato tutto un errore -
Adesso lei aveva distolto lo sguardo e fissava il vuoto, come se anche il solo guardarlo le provocasse un fastidio intollerabile.
- Non si può semplicemente dire che siamo diversi. Tu rappresenti tutto quello che io odio e disprezzo a questo mondo. Siamo onesti, Malfoy, tu sei un intollerante, un arrogante che non può nemmeno permettersi di esserlo. Sei cresciuto con una mentalità così gretta e meschina che soltanto ascoltare le tue parole mi disturba -
Un’altra pausa, un’altra fitta, questa volta vicino al diaframma.
- E poi, diciamocelo, Malfoy – lei si voltò di nuovo a guardarlo e adesso al suo posto c’era una ragazzina con i denti troppo grossi placcati di pezzetti di metallo – Tu ricordi che cosa mi hai fatto per tutti questi anni? Gli insulti, le umiliazioni; quando mi hai trattata come se non fossi nemmeno degna essere uno straccio con cui pulirti le scarpe? -
Lui chinò il capo.
- Tu, al mio posto, avresti dimenticato? -
No, sapeva benissimo che non sarebbe mai stato capace di dimenticarlo o di perdonare. Doveva dargliene atto: nessuno poteva obbligarla a farlo.
- C’è dell’altro – riprese lei.
Questa volta quella nota che si addolciva nella sua voce, l’espressione trasognata che le colse sul viso di giovane donna, prima che lei chiudesse gli occhi come per trattenere un’immagine troppo dolce che rischiava di fuggire via, gli annunciarono la freccia più dolorosa, quella avvelenata.
- E’ …è Harry – sussurrò lei, e il suo tono aveva una tenerezza che faceva più male di un coltello incandescente conficcato nella carne - Lo sai bene anche tu. In fondo, lo hai sempre saputo -
Le sue guance erano imporporate, di quel rossore adorato che aveva creduto soltanto le sue carezze potessero accendere.
E’ Harry, in fondo, lo hai sempre saputo.
Era così che gli sarebbe apparsa al momento di perderla? Cosparsa dell’oro intenso di un autunno dalla bellezza infinita?
Dolorosamente bella e distante, la combattente senza paura alcuna e l’innamorata fedele; il ricordo della ragazza dolce e dell’amante arrendevole.
La guardò e ruppe il voto di silenzio che si era imposto.
Nessuna agonia o dibattersi nel dubbio: in quel caso, almeno, conosceva la risposta.
- Io amo te – disse, con semplicità.
Gli occhi di lei erano bronzo e lava fredda.
- Non me ne importa niente -
L’ultima freccia, quella che trapassava l’anima.
Lui sollevò la bacchetta e la fissò per un ultimo istante.
- Riddikulus
***
You open my heart with a sapphire skeleton key
I ache to taste your breath on my skin
Say you love me

Darling Violetta, Say you love me

- Proprio te cercavo! -
Dalla fila di alte finestre a feritoia entrava tanta di quella luce che lei fu costretta a ripararsi gli occhi con una mano.
In alto, dietro i vetri piombati, nuvole grigio chiaro, unica memoria della tempesta notturna, correvano disperdendosi su un cielo di smalto azzurro, limpido e caldo sullo sfondo di alberi dalle foglie d’oro e di rubino e di bronzo, che ancora stillavano acqua piovana, frusciando dolcemente nel vento.
Draco non le rispose, ma lo vide accelerare il passo. Lei si fermò, meravigliata, guardandolo correrle incontro; quando fu a un passo da lei, sollevò le braccia e le spalancò.
- Draco? -
Lei gli passò le braccia intorno alla vita, mentre l’impeto del suo abbraccio la sollevava un poco da terra. Gli appoggiò la guancia al petto e ricambiò con uguale slancio quella stretta appassionata di cui non conosceva né arrivava a intuire il motivo. Sentì la sua mano sulla nuca, poi sulle spalle e di nuovo sulla testa, trai capelli. Lo sentì deglutire a fatica e, alzando lo sguardo, vide che aveva gli occhi chiusi e l’espressione assorta, a stento controllata, quasi temesse i fiumi di parole che avrebbero potuto rompere gli argini e colargli sul viso.
- Ti stavo cercando – gli ripeté, mentre lui abbassava il viso verso il suo – Quel ragazzino della tua Casa deve essere tornato al vostro dormitorio, visto che non riesco a trovarlo. Ti dispiacerebbe andare a recuperare il mio mantello? Stanotte… -
Silenzio e oro.
Il sole era così dolce e forte da intorpidire, sidro caldo e miele che cadeva giù dal cielo in un torrente accecante che le appesantiva le palpebre costringendola a chiudere gli occhi.
Lei poteva sentirlo pioverle addosso, dappertutto; coprirla e accarezzarle la pelle delle braccia che stringeva intorno al collo di lui, il viso arrossato, e poi scorrerle veloce dentro le vene. Era polvere di seta trai capelli che erano raggi pallidi sotto le sue dita, sulle labbra e nel bacio che lei stava ricambiando con tutto quello che aveva da dare.
I suoi baci erano un silenzio infinito che copriva il rumore del mondo.
- Che cosa ti succede? – gli sussurrò sulle labbra.
Lui aveva il respiro leggermente affannoso e gli occhi chiusi, ancora disperso lungo le strade assolate dove aveva voluto condurla. Quando li riaprì e la guardò, lei pensò che la pioggia all’alba doveva avere la stessa purezza.
Gli prese una mano e se la portò al viso: era fredda e docile tra le sue dita. Se la fece scivolare tra il collo e la spalla, dove la pelle era più calda, coprendola con la propria e premendola contro di sé per scaldarla.
- Quando hai le mani così fredde sei sempre nervoso – continuò - Non hai fatto qualcosa di stupido, vero? -
Lui inarcò un sopraciglio, poi scosse il capo – No. Almeno, non che io sappia –
Hermione gli restituì lo sguardo, poco convinta.
- Avevi detto che volevi parlarmi -
Parole formali e tono circospetto; l’espressione del ragazzo adesso era neutra, gli occhi però avevano un scintillio febbrile.
Hermione piegò ancora la testa verso la spalla, premendo la guancia contro la mano appena tiepida e immota ancora posata sul suo collo. Lo osservò, le avvisaglie d’ansia che cercava di nascondere, le tracce di stanchezza sotto gli occhi, dove la il pallore della carnagione cedeva a una sfumatura d’ombra, attraente richiamo alla trasparenza degli occhi e alle ciglia scurissime.
- Riguardo quello che è successo di sopra – esordì lei, lentamente – Quando era chiaro che la situazione si stava complicando… -
Il braccio che le teneva intorno alla vita si irrigidì di riflesso. La tensione che emanava dal corpo del ragazzo era percettibile e lei penso che l’avrebbe sentita addosso anche se non fossero stati abbracciati.
- Sarebbe stupido da parte mia cercare di giudicare quello che può passare per la testa di una persona, quando è sotto pressione e sente il pericolo. Ma esistono sono soluzioni meno drastiche, non… irreversibili – sceglieva accuratamente le parole e il tono che stava usando era gentile e uniforme. Eppure lo sguardo di lui si faceva sempre più diffidente, la piega vicino alla sua bocca aveva qualcosa di amaro.
Lei la toccò con la punta di un dito, fino a che non vide la tensione cedere alla carezza leggera e allora alzò di nuovo gli occhi nei suoi.
- Non rendermi le cose troppo difficili – concluse.
Non c’era bisogno di aggiungere altro, non quando lei aveva ancora la mano sul suo viso e gli occhi scuri avevano screziature di bronzo dorato, profonde e dolci, mentre trattenevano con fermezza i suoi.
- Eviterò di metterti di fronte cose che non puoi tollerare -
Compromesso.
Non il primo, nemmeno l’ultimo.
Le spalle di lui parvero rilasciarsi di colpo, curvarsi come se il peso della stanchezza che portava addosso si fosse assestato diversamente, obbligandolo a cercare un nuovo equilibrio. L’istante successivo era tornato normale, il braccio che le circondava la vita la teneva senza imprigionarla, i lineamenti del suo viso sembravano aver perso rigidità e distacco.
- Draco devi andare a dormire – gli disse, preoccupata - Abbiamo tutti bisogno di riposare -
Malfoy crollò il capo e prima che lei cominciasse con le domande, disse – Vieni, con me, devo portarti in un posto –
Incurante delle sue proteste la condusse al terzo piano e si tirò di lato, educatamente, per invitarla a entrare, quando giunsero a destinazione.

And I hope that you'll know
That nature is so
This same rain that draws you near me
Falls on rivers and land
And forests and sand
Makes the beautiful world that you see
In the morning

- La Sala dei Trofei? – domandò Hermione, entrando da una delle doppie porte – Perché siamo venuti qui? -
Senza una parola lui la condusse verso una bacheca di cristallo, scintillate di targhe e piastre e medaglie d’oro e d’argento, nella luce quieta della mattina autunnale.
La sala dei Trofei dava sempre quella sensazione di sospensione temporale, come trovarsi contemporaneamente in più epoche di Hogwarts, dove non c’erano adulti né morti, e il tempo era il medesimo per tutti coloro di cui era serbata traccia e memoria, tra le coppe e le statue, i trofei e gli albi. Fotografie e iscrizioni che congelavano un’intera esistenza in suo frammento, consegnandolo, per sempre, a una memoria infinita.
La targa nella bacheca davanti ai suoi occhi, quella ai cui piedi giaceva il suo mantello ripiegato, recava inciso il nome di Hartemius Rosier, primo anno Slytherin, vincitore di un torneo di Scacchi Magici, datato 1976, più di vent’anni prima.
Una notte di ottobre, durante uno dei peggiori temporali che Hogwarts potesse ricordare, Rosier era uscito dal suo dormitorio per seguire e osservare i Capiscuola. Lo faceva sempre, anche di nascosto, era sempre alle loro calcagna, senza curarsi di dare fastidio. Da bravo carattere Slytherin, aveva molta ambizione e voleva arrivare ad avere quel distintivo sulla sua divisa, un giorno: essere l’autorità all’interno della sua Casa e della scuola, la sua volontà seconda solo a quella dei docenti.
La mattina seguente lo avevano trovato ai piedi di una rampa di scale. Forse spaventato dal temporale, aveva messo un piede in fallo e cadendo aveva battuto la testa.
Di un’altra vita, che aveva incrociato quella di Hartemius Rosier, c’era testimonianza su un albo alla fine del quale avrebbero trovato spazio, come nel suo gemello che si trovava nella saletta dei Capiscuola, anche lei e il ragazzo che la stava tenendo per mano.
La Caposcuola Mezzosangue, la fidanzata dell’altro Caposcuola, quello antipatico e strafottente che infastidisce sempre tutti.
Sotto l’anno 1976, l’albo dei Capiscuola, in corrispondenza del blasone del Gryffindor, portava i nomi di Lily Evans e di James Potter.
Mi chiamo Hartemius, Harry.
Harry.
L’oro delle targhe e lo scintillio del cristallo si confusero davanti ai suoi occhi e lei chinò il capo, lasciando che i capelli le cadessero intorno al viso, riparandolo. Rimase immobile, le spalle rigide e i pugni contratti, cercando di assimilare il racconto del Barone Sanguinario e misurandolo con quello che lei stessa aveva sentito.
E’ lui che si chiama come me.
Occhi azzurri come cristalli, così ironici sul visino da monello.
Dita bianche e rapide raccolsero le lacrime che avevano cominciato a scenderle dagli occhi. Una mano sulla sua schiena la guidò in un abbraccio che cancellò le ultime tracce del suo ritegno e la fece scoppiare in un pianto dirotto.
- Non c’è nulla da piangere – disse, esasperato, Draco Malfoy – E’ già morto! E’ successo vent’anni fa! –
A lui, per la verità, sembrava un’affermazione piena di buon senso, ma lei non doveva pensarla allo stesso modo perché emise un verso di protesta e pianse ancora più forte. Malfoy sospirò e scosse il capo, tenendola contro di sé e sperando che non arrivasse nessuno: se qualcuno li avesse visti, come minimo avrebbe pensato che lei stava piangendo per colpa sua.
Come si faceva smettere di piangere una ragazza?
Con la Maledizione Imperius?
Purtroppo era pronto a scommettere che lei l’avrebbe considerata una soluzione troppo drastica, di quelle che gli aveva suggerito, con tatto, di evitare.
- E’ uno spirito che vive a Hogwarts: lo rivedrai – disse, quasi a caso, poi si accorse, con stupore, che lei si calmava un poco, così le appoggiò il mento sui capelli e aggiunse – Devi solo aspettare la prossima notte buia e tempestosa -

Everything's fine in the morning
The rain will be gone in the morning
But I'll still be here in the morning

Vienna Teng, Lullabye for a Stormy Night


Fine



“Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa”

Andrea Camilleri, Il Birraio di Preston
*

“Era una notte buia e tempestosa”

Snoopy di Charles Schulz
*

It was a dark and stormy night; the rain fell in torrents, except at occasional intervals, when it was checked by a violent gust of wind which swept up the streets (for it is in London that our scene lies), rattling along the housetops, and fiercely agitating the scanty flame of the lamps that struggled against the darkness.

Edward Bulwer-Lytton, Paul Clifford.



*******************************************************************

E anche questa è terminata. Spero vi sia piaciuta pure la seconda parte ^_^
Care fanciulle, e caro fanciullo, naturalmente, per ora ci congediamo di nuovo, speriamo per un tempo breve. Sto scrivendo un’altra storia, la cui sorte è attualmente nelle mani dei Fondatori (che vengono tirati giù un giorno sì e l’altro pure), se riesco a terminarla decentemente la pubblicherò quanto prima.

Questa storia è come sempre dedicata alla mia Opalix, alla mia Chiaretta e alla mia Euridice e questa volta, con tantissimi auguri di buon compleanno al tizio di Euridice che si chiama come Tiger. Auguri Pazzo con l’Ascia! Hai visto che ti ho fatto ben figurare?

Grazie a:

Janet Mourfaaill (ancora si sta tenendo Skate Hell! ^.^), Maty e Fex, ovviamente Pacey il Lupo Mannaro (consigliami sempre caldamente di cancellare certe diciture terrificanti, adesso dici “improcrastinabile”), Wherena (arrivata la mia e-mail? Ancora grazie), Lady Eowyn, Sakura_Kinomoto, pippimag, Opalix (evviva Max!), quella raffinata (mica tanto, in ultima analisi!), Emily Doe (impari anche a cucinare il sushi?), Claheaven (il Boss è Gryffindor???) , Briseide (ciao!! Grazie ^^), Merryluna (vero! Quella dell’arsenico per tingere di verde la carta da parati ^^), White_Tifa, Julietta (ehi!! ^_^), Bea_chan e sorella (siete voi le sorelline Black, vero? Un bacio), Kit_05 (e chi se le dimentica le cinque-sei pagine? ^.^ Lavanda inserita!), Chiaras, Venus (un bacio anche a te!), Vanessa (aggiornato a distanza di una settimana come al solito, ho fatto abbastanza presto, no? ^^), Carol87(ma ciao!! Che bello rivederti qui!), nevr8ika (carina che sei sempre, grazie), Valermione, Mica26 (sinceramente e umilmente grazie: il più bel complimento che chiunque ami scrivere si possa mai sentire rivolgere), Bad_Devil, Lunachan62, SweetSin, Lady Tsepesh (magari Zeus mi rende meno sconclusionata :DD), Minami 77 (il tizio del videonoleggio ha guardato anche te con aria di commiserazione?:D), Eleni (mi hai fatto ridere un’ora buona, tu sei matta!!), Mya, ranokkia, Silvereye (abbastanza in fretta da non dover ricorrere alla minacce? ^^), Ilaria_Davita (che mi ha fatto fare il pianterello arrivata l’e-mail? L’altra matta sta bene?), Contessa (grazie davvero!), JulyChan (ma ciao bella! Ancora per il seguito di OS non so, ho una mezza idea per una storiella non troppo lunga, ma prima ne devo finire un’altra ^.^’, poi vediamo…), Raod Kamelot, Jacklin (grazie!), MCat (arrivata la mia e-mail con le informazioni che mi chiedevi? In caso contrario te la rimando ^^), Xe (per il seguito di OS ancora ho solo un’ideuzza, per la verità sono troppo affezionata a questi personaggi per lasciarli perdere del tutto, quindi quando avrò finito la storia che sto scrivendo, forse butto giù qualcosina ^^) e Alewen.

Grazie a tutti!





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