Favola di Natale. di Afaneia (/viewuser.php?uid=67759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo. ***
Quello
sarebbe stato il primo Natale dopo molti anni
che Rosso trascorreva a Biancavilla, eppure per lui era come se mai
neppure un
Natale fosse trascorso in nessuna parte del mondo.
Negli ultimi anni, egli di certo aveva saputo
che il Natale esisteva, trascorreva per tutti, ma non se
n’era mai curato. Ora
si sentiva spiazzato e confuso, quasi fuori luogo.
Sua
madre, Dalia, era così felice e contenta di quel
Natale che si prospettava d’improvviso normale, sereno: li
aveva invitati a
pranzo, e con loro il professor Oak, naturalmente. E poi Blu,
ovviamente, era
felice. Avrebbe voluto organizzare, preparare, decorare il mondo
intero: quella
casa, che per tanti anni era rimasta squallida e spoglia a Natale come
in ogni
altro giorno, ora sembrava brillare più delle altre, come
sommersa da una marea
di luci, festoni, ghirlande. Per Blu era forse il primo, vero Natale
della sua
vita. E come avrebbe potuto lui, Rosso, rovinargli quel momento, come
aveva
rovinato per lui anni e anni di vita?
Biancavilla
era accesa come una lampadina: tutta
ardeva, fremeva, pulsava di vita, di compere, di amore. E Rosso,
camminando in
quella calca, si sentiva solo come si era sempre sentito tra la gente. In una via pedonale del
centro era stato
allestito un piccolo mercato natalizio. Rosso era lì, ma
avrebbe preferito non
trovarvisi, non per il freddo, cui era abituato, ma per tutta quella
folla
urlante e affannata e furiosa nei suoi acquisti…
Rosso
non avrebbe voluto essere lì, insomma.
Sua
madre appoggiò le mani su un ampio maglione
scuro col collo rotondo e disse: “Questo è molto
bello.” Rosso non rispose.
Dalia sorrise e proseguì: “Non è vero,
caro?”
“Ho
già dei maglioni, mamma.”
“Oh,
Rosso, andiamo. Non puoi metterti per il pranzo
di Natale gli stessi maglioni che portavi sul Monte Argento, sarebbe
eccessivo.”
“È
molto bello” ammise Rosso.
“Credi
che piacerà anche a Blu?” proseguì
dolcemente
sua madre, appoggiando il maglione contro il suo largo petto per
valutarne la
misura. “Oh, che spalle grandi che hai, tesoro. Ti ci
vorrà una taglia in più.
Ma quanto sei bello!”
Rosso
sorrise a quelle parole. Sua madre sembrava
innamorata della sua rinnovata bellezza: a poco a poco, le occhiaie
erano
sparite dalle sue guance scavate, e il suo volto si era fatto
più maschio,
umano, non demone.
“Ti
ci vorrà qualche camicia, ora che sei così alto:
quelle che avevi una volta non ti stanno più. E ti
comprerò anche qualche
maglia da intimo. Non pensavo che ti saresti più lasciato
comprare vestiti da
me, sai” disse Dalia sorridendo. Rosso la guardò e
vide che pensava a tutto ciò
che era accaduto negli anni precedenti. Allora le cinse le spalle con
un
braccio e la strinse a sé, mormorando: “Ora sono
qui.”
“Va
bene. Passiamo oltre” disse sua madre dopo aver
pagato. “Avevamo detto che ti serviva un cappotto.”
“D’accordo.”
“So
che il negozio all’angolo svende tutto perché si
trasferisce” disse sua madre.
“Va
benissimo” disse Rosso, che non si ricordava di
quale negozio ella stesse palando. Era un piccolo negozio nel quale sua
madre
gli comprò un cappotto grigio, un paio di guanti e una
sciarpa. Rosso pensava
che fossero abiti meravigliosi, ma si domandava se fossero adatti a lui.
Più
tardi, tornando a casa, sua madre gli domandò:
“Tesoro, c’è qualcosa che vorresti per
Natale? Sai… è passato così tanto
tempo
dall’ultima volta che ho comprato un regalo per te.”
Rosso
la guardò con stupore e disse: “Credevo che
fosse questo il tuo regalo di Natale.”
A
quelle parole, Dalia scoppiò in una risata che
riempì la strada ed esclamò: “Ma certo
che no, tesoro! Queste sono solo cose di
cui hai bisogno.”
“Ma
io non voglio niente” disse Rosso.
“Sono
io che vorrei farti un regalo” disse Dalia
seriamente, guardandolo negli occhi. Rosso capì, ma chinando
lo sguardo disse:
“Il regalo più grande che puoi farmi è
volermi regalare qualcosa, dopo tutto
ciò che ho fatto.”
“Non
essere sciocco, mio caro” lo riprese Dalia
sorridendo. “E poi bisognerà bene che trovi un
regalo anche per Blu. Tu hai già
deciso cosa regalargli?” domandò poi con aria
assorta, e ascoltando la sua
domanda Rosso si sentì vacillare.
Una
spin off molto semplice, che ho progettato nel periodo
di Natale (durante una lezione di aquafit) ma che ho scritto a
spizzichi e bocconi fino a poche settimane fa, buttando giù
ora un brano a casa, ora un brano a scuola, un po' in aereo e in
America, un po' a casa di mia sorella... insomma, un collage
di brani che a me pare però omogeneo, dolce e
divertente. A parer mio, almeno, e a me è piaciuto molto
scriverlo. Poi lascio a voi, se mai ci dovesse essere un lettore,
l'ontre di giudicare.
Un
bacio grande a chiunque vorrà leggere. A presto!
Afaneia
:)
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo. ***
“Insomma
non mi hai detto perché sei qui, eh” disse
Luisa, stringendosi le ginocchia contro il petto. Quel giorno Rosso
aveva avuto
modo di accorgersi di quanto fosse carina quella principessa dei
Pokémon.
Indossava un maglione davvero piuttosto grande per lei, nero, che Rosso
sospettava appartenere a uno dei suoi fratelli, a giudicare dalle sue
dimensioni, grandi stivaloni da uomo e calze bianche e nere ch’erano forse il solo
elemento femminile
in lei. Eppure era bella, e i suoi bei capelli erano lisci e ordinati
sotto un
cappellino nero. Era molto diversa dall’allenatrice selvaggia
che Rosso aveva
conosciuta e odiata. Ora era più vicina e umana, e Rosso
l’ammirava.
“Sei
molto carina, oggi. Ma non sei come ti
ricordavo.”
Allora
Luisa si mise a ridere gettandosi
all’indietro sul letto. Rideva senza cattiveria,
così, per ridere. Rosso la
guardava senza capire. Sentiva d’invidiarla molto, senza
malizia, ma
d’invidiarla: Luisa era libera come lui non era mai stato in
grado di essere.
Eppure anche lei era scesa là sotto, aveva fronteggiato la
potenza inarrivabile
di Missingno, aveva attraversato il potere della Città dei
Numeri: anche lei
aveva camminato nel buio, come lui. Ma i suoi occhi erano limpidi e
alteri e
sereni, e non si erano tinti di rosso mai, a differenza dei suoi che
tanti
mortali avevano spaventato coi loro riflessi ch’erano stati
incendio e fiamma e
sangue, neppure tanto tempo prima.
Già,
non aveva sprecato tempo, lei, non aveva
strappato tempo alla vita: aveva vissuto, Luisa, in tutti i modi in cui
aveva
potuto farlo, persino in quei giorni in cui chiunque avrebbe
rinunciato, quando
aveva scoperto chi era e chi non riusciva più a essere,
quando aveva scoperto
che la menzogna l’aveva accompagnata in ogni giorno della sua
vita e che
nessuno aveva pensato che era giusto che lei per prima sapesse la
verità, la
sua verità.
Era
stata forte, Luisa, forse più forte di lui,
sebbene fosse più piccola, e non aveva chinato neppure un
attimo la testa,
neppure di fronte a quel peso immenso delle leggende e delle bugie e
dei
misteri del mondo; non si era arresa, come lui, all’evidenza,
agli obblighi,
alla potenza di chiunque tentasse d’imporlesi; era andata
più oltre, lei, si
era ribellata e aveva urlato e pianto e aveva cercato
nell’ombra fino alla
fine, anche a tentoni, anche nel buio, e aveva vinto, alla fine: aveva
scoperto
il mistero del mondo, lei sola, lei con le sue forze.
E
ora Rosso, Rosso che per anni aveva creduto, si
era illuso di essere il migliore, il Prescelto, ora veniva a chiederle
consiglio per una parte di vita che si era sempre lasciato passare
lontano,
senza cura, senza interesse. Bisognava trovare il coraggio di chiedere,
si
disse Rosso. E infine, chinando il capo, disse a bassa voce: “Ho…ho
bisogno del tuo aiuto.”
“Beh,
questo lo sapevo” disse Luisa. Rosso la guardò
con occhi stupiti. Luisa sorrise e mormorò:
“L’ho letto nei tuoi occhi. Mi pari
molto umile, oggi.”
Rosso
annuì. Era così che si sentiva, quel giorno:
umile. Luisa si alzò e stiracchiandosi borbottò:
“Beh, caro mio, ascolta, che
ne dici di andare di là a parlarne? Ho proprio voglia di
fare un bagno.”
Un
bagno. L’aria appariva carica di un vapore che
appannava la luce e la vista, eppure Rosso poté vedere
benissimo Luisa
spogliarsi ed entrare nella vasca colma d’acqua bollente. Il
suo corpo era sodo
e bianco, invitante, ma per lei Rosso non provava desiderio; anzi, per
quanto
essa fosse bella, Rosso non avrebbe potuto sentirsi meno indifferente
verso il
suo corpo nudo.
Si
sedette su uno sgabello, scansando gli abiti che
la ragazza vi aveva appoggiato sopra, e si tolse il maglione.
L’aria era molto
calda. Luisa ammiccò verso la sua camicia azzurra.
“Ehi
ehi… attento. Tu sarai anche gay, ma io no!”
Rosso
aggrottò la fronte e sorrise, ma cupamente.
Era pensieroso. Luisa colse il suo sguardo e disse massaggiandosi le
braccia
col sapone: “Su. Cosa c’è?”
“Mi
sto pentendo di tutti quegli anni lassù, su quel
monte…. Ci ho passato sette anni lassù, Luisa.
Sette anni sono tanti.”
Luisa
alzò lo sguardo su di lui. Rosso non poteva
vederla, ma era molto corrucciata.
“Perché
te ne penti proprio oggi?” domandò. Rosso
non rispose.
“Non
avevo pensato alle conseguenze, sai. O meglio
sì, ma a una sola, che poi non si è realizzata; e
tu sai quale.”
“Oggi
mi trovo molto… spiazzato. Credo di aver perduto
qualcosa e questo qualcosa era importante. Ora sono smarrito, e forse
un po’
solo. Non voglio che Blu veda questo di me” soggiunse
tristemente, alzando lo
sguardo su di lei. Luisa lo scrutava con perplessa attenzione, con le
sopracciglia aggrottate e lo sguardo concentrato.
“Hai
lasciato perdere il resto del mondo per sette
anni” disse con calma. “Non hai pensato mai, in
tutte quelle notti tra la neve…
non hai pensato mai a tutto quello che ti perdevi?”
Ma
era stata una domanda sciocca, e Luisa se ne accorse
quando Rosso cominciò rabbiosamente ad aggirarsi per il
bagno. Luisa lo
guardava attraverso il vapore e le bolle di sapone. Infine, spazientita
ma
impietosita, disse con voce carica d’affetto, ma
d’affetto fraterno: “Dai,
vieni qui. Spogliati. Entra dentro.
Facciamo il bagno insieme.”
Rosso
si fermò e la guardò fissamente, intensamente:
non c’era malizia in nessuno dei loro occhi, desiderio in
nessuno dei loro
volti. Allora si slacciò la camicia azzurra, si
sfilò la maglietta nera che
aderiva sensualmente al suo petto largo e pronunciato; si tolse le
polacchine
blu, i jeans attillati, i boxer grigi; entrò
nell’acqua calda che lo avvolse
sino alle larghe spalle muscolose.
“Chiudi
gli occhi” disse Luisa. “Rilassati. Parla
con me se hai voglia, quando hai voglia. Io sono la figlia di Celebi,
il
Guardiano del tempo: perciò in questa stanza ci
sarà tutto il tempo del mondo,
se vuoi.”
Le
sue parole giungevano a lui come una musica,
attraverso il vapore e l’acqua gorgogliante. Aprì
gli occhi per un momento: soffiando
sull’acqua, Luisa la faceva muovere dolcemente come in un
torrente, era acqua
calda e profumata che
gli parlava di
regioni inesplorate, ma accoglienti e assolate.
Dopo
molto tempo, parlò.
“Se
ho mai pensato di perdere qualcuno, era Blu. Era
Blu che forse non mi avrebbe aspettato, che forse non mi avrebbe
capito… e in
effetti, così stava per essere” soggiunse
tristemente.
“Ma
Missingno mi teneva in suo potere. Io ero
convinto di ciò che stavo facendo, di ciò che
volevo dargli… ma come ti ho
detto, ero prigioniero del fuoco di Missingno. E per questo ho pensato,
in
quegli anni, più a riavere Blu che non a… a cosa
fare della mia vita, una volta
conclusasi la parentesi del Monte Argento… una volta
riconosciuto come
Prescelta Creatura.”
“In
realtà, Luisa, credo di essere stato più un
allenatore che un individuo nella mia vita, sin da quando sono partito
da
Biancavilla, dieci anni fa… quando cominciai il mio viaggio,
ero proprio come
mi hai conosciuto, sai” disse, guardandola direttamente.
“Un ragazzo solo e
disperato che a stento parlava con qualcuno che non fossero i suoi
Pokémon, che
lottava contro tutto il resto del mondo perché il suo
migliore amico l’aveva
tradito e lui cercava in tutto il mondo qualcosa che gli parlasse
ancora degli
occhi del suo amico… ero solo un po’
più basso, e un po’ meno bello.”
“Avevo
iniziato ad allenare perché amavo i Pokémon,
è vero, ma poi nella mia ricerca di Blu ho perduto di vista
tutto, forse
persino Blu stesso. Ero pazzo, ed è forse per questo che
Missingno ha scelto me
per cercare te: perché nella mia dolorosa
lucidità, ero stranamente pazzo…
perché ero solo, disperatamente innamorato di un maschio,
perché mi sentivo
tradito…”
“E
poi, dopo, Missingno ti strega la mente, e per
anni non ho voluto altro che liberarmi dal suo potere: compiere il mio
destino,
finalmente, e poi tornare da Blu. A questo pensavo lassù sul
Monte Argento: a
Ho-Oh certo, prima di tutto e soprattutto, e poi a Blu. Ma non credo, o
non
ricordo, di aver pensato mai alla nostra vita insieme,
forse… sai, forse
pensavo solo alla sua.”
Luisa
taceva ancora. L’acqua invece parlava ancora,
ma parlava di comprensione, di pietà, di
partecipazione… Rosso aprì gli occhi
con curiosa convinzione. Guardò la ragazza: essa stava
appoggiata coi gomiti al
bordo della vasca e lo guardava semplicemente.
Calò
il silenzio. Ora Rosso non riusciva a percepire
più neppure la voce dell’acqua. Non se ne
rammaricava, ma il silenzio pesava
sul suo orecchio come un masso. Infine, Luisa si protese verso di lui e
gli
domandò: “Rosso, c’è qualcosa
in particolare che vorresti dirmi, non è vero?”
Sentendosi
profondamente imbarazzato, Rosso
disse: “Non
so che cosa regalare a Blu
per Natale.”
“Ah!
È questo, dunque” esclamò Luisa,
alzandosi.
“Credevo non l’avresti detto mai.”
Si
stagliò in piedi, nuda e gocciolante, e uscì
dalla vasca. Si avvolse in un asciugamano bianco e Rosso sorrise:
“Ho già visto
tutto, mimma.”
“Il
tuo fidanzato sarà geloso. Che te ne pare?”
chiese lei, ridendo.
“Sei
una ragazza… desiderabile.”
“E
poi?”
“Bella,
lo sai.”
“Oh,
la classe non è acqua” esclamò ridendo
la
ragazza mentre si scioglieva i capelli. Essi spiovvero sulle sue
bianche spalle
umide e asperse di minute goccioline.
“Va
bene, Rosso… il tuo è un problema serio, lo sai.
È il vostro primo Natale assieme, e occorre un regalo
speciale, che testimoni
che non sarà nemmeno l’ultimo.”
“Questo
è il problema” disse Rosso. “E la
soluzione?”
Luisa
lo guardò sorridendo appena. “Dovresti avere
imparato che nessuno oltre a te può dirti qual è
la verità.”
“Non
ti sto chiedendo di darmi la verità” disse
Rosso. “Chiedo solo un po’
d’aiuto.”
“Va
bene allora… vediamo un po’” disse la
ragazza.
Si chinò in avanti, e con un secondo asciugamano si
tamponava le gambe su cui
le gocce d’acqua disegnavano figure spigolose.
“Sentiamo un poco, Rosso… tu sai
quale sarebbe il più grande di tutti i desideri di
Blu?”
“Bah”
borbottò Rosso un po’ stizzito. “Certo
che lo
so, che domande! Ma non è mica una cosa che si potrebbe
regalare!”
“E
che cosa sarebbe?” domandò Luisa con vivo
interesse, voltandosi verso di lui.
Rosso
si sentì avvampare vagamente sulle guance e
borbottò guardando altrove: “Beh, credo
che… almeno per quanto posso pensarne
io, ovviamente…. Ciò che Blu vorrebbe
più intensamente… sarebbe…”
“Sarebbe?”
“La
mia felicità” disse Rosso semplicemente,
allargando le braccia. “Credo che… vorrebbe molto
intensamente che io fossi
felice al suo fianco, nella nostra casetta, con le bollette a fine mese
e il
suo stipendio di Capopalestra e la spesa tutti i venerdì
pomeriggio. Insomma…
ciò che ha desiderato tutta la vita è questo, e
ciò che amo in Blu è che la sua
ambizione non è sconfinata e irresistibile come lo
è sempre stata la mia. Non è
così avido e affamato da desiderare una nuova cosa una volta
che ha ottenuto un
suo piccolo obiettivo, no, lui è diverso…
è sereno. Sa davvero cosa vuole.
Tutto ciò che voleva era la nostra vita insieme, e ora ce
l’ha e tanto gli
basta: lui si accontenta di sapere che per me non è un
dolore andare a comprare
da mangiare tutti i venerdì, al cinema o a cena fuori tutti
i sabati sera, a
pranzo da mia madre o da suo nonno la domenica, a letto alle undici e
mezza
tutte le sere. La nostra vita è quello che voleva e ora
è il suo presente, ed è
ancora convinto di volere questo dalla sua vita. Ma so che per lui
è un
tormento ogni sguardo che io getto fuori dalla finestra, ogni
passeggiata che
faccio sulla riva del mare lucente… anche se non mi
dirà mai nulla al riguardo,
è questo il suo peggior timore: che io a Biancavilla non sia
felice, che in
fondo al mio cuore, di nascosto, io desideri andare via, ripartire,
andare a
cercare…”
“E
tu” mormorò Luisa “tu è
questo che desideri?”
Rosso
la scrutò intensamente: ella si era chinata su
di lui e lo guardava fissamente con grande attenzione…
“Cosa
dovrei cercare che non abbia già trovato?” le
domandò allora. “La Prescelta Creatura sei tu, e
non vi è più nulla che io
possa per oppormi a questa verità; né
d’altronde l’ho più desiderato da quando
mi hai mostrato la tua natura sulla cima di quel vulcano. In quanto poi
alla
maledizione di Missingno, essa si
è
compiuta nel momento in cui io ti ho spinta nella Città dei
Numeri, dritto nel
centro del suo potere: la sua volontà non ha più
su di me alcun potere. Tu mi hai
svelati tutti i segreti del mondo, e ora conosco più di
qualsiasi mortale. Sì,
Luisa, ora non c’è più che questo che
desidero, poiché ho fallito tutto ciò che
ho tentato nel corso della mia vita, e non vi è dunque nulla
in cui io,
paradossalmente, mi sia dimostrato migliore… che nella mia
vita domestica”
concluse sorridendo.
“Non
ti manca dunque la tua libertà?”
domandò Luisa
con occhi sopresi, scrutandolo fissamente: aveva tre anni meno di lui,
ma non
avrebbe mai potuto pensare… di perdere la sua
libertà…
Gli
occhi di Rosso guardarono altrove. Temendo di
avergli fatto una domanda sgradevole, Luisa fece per correggersi, ma
egli
subito parlò: “Credevo che mi sarebbe
mancata” mormorò. “Credevo che
d’improvviso cessare di viaggiare, di allenarmi come un
folle, di combattere in
silenzio contro chiunque, solo… mi sarebbe mancato. Ho avuto
molta paura, all’inizio,
quando Blu ha cominciato a sistemare le mie cose nel suo armadio,
quando mi
sono accorto che di notte non vedevo le stelle… che al
mattino, a svegliarmi
non era più un’alba infuocata che divampava sulla
neve del Monte Argento, ma la
nostra radiosveglia… che le notti non erano più
veglie interminabili alla ricerca
di qualche Pokémon notturno e introvabile con cui allenarmi,
ma erano notti di
riposo perché Blu il giorno dopo andava a lavorare, oppure,
se erano veglie,
erano veglie d’amore. E mi sono spaventato, quando ho capito
che anche se non
volevo, anche se non mi andava, era mio dovere parlare col panettiere e
col
giornalaio, colla signora del negozio di lampade e colla donna delle
pulizie,
che se venivano a trovarci non potevo più rifugiarmi in alto
e restare in
silenzio a guardare, e questo non perché vi fossi
esplicitamente obbligato, ma
perché per Blu, per mia madre, per tutti voi era spontaneo,
naturale, giusto… e
io queste cose le avevo dimenticate.”
“Ma
poi, a un certo punto…” Qui la voce di Rosso si
fece più forte: egli era tutto immerso in quel
ricordo… “A un certo punto ho
ricordato cos’era che mi aveva spinto a vedere quelle albe
infuocate accendere
la neve, quelle stelle rischiarare il buio sopra i miei
occhi… e non era stata
la mia volontà a condurmi sulla cima di quel monte, o a
portarmi a vedere tutte
quelle albe, tutte quelle stelle… era stata la
volontà di un altro. Era stato
il potere di Missingno. Dunque non era stata libertà la mia!
Era stato esilio,
costrizione, prigionia! Poiché non ero stato io a
decidere!”
“Da
quel giorno non ho più sentito la mancanza di
quello che chiamavo libertà senza che lo fosse. Blu
è stato ciò che ho scelto
senza costrizioni, senza inganni: è Blu il frutto della mia
libertà, è la mia
vita dentro quella casa a Biancavilla. E se qualche volta sento la
mancanza
delle mie albe e delle mie stelle, o persino della mia solitudine, so
che non
ho che da dirlo a Blu, e allora sarà lui il primo a darmi un
sacco a pelo il mio
vecchio zaino sporco, e a dirmi di
andare un week end sulla cima del mio monte od ovunque io voglia, e
tornare quando
sarò convinto di essermene saziati gli occhi.”
“Blu
ti ama molto” mormorò Luisa chinando lo
sguardo.
“Blu
mi ama molto più di quanto io meriti” rispose
Rosso a bassa voce. “Credi che non me ne renda conto, forse,
che lui è tanto e
forse troppo?”
Luisa
si appoggiò al muro del bagno, argentato e
luccicante di vapor d’acqua, accavallando le magre gambe
lisce e bagnate. “Perché
credi che per te sia troppo?” domandò.
Rosso
alzò le spalle, appoggiandosi con le braccia
al bordo della vasca. “Per come l’ho trattato,
Luisa” disse a bassa voce
guardandolo. “Per che cosa altrimenti? Io, proprio io ho
abbandonato per anni
un ragazzo che mi amava molto, proprio quando lui aveva più
bisogno di me. E quel
ragazzo che era bello, era ricco, conosciuto da tutti, poteva avere
chiunque ma
mi ha aspettato egualmente. Per tutti questi anni, capisci? Tu
l’avresti
aspettato uno come me?” domandò, alzandosi in
piedi per uscire dalla vasca.
Luisa
lo guardò sorridendo: Rosso era il ragazzo più
bello che avesse mai visto, ma no, lei non l’avrebbe
aspettato affatto, di più,
non l’avrebbe amato affatto, anche così bello
com’era. Non gli rispose, ma
voltandosi verso lo specchio cominciò lentamente a
pettinarsi i capelli. Rosso non
domandò oltre: conosceva già la risposta. Nessuno
mai oltre a Blu avrebbe
saputo trovare tanta forza da amarlo e aspettarlo ininterrottamente per
tutti
quegli anni, malgrado tutto, malgrado il dolore.
Infine
Luisa gli disse: “Se davvero credi che sia
questo che desidera sopra ogni altra cosa al mondo, allora dovresti
fargli
capire che farai di tutto per realizzare il suo desiderio.”
“Ma
non è mica qualcosa che si può regalare per
Natale!” sbottò Rosso afferrando un asciugamano.
A
questo punto Luisa lo guardò divertita e gli
disse: “Mi dispiace, Rosso, ma più di
così non posso aiutarti. È il tuo
ragazzo!”
Rosso
dovette riconoscere che aveva ragione. Allora si
rivestì pensierosamente e mormorò: “Hai
ragione, sai. Ma ti ringrazio di avermi
aiutato.”
“Prego”
rispose Luisa sorridendo.
Allora
Rosso la salutò abbracciandola, così bagnata e
mezza nuda com’era, e la lasciò chiedendole di
salutargli i suoi fratelli. Ma quando
tornò a casa, infilando la chiave nella toppa, ebbe la
sorpresa di trovarla già
aperta… ed era certo che non si trattasse di Blu.
Si
scoprì indeciso sul da farsi. Allontanarsi, fare
il giro della casa, controllarne le ombre e i suoni? Guardò
le finestre che si
affacciavano sul giardino: erano buie e non ne proveniva alcun rumore.
Tornò allora
nuovamente alla porta, prendendo con una mano dalla cintura la ball di
Charizard; e poi, tratto un profondo respiro, balzò in
avanti spingendo la
porta.
D’improvviso
un’ombra si mosse nel buio. Rosso la
vide e premette d’impulso l’interruttore della
luce: la grande
lampada si accese e Rosso finalmente
distinse il volto della persona entrata prima di lui…
La
ball di Charizard rotolò a terra.
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo. ***
Rosso
sbatté la porta con una violenza che non
pensava di trovarsi addosso. In tutti quegli anni, egli aveva forse
pensato di
aver perdonato Giovanni, il suo gioco scorretto, la sua umiliazione;
aveva
forse pensato che ormai davvero tutto ciò che era stato
appartenesse al solo
passato, aveva pensato, semplicemente, di aver scordato tutto e tutto
perdonato. Ma non era così, Rosso si era sbagliato, non
aveva capito: egli
aveva dimenticato che, ora che le tracce di Missingno si erano perdute
su di
lui, egli era tornato uomo e rancoroso, come tutti gli esseri umani. Ed
era ora
proprio la sua umanità ritrovata a spingerlo al suo odio
profondo: egli in
quegli occhi vedeva non lo sguardo di un uomo, ma quello
dell’uomo che l’aveva
sconfitto; e molto di più, poiché
quell’uomo aveva abbandonato suo figlio che
si era affidato a lui proprio nel momento in cui egli non aveva potuto
soccorrerlo. Rosso ricordava quei limpidi occhi di Blu, dopotutto,
così
com’erano stati quando Giovanni aveva riparato
all’estero, ed egli aveva amato
Blu anche in quel momento.
Ora
fronteggiava immobile quel colosso di altezza e
di prestanza fisica: Giovanni aveva cinquantasei anni, ma ancora era
identico
all’uomo che lo aveva umiliato, ormai molti anni prima, a
pochi chilometri di
distanza. Eppure, per quanta rabbia provasse, Rosso non sapeva trovare
parole
per esprimerla. Per un attimo, forse, Giovanni avrebbe persino potuto
vedere
nei suoi occhi un ultimo fantasma di quei terribili bagliori
allucinanti, ma
poi Rosso parlò: “Che ci fai qui?”
Era
una domanda sciocca, una domanda banale. Avrebbe
potuto chiedere milioni di altre cose e invece… ora doveva
ascoltare.
Ma
Giovanni sorrise leggermente, di un sorriso
pallido e amaro che non si estese ai suoi occhi. “Potrei fare
a te la stessa
domanda” disse lentamente, “Ho tutti i diritti di
essere qui. Io ho comprato
questa casa per mio figlio, dopotutto, molti anni fa.”
“Io
abito qui, ora!” ruggì Rosso e istintivamente si
scagliò in avanti di un passo. Giovanni sollevò
con calma una mano: “Non ti
agitare, Rosso. So che vivi con Blu, ora.”
“Perché
sei tornato?” esclamò ancora Rosso.
“L’avevo
promesso a Blu” rispose con calma Giovanni.
“Avevo promesso che sarei tornato a prendermi cura della sua
vita. Perché non
sarei dovuto tornare?”
“Perché
sei solo un bastardo!” gridò Rosso. Tremava
tutto, con una violenza tale che credette di scoppiare, e invece si
trattenne.
Gridò: “Hai abbandonato Blu quando lui aveva
più bisogno di te, quando…”
“Quando
tu lo avevi appena abbandonato” rispose
Giovanni. “Pochi giorni prima che tu lo abbandonassi di
nuovo, per il tuo
viaggio.”
“Intendi
forse rinfacciarmelo?” domandò Rosso.
“Non
ero suo padre!”
“No,
non lo eri, è vero” rispose Giovanni.
“Ma verso
di lui non avevi meno impegni di quanti ne avessi io, poiché
vi amavate; e
dopotutto, è pur sempre vero che io avevo motivi validi per
abbandonare Kanto:
per causa tua, la polizia era sul punto di arrestarmi, e
quand’anche poi fossi
riuscito a evitare questo pericolo, non avrei certo potuto sottrarmi
alla furia
di Mewtwo. Non erano dunque questi ottimi motivi per abbandonare
Kanto?”
“Sta’
pur certo che Mewtwo non avrebbe tentato mai
nulla per vendicarsi di te” rispose Rosso. “Credi
forse che egli fosse di
spirito malvagio come credi? Era libero, e libero non aveva bisogno di
vendicarsi.”
“Dimentichi
l’altro motivo” disse allora Giovanni.
“Avrei dovuto permettere a mio figlio di vedermi in
prigione?”
“Questo
motivo è solo colpa tua” esclamò Rosso. “Avresti potuto
rinunciare, smettere anni fa,
vent’anni fa, quando è morta Ambra, quando Blu era
piccolo, quando te l’ha
chiesto il professor Oak. Allora no che non saresti finito in prigione,
stanne
certo! Allora non c’erano prove delle tue
attività.”
Per
la prima volta nel corso di quella
conversazione, Giovanni parve dubitare un momento della forza delle sue
ragioni. Si mise seduto per mascherare quell’istante di
fragilità e disse: “Non
sai di cosa stai parlando.”
“Forse
ne so più di te” replicò Rosso,
avanzandosi
di un passo ora che la stanza si era sgombrata un po’ di
quella ingombrante
presenza. “Io ho sconfitto Team Rocket.”
“Ti
dico che non sai” disse Giovanni alzando gli
occhi su di lui; e per un attimo Rosso si spaventò al vedere
quegli occhi.
Poiché quello era uno sguardo di uomo, uno sguardo che
pareva perduto e
affranto, molto profondamente lacerato e perplesso. No, quelli non
erano gli
occhi che Rosso ricordava da quel giorno di tanti anni prima, e che
forse in
più di una occasione egli aveva confuso con quelli azzurri e
luminosi di
Mewtwo: erano quelli di un uomo, e d’un tratto Rosso
ricordò il suono di parole
che aveva udite tanti anni prima: se sei
come me, dei tuoi fantasmi non ti libererai mai e poi mai.
Subito
le parole di Giovanni confermarono il suo
pensiero. Egli si alzò, come riscuotendosi, e voltandogli le
spalle distolse
gli occhi da lui. Disse: “Credi tu che sia facile? Credi tu
che sarebbe stato
facile, dopo anni d’attività, dopo anni
d’impegno… credi tu che se avessi tutto
abbandonato nel nome del mio amore per Ambra, per amore di Blu, sarebbe
stata
semplice, sicura, la nostra vita…?”
“Questo
non è un motivo!” gridò Rosso.
“Bisognava
impegnarsi, combattere, decidere, pensare alla vita di
Blu…”
“E
i fantasmi?” esclamò allora Giovanni, volgendosi
di scatto: i suoi occhi ora fiammeggiavano, “Non mi comprendi
proprio tu,
Rosso, tu che per sette anni sei rimasto confinato sulla cima di quella
montagna, prigioniero di un sogno che a nessuno era dato
sapere… oh, non dire
che non comprendi, Rosso: proprio tu dovresti esser capace di capire
cosa vuol
dire, aver qualche ricordo che non si sa come
dimenticare…”
Allora
Rosso tacque, si accese in viso di vergogna:
era vero… sì, sul Monte Argento era stato
Missingno a tenere prigioniera e
avvinta la sua vita, colla prospettiva di un grande destino e di un
premio per
la sua smisurata ambizione: non era, dopotutto, solo colpa
sua… Ma prima, prima
di quella terribile notte, non c’era nessun Missingno a
guidare le sue azioni:
solo la sua triste volontà l’aveva trascinato per
Kanto in preda a quella
lucida follia…
Era
la prima volta che Rosso comprendeva almeno in
parte la grande somiglianza tra lui e Giovanni: quella fortissima
sensazione
che vi fosse qualcosa in tutto il mondo che bisognava assolutamente
fare,
qualcosa che non era né chiaro né definito,
qualcosa che forse non era neppure
possibile, ma che andava perlomeno inseguito, tentato, fino alla fine,
fino
alla morte. Si sedette scrutando Giovanni. Vi erano riusciti entrambi,
alla
fine? Sì, lui, Rosso, vi era riuscito: aveva portato Luisa
da Missingno, e
questo era quanto. Aveva impiegato venti anni. E Giovanni, invece, di
anni ne
aveva impiegati cinquanta: aveva perso tutto, aveva ucciso sua moglie,
trascurato suo figlio. Ma ora non poteva più odiarlo
così tanto: dopotutto, lui
stesso aveva per anni abbandonato Blu…
Giovanni
lo scrutava ora con calma fissità. Disse:
“Mi comprendi, tu?”
“Sì”
disse Rosso. Era più calmo. Proseguì:
“Per
quanti anni hai inseguito Mewtwo?”
“Non
ero molto più grande di voi due quando partiste
per il vostro viaggio” disse Giovanni. “Lo vidi, un
giorno… Mew, intendo dire.
Oh, lo so che può sembrarti strano” soggiunse.
“Forse erano altri tempi… eppure
lo vidi, lo vidi con l’intensità con cui tu hai
veduto Mewtwo… l’ho amato con
la stessa forza con cui tu hai amata la tua ambizione. L’hai
mai veduto, tu,
Mew?” domandò.
“Non
dal vivo” mentì Rosso, che non voleva parlargli
di Luisa. Giovanni sorrise.
“Non
puoi capire, allora… no, che sciocco! Forse
puoi. Mai nulla del genere avevo provato per un Pokémon, mai
nulla per una
donna. Ciò che provai per Ambra, molti anni
dopo…”
“Non
era lo stesso” disse Rosso alzando le spalle,
sorpreso anche solo che Giovanni sentisse il bisogno di specificare
quella
differenza. Mai nella sua vita egli aveva paragonato, neppure soltanto
nella
sua propria mente, l’amore per Blu a quello per la sua
ambizione.
“No,
non era lo stesso. Ho amato Ambra di tutto
l’amore che ho potuto, e di certo non è stato
abbastanza, ma è stato molto; ma
Mew era diverso. Era quel desiderio insaziabile, insanabile, di
possesso, di
controllo, di…”
“Quello
è stato il mio troppo amore, il mio grande
errore. Ambra è morta mentre io cercavo Mew, e trovavo
Mewtwo… e solo quando è
morta ho visto che per colpa del mio sogno, avevo ucciso mia
moglie… che ero
solo, solo con mio figlio, e che rischiavo, mio malgrado, di uccidere
anche
lui, poiché nonostante tutto il mio sogno era più
forte, di lui, più forte di
me… più forte, molto più forte della
mia volontà. E poi, mi sono occorsi dieci
anni per portare davvero a termine l’esperimento. E non ho
avuto Mew…”
“Che
cos’hai provato?” domandò Rosso con vivo
interesse. Era il primo essere umano che gli descriveva esattamente
ciò che lui
stesso aveva provato per Ho-Oh…
“Era
finita” disse Giovanni. La sua voce pareva
vibrare ultimamente come di un’ultima nota interminabile, ma
davvero ultima;
egli chinò gli occhi. “Non Mew, ma Mewtwo; e nella
rabbia malvagia che gli
leggevo in viso, io rivedevo tutti gli orrori che lo avevano creato,
tutti gli
omicidi, gli abusi, le cattiverie… io, io avevo fatto tutto
ciò! Per Mew, per i
grandi occhi azzurri di Mew che io volevo rivedere! E allora era ovvio,
era
normale che non fosse Mew, che fosse un altro Pokémon, un
Pokémon diverso, un
Pokémon malvagio…”
“Non
malvagio” tentò di dire Rosso, ma invano:
Giovanni non lo sentì.
“Mi
era rimasto un desiderio grande di Mew, ma non
era più lo stesso desiderio di un tempo: ora era un
desiderio umano, un
desiderio normale, accettabile, un rimpianto dolce e melanconico, ma
che non
guidava più le mie azioni; solo, qualche volta, qualche mio
sogno…”
“Era
come svegliarsi dopo aver dormito molto, molto
a lungo… tutto per me era nuovo, tutto diverso. Molte cose
erano accadute nel
corso del mio sonno, nel corso dei miei incubi… ora era
difficile affrontare la
realtà. Avevo Mewtwo, che non era la creatura intangibile
che io avevo per anni
sognata e vagheggiata, ma che era più simile a me; era una
macchina creata per
la guerra, per combattere; e io la usai per combattere contro quel
mondo che si
era trasformato mentre io non guardavo. Avevo un figlio, un figlio che
in tutti
quegli anni era cresciuto troppo lontano da me, e che ora non sapevo
più come
raggiungere: Blu si allenava con me, viveva con me, ma non riusciva,
dopotutto,
a comunicare… e sapevo che lui provava un tormento forte,
che era innamorato,
questo lo sentivo, ne ero consapevole, ma non sapevo come toccarlo,
come
raggiungerlo…”
“E
poi, Mewtwo è scappato, tu hai sconfitto il mio
impero, Blu ha perduto contro la Lega Pokémon; ed
è arrivato l’esilio per me.
Era la giusta punizione per aver dato troppa attenzione al mio sogno, e
troppa
poca alla mia vita…”
Calò
il silenzio, per un po’. Rosso ora taceva con
calma; il suo respiro stesso si era fatto più quieto, ora.
Quanto era appena
accaduto era davvero incredibile: forse, pensò Rosso,
avrebbe dovuto cessare di
aspettarsi qualsiasi cosa dalla propria vita.
Alzando
lo sguardo, ricordò come da un passato
lontanissimo che Giovanni non era solo il suo ultimo nemico: era il
padre di
Blu…
“Ti
dispiace che io viva con Blu, ora?” domandò.
Giovanni scosse il capo.
“No”
disse. “No, Rosso…anzi, ne sono felice. Avevo
paura che Blu restasse solo.” Rosso non rispose: pensava agli
anni che Blu
aveva effettivamente trascorso senza di lui.
“Dove
sei stato finora?” domandò per distogliere la
mente da quel pensiero.
“Conosci
la regione di Unima?” domandò Giovanni.
“È
lontano da qui, è molto distante e diversa dalle nostre
regioni. Ho vissuto là,
dove nessuno sapeva neppure che vi fosse stato mai un Giovanni a capo
di un
Team Rocket…”
“Ti
mancava Blu?”
“Forse
che a te non mancava, lassù?” replicò
Giovanni.
“Che
domanda sciocca” rispose Rosso. “Mancava come
l’aria, mancava come il calore del sole che lassù
non si sentiva; mancava come
l’erba verde che era sempre sotto la neve. Mancava come le
mani di mia madre;
mancava come tutto il mondo che in anni di esilio avevo dimenticato,
mancava
come la verità che non riuscivo a raggiungere,
perché purtroppo non era sul
monte dove io la cercavo.”
“Hai
capito, dunque” disse Giovanni.
Sì,
Rosso aveva capito: aveva rammentato quel
sentimento di nostalgia profonda, che aveva assunto le forme non di una
sensazione forte e struggente ma di qualcosa di più
profondamente radicato e
intrinseco, come se mancasse l’acqua, come se mancasse
l’aria.
Ora
Giovanni era seduto, era vicino a lui,
vicinissimo a lui… Rosso non gli era stato mai vicino
così. D’improvviso Rosso
si alzò e indietreggiò: un ultimo barlume del suo
odio lo spingeva ad allontanarsi
dalla sua grande massa imponente e virile, ma poi, per mascherare il
suo
impulso, cominciò a muoversi nervosamente per quella cucina,
come mosso da bel
altro tipo d’istinto. Domandò: “E ora
cos’è che ti ha spinto a tornare?
Perché ora,
perché oggi? Sai bene che domani è
Natale.”
“Blu”
rispose Giovanni semplicemente.
“Dopo
nove anni” disse Rosso voltandosi con
inquietudine.
“Sì,
dopo nove anni” replicò Giovanni.
“Sì, dopo il
mio esilio… per donare di nuovo a mio figlio un vero Natale
come gliene ho
troppi sottratti.”
Di
nuovo Rosso avrebbe voluto replicare, ma di nuovo
s’interruppe, si trattenne. Non sapeva più come
rispondere, come reagire…
ricordava molto vagamente di aver voluto aggredire Giovanni, di essersi
voluto
vendicare, sino a non poi molti minuti prima; eppure ora non lo
ricordava
davvero più. Gli pareva di cercare in sé una
rabbia che neppure lui stesso
riusciva più a provare.
“Che
cosa farai, ora?” domandò senza forze.
“Vivrò
qui, o a Smeraldopoli” disse Giovanni. Poi,
vedendo lo sguardo sorpreso di Rosso, disse ridendo: “No, non
temere! Non intendo
certo vivere in questa casa: ora Blu ha la sua felicità con
te, e tanto mi
basta. Voglio solo trovare un posto dove vivere in pace, lontano da
tutto
quello che ho voluto costruire e insieme distruggere, e vicino, per
quanto
possibile, alla felicità dell’unica creatura al
mondo che io abbia amata tanto
e che io sia riuscito a salvare, allontanandolo dalla mia affannosa
ricerca…”
Rosso
alzò con un qualche stupore gli occhi su di
lui. Ecco, ora aveva capito cosa doveva fare.
Eccomi di nuovo qua!
Ho avuto qualche giorno di ritardo nell’aggiornamento, ma
come al solito nel
troiaio della mia camera avevo perso il foglio sul quale avevo scritto
l’ultima
parte di questo capitolo e tutto quello seguente ^^ un ringraziamento a
Gleeklove, che di certo si aspettava che avessi perso il foglio.
Baci :)
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Capitolo 4 *** Epilogo. ***
Era sera, finalmente. Rosso scese
dabbasso dalla loro stanza:
Blu era raggomitolato sul divano con un cuscino stretto contro il
petto. Teneva
gli occhi chiusi, e per un attimo a Rosso parve di ricordare le notti
innocenti
che tanti anni prima aveva trascorso, sveglio e lucido, a guardare il
pallido
volto sereno e triste di quel ragazzo addormentato...
Sei molto sereno quando
dormi, Blu, e la tua serenità
placa il mio animo avido e ambizioso.
Andò a sedersi in silenzio
sul divano. Blu aprì pigramente un
occhio.
“Vuoi dormire per tutta la
vigilia di Natale?” lo punzecchiò
Rosso. Aveva il cuore in gola e non avrebbe saputo come iniziare.
“Ehi amore”
borbottò Blu. “Io lavoro.”
“Ma se da tre giorni hai
chiuso la palestra per le feste”
replicò Rosso sorridendo.
“Ma fino a tre giorni fa ho
lavorato.”
“Sì, per due
settimane. E via, Blu, alzati! Dobbiamo
preparare la cena.”
“No”
borbottò Blu. “Tra un po'. Stenditi accanto a
me.”
Blu era raggomitolato nell'angolo del
divano, col capo
appoggiato contro il bracciolo. Rosso lo guardò e lentamente
si distese accanto
a lui, poggiandogli il capo contro la schiena.
“Blu...”
mormorò. “Ho bisogni di dirti una cosa.”
Blu si sollevò dal divano e
lo guardò con una sorta di
allarme. “Ti ascolto” disse aggrottando un
sopracciglio con fare perplesso.
“Dimmi, mio caro. Che cos'hai da dirmi?”
Rosso si mise seduto e si
schiarì discretamente la voce.
Mormorò: “So che volevamo aspettare la mezzanotte,
ma preferirei che tu aprissi
ora il regalo che ti ho fatto.”
Ora il volto di Blu era colorato come
di un tono lieve di
scherno. Sorrideva.
“Va bene” disse,
modulando la voce come se gli scappasse da
ridere. “Certo, mio caro. Vediamo questo regalo.”
Allora Rosso si alzò e
scomparve al piano di sopra. Ne
riemerse dopo poco, portando in mano una scatola celeste che teneva
sulla punta
delle dita, come se non sapesse come portarla, come porgerla... Allora
Blu,
comprendendo il suo disagio, tese le mani e si appoggiò il
pacco sulle
ginocchia.
“Vuoi davvero che lo
apra?” domandò.
“Ti prego”
mormorò Rosso. Ora il suo volto era paonazzo, ed
egli si vergognava tremendamente della propria scelta. Ma Blu gli
accarezzò
pazientemente un braccio e tolse lentamente il coperchio della scatola
celeste.
In quel momento, Rosso tratteneva il respiro.
Vi furono lunghi momenti di silenzio,
un silenzio angosciato
e carico d'inquietudine. Infine Blu infossò il mento sul
collo e scoppiò a
ridere, e la sua risata sciolse tutta l'angoscia.
“Oh, Rosso, che scemo... ti
sei dimenticato lo scontrino!”
Rosso avvampò di vergogna e
cacciò la mano all'interno del
pacco. Un momento dopo lo scontrino giaceva a terra in frammenti ed gli
si
abbatté livido in viso contro lo schienale del divano. Blu
scosse il capo con aria
di ironica disapprovazione. Pazienza, ormai. “Dopo
pulisci” lo avvertì. Calò
lentamente le mani nella scatola celeste e ne estrasse un oggetto che
era nero
e liscio e molto curioso…
“Che
cos’è?” domandò con sguardo
perplesso con gli occhi
limpidi e dolcemente illuminato, come da una luce che ardeva
pianissimo.
“Rosso…”
“L’ho comprato ad
Azzurropoli” disse Rosso.
“Che
cos’è?” insisté ancora Blu.
Pareva che gli scappasse da
ridere, eppure non rideva: aspettava.
“È un rilevatore
di posizione che si usa per rintracciare
sempre la posizione dei Pokémon volanti quando vengono
allenati e fare in modo
che rimangano sempre nella stessa zona… ma ascolta, non
ridere! È una cosa
molto seria.”
“Non voglio
ridere” disse Blu.
“Allora ascolta,
è importante. Emette un suono molto acuto,
se si supera un limite prestabilito…”
“Dunque?” lo
interruppe Blu. Aveva intuito, aveva già capito,
e ora pareva che tutta la luce fosse scomparsa dai suoi occhi. Rosso
proseguì.
“È per me, mio
caro” disse. “Per fare la tua
serenità.”
“La mia
serenità” ripeté Blu alzando gli occhi.
“Ne sei ben
certo?”
“Sì”
rispose Rosso. Sorrideva, ora, benché Blu gli apparisse
un poco infelice e angustiato.
“Non sei ancora sereno,
qui?” domandò Blu tristemente. “Non
c’è pace a Biancavilla per te? Eppure credevo che
avessi smesso di cercare
qualcosa ch’è lontano da qui, che forse non
esiste…”
“No” disse Rosso
con forza, e Blu tacque bruscamente e rimase
immobile, in silenzio. “No, Blu… non hai capito.
Guarda” mormorò, e dolcemente
gli prese il rilevatore dalle pallide mani bianche. Blu restava ancora
immobile.
Rosso andò alla finestra da
cui, talora, si soffermava a
guardare il cielo. La spalancò e d’improvviso
nella stanza entrò un vento
freddo di cui Blu rabbrividì e si strinse conto lo schienale
del divano. Ma
Rosso, cui quel freddo non dava fastidio, fronteggiò la
finestra aperta e gettò
lontano quell’oggetto nero, il più lontano
possibile dalla loro casa e dal
corso delle loro vite.
Chiuse la finestra.
Ora Blu era in piedi e lo scrutava.
Rosso si voltò e chiese:
“Hai capito?”
Blu non rispose.
“L’ho gettato via
per dimostrarti che non ti servirà. Che non
voglio scappare dalla nostra quotidianità… credo
che sia questo il significato
profondo del mio regalo. Che io sono qui e farò di tutto per
restarci, anche se
la sommità del monte dovesse chiamarmi con una voce che
talora sento anche da
lontano; che ho rinunciato a tutte le mie ambizioni per riuscire a
restare qui
con te, e che non importa se sarà una lotta quotidiana,
voglio lottare con te,
ed ecco tutto.”
“Oh, Rosso,
Rosso…”
Ed eccola, finalmente, la meravigliosa
risata di Blu, che era
come una liberazione. Era un volo d’uccello, e Rosso si
sentì d’improvviso il
cuore balzare e rasserenarsi in petto.
“Sei felice?”
“Sì, Rosso” mormorò Blu.
“Era proprio ciò che volevo per Natale.”
Ecco, ora dunque veniva la seconda
parte, la parte per Rosso
più difficile da affrontare.
“C’è
qualcos’altro, Blu, per questo Natale”
incominciò
lentamente, cautamente. “C’è un altro
regalo per te, qualcosa che forse tu hai
sempre desiderato… con la stessa forza con la quale hai
bramato il mio
ritorno.”
Blu lo guardava convinto di non aver
capito. Egli tuttavia,
in una piccola parte della sua mente, sapeva qual era la sola cosa in
tutta la
sua vita ch’egli aveva bramato quanto il ritorno di Rosso.
Rosso intuì il suo pensiero.
“Apri la porta,
Blu” disse a voce bassa, e si fece di lato
per lasciarlo passare. Blu non si mosse. Allora Rosso aprì
per lui la porta, e
di nuovo quel vento gelido s’insinuò nel soggiorno
vivamente riscaldato.
“Va’ fuori,
Blu” disse ancora Rosso, e allontanandosi dalla
porta chinò lo sguardo e rimase immobile. Non voleva
partecipare. Finalmente,
Blu si mosse come un automa. Ora avanzava a piccoli passi lenti, ora
era fuori
dalla porta…
“Papà!”
Rosso non si affacciò. Non
voleva guardare, non voleva
intromettersi. Accostò la porta senza chiuderla. Avrebbe
atteso in casa che
quell’attimo finisse.
Eccomi qua
finalmente,
dopo qualcosa come quattro mesi dall’ultimo aggiornamento.
Ovviamente avevo
perso il foglio, un numero considerevole di volte, devo dire, e non di
rado non
sono stata io a ritrovarlo. Poi mi si è anche rotto il pc,
sul quale avevo appena
terminato di copiare il nuovo capitolo, e allora ho dovuto ricercare il
foglio
e poi ricopiarlo da capo; e alla mia velocità non
è semplice.
Però
siamo sotto
Natale, perciò diciamo che questi ritardi capitano
più o meno a fagiolo; l’epilogo
mi convince un po’ meno del resto, ma
tant’è. A questo punto un ringraziamento
a Gleeklove, per le recensioni e il continuo sostegno su tutti i
fronti, a
Sochan e Yujikki per aver aggiunto la storia alle preferite, e ad
Amaerise (che
spero si ricordi che dobbiamo andare a vedere Lo Hobbit appena esce)
per averla
aggiunta alle seguite.
Tanti baci
grassi e
natalizi a tutti, e grazie di cuore :)
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