Operazione Hunting - Prima Parte: Chi meno ti aspetti

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


OPERAZIONE HUNTING - 1° PARTE

CHI MENO TI ASPETTI

Due uomini correvano a perdifiato attraverso alcuni vicoli piuttosto sporchi e maleodoranti , schivando maldestramente sacchi di immondizia e altra roba.
In mano impugnavano due pistole, e nei loro occhi si leggeva una grande paura.
“Presto! Presto! Forse l’abbiamo seminato!” disse uno dei due, ma l’altro, senza più fiato, non rispose.
Raggiunsero poi una scalinata, e salirono fino ad una vecchia soffitta.
Chiusa la porta vecchia e cigolante, si accasciarono a terra.
“Porca merda, ma hai visto che tipo terrificante?”
“Si…”
“Ha sgominato tutta la banda da solo…”
“Che fosse un piedipiatti?”
“Gli sbirri non possono essere stragisti…”
“Una banda rivale allora”.
“Ma se un'altra banda avesse a disposizione un simile elemento, si saprebbe”.
“E allora chi diavolo…”
L’altro si strinse nelle spalle, e si alzò per avvicinarsi con cautela ad una vecchia finestra e scrutare la notte.
“L’unica cosa che so, è che domani prendiamo il primo aereo e ce la filiamo da questa città”.
“Sono d’accordo” rispose l’altro cominciando già con la mente ad esplorare le varie possibilità.
Le sue preferenze andarono alla California, la Montagna d’Oro come la chiamavano i suoi nonni.
Poi un tonfo lo riportò con i piedi per terra.
Il suo compagno giaceva per terra, con un pugnale infilato nella faccia.
L’altro allora scattò in piedi, puntando la pistola, a tentoni.
Il suo respiro subì un brusco incremento, i lineamenti stravolti dal terrore.
Sentì uno scricchiolio sopra di se, sparò alcuni colpi.
Niente.
Poi un altro scricchiolio.
Altri due colpi, e ancora niente.
Un terzo scricchiolio arrivò dal buio davanti a lui.
Ancora colpi e di nuovo niente.
Infine silenzio totale, interrotto solo dal suo ansimare frenetico.
Dov’era quel bastardo?
Aveva bisogno di un’altra arma, decise di prendere quella del compagno.
Mosse un passo, e nel pavimento in legno ci fu un piccolo scoppio.
L’uomo sentì qualcosa di caldo entrargli dolorosamente negli intestini.
Si accasciò a terra, dal pavimento arrivò un'altra piccola esplosione,
e l’ultima cosa che l’uomo sentì, per un attimo, fu quel qualcosa di caldo che stavolta gli entrava sotto il mento.
Poi la sua faccia esplose.
Dopo un po’, una terza persona entrò con calma nella soffitta, scaricando dei bossoli ormai vuoti da un piccolo fucile a canne mozze, e cominciò a trascinare via i due cadaveri.

1° CAPITOLO
“Kurz, stavolta ti distruggo!” esclamò con rabbia Melissa Mao afferrando per il bavero della camicia il suo sottoposto Kurz Weber.
“Andiamo, sorellina Mao, volevo solo aiutarti a portare la tua biancheria” cercò di giustificarsi il giovane ridacchiando.
“Ah si? E allora perché stavi annusando uno dei miei slip?!”
“Be… perché… ecco..”
Un secondo dopo, Kurz poté appurare nuovamente quanto fossero dure le nocche del suo avvenente superiore.

“Ma che razza di idiota maniaco!” sbuffò la donna sedendosi davanti ad un computer.
Siccome non era la prima volta che succedeva una cosa del genere, si chiese nuovamente perché non chiedesse il trasferimento di lei o di lui dal De Danaan.
“Perché poi probabilmente mi annoierei” si rispose collegandosi via internet alla sua casella postale.
Ovviamente lei non aveva un indirizzo internet, ma siccome quasi tutti i membri della Mithril avevano familiari sparsi un po’ in tutto il mondo, per via della natura internazionale della Mithril stessa, allora l’organizzazione aveva creato un sito di copertura a cui mandare messaggi.
Messaggi che poi venivano ovviamente setacciati da cima a fondo per controllare che non contenessero virus o informazioni particolari, e che giungevano ai destinatari a tappe, per seminare eventuali intercettatori informatici.
La stessa cosa accadeva quando gli operativi della Mithril rispondevano.
Le mail venivano poi smistate in base al nome.
Melissa aprì la sua casella.
Solitamente non le scriveva nessuno, e questo non la stupiva, ma chissà che un giorno, per un motivo o per un altro..
“Oh, guarda un po’, questo sembra essere il giorno giusto” esclamò la donna quando vide una mail indirizzata a lei.
L’oggetto diceva: “Ad una vecchia amica”.
Con un espressione incuriosita, aprì il messaggio, e in un istante il suo viso sembrò diventare di marmo.

“Una licenza adesso?” chiese incuriosita Tessa seduta nel suo ufficio.
“Si, ho saputo della morte di una mia vecchia e carissima amica a Hong Kong. Il funerale l’hanno già fatto, ma credo di poterle dare lo stesso un ultimo saluto. D’altronde non sono previste missioni per questo periodo, quindi ho un po’ di tempo libero”

“Ma tu non sei di New York?”

“Si, ma per un certo periodo di tempo ho vissuto a Hong Kong. E poi questa ragazza, Betty, è stata mia amica sia ad Hong Kong che nei marines”.
“Mah, penso che la licenza la dovresti chiedere al maggiore Kalinin”.
“Si, ma quel vecchio orso sovietico e insensibile non credo trovi plausibili le mie motivazioni” rispose Melissa con un plateale gesto di stizza.
“Ok, ok. Ti concedo una settimana di licenza, ma ricordati che devi sempre tenerti a disposizione. Non scomparire in posti strani”.
“Non si preoccupi, colonnello Testarossa, sarò sempre reperibile”.
Melissa abbozzò un saluto militare e uscì dalla stanza.
Si ritenne fortunata di essere riuscita ad evitare l’inquisitorio Kalinin.

****

“Padre Nostro…. che sei nei… cieli… s-sia santificato il tuo nome…”

Tessa, in pigiama, sussurrava una preghiera rannicchiata in un angolo del suo ufficio, con in mano la sua piccola pistola.

Nonostante i suoi sforzi, non riusciva a trattenere le lacrime e a fermare i tremori che le scuotevano il corpo ininterrottamente.

Dal corridoio non arrivava nessun rumore, e questo anziché tranquillizzarla, la terrorizzava a morte.

Perché significava che l’intero equipaggio del De Danaan probabilmente era stato ucciso!

Poteva sembrare impossibile che una sola persona fosse riuscita a sterminare in una notte duecentocinquanta persone, eppure quella persona c’era riuscita.

Grazie al fattore sorpresa doveva aver avvelenato le risorse idriche o l’impianto di aerazione, o le provviste, magari tutti e tre, per poi finire personalmente i pochi scampati.

Aveva ancora davanti agli occhi, l’immagine del corpo senza vita del marinaio che era venuto ad avvertirla.

C’era qualcosa che non andava, le aveva detto.

Sembrava che tutto l’equipaggio stesse morendo, dalle cabine provenivano lugubri lamenti e atroci grida di dolore.

Forse un intossicazione, aveva pensato il colonnello, che a causa del troppo lavoro aveva passato tutta la sera in ufficio saltando anche la cena.

Finché arrivata alla plancia, non aveva visto quella persona… finire di uccidere gli operatori.

Cadaveri ancora seduti, colpiti da una lama o da una pistola.

Davanti a quello spettacolo orrendo e all’assassino, lo stupore e l’orrore avevano fatto spalancare gli occhi del giovane colonnello.

Il marinaio, che l’aveva accompagnata, pur essendo non meno stupito di lei, aveva avuto abbastanza prontezza per saltare addosso all’assassino e bloccarlo.

Le aveva gridato di scappare.

Lei lo aveva fatto, voltandosi in tempo per vedere il marinaio crollare a terra con la gola squarciata.

Sconvolta era corsa fino al suo ufficio per recuperare la sua pistola e andare subito alle capsule d’emergenza.

Non le piaceva affatto l’idea di abbandonare il suo equipaggio, ma da sola che poteva fare?

Presa l’arma era andata verso il corridoio, ma era stata bloccata da un colpo di pistola che era passato a meno di un centimetro dal suo viso conficcandosi nella porta.

L’assassino l’aveva raggiunta!

Aveva chiuso allora la porta rannicchiandosi nell’angolo come un topo in trappola.

Non poteva fuggire, e dubitava con quella piccola pistola di poter fermare l’assassino.

Le era rimasta solo una remota possibilità.

E sperare che avrebbe funzionato.

Pochi istanti dopo, la porta venne scardinata!

Come aveva fatto?! Non poteva essere cosi forte!

Gridando e piangendo, Tessa sparò un colpo.

E contemporaneamente, a migliaia di chilometri di distanza, una giovane studentessa liceale di Tokyo che stava per andare a letto, ebbe un mancamento.

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° CAPITOLO

Sousuke Sagara era nervoso, molto nervoso, ma lo nascondeva bene.

Una delle regole che aveva imparato sul campo di battaglia era di mantenere la calma ad ogni costo, e se non riusciva a fare questo, allora doveva almeno fingere di avere tutto sotto controllo, per non permettere al nemico di approfittare della sua agitazione.

In quel momento non c’erano nemici, ma per Sousuke la differenza tra tempo di pace e tempo di guerra era cosi labile da risultare quasi inesistente.

Gli avevano chiesto di restare seduto su una delle sedie, ma non se la sentiva proprio di stare seduto.

Comunque era riuscito a resistere alla tentazione di andare su e giù per la stanza.

La porta si aprì e fu invitato ad entrare.

Sousuke si mise sull’attenti davanti alla scrivania dell’ammiraglio Borda, facendo il saluto militare.

“Sergente Sousuke Sagara a rapporto, signore!”

L’ufficiale anziano squadrò Sousuke per alcuni, lunghissimi, attimi.

Poi parlò: “Sergente Sagara, le hanno detto perché è stato convocato d’urgenza in questa filiale giapponese della Mithril?”

“Mi hanno detto che è accaduto qualcosa di molto grave sul Tuatha De Danaan, signore”.

Una cosa davvero molto grave, aveva pensato inoltre il ragazzo, per scomodare direttamente l’ammiraglio Borda, uno degli ufficiali di più alto grado della Mithril.

“Infatti. Ma più che grave, la definirei catastrofica: il TDD è scomparso!”

Pur restando sempre sull’attenti, Sousuke stavolta non poté nascondere assolutamente il suo stupore.

“Scomparso, signore?”

“Non si sforzi di nascondere la sua sorpresa, sergente Sagara. Quando due giorni fa abbiamo perso completamente i contatti col De Danaan, la notizia si è diffusa nel quartier generale in un lampo, e tutti sono rimasti di stucco”.

“Se mi è permesso chiederlo, signore, si sono già ipotizzate delle cause?”

“Si esclude l’affondamento: un sottomarino come quello non può certo essere affondato in cinque secondi, senza che il suo equipaggio abbia almeno il tempo di trasmettere un SOS. E si esclude anche il guasto, perché il De Danaan possiede cosi tanti sistemi di comunicazione, che è impossibile ridurlo al silenzio totale”.

“Se ancora mi permette, signore, non sono stati trovati rottami o altro nell’ultima posizione segnalata?”

“No”.

“Ed esattamente quando è avvenuta la sparizione? E dove si trovava il TDD?”

“I contatti col De Danaan sono cessati alle ore 23 e 58 di due giorni fa, e si trovava in navigazione normale nel Pacifico, 382 km ad est delle isole Marianne”.

Calò il silenzio.

Sousuke cominciò a riflettere su qualcosa.

“Immagino che sia preoccupato per la sorte dei suoi commilitoni, vero sergente?”

“S.. si, signore”.

“E forse si starà chiedendo perché l’ho convocata”.

“Esatto anche questo, signore”.

“Lei deve andare a Hong Kong, sergente”.

“Hong Kong?!”

Quella città era stata in tempi molto recenti luogo di eventi parecchio caotici per Sousuke: il ritorno e la morte, possibilmente definitiva, di un antico nemico, la battaglia contro i Venom della misteriosa Amalgam e la sua ‘rinascita’ come guerriero a bordo dell’Arbalest.

“Ma che cosa c’entra Hong Kong con la scomparsa del De Danaan?”

“In teoria niente, ma stamattina abbiamo ricevuto questa comunicazione dai nostri agenti nella città. Si tratta di un messaggio fatto trovare alla nostra filiale”.

L’ammiraglio passò un foglio a Sousuke, che leggendolo inarcò un sopracciglio.

Il foglio era la fotocopia di un messaggio scritto a penna: “Al cucciolo della tigre di Badakshon: devo incontrarti per comunicarti informazioni molto importanti sul gigante dei mari appena scomparso”.

Sousuke ebbe un leggero tremito: quel metodo per comunicare con lui era stato ideato da… Gauron!

Ma cosa significava?

Che Gauron era ancora vivo?

Impossibile!

Già quando lo aveva trovato a Hong Kong era più morto che vivo.

Sousuke poi gli aveva ficcato chissà quante pallottole in corpo!

E, dulcis in fundo, il letto su cui era steso quel dannato era esploso!

Come poteva dunque essere vivo?

Sebbene Sousuke fosse un tipo pragmatico al massimo e per nulla incline alla superstizione, stava cominciando ad avere qualche dubbio.

Che Gauron fosse in realtà un demone?

“Sergente Sagara!”

La voce dell’ammiraglio lo riportò alla realtà.

“Mi… mi scusi, ammiraglio”.

“Comprendo bene il suo stupore, sergente, siamo stati informati sulla trappola che il terrorista Gauron le ha teso ad Hong Kong. Purtroppo il chiaro riferimento al De Danaan non lascia dubbi sulla veridicità dell’annuncio. E stando a chi l’ha pubblicata, si tratta di un messaggio anonimo consegnato due ore dopo la scomparsa del nostro sottomarino. Non può essere un rimasuglio di quella trappola”.

“Capisco. Lei, signore, si rende comunque conto che potrebbe essere una nuova trappola?”

“Si, naturalmente. Ma non abbiamo altra scelta, sergente. Brancoliamo nel buio. Questo è l’unico indizio che abbiamo, per quanto sospetto possa essere”.

“Immagino che sia stato già tutto approntato per la missione”.

“Esatto. Entro domani la voglio ad Hong Kong. Lì troverà uomini e mezzi. Siccome ha già esperienza di quell’ambiente e dei possibili mandanti del messaggio, il comando operativo dell’operazione verrà affidato a lei ”.

Sousuke fece il saluto militare ed uscì dall’ufficio mentre Borda tornò ad esaminare molto attentamente alcuni dossier.

La sua vita stava per tornare a farsi fortemente caotica.

E doveva fare molta attenzione a non farsi travolgere.

Perciò una cosa alla volta.

Mise mano al suo orologio, e fece un rapido calcolo per stabilire che ore fossero in Giappone quando i contatti col De Danaan erano cessati.

E concluso il calcolo, rimase di sasso: anche se sicuramente c’era uno scarto di qualche minuto, grosso modo il De Danaan aveva comunicato la sua ultima posizione nel momento in cui Chidori, agitatissima, aveva telefonato di sera a Sousuke per avvertirlo di aver visto nella sua mente Tessa aggredita sul De Danaan.

Il sospetto che gli era venuto al momento della convocazione e che lo aveva innervosito cosi tanto, ora aveva avuto conferma.


Kaname stava leggendo un libro sui delfini nella sua stanza, quando suonarono al campanello.

Velocemente andò ad aprire.

“Sousuke?”

Nel vederlo sorrise radiosa, mentre il ragazzo si limitò ad un mesto sorriso.

Quando vide quella reazione, Kaname si rabbuiò: “Allora è come…”

“Si, purtroppo si. E’ come avevi detto tu”.

Sousuke entrò e rimase in piedi, mentre Kaname si sedette.

Sembrava improvvisamente molto stanca.

“Sai, mi ero ormai quasi convinta che avessi ragione quando dicevi che era stato solo un incubo”.

“Mi dispiace” rispose lui.

“E di cosa? Se ho avuto quella visione non è stato certo per colpa tua”.

“Allora deve essere stato un effetto della Risonanza”.

“Credo proprio di si. Del resto, già in passato tra me e Tessa c’è stata una certa sintonia”.

“Ma ora non senti niente?”

“No, te l’ho detto. E’ stato come un flash, ho visto Tessa, penso nel suo ufficio sul De Danaan, terrorizzata che sparava contro qualcuno. Poi silenzio”.

“E non sai dirmi niente su questo qualcuno?”

Kaname fece segno di no.

“E’ accaduto tutto troppo velocemente, e la mia attenzione era concentrata su Tessa. Del suo aggressore ricordò solo un immagine sfocata”.

“Capisco”.

“Be, ora dove andiamo?” domandò Kaname.

“Che vuoi dire?”

“La Mithril cosa intende fare?”

“Sembra che abbiano trovato un indizio a Hong Kong, e ho ricevuto l’ordine di recarmi lì nuovamente. Ma tu resterai qui, sotto la sorveglianza di Wraith”.

“Strano che la Mithril non abbia niente da dire sulla mia visione”.

“Non glielo ho detto”.

“Eh? Hai nascosto questa informazione ai tuoi superiori?”

“Si. Non ho ancora ben chiaro cosa sta succedendo, ma è sicuramente qualcosa di molto pericoloso, e non voglio assolutamente coinvolgerti ulteriormente”.

Kaname sembrò rabbuiarsi: sapeva che Sousuke non poteva assolutamente abbandonare i suoi, anzi, i loro amici Tessa, Melissa e Kurz, e gli altri suoi commilitoni, ed era giusto.

Però questo non le impediva di temere per la vita di lui.

Allora la ragazza si alzò e l’abbracciò.

“Promettimi che li salverai e che tornerai sano e salvo!”

“Te lo prometto” rispose lui ricambiando l’abbraccio dopo un attimo di sorpresa.

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° CAPITOLO

Il ricevimento alla villa del boss Wei proseguiva da alcune ore.

Decine di invitati, gli uomini vestiti tutti con eleganti completi all’occidentale mentre le donne indossavano raffinati abiti di stile orientaleggiante, si stavano godendo la festa data da uno dei capi della potente Triade per festeggiare il suo settimo matrimonio, dopo la prematura scomparsa della precedente consorte.

Mentre il padrone di casa stava parlando con alcuni ospiti, un cameriere gli riferì che qualcuno lo desiderava al telefono.

Qualcuno molto particolare.

Wei andò a rispondere nel suo ufficio.

“Pronto?”

“Mio caro Wei, come sta andando la festa?”

Nel sentire quella voce, l’uomo si infuriò.

“Si può sapere che cosa vuoi?! Sai già che non cederò mai! Né io, né i miei compagni ti cederemo mai i nostri profitti!”

“Che delusione. Speravo che nel frattempo tu avessi cambiato idea. Ti avevo avvertito della mia nuova arma”.

“Quale nuova arma?! Ti riferisci alle Tigri Bianche? Quelle mezze cartucce non erano niente. Qualunque buon professionista potrebbe eliminarle come hai fatto tu!”

“Ne sei sicuro? Forse perché non hai assistito alle loro esecuzioni, e questo che ti impedisce di avere paura”.

“La mia organizzazione è la più forte. Non ha paura di te!”

“Ah si? Allora vai a parlarne con tua moglie”.

“Che cosa?!”

“Non ti sei accorto che i miei uomini sono da un pezzo nella tua villa. Avrebbero potuto ucciderti subito, ma ho preferito concederti un’ultima chance, che tu hai rifiutato. Ora, pagane le conseguenze. Ma se ti può consolare, la tua morte sarà piuttosto originale e prima di ucciderti ti farò un piccolo regalo d’addio”.

Il collegamento venne chiuso.

Wei sbatté giù la cornetta e corse al salone delle feste.

Sicuramente quel pagliaccio aveva mentito, ma era meglio stare tranquilli.

Arrivato nel salone, cercò la moglie, senza trovarla.

Chiese ai camerieri, che gli riferirono di averla vista andare in camera da letto insieme ad uno sconosciuto.

Sorpreso e preoccupato, Wei andò in camera da letto ed entrò.

La stanza era deserta e al buio, l’unica luce proveniva dal bagno attiguo, dal quale arrivava anche molto vapore.

Sembrava che qualcuno si fosse fatto la doccia.

“Sei qui, cara?”

La donna uscì dal bagno, col suo vestito molto chic e un asciugamano in testa.

“Cara, ma che hai fatto? Uno shampoo con la festa ancora in corso?”

“Avevo bevuto troppo, e avevo bisogno di rinfrescarmi la testa” rispose con voce suadente la donna.

Raggiunse il marito e lo abbracciò.

E lo baciò con passione.

Pur con perplessità, l’uomo corrispose all’abbraccio e si abbandonò a quel bacio.

Poi le loro labbra si separarono.

“Mmm, per cos’era questo bacio? Un piccolo antipasto?”

La moglie gli sussurrò in un orecchio: “No. Era il regalo d’addio”.

“Come?!” esclamò l’uomo, prima che con un calcio la moglie lo scagliasse contro la parete, facendogli fare un volo di almeno quattro metri.

Wei si schiantò contro la parete e cadde sopra un mobiletto, sfondandolo.

Sorpreso e terrorizzato, vide la donna togliersi l’asciugamano dalla testa: non era sua moglie, aveva una pettinatura diversa.

“Tu…. Tu chi… sei…?”

Con calma la sconosciuta afferrò da un comodino un soprammobile a forma di globo terrestre.

E prima che Wei potesse gridare aiuto, il globo fu lanciato con tanta forza contro la sua testa che quest’ultima si frantumò letteralmente come un vaso di coccio.

Una piccola esplosione di sangue si riversò sulle pareti, mentre l’assassina con calma usciva da una finestra.

Sotto il letto si intravedeva il corpo, nudo e senza vita, della moglie di Wei.

****

Sousuke osservava il panorama notturno di Hong Kong dal finestrino dell’elicottero munito di ECS.

Erano passati due mesi dall’ultima volta che era stato in quella città, eppure gli sembrava di averla lasciata solo da qualche giorno.

L’elicottero atterrò in uno spiazzo deserto situato fuori dalla città.

Solo Sousuke scese, e dopo un po’ arrivò una macchina rossa che si fermò ad un certa distanza e cominciò a lampeggiare in codice con i fari.

Sousuke tirò fuori una torcia e rispose.

I fari della macchina lampeggiarono ancora.

Allora Sousuke fece il segno dell’ok e una forte folata di vento gli scompigliò i capelli mentre il mezzo della Mithril decollava.

Sousuke salì sulla macchina, alla guida c’era un ragazzo orientale di circa venti anni.

“Sergente Sagara, benvenuto ad Hong Kong” esordì il giovane “Sono il tenente Feng Tien, le farò da supporto durante la sua missione”.

“Grazie” rispose impassibile Sousuke.

Tieni avviò la macchina dirigendosi verso i quartieri periferici della città e muovendosi con sicurezza tra quelle stradine solo in parte asfaltate.

“Qui ad Hong Kong si stanno ancora riprendendo dalla battaglia degli AS, ma ormai non c’è quasi più traccia di quegli scontri” spiegò il tenente.

“Capisco. Novità sul caso?”

“No, nessuna. Non abbiamo indizi su dove il cucciolo di tigre debba incontrare questo presunto informatore”.

“Io ho una mezza idea su dove debba avvenire l’incontro”.

“Ovvero?”

“Nell’annuncio non c’è alcuna indicazione perché il suo autore ritiene che io possa immaginare facilmente dove devo incontrarlo. Ovvero, al vecchio caseggiato dove ho parlato con Gauron. Possiamo andarci adesso?”

“Certo, il tempo di avvertire gli uomini. L’ammiraglio Borda non ha perso tempo, e ad Hong Kong è presente un piccolo esercito dei nostri”.

Tien prese una radio e comunicò l’indirizzo a cui dovevano recarsi gli altri.

E dal sedile posteriore tirò fuori un borsone pieno di armi, che Sousuke iniziò a controllare.


Non era rimasto molto dell’edificio che era stato il rifugio di Gauron nei suoi ultimi mesi di vita.

A causa di quella violenta esplosione il secondo piano era crollato sul primo.

“Aquila 1, qui Aquila 2, l’area è pulita, passo”.

“Aquila 2, anche qui niente da segnalare. Date il via al passante”.

Sousuke uscì da un vicolo e come se fosse un semplice passante si avvicinò all’edificio diroccato, si sedette su un muro e tirò fuori una bottiglia di vino, cominciando a bere.

In realtà nella bottiglia c’era acqua, perché Sousuke non sopportava l’alcol.

Il fingersi un giovane ubriacone serviva solo a non far insospettire i passanti, pochi comunque a quell’ora.

Tien osservava Sousuke da una finestra, due cecchini erano posizionati sui tetti, e altri dieci uomini erano posizionati in punti strategici negli edifici circostanti oppure nel dedalo di vicoli e vicoletti che circondavano il piccolo palazzo, pronti a scattare armi in pugno al primo segnale sospetto.

La zona era stata anche scandagliata con un particolare sensore a infrarossi per controllare che non ci fossero ordigni o nemici pronti a tendere agguati.

Il tempo trascorse e non successe niente, Sousuke, finita la bottiglia, aveva finto di cadere addormentato a terra.

Le ore trascorsero ancora e nessuno si avvicinò a Sousuke, neppure un viandante che controllasse se era ancora vivo o se possedeva qualcosa che poteva essere rubato.

Quando si avvicinò l’alba, Tien contattò Sousuke tramite un auricolare.

“Sergente, siamo qui da otto ore e non è successo niente. Dubito che per stasera il nostro amico si farà vedere. Le conviene ritirarsi”.

Sousuke allora finse di svegliarsi, si diede una sgranchita alle ossa e se ne andò, sparendo dalla strada principale.

Appena fu certo di essere fuori dalla visuale di chiunque fosse eventualmente affacciato sulla strada, si dileguò e raggiunse la macchina rossa di Tien, che arrivò poco dopo.

“Un fiasco! Una notte sprecata!” sbottò il tenente salendo in macchina.

“Non se la prenda. Dobbiamo dare tempo al tempo. E’ possibile che l’informatore non si sia ancora accorto del mio arrivo in questa città” rispose Sousuke.

“Vuol dire che dovremo passare chissà quante altre notti a vegliare quel posto? Grandioso! Mi chiedo come la prenderà l’ammiraglio Borda. Ma è sicuro che il luogo sia quello?”

“Non posso esserne assolutamente sicuro, ma preferisco puntare su quel posto. Se invece dovessimo controllare tutti i luoghi dove Gauron ha lasciato le sue tracce due mesi fa, i tempi di contatto si allungherebbero troppo. Inoltre io non possiedo il dono dell’ubiquità, e sicuramente il nostro uomo non si farà vedere se prima non vedrà me”.

Tien borbottò qualcosa e avviò il motore.

“Ora dove andiamo?”

“Portami in qualche luogo tranquillo dove possa dormire per almeno due ore”.

“Non vuole andare alla nostra base?”

“No. Tutto è, tranne che un luogo tranquillo”.

Tien allora congedò gli altri, e portò Sousuke in una piccola pensione dove avrebbe potuto farsi una dormita.

Sousuke andò in camera e si mise a dormire, dopo aver detto a Tien che non voleva essere disturbato.

L’aria era ancora scura, anche se si intravedevano le prime luci dell’alba.

E in mezzo al buio una figura si mosse agilmente sul tetto di un edificio vicino alla pensione.

Si spostava muovendosi quasi rasoterra e senza fare il minimo rumore.

Indossava un cappotto nero molto largo e spesso, comprese la maniche, che sembrava quasi un saio, e un cappuccio copriva completamente il viso.

Si sporse leggermente dal bordo del tetto, scrutando le finestre della pensione.

Tutte le finestre erano affiancate da una scala e da una passerella antincendio.

La figura allora calò una corda sottile e scese fino a raggiungere una delle finestre.

Sempre nel massimo silenzio, salì su una delle passerelle e sbirciò nella stanza.

Il suo obbiettivo stava dormendo sotto le coperte.

La figura scassinò abilmente e senza fare rumore la finestra, l’aprì ed entrò.

E subito si ritrovò una pistola puntata alla tempia.

“Il vecchio trucco dei cuscini sotto le coperte” disse allora con calma la figura incappucciata.

Aveva una voce rauca, che la rendeva irriconoscibile.

“Esatto” rispose Sousuke nascosto a lato della finestra.

Si avvicinò al letto e lo scoprì, mostrando due cuscini affiancati.

“Lo immaginavo che non ti saresti fatto vedere lì, perché sapevi che con me ci sarebbero stati gli uomini della Mithril. Ma facevi comunque la guardia, per sapere se ero arrivato e dove alloggiavo, cosi avresti potuto incontrarmi da solo”.

“Precisamente”.

“Bene, ora siamo da soli. Chi sei e cosa vuoi?”

“Chi sono non ha importanza. E non ti deve importare cosa voglio. Ti basti sapere che il tuo nemico è anche il mio nemico”.

“Il tuo non è il comportamento adatto, se vuoi che mi fidi di te”.

“Nessuno ti ha chiesto di fidarti di me. Ma non hai altra scelta che ascoltarmi, perché senza di me voi della Mithril non sapreste cosa fare, e non avreste nessuna possibilità di ritrovare il De Danaan”.

“Parla allora!” intimò Sousuke, sempre con la pistola puntata.

“Ultimamente ad Hong Kong è scoppiata una grossa guerra criminale, a causa dell’ambizione di Jonathan Shaw, boss emergente che ha dichiarato guerra alle Triadi. Shaw ha fatto una carriera troppo brillante, da delinquente di mezza tacca qual è ha messo su un impero troppo rapidamente perché sia frutto delle sue sole forze. Egli infatti dispone di capitali di origine sconosciuta, e inoltre possiede una squadra di killer molto, troppo, efficienti che fanno fuori i suoi concorrenti”.

“Che cosa c’entra con la scomparsa del De Danaan?”

“Sappi che Shaw è finanziato da Amalgam”.

Sousuke rimase sorpreso.

Non sapeva molto di questa Amalgam, quel poco che conosceva gliela aveva detto Gauron poco prima di morire.

Gli era chiaro comunque che si trattava di un gruppo opposto alla Mithril, e che disponeva della Black Tecnology grazie alla quale costruiva gli AS di classe Venom muniti di Lambda Driver.

“Ma per quale motivo Amalgam si serve di un boss mafioso?”

“Un test. Si tratta di un test per provare un tipo di arma che è stata usata per catturare il De Danaan, e che contemporaneamente viene provata sul campo di Hong Kong per uccidere gli avversari di Shaw”.

“La squadra di killer!” esclamò allora Sousuke, che con la mente andò anche al racconto di Chidori, che aveva visto Tessa aggredita da uno sconosciuto.

“Molto probabile” rispose l’incappucciato.

“Amalgam corre un grosso rischio a fornire la sua tecnologia ad un boss mafioso, potrebbe usarla contro di lei”.

“Potrebbe, ma sarà morto prima di poterlo fare. Amalgam ha sempre agito cosi, facendo testare le sue armi ad altri, che una volta esaurito il compito in un modo o in un altro sono stati distrutti. E’ accaduto con il Behemoth fornito all’A21 e con i Venom dati a Gauron. Amalgam ha sfruttato anche il KGB, prima mettendolo sulle tracce dei Whispered e poi impadronendosi delle sue ricerche.

In questo modo Amalgam diventa sempre più forte continuando a restare nell’ombra”.

“Ma come possono questi killer essere una nuova arma di Amalgam?”

“Non lo so. Comunque, ti ho detto quello che dovevi sapere. Andate da Shaw, lì potrete risalire al luogo dove è nascosto il De Danaan”

L’incappucciato si girò e fece per andarsene.

“Perché dovrei lasciarti andare?” chiese Sousuke mettendogli una mano sulla spalla.

“Perché sarebbe sleale non farlo. Tu sei un uomo d’onore, la mia parte l’ho fatta e ora tu devi fare la tua”.

Sousuke tolse la mano.

“Però” disse allora il ragazzo “come fai a sapere queste cose? E perché hai voluto parlare con me? Potevi contattare direttamente la Mithril”.

“La prima risposta la puoi immaginare facilmente. Quanto al resto, non mi fido della Mithril, non condivido affatto i suoi sciocchi ideali” rispose l’informatore prima di uscire dalla finestra e dileguarsi.

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° CAPITOLO

Nella stanza di un prefabbricato in abbandono, Sousuke stava controllando una piantina che si era procurato Tien della villa di Jonathan Shaw, un edificio enorme circondato da un parco altrettanto enorme.

Le informazioni della piantine venivano unite a quelle fornite da un satellite della Mithril.

“Non sarà facile entrare. Il parco è circondato da un alto muro di cinta provvisto di cancellate elettrificate, sensori a infrarossi che coprono un aria di cinque metri oltre il muro, telecamere e guardie armate.

E anche se si riesce a superare queste difese, c’è troppo spazio scoperto fino alla villa, impossibile avvicinarsi senza essere visti” illustrò Sousuke.

“Ma un modo lo dobbiamo trovare comunque. Potremmo usare gli M9” propose il tenente.

“No, nessuna azione plateale, rischierebbe di far scoppiare una guerra civile in Cina” replicò Sousuke.

“Mi chiedo comunque se le informazioni di quel tipo fossero affidabili, sergente Sagara. Lei si fida?”

“Al 50%. Sono consapevole dei rischi, ma ci ha comunque fornito un indizio, l’unico che abbiamo, e dobbiamo seguirlo per forza”.

Arrivò di corsa uno dei soldati della Mithril: “Sergente Sagara, la vogliono al telefono, risponda subito”.

“Chi è? Il quartier generale?”

“Si. E sembra che si tratti di una ottima notizia!”

Sousuke andò subito al telefono satellitare in un’altra stanza.

“Sagara”.

“Sergente Sagara, rientri subito alla base. Abbiamo appena ricevuto una telefonata da una cabina telefonica. Era il sergente maggiore Melissa Mao!”

“Mao!? Siete sicuri?!”

“L’identificazione vocale è positiva. Abbiamo mandato qualcuno a prenderla”.

“Va bene, rientro subito”.


In Giappone ormai stava facendo sera.

Kaname Chidori stava ritornando a casa insieme a Kyouko.

“Ehi Kanachan, perché sei cosi pensierosa?”

“Stavo pensando a Sousuke”.

“Che cosa?! Sagara non ti avrà mica fatto qualcosa come due mesi fa?!”

Kaname si rimproverò per aver risposto sinceramente.

Non le piaceva mentire ai suoi amici, ma nel caso di Sousuke era quasi sempre necessario farlo, per coprire le sue missioni.

“No, niente del genere” rispose sorridendo Kaname “E’ partito per visitare una parente, ma non ci metterà molto a tornare. Solo che essendo abituata a tornare sempre a casa insieme a lui, sento la sua mancanza, tutto qui”.

“Accidenti, Sagara è diventato cosi importante per te?” replicò maliziosa Kyouko.

“Assolutamente no!” esclamò Kaname imbarazzata “E’ solo una questione di abitudini, niente di più!”

“Si, si, d’accordo. Beh, qui ci separiamo, arrivederci a domani. Ah, se proprio ti manca cosi tanto, perché non gli telefoni come quando stava per mancare agli esami?”

“Non lavorare troppo di fantasia col tuo romanticismo!”

Kaname fece per lanciare la sua cartella addosso a Kyouko, che però si era già allontanata facendole l’occhiolino.

Rimasta sola, Kaname rientrò a casa.

“Ma perché mi arrabbio cosi tanto se qualcuno dice che tra me e Sousuke c’è qualcosa? Dopo tutto quello che è successo finora, l’avranno capito anche i sassi.

Perché non riesco ad ammetterlo?

E’ cosi difficile per me dire che lo amo?”

La ragazza buttò la cartella per terra e si sdraiò sul divano.

Da una tasca prese il suo cellulare e cominciò a guardarlo.

Kyouko le aveva proposto di chiamare Sousuke, e stavolta poteva farlo, perché il ragazzo le aveva fornito un numero speciale a prova di intercettazione.

Ma Kaname era titubante, temeva di chiamarlo durante lo svolgimento di qualche azione.

E quell’idiota sarebbe stato capace di parlarle al telefono anche nel bel mezzo di una battaglia, come era incredibilmente riuscito a fare in Sicilia due mesi prima.

“Meglio lasciar perdere” disse infine, dedicandosi alla cena.


Sousuke rientrò al quartier generale della Mithril a Hong Kong, e si diresse subito verso la stanza dove stava Melissa.

La trovò seduta mentre sorseggiava del caffé, con indosso il suo solito abbigliamento militare.

La donna appariva un po’ sciupata.

“Sousuke, felice di rivederti!” lo salutò Mao.

“Mao, stai bene?”

“Un po’ sottosopra, ma ho passato di peggio”.

“Come sei arrivata qui? E cosa è successo sul De Danaan?”

“Sapevo che l’interrogatorio sarebbe cominciato con te” rispose Melissa sorridendo.

“Scusa, non volevo essere precipitoso. Se prima vuoi riposarti, fai pure”.

“No, nessun problema, davvero. Prima parlo, prima potremo agire e prima quest’incubo finirà. C’è stata una talpa sul De Danaan. Non so di chi si tratti, so solo che una sera ho cominciato a sentirmi male, mi sembrava di bruciare dentro. E a giudicare dalle grida, la stessa cosa stava accadendo al resto dell’equipaggio. La talpa doveva aver avvelenato le risorse idriche del sommergibile. Ho cercato di uscire dalla cabina, ma il dolore era insopportabile. Anche Kurz era stato colpito. Devo essere svenuta, e quando mi sono ripresa, ero chiusa in una cella stretta e buia”.

“Non sai cosa ne è stato del colonnello e degli altri?”

“Purtroppo no. Penso che fossero prigionieri nello stesso luogo, ma le pareti di quella cella erano troppo spesse, quante volte ho provato a bussare sul muro e a chiamarli, senza risultato”.

“E come sei scappata?”

“Sono venuti quattro uomini armati, che mi hanno prelevata e portata in una stanza con uno sgabello, mi sa per interrogarmi. Uscita dalla cella, ho visto che ce ne erano altre, ma senza inferriate, non posso dire se e chi c’era dentro.

Mi hanno ammanettata, ma mentre preparavano i loro strumenti per ottenere la mia ‘collaborazione’, mi sono sfilata le manette e ho ucciso i miei carcerieri.

Ho provato a cercare gli altri, ma la mia fuga è stata scoperta prima del previsto. Mi sono ritrovata alle strette, per caso ho trovato un condotto di scarico e mi ci sono buttata. Non sapevo dove sarei finita, magari sarei morta annegata, ma ero in un vicolo cieco e non ho avuto scelta.

La fortuna però mi ha arriso di nuovo, quando i polmoni stavano per scoppiarmi sono riuscita ad uscire, ritrovandomi in mare vicino ad una scogliera. Ho visto in lontananza Hong Kong, ho nuotato finché non sono stata raccolta da una barca e mi sono messa subito alla ricerca di un telefono. Ed eccomi qui”.

“Un mix notevole di fortuna e abilità” commentò Sousuke “Non hai idea di dove fosse la base del nemico?”

“Un isola. Non molto grande e a circa tre ore di navigazione dalla città, direi. Date le ridotte dimensioni, penso che la base nemica sia posta sottoterra. E se si tratta di questo, magari lì è custodito anche il De Danaan. Quando verranno a interrogarmi, vedrò di rintracciarla, cosi potremo organizzare un attacco”.

“Dovremo fare in fretta comunque. Visto che sei scappata, per non correre rischi potrebbero abbandonare quella base”.

In quel momento arrivarono tre funzionari della Mithril, che dovevano fare le loro domande a Melissa.

Sousuke allora si congedò.

Andando in una stanza, pensò a Chidori.

Chissà cosa stava facendo in quel momento.

Era molto probabile che si stesse preoccupando per lui e gli scomparsi del De Danaan.

Quindi sarebbe stato meglio chiamarla per comunicarle la buona notizia.

Tirò fuori il suo cellulare e usò la speciale linea criptata per chiamare la ragazza.

Mentre componeva il numero, rimase sorpreso della sua idea di contattare Kaname per tranquillizzarla.

Lui infatti le aveva dato un numero speciale per essere chiamato, non per chiamare, perché non era sua abitudine telefonare per tranquillizzare chicchessia.

Evidentemente fino ad allora non c’era mai stato qualcuno preoccupato a livello personale per la sua incolumità e che doveva essere tranquillizzato.

Ma ora tante cose stavano cambiando, lui compreso, e la cosa non gli dispiaceva affatto.

Dopo qualche squillo, Kaname rispose.

“Sousuke, sei tu?”

“Affermativo, Chidori”.

“Che sorpresa!” esclamò la ragazza.

Si notava una certa euforia nella sua voce.

Sousuke le comunicò la notizia del ritrovamento di Melissa, che fece molto felice Kaname, e poi parlarono del più e del meno.

Era soprattutto Kaname, chiamata mentre stava per andare a letto, a parlare, mentre Sousuke si limitava a rispondere si o no.

Alla fine della telefonata, Kaname lo salutò con la raccomandazione di stare molto attento.

La telefonata non era durata molto, comunque tutti e due si sentivano ora più sereni.


Il sole era ormai tramontato.

Due uomini stavano pattugliando il tetto della base della Mithril a Hong Kong.

La sede dell’organizzazione segreta da fuori sembrava semplicemente una succursale di qualche ditta commerciale.

Una delle guardie sentì un cigolio proveniente da dietro una canna fumaria.

Prudentemente si avvicinò alla canna, e con un scatto puntò la sua arma in direzione del rumore.

Non c’era niente.

Poi sentì un tonfo, e si voltò in tempo per vedere il corpo del suo collega a terra, prima che qualcuno sbucasse dietro di lui e gli spezzasse il collo in un attimo.

Cinque persone, vestite con tute e passamontagna neri, uscirono dalle ombre del tetto.

E usando delle corde fissate al tetto, si calarono lungo le pareti dell’edificio.

Altri cinque invece, si calarono sempre con delle corde nei condotti d’aerazione.


Sousuke stava leggendo un giornale di Hong Kong procuratogli da Tien, che riportava una notizia molto interessante, ovvero la morte di un boss delle triadi e della sua neosposa.

L’articolo era degno di attenzione perché qualcuno aveva fatto a pezzi la testa dell’uomo lanciandogli contro un oggetto contundente con una forza straordinaria, inumana.

Leggendo di questo dettaglio, Sousuke pensò subito a Jonathan Shaw e alla speciale squadra di killer messagli a disposizione da Amalgam.

Si chiese chi fossero questi killer, quanti fossero e cosa aveva fatto loro Amalgam per renderli cosi letali.


All’ingresso dell’edificio, il custode stava leggendo il giornale dietro il suo bancone, munito di vetri antiproiettili.

L’uomo era arrivato alla notizia riguardante il prossimo meeting della Nazioni Unite, che si sarebbe svolto in una località segreta in un giorno imprecisato della settimana prossima, quando qualcuno gli abbassò il giornale, e l’ultima cosa che l’uomo vide fu un pugnale in rotta di collisione con la sua faccia.

L’assassino si era calato verso il basso da un condotto d’aerazione, senza fare il benché minimo rumore.

Spogliò il custode indossando la sua uniforme e nascondendo il cadavere dietro il bancone.

Poi bloccò la porta elettronica che permetteva di entrare e uscire dall’edificio.

Gli stessi attacchi erano appena avvenuti all’ingresso dell’armeria dell’edificio, del centralino che regolava le chiamate telefoniche e della sezione di alimentazione elettrica.


Gridando e piangendo, Tessa sparò un colpo.

Che l’assassino evitò senza alcun problema.

Con passi rapidissimi raggiunse il terrorizzato colonnello, le strappò di mano la pistola e l’afferrò per il collo sollevandola.

“Ti… ti prego… non mi riconosci?! Sono Tessa!”

L’aggressore le colpì un nervo dietro il collo facendola svenire.


Kaname con un sussulto si svegliò, come se avesse avuto un incubo.

Si mise a sedere sul letto, tenendo una mano sul volto mentre cercava di schiarirsi le idee.

E rammentò cosa aveva visto, anzi rivisto.

“Mio Dio… no! Non…. Non è possibile!!”

Col cuore in gola, e un espressione piena di stupore, orrore e ansia, chiamò subito Sousuke.


Sousuke stava cercando Tien, per parlargli dei problemi inerenti un eventuale attacco alla villa di Shaw.

Incontrò il giovane tenente che era appena uscito dalla stanza dove gli uomini del dipartimento informazioni stavano ascoltando Melissa.

“Tien, devo parlarti”.

“Dica pure, sergente Sagara”.

“Volevo chiederti se questa sezione della Mithril ha abbastanza uomini per organizzare una sortita alla villa di Shaw”.

“Certo che li ha. Perché non dovrebbe averli?”

“Be, immagino che la maggior parte degli uomini verrà impiegata per l’attacco all’isola con i prigionieri, quindi…”

“Scusi, di quale isola sta parlando?”

“Dell’isola da dove il sergente maggior Mao è scappata, no?”

“Non capisco cosa stia dicendo, sergente. Ho assistito a parte dell’interrogatorio al sergente maggiore, e lei ha asserito di essere scappata da una nave prigione buttandosi a mare, non da un isola. E’ sicuro di ricordare bene?”

“Certo che ne sono sicuro”.

In quel momento squillò il cellulare di Sousuke.

“Pronto? Kaname?! Cosa c’è? E’ successo qualcosa?”

La voce della ragazza era estremamente agitata.

“Sousuke, mi sono ricordata. La mia visione… ho ricordato chi ha aggredito Tessa!”

“Chi, Kaname, chi è stato?”

“Sousuke, è stata Melissa! Melissa ha aggredito Tessa!”

Sousuke rimase pietrificato e senza parole, e proprio allora le luci si spensero e scattò l’illuminazione di emergenza.

“Ma che succede?” domandò Tien mettendo mano alla pistola.

La notizia aveva sconvolto Sousuke, ma il suo smarrimento fu breve.

Stava accadendo qualcosa di molto pericoloso nella base della Mithril, lo sentiva, e non c’era tempo per farsi dominare dall’incredulità.

Estrasse la sua pistola.

“Sousuke? Sousuke che succede?”

“Kaname, ora devo chiudere. Grazie per l’informazione. Ti richiamerò io, e non preoccuparti, manterrò la promessa che ti ho fatto”.

Sousuke chiuse il cellulare e con Tien si diresse verso la stanza di Melissa.

In quel momento decine di piccole granate con un limitato raggio d’azione, che erano state posizionate davanti alle prese d’aria di tutte le stanze con personale, liberarono un letale gas nervino.

Solo in una stanza il gas non venne diffuso.

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° CAPITOLO

Mentre si dirigevano verso la stanza di Melissa, incontrarono altro personale della base, in buona parte semplici impiegati, muniti comunque di armi.

Si formò un gruppo di almeno trenta persone, colte dal blackout mentre si trovavano nei corridoi.

Che cosa stesse succedendo era la domanda più ricorrente.

E non lo so era la risposta più ricorrente.

Quando arrivarono davanti alla stanza con Melissa, Tien e Sousuke si misero ai fianchi della porta, contarono fino a cinque e la sfondarono con un calcio.

E Sousuke vide sgomento Melissa che spezzava il collo all’ultimo dei tre uomini, dopo aver ucciso gli altri due.

Improvvisamente tre delle persone che avevano seguito Sousuke e Tien fin lì, si afflosciarono a terra.

Sulle loro schiene c’era un buco sanguinante.

“Armi col silenziatore!” gridò Sousuke “Disperdetevi!”

Gli altri subito ubbidirono buttandosi a terra.

Ma Sagara e il giovane cinese videro con orrore alcune persone, appena entrate in una delle stanze, cadere a terra senza emettere un gemito e senza motivo apparente, andando ad aggiungersi ad altri già cadaveri in quella stanza.

E nel frattempo altri cinque vennero uccisi dalle armi col silenziatore.

“Presto, qui è sicuro!” gridò ai due ragazzi uno degli impiegati, che insieme ad altri tre era entrato incolume in un grosso ripostiglio.

Sousuke e Tien si fiondarono lì dentro e chiusero la porta.

“Chi ci sta sparando addosso? E da dove diavolo ci sparano?” chiese Tien.

“Chi sono non lo so. Quanto al resto, credo di avere un sospetto…”

Sousuke mirò al soffitto e sparò diversi colpi.

Tien lo imitò e qualche secondo dopo dal soffitto cadde un uomo con una tuta nera.

Lo avevano colpito due volte in piena testa.

Gli tolsero il passamontagna, era un occidentale, ma non lo conoscevano.

“Ecco come fanno. Si sono nascosti nei condotti di aerazione. Sparano attraverso le grate. E penso che abbiano anche usato del gas” spiegò il sergente.

“Maledizione! Quanti dei nostri avranno già fatto fuori?” domandò Tien.

“Temo troppi. Altrimenti ci sarebbe parecchio movimento qua fuori. Questi tizi, chiunque siano, sono davvero dei killers perfetti: silenziosi, rapidissimi e terribilmente letali”.

Sousuke si rese conto che dovevano essere gli stessi assassini di Amalgam forniti a Shaw.

Ma che c’entrava Melissa con loro?

“Dobbiamo chiamare aiuto” suggerì uno dei presenti.

Il suggerimento fu prontamente accolto, uno dei superstiti afferrò un telefono fissato alla parete e provò a chiamare.

Compose un primo numero, poi un secondo.

“Niente. Niente linea interna. E neppure esterna. Ci hanno tagliato fuori!”

“Potremmo uscire da una finestra” propose Sousuke.

“No. Sono vetri blindati” rispose Tien.

Mentre Sousuke pensava ad una soluzione, la parete affianco a Tien sembrò esplodere.

Ne sbucò fuori una figura nera che afferrò un terrorizzato Tien trascinandolo nell’altra stanza.

Due spari, un grido, poi silenzio.

Era accaduto tutto in pochi secondi.

Sousuke si irrigidì, e gli altri quattro erano chiaramente terrorizzati.

Il ragazzo puntava la sua arma di volta in volta contro il buco nella parete e verso la porta.

E allora fu la parete affianco agli altri quattro ad esplodere.

Una raffica silenziosa di mitragliatrice e furono uccisi.

A quel punto a Sousuke non restava altro che tuffarsi fuori dalla stanza.

Si guardò in giro dappertutto, poi corse verso una delle uscite d’emergenza, trovando diversi cadaveri.

Riuscì a raggiungere una delle uscite, ma non si apriva.

Qualcosa la teneva bloccata dall’esterno.

“Hanno provveduto a tutto” pensò agitato il ragazzo.

Poi sentì un rumore di passi dietro di lui.

L’uscita di emergenza si trovava in fondo ad un corridoio, quindi era in trappola.

Puntò l’arma nella direzione dei passi.

“Sousuke, ti consiglio di arrenderti”.

Sousuke sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

“Non posso, Mao. Dovresti sapere che non è nella mia natura arrendermi”.

Melissa apparve nel corridoio.

Sousuke notò che aveva della macchie di sangue sui vestiti e sulle mani.

“Lo so, ma ti prego di essere ragionevole. Non voglio farti del male” continuò Melissa.

“Mi dispiace, ma non posso fidarmi di una traditrice”.

“Tradimento è solo una parola. Sto facendo il mio lavoro, tutto qui”.

“Lavoro? Hai tradito la Mithril. Hai consegnato al nemico il colonnello Testarossa e Kurz, che ti avrebbero affidato la loro vita! E lo avrei fatto anche io”.

“Guarda che ho salvato loro la vita. Non si può vincere Amalgam. Sousuke, non hai idea di quanto siano potenti. La loro ricerca scientifica è senza vincoli, sperimentano in tutti i campi e possiedono armi da film di fantascienza. La Mithril è parecchio lontana dai loro risultati. Meglio arrendersi, che perdere la vita inutilmente”.

Sousuke si sentì fremere di rabbia: “Tu non sei Melissa Mao! La donna che conosco io sarebbe capace di ridere in faccia al diavolo! Altro che arrendersi, senza neppure combattere! Io non so cosa ti sia successo, ma non mi arrenderò mai!”

“Temevo che avresti risposto cosi” rispose Melissa .

Due braccia sfondarono il metallo della porta dietro Sousuke, che per un pelo evitò di essere afferrato.

L’aggressore scardinò la porta come se fosse di carta.

“Come può essere cosi forte?!” pensò sgomento Sousuke.

Che venne afferrato per un braccio da Melissa, sollevato come una bambola e lanciato contro una parete.

Vi sbatté malamente e perse la pistola nell’impatto.

“Vedi Sousuke?” continuò Melissa “E questo è solo un assaggio della potenza di Amalgam. Non volevo che finisse cosi. Tu mi ci hai costretto”.

Melissa fece per afferrare Sousuke, quando una figura, con in mano un lanciagranate, apparve davanti all’uscita di emergenza sfondata. Sparò contro l’uomo che aveva sfasciato la porta, facendolo esplodere.

Una marea di sangue e organi umani ricoprì le pareti.

Sparò un altro colpo contro Melissa, che lo evitò buttandosi di lato.

La granata colpì la parete forandola e ricoprendo Sousuke con una pioggia di detriti.

Sousuke, ancora scosso, si sentì afferrare per un braccio, mentre una voce rauca diceva: “Alzati, dobbiamo andarcene”.

Era il suo misterioso informatore incappucciato.

Sousuke si alzò e cominciò a correre verso l’uscita.

Ma Melissa tornò velocissima all’attacco, afferrò il lanciagranate e lo spezzò come un fuscello.

L’incappucciato con due scatti tirò fuori delle lunghe lame dalle maniche e attaccò.

Melissa distrusse le lame con un singolo calcio ma l’incappucciato aveva in serbo un’altra sorpresa per lei: da una manica le spruzzò negli occhi una sostanza urticante che l’accecò.

Infine con un calcio circolare l’incappucciato la sbatté a terra e corse fuori insieme a Sousuke.

I due sbucarono in un vicolo deserto.

“Sarà meglio trovare un mezzo di trasporto!” esclamò l’incappucciato.

Sousuke doveva ancora riordinare le idee, e sapeva di non potersi fidare al 100% di lui.

Ma sapeva anche che tempo per riflettere non ce n’era, e che dovendo scegliere, era meglio seguire chi gli aveva salvato la vita.

Uscirono dal vicolo, l’informatore fermò una macchina, una Ford, piazzandosi davanti e puntando una pistola mitragliatrice contro il guidatore.

Che terrorizzato scese e si diede alla fuga.

Sousuke e l’incappucciato salirono, il secondo guidava, e corsero via.

Essendo la strada molto trafficata, l’incappucciato decise di utilizzare il marciapiede, evitando con grande destrezza gli spaventati passanti.

“Dobbiamo uscire dalla città” disse.

Sousuke guardò indietro, e nessuno sembrava seguirli.

“Forse non ci stanno seguendo”.

E neanche un secondo dopo una grossa jeep nera 4x4 sbucò da una strada laterale e si mise alle loro calcagna.

“Come non detto” rettificò il ragazzo.

Il guidatore della Jeep si dimostrò non nemmeno abile dell’incappucciato nel correre sulle vie trafficate di una grande metropoli, sfiorando senza danno le auto, ma infischiandosene delle persone e alcune vennero purtroppo travolte.

Dal finestrino della jeep si affacciò un uomo in tuta nera con una mitragliatrice e cominciò a sparare.

Neanche un istante dopo, il parabrezza della Ford si disintegrò, e altri buchi vennero fatti sul tetto e il bagagliaio.

“Bastardi. Non si preoccupano minimamente di non coinvolgere i civili!” esclamò Sousuke.

“Rispondi al fuoco!” gli ordinò l’incappucciato.

“Col rischio di colpire dei passanti? No!”

L’incappucciato mormorò qualcosa e girò improvvisamente a destra, prendendo una strada isolata e in salita che conduceva fuori città.

La Jeep continuò a tallonarli, e in breve si ritrovarono fuori dalla metropoli, su una strada piena di curve che si snodava sul fianco di una collina affacciata sul mare.

Adesso era difficile correre, a causa delle troppe curve l’incappucciato era costretto a rallentare per non farli finire fuori strada.

Ma cosi facendo la distanza dalla jeep si accorciava, quest’ultima aveva anche un motore più potente, e alla fine raggiunse la Ford, la cui parte posteriore cominciò ad essere fatta a pezzi dalla mitragliatrice.

Stavolta però Sousuke poteva rispondere al fuoco, e lo sapeva anche il suo autista, che gli passò una pistola: il giovane della Mithril si affacciò dal finestrino, prese la mira incurante delle pallottole che gli fischiavano vicino e sparò alla testa dell’uomo armato, beccandolo in piena fronte.

Il cadavere si afflosciò penzolando dal finestrino e li guidatore lo fece rientrare.

Sousuke mirò anche all’autista, fece fuoco ma la jeep aveva il parabrezza blindato.

E scoprì che erano a prova di proiettile anche il cofano e le gomme.

La jeep andò addosso alla Ford, cominciando ad urtarla con sempre maggiore violenza.

All’approssimarsi di una curva molto stretta, la jeep diede un colpo violentissimo, la Ford sembrò perdere il controllo iniziando a sbandare e non riuscì ad evitare la curva.

Sfondò la protezione finendo nella scarpata a picco sul mare.

La macchina iniziò a rotolare lungo il pendio, fracassandosi sulle rocce, esplose e ridotta ad un ammasso di lamiere in fiamme piombò nel mare oscuro affondando.

****

Kaname fissava accigliata il cellulare.

Era accaduto tutto cosi velocemente, aveva scoperto che inspiegabilmente era stata la sua amica Melissa ad aggredire Tessa, poi era successo qualcosa alla sede della Mithril ad Hong Kong, e Sousuke aveva chiuso il collegamento senza darle spiegazioni, segno che non c’era tempo di farlo.

Aveva provato a richiamarlo, ma non c’era segnale.

E ora si sentiva del tutto impotente, e non riusciva neanche a formulare qualche ipotesi tranquillizzante.

Una situazione che odiava, e che la riempiva di angoscia per il fato di Sousuke.

Sentì lacrime cominciare a riempirle gli occhi, ma le ricacciò indietro.

Cercò di farsi forza.

“Mi ha detto che avrebbe mantenuto la promessa. E io ho fiducia in lui”.

****

L’uomo con la tuta nera risalì agilmente dalla scarpata e tornò sulla jeep parcheggiata sul ciglio della strada.

Aveva appena finito di perlustrare il punto dove la macchina con Sousuke e l’incappucciato era caduta in fiamme nel mare, nel caso fossero riusciti a saltare dall’auto prima che esplodesse.

Ma non aveva trovato nessuno.

Si mise al volante e attivò una radio.

“Qui Agent 3. Sousuke Sagara e il suo misterioso complice giacciono carbonizzati dentro il rottame dell’auto con cui hanno cercato di scappare.

L’auto è affondata davanti ad una scogliera”.

“Ricevuto. Rientra alla base”.

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo ***


6° CAPITOLO

La villa di Jonathan Shaw era affiancata da una collina, percorsa da una strada in terra battuta.

Fermo sulla strada c’era un fuoristrada nero.

Il suo guidatore, un uomo molto alto, muscoloso e con i capelli grigi a spazzola, contemplava qualcosa.

Il generale William Cameron stava osservando il giardino immenso della villa di Jonathan Shaw.

E non gli piaceva.

Nonostante fosse stato costruito miscelando abilmente i giardini in stile cinese con quelli di stile giapponese e inglese, nonostante la disposizione armonica di alberi, laghetti e altre piante ornamentali.

Il guaio, per Cameron, era che risultava essere un ambiente troppo pacifico, troppo artistico.

La pace, e quello che veniva comunemente considerato arte, erano in realtà tutte cose inutili, che servivano semplicemente a rammollire l’animo umano.

La guerra, e solo quella, era la vera fucina dello spirito degli uomini.

Sin da quando era un ragazzo apprezzava molto più le armi che le opere d’arte.

O meglio, le armi erano per lui le vere opere d’arte, e sarebbe stato ben felice di spazzare via ogni luogo impregnato di cosiddetta arte per sostituirla con la stupenda violenza della guerra.

La guerra, la sola igiene del mondo, l’unica attività capace di mostrare il vero aspetto dell’uomo.

Quello si che era uno spettacolo, uno spettacolo che avrebbe dovuto durare in eterno.

E nonostante la tendenza a farlo durare per sempre già ci fosse, Cameron aveva deciso di entrare in Amalgam per far si che tale prospettiva si realizzasse appieno.

L’iniziale diffidenza verso quell’organizzazione misteriosa era scomparsa dopo aver visto che erano riusciti a realizzare uno dei suoi desideri: trasformare un essere umano in una perfetta arma.

Lui ci aveva già provato, e aveva fallito, ma loro ci erano riusciti in modo magnifico, grazie alla loro Black Technology.

E cosi si erano conquistati la sua piena fiducia.

E lui aveva salito rapidamente la gerarchia, per i suoi meriti ma anche aiutato dal fato, dato che la morte di quel buffone depravato di Gates gli aveva permesso di prenderne il posto, facendo di lui il nuovo Mr. K, anche se il generale trovava un po’ ridicolo quel chiamarsi con sigle da film di James Bond e quindi aveva chiesto se tra di loro potevano continuare a chiamarlo col suo cognome.

Ora poteva occuparsi di progetti molto più vasti, ma doveva prima portare a termine quello che aveva iniziato.

Prima regola: terminato un lavoro, il professionista bada a non lasciare tracce dietro di se.

Tirò fuori un cellulare.

“Shaw è rientrato?”

“Si, signore” gli venne risposto.

Cameron mise una mano in tasca, premette un telecomando e due secondi dopo l’enorme villa di Shaw esplose sin dalle fondamenta.

Un esplosione gigantesca, con fiamme altissime che sembravano ruggire e che disegnavano per Cameron stupendi disegni nell’aria, forme apparentemente prive di significato ma che per lui erano dominate da una logica ben precisa: la logica della distruzione, ed era sempre più affascinante.

E sarebbe rientrato solo dopo essersi riempito gli occhi con tutta quella distruzione, e aver ricaricato il suo spirito con l’energia da essa sprigionata.

Godersi quello spettacolo gli avrebbe anche impedito di dolersi per non aver potuto assistere alla distruzione della sede di Hong Kong della Mithril.

Purtroppo non aveva il dono dell’ubiquità.

Ma almeno avevano gettato nel caos la Mithril, e prima che si fosse ripresa da quella batosta, sarebbe stato troppo tardi.


“Si, ho preso contatto con lui, e adesso è qui con me. Il piano sta proseguendo come previsto, anche se potrebbe rivelarsi più pericoloso di quanto preventivato. Comunque non mi occorrono rinforzi. Al momento opportuno vedete di farvi trovare pronti”.

L’incappucciato chiuse il cellulare, tirò fuori una boccetta contente dei sali e l’avvicinò al naso di Sousuke che giaceva svenuto vicino a lui.

L’odore particolarmente pungente gli penetrò nelle narici facendolo svegliare.

Da quella posizione Sousuke intravide che al di sotto del cappuccio, la figura misteriosa teneva una specie di bavaglio nero che gli copriva la parte inferiore del viso.

“Finalmente ti sei svegliato” disse con la solita voce rauca.

“Dove siamo?” chiese Sousuke mettendosi a sedere.

“Su una piccola spiaggia, non lontano da dove siamo caduti con la macchina”.

“Ora ricordo! Tu ci hai fatto cadere. Hai cominciato a far sbandare l’auto e ci hai fatto precipitare giù dalla scogliera. Ma perché? E come abbiamo fatto a uscirne indenni?”

L’incappucciato aprì il suo cappotto, rivelando un abito scuro rigido che sembrava fatto col kevlar, e si indicò la cintura, che aveva al centro uno strano congegno rosso di forma circolare.

“E’ un dispositivo che emette un campo di forza. Potrebbe resistere al passaggio di un carro armato da settanta tonnellate o ad una cannonata da 90 ml”.

Detto questo l’incappucciato si alzò e guardò l’orologio.

Sousuke non aveva bisogno di chiedergli dove si fosse procurato un simile congegno: doveva trattarsi di un prototipo di Amalgam e la persona davanti a lui doveva essere un traditore di Amalgam, magari con qualche conto da regolare.

L’incappucciato gli aveva detto di immaginarsi il perché del suo aiuto, e questo aveva immaginato.

“Bene, muoviamoci” ordinò l’informatore.

“Muoviamoci?”

“Andiamo alla villa di Shaw a cercare indizi. Da solo non ho speranze contro quei killer, e nemmeno tu. Ma insieme potremo fare qualcosa”.

“Perché invece non chiediamo aiuto alla Mithril?” obbiettò Sousuke.

“Ti sei dimenticato che la filiale della Mithril in questa città è stata distrutta? Attualmente la tua organizzazione non esiste più ad Hong Kong. Perché si riorganizzi ci vorrà troppo tempo, e noi perderemmo il nostro vantaggio”.

“Ovvero?”

“Mi viene da chiedermi come abbiano potuto definirti un professionista” commentò seccato l’informatore “Allo stato attuale il nemico ci considera morti, cadaveri carbonizzati che giacciono in fondo al mare. E continuerà a farlo fino a quando la polizia non si accorgerà dell’incidente e non recupererà la macchina. Ma ci vorranno diverse ore perché ciò accada. Fino ad allora avremo un vantaggio unico per cogliere di sorpresa i nemici. Non si aspettano di essere attaccati da due morti”.

Sul piano tattico era un’ottima strategia, ma Sousuke continuava a chiedersi se poteva fidarsi davvero di quell’incappucciato.

Alla fine convenne di non avere molta scelta.

Ma c’erano diverse domande che avrebbe voluto fare a quella persona e gliele avrebbe fatte, a tempo debito.

“Va bene. Ma dove ci procureremo l’attrezzatura?”

“Vieni con me”.

Avviandosi, Sousuke cercò il suo cellulare ma l’aveva perso.

Avrebbe chiamato Kaname in un altro momento.

I due raggiunsero a piedi un parcheggio e rubarono un’altra auto, arrivando fino in città tramite delle strade secondarie.

Giunsero ad un piccolo magazzino abbandonato, entrarono e da una botola mimetizzata col pavimento scesero in uno stretto spazio pieno di ogni tipo di armi.

“Sei ben fornito” notò Sousuke.

“Si” rispose semplicemente l’incappucciato.

Dopo aver riempito la macchina con le armi più pratiche da trasportare, risalirono per dirigersi verso la villa di Shaw.

Durante il tragitto passarono in una strada con alcuni locali abbastanza frequentati.

Sousuke li guardò distrattamente, finché non notò qualcosa.

“Fermati!”

“Perché?”

“Ti ho detto di fermarti!” ripeté Sousuke, che scese ed entrò di corsa in uno dei locali.

Si fermò a guardare un televisore.

Quando rientrò era alquanto frustrato.

“Possiamo annullare la missione. Ho intravisto un servizio del telegiornale che mostrava un esteso incendio e sono andato a controllare, pensando che avessero incendiato la base della Mithril. Invece era la villa di Shaw”.

“Cosa?”

“Esatto. La villa di Shaw è esplosa, e quel mafioso è morto. Mi è difficile credere ad un incidente”.

“Amalgam” concluse l’incappucciato “Shaw aveva esaurito la sua utilità. E ora siamo tornati al punto di partenza”.

Il viso di Sousuke improvvisamente si illuminò.

“Non è detto. Andiamo subito al porto!”

“Al porto?”

“Ci serve una cartina nautica della zona di mare davanti ad Hong Kong”.


A causa della tarda ora, molto uffici della capitaneria di porto di Hong Kong erano chiusi.

Sousuke e il suo misterioso compagno si introdussero nell’edificio attraverso una finestra del tetto e di soppiatto, con movimenti silenziosi e precisi, raggiunsero la sala nautica.

Tramite delle torce controllarono tra le varie mappe.

“Cosa stiamo cercando?” domandò l’incappucciato.

“Un isola abbastanza grande da poter nascondere un sottomarino come il De Danaan. E che si trovi ad almeno tre ore di navigazione da qui” spiegò Sousuke.

Dopo varie consultazioni, trovarono un’isola che corrispondeva abbastanza a quelle caratteristiche: l’isola di Han*, che ufficialmente apparteneva ad Hong Kong, ma in pratica non era di nessuno.

Un isola grande solo qualche chilometro e disabitata.

“L’ideale per una base sotterranea. Segniamo la posizione e procuriamoci una barca” disse Sousuke.

Poi uscirono dalla capitaneria.

“Perché pensi che siano su un isola?” volle sapere l’incappucciato.

“Perché me l’ha detto Melissa Mao”.

“Sei impazzito?! Quella Mao vi ha traditi!”

“Lo so bene, purtroppo. Ma c’è qualcosa che non mi convince. Io conosco bene Mao, tutto può essere tranne che una traditrice. Il nemico potrebbe averla plagiata in qualche modo. E poi, quando alla base mi ha narrato la sua fuga, mi ha parlato di un isola. Ma quando è stata interrogata dal dipartimento informazioni, ha parlato di una nave-prigione. Se stava solo fingendo, per quale motivo raccontare due cose diverse?”

“Potrebbe essere una trappola” obbiettò l’incappucciato.

“Forse, ma non dimenticare il vantaggio di cui mi hai parlato tu: il nemico ci considera morti, quindi pure se c’era una trappola, l’avranno annullata”.

“Ti stai facendo manipolare dalla speranza che la tua collega non sia una traditrice. Ma ti stai solo illudendo”.

Da un lato l’incappucciato aveva ragione, una parte di Sousuke non voleva arrendersi all’evidenza.

Ma quell’informazione proveniente da Melissa era ormai l’unico indizio che gli era rimasto, e doveva seguirlo.

“Io andrò su quell’isola. Trappola o meno!” esclamò deciso il ragazzo “D’altronde, dopo che Shaw è saltato in aria, che alternative restano?”.

“E allora andrai da solo. Non ho intenzione di rischiare la mia vita per dare retta a quella donna!” replicò la misteriosa persona.

Allora Sousuke gli afferrò il collo del cappotto: “Stammi bene a sentire. Tu dici che non vuoi fidarti. Non ritieni prudente fare affidamento su una notizia che proviene da un traditore. E hai ragione. Ma io allora cosa dovrei dire? Collaborare con uno sconosciuto che non vuole far sapere la sua identità, che cerca di contattarmi con un metodo elaborato dal mio nemico più mortale, che ha lavorato per una letale organizzazione terroristica e che, forse troppo provvidenzialmente, mi ha salvato la vita, lo ritieni prudente? Non lo è infatti! Se pensi che sia uno stupido che non si è posto domande, ti sei sbagliato di grosso! Ma non ho altra scelta! Sono costretto a fidarmi di te! Ora sei tu che devi fidarti di me! Non vuoi? Allora vai al diavolo! Farò quello che devo fare da solo”.

Sousuke lasciò il cappotto e si avviò verso la macchina.

“Non riesco a capire se sei coraggioso o incosciente. Certo sei diverso da quello che mi aveva raccontato il mio sensei” disse l’incappucciato.

Sousuke si voltò a guardarlo.

I suoi occhi erano duri come l’acciaio.

E allo stesso tempo pregni di preoccupazione per i suoi compagni.

“E anche quello sguardo. I tuoi occhi sono duri, ma non freddi. Denotano una grande emotività. Lui diceva che eri freddo come il ghiaccio. Esattamente come me e mia sorella. Devi essere cambiato”

Calò un breve e pesante silenzio.

“E allora, giochiamo a carte scoperte”.

L’incappucciato si tolse il cappuccio, rivelando una pettinatura castana con due lunghe treccine ai lati della testa.

Due occhi rossi, freddi come il ghiaccio, fissarono Sousuke.

Poi si tolse la fascia che gli copriva la parte inferiore del viso.

Sotto l’occhio destro c’era un neo.

Sousuke non poté nascondere il suo stupore: l’incappucciato era una ragazza, della sua età.

“Chi sei?”

“Il mio sensei non ti ha parlato di me e mia sorella?” domandò la ragazza.

Allora Sousuke capì chi aveva di fronte, e istintivamente mise mano alla pistola: “Tu… tu sei… Yu Fan, una delle gemelle adottate da Gauron… quella che…”

“…due mesi fa ha messo a ferro e a fuoco questa città col Venom” continuò la ragazza incurante della reazione di Sousuke. “Il mio scopo è vendicare mia sorella, Yu Lan, uccisa da Amalgam. Soddisfatto?”

La voce rauca era scomparsa, sostituita da una voce femminile fredda quanto lo sguardo della ragazza.

“Ma… mi avevano riferito che eri… morta! Il Venom rosso ti aveva spazzato via!”

“Evidentemente ho imparato dal mio sensei più di quanto mi aspettassi”.

Sousuke aveva di fronte una discepola di Gauron, desiderosa di vendicare la propria sorella che… aveva cercato di uccidere Chidori!

Sousuke puntò la sua pistola contro di lei, e rimasero fermi nel silenzio della notte.

*Isola di Han: piccola citazione da “I tre dell’operazione drago”, dove l’isola in cui si svolgeva la vicenda, era ambientata su un isola chiamata in tale modo.

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Capitolo 7
*** 7° Capitolo ***


7° CAPITOLO

Nonostante il mare fosse calmo, aveva lo stesso un respiro possente.

La prua della barca falciava le onde, mentre il cielo nuvoloso nascondeva le stelle e concedeva solo qualche spiraglio alla Luna per affacciarsi e illuminare leggermente l’aria notturna.

Sousuke e Yu Fan viaggiavano verso l’isola di Han su una piccola barca rubata.

Prima di farlo però, si erano riforniti per il loro piccolo assalto e ora indossavano delle mute da sub.

Yu Fan teneva il timone, mentre Sousuke, vicino alla poppa dell’imbarcazione, scrutava l’oscurità con un binocolo per la visione notturna.

Dentro di se il ragazzo si stava chiedendo se non fosse impazzito: stava andando in una missione pericolosissima, senza alcuna copertura, insieme ad una killer addestrata da Gauron, che l’aveva resa una macchina per uccidere in carne ed ossa.

Insomma, attaccava la base del nemico accompagnato da un altro potenziale nemico.

La sua imprudenza nel collaborare con una persona del genere era addirittura oscena.

Ma prima non era riuscito a spararle, ad uccidere a sangue freddo una persona che non gli aveva fatto niente, anzi, gli aveva salvato la vita.

Inoltre sul piano militare era sicuramente un ottimo elemento, e lui aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile.

E infine, se avesse avuto intenzione di ucciderlo o catturarlo, avrebbe potuto già farlo in più occasioni..

Comunque per precauzione avrebbe fatto in modo di non darle mai le spalle.

“Allora, cosa vedi?” domandò la ragazza.

La domanda lo riportò alla realtà.

Osservando l’orizzonte, intravide in lontananza una massa scura parecchio grande.

“E’ proprio davanti a noi” rispose Sousuke.

Yu Fan allora legò il timone in direzione est, mentre Sousuke tirava fuori le bombole da sub.

“Se lì c’è davvero una base di Amalgam, avranno sicuramente un radar e se ci avvicinassimo troppo con la barca, ci scoprirebbero. Penso anzi che ci abbiano già rilevato. Da questo punto in poi faremo proseguire la barca da sola in un’altra direzione, cosi penseranno magari ad un peschereccio. Noi ci immergeremo e raggiungeremo a nuoto l’isola” spiegò Yu Fan.

“Sei sicura che funzionano queste tute?” chiese Sousuke guardando le tute che indossavano: pur non essendo pesanti, erano molto spesse, e munite di visiera speciale per nuotare agevolmente al buio.

“Si. Si tratta di un altro prototipo di Amalgam. Sono a prova di proiettile, quindi possono essere usate anche negli scontri a terra” rispose la ragazza.

“Certo che ne hai rubati di oggetti ad Amalgam”.

“Per attuare la mia vendetta aveva bisogno di attrezzatura di prima scelta. E per un colpo di fortuna, durante la mia sortita in quella base, udì alcuni di loro parlare di un piano per catturare la Toy Box, che si stava attuando in quello stesso giorno. Per questo non ho avuto tempo per informarvi del pericolo”.

In due custodie impermeabili poste sulle gambe di entrambi, misero delle pistole con silenziatore.

Granate esplosive e luminose, due minirespiratori compatti e alcuni pugnali completavano l’attrezzatura.

Si agganciarono le bombole, misero il boccaglio e si tuffarono nelle acque oscure, mentre la barca col timone legato proseguiva da sola nella notte.

I due nuotarono mantenendosi di alcuni metri al di sotto della superficie.

L’acqua era molto fredda, ma perfettamente sopportabile.

Probabilmente le tute erano termoisolanti.

Sousuke e Yu Fan proseguirono per almeno venti minuti in totale silenzio, poi attraverso le lenti ad infrarossi videro la scogliera dell’isola ad una ventina di metri davanti a loro.

Lentamente Yu Fan si diresse verso l’alto, facendo attenzione a far sbucare dall’acqua solo la visiera, e guardò l’isola: l’isola di Han aveva delle scogliere alte e frastagliate, che rendevano pericoloso l’avvicinamento delle barche, ma la sua superficie era in buona parte piatta e rocciosa.

Praticamente era un grosso scoglio di qualche chilometro.

La ragazza si immerse, e insieme a Sousuke si avvicinò alla roccia arrivando a toccarla.

I due comunicarono con i gesti: dovevano cominciare a cercare l’entrata attraverso la quale il De Danaan era stato fatto entrare nell’isola.

Iniziarono a perlustrare la scogliera, controllando gli anfratti e le spaccature nella roccia, e facendo il giro dell’isolotto.

Non avendo degli scafandri, con quelle tute non potevano spingersi troppo in profondità, arrivando al massimo a cinquanta metri, ma regolando al massimo i visori notturni riuscirono a rimediare in buona parte a questo problema.

Dopo una decina di minuti di ricerca infruttuosa, Yu Fan fece segno a Sousuke di fermarsi.

La ragazza si avvicinò ad un punto della roccia, e fece scorrere la mano lungo una spaccatura orizzontale della roccia, una spaccatura perfettamente lineare.

Seguirono la spaccatura verso sinistra, lunga diverse decine di metri, finché ad un certo punto non svoltava ad angolo verso il basso, restando comunque perfettamente lineare.

Tornarono indietro scoprendo che anche a destra la spaccatura svoltava verso il basso.

Avevano trovato l’ingresso, mimetizzato con la scogliera!

Però contrariamente a quanto Sousuke sperava, era chiuso.

Allora il ragazzo si ricordò di un particolare del racconto di Melissa, un racconto che ormai era sicuramente veritiero.

La donna gli aveva detto di essere riuscita ad uscire attraverso un condotto di scarico, e che si era ritrovata vicino alla scogliera.

Quindi da quelle parti doveva esserci un condotto collegato con l’interno dell’isola.

Ricominciarono a setacciare la scogliera nei pressi del grande ingresso sigillato, e infine, poco sotto la superficie del mare, trovarono il condotto, inserito all’interno di una cavità e dal quale proveniva acqua calda.

Per poter entrare, dovevano passare uno alla volta e togliersi le bombole.

Agganciarono le bombole ad alcune punte della roccia, presero i minirespiratori e mettendo mano ai pugnali, entrarono nel condotto.

Sousuke fece entrare per prima Yu Fan, che non ebbe nulla da ridire.

Anche se il condotto era abbastanza in piano, i due dovettero arrampicarsi puntellandosi con i pugnali per non essere gettati indietro dal flusso d’acqua calda che scorreva nella direzione opposta alla loro.

Dopo un po’, finalmente uscirono.

E si ritrovarono in un enorme bacino artificiale, con al centro il Tuatha De Danaan.

Il sottomarino riempiva quasi del tutto la vasca, costruita nella roccia.

I due ragazzi videro anche dei bracci meccanici con sopra applicati degli strani congegni di forma rettangolare, scorrere avanti e indietro intorno allo scafo del sottomarino.

Allora si tolsero i visori e i minirespiratori, e nuotarono andando sotto la chiglia del De Danaan, che distava appena quattro metri dal fondo della vasca.

Si diressero verso la poppa fino alle gigantesche eliche, e nascosti da quest’ultime, tirarono fuori la testa per scrutare l’ambiente.

Sul lato destro della vasca c’era una banchina in cemento con alcune guardie alquanto annoiate che parlavano tra loro dando le spalle al sottomarino.

Davanti alle guardie c’era anche una stanza, costruita nella roccia, con all’interno molte apparecchiature che sembravano essere radio e computer, controllate da un operatore.

Dovevano trovare un modo per uscire dalla vasca senza essere visti.

Allora Sousuke notò che i bracci meccanici che si muovevano intorno al De Danaan erano agganciati ad una struttura in metallo fissata sul tetto della caverna.

La struttura a sua volta aveva come sostegni dei pali metallici, e uno di questi scendeva vicino all’ingresso di un corridoio.

Sousuke e Yu Fan andarono sul lato sinistro del sottomarino, e grazie ai bulloni e altre sporgenze dello scafo si issarono fino a salire sui pannelli dell’hangar di lancio degli AS.

Attesero che uno dei bracci, abbastanza larghi, passasse loro vicino e vi salirono.

Approfittando della distrazione delle guardie salirono in silenzio fino alla struttura posta sul soffitto, attendendo che il braccio meccanico si avvicinasse di nuovo al palo situato vicino alla galleria.

Al momento opportuno saltarono e vi si aggrapparono con le braccia.

A quel punto però non potevano entrare nella galleria senza essere visti dalle guardie.

Yu Fan, reggendosi senza problemi con un solo braccio, prese il suo respiratore, ne fece fuoriuscire tutta l’aria e poi con forza lo buttò nell’acqua, vicino alle guardie.

La violenta uscita di tutto quell’ossigeno compresso provocò delle grosse bolle che attirarono l’attenzione delle guardie, le quali puntarono le loro armi in quel punto.

Intanto Yu Fan e Sousuke arrivarono vicini alla galleria, si lasciarono cadere per terra ed vi entrarono velocemente.


Cameron, seduto sull’elicottero che lo stava riportando ad una delle basi di Amalgam, stava guardando per passare il tempo alcune foto della sua collezione privata, composta da immagini catturate da molteplici campi di battaglia.

Mezzi o persone che saltavano in aria, soldati abbattuti dal fuoco nemico, svariate scene di distruzione.

Tutto materiale che lo affascinava per come mostrava il caos della guerra.

Squillò il suo cellulare.

“Cameron” rispose con tono seccato: se c’era una cosa che disapprovava era l’essere disturbato mentre ammirava le sue foto.

“Signore, qui base TB. Volevo avvertirla che tra dieci minuti invierò alla base il risultato delle scansioni. Entro domani smobiliteremo da qui. Purtroppo non siamo riusciti a violare l’AI del sottomarino e l’Arbalest”.

“Non è importante. Basta avere il corpo, anche senza cervello. Semmai lo rimpiazzeremo con uno dei nostri. Riguardo all’Arbalest, abbiamo già i Venom. C’è altro?”

“Si, volevo chiederle cosa ne dobbiamo fare di tutti quegli ospiti”.

“I più vecchi vanno prima interrogati e poi impiegati come cavie per le nostre armi chimiche. I più giovani invece vanno usati per sperimentare le bio-tecnologie”.

“Bene, signore. Passo e chiudo”.

Non appena Cameron ripose il cellulare, gli arrivò un messaggio.

“E ora chi è?”

L’espressione seccata dell’uomo si tramuto in gioia quando lesse il contenuto del messaggio: uno dei suoi fornitori era riuscito a procurargli delle panoramiche inedite di Hiroshima dopo la scoppio della bomba atomica!

“Si! Questa è una di quelle notizie che ti fanno concludere in bellezza la giornata!” esclamò tutto contento.


Lungo i bordi della galleria erano piazzate delle luci trasportabili, e con le pistole in pugno Sousuke e Yu Fan la percorsero fino ad arrivare ad un bivio.

Con un gesto, Sousuke indicò che dovevano andare a destra.

Avrebbero potuto separarsi, però il ragazzo non si fidava a far allontanare Yu Fan.

Percorrendo il corridoio, notarono che anche lì l’illuminazione non proveniva da luci fissate sul corridoio.

E fino ad allora nei corridoi non avevano incontrato nessuno.

Poco personale e poche attrezzature fisse.

Evidentemente quella base era stata concepita per essere solo temporanea, e doveva essere per questo motivo che avevano assalito la sede della Mithril senza preoccuparsi del fatto che cosi potevano indirizzare le indagini su Hong Kong.

Perché tanto quando la Mithril si sarebbe riorganizzata, loro avrebbero già smobilitato.

Alla fine del corridoio si ritrovarono in una grande sala scavata nella roccia.

Appoggiate ad una parete c’erano undici poltrone con affianco bracci meccanici muniti di aghi.

Su un’altra parete c’era uno scaffale contenente numerose fiale piene di un liquido verde.

E un uomo in camice bianco che le stava controllando.

L’uomo dava loro le spalle, cosi i due ragazzi si avvicinarono silenziosamente, Sousuke lo afferrò mettendogli un braccio intorno al collo e gli puntò la pistola alla tempia.

“Fai una mossa falsa e ti ammazzo!” esclamò Sousuke.

Tuttavia l’uomo col camice non sembrava molto spaventato.

“Parla! Cosa state facendo qui?”

L’uomo però restava impassibile.

“Lascia fare a me” disse allora Yu Fan estraendo un pugnale e ficcandolo nei pantaloni dell’uomo, che stavolta sussultò.

“Rispondi alle nostre domande, o il tuo prossimo lavoro sarà nel coro delle voci bianche” minacciò impassibile la ragazza.

“Io… io stavo controllando i campioni di…. THX1138*!”

“E cosa sarebbe?”

“E’…è un siero che p-potenzia le capacità fisiche di un uomo..”

“Ma certo! Ecco perché quei killer sono cosi forti!” esclamò Sousuke.

“E chi sono quei killer? Come li avete assoldati?” domandò ancora Yu Fan.

“Non… non li… li… abbiamo assoldati noi. E’ stato Ca… Cameron!”

“Chi sarebbe questo Cameron?”

“Un… un ex-generale americano….d-dei marines. Lo abbiamo aiutato a riprendere un… esperimento per creare dei supersoldati che aveva organizzato qualche anno fa usando dei marines come cavie…”

Sentendo questo, Sousuke pensò subito a Melissa.

Puntò ancora più forte la pistola contro la tempia dell’uomo: “Melissa Mao! Cosa le avete fatto?”

“Faceva parte… delle… delle cavie… Cameron reclutò alcuni tra i migliori elementi dei marines, e li sottopose ad esperimenti di condizionamento p-psichico e fisico… per trasformarli in armi umane. Ma…”

Un proiettile trapassò il cranio dell’uomo uccidendolo.

Sousuke e Yu Fan sorpresi videro cinque uomini e due donne vestiti di nero entrare nella sala.

Uno solo era armato.

I due ragazzi si misero in posizione di guardia, l’uomo sparò e Yu Fan attivò il dispositivo dello scudo protettivo che teneva attaccato alla tuta.

I proiettili si infransero inoffensivi contro la barriera che formava una piccola bolla invisibile intorno ai due.

“Siamo in una posizione di stallo” sussurrò Sousuke “Loro non possono toccarci, ma possono impedirci di uscire di qui”.

“Ti ricordi il bivio che abbiamo incontrato prima?” chiese Yu Fan

“Si. Allora?”

“Copriti gli occhi, poi raggiungilo subito e vai a sinistra!” gridò la ragazza, che disattivò lo scudo e lanciò una granata luminosa davanti all’ingresso.

I killer rimasero temporaneamente abbagliati, Sousuke non perse tempo, ed avendo evitato di restare abbagliato, si lanciò verso l’uscita.

Yu Fan invece estrasse la sua pistola e riuscì a freddare tre dei killer.

I rimanenti però si ripresero subito, e uno di loro corse all’inseguimento di Sousuke, gli altri si concentrarono su Yu Fan.

In un attimo le furono addosso, uno le strappò di mano la pistola schiacciandola come se fosse un giocattolo e un altro con un calcio la fece volare contro una parete.

Yu Fan riuscì ad atterrare in piedi, estrasse dalle maniche delle lunghe lame retrattili, e si rese conto di non avere comunque speranze in un combattimento corpo a corpo contro quei tizi.

A meno che….

Consapevole dei rischi, si lanciò sullo scaffale con le fiale di THX1138 e anche se probabilmente non si prendeva cosi, ne bevve una.

Un istante dopo il suo corpo fu percorso da tremendi spasmi.

*THX 1138: Un piccolo omaggio al regista George Lucas, autore di Star Wars, che esordì nel 1971 col film THX 1138, in Italia “L’uomo che fuggì dal futuro”.

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Capitolo 8
*** 8° Capitolo ***


8° CAPITOLO

Sousuke corse a perdifiato fino al bivio e andò a sinistra.

Percorrendo un corridoio scavato nella roccia giunse ad una sala in cui si affacciavano una decina di porte blindate ad una certa distanza l’una dall’altra.

“L’equipaggio del De Danaan deve essere prigioniero lì” pensò Sousuke, poi sentì qualcuno correre dietro di lui.

Si voltò e vide il killer che gli andava incontro.

Sparò diversi colpi, ma quello mostrando un agilità straordinaria li evitò tutti muovendosi a zig zag e con uno scatto fulmineo arrivò proprio davanti al ragazzo.

Gli strappò l’arma distruggendola e con un pugno lo fece volare dall’altra parte della sala, mandandolo a sbattere contro una parete.

Sousuke estrasse uno dei suoi pugnali, rendendosi comunque conto che non aveva speranze contro un avversario potenziato.

Ma doveva tentare lo stesso, quindi si fece avanti e attaccò con una serie di velocissimi affondi.

Nonostante Sousuke attaccasse con molta abilità, il killer era ancora più veloce di lui, evitava tutti i colpi come se il giovane mercenario si muovesse al rallentatore.

Poi il nemico sferrò un calcio, Sousuke tentò di pararlo con un braccio, ma all’ultimo istante si limitò ad accompagnare il colpo, che lo spinse a terra.

E il braccio gli doleva moltissimo.

“Merda! Se non avessi accompagnato il colpo, mi avrebbe spezzato il braccio. E’ troppo forte!”

Il killer lo afferrò per il collo cominciando a stringere e Sousuke si ritenne spacciato.

O lo soffocava o gli spezzava il collo.

E il rumore di un secco crack si sentì nella sala.

****

Il cellulare di Cameron squillò ancora.

“Di nuovo? Non c’è pace oggi” sbottò riponendo il suo album di foto e rispondendo alla chiamata, proveniente dalla base a cui era diretto.

“Signore, scusi se la disturbo”.

“Cosa succede?”

“Volevo comunicarle che il nostro addetto sull’isola di Han non ci ha ancora inviato i risultati delle scansioni. Ed è in ritardo di cinque minuti sulla tabella di marcia”.

“Può darsi che abbia avuto dei contrattempi tecnici”.

“Forse. Ma allora come mai non risponde più alle nostre chiamate via radio?”

Cameron si fece pensieroso, poi disse: “Vi richiamo tra qualche minuto per darvi istruzioni”.

Chiuse il contatto e compose un altro numero di telefono.

“Pronto? Si, sono io. Sembra che sull’isola di Han ci sia qualche problema. Non ci hanno ancora inviato i dati sulle scansioni del Tuatha De Danaan e non riusciamo più a contattarli via radio”.

Cameron ascoltò la risposta.

“Ho capito, va bene, continueremo cosi. Arrivederci, Mr. Silver”.

Cameron richiamò la base e ordinò loro di non fare niente.

****

L’aria lì dentro era davvero soffocante, vi erano una cinquantina di persone stipate in un’unica, buia e non troppo grande cella scavata nella roccia.

Kurz non poteva fare a meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro.

Nessuno aveva certo intenzione di arrendersi, non c’erano stati casi di panico, ma la situazione comunque non era rosea.

Il maggiore Kalinin e il vice-comandante si erano dimostrati i più controllati, in mezzo ai vari mormorii dei suoi commilitoni, Kurz li aveva sentiti parlottare di eventuali piani di fuga.

Ma attuare questi piani era impossibile, se non aprivano quella cella.

E finora in quei giorni non l’aveva fatto nessuno, solo tramite una fessura passavano loro delle borracce ogni tanto.

La cosa che più preoccupava Kurz comunque, era il fatto che né la piccola Tessa, né Melissa erano con loro, e non sapevano che fine avevano fatto.

Forse erano in un'altra cella o forse no.

Aveva formulato varie ipotesi sulla loro assenza, e nessuna era positiva.

Poi all’improvviso la porta della cella si aprì: la luce accecò leggermente i prigionieri vicini alla porta, dopo tutti quei giorni di buio.

I prigionieri rimasero fermi e zitti, in attesa.

Kurz, che era abbastanza vicino alla porta, si fece coraggio: “Chi… chi è là?”

“Sergente Sousuke Sagara. Codice identificativo: Uruz 7!”

“Ehi ma… ma è Sousuke!”

A quel nome dal buio arrivarono grida di giubilo, i membri dell’equipaggio del De Danaan uscirono dalla cella e aprirono le altre celle.

In mezzo a tutta quella fiumana di gente, spuntarono anche Mardukas e Kalinin.

“Bel lavoro, sergente Sagara” commentò impassibile l’ufficiale russo.

“Grazie signore” rispose Sousuke.

“Un momento… dov’è il colonnello Testarossa?” chiese Mardukas.

“Non è con voi?” domandò Sousuke.

“No, ci hanno separato all’arrivo qui. Speravamo che fosse in una di queste celle” rispose Mardukas.

“Vado a cercarla, vi consiglio di condurre tutti al De Danaan e aspettarci lì. Non dovreste incontrare nessuno”.

La fiumana di persone verso il bacino trascinò con se anche Kurz che avrebbe voluto chiedere di Melissa a Sousuke.

Ma fece comunque in tempo a notare il cadavere di uomo vestito di nero che giaceva pancia a terra ma col volto girato verso il soffitto.

Sousuke ritornò nel corridoio poi raggiunse il bivio e andò a destra, raggiungendo la stanza dove aveva lasciato Yu Fan

Si avvicinò cautamente muovendosi rasoterra, e quando si affacciò, vide che i corpi dei killer giacevano a terra, decapitati e mutilati.

Due avevano anche il ventre squarciato e gli intestini erano fuoriusciti.

Grosse macchie di sangue ancora fresco sporcavano il pavimento e le pareti.

Nessuna traccia di Yu Fan.

Il giovane si guardò intorno, e notò un particolare: un pugnale conficcato sopra lo scaffale con le fiale, che erano state tutte rotte.

Poteva anche non significare nulla, comunque Sousuke esaminò lo scaffale, e vide dei cardini seminascosti sul lato sinistro.

Andò dall’altro lato, cominciò a spingere e lo scaffale si spostò come se fosse una porta.

Dietro c’era una porta blindata chiusa con un lucchetto.

Sousuke forzò il lucchetto, aprì la porta ed entrò in una cella bianca con un letto.

Neanche due minuti dopo, Sousuke con in braccio Tessa correva verso il De Danaan.


EPILOGO

Kaname si alzò dal letto cercando di reprimere gli sbadigli e di sgranchirsi le ossa.

Sembrava che avesse passato quasi tutta la notte in attesa di notizie, e alla fine era andata a dormire vestita.

Il cellulare giaceva sul tavolo della cucina, nessuna chiamata in arrivo.

“Quello scemo” borbottò preoccupata.

Kaname non aveva ancora deciso se quel giorno sarebbe andata o no a scuola, comunque andò lo stesso in bagno per darsi una sistemata.

Qualcuno bussò alla porta, e lei andò ad aprire con in mano un pettine.

“Chi è?”

Era Sousuke, con in mano una borsa.

“So… Sousuke?!” esclamò incredula Kaname.

“Affermativo. Scusami se non ti ho avvertito, ma ho perso il cellulare, e anche se ovviamente ti sembrerà impossibile in queste dieci ore non mi è riuscito di trovare un telefono. Per questo…”

Kaname non gli diede il tempo di finire e lo abbracciò.

“Bentornato Sousuke” sussurrò sollevata Kaname.

E Sousuke rimase nuovamente di sasso.

Sembrava proprio che non riuscisse ad abituarsi a simili manifestazioni di affetto.

Ma a Kaname questo non importava.

“Sono contenta che hai mantenuto la promessa”.

Sousuke inarcò un sopracciglio, sul suo volto apparve una strana espressione, veloce come un battito di ciglia.

“Una promessa è una promessa” disse poi con calma.

****

Cameron sedeva nel suo ufficio, e controllava alcuni documenti.

La stanza era piuttosto spartana, l’unica cosa che l’uomo si era concessa era una serie di quadri raffiguranti alcuni celebri istanti bellici catturati da una macchina fotografica, come il soldato della guerra civile spagnola colto nel momento in cui, colpito a morte, cade a terra.

Sentì bussare.

“Avanti” rispose.

E non poté fare a meno di restare stupito quando vide chi era entrato.

Un ragazzo molto alto e bello, con i capelli color argento, vestito con un abito nero elegante che sembrava arrivare direttamente dall’XIX secolo.

Cameron si alzò e si mise sull’attenti: “Mr. Silver, non mi aspettavo una sua visita”.

“Oh, sono qui solo per tirarle un po’ su il morale, mio caro Cameron” rispose tranquillo il ragazzo.

“Tirarmi su… il morale?”

“Si. Andiamo, non ha bisogno di nascondermelo, so bene che la distruzione dei suoi supersoldati le pesa. Lei sperava che con il nostro aiuto il suo progetto potesse concretizzarsi, ma purtroppo cosi non è stato”.

Cameron fece per ribattere, per poi desistere davanti allo sguardo deciso e sorridente del suo superiore.

“Si, ha ragione. Avevo puntato parecchio su quel progetto” ammise infine amareggiato.

“Purtroppo, amico mio, anche se i suoi soldati erano molto letali, non hanno potuto cambiare il fatto che un’arma per essere davvero tale, deve essere non di carne e ossa, ma di metallo”.

Mr. Silver si avvicinò ad uno dei quadri contemplandolo.

“Almeno in buona parte” aggiunse il giovane.

“Si, capisco. Ovviamente la sua idea è migliore della mia”.

“Su, su, niente pensieri tristi, Cameron. Non deve pensare che sia ormai tutto finito. Forse non ha ancora passato abbastanza tempo nelle nostre alte sfere per capire che i piani di livello Alpha di Amalgam non possono mai essere sventati completamente. La chiusura di una porta non blocca affatto il nostro cammino, ma ci permette di aprirne un’altra, un’altra ancora e cosi via”.

“Allora, lo continueremo veramente?”

“Certo, e le dirò di più: dei due progetti collegati a quello principale, anche il secondo è già operativo; il progetto Hela lo abbiamo testato efficacemente ieri sera sull’isola. E abbiamo deciso di affidare la sua prosecuzione proprio a lei”.

“Proprio… proprio a me?!”

Nonostante la sua esperienza e la sua età, Cameron non si vergognò del fatto che in quel momento sembrava eccitato come uno scolaretto.

L’arma suprema… affidata a lui!

Il coronamento di una vita!

Continua…

 

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