Rosso.

di ButnowIamfeelinggood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1° ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2° ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3° ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5° ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Rosso. 
Un corpo giace disteso sul pavimento.
Rosso.
Il sangue lo ricopre.
Rosso.
Le pareti e il pavimento contribuiscono a rendere lugubre lo scenario.
Rosso.
Sul tavolo i piatti e i bicchieri erano già stati disposti per la cena.
Rosso.
Il fuoco ancora acceso faceva bollire l’acqua nella pentola sporca anch’essa.
Rosso.
Gli occhiali dell’individuo sono lontani dal suo corpo.
Rosso.
Papà, perché proprio a te?
 
 
Mi sveglio ed urlo. L’ennesimo sogno di morte.
 
 
 
 
 
 



Una strada deserta.
Un cielo spento e grigio le fa da sfondo.
Cammino.
Cammino.
Qualcosa sta cambiando: vedo le nuvole divenire sempre più fitte.
La strada si spezza, si rompono i tronchi di quei piccoli alberelli che le stavano attorno.
Mi allontano sempre di più da quel luogo per mezzo di una forza oscura.
Vedo il mondo intorno a me che gira su se stesso e tutto ciò che è in esso spostarsi catastroficamente da una parte all’altra.
Cado, precipito nel vuoto assoluto.
Nella caduta scorgo la Terra, divisasi a metà, che viene giù a capofitto.
Muoio così, con il pianeta che mi ha accolto appena nato sulla mia schiena, distruggendo ogni mio singolo atomo.
 
 
Urlo anche questa notte, con la paura per qualcosa che accadrà.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1° ***


La luce entra nella mia stanza avvolta nel buio, da un buco nella serranda.
Illumina lentamente l’angolo della televisione, poi il mappamondo accanto ad essa e infine lo scaffale, posto poco più su, stracolmo di libri.

Sono sveglio già da un po’: la paura dei sogni ha turbato la mia notte, lasciandomi ad occhi aperti, sdraiato sul letto, con un libro tra le mani a tenermi compagnia.
Il vento fa sbattere la finestra semi-aperta contro il mio comodino.
La bottiglia d’acqua posta su quest’ultimo fa un rumore tanto strano quanto pauroso.
La porta si chiude di colpo, facendo cadere la foto di me e mia moglie per terra.
I suoni di una disgrazia imminente.
Subito dopo accendo il mio telefonino e vedo un messaggio: Roberto, mio compagno d’avventure sin dalla gioventù, mi ordina di andare subito in questura, facendo nascere dentro me stesso la mia tipica ansia.

Dopo le noiose e normali (chi ci assicura che lo siano realmente?) azioni, salgo sulla mia moto rossa. Rosso sangue.

Corro, mi libro nel vento come se sotto alle ruote ci fossero delle ali, cerco la libertà così, scrutando ogni minima cosa consapevole del fatto di non poter essere visto allo stesso modo. Il cielo sembra un dipinto: una piccola nuvola sullo sfondo si armonizza perfettamente con il suo azzurro chiaro e con il sole, che, sebbene sia ‘sveglio’ da poco, risplende silenziosamente.

Giungo in questura e noto che di domenica non c’è quasi nessuno: entrato grazie al custode, cerco qualcuno tra le prime stanze, finché non vedo nell’ultima, la più piccola e nascosta, una luce.
Roberto è lì, seduto su una sedia di pelle, con i piedi sulla scrivania, mentre fuma una sigaretta.

«Siediti e stai calmo» sono le parole con cui inizia il discorso. Poi riprende: 
«Rovistando tra vecchie scartoffie ho trovato questa foto. Tuo padre, caso abbandonato dopo qualche mese per via di troppe poche prove. Il motivo per cui tu hai deciso di diventare ciò che sei. Incuriosito, ho fatto alcune ricerche: da quindici anni da quell’evento, venticinque persone sono state uccise allo stesso modo, alla stessa ora. Enea, te la senti? Insieme, come sempre, te la senti?»
 
Espira il fumo della sigaretta. Ha pronunziato il mio nome, che porta in sé la cultura e la passione di mio padre, con lo stesso tono con cui mi ha chiamato la sera dell’annuncio di quella morte così brutale e straziante. Non sembra l’uomo duro dal carattere forte qual è: le labbra divengono sottili e il busto, tanto largo e imponente, esile.

Respiro.
Respiro.

Risolvere il caso per cui combatto dall’adolescenza o tirarmi indietro, vivendo con una moglie troppo poco presente e troppo poco degna di avere quell’appellativo?

«Siamo nati per uno scopo, siamo nati per essere qualcuno: chi panettiere, chi professore, chi medico, chi, come noi, poliziotto. Non abbiamo più tempo per cercare di rimpiangere il passato: possiamo solo imparare da esso, mantenendo in noi un ricordo, il quale ci accompagnerà per tutta la vita. È il tempo di rendere concreti i nostri sogni. È giunta l’ora di risolvere il nostro caso irrisolto, insieme»

Lo dico e mi sento vivo.

Sento l’aria entrare in me, ogni mia cellula respirare, il mio cuore battere.

Un pensiero mi distoglie da queste improvviso senso d’esistenza.

Una piccola macchia di sangue nell’angolo destro della foto, un piccolo punto rosso, rosso sangue.





Cari miei lettori,
anzitutto ringrazio tutti coloro che mi seguono e che mi hanno continuato a seguire su questo nuovo account e chiedo loro scusa per averne creato uno nuovo: a volte, nella vita, ci si sente insicuri e tutte le nostre certezze diventano invertezze; solo allora abbiamo bisogno di cancellare tutto per poter ricominciare, come se rinascessimo. Molti hanno già letto questa storia, ma, come noterete, ci sono delle modifiche, alcune sostanziali. Spero di non cadere nel banale e vi chiedo un favore: recensite! Solo le critiche e gli (eventuali) complimenti ci fanno crescere: in fondo, se scrivessi per me, non avrebbe neanche molto senso pubblicare tutto qui... Ringrazio di cuore le mie care monique89 e AnnabelleTheGhost che mi hanno confortato nel mio, seppur breve, periodo di crisi. Grazie e a presto!
ButnowIamfeelinggood.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2° ***


Clara è distesa sul nostro letto matrimoniale: un lenzuolo soffice la avvolge, lasciando intravedere il suo corpo.

È bionda, occhi azzurri come il mare: ogni volta che li guardo mi sembra di tornare bambino, sulla piccola barca a vela di mio nonno Giovanni, che mi dice “Enea, vadda comu si pigghianu i pisci!”.

 L’ho conosciuta al liceo: la osservavo dal mio ultimo banco vicino alla finestra, tra una lezione e l’altra.  L’ho scelta perché mi ricordava la mia Sicilia di quando ero bambino, mio nonno andatosene troppo presto e quel mare della zona occidentale, bello come non mai.

 Ora tutto era cambiato.

 Troppo intenta a fare carriera, non voleva avere figli. Ma, quelle poche volte che riuscivo a dissuaderla da questa sua convinzione, tutto si trasformava in solo piacere fisico: non era fare l’amore con la persona che ami e da cui vuoi un figlio, era sesso, sfogo di due corpi che cercano di unirsi.

Le accarezzo i capelli e le bacio la fronte: sembra una bambina. Mia nonna diceva che Clara fosse venuta dal mare, poiché la sua bellezza imperfetta le ricordava la riva, le faceva venire in mente quando era giovane e andava a mare con mio nonno: ritornava a casa con alcuni granelli di sabbia e sentiva l’odore del Mediterraneo su di sé.

La guardo, osservo ogni singola parte del suo viso: ha l’occhio sinistro un po’ più grande del destro, il naso leggermente storto, ma la sua bellezza è tale da non far notare nessuno di questi piccoli difetti, riesce a mascherarli, rendendoli pregi.

Ho sempre pensato di amarla, ho sempre avuto voglia di abbattere le mie incertezze, le mie paure e soprattutto le mie insicurezze per cercare di ricostruire tutto con lei: in fondo amare è proprio questo, distruggere per creare di nuovo, insieme, uno di fianco all’altro, per sempre, insieme. Ma per lei non è mai stato così, o almeno nell’ultimo periodo: si è sempre rinchiusa in se stessa, nel suo piccolo guscio che mi diceva che solo io ero riuscito ad aprire, ha iniziato a prendere antidepressivi e si è costruita un muro di fronte agli occhi. È diventata un carro armato: distrugge tutto e tutti, passa sopra le anime delle persone che tengono a lei solo per arrivare dove vuole lei.

Prima eravamo una sola cosa: tutto dipendeva dall’altro e ogni decisione era presa di comune accordo.

Una delle più belle cose che abbiamo comprato è stata casa nostra.

L’appartamento è lontano dal centro: volevamo ammirare il panorama della nostra splendida Venezia e intravedere ogni piccola cosa dal nostro balcone.

Avevamo deciso di colorare ogni stanza di un colore diverso cui associare qualcosa.

La nostra camera era azzurra: come i suoi occhi.

La cucina gialla: come il colore della farina, sempre tra le mani di mia nonna.

Il salone rosso: come il “nostro” amore.

Rimaneva un ultimo locale: verde.

Verde come la speranza che un giorno saremmo riusciti ad avere i nostri figli, a fare tutto ciò che da piccolo avrei voluto fare con i miei bambini: un giro sulla gondola, una passeggiata sul mare tendendoci tutti per mano, un bagno nelle mie belle acque siciliane sempre calde.

Ci spero ancora, ma mi sembra ogni giorno di più che le mie siano solo illusioni.

Clara si muove nel sonno e il rumore delle lenzuola mi fa tornare alla realtà.

Torna sempre più spesso tardi da lavoro e la notte ha degli incubi: sono giorni che si sveglia urlando aiuto, dicendo di aver sentito una voce chiamarla e dirle “Rosso sangue in casa tua, il tuo sangue”.

La mia Carla trema sempre di più, anche quando dorme, ed io non so che fare, non so se vuole il mio conforto, non so più niente.

La giro verso di me dolcemente, bacio le sue piccole labbra rosso fuoco e la abbraccio.

Mi addormento così, sentendo mia moglie vicina a me, purtroppo, solo fisicamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3° ***



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Dedico questo capitolo a SoRomantic, mia cara amica e autrice del banner della storia.


Nel sonno cerco il corpo di Clara, immaginandolo ancora accanto a me, ma noto che il suo posto è stato preso da un semplice post-it giallo, il quale mi comunica la solita notizia: non torna a pranzo.
Decido di chiamare Roberto: la notte per lo più insonne, trascorsa a rievocare immagini passate che, molto probabilmente, non ritorneranno, mi ha turbato e ho bisogno di qualche persona a me cara che mi stia vicino.

Lui, però, mi precede: ricevo un suo messaggio in cui mi dice di andare da lui per fare ricerche sul caso.

Dopo essermi preparato, mi dirigo verso casa sua.

Abita in pieno centro, il suo appartamento si affaccia su piazza San Marco: è stato suo nonno a comprarglielo, diceva che puoi conoscere usi e costumi di una città solo nel luogo più visitato. 

Busso alla porta e mi apre con la sua solita sigaretta tra le dita, inspira il tabacco e, con la voce scura a causa del fumo, mi saluta, sorridendomi.

Il suo sorriso mi tranquillizza: è stato proprio grazie a questo che siamo diventati amici, eravamo alle elementari ed io ero solo, appena arrivato dopo essermi trasferito dalla mia cara e amata Sicilia.
Mi fece sedere accanto a lui, presentandosi in modo euforico e rivelandosi fin da subito sempre allegro.
 
“Ciao, tu come ti chiami? Io sono Roberto e tutti dicono che sono una peste: ma io in realtà sono buono, voglio solo che le persone non siano tristi..”
“Ciao, io sono Enea, grazie per averti fatto sedere con te!”
“Di niente! Ti va se poi giochiamo insieme durante la ricreazione? Ho una palla bellissima!”
“Certo”, risposi di buon umore.
 
Mi dà una pacca sulle spalle e mi fa notare alla realtà, rilevando che per ora mi estraneo molto facilmente.
Dopo esserci seduti intorno al grande tavolo di legno posto nel centro della sala, mi presenta il foglio contenente i nomi dei venticinque assassinati.

Tutti sono stati uccisi allo stesso e identico modo, alla stessa ora della giornata, nella stessa stanza.
Se non fosse per il volto che, ovviamente, cambia, sembrerebbe che qualcuno avesse fatto delle fotocopie.

Si notano anche i segni del passaggio della polizia: nello sfondo si trova una piccola striscia di carta per distanziare ogni singola cucina dal salone, o qualsiasi altra stanza adiacente.
I miei occhi si focalizzano sul corpo di ogni vittima.

Il sangue ricopre ogni capo d’abbigliamento, ogni singolo tavolo imbandito per la cena, ogni parte del luogo dell’assassinio.

Guardo tutto con attenzione: la testa, i vari cassetti, le varie pentole e padelle poste sul fuoco...

Un dettaglio.

Un semplice e minuscolo dettaglio.

Noto un numero, accanto ad ogni corpo, scritto con il sangue.

Cambia cronologicamente.

Tutte le uccisioni sono collegate tra loro, uno stesso assassino per venticinque persone diverse, tutte a me conosciute e alcune anche molto care.

Voglio vendetta.

Ora, subito.




Cari lettori,
anzitutto ringrazio tutti coloro che mi seguono appassionatamente e mi scuso con tutti per aver aggiornato così tardi. Vi do una spiacevole notizia (quanto meno, per voi!): dovrete aspettare un mesetto circa per il prossimo capitolo. Il motivo? Vado in California, il sogno di una vita... Volevo anche dirvi che ho iniziato un contest, passate se vi va (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10301198)! Ho pubblicato il banner della storia, in cui si vede come io immagino Enea... ditemi la vostra!
A presto, 
ButnowIamfeelinggood.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


A chi c'è, a chi c'è stato e a chi ci sarà. Daniela: grazie di esistere. 

 
 
Le indagini continuano con il passare dei giorni: Roberto lavora sempre più per cercare informazioni, passando notti insonni sempre più continuamente. La stanchezza è ben visibile nel suo volto: si scorgono subito le sue profonde occhiaie e la sua voce, in genere altisonante e chiara, è sempre più rauca e difficile da comprendere. Parla in continuazione di cose insensate, di strane coincidenze e credenze popolari in cui non ha mai creduto. Stranamente sono io che lo riporto su questa terra, facendogli pensare che non abbiamo tempo per rivolgerci a cose astratte e per lo più improbabili: sin da bambini era lui che interrompeva i miei discorsi filosofici.

Con il passare del tempo i pensieri aumentano: non si tratta solo di un “normale” caso; si tratta di una strage. Decido di prendere una pausa: andrà Roberto a ritirare i risultati delle varie autopsie delle vittime per trovare qualche comune indizio. Ho riflettuto tutta la notte su cosa avrei fatto oggi e ho finalmente scelto: prenderò la gondola di mio nonno e farò un giro per le vie di Venezia. Da piccolo sognavo questa città, credendo infantilmente che il clima non cambiasse mai e che si potesse sempre “navigare”, pensavo anche che un giorno mi sarei spostato proprio su una gondola, come simbolo di un amore eterno.

Da bambini si crede che tutto sia realizzabile e la tua vita è basata tutta su due fili, vicinissimi, che sembrano quasi confondersi: l’amicizia e l’amore, che insieme portano alla felicità. Sembrano i due fondamenti della vita, i due giocattoli senza di cui non potresti andare avanti e solo con il trascorrere degli anni ti rendi conto che sono tutte favole: niente di tutto ciò è vero. Siamo noi stessi che facciamo in modo di essere felici, ma l’amicizia e l’amore non ti rendono tale: siamo essere umani e poiché tali imperfetti, i rapporti, dunque, lo sono anch'essi.

Inizio a viaggiare sul mio “ronzinante” di legno e mi sento come se fossi appena nato: avevo ragione da bambino, Venezia vista da qui è meravigliosa. Con la mano di Clara poggiata sulla mia gamba tutto sarebbe migliore, il suo sorriso smagliante, i suoi capelli come fili d’oro, rendono luminose le mie giornate. La amo, non ci posso fare niente, non m’importa della sua negligenza nei miei confronti, la amo, così, com’è, la amo per me stesso, perché senza non vivrei, perché preferisco nascondere il mio dolore piuttosto che cacciarla.

Le case di Canal grande sono bellissime: mi sembra di tornare indietro, nel settecento, tutte quelle case ricamate e bellissime, la mia mente mi immerge in un mondo fatto di saggi pronti a usare solo la ragione per affrontare i problemi della vita, un mondo fatto di signore con lunghi abiti, di mercanti e borghesi, della scoperta di nuove tecnologie. Mi sento in quel mondo che da giovane avrei sognato di spiegare ad altri adolescenti, ma i vari avvenimenti della mia vita mi hanno fatto cambiare strada.

Il momento di riflessione è concluso da una telefonata improvvisa.

Silvia: è una mia collega, non abbiamo mai avuto un ottimo rapporto, sempre uno contro l’altro, pensieri opposti, ma devo riconoscere che c’è sempre stata, soprattutto nei periodi molto bui con Clara.

“Silvia, dimmi”

“Enea, rosso: rosso sangue in casa tua”

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Capitolo 6
*** Capitolo 5° ***


Sulla mia gondola il tempo sembrava non passare mai. Solo quella telefonato mi destò dai miei sogni incantati per farmi ritornare alla dura e cruenta realtà. Rosso, rossa sangue, in casa mia.

Corro sulla mia moto così velocemente da non accorgermi quasi di essere già arrivato a casa.

La porta è aperta.

Vedo solo confusione.

C’è solo questo, dentro di me e davanti ai miei occhi.

La mia splendida Clara stava preparando la cena.

Rosso.

Il fuoco era acceso e la tavola apparecchiata.

Rosso.

In casa mia.

Rosso.

Nella mia cucina gialla come la farina.

Un déjà vu.

Il sogno di poche notti prima.

Lì c’era mio padre, qui c’è Clara.

Ma il resto è identico.

La tovaglia a quadretti blu e gialla, i bicchieri di cristallo, la pasta nella pentola.

Uguale.
 
 
«I vicini avevano sentito dei rumori strani e ci hanno chiamato subito: siamo arrivati il prima possibile ma invano».

«Che tipo di rumori?», chiedo senza neanche accorgermene a Silvia.

La mia mente non vuole concentrarsi.

Non vuole realizzare l’accaduto.

Non voglio realizzare l’accaduto.

Non sento cosa dice, le parole sembrano rumori di sottofondo.

Non riesco a distogliere lo sguardo dal pavimento.

Il suo corpo.

Il corpo di mia moglie.

Ha le palpebre chiuse e i capelli sporchi del suo stesso sangue.

«Dicono anche di aver sentito il rumore di qualcosa che cadeva».

Capisco solo questo del lungo discorso di Silvia.

Corro.

Corro.

La camera verde.

La camera del nostro bambino che non abbiamo avuto né avremo mai.

Avevamo comprato un mappamondo.

 
«Ti piace, Clara?»
«Mi piace quanto mi piaci tu»
 

Nei miei pensieri ritornano le parole di quel giorno: non eravamo ancora sposati, ma ci piaceva andare in giro per i negozi come se lo fossimo.

È distrutto.

Ha avuto il coraggio di distruggere l’oggetto a cui ero più affezionato.

Un altro dèjà vu.

Il secondo sogno.

La paura mi mangia, divora il mio stomaco e risucchia lentamente la mia anima.

Urlo.

Tutti mi guardano attoniti, come a dire: «Ma che sta facendo?». Mi comprendono solo Roberto e Silvia, che si scambiano occhiate fugaci e poi, all’unisono, si voltano verso di me.

Roberto ha gli occhi verdi come l’erba al mattino, quando si riesce a distinguere la rugiada in ogni foglia.

Silvia è nera: occhi scuri come il buio di una caverna.

Mi comprendono con uno sguardo lungo e intenso, facendo andar via tutti gli altri.

Hanno portato con sé il corpo di Clara, la mia Clara.

Sul pavimento rimane solo una macchia di sangue, piccola: sembra quasi la puntina di una “i”.

La scruto, mi ricorda vagamente un numero.

Mi avvicino cautamente.

Numero “1”.

La prima vittima di tante altre che la seguiranno.

Devo riuscire ad scovare l’identità di quest’assassino.

Devo salvare tutte le altre persone che saranno uccise da questo carnefice.

Devo: è una questione di principio.

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