Favola di Natale.

di Afaneia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo. ***


Quello sarebbe stato il primo Natale dopo molti anni che Rosso trascorreva a Biancavilla, eppure per lui era come se mai neppure un Natale fosse trascorso in nessuna parte del mondo.  Negli ultimi anni, egli di certo aveva saputo che il Natale esisteva, trascorreva per tutti, ma non se n’era mai curato. Ora si sentiva spiazzato e confuso, quasi fuori luogo.

Sua madre, Dalia, era così felice e contenta di quel Natale che si prospettava d’improvviso normale, sereno: li aveva invitati a pranzo, e con loro il professor Oak, naturalmente. E poi Blu, ovviamente, era felice. Avrebbe voluto organizzare, preparare, decorare il mondo intero: quella casa, che per tanti anni era rimasta squallida e spoglia a Natale come in ogni altro giorno, ora sembrava brillare più delle altre, come sommersa da una marea di luci, festoni, ghirlande. Per Blu era forse il primo, vero Natale della sua vita. E come avrebbe potuto lui, Rosso, rovinargli quel momento, come aveva rovinato per lui anni e anni di vita?

Biancavilla era accesa come una lampadina: tutta ardeva, fremeva, pulsava di vita, di compere, di amore. E Rosso, camminando in quella calca, si sentiva solo come si era sempre sentito tra la gente.  In una via pedonale del centro era stato allestito un piccolo mercato natalizio. Rosso era lì, ma avrebbe preferito non trovarvisi, non per il freddo, cui era abituato, ma per tutta quella folla urlante e affannata e furiosa nei suoi acquisti…

Rosso non avrebbe voluto essere lì, insomma.

Sua madre appoggiò le mani su un ampio maglione scuro col collo rotondo e disse: “Questo è molto bello.” Rosso non rispose. Dalia sorrise e proseguì: “Non è vero, caro?”

“Ho già dei maglioni, mamma.”

“Oh, Rosso, andiamo. Non puoi metterti per il pranzo di Natale gli stessi maglioni che portavi sul Monte Argento, sarebbe eccessivo.”

“È molto bello” ammise Rosso.

“Credi che piacerà anche a Blu?” proseguì dolcemente sua madre, appoggiando il maglione contro il suo largo petto per valutarne la misura. “Oh, che spalle grandi che hai, tesoro. Ti ci vorrà una taglia in più. Ma quanto sei bello!”

Rosso sorrise a quelle parole. Sua madre sembrava innamorata della sua rinnovata bellezza: a poco a poco, le occhiaie erano sparite dalle sue guance scavate, e il suo volto si era fatto più maschio, umano, non demone.

“Ti ci vorrà qualche camicia, ora che sei così alto: quelle che avevi una volta non ti stanno più. E ti comprerò anche qualche maglia da intimo. Non pensavo che ti saresti più lasciato comprare vestiti da me, sai” disse Dalia sorridendo. Rosso la guardò e vide che pensava a tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti. Allora le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé, mormorando: “Ora sono qui.”

“Va bene. Passiamo oltre” disse sua madre dopo aver pagato. “Avevamo detto che ti serviva un cappotto.”

“D’accordo.”

“So che il negozio all’angolo svende tutto perché si trasferisce” disse sua madre.

“Va benissimo” disse Rosso, che non si ricordava di quale negozio ella stesse palando. Era un piccolo negozio nel quale sua madre gli comprò un cappotto grigio, un paio di guanti e una sciarpa. Rosso pensava che fossero abiti meravigliosi, ma si domandava se fossero adatti a lui.

Più tardi, tornando a casa, sua madre gli domandò: “Tesoro, c’è qualcosa che vorresti per Natale? Sai… è passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho comprato un regalo per te.”

Rosso la guardò con stupore e disse: “Credevo che fosse questo il tuo regalo di Natale.”

A quelle parole, Dalia scoppiò in una risata che riempì la strada ed esclamò: “Ma certo che no, tesoro! Queste sono solo cose di cui hai bisogno.”

“Ma io non voglio niente” disse Rosso.

“Sono io che vorrei farti un regalo” disse Dalia seriamente, guardandolo negli occhi. Rosso capì, ma chinando lo sguardo disse: “Il regalo più grande che puoi farmi è volermi regalare qualcosa, dopo tutto ciò che ho fatto.”

“Non essere sciocco, mio caro” lo riprese Dalia sorridendo. “E poi bisognerà bene che trovi un regalo anche per Blu. Tu hai già deciso cosa regalargli?” domandò poi con aria assorta, e ascoltando la sua domanda Rosso si sentì vacillare.

 

Una spin off molto semplice, che ho progettato nel periodo di Natale (durante una lezione di aquafit) ma che ho scritto a spizzichi e bocconi fino a poche settimane fa, buttando giù ora un brano a casa, ora un brano a scuola, un po' in aereo e in America, un po' a casa di mia sorella...  insomma, un collage di brani che a me pare però omogeneo,  dolce e divertente. A parer mio, almeno, e a me è piaciuto molto scriverlo. Poi lascio a voi, se mai ci dovesse essere un lettore, l'ontre di giudicare. 

Un bacio grande a chiunque vorrà leggere. A presto! 

Afaneia :)

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo. ***


“Insomma non mi hai detto perché sei qui, eh” disse Luisa, stringendosi le ginocchia contro il petto. Quel giorno Rosso aveva avuto modo di accorgersi di quanto fosse carina quella principessa dei Pokémon. Indossava un maglione davvero piuttosto grande per lei, nero, che Rosso sospettava appartenere a uno dei suoi fratelli, a giudicare dalle sue dimensioni, grandi stivaloni da uomo e calze bianche e nere ch’erano forse il solo elemento femminile in lei. Eppure era bella, e i suoi bei capelli erano lisci e ordinati sotto un cappellino nero. Era molto diversa dall’allenatrice selvaggia che Rosso aveva conosciuta e odiata. Ora era più vicina e umana, e Rosso l’ammirava.

“Sei molto carina, oggi. Ma non sei come ti ricordavo.”

Allora Luisa si mise a ridere gettandosi all’indietro sul letto. Rideva senza cattiveria, così, per ridere. Rosso la guardava senza capire. Sentiva d’invidiarla molto, senza malizia, ma d’invidiarla: Luisa era libera come lui non era mai stato in grado di essere. Eppure anche lei era scesa là sotto, aveva fronteggiato la potenza inarrivabile di Missingno, aveva attraversato il potere della Città dei Numeri: anche lei aveva camminato nel buio, come lui. Ma i suoi occhi erano limpidi e alteri e sereni, e non si erano tinti di rosso mai, a differenza dei suoi che tanti mortali avevano spaventato coi loro riflessi ch’erano stati incendio e fiamma e sangue, neppure tanto tempo prima.

Già, non aveva sprecato tempo, lei, non aveva strappato tempo alla vita: aveva vissuto, Luisa, in tutti i modi in cui aveva potuto farlo, persino in quei giorni in cui chiunque avrebbe rinunciato, quando aveva scoperto chi era e chi non riusciva più a essere, quando aveva scoperto che la menzogna l’aveva accompagnata in ogni giorno della sua vita e che nessuno aveva pensato che era giusto che lei per prima sapesse la verità, la sua verità.

Era stata forte, Luisa, forse più forte di lui, sebbene fosse più piccola, e non aveva chinato neppure un attimo la testa, neppure di fronte a quel peso immenso delle leggende e delle bugie e dei misteri del mondo; non si era arresa, come lui, all’evidenza, agli obblighi, alla potenza di chiunque tentasse d’imporlesi; era andata più oltre, lei, si era ribellata e aveva urlato e pianto e aveva cercato nell’ombra fino alla fine, anche a tentoni, anche nel buio, e aveva vinto, alla fine: aveva scoperto il mistero del mondo, lei sola, lei con le sue forze.

E ora Rosso, Rosso che per anni aveva creduto, si era illuso di essere il migliore, il Prescelto, ora veniva a chiederle consiglio per una parte di vita che si era sempre lasciato passare lontano, senza cura, senza interesse. Bisognava trovare il coraggio di chiedere, si disse Rosso. E infine, chinando il capo, disse a bassa voce:  “Ho…ho bisogno del tuo aiuto.”

“Beh, questo lo sapevo” disse Luisa. Rosso la guardò con occhi stupiti. Luisa sorrise e mormorò: “L’ho letto nei tuoi occhi. Mi pari molto umile, oggi.”

Rosso annuì. Era così che si sentiva, quel giorno: umile. Luisa si alzò e stiracchiandosi borbottò: “Beh, caro mio, ascolta, che ne dici di andare di là a parlarne? Ho proprio voglia di fare un bagno.”

 

Un bagno. L’aria appariva carica di un vapore che appannava la luce e la vista, eppure Rosso poté vedere benissimo Luisa spogliarsi ed entrare nella vasca colma d’acqua bollente. Il suo corpo era sodo e bianco, invitante, ma per lei Rosso non provava desiderio; anzi, per quanto essa fosse bella, Rosso non avrebbe potuto sentirsi meno indifferente verso il suo corpo nudo.

Si sedette su uno sgabello, scansando gli abiti che la ragazza vi aveva appoggiato sopra, e si tolse il maglione. L’aria era molto calda. Luisa ammiccò verso la sua camicia azzurra.

“Ehi ehi… attento. Tu sarai anche gay, ma io no!”

Rosso aggrottò la fronte e sorrise, ma cupamente. Era pensieroso. Luisa colse il suo sguardo e disse massaggiandosi le braccia col sapone: “Su. Cosa c’è?”

“Mi sto pentendo di tutti quegli anni lassù, su quel monte…. Ci ho passato sette anni lassù, Luisa. Sette anni sono tanti.”

Luisa alzò lo sguardo su di lui. Rosso non poteva vederla, ma era molto corrucciata.

“Perché te ne penti proprio oggi?” domandò. Rosso non rispose.

“Non avevo pensato alle conseguenze, sai. O meglio sì, ma a una sola, che poi non si è realizzata; e tu sai quale.”

“Oggi mi trovo molto… spiazzato. Credo di aver perduto qualcosa e questo qualcosa era importante. Ora sono smarrito, e forse un po’ solo. Non voglio che Blu veda questo di me” soggiunse tristemente, alzando lo sguardo su di lei. Luisa lo scrutava con perplessa attenzione, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo concentrato.

“Hai lasciato perdere il resto del mondo per sette anni” disse con calma. “Non hai pensato mai, in tutte quelle notti tra la neve… non hai pensato mai a tutto quello che ti perdevi?”

Ma era stata una domanda sciocca, e Luisa se ne accorse quando Rosso cominciò rabbiosamente ad aggirarsi per il bagno. Luisa lo guardava attraverso il vapore e le bolle di sapone. Infine, spazientita ma impietosita, disse con voce carica d’affetto, ma d’affetto fraterno:  “Dai, vieni qui. Spogliati. Entra dentro. Facciamo il bagno insieme.”

Rosso si fermò e la guardò fissamente, intensamente: non c’era malizia in nessuno dei loro occhi, desiderio in nessuno dei loro volti. Allora si slacciò la camicia azzurra, si sfilò la maglietta nera che aderiva sensualmente al suo petto largo e pronunciato; si tolse le polacchine blu, i jeans attillati, i boxer grigi; entrò nell’acqua calda che lo avvolse sino alle larghe spalle muscolose.

“Chiudi gli occhi” disse Luisa. “Rilassati. Parla con me se hai voglia, quando hai voglia. Io sono la figlia di Celebi, il Guardiano del tempo: perciò in questa stanza ci sarà tutto il tempo del mondo, se vuoi.”

Le sue parole giungevano a lui come una musica, attraverso il vapore e l’acqua gorgogliante. Aprì gli occhi per un momento: soffiando sull’acqua, Luisa la faceva muovere dolcemente come in un torrente, era acqua calda e profumata  che gli parlava di regioni inesplorate, ma accoglienti e assolate.

Dopo molto tempo, parlò.

“Se ho mai pensato di perdere qualcuno, era Blu. Era Blu che forse non mi avrebbe aspettato, che forse non mi avrebbe capito… e in effetti, così stava per essere” soggiunse tristemente.

“Ma Missingno mi teneva in suo potere. Io ero convinto di ciò che stavo facendo, di ciò che volevo dargli… ma come ti ho detto, ero prigioniero del fuoco di Missingno. E per questo ho pensato, in quegli anni, più a riavere Blu che non a… a cosa fare della mia vita, una volta conclusasi la parentesi del Monte Argento… una volta riconosciuto come Prescelta Creatura.”

“In realtà, Luisa, credo di essere stato più un allenatore che un individuo nella mia vita, sin da quando sono partito da Biancavilla, dieci anni fa… quando cominciai il mio viaggio, ero proprio come mi hai conosciuto, sai” disse, guardandola direttamente. “Un ragazzo solo e disperato che a stento parlava con qualcuno che non fossero i suoi Pokémon, che lottava contro tutto il resto del mondo perché il suo migliore amico l’aveva tradito e lui cercava in tutto il mondo qualcosa che gli parlasse ancora degli occhi del suo amico… ero solo un po’ più basso, e un po’ meno bello.”

“Avevo iniziato ad allenare perché amavo i Pokémon, è vero, ma poi nella mia ricerca di Blu ho perduto di vista tutto, forse persino Blu stesso. Ero pazzo, ed è forse per questo che Missingno ha scelto me per cercare te: perché nella mia dolorosa lucidità, ero stranamente pazzo… perché ero solo, disperatamente innamorato di un maschio, perché mi sentivo tradito…”

“E poi, dopo, Missingno ti strega la mente, e per anni non ho voluto altro che liberarmi dal suo potere: compiere il mio destino, finalmente, e poi tornare da Blu. A questo pensavo lassù sul Monte Argento: a Ho-Oh certo, prima di tutto e soprattutto, e poi a Blu. Ma non credo, o non ricordo, di aver pensato mai alla nostra vita insieme, forse… sai, forse pensavo solo alla sua.”

Luisa taceva ancora. L’acqua invece parlava ancora, ma parlava di comprensione, di pietà, di partecipazione… Rosso aprì gli occhi con curiosa convinzione. Guardò la ragazza: essa stava appoggiata coi gomiti al bordo della vasca e lo guardava semplicemente.

Calò il silenzio. Ora Rosso non riusciva a percepire più neppure la voce dell’acqua. Non se ne rammaricava, ma il silenzio pesava sul suo orecchio come un masso. Infine, Luisa si protese verso di lui e gli domandò: “Rosso, c’è qualcosa in particolare che vorresti dirmi, non è vero?”

Sentendosi profondamente imbarazzato, Rosso disse:  “Non so che cosa regalare a Blu per Natale.”

“Ah! È questo, dunque” esclamò Luisa, alzandosi. “Credevo non l’avresti detto mai.”

Si stagliò in piedi, nuda e gocciolante, e uscì dalla vasca. Si avvolse in un asciugamano bianco e Rosso sorrise: “Ho già visto tutto, mimma.”

“Il tuo fidanzato sarà geloso. Che te ne pare?” chiese lei, ridendo.

“Sei una ragazza… desiderabile.”

“E poi?”

“Bella, lo sai.”

“Oh, la classe non è acqua” esclamò ridendo la ragazza mentre si scioglieva i capelli. Essi spiovvero sulle sue bianche spalle umide e asperse di minute goccioline.

“Va bene, Rosso… il tuo è un problema serio, lo sai. È il vostro primo Natale assieme, e occorre un regalo speciale, che testimoni che non sarà nemmeno l’ultimo.”

“Questo è il problema” disse Rosso. “E la soluzione?”

Luisa lo guardò sorridendo appena. “Dovresti avere imparato che nessuno oltre a te può dirti qual è la verità.”

“Non ti sto chiedendo di darmi la verità” disse Rosso. “Chiedo solo un po’  d’aiuto.”

“Va bene allora… vediamo un po’” disse la ragazza. Si chinò in avanti, e con un secondo asciugamano si tamponava le gambe su cui le gocce d’acqua disegnavano figure spigolose. “Sentiamo un poco, Rosso… tu sai quale sarebbe il più grande di tutti i desideri di Blu?”

“Bah” borbottò Rosso un po’ stizzito. “Certo che lo so, che domande! Ma non è mica una cosa che si potrebbe regalare!”

“E che cosa sarebbe?” domandò Luisa con vivo interesse, voltandosi verso di lui.

Rosso si sentì avvampare vagamente sulle guance e borbottò guardando altrove: “Beh, credo che… almeno per quanto posso pensarne io, ovviamente…. Ciò che Blu vorrebbe più intensamente… sarebbe…”

“Sarebbe?”

“La mia felicità” disse Rosso semplicemente, allargando le braccia. “Credo che… vorrebbe molto intensamente che io fossi felice al suo fianco, nella nostra casetta, con le bollette a fine mese e il suo stipendio di Capopalestra e la spesa tutti i venerdì pomeriggio. Insomma… ciò che ha desiderato tutta la vita è questo, e ciò che amo in Blu è che la sua ambizione non è sconfinata e irresistibile come lo è sempre stata la mia. Non è così avido e affamato da desiderare una nuova cosa una volta che ha ottenuto un suo piccolo obiettivo, no, lui è diverso… è sereno. Sa davvero cosa vuole. Tutto ciò che voleva era la nostra vita insieme, e ora ce l’ha e tanto gli basta: lui si accontenta di sapere che per me non è un dolore andare a comprare da mangiare tutti i venerdì, al cinema o a cena fuori tutti i sabati sera, a pranzo da mia madre o da suo nonno la domenica, a letto alle undici e mezza tutte le sere. La nostra vita è quello che voleva e ora è il suo presente, ed è ancora convinto di volere questo dalla sua vita. Ma so che per lui è un tormento ogni sguardo che io getto fuori dalla finestra, ogni passeggiata che faccio sulla riva del mare lucente… anche se non mi dirà mai nulla al riguardo, è questo il suo peggior timore: che io a Biancavilla non sia felice, che in fondo al mio cuore, di nascosto, io desideri andare via, ripartire, andare a cercare…”

“E tu” mormorò Luisa “tu è questo che desideri?”

Rosso la scrutò intensamente: ella si era chinata su di lui e lo guardava fissamente con grande attenzione…

“Cosa dovrei cercare che non abbia già trovato?” le domandò allora. “La Prescelta Creatura sei tu, e non vi è più nulla che io possa per oppormi a questa verità; né d’altronde l’ho più desiderato da quando mi hai mostrato la tua natura sulla cima di quel vulcano. In quanto poi alla maledizione di Missingno, essa  si è compiuta nel momento in cui io ti ho spinta nella Città dei Numeri, dritto nel centro del suo potere: la sua volontà non ha più su di me alcun potere. Tu mi hai svelati tutti i segreti del mondo, e ora conosco più di qualsiasi mortale. Sì, Luisa, ora non c’è più che questo che desidero, poiché ho fallito tutto ciò che ho tentato nel corso della mia vita, e non vi è dunque nulla in cui io, paradossalmente, mi sia dimostrato migliore… che nella mia vita domestica” concluse sorridendo.

“Non ti manca dunque la tua libertà?” domandò Luisa con occhi sopresi, scrutandolo fissamente: aveva tre anni meno di lui, ma non avrebbe mai potuto pensare… di perdere la sua libertà…

Gli occhi di Rosso guardarono altrove. Temendo di avergli fatto una domanda sgradevole, Luisa fece per correggersi, ma egli subito parlò: “Credevo che mi sarebbe mancata” mormorò. “Credevo che d’improvviso cessare di viaggiare, di allenarmi come un folle, di combattere in silenzio contro chiunque, solo… mi sarebbe mancato. Ho avuto molta paura, all’inizio, quando Blu ha cominciato a sistemare le mie cose nel suo armadio, quando mi sono accorto che di notte non vedevo le stelle… che al mattino, a svegliarmi non era più un’alba infuocata che divampava sulla neve del Monte Argento, ma la nostra radiosveglia… che le notti non erano più veglie interminabili alla ricerca di qualche Pokémon notturno e introvabile con cui allenarmi, ma erano notti di riposo perché Blu il giorno dopo andava a lavorare, oppure, se erano veglie, erano veglie d’amore. E mi sono spaventato, quando ho capito che anche se non volevo, anche se non mi andava, era mio dovere parlare col panettiere e col giornalaio, colla signora del negozio di lampade e colla donna delle pulizie, che se venivano a trovarci non potevo più rifugiarmi in alto e restare in silenzio a guardare, e questo non perché vi fossi esplicitamente obbligato, ma perché per Blu, per mia madre, per tutti voi era spontaneo, naturale, giusto… e io queste cose le avevo dimenticate.”

“Ma poi, a un certo punto…” Qui la voce di Rosso si fece più forte: egli era tutto immerso in quel ricordo… “A un certo punto ho ricordato cos’era che mi aveva spinto a vedere quelle albe infuocate accendere la neve, quelle stelle rischiarare il buio sopra i miei occhi… e non era stata la mia volontà a condurmi sulla cima di quel monte, o a portarmi a vedere tutte quelle albe, tutte quelle stelle… era stata la volontà di un altro. Era stato il potere di Missingno. Dunque non era stata libertà la mia! Era stato esilio, costrizione, prigionia! Poiché non ero stato io a decidere!”

“Da quel giorno non ho più sentito la mancanza di quello che chiamavo libertà senza che lo fosse. Blu è stato ciò che ho scelto senza costrizioni, senza inganni: è Blu il frutto della mia libertà, è la mia vita dentro quella casa a Biancavilla. E se qualche volta sento la mancanza delle mie albe e delle mie stelle, o persino della mia solitudine, so che non ho che da dirlo a Blu, e allora sarà lui il primo a darmi un sacco a pelo  il mio vecchio zaino sporco, e a dirmi di andare un week end sulla cima del mio monte od ovunque io voglia, e tornare quando sarò convinto di essermene saziati gli occhi.”

“Blu ti ama molto” mormorò Luisa chinando lo sguardo.

“Blu mi ama molto più di quanto io meriti” rispose Rosso a bassa voce. “Credi che non me ne renda conto, forse, che lui è tanto e forse troppo?”

Luisa si appoggiò al muro del bagno, argentato e luccicante di vapor d’acqua, accavallando le magre gambe lisce e bagnate. “Perché credi che per te sia troppo?” domandò.

Rosso alzò le spalle, appoggiandosi con le braccia al bordo della vasca. “Per come l’ho trattato, Luisa” disse a bassa voce guardandolo. “Per che cosa altrimenti? Io, proprio io ho abbandonato per anni un ragazzo che mi amava molto, proprio quando lui aveva più bisogno di me. E quel ragazzo che era bello, era ricco, conosciuto da tutti, poteva avere chiunque ma mi ha aspettato egualmente. Per tutti questi anni, capisci? Tu l’avresti aspettato uno come me?” domandò, alzandosi in piedi per uscire dalla vasca.

Luisa lo guardò sorridendo: Rosso era il ragazzo più bello che avesse mai visto, ma no, lei non l’avrebbe aspettato affatto, di più, non l’avrebbe amato affatto, anche così bello com’era. Non gli rispose, ma voltandosi verso lo specchio cominciò lentamente a pettinarsi i capelli. Rosso non domandò oltre: conosceva già la risposta. Nessuno mai oltre a Blu avrebbe saputo trovare tanta forza da amarlo e aspettarlo ininterrottamente per tutti quegli anni, malgrado tutto, malgrado il dolore.

Infine Luisa gli disse: “Se davvero credi che sia questo che desidera sopra ogni altra cosa al mondo, allora dovresti fargli capire che farai di tutto per realizzare il suo desiderio.”

“Ma non è mica qualcosa che si può regalare per Natale!” sbottò Rosso afferrando un asciugamano.

A questo punto Luisa lo guardò divertita e gli disse: “Mi dispiace, Rosso, ma più di così non posso aiutarti. È il tuo ragazzo!”

Rosso dovette riconoscere che aveva ragione. Allora si rivestì pensierosamente e mormorò: “Hai ragione, sai. Ma ti ringrazio di avermi aiutato.”

“Prego” rispose Luisa sorridendo.

Allora Rosso la salutò abbracciandola, così bagnata e mezza nuda com’era, e la lasciò chiedendole di salutargli i suoi fratelli. Ma quando tornò a casa, infilando la chiave nella toppa, ebbe la sorpresa di trovarla già aperta… ed era certo che non si trattasse di Blu.

Si scoprì indeciso sul da farsi. Allontanarsi, fare il giro della casa, controllarne le ombre e i suoni? Guardò le finestre che si affacciavano sul giardino: erano buie e non ne proveniva alcun rumore. Tornò allora nuovamente alla porta, prendendo con una mano dalla cintura la ball di Charizard; e poi, tratto un profondo respiro, balzò in avanti spingendo la porta.

D’improvviso un’ombra si mosse nel buio. Rosso la vide e premette d’impulso l’interruttore della luce:  la grande lampada si accese e Rosso finalmente distinse il volto della persona entrata prima di lui…

La ball di Charizard rotolò a terra.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo. ***


Rosso sbatté la porta con una violenza che non pensava di trovarsi addosso. In tutti quegli anni, egli aveva forse pensato di aver perdonato Giovanni, il suo gioco scorretto, la sua umiliazione; aveva forse pensato che ormai davvero tutto ciò che era stato appartenesse al solo passato, aveva pensato, semplicemente, di aver scordato tutto e tutto perdonato. Ma non era così, Rosso si era sbagliato, non aveva capito: egli aveva dimenticato che, ora che le tracce di Missingno si erano perdute su di lui, egli era tornato uomo e rancoroso, come tutti gli esseri umani. Ed era ora proprio la sua umanità ritrovata a spingerlo al suo odio profondo: egli in quegli occhi vedeva non lo sguardo di un uomo, ma quello dell’uomo che l’aveva sconfitto; e molto di più, poiché quell’uomo aveva abbandonato suo figlio che si era affidato a lui proprio nel momento in cui egli non aveva potuto soccorrerlo. Rosso ricordava quei limpidi occhi di Blu, dopotutto, così com’erano stati quando Giovanni aveva riparato all’estero, ed egli aveva amato Blu anche in quel momento.

Ora fronteggiava immobile quel colosso di altezza e di prestanza fisica: Giovanni aveva cinquantasei anni, ma ancora era identico all’uomo che lo aveva umiliato, ormai molti anni prima, a pochi chilometri di distanza. Eppure, per quanta rabbia provasse, Rosso non sapeva trovare parole per esprimerla. Per un attimo, forse, Giovanni avrebbe persino potuto vedere nei suoi occhi un ultimo fantasma di quei terribili bagliori allucinanti, ma poi Rosso parlò: “Che ci fai qui?”

Era una domanda sciocca, una domanda banale. Avrebbe potuto chiedere milioni di altre cose e invece… ora doveva ascoltare.

Ma Giovanni sorrise leggermente, di un sorriso pallido e amaro che non si estese ai suoi occhi. “Potrei fare a te la stessa domanda” disse lentamente, “Ho tutti i diritti di essere qui. Io ho comprato questa casa per mio figlio, dopotutto, molti anni fa.”

“Io abito qui, ora!” ruggì Rosso e istintivamente si scagliò in avanti di un passo. Giovanni sollevò con calma una mano: “Non ti agitare, Rosso. So che vivi con Blu, ora.”

“Perché sei tornato?” esclamò ancora Rosso.

“L’avevo promesso a Blu” rispose con calma Giovanni. “Avevo promesso che sarei tornato a prendermi cura della sua vita. Perché non sarei dovuto tornare?”

“Perché sei solo un bastardo!” gridò Rosso. Tremava tutto, con una violenza tale che credette di scoppiare, e invece si trattenne. Gridò: “Hai abbandonato Blu quando lui aveva più bisogno di te, quando…”

“Quando tu lo avevi appena abbandonato” rispose Giovanni. “Pochi giorni prima che tu lo abbandonassi di nuovo, per il tuo viaggio.”

“Intendi forse rinfacciarmelo?” domandò Rosso. “Non ero suo padre!”

“No, non lo eri, è vero” rispose Giovanni. “Ma verso di lui non avevi meno impegni di quanti ne avessi io, poiché vi amavate; e dopotutto, è pur sempre vero che io avevo motivi validi per abbandonare Kanto: per causa tua, la polizia era sul punto di arrestarmi, e quand’anche poi fossi riuscito a evitare questo pericolo, non avrei certo potuto sottrarmi alla furia di Mewtwo. Non erano dunque questi ottimi motivi per abbandonare Kanto?”

“Sta’ pur certo che Mewtwo non avrebbe tentato mai nulla per vendicarsi di te” rispose Rosso. “Credi forse che egli fosse di spirito malvagio come credi? Era libero, e libero non aveva bisogno di vendicarsi.”

“Dimentichi l’altro motivo” disse allora Giovanni. “Avrei dovuto permettere a mio figlio di vedermi in prigione?”

“Questo motivo è solo colpa tua” esclamò Rosso.  “Avresti potuto rinunciare, smettere anni fa, vent’anni fa, quando è morta Ambra, quando Blu era piccolo, quando te l’ha chiesto il professor Oak. Allora no che non saresti finito in prigione, stanne certo! Allora non c’erano prove delle tue attività.”

Per la prima volta nel corso di quella conversazione, Giovanni parve dubitare un momento della forza delle sue ragioni. Si mise seduto per mascherare quell’istante di fragilità e disse: “Non sai di cosa stai parlando.”

“Forse ne so più di te” replicò Rosso, avanzandosi di un passo ora che la stanza si era sgombrata un po’ di quella ingombrante presenza. “Io ho sconfitto Team Rocket.”

“Ti dico che non sai” disse Giovanni alzando gli occhi su di lui; e per un attimo Rosso si spaventò al vedere quegli occhi. Poiché quello era uno sguardo di uomo, uno sguardo che pareva perduto e affranto, molto profondamente lacerato e perplesso. No, quelli non erano gli occhi che Rosso ricordava da quel giorno di tanti anni prima, e che forse in più di una occasione egli aveva confuso con quelli azzurri e luminosi di Mewtwo: erano quelli di un uomo, e d’un tratto Rosso ricordò il suono di parole che aveva udite tanti anni prima: se sei come me, dei tuoi fantasmi non ti libererai mai e poi mai.

Subito le parole di Giovanni confermarono il suo pensiero. Egli si alzò, come riscuotendosi, e voltandogli le spalle distolse gli occhi da lui. Disse: “Credi tu che sia facile? Credi tu che sarebbe stato facile, dopo anni d’attività, dopo anni d’impegno… credi tu che se avessi tutto abbandonato nel nome del mio amore per Ambra, per amore di Blu, sarebbe stata semplice, sicura, la nostra vita…?”

“Questo non è un motivo!” gridò Rosso. “Bisognava impegnarsi, combattere, decidere, pensare alla vita di Blu…”

“E i fantasmi?” esclamò allora Giovanni, volgendosi di scatto: i suoi occhi ora fiammeggiavano, “Non mi comprendi proprio tu, Rosso, tu che per sette anni sei rimasto confinato sulla cima di quella montagna, prigioniero di un sogno che a nessuno era dato sapere… oh, non dire che non comprendi, Rosso: proprio tu dovresti esser capace di capire cosa vuol dire, aver qualche ricordo che non si sa come dimenticare…”

Allora Rosso tacque, si accese in viso di vergogna: era vero… sì, sul Monte Argento era stato Missingno a tenere prigioniera e avvinta la sua vita, colla prospettiva di un grande destino e di un premio per la sua smisurata ambizione: non era, dopotutto, solo colpa sua… Ma prima, prima di quella terribile notte, non c’era nessun Missingno a guidare le sue azioni: solo la sua triste volontà l’aveva trascinato per Kanto in preda a quella lucida follia…

Era la prima volta che Rosso comprendeva almeno in parte la grande somiglianza tra lui e Giovanni: quella fortissima sensazione che vi fosse qualcosa in tutto il mondo che bisognava assolutamente fare, qualcosa che non era né chiaro né definito, qualcosa che forse non era neppure possibile, ma che andava perlomeno inseguito, tentato, fino alla fine, fino alla morte. Si sedette scrutando Giovanni. Vi erano riusciti entrambi, alla fine? Sì, lui, Rosso, vi era riuscito: aveva portato Luisa da Missingno, e questo era quanto. Aveva impiegato venti anni. E Giovanni, invece, di anni ne aveva impiegati cinquanta: aveva perso tutto, aveva ucciso sua moglie, trascurato suo figlio. Ma ora non poteva più odiarlo così tanto: dopotutto, lui stesso aveva per anni abbandonato Blu…

Giovanni lo scrutava ora con calma fissità. Disse: “Mi comprendi, tu?”

“Sì” disse Rosso. Era più calmo. Proseguì: “Per quanti anni hai inseguito Mewtwo?”

“Non ero molto più grande di voi due quando partiste per il vostro viaggio” disse Giovanni. “Lo vidi, un giorno… Mew, intendo dire. Oh, lo so che può sembrarti strano” soggiunse. “Forse erano altri tempi… eppure lo vidi, lo vidi con l’intensità con cui tu hai veduto Mewtwo… l’ho amato con la stessa forza con cui tu hai amata la tua ambizione. L’hai mai veduto, tu, Mew?” domandò.

“Non dal vivo” mentì Rosso, che non voleva parlargli di Luisa. Giovanni sorrise.

“Non puoi capire, allora… no, che sciocco! Forse puoi. Mai nulla del genere avevo provato per un Pokémon, mai nulla per una donna. Ciò che provai per Ambra, molti anni dopo…”

“Non era lo stesso” disse Rosso alzando le spalle, sorpreso anche solo che Giovanni sentisse il bisogno di specificare quella differenza. Mai nella sua vita egli aveva paragonato, neppure soltanto nella sua propria mente, l’amore per Blu a quello per la sua ambizione.

“No, non era lo stesso. Ho amato Ambra di tutto l’amore che ho potuto, e di certo non è stato abbastanza, ma è stato molto; ma Mew era diverso. Era quel desiderio insaziabile, insanabile, di possesso, di controllo, di…”

“Quello è stato il mio troppo amore, il mio grande errore. Ambra è morta mentre io cercavo Mew, e trovavo Mewtwo… e solo quando è morta ho visto che per colpa del mio sogno, avevo ucciso mia moglie… che ero solo, solo con mio figlio, e che rischiavo, mio malgrado, di uccidere anche lui, poiché nonostante tutto il mio sogno era più forte, di lui, più forte di me… più forte, molto più forte della mia volontà. E poi, mi sono occorsi dieci anni per portare davvero a termine l’esperimento. E non ho avuto Mew…”

“Che cos’hai provato?” domandò Rosso con vivo interesse. Era il primo essere umano che gli descriveva esattamente ciò che lui stesso aveva provato per Ho-Oh…

“Era finita” disse Giovanni. La sua voce pareva vibrare ultimamente come di un’ultima nota interminabile, ma davvero ultima; egli chinò gli occhi. “Non Mew, ma Mewtwo; e nella rabbia malvagia che gli leggevo in viso, io rivedevo tutti gli orrori che lo avevano creato, tutti gli omicidi, gli abusi, le cattiverie… io, io avevo fatto tutto ciò! Per Mew, per i grandi occhi azzurri di Mew che io volevo rivedere! E allora era ovvio, era normale che non fosse Mew, che fosse un altro Pokémon, un Pokémon diverso, un Pokémon malvagio…”

“Non malvagio” tentò di dire Rosso, ma invano: Giovanni non lo sentì.

“Mi era rimasto un desiderio grande di Mew, ma non era più lo stesso desiderio di un tempo: ora era un desiderio umano, un desiderio normale, accettabile, un rimpianto dolce e melanconico, ma che non guidava più le mie azioni; solo, qualche volta, qualche mio sogno…”

“Era come svegliarsi dopo aver dormito molto, molto a lungo… tutto per me era nuovo, tutto diverso. Molte cose erano accadute nel corso del mio sonno, nel corso dei miei incubi… ora era difficile affrontare la realtà. Avevo Mewtwo, che non era la creatura intangibile che io avevo per anni sognata e vagheggiata, ma che era più simile a me; era una macchina creata per la guerra, per combattere; e io la usai per combattere contro quel mondo che si era trasformato mentre io non guardavo. Avevo un figlio, un figlio che in tutti quegli anni era cresciuto troppo lontano da me, e che ora non sapevo più come raggiungere: Blu si allenava con me, viveva con me, ma non riusciva, dopotutto, a comunicare… e sapevo che lui provava un tormento forte, che era innamorato, questo lo sentivo, ne ero consapevole, ma non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo…”

“E poi, Mewtwo è scappato, tu hai sconfitto il mio impero, Blu ha perduto contro la Lega Pokémon; ed è arrivato l’esilio per me. Era la giusta punizione per aver dato troppa attenzione al mio sogno, e troppa poca alla mia vita…”

Calò il silenzio, per un po’. Rosso ora taceva con calma; il suo respiro stesso si era fatto più quieto, ora. Quanto era appena accaduto era davvero incredibile: forse, pensò Rosso, avrebbe dovuto cessare di aspettarsi qualsiasi cosa dalla propria vita.

Alzando lo sguardo, ricordò come da un passato lontanissimo che Giovanni non era solo il suo ultimo nemico: era il padre di Blu…

“Ti dispiace che io viva con Blu, ora?” domandò. Giovanni scosse il capo.

“No” disse. “No, Rosso…anzi, ne sono felice. Avevo paura che Blu restasse solo.” Rosso non rispose: pensava agli anni che Blu aveva effettivamente trascorso senza di lui.

“Dove sei stato finora?” domandò per distogliere la mente da quel pensiero.

“Conosci la regione di Unima?” domandò Giovanni. “È lontano da qui, è molto distante e diversa dalle nostre regioni. Ho vissuto là, dove nessuno sapeva neppure che vi fosse stato mai un Giovanni a capo di un Team Rocket…”

“Ti mancava Blu?”

“Forse che a te non mancava, lassù?” replicò Giovanni.

“Che domanda sciocca” rispose Rosso. “Mancava come l’aria, mancava come il calore del sole che lassù non si sentiva; mancava come l’erba verde che era sempre sotto la neve. Mancava come le mani di mia madre; mancava come tutto il mondo che in anni di esilio avevo dimenticato, mancava come la verità che non riuscivo a raggiungere, perché purtroppo non era sul monte dove io la cercavo.”

“Hai capito, dunque” disse Giovanni.

Sì, Rosso aveva capito: aveva rammentato quel sentimento di nostalgia profonda, che aveva assunto le forme non di una sensazione forte e struggente ma di qualcosa di più profondamente radicato e intrinseco, come se mancasse l’acqua, come se mancasse l’aria.

Ora Giovanni era seduto, era vicino a lui, vicinissimo a lui… Rosso non gli era stato mai vicino così. D’improvviso Rosso si alzò e indietreggiò: un ultimo barlume del suo odio lo spingeva ad allontanarsi dalla sua grande massa imponente e virile, ma poi, per mascherare il suo impulso, cominciò a muoversi nervosamente per quella cucina, come mosso da bel altro tipo d’istinto. Domandò: “E ora cos’è che ti ha spinto a tornare? Perché ora, perché oggi? Sai bene che domani è Natale.”

“Blu” rispose Giovanni semplicemente.

“Dopo nove anni” disse Rosso voltandosi con inquietudine.

“Sì, dopo nove anni” replicò Giovanni. “Sì, dopo il mio esilio… per donare di nuovo a mio figlio un vero Natale come gliene ho troppi sottratti.”

Di nuovo Rosso avrebbe voluto replicare, ma di nuovo s’interruppe, si trattenne. Non sapeva più come rispondere, come reagire… ricordava molto vagamente di aver voluto aggredire Giovanni, di essersi voluto vendicare, sino a non poi molti minuti prima; eppure ora non lo ricordava davvero più. Gli pareva di cercare in sé una rabbia che neppure lui stesso riusciva più a provare.

“Che cosa farai, ora?” domandò senza forze.

“Vivrò qui, o a Smeraldopoli” disse Giovanni. Poi, vedendo lo sguardo sorpreso di Rosso, disse ridendo: “No, non temere! Non intendo certo vivere in questa casa: ora Blu ha la sua felicità con te, e tanto mi basta. Voglio solo trovare un posto dove vivere in pace, lontano da tutto quello che ho voluto costruire e insieme distruggere, e vicino, per quanto possibile, alla felicità dell’unica creatura al mondo che io abbia amata tanto e che io sia riuscito a salvare, allontanandolo dalla mia affannosa ricerca…”

Rosso alzò con un qualche stupore gli occhi su di lui. Ecco, ora aveva capito cosa doveva fare.

 

Eccomi di nuovo qua! Ho avuto qualche giorno di ritardo nell’aggiornamento, ma come al solito nel troiaio della mia camera avevo perso il foglio sul quale avevo scritto l’ultima parte di questo capitolo e tutto quello seguente ^^ un ringraziamento a Gleeklove, che di certo si aspettava che avessi perso il foglio.

Baci :)

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Capitolo 4
*** Epilogo. ***


Era sera, finalmente. Rosso scese dabbasso dalla loro stanza: Blu era raggomitolato sul divano con un cuscino stretto contro il petto. Teneva gli occhi chiusi, e per un attimo a Rosso parve di ricordare le notti innocenti che tanti anni prima aveva trascorso, sveglio e lucido, a guardare il pallido volto sereno e triste di quel ragazzo addormentato...

Sei molto sereno quando dormi, Blu, e la tua serenità placa il mio animo avido e ambizioso.

Andò a sedersi in silenzio sul divano. Blu aprì pigramente un occhio.

“Vuoi dormire per tutta la vigilia di Natale?” lo punzecchiò Rosso. Aveva il cuore in gola e non avrebbe saputo come iniziare.

“Ehi amore” borbottò Blu. “Io lavoro.”

“Ma se da tre giorni hai chiuso la palestra per le feste” replicò Rosso sorridendo.

“Ma fino a tre giorni fa ho lavorato.”

“Sì, per due settimane. E via, Blu, alzati! Dobbiamo preparare la cena.”

“No” borbottò Blu. “Tra un po'. Stenditi accanto a me.”

Blu era raggomitolato nell'angolo del divano, col capo appoggiato contro il bracciolo. Rosso lo guardò e lentamente si distese accanto a lui, poggiandogli il capo contro la schiena.

“Blu...” mormorò. “Ho bisogni di dirti una cosa.”

Blu si sollevò dal divano e lo guardò con una sorta di allarme. “Ti ascolto” disse aggrottando un sopracciglio con fare perplesso. “Dimmi, mio caro. Che cos'hai da dirmi?”

Rosso si mise seduto e si schiarì discretamente la voce. Mormorò: “So che volevamo aspettare la mezzanotte, ma preferirei che tu aprissi ora il regalo che ti ho fatto.”

Ora il volto di Blu era colorato come di un tono lieve di scherno. Sorrideva.

“Va bene” disse, modulando la voce come se gli scappasse da ridere. “Certo, mio caro. Vediamo questo regalo.”

Allora Rosso si alzò e scomparve al piano di sopra. Ne riemerse dopo poco, portando in mano una scatola celeste che teneva sulla punta delle dita, come se non sapesse come portarla, come porgerla... Allora Blu, comprendendo il suo disagio, tese le mani e si appoggiò il pacco sulle ginocchia.

“Vuoi davvero che lo apra?” domandò.

“Ti prego” mormorò Rosso. Ora il suo volto era paonazzo, ed egli si vergognava tremendamente della propria scelta. Ma Blu gli accarezzò pazientemente un braccio e tolse lentamente il coperchio della scatola celeste. In quel momento, Rosso tratteneva il respiro.

Vi furono lunghi momenti di silenzio, un silenzio angosciato e carico d'inquietudine. Infine Blu infossò il mento sul collo e scoppiò a ridere, e la sua risata sciolse tutta l'angoscia.

“Oh, Rosso, che scemo... ti sei dimenticato lo scontrino!”

Rosso avvampò di vergogna e cacciò la mano all'interno del pacco. Un momento dopo lo scontrino giaceva a terra in frammenti ed gli si abbatté livido in viso contro lo schienale del divano. Blu scosse il capo con aria di ironica disapprovazione. Pazienza, ormai. “Dopo pulisci” lo avvertì. Calò lentamente le mani nella scatola celeste e ne estrasse un oggetto che era nero e liscio e molto curioso…

“Che cos’è?” domandò con sguardo perplesso con gli occhi limpidi e dolcemente illuminato, come da una luce che ardeva pianissimo. “Rosso…”

“L’ho comprato ad Azzurropoli” disse Rosso.

“Che cos’è?” insisté ancora Blu. Pareva che gli scappasse da ridere, eppure non rideva: aspettava.

“È un rilevatore di posizione che si usa per rintracciare sempre la posizione dei Pokémon volanti quando vengono allenati e fare in modo che rimangano sempre nella stessa zona… ma ascolta, non ridere! È una cosa molto seria.”

“Non voglio ridere” disse Blu.

“Allora ascolta, è importante. Emette un suono molto acuto, se si supera un limite prestabilito…”

“Dunque?” lo interruppe Blu. Aveva intuito, aveva già capito, e ora pareva che tutta la luce fosse scomparsa dai suoi occhi. Rosso proseguì.

“È per me, mio caro” disse. “Per fare la tua serenità.”

“La mia serenità” ripeté Blu alzando gli occhi. “Ne sei ben certo?”

“Sì” rispose Rosso. Sorrideva, ora, benché Blu gli apparisse un poco infelice e angustiato.

“Non sei ancora sereno, qui?” domandò Blu tristemente. “Non c’è pace a Biancavilla per te? Eppure credevo che avessi smesso di cercare qualcosa ch’è lontano da qui, che forse non esiste…”

“No” disse Rosso con forza, e Blu tacque bruscamente e rimase immobile, in silenzio. “No, Blu… non hai capito. Guarda” mormorò, e dolcemente gli prese il rilevatore dalle pallide mani bianche. Blu restava ancora immobile.

Rosso andò alla finestra da cui, talora, si soffermava a guardare il cielo. La spalancò e d’improvviso nella stanza entrò un vento freddo di cui Blu rabbrividì e si strinse conto lo schienale del divano. Ma Rosso, cui quel freddo non dava fastidio, fronteggiò la finestra aperta e gettò lontano quell’oggetto nero, il più lontano possibile dalla loro casa e dal corso delle loro vite.

Chiuse la finestra.

Ora Blu era in piedi e lo scrutava. Rosso si voltò e chiese: “Hai capito?”

Blu non rispose.

“L’ho gettato via per dimostrarti che non ti servirà. Che non voglio scappare dalla nostra quotidianità… credo che sia questo il significato profondo del mio regalo. Che io sono qui e farò di tutto per restarci, anche se la sommità del monte dovesse chiamarmi con una voce che talora sento anche da lontano; che ho rinunciato a tutte le mie ambizioni per riuscire a restare qui con te, e che non importa se sarà una lotta quotidiana, voglio lottare con te, ed ecco tutto.”

“Oh, Rosso, Rosso…”

Ed eccola, finalmente, la meravigliosa risata di Blu, che era come una liberazione. Era un volo d’uccello, e Rosso si sentì d’improvviso il cuore balzare e rasserenarsi in petto.

“Sei felice?”
“Sì, Rosso” mormorò Blu. “Era proprio ciò che volevo per Natale.”

Ecco, ora dunque veniva la seconda parte, la parte per Rosso più difficile da affrontare.

“C’è qualcos’altro, Blu, per questo Natale” incominciò lentamente, cautamente. “C’è un altro regalo per te, qualcosa che forse tu hai sempre desiderato… con la stessa forza con la quale hai bramato il mio ritorno.”

Blu lo guardava convinto di non aver capito. Egli tuttavia, in una piccola parte della sua mente, sapeva qual era la sola cosa in tutta la sua vita ch’egli aveva bramato quanto il ritorno di Rosso.

Rosso intuì il suo pensiero.

“Apri la porta, Blu” disse a voce bassa, e si fece di lato per lasciarlo passare. Blu non si mosse. Allora Rosso aprì per lui la porta, e di nuovo quel vento gelido s’insinuò nel soggiorno vivamente riscaldato.

“Va’ fuori, Blu” disse ancora Rosso, e allontanandosi dalla porta chinò lo sguardo e rimase immobile. Non voleva partecipare. Finalmente, Blu si mosse come un automa. Ora avanzava a piccoli passi lenti, ora era fuori dalla porta…

“Papà!”

Rosso non si affacciò. Non voleva guardare, non voleva intromettersi. Accostò la porta senza chiuderla. Avrebbe atteso in casa che quell’attimo finisse.

 

Eccomi qua finalmente, dopo qualcosa come quattro mesi dall’ultimo aggiornamento. Ovviamente avevo perso il foglio, un numero considerevole di volte, devo dire, e non di rado non sono stata io a ritrovarlo. Poi mi si è anche rotto il pc, sul quale avevo appena terminato di copiare il nuovo capitolo, e allora ho dovuto ricercare il foglio e poi ricopiarlo da capo; e alla mia velocità non è semplice.

Però siamo sotto Natale, perciò diciamo che questi ritardi capitano più o meno a fagiolo; l’epilogo mi convince un po’ meno del resto, ma tant’è. A questo punto un ringraziamento a Gleeklove, per le recensioni e il continuo sostegno su tutti i fronti, a Sochan e Yujikki per aver aggiunto la storia alle preferite, e ad Amaerise (che spero si ricordi che dobbiamo andare a vedere Lo Hobbit appena esce) per averla aggiunta alle seguite.

Tanti baci grassi e natalizi a tutti, e grazie di cuore :)

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