Ab Umbra Lumen

di Dira_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXV (I° Parte) ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXV (II° Parte) ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 40: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 41: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 42: *** Capitolo XL ***
Capitolo 43: *** Capitolo XL (II° Parte) ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 48: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 50: *** Capitolo XLVII ***
Capitolo 51: *** Capitolo XLVIII ***
Capitolo 52: *** Capitolo XLIX ***
Capitolo 53: *** Capitolo L ***
Capitolo 54: *** Capitolo LI ***
Capitolo 55: *** Capitolo LII ***
Capitolo 56: *** Capitolo LIII ***
Capitolo 57: *** Capitolo LIV ***
Capitolo 58: *** Capitolo LV ***
Capitolo 59: *** Capitolo LVI ***
Capitolo 60: *** Capitolo LVII ***
Capitolo 61: *** Capitolo LVIII ***
Capitolo 62: *** Capitolo LIX ***
Capitolo 63: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti. ^^
Quello che vi apprestate a leggere è il sequel di Doppelgaenger .

Chi non la conosce, o non l’ha letta può farne anche a meno naturalmente, ma la lettura di questa roba risulterà un po’ difficoltosa.
Lettore avvertito! (Ma quanto sarò paracula? :D )
Rispondo qui alle recensioni di Seven Steps. ;)
@Andriw9214: beh, considerando che la sezione di HP ha un pubblico prevalentemente femminile sì, mi considero onorata ad avere un ospite maschio in questi lidi ^^ Siete specie protetta! :P
Sì, su Al ci hai preso, perché quando ti capita un trauma come quello che ha subito lui (rapimento, omicidi, una persona che ami che forse è morta o dispersa) inevitabilmente non rimani lo stesso, ma qualcosa ti segna. Harry e Ginny… beh, sono genitori molto progressisti, per come li dipinge la Row… speriamo che lo siano anche qui allora! XD Beh, e poi resta sempre Lils. :P Grazie per i complimenti, davvero!
@Simomart: E lo so… in effetti ce la volevo mettere, ma poi sarebbe venuto un papiro. Farò qualche accenno in questi capitoli comunque, ci puoi giurare. Non lascerò nulla al caso! Avevo pensato ad un racconto breve Rose/Sy e penso proprio che lo scriverò, prima o poi. ^^ Con Vic accetto il punto, in effetti forse è un po’ affrettato, ma calcolando che la voglio inserire anche in seguito, ci doveva essere un retroterra. Thanks!
@LyhyEllesmere: Ciao, non preoccuparti, come si dice, meglio tardi che mai! XD Grazie mille per i complimenti, mi fai arrossire! ^^ Beh, diciamo che Lils ha già detto che obbligherà il futuro marito a usare anche il suo cognome. È una brava ragazza, lei. XD Grazie mille per la fiducia alla Ted/James… spandiamo nell’aria questo fantastico pairing!
@Tinax86: Vero, vero… ma come scoprirai, sono maledettamente logorroica! Grazie per la recensione! Tom volevo metterne di più, ma poi altro che due capitoli! XD
@Agathe: Essì, era una robina semplice semplice, per una sfida fatta con un’amica. ^^ Harry e le sue reazioni saranno descritte, no te preoccupe… non lascerei mai un momento simile nel dimenticatoio! :D Sy non è adorabile, l’uomo dei cactus? XD Al è un po’… come dire… traumatizzato dal tutto. In fondo è un cosino sensibile, lui. :P Lo dice anche la Row!
@Trixina: Trixina! Quanto ti adoro! XD Ci sei sempre, e grazie, grazie davvero! Ehehe, Nonna Dromeda rulez… se non ci fossero le nonne! Ci saranno reazioni da parte di Harry e Gin, promesso! ^^

@Nicky_Iron: Non preoccuparti, capisco benissimo! Dannati esami! Grazie per i complimenti e Nonna Andromeda ringrazia (Ah, certo, è modellata sulla mia di nonna xD) La scena di Ron che mi hai prospettato mi ha fatto morire dal ridere… certo che metto un accenno, sia mai!
 
 
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Cos’è un ricordo?

Qualcosa che hai, o qualcosa che hai perso per sempre?
(Woody Allen)
 
 
 
 
 

 L’incedere degli stivali di cuoio sul lastricato del cortile centrale del castello era sgradevole, come se scoppi di incantesimi accompagnassero l’incedere del ragazzo.
La notte lo accoglieva tra le sue braccia, confondendolo tra le ombre. Meno prosaicamente, era interamente vestito di nero e il mantello che gli copriva la schiena e una buona porzione di spalla era interrotto solo dal sottile filo d’argento che si agganciava agli alamari.
Il ragazzo salì le scale e dopo corridoi che a lui erano sempre sembrati tutti uguali, benchè nessuno gli avesse mai chiesto un parere in merito, arrivò finalmente a destinazione.
“Caro nipote… Finalmente qui. È stato lungo il viaggio?” Si informò una voce. La stanza era grande e il ragazzo non capì immediatamente dove si trovava l’uomo che aveva parlato.
Lo individuò poi accanto al fuoco, mentre con l’attizzatoio spostava accuratamente le braci.
“Privo di incomodi, zio.” Rispose neutro: del resto quelli erano convenevoli. Non gli interessava sapere delle sue peripezie per giungere alla sua dimora estiva senza farsi scoprire o sospettare.
“Molto bene…” L’uomo posò l’attizzatoio sulla mensola del camino. Fissava le fiamme. Il solito, pensò il ragazzo con una smorfia rassegnata. Era raro infatti che lo guardasse in viso. I suoi lineamenti non appartenevano alla casata da cui era stato allevato e cresciuto e suo zio era decisamente il tipo a cui davano fastidio certi particolari.
Non bastava essere un purosangue, per lui. La macchia che proveniva dalla famiglia di suo padre lo marchiava a fuoco, rendendolo poco più che un lacchè.
Serrò le labbra.
No, non un lacchè. Uno strumento, né più né meno utile di quell’attizzatoio.  
Istintivamente chinò la testa, lasciando che i capelli lunghi fino alle spalle gli coprissero parzialmente il viso. Cancellò ogni espressione e attese ordini. Era quello che suo zio voleva e lui non voleva indisporlo.
“Saprai della morte di Johannes.”
Il ragazzo ci mise un attimo a fare mente locale.

Del resto ha avuto dozzine di soprannomi e decine di identità in tutto il globo terraqueo, magico e non…
Permettimi qualche incertezza. Era il suo vero nome, questo?

“Intende John Doe, zio?”
“Chi altri? Gli avevo affidato l’incarico più importante della sua vita e si è fatto uccidere… da due ragazzini e una vecchia gloria di guerra.” Calcò con rabbia la parola e il ragazzo istintivamente aspettò lo scatto d’ira che ne sarebbe conseguito.

Per sua fortuna stavolta non arrivò.
Ci fu un lungo silenzio interrotto solo dallo scoppio delle braci nel camino.
“Voglio rendere questo posto il quartier generale dell’organizzazione, a tutti gli effetti.” Esordì poi il mago più anziano. “Il castello della nostra famiglia non è più sicuro, dopo il fallimento di quell’idiota. Voglio che sia tu ad occuparti del trasloco.”
Il ragazzo annuì. Era stupito: l’aveva richiamato da San Pietroburgo… per quello?
Ora che Johannes è morto posso aspirare al suo posto di galoppino? Esaltante.

“Sören.” Lo richiamò. Fu come una frustrata; sentì la sua schiena irrigidirsi mentre il terrore gli seccava la gola.
Era ridicolo: aveva quasi vent'anni e ancora si comportava come un bambino terrorizzato.
“Certo.” Rispose però, con prontezza istintiva. “Me ne occuperò di persona.”
“Molto bene.” Suo zio aveva gli occhi freddi come il Mar Baltico. Stavolta però lo stavano guardando, cosa più unica che rara. In tutta la sua vita aveva avuto quei dardi trafitti addosso solo un paio di volte.

Non che ci tenesse particolarmente comunque.
“Quando tornerai… potrei aver ancora bisogno di te.” Aggiunse, a sorpresa.
“Un incarico per l’organizzazione?” Sperò.

L’uomo accennò un sorriso. “Forse Sören, forse. Se ti comporterai bene… Anche se non ho mai avuto il motivo per lamentarmi di te.” Si avvicinò e il ragazzo rimase immobile, in attesa. Sentì la mano dell’uomo posarglisi sulla spalla. Aveva il peso di un macigno.
“Mi sei fedele, non è così?” Gli chiese con gentilezza. Non era un uomo gentile, ma aveva la mirabile dote di riuscire a sembrarlo. “Ho fatto molto per te.”
“Vivo nella tua benevolenza, zio. Sono il tuo servo fedele.” Lo aveva recitato così tante volte che ormai gli sembrava il salmodiare di una preghiera babbana.

Del resto, potevi forse dire dire qualcosa di diverso a Alberich Von Hohenheim?
 
 
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30 Luglio 2023
Germania Settentrionale.
 
 
La cittadina di Putgarten¹ contava poco più che settecento anime, uomo più uomo meno, secondo le stime dell’ufficio statistico di Hannover.
Putgarten era un villaggio tenacemente ancorato alle scogliere calcaree di Rügen², l’isola più grande dell’intera Germania.
Gli abitanti si ripartivano, equamente e senza invidie, il magro spettro di lavori disponibili: caccia, pesca e artigianato. Il turismo era poco ma anche per quello c’era qualche famiglia disposta a mettere su un banchetto con chincaglierie tipiche.
Il sindaco, Erich Heinemann, quella mattina passeggiava per la via principale, il giornale sotto braccio, diretto verso il municipio: poteva vantare la conoscenza di ogni singola anima nei dintorni. Dava del tu al postino e si informava quotidianamente della salute traballante del fornaio. E quel giorno ripeté la sua routine oliata e quieta, finché non si dovette fermare a riflettere su un’idea.
Gli capitava, di tanto in tanto, di fermarsi in mezzo alla strada per riflettere. Gli piaceva credersi un po’ come Socrate, in quella novella… di cui non ricordava né titolo né morale.  
Era una cittadina tranquilla, la sua: i turisti solitamente si fermavano poche ore per scattare qualche foto o mangiare un boccone. Poi si spostavano verso Kap Arkona, punta dell’isola rinomata per essere stata tratteggiata dal pennello immortale di Friederich³.
Nulla turbava l’alternarsi delle stagioni: le nascite, i matrimoni, gli amori e i dolori erano poco più di un increspatura nella superficie liscia delle cose.
Questo prima che Cordula la Pazza portasse in paese Il Ragazzo.
Cordula – non ne ricordava mai il cognome – era la tipica vecchia da folklore locale: bislacca, con una fattoria lontana dalle strade battute e in odore di stregoneria. La conoscevano tutti al villaggio e a parte terrorizzare i bambini era una figlia di Rügen, come tutti loro.
Il Ragazzo invece non era un sano tedesco dalla carnagione rosea e la zazzera bionda, ma era un giovane  pallido, alto e dai capelli scuri come una notte senza luna. E straniero, perdi più. Inglese, sosteneva Hilde la maestra.
La sua epifania aveva tenuto impegnate le bocche delle comari per mesi. Era arrivato durante un dicembre particolarmente gelido, in cui il mare gonfiava tempeste pericolose, ma solo verso Marzo, quando l’ultima gelata era passata, aveva fatto la sua prima comparsa.
Erich ricordava quel giorno: tirava una brezza gradevole, insolita per quel periodo dell’anno e tutti, persino il vecchio libraio Karl, avevano seguito l’incedere zoppicante di Cordula accompagnata dal Ragazzo. All’epoca aveva fatto una certa impressione perché palesemente emaciato, allampanato, chiuso in un cappotto che serviva solo a sottolineare la sconfitta di qualche malattia a lungo termine.
E un viso…
Il buon sindaco non era un fisionomista, ma poteva essere certo, anche a distanza di mesi, di aver pensato che l’infelicità avrebbe dovuto avere quella faccia nelle mani di un fotografo.
Adesso era Luglio, i primi turisti erano arrivati e ripartiti, eppure le voci sull’inglese ancora non si erano quietate.
Sua figlia gli aveva spiegato, ridendo come la sciocchina che era, il motivo di quell’attenzione a getto continuo.
 
“Papà, è misterioso! Nessuno sa da dove venga o perché abbia deciso di fermarsi qui, dove non c’è un bel niente! E poi vive da Cordula … Lei dice che è un suo nipote, ma chi le crede? No, c’è sicuramente qualcosa di più.”

Era un bel mistero quel ragazzo, spuntato dal nulla e senza un apparente passato da sviscerare. Era come un sottile spillo nella sua coscienza di giudizioso amministratore locale.     

Non che infrangesse le leggi o tenesse un comportamento atto a turbare la quiete pubblica, certo.
Era anzi, rispetto ai suoi coetanei, giudizioso: lavorava al negozio della sua ospite, i cui intrugli a base di alghe andavano a ruba trai turisti creduloni. Raramente usciva in paese da solo, né dava confidenza, ma fermato era sempre cortese e pieno di riguardo. Inoltre non si ubriacava, né faceva gare di velocità in macchina sul ponte dello Stralsund, cosa per cui erano tristemente noti i ragazzi della zona, compreso – ma lui non aveva mai dato credito a quella voci - suo figlio.
Un caro e bravo ragazzo, commentavano benevoli le donne.
Ma era… strano. Non tanto nel suo aspetto, quanto nel modo in cui si era insinuato – sì, era quella la parola giusta, insinuato – nella vita del villaggio.
Era riuscito a farsi ordinare all’edicola alcuni quotidiani inglesi, che leggeva poi in negozio. Era anche un cliente affezionato della vecchia coppia che gestiva l’unica libreria della zona. All’emporio era rinomato e preso bonariamente in giro per la sua continua richiesta di pile alcaline e candele. Come le due cose si sposassero, non era mai riuscito a capirlo.
Tutti erano affascinati dal giovane straniero, inutile negarlo. La sua presenza non era ingombrante o rumorosa, ma era quieta, come un’ombra innocua ma tenace.
Ma rimaneva un’ombra.
La pausa di riflessione era finita. La campana della chiesa batterono otto rintocchi: era ora che cominciasse anche la sua giornata.
Dedicò un ultimo pensiero al ragazzo. Si rese conto, perplesso, di non ricordare il suo nome.
 
 
****



Ian le piaceva.
Meike Wollin aveva solo dieci anni, un paio di denti da latte in meno, ma due certezze.
La prima era che era diversa. Diversa dai suoi coetanei, si intende. Diversa da tutti gli abitanti di Putgarten a dire il vero. A nessuno di loro apparivano oggetti tra le mani, dopo che li aveva cercati tanto a lungo. A nessuno di loro il mare evitava di bagnare le scarpe nuove quando camminava sulla spiaggia con la nonna.
E la seconda era che Ian Morris, Il Ragazzo Misterioso, come lo chiamavano noiosamente tutti, le piaceva.
Primo, perché era bello. Quando lei e nonna Cordula l’avevano ritrovato svenuto sulla spiaggia, nove mesi prima, era stata sicura che fosse stato il mare a mandarglielo. Un principe tutto per lei, come raccontavano le fiabe.
E poi c’era un segreto importante e bellissimo. Ian era come lei. Anche lui era speciale. Anche lui era capace di far sparire e riapparire oggetti o muovere le cose solo volendolo.
Era molto forte in quello. Così forte che lei e la nonna la prima volta si erano spaventate, visto che aveva  fatto esplodere la tazza di brodo che gli avevano portato per pranzo.
Si era spaventato anche lui, a dirla tutta. Aveva fissato i cocci sparsi tutti attorno al letto e il brodo che bagnava le lenzuola e le aveva guardate. Meike ricordava l’espressione dei suoi occhi, grandissimi sul viso magro. Era spaventato più di loro. Aveva detto qualcosa in inglese, che sua nonna aveva tradotto per lei come ‘Che mi sta succedendo?’
Allora la nonna, che sapeva molte cose anche se tutti le davano della pazza, aveva fatto in modo che non succedesse più.
Certo, non sapeva come, ma in fondo non le importava.
Rifletté un po’, tormentandosi una ciocca di capelli, mentre si dirigeva verso il negozio della nonna, come tutte le mattine d’estate.
Era stato male, Ian. Quando l’avevano trovato, a dicembre, era molto malato ed era stato ben tre mesi a letto, debole come un bambino, incapace persino di alzarsi per andare in bagno da solo.
La nonna, che era buona e per niente pazza, l’aveva accudito… e aveva dato una mano anche lei, naturalmente.
I primi mesi non erano stati facili: Ian non capiva la loro lingua e dormiva moltissimo, tanto che erano passate settimane prima che dicesse loro come si chiamava e da dove veniva.
Poi grazie alle pozioni della nonna – si chiamavano così, ma non doveva dirlo in giro –aveva ripreso peso e forze. Aveva anche imparato molto in fretta la loro lingua, perché sapeva ascoltare. Aveva passato intere giornate, steso a letto o sulla poltrona accanto al fuoco se si sentiva più in forze, ad ascoltarle.
Ian era bello e gentile, come un vero principe e quando era stato capace di alzarsi in piedi aveva subito detto di volersi sdebitare. Aveva un modo di dire le cose per cui neanche una brontolona come sua nonna riusciva a opporsi. Così aveva cominciato a lavorare alla fattoria e a fare da commesso al loro negozio.
Meike era sempre affascinata dai due modi in cui lavorava. Il primo era quello normale: aiutava la nonna a preparare i prodotti, sorrideva – a casa non sorrideva mai - e serviva i clienti. Il secondo, nella fattoria, invece era quello speciale.
Ian usava la magia. Non come lei, che faceva solo un sacco di pasticci, la sapeva usare veramente. Aveva preso la bacchetta - altra cosa di cui non si doveva parlare fuori dalla famiglia – di suo padre e la sapeva usare molto bene.
I primi tempi però non era stato così. Ian aveva problemi a controllarsi e faceva sempre esplodere le cose.
Si arrabbiava tantissimo quando succedeva e la nonna le diceva sempre di andarsene a giocare in spiaggia a quel punto. Quando tornava per cena era di nuovo tutto a posto.
Ma erano passati quei tempi, e ora Ian stava bene.  
 
La bambina, trecce bionde, un sacco di lentiggini e un k-way azzurro, varcò la soglia del piccolo negozio, interamente costruito in legno, sulla piazza del villaggio. Un campanello trillò argentino e il ragazzo dietro al bancone alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
“Ciao Ian!”
 
A Meike piacevano moltissimo gli occhi di Ian. Erano dello stesso colore del mare, dell’oceano. Stesso, identico, neanche glieli avesse rubati.
 
Il ragazzo chiuse il libro, sorridendole. “Ciao Meike. La nonna?”
“Sta lavorando al forno, poi viene.” Si sedette sul bancone, arrampicandosi con agilità. “Che stavi leggendo?”

“Thomas Mann. Il dottor Faust.” Recitò distratto, prima di regalarle un sorriso alla sua espressione perplessa. “È un libro molto lungo. E noioso.”
La bambina arricciò il naso, in un’esplosione di lentiggini, che facevano a pugni con i capelli color paglia. “Allora perché lo leggi?”
“Perché mi piacciono le cose lunghe e noiose, mi pare ovvio.” Ribatté, facendola ridere.

 
Ian si soffiava spesso il ciuffo via dalla fronte, perché aveva i capelli lunghi, fin sotto alle orecchie. Più lunghi di come li tenevano Arno e i suoi amici. Erano scurissimi e lucidi, come le piume di un corvo.
“Ho visto dei turisti, giù alla spiaggia. Forse verranno qua!”
“Bene.”
Non era facile parlare con Ian. Non che non rispondesse alle domande, ma neanche iniziava un discorso. Ma Meike aveva dieci anni ed era piena di argomenti.

“Non sei contento?”
“No, non direi…” Ian si confidava con lei. Non tantissimo, ma qualcosa sì. Lo riteneva un grande privilegio, considerando che non dava confidenza a nessuno.
“Ma dai, i turisti sono divertenti! Hanno degli accenti così buffi e ti chiedo delle cose troppo assurde!” Gli diede una botta sul braccio, coperto da uno dei vecchi maglioni di suo padre. Era ancora magro come un osso, anche se la nonna ce la metteva tutta per farlo mangiare. “Non ti piacciono davvero?”
“Non mi piacciono le persone in generale …” Fece una pausa. “Non è che sono antisociale, è che non sopporto le persone⁴…” Recitò lentamente. Sembrava lo traducesse dall’inglese.
E poi fece quell’espressione: Ian la mostrava spesso quando gli capitava di parlare con dei turisti inglesi come lui o quando stava troppo a lungo da solo.

Tendeva le labbra in una smorfia sottilissima e corrugava le sopracciglia. Ricordava, diceva la nonna, e doveva fargli piuttosto male.
Ian non parlava mai di quello che aveva fatto o dove aveva vissuto prima di arrivare a Rügen. Era come se fosse nato dalla schiuma del mare. Come se in realtà un passato non ce l’avesse.
“Stai bene?” Gli chiedeva sempre a quel punto.
Ian allora le sorrideva e scuoteva la testa. Lo fece anche quella volta.
 
“Certo Meike.”
“È buffa quella frase che hai detto. Quella sugli anti… antisociali.”
“L’ho tradotta bene?” Era una domanda retorica. Sapeva che l’altro era perfettamente consapevole di parlare un ottimo tedesco.
“Eh, credo di sì… ma io non lo capisco!” Si concentrò però, perché voleva davvero capirla. “È ironica?”

“Sì, è ironica…” Confermò, raccogliendo con un dito la polvere sul bancone “Ironia inglese, non pretendo che tu la capisca.”
“L’hai inventata tu?”
“No, ma me la diceva sempre…”

 
E poi a volte smetteva di parlare. Non concludeva le frasi e a quel punto niente da fare, bisognava cambiare argomento.
Fortunatamente quella volta entrarono dei turisti e cavarla di impaccio. Guardò così Ian servire una famiglia americana, illustrando loro le proprietà benefiche degli estratti di alghe marine.
Doveva avercelo un passato però: lo avevano tutti e lei non era così scema da credere sul serio alla fiaba della sirenetta, nata dalla spuma del mare.
Le sarebbe piaciuto, certo, perché nelle fiabe nessuno l’avrebbe presa in giro perché era nipote di Cordula la Pazza, suo padre non sarebbe morto di malattia e sua mamma l’avrebbe ancora voluta, anche se era strana.
Ma le fiabe non erano vere e quindi Ian doveva aver avuto una famiglia, degli amici e forse una casa da qualche parte.
E non è che se lo è dimenticato, anche se fa finta di sì.
Ma era una riflessione troppo grande per lei e se la scrollò subito di dosso, per ridere delle difficoltà evidenti di Ian con la turista americana.
Ian intercettò il suo sguardo e si produsse in un’ombra di sorriso: era gentile con tutti, ma con lei era perlomeno, diceva burbera la nonna, sembrava sincero.
Forse perché era una bambina, o forse perché gli aveva detto, facendola arrossire per la prima volta in vita sua, che aveva dei bellissimi occhi verdi.
Era come avere un fratello maggiore ed era una bella sensazione.  
La madre di famiglia finalmente radunò i figli ed uscì dal negozio, carica di buste.
“Al, sta fermo!” Urlò, visto che la sentirono fin dentro, mentre agguantava il più riottoso dei figli.

A quel punto successe una cosa strana. Ian stava mettendo via il resto e diventò tutto rigido. Gli caddero di mano gli spiccioli, ma neanche se ne accorse. E la luce della lampadina sul soffitto cominciò a tremolare.
E Meike sapeva bene cosa volesse dire.
Cacchio! Cacchio!
C’era sempre la nonna, di solito, quando ad Ian aveva una delle sue crisi. Era a causa della sua magia, le aveva spiegato una volta; Ian era stato molto malato, quasi vicino a morire e la magia che gli scorreva nelle vene, perché lo sapeva anche lei che era nel sangue, era diventata instabile come la sua salute. Si stava rimettendo solo adesso infatti.
“Ian…?” Lo chiamò un po’ impaurita. La lampadina continuava a emettere luce ad intermittenza.
Dov’era la nonna?
 
Forse richiamato dalla sua voce il ragazzo si riscosse. Batté le palpebre e si affrettò a recuperare il resto caduto sotto il tavolino.
“Scusami…” Gli sentì dire: aveva la voce lontana, piatta, come se venisse dal fondo di un pozzo. Non aveva colore né calore. “Ti sei spaventata?”
“No, per niente!” Mentì. “Ma che ti è successo?”
Scosse la testa. Ma non le sorrise stavolta. “Niente, va tutto bene.”

 
Meike Wollin, la nipote di Cordula La Pazza, aveva tre certezze nella vita.
La prima era di essere speciale. Una strega, come Ian era un mago.
La seconda che Ian le piaceva.
E la terza che Ian era un grande, grandissimo bugiardo.
 
 
 
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Note:
La canzone (perché c’è sempre una canzone) del capitolo è questa

 
1.Putgarten: Esiste davvero. È un paesino a ridosso della scogliera. Qui per maggior informazioni. Poche eh. XD
2. Rügen: l’isola più grande della Germania. Si affaccia sul Mar Baltico ed è famosa come luogo turistico e balneare. Qui maggiori informazioni e foto.
3. Pittore tedesco. Questo dipinto rappresenta le scogliere calcaree della zona. Solo di solito non c’è tutta quella luce, fidatevi.
4. Citazione presa da Queer as Folk. E che Al ha ripreso alla festa di Halloween in DP, sì. Allora non sapevo che fosse di Justin, perdonatemi per non aver messo la citazione. T_T
 
Precisazioni: Tutte le immagini usate, linkate e manipolate non appartengono a me, ma le ho trovate sul web o su DeviantArt. Chiunque le rivendicasse, è pregato di inviarmi un pm, sia se voglia che le ritiri, sia che voglia essere creditato. Thanks ^^
Le canzoni, frasi e varie citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire, l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc appartengono a mamma Row, Dio l'abbia in Gloria.

Considero questa storia una sorta di ‘tributo’ alla sua opera, niente più che il lavoro di una fan.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Wow. Non so cosa dire. Non mi aspettavo davvero tante recensioni, quindi grazie, grazie e vi prego, continuate così! :D
(Che paracula)
No, sul serio, non so davvero come ringraziarvi. Vi abbraccerei ad ognuna/ognuno, ma accontentatevi del mio amore telematico! *_*
@ElseW: Potevo forse lasciarvi con niente sotto i denti? Presto il mistero di Tom sarà svelato (sic!) e grazie grazie grazie per i complimenti!

@NickyIron: La farò, sicuro, o almeno la descriverò. Dimmi pure come la vedresti tu, sono curiosa! ^^ Essì, c’è ancora la Thule in ballo, e quando mai una setta si arrende? Ahaha, beh, il motivo non è proprio una crisi esistenziale, è un bel po’ complicatello, ma vedrai! ^^ Grazie per seguirmi!
@LyhyEllesmere: Ciao! Sì, beh, ci sono dei motivi per cui non torna, e sì, Al è diventato un bel pulcino incazzato xD Lo vedrai meglio nel capitolo^^ Sì, il titolo vuol dire più o meno quello… è il nome di un’associazione delle mie parti, e significa ‘dall’ombra alla luce’ intesa la conoscenza. Roba esoterica insomma XD
Foolfetta: Tranquilla DP non scappa! XD Beh, Ian/Tom è lì perchè… diciamo, long story short, perchè c’è finito, senza volerlo. Il motivo per cui ci rimane invece devo ancora spiegarlo, quindi tranqui ^^
@MadWorld: Grazie per i complimenti!^^
@Andriw9214:  Ahaah, sì, mirabolante esiste come parola! XD Meike è adorabile, lo so, e pensare che solitamente i bambini li detesto! XD Beh, Tom si scoprirà poi, promesso e la strigliata l’avrà a prescindere XD Grazie… il titolo l’ho preso da un motto araldico trovato su internet, che poi ho scoperto essere di un associazione vicino a casa mia. Faceva effetto sì XD è un peccato che ci siano così pochi ragazzi. A essere tutte ragazze purtroppo si perde la componente critica maschile che a volte servirebbe decisamente, specialmente nelle storie slash (che ehi, parlano di ragazzi). Conto su di te per eventuali critiche! :P

@Leeirel: Ahaah, grazie per i complimenti e la fiducia a Sören! ^^
@Simomart: Ehi! Beh, non potevo abbandonarvi, giusto? :D woah, grazie per i complimenti… il più bel complimento che uno scrittorucolo come me possa ricevere è sapere che il proprio stile non si è fossilizzato! E poi hai centrato il punto con Tom. sta male e il suo lento recupero è uno dei tanti motivi per cui non ha contattato casa (+ seppie mentali XD) Sì, Sören compare nell’immagine nella storia e anche nel mio profilo, ho messo delle immaginette graziose (spero di non aver infranto nessu regolamento o hotlinking che dir si voglia ;P) Lily avrà più spazio, come vedrai in questo capitolo. Mi piaceva che fosse una storia basilarmente slash, ma con un punto di vista anche femminile. Diciamocelo, sono una scrittrice, non possono non mettere una ragazza a raccontare un po’ la sua storia. XD Specie come un nome come Lily. L’aggiornamento sarà, indicativamente, ogni sabato, max domenica^^
@Agathe: Ciao! No, Sören non è completamente cattivo. Diciamo… che è un soldato. Ecco tutto. XD
GiuVio: Ciao! Wow, che recensione! Grazie per I complimenti! E per l’impresa che ti sei sobbarcata per leggere tutta la mia storia in un colpo! Sono cose che fanno bene al cuore di una piccola fan-writer, sul serio! XD Sulle storie della next gen. Ti do ragione… la maggior parte sono uno sfilacciamento noioso dei genitori. ^^ Davvero, mi hai fatto dei complimenti bellissimi. Ci credi che ho letto qualcosa come dieci volte il tuo commento, per tirarmi su in questa sessione estiva? XD Grazie anche per i complimenti a Teddy, se ne prende così pochi, poverino! X) Ma sei davvero andata a ritrovare quel passaggio! Ma io ti adoro! Semino tanti piccoli indizi, ma spesso capisco che è impossibile notarli! Beh, non è l’amico di penna di Lily ma c’entra qualcosa XD Grazie ancora, sei fantastica, veramente!
@Sbirolina93: Presto così va bene? XD
@Cloto: Oh, sicuramente le recensioni e voi, soprattutto, sono ottimo carburante per questa storia… e tutte le tue domande avranno una risposta. Presto ^^
@Altovoltaggio: Cavolo, che recensione! Me-ra-vi-glio-sa! Allora, rispondiamo con ordine. Sì, in effetti la traduzione letterale e quella, e sì c’entra con un circolo culturale, anche se non so se sia o meno del ‘700. So che era attivo dalle mie parti per delle iscrizioni che ho trovato in giro. XD Sì, in effetti Sören (non preoccuparti per la dieresi, io ho dovuto pasticciare con word per averla sulla tastiera -_-) c’entrerà con Lily… vedremo poi come, ma ci sarà più het. Rimarrà sempre una storia slash questa, beninteso, ma introdurrò qualcosina di meno ‘gay uber alles’ XD Promesso. Beh, diciamo che per Tom… i suoi problemi non sono legati al fatto che non si fidi dell’amore di Al. anzi, semmai è tutto il contrario. Ma a suo tempo debito. Grazie per i complimenti… diciamo che il set l’avevo scelto da metà doppelgaenger in poi, quindi ho avuto modo di preparare il terreno. xD E per quanto riguarda la frase di QaF… spiacente, non ricordo quando l’abbia detta, io l’ho trovata su un avatar. ;P Gli aggiornamenti, salvo imprevisti, rimangono allo stesso ritmo di quelli di DP, quindi sì, una volta a settimana XD Grazie per la meravigliosa recensione, sei impagabile. E ah… ho letto anche quella a Seven Steps. Ti giuro che è fantastico sapere che finalmente hai accettato pure quella coppia, specie perché sapevo quanto eri scettica all’inzio. Anche lì, un analisi meravigliosa… posso farti un monumento?
MikyVale: Non preoccuparti, quando ho visto le vostre recensioni ho fatto lo stesso, quindi siamo un mucchio di matte. XD Yep, nella foto di centro quella è Lily (faccia presa in prestito > Molly C. Quinn) E il resto li hai tutti azzeccati, Al, Tom e Sören. ^^ Grazie per i complimenti… se continuo a migliorare non posso che essere mega-felice! :D
@Ombra: Ahaahah, beh, grazie! :D Tom è una droga? Beh, è un super-complimento, non farmi arrossire! ^^ (Tom sa di esserlo e lo ribadisce) Non preoccuparti, Tom tornerà. In qualche modo. XD
 
****
 
 
 
 
Capitolo I
 

 

 
 


If I could kiss you now/ I'd kiss you now again and again

‘Till I don't know where I begin and where you end
Oh where you end is where I begin.
(Where You End, Moby)¹
 
 
30 Luglio 2023
Devonshire, Ottery St. Catchpole.
Casa Potter, pomeriggio.
 
Il Devonshire in quel particolare luglio era rovente.
Le previsioni avevano dato assenza di piogge e sol leone per tutto il mese e Ginny Potter pregava che i fiori del suo giardino non si incenerissero, mentre in quel tardo sabato pomeriggio tirava fuori pentole e vivande per la cena.
Avrebbe dovuto cucinare qualcosa di leggero, rifletté. Il giorno dopo sarebbe stato il quarantatreesimo compleanno del marito, incidentalmente Salvatore dei Mondi, ed era previsto un banchetto pantagruelico alla Tana.
“Insalata!” Le suggerì Lily, seduta al tavolo della cucina mentre scriveva alacremente, scordandosi puntualmente di intingere il pennino. “Perché non possiamo comprare delle penne babbane?”
“Le abbiamo comprate…” Le fece notare. “Ma poi tuo fratello le ha perse tutte.”
Veramente Albie le ha portate al lavoro e quelle cavallette del laboratorio gliele hanno rubate e lui è troppo buono per chiedergliele indietro.” Ipotizzò Lily corrucciandosi. “Odio dover scrivere con la piuma, quando il mondo babbano mi offre un’infinita gamma di comode penne con l’inchiostro dentro.”

“Chiederò a papà di fermarsi a comprarle nella Londra babbana stasera, va bene?” La tacitò distrattamente. Lanciò un’occhiata pensierosa al soffitto, direzione piano superiore.
Albus aveva passato metà dell’estate chiuso in soffitta a preparare pozioni che poi puntualmente finivano in un evanesco, considerando che interi litri di pozione pepata² erano del tutto inutili in quel periodo dell’anno.
Ginny l’aveva lasciato fare fino a che non aveva attentato alle rose del giardino, cercando di curar loro il vaiolo di drago. Prima che sterminasse l’intera coltura aveva chiamato un vecchio amico della scuola, Seamus Finnigan, che lavorava come guaritore³ al San Mungo. Dopo un caffè, chiacchiere e ricordi era riuscita ad ottenere per il figlio un posto al laboratorio di pozioni dell’ospedale, come apprendista. Non era retribuito e si limitava a pelare radici e pulire i calderoni, ma era sicuramente un’esperienza formativa.
E aveva permesso alle  sue rose di vivere, cosa non da sottovalutare.
Guardò la figlia che si soffiava irritata una ciocca di capelli lunghi via dal viso. Le sorrise affettuosamente: attualmente era l’unica che non dava loro grattacapi, quasi-infarti o rivelazioni shockanti.
Infatti neanche tre settimane prima James aveva palesato al mondo di apprezzare anche i ragazzi. La cosa in sé era stata traumatica, specie se addizionata al fatto che preferiva un ragazzo in particolare. Teddy.
E viceversa il loro figlioccio aveva dimostrato di avere la stessa… inclinazione.
Non poteva non ammettere di aver sempre sospettato di Ted, Vic a parte.
Ma Jamie…!
Sospirò controllando lo stato dei pomodori: cadevano in fette circolari e umide sul tagliere, affettati dal coltello che si librava nell’aria grazie alla magia.
Harry non si era ancora del tutto ripreso: Jamie era il loro primogenito, quello che più gli assomigliava caratterialmente. Lo chiamava il suo malandrino ed era sempre stato ciecamente orgoglioso di lui.
Il fatto che ami un uomo, Teddy, più grande, da sempre presente in famiglia…
Ginny era però convinta del fatto che Harry prima o poi l’avrebbe accettato. Avevano parlato a lungo con entrambi, dopo che Teddy aveva fatto una confessione chiassosa e pubblica, più nello stile di James che suo.
Ginny era rimasta colpita dalla maturità che James aveva dimostrato in quella situazione. Il figlio maggiore non aveva mai brillato per essere un tipo riflessivo, ma in quei frangenti ce l’aveva davvero messa tutta per non scaldarsi. Le era rimasta impressa una frase.
 
“Non mi illudo che sia facile mamma, ma me l’avete insegnato voi che la differenza sta tutta nel sapere di avere qualcosa per cui lottare. Ed io ce l’ho.”
 
Oltre lo shock e la preoccupazione Ginny si era sentita orgogliosa. Ed era certa che anche per Harry fosse così.
Ma è un uomo…
La rivelazione era stata trasmessa al resto del clan e nel giro di una settimana era diventato l’argomento caldo. Aveva ricevuto una quarantina di visite da sua madre e aveva quasi dovuto spingerla fuori dalla porta prima di essere sommersa da un mare di pasticcio di carne e sandwich al bacon.
La reazione che però l’aveva fatta definitivamente tranquillizzare era stata quella di Charlie, l’uomo disperso trai rudi monti della Romania. Ginny sapeva dall’età di sette anni delle sue inclinazioni verso gli uomini, visto che era stata la sola ad aver conosciuto il suo ragazzo di allora.
Suppongo di essere tutt’ora l’unica a sapere…
Charlie le aveva ricordato quello che il disagio di quella situazione, addizionata all’intera situazione di Tom, gli aveva offuscato.
Cioè che James era un ragazzo serio dietro l’istrionico bisogno di farsi notare e che non avrebbe preso una scelta simile per puro capriccio.
Nonostante tutto, rifletté Ginny mentre spediva con un tocco di bacchetta gli asparagi a bollire, quell’episodio aveva alleggerito la situazione.
Harry aveva passato giorni a sbraitare e chiedersi se era stato un cattivo padre, invece che piangersi addosso perché era un orrendo padrino.
Lily finì la propria lettera con il solito svolazzo che identificava la sua firma. “Finito!”
“Come sta il tuo amico … ehm.” Si fermò imbarazzata. Non ricordava mai la nazionalità dell’amico di penna della figlia. Era curioso, perché Lily glielo ripeteva ogni volta.

“Ren è tedesco.” Ripeté pazientemente, roteando gli occhi al cielo.
“… Ren?”  
Lily sorrise, mettendo via pergamene e penna. “Non ha un gran bel nome, poverino. Conto di fargli accettare il soprannome entro le prossime due o tre lettere.”
“Capisco… come sta allora Ren?” Le chiese.
“Bene! Adesso è in viaggio per tornare a casa. Durmstrang ha delle vacanze estive ridicole, sarà perché lassù fa davvero freddo…” La informò meditabonda, fregando una rondella di pomodoro dal tagliere.
Ginny le sorrise: c’erano dei lati di sua figlia che molta gente sottovalutava perché offuscati dalla sua apparente superficialità. Per esempio, era stata l’unica che in quei mesi fosse riuscita a trovare un punto debole nel guscio in cui si era chiuso Albus.
“Mamma?” La richiamò. “Quando dovrebbe arrivare i ragazzi?”
“Mmh? Tra poco credo…” Controllò l’orologio a muro, gemello di quello alla Tana: i tre nomi dei maschi di casa erano tenacemente ancorati al ‘fuori’. Harry doveva essere da Ron a piangere sulle rispettive miserie, ovvero una figlia probabilmente collusa con un Malfoy e un figlio interessato alla stessa metà del cielo.

Persino Hermione li lasciava crogiolarsi nei propri foschi pensieri ormai.
Una fiammata verde proveniente dal camino annunciò l’arrivo di uno dei suoi figli.
“Togliti dal mio mantello, Jam!”
“Mi stai pestando i piedi, razza di imbranato, togliti tu!”

… o forse due.
Sì. Decisamente solo i suoi figli riuscivano a prendere la metropolvere nello stesso, esatto, momento e accapigliarsi per questo.

Lily soffocò una risatina. “Siete due idioti…”
“Così pare.” Borbottò Al tirando uno spintone al fratello e uscendo dal camino, mentre si scrollava la cenere dal mantello. Sotto aveva una maglietta lillà e James vedendogliela ghignò.
“È la cosa più gay che abbia mai visto.”
“Se lo dici tu sarà vero…” Rimbeccò andando a baciarle la guancia. “Devo indossare qualcosa sotto la divisa che non mi faccia morire di caldo quando lavoro.”
“Non lavori, pulisci calderoni.” Rimbeccò James buttandosi su una sedia e intrecciando le mani dietro la nuca. Ginny lanciò l’ennesimo sguardo di disapprovazione al suo tatuaggio. Sapeva che progettava di traforarsi un lobo come aveva fatto l’erede Malfoy. Lo sapeva.

“Perché tu invece? Servi il Ministero colpendo sagome di cartone animate?” Replicò Al. “Non sei un auror, non sei ancora stato ammesso all’Accademia, frequenti i corsi estivi del Ministero!”
“Dammi tempo. Tu cosa sarai invece? Uno straordinario pulisci - calderoni?”
“Bene. Non salverò la tua stupida pellaccia quando ti farai esplodere in faccia la bacchetta alla tua prima missione, sappilo.”

“Perfetto, perché se voglio morire lo farò sul campo di battaglia, non avvelenato da te.”
Ragazzi.” Li richiamò all’ordine mentre Lily ormai rideva apertamente. “Potreste finirla di mordervi? Così, se vi va.”

I due fecero una smorfia gemella. A Ginny venne da ridere; si pizzicavano da quando avevano cominciato ad aver coscienza di sé, e sembravano perennemente in disaccordo, su tutto. Ma nessuno sapeva quanto e come James era stato vicino ad Al in quel periodo, come lo aveva protetto dai pettegolezzi e dalla curiosità morbosa.
Avevano un modo di interagire tra di loro un po’ goffo e brusco, ma come madre era totalmente certa dell’affetto che l’uno provava per l’altro.  
Solo che sono davvero troppo simili in fondo, e troppo diversi in superficie…
“Allora, cosa volete per cena, miei eroi?” Li canzonò: amava i suoi figli e li amava soprattutto adesso che si era resa conto di quanto fosse facile perderli.
Non riusciva neppure ad immaginare come dovesse sentirsi Robin Dursley.
Al si versò un bicchiere di succo di zucca. Poi parve registrare l’eventualità di cenare a casa. “Ah… ehm. Non contare me, mamma. Stasera ceno a Diagon Alley con Mike e i suoi amici.”  
Ginny sperò che non si vedesse la sua smorfia di disappunto. Quello Zabini non le piaceva: era stato un paio di volte a cena a casa loro e non era riuscito a trattenere il classismo che gli trasudava da ogni poro.  
È un serpeverde, cosa ti aspettavi? - Le disse una voce che aveva il tono accusatorio di suo fratello.
Ancora?” L’esclamazione di James sembrò tradurre i suoi pensieri. “Perché cavolo esci con quegli idioti?”
“Perché… vediamo. Ah, sì. Non sono affari tuoi.” Al fece un sorriso che Ginny aveva imparato a tradurre come irritazione allo stato puro.  
“Sono degli idioti pieni di galeoni e con un cazzo da fare tutto il giorno se non fare gli snob purosangue!” Insisté salace James.

“Sono persone con cui mi piace uscire.”
Al era sempre stato il più quieto di tutti in famiglia. Ma adesso era freddo. Ginny sapeva che dietro quella facciata si nascondeva sempre il suo bambino, timido e sensibile. Spesso lo trovava di notte, in cucina, con gli occhi rossi che le chiedeva piano se poteva avere una tazza di latte caldo.
La scomparsa di Tom, il suo rapimento, tutta quella paura e dolore avevano lasciato un solco nel cuore di Al. Ma non permetteva a nessuno di avvicinarsi abbastanza per curarlo.

Lei e Harry avevano persino parlato dell’eventualità di mandarlo da uno Psicomago², ma non era facile affrontare quel discorso con il figlio. Se messo alle corde trovava sempre il modo di svicolare e lei e Harry non se la sentivano di obbligarlo.  
James non sembrò essersi rassegnato. Al stava per uscire dalla cucina, quando gli afferrò un braccio.
“Non fare lo stupido. È il compleanno di papà!”
Al serrò le labbra. “Tra due giorni, non stasera. Ho diciassette anni e non devo certo rendere conto a mio fratello.” Si voltò verso di lei. “A te sta bene mamma?”
Era una manovra subdola, ma qualcuno in quella famiglia doveva fare dei compromessi. O lei e Harry non sarebbero usciti vivi da quella tempesta adolescente. “Solo se torni prima stavolta. Le tre del mattino non sono più contemplabili.”  

Al le rivolse un sorriso grato. “Va bene, certo.”  
James sbuffò. “Quello Zabini non mi piace…”
“Non deve piacere a te.” Ci rifletté. “O forse sì.”
Ginny vide il figlio maggiore arrossire, un’esplosione tra collo e orecchie e non volle sapere. E neanche guardare la figlia minore che ghignava in modo piuttosto rivelatore.

“Per le palle di Merlino, Al, qual è il tuo problema?” Brontolò, lasciandolo finalmente libero.
“Nessuno.” Replicò scrollando le spalle. “Lasciami stare. Tu scegli i tuoi amici, io i miei.”
“Sono dei serpeverde!” Sbottò, esasperato dal non riuscire a far valere le sue ragioni. Ginny poteva capire il figlio maggiore: la frequentazione con Zabini e questi fantomatici amici impensieriva anche lei.

Al serrò le labbra di rimando. “Io sono un serpeverde.” E fu un tutt’uno infilarsi nella porta sul retro e tirarsela dietro.
Al!” James masticò un’imprecazione. “Stupida testa dura!”
Ginny sorrise, facendogli una carezza. “Chissà chi mi ricorda. Lascia stare tuo fratello, tesoro. Zabini può non piacerci, ma credo che tenga molto a lui.”
“Come no…” Borbottò, scrollando le spalle. Parve ricordare qualcosa. “Ehi, senti Lils…”
… e Lily non c’era più, ma la porta richiusa da Al adesso era aperta.

Ginny sorrise.
In quella famiglia l’amore poteva essere maldestro e un po’ soffocante ma c’era. Sempre.  
 
 
****
 
Non era difficile seguire Albus. I campi di grano attorno a casa Potter erano assolutamente lisci e privi di barriere che non fossero qualche sparuto cespuglio o un magro albero di mele.
Lily sentiva la suola delle sue scarpe da tennis battere contro la terra scura e polverosa, in un ritmo gemello con quelle del fratello, mentre si inoltravano tra le spighe di grano.

La schiena Al, davanti a sé, non le era mai sembrata così lontana. Piegava le spighe con le dita, in una marea dorata e probabilmente era perso nei suoi pensieri.
Adorava i suoi fratelli ma aveva sempre avuto un rapporto più … comprensibile… con James.
James era semplice: tutto quello che aveva dentro lo tirava fuori, che fosse gioia o rabbia, dolore o allegria.

Al era diverso da loro due. Era esile, aveva ginocchia e gomiti un po’ sporgenti e la perenne espressione di un bambino stupefatto. Aveva un intelligenza vorace, silenziosa e a volte sembrava quasi in grado di sparire nell’equazione chiassosa della loro famiglia.
Sembrava il meno coraggioso, ma poi era capace di azioni pazzesche come quelle dell’anno prima… e di avere una fenice che ogni tanto veniva a trovarlo e incuteva soggezione a tutti i volatili domestici nel raggio di tre miglia.
Al per lei era straordinario.
Ma aveva anche uno straordinario talento per incamerare dentro di sé il dolore, senza farne uscire neppure una goccia.
Peccato che non sia capace di convincere nessuno del fatto che stia bene …
Lo vide sedersi sull’altalena, sotto l’albero di melo, il più grosso del circondario, teatro di scalate e battaglie infantili. Era il suo posto preferito per molti motivi: era all’ombra, era distante da casa eppure abbastanza vicino per sentirsi al sicuro.
Lo raggiunse, sedendosi accanto a lui. Al le rivolse un mezzo sorriso distratto.
“Rosie tornerà presto?” Gli chiese per avviare il discorso: la cugina infatti era dispersa tra le lande rumene dall’inizio delle vacanze. Lei e Al sospettavano che il motivo fosse strettamente collegato ai sospetti che zio Ron nutriva su una probabile relazione tra lei e Scorpius.
Sospetti fondatissimi peraltro, eh… Non sa neanche che Rosie è tornata a fine giugno per il compleanno di Sy, usando una passaporta con la compiacenza di zio Charlie…
Lily sapeva che ad Al mancava la compagnia Rose. Erano migliori amici e passavano una straordinaria quantità di tempo assieme, sia a scuola sia d’estate.
Al doveva sentirsi molto solo.
O non accetterebbe di uscire con Mike… Fino ad un anno fa rifiutava sistematicamente tutti i suoi inviti.
“La prossima settimana…” Le rispose, spianando la leggera ruga che gli si era formata tra le sopracciglia, al pensiero di Rose. “Non vede l’ora. Credo che non le sia piaciuto molto stare in Romania. Sai, tutti quei draghi…” Scherzò, spingendosi con i piedi per far oscillare l’altalena.
“… e niente Malfoy.” Sogghignò di rimando. “Devo ammetterlo però. Non avrei dato loro che un paio di mesi, prima che Rosie lo scannasse o Scorpius si stufasse. E invece…”
“Si vogliono bene sul serio, Lils.”
“Siamo adolescenti. Solo io sono prevedibilmente incostante?” Chiese facendolo ridacchiare. “Deprimente. Sono l’unica a godersi la vita.”
“Beh…” Sbuffò. “È solo che quando trovi la persona giusta…” Non concluse. Lily si morse un labbro e lasciò che il discorso cadesse.

“Michel è carino…” Iniziò di nuovo.
Al si rifiutava di vivere. Si lasciava scivolare tutto addosso. Aspettava. E Lily si sentiva arrabbiata e impotente a non riuscire a fargli capire che probabilmente non sarebbe venuto nessuno. O meglio, non sarebbe venuto lui.
Solo tu e papà credete che Tom sia ancora vivo, Al…
“Ti piace Mike?” Le chiese, distogliendola dai suoi pensieri. “Temo però che tu non sia il suo tipo.”
“Ovvio, sono una ragazza.” Replicò. “E comunque è lui a non essere il mio. Nella mia coppia ideale ci può essere un solo narcisista e quella sono io.”

Al rise, stavolta con più convinzione. Lily si sentì un po’ meglio. Era stupido, ma le battute erano l’unica cosa che sembrava davvero tirarlo su di morale.
Tutti non facevano che complimentarsi con lei per riuscire a parlare ad Al. La triste realtà era che riusciva solo a farlo ridere.
Ma ci stava lavorando.
Rosie è quella deputata ai discorsi seri e pieni di sentimento. Non io.
Certo che anche lei… farsi trascinare a cinque o sei stati di distanza quando Al sta così…
“Comunque dicevo per te… Cosa c’è tra voi due?” Lo guardò di sottecchi, spiandone le reazioni. Se ne era fatta una ragione, i suoi fratelli erano in lizza per trovarsi un fidanzato e non una regina del cuore.
Ironico che per quanto si stuzzichino e si massacrino a colpi di battutacce alla fine sono maledettamente simili, se si parla di cuore.
Al scrollò le spalle, evasivo. Non era tipo da sparate come James, e considerando le attuali contingenze Lily capiva perché non sbandierasse in giro i suoi interessi. Anche se fossero stati per le ragazze, Al sarebbe stato comunque riservato.
“Mike è solo amico.”
“Andiamo… perché allora sarebbe venuto a cena tre volte, rischiando un’intossicazione alimentare, considerando che si nutre di caviale e vino elfico dall’età di tre anni?”
“Finiscila…” Borbottò imbarazzato. “Cerca solo di essere un buon amico.”
“Se lo ripeti un’altra volta dovrò pensare che andate a letto assieme.”
Lily!” Sbuffò arrossendo. “Non so come essere più chiaro. Non c’è niente tra di noi.”
“Ma lui vorrebbe.”
Al si mordicchiò l’angolo del labbro. “Abbiamo messo le cose in chiaro tempo fa.”

“Sul genere?”
“Sul genere non mi interessi.” Tagliò corto, corrucciandosi. “Certo, non nego che sia un bel ragazzo…”
“È stupendo. È praticamente un Dio d’Ebano.” Proclamò seria mentre Al quasi si strozzava con la saliva infilandosi la risata su per il naso. “E dicono certe cose di lui…”
“E tu come fai saperle?” Spiò divertito. Lily adorava Albus anche perché era totalmente privo di quella fissazione, tutta dei maschi di famiglia, secondo cui sarebbe dovuta morire illibata.

È sempre stato un ragazzo intelligente…
“Io so tutto, Al. Tutto.” Si picchiettò la tempia con un dito. “Sono una ragazza e vivo otto mesi l’anno in un dormitorio di ragazze. Solo Rosie è immune ai pettegolezzi. Perché è una noiosa bacchettona.”
“Non è vero, è solo seria.” Ribatté senza riuscire a nascondere un sorriso. “Il fatto è che…” Esitò, cogliendo un soffione e giocherellandoci con le dita. “…  quello che Jamie e mamma non capiscono… è che con Mike spengo il cervello. Non devo far altro che farmi trascinare per locali.” Le confessò piano. “È… non è male.”
“Potresti portare anche me qualche volta allora.” Gli suggerì, perché era anche profondamente interessata alle porte aperte che il nome Zabini doveva garantire.

Al sospirò paziente. “Lils, hai quindici anni. Mamma e papà pretenderebbero il mio scalpo se ti portassi in certi…” Esitò, capendo di essere stato fregato.
“… posti.” Finì per lui. “Oh, delizioso. Allora vai davvero a Notturn Alley!”
“Macché Notturn Alley!” Sbottò arrossendo di puro disagio. “Non proprio… cioè…”
“Vicino?”
Si spinse di nuovo sull’altalena. “Prometti di non dirlo a Jamie? A nessuno?”
Lily si mise una mano sul cuore. Oh, come le batteva di pura aspettativa.

Lo sapevo che non era serpeverde solo per l’inevitabile talento in pozioni!
“Prometto sulla nuova collezione di Stratchy&Sons autunno-inverno. Non scontata.”
Al sospirò. “Londra babbana. Andiamo nella Londra babbana.”
“Sul serio?” Lily sentì un ghigno raggiungerle il viso: i loro genitori non volevano. Ovvi motivi, primo trai quali il fatto che lì erano meravigliosamente sconosciuti alla folla. Nessuno nella Londra babbana conosceva Harry Potter o le sue gesta, né tantomeno le sue progenie. 

E quindi niente riconoscimenti, o roba del tipo ‘Signora ho visto sua figlia comprare qualcosa che non sembrava burrobirra’.
Oh, libertà!
Al si grattò una guancia, imbarazzato. “Loki ha falsificato delle… ehm, credo si chiamino carte di identità. Con quelle possiamo entrare in posti chiamati club e… bere, ballare, cose così.” Le lanciò uno sguardo di sottecchi. “Ma non è niente di che. È solo rilassante non essere riconosciuto ogni due per tre. Ogni volta che andiamo a Diagon Alley torno sempre con la mano dolorante.”
“Tutte quelle strette di mano…” Sospirò Lily comprensiva. “È perché sei la copia di papà.”
“Lasciamo perdere…” Borbottò.

“Stasera quindi vai nella Londra babbana?”
“L’intenzione sarebbe quella.” Scrollò le spalle. “È molto meno affascinante di quel che pensi. È solo tutto molto più grande. E rumoroso.”

Lily gli lanciò un’occhiata esasperata. Non sembrava davvero entusiasmarlo niente, né club babbani né trasgressione.
L’unica scintilla di interesse gliela accendevano le pozioni. Ma perché era un maledetto secchione.
Aveva passato il resto dell’anno scolastico, dalla scomparsa di Tom ad attenderlo. Quietamente, senza dare scalpore o sembrare particolarmente ansioso.
Se non si conta il fatto che sembrava aver messo le tende in Guferia…
Ma Tom non era tornato e suo padre non era riuscito a trovarlo, neppure dispiegando l’intero arsenale delle forze di polizia magica.  
Il mondo era enorme e un ragazzo scomparso era difficile da trovare, sia per la polizia babbana, che era stata chiamata in causa dalla famiglia Dursley, sia per quella magica.
Lily ricordava suo padre venirli a trovare nei fine settimana ad Hogsmeade, durante i primi mesi di ricerca: era sempre stanco, spossato, considerando che doveva coordinare le ricerche del suo dipartimento e allo stesso tempo fare in modo che la polizia babbana non trovasse incongruenze nella falsa vita babbana di Tom.
Ora tutto si era quietato e Tom probabilmente non era che una foto appesa alla bacheca scomparsi di entrambi di dipartimenti, babbano e magico.  
Era difficile ammetterlo, ma era passato dentro una maledetta passaporta rotta. Che poteva averlo materializzato ovunque  o non averlo materializzato affatto.
Lily represse un brivido e Al le lanciò un’occhiata confusa.
“Hai freddo?”
“No…” Mormorò. Si sentiva sempre a disagio quando pensava a Tom. Era buffo, ma gli sembrava di fare un torto ad Al quando lui era certo che fosse ancora vivo da qualche parte.

“Davvero non mi porti con te? Mi mimetizzerei perfettamente.” Gli assicurò cambiando discorso.
Al ridacchiò. “Ne sono certo… lo faresti alla perfezione e sarebbe proprio questo il problema.”
Lily gli tirò una botta sulla gamba. “Non fare il grand’uomo! Ti ricordo che la mia capacità di adattamento supera di gran lunga la tua, Signor Vivo Rimestando Pozioni.”
Al sorrise. “Brucia avere quindici anni, eh?”
“Non li avrò a lungo, ci sto lavorando.” Cercò di spingerlo via dall’altalena, ottenendo solo un buffetto che le ricordò quando gli volesse bene e quanto volesse colpirlo con una pietra al tempo stesso.

James e lei si erano sempre trovati sulla stessa lunghezza d’onda, crisi da fratello protettivo a parte, ma Al era quello da cui andavi se avevi bisogno di buoni consigli e coccole disinteressate.
Gli appoggiò infatti la testa sulle gambe. Al le accarezzò i capelli, gentile e distratto come sempre.
Non glielo chiese. Non gli chiese se gli mancava Tom, se aveva finalmente capito che forse non sarebbe tornato più. Quel silenzio parlava più di lei, ma non lo ruppe.

“Grazie.” Disse Al dopo un po’.
“Per cosa?”
“Per non cercare di parlarmi. È…” Esitò. “… tutti mi trattano come se dovessi scoppiare a piangere da un momento all’altro. È stressante. E pure un po’ avvilente…”
“Benvenuto nel mondo delle ragazzine emotive… La tessera è un fazzoletto ricamato.”
Al ridacchiò. “Sono serio. Sei … sei l’unica che non cerca di capire come sto. Grazie.”
Lily sorrise. “Figurati. Lo sai che sono troppo frivola per i discorsi seri.”
“So che non è vero.” Ribatté, tirandole una ciocca di capelli. “Come mai ti nascondi sempre?”
Lily fece spallucce. “Mi pare evidente. Aspetto che valga la pena uscire fuori.”

Rimase a farsi carezzare i capelli: non era proprio come parlargli, ma Lily era convinta che a volte le parole fossero decisamente sopravvalutate.
 
 
****
 
Londra babbana, zona Charing Cross.
Notte.
 
La musica del locale ottundeva ogni capacità di ragionamento.
Era talmente alta che neppure si riusciva a capirsi urlandosi a vicenda nelle orecchie.
Non che ad Albus dispiacesse, beninteso. L’idea di attaccare bottone con qualcuno non gli arrideva particolarmente quella sera.
Così si trovava con un drink colorato in mano, la maglietta appiccicata al torace per il caldo torrido che sembrava trasudare dalle pareti a guardare Mike flirtrare con un ragazzo babbano, totalmente privo di peli superflui e con una maglietta oltraggiosa.
Intercettando il suo sguardo fece un mezzo sorriso incoraggiante e si apprestò a vuotare il contenuto del bicchiere, per dimostrargli che si divertiva. Era dolce e bruciava ma ricacciò indietro le lacrime.
Stava cominciando ad abituarsi alla dinamica alcolica dei drink babbani.
Ingannevoli drink babbani…
L’ultima volta si era ritrovato con una nausea formato gigante a rimettere nel vicolo, mentre tutti gli amici di Michel si sbellicavano e Michel cercava di non disgustarsi troppo mentre gli teneva la fronte.
Da allora aveva imparato la sacra regola, che un barista pietoso gli aveva spiegato: non mischiare mai, salire in gradazione, mai scendere.
Pescò la ciliegia candita dal bicchiere, infilandosela in bocca.
La pista era gremita di corpi maschili che ballavano a ritmo di qualche tormentone estivo.  
Lampi di luce gli esplodevano all’angolo dell’iride e le strobo della pista rendevano tutto confuso e sincopato.
Non riusciva a divertirsi. Per quanto ci provasse, e a volte ne avesse l’impressione, non tornava mai a casa a fine serata soddisfatto.
Si sentiva vuoto.
Rose era convinta, da un paio di lettere a quella parte, che potesse avere una ‘depressione’.
Doveva essere una roba babbana e non aveva intenzione di scoprire cosa fosse.
Per niente.
Serrò le labbra, staccandosi dal tavolo della zona vip  che Mike era riuscito ad ottenere con un Confundus sussurrato ad uno dei camerieri.
Michel distolse l’attenzione dal ragazzo-senza-peli per guardarlo. “Ehi, dove vai?”
“A ballare.” Gli sorrise, posando il bicchiere e giocherellando con le labbra con il picciolo della ciliegia candita. Sperava di sembrare abbastanza spensierato. Non gli diede il tempo di reagire – a volte gli stava maledettamente addosso – e si infilò tra la calca di corpi sudati.

Non che sapesse ballare. Si limitò a stare sul ciglio della pista e guardare i ragazzi.
In ogni caso era uno spettacolo che gli piaceva.
I gay club babbani erano molto meglio dell’unico locale gay magico a Diagon Alley, la Viola Stregata. C’era più fauna e per giunta poteva entrarci senza avere il terrore che qualcuno lo riconoscesse.
Papà si sta riprendendo adesso dalla rivelazione di James. Se mi ci metto anche io diventiamo tre orfani e una vedova.
Grazie Jamie. Grazie per avermi battuto sul tempo. Come al solito.  
Si sentì battere la spalla. Si trovò di fronte un ragazzo, ovvio. Ma sentì qualcosa per la prima volta dall’inizio della serata.
Magro, alto, senza quegli orrendi abiti attillati babbani. Era vestito di scuro e poteva avere i capelli neri.
“Ciao. Sono Paul, balli?” … o qualcosa del genere. Avrebbe voluto usare un incantesimo super-sensore ma probabilmente non era un’idea brillante in quell’orgia di suoni.
“Non so ballare.” Scosse la testa per dare maggiore enfasi alla frase: come diavolo facevano i babbani a conoscersi in mezzo a quel casino?
Il ragazzo fece spallucce, con un sorriso spensierato. Indicò di nuovo la pista.
Non che abbia di meglio da fare comunque… gli amici di Mike non mi considerano e Mike è qui per lasciare una scia di cuori infranti…
Lo seguì.
In effetti era divertente: il tipo ballava bene e ben presto il caldo e il ritmo martellante delle casse li avvolse.
“Non balli male!” Gli urlò all’orecchio.
Al sorrise perplesso. “È ballare questo?”
Mi sembrava più uno strusciarsi a ritmo…

Il ragazzo parve trovare la sua risposta divertente, perché rise. I denti brillavano come acciaio alle luci della pista. I suoi lineamenti sottili si confondevano e diventavano sfilacciati, nebulosi.
Al ci mise un paio di secondi a realizzare lo stava baciando. La bocca di ForsePaul esplorava la sua e sapeva di alcool e sigarette babbane. Era piuttosto bravo, per quanto ne poteva sapere lui.
Forse era il caldo, i drink o il fatto che con quelle luci non ci vedesse nulla, ma per la seconda volta nella serata sentì qualcosa. Una sorta di magone, ma non spiacevole. Per questo lo lasciò fare.
ForsePaul si staccò, con un sorriso vago e gli mostrò il palmo della mano. C’era qualcosa di piccolo, tondo e dall’aria di una caramella.

Quelle di Mielandia sono molto più grandi…
“Ti va?” Gli chiese.
“Che roba è?”
ForsePaul rise, sembrando sorpreso. “Non sei della scena, eh?”
Al lo fissò confuso, ma qualcuno lo tolse di impaccio.
Michel afferrò ForsePaul come se fosse una sorta di gruccia per abiti. “Levati dai piedi, non è interessato.” Gli sibilò senza mezzi termini. Al non sentì le parole, ma vide l’espressione.

La vide anche ForsePaul, che dopo una breve occhiataccia di rito si allontanò.
Al si sentì poi afferrare per un polso e strattonare via. Non gli parve una buona idea fare rimostranza in merito. 
Michel si fermò solo quando furono fuori dal locale.
“Sei impazzito?!” Sbottò, straordinariamente privo della sua flemma Zabini. “Lo sai cosa ti stava offrendo?”
“Una caramella davvero minuscola?” Spiò. Michel lo guardò sbalordito prima di mettersi a ridere.

Okay, non lo era.
“Salazar, Al… Non posso lasciarti solo cinque minuti che ti fai offrire droga da un babbano spostato.”
“Ah, droga…” Ne aveva sentito parlare. Erano una di quelle piaghe della società babbana di cui ciarlavano i cronisti alla tv che ogni tanto Lily accendeva per divertimento. “La usano sottoforma di caramelle?”
“Sì, Al. Non usano pozioni. Sono babbani.” Sbuffò. “Dai, andiamo a farci due passi. Credo tu ne abbia bisogno.”
“Non sono ubriaco.” Tentò, ma Michel si era già incamminato, con quelle sue dannate gambe lunghe. Non gli restò che seguirlo trotterellandogli dietro.

“Comunque…” Esordì l’altro dopo un paio di minuti in cui Al cercava di non dimostrare al mondo che gli girava la testa e sì, probabilmente era un po’ alticcio. “Finalmente è successo.”
“Cosa?” Se si appoggiava ad un palo forse poteva dissimulare.

“Hai finalmente rimorchiato.” Un sorriso prese ad aleggiare sulle labbra del suo buon amico. Era un buon amico, lo era di certo, visto che lo prese sottobraccio, evitandogli una buca sull’asfalto. “Sono fiero di te, mon petit…”
Al gli sorrise. “Mah… sì.” Non sapeva neanche perché aveva baciato quel tizio. Deprimente.

Adolescenziale, direbbe Lils…
Si appoggiarono poi ad una ringhiera. Sotto c’era il Tamigi. Buffo, non si era accorto che il locale era vicino al fiume.
La geografia londinese, fuori Diagon Alley, per me è sempre un po’ confusa…
Ovvio, fuori dal suo piccolo mondo magico ce n’era un altro, sterminato, enorme.
Dove era possibile perdersi.
“Era comunque molto affascinante.” Dovette ammettere Michel, perché era un esteta e lo sarebbe stato fino alla tomba. “Magro, alto… scuro…” Si fermò. Realizzò. “Oh, Merlino.”
“Cosa?” Spiò l’espressione dell’amico e vide che era tornato serio. E anche arrabbiato, sembrava. “Che c’è?” Gli chiese di nuovo, un po’ inquieto.
“Non te ne sei neppure accorto, vero?” Disse lentamente. Sembrava incredibilmente arrabbiato, e davvero, non capiva perché. “Merlino, Al… Devi smetterla.”
“Di fare cosa?” Insisté, cominciando a sentirsi irritato.

Non volete tutti che esca, mi diverta, conosca persone e vada avanti?
E quando lo faccio mi strattonate via e mi guardate male?
“Quello stronzo era la fotocopia di Dursley.” Michel non aveva mai imparato ad essere particolarmente diplomatico e infatti Al sentì un maglio di ferro artigliargli le viscere e per poco la nausea non gli esplose facendolo vomitare.
Grazie Mike…
Fissò con insistenza lo scorrere placido del fiume, cercando trarre da quel movimento immutabile un po’ di calma mentale. “Non è vero, non gli somigliava per niente.”
“Il prototipo Al, Morgana Benedetta…” Lo sentì ispirare bruscamente. “Era simile.”
“E con questo? Magari i ragazzi mi piacciono così.” Sbottò, sentendo il sangue del labbro martoriato raggiungergli la lingua. Pensava di essere riuscito a smettere.

“Forse.” Gli concesse. “Ma forse in tutti cerchi lui. E non è così che deve funzionare.”
Non lo dire…
Sentì quel grido salirgli dalla pancia. In quei mesi tutti erano stati così gentili e pietosi da evitare di dirglielo. A lui e a suo padre.

E poi arriva Michel…
“Senti, devi passare oltre questa storia e oltre a… lui.”
Sta’ zitto…Io mi fidavo di te. Perché, perché non chiudi il becco?

“Al, Tom è…”
Non lo dire!” Si sentì urlare e la nausea gli risalì ferocemente alla bocca dello stomaco.

Mai più drink colorati. Non so ancora distinguere la gradazione, mi sa.
Michel serrò le labbra. Aveva un tono freddo quando parlò, e gli fece ancora più male.
“Va bene, non lo dico. Ma dovresti dirlo tu. Così realizzeresti che è vero, che non tornerà. E potresti andare avanti.”
Non voglio andare avanti. Devo restare qui ad aspettarlo.

Merlino, ma quanto poteva essere stupido?
Sentì la mano di Michel coprirgli il polso: aveva i polsi esili, con le vene che sembravano fili sottili e se ne era sempre vergognato. A Tom piacevano, gli piaceva passarci le labbra sopra, per sentire il battito del suo cuore.
Perché mi fai pensare a lui? Perché mi fai questo?
Avrebbe voluto piagnucolarlo, ma aveva diciassette anni ed era un ragazzo.
“Al…” Gli sussurrò e Michel era un buon amico, era gentile, insolitamente gentile considerando che con il resto del mondo era una carogna calcolatrice. Ma era un serpeverde, dopotutto e semplicemente si aspettava un tornaconto personale, Lily aveva ragione. “Sono passati otto mesi. Sei un ragazzo fantastico. Sei bello, sei intelligente. Potresti avere chiunque tu voglia.”
Ma io voglio lui.

Poteva sembrare romantico, ma non lo era per niente. Era agghiacciante e faceva male.
Michel poi si chinò, cercando le sue labbra, forse fraintendendo il suo silenzio. Ma non erano in una discoteca bollente, non c’era nessuna luce ingannevole e non era poi così ubriaco.
Scartò di lato, spingendolo via con una mano.
“No.”
Vide negli occhi scuri dell’amico dipingersi quella sillaba e ne fu colpevolmente sollevato.

“No, davvero Mike… io non vado bene.”
Io sono già preso. Da un idiota, un completo imbecille.
Ma non è che può cambiare solo perché vorrei prenderlo a calci da qui all’eternità.
A quel punto non gli restava molto da fare. Gli diede le spalle e si incamminò lungo il fiume. Fu felice di non sentire i passi di Michel seguirlo. Con l’orgoglio che aveva probabilmente per un po’ i loro rapporti si sarebbero raffreddati.
È già due volte che lo rifiuto…
Sentiva una stretta al petto. Voleva bene a Michel e ai suoi tentativi più o meno ambigui di essergli amico. Avrebbe chiesto a Loki di fare da pacere… dietro compenso, naturalmente.
La stretta al petto, dopo un centinaio di metri, in un vicolo direzione Trafalgar Square, si trasformò in un’ondata di pura nausea alcolica che lo costrinse a sostenersi ad un muro e vomitare la sua cena.
Sentì le lacrime di sforzo scorrergli lungo le guance mentre la testa gli pulsava a ritmo di quelle canzoni orrende.
Ora, questo sì che fa schifo…
Si appoggiò al muro, godendosi il refrigerio dei mattoni umidicci londinesi.
Non voleva pensarci. Aveva quasi imparato a non farlo, in quei mesi.
Il cervello umano può imparare a selezionare… Basta abituarlo.
Solo che a volte, proprio non era possibile, neppure volendolo.
Non importa, pensaci pure un po’… - Gli suggerì una voce, carezzevole e invitante.
Tom…
Era sicuro, era certo che fosse da qualche parte, vivo. Come era certo che ogni mattina si sarebbe svegliato respirando.
O non mi sveglierei.
Era un mago, Merlino, non un babbano. Certe cose poteva sentirle.
Ma comunque…
Si sedette a terra, perché aveva bisogno di cinque minuti tutti per sé, lontani dall’empatia comune.
Sbrigati a tornare, stronzo…
Non me la cavo granché bene senza di te.
 

I slept in the sun the other day/ I thought I was fine
Everything seemed perfect/ 'Til I had you on my mind…
 
 
 
****
 
 
Note:
Lo so, lo so. Il pulcino ha messo I denti, anche se è un immagine abbastanza agghiacciante.
Prossimo capitolo Ian Tommy.
1. Qui la canzone. Troppo perfetta, credetemi. 
2. Pozione Pepata: per curare il raffreddore. Decisamente inadatta d’estate. XD
3.Guaritore: guardato su HP Lexicon. Pare che i guaritori siano la versione magica dei dottori, mentre i medimaghi dei paramedici.  

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Woah, come al solito devo ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito! Adoro assoluto!
@Agathe: Ahaah, epidemia gay? Mannò, è solo che qualcuno in famiglia (Weasley) prima doveva esserci, altrimenti qua sembra tutta colpa di Harry! XD Jamie non è proprio… ehm, gay, sì, gli piacciono anche i maschietti, ma lo definirei più bisessuale. XD Ahaahah, Ron è un padre protettivo come era un fratello rompipalle. Ma vedrai che Rosie saprà difendersi. Tom si darà una mossa… e non chiamarlo TomStu, poverino, non se lo merita di essere accumunato ad una Mary Sue XD

@Altovoltaggio: Ahaaha, beh, in realtà ho guardato su internet!XD (Che vergogna) Dunque, het sta per ‘etero’ e vuol dire storia anche con etero (se è una storia a maggioranza slash come qui) e ‘gay uber alles’ vuol dire ‘gay sopra ad ogni cosa’ … è un modo di dire! XD
Wow, tu mi fai sempre delle recensioni me-ra-vi-glio-se! E grazie per i complimenti, mi fa piacere sapere di essere migliorata da DP! Per uno scrittore è uno dei migliori complimenti che può ricevere! Sul Babylon mi hai scoperto… io non ho idea di come sia una discoteca gay, e così ho preso un po’ spunto da quel che ho visto. Anche se in effetti (sono malata, premetto) la discoteca che ho descritto esiste veramente, e sta proprio dove ho detto io. Sono addirittura andata a vedere le foto del sito per capire com’era fatta. XD Ah, GoogleMaps, sempre siano lodate. Mike del resto è un ragazzo di diciassette anni, che ha il chiodo fisso di un altro ragazzo. Diciamo che gli vuole bene, ma è… umano. E Loki, beh, in quel caso Al scherzava. Anche se chissà… XD Per il resto, grazie per i complimenti… davvero. Ed ah, ho controllato anche io, in effetti in Germania siamo sulla stessa latitudine, ma Rugen è proprio sul mare e dicono sia un posto eccessivamente ventoso. Quindi qualche grado in meno lo fa. Ma grazie per la precisazione, hai ragionissima! Me stupida!
@MyryamMalfoy: Ci saranno, cuoricini e roselline, promessisismo! Solo che ora devo recuperare un po’ qualche disperso e rimettere assieme qualche rincoglionito! XD Lils spero di riuscire a farla come voglio io… ah, è un grosso punto interrogativo! XD
@Andriw9214: Mi fa onore avere tutti questi complimenti, thanks! ^^ Sapere che leggermi rilassa solo un po’ qualcuno mi fa davvero piacere! :D Dovevo mettere qualche altra ragazza, sennò qui diventava un collegio maschile cattolico! XD No, no… glielo dovevo. Harry… gli passerò, e gli altri l’hanno presa bene perché beh, alla fine dopo guerre, morti e quant’altro, penso che tu sia meno disposto a farla lunga su cose che poi alla fine non sono la fine del mondo. Vedremo il resto del clan però. Mike… beh, è il tipico ragazzo che cerca di esserti amico, ma poi no, scusa, è che ti voglio… E’ un serpeverde dopotutto! :P
Grazie per il commento! ^^
@ElseW: Grazie! Spero di non deludere le tue aspettative su Lils. È un personaggio potenzialmente molto interessante, e non mi andava di fare la classica copia di Ginny o similia. Vediamo se mi riesce^^ Oddio, il fatto che tu legga tutto mi fa un piacere immenso, perché confesso, anche io a volte salto. E pure tanto. -_-

@MikyVale: Grazie per i complimenti a Lils e Ginny! Me l’hai inquadrata perfettamente, grazie!:D Mike purtroppo è Mike… e non brilla per essere sensibile. -_- Beh, da uno che andava a letto con Jamie, che t’aspetti? XD Molly C. Quinn è in Castle. Appena l’ho visto ho urlato e detto “È lei!”
@Panuela: Ciao! Grazie mille! Beh, sì… la gelosia tra cugini è un po’ strana, ma c’è da dire che il clan Potter-Weasley è cresciuto come fratelli, più che come cugini! Tranquilla, ci sarò lieto fine! E grazie per esserci!^^
@Trixina: Ehi, non preoccuparti! XD L’importante è il commento, chi se ne impippa se arriva presto o tardi! E poi mica è come pagare le tasse! E’ opzionale (Anche se assai gradito *_*) Oddio La Meyer… mi dispiace, ma qua non possiamo andare d’accordo. Non ho mai letto niente di lei né visto un film. Adoro solo le colonne sonore dei film, ma perché sono fantastiche. Quindi non sapevo che anche la Meyer avesse usato questo espediente. Bbr… Beh, che ci si vuol fare, succede. xD

@MadWorld: Grazie mille! Piacciono anche a me!
@Cloto: Non vedevo l’ora di scrivere di Lily in effetti! Essì, anche a me piace Mike, e penso di avere qualcosa in serbo anche per lui ;)

@Simomart: Wow, grazie davvero… sì, ci ho messo un po’ a scrivere di Al, perché volevo che fosse il quanto più possibile realistico. Anche a me piace parlare di Lily e Ginny, dopotutto sono una ragazza anche io! Ogni tanto una girl-talking ci vuole! XD Sì, penso ci sarà un po’ più di etero in questa seconda parte… rimarrà sempre una storia slash, comunque :P
@NickyIron: Grazie ancora per la gentilezza con cui mi hai spedito quel pm! Rimangono valide le mie idee! ;)
@LucediLuna: Wow, grazie mille! Davvero ti piace Rose? Mi fa piacerissimo, visto che spesso è messa un po’ in ombra. E Herm… beh, non è detto che non farà qualche piccola apparizione? ^^ Lily l’hai proprio inquadrata bene, essì’! Grazie per tutti i complimenti!
@Ombra: Ehi! ^^ Ahaah, mi fa piacere che ti piaccia il legame tra fratelli, mio fratello mi chiederebbe da dove ho tirato fuori tutto ‘sto spalleggiamento, visto che ci mordiamo spesso e volentieri!XD Nah, Al anche se babbano non avrebbe mai preso niente del genere… se si è ubriacato, è semplicemente perché non regge! XD
LauraStark: Accidenti, tre giorni! Che lampo! O_O Ma che c’entra, io sono arrivata a scrivere (decentemente) solo dopo mille e mille riprove e tentennamenti. Solo l’esperienza, ecco che ci vuole! ^^ Beh, se ti può consolare Jamie in realtà è piuttosto bisex, ma ehi… E’ più o meno Teddy-oriented XD Grazie mille per la recensione, e alla prossima!
 
 
****


Capitolo II
 

 
 


Sleight of fate/ And borrowed clothes

Songs of places/ No one knows
Draped in lace we all lean over
To greet the great/ It's time
(Mind over Time, Interpol)¹
 
 
 
Germania, Isola di Rügen.
Mattina.


Quando si svegliava Thomas sentiva il rumore del mare.
Era continuo, lento e lo accompagnava ogni sera quando si addormentava e tutte le mattine quando la luce filtrava dai vetri incrostati di salsedine battendogli sul viso.
Nulla di diverso quella mattina; il sole sorse dietro la spessa coltre di nubi che affliggeva quasi perennemente Rügen e lo svegliò impietoso.
Dormire dentro un faro poteva sembrare poetico, ma portava a problemi non indifferenti quando camera tua era il vecchio ambiente della lanterna.
Si tirò a sedere sul letto, intontito. Sentiva il canto del gallo della fattoria annidarglisi nelle orecchie. Odiava quel pennuto.
Non viveva con Cordula e Meike. Era stata una scelta presa poco dopo esser riuscito finalmente a fare qualche passo fuori di casa senza rischiare di trovarsi bocconi a terra.
Era loro grato, ma sentiva che non sarebbe mai riuscito a vivere nella casa: era troppo… familiare.
Cordula così gli aveva proposto di stabilirsi nel vecchio faro che sorgeva a ridosso della scogliera. Agli occhi dei babbani sembrava un vecchio rudere privo di interesse, ma apparteneva agli Wollin da dieci generazioni – o qualcosa del genere. Una volta serviva per dirigere il traffico delle navi magiche della zona, ma adesso era adibito a deposito di cianfrusaglie.
A Tom non dispiaceva quella sistemazione. Era isolata, era sicura. E aveva imparato ad amare la vista a picco sulla scogliera. Se si metteva al lato ovest della stanza circolare l’unica cosa che vedeva era l’oceano Baltico.
Poteva passare ore a fissarlo.
Si infilò i pantaloni avvicinandosi allo specchio, che rifletté la sua figura pallida e vagamente ossuta.
Meraviglioso.

Aveva l’aspetto di un malato scampato alla morte. Secondo Cordula gli donava.
Lanciò un’occhiata allo stomaco, privo del segno che identificava ogni essere umano come cresciuto nel ventre materno, l’ombelico.
Fece una smorfia, distogliendo lo sguardo e infilandosi una camicia in cui praticamente nuotava.
Tra poco Meike sarebbe venuto a chiamarlo e dal quel momento sarebbe tornato Ian.
Adesso, per poco, sono ancora Tom…
Nessuno conosceva Thomas Dursley e c’erano dei giorni, c’erano stati dei giorni, i suoi primi giorni lì, in cui aveva fatto fatica a ricordarlo anche lui.
Tutti conoscevano Ian Morris, lo straniero venuto da lontano, come si sentiva chiamare spesso. Era ridicolo, ma da menti ristrette come gli abitanti di Putgarten si era aspettato precisamente quello.
E gli stava benissimo. 
Sentendo il freddo della mattina pungergli la pelle si infilò il maglione infeltrito che ormai era compagno delle sue giornate. Sapeva di sale e alghe e gli andava troppo corto sulle braccia. Glielo aveva dato Cordula, assieme a molti degli effetti personali di suo figlio. 
Non abbiamo la stessa taglia, e Cordula non sa né cucire né usare una bacchetta.
A parte questo, la donna si era rivelata la sua alleata più fidata. Era una maganò, tagliata fuori sia dal mondo magico che da quello babbano. Viveva a cavallo trai due mondi, quasi in un limbo.
Era perfetta.  
Strana donna, Cordula Wollin: aveva passato tre mesi ad accudirlo senza un ripensamento. Lo aveva sfamato, lavato e vegliato come se fossero parenti, ma potevano contarsi sulle dita di una mano le volte che si erano parlati per più di cinque minuti.
 
“Ian! Scendi, è pronta la colazione!”
 
Raggiunse Meike in fondo alle scale a chiocciola: la bambina giocherellava con un fiore, divertendosi a cambiargli colore. Tom sorrise: era un gioco che Lily adorava fare da bambina.
“Non farlo al villaggio.” La ammonì distratto.
Meike si imbronciò. “Non sono mica scema, sai?” Si aprì immediatamente in un sorriso però. “Oggi ho colto un mazzo di fiori bellissimo per la nonna… Mi piace l’estate, ci sono tanti fiori!”
La fattoria dei Wollin si estendeva per pochi, sparuti ettari. Un tempo doveva aver avuto delle ottime coltivazioni, ma adesso era lasciata all’incuria. Cordula viveva dei proventi del suo negozio di prodotti a base di alghe, e sembrava non servirgli altro.  

Tom guardò Meike saltellare trai ciottoli bianchi della stradicciola che congiungeva il vecchio faro alla casa. In quei mesi era stata una continua macchia di colore davanti agli occhi.
Era una bambina buffa. Aveva le lentiggini, e non le piacevano, i capelli sempre pieni di sale e vispi occhi verdi.  Parlava velocemente, mangiandosi le parole i primi tempi aveva avuto serie difficoltà a capirla. Una volta se l’era trovata ai piedi del letto, intenta a tastargli le gambe con attenzione scientifica: solo dopo due mesi Cordula si era degnata di spiegargli che sua nipote era assolutamente certa fosse un tritone venuto dal mare.
In effetti… è praticamente ciò che è successo, visto dove mi ha scaricato la passaporta.
Nel bel mezzo dell’oceano Baltico.  
 “Oggi andiamo in spiaggia, per le alghe!” Lo informò aggrappandosi al battente della porta di casa, tirando forte per farsi sentire, sebbene la porta fosse sempre aperta. “C’è bonaccia, si starà bene!”
“Vuoi portare il costume?” La prese in giro.
Meike gonfiò le guance, irritata. “L’acqua è sempre troppo fredda, lo sai! Mi è successo una volta sola che non lo era… ed era perché ho usato la magia, anche se non so come!” Fece un sorrisetto furbo. “Ma tu puoi scaldarla per me.”
“Non credo che tua nonna sarebbe contenta…”
“Non glielo diciamo!”
“Lo saprebbe comunque. Dovresti tornare a casa a cambiarti.” Le fece notare. Meike sbuffò contrariata, entrando con una spinta dentro la casa.
Tom la seguì e si sedette senza una parola al tavolo della colazione. La fattoria era una casupola di una manciata di stanze, con un’intonacatura che doveva risalire alla prima guerra mondiale e utensili non di molto più giovani. La figura bassa e tarchiata della padrona di casa sembrava parte dell’arredamento.

Lo era anche quella mattina mentre si affaccendava attorno ai fornelli.
Meike si stese annoiata sul tavolo, cercando di raggiungere la caraffa di succo di arancia con la punta delle dita. “Nonna, oggi posso andare a fare il bagno?”
“No, non se ne parla.” Fu la prevedibile risposta, mentre gli faceva scivolare nel piatto salsicce croccanti e uova spumose. Tom cercò di controllare la nausea che lo assalì. Non era colpa della cucina di Cordula, peraltro ottima, ma del suo corpo.

Per settimane, dopo che era stato portato in quella casa, si era rifiutato di assimilare qualsiasi sostanza che non fosse brodo di pollo.
Ancora adesso poteva contarsi le costole una per una.
Facendosi forza ingoiò una forchettata di uova, ascoltando pigramente il battibecco tra l’anziana e la bambina.
Meike aveva un bel caratterino. Ignorava platealmente i suoi silenzi i suoi malumori per seguirlo ovunque e chiacchierare, sempre. Non riusciva a capire perché quella bambina gli si fosse tanto affezionata.

Non sono certo un tipo simpatico…
 A dire la verità, gli ricordava per molti versi… Albus.
Ricordi?
Sentì di nuovo la nausea attaccargli la gola e la spense con un sorso di succo d’arancia.
Ricordava tutto. Nessuna amnesia, non era un romanzetto d’appendice per casalinghe: se le prime settimane le aveva passate in preda ad una febbre altissima, polmoni in fiamme e incoscienza quasi perenne, quando le pozioni avevano fatto effetto aveva cominciato ad avere momenti di lucidità abbastanza lunghi per poter dire loro chi era.
E aveva mentito.
Non esattamente.
Aveva omesso informazioni su di sé, ma inizialmente solo per temporeggiare: non sapeva chi fosse Cordula, se non che era era una maga. L’equazione era stata semplice: doveva nascondersi finché non capiva se era tra amici o nemici.
In seguito aveva scoperto che Cordula era una maganò e che viveva in un villaggio babbano dove gli abitanti erano ignari del fatto che al mondo ci fossero streghe vere.
A quel punto avrebbe potuto dir loro tutto. Ma non l’aveva fatto.
Per lo stesso motivo per cui non si era messo in contatto con Harry e la sua famiglia.
Perché devo sparire.
Se Doe era caduto con lui nella passaporta rotta poteva essere presumibilmente morto nell’oceano… ma Hohenheim era ancora vivo. E se aveva montato tutto quel teatrino, durato quasi un anno, per ritrovarlo…
È ancora una minaccia. E se tornassi da loro… Harry e Al sono quasi morti a causa mia.
Per mano mia.
Non si era trattato di un semplice rapimento. Aveva praticamente aiutato, o se non altro coperto, Doe mentre rubava i Doni; erano morte delle persone e ne erano state ferite altre.
Non deve succederà mai più …
E c’era dell’altro: quando finalmente si era rimesso in forze la sua magia aveva ben pensato di rivoltarglisi contro. Ogni volta che aveva tentato di avvicinarsi ad una bacchetta aveva quasi rischiato di far saltare in aria la casa. Lampadine rotte, vetri schiantati, piatti esplosi… Per non parlare di quando si infuriava di conseguenza.
Per mesi era stato un pericolo.
Cordula gli era stata vicina. Non riusciva neppure a far lievitare una piuma, ma in compenso aveva avuto un figlio mago, con una magia non intenzionale infantile piuttosto vivace.
La situazione si era stabilizzata negli ultimi due mesi. La sua salute si era del tutto ristabilita e la sua magia aveva smesso di comportarsi come se non gli appartenesse.
“Ian riscalderebbe l’acqua per me!” Sentì protestare Meike. “Ti prego, nonna, solo un bagno!”
“Ho detto di no.” La voce della donna era seccata, e gli lanciò un’occhiata esasperata. “Non esiste una magia simile, diglielo.”
“Ma l’ho fatta sul serio. E Ian saprebbe rifarla, lui è bravo!”

Tom a quel punto recitò il suo ruolo di ospite condiscendente. “Meike, non posso scaldare l’oceano Baltico solo per fartici fare il bagno. Non ne sono in grado e credo che comunque danneggeremo l’ecosistema.”
Meike si imbronciò di nuovo. “Non faccio mai niente di divertente!” Proclamò irritata, prima di scostare la sedia con uno stridio brusco e infilare fuori dalla porta.
“Si annoia, temo.” Disse, tanto per spezzare il silenzio che si era creato una volta uscita la bambina. Scostò il piatto, sperando che non notasse che l’aveva appena toccato. “Ed io non sono di compagnia.”
“Stravede per te.” Stornò Cordula con una scrollata delle spalle. “E mangia, non credere di fare il furbo.”
“Non ho fame.”
“Mangia.” Ripeté, ignorando le sue proteste. Tom fu costretto a obbedire. Sarebbe stata capace di piantarglisi davanti se non avesse finito tutto. Infatti lo fece, mettendolo a disagio finché non ingoiò l’ultimo pezzo di salsiccia. Solo a quel punto gli tolse il piatto, lanciandogli una lunga occhiata valutativa. “Sei cresciuto ancora?” Chiese.
“Non credo, sarebbe grottesco.” Ironizzò. In questi mesi i dolori alle giunture erano stati poco più che un effetto trascurabile. Poi, verso maggio, Meike gli aveva fatto notare che la sua testa non aveva sempre sfiorato la parte superiore della porta. Si era sottoposto docilmente alla misurazione e la bambina aveva annunciato entusiasta il metro e novanta.

Sperava davvero di aver smesso di crescere.
“Grottesco? Se tu sei grottesco, io cosa sarei?” Sbuffò sarcastica, dirigendosi verso la piccola cucina. Da che era lì, Tom aveva sempre visto qualcosa sobbollire sul fuoco. Sempre. “Per questo la fidanzata del figlio del sindaco ti ha messo gli occhi addosso.”
Cordula poteva sembrare una vecchia stramba, ma non le sfuggiva niente. Mai.
“Davvero?” Non che non lo sapesse: se la ritrovava ovunque, non appena metteva piede al villaggio. Era imbarazzante.

E pure inutile…
“Ha il sangue cattivo, il giovane Heinemann. Vedi di stare attento.” Replicò, sedendosi con fatica, artrosi galoppante, sulla sedia di fronte a lui. Aveva il viso tondo di una mela raggrinzita e capelli vaporosi, bianchi, lasciati sciolti. Gli occhi piccoli e acuti trafiggevano le persone, non si limitavano a guardarle. Per questo probabilmente la chiamavano La Pazza: non era normale in nessuno dei due mondi.
Una maganò nel mondo magico, una strega, con quei suoi intrugli, nel mondo babbano…
Tom sentiva di capirla. Non c’erano mai state grandi conversazioni tra di loro, ma era scattata una sorta di empatia a pelle in quei mesi.
“Non sono particolarmente preoccupato per le spacconate del ragazzo immagine del villaggio.” Ironizzò.
“Eh, certo…” Sbuffò. “Ma devi tenere un profilo basso. Già la gente ti parla troppo addosso. Lo sentono, che sei strano. E pensa che i babbani non avvertono la forza magica…”
Tom serrò le labbra: la magia non era solo questione di sangue o dinastie. Era anima, carne e sangue.  
Ed io sono un stramaledetto patchwork.
“Cosa dovrei fare allora? Non posso certo nascondermi.”
Già lo faccio.
La donna raccolse con le dita delle briciole di pane. “Vedi tu…”
Ci fu un lungo silenzio, che Tom intuì preludesse un discorso serio. E infatti…

“Puoi restare qui quanto ti pare. Un ragazzo che sa usare la bacchetta mi è utile …”
“Ma…?” La incalzò. Cordula non sembrò impressionata dal suo tono freddo e inquisitorio. Non lo era mai del resto.
“Tu non sei un magonò come me. La magia ti respira addosso…” Soggiunse, con uno di quei suoi strani detti che non era mai sicuro di tradurre bene. “Questo posto non fa per te. Non fa neppure per Meike, infatti se ne andrà a Durmstrang a settembre.”
“… Come?”

Cadde dalle nuvole. Per otto messi tutto era stato immobile, immutabile. Stranamente quell’annuncio ebbe il potere di agitarlo.
Non deve cambiare niente qui, tutti i giorni devono essere una sequenza di routine identiche.
Non devo accorgermi di quanto tempo è passato…
Oppure…
La donna inarcò le sopracciglia. Tirò fuori dalla vestaglia lisa una lettera che strinse la stomaco di Tom in una morsa. Era praticamente identica a quella che lui aveva ricevuto sette anni prima, sebbene per Hogwarts. “L’ha ricevuta stamattina. Volevo dargliela, ma aspetto che abbia smesso di fare i capricci.” Notò il suo sguardo, e forse per tatto decise di intascarla di nuovo. “Tu cosa hai intenzione di fare?”
“Sono un po’ cresciuto per frequentare il primo anno a Durmstrang.”
“Sai cosa intendo.”
Tom si alzò in piedi. Sentiva un peso spiacevole sullo stomaco. Non lo abbandonava mai.

Ma aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornato indietro. Poteva essere vigliacca, poteva essere una fuga.
Ma la storia di Harry Potter e della sua famiglia non avrebbe dovuto comprendermi. Affatto.
Sto solo rimettendo a posto le cose.
“Allora?” Lo incalzò la donna.
“Niente. Assolutamente niente.”
Lo squadrò. Poi scosse la testa, alzandosi e andando a controllare il contenuto della pentola, che bolliva placida e fumigante. Gli dava le spalle, ma Tom ebbe l’impressione che continuasse a fissarlo.
“Quando tornerai a casa, ragazzo?”
Tom sentì le unghie scavargli la pelle morbida dei palmi, implacabili.
“Quando Meike si sarà stanca di giocare…”
“Non parlavo di questo.” Replicò brutalmente. “Ma della tua vera casa.”
“Non mi hai mai fatto questa domanda…”
“Fin’ora, sì.” Ammise. “Ma vedo ogni volta la faccia che fai quando ti ricordi qualcosa.” Replicò seria. “La lettera di Meike cosa ti ha ricordato?”
La mia lettera. I chiarimenti di Harry sulla mia nascita. La mia prima bacchetta. Il mondo di Harry che diventava finalmente anche il mio. Lo Smistamento. Al. Hogwarts. La fine del primo anno, quando papà mi ha chiesto com’era andata. Essere uno studente, essere chiamato Tom Oltre Ogni Previsione, essere un prefetto… Al. 
“Mi sembrava di avertelo già detto.” Sentiva le parole appiccicarglisi al palato come fiele. “Io non ho una casa.”

La donna lo guardò da sopra le spalle. “Allora perché ci pensi continuamente?”
Tom uscì sbattendosi dietro la porta.
 
 
****
 
 
Le onde si infrangevano qualche metro più sotto, sulla scogliera rocciosa dietro Kap Arkona.
Kap Arkona era la metà turistica più rinomata di Rügen e ogni anno centinaia di persone venivano per ammirare la scogliera impervia, interamente fatta di calcare.
Loro erano dal lato opposto della punta dell’isola, dove le scogliere erano un po’ meno bianche e c’erano più alghe. Meike aveva le gambe immerse fino alle ginocchia in una pozza d’acqua, risultato dell’alta marea, che scintillava al sole pallido e cercava di prendere con le mani dei pesciolini.

Tom agitò appena la bacchetta, mandando un consistente nugolo di alghe a riposare nel secchio di raccolta. Dovevano portarne a casa almeno cinque o sei chili. La magia poteva aiutare, ma doveva comunque stare attento anche alla bambina.
“Meike, vieni a darmi una mano…”
“Arrivo subito! C’è un pesce troppo carino! Voglio portarlo a casa!”

“Non sopravvivrà fuori dall’acqua di mare…” Replicò, beccandosi un’occhiataccia.
“E tu che ne sai?” Gli chiese indispettita, ravviandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e arricciando il naso. “Non sei mica un lupo di mare, tu!”
“Semplice deduzione.” Si strinse nelle spalle. “Non può sopravvivere fuori dal suo habitat naturale. È così per tutti gli animali.”
“Anche gli esseri umani?” Chiese curiosa. Non era affatto una stupida. Ormai si era abituato alle sue domande acute, anche se un po’ strambe.

“No, gli esseri umani hanno una cosa chiamata capacità di adattamento.”
“Anche i babbani, vero?”
Tutti gli esseri umani.” La corresse. “Specie, non genere.”
Meike sbuffò, scrollando le spalle. “Parli difficile…” Lasciò perdere il pesce e la pozza, arrampicandosi agilmente sugli scogli, fino alla sua postazione. Gli si accoccolò accanto, pensierosa.

“La nonna ha molta capacità di adattamento. Perché sai, non la vuole nessuno. Né i babbani né i maghi. Però a lei non frega.” Considerò attorcigliandosi attorno alle dita la maltrattata ciocca di capelli. “Perché è una maganò.” Si mordicchiò il labbro. “È una cosa triste, però.”
Tom si tolse le ciocche di capelli dal viso con un movimento ormai automatico; il vento salmastro frustrava la faccia ad entrambi. Entrava nei polmoni e li liberava. Però era solo un’illusione. Non si sentiva libero.

“Sì, lo è…”
“Non sarebbe bello se ci si potesse trovare bene dappertutto?” Calcò sulla parola. “La mamma non mi voleva, perché ero strana … e non ci riuscivo mica, ad essere come voleva lei, ad adattarmi. Così era triste…  e allora la nonna mi ha presa con sé. Ora la mamma ha una nuova famiglia. Credo sia felice.”
Tom non disse nulla, ma lasciò che gli appoggiasse la guancia contro una gamba. Non apprezzava particolarmente l’invasione del suo spazio personale, ma Meike era solo una bambina che aveva ricevuto poche carezze dalla vita. Non gliele elargiva, non era nelle sue corde, ma neanche le rifiutava.

In fondo era un buon compromesso.
“E tu Ian? Tu sei bravo ad adattarti… guarda quanto veloce hai imparato la lingua!”
“Non credo di esserlo invece.”
Lo scrutò da sotto in su. Gli occhi di Meike erano verdi. Scuro, a volte castani, ma con quella particolare luce lattiginosa…

 
“Secondo te, Tom… che cavolo c’è di così particolare nei miei occhi?”
“Sono verdi.”
“Mmh, acuto. Il Barone sanguinario… hai presente?”
“Riesci a pronunciarlo senza spaventarti? Notevole, Al.”
“Ma va’ al diavolo! Dicevo… mi ha detto che li ho dello stesso colore di un Avada Kedavra.”
“… poetico…”
“Agghiacciante, vuoi dire! Insomma, perché secondo te sono così particolari?”
“Io penso che siano semplicemente tuoi.”

“Beh, ma anche papà e Lils li hanno così.”
“Non hanno la stessa espressività. Li hai enormi.”
“… cos’è un complimento o in insulto?”
“Vedi tu.”  

 
“Per questo non vuoi tornare a casa?”
La domanda lo colpì quasi con la forza di uno schiantesimo. Smise di raccogliere alghe,  abbassando la bacchetta. “… Chi ti ha detto…?”
“Lo so che ce l’hai… una casa, dico.” Disse piano, quasi si vergognasse. “Ce l’hanno tutti, ce l’ho anche io ad Hannover, da mia mamma e la sua famiglia. Però non è ci voglio tornare… Non vuoi tornare neanche tu?”

Tom sentiva il legno consumato della bacchetta del padre di Meike tra le dita. Era freddo, estraneo.
“È complicato… Non è questione di volontà.” Inarcò un sopracciglio, dissimulando. “Vuoi che me ne vada per caso?”
Meike scosse la testa con forza. “Oh, no! A me dispiacerebbe tantissimo se te ne andassi! Ora che ci sei tu non mi annoio più così tanto.” La vide arrossire. “E tu non pensi che sono strana.”
“Non sei strana, sei una strega.” Replicò. “Quando andrai a Durmstrang conoscerai gente come noi. Ti farai degli amici e troverai persone che ti pesano esattamente per ciò che sei.”

“Ma tu non verrai con me…” Si imbronciò. “Anche se secondo la nonna non hai neanche finito la scuola.”
Tom suo malgrado sorrise: quella vecchia aveva una capacità ammirevole di misurare le persone.

Se non fossi certo che è incapace del benché minimo incantesimo direi che è un’esperta legimante.
“Te la caverai.”
“Però tu non farai amicizia con Anneke quando non ci sarò, vero?” Alzò la testa, squadrandolo.
Tom fece mente locale.
Ah, la fidanzata del figlio del sindaco…

“Non vedo perché dovrei.”
“Vuole che diventi il suo ragazzo!” Lo accusò, come se fosse colpa sua. Aggiunse anche una botta sul braccio.  

Tom sospirò. “Non lo diventerò.”
Meike parve poco convinta. “Dicono tutti che è molto carina…”
Sospirò di nuovo: otto mesi avevano solo rafforzato le sue convinzioni in materia di attrazione sessuale. Certo, le ragazze del posto non erano particolarmente degne di nota, ma neppure Anneke, oggettivamente graziosa, smuoveva nulla nella sua tempesta adolescente.

C’era una sola persona che l’aveva fatto.
E sarebbe rimasta la sola, per quanto lo riguardava.
“Diciamo… che mi piace più la compagnia dei ragazzi, Meike. Non come i ragazzi del villaggio, no.” aggiunse, vedendo che formava le parole con le labbra. “In ogni caso non troverei piacevole la compagnia di Anneke.”
Meike parve riflettere, poi si aprì in un sorriso. “Meglio! Quella è una scema!” Sogghignò, prima di scendere dallo scoglio. “Le alghe, Ian! Siamo indietro con il lavoro, poi la nonna s’arrabbia!”
Tom sbuffò appena.
Bambini…
Per certi versi era molto meglio spiegare a loro, che al resto del mondo.
La seguì, sorvegliandola mentre raccoglieva manciate di alghe brunite e le depositava nei tre secchi di plastica azzurra.
Meike dopo un po’ alzò lo sguardo verso il mare, rabbuiandosi. Tom fece lo stesso.
Fece una smorfia: conosceva quell’imbarcazione scrostata, che rispondeva al nome cinematografico di Selma. Era quella di Arno Heinemann, il figlio del sindaco. Un paio di ragazzi della sua cricca erano sul pontile e si esibivano in risate gutturali, generosamente innaffiate da lattine di birra.
“Che cavolo vogliono quelli?” Borbottò Meike, giustamente prevenuta. Il figlio del sindaco era un idiota talmente pieno di sé da ricordargli i purosangue del calibro di Terrance Montague.

“Non fare caso a loro.” Disse, prima che un fischio lo facesse inevitabilmente voltare.
“Ehi Morris!” Urlò Arno, con il suo largo viso arrossato, uscendo dalla cabina del timone. “Facciamo quattro chiacchiere!”
“Ian…” Sussurrò Meike. Arno Heinemann era anche conosciuto per avere un temperamento da rissa immediata. Tom aveva smesso di contare le volte che era stato preso di mira.  Avevano sempre evitato lo scontro diretto perché beh… Non era difficile eludere gli incontri con un idiota che girava con un pick-up rumoroso anche per andare a comprarsi le sigarette.
“Va tutto bene.” Le sorrise, irritato.
Ci sono dei momenti in cui sposerei le idee razzistoidi di una parte del mondo magico.
Prima di ricordarmi che certi imbecilli ci sono in entrambi i mondi.
Si premurò di dare le spalle alla barca mentre intascava la bacchetta nei pantaloni. Dopo aver mollato gli ormeggi scesero tutti, Arno in testa.
“Ehi finocchietto!” Latrò raggiungendolo, infastidito dall’essere ignorato.   
L’unica illazione corretta di tutte quelle che hai detto alle mie spalle…
Si raddrizzò, pulendosi le mani dal sale e dai rimasugli di alghe. Fece cenno a Meike di allontanarsi, e quella obbedì, con due occhi grandi di paura. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Lo sai.” Confermò sputando tra gli incisivi storti un grumo di saliva che si andò ad infrangere ai suoi piedi. “Devi stare lontano dalla mia donna.”
Tom assottigliò gli occhi, meditabondo. “Quale delle due che hai dietro?”
“Figlio di…” Iniziò quello coi pugni più grossi. Arno lo bloccò con un braccio.

“Sai di che parlo, Morris. Stai lontano da Anneke o ti faccio il culo.” Ruggì. A Tom venne quasi da ridere: avrebbe potuto sbatterlo in mezzo all’oceano solo pensandolo.
Era migliorato negli incantesimi non verbali e la bacchetta, se si fosse concentrato abbastanza, avrebbe anche potuto non servirgli.
Forse.
“Ma davvero…” Cominciò.
“Ian!” Lo chiamò Meike. “No, per favore.”

Serrò la mascella mentre scrutava il viso volgare e sarcastico di Arno.
Meike aveva ragione. Anche se li avesse obliviati, dopo aver dato loro qualche lezione di magia… nessuno gli assicurava che non sarebbe arrivato il Ministero tedesco a far luce sull’accaduto.
Lo statuto di segretezza è una norma a rilievo internazionale…
Fece per afferrare uno dei secchi, ma Arno fu più veloce e glielo calciò addosso, infradiciandolo. Le risate dei suoi amici furono l’immediata conseguenza.
“Ops, scusa. Volevo solo passartelo…” La smorfia sulla brutta faccia di Arno gli ricordava quella di John Doe e quella di Montague.

E come loro, aveva il potere di passare ai fatti all’azione più velocemente di quanto credesse.
Sentì il cazzotto del ragazzo colpirgli lo stomaco. Crollò a terra, sbattendo duramente le ginocchia contro la roccia degli scogli.
“Ian! Lasciatelo stare!”
“Vattene dal nostro villaggio, stramboide!”
La bacchetta era solo nella sua tasca. Avrebbe potuto…
Un secondo calciò lo spedì lungo disteso a masticare sabbia e fanghiglia.
Ian!” Meike fece per raggiungerlo, ma fu afferrata di peso da uno dei tre, e bloccata.
“Sono otto mesi che stai qui, inglese… e sono successe cose strane. Esplosioni, lampioni che scoppiano come pop-corn… strane luci sulla collina. Dì, un po’, che mostro sei?”
Tom rimase in silenzio. La prima parte l’aveva accolta senza preoccuparsi: nessuno poteva provare che fosse stato lui, tanto che si pensava a sbalzi di corrente elettrica, frequenti in quella parte ventosa dell’isola. Solo un idiota suggestionabile come Arno poteva avvicinarsi alla verità… e non rimanerne illuminato.

Ma le luci sulla collina…?
Credevo fossero questi idioti con le luci dei loro furgoni…
“Pensi che sia un alieno?” Ghignò, mentre tentava di relegare il dolore dei colpi in un angolo della sua testa. “Sei piuttosto lontano dalla verità…” Alzò lo sguardo e si specchiò negli occhi slavati e furenti dell’altro ragazzo. “E lasciate stare la bambina.”
“Perché, altrimenti cosa fai? Ci vomiti addosso?”

Altre risate. Meike soffocò un singhiozzò, mentre tentava di liberarsi senza riuscirci. Sua nonna le aveva insegnato a non usare la magia con i babbani, ed era troppo spaventata per usare quella non intenzionale.
Allora pensaci tu, no?
Tom sentì quella voce accarezzargli i meandri più nascosti del suo animo. Gli aveva fatto compagnia spesso in quei mesi. 
Non era pazzo, era più uno spillo nella sua coscienza.
Non aveva idea se fosse Lui. O se fosse semplicemente una parte di sé.
Farebbe poi differenza?
Però a volte si faceva sentire, e …
Perché no?
“Lasciateci in pace.” Chiese, o forse pretese.  
“Solo se mi lecchi la suola delle scarpe, Morris. Magari ti piace, finocchietto…”
Non permettergli di parlarti così. Non a te.

Sarai un patchwork, ma gli permetti di umiliarti?
Sentì la magia incendiargli le vene. Vide con la coda dell’occhio Meike irrigidirsi: era una bambina sensibile. Non c’erano lampadine che segnalavano qualcosa che non andava, ma lei lo aveva sentito lo stesso.
Gli chiese, si chiese se gli sarebbe piaciuto, per caso, schiacciare la testa di quel ridicolo idiota con un sasso. O fargliela sbattere sugli scogli, tutto da solo.
Poi ricordò. Di nuovo.
 
“Cosa dici Doe, anche se non sono il padrone, funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al. “No! Sei impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.

 
Inspirò bruscamente e prese la bacchette da dietro la schiena, dove l’aveva incastrata trai passanti della cintura. La infilò sotto la manica. Era un movimento che in quei mesi aveva fatto tante volte.
Everte Statim.
Quell’incantesimo era un po’ il suo marchio di fabbrica. Come l’expelliarmus per Harry.

Arno perse l’equilibrio e fu letteralmente scaraventato nel mare spumoso sotto di loro.
 Arno!” Urlò uno dei ragazzi, quello che reggeva Meike, liberandola e correndo assieme agli altri verso la riva. “Oh merda, Arno!”
Tom si sentì comunque deluso. Sensazione curiosa, come se avesse tradito se stesso.

E visto chi ero, è la cosa migliore che potessi fare.  
Si rialzò e recuperò i due secchi superstiti allungando il terzo, vuoto, a Meike che lo guardava incerta. I tre ragazzi per fortuna sembravano essersi dimenticati della loro presenza, più occupati a cercare di recuperare il loro leader.
“Non dovevi…” Sussurrò piano.
“Un po’ d’acqua non lo ucciderà.” Le sorrise appena. “Torniamo a casa.”
Avrei potuto fare di peggio.
“La nonna si arrabbierà…”
“La nonna non lo saprà.” Le accarezzò una guancia bruciata dalle efelidi. “Non è vero?”
Meike arrossì e Tom seppe che non avrebbe detto nulla. Lanciò però un’occhiata alle sue spalle, e perse colore.

“Ian…”
Tom sospirò, e quando si voltò vide all’imbocco del sentiero per la scogliera la figura tozza e piantata di Cordula, quasi una sfinge giudicante.
Nessun riposo per i cattivi²…

 
 
****
 
 
Non aveva pranzato e stava rischiando di non cenare.
Cordula doveva proprio avercela con lui.
Tom si puntellò sulla vecchia sedia a dondolo che la donna gli aveva concesso di riparare e portare nella sua stanza, al faro. Non aveva mai avuto una sedia a dondolo. Era comoda.
Un gatto sulle ginocchia e potrei fare il signore del male…
Per il momento, in mancanza di cibo, si limitava a litigare con il vetusto lettore cd che era riuscito a scovare all’emporio del villaggio. L’aveva pagato pochi euro e andava ancora a pile. Alcaline.
Vivo nel ventesimo secolo…
Era stato più difficile reperire dei cd con cui usarlo. Ma una gita alla città più grande dell’isola, ottenuta con la compiacenza del padrone stesso dell’emporio che gli aveva dato un passaggio, aveva risolto il problema.
Era riuscito a recuperare poca roba, ma se non altro aveva sventato l’eventualità di suicidarsi dalla noia in quei mesi.
Non sarebbe stato male avere il suo lettore mp3. Chissà se era stato ridato ai Dursley come suo effetto personale…
È questa la procedura, no?
La sua famiglia… la sua vera famiglia. Gli mancava. Quello poteva ammetterlo senza conseguenze dolorose. Si sentiva in colpa. Suo padre non avrebbe capito molto, sua madre avrebbe cercato di farlo, ma senza riuscirci. Vern probabilmente avrebbe cercato di impossessarsi del suo pc. Sperava che Alice difendesse il presidio. Sperava che si fosse trovato un ragazzo migliore dell’ultimo, un completo idiota.
Mi dispiace…
Chiuse gli occhi. Quel particolare gruppo era l’unico gruppo che gli piacesse davvero trai pochi cd che aveva recuperato nella sua spedizione verso la modernità babbana. Quella canzone, poi, era stata fidata compagna di tante serate.  Al avrebbe detto che era triste e incazzata.
Icastico.
 
[…]Even though I know, I suppose I'll show
all my cool and cold, like old job
Despite all my rage
I am still just a rat in a cage³

 
“Buonasera, Signor Eroe Tragico.”
Era raro che Cordula usasse il sarcasmo. Non ne era priva, certo. Ma lo usava con parsimonia e solo per frecciatine orribilmente mirate.
Tom aprì gli occhi, voltandosi verso la voce. La donna reggeva una pentola e una bottiglia di birra.
“Non mi piace la birra.”
“Beh, ti arrangi. O il signorino è troppo viziato ed ha bisogno del menù?” Interloquì, abbandonato pentola e bottiglia sul piccolo tavolo pieghevole da pic-nic che gli faceva anche da scrivania di fortuna.

“Stasera sei particolarmente acida…”
“E tu particolarmente stronzo.” Replicò senza battere ciglio o mostrare nessuna emozione. La ammirò.
Si alzò dalla sedia, togliendosi le cuffie. “Senti, per oggi…”
“Meike non voleva dirmi nulla. Sembrava un topolino, muto. Le hai proprio insegnato bene, eh?” Lo accusò, perché era un’accusa, Tom lo intuì dal tono. “Ti giri le persone attorno a un dito, quando vuoi. Peccato che io non ci caschi. Sono troppo vecchia per farmi smuovere da un paio di sorrisi di un mocciosetto pelle e ossa.”
“Ma se oggi avevi detto che sono bello…” Ironizzò, cauto comunque.

Cordula scrollò le spalle. “E lo usi come arma, invece che come caratteristica. Vuoi un applauso?”
Aveva un modo di arrabbiarsi che stimava. Non dava in escandescenze. Affilava la lingua e lo sguardo.
Se non fosse stata una maganò tedesca, sarebbe stata una perfetta serpeverde…
“No…” Ammise, sedendosi al tavolo mentre controllava il contenuto della pentola. Era una zuppa di patate e carne. L’odore gli fece capire che aveva fame. “Perché mi hai portato la cena qui?”
“Perché voglio parlarti senza avere Meike che origlia.” Si sedette davanti a lui.
“Vorrei mangiare…” Tentò.
“Te lo sto forse vietando?” Replicò impietosa. “Allora… parliamo. Ti ho dato la bacchetta di Karl per farti scaraventare ragazzi in mare?”
“Mi aveva picchiato.” Borbottò, prima di ingoiare una cucchiaiata di zuppa. Gli bruciò la trachea, e vide uno scintillio di soddisfazione nelle iridi della donna.

Stronza…
Ingoiò il boccone stoicamente.
“Probabilmente perché hai usato quella lingua da serpentello per stuzzicarlo. Hai imparato anche troppo bene il tedesco…” Sbuffò. “Che ti ho detto milioni di volte? Ignorare, ignorare, ignorare. Questa gente non ha in simpatia quelli come te. Non bisogna dar loro un pretesto…”
“Per insultarmi, darmi dell’omosessuale e aggredirmi?” Le suggerì iroso, buttando il cucchiaio nel piatto, con un rumore secco. “Quel microcefalo non è degno di pulirmi le scarpe con la lingua e voleva che lo facessi io a lui. Non figurativamente.”

Si sentiva un adolescente stupido e irritato. E notando lo sguardo di divertita pazienza della donna, dietro la sua faccia immobile, capì che lo era definitivamente.
“Ti fa rabbia?” Gli chiese. “Essere visto come il mostro del villaggio?”
“Mi hanno accusato anche di fenomeni paranormali, fai tu…” Mormorò, riprendendo a mangiare. Aveva fame sul serio: usare la magia gli metteva appetito.

“Quelle accuse non sono del tutto infondate.” Replicò Cordula con una scrollata di spalle. “Se ti dà tanto fastidio… è perché tu non sei fatto per stare qua.”
“… Ancora con questa storia?”
“Finché non ti sarà entrata in testa.” Corrugò le sopracciglia. Doveva aver avuto un volto gentile, prima che la vita la privasse del marito e del figlio. Adesso era incisa nella pietra. “Ian… non saprò fare magie e non saprò adattarmi alla tecnologia babbana, ma non sono stupida. Tu menti, ti nascondi. Ed hai paura.”
Tom sentì qualcosa di freddo irradiarsi lentamente dallo stomaco. Era la paura con cui si svegliava ogni notte, urlando, fradicio di sudore. Era il volto ghignante di Doe che gli appariva nei sogni, e quello viscido del primo proprietario della sua anima. Voldemort.

Si versò un bicchiere di birra, sorseggiandolo finché non sentì il calore dell’alcool riempirgli lo stomaco.
“Mi hai sempre detto che non mi avresti chiesto niente…”
“E non lo sto facendo.” Obbiettò. “Sono passati otto mesi. Tre li hai passati a letto, tra la vita e la morte. Due a riprenderti… e i restanti a fingere che fosse questo il posto in cui volevi restare.”
“Non…”
“Sei in sospeso.” Alzò la mano per impedirgli di continuare. “Questo posto è un limbo tagliato fuori dalla vita moderna babbana, ma pure dal mondo magico. Ho visto come sei avvezzo alla tecnologia e quanto sei dotato con la magia. Tu sei vissuto in entrambi i mondi e da entrambi stai scappando. Ci ho preso?”
Tom non disse nulla, avendo l’impressione che la donna fosse davvero una legimante.

Quello era un discorso che aveva avuto per molto tempo dentro di sé. Forse era l’idea che la nipote sarebbe partita, ma sembrava che Cordula cercasse di far abituare anche lui all’idea che tutto poteva cambiare.
Che stava già cambiando.
“In questi giorni sei nervoso, più del solito. Cosa succede in questi giorni, Ian?”
“È il compleanno del mio padrino. Domani.” Mormorò, così piano che fece addirittura fatica a sentirsi. Ma nella sua testa rimbombò come dentro una maledetta cattedrale. “Quell’uomo… è stato come un padre per me.”

“E ti manca?” Cordula gli mise una mano sulla sua. Era calda e callosa ed era la prima volta che lo toccava da mesi, da quando era tornato ad essere autosufficiente.
“No…” Mentì. Perché usare una particella affermativa, ne era certo, lo avrebbe fatto crollare. Si alzò di scatto, sentendosi improvvisamente compresso. “E comunque non ha importanza. Non posso tornare da loro. Avrei dei guai, avrebbero dei guai. Stargli lontano farà bene a tutti.”
Cordula sospirò, raccogliendo il piatto di zuppa ormai freddo e rovesciandolo nella pentola. “È davvero così grave se tornassi?”
“Ci sono delle persone… che mi cercano. E non sono del genere che lascerebbe in pace me… o le persone a cui tengo. E loro… hanno bisogno di pace. Non l’hanno avuta per anni, hanno combattuto per averla… se la meritano.”
Cordula annuì grave. “La guerra magica, immagino.”
“Già.” Evitò il suo sguardo. “E poi… ho fatto delle cose tremende in Inghilterra. Non ho ucciso nessuno, ma ci sono andato maledettamente vicino.”

Era più di quanto gli avesse detto in otto mesi. Tom non credeva alle ricorrenze come momento che stimolava i ricordi e la nostalgia.
Fino ad adesso.
Il compleanno di Harry era una tappa imprescindibile durante l’anno, da quando era bambino. Significava la Tana Weasley, partite di Quidditch da cui stava lontano miglia, cibo propinato in ogni singola ora del giorno. Ma anche poter leggere alla frescura dell’albero di melo dove Al si dondolava sull’altalena. Parlare fino all’incoscienza prima che Al crollasse. Vedere la luce della luna brillare da una feritoia e illuminargli il viso.
Dannazione…
Cordula studiò la sua espressione. “Sei proprio un eroe tragico.” Scosse la testa. “Pensi a ciò che è giusto e inevitabilmente fai star male tutti, te in testa.”
“Non sono affari tuoi…”
“Che novità.” Ironizzò, riprendendosi la pentola e alzandosi in piedi con uno sbuffo. “Quando mio figlio scelse di abbandonare la magia per sposare la donna che amava… sai perché non l’ho fermato?” Tom attese, visto che probabilmente non serviva dare risposta. “Perché passare una vita lontano da chi e ciò che sia ama, non è vita. E non fai un favore a nessuno, neanche a te stesso… specialmente se rischi di essere rincorso con i forconi da metà dei nostri vicini di casa.” 

Tom capì. “Stai dicendo che devo andarmene?”
“Sto dicendo che è ora di tornare. Non ti sei punito abbastanza?”
Tom serrò le labbra, e si buttò sulla sedia a dondolo.
Non doveva pensarci.
Non…
Cordula che stava prendendo in consegna pentole e bottiglie, alzò la testa al sonoro Pop! della smaterializzazione.
Sorrise.

 
Tom quasi sbatté contro la cabina telefonica a cui aveva puntato smaterializzandosi.
No, non si sarebbe mai abituato alla schifosa sensazione di sentirsi comprimere dentro un tubo. Le prime volte aveva rischiato di spaccarsi, ma per fortuna i suoi episodi di magia accidentale infantile avevano creato un buon precedente su cui lavorare.

Certo, il mio corpo di allora aveva molta meno massa da ricomporre…
Si infilò dentro la cabina. Le dita gli tremavano mentre componeva il numero di casa Potter.  
Sei ridicolo. Smettila subito.
Non smise, naturalmente. Dovette digitare un paio di volte il numero per comporlo correttamente.
La linea era libera e squillava ad intervalli regolare. Gli sembrava, era ridicolo, che il suo cuore battesse a quel ritmo sincopato.
Avrebbe risposto Harry, probabilmente. James ci urlava dentro, con gran fastidio di tutti e Lily lo ignorava. Ginny aveva sempre l’impressione di fare la cosa sbagliata, e delegava volentieri.
Cosa avrebbe potuto dirgli?
Buon compleanno Harry, anche se manca un giorno. Come vanno le cose lì? La mia famiglia sta bene? Ah, sono ancora vivo, sì.

Avrebbe potuto rispondere Harry.
Oppure…
 
“Casa Potter, con chi parlo?”
 
… oppure Al, l’unico che utilizzasse con cognizione di causa il telefono. Glielo aveva insegnato lui, del resto.
Era la sua voce. Era più profonda, più matura adesso. Però c’era sempre quell’intercalare dolce. Non era l’accento del Devonshire, era proprio suo.
Merlino.


“Pronto, ehi? C’è nessuno?”
 
Ci sono io, Al.
Ma non riusciva a aprire bocca. Voleva dire un milione di cose e tutte gli sembravano ridicole, inadatte, inappropriate.
Otto mesi.
Ci fu un’esitazione dall’altro capo del telefono. La magia non correva lungo i fili di comunicazione babbana e di certo il filtro abusato di quel telefono non captava il suo respiro, peraltro maledettamente vicino a rompersi.
Ci furono una manciata di secondi nel quale nessuno dei due parlò.
Al non poteva capire chi era.
 
“… Tom, sei tu?”


Ma poteva sentirlo.
Il suo Al era sempre stato quietamente straordinario, Tom lo pensava davvero.

Riattaccò di colpo, con violenza. Sentiva il sudore, gelido, scorrergli lungo la nuca. Appoggiò la fronte contro la cornetta tiepida. Gli sembrava bollente.
Otto mesi, ridicolo coniglio. E se non ti volessero più?
Come diavolo si usciva da una situazione del genere?
 
 
Harry lanciò un’occhiata al figlio, mentre masticava un boccone. Si bloccò quando vide che Al non parlava con nessuno ed era immobile come una statua di sale.  
“Al, qualcosa non va?” Chiese Ginny, mentre scacciava la mano di James dalla porzione del fratello.
Il ragazzo si voltò. Aveva un’espressione stranissima in viso, stimò Harry.
Sembrava a metà tra la rabbia, l’incertezza e una gioia selvaggia.
“Era Tom.” Disse semplicemente. Sembrava non avere la minima intenzione di lasciare la cornetta.
“… Come tesoro?” Mormorò Ginny.
Harry inghiottì il boccone, pulendosi maldestramente le labbra. “Albus, sei sicuro?”
“Harry…” Sussurrò la donna con sguardo ammonitore.

Non provarci… – sembrava dire la sua espressione – Non dargli corda.
Cercò di ignorarla mentre si alzava, liberando la cornetta dalle dita del figlio e rimettendola al suo posto. Erano serrate forte, fino a farsi sbiancare le nocche, notò.
“Era Tom.” Ripeté Al, e gli tremava la voce. “Era lui.”
 
 
****
 
 
 
Note:
1. Qui la canzone.
2.Titolo di un album dei Black Sabbath “No Rest for the Wicked”
3.Bullet with butterfly wings, Smashing Pumpkins.  
Qui la canzone.
Vabbeh che le ho messe ovunque, ma se a qualcuno fossero sfuggite… Tho.
Tom
Al
Rose
Scorpius
James
Teddy

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Ciao! Causa vacanze mi sa che siete diminuiti, ma ehy, chi si lamenta ancora? Sarei un bel po’ ipocrita! Partendo per Budapest domani l’aggiornamento della prossima settimana… err, salta.
Sorry, e buone vacanze! :D
@altovoltaggio: non penso tu sia pazza, penso tu sia fantastica! Commenti così meravigliosi ogni volta… mi vizi! :D Sì, l’errore sul Baltico è stato grossolano, e non sei l’unica a segnalarmelo… quindi, grazie! (fa sempre piacere, so che è strano, ma è perché vuol dire che ci tenete alla completezza delle informazioni e state attenti :P) Al è alto 1,75 circa… è un po’ nanerottolo per la media Weasley ma è comunque nella media maschile. È Tom che è esagerato come al solito XD Se vuoi ti dico l’altezza di tutti (perché sì, l’ho supposta, perché sono una donna malata) Se Tom è cresciuto così tanto è… beh, i ragazzi crescono a quell’età, è vero, ma Tom non è un ragazzo normale. Comunque era già alto di suo, quindi ha solo aggiunto centimetri. XD Se Tom tornerà a scuola… beh, diciamo solo che gli faremo frequentare il Settimo, anche se dovrà avere un piccolo escamotage, perché teoricamente non ha passato il sesto, come hai detto tu. ^^ Grazie mille per i complimenti! :D
@ElseW: Wow, troppi complimenti, rischi di farmi arrossire! XD Tom muoverà il dannatissimo culo qui, promesso. O forse qualcun altro lo farà per lui :P
@MyriamMalfoy: Teddy è un gran fusto, vero? E vedrai che s’aggiusterà tutto! ^^
@Agathe: Ahaaha, beh, in effetti Meike dovrà per forza andare a Durmstrang ^^ TomStu diventerà il prossimo soprannome… anche se mi ricorda troppo GaryStu XP
@Andriw9214: Ciao! Precisamente, hai capito perfettamente Al! XD La nonnetta è calcata su mia nonna, e quindi non poteva non essere sveglia… XD Grazie a te per la recensione! :D
@Mikyvale: Beh, cavolo, accidenti, grazie! :P Beh Al diciamo che ha un sesto senso per quel coglione di Tommy. Sempre avuto. XD Meike non credo la abbandonerà. Del resto ci sarà un certo Torneo TreAccademie… e Durmstrang è una di quelle, ergooo… XD Alla prossima!
@MissBlackSpots: Ciao! Ahaha, beh, non è facilissimo in effetti, non avendo messo lo stesso titolo (err, odio le ripetizioni) ma grazie comunque per essere passata! Ciao!
@Lillyylunap: Adoro quando qualcuno mi trova per caso! XD No, apparte gli scherzi, grazie per aver letto tutto! Non sai quanto piacere mi faccia! Specie se non sei una fan dello slash… e qui siamo pieni! XD Specie se di solito ti piace il canon Teddy/Victoire (che io non sopporto, ma vabbeh, odio quasi tutto quello che la Row ha accoppiato -_-) … e se ti piacciono le Lily/Scorpius e sei passata all’altra fazione… ti stringo la mano! XD Grazie mille, per tutto!
@Simomart: Ciao! Beh, sì… forse mi riesce meglio perché è un originale. Tendenzialmente lo sono tutti, visto che la Row non ci ha scritto sopra che per un paio di righe. Però non lo so, sarà una cosa psicologica. Wow, l’idea del Faro-prolungazione-di-Tom è… intensa. E chissà, forse incosciamente ho seguito proprio il tuo ragionamento! (Adoro i fari, comunque ;P) Meike sì, assomiglia un po’ a Lily… beh, anche perché siamo all’inizio e ancora non ho caratterizzato la piccola di casa Potter (Che comunque non è certo innocente come una decenne XD) In ogni caso i capitoli personaggio-centrico sono finiti, anche perché mi serviva fare una panoramica totale… forse ce ne saranno degli altri su ciascun personaggio, su Lily di sicuro, ma sarà in seguito, si riprende con il vecchio adagio adesso. XD Mi piace molto anche che vi sia piaciuta Cordula. Era sta pensata come un personaggio secondario, ma tutti me l’avete fatta vedere quasi come un cardine. E poi volevo parlare meglio della condizione dei maghinò. Quanto c’è di più triste? Non appartieni ad entrambi i mondi… ed era qualcuno così che doveva vegliare otto mesi su Tom, per me… XD E magari sensibilizzarlo un po’. Ho corretto le imprecisioni che mi hai segnalato… grazie!
@Trixina: Oh, guarda se parliamo della Meyer potrei fare un flame mai visto… la odio, la detesto per tanti e molteplici motivi XD Essì, Tom è un codardo… ma ci penserà Al! XD
@LauraStark: Cordula rulez! XD Apparte gli scherzi, hai proprio ragione!
Sophie: Essì, otto mesi sono tanti, era ora! (lo dice lei, che ce l’ha spedito… err, esigenze di trama!) Sicuramente il pugno di Al non glielo leva nessuno.
@Cloto: Meike penso che sarà presente anche in seguito nel “cast” XD … e comunque tranquilla, Tom non andrà a Durmstrang… ma ad Hogwarts, con annessi e connessi del caso… Ciao e grazie!
 
****

Capitolo III
 



 
 

Che sia l'amore tutto ciò che esiste è ciò che noi sappiamo dell'amore;
e può bastare che il suo peso sia
uguale al solco che lascia nel cuore.
(Che sia l'amore tutto ciò che esiste - Emily Dickinson)
 
 
 
 
31 Luglio 2023
Inghilterra, Devon, Ottery St. Catchpole.
La Tana.
 
La festa di compleanno di zio Harry era un modo per ritrovarsi. Non proprio tutto il clan Potter-Weasley ma buona parte sì.  
In ogni caso, Rose Weasley era tornata.
Hugo accanto a lei, tirò su con il naso e si aggiustò tra le braccia l’enorme pacco regalo.
“Cristo, se m’era mancata casa! Cara e vecchia Inghilterra…” Borbottò, con un sorrisetto ispido. Era cresciuto ancora, diventando ancora più allampanato. I capelli colo carota erano stati rasati sulle tempie, seguendo l’esempio guerriero di zio Charlie. Le efelidi gli erano esplose in faccia assieme ad un’onesta abbronzatura. A lui piacevano, Rose era felice di non essersele trascinate dietro nel corredo genetico.

“Puoi dirlo.” Gli sorrise, aggiustandosi una ciocca sfuggita dalla coda di cavallo.  
Ron si voltò, verso i due figli rimasti indietro, ancora psicologicamente dipendenti dall’aria condizionata della macchina, una mercedes che aveva di magico solo la capacità di occultarsi e volare. “Forza, ragazzi!” Esordì allegro. “Siamo in ritardo!”
“Questa è tutta colpa tua Ron.” Lo rimbeccò Hermione, irritata dall’afa che minava il controllo sui suoi capelli. “Non capisco perché non abbiamo usato la materializzazione congiunta, come fanno tutti.”
“Eddai Herm, lo sai che poi Hugo vomita!”
Grazie papà.” Sibilò il ragazzo mentre le orecchie gli prendevano fuoco.
Rose gli accarezzò la spalla, simpatetica. “È anche perché non sono così brava a materializzarmi da sola…” Lo consolò. In ogni caso, c’era un motivo per cui lei aveva sempre scelto la madre.
Guardò con affetto la Tana, che si ergeva sbilenca svoltato il crinale: era sempre pronta ad accogliere e lasciar andare, con la stessa dolce affezione.

Adorava quel posto.
Anche se vorrei trovarti da tutt’altra parte, al momento attuale…
Era tornata solo da poche ore dalla Romania. Tempo di farsi una doccia, indossare un vestito di stoffa fresca ed era stata trascinata in una riunione familiare.
La storia della mia vita…
L’unico motivo per cui non aveva ancora cercato di scappare o addurre scuse era che doveva controllare Albus.
Non lo vedeva da quasi due mesi e le sue lettere non le piacevano. Erano troppo quiete.
Hugo agitò leggermente il pacco, quasi aspettandosi che ticchettasse.
“Tesoro non agitarlo…” Lo ammonì Hermione distratta, varcando il cancello malamente incassato nello steccato che recintava la proprietà.
Hugo lo guardò preoccupato, memore dei traumi conseguiti alla riserva di draghi. “Morde?”
Rose ridacchiò, guardando con inspiegabile urgenza il cielo; del resto non era come se potesse chiamare un gufo.

Devo comunque trovare il modo di contattare Scorpius e fargli sapere che sono di nuovo qui.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che si erano visti. Certo, si scrivevano con frequenza quasi preoccupante, ma una cosa era sentirlo sproloquiare attraverso una penna, l’altra era trovarsi faccia a faccia.
Dubito fortemente che zio Harry l’abbia invitato alla sua festa…
Hugo la guardò con cipiglio depresso. “Stai pensando a lui?”
Rose avvampò, tirandogli una gomitata fraterna che lo fece boccheggiare. “Chiudi quella ciabatta, Hughie.”
“Attenta sorella.” La ammonì serio. “Se papà sapesse…”

Papà lo sa, o non mi avrebbe allontanata dall’isola.
Alzò gli occhi al cielo e si trovò in dirittura di sguardo James, appollaiato sul tetto con una sigaretta tra le labbra. Le fece cenno di fare silenzio, indicando la suddetta.
Scosse la testa, senza riuscire a nascondere un sorriso. Sillabò il nome di Al. Se non poteva assolvere al suo ruolo di ragazza, sarebbe stata cugina.

James scosse la testa, indicando sotto di sé.
In casa. Probabilmente in soffitta. Per Nimue, sta diventando un misantropo.

“Mamma, io vado a cercare Al…” Esordì non appena fu all’ingresso, cercando di evitare gli stritolamenti pieni d’amore familiare di sua nonna. “Tipo, adesso.”
“Saluta prima tuo zio.”
Rose sorrise all’ex eroe dei mondi, che al momento si trovava all’ingresso, un pacco sottobraccio e una tremenda maglietta marrone addosso. Sembrava che la collezione Weasley si fosse implementata dell’elemento primavera-estate.

Agghiacciante.
Lo baciò sulle guance, obbediente. “Buon compleanno zio.”
“Grazie Rosie. Al è in soffitta.” Gli sorrise di rimando, con quell’empatia straordinaria che lo rendeva fantastico agli occhi di tutta la nuova generazione. “Vai a tirarlo giù. Ti va?”
Non se lo fece ripetere.

Mentre saliva le scale tortuose e disassate della Tana, si rese conto che c’era troppo… silenzio, per essere la gioiosa festa di Harry Potter. Solitamente il compleanno di suo zio era un modo per far chiasso: era estate, tutti erano in vacanza e faceva abbastanza caldo per raid al laghetto o per lunghe partite di Quidditch.
O era troppo presto, o sarebbe stato un compleanno assurdamente compassato.
Cosa c’è di diverso quest’anno… a parte. Beh.
Sperava che almeno per un compleanno il dolore della perdita di Tom si sarebbe attenuato.
Vana speranza. E no, non mi sento particolarmente egoista a pensarlo. Stanno tutti soffrendo troppo.
Esitò, prima di posare la mano sul pomello della porta della soffitta.  
Non sembrava così depresso l’ultima volta che l’ho sentito.
In quei mesi di reclusione rumeni aveva cercato in ogni modo di tenersi in contatto con Al, anche se non era stato come essere lì.
Stupido papà.
Era stata tutta un’idea di suo padre spedirla assieme a suo fratello, con la cugina Dominique a farsi una vacanza in Romania.
 
“Così avrai tempo e tranquillità per studiare per gli esami di quest’anno. Sono importanti i MAGO, no Rosie? E poi zio Charlie non vede te e Hugh da sei anni!”
 
Adorava suo padre ma il sospetto, quasi certezza, che avesse una relazione con Malfoy l’aveva completamente obnubilato.
Le era mancato, Scorpius. Non avrebbe mai creduto possibile che le mancasse un membro esterno alla sua famiglia, essendoci cresciuta dentro ed avendo trovato lì tutte le sue figure di riferimento… ma erano stati due lunghi mesi, rotti soltanto dall’improvvisata per il compleanno del ragazzo.
Lo amava, poco da fare.
Anche se è pazzo.
Bussò alla porta. Non ebbe nessuna risposta. Sospirò: dunque Al davvero non aveva voglia di vedere nessuno? Spinse la porta con una mano, visto che era priva di chiavistelli. Trovò Al chino su una grosso mappamondo di legno, seduto a terra in mezzo a chili di polvere con la bacchetta stretta in pugno. Aveva le cuffie di un lettore mp3, per questo non l’aveva sentita.  
Riesce ascoltare la robaccia lugubre che si ascoltava Tom?
“Al!” Lo chiamò ad alta voce.
Il ragazzo alzò la testa, sorridendole in modo accecante. Non c’era più abituata e ne rimase frastornata. “Rosie! Ehi, sei tornata!” Saltò in piedi e andò ad abbracciarla con autentico e sincero trasporto.

Okay. Non sembra depresso.
“Ringraziando Merlino…” Borbottò, ricambiando l’abbraccio. “Ti vedo… bene?”
“Oh, sì. Sto bene.” Si staccò. Era alzato di qualche centimetro rispetto all’ultima volta, superandola e raggiungendo forse il metro e settantacinque. Sembrava che i maschi della sua famiglia crescessero solo d’estate, come le piante. In ogni caso aveva decisamente un aspetto più salubre dall’ultima volta che l’aveva visto. Era lo sguardo, intuì; era di nuovo acceso come un tempo.

“Che stavi facendo?”
Al arrossì, colto in castagna. “Stavo per scendere. Facevo, sai, un altro tentativo…”
“Per cosa?”
Corrugò le sopracciglia sorpreso. “Non te l’hanno detto?”
A Rose sembrò come essersi persa un passaggio importante. Fondamentale.

Solo, quale?
“Ehm, no… Vuoi andare in vacanza da qualche parte?”
Al fece una smorfia, rabbuiandosi di colpo, come si era illuminato. Era maledettamente su di giri, ecco cos’era. Esaltato. “Dovevo immaginarlo. Non mi crede nessuno. Beh, a parte papà.”
“A proposito di cosa?” Lanciò uno sguardo verso il mappamondo. Doveva essere appartenuto a qualcuno degli zii; ricordava fosse magico. Era incantato per segnalare la posizione di ciascun membro della famiglia. Probabilmente era servito per tracciare i viaggi di Bill e Charlie, prima che si stabilissero definitivamente.
“Tom ha telefonato.”
Rose sentì una voce dentro di sé emettere un urlo frustrato. Sapeva che era ingiusto nei confronti di Thomas e soprattutto di Al, ma era stufa marcia di quella storia.
È passato dentro una passaporta rotta. È praticamente come passare sotto il Velo in cui è morto Sirius Black, con solo una minima possibilità di essere rimaterializzato.
Zio Harry è stato chiarissimo!
Ma la sorpresa e la curiosità erano troppe, quindi chiese. “Ci hai parlato?”
Al si morse un labbro. “Beh, no, non proprio…”
“Al…” Se sua zia Ginny non era ancora riuscita a farlo ragionare, allora qualcuno doveva farlo.

Bentornata in Inghilterra Rosie.
“No, senti! So che era lui!” La fermò immediatamente. “L’ho riconosciuto!”
Rose sentì investirla un incipiente senso di impotenza. Di nuovo. L’aveva provato per tutto l’ultimo semestre scolastico, quando vedeva Al isolarsi dall’umana specie senza poter fare niente.
Elaborazione del lutto, zero.
Aveva letto molto in merito. Tomi di psicologia babbana, soprattutto. Era ridicolo sopravvalutarli, quando ne sapevano così tanto.
Potrei dire che questa è la fase di rifiuto… ma mi prenderei in giro da sola.
Al ha la certezza che quello stronzo non sia morto. E finché non l’abbandona, non potrà processare un bel niente.
“Sì, ma da cosa lo deduci?”
“Una sensazione.” Replicò. Poi si passò una mano dietro la nuca, guardando alle sue spalle, verso il mappamondo, unico oggetto là dentro non coperto da strati e strati di polvere. “Non mi crede nessuno, mi guardano tutti come se gli facessi pena. E probabilmente è così. Ma tu mi credi, vero?”
Rose deglutì, guardando i grandi occhi pieni di speranza – ridicolo gioco di parole con il colore dell’iride – del cugino. Desiderò trovare uno spigolo in cui sbattere la testa, come il più contrito degli elfi domestici.

“Sono tornata da un paio d’ore…” Disse semplicemente.
Al si morse di nuovo il labbro. Poi capì e prese un’espressione quasi umile. “Scusa… bentornata. Mi dispiace se ti ho aggredita. È che, capisci…”
“Va tutto bene.” Sorrise suo malgrado. “E poi, sì, mi sei mancato anche tu.” Sospirò: a parte il dovere di farlo rinsavire, del tutto irrilevante considerando che era cocciuto come un troll di montagna, doveva essere simpatetica. “Che incantesimo stavi provando?”
“Incantesimo localizzatore. Il mappamondo segnala la presenza solo di zio Bill e Charlie, perché erano presenti quando è stato incantato, ma stavo provando…”
“Ad incantarlo senza una traccia?” Meditò. “Non so se si può fare, o credo che zio Harry l’avrebbe già provato, no?”
Il sorriso sicuro di Al vacillò per un attimo, ma si riprese subito. “Sì, lo so. Ma tentare non costa nulla, no?” Scrollò le spalle. “Era per tenermi occupato, sai. È successo ieri e …”

 
“Non riesci a piantarla almeno per il compleanno di papà?”


Rose si voltò per trovarsi di fronte James, accaldato e di cattivo umore. Probabilmente si era beccato una strigliata da nonna Molly per aver fumato sul suo tetto.
Al serrò le labbra. “Lasciami in pace, sei asfissiante. E comunque stavo parlando con Rosie, non con te.”
“No, fammi capire.” Sbuffò incrociando le braccia al petto. Da dove erano spuntati tutti quei muscoli?

Sta davvero prendendo sul serio la cosa di fare il paladino della giustizia…
“Cosa dovrei farti capire?”
“Dovrei lasciare che ti rintani qui quando sotto tutti aspettano te per festeggiare papà?”
“Deve ancora arrivare Teddy e zia Dromeda. È per questo che sei nervoso?” Rimbeccò aspro, con una velocità di battuta che sorprese Rose. Di solito tendeva a non sfruttare i punti deboli altrui.
James illividì palesemente, scoccandogli un’occhiataccia. “Scendi, o ti ci porto di peso nanerottolo.”
“Ragazzi…” Tentò senza successo.
Lasciami in pace. Quale parola non capisci delle tre?” La ignorò Al: sembrava incredibilmente agitato. Probabilmente James tentava di smontare la sua tesi dalla sera prima, a giudicare dall’atmosfera tesa che si era palesata con il suo arrivo.

“La parte in cui blateri cazzate su Tom. Non è risorto, è morto.” Sbottò brutale. Rose ebbe l’istinto di prenderlo a calci, quando vide l’espressione ferita di Al.
Beh, questo prima che il suddetto alzasse la bacchetta contro James e mostrasse al mondo intero come avesse seguito le lezioni del secondo semestre di Incantesimi.
Il riverbero giallastro dell’incantesimo non verbale le sfrecciò a pochi centimetri dal viso, quando James lo vanificò con un sortilegio scudo.
“Siete impazziti?!” Tentò di farsi ascoltare, prima che James caricasse come un toro Albus e lo sbattesse a terra con uno spintone. “No, ehi!” Niente. Lo immobilizzò salendogli a cavalcioni e piantandogli una mano sul petto.

Al tentò di liberarsi, ma la differenza di peso era troppa e inoltre il fratello gli aveva bloccato prudentemente la mano che reggeva la bacchetta.
“Lasciami, mi fai male!”
“E tu non volevi farmene quando mi hai lanciato addosso quella roba?!” Sbottò James. “Sei fuori di testa, Albie!”
Non chiamarmi così!” Gli urlò in faccia.
Rose, dal suo cantuccio accanto alla porta, deglutì. Era indecisa se andare a chiamare gli adulti o lasciarli liberi di scannarsi. Il fatto era che la reazione di Al era stata spropositata.
James si comporta sempre da stronzo quando è preoccupato per qualcuno…

Lo so io, e lo sa Al.
Solo in quel momento Rose capì quanto il cugino si sentisse sotto pressione. Non avrebbe mai perso un compleanno di suo padre, né avrebbe levato la bacchetta contro suo fratello, non se…
“Lascialo Jamie.” Mormorò. “Credo che non stia mentendo su Tom…”
Al voltò la testa per guardarla. Non le sorrise, ma Rose si sentì un po’ meno in colpa per averlo lasciato due mesi da solo.
Crede di non stare mentendo.” Replicò l’altro ragazzo con una smorfia e senza mollare la presa. “Ma lo sappiamo tutti che …”

“Io gli credo.” Lo fermò. Non era questione che fosse vero o meno, alla fine. Ma solo quanto Al, la persona che più teneva al mondo a Tom probabilmente, ne fosse sicuro. 
James corrugò le sopracciglia, combattuto. La testa gli si svegliava solo nel momento dell’azione, raramente per ragionamenti logici in situazioni di calma placida. “E allora perché quel figlio di banshee non s’è fatto sentire prima?” Interloquì, soddisfatto.
“Sai, essere stato implicato in una faccenda come il furto dei Doni della Morte, avere un passato non chiaro in termini di nascita e aver collaborato con un ricercato internazionale farebbe venire qualche scrupolo di coscienza a chiunque.” Snocciolò meditabonda. “Anche se fosse in grado di tornare, forse avrebbe problemi a farsene venire la voglia… Sensi di colpa. Al ha rischiato di morire e così zio Harry. E Tom è molto legato ad entrambi.”
“È un cretino.” Confermò Al. “E lo sei anche tu, Jam. Ti togli?”
James sospirò, liberandolo e tirandolo su. Al era diventato parte integrante del pavimento, a giudicare da tutta la polvere che aveva sulla maglietta.

“Mi hai quasi schiantato, serpe…” Mugugnò James, in un’introversa offerta di pace.
“Veramente era una fattura gambemolli.” Accettò con un mezzo sorriso. “E sapevo che l’avresti bloccata. Altrimenti dovresti riconsiderare l’idea dell’Accademia.”
“Vaffanculo.” Sancì James, dandogli una pacca sulla spalla che sollevò un nugolo di polvere. 

“Se solo ci fosse un modo per avere la certezza che è, da qualche parte…” Mormorò Rose, mentre poteva sentire gli ingranaggi della sua testa liberarsi dalle ragnatele dell’isolamento rumeno e cominciare a lavorare. “Un incantesimo tracciante ha bisogno di una traccia. Quindi è escluso. Oltretutto Tom non ha con sé la sua bacchetta, quindi non è rintracciabile tramite quella.” Ci pensò. “Zio Harry che dice?”
“Ha aperto una pratica…” Rispose Al, distendendo i lineamenti in un mezzo sorriso, quasi sereno. Probabilmente il fatto che il padre gli credesse gli dava fiducia. “Ma ci vorrà del tempo. Tom potrebbe non essere nel mondo magico adesso. E se è in quello babbano… le cose si fanno complicate.”
“Procedure, procedure, procedure. Anche inoltrando la richiesta di coinvolgimento della polizia babbana ci vorrebbero settimane.” James fece una smorfia. “Burocrazia magica.”

“Non potrebbero fare la segnalazione i suoi genitori? I Dursley sono babbani.”
“La questione non è così semplice.” Ripeté James e stavolta Al non obbiettò. “Tom è un nato-babbano. Il che significa che sì, esiste per il loro mondo, ma anche per il nostro. E le due identità… come dire, ecco. Configgono. È… un caso di giurisdizione incrociata. Aggiungici lo Stato di Segretezza…” Fece un gesto vago, gemello dell’espressione frustrata del fratello.

“Dobbiamo avere pazienza.” Mormorò Al, e non sembravano parole sue da come praticamente le sputò.
Rose sentì la porta aprirsi dietro di sé. Si voltò e si trovò di fronte gli occhiali tondi e l’espressione perplessa di suo zio Harry.
“Ragazzi, siete pieni di polvere, che avete combinato?”
“Rotolato, mentre cercavo di farlo uscire.” Fece spallucce James. Rose notò una certa tensione nella risposta e imbarazzo generico da parte di entrambi. Sapeva il perché, e tacque.

Chissà se capiterà anche a me la fortuna di avere un padre imbarazzato ma che accetta.
Ah. Pia illusione.
Al ebbe il buongusto di spazzolarsi via un po’ di polvere e di rompere il silenzio. “Scusa papà, scendiamo subito…”
Harry scosse la testa. “In realtà… avrei bisogno un attimo di te.”
Il ragazzo lo squadrò perplesso. “Certo. Per cosa?”
“Per chi.” Lo corresse gentilmente. “Tom.”
La conseguente cosa che Rose vide fu la porta sbattuta. Al non aveva neanche pensato, probabilmente. Semplicemente aveva agito.

James si tolse un batuffolo di polvere dai capelli. “Non ho ancora capito come papà non li abbia scoperti.” Sbuffò. “Voglio dire. Al è palese.”
Rose fece un sorrisetto. “Mai sentito parlare di negazione?”
James alzò gli occhi al cielo, ridendo. “Credimi, fin troppo.”

 
 
****
 
Rügen, Putgarten.
Fattoria dei Wollin, sera.

 
Meike Wollin non era una scema.
C’erano molti indizi a supportare la sua tesi: punto primo, era capace di fare magie. Punto secondo, capiva quasi tutto quello che le diceva Ian. E Ian non era facile da capire, per niente. Un po’ era il suo accento, che cozzava con tantissime parole tedesche. Non glielo aveva mai detto, perché era permaloso. Un po’ perché parlava difficile, punto e stop. Gli voleva bene, beninteso, ma aveva spesso l’impressione che non si rendesse conto che aveva solo dieci anni.
Punto terzo, e ultimo, non la si faceva a Meike Wollin.
Quella sera, a cena, Ian aveva un’aria strana; non che di solito fosse un chiacchierone, ma non apriva proprio bocca e mangiava meccanicamente la buonissima zuppa di patate di sua nonna. Anche la nonna non sembrava aver molta voglia di parlare.
Così ci aveva pensato lei. Doveva essere una bella giornata, aveva ricevuto la sua lettera per Durmstrang!
(Anche se le faceva un po’ paura, comunque.)
“Ian, che succede?”
Nessuna risposta.
 
Meike rifletté: sapeva che non doveva insistere troppo, o si sarebbe irritato. Aveva un gran brutto caratteraccio, quando era di cattivo umore.
Decise di fregarsene, perché aveva quella sensazione. Era una donna, la parrucchiera diceva sempre che le donne dovevano dar retta alle proprie sensazioni.
“Ian?” Ripeté. “Che succede?”
 
Quella bambina era una continua sorpresa.
Era sensibile ai cambiamenti di umore altrui in maniera incredibile, considerando che aveva solo dieci anni. Alla sua età lui era completamente concentrato su sé stesso.
Ero una carognetta…
Ma Meike non era così, aveva capito che c’era qualcosa che non andava. E c’era.
Aveva deciso di andarsene, quella sera stessa. Cordula doveva averlo capito, ma taceva.
Non era stata una decisione facile: doveva loro molto e l’idea di lasciarle non gli arrideva particolarmente.
Ma vedeva uscite: con la bella pensata della sera prima sarebbe stato questione di poco tempo prima che gli auror inglesi, capeggiati da Harry Potter, rintracciassero la sua presenza.
E lui non si sentiva ancora pronto ad affrontare tutto quello: le spiegazioni ai suoi genitori, al mondo magico, il suo coinvolgimento in una vicenda che avrebbe potuto spedirlo dritto ad Azkaban, considerando che le leggi magiche erano molto meno flessibili di quelle babbane, illuminate dal principio della correzione.
Nel mondo magico si pagava, e basta.
E considerando che sono già maggiorenne…
“Ian?” Lo richiamò Meike. “Ti sei di nuovo messo a pensare?”
Le sorrise. Gli sarebbe mancata. Per otto mesi quel folletto di ragazzina era stata una presenza costante. Gli aveva permesso, e questo glielo doveva riconoscere, di non chiudersi nell’auto-recriminazione. Non poteva pensare cose orribili di sé stesso quando doveva ascoltarla o badare che non si sfracellasse contro uno scoglio o cadesse in mare.

“Meike, voglio essere onesto con te…” La vide arrossire e si sentì davvero disgustoso. “Me ne sto andando.”
Lo guardò confusa. “Dove…?”

“Via.” Riassunse conciso, rimestando il cucchiaio nella zuppa. Era persino riuscito ad abituarsi a quella cucina maledettamente speziata. Ma non gli sarebbe mancata, no.
La bambina lo guardò, succhiandosi un labbro pensierosa. Poi ci arrivò e sgranò gli occhi, in maniera dolorosa. “No! Ma perché? Torni a scuola anche tu?”
“No, lascio l’isola.”
“Vuoi tornare in Inghilterra?” Chiese finalmente Cordula, scrutandolo.

“No, non credo.” Dovette ammettere. “Non credo sia una buona idea.”
Prima o poi si torna sempre a casa…

Era una voce continua, nella sua testa, a cui cercava di sottrarsi. Ed era quella di Al.
Vuoi definitivamente rovinargli la vita? Perché non gli fai una bella cicatrice in faccia e lo reclami come tuo?
Serrò le labbra.
Meike gli tirò una botta sul braccio, riscuotendolo. “Non puoi andartene! Non sai neanche dove!”
“Ha ragione.” Le fece eco Cordula. “Dove hai intenzione di andare, se non sei in grado neanche di badare a te stesso?”

“Io so badare a me stesso.”
“Quanto può riuscirci Meike.” Ribatté impietosa. “Anzi, forse lei se la caverebbe meglio. Non è orgogliosa, testarda e viziata.” Soggiunse, facendolo sentire esattamente quelle tre cose. “Dovresti mantenerti, ti rendi conto? Trovarti una sistemazione e un lavoro. Anche se ti lasciassi la bacchetta di … la comunità magica tedesca è molto chiusa. A Berlino non c’è posto per un ragazzetto inglese pieno di sé…”
“Forse non intendo rimanere in Germania.”
“Considerando che sai solo la tua lingua madre e il tedesco, e male, credo proprio che tu abbia due sole opzioni.” Rimbeccò. Tom si frenò dallo scattare. Perché Cordula aveva ragione: era cresciuto amato e accudito, e lì, in Germania, era stato trattato praticamente come un ospite.  

“Imparerò.” Rispose aspro. “Non sono idiota.”
“Non lo sei, certo, ma prima di imparare a sopravvivere faresti meglio a finire di imparare ad essere un mago. Devi tornare a casa tua, pensavo lo avessi capito.”
“Non ho ancora deciso…” Replicò: c’era una parte di sé, la stessa che era consapevole fosse solo un bamboccio viziato, che voleva tornare a casa. Dalla sua famiglia, dalle sue due famiglie.

E l’altra, pragmatica, che gli faceva notare come a casa potessero aspettarlo anche diffidenza ed una cella ad Azkaban.
Sentì alla sua destra la sedia di Meike spostarsi di scatto. Si voltò in tempo per vedere la bambina infilare il corridoio. Poi il rumore della porta d’ingresso, sbattuta con forza.
Cordula non disse nulla, limitandosi a coprire il piatto della nipote.
“Ma che gli è preso?”
“Non riesce a capire cosa tu abbia in testa…” Commentò dopo un silenzio pesante come piombo. “Stai facendo soffrire tutti. Chi ti aspetta a casa, te stesso e persino lei…”
“Se ne andrà a Durmstrang.” Osservò confuso.

Cordula non rispose subito, di nuovo. Bevve un sorso di birra. “Proprio non capisci, eh? Sua madre l’ha abbandonata e mio figlio è morto da babbano. Meike sa bene quanto sia importante avere una famiglia. Potrebbe accettare che tu torni a casa, ma non che tu scappi… come ha fatto sua madre.” Fece una pausa in cui gli fece sentire tutta la sua disapprovazione. Dannato sguardo acuto. “Ora capisci, zucca vuota?”
E Tom capì. C’erano ancora un sacco di cose che non sapeva, se ne rendeva conto ogni giorno di più. Sulle persone, sulle cose. Ma poteva sempre imparare. Del resto, era la cosa che gli riusciva meglio.
Uscì fuori, dove batteva una pioggia fredda e torrenziale. Meike stava correndo verso la scogliera, ignorando lo scroscio d’acqua.
Sbuffò, raggiungendola di corsa, prima che si facesse venire la brillante idea di arrampicarsi durante uno scoglio durante la tempesta. La magia accidentale non avrebbe sempre potuto proteggerla.
“Meike!” La chiamò, mentre il rumore della sua voce si attutiva col rombo di un tuono. “Meike, vieni qui!”
La bambina si voltò, avendolo evidentemente sentito. “Va’ via!” Gli urlò, con la faccia lucida d’acqua, o forse di lacrime. “Sei uno stupido, Ian!”
“… Non è la prima volta che me lo dicono.” Mormorò tra sé e sé. “Lo so, sei delusa.”
Meike si morse le labbra, piantandosi in mezzo al sentiero. La luce se ne stava andando, tramontando oltre il mare, rendendo difficile vederla. Poteva solo intuire dov’era. “Sì! Perché hai paura?”
Tom esitò. C’era qualcosa in quelle due. Riuscivano sempre ad andare dritte al punto di tutti i suoi pensieri. Non era legimanzia, non era magia. Era una straordinaria empatia. Inspirò, e poi le rispose. Supponeva glielo dovesse.

“Perché quando tieni a qualcosa, sei sempre terrorizzato che qualcuno te la possa rovinare. E vorresti tenerla stretta, proteggerla e curarla… Ma la soffocheresti, e forse così le faresti ancora più male.”
In quei mesi aveva tacitato il violento bisogno di tornare e assicurarsi che Al non fosse diventato di qualcun altro. Che non l’avesse dimenticato. Che tutte quelle persone che aveva lasciato fossero ancora sue.
Era egoista, se ne rendeva conto: ma non riusciva a smettere di pensarlo.
“Hai paura di fare del male alla tua famiglia?”
“Molta gente prima di me gliene ha fatto.”
“Sì, ma non è mica colpa tua, quello che hanno fatto gli altri…” Calcò sull’ultima parola. “Tu hai solo paura! E non pensavo che eri così!” Lo accusò apertamente. “Mi dici che devo essere coraggiosa e tenere duro per la nonna, che un giorno sarò una grande maga e la porterò via da questo posto… ma tu non sei per niente coraggioso!”
“Meike…” I bambini erano orrendi specchi della verità e Tom cercò di non spazientirsi, o sentirsi particolarmente ferito. Fallì in entrambi. “Torniamo a casa, sta piovendo.”

“No! Tornaci tu!” Proclamò fiera, prima di dargli le spalle e cominciare a correre in direzione della collina che sovrastava la fattoria.
Tom soffocò un’imprecazione e le corse dietro; non poteva lasciarla scorrazzare per la campagna in mezzo ad un maledettissimo temporale con tanto di lampi e fulmini. Si chiese se prima che arrivasse lui Cordula lasciasse Meike libera di vivere la sue bizze in mezzo a fenomeni atmosferici potenzialmente mortali.

Conoscendola era piuttosto probabile. Quello è una scarica di ceffoni sul sedere al ritorno.
“Meike!” La chiamò inutilmente, risalendo il crinale, reso scivoloso dal fango. Quasi scivolò un paio di volte, mentre Meike saltellava allenata di punto fermo in punto fermo. “Torna qui!”
Odiava i bambini.
Alla fine riuscì a salire senza incidenti, sebbene inzaccherato di fango fino ai gomiti. La collina era larga e piatta e si estendeva per diversi chilometri quadrati, disseminata da arbusti e alberi. Terminava in uno strapiombo che si gettava direttamente sul mare, bruscamente, quasi un coltello l’avesse affettato lasciando intravedere la polpa bianca, di calcare.
Meike si era fermata di fronte all’entrata del bosco. La raggiunse, afferrandola per un braccio. Non si sarebbe fatto fregare di nuovo. “Adesso torniamo a casa.” La informò irritato.
Questo prima di vedere cosa Meike stava guardando, a bocca letteralmente spalancata.
Un cancello.
Stava guardando un cancello, alto più di sei metri, in ferro battuto e dalle volute complicate. Quello e la recinzione, sempre in ferro, che racchiudeva l’intera foresta.
… e da dove spunta questo?
“… Non c’è mai stato un cancello qui…” Mormorò la bambina, quasi leggendogli nei pensieri. “Non l’ho mai visto!” Fece per toccarlo con una mano, ma Tom gliela bloccò di scatto. “Ehi!”
“Non toccarlo. È magico.” Replicò, mentre un senso di allarme si faceva spazio nella sua testa. “Se non l’abbiamo mai visto prima è perché era disilluso. È troppo vecchio per essere stato messo di recente… e comunque avremo sentito i lavori.” 

Era magico, non c’era ombra di dubbio alcuno. E quel metallo, che a prima vista gli era sembrato ferro, era troppo lucido e scuro per esserlo. Non c’era ruggine, non c’era salsedine incrostata. Era fatto di un materiale che probabilmente neppure esisteva nel mondo babbano. “Andiamo via.”
“Non vuoi sapere cosa protegge?” Lo apostrofò, mentre gli occhi le brillavano. “Potrebbe esserci un castello! O un palazzo! Nonna non me ne ha mai parlato, potremo essere i primi che lo vedono!”
“Forse lo siamo. Tua nonna è una maganò, potrebbe non sapere che esiste. Probabilmente c’è un incantesimo di repello babbanum. Funziona anche per i maghinò, se non sono all’interno del perimetro incantato…” Ricordava ancora quando il sempiterno Mastro Gazza era rimasto troppo a lungo ad Hogsmeade, una sera di dicembre. L’avevano trovato il giorno dopo mezzo assiderato alla stazione. Non era riuscito a trovare l’entrata del castello.

“Io voglio entrare!” Protestò vivacemente, aggrappandosi alla sua mano, dimentica di averlo detestato cordialmente fino ad un momento prima.
I bambini sono così volubili…
“Se c’è un castello forse c’è anche un principe!”
“Ne dubito. Tua nonna saprebbe se ci fosse della nobiltà magica nei dintorni…”
“Oh, lei non dice un sacco di cose! Se le dimentica!” Replicò disinvolta. “Può darsi che si sia dimenticata di dirmi che qui vivono anche dei maghi! Potrebbero avere dei figli, dei bambini” Continuò. Tom poteva capire il disperato bisogno di Meike di stare trai loro pari. Ma quel senso di allarme continuava a non abbandonarlo. “Ti prego, Ian! Se l’hanno disicoso forse stanno per tornare!”

“Disincantato.” La corresse. “Non credo che tua nonna si potrebbe dimenticare di avere dei vicini di casa maghi, Meike… Torniamo a casa. Torneremo domani.” La blandì.
“Mi stai dicendo una bugia! Tu…” Non riuscì a finire la frase perché Tom dovette acchiapparla da sotto le braccia e tirarla via dalla traiettoria del cancello. Stava arrivando una carrozza a velocità sostenuta tirata, agli occhi della bambina, da funi invisibili.
Tom si nascose dietro il tronco di un albero, tirandosela contro.
La bambina si sporse per vedere. “Non ci sono i cavalli!”
“Ci sono…” Mormorò a mezza voce, mentre milioni di campanelli gli urlavano nella testa. “Solo che non puoi vederli.”
Erano Thestral, dai dorsi scheletrici lucidi di sudore e pioggia e dalle grandi ali membranose richiuse attorno ai fianchi. Non c’era alcun vetturino e la carrozza appariva nera e priva di appigli o bagagli.

Era inquietante.
“Che vuol dire?”
“Sono Thestral…” Le mormorò, posandole una mano sulla testa, nel vano tentativo di farle percepire che non doveva parlare ad alta voce. “Puoi vederli solo sei hai visto qualcuno morire.”
Lui aveva visto Ainsel Prynn. E gli era bastata per il resto della sua vita.

Improvvisamente la carrozza, freddo monolite apparentemente senza uscite, si aprì, rivelando una figura vestita di scuro, praticamente irriconoscibile alla scarsa luce del temporale. I movimenti erano veloci e pratici. Doveva essere giovane, Tom riuscì ad intuire soltanto questo.
Si accostò al cancello e tirò fuori dal lungo mantello invernale – considerando il tempo era perfettamente giustificato – una mano guantata. Lo vide togliersi il guanto e posare la mano nuda sulla serratura del cancello.
Quello si aprì di colpo, vibrando di un leggero lucore azzurrino. L’uomo risalì dentro la carrozza e quando il passaggio fu aperto a sufficienza, i Thestral ripresero la loro corsa.
“Entriamo!” Propose o forse ordinò Meike, cercando di divincolarsi. Ma Tom le era vicino abbastanza da poterla tenere ferma.
“No, è pericoloso. Non sappiamo che tipo di maghi siano i padroni di casa…” La prese quasi di peso, recalcitrante e se la mise di fronte, afferrandogli le spalle. “Hai visto com’è arrivato?”
“In carrozza!”
“In una carrozza senza segni identificativi, tirata da creature che sono invisibili alla maggior parte dei maghi. Non vuole che qualcuno lo segua, mi sembra evidente. Quindi noi non lo faremo. Torneremo domani, dopo che tua nonna ci avrà spiegato chi abita dietro questo cancello.”
Meike si morse un labbro, riottosa. Poi guardò oltre il cancello. “Domani. Quindi resti fino a domani.”
Tom suo malgrado sospirò. “Sì. Non avevo comunque intenzione di…”
“Tu resti fino a domani!” Replicò la bambina, afferrandogli la manica del maglione e tirando. “Resta.”

Tom subito dopo si sentì abbracciato. La sua testa gli arrivava poco sotto lo sterno.
Sospirò, stringendo appena la presa. Non era mai stato bravo negli abbracci, e non lo sarebbe stato mai. Era Al, quello bravo per entrambi. “Promesso. Ora torniamo a casa.”
 
 
****
 
 
Inghilterra, Devonshire, Ottery St. Catchpole.
La Tana. Notte.
 
 Al era seduto nelle scalette sul retro. La festa era finita da un pezzo ed era ormai notte fonda. Tutti dormivano nelle loro camere. Tutti, tranne lui.
Si rigirò tra le dita un accendino, che però non lo era.
 
Al guardava perplesso il padre accomodatosi sulla sedia preferita di suo nonno Arthur, nella vecchia rimessa. Sembrava pensieroso, stimò.
“Senti papà, mi spiace…” Aveva esordito, per spezzare il silenzio. “So di stare rovinando la festa.”
Harry aveva sorriso, togliendosi gli occhiali per pulirseli. Spesso Al si chiedeva se fossero davvero sporchi o fosse una routine inconscia. “Non stai facendo nulla, Albie. Sta’ tranquillo.”
“Okay…” Aveva accettato, calciando un batuffolo di polvere con la scarpa da ginnastica. “Volevi parlarmi… di Tom.” Richiamò, speranzoso.
“Ci ho pensato…” Aveva esordito il padre. “Sai, devo dire che questa cosa ancora non mi convince completamente. Tua madre se lo sapesse mi ammazzerebbe, puoi scommetterci. Ma forse c’è un modo per trovarlo.”
“Quale?” Al aveva sentito il cuore dare un’accelerata inquietante mentre deglutiva ansia.
Harry aveva sospirato tirando fuori dalla tasca… quello che sembrava un accendino, soltanto leggermente più grande del normale e di un materiale che sembrava acciaio.
“Che cos’è?”
“Ah, giusto, non l’hai mai visto. Questo …” Se l’era rigirato tra le dita. “… è il Deluminatore.”
L’aveva fissato confuso: sapeva a cosa serviva, ma cosa poteva c’entrare con il ritrovamento di Tom?
“Spegnere una luce ci aiuterà a trovarlo?”
L’uomo aveva riso brevemente. “Temo neppure metaforicamente… No. Quello che non sai, e che io e tuo zio Ron abbiamo creduto che fosse giusto tener nascosto, è l’altro uso che si può fare di questo oggetto.” Aveva preso un breve respiro. “Con il Deluminatore si possono anche trovare le persone, persino se sono lontane chilometri, e persino se non sia ha la minima idea di dove potrebbero trovarsi.”
L’aveva guardato incredulo. “Perché non l’hai ancora usato allora?”
Harry aveva sospirato, passandosi una mano trai capelli. “Non è così semplice. Questa… diciamo altra funzione, non si attiva automaticamente. Non è come farlo scattare per spegnere un lampione. Si attiva tramite un desiderio.” All’espressione confusa del figlio si apprestò a continuare. “Desiderio di essere vicino a quella persona, di… sapere la strada per riportarla da te.”
“Continuo a non capire… tutti vogliamo che torni!”
“Ma non tutti possono farlo funzionare. Ci ho provato, mesi fa. Appena ho avuto la conferma che poteva esserci la possibilità che fosse ancora vivo. Perché vedi… nel caso funzionasse, ma Tom fosse morto… la mia vita sarebbe stata in pericolo. Se è morto… cosa succede alla persona che desidera raggiungerlo?”
“… Muore.” Aveva terminato per lui. “È così?”
“In via teorica, sì. Questo oggetto è stato progettato e costruito da Albus Silente in persona…” Gli aveva sorriso. “Ma neppure lui probabilmente si era reso conto dei suoi poteri… Come tutti gli oggetti magici, può essere costruito per uno scopo, ma finire per averne anche altri. Capisci cosa intendo?”
“Credo di sì.” Aveva convenuto. “… Ma perché non ci sei riuscito papà?”
Harry aveva scosso la testa. “Non ne ho idea. Voglio bene a Tom, lo sai… ma evidentemente non funziona così. Tuo zio Ron riuscì a raggiungere me e Hermione, ma la situazione era diversa. Eravamo in mezzo ad una guerra, lui aveva paura che fossimo in pericolo… c’erano in gioco sentimenti molto forti. Esasperati, per meglio dire.” Aveva corrugato le sopracciglia, mordendosi l’angolo del labbro: era una cosa che aveva ereditato da lui. “Credimi, ci ho provato.”
Al aveva esitato, posandogli poi una mano sul braccio. Vedere suo padre impotente era qualcosa che all’inizio di quella storia l’aveva agghiacciato. Spaventato. Per un periodo ce l’aveva avuta persino con lui, perché non era in grado di fare come quando era bambino: rialzarlo e consolarlo dopo che era caduto e si era fatto male.

Adesso lo vedeva, lo vedeva veramente invece, con gli occhi lucidi e lo sguardo abbattuto. E  aveva capito che dopotutto anche i genitori erano esseri umani, per quanto sembrassero spesso irraggiungibili.
“Lo so papà… So che se avessi potuto, saresti andato a riprenderlo. Perché gli vogliamo bene. Anche se è uno stupido.”
Harry aveva riso, togliendosi gli occhiali per tamponarsi gli occhi con il fazzoletto. “Non hai idea di quanto fossi sciocco io alla vostra età. Ma probabilmente è giusto che sia così…” Si rigirò tra le dita ancora una volta l’accendino, poi glielo aveva passato.
L’aveva preso, senza neanche pensarci: non che ce ne fosse bisogno. Era leggermente tiepido al contatto. Suo padre doveva averlo tenuto in mano per tanto, tanto tempo.

“Al, ascoltami…” Gli aveva detto però. “Voglio che tu ti renda conto che potrebbe non funzionare. È successo solo una volta e non è detto che si ripeta.”
Annuì. “Lo so. Ma… se funzionasse?”
“Se funzionasse…” L’aveva guardato dritto negli occhi, e Al si era sentito inspiegabilmente orgoglioso. Suo padre si stava fidando di lui. Da uomo a uomo. “Sapremo dove trovare Tom.”

“Cosa dovrebbe succedermi?”
“Dovrebbe apparirti una sfera blu, molto luminosa. Ti entrerà nel petto, ma non preoccuparti, non farà male… sarà solo… calda, credo.  A quel punto saprai dov’è Tom. Ma devi pensarlo… e anche lui deve pensare a te. Ci dev’essere una comunicazione tra … bisogni, diciamo.”
Gli aveva sorriso: era un sorriso lievissimo, persino un po’ triste.

Se solo sapessi papà…
“Credimi papà, nel mio caso non è decisamente un problema.”
Harry gli aveva arruffato i capelli, alzandosi in piedi. “Adesso è meglio se torniamo alla festa. Tua madre si starà chiedendo dove siamo spariti .”

 


… E questo lo riportava al momento attuale. 
Aveva aspettato di sentire suo cugino Fred russare nel letto accanto al suo e poi era uscito. James aveva il sonno talmente pesante che anche quando aveva sbattuto contro i suoi piedi, uscendo, non si era svegliato.

Si rigirò il deluminatore tra le mani. Se le sentiva sudare.
Deve funzionare. Non può non funzionare.
Se lo strinse nel pugno finché non sentì che gli faceva male. Poi lo aprì con uno scatto secco, e sfregò il pollice contro la pietra focaia, producendo un click! metallico.
Portami da Tom. Portami da lui. Ho bisogno di lui e quel testone ha bisogno di me. Ne ha sempre avuto bisogno.
Portami da Tom.
Soffocò un’esclamazione di sorpresa quando vide quella sfera di luce azzurrina materializzarglisi davanti, simile alla luce fioca di una passaporta, o un fuoco fatuo.  
Ha funzionato!
Si sentì trattenere il respiro mentre si andavano vicendevolmente incontro. Avrebbe saputo finalmente dove si trovava. Finalmente.
Aspettò che gli entrasse nel petto, immobile nonostante si sentisse il cuore in gola. La sfera gli lambì il cotone leggero della maglietta prima di entrargli dentro. Fu come aver bevuto un sorso di burrobirra bollente; non fu una sensazione spiacevole.
Quello che fu spiacevole, fu sentirsi compresso in quello che sembrava terribilmente una materializzazione.
Realizzò solo in quel momento che non gli aveva chiesto di trovarlo, ma di portarcelo.
 
 
 
****
 
 
Germania, Isola di Rügen, Putgarten.
Fattoria dei Wollin. Notte.

 
“E poi il cavaliere nero fece pace con il suo amico, il cavaliere bianco?”
“Naturalmente. Tornarono al castello assieme, per altre mille, emozionanti, avventure.”
Meike sorrise soddisfatta, considerando che era riuscita ad estorcergli una storia. Non che capitasse spesso. Tom era più che certo di avere una fantasia ridicola, più che altro atta a rielaborare libri che aveva letto durante i suoi diciassette anni di vita. Ma alla bambina sembrava non importare.
“Adesso dormi.” Le intimò, ottenendo per tutta risposta una linguaccia. “Dico sul serio. È tardi, se tua nonna ti trova ancora sveglia si arrabbierà.”
“Oh, va bene.” Replicò tranquilla. “Buonanotte Ian.”
“Buonanotte.” Tom fece per uscire dalla stanza, mentre spegneva la luce. 

“Ian?”
Sospirò, ma non se la sentì di irritarsi. Non quella sera. “Cosa?”
“Il tuo amico cavaliere bianco è bello come dici?” Chiese, con quella vocetta sempre venata di curiosità.

Fece finta di pensarci. Sorrise. “Naturalmente.”
“Un giorno me lo farai conoscere allora?”

Tom sospirò divertito. “Buonanotte Meike.”
Scese le scale e vide Cordula seduta sulla poltrona davanti alla tv. Proiettavano un vecchio film in bianco e nero, ma lei dormiva. Si avvicinò e le tolse il bicchiere di liquore dalla mano e si assicurò che fosse ben coperta.
Tutti e due avrebbero trovato imbarazzante quel gesto, ma quella sera glissò. In ogni caso dormiva.
Poi uscì.
Fuori aveva smesso di piovere ed era uscito un sottile spicchio di luna, poco più che una parentesi nel cielo nuvoloso. Si incamminò verso il faro, mentre l’erba bagnata gli lambiva i pantaloni, infradiciandogli le scarpe.
Il castello sulla collina…
Non pensava fosse abitato da gente cordiale, così, d’istinto.
Quindi le luci che i ragazzi del villaggio vedevano erano quelle del Castello… Interessante.
Ma non devo farmi coinvolgere.
Aprì la porta di legno con un colpo secco della mano, prendendo la bacchetta e sussurrando un lumos.
E capì, d’improvviso, di non essere solo in quel brulo pezzo di terra che digradava verso il mare.  
C’era qualcuno che stava risalendo lungo la stradicciola impervia che portava dalla fattoria alla scogliera.
Il Faro era a metà strada.
Sentiva dei passi, per una bizzarra confermazione acustica di quel luogo.
E considerando che quel sentiero faceva parte della proprietà dei Wollin, e quindi era privato…
Diresse il fascio di luce della bacchetta verso il delimitare dello steccato e aprì il cancello di legno. La luna era di nuovo stata oscurata da un grosso accumulo di nubi e non vedeva oltre al suo naso.

Ma i passi, quelli, poteva sentirli.
Richiuse dietro di sé lo steccato. I passi erano sempre più vicini.
Eppure, la cosa assurda era che non si sentiva in pericolo; si era sentito molto più in allarme quando aveva scoperto quel cancello.
Era più… aspettativa.
“Chi c’è? Fatti vedere!” Chiese in tedesco. I passi si fermarono di colpo, come erano apparsi. Poi ripresero. Stava correndo adesso.
Svoltata la curva creata da una roccia che franata anni prima lo avrebbe visto.
Vedrà prima la mia bacchetta…
Ed è quello che l’altro vide, infatti.

Ma lui vide chi era l’altro. Era…
“Al…”
 
 
 
****
 
 
Note:
Cliffhanger! :D
Mi odiate, lo so. Qui la canzone totem.

Per chi vuole vedere la piccola Meike… questa simpatica bambina Qui rende bene l’idea.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Un giorno prima, per motivi logistici!
Mi dispiace di non aver fatto in tempo a rispondere alle vostre meravigliose recensioni. Purtroppo sono (di nuovo) in partenza, stavolta per la montagna. E lì, ovviamente, non arriva neanche il telefono. Internet viene guardato con odio e sospetto, quindi, capite… :/
Ringrazio ognuno di voi, se riesco salvo le recensioni e rispondo integrandole con le prossime! :D Grazie! Un benvenuto a Neely!
 
 
****
 
 
Capitolo IV
 
 
 



If I traded it all, if I gave it all away

For one thing, just for one thing
If I sorted it out, if I knew all about
This one thing wouldn’t that be something¹
(One Thing, Finger Eleven)
 
 
 
Germania del Nord, Isola di Rügen.
Notte.

 
Era stato un atterraggio traumatico.
Il Deluminatore non era una passaporta e ovviamente non si era comportato come tale.
Ad Albus era sembrato di essere stato disintegrato e poi, certo, ordinatamente ricomposto.
Questo prima di essere scaricato su una spiaggia, in mezzo all’acqua limacciosa della battigia, la cui sabbia assomigliava più a sassi che altro.
Era crollato violentemente di schiena, come se fosse stato sbattuto impietosamente da una mano esterna. Era dovuto passare più di qualche attimo prima che riuscisse a capire di essere ancora vivo.
Quando si era rialzato, si era trovato di fronte il mare.
La sorpresa era stata tale che per quasi un minuto l’aveva contemplato stupefatto: il silenzio lì era perfetto. Non si vedevano forme di vita, né navi, né città. Era stato portato in una piccola baia, racchiusa su se stessa. Si era rialzato, cercando a tentoni la bacchetta nella tasca dei jeans. L’aveva ritrovata solo qualche attimo più tardi, conficcata nella sabbia come una piccola spada nella roccia.
La ghiaia marina crepitava sotto le suole delle sue scarpe da ginnastica quando si era allontanato verso la spiaggetta. Il mare sembrava infinito, senza isole o confini di mezzo.
Era un oceano.
Spirava un vento gelido, inadatto alla sua maglietta di cotone sottile, peraltro fradicia.
Dovunque fosse, quella non era l’Inghilterra.
Non siamo più in Kansas, Toto… - Aveva pensato, citando un film babbano che Lily adorava.
Aveva cercato di orientarsi, senza trovare un solo punto a lui familiare. L’angoscia l’aveva assalito allora, e aveva stretto il Deluminatore fino a sentirlo diventare bollente come la sua mano. Se l’era infilato in tasca poi, al sicuro. Suo padre non poteva sbagliarsi, questo era stato l’unico pensiero che non l’aveva fatto scivolare nella paura più genuina. Se il Deluminatore l’aveva portato lì, significava che lì c’era Tom.
Quando gli occhi si erano abituati alla luce lattiginosa della luna che ogni tanto si degnava di far capolino tra le nubi, aveva scorto una sorta di piccolo sentiero inerpicarsi per la parete di roccia che formava un muro a strapiombo di fronte a sé. Sembrava stato fatto da mani umane, il che significava che probabilmente non doveva trovarsi in un posto disabitato.
Si era fatto coraggio, aveva stretto la bacchetta e si era incamminato per il sentiero, abbastanza largo da fargli dimenticare che sotto di sé c’era centinaia di rocce aguzze.
Aveva freddo, era confuso e spaventato… ma c’era qualcosa che lo muoveva, qualcosa che gli faceva mettere un passo dietro l’altro.
La speranza che Tom potesse essere lì.
E poi c’era la paura: e se Tom fosse stato in pericolo o in una brutta situazione?
Sapeva che sarebbe stato utile più o meno come un cagnetto. L’esperienza dell’anno scorso aveva solo rafforzato la sua convinzione di non essere un uomo d’azione. James era quello che sguazzava nelle situazioni estreme; lui preferiva rimanere in disparte e pianificare.
Davvero ironico che poi in situazioni del genere ci finisca sempre io…  
Aveva risalito lo strapiombo, ringraziando i suoi allenamenti di Quidditch annuali, con un leggero fiatone ma le ossa ormai gelate; infatti il vento gli frustava i vestiti umidi, appiccicandoglieli addosso. Capì di stare tremando solo quando vide la sua bacchetta ondeggiargli davanti al naso.
Poi sentì qualcosa. Non era certo di cosa fosse stato, se un rumore di passi o di erba calpestata.
Quello che aveva sentito dopo invece, era stato chiarissimo.
Era la voce di Tom.
Era la sua voce, anche se parlava in una lingua che non conosceva.
Era stato come essere investito da un tifone di sentimenti completamente diversi l’uno dall’altro. C’era stata gioia, speranza, confusione. E poi rabbia e di nuovo confusione.
Aveva dato retta all’istinto e non alla sua ragione; era corso verso la voce.
E poi c’era stato lui.
Tom, ancora più allampanato e magro di come ricordava – ma forse era solo una sua impressione.
Tom coi capelli lunghi a lambirgli il collo e gli occhi scuri, perché avevano il colore del mare. Sia di giorno, che di notte. Si era reso conto solo in quel momento di quanto lo riflettessero veramente, e non fosse solo un accostamento poetico.
Era Tom. Vivo, che respirava e stava di fronte a lui come otto mesi prima. E l’aveva riconosciuto, aveva capito chi era: aveva visto il lampo di sgomento che gli aveva attraversato il viso.
Si ricordava di lui, stava bene ed era da solo.
 
E non è tornato.
 
L’aveva pensato di colpo. E sempre di colpo non si era mai sentito così infuriato in vita sua.
 
 
****
 
 
Era Al.
Esserselo trovato davanti era stato come essere stato costretto a respirare sott’acqua.
Si era sentito affogare, letteralmente.
Il respiro gli si era bloccato per lunghi momenti all’altezza del petto, senza riuscire ad uscire.
Ripresosi dal momentaneo sgomento, non sapeva cosa fare.
Si umettò le labbra.
“Al…” Chiamò di nuovo. “Cosa… che cosa ci fai qui?” Gli chiese, sentendo le sue orecchie riabituarsi al suono della sua lingua madre. Era stranissimo.
Al era lì, e ovviamente stava bene. Doveva stare bene. Ma c’era qualcosa nella sua espressione, nei lineamenti del suo viso, di maturo. Qualcosa che aveva poco a che fare con la persona che aveva lasciato otto mesi prima.
Al era sempre Al, ma lo sentiva cambiato. E la cosa lo smarriva. Orribilmente.
L’altro ragazzo intanto sembrò essersi scongelato dalla sorpresa. “Che vuol…” Disse, così piano che quasi gli sembrò di non sentirlo. “… Che vuol dire?” Fece una pausa, in cui vide la sua espressione stravolgersi, da sbalordita a furiosa. “Tu stai bene.”
Tom non capì subito a cosa si riferisse. Gli sembrava quasi che fosse un sogno, frutto della sua mente. In realtà non era lì, ma al faro, nella sua stanza, a dormire.

“Sì, io…” Tentò, ma fu subito fermato.
Tu stai bene!” Ripeté, e il tono di voce alzò di volume. “Ed io non lo sapevo!”
Tom serrò appena le labbra. “Al, io…”

Maledizione.
Non c’erano scuse, se ne accorse con terrore mentre vedeva lo sguardo dell’altro ragazzo passare da un’emozione all’altra con la velocità di una giostra impazzita. Le poteva riconoscere tutte, perché Albus era un libro aperto quando era sotto pressione.  

E gliele aveva scatenate lui.  
C’era qualcosa, terribile a dirsi, che dentro di lui esultò.  
“Rispondi!” Lo incitò, mentre la linea delle sopracciglia sottili si corrugava così tanto da confondersi, nella penombra. “Che significa tutto questo Tom? Dove siamo? Che diavolo ci fai qui, quando sai che ti aspettiamo tutti a casa? Che hai fatto in questi fottuti otto mesi?!”
Tutte ottime domande. Tutte domande giuste a cui doveva rispondere.
Ma…

Non voleva parlare, voleva toccarlo. Così violentemente che gli mancava il fiato. E non se lo meritava, e non era appropriato, e non era giusto.
Ma è ciò che voglio.
Provò a muovere un passo, Al però fu più veloce di lui. Gli puntò la bacchetta al petto; la sentì premere contro l’osso dello sterno, dolorosamente. Si arrestò immediatamente.
“Che vuoi fare?” Gli chiese guardingo.
Non era così stupido da non rendersi conto che non lo stava semplicemente allontanando: gli stava dicendo a chiare lettere che non lo voleva neanche nel suo spazio personale.
Guardò le labbra dell’altro, tese fino allo spasimo in una linea sottile, e i suoi occhi, enormi, adesso ridotti in una linea sottile.
È ciò che ti meriti. Che ti odi. Gli avevi promesso che ci saresti sempre stato.
Invece lo hai abbandonato. Li hai abbandonati tutti.
“Non ti azzardare a toccarmi!” La sua voce ebbe l’effetto di una frustrata bollente. “Voglio sapere perché sono qui adesso! Sono arrivato con il deluminatore, lo sai?” Lo tirò fuori dalla tasca. Era davvero un accendino, come Harry gli aveva sempre detto. “Sono venuto io. In questi mesi… in questi mesi hanno tutti pensato che fossi morto! Tutti! Tutti tranne io e papà!” Continuò mentre la voce gli si riempiva di respiri spezzati. “E mi dicevo che eri… che stavi…”
“Al.” Lo fermò: la verità era che non sapeva cosa dire. C’erano milioni di motivi che in quei mesi l’avevano spinto ad allontanarsi della sua vecchia vita. A tentare, in realtà, di farlo.

Ora gli sembravano tutti ridicoli, meschini e vergognosi.
Al sembrò scosso da un brivido violento. Scosse la testa.  “Non voglio ascoltarti…” Ringhiò. “No, io… Dannazione!” Sbottò d’improvviso. “Perché… perché mi hai fatto questo? Hai idea di cosa…”
Tom decise di lasciar perdere le spiegazioni. Qualsiasi cosa avesse detto in quel momento, non sarebbe servita a nulla.  Scattò e gli afferrò un braccio di colpo. Non era intelligente, anzi, era controproducente un gesto del genere. Ma aveva bisogno di una reazione. Aveva bisogno di sentirla.

A volte le parole erano decisamente sopravvalutate.
La reazione di Al fu ovviamente repentina e violenta. Si tirò indietro di colpo, come ustionato. “No!” E gli lesse nello sguardo timore e ira.
Mi vuoi. Mi vuoi toccare anche tu, ma sei troppo arrabbiato per farlo.
E ti detesti, perché lo vuoi…
Si aspettava anche il pugno che ne conseguì, visto che aveva previsto che avrebbe mollato la bacchetta. Albus non lo avrebbe mai colpito con un incantesimo se era disarmato. Faceva parte del suo lato grifondoro. A quel punto gli afferrò il polso e se lo strattonò addosso.
Che devo fare? Che gli devo dire?  
Al si divincolò. Sentiva i suoi vestiti fradici sfregargli contro la pelle nuda delle mani.
È caduto in acqua, dannazione…
“Al, smettila!” Lo apostrofò, bloccandogli le braccia. Si sarebbe fatto male, avrebbe fatto male ad entrambi. Gli stava persino tentando di graffiargli i polsi per liberarsi. “Smettila!” Continuò a ripeterglielo un paio di volte. Al lo ignorò, lottando con tutte le sue forze per levarselo di dosso.
Ti prego smettila… lo so. Lo so che ho sbagliato. Odiami, se vuoi. Ma smettila di fare così.
Smettila di farmi capire quanto ti ho fatto male.
Avrebbe voluto dirglielo: ma era la cosa giusta da dire? Avrebbe funzionato?
Non lo sapeva. Nessuno aveva mai pensato di insegnarglielo.

Poi finalmente Albus crollò. Lo sentì tendersi come una corda contro di sé, e sentì persino vibrare sul petto l’urlo di frustrazione soffocato dalla stoffa del suo maglione.
È tutta colpa tua.
Questo sembra dire quell’urlo.
Lo sentì poi respirare forte contro la propria spalla, tirando respiri secchi e densi. Poi finalmente lo toccò di rimando, anche se solo per scostarsi.
“Stai tremando.” Disse con calma surreale, come se fino ad un momento prima non avesse cercato di prenderlo a pugni.  
Tom batté le palpebre e si guardò le mani. Era vero: teneva talmente i muscoli in tensione che quelli, oltraggiati, avevano cominciato a dar segnali.

Passò un lungo, enorme momento di silenzio. Tom fece violenza su sé stesso, di nuovo, per impedirsi di fermarlo quando si staccò definitivamente da lui.
Poi l’altro ragazzo si ricompose: aveva gli occhi lucidi, febbricitanti,e l’espressione di chi non aveva ancora deciso bene cosa provava. Ma c’erano bisogno di parole adesso, e spiegazioni.
Lo sapevano entrambi.
“Abiti qui?”
“Al faro. Nel faro.” Specificò. “Sei bagnato. Sei…”
“Caduto, dentro l’acqua.” Concluse, brusco e senza guardarlo negli occhi. “Portami lì. Sto morendo di freddo.”
Era un ordine bello e buono. Tom non si sentì in grado di opporsi. Non gli restò che annuire e fargli cenno di seguirlo.

Era ridicolo, egoista e folle. Ma sentiva come se il suo cuore avesse di nuovo cominciato a battere. Era doloroso, perché era rimasto fermo per otto mesi.
Ma andava bene.
 
****
 
 
Al non riusciva a smettere di tremare.
E non solo fisicamente, mentre seguiva Tom per un sentiero tra il sabbioso e l’erboso, evitando di riempirsi i calzini di sabbia.
Stava tremando dentro. Incessantemente. E di rabbia.
Tom… beh, era sempre Tom.
Muto.
La sua schiena era magra, persino con quel maglione di lana grossa che lo proteggeva dal vento. Era dimagrito ancora. Di lui aveva visto tante volte la schiena.
Troppe.
Poi si voltò, indecifrabile come al solito. “Siamo quasi arrivati.” Indicò con un cenno della testa una costruzione torreggiante, che si intravedeva tra la boscaglia che stavano costeggiando. “Quello è il faro.”
“Okay.” Disse semplicemente, concludendo la breve conversazione. Ripresero a camminare.
Gli sembrava di essere ai lati opposti di un fiume profondissimo.
Otto mesi potevano spazzare via quegli anni?
Otto mesi potevano spazzare via quello che c’era stato tra di loro?
Non era una cosa tra due vecchi amici. Forse, da un certo punto di vista, non lo era mai stata.
Certo, poteva intuire perché Tom si fosse comportato in quel modo. Perché avesse deciso di nascondersi. Davvero, poteva arrivarci, almeno concettualmente.
Ma rimaneva il fatto. Ed era quello a farlo infuriare.
Tom ci ha abbandonati.
Inspirò leggermente, cercando di ricacciare il groppo che gli attanagliava la gola.
Il ragazzo si fermò davanti all’entrata, spingendo la porta con una mano. Quella cigolò e si aprì, rivelando un ambiente buio e dall’odore tipico delle soffitte.
“Non c’è luce elettrica qui dentro… È meglio se usi la bacchetta.” Gli spiegò. Il tono era neutro. Ad Al venne voglia di urlare.
“Va bene.” Rispose invece, tirandola fuori e castando un lumos sottovoce. Anche con quello non si vedeva granché e Al procedette a tentoni per gli scalini ripidi e scivolosi del faro. Vide Tom aspettarlo, ad ogni singolo scalino. Lo vide contrarre e decontrarre la mano. Capì. Ma lo ignorò. Non poteva lasciare che gli prendesse la mano per aiutarlo.
Non te lo meriti più.
“Fai strada.” Fu ostile, e vedere l’ombra di delusione passare nello sguardo di Tom lo fece sentire malignamente soddisfatto. Tom non poteva ribellarsi, e non poteva neanche azzardarsi a muovere una protesta.
Era una soddisfazione che non lo soddisfaceva granché, comunque.
Entrarono così, con un delizioso silenzio pieno di disagio, dentro l’ambiente della lanterna. Era stato organizzato come una piccola stanza, con una branda, un tavolino da picnic e un fornelletto elettrico, usato forse per riscaldare l’acqua del bollitore che Tom aveva afferrato, quasi fosse un’ancora di salvezza.
Non riesce a non fare a meno del the, neanche qui.
Si rifiutò di farsi intenerire dalla cosa.
“Vuoi un the?” Propose l’altro, a bassa voce. Si sentiva il suo sguardo addosso. Era tutta suggestione, ovviamente, ma si sentiva quasi accarezzare.
Represse un brivido. Non era il freddo.
“No.” Negò, per il puro e semplice gusto di farlo.  Tom gli lanciò un’occhiataccia, intuendolo al volo.
Almeno certe cose sono rimaste le stesse…
“Vuoi dei vestiti asciutti?” Propose di nuovo.
“Me li posso asciugare con la magia.” Replicò e lo fece. Non era come avere dei vestiti caldi addosso. Erano ancora gelidi e resi rigidi dall’acqua salmastra. Ma glissò.

Tom tenne ancora per un attimo il bollitore tra le mani, poi lo posò. “Immagino che dovremo parlare…”
“Parlare Tom? E di cosa?”
Sentiva la rabbia congelargli la stomaco e le pulsazioni a mille: aveva voglia di prenderlo a pugni. Ma la fase ‘rabbia cieca’ si era esaurita prima.

C’erano altri modi per punirlo, dopotutto.
Tom corrugò le sopracciglia. Sembrò confuso e per un attimo lo guardò quasi smarrito.
Ti eri aspettato che ti piagnucolassi addosso, implorando spiegazioni?
Troppo facile.
“A che gioco stai giocando?” Gli chiese, con voce tesa. “Io…”
“A che gioco stai giocando tu?” Replicò, sedendosi sulla branda. Si sentiva spossato, come dopo una lunghissima sessione di allenamenti sotto il piglio di ferro di Zabini. “Otto mesi, Tom.”
Lo so.” Replicò a denti stretti. “Pensi che sia stato facile per me? Non sai neppure cosa…”
“Ovvio che non lo so. Non so niente.” Strinse tra le dita la la coperta ispida del letto. Assomigliava alla pelliccia delle grandi occasioni di Hagrid. Si chiese brevemente come Tom riuscisse a dormirci senza disgustarsi. “Potevi essere morto, vivo o catturato da John Doe. Potevi essere dovunque o non essere.” Sentiva la voce alzarsi di tono, di nuovo. Fece una pausa, per riprendere fiato e controllo; strillargli addosso e piangere non sarebbe servito a nulla. “Papà non è riuscito a dormire per notti intere… i tuoi genitori sono distrutti. Non sanno neanche se devono piangere su una tomba o meno. Tua sorella ci odia. Papà ha evitato per un soffio un incidente diplomatico trai due mondi, per evitare che zio Dudley raccontasse tutto alla polizia. Ti rendi almeno conto?”

Tom serrò le labbra in una linea sottilissima. Lo vide tentare di muovere qualche passo, poi decidere di rimanere fermo. “Sì.”
“Davvero?” Lo apostrofò crudele.

“Dovevo…” Sospirò bruscamente. “Sono stato male. Non riuscivo a capire dov’ero, non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto per andare in bagno.”  
Al ignorò la fitta di puro panico e preoccupazione che gli trafisse il cuore. “Quanto?” Chiese invece.
“Tre mesi.”
“E il resto dei cinque mesi?”
“Ho capito!” Sbottò aggressivo. Si passò le mani trai capelli, ravviandoli senza successo, visto che li aveva troppo lisci perché non gli tornassero sugli occhi. “Merlino, ho… lo so. Ho capito.” 

“Se l’avessi capito non sarei qui.” Era come recitare, stimò stupito. Sentiva la sua voce pacata e fredda, quando dentro di sé aveva voglia solo di prenderlo a calci e poi scoppiare a piangere come un bambino frustrato. “Non sarei fradicio e con un accendino arrugginito in mano altrimenti.”
“Se non fossi voluto tornare, tu non saresti qui.” Replicò di getto Tom, per poi finire in una specie di mormorio. “Il Deluminatore si attiva quando…”
“… quando il desiderio è presente da parte di entrambi.” Finì per lui, fingendo di non vedere che stava tentennando da dieci minuti, sporto inconsciamente verso di lui. Spesso il corpo di Tom ignorava la sua introversione e mandava segnali grossi come fanali all’altra persona, sperando che captasse.

Vuoi toccarmi? Non puoi.
Non doveva farsi impietosire comunque. Non doveva cedere.
“Ti ho chiamato.” Esordì. “Vi ho chiamato. Volevo tornare.” Continuò. Poi si voltò, dandogli le spalle, fingendo di mettere a posto il bollitore senza poi farlo. “Ma lo sai… Sai cos’ho fatto. Sai che ho rischiato di ammazzare te e zio Harry.”
Ma non l’hai fatto.” Calcò la parola sulla particella avversativa. Amava le particelle avversative. “Doe voleva uccidermi e prendersi la bacchetta. Tu lo hai spinto via, e sei caduto dentro la passaporta.” Gli ricordò. “Mi hai salvato la vita, Tom!”

“Se ti avesse ucciso non avrei sopportato di sopravvivere. In ogni caso, non ci perdevo molto.” Disse con una semplicità talmente disarmante che fu un vigoroso colpo  contro la parete che stava cercando di costruire per punirlo. “E ci sono studi che dimostrano che anche le passaporte mal funzionanti possono comunque materializzare.”
“Te lo stai inventando.”

Tom gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Già.” Ammise. “Avete fatto ricerche, vedo…”
“Solo per sapere se avevi bisogno di una tomba.” Ironizzò sentendo tornare il familiare senso di dolore e desolazione. Si focalizzò sul fatto che con Tom ci stava parlando.

“Cos’è successo… dopo?” Gli chiese, voltandosi e guardando di nuovo il bollitore. Parve riflettere, poi ci verso una bottiglietta d’acqua e accese il fornelletto. Lo fece senza bacchetta e non alla maniera babbana. Ci passò semplicemente la mano sopra. Al inghiottì un’esclamazione di meraviglia.
Dannato straordinario stronzo… Hai fatto l’eremita, ma figurati se hai smesso di studiare.
“Molte cose.” Finse indifferenza. “La Prynn era un agente della sicurezza magica americana. Doveva tenerti d’occhio, ma era corrotta. Il governo americano ha finto di non saperne niente fino alla fine. Papà e la Direttrice erano furiosi. Poi zio Dudley ha minacciato di mandare all’aria lo Statuto di Segretezza… comunque la cosa è stata risolta subito. Papà ha molto ascendente su di lui.”
Tom fece un mezzo sorriso divertito. “E su chi non ce l’ha?”

“Su di te. Non si spiega altrimenti perché tu abbia fatto una scelta così egoista.” Replicò. Tom serrò le labbra, lo guardò minaccioso, ma non rispose. Non poteva, e lo sapevano entrambi. “Ad Hogwarts le cose sono state più difficili. I genitori erano in ansia, un sacco di conferenze stampa ed interviste. Comunque sono riusciti a tenere fuori la stampa, e quindi la gente, dalla cosa dei Doni della Morte. È stata divulgata la storia del tuo rapimento però…” Aggiunse spiandone le reazioni. “Ora tutti sanno che sei un purosangue con una famiglia orribile. Ma è tutto qui.”
Tom non diede segno di essersela presa. Annuì semplicemente. “E la Bacchetta di sambuco?” Guardò quella che aveva in mano. “Dov’è?”
“In un posto molto più sicuro di prima. Ed è tornata a papà, ovviamente. Mi ha disarmato.” Si era sentito molto più leggero dopo. In ogni caso Fanny era rimasta. Quello gli aveva fatto piacere invece. “Mi sono ripreso la mia.”
“Capisco…”
Rimasero in silenzio. Al sentì le gocce di pioggia battere violentemente contro la vetrata. L’ambiente dentro era stranamente caldo, illuminato dalla luce di una ventina di candele posizionate in punti strategici. Gli ricordava un po’ Hogwarts.
Tom si versò del the, prendendo la tazza tra le mani e sedendosi al tavolino. Non lo bevve però.

A quel punto glielo chiese. 
“Perché?”
Non c’era bisogno di aggiungere altro, il resto della domanda era implicito.

Perché non sei tornato?
“Avevo paura.” Ammise, e un altro pezzo del muro cadde con un tonfo sordo. Era stupido, ma in fondo conosceva Tom. Sapeva quanto gli costasse, per quanto fosse assolutamente idiota non ammettere le proprie debolezze. “Io… pensavo che sarebbe stato meglio se non fossi tornato. Inizialmente volevo. Ma poi… ho pensato.”
Fai sempre dei gran casini quando pensi… - Ma non lo disse. Ormai sarebbe stato solo crudele infierire.

“A cosa pensavi?” Chiese invece.
Tom sospirò. “A chi ero, al motivo per cui ero entrato nella vostra famiglia. Motivi sbagliati, oppure caso… Ma io sono stato…” Inghiottì la parola come fiele e per un attimo i suoi lineamenti furono attraversati da un brivido di disgusto. “… creato… per uno scopo.”
“Non pensi che io sia felice che tu sia vivo?” Gli chiese, serio. “Che… non sia felice che qualcuno ti abbia dato la possibilità di esistere, che ci abbia dato, anche se non volendo, la possibilità di conoscerci?” Il tono suonava come un’accusa, e da parte sua lo era davvero.

Non mi importa per quale diavolo di motivo sei nato, Tom.
Mi importa di vederti vivere.
Tom distolse brevemente lo sguardo, per poi riportarlo su di lui. “Non ho detto questo…”
“Bene, non dirlo mai.” Replicò, inspirando. “Non importa da chi o come si nasce, ma come si decide di vivere la propria vita, papà lo dice sempre.”
“Ma io ho un passato.” Rimarcò con rabbia malcelata, e dolore. Al se lo sentì addosso come una cappa opprimente. “Il mio corpo, il mio viso, i miei occhi… possono essere quelli del figlio di Hohenheim, ma… chi sono…”
Al scattò e annullò la distanza tra di loro. Gli afferrò un braccio, sentendolo freddo e ossuto. La cosa gli strinse il cuore: perché era così maledettamente freddo, se era più asciutto e meglio coperto di lui?

“Tutto questo è Tom. Tu non sei il figlio di quell’uomo e non sei Voldemort.”
“Ma potrei diventare come lui.” Replicò, liberando il braccio. Sembrava però sorpreso dall’improvvisa vicinanza. Non scostò la sedia infatti. “Nessuno nasce malvagio. Lo si diventa.”
“Non lo diventerai.” Sussurrò. Le sue dita cercarono la spalla dell’altro, sfiorandola. “Non lo diventerai… perché sei troppo scemo.” Concluse con mortale serietà.
Sbuffò divertito, passandosi una mano sul viso. “Sì, forse è vero.”

Al distolse lo sguardo, rendendosi conto di essere troppo vicino.
Voglio toccarlo.
“Ma potrei comunque sbagliare… di nuovo.” Aggiunse Tom, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Non credo.” Disse molto semplicemente. Vedeva le sue mani indugiare, lunghe e forti sulla ceramica della tazza. Le voleva addosso. “Non credo che succederà di nuovo.”
Smettila. Che diavolo ti prende?
Mi prende che ho diciassette anni e lo odio. E lo amo. E lo voglio.
È lecito impazzire, qui.  
Tom lo scrutò, confuso. Persino diffidente. “Perché? C’è già una cella per me ad Azkaban?” Chiese, e non era del tutto scherzoso.
“No, ci sarei io. E sarei peggio di Azkaban.”
Tom stirò un mezzo sorriso. Era il suo mezzo-sorriso, e non era cambiato di una virgola. Era bello.
“Indubbiamente…” Replicò. “Prima pensavo volessi uccidermi.”
“Precisamente.” Ironizzò. Rifletté su un punto che prima aveva tralasciato. “Vivi da solo?”
Se è stato malato qualcuno deve averlo curato…

Qualcuno aveva diviso otto mesi di vita con Tom. E non gli piaceva per niente che non ne avesse ancora parlato.
“Nel faro sì. Ma la fattoria è di proprietà di una donna. Ci vive con sua nipote.”
“Giovane?” Si informò neutro.

Tom lo guardò stranito. “La nipote? Ha dieci anni, quindi direi di sì.”
“No, intendevo la donna.”

Lo vide rifletterci brevemente. E sogghignare. Stava quasi fargli notare che no, non aveva nessun diritto di fare lo stronzo quando ancora non l’aveva perdonato, ma poi rispose. “È sua nonna, Al…”
“Oh.”
Ci fu un breve silenzio. Stavolta molto più confortevole dei precedenti, anche se Tom stava ghignando.

“Sei geloso?” Si informò con leggerezza. Gli occhi però lo trapassarono da parte a parte, attenti.
Sì. Contento?
Non voglio che in otto mesi qualcuno si sia sentito in diritto di giudicarti libero.
Otto mesi non ti fanno ripartire dallo start. Non devono. Affatto.
“No.” Mentì con rabbia. “Non sono geloso. Non stavo pensando a quello.”
“Bene.” Approvò, ma non smise di avere quella faccia soddisfatta. “Neanche io.”

Al fece una smorfia. Non voleva parlare di quello. Davvero, non voleva, perché il suo corpo la stava già tradendo. Sembrava che ogni singola cellula stesse mettendosi in combutta per ricordargli quanto e come gli fosse mancato Thomas Dursley. In tanti, molti sensi. “Parliamo di cose serie…” Tentò. “Cosa hai intenzione di fare adesso?”
“Tornare in Inghilterra.” Rispose subito, ma perdendo il sorriso. “E provare a rimediare. Se posso.” 
Al si mordicchiò l’angolo di un labbro. “La situazione non è…”
“Non sono stupido.” Lo fermò. “So cosa ho fatto. Ho aiutato un criminale internazionale, anche se fino all’ultimo non ho capito cosa volesse veramente. Dovrò rispondere a molte domande, e se le risposte non piaceranno, le cose non  potrebbero mettersi bene per me. Ma … tornerò.” Inspirò brevemente, allontanando il the ormai freddo. “È quello che devo fare, suppongo.”

Al annuì impercettibilmente, sentendo come se un macigno improvvisamente diretto verso di loro avesse cambiato traiettoria, decidendo di graziarli. “Papà… Lui ti aiuterà.”
Tom sorrise lievemente, stavolta senza strane smorfie o sottointesi. “Lo so, l’ha sempre fatto. E non ho mai capito perché…”
“Ci deve essere per forza un motivo? Ti vuole bene.” Sbuffò. “Non è facile volertene, ma non sei una persona che si dimentica.”

Beh, sai com’è, io ti amerò per il resto della mia vita.
Tom a quel punto gli afferrò il polso. Aveva la mano gelida, ma divenne tiepida a contatto con la sua. Osmosi, forse? C’entrava con la magia?
Era una bella sensazione però.  
“Non ti ho detto che ti ho perdonato.” Obbiettò, cercando di scostarsi.
“Lo so.” Serrò la presa sul suo polso, e fu certo che sentisse il suo cuore battere come un tamburo. “Ma tu, Al? Mi vuoi ancora bene?” Non era una domanda, lo stava stava sfidando a contraddirlo.
Stupido stronzo viziato.

Avrebbe voluto spaccargli la testa, ma valutò che non ne sarebbe valsa la pena, visto che lo voleva accanto a sé per tutto il resto della loro – magica – esistenza.
“Rifallo e ti ammazzo.” Disse in ogni caso. “Sparisci di nuovo e verrò a cercarti solo per farlo.”
“Più probabile che mi ammazzi prima da solo.” Replicò, guardandolo con un’intensità tale che si sentì bruciare la pelle come se ci stessero colando della cera bollente. Non era una sensazione spiacevole, stranamente. “Non hai risposto alla mia domanda, comunque.”

Merlino…
“Tom, io ti amo.” Scandì bene ogni sillaba, affinché penetrasse con lo stesso fuoco in quella zucca dura ed egoista. E arrossì, naturalmente, perché era un’adolescente ed era stupido. “E non credere sia meglio. Vuol dire solo che sono ancora più arrabbiato per quello che hai fatto.”
Tom rimase serio, anche se etichetta voleva che si illuminasse e gioisse. 
Non è mai stato tipo, comunque.
“Certo che lo è.” Osservò a bassa voce, facendogli venire uno strano magone più vicino alla zona lombare che al petto. “Amare fa male. E' troppo troppo aspro, troppo violento; e punge come una spina².” Recitò sovrappensiero. Questo prima di strattonarlo con una certa forza e farlo crollare sulle sue ginocchia.
“Non fare il purosangue adesso!” Borbottò, sentendosi stupido ad emozionarsi perché Tom sì, sapeva recitare poesie e l’aveva sempre saputo fare bene. E per la posizione, certo. “Che roba è? E fammi alzare!” Infatti gli era impossibile, visto che l’aveva bloccato in un intreccio di braccia.
“Non cosa, chi. Shakespeare.” Ignorò l’ultima ingiunzione stringendolo forte: gli stava persino facendo un po’ male.  

“Tom, allenta la presa…” Suggerì senza troppa convinzione. “Stringi troppo.”
“Non ti lascio.” Fu la risposta. “Scusa.”
Al inspirò, mentre sentiva qualcosa sciogliersi dentro di sé, e diventare caldissima. Sentì le lacrime premergli al bordo degli occhi, e affondò il viso nei capelli dell’altro.

Pianse, finalmente. Si rese anche conto che in tutti quei mesi non aveva pianto davvero una sola volta, da quanto Tom era scomparso. Supponeva che i pianti nel sonno non contassero.
Sentì la mano di Tom posarglisi sulla schiena, delicata: aveva sempre un modo particolare di toccare le cose a cui teneva.  
Non che si considerasse un libro, ma, rifletté, probabilmente era molto più raro che Tom toccasse le persone così, che i suoi personalissimi oggetti personali.
Inspirò il suo odore. Era diverso. Sapeva di sale, di vento e di cera per candele. Ma c’era anche il suo profumo… quello era rimasto immutato, e lì ci affogò letteralmente.
Gli esseri umani dopotutto sono animali che ragionano… E spesso non ragionano.
“Chi è che stringe troppo adesso?” Gli sussurrò all’orecchio. “Mi stai strangolando.”
“Oh, sta’ zitto… rovini sempre l’atmosfera.” Lo riprese, soffocando una risata. Erano mesi che non si sentiva una ragazzina piagnucolosa. Assurdo a dirsi, ma gli era quasi mancato.

Quasi.
Tom gli diede un colpetto sul fianco, facendolo spostare. “Sei tu che sei troppo sdolcinato.” Replicò con un sorrisetto, che si spense non appena lo guardò in faccia. Al non capì subito perché.
“Che c’è? Tanto i tuoi capelli sono comunque un disastro.” Lo informò, tirando su con il naso con grande dignità. “Da quanto non li tagli?”
“Non è per i capelli… ” Replicò, palesemente stizzito per l’osservazione. Poi esitò, schiarendosi la voce. “È solo che non voglio più vederti piangere… per causa mia.”

Al sbuffò. “Questo è sdolcinato Tom.” Si alzò dalle sue ginocchia, perché cominciava a sentirsi davvero una ragazza con le codine. “E poi lo sai che ho i dotti lacrimali sensibili.”
“Si dice così quando si è dei piagnucoloni?” Lo prese in giro, ma lo fece con cautela, spiandone le reazioni. Stava testando fin dove poteva spingersi. Quell’inattesa cautela gli piacque.

In realtà si stavano prendendo le misure. Si stavano riabituando a vestire i loro vecchi panni.
Era strano, ma piuttosto meraviglioso.
Penso di nuovo al plurale.
“Va’ al diavolo.” Gli suggerì magnanimo. “Ma prima fammi una tazza di the.”
“Preparatela da solo.” Replicò, indispettito dall’ordine plateale. “Il bollitore è davanti a te.”
“Non credo proprio.”
Tom lo squadrò di nuovo, poi storse le labbra in una smorfia. “Durerà a lungo questa schiavitù? Per quanto me la farai pagare?”
“Otto mesi come minimo, per la legge del taglione.” Gli sorrise. “The.”

Tom sbuffò contrariato, ma quando gli diede le spalle per riempire il bollitore lo vide sorridere.
Sorridere davvero.
 
****
 
 
Albus aveva accettato il the, e poi si era lamentato che la miscela fosse orribile.
Lo pensava anche lui, in effetti. Erano inglesi.
E poi, avevano parlato. Gli erano sembrati giorni, con tutto quello che avevano da dirsi. Soprattutto era l’altro a parlare, ad aggiornarlo: gli aveva raccontato di come si fosse svolto l’anno scolastico, di Rose e Malfoy … e di Ted e James, di cui peraltro aveva sempre sospettato.
Erano così palesi… Povero Harry.
Lui di rimando gli aveva raccontato la vita monotona di Putgarten, i suoi lavoretti e di Meike e Cordula.
Al lo aveva riempito di domande.  Non si era lamentato.
Avevano evitato argomenti come … beh, come se stesso. Argomenti difficili, spinosi, come…
Cosa farò quando tornerò in Inghilterra. Soprattutto… cosa ne faranno di me?
Al si era raggomitolato sulla sua branda, e adesso giocherellava con la tazza, grattando la ceramica sbeccata del bordo con un’unghia. “Penso che dovrei mandare un Gufo a papà. Dovrei fargli sapere dove sono… e che ti ho trovato.” Esordì, mentre fuori la pioggia era finita ed erano probabilmente le tre del mattino.
Tom sospirò, tacitando un’ondata di panico. “Naturalmente. Il problema è che qui non c’è un Gufo nel raggio di miglia. Questa è una comunità babbana.”
“Ma i Wollin non sono maghi?”
“Cordula è una maganò, come ti ho detto, e Meike non è ancora andata a scuola. A nessuna delle due serve un gufo.” Spiegò paziente. “Potresti telefonargli però.”
Al prese un’aria titubante che lo fece quasi ridere: anche se era più avvezzo alla tecnologia dei suoi fratelli o dei suoi genitori ne era comunque intimidito. “Sì, ma alla Tana non c’è il telefono. Ti ricordi? Nonno Arthur provò a montarlo, ma quasi esplose il salotto…”

“Giusto…” Annuì. “È il compleanno di Harry. Sono tutti alla Tana stanotte.”
“Già…”
Rimasero in silenzio. Tom era rimasto seduto al tavolino. Non perché la brandina fosse piccola per due.

No, decisamente tutto il contrario.
Sapeva che per il perdono di Al avrebbe dovuto passare una via crucis, letteralmente. Le frecciatine non si erano risparmiate in quelle ore di conversazione.
Ma lo aveva accolto, di nuovo.
C’era una cosa che però lo tormentava: come lo aveva accolto?
Come amico? Come… ragazzo?
Doveva saperlo, e non aveva il coraggio di chiederlo.
Decisamente imbarazzante.
Specialmente perché aveva una voglia incredibile di baciarlo. Zabini, per quanto fosse un amorale figlio di puttana, su una cosa aveva sempre avuto ragione: Al, crescendo, sarebbe diventato affascinante.
E lo era. Non in senso canonico, certo: erano i suoi lineamenti dolci e i grandi occhi verdi a renderlo desiderabile. Non certo sogghigni consumati o sguardi maliziosi.
Era quell’aria dolce e tranquilla a far venir voglia di… stropicciarlo.
Se tento di baciarlo mi tira un pugno?
“Fino a domattina i miei non torneranno a casa. Quindi… credo dovremo aspettare ancora un po’.” Gli disse, finendo con un ultimo sorso il the. “Mi pare di aver capito che qua non c’è niente che possa riportarci a casa. Né una scopa, né la metropolvere.”
Tom annuì, distratto in modo ignobile dal movimento delle sue labbra.
Oh, se gli erano mancate.
“Possiamo provare ad usare il deluminatore.” Suggerì.
Al fece una smorfia orripilata. “Piuttosto mi butto dalla scogliera. Mi è bastata una volta, grazie tante.”

“Allora temo che dovremo aspettare zio Harry…” Concluse. Si sentiva nervoso, il che era francamente ridicolo perché la presenza di Al era sempre stata una costante nella sua vita.
Solo che dopo otto mesi, dopo quello che è successo tra di voi…
Sarai un patchwork, ma sei pur sempre un ragazzo, mio caro. Ed i tuoi bisogni…
Non era sano ascoltare voci nella propria testa, così Tom annuì a qualcosa che aveva detto Al, che intanto aveva continuato a parlare ignaro di tutti i suoi turpi pensieri.
“… allora prendo il lato a destra.” Disse.
Tom ebbe un attimo di smarrimento: quale lato?
“… Di che stai parlando?”
Al lo guardò come se fosse scemo. “Del letto.” Disse. “Non vorrai farmi dormire sul pavimento, spero.”

“No.” Replicò meditabondo. Guardò la brandina, che in quel momento gli sembrò più squallida e malinconica del solito. “Ma non credo c’entreremo.”
Al lo guardò di nuovo come se valutasse l’idea che qualcosa l’avesse colpito in testa violentemente. “Engorgio.” Recitò, muovendo la bacchetta. Il letto diventò un due piazze piuttosto confortevole.

“Giusto…” Convenne, stizzito dal fatto di non averci pensato prima.
Il fatto è che non voglio pensarci. Non so se sarò in grado di dormire con lui, nello stesso letto.
Si sentiva incredibilmente goffo. E idiota. Ed era una sensazione irritante.
“Scusami… ma sto crollando dal sonno. È stata una giornata… lunga.” Sorrise Al. “Ti dispiace se mi metto a letto?”
“No. Fa’ pure.” Replicò brusco. Al non sembrava capire o anche solo intuire il suo disagio. Maledettamente frustrante.
L’aveva già detto?
Finse di dargli la schiena per prendere le tazze e portarle… da qualunque altra parte, l’importante era dargli la schiena mentre si spogliava.
Sbirciò da sopra la spalla.
Albus aveva sempre avuto un corpo più armonioso del suo, che si era sentito sempre troppo alto e magro. Non era molto alto, ma aveva un fisico asciutto e proporzionato.
Questo, oggettivamente.
Soggettivamente… era uno stramaledetto efebo e lui si sentiva la bocca secca e un’urgente bisogno di …
“Vado a dormire da Cordula.” Sussurrò, sentendo la sua voce provenire da una caverna profondissima.
Al lo guardò confuso. “Perché? Nel letto c’è posto per entrambi. L’ho affatturato apposta!”
E Tom capì. Capì perché c’era un sorriso che aleggiava sulle labbra di Al.
“… Mi prendi per scemo?”
“In realtà sto solo facendo il punto della situazione.” Si sentì rispondere, mentre il sorriso veniva alla luce, tenero e spontaneo come al solito, ma venato da qualcosa che aveva molto poco a che fare con l’innocenza. Lo vide comunque arrossire. Perché era Al. “Ti senti a disagio ad avermi qui?”

Averti…
“Non lo chiamerei esattamente disagio.” Replicò cattedratico, deglutendo carta vetrata. “Ripeto, mi prendi per…”
E non riuscì a finire la frase perché Al annullò la distanza tra di loro, alzandosi leggermente per poterlo baciare. Tom sentì un click, da qualche parte, nella sua testa. Questo prima di tirarselo contro e ricambiare il bacio come se fosse l’ultimo che potessero darsi.

Finalmente, finalmente. Finalmente.
Le guance di Al erano morbide mentre ci premeva appena le dita. Gli accarezzò le labbra con la lingua e lo sentì mugolare, mentre, prevedibilmente, dovette abbassarsi perché l’altro non riusciva più a rimanere in quella posizione.
La pelle nuda di Al, coperta solo dagli slip, gli sembrava bollente come lava. Solo una sua impressione probabilmente. Ma ebbe la certezza che non se ne sarebbe separato mai più.
Dentro la sua testa, c’era solo Al.
Al si staccò, mordicchiandosi un labbro. “Ho freddo.” Gli comunicò, apparentemente estemporaneo.
“… vado a prenderti qualcosa per coprirti?” Suggerì, come se volesse sul serio coprirlo.
“No.” Esitò, diventando di un curioso color aragosta. “… Spogliati tu.”
Si lasciò aiutare a togliersi il maglione e la camicia. La camicia, in effetti, la lasciò tutta ad Al.
Non aveva idea di come fosse la sua faccia, in quel momento. Se fosse addirittura arrossito.
Quello che importava veramente era il viso concentrato di Al mentre gli sbottonava le asole e lasciava cadere la stoffa oltre le sue spalle, e poi a terra.
Si impose di rimanere immobile mentre gli passava le mani lungo il petto e poi sullo stomaco, a toccare quella porzione maledetta. Inspirò.
“Cosa vuoi fare?” Gli chiese, così piano che fece persino fatica a sentirsi.
Al alzò lo sguardo. “Riconoscerti.” Disse semplicemente, prima di premergli le labbra sul collo, in un bacio sperimentale e attento.

Caddero anche i suoi pantaloni, e vennero calciate via le scarpe.
Tom a quel punto si ritenne sufficientemente torturato, ed afferrò per la vita Al, spingendolo a letto, provocandogli un’esclamazione e una mezza risata trattenuta.

“Ehi, non sono un cuscino!” Sbuffò, passandogli le braccia attorno al collo.
Tom fece una smorfia di rimando. “Cosa credi di ottenere, dicendomi certe cose?”
Al sorrise. “Beh. Qualche idea in merito l’avrei.”
Tom entrò, poco onorevolmente, nel panico.
“Al, io…” Non aveva la minima idea di dove mettere le mani suonava male?
“Tom…” Inspirò. “Domani arriverà papà, e verremo di nuovo trascinati nella realtà. E sappiamo entrambi che non sarà una passeggiata…”
Tom convenne con un cenno della testa. Era difficile mantenere la concentrazione quando i loro corpi erano così vicini, così caldi… così tesi.

“Ma stasera … nessuno sa che sono qui, e nessuno sa che sei ancora vivo. Stasera è solo nostra.” La voce si spense appena, venata da imbarazzo. “Solo io e te. E mi sei mancato tanto.”
“… Non è che hai bisogno di convincermi…” Sussurrò, sentendosi il cuore all’altezza più o meno della gola. E quel calore, dimenticato per mesi, irradiarglisi ovunque, petto, stomaco e cuore.
“… Lo sai che quando sei agitato parli come Hagrid?”
“Sta’ zitto.” Appoggiò la fronte contro la sua, sentendo i capelli di Al sfiorargli le guance. E il suo profumo, ovunque. Sentì il suo orgoglio urlare. Lo fece tacere imperiosamente. “… e resta con me.”

Al sorrise. “Mi pare ovvio. Dove altro dovrei andare?”
 
E poi ci furono baci, carezze, mormorii, mentre fuori aveva cominciato a risplendere la luna, prossima al tramontare, eppure luminosissima.
Tom vide, e per anni si ricordò che in quella notte, la loro prima notte assieme, la luce lattiginosa accarezzasse la pelle di Al dolcemente, come se volesse baciarlo anche lei.

Non ne fu geloso.
Quello non fu sesso, di cui parlavano con grandi sogghigni gli altri. Fu potersi unire, di nuovo.  
Dopo gli accarezzò i capelli, mentre Al gli si accoccolò addosso. Non conosceva bene i gesti giusti, ma ad Al non sembrava importare. Non gliene era mai importato, ed era per questo, anche, che lo amava.
 “Non hai paura?” Gli chiese, pianissimo, quasi temesse di svegliarlo, anche se aveva gli occhi aperti e lo stava guardando.
Della Thule, che non è certo sparita nel nulla. Di stare vicino a qualcuno che probabilmente subirà un processo. Di come sarà vivere il nostro rapporto così, adesso.
Potremo farlo?
Al esitò, poi gli appoggiò la fronte contro la tempia. “Certo che sì. Non averne sarebbe da stupidi.”
“Sembri calmo…”
“In realtà sarei stanco.” Sbuffò. “Comunque… non averne è molto peggio. Vuol dire rassegnarsi. E con te non mi voglio rassegnare mai.” Si sporse a baciargli l’angolo delle labbra. “Già fatto, grazie. Ed è stato uno schifo.”
Tom non rispose. Tirò la coperta sopra ad entrambi e lo strinse a sé.

Al gli sorrise. Non disse nulla, ma a Tom sembrò di leggere una frase dentro i suoi occhi.
Bentornato a casa, Tom.
Lo era davvero.
 
 
 
‘Cos if one day you wake up and find that your missing me
Thinking maybe you’d come back here to the place that we’d meet
And you’d see me waiting for you on the corner of the street
So I’m not moving³


 
 
 
****
 
 
Note:
1.Le canzoni qui e qui
2.William Shakespeare, Sonetti.

 
Non so sinceramente se questo capitolo vi soddisferà. Certo che ci ho sudato sangue, sudore e lacrime, giuro.
Argh, questi due giovincelli, quanto mi fanno penare! *guarda con amore Teddy e James invece, che sudano preoccupatissimi*
Ai posteri, l’ardua sentenza! Ah, un'altra cosa. Una ragazza favolosa ha dedicato un 'mi piace' a questa storia su Facebook. Qui il link se lo vedete.

 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Eccomi qua! Neanche stavolta riesco a rispondere come vorrei ai vostri commenti. Comunque sappiate che siete la gioia migliore che possa capitare ad una fan-writer, thanks! ^^
@ElseW: grazie per l’add su fb! :D e grazie mille per i complimenti… Beh, ti pare che Al gli sarebbe corso incontro con le lacrime agli occhi? Troooppo poco serpeverde! :P
@MyriamMalfoy: Dai, lo sai che adoro gli happyending! :D Al usa la tecnica da ‘il bastone e la carota’. Harry si vedrà un pochino in questo capitolo!^^

@altovoltaggio: stavolta ho cercato di fare del mio meglio, spero di esserci riuscita! :P Il capitolo era dedicato a quella canzone speciale che ehi, è anche una delle mie preferite! :D Non conosco il libro di cui parli, ma mi ha molto incuriosito! Ahaah, effettivamente Al e Jamie si somigliano più di quanto non credano, e si capiscono benissimo. Beh, del resto sono fratelli con solo una manciata di mesi che li separa, anche se James fa tanto il vissuto. XD Dunque, sì, questa era la loro prima volta… nel bagno dei prefetti ci si sono avvicinati, ma vuoi la situazione, vuoi il fatto che fossero comunque inesperti (lo sono anche adesso ma dopo otto mesi…) … li ha fatti fermare. Adesso invece XD Ho ascoltato ‘l’mmenso’ e anche se proprio non mi piacciono i negramaro, devo ammetterli che adesso, almeno per ‘sta canzone, li ho rivalutati un pochetto. :D Sì, avevo pensato alla cosa della serie, ma essendo che ho solo queste per ora, non ne vedo il bisogno, ecco. A conclusione di questa (Se tutto va bene) e se passerò ad altri fandom o ad altre storie (originali) allora probabilmente la segnalerò come serie. ;)
@Trixina: Ahaah, beh grazie! Alla fine Al è come suo padre, è un bonaccione. Anche lui in poco ha perdonato Ron, che aveva fatto una cazzata quasi peggiore. X) E poi, sai, l’amore… Sicuramente ci sarà un saluto come si deve delle due, già in questo capitolo.
@Herys: Ciao! Benvenuta! Grazie mille per i complimenti! ^^ Tom è uno stronzetto, ma alla fine sa farsi voler bene.
@LauraStark: Aahah,grazie! Mi fa piacere che un personaggio originale come Tommy riscuota successo :P Beh, vediamo se le tue supposizione sono giuste! ^^
@Neely: Al vostro servizio! XD Vediamo se quando torni dalle vacanze posso farti trovare qualcosa di più! :P Grazie per i complimenti ai ragazzuoli! ^^
@Nikkith: Ciao, benvenuta! :D Grazie mille per i complimenti, non sai quanto piacere mi fai a dire queste cose! ^^ Specie se non sei un fan della next-gen. (che in effetti la Row ha davvero sputtanato :P) … per il resto sì, non sono stata molto chiara per la scena del bagno. Ci sono quasi arrivati a farlo, ma non l’hanno fatto del tutto. La loro prima volta è stata questa XD Spero continuerai a seguirmi!
@Ombra: Grazie per la recensione! Sì, è esattamente come hai detto tu!
@Agathe: Potevo non farli ritrovare subito? Mi deperivano troppo! Ahaaha, essì, loro sono puri e teneri, ma con uno come James non puoi aspettarti dolcezze e tenerezze, è un pervertito! XD (E pure Teddy, anzi, forse di più) Per Scorpius, se mi riesce, ci sarà una sorpresa :P
@Mikyvale: Guarda, non me lo dire, ‘ste vacanze! Grazie per i complimenti! E le foto… beh, potevo non metterle maniacale come sono? XD
@Cloto: Verissimo! ^^ Grazie per i complimenti!
 
 
 
****
 
Capitolo V




 
 
Ami, qu'on crève d'une absence, ou qu'on crève un abcès
Aux sombres héros de l'amer /qui ont sû traverser les océans du vide¹
(Aux sombres héros de l'amer, Noir Desir)
 
 
 
1 Agosto 2023
Germania del Nord, Putgarten. Fattoria dei Wollin.
 
 
Quella mattina Meike si era svegliata con una strana sensazione.
Era strana davvero, perché era raro che si svegliasse prima la luce del mattino irrompesse in camera sua, filtrando tra le imposte e colpendola dritta in faccia.
Non riuscendo a riprendere sonno si era vestita, infilandosi poi i suoi inseparabili stivali di plastica gialla. Senza quelli non si sentiva del tutto sé stessa.
La casa era ancora immersa nel silenzio; sua nonna non si doveva ancora essere svegliata.
Dopo aver controllato che proprio non ci fosse traccia di nessunissima colazione prese un biscotto dalla scatola di metallo nella credenza, se lo infilò in bocca e uscì fuori, dove c’era l’alba che si alzava dal mare, adesso piatto come una tavola.
Sarebbe andata a vedere se Ian era sveglio, decise. E avrebbe anche fatto finta che sarebbe rimasto.
Mi ha promesso che avrebbe scoperto di chi è quel castello disi… disilluso, ecco!
Inghiottì il magone con l’ultimo pezzo di biscotto.
Si diresse verso il faro: niente le sembrava diverso dal solito; l’alba era sorta come sempre, i suoi vestiti erano freddi e rigidi come al solito e persino il sapore del biscotto era prevedibile, un po’ stantio e dolcissimo.
Spinse la porta di legno del faro con le dita. Era chiusa. Non riusciva a capire perché Ian la chiudesse tutte le sere. Il faro era invisibile ai babbani, e di maghi in quel posto non ce n’erano.
Ma c’erano tante cose del suo amico inglese che non capiva.
Prese la chiave dal sasso sotto cui era posata, e aprì la porta.
C’era silenzio. Questo invece era perfettamente normale. Anche se Ian era già sveglio al massimo era seduto sulla poltrona a bersi un caffè e a rimuginare. Lo faceva sempre prima di iniziare la giornata.
Salì le scale, decidendo per una volta di non chiamarlo. Non seppe, a posteriori, perché evitò di farlo. Forse sempre a causa di quella sensazione.
Come se dovesse disturbare qualcuno. Come se dovesse fare pianissimo.
L’ambiente della lanterna era già illuminato dalla luce del sole. Ma Ian non era alla sua solita poltrona. Ian quella mattina non si voltò con aria di sufficienza per augurarle il buongiorno e concederle un po’ di caffè, zuccherandolo per renderglielo tollerabile.
Perché quella mattina Ian non era in piedi.  Meike contemplò il piccolo ambiente, trovando delle cose che a regola non avrebbero dovuto esserci: dei vestiti estivi, che non sembravano di Ian. Almeno, non glieli aveva mai visti addosso. Una bacchetta, sul tavolino, che non sembrava quella di suo papà.
Lo cercò a letto e trattenne il respiro, di colpo.
C’era un’altra persona!
Fece per darsela a gambe, e chiamare sua nonna a gola spiegata. Poi, presa da uno scrupolo, si fermò.

La persona, un ragazzo, non era solo. C’era Ian con lui. Vedeva i suoi piedi sporgere dalla brandina. Era troppo corta, e quanto e come l’aveva preso in giro per quello!
Anche stavolta non potè trattenere un sorrisetto.
Poi, giudicato che non sembrava esserci pericolo immediato, analizzò la situazione.
Dormivano tutti e due. E profondamente anche. Ian aveva abbracciato l’altro nel sonno, passandogli un braccio attorno alla vita, sopra le coperte. Più che abbracciato, stimò curiosa, sembrava stritolarlo come faceva lei con i suoi peluche, unico ricordo della sua vecchia vita, quando era triste o malata.
Non poteva vedere il viso dell’amico per stimare se fosse triste o malato, ma poteva guardare l’altro. Da lì, visto che la sua testa era al livello della botola che era anche l’unica entrata della stanza, aveva una visione perfetta.
L’altro ragazzo sembrava avere la stessa età di Ian, forse un po’ più piccolo. Era carino. Aveva i capelli molto arruffati – quasi come i suoi dopo una giornata al mare – e un viso come quello di un bambino.  
Non sembrava pericoloso, e Meike trovò che avesse l’aria simpatica.
Solo… cosa ci faceva lì?
Non era uno dei ragazzi del villaggio. Poteva essere un turista, ma non un babbano. Non avrebbe mai potuto vedere il faro, e quindi, come sarebbe potuto entrarci?
Non era molto sicura di questa sua ultima analisi. Si mordicchiò l’unghia del pollice, come faceva quando era in preda ad un profondo dilemma.
Chiamare sua nonna oppure aspettare il loro risveglio?
Allungò il collo, per guardare meglio. Arrossì, quando si accorse che no, non sembravano averceli proprio i vestiti, benchè coperti dalle lenzuola.
Forse si sono bagnati con la pioggia di ieri notte e si sono tolti i vestiti?
Si sentì improvvisamente a disagio. Come quando cercava di fare amicizia coi ragazzi del villaggio. Come se fosse tagliata fuori, e non ci fosse assolutamente modo di entrare.
Si mordicchiò con più convinzione l’unghia.
Poi capì.
Sapeva chi era quel ragazzo!
Si diede mentalmente della sciocca, perché era così ovvio.

Quel ragazzo era il Cavaliere Bianco! L’amico di Ian!
La scoperta era stupefacente. Non si chiese neanche come ci fosse arrivato.

Gli lanciò un’altra occhiata, per vedere se poteva essere davvero lui.
E si trovò fissata. Da un paio d’occhi verdissimi – più dei suoi! – e sorpresi. Quelli del ragazzo.
Si è svegliato!
A quel punto scappò via.   
 
****
 
 
Tom si svegliò per una gomitata nello stomaco.
Fu un risveglio traumatico, specie perché dovette realizzare che Al non si rendeva conto che dormire abbracciati significava ridurre i movimenti al minimo per evitare incidenti.
Fece un breve recap mentale, visto che la mattina non era particolarmente loquace, neppure interiormente.
Al. Notte. Al.
Non potè fare a meno di sorridere instupidito. Mentalmente però.
“Tom, svegliati!” Lo apostrofò l’altro, voltandosi e quasi rischiando di tirargli un calcio in zone che avrebbero dovuto esser salvaguardate. “C’è una bambina!”
Si passò una mano trai capelli, mettendo a fuoco la stanza. L’unica cosa che aveva nella sua visuale era Albus, scarmigliato, con le coperte tirate fino al petto e l’aria stravolta e imbarazzata.

“Uhm.” Al momento gli sembrava una cosa sensata da dire.
“Sto dicendo sul serio! Svegliati!” Si guardò attorno, cercando disperatamente qualcosa con cui coprirsi, probabilmente. “Dove diavolo sono i miei vestiti, per le mutande di Merlino?”
Mmh. Mi erano mancate queste imprecazioni. Magiche.

“Te li sei tolti lontano dal letto, Al… Eri così impaziente.” Riuscì finalmente a connettere, reprimendo una risata all’aria sconvolta e offesa dell’altro. “Saranno in giro.”
Al gli lanciò un’occhiata di fuoco, poi sospirò, arrendendosi all’evidenza che non era del tutto in sé. “Mi ero scordato dei tuoi risvegli a fuoco lento…”
“Io mi sveglio perfettamente cosciente.” Ribattè, mentre ricordava che fossero entrambi nudi, e che no, non era una buona idea rimanere così.

Certo, dipende.
“Non mi risulta. O sei stordito o sei direttamente di cattivo umore…” Sogghignò Al, squadrando l’ambiente, forse alla ricerca di bambine. “Ti giuro, ho aperto gli occhi e c’era questa ragazzina bionda che mi fissava.”
“Bionda…” Capì. “Ah, era Meike.”  

Quella le novità le fiuta come una giornalista d’assalto…
“La nipote della tua padrona di casa?” Interloquì Al, alzandosi in piedi e dandogli una gloriosa visione della schiena e del suo sedere.
Chissà se c’entra il quidditch. Sarebbe l’unica volta che dovrei ringraziare il suo creatore. O creatrice. Certi particolari non mi interessano.
Riportò la sua attenzione sul discorso, visto che purtroppo si stava rivestendo. “Ti viene sempre a svegliare?” Gli chiese.
“Veramente di solito se ne resta giù. Non ho idea perché oggi sia venuta a curiosare.” Fece una smorfia. Sperava davvero di non dover spiegare di fiori ed api alla ragazzina. Sarebbe stato imbarazzante, e forse Cordula l’avrebbe ucciso. “Tra l’altro è l’alba, di solito a quest’ora dorme.”
“Si saranno accorte di qualcosa ieri notte?” Borbottò Al, infilandosi con insola cautela i vestiti.
“Dubito. Non abbiamo certo duellato a colpi di incantesimi.” Replicò con uno sbadiglio. Si sentiva uno strano languore addosso. Strano, sì, ma piacevole. “Ti serve una mano?” Gli chiese poi con un sorriso divertito.

Al gli lanciò un’occhiata guardinga, prima di capire e arrostire, letteralmente. Avvampare non rendeva l’idea. “Sono dolorante.” Lo informò pieno d’accusa.
“Di solito si dovrebbe minimizzare certe cose…” Lo prese in giro, controllando comunque che non avesse lividi o cose simili. Sperò che esagerasse. “Ti fa davvero male?”
Al sbuffò, scuotendo la testa. “No, non tantissimo. È okay.” Si infilò la maglietta e spuntò arruffato e di nuovo col sorriso. “Sto bene davvero.”

“Allora vieni qui.”
“Vuoi i tuoi vestiti?”
“No. Vieni qui.” Ripetè. Al fece una mezza risata, piombando di nuovo sulle coperte. Da bambino non dovevano mai avergli insegnato che non si saltava sui letti. Forse quelli magici erano più resistenti.

Si baciarono e a Tom sembrò di nuovo un piccolo miracolo averlo di nuovo tra le braccia.
Si chiese se se lo meritasse. Ma poi lasciò perdere. C’era di meglio a cui pensare.
Gli accarezzò le braccia, ogni angolo spinoso e ogni centimetro di pelle liscia mentre si staccava dalle sue labbra per seguire la china del collo.
Troppo da recuperare…
Al emise un mugolio a metà tra la risate e il gemito. “Non sei stanco?” Gli chiese.
“Mi sono riposato abbastanza.” Replicò, scostando la stoffa della maglietta, inutile a suo parere, per mordergli la pelle sensibile della clavicola. “Troppo.”
Al si divincolò, anche se Tom sembrò che non fosse troppo convinto. “La bambina ci ha visti, tra poco potrebbe tornare! E tu sei ancora nudo.”
“Ho le coperte.”
Tom!” Lo guardò esilarato. “Dov’è finito il tuo senso del pudore?”
Dopo una notte come questa che senso ha averlo? – Si chiese, ma non lo disse. Invece sospirò.  

“Dammi i miei vestiti.” Ordinò perentorio, facendolo ridacchiare.
“Ora sì che ti riconosco!” Glieli gettò addosso, prima di stiracchiarsi. “Di cattivo umore e di poche parole.”
Tom non replicò. Era troppo felice per preoccuparsi di rispondergli a tono. Anzi. Era insopportabilmente felice. Se fosse stato un altro, o se fossero stati in un film della Disney avrebbe canticchiato un motivetto esplicativo.
Ma siccome era sé stesso si limitò a vestirsi e a lasciare che Al curiosasse in giro, canticchiando lui, a bassa voce.
Non voleva rovinare l’umore a nessuno dei due. Si erano ritrovati, e per ora quello bastava.
Recriminazioni e realtà dopo, grazie.
“Celestina Warbeck… Sei forse impazzito?” Gli chiese tirandosi a sedere sul letto, quando si rese conto di cosa stesse cantando. “Piantala subito.”
Al gli rivolse un sorriso che poteva essere catalogato solo come sadico. E continuò. “Oh, coraggio, mescola il mio calderonee se lo farai nel modo giusto…”

“Al…”
Ti farò bollire un po’ di caldo e forte amore…”
Al.
“… per riscaldarti stanotte²…” Concluse. “Non ti piace?”

Forse questa fa parte della mia punizione…
“Sono contento che sia morta.” Replicò facendolo ridere.  Poi Al si sedette sul ciglio del letto, perdendo un po’ il sorriso anche se rimase ad aleggiargli sulle labbra.
“Stanotte.” Disse semplicemente. “… la vecchia Celestina ci avrebbe scritto un successone.” Aggiunse, dopo una breve esitazione, guardandolo di sottecchi. “Non è vero?”
Tom annuì, sentendo di nuovo quel caldo liquido circondargli il cuore e filtrargli fino allo stomaco. Gli strofinò leggermente le nocche sulla guancia, in una carezza goffa. Al parve apprezzarla, perché gli strinse la mano. “Sì.” Convenì. “Ma piuttosto che darle i diritti l’avrei obliviata.”

“Li avresti dati ad uno di quei tuoi deprimenti cantanti babbani? Del genere… se un autobus ci investisse stanotte morire al tuo fianco sarebbe meraviglioso³?”
“È un’ottima canzone.” Replicò, bevendosi ogni singola espressione di Al. Gli brillavano gli occhi e non era soltanto una figura retorica. “Sempre meglio di paragonare il mio cuore ad un calderone. Cosa che trovo francamente grottesca.”

E si ritrovò, furono solo le contingenze del momento si disse in seguito, a canticchiargliela. Per fargli capire come fosse una vera canzone d’amore.
Spero che questo episodio non esca di qui…
Al appoggiò la fronte contro la sua spalla. “Potresti sempre sfondare come cantante…” Sussurrò. Era certo avesse gli occhi lucidi. Gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendoselo addosso.
Sentirono poi un cigolio sotto di loro, seguito dalla voce di Cordula.
“Ian! Scendi! È pronta la colazione… per te e il tuo…” Pausa piena di recriminazioni, curiosità, avvertimento. “… ospite.”
Tom sospirò, lanciando uno sguardo ad Al, che replicò con un’occhiata spaesata.

Ian?” Ci volle un momento prima che capisse. “… Tom, hai mentito a quelle persone?” E arrivò lo sguardo d’accusa.
Sospirò di nuovo.
La realtà continua a rovinarmi la vita.
 
****
 
 
Fu la colazione più silenziosa di tutta la sua vita.
Al non era assolutamente abituato a trovarsi di fronte a gente che non parlava. Sebbene suo padre non fosse definibile come un chiacchierone, sua madre era riuscito a trasformarlo, negli anni, perlomeno in una persona loquace. James e Lily invece erano un fiume in piena, da quando si alzavano a quando andavano a letto.

Trovarsi di fronte a due paia di occhi, femminili ed indagatori, rese Al insolitamente incapace di dispensar parole.  
Persino la bambina, un tipetto dallo sguardo furbo, sembrava preferire la contemplazione alla parola.
Fantastico…
Tom dal canto suo aveva ben pensato di chiudersi nel suo insolito mutismo.
Naturalmente.
Così si trovò a sorridere al volto piuttosto arcigno della padrona di casa. “Mi chiamo Al.” Disse con semplicità, ritenendolo un inizio promettente. “Grazie per la colazione.”
Fu quasi certo di vedere un guizzo divertito negli occhi di Cordula Wollin. “Eri affamato. Avrai fatto un lungo viaggio…” Gli rispose in un inglese accentato, mentre studiava i suoi vestiti leggeri.

“Molto meno lungo di quanto si pensi…” Replicò bevendo un sorso di caffè. Era amaro come fiele. Notò il sorrisetto divertito di Tom, prima che glielo prendesse e glielo zuccherasse a dovere, restituendoglielo subito dopo.
“Da dove vieni?” Chiese di colpo la bambina. Forse vedendo la confidenza tra di loro si era convinta che non fosse un mago malvagio. O qualcosa del genere. “Sei inglese anche tu?”
“Sì, vengo da un posto vicino Londra.” Riassunse. “Vicino a dove abita Tom…”

Tom?” Lo guardò smarrita, prima che l’interpellato, finalmente, si decidesse ad aprir bocca.
“È il mio vero nome, Meike.” Gli disse in inglese, prima di continuare la spiegazione in tedesco. Per quanto fosse una lingua pietrosa, ad Al sembrò che Tom avesse un tono gentile. Insolito, conoscendo la sua scarsa pazienza con i bambini.
“Per ragioni di sicurezza…” Sbuffò la donna, ritendendo forse che fosse il momento di prendere la parola. Al trovò che fosse una gran prova di tatto parlare in inglese per lui. “Sei paranoico?”
Al scoccò un’occhiata guardinga a Tom. Non sembrava particolarmente irritato dall’essere ripreso platealmente. Sembrava anzi riflettere.

“Chiamala come ti pare. Comunque, rimango sempre io.” Aggiunse, e questo fu rivolto alla bambina, che si mordeva le unghie combattuta. “Mi dispiace di averti mentito, Meike.” Concluse.
La bambina scosse leggermente la testa. Sembrava presa da altri pensieri e non particolarmente turbata dal repentino cambio di nome. “Lui…” Guardò Al di sottecchi, corrugando le sopracciglia mentre cercava evidentemente di trovare i termini inglesi. “… è il cavaliere bianco?”
Al battè le palpebre confuso. “Come?” Fu quasi certo di vedere Tom arrossire. Si godette la sua espressione mortalmente imbarazzata. “Scusa, sarei chi?”  

Tom lo ignorò ostentatamente, rivolgendosi a Meike, con un sorriso tirato.
“Sì, è lui.”  
“Oh!” Improvvisamente la bambina sorrise. “Lo sapevo, eh!”
“Sarei cosa?” Insistette, ma trattenendo risatine impietose, perché dopotutto era un bravo ragazzo.

“Gli raccontavo delle storie… È un discorso lungo.” Borbottò, sfidandolo silenziosamente a continuarlo.
“Mi ha parlato di te!” Insistette Meike con un inglese traballante ma audace. “Resterai anche tu?”
Ci fu a quel punto un veloce scambio di sguardo tra la donna più anziana e Tom. C’era confidenza tra loro, Al lo intuì subito. Tom si fidava di quella donna.
Cordula si schiarì la voce. Spiegò qualcosa alla nipote, pacatamente, ignorando le proteste della bambina. Poi si voltò verso di lui. “Sei venuto per riportarlo a casa. Vero?”
Al si limitò ad annuire, cercando di non guardare l’espressione ferita della ragazzina: era chiaro che avevano discusso della partenza di Tom.  
“Partite adesso?” Chiese la donna, sembra con lo stesso tono pcato. Al esitò, non ritenendo che stesse a lui dirlo. Tom, dopo avergli lanciato un’occhiata si limitò ad annuire.
La bambina a quel punto ebbe una reazione inaspettata. Si alzò di scatto in piedi, gridando qualcosa a Tom, prima di lasciare la cucina, sbattendosi dietro la porta con violenza. Sentirono i passi pesanti sopra le loro teste, segno che era salita, probabilmente in camera.
“Tom… che succede?” Chiese confuso. Avrebbe voluto fare un’incantesimo traduttore, ma era un incantesimo complesso, e comunque soggetto a imperfezioni.
Vorrei evitare di insultare qualcuno in quest’atmosfera così tesa…
“Le avevo promesso una cosa.” Sospirò, prima di finire il proprio caffè. “Ieri notte, prima che tu arrivassi, abbiamo fatto… una scoperta.” Si voltò verso Cordula. “C’è un castello nel bosco. Protetto da degli incantesimi piuttosto potenti. Disillusione, repello babbanum. Cose del genere. Ci abitano dei maghi.”
La donna sembrò stupita. “… Non lo sapevo. Non si devono essere trasferiti da molto.” Raccolse con le dita alcune briciole di pane. “Del resto anche trovandomelo davanti non avrei potuto vederlo.”

Tom fece un cenno con la testa. “Beh, in ogni caso c’è. Ieri ho promesso a Meike che avrei indagato sui padroni. Ma adesso abbiamo altre priorità.”
“Non fa niente.” Lo interruppe. “Non ci corre dietro nessuno, devo comunque cercare un gufo, o un telefono per contattare papà.” Ci riflettè. “Anzi, se ci sono dei maghi forse potremo chiedere a loro, no?”
Tom sembrò esitare. “Da quello che ho visto non credo che i padroni rientrino nella definizione di persone ospitali.”

“Sì, ma se avessero un camino collegato con la metropolvere?”
“Ne dubito.” Tagliò corto. Sembrava inquieto, e Al non insistè. Neppure lui aveva tanta voglia di chiedere favori a castellani misteriosi. Una telefonata sarebbe stata sufficiente, tanto i suoi erano già tornati a casa.

“Potete decidere di andar via come e quando volete.” Esordì la donna, che fino a quel momento si era limitata ad ascoltarli. “Ma prima di andartene, ragazzo, saluta Meike. Non vi rivedrete.”
Tom serrò le labbra. Al conosceva bene quel gesto; era il suo modo di tenere sotto controllo le emozioni. “Questo non puoi saperlo.” Ribattè infatti piuttosto freddo.

“Fallo e basta.”
Tom esitò a lungo, prima di alzarsi. “Vado a parlarle.” E non aggiunse altro, salendo le scale.
 
 
****
 
Non sapeva trattare i bambini. Non aveva mai saputo farlo, e Meike era sempre stata l’eccezione che confermava la regola.
Quando la vide stesa sul letto, con il cuscino a schiacciarle la testa, si chiese se non avesse fatto uno sbaglio a classificarla come tale.
Io non so prendere i bambini…
“Meike…”
“Me l’avevi promesso! Sei un bugiardo I…” Una pausa. “… mi hai mentito anche su come ti chiami!”
“Avevi detto che non ti importava.”
“Beh, non è vero, mi importa!”
Tom sospirò, sedendosi sulla sponda del lettino. Era piccolo e dipinto di bianco. Gli ricordava quello di sua sorella Alice. Si chiese se l’avrebbe mai perdonato di essere scomparso.

“Scusami.” Mormorò. “È vero, sono un bugiardo e non mantengo le promesse…”
Sentì la bambina tirare su con il naso. Lo prese come un gesto distensivo. Sperò che fosse tale, perlomeno. “Comunque tua nonna non sa nulla sul castello. Può darsi che fosse abbandonato e che ci si siano trasferiti solo ultimamente…”
“Nonna non lo vede perché è una maganò, vero?”
“Sì, esatto.” Esitò, poi le posò una mano sulla spalla. Meike si divincolò appena, ma non sembrò molto convinta. Lasciò la mano dove stava quindi. “È davvero così importante che venga a vederlo con te?”
“No…” Come immaginava. Meike si tolse il cuscino dalla faccia; aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto e Tom capì che non c’era relazione umana che non fosse maledettamente complicata. Forse era quello a renderle tanto interessanti. Sapeva che Voldemort non si era mai sforzato di capirle, tranne uno spettro piuttosto ridotto e negativo.

Piuttosto stupido da parte sua…
“Non voglio che te ne vai.” Lo riportò alla realtà la bambina.
“Ne abbiamo già parlato, Meike… Andrai a Durmstrang, non saremo rimasti comunque assieme.”
“Sì, ma non ci rivedremo più.” Si mordicchiò un’unghia. “Quando tornerò dalla nonna tu non ci sarai… Sarai in Inghilterra, con i tuoi amici… e ti dimenticherai di me.”
“Questo non credo sia possibile.” Replicò, ed era vero. Gli sarebbe mancata quella ragazzina logorroica e sempre sorridente. Gli aveva salvato la vita in molti modi… in un certo senso, come sua nonna, l’aveva mantenuto in vita. “Non succederà.”

Meike si tirò su a sedere. “Saremo sempre amici?”  
“Sempre, naturalmente.” Confermò e sopportò l’abbraccio stritolante che ne conseguì. Ricambiò persino, perché era giusto e perché in fondo lo voleva anche lui.
Io non farò il suo stesso errore.
 
 
****
 
 “Sa bene l’inglese…” Disse impacciato Al, una volta rimasto solo con la benefattrice del suo ragazzo: odiava dover attaccar bottone con una persona che non sembrava apprezzare le conversazioni di circostanza. “Dove l’ha imparato?”
“Non vivo fuori dal mondo.” Replicò infatti secca.  
Al si sentì arrossire e non replicò. Avrebbe voluto farle tante domande, chiederle molte cose, ma spiandola di sottecchi si rese conto che non avrebbe avuto senso. Avrebbe soddisfatto soltanto la sua curiosità.
Questa donna si è occupata di Tom, e senza di lei forse non sarebbe ancora vivo.
È tutto qui, in fondo.  
“Lui sta bene adesso?” Le chiese solo. Aveva bisogno di saperlo e aveva la netta impressione che Cordula Wollin non lesinasse la verità.
La donna si strinse nelle spalle. “Fisicamente sì. Adesso che ci sei tu, sta bene tutto.” Concluse.
Al ignorò il magone che l’aveva assalito, limitandosi ad annuire. “Grazie.” Disse “Grazie per esservi prese cura di lui.”
“Ne aveva bisogno.” Rispose senza fronzoli. Rifiutò con un cenno della mano il suo aiuto, e raccolse piatti e scodelle, dirigendosi in cucina. La seguì. “Ha una grande forza magica. Una forza pericolosa. Non poteva essere lasciato da solo.” Aggiunse, aprendo l’acqua per sciacquare i piatti. Al tirò fuori la bacchetta e ne spedì docilmente la maggior parte sotto il getto, a lavarsi da soli. La donna lo ringraziò con un muto cenno della testa. “Non ho mai conosciuto nessuno come lui. Ed ho conosciuto molti maghi.” Fece una smorfia sarcastica, rivolta ai piatti incantati. “Anche se non sembra, certo.”
“Tom è particolare…” Convenne. “Cosa…?”
“So di lui? Di quello che gli è successo?” Lo anticipò. Fece un sorriso sardonico. “Non molto.”
Al si trovò a scambiare con quella donna sconosciuta un’occhiata di intesa. Sorrisero entrambi.  

Rimasero in silenzio mentre il sole raggiungeva la finestra e illuminava la povera cucina. Al si puntellò al lavello mentre la guardava affaccendarsi faticosamente attorno ad una pentola.
“C’è qualcosa che posso fare… che la nostra famiglia può fare per sdebitarsi?” Le chiese gentilmente. Sapeva di suonare impacciato, ma non era proprio granchè in quel genere di cose.
“Sì.” Convenne dopo qualche attimo di considerazione. “Proteggerlo. Credo che se finisse nei guai… non sarebbe l’unico a pagarne le conseguenze.” Gli lanciò un’occhiata penetrante. “Mi sbaglio?”
Al non potè rispondere perché Tom entrò nella loro visuale. Abbozzò un sorriso quando gli rivolse un’occhiata inquisitoria, ma fu più che altro un riflesso condizionato. Teneva indolentemente una mano nella tasca, ma Al sapeva fosse tutta scena.

Era nervoso in realtà.
“Credo sia ora di andare a fare quella telefonata, Al…”
 
 
****
 
Inghilterra, Devonshire. Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley.
 
Non posso credere che tu l’abbia fatto, Harry.”
Lily lanciò un’occhiata di sbieco alla madre, mentre mescolava il porridge per colazione. Quando Ginny Potter usava quel tono, accentando certe parole, si poteva esser certi di rischiare la vita.

Suo padre infatti sembrava essersi fatto piccolo contro la credenza.
“Il deluminatore è sicuro… l’ha già usato Ron prima di lui.” Mormorò, cercando di essere ragionevole.
La mattina tutta la Tana si era svegliata ed era stata lampante la sparizione di Al. Dopo un attimo di sconcerto suo padre aveva preso da parte la famiglia e li aveva convinti a seguirli a casa.
E poi ha mollato la bomba. Bang!
Aveva dato ad Albus il deluminatore. E lui l’aveva usato.
Lily prese il pentolino e se ne versò una dose, lasciando il resto al fratello e a Teddy, che sostava silenzioso sulla porta della cucina con l’aria di qualcuno che voleva disperatamente essere d’aiuto senza avere la minima idea di come fare; era venuto con loro e suo padre non aveva mosso la minima obiezione.
Probabilmente più persone ci sono tra lui e la mamma e meno rischia il linciaggio.
Mangiò una cucchiaiata in silenzio, mentre James si sporgeva al suo orecchio. “Papà stavolta l’ha combinata grossa. Che gli sarà saltato in testa di dare ad Albie quel coso?”
“È tutta la vita che le combina di enormi… Se però le azzecca nessuno gli dà dietro, no?” Rimbeccò facendolo suo malgrado sogghignare supportivo. “E comunque penso che abbia fatto bene. Se c’è qualcuno che può trovare Tom, quello è Al.”
“E se fosse morto?”
“Non penso che il deluminatore l’abbia trascinato negli inferi per trovarlo.” Replicò sicura, e lo credeva davvero. “Al limite non avrebbe funzionato.”

Non è morto. Forse non scoppia di salute, ma non è morto. Non può esserlo.
Non voglio perdere due fratelli.
James si passò una mano trai capelli, sbuffando, mentre la discussione dei genitori si spostava in salotto e inaspriva i toni. Teddy lanciò loro un’occhiata afflitta.
Lily gli sorrise, simpatetica: sapeva quanto odiasse le liti e sentire urlare. Battè la sedia accanto a sé. “Teddy, siediti e fa’ colazione!”
Il ragazzo sorrise in quel modo gentile e un po’ distratto che aveva di eludere una richiesta. “Ho mangiato talmente tanto ieri che mi potrebbe bastare per sei giorni, Lils.”
“Siediti e basta e contemplaci mentre mangiamo?” Suggerì senza voler apertamente ordinare. Teddy colse l’invito e si sedette. A quel punto James si degnò di dargli una pacca sulla spalla; la strinse leggermente, in quel linguaggio segreto che la faceva sempre sorridere. Suo fratello e Teddy non davano grandi dimostrazioni in pubblico. Ma bastavano di gran lunga le occhiate.

E meno male che papà non le nota tanto…
“Su con la vita, Teddy!” Lo apostrofò con forza. “Litigano in continuazione, e mamma è una chioccia. Papà ha fatto la scelta giusta.”
“Non lo so…” Ammise l’altro, con evidente sforzo perché per lui era davvero difficile contrastare le idee del padrino. Si scostò una ciocca di capelli dal viso. “Penso che abbia fatto una scelta molto pericolosa ad affidare un compito simile ad Al.”
“Io direi che è l’unica possibile!” Replicò Lily, cercando sicurezza dove nessuno sembrava trovarla. “Andiamo, Al e Tom sono sempre stati molto legati… e quel coso funziona tramite i sentimenti della persona che lo usa, no?” Scrollò le spalle. “E poi Al non è un cretino. L’anno scorso se l’è vista contro un sicario e Tom sotto imperio. Ha la bacchetta… sa cavarsela. Anche legalmente, è maggiorenne.” Aggiunse, sentendo il familiare senso di fastidio all’idea di essere la piccola di casa. E femmina.

Karma Weasley… Quando mai vi sfuggirò?
Teddy, i cui capelli viravano verso un violetto che era un contrasto allegro con la sua espressione, sospirò. “Sì, ma perché adesso? Per quella telefonata?”
Lily annuì. “Per cos’altro? Al stava perdendo la testa, l’hai visto com’era alla festa, sembrava un infero depresso, è stato appiccicato a Rosie tutto il tempo. Papà gli ha dato uno scopo, qualcosa da fare. E se Tom… beh, se Tom…” Inspirò, poi continuò. “… Se non fosse più con noi il deluminatore gli darebbe la prova finale.”
“Ma ha funzionato.” Ammise James. “Quindi è ancora vivo.”

L’altro scosse la testa. “È un oggetto complicato, non so bene come funzioni nel caso che la persona cercata sia morta. Del resto è stato creato da Silente. Quell’uomo era un mago geniale, ma … contorto.”
“Detta semplice, un manipolatore come pochi.” Borbottò Lily, a cui non era mai piaciuto, in nessun racconto, per quanto meravigliosamente raccontato o infiorettato.  
Crescendo aveva capito che era invece un gran signor burattinaio. Aveva controllato suo padre, quando era poco più grande di lei, aveva controllato tutti come pedine su una scacchiera. Aveva fatto fare a delle persone, come il professor Piton, quello che aveva voluto, fino alla fine. E senza curarsi dei sentimenti di nessuno.
Per essere uno che parlava d’amore non era granchè misericordioso…
Interruppe la sua riflessione quando vide sua madre tornare in cucina, rossa in viso e con gli occhi lucidi di rabbia. Era entrata come una furia e Teddy si era irrigidito, guardandosi attorno come se fosse colpa sua. James, notatolo, gli rifilò un ceffone sulla spalla.
“Mamma?” Le chiese Lily, vedendola prendere la sua bacchetta che era rimasta sul lavabo. “Dove vai?”
“Da vostro zio. Voglio sapere dov’è finito Al e voglio saperlo subito. Al Ministero lo scopriranno più in fretta di quanto possiamo fare noi.”
“Ma mamma, papà…” Cercò di intervenire James.

“Vostro padre stavolta ha passato il segno. Sembra che tutta la famiglia debba mobilitarsi per Thomas!” Sbottò, prima di vedere le loro facce e fare un sorriso tirato. “Va tutto bene, comunque. Fate colazione.”
“Al diavolo al colazione!” Replicò James nervoso. “È sul serio pericoloso quell’affare? Al è in pericolo?”

“Non lo so.” Replicò Ginny più calma. “Fa’ colazione tesoro, e Teddy ti prego… mangia qualcosa, sei così pallido…”
A quel punto il telefono squillò. Fu un suono chiaro, che squarciò la cucina, ma a Lily sembrò che nessuno ci facesse caso. Sua madre si diresse verso la porta, per smaterializzarsi, mentre James e Teddy erano probabilmente indecisi se andare da suo padre o meno.
Lei, che sapeva bene che quel telefono c’era solo perché Tom o la sua famiglia potessero chiamare, si alzò e andò a rispondere con uno strano presentimento.
E poi perché gli zii dovrebbero chiamare?
“Pronto, Casa Potter.”
“Ciao Lils, sono Al… ho trovato Tom, siamo in Germania. Mi puoi passare papà?”

 
 
Harry Potter aveva sempre saputo di aver ereditato molto del suo modus operandi da Silente; era inevitabile, era stata l’unica figura paterna che avesse mai avuto, tralasciando i tentativi goffi e inadatti di Sirius.
Agisci per il Bene Superiore.
Aveva creduto di fare la cosa giusta con Al, dandogli il deluminatore dopo averlo sottratto a Ron. Sapeva bene che l’amico lo teneva sempre con sé, come un vecchio cimelio da cui faceva fatica a separarsi, come lui non si separava mai del vecchio orologio dei Peverell.
Forse stavolta aveva sbagliato?
Forse.
Ginny aveva ragione, si comportava come Silente quando era sotto pressione.
Ma Silente, per quanto male possa aver fatto, ha permesso a tutti noi di sopravvivere. Mi ha dato modo di sconfiggere Voldemort… e in fondo, mi ha sempre dato la possibilità di scegliere, anche se all’interno di un sentiero tracciato.
Certo, il suo vecchio mentore possideva una mente lungimirante, mentre lui era semplicemente il vecchio Harry, sempre teso ad agire di cuore, più che di testa.
Aveva quindi sbagliato? Come padre protettivo, probabilmente.
Ma anche se aveva esposto suo figlio ad un rischio, sapeva che non era stato inutile. Né per Al, né per lui… né per Tom.
 
“Giochi con la vita dei nostri figli!”
“Ginny, questo non è vero! Sto solo cercando di riportare a casa Thomas…”
“Non è tuo figlio, Harry! Quanto ti ricorda te stesso perché tu faccia gli stessi errori di Silente?”

 
A quello non aveva risposto, perché era più intelligente di così. Ma la risposta ce l’aveva eccome.
Tanto, Ginny. Troppo forse.
 
Sentì un trambusto al di là della porta, e le voci concitata dei suoi figli. Lily spalancò la porta del salotto, con il cordless in mano.
“Lily, tesoro, cosa c’è?” Gli chiese mentre il cuore gli schizzava in gola, alzandosi dalla sedia. “Che succede?”
“Papà, è Al! L’ha trovato!” Gli corse incontro con un grande e meraviglioso sorriso, porgendogli la cornetta.

Harry sentì la saliva seccarglisi in gola, ma rispose. “Al, sei tu?”
La comunicazione era disturbata e a tratti un fruscio violento la copriva, ma la voce che rispose era indubbiamente quella del suo bambino. “Papà, c’è Tom con me! Avevi ragione tu, il deluminatore ha funzionato!”
“State bene?” Vide con la coda dell’occhio avvicinarsi il resto della sua famiglia. L’espressione di Ginny era un misto tra sollievo e irritazione. “Tu e Tom, state…”
“Sì, sì!” Lo tranquillizzò immediatamente. “Ma non sappiamo come tornare a casa… qui non c’è collegamento con la metropolvere, né tantomeno scope o cose del genere. Non ci sono neanche i Gufi, pensa. Siamo in un villaggio babbano.”

Harry rimpianse di aver lasciato i suoi occhiali in cucina, perché sentì il bisogno di rimetterli a posto o pulirli. “Non preoccuparti tesoro, vi veniamo a prendere… È davvero tutto a posto?”
E Al capì, perché era sempre stato il più intuitivo del suoi figli. “Ti passo Tom, papà.” Disse infatti e ci fu un violento fruscio che preannunciava il cambio di interlocutore.

“Zio Harry?” Disse la voce del suo figlioccio, pacata e un po’ fredda come se la ricordava. Cercò di dominare le emozioni, perché a quarantatrè anni suonati non poteva farsi venire gli occhi lucidi di fronte alla sua famiglia.
“Tom, è bello sentirti.” Disse invece, e fu stupito di avere la voce ferma. “Come stai?” Non era mai stato bravo in quel genere di convenevoli.
Ci fu una breve pausa al di là del filo ed Harry seppe che erano in due ad essere pessimi. “Bene.” Gli rispose, con la voce controllata delle grandi occasioni. “Mi dispiace, zio.” Aggiunse piano. “Mi dispiace…” Ed era sincero, Harry lo sapeva, proprio perché sembrava freddo come un ghiacciaio artico.
“Lo so.” Sospirò sentendo che finalmente tutto stava tornando al suo posto. Era la sua famiglia quella, ed era perfetto solo quando era completa. “Vengo a prendervi. Andrà tutto bene.”

“Lo so.” Rispose stavolta Tom. “Ti passo Al…” Aggiunse in fretta, prima che alla cornetta tornasse a suo figlio. Si fece dare le indicazioni precise, si assicurò un altro paio di volte che fosse davvero tutto a posto e poi passò la palla a Ginny, che passandogli accanto gli sillabò qualcosa di simile a ‘Hai una fortuna sfacciata, Harry Potter’.
Sorrise.
James aveva un largo sorriso quando li raggiunse. “Quel nanetto… Se si mette in testa una cosa, eh papà?”
Lily gli si aggrappò ad un braccio e rise. “Allora tornano, eh? Tornano tutti e due!” Ad un suo cenno d’assenso sogghignò. “Bisogna organizzare una festa. Grandiosa. Faraonica. Io penso agli inviti.”
Teddy si limitò ad un sorriso calmo. “Hai avuto ragione ad aver fiducia in Albus. È un ragazzo straordinario.”
“Sì, anche straordinariamente stronzo.” Precisò James con uno sbuffo. “Ma è un serpeverde. Non fa un gran chiasso, ma ottiene sempre quello che vuole. In un modo o nell’altro.” Fece una pausa, ignorando l’occhiataccia del giovane Lupin. “Perché è anche un po’ grifondoro, ecco.”

Harry sorrise ai suoi figli. “Sì Jamie, è vero.” Disse. “Adesso vado a prenderli…”
C’era ancora molto da fare, per Tom: molto da spiegare e da farsi spiegare. Il suo figlioccio doveva tornare nella società magica e doveva farlo da mago libero, privo di ombre nel suo passato. Non sarebbe stato facile, ma del resto le cose importanti non lo erano mai, no?

 
Al uscì fuori dalla cabina, dopo aver rassicurato in quaranta modi diversi sua madre che non fosse mutilato, ferito, morto o spacciato. Questo dopo aver ascoltato una bella ramanzina per la sua incoscienza.
Tom gli dava le spalle e guardava lo specchio straordinariamente cobalto del mare, visibile persino da lì, con le mani sprofondante nelle tasche dei pantaloni. Non c’era gente nella piccola via stretta che ospitava giusto quella cabina telefonica e un pub sprangato; erano soli.
“Stai bene?” Gli chiese raggiungendolo.
“È diventata la domanda del giorno?” Replicò a bassa voce. 
Al ci riflettè. Sorrise appena, mettendogli una mano al centro della schiena. Da lì poteva sentirgli battere il cuore. “Ma stai piangendo?”
“Sta’ zitto.” Una pausa. “Sto benissimo.”

“È diventata la risposta del giorno?” Lo canzonò dolcemente, prima di abbracciarlo da dietro. Lo sentì irrigidirsi e poi rilassarsi una volta che capì che non avrebbe mollato la presa.
Mai.
“Si torna a casa naufrago…”
 
****
 
 
Note:
Capitolo passaggio, parecchie chiacchiere, poca azione. Il prossimo: Sören!
 
1. Qui la canzone. Devo dire che mi ha ispirata parecchio in questa parentesi germanica. Se guardate il video, capite. :P
2. Traduzione a braccio. La versione nel libro della Salani è un po’ diversa ma questa è quella letterale. Ancora più agghiacciante.
3. There is a light that never goes out dei The Smiths. La canzone preferita di Tommy. :P

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Purtroppo devo partire ancora. Riesco a mandarvi tanto amore con questo capitolo e a rispondere brevemente alle recensioni. Ne ho viste meno, ma spero sia solo per via di ferragosto. :P
@ElseW: il castello disilluso diciamo che era un ‘assaggio’. Per via di Sören sai :P Silente sicuramente si sarebbe fatto due risate. Probabilmente Lily avrebbe cercato di tirargli un calcio. Non è molto diplomatica quando crede che qualcuno abbia fatto del male ai suoi. xD Grazie mille per i complimenti, siete anche voi che rendete questa storia quello che è credimi! ^^
@Altovoltaggio: Ehi, guarda che quella canzone in particolare mi piace moltissimo! Devo ammetterlo, mi ha sorpresa! Beh, grazie… io adoro la musica, senza una canzone a capitolo non saprei proprio come fare. E poi beh, per la conoscenza… cazzeggio un sacco sul tubo. Si trovano canzoni meravigliose. Ahaah, Meike è abbastanza smaliziata, credimi… e per quanto riguarda il Torneo Tremaghi, ho qualche idea, che per ora non posso svelare! :P Oh, credimi, Lily ha preso da Ginny! Grazie per i complimenti! Guarda su Silente ci troviamo perfettamente d’accordo, era un manipolatore! E Harry troppo buono per non finire per perdonarlo. Basta come si è comportato con Piton! L’incontro tra Harry e Cordula… lo descriverò, promesso. ;)
@Nicky_Iron: Ah, se mi dici così ho fatto più attenzione in questo capitolo! Dimmi se ti confonde ancora il cambio dei personaggi! Certo, si manterranno in contatto, sicuro! :D Farò del mio meglio per non deluderti!
@LauraStark: Grazie mille! Essì, Harry l’ha scampata bella! Beh, vedremo se la sua ipotesi sarà veritiera o no!
@Mikyvale: Grazie per i complimenti a Meike! Volevo fosse una figura di contorno, e poi mi è venuta una figura di rilievo! XD Tom in realtà è pudico, ma quando è appena sveglio è una specie di zombie semovente, incapace di intere e di volere… e poi era post-sesso, poteva scoppiargli una bomba accanto.
Ma certo che faranno pace, ormai, sono una coppia di ferro! XD
@Neely: Felice di averti reso felice! ;D Eheeh, tutto quello che chiedi, c’è scritto nel capitolo! E grazie ancora per seguirmi! :D
@ZetaSev: Ciao Zeta! Wow, davvero l’hai letta tutta, ma sei fantastica! Ti adoro! XD Ed è ancora più bello, perchè a te le fic del mio genere non piacciono, grazie mille quindi! E sì, sono d’accordo con te, sono persone nuove, non devono sembrare fotocopie dei parenti! Se ti devo dire la verità, anche Rose è il mio pg preferito, in un certo senso! XD
 
****
 
Capitolo VI
 

 
 


It's been a whi
le/since I could hold my head up high
And it's been a while/since I first saw you
It's been a while/since I could stand on my own two feet again
It's been a while
But all that shit seems to disappear when I'm with you¹
(It’s been a while, Staind)
 
 
 
 
Da qualche parte in Germania del Nord
Resistenza estiva degli Hohenheim.
 
L’orologio batté cupamente mezzogiorno.
Sören alzò lo sguardo sulla pendola di legno di noce scrutando con cipiglio il rintocco lugubre che si spandeva per l’intero piccolo salotto d’attesa.
Odiava quei momenti. Era quasi del tutto certo che suo zio lo facesse apposta a farlo attendere.
Era una tecnica psicologica logorante: solo con gli anni, e con una certa reiterata presenza di tale tecnica a Durmstrang era riuscito a sovrastare completamente il nervosismo.
La sua difesa preferita era esaminarsi le mani alla ricerca di macchie. La sua istitutrice, una rigida donna russa, l’aveva abituato a non avere mani e unghie sporche, pena punizioni corporali.
Quando era cresciuto l’aveva presa ad abitudine. Trafficando spesso con pozioni e sostanze che macchiavano le dita era un ottimo esercizio di distrazione.
Quel giorno però, ahimè, le sue unghie erano pulite, come i polpastrelli. Occuparsi, con la magia, del trasloco delle proprietà di suo zio non sporcava certo le mani. Aveva finito alle luci dell’alba, aveva sigillato con potenti incantesimi protettivi la villa padronale e poi era ripartito alla volta della nuova residenza degli Hohenheim.
Quella villa era ancora più cupa di quella che aveva lasciato. I pesanti tendaggi blu, posti su ogni singola finestra del palazzo, non lasciavano oltrepassare neppure uno spiraglio di luce. Solo un lume asfittico illuminava la stanza, dando una connotazione sinistra al tutto.
Sembra quasi che suo zio avesse orrore della luce.
Fece una smorfia, lanciando uno sguardo alla porta dello studio ostinatamente chiusa.
Si sfilò allora l’anello che portava all’anulare. Era l’unico ricordo che avesse di suo padre, l’unico che Alberich gli permettesse di avere, forse perché simbolo del proprio sangue puro.
Gli piaceva quell’anello. Era di scuro metallo inglese, con un incisione ormai sbiadita dal tempo, ma ancora visibile. Due mani stilizzate che cingevano una corona: era tutto ciò che rimaneva dell’antica famiglia dei Prince. Per quando ne sapeva in Inghilterra ogni traccia si era estinta da tempo.
E lui…
Beh, lui era un Hohenheim, adottato all’età di sei anni e da allora si era sempre considerato come tale.
Non ricordava molto di suo padre, se non una figura già piuttosto avanti con l’età, dalla carnagione giallastra e gli zigomi sgradevolmente ossuti.
Da lui aveva preso i capelli neri e lisci, da lui la corporatura asciutta e la scarsa altezza.
Elias Prince veniva dall’Inghilterra: una volta aveva sentito i servitori mormorare che avesse sposato sua madre per via di uno scandalo occorso all’interno della sua famiglia. Qualcosa che come un unione tra una sua parente prossima e un sangue sporco, gli aveva chiarificato suo zio una sera che era in vena di chiacchiere.
Non ricordava né carezze, né affetto da parte del padre: né del resto avrebbe dovuto stupirsene. I maghi purosangue non erano avvezzi alle tenerezze. Era morto quando era poco più di un bambino, a seguito di un incidente nel proprio laboratorio. Era un alchimista.  
Sua madre invece l’aveva persa a dodici anni. O forse non l’aveva mai veramente avuta. Era stata una pallida creatura, succube dell’incredibile carisma del fratello Alberich e del marito. Da lei aveva ereditato la carnagione irritantemente soggetta ad arrossire e una gastrite nervosa che lo flagellava da ben diciassette anni. Si era spenta in silenzio, lasciando una stanza vuota e qualche gioiello che era stato di nuovo inglobato nel patrimonio degli Hohenheim.
Sören era stato più volte nella sua stanza dopo la sua morte; non era mai riuscito a provare nulla.
Per provare qualcosa si dovrebbe avere ricordo della persona che è scomparsa…
I suoi pensieri stavano prendendo una piega decisamente malinconica, e non gli andava di assecondarla. Tirò un grosso sospiro, infilandosi nuovamente l’anello e stiracchiando pigramente le gambe. Lanciò un’altra occhiata verso la porta, sperando che si aprisse.
Ovviamente non accadde.  
Non aveva idea di cosa suo zio potesse ordinargli di fare per l’organizzazione: del resto non era un vero e proprio membro della Thule. Era un… affiliato. Essere parente in linea maschile di uno dei membri più influenti però gli dava qualche privilegio. Infatti sapeva cos’era successo l’anno prima.
Non poté fare a meno di sorridere. C’era una certa ironia in tutta quella storia: suo zio aveva fatto di tutto per avere un erede da plasmare a sua immagine e somiglianza, ovvero sia crudele, con un intelligenza vorace e pochi scrupoli morali. Il genere di persona che, con la giusta dose di egomania, sarebbe potuta diventare un nuovo mago oscuro capace di rivaleggiare con il connazionale Grindenwald o l’inglese Lord Voldemort.
Era quasi certo che suo zio avesse persino sognato quell’eventualità. Aveva scomodando quantità esorbitanti di magia oscura e per farlo vivere aveva persino trasmigrato un’anima che si diceva – ma questo non gli era stato confermato – appartenesse all’ultimo dei maghi oscuri, Voldemort.
Quel ragazzo, secondo l’intera società Thule, sarebbe stato il nuovo baluardo che avrebbe dato lustro e potere all’organizzazione.
Sfortunatamente Thomas Dursley sembrava aver sviluppato una personalità che mal si adattava ai sogni apologetici di Alberich. Per ironia del caso era stato infatti adottato dalla famiglia del mago ‘della luce’ per eccellenza, Harry Potter. E a lui era rimasto fedele, nonostante quell’idiota di Doe avesse assicurato piena riuscita del suo piano.
John Doe era morto e non aveva portato indietro uno solo dei Doni della Morte, il principale motivo per cui la Thule aveva finanziato quell’operazione.  Oltre a questo, Thomas era scomparso.
Una sconfitta su tutta la linea che suo zio faticava a digerire, specie perché aveva minato la sua influenza all’interno dell’organizzazione.
Era furioso e Sören sapeva bene che questo, per lui, non significava nulla di buono.
Per questo sentiva un bruciore fastidioso alla bocca dello stomaco e cercava di ingannare il tempo pensando ad altro, rassicurandosi sul fatto gli era stato dato un compito, dopo mesi di inattività, e avendolo svolto ora gliene aspettava un altro, per conto dell’organizzazione.
Avrebbe mentito se non avesse ammesso di essere nervoso: se avesse svolto al meglio quel compito la Thule avrebbe forse schiuso le porte per lui, finalmente. Suo zio l’aveva educato, o per meglio dire addestrato per entrarvi.
Tamburellò le dita sulle braccia, calciando via un batuffolo di polvere con la punta dello stivale.
Era frustrante: spesso fungeva da braccio operativo, trafugava, mentiva e neutralizzava avversari per Lei, ma non aveva accesso ai suoi segreti.
Si rendeva conto di essere ridicolo, alle volte, a parlarne come se fosse una donna, ma l’organizzazione pretendeva la stessa fedeltà che avrebbe preteso un’amante.
Non c’era niente, al mondo, più importante per lui che riuscire a farne parte. Da questo punto di vista si considerava un soldato zelota.  
Del resto, se erano riusciti a far tornare in vita un essere umano… Cos’altro erano capaci di fare?
Sören ne era affascinato e terrorizzato al tempo stesso. Era quella la
strada tracciata per lui sin dalla nascita. Se suo zio non aveva potuto crescere suo figlio, aveva cresciuto lui.
Alberich Von Hohenheim era tutta la sua famiglia. E lui sapeva che alla famiglia si doveva tutto.
La porta finalmente si aprì, come se qualcuno l’avesse spinta, anche se sapeva bene che fosse tutta opera della magia di suo zio.
“Entra Sören.”  
E Sören obbedì, come sempre.
 
****
 
Isola di Rügen, Germania del Nord.
Putgarten.
 
“Non capisco perché ci mette tanto ad arrivare.”
Albus sospirò quando Tom ripeté la frase per forse la ventesima volta.

Avevano risalito la collinetta che portava al bosco, visto che Tom alla fine non era riuscito a dire di no a Meike, e aveva acconsentito ad andare a dare un’occhiata al misterioso cancello alla luce del giorno. Al li aveva accompagnati, perché a dire la verità la compagnia di Cordula lo metteva un po’ a disagio. Per questo e perché sperava di distrarre l’altro ragazzo che sembrava un fascio di nervi e borbottava incessantemente da quasi due ore.
“Ci vorrà un po’, dopotutto deve organizzare una passaporta per uno stato estero.” Ripeté pazientemente. “Non fare il brontolone.”
Non faccio il brontolone.” Replicò seccato, mentre a una decina di passi di distanza Meike ridacchiava.
“È vero, sei un brontolone!” Riprese la bambina.
“Visto?”
“Voi due cospirate contro la mia sanità mentale.” Sbottò, ficcandosi le mani nelle tasche della felpa e chiudendosi in un silenzio ostinato. Al ridacchiò, lasciandolo a cuocere nel suo brodo e raggiungendo la bambina.

Meike lo osservò di sottecchi. Non sembrava prendere a male la sua presenza come aveva temuto, piuttosto sembrava incuriosita.
Le sorrise. “Allora… questo castello?”
“Non l’abbiamo mica visto!” Rispose prontamente. “Tom è voluto subito andare via.” Precisò, adottando con disinvoltura il nuovo nome dell’amico. “Ma non è che si vedeva … credo che il castello fosse molto distante.”
“Capisco. È così anche in Inghilterra. Probabilmente è in mezzo al bosco.” Le spiegò, notando con divertimento che beveva avidamente le sue parole, probabilmente cercando di memorizzarle. Con solo un paio d’ore di conversazione era già capace di capire quasi tutto quello che le dicevano. Era sveglia e intelligente. Poteva capire perché Tom le si fosse affezionato, anche se tentava senza molto successo di mascherarlo.

Un po’ ne era geloso, prima di darsi dell’imbecille e ricordarsi che era una bambina di dieci o al massimo undici anni.
“Probabilmente? Che vuol dire?” Chiese. “L’inglese è una lingua difficile. Ma voglio impararla.” Aggiunse mentre si attorcigliava una ciocca di capelli attorno alle dita. “Così magari ci vengo…”
“Certo, così verrai a trovarci… Saremo felici di ospitarti.” Le propose, sapendo benissimo che parava a quello. Infatti la bambina si illuminò.
“Hai sentito Tom? Al mi ha invitato in Inghilterra!”
“Fantastico.” Replicò piatto, a qualche metro da loro mentre osservava con attenzione il bosco che stavano raggiungendo. “A quando il lieto evento?”
Meike gonfiò le guance. “Sei un brontolone!” Lo apostrofò, prima di correre verso la radura e seminare entrambi.

Tom sospirò raggiungendolo.“C’èra bisogno di insegnarle ad insultarmi anche in inglese?”
“Non è mica un insulto.” Gli sorrise. “È un dato di fatto.”

Tom fu chiaramente indeciso se tirargli un pizzicotto o meno, Al lo capì da come lo guardò. Poi dovette decidere che era ancora troppo presto per certe confidenze.
Beh, questo suo senso di colpa in fondo potrebbe giocare, a volte, a mio favore…
Guardarono l’agile figurina di Meike saltellare tra gli alberi del bosco e chinarsi a prendere un ramo che improvvisò bacchetta, menando fendenti tutto intorno.
Del cancello non c’era traccia, ma in compenso si sentiva magia nell’aria. Una barriera, probabilmente. Era così potente che addentrandosi nel boschetto cominciò a sentire un lieve fastidio alle tempie, come qualcosa vi premesse sopra.
“La senti?” Chiese Tom, mettendo una mano sulla spalla di Meike per impedirle di proseguire. “Penso che sia una barriera.”
“Sì, una serie di barriere. Forse un salvo hexia e sicuramente un repello babbanum.” Considerò meditabondo. “… E decisamente qualcosa di molto più potente…” Storse le labbra mentre sentiva la pressione aumentare. “Tra poco mi scoppierà un malditesta formato gigante, Tom. C’è tanta di quella magia da andare in overdose.”

“Togliamoci di qui.” Ordinò quello spingendo Meike verso l’uscita.
“Ahi.” Convenne Meike strofinandosi la fronte. “Ieri sera mica era così però…”
“Ieri sera doveva entrare qualcuno e probabilmente siamo arrivati nel momento esatto in cui le barriere venivano tolte.” Le spiegò mentre uscivano dal circolo di alberi a rivedere la luce lattiginosa della radura. Si sentirono subito meglio.

“Proprio non vogliono persone lì dentro, eh?” Chiese Meike sedendosi su un tronco divelto e succhiandosi il labbro inferiore pensierosa.
“A quanto pare no. Tipico atteggiamento da purosangue direi.” Rifletté dando un’occhiata a Tom che si era appoggiato con la schiena ad un albero. “Peccato però. Avremmo potuto chiedere a loro aiuto per tornare a casa.”
“Se hanno eretto misure precauzionali del genere non credo, come ti ho detto, che sarebbero stati estasiati all’idea di aiutarci.” Ironizzò l’altro. “Chiunque sia venuto credo che ormai se ne sia andato.”
“Come fai a dirlo?” Chiese subito Meike curiosa. “Magari è ancora dentro!”
“Difese di questo genere sono utilizzate, di solito, da chi pensa di lasciare per lungo tempo la propria casa. Penso che ormai non ci sia più nessuno.” Scrollò le spalle il ragazzo. Al lo vide guardare a lungo in direzione del cancello, anche quando scesero dalla collinetta, diretti verso la scogliera per precisa richiesta di Meike.

Mentre la bambina era china su una pozza d’acqua con le maniche fin sopra i gomiti, concentrata nel tentativo di recuperare dei granchietti sfuggenti, si sedette accanto a Tom che fissava il mare assorto. Gli diede un colpetto sul braccio. “Uno zellino per i tuoi pensieri…”
“Penny. L’avete riadattato al mondo magico, ma è un proverbio babbano.” Osservò distratto.

Al sbuffò. “Sì, Signor Puntigliosità. Un penny allora. A che pensi?”
Tom esitò poi si passò le dita trai capelli, lasciandoli ricadere frustrato sugli occhi poco dopo. “Varie cose. Soprattutto se potrò ancora usare una bacchetta quando tornerò in Inghilterra.”
“Perché non dovresti?”
“Al…” Lo guardò con una sorta di esasperata pazienza. “Tralasciando la mia collusione con John Doe ho esercitato magia non  regolamentare. Io… mi ricordo che ho quasi maledetto Harry…”
“Non l’hai mica fatto davvero!”

“Ho usato la cruciatus su di lui. Me lo ricordo.” Mormorò mentre un’ombra gli scendeva sullo sguardo. “E quasi un avada kedavra. Mi ha fermato prima, ma volevo…”
“Non eri in te! Eri sotto imperio, non possono toglierti la bacchetta per qualcosa che hai fatto sotto l’influsso di una maledizione! Voglio dire, hanno riabilitato due volte i Malfoy!” Protestò violentemente, afferrandolo per un polso. “La vuoi smettere di pensarci?”
“Stai scherzando? Si tratta dell’eventualità di finire persino ad Azkaban!” Ribatté con veemenza, prima di lanciare un’occhiata alla bambina: fortunatamente era abbastanza lontana da non poterli sentire. Tirò un sospiro secco, prima di continuare. “Non è il processo in sé che mi preoccupa, né di fornire spiegazioni alla scuola o al Ministero… o alla nostra famiglia. È…” Si fermò, mordendosi a sangue l’angolo del labbro.

Al capì. Per Tom la magia era tutto. Sin da bambino era cresciuto con l’assoluta consapevolezza di appartenere al loro mondo. Amava la magia, di un amore viscerale, profondo, a tratti passionale come quello tra due persone. Se gli avessero tolto la bacchetta, proibendogli di usarla di nuovo l’avrebbero ucciso.
Gli prese la mano e gliela strinse. “Non succederà. Sei stato plagiato, e papà lo dirà… Se necessario testimonierò anche io. Davvero.”
“Comunque potrei vivere anche senza bacchetta.” Borbottò senza ascoltarlo. “Sono capace di fare magie senza bacchetta. Naturalmente.”
Al sospirò, meditando di lasciarlo alle sue elucubrazioni. La tentazione era forte, ma del resto restava sempre un Potter.

Sempre destinato a salvare tutti… Che culo.
“Sarà divertente vederti ancora al sesto anno mentre io farò l’ultimo.” Esordì, conoscendo benissimo lo spirito competitivo del proprio ragazzo. Tom infatti alzò subito la testa, tra l’irritato e il meditabondo.
Se non verrò espulso farò in modo di farmi ammettere al Settimo. Ho completato da solo il resto del programma dell’anno scorso… Non ho intenzione di imparare cose che già so.”
“… e come?” Lo guardò sbalordito. C’era da aspettarselo che Tom non passasse quei mesi solo a guardare struggente l’orizzonte. Si sentì invadere da un affetto sconfinato per quell’ insopportabile genietto. L’avrebbe baciato, ma Meike zompettava un po’ troppo vicino.

Tom fece un sorrisetto di vaga superiorità. “Non avevo con me i libri di testo, ma all’inizio dell’anno scorso avevo fatto una tabella di studio. La ricordavo a memoria. Cordula ricordava molti degli incantesimi che avrei dovuto imparare anche se, certo, solo in teoria… Per quanto riguarda Incantesimi, DCAO, Pozioni e Trasfigurazione dovrei essere preparato. Il resto potrei studiarlo ad Agosto, e magari sostenere degli esami valutativi i primi di settembre…” Ragionò tra sé e sé. “Hogwarts funziona come una scuola privata babbana, non c’è uno statuto restrittivo che disciplina le eccezioni. Potrei parlarne con il Preside. Tirando certe corde…”
Al lo fermò per baciarlo. In qualche modo doveva sfogare il suo immenso bisogno di dirgli quanto era bello sentirlo tramare per la sua ammissione al loro ultimo anno. Tom rimase fermo per un attimo, sorpreso, prima di passargli un braccio attorno alla vita e ricambiare. Si staccarono con il fiato corto. Al notò che Tom lo aveva più affrettato del suo.

“Questo per cos’era?” Gli chiese fingendo di non essere piuttosto stravolto.
Al sorrise. “È solo bello sentirti parlare di scuola. Non credevo che sarei stato felice di sentirti parlare il secchionese. 
Tom lo guardò indispettito, prima di fare un sorrisetto. “Mi risulta che anche tu lo sia…”
“Io sono semplicemente bravo in qualche materia. E comunque sai, facendo parte della squadra di Quidditch non mi si può definire come tale.”
“Se vuoi posso definirti uno sportivo senza cervello.” Al sentì le dita di Tom insinuarsi sotto il maglione che gli aveva prestato Cordula per ripararsi dal vento. Rabbrividì leggermente quando toccò la pelle nuda, ma non si ritrasse. Era una bella sensazione, anche se l’altro aveva le mani gelate.

“Quello è Jamie.” Obbiettò. “Hai le mani fredde, comunque.”
“Infatti me le sto scaldando.”
“Addosso a me?”
“Vedi qualcun altro che emana calore?”  Gli chiese con disinvoltura, tirandoselo contro. Al, che aveva grossi problemi di equilibrio se non era in sella ad una scopa a una ventina di metri d’altezza, gli franò addosso. Tom ridacchiò. “Oh, sì. Questo mi era mancato. La tua scarsa coordinazione motoria.”
“Idiota.” Lo apostrofò aggrappandosi alla sua felpa per tirarsi dritto. Reclamò un altro bacio, dimentico che non erano esattamente soli. Se ne rese conto quando vide che Meike li fissava, con vaga curiosità e un pizzico di imbarazzo.

“Err.” Tentò Al. “Meike, uhm… Sai, quando due persone si vogliono bene…” Iniziò cattedratico, mentre l’idiota se ne rimaneva placidamente in silenzio con le mani ancora sotto il suo maglione. Quando cercò di divincolarsi strinse la presa.
C’è mai una volta in cui cerca di togliermi le castagne dal fuoco?
Meike scoccò loro un’occhiata di commiserazione. Sul serio, sembrava proprio quella. “Non sono mica stupida, Al.” Gli disse in un inglese reso un po’ incerto dall’imbarazzo. “Voi due vi piacete come un ragazzo e una ragazza.” Fece una pausa, prendendo un tono cospiratorio. “Si chiama essere gay, sai?”
Tom a quel punto scoppiò a ridere, lasciandolo libero per evitare di crollare da sopra lo scoglio a causa dell’esplosione di ilarità. “Hai sentito Al? Devi chiamare le cose con il loro nome.”
“Va’ all’inferno!” Si sentì avvampare come un gladiolo e persino Meike accennò una risatina. “Meike, senti… Cioè, so che è un po’ strano…”
La bambina scrollò le spalle. “Io lo sapevo.” Spiegò orgogliosa. “Tom non guarda le ragazze. E dice che preferisce stare coi ragazzi. Era ovvio.”

“Cristallino.” Ironizzò Al scoccandole un’occhiata divertita. Poi si affrettò a cambiare discorso, perché certe cose lo imbarazzava a morte. “Così, uhm, andrai a Durmstrang?”
“Sì!” Rispose contenta. “Anche se neanche la nonna sa dov’è!”
“Perché è intracciabile, sai che significa?” Si lanciò in una spiegazione che la bambina seguì attentamente.  

Fu una bella chiacchierata. Il sole aveva fatto capolino dalle nuvole scaldando le rocce attorno a loro e rendendo il clima gradevole, se non proprio caldo. Il vento era caduto e si stava bene, seduti sugli scogli con il rumore e l’odore dell’oceano tutto intorno. Pensò che dopotutto quel posto assomigliava a Tom: apparentemente sembrava aspro, ventoso e poco ospitale. Ma bastava un attimo, anche solo un raggio di sole, per renderlo meraviglioso.  
Tom seguiva la loro conversazione distratto, intervenendo ogni tanto. Al si sentiva un po’ idiota a voltarsi a intervalli regolari per controllare che ci fosse
Prima o poi gli sarebbe passata, per il momento doveva accertarsene.
Meike alzò la testa quando si sentì chiamare improvvisamente. “È la nonna!” Si voltò verso i due ragazzi. “Credo che tuo papà sia arrivato Al…”
Al afferrò la mano di Tom prima che si ficcasse le unghie nel palmo per il nervosismo o qualcosa del genere, e lo costrinse ad intrecciarla alla sua. “Andiamo?”
Tom annuì impercettibilmente. “Credo dovrai lasciarmi la mano però…”
Gli sorrise. “Solo quando sarà necessario.”

E lo fece veramente. Solo quando furono davanti la fattoria Al gli lasciò la mano. Lo fece a malincuore, perché sembrava che Tom ne avesse più bisogno proprio in quel momento.
Meike spiava dall’uno all’altro, insolitamente zitta. “Ti assomiglia il tuo papà, Al?” Chiese, tanto per dire qualcosa.
Al sorrise. “Dicono che sia quello che in famiglia gli somigli di più.”


Tom spinse la porta di ingresso con forza, senza attendere oltre.
Il suo padrino era a due passi da lui, con uno di quegli orribili maglioni Weasley e gli occhiali tondi. Pensò nebulosamente che fosse l’uomo con meno senso del gusto sulla faccia della terra.
Questo per pensare a qualcosa.
“Tom.” Sorrise avvicinandoglisi. Esitò, e si squadrarono a lungo. “Ti trovo bene. Anche se ti diranno a casa che sei troppo magro.”
E Tom a quel punto si permise un sorriso, stringendogli la mano di rimando. Non si abbracciarono o ci furono particolari effusioni. Entrambi le temevano come una malattia infettiva di rara natura. Si limitò a stringerla con quanta più decisione gli riuscì.

“Ciao papà!” Rispose Al per lui. “Tieni… e grazie!” Gli porse il deluminatore, che l’uomo si intascò con un sorriso impacciato. Tom notò che sembrava rivolgerlo più che altro a Cordula. Dovevano aver parlato nel lasso di tempo che loro avevano impiegato a risalire la scogliera.
Harry si aggiustò le lenti degli occhiali, mentre Meike si era accostata a Cordula, spiandolo con occhi di una curiosità divorante. “Bene… purtroppo la passaporta si attiverà tra poco. Non sono riuscito ad ottenerne una a lunga durata. Ai trasporti magici le persone che conosco sono quasi tutte in vacanza e pochi erano disposti a lavorarci su a lungo…”
“Dobbiamo andare subito, quindi?” Intuì. Sentiva una stretta allo stomaco, ma non sapeva se fosse spiacevole o meno.

“Più o meno subito, sì.” Si scusò con uno sguardo verso Cordula. “Mi dispiace l’improvvisata e la fuga scortese, ma le passaporte internazionali non…”
“So bene come funzionano.” Tagliò corto la donna. “E comunque mi ha già detto tutto quello che doveva, herr Potter.” Si voltò verso di lui, e Tom sentì che gli sarebbe mancata.

Era forse la prima persona al mondo che l’aveva capito senza bisogno di spiegazioni.
Le si avvicinò, mentre cercava di ignorare i lacrimoni tremare sulle ciglia di Meike. “Danke. Du hast mein Leben gerettet.” Disse soltanto, in tedesco, perché davvero non c’era molto da dire e non voleva dirlo in inglese. Gli tese la bacchetta del figlio, anche se fu una sofferenza. Non sapeva se ne avrebbe avuta una, d’ora in poi.
“Allora ricordatelo.” Si limitò a rispondere la donna prendendola. “
“Potreste… venire con noi. Tu e Meike. Finché non inizia la scuola.” Disse, stupendosi lui stesso della proposta. “Questo posto…”
“È il posto a cui apparteniamo.” Concluse per lui, ma quasi sorrise. “Ma Meike sono convinta sarà felicissima di venirti a trovare durante le vacanze scolastiche.”
“Tutte le volte che vuole!” Si inserì Al, che ovviamente aveva gli occhi lucidi al posto suo. “Vero papà?”
“Naturalmente.” Confermò Harry, che era rimasto in silenzio fino a quel momento. “Siete entrambe le benvenute a casa nostra, come ho già detto…”
“L’inferno congelerà prima che mi faccia convincere ad usare una passaporta, herr Potter.” Ironizzò Cordula. “Ma, come le ho detto, apprezzo l’offerta.”

Sembravano tutti incredibilmente impacciati, registrò Tom. Come se non sapessero come salutarsi, con il poco tempo che avevano a disposizione.
Harry a quel punto si fece coraggio. “Dobbiamo davvero andare adesso. Devi prendere qualcos’altro Tom, o viaggi così leggero?”
“Viaggio come sono arrivato qui.” Rispose, poi si voltò verso le due donne. Meike piangeva con grossi lacrimoni. Non seppe cosa dirle per farla smettere, forse perché avrebbe voluto dire molte cose. Avrebbe voluto essere Al, in quel momento. Forse piangere sarebbe stato un buon modo per manifestare i propri sentimenti.

Harry tirò fuori la passaporta dalla tasca, era il suo mazzo di chiavi di casa. Non appena la posò sul tavolo quella cominciò a brillare di una tenue luce azzurrina. “Ci siamo ragazzi. Toccatela, coraggio.”
Tom si avvicinò al tavolo, guardando per l’ultima volta il posto che aveva finto fosse casa sua per otto mesi. Era stata una bella finzione, dopotutto.

Cordula a quel punto decise di parlare. “Sei un bravo ragazzo, Tom. Ricordati anche questo.” Disse con il suo solito tono spiccio. Ma lo credeva davvero, glielo diceva la sua espressione.
Le sorrise. “Farò del mio meglio.”
Poi tutto divenne confuso.

 
 
 
****
 
Germania del Nord.
Residenza estiva degli Hohenheim. Pomeriggio.
 
Sören torno nella propria camera con una scatola tra le mani e la testa completamente confusa.
E rabbioso.
Non poteva credere che la sua missione fosse quella.
Tese le labbra finché non sentì il sapore del sangue mentre abbandonava la scatola di pergamena trattata sulla scrivania prussianamente ordinata. Gli era stata assegnata una camera piccola, su una delle torri e il suo baule da viaggio era stato già trasportato sì, ma nessuno dei servitori si era preso la briga di aprirlo e sistemare gli effetti personali.
Meglio così, non sarebbe stato costretto a punire il malcapitato.
Si tolse il mantello e accese con un colpo di bacchetta il fuoco, godendosi il tepore che invadeva lentamente la stanza.
Rimase incerto, di fronte alla scrivania, a scrutare la scatola. Era lunga, rettangolare e di un rosso cupo. Era uno di quegli oggetti cartacei che si potevano acquistare per poche manciate di zellini in una cartoleria magica. Serviva per contenere delle lettere.
 
“Accomodati Sören.”
La voce di suo zio era stata incolore come al solito. Stava leggendo dei documenti di cui era riuscito a vedere con la coda dell’occhio il sigillo della Thule, prima che gettasse le lettere nel fuoco. Aveva abbassato lo sguardo quando l’uomo si decise a guardarlo.

“Il trasloco è concluso? Hai sigillato il castello?”
“Sissignore, come mi è stato ordinato.” Aveva risposto prontamente. “Nessun problema.”
“Bene.” Si sentiva il suo sguardo addosso e aveva stretto i pugni per impedirsi di alzare lo sguardo o mostrare tensione. Fitte brucianti gli avevano attraversato lo sterno.

Maledetto nervosismo…
“Adesso parliamo di quello che devi fare per l’organizzazione. Si tratterà di un compito semplice, forse, temo, ne sarai addirittura offeso.” Era stato ironico e Sören non aveva colto la provocazione. Non avrebbe comunque potuto. “Dopo il fallimento di John Doe ho bisogno di nuove informazioni. Lo ammetto, abbiamo tutti sottovalutato Harry Potter e la sua famiglia.”
Sören a quel punto aveva alzato la testa per guardarlo sbalordito. Sentiva il cuore battere violentemente nella cassa toracica, pieno di furiosa aspettativa. “Zio, intende dire…”
“Quest’anno, sembra, si terrà il torneo Tremaghi.” Lo interruppe come se non l’avesse sentito. “Beaux-Batons, Durmstrang e Hogwarts mescoleranno i propri studenti dopo quasi vent’anni. È un’occasione troppo propizia per lasciarsela sfuggire.”
“Ma zio…” Aveva tentato, e aveva continuato vedendo che gli dava spazio di replica. “La sicurezza attorno a Dursley sarà massima. Non permetteranno di nuovo un rapimento.”
“Nessuno ha parlato di rapimento, qui.” Aveva replicato duro. “Voglio che tu torni ad essere uno studente, Sören e voglio che tu ti avvicini alla famiglia Potter. Non si tratta più soltanto di mio figlio.”  Si era accarezzato la barba curata. “Si tratta dei Potter. L’anno scorso li abbiamo tirati fuori dall’equazione. È stato un errore di valutazione che abbiamo pagato a caro prezzo.”

Sören l’aveva guardato confuso a quel punto. Non riusciva a capire dove volesse arrivare. “Non sarà comunque facile avvicinarsi a Dursley, anche se in veste di studente.”
“Non sto parlando di lui, sciocco ragazzo.” L’aveva apostrofato irritato. “So da me che mio figlio sarà tenuto sott’occhio ventiquattr’ore su ventiquattro. Si aspetteranno che ci riproviamo, se hanno un po’ di cervello… E non dobbiamo dare nell’occhio proprio per questo motivo. Sei uscito da Durmstrang un anno fa, sei giovane. Non dovrai neppure camuffarti. Farò in modo che tu faccia parte della delegazione della scuola.” Era sembrato cogliere la sua perplessità, perché aveva continuato nella sua spiegazione. “Naturalmente assumerai un’identità falsa…” Aveva fatto un mezzo sorriso che non aveva cambiato di un millimetro il gelo nei suoi occhi. “Sembra che Odino ci assista, non dovremo neppure inventarcela. Esiste un tuo omonimo al settimo anno. Lo sostituirai… come studente e…” Aveva fatto un cenno con la mano e la scatola di cartone rossa che aveva visto poco prima era scivolata verso di lui.

Sören l’aveva presa, aprendola. Conteneva circa una cinquantina di lettere, scritte con una fitta grafia femminile. Ogni tanto c’era qualche disegno che denotava una certa predisposizione artistica.  
“Non capisco.” Aveva ammesso.
“Non capisci che devi sostituire qualcuno per sorvegliare i Potter?” Aveva ironizzato. “Per il momento la il tuo compito non mi sembra difficile.”
“No, le lettere. Cosa devo farci?”
Alberich aveva inarcato le sopracciglia, quasi non credesse alle proprie orecchie. “Queste lettere sono evidentemente parte di una lunga corrispondenza. Amici di penna, credo li chiamino. Il ragazzo di cui prenderai l’identità è amico di penna della figlia minore di Harry Potter, Lilian Luna.” Aveva aspettato che il concetto gli penetrasse per aggiungere. “Ti consiglio di leggerle. Dovrai fingerti un confidente appassionato.”

 
Sören aveva storto le labbra in una smorfia, guardando la scatola abbandonata.
Confidente di una ragazzina…
Lui.
Avrebbe pensato ad uno scherzo di pessimo gusto se la richiesta non fosse stata fatta da suo zio in persona.
Sören Von Hohenheim-Prince non era un brufoloso corteggiatore di streghette inglesi… era il braccio destro di Alberich Von Hohenheim, era un alchimista, era un soldato.
In effetti avrebbe preferito affrontare un dorsorugoso di Norvegia a digiuno da giorni che fingersi interessato alla vita dell’ultima erede del Salvatore.
Aprì la scatola con un gesto secco, prendendo il plico voluminoso e sedendosi sulla poltrona accanto al camino. Si versò una generosa – e doverosa – dose di vodka incendiaria e… visto che gli era stato ordinato… si apprestò a leggere.
Dopo una breve scorsa emise un sospiro sconfortato.
La ragazzina decisamente non aveva il dono della sintesi. Aveva in mano il corrispondente di una piccola enciclopedia di vita personale. Guardò svogliato le date: la prima lettera era di due anni prima. La lesse. Si firmava sempre Lily.
Con il doppio nome cacofonico che ha è una scelta quantomeno saggia.
Le lettere erano impregnate di un profumo indefinito, sembravano fiori. Gli ricordava qualcosa, ma del resto non era mai stato tipo da fiori. Non ne aveva mai regalati né ricevuti. Al massimo li aveva usati, ma distillati.
Mise le lettere sul tavolino accanto.
Avrebbe dovuto impersonare il suo corrispondente. Dunque contattarla. Probabilmente avvicinarla.
Buttò giù un sorso di vodka, stringendo i denti al fuoco che gli incendiò lo stomaco.
Come se non avessi fatto altro per tutta la vita che interfacciarmi con adolescenti stupide…
I suoi anni a Durmstrang erano stati proficui dal punto di vista dei suoi studi, ma decisamente solitari. Tutti conoscevano suo zio, se non altro di fama, anche se non c’erano prove concrete che lo annoverassero trai maghi oscuri.
Persino a Durmstrang ormai non andava più di moda essere cattivi.
Il risultato era che non si sentiva così pronto a stringere amicizia, o a fingerla, con i suoi coetanei.
Figuriamoci con una… una quindicenne, da quando dice la sua data di nascita…
Si sentiva frustrato e … imbarazzato, sì. Gli sembrava un compito stupido. Sorvegliare la famiglia Potter, prendere contatti con la più inutile e distante da Dursley di loro.
E poi?
Questo significava che suo zio continuava a non fidarsi di lui.
Strinse il bicchiere tra le dita finché non lo sentì scricchiolare. Allentò la presa, cercando di rilassarsi. Lanciò un’occhiata alle lettere e vide spuntare qualcosa di molto rosso in mezzo. Lo estrasse cauto: era una fotografia. Si doveva essere staccata da una delle lettere visto che c’erano ancora segni di scotch magico.
La ragazza ritratta doveva essere quella Lily. Aveva i capelli di un rosso tiziano piuttosto incredibile, visto che i britannici di solito li avevano color carota.
La guardò a lungo prima di accostare il viso al bordo. C’era ancora quel profumo, e stavolta riuscì ad individuarlo.
“Gigli.”
 
 
 
****
 
Note:
 
Che ve ne pare di Sören? Pareri sinceri! :D
1. Qui la canzone.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Okay, capitolo lungo, dove si mettono a posto le cose. Per l’azione vera e propria dovremo aspettare un po’. Avete fretta? :D
Ah, e grazie anche alle ragazze del gruppo di FB dedicato a DP. Vi leggo, vi adoro, saltello sul posto!
@MadWorld: Tu dici eh? XD
@ElseW: Ovvio, mi smentisco mai! XD Grazie per le segnalazioni!

@ZetaSev: Evviva, sono contento che ti piaccia, specie se hai un nick del genere, cara la mia Zeta:P E grazie per l’affetto a Cordula, e sugli spoiler Lily et Soren… nada, non posso dirti niente”! XD
@Agathe: Essì, per via del torneo Jamie si sta divorando le mani! Vedrai… su Soren mi riservo il diritto di non rispondere! ;D
@LauraStark: Essì, tra poco la banda sarà tutta tutta al completo! Argh, quanto mi faranno penare! XD E per Soren… come ho detto, mi riservo!  :P  MA no, non è un cattivone, anche se spesso non serve per fare cose cattive -_-

@Herys: Ciao Herys benvenuta e grazie per i complimenti! Essì, ci saranno un po’ di capitoli normali, ma … credimi, Hogwarts non è fatta per la normalità!
@SimoMart: Colpo di fulmine! XD Ma grazie! Beh, credo aiuti anche il faccino di Ben Barnes, non credi! XD Essì, mi hai sgamato. Ho sempre apprezzato la coppia impossibile Lily/Sev anche perché la Row ha fatto capire che avrebbe potuto esserci qualcosa, se solo Sev non fosse stato così attaccato alle arti oscure. Però poi non ci sarebbe stato un certo Harry, quindi va bene così XD E certo che leggo i tuoi commenti, non me ne perderei neanche uno! :D Per quanto riguarda Meike e Cordula sicuramente si rivedranno. Tom deve loro troppo, e non è tipo ingrato, quando capisce che è stato aiutato davvero. Meike credo verrà inserita in seguito. Speriamo che Lily, come dici tu, regga la situazione! ;D
@Lilyylunap: Ehi, nessun problema! Ti capisco benissimo, io sono tornata tipo adesso dalle vacanze! Grazie per i complimenti a Soren, e non mi pronuncio! ^^ Però sì, in effetti non era proprio il tipo da amici di penna, no? XD E su Silente… è una figura umana, ma non la definirei buona. Era uno stratega, e se fossi stata in Harry l’avrei preso a calci nel culo. Però vabbeh, la Row non sono io! XD
@Nicky_Iron: Essì, ci hai preso, anche se più che altro è suo cugino ;) E sul campione di Hogwarts… niente spoiler! :P
@Cloto: Essì, è proprio imparentato con Piton, che per parte di madre era un Prince, infatti. Ahaha, aspetta e vedrai!

@Altovoltaggio: Oh, se adoro le tue recensioni! *_* Dunque, il grado di parentela è questo. Eileen Prince aveva un fratello (minore) di nome Elias (non è stato mai detto che fosse figlia unica esplicitamente) … questo, per sfuggire all’infamia caduta sui Prince a causa del matrimonio della figlia maggiore con un babbano, è andato a sposarsi, già in tarda età (magari anche quaranta, cinquant’anni) la sorella di Alberich Von Hohneim, che ha dato alla luce Sören. Quindi il fu Piton e Sören sono cugini di primo grado. Piton non risulta nell’albero genealogico dei Prince, tanto che Sören non è a conoscenza della sua esistenza (se non forse come eroe del mondo magico britannico). Quindi no, non ti eri incartata! :P Su Meike… credo forse tu abbia ragione, ma bisogna anche notare il fatto che ha undici anni ed ha a disposizione una tv! Di sicuro sa cos’è un ragazzo gay, e vedendo i due ragazzi baciarsi come fidanzati ha fatto due più due. Questo non significa che sappia, in dettaglio, tutto. Lo spazio della famiglia adottiva l’ho dato, potevo mai? Del resto sono Thomas fa Dursley di cognome, eh! Per quanto riguarda Lily e il profumo di gigli, Lily è il tipo di ragazzina che tiene molto all’immagine che dà di sé. Quindi è probabile che usi un profumo a base di giglio. Perché lei, beh, è un giglio. xD
@SasyHerm: Ciao e benvenuta! Che belle recensioni che mi hai lasciato! :D Grazie per i complimenti a Lily e Al… beh, un pochino è maturato. Capita. XD Ginny è comprensiva… perché Ginny è la mamma. xD Purtroppo Meike deve andare a Durmstrang per forza di cose, ma non è detto che ci rimarrà. Del resto la Row ha fatto capire che gli studenti possono scegliere la scuola, anche se vengono iscritti a quella della loro area regionale di appartenenza. ;D

@MissBlackSpots: Non preoccuparti, le vacanze bloccano un po’ tutti! ;D
@Trixina: Ehi, mi eri mancata! Ma non preoccuparti, quando i pc si rompono è sempre una tragedia! :/ Al donna della coppia? Aahaha, beh, sicuramente dei due è quello che sembra di più, perché più comprensivo e sentimentale… ma rimangono due ragazzi,e  Al difende il primato di sportivo! XD Grazie per continuare a seguirmi!
@Hale_y: Wow, prima di tutto benvenuta e poi… grazie! Che impresa! O_O Capisco benissimo come ti senti, comunque, mi è capitato spesso con un sacco di fic, di canzoni e di film, quindi l’idea che tu abbia provato questo per una mia bagatella mi riempe di gioia! I momenti Al/Tom ci saranno non preoccuparti!
@Lunitari: Ciao e benvenuta! :D E grazie mille! Fa sempre piacere sapere che le proprie cavolate vengono apprezzate! ^^ Mastro Zabini e Loki Nott… beh, loro torneranno, in vari cameo. Non sono protagonisti principali, ma si farà quel che si può! ;D Sì, Scorpius serpeverde era troppo scontato, e poi Rose non mi sa di strafiga entrante, quindi… niente DraMione Reprise qui! XD Quando vuoi, recensisci, no prob!
@Lu_Pin: Sìsì, hai scritto giusto e benvenuta! Oh, wow, persino un personaggio così immanente? XD Beh, accidenti grazie! Continua a seguirmi! Ciao!
@MikyVale: Non preoccuparti, la recensione va benissimo! XD E no, a Lily non può resistere! E sono cugini! ;D
 
****
 
Capitolo VII
 


 
 
La casa è quel posto dove, quando ci andate, vi accolgono sempre.
(David Frost)
 
 
Inghilterra, Devon
Casa Potter Weasley. Pomeriggio.
 
Tom si ricordava l’odore esatto dei campi attorno a casa Potter.
Era un odore di fieno, di bosco e di legna bruciata. Era l’odore di campagna inglese e gli era sempre piaciuto. Gli ricordava l’estate e gli ricordava che c’era un posto dove la magia era una cosa di tutti i giorni e dove c’erano persone come lui.

Era un tipo di casa, anche se non era essere a casa.
Non appena la passaporta li aveva materializzati sulla collina di fronte al cottage, Al era quasi crollato a terra, ma Harry, pronto, l’aveva afferrato al volo.
“Tutto a posto Albie?”
“No, grazie.” Rispose tirandosi su malfermo e pallido. “Odio le passaporte. Perché non possiamo inventare qualcosa di meno traumatico per spostarci velocemente?”
Harry rise brevemente. “Tu, Tom? Tutto bene?”
“Sì.” Mentì mentre tacitava a colpi di orgoglio la nausea. “Ma sono d’accordo con Al, dovrebbero fare dei passi avanti nel trasporto magico.”

Al sorrise sotto i baffi e guardò con palese sollievo la staccionata bianca di casa sua e l’albero di melo. Le cicale frinivano impazzite e il sole gli bruciava la testa e le spalle. Era ancora pomeriggio inoltrato: dovevano essere tutti a casa, ad aspettarli.
“Andiamo?” Chiese.
“Sì.” Confermò Harry, infilandosi la passaporta scarica nella tasca dei jeans. “Ci aspetta del succo di zucca fresco e credo anche una torta, se tua madre mi ha perdonato.” Ci rifletté. “Forse, ehm… in effetti solo per voi due.”
Tom sentì un brivido gelato corrergli lungo la spina dorsale. Non credeva fosse giusto; non essere tornato in Inghilterra, quello lo era naturalmente.

Ma non devo bere succo di zucca e stare con loro. Non adesso e  non ancora.
Ci sono altre cose che devo fare.
“Ti ringrazio zio, ma vorrei tornare a casa.” Esitò, poi continuò più sicuro. “Dalla mia famiglia.”
Harry lo guardò per un attimo quasi con sorpresa poi si sciolse in un sorriso comprensivo. “Ovvio, scusa Tom… hai ragione. Ti ci porto subito.”
Sembrava anche imbarazzato, notò; lo sembrava sempre quando si parlava della famiglia Dursley intera, con particolare attenzione verso suo padre. Gli passò in testa un pensiero.  
“Loro lo sanno?” Chiese. “Che sono qui… che sono…?”

Vivo?
Harry si passò una mano trai capelli, evidentemente a disagio. Ma non era nella sua politica temporeggiare con delle scuse, quindi gli disse subito la verità. “No. Avrei dovuto, ma dovevo farvi anche tornare a casa, ed era importante soltanto questo.” Fece un sorriso stanco. “Come padrino e come cugino, lo so, sono pessimo.”
“Non quanto me come figlio.” Gli assicurò, mentre sentiva un peso spiacevole allo stomaco all’idea che quella famiglia, la famiglia che l’aveva cresciuto, la sua famiglia aveva sofferto persino più dei Potter. Dovevano aver avuto meno informazioni a disposizione a causa dello Statuto di Segretezza, e questo significava solo angoscia in più; lui lo sapeva bene. “Non sei tu quello che si deve scusare.” Lanciò uno sguardo ad Al, che si limitò ad inarcare le sopracciglia, come a volergli confermare che sì, aveva molto di cui farsi perdonare visto che era stato un cretino egoista.

E me lo ricorderai fino al letto di morte non è vero?
Sospirò.
“Devi tornare subito a casa, Tom…” Intervenne Al a quel punto, con tono ragionevole e sguardo poco contento. “Credo che sia anche più sicuro, no papà?”
“Sì, in attesa che il Ministero sia informato di tutti i fatti e…”
“Mi convochi?” Lo anticipò: sarebbe andato tutto bene, si tenne a mente, sarebbe andato tutto bene e sarebbe tornato ad essere un mago. “Va bene… ma vorrei sapere… la mia bacchetta?”

Harry scosse la testa. “Ho cercato di riaverla indietro, ma…” Continuava a sembrare comprensivo e dispiaciuto. Del resto per un mago non avere la propria bacchetta era come camminare con scarpe non della propria misura.
Ed io al momento sono scalzo.
“Adesso dov’è?”
Doe non l’ha distrutta, vero?
“Fa parte delle prove. È al Dipartimento.” Spiegò Harry. Tom frenò il desiderio di chiederla indietro, di pretenderla. Era sua, e non andava bene che rimanesse a prendere polvere in qualche scaffale nelle viscere di Londra. Contrasse e decontrasse il pugno, sentendolo vuoto e sentendosi nudo. Al sembrò indovinare i suoi pensieri, perché gli strinse il polso.

“Non ne può avere una… chessò, provvisoria papà?”
Harry scosse di nuovo la testa. “No, non finché la situazione non sarà…” Cercò di trovare la parola giusta. “… chiarita. È la procedura ed… è meglio se ci atteniamo ad essa, vista la situazione.”

“Capisco.” Si sentiva un sapore amarognolo in fondo alla bocca, come se avesse masticato qualcosa di sgradevole.
C’è un prezzo da pagare per quello che hai fatto. Chiudi il becco e pagalo.
“Meglio se andiamo adesso, zio.” Si voltò verso Al: non ricordava se l’aveva ringraziato abbastanza. Forse l’aveva fatto, forse non sarebbe riuscito a farlo mai. E comunque non poteva ringraziarlo come si doveva davanti a Harry.
“Ci vediamo.” Gli disse, cercando di suonare il più possibile incolore. Harry li guardò perplesso.
Troppo incolore?
Albus a quel punto, perché aveva più cervello di lui in certe cose, lo abbracciò stretto. Lo strinse di rimando, sentendosi scomodo sotto lo sguardo divertito e ignaro del padrino.
Se sapessi come ci siamo stretti l’ultima volta…
Nascose suo malgrado un sogghignetto, perché era davvero un giovane mago malvagio e ingrato. E Albus aveva un buon odore, qualcosa che si mischiava al sale marino di Rügen e all’odore di erba medica. Gli aveva detto che lavorava al San Mungo adesso.
Sentì le sue labbra sfiorargli l’orecchio. “Ti vengo a trovare stanotte.” Gli disse.
Tom si impose di non arrossire o mandare al diavolo tutte le sue buone intenzioni e rapirlo. Quello avrebbe definitivamente insospettito Harry.

“Sì, naturalmente.” Replicò, mentre si rendeva conto che il groppo di angoscia si era un po’ allentato. Gli arruffò i capelli, per demistificare il fatto che avrebbe voluto baciarlo. 
“Allora…” Intervenne Harry. “Pensa tu a dire… ehm. Più o meno tutto alla mamma. Che stiamo bene e che tornerò tra un po’. Per cena. Okay Albie?”
“È Al, papà.” Lo corresse con affetto, perché era suo padre. Come avrebbe reagito Dudley a vederlo invece? L’avrebbe rivoluto indietro?

“Andrà tutto bene Tom, sono sicuro.” Gli sorrise il suo ragazzo, o se avesse voluto meglio definirlo il suo. Tutto. “Ci vediamo… presto.”
Se non vieni stasera vengo io a rapirti – Gli comunicò con lo sguardo. Al piegò le labbra in un sorrisetto imbarazzato e arrossì. Però annuì.

Tom si avvicinò ad Harry, che gli mise una mano sulla spalla. “Zio, so materializzarmi.”
“Sì, ma non hai la licenza. Vediamo di cominciare a rigare dritto, mmh?” Lo riprese con pazienza. “A dopo Al.”
Sentì uno strappo all’ombelico e pochi istanti dopo si materializzarono con uno schiocco secco in un vicolo che Tom ricordava fosse a pochi passi da casa sua. Una volta vi aveva beccato Alicia e i suoi amici a spartirsi una sigaretta con aria nervosa, come se fosse un grande e terribile segreto. Un gatto, oltraggiato dal rumore, corse via ad infilarsi dietro una macchina.

Harry si rimise la bacchetta in tasca, aggiustandosi gli occhiali. “Allora…” Cominciò. Sembrava la sua parola preferita quel giorno.
“Puoi andare, zio.” Lo fermò: sapeva che doveva farlo da solo. Faceva parte della sua espiazione, o qualcosa del genere. O più semplicemente sapeva che quella era la sua famiglia, e avevano bisogno di spiegazioni da lui, e da nessun altro.
E poi papà odia il Mondo Magico.
“Ma che dici?”
“Conosco papà.” Lo fermò. “Sono certo che ha preso male questa storia… e con prenderla male intendo dire che se l’è presa con te. Mi sbaglio?”

“Questo non ha importanza! Sono il tuo padrino e…”
“È una cosa che devo fare da solo.” Ripeté, perché era importante che capisse. “È la mia famiglia. Non posso farmi giustificare da te. Non sarebbe giusto.” Se doveva chiedere scusa doveva iniziare dai suoi genitori. “E poi non sono più un bambino.”
Harry a quel punto sorrise, stringendogli la spalla. “No, è vero. Non lo sei. Se è quello che vuoi, allora va bene.” Sospirò: non era convinto, si vedeva, ma non avrebbe preso quella decisione per lui. Gliene fu grato. “Ma non puoi chiedermi di andarmene. Me ne starò in disparte, tutto qui.”
Tom annuì, infilandosi le mani in tasca. Non voleva che cominciassero a tremare.
Poi lo guardò. In quegli otto mesi Harry sembrava invecchiato. C’era una piega amara vicino alle labbra, che era sicuro di non aver mai visto prima. Gli occhi però erano sempre gli stessi, limpidi e fermi. Ti assicuravano che potevi fidarti.

“Grazie.” Disse.
Harry smise di sorridere e sembrò persino sorpreso. Fece una smorfia amara. “E per cosa, Tom? Ho fatto degli sbagli. E che Merlino mi perdoni, non ho voluto ascoltarti…”
“Non che avresti potuto, considerando che non parlavo.” Ironizzò. “Non c’è nulla che tu debba farti perdonare.” Scosse la testa. Avrebbe voluto fargli capire quanto gli dovesse, e che questo non l’avrebbe dimenticato mai. “Tu mi hai regalato questa vita.” Si risolse a dire, forzandosi per farlo, perché continuava a sembrargli una cosa da deboli. “Mi hai dato la possibilità di essere una persona decente.”

“Tom…”
“È più di quanto meritassi, forse.” Si guardò attorno, perché riconosceva tutto, e tutto gli era mancato. Perché quella era casa sua. Fece un mezzo sorriso, che sicuramente Albus avrebbe classificato come un ghigno. “Ma non intendo lamentarmene.”

Harry sorrise.
 
Harry osservò la linea magra delle spalle del suo figlioccio allontanarsi per poi varcare il vialetto del numero 4 di Privet Drive. Teneva le mani in tasca, ma la schiena era dritta; era certo che Thomas non avrebbe mai esitato prima di premere il campanello.
Probabilmente perché qualcuno lo sta guardando.
Lo premette senza incertezze infatti. Lo guardò attendere e si fece forza per non comparirgli al fianco.
La porta si aprì, e c’era Robin. Sorrise quando vide la donna dapprima smarrita cacciare un grido e stringere tra le braccia Tom, che doveva esserselo aspettato da come riuscì a mantenere la presa sulla madre senza indietreggiare. Le grida avevano attirato gli altri, e pochi attimi dopo vide la massa corpulenta di Dudley oscurare l’intelaiatura della porta. Tom dovette dire qualcosa, perché Dudley rispose, molto lentamente, come se non riuscisse a capire bene cosa stesse succedendo e stesse cercando di radunare le idee, proprio come quando era ragazzo. Poi si riscosse, mettendo una mano sul braccio di Tom, stringendo, quasi a volersi sincerare che fosse reale.
Harry poteva sentire solo i singhiozzi di Robin da lì, ma andava bene, perché erano di gioia.
Poi Dudley parve accorgersi della sua presenza, perché guardò nella sua direzione: si squadrarono, poi il cugino gli fece un cenno con la testa, che poteva voler dire tutto, persino ringraziare, oppure solo attestare che sì, sapeva che era lì.
Harry lo ricambiò, poi tirò fuori la bacchetta per smaterializzarsi. In quel momento lui era un estraneo, e da estraneo doveva ritirarsi ordinatamente. Si infilò nuovamente nel vicolo e si permise un piccolo sorriso.
Le cose stavano cominciando a tornare al suo posto. Non per merito suo: ed era giusto così, finalmente.
 

****
 
 
Cornovaglia, vicino a Tinworth. Cottage di Andromeda Tonks.
Prima di cena.

 
Teddy Lupin era il tipo di ragazzo che gioiva delle fortune altrui, perché gli piacevano le persone serene, meglio ancora se felici. Gli piacevano, insomma, le buone notizie, anche quelle che non lo coinvolgevano direttamente.
Il ritorno di Thomas era la migliore delle notizie, e quando si era congedato dai Potter, poco dopo che Albus era tornato carico di notizie, aveva lasciato un’atmosfera distesa e persino allegra. Sarebbe rimasto volentieri, specie perché James gli aveva dato calci sotto il tavolo piuttosto espliciti … ma sua nonna pretendeva assoluta puntualità a cena se, come diceva lei, si onorava di farle compagnia.
E non mi va di lasciarla sola.  
Quindi quando aveva varcato la porta di casa sua era di ottimo umore. Era passato anche in una pasticceria babbana a Ottery St. Catchpole per prendere una serie di pasticcini di cui sua nonna era tremendamente golosa.
C’era da festeggiare, sebbene per riflesso.
Si pulì le scarpe sullo zerbino e tenendo in mano il pacchetto flagrante andò fino in cucina. Sua nonna stava finendo di cucinare con il rumore soffuso della tv, su cui veniva proiettato il telegiornale. Teddy non l’aveva mai vista guardarla con interesse; era semplicemente uno di quei piccoli riti che onoravano le memoria di suo nonno.
“Ah, bentornato!” Esclamò con un cenno distratto, chiudendo il coperchio dove sobbolliva dello stufato di pesce a giudicare dall’odore. Sorrise con uno sbuffo trattenuto quando vide il pacchetto colorato. “Tu mi vizi. Lo sai che alla mia età dovrei evitare i dolci.”
“Quale età?” Le sorrise baciandole la guancia. “Sei una ragazzina.”
“E tu un pessimo bugiardo.” Gli tirò con dolcezza una ciocca di capelli blu. “Pensavo rimanessi a cena dai Potter…”

“Stasera era più una cosa di famiglia.” Spiegò. Voleva aspettare prima di dare la notizia. “E poi non mi andava di lasciarti mangiare dell’ottimo stufato da sola. Ginny cucina raramente il pesce, e sai che ne vado matto.” Stornò con un sorriso. Era un delicato castello di diversioni il suo. Sua nonna le accettava sempre con un gesto secco della testa e un sorriso trattenuto. Era una codice segreto il loro.
“Jamie?” Chiese dandogli le spalle per spegnere la fiamma del fornello. “Come sta?”
“L’esame di ammissione si avvicina… è piuttosto… elettrico, direi.” Scherzò.
“Lo passerà.” Decretò Andromeda con quella sicurezza un po’ arrogante tipica dei Black. “Quel ragazzo è nato per fare l’auror. È un piccolo pazzo incosciente con una gran predisposizione a agitare in aria la bacchetta. Cos’altro dovrebbe fare?”
Teddy ridacchiò perché era vero.

“Thomas è tornato.” Esordì poi, mentre gustavano l’ottimo stufato di pesce e sua nonna fingeva di interessarsi ad una pubblicità sulla telefonia mobile. “Thomas Dursley, sai.”
“Oh!” La donna lasciò perdere le immagini sullo schermo. “Davvero? L’hanno trovato?”
“È stato Albus a rintracciarlo. Era in Germania…”
“In Germania? E come diavolo ci è arrivato laggiù con una passaporta rotta?” Chiese stralunata, spegnendo definitivamente la tv. Teddy ne fu contento: proprio non riusciva a piacergli quella cacofonia di suoni e immagini colorate.

Sono un vecchietto bibliofilo, lo so.
“Non ne ho idea.” Ammise rimestando il cucchiaio nella zuppa. “In ogni caso sta bene, e adesso dovrebbe essere tornato a casa dai suoi genitori. Zio Harry l’ha accompagnato. È una bella notizia.”
“Davvero.” Convenne, ma sembrava dubbiosa. “Quel ragazzo ha sempre avuto qualcosa di strano… Non mi stupisce che fosse finito in Germania o in qualche paese lontano.”
“Strano?” Chiese, ma era retorico. Lo pensavano praticamente tutti. Era più un impressione, visto che neppure lui sapeva tutto sulla vicenda che aveva coinvolto Thomas, i Doni della Morte e Harry. Sembrava che il padrino stavolta volesse obbedire al veto del Ministero sul parlarne. “In che senso?”
“Oh, lo sai. C’è tutto questo gran mistero su Thomas…” Diede un’energica scrollata di spalle, mentre sorseggiava vino elfico. Teddy era sempre affascinato dalle maniere impeccabili di sua nonna, nonostante fossero in una cucina rustica in mezzo alla campagna brulla. “Harry se lo coccola come un gattino traumatizzato da che ho memoria. Siete entrambi suoi figliocci, ma con te è sempre stato più rilassato.”

Teddy convenne con un cenno della testa. Harry era stato un ottimo padrino, e lo era tutt’ora visto che non l’aveva ancora torturato per essersi messo con il suo primogenito.
Il genere di padrino a cui chiedere consiglio o un giocattolo nuovo che tua nonna non vuole comprarti.
Gli voleva bene, ma non erano mai stati come padre e figlio, anche se da bambino l’aveva segretamente sperato. Il punto era semplice: Harry quando era stato nominato suo tutore era un ragazzo, e si era occupato di lui come un fratello maggiore, un compagno di giochi. Tom era venuto dopo, quando Harry era già un padre, un marito… e un adulto praticamente completo. Se per lui Harry era uno zio con diciassette anni di differenza, per Tom era praticamente un secondo padre. Lo sapevano tutti.
“Comunque sono contento che sia tornato… Albus era raggiante.” Aggiunse. “Avresti dovuto vedere la faccia di Harry! Sembrava ringiovanito di dieci anni.”
“Mi pare ovvio. Se ne dava tutta la colpa.” Osservò Andromeda, mentre tagliava con un colpo di bacchetta il pacchetto e ne estraeva un pasticcino. Se lo gustò con calma aristocratica. “Ci voleva una bella notizia.” Soggiunse. “I Potter hanno trascorso un periodo pessimo.”
“Già…” Non fece in tempo a sentirsi in colpa che gli arrivò un colpo di bacchetta sulle dita, secco e spietato. “Ahi! Nonna!” Protestò. “Non stavo…”
“Se fai quella faccia bastonata sono costretta a bastonarti.” Replicò con un sorrisetto indulgente ma gli occhi di pietra. “Devo spiegare proprio a te che non puoi sentirti in colpa per quello che sei?”

“No, nonna.” Convenne umile, consolandosi con un bignè al cioccolato e nascondendo un sorriso. Sua nonna aveva una mira spietata quando doveva colpire. Lo beccava sempre nei punti più dolorosi. “Tra te e Jamie quest’estate è stata un florilegio di lividi.”
“Quel ragazzo sa che con te valgono solo i fatti. È sempre stato sveglio…” Replicò sua nonna placidamente.  

Passarono un momento in quieto silenzio. Teddy se lo assaporò perché per mesi non avrebbe avuto granché pace, tra ragazzini, compiti e doveri da nuovo Direttore di Tassorosso. La sua nomina era stata ufficializzata qualche settimana prima, tramite Gufo da Hogwarts. James l’aveva preso in giro per due giorni, blaterando sul coronamento dei suoi sogni da secchione. Aveva smesso solo quando l’aveva trascinato a letto e gli aveva tappato la bocca. Certo, dopo aveva cominciato a chiamarlo stallone ed era stato ancora più imbarazzante.
Sentì distintamente i propri capelli sfumare nel rosa. Per fortuna sua nonna non aveva mai collegato quel colore a certi pensieri: di questo doveva ringraziare sua madre, probabilmente.
Alzando lo sguardo dalla tovaglia notò però che aveva a malapena assaggiato i dolci. E sì che di solito non si risparmiava, continuando comunque a brontolare del colesterolo, malattia che affliggeva babbani come maghi.
“Nonna, non li mangi?” Chiese, e quando la vide esitare, capì che c’era qualcosa che non andava.
“Teddy, c’è una cosa che devo dirti.”
Ecco, appunto. Aveva ragione.

“… Cosa? Che succede?” 
Sua nonna sbuffò, prendendogli una mano e dandoci una pacchetta esasperata. “Niente, Teddy, niente… Sto bene, non mi sta succedendo niente. Però …” Si guardò attorno, ed abbracciò con lo sguardo tutta la stanza. “… da quanti anni viviamo qui?” Chiese a bruciapelo.
“Da quando ero bambino, non ricordo… ventitré anni più o meno? Quando ci siamo trasferiti dalla vecchia casa tua e di nonno Ted.” Ricordò confuso. “Perché?”
“Questa casa è diventata troppo grande per me sola.” Tagliò corto, perché non era mai stata una tipa da grandi giri di parole. Purtroppo. “Tu non ci sei che pochi mesi l’anno, e comincio a fare fatica a mandarla avanti…”
“Potremo prendere un elfo domestico.” Suggerì, anche se la voce di Hermione urlava oltraggiata dentro la sua testa in merito a forme di oppressione secolare. “… o qualcuno. Pagato.” Soggiunse.

Lo guardò quasi con compatimento. “Quella Hermione… Lei e le sue idee reazionarie. Sapevo che non avrei dovuto mandarti troppo spesso a casa sua. Comunque no, Teddy. Potrebbe essere una soluzione, ma sono troppo vecchia per abituarmi a qualcuno in casa mia, fosse anche un elfo.”
“Ma…” Non capiva il senso del discorso, ma decise che non gli piaceva.
“Tua zia Narcissa mi ha chiesto di trasferirmi da lei, al Manor.” Sua nonna oltre che diretta a volte era brutale. “Siamo entrambe due donne sole, per quanto poco mi piaccia la definizione. Avrei la mia indipendenza, ma anche qualcuno con cui chiacchierare, anche se è quella stronzetta.” Commentò con un vago sorriso, ma Teddy non l’ascoltava: si sentiva invece spaesato, come se gli avessero tirato via il terreno da sotto i piedi.
No, decisamente non era un tipo che apprezzava i cambiamenti. Poteva farne, ma non repentini. Scoprire la sua sessualità era stato un processo lento e graduale dopotutto.
James lo chiamava omosessuale graduale. Un giorno avrebbe davvero dovuto sculacciarlo.
Ma stava divagando…
“…E  tu cosa le hai risposto?” Chiese, mentre sentiva la sua voce assomigliare orribilmente a quella di un dodicenne a cui era stato negato il primo manico di scopa.
Le hai detto di no, vero?
“Le ho detto di sì.” Gli tenne stretta la mano tra le sue, comprensiva e crudele. “Voglio mettere in vendita la casa, Teddy.”
… Oh, dannazione.
 
 
****
 
Surrey, Little Whinging.
Privet Drive numero 4. Casa Dursley.
Sera.
 
Tom si stava riappropriando della propria stanza.
Era un processo di estrema importanza. Doveva ritornare a pensare a quella come la sua stanza. Il suo letto, la sua scrivania, la sua libreria, i suoi poster, la sua finestra.
Alla fine si era risolto ad operare un metodo che, almeno su di lui, avrebbe dovuto funzionare.
Si era infilato le cuffie wireless dell’impianto stereo e aveva inserito un cd. Fatto questo, si era steso sul letto e ora stava facendo vagare lo sguardo.
Stava funzionando.
Socchiuse gli occhi permettendo ai muscoli, tesi fino a quel momento, di rilassarsi.
Non aveva sperato che i suoi lo avrebbero riaccolto a braccia aperte e senza nessuna domanda. Era una previsione quantomeno idiota, considerando che non erano privi del senso del tempo, e otto mesi per la famiglia Potter erano otto mesi per la famiglia Dursley.
Non aveva potuto raccontare loro tutto, per via dello Statuto, e anche per via del fatto che non gli sarebbe piaciuto spiegare come fosse una sorta di zombie alchemico; aveva quindi puntato sul fattore famiglia psicopatica.
Aveva raccontato loro di Hohenheim come di un mago potente e senza scrupoli e di John Doe. Aveva glissato sulla prigionia e sull’imperius. Aveva escluso tutta la parte dei Doni, visto che probabilmente per un babbano assimilabile agli ufo o ai vampiri di Bram Stoker.
Non ho mentitoHo omesso alcune parti della verità.
Inspirò facendo filtrare l’aria trai denti e facendo una smorfia alla sensazione sgradevole che ne conseguì.
Chissà da chi ho preso i denti sensibili…
Il punto, comunque, non era quello.
Il punto è che sapeva di aver ferito la sua famiglia. A fondo e forse più di quanto avrebbe mai potuto capire o rimediare.
Sua madre Robin si era fatta tenere stretta tra le braccia finché non erano arrivati in salotto, scortati da suo padre, che aveva una stranissima espressione, come di profonda e dolorosa concentrazione.
Poi erano arrivati Vernon e Alicia. Gli erano sembrati cresciuti; Alicia aveva i capelli più lunghi e più trucco sulle palpebre, mentre Vernon gli era sembrato ancora più grosso e goffo.
Allora aveva cominciato a spiegare. Era stata sua madre a fare le domande, a chiedere, a meravigliarsi, a stringergli le mani e accarezzargli il viso. Si era sentito come se avesse di nuovo cinque anni e fosse appena tornato da una smaterializzazione accidentale.
Solo che stavolta ci aveva messo più tempo a tornare. E lo sapevano tutti.
Lo sapeva suo padre, che non aveva aperto bocca per tutta la sera. Per quanto ne sapeva ora era di nuovo di fronte alla tv a seguire qualche quiz a premi con la bottiglia di brandy affianco.
Non aveva detto niente Vernon, che però era stato quasi amichevole. Gli aveva riportato il pc e si era offerto di pagare la riparazione per averlo riempito di virus.
Non aveva detto niente Alicia, o meglio, aveva detto. Tutto.
 
La cena era stata intramezzata dalle chiacchiere di Robin, dal suo sollecitarsi a riempirgli il piatto più volte di quanto fosse necessario. Gli occhi di Vernon invece erano incollati alla tv, come quelli di suo padre, anche se lo beccava spesso a lanciargli lunghe occhiate. Quelli di Alicia invece erano fissi sul piatto e sembravano volergli dire qualcosa da un momento all’altro.
Non sapeva se gli sarebbe piaciuto ascoltarlo però. Non che fosse questo il punto, certo.
“Mamma, davvero. Sono pieno.” Le aveva sorriso.
“Ma non hai mangiato quasi nulla! Sei troppo magro, hai mangiato come si deve? Quella donna… quella Cordula, cucinava cose…”
“Cucinava benissimo, anche se certo, niente a che vedere con la tua cucina.” La blandì. “E sono sempre stato magro.”

“Sì, questo è vero…” Aveva capitolato infine. “Hai uno spazietto per il dolce? Se sapevo che saresti tornato avrei fatto il tuo preferito, ma…”
“Ho uno spazietto per il dolce.” Aveva confermato, perché era giusto così, anche se sentiva lo stomaco urlare pietà, chiedendogli perché avesse maturato la  smania di ingozzarsi.

La sedia di Alicia si era scostata di colpo, facendo distogliere lo sguardo a tutti dalle proprie faccende.
“Io esco.” Aveva proclamato, infilando il cellulare dentro la tasca dei pantaloni. Tom aveva pensato che alla lunga avrebbero potuto portarle problemi seri alla circolazione.
“Esci?” Aveva esclamato sua madre. Sembrava incredula e ferita. Si era sentito male lui. “Stasera?”
“È sabato, ho un appuntamento con Matt giù in centro. Forse andiamo a Londra, forse no.” Si era voltata verso Vernon. “Tu vieni?”
Il ragazzo era sembrato per un attimo sulle spine. Doveva aver percepito la tensione che si tagliava con un coltello. “Io…”

“È tornato tuo fratello!” Sua madre continuava a tenere il coltello a mezz’aria come se quello fosse un grosso scherzo imbarazzante. Era arrabbiata. “Non credi che per una sera potresti farne a meno? Specialmente stasera?”
A quel punto Alicia aveva rotto il voto del silenzio. “E perché?! Lui di noi se n’è ampiamente fottuto!” Aveva sbottato e finalmente l’aveva guardato. Le tremavano le lacrime sulle ciglia e Tom si era sentito come se gli avessero piazzato un capo d’accusa di circa dieci anni ad Azkaban. Si era ricordato come nell’ultima lettera Alicia gli avesse parlato di un Anthony. Ora era un Matt, e forse non aveva più bisogno di consigli su gruppi musicali da ascoltare per far colpo su di lui. “Com’è, se lui può farsi i suoi affari in Germania senza dare uno straccio di notizie, facendoci credere che è morto, io non posso uscire col mio ragazzo e i miei amici per una sera?”
“Alicia, siediti subito!” Sua madre non era riuscita a ribattere. “Dudley, dille qualcosa!”

“Robin, lasciala andare.” Era stata la risposta, prima di riportare gli occhi allo schermo. “Che differenza farebbe fuori con i suoi amici o chiusa in camera sua?”
Tom a quel punto sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa. Aveva guardato la sorella, e forse anche lei se l’aspettava, anche se più che altro aveva l’aria di volerlo picchiare. “Mi dispiace.” Gli era uscito. Sembrava la sua frase standard di quegli ultimi due giorni.
Si era visto arrivare il tovagliolo addosso e l’aveva parato con un braccio.
“Vaffanculo!”
Non che non se lo fosse aspettato.

 
Tom sospirò. La stanza stava prendendo di nuovo i contorni  della sua camera, e sarebbe andato tutto bene.
Avrebbe riavuto la sua bacchetta e forse un giorno la sua famiglia lo avrebbe perdonato.
Si passò una mano sullo stomaco, assente, mentre in loop ripartiva il cd.
Niente di deprimente ovviamente era un’utopia nella sua collezione.
(E non era in vena da Who.)
 
Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No one ever said it would be this hard.
Oh take me back to the start…¹
 
… Forse avrebbe dovuto cambiare canzone. Ma al momento attuale si sentiva piacevolmente infossato dentro il proprio materasso.
Sentì bussare la porta.
“Avanti.” Disse, perché non poteva essere il solito egoista misantropo. Non quella sera almeno.

Sua madre entrò, reggendo una cesta di panni puliti con in cima una pila di riviste. Le riconobbe come quelle contenenti il programma artistico dell’estate di Little Whinging. Gliele portava ogni anno, quando tornava da scuola.
“Ti ho portato la biancheria pulita!” Esclamò posandola sulla scrivania. “È tutto in ordine, ma non avresti nulla da metterti, e non credo tu dorma nudo adesso, no?” Sorrise e Tom sentì che avrebbe dovuto abbracciarla o dirle che le voleva bene. Un figlio, anche se adottivo, avrebbe fatto una cosa così.
“Grazie.” Si limitò. “È il programma estivo?” Offrì, abbassando le cuffie sul collo e alzandosi.
“Mmh-mm.” Annuì sua madre, piegando una serie di slip neri. Non aveva mai capito come Al riuscisse invece ad avere delle mutande con motivi imbarazzanti senza volersi seppellire da qualche parte. Le ultime che aveva visto avevano un boccino davanti.
Mi sono dimenticato di prenderlo in giro.
“Al caffè c’è una rassegna di poesie di Whitman molto carina. È domani alle quattro, ci vieni?” Gli chiese riportandolo all’attenzione. Aveva un tono disinvolto, come se fosse tornato da Hogwarts solo il giorno prima. Le domande erano finite, per il momento, e avrebbe dovuto davvero ringraziarla. Ma non poteva continuare all’infinito, sarebbe suonato falso. “Ci saranno anche tua sorella e i suoi amici.”
“Se non rischio la vita tramite il lancio di qualche oggetto contundente…” Ironizzò. “Comunque sì, vengo.”

Robin sospirò, lisciando con le mani la piega di una maglietta. “Tua sorella…” Iniziò, mordicchiandosi l’interno del labbro. “È stata molto male per la tua scomparsa. Lo sai com’è fatta. È orgogliosa… è tutta vostro padre. Incamerano e non lasciano uscire. Pensano che sia inutile e da …” Alzò gli occhi al cielo. “Da deboli. Lo sai.”
No, non lo sapeva. O meglio, non se lo ricordava.

Ecco da chi ho preso.  
“Non volevo…” Ancora una volta. Se non altro, tutta quella storia gli aveva insegnato a chiedere scusa. “Non era mia intenzione farvi stare male …” Sua madre gli mise una mano sul braccio, accarezzandoglielo con quel tocco che forse avevano solo le madri. Anzi, probabilmente.
“Thomas.” Lo fermò con il suo accento australiano, un musicale va-e-vieni. “Harry ci ha spiegato. Non è facile per nessuno passare quello che hai passato tu. Non fartene una colpa.” Concluse facendogli una carezza. “A Alicia passerà, non appena starai un po’ con lei e le farai parlare di ragazzi. Sai che tiene molto alla tua opinione.”
“Va bene.”
Sua madre lo strinse in un nuovo abbraccio. Le persone erano calde. Come aveva fatto Voldemort a non volerlo per sé?
“Ora sei qui, Thomas. È questa la cosa importante. Va bene, tesoro?” Gli prese il viso tra le mani e gli sorrise. “Ed è anche il caso che ti tagli i capelli. Fanno un po’ maudit e ti stanno bene, ma ti vanno a finire sugli occhi. Non ti danno fastidio?”
Tom ricambiò il sorriso. “Già. È proprio il caso che li tagli mamma.”

 
 
****
 
Il cancello era aperto. Aperto su una bruma fitta e scura.
Lo varcò, perché era aperto ed era un sogno.
Il parco si contorceva in scheletri di alberi che sembravano raffigurare uomini in agonia. Il castello era un moloch di pietra, dalle guglie gotiche a malapena distinguibili.
Sapeva che doveva entrarci. Non era una questione di potere, ma di dovere.
Da lontano, il rumore del mare.
Poi un picchiettare ritmico.
 
Un picchiettare ritmico come sassolini…
 
Che diavolo…?
Tom si svegliò di colpo, con le cuffie incollate alle orecchie e il silenzio stereo di un cd finito.
Il rumore non se l’era immaginato però. C’era veramente ed era alla sua finestra.
Si alzò stordito, ancora aggrappato al ricordo del sogno. Aprì la finestra.
“Ehi! Era ora!”
Albus era in giardino e aveva in mano un pugno di ghiaia che stava evidentemente per lanciare.

“Vuoi sfondarmela?” Gli chiese a quel punto.
“Se serve!” Replicò stizzito. “È mezz’ora che sono qui!”
Gli venne da ridere, prima di ricordarsi che se l’avesse fatto, Al avrebbe potuto tirargliela addosso. Aveva una mira da cecchino con tutto quel Quidditch.
“Stavo dormendo. Aspetta, ti faccio salire…” Inarcò un sopracciglio. “O vuoi smaterializzarti direttamente in camera mia?”
“Fammi salire, se la faccio male finisco dentro un muro. Eviterei. Non sono bravo negli spostamenti dentro e fuori casa.”
Tom sbuffò, ma obbedì. Andò ad aprirgli la porta di casa e lo fece entrare dentro, mentre i genitori dormivano e Alicia era fuori. Sentirono della musica soffusa da camera di Vern invece, quando ci passarono. Probabile se la sparasse in cuffia mentre giocava alla console. 
Al quando fu in camera si guardò attorno. “Certo che non si nota se ci sei o non ci sei…” Ironizzò. “Ma lasci almeno l’impronta sul letto?”
“Io non sono un confusionario come te.” Replicò. La sola presenza di Al lo fece sentire di colpo meno spaesato. Non che lo volesse ammettere, e comunque non glielo avrebbe detto. “Sei in ritardo.” Quello invece glielo disse senza problemi.
“Non sei l’unico che è sparito nel nulla ultimamente, sai?” Replicò sedendosi sul letto e prendendo a giocherellare con le cuffie. “Mamma mi ha fatto una predica infinita prima di lasciarmi andare.”

“Ti ha lasciato andare?” Un giorno o l’altro Ginny avrebbe voluto delle risposte.
E non gliele avrebbe date lui, decise. Le madri protettive erano qualcosa che gli gettava addosso una discreta inquietudine.
“Gliel’ho dovuto dire, se non mi avesse trovato domattina mi avrebbe ucciso, e non mi andava di fare una levataccia per batterla sul tempo.” Alzò lo sguardo e lo squadrò. “Ma sono le undici. Dormivi davvero?”
“Giornataccia.” Ironizzò, facendolo ridacchiare. Si sedette accanto a lui, mentre Albus si infilava le cuffie. “Al, il cd è finito.”
“Rimettilo.” Gli chiese sorprendentemente. Obbedì, giusto per vedere cosa aveva da dire sulla musica babbana.

Non molto, considerando la sua propensione a canticchiare Celestina Warbeck.
“Oh, questi mi piacciono! Coldplay!” Esclamò contento. Poi arrossì, sotto il suo sguardo inquisitorio. “Se non sai dov’è il tuo lettore mp3… beh, ce l’ho io. L’ho ascoltato, tipo… un po’.”
“Questo è molto romantico. Da ragazzina, oserei dire.”
“Va’ all’inferno!”
“Già fatto.” Gli mise una mano sulle labbra, quando provò a scusarsi. “… e mi è servito. Vieni qui.”
Al fece un sorrisetto e senza togliersi le cuffie si sporse a baciarlo. Dovevano proprio piacergli i Coldplay. Fu un bacio casto, e morbido. Non ne fu particolarmente soddisfatto, ma c’era tempo.

Ce ne sarebbe sempre stato d’ora in poi.
Lo acchiappò per la vita, e lo ribaltò sul letto, facendolo ridere. Lo fece in modo che dopo poco Al, per evitare di stare scomodo, fu costretto a accocolarglisi contro.
“Possiamo usare un engorgio? Il letto è troppo piccolo!”
“No.”
“Pervertito, lo fai solo per palparmi…” Borbottò, avendo cura di passargli le mani lungo il petto e dietro la schiena. Tom sogghignò. 

Perché tu no?
“Domani c’è una rassegna di poesie al caffè di mia madre. Vieni?”
Al inarcò le sopracciglia, alzando la testa dal suo petto. “Beh, non capisco granché di poesie babbane. Lo sai che non sono quel genere di ragazzo…”
“Ma sei il mio ragazzo.” Fece una pausa, in cui si divertì a contare i secondi in cui Albus da roseo diventò di nuovo paonazzo, specialmente quando gli rimarcò il fatto passandogli le mani sul sedere. Aveva la pelle meravigliosamente trasparente. “Devi venire.”

“Non devo lavorare all’ospedale, quindi… okay.” Lo squadrò meditabondo. “Cos’è, non vuoi restare solo con tutti quei babbani e quelle ragazze?” Lo prese in giro.
“No… ma potrebbero esserci ragazzi. Whitman, l’autore, era omosessuale. È una discreta icona gay.”

Ci fu una breve pausa in cui sentì le dita di Al artigliargli la maglietta del pigiama con la gentilezza di una Veela inferocita. “Verrò.”
“Lo supponevo.”
“Stupido stronzo!” Si sentì apostrofare, mentre finalmente riusciva a togliergli le cuffie. Nel tempo che si sporse per metterle sul comodino, si sentì nuovamente strattonare sul letto e poi Albus lo baciò così appassionatamente che quasi gli diede una testata.

“Ahi.”
“Tom, rovini l’atmosfera!”
“Mi hai quasi rotto il naso.”
“Sei un insopportabile lamentoso…” Si lamentò,  facendolo ridacchiare. Seppe con certezza, in quel momento, che quella notte avrebbe dormito bene. Gomito ossuto di Al conficcato in parti tenere del suo corpo o meno.
Tom poi gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. “Ho fatto un sogno.” Esordì, ma non c’erano connotazioni romantiche. Il sogno di prima l’aveva lasciato… perplesso.

Non angosciato, quello no. Ma era stato un sogno… straordinariamente chiaro, reale. Gli incubi che aveva avuto l’anno prima a causa del medaglione era stati molto diversi.
Al batté le palpebre, curioso. “Che sogno?”
“Ho sognato di entrare in quel castello. Quello a Putgarten, nella foresta vicino a casa di…”
“Meike e Cordula?” Ci rifletté. “Beh, era… era un incubo?”
“No…” Si stese accanto a lui, puntellandosi con un gomito. “Non direi. Sono arrivato fino all’ingresso. Poi mi hai svegliato. Ma non era angosciante.”

Lanciò uno sguardo sul muro di fronte a sé, casuale. Rimase sorpreso quando si accorse che l’unico ornamento presente, una foto incorniciata che si era fatto sviluppare da Robin, ritraeva una scogliera calcarea simile a quella di…
Rügen…
Non ci aveva più pensato a quella foto, ma davvero assomigliava ai panorami che aveva ammirato sull’isola. Solo una coincidenza?
È pur sempre un luogo turistico molto battuto. 
“Dici che vuol dire qualcosa… quel sogno?” Lo riscosse Al.
Tom rifletté. “I sogni possono voler dire tutto o niente. Probabilmente in questo caso è niente.” Sospirò. “In tutta franchezza, non sono dell’umore adatto per farmi domande del genere.”

Al ridacchiò. “Beata ignoranza quindi? È strano sentirlo dire da te.”
“Pensavo più al beato oblio.”
Al gli si spalmò di nuovo contro, con una grazia che Tom sospettava avesse solo in rarissimi momenti… di grazia, appunto. “Mmh.” Gli disse, perché non era tipo da avanzare proposte. “Quindi dormiamo?” Chiese con le orecchie curiosamente paonazze.
“Ce l’hai la bacchetta?”
“Beh… sì?”
Io no.

Ma non voleva pensare a quello in quel momento. “Incantesimo silenziante.” Disse.
“Quindi non dormiamo.”

Tom lo ribaltò di nuovo sotto di sé. Quel letto avrebbe avuto una lunga nottata. “Giusta osservazione, signor Potter…”
 
 
****
 
Germania del Nord.
Notte.
 
Sören si appoggiò alla sedia. Era una robusta sedia di legno intarsiato che faceva da pendant con la scrivania di quercia. E pure con il calamaio.
Non c’era nessun dettaglio lasciato al caso nella vita di un Hohenheim. Tutto doveva esprimere classe, nobiltà, austerità.
Si sgranchì le dita per forse la ventesima volta. Meditò di prendere un altro bicchiere di vodka incendiaria, la cui bottiglia silente e panciuta era sulla mensola del camino, ma lasciò perdere.
Non aggiungiamo l’alcolismo al carico misero della mia esistenza.
Lo scoppio di un ciocco nel camino gli fece prendere finalmente la decisione di intingere il pennino nel calamaio e vergare i primi centimetri della pergamena. Si era esercitato a lungo per imitare la scrittura sgraziata e largheggiante del suo omonimo.
Dopo molti tentativi, c’era riuscito.
 
Cara Lily,
Ho buone notizie. Quest’anno, finalmente, potremo vederci…
Infatti quest’anno si terrà il Torneo Tremaghi.
 
 
Sospirò e poi appallottolò con frustrazione il foglio, squadrando la foto della ragazzina posata sulla pila di lettere.
Doveva essere una di quelle popolari a giudicare dal largo sorriso solare, sicuro di sé e senza un’ombra.
Come poteva capirla? Come poteva avvicinarsi senza essere smascherato?
Come poteva farle credere di essere suo amico?
E soprattutto, quello avrebbe fatto in modo da ridare Thomas alla Thule?
Fece una smorfia e spianò la lettera.

Non era questione di potere, o farsi domande: doveva. Perché erano ordini.
E gli ordini vanno eseguiti, Sören…
Represse un brivido mentre vari punti dentro e fuori al suo corpo bruciavano. Distolse lo sguardo dalle fiamme del camino e riprese a scrivere.

Lui non aveva mai sorriso così, comunque.
 
 
****
 
 
Note:
 
1. Qui la canzone. Ah, i Coldplay. T_T
Ah, la favolosa Eleazar81 si è cimentata in una nuova meravigliosa fan-art. Brotherhood. Lasciatele un commentino, se vi va.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Mi spiace non riuscire a rispondere alle recensione a questo giro, ma esame tra pochi giorni. Mi farò perdonare alla prossima. Enjoy!
 
 
 
****
 
Capitolo VIII
 
 
 



Some boys take a beautiful girl

And hide her away from the rest of the world
I want to be the one to walk in the sun
Oh girls they want to have fun…¹
(Girls just wanna have fun, Cyndi Lauper)
 
 
 
7 Agosto 2023.
Devonshire, vicino a Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley, mattina.
 
Lilian Luna Potter, chiamata da urbi et orbi Lily, o Lils, o Lilù – era una ragazza poliedrica – tutto osservava e annotava. Ma quello che più le piaceva, in termini assoluti, era sguazzare in mezzo alle situazioni ad alta tensione emotiva. Più incasinate e emotivamente stressanti erano, più lei si divertiva. Sinceramente.
Firmò una lettera indirizzata ad una sua amica, con una piuma da cui fluiva brillante inchiostro rosa, seduta a pancia in sotto sul proprio letto. Una lama di luce mattiniera le scaldava le schiena e la radio trasmetteva il suo programma preferito, Gli Ascolti di Miggs², che metteva in loop vecchie canzoni babbane che lei e Hugo ascoltavano avidamente dall’età di sei anni.
Aveva sempre pensato che le canzoni babbane fossero più accurate nel descrivere gli stati d’animo di una giovane ragazza.  
Comunque, stava divagando.
Aveva quindici anni da una manciata di mesi, e aveva assolutamente intenzione, quell’anno, di non farsi scappare neppure una briciola dei sommovimenti scolastici di Hogwarts.
L’anno prima era stato… spaventoso, okay, ma anche pieno di colpi di scena ed avventure mozzafiato.
E lei dov’era?
A fare la studentessa quattordicenne. Orrore. Orrore!
Si picchiettò la piuma sulle labbra, imbronciandosi. Naturalmente non avrebbe voluto trovarsi nell’occhio del ciclone come Albie, non era cretina, ma le sarebbe piaciuto avere qualche informazione in più, invece di veder sparire Thomas nel nulla e beccarsi tutto il pacco di depressione che ne era conseguita senza capirci granché.
Ora le cose sembravano essersi sistemate, Tom era tornato a casa e suo padre si stava adoperando per mettere tutto a posto definitivamente.
Insomma, era quasi tutto finito e lei si sentiva tagliata fuori dall’equazione.
La cosa non le piaceva.
Sentiva vari rumori sotto di sé. Lasciò perdere il diario e si incastrò la piuma all’orecchio, ascoltandoli. Sua madre doveva essere in cucina, divisa tra il compito di correggere le bozze per un articolo sui nuovi acquisti dei Kenmare Kestrels e cucinare il pranzo. Suo padre era fuori, al Ministero, a sistemare la roba di cui sopra. Socchiuse gli occhi, sentendo un tonfo e un’imprecazione colorita, e rise.
Quello era James che faceva gli ultimi preparativi per l’esame di ammissione che si sarebbe tenuto quel pomeriggio. Al era al San Mungo invece. Si svegliava ogni mattina all’alba, andava a correre  – sinceramente non capiva tutto quel bisogno di muoversi quando il resto del mondo dormiva – e poi dopo una veloce colazione si dirigeva a far intrugli motivatissimo e fresco come una rosa.
Adesso probabilmente la sua routine includerà anche Tommy. Come se non sapessi che tutte le notti va a dormire da lui.
Sogghignò.
Sentì un altro tonfo, seguito da qualcosa che assomigliava tremendamente ad un insulto alle divinità babbane; a quel punto decise di controllare perché era una sorella favolosa.
Si diresse nella camera dirimpettaia alla sua. Divideva infatti coi fratelli il vasto secondo piano di un grosso cottage bianco e nero chiamato dai vicini il Mulino, forse perché un tempo lo era stato davvero.
Non che abbia mai visto una ruota…
Bussò.
James aprì: aveva la barba di tre giorni, i capelli arruffati e lo sguardo sereno del pazzo bilioso.
Cazzo!” Esplose quando la vide. Qualcos’altro era esploso nella sua stanza, rifletté Lily. Sembravano esserci passati mandrie e mandrie di centauri inferociti.
“Buongiorno anche a te Jam!” Cinguettò cercando di non ridere. “Come va?”
“Di merda!”
“Sì, immaginavo qualcosa del genere…”  

“Non ci riuscirò mai, mi bocceranno, sarò la vergogna della famiglia e dovrò ripiegare sulla carriera di domatore di draghi…” Si infilò le dita nei capelli, strattonandoli. “Neanche mi piacciono i draghi!”
“Jamie, ti sei esercitato tutta l’estate… praticamente vivi con la bacchetta incollata al sedere, ed hai fatto dei corsi.” Cercò di calmarlo. Avrebbe riso dopo. Tanto.
“Inutili! Non mi ricordo neanche un incantesimo!” Piagnucolò, buttandosi sul letto e coprendosi il viso con le mani. “Se non entro, se non divento un auror… cosa ne sarà di me? Perché non è così semplice come a scuola?”
Lily gli si sedette accanto, attenta e disgustata dalla miriade di briciole essiccate che si annidavano tra le lenzuola. Gli mise una mano sulla spalla, consolatoria. “Perché è la vita reale.” Mormorò, sentendosi molto adulta e matura.

E felicissima di essere ancora a scuola.
James emise un grugnito che poteva essere un assenso o una smentita.
Devo diventare un auror.”
“Certo…” Convenne supportiva. “Pensa a quanto ti prenderebbe in giro Al altrimenti.”
“… Avrei dovuto dire che volevo un cane, invece di un fratello.” Ringhiò cupo. “Ma ero giovane e stupido.”
“Lo sei ancora.” Osservò dandogli una pacchetta sulla spalla. Era esilarante perché James era il migliore del suo corso, il cocco degli insegnanti e il beniamino dei compagni. Stava solo avendo uno dei suoi attacchi da prima donna.

Lily si alzò in piedi, sperando che quelli che vedeva sotto il letto non fossero calzini sporchi. La sua tolleranza alla scarsa igiene maschile forse un giorno l’avrebbe fatta diventare come sua nonna Molly.
A meno che non diventi ricca e sposi un strafighissimo Lord e mi faccia servire per tutta la vita.
James alzò la testa per lanciarle un’occhiata di sbieco. “Stai ancora facendo sogni di gloria?”
“Progetti per il futuro.” Lo corresse dolcemente.
“Hai un’aria esaltata quando li fai.” Sbuffò con un ghignetto, e Lily gli concesse la presa in giro perché era magnanima e lui di contraccambio aveva un’aria davvero miserabile.

E tutti mi ameranno, disperandosi³…” Citò con sguardo altero e fiero. James scoppiò a ridere, e seppe di aver avuto successo.
“Vuoi che venga?” Gli chiese poi, serissima. “Dico, a tenerti la mano…”
James le lanciò un’occhiataccia. “Dai che scherzavo, non fare quel muso da folletto!” Lo spronò, prima di sentire la madre chiamarli dal piano di sotto. “Dici che si mangia già?”
“Ho voglia di vomitare.” Fu la risposta. Sentirono poi dei passi sulle scale e bussare conseguentemente alla porta. “Perché non mi lasciano in pace? Voglio morire.”
“Jamie?”

Era Teddy, e Lily guardò divertita l’espressione del fratello mutare. Diventò paonazzo, si guardò attorno con terrore e si passò senza successo le mani trai capelli per renderli più docili.
Teddy!” Ululò, andando alla porta e frapponendosi tra lui e il resto della stanza. “Che ci fai qui?”
Ted Lupin, bello come il sole anche con una camicia a quadrettoni e un paio di pantaloni che dovevano avere minimo dieci anni, sorrise un po’ perplesso. “Beh, sono venuto a prenderti… L’esame, ricordi?”
“Aaah, giusto, l’esame!” Si diede una teatrale pacca sulla testa. “Pensa un po’, me n’ero dimenticato! Ma passerò. Ad occhi chiusi.” Tirò fuori il suo miglior ghigno smagliante. “Che dici, andiamo a pranzo fuori?”
“Ecco…” Teddy guardò lei. Lily si sentì in dovere di picchiettarsi la fronte, e mimare a gesti di portarlo via prima che per la tensione facesse esplodere la casa. Teddy capì al volo, perché era sveglio o semplicemente sensibile agli umori altrui. “Certo, fatti una doccia e andiamo.”

James annuì, prima di schizzare verso il bagno. Nella sua corsa urtò qualcosa che cadde a terra e si ruppe.  
Teddy ridacchiò. “È nervoso, eh?”
“Direi che siamo passati allo fase esaurimento nervoso.” Guardò con pietà la stanza. “Se mamma la vede in queste condizioni lo uccide e gli risparmia la fatica di fare l’esame. E lui può usarla, la magia, per metterla in ordine…”

“Non ti manca molto, no?” Offrì gentile. “Ancora un paio d’anni.”
“Manca troppo.” Si corrucciò, dandogli un pugnetto sulla spalla. “Ma ci sto lavorando.”

Teddy annuì, estraendo la bacchetta e compiendo con esperti movimenti di bacchetta il miracolo di rendere quel posto nuovamente presentabile: c’era abituato, del resto.
Sono anni che si occupa di non farci strigliare da mamma. La nostra Mary Poppins…
“Non vedo l’ora di tornare a scuola…” Esordì mentre Teddy si chinava a prendere il cesto dei panni sporchi. Diede una sbirciatina al sedere, e si annotò di regalargli un paio nuovo di jeans, magari aderenti, alla prima ricorrenza.
Così bello e così sciatto…
“Allora… sto parlando con il Direttore di Tassorosso?” Spiò allegra, facendolo ridacchiare.
“Essì, e non so dirti quanto sono nervoso.”
“Sarai fantastico, tutta la scuola è innamorata di te, sai.” Ironizzò.

Poi notò che l’amico aveva un’aria… assorta. Sembrava rimuginare incessantemente su qualcosa e non sembrava molto piacevole dalla faccia.
“Teddy, tutto a posto?”
Il ragazzo si riscosse di colpo, con l’aria di un cervo di fronte ad un tir. I babbani usavano espressioni così pittoresche… era un peccato non usarle. “Cosa…? Oh, sì, certo!”
Come no.

Decise di cambiare discorso.
“Ma senti, è vero che Albie quest’anno potrebbe essere Caposcuola?”
“Segreto professionale.” Le rispose divertito. “Però non ci sarebbe da stupirsi, no? È un candidato ideale.”
Lily esitò. “Sì, beh… abbastanza.”
Se gli importasse di qualcuno all’infuori di Thomas e noi.

Molta gente pensava che Albus fosse questo gran altruista perché sorrideva ed era gentile con il mondo intero. Lily aveva sempre avuto la certezza che il fratello avesse capito che mostrarsi innocuo avrebbe pagato in caso di scontro con i suoi compagni di Casa.
Era un ottimo stratega, anche se spesso a livello inconscio, tutto lì.
Il flusso dei suoi pensieri fu distolto dal ritorno di James e dalla conseguente ricerca di qualcosa di pulito da fargli indossare.
Quando fu finalmente sola tornò nella sua stanza. Fu stupita quando trovò una lettera sul davanzale. Nessuna traccia di gufi o altri volatile portalettere.
Si avvicinò e fu ancora più perplessa quando notò che la grafia era quella del suo amico di penna Søren; la busta, in effetti, proveniva dalla Germania. Dov’era però Wodan, il suo gufo? Di solito rimaneva sempre per farsi dare qualche croccantino… 
La prese e non fece in tempo a grattare la ceralacca con le dita che sentì un improvviso e violento capogiro.
Che diavolo…?
Si dovette sedere, mentre l’assaliva una sensazione spiacevole, come se qualcosa di freddo le bruciasse dentro lo stomaco.
Che diavolo…? È la colazione?
Inspirò e strappò la ceralacca quasi per abitudine: uscì fuori il solito foglio pergamenato, con la grafia nervosa e storta del ragazzo.
Scosse la testa, mentre la sensazione spariva come era venuta.
Decisamente la colazione. Devo dire a mamma di non mettere più tutto quel latte nelle uova.
Si buttò sul letto. Tutti la prendevano in giro, soprattutto le sue amiche, per quella corrispondenza infantile, ma le piaceva l’idea di un ragazzo che le parlava senza guardarle le tette.
Non era molto brava a farsi degli amici maschi, no.
 
Cara Lily,
Come stai? Ho una notizia che spero ti farà piacere. Non so se sei già stata informata, ma quest’anno si terrà il Torneo Tremaghi, e Durmstrang è una delle tre scuole che concorreranno alla coppa.
Finalmente potremo vederci…
 
 
****
 
 
Londra, Diagon Alley
Di fronte all’Accademia Auror, Pomeriggio inoltrato.
 
Rose Weasley non era nervosa. No, neanche un po’.
Si lisciò l’orlo della gonna e si controllò nel riflesso della vetrina alle sue spalle per circa la ventesima volta. Teddy, seduto accanto a lei sulla panchina, le lanciò un’occhiata ma cortesemente non fece osservazioni.
L’edificio che ospitava l’Accademia Auror era di fronte a loro: grande, in mattoni scuri e dal tetto spiovente, sembrava un grosso parallelepipedo. Non aveva l’aria accogliente, ma supponeva che non dovesse; lì dentro del resto venivano forgiate reclute della migliore forza magica del paese.
Deve mostrare austerità. O qualcosa del genere. O forse c’entra il fatto che è stato costruito durante la prima ascesa di Voldemort. Non erano tempi allegri, quelli.
Comunque, stava divagando.
Lei e Teddy stavano aspettando che James uscisse con i risultati da un paio d’ore. A dirla tutta, Rose, da un paio d’ore. Teddy era lì dal primo pomeriggio.
Scorpius in compenso era in plateale ritardo.
Per distrarsi lanciò un’occhiata a Teddy, che sembrava l’ansia fatta persona. Se avesse continuato a tormentare la propria bacchetta l’avrebbe spezzata, probabilmente.
Sorrise, perché era davvero un bravo ragazzo, ma non disse nulla, perché si sentiva ancora un po’ a disagio con il fatto che fosse diventato il centro deputato degli interessi romantici di James. Albus l’aveva edotta poco dopo il compleanno di Scorpius, facendole quasi far esplodere il calderone dove le stava spiegando la preparazione di una pozione, compito per le vacanze.
Sia Al che Jamie… C’è da chiedersi se abbiano fatto a gara anche in questo…
Teddy tirò un sospiro afflitto, e a quel punto fu costretta a dire qualcosa.
“Tanto passerà, lo sai Ted…”
Dove diavolo è quel biondino da strapazzo? Un mese! È praticamente passato un mese e anche di più da quando ci siamo visti!
“Massì.” Sorrise l’altro. “È solo che detesto le attese. Quando sei tu a sostenere un esame è diverso.”

“Già…” Borbottò poco comunicativa. C’era molto di cui parlare, e non necessariamente dell’epifania sessuale di chicchessia. Tipo, il ritrovamento di Tom poteva essere un ottimo argomento. Ma nessuno dei due, rifletté Rose, sembrava aver voglia di scambiarsi impressioni e pareri.
Si sentì picchiettare la testa e poi nella sua visuale entrò quello che sembrava…
Teddy batté le palpebre. “È un cactus…?”
Rose prese in mano il piccolo bulbo, interrato in un vasetto colorato che assomigliava tremendamente a quello di una confezione di yogurt. Con esso si palesò anche Scorpius, in jeans e camicia sportiva e un taglio di capelli decisamente babbano.

“Un cactus, sissignore.” Confermò sorridente. “Ci crederesti, Rosie, che i babbani li vendono anche dentro vasetti di yogurt colorati?” Esclamò pieno di meraviglia. “Sono così ingegnosi!”
“Ci credo, sì… Le ragazze normali ricevono rose, io un arbusto spinoso.” Sospirò, mentre sentiva il cuore in gola e un enorme sorriso scemo premerle l’angolo delle labbra. “Quanto sono fortunata.”
“Sono creativo, che vuoi farci…” Sorrise di rimando, sedendolesi accanto e passando un braccio dietro la schiena. “Ciao.” Aggiunse con la chiara intenzione di baciarla.
“Ciao. Sta’ buono.” Replicò supplicandolo di non farlo o avrebbero rischiato di attirare una folla di curiosi, visto che era ragazza sì, ma con degli ormoni. “Sei in ritardo.” Stornò, trincerandosi dietro un’aria cattedratica che sperò non sembrasse troppo disperata.
“Beh, sai… Ho dovuto inventarmi una palla piuttosto ingarbugliata per non dire che andavo ad aspettare Poo come una fidanzatina ansiosa…” E qui scoccò un’occhiata a Teddy che lo guardò malissimo.
“Ricordati che sono ancora un tuo professore, Scorpius.”
“Dal primo settembre.” Squadernò l’indice con sussiego. “Dal primo settembre.”
Teddy fece un mezzo sorriso. “Ricordati che ho una buona memoria. E non dal primo settembre.”
“Sono mortificato, chiedo scusa.” Scorpius sembrò improvvisamente più umile. Rose ridacchiò, perché era noto l’attaccamento del suo ragazzo alla propria media scolastica.

“Jamie sarà felice di averti qui…” Continuò Teddy, incapace di reggere la parte del professore severo.
“Mmh, dubito. Neanche mi noterà, nel suo delirio di onnipotenza. E comunque non sono certo qui per lui, ma per la straordinaria caramellina che ho al fianco.”
“Mi chiamerai mai con il mio nome di battesimo?”
“No!”
Teddy ridacchiò, occhieggiando la Gazzetta che Scorpius teneva sulle gambe. “Non l’ho comprata stamattina, posso darci un’occhiata?”
“Sicuro e… c’è qualcosa di decisamente interessante oggi.” E qui l’altro palesò perché sembrava così su di giri. Cioè, più del suo solito. “Sapete dove e quando si terrà il Torneo Tremaghi?”
“Il Torneo…” Rose ci mise qualche attimo a processare la notizia. “Quel Torneo?”
“Quanti ne conosci?” Gongolò, aprendo il giornale e mostrando l’articolo, su cui campeggiava il viso carismatico di Kingsley Shacklebolt attorniato da una pioggia di flash. “Quest’anno, in occasione del venticinquesimo anniversario della Battaglia di Hogwarts, si terrà il Torneo Tremaghi…” Lesse da alta voce. “Ovviamente ad Hogwarts. Vi rendete conto? Tutti quelli del Settimo potranno parteciparvi. E noi siamo del Settimo.” Mormorò estatico. “Gloria eterna. Ricordato per sempre…” Sussurrò.  

“L’unico campione che viene praticamente ricordato è Cedric Diggory, visto che ci è morto. ” Sbottò Rose, realizzando che quell’idiota del suo ragazzo era esaltato da una competizione potenzialmente mortale
Lanciò uno sguardo verso Teddy, sperando che smentisse e dicesse che no, in realtà si sarebbe tenuto da qualche altra parte, tra gente adulta. Magari in un altro continente.
Teddy invece annuì, con un sorriso estremamente crudele, a parer suo. “Ho ricevuto un Gufo una settimana fa. Dovrò partire alla fine del mese, per i preparativi… La scuola dovrà ospitare le delegazioni di Durmstrang e Beaux-Batons, senza contare eventuali ospiti e il servizio di sicurezza.”
Rose serrò le labbra in una linea sottile: no, decisamente non era quella sua idea di un tranquillo ultimo anno.
Lanciò un’occhiata a Scorpius che si stava rileggendo con gusto l’articolo. Gli brillavano gli occhi.
Oh, dannazione.
“Poo creperà di invidia.” Lo sentì con un ghignetto inquietante. “Lui è già uscito dai giochi.”
DANNAZIONE.
“Non vorrai partecipare?” Non fece in tempo a sentire la risposta che la porta dell’Accademia si aprì, facendo sciamare in ordine sparso i candidati, poco più di due dozzine.
James era in mezzo e quando li vide si sbracciò, con un’aria trionfante e una grossa bruciatura sulla guancia.   
Ce l’ho fatta!” Urlò facendo girare metà strada, prima di correre loro incontro e lanciarsi su Teddy in una specie di placcaggio frontale. L’altro ragazzo riuscì a non finire a terra e ricambiarlo, ridacchiando con condiscendenza come se fosse importunato da un cagnolino.
Rose pensò che fosse l’unico al mondo a non aver mai rischiato triplici fratture.
“Cazzo, sono un auror!” Sbottò guardandosi attorno come se si aspettasse di essere incoronato re del mondo da un momento all’altro. “Sono passato, è stato un trionfo!”
“Veramente saresti solo un allievo…” Iniziò Teddy, fedele a sé stesso, ma lasciò perdere subito per arruffargli i capelli. Lo fece in modo casuale, ma a Rose non sfuggì il modo in cui il sorriso di James divenne più stabile e come accompagnò il gesto, inclinandosi verso la sua mano.

Davvero, come cavolo ho fatto a non capirlo prima?
Scorpius invece gli strinse la mano, congratulandosi, e per un momento a Rose sembrò che facessero a gara a chi stringeva più forte.
Maschi…
“Beh Poo, adesso hai licenza di farti esplodere la bacchetta in faccia.” Si scambiarono due grossi sogghigni. “Approfittane per avvantaggiarti. Ti servirà quando entrerò anch’io, il prossimo anno.”
“Sogna, Malfuretto.” Rise James, poi si guardò attorno. “Beh, che si fa? Andiamo a festeggiare!”

“Stasera.” Gli rammentò Scorpius divertito. “Non ti ricordi? Ci vediamo ai Tre Manici, coi gemelli Scamandro, con Jordan e un mucchio di persone che non vedono l’ora di farsi offrire un giro di bevute dal mezzo-auror qui presente.”
“Auror in fieri!” Corresse piccato. “Comunque… già, forse è un po’ prestino per bere…”

“Manda un Gufo a Harry, James…” Gli ricordò Teddy, bussola di ogni comportamento socialmente doveroso. “Aspetterà di sapere com’è andato l’esame.”
“Giusto!” Esclamò. “Beh, allora voi che fate?”
“Andiamo a fare… qualcosa… da… qualche parte.” Disse Scorpius con estrema serietà, scoccandole un’occhiata piena di intenzioni. “Ci vediamo stasera. Se ti chiedono qualcosa, noi eravamo con voi.”
“Per tutto il tempo.” Convenne. “Ancora complimenti.” Fece una pausa, tirando evidentemente Malfoy verso un punto imprecisato. “Ciao.”


Sparirono approfittando dell’improvviso afflusso di genitori e amici dei candidati.
“È bello vedere come mia cugina e il mio migliore amico sono venuti qui per me.” Ironizzò, voltandosi verso Teddy. “E no, assolutamente non per infrattarsi in qualche angolo buio a pomiciare.” Fece una smorfia disgustata. Teddy rise.
“È tanto che non si vedono, credo sia comprensibile…”
“Zio Ron ci ha provato, poveraccio. Ma il Vero Amore e blablabla…” Sospirò, fingendo rammarico, quando in realtà era più o meno contento per quei due.
Dovrebbero solo rendersi pubblici. Ma temo che Rosie abbia troppa paura che a zio venga un infarto.  
Teddy annuì per tutta risposta; aveva un’aria distratta, il che significava che non era in casa al momento. Sembrava preoccupato.   
Beh? Indagare, subito!
“Burrobirra della vittoria?” Offrì. “Naturalmente paghi tu.”
Teddy sorrise. “Naturalmente.”

 
Dieci minuti dopo erano seduti ad un caffè con un vasto patio all’aperto. Teddy sorseggiava la sua burrobirra distrattamente. James parlava da mezz’ora ed aveva la certezza chirurgica che l’altro non lo stesse ascoltando.
Fu tentato di tirargli un calcio, ma non avrebbe capito e forse si sarebbe offeso.
C’erano modi migliori per attirare l’attenzione di quel gran figlio di lupo mannaro.
James si sporse sul tavolo, afferrandogli un polso e stuzzicando la parte sensibile di pelle con l’indice.
“Teddy…” Sussurrò. L’altro si irrigidì di colpo, sgranando appena gli occhi, mentre i capelli viravano su un rosa tenue e sfumato. Una bambina dietro di loro rise, indicandolo.
James sogghignò. “Oooh…sei proprio tanto sensibile…” Ripeté abbassando la voce di un tono.
L’altro deglutì. Vide proprio il pomo d’Adamo tremargli sottopelle. “Jamie, cosa… Siamo in…” Borbottò pieno di disagio. “Cosa stai…?”
James gli sfiorò l’angolo della bocca con il pollice. “Schiuma!” Ghignò mefistofelicamente. “Ne hai un po’ sul labbro.”
Teddy a quel punto gli afferrò di scatto la mano, con un lampo scuro negli occhi. Non era una figura retorica, aveva un ragazzo metamorfomago. Succedeva veramente. Quando si eccitava, l’iride, solitamente azzurra o castana – dipendeva dai giorni - diventava più scura, praticamente nera.

Era piuttosto provocante. E maledettamente rivelatore.
“Falla finita…” Gli sussurrò, cercando di minacciarlo e ottenendo solo di farsi strusciare uno stivale di pelle di drago sul polpaccio. “James.” Tentò di nuovo, e sembrava davvero ringhiasse. Delizioso. “Se non la fai finita…”
“… Mi prendi sul tavolo?”
Teddy fece un suono strozzato, aiutato dallo stivale che strusciava adesso in direzione dell’interno della sua gamba. “Smettila!”
James trattenne una risatina, ma mollò il colpo. Era buffo ed esaltante assieme vedere come l’altro non fosse esattamente un campione nel trattenersi, se debitamente stuzzicato. “Aaah, ora ho la tua attenzione finalmente!”  Disse però, beandosi dell’aria sbigottita dell’altro.

“Come, scusa?”
“Non mi stavi ascoltando… direi da più o meno mezz’ora.”
“Siamo qui da dieci minuti.”
“Infatti mi chiedo se hai sentito quel discorso sul fatto che ho trionfato.”
“James.”

“Okay.” Alzò le mani, in segno di resa. “Dai, dimmi che c’è.” Si fece serio. “C’è qualcosa che non va, sei pensieroso.” Giocò la carta finale. “Sono il tuo ragazzo, puoi parlarne con me.”
Teddy bevve un sorso della sua burrobirra ormai fredda. “… Nonna.” Si scollò dal palato, assumendo un’aria afflitta e una conseguente virata sul grigio perla.
“È successo qualcosa a zia Dromeda?!”
“No, no!” Scrollò le spalle. “È solo che … ha deciso di vendere il cottage.”


Teddy doveva ancora abituarsi al fatto che James non aveva più dieci anni.
Non sempre. Per alcune cose aveva ben chiaro che non li avesse. Decisamente.
Il fatto era che non gli piaceva, per timidezza o per un irrisolto complesso dell’orfano, a chiedere aiuto a qualcuno.
James batté le palpebre, evidentemente assimilando la notizia. “No…” Disse infine. “Cazzo, Teddy, mi spiace. E perché? Problemi di…” Esitò, scrutandolo attento. “Perché se avete bisogno di un anticipo sono sicuro che papà…”
“No, no.” Negò di nuovo a disagio. La pensione di suo nonno e quella per gli orfani di guerra erano sempre riusciti a far loro mantenere uno stile di vita decoroso. “Non è per quello che vende. È che… Narcissa le ha chiesto di andare a vivere al Manor, e visto che è sempre sola ed è ormai anziana ha deciso di accettare.”
“Al Manor?” James sembrò sbigottito quanto lui. “Andiamo, tua nonna al Malfoy Manor?”
Teddy sorrise appena mentre sentiva il peso sulle spalle alleggerirsi un po’. James era dalla sua. Non che ne avesse dubitato, naturalmente, ma sentirlo indignato era un po’ un balsamo per la parte di sé che aveva ancora sette anni e pensava che sua nonna fosse la sua migliore amica.

“Penso che si senta sola… del resto io abito quasi tutto l’anno ad Hogwarts e comincia a sentirsi insicura, probabilmente, nel non avere nessuno accanto. Narcissa è pur sempre sua sorella, ed io…” Il senso di colpa un giorno l’avrebbe ucciso e seppellito, ne era certo. E avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo, del resto, perché aveva preferito prima la Provenza di Vic e poi…
James gli posò una mano sul braccio. “E tu niente. Basta seghe mentali.” Lo fermò, con quel suo sorriso perennemente arricciato in un’espressione monella. L’avrebbe avuta fino alla senilità probabilmente. “Non puoi mica farle da babysitter. Credo che ti prenderebbe a pedate nel sedere se solo ci provassi.”

“Probabile…”
“Dai, è normale che tua nonna voglia stare con sua sorella. Io non reggo quella serpe di Albie per più di dieci minuti e pensò sarà così anche quando saremo due vecchietti rincoglioniti, ma se rimanessi solo, è da lui che andrei. È famiglia. Nel bene o nel male, no?”
Teddy si trovò ad annuire, cominciando a capire il senso di tutto quello che gli sembrava un orribile abbandono. Sorrise; era vero che a volte serviva un terzo parere per inquadrare una situazione. E James poteva avere il tatto di un troll in un negozio di bacchette il più delle volte. Ma era raro che non c’entrasse il cuore di un problema, se gli veniva chiesto di inquadrarlo.
“Sì… immagino che tu abbia ragione…”
“Certo che ne ho!” Esclamò quasi offeso. Poi sorrise. “Se è per il Cottage però, perché non le dici che vuoi tenerlo?”
“Non è per il cottage.” Scrollò le spalle, mentendo platealmente. James sbuffò, tirandogli uno schiaffo sulla spalla. “Okay, è anche per il Cottage.”
“Dille che non vuoi venderlo allora!” Alzò gli occhi al cielo. “Cavolo, quella è anche casa tua!”
“Sì, ma è sempre stata troppo grande per due persone, figuriamoci per me soltanto.” Scosse la testa, sentendo un sospiro salirgli alle labbra. Non faceva che sospirare da quando aveva avuto la buona nuova. “Non avrebbe senso continuare a tenerla… è un pezzo della mia infanzia, ma… Credo che mia nonna stia cercando di farmi capire, brutalmente come suo solito, che devo trovarmi una casa mia. E forse ha ragione.”
“Beh, ma tu vuoi?” Interloquì. Sembrava improvvisamente molto cauto e attento, come se dovesse travasare una sostanza esplosiva dal calderone ad una fialetta. Teddy alzò lo sguardo e lo beccò a scrutarlo esattamente in quel modo. “Vuoi trovarti una casa tua?”
Teddy ci pensò seriamente. L’idea era allettante. Hogwarts gli offriva delle stanze confortevoli, e almeno per il periodo scolastico sarebbe dovuto rimanere lì, come Direttore del Tassorosso, ma facendo progetti a lungo termine si rendeva conto che non avrebbe avuto voglia di trascorrere l’estate al Manor.

Affatto.  
“Non mi dispiacerebbe…” Ammise. “Ma…”
Non voglio vivere in una casa vuota. Con me dentro.

Se c’era una cosa di cui era sicuro, era il fatto che non avrebbe mai dormito in una casa da lui occupata soltanto. Proprio non ce la faceva.
Forse potrei prendermi un cane…
“… Ma non vuoi abitare da solo?” Terminò per lui James, dimostrando ancora una volta che sapeva leggergli benissimo il pensiero. Era un sollievo e insieme un inquietudine. Mischiate, non erano una brutta sensazione comunque. “È questo?”
“Più o meno sì.”

James fece un gran sorriso, come se avesse appena trovato la cura definitiva per la spruzzolosi.
“Jamie?” Chiese, un po’ inquietato.
“C’è una soluzione semplicissima.” Replicò. Si chinò su di lui, baciandolo a stampo. Lo studiò da vicino, prima di concludere. “Prendiamoci casa assieme!” Non gli lasciò il tempo di continuare, che si staccò e si allontanò con passo spedito.
“Jamie!” Lo richiamò attonito. “Dove vai?”
Dopo avermi detto una cosa del genere, poi!
“All’ufficio postale! Il gufo per papà! La mia vittoria!” Gli ricordò facendogli un cenno. “Ne parliamo dopo, ma ehi, è un’idea grandiosa… e ah! Paga tu!”
E si smaterializzò.
Teddy fissò sbigottito il punto in cui l’altro era sparito.
Forse non avrebbe dovuto comprarsi un cucciolo, dopotutto.
Fece una risatina.
Harry l’avrebbe ucciso.
 
****
 
Surrey, Little Whinging.
Privet Drive, n°4. Sei e mezzo di sera.
 
Tom alzò gli occhi alla finestra quando sentì un tonfo seguire un’imprecazione.
Non si mosse dalla scrivania, dove stava leggendo, nascondendo un sorrisetto.
“Saresti potuto passare dalla porta, Al…” 

“Allora perché, per tutti i troll della Gran Bretagna, lasci una scala sotto la tua finestra?!” Sbottò l’interpellato, massaggiandosi la schiena dolorante e tirandosi su. Era tutto arruffato e rosso.
“Volevo vedere se ci salivi davvero.”
“Stronzo!”
Tom sogghignò, voltandosi verso di lui, visto che aveva una di quelle ingegnose sedie girevoli babbane.  Indossava una delle sue magliette di gruppi rock babbani. Quella era di un gruppo chiamato The Cure.

Li conosceva: facevano parte dei top 5 più deprimenti della sua discografia.
“Beh, se non altro hai evitato i miei genitori…” Lo riscosse dalle sue elucubrazioni. “E visto che hai ancora vestiti da mago, forse è meglio così.”
Al si guardò; indossava ancora l’uniforme del San Mungo. Era uguale per tutti i livelli, camice e pantaloni verde limone. A lui però piaceva. L’avrebbe indossata sempre. Lo faceva sentire ad un passo dal suo sogno, per quanto questo non prevedesse gloria o battaglie epiche: prevedeva il San Mungo, pozioni e una spilla con una bacchetta e un osso incrociati.

A ciascuno la sua ambizione.
“Non assomigliano a quelle dei vostri medici?” Borbottò, sedendosi sul letto. “Papà ha detto che si somigliano.”
“Dei chirurghi, sì, all’incirca.”  

“Cos’è un chirurgo?”
“Meglio che tu non lo sappia, il tuo codice deontologico magico potrebbe venirne sconvolto.” Ghignò l’altro, alzandosi in piedi e rivelando che stava di nuovo studiando.
Al sorrise, vedendo il libro di Pozioni Avanzate ricoperto di post-it babbani. Tom odiava scrivere sopra ai libri, a differenza sua.

Era… bello, vederlo di nuovo in quella camera. Non l’aveva visitata molte volte da bambino, ma era indubbiamente sua. Dai poster alle pareti, all’ordine millimetrico. Harry era riuscito a tenere fuori dall’inchiesta i suoi libri di testo, e glieli aveva fatti recapitare. Da una settimana circa Al lo trovava sempre col naso sui libri.
Si stava ri-ambientando. A modo suo, certo.
“Allora, iniziamo la nostra lezione di Incantesimi?” Chiese, tirando la bacchetta fuori dal camice e porgendogliela dalla parte del manico. Tom esitò un attimo, poi la prese.
Lo fa sempre…
Era chiaro che non gli piacesse l’idea di usare una bacchetta non sua.
Ma purtroppo non c’è molto da fare. Finché non lo chiameranno lo scagioneranno non può averne una. Sono le regole. I maghi sotto inchiesta non possono detenere una bacchetta personale.  
Tom si sedette accanto a lui, rigirandosela tra le dita. “Non mi piace.” Disse secco.
“Mi dispiace che la mia bacchetta non sia di tuo gradimento…”
“È troppo…” Gli lanciò un’occhiata di sbieco, con un nuovo ghigno. “…piccola.”
“Se ti azzardi a fare dell’ironia sulla dimensioni della mia bacchetta…” Iniziò minaccioso, sentendosi arrossire come un gladiolo. Tom ridacchiò, scuotendo la testa.
“Stai facendo tutto da solo, Al.” Ci passò un dito, scuotendo la testa. “Stavo scherzando. Solo non la sento mia, ecco tutto.”
“Come facevi a Putgarten? Avevi quella del figlio di …”
“Sì, e non andava granché neanche con quella. Sentivo come …” Si fermò, socchiudendo gli occhi per ricordare. “… come quando metti scarpe non tue. Magari vicine al tuo numero, ma…”
“Ti fanno male. O ci cammini male.”
“Precisamente.” Annuì, puntandola verso la finestra. “Proviamo l’incantesimo di duplicazione.”
“Okay. Allora… devi…” Iniziò pieno di buone intenzioni didattiche.
“So come si fa.”
Al sospirò esasperato. Ogni volta era la stessa storia: Tom era capace di eseguire la maggior parte degli incantesimi del Sesto, eppure voleva che gli facesse da testimone. Se tentava un consiglio, non lo ascoltava. Le critiche lo innervosivano a morte. I complimenti erano assolutamente superflui.

“Se sai già farlo, allora perché mi chiedi aiuto?”
“Veramente ti chiedo la bacchetta.” Osservò inarcando un sopracciglio. Ghignò appena. “Al, mi conosci. Ti sembro una persona che chiede aiuto?”
“No, e i risultati si sono visti.” Usò con calcolata precisione la frecciatina, che colpì perfettamente il segno. Tom fece una smorfia, e smise di sembrare compiaciuto. Al sentì una fitta di rimorso, ma la dominò. “Allora…” Cominciò, vedendo che c’era una breccia nell’ego dell’altro. “… prendi un oggetto e recita la formula Geminio. Devi tenere l’attenzione focalizzata sui particolari, altrimenti verrà una cosa tutta diversa.”
“Mhh.” Concesse, prendendo una penna e posandola sul copriletto.

“Aiuterebbe iniziare con qualcosa di più grosso…”
Tom lo ignorò, puntando la bacchetta sulla penna. “Geminio.”

E invece della tenue luce azzurra dell’incantesimo ci fu letteralmente un esplosione.
Al si buttò a terra quando vide la penna sfrecciargli al lato del viso mentre il copriletto prendeva fuoco.
Tom si alzò di scatto, soffocando un imprecazione, lanciando un’occhiata sconvolta alla bacchetta.
“Tom, dà qua!” Gli urlò e l’altro gliela lanciò immediatamente, obbedendogli una volta tanto.

Al si tirò su. “Aguamenti!” Il getto d’acqua dell’incantesimo spense velocemente le fiamme, e tutto quello che rimase fu un copriletto bruciato e un gran puzzo di fumo.
Al sospirò di sollievo. Ci mancava solo che dessero fuoco alla casa. Quello sarebbe stato un definitivo calcio nel sedere ai rapporti tra le loro due famiglie, già abbastanza tesi.
Niente Romeo e Giulietta, grazie.
“Per le sottane di Merlino…” Disse però confuso. “Te l’avevo detto di prendere qualcosa di più grosso!”
Lo disse per dire qualcosa, perché era comunque assurdo che un incantesimo innocuo come quello avesse dato una reazione … esplosiva. Lanciò un’occhiata all’altro, che teneva le labbra serrate in una linea sottile, e guardava indecifrabile il casino bruciacchiato del suo letto. “Tom?”
“Non era la bacchetta, né l’incantesimo. Sono io.” Si scollò dal palato, prima di passarsi una mano sulla nuca, e dirigersi alla scrivania, per buttarsi sulla sedia con furia. “Maledizione.”
“… Che vuol dire?” Lo guardò contrarre e decontrarre la mano con cui teneva la bacchetta, con una smorfia quasi di dolore. “Va tutto bene?”
“No.”

Il volto di Tom era stravolto, esattamente come quando l’anno prima era stato pieno di segreti e rabbia. Era spaventato, realizzò.
“Senti, capita che un incantesimo vada storto…”
“Non capita, non così. Capita a me perché prima che mi rimettessi di salute era anche peggio. Facevo esplodere le cose. Cordula doveva sedarmi.” Sibilò guardando furioso, come se fosse tutta colpa sua. “È perché sono… Questo non succede alle persone normali. Non succede di dar fuoco a qualcosa per duplicare un oggetto.”

Al fece un sospiro. Si avvicinò, infilandosi la bacchetta dentro la tasca apposita del camice; sentiva che era meglio toglierla di mezzo. Gli afferrò la mano, forzandola ad aprirsi, visto che si era serrata. “Piantala, ti ficchi le unghie nel palmo così. Poi ci credo che ti fa male.”
“Al…” Lo avvertì cupo. “Non…”
“Sei nervoso.” Lo fermò. “Non è così insolito che la magia diventi instabile. Pensa a Jamie. Quando si arrabbia fa spaccare lampadine, e Rosie mi ha detto che una volta ha fatto a pezzi una stanza.”
“Perché è una testa di troll, e perde magia come un rubinetto rotto.” Lo rimbeccò. “Non sono arrabbiato. Non in quel…”
Credi di non esserlo.” Sbuffò. “Senti, questa sarà psicologia babbana, o quel che è, ma davvero, ti tieni tutto dentro. Non pensi che la magia reagisca anche a questo?”

“Io non sono arrabbiato. Né tantomeno nervoso.” Sbottò cocciuto. “E…”
“Okay, forse la tua magia è più potente della media.” Lo guardò negli occhi, o almeno tentò di cercare il suo sguardo. Tom lo sfuggì. “Sai che novità.” Continuò a lisciargli il palmo della mano. “Non ha importanza, Tom. Sei un mago, fa parte di te. Puoi controllarla. Sei solo agitato per il processo.”

Tom si lasciò toccare, ma non disse nulla. Era e sarebbe rimasto un idiota chiuso, stimò Al: stava cercando di aprirsi, ma spesso ricadeva nei vecchi comportamenti.
E adesso è talmente nervoso per il processo…
Non c’era molto che potesse fare, e tutte le parole per tranquillizzarlo erano già state dette e usurate. Doveva distrarlo.
“L’hai letta la Gazzetta di oggi?” Cambiò argomento sedendosi sulla scrivania. Tom alzò appena lo sguardo, con una smorfia.
“Non la leggo da un bel po’. Kafka ce l’ha con me, si rifiuta di fare consegne.” Levò la mano destra, mostrandogli segni di beccate feroci. Quell’animale era crudele. “Oltre a questo, se mio padre vedesse un gufo consegnarmi la posta gli sparerebbe a vista. Traumi infantili, temo.”
Al soffocò una risatina, perché era ignobile ridere di suo zio. Anche se maledettamente facile. “Beh, io l’ho letta. Pare che quest’anno si terrà il Tremaghi.” Sorrise incoraggiante. “Un bel po’ di casino in vista, a scuola, pare.”
Tom assimilò la notizia senza particolari emozioni, tranne forse una lieve smorfia insofferente. “Favoloso.” Esalò. “Tre maghi appena usciti dalla minore età che rischiano la vita per una stupida coppa e dei soldi.”
“Ma anche per la gloria eterna!”
“Io non mi ricordo un solo vincitore di quel torneo a parte zio Harry, tu?”
Al sbuffò. "Comunque è una bella competizione!”
“Sì, nello stile di quelle magiche. Rischio della vita, ferite, ossa rotte, traumi con complicazioni.” Ironizzò. “L’unica nota positiva è che per via di una pagliacciata del genere, il mio ritorno passerà sotto silenzio…” Concluse e qui si concesse un mezzo sorriso.

“In effetti, pensavo anche a questo.” Replicò piccato. “Comunque sei il solito menagramo. Il Tremaghi non è solo vittoria. È una competizione stimolante, permette di conoscere altri studenti, legare delle amicizie e…”
“Ti sei ingoiato l’opuscolo informativo?” Lo prese in giro, evitando un pugno alla spalla per un soffio. Poi lo afferrò per i polsi, veloce come un dannato serpente, e Al si ritrovò nel giro di pochi attimi sulle sue ginocchia.  

“Tom, non sono una ragazzina!” Cercò di liberarsi, come cercò di non fargli notare che gli piaceva essere tenuto tra le braccia.
Magari in modo più virile, però…
“In effetti, pesi più di una ragazzina.” Gli infilò immediatamente una mano sotto il camice, e fece una smorfia ad altra stoffa che trovò sotto.
Al rise. “Pensavi che lo indossassi senza niente sotto? Guarda che fa freddo nei laboratori, sono sottoterra, sotto il livello della metropolitana!”

Tom gli scoccò un’occhiata insoddisfatta, come un bambino che si ritrovava improvvisamente a dover aspettare per scartare un regalo. Era tremendamente buffo, e Al fu contento di averlo distratto almeno un po’. “Avrei preferito la pelle nuda.” Gli comunicò irritato.
“Sei un maniaco. Ed hai un feticismo per le uniformi?”
Tom gli tirò un pizzicotto talmente forte che quasi urlò.

Questo però gli assicurò anche un bacio, visto che la sua presenza lì non era esattamente la benvenuta, ancora. Robin era stata gentile con lui, la sera della rassegna di poesia, ma un po’ fredda. Alice invece non gli aveva rivolto la parola, quasi fosse invisibile.
“Ssh…” Gli sussurrò Tom, con aria severa. Non faceva sul serio. “Non vorrai che ti sentano tutti. Queste tue urla…”
“Chiudi il becco!” Ringhiò avvampando. Il picchiettare ad una finestra fece voltare entrambi.

C’era un gufo, e non assomigliava a nessuno di quelli che conoscevano: aveva un’aria curata e distinta.
“Viene dal Ministero.” Mormorò Tom, facendolo alzare. Gli scivolò via dal volto ogni espressione, mentre andava ad aprire la finestra per prendere la missiva. Il gufo, consegnatola, volò via senza degnarli di uno sguardo.
“Sei… sei sicuro? Dal Ministero? Allora è…” Al, sporgendosi, vide chiaramente il timbro del DALM⁴ stampato sulla ceralacca. Tom la strappò, estraendo la lettera.


 
All’attenzione del Signor Thomas Dursley,
Per violazione della decreto di ragionevole restrizione della magia trai minorenni, Lei, con la presente, è tenuto a presentarsi in data 9 Agosto, alle ore 9,30 al Wizengamot, livello 2 del Ministero della Magia per attendere alla Sua udienza disciplinare.
In fede,
 
Graham Pritchard,
Assistente dell’Ufficio per l’uso improprio della magia.
 
 
 
“… Violazione del decreto?” Mormorò Al confuso. “Ma quando…?”
“È una copertura.” Lo interruppe. “Pare che neppure al Ministero si sappia di cosa sono colpevole…” Spiegò con una smorfia ironica, gettando la busta sulla scrivania. Sembrava riflettere molto velocemente. “Tra due giorni.” Disse alla fine. “Tra due giorni sarà tutto finito.”

“Ma i giudici del Wizengamot sapranno cosa ti è successo davvero?”
“Non ne ho idea. Suppongo di sì. Il fatto che non lo sappia un assistente d’ufficio non significa che non lo sappia chi mi deve giudicare.” Tom era calmo, Al lo realizzò in quel momento. La tensione aveva abbandonato la sua postura. Era più che altro assorto.

Adesso finalmente ha una data da aspettare.  
 “Stai bene?” Gli chiese.
Tom si passò le dita trai capelli. Ormai era evidente che gli dessero fastidio.
“Sai, credo di dover andare a tagliarmi i capelli…” Disse infatti, e sorrise: non era un sorriso allegro, ma riflessivo e calcolatore. Non era annoverabile nell’espressioni positive, ma andava bene comunque.
Avrebbe lottato, solo questo importava.



 
****
 
 
Note:
Tra due capitoli: Hogwarts! (con annessi e connessi)

 
1. Qui la canzone.
2. Martin Miggs è il protagonista – un babbano – di un popolare fumetto del Mondo Magico. Ron ne faceva la collezione. 
3.Citazione dal Signore degli Anelli.
4. Acronimo per Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Ciao a tutti! Scusate il ritardo, ma la real life mi ha uccisa, e sepolta. Per farmi perdonare un bel capitolone farcito!
@MissBlackSpots: Eheehe, beh, l’intenzione di convivenza sarebbe quella in effetti, poi, si vedrà! :D
@ElseW: Beh, credimi, è un vanto veramente! So quando nel fandom sia generalmente poco apprezzata. :P Teddy passerà dei brutti momenti XD E chi non vorrebbe un cactus da uno come Sy. XD Ti sei riletta DP?! Ode a te!
@Agathe: e chi lo dice? Dopotutto è un grifondoro al Settimo anno? ;D Ahaaha, essì, Tom è un antipaticone, ma sperò saprà farsi perdonare! ^^ E’ bello sapere che se anche non sopporti il personaggi in sé… lo apprezzi, anche. Quindi grazie. Non deve per forza stare simpatico. Probabilmente anche io nella vita reale non lo reggerei. XD
@Nicky_Iron: Crepi! Mi spiace non esser riuscita a fare prima, ma purtroppo la RL è una vera puttana. :/ Beh, tutte le tue supposizioni… non posso dire niente! Ma Lily, del resto, non è che non sia sveglia, è che l’hanno tenuta fuori, e poi considera che lei non sa nulla dei Doni né tantomeno del tentato omicidio a Al e poi a Harry. Per la storia dei nomi del torneo… mea culpa, ho provveduto a correggere. E comuqnue, c’è da dire, Harry non è famoso per essere il campione di un torneo praticamente fallimentare, ma più per altre cose. XD Grazie per le segnalazioni!
@Silver92: Ahaahah, Harry dovrà farsene una regione, suppongo, prima o poi! XD Sai, le coppie sono tante, e faccio del mio meglio per dar spazio a tutte, anche se certo, la coppia Tom/Al rimane la principale! ^^
@Lovermusic: e chi non vorrebbe un ragazzo come Sy… XD Essì, Tommy merita un bel pugno sul muso, ma non ti preoccupare che ci pensa Al!XD
@Simomart: Sì, lo so, in effetti volevo metterci più Lily, ma per forza di cose ho prima dovuto concentrarmi su Tom. Che ci vuoi fare, aveva ancora un sacco di strascichi da DP. Dal prossimo capitolo credo di tirarle più in ballo. E per quanto riguarda il confundus… una stellina a te! Non è proprio quello l’incantesimo, è più un… aaah, non te lo dico, ma sappi solo che la sensazione l’hai indovinata! E per quanto riguarda i complimenti a Ren e Tom… grazie mille. Non sai quanto mi fa felice sapere che senti più, come dire, ‘completi’ i miei personaggi originali. Credo sia normale, dopotutto sono usciti dalla mia testa, anche se alla fine mi sono affezionata anche a quelli condivisi XD Che dire, le tue recensioni sono sempre un balsamo! Grazie!
@Hale_y: siete state ben in due a capire la cosa della lettera, quindi chapeau! ^^ Ahahaah, viaggio mentale alla JD, perfetto! XD E’ proprio quello! Beh, più che vivere assieme sarebbe essere inquilini. Non progettano nessun matrimonio (ehm, forse Teddy xD) … e poi vedremo come si svilupperà. So che la convivenza non è un passo semplice e non voglio certo trattarla con superficialità. ;) Tom non è interessato al Torneo perché non lo considera degno delle sue ambizioni. E anche perché rischierebbe la vita dalle cinque alle ottante volte, ed ha un bel senso di auto-conservazione (serpeverde) … Al invece è il classico secchioncello, quindi tutto quello che è sponsorizzato dal Ministero lo esalta tantissimo. XD La rivelazione di Rose/Sy… si vedrà, sto lavorando anche su quella. Argh, troppe trame, troppo poco tempo!
@Altovoltaggio: chiedilo ai miei voti! XD A parte gli scherzi, mi ritaglio parti di tempo, semplice. Scrivo due-tre ore ogni due giorni, e riesco a scrivere un capitolo in circa due settimane, nel periodo esami, una in periodo normale. Ottimizzazione! XD E poi… Nah, Lily è una presenza che ci sarà, ma non soppianterà nessuno. Si inserirà, ecco. Non sarà una protagonista, ma sarà una voce fuori-campo. Una specie di narratrice onniscente. Ho dei progetti, vedremo se mi riuscirà a renderli tali. E no, comunque si terrà alla larga da Sy. Dice che sono troppo simili. E che non le piacciono gli slavati. xD Albie il tuo alter-ego? Aahah, da quanto ho capito studi medicina, quindi ci starebbe benissimo! E per quanto riguarda l’udienza… che dire, enjoy, troverai delle sorprese! E per quanto riguarda J e Teddy… eheeh, James è un cretino di diciannove anni, penso proprio dovrà sciacquarsi il cervello e crescere un po’… ma per ora, dai, lasciamogli passare le belle trovate! Senza di lui, del resto, Teddy sarebbe ancora solo e ramingo a piagnucolare sulla sua identità sessuale! XD E per quanto riguarda il panico da esame… ho una laurea alle spalle e ventidue esami e una specialistica tutta da gustarmi. So bene cosa si prova, credimi! XD Beh, io la serie la farei anche, ma avrebbe senso? Mi spiego: sono tutte storie che parlano della stessa cosa, farne una serie mi sembrerebbe una specie di duplicazione. Non so. L Ci penso…
@Andriw9214: Ciao And! XD E’ bello rivederti su questi schermi! :D E credimi, non sei l’unico con problemi di pc in questi mesi… e quasi inquietante ‘sta ecatombe. :/ *incrocia le dita* Anche tu fan di Lils? Ma grazie! XD Grazie per essere tornato a fare un salutino e per i complimenti!
E ora quelli che ho dimenticato la scorsa volta…
@Herys: Grazie per i complimenti sulle mie coppie!
@MadWorld: Allora li abbiamo anche io e te! XD Lui ha parte dei miei gusti musicali… ad averlo, un ragazzo così! Ed hai indovinato, c’è un Dud-moment qui dentro, enjoy!
@Trixina: Ciao! Sì, Dromeda in realtà credo sia contenta… dopotutto la guerra ha portato loro lutti e dolore, e credo che questo le abbia riavvicinate. Magari è una mia speranza, ma ho letto delle fic in cui l’argomento era tratta così bene che per me è diventato quasi canon. Dromeda è un po’ modellata sulle mie nonne, e so bene quanto per loro sia difficile la solitudine. È un po’ un tributo insomma. Yep, secondo la mia scaletta genealogica sono cugini, in quanto Ren è figlio del fratello minore di Eileen Piton. ^^
@LauraStark: Grazie mille, i momenti ricongiungimento piacciono anche a me! (e si vede :P) Essì, Ren è una persona un po’ sola… ma vedremo se verrà trascinato anche lui nel gorgo del Clan Potter-Weasley.
@Ombra: non è detto che Cordula e Meike (soprattutto lei) non ritornino. ;) Essì, la famiglia è famiglia, anche se adottiva. E Tom o si odia o si ama, quant’è vero (Al assentisce)
@Lu_Pin: Se ci crediamo, Tom prima o poi diventerà un bambino vero XD (sì, è praticamente un Pinocchio)
@ZetaSev: Eeheeh, io e te ci capiamo su Soren e Lils, eh? XD
@GiuVio: Grazie, grazie mille! No, non è affatto una tua fantasia. Tom e Voldemort in potenza, sono la stessa persona. Condividono la stessa anima, quella primigenia, diciamo il nucleo, il bambino morente del sogno di Harry. Però Tom ha avuto quello che non ha avuto Voldemort, amore, amicizia e affatto. Li ha imparati e li ha fatti suoi. Questo non significa che per lui sia facile quanto è facile per un bambino dall’anima, come dire, nuova. Ha degli strascichi del passato e questo significa che come persona maturerà più lentamente. Ma ci sta riuscendo XD Ed ehi, sull’albero genealogico … la storia è semplice. XD Soren e Piton sono cugini di primo grado. Vediamo se capisci. ;D
 
 
****
 
Capitolo IX
 
 
 

It's from this loneliness and the fear it brings

That new doors can open up and be a saviour to me
So I'll open my mind, open my heart
It's the only way to breathe…¹
(Break, The Cinematics)
 
 
9 Agosto 2023
Little Whinging, Privet Drive.
Mattina.
 
Il castello aveva molte stanze. Molti corridoi. Come un labirinto infinito, pieno di quadri e segni che un tempo quel posto doveva essere appartenuto alla famiglia magica più ricca della zona.
C’era ancora magia lì dentro. La poteva sentire.
E poi vide quel ragazzo. Un ragazzo vestito di nero come un corvo.
 
Tom si svegliò alle sei in punto del mattino. Aveva dormito sì e no una manciata esigua di ore, facendo sogni confusi che sfociavano il più delle volte in lui che veniva sbattuto ad Azkaban oppure…
Di nuovo quel castello e quell’uomo. Quel ragazzo. Quello che ha aperto il cancello.
Forse dovrei scrivere a Meike. Chiederle se ci sono novità…
Inspirò bruscamente quando si rese conto che giorno era.
Tom Dursley quel giorno sarebbe andato incontro al proprio Destino, e non sapeva se ci avrebbe sbattuto a muso duro o meno.
Alzandosi a sedere sul letto sentì le dita della mano con cui usava la bacchetta formicolare in un invito. Peccato non avesse nulla da stringere.
Né la bacchetta, né una mano.
Fissò la parete di fronte al letto senza vederla realmente.
Il letto era vuoto e, doveva ammetterlo, freddo.
Al la sera prima non era rimasto a dormire con lui. Era stata una decisione presa di comune accordo. Era sì rimasto fino a tardi, ma poi, quasi cascando dal sonno, era tornato a casa.

Sarebbe stato difficile spiegare a suo padre, che probabilmente sarebbe venuto a svegliarlo tra un’oretta, Al o lui, se ancora addormentati.
Non era certo il giorno più adatto per complicarsi la vita.
Più che altro, sentiva che era una cosa che doveva affrontare da solo. Non era solipsismo, era bisogno di mettere le cose al loro posto. Tornare ad essere per sé stesso, per gli altri, per Albus, ad essere di nuovo Tom Oltre Ogni Previsione.
Gli mancava Hogwarts. Era quello il mondo a cui apparteneva, e non si sarebbe fatto buttare fuori.
Costi quel che costi…
Si passò una mano sul viso e andò alla finestra, tirando su le tapparelle per contemplare l’alba che sorgeva brumosa dai tetti di Privet Drive.
Se le cose non fossero andate per il verso giusto sarebbe stato un panorama che avrebbe visto a lungo.
Cercò di scacciare la sensazione di rabbia e paura dalla bocca dello stomaco.
Una doccia. Subito.
Se le fece gelida, impietosa. Anche se il resto della casa dormiva, non riusciva a rimanere tra le coperte a poltrire. Forse era un suo problema. Forse era semplicemente terrorizzato.
Si vestì, e quella fu l’unica parte davvero rilassante della sua sveglia: sua madre aveva una vera e propria passione per i capi da vestiario classico, cosa che condividevano. Per distrarlo, o forse per avere una scusa e poterlo vestire come una bambola in scala, l’aveva portato fino a Londra per acquistare L’Abito delle Grandi Occasioni – del resto il suo vecchio completo gli andava ormai corto.
Era entrato in uno di quei negozi, in cui scuro legno lucido faceva da padrone, con sua madre appesa al braccio che cinguettava estasiata. Il commesso, un ventenne di nome Lloyd, aveva passato mezz’ora a prendergli le misure e a convenire con sua madre del fatto che avesse una figura slanciata e l’altra metà a provarci con lui.
Quanto l’avrei schiantato volentieri.
Ma non posso… perché oh! Non ho la bacchetta.
… Forse dovrei dirlo ad Al. È piuttosto territoriale.
Comunque Robin era tornata a casa felice e orgogliosa, neanche avesse conseguito una laurea ad Oxford, e il vestito era valso la pena. Andava bene così.
Si allacciò il polsino e si guardò allo specchio del bagno. Con i capelli tagliati di fresco e con quell’abito poteva passare senza problemi per un elegante ragazzo babbano.
Proprio convincente. E forse dovrai abituartici…
Serrò appena le labbra, uscendo dal bagno per cercare una delle sue vecchie cravatte. 
Dopo lungo cercare si ricordò che ne aveva solo una, persa in un deplorevole incidente che coinvolgeva Vern e una tazza di punch.
Questo lo mise quietamente di cattivo umore.
Scese le scale e fu sorpreso di trovare suo padre in cucina. Dudley Dursley era seduto al tavolo, mentre guardava il primo telegiornale della mattina con una tazza di caffè caldo.
“Papà.” Fece un cenno che fu ricambiato dopo una breve occhiata complessiva. Anche suo padre era già vestito, con un vecchio completo di velluto a coste beige. Lo trovava tremendo, ma doveva ammettere che faceva parte di lui, come la boxe ogni domenica mattina, le scommesse al pub che perdeva regolarmente o la teledipendenza.
“Dov’è la tua cravatta, ragazzo?” Fu la prima cosa che gli disse, quando si fu servito di caffè e accomodato davanti a lui.
“Non ce l’ho. Ti ricordi? Vernon, il punch, la festa di zia Marge…”
“Ah, già.” Scosse la testa. “Ma non puoi andare ad un processo senza cravatta. Certo, non so come funzionino i processi…” Esitò, non riuscendo a pronunciare quella parola. Tom sospirò.

“Più o meno allo stesso modo.”
“Allora non devi dargli un messaggio sbagliato. Senza cravatta sembreresti sciatto.”
“Già.” Convenne. “Ma non posso usare quella dell’uniforme scolastica. Credo darebbe un messaggio anche peggiore.”
Specie perché ha i colori di Serpeverde, che non contempla ideali adatti ad un tribunale.

Suo padre si alzò dalla sedia. “Tua madre si è scordata del dettaglio più importante quando ti ha portato in giro come un modellino.” Fece un’ombra di sorriso, che un tempo doveva averlo qualificato piuttosto bene come un bullo. “Senza cravatta… Roba da hippie.”
“Sono piuttosto sicuro che mamma da giovane fosse una di loro.” Suggerì, non riuscendo a non farlo. Represse un sorriso al borbottio scornato di suo padre, mentre si dirigeva fuori dalla cucina.

“Resta qua. Torno subito. Non pensavo ti svegliassi così presto…”
Neanche io pensavo che ti avrei trovato già sveglio… – Pensò di rimando.

Si alzò, andando verso il gazebo che occupava una buona parte del giardino. I vetri riflettevano incandescenti il pallido sole mattutino. Sarebbe stata una bella giornata.
È un buon giorno per morire… - Citò senza ricordarsi che film fosse, mentre sorseggiava ciò che restava del caffè. Guardò la tazza: era tagliata a metà da una crepa sottile, segno che era stata incollata con cura e attenzione.  
Ricordava un aneddoto su quella tazza. Quella era stata la sua prima tazza da grande, non di plastica, ed era stata un regalo di suo padre. Dudley gli aveva raccomandato di fare assoluta attenzione. Lui, che aveva cinque anni, aveva provato finché inevitabilmente, nell’atto di prenderla dalla credenza, l’aveva fatta cadere.
A posteriori cercare di prenderla senza mani, ma con la magia, non era stata probabilmente una grande idea.
Si era spaventato; uno di quei terrori infantili, infiniti, come se il mondo intero rischiasse di collassare per il crimine commesso. Inoltre, se suo padre avesse saputo che aveva usato quella cosa
Era scappato, approfittando che sua madre fosse andata a fare la spesa con la piccola Alicia, come il migliore e tattico dei codardi. Aveva poi corso fino ad arrivare ai confini della città, in mezzo alle sterpaglie incolte tagliate dalla statale, dove sfrecciavano macchine ignare e pericolose. Ricordava, ma non con certezza, di essere caduto e di essersi fatto male. Una caviglia storta, o forse addirittura rotta. Quello che non avrebbe mai dimenticato però era la paura; l’aver fatto la cosa sbagliata e la matematica certezza che sarebbe rimasto lì, in mezzo al bosco, perché nessuno sarebbe venuto a cercarlo.  
Suo padre però, al di là delle sue fosche previsioni, era riuscito a trovarlo. Parecchie ore dopo, quando il sole stava già tramontando. Non aveva la magia di zio Harry, si era detto. Era normale.   
Non ricordava cosa si fossero detti. Suo padre, rendendosi conto che non riusciva a camminare, l’aveva preso in braccio e poi stretto forte. Ricordava l’odore della sua colonia ancora a distanza di anni. Era stata la prima volta in cui si era sentito a posto.
Sentì un rumore alle sue spalle e si voltò.
“Ti ho preso una delle mie. Penso ti andrà bene.” Esordì l’uomo, porgendogli una cravatta color beige a rombi blu. Alla sua faccia, sbuffò. “Ehi, senti un po’, so che non è un colore fantastico, ma ci sono degli… studi, credo… che dicono che i colori neutri hanno un effetto calmante sulla giuria. Dà l’impressione che tu sia un tipo serio. Così dicono.”
Tom la prese: era comunque di buona fattura e non faceva a pugni con il suo completo. Suo padre non sapeva vestirsi, ma sapeva accostare i colori in maniera insospettabilmente brillante.

“È di seta.” Disse per dire qualcosa.
“Sicuro che lo è, è quella che uso per i grandi processi. Sai, per i pezzi grossi.” Spiegò compiaciuto. “È un po’ un portafortuna. Vedi di tenermela come si deve. La rivoglio tutta intera.”
Tom posò la tazza, e si passò la cravatta attorno al collo, approfittando del riflesso di uno dei vetri del gazebo per specchiarsi e allacciarsela. L’effetto complessivo non era male, bisognava ammetterlo. Alle sue spalle vide il padre sbirciarlo, assorto.
“Come mi sta?” Chiese voltandosi. “Sembro una persona seria?”
“Lo sembri sempre.” Borbottò scuotendo la testa, ma fece un mezzo sorriso. “Oh, beh… hai preso da me.”
Tom sentì che avrebbe dovuto dire qualcosa. Che i rapporti con suo padre dovevano cambiare e che avrebbe dovuto fare qualcosa di significativo in merito. Un gesto di distensione, un discorso a cuore aperto. Qualcosa di simile. Era suo padre, e l’aveva cresciuto e capito quando probabilmente andava contro tutto quello in cui gli avevano insegnato i suoi genitori.

Suo padre odiava la magia, ma non odiava lui.
“Ho rotto io quella tazza.”
Complimenti Tom. Davvero.

Non avrebbe mai imparato e Albus l’avrebbe preso in giro fino alla morte.
Dudley inarcò le sopracciglia, con un’evidente espressione di stupore. “Ah.” Disse. “Sì?”
“Già. Quando avevo cinque anni. La volevo prendere dalla credenza, ma era troppo in alto. Così… l’ho fatta cadere.”

“È per questo che quella volta eri scappato quindi.”
“Già.”

Rimasero in silenzio e Tom capì che per quanto non li legasse il sangue, sua madre aveva ragione: la capacità di non saper esternare l’aveva ereditata da Dudley Dursley.
Dudley contemplò la tazza sbeccata. “Beh.” Disse molto lentamente, come faceva sempre quando stava riflettendo più del solito. In tribunale era una carta vincente, diceva sempre: sfiancava l’accusa. “… È stata incollata però. Fa’ comunque il suo lavoro.” Fece una pausa e lo guardò. “Le cose si possono rimettere a posto, Tom.”
Sentì di doverglielo chiedere a quel punto. “… Anche le persone?”
“Che sciocchezza ragazzo!” Scrollò le spalle. “Non siamo mica tazze.”
Tom fece una mezza risata: quella era la risposta che si aspettava ed era quella giusta.

 
 
****
 
 
Londra, Ministero della Magia.
Nove del mattino.
 
Tom sobbalzò quando sentì il contraccolpo dell’ascensore che lasciò lui e Harry nella piazza centrale del Ministero. Avevano usato l’entrata per visitatori, visto che era annoverabile tra uno di loro. Sulla sua giacca era infatti appuntato l’apposito cartellino.
Tralasciando particolari ininfluenti, si sentiva lo stomaco discretamente annodato in una morsa, mentre il padrino gli posava una mano sulla spalla e gli indicava la strada con un cenno.
“Gli ascensori sono di là.”
Non si sarebbe mai abituato al bagno di folla magica che era il cuore della società magica: centinaia di maghi, in vesti colorate, gli passavano affianco presi dai loro affari. Oltre a loro, folletti intralciavano quasi con piacere i malcapitati che si mettevano nella loro traiettoria, parlando di quotazioni di borsa nella loro lingua gutturale e incomprensibile.
Era stato un viaggio silenzioso, quello dal Surrey a Londra.  Non erano riusciti a dirsi molto, e Harry aveva passato più tempo ad assicurarsi che la macchina sorvolasse invisibile il cielo inglese che a parlargli.
Forse era meglio così, non sarebbe comunque stato molto comunicativo.
Harry gli rivolse un sorriso gentile. “Allora, come ti senti?”
Quello era la quinta volta che glielo domandava però.

Tom cercò di comunicarglielo con lo sguardo e l’altro capì, perché assunse un’aria mortificata.
“Scusa, hai ragione. È che sono un po’ nervoso anch’io. Non ho bei ricordi del Wizengamot.”
“Harry…” Tentò mentre la presa sul suo stomaco si faceva dolorosa. “Non mi stai aiutando.”
“… Già. Scusa.” Convenne aggiustandosi gli occhiali. “… comunque è una fortuna che non sia io a difenderti. Non è il genere di cosa in cui sono bravo. Sai, riesco meglio nei discorsi improvvisati.”
Tom batté le palpebre confuso. “Scusa?”
“Ah, giusto, non te l’ho detto. Ho chiesto a Hermione di difenderti. È nel settore legale, ed ha tutte le qualifiche necessarie. La incontreremo di sotto.” Harry ridacchiò della sua espressione palesemente sollevata, mentre sorpassavano la grossa fontana centrale.  

“Non posso dire di non essere contento…” Ammise. “Senza offesa.” Aggiunse per buona misura.
“Nessuna percepita. Hermione sa fare il suo lavoro. E a dire il vero, per lei è una vocazione, quella di difendere gli altri. Persino le cause perse come me, sai.” Gli strizzò l’occhio complice.
Tom si sforzò di sorridergli e sperò di aver fatto un’imitazione passabile. “Come si svolgerà la seduta? Sarà plenaria?” Chiese.  
“No, sarà una commissione di dieci giudici, con a capo il Direttore del DALM. I processi a seduta plenaria, con tutti i membri del Wizengamot, riguardano solo casi particolari, come dover giudicare un mago oscuro o… me.” Aggiunse meditabondo.  “Beh, quella volta fu particolare…”
“Lo sanno? Sanno cos’ho fatto?”
Harry esitò, rallentando mentre aspettavano che l’ascensore arrivasse. “Sì. Perlomeno il Direttore… il mio capo, sa tutto. Comunque, formalmente, sei stato accusato per aver usato magia…”
“… non regolamentare, lo so. Intendono in Germania? Perché pensavo che la Traccia si esaurisse varcati i confini del paese d’origine.”

Tanto l’avrei usata comunque. Non sono davvero nato a Gennaio. Ho svariati mesi in più.
Probabilmente sono maggiorenne da mesi.
Harry tirò un mezzo sospiro, guardandolo. A quel punto Tom capì e si sentì lo stomaco di ghiaccio.
“Si tratta delle Maledizioni, vero?” Sussurrò. “Di quelle che ti ho lanciato sotto l’imperio di John Doe.”
“… È complicato. Teoricamente non puoi essere incriminato, perché eri appunto sotto imperius. Il fatto è che non sanno quando sei stato messo sotto imperio e…”
“E?”
“… E non è mai stato chiarito chi abbia ucciso Ainsel Prynn… cioè, Selina Hardcastle.” Concluse.
Tom inspirò bruscamente. Cercò di dominarsi, perché sapeva cosa stava succedendo. Sentiva il cuore battergli nella cassa toracica e il sangue rombargli nelle orecchie.

Non l’ho uccisa io! Non voglio essere incastrato!
Una crisi in piena regola.
 “Io non ho ucciso quella donna. È stato Doe!” Sibilò sottovoce, mentre controllava febbrilmente che nessuno li sentisse. “So che ha usato la mia bacchetta, ma…”
“Tom.” Harry fu veloce ad afferrarlo per un braccio, con ferma gentilezza, quasi indovinasse il suo stato d’animo. “Calmati.” Soggiunse, mentre l’ascensore apriva le sue mascelle metalliche e una piccola folla di funzionari li investiva. Aspettò che l’ultimo si fosse allontanato per infilarsi con lui nel cubicolo e continuare. “Lo so, e lo sa anche l’agente dei Tiratori che si è occupato dell’indagine e che verrà interrogato. Sta’ tranquillo.”

“Come posso stare tranquillo?” Serrò le labbra, imponendosi di calmarsi. Si ricordò le parole di Cordula.
Respira. Visualizza un posto tranquillo. La magia è legata a doppio filo con il tuo stato mentale. Puoi dominarla.
Sentì l’incendio che gli correva nelle vene affievolirsi gradualmente. Fu contento di non vedere il contatore luminoso dei piani beccheggiare.
Grazie Cordula.
Harry gli lanciò un’occhiata. Forse aveva capito, forse aveva sentito, ma decise di glissare. “So come ti senti…” Abbozzò un sorriso. “Ma c’è bisogno di un processo in piena regola. Le regole devono essere uguali per tutti, non credi?”
Dipende.
“… Sì, suppongo di sì.”
“Non c’è molta gente che sa la verità su di te, ma chi la sa, non dovrà avere materiale per sparlare. Capisci che intendo?”
“All’incirca. Di cosa potrei essere accusato quindi? Dell’omicidio della Prynn?”
“Di aver collaborato con John Doe.” Tagliò corto, e gliene fu davvero grato. “Collaborare con un mago oscuro è un reato piuttosto grave.”
“Quanti anni?”
Harry esitò.
“Quanti anni, Harry? Senza contare che fuori di lì dovrò vivere nel mondo babbano…” Realizzò.

Niente Hogwarts, niente bacchetta, niente magia. Niente Albus.
Si sarebbe ammazzato.
“Una quindicina, per complicità, ma Tom… Ascolta.” Si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi. Era davvero imbarazzante notare come avesse gli stessi occhi del ragazzo con cui faceva l’amore quasi ogni notte. Quasi gli fece dimenticare gli anni di probabile prigionia. Albus aveva ragione, come cattivo era troppo scemo. “… Non sarai accusato. Hermione è davvero in gamba, seppellirà la corte di prove a tuo favore. La giuria è composta da persone oneste, che sanno riconoscere un innocente quando ne vedono uno.”
“Proprio tutti?” Inquisì. Harry scrollò le spalle, incapace di mentirgli.
“Beh… non conosco tutti, e poi c’è Draco Malfoy.”
“Ti deve un favore, se ben ricordo.” Ignorò la sua aria sbalordita. “Avrò gli onesti più uno dalla mia parte. Bene. Per fortuna non si vota all’unanimità.”
Harry sospirò, guardandolo come se fosse un monello indisciplinato. Forse, dal suo punto di vista lo era davvero. “Certo che sei proprio un serpeverde, Tom…”
Tom si strinse nelle spalle, sentendo che un ghigno almeno poteva concederglielo.


 
****
 
 
“Signor Dursley? La prego di seguirmi.”
I corridoi del Ministero, all’ultimo piano, erano di pietra fredda, lucida e nera.

Tom avrebbe preferito trovarsi ovunque tranne che lì.
Harry gli posò una mano sulla spalla, facendogli cenno di seguire la piccola ed efficiente funzionaria che l’aveva chiamato. Sostava impettita sulla porta a cui erano di fronte. Era quella dell’aula.
Hermione, seduta accanto a loro e immersa in un fascicolo grosso quanto un tomo di Pozioni, si sbrigò ad alzarsi e radunare il tutto.
“È una fortuna che si tenga in una delle aule più piccole. Meno imponenti, l’impatto psicologico sulla giuria è smorzato…” Gli spiegò in quello strano modo febbrile che precedeva, gli aveva detto suo zio, un suo exploit lavorativo.
“Hermione…” Disse. Non la vedeva da mesi, e adesso si preparava a difenderlo dalla accuse.
Cosa si diceva in quei casi?
La donna gli sorrise. “Andrà tutto bene.” Lo rassicurò interrompendolo. Aveva l’aria efficiente e aggressiva, con il tailleur dalla foggia ibrida magico-babbana, di un rosso cupo e il trucco leggero.
Fu felice di averla come suo magi-avvocato. Davvero.
Entrarono.
L’aula era piccola e a Tom diede l’impressione di un pozzo profondissimo; poco illuminata da torce che la circondavano a semicerchio, lasciava ampie zone d’ombra.
Probabilmente l’effetto era voluto.
Sentiva la mano di Harry, sulla sua spalla. Questo gli permise di non tentare, probabilmente senza successo, di smaterializzarsi e darsi alla macchia.
Potrei sempre rapire Al e mandare una lettera ai miei stavolta…
“Sarò dietro di te Tom.” Gli disse all’orecchio. Lo vide poi sedersi nei banchi di fondo.
Tom si sedette sulla sedia centrale, scortato da Hermione. Notò che la sedia portava ancora i segni di…
… Catene.
“Servivano una volta, ma adesso non si usano più.” Gli chiarificò la donna, cercando di suonare incoraggiante.
Gli venne da vomitare.
Essere trattato alla stregua di un mangiamorte… È ridicolo. Non ho fatto niente. Non ho ucciso nessuno.
Continuare a ripeterselo come un mantra e aiutava, anche se poco.
Ripassò mentalmente quello che sapeva sui processi magici: decisioni prese a maggioranza assoluta, possibilità di avere un difensore, ma non il diritto ad averne uno. Poche domande, una sostanziale giustizia sommaria con a capo il Ministro della Magia o in alternativa il sottosegretario o un Direttore di Dipartimento.
In quel momento avrebbe preferito essere in seno alla giustizia democratica babbana.
Uno ad uno entrarono e gli sfilarono davanti i membri di quel consiglio ristretto, con lunghe e severe tonache color violetto, con una W dorata al centro del petto.
Riconobbe solo il padre di Malfoy: lo vide guardare alle sue spalle, e scoccare una lunga occhiata al suo padrino. Se avesse potuto leggere gli sguardi, ne era certo, vi avrebbe letto un lungo discorso.
Sperava in suo favore.
Il presidente della commissione, nonché direttore del DALM, si sedette sullo scranno principale, lanciandogli un’occhiata penetrante. Era una donna dai corti capelli di un argento vivissimo e dai movimenti energici. Sembrava una professoressa, di quelle che non puoi ammansire con complimenti mirati.
Tom istintivamente tese le dita sul legno duro dei braccioli.
Calmo e sicuro di te.
“Dichiaro aperta la seduta. Procedimento disciplinare del 9 Agosto 2023 per violazioni commesse da Thomas Dursley, residente al numero quattro di Privet Drive a Little Whinging, nel Surrey. Inquisitori, Hestia Jones, Direttrice del Dipartimento Applicazione della Legge sulla magia e…” Disse altri nomi, ma Tom era più interessato al fascicolo sul banco della donna. Era su di lui.
“Difensori?” Chiese poi, riscuotendolo.
Hermione fu così veloce che sembrò dover rispondere ad un quiz a premi. “Hermione Jean Weasley-Granger alla difesa. Le accuse?”
L’inquisitrice inforcò gli occhiali, aprendo il fascicolo e leggendo. “Le accuse a carico dell’imputato sono le seguenti. Il signor Dursley è sospettato di aver prodotto Maledizioni Senza Perdono e di aver collaborato con John Doe, noto mago oscuro ricercato internazionalmente.”
Tom sentì la bocca farsi secca, come se avesse ingoiato una manciata di sabbia.  
Dannazione. Lette così…
… lo facevano sembrare un maledetto criminale.
“Lei nega di aver prodotto magia oscura all’interno di Hogwarts?” Venne riscosso dalla domanda.
Tom voleva voltarsi per guardare Harry, ma non poteva farlo. Non voleva. Non doveva.

“Non ho fatto del male.” Rispose, fissando un punto qualsiasi in mezzo alla giuria.
Guarda tutti e non guardare nessuno.
“Quindi non è stato lei ad usare l’Anatema che Uccide su Selina Hardcastle, da lei conosciuta come Ainsel Prynn, causandone la morte.”
“No.”
“Portate il reperto numero uno.” Ad un suo cenno entrò un funzionario, tenendo in mano una teca di vetro: dentro c’era la sua bacchetta. “Agrifoglio, piuma di fenice, quattordici pollici, rigida.” Elencò. “Può dirci se la riconosce?”

Tom non rispose subito, troppo occupato a tacitare il desiderio violento di riprendersela.
Ridatemela. È la mia bacchetta.
“Signor Dursley, la riconosce?”  
“Sì.” Si scollò dal palato. “È la mia.”
“È a conoscenza del fatto che questa bacchetta ha scagliato l’Avada Kedavra che ha ucciso l’agente Selina Hardcastle?”
“… Mi è stato detto. Ma non sono stato io. È stato John Doe.” Ripeté, sforzandosi di fissare negli occhi la donna. Avrebbe voluto convincerla che no, non era un assassino.

Che aveva fatto degli errori, ma poteva rimediare. Poteva migliorare. Voleva.
“Quindi nega di aver scagliato Maledizioni Senza Perdono.”
“Non ho detto questo. Non l’ho fatto sulla professoressa… e non con la mia bacchetta, ma…” Esitò. Lanciò uno sguardo ad Hermione, che gli fece cenno di andare avanti.  Sentiva i palmi delle mani sudare e la gola riarsa, come se fosse nel bel mezzo di un deserto. E si gelava in quell’aula. “… ma le ho scagliate sul mio padrino, Harry Potter.”

Si levò un mormorio:  Tom cercò di pensare a qualcosa di bello, perché al momento si sentiva come se centinaia di dissennatori gli stesse volteggiando sopra la testa.
“Quindi ha effettivamente prodotto delle Maledizioni Senza Perdono…” Hestia Jones sembrava divertirsi a fargli ripetere sempre le stesse cose. Sarebbe stato un fantastico avvocato babbano.
Come Direttore del DALM è sprecata.
“Sì. Ma ero sotto imperio.”  
“Può provarlo in qualche modo?” Intervenne il padre di Malfoy, riscuotendosi dalla contemplazione delle proprie unghie. Aveva un’espressione remota, indecifrabile. A Tom ricordò una statua gotica: inespressiva, allampanata e cupa.  
Si era sbagliato: non assomigliava affatto a quello spensierato cretino di suo figlio.
“No, non posso.” Dovette rispondere.
Altri mormorii. Sempre più ostili, o almeno così gli sembrò; avrebbe voluto gridare che non capivano. Che nessuno di loro poteva. Ma non sarebbe servito a niente.  
Già. Perché dovrebbero credermi poi?
Doe ha ucciso un agente del governo americano e l’ha ucciso con la mia bacchetta. Subito dopo io sono scomparso. Per otto mesi.
Se fossi in loro, mi reputerei un assassino, o alla minima, un complice.
“Il mio assistito non può provare di essere stato maledetto, è vero.” Intervenne a quel punto Hermione, scoccando una palese occhiataccia a Malfoy. “Ma come è difficile dimostrare di essere stati messi sotto imperius, è altrettanto difficile dimostrare il contrario. Non è il primo caso simile che viene discusso in queste aule, e fino a prova contraria il Signor Dursley è innocente.” Concluse con disinvolta fermezza.
Tom sentì che, se non fosse stato gay, avrebbe nutrito per lei un’imperitura passione.
L’uomo sembrò preso in contropiede, e quando fece per rispondere, Hermione lo precedette. “Un momento solo.” Fece una pausa opportuna. “Inquisitore Supremo, vorrei chiamare a testimoniare Harry James Potter.”
“Permesso accordato.” Rispose la direttrice. “Signor Dursley, ceda il posto al Signor Potter per favore.”
Tom obbedì; il padrino, passandogli affianco, si premurò di strizzargli l’occhio solidale.
Come diavolo fa ad essere così tranquillo?
Forse per un auror era del tutto normale testimoniare a quel genere di processi.
Si sedette sui banchi vuoti. Quando intrecciò le mani sulle ginocchia le sentì fredde come ghiaccio.
Solitamente non era tipo soffrire il freddo, ma stava letteralmente congelando.
L’interrogatorio di Harry fu veloce e articolato. Hermione sembrava perfettamente padrona della situazione, come se non avesse fatto nella vita che volteggiare come un’equilibrista su incongruenze e punti poco chiari.
… e nella sua storia ce n’erano tanti. Vennero infatti omessi i suoi collegamenti con Voldemort e la storia dei Tre Doni trafugati. Sembrava che quei fatti dovessero rimanere a discrezione di poche persone.
Era meglio così. Del resto, il Mondo Magico stesso viveva sotto l’enorme cupola protettiva che era lo Stato di Segretezza.
Sono tutti avvezzi ai segreti…
Quello che non si poté evitare di dire fu che era il figlio del capo di una delle organizzazioni criminali magiche più pericolose dell’intero planisfero, Alberich Von Hohenheim.
Sentì gli sguardi dei giudici scivolargli addosso, scandagliarlo, come a cercare tratti che potessero qualificarlo come un nuovo mago oscuro.
Potrei. Ma non ho intenzione di finire i miei giorni in una prigione putrida o a ammazzare innocenti in nome di qualche ideale delirante.
Ho piani migliori per il mio futuro.
Fissò lo sguardo in un punto, e non lo distolse neanche quando entrarono gli altri testimoni: un certo agente Smith e dei giovani auror dall’aria nervosa che testimoniarono come le protezioni attorno alla grotta dove era stato trovato – apprezzò la diversione elegante di Hermione – erano di alto livello, del tutto compatibili con il profilo di un mago capace di piegare la volontà di un adolescente con una Maledizione.
Poi lo notò. Seduto a qualche fila dietro di lui stava un uomo. Si voltò, lentamente per non farsi scoprire a guardarlo: era giovane, una trentina d’anni forse, con corti capelli ricci castani e viso squadrato, ma piacevole. Era straniero a giudicare dai vestiti ufficiali che non ricordava di aver visto in giro per il Mondo Magico. Il mantello infatti, accuratamente allacciato da alamari d’argento, era blu navy con doppia bordatura rossa e bianca.
Mai visto da nessuna parte…
Si chiese cosa ci facesse lì, anche era evidente fosse lì per lui: quella era o non era la sua festa?
L’uomo parve improvvisamente accorgersi di essere oggetto del suo interesse. Gli sorrise.
A quel punto Tom non riuscì a vincere la curiosità e si sporse verso il padrino, seduto esattamente davanti a lui.
“Harry…” Gli toccò la spalla. “Chi è quell’uomo, quello là in fondo? Lo conosci?”
L’altro si voltò brevemente, e Tom lo vide rabbuiarsi di colpo e serrare la mascella.

“Quel bastardo… Cosa diavolo ci fa qui?”
“Harry, cosa…?”
La voce stentorea di Hermione, impostata per l’arringa finale, li costrinse a tacere.
“… e quindi, onorevoli membri del Wizengamot, avete ascoltato i testimoni, avete ascoltato il signor Dursley. È più che evidente che il ragazzo sia stato raggirato e messo sotto una potente maledizione della volontà.” Se non fosse stata l’udienza per la sua condanna, Tom si sarebbe goduto lo spettacolo. Quella donna era nata per farsi ascoltare.
Un vero peccato che i figli non abbiano preso il suo stampo…
“Thomas Dursley aveva sedici anni all’epoca dei fatti, e adesso ne ha a malapena diciassette… quindi è da poco passato alla maggiore età.” Fece una pausa, voltandosi verso di lui, quasi a mostrarlo alla giuria. “Thomas Dursley è un ragazzo perbene, un studente rispettoso delle regole, ma ha sempre cercato risposte sul suo passato, come orfano e come mago. Chi, nelle sue condizioni, non sarebbe stato vulnerabile alle lusinghe di un mago più adulto, esperto nei raggiri, che gli ha promesso, membri del Wizengamot, la verità?”
Tom guardò i membri della giuria uno ad uno. Pendevano tutti dalle labbra di Hermione, ad eccezione di Malfoy e della Direttrice del DALM: l’assoluzione passava a maggioranza. Erano dodici. Ne sarebbero bastati sette.
Troppi…
“Potete condannarlo, potete privarlo della magia … Ma questo sarebbe una vera correzione? Siamo qui, siete qui, per correggere degli sbagli. Non solo per condannare. Thomas Dursley è un ragazzo. Ha imparato dai suoi errori, ha pagato con la lontananza e la malattia per essi.” Gli mise una mano sul braccio, e sentì che era calda e vibrante giustizia.
Che donna…

Vide Harry guardarlo e fare un sorrisetto divertito.
Beh, e allora? Una cotta intellettuale non fa di me un traditore.
… meglio che Al non lo sappia, ad ogni buon conto. O neanche Azkaban mi salverà.
“Si può condannare solo quando c’è volontà di causare dolore con la magia. Ricordate quello che vi ha detto il Signor Potter. Le Maledizioni non erano in grado di uccidere. Thomas non voleva uccidere, Thomas non era in sé. È questo che dovete ricordare mentre prendete la vostra decisione.” Tirò un respiro, perché aveva parlato praticamente tutto di un fiato. “Ho finito, Inquisitore Supremo.”    
Tom rimase in silenzio, mentre guardava la giuria consultarsi tra di sé.  

La verità era che avrebbe presto quella scelta comunque. Sbagliata che fosse, in quel momento lui aveva deciso di tradire la sua famiglia, i suoi amici, per seguire John Doe. Che avesse il medaglione e ne fosse influenzato… era solo una supposizione. E l’imperio era arrivato solo alla fine.
Non avrei dovuto farmi raggirare. E l’ho fatto.
Ma datemi un’altra possibilità. Non datemi Azkaban. Non portatemi via la bacchetta.
Sono tornato. Questo dovrà pur valere qualcosa…
Guardandosi le mani vide che aveva conficcato le unghie nella pelle fino a sentire dolore. Avrebbe dovuto sentirlo perlomeno. Era troppo teso però.
“Quanti a favore della condanna?” Poteva una voce essere l’incarnazione stessa del destino?
Si alzarono ben quattro mani. Quattro mani, che gli avrebbero spezzata la bacchetta per spedirlo a marcire quindici anni in mezzo al Mare del Nord.
Si appuntò a fuoco le facce dei quattro giudici.
Se verrò condannato voi sarete i primi a …
Si sforzò di tagliare via il pensiero come la parte rancida di un frutto.
Harry gli prese un braccio, stringendolo saldo e gentile.
“Quanti a favore dell’assoluzione?”
E le mani furono sei, compresa quella della Direttrice e ultima e volutamente lenta, quella di Malfoy.  
La donna batté il martelletto.
“L’imputato è prosciolto da tutte le accuse.”
Hermione si voltò. Sorrideva e avrebbe voluto sorriderle anche lui, ma credeva di essere congelato sul posto al momento.
Ho vinto. Non dovrò finire in prigione. Riavrò la mia bacchetta. Riavrò la mia vita.
“Abbiamo vinto, Tom!” Si sentì in dovere di dirgli. Sì, in effetti serviva.   
“Grazie …” Si odiò per il tono flebile che gli uscì.  
Si rese conto della situazione solo quando la funzionaria che lo aveva scortato gli portò la bacchetta, estraendola dalla teca e porgendogliela. “La sua bacchetta Mister Dursley.”
La corrente calda che salì lungo il braccio, la sensazione inebriante di completezza che provò quando la prese di nuovo in mano, ne era certo, se la sarebbe ricordata per anni.
“È una bella sensazione eh?” Continuò a sorridergli Hermione. “Ricordo quando per un periodo, durante la guerra, dovetti usarne un'altra. Tremendo.” Si guardò attorno. “Ma dov’è finito Harry?”
Tom si voltò e si rese conto che il padrino non c’era più. 

“Non ne ho idea…” Anche se in realtà forse ce l’aveva. Il tipo straniero non c’era più. “Forse è uscito.”
“Per Morgana, è sempre il solito…” Sbuffò la donna. “Va bene, usciamo anche noi.”

Tom annuì, aiutandola a raccogliere qualcosa come mezzo chilo di fogli e fascicoli. Non le chiese se fossero tutti su di lui. Non era certo di volerlo sapere.
Lanciò un’occhiata alla Sala. Era rimasta deserta, tutti i membri erano usciti; si chiese come mai Malfoy, che non era sembrato convinto neppure per un istante dalle parole di Hermione, avesse votato in suo favore.
Probabilmente sono fatti più vecchi di me.
Uscirono nello scuro e lucido corridoio e la prima cosa che sentirono fu la voce di Harry. Stava parlando con lo straniero e a giudicare dal mondo in cui si fronteggiavano, non era una conversazione civile.
Hermione gli mise una mano sulla spalla, quasi a volerlo trattenere. Aveva un cipiglio interrogativo, confuso.
Neppure lei lo conosce.
Erano abbastanza vicini da poter sentire frammenti di conversazione, anche se sussurrata a bassa voce.
 
“Lei non aveva il diritto…”
“Se sono qui, è evidente il contrario, Signor Potter.”
“…Cosa vuole?”
“Non è finita qui.”

 
Una pausa in cui non Tom non vide il volto di Harry, dato che gli dava le spalle, ma poté indovinare l’espressione dall’aria cauta che assunse l’altro. “Il ragazzo non è al sicuro in Inghilterra.”
“John Doe è morto.”

“Ma era solo una pedina. È il Re che comanda. Ha fatto una guerra, Signor Potter, sa meglio di me come funzionano queste cose…”
“Tom è sotto la giurisdizione del governo Magico Britannico, questo è tutto.” La voce del padrino era dura, venata dalla rabbia. “Il vostro governo con quale coraggio la manda qui?”
Vostro governo… è straniero allora. Americano, a giudicare dall’accento.

Lanciò uno sguardo ad Hermione. Un guizzo di comprensione le aveva illuminato il viso.
Non lo ha riconosciuto, ma adesso sa chi è.
“Avete avuto le nostre scuse ufficiali, quindi…”
“Me ne fotto delle scuse ufficiali.” Era la prima volta che sentiva Harry imprecare. Hermione, accanto a lui, soffocò un’espressione indignata. “Ci avete taciuto delle informazioni importanti. Non saremo arrivati ad un processo, se il vostro governo avesse collaborato con noi.”
“Le ho già detto, tempo fa mi sembra, che non è così semplice.”
“Beh, dovrebbe esserlo.”

“Si ricordi che stiamo parlando del figlio…” L’uomo si bloccò di colpo, notandolo. Fino a quel momento era stato più impegnato a non staccare lo sguardo da Harry, quasi temesse risvolti spiacevoli: il volto teso gli si aprì in un sorriso. “Signor Dursley!”
Harry si voltò di scatto. “Tom, sali su con Hermione.” Gli ordinò seccamente.
“Harry…” Tentò a quel punto la donna. “Cosa sta succedendo?”
Ma l’americano fu più svelto di entrambi. Si avvicinò con due falcate decise verso di lui e gli tese la mano. “Mi chiamo Ethan Scott, Thomas. Sono un agente del Dipartimento di Giustizia Magica Americano. A nome del mio governo, è un vero piacere poterti conoscere…” Aveva i denti dritti e luccicanti, come un attore di soap-opera. Aveva anche quel genere di bellezza televisiva.

A pelle, non gli piacque per niente. 
Tom guardò la mano tesa, e poi il padrino. Harry aveva la fronte solcata da una ruga di rabbia maltrattenuta. Era furioso. “E perché?” Chiese, ignorando la mano.
L’uomo la abbassò con disinvoltura, quasi gliela avesse stretta vigorosamente. “Il nostro governo è molto interessato alle tue doti, Thomas. A chi sei…” E qui lo sguardo indugiò sulla sua intera figura, con particolare attenzione per lo stomaco.
Sa chi sono. Sa come sono nato.
Sentì una spiacevole sensazione di allarme, quasi lo avesse gridato ai quattro venti.
Thomas Dursley so che non sei un essere umano completo.
“Basta così.” Ringhiò Harry, frapponendosi tra di loro. “Tom va’ su, ci penserà Hermione ad accompagnarti a casa.”
“Oh, sì… naturalmente.” Annuì quella, ma con l’aria di chi avrebbe voluto delle risposte. “Vieni Thomas.”

A Tom non piacque essere maneggiato come un decenne con nessuna capacità decisionale, ma non fece rimostranze. Non era quello il momento.
“Non è il caso di essere così scortesi, Signor Potter.” Fece una smorfia Scott. “Stavo solo presentandomi al ragazzo.”
“Non è questa l’impressione che sto avendo.” Replicò l’altro beffardo. “Vorrei sapere se il mio Dipartimento è stata informato della sua presenza. Scommetto di no.”
L’uomo tradì a quel punto un’espressione guardinga. “Sono un agente di collegamento, Signor Potter. E il caso del ragazzo…” Si bloccò, vedendo qualcosa alle loro spalle. “Capisco quando non sono desiderato. Buona giornata. Thomas…” Fece un cenno di commiato soltanto a lui, e si dileguò velocemente in direzione degli ascensori.

Ma che diavolo…?
Si voltarono e si trovarono di fronte la figura elegante di Lord Malfoy che lanciò loro un’occhiata di sufficienza. “Potter.” Esordì. “A quanto sembra ti sei allargato alle rogne internazionali…”
“Ti conosceva, Draco?” Replicò l’altro attento. “Perché è sembrato piuttosto spaventato dalla tua apparizione.”
“Ethan Scott.” Fece un rigido cenno di assenso. “Quando lavori per l’ufficio di cooperazione magica internazionale diventi automaticamente una spina nel fianco di quel tipo di agente.” Piegò le labbra in un sorrisetto di scherno. “È strano che non andiate d’accordo. Siete entrambi due palloni gonfiati.”

Hermione sembrò pronta a ribattere, ma Harry la fermò con un’occhiata. “Chi l’ha autorizzato a stare qua?”
“Il mio ufficio.” Rispose scrollando le spalle. “Come ha detto, è un agente di collegamento, e si è occupato del caso.”
“Si è occupato…”
“Calma il tuo indomito spirito grifondoro, Potter.” Alzò le sopracciglia esasperato. “È incredibile che tu sia un capo-ufficio quando è chiaro che di giochi di potere non ne capisci assolutamente nulla.”

Tom aveva sempre pensato che il padrino e Lord Malfoy avessero avuto dei trascorsi. Sembravano, in quel momento, sul filo di un rasoio sottilissimo, indecisi se sputarsi addosso o collaborare.
Curioso…
Harry ad ogni buon conto tradì irritazione. “Parla chiaro, Draco.”
“Non mi è concesso.” Soffiò l’altro quasi con piacere. “Quello che posso dirti è che il governo americano è interessato al tuo protetto.” E qui gli lanciò un’occhiata, un’esatta copia dell’impenetrabile sguardo che l’aveva trafitto per tutta la durata del processo. “E da quel che ho saputo, ne ha ben donde.” Detto questo, fece un secondo cenno rigido della testa e si allontanò senza aggiungere altro.

“Draco Malfoy…” Disse Hermione dopo un lungo attimo di silenzio. “Non riesco a capire da che parte stia.”
“Non è la prima volta, no?” Ironizzò Harry, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi la sella del naso. Sembrava stanco. “Però ha votato a favore di Thomas.”
“Lo ha fatto per ricambiare quel vecchio favore, Harry. So riconoscere quando un giurato non è convinto, e lui non lo era.”
“Non ha importanza.” A quel punto si voltò verso di lui e gli sorrise. “Allora, come ti senti?”
Tom, che fino a quel momento si era quasi sentito uno spettatore, azzardò un sorriso. Il più sincero che gli riuscì. Perché aveva la sua bacchetta tra le dita e quella sera avrebbe detto ad Albus che avrebbero presto l’espresso per Hogwarts assieme.

Tutto il resto non contava.
Per il momento.
“Maledettamente bene.” Gli tese la mano e quando Harry gliela strinse lo abbracciò. Sentì la sorpresa del padrino e poi si sentì anche ricambiarlo con forza.
“Non succederà più, Harry.” Gli sussurrò, anche se fu certo che Hermione fingesse soltanto di non sentire. “Te lo prometto.”
L’altro gli accarezzò i capelli. Si sentì un decenne, ma non era una brutta sensazione.

“Lo so, Tom. Mi fido di te.”
Quella era la vera assoluzione.

 
 
****
 
Devonshire, Casa Potter.
Sera.
 
Albus si smaterializzò davanti alla porta di casa, quasi centrando con precisione chirurgica il battente sulla porta.
Avrebbe dovuto allenarsi a non finire sempre in collisione con un oggetto contundente.
Si infilò la bacchetta nella tasca apposita del mantello, mentre spirava un venticello che già annunciava l’arrivo dell’autunno.

Un po’ in anticipo, ma comunque…
Quando varcò la porta di casa fu accolto come sempre dalla mancanza quasi totale di suoni. Suo padre stava ascoltando la radio, ridacchiando di un popolare programma radiofonico serale, mentre sua madre era occupata a correggere le bozze per il menabò della Gazzetta.
 “Tom?” Chiese immediatamente; era stata una giornata pazzesca al San Mungo. C’era stata un epidemia di scofolofungus dovuta ad una partita andata a male di carne di maiale in un noto ristorante di Diagon Alley. Qualcosa come una cinquantina di intossicati. Aveva dovuto preparare litri e litri di pozioni.
Era distrutto ed era senza uno straccio di notizie, avendo passato tutto il giorno, senza interruzioni di sorta, nei laboratori.
Suo padre gli sorrise. “Va’ su. È con Lily in camera tua.”
“Sì, ma…”
“Credo voglia dirtelo lui.” E ridacchiò di una battuta dello speaker.

Grazie, suspense, proprio quella ci voleva…
Ma tanto male non doveva essere andato, se i suoi genitori sorridevano incoraggianti.
No?
Salì a due a due le scale strette e aprì di scatto la porta della sua camera.
“Lily, no.”
“Ma perché? Te li hanno tagliati male, sono tutti piatti dietro!”
“È perché ho i capelli lisci.”

“Li ho lisci anche io, cosa… Oh!” Lily si accorse di lui, impalato di fronte alla porta e con il fiato corto come uno scemo. Tolse la bacchetta dalla nuca dell’altro ragazzo, che cercava senza troppa convinzione di scacciarla.“Al! Finalmente!”
Tom era in maniche di camicia, arrotolate sugli avambracci, mentre la giacca di un completo che non gli aveva mai visto addosso era abbandonata sulla sua sedia. Aveva i capelli davvero corti e l’aria, come sempre quando riguardava Lily, scocciata.
Sembrava stare bene.
“Sei in ritardo.” Lo accusò apertamente. “Ero a cena qui.”
“Mi dispiace… Un’epidemia… pozioni…” Mormorò vago, slacciandosi gli alamari del mantello, mentre Lily si alzava, sempre lanciando occhiate critiche all’altro. “Com’è… com’è andata?”
“Bene.” Concesse. Lanciò uno sguardo alla ragazza. “Lily, puoi lasciarci soli?”
“Come no, Tommy.” Ghignò quella, con un luccichio negli occhi che Al aveva sempre ritenuto piuttosto malandrino. Nel senso storico del termine. “Vi lascio soli.
Lily!” Quasi ridacchiò quando sentì la sua stessa indignazione nella voce di Tom.

È andata bene. Ma quanto bene? Molto bene, o non sarebbe così tranquillo.
Deve essere così.
“Sì, sì… E comunque, per quei capelli, non finisce qui.” Minacciò, sfilandoglo accanto e strizzandogli l’occhio. “Notte notte.”
Si chiuse la porta alle spalle.
“Allora…” Iniziò, senza riuscire a non pensare alle cose più terribili. Era più facile essere pessimisti.
Tom a quel punto sorrise. E tirò fuori dalla tasca la sua bacchetta. “La riconosci?”
Albus aveva pianificato di reagire, in caso di vittoria, come si conveniva ad un ragazzo della sua età, con dignità mascolina e matura.
Si era scordato che la genetica era una stronza, e avere tutti quei grifondoro in casa non era una mera coincidenza.
 
Albus gli saltò praticamente addosso, facendo crollare entrambi sul letto.
“Te l’hanno ridata! Hai la tua bacchetta! Prosciolto da ogni accusa, vero? Oh, certo che sì!” Gli urlò nelle orecchie a volume da stadio.
Tom lo amò anche quando gli tirò quasi un gancio alla mascella nel tentativo di baciarlo.
Sì, lo amo davvero molto.
“Tu e James avete molto in comune…” Sbuffò, tendendolo a distanza con una mano. “La capacità di non controllarvi.”
“Oh, sta’ zitto!” Sbottò l’altro con un sorriso radioso, di quelli che avrebbero illuminato una cattedrale meglio di un lumus maxima. “È così, vero? Sei stato assolto!”
“Sì.” Confermò passandogli una mano sulla schiena e spostandosi per rendere più comodo quell’assalto. Avercelo a cavalcioni non era male, come posizione.

È stata sperimentata più volte, del resto…
“Quindi … Hogwarts!”
“Devo ancora scrivere una lettera al preside, ma Harry mi ha promesso che metterà una buona parola. Non credo sarà difficile. Con un assoluzione del Wizengamot dovrei avere le spalle coperte…” Gli spiegò, beandosi della sua aria attenta. E anche delle dita che gli avevano artigliato la camicia. Sentiva il calore di Al irradiarglisi lungo il petto. Era stata una giornata fredda.

Ho bisogno di scaldarmi…
“Sei contento?” Gli chiese e vide Al arrossire.
“No, sono in lutto.” Ironizzò. Poi si chinò su di lui. “Oh, smettila di fare il duro… stai sorridendo da mezz’ora, sai?”
“Sì? Forse solo da quando sei arrivato tu.” Si sentì dire. Era strano aprirsi così facilmente. Ma per quella sera avrebbe mandato al diavolo il suo orgoglio. Al se lo meritava.

Se non altro per quanto mi ha sopportato. Sono consapevole di poter essere odioso.
Di esserlo, in realtà.
Al sgranò gli occhi, mentre diventò dello stesso colore delle sue coperte – perché le aveva rosso fuoco per lui rimaneva un mistero. “Non dirmi che non hai neanche sorriso a zia Hermione… Hai una cotta per lei.”
“Non ho una cotta per lei.” Replicò imbarazzato. Si scordava sempre che Al, prima di essere promosso a suo ragazzo, era stato il suo migliore amico. Lo era ancora.

“Ce l’hai da secoli…” Sbuffò. “Ma non sono geloso. Non di lei almeno.”
“E di chi dovresti esserlo? Io odio le persone, non fai che ripetermelo da anni…”
“Beh, cosa pensi che diventerai quest’anno?” Gli prese la cravatta tra le dita, lasciandosela scivolare sui polpastrelli. Tom per un attimo si scordò di ascoltare il discorso. Del tutto. “Sarai l’idolo tormentato di tutte le ragazze. E ora sanno tutti che sei un purosangue, diventerai lo scapolo d’oro di Hogwarts.”
“Non voglio essere uno scapolo d’oro…” Rifletté, ascoltando vagamente. Era più interessato, del resto, a cosa stava accadendo ai piani bassi, e ai subdoli assestamenti di Al sul suo inguine. “E poi, a quanto mi risulta, non sono scapolo.”

“Risposta esatta…” Il tono di voce di Al si abbassò ad un mormorio. La conseguenza diretta fu poi una serie di baci bollenti sul collo. Tom inspirò, lasciandosi cadere sul letto.
Ci voleva…
Chiuse gli occhi mentre Al gli sbottonava la camicia e gli lasciava scivolare via la cravatta, disfacendo abilmente il nodo.
“Strano… sei bravo a toglierle e non a mettertele.”
“Vuoi che ti ci strozzi? È seta. Per una morte elegante…” Borbottò, ma lo sentì sorridere contro il suo petto, per poi continuare in una lenta scia di baci leggeri.

Tom si chiese se quello fosse essere definitivamente gay. Volere così disperatamente un altro ragazzo.
In effetti, da che ricordava, voleva solo Al.
Sarà che sono più occupato a capire che orientamento ho per quanto riguarda l’essere umano o meno.
L’orientamento sessuale nella mia storia personale passa un po’ in secondo piano.
Guardò la testa mora di Al scivolare sempre più in basso, e sentì una contrazione piacevolissima all’inguine.
Ma penso non ci sia bisogno di interrogarsi granché qui…
Si irrigidì però quando arrivò al suo stomaco. Lì avrebbe sempre dovuto esserci qualcosa. E non ci sarebbe mai stata.
Al sembrò capirlo, perché alzò la testa. “Che c’è?”
“Non… lì.” Era come se gli stesse baciando una cicatrice slabbrata, o qualcosa del genere. Era come se gli baciasse una brutta parte di sé.

Al sorrise appena. “Questo sei tu.” Disse semplicemente. “E mi piaci tutto.” Gli accarezzò la pelle liscia con la punta delle dita.
Tom sentì qualcosa nel petto scaldarsi, diventare bollente, mentre sentiva, con orrore, gli occhi inumidirsi.
È solo stanchezza.
Afferrò Al per le braccia, tirandoselo contro in modo che fosse alla sua altezza. Lo baciò, profondamente, per tutte le cose che non sarebbe mai riuscito a dirgli.
Non che non ci possa provare, no?
Al quando si staccarono aveva il fiato corto, sorpreso, e gli occhi lucidi.
Beh, almeno ha la lacrime più facile della mia…
“Non so… se me lo merito. Uno come te.” Si staccò le parole ad una ad una dal palato. E le pensava. Tutte.
Al gli passò le braccia attorno al collo. “Non credi sia un po’ tardi per chiederselo?” Lo spinse di nuovo steso. “Ormai siamo legati a filo doppio, Tom…”
 
Tempo dopo, quando l’intera casa era immersa nel silenzio, sentì Albus muoversi contro di sé, e sfiorargli il collo in una carezza che chiedeva attenzione.
“Tom, sei sveglio?”
“Non lo ero. Lo sono adesso.” Sospirò, facendolo ridacchiare. “Avanti, dimmi…”
“… È finita, vero?” La voce era poco più che un soffio, ma la domanda gli si ficcò nel petto.
Tom non rispose subito. Pensò alle parole di Lord Malfoy, pensò all’agente americano Scott.
A Cordula e a quel castello che continuava a vedere nei suoi sogni.
Lo strinse a sé. “Sì, certo…”
Lo spero. E non lo so.


 
I see so little time
My eyes are crossed, my hands are tied
All I wanna do is that great thing…²
 
 
 
… e così Tom è stato scagionato da ogni accusa! Non che non me lo aspettassi, ma la giustizia manichea del nostro Ministero è piuttosto pericolosa, quando vuole.
In ogni caso, non sai quanto sono contenta!
Tom e Al si meritano un po’ di serenità. Sarà un grande anno, questo, Ren… e potremo finalmente vederci!
 
Dall’altra parte del continente, Sören Hohenheim posò la lettera sul suo scrittoio.
 
 
****
 
 
 
Note:
Prossimo capitolo: Goin’ to Hogwarts!

Okay, ammetto che a fini della trama da action-movie questo capitolo non dice un granché. Ma è ufficialmente l’ultimo strascico della storia precedente.
Dalla prossima, si entra nell’azione! *thumbs up*
1. Qui la canzone.
2. Qui la canzone.

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Eccomi qua, un po’ prima della scorsa settimana, ma ho sempre saltato sabato. Perdono. T_T
@lu_pin: grazie mille! Eheheeh, sì, Tom ha una bella cotta per lei. Grazie per i complimenti a Dudley, bisogna dargli un po' di fiducia! E io invece gli americani li adoro, ma si sa che non sono esattamente personcine umili. XD Teddy e James si vedranno prossimamente, promesso! E grazie ancora!

@nicky_iron: niente di che, succede di padellare un esame! Ho già corretto gli errori di cui mi hai fatto presente, grazie mille. Riguardo, ma qualcosa mi sfugge sempre!Penso che i Doni della morte, se hanno un minimo di cervello, la gente non va a dirlo in giro... voglio dire, per quanti morti hanno fatto ed erano considerati solo una LEGGENDA... Grazie comunque per la recensione!
@ElseW: ciao! Ahaahah, non sei l'unica a non fidarti del governo americano. Per me sia quello magico che quello babbano sono poco affidabili. XD Ahaaha, ma io ti adoro! Percy Jackson ancora non l'ho visto, ma ho visto le locandine e sì... quello è Al. XD Mi fa troppo piacere che tu abbia pensato a lui. :P In questo capitolo si andrà un po' avanti con la storia di Lily ;)
@MissBlackSpots: ebbene sì, il governo americano rompe le palle nella realtà, vuoi che non lo facessi rompere anche in quello magico? XD Grazie grazie!
@Trixina: purtroppo, e di questo mi scuso, non riesco più ad essere così precisa negli aggiornamenti. La maledetta università.. Beh, Draco è figlio di Lucius, e se un mangiamorte conclamato era così influente, vuoi che il figlio non abbia preso da lui? XD Non preoccuparti, capisco bene i problemi di pc! ;)
@Tyumas: Ciao! Spero che leggerai il commento! ^^ Grazie mille per i complmenti, specie perchè mi dici che non apprezzi lo slash... quindi che dirti, sono onorata e lusingata! :D
@lovermusic: Ahahah, grazie! Troppo onorata! Beh, sì, Hermione non regge Draco, non è un mistero, ma in fondo ormai non può più prenderlo a pugni (anche se secondo me le piacerebbe) La tazza? Probabilmente Robin, Dudley avrebbe finito per essere il tipo che si taglia un dito provandoci.
@Simomart: Mi dispiaaace... lo so, è una rottura, ma praticamente vivo in università (ora sto scrivendo dal netbook per esempio) e quindi ho grosse difficoltà a mantenere il ritmo di un capitolo a settimana. -_- Ci provo però! Beh, per il pezzo del processo DOVEVO metterlo, e poi alla fine io studio relationi internazionali... di diritto me ne occupo per forza di cose pure io! XD Ed Hermione... eeeh, Herm chi non la ama? E poi Harry non può esser capace a far tutto. Specialmente roba burocratica. XD James non mancherà, anche se sarà un po' ridotto. ;) E grazie per la fiducia, spero sarà ben riposta!
@silver92: Rose e Sy avranno il loro spazio promesso. Qui un cameo, ma si fa quel che si può!
@Agathe: Ahaaha, ma Tom ti sta proprio antipatico! XD Beh, è fantastico però... vedere che la storia ti piace comunque! Grazie! La scena dello smistamento e della conseguente confidenza a Draco un giorno la girerò, è una promessa. ;)
@Andriw9214: Sì, i processi li adoro anche io! E poi Hermione come non  metterla wonderwoman, già lo era da ragazza! Per ora sul governo americano non posso dirti niente, ma sicuramente sarà meno pericoloso della Thule, promesso! Guarda il ravvicinamento tra quelle famiglie lo credo improbabile, ma sicuramente miglioreranno un po' i loro rapporti. E poi, grazie per aver notato un po' la maturazione di Tom. Volevo che si vedesse.
@Hale_y: Wow, che recensione! XD Essì, un capitolo Tom-centrico, considerando il processo, era dovuto! ;D Tom e Dudley secondo me si somigliano, in fondo. XD E' proprio un Dursley, per quanto poco sembri. Tom comincerà un po' ad aprirsi... non tantissimo, ma la pianterà di avere spesso un cactus su per il sedere. XD La cotta per Herm poi è decisamente intellettuale. Andiamo, potrebbe essere sua madre! XD Draco forse tornerà, forse no... vediamo come vanno le cose. X) Per quanto riguarda Lily... beh, per ora non posso anticiparti niente su quello. Sorry! E poi stavolta dai, ho aggiornato prima!
@altovoltaggio:.. cacchio, che recensione meravigliosa! Beh, sai, sono piuttosto rapida a scrivere... il problema maggiore è trovare le ore che mi servono per farlo, almeno una decina a settimana, e sicuramente in questo periodo ne ho molte poche! Questo capitolo sarà Lily-centric, e mi piacerebbe sapere davvero cosa ne pensi, perchè qui si disvelerà parecchio. Guarda, per quanto riguarda la serie, penso ti darò retta. Sto scrivendo una one-shot per una sfida, una Wolfstar, che non c'entra niente con il continuum della storia... prossimamente penso mi metterò ad organizzare la serie. XD Aahaha, Albus è un principino azzurro, lo so, ma con gli estranei è un bello stronzetto sorridente e distaccato. XD E per quanto riguarda la scena della 'cicatrice'... guarda, io non ne ho addosso, ma so quanto le persone a volte possano soffrire per una cosa del genere, sentendosi inadeguati... il fatto che tu non abbia trovato quella scena forzata, e che l'abbia sentita almeno un po' 'tua' mi fa un immenso piacere e mi commuove. Grazie. E il tom-Dudley moment... beh, ci voleva, secondo me. ;) Il campione di Hogwarts? Dai che lo sai! XD E... grazie per l'enorme e meravigliosa recensione!
 
 
****
 
Capitolo X




 
It just takes some time, little girl
You're in the middle of the ride,
everything will be just fine, everything will be alright.
(The Middle, Jimmy eat world)


 
 
 
1 Settembre 2023
Devonshire, Casa Potter.
Mattina.
 
Lily non era il genere di ragazza che amava alzarsi presto.
Si stava chiedendo un gigantesco e vago ‘perché?’ quando si sedette a tavola per la colazione, con il pigiama, ma con già i capelli perfetti e un applicazione di crema giornaliera sul viso.
Comunque…
Era il primo giorno di scuola e voleva solo tornare a dormire, nonostante le dolci promesse di un Torneo, di un amico di penna che non tentava di farsela e il ritorno di Tom.
Al accanto a lei masticava placido un panino al prosciutto, bevendo accuratamente caffè ad ogni sorsata; era di ottimo umore e c’era un motivo.
Gli era arrivata la spilla di Capocasa qualche giorno prima. Mentre l’anno prima si era lagnato per giorni delle responsabilità a cui non si sentiva pronto, stavolta aveva accolto la notizia con un sorriso.
Non si era dato grande importanza, comunque. Lily sospettava che fosse per evitare che lo zio Percy venisse a fargli visita una seconda volta.
Cinque ore di discorso… ad un certo punto credo che Al abbia semplicemente staccato il cervello. Aveva un’aria così vacua…
James, ad ogni buon conto, aveva la testa che ciondolava sulla tazza dei cereali.
“Perché devo alzarmi presto anche io?” Deplorò, premurandosi di farlo a gran voce. “I corsi mi iniziano alle dieci!”
“Perché devi accompagnare i tuoi fratelli con la macchina…” Ripeté per la quinta volta sua madre, paziente come solo una donna circondata da uomini dalla nascita poteva essere. “Tuo padre stamattina si è alzato alle cinque per andare al lavoro, non mi lamenterei se fossi in te.”
“Quando sarò capo-ufficio io, mi alzerò tutti i giorni a mezzogiorno!” Brontolò ispido, passandosi una mano sulla nuca quasi a scacciare la stanchezza.

“Non credo potrai. Avrai molte responsabilità. Sai cosa sono?” Lo apostrofò Al nettandosi le labbra con un tovagliolo. “Quelle cose che ti rendono adulto.”
“Crepa, Albie.”

Lily, mentre i fratelli salivano a prepararsi spintonandosi sulla scale, finì il suo the fissando il riflesso del sole sulle tendine della cucina.
Stava per cominciare un nuovo anno.
 
Quando furono finalmente in auto con bagagli e gufi, Lily vide sua madre con la coda dell’occhio controllarli, con quello sguardo particolare che aveva quando voleva fare una ramanzina ma non trovava nessun appiglio.
Lanciò uno sguardo di avvertimento ad Al, che capì al volo e squadernò un sorriso di puro miele. “Mamma… siamo in ritardo, temo. Stasera ti scriviamo non appena arrivati.”
“Uhm…” Disse, squadrandoli. James era ripiegato sul cruscotto, mentre tentava sia di sintonizzare la radio su una stazione babbana, sia di nascondersi. “Mi raccomando, non fate cavolate. Per la storia del Torneo e tutto il resto.”
Noi?” Al inarcò le sopracciglia, in una magistrale imitazione di un cinquenne ferito. “Andiamo, pensi che ci metteremo nei guai in una competizione potenzialmente mortale? Non siamo Jamie.”

“Perché siete un secchione fifone e una ragazza.” Fu la risposta che giunse dall’abitacolo.
“Non ho detto questo, intendo in generale. Tu signorina, attenta ai ragazzi e tu…” Guardò Al, e Lily seppe che voleva dire qualcosa a proposito di Thomas. “… comportati bene.” Si risolse. “Sei un Caposcuola adesso.”
“Ricevuto!” Al le baciò la guancia, tattico, e sgattaiolò conseguentemente nei sedili posteriori. “Metti in moto, forse quest’anno ci risparmiamo la predica.” Sussurrò subito dopo, frettoloso.
“Veloce Jam!” Lo supportò.

“Siete due bambini davvero cattivi…” Ghignò il maggiore, mettendo in moto e schiacciando il congegno di invisibilità.
Poco dopo stavano volando sopra i cieli del Devonshire con la netta sensazione che a Ginny Weasley non fosse piaciuta la loro fuga.
Alla radio suonava una di quelle canzoni che non avrebbe sfigurato in un telefilm babbano sui ragazzi in età da liceo.
Lily la ascoltò distratta, pensando che in uno di quei telefilm, lei sarebbe stata la cheerleader.
Però con il cervello.
“Poi mi devi spiegare questa storia della ragazza Jam… Mi sento francamente urtata. Sei un sessista.”
Non sono un sessualista! Osservo solo che a differenza dell’universo maschile, avete un più alto spirito di conservazione.”
“Pensa a Dom.”

“E comunque è sessista. Almeno ascolta la gente quando usa parola nuove.” Osservò Al.
“… Oh, chiudete quel becco! Dovevate finire entrambi a serpeverde!”
Lily si abbandonò sul sedile, sorridendo ad Al che ricambiò, dandole il cinque.

 
 
****
 
Londra, Stazione di King’s Cross.
Mattina.
 
Albus lanciò un’occhiata alla banchina, mentre Rose cercava di congedarsi, quasi a forza, dal padre venuto per accompagnarli e per scandagliare con lo sguardo la banchina alla ricerca di biondini del Wiltshire.
Come al solito Lo Scemo è in ritardo… Come fa ad essere in ritardo anche quest’anno? È assurdo!
Tom aveva passato le ultime tre settimana con gli occhi incollati alle pagine di svariati compendi di magia, senza rivolgergli praticamente la parola, se non qualche grugnito poco impegnativo e frasi non più lunghe di ‘ciao, siediti e non disturbare’.
Supponeva che gli tenesse un po’ il muso anche per la sua nomina a Caposcuola: ci aveva provato a mostrarsi contento, gliene doveva rendere atto, ma tutto era finito in un grugnito poco impegnativo.
Così impari a farti le vacanze in Germania invece di terminare l’anno scolastico…
Comunque, da quando era stato scagionato si era tuffato nel compito di imparare a memoria tutto il programma che gli mancava. Probabilmente ormai lo sapeva recitare in rima baciata.
Insomma come ogni estate preferisce i libri a me…
Sospirò, affidando le proprie valige alle robuste braccia dell’inamovibile Ron Weasley.
“Grazie zio…”
Rose gli si avvicinò, con i capelli increspati dal nervosismo. Si era mangiata una buona parte delle unghie della mano destra.
“Merlino, mi farà impazzire…” Sibilò. “Ti rendi conto che se potesse mi metterebbe un auror alle calcagna?”  
“Tuo padre sa di te e Malfoy, secondo me.”
Rose fece saettare lo sguardo tra le persone con l’aria di un cervo inseguito da una muta di cani. “Ma no, che dici…”
“Scusa, al di là di tutto, che ci sarebbe di male se sapesse…?”
Zitto!” Gli mise una mano sulle labbra. “Puoi resistere per cinque minuti e aspettare che se ne vada? Poi potrai farmi tutte le ramanzine che riterrai opportune, razza di Capocasa!”

Al alzò gli occhi al cielo. Per quanto lo riguardava, non credeva così empia l’unione di sua cugina con Malfoy. In fondo, a conoscerlo, era un tipo simpatico. Avevano passato gran parte dell’anno prima assieme, e si era dimostrato un amico fedele e un fidanzato adorabile.
… a volte vorrei che Tom gli somigliasse. Tranne la parte dei soprannomi. No, quella no.
Lesse paura negli occhi di sua cugina e non gli restò che promettergli che non avrebbe parlato: del resto, chi era lui per darle consigli in materia di coming-out, quando tutt’ora i suoi genitori erano convinti che fosse casto e timido?
E non gay e con un’attività sessuale che mi manca.
Erano cambiate un bel po’ di cose dall’anno prima.
Essì…
Rose si legò i capelli in una coda sommaria visto che continuavano a finirle in faccia, aumentando esponenzialmente il suo nervosismo. “Credimi, vorrei dire a tutti che Scorpius è il mio ragazzo… Mi converrebbe pure, viste le mire di certe stronze. Ma non è così semplice.”
“State assieme da quasi un anno… Che dice lui?” Sussurrò, lanciando uno sguardo tattico allo zio, che stava scherzando con il figlio minore, sporto dal finestrino. “Intendo dire, che dice…”
“Scorpius è d’accordo con me.” Tagliò corto. “Adesso salutiamo e saliamo. Ne ho abbastanza di tutto questo fumo.”
“Io resto qui.”
Rose lo squadrò, poi fece uno sbuffo poco contento. “Per Thomas?”
“Devo aspettarlo, è un rito ormai…” Le comunicò tranquillo, ignorando la smorfia malcelata dell’altra.

L’incontro tra Tom e sua cugina, avvenuto due settimane prima, era stato freddo e dal sapore quasi ufficiale. Probabilmente si erano sorrisi e parlati per circa due minuti solo per fargli piacere. Poi Tom era scappato a chiacchierare con Hermione e Rose lo aveva trascinato fuori per congratularsi della sua nomina.
Non potrei pretendere di più, temo…
Rose mantenne lo sguardo pieno di biasimo per circa qualche secondo, prima di scrollare le spalle. “Vedi di non perdere il treno per colpa sua.” Si limitò a concludere, prima di raggiungere il padre per il tanto agognato commiato.
Al si sedette su una delle panchine e si preparò ad aspettare.
Quello proprio non era cambiato.
 
 
****
 
 
“Mamma, ho preso tutto.”
“Sei sicuro? Il k-way che ti ha regalato tua nonna l’anno scorso?”
“Quello color fango di palude? No.
“Oh, Thomas! Mi fai sempre ripetere le stesse cose!”
Tom fece una smorfia, cercando di contenere l’irritazione che si sentiva strabordare da ogni parte. Era certo che si vedesse, da come suo padre cercava di trattenere un ghignetto dietro i baffi.

Robin Castellario in Dudley faceva parte della nutrita schiera delle madri apprensive. Di quelle che, anche di fronte all’intera platea di King’s Cross gli avrebbe persino chiesto se aveva indosso la canottiera.
Saranno i suoi geni italiani?
Certo, la capiva, gli era appena tornato tra le mani dopo un lungo pellegrinaggio in terre germaniche…
… ma sarei un mago potenzialmente pericoloso, scagionato solo per bravura del proprio difensore, sospettato e con una resistenza fuori dalla norma.
Non ho bisogno di un k-way.  
“Robbie, lascialo stare. Lo farai arrivare in ritardo.” Si mise in mezzo suo padre. Gli lanciò un’occhiata che sperò sembrasse grata, perché lo era.  
Stavano migliorando nella comunicazione non-verbale; Tom era certo che un giorno non troppo lontano sarebbero riusciti persino ad avere una conversazione definibile come lunga e pacifica.
Si sentì poi stritolare dalle braccia di robusta costituzione australiana della madre. Ricambiò, un po’ goffamente perché il dislivello di altezza si faceva sentire. “Tornerò per Natale…” Tentò.
“A Natale! Già, una vera follia! I tuoi fratelli tornano molto prima, mi sembra assurdo che tu abbia così poche vacanze!”
“Mamma, è la politica della scuola.” Lanciò un’occhiata all’orologio da polso e vide che si stavano avvicinando le nove.

Per fortuna.
Quel genere di commiati lo infastidivano a morte. Imbarazzavano, avrebbe tradotto Al.
“Devo andare adesso, davvero.”
“Fa’ attenzione, mandami una lettera quando arrivi. E mangia.” Riassunse velocemente la donna, prima di stampargli un bacio umido sulla guancia, costringendolo di nuovo a piegarsi.
Suo padre si limitò ad una stretta di mano ed un borbottio. “Fatti sentire. Soprattutto con Alicia.”
“Sì…” Sua sorella aveva cominciato a perdonarlo. Il giorno prima si era impadronita in blocco di metà della sua discografia: poteva essere considerato un gesto di distensione.  

“Ciao papà.”
“Ciao.” Replicò sbrigativo, passandogli il suo baule. La gabbia con Kafka occupò l’altro braccio.

Li lasciò in mezzo al corridoio sopraelevato, a guardarlo andare via. Si sentì inspiegabilmente in colpa a vederli lì in mezzo, a fissare la sua schiena che se ne andava. Si voltò per un ultimo cenno con la mano, prima di ricordarsi che aveva una dignità e marciare via.
Mi sto proprio rammollendo… O mi sto trasformando in un essere umano funzionale.
Chissà quale dei due.
Si diresse verso il suo binario ignorando gli sguardi perplessi della gente alla vista di un corvo in gabbia e un baule ante-litteram.
Non riusciva ancora a credere di essere lì, per il suo Settimo anno per giunta: Harry aveva intercesso affinché sostenesse una prova di valutazione a metà settembre. Se l’avesse passata, sarebbe stato regolarmente iscritto all’ultimo anno.
Tom cominciò a sentirsi il cuore in gola non appena avvistò la barriera del binario nove.
Mancavano dieci minuti alla partenza dell’espresso, era perfettamente in orario e non era quello il punto.
Il punto era che si sentiva troppo fortunato per meritarselo davvero.
Strinse tra le dita il carrello, quasi che, sentendone la consistenza, potesse sentire che era reale.
Lo era.
Oltrepassò la barriera ad occhi chiusi, prendendo un grosso respiro, un automatismo che ripeteva da sette anni.
Quando li riaprì c’erano gufi, genitori che salutavano, carrelli, bauli volanti e il calore penetrante del fumo della locomotiva. Vide con la coda dell’occhio Lily salire sul lucido treno nero, mentre Hugo la chiamava a gran voce.
Era il Mondo Magico. 
Ed Albus, naturalmente, era lì. Seduto su una panchina, aveva una scarpa slacciata che probabilmente l’avrebbe fatto inciampare al prossimo passo; sorrideva e lo stava aspettando.
“Ehi, sei in ritardo.”
Tom sorrise; era il mondo magico. Era il suo mondo.
 
 
****
 
Sull’Espresso per Hogwarts.
Mattina.

 
Le highlands scorrevano brunite e ondulate di fronte agli occupanti dello scompartimento numero…
Beh… Non ci ho fatto attenzione.
Lily appoggiò la guancia al finestrino freddo, lanciando un’occhiata ai suddetti occupanti.
Era un viaggio lungo, e ognuno stava ammazzando il tempo come poteva: Rose e Albus erano immersi in una conversazione sul Torneo Tremaghi, mentre Hugo aveva invitato il minore dei Finnigan per una partita a sparaschiocco; ad intervalli regolari la cabina veniva riempita da sbuffi di fumo.
Thomas, dirimpettaio a lei, aveva le cuffie alle orecchie e stava leggendo Pozioni Avanzate. O forse fingeva di farlo per estraniarsi dal mondo reale.
Il che, conoscendolo, era piuttosto probabile.
Gli tirò un calcetto a cui rispose con un’occhiataccia.
“Che ascolti?”
“Musica babbana.”
“Non prendermi per una purosangue sprovveduta, dai! Magari il gruppo lo conosco!”
“Echo& the Bunnymen.”
“… Come non detto.” Gli rivolse un sorriso di radiosa inconsapevolezza, e riuscì a strappargli un inarcamento leggero delle labbra. “Come sta tua sorella?”
Tom sospirò, arrendendosi all’inevitabilità di contatto umano in uno spazio ristretto come un vagone del treno. “Ancora piuttosto arrabbiata con me.”
“Però ti ha salutato, sì?”
“Salutato la ritengo una parola grossa…” Lanciò un’occhiata ad Al. Lily trovava fosse piuttosto tenero, e leggermente morboso in ugual misura, che lo controllasse a ritmo di cinque minuti con lo sguardo.

Ma era come funzionava la cosa tra suo fratello e Tom, e sinceramente non aveva voglia di ficcare il naso più di quanto non fosse consentito da una sorella minore.
E poi sono felici solo quando sono assieme. Quindi è okay, suppongo.
“Vedrai che le passa…” Lanciò un’occhiata nel corridoio, dove a ritmi alterni sfrecciavano studenti con la bocca piena di snack o ragazze in perlustrazione. “Al, non dovresti stare nella carrozza dei prefetti? Cioè, non dovreste starci tutti? Meno me, Hugo e…”
“Fergus…” Mugugnò l’amico-Finnegan-di-Hugo. “Mi chiamo Fergus.”
“Ah, scusa.”

A me i fratelli Finnigan sembrano tutti uguali!  
Era una ragazza fondamentalmente malvagia, ne era consapevole.
Rose scrollò le spalle. “La riunione c’è tra mezz’ora.” E si vedeva lontano un miglio che non vedeva l’ora di scattare in direzione fondo-treno per incontrare il suo ragazzo. Scorpius si era fatto vedere per un breve saluto, prima di essere trascinato via da Zabini e Nott.
Era stava una scena strana: Malfoy era entrato nella cabina con uno dei suoi sorrisi da fotomodello, poi nella visuale di tutti erano entrati anche Nott e Zabini, quest’ultimo rigido come un manichino. I suoi occhi prima si erano posati su Tom, e poi avevano cercato quelli di Albus.
Lily aveva capito subito che nessuno l’aveva avvertito del ritorno di Tom.
Più che altro non l’ha fatto Al.
 
“… Ah. Allora sei tornato, è vero.”  
Albus era sembrato tremendamente a disagio. “Oddio, Mike, io… mi sono dimenticato di…”
“Dirmelo.” Aveva terminato per lui. “Ma l’ho saputo comunque, non preoccuparti.”
“Michel…” Aveva detto Tom in tono neutro. “Loki. Malfoy.” Aveva snocciolato poi, con invidiabile e surreale calma, considerando che era piombato il gelo.

“Ehilà.” Aveva detto Scorpius, con un sorriso leggero. “È bello rivederti Dursley. Ti vedo bene.”
“Ti ringrazio.” Aveva risposto, terminando lo scambio di cortesie.

“Volete sedervi…?” Aveva proposto Al. Sembrava la colpa fatta persona, e per un attimo era sembrato di nuovo l’undicenne timido che scrutava i suoi compagni serpeverde in cerca di amicizia e approvazione.
“Non credo ci sia spazio per tre persone.” Aveva detto Zabini, grondando gelo. “Ci vediamo dopo, in caso.”
“Mike…” Aveva tentato Al, ma il ragazzo era uscito, seguito immediatamente da Loki.

“Ma veramente c’era.” Aveva obbiettato Rose, irritata. “Che brutto carattere.”
Scorpius si era grattato una guancia. “Gli girano un po’, fiorellino. Vedrai che con qualcosa dal carrello sarà più conciliante. Stamattina non ha fatto colazione. Vado con loro… Ci vediamo al vagone dei prefetti tra un po’.”  

 
“Io non sono più un prefetto.” La riscosse la voce di Tom.
“… Come?”
Oddio, gaffe. Tremenda, orribile gaffe. Ops.  
“Non sono più un prefetto.” Ripetè. “Avendo perso più di un semestre scolastico temo di non essere più annoverabile come studente meritevole.”
“Sì, ma il Preside ti ha detto che potrai ridiventarlo dopo la valutazione…” Intervenne Al. “No?”
“Non mi interessa più.” Spiazzò tutti, voltando una pagina del compendio con suprema indifferenza. “In ogni caso, non sono mai stato particolarmente portato a guidare gli studenti più piccoli.”

Lily notò lo scambio di sguardi tra Rose e Al. Il fratello alla fine scosse la testa, e questo chiuse la conversazione muta.
“Io vado a farmi un giro.” Annunciò Rose dopo un po’, alzandosi in piedi e raccogliendo da terra le cartacce che Hugo aveva disseminato ovunque dopo il passaggio del carrello dei dolci. “Hugo, stavolta te le butto io, ma…”
“Sì, sì… Sto giocando, sorella!”
Rose alzò gli occhi al cielo, e la guardò. “Vieni anche tu Lils?”
“Volentieri!” 

Quando si chiusero la porta della cabina alle spalle, Rose si permise un sospiro. “Non ne potevo più. C’era tanta di quella tensione che si poteva tagliare con un recido…”
“Beh, non è come se le cose possano tornare subito perfette, no?” Osservò, e sbuffò all’aria sorpresa di Rose. Seriamente, sapeva di essere considerata da quasi tutto il consesso umano solo una frivola quindicenne…

Ma c’è bisogno di un po’ più di fiducia nel mondo. Ed in me.
“E comunque non è che ti serva un accompagnatrice per dissimulare il fatto che vai a cercare Scorpius…” Soggiunse con un ghigno, godendosi l’esplosione di imbarazzo sul viso della cugina.
“Non sto… volevo… bagno.” Balbettò. “Oh, per la barba di Merlino…”
“Mi spieghi perché ti fai tanti problemi all’idea che la gente sappia che vuoi stare sola con il tuo ragazzo? Seriamente, a volte sembra che tu viva con zio Ron alle spalle.”
“Non immagini quanto sia vero a volte…” Borbottò Rose di rimando. “Beh, allora…”
“Ci becchiamo in giro.” Convenne. “Ciao ciao.”
Rose sparì in un batter d’occhio. Lily fece il punto della situazione: non aveva voglia di tornare subito in cabina. Hugo non l’avrebbe degnata di uno sguardo, preso dal demone del gioco e Al e Thomas probabilmente avevano approfittato dell’assenza delle ragazze per chiudersi nella loro bolla speciale.

Amiche. Andiamo a vedere che fanno le ragazze…
 
Dieci minuti dopo si trovò immersa in un nugolo di caramelle, riviste e bibite gassate, tra quelle che poteva definire come sue migliori amiche, nonché, praticamente, le uniche.
È dura la strada per essere la più favolosa strega dell’Inghilterra…
C’era Abigail Finnigan, sorella di Fergus (sapeva di averlo visto da qualche parte), con cui aveva stretto un ottimo rapporto al primo anno a causa della stessa sciagura di essere la femmina piccola della famiglia, e poi Jane Stretton e Aimee Davies, due corvonero che aveva eletto a sue eroine quando avevano preso a calci in tandem il minore degli Whitby, quando le aveva detto che lei e i suoi fratelli erano dei raccomandati.
Andavano d’accordo perché a nessuna delle quattro interessava mai le stesse cose, a parte i pettegolezzi. E soprattutto erano le uniche a ricordarsi, talvolta, che non era solo una Potter.
Forse una come Rose avrebbero detto che un’amicizia così superficiale era meglio perderla che trovarla…
Ma ho bisogno di chiacchiere femminili attorno a me per vivere…
“Allora, Lils, devi dirci tutto di quel figo di Dursley!” Esordì Abigail, masticando sognante un GommaBollente. “Gus mi ha detto che l’ha visto salire, e non è stato l’unico! È davvero sul treno?”
“Pensavate che arrivasse volando?” Chiese fingendo incredulità. Le altre risero, ma Aimee fu la più lesta a ribattere.
“Davvero, senza scherzi. C’è o non c’è?”
“Sì, beh… c’è.”  
“Allora è vero che era stato rapito!” Sgranò gli occhi Aimee, mentre le altre due trattenevano il fiato. “Dai suoi veri genitori, che erano purosangue e tedeschi!”
“Com’è affascinante… Beh, lo è sempre stato in realtà.” Riflettè pensierosa Jane. “Peccato che sia un misogino. Tu cosa sai?”
“Del fatto che è misogino? Beh…”
Non misogino. Neanche tanto gay, non nel senso vero del termine. Forse è Albusessuale.  
“No, dai, non cambiare argomento come al solito, intendevamo del rapimento!” La bloccò Abigail. “Qualcosa ti avrà raccontato!”
“… Tom?” Calcò l’accento sul nome. “Scusate, ma mi sembra universalmente noto che sia scontroso come uno schiopodo.”
“Beh, okay, non è questo gran chiacchierone, lo sanno tutti…” Le venne incontro Jane, divertita. “Ma tuo fratello è o no il suo migliore amico?”
“Non è che ne sappia più di voi…” Mise le mani avanti, seguendo la linea ufficiale della famiglia: dalle espressioni delle compagne capì che non sarebbe bastato. Sospirò. “So solo che non c’è stata nessuna fuga rocambolesca o roba simile. Era stato smaterializzato con una passaporta rotta, aveva tipo perso la strada di casa… Andiamo, li avete letti i giornali, no?”

Le altre nascosero male la delusione, ma si apprestarono a cambiare subito argomento, annoiate dalla sua reticenza. Lily non se la prese: al posto loro avrebbe fatto lo stesso.
Poi Jane le toccò un braccio, chinandosi al suo orecchio, mentre Aimee era presa dal titanico compito di tirare giù il baule per mostrare loro le foto della sua vacanza in Turchia con la famiglia.
“Lils, ti devo parlare un secondo… Usciamo?” Chiese, con tono di grande cospirazione. Sembrava nervosa. La guardò negli occhi: lo era.
Quando uscirono, l’amica si chiuse velocemente la porta alle spalle, appoggiandovisi. Non sembrava intenzionata a parlare. Lily sospirò, un po’ spazientita perché doveva anche andare in bagno, tra le varie.
“Si tratta di Aimee…” Disse alla fine, piena di esitazione: sembrava infatti in preda ad un notevole conflitto interiore. “Quest’estate siamo state in Turchia con i Carmichel… Te li ricordi, sì?”
“Il figlio non era all’ultimo anno di Corvonero l’anno scorso? Quel tizio con le spalle toniche e lisci e fluenti capelli d’ebano?”

“Earl? Sì… è proprio meraviglioso, vero?” Sorrise attorcigliandosi una ciocca attorno al dito. “Sai che io e lui…”
“La Grande Storia D’Amore.” Recitò con sentimento, facendo ridacchiare l’altra. “Certo, lo so… Avete fatto una vacanza assieme, sarà stato fantastico!”

“Sì, … ma credo che lui e Aimee…”
“No!”

Non che me l’aspettassi. Si sono lanciati occhiate roventi tutto l’anno scorso…  
Ma non lo disse perché non poteva dirlo. Era una cosa triste, ma il settanta per cento di cose che notava non potevano essere riferite. Non ci teneva a scatenare sommosse per altarini scoperti.
Non più di tanto. Non se mettono in mezzo la sottoscritta, ecco…
“È solo un’impressione, lo so… magari mi sbaglio, magari non è così…” La guardò con grandi occhi supplici. “Tu sei brava a capire le persone Lils, sei un vero asso. Non è che potresti…?”
“Scoprire se Aimee e Earl hanno combinato qualcosa alle tue spalle? No.” Le uscì prima che potesse mediare. Era stupido, perché Jane non si meritava certo una risposta così sgarbata, non con quell’aria tormentata perlomeno.

Ma aveva appena toccato un nervo scoperto e sapeva di averlo fatto. Non le era riuscito ad essere carina.
“Andiamo!” La spronò afferrandole un polso. “Lils, tu sei una legimante eccezionale!”
“Non sono una legimante.” La corresse, cercando di essere gentile. Le tolse delicatamente le dita dal polso. “Non so neanche come si fa, un incantesimo legimens. È roba del Settimo … Sono troppo pigra per avvantaggiarmi sul programma.”

“Però sai farlo!” Esclamò infastidita. “Sai capire cosa nasconde la gente e… Insomma.” Riprese a tormentarsi la ciocca di capelli, ma con più rabbia. Era arrabbiata con lei. “Sei mia amica e…”
“… e lo è anche Aimee.” La bloccò. “Se hai paura che sia successo qualcosa tra di loro quest’estate, perché non lo chiedi a lei?”
“Non tutte sono come te, Lily!” Sbottò alla fine, stizzita, liberandosi dalla sua presa. “Lascia perdere, scusa tanto se te l’ho chiesto!” Non riuscì a ribattere che l’altra tornò subito dentro.

Lily notò le occhiate perplesse delle altre due amiche al di là del vetro e decise di sillabare ‘bagno’.
Scappò veramente ma con la ferma intenzione di arrivare fino alla locomotiva.
Si sentiva pizzicare l’angolo degli occhi, non valeva la pena mettersi a frignare come un’undicenne perché Jane aveva deciso di fare la stronza.
Jane naturalmente non era una stronza. Era solo una ragazza con un tarlo angosciante in testa, e Lily sapeva bene quanto le idee potessero essere pericolose, una volta radicate nella testa di una persona.

Come sapeva che era stata una stupida a dire a Jane, in una serata di particolari confidenze, cos’era capace di fare.
Jane era una buona amica e non aveva mai detto a nessuno che più che capire le persone, lei le leggeva.
Non c’era dietro nessun incantesimo complicato e neanche una particolare forza magica.
Era come essere un metamorfomago: era avere una caratteristica.
Se fosse stata una babbana, l’avrebbero chiamata telepate.
Se fossi stata babbana probabilmente su di me ci avrebbero anche fatto un telefilm…
Sospirò, appoggiandosi con la schiena ad un finestrino, sorridendo ad un gruppo di ragazzi piuttosto carini del Sesto. Quello le venne automatico, come era automatico per lei non considerarsi diversa dagli altri.
E sul serio, non lo era granché. I telepati nel Mondo Magico non erano rari; venivano chiamati legimanti naturali, o per usare un’abbreviazione medica, LeNa.
In famiglia la cosa era stata accolta con tranquillità, un po’ come il fatto che quando Jamie da piccolo faceva i capricci saltava una volta sì e una no l’impianto elettrico di casa.
Del resto papà e mamma hanno conosciuto licantropi, metamorfomaghi, animagus e Veela.
Senza contare tutti i maghi straordinari della loro adolescenza…
Io in confronto non sono un granché.
Non ricordava di aver mai avuto problemi; per quanto la riguardava solo in un periodo della sua infanzia, molto nebuloso, ricordava di aver sentito i pensieri dei suoi genitori e dei suoi fratelli.
Come tenere sempre la radio accesa, senza spegnerla mai, perché dentro la sua testa non ci sono pulsanti.
A cinque anni sua madre l’aveva accompagnata al San Mungo, e un medimago con la barba bianca come Babbo Natale le aveva messo un orecchino e regalato un lecca lecca. Il lecca lecca perché era stata brava a non piangere, l’orecchino, sulla cartilagine dell’orecchio destro, per bloccare, come gli aveva spiegato bonario, la ricezione del suo cervello radio.
Tutto lì.
Se i babbani ci farebbero sopra un telefilm, nel Mondo Magico ti risolvono il problema…
Da allora non ricordava di aver sentito il singolo pensiero di nessuno.  In ogni caso poteva ancora capire la gente. Sentiva le loro emozioni, gliele leggeva sul viso, nel modo di sedersi e persino nel modo di mangiare.  
Non con tutti, certo. Se una persona era chiusa come un’ostrica, le riusciva difficile capirla. Tom, per esempio, era un autentico rebus. Lo era stato anche l’anno prima, anche se aveva capito che fosse angosciato.
Ma lì non ci voleva certo un dono…
Non era per quello che voleva essere speciale.
Voglio essere speciale perché sono favolosa.
Rose uscì da uno degli scompartimenti, coi capelli leggermente arruffati e un sorriso distante.
“Ehi, Lily…  Che ci fai qua fuori?”
“Appostamento. Vedo se passano ragazzi carini e notano la mia fulgida bellezza. Una specie di vetrina, se capisci cosa intendo.”
Rose rise, avvicinandolesi. “A volte penso che tu e Malfoy abbiate lo stesso ego ipertrofico.”
“Oh, no. La sua è autoironia, il mio è un semplice dato di fatto.” Sorrise. “Comunque hai il reggiseno al contrario.”
Rose abbassò rapidamente lo sguardo orripilata, prima di rendersi conto che era vestita e quindi l’altra non poteva saperlo. Le tirò una botta sulla spalla. “Lily, maledizione! Sei perversa! Sei persino peggio di James!”
“Mi diverto con poco, lo ammetto…” Scrollò le spalle. “Lo sapete che se vi becca un prefetto siete espulsi ancor prima di mettere piede al castello?”
Vide negli occhi della cugina il profondo dilemma interiore fra regole e passione adolescenziale. Poi, con sua sorpresa, si strinse nelle spalle. “Oh, beh. Siamo noi i prefetti.”

“Ben detto! Sono fiera di te, Rosie.”
“Oh, sta’ zitta, piaga… Che ci fai qui? Veramente? Non eri andata dalla tue amiche?” La scrutò con cipiglio pensieroso. “Va tutto bene?”

Diventerà un’ottima mamma. Se non altro, l’istinto da chioccia è tutto lì.
La prese sottobraccio. “Sì, ma i ragazzi sono più importanti delle amiche.”
“Hai una scaletta delle priorità agghiacciante.”
“Senti chi parla, Miss-Mi-Imbosco-Infrangendo-Le-Regole.”

“Non mi sono tolta la camicetta, e comunque…”
“… so quando menti?”
“Oh, miseriaccia. Ti riporto dagli altri. Maledetta ragazzina perversa …”
Lily rise.

 
 
****
 
 
Mare del Nord, Norvegia.
Istituto di Durmstrang.
 
Il mare del Nord faceva paura.
Chiunque dicesse il contrario era un idiota.
Sören guardava il mare gonfiarsi ed abbattersi con violenza sulla fiancata della nave, pronta a salpare alle volte di Hogwarts. Avrebbero fatto parte dell’equipaggio una dozzina di ragazzi, la rosa dei candidati a concorrere al Torneo Tremaghi. Lui sarebbe stato tra di loro, come Sören Luzhin, studente all’ultimo anno.
Si spostò lasciando passare una fila compatta di elfi domestici carichi di bauli. Un paio di ragazzi, infagottati nelle pellicce li seguivano dappresso: lanciò loro un’occhiata. La ricambiarono, ma distolsero subito lo sguardo.
L’influenza di suo zio arrivava fin lì: l’aveva infiltrato alla perfezione. Il preside era stato comprato con un ingente somma di denaro, e gli studenti erano stati tenuti all’oscuro, salvo il manipolo di papabili campioni.
Ma gli studenti migliori qui vengono considerati un elite. Una casta chiusa. Obbediscono, non si fanno domande.
È tutto ciò che mi serve.
Si guardò attorno: il castello era un fortino di alabastro nero, dalle guglie appuntite sembrava un gigantesco falco pronto a spiccare il volo. Per sette anni quella era stata la sua casa.
In un certo senso lo è stata…
Praticamente era stato come vivere nel castello degli Hohenheim. Anche lì veniva guardato con timore e diffidenza. Gli stessi professori, conoscendo o intuendo chi si nascondesse dietro il cognome che suo zio gli aveva fatto adottare, lo avevano sempre trattato come un figlio d’arte.
Nipote d’arte…
Lanciò uno sguardo al piccolo elfo che cercava, senza molto successo, di caricarsi sulle spalle il suo baule.
Era stato incantato per contenere molto più che la sua effettiva capienza, ed era evidente che la creatura non sarebbe mai riuscita da sola a issarlo sulla passerella della nave.
Sentì qualcuno alle sue spalle arrivare di corsa, un rumore secco di stivali di cuoio.
Sentì il suo corpo tendersi, e ogni senso accendersi in allerta. Contrasse e decontrasse un pugno.
Non c’è nulla di cui debba preoccuparmi adesso. Non sono tra amici, ma perlomeno, nessuno qui sarebbe disposto ad arrecarmi danno.
Gli si affiancò un ragazzo che indossava l’uniforme dell’istituto e aveva buttato sulle spalle un mantello di folta pelliccia di castoro. Un perfetto figlio del Nord.
“Levati dai piedi, sudicio inetto!” Sbottò quello, tirando un calcio all’elfo, che crollò a terra in un lamento. Si voltò poi verso di lui, con un sorriso deferente. Aveva il volto scavato da cicatrici di vaiolo di drago e una barbetta appuntita: non aveva un aspetto propriamente gradevole.
“Sono Poliakoff, Herr No…”
Lo afferrò immediatamente per la gola prima che potesse finire. Era una cosa buona avere sempre la guardia alzata.

Quando si incontrano certi incauti imbecilli…
“Pronuncia ancora quel cognome e sarò costretto a buttarti in mare…” Sibilò lentamente, in modo che capisse. “… Ti chiami Kirill, se non mi sbaglio.”  
Il ragazzo annuì, con un lampo di paura negli occhi. Quando lo lasciò andare tirò un respiro secco e gli tese la mano. “Sarò il suo tramite… Il preside mi ha informato di tutto. Divideremo la cuccetta durante il viaggio e…”
“Spero per te che non russi. Detesto i rumori mentre riposo.” Lo interruppe. Poi fece un cenno con la testa. “Il mio baule?”
Il ragazzo assunse un’aria stolida, quasi indignata. Dall’anello d’oro che aveva al dito mignolo era probabile fosse un nobile. “… il suo baule?” Chiese infatti, come se fosse un’incomprensibile barzelletta.

Sören inarcò un sopracciglio. “Il mio baule. È stato incantato con un adduco maxima², l’elfo non riesce a portarlo. Ci pensi tu?”
Quello fece una smorfia, ma annuì. “… Certo, Herr Luzhin.”
“Chiamami semplicemente Sören.” Si passò una mano sulla manica dell’uniforme. Era strano indossarla di nuovo. Era strano tutto quello, semplicemente. Ma non era questo che importava. “D’ora in poi saremo compagni di scuola…”
 
 
 
****
 
 
Note:
A voi l’ardua sentenza. Questo capitolo mette in piazza Lily. Spero piaccia.
1. Qui la canzone.
2.Chiamato in italiano anche incantesimo di estensione irriconoscibile. Permette di ampliare lo spazio all’interno di un oggetto, come una borsa o un baule, o di una stanza.

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Come al solito vi ringrazio per le splendide recensioni e vi bacio tutti/tutte forte. Per news o aggiornamenti andate a vedere il gruppo su Facebook. ;)
@Simomart: Grazie, mi fa piacere che Lily non ti sia risultata forzata! Essì, il fatto che sia una sorta di telepate, ti assicuro che servirà in futuro. ;) Sì, praticamente ha un orecchino che le inibisce i poteri, senza interferire però con la sua aura magica. E togliendoselo ... beh, non se l'è mai tolto, quindi neppure lei sa se tornerebbe a sentire i pensieri oppure la cosa è finita con la crescita, un po' come la magia accidentale. Vedremo ;P Faccio il possibile per la costanza, anche se penso che ormai il lunedì sarà il giorno di postaggio deputato. ^^
@Lu_pin: Beh, diciamo che l'ho inventato io, ma la telepatia da cui è stata ispirata no di certo! XD Dunque Soren è stato adottato da Hohenheim e di cognome in effetti, fa Hoheneim. Prince era il cognome di suo padre, che era fratello di Eileen Prince, la madre di Piton. L'ha ri-adottato perchè, molto semplicemente, è un cognome che non desta nessun sospetto, essendo quello di una famiglia purosangue estinta da almeno vent'anni. ;) Spero di essere stata chiara!
@Agathe: Tom è proprio una pigna nel sedere, lo so! XD Mi fa davvero piacere che, nonostante detesti il protagonista, apprezzi tutti gli altri e mi segui... è una soddisfazione, come ti ho già detto per mail! ^^
@ElseW: Mi fa piacere che tu abbia colto Lily... hai proprio ragione, è ossimorica! XD Ahahaah, anche io ormai lo vedo come Al, ed è terribile, visto che sta facendo film su film (nel prossimo farà Dartagna, con i capelli lunghi!) e Rose... beh, Rose è una ragazza, e Sy è pur sempre Sy! XD
@Nicky_Iron: Sei impagabile, meno male che mi scovi gli errori, a volte ce li ho proprio sotto gli occhi e non li noto! T_T Beh, Lily è figlia di Ginny, alla fine qualcosa avrà preso da lei, e molto meno dalla sua omonima (troppo gattamorta per me XD) Essì, la prospettiva sarà più femminile d'ora in poi! ;)
@MissBlackSpots:Grazie! Beh, sì, l'idea della LeNa è un po' ereditata dalla classica della telepate, ma penso che nel mondo magico siano più presenti e sopratutto vengano viste come una cosa naturale, no? ci sta tutto! XD E Soren... vedrai! ^^
@Idk: Scusami, ma è così complesso che non riesco a scriverlo tutto! XD E darò spiegazioni anche sul torneo... promesso!
@Lovermusic: ma no, perchè! Mi fa piacere risponderti invece! XD Tom è uno snob del cavolo, e purtroppo cerco di cambiarlo ma... sigh, non mi dà retta XD Soren e Lily qui li vedrai, promesso!
@Trixina:Grazie! Per come l'avevo sviluppata mi sembrava una conseguenza quasi naturale renderla un po' 'speciale'... mi ha fatto piacere che abbiate visto questa cosa non come una forzatura! Le amiche di Lily saranno un po' png ma credo le userò ancora! Natale sicuramente lo metterò, se mi entrerà, ma del resto, perchè no? XD Per l'aggiornamento, giuro, faccio il possibile! T_T
@altovoltaggio: allora siamo in due ad essere logorroiche! Seriamente, una recensione lunga è il miglior balsamo dopo una giornata frustrante. Per la questione della cicatrice… grazie, non sai quanto mi fa piacere sentirtelo dire. Per il Torneo non posso dirti proprio niente… ma diciamo che su UN punto ci hai azzeccato. Che poi è quello focale. :P Ed evviva che ti piace Lily!  Temevo molto anche il tuo giudizio, tu che sei una commentatrice così attenta e puntuale. Ed era proprio questo che volevo, dare una nuova visione alla cosa. Per gli errori grazie per la segnalazione! :D
@Red_93: Come promesso, ecco la risposta! Poteva forse mancare? Mi hai scritto una recensione enorme, e già per questo ti va il mio imperituro affetto! XD Beh, che dire… grazie per aver notato che ho sudato sette camice per dare a ciascun personaggio un’impronta di ‘Casa’. Se avessi fatto Al un coraggiosissimo eroe, sarebbe stato ridicolo. Lui si muove per interesse personale principalmente, per quanto poi finisca per essere il salvatore pure lui! XD Per Hugo troverò qualcuno, ma nel lungo periodo, per ora non c’è niente di certo. ;) James/Teddy invece è una delle coppie del fanon che secondo me è più realistica. XD Quindi grazie per aver apprezzato la mia versione! Scorpius l’hai ben inquadrato, anche se odio l’espressione, indossa spesso una maschera… piano piano si capisce! :D E Rosie… beh, è figlia di Hermione ma non è Hermione, quindi è normale che non abbia tutte le caratteristiche che fanno Herm una wonder-woman. È anche una ragazza cresciuta all’ombra di due genitori famosi, due eroi. Non so se mi sono spiegata bene… XD Loki sì, sarebbe andato d’accordo coi gemelli vecchio stampo. E Mike… io gli voglio bene, anche se è un bell’agente di disturbo. XD Sì, il dico e non dico è da bastardi… ma… serve a tener desta l’attenzione! XD Sono una stronza, lo so. Riferirò comunque i complimenti a mia mamma. xD E per il resto… no, il castello che ha visto Meike NON è quel castello, è la vecchia residenza. ;)
@hale_y: Essì, Al è decisamente più plateale, mentre Tom è il solito frigidino. XD Il chiarimento Mike-Tom ci sarà sicuramente, puoi giurarci. In seguito. Ahaah, le scaramucce Harry/Draco divertono anche me… e poi sono pur sempre un fan-service. E tranquilla, puoi continuare a chiamarlo Soldatino Soren, gli si addice. XD
@Andriw9214: Aaha, la RL uccide, lo so bene! Eh, beh… Mike ormai lo conosciamo, lui sperava… e invece! XD Beh, in realtà Lily non si sforza granchè per sembrare profonda, solo ogni tanto ricorda agli altri che ha un cervello che funziona anche senza pensare ai ragazzi e ai suoi sogni di egemonia XD I fratelli per esempio lo sanno bene, ma Rose… beh, Lily ha un rapporto controverso con le ragazze con un cervello! X) Poi vedrai! Sì, l’orecchino può essere tolto… è un po’ come un apparecchio per i denti! XD
@AlexielFay: Devo ancora ringraziarti per le meravigliose recensioni che mi hai lasciato puntualmente! Purtroppo, causa tempo contato, non ho la forza materiale per rispondere a tutte, ma sappi che le leggo e le adoro!  Comunque sì… Jamie deve imparare a svegliarsi presto e Al Caposcuola (grazie per avermi corretto) è… diciamo che era una naturale evoluzione del personaggio. Non è un tipo che aspira al potere, ma se ce l’ha, ne gode i benefici e si adopra per far funzionare le cose. È una persona così, e poi mi servirà in seguito per (oscuri) piani futuri! XD L’orecchino ce l’ha ancora, ma non si sa, proprio a causa di esso, se i poteri sono scomparsi o meno. E grazie per le considerazioni su Tom, sono sempre puntuali e veritiere! Eeeh, il rapporto trai quattro serpeverde la vedo difficile che torni come prima… ma mai dire mai, ho una mezza idea per Mike ;)


****

 
 
Capitolo XI
 
 
 

So stay there, because I’ll be coming over

And while our blood’s still young, it’s so young, it runs
And won’t stop til it’s over, won’t stop to surrender…
(Sweet Disposition, The Temper Trap¹)



3 Settembre 2023
Hogwarts, Dormitori maschile di Grifondoro.
Mattina.
 
Era il primo giorno ufficiale di scuola. Del suo ultimo anno.
Rose Weasley avrebbe dovuto riflettere malinconicamente sul tempo trascorso, o semplicemente limitarsi a sospirare struggente al bovindo di qualche finestra, ma era troppo occupata a sbirciare la porta del dormitorio maschile del Settimo anno – che poi era una stanza, non una caserma – e aspettare che il penultimo occupante si trascinasse insonnolito giù per le scale.
L’ultimo era come al solito Scorpius.
Quando entrò, la porta era aperta, beccò il suo ragazzo in mutande.
Fin lì niente di strano, Scorpius da bravo purosangue altezzoso qual’era si faceva attendere ogni mattina per poter arrivare in Sala Grande, farsi ammirare, fare la ruota e poi finalmente fare colazione.
La cosa strana era un’altra.
Lo trovò in mutande che cantava, con la radio sintonizzata sull’unica stazione della WWN che trasmetteva musica babbana.
Checché ne dicessero i puristi, gli adolescenti del Mondo Magico preferivano la musica babbana, a quella magica.
C’è anche da dire che a Grifondoro tra i nati babbani e chi ha almeno un genitore babbano è del tutto naturale che la wrock non vada granché. Molti la conoscono tardi, e non tutti apprezzano sentirsi elencare unguenti e incantesimi anche nella canzoni…
In ogni caso il suo ragazzo stava letteralmente ululando ispiratissimo un successo americano, guardandosi allo specchio, in tutta la sua beltà di muscoli pallidi da giocatore di Quidditch.
Lo osservò per un po’, trattenendo disperatamente le risate per godersi lo spettacolo di vederlo ballare: non che non avesse senso del ritmo, ma ballava come se fosse da solo – e pensava di esserlo in effetti.
Era esilarante.  
Scorpius Hyperion Malfoy era il Malfoy più atipico del creato: forse era come diceva lui, forse i geni Black si erano risvegliati dopo due generazioni di cinici frigidi … Comunque stesse la storia, genetica o meno, era fuori di senno come un balcone.
E lei lo amava per questo. Anche.
“Scorpius…” Lo chiamò, ricordandosi che erano pur sempre due prefetti e avevano degli obblighi. Compreso rispettare gli orari.
È molto più di una sensazione, quando sento quella canzone che erano soliti mettere alla radio… moolto più di una sensazione…!²” Continuò imperterrito, benché era certa che l’avesse sentita benissimo.
Scorpius!” Lo chiamò più forte. Quello si voltò di scatto, con in mano la bacchetta dalla parte del manico. Minimamente turbato si esibì in uno dei suoi sorrisi pieni di fascino. “Buondì biscottina!”
“Ciao scemo.” Gli sorrise, scuotendo la testa. “Sai che per esibirti di fronte alla platea dei tuoi amici invisibili sei in plateale ritardo?”
“Inezie!” Esclamò, scrollando le spalle e gettando la bacchetta sul davanzale con quella grazia innata che gli permetteva di non fare mai danni ed essere sempre impeccabile. Il sorriso poi si tramutò in un ghigno che Rose ormai aveva imparato a conoscere bene.

“Oh, no… Non ci provare!” Tentò, indietreggiando. “Siamo in ritardo!”
Ovviamente non venne ascoltata; venne anzi presa di peso e scaraventata sul letto dal pazzo seminudo che l’aggredì con un bacio da favola.
Che, naturalmente, fu costretta a ricambiare per evitare problemi.
I pazzi vanno assecondati, no?
La luce filtrava prepotentemente dalle finestre della torre, illuminando tutta la stanza. Era una di quelle mattine luminose ed epocali, in cui senti che sta per iniziare qualcosa perché lo annusi nell’aria.
Probabilmente c’entrava anche il fatto che per quella sera erano attese le due delegazioni di Beaux-Batons e Durmstrang e il via ufficiale del Torneo.
Rose lo spinse via con davvero poca convinzione, puntellandosi con le mani al suo petto. “Siamo in ritardo. E siamo due prefetti.”
“Trovo profondamente ingiusto che nessuno di noi due abbia avuto la carica di Caposcuola, Rosie…”
“Ti ricordo che per quanto siamo zelanti nel nostro lavoro, è già tanto che non ci abbiano ritirato la spilla…” Sospirò mentre Scorpius, imperterrito, le infilava le mani sotto la gonna e le baciava il collo.

“Sono triste.” Mugugnò contro la sua pelle, facendola rabbrividire e facendole in contempo dimenticare i morsi della fame, mentre sorgeva un altro tipo di bisogno. “Consolami.”
“Sei un maniaco. Vestiti.” Ricambiò spingendolo via e facendolo ricadere artisticamente indietro. Scorpius si buttò sul letto, ad uomo vitruviano, con un lamento.

“Non possiamo fare del sesso travolgente e poi fare i bravi prefetti?”
“No, non funziona così…” Gli diede un calcetto sul fianco, facendolo mugolare di puro e fintissimo dolore. “Andiamo, Malfoy. Colazione.”
“Preferisci della pancetta a me?” Inarcò le sopracciglia, con grandi occhi tristi, come tazzine da caffè, che un po’ scalfirono la sua voglia di essere un gelido generale prussiano. “Questo potrebbe incrinare il nostro rapporto.”
“Sono devastata, ma è così. Senza lo stomaco pieno seguire le lezioni sarebbe del tutto impraticabile, ti ricordo.” Mantenne comunque la linea, andando a prendergli l’uniforme. Il baule di Scorpius era ordinato quanto poteva essere ordinata la teoria applicata del caos. Dopo un paio di attimi, tra riviste, libri, materiale scolastico, trovò la sua uniforme. Accarezzò il cravattino rosso-oro con affetto: tutti non davano uno zellino a Malfoy come grifondoro, ma il Cappello aveva dimostrato di non sbagliarsi anche quella volta.

Scorpius era il grifondoro più coraggioso e leale che avesse mai conosciuto.
L’altro, ignaro dei suoi pensieri pieni d’amore, si contorse sul letto frustrato, prima di alzarsi in piedi e pettinarsi i capelli con le dita.
Odio le regole.” Proruppe capriccioso. “Sono del tutto sopravvalutate!”
“Se vuoi tornare all’epoca delle clave e le caverne fai pure…”

“Sì, con la mia magia sarei un dio e avrei tanti babbane sexy e compiacenti al mio servi-ahu!” Esclamò mentre gli venivano tirate le scarpe regolamentari. Si massaggiò un braccio. “Era solo una teoria nel campo dell’impossibile!”
“Non si sa mai… è precauzionale.” Gli porse l’uniforme, che l’altro prese con un broncio adorabile, se probabilmente non fosse stato tattico.
“Posso avere almeno un bacio prima di iniziare una dura giornata di studio?” Chiese infatti, con un luccichio pericoloso negli occhi.
Rose inarcò le sopracciglia, prima di ridacchiare e alzarsi sulla punta dei piedi per scoccargli un bacio… sulla guancia.
Ehi!
“Non hai specificato dove. Fila a vestirti…”
“Agh.” Borbottò, marciando verso il bagno. “Crudele despota!”

Rose rise di gusto, mentre la porta si chiudeva, certa che dietro di essa Scorpius stesse ridacchiando al pari suo. Era così il loro rapporto: lei era troppo complessata per mettersi a fargli dichiarazioni di imperituro amore, e lui troppo bisognoso di esternare per non sparare cavolate a raffica.
Era avere un equilibrio, ed era una cosa giusta.
Anche se c’è sempre quella piccola spina…
Serrò appena le labbra, chinandosi a cercare di mettere in ordine il baule.
La spina era la segretezza del loro idillio, avrebbe detto Scorpius per infarcire il discorso.
Cominciava a pesarle sempre di più, ed era una situazione in cui poteva dibattersi quanto voleva, ma c’era una sola possibile soluzione e l’atterriva più di ogni altra cosa.
Ci separerebbero. O ci odierebbero. Papà mi odierebbe.
Aveva un bel dire Albus che suo padre prima o poi avrebbe accettato la cosa. Lì non si parlava di una semplice antipatia da padre geloso. Era un odio stramaledettamente generazionale.
Sorrise appena, vedendo l’album di fotografie che aveva scattato con Scorpius e gli altri l’anno scorso. Si rabbuiò quando vide che era protetto da incantesimi.
Due ragazzi che si frequentano normalmente non dovrebbero nascondere le foto in cui sono assieme…
Fece per chiudere il baule, quando l’attirò una lettera. Era fuori dalla scatola in cui Scorpius teneva tutta la sua corrispondenza. Sembrava aperta da poco, forse la sera prima a giudicare dalla ceralacca ancora morbida negli angoli.
Era di suo padre, Draco Malfoy.
 
… e per quanto mi riguarda, sai come la penso. Spero che tu stia attentamente considerando le tue possibilità. Parlo come padre quando ti dico che sono certo che verrai selezionato, ma altrettanto certo che sarà una competizione dura…
 
Rose deglutì penosamente. Allora era vero, quel pazzo voleva partecipare al Tremaghi!
Stupido idiota!
Sentì dei rumori provenire dal bagno; Scorpius stava finendo di farsi la doccia, probabilmente tra pochi attimi sarebbe uscito. Lesse con la velocità della disperazione.
 
… tua nonna vuole che ti ricordi che molto probabilmente Violet farà parte della delegazione di Beaux-Batons. Sai come devi comportarti.
Aspetto una tua risposta, nell’attesa ti abbraccio.
Tuo padre,
Draco.
 
Chi diavolo è Violet?!
Sentì il rumore della porta che si apriva di scatto e presa dal momento non trovò di meglio che ficcarsi la lettera nella tasca esterna della borsa scolastica, lasciata casualmente aperta.
Scorpius uscì vestito e con i capelli ancora umidi, gettati con noncuranza all’indietro. Le sorrise. “Ehi, fiorellino. Colazione? Comincio a sentire i morsi della fame anch’io…”
Rose non trovò di meglio che ricambiare, con una stupenda faccia di tolla. “Sicuro…”
Com’è che ti devi comportare con chi!?

 
****
 
Dormitori di Serpeverde, Camera del Caposcuola.
Mattina.
 
Al al momento attuale adorava essere un Caposcuola.
Punto primo, la sua Casa era composta da meno di una cinquantina di elementi, considerando il fatto che i Serpeverde erano da secoli la Casa meno popolosa di Hogwarts. Dopo la Guerra Magica le file non si erano affatto rimpolpate, visto che era rimasta impressa nella memoria collettiva il fatto avessero disertato la battaglia.
Al pensava che fosse del tutto naturale che degli studenti, per la maggior parte minorenni, avessero avuto paura decidendo di mettersi al sicuro.
Comunque, avere pochi assegnati significava avere anche poco lavoro, sia come prefetto che come Caposcuola.
Punto secondo, a Serpeverde vigeva una rigida gerarchia per cui erano i prefetti ad occuparsi di tutto. L’anno prima Montague, fortunatamente diplomatosi, aveva fatto galoppare lui e Michel come purosangue da corsa mentre se ne stava mollemente disteso sui cuscini con la sua bella spilla.
Non che volesse in qualche modo seguire le orme accidiose di Terrance, ma in ogni caso…
… posso permettermi di dormire fino a tardi nella mia meravigliosa stanza singola con bagno privato.
Infatti, dulcis in fundo essere a Serpeverde voleva dire avere dei privilegi.
E lui, per quanto poco spesso gli piacesse, era figlio del Salvatore.
Per una volta potrei persino approfittarmene. In fondo è solo una stanza singola. Meravigliosamente singola.
Forse l’anno prima si sarebbe preoccupato delle malelingue. Ma aveva affrontato uno psicopatico, era stato rapito e quasi ucciso.
Al diavolo, me lo merito!
Sorrise contro il cuscino, nuotando con le gambe nell’enorme letto a baldacchino. Sapeva che era già abbastanza tardi, ma poteva permettersi ancora cinque minuti. La sua stanza era all’imbocco dei sotterranei, proprio accanto alla Sala Comune.
Sentì bussare la porta.
“Sono a colazione!”
“Stanno andando a fuoco i sotterranei, Caposcuola…” Disse una voce che non lo avrebbe ingannato neanche tra un milione di anni.

“Tom, quando vuoi farmi uno scherzo potresti almeno cercare di essere credibile…” Mugugnò, riemergendo dai cuscini per vedere il proprio ragazzo appoggiato allo stipite della porta, già completamente vestito, con tanto di mantello allacciato.
Doveva ammetterlo, Tom era uno spettacolo, se ti piacevano tenebrosi e praticamente inespressivi.
“A colazione, eh?” Ironizzò. “Vedo.”
“Pensi che possa farmela portare qui? Si sta così bene…” Sospirò, rincuneandosi nel caldo tepore delle coperte.

Una frazione di attimo dopo se le sentì strappare via, e lenzuola, cuscini e boccini di peluche vennero scaraventati dal lato opposto della stanza da un colpo di bacchetta.
Tom!
“Cerco di farti abbassare la cresta.” Disse, con un ghigno maligno. “Mi ringrazierai un giorno, credimi…”
“Ti odio, ridammele subito!” Strillò, sentendosi oltraggiato e congelato, mentre si portava le ginocchia al petto.

Tom rise. Non rideva mai apertamente come poteva fare James, o Lily… o chiunque altro, a ben pensarci. Era più un mormorio basso, il suo.
Gli si conficcava nel petto e gli faceva sentire lo stomaco annodato e uno strano calore al basso ventre.
Cacchio.
“… Perché non mi dai una sveglia come si deve scaldandomi, magari?” Suggerì sentendosi le guance avvampare, ma finse come al solito nonchalance.  
Tom gli lanciò un’occhiata, poi chiuse la porta alle sue spalle, sempre con la bacchetta.
Credo che per un po’ la userà anche per lavarsi i denti…
“Se proprio devo…” Finse noia. Male, per giunta, dal luccichio di interesse maniaco che aveva negli occhi.
“Oh, come se non volessi darmi il bacio del buongiorno…”
Tom non rispose, sedendosi sul letto e tirandoselo contro, schiena contro petto. Al aveva scoperto che essere abbracciato da dietro, anche al di fuori del sesso, era una delle cose più belle del mondo.
“Sono freddo, Al…” Gli disse. “Lo sono sempre stato, non troverai tanto giovamento, temo.”
“Non mi importa. Non mi piaci perché emani calore.” Rimbeccò, voltandosi e dandogli un bacio a stampo sulle labbra. “Né perché sei simpatico, a dirla tutta.”

“Mh.” Replicò poco impegnativo.
Notò in quel momento che era rigido e aveva la mascella serrata.
Si ricordò improvvisamente che Tom divideva ancora la camera con Michel e Loki. La sera prima era troppo insonnolito e distrutto per fare mente locale, e gli aveva semplicemente dato la buonanotte prima di infilarsi nella sua nuova, fichissima, camera.
“Com’è andata stanotte?”
“Bene.” Gli fece un grattino sulla pancia, con l’intento di distrarlo. Quasi ci riuscì, visto che Al cominciò a spalmarsi su di lui, non del tutto consapevolmente, come un gatto.

Merda! Sa che adoro che mi tocchi lo stomaco… Dannati ormoni! Dannato testosterone!  
Dannato!
“E stamattina?” Riprese coscienza, sciogliendosi dall’abbraccio e mettendoglisi di fronte.
“Bene.”
“Cazzate.”
“Al…”
“Tom?”
L’altro sospirò, e poi si arrese all’inevitabile terzo grado. “Zabini non mi rivolge la parola. Loki è sempre stato un tipo poco loquace. La situazione è piuttosto… tesa. Si sente la tua mancanza …”
“Mi dispiace…” Si morse un labbro. “Dovreste parlare.”
“Io e lui ormai siamo oltre ogni possibile rappacificazione. È passata troppa acqua sotto i ponti.”
“… però…”

Al, senza false modestie, sapeva di rientrare nell’equazione che aveva fatto peggiorare i rapporti trai due. Tom era geloso e Mike infatuato di lui. Erano un confringo pronto ad essere esploso.
Non che la situazione gli facesse piacere. Ci aveva provato, ma ormai la sapeva più lunga che mettersi in mezzo tentando di farli ragionare.
“Forse hai ragione…”
“Ce l’ho.” Confermò, poi esitò. Dietro il suo sguardo pressante alla fine si decise a parlare, anche se a malincuore. “Tu e Zabini siete… amici.” Stimò lentamente. “È una cosa diversa. Io non tengo a lui e lui non tiene a me. Voi avete bisogno di chiarirvi.” Concluse pacato, prima di alzarsi. “Ora comunque non è il caso di parlarne. Sei in ritardo.” 
Al si rese conto in quel momento che, effettivamente se Tom era completamente vestito. Aveva anche la borsa con i libri, gettata indolentemente a tracolla.
“… Quanto tardi?”
“Sono le otto e un quarto.”
“Per tutti i troll!” Sbottò prima di schizzare in bagno, tirandosi dietro la porta. “Potevi venire prima!”

“Questa è una cosa che non mi hai mai detto.”
Ci fu un attimo di silenzio mentale.

“Sei un pervertito!” Si sentì in dovere di strillargli contro, prima di rinchiudersi in bagno per la preparazione mattutina più veloce della storia.

Tom sorrise, scuotendo la testa mentre si sedeva di nuovo sul letto: stuzzicare Albus rimaneva una delle cose che più riusciva a rilassarlo al mondo.

Comunque…
Di andarsene in Sala Grande per conto proprio non se ne parlava.
Si rigirò la bacchetta tra le dita.
C’erano sguardi per lui, e sussurri. Poteva fingere che non gliene fregasse nulla, ma sapeva in fondo che non era così.
Era stanco delle attenzioni altrui: diversamente dal precedente proprietario della sua anima, si era scoperto disgustato dalle luci della ribalta.
Non è così che voglio vivere…
In realtà non sapeva come fosse stato realmente Voldemort prima di perdersi nel vortice della sua stessa follia omicida, né tantomeno sapeva come fosse la sua vera famiglia. Quello di cui era certo era che non sarebbe diventato un condottiero. Non aveva l’empatia necessaria per trascinare folle.
Al diavolo. La gloria eterna la lascio agli idioti che hanno bisogno di applausi per vivere.
Fece una smorfia, guardando la porta ben chiusa.
Ci sarebbe voluto un po’ prima che le voci su di lui si spegnessero. Naturalmente il Torneo, come preventivato da Al, aveva distolto molto l’attenzione da lui. Ma non del tutto.
Sperava nell’arrivo delle delegazioni, a quel punto.
Chiuse gli occhi, ascoltando il rumore continuo e tiepido della doccia che si stava facendo Al.
D’ora in poi voglio vivere tranquillo.
Sperò che pensandolo non avrebbe ottenuto l’effetto contrario.
 
 
****
 
Scozia, Lago Nero.
All’interno del vascello di Durmstrang.
 
 
… poi Hrothgar, parlò: Riposo? Cos’è il riposo? Il rimpianto è tornato.
Beowulf, figlio di Ecgtheow, parlò: Mio saggio sire, non pianga. È sempre meglio vendicare quelli che a noi sono stati cari, vivere in questo mondo significa attendere la nostra fine³…

 
“Emersione tra tre minuti!”
La voce diffusa magicamente dentro la cambusa fece scattare in piedi molti dei ragazzi lì riuniti, chi preso da una partita a scacchi, chi nelle chiacchiere dell’attesa. Molti si precipitarono nelle proprie cuccette, per riordinare i pochi effetti personali in vista dello sbarco. Alcuni rimasero, e tra questi Sören.

Non alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo. Si limitò ad assicurarsi di non essere in dirittura di nessun oggetto contundente; le immersioni del vascello potevano essere piuttosto traumatiche, se non vi si era abituati. O semplicemente avvertiti.
A lui era già capitato una volta di assistervi come parte dell’equipaggio, per una conferenza di magia internazionale a cui aveva partecipato quando era al sesto anno.
Non riusciva quindi a far parte della chiara aspettativa che animava gli altri compagni.
Poliakoff, accanto a lui, sembrava elettrizzato. Aveva già indossato la divisa di gala. “Tra poco saremo in Scozia, ad Hogwarts… dicono che le streghette inglesi abbiano il sangue più caldo di quanto non si pensi! Ti dirò, non vedo l’ora di conoscerne qualcuna…”
“Non mi interessa…” Lo tacitò con aria annoiata. Di certo non era lì per far conquiste.

Sarebbe già stato tanto se fosse riuscito ad avvicinare quella ragazzina. La sola idea gli stava facendo venire l’emicrania.
“Ah, giusto… beh, tu sei qui per…” Ad una sua occhiataccia si zittì, poco prima che il contraccolpo della nave che emergeva dalle acque lo facesse quasi sbalzare dalla panca. “Dannazione!” Sbottò.
Sören ghignò appena sotto i baffi.
“Sembra che siamo arrivati ad Hogwarts…” Disse invece alzandosi. Mise un segno alla pagina, prima di incamminarsi sopracoperta, sordo al richiamo dell’altro ragazzo.
Si appoggiò al parapetto mentre la superficie del Lago Nero – gli avevano detto si chiamasse così, anche se era in realtà un sistema di laghi comunicanti – gli appariva come uno specchio d’ossidiana.
Hogwarts era di fronte a lui, un imponente castello scozzese illuminato da tanti piccoli fuochi, finestre.
La magia sembrava espandersi nell’aria come una brezza fresca e rinfrancante, dopo tutti quei giorni passati a respirare aria viziata.
Poliakoff gli si affiancò, respirando a pieni polmoni. A quanto sembrava, aveva notato anche lui la differenza.
“Questo posto… è magico.” Disse, e Sören si trovò d’accordo con lui.
Per quanto non avesse mai calcato il suolo britannico sentì un’inspiegabile stretta al cuore.
Nostalgia.
Nostalgia per un posto in cui non sono mai stato… È forse possibile?
Quella era stata la culla di parte del suo sangue, dei Prince. Forse era per quello.
Ma in cuor suo, non era del tutto certo che fosse così.
 
 
****
 
 
Hogwarts, Sala Grande.
Ora di cena.
 
La Sala Grande era stata tirata a lucido come non mai.
Gli stendardi delle Case beccheggiavano magicamente, come sospinti da una dolce brezza e agli hogwartsiani era stato ordinato di indossare l’uniforme.

Serpeggiava un senso di attesa e trepidazione tra le quattro tavolate: le voci si frapponevano l’un l’altra creando un brusio a malapena contenuto dagli imponenti muri di pietra.
Stava per darsi ufficialmente il via al Torneo Tremaghi.
“Per la barba di Merlino, Lils, hai visto là?” Indicò Hugo, spenzolandosi dalla panca con la cravatta che minacciava di strangolarlo. Lily distolse l’attenzione dalle chiacchiere delle amiche: davanti alla tavola dei professori era stata posata, subito accanto al leggio del Preside, una struttura a piani, completamente dorata, che le ricordò una gigantesca torta nuziale: sembrava che tutta l’attenzione della sala gravitasse attorno ad essa.
“È il calice…” Le spiegò il cugino, dandole di gomito. “… e guarda tutta quella gente del Ministero e… ehi, c’è zio Percy!” Esclamò sbalordito.  
“Lo vedo… è lì da dieci minuti almeno.”
“Beh, io non l’avevo notato! Spero non noti me… verrebbe qui per rompermi l’anima di sicuro.”
Rose arrivò, affannata per la corsa, cercando, senza un briciolo di disinvoltura, di non far notare che dietro di lei c’era Scorpius. “Oh, la coppa è là dentro? Ah, ma c’è anche zio Percy!”
“Non è il Direttore del Dipartimento di Cooperazione magica? Con due scuole straniere, deve essere qui.” Le fece spazio sulla panca Scorpius stesso, sedendosi in scioltezza. “Ah… quello con cui sta parlando è Anthony Rickett, Direttore del Dipartimento Per i Giochi e Sport Magici.”  
“Certo che ne sai di cose sulla gente del Ministero!” Esclamò Hugo ammirato.
“Mio padre.” Rispose l’altro. “Mi farebbe ingoiare l’organigramma a memoria, se dipendesse da lui. Per fortuna ho un’ottima memoria.” Poi ghignò divertito, notando che il ragazzino era indeciso se sedersi o meno accanto a lui, memore forse delle raccomandazioni primigenie paterne. “Non mordo, Hughie… Guarda, ho rubato la caraffa di succo di zucca solo per te.”
“Ah… grande!” Si convinse immediatamente, sedendosi. “Ehi.” Soggiunse, piantando i gomiti sulla tavola. “Voi chi pensate che si candiderà? Per essere, sapete, il campione di Hogwarts…”
Lily notò che Rose si era irrigidita con la naturalezza di un blocco di granito; Scorpius au contraire si era illuminato. “Chissà.” Disse quest’ultimo. “Se mi ricordo bene, dovrà per essere per forza maggiorenne… quindi, solo dal Settimo anno in poi.”

“Di sicuro sarà un Grifondoro o un Tassorosso… gente coraggiosa e leale, insomma!” Proclamò Hugo con piglio sicuro.
“Sicuramente.” Confermò Scorpius con un sorriso pigro. Rose gli scoccò un’occhiataccia.
Scorpius vuole candidarsi?
Ma che sooorpresa…
Lily lasciò perdere le riflessioni sulla coppia. Lo sguardo le cadde verso la tavolata dei serpeverde; Tom e Albus erano seduti accanto, suo fratello a capotavola, in quanto Caposcuola. Tom gli stava dicendo qualcosa, e dall’espressione esasperata e divertita di suo fratello, dovevano essere oculate malignità.  
Zabini e Nott erano seduti lontani però: a quanto sembrava Al non era ancora riuscito a ricostituire il quartetto.
Con tutta quella tensione sessual-emotiva che c’è è praticamente un’impresa titanica.  
“Dicono che le ragazze di Beaux-Batons abbiano tutte discendenze Veela…” Spiegava intanto Hugo ad un esilarato Malfoy. “Te lo immagini?”
“Hugo, no. Le Veela non spuntano come funghi, sono molto rare!” Lo riprese subito Rose, esasperata.
“Beh, magari in Francia invece non lo sono! Magari in Francia sono funghi.”
“Morgana benedetta…”

“Il ragazzo ha ragione.” La interruppe Scorpius, trattenendo una risata. “Sarebbe fantastico se fossero tutte ninfe meravigliose…”
“Sai come le chiamavano in Antica Grecia le Veela, Malfoy? Le arpie.” Scandì Rose artica. “Si trasformavano in uccelli con becchi acuminati e strappavano il cuore delle proprie vittime per mangiarlo.”
Cadde il silenzio.

“Rosie, ferisci i miei sogni…” Mugugnò Scorpius facendoli ridere. “No, seriamente, sai che il mio cuore appartiene solo a te.”
Hugo fece una faccia schifata, fingendo di interessarsi al grado di pulizia della sua forchetta, peraltro immacolata.

Rose invece arrossì. “Non qui!” Sibilò allarmata.
“Mica ti ho baciata, caramellina, rilassati…”
La piccola lite fu spenta indirettamente dal Preside, che si arrampicò alla sua postazione; si puntò la bacchetta alla gola e, forte di un incantesimo amplificante, parlò.

 
“Attenzione, studenti! Come sapete, quest’anno, nella nostra scuola, si terrà il ventennale dalla Battaglia di Hogwarts… Abbiamo voluto celebrare quest’occasione con la restaurazione della più antica competizione tra le scuole magiche d’Europa, il Torneo Tremaghi!”
Fece una pausa perché tutti potessero assimilare la notizia. Esplose un coro di mormorii e sussurri eccitati che si spense solo ad un suo gesto imperioso.
“Per chi non lo sapesse, il Torneo Tremaghi è un’antica competizione che chiama a raccolta tre scuole, per una serie di gare magiche… verrà scelto un solo campione per ogni scuola, e le scuole in lizza sono l’Istituto Durmstrang, l’Accademia di magia di Beaux-Batons e, ovviamente, Hogwarts!”
 
Tom fece una smorfia, mentre partiva uno scroscio di applausi entusiasti. “Certo, celebriamo una battaglia con prove che comprendono violenza fisica e psicologica. Lo trovo sano.”
“Oh, sta’ zitto…” Esclamò esasperato Al: a volte Tom aveva delle idiosincrasie fulminanti e parimenti ingiustificate. Meike Wollin, dall’alto dei suoi undici anni, non aveva sbagliato a chiamarlo brontolone.

Lo è.
“Hai pensato che questa storia, invece che un’opportunità per cementare l’amicizia intercontinentale, non possa essere piuttosto una manovra politica?” Continuò, ignorandolo.
“E per cosa?”
“Non saprei. Considera che è stata molto pubblicizzata dalla Gazzetta. Forse il Ministero vuole dare l’impressione che Hogwarts sia sicura e non in mano a psicotici rapitori. Cosa c’è di meglio di una competizione che mette in luce quanto esso collabori con altri paesi in pacifica tranquillità?”

“Sei paranoico. E anche megalomane. Non gira tutto attorno a te.”  
“Non sono…”
“Sì invece.” Gli sorrise. “Ma ti voglio bene lo stesso.”
“Era solo una supposizione.” Brontolò accettando il punto. Accettò anche la sua carezza sulla spalla, anche se con la tattica di un gatto che voleva farsi perdonare di essersi affilato le unghie sui mobili. L’aveva piuttosto spesso di quei tempi. “E comunque voglio proprio vedere chi sarà l’idiota a mettere il suo nome nel Calice.”
“Penso lo vedremo presto…”

 
“… ma avremo tempo per entrare nel dettaglio del Torneo. Ora vorrei che deste un caloroso benvenuto alla delegazione di Beaux-Batons e alla sua preside, madame Maxime!”
 
Hugo assunse un’espressione beota mentre il corridoio centrale veniva invaso da una dozzina di ragazze dai lineamenti sottili, racchiuse in uniformi color turchese, con un vezzoso cappellino appuntato sui capelli. Erano affiancate dai ragazzi, che davano loro il braccio.
Quello che era piuttosto palese era la grazia e la bellezza di ciascun membro della delegazione. Persino i maschi sembravano essere stati accuratamente selezionati per non sfigurare accanto alle loro dame.
Che ci fosse una coreografia studiata dietro o meno, il loro ingresso, accompagnato dallo sprigionarsi di piccole volute di luce che forse erano fate, fu salutato con mormorii di ammirazione e da applausi adoranti da parte della popolazione maschile.
Rose rifilò una gomitata a Scorpius. “Non. Sorridere.”
“È una paresi facciale, ti giuro fiorellino. Non posso combatterla.”

Rose sbuffò, vinta: poi sia lei che Lily notarono che…
“Ehi Lils, ma quella non è Dom?”
Fu una sorpresa vedere la cugina d’oltre manica: addosso a lei l’uniforme sembrava bizzarra. Non perché le stesse male, pensò Lily, ma…
Considerando che l’ultima volta che l’abbiamo vista era coperta da capo a piedi di terriccio e foglie per un appostamento notturno …
“Merlino benedetto, dove sono i suoi anfibi?” Sussurrò infatti Rose, nascondendo una risatina. Dom, che stava sfilando accanto a loro, parve sentire la battuta. Si voltò e fece una linguaccia, prima di essere quasi trascinata via dal suo furente e imbarazzato cavaliere.
“È proprio lei, non c’è dubbio.” Confermò Lily.
“Vostra cugina?” Chiese Scorpius. “Ragazza particolare. Ha un piercing al naso o vedo male?”
“Vedi benissimo. Dovresti vedere i tatuaggi… È strano che l’abbiano messa in delegazione… Non è che sia il vessillo di Beaux-Batons, ecco …”  Spiegò Rose guardandola con aperta simpatia, cosa rara da vederle fare con una ragazza. “Ma è tosta. Se mettesse il suo nome nel Calice potrebbe essere scelta.”

 
Mentre la delegazione francese si sedeva alla tavola dei Corvonero – chissà, forse per fare pendant con i colori delle uniformi -  il Preside, dopo aver salutato con calore di una vecchia amica l’anziana Preside francese, riprese la parola.
“E ora accogliamo l’Istituto Durmstrang!” Per essa non furono spesi aggettivi, notò Lily.
Non era certo un mistero che a Durmstrang fossero mal tollerati gli incroci. Ma se i nati babbani erano stati ammessi, dopo la Seconda Guerra Magica, così non era stato per gli ibridi.
Quale Vitious è…
 
Le porte lasciarono entrare  la seconda delegazione. L’impressione che quelli di Durmstrang fecero sugli studenti fu totalmente diversa.
Persino Scorpius smise di sorridere.
Erano circa una quindicina, tutti uomini. I primi della fila scortavano il Preside e sembravano appena usciti da un combattimento, rasati e con spalle coperte da una folta pelliccia di qualche animale siberiano. Ma erano le uniformi a fare maggiore impressione: erano color del sangue, della stessa foggia di quelle che poteva avere un soldato. Il Preside stesso, calvo e dalla barbetta caprina, sembrava un generale.  
“… solo io sono spaventato?” Pigolò Hugo, e l’espressione di Scorpius sembrò comprensiva.
“E tu che avevi paura di Dom…” Ironizzò Rose.
Lily si sporse, perché in quella selva di grossi bestioni c’era qualcuno che le interessava.
Sören doveva essere lì in mezzo.
“Ehi, dov’è il tuo amico?” Chiese infatti Rose, occhieggiando con quieto interesse.
“Non lo so… dovrebbe…”
Poi lo vide.

Era impossibile non riconoscerlo anche se al momento non gli venne proprio di ricordare la foto che gli aveva mandato due anni prima per fare adeguati paragoni.
Semplicemente lo isolò dagli altri e ne ebbe la certezza.
Era in fondo alla fila e quasi non si notava, essendo meno massiccio dei compagni: non era infatti molto alto ed aveva un fisico asciutto, agile. Non era neanche rasato, ma aveva i capelli che scendevano, lunghi e color della pece, ad incorniciargli il viso magro. L’unica cosa che lo accumunava agli altri era l’aria poco amichevole e decisamente marziale.
Per riassumere, non era bello. Era interessante.
Ed è lui.
Se lo ripeté, sporgendosi dalla panca quando le passò a pochi metri di distanza: li divideva solo il suo compagno di fila, un tipetto brutto e con la faccia butterata.
A quel punto la guardò. Per essere più precisi, le piantò gli occhi in faccia e Lily sentì, per la prima volta in vita sua, qualcosa stringerle lo stomaco.
Aveva gli occhi più neri che avesse mai visto: assomigliavano al non-colore che si percepiva quando, in una stanza, dopo aver spento le candele gli occhi si dovevano abituare al buio.
Non era del tutto certa fosse una sensazione gradevole. Ma neppure sgradevole; era una cosa strana.
Inspirò, premurandosi comunque di sorridergli.
Devo farmi riconoscere, no?
Il ragazzo non ricambiò il sorriso, distolse piuttosto lo sguardo e tirò dritto. L’unico segno che le diede fu un leggero cenno della testa.
“È lui?” Spiò Rose, che probabilmente aveva notato lo scambio di sguardi. Lily si chiese se ci fosse qualcuno di fronte a lei che non l’avesse fatto. Le era sembrato infatti che il tempo si fosse congelato; qualcun altro doveva averlo notato, no?
“Sì…” Confermò, mentre lentamente il mondo ritornava a fuoco.
Sensazione curiosa…
Rose la guardò in modo strano. “Mm-mh.” Si limitò a dire.
“Che c’è?”
“Hai una faccia diversa …” Le spiegò meditabonda, quasi neanche lei fosse certa dell’aggettivo.

“Diversa da cosa?”
Rose non rispose perché, con le delegazioni ormai sedute, Percy Weasley ritenne che finalmente fosse arrivato il suo momento, e sostituì Vitious al leggio per snocciolare indicazioni e regole con suprema soddisfazione. Rose ovviamente ne venne catturata come una mosca al miele: lei e lo zio avevano un feeling speciale, secondo Hugo fatto di puntigliosità e pallosità.

 
“… devo ricordare che solo maghi maggiorenni, di anni diciassette quindi, potranno partecipare al Torneo. Per questo motivo è stato apposto un incantesimo di età attorno al Calice. Chiunque sia minorenne …”
 
Lanciò un’occhiata a Sören. Si era seduto in mezzo agli altri, e sembrava, come quasi tutti, educatamente interessato alla sequela di regole e raccomandazioni.
Aveva qualcosa di diverso: per quanto gli altri fossero tendenzialmente torvi, molti di loro, finita la sfilata, si erano rilassati. Alcuni guardavano cupidamente il banchetto, altri ridacchiavano sottovoce. Un paio di loro stavano persino scambiando qualche parola coi ragazzi di Serpeverde, al cui tavolo si erano accomodati.
Il suo amico no. Non stava degnando praticamente nessuno di uno sguardo. Era completamente assorbito dalle parole di suo zio Percy.
O almeno così sembrava. Non ne era del tutto certa, anche se era solo una sensazione.
Sì, brava. Peccato che tu di sensazioni ci vivi da una vita…
 
“… è stata aggiunta inoltre una nuova regola. Ciascun candidato avrà la possibilità, diversamente dal passato, di avere un assistente. L’assistente dovrà essere necessariamente uno studente maggiorenne, appartenente alla sua stessa scuola. L’assistente sarà un aiuto nello svolgersi delle tre prove, ma non potrà sostituire il Campione in caso di infortunio…”


“Ma non c’era tutta quella retorica pazzesca sul fatto che il Campione dovrebbe vedersela da solo?” Interloquì Hugo perplesso.
Rose scrollò le spalle. “Credo che sia una misura precauzionale intelligente, invece. E poi si sa benissimo che nelle edizioni passate tutti baravano per aiutare il proprio Campione… Ti ricordi che zio Harry ci ha raccontato che Krum e zia Fleur venivano pre-avvertiti dai propri presidi? E che lui stesso ha aiutato più di una volta Diggory e viceversa? Praticamente hanno regolarizzato una prassi già in uso…”
 
“L’assistente verrà scelto dal Campione con previa autorizzazione del suo Preside. Non servirà che metta il suo nome nel Calice…”
 
“L’assistente quindi, se ho capito bene, otterrà gloria momentanea…”
“Tom!”
“… magari una targa nella Sala Trofei…”
“Sei un guastafeste!”
“Perché, ti piacerebbe attendere a questo ruolo?”
“Neanche per sogno!”
“Ecco.” Sorrise Tom divertito, mentre l’altro sbuffava sonoramente. Diede un’occhiata complessiva ai loro nuovi compagni di tavolo. Sembravano tutti uguali, piccoli moloch di cemento ottusi, tranne…

Batté le palpebre sorpreso, quando vide che uno di loro, l’unico che non sembrasse uno scimmione, fissarlo. Sembrava anche lo facesse da un po’.
Gli sembrò di conoscerlo. Di averlo già visto, il che era ridicolo.
Non fu una bella sensazione.
“Che c’è?” Chiese Al, toccandogli un braccio.
Distolse lo sguardo.
“Niente…”
 
“… il nome del Campione verrà sorteggiato da una fonte imparziale, quale è il Calice. Ed ora…”
Percy estrasse la bacchetta e in un attimo l’attenzione della sala fu di nuovo su di lui.
Con un lieve movimento della bacchetta tramutò la struttura d’oro in un enorme calice istoriato in cui brillava una potente fiamma azzurra.
“Chiunque voglia attendere al Torneo dovrà scrivere il proprio nome su un pezzo di pergamena e gettarlo nel fuoco del Calice prima di venerdì sera a quest’ora. Per usare le parole di Albus Silente, non fate questa scelta con leggerezza. Il prescelto non potrà tirarsi indietro… ” Fece una pausa tutti, dagli studenti ai professori, sembrarono trattenere il fiato. “Signore e Signori… Si dia inizio al Torneo Tremaghi!” 
 
 
****
 
Note:
Ormai penso sappiate in lungo e in largo com’è fatto Sören, ma per maggiori informazioni è questo tipo qui o qui . Grazie per l’attenzione.
1. Qui la canzone.
2. I gusti musicali di Sy
3. Dal Beowulf. Qui maggiori informazioni.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Mi spiace ma ha questo giro non riesco a rispondere alla recensioni… sorry, ma ho la laura della mia BFF (tanto per americanizzare un po’ alla cazzo di cane) e devo occuparmi che non venga fuori un’orrore.
 
****
 
Capitolo XII

 


 
 
Calling all the stars to fall
And catch the silver sunlight in your hands
I've waited for a thousand years
For you to come and blow me out my mind
(Lyla, Oasis)¹
 
 
4 Settembre 2023.
Hogwarts, Sala Grande. Ora di colazione.
 
Albus non sapeva chi sarebbe stato il Campione di Hogwarts.
Seriamente, se avesse dovuto dare un nome, probabilmente avrebbe balbettato nella confusione più assoluta. C’era una rosa di papabili, naturalmente, di cui si stava vociferando da almeno quarantotto ore.
Al momento non se ne ricordava manco uno.
In ogni caso, lui era occupato. Primo, ad organizzare turni di sorveglianza dei suoi prefetti, secondo a controllare che li rispettassero ed evitare il nonnismo sui primini – un evergreen in casa verde-argento. Non indulgeva nel confabulare al tavolo della colazione, dove era al momento, invece di essere peraltro già a lezione.
Non era del tutto colpa sua: prima un paio di ragazze di Beaux-Batons lo avevano fermato, vedendo la sua spilla, e gli avevano detto di essersi perse. Aveva dovuto accompagnarle fino all’aula in cui avevano lezione, visto che non riuscivano a decifrare l’orario.
Tom, che aveva auto-eletto camera sua la loro camera, si era dileguato non appena avevano attaccato bottone.
Bastardo.
Essere Caposcuola, aveva scoperto in quelle quarantotto ore, non era solo mollezze e privilegi.
Non se vuoi farlo decentemente. È c’è questo mio stupido senso del dovere…
Come se non bastasse l’altro Caposcuola era un Tassorosso. Nulla da eccepire sulla Casa che aveva ospitato Teddy, ma Megan Bones dalle sue discendenze sembrava aver preso molto poco.
Non che non fosse una brava ragazza, gli era sembrata una a posto alla presentazione sul treno, ma era anche palesemente spaventata dall’eventualità di dividere la carica con lui, un Serpeverde, per quanto figlio del Salvatore. Sembrava essere molto amata però, dai suoi compagni di casa e dal resto della scuola.
Manderò lei avanti per le pubbliche relazioni…
Per quanto avesse cercato di vedere solo i lati buoni della sua nomina doveva ammettere che molti sembravano convinti che fosse dovuta solo ai suoi natali.
Beh, nessuno sa che ho fatto l’anno scorso. Nessuno sa di Fanny, né della Bacchetta. Meglio che continuino a darmi semplicemente il merito di essere un buon Cercatore…
Accanto a sé Tom, sordo ai suoi arrovellamenti interiori, stava imburrando una fetta di pane con calma.
“Tom, lo sai che è mostruosamente tardi?” Lo apostrofò trangugiando vitale succo di zucca: senza quello non riusciva ad ingranare la giornata.
“Per te, forse. Io non ho lezione, non ancora. Andrò a ripassare in biblioteca.” Gli comunicò con sorriso pigro. “E comunque puoi anche evitare di ingozzarti come un ippogrifo. Gli elfi delle cucine hanno l’ordine di tenere il cibo caldo sui tavoli e rifornirli finché l’ultimo studente non si è alzato…”
“Come lo…?” Cambiò approcciò. “Dove l’hai letto?”
“In Storia di Hogwarts, naturalmente.”

“La stai ripassando spero…”
“No, la so a memoria.” Ironizzò l’altro. Gli mise poi la fetta di pane millimetricamente imburrato nel piatto.

“Beh?” Gli chiese.
“È per te. Io odio il pane imburrato con questa quantità di marmellata di mirtillo. È da glicemia.” Replicò con aria infastidita.
Al gli sorrise, dandogli una pacchetta sulla mano: Tom era matematicamente incapace di fare qualcosa di carino ed esserne contento. Doveva sembrare infastidito per mascherare l’imbarazzo.
“Quando vuoi sei dolce.”
Non sono dolce. Mi preoccupo che il tuo stomaco non cominci a gorgogliare a lezione. Come ieri sera. Ha smontato tutta l’atmosfera.”
Ti prego.” Inarcò un sopracciglio. “Non mi sembra di ricordare che ti sei smontato, Signor Dursley…”
Tom fece una smorfia, ma accettò il punto. “Non eri in ritardo?”
“In effetti… ci vediamo a pranzo!” Afferrò la borsa con i libri, fida compagna di sette anni, più lisa e macchiata che mai e si infilò la fetta di pane trai denti. Non potendo comunicare altrimenti, gli arruffò i capelli.

Tom si divincolò irritato, schiacciandoseli di nuovo visto che si erano rizzati in aria.
È perché sono troppo corti…
“Sparisci.” Sbuffò, prendendo a suggere the con aria da lord e i capelli ancora dritti sulla nuca.
Al represse una risata e corse via. Prima di varcare il portone si arrischiò a lanciare un’occhiata alle sue spalle.

Tom era sempre lì.
Bene…
Prima o poi gli sarebbe passata quella stupida mania di controllare che non fosse scomparso di nuovo.
Per il momento, decise, se la sarebbe tenuta.
 
Quando arrivò all’aula di Difesa Contro le Arti Oscure dovette bloccarsi a metà corridoio.
Davanti alla porta infatti c’era Michel, con Loki: stavano chiacchierando, appoggiati indolentemente al muro.
Bene, non è così tardi allora…
A parte le sue considerazioni temporali, si sentiva a disagio. Sapeva che avrebbe dovuto parlare all’amico, glielo aveva detto persino Tom.
E si sa che non è un grande fan della nostra amicizia…
Ma non sapeva cosa dirgli. La realtà è che aveva sfruttato Michel: per tutto il semestre prima si era aggrappato a lui, al conforto che gli aveva dato e alle occasioni di svago che gli aveva servito in un piatto d’argento, tutto pur di non pensare al suo ragazzo scomparso letteralmente nel nulla.
Doveva parlargli, ma sapeva che non sarebbe stato facile. Non lo aveva avvertito, non lo aveva chiamato.
Doveva parlargli e non trovava il coraggio.
Ti meriteresti un applauso Al…
Michel poi tirò dritto, sorpassandolo senza vederlo. Era una fortuna che non avesse scelto quella materia per i MAGO, come invece aveva fatto Loki.
Tirò un sospiro e si apprestò ad entrare. L’aula era stipata di persone, visto che la delegazione di Beaux-Batons seguiva le lezioni con loro avendo un programma scolastico molto simile. Era strano vedere tanto celeste in un mare solitamente nero di uniformi.
Si aspettava quindi di trovarci Dominique, loro coetanea, e non c’era.
Non si aspettava di trovarci…
… Lily?
“Ciao fratellone.” Sorrise placida, tra tre ragazzi francesi.
“… Non sei un po’ piccola per il Settimo?” La prese in giro, tirandole una ciocca di capelli, quel giorno acconciati in due codini.
“Ero qui per vedere se c’erano anche i ragazzi di Durmstrang, ma Rosie mi ha detto che fanno lezione sulla nave.” Borbottò, suonando stranamente seccata da questo piccolo contrattempo.
Curioso, considerando che è circondata comunque da ragazzi…
“Il loro programma accademico non coincide con il nostro, praticamente non hanno una materia in comune con noi…” Si inserì Rose, già in prima fila, con un posto vuoto accanto a sé e l’altro occupato da un recalcitrante Scorpius.
“Mi sento nudo al primo posto! Io sono un tipo da ultima fila! A chi tirerò uccelli di carta?” Piagnucolò, prima di strizzargli l’occhio, dimostrando come al solito di essere perfettamente a suo agio in quella postazione.
“Silenzio.” Replicò Rose. “Al, piuttosto hai visto Dom?”
“No, si sarà persa forse… Vado a cercarla?” Chiese, ben felice di aver qualcosa da fare invece che rimuginare sulla sua capacità di rompere amicizie annali.

Si voltò, senza attendere risposta, e si trovò di fronte Dominique, come se fosse sempre stata lì.
Buh! 
“Argh!”
Il conseguente urlo fu suo: odiava essere preso di sorpresa, lo gettava in uno stato d’allerta totale.
La conseguenza successiva fu che sbatté contro lo spigolo di un banco, perdendolo l’equilibrio. Per fortuna Lily, abituata alla sua scarsa coordinazione motoria, lo tirò a sé in tempo per farlo semplicemente semi-sdraiare sulla panca tra le risate degli astanti.
“Dom, ciao!” Rise deliziata sua sorella. “Dov’eri? Ti sei disillusa!”
“Serve sapere trucchetti del genere, quando vivi in mezzo ai draghi, rossa…” Le strizzò l’occhio, con un lieve sorrisetto ad arricciarle le labbra.  
Rose, in quanto suo perenne supporto morale dall’età di due anni, sbuffò. “Dom! Per le mutande di Merlino, lo sai che Al detesta essere preso alle spalle! Sei sempre la solita!”
Decisamente lo era: persino in uniforme era palesemente ovvio che Dominique Weasley non fosse una tipa ordinaria. Lo dicevano i suoi piercing, i capelli innaturalmente color argento – anche se quella probabilmente era la sua unica eredità Veela – e le lentiggini a punteggiarle il naso. Non aveva ereditato il fisico armonioso delle Delacour, ma la variante dinoccolata e androgina Weasley. Il tutto, benché separato sembrasse disarmonico, riunito le dava quel tocco di assurdità che la rendeva affascinante.
A modo suo.
Dom gli tese la mano, tirandolo in piedi con energia. “Ciao Sissy, hai quasi diciot’anni, dov’è la tua barba?”
Al tese un mezzo sorriso, ricordandosi che Dom aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto:  ricordarti soprannomi orripilanti risalenti alla tua prima infanzia era uno di quelli. “Sissy… non lo sentivo da quando avevo cinque anni…”
“Per me sarai sempre Sissy, anche se dai… è vero, sei diventato un ometto!” E qui gli diede una pacca sul petto da mozzare il fiato. “Ho sentito che hai fatto un bel casino l’anno scorso!”
“È stato un casino molto virile e sexy.” Gli venne in aiuto, a modo suo, Lily. “Davvero.”
“È stato un anno orribile, e non è stato affatto sexy.” Puntualizzò Rose, a cui piaceva Dom ma a piccole dosi e soprattutto non se lo prendeva in giro.

“Andiamo, Mamma Oca. Ammettilo. Sparizioni, rapimenti, omicidi e serpentoni sanguinari. Gente, non succede mai niente del genere in Francia! Avrei dovuto iscrivermi qui, invece che dare retta a maman e Vic…” Sbuffò, inarcando un sopracciglio quando notò Malfoy, che la guardava con l’aria esilarata di chi stava davanti ad uno spettacolo circense di rara bravura. “Lui è il Malfoy?” Lo scrutò, mentre Rose accanto a lui deglutiva. “Perché ha l’aria simpatica? Non dovrebbe, giusto?” Interloquì verso nessuno in particolare.
“Sono un tripudio di simpatia, in realtà.” Le assicurò Scorpius, e Al realizzò con divertimento che quei due sembravano parlare la stessa lingua dell’assurdo. Rose sembrò notarlo parimenti e sembrare però un po’ meno contenta. “E mi piace il tuo stile, bionda.”
“Biondo sarai tu!” Rise dopo una breve pausa valutativa. “Rosie, Rosie… allora le voci che circolano sono vere. Beh, buona scelta, sembra.”
“Quali voci?” Chiese inquieta. Poi lanciò un’occhiata trafiggente a Lily. “Lilian Luna Potter…” Scandì con un tono che ricordò a tutti i cugini, con brividi più o meno manifesti, Molly Weasley.

“Oops!” Disse questa con grandi occhi innocenti. Purtroppo non le riuscivano affatto, stimò Albus. “Si è fatto davvero tardi, devo andare a lezione di… qualcosa. Addio!” Sussurrò, strizzando l’occhio alla torma maschile in silenziosa adorazione prima di schizzare via, con uno scatto niente male per una ragazza che odiava il Quidditch e qualsivoglia attività fisica.
“Quella stronzetta!” Ringhiò Rose. “Ha spifferato tutto!”
“Non so se per tutto intendi dire il tuo piccolo ménage con SimpaticoMalfoy…” Considerò meditabonda Dominique. “Se può aiutare, si vede lontano un miglio che state assieme. Appena gli ho sorriso hai cominciato a ringhiare.”
“Cosa… Come?” Sussurrò Rose disorientata mentre Scorpius rideva, dandole una pacchetta sulla mano.

“La mia Rosie è molto possessiva.” Spiegò soddisfattissimo. “Ma io sono fedele con tutto il mio cuore al suo cuore. E a altri vari organi vitali.” Concluse, scoccando alla ragazza un’occhiata che era pura adorazione.
Rose arrossì e gli sorrise, seppur debolmente. 
Al lasciò Dom a stuzzicare la coppia, sedendosi al suo posto e tirando fuori i libri di testo e le varie penne: era palese che Scorpius fosse contento di poter esternare qualcosa il loro rapporto a qualcuno, invece che dissimulare, rifletté.
Pensò a Rose, e a quello che gli aveva detto prima di salire sull’Espresso per Hogwarts.
Davvero Scorpius è d’accordo con te sul continuare a tener nascosto tutto?
Perché non sembra…
Ma non lo disse, perché non erano affari suoi e Teddy era appena entrato in aula, con un sorriso mite e una grossa gabbia coperta, da cui provenivano gemiti agghiaccianti.
Gli occhi di Dominique si illuminarono di gioia maltrattenuta, quando gli diede un calcio sotto la sedia per attirare la sua attenzione. “La nostra professoressa non usa creature vive per tenere le lezioni. Credo di amare Teddy. Anche se adesso pare che sia gay. È la novità dell’anno, no? Lui e Jas… Da non crederci!” Fece una pausa brevissima. “Comunque la sai l’altra novità? Mi candiderò!”
“Direi che quasi me l’aspettavo…”

 
 
****
 
Hogwarts, esterno.
Ora di pranzo.
 
Lily sarebbe dovuta andare a lezione.
Probabilmente avrebbe dovuto essere seduta ai primi banchi, in compagnia delle sue amiche e compagne di Casa per la prima lezione di incantesimi del suo Quinto anno…

… ma quel giorno il Fato aveva deciso altrimenti.
No, okay. Siamo onesti…
Aveva voglia di vedere Sören, e alla notizia che non avrebbe fatto lezione al Castello aveva deciso che sarebbe direttamente andata a cercarlo.
Questo era il motivo per cui era sgusciata via dal portone centrale e adesso stava scendendo il pendio che portava al Lago Nero. La nave di Durmstrang era ormeggiata al molo.
Arrivata, salì sulla passerella di legno robusto e brunito. Il vascello, perché era a tutti gli effetti un vascello, era stramaledettamente imponente – come avrebbe detto Jamie – e piuttosto sinistro mentre scricchiolava e oscillava davanti a lei.
Si sentì piccola e insignificante: probabilmente era questo l’effetto che voleva dare.
A proposito di insignificanza si sentiva… irritata. Sì, irritata e con Sören. Certo, aveva preventivato che non le gettasse le braccia al collo o la salutasse con un allegro sorriso…
A quanto pare il loro codice deontologico non permette espressioni facciali.
… ma un po’ più di considerazione quella sì, se la sarebbe aspettata!
Finita la cena del giorno prima, gli allievi si erano alzati come un solo uomo, e guidati dal loro preside erano marciati via. Sören si era confuso tra di loro ed era certa che non avesse neanche guardato nella sua direzione.
Devo proprio sgridarlo!
La loro corrispondenza era iniziata per gioco: due anni prima, nel terzo anno di Grifondoro, era scoppiata la moda dell’amico di piuma straniero e lei, reginetta di ogni trend, aveva dovuto primeggiare.
Si era quindi iscritta al programma ‘conosci un mago straniero” e dopo aver scartato una decina di candidati da ogni parte del mondo aveva scelto Sören. Era stato l’unico poco invadente, che alla menzione del suo cognome non l’aveva tempestata di domande su suo padre.
Era un po’ come scrivere su un diario. Potersi sfogare. Avere un amico che abitava a centinaia di miglia da lei le aveva dato la possibilità di confidargli cose che probabilmente non avrebbe detto neanche ai suoi fratelli.
Confidarsi ad un estraneo a volte era più semplice che ad un familiare. Nel tempo Sören era diventato più che un amico. Era diventato un simbolo.
E ora che lo aveva visto di persona si era sentita… strana.
Vedendolo, era stato come se la sua mente si fosse divisa in due: da una parte c’era il ragazzo a cui aveva scritto per due anni, una figura astratta… e dall’altra Sören in carne ed ossa, con quegli occhi penetranti e l’espressione dura.
L’aveva riconosciuto subito, ma non riusciva a smettere di pensare che…
… che non me lo immaginavo per niente così…
Lanciò uno sguardo complessivo alla nave. Sembrava disabitata e gli oblò erano ermeticamente chiusi, come le vele ammainate.
Assomiglia un po’ a Ren…
La passerella che portava all’interno, però, era calata e permetteva l’entrata.
Inspirò, e si fece coraggio, salendo. Dopotutto era solo una maledetta accozzaglia di architettura marittima, con dentro delle persone vere, studenti, poco più che suoi coetanei e peraltro ospiti di Hogwarts.
Non c’era certo nulla da temere!
L’interno era buio e con un fortissimo odore di mare. Impregnava l’intero ambiente, piuttosto umido a dire la verità.
I miei capelli!
Se li toccò distrattamente, aspettando che gli occhi le si abituassero alla luce fioca delle lampade.
Quando lo fecero, l’interno si dimostrò perfettamente in linea con l’esterno: sembrava di essere nella pancia di qualche mostro mitologico. Il corridoio era sostenuto da travi che assomigliavano tremendamente a costole di una gabbia toracica. Era spoglio, non c’era neppure una suppellettile o qualche quadro ad ingentilire l’ambiente.
Sembra una nave da guerra… come i modellini babbani che collezionava Hughie da piccolo…
Percorse il lungo corridoio, cercando di capire esattamente come avrebbe fatto a trovare Sören; non era facile. Non c’era nessuno e, a parte lo sciabordio dell’acqua contro la fiancata e gli occasionali scricchiolii del legno, non si sentivano altri rumori. La nave era immersa nel totale silenzio.
Inquietante, decisamente…
Il corridoio finì in una ripida scala a chiocciola che probabilmente avrebbe portato sopracoperta o ad un piano superiore. La nave era alta e stretta e lei era salita al piano più basso.
La percorse e sbucò in un ambiente più illuminato e decisamente meno tetro. Il legno era più chiaro, lucido e simile a quello inglese e gli oblò aperti davano un po’ di luce – anche se quella pallida e malaticcia delle mattine scozzesi – all’ambiente.
Sentì anche delle voci, anche se sommesse, in una lingua straniera.
Non sono mai stata brava con le lingue…
Misurò a cauti passi il nuovo corridoio. C’erano delle porte, alcune chiuse altre semiaperte, tutte ugualmente strette e dall’aria asfittica.
Lily capì di essere finita nel piano degli alloggi.
Ops… se mi becca qualcuno… Beh, se mi becca qualcuno che è uno studente magari posso farmi dire dove diavolo è Ren!
Non c’erano targhette alle porte, magari per capire chi abitasse le cuccette.  
Fantastico… Qualcuno?
Si sentì battere una mano sulla spalla, e sobbalzò, voltandosi di scatto.
C’era un ragazzo dietro di lei. Non l’aveva sentito arrivare, troppo presa dai suoi pensieri. Era il tipo che aveva affianco Sören la sera prima. Aveva gli zigomi pronunciati, tipico tratto delle persone dell’est e il naso schiacciato, ingrugnato in un’espressione di diffidenza.
“Cuosa ci fai tu qui?” Articolò a fatica, distorcendo le parole per adattarle all’accento.
“Cerco un amico!” Replicò pronta, esibendo il suo miglior sguardo da Bambi. Sbatté anche le ciglia, e dall’aria meno tesa dell’altro capì di aver fatto centro.
L’aria indifesa… un classico che non tramonta mai.
“Mi potresti aiutare?” Gli chiese anche, premurandosi di sembrare realmente bisognosa.
Nel caso avesse voglia di chiedersi perché sono qui, e non a lezione. 
“Se tu cerchi amico, magari l’hai truovato…” Si fece avanti, con un sorrisetto non esattamente gradevole. Forse era per i denti gialli. O per il fatto che le stesse fissando le tette. Qualunque cosa fosse, Lily fece un impercettibile e strategico passo indietro.
“No, cerco una persona in particolare. Ren… cioè, Sören.” Si corresse. “Potresti portarmi da lui?”
“Ora lui è occupato. Lascia che tenga io compagnia…” Fu lesto a rispondere, prima di fare un inchino che sicuramente era cenno di un educazione ben radicata. Sarebbe stato più atto allo scopo se non le avesse fissato le gambe nel mentre.

Argh.
“Mio nome è Kirill Poliakoff.”
E il mio è arrivederci.
Ma non le sembrava carino dirlo, così si limito ad un sorriso. Si era resa conto che fosse una situazione potenzialmente spinosa.
E ora come ne esco?
“Senti Kirill… Non fa niente. Magari torno dopo…” Tentò, cominciando a spaventarsi quando si rese conto che il ragazzo le teneva volutamente bloccato l’accesso al boccaporto da cui era salita.
 
“Che sta succedendo?”
 
Non era un telefilm babbano, ma l’entrata in scena di Sören fu cinematograficamente tempestiva.
Si voltò – perché tutti le arrivavano alle spalle senza che se ne accorgesse?! – e si trovò di fronte il suo carissimo amico di penna.
Doveva ammetterlo: anche l’uniforme ordinaria – era marrone scuro, color bosco – gli sembrava cucita addosso, come se non avesse fatto altro che indossare abiti dal taglio militare per tutta la vita.
Non era certa che fosse una caratteristica di tutti gli allievi dell’Istituto, però.
Al povero Kirill sta tremendamente…
“Oh, Sören! Inglesina cercava te…” Nonostante il ghigno cameratesco Lily notò che l’altro ragazzo era a disagio: aveva le labbra contratte e lo sguardo era vigile, quasi ad aspettarsi qualcosa di spiacevole.
Uhm…
“Ciao Ren!” Esclamò comunque, sentendosi chiamata in causa. Sören inarcò le sopracciglia, quasi non la credesse capace di parola.
“Ciao.” Replicò guardingo. Il suo inglese sembrava migliore, a parte una lieve inflessione dura nelle consonanti. “Cosa ci fai qui, non dovresti essere a lezione?”
In due secondi aveva scoperchiato i calderoni, come avrebbe detto sua nonna Molly.
Lily si limitò ad un sorriso disimpegnato. “Forse. Ma avevo voglia di vederti.” Dichiarò spassionata. La sincerità pagava sempre.
Dallo sguardo malizioso di Kirill tipo capì che a Durmstrang però non era una cosa valutata positivamente.
“Ah.” Sören infatti sembrava assolutamente preso in contropiede. “Ma l’accesso alla nave è interdetto agli studenti di altre scuole…”
“Non lo sapevo… La passerella era calata ed io sono salita!”

Sören aveva un modo di inarcare un solo sopracciglio che lasciava trasparire moltissimo. In quel momento, era una vaga riprovazione.
Davvero non lo sapevo! Beh, anche se l’avessi saputo…
Poliakoff invece emise un’imprecazione. “Io lo ammuazzo Radescu! Era lui ad occuparsi di questo!” Ringhiò. “Devo andare… Sono ufficiale responsabile. Fräulein… Si congedò con un ghignetto. Poi guardò di nuovo oltre le sue spalle, sembrò spaventarsi e si affrettò a calarsi nel boccaporto.
Lily si voltò e vide che l’amico fissava il punto dove l’altro era sparito con aria assorta. “La vostra lingua franca è il tedesco?” Gli chiese, tanto per rompere il ghiaccio.
“Sì.” Confermò l’altro, riscuotendosi. “Poliakoff è russo, ad ogni buon conto.”
“Sì, lo immaginavo.” Mentì, perché le loro inflessioni le sembravano uguali. “A quanto pare sono entrata per un errore umano…” Cambiò discorso.
Sören le lanciò un’occhiata penetrante e Lily sentì di nuovo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco. Come se avesse bevuto un litro di caffè.
Per quanto non potesse essere definito bello, il suo sguardo era sicuramente degno di nota.
“Già.” Disse. “Aspettami qui. Ti riaccompagno a scuola.”
“Ma…” Tentò, e si beccò un’altra occhiata: Sören era capace di produrre sguardi severi molto efficaci. Fu una delle rare volte in vita sua che contemplò l’importanza delle sue azioni. “Ho fatto tanto male? Dico, a venire qui?”

Il ragazzo per un attimo parve voler confermare, poi invece abbozzò un sorriso. “No… ma abbiamo delle regole molto severe. Se il mio preside ti trovasse qui avresti una punizione. Sono certo che vorrai evitare tale eventualità.”
Lily represse un sorrisetto. Si vedeva, nonostante il buon accento, che era straniero.

Parla come se si fosse ingoiato un libro di grammatica… Di cinquant’anni fa, però.
“Voglio evitare.” Confermò comunque. “Allora ti aspetto qui!”
 
****
 
Hogwarts, verso le serre di Erbologia.
Pomeriggio.
 
Albus fu acchiappato da una mano invisibile appena uscì dal portone della scuola, in direzione dell’ora del professor Paciock.
“Argh!” Urlò oltraggiato, prima di rendersi conto che chi lo aveva tratto dietro il colonnato laterale era Rose. La guardò incuriosito, visto che aveva un’aria piuttosto furtiva.
Ce l’ha da ieri sera, a dirla tutta…
“Sei da solo?” Chiese squadrandolo dalla testa ai piedi come se potesse tirar fuori persone dalla tasca del mantello.
“Ehm… Sì?” Batté le palpebre. “Sono l’unico di noi che vuole prendere un MAGO in Erbologia. Sai, il mio percorso di studi per diventare un Guaritore?” Le chiese retoricamente.
“Oh, già, giusto…” Borbottò, guardando dietro di lui. “Ti devo parlare di una cosa.”
“Dov’è Malfoy?”
“Non viviamo in simbiosi!” Sbottò, facendo chiaramente capire che il suo ragazzo era parte del problema. “E comunque è a Divinazione…”
“Segue Divinazione?”

“Sì, dice che lì dorme come non riesce a dormire da nessun’altra parte.” Scrollò le spalle, come se fosse perfettamente normale. Albus pensò che Rose, alla fine, aveva accettato che si poteva essere un po’ meno osservanti delle regole. Probabilmente anche lì c’entrava Malfoy, con la sua aria di perenne svagatezza.
Le fa bene, comunque, essere meno rigida…
Il fatto che lo dicesse lui, in quanto Caposcuola era un controsenso, ma…
Sono un serpeverde.
“Okay… quindi?”
Rose lo guardò con una buffa aria di profondo dilemma interiore. Poi borbottò qualcosa trai denti, si ravviò una ciocca di capelli, l’unica che sfuggiva dalla coda e frugò dentro le tasche della borsa. Tutto assieme.

Un attimo dopo gli spinse in mano quella che aveva l’aria di una lettera. Con il sigillo dei Malfoy.
“Rosie, ti hanno forse minacciato?” Chiese preoccupato. “Vi hanno scoperti?”
“No, per tutte le sottane di Merlino!” Negò con forza. “No, solo… tu leggi!”

Al inarcò le sopracciglia, sentendosi piuttosto spaesato. Ma l’aria della cugina era tormentata ed incerta.
Doveva assolvere al suo dovere.
Lesse.
 
 
Caro Scorpius,
Spero che il viaggio sia stato piacevole. Come ti ho già detto a casa, questo è il tuo ultimo anno, ed io e tua madre ci aspettiamo molto da te…
 
 
Alzò lo sguardo immediatamente. “Rosie, questa lettera è da parte di suo padre… ed è per Scorpius!”
“Dimmi qualcosa che non so!” Ironizzò, mordicchiandosi un labbro. “Continua a leggere!”
“Stiamo leggendo la sua corrispondenza privata!” Malfoy sembrava un tipo alla mano, ma era piuttosto noto che avesse uno spiccato senso della privacy. L’idea di farlo infuriare non gli arrideva particolarmente.

Rose corrugò le sopracciglia, mentre le orecchie le diventavano curiosamente rosse. “Vorrei ricordarti, cuginetto, che tu hai fatto molto peggio l’anno scorso. Vediamo… andare, da solo, a salvare Tom?”
“Sì, ma era…” Ci rifletté. Capì il punto. “Oh, dannazione. Ma interrogato, negherò.”
“Leggi, razza di serpe!”
Continuò a leggere.

 
… le raccomandazione le hai già sentite, secondo tua madre, quindi mi limiterò a dirti quello che ti ho già accennato alla partenza.
So che vuoi mettere il tuo nome nel Calice di Fuoco e per quanto mi riguarda, sai come la penso. Spero che tu stia attentamente considerando le tue possibilità. Parlo come padre quando ti dico che sono certo che verrai selezionato, ma altrettanto certo che sarà una competizione dura. Non pensare che, comunque, non abbia fiducia nelle tua capacità. Ne ho, come sempre e da sempre.
 
 
“… ehm. Vuole partecipare al Torneo?” Distolse lo sguardo dalla lettera. Rose emise uno sbuffo seccato, anche se continuava a martoriarsi il labbro in un raro esempio di masochismo.
“Sì, ma non è questo che volevo farti leggere… Va’ avanti.”
“Avrei lezio…”
Avanti!” Sbottò.

Al obbedì.
 
Non serve dirti che dovrai portare onore alla tua famiglia nel caso tu venissi scelto come Campione di Hogwarts.
Considera attentamente le tue amicizie, quindi.
Tua nonna vuole che ti ricordi che molto probabilmente Violet farà parte della delegazione di Beaux-Batons. Sai come devi comportarti.
Aspetto una tua risposta, nellattesa ti abbraccio.
Tuo padre,
Draco.
 
Al capì immediatamente cosa aveva infastidito Rose, e sopratutto cosa l’avesse gettata in quel panico aggressivo.
“Violet?” Azzardò.
Sua cugina abboccò all’istante. “Già! Chi diavolo è questa stronza?”
“Non lo so?” Le ripassò la lettera. “Senti, rimettila al suo posto. Se Scorpius sapesse che l’hai presa e letta senza il suo permesso… insomma, credo si arrabbierebbe, no?”
“Certo che sì!”

“Quindi…”
Quindi devo scoprire da sola chi è questa tizia, e perché suo padre vuole accoppiarli!” Lo afferrò per le spalle, con aria di assoluta urgenza. E conclamata paranoia.
Al sorrise, staccando le mani che lo artigliavano e prendendole tra le sue. “Rosie… dovresti avere un po’ più di fiducia in Malfoy. Lui sta con te.”
“Se succedesse a Tom tu saresti così sereno?”

“… Okay, cerchiamo di riflettere.” Il suo problema era che Rose lo conosceva benissimo e in quanto a gelosia sapevano entrambi di battersela alla pari.
E non che io faccia niente per combatterla.
È una buona arma, tra parentesi, se usata come si deve…
“Va bene.” Lo riportò al discorso la ragazza. “So che hai una lista con tutti i nominativi delle due delegazioni. Sei un Caposcuola, so che ve ne danno una copia.”
“Sì, ma…”
“Devi controllare se c’è una Violet, a Beaux-Batons.” Concluse con piglio sicuro. “Adesso.”
“Ma…” Al ebbe la distinta sensazione che l’adorata cugina l’avrebbe schiantato e se ne sarebbe impossessata da sola, se non l’avesse assecondata. Non che avesse paura di lei…

… no, a dirla tutta, aveva paura.
“Okay, okay… ma quando l’avrai vista ti calmerai e andrai a lezione, lasciandomi frequentare la mia!” Prese la tracolla e ci frugò dentro.
“Ho un’ora libera.”
“Merlino…” Soffiò trai denti, tirando finalmente fuori la lista, che era poi una semplice pergamena spiegazzata. “Accidenti, l’avevo messa in fondo…” Gliela passò, prima che potesse strappargliela dalle mani.

La capiva, comunque; Scorpius era il suo primo ragazzo, ed era ovvio e palese che se ne fosse innamorata con tutti i crismi di sorta. Era il suo primo tutto; Al sapeva come questo contasse e facesse sbocciare paranoie come una brutta allergia.
Rose la scorse febbrilmente, prima di emettere un leggero lamento. “Eccola qui… Violet Parkinson-Goyle.”
“… che bel cognome.”
“Non scherzare!” Aveva gli occhi lucidi, e li nascose malamente tirando su con il naso. “Io…”
“… tu ne devi parlare con Scorpius. Magari senza fargli capire che hai letto la sua corrispondenza privata.” Le consigliò riprendendosi la lista. Le sorrise, cercando di infonderle un po’ di coraggio. “Avanti, lo sai che adora persino la terra su cui cammini.”
“Devo andare. A dopo.” Fu la risposta. Prima che potesse ribattere, Rose scappò via, verso il Castello.

Era già tardi, e non poteva seguirla. Sospirò, incamminandosi verso le serre.
Sempre problemi… Beh. Meglio questi di altri…
 
****
 
 
Hogwarts, Biblioteca.
Ora di cena.
 
Tom alzò gli occhi dal libro che stava leggendo. Il fatto che cominciasse a scordarsi di cosa parlava poteva essere segno che era ora di tornare in Dormitorio.
Aveva passato tutto il giorno a leggere, schematizzare, ripetere. Aveva trangugiato qualche tramezzino a pranzo, e poco altro. Aveva visto di sfuggita Albus e Lily, aveva pranzato con loro ma non ricordava di cosa avessero parlato.
Si sentiva la testa scoppiare.
Probabilmente è ora di andarsene…
Erano solo le sei però. Anche andando a cenare, ed era ritardo² per quello, gli restavano comunque delle ore di studio.
Decise che le avrebbe svolte in camera di Al; studiare con lui sarebbe stato diverso.
Meno alienante.
Sicuramente più distraente.
Si accorse quindi tardi che Michel Zabini si era accomodato al tavolo di fronte a lui. Incrociarono gli sguardi e l’altro ragazzo lo riabbassò subito, con una smorfia.
Sapeva che faceva parte della sua espiazione, quindi radunò i libri, ne infilò una buona metà in borsa e si avvicinò.
Michel non alzò lo sguardo neppure quando era chiaro che gli stesse davanti.
“Zabini.” Lo chiamò. “Michel…” Aggiunse.
Quello finalmente si degnò di guardarlo, inarcando un sopracciglio. “Cosa posso fare per te, Dursley?”
“Per me niente.” Non voleva sedersi, anche se forse sarebbe stato considerato un gesto distensivo.

Non era tipo da gesti distensivi. Ed era già irritato.
Anche se probabilmente non ne ho motivo…
“Per chi allora?”
“Albus. So che sei arrabbiato con lui perché non ti ha detto del mio ritorno…”
“E quindi?” Incrociò le braccia al petto abbandonando piuma, pergamena e svariati centimetri di compiti per casa. “Questo cosa c’entra con te, esattamente?”
“… Niente.” Dovette ammettere. “Ma lui ti vuole bene, ed ha avuto un periodo difficile…”
“Ma davvero…” Pronunciò atono l’altro. “E tu come lo sapresti, esattamente, visto che non eri qui?” Non gli diede il tempo di ribattere. “Qui c’ero io, Tom… ed ho visto il suo periodo difficile. Suppongo che tu sappia che per tre settimane non mangiava quasi nulla e la situazione è durata finché non è finito in infermeria e sua madre non ha minacciato di ritirarlo da scuola.”
Tom sentì lo stomaco serrarsi in una morsa. “No, non lo sapevo…”
“Sapevi allora che ha avuto incubi quasi tutte le notti? Che ti chiamava nel sonno e si svegliava piangendo? Che qualcuno doveva stare con lui finché non si riaddormentava?”
“No…”

“No, è evidente di no.” Concluse con un sorriso sprezzante. “Io invece sì. Ero con lui, c’eravamo io e Loki… ma soprattutto c’ero io.”
Tom serrò le labbra. “Dovrei ringraziarti?”
“No.” Scosse la testa. “Dovresti farti da parte.”

Tom istintivamente cercò la bacchetta dentro la tasca del mantello. La strinse, perché se non l’avesse fatto forse sarebbe stato peggio. “Non lo farò, e lo sai.”
“Già…” Il sorriso di Zabini si fece amaro. “Il vostro grande amore. Non mi sembra questo granché, a dirla tutta… Tu lo fai soffrire, e lui dipende così tanto da te che non riesce a fare a meno di ritornare e farsi male ogni volta.”
“Non gli farò più del male.” Si scollò dal palato. Nebulosamente capiva le ragioni di Michel, capiva perché fosse preoccupato. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso, come innamorato.

Ma c’era una parte di lui, quella parte che non faceva che urlare, e ringhiare.
Eliminalo. Fa’ in modo che non si possa più avvicinare a voi due.
È un pericolo. Sbarazzatene. Non farlo più avvicinare ad Albus.
“Lo credi davvero?” Sembrò quasi leggergli nel pensiero il ragazzo. Prese i suoi libri e si alzò, lanciandogli una lunga occhiata. “Io non so chi sei, Dursley… forse non l’ho mai saputo. Ma so che sei pericoloso.” Strinse la cinghia combattando i libri, e se li mise sottobraccio. “Non puoi farne a meno. E credimi, anche se tutti fanno buon viso a cattivo gioco… io no. Io te lo dico chiaramente. Era meglio se te ne restavi in Germania.”
“Non mi interessano le tue stronzate…” Sibilò, mentre sentiva la presa sulla bacchetta farsi bollente.
“Immagino allora che non ti interessi  sapere che ho baciato Albus.” Non aspettò la risposta. Si allontanò.
Tom aspettò che il suo respiro fosse tornato normale. Stava bene, non era un pericolo, e Zabini stava mentendo.
Guardò il suo mantello e si accorse che c’era una larga, grossa bruciatura in corrispondenza della punta della bacchetta. La tirò fuori che ancora sprizzava scintille verdi.
 
 
****
 
 
Note:
1. Qui la canzone.
2.Ad Hogwarts, ma in generale nel mondo britannico, fanno cena molto presto. Secondo “Harry Potter e l’ordine della Fenice” la cena è servita circa alle cinque.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Ciao a tutte/tutti … che dire, ci risiamo! XD Mi dispiace per il ritardo, ma purtroppo questi sono giorni convulsi.
@Herys: Ahaaha, Tom volante da una finestra, meraviglioso! XD Rose purtroppo è posseduta dal terribile demone della gelosia. Vedremo che casini farà in merito.
@ElseW: Ma povero Poliakoff, che vi ha fatto? XD Rose… combinerà un po’ di casini, ma abbiate fiducia in lei (o nel fatto che a volte ragiona XD).
@Nicky_Iron: Grazie, corretto! Rose è un po’ tutte noi… chi non ha avuto una reazione di grave paranoia all’idea che il proprio ragazzo sia nelle mire di qualcun’altra? Dom avrà abbastanza scene, ma vedremo…
@Simomart: Essì, il rapporto con Mike è fondamentale. Come mi hanno fatto notare, sono un triangolo potenziale molto interessante, se non fosse che per il fatto che Albus è innamorato perso di Misantropia. Per il resto… troverai tutto nel capitolo seguente! XD Il ragionamento su Rose è perfetto, ma non dico altro. XD E per quanto riguarda il POV di Ren… accontentata!
@Idk: Al è il miglior amico gay che ogni ragazza sognerebbe. Purtroppo è gay però. xD Penso che Rosie e Tom siano troppo simili, di base, per piacersi davvero… e ricorda che Tom è un discreto misogino, se ci si mette. E poi, chi non pensa ad una Snevans T_T

@Agathe: Verso le sei in realtà! XD Così dice la Row, ho controllato sul primo HP che avevo sottomano. Ricordati che sono inglesi e comunque il coprifuoco è alle nove! Ren putroppo non è il miglior attore del mondo… ma questo forse non andrà a suo svantaggio! ;)
@Lovermusic: Dom è simpatica ma purtroppo io l’incesto tra cugini proprio non me lo figuro… meglio usare un Teddy! XD Ren è un orribile attore, concordo!
@Trixina: Non preoccuparti, guarda io quanto ritardo faccio! Grazie per i complimenti a Dom, ero molto preoccupata di presentarvela così! ;) Per il resto non posso dirti niente, non spoilero!
@MissBlackSpots: Purtroppo non posso darti spoiler, ma Mike continuerà a rimanere in gioco, anche se non posso dirti ancora come! ;) Grazie mille!
@AlexielFay: Io adoro le tue recensioni, quindi non preoccuparti di essere prolissa! :D Lo so, Tom che fa il tenero è puro fan-service, ma essendo anche io una fan della coppia (il che ha del patetico, me ne rendo conto) non potevo non metterli ogni tanto. E quei due non saranno mai la coppia sdolcinata della saga. Hanno troppo sarcasmo serpeverde che gli esce dai pori. E poi sono due maschietti, via! XD Mike è… Mike, in tutto il suo splendore stronzo. Ha le sue ragioni dopotutto, e mi rendo conto che si sta formando un triangolo, ma che ci posso fare… i personaggi escono dalla mia penna e fanno quel che gli pare! XD Grazie per i complimenti!
@Hale_y: adoro le recensioni chilometriche! :D Beh, quei due sono pulcinosi ad oltranza, me ne rendo conto. Anche Tom ha il suo coefficiente-tenero non indifferente! XD E per sapere le tue supposizioni su Mike… leggi il capitolo! ;D Almeno qualcosa si chiarirà! Per quanto riguarda Tom… cattivo Tom! Non riesce a non fare lo psicopatico bastardo, ogni tanto si deve sfogare povero caro. Su Scorpius… non so se hai letto Fiore di Cactus ma lì un po’ spiego il ragazzaccio, anche se hai ragione Sy si nasconde molto, anche se sembra Rose quella più riservata dei due. E su Violet… beh, vedrai! Sul torneo… no spoiler! :D
@altovoltaggio: *_* Non preoccuparti, con questa recensione ti sei ampiamente fatta perdonare! xD Allora… per rispondere alle tue domande, Tom al momento non sta frequentando le lezioni, perché deve attendere metà settembre per sostenere degli esami che lo ammetteranno al Settimo anno. Avendo frequentato solo metà del Sesto anno dovrebbe essere bocciato, ma data la sua situazione particolare, il Preside ha deciso di fargli fare degli esami “riparatori”. Se risulterà idoneo tornerà in corsa per il Settimo, con solo due settimane di ritardo delle lezioni. Spero di essere stata chiara ^^. Al momento comunque, è nel Dormitorio del Settimo per semplice comodità. Dom… beh, io l’ho descritta, ma non ho ancora trovato una faccia soddisfacente su DA o siti simili. Dovrete aspettare. Comunque mi fa piacere che ti piaccia! :D Lily… beh, la tua riflessione è interessante. C’è da dire che lei ancora non conosce bene, di persona, Sören, neppure quello della lettera. Quindi è naturale che si interfacci con lui, istintivamente, come fa con tutti tranne che con la sua famiglia stretta (intendo i fratelli e i genitori, già vedi che con Rose non lo fa). Lily probabilmente è guardinga eccessivamente, ma spiegherò in seguito il perché del suo atteggiamento frivolo, anche se penso si possa essere intuito. ^^ Per quanto riguarda il pezzo della bacchetta… Il colore delle scintille che si producono quando si perde il controllo dipende dall’aura magica di un mago, a quanto ho capito. Quelle di Harry per esempio sono rosse e verdi (HP5). Quelle di Tom potevano essere diverse che da verdi? XD E per il resto… no spoiler! :D
@Andriw9214: Ciao! :D Non preoccuparti, in quanto a ritardi penso di non battere nessuno! XD Dom non può essere antipatica… andiamo, è figlia di Bill! :D Adorabile Bill… Vic invece è una stronza, punto e stop. XD Rose è la tipica ragazza la cui gelosia la rende completamente cieca come una talpa, hai ragionissima… ma vedremo! ;D Grazie a te!
 
****
 
Capitolo XIII


 
 
You've got your ball, you've got your chain
Tied to me tight, tie me up again.
Who's got their claws in you my friend?
Into your heart I'll beat again…¹
(Crash Into Me, Dave Matthews Band)
 
 
4 Settembre 2023.
Hogwarts, nei pressi della Porta Principale.
Pomeriggio.
 
Avrebbe dovuto dire qualcosa.
Sören Von Hohenheim, attualmente Sören Luzhin avrebbe dovuto parlare a Lilian Luna Potter.
L’unica cosa che gli veniva in mente, avendola affianco mentre risalivano il pendio che riportava al castello, è che aveva la gonna troppo corta. E anche delle belle gambe.
… No, non credo possa essere un argomento da introdurre in una conversazione.
L’aveva notata perché era certo che le gonne regolamentari delle studentesse di Hogwarts arrivassero sotto le ginocchia. Quella era palesemente sopra.
Aveva un attenzione maniacale per i dettagli, sin da quando era bambino: spesso gli era stato utile, molto spesso.
Adesso non molto.
Lily si voltò verso di lui. Nella foto non si notava, ma aveva un perenne sguardo curioso, interrogativo. Sembrava sempre stesse per farti una domanda da un momento all’altro.
“È una bella giornata.” Le disse, per dire qualcosa e perché si rifiutava di sentirsi innervosito da quel silenzio.
Purtroppo doveva ammettere che le sue esperienze con l’universo femminile erano pressoché nulle. Negli anni di Durmstrang non aveva frequentato molto i coetanei, e fuori dall’Istituto aveva consacrato la sua vita alla Thule, mente e corpo.
Suo zio si era occupato della sue educazione: nelle vacanze lo aveva affidato a tutori che gli avevano insegnato, oltre ad un nutrito parco di incantesimi, anche a lottare. Era un perfetto soldato, ma non aveva la minima idea di come far conversazione con una ragazza: naturalmente questo non l’aveva detto ad Alberich.
Non che sarebbe servito a molto… Lui non ha mai avuto questo tipo di problemi interpersonali.
Si è sempre imposto.  
“Molto bella.” Convenne l’altra con un sorriso, riscuotendolo dalle sue riflessioni. “Però ora possiamo andare avanti con la conversazione?”
“… Prego?”
“È la seconda volta che mi dici che è una bella giornata, ed io ti ho risposto che ne abbiamo avute di migliori.” Indicò il cielo con un dito. Si stava rannuvolando, di grossi nuvoloni gravidi di pioggia.

Dannazione.
“Io…”
Si sforzò di tenere alla mente la sua missione, il motivo per cui era lì. Avvicinarsi a lei, stabilire un contatto: non stava andando granché bene.
Avrebbe preferito di gran lunga trafugare personalmente i Doni.
“Fate lezione sulla nave?” Sembrò venirgli in soccorso. “Perché non usate le aule del castello come quelli dell’Accademia?”
“Il nostro Preside ha deciso altrimenti. Trova che non sia … opportuno… sfruttare la vostra generosa ospitalità occupando anche i vostri spazi.”

“Ah… capisco.”  
Lily – doveva imparare a chiamarla così anche nella sua testa – lanciò uno sguardo in basso, verso il vascello. “È piuttosto inquietante, sai? Quando si è lì dentro sembra di essere dentro la pancia di un pesce gigante o qualcosa di simile…”
“Un pesce gigante?” Il paragone gli sembrò singolarmente calzante per una ragazza che non aveva mai lasciato la terraferma. “Sì, forse…”

Aveva studiato Lily Potter grazie alle sue lettere: era l’ultima di tre fratelli, molto legata alla famiglia non aveva un grande interesse per la scuola, eccezion fatta per Incantesimi e per una materia che lui giudicava ridicola, ovvero Divinazione.
Dalle sue lettera aveva evinto che possedesse una certa ironia, ma tendente spaventosamente verso l’auto-celebrazione.
Conosceva i suoi gusti in fatto di vestiti, musica e persino il suo colore preferito.
Ma ora che se la trovava davanti non aveva la minima idea di come usare tutte quelle informazioni per convincerla che erano amici e che si poteva fidare di lui.
Era come sapere il perfetto funzionamento di un processo alchemico senza poi produrre un solo, singolo, grammo d’oro.
La teoria non era la pratica, questo lo sapeva bene.
A quanto pare funziona così anche con le ragazze.
“Non sei un gran chiacchierone…” Spiò guardandolo di sottecchi. Si aspettava naturalmente di stare annoiandola ma venne comunque punto sul vivo.
“Mi esprimo meglio per lettera.” Borbottò suonando troppo secco. Avrebbe dovuto mordersi la lingua.  
“Sì, vero.” Replicò mentre un sorriso andava ad arricciarle le labbra. Non aveva notato, in foto, che avesse le fossette. “Sai Ren… te lo devo proprio dire. Ti immaginavo diverso.”
Sören sentì contrarsi il muscolo della mascella: una brutta abitudine che aveva fin da bambino, quella di serrare i denti.

Naturalmente la sua copertura non sarebbe saltata così facilmente: aveva incantato la lettera che le aveva mandato, in modo che, toccandola, venisse attivato un confundus leggero seguito da un potente incantesimo di memoria che avrebbe cancellato dalla sua testa probabili foto spedite dal suo omonimo.
Era tutto a posto.
Allora perché era così nervoso?
“Diverso in che senso?” Le chiese, simulando cortese sorpresa.
“Beh, in realtà non so spiegartelo…” Si arricciò una ciocca di capelli sulle dita, pensierosa: li aveva veramente rosso tiziano, non era solo un gioco di luce della pellicola fotografica come aveva pensato.
Oggettivamente, doveva ammetterlo. Lily Potter era molto carina.
“Provaci.” La incoraggiò.
“È come se … non lo so… avessi un’idea di te che poi… non coincide. Capisci che intendo?”
“Certamente. Anche io ti immaginavo diversa.” Non era del tutto una menzogna, quella.
Non aveva molte esperienze in quindicenni, ma quelle che aveva visto ad Hogwarts e a Durmstrang erano esattamente come si era sempre immaginato: chiassose, con un’etica del branco impenetrabile e fondamentalmente ingovernabili.
Forse prese singolarmente potevano persino risultare gradevoli, ma era strenuamente convinto che tutti quegli ormoni le rendessero instabili.
Non che Lily fosse un’eccezione. Dopotutto si era infilata dentro la nave senza chiedere autorizzazioni e permessi solo per vederlo, per un capriccio.
Era la sua aria curiosa a staccarla leggermente dalla massa. Si era accorto, quasi con divertimento, che quella ragazzina lo stava studiando.
Non era comunque il caso di mettersi in allarme, e non lo fece: anzi, si sentì più rilassato.
Questa sua curiosità potrebbe tornarmi utile.
“In che senso Ren?” Gli chiese, sgranando gli occhi avidamente. “Hai una mia foto… e voglio dire, le foto magiche sono molto più dettagliate di quelle babbane. Tra parentesi, sono venuta bene.”
“È vero.” Non era difficile fingere se la assecondava. La vanità era un ottimo aiuto. “È solo che vedersi dal vivo, parlarsi… interagire… dà sempre un’impressione differente. La cinestetica…” Esitò, forse avendo usato una parola troppo complessa.

So cos’è la cinestetica.” Ribatté sorprendentemente, scoccandogli un’occhiataccia. “Ho un fratello e un cugino che parlano come se si fossero ingoiati libri interi.” Inarcò le sopracciglia. “E poi sei tu lo straniero, non usare parole difficili!”
“… So parlare inglese.”

Lily rise vedendo la sua aria seccata, dandogli una pacca sulla spalla. Si irrigidì, sforzandosi di ricordare che il suo omonimo non era stato addestrato per reagire ad ogni minima invasione del suo spazio personale.
“Sei un po’ troppo rigido, lo sai?” Replicò ignara. “Ti stavo prendendo in giro. In realtà la parli molto bene. Sono colpita!”
“Parlo quattro lingue.” Ricordò compitamente. In realtà ne parlava il doppio, senza contare quelle morte, come il latino e il greco antico.
E il saper leggere il runico.
“Lo so, lo so… Ti è sempre mancato il senso dell’umorismo, me lo ricordo. All’inizio pensavo che non capissi le mie battute per via della lingua…” Lo prese sottobraccio con naturalezza. Si ricordò di nuovo di non irrigidirsi o tentare di scostarsi.
La realtà era che nessuno, a parte forse suo zio e la sua balia gli si era mai avvicinato così tanto.
Sentiva il calore tiepido del corpo della ragazza filtrare dal suo mantello scaldargli il braccio. Sapeva che era fisicamente impossibile, ma lo sentiva.  
Lily cercò il suo sguardo. “Ti dà fastidio?” Chiese.
E poi la sentì, improvvisamente.
Un’intrusione dentro la sua testa, come se qualcosa gli scivolasse trai pensieri, toccandoli, sfiorandoli appena.
Com’era possibile che una strega così giovane sapesse già utilizzare la Legimanzia?
Se di legimanzia si tratta…
“Non è cortese leggere nella mente delle persone senza avvertirle…” Replicò sgarbato. La sorpresa l’aveva messo in uno stato d’allerta che aveva spazzato via ogni cortesia di rito, per concentrarsi sull’ergere una barriera occlumantica.
La sentì irrigidirsi contro di lui.  
“Non lo sto facendo, non sono capace.” Rispose improvvisamente gelida. O forse avrebbe dovuto dire guardinga. Sembrava confusa, e lo squadrava come se improvvisamente si trovasse a braccetto con qualcun’altro. “Che ti viene in mente?”
“Legimanzia. È quello che mi è sembrato stessi facendo.”

“Beh, ti sbagli.” Lily gli liberò il braccio. La sensazione di essere letto scomparve, come se non ci fosse mai stata.
La Legimanzia non funziona così. È un attacco, un’aggressione.
Eppure non sono pazzo, ho percepito che stava tentando di leggermi i pensieri.
Se non fossi un occlumante non me ne sarei neppure accorto, ma dato che lo sono…
“Sai usare la Legimanzia?” Le chiese senza girarci attorno; se fosse stato vero, avrebbe dovuto chiedere a suo zio perché non era stato avvertito di un particolare simile.
Ho rischiato di far saltare la copertura… Se non mi fossi difeso…
Lily inarcò un sopracciglio. “Ti ho già detto di no. È magia troppo avanzata per me.” Non aspettò che ribattesse. “Torno al castello da sola, grazie.” Detto questo, si incamminò senza aggiungere altro.
Sören mascherò un’imprecazione a fior di labbra: non ci voleva un genio per capire che aveva sbagliato qualcosa.
Ma ho tempo…
Aveva un intero Torneo per scoprire chi diavolo fosse Lily Potter.
 
****
 
 
Hogwarts, Sala Grande, ora di cena.
 
Dominique Weasley si riteneva una tipa tosta.
E per questo era l’unica degna di essere il campione di Beaux-Batons. Progettava quindi di mettere il suo nome quella sera stessa, dopocena.
Sarò sorteggiata.
Del resto conosceva le alternative: Sylvie Azoulay, una pallida bretone con un pessimo carattere e Mael Delacour, suo cavaliere nella delegazione e cugino alla lontana.
Non conosceva bene l’Azolauy, ma sapeva che Mael non aveva la stoffa: era terrorizzato dall’eventualità di essere scelto, anche se fingeva il contrario. Erano stati i suoi genitori, zia Gabrielle e marito, a premere perché si candidasse nella selezione interna.  Era stato selezionato perché, al di là dei suoi attacchi da diva, in effetti era in gamba.
Oltre al fatto che affascina tutta la popolazione femminile dai tre ai settant’anni a causa di un atavismo genetico che invece di renderlo un sedicesimo Veela come me lo ha reso molto più potente…
Al momento attuale il ragazzo si lamentava sottovoce, con lei, alla tavola dei Corvonero, ignorando platealmente le occhiate ardenti lanciategli dalle ragazze inglesi.  
“Detesto il cibo inglese… è così grasso…” Sibilò con uno sguardo così affranto che un paio di tipe trattennero il fiato, commosse. “E fa un freddo micidiale, per giunta. Perché non ci hanno detto che faceva così freddo? La Scozia è orribile…”
“Se non la pianti di piagnucolare qualche inglesina vorrà farti da balia scatenando un incidente diplomatico… tieni a freno i tuoi poteri, ninfetto. 
“Sei solo invidiosa perché sono più Veela di te!”
“Sei anche più femminile di me, ma evito di fartelo notare…” Ghignò facendolo indignare, ma con l’attenzione già rivolta alla venuta di sua cugina Rose, che incedeva con aria marziale verso il tavolo dei Corvonero.
“Hai un minuto?” Le buttò in faccia, con cipiglio scuro.
“Adesso? Starei cenando…”
“Come se non sapessi che in Francia si mangia più tardi. Siete la metà al tavolo. Mangerai dopo,  vieni con me, ti devo parlare.” Lanciò un’occhiata a Mael, che occhieggiava senza capire visto il suo scarso inglese. “Non qui, comunque.” Aggiunse, dopo un momento di imbambolamento.

Si è ripresa subito però… Allora lo ama proprio, il suo Malfoy…
“Ma che è, un’emergenza?”
“Codice Potter-Weasley.”
Dom ci mise più di qualche attimo a ricordare quel gioco di ragazzini: a quanto pareva trai suoi cugini inglesi andava ancora forte. Sospirò divertita, alzandosi e seguendola.

Solo quando furono lontane dalla Sala Grande e in un corridoio privo di esseri viventi, l’altra parlò.
“Si tratta di Scorpius.”
“Giuro che non è colpa mia.” Ribatté pronta. Le usciva naturale da che era nata, praticamente. Dall’aria confusa di Rose capì però che quello era uno dei rari casi in cui non doveva preoccuparsi di trovare una giustificazione ad un guaio che aveva combinato e di cui non aveva memoria.

“Certo che non lo è, che diavolo…?” Borbottò l’altra, poi scrollò le spalle, decidendo saggiamente di non indagare. “Mi devi dire se conosci una persona… una certa Violet.”
“Violet? La conosco, sì.” Fu sorpresa di sentire quel nome sulle labbra di sua cugina.

Sono due tipe così diverse… e come la conosce poi?
“Pare che sia una specie di probabile moglie combinata per Scorpius. Sai, approvata dall’intera Casata dei Malfoy…” Spiegò lugubre, lo sguardo palesemente perso in cupi pensieri di infedeltà ineluttabile.
“Capisco…” Non trovò di meglio da dire, pensando all’arrosto fumante che aveva lasciato sul tavolo.
“Cosa sai dirmi su di lei?” La incalzò Rose, impietosa.
“Beh… Non è il genere di persona con cui mi accompagno a scuola, ma è a posto, credo.”
“… A posto?” La delusione e il terrore negli occhi di Rose era palese e quasi esilarante. Probabilmente sperava le dicesse che la Parkinson-Goyle era una stronza di dubbia levatura morale dedita alla magia oscura.

“Definiscimi a posto…” Insistette infatti.
“Non so, non la conosco bene… So che è purosangue, che i suoi genitori sono inglesi, e che si sono trasferiti in Francia quando lei non era ancora nata. Pare che giri la voce che abbiano avuto problemi con il Ministero all’epoca di Voldemort. È nel club di Florigrafia.” Allo sguardo perplesso dell’altra si apprestò a spiegare. “Qualcosa che c’entra con i fiori.”
Ah.” Sembrava aver perso improvvisamente ogni spinta loquace. “E com’è fatta? È carina?”
“Che ne so! Non guardo le ragazze!” Sbuffò esasperata da quell’interrogatorio fastidioso. Probabilmente ragazze come Lily avrebbero trovato quei pettegolezzi succulenti, ma lei si stava solo annoiando.

Voglio andare a cena, mangiare, scrivere il mio nome in un dannato pezzo di pergamena e buttarlo dentro il Calice.
Lasciami andare!
“Vuoi che te la indichi? Era al tavolo…” Suggerì stancamente.
Non fece in tempo a finire la frase che Rose la afferrò per un braccio, dimostrando una notevole forza motrice, e la portò di fronte alle grosse porte della Sala Grande.
“Quale?” Le chiese brusca, scandagliando l’ambiente con lo sguardo.
“Quella lì. Capelli neri, treccia lunga.” La indicò, visto che in dirittura di sguardo era proprio di fronte a loro, seduta agli ultimi posti della tavola dei Corvonero.
A lei non era mai sembrata una bellezza eccezionale.
Certo, probabilmente perché sono abituata alle bellezze effimere della mia famiglia.
Voglio dire, dna Veela. Proprio non c’è storia…
Violet Parkinson-Goyle invece aveva una madre piuttosto brutta, questo se lo ricordava bene. Ma per una strana bizzarria genetica il risultato di un dna orrendo aveva prodotto una ragazza minuta, dai lineamenti di bambola e grandi occhi scuri.
Visti i genitori, poteva essere considerata una bellezza.
Volse lo sguardo verso Rose. Sua cugina aveva l’aria di una che aveva appena ingoiato un limone delle dimensioni di un pugno.
Questo, prima di voltare le spalle e darsela letteralmente a gambe.
“Rosie!” La chiamò inutilmente.
Forse avrebbe dovuto rincorrerla, ma a conti fatti, non avrebbe saputo come arginare la sua crisi esistenziale.
La troverà Sissy o qualcun altro… Io proprio con queste cose non ci so fare.
Si ficcò una mano nella tasca dell’uniforme azzurrina tirando fuori il pezzo di pergamena dove aveva schizzato il suo nome.
Per quanto volesse bene a sua cugina, aveva cose più importanti da fare: attendere alla gloria eterna era una di queste.
Non era forse il motivo per cui tutti erano lì?
 
 
****
 
 
Hogsmeade, Tre Manici di Scopa.
Sette di sera.
 
Lui e Potter avevano deciso un giorno per incontrarsi ad Hogsmeade, ed era il lunedì.
Questo perché poi lui si vede con Lupin…
Quando varcò le porte dei Tre Manici, Scorpius Hyperion Malfoy non poté fare a meno di gongolare per la sua maggiore età, e quindi per i privilegi che ne conseguivano, come poter uscire nelle ore libere senza bisogno di avere un permesso dal proprio Direttore di Casa, o poter ordinare la vasta gamma di alcolici che offriva il pub magico.
Il Potter era seduto ad uno dei tavoli con addosso l’uniforme dell’Accademia nuova fiammante, di un verde cupo. Si guardava attorno con aria di comica importanza.
“Ehilà, Poo… Hai dimenticato il mantello a casa?” Lo prese in giro, sedendosi davanti a lui.
James stirò un ghignetto. “Tutta invidia, studentello.”
“Mmh, forse. Se non fosse che lo studentello parteciperà al Torneo Tremaghi.” Mise subito le carte in tavola, attendendo la reazione dell’amico.

James reagì immediatamente; sfoderò un’aria di maschia compartecipazione, dandogli una pacca sulla spalla capace di slogargliela. “Ebbravo Malfoy! Questo sì che è parlare da vero grifondoro!”
“Come mai con te tutto si riduce ad una dicotomia tra Case?”
L’altro sbuffò, facendo un cenno vago. “Perché  per me sarà così per sempre… Dai, ti offro da bere. Bisogna festeggiare la tua pazzia!”

“In questo caso, accetto volentieri. Un whiskey incendiario, grazie.” Comunicò alla Madama, prima di raccogliere le idee: James Potter poteva avere molti difetti, ma era la persona più adatta con cui parlare in quei frangenti.
O presumibilmente, l’unica.
“Pensi che verrò scelto?” Gli chiese, stando ben attento ad avere un’aria casuale, come se si stesse informando delle condizioni atmosferiche del Devonshire.
Se l’altro capì che in realtà era sulle spine, non lo diede a vedere. “Che sia maledetto se non sarà così!” Esclamò infatti. “Chi sono gli altri candidati di Hogwarts?”
“Vediamo… La minore dei Chang, tipa piuttosto sveglia, ha preso il posto del fratello come Capitano del Corvonero … anche a Tassorosso c’è gente in gamba. Dei nostri… Brody McLaggen?”
“Chi? Mai sentito!” Riassunse magistralmente l’altro. “È del tuo anno?”
“Bocciato, è al Sesto. L’anno scorso ha provato le selezioni per Battitore del Grifondoro, non so se ti ricordi…”

“Ah, sì, era insopportabile, un pallone gonfiato. Non hai concorrenza, ragazzo.” Gli assicurò con un sorriso incoraggiante. Scorpius si sentì vagamente commosso, e sopportò quindi che l’altro pretendesse l’esclusiva sulla ciotola di noccioline.
“Penso tu sia il primo ad essere contento della mia idea…” Gli confessò; ed era vero. Suo madre e sua nonna non si erano pronunciate, ma questo già la diceva lunga. Suo padre non l’aveva ostacolato, ma neanche caldeggiato.
E Rose…
Aveva la sinistra impressione che se ne avesse parlato apertamente con lei gli avrebbe cavato un occhio.  
Non sono riuscito a trovare il coraggio…
“Beh Malfuretto, io avrei già messo il mio nome nel Calice, quindi…” Lo squadrò da capo a piedi. “Però lo sai che rischi la pelle, vero?”
“L’avevo vagamente intuito da tutte le misure di sicurezza che hanno disposto e dai racconti terrificanti che girano… oltre alla riluttanza di mio padre nel darmi la sua benedizione.”
James non commentò quest’ultima affermazione, sebbene fosse evidente ne avesse tutta la voglia.

In nome della loro amicizia si limitò a crollare le spalle, bevendosi la sua burrobirra in silenzio.
Lo apprezzò.
“Quando pensi di mettere il tuo nome?” Gli chiese poi.
“Presto, domani sera. Non voglio aspettare, il sorteggio sarà sabato.” Fece tintinnare il ghiaccio a forma di calderone nel bicchiere, osservando i riverberi caramello del liquore.

Ci aveva pensato da quando aveva visto l’articolo ad Agosto.
Ci aveva pensato a lungo, e sebbene avesse deciso di impulso, in un primo momento, poi non aveva cambiato idea per quanto avesse sviscerato la questione tra sé e sé e con suo padre.
Doveva partecipare e doveva vincere.
Sapeva che il Torneo non sarebbe stato uno scherzo, e sicuramente qualcuno avrebbe storto il naso all’idea che il rappresentante di Hogwarts fosse figlio di un ex-mangiamorte.
È proprio per questo che lo faccio…
“Ehi.” James lo riportò alla realtà, dandogli un colpetto sul braccio. “Qual è il problema?”
Avrebbe voluto dirgli che il problema era estremamente semplice.

Vorrei avere un passato familiare che non parla di Magia Oscura e scelte sbagliate. Vorrei avere il passato dei Potter e degli Weasley a volte.
Avrebbe voluto dirglielo, ma non lo fece, perché nonostante tutto amava essere un Malfoy.
“Nessuno…”
“Certo, amico.” Inarcò le sopracciglia con palese divertimento “Non so se ti sei mai guardato allo specchio, ma quando qualcosa ti tormenta si vede lontano un miglio.”
Scorpius ridacchiò, evitando di dirgli che poteva sapere solo perché erano amici e quindi glielo lasciava fare.

“Sì, in effetti ci sono delle cose che potrebbero rendermi poco digeribile come Campione di Hogwarts.”
“Per esempio la tua famiglia?” Andò dritto al punto.

“Per esempio la mia famiglia, sì…” Confermò, sentendosi addosso la solita sensazione di strisciante disagio che aveva coronato la sua infanzia, prima che imparasse a fregarsene. “E poi c’è Rose.”
“Rose?”
“Non credo sia molto contenta del mio bisogno di gloria eterna…” Spiegò con piglio giocoso, perché non aveva voglia di affrontare quel discorso seriamente.

“Lo fai davvero per la gloria eterna?” Spiò James con attenzione, prima di sgusciare un’altra nocciolina e ficcarsela in bocca.
“No…” Dovette ammettere. “Non solo almeno. Lo faccio perché…”
Lo faceva perché voleva essere considerato finalmente una persona degna di fiducia.

Perché amava essere un Malfoy, certo, ma non gli sarebbe dispiaciuto che il suo cognome venisse riabilitato da qualcosa di diverso dai soldi o dalle pressioni politiche di suo padre.
Ma soprattutto lo faceva per sé stesso. Lo faceva per se stesso e per Rose, perché come Campione del Tremaghi forse avrebbe potuto baciare al sole la sua Rosie, e suo padre si sarebbe finalmente reso conto che non era un bambino le cui bizze si sarebbero esaurite una volta finita la scuola.
Come Campione del Tremaghi sarebbe stato chiaro a tutti che stava diventando un uomo.
Era un piano perfetto.
“… per parecchie ragioni.” Riassunse stringato, e James parve intuire perché non chiese altro.
“Mi hanno detto della storia dell’assistente. Chi sceglierai?” Gli chiese invece.
“Ancora non lo so… Se ci fossi stato tu, avrei scelto te.” Ammise spassionato. “Se venissi scelto avrei la mezza idea di chiederlo a qualcuno degli scartati, ma non so… Non li conosco bene.”
“Nel caso, non McLaggen. Forse ha sangue di troll nelle vene…” James si strinse nelle spalle, anche se palesemente stava gongolando per l’affermazione di poco prima. “Ti consiglio comunque di scegliere qualcuno svelto di testa e di bacchetta. Se deve darti una mano con la preparazione delle prove, allora dovrà essere un secchione.”
“Potrei chiedere a tuo fratello. Non è il golden-boy di Serpeverde?” Scherzò, ma non del tutto. Aveva una buona opinione di Albus, anche se era convinto che dietro quei modi affabili si nascondesse un discreto calcolatore.

Il che non è necessariamente una brutta cosa… Non a casa mia, almeno.
James scosse la testa. “Lascia perdere Al. Tra i doveri di Capocasa e quello che gli è successo, è ancora fuori assetto… Non avrebbe la testa per starti dietro.”
“Vero…” Fece una pausa. “Rosie?”
“Certo, non riesci neanche a dirgli che partecipi e le chiedi di darti una mano?” Ironizzò l’altro, con una crudeltà che giudico piuttosto malvagia. “Comunque fidati, te la darebbe comunque. Anche solo per sgridarti continuamente. Perché avere un solo aiuto ufficiale quando ne puoi avere due?”
“Vero anche questo. Sei intelligente allora!”

“Oh, crepa Malfuretto!”  
Rimasero in silenzio a gustare la loro seconda ordinazione, irrobustita da una seconda ciotola di noccioline.
“Come va con Teddy?” Chiese, perché era un buon amico. O almeno ci provava volenterosamente.
“Bene, a parte il fatto che sono quasi due settimane che non lo vedo.” Borbottò James. “Se non apprezzassi il Tremaghi in sé, credo lo odierei…” Concluse gettandosi una nocciolina in bocca, con la palese aria di chi stava nascondendo qualcosa.

Scorpius si riteneva sì, un buon amico, ma non fino al punto di indagare nei fatti personali di una coppia omosessuale. Specie se formata dal suo migliore amico e da un altro uomo, nonché suo cugino, nonché suo professore.
“Già.” Si limitò quindi a dire saggiamente. Poi inspirò. Perché doveva dire altro. “Devo dire a Rosie che parteciperò al Torneo.”
James inarcò le sopracciglia. “E quando pensi di dirglielo?”
“Non lo so… Forse a cose fatte? Anche se non è un’idea brillante, me ne rendo conto.” Fece una smorfia. Rose non avrebbe mai potuto capire. Non fino in fondo almeno, e questo lo frustrava. “E dire che lo faccio anche per lei… per noi.”
“Perché come campione potresti convincere zio Ron e gli altri…”

“Che sono un bravo ragazzo, sì. O qualcosa del genere.”
“Ma pensavo che voleste tenere nascoste le cose tra di voi.”
“A te piaceva tenerle nascosto il tuo rapporto con Lupin?” Gli chiese osservando la pioggia autunnale che spruzzava le finestre della taverna con forza. “Le cose devono cambiare, James. E cambieranno.”


****
 
Hogwarts, Sala Grande.
Otto e mezzo di sera.
 
Albus lanciò un’occhiata all’ennesimo ragazzo di Durmstrang che metteva il suo nome nel Calice.
Si levò un piccolo applauso, mentre accanto a sé Dominique faceva una smorfia.
“Quel tipo ha il cervello pieno di muscoli… Non avrà chance contro la magnifica me.”
“Mmh-mh.” Confermò, scorrendo con lo sguardo la lista dei turni su cui lavorava da tutto il pomeriggio. Perché naturalmente, oltre la mole spaventosa di compiti che gli era stata assegnata in vista dei MAGO, aveva passato tutta la mattina a litigare con i prefetti di ogni singola Casa, visto che nessuno di loro voleva fare il turno di mezzanotte.

Per questo si era rifugiato in Sala Grande, occupata perlopiù dagli studenti stranieri.
“La vita è dura Sissy?” Ghignò sua cugina. “Pensa a Rosie. Lei sì che sta messa male con i suoi evidenti problemi di gelosia…”
“… Che hai fatto?” Aveva un brutto presentimento e un’emicrania in fieri. Non avrebbe voluto chiederlo ma…

Codice Potter-Weasley. Argh.
Perché oltre ad essere un Caposcuola, uno studente e un giocatore di Quidditch, faceva anche parte di un clan familiare che pretendeva quotidiane attenzioni.
È un miracolo che non sia ancora esploso.
non posso seppellirmi nella mia stanza con Tom? No? Dite che è moralmente sbagliato?  
“Io niente, ha fatto tutto da sola!” Mise le mani avanti Dom, riportandolo alla triste realtà. “Dovresti parlarle comunque… era fuori come una zucca, parola mia!”
“Quando avrò tempo per respirare.” Sibilò a denti stretti, tracciando una linea di inchiostro sull’ennesima insoddisfacente combinazione di turni. L’altra Caposcuola si era tirata fuori dai giochi, adducendo un’influenza.

Maledetta.
“Ma scusa… il problema?”
“Il problema è che in questo momento non ho tempo per occcuparmi di qualcun altro… Devo lavorare su questa lista e consegnarla al Preside entro domani sera.”
“Perché non chiedi aiuto a Thomas?” Interloquì. “Sono certa che sarebbe estasiato, in quanto amante del controllo.”

“Deve sostenere gli esami per iscriversi all’ultimo anno… È sempre in biblioteca. Non lo vedo da stamattina.” Borbottò, perché anche quello lo metteva di cattivo umore.
Si potevano vedere solo di sera e per i pasti. Il che non era davvero granché: quando mangiava, Tom era comunicativo come una pietra… e la sera lo trovava già svenuto sul letto.
Nel mio letto, tra parentesi…
“Ma se è lì…” Alzò lo sguardo, seguendo il dito che Dom puntava verso le porte della Sala Grande.
Tom c’era in effetti e aveva un’aria… furtiva.
Oh, no. Non di nuovo.
Sentì il panico congelargli lo stomaco. Specie perché quando incontrò il suo sguardo l’altro gli fece cenno di seguirlo, serissimo in volto.
Radunò le sue cose, quasi inciampando nella panca su cui era seduto, salutando con un cenno della testa frettoloso la cugina.
“Tom!” Lo chiamò. “Che c’è?”
“Seguimi.” Fu la risposta, prima che imboccasse le scale che portavano ai sotterranei.

Al si morse un labbro con forza, preoccupato. Non poteva…  non ci doveva essere niente che non andava, assolutamente niente; il Torneo era perfettamente sicuro, pullulante di funzionari e auror a pattugliare i confini di Hogwarts.
Sorpassarono l’arco di pietra del dormitorio e Tom si diresse verso la sua stanza. Si fermò davanti, facendogli cenno di entrare.
“Prima tu.”  
“Ma che…?”
“Entra, avanti.” Ripeté facendosi da parte.

Gli scoccò una lunga occhiata, a cui l’altro rispose con uno sguardo indecifrabile.
Non gli restò che entrare.
E rimase letteralmente a bocca aperta.
Le lampade che solitamente illuminavano la stanza erano spente, e così il camino, ma la stanza era piena di luce. Decine e decine di fuochi argentati erano sospesi nell’aria e bruciavano di una fiamma brillante, quasi a voler sembrare piccole stelle.
“Cosa…” Mormorò incredulo, mentre Tom entrava e chiudeva la porta. “Che cosa sono? Assomigliano a fuochi portatili, ma…”
“… ma non hanno un supporto.” Concluse per lui con un vago sorriso, affiancandoglisi. “Ho pensato che ti sarebbero piaciuti.”
“Sono bellissimi!” Si sentiva incredulo e immensamente sollevato. Avrebbe dovuto essere arrabbiato perché il cretino era incapace di fargli una bella sorpresa senza sembrare un cospiratore, ma in fondo non era colpa sua. Era fatto così. “Che incantesimo è? Non ricordavo fosse nel programma del Sesto!”
“In effetti non c’è… L’ho inventato io.” E dal sogghignò che gli servì, era ovvio che volesse essere lodato. “Ho aggiunto un incantesimo freddafiamma. Non brucia… prendine uno, avanti.”

Al tese le mani, e sentì l’allegro fuocherello pizzicargli i palmi. “È davvero stupefacente… tu sei stupefacente.” Vedendo che il sogghigno di Tom si stava ampliando a livelli di pericolosa autocelebrazione, corresse subito il tiro. “Quando decidi di applicarti seriamente.”
“Non essere ridicolo, io mi applico sempre.” Replicò infastidito. “Non è stato facile rendere stabili tutti questi nuclei, lo sai? L’ho fatto per te, quindi…”

“Davvero?” Inarcò le sopracciglia, cercando di non commentare il leggero rossore che comparve sulle guance dell’altro.
È un bene che nessuno gli abbia mai detto che è terribilmente carino quando si degna di mostrare qualche emozione…
“Mi hai detto che non so essere romantico e …” Vedendo la sua espressione sbalordita, si affrettò a correggersi. “Con questo non significa che abbia voluto esserlo… soltanto, so che sei stressato in questi giorni, per via dei tuoi compiti da Caposcuola. Ho pensato che mostrarti l’incantesimo… avrebbe potuto essere…” Si fermò, indeciso su che parola usare. Fece una smorfia sofferente, poi continuò. “… carino.”
Al evitò di ridere, perché non era carino infierire. Lo baciò, mentre lasciava libero il fuocherello, che prese a danzare sopra le loro teste.  

 
Una volta tanto aveva fatto la cosa giusta.
Tom si complimento con sé stesso. Perché se lo meritava.
Il suo primo istinto, dopo la spiacevole conversazione con Zabini, era stato quello di trovare Albus, trascinarlo in un posto appartato e chiedere spiegazioni.
Memore dei suoi trascorsi impulsivi si era invece fermato, anche per far smettere la sua bacchetta di sputare scintille.
Saranno smesse le lampadine fulminate da quando l’ho riavuta… ma non che le scintille siano meglio.
Riflettendo quindi, aveva capito che Al aveva il diritto di spiegarsi senza sentirsi attaccato.
Senza contare che sarebbe andato su tutte le furie se gli avessi rivolto accuse del genere…
Era quindi tornato in Sala Grande, e trovatolo l’aveva osservato per un po’, senza farsi vedere.
Vederlo sfibrato e stanco gli aveva fatto tornare alla mente quanto gli aveva detto Zabini.
C’erano del vero: aveva fatto soffrire Albus più di chiunque altro al mondo.
E sta a me farlo stare bene adesso.
“Al…” Gli accarezzò le labbra con il pollice, stupendosi come ogni volta di quanto fossero morbide e pronte ad arrossarsi al minimo bacio.
Al gli sorrise, appoggiandosi contro di lui e sfiorandogli con la guancia la spalla.  
“Sta funzionando…” Bofonchiò contro il suo colletto. “Mi sento molto meglio.”
“Se vuoi posso dare un’occhiata a quei turni… intendo dire, dei prefetti.” Replicò mentre lo portava verso il letto. “So chi sono e penso che alcuni di loro possano essere convinti…”

Al si sedette sul materasso, con uno sbuffo. “Stiamo parlando di intimidazione?”
“Un semplice caldeggiamento.” Scosse la testa, chinandosi a slacciargli le scarpe. Se Albus fu sorpreso dal gesto non lo diede a vedere, lasciandolo fare di buon grado. “In fondo si tratta di capricci. Non vogliono dormire meno degli altri. Penso che come Caposcuola sia tuo dovere farti rispettare…”

“Credo che ti lascerei anche metterli tutti sotto imperio in questo momento.” Sbadigliò. “Salazar, sono così stanco…”
Tom gli afferrò le gambe, e gliele buttò sul letto, facendolo ridere. Si stese accanto a lui, guardandolo scivolare lentamente nel dormiveglia.
Ma per quanto cercasse di dimenticarle, le parole di Zabini continuavano a girargli vorticosamente in testa.
“Al…”
“Mmhsì?” Articolò, con gli occhi già chiusi.

“Quando sono scomparso…” Esitò, vedendo gli occhi dell’altro spalancarsi di scatto. “… mi è stato detto che hai attraversato un periodo difficile.”
“Certo, te l’ho detto io.” Si puntellò su un gomito, girandosi verso di lui. “Quindi?”
“Mi è stato detto altro.” Non era sicuro di volerne parlare di fronte a quello sguardo limpido, che rifletteva solo quanto e come avesse sbagliato. “Mi è stato detto dei tuoi incubi e…”
“Michel.” Lo interruppe cupo. “Te l’ha detto lui, vero?”
“… Sì. Stava mentendo?”

Al non rispose. Si mordicchiò invece l’angolo di un labbro. “Non è importante.”
“Certo che lo è!” Sentì le sue dita chiudersi attorno alla coperta, perché non aveva niente da stringere e la bacchetta non era il mezzo più indicato. “Al, io… non volevo che…”
“Ne abbiamo già parlato.” Sentì la mano dell’altro sfiorargli la curva del collo, in una carezza gentile, risalendo fino a fargli alzare il viso. “Siamo stati male entrambi, ma adesso è tutto finito.”

“… già.”
Per farsi perdonare quello ci sarebbero voluti più che qualche decina di fuochi argentati.
“C’è altro?” Si sentì chiedere, perché a quanto pare poteva essere un maledetto enigma per tutti, ma non per Albus Severus Potter.
“Tu e Zabini vi siete baciati?” Lo buttò fuori, sentendo che dirlo era peggio che ingoiare qualche pozione della Chips. “Prima che tornassi…”
Al rimase immobile per qualche secondo in una buffa posa innaturale, puntellato sul gomito, tra l’alzarsi e rimanere steso su un fianco. Poi parlò, con voce assolutamente incolore. “Penso che dovrò parlare con Mike…” Squadrò la sua espressione, e sospirò. “E no, non ci siamo mai baciati.”
“… Bene.”
“Ho baciato un ragazzo in una discoteca babbana… ero ubriaco.” Gli afferrò la camicia, quasi a frenarlo dal ribattere. “Sei arrabbiato?” Gli chiese però.
Tom serrò le labbra. Lo era? Naturalmente, ma c’era una parte di lui che sapeva di meritarselo. Oltre al fatto che glielo aveva confessato con serietà, senza usare giri di parole.

Farei la figura dell’idiota se dessi in escandescenze…
“Sì, lo sono.” Disse però, ripagandolo della stessa sincerità.
“Bene. Allora non mettermi più nelle condizioni di farlo.” 

Albus era cambiato, su questo non c’era dubbio. Tom aveva sempre pensato che dietro la sua insicurezza cronica e la sua timidezza ci fosse un temperamento cocciuto. Ora stava finalmente venendo alla luce e probabilmente, a conti fatti, il più forte di loro due era lui.
Lo è sempre stato…
“Lo farò.” Inarcò un sopracciglio in direzione dei fuochi che riempivano la stanza con la loro luminosità perlacea. “Come sto andando?”
Al sorrise, passandogli le braccia attorno al collo e tirandoselo contro, con un movimento che ormai era diventato familiare ad entrambi.

“Molto bene… per ora.”
 
 
****
 
Vascello di Durmstrang, Lago Nero.
Sera.
 
Sören entro dentro la propria cabina, slacciandosi gli alamari del mantello; non l’avrebbe mai creduto possibile ma la Scozia sapeva essere più gelida e umida della Norvegia, nei suoi giorni di pioggia.
Poliakoff alzò la testa dal libro che stava leggendo, steso nella sua cuccetta. “Oh, Sören!” Lo apostrofò con un sorrisetto. “Ce ne hai messo di tempo per riaccompagnare la rossina al castello…”
“Levati dai piedi, devo parlare con mio zio.” Disse per tutta risposta, chinandosi sotto il suo letto per estrarre un baule di ferro pesante.

L’altro ragazzo deglutì, ma non se lo fece ripetere. Prese libro, mantello e quello che sembrava l’avanzo di un panino alla carne e si precipitò fuori.
Sören aspettò che l’altro si fosse chiuso la porta alle spalle per toccare con un colpo di bacchetta la serratura. Quella si aprì con un lieve cigolio, mostrando un fuoco giallognolo che bruciava all’interno del forziere, rinforzato debitamente con incantesimi protettivi.
Non si potevano portare camini portatili ad Hogwarts, specialmente per comunicare con l’esterno. Tutte le comunicazioni dovevano passare per i focolai del castello, controllati dal Ministero, pena l’arresto.
Solo la detenzione di un oggetto del genere avrebbe attirato l’attenzione degli auror su di sé.
Prese una manciata di polvere dal sacchetto fissato al coperchio e la gettò dentro le fiamme.
Aspettò, prima che il viso di suo zio si palesasse.
“Sören.” Una semplice affermazione. “Hai notizie per me?”
“Non su vostro figlio, zio… ma su Lilian Potter.”
“Ti ascolto.”
“Credo sappia usare la Legimanzia.” Non la prese alla larga, sapeva bene che Hohenheim l’avrebbe detestato. “Ha tentato di leggermi i pensieri questo pomeriggio.”
L’uomo lo fissò attraverso le fiamme, e persino a miglia e miglia di distanza, Sören sentì quella spiacevole sensazione di bruciore allo stomaco.

“Ne sei sicuro?”
“È quello che ho avvertito, sì.” Annuì. “Non posso sbagliarmi.”
“Non ho avuto informazioni in merito… Ed è troppo giovane per averla appresa a scuola. Non credo sia nel programma di Hogwarts.”
“Mi sono informato. Non sanno neppure cosa sia la Legimanzia.”
“Interessante…” Fece una nuova pausa. “Dubito che gli sia stata insegnata in famiglia. Potrebbe essere una dote naturale…” Aveva quello sguardo; Sören trattenne istintivamente il respiro, mentre sentiva le mani dietro la schiena, intrecciate, serrarsi tra di loro.

Non avrebbe mai smesso di essere un bambino spaventato, probabilmente. 
Quando Alberich Von Hohenheim si interessava a qualcosa… per quella cosa, o quel qualcuno, non era mai una buona notizia.
“Credo di non capire…”
“Non fare lo sciocco.” Lo redarguì con una smorfia infastidita. “Sto parlando di un Legimante Naturale.”
“Non sono comuni…”
“Ma neppure rari. Il Ministero inglese li rende inabili non appena mostrano i primi segni del loro dono. Una delle loro tante irrazionali paure.” Si fermò di nuovo. Le fiamme rendevano confusi i suoi lineamenti, facendoli sembrare più indecifrabili del solito. “Interessante. Molto interessante…”
“Per quanto riguarda vostro figlio? Ci sono ordini?”
“Nessuno per il momento. Prosegui con il piano e fa in modo di essere sorteggiato come campione.”
“Il Calice è imparziale, zio.”
Lo sguardo che lo trafisse gli fece capire che aveva appena detto l’ennesima cosa sbagliata.

“Ho forse fatto addestrare mio nipote per nulla quindi? Non sei neppure capace di ingannare un oggetto inanimato?”
Scosse leggermente la testa, irrigidendo la posa delle spalle. Nessun colpo sarebbe arrivato, lo sapeva bene.

Ma l’istinto è qualcosa che non si può piegare facilmente con la ragione.
“No, zio. Non ti deluderò.”
“Lo spero. La Thule non ha bisogno di inetti.”

Le fiamme tornarono pulite e Sören chiuse lo scrigno con un gesto secco. Era di nuovo solo nella cuccetta, ma le mani non smisero di tremargli a lungo.
 
 
****
 
Note:
Prometto Teddy/Jamie prossimo capitolo. Mancano anche a me. Ma… esigenze di trama!

1. Qui la canzone.

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


A questo giro non riesco a rispondere alla vostre favolose recensioni, ma grazie! :D Soprattutto perché grazie a voi e alle vostre recensioni passate Doppelgaenger è entrata nelle ‘storie scelte’ di EFP!
Thanks! :D Dedico inoltre questo capitolo a Ron1111, per essere tornata su questi lidi^^

 
****
 
Capitolo XIV
 

 


Now I'm waiting for something that might never come

If it's a million to one shot, I'll make sure I'm the one
Seems that nothing is safe, except the truth turns to lies
Never figured it out, I found out why…¹
(Fall To Pieces, Razorlight)
 
 
8 Settembre 2023
Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del Quinto anno. Mattina.
 
“Svegliati Lily!”
Lily aprì gli occhi e si trovò di fronte la massa di ricci color sabbia della sua compagna di stanza, nonché sua amica, Abigail Finnigan.

Dovette ricordarsi che era sua amica per non lanciarle uno schiantesimo. Non che ricordasse l’ubicazione della sua bacchetta al momento, ma quello era un particolare del tutto ininfluente.
“Avrei preferito essere svegliata dalla WWN²… Non l’abbiamo messa per svegliarci alle sette?” Mormorò tirandosi a sedere, notando con somma irritazione che le altre tre compagne erano ancora tra le braccia di Morfeo.
“Potrei ucciderti per aver interrotto il mio sonno di bellezza…” Articolò.
“Hai quindici anni, Lily… non credi sia un un po’ presto per questa roba? Lo fa mia madre!” Replicò l’altra ragazzina, con aria elettrizzata e scocciata al tempo stesso.
Nessuno capisce il mio bisogno di essere meravigliosa.
Con questa triste consapevolezza nel cuore si apprestò a togliersi le coperte di dosso e salutare l’alba che illuminava di bagliori dorati la stanza. Okay. Forse non era l’alba, ma ci assomigliava maledettamente. “Si può sapere cosa c’è di così urgente?”
“Oggi c’è l’estrazione del Calice!” Esclamò prendendole le mani. “Non sei eccitata?”
“… Estremamente. Ora, se non ti spiace, torno a dormire e sognare giocatori del Puddlemere.”
Lily!” Protestò oltraggiata. Abigail sentiva molto la competizione, come tutti i componenti della sua entusiastica tribù irlandese. Fergus, il suo gemello, esibiva a chiunque avesse la sfortuna di incrociare il suo passo diagrammi di Aritmazia secondo cui era matematicamente certo che avrebbe vinto Hogwarts e Fiona, la maggiore al Settimo, concupiva con occhi bramosi ogni papabile campione, sia che fosse britannico o straniero.

“Gail, credimi, ti voglio bene… Ma se non mi fai dormire potrei aver voglia di urlare.” Le spiegò pacata. Vedendo che l’altra non recepiva, provò di nuovo. “L’estrazione dal Calice sarà stasera, dopocena. Non credi sia un po’ prestino per essere così eccitata?”
“Disse quella che fa i sonni di bellezza come mia madre.” Sottolineò, con un certo grado di ragionevolezza. “Dobbiamo scendere a colazione… ci saranno gli ultimi aspiranti che metteranno il loro nome nel Calice!”
“E questo sarebbe interessante perché…?”

“Secondo mia sorella ci sono ancora un sacco di ragazzi di Durmstrang e Beaux-Batons che aspetteranno oggi per farlo. Ragazzi. E a quest’ora non ci sarà quasi nessuno… forse potremo parlare con quel tipo stupendo di Beaux-Batons, Mael!”
“… Oookay. Mi preparo e scendo.” Si piegò, in nome della loro adolescenza. Conosceva Mael per traslata persona, visto che era cugino di Dom dalla parte francese e sapeva che non pescava sulla loro sponda.

Visto che è gay come un mazzo di viole.  
Però non aveva ancora visto Sören mettere il suo nome nel Calice. Ed era certa che l’avrebbe fatto, sapendo che tutta la delegazione di Durmstrang era stata selezionata per concorrere al Tremaghi. 
Forse ci sarebbe stato, senza troppe persone fastidiose attorno. Era una buona cosa visto che non l’aveva ancora rivisto dopo il loro battibecco di qualche giorno prima. Se di tale si trattava; era ancora incerta su come valutare quell’episodio.
Ha capito… No, beh, non ha capito. Ma ci è andato vicino.
Fin’ora nessuno si era accorto che sono leggermente più brava della media a leggere le emozioni…
Spesso non si rendeva conto di quello che faceva proprio in virtù del fatto che nessuno l’aveva mai scoperta. Essere beccata e quasi redarguita l’aveva fatta sentire… vulnerabile.
Aveva scoperto che non era una sensazione che le piaceva provare.
Avrebbe voluto chiedergli come aveva fatto a capirlo, ma aveva paura che l’altro avrebbe preteso risposte in cambio. E non era certa di volergliene dare, anche se, tramite lettera, gli aveva già confessato tutte le sue cotte, le sue antipatie scolastiche e persino di quella volta, che a cinque anni era caduta nel lago davanti alla Tana sporcandosi il suo vestito preferito.
È una cosa diversa…
Si guardò allo specchio, e constatò con soddisfazione che non aveva le occhiaie.
“Lily! Dai, sbrigati, Hugo e Gus ci aspettano di sotto!”
Lily ebbe la mezza idea di soffiarsi un bacio, perché ehi, non era da tutte avere un viso riposato dopo una notte passata a rigirarsi nel letto a rimuginare.

Forse era troppo eccessivo. Si fece quindi l’occhiolino.
 
Quando scese, perfettamente ordinata e con un trucco strategicamente leggero, si accorse con delusione che la Sala Grande era praticamente vuota, tranne per qualche ragazzo immerso nella stesura disperata dei compiti del giorno. E Tom, con il naso seppellito dentro un libro.
Come al solito.
“Ah, guarda, c’è Tom…” Le indicò Hugo. “Ma studia sempre quello?”
“L’hai mai visto fare qualcosa di diverso? Non fissarlo Gail, se ti scopre ti pietrifica come un basilisco.” Fece ridere i quattro. “Beh? Non vedo però tutti questi ritardatari…”
“Sono le sette e dieci, dà loro tempo.” Obbiettò ragionevolmente Hugo, sedendosi ad uno dei tavoli e cominciando a servirsi di salsicce e pane tostato. Fu presto seguito da Fergus, che le rivolse un timido sorriso e una richiesta borbottata di sedersi accanto a lui.

Lo accontentò volentieri, perché la vista di suo cugino che si ingozzava come un ippogrifo le bloccava un po’ la digestione.
Non dovettero aspettare molto perché i primi studenti stranieri si palesassero nelle loro uniformi colorate. Come aveva detto Abigail, misero tutti i nomi nel Calice che si infiammò di una forte luce azzurra.
Arrivò anche Sören, seguito come un’ombra da quello sgradevole tizio di nome Kirill. Le passò accanto e le rivolse un cenno della testa, prima di lasciare il pezzo di pergamena dentro il fuoco. Poi le si avvicinò, mentre gli altri tre ragazzi piombavano in un silenzio guardingo.
“Lilian…” Sembrava aver riposato molto poco, dal viso tirato che aveva. Tolto questo, aveva il solito aspetto pulito ed efficiente che ci si aspettava da un allievo di Durmstrang.
“Buongiorno Ren!” Sorrise di rimando. “Ti siedi con noi?”
Il ragazzo parve esitare, poi annuì, facendo un cenno di commiato ad un delusissimo Kirill, che si allontanò amareggiato.
Ottima pensata Ren. Un punto in più per te.
Si sedette accanto a lei e profumava di erbe, un odore molto simile a quello che aveva sentito addosso ad Albus per tutta l’estate.
“Prepari pozioni nel tempo libero?” Gli chiese, riempendogli il bicchiere di succo di zucca. Voleva essere gentile, perché aveva capito che essere diffidenti in due non avrebbe portato a molto.
E lei voleva sapere.
“No, ma produco da solo quelle che mi servono…” Al suo sguardo interrogativo, rispose. “Una pozione per il sonno. Ho problemi a dormire quando cambio … aria.” Fece un cenno vago, sorseggiando il succo e facendo una conseguente smorfia disgustata.
Lily rise. “Troppo zuccherato?”
Sören per la prima volta da quando le conosceva, arrossì. Fu stupita di vedere come gli si coloravano violentemente le guance.

Era carino.
“Preferisco del the, o del caffè. Ce n’è?” Chiese,  abbassando lo sguardo alla ricerca della caraffa.
Hugo gliela passò con un sorriso incuriosito. “Parli molto bene l’inglese, eh!”
“Parlo quattro lingue.” Ripeté in automatico, quasi non ci avesse neanche pensato. “Il tedesco è molto simile all’inglese. Non è la lingua più difficile che abbia studiato.”
“Lo dice anche Tom.” Lily indicò con un cenno della testa il cugino acquisito, che non avrebbe scollato gli occhi dalle sue amate pagine neanche se avessero liberato una scorta annuale di Polvere Peruviana in mezzo ai tavoli. “Sai, è stato in Germania… quest’estate. Lo parla molto bene.”

“Me lo avevi accennato.” Sorrise di rimando, versandosi una generosa dose di caffè. A Lily non sfuggì lo sguardo assorto che lanciò a Tom. “Non è una persona di compagnia, vedo…”
“Oh, sì, è un vero fottuto misantrocoso!” Esclamò Hugo, insolitamente ciarliero. Aveva una sorta di malcelata ammirazione per i ragazzi di Durmstrang, molti dei quali finivano a giocare nei Vultures, la sua squadra straniera preferita.

Evitò di dirgli che era una squadra bulgara, e difficilmente il suo amico, in quanto tedesco, ci aveva mai avuto a che fare.
“Misantroche?” Si inserì Abigail, felice di poter trovare finalmente un modo per aprire bocca. Da quando Sören si era seduto non gli aveva tolto lo sguardo di dosso.
Lily, che conosceva la sua passione per i ragazzi stranieri, si appuntò di non dargli la possibilità di chiacchierarci troppo.
Sören era una cosa che riguardava lei, e lei soltanto.
“Vuol dire che non sopporta le persone.” Le spiegò, lanciando uno sguardo di sottecchi all’amico, che sembrava preso dall’epico compito di scegliersi la colazione. Era teso, si intuiva dalla postura contratta e la schiena dritta come un fuso.
In un primo momento, riflettendoci dopo il loro battibecco, aveva pensato che fosse simile a Thomas. Come lui le era parso poco simpatizzante del contatto umano. Ma mentre il cugino era praticamente uno snob, che selezionava le persone con cui circondarsi, Sören sembrava proprio… inadatto.
Già…
Sembrava non avere la minima idea di come comportarsi in mezzo ai propri coetanei.  
Tutti e due avevano un’aria terribilmente imbronciata, capace di scacciare i più impavidi conversatori, ma era l’atteggiamento di fondo ad essere diverso.
Lily gli toccò il braccio, rivolgendogli il migliore dei suoi sorrisi.
Beh, almeno ci devo provare…
“Cosa ne pensi di Hogwarts?” Gli argomenti neutri e frivoli erano la sua specialità dopotutto. “È tanto diversa da Durmstrang?”
“Ha dei paesaggi notevoli.” Le rispose, e non voleva essere ottimista, ma era quasi certa che avesse un tono grato. “… Ci sono molti punti in comune, ma Durmstrang ha un clima molto meno… amichevole, rispetto a qui.”
“Dicono che il vostro castello sia impenetrabile, che ci si possa arrivare solo in nave. È vero?” Interloquì Hugo, sporgendosi come suo solito per estendere la sua domanda anche alla mimica fisica.

Sören, e lo poté notare perché erano gomito a gomito, si irrigidì tirandosi indietro impercettibilmente.  
“Non sono autorizzato a dare questo tipo di informazioni.” Al silenzio sconcertato che ne seguì, replicò con un sospiro e un lieve sorriso. “Mi dispiace… È la politica dell’istituto. Durmstrang ha una tradizione millenaria di segretezza. Era l’unica scuola magica nell’Europa del Nord, e lì i maghi e le streghe vi hanno trovato rifugio dalle persecuzioni dei babbani. Un tempo era porto sicuro conto chi odiava la magia e la conoscenza… Ha i suoi segreti per la sicurezza stessa di chi vi abita.”
“Beh … ma siamo tutti maghi, no?” Lo interruppe Hugo. “Di che sicurezza stiamo parlando?”
“Ci sono molte voci che girano su Durmstrang. Non sarò io a smentirle né a confermarle.” Concluse e il tono era chiaramente definitivo mentre beveva un sorso di caffè.

Lily si trovò a ridacchiare dell’aria frustrata del cugino.
Fergus si grattò una guancia. Sembrava piuttosto intimidito dal tedesco anche se Lily non capiva come si potesse essere intimiditi da un semplice sguardo accigliato.
Forse con me non funziona perché sono cresciuta con Tom, il re dei bronci?
“Senti, ma… è vero che vi addestrano come soldati? Cioè, fate anche esercitazioni fisiche?” Chiese piano, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
“A Durmstrang la preparazione fisica va di pari passo con quella magica. Per noi un mago deve saper usare la magia, ma senza riflessi allenati a guidarla, la sola teoria rischia di non essere sufficiente.” Era una risposta vaga, che palesemente non diede soddisfazione a nessuno. Fergus sembrò non aver capito che metà del discorso. A Sören non parve importare.
“Ma vi allenate anche a combattere?” Insistette il ragazzino. “Mi hanno detto che usate anche delle spade.”
Persino Hugo si riscosse dalla degustazione di un panino al bacon per lanciargli un’occhiata di animata curiosità.
Davvero? 
“Non sono tenuto a rilasciare informazioni.” Ripeté pazientemente. Spinse da parte il piatto e il bicchiere, segno che cercava un modo per lasciare la tavola. “Mi dispiace.”
“Ma…”
“Beh, io non ho più fame…” Li fermò, avendo pietà dei nervi del suo povero amico. Non era chiaramente il tipo che si esponeva con serenità alle domande altrui. “Ren, mi accompagneresti al mio dormitorio? Devo prendere alcuni libri che ho dimenticato.” Mentì, nonostante sentisse la borsa pesare come un macigno.

Dannato programma dei GUFO.
“Certo, con piacere.” Convenne in tono sollevato. Lily non poté fare a meno di sentirsi compiaciuta al modo perfetto con cui le scostò la sedia e le prese la borsa; la cavalleria era merce rara ad Hogwarts, checché ne blaterasse il Cappello a proposito dei grifondoro.
Qualsiasi cosa insegnino a Durmstrang, la sanno insegnare bene…
Stavolta il braccio le fu offerto in modo assolutamente naturale e galante. Questo non le permise di vedere che Sören lanciò una lunga occhiata a Tom.
E che fu ricambiato.
 
****
 
Torre Grifondoro, Dormitorio maschile.
Sette e venti.
 
“Ehi Malfoy, ti spiace se uso la doccia?”
Scorpius alzò lo sguardo dal lavello in cui si stava accuratamente rasando, la bacchetta che scivolava sulla pelle in un incantesimo di rasatura. Non riusciva a capire come i babbani potessero usare delle lame per farlo. Doveva essere pericoloso.

“No, fa’ pure…” Sorrise al suo compagno di stanza. Tutto quello che sapeva di lui era nome e cognome, Noel Baston e che era un ottimo Cacciatore, visto che era nella sua squadra.
Uscì e mentre si vestiva ascoltò distratto i frammenti di conversazione di Coote, Sloper e John Wilkins, nato-babbano e l’unico di cui si ricordasse il nome visto che era stato l’unico a presentarsi, al Primo.  
In sette anni i suoi compagni di stanza erano diventati bravissimi ad ignorare la sua presenza e lui ad ignorare la loro. Non gli fu difficile quindi far scivolare un pezzo di pergamena con il suo nome in tasca senza che nessuno lo notasse o facesse domande.
Avranno una bella sorpresa…
Quando scese in Sala Grande, i suoi occhi non erano che per il Calice, saldamente piantato in mezzo ai tavoli. C’erano già parecchie persone.
Trattenne una smorfia. Aveva sbagliato ad aspettare così tanto, avrebbe dovuto farlo prima: l’idea di farsi vedere da mezza scuola non gli piaceva.
È solo che ho rimandato… perché non sembrava mai il momento buono.
Il motivo principale era Rose. Aveva cercato di trovare un momento adatto per introdurre il discorso per tutta la settimana. Non c’era riuscito. La sua ragazza sembrava essere stata trascinata in largo anticipo nel vortice di preparazione dei GUFO e gli aveva dato pochissima attenzione.
Era certo che in realtà avesse capito le sue intenzioni e che per questo avesse evitato ogni possibile discorso serio.
E poi ci doveva essere dell’altro. Rose si era comportata in maniera furtiva per tutta la maledetta settimana, quasi arrivando ad evitarlo. Era esasperato.
… Basta. Adesso vado lì e lo faccio.   
Si avvicinò apparentemente occupato a trovare un posto di suo gradimento. Si infilò la mano in tasca, sentendo la consistenza granulosa della pergamena.
Prese un respiro profondo e si avvicinò al Calice, valicando la linea dell’età. Le fiamme azzurrine gli lambirono leggermente le dita, senza scottarlo, quando la gettò dentro.
Non volle guardare nessuno. Non essere sicuro di poter sopportare eventuali frecciatine con il suo solito sorriso.
Si sentiva come la prima volta che aveva inforcato un manico di una scopa: esaltato e terrorizzato al tempo stesso.
E poi venne afferrato per un polso.
Ma cosa…?
Rose era seduta al tavolo di fianco al Calice, da sola. Aveva la faccia più infuriata del mondo.
Mentre si rendeva conto che avrebbe dovuto trovare comunque il modo di parlarle, anche a costo di legarla ad una sedia, gli venne in mente che suo padre aveva proprio ragione.
I grifondoro erano degli imbecilli impulsivi. E lui era uno di loro.
 
 
****
 
Torre di Grifondoro, Ritratto della Signora Grassa.
Otto di mattina.  
 
“Sei stato davvero gentile ad avermi aspettato!”
“Nessun problema. Ho guardato i quadri…”
Sören era piuttosto soddisfatto di come stavano andando le cose con la ragazz-... con Lily.

Devo imparare a chiamarla per nome. Familiarità.
La guardò mentre scivolava fuori dal buco dietro un’orribile ritratto che l’aveva asfissiato di chiacchiere tutto il tempo, guardiano del passaggio per la Torre di Grifondoro.
“I quadri? Sono dei tremendi chiacchieroni. Spero tu non abbia dato corda alla Signora Grassa! Oh, grazie…” Rise accettando la sua mano per rimettersi in piedi.
“Purtroppo ho commesso quest’errore… mi ha detto che le ricordo un vecchio studente di Serpeverde.”
“Ah, tutti le ricordano sempre qualcuno, è una pettegola, non è vero Miss?” Disse, rivolgendo un sorriso alla donna ritratta, che finse di non ascoltare, offesa.

Sotto ogni punto di vista Lilian Potter non poteva essere considerata stupida. C’era troppo nella sua mimica facciale, nel suo modo di porsi, che denotava furbizia e un’ottima dose di intelligenza. Voleva far credere alle persone di valere molto meno di quanto fosse effettivamente.
Sören era abituato a trovare i punti deboli nelle persone, ad individuarli, isolarli e sfruttarli.
Lily Potter non era un gioco facile, specialmente alla luce di ciò che gli aveva detto suo zio.
Una Legimante Naturale… I suoi poteri saranno inibiti, ma non cancellati. Sarebbe come chiedere al suo sangue di smettere di produrre la magia che la rende una strega.
Lily infilò un piccolo volume che aveva l’aria di non essere un libro di testo dentro la borsa. “Sei di nuovo perso nei tuoi pensieri?”
“Mi capita spesso di recente…” Convenne. Se non altro, non doveva sforzarsi di avviare una conversazione. Era sempre lei a fare la prima mossa. “Il Torneo, soprattutto.”
“Non hai paura?”  

“No, non direi…”  
“Perché no?”
“Sono stato addestrato.” … per prove molto più difficili in cui ho rischiato davvero la vita. “La nostra delegazione è formata dall’elite di Durmstrang, i  migliori allievi dell’Istituto. Siamo qui per vincere, o almeno… uno di noi avrà quest’onore.”
Oh.” Il sorriso che fece era indubbiamente classificabile come ghigno. “Beh, potete provarci. Ma qui abbiamo sconfitto maghi oscuri, avuto una guerra magica e anche l’ultimo Torneo…”
Sören sentì crescere dentro di sé un vago divertimento. “Questo farebbe di Hogwarts la prossima detentrice della Coppa dunque?”
“Può essere… Sai che è stato mio padre a vincere l’ultimo Campione del Tremaghi?”
“Ne ho sentito parlare.” Ricambiò il sorrisetto. “Da te. Circa tre riferimenti in due lettere.”

Si stava istaurando qualcosa, poteva sentirlo nel mondo in cui Lily lo prese a braccetto, servendogli un’espressione divertita e luminosa.
Stava facendo la cosa giusta.
 “Voglio bene al mio papà… Penso sia l’uomo migliore del mondo.” Disse con naturalezza. Doveva essere una bella sensazione avere una certezza simile, accecante e assoluta: quella di provare affetto per qualcuno che ti aveva dato la vita.
“È sicuramente un mago notevole e di forte fibra morale.”
“Usi sempre questi paroloni?” Lo prese in giro, ma c’era più curiosità che ironia dietro. Stavolta lo capì.

“Mi piace parlare in modo esatto.” Fece una pausa, quando un paio di ragazzi grifondoro li superarono, diretti verso le lezioni. Quel castello aveva corridoi molto stretti, ingombri di quadri e armature.
Un tipico castello scozzese… probabilmente con più passaggi segreti di quanto realmente necessario.
Era questo il modo in cui Doe si era mosso nella scuola. Nello stesso modo si sarebbe mosso lui, quando sarebbe arrivato il momento.
 “Volevo chiederti scusa. Per quello che ti ho detto un paio di giorni fa… sulla Legimanzia. Credo di averti infastidita.”
Lily fece un cenno con la mano, come a scacciare una mosca. “Non fa niente! Non sei il primo che pensa che legga nella testa delle persone…” Gli sorrise quieta. “Ma non è così. Sono solo…” Esitò, cercando la parola adatta mentre si attorcigliava una ciocca di capelli attorno al dito, con aria casuale. Fingeva, era chiaro che non fosse la prima volta che metteva in scena quel siparietto. “… attenta a chi mi circonda. È importante quando sei la figlia di Harry Potter.”
“Certo. Preferisci sapere cosa pensa la gente di te. È un desiderio naturale…” Osservò neutro. Probabilmente il vero intento di Lily era quello.

Il problema è che riesce davvero a sapere ciò che gli interessa, se vuole.
E questo per me potrebbe essere pericoloso.
Non era facile mantenere un distacco sufficiente da non farla arrivare al vero sé e allo tempo stesso mettersi in gioco per costruire un rapporto.
Improvvisamente Lily lo strattonò. Per la sorpresa non riuscì neppure a mettersi in allerta, e la ragazzina poté spingerlo con le sue sole forze.
“Lily, cosa…?”
“Ssh, ci sono Rosie e Sy!”Sussurrò mettendogli un indice sulle labbra, chiaro segno di fare silenzio. Sapeva di fragole ed era morbido.

Ammutolì docile.
Prima che potesse chiederle per quale maledetto motivo si fossero nascosti li raggiunsero delle urla. Erano della ragazza. Il compagno al contrario cercava di calmarla, ma non stava funzionando.
Una lite. Fantastico.
 
“Quando pensavi di dirmelo, eh?!”
“Te l’avevo accennato Rosie…”
“Non chiamarmi Rosie, non sono dell’umore!”
“Non sto… oh, per tutto l’oro della Gringott!” Il ragazzo cominciava a scaldarsi, e si voltò per fronteggiare la suddetta Rose, che probabilmente era Rose Weasley, cugina di Lily. “Va bene, forse avrei dovuto dirtelo… se non fossi stata così negativa in merito!”
“Scusa tanto se sono preoccupata dall’eventualità che tu muoia in una prova ridicola per dimostrare… per dimostrare cosa, poi!?”
“Io…” Tentò, ma l’altra lo interruppe immediatamente.
“Non credo ti serva il premio in palio, no? Navighi nei galeoni, maledizione!”

Sören, bloccato da Lily, non poté far altro che osservare la situazione, in mancanza di meglio.
Il viso di Rose Weasley era paonazzo. Sembrava il genere di persona che non riusciva a controllarsi una volta che perdeva la calma. Il maschio invece sembrava dotato di maggior autocontrollo. Era chiaro però, dalla piega delle labbra, che lo stava rapidamente perdendo.
“Non lo faccio per i soldi, è ovvio.” Convenne con voce forzatamente calma. “Lo faccio per…” Inspirò e si assicurò con un’occhiata che non passasse nessuno. Accertata la cosa, continuò. “Sarebbe stato tutto più semplice se avessi voluto parlare con me invece che girare come una trottola impazzita per la scuola… Non riuscito neanche a trovarti per avere questa conversazione!”
“Avevo… avevo da fare!” Fu la replica immediata e nervosa. “Sai, qualcuno prende sul serio i suoi doveri di prefetto, e i MAGO…”
“I MAGO saranno alla fine dell’anno! Sono solo scuse!” Sbottò alla fine il ragazzo. Si passò una mano trai capelli, con un movimento che esprimeva tutta la sua frustrazione.

 
Lily si mosse per guardare meglio. “Oh, le cose non si stanno mettendo bene…” Mormorò mordicchiandosi un labbro. “Non dovevamo essere qui.”
Non sembra che tu sia così dispiaciuta … - Pensò, ma non lo disse. Del resto era molto più preoccupato del fatto che gli si fosse accoccolata addosso.

L’odore di gigli che aveva sentito nelle lettere non proveniva dalla carta, ma dal profumo che Lily usava.
Sören registrò con una certa dose di sgomento che aveva la bocca secca e i battiti accelerati.
Nessuna ragazza gli si era mai avvicinata così tanto.  Era mortalmente imbarazzato. Avrebbe voluto uscire di lì, intimare alla coppia di andarsene e … scappare.
Naturalmente non poteva farlo. Rimase quindi il più fermo possibile, ben attento a non toccarla in nessun modo.
 
“Sono solo preoccupata per te! Sono prove rischiose e tu non sei preparato!”
“E McLaggen lo sarebbe?”
“No! Nessuno è preparato per cose simili! Gli studenti stranieri si sono preparati per mesi, sono stati selezionati da una scelta interna alle loro scuole!”
“Se il Calice mi sceglierà vorrà dire che sarò adatto per il Tremaghi, non credi?”
“Oh, certo! Un pezzo di legno imbevuto di magia sarebbe un giudice attendibile perché…?”
Non mi ha ancora scelto!” Ormai il tono di voce del ragazzo era praticamente allo stesso. “Maledizione Rose! Si suppone dovresti essere… non so, supportiva? Pensi che abbia bisogno di altra gente che mi dica che non sono esattamente il campione che Hogwarts potrebbe desiderare?”
Quest’ultima affermazione ebbe il potere di smorzare l’ira della ragazza. Inspirò lentamente, rilasciando poi un lungo sospiro. “Non ho detto questo…” Mormorò, ad un tono di voce che Sören trovò decisamente meno urtante.
“Invece sì.” Replicò il ragazzo brusco. “Non hai fatto altro da un’ora.”

“Sono… oh, miseriaccia… Scorpius.” Separò la distanza che li divideva e lo prese per un braccio. “Sono arrabbiata perché non me l’hai detto… pensavo che ne avremmo parlato, insieme.”
 
Scorpius Malfoy. Ecco chi era. Lily gliene aveva parlato una decina di lettere prima.
… ne ha parlato a Luzhin, cioè.
Il ragazzo era purosangue, di una delle più antiche casate della Gran Bretagna. Non conosceva i Malfoy, ma poteva capire perché il loro rampollo fosse restio a litigare in luoghi pubblici.
Non credo che una famiglia così antica, e quindi probabilmente radicata nelle tradizioni, approverebbe la frequentazione con una mezzo-sangue.
Non che gli interessasse, ma visto che era lì…

“Ho provato! Ma tu non facevi che svicolare e scappare a chiacchierare con i tuoi cugini! Sembravi già avercela con me!”

“Non era per… sì, beh. L’avevo già capito, è vero. Io…” Improvvisamente la ragazza sembrava sulle spine. Estremamente sulle spine. “C’è una cosa che devo chiederti.”
“Cosa?”

“… Chi è Violet?”
“Violet? È…” Stava per rispondere, poi sembrò che un pensiero gli attraversasse la mente. “E tu come fai a conoscerla?”

 
Sören guardò per pura indagine analitica Lily. Si stava martoriando un labbro.
“Oh, no, no… Qui le cose non si stanno affatto mettendo bene…” Borbottò tra sé e sé, quasi lui non ci fosse. “Che hai combinato Rosie?”
Tutta quella storia era adolescenziale in modo ridicolo. Ma gli stava permettendo di avere la riprova del fatto che Lily Potter si accorgeva di cose che solo un Legimante esperto poteva scrutare nei volti o nei gesti delle persone. Suo zio aveva ragione.

Specie perché avendocela così vicina aveva notato che, nascosto dai capelli, c’era l’orecchino di controllo.
 
“Non la conosco.” Fu la nervosa risposta. “La conosce Dom, è nella delegazione di Beaux-Batons con lei…  e l’ho sentita parlare di te.”
Mentiva. Ma l’altro non parve accorgersene.
“Ah… beh, è una mia amica di infanzia. Le nostre famiglie si conosco da Hogwarts. È una lunga storia.” Scrollò le spalle, e non sembrava mentire. “Niente di importante, mia nonna ha preso un po’ troppo alla lettera il fatto che a cinque anni asserivo di volerla sposare…”
Scusa?

“Rosie, eddai! Cinque anni! È stata la mia prima cotta, ma non ci parlo praticamente da allora!”
“In che rapporti siete?”  
Il ragazzo non parve adontarsi del tono intrattabile, anzi sembrò piuttosto divertito, da come si sciolse in un sorriso e la prese tra le braccia. “Nel genere di rapporto in cui ci si scambia un paio di convenevoli e sorrisi di circostanza… te l’ho detto, sono anni che non la vedo e non l’avrei neanche riconosciuta se non si fosse presentata.” 
“Quindi si è presentata… Che sfacciata.”  
“Tu sei il mio unico fiorellino, Rosey-Posey. Non essere gelosa, anche se sei più bella quando hai quest’aria mortifera…”
“Malfoy…”
La risposta fu un bacio. Il genere di effusione che a Durmstrang probabilmente sarebbe stata punita con un mese di detenzione.

 
“Lily, forse dovremo andarcene…”  
“Se andiamo adesso ci vedranno e sapranno che li abbiamo spiati.” Obbiettò con una ragionevolezza inquietante, specie se abbinata ad un ghignetto che non le aveva mai visto fare. “Non che mi preoccupi per Malfoy… ma hai visto com’è mia cugina.” Lo squadrò. “Potrebbe essere spiacevole e molto imbarazzante interromperli.”
E questo non lo è?
Non ribatté però, limitandosi a guardare un punto fisso del muro opposto. Non era preparato a quello. Doveva farci amicizia, non…
… Doe aveva ragione. Sono un sociopatico.
Sentiva lo stomaco stretto in una morsa di bruciante nervosismo, le mani sudate e altre varie funzioni fisiologiche alterate.
Aveva lottato con uomini più grossi di lui e aveva rubato incantesimi e maledizioni a maghi potenti per suo zio, per la Thule.
Ma non era stato preparato per sentire il respiro tiepido e profumato di una ragazza al suo orecchio.
Per fortuna pochi attimi dopo la coppia si allontanò in perfetta armonia, come se non si fossero urlati addosso fino a pochi minuti prima.
Lily a quel punto si scostò, permettendogli finalmente di avere una respirazione normale.
“È la prima volta che li vedo litigare…” Commentò pensierosa. “Ma penso che abbiano risolto… più o meno.” Questo lo aggiunse sottovoce.  
“… Qual’era il punto della lite?” Chiese senza volerlo sapere, ma solo per avere il tempo di ricomporsi.

“Beh…” Lo squadrò, poi scrollò le spalle. “Penso che Scorpius si stia mettendo nei guai.”
Non gli diede il tempo di ribattere perché guardò l’orologio babbano che aveva al polso e sobbalzò.
“Per Nimue, è tardissimo! Dovrei già essere a lezione! Ci vediamo a cena Ren!” E gli stampò un bacio sulla guancia.
Un attimo dopo era sparita dietro l’angolo.
A lui ci volle più di qualche minuto invece.
 
****
 
Hogwarts, appartamenti del Capocasa di Tassorosso.
Quattro del pomeriggio.
 
James si risvegliò con la vaga sensazione di trovarsi in un alveare.
O nella stanza di un tassorosso, a seconda delle interpretazioni.
Era negli appartamenti di cui Teddy poteva usufruire in quanto giovane e promettente direttore della Casa più leale di Hogwarts, e tutto lì dentro naturalmente doveva ricordare i colori dello stemma.
Un alveare, appunto.
Sogghignò contro il cuscino. Era il suo giorno libero e l’aveva passato a riprendersi dalle… fatiche… della notte prima. Teddy invece ero dovuto scappare via prestissimo per fare il suo dovere.
Sentì dei rumori nel salottino adiacente, ma non si disturbò ad alzarsi essendo nudo: farsi beccare da qualche altro professore con le grazie al vento non sarebbe stata una buona pubblicità per Teddy.
Quest’ultimo entrò nella stanza pochi minuti dopo, calciando via le scarpe e slacciandosi il mantello nero, che lo qualificava come professore, per gettarlo da qualche parte.
Visto quant’è disordinato l’avrà lanciato sul lampadario o qualcosa del genere.
“Sono ufficialmente distrutto…” Annunciò con voce inusualmente lamentosa. Conseguentemente James sentì uno smottamento dal lato libero del letto a baldacchino.
Soffocò una risata quando vide il proprio ragazzo steso a corpo morto sul materasso.
“Ed è tutta colpa del magnifico James Potter, il Re!” Sghignazzò alzando la testa dal cuscino e palesando il fatto che fosse sveglio. “Sono davvero, davvero un dio del sesso!”
“Direi più un satiro, seguendo la mitologia greca…”
“Aspetta, non sono quei tizi per metà capra?” Indagò. All’aria divertita dell’altro, trovò doveroso tentare di soffocarlo con il cuscino.
James davvero, provava ogni volta ad aver ragione dell’erede dei Lupin, facendosi forza del fatto che aveva un bel po’ di muscoli, era un allievo auror ed era allenato.
Teddy anche stavolta riuscì agevolmente a ribaltarlo sotto di sé, con un tenue sorriso da bibliotecario.
Lo odiava.
Perché?
“In quanto l’unico figlio umano di un lupo mannaro… credo dovresti chiedere al signor Scamandro.” Replicò tranquillo, bloccandogli i polsi sopra la testa per evitare ulteriori ritorsioni.

“Per essere distrutto sei fottutamente vitale…” Brontolò, avendo cura di fargli sentire che sotto le lenzuola non aveva niente addosso. Teddy, essendosi seduto sopra il suo stomaco, cambiò immediatamente il colore degli occhi in quel nero pastoso che preludeva del sesso niente male.
“E poi sono io il saCoso…”
“Satiro.” Lo corresse prontamente. “Sono stanco, ma sono pur sempre un uomo, James. E tu mi stai provocando…”

“Faccio mai qualcosa di diverso?”
Sentì le labbra di Teddy cozzare sulle sue prima che lo baciasse con gusto, approfonditamente.

James cercò di tirarsi a sedere e di liberare i polsi allo tempo stesso. Fallì in entrambi i suoi obbiettivi, ma non gli importava finché la lingua di Teddy continuava ad accarezzargli la chiostra dei denti in quel modo fottutamente perfetto e intossicante.
Vic qualcosa di buono gliel’ha insegnato. Grazie Vitro, ma d’ora in poi è roba mia.
Si staccarono con il fiato corto.
“Hogwarts fa letti comodi, non ricordavo male… Ho dormito come Merlino comanda.” Gli fece presente, mentre l’altro si toglieva dal suo stomaco per potersi sfilare il maglione.
“È passato solo un anno, non darti tante arie…” Ridacchiò. “Ma mi fa piacere che tu abbia dormito quasi quindici ore.”
“Esagerato… Comunque ti sei sistemato bene Lupin, complimenti.”

A proposito di sistemazione…
Non avevano più parlato dell’ipotesi convivenza. Per il momento la decisione era stata congelata visto che Teddy viveva ad Hogwarts; non aveva bisogno, nell’immediato, di un appartamento in cui stare.
Ma francamente vorrei cominciare a vivere da solo… Cristo, ho diciotto anni e la City mi aspetta!
Un paio di ragazzi dell’Accademia gli avevano già chiesto se aveva bisogno di un posto dove stare, e persino Bob Jordan gli aveva offerto una stanza del piccolo appartamento che aveva affittato con la sua ragazza.
Aveva rifiutato ogni opportunità. Aspettava.
Ma non sarei James Potter se non calcassi la mano…
“I preparativi del trasloco di zia Dromeda come vanno?”
Teddy si bloccò nell’atto di togliersi la camicia. “Bene…” Esordì guardingo. “Tra un mese si trasferirà ufficialmente al Manor.”
“E noi?”
Come previsto, vide Teddy guardarlo con vago panico. Ci provava a rilassarsi un po’, doveva rendergliene atto, ma i cambiamenti erano qualcosa che continuavano ad atterrirlo nel profondo.  

“Vuoi già trasferirti a Londra?” Dal modo in cui stava lisciando le pieghe del maglione era chiaro che sperasse in un interruzione di quella conversazione.
Non avvenne.
“Sì, sono stufo di usare la Metropolvere tutte le mattine. Finisce sempre che sono pieno di fuliggine.” Scrollò le spalle. “E poi tutti i miei amici sono in città, mi rompo le palle a fare la figura del campagnolo che si deve smaterializzare ogni giorno fino al Devon.”
“Jamie, io per ora sono fisso qui, per me non avrebbe senso…”
“Lo so.” Aspettò che il sollievo facesse capolino sul viso dell’altro per continuare. “Quindi pensavo che, per il momento, potevo cercarmi un coinquilino.”

Naturalmente aveva in mente un piano.
“Ah… sì, mi pare una buona idea.” Disse lentamente Teddy, alzando lo sguardo dal maglione per puntarlo addosso a lui. “Sai già dove orientare la tua scelta?”
“Pensavo Notturn Alley.” Alla faccia allarmata dell’altro rise. Perché era una carogna. “Andiamo, non fa tutto schifo, non ci sei stato… parecchi ragazzi dell’Accademia abitano lì, gli affitti sono bassi. Papà è d’accordo.”
“Se è così…” Convenne mite, piegato dall’autorità di suo padre. Ma lo sguardo era di tutt’altro avviso. Per un folle momento James pensò che l’avrebbe incatenato a quel letto vita natural durante. Sarebbe stato divertente. “Hai già visto qualche appartamento?”
“Un paio. Ce n’è uno niente male, zona decente, praticamente attaccato a Diagon Alley, tre stanze.”
“Escluso bagno?” Tentò speranzoso.

“Compreso.”
“Quindi c’è una sola stanza da letto?” Teddy spesso e volentieri non si rendeva conto quando i capelli gli cambiavano colore. Quel rosso violento gli stava piuttosto bene.

“Posso far mettere due letti singoli. Ho vissuto sette anni in stanza con altri quattro ragazzi, non è certo un problema.”
“… Naturalmente. Sì, è un… è un ragionamento sensato.” Era così compresso nel tentativo di non esprimere rimostranze del tutto infondate che a James fece tenerezza. 
Si sporse per buttarglisi addosso, in un abbraccio molto più simile ad un placcaggio da Quidditch. Sapeva che piaceva ad entrambi.
“Ti prometto che lo prenderò etero.” Gli sussurrò contro la guancia. “Un etero innamorato delle donne, che lavora come collaudatore di scope da corsa o in una fonderia di calderoni.”
“Allora mi sento rassicurato…” Disse in un sospiro, facendolo ridere. “Jamie, non importa… va bene. È giusto che tu voglia andartene di casa.”

“Assolutamente giusto.”
“Infatti… e non puoi certo sobbarcarti da solo la spesa di un appartamento.”
“E non voglio chiedere troppi soldi ai miei.”
“Sì, lo so… Sei un ragazzo responsabile, sotto questa testaccia dura…” Mormorò con affetto, voltando il viso per stampargli un bacio sulle labbra. James si sentiva sempre un po’ cretino, ma tra le braccia di Teddy… beh, era come essere nel suo porto maledettamente sicuro.

“Assicurati solo che…” Continuò.
“Mmh?” Spiò pieno di curiosità.
“… Niente.” Borbottò, scendendo dal letto per appendere la camicia all’armadio e recuperare un po’ di dignità. “Tra poco è ora di cena. Perché non resti? Stasera ci sarà l’estrazione dei campioni del Tremaghi… credo di possa interessare, no?”
“Ci puoi scommettere! Ma posso?”
“Il preside ti ha formalmente invitato.” Sorrise della sua espressione sbigottita, mentre chiudeva l’armadio e tornava verso il letto.  “A quanto pare i muri di Hogwarts hanno davvero le orecchie…”

 
****
 
 
La Sala Grande era gremita di persone fino all’inverosimile. Gli hogwartsiani si erano mischiati tra di loro, e cravatte spesso in conflitto si sedevano accanto. Lì non era più una questione tra Case, rifletté Rose, seduta accanto al fratello e a Lily: era una cosa tra scuole di magia. Le rivalità interne erano state momentaneamente messe da parte.
Hugo si mordicchiava un pollice. “Dico McLaggen… Anche se sarebbe praticamente perdere… Grop è più sveglio di lui.”
“Allora decisamente non Brady.” Replicò Lily. “Ci sono uscita l’anno scorso, è un deficiente. Non voglio che sia il mio campione.”
“Credo si chiami Brody…” Tentò Hugo con aria depressa.  

“Bah, fa’ lo stesso. Tra l’altro, bacia come se dovesse succhiarti via l’anima, sapete, tipo Dissennatore…”
“… non è che sia una roba richiesta per essere un campione…”
“Non fare il guastafeste, Hughie! E poi, non si sa mai.”  

Rose rimase in silenzio. In quel momento avrebbe avuto bisogno di Al, ma il cugino era dal lato opposto della Sala, avendo trovato posto solo tra un gruppo di serpeverde. Era in compagnia dell’imprescindibile Tom. Che aveva un libro in mano e sembrava completamente indifferente al tumulto che lo circondava.
Lo invidiò. Avrebbe voluto anche lei dimenticarsi di quello stupido Torneo e dell’eventualità che il ragazzo che amava andasse a farsi ammazzare.
Scorpius arrivò quasi per ultimo, mentre venivano chiuse le porte della sala, in compagnia nientemeno che di suo cugino James.
“Che ci fa qui?” Chiese Hugo sorpreso.
“Indovina? Teddy?” Ghignò Lily, ignorando l’aria piena di disagio che assunse il ragazzino. “Però fa strano vederlo in abiti babbani qua dentro…”
“Ehilà!” Li salutò, facendo scostare con una pacchetta sulla testa Hugo. “Ciao cuginetti, ciao sorella.”
“Sei sexy in modo disturbante con questi jeans.” Gli sorrise affettuosa Lily. “Metà della scuola ti sta guardando il sedere.”

“L’altra metà è semplicemente disturbata.” Si premurò di informarlo Scorpius, perfettamente a suo agio, come se tra pochi minuti non si sarebbe deciso del suo futuro.
Rose non era riuscita a dirgli tutto quello che voleva, quella mattina. Il fantasma di Violet Parkinson-Goyle e della lettera trafugata aleggiava sopra di lei bloccandola in un frustrante senso di colpa.
Quale colpa poi? Assicurarmi che il mio ragazzo non si sposi nella fottuta Loira?
“Perché cavolo sei qui Jamie?” Sbottò senza sapere bene cosa dire.
“È bello essere apprezzati dalla propria famiglia…” Sorrise James ignaro, passando un braccio attorno alle spalle di Scorpius con fare cameratesco. “Sono qui per supportare il biondino, è ovvio!”
Rose sentì che era arrivata al punto d’arrivo quando si accorse che non voleva che suo cugino, felicemente innamorato di un’altra persona, lo toccasse.

Non era normale che stesse diventando così…
Beh. Morbosa?
Sapeva che c’era una spiegazione ed era una sola.
Nessuno sa di noi, tranne una manciata di persone. Le nostre famiglie non lo sanno. Non lo sanno i nostri genitori. Non lo sa… nessuno.
È come se non stessimo assieme. Anche se tra poco faremo un anno.
“Insomma, tutti lo sapevano tranne me…” Mormorò a mezza bocca, senza riuscire a tenerla chiusa.
“Sapere cosa?” Chiese Hugo confuso. Lily assunse un’aria sorpresa, ma in qualche modo Rose fu certa che stesse bluffando.
E quando mai non lo fa?
“Visto?” Replicò Scorpius paziente. “Potty lo sa perché ci siamo visti ieri sera al pub per una burrobirra.” Sorrise disinvolto, ma era chiaro fosse di nuovo infastidito da quella piega del discorso. “Ho fatto il mio dovere. L’ho detto alla mia ragazza e al mio migliore amico.”
“A me non l’hai detto, l’ho visto con un’altra cinquantina di persone stamattina…”
“Ma cosa?” Insistette Hugo. “Di cosa state…?”

Non riuscì a terminare la frase perché entrò Vitious, seguito da loro zio Percy e un altro funzionario del Ministero dall’aria efficiente. Le chiacchiere si spensero di botto, senza che nessun professore dovesse richiamarli all’ordine.
Il piccolo preside si avvicinò al Calice che brillava nella sua fiamma azzurrina.
“Bene, è arrivato infine il momento che tutti aspettavamo, la selezione dei campioni!” Le sue parole furono accolte da uno scroscio di applausi.  
 
“Volete scommette ragazzi? Ultima chiamata prima del verdetto! Cinque galeoni che sarò McLaggen e dieci sulla Chang…”
Tom quasi sobbalzò quando sentì il sussurro di Nott all’orecchio. Al naturalmente quasi cadde dalla panca.

“Loki!” Sussurrò sconcertato. “Sono un Caposcuola, non puoi proporre scommesse clandestine davanti a me!”
“Infatti lo sto proponendo proprio a te.” Spiegò con un ghigno quieto. “Vuoi sfidare le statistiche? Danno Malfoy perdente nove a uno…”
“Malfoy? Vuoi dire che ha…” Al si bloccò, guardandosi attorno come se fosse un gran segreto di stato. Tom fece un mezzo sorriso, senza scollare gli occhi dalle pagine del volume di Trasfigurazione.

È tutta la mattina che non si parla d’altro nei corridoi… Ha messo il suo nome a colazione.
“Dove vivi dolce Al?” Lo prese in giro Nott, arruffandogli i capelli. “Lord Malfoy è in lizza per diventare il campioncino di Hogwarts. Non si parla praticamente altro.”
“Qualcuno deve pur fare qualcosa di responsabile qua dentro.” Borbottò. “Io non ascolto i pettegolezzi.”
“Ah, che colpo al cuore… e pensare che io e Mike ti avevamo cresciuto così bene.” Sorrise l’altro serpeverde. “I pettegolezzi sono l’unica verità interessante.”

Tom vide la postura di Al irrigidirsi, come le labbra serrarsi: era un libro aperto.
Non ha ancora parlato con Zabini…
Si voltò per cercarlo con lo sguardo. Lo trovò direttamente ad un altro tavolo, in compagnia di altri serpeverde, suoi leccapiedi o ex amanti. O entrambi. Non guardava neppure nella loro direzione.
Decisamente non ci ha ancora parlato.
“Perché lo date perdente?” Mormorò Al. “È in gamba, è un prefetto e un ottimo giocatore di Quidditch!”
“Ah, piccolo Potter… le scommesse qui, con tutti questi adolescenti. non vengono fatte secondo strategia. Si va sul fattore emozionale. Il che, detto tra noi, per me è un vantaggio…” Ghignò. “Le persone continuano a vedere solo il suo cognome. E poco altro.”

“Ma è assurdo! Con tutti i riconoscimenti che ha qui ad Hogwarts dovrebbe…”
“Continui a non seguirmi.” Un’altra pacchetta paziente sulla testa. “Malfoy potrebbe diventare anche il presidente di tutte le associazioni studentesche della scuola, compresa quella di Gobbiglie, ma la gente non smetterebbe di considerarlo per chi sono i  suoi.”

“Ex-mangiamorte…” Sospirò Al. “Ma se diventasse il Campione del Tremaghi…”
“Beh, oltre ad una bella targa lucida nella Sala Trofei… forse otterrebbe qualcosa di più. Ma sono considerazioni. Rimane il fatto. È sfavorito.”
“Allora scommetto dieci galeoni su di lui.” Disse di getto, stupendo entrambi. Arrossì. “È mio amico… non lo faccio per i soldi. È una questione di principio, ecco…”

Tom gli mise una mano sulla gamba, e mentre Al intrecciava le dita alle sue, furono tutti rapiti dallo spettacolo del Calice, che aveva mutato le proprie fiamme da un azzurro tenue ad un fuoco rosso e violento.
 
Il primo nome ad essere sputato fuori fu in un lezioso cartoncino color carta da zucchero.
Vitious lo aprì. “Dominique Weasley per Beaux-Batons!” Annunciò tra gli applausi.
Gli allievi di Beaux-Batons esplosero in un'acclamazione calorosa, sopratutto il tipo che chiacchierava qualche giorno prima con sua cugina che si stava letteralmente spellando le mani.
Dominique si alzò e percorse la navata con un largo sorriso soddisfatto. Sembrava aver voglia di alzare le braccia in segno di vittoria, ma un’occhiata gelida della sua Preside le rimise a posto. Si limitò quindi a shakerare vigorosamente la mano di Vitious – tanto che fu visto da più persone emettere un lamento – e trotterellare fuori in una scia di capelli argentati.
“Lo sapevo, Domi è la migliore in quella scuola di santarellini!” Esclamò Hugo, dandosi il cinque con James. “Il Calice doveva troppo sceglierla!”
“È matta come una banshee ma sa il fatto suo.” Convenne quest’ultimo. “Lunga vita agli Weasley!”
“Se avesse improvvisato una danza della vittoria giuro che avrei riso fino alle lacrime…” Fu il commento di Lily. Ma Rose la vide scrutare con apprensione verso la delegazione di Durmstrang, specialmente in dirittura del piccoletto coi capelli lunghi che rispondeva al nome di Sören.
È quasi più preoccupata per lui che per Dom.
Beh… anche vero che preoccuparsi per Dom è un esercizio un po’ sterile.
Il secondo pezzo di carta sputato fuori fu un cartellino squadrato, delle dimensioni di un biglietto da visita babbano. Sembrava stato tagliato con un tagliacarte estremamente efficiente.
Il preside lo mancò di pochi centimetri, e fu afferrato al volo da Percy che glielo passò ossequioso.
“Sören Luzhin per Durmstrang!” Annunciò, seguito da un tiepido applauso.
L’unico veramente contento tra quelli di Durmstrang sembrava un tipo grassoccio con la barbetta da capra. Il prescelto si limitò ad alzarsi, fare un leggero inchino al preside – evitando accuratamente di stringergli la mano, notò Rose – per poi seguire Dominique nella sala attigua.
“Sembra un tipo proprio simpatico…” Commentò James storcendo la bocca. “Non gli ho neanche visto la faccia con tutti quei capelli. E quelli di Durmstrang non dovrebbero essere scelti in base alla massa muscolare?” Concluse mentre Scorpius ridacchiava.
“Oh, ma falla finita!” Lo riprese Lily con uno sbuffo. “Se lo meritava se il Calice l’ha scelto.”

“Se a Durmstrang giocassero a Quidditch sarebbe un ottimo Cercatore…” Osservò Hugo pensieroso. “Ma visto che mi sa che ci giocano… non mi pare proprio un loro… insomma, rappresentante.”
“È in gamba.” Tagliò corto Lily con una scrollata di spalle.

Ora la sala era diventata ancora più silenziosa: i campioni delle due scuole straniere erano stati scelti, ma mancava il loro campione.
Era arrivato il momento, pensò Rose guardando il proprio ragazzo. Scorpius aveva il suo solito sorriso ad aleggiargli sul viso, ma solo quella parte sembrava calma. Era un fascio di nervi, lo poteva vedere da come tamburellava le dita sulle gambe o da come si era totalmente congelato.
Inspirò e gli mise una mano sul ginocchio. Cercò di sorridergli, sforzandosi fare buon viso a cattivo gioco.
Perché lo amava.
Scorpius le afferrò la mano e intrecciò le dita alle sue, con forza.
“Ti dispiace?” Chiese sottovoce.
Rose scosse la testa. “Mai…”


Vitious afferrò al volo il pezzo di pergamena spiegazzato e nervosamente strappato sugli angoli. Dopo esso le fiamme si estinsero in una conflagrazione che strappò parecchie esclamazioni di sorpresa lungo la sala.
A Rose sembrò che il tempo si fosse congelato mentre il preside inforcava meglio gli occhiali per leggere il nome.
Scorpius ha una scrittura orribile… è lui.
Lo seppe con certezza gelida e precisa, e strinse la mano del proprio ragazzo con tanta forza che quasi sentì male.
 
“Scorpius Hyperion Malfoy per Hogwarts!”
 
Rose chiuse gli occhi quando sentì la mano di Scorpius scivolarle via dalle dita, mentre si alzava in piedi,  acclamato dalla tavola dei supportivi, almeno in apparenza, grifondoro.
Sentì Lily toccarle una spalla con la sua, e riaprì gli occhi solo per vedere il sorriso comprensivo di sua cugina. Non che volesse vedere molto altro; gli applausi erano un eco lontano come i fischi entusiasti di James.
“Sarà un grande campione per Hogwarts…” Le accarezzò una spalla. “Davvero!”
“Sì, lo so…”
Avrei preferito che fosse rimasto solo il mio…

Ma si stampò un bel sorriso in faccia ed applaudì.
 
****
 
Note:
Capitolo enorme, me ne rendo conto. Per farmi perdonare degli aggiornamenti a singhiozzo, si capisce.

1. Qui la canzone.

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Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


@Herys: Tom in secondo piano? Ma quando mai, pensi che potrei fare una cosa del genere al nostro tenebroso preferito? xD Tra Tom e Ren la sfida è bella se ti piaccioni i tenebrosoni tormentati... e grazie per i complimenti a quei due cuccioloni di Ted e Jamie! :D
@Lu_pin: Spero che con chimica sia andata tutto bene e grazie mille! ^^
@ElseW: Eeheeh, beh, grazie, credo di doverveli un pochino, visto quanto li avevo venduti gli scorsi capitoli ^^ E beh... addirittura li hai fatti diventare monogami, quei due, grande! :D Grazie! Rosie è come suo padre, e Dom regna sempre. Nomen omen.  :D
@Agathe: Sy è un coglionciotto adolescente, chiedo venia per lui. A volte si comporta da stupido, è un maschietto! Ren non è un sociopatico, nè tanto misantropo... è più che altro un timidone! xD
@nicky_iron: beh, ho fatto del mio meglio... è che dovevo mettere tutti! Ren è sempre stato assorbito dall'educazione e dai compiti che gli ha dato suo zio. Non che le ragazze non gli piacciano, è solo che non aveva tempo e sopratutto se ne avesse avuto una l'avrebbe messa in una brutta posizione. Quindi proprio le evitava. Lily è piccolina, diciamo 1,60 a malapena (ha preso da sua nonna Molly) e Ren è un nanerottolo, quindi 1,68 direi. XD Più che coraggio, per Sy si è trattato di opportunità...un po' non sapeva come mettergliela, un po' Rose gli sfuggiva volutamente. Ginny non sa ESATTAMENTE di Tom e Al, ma cuore di mamma... sicuramente ha capito che tra di loro c'è un rapporto mooolto profondo. Grazie per le correzioni!
@Arianrhod: Grazie mille per i complimenti e benvenuta! Sarà che sono un po' mentalmente instabile pure io, per questo mi riesce bene fare personaggi sociopatici! E mi fa davvero piacere sapere che Lily non ti risulta una stupida cretinetta! ^^ Teddy e James li dovrò per forza mettere un po' da parte, ma giuro che ci saranno!
@lovermusic: Ehehehe, su Violet non posso dirti ancora niente... vedrai! Per Ren e Lily invece... appena iniziato!
@simomart: certo, io do sempre retta ai vostri consigli! :D Guarda, sono contentissima che tu mi abbia capito l'interazione Ren/Lils... quei due hanno molto da dire, e spero di riuscire a farlo bene. E sono sempre stata una gran fan delle Snevans, da quando ho avuto la rivelazione nell'ultimo libro. xD E mi hai perfettamente reso Rose, e proprio quello il punto che la rende così insicura e forse poco apprezzabile in questi capitoli. :P Teddy e Jamie sono il mio modo di rilassarmi. Coppia tranquilla, senza un asperità, dichiarata... ah! xD La data di postaggio purtroppo è ultimamente basculante. Prometto di postare entro mercoledì di ogni settimana, questo sì. ^^
@Trixina: le tue recensioni mi fanno sempre morire dal ridere! Grazie mille e Loki potrai vederlo presto all'opera! (Anche James, ci mancherebbe :P)
@Idk: eeehe, sì, dovevo metterli per quanto ne avevo parlato! E poi un po' di het ogni tanto ci vuole! (ma mai senza il Pulcino)
@hale_y: eppurtroppo devo dare spazio un po’ a tutti, e i nostri adorati non possono sempre rubare gli spotlights agli altri. :D Oh, Ren è un tenero soldatino e Lily SA che effetto fa ai ragazzi, non preoccuparti. E sì, si è accorta di tutto. :P I grifondoro secondo me sono dei gran paraculi. Ad Harry era tutto un trattarlo di merda quando le cose non andavano, salvo per pigolargli attorno quando faceva qualcosa di giusto (come vincere il Torneo)… almeno i Serpeverde sono bastardi dichiarati! Albie rimarrà sempre un tenero plushie. xD
@altovoltaggio: grazie, ma è tutto merito vostro! ^^ Guarda, finita questa saga avevo tutta l’intenzione di buttarmi sugli originali. Poi, si vedrà. XD Il siparietto Ren mi ha fatto morire dal ridere, è proprio come l’hai inquadrato tu! XD Per quanto riguarda le indiscrezioni su Durmstrang, come ho spiegato, mi è parso di evincere da HP4 che le scuole magiche abbiano un alone di mistero e riserbo attorno a loro (Krum fu interrotto bruscamente da Karkaroff quando provò a spiegare com’era fatta la sua scuola a Hermione) e che quindi Sören, ligio com’è a qualunque ordine, abbia semplicemente seguito le direttive ufficiali. ;) Sulle riflessioni di Sy ci hai preso. Del resto si sa come gli Weasley reagiscono ai Malfoy, mediamente, e Rose non è che sia una fan sfegatata dell’attuale Lord.
@Tyumas: poteva essere diversamente? XD Per la storyline RoseScorpius… rimani su questi schermi, solo questo!
@AlexielFay: Non ti preoccupare, guarda io quanto sono discontinua a rispondere alle vostre meravigliose recensioni! Sören è un piccolo nobile cresciuto a pane e ordine, è naturale che sia un cavaliere-inside, indipendentemente da chi sia la sua famiglia. Sicuramente possiamo dire che non è stato viziato. XD Tom è uno stronzetto insopportabile, ma sa farsi voler bene, alla lunga. X)
@Andriw: Ciao! Sì, mi piace spezzare un po’ anche con i capitoli cavolata. XD Sì, purtroppo Sy non ha avuto tanti amici, prima di mettersi con Rose e rendersi conto che James non era solo qualcuno con cui prendersi a pugni. E Sören… ah, Sören, quel ragazzo credimi, ci farà dannare! Per il quarto no, non credo… del resto sarebbe riprendere smaccatamente la Row e dai, cerco di essere un pochetto più innovativa! X)
 
****
 
Capitolo XV
 

 



I found something that was always there

Sometimes it's got to hurt before you feel
But now I'm strong and I won't kneel
Except to thank who's watching over me¹
(Always know where you are, BB Mak)
 
 
Devonshire, Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley.
 
Ginevra Weasley in Potter era preoccupata.
Erano ben due settimane, cioè da quando Albus e Lily erano partiti che si sentiva così.
Forse era per via del Torneo – anche se era certa che nessuno dei suoi figli avrebbe fatto una cosa stupida come farsi sorteggiare – o forse era per suo marito.
Riflettendoci bene, era sicuramente per suo marito.
Harry Potter il Salvatore dei Due mondi era tranquillo. Troppo tranquillo.
Ogni sera tornava a casa con un sorriso quieto, le baciava le labbra, cenava con lei chiacchierando di sciocchezze, guardava un po’ di tv o ascoltava la radio e infine si ritirava a letto in buon ordine. Serena routine che in quei mesi era mancata completamente.
Stava pianificando qualcosa.
Non può essere per lavoro… Altrimenti avrei tutte le cene condite da Ron e i loro lamenti congiunti.
Aveva interrogato il fratello in merito, e scomodato persino Hermione. Un buco nell’acqua.
Sospetto. Molto sospetto…
Harry scelse quel pensiero per entrare in cucina, schiacciandosi i capelli arruffati sulla fronte in un eterno gesto inutile. “’Giorno Gin…” Le sorrise, andando a baciarle l’angolo delle labbra.
“Buongiorno a te…” Rispose mentre lo occhieggiava versarsi una tazza di the e puntellarsi al lavello, con gli occhi incollati alla finestra.
“Sono arrivati dei Gufi per me?” Borbottò impastato, massaggiandosi il mento ancora ombreggiato di barba.
“Tre. Una dal Ministero, quella di Al e un telegramma da Dundee, in Scozia…” Snocciolò, avendo visionato le buste poco prima. Per un attimo aveva avuto l’impulso di aprire perlomeno quella del figlio, ma sapeva che ad Harry faceva piacere leggerla assieme. “Sono sul tavolo, come al solito.”

Lo guardò conseguentemente gettarsi con fintissima nonchalance sulla lettera che proveniva dalla Scozia.
“Non viene da Hogsmeade…” Osservò in tono neutro.
“Mh-mh.”
“Chi conosciamo a Dundee?”
“Mmh…” Harry non aveva il dono del pensiero complesso. Ginny era giunta a questa convinzione dopo vent’anni di felice e appagante matrimonio, nonché un’adolescenza passata a rincorrerlo. Lo amava, ma era consapevole del fatto che fosse un totale incapace nel concentrarsi su due cose differenti allo stesso momento.

Come sua moglie e una lettera.
Gli si avvicinò di soppiatto e approfittando delle difese abbassate, gli strappò la lettera da sotto il naso.
“Ehi! Gin, ridammela!”
La tenne fuori dalla sua portata, giocando sulle sue qualità di ex-cacciatrice. Harry era stato un Cercatore abile, ma in aria. A terra lei aveva ancora dei vantaggi. Che sfruttò, dribblando abilmente l’uomo.
Ginny!
La lettera aveva una grafia che le ricordava qualcosa. O meglio, qualcuno. L’aveva già vista, era certa di averla dimenticata in un cassetto della sua memoria.
Poi ricordò. La mano che aveva vergato quelle lettere appuntite era la mano che per sette anni aveva corretto i suoi compiti di Trasfigurazione.
“Harry, perché la McGrannit dovrebbe scriverti?” Chiese, voltandosi incredula.
Suo marito, nonché Salvatore, nonché Impiccione Epocale, si produsse in uno dei suoi sorrisi, rari e pericolosi come un rasoio appuntito.
“Beh. Ho chiesto un paio di favori in giro…”
 
****
 
 
15 Settembre 2023
Hogwarts, Guferia. Mattina.
 
La cornacchia fece un largo giro sopra il tetto della Guferia, quasi sapesse che il destinatario della lettera che portava legata alla zampa non era al suo interno.
Tom stese il braccio, preventivamente coperto da stracci legati con uno spago per difendersi dagli artigli predatori del proprio famiglio.
Quando Kafka si fu accomodata, affondando comunque nella sua tenera carne, perché era un uccello stronzo, slegò la lettera, blandendola con una carezza lungo il dorso e qualche bocconcino di carne secca.
Non l’aveva ancora perdonato per la sua assenza.
Neanche Albus se l’è presa così tanto…
“Adesso va’ a riposare…” Non fece in tempo a finire che quella spiccò il volo diretta verso la foresta: non apprezzava la compagnia dei gufi e degli altri volatili postini, preferiva piuttosto ripararsi tra le fronde del bosco. In questo era come lui.
Tom si appoggiò alla balaustra della scala esterna e strappò il sigillo di ceralacca della lettera: era quello di Durmstrang, un aquila bicipite. Tutte le lettere che provenivano dall’Istituto venivano contrassegnate.
Sorrise: era la prima lettera di Meike.
Comunicare con Durmstrang era stato meno facile del previsto; Kafka era tornata indietro un paio di volte con le piume arruffate e l’aria spossata visto che le correnti e le tempeste, tipiche del Mare del Nord, le avevano più volte impedito la traversata.
 
Ciao Tom!
Spero che questa lettera ti arrivi, perché davvero ci sono un sacco di problemi qui con i Gufi che devi spedire fuori dalla Norvegia.
… ops! Non dovevo dirti che la scuola sta qui, però tanto tu sei intelligentissimo, quindi lo sai!
Sono contenta che le cose siano tutto a posto adesso! L’ho scritto alla nonna e anche lei è contenta! Ti saluta tanto!
Qui le cose vanno bene. È una bella scuola, e sto imparando molto. Le compagne del mio anno sono simpatiche e gentili. Anche i professori sono bravi. E poi sono fortunata, perché qui parlano tutti in tedesco. È la lingua… qualcosa. Francese No, franca!  Anche se non so che vuol dire però.
Adesso da voi c’è il Torneo Tremaghi. Lo so perché qui si parla solo di quello!
Io però tifo per voi.
Come sta Albus? Salutamelo! E siccome non so se riesco a mandare la risposta per lui, digli che la sua lettera mi è piaciuta tanto e che vengo sicuramente per Natale! Perché mi ha invitato, sai? Non fare il brontolone, lo so che sei contento anche te tu!
Adesso devo andare, perché ho lezione di Magia Applicata (da voi si chiama Incantesimi).
Ciao!
Meike

PS: La tua cornacchia è proprio forte! Però ha beccato una mia compagnia di stanza che voleva cacciarla via. Ma va bene, perché mi sta antipatica.
 
Intascò la lettera dentro il mantello e fece una smorfia. Ne sapeva abbastanza sulla sua piccola amica tedesca per capire che quella lettera puzzava di bugie lontano un miglio.
Osservò e respirò la lieve nebbiolina che ricopriva i terreni della scuola, ancora gelati alla prima luce mattutina.
Sapeva esattamente cosa stava succedendo a Meike e lo irritava profondamente non poter far nulla.
Si sentì abbracciare da dietro e si irrigidì. Per poi rilassarsi subito dopo.
“Il tuo mento appuntito mi sta perforando una scapola.” Esordì neutro.
Non ho il mento appuntito!” Esclamò Al dandogli una botta sulla suddetta scapola. Tom si voltò per vederlo imbacuccato nella sciarpa della loro Casa e con le guance già rosse per il freddo.

Era talmente adorabile che dovette frenarsi per non farglielo notare: non era da lui e Albus l’avrebbe comunque ucciso.
Mi sto davvero rincretinendo. Ritengo sia piuttosto ufficiale.
“Che ci fai qui?”
“Una passeggiatina tonificante…” Ironizzò perché ormai Ironia era diventato il suo secondo nome. Tom doveva ammettere di apprezzare quel cambiamento. “Devo spedire una lettera a casa. Se dipendesse da Lily i nostri genitori ci darebbero per morti.” Sospirò facendo spallucce. Si strinse il mantello addosso, ma era ancora quello estivo, ed era piuttosto palese sentisse freddo.
“Se hai così freddo perché non hai aspettato a mandarla?”
“Ti sembra abbia tempo? Sono praticamente invaso dai miei stupidi compiti…” Replicò Al un po’ seccato. Si appoggiò accanto a lui alla balaustra, spalla contro spalla. Rimasero in silenzio, e Tom intuì che Al ne avesse bisogno. Quei giorni erano stati convulsi. Aspettò quindi che fosse l’altro a riprendere il discorso. “Di chi era la lettera?”
“Meike. Non sapevo gli stessi scrivendo…”
“Perché no? Mi è simpatica.” Scrollò le spalle. “E poi credo che il primo periodo in una scuola nuova non sia facile per nessuno… Le lettere che mi mandavano i miei al Primo anno mi facevano sentire meglio quando ero giù. Anche se comunque avevo i miei amici…” Gli sorrise.

Tom si prese un momento per stampare un bacio sulle labbra fredde dell’altro, prima di parlare.
“Non si sta trovando bene. Non credo neppure li abbia, degli amici…” Mormorò poi, prendendo la lettera e rigirandosela tra le dita, pensieroso.
“Ma se mi ha detto che le sue compagne…”
“Al, ti ha mentito.” Alla sua espressione confusa, si affrettò a spiegare. “L’ha fatto anche con me. Basta leggere con attenzione…” Gli passò la lettera.  
“Guarda che non so il tedesco…” Osservò gentilmente, ridandogliela. “Perché non me la riassumi?”

“Non c’è molto da dire. Ha cercato di tranquilizzarmi, ma non c’è riuscita.” Sottolineò con la punta dell’indice un paio di righe. “Frasi brevi e concise, non ha fatto un solo nome. E vedi quei punti dove l’inchiostro ha sbavato? Ha appoggiato la piuma, perché era incerta su cosa scrivere.”
Albus scrutò la lettera, lanciandogli un’occhiata di sbieco. “Meike ha undici anni. Non pensi che abbia sbavato perché a quell’età è difficile scrivere con piuma e inchiostro? A volte penso che tu sia troppo sospettoso…”
“Troppo intelligente, piuttosto.”
“Per Morgana!” Sbuffò. “Comunque, anche se fosse vero, sarà questione di tempo, non tutti si integrano subito.”
“Sarebbe dovuta venire ad Hogwarts.” Tagliò corto, e lo pensava davvero dopo quello che aveva letto, intuito e visto. La politica di Durmstrang con i mezzosangue era ambigua: se da un lato avevano deciso di aprire le porte ai mezzosangue e ai nati-babbani, dall’altro continuavano a discriminarli. Certo, in modo più subdolo, ma rimaneva il fatto che consideravano gli allievi con sangue babbano un prodotto di serie b. Bastava guardare la loro delegazione: era interamente composta da purosangue.

Non ce n’è uno che non abbia un anello con il blasone di famiglia.
Meike era figlia di un mago e di una babbana, con una nonna maganò. Praticamente il suo stato di sangue parlava da solo senza che avesse bisogno di presentarsi.
Lui era cresciuto con i babbani, e per anni era stato creduto un nato-babbano.
A Serpeverde…
Aveva capito sulla propria pelle che certi pregiudizi non sarebbero scomparsi solo con la caduta di Voldemort.
“Sei preoccupato per lei?” Chiese Al, distogliendolo dalle sue riflessioni. “Meike è una bambina in gamba, sa cavarsela…”
“Questo non basta. Durmstrang è un ambiente classista e lei una mezzosangue. È probabile che non abbia trovato molte persone disposte a conoscerla per quello che è,  ma piuttosto per ciò che c’è scritto sul suo stato di nascita…” 

“Potrebbe trasferirsi allora…” Suggerì Al, serio. “Dico davvero, non è così insolito che un mago di una zona geografica diversa si iscriva qui! Cioè, credo si possa fare…”
“Ne parlerò con Harry.” Convenne in tono definitivo, perché il sole stava spazzando via la bruma, illuminando la Foresta e ricordandogli che quel giorno era quietamente campale.

Era il giorno del suo esame di ammissione al Settimo.
A parte il vago nervosismo che lo assaliva come ogni volta che doveva sostenere una verifica, si sentiva tranquillo. Se c’era una cosa di cui era certo, era il fatto che era un mago. E che era maledettamente bravo in quello, se deficitava in molte altre cose; provarlo ad una commissione di professori che conosceva non lo spaventava.
“Nervoso?” Indovinò Al, dandogli un colpetto con la spalla. “Non dovresti. Sarai geniale e affascinante come sempre quando fingi di non essere un brontolone…”
“Smettila…”
“Sai che dico la verità! E poi i professori sono già tutti innamorati di te.”
“Spero non Lupin. Non gradirei le sue attenzioni…”
“Scemo…”
“Oh, allora dovrei proprio piacergli visti i suoi gusti in fatto di uomini. Che sfortuna.”
Tom!” Gli tirò un colpo sul fianco, facendolo ridacchiare. Gli passò un braccio attorno alle spalle, e si beò del fatto che Al gli si rannicchiò addosso. Aveva le mani fastidiosamente congelate, ma il resto del corpo era tiepido e morbido, con tutta quella stoffa a cercare di difenderlo dal freddo mattutino.

Era quasi un pregio che fosse così congenitamente incapace di tollerare le basse temperature.
“Questa cosa del Torneo mi sta succhiando via l’anima… Sembra che tutto ciò che concerne gli studenti stranieri debba essere mia responsabilità o quasi.” Gli mugugnò contro il collo.
“E l’altro Caposcuola?”Gli accarezzò i capelli arruffati sulla nuca. “La Bones?”
“Inutile come una Firebolt sott’acqua…” Borbottò tirandolo giù per cercare un altro bacio. Erano entrambi sottilmente in ritardo, ma a Tom improvvisamente non importò; non finché aveva le labbra di Al che sapevano già di cioccolato a lambirgli le sue, stuzzicandole per approfondire il bacio.

Se mi lascio convincere non lascerò più questa balaustra gelata…
Si staccò un po’ bruscamente. “Devo andare. Non voglio arrivare in ritardo.”
Al serrò le labbra in un broncio. “Fammi sapere come va.” Disse però, perché era davvero un piccolo ligio Caposcuola.
“Dovrei aver finito per pranzo. Aspettami fuori dall’aula undici, al piano terra. Trasfigurazione dovrebbe essere l’ultima materia in cui verrò esaminato.”
“Da un esaminatore esterno?” Chiese l’altro sorprendendolo. Vedendo la sua aria confusa, si apprestò a spiegare. “Sai, non hanno trovato ancora un sostituto per la Prynn… Per il momento ci fa lezione il professor Finch-Fletchley, di Aritmazia. Pare che Trasfigurazione sia la nuova cattedra maledetta.” 

Tom si passò una mano trai capelli, distrattamente. Continuava a dimenticare che li aveva tagliati, e da un bel pezzo non gli finivano più negli occhi. Un po’ gli mancava quel gesto, doveva ammetterlo.
“Capisco. Saprò dirti chi è in anteprima allora…”
“Già. Ed ehi… stasera festeggiamo, no?”
“Al, non so ancora se andrà bene.”
“Andrà bene, è ovvio!” Lo guardò come se fosse altrettanto palese di una pioggia in giornata. 

“… Va bene. Non voglio nessuna festa… però una ricompensa adeguata da te se avrò successo, quella sì.”
“… pervertito.” Sbuffò con un sorriso ad aleggiargli all’angolo delle labbra. “Ma avrai anche una bevuta offerta dal sottoscritto ai Tre Manici, che ti piaccia o no. Con tutti i nostri amici. Le pubbliche relazioni sono importanti!”
Tom sbuffò, vinto.

 
****
 
 
Cara professoressa,
Non le dispiace se la chiamo così, anche se è in pensione, vero? Per me lei rimarrà sempre la mia inflessibile professoressa di Trasfigurazione e Capocasa.
Come sta?
A questo punto, se fossimo faccia a faccia, mi direbbe di tagliare corto e andare al punto. Quindi ecco qua.
So che lei sa cosa è successo l’anno scorso ad Hogwarts. Abbiamo entrambi buoni amici ad Hogwarts, non è vero?
Fortunatamente tutto si è risolto per il meglio. Non scendo nei dettagli, non posso per via della posizione che ricopro, ma sappia che tutto ruota attorno a Thomas Dursley, il mio figlioccio.
Lei non lo ha conosciuto, essendo andata in pensione un anno prima che entrasse a scuola. È un ragazzo brillante e diventerà un grande mago. Purtroppo ha un passato, di cui non ha nessuna colpa, che è tornato a perseguitarlo.
Sto ancora girando intorno al discorso, quindi arrivo dritto al punto. Quest’anno ho bisogno che qualcuno tenga un occhio su di lui. Come sicuramente saprà si sta tenendo il Torneo Tremaghi, e non scherzo dicendo che ho paura per la sua incolumità. Come avrà già indovinato da queste poche righe, Tom ha la stessa strabiliante capacità di cacciarsi nei guai che avevo io.
Lei mi dirà che per questo ci sono i professori, ma mi scuserà se sono franco: lei è l’unica persona ad Hogwarts a cui, in quei tempi terribili, avrei affidato la mia stessa vita. E lo farei ancora.
So che si è ritirata a vita privata, ma so anche che le è arrivata una richiesta di supplenza per la cattedra di Trasfigurazione.  Per questo la prego di non rifiutare, ma anzi accettare l’incarico. Credo che si divertirà.
Ginny mi dice di salutarla e con questo chiudo.
 
Harry
 
 
 
Hogwarts, Hogsmeade.
Mattina.
 
Un giovane dalla corporatura bassa e agile aspettava alla banchina dei treni, chiuso nel suo miglior mantello che aveva comunque una grossa bruciatura sul didietro.
Quando il lucido treno nero si fermò, corse in direzione della prima carrozza, aggrappandosi alla maniglia e aprendo la porta.
“Salve Miss, il mio nome è Alwyn Tremayne, sono il guardiacaccia e vice-Custode delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts, lieto di servirla!” Disse tutto di un fiato, prima che una grossa e pesante valigia gli venisse recapitata cortesemente tra le braccia.
La donna, una lunga e sottile signora dai capelli completamente bianchi stretti in una severa crocchia antiquata, scese dal predellino come se non avesse fatto altro in vita propria, e in barba all’età, si eresse ferma e giudicante. Il suo sguardo si soffermò appena – quanto bastava – sul ragazzo, per poi perdersi oltre i cancelli di Hogwarts, oltre la foresta, verso il castello.
Professoressa McGrannit, giovanotto. Lo tenga a mente.” All’aria palesemente spaesata del guardiacaccia inarcò leggermente le sopracciglia. “È per caso il sostituto di Hagrid?”  
“Il suo vice, sissignora!” Esclamò. “Benvenuta ad Hogwarts!”
“Bentornata…” Lo corresse ancora una volta. Ma sorrise.

 
 
****
 
Hogwarts, Piano Terra.
Ora di pranzo.
 
 
“Al, sto morendo di fame…”
“Dai, solo un attimo Rosie! Esce tra poco, sono sicuro!”
Rose alzò gli occhi al cielo con un sospiro, mentre il cugino occhieggiava la porta chiusa dell’aula 11, sperando che da un momento all’altro uscisse quell’impiastro di Thomas.

Scorpius sordo ad ogni richiamo fisiologico, fischiettava una vecchia ballata su un troll e una contadina. Era appoggiato al muro in una di quelle sue stupide pose da divo casual, beandosi delle occhiate furtive e curiose di quelli che passavano.
“La vuoi piantare di pavoneggiarti?” Brontolò rifilandogli una gomitata e facendolo ridere.
“Fa parte del mio dna, rosellina… non ti arrabbiare. Vuoi un calderotto?” Estrasse la merendina dalla borsa, che Rose sapeva regolarmente rifornita ogni mattina dagli elfi domestici della scuola. Il bastardello se li era fatti amici dal primo anno.
“… Dalle cucine?”
“In direttissima. Guarda, ti amo così tanto che mi tolgo letteralmente il pane di bocca…”
“Non fare il melodrammatico, ne avrai almeno un’altra decina.” Mugugnò addentandolo con autentico piacere. Se dovevano aspettare l’impiastro – così da lei segretamente ribattezzato – almeno sarebbe stato a stomaco pieno. 

“Ce n’è uno anche per me?” Spiò Albus con una curiosa espressione divertita.
“No, mini-Potter. Non ti amo così tanto.”
“Beh, meno male…”
“Fatela finita.” Non poté fare a meno di guardarsi attorno. Dopo che Scorpius era stato scelto come campione l’attenzione su di lui era raddoppiata. Non ricordava più quante persone, perlopiù emeriti sconosciuti, si erano fermate a parlargli, stringergli la mano o chiedergli una sequela di stronzate.

Senza contare l’orribile intervista del Profeta, che incombeva come una spada di Damocle. Si sarebbe tenuta infatti di lì a pochi giorni.
“Pronto ad essere intervistato?” Chiese Al, quasi le avesse letto sadicamente nel pensiero. Gli lanciò un’occhiataccia ammonitrice per sicurezza.
Al le sorrise sofficemente, perché era una piccola serpe bastarda.
“Prontissimo! È tutta la vita che sparo palle strategiche. Dirne un po’ ad una giornalista in cerca di scoop da due galeoni non sarà difficile…” Annuì Scorpius perfettamente sereno.
Rose emise un sospiro. Sapeva che per il suo ragazzo quel Torneo era un’occasione di riscatto: l’aveva capito non appena aveva smesso di volerlo prendere a calci per aver fatto una cosa stupida come candidarsi.
Ha passato tutta la vita con una fama immeritata …
Lo capiva, almeno razionalmente. Ed era felice per lui, perché vedeva quanto beneficiasse della fiducia che gli stavano mostrando persone che normalmente non l’avrebbero degnato di uno sguardo.
Ma è tutta una finzione… La gente che adesso gli stringe le mani e gli sorride nei corridoi non ci metterà nulla a farlo a pezzi e rivangare vecchie storie di famiglia se fallisse.
E sapeva bene che Scorpius dietro i suoi sorrisi, i suoi scherzi e il suo atteggiamento scanzonato nascondeva delle debolezze radicate profondamente in sé.
Fragilità che possono fargli un male incredibile…
Voleva proteggerlo, ma sapeva che Scorpius non glielo avrebbe mai permesso.
Intercettò un’occhiata del cugino, che le sorrise in quel modo gentile e un po’ distaccato che aveva per far capire che aveva indovinato alla perfezione cosa le stava passando per la testa.
Gli sorrise di rimando, mentre la porta dell’aula si apriva.
Albus smise immediatamente di prestare attenzione a chicchessia, e guardò con trepidante aspettativa Tom che usciva dall’aula, carico di una borsa di libri e varie pergamene.
Rose non detestava Thomas, ma ci andava maledettamente vicina. Gli riconosceva il fatto che fosse intelligente e praticamente un genio in alcune cose. Ma non bastava questo per renderli amici, anche se Al ci aveva sempre sperato.
Molte delle cose  terribili che erano successe l’anno prima erano accadute per colpa del suo orribile carattere. Era qualcosa che gli aveva sempre letto negli occhi, sin da quando erano bambini: Tom non riusciva a fare a meno di voler sapere. Era capace di essere un ignorante pazzesco in alcuni campi della magia, come il volo con una scopa o il saper riconoscere una costellazione – a volte dubitava persino che sapesse l’ubicazione della stella polare – e di appassionarsi fino alla morbosità ad altri.
Era viziato.  
Il suoi desideri l’aveva quasi portato al punto di perdere gli affetti e la sua famiglia. Solo grazie a suo zio e ad Albus quell’idiota ingrato non si era perduto completamente.
Le sue riflessioni furono bruscamente interrotte dalla voce del cugino.
“Ehi! Com’è andata?”
Tom sorrise. “Bene, ovviamente. Da domani sarò ufficialmente al Settimo anno.”

“Complimenti Dursley, benvenuto nell’anticamera dell’inferno, anche detto anno dei MAGO.” Replicò Scorpius con bonomia stringendogli la mano. Rose invidiava la sua capacità di rallegrarsi sinceramente per il destino di chiunque.
Albus in compenso esibiva il più largo e tenero sorriso che si fosse mai visto. Lui era davvero contento.
“Sei stato grande! Com’è andata? Che incantesimi ti hanno fatto fare? Chi è la nuova professoressa di Trasfigurazione, l’hai vista? Stasera festeggiamo!” Disse tutto di un fiato, afferrandolo per un braccio.
Tom non si liberò dalla presa, stranamente. “Voglio la mia ricompensa prima.” Scandì invece con volto anodino.
Al divenne di cinque diverse nuance di rosso in tre secondi netti, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua. “Ma… Uhm. Qui?”
“Sì. La mia ricompensa.” Ripeté cocciuto Tom. E poi a quanto pare se la prese, visto che strattonò l’altro contro di sé e lo coinvolse in un bacio che costrinse Rose a distogliere subito lo sguardo.

Non aveva nulla contro i gusti di chicchessia, dopotutto era figlia di una donna che proclamava pari diritti per qualunque creatura, umana e non. Nonostante questo si sentiva a disagio a vedere suo cugino darsi un bacio che lei reputava da camera da letto con quell’idiota.
E al diavolo se sembro una puritana!
Tom sembrava capace di manipolare Albus a suo piacimento. E questo non le piaceva.
 
“Da quando me ne sono andata direi che i costumi morali in questa scuola sono nettamente peggiorati.”

Può dirlo forte!

Pensò. Poi…
… Aspetta un secondo.
Rose si voltò di scatto in direzione della voce. Al in compenso tirò uno spintone a Tom e guardò ad occhi sgranati…
“Preside McGrannit!” Esclamò Rose incredula.  
Professoressa, signorina Weasley.” Replicò guardando con severità i due serpeverde. “E lei deve essere il signor Potter, suppongo.”
“… Sì?” Pigolò l’interpellato. “Lei è… cioè. Mi scusi.” Concluse in un attacco di timidezza recidiva, scatenando una risatina in Scorpius.

“Immagino che volesse congratularsi con il Signor Dursley per i risultati conseguiti, ma un corridoio non è il luogo opportuno per farlo. Dovrei togliervi dei punti, ma per stavolta lascerò correre.” Scandì lentamente, mentre Albus sembrava letteralmente consumarsi nell’ imbarazzo. Persino Tom sembrava a disagio.
Il che è tutto dire visto che è un imbecille esibizionista quando si tratta di dimostrare a tutti che Albus è roba sua.
“È stata colpa mia, professoressa.” Esordì a sorpresa quest’ultimo, specialmente perché aveva un tono mite. “La prego di scusarmi.”
Pazzesco. Qualunque cosa abbia detto o fatto la McGrannit in quell’aula è riuscita a domare Tom in quanto, un’ora?
E poi cosa ci fa qui? Vitious non è più il preside?
“Sarà lei ad insegnarci Trasfigurazione quest’anno?” Chiese Scorpius in una veloce associazione di idee.
La McGrannit gli lanciò un’occhiata, poi fece un cenno secco con la testa. “Sarà una supplenza provvisoria di un anno e non riprenderò le mie precedenti cariche. Si tratta di un favore alla scuola. Lei è…?”
“Un Malfoy.” Rispose prontamente, in un atteggiamento che Rose aveva imparato a riconoscere come di sfida. Quasi buttasse addosso il proprio cognome ad una persona per vedere come reagiva.

L’anziana professoressa non si scompose di una virgola. Inarcò semplicemente le sopracciglia. “Ed ha anche un nome, signor Malfoy?”
Il ragazzo la guardò preso in contropiede. “Sì, certo… ehm. Scorpius.”  

“Bene. Ci vedremo a lezione questo pomeriggio.”
“Mi scusi… Come fa a sapere che seguiamo tutti Trasfigurazione?” Chiese, e Rose non l’aveva mai visto così sbalestrato. Si stava persino dimenticando di sorridere.

“Ho le mie fonti, signor Malfoy.” Si voltò, facendo per tornare nell’aula. “Ho saputo che lei è il nuovo campione di Hogwarts…”
“Sissignora…” Le sopracciglia di Scorpius minacciavano di scomparire tra i capelli. Sembrava intimidito; il che aveva dell’incredibile considerando che era sempre sul filo dell’insubordinazione all’autorità scolastica.
L’anziana donna fece un nuovo impercettibile cenno con la testa. “Spero allora che porterà onore alla nostra Casa.”
Detto questo si chiuse la porta alle spalle con un lieve cenno della bacchetta.
“Wow… è davvero… notevole.” Mormorò Albus mordicchiandosi l’angolo di un labbro, tentando miseramente di smettere di arrossire.
“Lo è.” Confermò Tom con aria inequivocabilmente imbronciata. “Sarei rimasto sorpreso se non lo fosse, visto la leggenda che tutti dicono sia. Ma lo è.”
 
 
****
 
Hogsmeade, Tre Manici di Scopa.
Sera.
 
Non era decisamente fatto per le pubbliche relazioni.
Se si trattava di fingere era squisitamente imbattibile, ma appena nell’equazione rientrava gente che conosceva e che, anche peggio, lo conosceva… il risultato era un attacco di misantropia devastante.
Tom Dursley formulò il teorema quella sera stessa, mentre una tavola intera di suo cugini Grifondoro con l’aggiunta di due Serpeverde, Nott e Al, festeggiava la riuscita del suo test d’ammissione.
Era la sua famiglia e lo sarebbe sempre stata.  Ma questo non significava che riuscisse a trovarsi a suo agio a passare del tempo con loro.
Era un suo problema, se ne rendevano conto.
Ingoiò distratto un sorso di whisky incendiario ascoltando Albus e Rose chiacchierare del Torneo, della McGrannit e altre cose.
Nonostante queste premesse, non si era lamentato quando Albus gli aveva intimato di rendersi presentabile, dato che aveva veramente prenotato un tavolo ai Tre Manici Di Scopa.
Non si era lamentato perché aveva capito che l’altro ragazzo aveva bisogno di una serata libera con gli amici, bevande scadenti e nessuna preoccupazione. Ogni sera crollava stanco morto sul letto e il più delle volte toccava a lui svestirlo e infilarlo sotto le coperte.
Si meritava una serata del genere. E lui, da bravo, aveva infilato una camicia e si era stampato in faccia l’espressione più allegra del suo repertorio.
Ovviamente Lily appena l’aveva visto si era premurata di dirgli che sembrava la comparsa in una veglia funebre, ma non era quello il punto.
Il punto era che poteva rimediare. O almeno, poteva fare del suo meglio.
A cosa servirebbe altrimenti le seconde occasioni?
Al, quasi avesse sentito che pensava a lui, si voltò. “Ti stai divertendo?” Aveva un sorrisetto che gli premeva sulle labbra. Era chiaro che la domanda fosse ironica.  
Credo che questo sia ancora parte della mia punizione per tutto quello che ho combinato.
“Da morire…” Replicò atono, premurandosi di tirargli un pizzicotto sulla coscia, sotto il tavolo.
Il ragazzo sussultò, lanciandogli un’occhiata offesa, prima di inserirsi di nuovo in un discorso tra Rose e Lily. Tom lo imitò visto che l’argomento gli interessava.
“… e mi sarebbe piaciuto venisse, ma Ren ha detto che il suo preside è severissimo sul coprifuoco. Pensa che lo hanno alle sei! Non è ridicolo?”
Sören Luzhin…
Quel tipo non lo convinceva, anche se non era ancora riuscito a capire perché; gli ricordava qualcuno, eppure nessuno. Lily nel frattempo non faceva che parlare di lui.
“E tu sorellina? Non dovresti già essere a letto come il tuo oleoso cavaliere?” Ghignò James dal lato opposto del tavolo, dove stava disputando con Malfoy qualcosa che assomigliava tremendamente ad una gara di bevute.  
“Non dire cose prive di senso.” Lo tacitò Lily con espressione falsamente altezzosa. Le riusciva piuttosto bene. “C’è un professore, quindi teoricamente non infrangerò regole se rimarrò qui oltre l’orario consentito. Semplice. Giusto Teddy?”
“Ehm, non saprei… Immagino tu abbia ragione.” Rispose Lupin, ovviamente nicchiando. Tom non l’aveva mai sentito dare una risposta diretta e concisa.

E dubito che la sentirò mai.
“Ma non verremo puniti, giusto?” Spiò Hugo inquietatissimo. “Cioè, Teddy… Eh?”
“No, tranquillo…”
“Ti amo così tanto Rosie…” Biascicò Scorpius, la cui bassa resistenza agli alcolici era ormai universalmente conosciuta in quel consesso. “Te e i tuoi occhi di luuminosa giada…”
“Deficiente, ce li ho castani e tu sei ubriaco.” Sospirò la ragazza, spostandogli il viso in collisione con le sue labbra.

Non capiva  come un tipo come Malfoy, cresciuto a pane ed egomania, potesse essere devoto ad una tipa che era praticamente la versione ridotta e adolescenziale di una madre rompipalle.
Masochismo? Follia congenita?
Ad ogni buon conto, quella era la sua famiglia. E non era tanto male.
Se non altro non ci si annoia mai…
“Tom?” Al gli porse il boccale di burrobirra vuoto e appiccicoso. “Me ne porteresti un altro?”
“… Non è che per caso offro io a tutti?” Si informò, temendo l’eventualità in cui non gli sarebbero bastati i soldi e sarebbe finito a sgobbare nelle cucine per il resto della serata. Hannah Paciock era inflessibile da quel punto di vista.
“No, solo a me. In fondo non ti meriti di pulire tutti i nostri boccali senza magia…” Gli sorrise dolcemente capendo al volo i suoi timori. Gli piazzò poi il bicchiere sotto il naso, forse già un po’ brillo. “Dai. Per favore?”

“… Certamente. Vado.” Non aveva scelta, e dubitava di averne mai avuta da quando a tre anni gli era stato scaricato nel tappeto di camera sua quel rompiscatole pigolante, coi capelli impazziti e dotato di disarmanti e giganteschi occhi verdi.
Il bancone era gremito di gente, ma per fortuna non c’erano studenti. Almeno in quel posto poteva essere sicuro di non essere guardato come una bestia rara: ad Hogwarts era ancora oggetto di occhiate interessate, anche se erano diminuite grazie al Torneo, proprio come aveva predetto Albus.
“Un’altra pinta di burrobirra…” Sospirò rivolto Madama Hannah che gli servì un sorriso sorpreso.
“Arriva subito… oh! Ma sei tu Thomas!” Lo squadrò con franca curiosità, cosa che gli fece venir voglia di tornarsene al tavolo senza l’ordinazione. “Beh, come stai?”
“Abbastanza bene, la ringrazio…” Esaurito lo scambio di convenevoli, si chiese se non dovesse chiedergli del figlio Cedric.

Le sue riflessioni furono interrotte da una mano che gli si posò confidenzialmente sulla spalla. Si irrigidì infastidito, pronto ad un ammonimento freddo e cortese a chiunque avesse invaso il suo spazio vitale.
Si bloccò quando si trovò di fronte una dentatura perfetta, vestiti babbani e un sorriso affabile.
Ethan Scott, l’agente di collegamento tra il Ministero della Magia americano e quello britannico.
Che diavolo ci fai qui?
Il motivo in realtà lo poteva intuire da come lo stesse guardando.
Questo bastardo mi sta seguendo?
“Ciao Thomas. Ho saputo dei tuoi esami, congratulazioni!” Non gli diede il tempo di ribattere. “Hai un momento libero? Vorrei scambiare quattro parole, se non ti spiace…”
Tom sapendo di non aver molto tempo prima che qualcuno dei suoi notasse che stava tardando, sorrise tirato. “C’è qualcosa di importante che deve dirmi che non può aspettare la presenza di mio zio?”  
L’uomo rise, ma a Tom non sfuggì il lampo di fastidio che gli balenò nello sguardo. “Non essere così rigido ragazzo! Ti assicuro che sono solo poche parole, nulla che il famoso Harry Potter perderebbe tempo ad ascoltare.”
“Ma davvero…” Mormorò. Guardò verso la tavolata. “Mi scusi, ma devo tornare dai miei amici… Dopotutto è me che stanno festeggiando.”

Fece per voltarsi, premurandosi di non schizzarsi di burrobirra nell’operazione, quando la voce dell’uomo lo colpì alle spalle.
“Potrei avere qualcosa da dirti suo tuo padre… intendo, il mago.”

Tom si fermò prima ancora che avesse modo di assimilare la notizia. Era stata una reazione istintiva, prima che ragionata. “Hohenheim”
“Già.” Confermò Scott con un cenno della testa. “Non ti ruberò molto tempo, ma credo che ci siano alcune cose che dovresti sapere …” Alzò le mani, in segno di preventiva resa. “Ma se non vuoi, non posso obbligarti. So che hai avuto dei brutti trascorsi con l’agente Hardcastle… ma ti posso assicurare che il Ministero americano ha molto a cuore la tua persona.”

“Non mi interessa.” Tagliò corto. Poi però si morse un labbro. “Immagino che dovremo spostarci in un luogo più appartato…”
Scott fece un ampio sorriso. “Vedo che sei un ragazzo sveglio.”
“Già.” Alzò leggermente il boccale, indicandoglielo. “Voglio tornare prima che si freddi, sia ben chiaro.”

 
 
****
 
 
Note:
Vi ho lasciato un po’ sospesi, eh? Sono una sadica, lo so.

1. Qui la canzone.
E poi…
Al/Tom e Teddy/James: due disegni della bravissima e disponibilissima Matsutakedo
E poi la bravissima Iksia ha aperto una commision . Pubblicità per una ragazza adorabile. ^^

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


Alle recensioni rispondo grazie al simpatico sistema ‘rispondi recensioni’ quindi aspettatele lì d’ora in poi! ;D


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Capitolo XVI
 
 



Come on, come on

Put your hands into the fire
Explain as I turn I meet the power
This time turning white and senses dire
Pull up from one extreme to another…¹
(Thirteen Senses, Into the Fire)
 
Hogsmeade, High Street.
Sera.
 
Il paese era immerso nel silenzio della sera. Poche persone passeggiavano per la via, più che altro prese dal compito di tornare a casa, al caldo. Batteva infatti una pioggia sottile che si posò immediatamente sul cappotto di Tom in una lieve e umida condensa.
L’agente Scott si accese una pipa nera, da cui si espanse un odore agrodolce.
“Tabacco di acero… I babbani non l’hanno ancora provato, o ne sarebbero dipendenti, come molti di noi in America!” Scherzò, ma vedendo che non sorrise, si limitò a sospirare. “Beh… dunque.”
“Sto aspettando. Cos’ha da dirmi su Hohenheim?”
“Quello che probabilmente neanche il Ministero inglese sa.” Esordì tirando una lunga boccata, mentre si spostava sotto una tettoia spiovente. Tom fece lo stesso, scaldandosi le mani con il boccale bollente.

Probabilmente Albus si stava già chiedendo dove fosse finito.
“Tagli corto. Come ho già detto, voglio tornare dalla mia famiglia e dai miei amici.” Non si sentiva particolarmente portato ad essere cortese con quell’uomo.
La verità è che era nervoso, e si stava chiedendo se avesse fatto bene a seguirlo. Non che temesse qualcosa. Sperava inoltre di aver più fortuna stavolta con un funzionario del Ministero americano.
Ma questa storia non mi piace. Perché vuole parlare proprio con me? È dal processo che cerca di avvicinarmi… ed Harry sembrava averlo già incontrato.
“Lo capisco, sai. Se non ti fidi di me.” Commentò l’uomo, distogliendolo dai suoi pensieri.
“… Prego?”

“Dopo ciò che ti è successo per colpa dell’agente Hardcastle… beh, anch’io sarei prevenuto.” Si passò una mano trai capelli, sospirando di nuovo. Sembrava provare empatia per lui, ma era solo scena; dubitava che quel damerino si sentisse dispiaciuto per i traumi che avrebbe potuto eventualmente riportare da un’esperienza simile. “Ma ti posso assicurare che il mio Ministero è tuo amico.”
“Non credo a questo genere di favolette retoriche.” Storse le labbra, non potendo far a meno di ricordare le storie che Harry gli aveva raccontato sul pavido governo dei predecessori di Shacklebolt. A quanto sembrava gli adulti continuavano a considerare gli adolescenti come delle pedine da manovrare, emotivamente instabili e bisognose di punti di riferimento.

Al diavolo.
“Se ha qualcosa da dirmi su Hohenheim lo faccia, altrimenti…” Fece per voltarsi.
“No, aspetta!” Lo fermò di nuovo, facendosi scivolare via il sorriso formale per tornare serio. “Ho davvero delle informazioni… informazioni di cui neppure il Ministero britannico è a conoscenza.”
“E perché non informa l’Ufficio Cooperazione, invece di venire a parlare con un semplice studente?”
Scott fece un mezzo sorriso. “Andiamo Thomas, lo sappiamo entrambi. Tu non sei un semplice studente.”
Tom serrò le labbra, come la presa sul boccale. Sentiva un brivido gelido scendergli lungo la spina dorsale ma si impose di non farci caso.

Perché il governo americano lo sa?
“Vedo che siete ben informati su di me.”
“Tutto quel che c’è da sapere.” Rispose con una scrolla di spalle che reputò odiosa. “Siamo stati noi a dare le informazioni al DALM e al tuo padrino, sulla Thule, su John Doe e su di te. Siamo la fonte primaria, per così dire.”

“Quindi ne sapete di più…”
“Se così si può dire…” Convenne nuovamente, dando un’altra boccata alla pipa. “Se sono qui per parlarti, è perché tuo padre non ha smesso di volerti accanto a sé.”
“Ci ha già provato, con John Doe. Non funzionerà mai. Il mio posto è qui… e lui non è mio padre. Ne ho già uno.” Si scollò dal palato, guardandolo fisso. “Quindi non vedo l’utilità di dirmi queste cose, che peraltro potevo intuire da solo.”
“Perché l’uomo che ti ha rapito era solo una pedina. Un cavallo, se vogliamo fare paralleli con il gioco degli scacchi.” Spiegò espirando una boccata di fumo che si mischiò alla condensa umida. “Tutto ciò che è successo può ripetersi…” Si sbottonò il giubbotto sportivo, frugando dentro una tasca interna da cui tirò fuori un plico di foto tenute assieme da una graffetta decisamente babbana. Gliele passò senza una parola di commento, ma a Tom bastò guardarlo negli occhi per capire che attendeva la sua reazione.

Le prese. La prima bastò a gelargli il sangue nelle vene. Era un particolare di qualcosa, forse di un tendaggio o un arazzo. Ma quello che davvero interessava era lo stemma raffigurato. Quattro bracci uncinati che reggevano un gladio rudimentale.
Lo stemma della Thule.
“Lo riconosci?”
“L’ho già visto.” Confermò. “È lo stemma di quella… setta.”
“Già. Cosa sai della Thule?”
“Non molto.” Dovette ammettere. Doe da quel punto di vista era stato piuttosto fumoso.

“Vedi… La Società Thule è un associazione segreta, nata poco prima della seconda guerra mondiale, e almeno inizialmente aveva adepti sia babbani che maghi…”
“… I purosangue tolleravano la presenza di babbani?”
“Li usavano.” Fece una breve pausa, poi riprese a parlare, mentre Tom guardava le altre foto. Erano sgranate, fatte forse di sfuggita o rappresentavano luoghi ormai vuoti di indizi e di persone. Non molto. “Vedi… tuo padre non è stato il fondatore. Non era ancora nato quando la Thule mise radici in Europa. Ed era… diversa da quella che conosciamo adesso. Inizialmente era stata creata perché maghi purosangue condividessero la loro magia con i babbani per la creazione di un mondo migliore. I babbani dal canto loro potevano offrire la scienza, la tecnologia. Uno scambio equo …”
Tom fece una smorfia ironica. “Uno scambio equivalente…”
“Si può dire così.”
“E questo mondo migliore avrebbe dovuto essere epurato da chi non rispondeva ai loro criteri…”
Scott annuì, guardandolo con un sorriso. “Davvero ammirevole…”
“Il partito nazista predicava le stesse cose. Cercava di epurare l’Europa in favore di una razza superiore. Il mito del superuomo di Nietzsche. Il superuomo ariano. Sono tutte teorie che si leggono su libri babbani, andavano piuttosto di moda all’epoca. Si legga un libri di storia…” Non potè fare a meno di ironizzare, perché sentiva un peso nello stomaco e un’urgente voglia di andarsene, mentre la burrobirra ormai era sgradevolmente fredda tra le sue dita.

L’uomo invece sembrò credere di aver istaurato una sorta di contatto con lui, perché ridacchiò, credendola una battuta. “Ascolta… la prima Thule non riuscì mai a concludere niente,  e fu formalmente sciolta nel 1925. In seguito Adolf Hitler salì al potere e le società occulte vennero bandite dalla Germania. I maghi adepti furono costretti a nascondersi, persino a fuggire in altri paesi per non essere uccisi dai babbani, gli stessi babbani che avevano collaborato con loro e che adesso indossavano la divisa nazista. Molti di loro morirono durante la guerra, altri andarono ad ingrossare le fila di Grindenwald pochi anni più tardi.”
“Poi cosa successe?”
Per quanto cercasse di trovare un modo per andarsene, quello gli interessava. Si tratta pur sempre di sapere contro cosa avrebbe dovuto combattere un giorno. Perché quel giorno sarebbe arrivato, Tom non si illudeva.
“Venne tuo padre.” L’uomo si appoggiò al muro della taverna, con un sospiro. “Quando riformò la Thule, Alberich Von Hohenheim era un giovane mago, pieno di idee e assetato di conoscenza… Studente brillante a Durmstrang, il migliore dei suoi corsi, il più versato nelle Arti Oscure. Proveniva inoltre da una famiglia purosangue della nobiltà tedesca. Aveva i mezzi finanziari per portare l’Organizzazione agli antichi fasti. La Germania era in pace da molto tempo ormai, e non fu difficile per lui ricondurre i maghi scampati alle due guerre sotto il suo comando. Si può dire molte cose di tuo padre… ma non che non avesse e abbia tutt’ora un carisma eccezionale.”
Tom non disse nulla. La foto che stava guardando in quel momento era l’ennesimo fotogramma sfuocato. Ma poteva vedere attraverso le pieghe del mantello dell’uomo ritratto. La barba corta, i lineamenti sottili e sfuggenti.

Quello era suo padre, come lo aveva visto nei ricordi che gli aveva mostrato Doe.
“Cosa fa precisamente la Thule?” Si sentiva il palato asciutto come se avesse ingoiato sabbia, ed era buffo perché aveva praticamente ogni singolo epitelio zuppo di umidità.  
“La Thule è una società segreta che ricerca potere e conoscenza. Si muove tra le branche della magia più oscura… molti dei suoi adepti sono alchimisti, uomini di scienza. Ma tra di loro ci sono anche maghi come il Camaleonte…” Alla sua faccia perplessa, si apprestò a spiegare. “John Doe. La sua capacità di mutare aspetto non era dovuta alla metamorfomagia, ma era frutto degli studi della Thule.”
“Mi sta dicendo che era una cavia per esperimenti magici?”
“Precisamente.” Convenne con una smorfia disgustata. Quella Tom la comprese e la sposò. Chiunque si prestasse ad usare il proprio corpo come un banco di prova era un folle. “E non è il solo. L’organizzazione si divide in uomini di scienza e uomini come John Doe, che offrono il proprio corpo e il proprio sangue. Purtroppo di molti di loro non conosciamo neppure nomi e volti. Agiscono in tutto il Mondo Magico, trafugando incantesimi e manufatti magici di grande potere…”

“Come i Doni…”
“I Doni della Morte sono solo una delle tante cose di cui desiderano impadronirsi. Ma sono solo mezzi per loro. L’obbiettivo su cui si fonda la Thule è di spingersi oltre i confini della magia.”
“…  Come riportare in vita i morti?” Sentiva il cuore pompargli furiosamente nel petto, ma le ossa erano gelate. Non era la prima volta che sentiva quel discorso, e sé sapeva esattamente lo scopo per cui era nato.

“Sì.”
C’erano delle cose a cui ci si poteva abituare ascoltandole più volte: non era quello il caso.
“Capisco.” Mormorò. “È per questo che mi vuole, suppongo. Perché sono uno dei suoi esperimenti.”
“Non è così semplice…” Lo vide esitare, poi l’agente gli mise una mano sulla spalla. “Il fatto di avere l’anima di uno dei maghi oscuri più potenti della storia ti rende… speciale.”
Speciale…
In quel caso ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Ma se non lo fossi, non sarei neppure nato.
“Sono stato… creato…” Non si sarebbe mai abituato a quella parola rivoltante. “…per potermi battere con Harry, per rubargli il possesso dei Doni. Così mi ha detto John Doe.” Lo guardò in viso: l’americano aveva abbandonato quella falsa espressione amichevole e sembrava teso. “… Ma non è solo questo, giusto?”
Avrebbe tanto voluto che una voragine inghiottisse quel maledetto foriere di angoscia. Ma ovviamente non sarebbe mai accaduto. Quindi pretendeva il resto.

 
****
 
Al si era accorto che Tom era sparito. Non che ci volesse un genio: anche se il locale era stracolmo, come ogni sera di fine settimana, non era difficile notare un ragazzo allampanato, imbronciato e straordinariamente ben attento a tenere a distanza chiunque.
E poi al bancone non c’era. C’era Nott invece, che si era accomiatato alla fine dei brindisi per andare a flirtare spudoratamente con una delle cameriere.
Forse sa dove si è cacciato quello scemo…
Approfittandosi del fatto che nessuno lo stava guardando, si alzò dal tavolo e raggiunse l’amico al bancone.
“Ehi… hai visto Tom?”
“Mmh?” Il ragazzo distolse gli occhi bicolore dalla prosperosa scollatura della ragazza. “Oh, Marian, ti presento il mio caro amico Albus Severus!”

“Come Silente? Wow, i tuoi genitori devono averlo ammirato tanto  per darti un nome così assurdo! Non è assurdo? È così buffo!”” Cinguettò la ragazza ilare. “E Severus invece per cosa sta?”
“Piton. Severus Piton. Ma preferisco mi si chiami Al.” Tagliò corto, fulminando con un’occhiataccia un ghignante Loki. “Allora, l’hai visto?”
“È uscito una decina di minuti fa con un tipo belloccio…” Alla sua espressione, scoppiò a ridere. “… che poteva essere suo padre! Su, non essere geloso di ogni singola persona che gli si avvicina!”

“Sei un coglione.” Borbottò sentendosi infastidito e confuso. Perché diavolo Tom doveva essere uscito con un mago adulto? “Sai chi era?”
“Nessuna idea. Perché non glielo chiedi? Probabilmente non si sono allontanati tanto, con questo tempaccio…”
“Sì, grazie… Piacere di averti conosciuto.” Fece un sorriso di commiato a Marian, e fu quasi certo di sentirla chiedere a Loki se aveva la ragazza non appena si fu allontanato. L’espressione contrariata dell’amico fu impagabile, e suo malgrado fece un sorrisetto.

Ben ti sta.
Spinse la porta di legno della locanda, che si richiuse alle sue spalle non appena fu fuori. Rabbrividì, stringendosi le braccia al petto quando ricordò che forse avrebbe dovuto indossare il mantello, invece di restarsene in felpa.
Ma non mi andava di tornare al tavolo e beccarmi il terzo grado …
Sentì un odore dolciastro, di tabacco, che non aveva mai sentito prima e poi delle voci. Loki aveva detto giusto: Tom e il suo misterioso interlocutore erano sotto la tettoia, nel retro della locanda.
Forse non era corretto, ma Al aspettò prima di palesarsi. Si avvicinò invece, certo di non essere visto con quel buio. Gli pioveva addosso, ma poteva sopportarlo per qualche minuto.
Aveva la netta impressione che il suo ragazzo e l’uomo stessero discutendo di qualcosa di importante.
 
“… Ma non è solo questo, giusto?”
“No, Thomas. Abbiamo ragione di credere che tuo padre si muoverà presto.”
“Cosa ve lo fa credere?”
“Abbiamo i nostri informatori. Certo, la Thule è un organizzazione che prevede fedeltà assoluta e punizioni terribili per chi sgarra… ma si trova sempre qualcuno disposto a parlare, con i giusti mezzi.”
“Soldi, suppongo.”
“Sei proprio un ragazzo sveglio, eh?”

 
Albus sentì un brivido gelido scuoterlo tutto, e non era solo perché ormai aveva la camicia inzuppata.
Chi era quel tipo?  
Si sentì battere la spalla con un dito. Sussultò, quando si trovò alle spalle Loki, che lo guardava dal cappuccio tirato del mantello. Si vedeva solo il ghigno.
Inquietante.
“Che ci fai qui?” Sussurrò perplesso.
“Credi che ti lasci solo in questa notte buia e tempestosa? Hai ben poca stima di me, dolce Albie…”
“Di’ piuttosto che sei un maledetto pettegolo.”
Loki gli arruffò i capelli, con una conseguente pacchetta sulla testa. “Beh, mi conosci.”

 
“Pensate che attaccherà durante il Tremaghi?”
“Pensare è qualcosa che non ci possiamo permettere di fare in modo avventato. Anche se il Torneo rappresenta una protezione in realtà…”
“Protezione? È una manifestazione pubblica. Almeno, durante le tre prove…”
“Il sistema di sorveglianza che è stato organizzato renderà più difficile per la Thule avvicinarti. Chiunque sia sospetto verrà fermato.” Una pausa. “In un certo senso questa manifestazione può essere considerata un bene per te.”

“E se fossero all’interno?”
“Nelle delegazioni?”
“Perché no?”


L’uomo rimase in silenzio. Sembrava riflettere, ma dall’espressione irritata di Tom, anche Al capì che stava fingendo.
Loki gli si schiacciò quasi addosso, allungando il collo.
“Quel tipo… chi è?”
“Non ne ho idea!” Si mosse per scrollarselo di dosso. “Scendi dalla mia schiena, mi fai male!”
“È americano, dall’accento perlomeno…” Lo ignorò platealmente. “Che vuole uno yankee da Dursley?”

 
“È una teoria interessante…”
“Il vostro Governo dice di essermi amico. Eppure mi sembra che vi state comportando esattamente come il Ministero britannico. Mi state nascondendo delle cose.”
“Thomas… come ti ho già detto per noi sei molto prezioso. Non ti sto nascondendo niente, ti ho detto tutto quello che so.”
“Perché?”
“Perché ci preoccupiamo del tuo futuro… e a proposito di questo. Hai mai pensato a cosa farai dopo aver preso il diploma?”

Tom sembrò sinceramente sconcertato, ed entrò immediatamente in modalità difensiva. “Non credo che questi siano affari del Ministero americano.”
“E invece potrebbero.”

 
Al vide la confusione negli occhi di Tom. Lui però aveva già capito. Se quel tipo era un funzionario americano, allora era lì in veste ufficiale e probabilmente gli stava dando delle informazioni sull’associazione di quel pazzo di suo padre… in cambio di qualcosa.
Cosa vogliono da lui?
 
“Non hai mai pensato di continuare gli studi?”
“Una scuola preparatoria come l’Accademia Auror o l’Istituto di Medimagia?” Fece una smorfia. “Non i miei campi.”
L’uomo sorrise con aria comprensiva. “Naturalmente. Vedi Thomas… in America viene data la possibilità di approfondire i propri campi di interesse. Il nostro Governo finanzia e aiuta la ricerca in ogni campo della magia.”

“Non mi sembra che il Ministero britannico lo impedisca…”
“No, è vero, ma per fare ricerche alchemiche serve un permesso speciale dal Ministro stesso. Questo solo per farti un esempio. Devi stare alle loro regole. Lavorare nei loro laboratori, riportare tutto ad un’autorità superiore. Ma sicuramente queste cose le saprai meglio di me…”
“E in America non è così?”

“No. Abbiamo molta più considerazione per i giovani maghi di talento.”
 
Albus conosceva abbastanza bene l’altro per sapere che quell’americano stava spingendo tutti i tasti giusti. Lo stava lusingando – e Merlino solo sapeva quanto Tom fosse sensibile alle lusinghe sulla sua intelligenza – e al tempo stesso mostrava di capire i suoi desideri, ben lontani da una scrivania polverosa al Ministero.
A lui interessa scoprire, non applicare quanto già fatto…
E quel tizio lo sapeva, e lo voleva…
Lo vuole portare via?
Tom sembrava infastidito, ma aveva una scintilla di interesse che gli si agitava nello sguardo.
Albus represse la voglia di uscire fuori, afferrare la bacchetta che non si era portato dietro, e schiantare quel viscido mago yankee.
 
L’uomo a quel punto gli mise una mano sulla spalla. Tom non si ritirò.   
“Così è come lavoriamo. E ti proteggeremo da Hohenheim, inoltre. Cosa che non credo sappiano fare tanto bene qui…”

Quello era decisamente suonare la nota sbagliata.

“Oh, pessima giocata…” Mormorò Loki al suo orecchio, sembrando sempre più un’inquietante afflato della sua coscienza.
Videro Tom irrigidirsi bruscamente, e raddrizzare la schiena; poteva criticare il Ministero un po’ troppo spesso con la compiacenza di Hermione , ma Thomas Dursley era maledettamente fiero di appartenere alla comunità magica britannica.

E soprattutto quel tizio aveva appena insultato nientemeno che zio Harry.
Albus sorrise.
 
“Quello che è successo è avvenuto per causa mia, non certo perché qualcuno mi ha spinto tra le braccia di John Doe.”
“No, quello che stavo cercando di dire…” L’uomo dimostrò di aver capito di aver commesso un passo falso, perché tentò di rimediare. “Non intendevo…”
“Invece intendeva.” Serrò la mascella. “Devo andare. Grazie per l’illuminante chiacchierata.”

Thomas!” L’uomo lo afferrò di scatto per un braccio. “Ti prego, ascolta quel che sto cercando di dirti. Qui non sei al sicuro!”
“E con voi lo sarei?” Tom si ritirò con uno strattone piuttosto secco. “Perché dubito. Forse finirei addirittura dal calderone al fuoco.” All’espressione attonita dell’uomo, fece un sorrisetto amaro. “Crede che io sia uno stupido? Anche voi mi volete, forse persino per gli stessi motivi di mio padre. Perlomeno qui sono un semplice studente.”
“… Ed è ciò che vuoi?”
“Esattamente.” Fu la risposta. “A quanto pare non sapete tutto di me.”

“Razza di sciocco ragazzino!” Sbottò esasperato l’uomo. “Se solo venissi con me…”
 
… e a quel punto Al si ritenne obbligato a mostrarsi; del resto aveva una gran voglia di prendere a calci, anche con metodi babbani, quel tipo.
“Perché non lo lascia in pace?” Esordì, mentre i due si voltavano sorpresi verso di lui. “Tom non vuole venire con lei, il suo posto è qui!”
Loki spuntò alle sue spalle, in un anomalo anelito cameratesco. “Appoggio tutto ciò che ha detto il pivello dall’indole teatrale.” Si premurò di dire, battendogli una pacca sulla spalla.

Tom li guardò tra l’infastidito e l’imbarazzato, come sempre faceva quando qualcuno si comportava in modo supportivo con lui. “Da quanto siete qui?”
“Ad origliare? Oh, da un bel po’!” Esclamò Loki, incurante di conseguenti occhiate lincianti da parte degli altri due serpeverde. “E mi sa che la conversazione che abbiamo ascoltato viola parecchie norme dello Statuto di Cooperazione Internazionale tra Maghi.”
L’americano assunse un’aria indignata, ma si guardò bruscamente attorno, quasi temesse di veder spuntare auror del Ministero dai vicoli circostanti.

“Sono solo state due chiacchiere tra maghi maggiorenni…”
“Ce l’ha un permesso di permanenza al di fuori dell’area metropolitana di Londra? So che deve averlo ogni mago straniero…” Lo incalzò Loki, che sembrava divertirsi un mondo. “Perché nel caso gliene potrei procurare uno, se non ce l’ha…” Aggiunse, scollandosi con attenzione le parole dal palato, quasi se le stesse gustando. “Faccio buoni prezzi.”

Albus sentì un oceano sconfinato di affetto per Nott in quel preciso istante.  
L’agente a quel punto non fece nulla per mascherare il suo nervosismo. Prese la bacchetta e lanciò un’occhiata al suo precedente interlocutore. “Avremo di nuovo modo di parlare spero.” Disse, cercando di non far sembrare tutto quello un preludio ad una fuga. “Considera ciò che ti ho detto Tom, per favore.”
Questo non disse nulla, e aspettò che l’uomo si fosse smaterializzato con uno schiocco secco, per guardarli.

Male, ovviamente.
“Perché diavolo stavate origliando?”
“Io non stavo origliando!” Si difese immediatamente Albus, sentendo che la voglia di prendere a calci qualcuno aveva cambiato target. “Sei sparito e sono venuto a cercarti!”

“Stavo solo…” Abbassò lo sguardo sulla burrobirra, ormai fredda e imbevibile. “… pensavo di metterci meno tempo.”
Al sentì solo vagamente la presenza di Loki scomparire così come era venuta. Davvero, quel ragazzo aveva un futuro come istruttore di Materializzazione.

O come ladro…
Era comunque troppo arrabbiato per preoccuparsi di Nott e delle sue capacità. “Io…” La collera gli era così montata addosso che non sapeva neanche cosa dirgli. “Che cavolo era quello?”
“Quello cosa?”
“Il discorso, tu che te ne sparisci, forse? Stai… stai facendo di nuovo qualcosa di stupido?” Sbottò desiderando avere la sua bacchetta sia per asciugarsi dalla pioggia sia per schiantare l’idiota.

Tom a quel punto sembrò capire, perché appoggiò il boccale alla scaletta di servizio. “Non hai proprio fiducia in me, vedo…” Osservò con un sospiro. “Non sto facendo niente di stupido.”
Albus non cadde nella trappola, anche se sentì una minuscola fitta di senso di colpa.
“Non ci provare. Spiegami.”
Tom non rispose subito, estrasse piuttosto la bacchetta da una tasca interna del cappotto: Al si sentì immediatamente investire da una corrente tiepida, e subito i suoi vestiti furono di nuovo asciutti.
Mmh, adoro gli incantesimi riscaldanti.
“Grazie…” Non riuscì a non sorridergli.
Tom contraccambiò appena, ed era uno di quei suoi sorrisi sottili e sinceri. “Ti dirò tutto.” Disse “Vado dentro, pago e torniamo al castello.”
“E gli altri?”
“Dirò che devi finire delle cose, come Caposcuola. Capiranno…” Fece un ghignetto. “O fraintenderanno, il che va bene comunque suppongo.”

 
****
 
Sapeva che non sarebbe dovuto scendere fino al laboratorio di papà.
Lo sapeva bene, ma l’aveva fatto comunque perché aveva sentito tanti rumori.
Non si erano mai sentiti rumori dal laboratorio di suo padre. Ma adesso sentiva delle voci, qualcuno gridare.
C’erano degli ordini precisi, anche per quello, certo: papà non voleva che lui scendesse nel laboratorio dove faceva importanti esperimenti per Lo Zio.
Aveva sceso i gradini, cercando di far meno rumore possibile; era bravo in quello, riusciva sempre a sorprendere la balia.
Quel giorno era stato un giorno buono. Il suo maestro di Duello gli aveva fatto i complimenti, e lui voleva dirlo a papà. Sapeva che Lo Zio probabilmente ne era già a conoscenza.
Ma forse papà no, e avrebbe potuto dirglielo e magari farsi dare una di quelle carezze secche e tanto rare.
Forse avrebbe potuto capire cosa stesse succedendo.
Si era affacciato al corrimano. Le scale erano in legno, ma era diventate scurissime per colpa dei fumi delle pozioni che avevano ormai corroso anche la carta da parati.
Suo padre era in mezzo al laboratorio, che era grande, immenso ai suoi occhi di seienne.
C’erano altre persone, e qualcosa non stava andando, davvero.
Si agitavano tutte, e c’era molto fumo. Molto più fumo del solito, e un odore acre, bruciante, che gli aveva fatto lacrimare gli occhi. Dei lampi violetti squarciavano quella nebbia leggera.
Aveva avuto paura perché aveva capito che stava per succedere qualcosa di brutto. 
Aveva chiamato papà, pianissimo, provandoci. Lui l’aveva sentito e aveva alzato la testa.
L’aveva visto sgranare gli occhi e aveva capito che anche un papà poteva provare paura.
 
“Sören, vattene da qui!”
 
E poi c’era stato il lampo.
Aveva provato a chiudere gli occhi, ma non era servito a molto. Aveva sentito un rumore fortissimo, come centinaia, migliaia di tuoni.
E poi c’era stato solo bianco accecante.
 
Si era risvegliato in camera sua. Aveva la nausea e un dolore sordo al lato della testa. C’era un odore intenso attorno a lui, di unguento: lo conosceva bene, dopo le lezioni di Duello doveva sempre applicarsi una pomata per le bruciature con quell’esatto odore. Aveva delle garze sulle braccia e sulle mani.
Non ricordava di essersi ferito.
Non ricordava, ma c’era lo Zio al suo capezzale. Gli stava dando le spalle, ma quando l’aveva sentito muoversi si era voltato.
“Sören, ti sei svegliato finalmente. Come ti senti?”
Il tono di voce era gentile, così gentile che si era sentito in dovere di rispondere che stava bene.
“Questo mi fa piacere.”
Suo Zio era bianco accecante, come il lampo del laboratorio di suo padre. O forse era lui che non riusciva ancora a tollerare bene la luce del sole che esplodeva dalle finestre.
“… Cosa è successo zio?”
“Devo darti una notizia molto triste. Tuo padre non c’è più.”
L’aveva già capito. Si era anche chiesto come ci si dovesse comportare in quelle circostanze: l’istitutrice non gli aveva mai spiegato cosa fosse appropriato fare e cosa no.

Era sicuro comunque che fosse sbagliato piangere. Quindi non l’aveva fatto, anche se ne aveva voglia.
“Nel laboratorio?” Aveva chiesto soltanto.
“È così.” Gli era stato confermato. “Ma sappi che la sua morte non è stata inutile.”
Lo Zio gli aveva messo una mano sulla spalla: era la prima volta che lo toccava, e Sören seppe quindi che stava agendo nel modo giusto.
“Il lavoro di tuo padre, il suo sacrificio, hanno permesso alla Thule di fare un altro passo avanti verso la conoscenza.” Gli aveva detto stringendo appena la presa. “Devi esserne fiero.”
“Lo sono.” Aveva detto compito, e fu felice di constatare che non aveva affatto la voce di chi stava per piangere. Anche lo Zio sembrò soddisfatto della risposta.

“Non ti punirò per essere andato dove non dovevi…” Gli aveva sorriso. “Non per stavolta. Ma dimmi, Sören… ti reputi un bambino obbediente?”
Sören sapeva che per come avrebbe risposto ci sarebbero state conseguenze. C’erano sempre, quello gli era stato insegnato non appena era stato in grado di capire.

“Posso migliorare, zio.” Aveva quindi mormorato. “Voglio farlo. Hai la mia parola.”
Suo Zio aveva sorriso di nuovo, sfiorandogli la fronte in una carezza. Non assomigliavano a quelle di suo padre, ma sapeva che presto le avrebbe dimenticate. Già gli sembrava di non ricordarle più.
Era triste.
“Sei un bravo bambino, Sören. Vorresti far sì che la morte di tuo padre non sia stata vana, non è vero?”
“Sì.” Di questo era sicuro. Lui era l’ultimo dei Prince, suo padre gli aveva dato l’anello che veniva ereditato per via maschile da generazioni.

Suo padre che non sorrideva mai e le poche volte che gli aveva parlato, senza la presenza del resto della famiglia, l’aveva fatto in quella lingua dolce e schioccante che era del suo paese.
 “Che devo fare, zio?”
“Presto, Sören. Presto lo saprai.”

 
Cambio di scena.
Buio, buio ovunque. Un buio appiccicoso, di quelli che ti soffocano e sembrano entrarti dentro gli occhi, accecandoti.
Il tavolo era freddo contro la sua schiena. Tavolo, poi. Una lastra di marmo, che sarebbe stata di un bianco accecante se non fosse stato così…
“Non sei un bambino obbediente, Sören?”
Buio.
 
 
Vascello di Durmstrang.
Sottocoperta, cabine dei passeggeri.
 
“… gliati! Ehi, per Faust, cosa c’è che non va in te?”
Si sentì strattonato bruscamente per un braccio. Sentiva la presa bruciargli come quella cosa.

Era ancora lì, dentro al buio?
L’urlo di dolore gli morì sulle labbra, perché era ancora quel bravo bambino, mentre si liberava dalla presa dell’aggressore e al contempo, con la mano libera, sfilava la bacchetta da sotto il cuscino per puntargliela nel punto più tenero della gola.
“Sören!” Sibilò quello, soffocato. “Sono io, svegliati! Sono Kirill!”
Tornò immediatamente in sé, e mise a fuoco la realtà.
Era nella sua cuccetta, sul vascello di Durmstrang. Aveva di nuovo diciassette anni.
Sö…ren!
Vide anche che stava tenendo sotto tiro Poliakoff, che già esibiva una preoccupante tinta ciano: gli stava spingendo così tanto la bacchetta contro la gola da bloccargli la respirazione.
Lo liberò, e mentre l’altro si tirava bruscamente indietro, inciampando quasi nei suoi stessi piedi, ebbe modo di potersi tirare a sedere, sentire il ruvido cotone delle lenzuola sotto i piedi e rendersi conto che era solo un incubo.
“Per tutti gli inferni brulicanti… Sono sempre così i tuoi incubi?” Balbettò il ragazzo, toccandosi la gola con una smorfia sofferente. “Mi hai quasi ammazzato! Stavo solo tentando di svegliarti!”
“Mi hai toccato, è stata quella la mossa sbagliata…” Replicò passandosi una mano trai capelli. Era sudato, e la camicia da notte gli aderiva al torace come un sudario. “Non è una buona idea farlo quando dormo.”
“Beh, ora lo so…” Borbottò l’altro, andando all’unico mobiletto che conteneva i loro pochi effetti personali. Prese una bottiglia e riempì il suo calice, porgendoglielo poi.

“No grazie.”
Se era alcool poteva interagire con la pozione soporifera che aveva preso poco prima di andare a letto.
… per quanto ha funzionato, potrei anche scolarmi una bottiglia intera però.
“È vodka incendiaria. Andiamo…” Lo incoraggiò.  “Mi è stato detto che apprezzi la qualità. E questa è la miglior vodka incendiaria che si produca in Russia. Direttamente dal bacino del Don.”
Sören la accettò per inerzia, sorseggiandola. Sentì un piacevole fuoco alcolico riscaldargli le vene e il petto.
Effettivamente è degna di nota.
Lanciò uno sguardo verso l’altro ragazzo, che sorseggiava l’alcolico con la stessa smorfia sofferente di poco prima. Sulla gola spiccava una minuscola bruciatura circolare, segno preciso della punta di una bacchetta.
Perché suo zio non aveva avvertito Poliakoff che era stato addestrato per avere riflessi condizionati potenzialmente mortali per l’altrui persona?
“Ansia per il Torneo?” Spiò il russo, fraintendendo il corso dei suoi pensieri. “Essere il campione deve mettere parecchia pressione addosso, eh?”
Sören non rispose, preferendo indossare un paio di pantaloni e buttarsi il mantello sulle spalle.

Non poteva restare lì: sentiva come se le pareti di quella cabina claustrofobica gli si stringessero addosso, soffocandolo.
“Ehi, dove vai?”
“Sopracoperta.” Tagliò corto allacciandosi gli alamari. “Tu cerca di dormire. E la prossima volta, non avvicinarti. Lo dico per te.” Non gli lasciò tempo per ribattere, si tirò la porta dietro.

Solo quando fu fuori, solo quando sentì la brezza gelida di un autunno incombente poté finalmente respirare a pieni polmoni.
Hogwarts era di fronte a lui, e vederla, per quanto fosse strano e incomprensibile, allentò un po’ la morsa che gli stringeva lo stomaco come un serpente velenoso.
Non credeva che un altro castello scozzese gli avrebbe fatto lo stesso effetto: era la magia che Hogwarts emanava, soffiandola come un gentile gigante addormentato, a calmare il suo spirito.
Poggiò le mani sul parapetto: Grifondoro doveva essere nella torre che si ergeva poco discosta dalla Foresta Proibita.
Da lì ne aveva una visuale perfetta: era ancora accesa di piccoli fori pieni di luce. Poteva quasi immaginare Lily Potter nella sua stanza, nel suo letto, a dormire quel sonno a cui sono gli innocenti potevano aspirare.
Lui invece era nel buio. E avrebbe rubato quella luce.
 
****
 
Hogwarts, Dormitori di Serpeverde.
Stanza del Caposcuola.
 
“Mi stai dicendo che tuo padre è qui?”
Tom scosse la testa: spiegarsi non era sempre facilissimo, e Albus era entrato in allarme non appena aveva capito l’esatta portata delle affermazioni dell’agente Scott.

Non che non capisse. Si sentiva inquieto anche lui.
“Dobbiamo dirlo a mio padre!” Esclamò, saltando quasi giù dal letto. Tom lo acchiappò per un braccio, tirandolo di nuovo seduto.
“No.” Lo fermò. “Non ha senso allarmarlo per qualcosa che è solo una supposizione…”
“Come fai a sapere che è solo…?”
“Perché era ovvio che Scott volesse spaventarmi per farmi chiedere la protezione del Ministero americano. Le sue minacce erano troppo generiche per essere concrete.” Spiegò con calma surreale. Poteva farlo, in effetti, solo perché erano seduti nel letto della stanza privata di Albus. Perché le protezioni magiche del Dormitorio di Serpeverde sfioravano la paranoia da secoli.

Grazie a Salazar, il mago più razzista e alienato della storia della Gran Bretagna.
Al si sedette meglio, incrociando le gambe. “Sì, ma…” Si mordicchiò un labbro incerto. “Credo che comunque dovremmo dirlo a papà.”
“Zio Harry sa già che rischio ogni volta che metto il naso fuori dalla scuola. Sinceramente, non penso che nessuno si sia illuso sul fatto che mio padre si sia rassegnato e si prepari a trascorrere la vita lontano da me…” Appena finì di dirlo, vide che qualcuno invece c’era.

Al.
Il quale distolse lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. “Sì, naturale.” Mentì in modo piuttosto rilevatore, alzandosi dal letto e cominciando a camminare davanti al camino, con le mani così sprofondate nelle tasche da quasi volerle sfondare. “Allora dobbiamo tenere gli occhi aperti, giusto?” Borbottò in quel tono febbrile che preludeva sempre un monologo a flusso ininterrotto. “Gli scagnozzi di tuo padre potrebbero essere ovunque, anche tra lo staff che hanno assunto per occuparsi delle prove, quelli arriveranno nelle prossime settimane però…”
“Al…”
“Oppure nelle delegazioni!”

“Albus…”
“… e ci saranno un sacco di spettatori esterni!”
A quel punto Tom si sentì in dovere di fermarlo prima che pianificasse turni di sorveglianza presso il suo capezzale. Lo raggiunse e lo prese per le spalle.

“Falla finita. Non sei la mia balia.” Tagliò corto, forse un po’ bruscamente. Una parte di lui non avrebbe voluto dirgli dell’incontro con l’americano. O minimizzarne perlomeno le affermazioni. Ma non poteva: nascondergli le cose avrebbe solo peggiorato la situazione. Quello lo aveva imparato a sue spese.   
“Cosa c’entra … Sono preoccupato per te.” Borbottò Al, continuando a guardare tutto fuorché lui.  
“Sì, ma sei un caposcuola, non la mia guardia del corpo. Per inciso, non saresti neanche credibile…” Cercò di scherzare. Fece scivolare le dita fino al suo viso, premendogliele sulle guance. Erano bollenti. Forse per il fuoco nel camino, ma dubitava.
“Al, guardami. La mia faccia non è sulle pareti.”
“Io…” Iniziò l’altro con la voce pericolosamente tremolante. Si sentiva che ce la stava mettendo tutta perché non si rompesse. Lo sentì ispirare bruscamente, poi finalmente lo guardò. Non piangeva, né aveva gli occhi lucidi, ma l’espressione era piuttosto indicativa. “… ho paura Tom.” Buttò fuori alla fine, piano.
“Anch’io.” Lo ammise solo perché l’aveva fatto anche l’altro. Non che non ci avesse pensato per tutto il maledetto tempo in cui aveva parlato con Ethan Scott. “Ma non posso certo seppellirmi nei sotterranei per questo.”
“No, certo… Devi anche fare il secchione.” Cercò di sdrammatizzare Al, capendo al volo. “Devi pur sempre recuperare il primato di Tom Oltre Ogni Previsione.”
“Esattamente.” Fece una pausa, poi aggiunse. “Domani scriverò un Gufo a zio Harry comunque. Non ho voglia di trovarmi di nuovo quell’americano trai piedi.”

“Pensi che papà possa farci qualcosa?”
“L’ho già incontrato una volta, Scott.” Gli spiegò mentre lasciava scivolare le mani per passargliele sui fianchi e stringerlo. Il contatto fisico era qualcosa che solitamente voleva a piccole dosi. Con Al non gli bastava mai.

Una droga senza effetti collaterali.
“Quando?”
“Dopo il processo si è presentato dicendo che aveva svolto le indagini per il mio ritrovamento assieme a zio Harry e ai Tiratori Scelti. Tuo padre quando ha visto che voleva parlarmi è andato su tutte le furie… sembrava volesse quasi prenderlo a pugni. Sicuramente se c’è qualcuno che può dissuaderlo, quello è lui.” Fece un ghignetto, mentre Al tratteneva una risatina.

“Questi grifondoro…” Commentò di rimando. “Si agitano sempre troppo.”
“No, credo piuttosto sia una caratteristica dei Potter.” Lo prese in giro tirandogli una ciocca di capelli; stavano diventando lunghi, poco sotto le orecchie, e esponenzialmente sempre più arruffati.

Ovviamente gli donavano.
Albus sbuffò, liberandosi dal suo abbraccio per tornare a letto. “Io non mi agito… Mi preoccupo, è diverso.” Si liberò della felpa con un brivido infastidito. “Fa freddo qui o sono io?”
Tu. Dovresti metterti a letto, dopo tutta la pioggia che ti sei preso per spiarmi. Agitandoti.
“Va al diavolo…” Brontolò di rimando, scivolando comunque tra le coperte, obbediente. I pantaloni fecero una fine ben misera, calciati fuori dal letto e lasciati a morire sul tappeto.

Tom si ritrovò naturalmente a piegargli i vestiti, raccogliendoli in giro per la stanza.
Non so se sia un disordine ossessivo - compulsivo il mio, ma credo passerò metà della mia vita a ordinare il suo caos.
Albus spuntò dalle coperte, osservandolo il silenzio. Tirò su con il naso un paio di volte, sottolineando che la tesi di un infreddatura stesse diventando realtà.
“Farti un incantesimo impervius sui vestiti immagino non fosse contemplato. O anche semplicemente prendere il mantello.”
“Non ci ho pensato. Non ho il raffreddore.” Stimò con certezza assoluta che terminò con uno starnuto infastidito. “È la polvere.”
“Infatti gli elfi domestici sono noti per fare lavori approssimativi e pretendere comunque di essere pagati.”

“Ho solo freddo.” Fu la nuova e piccata tesi. “Hai intenzione di star lì a criticare o dormire qui anche stanotte?”
Avendo paura che Zabini mi accoltelli nel sonno, resto qui.
Ma non lo disse, perché per Al l’argomento Michel era territorio minato. E non aveva voglia di imbastire una discussione o intristirlo in quel momento. Già il morale non era altissimo.
Si spogliò, ordinatamente lui, e senza indossare il pigiama – tanto Albus faceva di tutto per farglielo togliere subito - scivolò sotto le coperte. Un secondo esatto dopo Albus gli si incollò addosso quasi lo ritenesse una versione umanoide di un termosifone babbano.
Sta migliorando il suo record di velocità…
Gli passò una mano sulla schiena, bollente anche quella. Avendo le mani fredde lo sentì rabbrividire. Si premurò di scusarsi dandogli un bacio all’attaccatura del collo.
“Mno… niente sesso. Sono stanco.” Gli negò mezzo addormentato con una certa dose di crudeltà.
“… va bene.” Promise, chiedendosi perché lo lasciasse sempre prendere il controllo in quei frangenti. “Se hai freddo allora fammi prendere qualche coperta dall’arma-…”
Non riuscì a finire che Al lo strinse in una morsa: tendeva sempre a dimenticarsi che per quanto il compagno fosse un efebuccio, aveva comunque la presa di un boa costrinctor. Forse era il Quidditch, forse era proprio lui.

“No… resta qui.” Biascicò incastrando il viso contro il suo collo e soffiandogli sulla pelle. Tom deglutì e si impose di rimanere buono e soprattutto di tenere le mani a posto. Al gli dava spesso del maniaco sessuale, ma non si accorgeva che razza di tentazione fosse dentro un letto e semi-nudo.
“Ti prendo soltanto una coperta dall’armadio.” Obbiettò ragionevole. “Torno subito.”
“… Non andartene di nuovo.” E capì che Al stava già dormendo, e da un pezzo aveva lasciato la coerenza della veglia. Quello che gli stava chiedendo di non fare non riguardava la sistemazione di una coperta.
Sentì un nodo allo stomaco: Al poteva scherzare su quel che era successo, pretendere ritorsioni e fargliele scontare dandogli l’illusione che fosse di nuovo tutto a posto.
Ma ha ancora paura …
E quel colloquio con l’americano non aveva certo migliorato la situazione.
Gli passò una mano sulla schiena, in un lento movimento gentile che Robin usava sempre con lui, quando era bambino, per tranquillizzarlo dopo un brutto sogno. “Non me ne vado da nessuna parte, Al...”  
E avrebbe fatto di tutto per mantenere quella promessa.
 
 
****
 
 
Note:
 
Fluff alla fine, un po’ angst. Ma ehi, that’s Hogwarts!
1. Qui la canzone.
Poi, un po’ di immagini…
Elezar81 mi ha regalato Il litigio (Rose/Sy) e Friendship. Ammiratele!
Invece per chi mi aveva chiesto che volto avesse Dominique: That’s it! con un ringraziamento in particolare alle ragazze di FB che mi han dato una mano nella scelta.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


Spero di riuscire a rispondere a tutte le vostre meravigliose recensioni in tempo utile. Mi scuso ancora per il ritardo, e grazie, grazie per esserci! Vi adoro!

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Capitolo XVII

 



 
Happiness hit her like a train on a track
Coming towards her stuck still no turning back
She hid around corners and she hid under beds
She killed it with kisses and from it she fled…
 (Dog days are over, Florence + The Machine)
 
 
10 Ottobre 2023
Hogwarts, Foresta Proibita. Mattina.
 
L’estate era ormai sgocciolata via lasciando posto all’autunno che aveva colorato i terreni di Hogwarts di ruggine e oro.
Nonostante il capriccioso clima scozzese, quel giorno il cielo mostrava un celeste pastoso, ed era una buona notizia per chi doveva inoltrarsi nella Foresta Proibita per l’ora di Creature Magiche.
Rose Weasley era relativamente di buon’umore. Prevalentemente di buon’umore.
Precariamente tale.
Si sforzò di fare orecchie da mercante all’ennesimo chiacchiericcio che le sfrecciò accanto mentre scendeva lungo la collina. Si fece superare da praticamente tutto il suo anno più quello serpeverde prima di poter finalmente essere ultima e da sola.
Quell’isolamento forzato era dovuto al fatto che l’argomento principale di quelle insperate, luminose giornate di ottobre era la prima prova del Torneo Tremaghi.
Si sarebbe disputata il 24 Novembre² e Rose ne era maledettamente felice: più il giorno fosse stato lontano, meglio si sarebbe sentita.
Non riusciva, per quanto cercasse di far buon viso a cattivo gioco, a sentirsi parte di tutta quell’eccitazione. Non le interessava sapere cosa il suo ragazzo avrebbe dovuto affrontare per salvarsi la vita e raggiungere – certo, naturalmente – la gloria eterna.
Cioè, le interessava naturalmente, ma solo nella misura in cui glielo avrebbe potuto evitare.
E non potendo, visto che è il campione prescelto…
Cercava di pensarci il meno possibile.
In questo si sentiva molto vicina a Tom che era l’unico di tutta la loro estesa tribù a non manifestare la minima briciola di interesse per l’evento. Non sembrava toccato nemmeno adesso, mentre Albus accanto a lui snocciolava le sue ipotesi su che prova i tre campioni avrebbero dovuto affrontare.
“La prima prova di papà fu sottrarre un uovo d’oro ad un drago. Potrebbe essere una cosa simile! Magari sottrarre l’indizio per la seconda prova a qualche creatura magica!”
“Affascinante…”

“Oppure catturare la creatura magica.”
“Mh.”
“Tom, ma mi sta ascoltando?”
“No.”

Al sbuffò, lanciando uno sguardo verso la testa della fila che stava entrando nel bosco. La guardò anche Rose.
Scorpius era in mezzo ai ragazzi grifondoro e stava chiacchierando. La cosa in sé non era degna di nota.
Se non fosse per il fatto che gli avranno rivolto sì e no dieci parole in sette anni prima che diventasse il campione della scuola.
Lei non poteva avvicinarsi, neanche volendolo. Avrebbe infatti insospettito la piccola corte della Haggins che si era strategicamente messa dietro al gruppetto dei ragazzi per poter rimirare il campione e ridere delle sue battute. Poteva sentire le loro risatine ad ultrasuoni fin lì.
Stronze. Oche. Oche stronze.
Si sentì prendere sottobraccio e voltò lo sguardo verso il cugino, che le sorrise teneramente.
“Tom mi ha stufato. Posso stare con te?” Chiese. Alle loro spalle il suddetto tirò un sospiro insolitamente teatrale ma non fece rimostranze. Rose lo apprezzò.  
“Sempre il benvenuto, cugino.” Gli sorrise di rimando, stringendo la presa.
Alla fine l’unico uomo che non mi tradirà mai è Al.
Non che Scorpius fosse in qualche modo colpevole, beninteso. Era semplicemente occupato. Prima l’intervista del Profeta, poi quella del Cavillo – la sera stessa era tornato ridendo con le lacrime agli occhi per quest’ultima – e poi il continuo flusso di persone che avevano un’improvvisa voglia di passare del tempo con lui e di scortarlo ad ogni singola lezione, nella speranza di venir scelto come suo assistente, decisione che Scorpius non aveva ancora preso.
Non c’era abituato, questo Rose lo poteva capire: aveva passato sei anni a mangiare al tavolo con le ragazze del loro anno e seguire le lezioni da solo. Aveva passato tutta la sua vita con una scomoda eredità di sangue che non aveva chiesto, ma che gli era semplicemente toccata in sorte.
Anche se ama la sua famiglia… è il cognome che porta la sua unica colpa.
Ciò non toglieva che si sentisse comunque abbandonata. Scorpius passava ancora le serate con lei, ma diventava sempre più difficile trovare un angolo privato in Sala Comune, e la Stanza delle Necessità non era più un’opzione praticabile da quando la Haggins si era impadronita della lista di prenotazione.
Se solo stessimo assieme alla luce del sole… non avremo bisogno di nasconderci.
Beh, magari non daremo spettacolo, però…
Persa nei suoi pensieri quasi inciampò in una radice. La situazione non migliorò quando Al, che era matematicamente incapace di tenersi in equilibrio già da solo, le franò addosso.
Finirino entrambi lunghi distesi a terra, mentre tutta la fila scoppiava in una risata umiliante.
Rose avvampò, tirando su il cugino dolorante per la botta. Sapeva di avere i capelli pieni di foglie mentre la Haggins la guardava, la additava e rideva.
Scorpius a quel punto si ricordò che aveva una fidanzata e fece retrofront raggiungendoli.
“Certo che in due non avete l’equilibrio di un mago normale…” Ridacchiò, ma vedendo la sua espressione smise subito. “Vi siete fatti male?”
“Io no…” Mugugnò Al. “Scusa Rosie. E tu piantala di ridere!” Apostrofò Tom che a Rose sembrò impassibile tranne che per un lieve arricciarsi delle labbra.
Probabilmente si sta spaccando dalle risate, il moloch.
“Sto bene.” Sibilò cercando di togliere le foglie senza sbriciolarsele nei capelli. “Sto bene, non c’è bisogno che ti preoccupi.”
Scorpius non disse nulla, ma Rose captò lo stesso un’espressione che ultimamente gli vedeva spesso dipinta in viso; sembrava disappunto, immediatamente cancellato dal suo sempiterno sorriso.

La faceva sentire inadeguata: e anche se sapeva che rispondergli male era probabilmente la causa, non riusciva a fermarsi.
Scorpius infatti riprese a sorridere come se nulla fosse. “È normale che mi preoccupi fiorellino. Per me le tue caviglie sono preziosissime.”
Rose finì per sorridere. Si sentiva schizofrenica: se da un lato si sentiva irritata, e spesso non riusciva a spiegarsi il perché, dall’altro bastava una di quelle battute a riportare il sereno.

Forse sono davvero pazza. Questa situazione mi sta facendo impazzire.
“Posso avere la tua attenzione adesso?” Chiese, tendendo il ramoscello d’ulivo.
Scorpius annuì. “Assolutamente! Sono stufo di quelli là… non fanno che parlare di Quidditch. Vi spiace se rimango con voi ragazze?”
“Ehi!” Esclamò immediatamente Al. “Non stiamo parlando di borsette! E potremo parlare di Quidditch anche qui!”

“Non credo, non mi risulta che Rosie e Dursley siano degli appassionati.” Celiò Scorpius, approfittando dello scambio di battute per metterlesi accanto e sfiorarle le dita. Rose quasi non sentì l’affermazione seguente. “Comunque i Chudleys fanno pena.”
“Scorpius…” Sospirò esasperata. Vide infatti il cugino – amante della squadra come tutti i membri della sua famiglia – assottigliare gli occhi e fissare il biondo con sguardo mortifero.
“E tu, che tifi per i Falmouth Falcons? Hanno il gioco più scorretto di sempre! Se hanno vinto qualche partita è solo perché hanno fatto fuori metà delle squadre avversarie! A suon di pugni!”
“Sono solo un filino aggressivi.” Ghignò l’altro in modo totalmente Malfoy. “E… Mini-Potter? A proposito di gioco scorretto, vorrei farti notare che  durante l’ultima partita dell’anno scorso hai preso a calci la faccia di un mio Cacciatore.”

Tom sembrò riaversi di colpo dal suo rimuginio interiore perenne. “Davvero?” Si informò con una dose di interesse piuttosto angosciante.
No! È stato solo un calcetto! Un errore! E poi mi si era avvicinato troppo, pensavo fosse un bolide!” Si difese l’interpellato spalancando gli occhi, nella sua migliore interpretazione da cerbiatto ferito.  

Rose sorrise sotto i baffi: Albus aveva sempre avuto un gioco ingegnosamente scorretto sin da bambino, era stato quello, da sempre,  l’unico modo per arginare i cugini di due taglie più grosse di lui.  
Forse è stata quello a farlo diventare materiale per Serpeverde.
“Lloyd è rosso di capelli. Come diavolo hai fatto a scambiare la sua testa per un bolide?” Rise Scorpius, che aveva capito da tempo la sua strategia ma ne sembrava enormemente divertito.
Maschi…
Ma lo pensò con affetto, perché dopotutto poteva perdonare Scorpius per amare i bagni di folla, finché le sfiorava le dita con le sue.
Arrivarono alla piccola radura in cui solitamente Hagrid faceva lezione. Da lontano, oltre le enormi felci che si avviluppavano attorno agli alberi e i massi, si sentivano degli stridii inquietanti.
Rose si trovò a stritolare automaticamente la mano di Scorpius, che sembrò parimenti preoccupato.
“Stavolta cosa sarà?” Chiese infatti, tentando di guardare oltre lo schermo delle piante.
“Qualcosa che tenterà di ucciderci, mi pare ovvio…” Brontolò di rimando.
“Non dovevano essere i grifondoro quelli propositivi?” Chiosò Albus avvicinandosi immediatamente a Tom, che dall’espressione anodina poteva essere la persona più tranquilla al mondo o chiedersi perché diavolo avesse deciso di prendere un MAGO anche in quella materia.
Ce lo chiediamo un po’ tutti. Per affetto verso Hagrid, nel caso mio o di Albie… e nel caso della stragrande maggioranza dei presenti, perché è di manica larga nei giudizi.
Furono gli ultimi a saltare il muretto a secco che delimitava l’area di lezione. Defilati rispetto alla massa di hogwartsiani c’erano anche un paio di ragazzi Beaux-Batons. Tra di loro naturalmente Dominique, che per l’occasione, notò Rose, sembrava avere l’uniforme quasi a posto ed era priva di piercing al naso.
Forse visto che è la campionessa di Beaux-Batons l’hanno obbligata a darsi un tono.
Vabbeh, darsi un tono…
Dom li salutò con un ‘ohè!’ e poi aggiunse: “Lezioni all’aperto, le mie preferite!” con quel suo buffo accento va-e-vieni.
Era accompagnata da…
Rose stritolò la mano di Scorpius prima di mollarla, tanto repentinamente che il ragazzo si voltò per guardarla confuso e dolorante.
… era accompagnata da Violet Parkinson-Goyle.  
Che diavolo ci fa lei qui?! Alle altre lezioni non c’era!
Al di là del cognome pieno di consonanti spaventose la ragazza sorrise al gruppetto in modo assolutamente delizioso; aveva i capelli sciolti e color dell’ebano e catturava il sole facendoli brillare.
Rose sapeva che i suoi, di capelli, avevano un urgente bisogno di un parrucchiere visto che meditavano di strangolarla nel sonno con le doppie punte.
Maledizione.
Vedendo che tutti guardavano la francese e nessuno diceva nulla, compresa Dom che si stava sgranocchiando un’unghia con aria zen, fu Scorpius, il maledetto gentiluomo, a prendere l’iniziativa.
“Lei è Violet… una mia amica di infanzia.” Si schiarì la voce, con quel sorriso urbano che metteva in scena per l’universo mondo mentre tutti salutavano come tanti soldatini delle buone maniere. Lo dovette fare anche Rose per non sembrare una specie di barbara incivile. “Violet, come mai qui?” Chiese giustamente.
“Volevo vedere una delle vostre losioni!” Cinguettò, e la sua voce sembrava tanti campanellini d’argento. Niente gracidii o strilletti alla Haggins.
Scorpius abbozzò un sorriso. “Non sapevo ti piacesse Cura delle Creature Magiche.”
“Sciocchino, non seguo certe lessioni per piascere…” Anche l’accento le dava un’aria graziosa. “…ma per interesse.”

E sorrise. Di nuovo. E quando lo sguardo della francese si fermò su di lei, Rose vide, percepì, ebbe la certezza che la stesse guardando e giudicando.
Trovandola insufficiente.
 
 
****
 
 
Aula di Trasfigurazione, Mattina.
Lezioni del Quinto anno.  
 
Lilian Luna Potter non andava esattamente bene a scuola. Andava.
Le sue priorità non erano mai state settate sulle due grandi discriminanti, sia babbane che magiche. Non le interessava lo sport e non trovava necessario consumarsi le cornee per lo studio.
Con questo non voleva dire naturalmente che non avesse voti che le assicuravano la tranquillità familiare. Giusto sua nonna Molly ogni tanto le faceva notare che i suoi fratelli almeno eccellevano in una manciata di materie e avevano preso almeno sette GUFO a testa.
I suoi voti, au contraire, erano tenacemente abbarbicati sull’Accettabile da quando aveva messo piede in quella scuola. La probabilità che sarebbe uscita con un numero di GUFO superiori a cinque era risicatissima.
Il fatto era … che non le interessava. Non capiva la smania di gente come Rose  e Tom di divorare paragrafi su paragrafi e schematizzare fino alla cancrena delle dita.
Sua cugina era riuscita ad ottenere nove Gufo con Eccezionale al suo stesso anno, seconda solo a Tom che ne aveva ottenuti dieci, tutti Eccezionale meno uno – e ancora non si poteva parlare di Antiche Rune in sua presenza.
Roba da pazzi. 
Probabilmente non era ambiziosa. O non lo era scolasticamente.
A lei piaceva divertirsi, andare alle feste, comprare vestiti carini ed essere informata su tutto quello che succedeva nel calderone ribollente di tutta quell’adolescenza compressa – di cui faceva parte.
Altre priorità.
Hugo non faceva che dirle quanto fosse superficiale.  Lo era, forse. Ma era maledettamente facile esserlo.
Perché sforzarsi?
Quella mattina era seduta nell’aula di Trasfigurazione, come al solito nelle ultime file, con Hugo accanto a lei che giocava a battaglia navale con Fergus, le piccole navi debitamente incantate che affondavano sul foglio di pergamena.
Abigail dall’altro lato allungava il collo verso le prime file di Corvonero, con cui dividevano la lezione, per scrutare Albert Corner, un corvonero per cui aveva una cotta da circa cinque giorni.
“È così bello… hai mai visto degli occhi così azzurri?”
“Altroché. Niente di speciale, a mio parere.” Commentò tirando fuori penna e calamaio. La McGrannit sarebbe stata la loro nuova professoressa, le toccava giocare in anticipo e quindi evitare di seminare smalti auto-limanti per unghie o l’ultimo numero di AdolescenteMagica del mese.

“Perché devi sempre rovinare tutto?” Si lamentò l’amica. “Cos’ha che non…” La guardò, poi emise un lamento sconfortato. “È vero, me n’ero dimenticata. Sei uscita anche con lui.”
“Anno scorso, prima delle vacanze estive.” Confermò. “Ha passato più tempo a cercare di impressionarmi raccontandomi dei punti che aveva fatto vincere alla sua Casa che a cercare di baciarmi. È questo il problema dei corvonero… sono troppo cerebrali.”

Abigail sbuffò. “Ti rendi conto che sto perdendo il conto di tutti i ragazzi con cui sei uscita?”
“Se contiamo anche quelli con cui mi sono soltanto baciata, anch’io.”
“Merlino… sei tremenda.” Esalò Abigail, che in realtà sapeva divertita. Aimee e Jane a volte invece proprio non riuscivano a evitare frecciatine invidiose. “Comunque vedo che ti stai interessando alla concorrenza.” Aggiunse con un sorrisetto saputo, abbassando il tono di voce per non farsi sentire dal gemello e da Hugo.  

“Scusa?”
“Beh, visto che fraternizzi con un certo campione di Durmstrang…”
Eeeccoci qua…
Lily sapeva che sarebbe andata a parare lì. La cosa che probabilmente faceva scattare l’allarme pettegolezzo era il fatto che passasse del tempo con Sören. Da soli.
E doveva ammettere persino lei che portare un ragazzo negli angoli più solitari del parco di Hogwarts poteva essere considerato sospetto.
Perlomeno io mi sarei già fatta ventimila castelli in aria…
“Guarda che parliamo soltanto… Davvero!” Tentò, ma l’amica assunse l’aria di chi si sentiva presa in giro.
Certo.” Disse infatti. “Non sapevo che adesso si dicesse così. Lanci sempre nuove mode, Lils.”
Lily sbuffò: il fatto era che Sören non era materialmente capace di avviare una conversazione sciolta in presenza di altri esseri umani. Giocoforza aveva dovuto portarlo lontano dagli altri.
Era buffo e persino un po’ tenero, ma ogni volta che qualcuno si aggiungeva a loro, il suo amico tedesco ammutoliva e se interpellato rispondeva come se avesse un frasario conciso a cui attingere.
E non che con quelli di Durmstrang fosse meglio, beninteso; era spesso in compagnia di quel ragazzo russo dal sorriso untuoso, ma non parlavano. O meglio: il tipo ciarlava a nastro ma Sören sembrava percepirlo più che altro come un rumore di fondo.
Quando erano soli però riusciva persino a sorridere, parlare di aneddoti che avevano già condiviso per lettera o raccontargli della Germania e persino di Durmstrang. Il giorno prima era riuscita a farlo infiammare per una conversazione sulla mitologia norrena, che aveva scoperto essere una sua grande passione.
Parlavano sul serio, e per Lily erano una cosa singolare e stimolante.
I ragazzi che frequento di solito non mi hanno mai stupito con le loro doti oratorie.
Non in senso stretto almeno.
Sören quando parlava, quando finalmente tirava fuori qualche argomento che non fosse legato al suo maledetto frasario era… affascinante. Quando gli aveva parlato del Beowulf – adesso conosceva la storia a memoria – gli occhi gli erano accesi di una luce appassionata.
Era rimasta ad ascoltarlo scordandosi persino che aveva le prove col coro, unico corso extra-curricolare che le piacesse, visto che poteva stare al centro dell’attenzione.
Beh, poco male.
Sören dal vivo, se messo nelle giuste condizioni, ne aveva di cose da dire.
E quando sorrideva era decisamente carino.
Sentì un’ennesima gomitata.
“Hogwarts chiama Lily! Sei finita a far compagnia alle costellazioni?” La prese in giro Abigail. Poi prese il tipico tono da cospirazione adolescenziale. “Allora? Bacia bene? Dalla tua faccia sognante direi di sì…”
Lily rise, anche se una parte di sé – quella seria, che solitamente etichettava come non necessaria – le fece notare come persino un’amica che conosceva da cinque anni pensava subito che fosse saltata addosso al suo amico di penna. O viceversa.

Non depone tanto a mio favore, eh?
“Non ci siamo baciati. Te l’ho detto, parliamo.”
“… e basta?” Sconcerto e delusione. Decisamente questi due sentimenti erano ben rappresentati sulla faccia confusa della più piccola dei Finnigan.

“Sarebbe ‘na novità, eh…” Ironizzò Hugo affondando l’ennesima corazzata di Fergus e mostrando che aveva sentito tutto. “Che ci parli e basta.”
“Mi fa piacere sentirvi così fiduciosi verso di me. Non credete che possa avere un amico maschio?”
La risposta fu un silenzio assordante.  

“Grazie tante…” Ridacchiò, sapendo che c’era un briciolo di verità nello scetticismo degli amici. 
I ragazzi non mi considerano mai un’amica… e non che mi sforzi di esserlo, del resto.
Se un ragazzo è carino e mi piace, perché dovrei perdere tempo a farci l’amica?
Il corso dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce di Abigail.  
“Ehi, ma che ci fa un gatto là sopra?”
Lily sorrise, perché sapeva. Anche Hugo lo fece. Entrambi i loro genitori erano stati messi in scacco da quel felino dagli occhi cerchiati.
E ovviamente ce l’hanno raccontato …
“Quello non è un gatto, Abi…” Ghignò il più piccolo degli Weasley, premurandosi però di aggiustarsi la cravatta, appiattirsi i capelli e mettere via la pergamena dove era in atto un vero e proprio naufragio.
“Eh? Certo che è un gatto! Cosa sei, cie…” Le parole morirono in bocca all’amica, prima che emettesse un sussulto di meraviglia quando vide il vecchio felino trasformarsi in una vecchia professoressa.
L’intera classe si produsse in un flusso esplosivo di mormorii. Alcuni sembravano già a conoscenza del trucchetto ma erano parimenti impressionati.
“Buongiorno ragazzi e benvenuti al corso di Trasfigurazione del Quinto anno.” Esordì la donna scandagliando con sguardo d’acciaio la classe. “Il mio nome è, come molti di voi già sapranno, Minerva McGrannit e sarò la vostra professoressa di Trasfigurazione.” 
Lily se la ricordava ad una delle tante cene al Ministero a cui era stata portata da bambina. Era stata la prima e l’unica volta che l’ex preside di Hogwarts aveva fatto la sua comparsa e suo padre le aveva presentate.
Se la ricordava alta come una torre, dritta come un fuso e castigata in un vestito severo. Era in quell’età in cui cento o ottant’anni erano ipotesi parimenti probabili. Le aveva stretto la mano come se fosse un adulta e non una bambina di quattro anni.
Si ricordava di essersi sentita in soggezione. Sentendosi a quell’età la principessa del mondo era stata una sensazione piuttosto sgomentante.
Lily sapeva che persone come la professoressa McGrannit erano quanto di più lontano dal suo modo di vedere la vita. E di godersela, peraltro.
E pensavamo che l’agente del Ministero americano corrotto fosse il peggio che poteva capitarci…
“Avete dei traguardi importanti da raggiungere quest’anno, e sarà mia premura ricordarvelo. Le domande a fine lezione.” Tacitò così una discreta selva di mani alzate. “Bacchette alla mano, prego.”
Quell’anno i GUFO sarebbero stati un inferno.

 
 
****
 
 
Foresta Proibita.
Ora di Cura delle Creature Magiche, Settimo anno.
 
Rose era disperata.
Perché non sapeva come affrontare Violet Parkinson-SonoPerfetta-Goyle.
La francese non era un’oca, era quella la terrificante verità: non si era aggrappata al muscoloso braccio di Scorpius, né sfarfallava chilometri di ciglia a suo beneficio. Era accanto a lui, questo sì, e parlavano in francese. Ma niente lasciava presagire che tentasse di soffiarglielo.
Era subdola.
Questo ovviamente aveva abbassato l’allarme sono-fidanzato del suo cretino personale che ciarlava quindi garrulo in quella lingua sconosciuta.
Lo sapevo che avrei dovuto chiedere a zio Bill di insegnarmi qualcosa di diverso ‘vorrei un’insalata senza formaggio’. Maledizione.
Albus accanto a lei la guardava preoccupato, mentre Dom continuava nell’esplorazione delle sue unghie con l’aria più rilassata del mondo. Tom come al solito era sparito, ma sinceramente quello era l’ultimo dei suoi problemi.
Hagrid entrò nella visuale di tutti, cosa del resto non particolarmente difficile. Aveva agganciato al grosso cinturone da guardiacaccia una decina di conigli morti.
Questo non è un buon segno…
“Buongiorno!” Esordì con lo sguardo che gli brillava. Rose non fu la sola a rabbrividire. “Quest’anno ci ho già fatte vedere un po’ di bestioline interessanti… Ma stavolta resterete di sasso, parola mia!”
“Lei è il mio mito, professor Hagrìd!” Sospirò Dominique, perché era pazza: aveva passato la lezione prima a vezzeggiare … l’aria, per quanto la riguardava, sostenendo che coccolasse Thestral.

“Beh, grazie Dominique…” Borbottò questi arrossendo. Era forse la prima volta in tutta la carriera che veniva così incensato, rifletté Rose con una buona dose di colpevole cinismo. “Allora, bando alle ciance! Adesso ce lo chiamo, il nostro nuovo amichetto… e per favore, fate un passo indietro!”
L’intera classe indietreggiò come un uomo solo.

“Spero che non puzzi tropo…” Fu il commento di Violet, che finalmente fece qualcosa perfettamente in linea con il personaggio che Rose sperava fosse, cioè una snob.
“Non preoccuparti, Piggie³… profumerà di lillà e margherite.” Replicò Dominique a sorpresa, diventando immediatamente la nuova eroina di Rose, specie quando l’altra avvampò e la fulminò con un’occhiata malevola.
Tu ne m’appelle pas comme ça Nicky!” Fu la replica stizzita. La bionda per tutta risposta le rivolse un ghignetto.
Strano… mi aveva detto che non si conoscevano bene.  
Rose lo pensò di sfuggita perché un improvviso rumore d’ali la fece immediatamente scattare all’indietro.
La creaturina che quel giorno Hagrid presentava era…
“Un ippogrifo… accidenti.” Sussurrò Albus deglutendo. Rose lo vide poi acchiappare qualcuno dietro un albero, e Tom uscì fuori con aria innervosita: non era un segreto il fatto che avesse paura di tutti gli animali in volo più grossi di un gufo. Specialmente se avevano gli artigli.
Rose aveva sempre pensato fosse abbastanza esilarante, considerando quante arie si desse il cugino, ma non l’aveva mai preso in giro perché in fondo lei aveva gli stessi problemi, solo con l’altezza.
In generale.
“Non c’è bisogno che mi stritoli un braccio, sono qui.” Borbottò questo all’indirizzo di Al, lanciando un’occhiata fugace all’ippogrifo, accertandosi probabilmente che fosse ad una distanza di sicurezza.
“Non vorrai sparire mentre Hagrid decide che io, in quanto Potter, ho la stoffa per cavalcarlo, vero?” Chiese lentamente l’altro, con una minaccia implicita sulle labbra.
“Se vuoi affatturo il mezzo-gigante e ti porto via…” Replicò Tom. “Sarebbe sensato, considerando la tutela della nostra incolumità.”

“Smettila, siamo al sicuro!”
“Non credo proprio.”

Rose distolse l’attenzione dai due per guardare il suo ragazzo: diversamente da molti, Scorpius guardava con interesse il grosso animale, che al momento stava divorando i conigli lanciati dall’ex-guardiacaccia.
“A me non sembra così spaventoso.” Osservò. “Zampe anteriori di cavallo, ali e testa d’aquila e coda e anteriore di leone. È … elegante.” Considerò, allungando il collo per guardare meglio. “Si dica che sia tra le creature magiche più veloci al mondo.”
“Sì e anche mortali.” Gli rispose: certo, ammirava il modo in cui Malfoy riusciva a rimanere calmo di fronte a situazioni o creature che avrebbero messo in tensione anche un mago adulto. Sperava però che questo non l’avrebbe portato a offrirsi volontario per un giretto sul dorso di quella bestiaccia.

Ma non sono troppo fiduciosa…
“Allora… forza, ora potete venire!” Esclamò speranzoso Hagrid mentre accanto a lui l’ippogrifo spezzava con rumori sinistri ossa di coniglio per poi inghiottirle.
Vedendo che nessuno oltre a Dom si era messa in prima fila, cercò Albus con lo sguardo. “Al… tuo papà  non ci aveva problemi con questi bei tipetti qua! Vuoi venire a dirgli ciao?”
“Vieni, Al!” Esclamò Dominique con una punta di palese sadismo. “Diciamogli ciao!”
“Preferirei dirgli addio per sempre…” Pigolò l’interpellato, pallido come un cencio. Però si avvicinò, perché era troppo buono per dare una delusione al loro vecchio amico di famiglia.

Rose sentì Tom borbottare qualcosa trai denti e lo vide anche picchiettare la bacchetta contro la coscia con aria omicida.   
In un certo senso lo capì.
Specialmente quando Scorpius raggiunse i suoi due cugini.
Oh, DANNAZIONE.
“Vorrei dirgli ciao anch’io.” Disse in tono allegro ad Hagrid, che per un attimo sembrò incerto.
“Ah… ma certo!” Si riscosse subito con un sorriso barbuto. “Ma mi raccomando, dovete essere parecchio educati, perché gli ippogrifi sono tipetti permalosi. Ecco… qualcuno sa per caso come ci si presenta ad un ippogrifo?”
La mano di Dominique fu la prima a scattare. Rose sapeva la risposta, ma al momento era presa a combattere l’impulso di schiantare il suo ragazzo demente.
“Bisogna fare un bell’inchino, naturalmente!” Esclamò la bionda. “Beh, nel mio caso una riverenza.” Aggiunse facendo ridere la classe.
Hagrid annuì. “Molto bene Domi… Allora, chi vuole provare per primo ad accarezzarlo? Al?”
Albus non tentò neanche di nascondere il passo indietro che fece quando l’ippogrifo – che nulla aveva del simpatico Fierobecco narrato nelle favole della loro infanzia – cacciò uno stridio acuto e abbozzò una leggera carica.

“Buono Artiglio!” Persino il nome era spaventoso, pensò Rose e probabilmente metà della classe. “Non fare così Albus, sente che sei spaventato!”
“Com’è perspicace…” Sussurrò, e anche se Rose non poteva vederlo perché gli dava le spalle, fu certa che il cugino avesse due occhi enormi di paura. “Beh… ehm, penso che sarò l’ultimo a salutarlo.”
“Provo io!” Si offrì Dominique, e ad un cenno del professore si posizionò sulla traiettoria della creatura.

Rose la vide fare una riverenza un po’ goffa, visto che la cugina era più tipa da stretta di mano che da presentazione elegante. La cosa parve indispettire il pretenzioso animale, che sbuffò e raspò violentemente il terreno.
“Dom, meglio che vai indietro…” Mormorò Hagrid. “Veloce.”
La ragazza, che probabilmente era abituata con i draghi, fece tre o quattro lenti passi indietro tornando alla linea di partenza.

A quel punto Rose aspettò semplicemente l’inevitabile.
 
Scorpius Malfoy sapeva che era la prima delle tante opportunità che il Fato – o qualcosa del genere, sempre sul trascendentale – gli stava offrendo per riabilitarsi.
Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. E lui era il campione. Non si trattava solo di fare una smargiassata e rischiare di vedersi amputato un braccio da un becco acuminato.
Non del tutto, ecco.
Deglutì sentendosi la bocca secca come se avesse masticato ghiaia, ma vinse la paura per il suo Bene Superiore.
“Vorrei provare.” Esordì sicuro, e il mezzo gigante stavolta non tentò neanche di nascondere la preoccupazione.
“Non so se è il caso Malfoy… Artiglio è nervosetto, vedi…”
“Forse ha solo bisogno di qualcuno che sappia presentarsi come si deve.” Disse senza cattiveria, anche se pensava che la riverenza della Weasley francese fosse stata totalmente sgraziata. “Mi lasci provare.” Insistette guardandolo fisso.

Non puoi impedirmelo senza dire qualcosa di sgradevole su mio padre. Lo so che scherzetto ha combinato uno di questi pennuti al suo braccio. Devi lasciarmi provare, e lo sappiamo entrambi.
Hagrid sbuffò, facendo un goffo cenno d’assenso con la mano. “Va bene, ma sta pronto…”
“Sì, sì. Ricevuto.”

Sentiva lo sguardo di Rose trafiggergli la nuca, ma si sforzò di ignorarlo. Si mise di fronte all’ippogrifo che caccio un grido sommesso, forse di avvertimento, con occhi senza pupilla e gialli come quelli di un falco.
È solo un falco molto… estremamente… cresciuto. Blake è un falco. Io ho un falco come famiglio.
Per Nimue, non deve essere tanto diverso… credo.
Si sentiva un po’ idiota a fare un inchino ad una creatura dotata di zampe ma la fece con tutti i crismi del caso. Del resto quel genere di gestualità gli era stata pestata nella zucca dall’età della comprensione.
La creatura lo fissò per un attimo, prima di flettere le zampe davanti in quello che senza ombra di dubbio era un inchino.
C’era riuscito.
Ah! L’onore Malfoy è stato ripristinato!
Gli venne naturale, ma non lo disse perché era un mago nel trattenersi. Trattene anche il ghigno di puro trionfo: magari non sarebbe piaciuto ad Artiglio.
Quando fu certo che non l’avrebbe dilaniato con il becco si avvicinò, sentendo gli altri trattenere il respiro. Diversamente da come si era immaginato le piume erano morbide al tatto mentre lo accarezzava.
Si sentiva fissato dall’ippogrifo con curiosità, e pensò che dopotutto suo padre in quel caso aveva sbagliato: gli ippogrifi erano creature altezzose perché potevano permetterselo.
Esattamente come un Malfoy.  
“Ciao Artiglio. Bel nome amico…” Si sentì in dovere di dire, mentre la creatura si godeva le carezze. 
“Malfoy, l’uomo che sussurrava agli ippogrifi.” Lo prese in giro da lontano Dominique, la Weasley francese. Ma percepì una nota ammirata, e se ne compiacque.
Un altro Weasley dalla mia parte.  
Si voltò automaticamente verso Rose, perché quello era anche per lei.
Rose non lo stava guardando, e sembrava arrabbiata. Di nuovo.
Serrò le labbra, e si fece bastare gli applausi degli altri.
 
****
 
Vascello di Durmstrang, pomeriggio.
 
“Bacchette alla mano signori…” Pronunciò indolente Poliakoff, appoggiato allo schienale della poltrona, mentre lasciava filtrare il fumo della propria pipa da un oblò.
Sören non gli fece notare che il tabacco che fumava gli dava particolarmente fastidio.
Al momento era più preso dal compito di valutare il suo avversario, Radescu, il ragazzo colpevole della mancata chiusura del boccaporto. Era un ottimo duellante, a quanto gli era stato detto, e dal modo elegante e definito in cui aveva replicato al suo saluto forse lo era davvero.
Lasciò che attaccasse per primo. Questo gli diede tempo di veder muovere la sua bacchetta.
Rigida, quindici pollici, legno di quercia. Poco adatta per incantesimi elementari⁴, più rapida negli schiantesimi.
Vanificò così il conseguente schiantesimo con un sortilegio scudo prima di mormorare un incantesimo immobilizzante che fece finire l’avversario lungo disteso a terra.
… non abbastanza.
“Dieci secondi netti! Bozhe moi⁵, crucco! Sei un fulmine!” Lo lodò Poliakoff con un sorriso ammirato.
Sören si avvicinò al ragazzo che si era appena liberato dal suo contro-incantesimo e gli tese la mano. Quello la prese, anche se con una smorfia. Ma regole del duello imponevano una certa cavalleria anche in caso di sconfitta.
“Come hai capito che ti avrei lanciato uno schiantesimo?” Gli chiese in un buon tedesco, scrutandolo attentamente. Tutta la delegazione sapeva che non era il vero Luzhin, e lo evitava conseguentemente. La longa manu di suo zio arrivava fino alle famiglie che frequentavano da generazioni Durmstrang. Il preside, del resto, era stato più volte a cena da loro.
“Me l’ha detto la tua bacchetta.” Gli spiegò. “Studiando la lunghezza, la flessibilità e la composizione ho potuto capire quali incantesimi prediligi.”
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata valutativa, poi annuì, prima di fare un cenno di commiato con la testa e uscire.
Sören pensò che non gli sarebbe dispiaciuto avere lui come braccio destro in quella missione.
Se non altro comprende il valore del silenzio, a differenza di Kirill…  
“Studia Radescu!” Gli gridò dietro questi, soffiando una boccata di fumo che impregnò praticamente tutta la piccola sala duelli. Ce n’era una più grande a poppa della nave, ma vi si allenavano tutti gli altri.
La mia presenza sicuramente non sarebbe gradita.
“Non farci caso.” Fraintese il suo silenzio Poliakoff. “Dionis non prende granché bene le sconfitte. Se non ci fossi stato tu, probabilmente il campione sarebbe stato lui. Voleva sfidarti da quando hai messo piede sulla nave, ma ha avuto il fatto suo!”
“È un ottimo duellante.” Osservò rinfoderando la bacchetta.

“Ottimo? L’hai stracciato, se n’è andato con la coda tra le gambe!”
“Non credo che abbia avuto il mio stesso tipo di addestramento.” Tagliò corto.
Non credo che abbia mai duellato sul serio con qualcuno…  
“Quasi tutti i ragazzi purosangue vengono addestrati al duello magico sin da bambini…” Replicò l’altro ignaro del suoi pensieri, mentre lanciava occhiate pigre fuori dall’oblò. “Beh, io sono terribile, ma gente come Radescu dorme con la bacchetta sotto il cuscino. Un esaltato, parola mia. Non gli farà male abbassare un po’ la cresta.”
Sören non rispose, visto che non ce n’era strettamente bisogno: aveva capito che Kirill non si offendeva a condurre lunghi soliloqui.

Anzi…
Lasciò che uno degli elfi della nave gli versasse un bicchiere di vino speziato e finì per sorseggiarlo su una delle grosse poltrone rivestite di velluto e cuoio. Si guardò attorno: legno di padouk ovunque dava riverberi rossastri all’ambiente. Anche l’illuminazione spargeva bagliori sanguigni sulle pareti.
In questo Lily aveva ragione: l’interno della nave, persino nei quartieri più lussuosi del primo livello, sembrava lo stomaco di qualche mostro marino.
“Cosa pensi di fare per la prima prova?” Gli chiese il russo dopo una, purtroppo, brevissima pausa silenziosa. “Sai, in quanto tuo assistente vorrei sapere se devo cominciare a cercare di capire di che diavolo si tratta.”
“Non dovresti averlo già fatto?” Chiese, mentre l’altro serrava le labbra indispettito.

“Beh, sì… qualcosa ho scoperto, ma tu potresti mostrare un po’ più d’entusiasmo! È il Tremaghi dopotutto! Ci sono allievi, come Radescu, che darebbero un braccio per essere al tuo posto!”
Sören aveva notato come l’atavico timore che Kirill aveva per suo zio fosse via via scemato all’aumentare delle miglia che la nave metteva tra loro e l’uomo. Avrebbe dovuto farglielo notare, come fargli notare che non gradiva tutta quell’eccessiva confidenza.
“Vorrei ricordarti che sono qui sottocopertura.” Disse invece. “Non mi importa del Torneo. Tu assicurati soltanto di darmi informazioni in tempo utile.”
“Probabilmente sarà una prova fisica… uccidere qualche drago malvagio o cose simili. Questi inglesi sono fissati con la figura dell’eroe che salva la principessa…” Fece una smorfia derisoria tornando verso l’oblò per scaricare il tabacco nelle acque del lago. Inarcò le sopracciglia. “A proposito di principesse! Arriva la tua.” Stese un sorrisetto divertito. “E uh-oh… sembra bella combattiva, amico mio. Temo che dovrai prenderla con le molle, qualsiasi cosa sia successa!”

Sören sospirò leggermente. Sentì che lo stava facendo, e si interrogò brevemente su cosa potesse significare. Non c’era comunque tempo. Abbandonò il calice di vino al suo destino e si preparò ad accogliere Lilian Potter.
 
****
 
Scorpius non riusciva a capire. Davvero, ci aveva provato ma probabilmente era inesorabilmente un maschio o qualcosa del genere, perché non appena finita la lezione la sua ragazza se l’era data a gambe, seminando cugino e compagni e lui non aveva capito il perché.
Non fece in tempo a raccogliere borsa e mantello, abbandonati ai piedi di un albero dove Loki e Michel si erano tenuti in disparte come al solito, che la vide saltare il muretto a secco e sparire.
“Avete visto dov’è andata Rose?”
“La tua Weasley? Non l’ho neanche notata sinceramente.” Sbadigliò Michel studiandosi un polsino.

“Mi pare che sia andata verso il castello. Dove vuoi che si rifugi, una secchiona come quella?” Fu la risposta più urbana di Nott. “Un peccato. Se si ricordasse che è femmina sarebbe anche una bella…”
“Continua e ti annodo la lingua con una maledizione.” Lo avvertì senza acrimonia, perché distratto. Fece qualche passo in direzione del mini-Potter che si stava dirigendo verso le Serre, magari lui sapeva qualcosa. Violet gli sbarrò la strada.

Ma cos’è, una corsa ad ostacoli?!
“Hai programmi per questo fine settimana Scorpius?” Gli chiese in perfetto inglese. Il finto accento francese era solo una delle tanti armi che Violet usava con i ragazzi; avendo due genitori totalmente britannici, aveva in effetti un impeccabile accento londinese.
“Come scusa?”
“Programmi. Per questo fine settimana.” Ripeté lentamente la ragazza, come davanti ad un bambino tardo. “Ho sentito parlare molto bene di Hogsmeade da mia madre… Quindi. Hai programmi?”

“Sì. Sopravvivere alla mia adolescenza.” Le sorrise. “Scusa, adesso dovrei proprio andare… ci vediamo, ehm, tipo dopo.”
“Tipo dopo quando?” Lo incalzò impietosa piazzandogli un dito sul petto, bloccandogli ogni possibilità di liberarsi senza sembrare un bruto. “Sai che dobbiamo parlare di quella cosa.”
“Ma adesso?” La guardò con occhi supplici. “Senti, sai come la penso. No.
Violet alzò gli occhi al cielo. “Alla faccia della brutalità, Lord Malfoy…” Si guardò attorno prima di scivolare in un francese cospiratorio. “Sai che non è così semplice.”
Lo è, basta dire di no.” Sbuffò. Ormai non si vedeva più tracce di gonne grifondoro per quanto potesse aguzzare lo sguardo tra le fronde. Rose doveva essere già uscita dal bosco. “Senti, non ho tempo per pensare a queste cavolate da purosangue.” Torno all’inglese.  
“Cavolate…?” Le guance di Violet si tinsero di un rosso violento. Si dimenticò del francese. “Abbiamo dei doveri verso le nostre famiglie, Scorpius!”

Scorpius Malfoy si riteneva un tipo paziente. Ma la sua Rose era andata via senza degnarlo di una parola e non era un atteggiamento inusuale, considerando come si era notevolmente raffreddata da quando era diventato campione del Torneo. Doveva capire cosa stava succedendo.
E Violet era di mezzo.
“Senti. Non sposerò te in futuro, come non sposerò nessuna stramaledetta purosangue sponsorizzata!” Sbottò con rabbia, prima di sorpassarla, lasciandola al suo destino.
Sapeva che avrebbe dovuto scusarsi, perché in realtà Violet non aveva colpa, se non quella forse di far parte di quell’orribile sistema formato da ingranaggi oliati dalla purezza del sangue magico.
Cristo, nel mondo babbano sono quasi arrivati al teletrasporto e noi ancora ci accoppiamo come nobili di fine cinquecento!  
Non aveva tempo, né voglia di ricordarsi che avrebbe potuto essere come lei, se solo non avesse alzato la voce ogni singolo giorno della sua vita.
Sorpassò i compagni grifondoro, ignorando i loro richiami e corse lungo la collina che portava al castello.
Non gli ci volle molto per raggiungere Rose. Non stava neanche tentando seriamente di darsela a gambe.
“Rosie!”    
La ragazza si voltò, con l’espressione contratta di chi cerca disperatamente di non far trapelare i propri sentimenti. Fallendo miseramente.
Okay. C’era un problema.
 
Aveva provato ad essere felice per Scorpius. Aveva fatto degli sforzi immani, visto che non era la persona più empatica del mondo, per entrare nella sua testa e giustificare i suoi comportamenti.
E aveva capito, almeno qualcosa. Ma questo, e Rose l’aveva realizzato nel momento stesso in cui Scorpius si era avvicinato all’ippogrifo, non aveva smesso di allontanarli.
Sapeva di essere in torto, ma una parte di sé si chiedeva se fosse davvero così.
Perché non ti basto io, non ti basta quello che già abbiamo? Perché devi cercare l’approvazione di persone di cui non ti importa nulla?
“Rosie, che succede?” Le chiese, mentre la afferrava per voltarla verso di lui, con delicatezza. Non c’era mai stata una volta che non l’avesse toccata con la riverenza che si usava per le cose fragili.
Lo amava anche per questo. Ma non bastava, non adesso.
“Niente…”  
“Non è vero.” Si rabbuiò Scorpius, che odiava che chiunque gli mentisse. “Sei strana da… beh, da parecchio e credo anche di sapere il perché.”
“Se lo sai allora perché me lo chiedi?” Replicò stizzita, non riuscendo a rimangiarsi quel groppo di frustrazione che la accompagnava da quasi un mese. Poteva ignorarlo, ma c’era sempre.

“Te lo chiedo perché voglio sentire dire da te cosa c’è che non va. Sembra che non faccia che farti arrabbiare!”
“Non sono arrabbiata! Mi chiedo solo se fosse necessario rischiare di ferirti per giocare con quell’ippogrifo!”
“Era perfettamente sicuro Rosie, andiamo!”

“Ma se sei tu, che dici sempre che Hagrid è un pazzo pericoloso che ci mette continuamente di fronte a creature che non siamo in grado di affrontare! Adesso hai cambiato idea?” Sentiva la collera montare, e non gli importava se Scorpius la guardava confuso e ferito. Era uno stupido. “Oppure è perché era pieno di gente a cui mostrare quanto sei coraggioso?”
“Questo è…” Serrò le labbra, guardandola male. “Questo è ridicolo. Non l’ho fatto per nessuno, se non per me stesso!”

“Come il Torneo?” Incrociò le braccia al petto, per scaldarsi, perché o spirava un vento gelido da Est, oppure era lei che si sentiva ghiacciare. “Farlo per te stesso, o farlo per avere maggiore considerazione da questa gente secondo me è la stessa cosa. Ti stai esponendo a rischi inutili per persone che non valgono neanche la pena!”
“Non lo faccio per gli altri!” Sbottò il ragazzo esasperato. “Merlino, Weasley, perché sei così ottusa?”
Rose si accorse che era passato di nuovo al suo cognome, e questo non era un buon segno. Per Scorpius c’era un significato preciso dietro ogni appellativo con cui apostrofava gli altri.
“Io, ottusa?” Aveva voglia di prenderlo a calci, e chiedergli perché non capisse.
Perché sei così crudele? Perché non capisci che ho paura per te? Che farei di tutto per proteggerti e tu non fai che piazzarti sulla linea di fuoco?
Sei un idiota, Scorpius! Io ti amo, ma perché ti conosco. La gente non perde mai tempo a conoscere, si limita a giudicare! Non voglio che ti feriscano! Non voglio che dicano di te cose orribili e che tu ci stia male!
“Sì, sei ottusa.” Rincarò, ignaro dei suoi pensieri. Aveva i pugni contratti e le labbra ridotte in una linea sottile. Assomigliava incredibilmente a suo padre in quel momento. “Lo faccio per noi!”
“Io non ne ho bisogno!”
“Ma io sì! Non ce la faccio più, maledizione!”  

Cadde il silenzio. Rose non ne aveva sentito mai uno così pieno, nonostante il vento agitasse le fronde degli alberi del bosco.
Le sembrò di deglutire carta vetrata.
“Che… che vuoi dire?” Si sforzò di articolare, anche se parlare era l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare. Piangere invece le sembrava una buona opzione. “Che vuoi dire che non ce la fai più?”
Scorpius si passò una mano trai capelli, ispirando trai denti. “Io ti amo…” Esordì piano. “Ti amo sul serio. Ma sono stufo di dovermi nascondere e…” La fermò con una mano, perché probabilmente aveva già capito cosa volesse dirgli. “Lo so che non ti vergogni di me. Ma non vuoi dire a tuo padre di noi.”
“Neanche tu!”
Scorpius le piantò gli occhi addosso. “Se mi chiedessi di farlo, in questo esatto momento, entro stasera mio padre lo saprebbe. Entro stasera, Rosie. Se tu volessi. Il problema non sono io.”

“Io…” Stavolta davvero non riusciva a parlare. Perché in fondo sapeva di aver costretto Scorpius a quel regime di segretezza. Vi si era piegato di buon grado, certo. Ma in un primo momento, quando le cose tra di loro erano ancora nel grande regno del forse; ora no.
Adesso era lei quella che alla sola idea di dirlo a suo padre si sentiva ghiacciare il sangue nelle vene.
E non poteva farci niente. Milioni di volte si era immaginata a parlare alla sua famiglia, a Ron Weasley, di come volesse trascorrere tutta la sua vita con quel biondino matto come un cavallo.
Mille castelli in aria, ma sul lato pratico non parlava, non ci riusciva: aveva quasi diciott'anni, ma era ancora una bambina spaventata dal deludere suo padre.
Scorpius le sorrise appena. “Per questo voglio concorrere al Torneo, lo capisci? Certo, non solo, ma… Voglio vincere e voglio dire a tuo padre che sei mia. Fuori di qui, fuori dalla scuola. Perché finito quest’anno saremo là fuori. E non ci saranno più queste mura e i nostri amici a proteggerci.”
Lo sapeva. Cercava di non pensarci, ma lo sapeva. Annuì semplicemente.

“Se fossi il campione di Hogwarts la tua famiglia se ne farebbe una ragione, no?”
C’era la sua solita ironia, ma Rose sentiva l’amarezza dietro quelle parole.

“Scorpius…”
L’ha fatto per me. Per essere un degno fidanzato per mio padre, quando Dio, non ha fatto niente di male in vita sua.
Scorpius si chinò e le posò le labbra sulla fronte. Erano calde. “Non remarmi contro. Per favore.” Mormorò piano. “È la mia scelta, appoggiami.”
Rose si limitò ad annuire e lasciarsi stringere nel suo abbraccio. “Mi dispiace… sono stata una stronza. Certo che ti appoggio.”
Scorpius ridacchiò, stringendo maggiormente la presa e dandole un bacio trai capelli.

“È tutto a posto, fiorellino.”
Non era tutto a posto, pensò Rose: sperava solo lo sarebbe stato.
 
 
*****
 
Note:
Rose è una stronza, non lo è? È solo umana ragazze. ;)

1 . Qui la canzone.
2. In HP4 la Prima prova del Torneo Tremaghi viene disputata il 24 Novembre. L’altra subito dopo le vacanze e quella finale a Giugno.

3. Parkinson-Goyle. PG + vezzeggiativo = Piggie. Il fatto che voglia dire anche ‘porcellino’ non è casuale. Sì, c’entra quella dei Muppets. Ho pensato a lei. Perché Dom è deficiente. ;D
4. Incantesimi elementari: non nel senso di semplici, ma che hanno a che fare con i quattro elementi primari: acqua, fuoco, aria, terra. (es. Aguamenti, Incendio etc…) Me la sono inventata io la classificazione, ma credo che sia un minimo plausibile.
5. Bozhe Moi : Mio Dio in russo.
Questa è un altra fan-art della bravissima Elezar81. Godetevela. ^^

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII
 

 



Sweet little words made for silence, not talk

Young heart for love, not heartache
Dark hair for catching the wind
Not to veil the sight of a cold world¹…
(While your lips are still red, Nightwish)
 
 
10 Ottobre 2023.
Lago Nero, Banchina di attracco.
Pomeriggio.
 
Sören non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto dirgli la giovane Lilian… Lily.
Non sarebbe mai riuscito nella sua testa a chiamarla con quel diminutivo familiare, che sembrava invece comune a chiunque la apostrofasse.
Non aveva mai chiamato nessuno con un diminutivo.
La trovò impalata sulla passerella del molo, con le mani sprofondate nelle tasche del mantello invernale, parte dell’uniforme di Hogwarts. La sciarpa le copriva una buona porzione del mento e delle labbra. Quel giorno il freddo era aspro e affilato come un coltello: probabilmente era fastidioso anche per un inglese.
Insolito vederla in uniforme, pensò anche: era più facile che indossasse una di quelle sue spinose minigonne con un giubbotto sufficientemente corto da far intravedere cosa indossasse sotto.
Non era truccata: doveva appena essere uscita da lezione.
“Buon pomeriggio.” Azzardò raggiungendola.
“Non lo è affatto.” Lo smentì immediatamente. Aveva le sopracciglia contratte in un’espressione di irritazione, e Sören si chiese nebulosamente se la causa fosse lui.
Improbabile. Mi ricorderei se avessi fatto o detto qualcosa di sbagliato durante le nostre conversazioni.
“Va tutto bene?” Chiese allora osservando come, quando teneva i capelli sciolti come quel giorno, sembrasse avere delle lingue di fuoco vivo ad ondeggiargli attorno al viso.
“Una brutta giornata, come ho detto.” Tagliò corto la ragazza. Guardò verso un punto imprecisato, oltre il Castello e verso i cancelli della scuola. Sembrò riflettere molto velocemente su qualcosa. “Ti va di andare ad Hogsmeade?” Gli chiese infine.
“… Non dovreste avere un permesso per uscire?”
Lily scrollò le spalle, sorridendogli per la prima volta in quei pochi minuti. Era strano, ma non vederla allegra era… disturbante, anche se forse quella non era la parola giusta. Era come se qualcosa non fosse al suo posto.

In effetti, Lilian Potter sorrideva sempre. O comunque, con sufficiente frequenza per essere ricordata sempre con un sorriso sulle labbra.
“Sì, ma dove c’è la regola, ecco l’inganno. Una lezione piuttosto utile, da queste parti…” Gli spiegò, con quel suo modo particolare di arricciare le labbra al bordo della bocca, in un’espressione monella. “A Durmstrang non ve l’hanno insegnato Ren?”
“Ad Hogwarts sì?” Le chiese e fu una conquista sentirla ridere.

Stava andando bene. Non capiva il perché di quel compito, ma lo stava svolgendo bene.
Era soddisfacente.
Il compito. 
In ogni caso, poteva essere considerato un progresso il fatto che Lily avesse scelto lui come accompagnatore, considerando che aveva una nutrita schiera di amiche e di ammiratori a cui attingere.
“Vieni allora?”
“Certo.” Le sorrise di rimando, cedendole il passo sulla banchina. “Dopo di te…”

 
****
 
Capanna di Hagrid, campo delle zucche.
Pomeriggio.
 
Albus osservò Fanny scomparire in lontananza, fendendo con le ali la superficie cristallina del Lago Nero.
Era seduto sulle scalette della capanna di Hagrid, mentre quest’ultimo spennava un paio di fagiani in cucina per Odino, il suo gigantesco molosso.
Aveva avvistato Fanny mentre tornava dalle serre di Erbologia e la fenice aveva puntato verso la capanna dell’ex-guardiacaccia. Questi aveva passato interi minuti a rimirarla entusiasta mentre si cibava con gusto di pezzi di pesce secco che si erano divertiti a lanciargli.
“Albie, è davvero fantastico!” Osservò per l’ennesima volta, sporgendosi dalla malconcia finestrella. “Dico, che quella fenice è diventata il tuo famiglio!”
“Non è il mio famiglio, ho già un gufo, Anacleto.” Sorrise di rimando. “Io e Fanny siamo solo amici.”

“Fanny…” Fece un barbuto sorriso nostalgico. “Come la fenice di Silente, eh?”
“Secondo me è lei. Potrebbe essere, no?”
L’omone ridacchiò. “Sì, forse. Però sai.” Osservò. “Le fenici non ci si avvicinano spesso agli umani, nossignore… Se viene da te, vuol dire che ci piaci, e che ti considera un po’ il suo padroncino…”

Al non rispose, non volendo intavolare l’ennesima discussione sulla sua proprietà presunta di una fenice.
Del resto vederla gli provocava ogni volta emozioni contrastanti: se da una parte era orgoglioso che venisse a trovarlo – ehi, non era da tutti – dall’altra gli ricordava l’anno prima e quando avesse sofferto.
Si spazzolò le mani dai residui di terra ed erba e dopo aver salutato Hagrid e aver declinato l’ennesima offerta di dubbi manicaretti da portare agli altri, si incamminò verso il castello.  
Una folata di vento gelido misto a pioggia lo fece rabbrividire. Si strinse maggiormente la sciarpa al collo, maledicendo il pessimo clima inglese. Aveva già in mente di partire per qualche luogo tropicale, finiti i MAGO. Possibilmente caldo, pieno di spiagge dorate e acqua in cui sguazzare.
Magari la Polinesia …
C’era una comunità magica primitiva ma con conoscenze di medimagia alternative e interessanti, aveva evinto dalle lettere confusionarie che i gemelli Scamandro spedivano a suo fratello: adesso infatti i due viaggiavano per il globo terraqueo come assistenti del padre.
Sole, spiagge… ottima cucina, studio…
Fantasticare in quel modo era piacevole, quando vigeva una pioggerellina esile e freddissima, che gli scivolava lungo le guance e le mani facendolo rabbrividire.
Chissà se Tom mi seguirebbe…
Nell’eventualità si sarebbe lamentato del rischio di ustione per la propria pelle – seriamente, sembrava privo di melanina - delle malattie tropicali e dell’arretratezza tecnologica del posto.
Come se avesse la possibilità di avere voce in capitolo… Con lui o senza di lui.
Entrò nel cortile pavimentato, dove in caso di bel tempo si disputavano i tornei del Club di Gobbiglie. Lo attraversò di corsa, visto che la pioggia ormai scrosciava in dirittura di acquazzone, infilandosi dentro il corridoio esterno.
Davanti a sé vide Michel. Era da solo, stranamente, e stava fumandosi una sigaretta babbana, vizio che aveva preso l’anno prima – ed era quasi certo che glielo avesse passato James, in quei periodo in cui si erano frequentati.
Sotto le lenzuola… Merlino, solo a pensarci mi dà i brividi.  
L’altro serpeverde lo notò immediatamente e dopo un attimo di incertezza fece un sorriso tirato.
“Spero non mi toglierai punti per questo, Caposcuola.” Esordì pacato, dandole un lungo tiro. “Sto persino congelandomi il sedere per non dare fastidio all’altrui persona. Certo, le regole imporrebbero il veto totale …”
“Maddai.” Lo fermò con un sorriso. “Non sono un tassorosso. Non toglierò certo punti alla mia Casa per una sigaretta…”
“Ne ero certo. Il perfetto, piccolo serpeverde…” Lo canzonò senza acrimonia. Ma neanche senza il solito affetto di fondo.

Al inspirò. “Ehm.” Disse acutamente. L’aria divertita di Michel, malgrado tutto, gli diede la forza di continuare. “Non dovresti essere al club?”
“Niente duelli oggi per me. La classe serve alle ragazze di Beaux-Batons per non so che corso sui fiori.” Fece un gesto dismissivo. “Gliel’abbiamo gentilmente ceduta.”

“Potevate trovare un’altra aula…”
“Infatti, l’hanno trovata. Gli altri. Oggi non ne avevo voglia, e poi la mia presenza non è indispensabile. Dopotutto è Higgs il capitano di Serpeverde…” Fece un sorriso disimpegnato. “Anche se naturalmente la mia assenza verrà notata.” 
“Naturalmente…” Convenne: era incerto se sedersi o meno, o salutarlo e tirare dritto.

Ma sapeva di non potere evitare per sempre quel confronto.
Gli si sedette quindi accanto, sul bovindo di pietra. Michel non fece gesto di lasciargli posto, ma neppure fece obbiezioni; lo considerò un buon punto di partenza.

“È un po’ che non parliamo …” Esordì Al, trovando improvvisamente interessante fare treccine alle nappe della sua sciarpa verde-argento. “Io e te.”
Michel non rispose immediatamente, piuttosto si limitò a strisciare il mozzicone della sigaretta lungo il muro, in un movimento elegante ed efficace. “È vero.” Ammise infine. “Ma questo non credo dipenda da me.”
Al si morse l’interno della guancia, nervoso. Era nervoso, e lo era perché sapeva di avere la sua parte di torti. Ma una parte, appunto. Non era l’unico che aveva evitato di trovarsi nella stessa stanza con l’altro in quell’ultimo mese; erano compagni di Casa, ma si erano incrociati per i corridoi solo una manciata di volte, e non si erano rivolti la parola se non per un saluto schifosamente formale.

Ma decise di non farglielo notare, per non iniziare quella conversazione con un litigio.
“Avrei voluto parlarti… lo so.” Disse invece. “Scusami… ma lo sai, sono successe parecchie cose in questo periodo.”
“Tom.” Si inserì l’altro, in tono spassionato. “È successo Tom.”

Al a questo non riuscì a replicare. “Senti…” Iniziò invece, mentre tentava di districare il caos che aveva operato sulla trama della sciarpa; non era certo fosse sua, visto che poteva benissimo aver preso quella di Tom. “Senti… so che sono stato un pessimo amico. Non te lo meritavi. E per questo non ho scuse.” Si arrischiò a lanciargli un’occhiata: Michel fissava il muro davanti a loro e aveva la mascella serrata.
Era furioso.
Cavolo.
“Mike…” Sussurrò, sentendosi l’amico più orribile del pianeta: Michel gli era stato vicino per mesi, forse con i suoi tornaconti, ma restava il fatto. Gli aveva tenuto compagnia, lo aveva fatto distrarre e  sopportato nella sua depressione post - Tom senza chiedergli praticamente nulla in cambio.
Non era serpeverde, non era da Zabini. Era una cosa che avrebbe potuto fare solo Michel.
Ed io c’ho sputato sopra…
“Mi dispiace tanto …” Ripeté. Sapeva che non doveva toccarlo, ne sapeva qualcosa su persone che avevano un’ampia concezione del proprio spazio personale.
“Smettila di ripeterlo. Non lo senti veramente.” Ribatté l’altro in tono sarcastico. “Perché stai perseverando in un errore che ti porterà solo a stare male. Ancora.”
“Questa è una cosa tra di noi, Tom non c’entra niente!”
L’occhiata che Zabini gli lanciò era perfettamente giustificata. “Lui tra noi c’entra sempre.”
Non ebbe la forza di ribattere. Era vero, del resto.

“Thomas Dursley non è normale…” Dichiarò, e Al sentì un brivido gelido lungo la nuca. Che sapesse qualcosa sulla sua nascita? Poi però continuò. “Non ha una concezione sana dei rapporti interpersonali. Ha messo in pericolo molte persone l’anno scorso e non credo che la cosa lo abbia toccato più di tanto.”
“Ti sbagli invece!” Protestò con forza. Tom poteva essere un cretino egoista, ma si era seppellito in un paese di pescatori tedeschi perché non era riuscito ad uscire dal pantano dei suoi sensi di colpa. “Sta cercando di rimediare! È tornato, lo hanno riconosciuto non colpevole… gli hanno ridato la sua bacchetta. È qui ad Hogwarts. Perché non gliene dai atto?”
“Perché non mi interessa. Ormai io e Dursley siamo due estranei.” Lo seccò rabbioso. Si passò poi una mano sulla nuca, in un movimento frustrato: c’era sincero dolore in quel gesto e probabilmente, realizzò Al, Michel aveva sofferto l’incrinarsi di quel rapporto, molto più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Erano amici… Eravamo tutti amici.
Perché le cose non possono mai tornare perfettamente come prima?
“Albus… te l’avrò ripetuto centinaia di volte forse, ma meriti di meglio.” Interruppe il flusso dei suoi pensieri bruscamente.
“Lui è ciò che voglio, io ti ho risposto questo.” La conversazione sembrava sempre finire lì, inevitabilmente. “Non so come essere più chiaro…”
Michel si voltò, finalmente, per guardarlo. Era ferito, lo registrò con angoscia. Era ferito veramente.

Ed era la prima volta che lo vedeva senza la sua maschera snob e distaccata da lord inglese.
Michel poteva essere spesso arido e sarcastico. Non prendeva mai una posizione certa, ed era affezionato e divertito spettatore di tutte le tragedie emotive della loro Casa. Ma Albus avrebbe sempre ricordato quando, al loro Primo anno, aveva preso le sue difese con Montague e i suoi amici, dichiarando che aveva parentele sufficientemente importanti da non meritare le prese in giro di chicchessia. Si era frapposto fisicamente tra lui e quegli scimmioni, una piccola copia esile ed elegante del ragazzo che era ora.
 
“Signori, è il mio compagno di stanza e un serpeverde. C’è gente molto più meritevole dei vostri scherzi, vi prego quindi di rivolgerli altrove.”
 
“Non sto dicendo… che tu debba metterti con me.” Continuò Michel. “Non è questo che voglio. Non vorrei mai una persona che non mi desidera. Non è un toccasana per il mio ego, che sai essere ben pingue…” Aggiunse con un lieve sorriso ironico. Ad Albus non venne da sorridere di rimando però. “Ma tu meriti di stare con qualcuno che si prenda cura di te e ti renda felice. E temo che Tom, non importa quanto siano buone le sue intenzioni, non ne sia capace…”
“Ti sbagli.”
“Forse, ma non ne sono convinto.” Concesse. “Ma comunque … è questo quello che vuoi per te?”

Albus non riuscì a rispondere subito: era arrabbiato certo, e voleva difendere Tom, ma c’erano dei punti corretti nel ragionamento dell’altro.  
Tom aveva dei lati oscuri nel suo modo di voler bene. Era capace di amare, forse in modo persino più profondo e complesso di molta, cosiddetta, brava gente, ma era anche violento nel passare dalla fiducia al sospetto: ricordava come aveva reagito con rabbia irragionevole all’idea, sbagliata, che suo padre Harry fosse in combutta con il Ministero per addossargli la colpa dell’attacco a Ted. Ricordava come avesse aggredito Michel per aver solo sospettato che volesse provarci con lui.
C’erano delle zone d’ombra in Thomas, ma questo non faceva di lui la persona che Zabini pensava fosse.
Se solo l’avessi visto abbracciare Meike, o scusarsi con me… o parlare ai suoi genitori e sorridere a mio padre…
“Mi dici spesso…” Si risolse a dire dopo un lungo silenzio. “… cosa dovrei volere per me, Mike. Ma non sei me, è questo il punto. Tom ha bisogno di me, ed io di lui, per essere felice. Non per vivere, sarebbe esagerato… ma per essere felici. Cosa c’è di così sbagliato?”
“Nulla.” Convenne. “Se continuasse a renderti felice.”  

“E pensi che un altro ragazzo potrebbe farlo?”
“Albus…” Michel si voltò completamente verso di lui, prendendogli una mano tra le sue. Le aveva calde, e grandi. Non era la prima volta che gliele prendeva. L’aveva fatto spesso dopo i suoi incubi. “Dursley è il tuo primo tutto. Questo posso capirlo. Ma credimi, non hai avuto sufficienti esperienze per sapere se qualcun altro sarebbe capace di renderti felice o no. Non hai mai pensato, anche solo ipoteticamente… ad un’alternativa?”
Al non rispose: la verità era che sì, aveva pensato, in quei mesi orribili, a come sarebbe stato essere il ragazzo di Michel Zabini. Perché alla fine l’amico era l’unico con cui si sarebbe mai immaginato.

Mike gli voleva bene e avrebbe preso le cose sul serio per lui.  
Ma non voglio una cosa sensata. Perché lui non mi capisce con una sola occhiata e non mi fa sentire a casa ogni volta che si degna di sorridermi. Non è Tom.
“Pensi che sia così assurdo provare a frequentare altre persone?” Lo incalzò Michel. “Sto solo cercando di dirti…”
“Che sei innamorato di me.” Non era il modo migliore affrontare quella cosa, di cui ormai si era accorto da un po’. Ma doveva. Forse lui e Mike non sarebbero mai tornati amici, ma quel continuo girare attorno agli stessi argomenti era ancora più logorante.   
L’amico non rispose nulla, il che fu praticamente una conferma.
Merda… avrei preferito che mi fosse scoppiato a ridere in faccia…
Ma dentro di sé, in fondo, l’aveva sempre saputo. Michel non sarebbe stato così buono con qualcuno per cui provava poco più che un tiepido affetto; non era così neppure con Loki e Malfoy, e li conosceva da una vita.
“Un modo brutale per obbiettare,  non c’è che dire.” Osservò Michel in tono piatto. “Questo…” Aggiunse poi mentre la voce, Al non se lo stava immaginando, si incrinava. “… cambierebbe qualcosa, in ogni caso?”
“No.” Mormorò di rimando, sentendosi scavare lo stomaco dal senso di colpa. Decise però di essere onesto, anche contro il suo stesso interesse, perché perlomeno quello Michel se lo meritava. “Non cambierebbe niente. Lo sai.”
“Già.” Ammirava il modo in cui l’amico riusciva a tenere sotto controllo le sue emozioni. Lui non ci sarebbe mai riuscito. E gliene era egoisticamente grato, anche.

“Non mi aspetto che tu sia ancora mio amico, Mike…” Sussurrò per dire qualcosa, perché doveva dire qualcosa. “Non dopo averti ignorato per un altro. Non mi aspetto neppure che tu abbia stima di me. Non mi aspetto niente.”
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte.
“… Neanche che mi comporti in modo onesto quindi?” Disse infine.
“Ehi, siamo serpeverde…”
Quando Michel abbassò il viso su di lui e lo baciò, Al non poté dire che non se lo fosse aspettato.

Sentì le labbra piene dell’altro ragazzo posarsi sulle sue, ma fu poco più di un attimo, poco più che un bacio leggero.
In un altro universo, in un’altra vita, sarebbe stato più difficile prendere quella decisione.

Forse neanche l’avrei presa… forse adesso sarei il ragazzo di Michel Zabini.
Ma è questa vita, e Tom c’è. Grazie a Merlino, c’è.
Michel si staccò, ritirandosi. “Dursley è decisamente il mago più fortunato di Inghilterra. E tu, au contraire mon cheri, il più sciocco.” Chiosò con un mezzo sorriso.
Al lo ricambiò. “Probabilmente hai ragione.”
Michel ridacchiò. “Mi piace questa tua graduale perdita di modestia. Ti rende grazioso.” Il sorriso gli aleggiò per ancora qualche attimo sulle labbra, poi presa la borsa dei libri e gli fece un cenno, andandosene.

 
****
 
Hogsmeade, Pomeriggio.
Pub Testa di Porco.

 
Lily sorseggiò con una certa dose di piacere la sua burrobirra in bottiglia. Non era calda come quella appena spillata dalle mani di Madame Hannah, ma andava bene lo stesso.
Lei e Sören avevano ovviamente dovuto ripiegare sull’appartato Testa di Porco per poter passare sotto il naso delle regole della scuola.
Che cretinata poi… Cosa credono, che se estendessero il permesso a più di un finesettimana al mese ci ubriacheremmo tutti di sidro sotto gli occhi della Signora Paciock fino a vomitare sullo zerbino di Mielandia?
Lanciò un’occhiata all’amico, che a differenza sua sorseggiava un Ogden Stravecchio senza ghiaccio. Non se ne stupiva, del resto era maggiorenne e probabilmente avvezzo ai liquori forti. Lo beveva con una disinvoltura che la affascinava.
“Ti piace il whiskey incendiario?”
“Meno rispetto alla vodka, ma non mi dispiace…” Fu la risposta, mentre  si guardava attorno. Aveva una lieve ma palese espressione contrariata stampata in faccia.

“Non è il posto più pulito dell’intera Inghilterra lo so, ma almeno qui nessuno fa domande…” Gli spiegò con un sorriso di scuse, mentre sentiva lo sguardo torvo di Aberforth su di loro.
Si voltò e gli servì il migliore dei suoi sorrisi: il barista brontolò qualcosa di intellegibile, ma non smise di guardare nella loro direzione.
Come se fosse la prima volta che vengo qui con qualcuno! Non faccio niente di male poi. Bere una burrobirra e baciarsi con un ragazzo non è reato.
… non che voglia baciare Ren.
Certo, lo trovava carino quando smetteva di avere quell’aria contratta, ma…  
È mio amico.
Tolto Hugo, comunque suo cugino, era il primo ragazzo con cui non si sentisse in dovere di dispiegare tutta l’artiglieria femminile. A Ren non sembrava importare del resto. Perché la ascoltava. Davvero.
Rarità! Rarità!
“Ci vieni spesso?” Le chiese. Si guardava attorno. Era nervoso, capì. Parecchio.
“Abbastanza. Ma se vuoi possiamo andare a farci un giro … se non ti piace stare qui, intendo. Si è messo a piovere e sarà un disastro per i miei capelli, ma potremo sempre andare a Madame Piediburro.”
“È meglio di qui?” Si informò velocemente.
“Beh…” Finse di rifletterci. “Dipende. Hanno delle torte squisite, e la madame terrebbe la bocca chiusa sulla nostra presenza, però…”
“Cosa?”
“Ci vanno le coppiette.” All’espressione confusa dell’altro – doveva ricordarsi che era straniero e non capiva molte espressioni colloquiali – si apprestò a spiegare. “Gli innamorati, Ren.”
“Qui va benissimo.” Borbottò l’altro immediatamente. Lily si impose di ingoiare la risata che le nasceva sulle labbra e finì per soffocarla in un sorso della sua bevanda.  

Si sentiva meglio adesso, la sua irritazione stava scemando. Probabilmente perché aveva messo più metri possibili tra lei ed Hogwarts.
Sören le lanciò un’occhiata valutativa. “Cosa c’è?” Si risolse a chiederle infine.
“Come?”
“Sei venuta alla nave con un’aria terribile. È successo qualcosa a scuola?”
“No…” Naturalmente sì. Sentì il sapore ferreo del sangue sulle labbra, dove se l’era morsicate. Era un brutto vizio che pensava di essersi tolta circa un milioni d’anni prima.

Pur vero che prima non aveva mai avuto Minerva McGrannit come professoressa.
“Lily?” Sören aveva un modo piuttosto particolare di guardare la gente. Sembrava volesse scavarti dentro. Non era la sensazione che aveva avuto la prima volta che avevano incrociato gli sguardi in Sala Grande, ma ci andava piuttosto vicina. “Ti va di parlarmene?”
“Non è successo niente di che…”
“Qualsiasi cosa sia successa, è chiaro ti abbia turbata…” Osservò in tono neutro. “E se siamo qui, è perché, suppongo, tu abbia bisogno di parlarne.”
“In effetti…” Mormorò.

… Ren non era affatto uno scemo. Era rilassante avere a che fare con qualcuno che non ti chiedeva se avevi il tuo periodo del mese ogni volta che eri di cattivo umore.
Povero Hughie… non che sia colpa sua. Ma dovrebbe capire che le donne non hanno quel periodo quindici volte. Al mese.
Ren si accomodò meglio sulla scomoda sedia di legno e le fece cenno. E lei prese a raccontare.
 
La McGrannit era di quanto più tosto una professoressa potesse essere. Considerando che aveva passato due guerre, attacchi alla sua persona e complotti, era praticamente una roccia fatta strega.
Pur con la sua veneranda età e gli acciacchi del caso, aveva tenuto la classe in pugno come un manipolo di gattini mansueti.
Da ammirare, ma anche da temere.
Hugo pendeva dalle sue labbra. Non che fosse l’unico.
Lily au contraire avrebbe preferito seppellirsi sotto il banco, e forse per la prima volta in vita sua aveva rimpianto di essere nelle prime file pronta a farsi ammirare. E notare.
Soprattutto dalla professoressa.
La McGrannit, per accertarsi del loro avanzamento nel programma scolastico, li aveva messi a lavorare su un porcospino da tramutare in un puntaspilli.
Si era sentita tranquilla, perché aveva Abigail come compagna di banco: l’amica era molto brava in quella materia. Solitamente non era difficile farsi aiutare per aggiustare l’incantesimo.
Sfortunatamente quell’anno non avevano a che fare con un professore distratto come lo era stato Ziel, o finto come la Prynn.
La McGrannit si era accorta subito che Gail stava per tramutare in un soffice cuscinetto il dorso irto del suo… puntaspino.
“Signorina Potter, se ha bisogno di aiuto, credo sia più opportuno che chieda a me.” Aveva freddato entrambe. Abigail aveva ritirato immediatamente la bacchetta.
“Era più un suggerimento…” Aveva cercato di rimediare lei, facendo ovviamente peggio.
A quanto sembrava la McGrannit era la grifondoro-di-ferro che i suoi genitori le avevano sempre descritto. Invece di accettare la diversione con un rabbuffo, l’aveva guardata come se avesse appena proposto di barare ai GUFO corrompendo con fiumi di galeoni l’intera commissione.
“Non tollero che nelle mie classi venga svolto un compito con l’inganno, signorina Potter.” Si era avvicinata. “Quindi mi faccia vedere il suo vero livello.”
Lily aveva sentito l’intera classe piombare nel silenzio. Si era sentita arrossire di vergogna e umiliazione per la prima volta in vita sua. Era stato
orribile.

“È questo il mio livello…” Aveva mormorato sentendo di detestarla, e detestare pure quel ridicolo puntaspino che zampettava lungo il banco.
“Allora dovrà fare di meglio se vorrà avere ottenere un GUFO in Trasfigurazione, signorina.” Una breve pausa. “Suo padre non era certo lo studente più eccellente del suo corso, ma speravo che almeno lei avesse preso da sua nonna Lily.”
A quel punto non ci aveva visto più.  

“Mi spiace deluderla, ma non ho particolari interesse a tramutare porcospini in postaspilli, non lo trovo utile nella vita pratica.”
La classe non era mai stata silenziosa come in quel momento. Sembrava respirare come un sol uomo.
“Discorso assolutamente sciocco, signorina Potter.” Aveva scandito l’anziana strega, con occhi gelidi e colmi di riprovazione. “Questa materia è una delle più importanti nella sua formazione scolastica. Io la studio da anni, e ancora riesce a sorprendermi per la sua utilità.”
“Beh, io invece trovo più utile trovarmi un marito.”

Sören la stava fissando come se improvvisamente le fossero spuntate un paio di ali e becco e stesse per starnazzare via.

Poteva capirlo.
Stavolta ho dato del mio meglio per sembrare un’oca.   
Si sentì arrossire di nuovo. “Già. È stata una cosa stupida, me ne rendo conto, ma ero così arrabbiata…”
“Le hai rinfacciato il fatto che fosse…”
“Una zitella, sì. Davanti a tutta la classe.” Si sentì orribile. E profondamente cretina, anche senza lo sguardo sconcertato del suo amico. Bevve un lungo sorso di burrobirra, ormai quasi gelata e quindi schifosa.  “Mi ha tolto dieci punti e mi ha assegnato un sacco di compiti, sia teoria che pratica… Tutto sommato mi è andata pure bene.”

“Insolitamente morbida in effetti. A Durmstrang saresti finita in cella detentiva per un paio di giorni.”
Cella?” Mormorò orripilata. “Una cella vera?”

“Sì, certo.” Osservò l’altro come se fosse perfettamente normale. Ebbe cura di cambiare subito discorso però, vedendo forse la sua aria sconvolta. “Perché ti sei arrabbiata comunque? Dopotutto…”
“La professoressa aveva ragione, lo so!” Si morse le labbra; Sören non poteva capirla, dubitava che chiunque al di fuori della sua famiglia potesse. Non era stata l’umiliazione in sé a farla scattare.

Il punto è che odio essere paragonata a mia nonna. A quella che non ho mai conosciuto, peraltro.  
Suo padre era un uomo meraviglioso, ma i traumi che aveva dovuto portarsi dietro sin da bambino avevano avuto degli strascichi anche dopo la guerra. Molte, troppe persone che amava erano morte per mano delle sua nemesi, e lui aveva voluta ricordarle mettendo a lei, Al e Jamie i nomi di uomini e donne che avevano dato la vita per lui e per il futuro dei suoi figli.
James Sirius, Albus Severus e Lily Luna.
A ben pensarci, sono l’unica che porto il nome di una persona ancora viva.
Ma il suo primo nome, quello con cui tutti la chiamavano era comunque Lily. Non Lilian, non se lo ricordava mai nessuno. 
Ma fosse solo questo… mi sarebbe andata anche bene, Lily è un nome carino.
Il fatto era che il fenotipo Weasley prevedeva capelli color carota, lineamenti squadrati e altezza considerevole oltre, naturalmente, ad un sacco di lentiggini. Quello Potter invece capelli scuri, goffaggine al di fuori di un campo da Quidditch e aria perennemente arruffata.
Aveva visto una sola foto della sua meravigliosa nonna, quella messa nella cornice più bella del camino del salotto di casa loro.
Era a lei che somigliava.
Lily Evans in Potter era stata colei che aveva salvato il Mondo Magico, immolandosi e permettendo a suo figlio di diventare l’eroe che avrebbe sconfitto Voldemort.  
Lily Evans-Potter era ricordata come una madre, una moglie e una strega straordinaria. Dopo la guerra erano stati persino scritti dei libri su di lei, anche se sotto lo stretta supervisione di suo padre. Lily li aveva letti, con una voracità che non riservava nemmeno ai migliori romanzi d’amore.
Come diavolo faccio ad essere all’altezza di una persona simile?
“Lily…” Sören la riportò bruscamente sulla terraferma. Si accorse di avere gli occhi umidi. Si era quasi messa a piangere. “Lily, cos’hai?”
“Smettila di chiamarmi così!” Sbottò alzandosi in piedi, e facendo girare metà locale, almeno la metà che sembrava sufficientemente cosciente di sé.

Si sentì afferrare delicatamente per un polso: Sören aveva una presa morbidissima per sembrare un soldato in ogni movimento che faceva.
“Bene.” Disse serio. Era un tipo molto serio. “Se vuoi ti chiamerò Lilian o in qualunque modo tu voglia, ma adesso siediti, stai dando spettacolo e dubito nel modo che preferisci.”
Lily si sedette obbediente. Gli lanciò un’occhiata in tralice, e vide un’espressione neutra, solo leggermente curiosa. Sentì che poteva parlare con lui. Era Ren, il suo amico di piuma. E non era solo quello, anche se non riusciva ben a capire cos’altro potesse essere.
Comunque gli raccontò tutto. Confessò.
Non gli disse però che era felice di avere l’orecchino di controllo, e di non poter più sentire i pensieri degli altri, che altrimenti questa sua ridicola fissazione si sarebbe probabilmente ingigantita.
Quella era una cosa che non gli avrebbe mai detto. Forse.
“Tua nonna sembra essere stata una strega di talento, senza ombra di dubbio.” Osservò Sören alla fine del suo monologo. “Però è morta da molto tempo. Ormai non devono essere molti i maghi e le streghe che l’hanno conosciuta di persona …”
“Non capisci? È proprio questo il punto! Ha una statua con mio nonno a Godric’s Hollow, hanno scritto dei libri e dei saggi su di lei! È persino nei miei libri di testo!” Esclamò sentendo la frustrazione montare ad ondate violente. Ren riusciva a tirare fuori la parte più vera – e forse poco carina – di lei. “Lo so, è stupido… ma hai idea di quanto sia frustrante essere paragonata ad una donna che è praticamente un’icona di perfezione?”
“No, naturalmente non lo immagino.” Ebbe lo straordinario buon gusto di risponderle. “Ma so cosa vuol dire essere paragonati a qualcun’altro…” Soggiunse però pacato. “Non è un po’ quello che succede a tutti i figli con i propri genitori?”

Era questo a rendere affascinante Ren: era molto più maturo dei ragazzi della sua età. A volte sembrava che avesse gli occhi molto più vecchi di quelli di un diciassettenne.
“Certo, ma … e non mi sto vantando credimi, io non ho parentele esattamente normali. La mia famiglia sembra una svendita di eroi.”

“Tuo padre ti paragona a lei?”
“Mio padre? No, certo che no! Lui… è una cosa che hanno fatto anche con lui. Quella di paragonarlo ai suoi genitori, dico. Ma… il mio nome.” Fece una smorfia prendendo a giocherellare con il tappo della bottiglia di burrobirra. “… Non lo so, a volte lo vedo come un’aspettativa.”

“Anche per i tuoi fratelli è così?”
Non faceva mai domande stupide Ren, quelle poche che faceva. Lily decise che era una buona ragione perché gli piacesse.

Non era così sveglio per lettera…
“Sì, certo… però, beh, è diverso. Voglio dire, loro sono unici…”
“E tu non lo sei?”
Lily alzò lo sguardo, per incontrare quello del ragazzo di fronte a sé. Sören lo sostenne per un attimo, poi lo distolse immediatamente mentre gli prendevano fuoco le guance in quel modo buffo e tenerissimo.

“Questo sì che è un complimento galante, Ren…”
“Non prendermi in giro…” Borbottò vuotando il suo bicchiere in un sorso.

Lily non aggiunse altro per non imbarazzarlo ulteriormente. “Comunque, scherzi a parte, per colpa della mia linguaccia, ho una valanga di compiti da fare per Trasfigurazione. E non so da dove iniziare. Credo proprio avrei dovuto applicarmi di più invece che insultare la professoressa.”
“Questo è indubbio.” Vedendo la sua espressione indispettita, si affrettò a correggersi. “… intendo dire che se vuoi posso darti una mano.” Concluse la frase sembrò anche lui sorpreso di averla pronunciata.

“Davvero? Insomma, sei uno dei campioni e la Prima Prova si avvicina, avrai cose più importanti a cui pensare…” Gli fece notare, dandogli modo di trovare una scusa credibile.
Sören rimase in silenzio per un periodo abbastanza scomodo, poi però scosse la testa. “Ti darò una mano. Il vostro programma del Quinto anno non è particolarmente difficile, e tu certo non sei stupida.”
“Grazie del complimento, tuttavia ti devo avvertire che, a detta dei professori, ho problemi a concentrarmi e sono terribilmente svogliata.” Gli sorrise grata, stringendogli la mano destra nella sua. Era calda.

Molto calda.
“Per Morgana, se scotti!”
Sören ritirò immediatamente la mano dalla sua presa; sembrava che non gli piacesse granché essere toccato.  “Ho una buona circolazione.” Spiegò rigidamente. Fu svelto poi a cambiare argomento. “Svogliata? Ti assicuro che so essere inflessibile.”
“Rigido. Io direi che sei rigido.”
“… Come prego?”
Lily scoppiò a ridere, perché da quando aveva scoperto che l’altro non capiva l’humour inglese era maledettamente divertente vederlo fare quella faccia offesa.

Non che non avesse senso dell’umorismo. Era certa che lo avesse, lo si evinceva dalle sue espressioni facciali, o il modo singolare con cui ogni tanto inarcava un sopracciglio – lo faceva spesso con Poliakoff.
Ma non si ancora aperto abbastanza con me …
“Stavo scherzando Ren, non ti arrabbiare. Grazie, lo apprezzo molto.” Quando lo vide sorridere leggermente capì che non l’aveva offeso poi troppo.
Non è facile leggerlo come gli altri, proprio no… forse c’entra il fatto che usa l’Occlumanzia e mi ha respinto con quella, anche se non ha capito cosa stavo facendo …
Il che lo rende ancora più interessante.
“Okay, quindi… devo chiamarti professore?”
“… scusa?”
Lily rise di nuovo. Sarebbe stato davvero divertente. E a lei piacevano le cose divertenti.

 
****
 
Sotterranei di Serpeverde. Dormitorio maschile.
Sette di sera.
 
Sapeva che non sarebbe esattamente stato facile spiegare a Tom quello che era successo tra lui e Michel.
Per questo aveva atteso di essere soli per dirglielo. Era stato anche aiutato dal fatto che non avevano cenato assieme, visto che Tom concepiva la cena come rubare toast e tornare in Dormitorio per finire i compiti o per farsi i fatti suoi.
Lo trovò quindi beatamente adagiato sul letto della sua stanza – beh, a quel punto loro – che leggeva un libro dalla copertina babbana sboccoccellando i suddetti.
Si era impadronito di tutti i cuscini, quello a forma di boccino compreso.
“Le elementari regole di socializzazione con te non si applicano?” Lo apostrofò scherzoso.
Tom non distolse gli occhi dalle pagine, ma sorrise. “Come se si fossero mai applicate …”
Albus si sedette sul ciglio del letto, prendendo a giocherellare con le maledette frange della sua sciarpa.
“Non rovinarmela. Quella è mia.” Osservò l’altro staccando un morso da un toast.
“Come fai a sapere che è tua? Sono tutte uguali!”
“La mia è ancora come quando me l’hanno consegnata. La tua sembra ci si sia impiccato qualcuno.” Fu la risposta quieta, prima che finalmente lo guardasse. Rimase un attimo in silenzio, poi sospirò. “Che succede Al?”

“Michel mi ha baciato.” Lo disse tutto di un fiato, senza neanche prendere un respiro di partenza. Avrebbe anche chiuso gli occhi, ma non gli sembrava un’idea felice.
Specialmente perché dopo un momento di silenzio agghiacciante, Tom scattò in piedi afferrando la bacchetta che aveva lasciato sul comodino, con il palese e onesto proposito di andare ad ammazzare qualcuno.
No!” Gli si parò davanti. “Ti prego, lasciami spiegare!”
Scusa?” Articolò l’altro con un tono così furiosamente glaciale da lasciarlo qualche momento senza parole. Ne approfittò ovviamente. “Zabini sa che sei mio, ed ha osato infilarti…”
“Non mi ha infilato proprio niente, ed io sono il tuo ragazzo, non un oggetto!” Lo fermò, piazzandogli le mani sul petto. “Calmati!”
“No.” Fu la risposta. Tom aveva la mascella così contratta che Albus per un attimo ebbe paura che se la rompesse tanto era teso.

Avrebbero dovuto metterlo a Grifondoro per quanto è spettacolare nel dare di matto…
“Non trattarmi come se fossi una principessina bistrattata, se mi ha baciato è perché gliel’ho lasciato fare!” Osservò in tono neutro, anche se non aveva nessuna voglia di indirizzare la rabbia del suo ragazzo su di lui. Anche se era la verità.
Tom spostò finalmente lo sguardo su di lui, e sembrò in dirittura di comprendere e nel modo più sbagliato.
No. Non ci pensare neanche. Sono innamorato di te, e gliel’ho lasciato fare perché dovevo sbloccare in qualche modo questa situazione!”
“Facendoti mettere le mani addosso!?”
Sapeva che non sarebbe stato semplice.
Al tirò un lungo sospiro. “Non mi ha messo le mani addosso, mi ha dato solo quel bacio ed è stato un bacio d’addio.” Gli premette con forza le mani sul petto e gli impedì di scacciarlo via o sottrarsi al suo tocco. “Gliel’ho lasciato fare perché glielo dovevo. Dopo tutto quello che ha fatto per …”
“Entrarti nei pantaloni?” Ringhiò l’altro, liberandosi dalla sua presa e facendo due lunghi e frustrati passi davanti al camino. “Dio, Al, come sei stupido… Ti è stato vicino per un solo motivo.”
“Lo so!” Proclamò esasperato. “Ma non importa il motivo per cui l’ha fatto… l’ha fatto quando stavo più male, e credimi, stavo male. Lui c’è stato quando ne avevo bisogno, e non posso gettarlo via come un fazzoletto usato solo perché sei tornato!”
Tom non ribatté stavolta. Aveva il respiro accelerato e gli occhi che bruciavano di collera ma non si mosse né cerco di aggirarlo per uscire dalla stanza.

Aveva finalmente attirato la sua attenzione.
“Cosa… provi per lui?” Si scollò dal palato: sembrava che ogni parola gli fosse costata uno sforzo enorme. Probabilmente era così.
“Gli voglio bene. Come un amico. E merita di trovarsi una persona speciale verso cui indirizzare questi sentimenti. Ma dovevo prima mettere un punto, e dovevo essere io a farlo.”
“Quindi l’hai lasciato fare perché ti faceva pena…” Sembrava l’unica spiegazione che avrebbe potuto accettare, ma Al sapeva che non era onesta per Michel, ma neanche per loro due.

“L’ho lasciato fare perché gli voglio bene. È diverso, Tom.”
 
Non capiva.
O meglio, poteva capire puramente a livello concettuale ma non riusciva a tollerare l’idea che Albus si fosse fatto baciare da Michel.
La sola idea gli mandava il sangue alla testa, gli sembrava di vedere sfuocato e sentiva ruggire quella cosa dentro le sue vene.
Falla pagare a Zabini. Fagli rimpiangere di essere un ridicolo damerino…
È una minaccia. Non ti avevo detto che era una minaccia?
E in quel momento detestava pure la faccia calma e gentile del suo Al, che cercava di spiegargli come fosse perfettamente scusabile quel lurido, schifoso scarafaggio che lo aveva toccato.
Vorrebbe spogliarlo, toccarlo, portarselo a letto…
Farlo gemere e tremare proprio come fa tra le tue braccia, Tom.
Non riusciva a calmarsi.
“Tom? Ascoltami, per favore…”
“Non adesso.” Sibilò sentendo un sapore ferroso in bocca, orribile. “Lasciami uscire.”
“Non in queste condizioni.”

Tom emise un ringhio di gola, si sentì mentre lo faceva, e persino Al sembrò preoccupato. Buttò la sua bacchetta sul letto. “Contento? La lascio qui. Non andrò da Zabini. Ora fammi uscire.”
Al a quel punto fu costretto a farsi da parte e lui poté finalmente andarsene da quella camera che lo faceva soffocare.

Perché sapeva che Albus avrebbe dovuto scegliere Zabini. Al di là di tutto ciò che li legava, era Zabini ad essere il ragazzo più corretto per lui. Non era frutto di un esperimento alchemico di un manipolo di pazzi in delirio di onnipotenza, non aveva dentro di sé il cancro di un’anima monca e tormentata, non aveva una maledetta spada di Damocle che gli penzolava sulla nuca ad ogni passo che faceva.
Era un ragazzo normale.
Perché non elimini la concorrenza allora?
“Sta’ zitto…” Sussurrò rivolto a nessuno mentre incedeva lungo i corridoi tortuosi e stretti del labirinto che era il Dormitorio maschile di Serpeverde.
E il caso, o chi per lui, decise di mettergli quell’opportunità su un piatto d’argento.
Svoltato l’ennesimo varco di pietra si trovò di fronte a Michel Zabini. Di fronte alla sua pelle scura, agli occhi da orientale e ai suoi perfetti zigomi pronunciati. Al ragazzo più bello di Serpeverde che voleva il suo ragazzo.
“Dursley…” Esordì quello, ignaro dei suoi pensieri. Vedendo che non si spostava di un millimetro per farlo passare, aggrottò le sopracciglia. “Ti dispiace?”
Non avendo di nuovo risposta, finalmente capì. Non aveva detto che era intelligente?
“Albus deve avertelo detto, mh?” Interloquì pacato, mentre un sorriso si formava sulle belle labbra piene. Un sorriso cattivo, che normalmente avrebbe suscitato la sua stima. “Alla fine a quanto pare sono riuscito ad avere quel bacio.”

… E Tom non ebbe neanche la chiara percezione di cosa stesse facendo.
Se ne accorse troppo tardi, quando vide il suo pugno sbattere con violenza sul naso aristocratico dell’altro ragazzo.
Sentì lo schiocco di un osso fratturato, un discreto dolore e poi l’adrenalina gli esplose nelle vene.
Quella voce nella sua testa sembrava oltraggiata. Comprensibile. Stava facendo a botte con Zabini in mezzo ad un corridoio come un qualsiasi adolescente cretino.
 
Al stavolta aveva pianto sul serio. Era solo, Tom non sarebbe tornato e si sentiva l’imbecille più imbecille dell’intero mondo magico.
A ben pensarci, anche di quello babbano…
Si era sciolto il lacrime perché si era reso conto che forse quel gesto, tanto pensato e masticato nella sua testa, agli occhi di Tom era sembrata una totale mancanza di rispetto.
Sono un imbecille.
Sentì bussare alla porta e scattò in piedi, asciugandosi le lacrime nella manica del maglione.
“Sarei entrato comunque, avverto.” Lo informò Loki Nott, aprendo la porta. Vedendo i suoi occhi gonfi e rossi, sorrise. “Stavi piangendo? Povero pulcino.”
“Ma va’ all’inferno. Cosa vuoi?” Sbottò cercando di ricordarsi la formula per l’incantesimo decongestionante che Rose usava dopo i suoi pianti migliori.

Un incantesimo da ragazze… Ho davvero toccato il fondo.
“Io, niente in particolare…” Replicò Nott guardandosi le unghie con un interesse del tutto falso. “Però forse ti interesserebbe sapere che Tommy-boy e Mastro Zabini si stanno ammazzando nel corridoio dei ragazzi del Terzo.”
Cosa? Ma è senza bacchetta!” Non era possibile. Tom non era così preciso negli incantesimi senza di essa. Non li avrebbe mai usati in un posto così stretto col rischio di farseli rimbalzare contro.  

Il luccichio divertito negli occhi bicolori di Loki si palesò in tutto il suo splendore.
“Appunto. Stanno facendo a pugni.” Gli squadernò un ghigno estasiato. “Ora se non ti dispiace, vado. Vorrei essere il primo a piazzare le scommesse.”
Al era troppo incredulo per chiedere ulteriori delucidazioni, e lo seguì senza una parola.
Nel corridoio dei ragazzi del Terzo si era formato un ingorgo: un sacco di ragazzi sentendo i rumori erano usciti dalle proprie stanze. Vide anche qualcuno non di quell’anno, e persino qualche ragazza.
Merlino benedetto, devono averli sentiti dalla Sala Comune!
Riuscì a farsi largo tra la piccola folla, e fu davvero grato alla sua spilla di Caposcuola per questo.
Arrivò in prima fila e quando li vide, non seppe se arrabbiarsi o rimanere a fissarli incredulo.
Tom odiava la colluttazione fisica con una tenacia che aveva quasi del pacifismo, se solo non fosse stato di fattura facile; da che lo conosceva non aveva mai usato le mani, nemmeno nei suoi momenti peggiori.
Per questo era inconcepibile che si stesse rotolando nel pavimento con Zabini, che aveva perso del tutto la sua aria composta in favore di un piglio da rissaiolo da pub.
Ovviamente Tom stava avendo la peggio: Michel era uno sportivo, il capitano della loro squadra di Quidditch mentre l’altro era il secchione della Casa. Nonostante questo, Mike aveva il naso grondante sangue e un occhio nero, segno che qualche colpo di Tom Oltre Ogni Previsione era andato comunque a segno.
Gli altri ragazzi invece di fermali li stavano incitando, come norme tra gentiluomini serpeverde prevedevano.
“Spettacolo poco edificante, nevvero dolce Al?” Gli disse all’orecchio Nott, la Coscienza Sporca di tutti loro. “Tu su chi scommetti?”
Doveva farli smettere. Ricordandosi di come Rose avesse fermato la lite scherzosa tra suo fratello e Malfoy, tirò fuori la bacchetta.
Aguamenti!
Uno scroscio d’acqua gelida investì i due litiganti che con smorfie gemelle e imprecazioni si bloccarono, voltando lo sguardo su di lui.

Come fanno certe ragazze a voler essere contese? Lily lo troverà pure divertente, ma io lo trovo agghiacciante.
“Finitela subito prima che chiami il Direttore!” Proclamò, riparandosi dietro la sua spilla. “State dando un’immagine ridicola ed umiliante della nostra Casa agli studenti più giovani!”
Tom non disse nulla, ma ad Al fu ben chiaro dove pensava potesse infilarsi la sua autorità di Caposcuola.

Michel non sembrava poi molto lontano da quel pensiero.
“Al, non ho iniziato io!” Sbottò furioso, lanciando un’occhiata linciante a Tom, che ricambiò di buona misura.
“Non mi interessa! Che diavolo vi è preso?!”
Non avendo risposta, si chinò ed afferrò per un braccio il proprio ragazzo. “Tu vieni con me, e Mike… vattene in camera tua. Per favore.” Lo pregò vedendo un accenno di protesta fiorirgli sulle labbra. “Loki, assicurati che ci rimanga.” Ordinò poi perentorio.
Non aspettò risposta e si fece largo tra gli altri serpeverde, mentre Tom si lasciava trascinare via insolitamente docile.
Quando furono finalmente in stanza, capì il perché di quell’improvvisa mansuetudine: il cretino era pesto da far pietà e si reggeva in piedi per un purissimo capriccio d’orgoglio, specialmente da come si teneva un fianco.
“Stai bene?” Si accorse che la domanda era idiota non appena l’altro lo fulminò con lo sguardo.
“Avrei dovuto prendere la bacchetta.” Disse soltanto, malmostoso.
“Così vi sareste ammazzati sul serio? Perlomeno nessuno di voi due sa fare a pugni…”
“Non direi, Zabini è singolarmente prono alle manifestazioni di violenza babbane per essere un purosangue.” Borbottò lasciandosi cadere sulla poltrona accanto al fuoco con una smorfia. Si toccò l’angolo delle labbra. “… Mi ha picchiato.” Scandì lentamente, come se fosse l’offesa peggiore che fosse mai stata fatta alla sua persona.

“Vi siete picchiati.” Lo corresse, non riuscendo a trattenere un sorriso intenerito alla sua aria inequivocabilmente imbronciata.
Lo ammetteva: aveva avuto paura quando Nott l’aveva chiamato. Negli ultimi tempi il suo ragazzo era stato fin troppo pronto ad essere inquietantemente minaccioso.
Invece era finita tutta in una rissa stupida, degna di grifondoro tonto.
Un sollievo…
Si avvicinò, con la bacchetta in pugno e Tom si ritrasse di istinto, guardandolo con sospetto. “Non fare lo scemo, voglio medicarti… o preferisci andare in infermeria?”
“Non voglio andare in infermeria.” Convenne con una smorfia. Si lasciò disinfettare docilmente il taglio al labbro e i vari lividi che gli stavano fiorendo sul viso, anche se non smetteva di guardarlo male.

“Senti…” Iniziò Al. “So che…”
“Gli ho rotto la bacchetta.” Lo fermò mentre un sorrisetto torvo gli fioriva sulle labbra. “Spaccata in due, a quanto ho potuto vedere.”
Tom!
“Se lo meritava.” Tagliò corto, mentre si lasciava sfilare il maglione dalla testa. Al lo sentì soffocare un gemito, ma non infierì, specie quando gli slacciò la camicia e vide come erano ridotte le sue costole.

Okay. Mike sa come comportarsi in una rissa. Scommetto c’entra quel pazzo di Malfoy.
“Dovrai farti vedere da Poppy, hai delle contusioni abbastanza…”
“Non vuoi diventare un guaritore?” Lo apostrofò. “Allora occupatene tu, visto che è colpa tua.”
“Colpa mia? Non ti ho certo ordinato di andare a fare a botte con Michel!”
“Mi ci hai costretto.” Sibilò a denti stretti. Si guardarono per qualche istante, poi Al capì che qualcuno doveva capitolare. Lui. Quindi non ribatté.

Non gli chiedo certo scusa. Questo proprio no.
Passò la punta della bacchetta lungo le costole maltrattate, mormorando la formula che gli permetteva di capire lo stato delle suddette. La pelle in corrispondenza diventò di un blu tenue.
“Non sono rotte per fortuna…”
“Sì, ma adesso ho la pelle blu.” Gemette Tom guardandolo incredulo. “Cosa…”
“Non lamentarti, il colore andrà via tra qualche minuto. Se eri rosso sì che avresti dovuto preoccuparti, significa che c’era il rischio di perforazione di qualche organo vitale.” Fece per riabbottonargli la camicia, ma Tom mise una mano sulla sua, bloccandolo.

“Sono ancora arrabbiato.” Gli comunicò. “Vorrei ancora ammazzarlo.”
Forse avrei dovuto specificare, quella volta al faro, che non mi deve proprio comunicare tutto ciò che gli passa per la testa…
“Sì… beh.” Replicò piano di rimando, lasciando la mano dove stava, poco sopra al cuore. “Non volevo ferirti, non era questo la mia intenzione quando ho parlato con Mike.”
“Lo so.” Tom fece un lungo sospiro. “Capisco perché l’hai fatto, anche se avrei voluto che prima me lo dicessi.”
“Non l’avevo programmato!”
“So anche questo…” Gli strinse la mano, premendosela sul petto. “… come so che Michel sarebbe sicuramente un compagno migliore di quanto potrò mai esserlo io.”

Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo dagli scoppi dei ciocchi che ardevano nel camino. Se lo meritava, ma Al non aveva voglia di tenere sulla corda Tom, specie con quell’espressione disarmata, bisognosa.
“Non voglio qualcuno migliore di te, voglio te. Quante volte dovrò ripetertelo?”  

Quel poco di rabbia che rimaneva ancora saldamente ancorata nel cuore di Tom si sciolse, perdendosi da qualche parte. Glielo lesse negli occhi. E nel sorriso. “Anche se, certo, avrei preferito che non gli rompessi la bacchetta. È stato davvero una mossa da carogna quella…”
Tom sbuffò qualcosa di incomprensibile. “… ci sono caduto sopra, non l’ho fatto apposta in realtà.”
Al non poté fare a meno di ridacchiare, mentre gli baciava le labbra offese, sottili e fredde.

Quelle erano le labbra che avrebbe baciato per il resto della sua vita.
“È ufficiale. Fai veramente schifo nelle risse, mio caro.”
“Sì.” Ammise, ignorando il sicuro dolore a molte parti del suo corpo, per attirarlo sulle sue ginocchia. “… preferisco infatti un altro genere di colluttazioni. Che coinvolgono te.”
“Non si chiamano colluttazioni, maniaco.”
“Curami, guaritore. E ne riparliamo.”



****
 
Germania del Nord. Notte.
 
Le fiamme si attorcigliavano in volute arancioni, spruzzando lapilli e cenere che cadevano come piccole valanghe sui ciocchi arroventati.
Alberich Von Hohenheim attendeva. Spostava i ciocchi con brevi colpi dell’attizzatoio, abbeverandosi di quelle braci luminose.
Sentì la porta aprirsi e uno dei suoi servitori annunciò l’arrivo del Corriere. Rimpiangeva la mancanza di Johannes; parlava troppo, ma era leale solo a lui, a differenza dei nuovi Corrieri che gli portavano le notizie, devoti alla Thule in quanto organismo.
“Lode alla Thule.” Recitò infatti quello compitamente. “Mio Signore…” Disse inchinandosi. “Non porto buone notizie, temo.”
“Parla.”
“Hogwarts non è penetrabile, in nessun modo. Stavolta il Ministero britannico non ha lasciato nulla di intentato. È impossibile entrare senza far saltare la propria copertura.”
“Capisco.”
Lo aveva immaginato. Solo Sören era riuscito a varcare i cancelli della scuola, ma perché giovane: non si aspettavano che l’Organizzazione avesse dei ragazzini tra gli adepti.

Stese le labbra in un lieve sorriso, beandosi del calore che arroventava l’attizzatoio.
“Come ha intenzione di procedere?”
“Hai detto che ad Hogwarts nessuno può entrare…”
“Nessuno di vivo, Mio Signore, perlomeno.”
Hohenheim scostò un ciocco, facendolo crollare tra una colata di lapilli. E sorrise di nuovo.

“Allora basta che non lo siano.”
 
 
****
 
 
Note:
Un po’ di teen-drama. Ma almeno le cose trai serpentelli si sono in qualche modo messe a posto.
Qui la canzone.

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX

 
 


 
How can I help if I think you're funny when you're mad
I'm the kind of guy who laughs at a funeral
Can't understand what I mean? Well, you soon will
I have the tendancy to wear my mind on my sleeve
I have a history of taking off my shirt…
(One Week, Barenaked Ladies¹)
 
 
Scozia, Hogwarts. Mattina.
Poco prima di colazione, Dormitorio maschile di Grifondoro.
 
Svegliarsi la mattina prima di tutte, vestirsi, rendersi presentabile ed infine sgattaiolare nella stanza del tuo ragazzo non appena l’ultimo inquilino è sceso giù a fare colazione è quasi un’arte.
O almeno Rose Weasley ne era fermamente convinta.
A volte avrebbe preferito che fosse Scorpius a fingersi una specie di spia ninja babbana, ma c’era quel piccolo problema delle scale del Dormitorio delle ragazze, debitamente incantate per diventare uno scivolo ripidissimo non appena un maschio vi posava il piede.
E pensano che noi ragazze invece siamo pure e avulse dai desideri sessuali?
I fondatori erano piuttosto ingenui…
Aprì la porta e trovò Scorpius che si grattava la testa con la parte appuntita di una piuma, reggendo una lista in mano. Compiva grandi passi avanti e indietro coprendo la distanza dal suo letto al grande specchio appeso alla porta del bagno. Era ancora in pigiama e sembrava aver dormito una manciata di ore, dalla faccia.
“Spero che lì dentro non ci sia inchiostro…”
Scorpius sobbalzò, per poi imprecare sonoramente confermando che sì, c’era e gli aveva procurato una vistosa chiazza appiccicosa poco sopra l’orecchio.
Essendo il suo ragazzo di solito immune a quel genere di figuraccia adolescenziale, Rose capì che la situazione era abbastanza seria.
Gratta e Netta.” Pronunciò agitando la bacchetta con un sospiro divertito. “Come va?” Offrì neutralmente.
“Malissimo! Entro domenica devo annunciare il mio Assistente alla corte dei Presidi riunita o qualcosa del genere… solo che non so per chi decidere.” Emise un lamento sconfortato. “Mi si sono proposti in trenta!”
“E tu non puoi scremare?”
“Non sono mai stato bravo in questo genere di valutazioni… Forse non dovrei scegliere nessuno.” Replicò di malumore: a giudicare dalla condizione dei suoi capelli, una specie di massa confusa di corni e ritrose, doveva aver passato veramente tutta la notte con quella lista.

Scorpius poteva sembrare un ridanciano e sventato scemo, che prima agiva e poi pensava secondo i sacri dettami Grifondoro, ma non era vero. Prendeva sul serio le cose.
Solo che non lo fa vedere a nessuno, quasi fosse un difetto…
“Dura la vita del Campione, eh?” Lo stuzzicò comunque, rimediandosi un’occhiataccia livorosa.
“Sì, lo so. Me l’ha detto anche Potty. Te lo sei scelto tu, quindi non rompere.”
“Breve ed efficace… Jamie a volte ha dei picchi di intelligenza inaspettati… Dai, dà qua.” Capitolò infine prendendogli la lista: dopotutto aveva deciso di dargli una mano, e gliel’avrebbe data, anche a costo di tacitare quella voce nella testa che le urlava che era tutto sbagliato e che doveva far cessare quella follia prima che l’idiota venisse ammazzato da qualche incantesimo o creatura mostruosa.

Del resto gli altri due Campioni hanno già scelto…
Dominique aveva scelto suo cugino Mael, che Rose sperava fosse più furbo di quanto sembrasse in apparenza, e il tedesco aveva scelto un altro tipo, sgradevole esattamente quanto lui, sebbene Lily non facesse che dir loro che era una persona favolosa. Sören, si intendeva.
Comunque, qualunque fossero i suoi giudizi in merito, quella era gente preparata.
“Oh, no! Scordati McLaggen! Voglio avere un futuro come coppia!”
“Sì, beh… in effetti avevo pensato di toglierlo, ma la sua famiglia mi ha mandato un pacco enorme da Mielandia… ma probabilmente stanno cercando di corrompermi…” Aggiunse velocemente, vedendo la sua faccia. “Lo so, ma è un buon giocatore di Quidditch! Ed è un prefetto!”
“Grazie alla sua famiglia, Scorpius. Gli Assistenti non possono essere dei bambocci raccomandati. Devono occuparsi della fase preparatoria, delle indagini sulla natura della prova che verrà affrontata. Manca un mese, tu non hai un Assistente e non sai neanche cosa ti colpirà!”

“Che prova dovrò affrontare.” Le suggerì dolce.
“Sì, beh… è lo stesso!” Borbottò, ignorando la sua aria divertita. “… McLaggen no, comunque. Totalmente no.” Ribadì spuntando con un frego violento il suo nome dalla lista.
“Posso fare a meno dell’Assistente, non è obbligatorio.”

Tu ne avrai uno. Avrai tutto l’aiuto possibile!”
Scorpius inarcò le sopracciglia, fingendo assoluta meraviglia. “Ma ho già te!”

Ecco, questo le chiuse doverosamente la bocca. Rose pensò che con le frasi ad effetto il suo ragazzo era un re. Specialmente se seguivano uno dei suoi baci che le facevano persino dimenticare dove si trovasse, quanto tempo avessero e…
Oh, al diavolo.
Furono bruscamente risvegliati dalle urla gioiose di due idioti dal piano di sotto e dallo scoppio di un incantesimo.
Odio Hogwarts. So che non dovrei dirlo, che è stata proprio la scuola a farci conoscere e unire, ma… non si ha un solo maledetto momento per sé stessi qua dentro!
“Sono un Prefetto…” Brontolò Rose, lasciando comunque che le baciasse la punta del naso e l’angolo morbido delle labbra. “Devo andare a controllare.”
“Potresti essere tu la mia Assistente…” Suggerì Scorpius mentre attentava alla sopravvivenza del suo maglioncino. “… sarebbe perfetto, no?”

“Io ti darò una mano lo stesso… ed in ogni caso, se fossi una buona candidata avrei già capito a cosa devi andare incontro…” Brontolò allontanandolo con una mano, mentre Scorpius sbuffava divertito.
“Ti vuoi rilassare? Ho ancora un mese per scoprirlo, e so che si tratta di una prova fisica. Il che significa allenamenti al Club dei Duellanti con Michel e corsa ogni mattina. Mi sto preparando, veramente!”
“E stamattina?”
“Beh, la lista? Priorità!”
Rose annuì, ma sentendo un nuovo rumore orrendo, come di qualcosa che stesse franando, alzò gli occhi al cielo. “Devo andare. Vestiti, ci vediamo in Sala Comune. Ah, e dammi la lista… me ne occuperò io. Tu sei troppo buono.”
Aye aye sir!” Recitò il ragazzo, con un grande sorriso grato. “Sii crudele, mi raccomando. Confido in te.”
“Tu in realtà sei una serpe, ammettilo…” Replicò con un sorrisetto.

Scorpius rise.  
 
****
 
Sala Grande, Colazione.
 
“È solo un’uscita Tom! Non mi sembra questa gran cosa!”
“Appunto. Non basta che tua sorella faccia le presentazioni a pranzo o a cena?”
Albus sospirò esasperato all’ennesimo rifiuto del tutto irragionevole del suo ragazzo: sapeva che odiava quel genere di cose e si era aspettato quell’ostruzionismo.

Ma ehi, è troppo sperare che per una volta si comporti come una persona carina e disponibile?
Ovviamente sì. 
Certo, esporglielo a colazione, mentre era preso dal compito supremo di mangiare era stata una pessima idea.
Ma chissà, speravo che intontito dal sonno com’è mi dicesse di sì soprappensiero…
“Lils ci tiene a presentarci ufficialmente Sören, scemo misantropo.” Ripeté per forse la terza volta. “E credo sia anche arrivato il momento, visto che è qui da quasi due mesi.”
Tom inarcò il sopracciglio, come se avesse detto una cosa molto sciocca. “Quelli di Durmstrang non mi sembra brillino per desiderio di ampliare le proprie amicizie. Personalmente, apprezzo.” Fu la conseguente risposta annoiata.

Oh, ma va’ al diavolo. 
“Faremo quest’uscita, fine della storia.” Chiuse il discorso bevendosi un sorso di the bollente e fingendo che non avesse voglia di sputarlo.
“È bollente.” Gli fece notare Tom mascherando un sorrisetto.
“Lo so. Sta’ zitto.” Borbottò divorando uno scones per non urlare. “L’uscita, la faremo.” Ripeté ad ogni buon conto.
“Non puoi costringermi.”
“Otto mesi. Disperazione. Nessun Gufo.” Snocciolò lentamente, piantandogli occhi nei suoi. “Otto mesi.” 
Tom inspirò lentamente, ma non osò ribattere.

Ah!
“… Me lo farai pesare per sempre, vero?”
“No, solo molto a lungo.” Replicò sorseggiando soddisfatto il suo the, adesso bevibile.

Era convinto che una parte di Tom, quella che adesso lo guardava con un’aria che sarebbe stata più appropriata in camera da letto, fosse in realtà intrigata dalla sua parte più serpeverde.  
Il loro scambio di sguardi fu interrotto dall’apparizione di sua cugina e Malfoy, che sedettero loro accanto.
“Ci serve una mano.” Esordì Rose mentre Malfoy annuiva meccanicamente, con aria disperata.

“L’assistente.” Annusò subito Tom. “Non è un po’ tardi per avere le idee confuse?” All’occhiataccia tripla che lo investì si limitò a scrollare le spalle. “Chiedevo…”
Albus, che era un serpeverde, ma non così, sorrise invece supportivo. “Sono sicuro che avete un sacco di opzioni!”
“È questo il punto mini-Potter, sono troppi!” Si lamentò il biondo con una smorfia, addentando un muffin per la frustrazione. “La maggior parte di loro sono bravi ragazzi, mi dispiacerebbe dirgli di no…”
“Rosie, perché non tu?” Suggerì, anche se già conosceva la risposta. La cugina infatti si mordicchiò un labbro, e scosse la testa.
“Sarebbe troppo sospetto Al…” Scrollò le spalle. “E comunque non sono tagliata per queste cose.”
“Se mi dovesse succedere qualcosa alla Prima Prova sarebbe lei a dover affrontare le altre. Non se ne parla.” Soggiunse Scorpius con aria ferma. “No, maschilista a dirlo, ma non mi sentirei a posto se dovesse essere una ragazza a gareggiare in vece mia.”
“Il fatto è che molta di questa genere vuole questo titolo solo per farsi bella…” Si lamentò Rose tormentandosi una ciocca di capelli mentre sorseggiava caffè. “E tolti quelli troppo giovani, troppo stupidi, troppo avventati o inaffidabili…”
“Mi serve un tipo con cervello in abbondanza e sangue freddo. Non è solo una questione di fiducia, ma di tattica.” Riassunse Scorpius grattandosi il mento meditabondo.

“Si sono proposti solo Grifondoro e Tassorosso?” Chiese Tom con un sorrisetto da schiaffi. Albus pensava la stessa cosa naturalmente, ma gli tirò comunque un ceffone sulla spalla, perché non era carino esprimere certi razzismi ad alta voce.
Risparmiamoli per la nostra Sala Comune, che diamine!
Scorpius non sembrò particolarmente irritato, a differenza di Rose, ma anzi rise. “Già. A quanto pare a voi Serpeverde  e ai Corvonero non interessa la Gloria Eterna…”
“Sì, in effetti siamo più attaccati alla nostra vita che alle nostre ambizioni.” Convenne Tom accettando la stoccata.
Trascorsero il resto della colazione a guardare la lista. Tom, forse memore della conversazione di prima, nonostante dispensasse casuali frecciatine, si mise d’impegno ad analizzarla assieme a loro.
Alla fine convennero che non c’era un solo candidato decente, e Scorpius chiese loro di scortarlo fino a lezione, visto che veniva costantemente placcato da gruppi di pretendenti, ansiosi di conoscere la sua decisione.
“Forse dovresti lasciar perdere. Dopotutto non è obbligatorio avere un secondo.” Suggerì Tom, il cui momento di grazia comunicativa continuava. Al era convinto che in fondo stimasse Malfoy, e la cosa sembrava anche ricambiata.
Dopotutto la sera della festa per l’ammissione di James, il biondo, piuttosto brillo, gli aveva confessato che trovava che fosse simpatico come suo padre, Lord Draco Malfoy.
Al aveva riso per dieci minuti di fila dell’aria sconcertata di Tom, evidentemente indeciso se considerarla un’offesa o un complimento.
“Forse hai ragione… Non scelgo nessuno e faccio contenti tutti. O perlomeno, meno seccati.” Convenne Scorpius.
Vennero stoppati sulle scale per il secondo piano, causa rischio collisione con un trafelato professor Paciock che quasi li travolse senza degnarli di un’occhiata. La cosa aveva del singolare, quindi rimasero a guardare l’uomo che scese le scale per andare ad accogliere due maghi all’ingresso principale.
“Salve, salve! No, no… il carico va portato alle Serre, non qui!” Esclamò, tanto forte che poterono sentirlo persino da quella distanza. “Le Serre sono fuori dal Castello!”
“Poteva dircelo prima!” Replicò sgarbato il più giovane. “Sa quanto ci vuole per spostare stamine così giovani senza svegliarle?”
“Falla finita…” Lo riprese il più vecchio, probabilmente il padre. “Nessun problema professore, ma ci servirà una mano. Vada a prendere qualcosa per coprirsi le orecchie, che son nervosette.”
Neville annuì. “Sì, seguitemi, ho già tutto quello che mi serve!”
E sparirono oltre il grosso portone.

“Di che parlavano?” Chiese immediatamente Rose. “E poi da quando si consegna materiale didattico così tardi?”
Forse non era materiale didattico.” Suggerì Tom che fissava il portone con aria assorta. “Quei maghi non vengono da Hogsmeade, l’accento era irlandese.”
“È vero, solitamente c’è un negozio di Botanica Magica in città da cui si serve sempre zio Neville, e quelli non erano i soliti commessi.” Intervenne Al, l’unico in grado di parlare con cognizione di causa.

Erbologia è una materia stupenda… Non capisco davvero perché venga abbandonata al Quinto dalla maggior parte degli studenti! Il programma avanzato è complesso okay, ma…
“Appurato che non è materiale per le lezioni…” Osservò Scorpius, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “… può centrare con la Prova!” Si illuminò, prima di adombrarsi con la stessa velocità. “Dovrò affrontare una pianta gigante o qualcosa del genere?”
“Non credo.” Osservò Tom. Fece un sorrisetto, come sempre faceva quando arrivava a qualche conclusione. Al sbuffò esasperato.

Ma non dice nulla, perché si diverte come un matto a tenere le persone sulle spine.
Il mio ragazzo è odioso.
“Cioè?” Interloquì Rose con quell’aria nervosa che tanto divertiva Tom. “Orecchie coperte, urla…” Si bloccò prima di aprirsi in un largo sorriso consapevole. “Mandragole! Hanno portato delle Mandragole!”
“Scusa?” Scorpius assunse l’espressione di chi non stava capendo nulla della conversazione in cui si supponeva fosse coinvolto. “Dovrò affrontare una specie di brutto nanerottolo fatto d’erba?”
“No…” Scosse la testa Tom, assottigliando lo sguardo in direzione della porta, meditabondo. Prima però aveva lanciato un’occhiata sorpresa e insolitamente valutativa a Rose. “… ma è chiaro che si tratti di parte della Prima prova. Le specie più potenti si trovano in Irlanda, se non mi sbaglio… portarle in Inghilterra è un dispendio di energie, galeoni e cavilli burocratici che difficilmente sarebbero scomodati per … Erbologia.”
“Guardate che Erbologia è una gran materia…” Si sentì in dovere di chiarificare Albus, indispettito. “Perché ci dice che quando le Mandragole vengono trasportate, se sono molto giovani, tendono ad agitarsi e a cercare di uscire dal vaso. Questo spiegherebbe anche perché zio Neville debba coprirsi le orecchie. La voce degli esemplari giovani non è mortale ma può mettere k.o. per diverse d’ore. Torna tutto, no?”

Rose si mordicchiò l’angolo di un’unghia. “Sì, ma…” Iniziò per poi lasciar perdere.
Scorpius sembrava sempre più dubbioso. Al poteva capirlo: neppure lui aveva la minima idea del perché la scuola avesse ordinato Mandragole irlandesi.
Non sarebbe neanche granché come Prova. Sapere che basta mettersi un paraorecchi per neutralizzare le loro urla è roba del Secondo anno…
“Basilisco.” Pronunciò lentamente Tom, facendoli tutti voltare verso di lui. Al pensò che un po’ se la stava persino godendo. Aveva la sua solita espressione neutra, ma gli occhi gli brillavano. “La Prima prova sarà un Basilisco.” Ripeté.
Rose fu la prima ad aprire bocca, quasi un filo di voce. “Che cacchio stai dicendo? Come fai a saperlo?”
“L’estratto di Mandragola, distillato dalle radici di un esemplare adulto, serve per preparare un infuso che cura la Pietrificazione…” Lanciò uno sguardo all’altro serpeverde. “Se non mi sbaglio.” Aggiunse senza intenderlo veramente.
Il silenzio che ne conseguì, per Albus fu uno dei più assordanti a cui ebbe la sfortuna di presenziare.

Tom, vedendo che tutti lo stavano fissando come se stesse per cruciare qualcuno, ebbe almeno la cura di mostrarsi serio e composto quando terminò la sua analisi. “… Visto che non mi risulta ci sia un’infestazione di serpenti giganti, è più probabile che la scuola si sta tutelando dall’eventualità che un Campione rimanga pietrificato mentre affronta un Basilisco.”  
Rose aveva l’aria di chi aveva voglia di prendere a calci qualcuno o mettersi a piangere. Persino Scorpius, il Grifondoro d’Oro, sembrava leggermente inquieto.
Fu lui infine a schiarirsi la voce, guardando Tom come se lo vedesse per la prima volta.
“Senti Dursley…” Esordì con voce pacata, ammirevole visto che aveva appena scoperto che poteva essere il pasto di una creatura mortale. “Non è che ti va di diventare il mio secondo?”
 
 
****
 
Londra, Diagon Alley, Accademia Auror.
Ora di pranzo.
 
“Voglio fare sesso.”
James lo brontolò guardando con odio il panorama che si vedeva dal tetto piatto dell’Accademia.

Era più che altro una dichiarazioni di intenti. L’unico con cui avrebbe voluto farlo stava a leghe da lì, preso dai suoi compiti da professorino.
Robert ‘Bobby’ Jordan, Allievo Auror come lui, alzò lo sguardo dall’accurata preparazione della sua sigaretta artigianale.

“Spero non con me, fratello. Ti voglio bene, ma sono felicemente accasato con una ragazza.” Rispose placido, perché poco o niente lo sconvolgeva.
“Senza offesa, Bobby, ma non sei il mio tipo…”
“È molto razzista quel che stai dicendo.” Replicò  con aria falsamente indignata.

“Mi dispiace deluderti, ma ho giocato tra le lenzuola anche con uno dei fratelli.” Replicò scrollando la cenere della sua sigaretta: pensare a Zabini gli dava ancora un sottile senso di disagio. Le cazzate si facevano in due in quei casi, ma sapeva di non essersi comportato nel migliore dei modi con il serpeverde. “E comunque rimane il fatto. Odio l’astinenza forzata.”
“Il professor Lupin non è ancora venuto a trovarti?”
“No. Ha da fare. E non chiamarlo così…” Fece una smorfia, appoggiandosi a braccia conserte sulla ringhiera. “La fai sembrare una cosa, che so, torbida!”
“Un po’ lo è. Insomma, era un nostro professore.”  

“Precocemente tale, giovane e lo conosco da una vita. Vogliamo davvero parlare di questo?”
“No, visto che sono etero.”
“E chi ha detto che mi interesso solo ai maschietti?” Si sentì in dovere di sottolineare. “Ma almeno tu la tua Jolene ce l’hai in casa… io ce l’ho in Scozia. Scozia, okay?”
Bobby mimò quel movimento. “C’è sempre un onesto solitario, Jimmy.” Chiarificò persino.

“Fottiti.”
“Ehi, è una tua scelta ed io la rispetto, ma è il rovescio della medaglia quando vuoi mantenere monogama una relazione a distanza …”   

James grugnì una maledizione non impegnativa: in realtà era contento di avere il buon vecchio Bobby a condividere con lui quell’avventura Auror. Gli mancavano gli Scamandro, con i loro ‘capo’ e la fedeltà assoluta alla sua legge malandrina.
Le cose cambiano… Si diventa grandi, come dice sempre Lils.
Gli mancavano anche i suoi fratelli. Non era abituato a non sentir più le battutine di Lily o le raccomandazioni pallose di Al almeno una decina di volte al giorno.
Cristo, ho passato un’intera vita ad averli trai piedi…
Si sentiva un po’ solo, e neanche le lunghe, romantiche – lo erano, era inutile che l’altro negasse – lettere di Teddy o quelle marcatamente folli di Malfoy lo tiravano su di morale.
Oltre a questo, non ho ancora trovato un maledetto coinquilino… E visto che per fare l’Allievo Auror non ti pagano…
La sua padrone di casa, una vecchia strega con più gatti in casa che simpatia, gli aveva già mangiato due mesi di affitto. Integrale. Di quel passo, il suo conto alla Gringott si sarebbe estinto entro al fine dell’anno seguente.
“Ehy, tirati su di morale!” Lo spronò Bobby. “Forse ho trovato una soluzione ad uno dei tuoi problemi!”
“È bello che tu mi ricordi che ne ho parecchi…” Ironizzò, ma si voltò verso di lui. “Sarebbe?”
“Ti ho trovato un coinquilino. Hai presente mio cugino Lionel?”
“Quello che è stato beccato dalla McGrannit, quando era ancora Preside, con la borsa piena di erbe aromatiche babbane?” Interloquì incredulo: si ricordava di lui, era al Settimo di Grifondoro quando lui era ancora al primo. Un tipo alternativo, con una gran massa di dreadlocks lunghi fin sotto il sedere.  

“Ma dai, che era roba da niente! Comunque adesso ne è fuori.” Gli assicurò spigliato. “Lavora alla Gringott come spezza - incantesimi ed è sempre in giro per mezzo globo. Ma quest’anno dovrà starsene buono, perché si è beccato non so quale fattura in Turchia, e deve fare controlli periodici al San Mungo.”
“… Non stai facendo venire molta voglia di averlo in casa…”
“Eddai! Ti dico che è a posto, fidati no? E poi è gay.”
“E questo che c’entra?” Sbottò indignato. “Siamo per caso tra babbani, che si fa discriminazione? Meglio avere un coinquilino con gli stessi gusti per evitare casini?”
“Rilassati! Merlino Jimmy, hai una coda di paglia infinita!” Sbuffò l’altro divertito. “Ovvio che no, ma è sempre meglio avere qualcuno in casa che si trova a proprio agio all’idea, no?”
“Ah-ah…”
“Ascolta, conosce un sacco di gente forte.” Inarcò le sopracciglia significativo. “Organizza party da sballo, fratello. Qual è il tuo problema?”
“Nessuno, solo…”
“Okay. Te lo devo proprio dire.” Scosse la testa con disapprovazione. “Amico, da quando sei uscito da Hogwarts sembri un pensionato.”

James serrò le labbra, mentre sentiva il suo orgoglio di festaiolo urlare sofferente, finalmente ascoltato. Perché Bobby non aveva tutti i torti, la realtà è che si era infossato nella routine.
Quell’estate l’aveva passata con Teddy, o in mezzo ai suoi cugini e a lunghe partite di Quidditch alla Tana. Aveva sistematicamente rifiutato tutti gli inviti degli ex-compagni in favore della sua famiglia e delle serate di sesso bollente con un Teddy appena uscito dall’armadio².
Il che non è necessariamente un male, eh…
Dopotutto era stata una diretta conseguenza degli eventi successi l’anno prima – c’era bisogno di lui in una casa in lutto per la supposta perdita di quel deficiente di Tommy. Ma adesso con la situazione normnalizzata, Ted lontano e tutti i cugini ad Hogwarts, non aveva scuse.
Non ho ancora fatto un party decente da quando sono qui, se non si conta quello per la mia ammissione. Cazzo!
Lo realizzò con sgomento. Bobby sembrò leggergli nel pensiero, perché ghignò comprensivo.
“Eggià, Jimmy. Mi sei diventato moscio. Capisco che l’Accademia sia dura, sto qua con te… ma non è possibile che la tua nuova idea di sabato sera sia andare al pub a giocare a freccette con quei noiosi degli Allievi ex-Tassorosso…” Soggiunse con aria impietosita. “Abbiamo diciotto anni. È nostro dovere divertirci…”
“Lionel organizza feste da urlo, eh?”
“Da chi credi che abbia preso le idee migliori per i nostri party di fine anno? E poi così potrai finalmente pagare solo metà-affitto.”
“Okay.” Sorrise, vinto dalla ragionevolezza delle argomentazioni. “Digli che può mandarmi un Gufo quando vuole per vedere l’appartamento.” 

Bobby gli sorrise con approvazione. Poi il discorso si spostò sul Torneo Tremaghi, che teneva costantemente vivo l’interesse della comunità Magica anche fuori da Hogwarts.
Ne discussero un po’, ma sentendo le prime gocce di pioggia abbattersi impietosamente sulle loro teste, decisero di rientrare.  
L’ambiente dell’Accademia era quanto di più funzionale e spartano potesse esserci. I corridoi erano in mattoni scuri, di quelli che tanto andavano nel periodo post-prima guerra magica. Alle pareti erano appesi manifesti di reclutamento o quadri di Auror celebri, ormai morti. James aveva passato venti inquietanti minuti a scambiare quattro chiacchiere con il ritratto di Malocchio, poco meno di un mese prima: era stato divertente fino a quando il vecchio Auror aveva cominciato a subissarlo di raccomandazioni. Erano giorni che si svegliava urlando ‘Vigilanza Costante’.
“Ti dirò… secondo me Malfoy potrebbe vincere il Torneo.” Riprese il discorso Bobby, mentre entravano nell’ascensore che li avrebbe portati al Quadrato, il cortile dove si svolgevano le esercitazioni pratiche. “Fidati, quel bastardo sa il fatto suo.”
“Sì, me ne sono reso conto l’anno scorso…” Bobby, uscito, si bloccò, guardando qualcuno di fronte a loro. “Ma quello non è tuo padre, Jimmy?”
James alzò lo sguardo dalla contemplazione di una bruciatura sulle nocche, cicatrice da esercitazione. Harry Potter era appena apparso da uno dei camini della Sala Centrale e si stava spolverando il mantello di ordinanza.
Papà? Da quando viene all’Accademia?
Solitamente non ci mette piede, se non per la cerimonia di inizio corsi!
“Ehi, Jamie, cercavo proprio te!” Esclamò questi, mentre si puliva le lenti dagli schizzi di pioggia. Doveva essere arrivato da poco a giudicare dalla mancanza del solito corteo di giovani reclute ammirate.
“Ciao vecchio.” Gli sorrise di rimando, mentre l’amico assumeva la tipica aria di chi vorrebbe dire qualcosa di arguto per farsi notare dal celebre Salvatore ma ritiene al tempo stesso l’idea una cretinata. “Ti ricordi di Bobby?” Aggiunse poi in onor di amicizia.
“Certo, il figlio di Lee, vero?” Gli strinse la mano. “Come sta tuo padre?”
“Bene, uhm… grazie Signore.” Sorrise a trentadue denti il ragazzo. “Molto bene.”
“Sento il suo programma alla radio ogni sera. Io e Ginny lo adoriamo. Portagli i miei saluti.” Suo padre negli anni aveva imparato come maneggiare la celebrità. James il suo sembrare sempre compassato, quando in realtà aveva solo una gran voglia di svicolare da quel genere di attenzioni. “Jamie, la tua pausa pranzo è già finita?” Chiese infatti.

“No, ho ancora una mezz’oretta.”
“Avrai già mangiato, ma potremo andare a prenderci comunque qualcosa qua vicino, magari da Fortebraccio. Ti va?” Propose gentilmente. James si sentì di nuovo come quando, da bambino, eseguiva una manovra particolarmente complicata sulla scopa.

Era da tanto che suo padre non lo portava a prendere il classico gelato padre-figlio.
Le possibilità che accadesse di nuovo si sono drasticamente ridotte quando gli ho detto di me e Teddy…
“Sicuro, mi avanza sempre il posto per il dolce!” Captò lo sguardo del padre, che era sulla scia di ‘solo io e te, per favore’ e aggiunse. “Ci si vede all’esercitazione Bobby!”
“Ah, certo…” Mormorò quello deluso. “Arrivederci Signor Potter.”

Quando furono soli, suo padre smise la maschera di eroe alla portata di tutti, per sospirare. James rise. “Pessima giornata, signore?”
“Non hai idea di quanto…” Gli sorrise stancamente. “Non volevo toglierti dai tuoi amici, comunque…”
“No problema. Sono il figlio maggiore, è mio compito essere il bastone della tua vecchiaia!” Esclamò, schivando poi il conseguente scappellotto affettuoso.

 
 
****
 
Londra, Diagon Alley. Da Fortebraccio.
Pomeriggio.

 
Harry Potter si sentiva un padre fiero. E lo era, veramente.
Aveva dei figli meravigliosi, in gamba e che un giorno sarebbero tutti diventati maghi e streghe di valore.
E nell’equazione non includeva solo quelli che portavano il suo cognome, naturalmente.
Non avendo avuto figure genitoriali vere, che avesse potuto chiamare tali senza sentirsi in qualche modo debitore della considerazione che gli veniva rivolta, era sempre stato spaventato dall’eventualità di essere un padre fallimentare.
Ginny lo rassicurava in tal senso, dicendogli che aveva gli stessi meriti e gli stessi difetti di un padre qualunque.
Non le aveva mai detto che lui, per i suoi figli, avrebbe voluto essere un padre più che nella media.
Altrimenti chi la sentirebbe… Harry, piantala subito con questa sindrome del Prescelto!
Porse la cioccolata aromatizzata al suo primogenito, che lo aspettava al tavolino. Da lontano, il figlio di Florian Fortebraccio, reinventatosi dispensatore di cibi e bevande calde, li guardava benevolo, come una volta suo padre aveva fatto con lui.
James diede un lungo sorso, espirando poi con soddisfazione. “La cioccolata migliore di Diagon Alley! Giuro, neppure ai Tre Manici è così buona!”
“Vero… mi ricordo quando qui venivo a prendere il gelato, in estate e…”
“… Florian, il padre di Dexter, ti aiutava con i compiti.” Ripeté compito il ragazzo, ridendo subito dopo della sua aria confusa. “Papà, lo dici ogni volta che veniamo qui. Lily però è più brava di me ad imitarti  … il che è notevole visto che è una ragazza.”
Harry sorrise, accettando il punto: ritagliarsi un po’ di tempo con James era qualcosa che doveva fare da parecchio tempo. Gli impegni glielo avevano impedito, certo, ma avrebbe mentito se non avesse ammesso che provava ancora un certo imbarazzo a confrontarsi con suo figlio.

Il fatto – nonché problema - era che si era finalmente accorto di quello che adesso era James.
Era sempre stato più semplice vederlo come un ragazzino leggermente cresciuto, che faceva i dispetti a tutti e si lagnava se tentavi di pettinargli i capelli.
L’epifania sessuale di suo figlio, seguita dalla rivelazione di avere una relazione con nientemeno che Teddy, aveva messo Harry di fronte al fatto compiuto: James era un cresciuto.
Il punto non era che Teddy fosse un uomo.
Beh, magari mi sarebbe piaciuto avere dei nipotini, ma me ne farò una ragione.
Tra qualche anno.
Non gli era mai importato chi amava chi: era il verbo a fare la differenza, non certo il soggetto.
Gli era stato insegnato che l’amore faceva la differenza, ed era con quello che aveva vinto Voldemort.
Con che coraggio quindi avrebbe potuto controbattere a suo figlio?
Ed Harry adesso sapeva che c’era bisogno di una dichiarazione di intenti più esplicita.
Glielo doveva. 
Quindi aveva riesumato la sua vecchia determinazione Grifondoro e aveva deciso di andare a parlargli. Faccia a faccia.
“Papà? Stai in silenzio da cinque minuti, va tutto bene?” La voce preoccupata del figlio lo distolse dal flusso dei suoi pensieri.
Ginny ha ragione, non mi toglierò mai la brutta abitudine di perdermi in me stesso.
Beh, nessuno è perfetto.
Gli sorrise. “Certo, stavo solo pensando…”
“Problemi di lavoro?” Interloquì con un guizzo curioso nello sguardo. Harry ricordò con affetto quando da piccolo gli correva incontro, tornato dal lavoro, per farsi prendere in braccio e raccontare la sua giornata.

E come si arrabbiava se si accorgeva che me la stavo inventando per non raccontargli troppi particolari…
“No, non più del solito. Te ne accorgerai quando finirai l’Accademia…” Lo rabbonì alla sua espressione esasperata – no, non aveva smesso di sentirsi irritato per le mancate informazioni. “… non più del solito sarà la tua risposta standard.” Gli assicurò facendolo ridacchiare. “In realtà mi stavo chiedendo come le cose andassero a te.”
“Oh, alla grande!” Minimizzò come suo solito, con uno di quei ghigni che avevano indubbiamente saltato una generazione Potter. “Insomma, sono il migliore là dentro, non per vantarmi…”
“Non per vantarti, eh?”
“Sicuro! Se volessi vantarmi ti direi che mi sento già pronto per il Diploma!” Scrollò le spalle, prima di lanciargli un’occhiata di traverso, modo che aveva per fargli intuire che stava scherzando, ma non troppo.

“Bene… e l’appartamento?”
“La padrona, lo sai, è una specie di megera. Anzi, credo sia una mezza megera, ma potrebbe andare peggio. Anzi, ormai ho fatto amicizia con il barbone banshee all’angolo. Non mi urla più addosso mentre passo… l’altro giorno, pensa, ha pure salutato. Almeno credo. Non si capisce bene, con quella loro lingua strana…”
Harry rise. “Questo è meglio non dirlo a tua madre però.”
“Totalmente!” Annuì con vigore. “Se sapesse una cosa del genere mi costringerebbe a tornare a casa, e spiacente, ma la vita da mago indipendente non è poi così male.”
“E con Ted?” La domanda gli uscì più facilmente di quanto avesse pensato. Non riusciva ancora a chiamarlo Teddy – c’era una parte di sé che era arrabbiata col figlioccio per aver agito alle sue spalle e essersi preso il suo bambino. Non poteva farci niente.

Ma si può sempre migliorare…
James lo guardò stupito per un attimo. Poi si aprì in un largo sorriso da bambino contento che gli strinse il cuore.
Si sarebbe maledetto da solo: avrebbe dovuto fargli quella domanda molto prima.
“Bene! Adesso se ne sta ad Hogwarts, lo conosci. Lo metti in mezzo ai libri e a cose noiose come i doveri scolastici e non riesci a scollarlo di lì neanche a schiantarlo…” Il sorriso cambiò sfumatura, perché non era rivolto a lui: ad Harry ricordò quello che Ginny gli rivolgeva nella loro adolescenza convulsa e disperatamente innamorata. Forte e sincero.
“Vero…” Si risolse a dire. “Non vi siete ancora… ehm. Visti?”
James scosse la testa, bevendosi un altro sorso di cioccolata. Supponeva per nascondere la smorfia scontenta che gli era salita al viso. I suoi figli erano sempre trasparenti.

O come mi piace pensare, sono ancora in grado di leggerli…
“Sì, un paio di volte. Il Tremaghi lo tiene impegnato. Sai, come direttore di Tassorosso deve occuparsi dell’organizzazione, insieme agli altri Direttori e al Preside. Ed essendo, tipo, il più giovane e carino quella Gigantessa francese…”
Madame Maxime, Jamie…”
“Sì, quella… beh, non fa che chiamarlo per questa o quella cosa. Per le palle di Merlino!” Non riuscì a trattenersi. “E poi non è come se potessi andarlo a trovare sempre. Ho lezione piena da lunedì a venerdì e la domenica se non vado a pranzo dalla nonna mi viene a prelevare di persona… e poi sabato sto da voi.”
Harry subì lo sfogo con sia una punta di disagio che di divertimento. James si stava lamentando esattamente nel modo in cui l’aveva sempre sentito lamentarsi da bambino, quando Ted preferiva Villa Conchiglia a casa loro.

Forse avrei dovuto accorgermene prima…
“Penso che per un paio di sabati io e tua madre potremo fare a meno di te.” Disse anche se a malincuore. Con Albus e Lily a scuola la casa gli sembrava sempre un po’ vuota. Riavere almeno James era bello.
James lo scrutò incerto. “Sì… beh. Okay.” Disse con un brontolio ispido che Ginny sosteneva poteva aver ereditato solo da lui. “Grazie…” Aggiunse, ed Harry fu certo che si riferisse anche ad altro.
“Non devi ringraziarmi… Solo fatti vedere ogni tanto, okay?” Scherzò per stemperare l’imbarazzo di entrambi. “Piuttosto, ho saputo che Malfoy è diventato Campione.”
James sorrise, grato di quell’argomento improvvisamente meno spinoso. “Già! Zio Ron come l’ha presa?” Lo sguardo che gli rivolse lo fece scoppiare in una risata. “Andiamo… Scorpius è in gamba, veramente!”
“Ne sono sicuro… ma sai com’è tuo zio con i Malfoy.”
“Beh, ma lo detestavi anche tu, no? Dico, a scuola…”
“È passata tanta acqua sotto ai ponti. Ci sono persone peggiori al mondo di Draco Malfoy. Scorpius poi, a quanto mi hai detto, è una persona completamente diversa.”

“Se non fosse che hanno la stessa faccia, direi che non è figlio di quel tizio.” Annuì con vigore. “Non ha avuto vita facile per colpa della sua famiglia. Forse se vincesse il Torneo farebbe cambiare idea persino a zio Ron!”
“Uhm.” Replicò Harry saggiamente. Da parte sua ne dubitava. Il suo decennale amico aveva un problema con il giovane Malfoy che andava oltre la pervicace antipatia che nutriva per il resto della sua famiglia. Era infatti convinto che Scorpius traviasse la sua adorata primogenita con un’amicizia interessata solo ad arrivare alla sua innocenza.

Le cose secondo Ginny non stanno così. Secondo lei, Rosie e il ragazzo stanno già assieme.
Non che lo abbia detto a Ron, nessuno di noi vuole vederlo ad Azkaban per aver affatturato un mago appena uscito dalla minore età.
“No, eh?” Indovinò James con un sospiro. “A volte zio Ron è un po’ limitato… Dico, nei suoi orizzonti.”
“Ha molte belle qualità…” Rispose evasivamente, perché voleva bene all’amico come un fratello, ma non poteva nascondere i suoi difetti, quelli evidenti come case perlomeno. “Sai com’è fatto. Crede sempre che la mela non cada lontano dall’albero, sia nel bene che nel male…”
“Scorpius vuole diventare un Auror.” Gli comunicò, spiando la sua reazione.

Harry era preparato a non deludere suo figlio.
“Per quello che ha fatto l’anno scorso, direi che ha buone possibilità di successo. E come Campione, beh… il Calice sa scegliere.” Rispose diplomaticamente: non ce l’aveva con Scorpius. Anzi, per quel poco che aveva potuto vedere sembrava un ragazzo in gamba.
Meglio però che non stia con Rosie…  
 
Suo padre per lui era un eroe. Punto.
Non solo perché  aveva sconfitto un tipo oscuro, cattivissimo e genocida, una cosa che in fondo lui aveva sempre vissuto nei racconti degli adulti e non l’aveva mai toccato direttamente.
Era un eroe perché continuava, anche con una vita piena di bastardate fatte alla sua persona, a voler comprendere gli altri.
Se fosse stato lui, un padre, non aveva la minima idea di come avrebbe reagito a vedere suo figlio e il figlioccio mettersi assieme. Avrebbe spaccato qualcosa probabilmente.
Forse suo padre l’aveva fatto, ma senza farglielo pesare,  notare. E adesso gli stava lì di fronte, a bere cioccolata e chiedergli come stessero andando le cose con Teddy. Sorridendo.
Sembrava stare comunque seduto su uno schiopodo ed era proprio questo il punto: lo faceva per lui.
Ed io non avrei mai potuto dire a Teddy che lo volevo, se non fossi stato sicuro che comunque fossero andate le cose, i miei non mi avrebbero mai sbattuto la porta in faccia.
Avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli qualcosa di più complesso di un ‘grazie’, ma forse non ce n’era bisogno. Suo padre aveva capito benissimo.
Parlarono quindi di Malfoy, del Tremaghi e di cavolate finchè la cioccolata non fu finita e la sua pausa rosicchiata via.
“Ops, sono pure in ritardo!” Esordì quando lanciò un’occhiata all’orologio. “Beh, dirò che il Salvatore mi ha offerto una cioccolata calda. Vuoi vedere che me la passano?”
“Questo è approfittare della tua posizione, Jamie.” Replicò il padre divertito.
Risero assieme ed uscirono dal locale mentre una fitta pioggerellina cominciava a lavare la strada ciottolosa. James si tirò su il bavero del mantello d’ordinanza, imitato dal padre.

Si scambiarono un’occhiata che lo fece sentire inequivocabilmente a posto.
Poi il genitore fu quasi decapitato da un Gufo che finì per impattare contro la vetrina del negozio accanto.
“Per tutti i diavoli della Gran Bretagna!” Esclamò James quando l’animale si accasciò  a terra in un tripudio di piume e un flebile starnazzo. “Il Ministero dovrebbe selezionare meglio i suoi Gufi…”
“Gira una brutta influenza gufica al Ministero… Pare faccia perdere loro il senso dell’orientamento. Un bel problema, in Guferia è il caos.” Gli spiegò raccogliendo pietosamente l’animale e alleviandolo dal peso della grossa busta che recapitava.
James vide lo stemma del Dipartimento di Cooperazione Magica, ma poco altro: il padre aprì la busta e gli diede le spalle.
Argh, prima o poi potrò leggere anche io quella roba!
Aspetta Jamie, aspetta. È solo questione di tempo.
“Da chi viene?” Chiese comunque. Vide la schiena del padre irrigidirsi e capì che certo non era l’invito per un party di Halloween.
“… Devo andare.” Disse semplicemente con un borbottio. “Ci vediamo questo sabato.” E detto questo si smaterializzò senza aspettare una sua conferma.
James fu certo di aver visto di aver visto la firma recitare Draco Lucius Malfoy.
 
 
****
 
Note:
Finalmente sono riuscita a postare. Dannate feste!
Ebbene sì, un basilisco! :DDD Sono o non sono una sadica?

Il capitolo comunque si dividerà in due parti. Questa è la prima. ;)
(Capitan Ovvio)
1. Qui la canzone.

2. Uscire dall’armadio: coming out the closet. Insomma, il coming out. Era troppo carino per non tradurlo. Che poi, dai, è quello che ha fatto Teddyno. ^^. Ah, poi una nuova fan-art da parte di Elezar81, la favolosa snapshot of happy times Enjoy!

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Capitolo 21
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX
 


 


I've always lived like this, keeping a comfortable distance.

And up until now I swore to myself that I'm content with loneliness,
'cause none of it was ever worth the risk.
But darling, you’re the only exception¹…
(The Only Exception, Paramore)
 
 
14 Ottobre 2023
Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del Quinto.
 
“Sembra che tu ti stia preparando ad un appuntamento…” Esordì Abigail Finnigan, incuneata nel bovindo della finestra del dormitori delle ragazze del Quinto anno.
Lily non le rispose subito, presa dal compito di dare una tinta uniforme al suo ombretto. I trucchi babbani le piacevano, a differenza delle monotone terre che usavano le streghe per truccarsi.
Il problema è che vanno messi alla babbana… se provo ad usare la bacchetta divento un clown come è successo alla povera Fiona alla festa di Halloween dell’anno scorso.
“… sai, di quelli con tappa finale a Madame Piediburro.” Continuò imperterrita l’amica togliendosi dalle labbra un leccalecca al sangue, una delle sue tante, incomprensibili, passioni dolciarie.
“Non sto andando un appuntamento. Anche perché ad un appuntamento non ci porterei certo i miei fratelli…” Puntualizzò, anche se sapeva che l’aria scettica di Gail aveva qualche fondamento.
In effetti non si era mai sentita tanto nervosa per un ragazzo.
Stava portando Sören a conoscere parte della sua famiglia, del suo clan. E non sarebbero state quattro rapide chiacchiere scambiate a cena, ma un intero pomeriggio ai Tre Manici di Scopa.
Suonava impegnativo e, a conti fatti, lo era.
Specialmente perché Jamie farà una comparsata… Morgana, quanto vorrei che Teddy non insegnasse qui ma chessò, in Francia! O anche in un paese oltre Oceano, va bene lo stesso.
“Dì quel che vuoi, ma secondo me hai una cotta pazzesca per quel tedesco!”
“Io non ho cotte Gail, ho interessi.” Precisò nuovamente, controllando il trucco. Leggero: non abbastanza per beccarsi un rimbrotto dai professori più bigotti, ma abbastanza per darle carattere.

Ah!
Andò poi a frugare nell’armadio per trovare un paio di scarpe che non fossero drammaticamente nere e piatte come quelle della divisa. A volte si dimenticava che esisteva un intero mondo di scarpe meravigliose, visto che non poteva indossarle ad Hogwarts.
Gail ridacchiò, lanciandole un’occhiata curiosa. “Sì, come ti pare, ma ti metti in tiro solo quando esci con un ragazzo!”
Lily sbuffò: in realtà truccarsi per lei era una sorta di protezione. Sentirsi carina le permetteva di rilassarsi. Che ne aveva proprio un gran bisogno in quel momento.

Jamie ha già fatto battute idiote. Per lettera. Non oso immaginare che si inventerà dal vivo.
Neppure l’idea che ci fosse Al a frenarlo la tranquillizzava del tutto.
Sören stava diventando importante per lei, inutile negarlo. Ormai si era abituata a vederlo ogni mattina davanti alle porte della Sala Grande, ad aspettarla per fare colazione. Si era abituata a non portare più il peso della borsa dopo aver mangiato, perché era lui che la scortava a lezione dopo ogni pasto.
Si era abituata a studiare con lui in biblioteca, a vederlo al lato opposto del tavolo a sfogliare distratto i propri libri di testo e ad interromperlo continuamente per chiarimenti.
Sarebbe stato stupido non ammettere che si stava affezionando al suo amico di piuma come ad un amico in carne e ossa.
Perché ehi, adesso lo è. Se voglio posso prenderlo a braccetto o chiedergli di fare una passeggiata lungo il lago. Non devo aspettare un Gufo per sentirmi rispondere ad una domanda.
Sören per lei era fantastico. Punto.  
“Voglio solo che i miei fratelli e miei cugini lo adorino come lo adoro io. Tutto qui!”  
Abigail inarcò le sopracciglia, mentre le passava sciarpa e cappotto, visto che li aveva precedentemente abbandonati sul suo letto. “Ma sentila! Scommetto che i tuoi fratelli sanno solo la metà dei ragazzi con cui sei uscita. Forse.” Non attese risposta, perché era palesemente una domanda retorica. “Quindi… da quando ti interessa la loro opinione se si tratta di un ragazzo?”
Ehm.

Si trovò a corto di parole e si sforzò di trovare una battuta adeguata. Non la trovò.
“Ecco. Ho ragione!” Gongolò l’amica tendendogli la borsa. “Lo vedi?”
Lily non vedeva niente, ma non era del tutto sicura che non ci fosse qualcosa.

 
****
 
Hogwarts, Vascello di Durmstrang, Pomeriggio.
 
Sören non aveva potuto rifiutare.
Anche se avrebbe voluto farlo, veramente.
Lily quel lunedì gli si era avvicinata, a tavola, mentre veniva fastidiosamente mangiata con gli occhi da Poliakoff e gli aveva chiesto se aveva voglia di prendere una burrobirra con lei e i suoi fratelli ad Hogsmeade, quel sabato.
Non aveva potuto rifiutare ed ora quel sabato era diventato quel giorno.
“Se è un appuntamento non puoi andarci con la divisa!” Lo apostrofò Kirill, steso sul letto mentre scorreva con gli occhi una rivista raffigurante streghe procaci e poco vestite.
Sören non rispose, guardando invece con frustrazione il proprio guardaroba.  
Non era tagliato per quel genere di cose, non si sarebbe mai stancato di sottolinearlo.
Però doveva ammettere di avere anche una certa dose di curiosità ad animarlo. Avrebbe finalmente avuto la possibilità di parlare faccia a faccia con Thomas, il figliol decisamente non prodigo.  
Si allacciò la camicia, controllandosi allo specchio. La cura personale della propria persona era qualcosa che gli era stato inculcato sin da bambino.
Nessun Hohenheim deve sfigurare in pubblico. Mai.
Diede uno sguardo veloce alle sue mani, e schioccò la lingua frustrato quando si rese conto che aveva un’abbondante quantità di inchiostro secco sotto le unghie.
Lanciò un’occhiata al compagno di stanza, mentre versava acqua nella bacinella per pulirsele.
“Tu non dovresti stare preparando la mia Prova?”
Il russo, interpretando la sua occhiata, si affrettò a rispondere. “Ci sto lavorando, sono in pausa.” Spiegò. “Sto aspettando dei Gufi da certi miei contatti… di lavoro. Di mio padre.” Si corresse, con una smorfia nervosa. “Sta’ tranquillo, okay? È tutto sotto controllo.”
“Lo spero. Non ho tempo da perdere constatando i tuoi fallimenti.” Si arrese all’impossibilità di rendersi perfettamente immacolato. Mangiarsi le unghie fino alle cuticole non aiutava nelle operazioni di pulizia.

Si infilò il panciotto in velluto e si sedette sul letto per calzare gli stivali.
“Non hai niente di meno sfarzoso?” Continuò imperterrito Kirill, che a quanto pareva sembrava trarre sommo diletto dal perdere tempo nel propinandogli consigli sul vestire. “Sei un po’ troppo… classico.”
Lo so da me.  
“Così è come mi vesto, e comunque non avrei nient’altro da mettermi.” Replicò salace, sentendosi investire da un irritante senso di inadeguatezza. Quando era a Durmstrang, quando c’era stato come un vero allievo, non aveva mai approfittato delle uscite libere mensili.
Quindi non ho mai avuto l’opportunità di capire come si vestono i miei coetanei…
Adesso lo so. Non come me.
“Ah.” Kirill fece un sorrisetto. “Non preoccuparti comunque. Alle ragazze piacciono i damerini, sai.”
“Non è un appuntamento.” Sibilò sentendosi orribilmente imbarazzato. “Fa parte del mio compito.”
“Sì, come no…” Convenne con aria sorniona. Ad una sua occhiataccia cercò una diversione. “Insomma, voglio dire, tuo zio ti ha ordinato di stare dietro alla ragazzina, no?”
“Per riassumere.” Convenne guardingo.

“Beh, allora perché non le stai dietro sul serio? Non sembra una che si fa problemi a divertirsi un po’.” Fece una pausa, fraintendendo la sua espressione. “Io me la farei.”
“Io no.” Aveva un’improvvisa voglia di affatturare quel viscido idiota che gli era stato assegnato come tramite. Avrebbe preferito persino un maniaco del Duello come Radescu ad un ragazzo con così poca… decenza.

“No?” L’altro sbuffò. “Prendi i tuoi compiti troppo alla lettera allora.”
Sören serrò la mascella, sentendola scricchiolare. Un brutto vizio, decisamente. Si chinò all’altezza del viso del compagno. “È questo che fa la differenza tra me e te.” Mormorò pacato, e per questo, seppe di stare spaventando l’altro. “Tu la sedurresti, ma solo io la ucciderei se mi venisse ordinato. Per questo Hohenheim ha dato questo compito a me. Cerca di ricordartelo, Kirill.”
Il ragazzo deglutì mentre il sorriso gli scivolava via dal volto. “Dovrai ucciderla?” Chiese con un filo di voce.

Sören stese un sorriso amaro: come purosangue di un antica famiglia di maghi russi, il cui nonno era entrato nella Thule, Poliakoff era stato cresciuto per esserne un futuro membro, ma non certo di quelli che si sarebbero sporcati le mani.
Quel ragazzo non aveva mai visto nessuno ferito per mano della sua bacchetta. E probabilmente non l’avrebbe visto mai.
Quelli che fanno il lavoro sporco sono quelli come Johannes. E me.
“Non mi è stato ordinato.” Si risolse a rispondere. “Quindi non lo so.”
“Ma lo faresti?” Lo incalzò sedendosi sul letto. “Hai già ucciso?”
Sören indossò il mantello senza rispondere. Sentiva quel freddo spiacevole insinuarglisi nello stomaco. Lo stesso freddo che gli si attanagliava addosso dopo ogni incubo.

Era il buio.
Avrebbe ucciso Lilian Potter?
La risposta era ovvia: sì, se gli fosse stato ordinato. Non aveva ancora ucciso nessuno, ma l’avrebbe fatto perché faceva sempre ciò che gli veniva detto. Così serviva la Thule e suo zio.
Era il motivo per cui viveva; non c’era altro modo che conoscesse per dare un senso al fatto che fosse ancora lì mentre la sua casata, i Prince, marciva ormai sei piedi sotto terra, dimentica dal mondo.
Solo così posso essere un Hohenheim.
“La tua pausa è finita Kirill.” Esordì, sentendo la sua voce provenire da molto lontano mentre apriva la porta. Doveva uscire. “Torna al lavoro.” Non aspettò che gli rispondesse e percorse velocemente le scale e il boccaporto.
I colori dell’autunno gli esplosero davanti agli occhi non appena scese dalla passerella che ancorava la nave al molo. Avrebbe voluto goderseli come un qualsiasi altro ragazzo della sua età. Per un momento lo desiderò davvero.
Si può desiderare qualcosa che non si è mai avuto?
Il fatto era che, per quanto fosse ironico, lo stava avendo. Assumendo l’identità di Sören Luzhin, avvicinando Lily, aveva avuto la possibilità di essere quel Sören, che forse avrebbe salutato con un sorriso il sole autunnale che gli scaldava la faccia.
Che avrebbe avuto degli amici e una vita normale.
È tutta una finzione. Ed è giusto che sia così.
Lily lo aspettava appoggiata alla staccionata del pontile. Ancora con una delle sue gonne scomodamente corte, ancora con i capelli sciolti al vento. Fuori da scuola, aveva notato, non se li legava mai.
“Ciao Ren! Accidenti, come sei elegante!” Lo salutò con la consueta allegria. Cambiò però immediatamente espressione non appena furono abbastanza vicini. “Ehi, cos’hai?”
Sören si chiese se fosse la Legimanzia Naturale o se fosse proprio una caratteristica di Lily capire con un’occhiata quando qualcosa non andava negli altri.  

Forse è entrambe…
“Niente.” Mentì scrollando le spalle. “Perché me lo chiedi?”
“Per la tua faccia. Sembra tu stia andando ad un funerale…” Corrugò le sopracciglia meditabonda: erano sottili, leggermente ricurve e le davano sempre un’espressione di curiosità stampata in viso. “… È per il Torneo?”
“No, ti ho già detto che non mi preoccupa. Ho un Assistente, sta lavorando.”
“Ah, quindi sai in cosa consisterà la Prima Prova?” Lo interrogò, ma si vedeva che la risposta non la interessava poi così tanto. “Sul serio, cos’hai?” Ripeté infatti. “È per Hogsmeade? Se non ti va di incontrare i miei fratelli va bene…”
“No.” La fermò cercando di sorridere. Spero di non aver fallito miseramente nell’impresa. “Va tutto bene. Suppongo di essere solo stanco…” Tentò di rassicurarla. L’espressione dubbiosa della ragazza non scomparve, ma perlomeno non fece altre domande, preferendo prenderlo sottobraccio come suo solito.

“Come vuoi!” Disse infatti. “Ah, un paio di parole su mio fratello James…” Si schiarì la voce con intenzione. “È un po’ un idiota, quindi… ecco. Non dare molto peso a quel che dice, okay?”
“Va bene.” Acconsentì distratto, notando che era truccata. Ed era anche nervosa, almeno a giudicare dal modo in cui gli si era aggrappata al braccio.
Non cercava rassicurazioni però; sembrava semplicemente volerselo tirare il più vicino possibile.
Sta cercando di rassicurare me?
“Perché sei nervosa?” Chiese, perché era quello che doveva fare. Perché era un modo per dimenticare la conversazione con Poliakoff.
Dovrai ucciderla? Ma lo faresti?
Lily profumava di gigli. Conoscendola, usava quella fragranza proprio per via del significato intrinseco del suo nome². Era un profumo lieve, intenso, continuo. Proveniva dai suoi capelli, dai suoi polsi, dal collo e dalle labbra.
Sören aveva smesso di contare le volte in cui la bocca gli diventava secca e il cuore cominciava a battergli furioso nel petto. E tutto perché Lily lo toccava. Per lei avere quel genere di gestualità era del tutto normale. Per lui non lo era mai.
Era fastidiosa, a volte. E anche piacevole. Era strano.
Dovrai ucciderla? Ma lo faresti?
Sì, se mi venisse ordinato.
“Non sono nervosa.” Borbottò la ragazza, distogliendolo dai suoi pensieri. “Non lo sono affatto.”
Sören tentò con un approccio diverso. Aveva capito che andare dritto al punto, con poco tatto, con Lily non era mai una buona idea. “È solo che lo sembri…” Quando vide che non negava, continuò. “Posso sapere il perché?”
Lily serrò le labbra, e fece un mezzo sorriso. Era timido. “Mi hai scoperta…” Borbottò attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita. “Ci tengo che vada bene. Che tu piaccia ai miei fratelli. È una cosa stupida?”

Sembrava imbarazzata. Lo sembrava sempre quando smetteva quella maschera da sciocca ochetta. Come se essere sé stessa la mettesse a disagio.
“Non lo è. Farò del mio meglio per non deludere le tue aspettative.”
Sì, se mi venisse ordinato.
Lily gli sorrise radiosa. Perché incredibile a dirsi, ma quell’aggettivo esisteva davvero e descriveva perfettamente i sorrisi di Lilian Potter.
Il bacio sulla guancia non se l’era aspettato, ma sentirsi arrossire come un idiota fu decisamente l’ultimo dei suoi problemi.
 
****
 
Hogsmeade, Pomeriggio.
 
Albus doveva ammettere di essere curioso.
Per questo aveva acconsentito volentieri a quell’uscita. Inoltre Hogsmeade era sempre una buona occasione per sfuggire ai suoi doveri di Caposcuola.
Dello stesso avviso non sembrava essere Tom, che stava palesemente perdendo tempo con una pergamena, secondo lui per tastarne il grado di assorbimento dell’inchiostro.
Erano da Scrivenshaft da quasi un’ora e stavano tardando all’appuntamento con Lily.
Volutamente.
“Tom, sono tutte uguali!”
“Questo lo dici tu. Detesto che l’inchiostro sbavi.”
“Le tue pergamene non sono mai sbavate, quanto sei odioso…” Rintuzzò togliendogliela dalle mani per metterla nel cestello degli acquisti. “Andiamo, stiamo facendo tardi!”
Tom fece un lungo sospiro, ma acconsentì a pagare e uscire.

“Mi spieghi cos’hai contro l’amico di Lily?” Dovette chiedergli alla fine, quando lo vide rallentare l’andatura in dirittura dei Tre Manici.
“Nulla, ma detesto queste occasioni di socializzazione forzata.”
“… nelle pubbliche relazioni fai proprio schifo…” Sbuffò infilandosi le mani nelle tasche del giubbotto, visto che si era dimenticato i guanti. “Il bello è che saresti anche bravo, se solo ti sforzassi!”
“Non intendo farlo.” Fu la consueta replica.
Al lo guardò tra il divertito e l’esasperato. Tom aveva un carisma eccezionale. Non si era mai sforzato per convincere le persone a fare ciò che voleva. Sarebbe stato capace di essere un leader, ma a quanto sembrava la sua misantropia lo teneva ben lontano da qualsivoglia sogno apologetico.

E di questo, sono molto grato a chiunque ci sia lassù.
“Non potresti considerarlo un favore a Lils?”
“Lo sto facendo. Per questo sono qui.” Borbottò a mezza bocca, guardando quasi con astio il locale che si stagliava di fronte a loro. “Considera che c’è anche James.” Sottolineò.

“Pensi che mi piaccia l’idea di doverlo gestire da solo, visto che Rosie ha dovuto dare forfait, con Scorpius senza un Assistente e in dirittura di Prima Prova?”
Tom serrò appena le labbra, e Al seppe che l’aveva presa sul personale.

Del resto avevano avuto una discussione su quello. Quando Scorpius gli aveva chiesto di essere il suo secondo, Tom non aveva esitato un secondo, prima di sbottare un ‘no’, neanche gli avesse chiesto di spalare letame di drago.
Che è quello che in effetti gli ha detto Scorpius…
Comunque poteva capire le sue remore: Tom era stato al centro di un vero e proprio tifone l’anno prima. Ne portava ancora le cicatrici. Di notte si agitava ancora nel sonno, e come se non bastasse era certo che avesse sviluppato un odio cocente per qualsiasi forma di rettile.
Era comprensibile che non avesse molta voglia di infilarsi in una nuova avventura potenzialmente mortale, specialmente se forse riguardava un Basilisco. Scorpius era stato mosso dal momento e dalla sua impulsività grifondoro, ma aveva un po’ mancato di tatto.
Specie perché per Tom non è ancora finita… Non è il caso che si esponga.
Dovrà trovarsi un altro martir… err. Volontario.
“Volevi che gli dicessi di sì, per caso?” Gli chiese secco, distogliendolo dalle sue considerazioni.
Al sospirò.  
“No.” Replicò pacato. “Tom, è solo… queste persone… sono la nostra famiglia e i nostri amici. Sei stato scortese con Scorpius. Cerca di non esserlo con l’amico di Lils.”
Tom non rispose, ma Al seppe che l’aveva ascoltato. Infatti varcò la soglia del pub senza fare ulteriori rimostranze. Non si stampò in faccia un sorriso cordiale, ma perlomeno distese i lineamenti.

Beh, accontentiamoci…
Lily era al tavolo col suo famoso amico tedesco. Famoso perché Lily ne parlava in continuazione, benché Albus lo avesse visto solo una manciata di volte in quei due mesi. La delegazione di Durmstrang non brillava certo per sapersi integrare: mangiavano sempre a ranghi serrati, ed erano pochi gli allievi che scambiavano qualche parola con gli altri studenti.
In quel momento però, Sören sembrava molto distante dall’idea che Al aveva di allievo di Durmstrang.
Prima di tutto, non aveva addosso quell’orrenda uniforme – davvero, era di un colore deprimente – ma vestiti veri, anche se più adatti ad un membro del Ministero che ad un ragazzo della loro età.
Secondo, aveva i capelli più lunghi della media – bocce rasate. Infine, non aveva il physique du rôle, era anzi piuttosto smilzo e non molto alto. Neppure i lineamenti sembravano quelli di un figlio del Nord.
A dire il vero, sembra inglese. E somiglia a qualcuno che ho già visto, tra parentesi…
Solo non mi ricordo chi…
“Ehi, eccovi qua!” Esordì Lily, e Al notò che era truccata. La cosa lo turbò un po’. Complesso da fratello maggiore, probabilmente. “Mi aspettavo che Jam facesse ritardo, ma voi due…”
“L’ho trattenuto io, da Scrivenshaft.” Si sforzò di articolare Tom, che aveva piantato gli occhi addosso al tedesco dal momento stesso in cui era entrato nel loro campo visivo.

Ah, ma guarda…
“Sei sempre il solito, ma non spegni mai il tuo gene secchione?” Lo apostrofò Lily ridendo. “Ah… lui è Ren.” Si voltò verso l’amico. “Ren… mio fratello Albie e mio cugino, o qualcosa del genere, Tommy.”
“È Al.”
Non è Tommy.”
Sören inarcò le sopracciglia, poi sorrise, alzandosi. Al pensò che non doveva esserci molto abituato, perché sembrava tentarlo quel sorriso, più che farlo. Tese la mano a nessuno dei due in particolare. “È un piacere potervi conoscere.” Recitò in un inglese senza sbavature, forse leggermente più aspro della norma.
Al gli afferrò la mano prima che Tom avesse la meravigliosa idea di non stringerla: si era infatti immobilizzato nella contemplazione dell’altro e sembrava non avere notato il gesto.

Ma che cavolo!
“Puoi chiamarmi Al.” Si presentò con il sorriso delle grandi occasioni. Vide con la coda dell’occhio la sorellina sorridergli raggiante.
Lo faccio perché ti adoro Lils. Perché altrimenti sarei costretto chiedere a Ren se per caso non ha interessi nella nostra metà del cielo.
Sono geloso, e allora?
“Al, certamente.” Acconsentì quello, ignaro dei suoi pensieri. “Se non sbaglio il nome completo è Albus Severus.”
“Ehm, sì… Non l’ho scelto io.” Mise le mani avanti, come sempre, rassegnato.
“Sören è la versione tedesca di Severus.” Concluse invece l’altro.
“Dai!” Albus lo guardò sorpreso: era raro trovare qualcuno che condividesse il suo secondo nome. In effetti, fino a quel momento lo aveva condiviso solo con un morto. “Non lo sapevo…”
“Neanche io!” Intervenne Lily. “Che coincidenza!”
“Decisamente.” Convenne il tedesco, mentre si mettevano tutti a sedere. “In realtà è un nome che viene tramandato da generazioni nella mia famiglia. Come secondo o primo nome, dipende.”

“Non me lo avevi mai detto…” Spiò Lily prendendo il menù per dargli una scorsa. Sören scrollò le spalle, ma ad Al sembrò che lo facesse un po’ rigidamente, quasi si fosse pentito della frase appena pronunciata. Lo vide anche tamburellare le dita – aveva le unghie mangiate – sul tavolo.
È un tipo nervoso… Ed è un Campione. Beh, non ha granché l’aspetto di un Campione del Tremaghi.
Si sentì meschino non appena lo pensò.
“Non ce n’è stata l’occasione…” Disse intanto Sören. Poi lanciò un’occhiata a Tom, ed Al ebbe la netta impressione che stesse radunando le idee. “… invece tu sei Thomas.”
“Già.” Replicò l’idiota-che-fissava, senza smettere di fissare. Al gli tirò un calcio sotto il tavolo, ma fu testardamente ignorato. “Dobbiamo chiamarti Sören o Ren?”
“Non saprei, per me è lo stesso. Suppongo sia un soprannome…” Esitò. “… adeguato. È la prima volta che me ne viene dato uno.” Aggiunse.

“Curioso.” Non perse tempo il serpeverde. “Di solito tutti hanno dei soprannomi… o delle abbreviazioni con cui vengono chiamati.”
Il tedesco stavolta si irrigidì in modo visibile. “Non io. Forse è perché ho un nome corto.”

“Ordiniamo?” Fu costretto ad intervenire Albus. Non aveva idea di cosa diavolo stesse prendendo a Tom: solitamente in quelle occasioni snocciolava al massimo qualche convenevole prima di chiudersi nel suo comprovato mutismo. Era chiaro che lo straniero avesse catturato la sua attenzione.
Non in positivo però. Fantastico.  
Lanciò un’occhiata di avvertimento a Lily che annuì, sfoderando un bel sorriso. “Sì, anche se Jam è in ritardo… possiamo ordinare per lui, no?” Si alzò in piedi come una molla. “Vieni Ren, così mi dai una mano a portare le ordinazioni! Una burrobirra anche per voi due?”
“Veramente…” Tentò Tom. Ma non se lo meritava.

“Sì, per entrambi.” Lo interruppe Al, e quando i due si furono allontanati lo guardò male. “Si può sapere che ti prende? Lily ci tiene a questa cosa, lo sai!”
“Quel tipo non mi piace.” Fu la risposta. “C’è qualcosa che non va in lui.”
“Non esagerare! Certo, è un po’ rigido, ma hai visto come sono marziali quelli di Durmstrang? È già tanto che non ci abbia fatto un inchino…”

“Non è questo…”
“Allora cosa?”

 
Non era esattamente facile spiegare ad Albus cosa non andasse nell’amico di piuma di Lily.
Il fatto era che provava sempre una palpabile sensazione di allerta ogni volta che lo vedeva.
E avendocelo davanti, ne aveva avuto solo conferma: a lui sembrava di conoscere quel ragazzo.
Il che, naturalmente, era impossibile.  
Allora perché anche lui mi guarda come se mi conoscesse?
“Tom!” Lo riscosse Al. “Per favore, già Jamie comincerà con le sue battutine idiote da fratello maggiore… Non mettertici anche tu.” Gli mise una mano sul braccio. “Dai, perlomeno non è uno di quegli idioti tutto denti luccicanti e muscoli con cui di solito esce Lils!”
“Perché, escono assieme?”
Al scrollò le spalle, lanciando un’occhiata meditabonda verso la coppia che stava attendendo le loro ordinazioni. “Lei dice che è solo un amico… ma ci passa molto tempo assieme, sai… credo l’aiuti anche nei compiti.”
“Sì, me l’hai accennato.” Convenne. Si sentiva stupido, perché non c’era un solo, dannato motivo per cui dovesse trovare antipatico Sören Luzhin. Era stato cortese, parlava un buon inglese e vestiva in maniera impeccabile.

E questo è qualcosa che apprezzo, con tutti i maglioni Weasley a cui sono sottoposto quotidianamente…
Oggettivamente Luzhin avrebbe dovuto piacergli.  
“Mi dispiace, hai ragione. Cercherò di essere più amichevole…” Borbottò, perché sapeva di essere nel torto e non voleva essere accumunato a James. In nessun modo possibile.
Al gli sorrise e gli strinse la mano, in un grazie silenzioso mentre gli altri due tornavano armati di boccali di Burrobirra e whisky incendiari.
Sören si sedette di fronte a lui, porgendogli la bevanda. “Lilian mi ha detto che preferisci il whisky.”
“È praticamente l’unica cosa con cui non si ubriaca, oltre la Burrobirra!” Confermò allegramente la ragazzina, rifilandogli un sorrisetto divertito. “Vero?”
“Uhm.” Replicò poco impegnativo, accettando il drink con un cenno della testa. “Grazie.”
Sören replicò con lo stesso cenno, sorseggiando il suo. Lo faceva in maniera del tutto naturale, senza pause per evitare che il sapore troppo forte gli facesse strizzare gli occhi.

C’è abituato…
Tom gli guardò le mani. Avevano le dita lunghe e nervose. Poi guardò l’anello col blasone che aveva al medio della mano destra. Assottigliò lo sguardo: il segno dell’anello era strano.
C’è almeno qualche millimetro di pelle non abbronzata sotto… Non è l’anello che porta di solito. Ne porta uno più grande.
“È lo stemma dei Luzhin?” Indagò neutro.
Sören se lo rigirò tra le dita. “Sì.” Disse semplicemente. “A Durmstrang ciascun purosangue è tenuto ad indossare l’anello della propria famiglia. È una regola.”
“Sempre?”
“Quasi sempre.” Fu la risposta guardinga. Aveva capito che non era una domanda fatta tanto per fare.

Tom sorrise appena.
No, non è uno stupido…
“Qui invece non è obbligatorio… Sy non lo indossa mai, no?” Chiese Lily. “Mi ha detto che gli anelli lo fanno sentire una ragazza.” Si soffermò a pensarci. “È il ragazzo che dovrebbe meno preoccuparsi in tal senso che conosco… È davvero virile.”
“Scorpius Malfoy?” Chiese Sören, e a Tom sembro che tradisse un moto di insofferenza.
Gelosia? Appena accennata…
Almeno quella era una reazione normale, quasi banale, visto che riguardava Lily.  
Lily gli scoccò un’occhiata delle sue, pura malizia. “Lui in persona. Ma non preoccuparti Ren, sei tu il mio Campione!” 
Tom guardò con sorpresa l’altro arrossire. Era la prima volta che vedeva un ragazzo in preda ad un imbarazzo così profondo. E conosceva Al.
Specialmente per una battuta di Lily… neppure delle sue peggiori, tra l’altro.
Cos’ha, sei anni?
“Smettila…” Brontolò quello. “E comunque Malfoy è il tuo Campione. Sei una studentessa di Hogwarts.”
“Posso decidere io per chi tenere, non ti pare?” Scrollò le spalle, con una delle sue solite e spassionate prese di posizione. “Sy mi piace, ma farò il tifo per te. La cosa ti crea per caso qualche problema?” Chiese poi divertita.

Probabilmente l’unico a non essersi accorto che è diventato rosso come una scolaretta è giusto il tavolo…
Al dovette leggergli nei pensieri perché gli rifilò una gomitata giusto alla fine della frase.
“No, nessun problema.” Articolò Sören, dando un vigoroso sorso al suo drink. “Anzi, ti ringrazio…”
Albus a quel punto fece la domanda che lo qualificò come la serpe ufficiale della serata. “Così… state assieme?”
E poi sono io, eh?
Tom osservò con clinico divertimento Sören strozzarsi con un sorso di whisky e diventare paonazzo, mentre Lily alzava gli occhi al cielo.
La sensazione di allerta era scomparsa: precisamente da quando la più piccola dei Potter aveva cominciato ad interagire con il tedesco. Era come se lo stesse rendendo…
Normale?
“No.” Rispose quella, mentre il poveretto tentava di recuperare le proprie capacità respiratorie. “Non stiamo assieme … Ren ha per la testa il torneo, è un tipo serio.”
“Sì…” Soffiò quello. “Noi… non. No.” Non riuscì a concludere la frase per un altro accesso di tosse. Lily gli diede una confidenziale pacchetta sulla schiena. Sembrò solo peggiorare la situazione.

“Scusate…” Disse Al con aria contrita, che Tom sapeva essere falsa quanto Giuda. “È che di solito Lily non ci fa conoscere ragazzi che frequenta, e quindi pensavo… mi dispiace Ren, deformazione professionale. Da fratello maggiore, sai.” 
“… nessun problema…”
 
“Ehilà! V’ho cercato per tutto il pub! Vi eravate nascosti o che?”

Forse richiamato dall’allocuzione ‘fratello maggiore’ James si palesò in tutto il suo tronfio splendore.

Perlomeno non indossa quella ridicola divisa da proto-Auror…
Non che il giubbotto di pelle di drago rosso fuoco fosse meglio, beninteso.
Lily si aprì in un sorriso entusiasta, andando ad abbracciare il fratello. “Jamie! Questo giubbotto è veramente sexy!” Lo apostrofò facendosi avvolgere in un abbraccio da greezle.
Tom lanciò un’occhiata a Sören, che sembrava volersi trovare da tutt’altra parte. No, non sembrava granché abituato all’interazione umana. Specialmente a quelle con essere chiassosi come James Potter.
Questo posso capirlo.
Per un momento fu quasi solidale, prima di ricordarsi che non si fidava.
James intanto scandagliò il tavolo, fece un cenno della testa al fratello – ignorando lui, ma quella non era una novità – per poi infine soffermarsi sul tedesco.
E squadernò il suo temibile ghigno.
“Quel taglio di capelli non andava di moda un secolo fa?” Fu la prima cosa che disse, mettendo giù la sorella che si premurò di tirargli immediatamente una pacca sul petto.
“Non cominciare, scemo! Perlomeno presentati come si deve!”
“Sicuro.” Gli tese la mano. “James Sirius Potter. E tu sei…? Parli la nostra lingua?”
“Sören.” Replicò l’altro, a cui evidentemente non era andata giù la battuta sui capelli. “E sì, la parlo.” Aggiunse stringendogli la mano, con una sfumatura che Tom trovò deliziosamente glaciale.

“Oh, okay. Tanto meglio… io non parlo il bulgaro.”
“Sono tedesco…”
“Ah. C’è differenza?”
Tom sentì Al accanto a sé tirare un lungo sospiro, come un palloncino che si sgonfiava. Lily in compenso tirò un secondo ceffone sulla spalla del fratello, che ovviamente non servì a nulla.

Il ghigno persiste…  
Tom trovava James un imbecille, e quel siparietto glielo stava dimostrando.
Se ti sta antipatico a pelle almeno non mostrarlo gonfiando i muscoli e facendo la figura del troglodita con una geografia approssimativa in testa… Non depone a tuo favore.
“La Bulgaria e la Germania sono due stati diversi. Non confinano neppure. Non hanno la stessa lingua, una è del ceppo slavo, la seconda di origine germanica, come l’inglese.” Fu la conseguente spiegazione di Sören.
Tom vide Al serrare appena le labbra. La stessa espressione si dipinse sul viso di Lily mentre scendeva un silenzio scomodo.
Mai dare spiegazioni agli idioti. Non le capiscono e soprattutto non le apprezzano.
“Oh, grazie mille della lezioncina Ren…” James stirò volutamente il nome. “Sei un tipo sveglio, questo è sicuro. So che sei un Campione. I Campioni devono essere svegli, no? Almeno quello…”
“Grazie.” Replicò l’altro, che aveva capito benissimo che non si trattava di un complimento. Tom ne apprezzò il sangue freddo. Un altro, probabilmente grifondoro, avrebbe già cominciato a scaldarsi e a chiedersi dove diavolo avesse messo la bacchetta.

“Ti abbiamo preso una burrobirra, Jamie.” Lo ammonì silenziosamente Al. “Come va all’Accademia?”
“Ah, bene! Alla grande, naturalmente…” Bevve un sorso disinvolto, appoggiandosi allo schienale della sedia. Tom ebbe la certezza che stava tirando fuori il petto, anche senza rendersene conto. “L’Accademia Auror ti rende letale…”
Albus soffiò appena un’imprecazione mentre Lily assunse l’aria di chi avrebbe volentieri cambiato tavolo.

Sören fu l’unico a sembrare poco impressionato dalla cosa.
Forse non ha capito il sottotesto?
Lo guardò meglio, e vide che aveva i tendini del collo tesi e la mascella serrata. Semplicemente, era bravissimo a nascondere le sue emozioni. Un po’ troppo bravo.
Ha capito benissimo. Ed è un occlumante.
“Avete un’ottima Accademia preparatoria, sì…” Cercò comunque di dire con un sorriso freddino.
“Una delle migliori di Europa, naturale!” Convenne James. Non si lasciò però distrarre. “Ci alleniamo a duelli tutto il giorno e… esci con mia sorella, che è minorenne, perché ti piacciono piccole?”
Pronunciò entrambe le frasi senza soluzione di continuità, tanto che persino a Tom sfuggì il nesso logico. Perché ovviamente non c’è.
Sören batté le palpebre, e ci mise un attimo in più degli altri a capire il significato.
“No.” Disse poi, stavolta apertamente glaciale.
Jamie!” Intervenne Lily. “Non cominciare!”
“Non sto facendo niente.” Replicò il fratello, con un sorriso falsamente allegro. “Insomma, mi sto solo informando. Dopotutto è il primo ragazzo che ci presenti…”
“Non è per quel motivo, Merlino benedetto, stai capendo tutto sbagliato!”
“Forse è il caso che vada…” Esordì Sören, che a quel punto era ad un passo dal perdere la pazienza. “Il mio coprifuoco è tra un’ora.”
“Vi tengono a cuccia a Durmstrang?”
Scese un silenzio imbarazzato. Tom si chiese perché diavolo Lily avesse anche solo pensato che James, geloso e protettivo in modo irragionevole, avrebbe potuto reagire serenamente ad un ragazzo che dava proprio l’idea di frequentarla.

“C’è qualche problema?” Ruppe il silenzio Sören.  
“Come?” Finse di non capire James.
“Hai qualche problema con me?” Ripeté più lentamente. Si stava sforzando di essere cortese, indovinò Tom. E dall’occhiata di sfuggita che lanciò a Lily, le premure erano rivolte a lei.
“Non mi piace la tua faccia.” Fu la risposta strafottente. “È sufficiente?”
“Temo di non capire…”
“Allora te lo spiego. Sta’ lontano da mia sorella.”

A quel punto Sören dovette ritenere di aver sopportato abbastanza.
“Non mi faccio dare ordini dagli idioti.”
Albus fece appena in tempo a saltare in piedi, prima che James gli lanciasse quasi la sedia addosso, nel tentativo di alzarsi e estrarre la bacchetta prima che Sören lo imitasse.
“Piantatela, abbassate quelle bacchette!” Esclamò Lily sconvolta, mentre le persone attorno a loro smettevano di chiacchierare per fissarli attoniti. “Che diavolo vi prende?”
“Sai Lils, credo di non approvare il tuo ragazzo…” Rispose James, che probabilmente aveva già deciso l’epilogo di quella chiacchierata ore prima.
Sören non replicò. Tom vide che reggeva la bacchetta con naturalezza, senza stringerla come se fosse l’elsa di una spada, come invece faceva l’ex-grifondoro. Ma l’espressione era furente.

… a quanto pare non è così controllato come vuole far credere…
Hannah Paciock, probabilmente allertata dalle grida di Lily, si fece largo trai clienti. “Ehi, voi due! Se avete qualche grana da risolvere, fatelo fuori di qui!” Li apostrofò spiccia, con aria rassegnata. Non erano certo i primi adolescenti che davano in escandescenze dopo qualche bicchiere di idromele di troppo.
Solo che non hanno neppure bevuto…
James ghignò all’indirizzo dell’altro. “Hai sentito RenRen? Ti va un bel duello? Ti sfido!”
“Non dire cavolate!” Tentò il fratello minore, afferrandolo per un braccio. “Finiscila, stai diventando ridi-…”
“Accetto.” Fu la risposta che troncò ogni possibilità di negoziazione. “Andiamo fuori.”
“Oh, fantastico…” Mormorò Al in chiosa, quando sfilarono tutti ordinatamente verso la porta. “Un duello al testosterone. Proprio quello che ci voleva…”  

 
****
 
Londra, Ministero della Magia, Quinto Livello.
Pomeriggio.
 
“Sei sicuro di voler andare da solo?”
Harry Potter, Capo dell’Ufficio Auror, Salvatore e blablabla lanciò un’occhiata tra il divertito e lo spazientito all’Auror, nonché migliore amico, nonché fratello d’elezione, Ron Weasley.

“Ti ringrazio per la premura ma credo di aver dimostrato di saper badare a me stesso.”
“Herm dice sempre che non è proprio vero…” Brontolò quello, mettendo davanti lo spettro della testa pensante del trio.

Harry sospirò. “Ron… è solo Malfoy.”
E lo pensava davvero. Si sentiva persino un po’ in colpa ad aver permesso all’amico di accompagnarlo fino al Quinto Livello, sito del Dipartimento Cooperazione Magica, dove appunto lavorava Lord Malfoy, come funzionario dell’Ufficio di Diritto Internazionale Magico.
Non era un buon punto di partenza, per qualsiasi cosa avessero da dirsi, farsi scortare dall’amico d’infanzia.
C’era da dire che Draco non lo aveva convocato per un colloquio ufficiale, ed era stato questo a mettere in allarme Ron. Gli aveva semplicemente spedito una lettera, chiedendogli di venire nel suo ufficio, specificando data e ora.
Vuole farmi credere di essere un uomo occupato?
In ogni caso era curioso di sapere cosa l’ex-compagno di scuola avesse da dirgli.
“Come vuoi. Però resto nei paraggi.” Replicò cocciuto.
“Va’ a lavorare piuttosto. Non hai dei rapporti da scrivere?” Replicò con l’aria più ferma che gli riuscì.
Ron lo guardò indispettito di rimando. “Sì, ma possono aspettare.”
“Ron, non ho bisogno di una balia.” Stavolta fu fermo, e l’amico capì il sottointeso perché sbuffò pesantemente, ma annuì.

“Va bene, va bene… vado. Ci vediamo in ufficio.” Brontolò dirigendosi verso gli ascensori. Gli lanciò un’occhiata incerta, ma ad un suo cenno della testa – ehi, doveva pur fare il leader qualche volta – acconsentì finalmente ad andarsene.
Harry ci mise un po’ prima di trovare l’ufficio di Malfoy. Quel dipartimento era un vero e proprio labirinto di corridoi stretti che aprivano su altri corridoi identici. Era piuttosto spoglio e dall’architettura essenziale: le pareti erano dipinte di un bianco accecante senza quadri, dando l’idea di uno studio dentistico babbano.
Preferiva di gran lunga l’aspetto confusionario e operativo del DALM.
“Mi scusi, Capo-Auror Potter?” Una voce femminile lo fece voltare. Si trovò di fronte ad una delle tante segretarie del Ministero. A lui sembravano tutte uguali, tutte con una crocchia strettissima, occhiali con montatura scura e aria efficiente. “L’ufficio del Signor Malfoy è dall’altra parte dell’Ala.”
“Oh.” Sperò che non fosse la sua segretaria personale. “Sì… ehm. Può farmi strada?”
La ragazza squadernò un sorriso professionale, ma indubbiamente tinto di divertimento. “Naturalmente.” Attese un momento. “Prima volta qui?”
“Sì, in effetti…”
“Il Signor Malfoy mi aveva avvertito che avrebbe potuto aver problemi a trovare il suo ufficio. Non si preoccupi. Mi segua, prego.”
Harry alzò gli occhi al cielo. Gli era stato detto che nell’Ufficio Cooperazione era stipato il più alto numero di ex-serpeverde.

Probabilmente non è soltanto una voce…
In pochi, umilianti, attimi arrivarono a destinazione. La segretaria lo fece entrare, chiudendosi la porta alle spalle e tornando alla sua scrivania.
Era decisamente un bell’ufficio, pensò Harry, guardando l’enorme vetrata che dava magicamente sulla piazza centrale del Ministero, situata in realtà parecchi piani più su.
Draco era seduto alla scrivania, dando le spalle al panorama. Era probabilmente l’unico coetaneo di sua conoscenza ad indossare sempre vesti da mago. Ricordava che durante l’adolescenza non l’aveva mai visto con qualcosa di diverso da quelle o dall’uniforme.
“Potter…” Aveva un sorrisetto ironico dipinto in volto. “Difficile trovare il mio ufficio?”
“Abbastanza. Sono tutti uguali.” Replicò pacatamente, mettendosi a sedere senza che fosse invitato. Potevano essere scortesi in due.

“È stata una fortuna che abbia mandato Rachel a prenderti allora.”
“Davvero.” Confermò senza scomporsi. Draco fece un cenno della testa, forse seccato dalla mancanza di reazioni. O forse lo apprezzò, difficile dirlo.
Era diventato arduo leggere nel volto dell’ex-compagno di scuola.
“Posso sapere il motivo di quel Gufo?” Andò subito dritto al punto. “Non era ufficiale, e di certo non siamo il genere di vecchie conoscenze che si scambiano lettere…”
Malfoy tamburellò con le lunghe dita sul bracciolo della propria poltrona. “Anni fa…” Iniziò, e sembrava che la cosa gli costasse molto. “… tu mi hai fatto due favori. Di rilevante entità, peraltro.”
“Sì.” Non smentì, tranquillo. Harry non si era mai sentito un buon samaritano.

Forse a diciassette anni l’ho salvato dall’Ardemonio e da Azkaban senza rendermi bene conto di cosa questo avrebbe significato.
Ma adesso lo so. Perché negarlo?
“Intendo ripagarli. Detesto l’idea di arrivare alla tomba con un debito da solvere nei tuoi confronti, Potter…” Lo disse senza acrimonia, ma con disagio. Era passata tanta acqua sotto i ponti, e qualcosa indubbiamente li avrebbe legati per sempre. Questo però non li avrebbe mai resi amici.
Ad Harry dispiacque. Forse era ancora quel diciassettenne che cercava di vedere il meglio in tutti.
“L’hai già fatto.” Disse, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Con Thomas, il mio figlioccio. L’hai salvato da Azkaban.”
“Nessuno avrebbe condannato quel ragazzino…” Sbuffò l’altro. “L’opinione pubblica, aizzata dall’adorazione…” Qui gli sembrò di sentire il vecchio tono strascicato. “…che prova per te, si sarebbe infiammata. Ho dato il mio voto perché era comodo farlo.”

“Ti sei fatto sincero Malfoy?” Ironizzò.
Questi gli lanciò un’occhiata penetrante e fece un gesto vago. “Potrei dirti che ho ripagato il mio debito, ma mentire a me stesso non metterebbe a tacere il mio… fastidio.”
Harry sorrise appena. “Sì, Malfoy… ti sei fatto sincero.”

L’altro non rispose, preferendo fare un cenno alla segretaria, che si alzò ed abbandono l’ufficio, così silenziosamente che quasi Harry non lo notò.
“Vuoi smetterla di blaterare o hai altre discorsetti alla Grinfodoro da rifilarmi?”
“Ti ascolto.” Si mise attento, reprimendo un sorrisetto. Non l’avrebbe ammesso ad anima viva, ma un po’ gli era mancata quel genere di schermaglia. Dopo la Battaglia e la conseguente consacrazione a Salvatore, non c’era stato più nessuno che aveva osato prenderlo in giro a quel modo.

“L’agente Scott si è fatto vedere ad Hogsmeade, non autorizzato…” Iniziò il biondo.
“Questo lo sapevo.” Confermò mentre sentiva la poltrona diventare scomoda. La lettera di Tom, arrivata qualche settimana prima, l’aveva mandato su tutte le furie, ma non aveva potuto fare molto, a parte consigliare al figlioccio di non dare ulteriore udienza all’agente americano. La politica internazionale era materia pericolosa da maneggiare, sia nel mondo babbano che in quello magico.

E io devo ancora scontare le insubordinazioni dell’anno scorso…
“Se mi lasciassi finire, sapresti anche altro.” Replicò Malfoy in tono esasperato. “L’agente Scott ha come referente in Gran Bretagna il mio Ufficio.” Fece una voluta pausa, per dare significato delle parole. “Vuoi sapere cos’hanno in mente gli americani, o continuare ad interrompermi?”
 
 
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Note:
La seconda parte dello scorso capitolo non è questa, è la prossima. ;)

Ah, ho guardacaso trovato un immagine perfetta di Loki in uniforme
1. Qui la canzone.

2. Lily in inglese significa giglio, ma lo sapete :P

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Capitolo 22
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI


 
 

Why does it feel the same / To fall in love or break it off?

And if young love is just a game
Then I must have missed the kick off¹…
(Going away to college, Blink 182)



 
14 Ottobre 2023.
Hogsmeade, Pomeriggio.
 
Lily non riusciva a credere ai propri occhi.
Sul serio, neanche volendo si sarebbe mai immaginata che il suo pacato, caro amico Sören e quello scimmione senziente di suo fratello Jamie si sarebbero sfidati.
Procedeva assieme ad Al e Tom per i vicoli di Hogsmeade, diretti al boschetto adiacente la Stamberga Strillante. Da che mondo e mondo, i duelli non autorizzati tra studenti si tenevano lì. Era sufficientemente lontano dal villaggio per non far accorrere immediatamente qualche mago e strega adulta, ma abbastanza vicino da poter andar a chiedere aiuto nel caso qualcuno si fosse fatto male.
James scostò una fronda, rivelando una piccola radura. Di quel posto lui era certamente un esperto, visto che aveva calcato quel suolo sia come duellante che come secondo dei suoi stupidi compagni d’occasione.
Vuoi un secondo o un arbitro sempre pronto per un duello tra idioti? Chiedi a James Potter.
Fino all’anno scorso l’adagio era questo…
Albus accanto a lei tirò un lungo sospiro. “Non posso credere di stare per assistere ad una cosa del genere. James è un idiota.”
“Comprovato.” Confermò Tom scostando un ramo pendente per farli passare.

“Dobbiamo fermarli!”
“E come Lils?” Chiese Al con aria frustrata, guardando le schiene dei due contendenti. “Anche se andassimo a chiamare un professore, tempo che torniamo e si sono già scaricati addosso almeno una ventina di incantesimi…”
“Ma tu sei un Caposcuola!”
“Sì, ma loro non sono sotto la mia autorità. Sören è di Durmstrang, e James non è più uno studente…” Le spiegò con dispiacere. “Non ho il potere fattuale di fermarli. E anche su quello fisico, temo di non esser messo meglio…”

Lily si morse un labbro. Li distaccò per raggiungere l’amico, che camminava immediatamente dietro a James, scuro in volto.
Devo tentare almeno con lui!
“Ren!” Lo apostrofò con urgenza, prendendolo per un braccio. Lo sentì irrigidirsi, come se gli avesse appena dato una frustata. Lasciò immediatamente la presa. “Ti prego, lascia perdere!”
“Non posso.” Fu la risposta, ma se l’era aspettata. Sören dava l’idea di uno estremamente ligio al proprio codice di comportamento e tutta quella roba che lei non avrebbe mai compreso.

“Certo che puoi!” Disse comunque. “Mio fratello è un deficiente, gli è partita la brocca! Se mi dessi una mano e tentassimo di farlo ragionare…”
“Mi ha sfidato a duello, Lilian.” Gli spiegò, cercando evidentemente di dominare la collera per non aggredirla. Non ci riuscì tanto bene, perché stava guardando male anche lei. “Le regole dei duelli magici sono ferree. Se vieni sfidato e rifiuti, sei un codardo. Ed io non sono un codardo.”
“Certo che non lo sei! Sei un Campione del Tremaghi, affronterai delle prove spaventose, come puoi pensare…” Si fermò, vedendo che a malapena la stava ascoltando. “Non devi dimostrare niente!”

Sören a quel punto le scoccò un’occhiata raggelante, che le fece venire immediatamente un’intensa voglia di fare un passo indietro, spaventarsi o urlargli contro.
“Tu non mi conosci.” Sibilò, e per un attimo le sembrò davvero che avesse ragione. Aveva gli occhi freddi, come due pozzi neri che sembravano invitarla ad entrarci dentro, per poi inghiottirla.
Non sembrava il suo solito Ren. Non sembrava direttamente Ren.
Istintivamente fece quel famoso passo indietro, quasi sbattendo contro Tom.
“Allora, volete muovervi? Non è che ho tutto il giorno!” La voce di James spezzò quel momento, e Sören le diede le spalle, raggiungendo l’altro ragazzo. Non prima di aver però scambiato un’occhiata con Tom, indecifrabile. Fu poco più di un attimo e non riuscì a vedere l’espressione del cugino.
“Tutto bene?” Le chiese poi Tom a bassa voce, e fu certa che non volesse farsi sentire da Al, che al momento lottava contro la sciarpa impigliatasi in un ramo.
“Sì… io. Sì.” Confermò due volte, ma non ne fu sicura neppure una. Si era spaventata, era questa la verità. E Tom l’aveva capito.
E sono certa che non fosse così vicino … Mi ha raggiunta quando Ren mi ha risposto male?
Tom non le diede la possibilità di chiedere: andrò piuttosto ad aiutare Al, borbottando qualcosa sulla congenita incapacità dell’altro di mantenere il pathos di certi momenti.
Non le chiese niente, e non disse niente. Gliene fu grata.
Lily raggiunse i due contendenti. Si sentiva il cuore battere furioso in gola.
Neppure nelle sue peggiori ipotesi avrebbe mai pensato che quell’incontro sarebbe potuto finire con uno scontro. Certo, non era così ingenua da pensare che James, maschio alfa della famiglia, avrebbe accolto con calore un suo amico maschio, in quanto lei piccola della casa.
Ma da qui a pensare che si sarebbero puntati le bacchette addosso…
E poi perché diavolo tutti pensano che stiamo assieme?!
“Ci serve un arbitro!” Esclamò James non appena Lily calcò piede nella radura, improvvisato campo di battaglia. “Vuoi farlo tu?”
“Non ci penso neanche.” Replicò cercando di fargli capire quanto fosse stupido, e quanto lo detestasse in quel momento.

Il fratello fece una smorfia di rimando, dimostrando che anche quello stava concorrendo a alimentare il suo desiderio di rivalsa idiota verso lo straniero. “Bene, visto che i due serpentelli si rifiuteranno sicuramente, faremo senza!”
“Mi leggi nel pensiero, idiota.” Fu la risposta di Al, appena giunto con la sciarpa in mano. “Se volete farvi a pezzi, lo farete senza il nostro appoggio.”
Sören non replicò, ma estrasse la bacchetta, gesto sufficiente.

Lily inspirò.
Che poi non ho mica capito perché siamo arrivati a questo punto. Sarò scema, ma davvero non ci arrivo… È una reazione esagerata!
Chi l’aveva più sorpresa, e non in positivo, era stato Sören.
Non avrei mai pensato che avrebbe accettato. È molto più maturo così.
Anche se certo… è un ragazzo. E certo… non lo conosco davvero.
Era questo a farle più male di tutto.
Si sedette accanto al fratello e a Tom, maturando una lenta e inesorabile consapevolezza.
Non conosceva davvero Sören. Di questo ne era certa anche senza usare i suoi poteri.
E forse dovrei usarli…
 
Forse non sarebbe dovuto arrivare a quel punto.
Una parte di sé in quel momento gli stava urlando contro, sostenendo che stava commettendo un errore di valutazione enorme.
Suo zio gli aveva ordinato di entrare in contatto con la famiglia Potter.
E lui si stava preparando a prendere a calci nel sedere – seppur magicamente – il primogenito.
Non era la missione, quella. Non c’entrava nulla. Era lui che non riusciva a tollerare l’idea di essere insultato da un simile, tracotante idiota.
Aveva passato l’intero incontro con i nervi tesi. Aveva conosciuto Thomas, aveva notato che questi non era stato affatto convinto dalla sua interpretazione di Luzhin. Questo l’aveva reso nervoso, enormemente. L’aveva mascherato bene. Era andato tutto splendidamente finché non era arrivato quel James Potter, fino a quel momento solo uno dei tanti membri della famiglia che non avrebbe dovuto incontrare direttamente.
L’aveva insultato. E con il chiaro intento, seppur ridicolo, di umiliarlo.
Per il puro gusto di farlo…
Odiava quel genere di mago.
E non poteva dare interamente la colpa al suo temperamento. Gli era stato inculcato, sin da bambino, che tutte le offese ricevute dovevano essere lavate nel sangue.
Naturalmente non aveva intenzione di uccidere James Potter.
Ma dimostrargli chi sono … anche se solo un poco… questo sì. 
“Pronto Ren?” Gli chiese quello con un ghigno che trovava irritante più di un intero cespuglio di ortiche.
Per un paio di mesi in un centro d’addestramento ti credi superiore a me?
“Sì.” Lo informò comunque, perché la forma era importante. Lo era sempre. Gli diede le spalle e contò i passi necessari a distanziarsi.
Non voleva guardare Lily: sapeva di aver sbagliato tutto con lei, di averla spaventata e persino Thomas glielo aveva fatto notare, avvicinandosi – e non sembrava un tipo protettivo.
Al momento non gli importava.
Erano mesi che dissimulava, sorrideva, fingeva. Non era mai stato così tanto tempo qualcun altro, anzi, persino nelle missioni più complesse e delicate era sempre stato se stesso.
Era una sensazione straniante, gli faceva pensare, desiderare cose che non erano reali, non per lui.
E questo lo confondeva, lo frustrava.
Era arrivato ad un punto di rottura, e se n’era accorto solo quando James Potter l’aveva stuzzicato.
Non sarebbe potuto tornare indietro neanche volendo.
Si voltò, espirando, e tese la bacchetta di fronte a sé, un movimento ripetuto tante di quelle volte da essere diventato naturale come respirare. O quasi.
“Bacchette pronte al mio via…”
 
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Londra, Ministero della Magia. Dipartimento Per la Cooperazione Magica Internazionale.
Ufficio di Draco Malfoy.
 
“Il Ministero Americano vuole Thomas…?”
Malfoy inarcò le sopracciglia, come se fosse perplesso dal sentirgli ripetere la frase pronunciata poco prima.

Non aveva mai avuto modo di parlare veramente con Draco durante la loro adolescenza. Solitamente, le loro conversazioni finivano subito in rissa. Harry si era accorto, in ogni caso, che era tipico dell’altro usare principali, poche subordinate e in generale essere piuttosto stringato.
Aveva detto una sola frase, ed era bastata per spalancargli un mondo di interrogativi.
“Immagino che ormai l’avessi capito da solo…” Disse intanto quello. “Un agente del DALM americano che presenzia al processo, che poi insegue il tuo figlioccio fino in Scozia… Indizi abbastanza indicativi, direi.”
“Sì, questo l’avevo capito. Ma perché?”

Il biondo scosse la testa, abbandonandosi sullo schienale della poltrona. Fece un gesto vago con la mano. “Per chi è, naturalmente. Un tipo interessante, se capisci cosa intendo…”
Harry si sfregò la fronte, dove un tempo era la cicatrice, con forza. L’idea che degli stranieri cercassero di impossessarsi – era quello il termine giusto – di Thomas, come se fosse una cosa, lo mandava su tutte le furie.

Aveva provato sulla propria pelle quella sensazione. La sensazione disgustosa di sentirsi oggetto di interesse da parte del potere costituito. Come Scrimgeour aveva fatto con lui.
Non voleva che accadesse lo stesso a Tom.
“Ma perché proprio gli americani? Dall’Europa li divide un oceano… perché sono così interessati a ciò che accade qui?”
“La Thule ha agito anche da loro. Se ne sentono minacciati quanto noi. Inoltre, l’ho sperimentato con i miei occhi, sono molto più avanzati in ogni campo della Magia. Non sono rimasti fermi all’epoca di maghi come Silente.” Draco si alzò dalla scrivania, andando alla vetrata, dandogli le spalle. “… Sono i nostri cervelli che vogliono.”
“… Scusa?”
“È un modo di dire di origine babbana, dovresti conoscerlo. Fuga dei cervelli.” Replicò l’altro con un ghignetto. “In Europa abbiamo un grande potenziale, menti brillanti. Ma spesso i nostri governi le soffocano, preferendo mantenere lo status quo. Il Ministero inglese non è diverso. Siamo dei conservatori, Potter. Lo siamo sempre stati…” Fece una pausa, inarcando un sopracciglio che ad Harry ricordò mostruosamente il modo di fare di Piton. “Politica, capisci ciò di cui sto parlando?”
“Non hai davanti un ragazzino, Draco.” Lo rintuzzò infastidito. “E abbiamo fatto molto, dopo la sconfitta di Voldemort.”
“Certo, se per molto intendi allontanare i Dissennatori da Azkaban, cosa che non doveva neppure essere discussa e dare qualche riconoscimento a esseri come i Centauri o … gli elfi domestici.” Fece una smorfia seccata. “Ma io ti sto parlando di scienza. Innovazione. Gli Americani, in questo, ci sono superiori. Avrei mandato mio figlio a Salem, se fosse stato possibile. Purtroppo non abbiamo accordi bilaterali in tal senso.”

“Non capisco questo cosa c’entri con Tom…”
“Il tuo ragazzo è l’innovazione che cercano.” Lo guardò esasperato. “Un corpo, umano, tornato alla vita dopo aver ricevuto un’anima. È alchimia ad altissimi livelli. È la prova che si può tornare dalla morte… Gli americani cercano menti brillanti, ma lui è il famoso uovo di Chimera.” Alla sua espressione attonita, fece un mezzo sorriso, indovinando il corso dei suoi pensieri. “Sorpreso che io sappia certe cose? Potter, faccio parte di un ufficio che si occupa delle relazioni internazionali tra maghi. Noi qui sappiamo tutto. Siamo l’ufficio di riferimento dell’agente Scott. Il tuo protetto è un affare che non riguarda solo l’Inghilterra.”

“Quindi… vogliono studiarlo?”
Draco fece un lieve cenno della testa. “Sì, ma non come una cavia. Sono più furbi di così. Scott è qui per offrirgli l’ammissione all’Istituto Magico di Salem², uno dei più importanti centri di ricerca magica del mondo. Non appena si sarà diplomato, naturalmente.”

“Vogliono comprarlo…”
“Esattamente, Potter.” Confermò. “Vogliono portarlo in America, ma vogliono che venga con loro di sua spontanea volontà. Non possono rapirlo, ma possono persuaderlo.”
“Tom non cadrebbe mai in una trappola simile.”

Draco gli lanciò uno sguardo divertito. “E chi ti dice che il tuo figlioccio la vedrebbe come tale?”
Harry non rispose. Draco aveva un punto: Tom, nella lettera che gli aveva spedito, non aveva accennato a nulla del genere.
Ma se questa proposta gliel’avessero già fatta?
Il fatto che non gliene avesse parlato, significava solo che non voleva metterlo a conoscenza della cosa.
E la cosa non mi piace.
Naturalmente non era come l’anno scorso. Doveva avere due pesi e due misure: un offerta lavorativa in America non era come nascondergli John Doe.
“È tutto qui quello che dovevi dirmi?” Chiese, o meglio se lo sentì dire. Aveva la testa da tutt’altra parte.
Malfoy sembrò accorgersene, perché schioccò la lingua in un moto di fastidio.
“Merlino Potter, è davvero difficile tenerti concentrato su discorsi più lunghi di una chiacchierata da pub, vedo…” Fermò una sua protesta. “Non ho finito. Non era questa l’informazione che volevo passarti, visto che si tratta di qualcosa che già potevi capire da solo. Era solo qualcosa che immagino avresti voluto sapere.”
“Allora cosa?”
Draco sembrò vagamente lusingato dall’avere di nuovo la sua attenzione. Era ancora quel vanesio ragazzino, dopotutto.
“Si tratta di un informazione confidenziale. Il Ministero americano ha un ufficio incaricato della sorveglianza della Thule. È da lì che sono venuti quei due agenti, compresa la Hardcastle, l’anno scorso.”
“… Quindi?”
“Quindi, si dà il caso…” Staccò le parole, con esasperazione. “Che abbia qualche amico là. E credimi, Potter, voi auror avreste molto da imparare.”
Harry non si lasciò fuorviare dalla frecciatina. “Cos’hai scoperto?”

Malfoy per un momento tradì evidente preoccupazione. Avrebbe capito solo dopo il perché.
“Dissennatori, Potter. La Thule pare si stia interessando ai Dissennatori.”
 
 
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Parco di Hogwarts.
 
A Teddy sembrava incredibile, ma era lui a stare dietro alla professoressa McGrannit, mentre questa, quasi centenaria, incedeva con energia verso i cancelli di Hogwarts, pronta a smaterializzarsi.
È davvero una strega potente… usare la Materializzazione a quest’età…
Neville era corso in sala professori, poche manciate di minuti prima, trafelato.
 
“Hannah mi ha appena chiamato via camino, c’è uno scontro tra studenti ad Hogsmeade!” Si era allenato la cravatta. Era sporco di terriccio ovunque. “Io sono impegnato con… beh, nelle serre, ma qualcuno deve andare a controllare!”
Ted, che stava consultando gli appunti per la lezione di lunedì aveva alzato lo sguardo in tandem con la professoressa McGrannit, che al momento stava prendendo il the con Vitious. Erano gli unici professori presenti al momento.
Il piccolo preside aveva tirato un grosso sospiro. “Di chi si tratta?”
“Mia moglie ha detto che sono uno studente straniero e…” Qui aveva fatto una pausa e aveva fissato Ted, che aveva avuto un orrendo presentimento. “… James Potter.”
“James?” Effettivamente sapeva che doveva incontrarsi con i fratelli.
E l’amico di piuma di Lily. Il Campione di Durmstrang.
“Qualcuno deve fermarli, prima che sorga un guaio diplomatico con Beaux-Batons o con Durmstrang…” Era stato praticamente un ordine, anche se formulato in maniera gentile.
Ted si era alzato, riponendo accuratamente fogli e libri dentro la sua cartella.
“Vado io preside… non si preoccupi.” Aveva sospirato, rassegnato dall’inevitabilità del suo karma.
“La accompagno.” Era stata la McGrannit a parlare, e Teddy si era voltato, probabilmente con una faccia estremamente stupida perché la donna gli aveva rivolto uno sguardo perplesso. “Per caso non sono gradita?” Aveva chiesto infatti.
“No, no… assolutamente! Cioè, certo che è gradita… ehm.” Aveva concluso, mentre Neville nascondeva un sorriso dentro un tentativo di tossire e Vitious faceva generosamente finta di nulla.
Un giorno avrebbe avuto ragione della suo essere imbranato. Forse.
“Vogliamo andare, professor Lupin?”
 
E si tornava al momento presente.
La McGrannit tirò fuori la bacchetta, pronunciando un breve incantesimo che fece muovere i pesanti cancelli della scuola.
“La ringrazio per essere venuta…” Si sentì in dovere di dire. “Non saprei neppure come gestire la situazione, da solo…”
“È piuttosto delicata.” Convenne la donna. “Ma immagino che un Potter renda sempre una situazione particolarmente delicata…”
Teddy sorrise. Aveva sempre pensato che l’ex-preside, ora professoressa, fosse dotata di un’ironia acuta e sottile.

Sperava davvero che James non avesse fatto qualcosa di stupido come sfidare a duello il Campione di Durmstrang.
Anche se non era molto fiducioso in tal senso. James era un autentico genio nel combinare quel genere di disastri. Con l’età si erano diradati, certo, ma i pochi che ancora faceva avevano dimensioni epiche.
Sarebbe stato proprio da lui litigare con un allievo di una delle due scuole ospiti e sfidarlo a duello.
Sospirò mentre varcava i cancelli, pronto a smaterializzarsi. La donna gli lanciò un’occhiata perplessa.
“È solo… che non è la prima volta.” Dovette spiegare. “Con James.” Aggiunse.
“Pensi per me. Ho avuto ben due generazioni della sua famiglia, e tre per i Potter.” Stirò un mezzo sorriso. “Perlomeno lei è un professore. Spero che abbia più ascendente di suo padre con Black e Potter.”
“Non lo chiamerei ascendente…” All’occhiata confusa, arrossì fino alla punta dei capelli – nel suo caso non era una metafora. “Ehm. Meglio fare in fretta.”

 
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“Jamie, falla finita!”
“Andiamo, stai diventando ridicolo!”

James non poteva farla finita. Anche se a chiederglielo era Lily, la sua adorata sorellina. O quel rompipalle di Al.

Si rialzò dolorante, dall’ennesimo incantesimo castato dalla bacchetta dello straniero.
Era forte, il maledetto.
Inspirò lentamente, sentendo i polmoni comprimersi in maniera spiacevole. Era certo di essersi rotto una costola, o forse no. Gli incantesimi lanciati da quel tipo, che adesso gli stava di fronte in una posa quasi rilassata, erano precisi. Ma non erano potenti. Non stava neanche attaccando.
Era questo a mandarlo in bestia.
Non sta facendo sul serio!
Era riuscito solo a lanciargli uno stupeficium, che l’altro aveva parato con un sortilegio scudo mai visto prima, considerando che gli aveva rimandato indietro il colpo, e solo per tutto l’allenamento che faceva era riuscito a schivarlo.
Il mio stesso colpo…
“Dovresti dar retta ai tuoi fratelli…” Gli disse il bastardo. Era certo però di stare innervosendolo. Il duello non si era concluso in una manciata di attimi, come sicuramente aveva sperato.
Spiacente bello, sono un osso più duro di così.
Non gli piaceva. Non era solo la sua faccia – peraltro odiosa – e neppure il fatto che l’avesse trattato da idiota analfabeta. Che già questo sarebbe bastato e avanzato. C’era qualcos’altro che lo irritava, oltre la sua supponenza.
O forse no. Forse semplicemente gli stava sull’anima e aveva una voglia matta di dargli una lezione di umiltà.
“Dove hai imparato a duellare, eh?” Chiese, ignorando gli sguardi dei fratelli e di Thomas.
Finché duellavano non si sarebbero azzardati ad avvicinarsi. E a strigliarlo a dovere.
“A Durmstrang.”
“Puttanate. Non ti insegnano a duellare così, in nessuna scuola.”
“Evidentemente non sei mai stato nella mia.” Replicò quello senza scomporsi. Era una sfinge.

Ecco cos’è… Non riesco a capire che tipo sia.
Durante un duello, gli era stato ripetuto fino alla nausea all’Accademia ma ne aveva già avuto un assaggio nei racconti dei suoi genitori, si poteva arrivare a comprendere l’avversario.
In un duello capisci chi hai davanti. Senza schermi.
Invece quel Sören non stava lasciando trasparire niente. Lo teneva a distanza, sia fisica che emotiva. A parte lo sfogo in cui aveva accettato la sfida, non si era più scoperto.
Non è normale che un diciassettenne si comporti così… Che razza di mostro di autocontrollo è?
Impedimenta!” Gridò, ma l’incantesimo venne riflesso dall’ennesimo scudo, prima di tornare indietro con rinnovata violenza. James lo schivò per un soffio, cadendo a terra per lo spostamento d’aria.
Di nuovo, dannazione!
Sören non commentò, ma a James non sfuggì il vago sorrisetto che gli aleggiò sulle labbra.
“Cos’hai da ridere!? Prendi questo duello sul serio!” Gridò, sentendosi il viso scottare di rabbia e vergogna. Lo stava umiliando.
Come a voler confermare quel suo pensiero, Sören inarcò le sopracciglia. “Non credo ce ne sia bisogno… Sei lento. E prevedibile.” Aggiunse.
James sentì la collera montargli nel petto. Una parte di sé, la stessa che non voleva ascoltare i fratelli, sapeva di starsi comportando come un idiota.
Ha accettato il duello, però fa sembrare me il coglione rissoso!
Era andato tutto storto.
Ti toglierò quella faccia immobile, stronzo!
Doveva avvicinarsi, era l’unico modo per aver ragione della sua guardia. Era certo, sicuro, che una volta arrivato sufficientemente vicino sarebbe riuscito a colpirlo.
Non ha fatto altro che mandarmi indietro i miei incantesimi e gettarmi gambe all’aria, quindi non vuole che mi avvicini… Voglio e devo fargli perdere le staffe! È l’unica possibilità che ho per mandare a segno un colpo!
L’illuminazione gli arrivò come un fulmine, perché poteva non essere il più brillante del mucchio, ma la sua testa in azione funzionava. Eccome.
E sorrise.
 
Quel Potter non era la delusione che si sarebbe aspettato. Era sì, lento e prevedibile, ma molto meno di quanto si fosse aspettato da un ragazzotto inglese cresciuto come figlio d’arte e in tempo di pace.
Aveva un buon potenziale magico, ed era intuitivo. Aveva inoltre un’ottima sincronia con la sua bacchetta.
Se fosse stato allenato fin da bambino come lo era stato lui, fino a farsi sanguinare le mani e sentirsi ad un passo dallo svenire, probabilmente sarebbe stato un opponente capace di metterlo in seria difficoltà, forse persino di batterlo.
Ma gli manca l’esperienza… Ed è troppo impulsivo.
Poi lo vide sorridere.
Non riuscì a fare mente locale che l’altro puntò a terra la bacchetta, a pochi metri da lui e gridò.
Reducto!
L’incantesimo si infranse assordante sul terreno, sollevando una nuvola di foglie e polvere che lo investì completamente.
Sören fece un passo indietro, cercando di coprirsi il viso. Aveva gli occhi pieni di polvere e terra.
Abbassò la guardia. Se ne accorse nel momento stesso in cui sentì qualcosa, qualcuno vicino a sé. Sentì anche Lily trattenere il respiro.
… Cosa…?
“Beccato, stronzo!”
E qualcosa impattò contro il suo naso. Un pugno.
Crollò a terra, sentendosi la testa esplodere di dolore e il naso come una scheggia di vetro.
James, no!
Quella era decisamente la voce di Lily. Aprì gli occhi, sentendoseli bruciare come se ci avessero colato cera liquida.

James Potter stava a pochi passi da lui, la bacchetta stretta nel pugno sinistro. Se la passò nella mano destra, puntandogliela contro.
“Non sei questo granché se ti stende un pugno, crucco…” Ghignò soddisfatto. “Fatto male?”
Sören aveva sempre saputo di non essere in grado, talvolta, di gestire le proprie emozioni. C’era da dire che nessuno si era mai preso la briga di spiegargli come reagire a certe situazioni.
Nessuno l’aveva mai picchiato in quel modo barbaro e offensivo. Nessuno.
Nessuno si doveva permettere.
Si rialzò in piedi, ignorando il dolore, concentrato su quel ghigno odioso. L’aveva già visto in bocca ad altra gente. A John Doe, quando lo chiamava ‘bambino impaurito’ … a suo zio.
Odiava quel sorriso.
 
Lily avrebbe tanto voluto essere forte. Come sua nonna, davvero, per una volta avrebbe voluto avere la forza di sua nonna, o di Rosie, per poter prendere la bacchetta e separare suo fratello e Ren.
Probabilmente non funzionerebbe lo stesso, altrimenti Al ci avrebbe già provato… 
“Sono troppo lontani l’uno dall’altro per farli separare da una barriera…” Le aveva spiegato.
Aveva quindi seguito impotente e arrabbiata lo scontro. Era privo di senso e suo fratello si stava solo rendendo ridicolo.
Poi James aveva trovato il modo per sbloccare quello stallo. Aveva distratto Sören con uno stratagemma ed era riuscito ad avvicinarsi. Gli aveva dato un pugno in faccia, seguendo il suo istinto da rissaiolo cretino.
E adesso…
Adesso Lily sentiva le emozioni  di Sören.
All’inizio del duello aveva deciso di togliersi l’orecchino di controllo, e fino a quel momento aveva pensato che fosse stato un gesto inutile. Non si era sentita diversa o non aveva sentito niente di diverso.
Poi l’amico aveva ricevuto quel pugno in piena faccia, ed era caduto. Lei aveva gridato.
E adesso la sentiva. Chiara e forte come se fosse sua, quell’emozione.
Era rabbia.
Tanta di quella rabbia che si era sentita mozzare il respiro ed appannare la vista.
“Lily?” Si sentì afferrare per un polso da Al. “Lils, che hai?”
Non fece in tempo a rispondere  - che espressione aveva per distogliere l’attenzione di Al dallo scontro? – che Sören si rialzò di scatto. Mosse appena la bacchetta, senza emettere una parola – un incantesimo non verbale? - e James fu scaraventato violentemente all’indietro.

Lily osservò immobile il fratello sbattere contro il tronco di un albero e crollare a terra con un lamento.
“No, ehi! Fallo rialzare!” Sbottò Al, mentre Tom lo bloccava dal frapporsi trai due.
Sören per tutta risposta non sembrò intenzionato a dargli retta, come regole imponevano.
È furioso. Non vuole fermarsi, vuole fargliela pagare…
Ma non c’era solo rabbia. Lily non sentiva solo rabbia.
È paura.
Ha paura. Ma cosa…?
Finì in un attimo. Quando Sören aprì bocca per pronunciare l’incantesimo una folata di vento e luce si frappose tra lui e James.
Una materializzazione!
Qualcuno gli afferrò il polso. Teddy gli afferrò il polso.
 
“Basta così.”


E quelle sensazioni sparirono di colpo. Lily si accorse di essersi alzata in piedi. Aveva camminato verso di loro, e non se ne era resa conto.
Oh, cavolo…
Sören in compenso sembrava una statua di sale. Fissava Ted come se lo considerasse una specie di apparizione. Cosa che, in effetti, era.
Ted invece aveva quell’espressione seria, che Lily gli aveva visto raramente in viso, quella che precedeva un bel po’ di guai se non gli fosse stato data retta.
“Il duello è finito…” Continuò senza mollare la presa. “Oltretutto, il tuo avversario è a terra.”
Sören sembrò finalmente rendersi conto di cosa stava succedendo. Si irrigidì e fece un lieve cenno della testa.
“Sì…” Disse soltanto. “Certo.” Abbassò il braccio che reggeva la bacchetta e Teddy lo lasciò andare, per chinarsi ad aiutare James a rialzarsi.
Albus accanto a lei inspirò lentamente. Lily notò che stringeva la bacchetta in pugno, e lo stesso faceva Tom. Avevano delle espressioni tese, entrambi.
Quindi Sören aveva davvero tentato di fare del male a James?
“Signorina Potter, si sente bene?”
Lily sobbalzò quando sentì la voce della professoressa McGrannit accanto a sé. Perché la professoressa era accanto a sé. E lei non l’aveva neanche notata fino a quel momento.

Spero che si sia materializzata e non sia qui da un po’, perché giuro, sto perdendo colpi…
“Beh… sì.” Annuì confusa. “Perché me lo chiede? Non ero io che stavo duellando…”
“È molto pallida.” Il tono della strega era definitivo e non dava spazio di replica. Lo disse senza staccarle gli occhi di dosso, mettendola tra l’altro abbastanza a disagio. “Segua il professor Lupin e suo fratello in infermeria.”

“Ma sto bene!”  Tentò comunque, anche se si sentiva girare la testa. Era per via dell’orecchino? Era perché se l’era tolto?
“Dai Lils…” La incoraggiò Al, passandole un braccio sulle spalle. “Dà retta alla professoressa, non hai una bella cera… Ti sei presa un bello spavento dopotutto.”
“Io…” Sospirò, vinta. “Okay.”
Non sapeva neanche cosa pensare. Era tutto accaduto così in fretta. Del resto il duello non poteva che esser durato una decina di minuti.
Massimo.
Probabilmente non aveva senso farlo, ma lanciò lo stesso un’occhiata a Sören. Il ragazzo intercettò il suo sguardo, ma lo distolse subito. Gli sanguinava il labbro, e cercava di tamponarselo con un fazzoletto.
James l’ha colpito in bocca… Deve avergli fatto male…
La McGrannit a quel puntò lanciò un’occhiata anche a lui. “Lei.” Scandì. “Il suo nome.”
“Sören.” Rispose meccanicamente, poi ebbe un’esitazione ma forse fu solo un’impressione di Lily. “… Luzhin. Sören Luzhin, allievo di Durmstrang.”
“Bene Signor Luzhin, venga con noi. Dovrà spiegare l’accaduto al suo referente…” Magari fu un’altra impressione, ma la donna lo guardò come se lo conoscesse.

“Sissignora.” Mormorò Sören docilmente.
E non è possibile… no?
Lily si sfiorò il lobo, rendendosi conto solo in quel momento che l’orecchino non se l’era ancora rimesso.
 
****
 
Londra, Ministero della Magia. Dipartimento Per la Cooperazione Magica Internazionale.
Ufficio di Draco Malfoy.
 
“Che significa Dissennatori?”

Harry sapeva a volte di fare la figura dell’idiota ripetendo le cose un paio di volte. Era una deformazione professionale dell’agente Auror. Ripeterle significava metterle in dubbio, ma non solo. Permetteva all’altro di rendersi conto della portata delle proprie affermazioni.
E questa è… gigante.  
Purtroppo però Draco Malfoy appartiene al primo tipo di interrogati. Quelli che ti considerano un idiota duro d’orecchio.
“Potter, questa mania di ripetere le cose…” Disse infatti, con fastidio. “Dissennatori, penso tu li conosca bene.”
Harry annuì, mentre i ricordi lo aggredivano, facendogli scendere un rivolo gelido di sudore lungo la schiena. Anche a distanza di anni quello non era un ricordo che era riuscito a digerire del tutto.

Quelle creature orrende non erano ovviamente sparite con l’allontanamento da Azkaban ad opera di Shacklebolt: era impossibile ucciderli. Erano invece state relegate in un’area disabitata dell’Islanda.
E lì dovrebbero trovarsi al momento…   
“Come hai avuto quest’informazione?”
Malfoy arricciò le labbra in un sorrisetto appuntito. “Questo Dipartimento, Potter, assieme all’architettura decisamente più gradevole di quella degli altri livelli, ha anche molte porte. Che portano ad altri Dipartimenti…” Gli lanciò un’occhiata penetrante. Non glielo voleva dire, era ovvio.

Harry non si diede per vinto.
“Non hai risposto alla mia domanda, Draco…” Non l’avrebbe chiamato per cognome, anche se forse l’altro ci sperava. “Come hai avuto queste informazioni? Prima di fare certe affermazioni dovresti darmi dei fatti concreti.”
“La Divisione Bestie.” Sbuffò quello, parzialmente vinto. “Hanno funzionari dislocati su tutto il territorio, soprattutto per monitorare esseri come i Draghi.”

“E…?”
“E li hanno visti, Potter. Una ventina di Dissennatori che si aggiravano per le highlands.” Lo fermò prima che potesse obbiettare che la cosa avrebbe avuto dovere una certa risonanza. “… il fatto è che, da ulteriori accertamenti, non ne è stata trovata traccia.”

“Quindi le indagini non sono partite…”
“Già. Tra l’altro, i testimoni erano due ragazzi usciti da Hogwarts l’anno scorso. Hanno ritenuto che fossero due adolescente suggestionabili.” Fece un gesto vago. “La nebbia, la pioggia, il cattivo umore… ed hanno chiuso il caso.”
“Sì, ma… come fai a collegare questo alla Thule?”

Draco schioccò le labbra in suono contrariato. Harry avrebbe voluto fargli notare che non era nella sua testa, e che quindi i suoi contorti ragionamenti mentali da politicante proprio non li capiva.
Lì ci sarebbe voluta Hermione.
“Prima di tutto, Potter, non sono io che faccio i collegamenti. Semplicemente, mi informo. Non sono tempi chiari, questi…” Commentò asciutto, prendendo tra le dita un tagliacarte e saggiandole la lama con l’indice. “Secondo, come ti ho già detto, ho parecchi amici al DALM americano. Visto che la Thule ha liberato dei Naga nella scuola di mio figlio, ho preferito sapere se ci fossero altro in ballo…”
“Come i Dissennatori?”
“Esatto. La Thule non ha smesso di cercare di portar via il tuo ragazzo…” Fu la risposta. “È qui, anche se non si sa sotto quale mantello si nasconda. Se fossi in te, terrei gli occhi incollati al mio figlioccio.”
Harry si passò una mano trai capelli, frustrato. C’era molto, di quella storia, che non gli tornava.

Prima di tutto, Draco che si offriva di dargli informazioni. Certo, erano uomini adulti, ma ancora gli riusciva difficile credere che l’ex compagno di scuola volesse davvero onorare quel debito a viso aperto. Ma quello era l’ultimo dei problemi.
C’era troppa roba in ballo, e lui non aveva l’autorità o il diritto di mettersi in mezzo. Quella lezione l’aveva appresa dolorosamente l’anno prima.
Sì… ma se mi vengono dette queste cose… Come faccio a non farlo?
“Io sono un auror, Draco… Non è il mio ufficio che si occupa del servizio di sicurezza del Torneo, ma quello di Zacharias Smith.” Obbiettò comunque, cauto. E poi c’era dell’altro. “Posso sapere chi ti ha dato questa informazione? Della Thule connessa all’apparizione dei Dissennatori, intendo.”
“L’agente Scott.” Fu la risposta.   

Scott… ancora lui!  
“E perché te l’avrebbe data?”
“Non ne ho idea…” Stirò le labbra in una smorfia, e ad Harry per un attimo sembrò perplesso quanto lui. “Non siamo mai stati nel genere di rapporti, sia professionali che non, per cui avrebbe dovuto farmi una confidenza del genere. Ma l’ha fatta. E non stava mentendo.” Fece una pausa, posando il tagliacarte. “Me ne sarei accorto.”
Harry a quel punto capì. “Voleva che tu me lo dicessi. A me, di persona. Sa che ci conosciamo?”
“Dall’altro lato dell’Oceano sanno molte cose di te…” Fu la risposta diplomatica. Non che se ne aspettasse una diversa. “E sì, penso che fosse questo il suo scopo.”

“Ma perché? Non hanno fatto altro che nascondere informazioni su Thomas, sulla Thule… Perché adesso?”
Draco si strinse nelle spalle, un gesto così disarmato che ad Harry fece capire che persino il suo acuto nemico d’infanzia non sapeva che pesci prendere.

E Malfoy potrà essere molte cose, ma non è di sicuro uno stupido… Gli stupidi non sopravvivono a quello che ha passato lui. Specialmente non arrivano fino al Dipartimento Cooperazione.
Poteva non fidarsi totalmente di Draco, ma aveva fiducia nella sua capacità di studiare le persone.
Del resto anche quando eravamo ragazzi sapeva esattamente come e quando colpirmi…
Non sapeva se l’altro sapesse, e glielo stesse nascondendo. Ma dando retta al suo istinto – stupidamente grifondoro o meno - … no, Malfoy stava dicendo la verità.
Ne sa quando me.
“Potter, se avessi un’idea in merito a questa faccenda, farei in modo che l’eroe…” Replicò infatti ironico, ma tutto sommato non livoroso. “… ne fosse a conoscenza. In quella scuola c’è mio figlio, ed è uno dei Campioni.”
“Sì, lo so.” Ad un’occhiata dell’altro, capì che doveva aggiungere qualcosa. Per amor di pace. E perché era certo che sarebbe servito in seguito. Una delle sue sensazioni. “È un ragazzo in gamba, Scorpius. I miei figli lo stimano molto.”
Draco fece una mezza risata, breve e secca. Non era condita dalla cattiveria dell’infanzia. Gli si addiceva tutto sommato. “Ironico, direi.”
“Perché? I figli spesso fanno scelte diverse da quelle dei genitori. Sono, a conti fatti, persone diverse.”

Il biondo roteò gli occhi al cielo, ma ad Harry non sfuggì l’occhiata sorpresa. “Merlino, sei rimasto San Potter…”
Harry sorrise brevemente. Ormai quei nomignoli gli evocavano nostalgia, più che irritazione. Non gli dispiaceva neppure poi troppo che Malfoy si rapportasse a lui come se fossero ancora nei corridoi di Hogwarts. Probabilmente era anche l’unico modo che conosceva.

Sarebbe stato più semplice se nella nostra adolescenza avessimo dovuto occuparci solo della nostra avversione reciproca…
“Sì, hai un punto a questo riguardo…” Gli concesse pacificamente.
Draco fece una mezza smorfia. “Cosa intendi fare con quel che ti ho detto?”
Harry sospirò. “Immagino che per nessun motivo al mondo, a questo punto, potrò mancare alla Prima Prova.”

Draco si alzò in piedi, facendogli implicitamente intendere che quella conversazione era arrivata alla fine. “Ci avrei scommesso galeoni su questa tua ultima sparata…” Replicò beffardo. Poi l’espressione tornò seria. “Con questo considero estinto il mio debito.”
“Consideri…” Non potè fare a meno di sorridere. A quel punto doveva dirglielo. “Non c’è mai stato nessun debito Draco, almeno per quanto mi riguarda.”
“… Prego?” Doveva ammettere che la sua espressione sconcertata era piuttosto divertente. Si guardò bene dal farglielo notare. Lord Malfoy era conosciuto al Ministero per avere una straordinaria coda di paglia.

“Per la testimonianza al processo… La cosa era tra me e tua madre. Fu lei che ha mentì a Voldemort salvandomi la vita. Io in cambio ho salvato la sua famiglia. Per l’Ardemonio… non credevo che meritassi di morire per l’errore di qualcun altro. Tutto qui. Non ho mai pensato che mi dovessi qualcosa per questo.”
“Ma tu…” Gli scoccò un’occhiata dapprima scombussolata, poi indispettita, infine valutativa. Era chiaro che l’avesse preso in contropiede, e questo travalicava persino il suo vecchio istinto di dargli addosso. “Questa non è una mossa molto Grifondoro, Potter…” Si scollò infine dal palato, quasi con riluttanza.

Harry sorrise: non sapeva se sarebbe mai riusciti a provare simpatia l’uno per l’altro, ma apprezzò lo sforzo di riconoscergli un merito. Più o meno. “È da Serpeverde, vero? Beh, dopotutto mio figlio Albus è il loro Caposcuola. Non penso abbia preso da Ginny, in questo caso…” Offrì insinuante.
Draco gli lanciò un’occhiata che gli sembrò quasi allarmata. “Non credo di voler sapere cosa tu sottointenda.” Gli lanciò un’occhiataccia. “E per l’amor di Merlino, esci subito dal mio ufficio!”
Harry rise.
 
 
****
 
 
Note:
1. Qui la canzone. Leggete il testo ;)
2. Mia invenzione, facendo riferimento al MIT (Massachusetts Institute of Technology). Il fatto che sia a Salem, beh… devo spiegarlo? xD

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Capitolo 23
*** Capitolo XXII ***


Capitolo XXIII
 


 

But that’s just how the story unfolds/ You get another hand soon after you fold
And when your plans unravel they sayin’ what would you wish for
If you had one chance?¹

(Airplanes, B.o.B. feat Hayley Williams)
 
Hogwarts, Infermeria.
Quasi ora di cena.
 
Malditesta agghiacciante.
Ecco cosa sentì James quando riprese i sensi.
Quello e una fastidiosa sensazione di compressione alla testa.
Porco Nargillo, me la sono rotta!
Se cominciava ad imprecare come uno Scamandro era davvero messo male.
Aprì gli occhi sull’infermeria di Hogwarts, ma quello se l’era aspettato. Del resto era svenuto tra le braccia di Teddy, dopo che si erano materializzati davanti ai cancelli di Hogwarts.
Forse non è stata un’idea furba dirgli che stavo bene prima di smaterializzarci…
Si guardò attorno: gli altri letti erano vuoti.
Certo che da quando non ci sono la gente si comporta tanto meglio… Dove sono i traumi da Quidditch?
Poi si ricordò che per quell’anno, causa Torneo, il Campionato era stato sospeso.
“James…”
E la voce di Teddy, ultimo tassello nel quadro noto dei suoi casini. Chiuse gli occhi, cercando di sembrare addormentato, ma ovviamente l’altro era al suo capezzale da un po’.

“So che sei sveglio, non fare la commedia.” … E infatti.
James quindi incrociò lo sguardo severo del professor Lupin, seduto accanto al letto. Perché ora il suo ragazzo aveva quell’espressione: da professore.
Ce l’aveva anche a dodici anni. Il suo destino era già segnato.
“Ehm…” Disse. Senza adrenalina, lontano dallo scontro e con un’emicrania epocale si rendeva conto che aver sfidato quel tizio non era stata un’idea brillantissima. “Lo so. Sono un idiota. Devo crescere. Non posso pensare di fare l’auror se vado in giro a sfidare gente di cui non mi piace la faccia.” Brontolò tutto di un fiato.
Ouch. Fa male anche parlare.
Teddy inarcò le sopracciglia. I capelli, indicatore emotivo, in quel momento stazionavano sul blu, forse un po’ più spento rispetto al solito. Poi tirò un sospiro. “Beh, hai riassunto quello che volevo dirti.” Le sopracciglia si aggrottarono. “Si può sapere che ti è preso?”
“Senti, non era partita in quel modo…” Tentò di giustificarsi. Ed era vero. Okay, la supponenza di quel cretino straniero gli aveva fatto perdere le staffe, ma aveva pensato al massimo di bruciacchiargli un po’ i vestiti.
Quel tipo mi ha preso troppo sul serio!
“Lo hai sfidato a duello, James.” Sottolineò con forza. “Cosa ti aspettavi facesse? I duelli magici sono una cosa seria!”
“Oh, andiamo! Se fosse stata seria gli avrei dato appuntamento per mezzanotte e avrei chiamato un arbitro! Era solo una cosa… un…” Si fermò, perché sapeva di essere nel torto, anche senza gli occhi pieni di rimprovero di Teddy. “Non era neanche valido!” Protestò comunque, perché si rifiutava di addossarsi tutta la colpa.

Teddy scosse la testa. “Non è questo il punto. Hai aggredito un ragazzo che non ti aveva fatto niente.”
Veramente sono io quello in infermeria.” Obbiettò tastandosi la fronte e scoprendo di averla fasciata da una benda. “E con la testa rotta!”
“La tua testa non si rompe così facilmente.” Fu la replica ironica. “Gli hai tirato un pugno, mi è stato detto. Forse la reazione è stata spropositata, ma…”
“Oh, puoi dirlo forte! Mi ha scaraventato contro un albero!”

“… ma te lo sei meritato.” Concluse Ted, ignorando la sua espressione sconvolta. “Ti sei comportato come uno stupido, con un ragazzo che non ti conosce e non aveva idea delle tue vere intenzioni. Non sei più ad Hogwarts, dove tutti conosco il tuo temperamento e sanno come trattarti.”
James non replicò, colpito dall’accusa. Una parte di sé, sapeva perché aveva combinato quel casino. O almeno, perché vi aveva dato inizio senza preoccuparsi delle conseguenze.

Odiava l’idea di non fare più parte di quel piccolo ecosistema magico. Era una cosa stupida, ma l’idea che sua sorella, la sua sorellina di quindici anni, frequentasse quel tipo l’aveva allarmato. O forse era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
La sua vita fuori era grandiosa, certo. Ma non era più come essere a scuola. Niente professori pronti a fargli capire quando sbagliava, niente più ordini, regole, orari. C’era lui, e il mondo. Fine.
Era come essere in un’altra dimensione rispetto alle persone che amava.
Perché sono quasi tutte qui…
“È stato una serie di cose dette e … fatte.” Borbottò, ma non cercò ulteriori giustificazioni. “Non volevo combinare un disastro diplomatico. Spero di non averlo fatto.” Aggiunse.
No, vero? Eh?
“Non credo. A meno che Luzhin non denunci l’aggressione… Ma visto che ha accettato di sua spontanea volontà, gli sarebbe difficile provare che è interamente colpa tua.”
“Ma non ci saranno problemi per Hogwarts, no? Insomma, non sono uno studente…” Ad un cenno affermativo di Teddy, continuò “E per me?” Spiò poi con una certa angoscia. Essere buttato fuori dall’Accademia per quel motivo gli era sembrato improbabile. Prima di quel momento.

Ted con suo enorme sollievo scosse la testa. “Non sei in servizio, Jamie. Ma una nota disciplinare non te la toglie nessuno.”
James sospirò, stendendosi sui cuscini, mentre l’emicrania pulsava fievole, ma presente. Tutto sommato, era stato fortunato. Teddy e la McGrannit – era inquietante rivederla nelle vesti di docente – li avevano fermati in tempo.
Se non fossero arrivati… Beh, preferisco non pensarci.
Notò con la coda dell’occhio che sul comodino c’era una pila di compiti, un calamaio e un paio di libri.
È rimasto a vegliarmi tutto il tempo…
E a giudicare dalla posizione del sole, oltre i vetri, era un bel po’ di tempo.
Il senso di colpa non migliorò la sensazione di essere stato lanciato contro l’espresso di Hogwarts.
“Mi dispiace…” Mormorò, e lo pensava davvero. Si vergognava come un ladro di calderoni ad aver ceduto alla rabbia e al fastidio.
“Non è a me che devi dirlo.” Replicò pacatamente Ted. “Dovrai scusarti con Sören e con Lily. Era sconvolta.”
James non replicò nulla, ma annuì, sapendo che avrebbe dovuto passare giorni a strisciare per ottenere il perdono della sorellina. Sapeva essere impietosa.

“… ma con te?”  
Teddy lo guardò sorpreso. “Con me cosa?”
“Scusarmi. Perché ti ho deluso.”

 
Teddy stirò un mezzo sorriso.
“Non mi hai deluso…”
Era stanco, aveva passato tutto il pomeriggio a vegliare quel cretinetto svenuto. Avrebbe voluto fargli una strigliata coi fiocchi, ma quando l’aveva visto aprire gli occhi con aria sofferente, l’idea si era sgonfiata come un palloncino.
Era strano che James si fosse comportato in quel modo, in ogni caso. Certo, era sempre stato geloso di Lily e aveva sempre malsopportato la sua popolarità presso i ragazzi, ma non aveva mai trascinato in un duello uno dei suoi corteggiatori.
La verità era che James, oltre che con quel Luzhin, sembrava essersi infuriato con la situazione in toto.
“Invece sì.” Replicò l’altro, cocciuto. “E se fossi stato al tuo posto, non ci andrei leggero.”
“Già, per fortuna non lo sei, mh?” Lo prese in giro, vedendolo arrossire. “Sono solo rimasto stupito dalla tua reazione.”
“Non lo so…” Fu la risposta borbottante. “È solo… che scoprirlo così…”
“Non credo sia il suo ragazzo.” Gli fece notare.

“Certo, come no.”
“Jamie, Lily non ha mai nascosto certe cose. Probabilmente è davvero solo un amico…”
“Sì, ma… resta il fatto.”
“Quale fatto?” Quel breve scambio di battute riuscì a rendere totalmente muto James. Persino a farlo girare su un fianco, dandogli le spalle. Segnale che qualcosa non andava.
Infischiandosene se qualcuno poteva passare o meno – comunque non sarebbe passato, l’infermeria era deserta – Teddy si sporse e gli passò una mano trai riccioli arruffati della nuca. Se li era tagliati per l’ammissione, ma avevano una ricrescita quietamente straordinaria.

“Jamie… cosa c’è?” Mormorò piano. Perché c’era qualcosa, era evidente da come stava tentando di ignorarlo.
“Mi manca questo posto.” Buttò fuori, quasi con rabbia. “Io… mi manca stare qui.” Non attese la sua risposta, e buttò fuori, come una diga che si era rotta per una minuscola crepa. “Non faccio che dire che vivere a Londra è favoloso, è tutto uno spasso e un divertimento. Lo è … ma torno a casa la sera e… cazzo, sono solo. Non ci sono Rosie, Lils, non ci sono gli Scamandro o i ragazzi di Grifondoro. Sono io, una brandina e … basta.” Lo vide con la coda dell’occhio mordersi le labbra. “E tutti qua hanno le loro cose, il Torneo, io arrivo qua e non so niente. La cosa mi ha fatto impazzire … l’anno scorso avrei saputo da ere che Lily fa il filo a qualcuno.” Tirò su con il naso. “Stasera ai Tre Manici tutti sembravano saperlo da giorni, ed io… mi sono innervosito. E me la sono presa con quel tipo perché ha detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.” Concluse.
Teddy non disse nulla, ma lo voltò, mettendoci anche un certo impegno perché James fece resistenza. Quando ci riuscì vide che l’altro aveva gli occhi lucidi e si mordeva un labbro per impedirsi un singhiozzo.
“Ho capito. Questo ovviamente non ti giustifica…” Esordì, poi all’espressione fragile di James, sospirò. “… ma immagino di avere le mie parti di colpa. Sarei dovuto venire a trovarti più spesso. Avrei dovuto capire che ti saresti sentito spaesato.”
“Non sono…!” Obbiettò subito l’altro con testardaggine orgogliosa.

“Lo sei ed è normale.” Lo fermò. “Anch’io mi sono sentito così quando mi sono diplomato. Passiamo qui quasi tutto l’anno James, da quando abbiamo undici anni. Si sta con persone a stretto contatto, si divide con loro la propria vita… e poi finisce. È traumatizzante.”
Non sono traumatizzato.” Replicò cocciuto, arrossendo sulle orecchie, come sempre faceva quando tentava di mentire e sapeva di non convincere nessuno. “E poi tra poco si trasferirà il mio coinquilino. È che… nessuno si sente così dei ragazzi dell’Accademia, ed io mi sento un idiota a sentirmi giù. È quello che ho sempre voluto! L’Accademia, Londra!”
“Devi solo abituarti.” Gli accarezzò la curva del collo. “Credimi, andrà meglio. Intanto… per stasera, rimani a dormire qui. Ho già parlato con il Preside e non ci sono problemi. Domani usi il suo camino per tornare a Diagon Alley.” All’espressione entusiasta di James, si affrettò ad aggiungere. “Ma non mangerai assieme a Scorpius e gli altri. Non è un premio, visto quello che hai combinato. Devi rimanere sotto osservazione ha detto Poppy, almeno per stanotte…”
James fece una smorfia, prima di pensare evidentemente a qualcosa e servirgli un ghignetto. “Quindi, se ho capito bene… mangio nella tua stanza?”
“Beh, sì. Nel salottino.”
“Con te. Perfetto.” Riuscì persino ad alzarsi a sedere, all’idea. “E mi farai da infermierina?”
“Jamie…”
“Chiedevo! E poi dai, che potrei fare mai? Ho la testa che mi scoppia…” Fece un mezzo sorriso, di quelli timidi che gli uscivano raramente e trasformavano Teddy – e il suddetto ne era consapevole – in un ammasso di gelatina priva di volontà. “ Voglio solo stare con te. La cosa che più mi manca di questo posto del resto sei tu.”
“Jamie, non sono una cosa… ma una persona.” Corresse per non dirgli che valeva lo stesso per lui, e che certe volte doveva mordersi la lingua per non chiedere a Vitious un periodo di riposo. A Londra.

Gli mancava James. A dirla tutta, come mai Vic gli era mancata nei mesi in cui lei era in Provenza e lui ancora preso dal corso auror. Stare senza di lei era stata dura, naturale, ma stare senza James…
… è come se mi mancasse un pezzo intero di giornata. Quello più bello.
Sì, sono innamorato. E stavolta come uno scemo definitivo.
“Pensa, mi mancano anche le tue correzioni pallose! Sto proprio messo male…” Si corrucciò il ragazzo ignaro dei suoi pensieri, tirandogli una botta sul plesso solare. “Dimmi che ti manco.”
“Lo sai che è vero…”
“Ma guarda un po’, voglio sentirtelo dire!”

Teddy pensò che un bacio avrebbe risolto la situazione molto meglio dei giri di parole.
Questo andava bene uguale.” Sussurrò James con gli occhi liquidi quando si staccarono. “Ma puoi essere più convincente…”
Teddy rise. “Andiamo, scemo…”

****
 
Hogwarts, Ufficio del Preside Vitious.
Ora di cena.

 
“… e vorremo quindi rinnovarvi le nostre scuse per l’episodio increscioso avvenuto a Hogsmeade…”
Sören ascoltò distratto la conclusione del panegirico del Direttore Jagland. L’uomo sembrava seccato di dover difendere qualcuno che non era neppure un suo allievo. Poteva comprenderlo: essere chiamato nell’ufficio del Preside di Hogwarts perché il Campione di Durmstrang, un infiltrato della Thule, aveva duellato con un mago inglese era qualcosa che l’uomo non aveva pensato di dover mettere in conto quando aveva accettato una cospicua donazione da suo zio.

Lanciò un’occhiata al mezzo-folletto, che aveva un’aria comprensiva che personalmente trovava irritante.
Si guardò attorno.
La presidenza era una stanza caotica, piena di manufatti e strumenti magici di cui Sören ignorava perlopiù la provenienza, tutti assicurati dietro spesse teche di vetro. Avrebbe voluto avvicinarsi per leggere le etichette, ma probabilmente era cosa saggia rimanere seduto dov’era, di fronte alla scrivania, in atteggiamento penitente.
Molti dei quadri magici, raffiguranti ex presidi  – doveva essere una tradizione inglese quella di appendere ovunque dipinti impiccioni – studiavano il colloquio commentando tra di loro a bassa voce.
“Credo che tutti qui desideriamo che i nostri studenti vivano in un clima disteso…” Continuò Vitious. “Per quanto riguarda James Potter è un mago brillante, di gran cuore… ma anche una testa calda.” Vitious gli lanciò un’occhiata attenta. “… non è la prima volta che viene coinvolto in un duello.”
Sören non rispose, lasciando che il Direttore parlasse per lui. Del resto era quella la politica di Durmstrang: gli studenti non avevano capacità di rappresentarsi, né di parlare per sé stessi.
“Il Signor Luzhin è mortificato per ciò che ha fatto. Si scuserà ufficialmente con Hogwarts, se ritenuto necessario. Se gli sarà assegnata una penalità nel Torneo per questo… la accetteremo.”
“Oh, ma no!” Esclamò il piccolo preside. “Si è trattata solo di una scaramuccia tra ragazzi, non c’è motivo di andare sull’ufficiale. Ritengo che la questione si possa chiudere qui… Le scuse che eventualmente il Signor Luzhin vorrà rivolgere al Signor Potter sono una questione privata, a cui Hogwarts non prenderà parte.”
“Naturalmente.” Confermò il Direttore. Si alzarono in piedi e l’uomo strinse la mano al mezzo-folletto. Lo fece con disinvoltura, che però non riuscì a nascondere un vago fastidio.

Jagland è un Purosangue da dieci generazioni. Non una sola goccia di sangue babbano. Starà pensando che Durmstrang non avrebbero mai permesso l’ingresso di un ibrido, figuriamoci la sua nomina a preside…
Sören imitò comunque il proprio direttore, senza particolari sentimenti: l’incidente si era chiuso con un semplice e velato rimbrotto: meglio di quanto avesse sperato.
Seguì Jagland, scendendo le scale, visto che la stanza era locata in due piani.
“Ah, Direttore Jagland, attenda un attimo, vorrei parlarle di una cosa riguardo al Torneo!”
Il richiamo di Vitious permise a Sören di poter curiosare in giro, cosa che desiderava fare da quando aveva passato gli ostili gargoyle all’entrata.

Era la prima volta che aveva modo di trovarsi nel centro del potere di una scuola e quello oltretutto sembrava una sorta di piccolo museo.  
Si avvicinò ad una teca, la più grande, in cui era conservata una spada istoriata di rubini grossi quanto il pugno di un neonato.
 
‘Spada di Godric Grifondoro. Usata da Harry J. Potter per uccidere il Basilisco nella Camera dei Segreti e da Neville Paciock per uccidere l’Horcrux Nagini.’
 
La famosa spada, quindi…
Era una spada forgiata dagli elfi, inattaccabile dalla ruggine e dallo sporco.
Assorbe solo ciò che la fortifica…
La osservò con l’amore scientifico che aveva sempre provato per quel genere di manufatto. Avrebbe voluto impugnarla.
Anche se probabilmente non potrei. Solo un grifondoro può farlo.
Si ripeté diligentemente la lezione a mente: era all’Istituto che aveva studiato la storia delle due Guerre Magiche. Non ricordava tutto, ma ricordava di aver preso appunti su quel manufatto.
Trovarselo davanti era elettrizzante.
Alzando lo sguardo si trovò di fronte al ritratto di un mago piuttosto anziano, con una lunga barba bianca e vesti piuttosto vivaci. Gli sorrideva dietro le lenti degli occhiali a mezzaluna, e forse era solo un gioco di luci, ma sembrava che gli occhi azzurri brillassero, penetranti.
Sulla pergamena dipinta sulla cornice lesse: ‘Albus Percival Wulfric Brian Silente’.
Distolse immediatamente lo sguardo, dando le spalle alla teca e al ritratto, per spostarsi dal lato opposto.
Ho sempre detestato i quadri parlanti…
E sapere a chi apparteneva quello sguardo lo faceva sentire ancora più a disagio. 
Un mago che ha dato la sua vita per il bene…
Vedendo che Jagland non riusciva a smarcarsi dell’hogwartsiano, si ritenne autorizzato a continuare nella sua piccola esplorazione: gli permetteva di distrarsi dal sordo bruciore allo stomaco che provava.
Nervosismo.
Zio saprà presto cos’ho fatto… e dubito che sarà disposto a giustificarmi.
E poi c’era la questione Lily: avrebbe dovuto trovare il modo di farsi perdonare.
E non so da dove cominciare… Sempre che voglia parlarmi. Le adolescenti spesso adottano la tecnica del silenzio, a quanto mi è stato dato di capire.
La prospettiva lo gettava nell’angoscia più nera, e non era certo che fosse solo per l’ulteriore livello di difficoltà che avrebbe raggiunto il suo compito.
Lanciò un’occhiata distratta al ‘Pensatoio di Albus…’: non finì neanche il nome, dopotutto era solo una bacinella argentata, ormai svuotato del liquido necessario. Poi alzò lo sguardo su una serie di ritratti che confabulavano palesemente su di lui.
Rifilò loro una smorfia, prima di soffermarsi su un ritratto in particolare. Vi era raffigurato l’unico preside addormentato, e l’unico lì dentro che probabilmente avesse un’età inferiore ai cento anni.
Rimase bloccato in contemplazione, come aveva fatto per la spada di Grifondoro, ma per motivi molto diversi.
Quell’uomo – poteva avere al massimo una quarantina d’anni – aveva qualcosa di… familiare. Era interamente vestito di nero e dava l’idea di un grosso pipistrello, persino nel sonno.
Ma non è questo…
Era il viso scuro, le sopracciglia aggrottate. C’era qualcosa in lui che…
Mi ricorda mio padre…
Solo vagamente, in realtà. Le proporzioni del viso erano diverse, suo padre non aveva mai avuto un naso così imponente; ma avevano gli stessi zigomi ossuti, che erano anche i suoi, e le stesse labbra sottili e tese in una linea dura. Lo stesso viso emaciato.
Abbassò lo sguardo per leggere il nome, mentre sentiva alle sue spalle Jagland tentare di congedarsi.
 
‘Severus Piton, preside di Hogwarts (1997-1998)’
 
Severus Piton…
Ovviamente sapeva chi era. Aveva contribuito alla caduta di Voldemort, infiltrandosi nelle sue file per anni, come spia per l’Ordine della Fenice. Aveva letto su di lui, come ne aveva letto qualsiasi giovane mago del mondo. Era una delle tante  figure eroiche delle due guerre.
Ha il mio stesso nome. Probabilmente il fratello di Lily è stato chiamato dietro a lui.
Severus Piton…
Aveva un cognome di origine babbana, ma il nome era della tradizione magica.
Un mezzosangue, quindi?
“Oh, è inutile che lo fissi, sai giovanotto? Non si sveglierà. Non si è mai svegliato.” Lo informò una voce di donna, proveniente da un quadro alla sua destra.
“C’era da aspettarselo Dylis, da un tale figuro…” Replicò un altro mago, altrettanto decrepito e con una ridicola papalina leggermente sbilenca in testa.  
“Oh, via! Non essere antipatico, Everard… Non è mai stato un tipo socievole, neanche in vita. Avrà le sue buone ragioni per non aver mai aperto gli occhi e noi dobbiamo rispettarle.”
“Era di origine babbana?” Si informò, sentendosi piuttosto ridicolo a far conversazione con dei pezzi di vernice e tela. A Durmstrang sarebbe stato ritenuto pazzo.

Pur vero che di solito all’Istituto i quadri se ne stanno in silenzio.
“Severus? Oh, sì.” Convenne la donna chiamata Dylis, distogliendo dalle sue riflessioni. “Mi sembra… vero Phineas?”
Un mago dall’aria arcigna spuntò dalla cornice della donna facendo un borbottio d’assenso. “Mezzosangue, da parte di padre. Un vero peccato. Tolto questo, era un perfetto Serpeverde.”

“Quindi era la madre ad avere poteri magici.”
“Naturale.” Convenne l’arcigno Phineas. “E Serpeverde, com’è logico. Severus fu una delle poche eccezioni alla regola. Non molti mezzosangue, a quei tempi, venivano smistati nella nostra gloriosa Ca-…”
“E il cognome della donna?” Incalzò.  
Possibile che…
Eppure c’erano troppi punti di contatto per essere solo una mera serie di coincidenze.
Nato babbano, madre strega, Serpeverde. Tutti i Prince sono sempre stati serpeverde.
No, impossibile. Zio mi aveva detto che papà era l’ultimo Prince maschio.
“Oh caro ragazzo, domanda difficile!” Fu la strega a rispondere: sembrava trovare sommo diletto nei pettegolezzi. “Dovresti chiedere ad Albus. Lui sicuramente lo sa, erano molto legati…”
Sören non fece in tempo a chiedersi se andare a chiedere sarebbe stato perdere definitivamente la dignità, quando Jagland ritenne che avevano perso sin troppo tempo in quella stanza.
“Sören, è ora di andare.”
Il ragazzo annuì, non potendo fare altro, ad ordine diretto. Si congedò con un cenno della testa dai quadri, sentendosi davvero stupido e seguì l’uomo.

Fino a che non si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle però, ebbe la netta impressione di essere fissato da un paio di penetranti occhi azzurri.
 
****
 
Torre di Grifondoro, Sala Comune.
Otto di sera, Dopocena.
 
Il fuoco scoppiettava nell’enorme camino in stucco rosso e oro, cifra stessa dell’accoglienza di una Casa che sapeva essere casa. Lily si rosolava beatamente i piedi, ma raggomitolata con grazia sulla poltrona. Del resto non poteva far altro: era bloccata lì dalle premure della sua famiglia.
“Oh, ehi, eccoti qui! Come ti senti Lily?”
La quindicenne emise uno sbuffo. Okay, i segni di interessamento alla sua persona erano sempre bene accetti. Ma a parte gli scherzi, Rose era la nona persona a chiederle come si sentisse nel giro di un’ora.

Quasi fossi stata io quella ad essersi infilata in una rissa travestita da Duello!
“Sto bene. Davvero!” Esclamò, ritirando le gambe per portarsele al petto: a parte tutto, era bello essere seduta davanti al fuoco della Sala Comune di Grifondoro, sommersa dalle attenzioni della sua famiglia.
È raro vederci tutti assieme… ci manca Domi, ma la sua Preside deve tipo tenerla in ostaggio.
“Mi avevano detto che eri svenuta…” Sottolineò la cugina, con aria da chioccia.   
“Sono cosciente.” Ribatté, guardando male il cugino. “Allora sei stato tu a spargere la voce di un mio collasso!”
“Boh. A me era parso di aver capito così…” Borbottò il ragazzino grattandosi la fronte.
Scorpius, immancabilmente affianco della propria ragazza e con le braccia insolitamente piene di libri, sbuffò divertito. “Rosellina, la dolce Lilian mi sembra godere della sua consueta buona salute.”
“Ti ringrazio Scorpius, finalmente qualcuno che nota l’evidenza!” Esclamò sollevata. Se persino Thomas era lì, significava che l’impressione che aveva dato alla conclusione del Duello non era delle migliori.

D’accordo, ho avuto un capogiro, ma niente che non sia passato indossando di nuovo l’orecchino di controllo!
Stava bene e se James era quasi illeso, e al momento tra le braccia consolanti di Teddy, allora non c’era nulla che giustificasse quell’improvvisa riunione elaborante preoccupazioni.
“Beh… qualcuno vuole spiegarmi cos’è successo esattamente? Io e Scorpius eravamo in biblioteca…”
“Ci siamo persi tutto il divertimento! Mi sento tagliato fuori e questo è orribile!” Si imbronciò, interrompendo la propria ragazza: Lily lo trovava divertente ma doveva essere un bell’affare gestire la sua logorrea. Non era certa di invidiare Rose.

Forse solo per i bicipiti e il suo sorriso da scanzonata canaglia. Forse.
“James ha sfidato a duello l’amico di Lily. Come c’era da aspettarsi, ha perso miseramente.” Spiegò Tom stringato, con il consueto tono annoiato di chi trovava l’umanità nient’altro che una massa di stolti.
Al, seduto sul bracciolo della sua poltrona, gli tirò una ciocca di capelli, in avvertimento.
“Ma chi, Sören Luzhin?” Chiese Scorpius, sbalordito. Aveva un gran ghigno da pettegolezzo succoso stampato in faccia.
Lily lo trovava adorabile in maniera assolutamente quieta e platonica.
Tom sospirò, ma si sforzò di articolare gentilmente il resto della spiegazione sotto lo sguardo giudice del proprio ragazzo. “…esatto. Luzhin gli ha causato una commozione cerebrale sbattendolo a cinque metri da dov’era. Senza l’ausilio della bacchetta. Quindi…”
Merda.” Sussurrò Scorpius, improvvisamente meno ridanciano. “Ed io che pensavo di dovermi guardare solo da Dominique e dalle sue lunghe gambe da Veela.”

“Le sue lunghe cosa?”
“Ricorda che la mia fedeltà va a te, mia caramellina succosa!”
Tom serrò appena le labbra, irritato da tutte quelle inutili interruzioni.

Probabilmente non gli piace granché stare qua. Tommy si trova a suo agio solo in posti tetri e noiosi…  
Al infatti gli mise una mano sulla spalla, e continuò per lui. “… il fatto è che hanno veramente trasformato il duello in una rissa. James prima l’ha steso con un pugno.”
“Potty…” Sospirò Scorpius, ma gli occhi gli brillavano. “Ha questo irrisolto complesso del macho… È delizioso.”

“È un cretino, ma non è questo il punto.” Tagliò corto Albus. “Il punto è che è finito in infermeria perché Sören gli ha quasi rotto la testa.” Concluse, mentre osservava il dito di Tom girovagare pigro lungo il suo braccio.
“Sì, ma come sono arrivati a quel punto? Voglio dire, Jamie è di incantesimo facile, ma non è un bruto privo di controllo.” Interloquì Rose perplessa, mentre spostava il peso della borsa piena di libri nell’altra spalla. Scorpius fu lesto a prendergliela, ignorando le sue proteste come se non le sentisse.
“Per quanto mi riguarda, è un bruto privo di controllo.” Commentò Tom.
“Nessuno è interessato alla tua opinione di parte, Signor Dursley…” Replicò Al, intrecciando la mano alla sua sia per impedirgli di ribattere, sia per stoppare la corsa della suddeta sotto la sua camicia.
Dopo quell’affermazione scese il silenzio: Lily sapeva che doveva essere lei a rispondere alla domanda della cugina, ma aveva solo una gran voglia di andare a cercare l’amico per capire cosa diavolo gli fosse preso.
E non restare qui a rassicurare tutti sul fatto che non sono spaventata da quel che è successo…
… beh, magari un pochino, ma sono una donna forte. Ragazza. Una ragazza forte.
“Per Lils.” Fu Hugo a parlare e lo fece in chiaro, quando di solito era tutto un borbottare. “È per Lils che è successo il casino. Di sicuro.”
A quel punto alla ragazza non restò altra scelta se non parlare. Anche perché aveva gli sguardi di tutti puntati addosso. “James ha frainteso la natura dei rapporti tra me e Ren. Siamo solo amici.” Iniziò prima che qualcuno potesse ribattere. Rose sembrava particolarmente propensa. “… sono volate un paio di offese. James ha lanciato il guanto, e Ren l’ha raccolto. Fine della storia.”
Normalmente l’idea che un ragazzo si battesse per lei con quel pazzo irragionevole di suo fratello l’avrebbe lusingata.  
Stavolta si era solo preoccupata a morte.  
E poi … quello che ho provato attraverso Ren. Cosa diavolo era?
“Ci saranno ripercussioni sulla scuola?” Chiese intanto Scorpius.
“Non credo, insomma, Jamie è un mago diplomato, e Sören uno studente in visita…” Osservò Al meditabondo. “Comunque non ho visto il tedesco in infermeria. Non essendo un episodio inerente al Torneo sarà Durmstrang ad occuparsi di lui …”

Lily registrò solo quella parte di frase.
Allora è alla nave adesso…
Doveva trovare il modo per smarcarsi e andare a cercare l’amico. Come sarebbe entrata nel vascello, visto e considerato che non era permesso, beh…
A quello ci penserò quando sarò lì. Orgoglio Grifondoro! 
Lanciò uno sguardo a Scorpius e alla cugina, ed ebbe la soluzione servita su un piatto d’argento: le loro occhiaie stanche e il modo in cui Rosie si era mangiata le unghie.
“Come va la preparazione della Prova?” Chiese, facendo in modo che la sentisse tutto il consesso.
L’attenzione fu immediatamente incanalate sui due, con particolare attenzione su Scorpius, che non ci mise molto prima di rivolgere la risposta non a lei, ma bensì ad un entusiasta Hugo.
“Pare che non ci sia solo il Basilisco…” Aggiunse Rose. “E comunque, forse abbiamo trovato un incantesimo per renderlo momentaneamente cieco… Sapete, essendo il suo sguardo capace di uccidere.”
A quel punto persino l’attenzione di Tom fu calamitata – bastava metterlo in una competizione tra cervelli – Lily poté tranquillamente alzarsi in piedi, stiracchiarsi e passare oltre il buco del ritratto senza che nessuno la notasse.

Adoro il Tremaghi.  
 
****
 
Attracco delle barche, Vascello di Durmstrang.
Dopocena.
 
Okay. Forse avrebbe dovuto avere un piano. Perché non sapeva come entrare.
Lily si ficcò le mani nelle tasche del giubbotto, succhiandosi il labbro pensierosa: la nave era illuminata, quindi la gente c’era.
Non che di solito stiano da altre parti, eh…
L’unico problema era che l’ingresso era chiuso e la passerella ritirata. E non c’era nessuno in giro, né una guardia né un accidente di durmstranghiano.
Sospirò, visto che era quasi venti minuti che aspettava che qualche allievo si palesasse per farsi portare dentro. Stava quasi per rinunciare – anche se le bruciava – quando vide che sulla fiancata della nave non c’erano solo assi lisce e oblò scarsamente illuminati.
C’era una scala. O meglio, chiamarle scala era un po’ eufemistico. Erano una serie di… maniglie usate per arrampicarsi.
Gergo marinaio. Faccio schifo.
In ogni caso doveva servire per avere accesso al ponte se si affiancava la nave con una barchetta.
Si guardò le mani, le unghie perfettamente curate e poi la scaletta: aveva un’aria viscida, incrostata e decisamente poco amichevole.
Sospirò di nuovo, lanciando una silenziosa imprecazione verso quell’idiota di Sören, che invece di farsi curare in infermeria aveva preferito rintanarsi in quel mostro marino travestito da mezzo di locomozione.
Speriamo di non scivolare. Un bagno nel Lago Nero è l’ultima cosa di cui ho voglia.
Afferrò con forza uno dei pioli e cominciò a salire: era una fortuna che non soffrisse di vertigini come Rose, ma avesse invece ereditato la noncuranza per le grandi altezze dei genitori.
Questa nave misurerà almeno cento piedi… dal livello dell’acqua.
Tenne la presa con tutte le sue forze e ringraziò una serie di coincidenze che le avevano fatto scegliere un paio di converse per l’uscita di quel pomeriggio, al posto dei soliti stivaletti di pelle.
Non che non scivolino… ma voglio vedere qualcuno a scalare questa roba con un paio di tacchi!
Riuscì ad arrivare al parapetto e con sollievo saltò finalmente dentro: non c’era anima viva sul ponte.
Ottimo.
Naturalmente non aveva la minima idea di dove fosse l’entrata per la sottocoperta.
È già tanto che so cos’è una sottocoperta.
Si guardò attorno, incuriosita. Nonostante tutto, quella nave era affascinante. Forse perché era praticamente spaventosa con tutto quel legno scuro e le decorazioni gotiche fatte da teste di sirena – e non quelle della mitologia babbana – e viticci avviluppati su se stessi come scheletri di alberi morenti.
Quella nave assomigliava a Ren: certo, l’amico non era… spaventoso… ma c’era qualcosa in lui che era in qualche modo triste, come le espressioni di quelle sirene.
Finalmente trovò l’accesso all’interno. Prese la bacchetta e tentò con un alohomora. Ebbe fortuna.
Probabilmente nessuno pensa di salire da quelle schifide scalette…
La nave era immersa nel silenzio. Da alcune porte filtrava della luci e si sentivano delle voci, ma non c’erano persone nel corridoio.
Questo dovrebbe essere il primo piano… dall’alto. Quindi… beh, la camera di Ren dovrebbe trovarsi immediatamente qua sotto.
Non che sapesse quale fosse esattamente. Ma ricordava che l’amico le aveva detto che si trovava in fondo al corridoio.
Speriamo anche che sia l’ultima.  
Percorse il corridoio, fiocamente illuminato: sembrava che le torce alimentate con la magia fossero un classico anche a Durmstrang. Lei le aveva sempre trovate un po’ tetre.
Arrivò all’ultima porta. La luce era accesa e qualcuno stava parlando. Non Ren, doveva quindi essere l’altro, quel Poliakoff.  
Parlava in tedesco, e quindi Lily non riuscì a capire nulla. Sembrava agitato.
Spaventato… Perché cavolo qui sono tutti spaventati? Siamo studenti, siamo costantemente monitorati per evitare che ci ammazziamo con tutta la magia che abbiamo nelle vene. Quindi… cosa?
Tese le orecchie, ma inutilmente: non comprendeva una sola sillaba di quell’idioma straniero.
Poi sentì la voce di Sören, una sola replica, secca. Una pausa. Poi un’altra frase.
Lily fece appena in tempo a scostarsi che la porta venne spalancata con violenza e venne quasi colpita dalla punta illuminata di una bacchetta.
“Ehi, così mi accechi!” Proruppe d’istinto. La luce del lumos la abbacinò mentre la lama di luce proveniente dalla camera illuminava il corridoio. Poliakoff, ritto sulla soglia e con la bacchetta spianata, la fissò confuso.
“Lilian?” Fu la voce di Ren a rompere il momentaneo e sconcertato silenzio. “Cosa ci fai qui?”
“Ero venuta a vedere come stavi!” Fu l’ovvia risposta, perché ovvia lo era davvero. “Puoi dire al tuo amico di piantarla?!”
“Kirill, abbassa quella bacchetta.” Lily riuscì finalmente a guardare in viso entrambi. Il suddetto Kirill aveva un’espressione di diffidenza stampata in viso, mentre Sören sembrava serio.

Beh, come sempre…
Vide anche che aveva dei grossi lividi violacei attorno agli occhi, anche se il naso era meno gonfio di quando si sarebbe aspettata.
Comunque Jamie ci è andato pesante. Che imbecille.
Cuosa ci fa tu qvi?” La apostrofò Kirill, abbassando la bacchetta palesemente di malavoglia. “Perché tu è sempre qui? Cuosa cerchi?”
“Cerco il mio amico Ren.” Replicò senza scomporsi. “Non di carpirvi segreti sulla Prima Prova, se è questo che ti chiedi.”
“Abbassate la voce, entrambi.” Tagliò corto Sören. “Entra, Lily… se ti trovano potresti passare dei guai.”
“Grazie!” Sorrise dispettosa al tipo, che sembrava molto meno amichevole dell’ultima volta.
E anche più sudaticcio.
Sembrava nervoso e quando Sören chiuse loro la porta alle spalle prese a torcersi la bacchetta tra le mani.
“Lily, ti ho già detto che non è il caso che tu venga qui. Come sei entrata?” Le chiese l’amico, lanciandole una lunga occhiata penetrante. Lily cominciò a pensare che forse non era stata una gran pensata.
No! Non lasciarti fuorviare. Sei qui per avere spiegazioni. Risposte. Qualunque cosa.
“Sono salita su una specie di scaletta di servizio, sai, sulla fiancata della nave.” Spiegò ai due attoniti ragazzi. “… e poi sono, beh… entrata?”
Sören inarcò le sopracciglia, elaborando l’informazione. “… Audace, non c’è dubbio.”
“Ovvio! Hai presente dove sono stata smistata? Ad ogni Casa le sue caratteristiche. Nel mio caso, audacia e cavalleria. La seconda è roba da ragazzi… la prima non necessariamente.” Sorrise di rimando, riuscendo ad ottenere finalmente un sorriso in risposta. “Volevo solo vedere come stavi.”
“Bene.” Il tono faceva pensare a tutt’altro, ma Lily non lo disse. Perlomeno, non in presenza di quel ragazzo dall’aria ostile e furtiva.

Non gli era piaciuto dalla prima volta che le aveva rivolto la parola, ma adesso le metteva una sottile inquietudine addosso. Era il compagno di stanza di Ren, ma non lo voleva lì.
Sören sembrò indovinare il suo pensiero. “Kirill, va’ in cambusa.”
“Ma…” Tentò quello. “Non vorrai per caso che rimanga…”
“Ti ho forse dato l’impressione di voler conoscere la tua opinione? Vai.” Stavolta l’ordine fu sotto gli occhi di tutti, e con gran sorpresa di Lily – non erano entrambi allievi? – l’altro annuì, uscendo senza aggiungere altro.

“Ti dà retta…” Osservò piano. Sören, dopo l’effetto sorpresa in corridoio, era ripiombato in quello strano atteggiamento teso e ostile che aveva avuto durante il duello con James.
“È il mio assistente, e mi è inferiore per stato di famiglia. Queste cose a Durmstrang contano.” Spiegò stringatamente senza neppure guardarla. “Non dovresti essere qui.” Aggiunse. “… ma questo lo sai.”
“Sì.” Convenne, sedendosi sul suo letto, ignorando lo sguardo che le riservò. “Siediti, dobbiamo parlare.”
“Non puoi aspettare domattina?”
“No.” Ed era vero. Non sarebbe riuscita a dormire senza avere delle risposte a quanto era successo quel pomeriggio.

Quella situazione era strana anche per lei: non era mai stata tipa da tirare troppo la corda con un ragazzo. Sapeva fino a che punto ci si poteva spingere nel punzecchiare l’ego maschile, ma in quel caso non le importava; Ren era tutta una storia diversa.
Il ragazzo le lanciò una lunga occhiata che stavolta lei ricambiò: era incredibile come gli occhi dell’amico sembrassero senza pupilla. Ovviamente c’era, ma aveva gli occhi così neri che era difficile distinguerla dall’iride.
In quel momento non c’era assolutamente calore nel suo sguardo. Era come se Ren fosse stato risucchiato dentro.
Cos’è successo davvero per farlo chiudere così?
Comunque finì per obbedirle, sedendosi accanto a lei.
“Ho sbagliato… non era mia intenzione colpire a quel modo tuo fratello. Gli farò le mie scuse domattina.” Disse, con la stessa passione che lei avrebbe messo in una pergamena per Storia della Magia.
“Non è questo che voglio sapere.” Replicò piano. Sapeva che l’altro non si sarebbe aperto se non gli avesse offerto qualcosa in cambio. Qualcosa di importante, che non erano Tom e Al, non si conoscevano dalla culla. Ren doveva imparare a fidarsi di lei. “Ho… sentito una cosa quando tu e Jamie avete duellato.”
L’altro ci mise un po’ prima di rispondere. Però almeno adesso la guardava. “Cosa?”
“… ho sentito la tua paura.”

“Io non ho avuto paura.” Il tono era freddo, ma c’era rabbia dietro. Non c’era bisogno di essere chi era per capirlo. “Io non ne ho mai.”
“Non dico paura di James. Che davvero, non farebbe paura a nessuno, quello scemo…” Sorrise. “… però avevi paura.”

“Credo tu…”
“Non mi sto sbagliando.” Lo interruppe. “Non posso sbagliarmi, perché l’ho sentito come tu hai sentito arrivare quel pugno.” Non gli diede tempo di continuare. “Ti ricordi quando mi hai chiesto se fossi una legimante?”
Ancora un lungo silenzio. “Sì, me lo ricordo. Mi hai risposto di no.”
“Nel senso accademico del termine è vero. Non me l’ha insegnato nessuno. Sono una LeNa.” Era difficile dirlo ad alta voce, pensò. Era come ammettere di avere un problema con il bere. Beh, non proprio lo stesso, ma per lei era così.

Del resto vai a dire la gente che senti come si sentono, e dimmi se non ne sono infastiditi come se ti scolassi una bottiglia di whiskey incendiario al loro compleanno.
Sören non rispose, e Lily capì che doveva continuare. “… lo sai, come funziona, immagino. Lo sono dalla nascita. Qui in Inghilterra ti mettono un manufatto magico, un orecchino, per bloccare la… ricezione?” Glielo mostrò. “Oggi me lo sono tolto.”
“Potevi avere un collasso.” Fu la risposta. Era da Ren non scomporsi minimamente ad una notizia del genere. “Suppongo tu non l’abbia mai tolto.”
“Mai, vero.” Inspirò appena. “Io… non volevo frugarti nella testa, è solo…”
“Non ne saresti comunque in grado.” La fermò. “Hai tentato, quando ci siamo conosciuti, ma non avresti scoperto niente. Non ti è mai stato insegnato come controllare i tuoi poteri, e li tieni bloccati da troppo tempo. Persino un occlumante scarso ti avrebbe chiuso fuori dalla sua mente. Ed io non lo sono.”
Lily sentì una specie di sollievo diffondersi lungo il petto. Sören non la stava guardando come le fossero spuntate due teste.

È già qualcosa… Però, aspetta. Non sembra sorpreso!
“Tu… lo sapevi?”
“Lo sospettavo.” Rispose, passandosi una mano trai capelli. Poi si alzò in piedi, andando a mettere sul piccolo fornello in fondo alla stanzetta il bollitore. “All’inizio ho pensato fosse Legimanzia, ma sei troppo giovane per saperla usare. L’alternativa era una sola.”
“Ren, il ragazzo logico.” Sorrise appena, facendolo sorridere di rimando. “… quindi.” Aspettò, sapendo che Sören aveva capito che voleva ancora una risposta da lui. “Vuoi dirmi cos’è successo?” Disse semplicemente.

L’amico si voltò, incrociando le braccia al petto.
E vai con la posa di chiusura. Andiamo, ti ho raccontato di me! Del mio segretissimo segreto!
“Non sei arrabbiata con me.” Non era una domanda, non glielo stava chiedendo. Era una constatazione e per giunta sorpresa.
Lily fece spallucce, perché in merito a quella faccenda aveva un’idea molto chiara: forse qualcuno avrebbe potuto tacciarla di superficialità, ma non era nella sua indole ingigantire cose che si erano già risolte da sole. “Perché dovrei esserlo? Ha iniziato mio fratello. Tu, è vero, lo hai assecondato come un idiota, ma … non è stata solo colpa tua. Sono arrabbiata, ma penso che tra un naso rotto e un emicrania vi siate puniti da soli. Faremo tutti in modo che non si ripeta.”
“Oh.” Era così disorientato che a Lily fece tenerezza. “Certo.” Aggiunse. “Naturalmente.”  
“Bene. Però voglio una risposta. Di cosa avevi paura, Ren?” 
 
Di tutto quello che si sarebbe aspettato da Lilian Potter, quella reazione era stata la più sconcertante.
Non solo gli aveva confessato spontaneamente di essere una LeNa, quando lui al momento era in una chiara posizione di debolezza, ma non era arrabbiata. Eppure aveva, a conti fatti, aggredito suo fratello ed era certo che l’altra avesse capito il rischio che era stato corso.
Vuole capire… Vuole capire me.
Era più pericoloso ma allo stesso tempo era sconcertante. Spaventoso. Imbarazzante. Bello?
Lily Potter era una continua sorpresa.
Non poteva dirle la verità, naturalmente. O forse sì. Una parte di verità poteva dirla senza far saltare la propria copertura. E, cosa più importante, voleva dirgliela.
Lily gli aveva offerto il suo segreto, e c’era una parte di sé che stimava quel gesto. Che aveva bisogno di riportare le cose in parità.
Anche se non sei tenuto. Ma perché si fidi di me…
Voglio che si fidi di me.
“Di me stesso.” Mormorò, sentendo lo sguardo attento della ragazza su di sé. “Io… ho avuto paura di perdere il controllo. Nessuno mi aveva mai colpito in quel modo rozzo e irrispettoso.”
“Non hai mai fatto a pugni?” Alla sua espressione, Lily si affrettò a continuare. “Voglio dire… certo che no, a Durmstrang siete tutti doveri e regole.”
Sören sorrise. Spense il bollitore che cominciava a fischiare e si occupò di versare the nelle due tazze smaltate, tanto per fare qualcosa. Aveva bisogno di tenere le mani occupate; si sentiva invaso dalla presenza della ragazza.  

Che Lilian aveva una presenza fortissima. Non era aura magica, era qualcos’altro, che riempiva qualsiasi luogo in cui entrasse, che toccava qualsiasi persona a cui si rivolgesse. Lei probabilmente non se ne rendeva conto, non appieno, ma ogni volta che lei entrava in una stanza, lui lo sentiva.
“In realtà le risse scoppiano anche da noi. È solo che non è mai successo a me.” Le porse la tazza che prese con un leggero ‘grazie’.
“Ho come visto un’altra persona… in te.” Sören si immobilizzò nell’atto di bere, sentendo il panico aggredirgli lo stomaco.  
“In che senso?” Si sarebbe complimentato per il tono fermo, se non avesse avuto il cervello inzuppato di panico.
È una LeNa. Inattiva, ma pur sempre tale. Quanto ha capito effettivamente di cosa provi?
Alcune LeNa riescono addirittura a scoprire interi blocchi del passato di una persona…
Lily tamburellò con le dita sulla tazza. “Non lo so… è stupido, forse. Ma ho pensato che forse mi nascondi molto di come sei veramente.”
Solo un impressione.
Lo era, e questo gli diede sollievo. Come pensava, non aveva scoperto molto. Solo sensazioni.
Bevve un sorso di the per prendere tempo. Lily doveva fidarsi di lui, faceva parte del piano.
È per questo che vuoi che si fidi?
Si sedette accanto a lei, tacitando la domanda che gli era affiorata in mente. “Ci sono molte cose che non sai di me… ma credo sia normale. Neanch’io so molte cose di te.”
“Se me le chiedessi, te le direi.” Proruppe immediatamente, prima di rifletterci. “Magari non tutte, ecco.”
Sören annuì, contento di averla portata sul suo binario di ragionamento. “È naturale. Ognuno ha i propri segreti. Lo ammetto, ho perso la calma… e ti ho risposto male, tra le varie. Mi dispiace. Ma è tutto qui, ho un pessimo temperamento, mi hai scoperto.” Tentò di scherzare. 

Lily fece una risatina, ma non rispose: non aveva bevuto un solo sorso del the: forse non le piaceva.
Qual è la sua bevanda preferita?
“… Per me stai diventando importante. Ti considero un amico.” La voce di Lily era poco più di un sussurro. Non stava arrossendo, ma sembrava comunque imbarazzata. “Non come dicono in giro. Lascia perdere quelle voci.”
“Lo faccio sempre.”
“Vorrei potermi fidare di te.” Alzò lo sguardo e Sören si trovò di fronte quegli occhi mozzafiato. Sentì lo stomaco attorcigliarsi per un milioni di motivi, tutti plausibili. “È importante per me … perché al di fuori della mia famiglia, io non mi fido di nessuno.”

Probabilmente quella era la vera Lily, tolti i sorrisi da gatta, le frecciatine e l’atteggiamento superficiale di chi giocava con il mondo come un bambino pestifero.
Perché suo zio voleva che si avvicinasse a Lily Potter? E se ci stava riuscendo, con la sua bella immagine di amico gentile, perché allora si sentiva come se stesse fallendo?
Questo forse ti eviterà una punizione quando stasera gli dirai cos’è successo…
Non era quello che voleva.
Perché per una volta c’era una persona amica che gli si offriva. E non si offriva davvero a lui, ma a Ren.
Io non sono Ren…
“Puoi fidarti di me, Lilian.” Replicò e lasciò che la ragazza lo abbracciasse. Serrò appena la presa, sperando che non fosse troppo forte. Non era granché ferrato negli abbracci. “Puoi farlo.”
Sto fallendo. Sono sicuro. E non so perché.
 
****
 
Note:
Punto di svolta? Crisi di coscienza di RenRen?
In ogni caso, il prossimo capitolo farà un piccolo saltello, per entrare nel vivo del Torneo. ;)

1. Qui la canzone. Penso che la conoscono più o meno tutti, ma ehi. Sul fatto che sia un po’ commerciale, il capitolo è soprattutto dal punto di vista di Lily. Che è una tipa proprio pop. xD

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIII ***


Capitolo XXIII


 
 
They can't tell me who to be, cause I'm not what they see
Yeah, the world is still sleepin while I keep on dreaming for me
And their words are just whispers and lies that I'll never believe¹.
 (I’m Still Here, Goo Goo Dolls)
 
 
 
 
Scozia, Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
All’attenzione del professor Ted Remus Lupin.
 
Caro Teddy, spero tu stia bene.
So che in questi ultimi tempi la nostra corrispondenza è stata al sapore di ufficio. Credimi, mi ricordo che non sei più uno dei miei uomini. Ma ho ancora bisogno del tuo valido aiuto.
Devi insegnare ai tuoi ragazzi l’Incanto Patronus. So che ti ho dato pochissimo preavviso e non ti sto dando nessuna spiegazione del perché, ma ho buoni motivi per non scrivere informazioni sensibili su foglio.
Ti spiegherò tutto a tempo debito.
Credo che sia opportuno che tu lo insegnassi dal Quarto anno in su. Pensi di riuscirci?
Ripongo in te la mia fiducia, davvero.
 
Con affetto, zio Harry.
 
 
****
 
18 Novembre 2023 (Sei giorni alla Prima Prova)
Hogwarts, Aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Mattina.
 
Rose riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Ed era solo la prima lezione del mattino.
Era così ormai da un mese, e non poteva dare del tutto la colpa alla mole di compiti che i professori assegnavano per i MAGO.
Certo, lei si era prefissa l’obbiettivo di superare Thomas, ma non era solo per quello che le stava facendo fare la muffa in biblioteca.
Scorpius accanto a lei stava platealmente sonnecchiando, con la testa sepolta tra le braccia.
Era lui il motivo per cui passava le serate a cercare incantesimi atti a rendere un eventuale Basilisco mite come uno snaso.
Per fortuna, almeno non devo accompagnarlo ad allenarsi nelle sue chilometriche corse al lago o nelle sue evoluzioni sulla scopa.
Tutto perché alla fine aveva deciso di muoversi senza assistente. Mossa relativamente saggia, perché anche se aveva evitato gelosie interne alle Case, adesso era privo di aiuto, se non lei e talvolta Albus, così gentile da prestar loro qualche ora o la sua firma per la richiesta di volumi della Sezione Proibita.
Si è fissato che vuole Thomas… ma quell’egoista si farebbe lobotomizzare piuttosto che dargli una mano!
Si sentiva nervosa e stanca, ma cercava di non farlo pesare a nessuno, specialmente a Malfoy. Gli aveva promesso che ci sarebbe stata, e l’avrebbe fatto.
“Ehi, Rosie!” Una pacca sulla spalla quasi la spalmò sul banco.
Domi…
Io non sarò femminile, ma lei cos’è? Un cucciolo di dorsorugoso di Norvegia?
“Non sono riuscita a bere il mio caffè mattutino. Non darmi un motivo per ammazzarti …” Sussurrò lentamente, cosicché il senso del discorso si conficcasse in quella testa platinata.
La ragazza, per nulla turbata, sorrise. “Però. Ve la state vedendo brutta con le ricerche, eh?”
“Sta’ zitta. Perché sei così vitale?”
Dominique fece spallucce, infilando impietosa un dito nell’orecchio di Scorpius, che emise un grugnito seccato, senza però dar segno di volersi muovere. “Beh, è Mael ad occuparsi della parte pallosa. Non vuole che ci metta il naso, dice che io sono il fisico e lui è il cervello. Meglio di così!”
“Ti odio.”
“Brucia, eh?” Ghignò, prima di lasciar passare nientemeno che Violet Parkinson - Goyle, in tutto il suo splendore da miniatura di ceramica: la stronza aveva l’aria di aver origliato fino ad un secondo prima.

Questa giornata sta andando di male in peggio…
“Oh, ma Scorpius dorme?” Cinguettò, fermandosi. Perché era ovvio che si sarebbe dovuta fermare. Non faceva altro quando lo beccava nei corridoi, in Sala Grande, alla Serre, nel bosco.
“No, in realtà ha perso i sensi.” Ribatté ironica.  
Il suo ragazzo a quello scambio di battute alzò la testa, mostrando una faccia da sonno che quasi la intenerì, se non fosse stata in presenza di una delle sue tante nemesi.
Non devo abbassare la guardia.
“Sono sveglio. Credo.” Biascicò. “Oh, ci sono delle persone … ehi Violet, ehi bionda.”
“Non offendere, testa ossigenata.” Replicò sua cugina con divertimento. Lei e Malfoy si piacevano a pelle, ma in un modo che non metteva Rose in allarme. Messi assieme, come nella foto per la Gazzetta, sembravano due amici di bevute, più che una probabile coppia.

Anche se la Gazzetta ci ha ricamato sin troppo sopra per i miei gusti…
Bonjour Scorpius!” Trillò invece Violet. “Io pensavo che tu non avessi un asistente…” E qui le lanciò un’occhiata sospettosa. “Lei lo è?”
Crepa, stronza.
“No. Rose e suo cugino Al mi aiutano solo a cercare i libri in biblioteca.” Le spiegò, con una tranquillità che poteva venire solo dall’averlo ripetuto un sacco di volte. “Gli Weasley sono fatti così. Gran brave persone.”

“Andiamo Piggie, lascia riposare l’avversario prima dell’arrivo di SuperTeddy.” Si intromise Domi, la salvatrice.
L’altra francese per tutta risposta fece una smorfia stizzita al nomignolo e le sibilò qualcosa in francese che Rose ovviamente non capì. Non era la prima volta che quel siparietto si chiudeva così.
Scorpius a quel punto sembrò finalmente tornare alla realtà. La guardò intensamente. “Saltiamo l’ora e andiamo a far visita agli elfi delle cucine? Sto morendo di fame!” Si lamentò subito dopo, afferrandole il maglioncino con aria petulante.
“No. Teddy ha detto che è una lezione importante, e comunque quest’anno lo sono tutte.”

“Aw, sei crudele. Il mio stomaco si sta digerendo da solo!” Si lamentò, sfoderando un broncio adorabile ma ormai storia vecchia per lei. “Ti prego.”
“Non sei l’unico a non aver mangiato stamattina. Ma non possiamo boicottare questa lezione. Difesa contro le Arti Oscure. Ti dice niente?”
Scorpius si accigliò, nell’immenso sforzo di pensare a stomaco vuoto. “Uhm. Beh, il professorino potrebbe darci indizi sulla Prima Prova?”
Era felice di avere un ragazzo geniale anche senza aver fatto colazione.

“Sì. Quindi dobbiamo rimanere.” Lo squadrò di sottecchi. “Non è che hai depredato le cucine come tuo solito, ieri?”
Scorpius assunse un’espressione triste. “E come, se siamo stati tutto il tempo con il naso ficcato nei libri o a lezione?” Sospirò.  
“Già…” Ma non infierì. Quel giorno era troppo debole anche per quello.

Tra cinque giorni si sarebbe tenuta la Prima Prova e certo, avevano delle frecce al loro arco.
Nel caso sia un Basilisco e non ci siamo sbagliati, certo.
Comunque era terrorizzata. E non riusciva a capire come l’altro potesse essere così tranquillo.
Scorpius le sorrise, facendole dimenticare il motivo per cui era avvelenata con il mondo. Per un momento almeno. “Sai…” Esordì. “Sono felice che usi il noi. Per tutta questa storia. Mi fa sentire meno… eroe che si avvia ad una morte certa tutto da solo.”
“Sono la tua ragazza, che altro dovrei fare?” Borbottò sentendosi arrossire.
Anche se in quest’ultimo mese siamo stati casti come fratelli…

La cosa pesava ad entrambi, Rose non era così stupida da non notarlo.  
Addormentarsi sui libri o in angoli scomodi della Sala Comune non è il genere di cosa che alimenta il fuoco della passione…
Le mancava persino doversi preoccupare che i compagni di stanza di Scorpius non entrassero quando erano in intimità.
Il che la dice lunga…
La casa sull’albero che Malfoy le aveva mostrata l’anno scorso era stata scovata da Tremayne quell’estate. E per poco quell’idiota del suo ragazzo non era andato a protestare per il suo abbattimento.
Quindi… non abbiamo un angolo tutto per noi.
È che siamo troppo impegnati. E quando non lo siamo, siamo così stanchi che ci dormiamo addosso…
Invidiava le altre coppie: invidiava le loro passeggiate per mano ad Hogsmeade, i baci rubati nei corridoi e persino le litigate plateali nelle Sale Comuni.
Ora più di prima.
Avrebbe davvero voluto che il Torneo cambiasse lo stato delle cose. E al tempo stesso, ne era terrorizzata. E non aveva il coraggio di dirlo a nessuno, perché dirlo avrebbe reso le sue preoccupazioni reali.
“Sempre scorbutica…” La prese in giro, riportandola alla realtà. “A che stai pensando?”  
“Che ho bisogno di caffè.” Mentì, facendolo ridacchiare.
Poi Teddy entrò nell’aula, carico di libri e con il suo pacato sorriso di sempre. Rose sentì un uggiolio soffocato esplodere dalle ultime file.
“Albus non preoccuparti, sono appena arrivato… e chiudi la porta, grazie.”  
Rose ridacchiò quando vide il cugino accomodarsi frettoloso alla sua destra, arruffato e con una macchia di marmellata all’angolo della bocca.
“Come fai ad essere sempre in ritardo?” Gli passò un fazzoletto. “Macchia.”
“Che ti devo dire, ho talento.” Sussurrò sfiatato, pulendosi con un gesto grato.  

“Tom?” Gli chiese.
“C’è già…” Lo indicò, seduto accanto a Nott. “Dice che non sente il bisogno di ingozzarsi come me. Quindi mi lascia indietro, visto che non vuol far tardi.”

“Simpatico…”
“È Tom.” Fece spallucce l’altro, come se questo spiegasse tutto. E lo spiegava, in effetti. Lanciò poi un’occhiata verso il banco del proprio ragazzo, dove anche Rose notò che mancava qualcosa.

O meglio, qualcuno.
“Zabini è già da un po’ che salta Difesa… come mai?”
“Ha deciso di lasciare, ha troppi corsi … del resto non è mica obbligatoria.” Fu la risposta.

Rose non sapeva cosa fosse successo trai due, ma era ovvio che fosse qualcosa di cui il cugino non era ancora disposto a parlare.  
Anche se i loro rapporti sono peggiorati da quando è tornato Tom… 
Teddy intanto aveva posato la cartella sulla cattedra. Estrasse un grosso raccoglitore dalla foggia babbana, e cominciò a spulciarlo con metodo. Rose lo ammirava, sinceramente. Come sapeva gestire una classi di adolescenti in preda agli ormoni, il modo in cui non perdeva mai il sorriso, persino davanti ai più recalcitranti idioti. Lei non ci sarebbe mai riuscita.
Badare a Jamie deve essere stata una bella palestra…
“Diapositive? Ma dai…” Rumoreggiò Scorpius alla sua sinistra. “Sono troppo stanco per leggere, ancora.”
“Non che ti faccia male, visto quanto poco lo fai normalmente…”
“Sono un uomo d’azione, Rosey-Posey!” Decretò facendo ridacchiare le persone in ascolto.

Ultimamente la gente ci ascolta un po’ troppo…
Teddy a quel punto fece loro un sorriso smagliante. Di solito, preludeva una lezione in cui credeva molto.
“Okay ragazzi. Tutti in piedi e datemi una mano ad allineare i banchi al muro.”
“Evvai!” Esultò Scorpius, il primo ad estrarre la bacchetta. “I miei desideri si sono alfine avverati!”
“Sì Malfoy, sembra proprio di sì. Oggi faremo lezione pratica.” Confermò Ted suscitando un moto di approvazione tra la classe.   
“Grande! Sei un dritto, Teddy!” La seconda esclamazione fu di Dominique, che Rose sospettava avesse difficoltà a capire immediatamente il senso di un lungo discorso in inglese: sapeva infatti da fonti certe che Madame Fleur pretendeva che si parlasse solo francese alla sua tavola.
Quando tutti i banchi furono spostati e si fu creato un ampio spazio vuoto, Ted scese dalla cattedra, andando al proiettore e caricando una serie di diapositive. La prima che venne proiettata Rose la riconobbe immediatamente. E ne fu sorpresa.
“Un patronus?” Esclamò Albus, apparentemente con lo stesso stato d’animo.
“Esatto. Oggi impareremo l’Incanto Patronus.” Confermò Ted mentre un sussurro confuso serpeggiava tra gli astanti.
La prima mano a scattare fu quella di Tom, lo studente polemico: Rose gli lasciava volentieri quel primato. “Scusi professore… l’incanto Patronus viene utilizzato per allontanare i Dissennatori e i Lethifold. Essendo quest’ultimi estinti e i primi confinati in un apposita riserva controllata dal Ministero, non capisco la necessità di inserirlo nel programma. Inoltre non mi risulta sia attualmente richiesto nei MAGO.”
Rose fu certa di vedere una smorfia seccata apparire per un attimo sul volto di Ted, ma fu anche piuttosto bravo a farla scomparire. “È vero Thomas.” Confermò. “Ma è comunque un ottimo esercizio per la capacità di concentrazione. È un incantesimo che fonda la sua forza sul vostro spirito. La forma di un patronus corporeo rappresenta infatti l’essenza stessa del mago che lo produce, il suo ricordo più felice… qualcosa in grado di proteggerlo.” Spiegò. “Penso che per voi possa essere istruttivo impararlo.”
“Ma il solo che è riuscito a produrre un patronus corporeo da studente è stato Harry Potter!” Esclamò un allievo di Beaux-Batons, che a Rose sembrò l’assistente di Dom.

“Questo non è vero, Mael.” Lo corresse Lupin. “Qualcuno ha forse avuto dei genitori che militavano nell’Esercito di Silente?” Alle risposte affermative che ne conseguirono, continuò. “All’epoca i vostri genitori erano studenti, come voi, e ci sono riusciti. Non vedo perché dovreste essere da meno. L’importante, come ho detto, è soprattutto rimanere concentrati…” Ted puntò la bacchetta davanti a sé. “Expecto Patronus.” E dopo una leggera torsione del polso dalla bacchetta uscirono filamenti argentati, che andarono a comporre un lupo lucente che balzò in mezzo agli studenti per poi sparire oltre la porta dopo qualche energico balzo.  
Un mormorio eccitato si diffuse a macchia d’olio. “Ora, per tornare alla parte teorica…” 
 
“La cosa puzza, mio buon Dursley.” Mormorò Nott, appoggiato al muro, ben lontano da qualsiasi tentativo di interessarsi alla lezione. Tom gli faceva compagnia. “Non credi?”
“Credo.” Confermò, guardando distratto l’avvicendarsi della varie diapositive.

Perché ci insegna un incantesimo che non serve? Cosa c’è dietro?
Al, se non fosse stato occupato a bersi la spiegazione, lo avrebbe tacciato di paranoia.
Non è così.
Non era un segreto che Ted intrattenesse una fitta corrispondenza con il padrino, in contatto con le fonti di informazioni principale sui movimenti della Thule. Quella lezione estemporanea non poteva essere un semplice capriccio intellettuale.
Specie considerando che il professore in questione ha l’immaginazione di un fazzoletto…
E non poteva riguardare la Prima Prova: Lupin era troppo imparziale per dare indizi ai solo Campioni presenti. Inoltre, nessun organizzatore sano di mente avrebbe messo dei Dissennatori, non dopo il ruolo avuto durante la Seconda Guerra Magica.
Quindi se non è una cosa del Tremaghi…
Poteva forse essere della Thule?
Nott gli diede un colpetto sulla spalla. “Un falci per i tuoi pensieri, Dursley. Anzi, facciamo un galeone se indovino.”
Tom suo malgrado fece un sorrisetto. “Andata.” Si voltò verso di lui. “Allora?”
“Stai pensando che c’è qualcosa dietro, che è una cospirazione e che include te.” Snocciolò, squadrandolo in quel modo tagliente che Tom mal sopportava e stimava al tempo stesso. “Ci ho preso?”
“… abbastanza.”  

Tom sapeva di non avere molti amici. Anzi, fatta eccezione per Albus, Lily e la piccola Meike non aveva neppure delle persone che lo trovassero simpatico. Non che gli importasse. Però Loki era qualcuno con cui confrontarsi, uno dei pochi coetanei di cui avesse una forte stima.  
In un certo senso è la persona più vicina alla definizione di amico che ho.
“Siamo un po’ paranoici, eh?”
“Tu non lo saresti dopo quello che mi è successo?” Replicò aspro, a bassa voce, perché farsi riprendere da Lupin sarebbe stato seccante. “L’anno scorso hanno sguinzagliato per la foresta degli enormi serpenti traccia-aura e poi mi hanno rapito. Posso aspettarmi di tutto da mio padre.”
“Ed io che mi lamento del mio perché è una figura assente …” Ghignò l’altro. “Beh, anche se fosse un nuovo incantesimo per pararti il culo camuffato da lezioncina? Imparalo e tieni gli occhi aperti.”

“Voglio sapere che sta succedendo.”
Ne aveva bisogno, perché si sentiva spaccato in due: se da una parte desiderava solo stare lontano il più possibile da suo padre, da tutta quella faccenda, dall’altra sapeva che era impossibile e odiava quindi trovarsi nella posizione di dover aspettare come un ragazzino spaventato. 
“Tutti vorremo un sacco di cose, mio buon amico.” Replicò Loki. “Ma non sempre si ottiene ciò che si vuole. Non lo sai?”

“Non è questo. È proprio ottenerlo ad essere spaventoso…” Mormorò mentre Lupin concludeva la sua spiegazione e chiedeva a tutti di prendere le bacchette. Nott gli lanciò un’occhiata incuriosita, segno che lo stava ascoltando. “… ti ci abitui. Quindi hai paura che ti venga portato via.”
“Beh, ma qui mica stiamo parlando di soldi, mi pare.”
“Eh?” A volte Loki aveva degli schemi di ragionamento totalmente fallati: forse c’entrava quell’assurda storia che raccontava sull’essere stato cresciuto da un folletto ex-dipendente della Gringott.  

“I soldi non si affezionano. Sono soldi, di chiunque siano, a loro non interessa. Sono cose. Tu stai parlando di persone, di affetti, mi pare.”
“Sì… e quindi?”
“Dursley, le persone sono capaci di affezionarsi. Insomma, sta qui la differenza. Non pensare di essere solo a combattere. Per l’amor di Merlino, sei davvero così pieno di te?” Arricciò l’angolo delle labbra in un sorrisetto. “Datti tregua. Fai troppo l’eroe tragico per il tuo bene.”
Tom fece una smorfia, ma sentì improvvisamente la tensione lasciare le sue spalle.

 “… Grazie.”
“Di niente. Spero solo che non sarà questo il tuo ricordo felice, perché Al potrebbe ucciderci se non penserai a lui.”
“Sei un idiota, Nott…” Sbuffò, sentendo una risata salirgli alle labbra.

 
“Okay ragazzi, adesso provate e mi raccomando, usate il ricordo più felice che avete!”


“… non un furetto… non un furetto…”
Rose lanciò un’occhiata perplessa al proprio ragazzo che stendeva la bacchetta davanti a sé ripetendo quel mantra a mezza bocca da almeno due minuti buoni.

“Scusa?” Chiese perplessa.
Scorpius per tutta risposta avvampò. “Uhm. Non so di che stai parlando. La parola furetto non è mai uscita dalle mie labbra. Tu che ricordo userai?” Stornò con un sorriso disinvolto. “Io userò te!”
“… è una cosa molto dolce. Credo. Tralasciando la scelta verbale.” Sorrise di rimando, divertita. La verità è che avrebbe sfruttato proprio i ricordi con quel bislacco scemo. Ne aveva molti sulla sua famiglia, sugli amici, dall’infanzia all’adolescenza.

Ma mai intensi quanto quella sera a Stonehenge 
“Tu cosa userai? Me, vero pasticcino?” Inarcò significativamente le sopracciglia. “Cerca di rendermi sexy e virile nella tua fantasia.”
“Buffone…” Borbottò sentendosi le orecchie prendere fuoco, mentre l’altro rideva. Poi si concentrò, e dovette davvero evitare di guardarlo per non prendere definitivamente fuoco e dare ufficialmente il permesso a Piggie – che li stava fissando - di capire cosa ci fosse tra di loro.

Non era facile, e i primi tentativi furono più che altro una nebbiolina argentata. Si tranquillizzò quando vide che anche gli altri erano nelle sue stesse condizioni.
“Voglio un drago!” Si lamentò Scorpius, scuotendo la bacchetta come se da essa potesse provenire un suggerimento risolutore. “Un drago enorme!”
“Come questo?” Replicò Dominique, l’unica ad essere riuscita a produrre qualcosa di definito al primo colpo. Effettivamente, notò Rose stupita, il suo patronus poteva sembrarlo.
Più probabile sia una salamandra … ma se l’inganno spinge Scorpius a fare del suo meglio, beh…
“Ti odio, Weasley!”
“Eh, si sa che i biondi sono meno svegli, ma non ti scoraggiare!”
“Ti odio tantissimo!”
Rose sorrise, ma dovette evitare di ghignare quando voltandosi vide che lo scudo di Thomas era grigio e del tutto lontano dall’illustrazione esplicativa al proiettore.
Ah, c’è qualcosa in cui è negato allora!
“Un ricordo felice, Tom.” Lo incoraggiò Teddy. “Pensa ad un…”
“Ho capito.” Articolò quello, freddo. “Non sono abituato a pensare a comando.”

A quel punto Albus, che provava tenacemente da venti minuti senza guardare nessuno, fece un sospiro e si avvicinò all’impiastro per poi mormorargli qualcosa all’orecchio.
Rose vide Tom arrossire – un’illusione ottica? – per poi riprendere nell’esercizio.
Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, lo scudo sembrò finalmente uno scudo.
Non credo di voler sapere cosa gli ha detto…
Albus tornò al suo posto, accanto a lei, squadernando uno dei suoi sorrisi soffici. “Tom era solo un po’ bloccato emotivamente … Gli capita a volte.”
“Io la chiamerei costipazione.” Replicò Rose con uno sbuffo, facendolo ridacchiare. Si concentrò di nuovo, e stavolta, con suo soddisfazione, dalla punta della bacchetta uscì una lontra dal dorso lucido che prese a volteggiarle attorno.

“Molto bene, non distrarti…” La lodò Ted, mentre passava tra gli studenti per correggere una pronuncia o una postura sbagliata. Rose sorrise, evitando di guardare verso Scorpius. Anche perché era certa che gli avrebbe gongolato contro, e questo l’avrebbe irritato ancora di più.
Quando Albus riuscì a produrre una fenice color argento vivo, che sfrecciò a pochi centimetri dal biondo, rischiando di fargli perdere l’equilibrio, Rose capì che avrebbe dovuto tenere il becco assolutamente chiuso. E fissare ostinatamente in un’altra direzione.
Come suo ragazza, so che mi ucciderebbe se tentassi di consolarlo…
 
Perché non funziona?” Sibilò Scorpius, frustrato. Non riusciva a capire come tutti, o quasi, riuscissero a farsi saltellare intorno animaletti della fattoria color platino e lui riuscisse solo ad emettere sbuffi di fumo.
Ted gli si avvicinò e gli abbassò gentilmente la mano che stringeva la bacchetta fino a farsi male.
“Scorpius, fermati un attimo.”
“Perché?” Chiese, e davvero, era una sua impressione o tutti lo stavano guardando? “Perché non mi…”
“Sei troppo nervoso. Questo incantesimo ha bisogno di calma.”
“Sicuro, infatti viene usato in situazioni di totale serenità.” Ribatté salace, pentendosene subito dopo. In fondo Lupin tentava solo di aiutarlo.

Ted non diede segno di essersi irritato per la totale mancanza di rispetto. “Sei un occlumante, vero?” Gli chiese invece.
“Ehm, sì… ma come lo sai?”
“Me l’ha detto tua nonna.” Spiegò concisamente. “Gli occlumanti hanno un forte controllo sulle proprie emozioni. Molti di loro le reprimono, per non farsi leggere. È così che funziona per te?”
Scorpius si limitò ad annuire, capendo dove voleva arrivare. “Quindi … è l’Occlumanzia che mi sta impedendo di far funzionare l’incantesimo? Ma non la sto usando!”

“È un meccanismo difensivo automatico. Te l’avranno spiegato, una volta che la impari la usi istintivamente nelle situazioni di tensione, per mantenere il sangue freddo.” Evitò di dire che quella per lui era una di quelle situazioni, e gliene fu grato.
“Oh.” Non ci aveva pensato. “Significa che non ci riuscirò mai?” La cosa lo frustrava, e gli dispiaceva. C’era una parte di sé, neppure troppo nuova, che sentiva il continuo bisogno di fare tutto alla perfezione. Meglio degli altri e più velocemente.

Così nessuno potrà osare attaccarmi.
Ted scosse la testa, dandogli una pacca sulla spalla. “Non ho detto questo. Solo sarà un po’ più difficile per te che per persone come Albus e Rose, che sono invece a contatto con le proprie emozioni… Non ti scoraggiare. Riprova.”
Scorpius sorrise di rimando, perché era quello che ci si aspettava da lui. Quindi è ciò che avrebbe fatto. “È la cosa che mi riesce meglio, professore.”
 
****
 
Foresta Proibita, Dopo pranzo.
 
“Certo che potrei passare l’intero pomeriggio a lanciarti roba morta… Ingordo.”
Artiglio gorgogliò cupamente mentre spezzava le ossa del quarto di pollo che gli aveva lanciato, con una sinistra soddisfazione che Scorpius aveva imparato a riconoscere come del tutto innocua.

Seduto su un masso, in mezzo alla foresta e in tuta da allenamento, si prendeva un meritato riposo dopo essersi fatto chilometri su chilometri attorno al Lago. Allenarsi era stata l’unica cosa che gli era venuta in mente per cancellare la frustrazione di non essere riuscito a produrre un maledetto patronus.
Tra cinque giorni sarebbe sceso nell’arena del Torneo e al momento si sentiva la persona più inadatta a farlo.
Un Basilisco… Miseriaccia, i Basilischi uccidono pure con lo sguardo!
La sua coscienza ormai aveva la voce di Rosie. 
Sentì un colpetto sulla gamba, e si trovò a pochi centimetri il becco dell’ippogrifo, intento a frugargli nella borsa alla ricerca di altro cibo. Gli passò una mano sul collo piumato, con un sospiro.
“Pensi che abbia chili di carne putrescente con me? Va bene che gli elfi delle cucine mi riempirebbero uno zaino se glielo chiedessi, ma tu sei veramente avido…”
Non era la prima volta che veniva a fargli visita; solo nel silenzio della foresta e in compagnia di una creatura incapace di parola si sentiva finalmente libero di sentirsi spaventato.
Artiglio, insensibile al suo angst, fece un verso scontento, tirandogli una botta sul braccio con il becco. “Ahu! Così si ripaga una gentilezza?” Sorrise. “No, scherzo. Sei l’unico che non mi dà dell’idiota o non agita spille incoraggianti nella mia direzione. Credo che al momento tu sia il mio essere vivente preferito.” Mormorò grattandolo sotto la gola e ottenendo un sibilo soddisfatto. “Forse potrei comprarti, ma papà non mi lascerebbe tenerti. Brutte esperienze…” Si alzò in piedi, chiudendo la borsa e mettendola al sicuro dalle mire dell’ippogrifo. “… e Hagrid potrebbe pensare che voglio giustiziarti o qualcosa del genere.”
Non aveva la forza di dire a Rose che di coraggio al momento non se ne sentiva addosso neppure un’oncia. Non poteva dirlo a nessuno: tutti dovevano credere che fosse la persona più positiva del mondo rispetto a quella faccenda.
Era stanco di doversi vergognare del suo cognome. Ma il cambiamento, era inevitabile, non sarebbe mai partito da suo padre.  
 
‘Io ho fatto i miei errori, e ad essi non c’è rimedio. E non sento il bisogno di trovarlo. Sei un uomo ormai, Scorpius. Devi ottenere da solo ciò che vuoi. Sii il cambiamento che cerchi.’
 
Draco Malfoy viveva ancora nel passato, e l’avrebbe fatto sempre, perché non era mai riuscito ad andare oltre a quella maledetta guerra.
Nessuno gli ha mai dato la possibilità di farlo.  
Amava la sua famiglia, ma non poteva aspettarsi aiuto da loro, né comprensione dagli altri.
“Sono un eroe solitario, Artiglio…” Borbottò dandogli un colpetto sul becco. Era stufo di quella fase deprimente della sua giornata. Era ora di cancellarla con un po’ di adrenalina. “Basta chiacchiere… vogliamo farci un giretto?”  
La prima volta che aveva provato a salirgli sopra si era ritrovato culo a terra in due secondi, con l’ippogrifo che gli strideva contro oltraggiato. Poi era andata progressivamente meglio. Tutto era partito da una chiacchierata con Tremayne: gli aveva spiegato che, testuali parole ‘il ragazzo era un osso duro’.
Doveva farlo, si era detto allora. Se fosse stato capace di salire su Artiglio, palesemente poco incline a farsi usare come pony, avrebbe avuto più fiducia nella riuscita del Tremaghi.
Rose gli avrebbe detto che aveva un serio problema nel voler sempre dimostrare qualcosa a sé stesso.
Ma ehi, attualmente è l’unica cosa che mi dà fiducia.
Si arrampicò su un sasso, sufficientemente in alto per poter essere al garrese dall’animale.
“Non spostarti! Ti tengo d’occhio!” Lo minacciò. Era certo che l’ippogrifo capisse tutto, e si divertisse a far finta del contrario.
Ne ebbe la riprova quando riuscì a montare sul dorso dell’animale, ma quello non ci pensò che pochi attimi prima di stendere le ali e partire al galoppo.
“Cosa ti ho detto sulle parte… Aargh!” Si aggrappò appena in tempo per vedere gli zoccoli staccarsi bruscamente dal suolo. “Giuro che ti sostituisco con una scopa la prossima volta!”
Artiglio non diede segno di provare rimorso per le sue azioni e salì di quota, frustrando con le grandi ali piumate le fronde degli alberi.
Scorpius inspirò a fondo sentendo la familiare e deliziosa stretta allo stomaco che provava ogni volta che faceva qualcosa di proibito: se fosse stato beccato a cavalcare una creatura magica appartenente alla scuola sarebbe finito nei guai.
Probabilmente mi farebbero mangiare la spilla da Prefetto… ma al diavolo.
La sensazione inebriante che derivava dal volo era qualcosa che gli aveva sempre dato assuefazione. Ma era meglio che su un manico di scopa. Probabilmente per un babbano c’era la stessa differenza tra montare su una bicicletta o su un cavallo.
Non era solo.
Il vento gli sbatteva fresco e aspro sulla faccia. Era tutto quello di cui aveva bisogno al momento.
 
****
 
Vascello di Durmstrang, Pomeriggio.
 
Sören detestava la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Non andava bene per lui, non per chi era veramente. Ma viveva quella realtà scolastica perché quella era la sua missione.
Se l’era ripetuto così tante volte in quell’ultimo mese, che ormai era diventato un mantra.
Ogni mattina si svegliava e faceva colazione in Sala Grande. Incontrava Lily, si interfacciava con Lily, scherzava con Lily e negli spazi che ritagliava dal suo allenamento per il Tremaghi le dava una mano con le materie che le erano più ostiche. Era un buon amico.
Perché quella era la sua missione.
Cercava di estraniarsi, di mettere avanti Luzhin prima di lui. Anche non riusciva mai a capire, a distinguere nettamente, in fondo alla giornata, se quello che aveva interagito con la Potter lo era, però.
È la mia interpretazione di Luzhin? Sono io? Come faccio a distinguere una cosa del genere?
Era sempre più confuso sul suo compito. Naturalmente era l’unico che potesse svolgerlo, per esperienza e per giovane età. Era l’unico sotto i vent’anni nell’Organizzazione.
Ero l’unico che potesse fingere di essere uno studente… ma la cosa mi si sta ritorcendo contro. Questa immobilità, questa finzione. Devo tornare me stesso. Solo pochi giorni… fino alla Prova. C’è qualcosa in ballo.
Al momento era nella saletta privata per i duelli, che era stata assegnata al Campione, cioè a lui. Aveva appena terminato l’allenamento a cui quotidianamente si sottoponeva. Esercitare le sue capacità magiche e fisiche era qualcosa che faceva anche prima di vestire i panni di Luzhin, ma in quel caso, con la Prova in vista, era quantomeno doveroso ne intensificasse la durata.
Si fermò solo per bere pochi sorsi d’acqua.
“Sören!” Lo apostrofò Kirill, annunciando il suo ingresso solo con i propri passi pesanti. “Sei ancora qui?”
“Già. Cosa dovevi dirmi? Ho da fare.”  Tagliò corto. Il russo fece una smorfietta.

“Sempre di umore splendido, vedo…” Gli si avvicinò maggiormente, sporgendosi al suo orecchio. “È arrivata una comunicazione via fuoco magico. Quelle… cose. Sono arrivate.”
Sören sentì lo stomaco ghiacciarsi mentre un lungo brivido gelido gli correva lungo la schiena fino ad attanagliargli la nuca. Ma non fece una piega.

“Bene. Il luogo dove dovrò materializzarmi?”
Kirill gli mise in mano un sassolino, tondo e scuro. Era un tracciatore, un invenzione che non aveva ancora abbattuto le dogane magiche dell’Inghilterra: quando un mago non sapeva dove materializzarsi quel piccolo artificio magico gli rendeva nota la destinazione solo pronunciando un breve incantesimo di attivazione.
Meno costoso di una passaporta, più facilmente occultabile … del resto tutta la posta per Hogwarts viene controllata dal Ministero Inglese…
Quello che non capisco è perché ce l’abbia Kirill e non l’abbia invece ricevuto io.
“Che c’è?” Chiese l’altro, ignaro dei suoi pensieri. “Ricordati che puoi materializzarti solo fuori dai cancelli della scuola.”
“Perché ce l’hai tu?”
Quello lo squadrò con aria guardinga. “Beh, perché l’ho ricevuto per posta stamattina…”
“E perché non me l’hai dato subito?”
“Le istruzioni sono arrivate solo adesso!” Replicò Kirill con fastidio. “Non prendertela con me se il magister dopo il guaio che hai combinato ad Hogsmeade non si fida più di te!”
Sören serrò le labbra e la presa sul manufatto, che poi fece scivolare in tasca.

Magister…
Era uno dei nomi con cui veniva chiamato suo zio dagli affiliati.
Sta dando più responsabilità a Kirill…
Hohenheim non aveva preso bene il suo colpo di testa con James  Potter. Naturalmente aveva dovuto riferirglielo la sera stessa, dopo che Lily era tornata al castello.
La punizione era arrivata, perché suo zio non la risparmiava mai. Non era uomo da ire spettacolari, ma credeva nel principio azione-reazione. Ad un errore corrispondeva sempre un castigo.
Come si fa con i cani, Sören. Come i cani…
Mosse istintivamente le dita della mano destra: per giorni il solo movimento gli aveva tolto il fiato dal dolore.
 
“Non mi aspettavo una reazione simile da te, Sören.”
“Chiedo scusa. Ho perso la calma. Non accadrà una seconda volta.”
La voce di suo zio era fredda e asettica, oltre le fiamme che abbozzavano malamente il suo volto. Sören sentiva una lama di ghiaccio bollente conficcata nello stomaco, e teneva la testa china perché l’uomo non se ne accorgesse. Anche se lo sapeva, era ovvio che lo sapeva.

“Questo lo spero … hai rischiato di compromettere la tua posizione. La ragazzina avrebbe potuto allontanarsi.”
“Lo so.”
“… ma non è stato così.” Aveva concluso per lui. “Questo va a nostro favore, indubbiamente. Devi avere la sua fiducia completa, Sören. Non scordarlo.”
“Non è mia intenzione.”

“Sono lieto di sentirlo.” C’era stata una lunga pausa. Suo zio era bravo nel saper accrescere il terrore, e tutto senza bisogno di parole o minacce. Era la mente del malcapitato a fare il grosso del lavoro.
“Mostrami il braccio, Sören.”


L’aveva fatto, perché era solo un cane, come spesso gli aveva sussurrato all’orecchio Johannes quando si incontravano per i corridoi del maniero degli Hohenheim. Erano tutti cani da guardia, un manipolo scelto, ma pur sempre servitori.
‘E i cani obbediscono agli ordini del padrone, piccolo principe…’
Quando il dolore era arrivato, Sören lo aveva accettato con l’inevitabilità di diciannove anni di educazione orientata in tal senso. Centinaia di aghi arroventati gli avevano trapassato la carne del braccio destro. Era sempre lì che colpiva, perché su quello aveva il controllo: gli era sembrato di averlo immerso nella lava liquida.
La sua catena non era stretta al collo, ma al braccio destro.
Ironico visto che ha pianificato fin dalla nascita di rendermi tale, figurativamente parlando. Il secondo in comando di suo figlio…
Era il risultato di quell’esperimento per cui suo padre aveva dato la vita e per cui lui aveva consegnato la sua anima a Alberich.
Suo zio non si infuriava, suo zio non esplodeva in accessi di collera come il più ridicolo dei dittatori.
No, lui puniva.
Kirill l’aveva trovato un’ora dopo, a terra, incapace di muoversi; per giorni non era stato in grado di farlo.
Quando era tornato a calcare il suo di Hogwarts, era di nuovo se stesso, freddo e lucido.
Le punizioni servono a questo, no?
Pensava di starsela cavando bene. Lily non sospettava nulla, e cosa più importante, non aveva tentato di presentargli una seconda volta altri membri della sua famiglia: aveva solo avuto sporadiche conversazioni con Albus, ma gli era sembrato troppo preso dalle quinte del Tremaghi, dove operava, per prestargli davvero attenzione.
Meglio così…
Con Thomas invece non aveva avuto altri contatti. Sembrava volerlo evitare, la qual cosa gli andava benissimo. E poi non gli era stato ordinato di far nulla in merito.
È troppo sospettoso, inoltre…
“Sören…” Lo sguardo perplesso di Poliakoff lo riportò alla realtà. “Devi trovarli stasera. Rimani concentrato.”
“Lo sono sempre.” Tagliò corto. “Non c’è bisogno che ti preoccupi.”

L’altro, a sorpresa, non si limitò ad assentire come suo solito. Invece schioccò la lingua. “Senti… l’ultima volta, dopo che hai parlato con il magister, ti ho ritrovato a terra svenuto, cazzo. Come faccio a non esserlo?”
“Libero di farlo, allora.” Stornò secco, serrando la mano in convalescenza, e rilasciando la presa subito dopo. Sentiva ancora un lieve fastidio alle ultime falangi. Sperava non sarebbe stato un problema per la Prova. 
“Credi sia il caso che venga con te?” Era chiaro che era un puro pro-forma, ma Sören ne rimase sorpreso e parimenti insospettito.

Sta cercando di farmi le scarpe?  
Non ne sarebbe stato capace, e lo sapevano entrambi. L’unico motivo per cui suo zio aveva affidato a Poliakoff quei compiti era per continuare a ricordargli che la sua sostituibilità era cosa del tutto possibile.
“Perché vorresti venire?” Chiese quindi. “Sai da cosa sto andando.”
L’altro serrò le labbra in una linea sottile. “Già.” Sembrava essersi pentito della sua asserzione precedente. “Senti… ma… perché?”

“Perché cosa?”
“Perché…” Si avvicinò, anche se erano soli in quella stanza. “… perché i Dissennatori?”
Sören non rispose, perché neppure lui aveva le idee ben chiare.

 
“Perché i Dissennatori?”
“Perché sono le uniche creature contro cui il Ministero magico inglese è tutt’ora debole, Sören. Sono legati alle paure dei sopravvissuti. Creeranno scompiglio, come i Naga hanno fatto l’anno scorso. Cavallo vincente, non si cambia.” Una pausa. “Fa ciò che ti dico. Trovali. Sono creature senzienti. Mostragli il tuo anello, il tuo vero anello. Ti riconosceranno ed obbediranno ai tuoi ordini.”
“E cosa devo dire loro?”
“Che devono venire ad Hogwarts.”


Poliakoff sembrò capire dalla sua espressione che non avrebbe ottenuto risposta. Si limitò quindi a sospirare. E fare la domanda che non avrebbe voluto sentirsi fare.

“E se non fossero controllabili?”
Aveva una risposta anche per quello, in ogni caso. “È già stato fatto. E mio zio deve aver già mandato un agente a trattare con loro…” Probabilmente Kirill era solo preoccupato dall’eventualità che ci rimettesse la vita, e fosse costretto a spiegare ad un intero sistema scolastico straniero che fine aveva fatto il Campione. “Non devi preoccuparti.”
Kirill era ancora incerto, glielo poteva leggere dall’espressione e le sopracciglia contratte in una linea continua. “… quando attaccheranno… Potrebbero esserci dei… come dire. Danni collaterali?”
“Non posso escluderli.” Convenne. “Ma lo scopo non è quello di uccidere delle persone, questo posso assicurartelo. Esercitati nell’incanto patronus, è tutto quello di cui avrai bisogno.”

Poliakoff a quel punto annuì. Leggeva paura e ansia nel suo sguardo, e poteva comprenderlo. Quel ragazzo si era offerto di patrocinarlo nell’anelito di seguire le orme del padre. Ma solo adesso si stava finalmente rendendo conto di cosa significava avere a che fare con la Thule.
Troppo tardi…
Prese la bacchetta dal tavolo, dove l’aveva posata per poter bere. Se la allacciò ai ganci della cintura, pronta ad essere sfilata al bisogno. Poi si passò una mano sul petto. L’anello, il suo anello, l’anello dei Prince: non aveva pensato neanche un attimo di lasciarlo nel suo baule. Lo tirò fuori e lo staccò con cura dalla catenina.
“È uno stemma che non ho mai visto…” Osservò Kirill. “A chi appartiene?”
Sören si intascò l’anello dei Luzhin, sostituendolo. Calzava perfettamente, lo aveva sempre fatto, sin da quando era un bambino e aveva dovuto metterlo al pollice.

“A me.”
Non avrebbe mai messo quell’anello sul fondo polveroso di una valigia. Era l’unica certezza che aveva al momento.
 
****
 
 Note:
1. Qui la canzone. 

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Capitolo 25
*** Capitolo XXIV ***


Capitolo XXIV

 



 
Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai.
(Le bugie hanno le gambe corte, Charles Bukowski)
 
 
 
18 Novembre 2023
Ben Nevis¹, Monti Grampiani, Scozia.
 
Sören rimpianse di non aver preso il mantello con sé.
In sola tuta d’allenamento stava letteralmente congelando essendosi materializzato, grazie al localizzatore, su una cima battuta da un vento aspro che gli tagliava impietoso il viso.
Fece scivolare il localizzatore in tasca, strofinando appena con il pollice la superficie del suo anello: suo zio gli aveva detto che i Dissennatori lo avrebbero riconosciuto grazie a quello.
Questo significa che qualcuno prima di me è venuto a parlargli, nella loro riserva. L’anello sarà il mio segno di riconoscimento…
Ma chi? Non è un lavoro da semplice tirapiedi…
Improbabile fosse stato suo zio in persona: da che ricordava non aveva mai lasciato la Germania.
Si guardò attorno, mentre si rifiutava di stringersi le braccia al petto. Una posizione piuttosto imprudente se doveva avere la bacchetta pronta all’uso.
Sono creature programmate per succhiare via l’anima di un essere umano dopotutto…
Il paesaggio sembrava quasi appartenere ad un'altra epoca: sassi grigi e scarni ricoprivano il pianoro, appuntiti come lame di rasoio. Tutto attorno a lui era grigio. Il terreno, le rocce, il cielo. Era esattamente sulla cima della montagna. Poteva sentire i suoi polmoni liberarsi, aspirando l’aria leggera. Era come respirare inconsistenza.
Sono molto in alto… più di mille metri, sicuramente.  
Voltandosi su se stesso notò delle rovine. Dovette muovere più di qualche passo in loro direzione per identificarle: erano babbane. Forse un rifugio per alpinisti. Erano esattamente al centro del pianoro.
I Dissennatori si nasconderanno lì?
Strinse la bacchetta e si incamminò, notando qualche spruzzata di neve sui monconi di pietra meglio conservati. Davano un contrasto stridente con il resto del paesaggio.
Era contento non ci fossero babbani in giro, così da poter tenere la bacchetta ben spianata davanti a sé: doveva essere quel tempo incerto a tenerli lontani.
Oppure sono i Dissennatori... potranno non vederli, ma li percepiscono.
In quel frangente, era felice di essere un mago.
Il freddo si stava facendo più acuto, ad ogni passo che lo avvicinava alle macerie: non c’erano dubbi, era lì che si annidavano.
Sentì le sue scarpe crepitare e abbassando lo sguardo notò che stava pestando della neve compressa e dura, ormai ghiaccio. Dentro le rovine la temperatura si abbassava ulteriormente di una decina di gradi. Sören si trovò a dover stringere i denti per non sentirli sbattere tra di loro.
“Sono Sören Hohenheim. Sono qui per vedervi.” Scandì con precisione, sentendo stranamente stonato il suo cognome, dopo mesi che non lo pronunciava ad alta voce. “Mostratevi.” Aggiunse, levando la mano e mostrando il sigillo del suo anello.
Il freddo si fece improvvisamente insopportabile. Sören serrò le labbra lasciandosi sfuggire un respiro corto e secco, mentre percepiva il cambio di luce. Era come se un enorme nube scura si fosse sprigionata dai muri ghiacciati e gli si stesse riversando addosso. Strinse la bacchetta fino a sentire le giunture dolere mentre una creatura vestita di stracci neri scivolava davanti alla sua visuale, spuntando dal muro, quasi materializzandosi.
Era la prima volta che vedeva un Dissennatore da vicino ed era spaventoso.
Non poteva vedere i lineamenti del viso – sempre che ne avesse uno – dato che aveva il cappuccio calato, ma le mani dalla pelle raggrinzita e allo stesso tempo disfatta bastavano e avanzavano a soddisfare le sue fantasie in merito.
“Sono Sören Hohenheim. Sono qui per parlare con voi.” Ripeté: conosceva l’incantesimo atto ad allontanarli, ma non poteva usarlo.
Poco utile … diplomaticamente parlando.
Sentiva una compressione orribile al petto. Quell’angoscia sottile e terribile che preannunciava il pianto, la realizzazione di provare dolore, e non fisico. Non pensava l’avrebbe mai più sentita da quando era bambino. Era orribile.
Sören continuò a tenere la mano con l’anello tesa, rifiutandosi di guardare da altre parti, se non il Dissennatore. Sapeva che ce n’erano altri, li poteva sentire respirargli sulla nuca, sulle mani, addosso.
Quanti sono?
Poi capì che stavano aspettando i suoi ordini.
“… Dovete venire ad Hogwarts. Tra sei giorni. Si terrà la Prima Prova del Tremaghi. Voi dovrete entrare nello stadio di Quidditch. Tra sei giorni.” Ripeté mentre gli sembrava che non avrebbe mai più sentito caldo in vita sua. Era freddo, troppo freddo. Serrò la mascella. “Avete capito?”

Non ci fu risposta, ma Sören non dovette aspettare molto prima che un pensiero gli attraversò la mente.
I patronus … ci saranno i patronus. Auror… Ministero.
Era come se non l’avesse pensato lui, come se gli si fosse palesata un’immagina in mente, forzata: come quando qualcuno lo obbligava a raffigurarsi una determinata situazione, spiegandogliela a parole.
Sono stati loro…
“Di questo non dovete preoccuparvi. Vi darò un varco da cui entrare. Voi pensate soltanto a venire.” Si sentiva la testa pesante e come un sordo rumore continuo. Un ticchettio. E poi sentì un odore, un odore che non avrebbe mai dovuto sentire in cima ad una montagna.
Odore di pozioni. Acuto, fortissimo, odore di pozioni bruciate.
Come quel giorno, il giorno in cui era morto suo padre. Il giorno in cui era diventato ufficialmente uno dei cani da guardia di suo zio.
La sua paura peggiore assumeva la forma del giorno in cui aveva perso la sua infanzia.
Dovevo aspettarmelo…
Stanno avendo effetto… Sono troppi. Non riesco ad avere ragione dei loro poteri semplicemente con la forza di volontà.
Si sentiva le gambe deboli e quell’odore gli sembrava di averlo attaccato addosso, gli sembrava di espirarlo ed inspirarlo.
Senza poter usare l’Incanto Patronus era come essere nudo di fronte ad un plotone d’esecuzione.
 “Devo…” Esalò come se dovesse fornire una spiegazione a quegli esseri. Poi indietreggiò lentamente, e per pura fortuna non si scontrò con uno di loro. O forse gli avevano lasciato libero il passaggio. Indietreggiò finché non sentì di nuovo la pietra priva di ghiaccio sotto i suoi piedi. Non era neppure sicuro di vedere bene, ma stava forse nevicando?
Si sentiva la testa pesantissima e la vista offuscata: sapeva di stare per svenire. Se fosse crollato a terra privo di sensi, non era certo che i Dissennatori avrebbero rispettato la sacra regola di non nuocere ad un ambasciatore.
Si ficcò una mano in tasca con urgenza, serrando le dita attorno alla superficie liscia e gelata del Materializzatore. Con gli ultimi rimasugli di coscienza, si smaterializzò.
 
****
 
Hogwarts, Riva del Lago Nero.
Pomeriggio.
 
“Grazie per avermi accompagnato.”
“È una frase di rito?”
“Eh?”
“Era l’unico modo che avevo per stare con te, da solo… venire con te a raccogliere erbe.”
Albus inarcò le sopracciglia, voltandosi in direzione di Thomas: stavano costeggiando a piedi le rive sabbiose del Lago Nero. Il tempo era rapidamente peggiorato e nuvole gravide di pioggia si addensavano attorno al castello, ma nessuno dei due sembrava farci caso.

Tom aveva le mani abbandonate mollemente nelle tasche del cappotto e si guardava attorno, socchiudendo gli occhi al vento sottile. “Non passiamo molto tempo assieme, in queste ultime settimane…” soggiunse come postilla.
Al sorrise dispiaciuto: sapeva di stare trascurando il suo ragazzo. Oltretutto il tempo libero che riusciva a ritagliare era spesso a disposizione di Rose e Scorpius.
Non posso lasciarli da soli adesso,  sembra che facciano a gara a chi nasconde meglio il proprio tracollo nervoso.
“Lo so, ma da quando la Bones ha ridato la sua spilla sono rimasto solo… Lo sai, non è un ruolo che comprende tanto tempo libero.”
“Ricordami perché ha rinunciato. A parte il fatto che è una tassorosso, naturalmente.”
“Simpatico.” Ironizzò. “Non ha retto la pressione, tutto qui.” Fece spallucce, anche se in realtà la defezione di Megan l’aveva messo in una posizione scomoda.  

Insomma, poteva evitare di accettare la carica in prima istanza… non è ancora stato nominato il sostituto. Non è una priorità, pare.
Si chinò, riconoscendo la pianta che doveva raccogliere. La tagliò con cura, infilandola dentro il tascapane. Lanciò poi un’occhiata a Tom che osservava il vascello di Durmstrang, ormeggiato poco più indietro.
Tom in quelle settimane si era comportato in maniera adorabile.  
Cioè, per i suoi standard.  
Era tornato uno studente a pieno regime e Al era felice di non doversi occupare anche di lui.
“La Bones sentiva la pressione… e tu?” Gli chiese improvvisamente.
“Certo che sì.” Rispose alzandosi e spazzolandosi i jeans sporchi di erba e terra. “Solo che il mio ragazzo non minaccia di lasciarmi perché passo poco tempo con lui. Megan si fidanzerà ufficialmente uscita da Hogwarts, secondo Lils… Ha fatto una scelta.”
“Anche se io non minaccio …” Iniziò Tom, con una punta di auto-compiacimento che lo fece sorridere. “… ciò non toglie che mi senta trascurato.”
“È perché sei viziato. Non volevi toglierti dai riflettori quest’anno?”
“Non dai tuoi.” Rimbeccò corrugando le sopracciglia in un’inequivocabile aria di broncio. Al rise tendendogli la mano. Tom la prese, anche se lasciò che fosse lui a intrecciare le dita alle sue.

“Scusami… è che ho un milione di cose a cui pensare. Ma adesso siamo qui, no?”
“Sì. E sta per piovere.”
Al sospirò, perché Tom era sì una spalla a cui appoggiarsi in quel periodo convulso, ma ogni tanto ricadeva inevitabilmente nei vecchi schemi da ragazzino egocentrico. A volte sospettava lo facesse apposta solo per farsi coccolare.

Anche se poi dice a me che sono appiccicoso…  
“Senti. È importante. È una pozione complessa, con un sacco di ingredienti freschi e se eviterò di far fondere il calderone può anche darsi che il professore invii la mia relazione alla rubrica Pozioni del Profeta… potrebbero pubblicarla!”
Tom non rispose, anche se a suo favore, cercò di produrre una specie di sorriso.
“Sono contento. Per te.” Aggiunse, e Al seppe che era vero, anche se lo spirito competitivo che gli ardeva dentro gli impediva di felicitarsi decentemente. Alcune persone avrebbero potuto considerarlo un grosso difetto, una mancanza fondamentale in un fidanzato.
Ma piuttosto che impostare un rapporto sulla menzogna preferirei rimanere single a vita.
C’erano già stati dei precedenti ed era stato orribile. Tom doveva essere onesto con lui. Persino a costo di sembrare sgradevole.
Sta imparando… magari nel modo di dirmi le cose può migliorare, ma… va bene così.
“Uno zellino per i tuoi pensieri.” Lo invitò comunque, dandogli un colpetto con la spalla. Tom non era tormentato come l’anno prima, ma si vedeva che spesso gli si avvicendavano pensieri poco allegri in testa. E probabilmente, anche se non lo diceva ad alta voce, c’entrava la Thule e suo padre.
 
Era fiero di Al.
Detto questo…
Naturalmente era anche invidioso.
Albus era stato nominato Caposcuola, aveva lavorato durante l’estate al San Mungo, la meta finale dei suoi sogni lavorativi e voleva pubblicare articoli per implementare il suo curriculum di studi.
Albus era cresciuto in quell’ultimo anno, stava diventando adulto: gli sembravano passati secoli da quando era lui quello con le idee chiare, e l’altro un ragazzino impacciato che seguiva i suoi passi.
Ciò che era successo l’aveva rafforzato. Aveva ripreso a camminare, mentre a lui sembrava di essere ancora in ginocchio ad aspettare il prossimo colpo. Questo, gli invidiava.
Ed io cosa faccio?
Non riusciva a pensare al futuro come facevano gli altri, perché non aveva la minima idea se ne avrebbe avuto uno. Nel suo futuro vedeva solo suo padre.
E non è un bel vedere…
Al gli tirò un secondo colpetto. “Ehi, sto parlando con te!”
“Sì, scusa.” Replicò, strofinando il pollice sul manico della bacchetta che teneva praticamente sempre in tasca. Prima di dormire la infilava sempre nella federa del cuscino.“Pensavo solo che sarai un gran medimago.”
Al ridacchiò. “Fammi prima passare il test per l’Accademia!”
“Certo che lo farai.”

“Ma dai… troppa fiducia.”
“Non è fiducia, è un’aspettativa realistica.”

E lo era davvero. Tom osservò Al chinarsi per cogliere un’altra pianta, probabilmente per non fargli vedere che era arrossito: dietro quell’aria ordinaria e quieta, il più piccolo dei Potter nascondeva un incredibile forza d’animo. Senza scalpore, senza sbandierarlo in giro come faceva James, stava raggiungendo i suoi scopi.
E non sembra, ma è pure piuttosto ambizioso…
“Non sei stato agli incontri di orientamento la settimana scorsa, vero?” Ruppe improvvisamente il silenzio Al, distogliendolo dai suoi pensieri. Tom non disse nulla: aveva saputo che docenti di vari corsi post-scolastici erano venuti a parlare a scuola. Li aveva visti. Accademia Auror, quella di Medimagia, corsi di inserimento della professione del Ministero. Lui aveva passato quella giornata in biblioteca, a studiare.
“No.”
“Perché?”  

“Dovevo studiare Incantesimi.”
Al gli lanciò un’occhiata tra l’incredulo e il divertito. “Questa è la scusa più scema che abbia mai sentito…”

Tom sentì un moto di irritazione che si apprestò a reprimere. “Probabile.” Disse sforzandosi di non essere tagliente. “Ma con la spada di Damocle che ho sulla testa, non sono molto propenso a pianificare il mio futuro. Per ora mi limito ad aspirare a dodici MAGO.”
“Dici pochi…” Ironizzò, tirandosi nuovamente in piedi e osservando con attenzione le foglie della piantina che teneva tra le dita. “Non devi farlo, sai?” Disse poi, piantando improvvisamente gli occhi nei suoi.

Qualcuno prima o poi avrebbe dovuto dirgli che era come costringerlo a fissarlo. Quel verde aveva lo stesso potere di un pugno nello stomaco su di lui.
“Fare cosa?”  
“Permettere a tuo padre di condizionarti la vita…” Si attorcigliò al dito uno dei lacci della felpa. “Perché non è qui. Con i voti che hai, fuori di qui potrai fare tutto quello che vuoi.”
“Forse tutto quello che voglio al momento è la certezza di poterlo fare.” Sbottò, non riuscendo a trattenersi. Hogwarts in quel momento era una fucina di cose da fare e a cui prestare attenzione. Aveva paura che tutto quel caos avrebbe solo potuto aiutare la Thule.
“Tom…”
“E tra l’altro non riesco neanche a produrre un patronus corporeo.”  

Al, a quell’ultima asserzione, lo guardò stupito. “È per questo che oggi sei così brontolone?”
Tom fece per negare, poi ci rifletté su. Effettivamente quel continuo nervosismo che gli scorreva sottopelle era iniziato proprio dopo la lezione di Lupin.

È decisamente inquietante che Al capisca i miei malumori meglio del sottoscritto.
“Diciamo che il mio evidente fallimento non ha migliorato la giornata.” Concesse. “Come posso pensare di affrontare mio padre se non riesco neanche a dare una forma ad uno scudo magico?”
“Perché, pianifichi di affrontare tuo padre con un patronus?” Non aspettò che negasse, si limitò ad aspettare che cercasse di aprire bocca. “Era solo un esercizio… non puoi essere sempre perfetto!”
Tom fece una smorfia. “Sembrate tutti coalizzati per convincermi che sono al sicuro. Tu, Harry, persino un agente del DALM americano…”
“Certo che sei proprio…” Al si bloccò, assottigliando improvvisamente gli occhi, come a valutarlo. “Tu. Non è che per caso…” Disse, staccando le parole lentamente. “… non sei andato all’orientamento perché stai valutando l’offerta di quello Scott?”
Tom ci mise più di qualche attimo a ricordare l’offerta a cui l’altro si riferiva.

Di andare a studiare negli States sotto la protezione del Ministero Magico americano?
E poi non stavamo parlando di tutt’altro?
A volte Al aveva la capacità, tutta femminile, di saltare da un argomento all’altro senza nessun apparente filo logico. Non che glielo avrebbe mai detto: sapeva essere creativo quando si trattava di difendere la sua dignità virile.   
“No?” Disse sentendosi comunque confuso dallo sguardo accusatorio dell’altro. 
Quando ho dato l’impressione di voler diventare la mascotte di gente viscida come Scott?
“Bene.” Disse, prima di dargli le spalle. “Perché se seguissi gli americani e le loro lusinghe non ti perdonerei mai.”
“Ma…”
Mai.” E si infilò nella boscaglia bassa che costeggiava l’imponente cancello. Tom rimase in religioso silenzio, sapendo che Al aveva ancora quella carta da giocare in mano.

Otto mesi. Nessuna spiegazione.
Al aveva sofferto, ne era stato segnato sì. Ma invece di farglielo pesare sin all’inizio, invece di dargli gradualmente la possibilità di farsi perdonare…
Mi ha perdonato. Mi ha dato il beneficio. Ma alla prima mossa falsa mi farà scontare tutto.
Lo affiancò, mentre l’altro aveva disteso di nuovo i lineamenti e stava staccando con un coltellino un lichene dalla corteccia di una quercia.
“Sei proprio un serpeverde…” Si chinò, sussurrandoglielo all’orecchio. Era sempre stato un lato che Al mostrava raramente, quella della rappresaglia retroattiva.
E con me è maledettamente efficace. E lo sa.
Al sorrise, guardandolo da sopra la spalla. “Il Cappello non sbaglia mai, giusto?” Sogghignò prima di baciargli le labbra, appena un tocco. Poi riprese a grattar via licheni.
Tom a quel punto si sentì del tutto legittimato a voltarlo, e pure un po’ bruscamente, per pretendere un bacio un po’ più consistente. Al gli rise sulle labbra, prima di lasciar cadere il coltellino e passargli le braccia attorno al collo e ricambiare.
Tom non fece in tempo a pensare che la posizione fosse scomoda e che stava cominciando a piovere che entrambi sentirono un rumore. Come di qualcosa che cadeva. O meglio, qualcuno considerando che fu seguito da un lamento inequivocabilmente umano.
“Gazza?” Chiese Al, staccandosi. “Quel povero vecchio cade ovunque ormai… Dovrebbero mandarlo in pensione.”
“Non credo sia Gazza…” Replicò tirando fuori la bacchetta. Al gli lanciò un’occhiataccia, ma la ignorò.

Stare all’erta non fa di me un paranoico
L’erba e le felci crepitavano sotto i loro passi. In prossimità del cancello infatti, la vegetazione del sottobosco era particolarmente fitta, forse parte del suo meccanismo di occultamento anti-babbani.
Al gli si affiancò e Tom vide con soddisfazione che aveva preso la bacchetta: del resto non potevano non sentire entrambi il respiro di qualcuno, a pochi passi da loro.
Tom scostò una fronda di felce particolarmente grande e si bloccò, troppo stupito per tentare altri movimenti.
“Ma questo non è…” Sussurrò Al, scostandosi una ciocca bagnata dalla fronte, quasi non fosse certo di vederci bene. “… È?”
“Sì. È Sören.”
Al si chinò immediatamente a controllargli i parametri vitali. Per quello, Tom lo sapeva, non c’era neppure bisogno della bacchetta; metodi babbani e magici erano gli stessi.

“Per Nimue, è gelato…” Mormorò Al, posandogli una mano sulla spalla. “Ehi, riesci a sentirmi?”
Il ragazzo mandò un lieve gemito, socchiudendo gli occhi: non riuscì a riprendere conoscenza in tempo che subito la perse. 

 
****
 
Sören aveva paura.
A sei anni qualcuno dovrebbe dirti che i mostri esistono, ma che non bisogna temerli.
A sei anni qualcuno, i tuoi genitori, dovrebbero abbracciarti e portarti via da loro.
Ma lui non aveva più i genitori, o forse non li aveva mai avuti. Sua madre non era una mamma e suo padre era appena morto.
Come ci si doveva sentire? Andava bene essere triste? Andava bene obbedire agli ordini dello Zio?
La mano dello Zio lo sospingeva dolcemente lungo le scale strette e umide. Stavano scendendo. Sören sapeva che il castello di famiglia era pieno di passaggi segreti, stanze mai viste e tanti, tanti piani.
Forse sei. Forse addirittura sette.
Stavano scendendo nelle segrete, l’ultimo piano: lo sapeva perché lo aveva sentito dire da Johannes, che chiudeva la loro piccola fila.
“Attento a dove metti i piedi, principino. Si scivola.” Aveva sentito la sua voce beffarda dietro le spalle e si era irrigidito.
“Non ti è stato dato il permesso di parlare.” Suo zio l’aveva appena difeso? Difficile dirlo, ma Sören si era sentito leggermente meno spaventato e freddo.
Il freddo, quello, ne sentiva tanto.
Erano entrati in una stanza. Era illuminata da torce, e Sören aveva visto che c’erano anche altre persone. Non poteva vedere i volti, perché erano chiusi in mantelli e cappucci che ne nascondevano il viso. C’era una lastra di marmo, bianca in un angolo. Sören aveva capito che era per lui.
“Siediti lì, Sören.” All’ordine dello Zio, aveva semplicemente obbedito. Gli era stata data una ciotola piena di un liquido fumante. Forse una medicina?
“Bevi.”
Aveva bevuto. Il sapore era orribile, e si era sentito improvvisamente caldo e stordito.

“Ora stenditi Sören… Non preoccuparti, andrà tutto bene.”
Aveva tanta paura adesso. Il cuore gli era sembrato scoppiare nel petto, ma non aveva aperto bocca, perché era un bravo bambino obbediente.

Johannes si era chinato. Sorrideva, lui, sorrideva sempre. Gli aveva tirato su la manica della camicia, fino a sopra il gomito.
“Rilassati principino, perché farà un po’ male…”
Aveva guardato allora lo Zio. Perché doveva fare male? Quello non era nei patti. Non doveva fare male, non se aveva paura.
Lo Zio era una macchia sfuocata di luce. C’erano altre persone sì, e adesso erano tutte attorno a lui.
Voleva gridare che non voleva più, che aveva paura e che voleva andare via da quel posto, che si sentiva male.
“Non sei un bravo bambino, Sören? Lo sei, non è vero?”
Sören aveva sentito qualcosa mordergli il braccio. O forse era solo la sensazione di avere una morsa che glielo intrappolasse. Un ago poi gli aveva perforato la carne, e bruciava, bruciava come se gli stessero iniettando lava liquida nelle vene.
“Fai il bravo bambino Sören…” la voce di Johannes gli accarezzava le orecchie come le spire di un serpente. “Allo zio serve un’arma…”
Dolore. Sentiva solo dolore mentre centinaia di mani lo tenevano fermo, schiacciandolo contro la lastra di marmo, gelida, fredda.

Urlava.
Stava urlando.
 
“Ren… ehi! Ren, è tutto a posto, svegliati, dai…”

E tutto era cessato, di colpo.
Una mano, una sola, morbida e leggera gli accarezzava il petto. Non c’erano più mani come artigli a ghermirlo.
Sören socchiuse gli occhi: e Lily era lì, avvolta nella luce violenta del mattino.
 
Infermeria, Mattino.
 
“Era solo un incubo… mattutino, in realtà, ma incubo. Okay? Va tutto bene…”
Lily si era spaventata, e pure parecchio. In realtà aveva passato quasi una giornata intera a preoccuparsi per l’amico.
La sera prima Al era venuto nella torre di Grifondoro, trattenendosi il tempo necessario per dirle che Sören era in infermeria, svenuto. L’avevano trovato lui e Tom.
Anche se le sarebbe piaciuto dirlo – perché faceva tanto eroina romantica – non era rimasta tutta la notte al suo capezzale. Poppy l’aveva rispedita nel suo Dormitorio non appena era scaduto l’orario di visita.
Quella mattina però aveva afferrato un muffin, bevuto un po’ di caffè e poi si era precipitata da lui.
Era arrivata appena in tempo per svegliarlo dall’incubo.
Un altro… Poppy ha detto ne ha avuti per tutta la notte…
Sören adesso la guardava, tenendo gli occhi leggermente socchiusi per difendersi dall’impietosa luce del giorno. “Piano…” Le mormorò con un filo di voce. “… acqua.” Chiese poi.  
Lily sorrise. “Subito!” Sentiva il senso di colpa attenuarsi un po’ e questa era cosa buona e giusta.
Dopotutto, cavolo, mica avevo scelta!
Sören prese il bicchiere: bevve a piccoli sorsi, e sembrava non bevesse da decenni. Aveva davvero un aspetto tremendo, oggettivamente parlando.
Beh, è rimasto incosciente qualcosa come quattordici ore dopotutto…
“Come ti senti?” Gli chiese sedendosi sul letto, lisciando le pieghe del lenzuolo. Si accorse che per la seconda volta l’amico stava sfuggendo il suo sguardo.
Beh?
“Quanto sono rimasto incosciente?” Non rispose, continuando a fissarsi le mani, con particolare attenzione a quella destra: sembrava stare controllando che tutte le dita fossero al suo posto.
Strano.
“Da ieri sera.” Rispose pronta. “Ti hanno trovato Al e Tom, vicino ai Cancelli… Che ci facevi lì?”
 “Mi allenavo…” Bevve un altro sorso d’acqua vuotando il bicchiere in un colpo solo. Da brava infermierina si apprestò a riempirglielo di nuovo. Ricevette perlomeno un cenno di ringraziamento. “… a quanto pare devo aver esagerato.”
“Ma dai!” Esclamò, perché di tutte le asserzioni quella era la più scema e ovvia di tutte. “Vorrei farti notare che nessuno degli altri Campioni è svenuto allenandosi! Va bene che la prova è tra pochi giorni, ma…”
“Lo so.” La bloccò. Poi si guardò infastidito, quasi gli avessero fatto un dispetto a mettergli uno dei pigiami in dotazione all’infermeria. “Dove sono i miei vestiti?”

Tipico caso di paziente non paziente…
“Nel cassetto, nel mobile.” Fece un cenno distratto: non voleva prendersela con l’amico male in arnese, ma si sentiva decisamente ferita dal suo atteggiamento brusco e menefreghista. Quasi  che la sua presenza lì fosse per lui un peso, invece che un aiuto.
Ci sono dei ragazzi che pagherebbero per avermi al loro capezzale, sai?
… Chi voglio prendere in giro. È proprio perché non è uno di loro che sono qui…
“… Sei rimasta con me tutto questo tempo?”
La domanda la colse di sorpresa, dato il pensiero precedente. Alzò lo sguardo e finalmente Sören la guardava. Con attenzione, persino. Si sentì arrossire, ma fece supremamente finta di niente, perché quello era il segreto.

“Non proprio… Madama Chips non mi ha fatto rimanere qui per la notte. Anche se ho insistito!” Si premurò di sottolineare, aggrottando le sopracciglia al ricordo. “Tanto. Ma quell’arpia è stata inamovibile… mi ha detto che l’unico modo che avevo per restare era farmi schiantare da lei.”
Sören le sorrise, finalmente. “Allora perché non sembri aver dormito?”
“Perché ero preoccupata.” Lo sottolineò con forza, prima di tirargli un colpo sulla spalla. “Per te, razza di testone!”

L’asserzione non ebbe l’effetto che Lily sperava: Sören non sembrò lusingato dalle sue premure. Forse era imbarazzato, ma soprattutto le sembrava infastidito. Lo poteva capire dalla linea contratta delle sopracciglia e dalla postura irrigidita.
“Non devi preoccuparti, so badare a me stesso.” Disse infatti brusco.  
Ma sentilo!
Lily mandò alle ortiche i suoi buoni propositi da infermierina sollecita: aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto per lui, rischiando di farsi affatturare dalle compagne di stanza.
“Certo, perché è del tutto normale svenire in mezzo ad un parco, vero? Se mio fratello e Tom non fossero stati saresti rimasto all’addiaccio tutta la notte! Forse saresti morto!” Replicò sentendo la voce salire e un familiare groppo alla gola, compagno fedele di tutti i suoi capricci e pianti infantili.
Ma quello non era un capriccio: si era davvero spaventata quando Al era venuto a chiamarla. E l’angoscia non si era dissipata neanche quando Poppy gli aveva detto che non aveva nulla di grave: dopotutto l’aveva visto steso sul lettino, pallido come un lenzuolo e con una mano serrata sul braccio, quasi a volerlo proteggere.
Che razza di allenamenti folli sta facendo per questo stupido Torneo?
“Lily…”
Sentendosi apostrofata si azzardò a lanciargli un’occhiata. E si dovette frenare dal sorridere: l’amico aveva un’aria improvvisamente meno fredda. Più che altro sembrava terrorizzato e molto, molto a disagio.
Ah, maschietti.
Odiano le lacrime delle ragazze, specie se sono dei cavalieri nell’anima come te, Ren…
“Non sarei morto.” Lo sentì borbottare frettolosamente. “Immagino di aver chiesto troppo al mio corpo. Ma mi sento bene adesso. Forse avevo solo bisogno di dormi…”
“Dormire un cavolo!” Sbottò per sottolineare quando fosse preoccupata e quanto fosse orribile lui a non essersene reso conto. Lo vide inspirare agitato, e guardarsi attorno alla ricerca di qualcosa da offrirle per asciugarsi le lacrime.

C’era qualcosa di incredibilmente tenero in Sören, in quella sua ingenuità nei rapporti interpersonali.
“Lilian, ascolta…” 
“Hai avuto il sonno agitatissimo!” Lo interruppe con un singhiozzo drammatico. Perché sì, era un suo dovere morale fargli capire che non si doveva mai far preoccupare una ragazza. “Mormoravi delle… cose… nel sonno, e la Chips ti avrà fatto bere litri di Distillato della Pace2! Merlino, ero preoccupata da morire…”
Dopotutto non è che sto mentendo. Queste cose me le ha dette davvero.
E una parte di sé voleva sapere cosa Ren avesse sognato per essere così turbato; ma non avrebbe certo ottenuto risposte a domanda diretta.
Devo essere più subdola temo…
Sören intanto le passò un fazzoletto: separé e fazzoletti erano cose che non mancavano mai nell’infermeria di Madama Chips.
“Non piangere…” Mormorò serio. “Non ti farò più preoccupare, te lo prometto.”
Erano gli occhi, pensò Lily sentendo il cuore darle una brusca accelerata. Gli occhi di Ren erano specchio di qualcosa che non riusciva a capire, ma che l’attirava come una falena alla luce.

Il che è pure un controsenso visto che ce li ha neri…
Abigail non faceva che dirle che era ovvio e palese che si fosse presa una cotta. Hugo la guardava con aria depressa, come se pensasse che il suo continuo negare fosse un sintomo allarmante di qualche rara malattia sconosciuta. E dulcis in fundo, James aveva dato spettacolo nel ruolo di fratello protettivo.
E lei? Lei si fidava.
Non era una cotta, ma un legame. Ecco, c’era un legame tra di loro. Era qualcosa di fisico; era venuto fuori solo quando si erano incontrati per la prima volta.
“Non vuoi dirmi cos’hai sognato? O meglio, su cosa hai avuto gli incubi?” Gli chiese tirando su con il naso. Detestava piangere, al di là dell’utilità tattica della cosa. Finiva sempre con gli occhi gonfi e il naso colante.
Sören fece una smorfia. “Non me lo ricordo.”
“Bugia.”
Almeno fin lì ci arrivava, con o senza i suoi fichissimi poteri. 

 
Senso di colpa. Sören non avrebbe mai pensato di poterlo provare, men che meno per una ragazzina che fino a tre mesi prima era un’estranea.
Ma Lily gli si era insinuata sotto pelle, leggera. Lily era leggera dentro. Gli era scivolata nell’anima con un sorriso o una battuta. Con i suoi occhi.
Non aveva idea di cosa fosse quel sentimento, e in fondo non voleva saperlo: aveva una missione, doveva compierla. Tutto il resto era semplicemente legato alla persona che stava fingendo di essere.
Quel modo di pensare lo stava aiutando. Sperava avrebbe continuato a farlo.
“… sì, è una bugia.” Disse, perché doveva dirlo. “Ma non voglio parlarne. Tutti facciamo incubi. Sono teso per la Prova… probabilmente è per questo.”
“Come vuoi…” Non sembrava molto convinta, ma per fortuna lasciò cadere il discorso. Si alzò in piedi mettendosi la borsa a tracolla. “Adesso devo proprio scappare… ma vengo a trovarti all’ora di pranzo!”
“Spero che mi abbiano dimesso per allora.” Aveva molte cose da fare. Compiti di Luzhin, e compiti suoi.

“Vero, ma Poppy è un sergente di ferro, non ci spererei troppo!” Gli sorrise. Forse fu un gioco della luce, il viso di Lily adesso era in ombra, ma Sören notò che aveva le occhiaie. Il trucco le aveva nascoste bene, ma non le aveva eliminate completamente.
Allora è vero che è rimasta sveglia tutta la notte…
“Allora è vero che sei rimasta sveglia tutta la notte…” Quando si sentì dirlo ad alta voce, ebbe voglia di mordersi la lingua.
Lily gli scoccò un’occhiata indispettita, ma per fortuna non si rimise a piangere.
“Perché, pensavi ti raccontassi una bugia?”
“No, però… perché?” Razionalmente non aveva molto senso.

Dopotutto stando sveglia non avrebbe cambiato la situazione…
Glielo disse e Lily lo guardò come se fosse un idiota. Poi si chinò su di lui e Sören sentì il cuore fare una capriola. Nulla di straordinario. Gli succedeva ogni volta che la ragazza gli si avvicinava.
Normale. Non ho mai avuto contatti con donne… è del tutto normale.
“Ren? Siamo amici. E ti voglio bene. È naturale che sia in ansia per te…” Sbuffò. “A volte mi chiedo che razza di infanzia tu abbia avuto.”
“… purosangue.”
Lily ridacchiò. “Sì, in effetti questo spiega molte cose.” Guardò l’orologio alla parete. “Ookay, devo andare o la McGrannit pretenderà il mio scalpo. A dopo!”
La guardò andare via, in silenzio.
Lei sarà lì quando arriveranno i Dissennatori.
Quel pensiero arrivò, netto e preciso come una ferita di coltello. Sentì un peso doloroso allo stomaco e gli venne la nausea: Lily avrebbe potuto essere un bersaglio.  
Anche se dovrebbe conoscere l’Incanto Patronus…
Serrò le labbra: no, quel genere di scudo magico era troppo avanzato per le sue capacità. Specie se avrebbe dovuto difenderla da più di una dozzina di Dissennatori. Specie perché fondava la sua forza nel sangue freddo di un mago.
E l’ho quasi perso io. Figuriamoci una quindicenne che non ha mai visto una creatura oscura in vita sua…
Lily avrebbe rischiato la vita e lui non sapeva neanche se questo facesse parte del piano: non aveva avuto ordini in merito.
Quindi…
La soluzione arrivò veloce come era arrivato il problema.
Posso tenerla fuori da questa storia. Posso fare in modo che lei non sia alla prova.   
Posso tenerla al sicuro.
Non si chiese subito perché lo stesse facendo: ma Luzhin conosceva la risposta.
Non vuoi sporcarti le mani del suo sangue… non è vero Sören?
Strinse la mano destra, come se potesse afferrare la bacchetta, come se potesse afferrare quei pensieri, e stritolarli.
Non vuoi, non è vero?
 
**** 
 
Dormitorio di Serpeverde, stanza del Caposcuola.
Notte.
 
C’era qualcosa che non andava in Sören Luzhin. Ormai Tom ne era certo.
Lanciò uno sguardo ad Albus, che dormiva abbracciato appassionatamente al suo boccino di peluche, Jenkins.
Fece un sorriso vedendolo arricciare il naso infastidito quando gli solletico la porzione di pelle sotto l’orecchio.
Lo scoppio di un ciocco nel camino lo riportò sulla linea di pensieri precedente.
Quel Luzhin aveva qualcosa di sospetto: non era tanto nel suo atteggiamento – del resto tutti gli allievi dell’Istituto sembravano degni personaggi di qualche cupo drammone russo.
No, era ciò che non faceva ad avergli infilato la famosa pulce nell’orecchio. E quel ritrovamente poi, lo aveva solo convinto maggiormente della sua teoria.
Luzhin era vicino ai Cancelli, un punto in cui non si spingeva praticamente nessuno con ettari di parco da percorrere e le sponde del Lago Nero in cui allenarsi. Era svenuto, ma non c’erano segni di traumi alla testa, o ferite.
Un mancamento, come ha detto la Chips…
Ragionevole, certo.
Si rigirò tra le dita la bacchetta, accarezzandole il manico con attenzione.
Ma le sue scarpe…
Quando lui ed Al lo avevano fatto levitare per poterlo portare agevolmente fino al castello, Tom se le era ritrovate ad altezza viso.
C’era del ghiaccio sulle sue scarpe. Ghiaccio e ghiaia. Avrebbe dovuto esserci fango ed erba secca, le classiche cose che trovi calpestando i terreni di Hogwarts…
Sören Luzhin quando era svenuto non era nello stesso posto in cui era stato ritrovato.
Ma domanda è: dov’era per aver calpestato ghiaccio? Non fa ancora così freddo.
Sentì improvvisamente un mugugno provenire da Albus.
“La luce… spegnila.” Gli bofonchiò contro.
“Stavo pensando.”
“Allora non farlo. Grazie.” Biascicò afferrandolo per la maglietta e tirandolo giù. “Dormi, per Merlino… spegni quel gran cervello che ti ritrovi e dormi. O ti schianto.”

Tom fece un sospiro: naturalmente erano solo congetture, e non aveva il coraggio di esporle al suo ragazzo: Albus l’avrebbe tacciato come al solito di paranoia. In effetti, quelle coincidenze, come l’anello che non era della sua misura, e le scarpe, potevano essere spiegate ragionevolmente.
Solo… come?
Si infilò sotto le coperte, spegnendo le candele con un colpo di bacchetta, lasciando che fossero solo le braci del camino ad illuminare la stanza. Sentì subito il corpo di Al premere contro il proprio.
“Appiccicoso.”
“Sta’ zitto. Dormi.” Ripeté il più piccolo, sorridendo nel buio e afferrandogli un braccio per passarselo attorno alla vita.

“Agli ordini…”
Tom non si fidava di Luzhin, ma quando l’aveva visto a terra, esanime, gli era venuto in mente come si era sentito quando era stato raccolto da Cordula e Meike: solo e sperduto.

Quando per un attimo l’altro ragazzo aveva aperto gli occhi, Tom poteva giurarlo: aveva quello sguardo.
 
 
****
 
Note:
La canzone del capitolo qui .

1. Ben Nevis è uno dei monti più importanti della Scozia. Qui la cima.

2. Distillato della Pace: una pozione che calma l’ansia di chi la beve. 

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Capitolo 26
*** Capitolo XXV (I° Parte) ***


Capitolo XXV
 


 
Boy, you got to see what tomorrow brings
Girl, you've got to be what tomorrow needs
Sing it out, for every time that they want to count you out
Use your voice every single time you open up your mouth…
(Sing, My Chemical Romance¹)
 
 
24 Novembre 2023
Hogwarts, Torre di Grifondoro, Dormitorio maschile.
Sette e mezzo di mattina.
 
Respirare.
Era tutto lì in fondo.
Respirare probabilmente gli avrebbe salvato la vita.
Scorpius Hyperion Malfoy – sì, tutto intero – se ne stava seduto sul suo letto, fissando con insistenza le tende che beccheggiavano leggermente alla brezza mattutina. Era una di quelle giornate dolorosamente terse, dove ci si poteva chiedere come fosse possibile che il cielo potesse essere così azzurro e così pulito.
Era il giorno della Prima Prova. Era il giorno in cui avrebbe dimostrato al mondo, al suo mondo, che meritava di essere acclamato; oppure, au contraire, sarebbe stato solo uno di quei coglioni che voleva cambiare le cose e finiva soltanto per essere imbarazzante.
La divisa di Hogwarts gli sembrava un’armatura e la sua bacchetta, abbandonata sul letto accanto a lui, una spada.
Cavolo, si sentiva un dannato cavaliere.
Ho paura.
Era vero: aveva passato l’intera notte con gli occhi sgranati sul soffitto ascoltando il respiro dei suoi compagni di stanza.   
Aveva paura sì, ma era una paura buona: aveva preceduto le sue prime partite come Capitano del Grifondoro e l’aveva portato a calzare il Cappello proclamando che gli sarebbe andato benissimo vestire rosso-oro.
Può finire di merda, ma può anche finire alla grande, ragazzo mio.
Quella era la sua battaglia: doveva combatterla da solo. Doveva dimostrare al mondo in cui viveva che si poteva andare oltre il passato di un cognome.
Una cosa mica da niente…
Inspirò lentamente ed espirò con la stessa frequenza. Il piccolo Potter gliel’aveva suggerito per calmare l’agitazione.
Micro-medimago…
Sentì la porta aprirsi e la testa arruffata di James Potter fece capolino. Aveva uno di quei suoi giubbotti di pelle da cattivo ragazzo, ma anche sei o sette spille di incoraggiamento ancorate alla sciarpa di Grifondoro.
“Oh, ehi Potty. Ma… sei solo?” Gli chiese perplesso; si aspettava infatti di essere letteralmente scortato dai compagni di Casa fino al campo da Quidditch, improvvisatosi arena.
“Direi di sì.” Annuì James guardandosi scherzosamente indietro, come a voler controllare. “Ho mandato via tutti. Qualcuno ho dovuto pure prenderlo a calci. Ragazzini del Primo…” Fece una smorfia esageratamente scocciata. “Sai, avevo l’impressione che avresti preferito vedere solo la mia bellissima faccia. Mi sbaglio?”
Scorpius sorrise: no, non sbagliava affatto. Non voleva nessun corteo d’onore. L’avrebbe soltanto agitato.

Sono commosso dalla sua capacità di essere sensibile, ogni tanto.
In quel momento non voleva nemmeno Rose: aveva bisogno di concentrarsi su sé stesso.
E non sul fatto che ci saranno i genitori di entrambi.
“Ehi Malfuretto. Pronto?” Sogghignò James, tenendogli aperta la porta mentre passava. “Perché là fuori si comincia a fare sul serio.”
Scorpius annuì, senza trovare battute di spirito adatte a stemperare l’atmosfera tesa. Non che servisse: per fortuna l’altro capiva benissimo come si sentiva.
Infilò la bacchetta nei passanti appositi della cintura. Si sfregò le mani, sorridendo.
“Sicuro Poo. Andiamo a far mangiare la polvere a qualche straniero.”
 
****
 
Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del Quinto.
Nove di mattina.
 
Lily non avrebbe indossato l’uniforme quel giorno.
Il perché era semplice e se lo ripeté mentre passava un’ombra di correttore babbano sotto gli occhi per nascondere le maledette occhiaie che l’affliggevano da quando Sören aveva il cattivo gusto di farla preoccupare a morte.
Siano lodati i make-up artists babbani…
Nonostante un pochino non se lo meritasse, avrebbe tifato per lui: le sembrava dunque brutto esibire una coccarda coi colori Grifondoro quando avrebbe gridato il suo nome.  
Il fatto era che sì, Scorpius era il Campione di Hogwarts, e lo trovava generalmente adorabile, ma non era il suo Campione.
Sorrise al ricordo di quando l’aveva ufficialmente detto all’amico, non appena questi era uscito dall’infermeria. Era stata una fortuna trovarlo prima che lo prendessero in consegna quelli di Durmstrang.
 
“Quindi sarai tu!”
“… Cosa esattamente?”

“Il mio Campione! Tiferò per te!”
“Oh.” Una pausa confusa. “Ah.” Era riuscita a strappargli un sorriso, e considerando quanto ancora sembrava malconcio era una conquista niente male. “Grazie…”
“Non ringraziarmi, hai dei doveri, sai?”
Sören a quel punto l’aveva guardata attento. “Quali?”

“Vincere, prima di tutto.”
“È nelle mie intenzioni.” Aveva annuito, con aria divertita. “Altro?”
“Certo! Devi indossare qualcosa di mio durante la gara.”

Era certa che Sören si stesse trattenendo dall’inarcare un sopracciglio. Ma essendo troppo cavaliere dentro, si era limitato ad un sorriso. “Lilian, questo non è un torneo d’arme come nelle vostre leggende Arturiane… è una competizione tra maghi.”
“Oh, dai, fa’ il bravo e asseconda il mio complesso della principessa!”
“Complesso?” L’aveva guardata con improvvisa preoccupazione. “È qualche genere di malattia?”
Lily aveva fatto uno sforzo immane per non scoppiare a ridere: non sarebbe stato giusto, perché l’altro aveva l’abitudine di prendere le cose alla lettera ed era quindi estremamente serio.

“No, no… è solo, sai, da bambina? Mi credevo una principessa. È una cosa che fanno molte ragazze… Un po’ come quando voi maschietti giocate a fare Merlino?” Vedendo che non l’altro coglieva, glissò. “Lascia stare, è una cosa mia. Guarda…” Aveva frugato nella cartella, estraendo un nastro che usava spesso per legarsi i capelli d’estate: era il suo preferito. Avrebbe dovuto sembrare del tutto casuale lo avesse con sé. O almeno, lo aveva sperato. “È molto semplice. Questo uguale portafortuna.”
“Come codice vuole, capisco…” Aveva replicato, tirando su la manica dell’uniforme e lasciando che glielo legasse al polso. Non l’aveva guardata in modo strano, né aveva chiesto delucidazioni in merito. Sören sapeva qual’era il codice. E lo trovava perfettamente sensato.

Lily l’avrebbe baciato. 
“Funzionerà, fidati!” Aveva concluso, esibendo una sicurezza che non era del tutto certa di provare. L’amico era ancora convalescente e sarebbe comunque sceso nell’arena; sperava solo che il via libera di Poppy non fosse stato condizionato dall’imminenza del Torneo o dalle pressioni di Durmstrang.
Anche se conoscendola, è piuttosto improbabile…
Sören a quel punto le aveva preso la mano e, complice forse il fatto fosse ancora palesemente strafatto di Bevanda della Pace, gliel’aveva baciata. Come un vero cavaliere.
“Ne sono certo, principessa…”
Lily aveva avuto serissimi problemi a smettere di sorridere, persino per le successive due ore di lezione di Storia della Magia.

 
Si guardò allo specchio che le rimandò un riflesso alfine esteticamente accettabile. Prese il giubbotto, indossandolo; Gail e le altre compagne di stanza si erano già precipitate a prendere i posti migliori. Gli ospiti venuti da fuori li avevano assegnati, ma gli studenti no.
E sia mai che un Finnigan prenda un posto da cui non si ha una perfetta visuale panoramica.
Era un po’ in ritardo, ma era un ritardo elegante. Quindi andava bene. Era quasi doveroso.
La realtà era che se non poteva andare nella tenda dei Campioni ad augurare in bocca al lupo a Sören, allora le sembrava inutile andare mezz’ora prima a fissare un campo vuoto.
Sentì la porta aprirsi alle sue spalle, ma non se ne preoccupò. Probabilmente era Gail, tornata a prendere qualcosa.
Si spaventò solo quando sentì qualcuno afferrarla e metterle una mano sulla bocca. Vide con la coda dell’occhio qualcosa di incredibilmente verde. Poi tutto diventò buio e perse i sensi.
 
****
 
Campo di Quidditch.
Dieci di mattina.
 
Rose quasi rimpiangeva i problemi dell’anno prima.
Lucertoloni e tutto il resto…
Sì, perché a ben vedere quella giornata era la più stressante di tutti i suoi diciassette anni di vita.
Indossava l’uniforme preventivamente stirata dagli elfi della scuola, la sua spilla da Prefetto, lucidata con perizia, e come l’anno prima era invischiata a scortare genitori e parenti lungo gli spalti.

Ma quest’anno c’è una bella dose di angoscia formato maxi in più per la sottoscritta…
Alzò lo sguardo verso il cielo dolorosamente terzo, punteggiato da qualche sbuffo di nuvola, troppo sfilacciato per non far classificare quella come una bella giornata.
Lo stadio di Quidditch era stato approntato come un’arena trasfigurando le mura in pietra e la porta d’ingresso in un monumentale portone rinforzato con barriere protettive.
Staccò l’ennesimo biglietto per una coppia di genitori con grosse sciarpe Corvonero. Sorrise loro e gli augurò meccanicamente una buona giornata.
Incrociò lo sguardo di Albus che, accanto a lei, cercava di decifrare il pessimo accento inglese di un gruppetto di magi-giornalisti francesi.
Il ragazzo le restituì un’occhiata piena di sfibrata comprensione, prima di scortare dentro gli addetti stampa.  
Perlomeno a me toccano madrelingua…
Mancava mezz’ora alla Prima Prova e Rose sentiva crescere un intenso bisogno di vomitare.
Era ufficialmente angosciata per la sorte del proprio ragazzo, detto altresì lo stupidissimo Campione di Hogwarts.
Ma non c’è solo questo…
L’intero perimetro dell’Arena era circondato dalle forze di Polizia Magica: fin lì poteva essere pure normale, considerando ciò che era successo l’anno prima.
Era gli auror in borghese per cui aveva staccato i biglietti ad averla inquietata.
Aveva riconosciuto molti di loro perché le feste del Dipartimento erano qualcosa che sin da bambina non aveva potuto evitare.
Perché degli auror? Capisco i tiratori scelti, è loro compito preoccuparsi per la sicurezza di questo genere di eventi… ma… cosa c’entra una task-force specializzata in maghi oscuri?
Non aveva ancora avuto modo di confrontarsi con nessuno in merito. Al era troppo occupato nei suoi compiti di unico Caposcuola per poter fermarsi a fare due chiacchiere e il resto del Clan Potter-Weasley era già entrato.
Invece Scorpius non l’ho proprio visto…
Guardò la matrice dei biglietti. Ne erano rimasti una decina.
Forse adesso devo entrare?
“Rosie, ehi, qui abbiamo finito.” La apostrofò infatti Albus, raggiungendola. Rose notò con divertimento che aveva tentato di pettinarsi i capelli e aggiustarsi l’uniforme ma generalmente senza molto successo. Fece una smorfia quando capì il senso del discorso: non che non avesse voglia di riposarsi, era da tutta la mattina che stava lì, e i piedi le facevano male.
Ma non voglio vedere Scorpius rischiare la vita, maledizione.
“Mancano ancora dei biglietti… deve arrivare altra gente. Aspetto.” Controllò, mentre gli altri tre prefetti incaricati del suo stesso compito mollavano baracca e burattini per fuggire letteralmente dentro l’arena.
Al le lanciò un’occhiata  perplessa. “Sì, beh… qualcuno non sarà potuto venire all’ultimo momento. Stanno per chiudere, non c’è motivo per cui tu rimanga qui.”
“Non ho visto Tom.” Gli comunicò, perché era vero e perché sperava di distrarlo.

Al sibilò un’imprecazione a mezza bocca. “Quell’idiota! L’ho lasciato in biblioteca dopo colazione, e scommetto che è ancora lì!”
Bingo …
Rose annuì comprensiva. “Non preoccuparti, resto io ad aspettarlo… tu va’ dentro, sei un Caposcuola, sarai sicuramente richiesto.”
Al esitò, prima che uno dei prefetti di Tassorosso uscisse dall’arena, raggiungendoli. “Potter, ci sono dei ragazzi di Durmstrang che si rifiutano di sedersi accanto a quelli di Beaux-Batons, dicono che gli hanno fregato il posto!”
“Vai.” Ripeté Rose, dandogli un colpetto sulla spalla. “Lo aspetto io. Se non arriva, vengo a chiamarti.”
“Grazie.” Le sorrise sollevato, prima di seguire l’altro ragazzo.  

Rose ispirò, guardandoli andare via: non era solo una questione di gentilezza.
Sapeva di essere l’unica a poter mettere fine a quella situazione. Era lei a dover andare dai suoi genitori, da suo padre e dirgli che amava un Malfoy e che non se ne vergognava.
Sta a me…
Eppure era paralizzata dalla paura, esattamente come lo sarebbe stata di fronte ad un Basilisco.
Non riusciva ad affrontare Ron Weasley: si sentiva codarda, così codarda che non riusciva a confidarsi neppure con Albus.
Inspirò appena, sforzandosi di non ascoltare gli schiamazzi degli spettatori: Scorpius in quel momento doveva essere nella tenda dei Campioni a rilasciare l’intervista per il Profeta.
Si concentrò invece sul guardare i Tiratori scelti che pattugliavano la cinta muraria per tenere la mente occupata.
“Il mio biglietto.”
Quasi cacciò un grido quando si sentì apostrofare, vicinissima all’orecchio. Si voltò di scatto, e Tom era dietro di lei. Le tendeva la mano, con una faccia che mostrava fastidio per l’intero consesso umano, lei compresa.

Idiota.
Grazie per avermi aspettato Rose, e aver fatto in modo che non venissi chiuso fuori…” Borbottò a denti stretti, cacciandoglielo in mano di mala grazia.
“Sappiamo entrambi che sei qui perché non vuoi entrare.” Fu la risposta.
Lo guardò meravigliata, premurandosi comunque di rimanere sulla difensiva. “Scusa?”
“Lo sai benissimo.” Ribatté. “Comprensibile. Lì dentro ci sono le persone che più ami al mondo, ma tra loro si detestano.” Forse fu un’allucinazione dovuta al poco sonno di quelle settimane, ma le sembrò che Tom si sforzasse di empatizzare con lei.  

Rose esitò, scrutando i lineamenti anodini del cugino acquisito. “Stai cercando di essere gentile con me?” La cosa le sembrava talmente assurda che si aspettava che da un momento all’altro qualcuno arrivasse con un cartello enorme con su scritto ‘scherzo’.
Non successe, e questo la sconvolse.
L’altro scrollò le spalle. “Non proprio. Piuttosto, si direbbe che cerco di esserlo con Malfoy.” Non che sembrasse affabile mentre lo diceva, ma del resto non lo sembrava mai. “Quello che sta facendo il tuo ragazzo è stupido, ma è da ammirare.”
“Cosa, combattere prove mortali?”
“Dimostrare a tutti di che pasta è fatto. Stupido, ma ammirevole, come ho detto. Ha bisogno che tu sia lì, e non ci vuole un genio per capirlo.”

Rose a quel punto non riuscì a ribattere.
Se me lo dice persino lui… allora è proprio il caso che la pianti di farmela sotto.
Si infilò la matrice dei biglietti nelle tasche del mantello, seguendolo. Poi notò che Tom si voltò a guardarsi indietro. Due volte.
“Stai aspettando qualcuno?” Chiese perplessa.
“No.”
Rose lo guardò con attenzione. Teneva le mani infilate nelle tasche del cappotto; era un gesto che faceva spesso, ma la sinistra in quel momento stringeva qualcosa.
La bacchetta. Perché stringe la bacchetta?
Gli auror…
Rose ebbe quello che un babbano avrebbe chiamato fulmine a ciel sereno: un’idea improvvisa.
Gli auror sono qui per proteggere lui?
“Sai perché ci sono degli auror in borghese?” Gli chiese, non per avere risposta, ma per spiarne le reazioni. Infatti lo vide serrare la mascella, con uno scatto secco e quasi sicuramente doloroso.
“Non sapevo neanche ci fossero…” Staccò le parole con apparente disinteresse. “Sarà un protocollo di sicurezza del Ministero. Vogliamo andare?”
“Certo…”
Per quanto fosse un bastardo con la faccia di pietra, Rose lo realizzò in quel momento: Thomas faceva schifo a mentire.
 
****
 
Campo di Quidditch, Tribuna d’onore.
Dieci e un quarto.  
 
“Ehi, hai visto quel ragazzo? Da quando i compagni di classe di mio figlio sono così attraenti?”
“Oh, Merlino benedetto Nora, ma non vedi che è un professore? È quel Lupin!”
“Mmh, ancora meglio allora! Non mi devo sentire in colpa a fantasticare di avercelo tra le lenzuola…”


Ted aveva un quieto terrore delle madri single. Ne aveva avute attorno sin troppe l’anno prima al binario nove e tre quarti e per motivi che gli erano sfuggiti finché James non gli aveva rifilato una gomitata gelosa e gli aveva conseguentemente spiegato i fatti della vita – come li aveva chiamati lui.
A volte sapeva di essere un po’ tardo. Non che fosse del tutto colpa sua: finché era stato con Victoire le donne non gli si erano avvicinate neanche per sbaglio.
Forse era per via dell’aura veela?
Sorrise a denti stretti alle due streghe, le cui occhiate sarebbero valse almeno un’accusa di molestia sessuale e salì gli spalti per arrivare in salvo da Harry e famiglia.
“Ehi, Ted! Il tuo posto è qui!” Lo salutò l’uomo, inconsapevole del suo ruolo di redivivo Salvatore. Ted lo raggiunse, sorridendo a lui e a Ginny, mentre Hermione e Ron si alzavano per fargli posto. “Tutto bene? Sembri spaventato…”
“No, io… sì. Tutto bene.” Borbottò cercando di non arrossire, ma dall’aria materna che gli fu scoccata da Ginny ed Hermione, capì di aver fallito.

Come al solito…
Fu felice però di essere accolto in quel modo: pensava non sarebbe più successo.
Ron gli affibbiò una pacca sulla spalla. Fu un po’ forzata, ma ne apprezzò l’intenzione. “Allora, dici che dobbiamo tifare per i francesi?” Gli chiese allegramente.
Ted scosse la testa. “No, credo che Scorpius si meriti tutti i nostri applausi.”
“Sono d’accordo…” Convenne Harry con uno sguardo ammonitore. “Tifiamo Hogwarts.”
“Io non supporto un Malfoy.” Prima che qualcuno potesse ribattere, continuò. “Beninteso, non ho niente  contro il ragazzo, è una questione di principio.”
“Santo Cielo, Ronald… Non ricominciare!” Sospirò Hermione, la cui solita crocchia, con cui Teddy aveva imparato a vederla fuori dall’ambiente familiare, era stata sostituita da una coda informale. Si trovò anche a pensare che la sciarpa di Grifondoro la facesse sembrare più giovane. “E soprattutto non davanti a Hugo e Rose.”
“Posso dire ciò che voglio di fronte ai ragazzi, l’ho sempre fatto, non vedo perché dovrei smettere!”
“Perché i nostri figli sono amici di Scorpius.” Tagliò corto la donna, con una decisione che Teddy gli invidio, accademicamente parlando.

“Inoltre i suoi genitori sono due file avanti a noi e credo stiano facendo finta di non ascoltarci…” Soggiunse Ginny tranquilla, dandogli una pacca sulla spalla.  
Harry non espresse opinioni, ma Ted lo vide guardare verso la nuca bionda di Lord Malfoy con aria pensierosa.
Ron sbuffò scocciato. “Piuttosto, dove sono i ragazzi?”
“Negli spalti riservati agli studenti… Laggiù.” Li indicò. “Al e Rose sono vicini alle delegazioni straniere.”
“Come se la sta cavando Albie come Caposcuola?” Si informò Ginny e Teddy la ringraziò mentalmente per aver glissato sull’altro figlio. James era sicuramente tra i grifondoro.

Probabilmente a dirigere i cori … Speriamo si tenga la maglietta addosso e non si sia dipinto il petto come mi ha accennato.  
“È bravo, sa farsi ascoltare. Sta facendo un gran lavoro, specie considerando il fatto che l’altro Caposcuola ha abbandonato la carica un paio di settimane fa.”
“E chi l’avrebbe mai detto…” Disse Harry, con palese e paterno orgoglio. “Era il più introverso dei nostri ragazzi e adesso gli dà retta tutta la scuola!”
“Al non è mai stato introverso, Harry… timido e riservato, questo sì. Certo, non che un estroverso come te capisca certe sfumature…” Lo canzonò Ginny.

Teddy si immerse in quegli scambi di parole con piacere. Vivere ad Hogwarts era grandioso, gli era mancata la sua vecchia scuola e l’ambiente accademico in generale nei suoi anni in Provenza. Ma adesso, doveva ammetterlo, sentiva un po’ la mancanza del mondo reale.
Hogwarts è un piccolo microcosmo, chiuso a tutto il resto…  
Harry si sporse verso di lui, approfittando del fatto che Ron e le due due donne avessero preso a chiacchierare tra di loro. “Teddy, ascolta…” L’espressione improvvisamente seria del padrino gli fece capire che avrebbero parlato di cose ben diverse dall’imminente Prova. “Com’è andata coi Patronus?”
“Meglio di quanto mi aspettassi…”
“Ma? C’è un ma, vero?”
Teddy sospirò massaggiandosi la rada barba che quel giorno aveva dimenticato di far scomparire. Gliel’aveva fatto notare quella mattina James, baciandolo e ritraendosi subito dopo. “… Sono ragazzi, Harry. Se succedesse davvero quello che pensi, non credo sarebbero in grado di produrli. Una cosa è quando ci si esercita in classe, un’altra…”

“Lo so.” L’uomo annuì, aggiustandosi gli occhiali con un gesto secco. “Ma preferisco qualche sbuffo di nebbia argentata al lasciarli disarmati.”
Teddy non ebbe cuore di dirgli che Tom era riuscito a produrre solo quello, nebbia argentata appunto. “Ci sono gli auror, ci sono i Tiratori… e le barriere. Non vedo come potrebbero entrare.”
“Neppure io. Ma abbiamo visto l’anno scorso come si possa comunque trovare il modo.”

Ted non replicò a quel punto: sperò che ciò che Harry gli aveva detto via camino qualche giorno prima, dopo la lettera in cui gli chiedeva di insegnare i Patronus, fossero probabilità, non certezze.
Come possono dei Dissennatori entrare qui dentro?
Vide poi il padrino alzarsi con un gran sorriso che cancellò l’espressione precedente; stava sorridendo alla professoressa McGrannit, e Teddy si affrettò con lui ad aiutarla a salire gli impervi scalini della postazione.
“So ancora usare le mie gambe, non è necessario.” Li rabbuffò entrambi, sedendosi con assoluta dignità al suo posto. Teddy capiva perché Harry fosse tornato immediatamente di buon’umore a vederla: i professori come la McGrannit, grazie al proprio carisma, riuscivano a far sembrare le situazioni più angosciose meno nere semplicemente con la propria presenza.
“Non ne dubito, professoressa. È un piacere rivederla.” Esclamò infatti l’uomo. “Direi che è in forma se non avessi paura di dire banalità.”
“Le ha dette infatti.” Replicò la strega, ma con un’ombra di sorriso ad aleggiargli sulle labbra. Era il suo modo per apprezzare un complimento. “Signor Weasley, cos’è quell’aria stupita?” Apostrofò Ron inarcando le sopracciglia. “Ha forse visto un fantasma?”
Harry trattenne una risatina, e così fece Teddy, mentre l’interpellato arrossiva come lo studente che doveva essere stato un tempo. “No… io. Non pensavo di vederla qui… insomma. A… sapevo che era qui ad insegnare, naturalmente, ma…”
“Non credeva possibile che alla mia età abbia ancora diletto nell’assistere ad una competizione?”
“No, io…”
“Ron è felice di vederla, professoressa, lo siamo tutti.” Intervenne Hermione con un sorriso affettuoso ed esasperato in egual misura verso il marito. “Stavamo giusto discutendo del Torneo.”
“Pronostici sulla vittoria?” Chiese Harry. “Che ne pensa del nostro Campione?”
“Malfoy è un grifondoro.” Ron tentò un’obiezione, ma fu immediatamente stroncato da un’occhiata linciante della moglie. “Una testa calda con una vera predilezione nel cacciarsi nei guai. Ma sembra capire il valore dei buoni consigli. Più di quanto facesse l’ultimo Campione, in effetti…” Soggiunse con un’occhiata verso Harry, che ridacchiò.

“Ha perfettamente ragione, professoressa. Sarà un Campione molto più giudizioso del sottoscritto.”
“No, questo non lo credo.” Lo fermò con una leggera scrollata di spalle. “È dai tempi di Black che non vedevo tanta voglia di rischiare il collo… Quel ragazzo ha il suo sangue nelle vene.”   
Fu stavolta il turno di Teddy di soffocare una risata, mentre il padrino assumeva un’aria di puro shock.
“In che senso?” Chiese infatti.
La vecchia strega scosse appena la testa. “Gira voce che Malfoy usi il suo tempo libero per cavalcare uno degli ippogrifi della scuola… cosa vietata in una decina di regole di Hogwarts e un paio del Ministero.” Fece una pausa, mentre trai quattro ex-alunni era piombato il silenzio. “Naturalmente è solo una voce.”
“Un ippogrifo…” Mormorò Harry incredulo. Si guardò con Ron e Teddy fu certo che quello avesse definitivamente impressionato il lato malandrino di entrambi.

 
****
 
Tenda dei Campioni.
Pochi minuti dall’inizio della Prova.

 
Sören riteneva tutto quel teatrino una grandissima seccatura.
Ma doveva attenervicisi scrupolosamente, perché il minimo comportamento dissonante sarebbe stato notato.
Lanciò un’occhiata alla Campionessa di Beaux-Batons, una ragazza assolutamente improbabile, mentre stordiva di chiacchiere il giornalista della Gazzetta del Profeta. Accanto a lei, il suo assistente, un piccoletto biondo e dall’aria eccitata sgomitava per avere la sua fetta d’attenzione.

Era normale, per quei ragazzi il Tremaghi era il centro di ogni interesse, ogni attenzione. La loro grande occasione.
Per lui, solo una copertura.
Si sentì dare una pacca sulla spalla. Si voltò di scatto, mettendo mano alla bacchetta. Si rilassò quando vide che era il concorrente di Hogwarts, quel Malfoy.
“Nervoso, vedo…” Osservò ironico. Era però pallido dietro la sua aria spavalda. “… Disturbo qualche riflessione?”
“Non preoccuparti.” Tagliò corto. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Volevo solo augurarti in bocca al lupo.” Gli tese la mano. Esitò quando vide che non coglieva. “… È tipo un augurio? Vinca il migliore?”

“Ah… altrettanto.” Annuì imbarazzato, stringendogliela. I proverbi inglesi erano profondamente contorti. Avrebbe dovuto chiedere a Lily di insegnarglieli per evitare future figuracce.
Lily…
Aveva fatto la cosa giusta. Narcotizzarla era il metodo migliore per impedirle di venire alla Prova.
Non potevo schiantarla… non posso sapere in quanto tempo si riprende da un incantesimo del genere. È soggettivo per ogni persona. E poi rischiavo di farle male.
Non era la cosa giusta, in realtà. Era solo una cosa che aveva voluto fare. Dalla realizzazione in infermieria, tenerla al sicuro era stato un chiodo fisso.
Non credo di disattendere gli ordini di Hohenheim. Dopotutto mi ha detto di conquistarmi la sua fiducia. Avvicinarla. Assicurarmi che rimanga incolume è un compito collaterale.
“Ehi, vi state facendo virili auguri ed io non ci sono? Maschi…” Sbuffò la francese avvicinandosi e interrompendo le sue riflessioni. Era più alta di lui di una buona testa e questo, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, lo infastidiva da morire.
“In bocca al lupo anche a te, Dom.” Replicò cordiale l’inglese, dandole una pacca sulla spalla decisamente troppo energica per essere rivolta ad una donna. Quella però non fece una piega.
Forse non è una donna… Di certo, non ne ha i modi.
“Grazie raggio di sole. Che vinca il migliore, cioè la sottoscritta, perché diciamocelo, io non sono di certo il sesso debole.” Blaterò senza senso. “Voi cosa pensate che ci faranno affrontare? Ormai è inutile tenere il segreto, ci siamo.”
Malfoy assunse un’aria meditabonda. “Beh, le tre prove rispecchiano la triade fegato, cuore e mente. Adesso ci toccherà dimostrarci coraggiosi, quindi… qualcosa di spaventoso?”

“Però, che acume… e poi dicono tutte quelle malignità su voi biondi…”
Sören non aveva voglia di ascoltare quei discorsi. Per lui le speculazioni erano inutili. Dentro quella tenda sapevano tutti che avrebbero dovuto affrontare qualche bestia potenzialmente mortale. E quello avrebbe fatto: sarebbe uscito, l’avrebbe sconfitta e…

… e poi fingerò che i Dissennatori siano una sorpresa.
Tais toi Dominique, non parlare con gli altri Compioni!” La riprese burbera la preside Maxime.
“Scusate ragazzi, avete sentito maman, non si fraternizza con il nemico!” Sghignazzò la ragazza, minimamente turbata dall’aria irritata della donna, mentre tornava dal suo lato della tenda.
Malfoy gli sorrise. “Beh Luzhin, che vinca il migliore allora!” Lo sguardo poi gli cadde sul nastro di Lily: se ne intravedeva il colore vivace, sotto la maglia di Durmstrang, invece color kaki. “… un portafortuna da una ragazza?”
“Non sono affari tuoi.” Gli uscì dalle labbra prima che potesse fermarsi, e arrossì di conseguenza. Ebbe il distinto nitore che l’altro a quel punto avesse capito sin troppo.
“La piccola Potter è una mia amica…” Commentò infatti. “…ma sappiamo tutti che non tifa per me, tranquillo.” Detto questo, gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Sören ebbe poco tempo per riflettere sulla frase, perché la tenda fu scostata, ed entrò Poliakoff. Vide con la coda dell’occhio il Direttore distanziarsi da loro, quasi volesse mettere distanza fisica da ogni probabile cospirazione. Era un atteggiamento stupido.
Ci sei dentro anche tu, fino al collo, come Kirill, come me…  
“Sören.”  Kirill gli toccò un braccio, rivolgendosi a lui in russo. Era la loro lingua franca in caso dovessero comunicare senza farsi capire dagli altri. “È tutto pronto.”
“Hai avuto difficoltà?”
Il ragazzo sbuffò. “Stai scherzando? Si aspettano che qualcuno cerchi di annullare le barriere magiche, non che venga indebolita la struttura metallica dell’Arena a mano. Tra parentesi, svitare tutti quei bulloni è stata una fatica immane… Come fanno i babbani senza bacchetta?”
“Ci sono abituati.” Osservò, irritato dal fatto che l’altro ingigantisse le cose. In quel momento tutto lo irritava, ma veramente, aveva solo allentato un paio di pannelli.  Il piano era semplice: sotto gli spalti era completamente vuoto e nessuno aveva pensato di mandare agenti lì, come avrebbero fatto dei babbani. Per l’altro doveva essere stato un gioco da ragazzi sparire sotto le gradinate.

“Cerca di non dare troppo dettagli in presenza di altre persone…” Aggiunse poi con un sibilo.
L’altro assunse un’espressione impacciata, prima di fare una seconda smorfia. “Ma se stanno tutti confabulando tra di loro? E poi in questa tenda gli unici che parlano russo siamo io e te.”
“Le precauzioni non sono mai troppe.”
Bozhe Moi, a volte sembri un vecchio…” Fece un sorrisetto. “Non vedo l’ora di vedere le facce di questi idioti… fargliela sotto il naso, ecco come si chiama.”
Sören non rispose: Kirill era un ingenuo. Dopo l’iniziale spavento alla notizia che avrebbero chiamato in causa dei demoni, era stato trascinato dall’entusiasmo della missione per conto dell’Organizzazione. Quello che vedeva era solo un modo di mettersi in luce presso Alberich Von Hohenheim.

Lui vedeva altro. Vedeva i danni collaterali nello sguinzagliare quei demoni, il rischio di essere in un posto in cui era riunita una grossa fetta di Polizia magica britannica, tra cui il Salvatore dei Mondi.
Avrebbe avuto gli occhi di tutti puntati addosso e avrebbe dovuto compiere il famoso delitto perfetto.
Tutto questo… e zio non si fida abbastanza di me per dirmi perché diavolo abbiamo voluto portare i Dissennatori qui.
A Johannes l’avrebbe detto.
“Sören?” La voce di Kirill, di nuovo su sonorità teutoni, lo riportò alla realtà. “Va tutto bene?”
“Sì.” Confermò con un cenno della testa. Avrebbe gestito quella situazione. Come sempre.
Zio non mi avrebbe dato questo compito, se non avesse pensato che sarei stato in grado di svolgerlo.
È un test. Non devo sbagliare. Non è difficile.
Doveva solo obbedire.
 
Scorpius era decisamente geloso del portafortuna del tedesco.
Scorpius si sentiva anche discretamente terrorizzato, e in quel momento avrebbe davvero voluto avere Rose accanto a sé, invece del Preside Vitious che sembrava persino più agitato di lui.
O Poo. Avrebbe cominciato a sparare cretinate e avrebbe attaccato briga con qualcuno… perlomeno mi avrebbe distratto.
In quel momento gli sarebbero andati bene anche i suoi genitori.
E visto che non ho più dieci anni questo la dice lunga…
Lanciò un’occhiata a Dominique, l’unica persona più o meno carina con lui in quel consesso traspirante competitività.
“Pronto biondino?” Lo apostrofò avvicinandosi, ignorando le occhiatacce della propria Preside. “Sta per arrivare mio zio Percy. Tra poco sapremo contro chi dovremmo giocare …”
“Non vedo l’ora…” Notò un luccichio al lato della testa della ragazza. Divertito capì che aveva rimesso i piercing, in barba alle norme di sicurezza. “Non sono un po’ vistosi per affrontare qualcosa che potrebbe strapparti le orecchie?”
“Ho sentito che parlavi di portafortuna con Mister Sorriso, là…” Indicò con un cenno della testa Luzhin, che confabulava in una lingua forse slava con il suo Assistente. “… ed io ho i miei.”

“Non ti facevo tipa da orecchini di ametista viola²…”
“Orecchino.” Precisò, sfiorando il suddetto. “È un prestito tra l’altro. Se alla fine della prova avrò un orecchio in meno, saprò che non ha funzionato.” Rise poi, facendolo ridere di rimando.

Scorpius quindi quasi non notò l’aereoplanino di carta che gli sfrecciò davanti. Lo afferrò al volo, approfittando del fatto che nessuno l’avesse notato, eccezion fatta per Dominique, che gli sorrise e si allontanò.
Un biglietto?
Lo dispiegò, dando le spalle agli astanti. C’era due sole frasi, con inchiostro sbavato, come se chi avesse scritto l’avesse fatto di fretta, senza per giunta appoggiarsi ad una superficie liscia.
 
Andrai alla grande, quindi fa un bel respiro e non preoccuparti.
Sono fiera di te (anche se vorrei prenderti a calci).’
 
Seguiva uno sgorbio incomprensibile. Scorpius lo guardò meglio e capì, prima di mettersi a ridere da solo come un povero demente, attirandosi gli sguardi curiosi di tutti addosso.
Lo sgorbio in questione era un cactus. Per la precisione, il tentativo di un fiore di cactus, in seguito cancellato da un ripensamento imbarazzato.
Gli si spense il sorriso quando vide entrare Percy Weasley, seguito dal Diretto del Dipartimento Giochi Magici e un paio di altri funzionari.
“Campioni, prego… disponetevi a semicerchio davanti a me, spiegherò le regole.” Se l’uomo aveva qualche problema con lui, non lo mostrò quando gli si mise di fianco. “Dovrete affrontare la creatura da voi scelta, come avrete già avuto modo di capire.” Un funzionario poi estrasse quelle che a Scorpius sembrarono piccole bandiere, terminanti con un uncino metallico.
“Dovremo conficcarle sulla nostra creatura?” Esclamò Dom, che sembrava poco contenta della cosa. Non lo era neanche lui.
Non la prenderanno tanto bene, secondo me, ad essere usate come un pollo allo spiedo…
“No. Agganciarla ad un moschettone, lo vedrete al collo della vostra creatura. Questo sarà il vostro compito. Meno tempo ci metterete, più punti otterrete. Ora, pescate. Il primo vuol essere lei Signor Malfoy?”
Scorpius annuì, cercando di dissimulare il nervosismo. Il Basilisco, dunque, era solo una delle tre possibilità che poteva capitargli. Gli altri sapevano quale altre possibilità c’erano? Avevano già una creatura a cui puntare?

Infilò la mano nel sacchetto, e ne estrasse un cartiglio. Effettivamente essendo creature diverse, una miniatura delle stesse avrebbe potuto essere riconoscibile. Lo lesse.
“Basilisco Signor Malfoy…” Lesse con lui il direttore Weasley. “Creatura notevole.”
“Già.” Masticò a mezza bocca, tentando un sorriso: era un bene o un male? Sapeva come neutralizzare i suoi attacchi, ma era pur sempre un fottuto, enorme serpente capace di uccidere a sguardo diretto.

Sono stato fortunato o no, a beccare quello per cui mi ero preparato?
Quando a Luzhin toccò un’acromantula e a Dominique una chimera realizzò che non c’era vincitori né vinti. Vedendo le espressioni dei due, specialmente.
Qua siamo tutti democraticamente nella merda.
“Chi vuole essere il primo?” Chiese Weasley.
Luzhin fece un passo avanti, senza quasi aspettare che finisse la frase. “Io, signore.”
“Prego allora. Il pubblico sta aspettando.”

Quando il tedesco fu uscito, Dom gli rivolse un sorriso che per la prima volta sembrò davvero nervoso.
“Posso essere io la seconda?”
“Come no, campionessa. Prima le donne …” Sorrise di rimando, stringendo in pugno la lettera di Rose. Se la sarebbe portata nell’arena.

Non si butta via un portafortuna, giusto?
 
****
 
Note:
Il capitolo, come avrete capito, si articola in due parti. ;)
1.Qui la canzone.
2. Gli orecchini in questione .

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Capitolo 27
*** Capitolo XXV (II° Parte) ***


Capitolo XXV
(II° Parte)




 
When it feels like fear… like I'll disappear
Gets so hard to steer, yet I go on
Do we need debate, when it seems too late
Like I bleed but wait, like nothing's wrong.
(Lift, Poets Of The Fall¹)
 
 
Campo di Quidditch, Spalti.
 
“Dov’è Lily?”
Rose lanciò un’occhiata confusa a Roxanne, sua cugina. In mezzo alla confusione era difficile sentire persino chi ti stava accanto, e poi lei pensava a tutt’altro che avere rapporti interpersonali in quel momento.

La cugina era venuta a vedere il Torneo, come molti degli ex-alunni di Hogwarts ed era riuscita a trovare posto accanto a loro. Una vera fortuna, considerando che dove sedevano i Prefetti e Caposcuola c’era un ottima visuale e quindi i posti erano andati subito a ruba.
“Lily?” Si guardò attorno, scandagliando la folla. Non c’era traccia del rosso brillante della chioma della più piccola dei Potter. “Sarà con le sue amiche in mezzo al casino…” Concluse con una scrollata di spalle.
Se quello era il settore migliore dal punto di vista logistico, quello più divertente era la cosiddetta ‘curva Grifondoro’, dove solitamente i tifosi rosso-oro prendevano posto durante le partite di Quidditch. Al momento era un’onda di cartelli, urla, canti e…
E James senza maglietta?  
Fece finta di non aver visto nulla.
“No, questo è impossibile.” Riprese Roxanne, con quel tono definitivo che la rendeva una Battitrice persino a terra. “Ci siamo accordate perché le tenessi il posto.”
“Sì beh, magari se n’è dimenticata… lo sai com’è fatta.” Sinceramente al momento i pensieri di Rose era su tutt’altra frequenza. In primis sperava che Scorpius avesse ricevuto il biglietto che si era ingegnata a mandargli e poi pregava che non rimanesse ferito. “Hai provato a contattarla con gli specchi comunicanti?”

“Sì, non risponde. Dov’è?” Ripeté cocciutamente. A Rose venne l’impulso di risponderle male, prima di ricordarsi che Roxie non era famosa per la sua indulgenza e per lasciar correre parole storte verso di lei.
“Ti giuro, non lo so…” Sbuffò, dando un colpetto col gomito ad Albus, che al momento chiacchierava con Tom. “Ehi, hai visto tua sorella?”  
Il ragazzo la guardò, colto di sorpresa, come se solo in quel momento si fosse accorto dell’assenza.
Poteva capirlo: in effetti era raro che Lily presenziasse a qualsivoglia evento agonistico. Fare il tifo su una panca di legno battuta dal vento gelido – diceva sempre – non faceva per lei.
“No…” Rispose infatti. “Sarà con Hugo e le sue amiche.” Si sporse per avere una visuale migliore, ma dopo una occhiata omnicomprensiva, scosse la testa. “Non la vedo… forse è rimasta al castello.”
“Per il Tremaghi… Si sta disputando un torneo centenario e lei è rimasta in Dormitorio.” L’affermazione di Roxanne aveva il sapore di una domanda. “Mi prendi in giro?”

“Certo che no…” Iniziò Al, con quella sua aria pacifica che nascondeva in realtà un intenso desiderio di affilare la lingua; Rose non era l’unica a saperlo, perché Tom si schiarì la voce.
“Starà dormendo. Di sabato è difficile che si svegli prima di mezzogiorno… Considerando anche il fatto che non ha la sveglia, è probabile che non sia neppure alzata, dimenticandosi di che giorno è.” Concluse piantando gli occhi in quelli della bruna, sfidandola a contraddirlo.
Dopo un breve intenso scambio di sguardi da film western, Roxanne fece una smorfia, capitolando. “È solo che mi sembra strano… mi ha parlato tanto di quel suo amico di piuma e del fatto che tiferà per lui invece che per Hogwarts.” Corrugò le sopracciglia. “Pensavo l’avesse messo in agenda, visto quanto mi ha rotto l’anima sull’argomento.”
“L’ha rotta a tutti.” Concordò Tom, trovandosi stranamente d’accordo, visto che fino ad un momento prima sembrava volerla buttare in un fosso. “Succede, quando si ha una cotta.”
“Aspetta. Cosa?” Si destò Al, che aveva perso il filo del discorso non appena Roxanne aveva smesso di rivolgersi a lui. “Lily non ha una cotta.”
“Sì invece.”
“… e cosa ne sai sapere tu?”

“Sono un buon osservatore.”
“Guarda che ha ragione.” Si inserì Roxanne, il cui rapido cambiamento d’espressione, da neutro a malizioso, la qualificò senza dubbio come la figlia del più grande produttore di scherzi del mondo magico. “Ho sentito dire che Jam ha sfidato a duello quel tizio. Secondo te perché l’avrebbe fatto?”
“Vediamo… perché mio fratello è un idiota?”
“Sì, a parte quello…”
Rose non commentò: del resto non le importava assolutamente nulla se sua cugina aveva una cotta per quel tedesco o meno. Per quanto la riguardava, poteva pure sposarselo.

Sono l’unica a desiderare che un nuovo meteorite pieno di serpenti giganti si schianti al suolo facendo sospendere tutta questa ridicola baracca?
Probabilmente lo era davvero.
“Voi l’avete conosciuto… che tipo è?” Roxanne sembrava molto più disposta a comunicare del solito. Probabilmente era perché in qualche strano modo l’affetto che la legava a Lily – era del resto la sua Cugina Preferita - scavalcava la sua cronica incapacità di interessarsi a qualcos’altro che non fosse il Quidditch e collateralmente ai bei ragazzi che giocavano a Quidditch.
“È… particolare?” Azzardò Al, lanciando un’occhiata a lei e a Tom, quasi a voler cercare conferme. “È molto intelligente. E capace… direi. Non di molte parole, ma con Lils questo non è un problema.”
“Comprensibile. Le sono sempre piaciuti belli e tenebrosi.” Confermò Roxanne. “È un tipo apposto?”
“Direi di…”
“No.”
Tom!” Al gli tirò un colpo sulla spalla, più di avvertimento che punitivo. “Non è vero! Sören si comporta come un vero gentiluomo. Le porta la borsa, le dà una mano coi compiti e la scorta ovunque. Davvero, Roxie… è in gamba. A me piace.”
“Comprensibile.” Tom ripeté l’affermazione di Roxanne con un certo gusto maligno. “Del resto anche a te piacciono belli e…” Non riuscì a finire la frase perché Albus gli pestò il piede con forza. A quel punto l’altro non osò continuare e si trincerò dietro il suo ben noto mutismo.  

Rose non poté fare a meno di sorridere, nonostante tutto. Si guardò poi attorno: la folla rumoreggiava, aspettando l’ingresso del primo Campione. Striscioni erano appesi un po’ ovunque, sia dei colori di Hogwarts, sia di Beaux-Batons. Quelli di Durmstrang invece non c’erano.
Gente austera. Proprio vero…
Lanciò un’occhiata anche verso la torretta riservata alle autorità. Riconobbe la chioma fulva del padre e quella riccia della madre. Erano mesi che non li vedeva. Ricordò improvvisamente una cosa che Al le aveva detto all’inizio dell’estate, quando la lontananza da Scorpius l’aveva quasi spinta a scoprire gli altarini.
 
‘Perché non ne parli con zia Hermione? Non mi sembra il tipo di persona che darebbe di matto all’idea di saperti con Malfoy. Anzi, magari farebbe ragionare tuo padre.’
 
Ci aveva pensato, a quell’eventualità: confidarsi con sua madre. Il fatto era che era lei a non volerlo.
Prima di Malfoy… è sempre stato a papà che ho raccontato le mie cose.
Da sua madre si era sempre sentita esaminata. Non nel senso scientifico del termine, naturalmente, ma sin da bambina aveva sempre avuto l’impressione che la grande Hermione Granger avrebbe voluto che sua figlia, la figlia femmina e maggiore, fosse in un certo modo.
Ed io mi sento sempre come se fossi diametralmente un altro…
Nei racconti della sua adolescenza, sua madre era sempre sembrata quella in controllo, quella con l’idea giusta.  
Rose era sempre stata paragonata a lei, da suo padre, dai suoi nonni. In confronto si sentiva una ragazzina goffa. Non stupida, ma meno matura.  
Non voglio farmi togliere le castagne dal fuoco da lei…
C’era anche quello. Ovvero, il suo stupido orgoglio. Non poteva correre a piangere dalla mamma, come quando aveva cinque anni.
Se lo facessi, bella prova di maturità sarebbe. Confermerebbe solo che la mia storia con Malfoy è un capriccio da adolescente cretina.
Si sentì toccare la mano. Al la guardava con dolce sguardo interrogativo: a volte desiderava tanto che fossero tutti come lui in famiglia. “Tutto a posto Rosie?” Le chiese, facendole venire una gran voglia di abbracciarlo e singhiozzargli un po’ sulla spalla.
Merlino solo sa quanto ne avrei bisogno in questo momento…
“Sì, certo… stavo solo pensando.” Borbottò invece, piena di dignità.
“L’ho notato.” Sorrise. “Guarda che sta iniziando…”
Rose calamitò lo sguardo sull’arena e fu sollevata dal vedere che non era entrato Scorpius, ma il Campione di Durmstrang. Aveva ancora una ventina di minuti per cuocere nel nervosismo.

Non si sentì più così sollevata.



****
 
Sören camminò fino al centro dell’arena. O quella che perlomeno doveva essere un’arena.
Gli inglesi avevano fatto un pregevole lavoro, considerando che quell’ambiente era solitamente poco più che un campo erboso. L’erba era stata sostituita con terra morbida, forse atta ad attutire eventuali cadute.
Sentiva rumoreggiare la folla sopra di sé. Era nervoso? Naturalmente.
È la prima volta che ho pubblico …
Serrò la presa sulla bacchetta, l’unica arma in suo possesso. Isolò la propria mente da qualsiasi rumore circostante. Doveva passare la prova, quel teatrino pericoloso, e al tempo stesso doveva fare in modo di sfondare una delle pareti del pitch. Era fondamentale che lo facesse: Poliakoff aveva allentato apposta i pannelli.
Le barriere. Devo fare in modo da indebolire le barriere magiche. Il Ministero inglese sa dei dissennatori. Le barriere servono a questo. A nascondere la presenza di centinaia di persone.
Con così tanti maghi a disposizione, neppure una schiera di patronus potrà fermare dei Dissennatori affamati da decenni …
Fissò lo sguardo sulla grossa grata che chiudeva la gabbia dell’acromantula. La sentiva stridere arrabbiata e un brivido freddo gli corse involontariamente lungo la schiena.
Non aver paura era da idioti. Controllarla, era la cosa importante.
Le grate vennero alzate di scatto e la creatura corse letteralmente, non era solo una sua impressione, fuori. Le urla della folla esplosero.
A Sören sembrò di essere un gladiatore babbano. Ne aveva sentito parlare, nelle sue tante letture.
Sicuramente là sopra si divertiranno più di quanto faccia io…
Indietreggiò velocemente, senza perdere di vista la grossa creatura, i cui molteplici occhi sembrarono improvvisamente calamitarsi su di lui, mentre emetteva un verso agghiacciante, a metà tra un urlo umano e il frinire di centinaia di cicale.
La bocca gli si piegò in un involontario sorriso: quello sapeva farlo. Neutralizzare una creatura oscura… per quello era stato addestrato.
In un certo senso, per la prima volta da mesi, era a suo agio.
 
“Non riesco a guardare! Merlino, ditemi quando la portano via…” Sussurrò Rose, mentre nascondeva il viso sulla spalla di Albus.
Tom alzò gli occhi al cielo.
Se è così impressionabile perché diavolo non è rimasta al castello con Lily?
 Ma non lo disse, visto che Al l’aveva precedentemente graziato di una lunga occhiata ammonitrice.
Si concentrò allora sulla prova stessa. Luzhin era al centro esatto dell’arena. Non era arretrato che di pochi passi, mentre l’acromantula incedeva verso di lui.
Possiede un sangue freddo invidiabile. Vorrei sapere quanti nostri coetanei hanno un … dono… simile.
Lo ammirava. Certo, per la stragrande maggioranza del tempo pensava che nascondesse qualcosa e fosse un tipo sinistro, ma oggettivamente parlando, gli piaceva il suo modo di fare.  
Aveva semplicemente neutralizzato James quando l’aveva sfidato: tranne alla fine, non aveva mai perso il controllo. Aveva giocato con quell’idiota come avrebbe fatto un gatto annoiato con un topolino.
Persino in quel momento, con una bestia che aveva tutte le intenzioni di usarlo come spuntino, non perdeva la testa. Aveva invece cominciato ad indietreggiare, usando una lenta ma efficace traiettoria a zig-zag.
Ottimo se vuoi confondere animali con l’intelligenza di un colino da the.
L’acromantula tentò un improvviso balzo in avanti, ma il ragazzo sembrò averlo previsto, perché scarto di lato con facilità, muovendo appena la bacchetta. Ne fuoriuscì un getto di luce violenta che fece rimbalzare la creatura lontana da lui.
Dopo un paio di tentativi non dissimili, Tom cominciò a sentirsi confuso e scomodamente irritato dalla mancanza d’azione.
Il punto della prova non è avvicinarsi alla creatura? Perché la sta respingendo?
Molti degli astanti, impazienti come lui, avevano cominciato a fischiare e mostrare segni di irrequietezza.
Tipica ottica da folla. Come i gladiatori nell’Antica Roma. Vogliono veder scorrere il sangue…
Effettivamente, sento che non dispiacerebbe neanche a me. Ottica della folla.
Non aveva colpe.
Luzhin però non sembrava neppure notare l’agitarsi del proprio pubblico. Era totalmente concentrato sul…
Tom lo capì all’improvviso. Voleva che l’acromantula andasse in una direzione precisa. Non essendo ammaestrata, la cosa si rivelava non priva di complicazioni.
Vuole chiuderla in un angolo cieco? Ma così rischia lui stesso di non avere vie di fuga …
Avvicinarsi ad un animale, mortale, in trappola non è mai una buona idea.
“Che strano…” La voce di Al lo fece voltare. “Perché sta facendo quella specie di balletto?”
Allora non sono l’unico ad essermene accorto…

 
Le intenzioni del tedesco furono gradualmente chiare a tutti.
“Come si chiama il Campione di Durmstrang?” Chiese Harry a Ted, sporgendosi in avanti per toccargli la spalla.
“Sören.” Rispose distrattamente Ginny al posto del ragazzo che aveva del resto sentito a malapena la domanda, completamente preso da ciò che accadeva nell’arena. “È l’amico di piuma di Lily, Ren.”
“Ma non era una specie di secchione?” Si intromise Ron, che teneva gli occhi socchiusi per la concentrazione e sembrava il più seccato dalla mancanza di scontro diretto. “No, perché quel tipo non mi sembra …”
Ronald.”
“Sul serio Hermione! Ho sentito Jam che prendeva in giro Lily sul fatto che quel tipo sembrasse uno uscito da uno scaffale polveroso…”
“Il fatto che sia un ragazzo che ama lo studio gli preclude la possibilità di essere un Campione?”
“Non ho detto questo!”
“È bravo.” Li interruppe Harry, pacato. Aveva avuto anni per imparare che un nemico non andava soltanto affrontato di petto, come aveva fatto durante la maggior parte della sua eroica adolescenza, ma anche usando la testa, sapendo aspettare. Quel ragazzo aveva deciso strategicamente le sue mosse.

“Ma se non sta facendo niente!” Esclamò perplesso Ron. “Dovrebbe agganciargli la bandiera al moschettone, ma non si sta neanche avvicinando! Ha paura!”
“Non ha paura, Ron… sa cosa sta facendo.” Scosse la testa Harry. “Sembra in gamba.”

Non aveva mai prestato molta attenzione alle amicizie della figlia, di piuma o in carne e ossa che fossero: Lily del resto non aveva mai avuto problemi nei rapporti sociali. Da che ricordava era sempre stata circondata da amiche. E per quanto riguardava le amicizie maschili…
Beh, lì sono io che non voglio sapere.   
Però forse stavolta…
“Tu sai qualcosa di questo Sören?” Chiese alla moglie.
“Quel che mi ha detto Lily. Sinceramente me lo aspettavo un po’ … diverso.” Ammise Ginny, sporta per seguire ciò che accadeva sotto di loro. “Non che non lo sia, intendo dire, diverso dal fenotipo di Durmstrang. Ve lo ricordate Viktor Krum, no? Tutti quei muscoli…” Lanciò un’occhiata divertita al fratello, che fece un’eloquentissima smorfia facendo ridere entrambe le donne. “Comunque Lily gli è molto affezionata.”
Quanto affezionata?” Ron fu il primo a pronunciare la frase, ma Harry fu certo di essere stato il primo a pensarla.
Ginny fece un sorrisetto. “Oh, Merlino. Ragazzi… pensate che Lilian abbia ancora cinque anni e ami farsi leggere le fiabe dal suo papà? Ha quindici anni. E quel ragazzo è un campione.”
“Lo vedo…” Borbottò Harry.
Era sempre stato un padre piuttosto ignorante in materia di flirt dei propri figli.
Visto com’è andata con Jamie, mi sa che devo cominciare ad informarmi…
 
****
 
… non era questione di fortuna. Doveva andare dritto all’obbiettivo adesso che l’acromantula era posizionata esattamente dove doveva. Ovvero, con dietro di sé gli spalti incriminati.
Sören passò la bacchetta nella mano sinistra, leccandosi le labbra per il nervosismo, quasi in sincronia con lo scattare delle grosse mandibole zannute del ragno.
E poi la lasciò cadere.
Appena toccata terra, l’acromantula gli saltò letteralmente addosso, sbattendolo violentemente a terra. Con tutti quegli occhi, doveva aver previsto il movimento non appena aveva allenato la presa.
Sören, oltre il dolore del colpo, sorrise.
Perfetto.
 
“Non ci posso credere… l’avete visto tutti, vero? Ha lasciato cadere la bacchetta!” Esclamò Roxanne con gli occhi sgranati. L’intera folla era letteralmente esplosa quando Luzhin aveva, di sua sponte, lasciato cadere la sua bacchetta, l’unica difesa che poteva mettersi tra sé e quel mostro. “Perché diavolo l’ha fatto?!”
Al scosse la testa. “Non lo so… forse ha un piano, una strategia. Qualcosa?”
Tom non disse nulla, lasciando che gli altri congetturassero a loro piacimento.
Era chiaro che Luzhin avesse un piano.
Solo, quale?
Lo vide cadere sotto la tonnellata di pelo e cartilagini dell’acromantula che lo coprì completamente, oscurandolo alla vista della folla.
… oscurandolo. Nascondendolo. L’ha fatto apposta a farsi sbattere a terra!
Ignorando lo sguardo sorpreso di Albus, si alzò in piedi di scatto e spingendolo Roxanne senza troppe cerimonie scese lungo gli spalti.

Devo avere una visuale migliore. Adesso. 
Riuscì arrivare alla fine degli spalti e si fece spazio tra un gruppo di matricole di tassorosso. Adesso era allineato visualmente in linea d’aria con Luzhin e l’acromantula, trovandosi comunque dal lato opposto dell’arena. Poteva vederlo, sotto il ventre della creatura.
Avanti. Fa’ la tua mossa.
 
L’acromantula aveva un fiato disgustoso. Forse era il veleno che gli colava rancido dalle zanne superiori o forse era perché era uno stramaledetto animale carnivoro.
Sören odiava gli animali.
L’adrenalina gli pulsava nelle vene come una corrente benefica. Nessun pensiero, nessuna incertezza.
Esegui gli ordini.
Era così che era stato addestrato, cresciuto. Quei due termini poi erano differenti?
Probabilmente per una persona normale c’era tutta la differenza del mondo. Non per lui.
Posò la mano sul gancio della creatura e agganciò la bandiera. Prima la farsa.
La bacchetta era dietro la sua schiena, ci era caduto sopra. Impossibile prenderla, da quella posizione. Non che nessuno lo sapesse. Non che a lui servisse.
Posò la mano su dove supponeva fosse il cuore della creatura. Nel braccio scorreva ciò che gli aveva fatto suo zio. Nel braccio scorreva la magia. Non nel sangue, non figurativamente parlando.
Non mi serve una bacchetta. Io sono una bacchetta.
Lo sentiva bollente, come se gli stesse bruciando. Era il momento.
 
Tom non riuscì a vedere nulla. O meglio, non fu sicuro di cosa vide.
Vide un lampo, questo sì. Un lampo bianco provocato da un incantesimo, ma non violento, più simile all’accendersi improvviso di una luce sotto il corpo dell’acromantula.
Poi quella venne sbalzata via, impattando duramente contro gli spalti, spaccandoli e cadendo oltre, fuori. Ci furono urla, ma per fortuna la zona d’impatto non era stata occupata, essendo dove venivano riposte normalmente le attrezzatura da Quidditch.
Ci fu un lungo minuto di silenzio mentre la polvere sollevatasi con l’impatto si diradava.
Tom vide Sören rialzarsi in piedi e raccogliere la bacchetta.
… non aveva la bacchetta? E quell’incantesimo?
C’erano pochissimi incantesimi efficaci senza bacchetta. E quello decisamente era oltre le capacità di qualunque studente.
Ma abbiamo già appurato che Luzhin non è uno studente qualunque, vero?
Tom sembrò l’unico a pensarlo perché dalla folla si levarono applausi di caldo incoraggiamento.
Caldo incoraggiamento un corno. Perché tutti pensano che sia normale che sia così bravo?
Tom osservò Luzhin venire portato via, zoppicante e con un braccio sanguinante, ma sulle sue gambe. Non esultava. Forse non aveva completato la sua prova.
Non lo sapremo finché non verrà ricatturata l’acromantula…
Eppure, ne era certo, il suo sguardo era tutto fuorché quello di qualcuno in attesa.
Sa già com’è andata. Se è quello a cui mira.
Chi diavolo è Sören Luzhin?
 
****
 
Hogwarts, Tenda dei Campioni.
 
Le urla fuori non gli permettevano di capire cosa stesse succedendo, almeno, non con esattezza.
Scorpius era bloccato dalle regole: non poteva infatti guardare fuori dalla tenda, non finché Dominique era nell’arena.

Stupide regole.  
Lanciò uno sguardo verso Luzhin: la sua prova era stata difficile, a quanto gli era stato dato di capire dalla durata e dalle urla. Non che avesse provato a chiedere di persona, data la sua espressione appena rientrato nella tenda.
Se gli avessi fatto una domanda, sicuramente mi avrebbe staccato la testa. A morsi.
Al momento attuale parlava a bassa voce con il proprio assistente e sembrava tenacemente preso nel compito di ignorare il resto del mondo. Aveva un largo taglio sull’avambraccio, ma non aveva permesso a nessuno di medicarglielo. Neppure il Direttore di Durmstrang aveva insistito.
Non è andata tanto bene quanto sperava, ho impressione.
Sentì un nuovo boato. Sembrava non di paura, ma di ammirazione. E tutto per Dominique Weasley.
È una tipa tosta… dovrò essere più veloce di lei.
Erano già cinque minuti che era fuori; lui non aveva la minima idea di quanto ci avrebbe messo a domare il Basilisco.
Gli sovvenne un pensiero improvviso.
Ma il suo sguardo uccide… io sto a posto. Ma prima che possa neutralizzarlo, come faranno gli spettatori? Se qualcuno per sbaglio lo guarda negli occhi?
“Preside?” Chiamò Vitious, che osservava fuori dalla tenda con aria concentrata. Da lì si aveva una visione pessima, essendo la Tenda fuori dall’Arena, ma si poteva sentire almeno le reazioni del pubblico.
“Sì Malfoy?”
“Il Basilisco. Mi chiedevo… sono state prese precauzioni, sa… per quella cosa dello sguardo che uccide al primo colpo?”
Il mago fece un sorriso tranquillizzante. O almeno, le intenzioni dovevano essere quelle. “Certo che sì, figliolo. Ci sarà un incantesimo di protezione attorno agli spalti. Gli spettatori potranno guardarvi, ma il Basilisco non potrà vedere loro. Abbastanza semplice, in realtà, è stata già usata nell’edizione del Tremaghi del 1792.”

“Ed ha funzionato?” Chiese. Aveva scoperto, grazie a Rose e alla sua passione inquietante per Storia di Hogwarts, che quel particolare Torneo era stato fermato perché tutti e tre i concorrenti erano stati gravemente feriti.  
Non molto rincuorante, tra parentesi…
Il Preside annuì. “Oh, sì… non fu quello a cancellare il Torneo. Fu per colpa di una Coccatrice².”
“Che… sarebbe?” Forse aveva ragione Rosie, quando gli diceva che aveva una pessima memoria.
“Sostanzialmente un Basilisco. Solo non uccide, si limita a pietrificare.” Spiegò l’ometto, avendo il buon gusto di sembrare a disagio. “Ma non preoccuparti ragazzo. Andrai alla grande.”
“… Grazie.”

Ecco, ora ho sì che ho voglia di vomitare.
Era meglio lasciar cadere il discorso e concentrarsi su altro. La soluzione gli venne porta su un piatto d’argento, quando si sentì afferrare da dietro la casacca e tirare fuori dalla tenda. Masticò una mezza imprecazione, prima di trovarsi virilmente tra le braccia di James Sirius Potter.
“Poo?” Chiese confuso. Il ragazzo era senza maglietta, nonostante il clima gelido, e aveva il torso dipinto dei colori della loro Casa.
“Spacca il culo a quel bastardo del tedesco, okay?” Lo apostrofò per prima cosa. Poi gli sorrise. “Ehi, come va?”
“… Credo che le tue priorità di conversazione siano leggermente sfasate. Hai bevuto?”
“Per stare mezzo nudo con questo freddo? Sicuro!” Confermò con serenità. “Comunque… come stai, davvero.”
Scorpius sorrise all’amico. Era un po’ deluso che Rose non l’avesse seguito, ma spinse quell’emozione in fondo allo stomaco, dove stavano tutte le altre.

A macerare, in silenzio.
Merlino, spero che non dovrò sborsare troppi galeoni per uno psicomago, tra una ventina d’anni…
“Sto deliziosamente.” Mentì disinvolto, o almeno gli sembrò di esserlo; quando l’altro inarcò le sopracciglia in modo ridicolo ma piuttosto significativo, ridacchiò. “Okay. Me la sto facendo sotto.”
“Così ti voglio Malfuretto. Consapevole dei tuoi limiti. Dicono che serva, in questi casi…” Gli affibbiò una pacca sulla spalla, maschia e compartecipe. Scorpius l’apprezzò più delle rassicurazioni goffe del Preside, e di gran lunga.

“Come se la sta cavando tua cugina?”
“Domi? Niente male.” Fu la pronta e orgogliosa risposta. “Gira attorno al suo mostriciattolo, lo stuzzica ed ha tentato un paio di volte di saltargli in groppa. È completamente pazza. Il solito, insomma.” Ghignò. Si guardò attorno. “… Senti, te lo dico. Il tedesco si è battuto bene. Ha distrutto praticamente una tribuna, ma ha superato la prova. E Domi sta facendo un ottimo lavoro.” Soggiunse guardandolo serio.

Scorpius annuì, perdendo il sorriso: apprezzava però che glielo avesse detto senza troppi giri di parole.  
Perlomeno qualcuno ha infranto le regole per venirmi a dire che diavolo sta succedendo…
“Io farò anche meglio.” Disse semplicemente.
L’amico annuì, con aria leggermente più rilassata. Si strofinò le mani sulle braccia, prima di tirare su con il naso. “Adesso devo andare, Malfuretto. Ma sarò lassù, a fare il tifo per te… come Rosie e gli altri.” Gli porse il pugno, in modo che lo sbattessero l’uno contro l’altro. Suo padre avrebbe storto la bocca a quel gesto babbano, ma a Scorpius in quel momento non importò. “Cerca di tornare tutto intero. Mi dispiacerebbe dovermi cercare un altro migliore amico.” Aggiunse con falsissima noncuranza.
“Scommetto non verresti neanche a piangere sulla mia tomba, Potter…” Borbottò, sentendo la gola  chiusa per la commozione.
“Non ci verrei se fossi così idiota da farti ammazzare da un verme gigante.” Fu la replica.
Si misero a ridere: un anno prima non avrebbe scommesso neanche uno zellino sul fatto che sarebbe stato James Potter a dargli conforto in quei frangenti.
Le cose cambiano… Può cambiare tutto. Basta lavorarci.   
Poi James si tirò indietro, dandogli una pacca sulla spalla. “Falli neri. Per Hogwarts.” Prima che potesse ribattere, Scorpius venne spinto di nuovo dentro la tenda dalla stessa arruffata forza motrice.
Sbuffò appena, aggiustandosi la maglia sgualcita.
Potter… decisamente travolgenti.
Si assicurò che nessuno l’avesse visto uscire. Come immaginava, l’attenzione di tutti era calamitata verso l’uscita che dava sull’arena, cioè dalla parte opposta.
Una manciata di minuti dopo Dominique rientrò nella tenda, con un taglio sulla guancia e svariate bruciature sulle mani. Era pallida e i capelli avevano una striatura più scura sulla nuca.
Ma aveva l’espressione vittoriosa.
Scorpius non si avvicinò subito, visto che la ragazza fu letteralmente placcata dal  suo piccolo assistente e dalla monumentale preside.
Ascoltò invece il fiume di francese che ne derivò, comprendendo tutto perfettamente: aveva passato interi pomeriggi della sua infanzia ad ingolfarsi la lingua in quei fonemi impossibili.
Comunque, non che mi serva… la sua faccia parla da sola. C’è riuscita. Ha superato la prova.
James aveva ragione, era stata grande.
Ci ha messo solo. Dieci. Minuti. Cazzo, sono fottuto.
Il tedesco ce ne ha messi di più, ma ce l’ha fatta. E se io non ce la facessi?
Dannazione.
Dom dopo aver risposto a svariate domande si liberò gentilmente delle premure del compagno e della Preside e crollò finalmente a sedere sul proprio lettino. Venne così affidata alle cure di Milly, l’assistente di Madama Chips.
Scorpius a quel punto trovò che fosse opportuno avvicinarsi.
Vide che Dom stringeva in mano un fazzoletto. Ad una seconda occhiata capì che era il resto della bandiera con cui era uscita, quella che doveva agganciare con un moschettone al collo della sua creatura.
“Ehi, raggio di sole.” Lo apostrofò quando lo vide. “Dieci minuti. Sai fare di meglio?”
Scorpius sorrise. “Vedremo.” Concesse, senza sbilanciarsi. “Come stai?”
“Ah, la cavalleria inglese!” Sbuffò divertita, ma con la voce arrochita dalla fatica. “Sto bene, ma devo ammetterlo… quella chimera era proprio cattivella. Ma io sono più dura.” Ghignò, chinando la testa per permettere all’infermiera di spalmarle della pasta arancione sulla nuca, dove Scorpius notò una grossa e piuttosto orribile bruciatura.

Giusto. Le chimere sputano fuoco dalla testa di leone. Wow. Cazzo.
“L’orecchino portafortuna? Ancora al suo posto?” La prese in giro per distrarla dall’evidente dolore, o forse per distrarre lui stesso dallo spettacolo terrificante di una ragazza ferita.  
Dom rise, mostrandoglielo. Era l’unico dei piercing a non essersi annerito. Doveva contenere della magia, perché brillava viola come non mai.
“Tutto a posto. Se l’avessi perso o danneggiato, penso che sarei andata incontro ad una morte orrenda.”
“Per mano di chi?”

Quella fece un mezzo sorriso. “Nomen omen.” Fu la risposta sibillina.
“Eh?”
Dom ghignò. “Certo che sei proprio biondo… Non le becchi le hint, eh?”
Prima che potesse ribattere, Percy Weasley irruppe nella tenda con brevi ed efficienti falcate. Subito la ragazza si stese a corpo morto sul lettino, fingendosi incosciente.
Scorpius soffocò una risatina, ricordando di come James gli avesse detto che quel loro zio fosse particolarmente palloso e pedante con tutti i nipoti.
A quanto pare neppure quelli extra-territorio fanno eccezione…
“Ah.” Esordì il mago, fissando subito lo sguardo sulla suddetta. “Dominique come si sente?”
“Bene, sta riposando!” Rispose l’assistente in un inglese passabile, probabilmente istruito in precedenza.

L’uomo, che credesse o no all’incoscienza della giovane parente, aveva dei doveri a cui adempiere.
“Signor Malfoy?”
E a quel punto Scorpius realizzò che sarebbe toccato a lui. Cioè, non che non lo sapesse. Solo che una parte di sé aveva tenuto quella consapevolezza relegata in un cantuccio.
Scorpius inspiro lentamente, afferrando la sua fottuta bandierina con una mano e la bacchetta con l’altra.
“Okay. Sono pronto.”
Dubitava che lo sarebbe mai stato davvero. Ma andava bene. Perché era il maledetto cavaliere di Hogwarts.
 
****
 
Quando una grossa magia veniva operata, era sempre uno spettacolo.
Al guardò incantato il preformarsi di una barriera liquida e azzurrina che si diramò lungo gli spalti, avvolgendoli come se fossero sott’acqua e rendendo tutto ciò che c’era dentro l’arena sfuocato e opaco.

“Definitivamente un basilisco.” Borbottò Rose. “… La barriera servirà ad evitare che qualche idiota lo fissi negli occhi e muoia. A parte Scorpius.”
“Quanto cinismo…” Osservò Roxanne divertita. “Eppure fino a qualche anno fa non ti sarebbe importato se Malfoy finiva divorato da un serpente gigante. O sbaglio?”
Rose non replicò e Al emise un piccolo sospiro.

Dovrebbe farla finita e basta. Come uno strappo. Se per lei è così duro tenerlo nascosto.
Vide con la coda dell’occhio Tom accomodarsi di nuovo accanto a lui.
“Ehi.” Lo apostrofò con la tipica aria colpevole del gatto che si era affilato le unghie sul mobilio nuovo. Evitò anche di guardare in direzione di Roxanne, che lo stava incenerendo con lo sguardo.
“Ehi… Non sei stato molto carino prima. Mancava solo calpestassi qualche neonato per essere nominato il cattivo ufficiale della giornata.” Gli tirò la sciarpa, e l’altro non reagì. Neanche ribatté. A dirla tutta, sembrava preso in una delle sue elucubrazioni mentali che lo escludevano completamente dal mondo reale. “Tom?”
“Mh?” Si degnò di dire, senza scollare lo sguardo dall’arena.

“Trovo Luzhin attraente. Forse gli chiederò di uscire con me per il Ballo del Ceppo.”
“Sì, Luzhin…” Si bloccò, tornando finalmente coi piedi per terra. “Cosa?
“Bentornato. Stavo mentendo.” Gli sorrise. “Allora, cos’avevi bisogno di vedere da tanto vicino?”

Tom serrò appena le labbra, con aria preventivamente offesa. “Dirai che sono paranoico…”
“Lo sei, ma ti ascolto comunque.” Lo rassicurò magnanimo, ottenendo una smorfia per risposta.
“Luzhin non ha usato la bacchetta per dare il colpo finale all’acromantula.” Disse infine, forse convinto dal fatto che lo stava ancora tenendo fermo per la sciarpa. “Prima che scappasse, intendo.”
“Un incantesimo senza bacchetta?” Al ci rifletté per un po’, confuso. “… Non è un po’ troppo oltre il nostro livello?”

“Evidentemente non per lui.”
Al fece per ribattere qualcosa ma poi gli applausi e il boato della folla, fortissimo dalle parti della curva-grifondoro lo fece tacere. Scorpius era appena entrato nell’arena.
Si sentì stritolare la mano con forza. Ricambiò la stretta di Rose.
 
Si trattava solo di respirare.
Come aveva già detto in precedenza, era solo questione di continuare a farlo.
Scorpius sentiva il sudore gelato scivolargli lungo la nuca, bagnandogliela, finendo sulla schiena.
Stava sudando, eppure faceva freddo.
La barriere che proteggeva gli spettatori lo faceva sembrare come racchiuso in una boccia di vetro, come i pesci che si divertiva a catturare nel laghetto del Malfoy Manor quando era bambino.
Si infilò il pezzo di stoffa dentro la tasca dei pantaloni, deglutendo saliva e paura.
Sentì il cigolio della gabbia, della grossa e enorme gabbia che rinchiudeva il Basilisco: ora era aperta.
Lo vide strisciare dentro l’arena e si focalizzò sulle enormi fauci, sulla lingua sibilante. Sul movimento ondulatorio del corpo snodato e gigantesco.
Gigantesco. Anzi, di più. I giganti sembrano animaletti da compagnia a confronto. Porca puttana.
Chiuse gli occhi, puntandosi la bacchetta alla testa.
Oculos Claustra³.”
Ringraziò mentalmente uno svariato pantheon di ricercatori: vent’anni prima per lo sguardo diretto di un Basilisco non c’era protezione. Lo guardavi, morivi. Fortunatamente, non tutti i maghi del mondo si fossilizzavano sull’imparare soltanto vecchi incantesimi.

E fortunatamente ho una ragazza che sa fare ricerche in biblioteca.
Certo, come controindicazione c’era una sensibile mutazione nella sua percezione visiva. Gli sembrava di avere una grossa maschera di vetro attorno al viso. Ma perlomeno, non doveva temere per la propria vita.
E anche se non è un incantesimo approvato dal Ministero Inglese… fatemi causa. Per quello greco lo è.
Il Basilisco era ormai a poche decine di metri da lui. Allora cominciò a indietreggiare.
Okay, il suo punto cieco è in mezzo alla fronte. Non devo mai spostarmi di lato. 
Non era facile mantenere la propria strategia, anche se precedentemente ideata. Specie quando un basilisco scattava rapido – come un cobra? – e colmava la distanza che ti separava da lui.
In quell’esatto momento.
Scorpius a quel punto riuscì solo a cadere a terra e rotolare di lato per evitare che le zanne si abbattessero su di lui come cesoie.
Sentì il boato di spavento della folla, e si spaventò anche lui.
Ringraziò mentalmente i suoi riflessi di giocatore di Quidditch: era grazie a loro se non aveva una zanna conficcata in mezzo al petto.
Si rialzò in piedi sentendo le reni dolergli come se gli ci avessero conficcato delle lame appuntite.
Il punto era avvicinarsi. Non ce l’avrebbe mai fatta in quel modo. La guardia del basilisco era troppo a trecentosessanta gradi per lui.
Devo spegnergli almeno un senso… la vista. Se è cieco, come insegnano le gesta del Signor Potter, sarà un filino più incazzato, ma almeno potrà contare solo sull’olfatto per sentirmi.
Queste bestiacce hanno un udito schifoso. Grazie mille, Newt Scamandro.
Doveva solo puntare a quella maledetta testa squamata e pronunciare l’incantesimo.
Conjunctivitis!” Urlò e lo fece anche dopo, trionfante, quando l’animale, con un sibilo agghiacciante scosse la testa, improvvisamente cieco.
Ce l’ho fatta!
Capì troppo tardi che gli occhi non erano l’unica cosa di cui doveva preoccuparsi. Questo, quanto la coda gli frustò le gambe, spedendolo a terra. Con orrore sentì la presa dalla bacchetta scivolargli di mano per compiere un arco e finire lontana da lui. Molto lontana da lui.  
E non soltanto a terra.
Il caso, la sfortuna o qualche divinità crudele, la fece precipitare esattamente davanti alla creatura strisciante.
Che ci passò sopra. Tonnellate intere sopra la sua bacchetta.
Merda.
Non ebbe tempo per inorridire all’idea di aver perso la sua unica difesa. Si accorse di colpo del fatto che il Basilisco non sembrava particolarmente deficitato dalla mancanza di vista.
L’odore. Dannazione, sente il mio odore!
Si rialzò appena in tempo, prima che la creatura gli si avvicinasse troppo, magari con la giustissima intenzione di staccargli una gamba.
Forse non era coraggioso, forse non era quello che voleva fare per farsi ammirare da tutti.
Ma le diede le spalle e prese a correre con tutta la forza che aveva in corpo.
Devo riflettere. Riflettere. Pensare, correre. Posso fare entrambi.
Pensa, Scorpius. Pensa a riprenderti la tua bacchetta.
Soltanto che non poteva tornare indietro, visto che dietro c’era un fottuto basilisco assetato di sangue.
Okay. Pensa. Pensa… ti serve qualcosa, ti serve una nuova arma. Da solo non puoi farcela.
Le urla della folla erano solo un eco distinto. Nessuno poteva aiutarlo lì dentro. Come avevano detto, era da solo.
Non ci penso neanche a crepare! E neanche a farmi battere da un crucco e da una tizia che ha più tatuaggi che sale in zucca!
E poi, come tutti i grandi geni – Scorpius non l’aveva mai detto a nessuno, ma sì, si reputava sommamente sveglio – ebbe la famosa idea fulmine-a-ciel-sereno.
E fischiò.
 
****
 
Note:
Sì, sono una bastarda. Si ve l’ho lasciato a metà. Pure questo.
Suuspance!
1. Qui la canzone. Un grazie speciale a Hikaru Ryu per avermi fatto scoprire questo gruppo meraviglioso.
2. Qui per maggior informazioni.

3. Incantesimo inventato da me.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVI ***


Capitolo XXVI
 

 
 
So kiss me goodbye
Honey, I'm gonna make it out alive
So kiss me goodbye
I can see the venom in their eyes
(Bring It, Cobra Starship¹)
 
 
Draco Malfoy non aveva mai capito suo figlio. Ma lo aveva amato da quando gliel’avevano posato tra le braccia.
All’epoca era un ventenne pieno di rancore. Suo padre aveva salvato la famiglia, ma a duro prezzo. Avevano venduto quasi tutte le loro proprietà, le fabbriche e persino le partecipazioni nella nazionale di Quidditch, che la sua famiglia finanziava da generazioni.
Erano finiti, non ci voleva certo l’esperienza di Lucius Malfoy per capirlo.
Ma i Malfoy avevano un solo, forse unico, grande merito: sapevano sempre cadere in piedi.
Il matrimonio con Astoria era stato solo uno dei passi necessari per tornare agli antichi fasti: con i capitali dei Greengrass avevano potuto ripagare i debiti contratti e con l’arrivo di un primogenito, maschio, Draco si era sentito finalmente parte del meccanismo di riabilitazione della propria famiglia. Non era più un ragazzo magro e terrorizzato da qualcosa più grande di lui. Lucius stava invecchiando, ed era ora compito suo far sì che i Malfoy non perissero mentre tante altre famiglie magiche prosperavano.   
Aveva incanalato la sua rabbia e quella paura mai sopita nel diventare il nuovo capofamiglia, nel fare in modo che la propria Casata non sprofondasse tra le malelingue e più prosaicamente, che i loro soldi venissero di nuovo accettati nei negozi e alla Gringott.
La nascita di Scorpius aveva cambiato tutto.
Era diventato padre, ed era qualcosa a cui non si era preparato. L’aveva sempre vista come una conseguenza utile, ma collaterale, del suo essere Lord Malfoy.
Scorpius non era mai stato una conseguenza. Da quando Tory gli aveva sfiorato il braccio, stanca e sfinita dopo il parto e sorridendogli gli aveva detto: ‘ecco il nostro bambino’.
Lì aveva realizzato che qualcosa era cambiato. Che lui era cambiato. Un nome, per la prima volta, era stato più importante di un cognome.
Scorpius era sempre stato diverso. Da lui, ma in generale da tutti i Malfoy.
Rideva molto e non pretendeva mai, chiedeva piuttosto con un gran sorriso a cui era difficile resistere. Non era mai riuscito ad essere severo come un tempo era stato Lucius con lui. Non era mai riuscito a dirgli che mostrare in giro le proprie emozioni come un merito era inappropriato, strappargliele via gli era sembrato una crudeltà. Non era mai riuscito a proibirgli alcunché, perché Scorpius otteneva sempre ciò che voleva. Ma non c’era mai malignità nelle sue pretese o nelle sue azioni. 
Sapeva che suo figlio era diverso da lui. A volte non lo capiva. Quando gli aveva annunciato di essere stato smistato a Grifondoro non era riuscito a scrivergli per più di un mese. Scorpius aveva aspettato pazientemente che venisse a patti con l’idea, e alla fine l’aveva fatta accettare a tutta la famiglia.
Scorpius aveva un lasciapassare unico nel suo genere, per il suo cuore: era suo figlio.
 
 
24 Novembre 2022
Hogwarts, Campo di Quidditch.

 
Astoria strinse con forza la mano del marito quando il Basilisco puntò con crudele precisione verso il figlio. Draco rispose alla stretta, senza guardarla, ma cercando di infonderle il coraggio che un marito doveva donare alla propria consorte in quei frangenti.
Poi Scorpius fece qualcosa che nessuno, di primo acchito, capì.
Fischiò.
Per un attimo non accadde nulla. Poi uno stridio ferì le orecchie di molti e Draco sentì un violento rumore d’ali, proprio sopra la sua testa. La alzò, come molti e vide la sagoma…
No, non è possibile.
Quegli zoccoli e quelle lunghe ali d’aquila era riconoscibilissime, persino per chi, come lui, aveva sempre reputato le creature magiche bestie assolutamente indegne della sua considerazione.
Era un ippogrifo.
Un ippogrifo che piombò in mezzo all’arena, frapponendosi tra Scorpius e il Basilisco: quest’ultimo si tirò indietro, intimorito.
Sembrava incredibile: una creatura che anni prima lo aveva ferito, stava difendendo suo figlio.
Naturalmente non era quell’ippogrifo – sperava fosse morto in tutta franchezza – ma non era quello il punto.
“Scorpius mi aveva parlato di un’arma segreta…” Mormorò lentamente Astoria, sempre con la mano stretta alla sua. “Ma non pensavo…” Si produsse in uno di quei suoi sorrisi quieti e intelligenti. “Mio caro, nostro figlio è una continua sorpresa. Non trovi?”
Draco non sapeva cosa pensare esattamente in merito. Scorpius aveva il raro dono di lasciarlo senza parole sin da quando aveva memoria.

“Davvero…”
 
“Oh, Merlino Benedetto… quello non è Artiglio?”
Albus era l’unico a ricordare l’orrendo nome di quella bestia terrificante.

Rose in ogni caso deglutì, mentre annuiva meccanicamente. Era da un paio di minuti che meditava con serietà sull’eventualità di mordere la sciarpa per la tensione.
“Se fossi in voi, mi concentrerei sull’altro orrore. L’ippogrifo, dopotutto, è considerabile come male minore.” Fu la pacata intrusione di Thomas, che studiava l’arena come se dovesse vivisezionare un vermicolo. Analiticamente. Senza la minima traccia di ansia o di angoscia. 
Rose cambiò anelito: desiderò strozzare lui con la suddetta sciarpa.
Grifondoro, tra l’altro. Morirebbe tra atroci sofferenze, maledetto serpente che non è altro…
“Come diavolo ha fatto a farlo venire qui?” La domanda di Al era piuttosto legittima, ma a quella Rose purtroppo aveva una risposta abbastanza sicura.
“Scorpius mi ha detto che ci stava facendo amicizia…” Fece una breve pausa in cui assimilò lei stessa il reale significato della frase. “… ma pensavo si limitasse a dargli da mangiare.”
“Mi sa che non è così… voglio dire, l’ha chiamato.” Ribadì il cugino impietoso. “Vuol dire che gli dà retta. Che gli obbedisce! È impressionante…”   
“Sì, vero.” Disse di nuovo Thomas, in quello snervante tono monocorde. Roxanne, probabilmente non angosciata quanto lei, ma sicuramente più diretta, a quel punto ritenne doveroso scoccargli un’occhiataccia.
“Per le mutande di Merlino, si vede che sei preoccupato! Sei sempre stato così stronzo o un Dissennatore ti ha succhiato via l’anima da bambino?”
Rose vide Tom irrigidirsi a quella frecciatina, e poi piegare le labbra in una smorfia. Perlomeno, quella, era indizio di emotività. “Ce l’ho, un’anima.” Rispose brusco.
“E sì, è sempre stato così.” Aggiunse Al gentile, ma con un’occhiata ammonitrice alla cugina. “Comunque non credo ci sia da preoccuparsi. È chiaro che Malfoy ha un piano.”
“Ah sì?” Rose se lo sentì quasi scivolare fuori dalle labbra, e fu felice che nessuno l’avesse sentita: perché non sapeva qual’era il favoloso piano di Scorpius. Era ridicolo, visto che era praticamente la sua assistente in incognito.
Ma è la verità… non ho idea di cosa voglia fare adesso.
 
“Vai adesso.”
La voce di Sören, allo stesso possessore, era talmente incolore da non sembrargli la sua.

Poliakoff gli lanciò un’occhiata. Sören poteva leggergli negli occhi la tensione di sapere che ciò che stava per fare era l’ultima parte del piano: quella cruciale, quella che avrebbe permesso ai Dissennatori di entrare nell’arena.
“Non ti sta guardando nessuno, sono tutti presi a cercare di indovinare se Malfoy ce la sta facendo…” Continuò. “Vai. Sono io quello che non può allontanarsi finché la Prova non è conclusa, non tu.”
Il russo annuì e con poche falcate lasciò la tenda. Sören fissò un punto oltre le sue spalle, in nessuna direzione particolare.
È ora.
Chiuse gli occhi.
Tutte queste persone. Sono innocenti. E non ci serve che rischino la vita. Quindi perché coinvolgerle?
Era una domanda silenziosa, che non avrebbe mai posto a nessuno perché non era concesso che la pronunciasse ad alta voce. Ma la pensò.
 
Scorpius si leccò le labbra. Sentì il sapore del sangue e capì di essersele morse in una delle sue spettacolari cadute. Non gli facevano male, ma forse era solo grazie all’adrenalina.
Artiglio gli lanciò un grido di allerta, frapposto tra lui e il Basilisco.
Non era una situazione destinata a durare: il mostro era stato colto di sorpresa, e sembrava non aver mai visto un ippogrifo, ma a giudicare dallo sferzare della sua coda e dai sibili, stava lentamente capendo che testa d’aquila o meno, non era un rapace di cui doveva preoccuparsi.
Scorpius fece qualche passo verso l’ippogrifo, prima di passargli una mano sul dorso equino, sentendo i muscoli fremere caldi e nervosi.
“Lo so bello… grazie.” Sussurrò a mezza voce. “Vediamo di finirla in fretta, così ce ne andiamo entrambi.”
Lo scalpitare degli zoccoli e il frustare delle ali fu un assenso più che sufficiente.
Scorpius afferrò il garrese dell’animale con entrambe le mani e poi balzò su. Ringraziò mentalmente l’allenamento decennale da Quidditch o sarebbe ruzzolato a terra.
Sentiva tutti gli occhi puntati su di sé.
E adesso guardate questo. Sangue mangiamorte un paio di palle.
Diede una pacca sul collo dell’ippogrifo che stese le ali e spiccò il volo.  
Il Basilisco, che per fortuna non sapeva volare, sibilava sotto di lui.
Adesso!
La picchiata che compì l’ippogrifo fu veloce e repentina, ma Scorpius a questa era preparato: non eri portiere della squadra di Quidditch più forte della scuola senza essere assuefatto alla velocità in volo e alla rapidità di pensieri.  
Si gettò contro il Basilisco. Perché sì, aveva un piano. Suicida, ma non era quello il punto.
Nessuno aveva mai detto che il Tremaghi fosse innocuo, no?
 
Al fu quasi strangolato dalla presa da boa costrinctor di Rose, quando gli nascose il viso contro la spalla, per soffocare un urlo.
Sì, poteva capirla.
Per le palle di Merlino.   
Persino Tom sembrava spaventato dallo spettacolo del folle Malfoy che si scagliava a testa bassa contro la gigantesca serpe, in sella a nientemeno che un ippogrifo. Una, più volte. Sembrava aizzarlo, senza riprese e per inferocirlo sempre di più.
Che diavolo ha in mente?
“Iconografico. L’Orlando Furioso…” Borbottò comunque a mezza voce Tom, perché non poteva mai rinunciare ad elargire all’universo mondo perle della sua infinita cultura binaria. 
“Citazione letteraria?” Gli chiese allora. “Adesso. Sul serio?”
“Se avessi visto quel dipinto…” Gli rispose senza staccare gli occhi dalla scena. “Malfoy è un pazzo. Ma lo sta stancando, dico, il Basilisco. Suppongo sia questo il punto.” Assottigliò lo sguardo. “A giudicare dalla stazza, direi che quella bestia ha superato il bicentenario da un po’. Non avrà più la stessa resistenza della giovinezza.”
“Sicuro. Tutto torna. Lo sta stancando. Malfoy è matto.” Fu la chiosa dell’essenziale Roxanne, e Albus non poté che dargli totalmente ragione. La stretta terrorizzata di Rose, pure.

 
Fu un attimo.
Quell’attimo, quel briciolo o scampolo di secondo in cui sai che può essere un trionfo o un completo disastro. Magari addizionato a morte certa, perché no.
Scorpius e destriero si scagliarono contro il Basilisco. Senza scartare all’ultimo secondo.
Attacco frontale. I predatori non si aspettano mai che li attacchi.
Lezione che aveva imparato nei suoi primi anni a Grifondoro. Allora il suo cognome era un continuo bersaglio dipinto sulla sua schiena. Non si era mai piegato.
Artiglio si gettò contro la creatura, sotto il collo della creatura. E Scorpius riuscì a sporgersi abbastanza – non era stabile come un manico di scopa il dorso di un animale, neanche vagamente paragonabile.
Comunque riuscì a sporgersi abbastanza da agganciare quel maledetto moschetto.
Sentì il click, lo scatto secco. E capì di avercela fatta. Strappò la bandiera e diede di sprone all’ippogrifo.
Non distrarti, non adesso.
Serrò le mani sulla criniera di Artiglio e poi sentì il sibilo del Basilisco a pochi millimetri dalle orecchie, il tanfo del veleno delle sue fauci. Ma poi anche una ventata di aria fresca.
Se l’era lasciato alle spalle, l’ippogrifo stava riprendendo quota.
Ce l’ho fatta!
Il boato della folla glielo confermò.
Oh, sì. Ce l’aveva proprio fatta.
A quel punto non gli restò che alzare le braccia al cielo.
 
“C’è riuscito! Rosie, c’è riuscito!”
Aveva appena perso qualcosa come dieci anni di vita. Quindi era certa, in tali condizioni, di avere allucinazioni uditive, anche se Al la scuoteva con sufficiente forza e c’erano acclamazioni della folla attorno a sé.

Si staccò, guardandolo confusa. Oh, bene. Sorrideva.
È una cosa buona. Sì?
Ehi, sveglia! Malfoy ha superato la Prova!”
La seconda volta fu quella buona. Rose agganciò con confusione lo sguardo di Roxanne e notò che la cugina sembrava entusiasta. Il che era piuttosto inconsueto visto che normalmente possedeva un cipiglio degno del Soldato Jane – sì, aveva visto il film.
Si voltò verso l’arena, cautamente, come se avesse una paresi. Come se non volesse vedere il ragazzo che amava morto.
E invece c’era Scorpius, su quel maledetto ronzino con il becco. Con le braccia alzate al cielo, scompigliato come non mai. E trionfante.
Morgana… ce l’ha fatta. Davvero!
Sentì gli occhi riempirlesi di lacrime. Le ricacciò indietro indietro, perché piangere voleva dire esporsi, e non era una buona idea. Tom e Al sapevano, ma non Roxanne.
Il cugino allora la abbracciò. Perché poteva vestire i colori della Casa rinomatamente più gelida di Hogwarts, ma era la persona più empatica che conoscesse.
“Va bene, nessuno ti sta guardando…” Le sussurrò all’orecchio. “Va bene.”
Singhiozzare un po’, per scaricare la tensione, poteva andare bene, giusto?
 
Kirill aveva un compito. Era molto più semplice che affrontare un’acromantula ad onor del vero, e della cosa era ben lieto.
Uscire dall’arena non fu difficile, visto che si prevedeva che un assistente uscisse, sebbene la tenda fosse sorvegliata da due auror.
“Dove stai andando ragazzo?” Gli chiese il più anziano.
“In bagno.” Scrollò le spalle. “Qui dentro non c’è.”
Gli fu fatto cenno di andare, perché nessuno sospettava di un adolescente con indosso un uniforme.

Aggirò le mura di legno del campo. C’erano auror dislocati all’entrata principale e nelle immediata vicinanze della stessa, pronti a produrre patronus. Decine di patronus.
O almeno è ciò che pensano loro.
Lasciò cadere a terra una fialetta contenente un liquido limaccioso: il colore somigliava a quello che poteva scorgersi sulle rive di un fiume inquinato. Nessuno notò il gesto, perché nessuno prestava mai attenzione ad un ragazzo come lui.
Polvere Buiopesto peruviana² mischiata a… altra roba. Spero che il contatto di papà in Serbia abbia detto al verità sulla sua efficacia.
L’erba soffice e alta la fece scomparire.
Non ci volle molto prima un sottile filo di fumo, si alzasse da quel punto.  Ben presto si tramutò in una nuvola sfilacciata e infine in un’impenetrabile cortina.
 
“Cosa diavolo…”
“Ehi, cos’è questo fumo?!”

 
Non il vostro problema principale, inglesi.
Kirill si sentiva trionfante come non mai quando potè scivolare indisturbato alle spalle degli uomini di guardia e metterli fuori gioco uno ad uno. Erano distanziati l’uno dall’altro da almeno dieci metri buoni e non si sentirono cadere a vicenda, anche a causa della cacofonia proveniente dallo stadio.
Fu un lavoro veloce e pulito.
Il piccolo Hohehnheim poteva trattarlo con sprezzo, ma Kirill Poliakoff non era stato scelto pescando a caso nel mucchio. Era stato scelto perché il Magister si fidava di lui.
E non di te, principino.
È questo l’errore di tutti voi superbi. Non guardate mai in basso. Ed è questa la vostra debolezza principale.
 
****
 
Tornare trionfante alla tenda era doveroso.
Scorpius salutò gli spalti, una marea coi colori di Hogwarts. Guardò verso la torretta dove sapeva esserci i genitori, e sorrise a vedere sua madre applaudire – forse sollevata?
Suo padre la stava imitando con meno trasporto, ma sapeva che era tutta scena.
Diede una pacca sul dorso di Artiglio, che fu preso successivamente in consegna da uno sconcertato Tremayne accorso sul campo.
“Ehi, ma da quando dà retta a te, pivello?” Chiese con quel suo forte accento gallese, reso ancora più aspro dalla sorpresa.
Scorpius sogghignò. “Oh, siamo diventati buoni amici!”
Con tutta la carne cruda di cui l’ho rimpinzato… e con tutte le volte che mi ha fatto ruzzolare a terra per puro divertimento equino.

Non sapeva ancora come si era classificato, ma ce l’aveva fatta.  
Per il momento mi basta. Sono tutto intero. Mica male.
C’era una cosa però che doveva fare, prima di tornare alla tenda. Tornò sui suoi passi, perlustrò con lo sguardo ogni centimetro cubo d’erba e infine raccolse la propria bacchetta: si era rotta.
Serrò le labbra, ma notò con sollievo che il danno non era grave: la punta era stata scheggiata, ma il manico era intatto.
Mi dispiacerebbe buttarla.   
Se la infilò in tasca, dirigendosi verso la tenda.
Non si rese subito conto che si stava alzando la nebbia: era troppo pieno di adrenalina per percepire con chiarezza cosa gli stesse accadendo attorno a sé.
Quando lo notò, gli spalti erano già dipinti di colori brumosi ed incerti. Sentiva la gente muoversi, ma non vedeva che ombre.
E poi arrivò il freddo.
Non come quello che poteva derivare dal vento, né tantomeno da un cambiamento repentino del tempo.
Freddo che ti si infilava dentro, come essere buttati dentro un lago ghiacciato.
Sentì il sorriso scomparirgli dalle labbra, quasi forzatamente.
Cosa cazzo?
Sentì lo stridio acuto di Artiglio e un’imprecazione da parte di Tremayne, poco distante da lui. Lo vide trascinarlo via recalcitrante, con difficoltà.
Si è spaventato, ma perché…?
Scorpius si guardò attorno, troppo confuso per decidere il da farsi. Poi vide qualcosa di incomprensibile, di assurdo.
Il terreno attorno a lui era gelato come di brina del primo mattino.
 
“Harry!”
Harry si sentì afferrare per un braccio dalla moglie e voltò il viso prima verso la sua espressione ansiosa, poi verso quella tesa di Ron. Strinse il braccio di Ginny per comunicarle che aveva capito.

Sì, c’era qualcosa che non andava.
“Da dove è uscita questa nebbia?” Fu la domanda di Ron, mentre si guardava attorno. Potevano vedere al massimo due file avanti a loro. Era come se un enorme nuvole si fosse adagiata rapidamente attorno al perimetro del campo di Quidditch.
Harry riusciva a vedere Malfoy e consorte e i loro vicini di panca, ma nessun’altro.
“Non lo so, ma non è normale. Fino ad un momento fa c’era il sole. Harry?” Articolò piano Hermione. Non era una domanda, era un attestato di attesa.
L’uomo annuì, tirando fuori la bacchetta dal risvolto del mantello. “Facciamo uscire tutti di qui.”
Come l’anno scorso… ma stavolta il perimetro è sorvegliato. Ci sono almeno tre squadre di Tiratori.

Se ci fosse qualcosa di anomalo lo avrebbero già rilevato.
Tirò fuori uno specchio comunicante. Il brevetto del geniale George era passato, e la prima cosa che aveva fatto, come Direttore dell’Ufficio Auror, era stato rifornire tutti i suoi agenti di quel comodo mezzo di comunicazione.  Non c’era voluto molto prima che l’Ufficio dei Tiratori Scelti seguisse il loro esempio.
Chiamò Smith. Sapeva che era a capo delle operazioni. Aveva impiegato quasi due settimane per farsi dare il suo contatto, ma alla fine l’aveva avuta vinta.
Il nome però rimase a galleggiare sulla superficie per una manciata di minuti. Senza risposta.
Dannazione.
A quel punto Harry lanciò un’occhiata a moglie e amici. Doveva decidere in fretta il da farsi, se comportarsi come un genitore qualsiasi o come il solito Harry Potter.
Intercettò con lo sguardo Teddy, che si era alzato prontamente quando la McGrannit aveva dato cenno di voler lasciare gli spalti.
Non ebbe dubbi.
“Ted, professoressa… dobbiamo far uscire le persone di qui, possibilmente senza scatenare il panico.”
“Ma fuori saranno più al sicuro?” Interloquì Ron.
“Sicuramente più di quanto possano essere ammassate qui dentro. Se si scatena il panico, potrebbe esserci una strage.”
Più di mille persone…  .

Smith avrà tutto il tempo del mondo per indignarsi per la mia ingerenza. Dopo.
Teddy annuì subito. “Va bene.” Fece una breve pausa confusa. “Ma come?” Aggiunse, mentre tutt’attorno a loro si potevano già udire i primi segni di inquietudine.
“Molto semplice. Cerchiamo il Preside, lo informiamo e facciamo in modo che faccia allontanare tutti da qui. Questa è Hogwarts, e il suo Preside è l’autorità suprema.” Replicò la strega. “Adesso mi dia il braccio, professor Lupin. Con questa scarsa visibilità rischierei di mettere il piede in fallo. Vorrei evitare.”
Harry si sentì incredibilmente sollevato quando i due professori – anziana e giovane – si fecero largo lungo le scale di collegamento.
Nessuno prende decisioni come la professoressa…
“Miseriaccia… non vedo al di là del mio naso!” Borbottò Ron, castando un lumos. Rimasero tutti sbalorditi quando videro che la punta della sua bacchetta rifletteva poco più che un tenue lucore.
“Non mi piace…” Mormorò Ginny. “Che vuol dire?”
“Non credo sia nebbia normale. Non se il lumos è inefficace.” Fu il commento finale di Hermione. “Sbrighiamoci a ricongiungerci ai ragazzi e tornare al castello… c’è qualcosa che non va.”

 
Albus aveva appena smesso di sentire il peso di Rose su di sé che si rese conto che era calata una spessa cortina umidiccia. Niente di insolito per quel periodo, tranne il fatto che fosse incredibilmente gelata.
Si strinse nella sciarpa, serrando un brivido trai denti.
“E da dove viene fuori questa roba? Fino a due secondi fa c’era il sole!” Commentò seccata Roxanne.
“Vero, è salita velocemente…” Replicò Rose imitandolo nel gesto di serrarsi la sciarpa al collo. “Sto morendo di freddo, speriamo non ci mettano troppo a dare la classifica.”
“Già… non vedo l’ora di scaldarmi i piedi di fronte al camino, credo di averli ghiacciati.” Concluse Al, lanciando un’occhiata distratta verso Tom.
Magari mi lascia la sua sciarpa.
L’altro non parve notarlo: fissava un punto, in linea d’aria parallelo a loro. Sembrava guardare tutto e niente. Ed era impallidito.
“Tom, che c’è?”
“Andiamocene.” Si scollò dal palato. “Adesso.”
“Cosa?” Al non poté evitare che le due ragazze gli lanciassero un’occhiata perplessa. “Perché?”

“… non lo sentite questo freddo?” Lo sguardo di Tom faceva paura, realizzò Al con una certa dose di inquietudine. Teneva la mascella serrata. Non ebbe bisogno di abbassare lo sguardo per sapere che stava impugnando la bacchetta.
Gli aveva visto quell’espressione addosso poche volte, e tutte l’anno prima.
E visto cos’è successo…
“Certo che lo sentiamo!” Lo apostrofò irritata Rose. “Se vuoi andare, vai, nessuno ti ferma. Ma qualcuno qui vuole sapere come si è piazzato Mal… Hogwarts.” Si corresse all’ultimo momento.
Tom a quel punto lanciò loro un’occhiata bruciante. “Ma non lo sentite?” Ripeté con la voce ridotta ad un sibilo. “Questo freddo non è normale! Siamo coperti da capo a piedi e stiamo battendo i denti!”
Tu stai battendo i denti.” Replicò Roxanne, inarcando le sopracciglia. “Ehi, ma che gli prende?” Si sentì in dovere di chiedere poi a terza persona.
Al non rispose, anche se la domanda forse era diretta a lui. Prese invece per un braccio Tom, tirandolo contro di sé: era vero, stava tremando.  

“Che succede? Cosa ti senti?”
L’altro inspirò. “Freddo…” Buttò fuori. “… non ho mai sentito così freddo in vita mia. Cioè, sì, ma… è come…” Si bloccò. “È assurdo.” Aggiunse. “No, è assurdo.” Ripeté.

“Come cosa?”
“… come quando ero con Doe, nella caverna. Mi sento in quel modo. Come se non … come se fosse tutto perduto.”
Si guardarono e forse lo capirono nello stesso istante.

“Come se non potessi più essere felice?” Mormorò Al, attendo a non farsi sentire dalle ragazze.
Tom annuì.
Forse Al non aveva la sua velocità di ragionamento, ma l’associazione mentale lì era semplice, specie perché i dati a disposizioni erano freschi.
Patronus. Ci hanno fatto esercitare con i Patronus. Freddo. Felicità sparita.
Dissennatori.  
“Sì, ma non sembra che gli altri…” Tentò nonostante tutto. “Tom, sembri star male soltanto tu.”
“Ti ricordi quello che ci ha raccontato tuo padre? Di come … quelle cose…” Serrò appena le labbra, quando non riuscì a pronunciare il nome. “… di come avessero fatto svenire solo lui sull’Espresso per Hogwarts? Per via delle sue esperienze? Non credo che ci sia molta gente qui che è stata rapita di recente.” Aggiunse con una smorfia ironica.
Al a quel punto non poté ribattere. “Okay. Ha senso.” Sussurrò soltanto. “Ma la nebbia?”
“Non lo so. Ma so cosa non è. Nebbia.”

Al si morse le labbra. “Che facciamo?”
Tom non rispose subito. Gli diede invece un colpetto sul fianco, indicando qualcosa affianco a lui. Era ancora più pallido, se possibile, come se stesse davvero per svenire.
“Tom, stai…”
“La balaustra. Guarda la balaustra.”

Al obbedì. Ed ebbe la riprova, anche se avrebbe implorato Voldemort in persona di non averla.
Il corrimano era completamente gelato.
Rose a quel punto parve accorgersi delle loro espressioni, perché scoccò loro un’occhiata incerta.
Al ebbe un rapido momento di lucidità, nel panico più puro. E sorrise a Roxanne.
“Roxie, quanto sai dei Patronus?”  
 
Ted era preso dal duplice compito di guidare la McGrannit – quella foschia era davvero insidiosa – e al contempo evitare che qualcuno si insospettisse, alla loro improvvisa discesa verso la tenda dei Campioni, dove avrebbe dovuto trovarsi Vitious.
La gente era nervosa: il repentino cambiamento di tempo aveva messo tutti sulla difensiva.
Si sentì afferrare per il gomito, un po’ bruscamente. Avrebbe riconosciuto quella presa tra mille.
“Jamie!”
“Ehi.” Replicò il ragazzo, con le braccia conserte e il giubbotto di pelle chiuso fino alla gola. “Che sta succedendo?”

Ted ringraziò silenziosamente la capacità dell’altro di fiutare subito una situazione anomala.  
“Dissennatori.” Gli rispose, quando fu sicuro che nessuno attorno a loro li stesse ascoltando: se c’era qualcuno in grado di sopportare una bomba del genere, quello era il suo ragazzino.
Dà il meglio di sé quando è sottopressione. E non mi lascerebbe andare senza una spiegazione, tra l’altro.
James sgranò gli occhi e masticò un’imprecazione. “Quelli che sono stati avvistati sul Ben Nevis?”
Ted si scambiò un’occhiata con la McGrannit: la donna esibiva una delle sue espressioni anodine, difficili da leggere. Ma le sopracciglia corrugate la dicevano lunga.

“Ben Nevis, Potter?” Chiese infatti la strega.
“Il Cavillo. Ne parlavano nello scorso numero. Okay, c’è roba assurda come quegli studi sui Mooncalf ma alcuni articoli meritano un’occhiata. Tipo questo articolo, dove dicevano che c’erano stati degli avvistamenti in montagne e…” Vedendo che andava troppo per le lunghe, andò dritto alla domanda principale. “È vero allora? Sono tornati? E sono qui?”   

“Sì.” Annuì Ted. “E dobbiamo far uscire tutti dall’arena. Ci sono delle barriere e dei Tiratori, ma tuo padre non riesce a contattare il loro caposquadra.”
“Merda.” Commentò James. Appropriato, pensò Teddy, anche se non apertamente visto l’occhiata severa dell’altra professoressa.
“Vengo con voi.” Aggiunse poi, ignorando ogni principio di protesta. “Sono allievo auror, Teddy. Ti sarò più utile di gran parte di questa gente, e lo sai.”
“Dobbiamo sbrigarci.” Tagliò corto la McGrannit. “Che Potter venga con noi, se serve a tenerlo buono.”
In ogni caso, con l’aiuto di James riuscirono ad arrivare alla tenda dei Campioni in pochi attimi.

Vitious era lì, apparentemente ignaro di cosa stava accadendo all’esterno; la tenda infatti era chiusa da tutti i lati, proprio per tenere all’oscuro fino all’ultimo i Campioni dell’esito della Prova.  
Erano tutti dentro, stanchi e variamente provati.
Ted lanciò uno sguardo a Scorpius: forse era l’adrenalina che doveva ancora scemare, ma sembrava molto inquieto.
“Professor Lupin, Minerva! Ah, c’è anche il giovane Signor Potter…” Li accolse Vitious, non senza qualche imbarazzo. “Non dovreste essere qui.” Soggiunse un po’ sconcertato.
“Infati.” Li apostrofò Madame Maxime. “È una tenda riservata!”
“Ma dobbiamo parlare con il Preside!” Obiettò James d’istinto, prima di essere tacitato da un’occhiataccia della McGrannit. “Però è vero…” Protestò piano.
“Filius, permettimi una parola.” Disse Minerva, facendogli cenno di seguirla in fondo alla tenda.
A quel punto venne loro incontro Scorpius: aveva il labbro inferiore piuttosto malconcio coperto da una crema bluastra e un occhio pesto, ma considerando il tutto, se l’era cavata con nulla. “Complimenti per la prova…” Iniziò Ted pieno di buona intenzioni.
“Sì, sicuro.” Lo interruppe, come se non gli interessasse. “Perché il campo è congelato ed è salita quella strana nebbia?”
“Che vuoi farci Teddy, Malfuretto è un ragazzo sveglio.” Commentò James con aria divertita. “Non se li beve i complimenti.”
“Non c’è nulla di cui preoccuparsi…” Iniziò, sperando che Malfoy non avesse letto il Cavillo come James.
Furono le ultime, classiche parole famose.
Improvvisamente fu come se nella tenda fosse stata risucchiata via tutta la luce, già di per sé non particolarmente presente, portata solo da un paio di candelabri.
Cadde la penombra e un freddo abbacinante, anormale.
Si udì un gemito provenire dall’entrata che dava sul retro dell’arena, quella sorvegliata dagli agenti e poi un lampo violento e color argento. Poi di nuovo buio.
“Che sta succedendo?!” La voce sembrava quasi non appartenere a nessuno in particolare.
James era accanto a lui e aveva già estratto la bacchetta. Ci fu un gran trambusto tutto attorno, ma Ted non riuscì a percepire le figure, o chi stesse facendo cosa.
Regardez-là!” Sussurrò una voce di ragazzo, in francese. “Il ya quelque chose !
“Mael, vieni qua!” Quella era la voce di Dominique. Era la prima volta che Ted sentiva quella ragazzina scapestrata avere quel tono d’urgenza e di paura nella voce.
E poi una mano scheletrica scostò i lembi delle tende. Inconfondibile per Ted, anche se l’aveva vista solo in figura.
Un Dissennatore.  
Era troppo tardi perché le cose si concludessero in modo tranquillo, pensò Teddy in una frazione di secondo.
Poi la tenda venne illuminata come a giorno dal lucore argentato dei Patronus e non ci fu più tempo per pensare.
 
Fu un momento, un attimo.
L’ottica della folla era spesso qualcosa di spaventoso.
Al lo vide quel Dissennatore, arrampicarsi lungo le scalinate con il suo frusto mantello nero. Un’ombra, nient’altro.
Dietro di lui, altre ombre. Troppe.
Non fu l’unico a vederle. Una voce, o forse più voci cominciarono a gridare, dopo un lungo momento di silenzio denso e cattivo.
La realizzazione, semplicemente.
L’atmosfera era cambiata: il momento di festa e competizione era stato spazzato via da una strisciante sensazione di disagio.
L’urlo della folla fu simile ad un mugghio, un terribile boato. La gente cominciò a scappare da tutte le parti, spintonandosi.
Albus!” Esclamò spaventata Rose, mentre la folla si insinuava tra di loro come un mare impetuoso, dividendoli. Cercò di trattenerla, ma gli venne violentemente strappata dalle mani.
Venne spinto all’indietro e letteralmente sollevato da un muro di corpi. Fece parecchi metri prima di sbattere contro la balaustra che divideva gli spalti dal campo. Il mantello gli si era attorcigliato addosso e quando cercò di tirarsi su e di correre via si accorse che la stoffa si era impigliata da qualche parte: con quella nebbia non vedeva dove.
Vide Tom lontano, spinto via dalla calca: lo vedeva bene perché la sua altezza lo faceva spiccare tra folla.
“Tom!” Lo chiamò, mentre la nebbia inghiottiva mantelli, mani e volti di persone, restituendoli alla vista solo per brevi attimi. “Raggiungi Rosie e Rox!” Riuscì ad urlargli, sperando di essere stato udito; Tom poteva essere un sacco di cose, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di schiacciare o calpestare due ragazze.
L’altro parve udirlo, perché cercò senza risultato ma tenacemente di tornare da lui, ma cercare di risalire il flusso non solo era pericoloso per lui, ma rischiava anche di provocare danni agli altri.
“Al!” Lo guardò con rabbia e impotenza, prima di gridare. “La bacchetta! Non perdere la bacchetta!”   
Poi venne trascinato via.
Albus tirò di nuovo il mantello e finalmente, con un potente strattone, riuscì a toglierselo per impugnare la bacchetta.
Beh, non li vedeva, quegli inferi mascherati. Ma sapeva che erano lì vicino: forse addirittura gli volteggiavano sopra la testa. Se avesse dato loro le spalle, per correre via e raggiungere gli altri, lo avrebbero ghermito. O forse no. Non poteva saperlo, non si era mai trovato in una situazione del genere.
E avrei gradito tantissimo non trovarmici…
Ad ogni buon conto, era fottutamente spaventato, quindi c’era un’unica cosa da fare; affidarsi alla sua impulsività, afferrare una manciata di ricordi felici e lasciar galoppare libera la sua stupida parte grifondoro.
Expecto Patronum!
 
****
 
Hogwarts, Castello. Dormitorio femminile del Quinto anno.
 
Lily si svegliò stordita.
Si svegliò nel suo letto, e fin qui, niente di strano. Poi si guardò: felpa, gonna, scarpe. La sciarpa riposava vicino a lei. Non era in pigiama, era vestita.  
Si guardò attorno confusa.
… mi sono riposata un attimo prima di uscire? Mi sono appoggiata sul letto e sono crollata?
Non una di quelle frasi aveva senso, anche se era evidente che fosse accaduto quello.
Aveva ricordi confusi sulla mattina: sapeva di essersi alzata ad un’ora adeguata e di aver trascorso molto tempo a truccarsi per essere perfetta; in un’occasione pubblica come quella non poteva limitarsi a spazzolarsi i capelli ed indossare qualcosa di coordinato come faceva Rosie.
Certo, era possibile che si fosse seduta un attimo ed assopita: le era fortemente estraneo il concetto di alzarsi presto la mattina, di sabato. Spesso saltava la colazione solo per poter oziare tra le coperte.  
Dev’essere sicuramente così.
Aveva inoltre una leggera emicrania: forse era per quello che aveva deciso di aspettare?
Si avvicinò allo specchio, controllandosi sommariamente. A parte i capelli scompigliati dal cuscino, era pronta per uscire.
Che cavolo.
Uscire.
Le balzò il cuore in gola: doveva essere in assoluto e totale ritardo!
Guardò con angoscia l’orologio da polso e notò con orrore che era passato mezzogiorno. La prova doveva essere già finita, o in dirittura di conclusione.

Com’è possibile che mi sia addormentata?! Che razza di idiota!
Fece per aprire la porta e gettarsi per le scale, quando qualcosa la trattenne; forse solo una sensazione o un’eco. Delle grida.
Grida? Ma certo, dal campo di Quidditch!
Però non sembravano grida di incitamento o di plauso. Sembravano spaventate.
Perplessa tornò sui suoi passi e d’istinto si affacciò al bovindo della finestra.
Lo spettacolo che gli si presentò le fece gelare il sangue nelle vene, anche se non ne capì subito il motivo: l’intero perimetro in cui sorgeva lo stadio, compreso dei terreni circostanti, fino alla Foresta Proibita, era immerso in una spessa cortina di nebbia scura, come quella che precede una notte senza luna.
Eppure il tempo, sebbene nuvoloso, non minacciava pioggia: addirittura il sole si poteva scorgere, pallido ma pieno, dietro la coltre di nubi.
Che sta succedendo laggiù?
Qualsiasi cosa fosse, laggiù c’era la sua famiglia e i suoi amici. 
Non era un eroina, e non si sarebbe gettata nel pericolo a braccia spalancate: ma non sarebbe neppure rimasta come una principessa nella torre, in attesa che qualcuno le portasse notizie.
Non si dimenticò di prendere la bacchetta e corse giù per le scale.
 
 
****
 
Note:
Non odiatemi. È il periodo dei cliffhanger pare. :P
1.La canzone è questa
2. Polvere Buiopesto peruviana: la conosciamo perché importata dai gemelli Weasley. Crea una cortina spessa e nera nel luogo in cui viene lanciata. L’incantesimo lumos non funziona con essa.

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Capitolo 29
*** Capitolo XXVII ***


Capitolo XXVII

 

 

If there's no war outside our heads

Why are we losing?
(Life Less Frightening, Rise Against¹)
 
 
Stadio di Quidditch. Esterno.
 
Scorpius riuscì ad attraversare uno dei tanti ingressi laterali – quelli che solitamente gli studenti usavano per accedere alle tribune - senza crollare addosso a nessuno.
Era importante che non lo facesse, perché doveva sostenere il peso di Dominique la quale, al di là delle sue spacconate, non era stata in grado di uscire da sola dalla Tenda dei Campioni. Aveva infatti una caviglia rotta e debitamente fasciata.
Era successo tutto in attimi e Scorpius non aveva neanche pensato remotamente all’idea di fare l’eroe; era terrorizzato. Terrorizzato quando aveva visto quella mano putrida scostare i lembi dell’ingresso posteriore e terrorizzato quando gli era stata affidata la ragazza dal professor Lupin, al grido di ‘Scappate!’.
Ed era quello che aveva fatto.
Dominique gli serrò una mano attorno alla spalla, per raddrizzarsi. Quella foschia innaturale, densa e stordente, non accennava a diminuire. Attorno a loro c’erano passi, parole spezzate, respiri condensati e paura; un mix che avrebbe dato disagio anche al più impavido dei maghi.
“Raggio di sole, va tutto bene?” Gli venne chiesto e ne fu grato, perché al momento aveva un gran bisogno di sentire che non era da solo. “Sei gelato come un ghiacciolo al Polo Nord!”
“Sto bene.” Mugugnò, sentendo la voce tremargli. Si impose di darsi una calmata, che era ridicolo fosse così scosso. Si guardò attorno, ma non vide nessuno, nessuno degli occupanti della tenda, che a regola avrebbero dovuto essere immediatamente dietro o davanti a loro. “Dove sono gli altri?” Chiese infatti.
“Io sono qua!” Esclamò il piccolo Delacour. “E grazie per la considerazione!”
“Mael, sei così basso che non ti si nota…” Lo apostrofò scanzonata Dom: ma Scorpius era certo che fosse tutta una posa. Era impallidita, e persino le lentiggini avevano perso vigore.
L’effetto dei Dissennatori. Pensavo fosse un’esagerazione, ma Merlino… È come se ti succhiassero via la felicità.
Si vergognava: probabilmente era l’unico ad aver voglia di scappare con le mani nei capelli. Ed era pure un Occlumante!
Doveva quindi fingere assolutamente il contrario.
Si sentì afferrare per la spalla libera dal peso della campionessa francese.
“Malfuretto!”
Era James, sudato e scarmigliato, ma incolume. “Con questa cazzo di nebbia non si vede ad un palmo dal naso…” Esordì ansimando per una probabile corsa. “Sono andato a sbattere contro un paio di tizi di  chissà quale delegazione. Non sono bravo a scusarmi con chi non capisce la mia lingua!” Brontolò infine, passandosi le dita trai capelli per cercare senza successo di ravviarseli all’indietro.
Scorpius rise appena anche se non ne aveva la minima voglia. “Il professor Lupin, il Preside? Sai dove sono?”
“Erano dietro di me… sono andati a cercare di capirci qualcosa. Tipo, perché siamo in pieno giorno e sembra notte…” Replicò l’altro schioccando la lingua. “Comunque dobbiamo muoverci, non possiamo stare qui come belle statuine!”

“Sono d’accordo! Diamo una mano, raduniamo i dispersi! Siamo il fiore all’occhiello della gioventù magica!” Esplose Dominique, nonostante il proprio incarnato ormai facesse pendant con i suoi capelli. Che in quel momento, in assenza di luce, erano praticamente bianchi.
“Io la porto al castello.” Si intromise con decisione Mael, insospettabile considerando la sua aria spaurita e tremante. “È ferita, e comunque non potremo essere d’aiuto in nessun modo.” Quest’ultima parte la sottolineò con forza, vedendo la faccia contrariata della ragazza.

“Sì, buona idea.” Convenne James, sordo alla proteste della cugina. “Domi, non ti reggi in piedi.” Aggiunse poi. “Mettersi in mezzo quando non si deve, beh… puoi farlo solo quando sei in salute.”
“Esatto. Rimango io con lui.” Convenne Scorpius, perché era suo dovere, anche se era senza bacchetta e quindi praticamente nella stessa situazione di sfavore di Dominique.

Dom fu così portata via dal proprio assistente, e i due rimasero soli.
“Non hai la bacchetta, Malfuretto.” Gli fece subito notare James, tra il preoccupato e il divertito. “E qua pullula di Dissennatori.”
“Sì, lo so.” Replicò con una flemma che non provava. “La prossima mossa?”
“Trovare mio padre e zio Ron. Se c’è qualcuno che si renderà operativo con o senza il consenso del Ministero, beh… quelli saranno loro.”
“La sindrome da eroe non è curabile, eh?”
“È una vocazione, mica una malattia!” Rise James.

Scorpius lo seguì, incedendo nella nebbia: James era armato del proprio accendino, unica fonte di luce funzionale, essendo ormai escluso il lumos.
Lo invidiava. Come lui aveva avuto vicino una di quelle creature e non sembrava aver riportato alcun danno.
Vide l’amico fermarsi ad ogni capannello spaurito di persone e indicargli la via del castello, con sicurezza e rapidità. Era un dono, quello di Potter, quasi una doppia personalità.
Un cretino impulsivo nella vita di tutti i giorni e un maledetto, lucido eroe nella situazioni peggiori.
Lo invidiava sì, ma non faceva parte del suo carattere detestarlo per quello. Lo ammirava invece.
Scorpius scandagliò il poco che riusciva a vedere, cercando visi familiari. I suoi genitori, Rose, il mini-Potter e Dursley. Vide facce conosciute, ma nessuno di cui gli importasse davvero.
Considerato che si possono pure contare sulle dita …
“Pensi siano usciti tutti?” Chiese all’altro.
“Se hanno un briciolo di cervello.” Fu la replica. “L’unico posto sicuro è il castello.”
“Guarda che i Dissennatori non chiederanno certo il permesso per entrare.”
James scrollò le spalle. “Le mura di Hogwarts hanno così tante protezioni che non gli sarà facile entrare. Oltretutto, non credo che questo schifo di foschia si sia estesa fin laggiù. E i Dissennatori non svolazzano in posti che non siano scuri e spaventosi. Un po’ di ottimismo, per le mutande di Merlino, Malfoy!” Lo apostrofò poi spiccio, prima di raggiungere un paio di divise colorate, che corrispondevano a quelle dei Tiratori scelti di stanza al Tremaghi.

Scorpius gli andò dietro: si sentiva turbato, come quando si svegliava da un bruttissimo incubo, di quelli che lo facevano svegliare con un urlo bloccato in gola.
Si deterse la fronte con una mano: era appiccicosa, di quel sudore malsano tipico dei malati.
Dannazione.
Raggiunse James, che parlava con uno degli agenti. Sembravano conoscersi. Il ragazzo aveva l’aria stordita, come di chi si era appena ripreso da una brutta botta.
“… e quando mi sono svegliato non si vedeva oltre la suola delle mie scarpe. Il sergente Smith ha chiamato rinforzi da Londra, ma con il fatto che non ci si può materializzare o smaterializzare…” Spiegava con tono affaticato. “… dicono che sia opera di un mago, questa nebbia.”
Un mago? Ma allora è stata una cosa pilotata.
Il pensiero di Scorpius corse subito a Thomas Dursley e ai suoi problemi con una certa, spaventosa setta segreta.
Può essere che siano gli stessi dell’anno scorso?
James parlò con il tipo un altro paio di minuti, prima di salutarlo con una pacca energica e mettergli in mano – gesto che rese Scorpius perplesso – un cioccolatino di Mielandia.
“Dispensi cioccolata? Sei diventato per caso il Coniglio Pasquale?” Lo apostrofò perplesso.
James ghignò, scrollando le spalle. “Vecchio rimedio contro i Dissennatori. È una trovata del padre di Teddy. Funziona, giuro!” Assicurò alla sua aria scettica. “Da bambino era il mio metodo preferito per rimpinzarmi di cioccolata. C’è un Dissennatore nel mio armadio…” Poi gli lanciò un’occhiata. “Ehi, ne vuoi? Ne ho una scatola intera!” Batté sulla tasca esterna del giubbotto. Probabile avesse usato un incantesimo di riduzione per farcela stare. “Pensavo di portarla a Lils per scusarmi di averle aggredito lo straniero, ma …”
“No, non mi serve.” Mentì. “Non dobbiamo cercare i tuoi?”

James gli lanciò una seconda occhiata. Scorpius sapeva che l’altro aveva capito. Ma era un buon amico, maschio e compartecipe, perché non disse nulla.
“Sicuro.” Annuì invece. “Andiamo, mi ha detto che sono vicini alla Capanna del guardiacaccia con Smith e il Preside.”
 
****
 
Rose era riuscita ad uscire con l’aiuto di Thomas. Il che aveva dell’incredibile, perché non avrebbe mai pensato che il cugino acquisito l’avrebbe protetta dalle spinte della folla e tratta al sicuro.
Non ho considerato che gliel’ha ordinato Albus…
O forse quel ragazzo allampanato che aveva imparato a conoscere come misantropo era in realtà meno egoista di quanto si ostinasse a sbandierare.
Tom aveva fermato uno degli agenti del Ministero, e quello li aveva indirizzati verso il capanno dei guardiacaccia. Sembrava che la strada per il Castello fosse ostacolata dai Dissennatori.
Erano riusciti ad arrivare a destinazione senza grossi intoppi. Si erano quindi ricongiunti con Hugo e i suoi amici e ora sedevano sull’erba soffice attorno alla casupola, come tanti altri assieme a loro: in caso di Dissennatori era meglio restare uniti.
Tiratori scelti e auror in borghese passavano, dando acqua e cioccolata a chi la chiedeva e vigilando al tempo stesso a bacchette spianate.
Era una scena quasi apocalittica: la nebbia nera rendeva difficile vedere il cielo e praticamente impossibile capire dove mettere i piedi. Bagliori argentei esplodevano all’improvviso, per poi quietarsi.
Quanti Dissennatori saranno? Se sono tutti quelli confinati… più di un centinaio?
Lanciò un’occhiata a Tom: era riuscito a farlo sedere, ma si guardava attorno come un’anima in pena, i lineamenti tesi. Non voleva stare lì.
Stava cercando Al, e non lo vedeva arrivare.
Mancano un sacco di persone all’appello…
“È assurdo come sono riusciti ad entrare… che disastro.” Mormorò Roxanne, la cui scontrosità era stata notevolmente ammorbidita dagli eventi; Rose le teneva la mano da quando avevano lasciato l’arena.
“La scuola e il Ministero lo sapevano. Si aspettavano tutto questo.” Replicò Tom, mentre si passava la bacchetta tra le dita con aria apparentemente assorta.
“Cosa?” Chiese Roxanne.
Ecco qua. Ci risiamo… – Pensò Rose esasperata. Ma non aveva poi così voglia di fermarlo.
In realtà era curiosa.
Che non siano semplici paranoie le sue? Dopotutto… guarda che razza di situazione!
Tom lanciò loro uno sguardo complessivo. “Quello che ho detto. Lo sapevano. Il professor Lupin ci ha fatto esercitare a produrre patronus per una settimana intera. Una coincidenza?” Serrò la mascella. “Non credo. Ci stanno tenendo nascoste le cose. Tanto per cambiare.”
Rose rifletté. Abbassò il tono di voce, perché non voleva che il fratello e i suoi amici – seduti poco distanti da lei, sconvolti e addentanti cioccolato – li sentissero. “Anche se fosse… cosa ti aspettavi che facessero? Un annuncio sul Profeta? Si sarebbe scatenato il panico.”

“Potevano avvertirci.”
“Avvertire chi? Tu?” Si intromise Roxanne un po’ irritata. “Sei solo uno studente!”

Non sono solo uno studente.” Replicò l’altro mordace, innervosito dall’occhiata di sufficienza della ex-corvonero.
Rose esitò, poi decise che perlomeno una lancia in favore dell’altro poteva spezzarla. “Tom crede che ad aver portato qui i Dissennatori siano le stesse persone che hanno tentato di rapirlo l’anno scorso.”  

“I Dissennatori non li porti in giro come una mandria di mucche!” Sbuffò Roxanne, incredula.
Tom le lanciò un’occhiata bruciante, ma non replicò. Rose avrebbe voluto chiedergli di più, perché era sì un paranoico, ma forse aveva qualche punto.
 E se avesse ragione? Se fossero tornati?
Le sue riflessioni vennero interrotte quando vide suo padre con Harry, passare a pochi metri da loro.
“Papà!” Esclamò. Fu un tutt’uno alzarsi e correre ad abbracciarlo. C’era una parte di sé che continuava ad essere convinta che la sola presenza di quel genitore mitico avrebbe spazzato via tutti i problemi.

Suo padre la strinse tra le braccia, e lo sentì sospirare di sollievo. “Rosie… meno male stai qui. Hugo è con te?”
“Sì papà, è laggiù. Sta bene.” Confermò. 

“Jamie e Al?”
Fu Harry a parlare: era accanto a loro ed era preoccupato. Rose notò che lo affiancava anche un tipo stempiato e con l’uniforme dei Tiratori scelti. Ad una seconda occhiata lo riconobbe: era Zacharias Smith, il sergente che l’anno prima si era occupato dell’omicidio della Prynn e della sparizione di Thomas.

“Non sono con me…” Scosse la testa, sentendosi impotente e remotamente colpevole. “Al l’ho perso nella folla e Jam non l’ho neppure visto…”   
L’uomo, forse intuendo dalla sua espressione il corso dei suoi pensieri, le sorrise rincuorante. “L’importante è che almeno voi siate qui, al sicuro.” Sembrava molto sollevato dalla presenza del figlioccio, dall’occhiata che gli lanciò.
“Dovete cercare Al.” Fu l’unica cosa che disse Tom nel suo solito tono antipatico, quando li raggiunse: però non nascondeva affatto l’angoscia. “È rimasto indietro.”
“Lo so…” Mormorò Harry. Rose notò che Smith – ora allontanatosi per conferire con uno dei suoi agenti -  aveva in mano una lunga pergamena, almeno due metri. In quanto Prefetto, la riconobbe come la lista dei presenti, comprese delegazioni straniere e personale scolastico.  
Scorpius…
Sperava stesse bene, e fosse stato messo in salvo. Si ricordava la sua difficoltà con l’incanto patronus.
“Cos’è successo?” Chiese, serrandosi le braccia al petto. La temperatura difatti era precipitata, e quasi poteva vedere il respiro delle persone condensarsi in nuvolette bianche.
Come se fosse pieno inverno…
Si era stretta la sciarpa al collo e chiuso il cappotto, ma il freddo non dava pace né a lei né a nessuno di loro.
“Dissennatori.” Borbottò suo padre. “Sono tutto attorno al perimetro del campo da gioco e nell’area del Platano Picchiatore. La via principale per il Castello è impraticabile e se facessimo il giro del Lago, con tutte queste persone… sarebbe pericoloso. Non riusciremo a proteggere tutti, ci sono troppi pochi agenti…” Le fece una carezza. “Tua madre è al Castello, comunque. Lei e tua zia sono riuscite a passare oltre assieme a Neville e stanno aiutando Madama Chips ad allestire l’infermeria…”
“Perché ci attaccano?” Voleva avere delle risposte e voleva averle subito. Il più possibile, il più velocemente possibile. “Cos’è questa nebbia?”
“Sono affamati. È decenni che non…” Ron esitò, lanciando un’occhiata all’amico. Harry allora continuò al suo posto, col tono più rassicurante del suo decennale repertorio.

“Ancora non sappiamo perché siano qui, o se qualcuno li abbia… diciamo indirizzati. Sicuramente questa nebbia è stata creata con la magia. Appena avremo capito cosa la crea, la situazione migliorerà. Si nascondono in essa, ma…”
“Quindi sono qui per ordine di qualcuno.” Mormorò Tom, e calò un silenzio spiacevole.

 
Papà!” La voce di James fu un toccasana, visto che era vitale, squillante. E visto che alla voce seguiva il cugino e Scorpius. Entrambi incolumi.
Quando furono vicini, Rose si accorse che il suo ragazzo era tutto fuorché quello; un velo di sudore gli copriva il viso e gli inzuppava la casacca sporca di terra, la stessa con cui aveva disputato la Prova. Ed aveva in faccia un’espressione terribile.
Istintivamente mosse un passo verso di lui: voleva abbracciarlo, baciarlo. Rassicurarlo. Ma suo padre le teneva un braccio attorno alle spalle. La bloccava.
Ignorò lo sguardo di Thomas – non aveva niente di meglio da guardare che lei? – sentendo come i Dissennatori le stesse volteggiando sopra la testa.  
“James!” Harry si avvicinò al figlio, stringendolo in un breve ma intenso abbraccio. “Sono felice che tu sia qui. Hai visto tuo fratello?”
“Albie? No… ma posso andare a cercarlo.” Esclamò e vedendo l’espressione del padre, continuò. “Davvero, posso! Sono in grado di difendermi, lo sai! L’incanto patronus non ha segreti per me!”
L’uomo sorrise, indeciso se ribattere o cedere. “Perché piuttosto non dai una mano a Teddy? È con i ragazzi del Primo anno, e credo che la tua presenza li aiuterebbe molto.”
James fece una smorfia, ma quando aprì la bocca per protestare fu tacitato da Scorpius, che intervenne, intromettendosi platealmente.

Rose vide il padre contrarre subito le labbra, scontento.
“Dove sono i miei genitori? So che c’è una lista.” Scorpius aveva già avuto tutte le informazioni che gli servivano in mano. “Sono stati trovati?”
“Non lo so.” Ammise suo zio Harry, e sembrava a disagio. “Perché non ti siedi? Sei pallido…”
“Sto bene.” Tagliò corto, e sembrava che l’avesse detto molte volte, a giudicare dal tono spazientito. “Voglio sapere se state cercando i miei genitori. Mio padre non è capace di produrre un patronus. Neppure mia madre.” Lo disse senza particolari emozioni in volto, e questo spaventò Rose. Era quando sembrava perfettamente serio e controllato che ci si doveva preoccupare. “Sono un bersaglio facile per i Dissennatori.”
Harry rimase in silenzio, riflettendo. “Non è a me che devi chiedere, ma al sergente Smith.” Gli spiegò gentilmente, nonostante il tono di Scorpius fosse platealmente inappropriato “È lui che si occupa della sicurezza del Torneo. Ma credimi, qui stiamo facendo tutto il possibile per…”

Non mi interessa!” Sbottò quello, e persino James gli scoccò un’occhiata sconcertata. “Mio padre è l’unico ex - mangiamorte qua attorno, l’unico che potrebbe ricordargli i loro vecchi assistiti È in pericolo, più di qualche ragazzino tassorosso o voi auror!” Il tono di voce era basso, rabbioso. Rose non glielo aveva mai sentito addosso.
O forse sì. La volta che papà ha tirato in ballo suo nonno. Quando ci aveva pizzicato nella Foresta.
Rose lanciò un’occhiata a suo padre e volle tanto non averlo fatto: conosceva l’espressione indignata e spazientita di Ron Weasley.
Ed eccola qui, in tutto il suo splendore.
“Ehi, ragazzo.” Lo apostrofò infatti con irritazione. “I preziosi tuoi genitori non sono gli unici ad essere dispersi. E questo tuo tono arrogante non migliorerà la situazione.”
Scorpius rivolse immediatamente l’attenzione su di lui. Assunse anche un’aria ostile. Sembrava proprio volergli tirare un pugno in faccia.
“Se ci fossero venti coppie da salvare, loro sarebbero gli ultimi, non è vero Signor Weasley?” Sputò facendo un passo avanti. Rose notò con orrore che stringeva la bacchetta in pugno. Con forza.
“Amico, calmati…” Tentò James afferrandolo per una spalla, ma fu scrollato via.
La presa sulla spalla di Rose in compenso si fece più tenace: suo padre fissava il suo ragazzo – Morgana benedetta – con le labbra ridotte ad una linea sottile.  
“Non è colpa di nessuno se tuo padre ha fatto cose per cui i Dissennatori potrebbero trovarlo più interessante rispetto ad altri maghi onorevoli.” Sbottò.
“Ron…” Mormorò Harry in tono d’avvertimento: l’atmosfera si era gelata e non certo a causa di qualche Dissennatore di passaggio.
Rose si sentiva il cuore battere in gola con la forza di un tamburo. Voleva liberarsi dalla stretta paterna. Ma aveva paura: se il suo stare in mezzo fosse l’unica cosa che tratteneva suo padre e il suo ragazzo dal saltarsi alla gola?
Lanciò un’occhiata disperata a James, ma il cugino sembrava parimenti in conflitto; davanti aveva due persone a cui, sebbene in misura diversa, voleva bene. Era nella sua stessa situazione.

Di chi devo prendere le parti?
Di chi diavolo devo prendere le parti se stanno sbagliando entrambi?!
Scorpius era pallidissimo e aveva i capelli incollati alla tempie: stava sudando, ma lo scuotevano lunghi brividi. Era ovvio che stesse male. Assottigliò gli occhi all’ultima frase di suo padre.
“A lei piacerebbe, vero? Che mio padre ci rimettesse la pelle. Perché è un Malfoy.” Staccò le parole con cura, mellifluo. Si avvicinò ulteriormente, di un paio di passi. “Non importa quanto tempo sia passato, o il fatto che abbiamo cercato di redimerci…”
“Draco Malfoy non ha mai cercato di redimersi!” Sbottò suo padre, colto sul vivo di quell’antica e malsana inimicizia. Non notò neppure che Scorpius aveva usato il plurale. Rose pensò che non gli importava. Non gli era mai importato. “Ragazzo, ti ho già detto di non farmi perdere la pazienza! Qui siamo tutti uguali. I tuoi genitori verranno cercati esattamente come tutti quelli che non hanno risposto all’appello!”

A quel punto qualcosa dovette scattare in Malfoy. Perché l’attimo dopo stava puntando la bacchetta alla gola di Ron.
Voi li cercherete adesso!
La bacchetta era rotta. Sputava scintille rosse ed era lo spettacolo più spaventoso a cui Rose avesse mai assistito. Il tempo parve fermarsi per un eternità. Suo padre si era irrigidito e Scorpius sembrava immobile come una statua. Tutti sembravano fottute statue congelate. Persino suo zio Harry.
“Malfuretto! Mettila giù, stupida testa di cazzo!” Sbottò James riavviando il tempo. Ma non lo toccò. Fu una mossa saggia, perché probabilmente l’altro avrebbe reagito male. Era fuori di sé. Forse fu per quello che nessuno tirò fuori la bacchetta.
Rose capì in quel momento che solo lei avrebbe potuto fare qualcosa.  
 
“Ehi…” Mormorò piano. Gli occhi del ragazzo si spostarono su di lei. “… dà retta a Jamie. Non risolverai niente così. Per favore. Non è colpa di mio padre quello che sta succedendo.”
Fu un attimo. Un fremito sul volto del biondo e capì di aver sbagliato. Parole o tono. O forse a tirare in ballo il genitore, che era solo il primo bersaglio sul quale l’altro aveva potuto sfogarsi.  
“Non è colpa…” Scorpius si fermò, quasi non riuscisse a trovare la forza di finire la frase. “No, certo che no.” Disse quasi tra sé e sé. “Scegli.” Sbottò poi.
“Cosa?” Non capiva. Cosa avrebbe dovuto scegliere?
O lui o me… scegli. O la tua famiglia o me.
Era questo che voleva dirle? Lo guardò negli occhi e ne ebbe la conferma.
“Non puoi… non puoi chiedermelo.” Sussurrò Rose sentendosi lo sguardo di suo padre, di zio Harry, di James. “Non ha senso!”
“Ce l’ha invece.” Fu la risposta. Con suo enorme sollievo la bacchetta venne abbassata. Ma l’aveva ferito. Scorpius sembrava davvero trattenere le lacrime, non era solo una sua impressione.

“Scegli.” Ripeté, e Rose seppe di non poterlo fare. Né in quel momento, né mai.  Come sua ragazza avrebbe dovuto divincolarsi dalla presa di suo padre. Dirgli che sarebbe andata con lui a cercare i suoi genitori. Dire che meritavano di essere cercati come chiunque altro. Qualcosa del genere.
Come figlia di Ron Weasley avrebbe dovuto obbedire a suo padre, dire a Scorpius di darsi una calmata.
“Non puoi chiedermelo…” Ripeté disperata, come uno stupido disco rotto.
Non puoi chiedermi di scegliere tra te e la mia famiglia! Lo sai, lo sai che non puoi farlo!
Scorpius serrò le labbra. “Già.” Ebbe un ultimo tremito, poi si raddrizzò. “Giusto. Non posso. E non lo farò. Sta tranquilla. Scelgo io per te.”
Rose non fece in tempo a capire di cosa diavolo stesse parlando che l’altro le aveva voltato le spalle ed era corso via. 
L’ho abbandonato. Mi ha lasciata.
Quelle due frasi, pensate, ebbero la forza di cento uragani: era ciò che era accaduto, né più, né meno.
L’ho abbandonato. E lui mi ha lasciata.
Vide con la coda dell’occhio James scattargli dietro: almeno non l’avrebbe lasciato solo.
Lui.
Sentì il sangue rombarle nelle orecchie, come una cascata gigante e terribile. Si sentiva fredda adesso, come se avesse ingoiato un’intera pala di neve. Sentì solo indistintamente zio Harry cercare di chiamare indietro i due ragazzi.
Poi suo padre le scrollò appena una spalla. Il suo sguardo buono le fece venir voglia di piangere – verso di lei era il padre più dolce e buono del mondo. Lo sarebbe stato ancora se avesse saputo?
“Rosie, che c’è?”
Rose aveva voglia di urlare, ma tutto quello che fece fu ripetere quelle due frasi nella propria testa. Perché erano la verità.

L’ho abbandonato. Per questo, lui mi ha lasciata.
 
****
 
Albus era certo di aver fatto tutto ciò che era suo dovere.
In realtà, in quel momento non avrebbe voluto essere un Caposcuola. Aveva solo diciassette anni, era spaventato a morte e aveva la netta impressione che il Mondo Magico lo sopravvalutasse.
Aveva respinto dei Dissennatori e aiutato degli studenti di Tassorosso a sfuggirvi, certo…
Tra l’altro se la sono data a gambe senza neanche ringraziarmi. Tassorosso. E poi siamo noi i codardi…
Dovrei fare un discorsetto a Teddy…
Sì, si era sentito un dio per circa cinque minuti, prima di accorgersi che il suo patronus – per quanto figo - non erano lontanamente potente come quello descritto nei libri di testo; era durato solo pochi attimi, aveva cacciato un paio di Dissennatori e poi si era dissolto.
Comunque dopo questo voglio un encomio speciale, o io la spilla a Vitious gliela faccio ingoiare.
Sospirò, guardandosi attorno per l’ennesima, infruttuosa volta: era certo di trovarsi attorno allo stadio, a giudicare dal fatto che vedeva mura di legno da circa mezz’ora, ma non sapeva in che punto.  
Avrebbe potuto tentare di imboccare una direzione qualsiasi, ma si rifiutava di perdere anche quel punto di riferimento.
Non avevo mai notato quanto i terreni di Hogwarts fossero enormi…
Comunque quello stallo non lo stava portando da nessuna parte. Doveva agire: aspettare che qualcuno lo venisse a salvare non stava funzionando un granché.
Sperava che Tom stesse bene; se tutto quello era colpa di un mago, forse aveva ragione, forse era veramente opera della Thule.
Se l’ho pensato io, l’ha pensato anche papà… lo terrà al sicuro, se l’obbiettivo di tutto questo teatrino degli orrori è lui.
Si passò una mano sul viso. Era coperto di un sudore appiccicoso, freddo. I Dissennatori non erano in vista, ma se li sentiva vicini, troppo vicini.
È solo un’impressione. È così che funzionano, ricorda quel che ti hanno detto papà e Teddy. Portano via la felicità, è così che abbassano le tue difese. E poi attaccano.
Sono solo stupidi lenzuoli putridi. Stupidi. Lenzuoli. Putridi.
Si concentrò sul pensiero della sua famiglia e i suoi amici al sicuro. Tra poco sarebbe stato investito da un abbraccio stritolante di Rose, e scrutato con clinica preoccupazione da Tom. Non vedeva l’ora di sentire il calore di un altro corpo umano.
Possibilmente di Tom. Possibilmente sotto delle coperte.
Quei pensieri erano consolanti.
Sempre che Tom stia bene… e se si fosse fatto del male? E se non fosse al sicuro? Se fosse stato rapito, approfittando della confusione?
Inspirò bruscamente. Erano i Dissennatori a fargli venire quei pensieri orribili. Non erano reali.
La nebbia comunque stava diminuendo. Forse gli uomini del Ministero avevano trovato il modo di debellarla, finalmente. Ma non era ancora abbastanza, ce n’era ancora troppa. Lo pensò e poi sentì l’esatto momento in cui inciampò nei propri piedi – o forse su una roccia.
Merda!
Finì a terra, lungo disteso. Il dolore gli tolse il fiato per un momento, necessario a realizzare che aveva sbattuto contro qualcosa di ferro e non una pietra e che aveva perso la bacchetta.
Non imparo mai. Mai. Perché inciampo sempre?
Sentirsi la faccia arrostire di imbarazzo fu quasi piacevole comunque.
Era inciampato contro una gabbia di ferro. Rialzandosi a sedere, fissò sorpreso quella sorta di apparizione.
Che diavolo ci fa una gabbia qua?
Poi realizzò che doveva essere una di quelle con cui avevano trasportato le creature per la Prova. Avrebbe dovuto essere spostata ma non c’era stato tempo.
Realizzò anche un’altra cosa: la sua bacchetta era finita lì dentro.
Imprecò a bassa voce, perché era chiaro non fosse vuota. Non sentiva rumori, ma questo non significa che qualche bestia potenzialmente mortale non fosse lì dentro, acquattata, in attesa.
Ho tre scelte. Chimera, acromantula e basilisco… Evviva.
Sentiva il freddo acuirsi: non c’era un alito di vento e quindi potevano essere solo Dissennatori. Potevano anche non essere, ma perché rischiare? Doveva riprendersi la bacchetta e poi darsela a gambe.
Infilò il braccio dentro la gabbia, cercando a tentoni. Sperava di essere silenzioso, ma il suo respiro sembrava amplificato di un milione di volte. Gli sembrava di essere rumorosissimo.
La trovò dopo pochi attimi e ci chiuse la mano attorno, sentendo il sollievo rifluirgli lungo lo stomaco e scaldarlo un po’.
Poi sentì un ticchettio. Assomigliava a quello di un orologio ma non poteva essere un orologio.  
Mandibole.
Lo realizzò troppo tardi: sentì un dolore agghiacciante, lancinante, come se milioni di aghi gli avessero trafitto il braccio.
Solo con la forza della disperazione pensò ad un incantesimo, uno solo. Quello che Tom prediligeva.
Everte… Everte Statim!
Il lampo fu seguito da un sibilo rabbioso ma il suo braccio era di nuovo libero.

Lo tirò fuori violentemente, sempre con la mano chiusa attorno alla salvifica bacchetta.
C’era un taglio profondo sul suo avambraccio, sanguinante.
Non era un magi-zoologo ma non c’erano dubbi: era stato appena morso da un acromantula.
Devono averci messo un po’ a recuperarla… visto che Luzhin l’ha fatta scappare…
Si tirò indietro, incespicando. Sapeva cosa doveva fare, come in una trance, come se qualcuno glielo stesse suggerendo dall’esterno. Probabilmente tutti i tomi di medimagia che si era bevuto quell’estate.
Si puntò la bacchetta contro il braccio.
Defluvio sanguinis².”
Strinse i denti quando il sangue raddoppiò la sua uscita, copioso, inzuppandogli il mantello e il maglione sottostante. Sangue infetto.

È veleno paralizzante. Se vengo paralizzato sono fregato. È come consegnarmi ai Dissennatori su un piatto d’argento.
Si tamponò la ferita con la manica, premendo. Tentò di alzarsi in piedi.
Non ce la fece, gli girava troppo la testa e ricadde subito a sedere.
Dannazione. È veleno ad azione rapida.
Sentiva la bocca secca e allappata, come se avesse mangiato un frutto acerbo. La bacchetta gli scivolò di mano e si accorse di non riuscire più a muovere le dita dei piedi e delle mani. E subito dopo le gambe smisero di obbedirgli.
Il veleno ha già raggiunto i nervi…
Forse era per via di quello che sentì il freddo diventare intollerabile, come se l’avessero buttato nudo sulla neve.
Oppure i Dissennatori hanno fiutato la mia debolezza e stanno arrivando.
Non fece in tempo a sentirsi davvero terrorizzato: sentì infatti cantare Fanny.
Qualche attimo dopo, come in una nebbia di sensi, sentì qualcuno toccarlo e passargli un braccio attorno alle spalle. Poi, rumori di passi concitati attorno a lui.
“Al! Resta sveglio! Venite, è qui! È stato morso!”
Era salvo.
 
****
 
James non si era mai sentito una persona empatica. Di solito finiva per capire le persone solo quando cominciavano ad urlargli addosso. Teddy gli diceva sempre che era troppo diretto, e che gettare i propri sentimenti addosso alle persone spesso causava fraintendimenti. Con Malfuretto le cose erano diverse perché basilarmente erano la stessa persona in corpi diversi.
Parecchie volte aveva pensato che fosse stato assurdo quel loro lungo odiarsi – beh, perlomeno lui l’aveva detestato abbastanza.
Al momento un pochetto comunque continuava ad odiarlo, perché lo stava costringendo a correre tra le braccia dei Dissennatori.
Teddy l’avrebbe strigliato a dovere. Ma dopo.
Ora sono impegnato a fare l’eroe. Cioè a fermare questo cretino.
Accelerò la corsa e placcò Malfoy, mandandolo disteso. La cosa fu abbastanza dolorosa per entrambi, ma era certo che a lungo termine Scorpius ne sarebbe uscito peggio, visto che gli si era seduto su un paio di vertebre.
“Che cazzo fai?!” Ebbe comunque la forza di urlargli l’altro, sebbene soffocato. “Lasciami!
“No.” Sbottò, tenendolo schiacciato a terra. Era più facile del previsto, segno che Scorpius non era al massimo della sua forma; normalmente lo avrebbe ribaltato e poi avrebbero ingaggiato una lotta ad armi pari.
Adesso mi sembra di tener buono quella femminuccia di Albie.
“Lasciami!” Tentò di nuovo, puntellandosi a terra. “Devo cercare i miei genitori!”
“Li cercheranno gli auror. E poi ragiona, potrebbero essere già al sicuro. Pensi davvero che tuo padre, Draco Malfoy…” Calcò l’accento sul nome. “… si lascerebbe dare un bacetto da un Dissennatore? O lasciare che succeda a tua mamma?” Non lo sentì ribattere, e pensò che era una buona cosa. “… usa la testa, Malfuretto! Tuo padre è scampato ad una guerra, non ha appena ricevuto la sua prima bacchetta!”
“Non è capace di produrre un patronus!”
“Magari può farlo tua madre. Non è una ex-corvonero? Oppure possono scappare.” Suggerì, cercando di non farlo sembrare un insulto, anche se per lui un po’ lo era. “… possiamo pure andare a cercarli, ma sei praticamente disarmato. Ed io non sono in grado di proteggere tre persone da un branco di stracci succhia-anima…” Ammetterlo un po’ gli bruciava, ma se c’era qualcosa che aveva imparato dall’anno prima con il rapimento di Thomas, era che ad un certo punto bisognava fermarsi e lasciare fare gli adulti.

Prima o poi il termine ‘adulto’ includerà anche me.
Scorpius non disse niente. James lo sentì respirare forte, contro la mano con cui lo teneva bloccato.
Quindi rimase in silenzio, sapendo che era ciò di cui l’altro aveva bisogno al momento: tempo per realizzare.
“… Sono andato fuori di testa, eh?” Mormorò alla fine, con un tono così stanco che spinse James ad alzarsi dalla sua schiena per lasciarlo libero di respirare un po’ meglio.
“Sì.” Confermò tendendogli la mano. “Ma l’avrei fatto anche io, se fossero stati i miei.”
“I miei non sono come i tuoi.” Replicò Scorpius, ignorando la mano tesa. James avrebbe voluto dirgli che ci sarebbe sempre stata. “I miei sono…”
I tuoi genitori.” Lo fermò. “Ed ehi, è normale che tu sia preoccupato, ma secondo me non vorrebbero che tu rischiassi la pelle per salvarli. I genitori in questo sono tutti uguali.” Gli sorrise, schiaffandogli la mano sulla testa, come ad un cane poco sveglio. 

L’altro rimase fermo a lasciarsi arruffare i capelli e James finse di non capire che stava trattenendo le lacrime.
“Ho minacciato un auror…” Esordì dopo qualche attimo, con tono arrochito.
“Era solo zio Ron. Ha le spalle larghe. Gli parlerò, spezzerò una lancia in tuo favore.” Offrì. Stavolta Scorpius gli afferrò la mano, e lasciò che lo aiutasse a tirarsi su. “E per Rosie…”
“Non voglio parlarne.” Tagliò corto. James non approfondì. Non era quello il momento giusto: Scorpius sembrava aver esaurito ogni energia dopo aver sentito il nome di sua cugina. “Per favore, portarmi in infermeria, credo di stare per svenire…” Mormorò infatti.
James strinse la presa contro il suo braccio. “Ricevuto amico. Ti porto via di qui.”

 
****
 
Per Lily non era stato facile uscire dalla scuola. Una corrente contraria l’aveva quasi spinta indietro, verso la Torre di Grifondoro. Qualunque cosa fosse successa, era stata talmente grossa da far rifugiare tutti dentro le mura del castello.
Aveva captato frammenti di conversazioni, frasi. Quello che aveva capito non era molto. Sapeva solo che c’era stato un attacco di Dissennatori e che quella nebbia nera, simile al fumo di una ciminiera babbana, era stato il mezzo con cui erano arrivati.
Dissennatori… è assurdo! Non dovrebbero essere in Nuova Zelanda o roba del genere?!
Varcò il portone, uscendo nella corte principale. La foschia era diminuita: sembrava che fossero finalmente arrivate le squadre di soccorso dal Ministero. Si parlava persino di Dissennatori catturati, anche se non c’era certezza che non ne mancasse qualcuno all’appello.
Riuscì ad intercettare Hugo e la cugina Roxanne tra la marea di teste che le si presentò di fronte.
“Ragazzi!” Li raggiunse e vide che entrambi erano scossi e provati.  
“Lils, meno male sei qui!” Esclamò la cugina abbracciandola. Era gelata, strano visto che solitamente era una tipa molto calorosa. La strinse di rimando, intuendo che forse l’altra aveva bisogno proprio di calore umano.  
“Sei rimasta al castello tutto questo tempo?” Si informò Hugo.
“Sì, credo di essermi addormentata… svegliata tardi.” Rettificò perché quel punto non le era ancora chiaro e non voleva che gli altri facessero domande. “Stanno tutti bene?”
“Abbiamo visto Rosie, Malfoy e Jamie. Tom è con zio Harry. Gli altri non lo so, non si capiva niente…” Borbottò il ragazzino, strofinandosi vigorosamente le mani sulle braccia. “Devi rientrare, non stai tipo crepando di freddo?”
“Io no, sto bene. Sono sempre stata dentro, forse è per questo.” Vedeva i sintomi di una grossa infreddatura addosso ai cugini: doveva essere un effetto dell’esposizione ai Dissennatori. “Ho visto della gente portata in infermeria… non ci sono feriti vero?”
Specie perché le ferite da Dissennatori sono la perdita dell’anima…

“Non dai Dissennatori.” Indovinò i suoi pensieri Hugo. “Almeno che si sappia. Sbucciature, un po’ di ossa rotte per gente che è stata spintonata… sai, quando tutta la folla è andata nel panico…”
“Spero che per questa storia non fermeranno il Torneo…” Borbottò Roxie, il cui spirito agonistico era difficile da spegnere. “Anche se puoi star sicuro che per gente come i Malfoy sarà come servire le lamentele su un piatto d’argento. Il loro ragazzo è pure un Campione…”
“Proprio per questo penso che se ne staranno zitti, sai Rox?” Interloquì Hugo che segretamente tifava per il biondo campione. “Scorpius non farebbe mai fermare dai suoi il Torneo. Ci tiene un sacco.”
Lily non disse nulla, ma il suo pensiero si focalizzò di nuovo sul motivo che l’aveva principalmente spinta ad uscire.  

Ren…
La sua priorità era stata cercare i familiari, naturalmente, ma ora che sapeva che non ce n’era nessuno in pericolo – Hugo glielo avrebbe detto, no? – poteva concentrarsi su altro.
“Avete visto Sören?” Chiese.
Hugo fece spallucce e Roxanne sbuffò. “Sarà stato messo al sicuro dai suoi.” Le rispose, rendendo palese la sua scarsa sportività in materia di avversari. Ricordi da Quidditch probabilmente. “Probabile che sia già al calduccio, servito e riverito. Di che ti preoccupi?”
Lily aveva una brutta sensazione invece. Non lo disse apertamente, perché non sapeva come spiegarla – neppure i suoi poteri da LeNa lo prevedevano, aveva idea – ma ce l’aveva. E non poteva combatterla.
Si guardò attorno, ma non vide nessuno della Delegazione di Durmstrang. Forse Roxanne aveva ragione, forse erano tutti tornati al vascello. Lo sperava.
Poi vide Poliakoff. Non era difficile notarlo, sia per l’uniforme, sia perché sembrava perfettamente furtivo e nervoso.
Ha sempre quell’aria lì… Se non sembrasse anche un completo idiota avrebbe l’aria sospetta.
Si congedò velocemente dai cugini e lo raggiunse. “Ehi, Kirill!”
Il ragazzo si voltò di scatto, sospirando di sollievo subito dopo. “Ah, piccola inglesina.” La apostrofò beffardo. “Tu sta bene?”

“Grazie per l’interessamento.” Tagliò corto, perché in quel momento non le andava di giocare alla perfetta principessina manierosa. “Sai dov’è Ren?”
Ren? Oh, Sören.” Rettificò in modo assolutamente non necessario. “A vascello.”
Lily capì che mentiva. Gli tremavano le labbra, e si stava guardando intorno con troppa insistenza. Tutto il maledetto tempo. Stava cercando qualcuno, e non poteva che essere Sören. 

È il suo Assistente, dopotutto.
“Non è vero. L’hai perso.” Rimbeccò. “Non sai dov’è!”
Il russo impallidì e si morse un labbro. “Niet, tu …”
“Non mentirmi. Non funziona, sul serio.” Si sarebbe aspettata un secondo diniego, ma stranamente il ragazzo prese un’aria attenta. Poi inspirò.
“Non lo vedo da attacco di Dissennatori. Eravamo tutti a Tenda dei Campioni e poi … sono allontanato per andare bagno, c’era troppa nebbia. Non so.” Si strinse nelle spalle. “Non è in infermeria di vostra scuola, ho controllato.”
A Lily sembrò strano. Perché solo lui lo stava cercando?

Perché non c’è l’intera delegazione con Preside allegato a preoccuparsi e sbraitare? È il loro Campione!
“Sei da solo?”
Da. Sì…” La guardò di nuovo in modo strano, poi la prese improvvisamente per un braccio. “Tu aiuta?”
Lily ebbe il forte istinto di ritrarsi, ma non lo fece. C’era in gioco Ren, e anche se le sembrava tutto assurdo, l’amico poteva essere davvero in pericolo. E sembrava che a nessuno importasse di lui, la sua scuola in testa. 

“Non saprei come… Forse dovremo chiamare gli auror.” Tentò.
“Già fatto. Loro occupati con altri. Tu aiuta me, per favore. Forse Sören ferito, forse svenuto da qualche parte.” Kirill aveva un’aria angosciata. Lo sembrava davvero, ma c’era anche qualcosa di storto nella sua espressione. Lily non perse troppo tempo ad analizzarla, non era il momento.
Ren…
“Va bene, andiamo a cercarlo.” Acconsentì. “Dove l’hai visto l’ultima volta? Alla Tenda dei Campioni?”
“Sì.” Confermò. “Spasiba.” Aggiunse con uno di quei suoi sorrisetti sgradevoli.
Lo sono sul serio.
“Non ringraziarmi, okay? Non serve. Non lo faccio per te.” Mormorò incamminandosi. Forse non era carino dirlo, ma ci teneva a sottolinearlo.
L’altro non rispose, sentì solo i suoi passi dietro di sé; non era certa di fare la cosa giusta. Ma la nebbia si stava diradando e non c’era nessuno che la stava fermando. Forse non era così pericoloso.
O forse sono un’idiota con dei geni da eroe che non ho mai chiesto.
I miei non potevano essere contabili babbani?
La strana nebbia ormai andava a banchi. In certi momenti era poco più che un file esile di fumo, stralci, si riusciva a vedere benissimo oltre, in altri era così fitta che Lily dovette rallentare per sentire bene il terreno sotto i piedi.
Ed indosso pure i miei tacchi più alti. Favoloso.
Lo stadio fu in vista in pochi minuti. Lily conosceva il parco di Hogwarts abbastanza bene per sapere come dirigercisi senza perdersi. Il silenzio era ormai palpabile. Denso. E maledettamente inquietante.
Per poter raggiungere la tenda dei Campioni dovevano fare il giro dello stadio.
Dobbiamo…
Si rese conto in quel momento che non sentiva il respiro affrettato del russo.
Si voltò di scatto. “Kirill!
Ma non c’era più nessuno.

Cavolo! Fino ad un momento fa era dietro di me!
Non poteva credere che fosse stato così stupido da perderla di vista. Per un attimo pensò persino che l’avesse fatto apposta.
Ma non avrebbe senso. Giusto?
Era tutto maledettamente strano quel giorno. Dal suo essersi addormentata vestita fino a quel momento.
Si guardò attorno, ma non c’era traccia di anima viva.
Quando ribecco Poliakoff gliene dico quattro. Anzi, dico tutto a Ren. Del resto quel tizio sembra aver un po’ di rispetto solo per lui.
Aveva due scelte a disposizione: o tornava indietro, cosa piuttosto saggia visto che non sapeva dove fossero i Dissennatori e quanti ne fossero rimasti in giro, oppure…
Oppure vado a controllare la tenda, vedo se c’è Ren e poi torno il più velocemente possibile al castello.
Si mordicchiò il labbro con indecisione.
Beh, dopotutto la tenda è qui dietro… E se lo trovo non devo fare il percorso all’indietro da sola. Cosa che in caso contrario dovrei fare, a meno che non mi metta a strillare per essere salvata.
La cosa non le arrideva particolarmente.
È divertente fare la principessa in pericolo solo quando non c’è pericolo.
Altrimenti fa paura e basta.
Inspirò e si fece coraggio, coprendo la distanza da lì alla tenda. Entrò dentro: era vuota. C’era stato un grosso fuggifuggi a giudicare da come i lettini erano stati rovesciati e genericamente sembrava esserci passata una mandria di persone in mezzo.
Okay, i Dissennatori sono stati qui…
Ora era davvero spaventata.
Poi sentì freddo. Molto freddo. E capì subito che stava succedendo. Lanciò uno sguardo complessivo alla tenda, ma non c’erano bende putride o demoni succhia - anima nei paraggi.
Okay, quindi fuori…? Fuori dalla tenda c’è un Dissennatore. Fantastico.
Forse era quello il momento per urlare e chiamare suo padre.
Però…
Punto primo non sapeva dove fosse suddetto genitore, punto secondo aveva più probabilità di scamparla restando in silenzio e scappando il più velocemente possibile nella direzione opposta.
C’erano solo sue uscite. Una che dava sul campo e l’altra, quella da cui era entrata.
Quindi devo tornare sui miei passi. Semplice.
Era spaventata, certo, ma forse meno di quanto avrebbe dovuto.
È solo… che sono creature che si approfittano della tristezza altrui.
Non erano forti nel senso vero del termine, né tantomeno erano capaci di uccidere come un Basilisco. Non avevano bacchette e vincevano solo fintantoché qualcuno glielo lasciava fare, arrendendosi al freddo e alla tristezza.
Lei non si riteneva una persona triste. Era spaventata sì, ma non era terrorizzata.
Perché non ne aveva motivo.  
Non ho grossi problemi, non ho mai avuto un dolore, non di quelli che ti lasciano cicatrici. Sono amata dalle persone che amo. Sono contenta della mia vita.
Sono a prova di Dissennatore!
Non sapeva se fosse vero, forse era un pensiero ingenuo, ma la faceva sentire bene.  
Indietreggiò, ma poi notò qualcosa, o meglio, la cosa in questione la fece quasi inciampare.
Si chinò a prenderla. Era un anello. Un anello con tanto di blasone.
È l’anello di Ren!
A quel punto la sensazione si fece più forte. E Lily ragionò.
Se il Dissennatore non è venuto da me, è forse perché è già occupato. Con qualcuno.
Ren?
A quel punto fu consequenziale scostare i lembi della tenda, aprendo l’uscita verso l’arena.
La prima cosa che vide fu effettivamente il Dissennatore. Era solo uno, ma era enorme, volava ed aveva un disgustoso mantello nero. E si librava sopra qualcuno.
Sopra Sören.
Il ragazzo era a terra, esanime e con una brutta ferita alla testa. Forse era quella ad averlo messo KO.
Lily soffocò un sussulto, quando vide una sostanza simile ad un fuoco fatuo – nel Devon ce n’erano tanti – liberarsi dalle labbra del ragazzo, diretta verso il cappuccio calato della creatura.
Gli sta succhiando via l’anima!
“Ehi!” Si sentì urlare, perché non è che avesse voluto davvero richiamare l’attenzione di un Dissennatore. Le era scappato.
Ops.
Il Dissennatore l’aveva vista.
Sempre che abbia gli occhi.
Forse era inappropriato ironizzare, seppur mentalmente, ma era l’unica cosa che le impedisse di strillare, cosa che aveva intenzione di fare da un po’.
Lily sbatté contro uno dei supporti della tenda, e poi fece l’unica cosa che le venne in mente: attinse direttamente ai racconti di suo padre e alle lezioni di Ted.
Expecto Patronum!
 
Anapneo!³
Sören sentì le vie respiratorie contrarsi violentemente e fu questo a renderlo di nuovo cosciente.
Tossì cercando aria e fortunatamente trovandola. Era gelida, ma c’era.
Si tirò a sedere aprendo gli occhi, ma tutto quello che vide fu una marea di puntini neri.
“No, sta giù! Magari hai una commozione cerebrale… o la testa rotta. Oh, Merlino… forse non era l’incantesimo giusto…”
Sören non capì immediatamente cosa stesse accadendo: l’ultima cosa che ricordava era che quando i Dissennatori erano entrati nella tenda erano esplosi almeno due o tre patronus e forse qualcuno, accecato dalla luce e preso dalla foga di scappare, lo aveva spintonato mandandolo a sbattere contro uno dei supporti della tenda.
Era l’ultima cosa che ricordava perché poi era svenuto per la botta.
In circostanze normali avrebbe evitato una situazione del genere, ma la Prova aveva logorato i suoi riflessi, e poi i Dissennatori…
I Dissennatori… Kirill non ha fallito, ha fatto calare la nebbia, disattivato la barriera. I Dissennatori sono entrati. Non abbiamo fallito. Non ho fallito.
“Non sei morto vero? Ren, dimmi qualcosa!”
Doveva avere le allucinazioni, perché oltre lo stordimento gli sembrava di sentire la voce di Lilian.
“Lily?” Tentò.
“Sì! Sì, sono io! Oh, Morgana sia ringraziata, non ti ho causato danni cerebrali… Riesci ad alzarti?”
La vista gli tornò subito quando realizzò che c’era la persona più sbagliata del mondo con lui.

Lily era china su di lui, pallidissima ma con un gran sorriso. Sentì lo stomaco attorcigliarglisi ed ebbe voglia di vomitare.
No, non deve essere qui. Il sonnifero. Pensavo l’effetto durasse più a lungo. Come…?
“Cosa… che… ci fai qui?” Riuscì ad articolare perché aveva la lingua impastata. Poi notò che c’era qualcosa che riluceva vicino a loro. E non erano allucinazioni.
Era un patronus, lo riconobbe subito. Un pregevole patronus corporeo.
“Cervo…?” Tentò confuso, perché gli sembrava avesse quella forma.
“No tesoro, è una femminuccia come me.”  Replicò la ragazza, suonando persino un po’ irritata. “Non ha le corna, anche se quasi preferivo le avesse…”
In effetti non le aveva, ma non era quello il punto. Lily era china su di lui, erano soli e non c’era traccia di Dissennatori. Anche se si sentiva come se ne avesse appena incontrato uno.
“Dissennatore…” La nausea non accennava a diminuire. Al momento gli sembrava di essere sul ponte di una nave durante una tempesta.
Kirill sarebbe dovuto venire a cercarlo non vedendolo tornare alla nave, visto che così si erano precedentemente accordati.
Zio non aveva preventivato che avrei potuto essere in pericolo anche io?
Era troppo stanco per pensare. Si sentiva la mente confusa e il calore delle mani di Lily sulle mani e sul viso era stordente.
Voleva abbandonarvicisi.
“Oh, quello!” La sentì rispondere. “Il nostro Ministero se ne sta occupando, sta’ tranquillo. Ne avevi uno addosso, ma… credo di essermene occupata. Io.” Aggiunse con un sorrisetto. “Il mio patronus l’ha preso a testate.” Concluse un po’ divertita. La cerva intanto si dissolse sotto i loro occhi con uno sbuffo argenteo.
“Tu…” Era confuso, ma una cosa era chiara.
C’erano cose che non avrebbero dovuto essere fatte.
Lily non avrebbe dovuto essere lì, avrebbe dovuto essere al Castello, lontana dall’azione, lontana da lui. Poliakoff non avrebbe dovuto lasciarlo in balia dei Dissennatori.  
E poi…
Lily non avrebbe dovuto…
“Mi hai salvato la vita.” Sussurrò.
Che senso ha che la vittima salvi il colpevole? Non ha senso.
Nell’ordine delle cose, lui obbediva a suo zio e chi ne soffriva le conseguenze non sapeva neppure che faccia avesse. Forse poteva odiarlo, ma odiava una figura astratta. La Thule. Lui non era niente. Era solo un ingranaggio.
Chi soffriva le conseguenze – come Lily –di certo non gli salvava la vita. L’anima.
Per questo l’ordine delle cose funzionava. Così lui funzionava.
E adesso…?
“Oh.” La sentì dire, come da molto lontano. “Beh, sì. Immagino di sì… Ren? Ren, ehi, resta con me!”
Mi hai salvato la vita… – Pensò mentre tutto diventava nero - … Adesso cosa diavolo faccio?
 
 
****
 
Note:
Sorridete! :D

Almeno abbiamo finito questa roba. Prossimo capitolo, un sacco di infermeria e momenti intimistici a valanga. Finalmente.  
Sì, ci sarà Al/Tom, perché sono stata crudele con questi due. Più, sorpresa! :D
Non odiatemi, suppongo non arriverà in ritardo come questo.
1. Qui la canzone.
2. Defluvio sanguinis: incantesimo inventato da me. Non vuol dir niente in latino temo, ma basilarmente, dissangua una persona. Serve per allentare la pressione sanguigna in medimagia, nel caso di Al, per liberarsi dal veleno.

3. Anapneo: incantesimo vero, serve per liberare le vie respiratorie.

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Capitolo 30
*** Capitolo XXVIII ***


Capitolo XXVIII
 


 
 

I broke down and wrote you back before you had a chance to

Forget forgotten
I am moving past this giving notice
I have to go
Yes I know the feeling, know you're leaving
(The Con, Tegan & Sara¹)
 
 
24 Novembre 2023
Hogwarts, Porta Principale.
 
Tom non aveva mai lasciato il fianco di Harry.
Non che non avesse tentato. Albus era disperso da qualche parte in mezzo ad una nebbia che, per quanto si sapeva, poteva nascondere centinaia di Dissennatori e lui era costretto a seguire come un cucciolo obbediente il padrino.

Aveva apprezzato la cosa solo finché era ancora spaventato ed Harry gli sembrava una ragionevolissima ancora.
Poi la tensione si era fatta insopportabile; stare lì, senza fare niente era intollerabile. Sapeva di avere una bacchetta e non di avere Al. Condizione sufficiente per mandarlo nel panico.
Ma quando aveva tentato di defilarsi, approfittando del fatto che Harry sembrava distratto dall’arrivo dei rinforzi tanto attesi dal Ministero, si era sentito afferrare per un braccio.
Harry finge di avere la testa per aria - aveva pensato lucidamente.
“Dove credi di andare, Thomas?” Gli aveva chiesto infatti.
“Non credo che la mia presenza qui sia necessaria.” Aveva tentato con il suo tono più cortese e freddo. Era bastata una sola occhiata per farlo tornare a quando aveva dieci anni: cioè immaturo, stupido e non auto-sufficiente.
“La tua presenza qui non si mette in discussione. Resta fermo dove sei.”  
E per sicurezza gli aveva messo affianco Ron Weasley.

Cioè, praticamente una punizione.
Con gli arrivi delle squadre di rinforzo e l’aggiunta di un piccolo manipolo di Indicibili, la nebbia era stata fatta dissolvere in meno di mezz’ora. A quel punto i Dissennatori erano riparati nella Foresta, alla ricerca di buio: accerchiarli e catturarli grazie ad un robusto cordone di patronus non era stato difficile.
Tom aveva visto tutto dalla sua posizione privilegiata. Lui ed Harry non avevano parlato dei mandanti. Non che non avesse tentato. Ma il padrino ogni volta aveva rimandato la questione ad un secondo momento.
 
“Ne parleremo dopo, Tom… non adesso. Non quando c’è ancora tutto da accertare.” Alla sua occhiata gli aveva sorriso. Uno di quei suoi sorrisi da eroe. “Non ti terrò fuori, è una promessa.”
Non gli era restato che credergli.

 
Se da una parte aveva capito perché il padrino non gli aveva permesso di andarsene, dall’altra aveva avuto solo una gran voglia di spedire schiantesimi a destra e a manca.
Perché se è accaduto qualcosa ad Al, è colpa mia.
È opera della Thule, ne sono sicuro. Quindi è colpa mia.
Se l’era ripetuto più volte, a nastro continuo. A nulla erano valse le parole di Ron, che gli aveva assicurato la presenza di Albus nel castello.
E dovrei fidarmi delle sue parole. No.
Adesso finalmente la situazione si poteva dire risolta: i terreni di Hogwarts erano sgombri da nebbia e demoni. Le delegazioni erano ritornate alle rispettive dimore mobili e i feriti erano stati portati tutti in infermeria. Molte famiglie avevano già preso la strada di casa, adeguatamente rassicurate dal personale scolastico e da quello ministeriale.
Bene. Eccellente.
Ora aveva tutto il sacrosanto diritto di scappare dalle maglie della preoccupazione familiare.
“Voglio andare da Al.” Sbottò all’indirizzo di Harry che varcava con lui il portico in pietra che dava sul portone principale della scuola.
“Non dice altro da due ore amico…” Sbuffò Ron, accanto a loro. “Mi sembra un disco rotto.”
“Va bene.” Gli fu risposto con un sorriso stanco. “Adesso cerchiamo di capire dov’è…”  
Fermò il professor Paciock, che stava portando in braccio fasci di erbe di cui Tom non conosceva la funzione né tantomeno la provenienza.
“Nev, hai visto Albus?”
L’uomo, il ritratto della salda pacatezza, annuì. “Sì, è in infermeria.”
“È ferito?” Forse la sua voce aveva toni di minaccia perché i tre adulti lo fissarono in modo strano. “… Sta bene?” Aggiunse in tono che sperò fosse più calmo.

Ma non credo. Chi se ne importa.
“Sì, quando sono passato e l’ho visto, era sveglio. Credo sia stato morso…”
“… da un Dissennatore?” Chiese Ron con aria allibita. Tom poté leggergli negli occhi una muta domanda.

I Dissennatori mordono?
Normalmente trovava le uscite di quell’uomo idiotiche…
… ma stavolta è la stessa cosa che ho pensato io.
“No, beh… credo dall’acromantula della Prima Prova.” Disse il professore, con aria tra il dispiaciuto e il sottilmente divertito. “Ma sta bene, me l’ha assicurato Ginny prima…”
 “Chi l’ha trovato?” Si informò il padrino che sembrava l’unico poco colpito dall’incredibile modo in cui il figlio di mezzo si era ferito.
Probabilmente perché a lui, alla stessa età, è successo di peggio.
“Credo dei Tiratori scelti, non ne so molto, mi dispiace… scusate, ma adesso devo andare. Servono razioni di Pozione Corroborante. Quella che avevamo in magazzino è finita e sapete bene come diventa Poppy quando finiscono le scorte…” Aggiunse, indicando con un cenno del mento ciò che teneva tra le braccia.
“Certo, non preoccuparti. Quale lettino?”
“Uno di quelli in fondo, sulla destra. Non è da solo comunque, c’è un compagno di Casa con lui…”  

Tom sentì solo la prima parte della frase, poiché avute le indicazioni che cercava, li piantò in asso e corse  verso l’infermeria.
L’enorme sala a volte era invasa da adulti e studenti in egual misura. Molti avevano braccia o gambe fasciate, alcuni brutte tumefazioni, ma generalmente sembrava di essere in un padiglione dove si curava forme influenzali, a giudicare dagli starnuti e dai colpi di tosse.
Raffreddati.
Forse era anche stata colpa della nebbia, che aveva sensibilmente diminuito la temperatura.
Non che gli importasse. Notò con la coda dell’occhio Hermione e Ginny. Erano entrambe occupate a chiacchierare e non si resero conto di lui.
Quando arrivò al lettino però, Tom pensò che avrebbe dovuto ascoltare più attentamente le parole del professor Paciock.
Perché il compagno di Casa non era un compagno qualsiasi: era Zabini.
Michel era seduto in fondo al letto e teneva una mano sulla gamba di Al, che invece era steso a letto, con l’avambraccio stretto in una benda. Chiacchieravano. Al sembrava avere una buona cera, tutto considerato.
Tom sentì il sollievo investirlo, sebbene quella maledetta punta di fastidio non accennò a scomparire.
Perché non mi hai cercato? Io ho cercato te.
Il pensiero si formulò spontaneamente: perché l’altro non si era preoccupato di avere sue notizie?
Michel poi si voltò, e lo intercettò con lo sguardo. A quel punto il sorriso gli scivolò via dalle labbra. Diede un colpetto sul ginocchio dell’altro serpeverde.
“Eccolo lì.” Proferì con tono indecifrabile. Tom avrebbe voluto spedirgli qualche fattura. O forse solo picchiarlo.
Allontanati da lui.
Albus non sembrò notare l’improvviso cambio di atmosfera, perché si voltò con totale tranquillità, prima di regalargli un sorriso sorpreso e felice. “Tom!”
A quel punto, chiamato, dovette avvicinarsi. Al dovette notare la sua espressione perché corrugò le sopracciglia. “Stai bene? Ti sei fatto male?”
“Non sono su un lettino, quindi direi che sto bene.” Si scollò dal palato. “Cos’hai?”
“Paralizzato dal veleno di acromantula.” Spiegò con aria imbarazzata. Perché era imbarazzato?  

“Sei stato morso…”
“Te l’hanno detto, eh?” Fece una piccola smorfia. “In un posto pieno di Dissennatori sono stato l’unico mago capace di farmi attaccare da qualcosa di completamente diverso.”

Ah, è per questo…
Non è divertente. Sei in un letto di ospedale.
Michel fece una bassa risata. Tom pensò che se non avesse tolto subito la mano gli avrebbe spezzato le falangi una ad una.
Non è divertente.
Albus sembrò quasi leggergli il pensiero, perché si affrettò a rassicurarlo. “Ho dovuto prendere una pozione rimpolpa - sangue, per questo non posso prendere l’antidoto. L’una annullerebbe l’effetto dell’altra. Poppy però ha detto che il mio corpo può smaltire naturalmente il veleno, solo ci vorrà un po’ di più. Non è mortale, ecco, per farla breve.”  
Tom non disse nulla. Avrebbe voluto andare da lui, stringerselo addosso, tastarlo. Saggiarlo, essere certo che stava davvero bene. Ma non con l’altro presente.
Che c’era una parte di sé che sapeva benissimo che Zabini sarebbe stato il loro perenne altro.
Michel, dopo un lungo e scomodo silenzio si alzò, sebbene con la solita strafottente calma da dandy.
“Meglio che vada. Ora sei in buone mani… credo.” Aggiunse con una frecciatina che una volta l’avrebbe fatto divertire. Non adesso. “Ed io, in qualità di Prefetto, devo occuparmi che tutti i serpeverde siano in Sala Comune, dopotutto.”
Tom capì ovviamente che era una scusa e dovette capirlo anche Al, perché gli fece uno di quei sorrisi speciali, grati ed omnicomprensivi. “Certo, sicuro. E grazie Mike… te ne devo una!”
“Ti farò sapere allora.” Replicò sardonico quello, prima di allontanarsi. 

Tom appena l’altro se ne fu andato si sentì piuttosto cretino.
Anche perché Al si premurò di fissarlo con il suo peggior sguardo di accusa.
“Sei un cretino.” Gli disse infatti. “Si può sapere cos’era quello?”
“Quello cosa?” Finse indifferenza.
“Ci mancava che tirassi fuori la bacchetta e gli imponessi un duello. Cosa già successa, peraltro.” Aggiunse truce. “Per tua informazione, è a lui che devo la mia presenza cosciente qui.”

“… cioè?”
“Cioè è stato lui a trovarmi.” Spiegò concisamente. Vedendo la sua faccia però, aggiunse altro, probabilmente per pietà, perché i suoi livelli di gelosia ormai avevano raggiunto l’auto-distruzione. “ Avevo perso conoscenza dopo essere stato morso…”
“Ancora non mi hai spiegato come hai fatto.”
“Sono inciampato e la bacchetta mi è caduta nella gabbia dell’acromantula.”

“… inciampato.”
“Sì, certo.” Confermò con disinvoltura anche se era arrossito violentemente sulle orecchie. “Ma non è questo il punto. Fanny. C’era Fanny… non chiedermi cosa ci facesse in giro, ma Mike l’ha vista e l’ha segnalata agli agenti del Ministero. Quelli si sono incuriositi, perché sembrava volteggiasse sopra qualcosa. Qualcuno. Me. Mi hanno trovato così.” Concluse.

“Quindi in realtà è stata la fenice.” Tentò, ma fu subito linciato da un’occhiataccia.
Se Mike non si fosse ricordato che era la mia Fanny, probabilmente a quest’ora sarei pieno di antidoto fino ai capelli e presumibilmente in coma.” Scandì lentamente, come se dovesse spiegarlo ad un bambino tardo. “Avresti dovuto ringraziarlo, non guardarlo come se volessi aggredirlo.”
Tom fu indeciso se infuriarsi, sentirsi miserabile o preoccupato a morte. Odiava provare così tanti sentimenti in una volta sola, lo faceva sentire instabile e sfinito. Quindi si limitò a crollare sulla sedia di fronte al letto.
“Io ti ho cercato… è tutta colpa mia. Perché tu non mi hai cercato?” Gli uscì soltanto, facendolo sembrare un povero e patetico demente.
Non era lontanamente quello che aveva intenzione di dirgli. Aveva intenzione di informarsi, neutralmente, del suo stato di salute. Essere fermo e rassicurante.
Non mettermi a piagnucolare.
Ma sembrava che aprirsi alle emozioni avesse quell’effetto collaterale.
 
Forse aveva un po’ esagerato con Tom.
Certo, il cretino si era comportato come il perfetto cretino possessivo che era ogni volta che c’era in giro Michel, ma stavolta le contingenze quasi lo giustificavano: lui era malconcio in modo piuttosto impressionante – al di là di come si sentiva effettivamente, era paralizzato e con un braccio al collo – e Tom sembrava aver passato delle ore orribili.
Dissennatori. Nebbia. Le abbiamo passate tutti, ma lui ha davvero una faccia spaventosa.
“Sapevo che eri con papà…” Gli disse addolcendo i toni. “È la prima cosa che ho chiesto appena sono venuto qui. Sapevo che eri al sicuro. Mike è rimasto con me, ed è stato lui ad andare a chiedere informazioni su dove fossi, visto che non potevo muovermi. È stato un buon amico.” Rimarcò particolarmente sull’ultimo termine.
Tom non rispose. Si fissava le mani e aveva le labbra ridotte ad una linea sottile.
Al analizzò quindi con attenzione l’ultima frase che aveva detto.
Io ti ho cercato. È tutta colpa mia. Perché tu non mi hai cercato?
È tutta colpa mia.
… Ecco. Capito.
“Perché cavolo pensi sia colpa tua?”  
“La Thule.” Fu poco più di un sussurro, sfuggito controvoglia dalla bocca.
“Scusa… ma non ne abbiamo già parlato? Se c’entra …” Abbassò il tono di voce, ma sapeva che l’altro stava ascoltando. “… se c’entra davvero tuo padre, non è colpa tua. Ma di quel bastardo. Tu sei una vittima, esattamente come tutti noi. Guarda quello che ti ha fatto passare. È uno psicopatico, un sadico. Tu sei solo un po’ scemo…”
Vide le spalle di Tom rilassarsi appena, e seppe che perlomeno stava seguendo la strada giusta. Non che lo capì da nient’altro: Tom continuava a fissare tutto tranne che lui.
Chiuso e misantropico coglione.
Gli venne da pensarlo con affetto e avrebbe voluto tenergli la mano. O perlomeno chiudere le tende e ordinargli di venire lì.
Stupida acromantula.
“Perché non chiudi le tende e vieni qui?” Suggerì perché aveva la voce ed intendeva usarla. Vedendo che veniva ignorato, cambiò registro. “Guarda che non era davvero una domanda.”
Il tono di comando funzionò, perché un attimo dopo le tende erano chiuse e Tom se lo stringeva addosso come se fosse un peluche.
“Ahi, non stringere così… le ho ancora le terminazioni nervose.” Tentò sentendo che gli veniva da ridere per il sollievo. Odiava vedere Tom rinchiudersi nella sua testa. Di solito non ne veniva fuori niente di buono.
E per niente di buono intendo conseguenze spaventose e dolorosissime.
Fortuna voleva che, anche se era tremendo con le parole, perlomeno fisicamente Tom era capace di esternare.
“Va tutto bene, okay?” Gli sussurrò all’orecchio visto che l’altro gli aveva reclinato la fronte sulla spalla. “… sto bene, stiamo bene entrambi. È questa la cosa importante.”
“… va bene.” Gli concesse. Poi fece una breve pausa, atta a ricomporsi.  “Sei paralizzato, non senti il dolore. È così che funziona il veleno di acromantula.” Gli rispose, di nuovo a tono. Lasciò la presa e lo aiutò a riadagiarsi sui cuscini.

Al gli fece il sorriso più convincente del suo repertorio. “Bravo il mio genio.”
Ho già detto quanto odio vederlo con quest’aria spaventata?

 
Al stava bene. Morso a parte, si sarebbe ripreso. Se non c’era nessun famigliare a vegliarlo con la faccia grave d’occasione, voleva dire che sarebbe andato tutto a posto.
Tom cominciò a respirare di nuovo.
“Hai avuto fortuna…” Riuscì a dire. “Non tutti hanno una fenice come gps.”
“Come?”
“Una cosa babbana…” Stornò perché non aveva voglia di parlare di quello. “Di cosa hai sensibilità?”
“Beh, la punta delle dita. La faccia? Milly ha detto che devo controllare se comincio a sentire sensibilità in altre parti… Mike mi stava dando una mano.”

“La mano sulla gamba.” Capì, e si sentì vagamente in colpa. Sapeva di essersi comportato come un troglodita grifondoro con l’ex-amico.  “Michel…”
Forse stavolta mi tocca davvero ringraziarlo.
“Già, non mi stava molestando.” Replicò tranquillo. “Ora, se non hai altro da fare, potresti darmi una mano tu.”    
Sapeva che Al tentava di distrarlo da quello che stava succedendo. Stette al gioco, perché ne aveva un maledetto bisogno. “Devo tastarti?” Si informò quindi,  inarcando le sopracciglia.
Al lo guardò con aria divertita e altrettanto imbarazzata. “Come se non ti piacesse l’idea…”
“Harry potrebbe arrivare da un momento all’altro. Anzi, mi stupisce che non sia ancora qui…” Osservò. “Era dietro di me.”
“L’avrà fermato qualcuno visto che è l’eroe di default per ogni brutta situazione.” Inarcò un sopracciglio in modo piuttosto perverso. “Vuoi baciarmi prima che arrivi o devo trascinarmi fino alle tue labbra?”

Sentire la bocca di Albus sulla sua fu la panacea migliore che gli potesse venir messa disposizione. Era calda, era morbida ed era Al. Infilargli le mani sotto la stoffa leggera del pigiama per toccargli la pelle liscia e tiepida… beh, fu altrettanto soddisfacente.
Improvvisamente il freddo non lo sentì più.
“Molto meglio, eh?” Chiese Al con un sorrisetto che squadernava solo in particolari momenti.
Tipo, in camera da letto.
Tom inspirò appena: okay. Lui non era paralizzato. Non ci si sentì in special modo quando l’altro riuscì a spostare abbastanza la testa per mordicchiargli la porzione di pelle immediatamente sotto l’orecchio.
Questo prima che sentissero tirare la tenda. Due secondi dopo il suo istinto lo fece saltare al lato opposto del letto, in composto e improbabile bilico.
“Oh!” Esordì Harry con aria sollevata. “Sei sveglio Al… come ti senti figliolo?”
“Meglio papà, grazie.” Sorrise il bastardello con aria serena. “Poppy mi ha assicurato che entro domani sarò come nuovo!”

“Sì, me l’ha detto… ci ho parlato prima, assieme a tua madre. Arriva subito a proposito…” Aggiunse il padrino, prima di lanciare a lui un’occhiata preoccupata.
Ho qualcosa in faccia?
“Tom, ti sta venendo la febbre?” Gli chiese con scomoda premura. “Sei paonazzo.”
“… vado a sciacquarmi il viso.” Si schiarì la voce, sentendo che avrebbe dovuto alzarsi con molta attenzione. Fu quello che fece, evitando l’occhiata perplessa del buon padre di famiglia.

Incrociò però quella di Al. Che ghignava.
“Tranquillo papà, si sente meglio adesso.” Disse il maledetto, tramutando quell’espressione mefistofelica in un tenero sorriso. “Non è vero Tom?”
L’aveva appena punito per essere stato orribile con Michel. Glielo leggeva nello sguardo.
A quel punto preferì battere in ritirata: ma non era finita lì.

 “Tom?” Lo richiamò indietro Al.
“… Cosa?” Non gli importava di essere scortese, anche se c’era Harry che li fissava da dietro i suoi occhiali tondi – seriamente, avrebbe mai cambiato modello? – e anche se fino ad un minuto primo avrebbe voluto baciare quella serpe con gli occhioni da Bambi fino all’incoscienza. “Che c’è?”
“Se lo incontri… chiedi scusa a Mike.”
Tom uscì dall’infermeria maledicendo l’intera progenie Potter.

È karma. Non c’è altra spiegazione. Sono il mio tormento naturale.
 
“… sei sicuro che Thomas stia bene?”
Al sorrise al padre. Andava bene così: imbarazzare e far arrabbiare Tom era il modo migliore per scrollargli di dosso i brutti pensieri.

Magari non tanto carino, però… Tom non è una persona carina.  
“Certo. Stuzzicarlo è il metodo migliore per farlo distrarre. E ne ha un gran bisogno adesso.”
Suo padre annuì, con un sorriso stanco. “Hai ragione…”
Perché non è finita.
Al lo lesse nell’espressione nel padre. Lo capì, nella piega serrata delle labbra e nelle sopracciglia contratte.
“Era la Thule papà?” Mormorò. “Sono stati loro, di nuovo?”
L’uomo si sedette sul ciglio del letto. Sembrava molto stanco. Gli strinse un ginocchio, affettuosamente e ad Albus dispiacque essere completamente immobilizzato. Avrebbe voluto abbracciarlo, quel suo genitore che teneva sulle spalle l’intero mondo magico.  

“Sì, Albie… credo di sì.”
Stavolta Al non ebbe voglia di correggere il nomignolo.

 
****
 
Rose aveva dovuto essere Prefetto anche quando non voleva.
Non appena Scorpius era scappato, aveva avuto l’impulso di seguirlo ovviamente. Ma non aveva potuto, perché era stata subito data in consegna ad Hogwarts. E da allora non era riuscita a fare altro che il suo dovere, ovvero portare primini spaventati nella Sala Comune e obbedire agli ordini che Neville le impartiva, spuntando dagli angoli più impensabili del castello. Dopotutto era il suo Direttore.
In un certo senso, era stato meglio così. Aveva riflettuto, da sola, senza che altri potessero interferire con pareri e consigli.
Inoltre, se fosse andato a cercarlo prima, avrebbe finito per peggiorare la situazione, visto che non sapeva esattamente cosa gli avrebbe detto.
Ora invece era giunta ad una conclusione: Scorpius non poteva averla lasciata.
Non così, non all’improvviso… era sotto shock, era spaventato per i suoi genitori.
Ne avevano passate troppo assieme perché tutto finisse tra le urla. In quel modo orribile.
Devo parlargli.
Scese le scale il più velocemente che poté, visto che al momento non aveva nessuna consegna da prefetto a cui adempiere. Non aveva visto il ragazzo per tutto il tempo. Sapeva che James aveva evitato che andasse a buttarsi tra le braccia dei Dissennatori: il cugino gliel’aveva riferito incrociandola una mezz’oretta prima.
 
“L’ho accompagnato in infermeria e poco dopo sono arrivati i suoi, per fortuna. Allora s’è calmato. Per quanto ne so, adesso è con loro.”


Non aveva aggiunto altro, non aveva commentato. Rose gli era stata davvero grata.
Entrò in infermeria e fece una smorfia. C’era tanta di quella gente che avvistare i Malfoy era difficile.
Vide sua madre, e per un attimo fu combattuta se chiedere proprio a lei, anche se sapeva che era lì da un bel po’ e quindi di sicuro li aveva visti.
Al diavolo.
“Mamma!” La chiamò. La donna si voltò con un sorriso di sorpresa.
“Oh, Rosie… pensavo fossi nella Torre.” La frenò subito. “Non c’era una consegna…?”
“Sto cercando Scorpius.” Ribatté, perché se cominciavano a parlar di regole, non avrebbero terminato tanto presto. E lei aveva fretta. Molta. “L’hai visto? Dovrebbe essere con i suoi.”
“Fino a poco fa era in un lettino… mi sembra laggiù.” Indicò una branda vuota e già accuratamente rifatta. “Se n’è andato però, visto che si è ripreso.”

Rose si sentì confusa.
Andato dove? Non è venuto in Sala Comune o l’avrei visto.
“Dove?” Chiese infatti, perché a quel punto non le importava più di trattenersi o fingere che non le importasse.
Peccato che tu non sia stata così avventata prima… Forse Scorpius non ti avrebbe detto quelle cose.
Quella voce nella sua testa era peggio di un calcio nello stomaco.
Hermione le scoccò un’occhiata attenta, prima di scuotere la testa. “Penso a casa. Alcuni studenti sono stati portati via dalle loro famiglie… almeno finché la scuola non sarà dichiarata completamente sicura suppongo non ritorneranno.”
Era proprio una cosa che i Malfoy avrebbero fatto. Era piuttosto chiaro, sin dall’anno scorso, che non si fidavano completamente del corpo docenti, né tantomeno della sicurezza fornita dal Ministero.
Rose sentì lo stomaco stringersi in una morsa.
Non posso permettere che vada via prima di avergli parlato!   
“In… in che direzione?” Chiese, ignorando lo sguardo indagatore della genitrice. Stava cominciando a capire, ma non le importava. Probabilmente persino suo padre, dopo quella sfuriata, era finalmente giunto alla comprensione.
O semplicemente, gliel’abbiamo sbattuto in faccia così chiaramente che non può più fingere di non aver capito.
“Beh, nella direzione dell’uscita.” Rispose sua madre, con uno strano sorriso affettuoso. Sembrava quasi dispiaciuta. Che sapesse? Che suo padre gliel’avesse già detto? O forse zio Harry?
Non mi importa, non mi importa. Devo trovare quell’idiota. Devo trovarlo adesso prima che venga inglobato dalla sua famiglia.
“Già… giusto. Che stupida.”
“Rosie?” La fermò. Sua madre era troppo intelligente per farsi fregare con qualche frase: pretendeva sempre vere spiegazioni. “Cosa c’è tra te e il figlio di Malfoy? State assieme?”
Eccola qui, la domanda.

“Sì.”
Era assurdo, l’aveva detto. Aveva pronunciato quella semplice sillaba con facilità.
Sua madre inarcò le sopracciglia. Niente capelli strappati e urla. Ma non sarebbe comunque stato da lei. “… Oh.” Fu il suo unico commento. “Adesso capisco.”
“Già.” Inspirò appena. Era surreale. In quel momento non si sentiva atterrita dall’averlo detto. Sentiva solo l’urgenza di cercare Scorpius. Tutto lì.
“Senti, resterei mamma… ma devo andare. Ci vediamo dopo.”  
E se ne andò. La sua famiglia poteva aspettare in quel momento.  
Priorità. Dove diavolo è finito?
Non poteva essere andato tanto lontano; di sicuro non poteva smaterializzarsi prima dei cancelli, se era quello il modo in cui i suoi genitori avevano deciso di andarsene.
Corse e sorpassò il portone, sbattendo contro un paio di persona e tirando dritto. Al momento avrebbe persino potuto investire il Ministro della Magia stesso e non curarsene.
Non se ne deve andare, maledizione!
Basta che stia un fine-settimana a casa sua e sarà troppo tardi.
Non per colpa della cupa influenza Malfoy, in realtà. Ma perché Scorpius lasciato stare tendeva ad intestardirsi nelle sue posizioni.
Se quest’estate l’avessimo passata assieme, avrebbe deciso di candidarsi al Tremaghi?
Alla fine lo vide. O meglio, li vide. L’intera famiglia Malfoy, coperta da mantelli e in direzione dei cancelli. Scorpius era trai genitori e dava il braccio alla madre.
Scorpius!” Gridò con quanto fiato aveva in gola. Si voltarono un paio di auror, due famiglie ugualmente in partenza, e tutto il nucleo Malfoy.
Scorpius le rivolse uno sguardo sorpreso.
Sul serio non si aspettava che lo fermassi?
Le si strinse il cuore quando vide quanto fosse pallido. Si accorse anche che non era lui a dare il braccio alla madre, ma il contrario: era Lady Astoria che lo sorreggeva.
Lord Malfoy le scoccò un’occhiata gelida. Da mettere in conto, ma comunque la fece sentire uno schifo.
Scorpius sembrò riscuotersi. “Rosie, ehi.” La salutò. “Sto andando via.” Aggiunse quieto, come se la sua defezione fosse del tutto normale.
“Sì, lo vedo… non sei troppo debole per materializzarti?”
Di tutte le cose idiote che potevo dire…

Scorpius invece le sorrise. “Infatti prendiamo la carrozza di famiglia.”
“Okay.” Non le uscivano le parole, con lo sguardo torvo di Draco Malfoy che la trafiggeva. Sembrava un maledetto avvoltoio in attesa che la preda esalasse l’ultimo respiro.
E la preda sono io.
“Devo parlarti.” Riuscì a dire. “Per favore…” Aggiunse vedendo che esitava. “… solo pochi minuti. Non ci metterò molto.”
“… va bene.” Scorpius sembrò assecondarla, più che avere un reale desiderio e questo le fece malissimo. Ma si rifiutò di mettersi a piangere proprio lì. Davanti ad agenti del Ministero, famiglie in partenza e genitori Malfoy.
Non assicuro per dopo.
“Possiamo parlare, da soli?”  
Scorpius annuì, facendo un cenno ai genitori. “Un momento.” Disse loro, con uno di quei sorrisi incredibilmente gentili che gli rischiaravano i lineamenti appuntiti. “Torno subito.”
Scorpius.” Disse Malfoy con tono di comando. Sembrava implicare un sacco di cose. A quel punto la moglie gli toccò semplicemente il braccio.

“Draco, la carrozza può aspettare qualche minuto in più. Se Scorpius vuole salutare Rose, non vedo dove stia il problema.”
Sa il mio nome?
La sorpresa dovette fargli assumere un’espressione buffa, perché Scorpius le lanciò un’occhiata blandamente divertita.

Allora non mi odi. Grazie a Merlino. Non mi odi. Grazie.
L’uomo invece sembrò estremamente contrariato, ma non aggiunse altro, limitandosi a dare il braccio alla moglie e ad allontanarsi in direzione del sentiero che portava ai Cancelli.
“Allora… un posto tranquillo?” Le suggerì. Sembrava tornato quello di prima. Niente lineamenti stravolti, niente bacchette esplosive. Avrebbe voluto abbracciarlo. Non poteva.
“Sì, ma se non te la senti possiamo rimanere…”
“Un posto tranquillo.” La interruppe. Sorrideva, ma non ci stava provando davvero. “Vieni, ho in mente quale.”
A Rose non restò che seguirlo. Passarono il portone e anche il corridoio centrale. Alla fine arrivarono alla corte delle gobbiglie. Rose c’era stata pochissime volte. Al momento era vuota.

Scorpius si voltò e non disse nulla. Aspettava che fosse lei a parlare.
“Scusa.” Iniziò allora. Fu come rompere gli argini di una diga. “Scusa, perché so che è colpa mia. Quello che è successo, intendo. Con mio padre… avrei dovuto dirgli di chiudere il becco. È stato davvero insensibile e avrei dovuto dirglielo.” Ripeté visto che l’altro non rispondeva. Perché adesso non sembrava la cosa giusta da dire?
Forse perché stai usando il condizionale. Forse perché non le hai fatte, queste cose.
Quella voce interiore era davvero infernale. “Devi credermi, non voglio nascondermi più. Glielo dico, anche adesso se vuoi.” Fece un passo verso di lui e gli prese la mano.
È così fredda…
 
Ventiquattro ore prima avrebbe pagato oro per sentire quelle parole.
Ma adesso era troppo tardi. Scorpius si sentiva solo infinitamente stanco. Di quella situazione, di doversi sempre difendere con le unghie e coi denti, di dover dimostrare a tutti di essere più che perfetto.
Voleva tornare a casa, dove nessuno l’avrebbe messo sotto esame. Voleva solo dormire.
“Non… non dici niente?” Gli chiese.
Rosie…
L’amava. L’amava sul serio. Non erano in uno di quegli orribili racconti rosa, dove un errore ti faceva passare da un sentimento all’altro con la disinvoltura di uno schizofrenico.
Amava quella buffa e brillante streghetta. Ma in quel momento non era abbastanza.
Forse era infantile, ma Rose l’aveva abbandonato. Aveva preferito non prendere le sue parti, e rimanere spettatrice.  
Non riusciva a scacciare quella sensazione, per quanto razionalmente ci provasse.
Inspirò lentamente. L’aria era tornata limpida e pura. La nebbia era scomparsa. Il terrore, pure. Ma non poteva rimanere lì, non in quel momento.
Solo un po’ di giorni… Scappo solo per un po’.
“Ho bisogno di stare per conto mio…” Le disse, e ci mise tutta la gentilezza che poteva, anche se non gliene era avanzata molta. “Devo rimettermi in sesto, perché mi sento uno schifo.”
Sapeva che l’altra apprezzava la sincerità, perché non cercò di obbiettare. Lo guardava con quei suoi meravigliosi occhi intelligenti. E tristi.

“Mi dispiace per quello che è successo con…”
“Non è per tuo padre.” La bloccò. “Non solo almeno. Credo semplicemente di aver raggiunto il limite. Ho bisogno di ricaricarmi e qui non posso farlo. C’è troppa gente, troppi occhi. Non voglio sembrare egocentrico…” Riuscì a sorriderle. “… ma non mi va, capisci?”
“Credo di sì.” Rose si morse un labbro. “Però… c’è una cosa che non… io.” La sentì distintamente trattenere il respiro. “Ci stiamo lasciando?” 

 
Non aveva mai visto Scorpius così serio. Certo, un paio di volte, ma mai serio con lei.
Per lei aveva sempre gran sorrisi e ironia. Adesso era come…
… come se fossi una degli altri?
Scorpius si ficcò le mani in tasca. Non era un buon segno quando lo faceva. Voleva dire che era in difficoltà.
Non ha il coraggio di dirmelo? Certo che ce l’ha. Ora lo dirà. Dirà che l’ho deluso e ferito e mi pianterà.
Sapeva di essere insicura fino alla patologia, ma benedetto Merlino, non ne aveva forse donde, quando il suo ragazzo – ancora per poco? – aveva quell’espressione così afflitta addosso?
“Io…”
“Ti prego, non farlo. Non lasciarmi. Io ti amo.” Le uscì di getto, in modo mostruosamente inadeguato. Lo sapeva che non si doveva supplicare in quei casi. Era stupido, era buttare alle ortiche l’orgoglio. Era patetico.
Ed ovviamente l’ho fatto. Singhiozzando. Sei finita, Rose.
Scorpius però non sembrò pensarla così. Perché tolse le mani di tasca e l’abbracciò. La stretta era leggera, gentile. Rose la ricambiò sforzandosi di non aggrapparcisi.
Fallì.  
“Sciocca Rosey-Posey …” Lo sentì mormorare trai suoi capelli ed ecco di nuovo quel tono affettuoso e ironico. Il suo tono. “Non è questo quello di cui stiamo parlando…”


Non voleva che fosse un addio. Era melodrammatico e non aveva intenzione di fare di Rose un’eroina romantica.
Anche perché non ne sarebbe capace. Rosie e il romanticismo sono agli antipodi.  
Le prese il viso tra le mani, fingendo di non sentirsi uno schifo per averla fatta piangere. Altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte.
“Senti, sono perdutamente innamorato di te.” Le disse, perché di quello era sicuro. “Mi hai ferito, ed io ferito te con quella cretinata della scelta. Lo so.” Aggiunse, vedendo che tentava di protestare. “Ho bisogno di tempo però. E ne hai bisogno anche tu.”
“Una pausa.” Intuì Rose e sembrò che avesse voglia solo di piangere più forte. “Non… non finiscono mai bene le pause. Roxanne ne ha prese tante, e sono finite tutte…”
“Ehi.” La bloccò, asciugandole le lacrime con il proprio fazzoletto. “No. Quando dico pausa, io la intendo.” Fece un passo indietro perché più la toccava, più il suo autocontrollo cedeva.

Era ferito, era arrabbiato. Ma sembrava che non funzionasse granché bene di fronte alla sua principessa in lacrime.
“Cosa vuol dire pausa? Il significato.” Le chiese invece.
“Intervallo… sospensione momentanea di un fenomeno.” Replicò perché era prima della classe nell’anima. Tirò su con il naso, lanciandogli un’occhiata confusa. “Perché?”
“Perché noi siamo quel fenomeno. E per quanto mi riguarda, non siamo destinati a finire.” Si passò una mano trai capelli per tenerla da qualche parte. Aveva voglia di asciugarle le lacrime o abbracciarla e sapeva che sarebbe stata una pessima idea. “Ho bisogno di allontanarmi da questo circo, come ti ho detto. Starò un po’ a casa… forse qualche settimana, il tempo che ci vorrà.”
Non le stava dando dei tempi netti, ne era consapevole. Non le stava dicendo ‘tornerò e sarà tutto come prima’. Forse avrebbe fatto piangere e arrabbiare una ragazza meno forte, ma Rose invece gli fece un sorriso. Piccolo, ma saldo. Perché era Rose Weasley, non una qualunque. Un piccolo fuoco di testardaggine, forza e generosità.

“Allora…” Gli mormorò con tono di nuovo fermo. “… torna presto Malfoy. Io ti aspetto.”
 
 
So please remember that I'm gonna follow through all the way²…
 
****
 
Lily era rimasta al capezzale di Sören per un’ora: tutto si era sistemato, la nebbia era scomparsa, i Dissennatori erano stati catturati e…
Nessuno era venuto a trovarlo. 
Nessuno della sua scuola era venuto a vedere come stava, neppure per un veloce controllo delle sue condizioni di salute. Nessuno l’aveva cercato, in parole povere.
Tutti gli studenti di Durmstrang, per quello che era venuta a sapere chiedendo un po’ in giro, erano chiusi dentro il vascello.
È assurdo.
Passasse pure per i compagni ordinari, che non sembravano sprizzare empatia e umana partecipazione per la disgrazie altrui: ma dov’era finito la sua spalla, il suo assistente, quel russo sgradevole?
Volatilizzato nel nulla? Risucchiato in vortice spazio-temporale?
Aveva dovuto chiamare aiuto per farsi scortare da qualcuno fino all’infermeria.
Perché non sono così brava con il wingardium leviosa da trasporto feriti e non volevo fargli più danni di quanti già non ne avesse.
Un guaritore, uno dei tanti accorsi dal San Mungo viste le contingenze, l’aveva poi visitato perché lei l’aveva praticamente placcato. Gli avevano quindi curato la ferita alla testa – era davvero larga e impressionante – e fatto bere una pozione fumante. Qualcuno doveva comunque restare nei paraggi e controllare se ci fossero stati cambiamenti nelle sue condizioni.
Ed indovina a chi tocca? A me! Non che mi spiaccia… ma non dovrei esserci io al suo capezzale, a conti fatti.
Appoggiò un gomito al bracciolo della poltrona: si era ovviamente allungata con le gambe sul letto.
Se devo stare qui forse per ore… beh. Mi metto comoda.
Aveva lasciato le tende socchiuse. Sapeva che a Ren avrebbe fatto piacere svegliarsi senza vedere caos attorno a sé, ma prima o poi qualcuno dei suoi sarebbe venuta a cercarla.
O magari qualcuno dei tuoi si accorgerà che finalmente non ci sei…
Come cavolo si fa a dimenticarsi del proprio Campione?
Lo osservò con attenzione, visto che non c’era molto da fare. L’amico sembrava immerso in un sonno profondo, di quelli senza sogni. Era tranquillo, per fortuna. Però aveva addosso i segni di una brutta ed intensa fatica.
La Prova, direi.
Gli accarezzò il viso con la punta delle dita. Sören si limitò ad aggrottare leggermente le sopracciglia.
È proprio a pezzi… sembra persino dimagrito.
Non che fosse un brutto ragazzo. Certo, di primo acchito aveva le labbra troppo sottili e gli zigomi troppo pronunciati. Anche i capelli, avevano un taglio tremendo da nobile gioventù magica.
Però se si guardava meglio si notava i lineamenti regolari, il modo gentile con cui si spianavano le sopracciglia quando si rilassava. Anche quando sorrideva, aveva le fossette.
E poi vabbeh, gli occhi.
C’è bisogno di una seconda occhiata, caro il mio Ren. Ma vali davvero la pena.
Sören … era complesso. Era come se avesse degli strati.
Ed io ho la vaga impressione di averne sfogliati solo un paio.
La cosa la attraeva e l’allarmava al tempo stesso. Era una sensazione vaga, e succedeva sempre quando la guardava negli occhi troppo a lungo.
Non che succeda spesso… è troppo cavaliere per mettersi a fissarmi.
Però quando succedeva, quella sensazione le si annidava dentro e non voleva andarsene.
Lily sospirò: era stata una lunga giornata e indulgere in quei pensieri non era una buona idea.
Si guardò attorno: aveva intravisto i genitori e si era anche informata delle condizioni del resto del clan. Non che sia stato particolarmente difficile. Siamo sempre sulle luci della ribalta…
Però voleva andare a trovare Al, che sapeva dall’altra parte dell’infermeria.
Dovrei proprio andare… o mi becco la palma di sorella peggiore dell’anno.
Tanto Ren dorme…
Si alzò a sedere, chinandosi sul ragazzo. “Ti lascio solo qualche minuto, vado a vedere come sta mio fratello… tu fa’ il bravo.” Mormorò, certa che comunque non potesse sentirla.
A quel punto Sören le afferrò di scatto un polso. Sussultò sorpresa. Era sveglio?
Occhi chiusi. Dormiva ancora profondamente.
… è un riflesso condizionato.
Sorrise appena, sentendo una stretta al cuore. “Okay Ren… tranquillo. Resto qui…” Si risedette, coprendo la mano dell’altro con la sua. Solo allora la presa fu allentata. “Non vado da nessuna parte.”
Non è sveglio, eppure si è accorto che me ne stavo andando… Quante diavolo di volte l’hanno abbandonato perché abbia un riflesso così?
Non che fosse un esperta di psico-magia: solo conosceva un’altra persona che aveva riflessi del genere.
Papà. Che ha una storia di abbandoni niente male.
Sua madre le aveva raccontato, in una sera di comunione tra donne, che quando era incinta di James non era raro che dovesse alzarsi la notte per andare in bagno. E tutte le volte doveva svegliare suo padre, perché l’afferrava nel sonno e non la mollava.
E se io non posso svegliare Mister Koala…
Non le restò che ingegnarsi perché la sistemazione non le fosse scomoda.
La noia non fece tempo a sopraggiungere, perché qualcuno scostò le tende: era Tom, in jeans e maglietta con strambi disegni geometrici babbani ³.
Oh, ah. Pink Floyd. Un altro gruppo rock. Carina però.
Questo le ricordò quanto intensamente volesse cambiarsi.
“Ah, mi sembrava fossi tu…” Esordì quello come se vederla piegata come un origami su un ragazzo fosse una cosa perfettamente normale. “Che cos’ha?”
“Botta in testa.” Spiegò concisa, perché delle spiegazioni del guaritore non ci aveva capito poi molto. Solo la parte sul vegliare. “Tu?”
“Niente. Zio Harry mi ha impedito persino di rompermi un’unghia. Non li ho neanche visti, i Dissennatori.” Spiegò, come se fosse una cosa irritante. “Ti sta stritolando il polso o sono io?” Aggiunse inarcando un sopracciglio.

“Tu hai un succhiotto enorme sul collo, o sono io?” Replicò facendolo avvampare. Era un fenomeno così raro che andava gustato al suo meglio. 
“Sei tu.” Borbottò coprendosi inutilmente la parte incriminata. “Che cosa gli è successo esattamente?”
“Quanto sei noioso…” Replicò, però sotto il suo sguardo sezionante, fu costretta a continuare. “Credo sia caduto mentre scappava dalla tenda dei campioni. L’ho trovato io, e c’era un Dissennatore… ho fatto scappare il Dissennatore. Ho chiamato aiuto. Siamo qui.” Concluse.

Tom la guardò per un lungo momento senza dire niente. “Hai prodotto un patronus?”
“Sì, però se lo dici in giro non ti crederà nessuno, ho idea.”

“Sei piuttosto stupida a far finta di essere stupida.”
“E tu a far finta di essere un misantropo quando in realtà ti piace un sacco di gente.”

Dovettero raggiungere una tregua con quello scambio di battute, perché Tom sospirò e a lei venne da ridere. “Vuoi che ti faccia compagnia?” Le chiese poi, lanciando un’altra occhiata a Sören. Sembrava volerlo studiare, tra la curiosità e la preoccupazione.
Curiosa espressione davvero.
“No, tranquillo. Però vorrei sapere come sta Al…”
“Bene.” Si incupì improvvisamente l’altro. Quasi ringhiò. “Maledettamente in forma, quella serpe.”  

“C’entra il succhiot…”
“Non voglio parlarne.” Tagliò corto facendola ridacchiare. “Quindi non si sveglierà in tempi brevi?”
Lily lo guardò perplessa. “No, non credo… Il guaritore ha detto che non dovrebbe farlo prima di domani. Perché?”

“Voglio controllare una cosa.” Si avvicinò, chinandosi sul braccio destro di Sören e tirando su la manica della casacca.
“Che fai?” Chiese incuriosita. Tom non rispose, ma esaminò invece con attenzione il braccio. Lily non capì: era solo un braccio.
Un braccio normale?
Anche Tom sembrò pensarla così, ma ne fu anche contrariato. “Non capisco…” Disse poi.
“Non capisci cosa?”
“Niente.” Ovviamente. Non che si fosse aspettata una risposta diversa.

Tom Mille Segreti. 
La sua richiesta di chiarimenti fu fermata da un’ulteriore entrata in scena, con tanto di tende scostate con violenza. Era Poliakoff.
“Ah, è qui! Meno male…”Borbottò in un inglese approssimativo. Lily ebbe voglia di alzarsi e piazzargli uno schiaffo in faccia, un bel cinque dita con tanto di sonoro.
Molto più gusto che ad usare la bacchetta.
“Ah, sì, è qui.” Le uscì, e non le fregò proprio niente di risultare sgarbata. “Ma fai pure con comodo… tanto non è che scappi. Visto che è incosciente.”
Il ragazzo ebbe perlomeno il gusto di sembrare un po’ a disagio. “Io ti ho persa di vista… c’era nebbia.”
“Bastava chiedermi di rallentare.” Finse di non notare le sopracciglia inarcate di Tom. Sapeva che era raro vederla così arrabbiata. E sapeva di avere probabilmente le orecchie rosse.
Merlino, odio quando mi succede. E mi fa arrabbiare ancora di più!
Poliakoff si strinse nelle spalle. “Sì, ma lui sta bene, no?” Gli lanciò un’occhiata sommaria. “Io ti ringrazio da parte della nostra scuola, ma ora dobbiamo spostare.”
“Spostarlo? E dove? Sta male!”
“In nave. Durmstrang si occupa di suoi studenti. È così.” Sbuffò quello, come se quella conversazione fosse inutile e fastidiosa. “Su, sciò.”

Sciò?!
A quel punto ritenne doveroso piazzare quello schiaffo.
La guancia tonda del ragazzo fece un suono piuttosto pieno e soddisfacente.
Poliakoff la guardò con gli occhi sgranati per qualche secondo. Probabilmente, rifletté Lily, non era abituato all’idea che qualcuno potesse osare schiaffeggiarlo come l’idiota che era.
“Tu, piccola schifosa!” Sbottò, mettendo subito mano alla cintura, dove teneva la bacchetta.
Lily fece un passo indietro, ma Tom si mise subito tra lei e il russo, estraendo la sua e puntandogliela al petto.

“No, non lo farei se fossi in te.” Gli comunicò calmo.
Mmh. Sexy.
Magari era un’impressione, ma a Lily sembrava sempre che tra maschietti, la lunghezza della bacchetta fosse importante. E che intimorisse chi non la poteva vantare. Come stava succedendo al durmstranghiano.
“Che bel legnetto, Kirill…” Cinguettò. Tom le lanciò un’occhiata tra l’esasperato e il divertito.
Ah, Tommy. Sei un tipo sveglio, sapevo che avresti capito…
L’altro fece un passo indietro. Era chiaro fosse combattuto tra il difendere il suo onore e l’idea di scontrarsi in infermeria con un altro studente.
“Voi non avete diritto…” Tentò.
“Sì invece.” Ritorse anche se probabilmente non era vero. “E questo atteggiamento antipatico non ti porterà da nessuna parte. Specie la parte sull’insultarmi.”
Poliakoff a quel punto capì di essere in inferiorità numerica. E pure intellettuale. “Herr Direktor!” Esclamò quindi a voce piuttosto alta. “Herr Direktor! 
Tom abbassò subito la bacchetta. L’uomo infatti entrò pochi attimi dopo. Era parecchio alto, e torreggiava su entrambi. Il che era notevole, vista l’altezza di Thomas.
“Cosa succede? Ci sono problemi a spostarlo?” Chiese in inglese, una cortesia che Lily sapeva essere solo di facciata.
“Non proprio signore. Questi due studenti me lo impediscono.” Spiegò il russo con tono petulante. Sul serio, lo era. “Sono diventati aggressivi.”
“Non siamo due cani.” Osservò Tom, con quel tono che Lily un pochino gli invidiava. Lei, se la cosa le premeva, si scaldava subito. Tom invece faceva sembrare stupido l’interlocutore. “Comunque, non sta a voi decidere se spostare un paziente dell’infermeria. Ma a Madama Chips. Se ne è al corrente, nessuno qui avrà obiezioni…”

Lily capì immediatamente, dalle loro espressioni, che nessuno dei due aveva pensato a quell’aspetto. Le venne da sogghignare, e lo fece.
Alla faccia vostra!
Non riusciva a capire come mai ci fosse stata quella tempistica strana, comunque. Per un’ora buona nessuno era venuto a chiedere niente, e poi improvvisamente si presentavano assistente e preside con quella richiesta assurda.
Sono l’unica a cui non torna?
“Vado a chiederglielo subito!” Esclamò e aprì le tende per andare a cercare l’anziana guaritrice. Non ci mise molto a trovarla e anche meno ad esporle il problema facendola indignare.
Due minuti dopo esatti, i due stranieri ebbero un rifiuto netto e deciso. A nulla valsero le assicurazioni del Preside.
“Questo ragazzo è sotto la mia diretta tutela da quando ha messo piede in questa infermeria. Non se ne andrà finché non sarà in grado di farlo con le sue gambe. Fine della storia.” Sbottò spiccia la donna.
Lily gongolò a vedere l’aria inferocita di Poliakoff.
Deve proprio bruciarti che una ragazza ti abbia schiaffeggiato e una donna ti abbia ordinato di levarti dai piedi, eh?
Il Preside au contraire incassò il colpo senza fiatare: fece un lieve cenno della testa e disse qualcosa circa la sua sicurezza sul fatto che Sören sarebbe stato trattato bene. A Lily sembrò piuttosto sollevato.
Che schifo di figura di riferimento. Se avessi un direttore del genere mi farei trasferire.
Poliakoff invece, quando l’uomo se ne fu andato, le si fermò davanti. “Te ne pentirai, sai inglesina?” Soffiò incattivito. 
“Cos’è, una minaccia?” Replicò, sentendosi coraggiosa. Però cercò anche Tom con lo sguardo e fu lieta di trovarlo accanto a sé.
Il russo fece un sorriso sgradevole. “Oh, no. Non è di me che io parlo.” Replicò, prima di fare un inchino sarcastico e allontanarsi, seguendo la scia del proprio Direttore.
Lily si voltò verso Tom. Che non guardava lei, ma il ragazzo ancora addormentato. Sembrava aver preso una sorta di decisione, dallo sguardo e dalla linea salda della mascella.
“… secondo te che voleva dire?”
L’altro le lanciò un’occhiata. “Niente.” Disse scrollando le spalle. “Voleva soltanto avere l’ultima parola.”
A Tom qualcuno doveva proprio dire che era pessimo, ad inventarsi le bugie.
 
 
****
 
Vascello di Durmstrang.
Stanza di Luzhin e Poliakoff.
 
Poliakoff era nervoso quando aprì il baule di Sören. Non era sua l’attrezzatura e fino a quel momento, non era stato suo il compito.
Si umettò le labbra, cercando di contenere il trionfo e lo spavento che si sentiva in ogni angolo del corpo.
Gettò una manciata di polvere volante dentro il piccolo fuoco portatile e poco dopo le fiamme gli restituirono i lineamenti di Alberich Von Hohenheim.
Si inchinò velocemente. “Per la Thule, Magister.”
L’uomo fece un breve cenno con la testa. “Parla Poliakoff.”

“C’è stato un incidente. Sören è rimasto ferito, ma non è nulla di permanente, me ne sono assicurato personalmente.” Snocciolò sentendosi il fiato corto. “Adesso sta riposando nell’infermeria di Hogwarts. Le sue condizioni sono buone.”  
Nei lineamenti dello stregone non passò alcuna emozione. “Pensavo i vostri feriti li curaste nel vascello.” Fu l’unico commento.
Kirill deglutì sentendo saliva e nervosismo scendergli in gola. “Infatti di solito è così. Purtroppo gli inglesi non ce l’hanno lasciato lasciato fare. Sören è stato ritrovato da loro. Ho chiesto aiuto al Direttore, ma non abbiamo potuto fare nulla. Sanno essere testardi, e quella sgradevole ragazzina, quella Potter… è stata lei a strillare perché non fosse spostato.”

Hohenheim lo lasciò parlare, ascoltando con attenzione. Il piacere che ne derivò per Kirill fu quasi fisico. Suo padre l’aveva sempre considerato un buono a nulla, un frutto marcio dello stame di famiglia.
Ed ora Hohenheim conferiva con lui. Nemmeno suo padre era mai riuscito ad arrivare a tanto.
“L’ha protetto?”
“Non troverei definizione migliore, Eccellenza…” Confermò. “Penso vorrà sapere che con la Potter c’era anche Thomas Dursley.”
Tutti conoscevano l’importanza di quel ragazzo per il Magister, anche se lui personalmente non ne sapeva il motivo.

Forse lo conoscerò, con Sören fuori gioco.
“Molto bene.” Era soddisfatto? A Kirill lo sembrava. “Devono fidarsi di mio nipote, Poliakoff. Deve entrare nelle loro vite. Se diventa un protégé di quel piccolo…” Fece una smorfia di derisione. “… clan, metà del lavoro è compiuto.”
Poliakoff annuì, anche se non sapeva che lavoro stessero esattamente compiendo. Certo, sapeva in che modo l’avrebbe fatto, ma non perché. Non che avesse la minima importanza per lui.
Ce l’ha solo nel modo in cui può migliorare la mia posizione.
Se fosse uscito bene da quella storia, forse la sua entrata nella Thule sarebbe stata anticipata al suo diploma.
Il più giovane membro dell’Organizzazione…
“Di certo lo è diventato per la Potter.” Commentò sarcastico. “Sembra che gli si sia molto affezionata.”
Quella sciocca mocciosetta credeva Sören un principe azzurro solo per i suoi modi e i suoi lineamenti nobili. Credeva lui quello cattivo solo perché non era pieno di cortesie come il principino.
“Molto bene, Poliakoff.” Era una sua impressione o c’era del compiacimento nel tono del Magister? Si inchinò ancora più profondamente. “Stai facendo un buon lavoro. Naturalmente, piccole iniziative personali verranno premiate…” Kirill alzò la testa, che aveva tenuta bassa tutto il tempo: che avesse capito? Non gli diede il tempo di chiedere. “… ma ricorda il tuo compito principale.”
Il russo annuì. “Non lo dimentico. Sorvegliare Vostro nipote, Eccellenza.”
Gli equilibri in questa squadra non sono quelli che pensi tu, principino…
Non sono solo io quello in prova. Lo sei anche tu.
 
****
 
Note:


1. La canzone che mi ha fatto da colonna sonora qui .
2. Quella da cui è presa la strofa.
3. La maglietta in questione qui . Sì, a Tommy piacciono tanto. Lily invece li conosce solo di nome e grazie ai programmi di musica babbana alla radio.

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Capitolo 31
*** Capitolo XXIX ***


Capitolo XXIX
 



 
Ho avuto tanti coltelli bloccati dentro di me, quando mi danno in mano un fiore,
non riesco a capire di cosa si tratta. Ci vuole tempo.
(Charles Bukowski, Urla dal balcone)  
 
You know that I could use somebody, someone like you¹.
(Kings of Leon)
 
 
25 Novembre 2023
Scozia, Hogwarts. Infermeria della scuola.
Mattino.


Sören si svegliò con un dolore atroce alla testa. Come se una lama gli stesse trapassando il cervello da parte a parte.
Era nell’infermeria di Hogwarts.
È già la seconda volta…
Batté le palpebre, mettendo a fuoco il mondo. Era una mattina luminosa, e pulviscolo dorato dovuto alla luce che riempiva la stanza rendeva palese la bella giornata.
Quanto ho dormito…?
Si passò una mano sulla fronte, trovandola fasciata. Era una fasciatura che correva lungo tutta la testa, ispessendosi sulla tempia sinistra. Era lì, la ferita. La sentiva pulsare tenacemente.

Si alzò a sedere sul letto, ma dovette fermarsi a metà strada perché la stanza cominciò a girargli attorno e un conato di vomito quasi gli tolse il fiato.
Maledizione.
Non ricordava come si fosse ferito. L’ultima cosa di cui aveva memoria era l’arrivo dei Dissennatori nella tenda e la conseguente difesa con i patronus. Sapeva che c’era qualcos’altro però…
Lilian.
Il ricordo lo assalì con la potenza di un maremoto: Lily gli aveva salvato la vita. No, non solo. Gli aveva salvato l’anima.
Sentì il peso di quella rivelazione schiacciarlo. La ragazza che si supponeva avrebbe dovuto sorvegliare per la Thule gli aveva dato un debito che non sarebbe mai riuscito ad estinguere.
Lo stesso debito che aveva con Hohenheim. Un debito di vita.
Sentì le tende scostarsi, ed entrò la giovane aiuto-infermiera. “Oh, ti sei svegliato… come ti senti?”
“Cosa… cosa mi è accaduto?” Doveva concentrare i suoi pensieri su altro. Sul capire come si era ridotto in quelle condizioni, ad esempio.  
“Hai ricevuto una brutta ferita alla testa. Dopo averti curato ti è stata somministrata una pozione soporifera per aiutare il tuo corpo a riparare il danno naturalmente.” Gli venne spiegato.
“Mi sento ancora debole…”
“È normale.” Lo rassicurò l’infermiera. “Hai perso molto sangue durante la medicazione, hai bisogno di rimetterti in forze.” Lo aiutò poi a sistemare i cuscini di modo che fosse seduto senza tuttavia sentir fastidio alla testa. “Adesso devi pensare a riposare. Entro un paio di giorni sarai come nuovo.” Gli assicurò. “Vuoi fare colazione?”
“No, la ringrazio. Magari dopo.” Sorrise con cortesia. Non doveva mostrarsi nervoso o scostante o probabilmente avrebbe capito quanto volesse andarsene. Lasciò quindi che facesse i controlli di rito. Mentre gli passava la bacchetta accesa da un tenue lumos davanti alle pupille per controllargli i riflessi, Sören non poté fare a meno di chiedersi dove diavolo fosse finito Poliakoff.

Quell’idiota è il mio unico aiuto e contatto con mio zio. Sarà stato lui a riferirgli della riuscita dell’operazione. Ne sarà stato estasiato.
“Qualcuno è venuto a trovarmi?” Si informò neutro. La ragazza fece un sorriso, come se sapesse a chi lui si stesse riferendo.
“Se intendi Lily Potter è stata qui fino alla fine dell’orario di visita…”
Questo non lo fece sentire meglio. Ignorò forzosamente l’istinto di chiedere se la grifondoro avesse riportato danni di alcun genere.
Dopotutto ha affrontato un Dissennatore…   
Non era quello che gli interessava. Se lo ripeté più volte prima di convincersi. “No, intendo qualcun altro. Qualcuno della mia scuola.”
L’infermiera sembrò delusa dalla sua reazione fredda. “No, nessuno mi sembra…”

Non era una risposta definitiva, ma comunque ebbe il potere di inquietarlo: perché Poliakoff non era lì? Dov’era?
Devo sapere se ci sono stati problemi.
Devo parlare con zio. Devo sapere cosa devo fare adesso.   
Aveva bisogno di risposte, perché senza di esse sarebbe probabilmente impazzito. 
“Quando potrò lasciare l’infermeria?”
“Non lo so. Non sta a me deciderlo, mi dispiace…” La donna ripose la bacchetta e gli riempì un bicchiere d’acqua. Lo bevve avidamente. Fino a quel momento non si era accorto di quanta sete avesse. Perché non era importante. “Madama Chips verrà a visitarti tra poco. È lei che firmerà eventualmente il tuo foglio di dimissioni.”
“Sto bene. E posso riposarmi anche nel mio vascello.” Insistette. “Contatti il mio Preside, le dirà la stessa cosa.”

Sono uno studente adesso… non ho alcun potere di impormi, maledizione.
“Credo ci sia già stata una disputa su questo…” Replicò quella. “Tutti gli studenti che si fanno male ad Hogwarts, sono curati nell’infermeria della scuola. Sono le regole.” Gli mise una mano sulla spalla e lo spinse nuovamente contro i cuscini, con ferma gentilezza. “Pensa solo a riposarti. Sei al sicuro qui.”
Sören trovò irritante quella rassicurazione. Non era certo spaventato o in pericolo.

Io faccio parte del pericolo…
Ma lasciò che l’infermiera gli sistemasse le coperte e sprimacciasse una seconda volta i cuscini.
Ho davvero un aspetto così miserabile, che giustifico tutte queste premure?
Quando se ne fu andata, fissò gli occhi al soffitto e si impose di ragionare senza farsi divorare dall’ansia: quello stato mentale non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Fai il punto della situazione. Adesso.
Il piano era riuscito, per quanto gli era stato dato di vedere.
… e sperimentare sulla mia pelle…
A quel punto avrebbe dovuto avere nuovi ordini. Senza Poliakoff o il fuoco portatile nella sua cabina però era in una situazione di stallo.
Aveva molte domande che gli si avvicendavano in testa, e ben poche risposte.
Perché Lily era lì? Come ha fatto a trovarmi?
E la peggiore di tutte.
Cosa dovrò fare del debito che ho contratto nei suoi confronti?
Sören si riteneva molte cose. Un soldato, uno studioso, un servitore e uno strumento nelle mani di fini più grandi di lui. Ma aveva una cosa che talvolta lo faceva sentire migliore di gente come Kirill o John Doe: un codice morale.
Opinabile, forse. Ma mio.
Era stato suo padre a tramandarglielo, se questa era la parola giusta: Elias Prince era stato un uomo freddo e chiuso, un mago che aveva votato la vita alla ricerca, ma anche se era stato sterile nell’affetto, gli aveva tramandato dei valori. Quelli ed un anello, era tutto quello che gli era rimasto di lui.  
 
“Ricordati Sören che dovere la vita ad una persona porta al massimo grado di rispetto che puoi provare per un altro mago. È ciò che provo per tuo zio Alberich. È una consegna che non si dimentica mai.”
 
C’è un problema padre. Io provo tutto questo per la mia… vittima?
Cos’è Lily poi?
Non in generale. Perché in generale Lilian Potter era solo una strega quindicenne: con capacità spesso nascoste e interessanti e dotati di un dono singolare, ma nient’altro.
Ma per me. Cos’è per me?
Per Luzhin, l’identità che si era costruito, era un’amica. Ma per lui?
Si passò una mano sul viso: era maledettamente confuso.
Doveva parlare con suo zio, a qualunque costo. L’ansia gli stava rodendo lo stomaco come un parassita con la sua pianta ospite. Non avrebbe retto a lungo quei lenzuoli inamidati e quell’immobilità.
Sbirciò oltre le tende: l’infermeria era deserta. Probabilmente chi era stato ferito il giorno prima si era rimesso a sufficienza per poter tornare a casa.
Scostò le coperte e mise i piedi a terra. Il capogiro lo aggredì di nuovo ferocemente, ma dopo qualche attimo per fortuna si calmò, lasciandolo solo un po’ stordito.
Devo tornare al Vascello. Adesso.
Trovò i propri vestiti piegati ordinatamente dentro l’armadietto a fianco del letto, come l’ultima volta. Erano quelli con cui aveva disputato la Prova, ma erano stati lavati e ripuliti dalla terra e dal sangue. Li indossò, sentendo che ogni movimento gli strappava un po’ dell’energia che aveva recuperato. Infilò poi la bacchetta nei passanti e calzò l’anello dei Luzhin.
Gli sembrò che gli stringesse l’anulare come un nodo di corda grezza.
Osservò l’aiuto-infermiera rifare un letto, e quando gli diede le spalle sgusciò via dalla sua posizione e in pochi attimi raggiunse il portone.
Quando si trovò nel corridoio però sentì la nausea esplodere e la vista gli si offuscò. Si appoggiò ad un muro, inspirando lentamente.
Quanto forte ho battuto la testa per ridurmi così?
Sempre che l’avesse battuta.
Il dubbio si insinuò con la velocità di un serpente. Era strano che si fosse causato un danno simile, persino in una situazione di caos e panico come quella che aveva vissuto.
Anche se qualcuno mi avesse spinto… non ricordo di aver perso il controllo della situazione. Stavo uscendo assieme agli altri, affrettandomi come gli altri… ma non ricordo nessuna spinta, né che qualcuno mi sia venuto addosso. Erano quasi tutti davanti a me.
Chiuse un attimo gli occhi. La cosa gli diede sollievo. Non sentiva voci o rumori attorno a sé: probabilmente gli studenti a quell’ora dormivano ancora o stavano facendo colazione in Sala Grande, quindi ben lontano da dove si trovava.
Meglio così. 
Non aveva voglia di vedere nessuno. Solo Poliakoff e suo zio via fuoco magico. Non voleva vedere Lily.
 
“Se posso permettermi un consiglio, avrebbe dovuto ascoltare Milly, Signor Luzhin.”

La voce lo colse completamente di sorpresa. Sören si voltò, cercando l’origine di quelle parole, ma non la trovò.

Non in una persona in carne ossa perlomeno.
 
“Sono qui, si volti, ma faccia con calma… ha davvero una brutta cera, ragazzo mio.”

Sören obbedì, sentendo che le sopracciglia rischiavano di scomparirgli oltre l’attaccatura dei capelli.

Era stato uno dei dipinti alle pareti a parlare. Uno dei famosi quadri magici di Hogwarts, con cui peraltro aveva già avuto più di una surreale conversazione.
Quella con di fronte all’entrata della Torre di Grifondoro. Quella nell’ufficio del Preside.
La tela in questione era dietro alle sue spalle ed era occupata da una sedia e uno scrittoio dall’aria vetusta. E c’era seduto dietro nientemeno che l’ex-preside di Hogwarts, nonché celeberrimo mago Albus Silente.
“Salve.” Disse. “Le andrebbe di scambiare quattro parole con un vecchio quadro?”   
 
****
 
Hogwarts, Sotterranei.
Dormitorio Serpeverde, Mattina.
 
Tom si annodò con attenzione la cravatta. Non era facile farlo in pieno buio.
Lanciò un’occhiata al letto, dove Al dormiva. Era un sollievo persino sentirlo respirare rumorosamente con il naso. Un po’ meno rischiare di rompersi l’osso del collo perché il signorino non voleva che accendesse la luce, visto che quel giorno non sarebbe andato a lezione, causa infortunio.
Dormire con lui comunque era stato più facile del solito: semi-infermo si era limitato a restare disteso, invece che tirargli calci alle caviglie o al peggio gomitate nello stomaco.
Ad ogni buon conto lui era pronto per una nuova giornata ad Hogwarts.
Ma se provano a far sembrare come se non fosse accaduto nulla…
Che poi era probabilmente l’atteggiamento che avrebbe adottato il corpo scolastico. Ma sarebbe stata solo superficie.
È successo qualcosa di grosso. Forse fermeranno addirittura il Torneo.
Non poteva saperlo finché non fosse stato in mezzo a tutti i pettegolezzi del giorno: cioè, prosaicamente, doveva andare in Sala Grande per sapere qualcosa.
Lanciò un’occhiata allo specchio, inutilmente. Probabilmente sarebbe dovuto uscire a tentoni. Allora si chinò su Albus.
“Se avrò la cravatta storta sappi che te la farò pagare.” Lo avvertì chinandosi al suo orecchio per amplificare l’effetto.
Per tutta risposta l’altro arricciò il naso e borbottò qualcosa nel sonno.
Tom sorrise e gli diede un bacio a fior di labbra. Dovette anche arruffargli i capelli, perché era una tentazione irresistibile. “Non metterti nei guai mentre non ci sono…” Lo ammonì.
Sarebbe stato capace di farlo, ne era certo. Lo faceva sempre dopotutto.
Gli infilò con cura Jenkins Il Prezioso Boccino di Peluche sottobraccio e uscì, prima di essere nominato fidanzatino svenevole dell’anno.
Gli stretti corridoi del dormitorio Serpeverde erano già pieni di insonnoliti residenti, che si trascinavano verso la Sala Comune più o meno vestiti. Tom salutò con un cenno della testa un paio di ragazzi che gli augurarono il buongiorno. Nonostante tutto, si sentiva bene quando vedeva quel mare di divise verdi-argento.
Forse ha ragione Lily… forse gli altri esseri umani non sono così tremendi.
Sono solo noiosi.
Quel pensiero lo riportò al giorno prima. Al siparietto assurdo a cui aveva assistito – e partecipato – accanto al letto di Sören Luzhin. L’aveva fatto per Lily; quell’incosciente sarebbe stata capace di causare un incidente inter-scolastico solo per un punto di principio. Ma questo gli aveva anche dato modo di notare delle cose.
Luzhin aveva un peculiare rapporto con la propria scuola. Sembrava che tutti lo considerassero meno di zero, a partire dal Preside per finire con il suo assistente.
Com’è possibile, visto che è il Campione, lo stendardo stesso di Durmstrang?
Era come se lo mal tollerassero. Come se fosse…
Un estraneo. Ecco la parola giusta. Sembrano considerarlo un estraneo.
Naturalmente teneva quei ragionamenti per sé. Ma li sviluppava e ampliava fino a inquietanti conclusioni.
Qualcuno ha portato qui i Dissennatori ed ha creato quella cortina di nebbia.
Che lui c’entri qualcosa?
Era un tarlo che non gli dava tregua da un po’. Naturalmente non ne aveva fatto parola con nessuno. Non aveva nessuna prova che potesse collegarlo all’organizzazione di suo padre: solo suoi ragionamenti e qualche speculazione.
Sembra troppo esperto per essere ancora uno studente. Troppo controllato.
Tutti i suoi compagni lo ignorano o lo evitano apertamente.
L’ho beccato un po’ troppe volte a fissarmi. E mi ha fatto delle strane domande quel pomeriggio ai Tre Manici.
Sospirò, entrando nella Sala Comune ed afferrando un numero della Gazzetta, uno dei tanti ordinatamente impilati sui tavolini.
Ovviamente quelle sue osservazioni potevano essere falsificate facilmente.

È esperto sì, ma forse è per questo che l’hanno designato come Campione. Perché è superiore alla media, ed è inoltre universalmente risaputo che a Durmstrang i migliori lo sono davvero.
I compagni potrebbero evitarlo per invidia. Pare che ci sia un grosso anelito competitivo tra di loro.
Mi fissa perché Lily gli avrà raccontato delle mie… avventure… dell’anno scorso. Potrebbe essere semplicemente curioso.
La faccenda dell’anello, l’anello col blasone che non sembrava il suo, invece non trovava spiegazioni. Ma anche quella poteva essere solo una sua elucubrazione mentale.
Si infilò il giornale sottobraccio. Lo avrebbe letto con calma, a colazione. Fece per varcare l’arco di pietra dell’entrata quando sentì una risatina e un mormorio. In una lingua che non conosceva, ma che gli sembrò francese.
Si voltò incuriosito e trovò uno spettacolo quantomeno… sorprendente.
Michel era sulla porta che conduceva al dormitorio maschile e con lui c’era un biondino che vestiva l’uniforme di Beaux-Batons. Si stavano baciando o, come prosaicamente avrebbe detto Hugo, si stavano esplorando vicendevolmente la trachea.
Tom non poté fare a meno di essere parimenti in imbarazzo e soddisfatto: se Michel tornava a caccia, perlomeno avrebbe avuto meno tempo da dedicare ad Albus.

Ad una seconda occhiata notò che il biondino era nientemeno che l’assistente di Dominique, quel Mael.
La terza occhiata non volle darla, ma la coppia la diede a lui.
“Ah, Dursley.” Disse Michel, perfettamente a suo agio, a differenza del compagno che lo guardò con una divertente espressione ostile. “Buongiorno.”  
“Altrettanto a voi…” Replicò con un sorrisetto. “Non sono più un prefetto, ma credo di essere piuttosto certo che la presenza di altri studenti nella nostra Sala Comune non sia autorizzata…”
“Vero.” Replicò l’altro senza scomporsi. “Mael, vas-y. Nous nous verrons plus tard².” Disse baciando distratto le labbra del ragazzino. Che a Tom sembrò al massimo avere quindici anni.

Il che è improbabile visto che è un Assistente, quindi per forza maggiorenne.
Comunque era del genere minuto e pieno d’energia. Carino.
A quanto pare condividiamo la stessa tipologia di ragazzo…
“Non mi ricordavo sapessi il francese…” Osservò dopo che il biondino fu scappato via.
Sapeva di dovere delle scuse a Zabini o perlomeno di doverci parlare. Meglio quindi iniziare da un argomento neutro.
“Mio padre è di origini congolesi³. Almeno per parte di madre…” Specificò con aperta supponenza. “Inoltre, è una lingua gradevole al palato e mi piace rispolverarla di tanto in tanto…” Concluse scrutandolo. Era diffidente, poteva leggerglielo chiaramente in faccia.
Considerando che l’ho coinvolto in un duello magico e in una volgare rissa babbana…
“La rispolveri nel vero senso della parola, vedo…” Se gli avesse semplicemente chiesto scusa, Michel ne avrebbe approfittato per assumere una posizione di superiorità. Cosa che non poteva permettergli. Doveva girare a largo.
“Mael è delizioso. La sua parte Veela è stata un’affascinante scoperta.” Non gli sorrise, ma Tom poté vedergli una scintilla di divertimento nello sguardo.
Adora parlare di quant’è bravo a portarsi a letto qualcuno…
Quello se lo ricordava bene. E l’avrebbe anche considerata una nota di colore della sua persona, tutto sommato.
Se non avesse tentato di portarsi a letto Al.
“Sai qualcosa degli sviluppi della situazione? Il Torneo è stato sospeso?” Chiese, perché non l’avrebbe mai ammesso, ma chiedere scusa ad una persona di cui era geloso era difficilissimo. Quindi era meglio tergiversare.
Zabini inarcò un sopracciglio. “Da quando ci parliamo di nuovo, Dursley?”
Colpito e affondato.
Tom a quel punto dovette deporre le armi. “Da quando suppongo di doverti delle scuse.” Vedendo che l’altro restava in silenzio sbigottito, continuò. “Ho saputo che hai trovato Al. Che l’hai salvato e ti sei occupato di lui… grazie.”
“Delle scuse e un ringraziamento. Francamente shockante.” Motteggiò, ma con meno acrimonia di quanto ne avesse messa in tutte le loro ultime conversazioni. Era troppo vanitoso per non apprezzare il valore dell’umiliazione altrui. “Ma non l’ho fatto per te.”
“Precisazione inutile.” Ribatté. Gli sembrava di essere in un’arena. Quello era persino più difficile che prenderlo a pugni. “So che tieni ad Al. In modi che non mi piacciono affatto… ma gli vuoi bene e ti preoccupi per lui.”
“È vero.” Confermò lentamente il moro. Fortuna voleva che la Sala Comune in quel momento fosse deserta, o Tom era certo che qualcuno avrebbe cominciato a piazzare scommesse sull’esito di quella loro conversazione.

Loki, probabilmente.
“Per questo motivo… non ostacolerò la vostra amicizia.” Non sarebbero mai tornati in buoni rapporti, quello lo sapevano entrambi. Erano corse troppe parole, troppe azioni perché accadesse. Ma potevano convivere.
Del resto, siamo Serpeverde. Non tignosi grifondoro.
Michel fece una smorfia ironica. “Vuol dire che non tenterai più di affatturarmi o picchiarmi se mi vedrai vicino a lui?”
“Esatto.” Confermò serio. “Al soffre di questa situazione… e non voglio che sia per causa mia. Voglio che sia felice. Ed è felice di averti come amico e di passare del tempo con te … quindi la cosa va da sé. Non darò più problemi.”  

Dire quelle cose gli costava, molto. Una parte di sé stava premendo perché non lo facesse, perché tenesse lontano Zabini da Al. Tutti, da Al.
La stessa parte che vorrebbe che lo rinchiudessi in una torre e buttassi via la chiave.
E non metaforicamente.
Michel lo squadrò a lungo, poi annuì semplicemente. “Va bene … apprezzo che tu ti sia sforzato di ragionare nuovamente come un essere umano normale. Più o meno.” Stirò un mezzo sorrisetto. “C’è di che rallegrarsene. Un giorno potresti anche diventare un bambino vero.”
“Va’ al diavolo, Zabini.” Replicò, e gli uscì di tutto cuore. 

L’altro per non parve adontarsene, limitandosi ad un ghignetto. “Dovremo stringerci la mano a questo punto, Tom…” Suggerì invece. “Come vecchi nemici che smettono di odiarsi.”
“Non ho smesso di odiarti.” Replicò sullo stesso tono. Era un equilibrio labile tra faceto e verità. Probabilmente significava questo essere rivali. “Ti sopporto, perché altrimenti Al diventa fastidioso.” Gli uscì fin troppo sinceramente, e se ne pentì quando Michel lo guardò con aria esilarata, facendo poi una breve risata.

“Temo proprio che nella coppia non sia tu a portare i pantaloni, Dursley…”
“In camera da letto, regolarmente, nessuno di noi due li porta.” Gli rispose, lasciandolo spiazzato. Gli augurò poi una buona colazione, uscendo dalla sala prima che si riprendesse dalla sorpresa.
Ho una buona memoria. E le battute di Lily ti si stampano a fuoco in mente, purtroppo.
Fece un sorrisetto, solo per sé stesso, arrotolando il giornale sotto il braccio.
Poteva scusarsi e ringraziare Michel, certo.
Ma questo non significava che gli avrebbe mai lasciato l’ultima parola.
 
****
 
Corridoio davanti all’infermeria.
 
“Lei… vuole parlare con me?”
La cosa gli sembrava talmente assurda da rasentare il ridicolo.

Sören non aveva la minima idea di come comportarsi. Del resto era la prima volta che veniva apostrofato dal quadro di un mago leggendario.
Non era Silente, naturalmente. Ma era pur sempre…
Un dipinto. È il suo dipinto, idiota.
Per Agrippa, che diavolo stai facendo? Stai solamente perdendo tempo.
“… mi perdoni, ma ho una certa fretta. Magari un’altra volta.” Tentò di svicolare. Allora il mago gli sorrise, senza dire nulla.
Sören si sentì strano. C’era tanta di quella bontà e comprensione in quel sorriso che saltò agli occhi persino a lui, ben poco abituato a quel genere di manifestazioni di simpatia.
“Penso che perlomeno dovrebbe riprendere fiato, sembra averne un gran bisogno. Posso assicurarle che non verrà scoperto nel poco tempo che passeremo assieme. A quest’ora questi corridoi, salvo emergenze, sono deserti.”
Ha capito che non sono stato dimesso regolarmente…
Sören rifletté velocemente: Lily gli aveva più volte ripetuto come i quadri di quella scuola fossero chiacchieroni. Avrebbe potuto denunciare la sua scomparsa.
Meglio evitare.
“E sia.” Si appoggiò al muro opposto, tirando un sospiro di sollievo. Ne traeva giovamento, il giramento di testa si era affievolito. “Di cosa desidera parlarmi?”  
“Veramente ho avuto voce che sia stato lei, a chiedere di me.” Fu la risposta. Le lenti a mezzaluna di quel mago brillavano come se fossero vetro vero. Il pittore aveva avuto una mano particolarmente abile nel dipingere quelle e gli occhi.
“Io?” Chiese comunque, non avendone immediato ricordo.
… ah, quando sono stato chiamato nell’ufficio del Preside. La faccenda di Severus Piton. Della madre di Piton.
Ricordò tutto di colpo. Fece quindi un lieve cenno della testa. “Sì, ma non è importante, non si preoccupi… era semplice curiosità.”
“Sarei felice di soddisfarla. La curiosità è un pregio delle menti giovani.” Replicò il mago con bonomia. “Mi è stato dato da intendere che si fosse interessato a Severus.”

“Piton, sì.” Confermò. A quel punto poteva pur togliersi quel sassolino dalla scarpa. Una pietruzza di poco conto, ma visto che non poteva andarsene senza mancar di rispetto al quadro…
“Gli somiglia.”
L’asserzione dell’anziano stregone lo lasciò confuso. “… gli assomiglio?”
“Gli occhi.” Spiegò agitando una mano davanti al viso. “Avete lo stesso sguardo penetrante. È forse un lontano parente?”
Quel ritratto, sebbene fosse carta e colore, doveva evidentemente contenere tracce dell’antica, brillante intelligenza dell’uomo che vi era raffigurato.

Sören fece un breve calcolo mentale: rivelare alcune informazioni sulla sua vera famiglia ad un quadro non gli sembrava particolarmente pericoloso. Dopotutto suo padre non era mai comparso nei complessi arazzi familiari degli Hohenheim e lui stesso era conosciuto con il cognome di suo zio, dato che era stato da lui formalmente adottato.
Inoltre, quel sassolino proprio non voleva saperne di togliersi dalla sua scarpa.
Certo, sarebbe quantomeno… peculiare… che proprio io fossi parente di uno dei celebri salvatori del Mondo Magico.
“… La madre del Preside Piton era una strega purosangue?” Chiese, invece di rispondere.
“Sì, apparteneva ad una Casata ora estinta, ma al tempo piuttosto influente. Sono stato suo professore di Trasfigurazione.” Gli fu confermato. “Eileen Prince… ragazza molto introversa. Solitaria. Ahimè… per quanto mi sembra di ricordare, letteralmente schiacciata dalle pressioni della sua famiglia.”

Prince.
Non poteva essere solo una coincidenza. La madre di Severus Piton era una Prince, come lo era stato suo padre.
E come, dopotutto, lo sei tu.
“Ha avuto… altri Prince nel tempo in cui ha insegnato?”
“Credo un fratello minore, sempre che la mia limitata memoria non mi inganni…” Si toccò la tempia con un sorriso leggero. “Purtroppo non ne ricordo il nome. È passato molto tempo e dopotutto, sono solo un quadro.”

… Mio padre era suo fratello. Io e uno dei Salvatori di Hogwarts siamo cugini di primo grado.
La cosa ebbe il potere di lasciarlo stordito: suo zio non gli aveva mai parlato di quella parte della storia della sua famiglia. Né tantomeno lo aveva fatto suo padre.
Perché? Cosa c’è da nascondere? È stato un eroe.
Forse è meno importante del fatto che fosse un mezzosangue?
Probabilmente era quello: suo padre aveva sempre sposato le idee sul sangue puro di suo zio.
Naturale, tutti i purosangue della passata generazione lo facevano.
Solo dopo la seconda guerra magica le cose erano cambiata, ma per gente come lui, era più saggio continuare a professare le idee dei genitori.
Non ci aveva mai riflettuto, ma i grandi maghi della storia contemporanea erano quasi tutti di sangue impuro.
Harry Potter, i suoi compagni… Severus Piton.
“Era questo che voleva sapere, Signor Luzhin?” Il mago lo strappò alle sue riflessioni.
Si umettò le labbra, indeciso su cosa rispondere. Optò poi per un sorriso cortese. “Sì, era questo. Mi è stato di grande aiuto, Signore. Le sono grato.”
“È una ben magra fatica la mia… si tratta solo di ricordare.” Fu la risposta cordiale. Non aveva mai smesso di sorridergli. Lo metteva a disagio. “Posso quindi azzardare l’ipotesi che lei sia un parente?”
Non demorde.
“Alla lontana.” Confermò guardingo. “Come ho detto, ero curioso. Ho visto il ritratto, ed ho notato delle somiglianze con alcuni… miei familiari.” Il capogiro era scomparso e stava riprendendo lentamente le forze. Era ora di congedarsi. “Ma non so molto di quel ramo della mia famiglia. Mi era stato detto fosse del tutto estinto.”
“Infatti è così. Purtroppo il matrimonio della povera Eileen con un babbano minò la credibilità dei Prince agli occhi delle altre famiglie della nobiltà magica. Allora una cosa simile era equiparabile ad una condanna a morte, quantomeno sociale.”
“Nessuno desiderò più imparentarsi con loro e dunque contrarre matrimoni…” Lo anticipò.

“Ed essendo Eileen e suo fratello gli ultimi eredi… non ci volle molto prima che l’intera famiglia finisse nell’oblio, esattamente.” Confermò grave. “A volte l’onore, da trofeo diventa un’ancora che ti trascina a fondo…”
Sören fece una smorfia. “L’unica colpevole fu Eileen.”
“Lei crede?” L’uomo inarcò leggermente le sopracciglia, cosa che gli diede un’aria di fanciullesco stupore, nonostante le rughe che gli solcavano il viso. “Eileen fece una scelta. Scelse per amore, e al di là delle future conseguenze, scelse in base a ciò che il cuore le comandava.”
“Senza nessun riguardo per la sua famiglia.” Sbottò e si stupì lui stesso dell’acrimonia che trovò nella sua voce. Dopotutto era un fatto vecchio di decadi. “Una famiglia che l’aveva creata e cresciuta.”
Creata… interessante scelta di termini, Signor Luzhin. Lei crede che ad una famiglia si debba sempre cieca e insindacabile lealtà?”
“Non capisco cosa intende.” E davvero, non lo capiva. Era come se non stessero parlando di Eileen Prince, ma di qualcun altro. E temeva di chiedere delucidazioni.

È impossibile che sappia. Eppure… perché ne ha l’aria?
Ed era solo un maledetto quadro: quanto di Hogwarts aveva sottovalutato?
“Intendo dire che purtroppo posso portare esempi di persone la cui cieca lealtà ha portato non pochi guai…” Gli fu spiegato.
“Lei mi fraintende.” Lo bloccò, perché quel discorso stava diventando inquietante. “Non ho alcun rancore verso quella povera donna. Spero anzi che il suo spirito abbia trovato la pace e che si sia ricongiunto al resto della famiglia, oltre.
L’ex-preside congiunse le dita tra di loro, appoggiandovi il mento in una posa pensierosa. “Lei è un ragazzo interessante, Signor Luzhin.” Affermò senza veli, tanto da farlo arrossire. “Ho massima stima e affetto per i miei compagni di tela… ma tra vecchi ricordi e glorie passate a volte ci si annoia un po’. È sicuramente piacevole avere altri tipi di conversazione…”
“Lieto di averle dato questo piacere, allora.” Tagliò corto. Aveva bisogno di andarsene, anche più di prima. “È il caso che vada…”
“Certo, naturalmente.” Replicò l’anziano mago. “Si riguardi, caro ragazzo. E se ha altre domande, chieda pure di me… Sono disponibile su ogni tela. ”

Certo, come no.  
Ma non lo disse, limitandosi ad un inchino formale, alla maniera di Durmstrang, prima di incamminarsi con una certa fretta  verso l’uscita.
Quella conversazione, purché breve e con un essere non vivo, aveva avuto il potere di mettergli ancora più agitazione addosso.
Perché zio non mi ha mai detto che sono imparentato con Severus Piton?
Perché mi ha mentito, dicendomi che ero l’unico Prince rimasto? Certo, quell’uomo è morto vent’anni fa, ma comunque…
Sapere che qualcun altro, oltre suo padre, aveva condiviso con lui quel cognome… qualcuno di reale, non un nome privo di volto in un albero genealogico. …
E che è così strettamente legato alla storia di Harry Potter, peraltro.
Gli lasciava una strana sensazione addosso, come se improvvisamente qualcuno gli avesse indicato un’altra strada, quando era certo che ve ne fosse solo una.  
Non c’era stato solo un Prince, suo padre. Ce n’era stato un altro, benché con un cognome diverso.
Un eroe.   
Sciocchezze prive di senso. Devo avere la febbre.
E devo tornare al vascello.
Non fu facile arrivarci. Non tanto perché fu fermato, quanto piuttosto perché dovette fermarsi più volte per riposare. Quando finalmente arrivò, l’espressione dei due studenti di guardia la diceva lunga sulle sue condizioni.
“… Ehi, ti senti bene?” Chiese il più giovane, immediatamente tacitato da un’occhiata dello studente più anziano. Ovvero Radescu.
“Passa pure.” Replicò quest’ultimo con un tono di avversione così palese che probabilmente non era neppure sua intenzione mascherarlo.
Sören strinse i pugni, sentendo rabbia e umiliazione investirlo. Per quei ragazzi lui era un infiltrato, una spia. Mangiava con loro, dormiva a pochi passi da loro e li rappresentava.
Ma sono solo una farsa… e mi odiano per questo. Per loro il Tremaghi è una cosa seria.
Per me è solo un modo per avvicinarmi ai Potter.
Dopotutto, non poteva dire di non capire la repulsione che Radescu provava per lui.
“Poliakoff è dentro?” Chiese sforzandosi di dominare il tremore che gli aveva assalito le gambe. Era il momento di coricarsi. A lungo. Di spegnere il cervello, soprattutto. Stava pensando troppo, e a troppe cose a cui non avrebbe dovuto.
“Sì Luzhin, è nella vostra cabina.”
Entrò dentro. Salì le scale sentendo la nausea assalirlo di nuovo e quando giunse al ponte, sarebbe crollato in ginocchio se due braccia robuste non lo avessero sostenuto.
Le braccia di Dionis Radescu.
Mi ha seguito?
Lo guardò stupefatto. L’atro non disse nulla, limitandosi ad aiutarlo a tirarsi in piedi.
“Grazie…” 
Radescu gli lanciò un’occhiata penetrante. “Ti ho visto nell’arena, alla Prova. Ti sei battuto come un guerriero.” Disse scandendo ogni frase in un tedesco fortemente stirato su suoni slavi. “Non capisco perché servi gente del genere.”
Sören avrebbe voluto dirgli di non impicciarsi e di tenere a freno la lingua, ma non lo fece. Era troppo debole persino per quello.
Il ragazzo del resto non aggiunse altro. Si limitò a un inchino di commiato e a ridiscendere dal boccaporto.
Sören poi sentì la porta della sua cabina aprirsi e la voce di Poliakoff chiamare stupefatta il suo nome.
Sono tornato dove devo essere.
Non era una bella sensazione.
 
****
 
Appartamenti del Direttore di Tassorosso.
Sera.
 
“… è stato  un vero e proprio scontro tra titani. Sinceramente, pensavo che alla fine avrebbero cominciato a tirarsi addosso incantesimi.”
Harry rise, o meglio la testa di Harry che danzava nel fuoco magico del suo camino rise. Ma era una risata forzata, e Teddy se ne accorse.

“Sono davvero preoccupato.” Gli confessò, seduto a terra davanti alle braci. “I Presidi di Durmstrang e Beaux-Batons vogliono spostare il Tremaghi nelle proprie scuole. L’unico punto in cui convergono è che se non si farà così, ritireranno le proprie scuole dalla competizione.”
Che poi non sarebbe una cosa così stupida, visto quel che è successo. Feriti, gente traumatizzata e Hogwarts di nuovo assediata.
Quei pensieri però se li era tenuti per sé nell’ufficio dei professori, dove era avvenuto il brainstorming tra Presidi. Lui vi era rimasto incastrato in mezzo perché era uno degli organizzatori.
Aveva preferito appunto rimanere in secondo piano ed ascoltare tutto, per poi riferire al padrino.
Harry sospirò. “Il Ministero non ha fatto una bella figura l’anno scorso con la faccenda dei Naga, e così Hogwarts. Non credo vorrà permettersi cattiva pubblicità, e premerà perché il Torneo non venga chiuso.”
“Sì, ma ha le mani legate. Se due delle scuole competitrici si ritirano…”
“Non lo faranno davvero. Stanno solo minacciando.” Replicò l’uomo meditabondo. “Teddy, il Tremaghi non è una semplice competizione inter-scolastica.” Scosse la testa . “No, il Tremaghi è una dimostrazione di forza della gioventù magica di stati che posseggono le tre scuole più influenti d’Europa. È troppo importante, a livelli ben più alti.”

Ted si umettò le labbra. “A questo non avevo pensato…”
“E sono felice che tu non l’abbia fatto. Tutta questa politica mi dà il voltastomaco a volte, davvero.” Replicò il padrino con una smorfia. “Comunque sia, il vero obbiettivo che i Presidi vogliono raggiungere è far spostare la competizione nella propria scuola. Per prestigio, anche se avranno detto che è per motivi di sicurezza…”

“Quello di Durmstrang sembrava il più agguerrito.” Confermò Ted, ricordando il volto duro e sprizzante arroganza del Direttore Jagland. Mentre Madame Maxime aveva cercato di mantenere toni morbidi, proprio per l’antica amicizia che la legava alla scuola britannica, il mago nordico non si era fatto il minimo scrupolo.
Ad un certo punto sembrava che Vitious l’avrebbe steso con uno schiantesimo… di certo, ne aveva una gran voglia.
“Il Direttore Jagland. Già…” Harry sbuffò, palesando la sua antipatia per l’altro mago. “Si dice che sia stato calato sul suo posto, come un burattino. Dovrà compensare in qualche modo.”
Teddy sorrise alla frecciatina. A volte Harry aveva atteggiamenti che lo accomunavano molto al figlio di mezzo, Serpeverde ben fiero di esserlo.

Le mele non cadono mai lontano dall’albero, no?
“Al Ministero com’è la situazione?” Chiese, perché se lui dava informazioni a Harry, si aspettava quantomeno di averne in contraccambio.
Voglio sapere se i miei studenti e la mia scuola rischiano qualcosa.
“In attesa di ordini.” Rispose l’uomo con una scrollata impaziente di spalle. “La Direttrice sta aspettando un gufo dal Ministro per sapere a chi verranno affidate le indagini.”
“Tiratori o Auror? È questo il dilemma?”
“Proprio così.” Gli fu confermato. “Anche se è quasi certo che l’onore spetterà a noi. È stato appurato, anche dagli Indicibili, quella nebbia era opera di un mago oscuro. Il Ministro sicuramente aspetta il loro rapporto, e poi prenderà una decisione. Pazientare, quindi. La cosa in cui sono più bravo…” Scherzò.
“Bene!” Sorrise Ted: era sinceramente contento, e di pari sollevato: se Harry avrebbe preso in mano l’indagine con una delle sue squadre, avrebbero assicurato il colpevole alla giustizia prima di Natale.

Lui perlomeno ci credeva ciecamente.
“La decisione finale sul Tremaghi comunque spetta alle scuole, il Ministero può entrare solo nell’aspetto organizzativo, ma non decisionale.” Aggiunse Harry. “Sono arrivati a qualche decisione stasera?”
“No, nessuna. Domani ci sarà un nuovo incontro, si spera conclusivo. Per il momento è tutto congelato. Madame Maxime e Herr Jagland sono momentaneamente tornati alle rispettive scuole…”
“… per organizzare un contrattacco, ci scommetto la bacchetta.” Replicò ironico il padrino. “A volte mi chiedo chi abbia più influenza nel Mondo Magico. Se il Ministro, o un preside.”

Teddy rise di rimando. “È una domanda interessante… Penso che avremo presto una risposta. Comunque ti terrò informato.”
“Tom come sta?”
“Bene, oggi l’ho visto a lezione, ed è stato polemico come suo solito.” Rispose, sapendo bene quanto Harry fosse continuamente preoccupato per il secondo figlioccio. “Ha anche tentato di fermarmi per chiedermi se ti avevo parlato… a quanto pare sa che sono il tuo informatore.”  

Harry fece un mezzo sorriso. “Non gli sfugge nulla… sarebbe un eccellente auror, se solo ascoltasse qualcos’altro oltre la tua testaccia dura. Dovrò parlargli. Questa storia lo sta rendendo molto nervoso.”
“Come biasimarlo…” Ribatté. Poteva non stargli particolarmente simpatico – sapeva di dover essere imparziale come docente, ma a volte Thomas era davvero insopportabile – però poteva capire come si sentiva.

Sapere che la tua scuola è stata attaccata. Intuire che è stato tuo padre. E nient’altro.
Io sarei già impazzito.  
“Verrò nei prossimi giorni, se finalmente la burocrazia ministeriale deciderà di darsi una mossa e affidarci le indagini. Intanto cerca di tenerlo tranquillo.”
“Sai bene che non mi darebbe retta neanche se ne andasse della sua salute…” Replicò, neppure del tutto scherzoso. “Dirò ad Albus di tenerlo d’occhio.”
“Già, lui lo ascolta.” Confermò il padrino con un sorriso più rilassato. “È una fortuna che almeno uno dei due abbia un po’ di buonsenso in queste situazioni. Io e Ron non ci compensavamo affatto su questo.”
“Meno male che c’era Hermione, allora.” Rispose cortesemente, evitando di dirgli che non c’era niente di amichevole e fraterno ormai, nel rapporto tra quei due.

Non sarò certo io a dirglielo. Già ho fatto del mio a baciare James davanti ai suoi occhi.
Merlino, se ci ripenso… che imbarazzo.
A proposito di quello…
Lanciò un’occhiata all’orologio da taschino di suo nonno – caro e grato regalo per la sua nomina a Capocasa di Tassorosso.
Era quasi ora di andare da James. Se fosse arrivato tardi alla tanto rimandata visita della sua casa a lo avrebbe ucciso. Piuttosto ferocemente.
“Harry, ti devo lasciare… ho… degli impegni.” Andò sul vago, perché da quel punto di vista, era sempre meglio se parlavano non parlando. Harry aveva accettato la loro relazione, ma non era ancora pronto a disquisirne in perfetta serenità.
“Certo.” Disse infatti piuttosto frettolosamente. “Salutami Jamie.” Dopotutto era un auror pluridecorato, le sue doti investigative non erano facciata per articoli di stampa. “Ci sentiamo nei prossimi giorni.”
“Naturalmente.” Convenne, prima che il viso tra le fiamme sparisse. A quel punto si sbrigò a prepararsi.

È che gli dispiaceva. In quei mesi era stato così maledettamente occupato, ogni singolo giorno, da non potersi assentare neppure per una notte. I suoi doveri da Direttore di Tassorosso glielo avevano sempre categoricamente proibito.
Senza contare quelli derivato dall’organizzazione del torneo.
Ma finalmente era riuscito ad avere l’agognata sostituzione, supplicando la professoressa di Babbanologia – ex-tassorosso come lui – di dare un occhio ai suoi ragazzi per quella sera.
Infondo, non sono mica grifondoro.
Quando fu finalmente pronto – era riuscito a legarsi male le stringhe e sedersi sulla bacchetta - spense le fiamme del camino e vi entrò.
Quello era un suo piccolo segreto: l’anno prima quegli appartamenti erano appartenuti alla Prynn, e da essi era scappato John Doe, aprendo un collegamento via camino.
Ed io… beh. Mi sono dimenticato di fare richiesta di chiudere il collegamento.
Dopotutto non era una vera e propria infrazione: se era proibito aprire un camino, non era proibito invece mantenerlo tale.
 
Cinque minuti dopo camminava a passo spedito per le vie di Diagon Alley che si stavano accendendo delle luci tenui della sera. Si fermò a prendere la torta che aveva ordinato via Gufo il giorno prima. James l’avrebbe preso in giro a morte, per quelle sue pensate da perfetto fidanzato, ma a lui piaceva vedere come arrossiva sulle orecchie e divorava quei gesti da fidanzatino idiota.
Tanto, si sa, l’ho sempre viziato.
Notturn Alley era sinistra e  sporca come se la ricordava e decisamente non gli fece una bella impressione. Ad un certo punto dovette persino nascondere la busta con la torta, a rischio di essere assalito da figuri che sembravano aver perso caratteristiche civili molto tempo prima.
L’appartamento di James però era in un palazzo meno orribile e fatiscente di quanto avesse pensato. Il classico palazzo i cui affitti giustificavano la presenza di inquilini giovani, semplicemente.
Salì le scale e finì per bussare al grosso battente. Quello aprì gli occhi – era una chimera piuttosto brutta – e lo fissò con aria beffarda.
“Che ci fa un precisino come te nella tana della perdizione?” Lo apostrofò con accento dell’East End.
… tana della perdizione?
“Ehm.” Disse, non sapendo bene come rispondere. “Vengo a trovare il mio ragazzo?”
“Oh, sei un altro di quelli!” Sghignazzò il battente con insolenza.
Un altro?!
La porta improvvisamente si aprì di scatto e Ted si trovò di fronte James, arruffato e leggermente ansimante, come se avesse fatto uno scatto per venire alla porta. “Oddio, Teddy!” Sbottò, prima di aprirsi in uno dei suoi sorrisi da una trentina di denti. “Non badare a Peter, è un fottuto coglione.”
“Peter?”  

“Il battente.” Spiegò conciso, afferrandolo e tirandolo dentro. “Lenny l’ha incantato perché tenga fuori… uh.” Si bloccò. “È un discorso lungo… comunque io non c’entro niente!”
Teddy sorrise, perché non c’era molto altro da fare. James aveva l’aria di chi era appena uscito dalla doccia, capelli umidicci inclusi. Indossava una maglietta arancione dei Chudley’s e dei vecchi denim sdruciti.
Avrebbe dovuto chiedergli delucidazioni sullo stato pietoso del salotto che vedeva dietro di loro, ma…
Al diavolo.
Posò la torta a caso e se lo tirò contro, per un bacio al sapore di dentifricio e bagnoschiuma.
Si staccò trattenendo una risata. “Ti mangi ancora la schiuma da bagno?”
No!” Sbottò James avvampando e così affermando il contrario. “… è che sembra sempre così gustosa. Stupida schiuma magica.”

“Grazie al cielo non è nociva. Sarà meglio che mangi la torta che ti ho portato però…”
“Cazzo, Teddy, non sono mica una fidanzatina rompicoglioni! Non dovevi portarmi nie…”
“È alle noci e melassa, la tua preferita mi sembra, no?”
“Ti amo.” Stavolta fu Teddy a beccarsi in bacio con lappata alle labbra inclusa. Dopo tale dimostrazione di gratitudine, si sentì autorizzato a passargli le mani lungo il basso schiena.

Merlino, se gli era mancato.   
James lo afferrò per la camicia e lo trascinò a tentoni verso qualcosa. Teddy finse di non notare i rimasugli di un evidente party sparsi ovunque, da piatti a bottiglie di birra vuote. Era chiaro che aveva provato a far ordine, ma lì dentro c’era un classico esempio di caos studentesco.
Normalmente avrebbe tentato di riordinare, ma al momento era troppo concentrato sulla pelle liscia della schiena di James e su come sentiva contrarsi i muscoli sotto il suo tocco.
Impattarono su un divano, con un orribile rumore di molle cigolanti. Teddy si staccò dalla gola dell’altro per alzare la testa, temendo che si schiantasse sotto il loro peso congiunto.
“Jamie, ma questo divano…”
“Quinta o sesta mano. Ma tranquillo. È comodo se ignori il rumore raccapricciante…” Ghignò l’altro mordicchiandogli il mento. “Teddy, ho voglia.” Mormorò poi, mentre quei liquidi occhi nocciola sembravano spogliarlo con lo sguardo.
James era così. Era caos, e riduceva la sua tanto declamata ragione a pensieri da primate.

Era riposante ed eccitante assieme.
Gli sfilò via la maglietta, che finì in un cumulo arancione sul pavimento. Sentì le dita di James infilarglisi trai capelli e scivolare fino alle spalle.

“Sono proprio blu adesso…” Sussurrò il ragazzo più giovane, prima di ispirare appena quando gli prese un capezzolo tra le labbra. “Teddy…” Mugolò, cercando al tempo stesso di strappargli via la camicia, o sfilargliela, non aveva capito quale delle due fosse l’intenzione.
Poi si sentì un crack! vivace. Teddy saltò in piedi immediatamente. Quel rumore l’avrebbe riconosciuto ovunque: era una materializzazione.
“Oh, ops!” Disse infatti una voce, che apparteneva conseguentemente ad un marcantonio di colore, con lunghi dreads fino al sedere. “Mi dispiace ragazzi, non sapevo la casa fosse occupata!” Alzò le mani in segno di resa. Aveva un sacco di anelli alle dita e una maglietta scomodamente aderente sui pettorali tesi.
Teddy lesse la scritta in toni sgargianti.
Lanciatore?
Ma non esiste un ruolo simile nel Quidditch. Forse nel baseball americano, ma …
Il ragazzo incrociò il suo sguardo e fece un ghignetto. “No, non è riferito a quel gioco babbano e americano, amico. Allusione gay?”
Dopo lo sghignazzetto di James alle sue spalle, gli giunse l’illuminazione.
… Ah. Oh.
Per l’amore di Merlino.
James a quel punto si tirò in piedi, minimamente turbato dal fatto di essere a petto nudo e con i jeans slacciati. “Ehi Len… arrivi proprio a cazzo.” Lo apostrofò con un cenno scocciato. “Pensavo tornassi tardi.”
“Al San Mungo mi hanno dato il benservito in quattro e quattr’otto. Ormai siamo alle visite di routine, per fortuna.” Rispose quello con un affabilità che non gli piacque. Specie per come rimirò i pettorali del suo ragazzo. “Comunque Jimmy, prossima volta che ti porti qualcuno… Il segnale, eh? Un bel calzino alla porta.”

“Vero. Di solito sono io quello che deve ammirare i tuoi attaccati al povero Petey.” Ghignò, ricordandosi poi della buone maniere. “Ah! Len, lui non è uno…” E lanciò un’occhiataccia al tizio. “È Ted, il mio ragazzo. Teddy, lui è Lionel, il mio favoloso coinquilino.” Li presentò con un cenno svagato della mano, prima di infilarsi malamente la maglietta su per la testa.
Lionel andò subito a stringergli la mano cordiale, e Ted ce la mise tutta per sembrare felice di fare la sua conoscenza. “Teddy…” Disse quello, scandendo lentamente il nome. “Ted Lupin? Ma sì!” Esclamò improvvisamente. “Tu sei Biblioteca Lupin!” E fece una mezza risata.  
… Sì, anch’io mi ricordo di te. La McGrannit ti beccò con una borsa piena di erba e ti diede centonovanta punti di detenzione. Eri a Grifondoro al mio stesso anno, vero?
Si spalmò un sorriso cortese in faccia, fingendo di non notare che James gli stava scrutando preoccupato i capelli. “Io in persona… è passato molto tempo Lionel. Come stai?”
“Bene, maledizione in corso a parte.” Scrollò le spalle. “Sai, lavorare alla Gringott è eccitante, ma prima o poi ti becchi qualche spirito di faraone incacchiato e bam! Tocca tornare e farti mettere a posto al buon vecchio Mungo.”
“Lenny lavora come Spezza-Incantesimi. Come zio Bill. Non è figo?” Esclamò James, guardandolo con palesissima ammirazione.

Ted ebbe voglia di strangolare il favoloso Len con una delle collanine etniche che sfoggiava sul collo abbronzato.
“Molto.” Sentiva che la mascella rischiava di fossilizzarsi in un sorriso perenne. “Vedo che vi trovate bene assieme.”
Lionel ne approfittò per passa un braccio attorno alle spalle di James. “Beh, il buon Jimmy è il coinquilino ideale. Fa la spesa, paga le bollette ed è un discreto animale da party. Vero ragazzino?” E gli arruffò i capelli.

Ted ebbe la netta sensazione i suoi, di capelli, avessero appena cambiato colore da una nuance fredda – il suo amato blu – ad una molto calda.
Rosso lava, da quel che posso vedere.
James per fortuna se ne accorse – beh, era un po’ difficile non farlo del resto. Allora si schiarì rumorosamente la voce. “Ohi, Len… senti. Ti dispiace…?”
“Farmi quattro passi? Nessun problema fratellino. Ci becchiamo dopo.” Si infilò il mantello, per quanto fosse piuttosto bizzarro abbinato a quella maglietta allucinante. “Piacere di averti rivisto Lupin. E per Circe, lasciatelo dire… ho sempre saputo che eri gay fino al midollo!”
“Tutto mio.” Si scollò dal palato, perché l’educazione per lui era una funzione di default.
Quando il tipo se ne fu finalmente andato, si sentì un po’ sciocco e parecchio incazzato.
James si chiuse la porta alle spalle, con cura. Gli lanciò poi un’occhiata valutativa. “Teddy, sembri un vulcano pronto ad eruttare…” Osservò.
“Sto benissimo.”
“Col cazzo, eh. Se permetti.”
“Non usare quelle parole, James…” Borbottò mentre i capelli cominciavano ad assumere una simpatica sfumatura rosata.  

“Infatti ho detto se permetti.” Rispose l’altro raggiungendolo. “Perché ti sei arrabbiato?”
Teddy ci rifletté.
“…  non lo so.” Concluse. Cioè, lo sapeva. Ma era davvero troppo ridicolo.  
James fece un sorriso. Niente sogghigni o preludi a risate roboanti. Era uno di quei suoi sorrisi timidi, che personalmente adorava. “Era perché t’ha chiamato Biblioteca Lupin? Me lo ricordavo anche io quel nomignolo… non è così tremendo, dai!”
“No, non è per quello, anche se non è stato tanto carino a ricordarmi di come la mia vita sociale ad Hogwarts fosse inesistente.” Sospirò sedendosi sul divano che lanciò un cigolio agghiacciante. James lo imitò subito, sedendoglisi accanto.

“Sei sempre stato un secchione stupendo.” Gli assicurò passandogli un braccio attorno alle spalle. “E non devi essere geloso. Lenny non è il mio tipo!”
… colpito e affondato.
“Non sono…” Si bloccò, sentendosi un cretino, mentre James ridacchiava contro la sua spalla. “Va bene, forse. Dopotutto Lionel è uno fighissimo coinquilino.” Imitò i suoi toni entusiasti.
Non era mai stato geloso di Victoire. Certo, magari a volte era stato infastidito dalle torme di spasimanti in adorazione, ma non aveva mai provato quel desiderio violento di torcere il collo a nessuno di loro.
A quel bellimbusto invece sì.
Nessuno arruffa i capelli a Jamie. Non davanti a me. E neanche dietro.
James gli tirò una testata sulla spalla, metodo tutto suo per dimostrargli affetto.
“Preferisco un topo di biblioteca ad un avventuriero. Sono io l’uomo d’azione… tu sei quello che prende la sua tazza di the alle cinque.” Gli sorrise dolcemente.
Teddy sospirò, ricevendo grato il bacio che James gli stampò sulle labbra. “Scusa.” Mormorò. “Penso di aver reagito come uno stupido, perché mi sento in colpa. In questo periodo ti ho trascurato parecchio.”
“Ehi, sei un Direttore di Casa durante il Torneo Tremaghi. Che peraltro ha simpatiche sorpresine tipo i Dissennatori.” Snocciolò serio. “Lo so che non puoi lasciare torme di mocciosetti bisognosi… specie perché sono di Tassorosso.” Ghignò, scansando lo scappellotto. “Non sono più un bambino che strilla per avere la tua attenzione, Teddy. Posso cavarmela.”

Ted si sentì un pochino peggio se possibile. James si stava dimostrando maturo, e di questo era felice e sollevato. Ma dall’altra parte sapeva che aveva bisogno di lui, e tutto quello che poteva offrirgli era di venire a dormire ad Hogwarts.
Perché non hai ancora deciso di prendere una casa tua… e rimandi, rimandi. Procrastinatore!
La sua voce interiore aveva il tono di nonna Andromeda.
“Comunque sono contento che tu stia meglio adesso.” Disse dopo qualche attimo.  
“Oh, sì! Va meglio, è vero.” Confermò l’altro con un sorriso. “Da quando c’è Lenny… beh, stare a casa è meno deprimente. Usciamo spesso assieme, con Bobby e altra gente …”
Mh.  

“E questi party folli?” Chiese fingendosi assolutamente deliziato all’idea che il suo ragazzo fosse un animale da party.
“Non sono tanto folli… cioè, nella norma della scala della follia.” Borbottò James, arrossendo. “Lionel sa organizzare delle gran feste, è tutto qui.” Si illuminò d’improvviso, segno di un’idea repentina. “Ah, la prossima settimana ne facciamo uno! Magari potresti venire!”
Ma anche no. Mi conosco. Sarei la tappezzeria multicolore della serata.

… certo. Allora lasciamo pure Jamie con Lenny-il-Lanciatore-barra-Datore.
La sua anima da pensionato urlava dilaniata, ma la sua gelosia la soffocò prontamente a badilate.
E poi quello era anche un modo per James di coinvolgerlo nella sua nuova vita. Non poteva tirarsi indietro.
“Certo, perché no. Vedrò di liberarmi.”
Il suo ragazzino esplose allora in un sorriso tutto denti, e a Teddy non restò che sperare che il Preside avrebbe accettato una sua improvvisa malattia per quel venerdì.
 
 
****
 
 
Note:
Capitolo di passaggio. E poi vi avevo promesso un po’ di Teddy/James.


1. Qui la canzone.
2 . “Mael vai, ci vediamo dopo.” Si ringrazia Narcissa per la traduzione.
3. Nel Congo francese (aka Repubblica del Congo) il francese è la lingua ufficiale. Ovviamente mi sono immaginata del tutto che la madre di Blaise Zabini venisse da quel posto. Come l’ho sempre immaginata una panterona alla Naomi Campbell. :D

4. Tributo a Queer As Folk e a Brian. Nello slang inglese, ‘Pitcher’ è letteralmente l’attivo della coppia. Qui la prova e qui la maglietta.

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Capitolo 32
*** Capitolo XXX ***


Capitolo XXX
 
 


I let it fall, my heart
… and as it fell you also claim it.
It was dark and I was all right, until you kissed my lips and saved me.
My hands they’re strong, but my knees were far too weak,
stand in your arms without fall into your feet.
(Set the fire to the rain, Adele¹)
 
 
26 Novembre 2023
Sotterranei di Serpeverde. Mattina.
 
“Guarda che sono capace di portare una borsa a tracolla da solo.”
“No.”
“Non è una risposta! Ridammela.”
“Lo è. No.”
Tom alzò il braccio di modo ché un appena riabilitato Albus non potesse raggiungerla: la borsa infatti era ormai a due teste dalla sua portata. Al guardò con falso astio il proprio ragazzo, che di contrario sfoggiava uno di quei suoi sogghigni da Gran Bastardo.

“… se cerchi di essere carino, sappi che non sta funzionando.” Borbottò, capitolando.
Tom scrollò le spalle, mettendosi l’oggetto della discordia sottobraccio. “La Chips ti avrà pure dato il via libera, ma hai ancora il braccio al collo e fai fatica a salire le scale. Non sono carino, evito che tu ti rompa una gamba.”
Al per tutta risposta gli rifilò una gomitata, fiacca rispetto ai suoi soliti standard. Tom infatti gli lanciò un breve sguardo attento. E preoccupato.
“Smettila di fare la chioccia.” Lo rintuzzò. A quel punto l’altro, indispettito dall’appellativo, lo lasciò finalmente stare.
Erano passate quarantotto ore da quando era stato morso dall’acromantula: stava bene, era perfettamente capace di andare a lezione. Cosa che aveva un disperato bisogno di fare, perché stare steso un giorno intero l’aveva gettato in uno stato di malumore profondo.
Non sono fatto per l’immobilità.
Oltretutto, fuori stava succedendo il finimondo.
Il Torneo Tremaghi era stato sospeso. Le due delegazioni erano rimaste, ma quelli di Durmstrang si erano rinchiusi nella propria nave dal giorno della Prova.
A quanto sembrava c’erano in ballo grosse decisioni per quel giorno. In primis si sarebbero decise le sorti del Tremaghi.
In secundis, non avendo di meglio da fare a parte fissare il soffitto, il giorno prima si era divorato le pagine del Profeta che Tom gli aveva portato: aveva così letto un’intervista ad Hestia Jones, Direttrice del Dipartimento di Difesa. In quei giorni si sarebbe stabilito a chi assegnare le indagini sul caso dei Dissennatori.
Ufficio auror vince su tutti. Papà non si farà scappare l’opportunità di lavorare al caso della Thule, se gliene sarà data l’occasione. Lui scoprirà cos’è successo.

Lanciò uno sguardo a Tom, che era come al solito perso nei suoi pensieri. Sembrava piuttosto tranquillo e questo lo rasserenava.  
“Uno zellino… anzi, un penny per i tuoi pensieri.” Recitò, ricordando l’appunto che l’altro gli aveva fatto più di un anno prima. Sembravano passati decenni.
Tom scrollò le spalle. “Pensavo a Luzhin.”
“… e non è la prima volta. Devi dirmi qualcosa?”
Tom fece una smorfia seccata. “Non essere ridicolo.”
Al intuì che non era aria per fare battute, anche se non capì perché. “Ho saputo che si è ferito…” Disse invece, indagando per vie traverse “Come sta?”
“Non ne ho idea. So solo che ieri sera tua sorella era sul piede di guerra perché aveva lasciato l’infermeria senza dirlo a nessuno. Soprattutto a lei, suppongo.”
“Pensi che stiano assieme?” Chiese incerto. Non sapeva bene cosa pensare del tedesco; gli sembrava un tipo a posto, un po’ troppo serio ma cortese.

Ma non è che si capisca granché di quello che pensa…
Ed è proprio questo il punto… dopotutto si sta parlando della mia sorellina…
Tom si strinse nelle spalle. “Ciò che è certo, è che Lily si è attaccato a lui in modo … singolarmente repentino.”
“È suo amico di piuma da tre anni!”
“Di piuma, appunto. In questo genere di cose, non si parla di vera amicizia, perché manca l’elemento visivo, vedersi tutti i giorni…”
“E quindi?”
Tom fece un mezzo sorriso. Quando aveva quel piglio brillante e stronzo Al era combattuto: se tirarlo giù per un bacio o tirargli un calcio alla caviglia.

Invece passano tutto il tempo in cui lui non è impegnato incollati. Perlomeno uno dei due ha una cotta per l’altro.” Fece una pausa, prima di guardarlo con ovvi sottointesi. “Sai… dev’essere una cosa tipica dei Potter, appiccicarsi.”
Il calcio alla caviglia fu secco e preciso. Al si rallegrò di aver ripreso una certa fluidità, mentre guardava Tom impallidire e stringere un’imprecazione trai denti.
“Vedo che siete di ottimo umore stamattina.” Li sorprese una voce familiare.
Al si voltò. Era Michel, accompagnato dall’immancabile quanto imperscrutabile Loki.
“Mike!” Esclamò sorpreso. Lanciò un’occhiata d’avvertimento a Tom, ma rimase di sorpreso quando vide che l’altro non aveva né la bacchetta in pugno né tantomeno l’aria ostile.
Sembrava solo un po’ seccato.
“Buongiorno Zabini… Nott.” Scandì quest’ultimo con incredibile garbo.
Loki, minimamente turbato dall’evento epocale, si dedicò ad appuntare qualcosa sul taccuino che aveva tra le mani. Alzò appena lo sguardo, quasi li avesse notati in quel momento. “Buongiorno a voi.” Lanciò un sorriso obliquo a Tom. “Mio buon Dursley… ho già ottime puntate sulla Seconda Prova. Danno vincente la Weasley francese 2 a 1 col tedesco. Interessato?”
“No.”

“Sei così bacchettone…”
“Se provi a piazzare una scommessa a mio nome ti uccido.”

Al guardò sbigottito lo spontaneo formarsi di qualcosa che aveva creduto ormai perso per sempre.
Il nostro vecchio quartetto…
Tom era ancora un po’ rigido, e Michel aveva scelto di mettersi il più lontano possibile dall’altro, ma comunque…
“Che sta succedendo?” Chiese, perché doveva sapere se qualcuno aveva usato una Giratempo.
“Siamo serpeverde, pulcino.” Sorrise Michel, dandogli una pacca sulla spalla. “Possiamo fingere benissimo armonia pur detestandoci cordialmente.”
“Esatto.” Replicò pacatamente Tom. Comunque si premurò di prenderlo per mano, e stritolargli un po’ le dita. Al ricambiò la stretta. 

“Sì, ma…” Tentò.
“Bene.” Lo interruppe Michel. “Come ti senti Al? Pronto a tornare nell’occhio del ciclone?”
“Credo di sì…” Mormorò, imponendosi di riprendersi dallo stupore e dalla voglia, imbarazzante, di abbracciare forte quei due cretini. Dovevano essersi chiariti. Ovviamente ora si comportavano come se nulla fosse accaduto. Perché erano, appunto, due cretini che vestivano verde-argento.
Salazar insegna. Negare fino allo sfinimento di avere dei sentimenti.
 
“La scuola è in fermento…” Disse Michel, quando entrarono in Sala Grande. “Si parla del Torneo. Forse lo fermeranno definitivamente.”
“Per Morgana, speriamo di no.” Replicò con una smorfia infelice Loki. “Tutto il mio banco scommesse… perduto per sempre? Potrei morirne.”

“E dovresti ridare indietro i soldi delle scommesse. Come pensi di fronteggiare i creditori?” Osservò con calma Tom, lanciando un’occhiata ad un tavolo già occupato. Un attimo dopo i due che vi erano seduti erano già seduti ad un altro. Al si giudicò troppo contento per indignarsi.  
“Scappando nel mondo babbano. Ho saputo che hanno una cosa ingegnosa chiamata paradiso fiscale…” Motteggiò Loki. “Comunque non fermeranno proprio un bel niente. C’è un giro di galeoni niente male dietro, oltre al prestigio del Ministero. Sarebbe più probabile vedere il Primo Ministro a chiappe all’aria…”

“Forse sposteranno il Torneo in un’altra scuola…” Suggerì Zabini distrattamente.
“Forse…” Convenne Al.  
Era uno spettacolo così rinfrancante, fare di nuovo colazione con Loki e Michel, che ci mise un po’ a ricordarsi che quella mattina si era svegliato con un pensiero verso tutt’altra persona in testa.
Rosie!
Si guardò immediatamente attorno, e non la vide. Doveva già essere lì. Era sempre una delle prime ad arrivare in Sala Grande.  
Troppo strano.
“Rose?” Indovinò Tom. “Ieri non era a lezione. Una delle sue compagne di stanza mi ha detto che non si sentiva bene…” Poi esitò. E Al capì che c’era qualcosa che gli stava nascondendo.
Cosa?” Scandì lentamente. “Cos’ha Rosie?”
Tom fissò lo sguardo sullo scone che stava imburrando. “Ieri non avevi bisogno di partire per una delle vostre crociate Potter-Weasley …” Replicò secco, per nascondere  un’espressione colpevole.
“Che diavolo le è successo?” Sbottò, facendo voltare un paio di ragazzi accanto a loro.

Fu Michel a rispondere. “Scorpius è tornato a casa. Si è preso una pausa. E a quanto si dice in giro, l’ha presa anche da tua cugina.”
Al batté le palpebre, sentendosi confuso. “Pausa… cosa? No, aspetta. Tu come fai a sapere che loro due…”
“Lo sa tutta la scuola, Albus.” Replicò con un cenno annoiato il Capitano di Serpeverde. “Tra queste mura di gente stupida ce n’è molta. Stupidi, ma non ciechi. Scorpius e la Weasley erano palesi fin dalla festa di Halloween dell’anno scorso. Il fatto che non sentissero pettegolezzi su di loro, non vuol dire che non ci fossero.”

Ah.” Fece una pausa per raccogliere le idee. “… quindi… Malfoy ha lasciato Rosie?”
Oh, cavolo. Cavolo. Cavolo!
“Beh. Mettiamola così.” Staccò un morso da un tortino alla menta. “Quel che è certo, è che Scorpius è tornato a casa sua, e che tua cugina non scende dalla Torre di Grifondoro da ieri mattina.” Si strinse nelle spalle. “Fa’ i tuoi calcoli.”
“Devo andare da lei.” Proferì, alzandosi in piedi con piglio deciso. Crollò a sedere subito dopo, visto che le gambe decisero proprio quel momento per non collaborare.

Tom alzò gli occhi al cielo, e gli mise una pila di focaccine davanti. “Fai colazione. Poi va’ a salvarla. Priorità. Sembri un Grifondoro quando non ne hai…”
“Veramente ce l’hanno anche loro…” Borbottò, sentendo che doveva almeno un po’ difendere la categoria familiare, mentre Michel e Loki sogghignavano come due iene.
“Difatti solitamente sono noti per scegliere priorità che li fanno ammazzare.” Replicò crudelmente Tom, che sapeva di essere attraente proprio quando faceva lo stronzo. Lo sapeva. “Mangia.” 
Al spazzolò tutto, perché in effetti aveva una fame da lupi. Quando l’ultima briciola fu consumata, Tom scostò la sedia per farlo passare e gli consegnò la sua tracolla.
“Vedi di non tardare a lezione…” Lo ammonì, anche se sapevano entrambi che  l’avrebbe fatto, e tragicamente.
“Ci vediamo a pranzo pulcino.” Lo apostrofò infatti Michel, dedicandogli un mezzo sorriso.
Il nomignolo era del tutto gratuito e giusto per infastidire Thomas. Ma era nello stile Zabini, quindi per Al fu il benvenuto. Come era nello stile di Loki un cenno della testa e un motteggio distratto.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori, quei tipi astuti, affatto babbei… 
Gli venne proprio da canticchiarla. Ma nella sua testa, perché un po’ di dignità doveva pur mantenerla.
 
Il buon’umore non gli si guastò finché non si trovò di fronte al ritratto della Signora Grassa.
Se Rosie salta le lezioni, allora è grave.
Riuscì a passare con un paio di lusinghe riguardanti il suo nuovo scialle di mussola azzurra della vanitosa dama.
Nella Sala Comune c’era ancora qualche studente, che lo fissò perplesso, ma non troppo. Dopotutto non era la prima volta che entrava ed usciva impunemente dalla Torre di Grifondoro. Non essendo comunque autorizzato, si premurò di tenere la spilla da Capocasa in vista.
Sospirò di fronte alle scale a chiocciola del Dormitorio delle ragazze. Odiava quella parte.
Mise un piede sul primo scalino, e si ritirò velocemente quando la scalinata divenne un ripidissimo scivolo.

Immagino non serva a niente dire che le grazie femminili non mi interessano, eh?
Si puntò la bacchetta ai piedi, e un attimo dopo scalava la salita grazie ad un incantesimo aderente.
Sul serio… i fondatori non ci hanno pensato? James e gli Scamandro hanno cominciato ad usarlo al Secondo Anno. E non penso che fosse farina del loro sacco.
Il Dormitorio era vuoto e dalla stanza di sua cugina proveniva della musica soffusa. Somigliava terribilmente a una struggente ballata babbana.
Mmh… mi sa che è l’orario degli Ascolti di Martin Miggs.
Aprì la porta lentamente. La camera profumava di smalto per unghie, svariate essenze e crema per le mani.
Lo ammetto, mi piace l’odore che c’è in camera di una ragazza. Ho passato metà della mia vita a sentire odore di calzini sporchi, tra Jamie e Hugo… e non parliamo degli allenamenti di Quidditch.
La sua ex-camerata, la sua stanza e quella di Tom a casa dei suoi genitori erano gli unici luoghi non funestati da quei maschi afrori.
Altro motivi per essere un Serpeverde. L’orrore per la sporcizia che hanno tutti i purosangue.
Individuò subito Rose. Era a letto, avvolta in un chilo buono di coperte. La bacchetta giaceva triste sul comodino, assieme ad una pila di libri e un piccolo vasetto contenente…
“Rosie, hai bagnato il tuo cactus?” Le chiese con il migliore tono da cugino affezionato.
La ragazza non si mosse, ma fu certo che fosse ben sveglia.
“Vuoi che gliela dia io?” Si offrì.
“… è una pianta desertica, non ne ha bisogno.”  Poco più di un brontolio. 
Si poteva fare di meglio.
“Sai…” Soggiunse, sedendosi sul letto. “… non è sano ascoltare musica struggente. E non andare a lezione? Sul serio Rosie? È l’anno dei MAGO.”
“… va’ via. Lasciami soffrire in pace.” Fu il borbottio che giunse da sotto il cuscino. Ma era un pochino più intelligibile, e Al se ne rallegrò.
“Lo sai che non posso.” Si puntellò sul materasso con le mani, prima di spegnere la radio con un gesto della bacchetta. “Come hai fatto a non farti venir a prendere di peso da zio Nev?”
“Ho detto che avevo le mie cose e che i dolori mi stavano uccidendo.”
“E ti ha creduta?”
“Non sembra saperne molto di problemi femminili. È arrossito ed è scappato via come se avesse i Dissennatori alle calcagna…” Fece una pausa dolorosa. “Pessimo paragone.”
“Ehi, Scorpius tornerà.” Le mise una mano sulla schiena, o perlomeno dove pensava fosse la schiena. “… non è il tipo che abbandona la nave…”
“… che affonda?” Sussurrò Rose, e Al si diede dell’idiota.

“Mi è uscita male. Intendo dire… andiamo, è Malfoy! Ti adora ed è il Campione della scuola. Non rinuncerà né a te né alla gloria eterna.”
“Vorrei che all’ultima rinunciasse…” Rose si tolse il cuscino dalla faccia. Aveva gli occhi rossi e l’aria della sposa piantata sull’altare. Il che addizionato al suo pigiama coi coniglietti la rendeva estremamente fragile. Albus le porse il suo fazzoletto con aria compartecipe e composta.

Rose si asciugò le lacrime, stropicciando poi il fazzoletto tra le dita. “La sai la cosa peggiore?” Fissò con furia il copriletto. “Lo sapevano tutti. Dico, a scuola… sapevano tutti che stavamo assieme!”
Al saggiamente decise di rimanere in silenzio.

Beh, a pensarci, Mike non aveva tutti i torti… gli indizi c’erano. Scorpius ha smesso di pomiciare con le galline del suo “serraglio”, e tu hai cominciato a portare i capelli sciolti.
Lui non ci aveva mai fatto caso solo perché nei mesi in cui si era sviluppata la loro storia era preso a scoprire e poi rimpiangere la sua.  
“La Finnigan è venuta, ieri sera…” Continuò Rose. “Mi ha detto quanto le dispiaceva che le cose tra me e Malfoy fossero finite così…”
Al guardò con clinico interesse il suo fazzoletto ridursi ad un brandello di stoffa. 
“E tu che hai fatto?”
“Le ho detto di andare a farsi una nuotata nel Lago Nero.” Sbuffò, facendolo sorridere. “… Merlino, quasi mi manca la Haggins. Perlomeno lei non avrebbe finto che le dispiaceva. Mi avrebbe ghignato in faccia.”

“Onesta.” Concordò quieto, accarezzandole un polso. “Ascolta… te l’ho già detto, Malfoy tornerà.” Le sorrise incoraggiante. “Sai, sembra che a volte tornino…”
“Non è come te e Thomas, Al…” Ribatté l’altra. E poi cominciò a raccontare per filo e per segno quello che era successo. Al alla fine del racconto ebbe voglia di appendere suo zio per gli alluci nel punto più alto della Torre di Astronomia.

Anche se poi, a conti fatti, neppure ha fatto granchè…
“Scorpius se n’è andato perché io l’ho deluso.” Concluse Rose tetra.
“Ma non è vero!” Protestò, perché qualcuno doveva riattivarle l’amor proprio. “Gli sei stata vicina per tutti questi mesi, seguendo i suoi deliri da Uno contro Tutti! E per il resto… non l’ho mai sentito lamentarsi!”
“Fingeva! Perché non voleva costringermi a fare qualcosa che non volevo! E per questo lo prenderei a calci… perché avrebbe dovuto dirmelo, dannazione.” Sbottò, mentre le lacrime si affacciavano nuovamente. Al con orrore realizzò che non sarebbe bastato il suo fazzoletto. “Anche se tornerà… non so se tornerà da me.”

“E tu fallo tornare!” Adorava sua cugina, ma a volte si perdeva in un mestolo da calderone. Le prese una mano e la strinse forte. “Le principesse che aspettano nella torre esistono solo nelle fiabe, no?” Le strizzò l’occhio, riuscendo nell’intento di farla sorridere. “Ragazze così sono di una noia mortale.”
“… concordo.” Ammise. Fece una breve pausa. “Sai, l’ho detto a mamma.” Sorrise mesta alla sua faccia sorpresa. “Sì, anch’io pensavo sarebbe stata la fine del mondo… ma credo che mi fossi fatta troppi film mentali.” Tirò un sospiro. “Il problema resta sempre papà. Non so se mamma glielo abbia detto, ma ormai ha capito. Ho mandato un gufo a casa per sondare il terreno, ma non mi ha risposto. Brutto segno…” Aggiunse mordicchiandosi un labbro. 
“Zio Ron se ne farà una ragione… prima o poi.” Aggiunse. “È tuo padre,  vuole solo vederti felice.” Si strinse nelle spalle. “E pazienza se sarà con un Malfoy.”

Rose lisciò le lenzuola in un paio di pieghe ordinate. Non ribatté alla sua frase. “Scorpius è un tale testone…” Disse invece. “Non sarà facile riguadagnarmi la sua fiducia.”
“Fa parte dei nostri geni. Quando mai una cosa è semplice per noi?”
Rose annuì e gli sfiorò il braccio fasciato con le dita. “Tu stai bene? Sono venuta a trovarti quando eri in  infermeria… ma dormivi, e Tom mi ha guardato come se volesse staccarmi la testa quando mi sono avvicinata.”
“Ha la sindrome della chioccia.” Sospirò facendola ridere apertamente stavolta. “Comunque me la cavo… anche se credo che approfitterò della tua ospitalità per riposarmi un po’.” Si tolse le scarpe per sottolineare l’intenzione.  

“Al… non preoccuparti per me.” Tentò l’altra con il tipico sguardo grato di chi sperava che lui facesse tutto il contrario. “E poi non dovresti stare qui, sei un ragazzo.”
“Tu per me ci sei stata quando ne avevo bisogno. È la legge del karma.” Le assicurò con tono autorevole. “E poi sono gay. Ho un dispaccio speciale per consolare streghette affrante.”

Rose non disse niente, ma quando si stese accanto a lei lo abbracciò stretto, posandogli la testa sulla spalla.
“Sono contenta che tu lo sia allora…”
Al la strinse, baciandole i capelli. Guardò il disastro che era quel letto e la marea di fazzoletti in cui navigavano.
Non sarò mai la causa di una deriva di sentimenti simile… Beh.
“Credimi Rosie. Anch’io.”
 
****
 
Torre Ovest, Guferia.
Poco dopo pranzo.
 
Tom legò con particolare cura una lettera alla zampa di Kafka: aveva passato buona parte del post-pranzo a scriverla e non voleva venisse persa nel tragitto per Durmstrang.
Era per Meike. Di solito preferiva firmare quelle di Albus  - certo, dopo averle approvate - ma questa volta l’altro ragazzo glielo aveva proibito. Gli aveva messo il necessario davanti e gli aveva intimato di scrivere alla sua piccola amica.
Tom aveva passato due ore a cercare di far sembrare la lettera più cordiale possibile. Probabilmente aveva fallito.
Beh, non le importerà che la riempa di faccette buffe come fa Al.  

Sapeva che Meike non si trovava bene a Durmstrang, ma non era ancora riuscito a parlare ad Harry di un suo trasferimento ad Hogwarts. Prima avrebbe dovuto parlare con Cordula, visto che era lei la sua tutrice legale.  
Solo che non ha mai risposto alle lettere che le ho mandato. Dannata corrispondenza inter-stato.
Diede una razione di carne secca in più alla cornacchia per poter affrontare il lungo viaggio e la osservò spiccare il volo. Se il tempo era buono, sarebbe arrivata all’Istituto in una manciata di giorni.
Il vento umido che saliva dal Lago Nero gli fece storcere le labbra. Non era tempo per rimanere fuori. Lanciò uno sguardo verso il Vascello, moloch nero e silente stagliato sulle acque appena mosse.
Luzhin era lì, con i suoi segreti.
Perché sapeva che quel tipo nascondeva qualcosa. In infermeria era riuscito ad avvicinarglisi a sufficienza per studiarlo, ma non aveva concluso niente.
Pensavo …
Si infilò le mani nel cappotto per scaldarle e scese le scale. Cedette il passo ad un paio di ragazze di Grifondoro piuttosto querule, e riprese a camminare.
Pensavo che nascondesse qualcosa nel braccio.
Il che, lo sapeva da solo, era ridicolo: anche volendo, non sarebbe riuscito a nascondere una bacchetta nella manica durante la Prova. Tutti i campioni venivano perquisiti prima di entrare nell’arena. Dovevano avere con sé solo la propria bacchetta. Una.  
Eppure quando l’acromantula l’ha attaccato era disarmato…
Lì per lì aveva pensato ad un incantesimo senza bacchetta, ma adesso non ne era convinto
La magia senza bacchetta è instabile, imprevedibile. E se usata corpo a corpo ti si ritorce contro, è matematico. Non è un idiota, non avrebbe mai usato una strategia così pericolosa.
Luzhin aveva usato qualcos’altro per sconfiggere l’acromantula. Solo non sapeva cosa.
Il problema continuava ad essere uno solo: c’erano tante cose che lo impensierivano di quel tipo, ma nessuna abbastanza grave da avvertire i professori, o il padrino.
Dovrei proprio scambiarci quattro chiacchiere…
Certo, se non si fosse barricato nella loro nave da guerra.
Stava per infilarsi nello stretto arco che dava ingresso nel corpo principale del castello, quando un gufo lo raggiunse. Lo conosceva bene: era Edwig, il gufo della famiglia Potter.
Gli prese la lettera dal becco. Era da parte di Harry, riconobbe subito la scrittura.
 
Non mi sono dimenticato della nostra promessa.
Venerdì prossimo ai Tre Manici ti andrebbe bene?
Fammi sapere tramite Ed.

Un abbraccio, Zio Harry
 
Sorrise soddisfatto: non erano immediate, ma avrebbe avuto delle spiegazioni.
Girò la lettera e frugando nella borsa trovò agevolmente una penna a sfera. Non iniziava mai l’anno senza averne un grosso pacco.
 
Ci sarò. Grazie.
Thomas.
 
Imbustò di nuovo la lettera e la consegnò al volatile, che ligio al dovere spiccò il volo. 
Entrò nel corridoio del settimo piano. A quell’ora, quell’area del castello era deserta e quindi potè continuare a pensare in santa pace.
Era convinto che il Tremaghi fosse il mezzo tramite cui la Thule voleva avvicinarsi. Glielo aveva velatamente confermato quell’americano, quello Scott.  
Ma che senso aveva l’attacco? Hohenheim deve sapere che i Dissennatori sono storia passata e digerita qui. Li abbiamo usati per anni.
Aveva voluto fermare il Torneo? Poco probabile. Se aveva infiltrato i suoi uomini grazie ad esso, perché mai fare in modo che tutti se ne tornassero a casa?
Spostarlo.
L’illuminazione gli arrivò sulle scale mobili, e solo la sua prontezza di riflessi gli impedì di inciampare poco decorosamente nel passaggio dal terzo al secondo piano.
Vuole che venga spostato.
Le scuole straniere si impunteranno dopo quello che è successo, ed Hogwarts è attualmente in una posizione di sfavore. Lo confermano gli articoli sul Profeta.
In caso mettessero un aut aut non potrebbe rifiutarsi di lasciare lo scettro…
Sentì lo stomaco strizzarsi in una mossa. Era spaventato, sì, ma anche eccitato. Aveva capito. Suo padre non era quel genio del male insondabile che gli americani pensavano fosse.
Vuole spostare il Torneo dove la sicurezza sarà minore. Del resto, cosa potrebbe importare ai francesi o a quelli del Nord, della mia incolumità?
Però non tornava. Scese la scalinata che portavano al piano terra, sperando che Albus e gli altri fossero ancora in Sala Grande a fare i compiti.
Anche se venisse spostato… come può avere l’assicurazione che io farei parte della delegazione di Hogwarts? Non sono un Prefetto, né un Caposcuola. Non sarei obbligato se mi sorteggiassero.
Fece una smorfia delusa: forse il suo costrutto razionale non era poi così brillante.
Quando varcò il grosso portone della sala, percepì un netto cambio di atmosfera. C’erano mormorii eccitati, capannelli di studenti che chiacchieravano e in generale libri e pergamene erano stati lasciati a loro stessi.
Cercò di individuare qualche viso noto tra la folla, e vide Lily. Era dove doveva essere: al centro della nube di chiacchiericci. 
Quando intercettò il suo sguardo, però gli trotterellò incontro in un turbinio di mantello e capelli rossi. Ultimamente li portava spesso sciolti, notò. “Ehi Tommy! Hai sentito la notizia?”
“Thomas, Tom. Hai due scelte. Non una terza.”
Lily sbuffò. “Sì, come vuoi. Comunque. Il Tremaghi sarà spostato! L’hanno deciso un’ora fa, in conferenza dei Presidi riunita o qualcosa del genere. Hanno affisso un avviso in bacheca, all’entrata! Non l’hai visto?” 

“No.” Quindi era davvero successo. Ma continuava a non avere senso. “Immagino ti spiacerà… dovrai salutare Luzhin.”
“Ma neanche per sogno!” Replicò quella con un sorriso furbo. “Ti ricordi che faccio parte del coro della scuola, no? Ci esibiremo per Durmstrang e per Beaux-Batons. Un mese al nord e poi un mese in Francia! Praticamente due mesi di vacanza…” Sorrise beata. “Però le due delegazioni rimarranno qui, almeno fino al Ballo del Ceppo di sicuro. Credo sia una specie di contentino per salvare la faccia ad Hogwarts.”

Tom la stava ascoltando solo a metà. 
Era questo il suo obbiettivo? Spostarlo? Ma perché? Non può sapere se farò parte della delegazione. Non può essere così sicuro da costruirci sopra un piano…
“Mi sa che sarai tu a sentirti solo!” Continuò Lily. “Perché…”
Tom non ebbe bisogno di sentire il resto della frase. Con orrore, improvvisamente, comprese.
La delegazione. È formata dal Campione, dal suo assistente… e dagli studenti più meritevoli.
Come i Prefetti e…
“Albus farà parte della delegazione?” Doveva avere un tono veramente aggressivo, perché Lily gli scoccò un’occhiata preoccupata.
“Beh … è un Caposcuola, no? È appena andato nell’ufficio del Preside per … Tom!
Ignorò il richiamo ed uscì dalla sala come se avesse l’inferno alle calcagna. Dal suo punto di vista, lo aveva davvero.

No. No. Non Al… non in quella delegazione! L’ha fatto apposta! Sa che Albus ci dovrà andare!  
Sentiva il cuore battergli nella cassa toracica come a volergliela sfondare. Gli veniva da vomitare.  
Al che l’aveva salvato l’anno prima da John Doe, che aveva preso, seppur momentaneamente, possesso della Bacchetta di Sambuco. Al con la sua fenice di nome Fanny.
Magari gli interessa, Tom. Magari l’ha colpito.
Magari sa quanto tieni a lui… magari sa che ti consegneresti per lui.
Quella voce appariva nei momenti più terribili della sua vita, e aveva sempre un tono soddisfatto.
Doveva colpire qualcosa. Fu una fortuna che avesse lasciato la bacchetta in borsa,  perché l’unica cosa che poté fare fu prendersela con la prima armatura che si trovò davanti, facendola cadere con un gran fracasso.
Sentì delle voci. Probabilmente il suo dare in escandescenze aveva attirato curiosi. Non gli importava.
Al andrà là. Al andrà dove io non ci sarò. Ma dove ci saranno i tentacoli di quell’uomo.
Alberich Von Hohenheim era come una maledetta ombra. Non l’aveva mai visto, non ci aveva mai parlato. Ma lo sentiva, in attesa, che lo voleva. Voleva strappargli via tutte le cose belle della sua vita per renderlo come avrebbe voluto che fosse sin dal principio: un misero essere con l’anima a pezzi.
No.
All'improvviso qualcosa di molto rosso gli entrò nella coda dell’occhio e sentì  la mano di Lily sul braccio.
Non toccarmi – pensò infuriato – Va via o ti costringerò io.
“Andiamo via prima che qualcuno pensi di scattare una foto a Tom Impazzito Oltre Ogni Previsione…” Mormorò con voce gentile la ragazzina, come se fosse completamente ignara dei suoi pensieri. Tom sapeva che non era del tutto così. “Sarebbe un peccato visto che sei così bello. Adesso, sai, hai una faccia orribile.”
Forse fu per il tocco fermo sul braccio, o per la battuta fuori luogo, ma Tom rimise a fuoco il mondo. E si accorse che le facce sbigottite erano più di quante pensasse.

“Io… devo entrare nella delegazione.” Riuscì a dire, perché pensava soltanto a quello.
Ha vinto. Ecco come mi avrebbe obbligato, coinvolto. Con Al.
Conosce le mie debolezze. Le conosce.
Tutto quello non poteva essere frutto della sua mente paranoica. Non poteva.
Lily annuì e lo portò via guidandolo con estrema perizia attraverso la piccola folla. La vide lanciarsi uno sguardo con Hugo, perennemente due passi dietro a lei.
Quello schizzò via, ad adempiere a chissà quale consegna.
“Certo. È ovvio che ci andrai.” Gli disse mentre lo trascinava verso la torre di Grifondoro. La direzione sembrava quella. “Sia mai che qualche tenebroso scandinavo metta gli occhi su Albie mentre non ci sei. Ma avrei vigilato io, sai…”
“… sei totalmente inopportuna.”
Lily gli sorrise e lui si sentì un po’ meno matto. “Lo so, Tommy. Ma sembra che tutti ne abbiate sempre un gran bisogno.”

 
****
 
Lago Nero, Vascello di Durmstrang.
Pomeriggio.
 
Il ticchettio della pendola era uniforme. Come doveva essere: misurava il tempo che per Sören, dal giorno della Prova, non si era mai ravviato a dovere.
Non era riuscito a parlare con suo zio. Non ancora. Gli era stato detto che era fuori città, che non poteva essere raggiunto.
Il soffitto della cabina, a cassettoni e di un nero pece, sembrava schiacciarlo mentre se ne stava steso nella propria cuccetta. Sentiva l’acqua sciabordare contro la fiancata, con una vibrazione lenta e costante.
Gli sembrava di essere prigioniero.
Poliakoff si era occupato di tutto, in quelle quarantotto ore. Dal portargli i pasti fino alle medicazioni per la testa che tutt’ora lo faceva dormir male.
Hogwarts…
Gli inglesi avevano provato a protestare. Poliakoff gli aveva raccontato che non appena si erano accorti della sua scomparsa avevano immediatamente mandato un Gufo per accertarsi delle sue condizioni.
Non hanno potuto fare altro… Letteralmente, potuto.
La Roskilde² – era quello il nome del vascello - non era solo un cumulo di assi galleggianti. Era anche territorio della scuola: sulla nave infatti valeva l’autorità dell’Istituto, non quella di Hogwarts. Nessun mago o strega di origine britannica poteva calcare la passerella, a meno che non fosse autorizzato.
A parte Lilian che c’è riuscita per ben due volte.
Serrò la mascella a quel ricordo. Non voleva ricordare. Voleva solo uscire da quella situazione.
Si rigirò tra le dita l’anello dei Prince. Era un movimento che aveva compiuto così tante volte in quei due giorni che era ormai automatico.   
Poi vide le fiamme del fuoco portatile accendersi, violentemente.
È tornato.
Si alzò in piedi, ignorando il capogiro – era sopportabile – e infilò la testa tra le brillanti fiamme verdi.
“Zio.”
Poteva vedere una grossa porzione dello studio. Il tappeto pregiato che era davanti al caminetto, la scrivania di mogano massiccio dietro cui tante volte era rimasto in piedi. E poi Alberich von Hohenheim.
“Sören. Ho saputo che mi stavi cercando…” Esordì. “Mi dispiace non essere stato reperibile sin ora. Affari mi hanno chiamato ben distante da casa, e sai meglio di me che non è sicuro comunicare tramite camini altrui.”
“Naturalmente…” Era sorpreso, doveva ammetterlo. La rabbia sorda che gli era scorsa sottopelle in quelle ore si placò lievemente.
Suo zio si stava scusando? Con lui?
“Ho e sentito anchche sei stato ferito alla testa… spero tu stia meglio. Ti hanno approntato le cure necessarie?”
Il tono era… gentile. Non aveva mai avuto quel tono con lui. Forse solo una volta, quando si era ferito nell’incidente che aveva ucciso suo padre.

Ma è stato molto tempo fa…
“Sì… mi sento meglio. C’è un medimago a bordo, fa parte dello staff. Inoltre sono stato nell’infermeria di Hogwarts. Sono un Campione, è scritto nelle regole che…”
“Sono lieto di sentirlo.” Lo interruppe. “Poliakoff mi ha già fatto rapporto, suppongo che tu lo sappia. Nessuno di noi voleva disturbare il tuo recupero. Hai affrontato una prova molto dura.”

Sören era sconcertato. Il tono di suo zio mostrava affezione. Sincera o meno che fosse, non si era mai disturbato a fargliela sentire.
“Pensavo…” Esitò sentendosi la gola secca. Improvvisamente aveva un’incredibile voglia di bere qualcosa di forte. “Sono spiacente di aver perso il controllo. Ho lasciato tutto nelle mani di Kirill e non avrei dovuto. Era mio il compito.”
E per questo scommetto che è stato estasiato…

Suo zio fece un cenno vago con la mano. “Sciocchezze. Hai fatto ciò che dovevi e al punto in cui siamo, non ho e non hai tu stesso nulla da rimproverarti.”
“Il punto a cui siamo…”
A che punto erano? La domanda era fondamentale. Era capitale. Perché lui non ne aveva la minima idea. Non sapeva cosa stesse facendo per suo zio e se lo stesse facendo bene.

E se farlo bene avrebbe portato dolore ad innocenti… come Lily.
“Sì, Sören, il punto a cui siamo. Ti chiederai quale sia. Credo sia il momento che tu lo conosca… Credimi, se ti ho tenuto all’oscuro fin’ora era perché doveva essere così.” Doveva essere così. Non aveva facoltà di replica quindi. “… abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo. Far spostare il Torneo.”
“… spostare il Torneo.” Mille pensieri gli si affollavano in testa. Di precedenti e di nuovi. “Perché?”
“Ad Hogwarts la sicurezza è troppo alta. Portare via qualcuno sarebbe impossibile. Non facile come l’anno scorso, questo è sicuro.” Aggiunse accarezzandosi la barba rada sul mento. “Mi sono assicurato che Durmstrang ospiti la Seconda Prova. A Durmstrang noi Hohenheim siamo a casa, non è vero?”
“Sì…” Confermò debolmente. Quindi era quello il piano. Togliere la potestà ad Hogwarts. Aveva senso. Forse. “… ma come faremo a sapere che Dursley farà parte…?”
“Della delegazione?” Suo zio rise. Sören si accorse che non l’aveva mai sentito ridere davvero. Non successe neppure stavolta in effetti. Non era come le risate di Lily e dei suoi amici. Quella risata non aveva la minima emozione dentro. “Credimi, lo farà. Per avvicinare la preda, devi prima studiare le sue abitudini… cosa preferisce. Cosa detesta. A cosa tiene.” Gli lanciò un’occhiata penetrante. La sentì persino attraverso il fuoco, e rabbrividì. “Cosa c’è Sören? Ti vedo turbato.”

Doveva dirglielo. Doveva dirglielo o sarebbe impazzito.
“È Lily, Signore…” Mormorò. “Lilian Potter. La ragazza che devo sorvegliare. Il mio compito.”
“Uno dei tuoi compiti.” Rettificò quietamente. “Sto ascoltando.”
“Io… lei.” Si umettò le labbra, trovandole secche come foglie. “… Cosa c’entra lei in tutto questo? Non riesco a capire.”

L’uomo aspettò molto prima di rispondere. “È la prima volta che ti sento fare tante domande, Sören. Solitamente, esegui gli ordini senza battere ciglio. Sei il più fedele dei miei uomini.”
“E lo sono!” Esclamò, non potendo evitare di sentirsi lusingato. Era la prima volta che gli faceva un complimento così smaccato. Però… “Lo sono, sono Vostro servo fedele. Solo… noi ricerchiamo la conoscenza. E… comprendo che per fare ciò, ci siano dei sacrifici. Delle vite che possano essere sacrificate, o azioni che possano essere compiute. In nome di un ideale.”
Quante volte l’aveva ripetuto quel mantra durante la sua infanzia, durante tutti quei lunghi anni sotto l’ala protettrice di suo zio? Ormai faceva parte di lui.

L’uomo non disse niente, aspettando che finisse. Gliene fu grato. Non sapeva se interrotto sarebbe stato capace di continuare. Era dura, esprimere la propria opinione quando lo si faceva per la prima volta.
“Non abbiamo mai coinvolto persone estranee ai nostri interessi…” Deglutì sentendo le unghie premergli sulla carne. “… Lilian Potter ha un rapporto superficiale e labile con … Vostro figlio. Quindi non capisco come possa aiutarci nel riportare Vostro figlio da Voi…”
Si stava confondendo di nuovo. C’erano troppe idee nella sua testa.

Suo zio sembrava scrutarlo attraverso il fuoco, e Sören quel fuoco se lo sentiva dentro.
Forse gli era tornata la febbre?
“Sei preoccupato per la giovane Potter.” Scandì con precisione chirurgica. Lo poté quasi sentire soppesare le parole. “Sei preoccupato che le possa accadere qualcosa mentre attuiamo il piano. Mi sbaglio?”
Sören non rispose, perché non ce n’era bisogno.

“Possa sapere il perché?”
Quello necessitava di una risposta. Doveva dargliela, anche se lo faceva tremare, ed era il principio da cui tutta la sua confusione era stata originata.

“Quando mi sono ferito… ero inerme. Un Dissennatore ha tentato di attaccarmi. Lilian era lì… e mi ha salvato. Ha evitato che la mia anima fosse presa da quella creatura.” Fu uno sfogo più che una spiegazione. Non guardò verso l’uomo neppure una volta. “Lilian Potter mi ha salvato la vita. Ed io devo sapere se sto attentando alla sua.”
Lily era vera. Non era uno dei tanti volti che aveva ferito per l’Organizzazione.
Lily era il suo sorriso, le sue chiacchiere interminabili e profumo di gigli. Aveva quindici anni e lo credeva suo amico.
… devo sapere se le farò del male.
Anche se non aveva idea di cosa avrebbe fatto, nel caso fosse stato così.
Attese a lungo prima che suo zio si decidesse di nuovo a parlare. Lui continuò a tenere lo sguardo a terra, dove era sempre stato.
“… sei un ragazzo corretto.” Sussurrò Hohenheim, e il tono era carezzevole. “Come lo era Elias.”
Sören alzò la testa. Era la prima volta, da tanto tempo, che parlavano di suo padre.
“Era un buon amico…” Si accese la pipa. Altra cosa che non faceva mai davanti a lui. Era un gesto distensivo e con lui Hohenheim non lo era stato mai. “Un mago eccellente, un valido aiuto per l’Organizzazione. La sua perdita, credimi, ancora mi addolora.”
Sören non replicò. Sapeva di dover solo ascoltare. Come sempre, quando suo zio parlava.
“Come lui, hai un’alta concezione dei debiti che contrai.” Tirò un paio di boccate dalla pipa e la vide accendersi di un tenue lucore rossastro. “Non ho alcun interesse a fare del male alla ragazzina. È solo un mezzo.”
“… quindi… non le sarà fatto alcun male?”
“Era questo che volevi sapere, giusto?” Replicò l’uomo. “Hai la mia parola.”

Sören sentì il sollievo sciogliersi lungo le ossa. Fu tanto che quasi sentì gli occhi pizzicargli. Erano anni… decenni forse? Che non gli succedeva.
“In ogni caso… accetta le parole del tuo unico parente, un uomo che tiene a te.” Aggiunse strappandolo dalle sue riflessioni. “Il debito che provi nei suoi confronti è buono. Ti permetterà di esserle più vicino, perché quel legame lo sentirà anche lei. Si fiderà di te. E aiuterà la tua copertura…”
“Sissignore…”
“Ma ricordati chi sei. Ricordati da dove vieni e dove tornerai quando tutto sarà finito.” La voce si fece quasi carezzevole. “Ti avevo ben detto che questo compito sarebbe stato difficile… non tanto operativamente, quanto emotivamente. So che sei esposto ad un forte stress. Lo capisco.” Spense la pipa gettando la cenere dentro il fuoco. “Ma sai cosa fare delle tue emozioni.”  

“Non essere loro schiavo…” Replicò ed era vero. Avrebbe dovuto, Per Merlino, se avrebbe dovuto.
Ma era come aveva detto Johannes. Era un cane fedele che spasimava per una carezza. E accorreva, desiderandola disperatamente.  
“Spero che tu sia più sereno adesso… riposa. Presto avrai mie notizie.”
Sören fece un cenno con la testa, e poi tolse la testa dal fuoco, che tornò vuote braci iridescenti.
Si appoggiò contro il materasso sottile del letto e chiuse gli occhi.
Non aveva chiesto a suo zio di Severus Piton. A conti fatti, non aveva senso lo facesse.
I Prince erano soltanto scheletri sotto metri di terra. Piton l’eroe era ormai ossa e polvere. 
Ma io sono vivo. E nessuno di loro può tendermi la mano ed indicare la direzione.
Ne esiste una sola per me, ed è questa. Essere un Hohenheim.
Si accorse che stringeva qualcosa in pugno solo quando lo fece cadere sul pavimento.
L’anello dei Prince.
Lo raccolse solo per gettarlo in fondo al suo baule. Dove doveva stare.
 
****
 
Torre di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del Quinto anno.
Pomeriggio.
 
Albus quando si era trovato Hugo, scarmigliato come suo solito ma con un fiatone da record, davanti all’ufficio del Preside, aveva subito capito che c’era qualcosa che non andava.
E negli ultimi tempi, quella sensazione andava a braccetto con Thomas Dursley.
Infatti…
Si trovava nell’ultimo dei luoghi in cui avrebbe visto Tom: ovvero in una camera piena di cuscini rosa, pupazzetti e poster di maghi con denti luccicanti. La camera di sua sorella a Grifondoro.
E questo non è un bene…
Perché strideva terribilmente con la figura di Tom, seduto sul letto di Lily. Si teneva la testa tra le mani e non dava segno di averlo sentito entrare.
Ad Al non venne più tanta voglia di sorridere.
“Che succede?” Chiese semplicemente.
Tom a quel punto alzò lo sguardo di scatto, come se avesse sentito scoppiargli un incantesimo vicino. In un attimo fu in piedi, e Al ringraziò mentalmente Lily per avergli confiscato la borsa con dentro la bacchetta. La sua espressione sarebbe stata capace di produrre da sola uno schiantesimo.
“Tu non ci devi andare.” Gli ringhiò addosso. Non lo afferrò soltanto perché fu abbastanza svelto da fare un passo indietro, e quindi lo mancò.
“Okay.” Disse, perché dietro l’aggressività di Tom c’era un terrore genuino e doveva subito isolarne la causa prima che facesse danni. “Dove?”
“Lo sai dove…” Mormorò, limitandosi a restare dov’era, forse intuendo che l’aggressione non era il modo migliore per farsi dare udienza. “Fuori da Hogwarts. Per il Tremaghi.”
“Non è che abbia scelta…” Disse con tono calmo. Neppure lui aveva fatto i salti di gioia alla notizia che avrebbe passato due mesi lontano dall’Inghilterra, dietro ad un Torneo di cui sostanzialmente non gli importava nulla. “Sono attualmente l’unico Caposcuola disponibile, e dovrò  quindi essere lo studente coordinatore della nostra delegazione. Spero mi diano anche una spalla femminile per quanto partiremo, ma al momento…”

No!” Stavolta l’urlo fu seguito da una violenta ventata che spense buona parte delle candele che illuminavano la stanza. Al si impose di non sussultare, e le riaccese con un colpo di bacchetta.
“Ti stai comportando come un idiota.” Scandì, guardandolo negli occhi. “Calmati … e spiegami. Perché così mi stai spaventando.”
… avevo detto stamattina che ero contento di non vedergli la faccia dell’anno scorso?
Come non detto. Eccola qui.

Lo stesso sguardo braccato e gli stessi lineamenti stravolti. Tom non aveva mai superato veramente quello che gli era successo: come avrebbe potuto se il fautore era ancora a piede libero e intenzionato a continuare quello che aveva iniziato?
Comunque le sue parole sortirono qualche effetto: l’altro sembrò tornare a più miti consigli, perché non ci furono altri scoppi di magia inintenzionale. Aprì le labbra, ma solo dopo attimi si decise a parlare.
“… è tutto organizzato. La Thule… quello che è successo. È stata lui a farlo accadere. I… I Dissennatori erano qui per un motivo preciso.” Al odiava quando gli tremava la voce. Era così abituato a sentire Tom non perdere mai il controllo che una parte di sé si spaventava, come se avessero ancora sette anni e fosse l’altro quello più forte.
“Per quale motivo?”
“Far spostare il Torneo, dove la sicurezza sarà minore.”

“Okay…” Doveva fare il punto della situazione. Almeno lui. “Tom, questo non ha senso. Tu non sei il Campione e a meno che tu non lo richieda, non farai parte della delegazione. E anche in quel caso, non è detto che tu venga preso.”
“Ma tu sì.”

“Io?”
“Tu sei un Caposcuola…” Si passò una mano trai capelli, lanciandogli un’occhiata così disperata che Al ebbe la tentazione di gettare la spilla dalla finestra. “L’hai detto tu, sei obbligato a far parte della delegazione. A meno che non ti ritiri…”

“Non lo farò.” Lo interruppe. Era preoccupato, certo, ma Tom stava avendo una delle sue paranoie ad occhi aperti. Perché doveva essere quello. Quell’Hohenheim non poteva essere così machiavellico.
Beh, è il padre di Tom. Hai presente quanto è machiavellico lui?
Decise di ignorare quella voce.
“Non lo farò perché sono solo ipotesi. Ed io ho dei doveri, doveri verso Hogwarts e verso la nostra Casa. E con quello che sta succedendo non posso mettermici anche io, a dare problemi!”
“Non capisci!” Sbottò l’altro, frustrato. “Pensi che siano vaneggiamenti? Pensi che mi stia inventando tutto perché sono…”
“Perché sei traumatizzato da quello che tuo padre ti ha fatto un anno fa, sì. Lo penso.” Replicò con la stessa esasperazione. Non voleva pensarci. Perché le cose non potevano essere semplici per loro come qualsiasi altro mago al mondo?

Tom gli scoccò un’occhiata livorosa, serrando i pugni. “Pensi che sia pazzo.” Sputò fuori.
Al inspirò lentamente. Qualcuno doveva tornare calmo o sarebbe finita male.
E se questo cretino si isola… è la fine. Storia già vista.
“No, non lo penso. Penso che tu sia spaventato, e penso che tu non abbia del tutto torto. Tuo padre è là fuori… e forse sì, ha portato qui i Dissennatori. Ma non abbiamo prove. Non ce l’ha neanche papà al momento, e lui è un auror.” Forzò l’accento su suo padre, perché al momento, gli venne in mente, era forse l’unico a poter calmare Tom e farlo ragionare. “Sai che non posso abbandonare Hogwarts. Se fossi al mio posto, agiresti nello stesso modo.”
Tom rimase in silenzio, guardandolo infuriato. Perché aveva ragione. “Allora verrò con te.” Sbottò.
“… aspetta.” Al si sentì salire il malditesta. Aveva solo diciassette anni, perché doveva affrontare quel groviglio di problemi orribili e con conseguenze agghiaccianti? “Tu sei convinto che tuo padre ti voglia rapire fuori da Hogwarts, giusto?” Gli chiese. “Se fosse vero, basterebbe semplicemente che tu rimanessi qui. Non è me che vuole.”
“Vuole usarti come esca.”
“Ma non sarò un’esca se non sarai con me. Il piano fallirebbe su tutta la linea.” Aveva senso. Dietro tutta la follia, aveva senso. Persino Tom avrebbe concordato. Lo guardò, sperando che fossero arrivati ad un punto di svolta.

Tom per tutta risposta gli sorrise beffardo. “Va bene…” Concesse. “Ragioniamo per ipotesi allora.” Gli puntò un dito al petto, premendo sulla spilla. “Se fossi al mio posto, rimarresti qui?”
E Al sentì cadere il suo castello di carte.
No, non lo farei mai. Non ti permetterei di andare da solo.
Non potrei mai rimanere qui al sicuro mentre tu rischi la pelle. Anche solo ipoteticamente.
Tom parve captare i suoi pensieri, perché sembrò sgonfiarsi di tutta la sua furia. Si risedette sul letto, quasi con cautela. “… già. Io non voglio più separarmi da te.” Sussurrò. “Adesso capisci?”
Al capiva. Così tanto che si sedette accanto a lui e gli prese la mano, stringendogliela. Tom rispose alla stretta. Dopo probabilmente entrambi avrebbero avuto le dita doloranti.
“Che bella coppia di idioti che siamo…” Mormorò, tentando un sorriso. Tom gli rispose con un tentativo ancora più fiacco.
“Almeno tu non hai preso a pugni un’armatura.”
“Ho sentito… lo sai che hanno secoli di storia?”
“E allora?”

“A volte sei proprio un bullo.”
Rimasero in silenzio per un po’. Visti da fuori, dovevano essere uno spettacolo del tutto ridicolo. Circondati da pupazzi e tendine rosa, mentre poster stregati ammiccavano loro in maniera seducente. E con due facce da funerale.
Perché non possiamo essere due adolescenti magici normali?  
Merlino Benedetto, pagherei camere di galeoni…
“Mi vedrò con Harry.” Mormorò dopo un po’ Tom. “Il prossimo fine settimana.”
“Ottimo. Gli devi parlare di questa cosa.” Ribatté subito. Quella era una buona notizia. Suo padre forse sarebbe riuscito a farlo ragionare. O perlomeno, a non fargli avere quell’espressione in faccia. “Di tutto. E poi vedremo se sarà il caso di cadere nella trappola.”
“Non cadrò nella trappola.” Replicò Tom con un mormorio. “Non sono così stupido… e mio padre non è così furbo come crede.”

“In effetti il piano dell’anno scorso faceva schifo…” Gli lanciò un’occhiata, e lo vide corrugare le sopracciglia, per poi trattenere un sorriso.
Allora gli premette le labbra sulle sue. Tom le aveva caldissime, probabilmente perché se le era morse un sacco. Fu un bel bacio.
“Sai…” Gli disse, passandogli le dita sulle nocche, sentendole abrase. Si appuntò di curargliele usciti di lì. “…il Gran Bastardo deve combattere contro di te e mio padre, ma c’è qualcun’altro che non ha messo in conto.”
“Sarebbe?”

“Me.”
Tom gli sorrise e lui gli passò le braccia al collo, perché ne avevano entrambi un gran bisogno. “Prendimi sul serio.” Lo ammonì. “Sarò un’esca? Scoprirà che sono stato una pessima scelta.”
“In effetti, provocato, sai essere una gran seccatura.” Convenne.
“Idiota.” Sentì le braccia dell’altro circondargli la vita. Era una buona cosa. Se Tom non lo toccava, era un pessimo segno invece. “Ascolta…” Aggiunse piano. “Non sei solo in tutto questo. Siamo assieme.”
Tom sorrise di nuovo, e appoggiò la fronte contro la sua. “Lo so.” Mormorò. “… ti amo.”

Oddio, l’ha detto.
Okay, erano solo due parole e poi sapeva benissimo che Tom le provava. E che probabilmente gliele aveva dette in quel momento solo per farsi perdonare della sfuriata di poco prima.
Al, comunque, sentì il suo cuore dare un’accelerata come durante una finta Wroski.  

“Di solito a questo punto si risponde …” Gli suggerì l’altro con un ghigno. Doveva proprio avere una faccia da scemo epocale.
“Tom, me l’hai appena detto in una stanza che sembra una gigante meringa rosa…” Fece una pausa e si alzò, tendendogli la mano. “Ti amo anch’io, ma dobbiamo davvero uscire di qui.”
Perché se non recupero un po’ di dignità mi trasformo in una ragazza.   
Tom si guardò attorno, prima di mettersi a ridacchiare. Non rispose, ma gli prese la mano.  
Assieme. È tutta qui la differenza, Hohenheim. Tom è affar mio, di noi Potter.
Prova a prenderlo. Non ti piacerà.
 
 
****
 
Note:
 
Il titolo del capitolo è preso da una strofa della canzone degli Snow Patrol ‘Set the fire to the third bar” altra canzone in ballottaggio per fare da colonna sonora.  
Sono molto fiera del banner introduttivo del capitolo. Finalmente comincio a capire il magico mondo di Photoshop. Più o meno.
1. Qui la canzone. Adoro questa donna.
2. Roskilde: Si riferisce alle navi di Roskilde, navi vichinghe ritrovate in una baia in Danimarca. Sono state considerate le navi vichinghe più grandi mai scoperte, di ben 35 metri di lunghezza.

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Capitolo 33
*** Capitolo XXXI ***


Capitolo XXXI
 
 


It can be possible that rain can fall only when it’s over our heads?
All the right things in all the wrong places, someday, we’re going down…
(All The Right Moves, One Republic¹)
 
I fatti non cessano di esistere solo perché noi li ignoriamo.
(A.L. Huxley)
 

2 Dicembre 2023

Scozia, Hogwarts, Torre di Grifondoro. Sala Comune e un punto di vista diverso.
 
Hugo sapeva sempre quando a Lily giravano.
Non era un sesto senso, non era una capacità. Lo capiva, tutto lì.
Erano cresciuti assieme, negli anni uniformi di Hogwarts. Lui e la cugina si erano ripromessi perenne supporto, anche se poi finiva sempre che lui faceva da valletto a lei. Ma andava bene, perché Lily aveva un sacco di amiche carine e poi attorno a lei non ci s’annoiava mai. Lily era quella sveglia, lui quello intelligente. Perché sì, c’erano delle grosse differenze.
Perché era lui quello che prendeva bei voti – tranne alcune inutili materie come Aritmazia e Pozioni. Se non fosse stato quello intelligente, non avrebbe mai potuto inventare un giorno l’Apparecchio Perfetto di Congiunzione tra Magia e Tecnologia. Perché era quello che avrebbe fatto. Un giorno.
Ma stava divagando…
Era una mattina relativamente tranquilla, tranne una probabile nevicata in serata, e lui era seduto su una delle stra-comode poltrone della Sala Comune ad aspettare che l’altra scendesse. E ancor prima di vederla spuntare dalle scale, ebbe la certezza che fosse di cattivo umore.
Perché?
Beh, c’erano stati vari segnali. Punto primo, Abigail Finnigan – Ragazza più Carina del Quinto Secondo Lui – gli aveva detto che Lily sarebbe scesa subito. Lily era sempre in ritardo. Quindi qualcosa non andava.
Punto secondo, non era scesa con Gail. Se era già pronta, perché aspettare?
Punto terzo, e poteva essere una stronzata ma Hugo sapeva non fosse così, sentiva delle cattive vibrazioni.
Grattò la testolina – o dove supponeva fosse – della sua puffola pigmea color polvere che teneva sulla spalla. “Sai Pod? Ho proprio idea che oggi ce la passeremo male…” Comunicò alla bestiola.
Per tutta risposta quella, codarda per natura, si nascose dentro la tasca sformata della sua uniforme.  
Fece appena in tempo: Lily arrivò pochi attimi dopo. Ed era una furia. Aveva i capelli mossi ad onde – usava un sacco di prodotti di bellezza babbani di cui faceva scorta nei mesi estivi – e gli occhi accesi dal sacro fuoco dell’incazzatura.
Hugo espirò appena, facendole un cenno. “Ohi…?” Tentò.
“Un cavolo.” Fu la replica. “Dai, muoviti, siamo in ritardo.”
“Cioè… veramente siamo in anticipo. Rispetto al solito, dico.” Tentò seguendola di buon grado. Sentiva Pod tremargli nella tasca. Creaturina intelligente.

“Pazienza.” E gli mollò la sua borsa senza troppe cerimonie. Hugo era contento che le borse della cugina – ne aveva un migliaio circa – non fossero come quelle di Rose. Perlomeno quel giorno non avrebbe rischiato la frattura di qualche vertebra.
“… ehm.”
Sapeva di doverlo dire e aveva paura.
“Cosa?”
“Niente!”
Perché fanculo, le ragazze fanno paura.

Erano spesso un mondo misterioso, in cui per avventurarsi bisognava armarsi di pazienza e una discreta dose di coraggio. Ma Lily… beh, lei era speciale. In tanti sensi, e non tutti buoni.
Lily era incavolata per un motivo estremamente preciso, che aveva nome e cognome.
Sören Il Tedesco Tetro Luzhin…
Così l’aveva ribattezzato Fergus, ed era un nomignolo perfetto.  
Quel tipo dall’aria soldatesca non si faceva vedere in giro da un bel po’. Cioè dal fine settimana della prova.  
Da nove giorni. Nove, lunghi giorni.
Lily era andata in tilt. Non che lo desse troppo a vedere, fosse mai che Lilian Luna Potter si facesse vedere in crisi per un ragazzo. Però era preoccupata.
Era mediamente confuso su quella faccenda, ma una cosa era chiara: Lily non sarebbe stata a lungo con le mani in mano. E quell’eventualità lo preoccupava. Molto.
La seguì silenziosamente nel lungo tragitto per la Sala Comune. Lily incedeva come una specie di amazzone e lui dietro.
Sì, insomma. Il solito.
Poi ci fu una pausa per poter mangiare, grazie a Merlino, e della colazione Hugo registrò soltanto che sua cugina bevve solo caffè con un sacco di panna e zucchero.
“Prima lezione? Abbiamo Pozioni? Dimmi che non abbiamo Pozioni…” Chiese finendo di leccarsi le dita sporche di zuccotto di zucca, prima di caricarsi di nuovo le loro due borse sulle spalle.
“Trasfigurazione. Come rendere migliore questa giornata…” Sibilò l’altra. “La McGrannit mi odia.”
Hugo decise saggiamente di non ribattere – nessuno ci credeva, ma si riteneva un tipo molto saggio.

La McGrannit ovviamente non la odiava. Era Lily il problema.  Era intuitiva, capiva le cose al volo e senza sforzo, ma era anche mostruosamente pigra e con la capacità di concentrazione di un colino. E se per il resto del corpo docenti era una piccola pecca, messa in secondo piano dal suo essere una studentessa nella media e sempre col sorriso sulle labbra… per la vecchia signora quello non bastava.
“È presto… non dobbiamo andare subito in classe se non c’hai voglia.” Le suggerì. “Andiamo in cortile?”
Lily gli lanciò un’occhiata grata e Hugo sogghignò: era l’unico a far centro, quando l’altra aveva quell’umore. Dopotutto era o non era il suo fottuto valletto?

 
“Perché non lo cerchi?” Gli chiese mentre bighellonavano attorno al porticato imbacuccati nelle proprie sciarpe, guardando il rientro dei pochi studenti di Durmstrang che facevano colazione sulla terraferma. “Cioè, cercarlo sul serio. Chiedi ad uno di loro!”
La vide irrigidirsi.  

“… Pensi che non l’abbia fatto? Mi sono beccata cinque inviti per il Ballo del Ceppo, ma nessuna maledetta informazione su Ren. Il più chiacchierone mi ha semplicemente detto che è giorni che non si vede sottocoperta.” Quando decideva di sbloccarsi, era un fiume in piena. Hugo annuì compitamente perché non poteva far altro. “E se stesse male? Che ne sappiamo di come si occupano dei feriti su quella bagnarola del cavolo? Poppy non era per niente contenta quando si è auto-dimesso. Magari sta male e non vogliono dircelo!” Concluse mentre si tormentava una ciocca di capelli.
Le lacrime stavano per arrivare, Hugo lo sapeva.
E un pochino pure la capiva: per motivi ignoti, Lily si era affezionata sul serio al Campione di Durmstrang, ed era una settimana che non aveva sue notizie. Quegli altri, le bocce rasate, erano tornate sulla terraferma, ma di Luzhin nessuna traccia.
E tutti i giorni stavano assieme come un baco con la sua mela.
“È il loro Campione, figurati se rischiano di perderselo…” La incoraggiò.
“Lo so, Hughie, ma guarda i fatti. Sembra che ci sia una cospirazione per tenerlo lontano da Hogwarts!”
“Non esagerare, magari la ferita era davvero super-seria e ha bisogno di riposo.”
“Ma non ha cercato neanche di mettersi in contatto con me!”

Sua cugina era sempre stata un po’ viziata. Non che fosse del tutto colpa sua: era carina da matti, era sempre di buon’umore e sin da bambina era quella che più si era fatta coccolare senza scocciarsi mai della cosa. Era abituata ad ottenere sempre ciò che voleva, appena lo voleva, o quasi.
E quindi, quando le cose non filano lisce come vuole…
“Boh.” Si strinse nelle spalle, perché non era poi così interessato, a dirla tutta. “Vai alla nave?”
“Già fatto. Ci sono più guardie che ad Azkaban… e sono peggio di quei buffi auror che fanno da guardia al palazzo della Regina babbana. Non mi hanno fatta passare!”

“Ah, mi sa che parli delle guardie reali…”
“Okay, guardie reali.” Scrollò le spalle, prima di immobilizzarsi e fissare qualcosa oltre le sue spalle. “Eccolo lì.” Sillabò con aria da terminator. Hugo si preoccupò per quel poveraccio che era stato appena messo sotto target.

Voltandosi, notò che era uno di Durmstrang, l’unico della delegazione che non fosse massiccio ma semplicemente grasso.
Il tipo appena vide Lily dirigersi verso di lui, tentò una goffa manovra evasiva verso l’ingresso. Venne stoppato da sua cugina. Era incredibilmente svelta, anche se nessuno ci faceva mai caso.
Tu.” Lo apostrofò, indicandolo senza troppe cerimonie. “Dov’è Sören?”
Tizio fece una smorfia. Sembrava piuttosto scocciato, ma aveva in faccia la medesima espressione di tutti quelli che si imbattevano nella furia di sua cugina: vaga preoccupazione per la propria incolumità. “Non ha niente di meglio fare che dare tuormento a noi di Durmstrang fraülein?”
“Evidentemente no.” Replicò piazzando le mani sui fianchi. Non si accorgeva mai di farlo, ma lo faceva quando era veramente incacchiata. Come lo era adesso: di brutto.

“No affari tuoi.”
“Sono sua amica, sono affari miei!”

Il ragazzo le rivolse un ghignetto davvero sgradevolissimo. Hugo era certo che dietro quell’aria impettita e strafottente, si spogliasse Lily con lo sguardo. Si sentì quindi in dovere di avvicinarsi in modo minaccioso. Quello neanche lo notò.
La storia della mia vita.
“Bene. Allora perché non chiede di entrare in Roskilde se tu vuole stare tranquilla? Se ci riesce da porta principale…”
Hugo vide Lily esitare, e capì il conquibus: sua cugina non aveva in realtà nessun diritto di chiedere informazioni o di vedere il tedesco. Era solo una studentessa, perdi più minorenne e di un’altra scuola.

E mi sa anche che Luzhin può starsene quanto vuole rintana nel loro vascello. Non c’è nessuna regola che lo obbliga ad uscire e a frequentare Hogwarts…
“Ora tu non parla più, ah?” La provocò il durmstranghiano. “Tu sa, forse è Ren…” Hugo sapeva che era il nomignolo con cui Lily lo chiamava, ma fu pronunciato come un insulto. “Forse è tuo Ren che non vuole vederti. Tu impiccia troppo.”
E Lily crollò. Non fu un fenomeno particolarmente vistoso. Quando rimaneva ferita era bravissima a nasconderlo: era solo un leggero piegarsi delle spalle e il modo in cui non riusciva a ribattere subito, che lo faceva intuire.

Ad Hugo non serviva guardarla in faccia per capire che era un passo dalle lacrime.
“Ohi!” Lo apostrofò, imitando un piglio alla James. “Che ti costa dire a mia cugina come sta Luzhin? Sei davvero stronzo!” Si sentiva le orecchie bollenti e non gli piaceva per niente mettersi in mezzo, ma nessuno faceva piangere Lily quando lui era nei paraggi.
Era una questione di onore. Non c’erano Al e Jamie: toccava a lui.
Il tizio sbuffò esasperato. “Ma quanti siete? Tutti parenti, figliate come conigli!”
Hugo a quel punto vide rosso, perché per lui era facilissimo che accadesse. Per questo non si immischiava mai nelle liti di principio di Lily. Perché la prima cosa a cui pensava, era a squadernare la bacchetta e a menare incantesimi.
Hugo, no!” Esclamò Colei che Tutto aveva Iniziato. Troppo tardi, però. Si lanciò fieramente contro il tizio in uniforme, pronto a difendere baracca e burattini. Per principio. Perché era un Weasley e nessuno insultava uno dei suoi.
Poi si sentì afferrare per un orecchio.
Morsa d’acciaio! Ahia! Porca miseria! Morsa d’acciaio!
Lo pensò con dolore, mentre si accorgeva che, a meno di perdere un orecchio, non poteva muoversi.
“Buono Gogo.”  
E capì al volo che si trattava di Dominique. Solo lei lo chiamava così e solo lei poteva prendere una persona al volo in quel modo assurdo. Si voltò.
Era lì, in tutto il suo squinternato splendore: lentiggini, capelli argentati e piercing. L’uniforme era l’unica cosa che la rendeva membro di un’elegante accademia di magia.
Ma le sta in modo strano.
“Mollami!” Tentò. Poi guardò Lily, che in compenso sembrò molto sollevata dall’apparizione repentina.
Grazie tante, eh!
Dominique comunque non lo mollò. Apostrofò invece il durmstranghiano.
“Ehi, Tappo-Tombo. Anche io sono una della conigliata. Però, a differenza dei minorenni qui, so come si usa una bacchetta. Vuoi che ti faccia passare il resto della giornata con la testa al posto del culo?”
Il bello di Domi, rifletté Hugo, è che perdeva espressione quando minacciava qualcuno. Sembrava una serial killer.
Durmstrang in effetti sembrava molto preoccupato. Perché rispose, sebbene a denti stretti. “Sören riposa. Quando starà meglio, torna. Mi ha detto di dire a te.” Bofonchiò a Lily in chiusa finale.
“Visto, era tanto difficile? Ora levati dalle palle.” Lo apostrofò Domi, mollando lui di contraccambio. Fu felice di riavere indietro il suo padiglione auricolare.
Il tipo invece sputò qualcosa in una lingua che sembrava russo, ma si affrettò ad andarsene quando la Veela-per-meno-di-un-quarto rimise mano alla bacchetta.
“Domi, sei davvero la principessa delle fate.” La prese in giro Lily di nuovo sorridente.
“No Lilù, quella è mia sorella. Io sono quella davvero figa.” Replicò giovialmente, scrocchiandosi il collo. “Ognuno ha i suoi ruoli, nel nostro conigliesco clan, no?”
Ridacchiare fu molto liberatorio, stimò Hugo. Anche perché probabilmente quel tipo l’avrebbe rivoltato come un calzino, se non fosse arrivata Dominique.
“Grazie Domi…” Le disse Lily. “Poliakoff è davvero odioso. Ed a rendere tutto più disgustoso, ogni volta che ci parlo mi fissa le tette.”
“Se vuoi la prossima volta gliene faccio crescere un paio…” Offrì gentilmente l’altra. Lily sorrise contenta, e Hugo capì che la tempesta era passata. Almeno per il momento. “Comunque sono preoccupata anch’io per il tuo mangia-kartoffeln.” Soggiunse la francese. “Tra lui e RaggioDiSole Malfoy sembra ci sia stata una moria di Campioni… non so se comprarmi uno spioscopio o gioire perché sono l’unica ancora sana di corpo e di mente.”

“Di mente ne dubito.” Disse un’altra voce spuntata dal nulla – dalle loro spalle a dire il vero – con accento londinese così perfetto da sembrare quello di un’attrice della tv.
Era una ragazza con due grandi occhi scuri e il naso a patata, però del genere carino. Di Beaux-Batons come Dominique, a Hugo sembrava di averla già vista.
“Che diavolo stai facendo Nicky?” Chiese quella con l’aria di volerne dire quattro a tutti loro. Lily inarcò le sopracciglia.  
“Oh, Piggie! Ma niente. Ho quasi trasformato la faccia di un crucco in un culo.” Ghignò questa, beandosi probabilmente dello sguardo sgomento dell’altra.
“Demente di una mezza-Veela!” Fu la conseguente esplosione. Era minuta, ma incazzosa. “Smettila di andare in giro a far vergognare la nostra scuola! Finirai per far venire un infarto alla Madame! O al povero Mael! Riesci a non sembrare fuori di testa almeno per le ore di lezione?!”
“Neppure un quarto-veela, cherie.” Replicò senza ascoltarla. “Vi ho mai presentato Violet?” Esordì poi, affatto turbata dall’aria omicida della suddetta. “Dietro la sua aria da bambolina di porcellana, nasconde un caratteraccio da arrampicatrice sociale. Però è anche…” Non finì la frase che l’altra la trascinò via con  forza insospettabile. Specie perché Dom se voleva era inamovibile come un gigante di montagna. “Adieu!” Urlò quest’ultima. Poi svoltarono l’angolo sparendo alla vista.

Sentirono la voce di Violet per un altro po’, però.
“Wow.” Commentò Lily. Inarcò le sopracciglia. “Sembravano intime.”
Hugo la scrutò, non sapendo di che diavolo stesse parlando.
In ogni caso, non voglio saperlo. Sul. Serio.
Comunque sembrava essersi ripresa. Forse perché aveva avuto le informazioni che voleva.
O forse perché Sören la ha lasciato detto qualcosa…
“Dai, ora sai che il tedesco sta bene…” Tentò, sperando che almeno quel capitolo fosse chiuso.
Quando intercettò l’occhiata della cugina, capì che non era affatto così.
“E pensi mi basti? Non se ne parla. Troverò il modo di salire su quella nave e controllare di persona.”
Checazzo…

Hugo sospirò: si riteneva un tipo saggio, ma soprattutto, doveva ammetterlo, per coprire il suo ruolo ci voleva tanta, tanta pazienza.
 
****
 
Scozia, Hogwarts, Aula di Trasfigurazione.
Ora di Pranzo circa.

 
“…devo consegnarvi i vostri temi della scorsa settimana.”
Lily sbuffò scocciata. Lo fece piano però, perché anche se era riuscita a retrocedere in terza fila, quella era Trasfigurazione e tra lei e gli altri studenti c’era Occhio-Di-Falco McGrannit.

Malfoy l’ha pensata davvero bene… il nomignolo è perfetto.
Abigail accanto a lei le sorrise incoraggiante. “Dai, sei migliorata un sacco! Sarà andata bene, me lo sento.”
Lily fece spallucce. In realtà un po’ ci sperava anche lei. Aveva passato ore in biblioteca per quella maledetta materia. Non erano state del tutto orrende, visto che era con…
Per tutte le sottane discinte di Morgana, smetti di pensare a lui!  
Mordicchiò la punta della piuma, ed aspettò che la sua pergamena svolazzasse fino a lei. Quella si posò delicatamente sul banco.
Lesse velocemente.

Oltre ogni Previsione?!
Sgranò gli occhi, mentre un sorriso le esplodeva in faccia. Quello era il primo bel voto che prendeva in Trasfigurazione da…
Sempre?
“Brava Lils!” Si sporse Hugo quasi facendo cadere il suo compito. “Ci hai dato dentro stavolta!”
“Già…” Mormorò, divisa tra il gongolare e il sentirsi uno straccio. Perché era solo grazie a Colui-che-era-uno-stronzo che era riuscita ad evitare il suo abituale Accettabile.

Ren. Ren e i suoi consigli e le annotazioni che mi ha fatto sul libro di testo…
Maledizione. Stupido! Sei uno stupido!
Infilò il compito in borsa, facendo per seguire il piccolo fiume di studenti che sciamava rumorosamente fuori dalla classe.
“Signorina Potter…” La richiamò la vecchia strega, seduta dietro la sua scrivania come una specie di giudice impietoso. “Rimanga qui, vorrei scambiare quattro parole con lei.”

Hugo, Fergus e Abigail le lanciarono identiche occhiate di preoccupazione mista a compartecipe incoraggiamento. Sorrise loro, e si diresse verso il fondo dell’aula come una condannata al patibolo. Coraggiosa e rassegnata.
Se mi accusa di aver copiato, urlo.
La donna stava riponendo dentro un grosso baule dei portafoto che aveva usato durante la lezione. Le erano serviti per essere trasfigurati in portaombrelli. Le fece cenno di avvicinarsi.
“C’è qualche problema?” Spiò incerta, sentendosi tutti i suoi quindici anni pesarle addosso. Non era giusto: ce l’aveva davvero messa tutta per fare quei trenta centimetri sulla Legge di Gamp!

Così Ren sarebbe stato fiero di me… Morgana, quanto sono stata cretina.  
Si sentiva come quelle stupide che ridacchiavano di fronte ad una mascella solida o dei bei lineamenti.
Cioè, non che non mi piacciano i ragazzi e non ridacchi. Ma lo faccio consapevole di farlo!
E invece stavolta…
Il flusso di pensieri fu interrotto dalle parole della docente. “In realtà, volevo dirle che ha fatto un buon lavoro.”
Eh?
La sua faccia sorpresa dovette parlare per lei, perché la McGrannit le rivolse un sorriso. Anche quello fu sgomentante. “Sta facendo progressi. E non parlo solo dei compiti fuori dalle lezioni, ma anche qui, in classe. È migliorata.”
“Ah… sì.” Annuì riprendendosi abbastanza per non sembrare una brutta copia di suo cugino Hugo. “Sì… mi sto facendo dare una mano. Delle ripetizioni intendo.” Si affrettò a spiegare visto cosa era successo durante la prima lezione. “A quanto pare non sono così disastrosa come pensavo…” Chiosò con un sorrisetto.

La donna inarcò un sopracciglio, come se avesse detto una cosa sciocca. “Lei non è disastrosa, Potter. È semplicemente svogliata e disattenta, cosa ben diversa.”
Prendi e porta a casa Lils. McGrannit uno, Le Tue Paturnie Adolescenziali zero.

Si risolse a non dire niente e stringere le dita sulla tracolla. “Quindi… era questo? Non è che… vuole…” Esitò incerta, perché si sentiva più scema ogni secondo che passava. Ma era così, con donne come la McGrannit o zia Hermione. Si sentiva sempre come se parlassero due lingue diverse, in lassi temporali abissalmente lontani. Per eufemizzare. “… non so, farmi una predica?”
Si sarebbe morsa le labbra non appena lo ebbe detto. Ma era ormai troppo tardi per evitare che la McGrannit inarcasse entrambe le sopracciglia.

“Il mio compito qui non è fare prediche, Signorina Potter, ma istruirvi e prepararvi per i GUFO di fine anno…” Fece una breve pausa. La guardò attentamente. “Al nostro primo incontro credo di aver detto qualcosa che l’abbia convinta che io rimpianga i tempi passati.”
“… io…” Capì dopo un attimo di cosa parlava.

Quando mi ha paragonato a mia nonna…
“No, io…”
Oh, dannazione.
Con donne del genere diventava afasica. Era tutta la cultura che si portavano dietro, o forse solo l’atteggiamento. Le veniva voglia di sbattere la testa contro un muro. Era frustrante, essere così diversi.
“Lei non è sua nonna, Signorina Potter”

Non era affatto una stupida, Minerva McGrannit. Lily lo pensò sentendosi arrossire, mentre gli occhi le si inumidirono di colpo. Sapeva dove battere il ferro, e quel particolare ferro era caldo. Bollente. Non era facile per lei passare oltre quelle insicurezze che avevano il suo stesso nome. E la professoressa l’aveva capito.
“Lo so.” Borbottò a mezza bocca, in una perfetta imitazione del maschio Weasley. Agghiacciante. Cercò di rimediare. “È che… non mi piace essere paragonata a lei. Succede… più spesso di quanto io non voglia. Forse è per il nome, non lo so. O per i capelli…”
La strega non disse nulla, poi chiuse il baule con un colpo della bacchetta. “Da lei mi aspetto esattamente ciò che mi aspetto da ogni studente. Perseveranza e serietà. Nient’altro. Detto questo, se continua così potrebbe persino aspirare ad un GUFO nella materia.”
“… ci proverò.” Mormorò sentendosi sciocca e orgogliosa.  

“Ne sono certa.” Ci fu un secondo sorriso. Lily rispose spontaneamente stavolta. “Ah… un’altra cosa.” La apostrofò. “Chi le dà ripetizioni? Ci sono alcune comparazioni che non dovrebbero essere nel suo libro di testo o in quello che le ho detto in classe…”
“Ah, quello…” Annuì tranquilla, sapendo che non c’era nessuna insinuazione dietro ormai. Era semplice curiosità da docente. “Forse è in quello di Durmstrang. Il ragazzo che mi sta aiutando è dell’Istituto…” Fu costretta a spiegarle alla sua aria sorpresa. “… Sören Luzhin. A volte si dimentica che abbiamo programmi diversi…”

E si lancia in spiegazioni comparative complicatissime. È così carino quando cerca di farmi capire di che diavolo sta parlando… Mi viene voglia di dargli retta solo per farlo contento.
Altra fitta di nervoso. Strinse le labbra.
“Capisco.” Fece un lieve cenno della testa. “Sembra un ottimo insegnante.”
“Lo è.”

E improvvisamente, le si accese un lumos chiarificatore in testa.
La professoressa è una professoressa. Del corpo insegnanti. Dello staff di Hogwarts. Quindi ovviamente facente parte dell’organizzazione del Tremaghi.
E se potesse aiutarmi?
“Senta, potrei chiederle una cosa?” Ad un cenno affermativo, si apprestò a spiegare. Non fu difficile inventarsi una scusa. Dopotutto Sören poteva effettivamente aver preso per sbaglio uno dei suoi libri di testo e non averglielo ancora ridato. E lei aveva davvero bisogno di riaverlo indietro.
Come posso privarsi anche solo per un paio di giorni del manuale di Incantesimi nell’anno dei GUFO?
Non posso, ecco.
Il difficile fu farlo credere all’anziana strega, che le scoccò un’occhiata piuttosto eloquente in merito.
Non ha funzionato, eh?
“Vediamo se ho ben capito… lei mi sta chiedendo un’autorizzazione scritta a salire sul Vascello di Durmstrang…”
“Esatto! Perché ho idea che funzionerà solo quella con quelli… ehm. Con quelli come loro. Stranieri, cioè. Con regole diverse.” Fece il sorriso più convincente del suo repertorio. Non bastò, glielo lesse in faccia. “Così potrò riavere il mio Ren… libro! Riavere il mio libro!” Si corresse imbarazzata.

E siamo già a quota due lapsus.
Gli succedevano sempre quando era agitata.
Maledetti geni di zio Ron.
Era totalmente colpa loro. Ne era certa.
Fu anche sicura però di intravedere un brillio divertito negli occhi acuti della professoressa.
“Non ho l’autorità per fare una cosa del genere, Signorina Potter.” La freddò però. “Sono una professoressa è vero… dubito che sarò altro per tutta la vita…” E qui la frecciatina Lily la colse. Si dispiacque per averle dato della zitella. Davvero. “… ma una richiesta simile la deve rivolgere al suo Direttore di Casa, non a me.” E qui la mimica facciale fu inequivocabile. Era una dritta. “Mi risulta sia il Professor Paciock, no?”


****
 
Inghilterra, Wiltshire, Malfoy Manor.
Pomeriggio.

 
James si passò una mano sulla nuca, guardando incerto l’immensa atrio di Villa Malfoy.
Quella mattina si era svegliato con in testa l’idea di andare a trovare l’amico, e non era riuscita a scacciarla finché non aveva smontato dall’Accademia per materializzarsi lì. Scorpius non rispondeva ai suoi Gufi, e neanche allo specchio comunicante che gli aveva regalato per il suo compleanno.  
Si era dunque preoccupato.
Per fortuna mi aveva detto che stava dalle parti di Stonehenge. Sennò sai come trovavo ‘sto posto…
Non sapeva se avesse fatto bene a venire lì in realtà. Cioè sì, aveva fatto bene, però…
Qua ci hanno pur sempre imprigionato papà e gli zii…
Certo, Scorpius per lui non era mai stato uno di quelli. Cioè sì, ma prima. Insomma, era stato strano varcare quei cancelli. Parecchio.
Specie perché adesso era fissato dagli imponenti e arcigni ritratti che stavano appesi un po’ ovunque. Ce n’erano una dozzina. E lo fissavano tutti.
“È un mezzosangue!” Esordì una tipa con grosse palpebre e un orrendo vestito a balze nere.
“Sicuramente.” Convenne un vecchio sottile e dalla carnagione singolarmente verdastra. “Del resto l’igiene approssimativa è cifra stessa di quelli come loro…”
“Ehi, mi lavo! Tu non ti fai un bagno da quanto nonnetto?” Sbottò bellicoso, ben felice di trovarsi qualcosa da fare mentre aspettava che qualcuno lo venisse a prendere.  

 
“Signor Potter?”

Una voce di donna lo fece voltare. Si trovò di fronte a quella che era evidentemente Lady Astoria. L’aveva vista solo una manciata di volte in vita sua, e tutte da lontano. Non ci aveva mai parlato di persona, neppure quando aveva cominciato a frequentarsi con suo figlio.

Si ravviò i capelli con una mano, in un gesto che lo aiutava a darsi un tono. “Ehm… salve. Non stavo litigando con…”
“Chi è quest’insolente, Astoria?” Sbottò il vecchiaccio con piglio piuttosto vitale per essere solo vernice e tela. “Fallo immediatamente cacciare via!”
“Va tutto bene zio Abraxas… è un amico di Scorpius.” Spiegò pacata scendendo le scale.

Indossava un vestito semplice e dalla foggia curiosamente babbana. James ricordò di averla sempre vista con vestiti sfarzosi, confezionati sicuramente dai migliori sarti magici.
Sembra diversa … meno spocchiosa. Forse perché è a casa? È in tenuta da casa?
La donna intanto lo raggiunse. “Vieni James… posso darti del tu?”
“Certo! Quasi nessuno mi chiama Signor Potter da quando ho lasciato Hogwarts.”

Lady Astoria gli sorrise, toccandogli leggermente il gomito, come ad invitarlo a seguirla. Salirono assieme le scale e James la guardò un po’ meglio. Ora che ce l’aveva davanti, notò che Scorpius le somigliava un sacco. Non tanto nei colori, in quelli l’amico era dichiaratamente un Malfoy. Ma nelle espressioni. Avevano lo stesso sorriso, nella bocca ma anche negli occhi.
“Sono felice che tu sia venuto a trovare mio figlio…” Esordì. Aveva un tono di voce molto basso. Curioso per James, abituato ad avere sempre attorno presenze femminili dalla voce squillante. “Ha bisogno dei suoi amici adesso, ma purtroppo sono tutti ad Hogwarts…”
“Non tutti, signora. Ci sono io.” Disse sincero. “Non ha risposto ai miei Gufi, così ho pensato di dover… insomma, di dover venire a controllare. Mi dispiace per l’improvvisata.” Aggiunse, perché ricordava nebulosamente esistesse un’etichetta anche per le visite.  

La donna fece un sorrisetto obliquo, lo stesso che il figlio usava poco prima di combinare qualche guaio. “Oh, sì… è stata una sorpresa.” Ammise. “Ma Scorpius sicuramente la gradirà.”
“Ma non suo marito.”
“Non preoccuparti caro. Draco sarà a Londra fino a stasera.”

Si scambiarono uno sguardo inequivocabilmente complice, e ripresero a camminare.  
I corridoi sembravano labirinti. James si guardava attorno stranito, mentre Lady Astoria lo scortava con sicurezza incredibile per metri e metri di scalinate, salotti e porte.
Io mi sarei già perso…
Era così strano pensare che quel posto fosse la casa di un tipo allegro come Scorpius. Non che fosse brutta. Era un maniero, dannazione: era sfarzoso, impressionante e c’era roba che probabilmente valeva quanto casa sua, ma…
È tutto così lugubre. Peggio che la Sezione Proibita ad Hogwarts. È come se fosse una specie di fottuto mausoleo per ritratti arcigni.
Di quelli ce n’erano davvero tanti in effetti.
“Tutti questi… ehm, signori sono Malfoy?” Chiese all’ennesima strega con la puzza sotto il naso che lo fissava con aperto disgusto.
“Non tutti, no.” Spiegò la donna, aprendo una porta. “I Malfoy sono una delle famiglie più antiche del Mondo Magico… e sono pressoché imparentati con tutte le famiglie purosangue esistite o tutt’ora esistenti.” Fece un cenno ad un ritratto senza voltarsi neanche a guardarlo. “Qui vi sono ritratti di Black, Prewett, Nott, Burke… Dì un cognome purosangue e ci sarà di sicuro.” Aggiunse. “Una bella collezione.”
“E parlano tutti?”
“Per fortuna no.” Stavolta fu proprio certo di averle visto strizzare l’occhio. “Quelli troppo loquaci li abbiamo fatti coprire. Mi dispiace per prima… zio Abraxas era il nonno di mio marito, fa eccezione.” Si fermò di fronte ad un corridoio sgombro di ritratti. James intuì che la stanza dell’amico era lì.

Lady Astoria a quel punto gli fece l’ennesimo sorriso da Monna Lisa. “È l’ultima stanza a destra. Ti accompagnerei, ma ho delle faccende che richiedono la mia attenzione…”
“Va bene lo stesso e… grazie.” Disse sinceramente, non sapendo bene il perché. Forse perché gli aveva dimostrato di non essere una stronza purosangue. Purosangue lo era, in ogni singolo poro, ma lo era come poteva esserlo Scorpius. Un po’ strana, ma buona.

“Grazie a te James.” Gli rispose, toccandogli appena un braccio. Probabilmente per i canoni di un Malfoy era come se lo avesse stretto in un abbraccio.“Scorpius non lo ammetterà mai, ma il fatto che tu abbia accettato la sua amicizia conta moltissimo per lui.”
“Signora, sono stato un cretino a non averlo fatto prima.” Replicò di getto. La donna gli sorrise in risposta, e poi con un lieve cenno di commiato si allontanò.

Wow. Se non avessi il mio Teddy, vorrei una femmina così.
Inspirò e poi si diresse dritto filato verso la stanza indicatagli. Non bussò neanche, entrò semplicemente.
Beccò l’amico steso sul letto, mentre faceva sprizzare scintille dorate dalla bacchetta.
Si fissarono per un breve, intenso attimo sorpreso.
“Hai un’aria miserabile, Malfuretto.”
“Non si usa bussare Poo?”

Due secondi dopo si sogghignavano virilmente. James si sedette sul bordo del letto, mentre l’altro si alzò a sedere.
“Come hai fatto a trovare casa mia? Di solito anche i maghi fanno fatica a trovarla …” Chiese perplesso. “Certo, a meno che non siano stati invitati. E tu, non per colpa mia, sai che ti adoro Potty, non lo sei.”
“Infatti.” Confermò tirandogli un pugno sul ginocchio. “Ho girato a vuoto come un idiota per ore, finché non mi sono incazzato e ho preso a calci una pietra. Quella ha sbattuto contro qualcosa di solido, solo che era in aria. Così ho trovato i cancelli. Mi ci sono attaccato urlando finché non è venuto un elfo domestico… Quello ha riferito a tua madre… ed eccomi qua.” Disse tutto di un fiato, con il piglio più allegro del suo repertorio. Perché dietro la risata con cui gli rispose, Malfoy aveva l’aria di uno che non se la passava bene. Doveva indagare.

Dopotutto sono un auror. Allievo auror. Comunque.
“Sono davvero impressionato dalla botta di culo allucinante che hai avuto. Quante probabilità c’erano che colpissi proprio…”
“Come stai?” Lo interruppe, senza girarci troppo attorno. Non era il suo stile.

L’altro lo sapeva perché fece una smorfia, senza provare ad imbastire scuse. “Hai saputo quello che è successo con Rose?”
Non la chiama manco con uno di quei nomignoli del cazzo… Ahia.

“Ho chiesto a Lils, che l’ha saputo da Al. E poi c’ero anch’io quando hai dato di matto, ti ricordi?”
Scorpius fece un sorrisetto stanco. “Sì, vero. Comunque è… temporaneo. È solo…”
“E lei lo sa? Che è temporaneo, dico.” Indagò perché era un migliore amico, ma anche un cugino. “Perché Lils mi ha detto che sta malissimo.”

Scorpius gli lanciò un’occhiata. Quella, perlomeno, fu vitale. Perché sembrava spento, come se gli avessero tolto una delle due pile che lo alimentava.
Paragoni babbani a parte…
Era chiaro avesse preso una brutta botta con la questione dei Dissennatori. Probabilmente era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare un calderone già colmo, ma comunque restava il fatto. Il Malfuretto era in uno di quei momenti di apatia che seguivano un grosso sforzo di cuore, cervello e nervi.
Ha bisogno di una ricarica.
“Mi dispiace…” Mormorò intanto quello. “Comunque lo sa. Le ho parlato prima di andarmene. O meglio… è venuta a cercarmi lei. Io me ne sarei andato comunque.” Ammise quietamente. “Non ce la facevo più.”
James rimase un attimo in silenzio. Doveva raccogliere le idee e dire la cosa giusta. Perché era quello di cui Malfoy aveva bisogno, e poteva farlo solo lui.

“Sei un cazzone.”
Ecco, era un buon’inizio, specie perché Scorpius lo fulminò con un’occhiataccia.
“Come, scusa?” Sbottò. “Sei venuto qui ad insultarmi? Perché se è…”
“Certo che sono venuto qui per insultarti!” Lo bloccò. “Sono il tuo migliore amico, è quello che devo fare se ti comporti da cazzone!”

“Non mi sto…”
“Non sei autorizzato a parlare.” Lo afferrò e lo trascinò in piedi, di fronte alla finestra, ignorando i suoi tentativi di liberarsi. Del resto aveva incautamente posato la bacchetta sul comodino. “Guarda fuori.” Gli intimò.

Perché?” Esclamò l’altro mediamente infuriato.
“Perché fuori c’è il mondo reale, cazzone.” Ribadì scandendolo lentamente mentre gli tirava un ceffone sulla nuca. “Non risolverai nulla stando qui dentro a sprizzare scintille con il legnetto che ti ritrovi.”
“Ehi, non è un legnetto! È ben quattordici pollici!” Protestò indignato. “E so cosa stai cercando di fare!” Si liberò con uno strattone violento. Bene, era sulla buona strada. La reazione fisica era il primo passo di ripresa. Lui lo sapeva bene. Era fatto uguale. “So che devo rimettermi in piedi, che sono il Campione e che non posso mollare il Torneo, deludere chi crede in me e trascinare la scuola nel fango! Lo so! Ma sono stufo, okay? Non è servito a niente farmi un culo da folletto domestico per dimostrare a tutti che non ho il Marchio Nero stampato nel dna! Hai visto cos’è successo con il padre di Rose! Ed hai letto il Profeta ultimamente?” Inspirò bruscamente come se avesse appena mangiato qualcosa di acido. “Un'altra fuga alla Malfoy!” Citò con rabbia.

James non disse nulla. Aveva letto gli articoli a cui si riferiva. Quando, grazie a sua madre, aveva scoperto dove abitava il giornalista che li aveva redatti… beh.
Quel tipo avrà un brutto problema di odore per mesi. Grazie caccabombe a lunga durata di zio George.  
Senza contare quello che aveva fatto, a distanza, il resto del clan Potter-Weasley. Anche ad Hogwarts arrivavano i giornali, dopotutto.
E siamo tipetti vendicativi… 
Scorpius si risedette stancamente sul letto. “Odio il Mondo Magico. Forse diventerò un babbano.”
“Faresti schifo come babbano. Ti daresti fuoco con un tostapane elettrico.”
“Vero…” Alzò appena lo sguardo. “Senti, se sei qui per spronarmi…”
“No, sinceramente di quello non mi frega un cazzo.”

“… scusa?” Malfoy aveva davvero una faccia stupendamente beota. “Ma non volevi … dirmi…?”
“No.” Confermò. “Non volevo dirti.” Gli mise le mani sulle spalle, perché discorsi seri imponevano mimica ad hoc. “Sono qui perché sono preoccupato per te. Senti, puoi prenderti tutto il tempo che vuoi, ma poi devi tornare. Perché hai messo quel nome nel Calice per dimostrare a te stesso e nessun altro che sei un campione. E lo sei, amico… Hai cavalcato un ippogrifo, cazzo.”

Oh, odiava la parte in cui l’altra persona lo fissava con occhi grandi come tazzine da the. Nei film era sempre più figo. Loro invece sembravano due idioti.
“Non mi ci sento neanche un po’ al momento… però… grazie.” Bofonchiò Scorpius. James fu felice di non essere l’unico a sentirsi in imbarazzo. Almeno lui non aveva gli occhi lucidi. Forse.  
La parte delle emozioni proprio non si può tagliare?
“Ti vogliamo bene, Malfuretto.” Ribadì, perché ormai c’erano dentro fino al collo, ed erano due grifondoro. Bisognava dunque andare fino in fondo. “Io, Albie, Teddy, Lily, Hugh… Rosie, quei due stronzi di Serpeverde… Ci teniamo tutti a te. A noi andresti bene anche se fossi il solito pazzo logorroico. Se vuoi essere un campione, fallo solo per te stesso e ‘fanculo gli altri. Non ti copriremo le spalle.”
“È il verbo di James Sirius?” Sorrise l’altro. Ora andava bene. Ora sembrava il solito deficiente con il sole in bocca.
“Certo e guarda dove mi ha portato. Ad avere chi volevo, a stare dove volevo e ad essere un tipo assolutamente fichissimo.” Ghignò di rimando. “Dà i suoi frutti, fregarsene della gente.”
“Lo terrò a mente.” Annuì Scorpius. “E…”
“Se stai per dire qualcosa di strappalacrime, ti avverto che abbiamo già fatto il pieno.”
“Giusto.” Convenne. Poi però fece un sorrisetto stronzo. “Ti voglio bene anche io, Poo.”

“Cazzo Malfoy.” Sbuffò. “Vuoi un abbraccio?”
Scorpius rise, e James si sentì davvero l’amico più fico del mondo…
“Ah, Poo. Voglio farmi un tatuaggio che implichi ribellione all’ordine costituito. Che ne pensi?”
Questo è il mio Malfoy!”
 
****
 
Vascello di Durmstrang. Pomeriggio.
 
Lily stringeva in pugno la lettera firmata da Neville quando si addentrò nell’enorme mole della Roskilde.
Il lasciapassare aveva funzionato veramente.
Okay, diciamo che è stato un po’ un azzardo. Però ha funzionato, quindi va bene così.
Dopo un po’, notando che non riusciva ad orientarsi, si fermò. Lo fece anche il ragazzo che la stava accompagnando, o scortando. O più probabilmente sorvegliando.
“C’è qualche problema fraülein?” Le chiese. Il tono di precisa e schietta domanda le ricordò Ren. Decise immediatamente che le era simpatico.
Ma comunque…
“Questa non è la strada per andare alla cabina di Sören.” Disse indicando con un cenno l’intero corridoio: erano allo stesso piano, ma in una parte diversa della sottocoperta, ne era sicura.
State cercando di fregarmi?
“Luzhin non è lì.” Le spiegò. “Prego. È nella stanza dei Duelli. Prego.” Ripeté facendole cenno di seguirlo. Un freddo, cortese moretto dai lineamenti slavi.
Mmh. Penso potrebbero cominciare a piacermi questi soldatini…
Pensandoci, e Lily lo fece seguendolo di buon grado… era da un bel po’ che non usciva con un ragazzo.  
Fermi. Attimo…
… è dall’inizio dell’anno! E se si esclude la folle pomiciata con Nott alla festa di compleanno di Malfoy…
Oh per tutti i cappelli di Morgana. Sono mesi che non ho un ragazzo!
… e non ne sento il bisogno!
La notizia fu sgomentante. Ed era sgomentante anche il fatto che non ci avesse pensato fino a quel momento.
Che mi è successo?
In realtà, le suggeriva un afflato della sua coscienza, c’era una spiegazione. Non gli era mancata la compagnia di un ragazzo… perché effettivamente quel tipo di compagnia l’aveva. Pomiciamenti esclusi.
Sören. Che praticamente si comporta come il mio ragazzo.
Cavolo. Lo fa. Fa colazione con me, mi porta i libri e mi aspetta finite le lezioni. Parliamo per ore. Mi ha accompagnato ad Hogsmeade. Mi dà persino una mano coi compiti!
Si morse le labbra, incerta e imbarazzata. Non ci aveva mai fatto caso. In fondo erano due amici che passavano del tempo assieme. Tutto lì.
‘Sì, certo Lils. Infatti hai un mucchio di amici maschi con cui passi il tempo da sola. Tanto tempo.’
Era quello che gli aveva detto Abigail quasi un mese prima. Non ci aveva dato peso, ma…
Con tutto quello che era successo, svenimenti, Dissennatori succhia-anima e preoccupazione a palate…
Adesso si sentiva confusa.
Favoloso. Mentre sto per vederlo dopo una settimana in cui sembra essersi dimenticato della mia esistenza. Tempistica perfetta.  
Il suo accompagnatore si fermò di fronte ad una porta con due massicce ante. Era impressionante, specie perché sopra vi erano incisi motivi di sirene – non quelle babbane, quelle vere – e tritoni dall’aria sinistra.
“La Sala Duelli, fraülein.” Spiegò il ragazzo, aprendo la porta con un leggero tocco della bacchetta. Lily vide che non c’erano maniglie o aperture di sorta.
Si apre ad incantesimo. Wow. Molto magico. Molto purosangue.
Quella di Hogwarts erano uno stanzone fornito di pedana, molti cuscini e pochissimi oggetti con cui collidere. Quella era … diversa.
Al di là dell’arredamento color sangue – chissà che diavolo di legno era – c’erano ben tre pedane, lunghe almeno una decina di metri, segnate da bruciature di incantesimo. Teche, recanti bacchette e premi vinti. E ai lati poltrone in cui alcuni ragazzi si stavano rilassando fumando pipe di corno. Erano in uniforme.
Ma ci vivono dentro?
Lily si inoltrò in quell’ambiente saturo di testosterone con la sua consueta nonchalance.
Anche se è un po’ inquietante che mi fissino tutti…
La sua guida scambiò qualche parola scherzosa e in tedesco con i compagni, che nel frattempo si erano alzati al loro ingresso, in un’etichetta che non finiva mai di stupirla.
“Non c’era bisogno che si alzassero…” Tentò incerta.
“Lei è una ragazza. Dobbiamo.” Gli spiegò l’altro tranquillo. “Prego, di qua. Luzhin si sta esercitando nella saletta privata del Campione. È la prossima stanza.”
“Ed è… solo?” Chiese senza pensarci. Vedendo l’occhiata dell’altro, si affrettò a spiegarsi, capendo che aveva frainteso alla grande. “Non vorrei ci fosse Poliakoff. Io e lui non ci piacciamo a vicenda.”
Nein fraülein. Kirill non è con lui, è in libera uscita oggi.” Rispose con una lieve smorfia. Impercettibile, probabilmente per chiunque altro a parte lei.
Disgusto, irritazione. Rabbia? Wow. Bel misto!
“Non piace neanche a te, eh?” Gli sorrise solidale. Il ragazzo distolse lo sguardo, ma l’occhiata sorpresa Lily la colse tutta.
“È l’assistente del Campione.” Disse, senza dire niente. Ad eludere i durmstranghiani erano bravissimi.
“Okay.” Gli diede una leggera pacca sulla spalla. “Da qui posso continuare da sola. Grazie per avermi accompagnato!”
Il ragazzo le rivolse un sorriso aperto stavolta. “Dovere, fraülein. Se ha bisogno di qualcosa, non esiti a chiamarmi. Sono Radescu. Dionis.” Aggiunse.

“Sei carino Dionis…” Lo ringraziò, perché dovevano esserci più ragazzi come lui al mondo. Le ragazze si sarebbero sentite decisamente più principesse. “Ma al Ballo ci vado già con qualcun altro.” Colse con colpevole divertimento l’espressione sbigottita e delusa dell’altro.
Ehi, serve a qualcosa capire le intenzioni della gente guardandola, no? Oltretutto, sembra proprio che Ballo del Ceppo si dica più o meno allo stesso modo anche in tedesco.
Si congedò con un sorriso ed entrò nella saletta adiacente, fortunatamente senza strane aperture, visto che si era dimenticata la bacchetta in camera.
Se lo sapesse papà mi ucciderebbe.
L’ambiente era più piccolo, ma fedele miniatura dell’altro. Sören era lì: le dava le spalle e si stava esercitando, scagliando incantesimi su un manichino che glieli rigettava indietro con pari intensità.
Lily ritenne saggiamente di dover aspettare, e quindi si sedette su una delle poltrone accanto alla porta.
Il suo amico era sé stesso soprattutto quando pensava di non essere visto. Lily l’aveva capito da un po’. Non che fingesse completamente; ma molti dei suoi atteggiamenti erano filtrati da qualcosa.  
Forse dalla sua educazione?
Quindi lo osservò.
Scagliava incantesimi contro il manichino come se volesse…
Beh, ucciderlo.
Ed era usare un eufemismo. Quegli stessi incantesimi che gli tornavano indietro con violenza, ogni volta li parava con furia, come se volesse scagliarli via più che neutralizzarli.
Lily notò che c’erano uno specchio, proprio davanti alla pedana, forse per osservarsi mentre si compiva il movimento di bacchetta. Si sporse per guardarvi dentro, per vedere l’espressione di Ren.
Soffriva. Non c’era altro modo per dirlo, non altrettanto diretto. Non di un dolore fisico, questo no. I suoi erano movimenti troppo energici per essere quelli di una persona convalescente.
Era come se qualcosa lo stesse rodendo dentro. Si stava allenando, ma stava pensando ad altro. A qualcosa che lo faceva stare male.
Forse mi sbaglio, ma…
Frase proforma. Perché non sbagliava. In un compito di Trasfigurazione magari, ma con le persone mai.
Non sopportava di vederlo così, anche se era arrabbiata con lui.
“Ren!” Lo chiamò a voce abbastanza alta da poter essere udita.
L’altro saltò in aria. Letteralmente e non in modo buffo. Fece anzi uno scatto repentino e si voltò, con un espressione… Morgana benedetta, l’aveva spaventato a morte.
Tanto che si sentì in colpa, anche se era dalla parte della ragione. Da una settimana. “Scusa, è che sembravi così preso…”
Il ragazzo la fissò per un momento, quasi non la capisse. Poi si riscosse e l’espressione atterrita venne rimpiazza da una … meno spaventata?

Comunque…
“Lilian…” Mormorò. Era sudato di una fatica sfiancante. Aveva i capelli fradici ravviati malamente all’indietro, e la leggera casacca da allenamento appiccicata al torace. Lily per quanto fosse preoccupata dalla situazione, notò che aveva dei pettorali insospettabili. “Perché sei qui?”  
Che ci faccio qui?! Secondo te? Una passeggiatina in una nave carica di maschi?
… potrei, ma non è questo il caso.

La ragazza sentì quella familiare fitta di fastidio attraversarla. Ci si stava abituando. Il che era ancor più irritante. “No. Non ci siamo.” Sbottò senza troppi complimenti. “Rifallo, perché così non va… Ciao Lily, che bello vederti. Questo è salutare un’amica.”
Sören la fissò con uno sguardo smarrito, quasi la considerasse un’estranea che diceva cose senza senso.

Quello le fece male come quando era caduta nel laghetto di fronte alla Tana, rovinandosi il vestito nuovo e sbucciandosi mani e ginocchia.
Quindi squadernò un bel sorriso a trentadue denti. “… Bene. Sono felice di vedere che non sei morto. Vedo che sei occupato. Magari ci vediamo più tardi. Per la Seconda Prova o forse mai più. Ah, comunque sono quella tipa di Hogwarts che era preoccupata per te.” Sibilò con l’improvvisa voglia di correre via. E poi singhiozzare sulla prima spalla familiare disponibile.  
A quel punto Sören sembrò ricordarsi che ruolo giocava nella sua vita, perché scattò e la afferrò per un polso. “Lily, aspetta!” Esclamò. Aveva il fiatone, e la mano bollente. Era anche sudato e appiccicoso, ma stranamente quello non le diede il minimo fastidio. Di solito rifuggiva maschi in tali condizioni.  
“Sono qui, mi pare. Non mi sono gettata dall’oblò.” Mormorò con la sua espressione più fredda. Doveva essere una regina delle nevi. Perché quell’idiota se la meritava tutta, la sua indignazione.
“… Scusa. Non andartene, sono stato scortese.” Sussurrò e Lily scoprì con una certa dose di sorpresa che le era mancato quell’accento teutone. “… è che non mi aspettavo venissi. Hanno rafforzato la sicurezza attorno alla nave e visto come sei entrata le ultime volte…”
“Infatti stavolta sono venuta autorizzata.” Replicò sentendo cedere la sua risoluzione. Il maledetto era bravissimo nella faccia da cucciolo bastonato.

E sì, a me fa effetto. Tanto.
Sören le lasciò delicatamente il polso, riponendo la bacchetta nel fodero legato alla coscia. “Come?”
“Foglio di via dal mio Direttore di Casa. Gli ho detto che dovevi ridarmi un libro… libro di testo fondamentale.”  

“Astuto.”
“Perché sono una ragazza astuta.”
Sören le sorrise. Non riusciva a capire se era contento di vederla. Sembrava, ma qualcosa le diceva non fosse del tutto così: era disturbante.  

A volte proprio non capisco che gli passa per la testa…
“Senti… devo farmi una doccia.” Esordì l’altro dopo una pausa in cui si erano guardati in un modo che Lily a posteriori giudicò come scomodamente intenso. “Non credo tu mi voglia attorno in queste condizioni…” Aggiunse ironico.
“In questa settimana ti avrei voluto anche se avessi puzzato come mio fratello Jamie dopo gli allenamenti di Quidditch.” Replicò mordace. Non le era certo passata. “Invece niente. L’ultima volta che ti ho visto eri steso in un letto, incosciente.”

Sören non disse nulla. Meglio, sembrò voler dire qualcosa, ma poi tese le labbra. E tacque.
A quel punto Lily capì che doveva prendere la situazione in mano. “Ti aspetto nella tua cabina? Possiamo parlare lì.” Non era una domanda. E l’altro lo sapeva, perché acconsentì con un cenno della testa. Lily uscì dalla saletta con la sensazione che la loro conversazione fosse appena iniziata.
 
Sören non sapeva cosa fare.
Per questo era di fronte alla porta della propria cabina. Dentro c’era Lily. Se la immaginava seduta sul suo letto, oppure a curiosare in giro. Più probabile la seconda.
Fortuna ho incantato tutto ciò che può essere sospetto…
Non era panico, era davvero non sapere che pesci prendere. Sapeva di aver fatto una cosa estremamente stupida ad allontanarsi da lei e a non dare sue notizie per quasi nove giorni. Adesso era comprensibilmente arrabbiata con lui.
Avevo bisogno di pensare… sgombrarmi la mente. Non che abbia funzionato, ma…
Ma almeno adesso aveva delle certezze. La prima, era che la missione aveva uno scopo. E che lo conosceva, finalmente. E la seconda che non avrebbe coinvolto Lily, non nel senso di farle del male.
Suo Zio glielo aveva assicurato.
La sensazione di frustrazione non era scomparsa, e si sentiva sempre i nervi tesi. L’atmosfera della nave non aiutava. Quei ragazzi lo odiavano. Lo trattavano come se avesse contratto il vaiolo di drago. E Radescu continuava a fissarlo come se si aspettasse qualcosa da lui.
Cosa? Cosa pensi che debba fare? Io ho dei doveri. Come te. La mia fedeltà va ad un uomo, e non ad una scuola. La differenza è solo morale.
Serrò appena le labbra. Doveva affrontare un problema per volta. 
Il problema è che non sapeva come affrontare il suo primo e fondamentale problema, dietro quella porta. Non dopo ciò che era successo. Non dopo che le doveva la vita.
E l’anima Sören, non dimenticarti la tua anima.  
Inspirò e poi aprì la porta, rifiutandosi di rimanere ancora lì come un ragazzino timoroso. Non lo era.
Lily era ovviamente nel bel mezzo di un’esplorazione. Era chinata sulla sua scrivania – talmente piccola e scomoda che ci teneva solo qualche effetto personale e dei libri.
Al rumore della porta si raddrizzò di scatto con aria colpevole. Beh, perlomeno sembrava meno infuriata di prima.
“Non stavo curiosando!”
Gli venne spontaneo sorridere al modo in cui lo disse. “Puoi farlo se vuoi… non ho nulla da nascondere.”
“Se cerchi di farti perdonare…” Borbottò l’altra cincischiando con quello che riconobbe come il nastro verde che gli aveva dato per la Prima prova.

“Ci sto riuscendo?” Chiese, stupendosi del fatto che voleva davvero saperlo. Gli dispiaceva di averla evitata – perché è quello che aveva fatto – e averla fatta preoccupare di conseguenza.
E ti dispiacerà quando Lily si accorgerà di essere stata ingannata?
Accantonò il pensiero come si faceva con dello sporco sul pavimento.
Lily gli rivolse una smorfia imbronciata. “Forse.” Si girò la fettuccia di stoffa attorno alla dita. “L’hai tenuta…”
“Certo che l’ho tenuta. Mi ha portato fortuna, come avevi pronosticato.” Convenne. Era una bambina. Lily era ancora una ragazzina, per quanto a volte dimostrasse una maturità emotiva non comune tra le sue coetanee. L’aveva ignorata, e quello che adesso voleva era che lui le assicurasse che c’era.

Stai cominciando a capirla. Bene. No? È un bene…
Quel giorno sembrava la sua testa formulasse pensieri senza che lui avesse voce in capitolo.
Non solo oggi. Da un bel po’, direi.
“Non te ne ha portata molto, visto che ti sei ferito…” Obbiettò Lily rimettendola sul tavolo, dove era precedentemente.
“A proposito di questo… credo di doverti ringraziare. E sarebbe comunque riduttivo.” Mormorò di rimando, avvicinandolesi. Quel giorno gli sembrava stranamente… intimidita.
Non che questo l’abbia comunque fermata dal farmi sapere la sua opinione sulla mia defezione.
Ma non lo stava guardando negli occhi. E di solito gli piantava addosso quei fari verdi incredibili, di un color bosco brillante, senza pudore, con una semplicità irritante e parimenti disarmante.
“Cose di ordinaria amministrazione, se sei una Potter.” Replicò di rimando mordicchiandosi l’angolo delle labbra, sondandole appena coi denti.
“… non sono cose di ordinaria amministrazione, Lilian.”
“Forse.” Concesse. “Ma che avrei dovuto fare? Eri in pericolo… non ho pensato.”
“Sei stata straordinaria.” Lo disse di getto, senza mediare. Perché era vero, e doveva riconoscerlo.

L’altra ebbe una reazione piuttosto forte: lo guardò sgranando gli occhi, ma non disse niente: si mordicchiò semplicemente le labbra con più forza.
Curioso. I complimenti, quelli non diretti al suo aspetto esteriore, la mettono a disagio.
“Non è stato niente di che…” Replicò infatti. “Quell’incantesimo non è così difficile e come ti ho detto, non pensavo. E poi ero lì.” Snocciolò in sequenza.
“Già. A proposito …” Sören capì che non era il caso di insistere. “Come mai eri lì?”
Lily a quel puntò gli lanciò un’occhiataccia, facendolo sentire come lo stupido del villaggio. “Secondo te? Ti cercavo! Nessuno ti aveva visto ed ho pensato che fossi rimasto indietro, visto che eri nell’arena. Ho perso quell’idiota di Poliakoff, e forse è stato un bene perché…”

“Lui era con te?” Significava forse che era stato Kirill a portarla fino all’arena, con il rischio che la attaccassero i Dissennatori? Strinse la mascella.
Dovrò parlargli di questo. Del perché.
Non gli stavano piacendo i giochetti fuori dalle quinte di quel viscido russo. Sembravano innocui, ma forse… beh, forse non lo erano.
“Sì, ma non è importante, e poi c’è un’altra cosa che ti devo dire…” Esitò. “Non sono riuscita a vedere la tua Prova.” Si grattò una guancia con incertezza. “Mi sono… tipo, addormentata. So che è assurdo, ma forse ero stanca…”
No, eri narcotizzata e mentre lo eri ti ho anche fatto un incantesimo di memoria. Questa è semplicemente la spiegazione più logica che ti ha dato la mente. E va benissimo.

“Non fa nulla. Anzi, forse è meglio così… almeno hai evitato il panico della folla.” Sapeva che c’era bisogno di un contatto fisico a quel punto. Lo intuiva, perlomeno. Le mise quindi una mano sulla spalla. Gli sembrava una buona idea. “Grazie Lily. Mi hai salvato più della vita.”
E in questo, credo proprio tu sia sincero, vero Sören?
Stava diventando fastidioso quel suo parlare in seconda persona.
Stavolta l’altra avvampò furiosamente. Non si era sbagliato, era intimidita. Il che era bizzarro, visto che era una persona tutt’altro che poco disinvolta. Corrugò le sopracciglia: era successo qualcosa che la stava facendo comportare così, era evidente.
Forse qualcuno degli altri l’ha infastidita?
“Lily, cosa c’è?”
 
Era una stupida. Seriamente, era una stupida, frivola cretina.
Ma aveva anche quindici anni, quindi forse era giustificata.
Perché, per quanto fosse arrabbiata con lui, per quanto fosse inquietata da quello che aveva visto nella Sala Duelli e per quanto fosse stata preoccupata per la sua salute …
Nonostante tutto quello aveva una voglia tremenda che lui le chiedesse di portarla al Ballo.
Frivola? Decisamente. Ma non voleva parlare delle sue favolosi doti di Salvatrice. Era poi cosciente del fatto che se Tom avesse deciso di parlare, si sarebbe ritrovata una ventina di strillettere da parte di tutto il clan.  
Mai più. Cioè, sono felice di averlo salvato, certo. Ma ho avuto paura da morire. E l’ho quasi ammazzato per rianimarlo. No, non sono fatta per queste cose.  
Quindi, per tornare al punto…
Se vuoi ringraziarmi, invitami.
Ci aveva pensato per colpa dell’invito non detto di quel Dionis. In effetti, di inviti ne aveva ricevuti tanti.
Modestamente, sono favolosa.
Però aveva già in mente di andarci con l’amico. E non solo perché era un Campione e quindi avrebbero aperto le danze.
Anche se la cosa non mi dispiace per niente.
In fondo voleva solo divertirsi. Erano appena successe cose orribili e aveva la sensazione non fossero ancora finite. Al momento voleva solo preoccuparsi di scegliere il vestito perfetto, del suo cavaliere e di partecipare all’evento sociale dell’anno.
Ma Sören non gliel’aveva ancora chiesto. Doveva farlo lei? Sarebbe stato strano. Di solito era il ragazzo che invitava, non viceversa.
Perché diavolo non me lo chiede?
In tutto questo ancora l’irritazione per essere stata dimenticata come una scarpa vecchia non le era passata. Quindi era in una buffa ed esasperante tensione emotiva. E anche l’altro doveva essersene accorto perché la guardava perplesso da un po’.
“Lily cosa c’è?” Le disse infine. Ed era sincero, mentre glielo chiedeva. Voleva saperlo. Era questo che le piaceva di lui. Non chiedeva mai proforma. Chiedeva sul serio.
“Sono ancora arrabbiata con te.” Esordì. L’altro incassò con classe, annuendo semplicemente.
“Lo so. Mi farò perdonare. Avevo bisogno di riposo, ma avrei dovuto contattarti… è che la sorta di coprifuoco continuo che abbiamo dopo quello che è successo… ammetto di non aver fatto mente locale.”
“È stato sbagliato.”
“Lo so.” Convenne di nuovo. “Scusa.”


Lily gli lanciò una buffa occhiata esasperata, ma alla fine annuì. “Va bene… dopo quello che hai passato, posso capirlo. Ma che non risucceda. Più. 
“Non è nelle mie intenzioni.” Non lo era sul serio. Per dovere… e per voglia. Per quanto fosse sbagliato, e non gli importava… Lily gli era mancata. Le sue chiacchiere vivaci, le sue smorfie buffe e quel modo particolare che aveva di sorridere e toccarlo. Come se fosse naturale voler bene ad una persona e dimostrarglielo sempre.
Per lei lo è. Non per me. E questo fa tutta la differenza del mondo, suppongo.
Comunque continuava a sembrargli strana.
“C’è qualcosa che ti turba…” Iniziò, e dovette indovinare, perché l’altra distolse lo sguardo, di nuovo insofferente e imbarazzata. Come se volesse dirgli qualcosa, ma non riuscisse a farlo.
Da quando non dice tutto ciò che le passa per la testa?
“Non è che mi turba.” Scandì scuotendo la testa. “È … che sarebbe strano.”
“Cosa?”

Nessuna risposta.
Sören sospirò un po’ spazientito. Non era particolarmente empatico, e usare il legimens gli sembrava assurdo. Oltre al fatto che comunque con una LeNa non avrebbe funzionato.
“Lily, se non mi dici qual è il problema, non posso risolverlo.”
“Non è un problema!” Sbottò. “È una richiesta. Devi farmi una richiesta!” E poi di nuovo silenzio.  

“Temo di non capi…”
“Invitami al Ballo, maledizione!” Esclamò. Poi si bloccò, mettendosi una mano sulle labbra.

Oh.
Era quello. Gli era completamente passato di mente che il Ballo del Ceppo si sarebbe tenuto tra venti giorni, e lui effettivamente era uno di coloro che avrebbe dovuto non solo presenziare, ma anche aprire le danze. Era un Campione dopotutto.
Lily intanto sembrava voler scappare. L’espressione era quella, anche se era ancora di fronte a lui. Sören ne fu sottilmente divertito.
Si aspettava che la invitassi…
Era una cosa buona, supponeva.
Al diavolo il piano. Guardala. Se non le dici qualcosa penserà che tu non voglia. E non ci vuole un esperto in quindicenni per sapere come la prenderà, vero?
Sören fece appena in tempo a prenderle la mano: toccandola la sentì rigida e pronta allo scatto fuori dalla cabina. Le fece allora un lieve inchino, come etichetta di Durmstrang prevedeva, e la sentì rilassarsi immediatamente. Evidentemente tale etichetta la conosceva anche lei.
“Lily, vuoi venire con me al Ballo del Ceppo? Sarei onorato se tu fossi la mia dama…” Non era la prima volta che presenziava ad un evento di tal genere, ma aveva la netta impressione che stavolta sarebbe stato diverso che stare al fianco di suo zio e far ballare streghe della nobiltà mitteleuropea.
Perché vide Lily sorridergli a trentadue denti. “Sì!” Esclamò, prima di gettargli entusiasta le braccia al collo. Sören, che l’aveva previsto, indietreggiò solo leggermente per il contraccolpo e si premurò di metterle una mano sulla schiena. Si faceva così.
“Ne sono lieto.” Dopo un breve e imbarazzante – ma solo per lui – momento, l’altra si tirò indietro.
“Sì, devi!” Ripetè allegra. “… anche se è stato un invito pilotato.”
“Non è vero. Ti avrei invitata. Solo… suppongo tu ne abbia già altri. Intendo, di inviti…”

La qual cosa, lo scoprì quando lo disse, non gli faceva molto piacere.
“Oh, certo.” Replicò Lily con una scrollata di spalle. “Ma io voglio andarci con te!”

“Bene…” Non trovò altro da dire. “Allora, suppongo… che sia tutto a posto?”
“Solo se nei prossimi venti giorni sarai un cavaliere ineccepibile.” Scandì con finto sussiego.
“È nelle mie intenzioni.”
Lily gli fece un nuovo sorriso, poi si sporse, o forse lo tirò a sé, per baciargli la guancia. “Bentornato nelle mie grazie, Ren.” Soggiunse scherzosa, prima di liberarsi dalla presa con leggerezza ed afferrare uno dei suoi libri. Era la copia del Beowulf. “Per la copertura. Magari lo leggo pure.” Spiegò. “Adesso devo andare, è ora di cena. Ci vediamo domani?”
“Ci vediamo domani.” Confermò.
La vide andare via e chiudere la porta. Sospirò appena, e si guardò allo specchio. Sorrideva, dopo giorni.

 
****
 
 
Note:
Okay, stavolta è stato mastodontico. E prima era anche peggio. Sul serio!
1. Qui la canzone.
Per chi volesse vedere il volto dell’onesto Radescu, ecco qua: Dionis . Ho anche scoperto che Dionis è il diminutivo per Dionisie in rumeno. Meglio Dionis. 
 

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Capitolo 34
*** Capitolo XXXII ***


Capitolo XXXII
 



 
Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male, è che gli uomini di bene non facciano nulla
(Edmund Burke)
 
 
3 Dicembre 2023
Inghilterra, Londra, Ministero della Magia.
Dipartimento di Applicazione Legge sulla Magia, Ufficio della Direttrice Hestia Jones.
Mattina.
 
Harry trovava la burocrazia seccante.
Non poteva farci niente: sapeva che non era corretto pensare una cosa del genere ed essere allo stesso tempo capo di un ufficio del DALM. Ma lo pensava. E pure tenacemente.
Perché durante la guerra nessuno l’aveva mai fatto attendere per mezz’ora in un’anticamera, fosse stato pure il Ministro in persona. Scrimgeour aveva dovuto rincorrerlo. Non che avesse nostalgia di quei tempi terribili, ma doveva ammettere che gli mancava la fluidità incosciente e furiosa in cui aveva potuto muoversi.
E che diamine.
Si strofinò la fronte con un gesto seccato. Ron era in missione con la sua squadra; almeno ci fosse stato lui avrebbero potuto lamentarsi assieme.
Anche se nell’ultima settimana è stato intrattabile, con la faccenda di Rosie. E come se non bastasse, Herm è dalla parte dei ragazzi.
No, tutto sommato era meglio la solitudine. Peccato che dal lato opposto del salottino ci fosse Zacharias Smith. Forse, grazie all’anno prima, era riuscito a farsi rispettare – forse – ma di certo non a rendersi simpatico.
Certo, volerci sbranare per avere il caso della Thule non migliora la situazione…
L’altro infatti gli lanciò un’occhiataccia, prima di fissare un punto qualsiasi della stanza.
Almeno ci annoiamo in due…
Dopo quella che gli sembrò una sfibrante eternità, finalmente la porta si aprì e la segretaria della Direttrice – Harry nella sua testa la chiamava M, da quando recentemente, sotto consiglio di un collega, aveva visionato tutta la filmografia di James Bond – li chiamò.
Zacharias scattò in piedi e riuscì ad entrare per primo.
… come all’asilo.
Il clima da rivalità scolastica non migliorò all’interno dell’ufficio, visto che seduto su una sedia trovò Draco Malfoy intento a fissarlo. Male.
“Riunione inter-dipartimento, vedo…” Borbottò, beccandosi uno sguardo ammonitore dalla Direttrice.
“Che diavolo ci fa un mangia-carte dei piani bassi qua?” Disse invece senza mezzi termini il Tiratore Scelto. “Malfoy, poi!”
“Il piacere è reciproco Zacharias…” Replicò l’altro con un sorriso gelido. Harry si astenne saggiamente da qualsiasi commento.  
Malfoy, me e Smith. Hestia vuole davvero farci saltare in aria come i fuochi d’artificio dei Tiri Vispi?
L’aria esacerbata di Malfoy era dovuta palesemente a cosa era accaduto durante la Prima Prova. Se era lì, probabilmente era perché si sentiva tirato in causa.
… o forse no. In effetti i suoi maneggi non possono certo convincere M.
Che ci fa qui allora?
“Il Signor Malfoy è qui perché deve stare qui.” Tagliò corto la Direttrice, senza dare nessuna vera delucidazione. “Adesso sedetevi.”
Obbedirono entrambi, perché nessuno lì dentro aveva intenzione di perdere tempo.
La donna tamburellò con le dita inanellate brevemente, prima di fare cenno alla segretaria, che portò due grossi plichi. Uno era più voluminoso dell’altro.
Permessi di indagine… Quello toccherà a chi indagherà sull’attacco dei Dissennatori.
Harry vi piantò gli occhi addosso. Sarebbe stato suo.
“Le indagini preliminari degli Indicibili si sono concluse ieri sera.” Esordì la donna. “La nebbia che ha attirato i Dissennatori era opera di un mago oscuro. È stata usato un preparato magico per crearla. Illegale.” Specificò. “Per questo motivo, l’indagine andrà all’Ufficio Auror.”
Harry si impose di non esultare. Si limitò ad un lieve assenso, evitando di guardare verso Smith. Sapeva che l’altro stava schiumando di rabbia. Scoccò però un’occhiata di trionfo a Malfoy – semplicemente perché era lì, e perché era una vecchia abitudine. L’altro gli rivolse uno sguardo disgustato. Anche quella, una vecchia abitudine.

“All’Ufficio TS¹ competerà l’istituzione di pattuglie che sorveglieranno il perimetro della scuola. Saranno inoltre potenziate le misure di sicurezza già prese… ma troverà tutto nel fascicolo, Agente Smith.”
Harry notò come l’uomo avesse ridotto le labbra in una linea sottile. Ma prese il plico senza fare ulteriori rimostranze; perlomeno sapeva accettare una sconfitta.

Se non fosse stato per Thomas, ad Harry sarebbe quasi spiaciuto.
“È tutto Direttrice?” Chiese con una certa urgenza. Doveva immediatamente tornare in ufficio ed organizzare una squadra operativa condotta da Ron. Avrebbe passato le indagini del cognato a qualche altro caposquadra. Voleva solo i suoi uomini migliori su quel caso.
E Ron è anche l’unico che possa vedere smontato dal servizio.
Non si sarebbe più intromesso, no. Ma questo non significava che non avrebbe seguito pedissequamente le indagini.
“No, non è tutto Potter. Si sieda.”
Harry si trovò nella posizione di dover guardare preoccupato il proprio boss.
Cosa? Raccomandazioni?
In effetti, per come si era comportato l’anno prima, probabilmente erano… doverose.
“Si riferisce al ruolo del mio Dipartimento in quest’indagine, Potter…” Esordì a sorpresa Malfoy, fino a quel momento intento a guardare fuori dalla finestra con aria annoiata. Quando puntò lo sguardo su di loro però, era pungente come sempre.
Harry era riuscito, infine, a provare una sorta di gratitudine per quello che l’altro aveva fatto per Thomas.
Questo però non toglieva il fatto che in quel momento avrebbe voluto averlo lontano miglia.
Io e lui saremo sempre ai lati opposti dell’equazione. Non ci sputiamo più addosso … ma … beh.  
La Direttrice Jones, ignara dei pensieri che Harry sapeva di condividere con l’altro, annuì.
“Alla squadra che andrà a costituire, Signor Potter, sarà assegnato un agente di collegamento del DALM americano. Il Signor Malfoy è qui per darle le direttive del caso.”
“Che sono tutte comodamente elencate qui.” L’ex-serpeverde batté il palmo su un enorme faldone di carta che fino a quel momento Harry non aveva notato. Era praticamente il triplo rispetto al fascicolo che aveva tra le mani. “Naturalmente servirà qualche firmetta… Burocrazia bilaterale. Un vero inferno.” Soggiunse mellifluo.

Harry non fece una piega. Perché era un uomo adulto, perché era un capo-ufficio ministeriale e se aveva voglia di affatturare qualcuno, si tratteneva.
Lo sapevo che sarebbero tornati a mordermi le chiappe, lui e quei maledetti americani! 

Si limitò a pulirsi vigorosamente gli occhiali.
La Direttrice vedendo quel gesto, ed intuendone i retropensieri, trattenne un sospiro di esasperazione. Harry era certo che fosse dalla sua parte, ma dall’altra, era sicuro che non sopportasse doverlo disciplinare come uno studentello.
Allora non mettetemi la politica in mezzo ai piedi! Se avessi voluto giocare a Risiko sarei diventato Ministro!
“Da quando sono obbligato per legge a coordinarmi con gli americani?” Chiese comunque con il suo tono più diplomatico.
“Da quando c’è il sospetto che questo caso abbia collusioni con la Thule.” Gli fu risposto dalla strega. “Gli americani sono stati i primi ad istituire una task-force dedicata. Tutti i casi inerenti ad essa devono tassativamente…” e qui calcò sulla parola. “… essere condivisi con loro.”
“Diritto magico internazionale, Potter. Niente contro cui voi ragazzoni col distintivo possiate combattere.” Chiosò Malfoy con l’aria beata di chi si stava divertendo un mondo a vederlo trattenersi dall’urlare.

“Se mi darete quell’Ethan Scott, non collaborerò.” Gli uscì di cuore. Forse era stata una frase ottusa, ma non se ne pentì. “Non mi interessa se finirò di fronte ad un comitato disciplinare, non voglio che quel tipo metta i bastoni tra le ruote ai miei uomini. Il giorno del processo ha ronzato attorno al mio figlioccio … e sappiamo tutti per quale motivo.”
“Non fare l’esagitato Potter.” Lo riprese Malfoy con aria spazientita, come un adulto di fronte ad un moccioso fastidioso e ottuso. Oh, quella fattura… “L’agente Scott è stato riassegnato.”
“Come?” Okay, al momento si sentiva ottuso.  

Non ne sapevo niente… anche se in effetti Tom non mi ha più parlato di lui.
Malfoy fece un cenno svogliato, quasi gli costasse spiegarsi. Ma stavolta l’occhiataccia della Direttrice non risparmiò neppure lui. “Al mio ufficio è giunta voce che abbia avvicinato il tuo figlioccio in un’altra occasione.” Fece una breve pausa. “Cosa che non era autorizzato a fare.”
“Arrivata voce…?” Malfoy si riferiva evidentemente all’episodio che Tom gli aveva raccontato più di un mese prima.
Quando lo ha avvicinato ad Hogsmeade dandogli informazioni su suo padre …
Ma Draco come fa a saperlo?
“Il tuo figlioccio è un serpeverde, mi sembra.” Sembrò quasi leggergli nel pensiero il biondo. “Quindi ha amici serpeverde. Per sua fortuna.” Aggiunse in un’irritante postilla. “Ma immagino che non sia questo che ti interessi.”
“No, infatti.” Si riscosse. Avrebbe dovuto chiedere a Thomas chi altro c’era con lui quella sera. A parte Albus. “Ma se è stato riassegnato…”
“Un nuovo agente.” Lo anticipò. “Avrai modo di conoscerla la prossima settimana.” E poi spinse verso di lui con un tocco di bacchetta la mole mostruosa di scartoffie. “Ora se non ti spiace… comincia a firmare.

 
Mezz’ora dopo, e una mano praticamente in cancrena, Harry usciva dall’ufficio accompagnato dal fruscio delle costose vesti di Malfoy. Smith se n’era andato non appena era terminata la conversazione:  probabilmente in quel momento stava pianificando la morte dell’intero Ufficio Auror.
Ma da quando uno che è finito a Tassorosso è competitivo in quel modo?
Lanciò un’occhiata all’ex-serpeverde. Immaginava di dover dire qualcosa mentre facevano lo stesso tragitto verso gli ascensori.
“Come sta Scorpius?” Esordì con buone intenzioni.
L’occhiata artica che l’altro gli scoccò gli fece capire che era un argomento delicato.
“Si riprenderà.” Disse però, forse smorzando i toni al suo interesse sincero. O perché ci teneva a sottolineare che il frutto dei suoi lombi non era persona da sottovalutare. “È un Malfoy.”
Appunto.
Harry però fu piacevolmente colpito dall’assenza di accuse: si era immaginato che l’ex-serpeverde avrebbe incolpato lui e persino Thomas di aver attirato la Thule ad Hogwarts.
Vecchio adagio. E invece…
Se ne vergognò: in fondo, se c’era qualcuno che sapeva come un adolescente potesse trovarsi bloccato in una situazione più grande di lui, era proprio Draco Malfoy.
Ignorò quindi la frecciatina che sentiva sulla punta della lingua. “Tuo figlio ha disputato una splendida Prova.” Disse invece. “Fagli i miei complimenti… ci servirebbero proprio ragazzi come lui.”
Dove?” Scandì il biondo guardandolo come se fosse una specie molto raccapricciante di doxy. Harry lo guardò divertito, perché a ben vedere, il tono era di puro panico.

“Che ufficio comando, Malfoy?” Chiese ironico, fermandosi davanti agli ascensori. “James mi ha detto che Scorpius intende entrare all’ Accademia Auror, preso il diploma. Sarei felice di averlo trai miei uomini.”
Malfoy non disse nulla, ma le labbra improvvisamente illividite parlarono per lui.
“È un bravo ragazzo.” Disse sincero e vagamente consolatorio. Lo pensava in ogni caso, specie perché il figlio maggiore glielo ripeteva in continuazione, con un impegno impossibile da ignorare. “I miei figli lo adorano.”
“Sì, lo è.” Convenne rigidamente glissando sulla seconda frase.

Harry represse un sorrisetto e calcò la pedana dell’ascensore non appena questo si aprì davanti a loro. Lanciò un’occhiata alle sue spalle. “Non vieni?”
“Aspetto il prossimo. Già a casa mia respiro troppi geni grifondoro … dividere lo spazio con il golden-boy rosso-oro mi sarebbe fatale.” Replicò sarcastico, strappandogli una risata.

Non se la prese perché intuiva che non c’era voglia di ferire: a quel punto della sua vita lo poteva capire senza problemi. “Non cambi mai…”
“Posso dire la stessa cosa di te, Potter. Il tuo sviluppo emotivo si è fermato ai nostri quindici anni.” Ritorse l’altro mago, e Harry giurò che fosse divertito quanto lui. Poi si fece serio. “Potter…” Si vedeva che si stava sforzando per finire la frase. Quindi aspettò. “… prendi quel figlio di puttana e fa marcire ad Azkaban il suo teatrino degli orrori.” 

Harry sorrise. “Puoi giurarci, Draco.” 
 
****
 
Scozia, Hogwarts. Cortile centrale. Pomeriggio.
 
Durante l'inverno ho trovato che dentro di me c’era un'invincibile estate²…
 
Tom non ricordava dove avesse letto quella frase, ma gli venne in mente all’improvviso, mentre osservava la neve caduta innevare il piccolo chiostro.
Era seduto in una delle tante rientranze tra il porticato e il cortile, debitamente coperto da cappotto e mantello della divisa.
Le finestre dell’aula di Trasfigurazione erano schizzate di neve compatta, dato che una manciata di studenti vi stava giocando. Erano chiassosi, ma era ciò di cui aveva bisogno.  
Non voglio sentirmi pensare.
Si era comunque nascosto lì per evitare che gliene arrivasse qualcuna addosso per sbaglio. Perché solo per sbaglio sarebbe potuto succedere.
Nessuno tira palle di neve. Non a me.
E infatti fino a quel momento non era stato disatteso.
Sfogliò svogliato il libro che si era portato dietro, senza che una sola parola gli si imprimesse in mente:  altro non poteva fare, per lasciar sgocciolare via i minuti che lo separavano dall’incontro con il padrino.
Aveva provato a fare i compiti, a leggere in Sala Comune, ma niente gli aveva dato sollievo.
Specialmente perché Albus era in riunione con professori, Prefetti e delegazione provvisoria: ovvero preso completamente dai suoi compiti di Caposcuola in preparazione per lidi norvegesi.
Rilassati. Andrai con lui.
Osservò la piccola folla che giocava incurante del gelo. Vide Lily, in compagnia degli amici e dell’imprescindibile Hugo. E poi, poco distante, seduto sugli scalini della Torre di Astronomia, Luzhin.
Chiuse il libro con uno scatto secco: da lì il tedesco non poteva vederlo, ma lui al contrario aveva una visuale perfetta.
Luzhin era avvolto nella pesante pelliccia marrone della sua scuola, e indossava il colbacco abbinato, probabilmente per proteggersi dal freddo conseguito dal restare fermo.
Guardava giocare Lily e gli altri.
No. Non sta guardando tutti. Sta guardando lei.
Luzhin non perdeva una sola mossa delle movenze di Lily; del modo in cui scappava dall’attacco combinato delle amiche corvonero, del modo in cui rideva e cercava di liberarsi dalla presa di Hugo, che le aveva afferrato la sciarpa.
Sören Luzhin sembrava rapito.
Sembrava abbeverarsi a quel quadretto pre-natalizio. Come se non avesse mai visto nulla del genere. Come se fosse la prima volta e non volesse perdersi neanche un momento.
Che diavolo vuol dire?
Nulla, probabilmente. Ma era comunque strano. Tutto era strano nel Campione di Durmstrang.
Vide poi Lily avvicinarsi e afferrarlo per un braccio, invitandolo ad unirsi ai giochi. Stranamente, considerando quanto poco sembrava atto a certe cose, non ci volle molto a convincerlo.
Tom capì di averlo beccato in un momento di insperata quiete. Infatti non si vedevano in giro studenti di Durmstrang: gli unici stranieri erano Dominique, che stava costruendo una sorta di pupazzo di neve, e due suoi compagni, che la sorvegliavano rassegnati e infreddoliti. Vi riconobbe il biondino di Zabini, tal Mael e la tipa dal doppio cognome, amica di Malfoy.
Tom fu riscosso da un urlo di Lily. Allarmato si voltò, salvo per sentirla ridere – e quando rideva Lily si sentiva a due miglia di distanza.
Il tedesco l’aveva presa in braccio, forse per evitare di essere sommerso dalle di lei palle di neve. O forse semplicemente per divertirla.
Stava giocando. E stava giocando perché non c’era nessuno a controllarlo.
 
Durante l'inverno ho trovato che dentro di me c’era un'invincibile estate…
 
Di nuovo quella frase. Stava diventando un tormento.
Improvvisamente sentì un sibilo alla sua destra, e poi qualcosa di bianco gli entrò nella visuale. Fece appena in tempo a scansarsi che una palla di neve si schiantò alle sue spalle.
“Mancato, che peccato…” Disse una voce maschile e delusa.
Albus era in piedi davanti a lui, sorridente e imbacuccato da capo a piedi, con tanto di orripilante berretto creato dalle mani prive di senso estetico di Molly Weasley.

La nostra sciarpa è verde e argento. La sua giacca è a fantasia tartan verde e nera.
Perché indossa un berretto viola?
“Dove l’hai preso, ad un’asta di beneficienza per i poveri di Notturn Alley?” Replicò freddamente, rifiutandosi di mostrare la minima traccia di sollievo alla sua presenza.
Anche se lo provava.
Al si tolse il cappello, arruffandosi i capelli. “È il regalo di Natale di nonna Molly… quello dell’anno scorso.” Glielo porse. “Hai notato che i pon-pon sembrano boccini?”
“Avrei voluto evitare.” Si rifiutò di toccarlo. “Mi stanno sanguinando gli occhi.”

“A me piace!” Replicò l’altro, cacciandoselo in testa con un sorriso sadico. Si sedette accanto a lui, soffiandosi sulle mani. “Come fai a restare qui fuori, al gelo, senza muoverti? Non stai congelando?”
“Sai che non mi dà fastidio il freddo.” Anche se la mano di Al, calda ed intrecciato alla sua, era piuttosto piacevole. “… e poi avevo bisogno di respirare aria fresca. Non riuscivo a restare al chiuso.”

Al non disse nulla, ma appoggiò la spalla alla sua. “Tra quanto vai?” Chiese piuttosto retoricamente. Lo sapevano entrambi, e Tom era certo che entrambi contassero i minuti.
Un’ora, venti minuti e … cinquantasei secondi.
Glielo disse, facendolo ridacchiare. “Sei peggio di uno svizzero!”
“A guardare i miei natali, sembra che sia tedesco e russo in due esatte metà.”
I natali del mio corpo… se invece si parla della mia anima. Beh. Sono felice di essere in patria.

Al non replicò, stiracchiandosi invece le gambe. Lanciò un’occhiata verso la sorella. E poi sorrise. “Che carini…” Esordì, riferendosi ovviamente anche a Luzhin, che al momento stava raccogliendo il proprio berretto, caduto a terra a causa di un chirurgico tiro – Lily aveva una mira micidiale.
“Lo sono perché non c’è in giro la sua guardia.” Commentò Tom non riuscendo a frenarsi.
“La guardia di chi?”
“Di Luzhin… quel Poliakoff. Stanno sempre assieme, ma oggi non è qui.” All’occhiata esasperata dell’altro, sbuffò. “Non sto insinuando niente. È solo un dato di fatto … sembra che si rilassi solo quando non è in presenza dei suoi compagni.”
“Magari non gli piace stare a Durmstrang… come a Meike.” Scrollò le spalle. “Sai che vanno assieme al Ballo?”
“Chi, Poliakoff e Luzhin?”
“Non ce li vedo, come coppia.” Ridacchiò Al. “No, mia sorella e Sören. Lils me l’ha detto stamattina… mi ha assordato, in realtà. Era davvero su di giri.”
“Beh, lui è un Campione e lei ama stare al centro dell’attenzione. Sono la coppia perfetta.” Ignorò la gomitata che gli altro gli ficcò con abilità consumata tra la terza e quarta costola. “Comunque…” Fece una pausa in cui tentò di spingerlo nella neve, senza risultato. “Ho trovato un modo per entrare in delegazione.”
Sapeva di essere stato estemporaneo, perché Al, che stava ancora lottando con il suo braccio, gli lanciò un’occhiata confusa, prima di fare mente locale. Sembrando preoccupato. “Ti prego, dimmi che non è niente di pericoloso.”
“Dipende.”
“Tom!”
“Voglio propormi come assistente di Malfoy.” Ci aveva pensato: era quella la soluzione più comoda e priva di intoppi. Inoltre Scorpius sarebbe tornato a giorni, secondo la rete di pettegolezzi della scuola.  

Gli parlerò quando lo vedrò. Ma accetterà. Deve accettare.
Al lo guardò assorto per un momento. Poi tirò un sospiro. “Dovrei convincerti che è un’idea stupida, e che ti stai gettando coscientemente nelle braccia del pericolo… ma sarebbe inutile, vero?”
“Già.” Convenne pacato. Era la verità: oltre alla paura che provava, c’era quella sorta di lucida consapevolezza: non poteva stare con le mani in mano ad attendere l’inevitabile.

Sarebbe da deboli. Ed io non lo sono.
“E se Malfoy non ti volesse?”
Tom fece spallucce. “È stato lui il primo a propormelo, e al momento, visto che ha rotto con Rose, non ha neppure supporto ufficioso.” All’espressione alterata dell’altro, si affrettò a correggere il tiro. “Non intendevo dire…”
“Sei proprio stronzo.” Scattò comunque. Mai toccargli la cugina, al momento ancora alla deriva dei propri sentimenti.

Tom afferrò Al prima che decidesse di piantarlo lì. Non fu difficile afferrarlo per la cintura, visto che non tentava sul serio di scappare. Lo rimise bruscamente seduto e parlò prima che l’altro potesse prenderlo a pugni per l’inciviltà del gesto.
“Non ti lascio andare a Durmstrang da solo.” Esordì. Fermezza ci voleva con Al, prima di tutto. Anche perché l’alternativa era un destro diretto alla sua spalla. “E poi Malfoy ha davvero bisogno di aiuto. È uno scambio equo… e per Rose, non c’è niente che possiamo fare. È lei a dover far chiarezza su cosa vuole.”
Al rimase fermo per un tempo sufficiente a fargli venire il dubbio che si fosse arrabbiato sul serio. Sapeva di stare facendolo preoccupare, ma non poteva lasciar perdere.  
Hohenheim mi ha sfidato ed io voglio chiudere questa storia. Voglio chiuderla per sempre.
“Maledetto idiota ragionevole…” Mormorò infine mordicchiandosi un labbro. Si calò il berretto da una parte, in un movimento che veniva fuori solo d’inverno, con capi del genere disponibili. Era così intensamente adorabile che era quasi fuori luogo. “… Vuoi che venga con te da papà?” Soggiunse.
“No.” Scosse la testa. Non sarebbe riuscito a rimanere calmo e determinato con quel paio di occhi enormi che lo fissavano inquieti. E Harry di conseguenza non gli avrebbe mai dato retta.
Gli eroi parlano solo il linguaggio degli eroi. Nessuna esitazione concessa dunque.
“Okay.” Sospirò l’altro. “Senti, mancano due ore all’appuntamento. Possiamo tornare dentro? Ci facciamo portare una cioccolata dagli elfi domestici. Davanti al camino.” Suggerì invogliante.
“Sono troppo teso. Sarò insopportabile…” Replicò, perché da un po’ di tempo aveva necessità di essere sincero. Lo faceva stare meglio, aveva scoperto.  
“Tu lo sei sempre, Tom.” Fu l’adeguata risposta. “Ma ti sopporto da quattordici anni. Penso di averci fatto l’abitudine ormai.” Gli sorrise. Tom afferrò la sua mano tesa e si tirò su.  

E un bacio ci stava come Merlino avrebbe comandato. Labbra fredde e bocca calda. Tom si perse un attimo in quel gesto in apparenza tanto semplice. L’anno prima, l’aveva riportato in sé più volte di quanto  avesse adesso voglia di contarne.
 
Durante l'inverno ho trovato che dentro di me c'era un'invincibile estate…
 
 
****
 
Hogsmeade, Tre Manici di Scopa. Pomeriggio.
 
“No.”
Sapeva che non sarebbe stato facile.
Tom lanciò un’occhiata al padrino, che lo stava fissando…
Beh, al momento lo stava fissando come se volesse incenerirlo. E considerando che gli aveva appena comunicato che avrebbe condotto le indagini per arrestare l’uomo che gli dava la caccia… 

Sì. È piuttosto bizzarro.
Forse aveva sbagliato a dirglielo subito, senza mezze misure. A dirgli del supposto piano di Hohenheim e delle sue conseguenti intenzioni in merito.
Ma dopotutto quello era il vero motivo per cui aveva tanto atteso quell’incontro.
Perché dovevo dirgli cosa voglio fare. Dovevo farlo. Ne avevo bisogno.
“Harry… ho già preso la mia decisione.” Spiegò, osservando il proprio cucchiaino girare nella tazza di the che aveva ordinato. Aveva scoperto che concentrarsi su incantesimi basilari lo aiutava a mantenere la calma. “Te la sto semplicemente notificando.”
Harry Potter il Salvatore per-intero-tutto-scandito sembrava furioso. Tom l’aveva visto poche volte con la mascella così tirata.

“Tom, non posso credere che tu sia così …” Si fermò, evidentemente per non insultarlo. “Ascolta. Forse hai ragione, forse dietro l’attacco dei Dissennatori c’è un piano preciso. Ma che sia vero o no, non puoi prendere una decisione così sconsiderata come quella di allontanarti da Hogwarts. Qui sei al sicuro!”
“Non è vero, e lo sai.” Negò serrando le labbra. Avrebbe voluto che fosse così. Una parte di sé, quella che ancora ricordava come si fosse sentito felice e protetto anni prima durante la sua prima traversata sul Lago Nero… beh, quella parte sperava che la scuola fosse ancora un porto sicuro. Ma era una sensazione fallace.

Ne ho avuto la riprova più volte direi…
L’uomo in compenso non gli rispose subito, preferendo bere un sorso della proprio sidro. Lo fece evidentemente di malavoglia, per calmarsi.
Sapevo che non l’avrebbe presa bene… anche perché non sopporta l’idea che io esca fuori dal suo radar. Harry Potter deve sempre avere tutto, e tutti, sotto controllo.
E lo capiva. Fin troppo bene.
“Harry…” Disse infatti cercando di scongelare un po’ l’espressione gelida che sapeva di aver assunto. Era un ostacolo in quel momento. “So che sei preoccupato per me, che lo siete tutti.” Prese un lieve respiro. “Ma Hohenheim mi ha mandato un messaggio, con quell’attacco.” Piantò gli occhi nei suoi. “Farà del male ad altre persone innocenti se non asseconderò il suo schema.”
“Thomas…” Il padrino scosse la testa, con una smorfia. Cercava di essere ragionevole. Di farlo ragionare, più probabilmente.“… questo è immolarsi. Okay? Se andrai a Durmstrang, non avrai lo stesso grado di protezione che hai qui. Neppure vagamente paragonabile.”
“Ed è ciò che voglio.” All’espressione sbigottita dell’altro, si apprestò a spiegare. “Non voglio immolarmi. Non mi sento una vittima, né tantomeno un eroe. Voglio semplicemente vivere senza dovermi preoccupare di aver sempre un’ombra alle spalle, che mi ricorda da dove vengo e cosa sono.” Il cucchiaino prese a girare vorticosamente, spargendo the bollente lungo il tavolo. Tom lo afferrò e lo tirò fuori prima che rovesciasse la tazza.

Calmati.
“Tu sei Tom.” Ribatté Harry con forza. “Non sei…”
So chi sono.” Lo interruppe. “E mi trovo piuttosto bene con me stesso. Non è questo il punto. Sono stanco di aspettare il prossimi colpo, tutto qui. Perché mi sta uccidendo.”  Osservò le mani del padrino. Erano forti, adulte. Salde. Le sue soltanto magre. E tentava di non farle tremare. C’era tanto contrasto. Tanto, ancora, che doveva imparare.

Ma le mie certezze le ho.
“Ti capisco, ma…”
“Appunto perché mi capisci. Perché sai.” Scandì con forza. “Non puoi chiedermi di restare.”

Attorno a loro il chiasso del pub quasi strideva. Le decorazioni natalizie scintillavano sopra le loro teste e gli avventori chiacchieravano festosamente, agitando boccali luccicanti.
È quasi consolante pensare che il mondo va’ avanti anche quando il tuo non fa che andare fuori asse…
“Allora cos’hai intenzione di fare?” Chiese pacato il padrino, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “Vuoi andarlo a cercare?”
“Sarà lui a trovarmi. A fare la sua mossa. Credo di capirlo, Harry…” Mormorò, in una confessione che aveva negato persino a sé stesso fino a quel momento. “So che non è mio padre, io ho già un padre.” Spiegò. “Ma quell’uomo ha il mio stesso sangue. E per quanto la cosa mi faccia ribrezzo… penso di capire cos’abbia in mente. Vuole un confronto. E finchè non lo avrà, farà… cose assurde…” Inspirò. “Certo, potrebbe essere tutta una mia teoria…” Aspettò una negazione da parte del padrino. Non venne. Almeno lui, non lo considerava un mero paranoico. “… ma se anche lo fosse, sento che è a Durmstrang che devo andare.”

Harry gli lanciò un’occhiata valutativa. In quel momento era l’auror, non il familiare affezionato.
“Spiegati.” Decisamente un tono da caserma. Ma Tom lo apprezzò: sempre meglio che quella rabbia ansiosa e protettiva.
“Tutto quello che ha fatto… dall’anno scorso…” Prese la tazza di the tra le mani, riscaldandosi piacevolmente la punta delle dita. Perché sentiva freddo fin nelle ossa. “… trafugare i Doni, corrompere un agente americano… e anche quello che ha fatto adesso… sembra che abbia solo un obbiettivo.”
Harry non ebbe bisogno di chiederglielo. “Te.” Intuì grave.
Tom annuì. “Per quanto ho capito grazie al prezioso aiuto dell’agente Scott…” Usò del sarcasmo e fu contento di vedere un mezzo sorriso balenare nel volto dell’altro. “… Hohenheim è a capo di un organizzazione complessa. Lui è in cima, ma c’è qualcosa sotto. Qualcuno. Credo che… abbia cercato di prendere i Doni per rapire me senza doversi giustificare.”
“Hohenheim è il capo, e per esperienza personale Tom… persone del genere non devono spiegazioni a nessuno.”
Voldemort.” Lo pronunciò tranquillo, e gli occhi del padrino ebbero guizzo indecifrabile. “Voldemort era il genere di leader che impostava tutto sul culto della sua persona. Riportare in auge il sangue puro era solo un mezzo… Quello che voleva, era essere adorato.” Elaborò. Sentiva un sapore amaro in bocca, e bevve un sorso di the. Era amaro pure quello. “Ma Hohenheim… lui non è così. Ha ri-creato la Thule per ricercare la conoscenza, per servirla. Servirla, Harry… tutti lì, devono avere uno scopo e portare dei risultati. Anche la punta della piramide.”
“Non avevo idea che ne sapessi così tanto…”
“Se cerchi informazioni, di solito le trovi. È quel che ho fatto. Non si combatte qualcuno, se prima non lo si conosce.” Guardò fuori dalla finestra, dove aveva preso a nevicare con forza invernale. I vetri tremavano addirittura.

Al sarà incollato al camino in questo momento…
Si riscosse e riportò l’attenzione sul padrino. L’uomo si stava pulendo gli occhiali. Gli fece un mezzo sorriso quando intercettò il suo sguardo.
“Sei proprio deciso…” Mormorò. “Merlino, Tom… non posso proibirti di andare.”
“Non può farlo nessuno.” Convenne. “A conti fatti, sono maggiorenne.”

Harry fece una breve risata, amara però. “Alla tua età avrei detto la stessa cosa. Avrei fatto, ed ho fatto, la stessa cosa.”
“Ne è valsa la pena?”
“Credo di sì. Sono qui, no?” Stirò un secondo sorriso, infilandosi gli occhiali. “Ma non posso fare a meno di pensare che adesso capisco Molly. Sai… tentò di fermare me e gli altri, tentò di ostacolarci in ogni modo dal partire per cercare gli Horcrux.”
“Ma non ci riuscì.”
“No, e non ci riuscirò neppure io.” Gli lanciò un’occhiata così piena d’affetto che Tom ebbe l’impulso di scusarsi. A prescindere. “Ho solo paura che sarà troppo per te. La Thule… ha una task-force internazionale che le dà la caccia, Tom. È un organizzazione pericolosa, e per guidarla, non si può essere che una mago pericoloso. Ed io non potrò aiutarti dove sarò. Non come potrei farlo qui. Sarai solo.”
“Non sarò solo. Ci sarà Al.”

È anche per lui che vado. Ma questo non è necessario che tu lo sappia. Già hai troppo da fare a preoccuparti per me.
Harry fece un sorriso triste, quasi avesse indovinato i suoi pensieri. Ma era infattibile, giusto?
“Non sai questo quanto mi tranquillizza e spaventa assieme.” Mormorò. A Tom, a volte, sembrava che l’altro avesse capito.
Poi però… Sa e finge di non sapere?
“Non permetterò ad Hohenheim di torcergli un capello.” Disse comunque, sottolineandolo quasi per ricordarlo a sé stesso. “Non voglio metterlo in mezzo ai miei…”
“Lo so.” Lo fermò gentilmente  l’uomo, dandogli una lieve stretta al braccio. “Ma l’amore, l’affetto e l’istinto di protezione che ne conseguono sono spesso armi a doppio taglio. Ed io non voglio perdere nessuno di voi due…”
“Non succederà. Siamo serpeverde, non tendiamo ad immolarci, ma a vendere cara la pelle.” Replicò con una tranquillità che era ben lungi dal provare. Harry dovette intuire anche quello.

“Ne sono certo…” Disse. “Riuscirò a prendere quel bastardo prima che tu debba averci a che fare, Tom.”
Spero di no.

Aveva bisogno di confrontarsi con quell’uomo. O forse, con la raffigurazione del suo passato. E chiedergli perché lo volesse così tanto.
Deve sapere che preferirei ammazzarmi che stare al suo fianco. Con l’anno scorso deve averlo capito, se ha presa sulla realtà. Allora… perché?
Rimasero in silenzio, ognuno preso dai suoi pensieri. Era stato detto abbastanza, e nessuno dei due era un chiacchierone.
“A scuola la situazione è tranquilla?” Chiese comunque Harry per spezzare la tensione che ancora aleggiava tra di loro, pesante.
“A parte i soliti drammi adolescenziali e l’isteria pre-ballo?” Convenne facendolo sorridere. “Hogwarts si rialza sempre in piedi.”
“Assolutamente vero.” Convenne l’altro con un sorriso.


Thomas era cresciuto.
Non tanto nel fisico, o nei tratti del viso, che si erano comunque fatti più adulti, più posati, ben diversi dalla cupa introversione che li aveva contraddistinti fino all’anno prima.
Era cambiato dentro. E in meglio: mostrava adesso, invece che nascondere. Non che fosse diventato una persona con il cuore appuntato al petto come poteva essere James…
Ma non è più il ragazzino per cui devo preoccuparmi. Che devo tener d’occhio, per vedere se prende la giusta direzione…
Thomas l’aveva presa da solo, e la stava seguendo senza tentennamenti. Come lui aveva fatto un tempo.
Ma probabilmente strepitando molto meno.  
“Sai…” Esordì mentre l’altro gli scoccò un’occhiata incuriosita. “… sembra solo ieri che ti ho preso tra le braccia tirandoti fuori da quell’incendio. E adesso te ne stai qui, a dirmi che vuoi affrontare i tuoi demoni da solo.” Si sfiorò la cicatrice in un vecchio movimento allenato. “Suona un po’ da vecchio nostalgico, vero?”
Il ragazzo fece un mezzo sorriso. “Sì, un po’.” Ironizzò. “Ma non staremo qui a parlarne, se non fosse stato per te. Comincio a pensare che il Fato abbia scelto un’espiazione molto particolare per la mia anima…”

Già…
Harry si trovò a sorridere, suo malgrado. Perché il giorno in cui era diventato un eroe uccidendo la sua nemesi, non avrebbe mai pensato che se la sarebbe ritrovata vent’anni dopo sotto forma di un ragazzo a cui voleva un bene tremendo.
“Quel che sia, Tom… sei un ottimo mago. Un ottimo uomo.” Disse, mettendogli una mano sul polso, con gentilezza. “Ed io sono orgoglioso di te.”
Il ragazzo arrossì, cercando di nasconderlo con una mezza smorfia. “Grazie Harry…” Disse piano. “Grazie.” Lo ripeté, e l’uomo capì che non si riferiva solo alla contingenza.

Anche quella fu l’ennesima, piccola riprova che le ultime ombre di quello strano, incredibile ragazzo erano scomparse.
Almeno Harry la vedeva così. In fondo, era un inguaribile ottimista.
O non sarei vivo per raccontarlo.
 

****
 
Torre di Grifondoro, Sala Comune. Dopocena.
 
“E così andiamo tutti a Durmstrang!”
Lily lanciò la frase in mezzo al consesso di cugini e fratelli. Del resto, c’erano solo loro: in quell’ora che poco precedeva il coprifuoco il salottino dei grifondoro era deserto.

La mia banda… - pensò affettuosa e un po’ infantile.
Rose, che se ne stava rannicchiata nella poltrona più vicina al fuoco, debitamente fornita di cioccolata e libri. Hugo, steso sul tappeto, con un cuscino sulla pancia e il naso per aria, a elaborare complesse idee per ibridi magico-babbani.
E infine c’erano i due intrusi, ma sempre benvenuti Albus e Thomas, seduti sullo stesso divano. Il fratello, rannicchiato e sgranocchiante caramelle e Tom, adagiato con perfetta eleganza dal lato opposto.
“Io mica ci vengo.” Rimbeccò Hugo concentrandosi sulle lingue di fuoco del camino che funzionava a pieno regime per via del freddo che imperava fuori.
“Sì, e mi mancherai tantissimo.” Si imbronciò appena, perché era vero. Però era contenta: cosa poteva esserci di meglio che due mesi di vacanza in compagnia delle sue persone preferite?
“Non sarà una vacanza.” Replicò Tom con un lieve sospiro piuttosto umano.
“Dovremo comunque studiare Lils…” Aggiunse Al virtuoso. “E nel mio caso, occuparmi di voi come farebbe una balia.”
“Occuparci.” Si inserì Rose, dalla sua postazione densa di disperazione romantica. Quest’ultimo aggettivo, pensò Lily, mal si adattava alla cugina. Sembrava più altro preda di una brutta, brutta indigestione.
Forse era anche per la cioccolata che si era ingurgitata in quella settimana. 
Beh, non è un’eroina tisica da romanzi d’appendice. È… Rosie.
Le sorrise. “Sono contenta che tu abbia inoltrato la candidatura per Caposcuola… sono sicura che ti prenderanno!”
“Sono disperati, certo che lo faranno. Non c’è nessuno che voglia sobbarcarsi di altri impegni, l’anno dei MAGO.” Rimbeccò l’altra con una scrollata di spalle.

Lily rimase in silenzio: sapeva benissimo perché l’altra lo stava facendo, anche se quella mattina l’aveva annunciato at urbi et orbi adducendo il motivo di arricchire il suo già farcito curriculum scolastico.
Malfoy va a Durmstrang. Rosie, va a Durmstrang.
Era un’equazione semplice, tenera e dannatamente cocciuta. Insomma, alla Weasley.
Beh, le cose funzionano così. Se vuoi riprenderti il tuo uomo, non lo molli solo per mesi in scuole straniere. Facile.
Lily in quel momento, imbacuccata in un vecchio maglione blu di James – che le stava comunque deliziosamente – e davanti al fuoco natalizio, si sentiva molto saggia e felice.
Manca solo Ren.
“Perché la vostra Sala Comune è più calda della nostra? È fastidioso.” Borbottò dopo un po’ Tom.
Lily pensò che sarebbe sembrato più tagliente se non si fosse definitivamente abbandonato sul divano, con la testa sulle ginocchia di Al.
“Io lo trovo meraviglioso invece…” Replicò quest’ultimo con un dolce mezzo sorriso. “Vorrei essere a Grifondoro solo per il vostro eccellente sistema di camini.”

“In effetti i sotterranei sono una ghiacciaia.” Convenne Rose e attese. Al e Lily si scambiarono un’occhiata.
Lily sospirò.
Sappiamo tutti cosa attende… la controbattuta di Malfoy.
Che ovviamente non arrivò, perché Malfoy non c’era.
Rose tese appena le labbra, e staccò con ferocia un morso dalla sua barretta di Mielandia. Ne aveva fatto rifornimento una settimana prima e nessuno osava toccare quelle sacre scorte consolatorie.

Neppure Hugo, sebbene lanciasse loro languide occhiate desiderose.
“Comunque se ti fa caldo, perché sei qui?” Soggiunse Rose rivolta a Tom, che fece spallucce.
“Al è qui.” Disse con tono definitivo, e l’altro gli sorrise contento.
“Hai incontrato papà stasera?” Chiese Lily, che aveva notato del sommovimento – di nuovo – nelle faccende del cugino acquisito.
Sta succedendo qualcosa. Di nuovo quell’orribile organizzazione?
Non che avrebbe mai avuto risposte, lei. Tom infatti le lanciò un’occhiata incolore. “Sì, dovevamo metterci d’accordo per Natale… probabilmente quest’anno verrà anche la mia famiglia alla Tana. Più Meike, naturalmente.”
Mentiva, ma l’informazione di copertura era comunque interessante. “Meike…? Parli di quella bambina tedesca che ti ha ospitato?”
“Mi ha ospitato sua nonna, comunque sì.” Puntualizzò il puntiglioso, socchiudendo gli occhi pigramente alle carezze di Al, esattamente come avrebbe fatto un gatto. Sembrava stanco, come reduce da un’intensa fatica.

Ma il tragitto per Hogsmeade non è faticoso. Voglio dire sì, nevica, ma papà l’avrà materializzato ai cancelli… e da lì la via è breve. 
Sembrava più che altro stanco di una fatica mentale, come quella che seguiva ad un esame difficile.
Lily non indagò oltre però, preferendo le facezie natalizie. Le preferiva sempre. Natale era il suo periodo dell’anno. “E quando viene? Non vedo l’ora di conoscerla!”
“È molto simpatica.” Convenne Albus posando la mano delle carezze sulla spalla dell’altro. Passarono pochi attimi prima che Tom la afferrasse e la rimettesse dov’era prima, ovvero trai suoi capelli.

Lily e Al si lanciarono uno sguardo divertito.
A volte somiglia ad un gatto… E come un gatto, si lascia coccolare solo quando si sente in un ambiente protetto. Noi siamo il suo ambiente protetto.
Certo, c’è voluto diciassette anni perché se ne accorgesse ma… meglio tardi che mai?
“Durmstrang chiude per le vacanze invernali il 5 dicembre. Tra due giorni…” Spiegò intanto Tom, con aria soddisfatta. “Meike starà da sua nonna fino al 23, poi verrà da noi per la Vigilia e resterà fino alla ripresa delle lezioni…” Il tono in cui lo disse era più anodino di quello di un’agenzia turistica, ma Lily poté notare come si era rilassato a spiegar loro la tabella di marcia.
È contento di vederla. Tom sotto sotto è un tenerone. Molto sotto.   
“Sì, sapevo di San Nicola³! Me l’ha detto Ren… la sua delegazione resterà per il Ballo del Ceppo, però. Impegni istituzionali.” Scandì bene la parola, con divertimento. Gliel’aveva detta l’amico quella mattina, e lei era scoppiata a ridere, pensando che non c’era proprio niente di istituzionale in un branco di adolescenti che avrebbero reso una festa ufficiale l’applicazione pratica del caos.
Ma è meglio se non glielo dico. Ho idea che lo metterebbe in agitazione.
“A proposito del ballo… voi ci andate assieme, come coppia?” Chiese al fratello, ignorando lo sguardo orripilato di Hugo. Era buffo notare come tentasse strenuamente di dimenticare, ogni volta, che quei due stessero assieme.
“No, ci vado con Rosie…  A proposito cuginetta, dobbiamo cercarci entrambi il vestito!” Esclamò Al. Tom fece una smorfia incommentabile, ma per fortuna Lily fu l’unica a notarlo e a nascondere conseguentemente una risata tra le dita.   
L’interpellata sbuffò, mentre fissava la neve vorticare violentemente fuori dalle finestre. “Per quanto mi importa, posso pure andarci con un sacco di juta.” Fece una pausa. “Probabilmente sarebbe meglio del vestito che nonna Molly ha promesso di farmi arrivare…”
No.” Esclamò Lily, sentendosi il cuore tremare d’orrore. “Piuttosto ti cedo quello che ho adocchiato io ad Hogsmeade. Anche se forse non ti starebbe di seno…”
“Taci, donna scarlatta.” Ringhiò Rose.

“Di capelli e di fatto!” Trillò contenta.  
“Vi prego, in nome di tutti gli usi del sangue di drago … potreste smetterla? Mi vengono i brividi…” Borbottò Hugo con aria tetramente disperata.
“Sarete entrambe bellissime.” Si inserì Albus diplomaticamente. “Dai Rosie… non vuoi essere bella come una principessa? Ci sarà Malfoy.” Aggiunse poi con un colpo di coda da vera serpe.
Rose gli lanciò un’occhiata incendiaria, poi staccò un altro morso dalla cioccolata. “Come se quel cretino sapesse vestirsi…” Brontolò.
“Si veste meglio di te.” Replicò Tom con un ghignetto. “O di Al, che è daltonico.”
“Ma basta con questa storia! Sai benissimo che non lo sono!”

“Allora è proprio masochismo, quello di vestirti con certa roba…”
Cosa?

 
“Ehi.”
 
C’era una sola persona in tutto Grifondoro ad avere quell’accento snob, senza sembrare snob.
Scorpius Hyperion Malfoy li fissava dall’ingresso del quadro, in mantello da viaggio e l’aria imbarazzata di chi sapeva di aver interrotto qualcosa.
Però sorrideva, come sempre.
Tutti si voltarono ovviamente verso Rose, che si era cristallizzata sulla poltrona, quasi le avessero scaricato una palata di neve addosso.
Scorpius si schiarì la voce. “Sono, ehm, tornato…”
Fu incredibilmente Hugo il primo a muoversi. Il goffo, spinoso, Weasley, Hugo Weasley.
Si avvicinò in due brevi, dinoccolate falcate. E poi diede una pacca sulla spalla di Scorpius.
“Bentornato, eh.” Disse, prima di lanciare loro uno sguardo confuso. “C’abbiamo Malfoy.” Aggiunse, come se trovasse incredibile che non avessero ancora fatto nulla in merito.
In effetti… e bravo Hughie!  
Quello sbloccò definitivamente la situazione. Albus si alzò in piedi, andando ad abbracciare il biondo, che ricambiò divertito e un po’ preoccupato quando, subito dopo, toccò a Tom salutarlo.
Anche Lily se lo strinse per bene. Era dimagrito, notò. “Bentornato splendore, a te e ai tuoi muscoli…” Gli disse con il suo miglior tono suadente. L’altro ricambiò con un ghignetto grato. Certe cose bisognava rimanessero le stesse per far funzionare tutto, ne era profondamente convinta.  
Rose intanto era rimasta al limitare del piccolo gruppo. Lily poteva capirla: come si salutava un ex, che non era un ex ma era solo un fidanzato in pausa?
Bel dilemma. Questa non la so manco io.
Scorpius in compenso le sorrise, facendo un passo avanti. “Ciao Rosie…” Mormorò piano, mentre Lily si sentiva diventare una figura di sfondo. E andava bene così: quello non era un momento corale, ma a due.
“Ciao.” Deglutì l’altra. “Stai… insomma. Stai bene?”
“Meglio. Adesso sto meglio.” Fece una breve pausa. “… Posso abbracciarti?”

Aw.
Se questi due fanno la fine di Romeo e Giulietta, quei due babbani scemi, giuro che li prendo a calci.
 
Gli occhi di Rose si fecero enormi e pericolosamente lucidi. Odiava piangere, davvero. Anche perché non aveva fatto altro negli ultimi dieci giorni e la cosa le stava causando emicranie irritanti e l’espressione perenne di un panda stupefatto.
Ma quello…
Stupido biondino idiota.
Fu un tutt’uno pensarlo e stringerlo in un abbraccio forse più adatto alla lotta greco-romana che ad aneliti romantici. Ma anche Malfoy rispose alla stretta con uguale intensità, quindi…
“Mi sei mancato…” E al diavolo tutti i suoi ragionamenti sul restare amichevole, cortese ma distaccata. Erano in pausa, ma lei non era in pausa dai suoi sentimenti.
“Anche tu…” Borbottò Scorpius. Lo sentì irrigidirsi, e Rose capì che stava oltrepassando la linea che l’altro aveva tracciato. E dietro cui era ancora.
Quindi si staccò, sorridendogli con, sperava, sufficiente convinzione.
Faceva male, averlo vicino. Ma era un dolore sopportabile. Ed era comunque meglio di saperlo chiuso nel suo maniero a rimuginare.
Era ancora troppo presto, si ripeté, troppo presto: ma aveva tempo. Avevano tempo.
“… ti va di venire accanto al fuoco? Sei appena arrivato, e fuori fa freddo…” Gli chiese, e stavolta fu certa di suonare serena e amichevole. Come se non fosse successo nulla. O meglio, come se fosse successo, ma l’avessero superato.
Scorpius adesso ha bisogno di noi più che mai… Niente piagnucolii. Niente richieste.
Miseriaccia, fosse facile…
“Volentieri! Fuori è un tempo siberiano… o scozzese, a scelta.” Esclamò l’altro togliendosi il mantello. Sembrava immensamente, teneramente sollevato dall’accoglienza. “Di che stavate parlando? Ho sentito che mini – Potter è daltonico.”
“Non lo sono, è solo Tom che fa il cretino.” Rimbeccò suo cugino tirando una gomitata esplicativa all’interpellato, che non emise fiato, a parte un lieve corrugarsi delle sopracciglia. “Parlavamo di vestiti per il Ballo del Ceppo.”

Scorpius si aprì in un sorriso dei suoi. “Ah, il mio l’ho già scelto con Potty. Vi farà impazzire!”
“C’entra il fichissimo tatuaggio che ti intravedo sul collo?” Chiese Lily e Rose le fu grata, perché con i convenevoli di prima aveva terminato la sua dose di serenità amichevole.
“Brava piccola Potter. È un accessorio!” Sorrise a Lily, ma poi si voltò verso di lei. “Sai Rosie… ho un tatuaggio!”
E Rose seppe immediatamente cosa rispondere.

“Non dubitavo che in assenza di coetanei sani di mente accanto a te avresti fatto qualche sciocchezza.” Scorpius rise. E se le era mancata quella maledetta risata.
“Bentornato, Malfoy…” Ripeté perché sentiva che era giusto ribadire il concetto.
Scorpius le fece un gran sorriso. “Mai stato più felice di averlo fatto.”
È qui. E non lo lascio andare via di nuovo.
 
 
****
 
Note:
 
Si ringrazia non-mi-ricordo-chi-scusa! per l’osservazione su un probabile daltonismo di Al. No, non è daltonico. Sì, ha un senso estetico talvolta atroce.
So di essere indietrissimo a rispondere ai commenti. Ma purtroppo, ho a malapena la forza di scrivere. E il tempo, soprattutto… il tempo!
Qui la canzone.  
E poi... poi, ecco qui un MERAVIGLIOSO disegno di Iksia sul primo incontro tra Lily e Ren. Godetevelo, vi prego, in tutto il suo meraviglioso splendore: First Sight
 
1. TS: sta ovviamente per Tiratori Scelti. Abbreviazioni! :D
2. La frase è di Albert Camus. La fonte è “Return to Tipasa” (1952).

3. San Nicola (festeggiato il 6 Dicembre) in alcuni paesi del Nord (Russia, Olanda, Germania) è considerato il giorno in cui si festeggia Santa Claus, ovvero, colui che porta i doni. È considerato più questo giorno, come Natale, che il 25 Dicembre. ;)

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Capitolo 35
*** Capitolo XXXIII ***


Capitolo XXXIII
 
 


Get up, get out, get away from these liars
'Cause they don't get your soul or your fire
Take my hand, knot your fingers through mine
And we'll walk from this dark room for the last time¹
(Open Your Eyes, Snow Patrol)
 
 
4 Dicembre 2023
Scozia, Hogwarts. Corridoio del Secondo Piano. Ufficio del Preside.
Mattina.
 
“Lily, non mi sembra una buona idea…”
“Certo che lo è! Tranquillo, ho tutto sotto controllo!”
“Sì, ma…”
Lily lanciò un’occhiata esasperata all’amico teutone. Sbuffò appena, soffiandosi via una ciocca di capelli dal viso. Prima del Ballo avrebbe dovuto farseli tagliare.

Erano nel corridoio davanti all’ufficio del preside e lei aveva una missione.
Più prosaicamente, doveva prendere lo spartito per il suo assolo nel coro della scuola. E sapeva benissimo che Vitious teneva tutte le partiture nel suo ufficio.
Entro, lo prendo, esco.  
Più semplice a dirsi che a farsi: dopotutto c’era una parola d’ordine da pronunciare e lei non la conosceva.
“Un po’ è anche colpa tua!” Lo apostrofò mentre tentava di pensare alla parolina magica che avrebbe potuto smuovere la statua guardiana.
Sören inarcò le sopracciglia. “Mia?” Le corrugò conseguentemente. “Sei tu che hai saltato le prove…”
“Già, ma per stare con chi?” Gli puntellò un dito sul petto. “Con te.”

Il ragazzo fece un mezzo sorriso. Lily adorava quel ghignetto sardonico, lo faceva sembrare oscuramente affascinante.
Solo che quando gliel’ho detto è diventato di mille colori. Divertente, comunque.
“Cosa c’è?” Chiese comunque, per non dargliela vinta.
Non ti basta un sorriso per vincere una sfida verbale, carino.
“Lilian, non puoi darmi la colpa per qualcosa che hai deciso tu.”
“… sai, da quando ti ho concesso l’onore di essere il mio cavaliere ti sei fatto più spudorato.” Replicò, osservando divertita come l’altro si fosse allarmato immediatamente.

“No, non intendevo…”
“Neanche io. Prendi tutto troppo alla lettera, Ren!” Rise. Si grattò poi una guancia. “Dai… dammi una mano! La parola d’ordine…”
Sören sbuffò, forse irritato dall’affermazione di prima. “Non puoi semplicemente indovinarla. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”
Lily scrollò le spalle. “Oh, credimi, Vitious non è così fantasioso. Sarà sicuramente qualcosa che riguarda la musica o qualche strambo incantesimo.”

“Che tipo di musica predilige?”
“Predili… oh, che gli piace.” Tradusse in un linguaggio non fine settecento. Ci pensò su. “Beh… classica? Classica babbana. È fissato col farci cantare in latino, anche… e poi canzoni tradizionali. Pesca anche nel repertorio di musica leggera, sempre babbana…” Fece una smorfia rendendosi progressivamente conto che Sören aveva ragione.

Può essere davvero qualsiasi cosa. E considerando che viene cambiata ogni settimana…
Emise un lieve lamento scoraggiato, appoggiandosi al muro di fronte all’ingresso. Sören la imitò, anche se rimase rigido come un palo, quasi dovesse montare la guardia, invece che farle compagnia nello sconforto.
“Non ti ho mai sentita cantare…” Esordì dopo un paio di attimi di silenzio.
“Mi piace. Tanto. Ho preso lezioni da bambina … sono brava.” Sorrise stiracchiandosi. “L’assolo non lo danno certo a chiunque, no?”
“Naturalmente.” Convenne. “Mi piacerebbe ascoltarti.”
“Oh, lo farai… certo, se riuscirò ad imparare abbastanza bene la mia parte da convincere il Preside.” Spiegò. “Altrimenti sarò solo una voce nel coro. Letteralmente. E non è accettabile.”

Stupida me e stupida battaglia di palle di neve che mi ha fatto completamente dimenticare le prove.
Ma è stato così divertente…
Comunque, al di là di quel piccolo inconveniente, era una buona giornata.
Una buona giornata di una serie di buone giornate che anticipavano l’evento dell’anno. Di questo, ne era certa. La settimana prossima sarebbe andata a comprare il vestito con l’aiuto critico di Roxanne e poi…
E poi sarò una maledetta principessa sulla pista da ballo. Cosa ci può essere di meglio?
Quello che ci voleva era ottimismo: ottimismo nel pensare che avrebbe avuto un vestito meraviglioso, un cavaliere ineccepibile e il suo primo debutto nella società magica. Magari per qualcuno erano cose frivole, ma la mettevano di buon’umore.
E poi, non faccio male a nessuno. Anzi. Rischiaro l’atmosfera, che di questi tempi non è che sia esattamente luminosa.
“Ehi!” Esclamò improvvisamente, colta da un lampo che sperava fosse genio. “Penso potrebbe essere il pezzo corale che abbiamo deciso di eseguire a Durmstrang!” Disse il nome al gargoyle.
Quello non si mosse di un millimetro.
“Direi di no.” Osservò con quieto dispiacere Sören.
“Già…” Fece una smorfia, scivolando a sedere. “La devo imparare per mercoledì! E non è che abbia poi questa gran memoria!”
“Non puoi chiedere al Preside di darti lo spartito? Perché devi…” Esitazione. “Trafugarlo?”
“Non lo trafugo, me l’avrebbe dato comunque. Se fossi stata alle prove.” Sbuffò. “Non sembra, ma Vitious è una specie di nazista quando si tratta di adempiere ai propri doveri, ed io non l’ho fatto. Non mi va di essere sgridata.” Borbottò, appoggiando il mento sulle ginocchia. Guardò con odio la statua di pietra e gli sembrò che ricambiasse con un ghigno di superiorità.

“Cos’è un nazista?”
Lily sorrise. Certe volte Sören le sembrava sprovveduto come un bambino. Non che fosse ignorante, ma per quanto riguardava il mondo babbano e moderno sembrava completamente scollegato dalla realtà.

Sarà perché è un nobile purosangue. Scorpius una volta ha riso per mezz’ora alla parola telefono.
Son proprio strani…
“Una specie di mangiamorte babbano.” Gli spiegò facendo cenno di sedersi accanto a lei. Aveva idea che avrebbero dovuto aspettare: un’illuminazione o – purtroppo – il ritorno del Preside.
Sören scosse appena la testa, rimanendo in piedi. Si era irrigidito, notò.
“Tu…” Iniziò, poi si fermò. Contrasse appena le labbra. “La tua famiglia conosceva Severus Piton?”
Lily batté le palpebre, perplessa. Quella domanda usciva come un fulmine a ciel sereno.

Non è che stessimo parlando di questo!
“Sì, certo. Ha insegnato ai miei genitori e a tutti i miei zii. Era nell’Ordine della Fenice e…”
“Questo lo so. Basta leggere un libro di storia della Magia.” Replicò di rimando. Era davvero teso. “Ma intendo dire… personalmente. Magari i tuoi nonni.”
“Ehm, a quali ti riferisci?” La questione era strana. Ma Lily era ferrata.

Oh, se lo sono.
Sia lei che i suoi fratelli, da bambini, avevano eletto a suo eroe preferenziale uno dei tanti del loro pantheon familiare. James aveva scelto – inutile dirlo – i Malandrini e Albus, il padrino Neville.
Lei aveva scelto Severus Piton. O Il Principe, come l’aveva sempre cocciutamente chiamato, nonostante suo padre avesse tentato più volte di farle capire che era un soprannome e non un titolo.
‘Papà, raccontami la storia del Principe!’
Beh, avevo cinque anni e mi credevo una principessa. Non si poteva pretendere altro.
“… in che senso?” Spiò Sören corrugando le sopracciglia. “Ah, certo.” Annuì. “Erano tutti parte della stessa organizzazione di resistenza.”
Mno… cioè sì, ma al tempo del Primo Ordine, Piton era dall’altro lato. Quello cattivo.” Fece un gesto esplicativo. “Nel Secondo Ordine c’era, ma allora i miei nonni paterni erano già morti.”
“Quindi erano i tuoi nonni materni a conoscerlo, va bene.” Replicò, suonando stranamente spazientito.
“Non proprio. Diciamo che è rimasto ambiguo fino alla fine…” Esplicò con tono accademico. “Anzi, si pensava fosse pure cattivo. Almeno fino a quando, in punto di morte, non ha affidato i suoi ricordi a mio padre, che lo ha poi scagionato dalle accuse di aver fatto il doppio gioco per Voldemort.”
“Perché in realtà lo aveva fatto per Silente.” Aggiunse Sören. Si mise a sedere accanto a lei. Gli occhi gli brillavano di curiosità: era voglia, intensa, di sapere.

Non sapevo fosse un fan del Principe. Come me!
Sorrise contenta. “Già. Comunque, per tornare alla tua domanda, sì… c’è stato qualcuno che l’ha conosciuto davvero. Mia nonna paterna.” Cercò di contenere la piccola smorfia che le salì alle labbra. “Erano amici prima che lui… ecco, passasse al lato oscuro.”
Amici e non solo. Papà non l’ha detto chiaramente, ma io mica sono stupida. Mai stata.
“Tua nonna.” L’espressione dell’amico era indecifrabile. Si girò distrattamente l’anello col blasone tra le dita. “Tua nonna Lily…” Ripeté.
“Esatto.” Convenne appoggiando la nuca contro il muro. Era gelato. La tolse subito. “… erano vicini di casa. Sono cresciuti assieme e assieme sono venuti qui, ad Hogwarts. Sono rimasti molto legati fino a quando lui non ha cominciato ad interessarsi alle cavolate di Voldemort… e insomma, si stavano formando gli schieramenti per la Prima Guerra Magica…”
“C’era bisogno di fare delle scelte…”
Lily si strinse nelle spalle. “Credo se ne sia pentito per il resto della vita. Sai, di aver dato retta a Faccia-di-serpente e alla sua cricca.” Si attorcigliò una ciocca di capelli attorno al dito.

Sören sorrise, forse al nomignolo dissacrante. “Non ho mai trovato, su carta, di questa amicizia.”
“È normale.” Concordò con un cenno della testa. “Papà non ha voluto divulgare questa parte della storia… la sua storia. Che Piton gli ha dato, letteralmente, perché beh… era figlio di mia nonna.”

Non sapeva se stesse facendo bene a parlarne.  Suo padre del resto aveva divulgato solo ciò che aveva poi riabilitato Piton agli occhi dell’opinione pubblica. Nient’altro.
Però a me, ad Al e Jamie… a noi ha raccontato tutto.
La Storia Del Principe…
“Manterrò il segreto.” Indovinò l’altro. Le sfiorò il ginocchio con le dita. Lily represse un brivido. Aveva le dita bollenti. “Te lo prometto.” Aggiunse, con aria seria, quasi fosse stato pronto a pagare con la morte in caso di infrazione.
Gli fece un sorriso. “Ci credo, Ren. È solo che è… personale. Credo che mio padre l’abbia detta a me e ai miei fratelli perché ce la ricordassimo. Noi, in quanto figli. Capisci che intendo?”
“Memoria familiare.” Annuì. “Certo.” E rimase in silenzio talmente tanto a lungo che a Lily vennero in mente almeno quattro o cinque possibili parole d’ordine.

Prima che potesse provarle però, l’altro parlò.
“E se ti dicessi che Piton è parte della mia famiglia?”
Lily fu certa di aver assunto un’aria stupida. Non stupita, proprio stupida. “Eh?” Disse molto acutamente.
Momento Weasley. Che sia messo a verbale che non accade spesso.
“Alla lontana.” Soggiunse l’altro. Sembrava sulle spine, ma parimenti spinto da qualcosa che non riusciva a farlo stare zitto. “… alla lontana, io ho sangue Prince come lui. Ti avevo detto che Sören è un nome che si tramanda nella mia famiglia, no? Sören in tedesco…”
“… vuol dire Severus!” Terminò per lui, quasi saltando in piedi. Si limitò ad afferrarlo per un braccio. “Oh, Morgana Benedetta! Dimmi che non stai scherzando!”
Era assurdo.

“… non scherzerei su una cosa simile. Perché dovrei?” Ribatté l’altro perplesso. “L’ho scoperto qui … parlando con dei ritratti. Non sapevo che Piton fosse un Prince.”
“Ah, perché non lo sa quasi nessuno. Ha preso il cognome di suo padre. È…” Pensò ad una gamma piuttosto vasta di parole che potevano esprimerla, ma alla fine andò sul sicuro. “… è fantastico!”  

Ren è un Prince!
Ora che ci penso, cavoli, hanno gli stessi occhi! E la stessa aura austera!
Sören non sembrava però condividere il suo entusiasmo.
“Che c’è?” Gli toccò una spalla. “Insomma è bello essere imparentati con un eroe di guerra. Perché lo era.” Sottolineò, magari trovasse spiacevole l’idea che un suo parente fosse stato un mangiamorte.
“Sì, lo so.” Confermò. Le lanciò poi un’occhiata.
E Lily sentì di nuovo quella sensazione scomodamente intensa. Come se dovesse succedere qualcosa.
… che ovviamente non accadde, perché l’altro fece seguire una domanda. “Adesso pensi di potermi raccontare la sua storia? Dopotutto è anche la mia famiglia…”
Lily lanciò un’occhiata alla porta ermeticamente chiusa.
Mi sa tanto che dovrò aspettare Vitious e farmi dare la strigliata che mi merito…
Si mise comoda, per quanto le fosse concesso essendo seduta su un pavimento gelido in un corridoio umbratile.
Si può fare di meglio…
Si accostò quindi all’amico, spalla contro spalla.
Mh. Caldo.
Notò un leggero rossore nell’altro, ma glissò: se glielo avesse fatto notare sarebbe peggiorato. Ormai lo conosceva.  
“Okay, parto dall’inizio?”
“Come in ogni buona storia…”

 
E cominciò a raccontare. Non si era mai ritenuta una gran narratrice. Era quel genere di persona che finiva sempre per confondere tutto, cercando di arrivare subito ai punti salienti.
Ma quella storia… beh, quella storia la conosceva così bene che ormai per lei era trasfigurata in fiaba. E punto primo, le fiabe dovevano essere raccontate bene. Punto secondo, come tutte le fiabe, aveva un finale infinitamente triste.
Sono felice di essere nata, senza mio nonno James non sarei qui, e probabilmente al posto di papà ci sarebbe quel mostro di Voldemort, ma…
Ma le dispiaceva, sinceramente, per quell’eroe solitario, che nonostante il plauso dell’opinione pubblica non riscuoteva la stessa solidale affezione di altri nomi incisi su fredde lapidi.
Okay, papà mi ha fatto capire piuttosto chiaramente che non era una persona… carina… però ha fatto più lui per il Bene di chiunque altro, compreso Signor-Manipolatore-Barba-Bianca!
Lily aveva deciso a cinque anni e due mesi che sarebbe diventato il suo eroe.
E lo è ancora. Anche se probabilmente è una cosa da ragazzine.
“E quindi, per quanto poco mi faccia piacere… porto il nome della donna per cui ha sacrificato tutto. Ho sentito, capisci, il bisogno di conoscerlo… magari è stupido… anzi, credo che lo sia.”  
Sören non aveva detto nulla, durante il suo lungo racconto. Era rimasto in silenzio, ad ascoltarla con quella strana espressione vorace che aveva ogni tanto negli occhi, quasi volesse assorbire ciò che gli veniva detto, più che ascoltare.
“Non lo è.” Le rispose. “Quello che ha fatto quell’uomo per tua nonna è…” Esitò, forse a corto di parole.
“Orribilmente romantico?” Suggerì, perché con l’età al semplice aggettivo si era aggiunto un avverbio.
Ha rinunciato a vivere, Merlino Benedetto.
Sören fece una smorfia. “Sì… immagino si possa dire così.”
Lily intuì che fosse agitato. Ma non capiva da cosa. “Però… che modo di amare pazzesco, eh?” Disse, forse per alleggerire la tensione. Improvvisamente si sentiva… in imbarazzo.
“È vero.” Disse Sören lanciandole un’occhiata. E non aggiunse altro.
Aggiungi!
Non lo fece naturalmente, perché non le leggeva nel pensiero. “Sì… e poi… sconvolgere tutto ciò in cui credeva … per lei. Cioè, non penso solo per lei, ma soprattutto, capisci? Per mia nonna.” Stava straparlando e se ne rendeva conto dall’espressione dell’altro. Improvvisamente non trovò più così tanto geniale essersi appiccicata a lui. “Insomma, è criticabile ciò che ha fatto, e di sicuro non era il tipo che pensava al bene dell’umanità intera, ma…”
“Ma?” Ren aveva il maledetto vizio di far domande con il chirurgico intento di avere una risposta.

Esistono domande senza risposta, sai?
Lily si sentì improvvisamente piovere i suoi quindici anni addosso. E si rese conto di essere in un corridoio vuoto, la domenica mattina, accanto ad un ragazzo a cui aveva appena raccontato la storia d’amore più bella, univoca e straziante che conoscesse.
E non si è annoiato. Mi ha ascoltata.
C’era qualcosa in Ren che non andava. Lo sentiva. Ma c’era anche qualcosa di maledettamente giusto.
“Ma…”
Se fosse stato qualcun altro, l’avresti già baciato. Ti avrebbe già baciata?
Perché non vi state baciando?

Hai quindici anni, basta così poco per piacersi, per baciarsi…
Ma non con Sören. In quel momento, l’altro non la teneva a distanza con modi di fare cavalieri e cortesi, come al solito.
Pensavi che non me ne fossi accorta? 
La guardava invece come se volesse scavarle dentro, profondamente, fino alle ossa. Per capirla. O forse per…
Per cosa?
Era semplicemente troppo.
Lily si alzò in piedi di scatto, sentendo l’improvviso gelo del corridoio allo staccarsi dall’altro. “Io…” Esitò.
Che cavolo sta succedendo?
Le sensazioni che provava per Ren… oh, no. Non le aveva mai provate per nessun ragazzo.
È una cotta? Sei cotta?
Non le sembrava. Non ricordava come fosse iniziata, ma aveva raggiunto il suo picco massimo quando l’aveva salvato dal Dissennatore. Per poi continuare con l’incontro sulla nave e arrivare a… quello.
Questo che cavolo è?
Sören intanto era rimasto a sedere. Aveva una strana espressione in viso, quasi fosse più turbato di lei.
Fortuna volle – fortuna, davvero? – che arrivarono dei passi a distrarli.
“Oh, Signorina Potter!” Esclamò il Preside, arrivando loro alle spalle. “Dov’era finita? Ieri ha saltato!”
“Professore!” L’avrebbe abbracciato. In quel momento, sul serio. “Scusi se non sono venuta alle prove, me ne sono completamente dimenticata. Avrei bisogno della mia parte per il solo.”
Non riuscì neanche ad inventarsi una scusa credibile. Vitious stranamente sembrò gradire l’onestà – avrebbe dovuto usarla più spesso? - perché dopo un breve rimbrotto la invitò a seguirlo.

Lily gli andò dietro, come un anatroccolo riconoscente, riuscendo solo a mormorare un saluto in direzione dell’amico.
E no, non riuscì a guardarlo in faccia.
 
Sören sentì il respiro sibilargli trai denti. Li aveva serrati e gli diedero un leggero, gelido fastidio.
Che diavolo stavi per fare?
La domanda aveva il sapore di un accusa, e lo era. Dura e impietosa.
Non ne aveva la minima idea, in realtà. Fosse stato chiunque altro, fosse stato davvero Luzhin, forse avrebbe avuto una risposta. Sciocca e avventata, come quella di un qualsiasi adolescente di fronte ad una ragazza attraente.
Ma io non sono un qualsiasi adolescente.
Si passò una mano sul viso. La storia di Severus Piton l’aveva sconvolto, inutile fingere il contrario. Tornare lì, davanti all’ufficio dove per la prima volta l’aveva notato, gli aveva stimolato quella domanda.
Conoscere, sapere di più su quel suo valoroso cugino. Aveva chiesto a Lilian semplicemente perché sapeva che suo padre e la sua famiglia avevano combattuto al suo fianco.
Lo immaginavo come un eroe a tutto tondo. Invece ho scoperto che se è ha fatto la spia, è perché inizialmente era dalla parte sbagliata.
Condividevano altro, dunque, oltre ad un ramo di un albero genealogico ormai estinto?
No, nient’altro. Io non sono nel lato sbagliato. E non ho scelto. Obbedisco, perché è ciò per cui vivo.
Quel mantra ormai era poco più che una filastrocca sfilacciata e masticata. Ancora presente, nel suo profondo; ma non aveva più lo stesso effetto.
Perché un punto di contatto tra lui e la storia di Piton c’era.
Era Lily, la sua Lily. Che fosse finzione o meno, lei era sua amica.
Severus Piton, quando eseguiva gli ordini Voldemort credendovi ciecamente, aveva mai provato lo stesso rimorso che provava lui, all’idea che stava combattendo contro l’amica d’infanzia?
Perché se tra lui e Lilian le cose erano diverse, nel tempo, nel luogo, nei sentimenti… anche loro erano in due schieramenti opposti. Come Severus e l’altra Lily lo erano stati più di quarant’anni prima.
Notato com’è finita? Hai ascoltato bene? Lui ha tradito. Per lei.
E tu? Cosa saresti disposto a fare per Lilian?
La domanda lo trafisse come un dardo.
Sciocchezze. Sciocchezze senza senso. Non è la stessa cosa.
La sua situazione emotiva comunque stava peggiorando.
Sta’ calmo. Hohenheim ti ha promesso che non le accadrà nulla.
Rimarrà ferita quando scoprirà la verità? Certo. Ma sarà viva. E non è poco.  
La tradirai, ma sarà viva.
Si staccò a forza dal muro e si incamminò verso le scale.
Ti odierà. Ma sarà viva.
No, non c’era assolutamente nessun punto di contatto tra lui e Severus Piton. 
 
“Cosa ne pensi?”
“Penso che non avrei voluto esser svegliato per qualcosa che non mi riguarda più.”
“Sei sempre stato un ottimo bugiardo, mio caro ragazzo…”

 
 
****
 
 
Torre di Corvonero. Pomeriggio.
 
Tom aveva faticato non poco a trovare Malfoy.
Quel tipo era un autentico mistero. Un mistero bislacco; certe volte gli sembrava un cretino, altre un fine stratega dei rapporti interpersonali.
Forse, dopotutto, era entrambi.
Lo trovò sul tetto della Torre di Corvonero. A quanto gli aveva detto Loki, era il suo posto preferito quando era in vena di solitudine e raccoglimento interiore.
Aprì la porticina che portava sul cornicione, e fu sorpreso di non trovarlo solo. Con lui c’era quella ragazza francese che tanto aveva impensierito Rose.
Come ha detto Al? La sua promessa sposa di vittoriana memoria?
No, quest’ultima frase l’ho aggiunta io.
Stavano finendo di chiacchierare ed entrambi avevano due espressioni rilassate. Non aveva mai visto la francesina sorridere in quel modo spontaneo.
Mh. Se lo dicessi ad Al probabilmente ci troveremo senza Campione. Filosofia protettiva del clan.
“Malfoy.” Lo chiamò, annunciando la sua presenza.
L’altro si voltò, sorpreso. “Oh, Dursley!” Esclamò tranquillo, come se non fosse stato beccato a parlare in solitaria con una ragazza.
“Interrompo qualcosa?” Chiese comunque.
“No.” Una sola, tranquillissima sillaba. Forse era lui ad essere prevenuto.

“Me ne stavo andando…”Esplicò la francofona in un inglese curiosamente fluente. “Ci mettiamo d’accordo in un secondo momento allora.”
“Okay.” Confermò l’altro facendole un cenno di saluto. “Attenta alle scale e… mantieni la calma con tu-sai-chi.”
La ragazza fece una smorfia, scrollando le spalle foderate dalla leggera pelliccia bianca in dotazione agli studenti di Beaux-Batons. Sorpassò Tom, lanciandogli un’evidente occhiata di apprezzamento.

Un po’ troppo evidente … quasi parossistica.
“Avrei dovuto iscrivermi qui.” Sogghignò leggermente in direzione di Scorpius, che rise.
“Oh, ma Dursley è il bello e dannato della scuola. È un caso raro.” Ironizzò, facendo irritare Tom. Gli sembrava che alludessero ad una serie di sottointesi che lui non coglieva. Irritante, appunto.
Rimase però in silenzio, finché lui e Malfoy non furono soli.
“Non sapevo avessi rapporti così stretti con gli studenti di Beaux-Batons.”
“Solo con Violet, e perché siamo amici di infanzia. Non ci siamo frequentati per anni, ma…” Si strinse nelle spalle. “Certe amicizie restano. È simpatica, se scavi un po’.”

“Più di Rose?”
La frecciatina ci stava tutta, anche se forse non fu un’idea brillante. Tom infatti vide l’altro fissarlo come se volesse gettarlo dalla balaustra.
Grifondoro. È come stabilire un contatto con un ippogrifo irritabile.
Era quasi tentato di fare un passo indietro, quando Scorpius sospirò. “Tra me e Rose le cose sono complicate, ma non l’ho sostituita. E non con Violet. Figuriamoci.” Borbottò, quasi masticasse male le parole. Si appoggiò poi alla balaustra e si mise a fissare il nulla.
“Eppure al ballo ci vai con la francese.” Alla sua espressione sbalordita, ghignò. Okay, stava forse esagerando, ma…
Quanta gente può vantarsi di far fare una faccia simile a Malfoy? Solitamente è inscalfibile.
E poi doveva mostrargli le sue doti deduttive, no?
“Come diavolo fai a…?” Balbettò l’altro, incredulo.

Osservo. Non si parla che del ballo. Vi stavate mettendo d’accordo su qualcosa prima che vi interrompessi. Infine, sei obbligato ad avere una dama, e visto che Rose ci va con Al…”
“Dannazione Dursley, usa il cervello che hai per farti i fatti tuoi!” Sbottò l’altro, serrando la mascella. Si passò una mano trai capelli. “Sei inquietante.”
“Sì, mi è stato fatto notare…”
Tom si appoggiò accanto a lui. Doveva dirglielo, prima che cominciasse a sproloquiare di problemi che non gli interessavano.

Non che non stimasse Scorpius. Aveva sincero rispetto per lui.
Sono le sue scelte di vita che non condivido. Tipo, farsi ammazzare in nome di qualche redenzione familiare.
“Ho un'offerta da farti.” Esordì guardando il panorama di Hogwarts. Il lago era una lastra di ghiaccio e c’era neve a perdita d’occhio. In quel periodo dell’anno la scuola e i suoi terreni si chiudevano in se stessi, come se andassero in un lento, pigro letargo. Natale era vicino.
Scorpius gli lanciò un’occhiata perplessa. “Riguarda il ballo? Perché senza offesa, con te non ci vado… Non mi piacciono alti, scuri e attraenti. Mi piacciono femmine.”
Tom si trattenne dal tirargli un ceffone sulla nuca.  
Non devo essere il primo ad averne voglia.
“Stavo parlando del Tremaghi. Vorrei propormi come tuo assistente.” Scandì, sperando che il concetto penetrasse subito e senza problemi. Parlare con Malfoy era come comunicare con una sfinge dislessica.
Salta di palo in frasca, fa battute, fraintende… È meno complesso parlare con Nott.
Scorpius per tutta risposta gli scoccò un’occhiata sbigottita. “Mio assistente?” Ripeté come se avesse appena detto qualcosa di buffo.
“Te ne serve uno.” Ribatté tranquillo. Dentro cominciò a preoccuparsi. E se Al avesse avuto ragione? Malfoy poteva rifiutare. E se lo avesse fatto, lui non avrebbe potuto farci nulla. “In questo momento credo tu abbia bisogno di tutto l’aiuto possi…”
“Taglia corto, Tom.” Lo interruppe l’altro, abbandonando l’espressione giocosa per sostituirla con una incredibilmente seria. Ora era tutto suo padre. “Non ci credo neanche se me lo giura Merlino in persona, che vuoi aiutarmi. Senza offesa, ma sei la persona più egoista che conosco…”
Touché.

Non poté ribattere, perché era l’evidenza dei fatti a parlare.
“E poi te l’ho chiesto un mese fa, e mi hai detto di no. Sembrava che ti avessi insultato. Me lo ricordo, sai…” Aggiunse continuando nello scrutinio. Inarcò le sopracciglia. “Cos’è cambiato?”
Tom capì di dover dire la verità anche a lui.

Sta diventando peggio di un tic…
Quando finì Scorpius lo fissava come se gli fossero appena spuntate due corna ramose. E verdi.
“Amico…” Disse lentamente. “… sei sicuro di non essere un grifondoro?”
“Alla fine della storia non prevedo nessuna morte eroica. Quindi sì, sono sicuro.” Replicò sarcastico. “Mi proporrai come tuo assistente o no?” Cercò di tagliare corto, perché l’espressione ilare dell’altro lo stava infastidendo.  

Adesso capisco perché non ci frequentiamo granché. Siamo agli opposti della diversità umana.
Scorpius fece un mezzo sorriso, infilandosi le mani nelle tasche del mantello e tirandone fuori quello che, a prima vista, sembrava un grosso fazzoletto macchiato. Glielo porse.
“Che roba è?” Spiò senza prenderlo. Aveva l’aria di avere anche delle macchie di sangue sopra.
“La bandiera che ho dovuto attaccare al collo della mia bestiola alla Prima Prova. È l’indizio per la Seconda. È un indovinello, ed io non ho idea di come risolverlo.”  La sventolò leggermente, e Tom vi lesse delle scritte tremolanti, come se fossero venute fuori a contatto con il…
… sangue. Sul serio? Macabro. Decisamente macabro.
La prese e se la ficcò in tasca. “Ti farò sapere.” Disse. “Tu va’ a parlare con il Preside. Io devo andare a Durmstrang.”
Aye aye Sir!” Replicò buffonescamente l’altro. “Abbiamo un patto. Tu fammi vincere con il tuo gran cervello, io ti farò fare l’eroe a tuo piacimento.” Gli strizzò l’occhio, prima di sgusciare via, senza dargli il tempo per ribattere.
Tom sbuffò.
Odiosi grifondoro.
Ma chissà perché, erano sempre maledettamente necessari.
 
****
 
 
Londra, Notturn Alley. Sera.
 
Ted stava facendo la pianta da appartamento esattamente come aveva previsto.
Con un bicchiere di whiskey incendiario mischiato a chissà cosa in mano – i cocktail magici erano tendenzialmente più letali di quelli babbani – era seduto sul divano a chiedersi se quello fosse meglio dell’attacco dei Dissennatori: era una buona domanda.
Mi ricorda quella volta quando, a sedici anni, sono stato invitato per sbaglio ad una festa post-partita del Grifondoro.
L’appartamento di James e il Fichissimo Lionel era rigurgitante persone. Supponeva infatti che l’avessero ampliato magicamente per farcele stare tutte. C’era un caldo pazzesco, nonostante le finestre  fossero aperte. Come se non bastasse, musica che alternava pezzi babbani e magici gli tartassava le orecchie.
 
He smiles when she’s not looking
She day-dreams when he is not there²…
 
Ma come fanno gli altri a parlarsi?
Come se la situazione non fosse abbastanza angosciante, James era andato in cucina a prendergli un analcolico venti minuti prima e non era ancora tornato.
Ted si sentiva un discreto idiota. Avrebbe dovuto alzarsi e presentarsi a qualcuno, ma primo, gli sembrava imbarazzante, secondo…
Ho già visto tre ragazzi che l’anno scorso sono stati miei studenti. Merda.
Avrebbe voluto scomparire. Ma un po’ i suoi capelli, ora viola, un po’ il fatto che fosse ben piazzato …
No, è impossibile.
Preferì andare sul balcone. Sapeva che ce n’era uno che dava sulla maleodorante corte interna.
Sempre meglio di niente.
Lo raggiunse e per fortuna era vuoto a parte una persona. Che era nientemeno che Malcolm Whitby, Capitano di Tassorosso, più grande di lui e sua prima cotta segnalante i suoi gusti sessuali.
Non che al tempo mi fossi reso conto che era tale… Lo ammiravo solo tantissimo.
 Riconobbe subito la mascella squadrata, i folti – ora non tanto – capelli biondi. La sorpresa fu tale da lasciarlo sulla porta-finestra, a fissarlo sbalordito, quasi fosse un’apparizione.
L’altro gli sorrise. “Ti serve il balcone? So che è un po’ stretto, ma possiamo starci in due.” Propose.
“No, no! Io… ehm. Possiamo, certo… Sei Whitby?”
“In persona.” Sorrise l’altro, stringendogli la mano. “Mi sembra di averti già visto… eri a Tassorosso?”
“Sì, tu eri al Settimo, io… un po’ più indietro.” Non era quindi la persona più adulta della festa. Teddy si sentì immediatamente meglio. “Ted Lupin.”
“Oh, sicuro.” Sorrise l’altro, evidentemente non riconoscendolo. “Come stai, Ted?”
La cordialità Tassorosso… l’avrebbe abbracciato.

“Bene… sono qui per… ecco. La festa.” Sbuffò. L’aria era gelata e il cielo sputacchiava pioggia, ma era quanto di meglio chiedesse al momento.  
“Bisogno di una pausa, eh?” Chiese l’uomo, facendogli spazio sulla ringhiera. “Anche io. Merlino, ho trentun’anni , e un paio di quei ragazzini potrebbero essere miei figli!”
“Se li avessi avuti a quattordici anni.” Mormorò tra sé e sé, perché era puntiglioso sulle incongruenze di tutte le specie. L’altro, avendolo sentito, lo fissò sbalordito, prima di ridacchiare.

“Ma certo! Sei il piccolo Lupin!” Schioccò le dita. “Eri un ragazzino tutto studio ed educazione, ma con dei capelli assurdi… un metamorfomago. Ora ricordo!” Annuì. “Che ci fai ad un ritrovo di grifondoro? Perché sai, temo proprio che là dentro siamo gli unici a non esserlo.”
Teddy sorrise, sentendosi lusingato per essere stato riconosciuto. “Il mio ragazzo è uno degli inquilini.”
“Quale dei due?” Chiese l’altro con cortesia, ma a Ted non sfuggì la tensione della mascella.
“Qua lo chiamano tutti Jimmy, ma si chiama James.” Whitby si rasserenò immediatamente.
“Oh, sicuro … un vero terremoto. Molto simpatico.” Disse di nuovo amichevole. “L’ho conosciuto.”
“Tu perché sei qui? Voglio dire, non che tu non possa, l’età non c’entra, davvero…” Ovviamente Ted non era capace di fare una domanda senza sentirsi in colpa per i sottointesi contenuti. “Scusa…”

Il mago lo guardò divertito. “Diciamo che anch’io sono qui per il mio ragazzo, ma sfortunatamente lui non parla di me come il tuo Jimmy parla di te.” E sorrise probabilmente ai suoi capelli in virata di un blu intensissimo.
“Mi… dispiace?”
L’altro scrollò le spalle, come un qualsiasi estraneo che non sapeva che farsene della compassione altrui. Gli dispiacque.

“Lenny è un tipo complicato.”
Lenny? È il ragazzo… cioè l’uomo di Lionel?!

“Sai…” Continuò quello. “È fantastico su tante cose, ma per altre… la fedeltà, per esempio.” Concluse senza filtri. “Beh, lì non è proprio affidabile.”
Teddy abbozzò una smorfia dispiaciuta. “Mi sembra un tipo molto… vivace.” Eufemizzò.  
Whitby sembrò ascoltarlo a malapena: sembrava invece in vena di sfogarsi, forse grazie anche ai tre bicchieri panciuti che vide ai suoi piedi.
“Lenny è una forza della natura … con lui non ti annoi mai. Pensa… io neanche li guardavo i ragazzi, prima di lui.” Si accese la pipa maldestramente. “Sì… avevo avuto qualche esperienza, ma cose di poco conto. Poi è arrivato lui. Ed ha rivoltato il mio mondo come un calzino.”
Mi ricorda qualcosa… o meglio qualcuno. Ehilà, ciao buon vecchio Ted. Trovi delle similitudini?

“I primi tempi tutto bene…” L’uomo tirò una boccata, soffiando fuori fumo celestino. “Len lavorava qui, faceva un corso di preparazione per spezza-incantesimi … ci vedevamo tutti i giorni. Inseparabili. Poi il tirocinio è finito ed hanno cominciato a spedirlo ovunque. Abbiamo cominciato a vederci una volta al mese, se andava bene… e sai come vanno queste cose. Un giorno non è semplicemente tornato a casa da me.”
“Convi… convivevate?”
“Già.”
Cazzo.

Gli uscì di netto, mentre un sudore gelido gli ghiacciava la schiena. Ed era già freddo.
“Penso lo avessi forzato in una situazione che non era ancora la sua. Io avevo i miei progetti, le mie tranquillità, volevo tornare a casa e trovare il camino acceso e lui che mi aspettava… e Lenny, beh. Lui voleva avere vent’anni.”
Teddy trovò del tutto comprensibile vuotare in un sol sorso il bicchiere che teneva in mano.  

Sembra che stia raccontando la storia mia e di Jamie… solo con una bella accelerata di un paio di anni.
E lui che aveva pensato di andarci a convivere, con James.
Per farlo scappare da un giorno all’altro perché è una vita troppo noiosa per le sue aspettative?
“… e adesso?”
“Adesso…” Schioccò la lingua e gli fece un sorrisetto amaro. “Adesso sono ancora qui. È tutto ciò che posso pretendere. Io amo Lenny, e sono sicuro che lui ama me… ma forse siamo troppo diversi per poter stare sullo stesso binario.” Prese uno dei bicchieri a terra, ancora piene e bevve due lunghe sorsate.

“Io…”
Io sono terrorizzato.

Lo pensò chirurgicamente mentre vedeva una versione più vecchia di se stesso con il cuore spezzato perché aveva fatto le scelte sbagliate.
È una specie di messaggio del Fato?
Se avesse perso James, se un giorno si fosse svegliato in una casa priva della sua presenza…
Probabilmente impazzirei. Sono noioso anche in questo. Impazzirei, tutto qui.
“… devo andare a cercare il mio ragazzo.” Mormorò con un filo di voce.
Whitby annuì leggermente. “Vengo con te. Vado a dire a Lenny che me ne vado. Il mio ideale di serata non è ubriacarmi ad una festa di ventenni. Semmai, lo faccio a casa mia.” Spense la pipa sotto il tacco.
Oddio. Ha i mocassini come me!
Rientrarono dentro, e si fecero largo tra la calca di corpi umani. Ora alcuni ballavano un lento, con meno coordinazione e meno vestiti addosso di quanto fosse decoroso.
Che ti aspetti? È una festa di ventenni appena usciti da una scuola con severissime regole di decoro.  
 
Oh well, it seems likes such fun
Until you lose what you had won³

 
Odio le canzoni babbane. Non possono parlare di calderoni, pozioni d’amore e streghe affascinanti? Perché devono essere così generiche e così… azzeccate?!
“La cucina è di là, credo…” Disse Whitby con un cenno della testa. “Probabilmente sono lì a tener d’occhio gli alcolici. C’è troppa gente che ha alzato di gomito, ho idea.”
“Okay.” Disse, tuffandocisi dentro. Quello che vide non migliorò affatto la sua situazione emotiva.
James era stretto tra la dispensa e le braccia muscolose di Lionel, che gli aveva appoggiato qualcosa sulla fronte, una pezzuola contenente del ghiaccio forse.
Teddy!” Esclamò James contento, masticando poi un’imprecazione perché si era voltato troppo velocemente.
“Un cretino ha cercato di appellare un barile di burrobirra e l’ha fatto finire in testa a Jimmy.” Spiegò a beneficio di chiunque Lionel. “Ed io non so dove ho infilato la mia bacchetta per fare un incantesimo di guarigione… oh, ehi, Malcolm.” Notò l’altro mago in quel momento. “Te ne vai?”
Il modo in cui lo disse mandò Ted il sangue alla testa. Era così…

Disinteressato. Come se non contasse niente la presenza di un uomo che lo ama qui dentro.
“Già, forse è meglio.” Mormorò l’altro, con tono orribilmente rassegnato.
Teddy in una falcata raggiunse James e lo strattonò via dalle cure del coinquilino.
“Ahi!” Si lamentò questo perplesso. “Teddy, che cavolo ti piglia?”
“Niente, ce ne andiamo.” Sbottò, sentendo l’impulso di schiantare quell’idiota pieno di anelli, sicurezza di sé e crudeltà. Non avrebbe permesso che James, il suo altruista, appassionato Jamie diventasse il tipo di persona che non batteva ciglio all’idea di ferire qualcuno che lo amava.

“Ehi amico, sta’ calmo … non si è fatto niente!” Sbuffò il ragazzo di colore, cercando di buttarla sul ridere. “Non fare la chioccia. Jimmy mi ha detto che a volte ti prende questo impuls…”
“Mi chiamo Ted, non sono tuo amico e lui si chiama James.” Ringhiò, oh, decisamente lo fece dalle loro espressioni sbigottite. “E tu dovresti vergognarti. Ti comporti come se fossi appena uscito da Hogwarts e dovessi dimostrare a tutti quanto fico sei a sbattertene della gente e vivere alla giornata. Cresci.
Poi prese James per un braccio e lo trascinò via, passando tra la marea di ubriachi, fino alla porta d’ingresso. Non si fermò, continuando a camminare come un Thestral cocciuto.

Si fermò solo quando James si strattonò via. “Teddy!” Sbottò. “Fermati, cazzo! Quanto hai bevuto?!”
La domanda era giustamente posta, ma era sobrio. Quasi. “Non molto… e comunque. Io…”
Si accorse in quel momento che li aveva trascinati fino in strada. Ed erano tutti e due senza giubbotto.

Si sentì un idiota. Ma la rabbia non gli passava. Perché la nuova vita di James lo spaventava.
Il coinquilino insinuante, i centinaia di tipi che non vedevano l’ora di perdere il controllo in casa sua, li party folli…
Certo, voleva che l’altro vivesse la sua adolescenza nel modo rumoroso e pazzo che lo contraddistingueva. Ma c’era una parte di sé che sapeva che se l’avesse fatto fino in fondo, lui non sarebbe stato compreso nel menù.
Vuoi far la fine di Malcolm? A guardare un camino, con a fianco una poltrona gemella alla tua, vuota?
James lo fissava stranito. “Teddy, che ti è preso? Sembravi impazzito lì dentro!” Chiese confuso. “Lenny non ci stava provando! L’unica cosa che stava tentando di fare era evitare che mi venisse un livido grosso quanto una pluffa domani, tutto lì!”
“Lo so…” Lo sapeva e sapeva di aver esagerato. Che tra l’altro, neanche erano fatti suoi, quelli tra Whitby e Lionel. Però aveva empatizzato.

Brutta abitudine.
James gli si avvicinò. “Ehi, che succede?” Gli chiese con quel tono un po’ ispido e dolce che aveva quando gli si rivolgeva per farlo calmare. Gli tirò poi una ciocca di capelli, che sotto le sue dita tornò celestina, da amaranto che era.
“Hai presente quell’uomo che era con me?” Borbottò.
“Uh - uh. È tipo… l’ex-fidanzato di Lenny. Una specie. Len ha incantato Peter dopo che quel tizio si è messo di fronte alla porta tutta una notte. A bussare!” Sbuffò. “Ti rendi conto?”
Noi tassorosso siamo leali. Una volta che amiamo qualcuno, è difficile smettere…

“Lionel non è stato molto corretto con lui…”
“Ehi, l’asfissiava! È un tipo palloso… ciancia di famiglia, di sposarsi… roba da matti. Continua a ronzagli intorno e a Len spiace, così non riesce a dirgli di no.” Scrollò le spalle James, ignaro del fatto che l’altro avesse un maglio che gli artigliava le viscere.
Anche noi diventeremo così?
“Lo ama.” Si sentiva la bocca secca. No, non voleva parlare di quello. “Comunque… non fa niente. Ero solo stufo di stare lì. Mi dispiace, non mi ci sentivo a mio agio.”
“Ookay.” Annuì James dandogli un pizzicotto sul fianco. Si corrucciò quando non lo vide reagire. “… magari potevi evitare di dire quelle cose stronze al mio amico, ma va bene. Lenny ha le spalle larghe.”
“Penso che tornerò ad Hogwarts.” Mugugnò, cercando di sciogliersi dall’abbraccio in cui l’altro l’aveva avvolto. Non funzionò: James ormai doveva aver subodorato qualcosa, perché serrò la presa.

“Stai scappando.” Disse, con sguardo accusatorio. “Ora ne parliamo, e poi torniamo assieme ad Hogwarts. Vengo con te. Non sto ad una festa da cui te ne sei andato!”
Per quanto Teddy fosse contento della cosa… non era abbastanza. “James, stasera non sono dell’umore…”
“Proprio per questo!” Lo prese per le spalle. “Ehi, ricordi? Stiamo assieme, quindi se c’è un problema lo risolviamo!”  

Teddy si morse un labbro. Guardò negli occhi sinceri di James: era assurdo pensare che avrebbe potuto fargli una cosa del genere.
Ma neanche Whitby se l’aspettava…
“Pensavo… sai, a proposito di prendere casa assieme…”
James sorrise. “Ah – ah! Finalmente ne parliamo!”
“Non credo sia una buona idea.”

Il silenzio che ne scaturì fu pesante come un troll svenuto. James lo guardò come se volesse tirargli un pugno e Teddy sentì l’istinto di smaterializzarsi immediatamente.
L’apoteosi dei nostri peggiori difetti.
“Perché?” Chiese poi l’altro, quieto. Non era mai un buon segno quando lo era. “Okay, non avevamo preso una decisione definitiva, ma pensavo fosse più questione di aspettare che finisse il Tremaghi.”
“È che… tu stai bene qui.” Incespicò, ficcandosi le mani in tasca perché non se le sentiva più. Faceva davvero freddo, dannazione.“Hai i tuoi amici … ti sei ambientato. L’hai detto tu. Ed io comunque devo restare ad Hogwarts per la maggior parte dell’anno e…”

Puttanate.” Lo bloccò con aria infuriata. “Dimmi cos’è che t’ha sfasato. E non raccontarmi stronzate, perché giuro ti prendo a calci in culo anche se sei tu.” Concluse cupo.
“Non penso tu sia pronto alla convivenza.” Buttò fuori di colpo. “Senti, io ho già avuto… insomma, con Vic. E non è facile. Devi abituarti alle stranezze dell’altro, ai suoi ritmi. Devi fare dei compromessi.”
“E pensi che non sarei capace di farlo?” Il buio umido della strada rendeva i lineamenti di James confusi. Contratti. Probabilmente era una fortuna che fosse senza bacchetta.
“Non ho detto questo… penso soltanto che sia ancora presto, per te. Hai diciotto anni e…”
“E sto con un ventiquattrenne cacasotto.” Ritorse l’altro, tirando un calcio all’inferriata di un portone che fece un rumore sferragliante. “Come al solito è questo!”

“Non è questo!”
Invece sì!” Urlò James. Probabilmente l’alcohol aveva esacerbato le sue emozioni, perché tiro un secondo calcio. “Sei tu che non vuoi prendere casa con me!” Lo afferrò per il bavero della camicia e Teddy non riuscì a reagire. Anche perché forse era meglio così. “Io mollerei Lenny, il battente del cazzo e queste feste piene di stronzi se tu mi chiedessi di venire con te! Invece stiamo parlando, di nuovo, di quanto io sia immaturo! Quando il problema è solo tuo!” Gli puntò il dito al petto, perché aveva sempre una gestualità istintiva. Efficace. “Avanti, dimmi che non è così!”
Era vero. Jamie facendo chiasso come al solito, era arrivato dritto al punto.
Non riusciva a far entrare un’altra persona nella sua vita, non completamente. Per questo aveva procrastinato la decisione di prendere casa, quando sua nonna già aveva venduto il cottage.
La sua unica esperienza di convivenza, con Vic, era stato uno smorzante, continuo fallimento; col senno di poi, forse non ci aveva mai provato davvero.
Nessuno, a parte sua nonna, era riuscito ad entrare nel suo bozzolo perfetto di solitudine.
Continuo a sentirmi un orfano anche se sono circondato da gente che mi fa da famiglia in modo eccellente…
James serrò le labbra. Doveva aver capito che il suo era un silenzio assenso.
“Jamie…”
“No, sta’ zitto.” Lo apostrofò.
Stette zitto. James si passò una mano dietro la nuca, inspirando. Quando riaprì gli occhi sembrava più calmo. “T’accompagno a King’s Cross?” Gli chiese.

“Ormai l’ultimo treno per Hogwarts è partito.” Scosse la testa. “Prenderò una stanza al Paiolo, e partirò domani mattina. Dovrei tornare in tempo per le mie lezioni.”
James annuì. “Okay, allora ti accompagno là.”
Si incamminarono in silenzio, ma Teddy fu costretto a fermarsi a metà strada. Le vie erano deserte, colorate di allegre luminarie natalizie che facevano a pugni con il loro stato d’animo: non potevano salutarsi in quel modo.

“Sono una persona noiosa, Jamie… ed ho paura che finirai per stancarti di me.” Confessò ben attento a guardarsi le scarpe. “Non organizzo feste, mi sento a disagio alle poche a cui vado… sono pessimo ad ampliare la mia cerchia sociale. E la mia serata ideale è leggermi un libro davanti al fuoco. In certe cose siamo… antitetici. Come Lionel e Whitby.”
James non disse nulla, ma poi gli diede un colpetto sulla spalla con la sua. Era ancora corrucciato, ma più che altro sembrava rassegnato alla gigantesca mole delle sue seghe mentali.

“Quanto sei stronzo. Come se non le sapessi ‘ste cose.” Lo apostrofò infatti. “Io ti amo da sempre.” Fece una pausa. “Non è la stessa cosa. Non andrebbe nello stesso modo.”
“Non puoi saperlo…”
“Vero. Non se non proviamo.” Ribatté cocciuto.

Camminarono fino all’entrata del Paiolo da cui spirava luce e calore. Teddy si sentì infinitamente stanco.
“A questo punto penso che ci vedremo per la Vigilia, no?” Chiese James, con le braccia stretta al petto. Erano proprio stati due idioti a non salire a prendere giacche e mantelli.
“Sì.” Confermò. “Per la Vigilia.” Voleva baciarlo. Avrebbe rifiutato?
James risolse la questione afferrandolo per la nuca – e tirandogli i capelli – per baciarlo furiosamente. Ted replicò con uguale intensità. Si staccarono, e James appoggiò la fronte alla sua.

“Coglione…” Sussurrò con affetto. “Con te mi tocca sempre aspettare.”
Teddy ricevette un ultimo bacio frettoloso e poi l’altro corse via, probabilmente per evitare il congelamento.

Chi è l’immaturo qui? Parliamoci chiari, Lupin. La questione anagrafica è irrilevante. Jamie ti ha battuto su tutta la linea.
Forse, stavolta, era il caso si facesse un bell’esame di coscienza. Perché aveva consigliato a Lionel di crescere: ma forse, quel suggerimento si adattava meglio su di lui.
 
****
 
Note:
1. Qui la canzone.
2.Questa. Sì, lo so, è Wrock. Usiamolo visto che di canzoni magiche la Row ne ha messe tre.

3.Questa.
Per chi volesse vedere Piggie: Violet Parkinson-Goyle.
Un grazie a Shinu, Elthefirst e Sarapanny per le dritte tecnico – musicali!

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXIV ***


Capitolo XXXIV

 


 
Sometimes I think that I think too much
And that it’s all in my head and I can’t touch
‘And I’m chasing all my cares away
Fighting for freedom for one day
(The View, Beautiful¹)


13 Dicembre 2023

Londra, Ministero della Magia.
DALM, Ufficio Auror, Mattina.

 
Harry era un tipo piuttosto mattiniero.
Non sempre, ad onor del vero. Solo quando c’era un caso che lo teneva impegnato. Ed essendo il Capo dell’Ufficio auror, ormai erano pochi i casi che passano direttamente sotto le sue mani.
Quella mattina era il primo auror a timbrare il cartellino. Infatti l’enorme stanzone compartimentato erano sgombro, silenzioso e soprattutto privo di promemoria che svolazzavano ovunque. 
Salì di buona lena la rampa di scale a chiocciola che lo portava al suo ufficio e aprì la porta dell’anticamera augurando un buongiorno frettoloso alla sua segretaria, l’unica che lo battesse sul tempo.
“Signore, c’è una persona che la sta aspettando.” Esordì quella con tono sorpreso. Quasi non si capacitasse che alle sette in punto qualcuno oltre a loro fosse lì.
In effetti…
“Dove?” Chiese un po’ stupidamente; ma del resto non aveva ancora preso il suo caffè.
La strega indicò la stanza. “È straniera.” Aggiunse incerta. “Ha insistito per accomodarsi, ed io…”
Harry capì che si trattava del famoso agente di collegamento americano.
Speravo di avere ancora un po’ di margine di autonomia…
Strinse appena le labbra, cercando al tempo stesso di rasserenare la sua segretaria. “Hai fatto bene.” Le sorrise. “La aspettavo.”
Purtroppo.

Sorvolò sul fatto che non avrebbe voluto che si sedesse nel suo ufficio prima del suo arrivo:  dopotutto  era meglio così, se la sarebbe sbrigata velocemente.
Le darò le informazioni che vuole. Un intero fascicolo da trecento pagine di informazioni. Dovrebbe tenerla impegnata per un po’.
La squadra di Ron era partita cinque giorni prima con una passaporta per l’Islanda, direzione ‘Riserva’ – nome eufemistico per definire la struttura di massima sicurezza dove venivano tenuti i Dissennatori – per parlare con i sorveglianti.
C’è voluta una settimana per ottenere le passaporte. 
Maledetta burocrazia magica. Merlino, vorrei davvero che Hermione la smettesse di scherzare, quando dice che potrebbe candidarsi a Ministro. Perché potrei finire per proporla io.
In ogni caso, come immaginava, non era venuto fuori molto. I sorveglianti erano stati affatturati – alcuni di loro si trovava ancora in ospedale – e la barriera magica di contenimento, disattivata. Le testimonianze raccolte parlavano dell’arrivo improvviso di una nebbia nera e di lumos inefficaci.
Come al Torneo. Hanno usato lo stesso modus operandi. I guardiani non hanno neppure visto da dove arrivavano gli incantesimi.
In ogni caso, i Dissennatori non erano andati in Scozia motu proprio. Qualcuno doveva averli indirizzati.
Hohenheim. La Thule. Anche se non hanno rivendicato come avrebbe fatto Voldemort, la traccia è chiara.
È il loro modo di fare le cose.
Entrò nel proprio ufficio chiudendosi la porta alle spalle. Quelle riflessioni l’avevano messo di cattivo umore, e quindi non si premurò neanche di stamparsi in faccia un sorriso cordiale.
La donna che si voltò alla sua entrata era senza dubbio l’agente di collegamento, dato che indossava l’uniforme del DALM americano. Però ad Harry fece un’impressione diversa rispetto ad Ethan Scott.
La strega doveva essere all’incirca sua coetanea. Era una creola dai lineamenti morbidi e capelli leonini ad incorniciare un viso attraente.
Ma fanno un casting per scegliere gli agenti del DALM?
Non era però scattata in piedi al suo arrivo, si era semplicemente alzata.
“Sergente Eleanor Gillespie.” Si presentò. “Ho preferito aspettarla qui. La sua segretaria sembrava non avere la minima idea di cosa farne di me.”
Harry odiava i convenevoli farciti di giri di parole a quell’ora del mattino: fu felice di non trovarne nelle parola dell’americana. “Harry Potter. Prego …” Le fece cenno, e la donna obbedì sedendosi. Lo seguì però con lo sguardo mentre si accomodava dietro la scrivania.
Harry capì che lo stava studiando: era abituato ad essere osservato, da più tempo di quanto ormai ricordasse, ma quello era uno sguardo analitico. Lo stava pesando.

Un punto a lei.
Chi perdeva tempo a capire se c’era qualcosa oltre la leggenda del Prescelto, per Harry meritava immediatamente credito.
“Mattiniera…” Osservò con un mezzo sorriso, per rompere il ghiaccio.
“Sono arrivata con la passaporta angloamericana delle quattro.”
“Ha già trovato dove stare?” Poteva pur concederle dei convenevoli, pensò un po’ imbarazzato. Dopotutto sembrava aver passato una notte in bianco.

Come me.
“Sì, mi sono accomodata ad una locanda a Diagon Alley. Il Paiolo Magico?”
“La conosco molto bene. Vecchia, ma dal servizio eccellente.”
Esauriti le formalità rimasero brevemente in silenzio. Harry si chiese se non dovesse chiamare Grace e farsi dare il faldone dell’indagine, ma la donna lo precedette.

“So bene che non mi vuole qui.” Esordì. Aveva un’espressione determinata, di chi non aveva tempo da perdere e voleva subito mettere le carte in tavola.
Un piacevole cambiamento dopo quel damerino da fotoromanzo… Non so se l’abbia scelta Malfoy, ma se fosse, devo proprio mandargli un cesto di frutta.
“Non mi fraintenda…” Replicò, non sapendo bene come metterla per non suonare sgarbato. Del resto non aveva motivo di avercela con lei per principio.
Anche se fin’ora ho avuto solo pessime impressioni dagli americani.
“Non lo sto facendo.” Ribatté la strega. “È stato chiaro. L’agente Scott è tornato a Boston su tutte le furie. Mi ha detto di essere stato più volte umiliato dal capo dell’ufficio auror, oltre che da una selva di ragazzini sfrontati …”
“Cioè da me e dai miei figli.” Convenne senza battere ciglio. 

Se si aspetta che mi scusi o giustifichi…
La strega inarcò le sopracciglia, poi scoppiò inaspettatamente in una risata. Era solida e piacevole. “Mi avevano detto che lei era un uomo senza mezze misure, Signor Potter… a quanto pare ciò che si dice degli inglesi è veritiero. Sapete combattere le vostre battaglie.”
“E ci riusciamo anche piuttosto bene.” Annuì tranquillamente. “Mi ascolti, Miss Gillespie…”
Nora.” Lo corresse. “Niente formalismi. Li trovo stupidi.”
“Vale lo stesso per me.” Si sentì sorridere Harry. Tentò di ricordarsi che quell’agente sarebbe stato una spina nel fianco, ma la realtà era che la trovava piuttosto interessante. “Nora, devo parlarle chiaramente. Non sono abituato a essere frenato, quando indago. È vero, ormai sono più che altro un timbra - carte con un sacco di trofei sulla scrivania…” Fece una pausa, quasi a sottolineare che non fosse veramente così. “… ma questa indagine mi sta a cuore. E la seguirò personalmente.”
“Per via del suo figlioccio.” Soggiunse l’altra andando al succo della questione. Doveva essere una sua qualità. “Sa, dalle mie parti lei sarebbe stato tenuto fuori. Troppo coinvolto.”
“Per fortuna siamo in Inghilterra.” Ribatté. “E per fortuna, questa indagine la conduco io.”
La strega fece un lieve cenno di assenso. “Sì, è una fortuna.” Ed Harry intuì quello che non aveva capito durante il primo colloquio con Malfoy. C’era un motivo per cui improvvisamente il viscido Scott aveva deciso di dargli informazioni tramite Draco, nello specifico, sull’arrivo dei Dissennatori.

Voleva che mi immischiassi.
Non sapeva se esserne se provare un certo compiacimento – la sua fama serviva qualcosa oltre a essere seguito neppure fosse una superstar – o allerta.
Mi considerano utile. Ma vogliono collaborare … o usarmi?
“C’era una strategia dietro l’improvvisa voglia di chiacchierare dell’agente Scott?” Chiese alla donna. “Mi avete fatto avere le informazioni sull’arrivo dei Dissennatori per coinvolgermi?”
Quella fece un sorriso. “Sì.” Disse senza mezzi termini. “L’anno scorso ha messo le mani su John Doe. Comunque sia andato alla fine, lei è il primo ad averlo arrestato. È un risultato notevole. Molti dei miei erano contrari al coinvolgimento dell’Ufficio Auror. Ma io sono una di quelle che ha votato pro.” Accavallò le gambe e assunse una posa indubbiamente rilassata.  Il suo esame era finito: lo riteneva idoneo.

Ma non è finito il tuo, Nora…
Harry passò un dito sulla scrivania. Neppure un grammo di polvere, registrò distratto. “Dovrei ringraziarla?” Certe uscite gli uscivano da un recesso del suo Io. Probabilmente dove a lungo aveva soggiornato Voldemort.
La strega non si scompose. “No.” Era da apprezzare per le risposte trancianti. “Harry, vogliamo la stessa cosa. Hohenheim in prigione, che sia inglese o americana, e che la Thule sparisca per sempre dalla faccia della terra. Lei è un mago di valore, e ci serve il suo aiuto.”
Harry non rispose. Fece invece una domanda che lo angustiava ormai da mesi. “Scott era particolarmente insistente nel voler parlare con Thomas. Lo ha invitato a studiare da voi, una volta terminata la scuola.”
“Abbiamo ottime accademie di sperimentazione magica.” Rispose la donna stringendosi nelle spalle. “Mi pare di capire che uno dei motivi principali della sua sfiducia verso di noi sia la convinzione che il governo americano voglia… prendere il suo figlioccio.” Usò il termine con piena cognizione di causa. “Per via delle sue particolarità.”

“Non è così?” Decisamente l’anfratto-Voldemort.
“Le faccio una domanda, Harry. Se il suo figlioccio venisse di sua sponte, lei lo fermerebbe?”

Harry fece una smorfia: se la metteva in quel modo la sua risposta non poteva che essere una sola.
“No.” Mormorò. “Se fosse quello che vuole, certo che no.”
“Allora non vedo il problema. Il mio governo investe, ed è sempre alla ricerca di nuovi talenti. Ma non rapisce giovani maghi.”
Harry si sentì piuttosto stupido. E frustrato parimenti, visto che era stato trattato come un adolescente irragionevole. La strega parve intuirlo, perché fece un lieve cenno, come a scacciare qualcosa di molesto.

“Non sono qui per questo, ma per aiutarvi a prendere il cattivo.” Sorrise. “A Boston hanno pensato che, dopo l’esperienza con l’agente Scott, avrebbe preferito collaborare con qualcuno di più informato. Quel qualcuno sono io. La nostra task-force ha cinque anni. Io seguo la Thule da dieci.” Spiegò, e non c’era compiacimento, semplicemente attestazione.
“Capisco.” Replicò, forse freddamente. Poteva essere fissazione che affondava le radici nella sua adolescenza, ma era meglio andarci coi piedi di peltro.
Vedendo però l’espressione perplessa dell’altra, si spiegò. “Il suo governo non è mai sembrato troppo propenso alla trasparenza, Nora. Pensi ciò che vuole, ma per me non è semplicemente questione di prendere il cattivo…” Si tolse gli occhiali. Se già cominciavano a pesargli, significava che la giornata era iniziata in modo impegnativo. Li pulì. “… piuttosto di mettere fine a questa storia ed assicurare a Thomas la serenità.”  
“Harry…” La donna di sporse sulla scrivania. “Mi creda, se c’è una cosa che voglio fare prima di morire, è sbattere quel figlio di puttana in una cella.” Il tono era duro, improvvisamente privo di ogni orpello educato. Harry notò in quel momento che la donna indossava due fedi nuziali, non una. Quel gesto era tristemente universale, purtroppo.

Chi portava l’altra fede non ne ha più bisogno…
“È una vendetta personale?” Chiese pacatamente.
L’espressione della donna si fece guardinga: era chiaro fosse combattuta sul dirgli la verità o meno. Si raddrizzò, prendendo evidentemente una decisione. “Se lo fosse?” Chiese. “Le causerebbe qualche problema?”
Gli occhi azzurri sembravano acciaio. Harry pensò che non avrebbe voluto trovarsi per nulla al mondo dall’altro lato della sua bacchetta.

E pensò anche che aveva finalmente trovato un alleato, oltremare.
Rimase in silenzio per un attimo. “Dipende. Non avrò obiezioni finché terrà la bacchetta nel fodero e non prenderà iniziative senza prima avermi consultato.” Disse. “Ma deve essere una promessa. Perché so quanto questo sentimento può consumare… e mi creda, non sarei qui se gli avessi dato ascolto.”
La donna non disse nulla, né Harry si aspettava che lo facesse. Essere un reduce di guerra – orrenda parola, ma calzante – ti insegnava a non giudicare le crociate altrui.

Solo a prevenirle se vanno fuori controllo.
Preferiva comunque un agente simile, ad un ragazzetto che cercava solo la prossima promozione .
“Si fida se gli dico che ho intenzione di mantenerla?” Chiese, e sembrava seria. 
“Dobbiamo fidarci l’uno dell’altro, Nora. Ed apprezzo la sua sincerità. Quindi sì.”
Si strinsero la mano. Ad Harry piacque la stretta. Aveva sempre pensato che si potevano capire molte cose da quel semplice convenevole. La mano della donna era forte, salda. Ne aveva strette molte: quella mano non avrebbe vacillato al momento opportuno.

Si accomodò di nuovo, imitando inconsciamente lo stesso movimento che la strega aveva fatto prima.
“Che altro posso dirle? Benvenuta in squadra, sergente.”
 
****
 
Londra, Regent’s Street. Mattina inoltrata.
 
“Ma non era un quartiere malfamato questo?”
“No, tu parli dell’East End. Questo è il West End. E ci stiamo dirigendo verso Mayfair.”
“… sono confuso.”
Tom alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se non avrebbe dovuto afferrare la mano di Al per tenerselo affianco: l’altro ragazzo si guardava attorno, rischiando di sbattere contro i tanti indaffarati londinesi che sfrecciavano bevendo caffè, sbocconcellando sandwich e parlando agli auricolari.

“Forza ragazzi!” Li apostrofò sua madre, già a dieci passi da loro. Era incredibile come riuscisse a sgusciare tra la folla. In effetti la statura minuta aiutava. “Voglio portarvi in un posto delizioso per pranzo, ma rischiamo di trovarlo pieno se ritardiamo con la nostra tabella di marcia!”
Sorrideva però, e sorrideva ad Al che aveva l’aria del pesciolino fuor d’acqua e un gran sorrisone da bambino in un negozio di giocattoli.

Almeno ha lasciato quell’orrendo berretto ad Hogwarts…
Portare Al in mezzo alla Londra babbana era piuttosto divertente, comunque.    
Ho idea che non volesse accompagnare Lily e Rose per scegliere il loro vestito.
Lo tirò da parte prima che fosse investito da una signora impellicciata con tanto di cocker spaniel.
“Non eri mai stato da queste parti?” Gli chiese.
“Mno…” Borbotto l’altro distratto, agganciando gli occhi all’insegna di uno Starbucks. “Cioè, sì… sono stato da queste parti, ma di notte. D’estate, con Mike, per night-club. È diverso.”
“Night-club…” Si rabbuiò, poi lo vide sorridere sotto i baffi. “Cosa?

“Non è vero Tom, dai!” Appena captò il suo sollievo, aggiunse, veloce come un serpente. “Erano gay-club!” E poi trotterellò in direzione di Robin, prendendola a braccetto.
Sbuffò, raggiungendoli. Era comunque … piacevole… vedere sua madre e il suo ragazzo interagire cordialmente. Robin ci aveva messo un po’ a perdonare il Mondo Magico e Al, al suo ritorno, era stato il primo mago verso cui mostrare freddezza. Adesso però sembrava tutto a posto, da come la donna si stava lanciando in appassionati anatemi contro il junk-food.
“Mamma, temo proprio che vorrà provarlo, con o senza la tua approvazione.” Osservò, vedendo come l’altro ragazzo guardava cupidamente le varie insegne colorate di pub e caffè.
La donna scacciò l’eventualità con uno sbuffo energico. “Sciocchezze! Al è abituato a mangiare cibi di campagna, cose sane! Lo troverebbe disgustoso.”
Al, diplomaticamente, fece uno di quei suoi sorrisi adorabili. “Non so zia Robbie. Mi piace l’insegna di quella Star… Stabu…”
Starbucks. Sì, abbiamo afferrato il concetto. Dopo ci andiamo.” Sospirò, facendo ridacchiare gli altri due.

Era un momento di quiete. Presto avrebbe dovuto affrontare il carico multiforme dei suoi problemi.
Ma non oggi.
Quel giorno avrebbe preso le misure per il suo vestito, avrebbe evitato che Al ne acquistasse uno orrendo e avrebbe trascorso il pomeriggio con sua madre. Tutto lì. Una cosa normale.
Arrivarono alla boutique che dove aveva preso il superbo completo del processo.
Salive Row²…

Tom non si riteneva un amante dello shopping. Comprare libri e musica erano semplicemente coronamento dei suoi interessi. Ma lì era un altro discorso.
L’insegna recitava ‘Gieves & Hawkes³’ e poco sotto ‘abiti su misura’.
Tom sorrise. Sua madre condivideva con lui un viscerale amore per gli abiti di alta sartoria.  
Siamo gli unici in famiglia a capire la differenza tra un completo da tre pezzi e uno da due. 
Così, quando in una lettera ad Alicia aveva accennato casualmente al Ballo del Ceppo… in una manciata di ore si era visto arrivare una risposta tramite Kafka, con le coordinate per ora, giorno e luogo in cui dovevano incontrarsi per acquistare l’abito perfetto.
Certo, aveva già il vestito che aveva usato per l’udienza…
Ma non puoi usare lo stesso completo per due occasioni tanto diverse, Tom!
“Sai, non mi aspettavo che tua mamma fosse tipa da negozio di lusso.” Sussurrò Al, guardandosi attorno con deferenza. L’unico negozio del genere in cui era mai entrato era Madama McClan.
E confeziona delle grosse sottane, checché ne dicano tutti. Abiti da cerimonia? Sono sottane.
“Da chi credi abbia preso il mio buongusto? Non certo da mio padre o tantomeno dal tuo…” Replicò, evitando la conseguente gomitata micidiale in direzione costole.
“Tom, Al, venite qui!” Li apostrofò Robin, già in compagnia del sarto. Tom vide Al guardare malissimo il suddetto, colpevole probabilmente di essere giovane, carino e di avergli sorriso.
Ah, è lo stesso dell’altra volta. Quello del ‘Thomas, hai una figura così slanciata’.
Si tolse il cappotto e lo passò ad Al, che lo prese docilmente.
“Ti metterà le mani addosso?” Chiese questo con falsissima indifferenza.
“È la procedura.” Replicò con lo stesso tono. “Non ci sono metri che si librano da soli qui.”
“Se usa troppo le mani se ne troverà una in più. Per magia.” Fu la risposta .

Tom dovette trattenersi mentre si dirigeva in camerino: se si fosse messo a ridere Albus l’avrebbe affatturato, Statuto di Segretezza o meno.
Una mezz’ora dopo, e con tutte le misure fatte, il suo ragazzo era dello stesso colore dei garofani che erano disposti sul bancone vicino alla cassa. E stava torcendo il suo cappotto.
“Abbiamo finito, Thomas… puoi andare a rivestirti.” Gli annunciò il sarto con un sorriso seducente. Tom si chiese se non avrebbe finito per fargli scivolare il suo numero in tasca. Per la seconda volta.
Il tipo non doveva aver notato Al. C’era da dire che, infagottato in un maglione Weasley e con i capelli arruffati per colpa dell’umidità londinese non era particolarmente degno di attenzioni sofisticate.
Tranne delle mie.  
Rientrò nel camerino, un largo ambiente delimitato da una tenda di pesante tessuto navy.
Il flusso dei suoi compiaciuti pensieri fu interrotto però dallo scostarsi furioso della tenda.
Conseguentemente venne spinto contro il muro opposto e baciato a morte da un Al che, lo dimenticava sempre, aveva una presa da boa constrictor e geni Potter.
Mi chiedevo quanto ci avrebbe messo… lui e i suoi gay-club estivi con Zabini… così impara.
Tom lo distanziò per evitare che gli strappasse le labbra. Era piacevole, ma un po’ doloroso. “Al?”  
“Io … quello… dov’è la mia bacchetta?” Borbottò, innervosito dalla sparizione. “L’ho persa!”
“Non fare il James.” Lo ammonì, beccandosi un’occhiata luciferina. “Non l’hai persa. Te l’ho presa mentre dormicchiavi sull’Espresso o l’avresti persa.” Ghignò, parando un colpo alla spalla. “Perché sei arrabbiato?”
“Quel tipo ti ha toccato il sedere! Ci stava provando con te! E tu eri tutto soddisfatto!”
“Mi ha preso le misure per i pantaloni… nel mondo babbano si fa così, te l’ho già detto.” Obbiettò. L’altro gli lanciò un’occhiata livorosa, perché aveva capito che lo stava rabbuffando come un cagnetto.

“Ti diverte che voglia strozzarlo?”
“Forse…” Concesse. “Abbiamo finito, comunque. Mia madre passerà a ritirare il vestito la settimana prossima e me lo spedirà via gufo. Ora possiamo andare a cercare il tuo.”
Al si imbronciò senza neppure tentare di nasconderlo. “Non ne ho voglia.” Si ficcò le mani in tasca. “Odio il mondo babbano. Mi comprerò un abito da cerimonia!”
Tom afferrò i due lembi della sciarpa che penzolava sul maglione per tirarselo contro. “Non te lo posso permettere. E comunque, mi sembra, odi solo i sarti babbani…”
“Stronzate.”

“Sei geloso.” Constatò mentre l’altro giocava con il colletto della camicia di prova. Avrebbe dovuto togliersela, visto che fuori c’erano ben due persone ad attenderlo. Ma…
Al lo tirò giù per arrivare alla sua altezza. “È ovvio. Stronzo vanesio.” Disse, e poi lo baciò.
Sicuramente tutta la faccenda dei cosiddetti ‘ormoni adolescenziali’ era esagerata, ma Tom in quel momento pensò che i fautori di tale teoria avessero qualche punto. Specie perché Al si stava facendo largo tra la porzione di pelle e la cintura in modo delizioso. E ultimamente, poi, aveva il vizio di baciarlo sul punto più sensibile dietro la curva dell’orecchio. Era una cosa che lo faceva impazzire.
Okay. Ragione. Ormoni. Adolescenti.
Tom soffocò un gemito, sentendosi un idiota senza che la cosa lo preoccupasse poi molto. Infilò le dita sotto il maglione dell’altro e ovviamente, perché dopotutto erano in un negozio pieno di gente
“Tom, hai finito? Al, tesoro, gli dici di sbrigarsi?”
Al si staccò con disinvoltura, con le guance solo appena rosate. Perché stava ghignando?
La consapevolezza lo raggiunse con una forza di uno schiantesimo.
L’ha fatto di nuovo. Come in infermeria, dopo la prova… Si è controllato, mentre io…

Mentre lui, al momento attuale, non sapeva come diavolo allacciarsi i jeans senza evirarsi.
L’altro gli sorrise amorevolmente. “Sta venendo!” Aveva fatto davvero un gioco di parole degno solo di quella sciagurata di Lily? “Non provarci mai più, a farmi ingelosire, Signor Figura Slanciata…” mormorò, prima di scostare la tenda e piantarlo lì.
 
****
Scozia, Hogsmeade. Pomeriggio.
 
“Come diavolo ha fatto Albie ad andare a Londra? Dannazione!”
Lily, pensò Rose con un sospiro, era tendenzialmente una ragazza allegra e di buon carattere. Però si tramutava in una valchiria quando si trattava di shopping.

“Te l’ho già detto Lils. È maggiorenne, ha la possibilità di assentarsi una mezza giornata per motivi…”
“… gravi e comprovati!” Concluse l’altra, incedendo come una regina per la High Street. Il rosso accecante dei suoi capelli faceva pari col suo stato d’animo. Aveva già visto un paio di persone, maghi fatti, cederle il passo. “Ma quali?”
“Penso abbia detto che doveva fare una visita al San Mungo… e che la stessa scusa l’abbia usata anche Tom.”
“Serpeverde…” Brontolò Hugo, che aveva assunto un’aria remotamente patibolare da quando gli era stato detto che sì, avrebbero visitato negozi.

Povero fratellino. Maschi: allergici allo shopping. Tranne quel vanesio di Jam.
Lily fece una smorfia. “Non capisco come il loro Direttore ci sia cascato.” Fece mente locale. “Oh, giusto, Al è il cocco della sua Casa e Tom pure.”
“Quanti negozi dovremo visitare?” Pigolò Hugo, due passi dietro a loro. “Non tanti, vero?”
“Moltissimi.” Replicò impietosa Lily, poi sospirò. “Beh… chapeau alle loro facce di bronzo. A me Neville non avrebbe mai creduto.”
“No, non sei minimamente verosimile a due settimane dal Ballo… e poi hai quindici anni.”

“Non. Ricordarmelo.” Sibilò la ragazzina, affilando lo sguardo.
Rose ridacchiò, alzando le mani in segno di resa.   
Stava… meglio. Perlomeno non aveva più voglia di gettarsi dalla Torre di Astronomia.
Certo, ogni volta che rivolgeva la parola a Scorpius sentiva un orrendo magone all’altezza del petto, ma il peggio era passato.
Dopotutto, quella pausa si stava rivelando quasi benefica. Scorpius aveva più tempo da dedicare a sé stesso e al Torneo, e lei per la preparazione dei MAGO …
… ma chi voglio prendere in giro…
Si strinse la sciarpa al collo, mentre vento misto a nevischio sbatté loro impietosamente in faccia.
Scorpius le mancava, ma non riusciva a trovare il coraggio di avvicinarlo per parlargli di quello.
Il biondo, del resto, sembrava vivere la loro pausa in modo sereno. Non la ignorava, no, ma la teneva a distanza, al di là di battutine e gran sorrisi da fotomodello.
Rose sapeva di dover fare qualcosa per sbloccare la situazione, ma non aveva idea di cosa.
Cioè, sì, lo sapeva, ma non era facile.
Papà non fa che far rispondere la mamma alle mie lettere, dicendo che è ‘occupato’ con le indagini. Sarà pur vero, ma non vuole parlarmi.
Per andare avanti, per riavviare la situazione – pausa dannata – doveva mettere un punto con suo padre.
Dovrò appostarmi fuori dal Ministero per sorprenderlo?
Presa da quei pensieri si accorse a malapena che erano entrati ai Tre Manici per incontrare Roxanne: Lily non si muoveva senza di lei quando faceva shopping.
La ex-corvonero venne loro incontro salutandoli allegramente. Era stata appena passata alle regolari nelle Harpies, e questo giustificava il suo inconsueto buon’umore. Lily e Hugo si lanciarono nei complimenti d’occasione e Rose, dopo averli imitati per non sembrare disinteressata, diede un’occhiata al locale.
Anche Scorpius dovrebbe  essere qui … figurati se rifiuta la possibilità di una libera uscita extra.
E infatti Scorpius c’era. In compagnia di Violet Parkinson - Goyle.
Rose non notò che con loro era seduto anche l’assistente di Dom. Registrò soltanto che parlavano in francese, e Miss Capelli D’Ebano stringeva il braccio di Scorpius con familiarità.
Vanno al Ballo assieme – realizzò – Vanno al Ballo assieme.
Quasi si scontrò con la porta nel tentativo di aprirla e lanciarsi fuori. Il trillare di un milione di campanellini natalizi – perché diavolo Hannah li metteva ogni anno? – fece voltare parecchie persone, compresi i suoi cugini e, naturalmente, Malfoy e compagna.
Rosie!” Esclamò il ragazzo, o almeno sembrò lo dicesse. Del resto era già scappata fuori con le lacrime agli occhi di ordinanza.
Vanno al Ballo assieme. Non mi ha neanche chiesto con chi ci andavo. Va bene, siamo in pausa, ma perché ci deve andare con la sua fottuta promessa sposa?!
Era umiliante e voleva solo materializzarsi in camera sua e scoppiare a piangere. O uccidere Malfoy. Entrambe le possibilità erano allettanti, ma materialmente infattibili.
Quindi, corse nella prima direzione in cui il suo dolore adolescente la indirizzò. Poi venne afferrata per un braccio da qualcuno che neanche aveva il fiatone per la corsa.
“Fiorellino!” Sbottò Scorpius, prima di rendersi conto che non era il momento di dar nomignoli. “Okay… Rose. Aspetta, ti…”
Brutto stronzo!” Gli urlò a pieni polmoni, prima di tirargli una spinta. Non le interessava che fossero in mezzo ad una via trafficata. “Ipocrita!”

Scorpius la guardò sbalordito, e anche imbarazzato. Diede un’occhiata attorno e poi l’afferrò per un braccio, trascinandola nel primo vicolo disponibile.
Rose lo lasciò fare, perché capiva nebulosamente fosse meglio così.
“Di che diavolo stai parlando, Weasley?” Chiese poi con quella sua faccia da schiaffi. Fu tentata di tirargliene uno, in effetti.
“Lo sai benissimo!” Sapeva che la sua voce era stridula e poco piacevole ma… ‘fanculo. “Blateri di pause, che riprenderemo, e appena volto la testa ti trovo avvinghiato ad un’oca!”
Il ragazzo le lanciò uno sguardo dapprima confuso, poi incredulo. Se si fosse messo a sorridere l’avrebbe ucciso. “No, ascolta, hai frainteso…”
Frainteso un cazzo!” Benissimo, anche la scurrilità. Rose capiva che non era una buona idea fare una scenata ad una persona che stava valutando se riprenderla nella sua vita, ma non le interessava. Voleva solo soffocarlo in un quintale di neve. “Quella stronza è la tua promessa sposa, lo sanno tutti, e appena mi molli, cominci ad uscire con lei? Dove avrei frainteso esattamente?!”
Scorpius inspirò. Sembrava piuttosto arrabbiato anche lui, ma era evidente che si stesse trattenendo per fare il ragionevole dei due. “Non sto uscendo con Violet.” Disse, pacatamente. “E dico sul serio.” Aggiunse alla sua espressione riottosa. “E per quella roba del matrimonio combinato… sono cose che hanno caldeggiato le nostre famiglia, ma non siamo obbligati. Penso che Violet preferirebbe buttarsi da un ponte, piuttosto che sposarmi.”
“Sì, si vede da come ti guarda.” Sputò fuori malmostosa.
Scorpius fece una smorfia esasperata. “È tutta scena, ti assicuro che proprio non le interesso!” Scandì con attenzione. Rose lo fissò confusa. Sbuffò di nuovo. “Non le interesso per quello che sono.” 
“Biondo?”
Scorpius lo guardò incredulo, poi non ce la fece, scoppiò a ridere. “Merlino, Rosie, solo tu potevi uscirtene con una battuta del genere!” Ridacchiò, rivolgendole un sorriso affettuoso. Come se sapesse che era mezza matta, ma che lo trovasse un pregio.

Si fissarono per un attimo, imbarazzati. Rose si sentì una cretina.
Scenata in mezzo alla strada. Da oca cretina.
“Però al Ballo ci vai con lei.” Esordì, cercando di mantenere la voce su un tono saldo.
Scorpius fece spallucce. “Devo avere una dama, e lei… beh. Diciamo che il cavaliere prescelto non è… convenzionale.” Fece un mezzo sorrisetto tra sé e sé. Rose si sentì esclusa, ma ingoiò il rospo.
“Se non avessi avuto Al…” Mormorò invece, pianissimo. “… mi avresti invitata?”
Voglio saperlo. Devo saperlo. Ci vado con Al solo perché avevo paura che non mi avresti invitata.
Giocare in anticipo. Forse a volte è una cazzata.
Scorpius non disse nulla, ma le si avvicinò. Le alzò il viso con le dita, una mossa da Casanova, ma che addosso a lui era carina. “Tu mi avresti detto di sì?” Le chiese serio. “Perché so che i tuoi genitori e tuo zio saranno lì come invitati.” Non le lasciò il tempo di rispondere. “Se te l’avessi chiesto, avrei preteso tutti i balli e ti avrei baciato in mezzo alla pista. Di fronte a tutti.”
Rose a quel punto lo baciò. Lei, che due anni prima si sarebbe lanciata in una lunga riflessione sulle implicazioni e i rischi possibili di quel gesto.

Lo voleva e se l’era preso. Tutto lì.
Scorpius comunque lo ricambiò, passandole le braccia attorno alla vita e spingendosela contro.
Riflessi condizionati? Forse, ma Merlino, chi se ne importa…
Si staccarono, e Scorpius fece un mezzo sorriso. “Non era nei patti.” Disse, ma non sembrava dispiaciuto. A dirla tutta, aveva una strana espressione addosso, quasi estremamente concentrata.
Assurdo stronzetto.
“Non sono in pausa dai miei sentimenti, cretino.” Borbottò sentendosi le guance scottare.
“Neppure io.”  
“Allora perché diavolo continuiamo a starci lontani?” Sbottò incredula. Non era uno stupido, né un insensibile, doveva aver capito che quella situazione era uno schifo. “Sì, okay, ho ancora quella situazione tra il non detto e il non risolto con i miei, ma…”
Beh, dici poco – Considerò impietosa una voce nella sua testa.
“Corteggiami.” Le disse, riattirando la sua attenzione.
“… scusa?” La sua espressione doveva essere tragicamente buffa, perché l’altro soffocò un sorrisetto con un tic alla mascella.

E poi Rose comprese la strategia di quella serpe travestita da leone.
Vuole mettermi alla prova. Dopo la mia presa di parte con mio padre, vuole vedere se sono disposta a rincorrerlo…
Se fosse stato qualcun altro, l’avrebbe mandato sontuosamente a quel paese, ma era Malfoy.
Ha una parte di ragione, per quanto me lo stia dimostrando in modo contorto.
“Tu sei…” Inspirò cercando di frenarsi dall’istinto di prenderlo a schiaffi e baciarlo di nuovo. Si risolse ad appoggiarsi al muro del vicolo e sbuffare.  
“È più facile di quanto pensi … sono un ragazzo credulone.” Si sporse per darle un bacio sulla guancia. “Devo tornare. Ci vediamo a scuola?”
Rose lo ascoltò a malapena. “Sì… a scuola.” L’avrebbe ucciso, era decisamente un Malfoy.
E lei si era innamorata di quel Malfoy.
Vuoi la scopa, mia cara? Ora impara a voltare.
Doveva decisamente scovare suo padre.
 
Dieci minuti dopo, ai Tre Manici…
Scorpius si arruffò convulsamente i capelli. “Volevo baciarla! Volevo baciarla e dirle che era tutto dimenticato!” Piagnucolò sottovoce, che era pur sempre il Campione di Hogwarts.
Violet, dall’alto della sua esperienza decennale in Weasley, sebbene d’Oltre Manica, roteò gli occhi al cielo. “Scorpius, sei patetico. Ti dice niente la parola strategia?”
“Sì, è quella cosa che dovrà fare Dursley per me.” Mugugnò distratto, appoggiando la guancia contro il legno del tavolo. Si tirò su, quando lo trovò appiccicoso. “Tenerla a distanza.” Ripeté diligente, strofinandosi la guancia. “So che sta funzionando, e so che è la direzione giusta per avere un rapporto funzionale ed equilibrato in futuro… ma quando mi ha baciato non le sono saltato addosso solo perché sono un Occlumante e mi sono tappato!”
Mael gli diede una pacchetta sulla spalla. “Beh, ma… se il punto è farle trovare il coraggio per uscire fuori e farla in barba a suo padre…”
“Sta funzionando.” Proclamò Violet. “Tieni duro.”

Rosiiee…”
Violet gli rivolse una smorfia disgustata. “E poi mi si chiede perché preferisco le donne.”
 
****
 
Londra, Piccadilly Circus. Pomeriggio inoltrato.
 
Albus aveva insistito per andare ad ordinare non appena messo piede dentro lo Starbucks.
Tutto contento, dopo essersi fatto ripetere tre volte le loro ordinazioni, si era diretto verso il bancone.  
Tom gli lanciò un’occhiata poco convinta dal divanetto in cui si era accomodato con la madre.
“Finirà per sbagliare a contare i penny…”
“Dagli un po’ di fiducia, dopotutto Harry ha vissuto con… i babbani.” Fece una risatina divertita. “Scusa, ma è un modo così buffo per definirci! Comunque. Ci ha vissuto per anni. Avrà insegnato ai suoi figli a contare le sterline!”
“Al fa fatica a dare il resto persino con la valuta magica.”
Sua madre sbuffò, scacciando con un gesto evasivo la possibilità. Lanciò poi un’occhiata alla grossa busta di Burton ai loro piedi. “Però su una cosa hai ragione… ha un gusto tremendo. Dio, quel completo a coste che voleva comprarsi…” Fece una nuova risata, nascondendola in una mano. “Ma nel mondo magico sono tutti così?”
“Amano i colori vivaci. Motivi vistosi…” Convenne raccogliendo con la punta delle dita dei granelli di zucchero sul tavolo. Lanciò un’occhiata all’altro mago: stava borbottando tra sé e sé le ordinazioni. Gli venne da sorridere. “… ma effettivamente lui è particolare.”
“È vero…” Sua madre fece uno strano mezzo sorriso che Tom le aveva visto solo quando beccava lei ed Alicia a confabulare in giardino di ‘segreti tra donne’.

Che poi l’ho sempre saputo. Parlavano di ragazzi. Sai che segreti…
“Comunque è una fortuna aver trovato un gilet dello stesso esatto colore della tua cravatta… il lavanda è proprio il vostro colore.” Osservò, ancora con la stessa espressione, mentre Al intanto scandiva entusiasticamente i nomi delle loro ordinazioni ad una divertita ragazza al bancone. “Sarete così carini, coordinati. Si usa anche ad Hogwarts coordinare i vestiti per un ballo?”
Tom cominciò ad intuire dove voleva andare a parare. Solo, gli sembrava impossibile. Non aveva mai parlato a sua madre di certe cose, e lei, stranamente visto quant’era impicciona, non aveva mai chiesto.

“Se ci si va in coppia, a volte…” Si risolse a dire, guardingo.
“Beh, infatti.” Fece una delle sue disimpegnate scrollate di spalle aussie. “Ci andate assieme.”
Era una certezza. Tom le lanciò uno sguardo sicuramente sbalordito, perché l’altra rise. “Cos’è quella faccia?” Chiese osando anche essere stupita.
“Mamma, mi hai appena detto che pensi che io e Albus siamo una coppia.”
“E non è così?”

“Al ci va con sua cugina Rose.”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
Quella conversazione stava diventa surreale.

Sua madre incrociò le braccia al petto. Era una posa piuttosto buffa ed espressiva. Ironica, anche, visto che l’assumeva solo quando doveva prendere in giro suo padre e i suoi fratelli.
“Thomas… sono tua madre.” Esordì. “Pensi che sia così stordita da non rendermi conto che ti sei innamorato?”
“Io e Al siamo sempre stati legati.” Tentò. Voleva vedere fino a che punto aveva capito.
Siamo così palesi?
“Sì, è vero.” Concesse la donna. “Ma in quest’ultimo anno è cambiato qualcosa. Siete ancora più… vicini, diciamo e non solo per quello che ti è successo.” Scosse la testa. “E poi vi siete appartati in camerino. Vecchio adagio, tesoro. L’ho fatto anch’io con tuo padre.”
Tom tacque, cercando di raccogliere le idee. Sperò ardentemente che Al non arrivasse, perché la sua presenza probabilmente non avrebbe migliorato la situazione.
Sarebbe capace di diventare paonazzo e rovesciarsi le tazze addosso.
“Non ho confermato né smentito, mi sembra.” Cercò di darsi un tono, perché essere trattato come un bambino non doveva diventare un abitudine per gli adulti della sua vita.
Ho già passato quella fase, grazie.
Robin appoggiò i gomiti al tavolo, con naturalezza. Lo scrutò con un lieve sorriso affettuoso. “Allora dimmi come stanno le cose. So che sei un tipetto pieno di segreti. Ma questo non è uno di quelli che devi mantenere con tua madre.”
Tom sospirò, facendo una smorfia irritata. L’altra aveva vinto. “Non mi piacciono i ragazzi. Mi piace Albus. Credo.” Aggiunse, perché se avesse dovuto scegliere, si sarebbe rapportato mille volte ad un ragazzo come Loki o quel biondino francese, piuttosto che a Rose o a Lily. 
“Credi che ti piaccia Al?” Lo stuzzicò, perché era ovviamente arrossito. Odiava quel genere di conversazioni a cuore aperto. Le odiava.
Sperava solo sua madre, dopo quel coming out, non avrebbe cominciato a parlargli di giornate dell’orgoglio gay, a cui peraltro partecipava attivamente, con rainbow - flag a decorare l’intero caffè in cui lavorava.
“Sì, mi piace Al.” Confermò. “È il resto degli esseri umani che non tollero.”
Robin rise di nuovo. Tom si chiese se non fosse fortunato ad avere una madre che aveva abbracciato con amore il suo sangue magico e il suo orientamento sessuale.

Probabilmente lo sono estremamente.
“È un peccato che non andiate assieme…” Prese un’espressione attenta e piuttosto combattiva. “Non è un problema di discriminazione, vero?”
“No … le discriminazioni sono sempre state di tutt’altro genere.” Scosse la testa.

E a quanto pare, io ero il più esaltato.  
Sentì una morsa spiacevole alla bocca dello stomaco. Quei pensieri gli sovvenivano random, ed era difficile scollarsi quella sensazione di disagio, dopo. Sua madre lesse la sua espressione, ma fraintese il motivo. Gli strinse la mano attraverso il tavolo.
“Dovresti chiederglielo tesoro, se vuoi andare con lui. Rose sono certa capirà.”
Tom la guardò. Una piccola, energica australiana. Lo aveva sempre cresciuto col sorriso, accettando con tranquillità tutte le sue stranezze. Che, a posteriori, erano davvero tante.
Le strinse la mano di rimando. “Non è per quello. Ci porterò Meike, al Ballo… le farà piacere, e perlomeno non sarò costretto a ballare con qualche ragazza.” 
“Allora cosa c’è?”
Al doveva davvero tornare con le loro ordinazioni. Lo vide al bancone dello zucchero, rovesciare bustine e crema dentro il suo bicchiere con la stessa concentrazione che avrebbe usato per preparare una pozione. Come non detto…

Sua madre ebbe un lampo di comprensione. Gli strinse la mano così forte da fargli quasi male. “Non è per… per quell’uomo?”
Tom esitò, poi decise di non dire niente. Non poteva parlarne, c’era lo Statuto. Ma non se la sentiva neanche di mentirle spudoratamente quando era così angosciata.

“Va tutto bene. Harry si preoccupa per me, e non mi lascia mettere un piede dove non devo.” Le sorrise rassicurante. O almeno, sperò di averlo fatto. Era inefficace in quel genere di esternazioni. “Ed ho capito la lezione.”
Sua madre annuì, con un sorriso debole, tenendogli la mano tra le sue. “Dovrei dire che ormai sono abituata a non sapere cosa fai quando sei nel tuo mondo… ma la verità Thomas, è che non mi sembra di fare la cosa giusta standoti lontana. Mi sembra di non proteggerti come dovrei.”

“Non è colpa vostra. Non potete…”
“Lo so.” Gli diede una pacchetta. “Ma… è una cosa da genitori Thomas… ci manchi molto, tutto qui.” Non era tutto lì, ma Tom non indagò oltre. Sentiva che non sarebbe stato pronto ad ascoltare il resto.

Al ha ragione. Devo ancora sviluppare come si deve la mia capacità emotiva.
“Mi mancate anche voi.” Buttò fuori, suonando quasi aggressivo. Sua madre però gli sorrise, facendogli una carezza.
“Il mio ometto…”
“Mamma, no.”

“Ecco qui, ometto!” Chiocciò Albus, con le loro tre ordinazioni su un vassoio in equilibrio precario. Tom era certo che avesse aspettato proprio il suo momento di maggior imbarazzo per entrare.
Prima in camerino… e adesso. È il mio turno.  
Albus aveva un modo tutto suo di fargli pagare le prese in giro e il fatto che lo trattasse da campagnolo quando erano nel mondo babbano. In realtà, era un gioco di ritorsioni vicendevoli.
Certo, alla fine avevano voglia di strozzarsi a vicenda, ma era anche divertente. E la versione maligna di Al piuttosto eccitante.
Ma questa è una cosa mia.  
Squadernò quindi un sogghigno che mise in evidente allarme l’altro. Prese il suo caffè americano e ne diede un sorso. Poi parlò.
“Mamma, sai che nel Mondo Magico non sanno proprio niente di prevenzione dalle malattie sessualmente trasmissibili?” Vide Al diventare bianco come un cadavere. Il sesso, per lui, era qualcosa che non si discuteva ad alta voce. Non direttamente. Si alludeva. Doveva essere un retaggio familiare, a giudicare quanto era pudico Harry; per non parlare di quel represso di Ron.
Comunque, devo ammetterlo, il mio Potter – Weasley recupera ampiamente a letto.
Sua madre abboccò all’amo. “Thomas! Vuoi dire che non usate il preservativo?”
Passarono la successiva mezz’ora a tentare di smacchiare il maglione di Al da ben due ordinazioni.

 
 
****
 
Hogwarts, Dormitorio di Serpeverde, Stanza del Caposcuola.
Dopocena.

 
“Sei stato veramente stronzo.”
Tom fece un sorrisetto compiaciuto mentre riponeva con la bacchetta il completo di Al – finalmente poteva usarla indisturbato –nel suo armadio. Con attenzione, che non si sgualcisse. L’altro sarebbe stato capace di impilarlo assieme ai suoi terrificanti maglioni e alle mortificanti felpe sportive.

“Mi sono solo vendicato… non vedo dove stia il problema.” Osservò neutro, voltandosi. Albus se ne stava steso sul letto, con le braccia incrociate e genericamente l’aria arruffata, imbarazzata e ostile.
Era delizioso.
“Vendicato di cosa?!”
“Forse dell’erezione che mi sono dovuto far passare in camerino…” Gli fece notare, e Al ebbe il buon gusto di ghignare.

Dopotutto erano serpeverde.
“Ma quella era per il sarto lascivo, visto che lo assecondavi.”
“Mh. Lascivo.” Se la passò sulla lingua, mentre l’altro tentava miseramente di non fissargli le labbra. “Hai imparato una nuova parola.”
“Stronzo!”
“Questa invece è sempre la stessa.”
Tom evitò per un soffio il lancio di Jenkins, parando con un braccio. La mira di Al era eccellente, ma anche piuttosto prevedibile. Almeno per lui.

Una pausa… solo una piccola pausa da tutto quello che mi sta aleggiando attorno…
Le indagini di Harry erano partite, Scorpius l’aveva ufficialmente designato suo assistente e sarebbe partito per Durmstrang. Erano tutte buone notizie in sé, ma complessivamente lo avvicinavano allo Scontro Finale, come lo aveva ribattezzato Al.
Si mise in ginocchio sul letto, raggiungendo l’altro, che tentò di scostarsi. Tentò era la parola giusta: non ne aveva difatti la minima intenzione. Ebbero una breve colluttazione, dove Tom probabilmente avrebbe avuto la peggio – l’altro era stato temprato da risse infantili con James – se il suddetto non si fosse docilmente arreso dopo circa dieci secondi.
Tom si trovò quindi sopra di lui, a tenerlo fermo con una mano sul petto.
“Per me quell’erezione puoi tenertela per tutta la notte.” Ritorse Al, ficcandogli le unghie nella pelle del braccio.
Quest’erezione.” Specificò, e ad Al tremò un sorriso sulle labbra, premendo per uscire. “Comunque ho vinto io.”
“Con l’agghiacciante conversazione sul sesso babbano che ho dovuto sostenere con tua madre, di sicuro.” Brontolò l’altro, rabbrividendo al ricordo. “Non sapevo che sapesse, comunque.”
“Non gliel’ho detto io…” Lasciò la presa sul petto, ora che sapeva che non sarebbe sgusciato via con consumata abilità da Cercatore. Gli baciò il collo, ottenendo in risposta un sospiro soffice. “L’ha intuito da sola. In effetti, a ben pensarci, davanti a lei mancava solo ci tenessimo per mano…” Gli soffiò sulla pelle.
“Non ti tengo per mano d’inverno… hai le mani come due ghiaccioli.” Mugolò Al, che in certi casi perdeva la capacità di parola spedita per diventare un piccolo cumulo di ansiti e gemiti. Non che a Tom spiacesse, beninteso.

Affatto.
Sollevò il maglione Weasley e glielo fece passare dalla testa mandandolo a morire da qualche parte sotto il letto. Al fece fare la stessa fine alla sua maglietta.
Tom pensò che avrebbero dovuto essere tutti così, i momenti della sua vita. Non perfetti, ma giusti per loro.
E ricaccerò sin nelle viscere dell’inferno Hohenheim per continuare ad averne…
Al lo tirò a sé per un bacio. “Non siamo il genere di coppia che sta avvinghiata come un polipo… per questo la gente pensa che potremo esserlo, ma non ha prove…” Interruppe il corso dei suoi pensieri. “E poi neanche andiamo al Ballo assieme.”
Tom inarcò le sopracciglia. Aveva sentito del rimpianto?
“Volevi che andassimo assieme?”
Al prese un’aria imbarazzata, fissandogli la clavicola destra con intensità. “… no.” Emise. “Cioè, ho dato da subito la mia parola a Rosie e tu l’hai data a Meike, e poi … non credo ci saranno tante coppie dello stesso sesso.”
“Più di quante immagini, secondo Nott.” Lo corresse studiandolo attentamente. “Se non hai questo desiderio… cos’è che vuoi?”

Al gli lanciò un’occhiata, ma non rispose. Preferì direttamente dargli un altro bacio. E poi Tom smise di chiederselo, ben preso da altro.
 
Quella era tutta colpa di Lily.
Sì, perché erano due settimane che non faceva che parlare di quel maledetto Ballo e, come se non bastasse, di come avrebbe volteggiato tra le braccia del suo tedesco. Il che faceva tanto principessa delle fiabe, come diceva a chiunque le chiedesse come si sentiva in merito.
Poi ci si era aggiunta Rose. Era ben determinata ad avere un ballo col suo Malfoy, cascasse il mondo. Così gli aveva confidato quella sera a cena, con aria da soldato in missione.
Ballo… Ballo… dannato, stupido Ballo del Ceppo.
Intrecciò le dita dietro la nuca, mentre accanto a lui Tom dormiva profondamente. Avrebbe potuto soffocarlo con Jenkins e non avrebbe avuto reazioni percepibili.
Cos’è che vuoi?
Voleva un ballo. In minuscolo. Un ballo con Tom.
Merda. Sono una principessa.



****

Note:
L’ordinazione di Al è un Caramel Macchiato. xD Capitolo di passaggio, ma ehi. Ogni tanto ci vuole.
1 Qui la canzone. Gruppo estremamente carino.

2. Savile Row: è la via, nel quartiere di Mayfair, dedicata interamente alla sartoria su misura. Si trovano boutique vecchie di secoli, molto prestigiose. È una passeggiata estremamente chic. xD Qua per maggiori informazioni.
3. Gieves&Hawkes: uno dei più vecchi negozi di sartoria del quartiere, con tanto di benedizione della Regina. Molto costoso. Qua per maggiori informazioni.

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXV ***


Capitolo XXXV



 
Edward non è cattivo. È solo sbagliato.
(Edward Mani di Forbice, 1990)
 
 
Il vento era così forte, quella sera, che avrebbe potuto staccare la testa dal collo di un uomo.
Così aveva detto Johannes. Non smetteva mai di parlare, Johannes, anche quando sarebbe stato indicato.
Sören invece non era riuscito a dire una parola fino a quel momento, anche avesse dovuto. Un groppo di panico gli aveva attanagliato la gola, come se un ragno di metallo gli avesse artigliato le corde vocali.
La casa in cui stavano per entrare era di una persona importante. Di un americano. Era la prima missione di Sören nel Nuovo Continente. Non la prima per la Thule. In quel caso il mago era un inventore. Aveva scoperto un formula magica per scomporre il proprio corpo e renderlo penetrabile alle sostanze solide.
Aveva ideato, più banalmente, un incantesimo per oltrepassare muri, cancelli… caveau.
Un incantesimo che la Thule voleva. A lui doveva bastare quello. Cos’altro aveva bisogno di sapere del resto?
“Andiamo principino… sta’ a te.” 
Sören aveva toccato il cancello, dove c’era l’apertura, dove avrebbe dovuto entrarci una chiave.
La magia gli aveva incendiato le vene del braccio. Aveva fatto una smorfia, ma non aveva vacillato. Quel Colloportus era davvero complesso.
Normale. È la villa di un inventore che farà brevettare il suo incantesimo tra pochi giorni. Tutto normale.
La porta finalmente si era aperta e lui aveva ritirato la mano.
“Bravo. Ora sta’ dietro a me, e bacchetta alla mano. Non che ti serva… ma sempre meglio nascondere la propria piccola arma segreta, vero? Prendi la bacchetta.”
Sören aveva preso la bacchetta.

Erano entrati nel giardino. Era grande e ben curato, si poteva notare anche nell’oscurità. Gli oleandri ondeggiavano al vento come se stessero danzando. Sören si era distratto a guardarli. Ma solo per un attimo, dopotutto non l’aveva visto nessuno.
La casa, dentro, aveva una grossa scalinata centrale, bianca e di legno, che portava ai piani superiori.
“Dividiamoci.” Aveva detto Johannes. “Può tenere la formula nel laboratorio o nello studio. Tu va’ sopra, io andrò di sotto.”
Sören aveva annuito. Quando l’altro se n’era andato, aveva preso le scale. La casa era silenziosa: era molto tardi, l’inventore e la sua famiglia probabilmente stavano dormendo. Era passato di fronte ad una fila di porte bianche, tutte uguali. In due di esse c’erano nomi con grafia infantile: Logan e Matt. Bambini, suppose. La vernice era piuttosto fresca, quindi era un lavoro recente. Bambini piccoli.   
Non che abbia importanza. Non l’ha mai.
Lo studio era stato chiuso da un secondo Colloportus. Sören l’aveva disincantato con lo stesso metodo. La mano gli bruciava, ma era più sicuro che usare la bacchetta. Johannes gli aveva detto che gli americani erano specializzati in incantesimi di allerta.
Non si aspettano che al posto della bacchetta ci sia una mano, principino.
Era entrato dentro, e aveva cominciato a frugare. Non gli ci era voluto molto: l’incantesimo era dentro un cassetto prima chiuso, scritto in carta da bollo: formula, illustrazione del movimento della bacchetta. Era  pronto per essere inviato all’Ufficio Brevetti per Incantesimi Sperimentali.
L’aveva fatto levitare con la bacchetta fino a lui e poi l’aveva infilato dentro un piccolo tubo di metallo. Se l’avesse toccato a mani nude, avrebbe fatto scattare l’ennesimo allarme.
 
“Fermo dove sei!”


La voce l’aveva fatto gelare sul posto. Una voce di uomo. Nemico.
“Voltati lentamente, tenendo le mani bene in vista.”
Dov’era Johannes? Perché non si era accorto che c’era qualcun altro, oltre a loro?
Si era voltato, tenendo la testa china, il cappuccio del mantello calato a nascondergli il viso. Non che avrebbe funzionato a lungo.
“Butta la bacchetta a terra e calciala nella mia direzione. E togliti il cappuccio.” Appunto.   

L’uomo era un agente della forza di polizia magica americana. Aveva l’uniforme e il viso illuminati di un lumos brillante. Sören aveva obbedito a tutti i suoi ordini, compreso quello di abbassare il cappuccio. Aveva quindi visto sgomento, e poi confusione sul volto dell’altro.
“Ma sei un ragazzino…” Aveva mormorato. Aveva poi riflettuto. “Dov’è il tuo complice?”
“Sono solo.” Gli aveva risposto. Il mago aveva serrato la presa sulla bacchetta: era per il suo accento. Sapevano tutti che la Thule aveva affiliati soprattutto in Germania. Lui era tedesco. Non era una coincidenza. Era un buon’indizio per mantenere la massima allerta invece.

“Non è possibile che mandino…” Si era bloccato. “Quanti anni hai?”
“Sono solo.” Quanto ci avrebbe messo Johannes a rendersi conto che era rimasto bloccato? Quanto?

“Non puoi essere solo!” Era sbottato, guardandosi attorno, come se si aspettasse che il suo partner si materializzasse dalle ombre. Avrebbe potuto, pensò Sören, ma non in quel caso. Sempre tenendolo sotto tiro, l’uomo si era portato alle labbra quello che sembrava un orologio da polso. “Richiedo rinforzi alla villa del Professor Eastwick. Ripeto. Richiedo immediati rinforzi alla villa del Professor Eastwick.”
Se solo si fosse avvicinato abbastanza … Sören non poteva scagliargli uno schiantesimo da quella distanza. Con
l’arma non poteva. No, per funzionare doveva toccarlo.
“Come ti chiami?” L’agente era stato insistente. Sören aveva serrato le labbra, e quello stranamente aveva sorriso. Perché sorrideva?
“Okay. Io mi chiamo Jeremiah. Ho una figlia della tua età… dovresti avere sui quattordici anni, vero?” La bacchetta non si era abbassata, ma le difese di quello stupido mago sì. Glielo aveva letto nella postura. “Senti, non so come sei finito in questa situazione, ma può finire diversamente. Può non finire male.”
Dubito – aveva pensato – ma non per me.
“Devi solo darmi quell’incantesimo. Avanti…” Aveva teso la mano. “Dammi l’incantesimo e andrà tutto bene. Lo vedo che sei spaventato…”
Non era spaventato. Aveva quattordici anni, sì, ma non era spaventato. Era la sua quinta missione quella.

Poi aveva notato che la mano che stringeva il tubo di metallo, la sua mano… stava tremando. E quel sudore che gli aveva coperto il viso? Da dove era venuto fuori?
Era stata quella mano tesa a spaventarlo. Era stata la gentilezza. Quella comprensione. Non aveva senso.
“Andrà tutto bene figliolo…”
Non è vero – aveva pensato una parte di sé, con rabbia. E poi gli aveva afferrato la mano.
L’uomo non aveva fatto in tempo ad allarmarsi che Sören aveva mormorato l’incantesimo: era crollato a terra come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.
A quel punto era arrivato Johannes. “Ehi! Dannazione, stanno arrivando le teste di latta…” Si era fermato a guardare l’agente, forse perché gli era quasi inciampato addosso. “E questo che diavolo ci fa qui?”
“Doveva essere di sorveglianza alla casa.” Aveva mormorato. “Mi ha sorpreso.”
“Beh, poco importa.” Aveva scrollato le spalle l’altro. “Hai con te l’incantesimo?”
Sören aveva annuito ed era andato ad aprire la finestra, loro via di fuga. Poi un lampo verde. Quando si era voltato, l’agente era nella stessa posizione di prima. Ma non respirava più.  

Perché?” Non si era reso conto di averlo urlato finché l’altro non l’aveva sbattuto contro il muro per tappargli la bocca.
“Perché ti ha visto in faccia, piccolo idiota. E obliviare uno yankee è inutile. Hanno in brevetto un contro-incantesimo anche per questo.” Gli aveva sussurrato. Vedendo la sua espressione, aveva fatto un ghigno. “Che c’è, rimorsi? Io non ne ho. Sei tu che ti sei scoperto ed io ho dovuto ucciderlo. Andiamo, prima di svegliare l’intera casa.”
Sören l’aveva seguito, e buffo, gli era venuto in mente che quell’uomo non avrebbe più teso la mano a sua figlia.

Che spreco farlo con me per l’ultima volta – aveva pensato, mentre si lanciava giù dalla finestra.
 
 
16 Dicembre 2023
Scozia, Hogwarts, Vascello di Durmstrang. Mattina.
 
Sören schiacciò la faccia contro il cuscino, prima di alzarsi in piedi con un unico, fluido movimento.
Odiava il dormiveglia: non era incerto come il mondo dei sogni. C’erano i ricordi, nel dormiveglia.
Poliakoff si voltò insonnolito. “Già in piedi?” Chiese sbadigliando.
“Devo allenarmi.”
“Ti raggiungo.” Annuì l’altro. “Per colazione, intendo.”
“No, salgo ad Hogwarts.”
L’altro ghignò. “Dalla tua bella inglesina?” Perché la sua espressione, solitamente stolida, ora gli ricordava quella di Johannes? Perché gli sembrava che quella domanda contenesse un fondo indagatorio?

Lo stava controllando?
Era una sensazione che aveva da un po’. La sensazione che Kirill non fosse lì solo per assisterlo e fargli braccio destro.
No, zio si fida di me. Non ha motivi per non fidarsi di me. Non ne ha mai avuti.
“Beh, vai da lei?” Incalzò l’altro, ignaro delle sue riflessioni.
Non gli e non si rispose, infilandosi la casacca da allenamento, uscendo.
Il rimedio migliore per un brutto sogno, gli aveva detto una volta qualcuno, era tornare al mondo reale.
Quindi sì, andava da Lily.
 
****
 
Hogwarts, aula undici. Lezione di Divinazione del Quinto anno.
Mattina.
 
Lily lanciò un’occhiata divertita a Fergus che, accanto a lei, dormiva appoggiato al tronco nodoso di un albero. Finto albero. Albero trasfigurato. Quel che era, insomma.
In ogni caso, dei suoi amici, probabilmente era l’unica a seguire con continuativo interesse le lezioni di Divinazione: Hugo e Gail al momento fissavano l’artificiale volta stellata con l’aria remota di chi poco capiva, ma cercava di non darlo troppo a vedere.
Il professor Fiorenzo passava tra di loro, con morbido rumore di zoccoli sulle zolle di muschio umido che facevano da pavimento all’aula. La sua voce musicale parlava di eclissi, stelle e pianeti.
Lily adorava quel posto. Si respirava odore di bosco e le sembrava di tornare bambina quando, dopo un pomeriggio passato a giocare si addormentava sotto le fronde di qualche grande albero del Devonshire.
Detto così, sembrava apprezzasse solo l’ambiente. In realtà, Divinazione era una materia che l’affascinava. C’era qualcosa di misterioso e oscuro, in come Fiorenzo spiegava che gli astri influenzavano, ma non costringevano il corso del Destino.
Lily non credeva esattamente in quel tipo di destino. Ma semplici coincidenze non avrebbero potuto farle conoscere un parente del Principe.  
Corsi e ricorsi storici, aveva pensato dopo la chiacchierata con Ren. Decenni prima due amici di una vita si separavano. Anni dopo lei e Ren si conoscevano e diventavano amici. Non era una coincidenza.
Amici? È questo ciò che siete?
La voce le pungolò un angolo remoto della coscienza: era leggera, ma presente da…
Da un bel po’, mi sa. Solo che prima non la ascoltavo.
Qualche giorno prima era andata ad Hogsmeade per il suo agognato abito. Da Stratchy&Sons, aveva finalmente potuto parlare con Roxanne in santa pace, dato che Rose era infossata in un camerino e Hugo era stato eletto a suo recalcitrante ‘parere maschile’.
Roxanne era il suo metro di giudizio: poteva essere brusca, o dai giudizi senza possibilità di appello, ma anche sincera. E la conosceva meglio di chiunque altro sulla faccia della terra.
E con conoscermi, intendo la vera me. Quella che si riempie di seghe mentali invece di seguire la lezione…
 
“Così ci vai col Campione di Durmstrang.”
Non era una domanda. Del resto era certezza: sarebbe andata al ballo con Sören Luzhin.

“Già!” Aveva confermato infatti distratta. “Pensi che dovrei vestirmi in azzurro o in rosso? L’azzurro è il mio colore, ma l’uniforme di Durmstrang è color porpora. Però ho i capelli rossi, e l’insieme sarebbe… troppo rosso. Che ne pensi?”
Roxanne era seduta su uno dei divanetti di fronte ai camerini di prova. C’era un bel viavai, tra studentesse alla ricerca della
mise perfetta e commesse che si aggiravano indaffarate attorno a coloro che, dritte su una pedana, si stavano facendo aggiustare il vestito ad hoc.

Roxanne era seduta e aveva anche il cipiglio delle Grande Occasioni. “Cosa c’è tra di voi?” Aveva buttato fuori senza mezzi termini.
Lily, tra le dita un paio di décolleté color pan di zucchero, l’aveva fissata per mezzo secondo senza capire. “Tra me e Ren?” Aveva detto poi. “Siamo amici, perché?”
“Non sembrate amici.” Aveva ribattuto l’altra. “È la prima volta che parli così tanto di un ragazzo.”

Colpita e affondata. Lily si era sentita arrossire diffusamente, ma aveva ignorato il tutto. Roxie no, da come le aveva servito un sorrisetto consapevole.
“Non è vero. Parlo
sempre di ragazzi!”
“Appunto. Ragazz
i, plurale. È la prima volta che ce n’è solo uno.”
“Ma… perché…” Si era chiesta se Rosie avesse finito di divincolarsi in camerino per entrare nel vestito. Perché le serviva proprio un time-out. “…è un tipo particolare!” Si risolse a dire alla fine. “Non è che stando ad Hogwarts conosci gente nuova! Sono sempre le solite facce!”

“Vero.” Non aveva aggiunto altro, e Lily si era irritata. Talvolta non sopportava l’aria sorniona che la cugina più grande assumeva. Era l’unica persona al mondo a farla sentire… piccola.
“Senti… anche se… e dico se, avessi una cotta per lui, che ci sarebbe di male? Non è la prima volta che mi prendo una cotta!”
“Già.”
“Allora cosa c’è?”
Roxanne aveva scrollato le spalle. “Niente.”
“Non è niente! Non hai la faccia da
niente.”
“Neanche tu.” Aveva ribattuto la mora, poi le aveva fatto cenno imperioso di sedersi. Lily aveva obbedito. “Ascolta… non mi sono mai preoccupata di vederti innamorata del ragazzo sbagliato, come è successo a me più volte di quanto abbia voglia di ricordare.” Aggiunse malmostosa, e Lily pensò che la cugina non avrebbe mai digerito la faccenda Rupert Chang. “Perché, Lils, tu non ti sei mai innamorata.”

“Beh, ho quindici anni, non ho certo voglia di straziarmi per qualcuno. Voglio divertirmi!”
“Ben venga, ma non è questione di voglia… il punto è che non sei mai stata veramente coinvolta. Mentre stavi con qualcuno già pensavi al prossimo.” Roxanne le leggeva troppo bene dentro. 

Lily si era appoggiata con la schiena al divanetto. “Non capisco dove tu voglia arrivare.”
“Ci scriviamo spesso, a volte mi sembra di essere il tuo diario segreto, Rossa.” Usò il loro nomignolo confidenziale e Lily si sentì un po’ più bendisposta. “Sai bene dove voglio andare a parare.”
Roxanne era sempre stata molto protettiva con lei. Forse era il sangue che condividevano, o  proprio le loro diversità. L’altra era stata ragazzina dalle grandi passioni ma dall’irrisolta incapacità di esternarle, e lei una bimbetta curiosa a cui fare confidenze proprio in ragione della sua giovane età. Era da Roxie che aveva capito quanto i ragazzi fossero semplici, ma spesso incostanti come nuvole in balia del vento.
Improvvisamente aveva capito dove voleva andare a parare.
“Non mi sono innamorata di Ren!” Era sbottata, e solo perché il negozio era pieno di voci femminili nessuno l’aveva sentita. Visto che aveva urlato.
L’altra aveva inarcato le sopracciglia. “Davvero.” Odiava quando appiattiva il tono, per far sembrare domande constatazioni. Perché Lily si era accorta che no, forse non era davvero.
Aveva sbuffato, reclinando la testa sull’imbottitura dei cuscini. “… okay, beccata.” Aveva ammesso, sentendo il cuore fare un tuffo. “Forse… e dico forse… Ren è diverso dagli altri.”
“Questo me l’hai scritto circa un migliaio di volte.” Le aveva dato una pacchetta sulla testa. “E poi?”
“E poi… mi sono legata a lui. Per vari motivi.” Non aveva avuto voglia di raccontarle delle loro parentele parallele. Erano una cosa tra lei e Ren, aveva deciso. Si era quindi schiarita la voce, per darsi un tono. “Non vuol dire che ne sono innamorata. E poi cos’è innamorarsi? È così diverso dal prendersi una cotta?” Aveva argomentato, accalorandosi. “Perché finisce sempre nello stesso modo. Ci si molla quando ci si stanca! Ecco tutto! Non è
tanto diverso!”

Roxanne l’aveva guardata con indulgenza. E poi aveva usato una delle sue frasi trincianti.
“Benvenuta nel club.”
Non era riuscita a ribattere.
 
Poi per fortuna Rose era uscita dal camerino e la questione era finita lì.
Ma Lily ci rimuginava sopra da trentasei ore. Era davvero innamorata di Sören? E se sì, che cavolo di futuro poteva avere un sentimento del genere se l’altro viveva normalmente a miglia da lei?
Ma sto andando troppo avanti… non so neanche cosa lui provi per me.
Era anche quello il problema. Normalmente, se si prendeva una cotta per qualcuno, era perché quel qualcuno le aveva già dimostrato di ricambiare il sentimento. Nessuna incertezza percepita.
Ren invece…
Sì, teneva a lei, questo era riuscito a capirlo – grazie tante, poteri – ma nient’altro. Era un enigma vivente, chiuso in uno scrigno e gettato dentro una fossa atlantica.
Per eufemizzare.
Quella mattina, ad esempio, era venuto a far colazione come sempre, ma era rimasto zitto tutto il tempo, limitandosi ad ascoltarla parlare con gli altri. Quando gli aveva chiesto cos’avesse l’aveva guardata con stupore, quasi non si fosse accorto del suo attacco di asocialità.
Era strano, Ren. Era come se un’inquietudine continua gli scorresse sottopelle. Non poteva dimenticare ciò che aveva visto sulla vascello, la furia angosciata con cui si allenava. A volte, poi, lo beccava a fissare il nulla con aria smarrita.
Beh, sarà per il Tremaghi. Pressioni, rischio della vita. Sarà preoccupato per la Seconda Prova.
Ma non era quello. Quando parlava del Torneo era distratto, sembrava quasi non interessargli.
E ad aggiungere stranezza al quadretto, più di un paio di volte aveva sorpreso Tom a spiarli.  
Cosa diavolo mi sto perdendo? È come l’anno scorso? Succedono delle cose e io non le capisco?
Non era una bella sensazione, e cercò di scacciarla per l’ennesima volta.
È solo una roba mia. Dentro la mia testa. Pensa al ballo. Pensa al Ballo del Ceppo.
Sentì le persone muoversi accanto a sé e si rese conto che la lezione era finita.
Perfetto. Non ho seguito affatto. E se devo affidarmi a Hugo o Gail…
Fece una smorfia: era colpa sua però, c’era poco da fare. Si alzò, mettendosi la borsa a tracolla, pronta a seguire gli altri fuori dall’aula
“Lily Potter, una parola, prego.”
La voce del professore la riscosse, e si voltò per incrociare i suoi grandi – e piuttosto inquietanti – occhi color zaffiro. Sì, stava parlando con lei. Del resto chiamava tutti per nome e cognome, non ci si poteva sbagliare.

Deve essersi accorto che ero distratta. È ingiusto però, non dice mai niente a nessuno di solito!
Annuì con un sorriso colpevole, facendo un cenno di commiato agli amici.
Comunque è una mania, fermarmi dopo le lezioni. Tra lui e la McGrannitt…
Il centauro gli fece cenno di chiudere la porta e Lily obbedì. Aveva un buon rapporto con il docente. Di solito, era una delle poche a non fissarlo sperduta durante le lezioni.
Le stelle sono luminose stasera…
“Senta, mi dispiace, so che avrei dovuto seguire, ma…” Era una nuova tecnica: sembrava che i docenti fossero positivamente colpiti dal suo cambio di rotta verso la sincerità.
Beh, di solito sono la regina delle scuse.
“Non ero questo ciò di cui volevo parlarti.”
Lily ammutolì, guardandolo incuriosita: a volte con Fiorenzo si aveva l’impressione che non fosse davvero lì, in quell’aula, ad insegnare. Ma nella sua foresta. Parlava di costellazioni, di comete e avvicendarsi dei pianeti, e loro ascoltavano, bruciando in salvia e malva. Erano lezioni strane. Fergus e Abigail, che avevano la madre Nata Babbana, le avevano detto che quelle lezioni erano praticamente astrologia in pillole. Ma lì non si trattava di predire il campionato di Quidditch o l’esito di una verifica. Il centauro parlava di macro-eventi, bene contro male e roba del genere.
Lily adorava Divinazione.
Si sedette su uno dei tronchi tagliati che facevano da sedile a chi non aveva voglia di sporcarsi l’uniforme d’erba. Aspettò, perché un centauro non aveva esattamente la stessa concezione del tempo di un essere umano.
È mooolto più rilassata…
“Marte è crescente. Sono anni che non succede.” Disse dopo un po’. Lily lo guardò perplessa.
“Okay… è una brutta cosa, giusto?” Mormorò, senza capire perché lo dicesse proprio a lei. “Stiamo parlando di guerra?” Chiese poi, inquieta. “Sa, Marte…”
Marte. Pianeta. Il pianeta rosso. Marte, il latore di battaglie.
“Le stelle influenzano, non…”
“… costringono¹.” Concluse al suo posto, facendolo sorridere.

“Sei una buona studentessa, Lily Potter. Credi nel Destino.”
Okay, ma che cavolo vuol dire?!
Era così parlare con Fiorenzo.  
Adoro questa materia. Però a volte è dannatamente frustrante.
“Sì… ci credo.” Convenne. “Senta… sta cercando di dirmi che corro qualche pericolo? Io o qualcuno che conosco?” Cercò di intuire, di pescare a caso nel mare delle possibilità che la frase gli offriva.
Marte è crescente. Marte non è un gran bel pianeta, e non dovrebbe crescere. Proprio no.
Il centauro le sorrise. “Come ti ho spiegato, leggere i transiti dei pianeti è una scienza che richiede a volte anni per capire il significato di ciò che si vede. Nessuno ha la certezza di comprendere con precisione. Neppure noi centauri.” 
“Okay…” Non avrebbe ricavato nient’altro. Ma il solo fatto che l’avesse detto a lei…
Significa che in questa storia di Marte c’entro.
Sarà per quello che è successo nell’ultimo periodo? Tom è stato rapito… e poi quei serpentoni, e i Dissennatori. Di certo Marte è un bel po’ agguerrito di questi tempi.
“È molto vicino. Ma lo è anche Venere.”Aggiunse il centauro con quel suo tono pacato. “Presta attenzione, Lily Potter.”
Uscì dall’aula con una sensazione di ansia indefinita; Fiorenzo non era tipo che avrebbe messo angoscia ad uno studente per esibire le sue capacità, come suo padre le aveva raccontato facesse la precedente professoressa. Se le aveva detto quelle cose, era perché credeva che le sarebbero servite.

Marte e Venere. Okay, mi servirà saperlo. Ma sapere cosa?
Mi sto davvero perdendo qualcosa?
 
****
 
Hogwarts, Biblioteca.
Dopopranzo.

 
Tom aveva pensato, non troppi giorni prima, che stimava Scorpius Malfoy, al di là del loro diverso modo di vedere il mondo.
Al momento attuale si sarebbe rimangiato tutto con piacere. Scorpius Malfoy era un babbuino.
“Mi stai rallentando…”
“Ti sto aiutando nel risolvere l’indovinello!”
“Non ho l’abitudine di pensare in compagnia, Malfoy.”
“Si vede. Ti dà fastidio persino che respiri!”

Si fissarono ostili dai lati opposti di un tavolo della Biblioteca. Da quando la Pince era andata in pensione il regime di terrore era finito. Non che fossero permessi gli schiamazzi Alla Malfoy – termine da lui coniato circa cinque minuti prima - ma si poteva perlomeno parlare.
Almeno, io ho un dispaccio speciale. Non ne vado fiero, ma resta il fatto.
La nuova bibliotecaria era la ragazza che aveva corrotto l’anno prima per entrare nella Sezione Proibita. Non lo guardava in faccia per la vergogna, e quindi riteneva improbabile che sarebbe venuta a dir loro di smorzare i toni. Era una situazione ideale.
Lanciò un ennesimo sguardo esasperato al grifondoro, che per tutta risposta incrociò le braccia al petto. Non me ne vado -  sillabò senza voce.
Tom ebbe l’impulso di colpirlo ripetutamente, e con forza, con la costola di un libro; del resto ce n’erano molti sul tavolo. Si cullò brevemente nel cruento pensiero e poi diede un ennesimo sguardo al fazzoletto sporco che Malfoy si era faticosamente sudato. Le parole erano stiracchiate, quasi illeggibili.

Devono essere stata scritte con una soluzione che prevedeva una reazione chimica con il sangue.
Posso dire che è disgustoso?
Ihcco ilg non erouc li ottelfir.” Lesse con una smorfia disperata l’altro. “Che lingua è per le sottane di Merlino? Sembra runico tradotto male!”
“Non è runico.” Tom sospirò, sfogliando svogliato l’ennesimo dizionario di qualche lingua morta. “E  neppure goblinese, greco antico, latino, norreno, gallico o…” Si fermò, perché l’altro aveva l’aria di uno che voleva suicidarsi. “Troveremo una soluzione.”

Troverò. Va’ ad esercitare i tuoi muscoli rosso-oro. Qua ci penso io.
Scorpius si succhiò un labbro con aria concentrata, ignorando i suoi ordini mentali. “Lo spero… perché okay, manca più di un mese, ma queste prove mi sembrano sempre più complicate!”
“Se mi lasciassi lavorare in pace…” Tentò di nuovo. Scorpius lo guardò come se l’avesse appena offeso.

“Sono il Campione. Tu sei il mio assistente. Assisti.” Batté significativamente un palmo sul tavolo. “Sono io che devo arrivare alla soluzione, non tu!”
“Cosa credi che facciano gli altri campioni? Delegano.” Suggerì insinuante, ma l’altro assunse un’espressione orrendamente eroica.
No.
“Penso che finirò per ucciderti.” Gli confessò senza mezzi termini.

Scorpius sorrise deliziato. “Ah, Dursley… lo sanno tutti che non mordi davvero.” L’istinto di provocargli ferite gravi con un libro riapparve prepotente. “Anche se, confessione per confessione, non so come tu faccia a non prenderti un pugno in faccia ogni volta che apri bocca. Sei insopportabile.”
Si guardarono nuovamente, con tensione da film western – Tom ne aveva visti tanti, volente o nolente, durante la sua infanzia.
E poi il vistoso tatuaggio di quel cretino. Da lì sembrava proprio un serpente che, stilizzato, si inerpicava lungo il collo in inchiostro nero. Tom odiava i serpenti.
Penso di aver conseguito un trauma psicologico di rilevante entità grazie ai Naga, l’anno scorso.
Mi si può dunque biasimare?
“Quello è un serpente?” Si informò, perché la puntigliosità era il suo forte.
“No, è un drago. È parte dello stemma araldico della mia famiglia.” Fu la risposta.
Ah.
Tom comunque lo detestava; ma doveva far buon viso a cattivo gioco.  
Ho preso un impegno e se non lo mantengo, niente Durmstrang.
“Collaboriamo?” Capitolò quindi. L’altro gli fece un gran sorriso soddisfatto.
Questo è parlare!”
 
Mezz’ora dopo Tom aveva di nuovo leggermente cambiato idea.
Scorpius Malfoy era ancora un primate, ma se non altro, sapeva stare in silenzio. Aveva anche appuntato della parole che potevano somigliare a quelle scritte sulla pezzuola, ma ogni volta che ne scriveva una sembrava sempre meno convinto; quando incrociarono gli sguardi, entrambi eruppero nello stesso sospiro.
“Secondo me, stiamo sbagliando approccio.” Esordì Scorpius, ma lo disse talmente serio che Tom fu disposto a concedergli udienza.
“Che intendi dire?”
“Non sembra una lingua straniera! Guarda il non, Dursley. È non… è nella nostra lingua!” Picchiettò la stoffa. “Potrebbe essere un rebus.”
“Tipo una sciarada?”
“Tipo, sì.” Confermò, inclinando la testa, quasi potesse avere una visuale migliore. “Magari parole mischiate a caso.”

Tom sentì una spiacevole sensazione di deja-vu. L’anno scorso proprio una sciarada l’aveva trascinato in una situazione orrenda. L’altro gli lanciò un’occhiata.
“Dici che è una stronzata?” Interloquì  fraintendendo il suo silenzio.  
“No, non direi.” Non che lo avrebbe mai ammesso, ma era proprio negato nel riconoscere quel tipo di indovinelli. Scrutò la scritta, poi fece una smorfia. “Proviamo a combinare le parole, allora.”

Si rimisero al lavoro. Ma Tom ormai aveva la testa da un’altra parte. Probabilmente ci sarebbero voluti anni per smettere di associare cose assolutamente innocue alle sue orrende esperienze.
Stai andando nella tana del lupo. Dove Hohenheim ti vuole. Sei più stupido di Cappuccetto Rosso.
Serrò le labbra, appoggiando la penna fuori dal foglio per non macchiarlo di inchiostro. Scorpius intercettò il suo sguardo, e si grattò un sopracciglio. “Sei preoccupato per la faccenda… sai. Della Thule?”
“No.” Mentì. Aveva dovuto dirgli la verità per farsi dare il posto di assistente ma non era tenuto a continuare a farlo. L’altro scrollò le spalle: impossibile capire se gli avesse creduto o meno.

“Siamo comunque più avanti rispetto agli altri Campioni!” Tentò di consolarlo. “Domi non ci sta lavorando, lo so perché mi ha detto che il suo assistente è tutto preso dal ballo. E per quanto riguarda il tedesco…” Arricciò il naso. “Luzhin è strano”
“… in che senso?” La sua attenzione lasciò completamente la pergamena per concentrarsi sull’altro ragazzo. Era quello che lui diceva da settimane. E Malfoy la pensava come lui?
Interessante.

“Beh.” Iniziò Scorpius dondolandosi sulla sedia. Non riusciva a stare fermo per più di un attimo, aveva notato. “A parte il fatto che segue la piccola Potter come un cagnolino innamorato.” Stirò un ghignetto. “Ehi, lo posso capire. Lilian è carina, e si dice in giro che le tipe di Durmstrang siano le controparti femminili dei maschi. E hai visto i maschi che razza di torri sono?”
“A parte il fatto?” Lo incalzò.

L’altro scrollò le spalle. “Non sembra uno studente. È … come se non gliene fregasse nulla del Torneo. Non è normale. Io ci penso sempre, ventiquattr’ore non stop, e così fa Dominique, anche se non sembra. Persino il giorno della Prova sembrava pensare ad altro.” Prese la piuma e se la rigirò tra le dita con una certa destrezza. “E poi usa continuamente l’Occlumanzia.”
“L’Occlumanzia?”  

Il biondo annuì. “Come te la spieghi quell’aria costipata altrimenti?” Sghignazzò e persino a Tom uscì un mezzo sorriso. “A parte gli scherzi… tra Occlumanti ci si annusa a miglia di distanza. Quello lì si protegge neppure fosse la Gringott.”
“Perché?” Non aveva senso usare una tecnica così stancante dal punto di vista emotivo, in un contesto studentesco in cui nessuno, per quanto ne sapeva lui, padroneggiava il Legimens. Lo zio dell’attuale Capocasa di Serpeverde, il professor Lumacorno, era stato peraltro l’ultimo docente ad averla padroneggiata. Ed era in pensione da anni.

Scorpius sembrò intuire le sue perplessità. “L’Occlumanzia a volte si attiva senza che tu te ne accorga. È una difesa naturale come, chessò, cadere con le mani avanti per proteggersi la faccia.” Mimò il gesto. “Secondo me, ha paura che qualcuno scopra qualcosa su di lui e inconsciamente… bam! Si chiude.”
Tom fece una smorfia. Non era convinto. Luzhin gli aveva dato l’idea di un soldato. Un tipo che non sprecava energie inutilmente.  
Si accorgerebbe se usa una tecnica che non gli serve a nulla. Ne avrebbe ragione.
Forse sbagliava a crede di capirlo fino a quel punto.
Ma non credo. È più simile a me di quanto non voglia. Ed io farei così, se avessi la sua preparazione.
“Oppure…” Lo riscosse Scorpius. “… c’è un Legimante nelle vicinanze e la sua magia lo percepisce. E quindi si attiva in automatico fiutando il pericolo. Se sei abbastanza potente e portato, succede.”
Legimante nelle vicinanze…
Tom si sarebbe dato dell’idiota. Si trattava di collegare due fatti, che peraltro Scorpius gli aveva sottolineato pochi momenti prima.
Segue la piccola Potter come un cagnolino. Si protegge manco fosse la Gringott.
Lily era una Legimante Naturale: dormiente per la sua stessa sicurezza, ma comunque tale. Capace, in linea teorica, di leggerlo.
È da lei che si protegge. La percepisce come un pericolo perché potrebbe scoprire qualcosa su di lui. Ormai è chiaro. Nasconde qualcosa.
Ne avrebbe parlato ad Harry, se avesse avuto delle prove concrete alla sua tesi. Che era poi molto semplice.
Luzhin potrebbe essere coinvolto con la Thule. Proprio perché è il Campione: chi sospetterebbe mai di un giovane mago scelto per i propri meriti a concorrere ad un Torneo?
I colpevoli di solito sono proprio di chi non si sospetta.
Ma, come si auto-ripeteva fino alla nausea, non aveva prove: con i sospetti non si accusava nessuno.
“Dursley?” Malfoy gli tirò una pallina di carta, che schivò con irritazione. “Sei dei nostri?”
“Stavo solo pensando.”

“Fai qualcos’altro da quando sei nato?” Lo prese in giro, girando poi la pezzuola verso di lui. “Avanti, pensa a questo.”
Tom sbuffò, ma focalizzò di nuovo la sua attenzione sul fazzoletto. Distolse però lo sguardo, dato che un raggio di sole, che si era riflesso sulla finestra davanti a loro, lo aveva abbacinato.
Riflesso.
Avrebbe detto ‘eureka’ se fosse stato dignitoso. Balzò invece in piedi, afferrando la borsa di Malfoy e frugandoci dentro. “Hai uno specchio comunicatore. Quando è spento funziona come uno specchio, vero?”
Ehi!” Esclamò l’altro sbalordito. “Sì, me l’ha regalato Jamie, ma che stai…”
Lo tirò fuori e lo aprì con uno scatto secco, posizionandolo davanti alla pezzuola. La superficie di vetro riflesse la scritta. Al contrario.

“Leggi.” Ghignò trionfante. “Credo che adesso abbia senso.”
Scorpius si sporse, perplesso, e poi sgranò gli occhi. “Rifletto il cuore, non gli occhi! Ha senso!” Esclamò sbalordito. “Grande Dursley!” Berciò, e si beccarono entrambi una caterva di sibili inducenti al silenzio.

Si risedettero quieti, ma, notò Tom divertito, con due sogghigni speculari.
Rifletto il cuore, non gli occhi…” Ripetè l’altro contento. “Beh, già meglio! Non so che cavolo vuol dire, ma…” Alla sua espressione irritata, scrollò le spalle. “Comunque sei stato grande. Era una stronzata da decifrare, ma come al solito, quando ce l’hai sotto il naso…” Gli fece un gran sorriso. “Dovresti averne sempre, di queste illuminazioni!”
Tom fece un mezzo sorriso in risposta. Sì, avrebbe dovuto davvero averle.
Così trasformerei i miei sospetti in certezze. Perché Luzhin deve giocare un ruolo in questa partita. Solo non so qual è.
Tom era un tipo che amava fare tutto da solo. Di solito. Ma in quel momento, si chiese se non fosse meglio farsi dare una mano. Non poteva avvicinare direttamente Luzhin – non ne avrebbe ricavato niente.
Segue la Piccola Potter come un cagnolino…
Ma c’era una persona che sembrava conoscerlo bene.   
 
****
 
Germania del Nord, sera.
Residenza Estiva dei Von Hohenheim.
 
Bretch Van Der Linde nella vita di tutti i giorni era uno stimato mago olandese. Purosangue da ben sette generazioni – oltre non era saggio andare – commerciava in legname per bacchette. Attività redditizia che si integrava fecondamente al titolo di nascita. Viaggiava verso i sessanta ma, come amava ripetere, il buon sangue magico lo manteneva ancora attraente per le giovani streghe della società mittle-europea.
Questo era Bretch Van Der Linde per il consesso magico.
Quello che nessuno sapeva era che quel mago dall’aria mite faceva parte della Thule. Quello che nessuno sapeva era che la fitta rete di amicizie che l’Organizzazione gli aveva offerto su un piatto d’argento aveva dato modo alla sua ditta di sviluppare contratti che l’avevano reso famoso in tutto il globo.
C’era tanto che il mondo magico non sapeva, su Bretch Van Der Linde.
Invece, qualcuno ancora ricordava che aveva frequentato Durmstrang negli stessi anni di Alberich Von Hohenheim e gli era stato amico.
Per questo in quel momento sedeva nell’anticamera del suo studio.
Era preoccupato. Ma di una preoccupazione strategica, condivisa con altri membri dell’Organizzazione.

Attendeva e sapeva che era tutta scena: il tedesco lo stava faceva attendere solo perché poteva.
Irritante bastardo… - Pensò senza troppo livore, dato che non era nella sua indole.
La porta si aprì, segno che finalmente  aveva deciso di riceverlo.
All’interno dello studio ardevano malamente braci spente e il gelo invernale filtrava dalle spesse tende, ben tirate. Quindi quasi non vide Hohenheim avvicinarglisi. “Bretch.” Disse questi.
Lo trovò dimagrito. Quel genere di considerazioni, a dirla tutta, mal si adattavano sulla figura di un uomo che aveva rifondato una società come la loro. Ma era la verità: Hohenheim aveva visibilmente perso peso e aveva esattamente lo sguardo che temeva di trovargli addosso.
Quello di un uomo mangiato da un’ossessione.
“Alberich, amico mio…” Gli tese la mano e gliela strinse, valutandone la presa. Quella dell’altro era salda come sempre. Fece dunque un breve sorriso tirato. “Ti trovo bene.”
“Vale lo stesso per te.” Replicò quietamente. “Prego, siediti. Posso offrirti qualcosa?”

Convenevoli inutili, ma tra purosangue non potevano mancare.
L’olandese fece un cenno dismissivo. “Perché no? Hai ancora quel vino elfico della nostra ultima cena? Era una delizia.”
“Lo faccio portare.”

Dato l’ordine, Hohenheim gli offrì del tabacco turco e si accese la propria pipa di rimando. “La tua visita mi giunge inaspettata…” Esordì. Se c’era una cosa che si poteva dire di lui, era che non amava usare giri di parole. “Se non sbaglio, il prossimo incontro si terrà tra un mese. E so che ami passare il Natale in famiglia.”
“Ed è ciò che farò.” Convenne con un nuovo sorriso. Faceva davvero freddo in quel maledetto studio. Perché l’altro non ordinava di ravvivare il fuoco? Tirò la propria pipa. “Tuo nipote tornerà per le vacanze?”
“Com’è ovvio che sia.”
Non c’era modo di iniziare la conversazione partendo da un argomento neutro, pensò Bretch sentendo il nervosismo filtrargli dai pori. Ma era naturale: stava parlando ad un uomo che leggeva le debolezze altrui fin troppo bene.

La bottiglia di vino elfico fu portata e stappata. Bretch notò che l’altro assaggiò appena il calice.
“Riscalda il palato e rinfranca lo spirito…” Osservò. “Dovrei procurarmene una cassa.”
Hohenheim non ribatté. “Perché sei qui?” Ripeté invece.    
Era arrivato il momento. Tirò fuori il suo miglior sorriso di rappresentanza. “Noi fratelli… ci stiamo chiedendo come stia andando al missione del tuo promettente nipote.”
“Bene.”

Gli occhi di Hohenheim erano la prima cosa che notavi, quando lo avevi davanti; del colore del mare in tempesta, trasmettevano lo stesso gelo che avrebbe provato un naufrago in balia della furia degli elementi. Sin da quando erano ragazzi, aveva sempre pensato che Alberich fosse furia pura, trattenuta. Passione, legata dai fili della razionalità.
“Noi fratelli ci chiediamo…” Bevve un altro sorso per evitare di sembrare in una posizione di debolezza, quando non lo era. Alberich era il fondatore. Non il loro capo. Se lo ripetè più volte. “Qual è il tuo piano? I Doni sono ormai irraggiungibili, le ricerche parlano chiaro.”
“Non sono i Doni il mio obbiettivo.” Interloquì l’altro senza scomporsi. “Rivoglio mio figlio. Credevo fosse chiaro.” Il tono si fece improvvisamente sferzante.

L’olandese posò il calice panciuto sul tavolo. “Lo è. Quello che non capiamo, Alberich, è se tu rivoglia un esperimento che non avrebbe mai dovuto lasciare la culla dell’Organizzazione o…”
“Dov’è la differenza per voi?” Lo interruppe, schernendolo con un sorriso. “O meglio, cosa stai cercando di dirmi? I nostri fratelli…” Il tono era puro sarcasmo. “… non sono contenti di come sto gestendo la cosa?”
L’uomo tentò di dominare il nervosismo. Alberich non era un mago più potente di lui. Alberich non poteva reclamare nessuna obbedienza. Eppure.

Eppure il carisma, il carisma… quello che te l’ha fatto seguire finita la scuola…
“Non sto dicendo…”
“È ciò che sembra.”
“Alberich.” Sbottò passandosi una mano trai capelli. “Sono qui in veste di amico, ma anche come portavoce di un’inquietudine comune. Stai esponendo troppo l’Organizzazione alle luci della ribalta. Gli auror inglesi non sono maghi da prendere sottogamba. Li comanda Harry Potter. Abbia avuto modo di vederlo in azione l’anno scorso, non è solo una vecchia gloria di guerra! E per quanto ne sappiamo, hanno persino aiuto da oltre oceano.”

“Gli americani non faranno di più di ciò che hanno sempre fatto. Arrivare sempre un passo dopo a me.” 
A me? A me! Sta usando mezzi dell’Organizzazione, fondi, e quel povero sfortunato di suo nipote per un suo desiderio cieco!
Serrò la mascella, furioso all’espressione controllata che mostrava l’altro. “Vogliamo solo tu sia più cauto…”
“È un desiderio o un ordine?”

“La tua iniziativa ci porterà alla rovina!” Sbottò infine, saltando in piedi e sentendo il cuore accellerare di paura e frustrazione.
Alberich sorrise. “Ecco, mio caro. Ora siamo arrivati al vero nocciolo della questione.”
Bretch aveva sempre pensato di poter riconoscere un folle, avendocelo davanti. Ma in quel momento, si chiese se Alberich avesse davvero perso contatto con la propria sanità mentale come si vociferava nell’Organizzazione.
Perché la follia non poteva avere un volto così lucido.
“Capiamo i tuoi crucci…” Mormorò tentando di nuovo, perché non era solo un ambasciatore.
Non possiamo permettere che ci trascini nel fango… ma dobbiamo essere accorti. Molto accorti.
Perché tutti loro, i fratelli, erano maghi che per l’opinione pubblica erano magnati, politici, gente che nulla aveva a che fare con un organizzazione che abbatteva ogni barriera morale in nome dello sperimentalismo magico.
Ricordava Alberich nella stanza che dividevano all’Istituto, mentre con gli occhi infiammati parlava di conoscenza, di frantumare le eterne e bigotte leggi della magia, a sperimentare nuove frontiere.
Quanto lo aveva ammirato allora…
Ma il tempo dei sogni di gloria senza risvolti economici sono finiti. E Alberich non è mai passato oltre quel giorno di diciotto anni fa.
“La Thule non è stata creata per crociate individuali, quale questa è.” Riprese. “Non era per i Doni, non è vero? Non lo è mai stato.”
Il tedesco non rispose: non che se lo aspettasse.

“Io riavrò mio figlio. Io gli ho dato la vita, io lo rivendico.” Disse invece e negli occhi c’era la stessa febbricitante determinazione della loro gioventù. “Ma se volete fermarmi, temo che potrebbe non piacervi il modo in cui andrò avanti.” Si sporse appena, ma sembrò che incombesse. Il tono di voce era velluto, e Bretch ricordò perché, anni prima, fosse stato disposto a donargli reputazione e capitali. “Perché se cado, mio buon amico, porterò tutti voi giù con me.”



****
 
Note:
Le dolenti note. Sappiamo qualcosina in più su Alberich. È diverso da come pensavate che fosse? Beh, dopotutto l’abbiamo visto solo attraverso qualche ricordo e gli occhi intimoriti di Ren. ;)

1. Frase detta da Tommaso d'Aquino.
A proposito, una foto mi ha ispirato il pezzo di Ren quindicenne. Questa, un Ben Barnes (il volto prestato al nostro crucco) piccino davvero. Ren quindicenne .
Qui la canzone.

E ora un po’ di fan-art adorabili.
Da Elezar81 Snowball War, Tell me e Tom e Sy . Dalla disponibilissima SwNok Albus and Thomas .
Come si fa a non essere super-riconoscenti? :D

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Capitolo 38
*** Capitolo XXXVI ***


Capitolo XXXVI




 
 
Non avessi mai visto il sole avrei sopportato l'ombra,
ma la luce ha aggiunto al mio deserto una desolazione inaudita.
(Emily Dickinson)
 
19 Dicembre 2022.
Londra, Ministero della Magia.
Ufficio auror. Mattina.

 
“Non possiamo far finta che non ci sia, Ron.”
“Basta ignorarlo!”
Harry Potter, Capo-ufficio auror in servizio, fissò con malcelato divertimento l’enorme gufo che li squadrava con severi occhi gialli. Appollaiato sullo schienale della sedia dell’amico, incombeva come il rapace che era. “Forse dovresti prendere la lettera.”
No.
Harry lanciò un secondo, piccolo sospiro. Ron era un padre meraviglioso, attento e dedicato ai suoi figli. Sapeva scherzare, ma anche essere severo all’occasione. Era un buon padre, lo era davvero.

Ma in quel momento stava avendo uno dei suoi attacchi di irragionevolezza acuta. Il motivo era molto semplice e piuttosto buffo, dal punto di vista di un osservatore esterno.
Sua figlia si è innamorata del ragazzo sbagliato. Il più sbagliato al mondo, se proprio vogliamo dirlo.
“Rosie ti chiede solo di parlare… non mi sembra questa gran cosa.” Esordì lanciando uno sguardo al gufo che cercava di beccare le orecchie dell’amico.
“Non ho intenzione di parlare con lei! O meglio…” Si corresse, suonando forse troppo duro persino alle sue stesse orecchie. “Finché non dirà qualcosa di sensato.”
Harry sapeva che a momenti sarebbe arrivata l’agente Gillespie per conoscere Ron, e quel quadretto non era indice di serietà lavorativa. Doveva dunque correre ai ripari.

“Ron, non stai reagendo razionalmente al…”
“Al fatto che mia figlia è impazzita e si è messa con un Malfoy?!” Sbottò di colpo, quasi saltando sulla sedia per l’indignazione. Harry afferrò la tazza di caffè prima che si rovesciasse, con un vecchio movimento da Cercatore.

“Dovresti davvero parlarci.” Replicò senza dare giudizi. “Almeno sentire cos’ha da dire?”
Ron gli scoccò un’occhiata riottosa, curiosamente simile a quelle della loro adolescenza. “Lo dice anche Hermione.” Sbuffò poi, scacciando con un gestaccio il gufo, che si appollaiò però poco distante con la lettera stretta tra le zampe. “Ma non sono d’accordo, okay? Non approvo questa follia! Mia figlia e il figlio di Malfoy!” Sbottò, come se avesse detto una… follia, appunto.
“E ignorare le sue lettere funziona?”
Ron storse la bocca. “Non molto.” Ammise. “Non faccio in tempo a buttarne una che mi arriva un altro gufo, più battagliero del primo per giunta!”
“Tua figlia è testarda.” Sorrise Harry. “Chissà da chi ha preso.”

Ron emise un lungo sospiro, sedendosi. Lanciò un’occhiata velenosa al pennuto postino. Fu ricambiata. “È solo che non voglio litigare con lei.” Brontolò fissandosi le mani. “Ma mi sembra di non conoscerla più. Un anno fa pensava che quel mocciosetto fosse un cretino montato, e adesso lo rincorre per tutto il Castello dopo che ha minacciato me! Non posso credere che mi stia facendo una cosa del genere. Le ho sempre detto di tenersi lontana dai Malfoy!”
Harry fece una smorfia spazientita: capiva cosa si agitava nella testa dell’amico. L’antico odio che legava i Malfoy ai Weasley. La personale animosità che serpeggiava tra Ron e Draco. E per finire, l’istinto di naturale protezione di un padre verso la figlia femmina.
Un cocktail micidiale, in effetti…
Dulcis in fundo, Hermione non lo appoggiava minimamente in questa sua crociata.  
“Credo ci sia una cosa sola che non capisco, in tutte quelle che hai detto.” Proferì pacato. “Rosie non sta facendo nulla a te. Si è solo innamorata. Ha diciassette anni, prima o poi doveva succedere.”
Per quanto riguarda Lily naturalmente dovrà accadere tra circa un milione di anni. Grazie.
“Lo so, ma è un…”
“E questo l’abbiamo capito.” Lo interruppe spazientito. “Ma che importanza ha? Scorpius è entrato nel gruppo di amicizie dei nostri figli. È un dato di fatto.”
Ron emise uno sbuffo seccato. “Mi ha mentito.” Si scollò dal palato. “Hermione gliel’ha chiesto, e lei le ha detto che sì, stava con Malfoy. Ma dopo. Non me l’ha detto. Chissà per quanto ce l’ha tenuto nascosto!”
Harry bevve un sorso dal suo caffè. Si aggiustò gli occhiali, perché sapeva che quello che stava per dire avrebbe potuto avere delle conseguenze. Odiava fare l’avvocato del diavolo, ma lì si stava sfiorando il ridicolo.

“Non credi che ti abbia mentito proprio perché aveva paura di questa reazione?”
Ron lo fissò incredulo, aprendo la bocca per rispondere battagliero. Per fortuna la segretaria scelse quel momento per bussare alla porta. “Signor Potter? L’agente Gillespie è arrivata.”
“Perfetto, falla accomodare.” Sospirò di sollievo Harry. Lanciò un’occhiata all’altro. “Ne parliamo dopo.”
Il rosso richiuse la bocca, poco contento ma finalmente operativo. “Sissignore.” Borbottò ironico.

“Ron… prendi la lettera dal gufo.”
Quando entrò l’americana l’ufficio era finalmente sgombro da volatili.

“Harry, buongiorno.” Gli sorrise. Aveva già l’aria stanca e reggeva un faldone di documenti. Harry riconobbe lo stemma impresso: era quello del DALM americano. Gli strinse la mano, e poi guardò incuriosita Ron, che si alzò in piedi, finalmente professionale.
Meno male. Questa storia di Rosie lo sta facendo uscire pazzo…
“Ron Weasley.” Si presentò stringendole la mano. “Capo-squadra.”
“Nora, spero di vostro aiuto.” Replicò l’altra ironica, facendoli sorridere.

“Posso offrirti qualcosa?” Chiese Harry, recitando la commedia delle buone maniere, ma con un pizzico di sincero desiderio di esserle utile. Sembrava che la donna non avesse dormito che poche ore.
Se le ha dormite.
“No, grazie, ho mangiato qualcosa alla locanda.” Scrollò le spalle questa. “Ho atteso tutta la notte il pacco. Le spedizioni via Passaporta sono terribili. Sono a tempo, il pacco viene rimandato indietro se non lo intercetti e firmi la ricevuta di pagamento.” Mise sulla scrivania il plico, e scoccò un sorriso vedendoli perplessi. “E’ tutto ciò che abbiamo sulla Thule. Penso che lo scambio di informazioni debba essere reciproco. Io ho letto i vostri rapporti, voi leggerete quelli della mia squadra.”
“Ottimo!” Esclamò Ron, lanciandole un chiaro sguardo di approvazione. Harry invece scrutò il fascicolo. Era voluminoso, ma non come si sarebbe aspettato.

Possibile che in anni abbiano redatto solo questi rapporti? Saranno al massimo trecento pagine!
Nora sembrò leggergli nel pensiero perché fece una breve risata. “Non voglio sembrarvi presuntuosa, ma sembra che il vostro sistema di archiviazione sia un po’ obsoleto.”
“Come?” Esclamò Ron confuso. “Che vuol dire?”
La strega indicò la scrivania. “Forse è meglio che facciamo un po’ di spazio. Vorrei evitare di far danno.” Osservò gentilmente i molti portafoto. “Ci sono cose preziose qui.”

Liberata la scrivania in pochi attimi, Harry la fissò interrogativo. “Usate un incantesimo di estensione irriconoscibile?”
“Una specie.” Concesse, prima di toccare il plico con la punta della bacchetta e mormorare qualcosa sottovoce. Sotto i loro occhi, i fascicoli cominciarono a duplicarsi l’un l’altro, vomitando fogli su fogli. Una valanga di carta in ordine sommario invase ben presto l’intero ripiano. “Li comprimiamo, per farla semplice.” Spiegò. “Risparmia spazio e ci permette di trasportali molto più facilmente.”
“Vedo…” Annuì Harry ammirato. Avrebbe dovuto chiedere al Ministero se potevano adottare quell’incantesimo. I loro schedari rischiavano mensilmente il collasso, e ogni anno venivano ampliati con incantesimi, ahimè, non molto stabili.

Non puoi allargare all’infinito uno spazio finito.
“Questa Hermione vorrà proprio vederla…” Disse Ron divertito. “È geniale!”
Nora ridacchiò del loro stupore. Non sembrava stupita dalla loro reazione.
Siamo così arretrati in Inghilterra?
“Sarei felice di insegnarvelo.” Si avvicinò poi alla scrivania, pescando a colpo sicuro un fascicolo numerato. “Questo è il primo caso in cui sia stata nominata la Thule, anche se allora pensammo ad un furto isolato. Da un centro brevetti della Louisiana venne trafugato un prototipo di incantesimo trasfigurante.”  
Harry si avvicinò, sbirciandone il contenuto. “Quanti anni fa?”
“Una ventina. Non fui io a lavorarci, anche se accadde nel mio distretto di competenza. Se ne occupò mio marito. Come si suol dire… fu il primo ad unire i puntini.”

“Quindi sono praticamente dei… ladri?” Ron corrugò le sopracciglia, sporgendo la testa e torreggiando su entrambi. Nora scosse la testa.
“Diciamo che li abbiamo individuati perché rubano. Ma non si limitano a questo. Trafugano oggetti e incantesimi sperimentali, è vero, ma ne ideano anche di propri. Lavorano a progetti. Il modo in cui è nato il Signor Dursley…” Esitò, guardandoli. “Quello era un progetto.”
Harry serrò la mascella, al ricordo del figlioccio. Per quanto lo amasse non poteva ignorare il fatto che la sua nascita fosse illegale e moralmente poco digeribile.   
“È questo il motivo principale per cui sono ricercati…” Continuò la donna. “Tuttavia, i primi casi vennero archiviati come fenomeni isolati. Mai un testimone, mai un indizio risolutivo. Cold case.”

“Mai risolti.” Intuì Harry. C’era un intero universo di parole che gli erano estranee. Per gli americani invece erano lemmi ormai consolidati. “L’America non era il solo terreno di caccia, suppongo.”
“Esatto. E questo non ha aiutato ad individuare un solo colpevole per più crimini …” Convenne Nora, voltandosi e cercando di nuovo qualcosa. Recitò un accio e un codice alfanumerico e subito le schizzò in mano una mappa; la dispiegò facendola ondeggiare sospesa di fronte a loro.

Il cartiglio rappresentava i cinque continenti ed era pieno di puntini rossi. Harry non ci mise molto a capire cosa significavano.
“Sono i luoghi dove hanno colpito?”
“Quelli fin’ora conosciuti, sì.” Confermò la creola, mentre Ron spalancava la bocca in una muta esclamazione di sorpresa. “Operano da decenni, ma questi rilevanti sono stati fatti dalla mia squadra, che è stata creata pochi anni fa. Fate i vostri calcoli.”

“Ma quanti sono?” Ron sembrava impressionato, e anche Harry sentì una sensazione spiacevole di smarrimento. Aveva sempre pensato alla Thule come una setta di scienziati pazzi.
Ma è leggermente più complesso, temo.  
Tanti.” Rispose senza mezzi termini l’americana. “L’Organizzazione ha all’attivo un centinaio di elementi, tra scienziati, alchimisti e uomini di fatica. E altrettanti agenti dormienti.”
“Dormienti?” Ron corrugò le sopracciglia. “Significa che normalmente sono gente… normale?”
“Gente che nella vita quotidiana lavora, ha una famiglia e una reputazione rispettabile. Non tutti sono John Doe, il Camaleonte.” Chiarì Nora, e Harry vide quanto questo le bruciasse, dalla piega dura delle labbra. Prese poi un altro grosso foglio, delle dimensioni della mappa e lo spiegò accanto ad essa. Era un organigramma. Era la catena di comando della Thule.

“In cima vi è il Consiglio. Tra di loro si chiamano fratelli. Non ci sono criminali o maghi schedati a questo livello. Solo maghi rispettabili, incensurati. Purosangue che decidono le sorti dei propri affari alla luce del sole… e poi, nel tempo libero, della Thule.”
“Vedo che funziona come una specie di azienda.” Ragionò Harry studiando lo schema. Era piuttosto semplice, da quel che poteva vedere.

Un oligarchia che controlla cellule separate e non in contatto tra di loro.
Non è facile tagliare la testa all’idra. Ci sono troppe teste. E le braccia lavorano separatamente.
“Scusate…” Esordì Ron, dopo che era rimasto in silenzio per qualche minuto. “Ma dall’organigramma qui… sembra che non ci sia un leader.”
“Perché non c’è. Come potete vedere, c’è un assemblea che prende le decisioni all’unanimità. È tutto molto rigido.”
“Perché allora nell’indagine sulla trafugazione dei Doni e del rapimento di Thomas è venuto fuori solo il nome di Von Hohenheim?” Chiese Harry a bruciapelo, perché aveva capito dove stavano andando a parare le domande dell’amico. E voleva sapere. “Ci avete dato ad intendere fosse lui l’unico mandante. Però adesso ci hai appena detto che la Thule opera a maggioranza.”

“Hohenheim è il fondatore. Dichiarato. Sappiamo che è lui, ed è l’unico per cui attualmente ci sia mandato di cattura.” Replicò la donna. “Ma non prende decisioni in solitaria.”
“Quindi?” Incalzò di rimando. “Ci avete mentito?”
L’americana li squadrò. Ad Harry sembrò di essere pesato nuovamente, ma stavolta l’analisi durò meno. Stava cominciando a fidarsi.
Perché facciamo le domande giuste.
“No.” Rispose infine. “Adesso… comincerò con le ipotesi. Non c’è niente di certo di quello che sto per dirvi.”
Harry le sorrise. “Tranquilla Nora. Andiamo forti in questo campo.”


****
 
Hogwarts. Vascello di Durmstrang. Ora di Pranzo.
 
Disciplina.
Si trattava di avere disciplina. In qualsiasi, singola ora del giorno.
La sera i suoi muscoli erano tesi e scattavano nel sonno, i nervi gli facevano tremare le mani. Ma era una fatica buona. Dormiva senza sogni e si risvegliava come se la notte fosse passata solo per permettergli di riprendere forze.

Quella mattina non era salito ad Hogwarts per colazione. Lily gli aveva detto che avrebbe passato ogni momento libero a provare combinazioni estetiche per il ballo, e che quindi poteva raggiungerla solo nel tardo pomeriggio.
‘Devi vedere il prodotto finito, Ren! Non il processo! Quindi, sciò!’ Gli aveva detto ridendo.
Sören aveva obbedito di buon grado. In quelle ultime settimane la vicinanza di Lily era foriera di strane sensazioni. Aveva infatti notato un lieve cambiamento nel modo di fare della ragazza: sembrava quasi lo stesse studiando, ma non con gli stessi intenti indagatori dell’inizio.
Sembra cercare qualcosa in me… però non capisco cosa.
Scosse la testa, concentrandosi sul lanciare un nuovo incantesimo verso il manichino da allenamento. Parò il contrattacco e schivò il secondo colpo a sorpresa.
“Sören, ah, sei qua!”
Fece una smorfia alla voce di Poliakoff. L’assistente era appena entrato nella saletta degli allenamenti. Aveva delle briciole sulla bocca e doveva aver appena fatto pranzo.

“Sei sporco.” Sentenziò, mentre l’altro si passava goffamente una mano sulla bocca. “Cosa vuoi?”
“Che accoglienza!” Esclamò il russo infastidito. “Ti ricordo che sono il tuo assistente, non un servo!”

“Ne sono consapevole.” Replicò, rinunciando a continuare i propri allenamenti; era evidente che l’altro fosse in vena di chiacchiere. Prese un asciugamano e si pulì il viso dal sudore.
In quei giorni si erano a malapena frequentati. Kirill stava lavorando all’indizio sulla Seconda Prova e lui si era limitato a tener compagnia a Lily ed allenarsi.
Erano state delle buone giornate.

“Sì, come no.” Ribatté l’altro. “Ti ricordo che sono l’unico a cui puoi affidarti qui.”
Sören strinse un sorrisetto trai denti. “Affidarmi? Tu sei qui per ordine di mio zio. Non ho richiesto io la tua presenza.”
Detestava l’arroganza che cominciava a manifestarsi nell’altro.

Nessuno di noi è indispensabile alla Thule. Non io, non tu.  
Il russo gli scoccò un’occhiata rabbiosa. “Ho cercato di essere cortese con te, Prince…”
“Non chiamarmi così. Io qui sono Luzhin.” Lo ammonì, anche se erano soli. Ma un ambiente ristretto come la plancia di una nave aveva orecchie ovunque.

Anche se le suddette sono informate della natura della mia presenza qui.
Kirill gli servì un improvviso ghigno. “Questo teatrino comincia a piacerti, eh?”
“Prego?”
“Oh, non cercare di fingere con me… sono quattro mesi che sto con te. Ti ho capito.” Gli si avvicinò, i lineamenti tesi in una linea compiaciuta. “Comincia a piacerti, essere Sören Luzhin, il Campione. Il cavaliere senza macchia che corteggia la piccola dama inglese.”
“Non la sto corteggiando.” Ribatté subito, stupendosi lui stesso del tono aspro che gli uscì. L’altro invece non sembrò sorpreso, anzi, parve quasi aspettarselo.

“Cosa pensi di stare facendo con lei, Prince?” Replicò suonando incredulo. “Cosa pensi che lei pensi di te?”
“Non capisco dove vuoi andare a parare.” Sentì un sapore ferroso in bocca e capì di essersi morso l’interno della guancia. “Assolvo al mio compito. Mio zio mi ha detto di tenerle compagnia e entrare…”
“… nelle sue grazie.” Terminò per lui con aria divertita. Sören sentì l’impulso di picchiarlo. “Davvero non hai capito cosa le stai facendo?”

“Non le sto facendo niente.”
Lo so cosa sto facendo. La sto ingannando. Ma ingannati si può vivere. Questo basta. Deve.   
“Oh, beh… quando tutti gli altarini verranno scoperti, le spezzerai il cuore.” Si divertiva a tormentarlo, intuì improvvisamente. Poliakoff rideva di lui. “Te lo ricordi, sì, che non sei un bel cavaliere dall’armatura scintillante ma il drago che la divorerà?”
Sören non rifletté quando lo colpì in pieno volto. Sentì soltanto i muscoli tendersi come una sartia della nave e poi il braccio scattare.

Poliakoff emise un lamento sorpreso, barcollando indietro. “Che diavolo ti prende?!” Sbottò soffocato.
Sören non sapeva esattamente cosa diavolo gli stesse prendendo, ma il suo corpo trovò sensato attaccare di nuovo l’altro. Lo fece cadere su una sedia con un semplice colpo mirato al plesso solare che gli tolse il fiato. Poi lo afferrò per il colletto della casacca e gli puntò la bacchetta alla gola. L’altro neppure tentò di difendersi.

“Vogliamo parlare di te, Kiriev?” Chiese, usando il nomignolo che sapeva l’altro detestasse. Glielo aveva detto durante uno dei suoi infiniti monologhi. “Vogliamo parlare di chi va oltre i suoi compiti?”
Il russo lo guardò con occhi allarmati, mentre il sangue sul labbro usciva a bagnargli il mento e il colletto della divisa. “Allontana quella bacchetta!”
“Parlo di quando hai convinto Lily a seguirti, il giorno della Prima Prova…” Lo ignorò, premendone la punta sulla guancia sudata. “Parlo di quando l’hai lasciata da sola in mezzo ai Dissennatori.”
La paura fece fremere i lineamenti dell’altro, e Sören capì che non era solo una supposizione; Lily gli aveva detto che era stato lui ad indirizzarla alla Tenda dei Campioni. Inizialmente aveva pensato che fosse stata lei a costringerlo. Sapeva essere cocciuta.

Ma è il contrario. È lui che ha preso l’iniziativa.
“È … è stata lei a chiedermi dov’eri! Non potevo lasciarla andare da sola… così le ho detto dove ti avevo visto l’ultima volta! L’ho accompagnata, ma poi l’ho persa di vista!”
“Non è vero. Lily conosce i Dissennatori. Non si sarebbe mai mossa per cercarmi, se qualcuno non l’avesse convinta che ero in pericolo immediato. Da sola, per giunta. È impulsiva, ma non stupida.”

Poliakoff rimase in silenzio, ansimando e fissando la bacchetta come se da un momento all’altro ne potesse scaturire una maledizione.  
“Perché l’hai messa in pericolo? Cosa speravi di ottenere?” Lo incalzò.
“Io…” Iniziò quello umettandosi le labbra. Si vedeva come cercasse disperatamente una spiegazione. Sören provò un moto di furia e disgusto.

Ha avuto un’idea balorda e l’ha seguita. Tutto qui.
“Volevo vedere quanto fosse disposta a fare per te!” Sbottò improvvisamente. “Tuo zio… il… il Magister, ha detto che voleva capire che razza di strega fosse. Ed ho pensato, che… non c’era di meglio per valutare il suo attaccamento!”
… tutto qui?
“Hai rischiato la sua vita!” Urlò. Si sentì urlare, e probabilmente l’espressione sgomenta del russo era gemella alla sua. Inspirò, aggrappandosi alla poca calma che provava. “C’erano altri modi e tu non eri autorizzato a fare una cosa del genere.”

Poi gli sovvenne un pensiero.
Il modo in cui sono caduto ed ho perso i sensi. Come se qualcuno mi avesse aggredito…
Poliakoff indietreggiò ancor prima che potesse afferrarlo di nuovo. Non servì a molto comunque, visto che era intrappolato contro lo schienale della sedia.
“Sei stato tu ad aggredirmi?”
L’altro batté le palpebre con aria confusa. “Cosa…?” Articolò.
“Alla tenda dei Campioni. All’arrivo dei Dissennatori qualcuno, approfittando della confusione, mi ha colpito e fatto perdere i sensi.” 
Sul volto però stavolta apparve solo smarrimento. “Non so di che parli!” Esclamò. “Perché diavolo avrei dovuto fare una cosa simile?!”
Non è stato lui?
Sören lo lasciò di colpo, allontanando la bacchetta.
Allora sono semplicemente caduto. Chi altro avrebbe avuto motivo di aggredirmi, altrimenti?  
Nessuno sa di me, di noi.
Poliakoff si aggiustò sulla sedia, rassettandosi l’uniforme. Tentò anche di tamponarsi con il fazzoletto il labbro tumefatto.
Sören provò un modo di disgusto per quel tremante idiota. Non capiva neppure lontanamente in cosa era inciampato. Pensava fosse un onore, servire la causa. E tentava maldestramente di farsi notare.
Quelli come te, finiscono ammazzati…
“Se ti azzardi di nuovo a prendere iniziative personali dovrai risponderne a me.” Gli comunicò tentando di calmarsi. Il fiotto di rabbia che gli aveva annebbiato il cervello era ancora lì, presente. “Io mi occupo di Lily Potter. Nessun’altro.”
Il russo tentò un ennesimo tamponamento della ferita, ma poi ci rinunciò. Si leccò le labbra, con espressione incattivita. “Occuparti… oh sì, te ne occupi sul serio.”  
“Smettila con gli scherzi. Sai che non li tollero. Oltretutto, mio zio dovrà essere informato della tua alzata di ingegno.”
“Scherzo?” Lo apostrofò Kirill sarcasticamente. Non sembrava preoccupato dall’eventualità della delazione. L’aveva anzi ignorata. “Quale scherzo?  È stato forse per scherzo che l’hai tenuta fuori dalla Prima Prova?”
Sören sentì un brivido gelido ghiacciargli repentino la nuca.

Come l’ha saputo?
Poliakoff si alzò in piedi, malfermo. Era evidente che l’adrenalina gli facesse ancora tremare le gambe.
“Io prendo iniziative personali… ma le prendi anche tu, principino.” Non quel nomignolo, pensò Sören sentendo l’ansia montare come una marea. “Pensi che non mi fossi accorto che l’inglesina non era alla Prova? Pensi che non mi fossi accorto che era reduce da un oblivion?” Schioccò la lingua con una smorfia. La bocca doveva fargli male. L’aveva colpito forte. “Non farmi la predica… perché il tuo compito è ingannarla, non proteggerla dai cattivi.” Storse un ghigno. “Abbiamo entrambi i nostri segreti. Ma sta’ tranquillo. Io ti sono fedele, se tu lo sarai con me.”
Sören avrebbe voluto colpirlo di nuovo. No, peggio. Avrebbe voluto ammazzarlo.
Sentì la collera montargli fino a quasi serrargli la gola, quasi fosse una brutta reazione allergica. Strinse entrambi i pugni sentendo il braccio, quel braccio, bruciargli.
Era in collera, ma aveva anche paura. Perché Poliakoff aveva ragione.
Non era un ordine. Era un’iniziativa personale.  
Non ribatté. Uscì dalla saletta, perché sentiva le pareti stringerglisi addosso. Doveva uscire dalla nave. Doveva uscire subito.
 
Camminò come un automa fino ad Hogwarts. Non aveva con sé il mantello e fitto nevischio gli sbatteva in viso. Affondò più volte nella neve e si rese conto che non aveva gli stivali adatti: si era lasciato quelli con cui si allenava.
Non voleva pensare. Pensare non avrebbe dovuto essere concesso ad uno come lui.
Guarda che succede, quando pensi. Iniziative personali? Credere di dover proteggere una tua vittima? Volerle bene?
Le vuoi bene, non è vero?
Si passò le dita trai capelli, tirandole via bagnate da grossi fiocchi di neve mentre varcava il portone ignorando i ragazzi che giocavano in cortile.
Come quando hai giocato con lei a palle di neve? Quello faceva parte del compito?
Sei un egoista. Ti bagni alla sua luce, ti prendi i suoi sorrisi, e cosa le darai in cambio?
Doveva trovare Lily.
Senza rendersi conto di come ci fosse arrivato, si trovò in un corridoio che non aveva mai visto.  
Sembra che la planimetria cambi disposizione almeno due volte al mese.
 
“Signor Luzhin.”

Si voltò di scatto, sentendosi il cuore schizzare in gola. Il corridoio era vuoto, quindi…

Guardò i ritratti appesi e trovò ciò che cercava. O meglio, chi lo stava cercando.
“Buongiorno Preside Silente…” Mormorò, mentre l’urgenza lo spingeva ad andarsene. “Mi scusi, in questo momento sono di fretta.”

Il vecchio mago lo fissò attentamente dietro gli occhiali. Quei maledetti, penetranti occhi azzurri…
Non mi leggono dentro, vero? È solo un quadro. Un quadro.
“Lo vedo, ragazzo mio.” Convenne in tono da conversazione. “Speravo, in verità, avesse un minuto…”
“Ha visto Lily?” Lo apostrofò senza ascoltarlo. Poteva averla vista dopotutto. I maghi ritratti si spostavano continuamente di cornice in cornice.

Solo dopo ricordò che con Lily poteva indicare almeno una ventina di studentesse.
“Lily …” Disse questi meditabondo. “Lilian, la figlia di Harry Potter, presumo.” Indovinò.
“Esatto.” Non aveva tempo per chiedersi come avesse fatto a capirlo al primo colpo. “La sto cercando.” Non riusciva ad accantonare quell’urgenza. C’era; non poteva fare a meno di risolverla. “Sa dov’è?”
“Non ne ho idea.” Confessò tranquillamente. “In ogni caso non si preoccupi, sta bene.”
“Come…?” Non gli aveva fatto una domanda sullo stato di salute. Ma perché allora si sentiva improvvisamente sollevato quasi gli avesse dato la risposta che cercava?

“La sua amica sta bene.” Ripeté l’anziano mago con aria rassicurante. “Ora… se non ha impegni improrogabili, vorrei presentarle una persona.”
Sören corrugò le sopracciglia. Si sentì di colpo piuttosto stupido. Era arrivato lì, animato da una fretta incomprensibile.  
Perché dovrei cercare Lily, quando non ne ho motivo?
Doveva essere stato lo sgradevole faccia a faccia con Poliakoff ad agitarlo tanto.
“Certo…” Si risolse a dire. Del resto gli sembrava scortese non accontentare l’anziano stregone quando era stato disponibile con lui. “Con piacere.”
Silente sembrò deliziato dalla sua risposta. “Ottimo!” Un’ombra si insinuò dentro il quadro. Ad una seconda occhiata, Sören capì che era  piuttosto un uomo interamente vestito di nero. Quando lo riconobbe quasi sobbalzò. “Le presento il Professor Severus Piton.”
 
****
Sala Grande, Poco dopo pranzo.
 
“Lily.”
Lily stava bellamente pensando a tutto fuorché ai venti centimetri per Incantesimi che la aspettavano sul tavolo della Sala Grande, davanti a lei. Quindi sussultò, non aspettandoselo.

“Oh, Tom!”  
L’interpellato le rispose con un cenno della testa. Aveva la borsa piena di libri e probabilmente era lì per il suo stesso motivo. Era forse  l’unico della scuola che in quel periodo avrebbe studiato davvero. “Compiti?” Le chiese.
“Ci sto provando.” Replicò con un sorriso. “Mi fai compagnia?”
Hugo era sparito da qualche parte con Fergus, a trovare il coraggio di invitare ragazze per il ballo. Abigail invece era ancora nel delirio di scelta del vestito. Aveva rifiutato ogni aiuto e si era chiusa in stanza a mandare Gufi alla madre in cerca di nuovi fondi per acquistare quello perfetto. Dunque era sola.

E mi sto annoiando a morte.
“Certo.” Tom si sedette accanto a lei, stupendola di nuovo. Non si aspettava avrebbe accettato l’invito: non studiava mai con qualcuno che non fosse Albus.
Si lanciarono un’occhiata in contemporanea. “Non sei qui per fare i compiti assieme a me, vero?” Indovinò.
L’altro le servì un’espressione innocente quanto quella di un assassino seriale. “Perché non dovrei?”
“Perché chiunque ti deconcentra, Tommy.” Lo canzonò, vedendolo corrucciarsi. “Sai che ti adoro… però è vero. Non abbiamo mai studiato assieme.”
“È il concetto dell’insieme che mi irrita. Perché condividere qualcosa che si dovrebbe far da soli?” Ribatté con sussiego. Lily represse una risatina.
C’era stato un periodo in cui Tom metteva in soggezione chiunque. L’anno prima era addirittura diventato inquietante. Adesso però era diverso. Era sempre il solito allampanato scorbutico, ma si era… addolcito.   
Se glielo dicessi mi ammazzerebbe.
“Beh, sai… se ragionassero tutti come te le scuole non esisterebbero. Faremo tutti lezioni private.”
“Il mio sogno.” Replicò tirando fuori i libri e il necessario per scrivere.

“Che bugiardo…” Gli servì un sorrisetto, disegnando un fiore al lato della propria pergamena. “Ti piace da morire compararti alla massa e uscirne vincitore. Se studiassi da solo sopra chi ti eleveresti, Signor Oltre Ogni Previsione?”
Tom le scoccò un’occhiataccia, ma lo vide anche incurvare le labbra in un sorriso. “La ragazza superficiale con un cervello…” La apostrofò.

“E il misantropo con un indole da romanticone.” Rintuzzò beccandosi uno sguardo raggelante. “Piuttosto, con chi ci vai al ballo?”
Tom fece una smorfia, incrociando significativamente le braccia al petto. “È la domanda standard delle ragazze, in questo periodo?” Chiese con un sorrisetto sarcastico.

Ah, povero Bello e Dannato… 
“Tanti inviti?” Lo prese in giro. 
“La tua metà del cielo è arrivata a tendermi agguati.”
Lily rise, pensando a come Al in quei giorni fosse d’umor nervoso. C’era dunque una spiegazione.“Ci vai con la tua piccola amica tedesca, no?”
“Sì, le farà piacere.” Disse con il tono di  chi l’aveva ripetuto più volte e sapeva di fare una buona azione.

Ah-ah.  
“Sarà lei a fare un piacere a te, visto che non sai ballare.” Abbassò il tono di voce, perché sapeva quanto all’altro bruciasse non essere in grado di fare qualcosa. “Con una dama vera avresti dovuto imparare, no? Probabilmente un undicenne non si aspetta che la guidi sulla pista da ballo… ragazzo astuto.” fece una pausa. "Pensavo ci andassi con Al, però..."
"Con Albus? Ci va con Rose."
"Ci va con Rosie per farle compagnia..."
"Sì, lo so. E quindi?"
Lily sospirò: Tom a volte era proprio un tragico incapace nelle relazioni sociali.
Non puoi fare il bello e misantropo senza essere anche un rincoglionito sociale. Se vuoi la scopa, ti toccan anche gli scossoni.
Tom la fissò di nuovo, stavolta con aria indagatoria. E poi fece la domanda per cui probabilmente le aveva rivolto la parola in primis.

“Posso chiederti una cosa?”
“Potrei mai negarti qualcosa, Tommy?” Scherzò, anche se un po’ era vero. La sua prima, notevole, cotta l’aveva avuta per lui, alla veneranda età di nove anni. E glielo aveva pure detto.  
Anche se l’unico risultato che ho ottenuto è stato vederlo scappare inorridito da Al…
Tom dovette concludere che era davvero disposta a concedergli parola, battute a parte. “Luzhin… tu lo conosci bene.” Esordì.
Lily confermò con un cenno della testa, perplessa. “Sì, certo… perché?”
Tom rifletté. Si vedeva che cercava di formulare la domanda in modo da avere la risposta che cercava. “Ti è mai sembrato strano?” Si risolse infine, con una smorfia scontenta.

“Strano?” Ripeté, sentendo suonare un campanello d’allarme. Allora non era una sua impressione, Tom stava davvero spiando l’amico. “È straniero!”
“No, intendo dire…” Fissò con apparente interesse la copertina del suo libro di Trasfigurazione. “… come se nascondesse qualcosa.”
“Pensi che stia truccando il Tremaghi?” No, non pensava quello, stimò Lily. Certo, Tom era diventato l’assistente di Malfoy e quindi poteva essere quello.
Ma del Torneo in realtà non gliene importa niente

Non era l’unica ad essersi accorta che Sören aveva atteggiamenti singolari, dunque.
Forse siamo gli unici in tutta la scuola. Io perché… beh. Si sa. E Tom, perché è un paranoico.
Ma un paranoico che ha la brutta abitudine di avere ragione.
“No, non è quello.” Disse infatti il ragazzo. “Per esempio, alla Prima Prova…” Esordì.
“Non c’ero.” Lo anticipò subito. “Non ci sono andata.” Tom le scoccò un’occhiata perplessa. “Sì, beh. Mi sono addormentata poco prima.” Scrollò le spalle. Perché adesso la guardava come se volesse dissezionarla? “Che c’è? Sarò stata stanca!”
“Non lo trovi strano?” E ancora. Lily sentì l’irritazione salirle. Non capiva, in realtà, dove volesse andare a parare. E la cosa non le piaceva: di mezzo c’era Sören.

“Vuoi piantarla di ripeterlo? Succedono un sacco di cose di cui spesso non si ha spiegazione! È andata così, non c’è bisogno di guardarmi come avessi fatto qualcosa di assurdo!”
“Non ricordi di esserti addormentata.” La apostrofò l’altro. “Ti sembra normale?”

Lily sentì una spiacevole sensazione di disagio. No, non lo era. Ma aveva accantonato quelle riflessioni perché portavano a ragionamenti che non le piacevano.
Sentì l’impulso improvviso di andarsene. Non voleva entrare nei ragionamenti contorti di Thomas. Gli voleva bene, ma non voleva avere nulla a che fare con la storia in cui era invischiato.  
“Non so che dirti, Tom…”
E dire che quest’estate non vedevo l’ora di essere coinvolta nell’azione. Che cretina. L’azione fa paura.
“Invece penso di sì.” Ribatté afferrandola per un polso, forse percependo il suo desiderio di darsi alla fuga. “Penso che tu abbia capito che Luzhin ha qualcosa che non va. Che sta nascondendo qualcosa… penso che tu possa saperlo meglio di chiunque altro.” E serrò la presa, appena, ma a Lily sembrò di essere bloccata.
“Lasciami andare.” Disse di colpo, senza riuscire a trattenersi. L’altro aggrottò le sopracciglia, cocciuto. “Non ho niente da dirti su Ren. Per quanto ne so io, è un ragazzo perfettamente normale!”
Un ragazzo perfettamente normale spaventato da qualcosa che non c’entra niente con il Tremaghi.

Un ragazzo perfettamente spaventato di cui mi sono innamorata.
La realizzazione – che poi tale non era, lo sapeva già – le fece strattonare il polso via dalla presa dell’altro.
Tom non amava essere contraddetto, lo sapevano tutti. Ancor meno amava che le persone non si comportassero come voleva lui. Cercava di nasconderlo, ma a volte non ci riusciva. Come in quel momento, perché tento infatti di riacciuffarla. “Lily, mi devi ascolta…” Non finì la frase perché la ragazza-che-doveva-ascoltarlo lo schiaffeggiò. A cinque dita.
Tom la guardò sbigottito, bloccandosi nell’atto di incomberle addosso.
“Lascia in pace Ren!” Sbottò, e poi corse via, tra gli sguardi di tutta la Sala.
 
****
 
Lily aveva saputo da Hugo che Sören la stava cercando.
Beh, non proprio.
In realtà il cugino le aveva detto che aveva visto il crucco – Malfoy doveva averlo contagiato con quella sua fissazione di dare nomignoli a tutti – entrare come una furia dentro la scuola. Da solo.
Lily era certa che cercasse lei per il semplice motivo che, se fosse stata una faccenda del Tremaghi, l’amico sarebbe venuto accompagnato dal proprio Direttore. Quindi sì, Ren la stava cercando.
E considerato che non ha ancora imparato ad orientarsi qua dentro, potrebbe pure essersi perso.
Ovviamente mancavano solo una manciata di minuti alle inevitabili prove con il coro della scuola, e lei saliva e scendeva scale ignorando lo scorrere del tempo. Era nervosa: non sarebbe potuta andare alle prove serena se prima non l’avesse trovato, accertandosi che stesse bene.
La colpa era tutta di Thomas, ormai avviato sulla promettente carriera di stalker pazzo.  
Come se Ren centrasse qualcosa coi suoi problemi! Si sono a malapena rivolti la parola in quattro mesi!
Guardò dentro l’ennesimo corridoio vuoto. A quell’ora gli studenti erano tutti nelle proprie Sale Comuni a finire i compiti o fuori ad approfittare degli ultimi minuti prima del buio; la luce invernale dava colori quasi spettrali al castello, disegnando ombre lunghe e scure.
Lily fece un sospiro, rassegnata. Probabilmente l’amico si era arreso prima di lei ed era tornato alla nave.
Si stiracchiò, ritornando alla scale mobili e aggrappandosi con nonchalance ad una particolarmente vivace. Tornò al primo piano, diretta con tutte le sue migliori intenzioni in Sala Grande.
Se tardo un'altra volta il Preside mi trasforma in un canarino per un’intera settimana.
E poi se lo trovò davanti. Sören, non Vitious. L’amico era di fronte ad un muro e lo… fissava?
Lily inarcò le sopracciglia, perplessa. Subito dopo capì che non fissava la nuda pietra, bensì un ritratto.
Lo guardava così ferocemente che neppure si era accorto di lei. Sembrava volerlo strappare e fare in mille pezzi.
“Ren?” Lo apostrofò e l’altro si voltò di scatto, quasi sussultando. “Che stai facendo?”
“Niente.” Sbottò teso, frapponendosi in una frazione di secondo – lo vide quasi pensare – tra lei e il dipinto. “Che ci fai qui?” La accusò quasi.

“Ci studio? È la mia scuola.” L’altro era tremendamente sulle spine, come se da un momento all’altro volesse acchiapparla e portarla via di lì. L’espressione di urgenza era quella, perlomeno. “E poi ho saputo da Hugo che eri qui, in giro. Mi cercavi?”
“Sì.” Confermò quasi con sollievo. “Andiamo, voglio vedere le prove del tuo coro.” E questa era palesemente una scusa inventata sul momento, pensò Lily, dato che lo vide sbirciare gli spartiti che le spuntavano dalla borsa.
“Perché stavi fermo a guarda il vuoto?” Gli chiese senza spostarsi di un millimetro.
“Non stavo guardando il vuoto. Non sei in ritardo?” Sembrava davvero agitato e Lily per un momento pensò quasi di rinunciare. Per un attimo, poi la curiosità la vinse e lo spostò letteralmente di peso. Sören non poteva fermarla, a meno di non costringerla. Lo sapevano entrambi.

Nessuno ferma la mia curiosità divorante.
Nessuno ad eccezione di un dipinto animato raffigurante Severus Piton.
Oh. Per. Tutti. I Troll. Della. Gran. Bretagna!
Ammutolì e fu certa di assumere un’aria assolutamente cretina: James diceva sempre che nei momenti di stupore assoluto sembrava uno scoiattolo arruffato.
James era un idiota, visto che lei non assomigliava a nessun maledetto animale della foresta. Ma comunque.
Severus Piton era lì. Sveglio, quando tutti sapevano che il suo dipinto dormiva da decenni. Sveglio e che la fissava come a pesarla su una bilancia estremamente sensibile.
Lily arrossì. Fece in tempo a far solo quello perché perché l’amico l’afferrò improvvisamente per un braccio. “Ce ne andiamo.” Sbottò rabbioso. Detto questo, la tirò via. Non riuscì a divincolarsi, a meno di non farsi seriamente male.
“Ren! Ehi, lasciami! Aspetta!” Tentò, ripetendolo più volte, ma senza che l’altro gli desse ascolto. Fecero praticamente di corsa le scale che collegavano quel piano all’ingresso di fronte alla Sala Grande. “Mi fai male!” Gli urlò infine, perché era vero.
Solo allora l’altro sciolse la presa, serrando le labbra. “Io…” Iniziò, guardandole il polso, su cui spiccavano cinque segni rossi. “ Scusa… ho…” Ispirò bruscamente. “… ho stretto troppo?”
“Direi!” Esclamò massaggiandosi la parte offesa, incredula. “Se non ti avessi dato retta me l’avresti rotto! Ma non sei capace di dosare la forza?!”

“… non volevo.”
“Lo spero!”
Ren esitò e poi, probabilmente senza rendersene conto, si portò la mano alle labbra per martoriarsi un’unghia. Aveva notato che si mangiava le mani, ma davanti a lei non l’aveva mai fatto.
Stress?
Lily sentì la rabbia scemare. Un pochino, almeno. “Ma che è successo?”
Sören aggrottò le sopracciglia. “Ho avuto una conversazione… spiacevole.” Si risolse a dire. “Ti fa tanto male?” Disse poi, occhieggiandole il polso. “Sono mortificato, non era mia intenzione…” Continuò frettoloso, come se gli avesse appena strappato un braccio per darlo in pasto ad un licantropo.
“Non mi fa male, tranquillo.” Mentì abbassando la manica del maglioncino con indifferenza. “Però non azzardarti a farlo più. Ti assicuro che le fatture Orcovolanti della mia famiglia sono leggendarie.”
Sören le sorrise debolmente e Lily si sentì disarmata. L’amico aveva un’aria così abbattuta, che non ebbe più tanta voglia di fargli milioni di domande.

Con Tom era stato diverso, le sovvenne. Tom si era meritato quel ceffone.
Prendersela con Sören sarebbe stato accanimento.
“Hai avuto una brutta giornata?” Disse invece, mettendogli una mano sulla spalla. L’altro si irrigidì, ma dopo una breve pacchetta rassicurante, le concesse un accennato rilassarsi.
“Sì, direi di sì…” Concordò. “Ho litigato con Kirill.”
“È successo anche col ritratto del Preside Piton?” Tentò, ma l’altro scosse la testa. “No? Perché pareva di sì.”
“È…” Chiuse la bocca e la riaprì. “Non ho voglia di parlarne.” Tagliò corto.  

Ma non era ansioso di sapere tutto su Severus Piton? Come mai adesso sembra il contrario?
“Okay.” Gli concesse senza indagare. Per il momento. “Quindi diciamo che sei venuto per vedermi cantare…” Non ci credeva minimamente. Ma non era quello il punto.
“Sì.” Confermò grato. “Posso?”
Lily sospirò. Tom si era meritato quel ceffone, ma non perché era un pazzo stalker e paranoico.
Ma perché, come al solito, ha una buona parte di ragione. Sì, Ren è strano.
Tommy, ti odio.  
Non voleva pensarci, si disse cocciutamente. Non voleva, punto e basta.  
Tese la mano all’altro ragazzo. “Certo che puoi, e poi canto benissimo e tu dovrai coprirmi di una pioggia di complimenti.” Vide che Sören le fissava la mano esitante. Merlino Benedetto, le persone si prendevano per mano continuamente. “Andiamo?” Gliela tese di nuovo.
Ne hai bisogno, qualsiasi cosa ti sia successa. Non ci vogliono milioni di parole, me l’ha insegnato papà che a volte basta un gesto.
Sören si decise infine ad afferrarla, stringendola piano. Lily evitò volutamente il suo sguardo, perché sapeva che la stava fissando di nuovo come se fossero in mezzo ad un deserto e lei fosse l’unica persona viva sulla terra.
“Forza, che siamo in ritardo!”
Stavolta fu lei a trascinare lui, e andò molto meglio.

 
****
 
Dormitorio Serpeverde. Prima di cena.
 
Tom lanciò uno sguardo tra l’avvilito e l’irritato ad Albus, che stava finendo di scrivere in bella copia la sua relazione di Pozioni. Ignorandolo. La guancia gli bruciava da morire e il suo orgoglio non vessava in condizioni dissimili.
Schiaffeggiato sulla pubblica piazza. Questa mi mancava.
Aveva cercato di trovare solidarietà nel più piccolo, ma Al prima l’aveva guardato come se fosse deficiente, poi gli aveva detto che se l’era meritato. Aggiungendo come postilla, che lui, al posto della sorella, avrebbe lavorato di bacchetta.
“Mi fa male.” Si lamentò, infuriato dalla mancanza di sensibilità dell’altro.
Al gli lanciò un’occhiata dalla piccola scrivania davanti alla falsa - finestra della stanza. Fece un sospiro. “Dai… non è possibile. Sono passate ore.” 
“Invece sì.” Borbottò, tenendosi una pezzuola bagnata sulla guancia, unico conforto che gli era stato concesso. I pugni di Zabini erano stati meno dolorosi.
Forse perché Al ti ha curato subito. Mentre stavolta no.
“È solo uno schiaffo, per l’amor di Merlino!” Fece un sorrisetto divertito e finalmente si alzò dalla sedia, per avvicinarglisi. “Smettila di fare il moribondo sul letto… hai una soglia del dolore ridicola.”
“Non è vero. È tua sorella che ha le mani di uno scaricatore di porto.” Ringhiò, sentendo l’umiliazione montare di nuovo. Se non fosse stata Lily, gliel’avrebbe fatta scontare con gli interessi.

Ma è la piccola, dolce Lily. Nel caso tu ti volessi vendicare, ti troveresti addosso l’ira di metà clan Potter-Weasley ivi stanziato.   
Albus si sedette sul ciglio del letto, scacciandogli la mano con uno schiaffetto e togliendo il fazzoletto ormai asciutto. “Wow.” Ammise. “Bei segni.”
“Appunto. Se mi restano anche domani giuro che…”
“Non dire cose di cui ti potresti pentire.” Lo fermò, alzandosi e cominciando a frugare nei cassetti. L’ordine di Al, persino quando aveva una camera tutta per sé, era tendente al caos. “Dovrei avere una pomata da qualche parte…” Mormorò distratto.

“Le ho solo fatto delle domande.” Riprese il filo del discorso. Non che si fosse aspettato totale collaborazione dalla ragazza, ma perlomeno che convenisse con lui. Il modo in cui aveva reagito però gli aveva comunque dato delle risposte.
Luzhin nasconde qualcosa, se persino Lily diventa nervosa.
Al tirò fuori un barattolo, lanciandolo in aria e riacchiappandolo. “Sapevo di averlo ancora! Sarebbe per le contusioni da caduta, ma andrà bene lo stesso. Dovrebbe ridurre il gonfiore.”
Mi sta ignorando.
“Albus.” Lo apostrofò. “Ti sto parlando.”
“Sì, ti ascolto…” Si risedette, svitando il tappo e cominciando ad applicare la pomata. “Cosa vuoi che ti dica?” soggiunse inarcando le sopracciglia. “A volte, pur essendo intelligente, manchi completamente di empatia.”
“Che significa?” L’unguento aveva un fresco odore di menta e gli diede immediato sollievo. Ringraziò silenziosamente la mania di Al, in quanto Cercatore Serpeverde, di essere più attrezzato di un medimago alla Coppa del Mondo di Quidditch. 

L’altro gli rimise la pezzuola a contatto con la guancia, intimandogli con un gesto di tenerla lì. “Significa…” Iniziò buttando la pomata dentro il cassetto del comodino, totalmente a caso. “… che Lily non ti darà mai retta, anche nel caso remoto condividesse le tue idee sul tedesco.” 
Tom aggrottò le sopracciglia. “Perché non dovrebbe?”
 
Al aveva una gran stima delle capacità deduttive del suo ragazzo. Seriamente.
Però a volte Tom non ci arrivava. Poteva capire i punti deboli di una persona, poteva capire se aveva certi sentimenti per un’altra. Ma poi non si evolveva a comprendere le implicazioni del caso.
Un giorno ci arriverà e diventerà un bambino grande.
“Tom… l’hai detto tu, tempo fa. Probabilmente si è presa una cotta per Sören.” Gli fece notare quietamente. “Quindi qualsiasi cosa cattiva tu dica su di lui, lei la prenderà sul personale. Molto sul personale.”
“Ma le ho solo chiesto se lo trovava strano!”
“… appunto.” Sospirò, perché quella fissazione per Luzhin stava cominciando a diventare pesante. A suo parere, Tom aveva bisogno di trovare un obbiettivo, qualcosa di fisico, qualcuno verso cui indirizzare le sue angosce.

E non una figura inquietante che trama a miglia di distanza…
Luzhin era semplicemente . Ed in effetti era sufficientemente chiuso e sinistro da poter soddisfare i requisiti.
“Ascolta…” Incrociò le braccia al petto, meditabondo. Aveva milioni di cose a cui pensare, ma non appena Tom chiamava, lui le buttava alle ortiche. Forse non era giusto, ma date le contingenze, se ne fregava. “… mettiamola così. L’anno scorso, un sacco di gente si era accorta che eri completamente fuori di testa.”
“Grazie.” Ma lo sguardo si fece attento. “E tu eri tra questi.”
“Già… e ti difendevo davanti a tutti, ti giustificavo. Ti assicuro, non era facile.”  Gli diede un colpetto sul fianco, gentilmente. Tom non disse nulla: ci sarebbero voluti anni, probabilmente, prima di togliergli quell’espressione cupa dalla faccia davanti a certi argomenti. “Non capisci? Se una persona ha dei problemi, e non dico che Luzhin li abbia… chi gli vuole bene tende a proteggerlo. A fargli scudo davanti alla curiosità altrui. Tu hai ficcanasato, e Lily si è chiusa a riccio, perché è sua amica.”

“Sì, ha senso.” Ammise Tom sfiorandosi con una smorfia la guancia offesa. Poi lo inchiodò con uno sguardo di colpo trionfante. “Ma perché difenderlo così aggressivamente, se non ha problemi?”
Albus ammutolì, fregato dal suo stesso ragionamento. In effetti, la reazione di sua sorella era stata esagerata, non da lei. Lily era una ragazza impulsiva, ma non violenta: se passava alle mani, era proprio perché non ci vedeva più dalla rabbia.

Tom, intuendo i suoi pensieri, si tirò a sedere, chinandosi su di lui con un sorrisetto vittorioso. “Allora… le mie fissazioni cominciano ad avere senso?”
Al si umettò le labbra, pensieroso. A lui Luzhin sembrava il tipico studente dell’Istituto, niente di più. Aveva interagito con molti durmstranghiani, prima come Caposcuola, poi come coordinatore di delegazione; erano tutti ugualmente chiusi e poco inclini ai dialoghi rilassati.

Certo è pur vero che con lui ho parlato una volta sola. Per il resto, convenevoli.
“Non lo so.” Concesse. “In fondo siamo tutti molto tesi per quel che è successo alla Prima Prova… e ricordati che Sören è un Campione. Sarà sotto una quantità di stress enorme.”
Tom fece una smorfia insofferente. “Si parla di tua sorella, Al.” Era di certo una bieca tecnica per tirarlo dalla sua parte, ma c’era anche sincera preoccupazione nello sguardo di Tom: era bravo a fingere le emozioni, ma un disastro a nasconderle. “Lily si è legata una persona di cui non sappiamo nulla… e dato i tempi che corrono, dato quel che è successo l’anno scorso con la Prynn… Hai piena certezza che i miei siano soltanto ragionamenti campati in aria?”
Al non ribatté. Forse era il momento facesse due chiacchiere con Sören Luzhin, però.
 
****
 
Devonshire, Casa Potter – Weasley (Il Mulino).
Poco prima di cena.
 
La neve si stava posando in grossi fiocchi nei terreni attorno al Mulino.
Vent’anni esatti prima quel posto era poco più che un rudere, meno di una casa. Harry ci era passato davanti durante una passeggiata con Ginny e aveva pensato che non gli ricordava affatto la casa dei suoi genitori a Godric’s Hollow. Quindi l’aveva comprata.

Dopo un massiccio restauro durato quasi un anno, Ginny vi aveva fatto crescere le giunchiglie¹ più belle e panciute dei dintorni. James era nato alla fioritura dei primi boccioli.
Harry amava quella casa proprio perché non gli ricordava nulla: a vent’anni aveva voluto una vita nuova, non oberata dai fantasmi di quella vecchia. C’era riuscito? Forse.
Osservò pigramente il giardino, adesso debitamente coperto da incantesimi permanenti che impedivano al freddo di far gelare la terra. Posò una mano sul vetro del bovindo e disegnò distratto, seguendo gli arabeschi gelati.
Si sentì abbracciare da dietro. “Ehilà, Signor Potter.”
“Signora Potter…” Le sorrise, voltandosi per un bacio e per offrirle un sorso di the caldo. “Sei arrivata presto, oggi.”
“Non c’è molto da fare in questo periodo…” Ribatté la donna accettandolo con un sorriso. “La stagione sportiva è lontana. Con questo tempo poi, persino il Puddlemere ha sospeso gli allenamenti.”
“Il Puddlemere allenato da Baston?” Chiese un po’ incredulo.

Ginny rise, appoggiando il mento sulla sua spalla. “Diciamo che dopo un certo articolo polemico sui metodi stakanovisti dell’allenatore che hanno causato infreddature a ripetizione dei titolari, il suddetto si è messo una mano sulla coscienza.”
“Incredibile.”
“Vero?” Ginny intrappolò la lingua trai denti, in un’espressione monella che gli ricordò sia la loro adolescenza, sia Lily. “Che dire… a Natale siamo tutti più misericordiosi.”

Harry abbozzò un sorriso, lasciandole il resto della tazza mentre si scioglieva dall’abbraccio e si sedeva sul divano, accanto al fuoco.
Il colloquio con l’agente Gillespie era stato… illuminante. E preoccupante in ugual misura. Non riusciva a smettere di pensarci, nonostante i casuali pensieri dovuti all’atmosfera casalinga, capace di rilassarlo anche dopo la più dura delle giornate.
Ginny gli lanciò un’occhiata indagatoria, a cui rispose con una scrollata di spalle. Non che servì: la moglie infatti  gli si sedette accanto, facendo scivolare le gambe di traverso alle sue.
“Allora.” Esordì inarcando un sopracciglio. “Le mie doti di giornalista sportiva mi dicono che oggi hai ricevuto delle brutte notizie sul lavoro.”
“Non ti si può nascondere nulla…” Sospirò ironicamente. “Ma no, in realtà non sono state esattamente brutte. Ti ho parlato di quel nuovo agente di collegamento americano?”
“Sì, la bella creola.” Ribattè Ginny con sguardo quieto solo in apparenza. Alla sua espressione sconcertata, spiegò. “Come ben sai, mio fratello ha la brutta abitudine di non pensare quando apre bocca. Hermione mi ha riferito tutto. L’ha persino incrociata al Ministero.”

“Ah…” Deglutì a disagio. “Non avevo notato fosse attraente. Davvero!”
“Certo, Potter, certo.” Lo canzonò bonariamente, tirandogli un calcetto. “Comunque sì, ho presente. Continua.”

Harry si schiarì la voce. “Oggi ci ha portato i loro rapporti sulla Thule e… ne abbiamo discusso. È un’organizzazione più ramificata di quanto credessi.”
“Più dei Mangiamorte?” Chiese Ginny, che aveva molti meriti e conoscenze, ma non nella criminalità magica internazionale. Per fortuna.
“Peggio. Perlomeno, i Mangiamorte avevano un capo riconosciuto. Lì prendono decisioni a maggioranza, sono divisi in cellule separate. I livelli più bassi non si conosco tra di loro e…” Prese a raccontare la superfice di quello che aveva saputo. Ma c’era altro.

Il campo delle ‘supposizioni’ dell’agente Gillespie si era rivelato molto più interessante delle informazioni da protocollo.
 
“Abbiamo avuto informazioni da una fonte interna, secondo cui Hohenheim sta prendendo iniziative personali.”
“Personali in che senso?”
“Tutta la faccenda del tuo figlioccio, Harry. È personale. Il primo tentativo era combinato con la trafugazione dei Doni. Appoggiato, dunque. Ma sembra che questo secondo non sia benedetto dalla maggioranza.”
“Significa che agisce alle spalle dell’organizzazione?”
“Non proprio. Il Consiglio sa cosa sta facendo e chi sta impiegando. C’è un infiltrato, nel Torneo, secondo voci…”
“Che voci?” Ron aveva sempre il merito di rivolgere la domanda giusta.

“Sempre il nostro informatore, ma prima che tu me lo chieda Ron no, non conosciamo la sua identità. I suoi Gufi non sono tracciabili.”
“… va bene. Questo informatore vi ha detto che è lui, e solo Hohenheim, che vuole Thomas? Gli altri quindi non sono d’accordo?”
“Gli altri si stanno preoccupando, Hohenheim si sta esponendo troppo. L’anno scorso ha perso uno dei suoi gregari più fidati, Doe… e adesso ha infiltrato qualcun altro, sembra non chiedendo il parere o il beneplacito del Consiglio.” Aveva fatto una pausa. “È un nuovo
modus operandi, quello che sta usando. Non manda una squadra, ma un solo elemento fedele a lui, più che all’Organizzazione stessa. Come ho detto, è personale.”
“Avete idea di chi possa essere l’infiltrato?”
“No, purtroppo. La vita privata di Hohenheim è come una cassaforte di una banca. Inaccessibile se non dal diretto interessato.”
“Non può essersi infiltrato, chiunque sia. Sono stati controllati tutti gli addetti al Tremaghi!” Era intervenuto di nuovo Ron. “Più volte. Gli spettatori, anche. I professori sono tutti regolari dipenti delle rispettive scuole. Da anni! È impossibile che abbia passato i controlli!”
“Allora c’è una falla nella vostra sicurezza.” Vedendo le loro espressioni riottose, Ron in testa, si era affrettata a correggere il tiro. “Oppure si è nascosto maledettamente bene.”

 
“Quindi il padre di Tom è una specie di cane sciolto…” Interloquì Ginny aggrottando le sopracciglia. “Non è una buona notizia, Harry. Tipi del genere sono doppiamente pericolosi.”
“Lo so.” Confermò guardando scoppiare un ciocco dentro il camino. “… ma è anche un vantaggio, da un certo punto di vista. Se la sua organizzazione non lo appoggia più, significa che non lo proteggerà. A quanto mi ha detto Nora, la Thule funziona bene perché è un meccanismo oliato, come un azienda. Ognuno ha un compito.”

“E se qualcuno devia dal compito assegnatogli…” Iniziò la donna.
“… probabilmente prima o poi commetterà un errore che non verrà coperto.” Finì per lei Harry, accarezzandole gentilmente una gamba. “Una volta Luna mi disse che da soli, non si è mai una grande minaccia. Ho sempre pensato che avesse ragione.”
Ginny gli sorrise. “Speriamo sia vero anche in questo caso…”
Harry la baciò di rimando.
Speriamo, sì.
 
****
 
Note:
Eh, non proprio un capitolo allegrissimo. Ma coraggio. Nel prossimo arriva Meike, ci sarà un bel po’ di Teddy ‘Ragione e Sentimento’ Lupin, Rose in assetto da battaglia e si scoprirà che diavolo ha detto Piton al nostro Ren.
Qui la canzone. Ascoltatela, perché personalmente, la adoro. *_*
1.Le giunchiglie o più comunemente narcisi. Ne ho viste nello stesso periodo in Irlanda, e me ne sono innamorata. Qui la foto che ho scattato al St. Stephen Green.

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Capitolo 39
*** Capitolo XXXVII ***


Capitolo XXXVI





We won't say ours goodbyes, we won't break, we won't die
It's just a moment of change
All we are, it's everything that's right.
(All We Are, One Republic)


22 Dicembre 2022
Hogwarts, Vascello di Durmstrang.
 
Sören ormai viveva in funzione della routine cabina-allenamenti-Lilian: era un dato di fatto.
Non che questo lo rendesse impermeabile al trascorrere del tempo; sapeva benissimo che al Ballo del Ceppo mancavano tre giorni e alla Vigilia due.
La mattina dopo infatti sarebbe tornato, via Passaporta, a casa di suo zio. Sarebbe tornato ad Hogwarts solo per il ballo.
Serrò le dita, sentendole graffiare contro il bordo di legno del parapetto della nave; era uscito sopracoperta proprio sulla scia di quel pensiero… soffocante.
Non gli era mai piaciuto tornare a casa per le vacanze. E l’idea di lasciare la scuola inglese, stranamente, lo immalinconiva.
Mentre rimuginava cupi pensieri au contraire attorno a lui c’era atmosfera di festa. Hogwarts era l’apoteosi dello spirito natalizio: il castello era stato decorato da cima a fondo, forse per impressionare proprio loro, gli studenti stranieri.
Lily aveva occupato quei giorni portandolo in giro, mostrandogli orgogliosa le meraviglie – il più delle volte sconcertanti, come armature che intonavano carole natalizie – che avevano trasformato la scuola britannica in un incrocio tra una grotta del profondo nord e un negozio di giocattoli.
Sören aveva trovato alcune trovate infantili, ma poi aveva notato le esclamazioni felici degli studenti più piccoli e aveva capito. Aveva dunque evitato commenti, anche perché  Lily condivideva quell’entusiasmo; aveva infatti passato l’intera settimana a rintronarlo con un fiume di chiacchiere sui suoi natali – dimenticandosi che glieli aveva già illustrati per lettera. Non a lui, naturalmente. Al vero Luzhin.
Era stato… piacevole. La ragazza aveva inoltre preso l’abitudine di prenderlo per mano e trascinarlo in giro come un bambino con un pessimo senso dell’orientamento: se inizialmente ne era stato imbarazzato, alla fine si era semplicemente abituato.
Era egoista, forse. Abbeverarsi a quel modo a gesti che in altre situazioni non gli sarebbero mai stati concessi: sconvenienti per la sua posizione, impossibili per via di chi era.
Non riusciva ad immaginare, difatti, una qualsiasi ragazza prenderlo per mano – per quella mano, poi – sapendo esattamente chi era.
Lanciò uno sguardo alla mole castello. E pensò a quello a cui non aveva voglia di pensare, proprio perché lo faceva infuriare.
Era un sentimento piuttosto nuovo, quella rabbia sottopelle, che improvvisamente usciva dal suo controllo e lo faceva sbottare, o prendere a pugni gente come Poliakoff.
Se il ritratto di Severus Piton non fosse stato tela e colori, probabilmente avrebbe preso a pugni pure lui.
 
… “Le presento il Professor Severus Piton.”
 
Sören era rimasto immobile come uno stoccafisso di fronte all’uomo che ultimamente aveva riempito la sua testa con pensieri inopportuni. Non era riuscito neppure a presentarsi adeguatamente ed era dunque stato Silente a rompere il silenzio creatosi.
“Bene!” Aveva trillato il mago più anziano. “Vi lascio soli!”
E prima che lui o l’altro mago, che sembrava piuttosto contrariato, potessero obbiettare Albus Silente era
scomparso dalla tela.
“… Dov’è andato?” Aveva chiesto stupidamente.
“Dove vanno tutti i quadri quando decidono di lasciare una tela.” Aveva ribattuto Piton lasciandolo comunque nel dubbio. “Così…” La sua voce era piatta, ma non priva di carattere. Era come se la tenesse sotto controllo. Era la voce di un insegnante. “… lei è un Prince.” Aveva concluso.
“Da parte di madre.” Aveva risposto pronto. “È una parentela cadetta, non porto il cognome.”

“Quanti anni ha?”
Si era leggermente rilassato all’incalzare di quelle domande. Ci era abituato. “Diciassette.”
Diciannove.
“Capisco.” Era stata la risposta.“Non ravviso nessuna somiglianza.” Aveva aggiunto poi.

Sören si era morso un labbro, sentendo un’incomprensibile fitta di dispiacere. “È naturale.” Aveva risposto comunque, ragionevole. “Come ho detto…”
“Aveva bisogno di chiedermi qualcosa, mi ha riferito il Preside.” Lo aveva interrotto. Non stava neppure tentando di instaurare una conversazione, neppure tramite convenevoli. Era scortese.

Sören se ne sentì suo malgrado affascinato come lo era stato in principio dai modi scomodamente diretti di Lily. “Non esattamente.” Aveva obbiettato, sentendosi sotto giudizio. Gli occhi di quell’uomo, per quanto fosse solo una parvenza, sembravano esaminarlo nel profondo. “No… in realtà, ho solo…”
“Se non ha domande che richiedano la mia presenza… buona giornata Signor Luzhin.” Lo aveva interrotto di nuovo, voltandosi per andarsene. Sören si era sentito preso in giro: se ne stava andando senza alcun riguardo, semplicemente dandogli le spalle?

“In realtà una domanda la avrei.” Lo aveva fermato. “Naturalmente se non le rubo del tempo.” Aveva aggiunto, e l’ironia l’aveva colta persino il ritratto, perché si era voltato con un sorriso sarcastico.
“Rubarmi del tempo? Le ricordo che sono un quadro.” È un Prince, come me, aveva pensato Sören sentendo una specie di calore allo stomaco.  
Era una sensazione molto diversa dalla rassegnazione che provava quando pensava alla sua famiglia.  
“Beh, Signor Luzhin? Parli. Se io ho tempo, sono certo che lei non possa dire lo stesso. Un Campione avrà molto da fare…”
Sören si era umettato le labbra, ignorando la frecciatina. Lily gli aveva pur detto che non era una persona piacevole.

Ma non pensavo fosse un uomo che parla solo tramite sarcasmo.
“Non ha… mai conosciuto nessuno della nostra famiglia?” C’era molto, troppo che voleva domandargli. Forse era meglio iniziare da un argomento neutro. “Intendo dire, a parte sua madre…”
L’argomento non era sembrato tale al quadro, perché aveva assottigliato lo sguardo. “Signor Luzhin… per i Prince, io ero un bastardo. Pensa veramente che qualcuno di loro sia venuto a portare doni, alla mia nascita? O che abbia cercato contatti, in seguito?”
Sören si era sentito arrossire. Nella sua disperata ricerca di una domanda iniziale, aveva scelto forse la più spinosa. “Naturalmente… io non intendevo. Mi perdoni.” Aveva mormorato. “È solo che non conosco molto del ramo britannico della mia famiglia.”
“Lo stesso vale per me.” Era stata l’aspra risposta. Gli aveva lanciato uno sguardo. La linea amara delle labbra del mago era tesa. Sì, Lily aveva ragione. Severus Piton era un uomo difficile. “Ha altri quesiti a cui non posso rispondere da sottopormi?”
“Perché ha tradito Voldemort ed è passato dalla parte della resistenza?” Era sbottato, e improvvisamente si era reso conto che era quella, l’unica domanda che voleva fargli.

Voleva sapere perché un mago che aveva creduto in un’ideale – non poteva essere altrimenti, Piton sembrava un uomo intelligente, non certo un ottuso gregario – avesse scelto di tradirlo in nome di un’amicizia. Al di là della visione romantica di Lily, lui vedeva altro: un amore non corrisposto non poteva aver fatto fare inversione di rotta alla mente di un uomo perché sì.
Ho bisogno di sapere perché. Il perché.
Il silenzio del ritratto gli aveva fatto arrischiare un’occhiata. Gli si erano bloccate le parole in gola quando aveva visto l’espressione del mago. Era furioso.
“Sono risposte che può trovare agevolmente nella melensa carta straccia scritta in mio onore…” Aveva sputato secco. Alla sua espressione sconvolta, aveva aggiunto. “Non creda che non abbia capito il suo giochetto, ragazzo idiota. Lei non è certo il primo che vuole farsi raccontare le mie gesta in prima persona… anche se, ammetto, è il primo che usa la lacrimevole scusa della parentela.”
“Non è una scusa!” Era sbottato incredulo, serrando i pugni. “Ho davvero sangue Prince!”
“E questo dovrebbe commuovermi? Darle un dispaccio speciale?” Fece una smorfia sardonica. Sören aveva sentito un tremito incontrollabile in ogni fibra nel suo corpo. Mai, mai era stato trattato in modo così sprezzante. Persino Doe, con i suoi lazzi e i suoi soprannomi, aveva saputo quando fermarsi.

“Lei è maldestro, Signor Luzhin. Può aver convinto Silente con questa storiella raffazzonata, ma non me. So benissimo che la famiglia di mia madre, al tempo in cui nacqui, contava solo due eredi in grado di portare avanti la linea di sangue. Mia madre e un fratello. Nessuna sorella che andò a sposarsi Oltre Manica.”
Sören si morse il labbro. Se avesse cambiato la sua versione, sarebbe stato sospetto. Se gli avesse raccontato la verità, sarebbe stato in pericolo.

Aveva quindi dovuto rimanere in silenzio, mentre il mago gli lanciava un’occhiata sprezzante.
Svuota la mente. Prendersela con un quadro è stupido. Non è neppure una persona vera, ma solo una parvenza.
Perché allora a stento riusciva a dominare la collera?
Anche Piton aveva dovuto accorgersene, ma aveva finto di ignorare la sua espressione.“ Pur le avessi creduto, non avrebbe funzionato. Persino la sciocca ultimogenita di Potter ha tentato di venire a conoscermi…” Aveva teso una smorfia. “… fortunatamente le difese dell’ufficio hanno retto.”
“Lily.” Aveva indovinato subito. Una nuova ondata di collera lo aveva scosso. Fantastico: da quando non riusciva più a controllare le proprie emozioni?
Svuota la men…
Al diavolo.
Stavolta l’aveva interrotto prima che aprisse bocca. “Non parli così di lei.”
Il mago era sembrato per un attimo sconcertato. Sicuramente irritato per il suo tono totalmente privo del rispetto che aveva cercato di usare fino a poco prima. “Prego?”
Le illazioni di Poliakoff gli erano tornate alla mente. Era stufo di essere preso in giro, ingannato, tenuto all’oscuro. E la colpa di fare la stessa cosa a Lily lo stava rodendo vivo.

“Ho detto…” Aveva sbattuto una mano contro il muro per non fare a pezzi il quadro. “Non si azzardi a parlare così di lei!”  
Poi, quasi fosse stata chiamata, era apparsa Lily.
 
Si era comportato in modo incomprensibile persino a sé stesso. Piton era stato sgradevole, ma non l’aveva insultato. Aveva semplicemente supposto che lo stesse prendendo in giro.
Ha davvero fatto finta di non notare le nostre somiglianze? Le ha riconosciute persino Albus Silente!
Non riusciva a capire se fosse rimasto più scottato dalle insinuazioni alla sua persona o da come l’altro mago avesse apostrofato Lilian. Forse da entrambe.
Forse è meglio che il mio soggiorno ad Hogwarts sia al termine…
Quest’atmosfera mi sta corrompendo. Scoppi d’ira così non ne avevo mai avuti. Mai.

“Luzhin.” Si sentì chiamare. Si voltò per trovarsi di fronte Dionis Radescu.
Replicò con un cenno della testa, in allerta.  
“È arrivata una consegna per te da Hogsmeade.” Gli porse un pacco. Sören lo prese: per quanto avesse trovato urticante la conversazione con Piton, aveva seguito l’unico suggerimento che gli aveva dato.
Sono risposte che può trovare nella melensa carta straccia scritta in mio onore…
“È un libro?” Chiese l’altro curioso.
Decise che non rischiava nulla a rispondergli. “Sì. Non era nella biblioteca della nave, così ho dovuto ordinarlo alla libreria del villaggio.” Scartò l’involucro e ne tirò fuori, un po’ sconcertato, un grosso volume dall’abbagliante copertina fucsia.
Radescu ebbe una specie di spasmo alle labbra, tremendamente simile ad una risatina.  
Sören gli scoccò un’occhiataccia. “E’ la biografia di Severus Piton, curata da Rita Skeeter.” Spiegò. “Mi è stato detto che è la più completa sull’argomento.”  
Il rumeno prese un’aria divertita. “Se ami la cronaca rosa…” Notando la sua espressione confusa, inarcò le sopracciglia. “Non conosci la Skeeter? È una giornalista di qui, molto famosa. All’estero però credo sia conosciuta più come biografa. Ad esempio, ha scritto la biografia, per quanto non autorizzata, di Krum. Viktor Krum?” Alla sua aria poco colpita sospirò. “Comunque… il suo stile non è obbiettivo.” Vedendolo infine corrucciarsi, aggiunse per buona misura. “… ma è indubbio che i suoi libri siano molto minuziosi.”
Sören annuì, incartando malamente il libro. La copertina era un’offesa per gli occhi.
Non capisco…

Radescu stava lì, e stava chiacchierando con lui come se fossero compagni.
Cosa vuole da me?
“Mi stai spiando?” Sbottò. Avrebbe dovuto essere più sottile, ma al momento non era dell’umore.
L’altro serrò le labbra. “No.” Ribatté secco. “Comunque, di che ti preoccupi? Non è come se ti denunciassi agli auror.” Indovinò i suoi pensieri. “La delegazione è tutta sotto Voto Infrangibile. Ma immagino tu lo sappia.”
No, non lo sapevo – pensò Sören sbalordito. Non che fosse colpa sua, la spada di Damocle che pendeva su quei ragazzi, naturalmente, ma…

Perché stiamo coinvolgendo tutte queste persone? Per una singola persona mettiamo a rischio tanta gente? Studenti?
La Thule non si è mai comportata così. Cerchiamo sempre il risultato senza meno complicazioni.
E qui sono pieno di complicazioni.
“Una precauzione ulteriore…” Continuò intanto il ragazzo. “Sanno tutti che noi allievi, oltre ogni cosa o persona, siamo fedeli al Direttore e alla scuola.”
Durmstrang über alles¹.
Sören ricordava il motto dei suoi sette anni all’Istituto. Era naturale che Radescu, allievo parte dell’élite, fosse devoto a tale principio come un soldato lo sarebbe stato al proprio comandate; Durmstrang era piuttosto famosa per la sua disciplina ai limiti del marziale.
Entri in un’età dove sei estremamente malleabile, psicologicamente parlando. Vi resti per sette anni, con contatti minimi con il mondo esterno…  
Una simile forma mentis avrebbe potuto toccarlo, certo. Se non avesse avuto suo zio e la Thule.
Io ho una fedeltà primigenia. Solo a quella rispondo.  
Non riusciva a capire però perché Radescu non lo guardasse come facevano gli altri. Non aveva il dovere di essere amichevole con lui.
“Perché?” Gli chiese. Ultimamente era una domanda che rivolgeva spesso. “Perché sei gentile con me?”
Il rumeno gli scoccò un’occhiata indecifrabile. “Tu non sei come Kirill.” Disse. “Kirill è avido e gretto. È un ratto.” Sören non rispose. Del resto gli dava ragione su tutta la linea. “Ti ho osservato.” Continuò. “Non ho la presunzione di capirti… ma ho capito questo. Tu sei fedele. E lo saresti a discapito della tua vita.” Fece una breve pausa, tirando un sospiro. “Questo devo rispettarlo.”
Sören batté le palpebre, colpito. Il rumeno annuì, quasi a rafforzare la precedente affermazione. “Te l’ho detto. So riconoscere un guerriero quando ne vedo uno…” Poi si fermò, aggrottando le sopracciglia.
Stava per pronunciare il mio nome, ma non vuole usare quello falso..
“Mi chiamo Sören. Il mio vero nome, intendo. È … Sören, lo stesso.” Mormorò. 
“Sören.” Confermò quello. Lanciò uno sguardo al castello. “Spero che, per quanto i tuoi fini siano altri, terrai alto l’onore di Durmstrang. Dopotutto, sei stato uno di noi.”
Si trovò ad annuire. “È mia precisa intenzione.”
L’altro gli fece un cenno della testa, un commiato. “Buona lettura.” Aggiunse, indicando il libro. Poi rientrò sottocoperta.  
Sören sospirò.  
 
****
 
Londra, Ministero della Magia.
 
“Ti ringrazio per essere venuto…”
“Figurati Tom, ci mancherebbe altro!”
Tom fece un mezzo sorriso alla figura del padrino, appena uscito da uno dei tanti ascensori del Ministero.
Sopportò di buon grado la pacca maschia che ne conseguì: non avrebbe mai apprezzato simili dimostrazioni, ma poteva fingere di farlo.

Era il minimo se Harry perdeva tempo ad accompagnarlo fino all’ufficio del Trasporto Magico, sezione Passaporte, dove avrebbero riscontrato Meike in arrivo dalla Germania.
Harry lo affiancò, passandosi stancamente una mano dietro la nuca. Aveva l’aria di chi stava pensando a tutt’altro: lo poteva capire. Al di là della quieta contentezza che provava all’idea di rivedere quel folletto teutone, non dimenticava l’episodio con Lily di pochi giorni prima.
E se persino Albus non ha tentato di dissuadermi dalle mie ‘deliranti idee’ stavolta… se l’ho convinto…
“Allora, come va a scuola?” Chiese il padrino, facendogli cenno di entrare in uno degli ascensori appena liberatisi. Dettò il piano al funzionario addetto e poi gli scoccò un’occhiata.
“Bene… nulla di diverso dall’ultima volta che ci siamo visti.” Scrollò le spalle, togliendosi la sciarpa e piegandola accuratamente nella tasca del cappotto. “A parte l’aumento esponenziale di decorazioni, si intende.”
Harry ridacchiò. “Ah, mi ricordi i Natali ad Hogwarts… magici!”
“Mh.” Non commentò di rimando; tutta quell’overdose di colori, luci e carole natalizie non erano nelle sue corde, e questo sin da bambino.

Forse è il trauma delle molteplici festività alla Tana?
Naturalmente Albus era elettrico, da bravo adepto del Clan: da giorni trotterellava in giro per i sotterranei con un maglione con un grosso abete sopra; né lui né Zabini erano riusciti a dissuaderlo dall’indossarlo.
La cosa peggiore è che nessuno lo prende in giro. Con tutte le cariche che ricopre gli altri sono terrorizzati dall’eventualità che tolga punti a Serpeverde per ‘oltraggio a scolastico ufficiale’.
… preferivo quando lo prendevano in giro.
“Lils… uhm. Lei come se la passa?”
Tom lanciò un’occhiata interessata al padrino. L’uomo aveva la solita espressione di tranquilla gentilezza stampata in faccia, ma vide un leggero nervosismo trapelargli sulle labbra.

“È molto eccitata per il Ballo, come puoi immaginare…” Osservò neutralmente, spiandone le reazioni. “… del resto, andrà accompagnata dal Campione di Durmstrang.”
“Sì, lo so, non parla d’altro da un mese.” Si schiarì la voce. “Sai, non conosco il ragazzo… che tipo è?”

Ho già sentito questa domanda… vediamo, dove? Ah, sì. Da me.
Solo che qui è semplice gelosia paterna, palese e terribilmente tale.
Sospirò: Harry aveva già troppe gatte da pelare, senza i suoi sospetti volatili su Luzhin: e poi, a dirla tutta, aspettava il parere definitivo di Albus sulla faccenda. Sapeva sarebbe arrivato presto, ora che aveva messo la pulce nell’orecchio dell’altro serpeverde.
“Luzhin è… riservato.” Eufemizzò. “Al di là dei meriti che lo hanno portato a ricoprire la sua posizione dicono tutti sia piuttosto noioso.”
Harry sembrò rilassarsi. “Noioso?” Chiese però confuso; conoscevano entrambi Lily: poteva essere una ragazza cordiale con tutti, ma in genere non mostrava particolare interesse per tipi alla Percy Weasley.
“Non è tipo da stare al centro dell’attenzione come Malfoy, ecco tutto.” Ghignò del sorrisetto divertito dell’uomo. “Comunque sta soprattutto con Lily e i suoi amici, non lo conosco bene.” Harry gli fece un sorriso di assenso, mentre le mascelle meccaniche dell’ascensore si aprivano con un cigolio.
Il Dipartimento del Trasporto magico era … spazioso. E l’aggettivo non gli rendeva giustizia, dato che serviva come punto di arrivo e di partenza per tutte le Passaporte Nazionali per la e dalla Gran Bretagna. Non essendo facile ottenerne una – chili e chili di scartoffie burocratiche – i viaggi oltre Manica era piuttosto rari, e organizzati sempre in gruppi. Quella di Meike era la Passaporta da Schwerin² delle undici e mezzo. Guardò l’orologio.
Una decina di minuti… 
Harry lesse l’ora sporgendosi dalla sua spalla. “Oh! Manca poco…”
“Già.”

Il padrino lo condusse attraverso un grosso arco di pietra; passatolo, si aprì davanti a loro un’enorme superficie, grande come la sala d’ingresso di Victoria Station. Anche le piattaforme d’attesa ricordavano vagamente quelle di una stazione: solo che al posto dei binari c’erano quadrati erbosi riempiti di cuscini.
Continuo a pensare che i trasporti magici dovrebbero essere decisamente aggiornati.  
Meike non aveva mai preso una Passaporta internazionale: l’atterraggio non sarebbe stato dei migliori. 
“Ecco… quella dovrebbe essere la piattaforma dalla Germania.” Indicò Harry con aria incerta. Arrivati risultò fortunatamente essere quella giusta.
Tom diede un’ennesima occhiata al suo orologio babbano, ignorando il sorrisetto benevolo del padrino.
Sette minuti…
Il giorno prima, finalmente, era arrivata una lettera da Cordula. Ovviamente poche righe, ma aveva avuto il potere di farlo infuriare e preoccupare in ugual misura.
Quando l’aveva tradotta per Albus perlomeno aveva avuto supporto altrettanto veemente.
 
Caro Stronzetto,
ti sembra che abbia valuta magica? Come diavolo hai potuto pensare che potessi pagare un gufo per risponderti?
Per fortuna Meike aveva qualche spicciolo e così ecco qua.
Si trova male a Durmstrang e quindi sì, voglio che si trasferisca da voi il prossimo anno. Non dare retta alle palle che si inventerà.  

So che te ne occuperai, perché ti conosco.
Stammi bene, stronzetto. E buon Natale.
Cordula

PS: Salutami il tuo ragazzo, la famiglia e quell’eroe.  
 
La vecchia Wollin aveva avuto il dono, in poche righe, di riassumere mesi di lontananza.  
E mi conosce ancora alla perfezione.
Toccò con la punta delle dita la lettera, dato che l’aveva messa in tasca; non pretendeva di conoscere gli usi e costumi di Durmstrang – quel poco che sapeva era per sentito dire, sui libri si trovava ben poco a proposito dell’Istituto. Ma era chiaro che i suoi dubbi circa la politica che la scuola nordica usava con le minoranze magiche erano fondati.
Ancora una volta, ho ragione.
Guardò di nuovo l’orologio.
Cinque minuti. Ma che diavolo ha che non va il tempo?
Fece uno sbuffo spazientito, ovviamente udito da Harry, che ridacchiò.
“Non essere impaziente…” Lo ammonì scherzosamente.
“Non lo sono.” Replicò secco. “Ci sono novità sul caso?” Chiese per farlo smettere di sogghignare. L’uomo infatti perse il sorriso e prese un’aria attenta.
“Sì, in effetti.” Sospirò. “Pare che le tue sensazioni sulle intenzioni di tuo padre non fossero sbagliate. È una cosa personale.”
E tre. Ultimamente sono pieno di ragione.
Si sentì correre un lungo brivido ghiacciato lungo la schiena.  

Assentì quieto, lisciando le frange della sciarpa verde-argento. Erano tremendamente attorcigliate… e quella era una macchia di cioccolato?
Fantastico. Ho preso quella di Al.

“Non sappiamo ancora perché tua padre sia così ossessionato da te.” Aggiunse l’uomo. “O meglio, è immaginabile. Sei suo figlio…”
“Allora perché concentrare gli sforzi solo adesso? Diciott’anni fa³ non lo ero?”
“Forse perché ti ha trovato, solo adesso. Ricordati che sei cresciuto nel mondo babbano…”

“Di questo non potrò mai ringraziarti abbastanza…” Fece una pausa all’aria sbigottita dell’uomo. “… odio il rock magico.”
Harry scoppiò a ridere e Tom suo malgrado sorrise. Detestava quando gli altri si preoccupavano per lui.
Mi irrita.
Un improvviso lampo squarciò la piattaforma e dovettero distogliere lo sguardo, abbacinati. Quando Tom si riabituò a non sentirsi cieco, sentì una vocetta sopra tutte. Che chiamava il suo nome.
Si alzò di scatto in piedi, mentre la figurina bionda di Meike si liberava dell’impaccio di due grossi cuscini per corrergli incontro, mollando dietro di sé armi e bagagli.
Sì, era il suo folletto di Rügen: capelli biondi, milioni di lentiggini ed enormi occhi verdi. C’era tutto, come se non fossero passati che pochi giorni da quando gli saltellava attorno chiedendogli di scaldarle l’acqua dell’oceano.
Fu preparato all’assalto dell’undicenne. Si chinò per afferrarla e tirarla su e fu gratificato da una risata contenta. Quando la strinse – c’era ovviamente un motivo per quel suo slancio affettuoso fuori copione - sentì quant’era magra sotto i vestiti.

Darò fuoco a Durmstrang – pensò ferocemente, mentre si faceva arpionare il collo dalle braccia della bambina. “Tom!” Gli strillò nelle orecchie. “Sei venuto! Mi sei mancato tanto! Il viaggio è stato stranissimo! Hai visto come sono atterrata bene?” Continuò in un fiume di tedesco che cercò di assorbire frastornato. “Dicono che la prima volta ci si fa un sacco male!”
“Sì, sei stata brava…” Convenne dandole una pacchetta sulla schiena. Era troppo magra. Non poté analizzarle l’anatomia del viso, dato che lo teneva saldamente conficcato nella sua scapola, ma aveva già la sua diagnosi. Durmstrang l’avrebbe pagata. “Hai fatto buon viaggio?”
“Te l’ho detto! È stato troppo strano! Però mi è piaciuto!” Replicò, tirandogli una ginocchiata nelle costole tentando di assestarsi. Avrebbe dovuto far notare a lei – ma anche ad Al – che non c’era bisogno di procurargli lividi e abrasioni per dimostrargli affezione.

Non adesso però.
Vide con la coda dell’occhio Harry con il sempiterno sorrisetto urticante prendere i bagagli. Lo ignorò; in compenso la bambina finalmente si degnò di guardarlo in faccia.
Cordula doveva averla rimpinzata fino al collasso, ma comunque non aveva potuto riempire le guance che ricordava molto più piene e lentigginose.
“Tom!” Emise contenta. Immediatamente dopo gli occhi le si riempirono di lucciconi e prese a singhiozzargli sulla spalla.
Cosa diavolo…
Lanciò uno sguardo preoccupato al padrino – terrorizzato, lo avrebbe poi descritto Harry alla moglie, la sera stessa.

“Meike, cos’hai? Ti senti male?” Chiese, senza avere risposta. Forse era per la materializzazione? Si era fatta male?
Harry si avvicinò, accarezzandole la testa solo come i padri sapevano fare, “È solo stanca… È stato un lungo viaggio, non è vero?” La bambina fece un piccolo assenso, tirando su con il naso. “Forse è meglio se la portiamo subito a casa dei tuoi…” Aggiunse.
Tom annuì, e nonostante le sue braccia non fossero fatte per portare bambine piangenti, glissò e seguì il padrino verso gli ascensori.

Persino arrivati alla macchina Meike si rifiutò di mollare la presa e così non gli restò che sedersi dietro con la bambina sulle ginocchia, quando di solito preferiva il sedile accanto al guidatore. Da solo.
“Cos’ha?” Chiese al padrino una volta che si fu addormentata, all’altezza di Claygate: dopo un paio di commenti sui campi sotto di loro che sembravano coperte patchwork, gli aveva posato la testa su una spalla ed era crollata di botto.
Era una fortuna che la delegazione di Durmstrang fosse ancora ad Hogwarts.
Così potrò affatturare quel figlio di puttana del loro Direttore. Non era presente? Non ha importanza.
Uno paga per tutti.
Harry gli lanciò un’occhiata poi sorrise alla sua aria temporalesca. “Troppe emozioni, penso. È tanto tempo che non ti vede, dopotutto.”
“Ridicolo. È chiaro invece che Durmstrang l’abbia traumatizzata.”
Harry ridacchiò. “Ha undici anni … e forse sì, non si è trovata bene. Ma le passerà, ora che è con te.”
“Non tornerà laggiù.” Replicò serrando la mascella; Cordula gli aveva dato un compito e di certo non aveva intenzione di disattenderlo.

Dovessi mettere sotto imperio qualcuno.
Harry gli lanciò una seconda occhiata. “Al mi ha già parlato della sua situazione. Faremo il possibile.”
“Non è abbastanza.”
L’altro alzò gli occhi al cielo. “Lo sarà, Tom… ora pensiamo a farle passare delle belle vacanze.”

Suo malgrado, dovette acconsentire.
“Cerchiamo di passarle tutti…” Aggiunse  con un sospiro. Tom non rispose subito, preferendo assestare Meike su una posizione più comoda. Per entrambi. Ci rifletté, e non se la sentì di fare il cinico.
“Faremo del nostro meglio.”  
Harry gli sorrise.

****
 
“Ehi, Malfoy!”
Scorpius si voltò, rischiando di perdere l’assetto e ruzzolare giù per le scale che collegavano la Torre al Sesto Piano.
Ma del resto, se era Rose a chiamarlo, era disposto anche a fratturarsi un osso. Più o meno.

Si voltò dunque.“Ehi Rosie.” Sorrise di rimando. “Finite le lezioni?”
Quel giorno era ufficialmente terminato il trimestre. Scorpius si sentiva di umor allegro, anche se il suo assistente aveva lasciato il castello anzitempo portandosi dietro gli appunti che avevano preso.

Mostro il cuore non gli occhi. Nel mio cuore, al momento, c’è molto odio per Dursley.
La ragazza annuì. “Sì, Aritmazia era l’ultima… Il professor Finch -Fletchley ci ha caricato di compiti.”
Scorpius annuì, chiedendosi perché Rose avesse comunque l’aria soddisfatta. “Uhm, sei contenta per la mole di compiti?” Indagò.
Rose fece una risatina divertita. “Non esagerare, neanche io sono così secchiona.”
“Giuusto… quindi?”
“Non noti niente di diverso?” Chiese con un sorrisetto incoraggiante. Scorpius la scrutò, cominciando a sudare interiormente.

Per tutti i troll. Quando le ragazze dicono così c’è sicuramente qualcosa. Solo, cosa?
Forse i capelli? No, non mi pare… e non porta più quella trappola babbana ai denti, l’ha tolta al Quarto anno. Quindi…  
 
Rose guardò divertita l’espressione di Scorpius accartocciarsi nel dubbio. “Taglio di capelli nuovo?” Tentò angosciato. Alla sua espressione, aggiunse in fretta. “Oh, ti prego, non odiarmi! Non ne ho idea!”
“Deficiente, non ti odio per così poco…” Sospirò, sentendosi improvvisamente a disagio. Non era stato facile averlo trai piedi in quelle settimane volendolo ma dovendo aspettare, come per ogni buon piano.

La mia attesa è finita, domani torno a casa. Papà non potrà sfuggirmi.
“Okay… dunque.” Borbottò l’altro contrito. “Dai, cosa? Non ci arrivo!”
“Va bene, ti do un indizio. Petto.”
“… ti sei incantata le tette?”
Rose non seppe se scoppiare a ridere o ucciderlo a colpi di borsate sui denti. Tirò un lento sospiro, poi indicò la porzione di stoffa sotto lo stemma di Grifondoro, dove faceva mostra una nuova spilla, ben più grande e con diverse iniziali rispetto a quella di prima.

Caposcuola!” Esclamò l’altro, colto finalmente da illuminazione. “Sei diventata Caposcuola!”
“Ho una buona media ed ero già un Prefetto. Praticamente ho spazzato via la concorrenza.” Spiegò, quando in realtà la concorrenza non si era neanche fatta viva.

La candidatura più facile della storia della scuola. Il Preside mi ha quasi ringraziata.
Scorpius le fece un gran sorriso. “Ottimo lavoro Weasley!” Poi fece un buffo movimento indeciso. Era chiaro volesse abbracciarla, ma c’era quella cosa della pausa addizionata dal fatto che doveva fare il principe azzurro irraggiungibile.
E poi, siamo inglesi. Non abbracciamo granché.
“Malfoy, non stiamo assieme, ma siamo amici.” Ribatté, complimentandosi per il tono colloquiale che le uscì. “Penso che un abbraccio di congratulazioni vada bene in questi casi.”
Scorpius sembrò rilassarsi, e la strinse stupendamente a sé. Per quanto avesse mediamente le mani gelate, sapeva abbracciare come nessun altro.

Beh, suppongo il fatto che voglia mettergli le mani addosso aiuti…
Si beò virtuosamente del contatto e ignorò elegantemente il suo bisogno di baciarlo a morte quando si staccarono. “Allora… domani torni a casa?”
Scorpius annuì. “Potevo anche restare qui per il banchetto della Vigilia, ma voi non restate e mia nonna ci tiene che ci sia per le feste. Poi sai, scartare i regali a mezzanotte da noi è una specie di rito. Un po’ ingessato, ma siamo tutti ingessati. Siamo Malfoy.” Blaterò come suo solito.
Rose ascoltò a metà, anche perché aspettava solo l’imbeccata. Passò quindi le dita sulle cinghia della borsa. “A questo proposito… io vado domattina, e visto che stasera in Sala Comune ci sarà tutta Grifondoro…” si schiarì la voce all’aria perplessa dell’altro. “Vorrei darti il mio regalo. Adesso.”

“Regalo…” mormorò l’altro. Poi gli occhi gli si accesero di una luce maniacale.
Bingo.
Era universalmente nota, dalla Vigilia prima, l’autentica fissazione che Malfoy aveva per i regali di Natale.
Ed io ho intenzione di sfruttarla.  
“Pensavo me li mandassi per posta come gli altri!” Esclamò, puntandole la borsa come un segugio da caccia. “Ma va bene lo stesso! Anzi, meglio! Posso aprirlo ora?”
Rose sospirò con aria paziente, come se fosse indecisa, frugando nella borsa. “Dovresti aspettare …”

“Va bene comunque, se mi dai il permesso!” La fermò. “Posso assicurarti che è una legge non scritta del Natale!”
“Che bugiardo.” Sbuffò, poi gli tese il pacchetto. “Va bene, dai. Ma vedi di trovarmi un regalo adatto da spedirmi via Gufo.” Aggiunse, mascherando l’ansia all’idea che non glielo avesse fatto.

L’altro si congelò, con la mano tesa.
Come pensavo, visti gli ultimi sviluppi è normale… - pensò, sentendo un dolore sordo al petto.
“Il tuo regalo!” Sbottò invece l’altro. “Hai ragione! Vado a prendertelo! Così ce li scambiamo!” Annunciò, prima di voltarle le spalle e scappare verso la Torre di Grifondoro.
… okay. È pazzo.
Rose dovette frenarsi da ridere dal sollievo: c’erano un po’ troppi ritratti che avevano seguito il loro scambio di battute con aria interessata.
Non fece in tempo a chiedersi se si fosse ammazzato per le scale a chiocciola del dormitorio, che l’altro tornò col fiatone e un pacchettino stritolato in mano.
“Eccolo!” Annunciò trionfante. “Te l’ho… ehm, comprato mesi fa.” Aggiunse per buona misura, perché lei lo stava ancora corteggiando.
Argh.
“Okay… ed ecco il tuo.” Glielo tese, prendendo poi il maltrattato pacchetto. “Inizia tu.”
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte: si liberò della carta con una furia primitiva.

Tipica dei bambini viziati…
Non riusciva a trovarlo un difetto, neppure quello.
Stadio terminale.
“Sono occhiali, Malfoy…” Sospirò all’aria perplessa quando li tirò fuori. “Occhiali da sole babbani.” Specificò mentre questo cercava di pulire le lenti, ignaro del fatto che non fossero sporche, ma nere. “Servono durante le giornate di sole. Visto che ti ostini a stenderti a pelle d’orso sull’erba senza nessuna protezione…” 
Scorpius, capitone la funzione, li indossò immediatamente. “Sono meravigliosi!” Esclamò. “Non ci vedo un tubo, li indosserò per il Ballo!” Aggiunse senza logica. “Saranno perfetti con il completo.”
Ah, ecco. Il completo meraviglioso che nessuno ha ancora visto. Tremo.
“Si usano all’esterno, non dentro un castello.” Glieli raddrizzò, sentendo un’ondata d’affetto sommergerla. La tacitò a colpi di forza interiore. “Comunque non credo che la tua dama apprezzerebbe …”
Quella vacca francese.
“Ma tu sì!”
Seguì un silenzio scomodo. Rose ebbe l’impulso di sbattere la testa contro il muro.
Non dirmi certe cose quando poi vuoi che stiamo lontani, stupido idiota!
“Malfoy…”
“Scusa.” Intuì, avendo il buon gusto di sembrare imbarazzato. “Non apri il tuo?” chiese poi, pieno di aspettativa. Rose sospirò, glissando sul battito accelerato del cuore. Scartò il pacchetto con la stessa furia – okay, forse Malfoy non era viziato.

Era una collanina con un ciondolo smaltato di bianco, e il ciondolo era a forma…
“È un fiore di cactus. Prima di andare in gioielleria mi sono informato sulla forma. Insomma, non è un fiore che si usa molto, per… le collane.” Borbottò l’altro, sempre con quegli stupidi occhiali addosso.
 
Il Piano di Violet prevedeva che Rose avrebbe finito per sedurlo, o saltargli addosso. Lui, allora, magnanimo – e interiormente felicissimo – avrebbe acconsentito. Risultato: storia vissuta alla luce del sole e vissero tutti felici e contenti.
‘Vedrai Scorpius, la tua Weasley non potrà resistere a lungo… e non sarai tu, stavolta, a corrergli dietro come un povero scemo. Certo, poi forse tuo padre ti diserederà…’
Il resto del discorso non l’aveva ascoltato. 
Il problema di tutta la strategia, Scorpius se n’era accorto solo dopo, era uno.
Non abbiamo calcolato la fibra morale di Rose.
Gli aveva promesso che avrebbe messo le cose a posto con suo padre, prima di riprendere la loro storia.
Sfortunatamente quel cavolo di pel di carota si è reso irrintracciabile!
Il che significava che lui non poteva riprendersela perché aveva messo su tutto quel teatrino e lei non si sarebbe mossa finché non avrebbe risolto le cose con quel rompipalle.
Tradotto. Più di un mese.
Non che non avesse accolto volentieri quella pausa: gli era servita per far chiarezza dentro di sé.  
Anche sa avrò un suocero orripilante, so che è lei la donna che voglio accanto per il resto della mia vita.
Anche perché solo la donna della sua vita avrebbe guardato quel ciondolo con gli occhi pieni di lacrime.
“… ti piace?” Chiese, sapendo bene la risposta. Le donne non piangevano quando detestavano un regalo. Quelle che aveva conosciuto lui, di solito te lo tiravano in testa o lo distruggevano a parole.
“È… ehm.” L’altra si schiarì la voce. Tre volte. “Devo andare.”
“Non lo indossi?” Le chiese. “Ti aiuto ad allacciartela se vuoi!”

“Devo. Andare.” Scandì stringendo la collanina in pugno e poi scappando a gambe levate in direzione opposta alla Torre. Curiosamente, verso i sotterranei.
Ah, dove c’è mini – Potter. Una chiacchierata tra ragazze è un buon segno, giusto?
… non è che ho sbagliato a questo giro?
 
****
 
Albus si stiracchiò, risalendo la via dai sotterranei all’ingresso principale.
Rose era la sua cugina preferita ma a volte ricordava perché fossero in Case diverse; in effetti, soltanto una grifondoro avrebbe potuto irrompere nella Sala Comune di Serpeverde chiedendo di lui come se fosse questione di vita o di morte, salvo poi rivelarsi banali problemi di cuore.
Pensavo che Zabini l’avrebbe affatturata. Odia quando viene interrotto durante una partita a scacchi.
Si era davvero rischiato l’incidente diplomatico, ma per fortuna un paio di scuse a Michel e l’aver trascinato Rose in camera sua, ben lontana da qualsivoglia serpeverde, avevano risolto la faccenda.
Malfoy è un sadico comunque… darle un regalo del genere e poi volere solo amicizia?
Forse dovrei farci una chiacchieratina…
Non che avrebbe funzionato; l’altro grifondoro era repellente a qualsivoglia minaccia o avvertimento.
O non sarebbe amico di di quella capra di Jamie.
Si stiracchiò di nuovo: quella notte aveva dormito male. Decisamente male.
Era un po’ imbarazzante, ma ormai per avere sonni confortevoli doveva avere Tom tra le lenzuola. E l’altro era andato via il giorno prima, per recuperare Meike e, supponeva, passare tempo extra in famiglia.

Non che lo ammetterebbe mai…
Salutò con un sorriso un paio di studentesse che lo guardarono con risolini pieni di significato.
Oh - oh.
Si sentì congelare il sorriso sulla faccia.
Mi sa che non si è ancora chiusa la caccia al cavaliere…
Accelerò l’andatura, onde evitare di essere placcato: aveva chiesto a Lily di spargere la voce che aveva già una dama, ma sembrava non aver funzionato.
Certo, non sono stato praticamente molestato com’è successo a Tom, e non ci sguazzo neppure come Mike… ma insomma. Non capiscono che non sono interessato?
Lily gli aveva assicurato di sì, ma aveva aggiunto che per alcune ragazze i suoi orientamenti sessuali erano un dettaglio insignificante. Il suo cognome, il suo aspetto e le sue cariche, au contraire, estremamente appetibili.

Specialmente per le Corvonero e naturalmente, per le ragazze della mia casa.     
Svoltò bruscamente l’angolo e questo gli permise di trovarsi praticamente ad un paio di passi Luzhin, che si stava allacciando il cappotto, pronto ad affrontare le intemperie esterne.
Deve essere stato a trovare Lils…
Non ci rifletté tanto prima di raggiungerlo. “Sören!” Esclamò affiancandoglisi. “Cercavo proprio te!”
Il tedesco sembrò sorpreso di vederselo apparire affianco. “Albus…” Esordì, senza saper cosa aggiungere. Non che avessero rapporti tali per giustificare quel piglio amichevole.
“Sì, ehm, ciao.” soggiunse frettoloso, lanciando uno sguardo alle sue spalle. Erano aumentate? Erano aumentate. E ora stavano puntando persino il durmstranghiano!

Ma se Lily ha urlato ai quattro venti che è il suo cavaliere? Avvoltoi!
Sören sembrò intuire la fonte delle sue preoccupazioni, dato che sembrò altrettanto a disagio. “In cosa posso esserti utile?” Chiese comunque con cortesia.
“Si dà il caso che abbia…” Pensò velocemente. Voleva andare a controllare Fanny, prima di tornare a casa, e sapeva che ogni tanto si faceva vedere alla Capanna di Hagrid. “Vorrei andare dalla mia fenice.” All’aria sbalordita dell’altro, aggiunse. “Sì, ne ho una. Cioè, ne conosco una… solo che ho dimenticato la mia bacchetta in camera e affogherei nella neve prima di arrivare alla Capanna del Professor Hagrid. Mi accompagneresti?”
Il ragazzo sembrò valutare la richiesta. Gli occhi passarono da lui al gruppetto di ragazze ridacchianti.
“Sì, ci stanno puntando.” Convenne Al con aria seria. “Siamo prede.”
Luzhin parve piuttosto angosciato dalla cosa. “Molto volentieri.” Borbottò, facendogli cenno di fargli strada.

Uscirono dall’ingresso principale in fretta, seguiti da mormorii di delusione. Suo malgrado, Al fece una risatina divertita.“Merlino, va bene che ci sono più streghe che maghi a scuola… ma sono davvero…”
“Spaventose.” Terminò sorprendentemente il tedesco, aggrottando le sopracciglia. “Io ho già una dama.”
“Anche io! Ma suppongo siano arrivate ad attentare persino ai cavalieri occupati…” Fece una sorriso, a cui l’altro rispose con una smorfia. “Ma non preoccuparti, mia sorella difenderà il presidio!”
La reazione di Luzhin fu solo un lieve rossore in zona guance e collo.

Rimasero in silenzio attraversando il cortile centrale. Poi Luzhin tirò fuori la bacchetta e cominciò a sciogliere la neve alta e compatta – ben due piedi - che imbiancava il sentiero per la capanna di Hagrid.
“Ti ringrazio.” Esordì Al dopo un po’ mentre le parole di Tom gli rimbalzavano tra le sinapsi.
Lily sta frequentando una persona di cui non sappiamo nulla…  
Lily stessa aveva smesso di parlarne a getto continuo. Il che era… strano.
“Nessun problema.” Replicò l’altro concentrato nell’incantesimo scongelante.
Albus si mordicchiò un labbro, stringendosi le braccia al petto. Il freddo e il vento non aiutavano la conversazione, ma doveva parlare. Doveva capire.
Stranamente, fu Luzhin a riprendere la conversazione. “Così hai una fenice…”
“Ehm, non è che la possiedo. Siamo amici.” Si schiarì la voce all’occhiata confusa dell’altro. “L’ho vista per la prima volta l’anno scorso e… beh, quando sono nei guai si fa trovare nei paraggi. Mi aiuta, ma non è che sia il mio famiglio. Ho già un gufo.”
“Le fenici non si legano facilmente agli esseri umani.” Replicò l’altro, lanciandogli un’occhiata valutativa. “Se lo fanno, lo fanno con maghi di estremo valore.”
“Ah, non è il mio caso!” Agitò la mano, imbarazzato. “Te l’ho detto, ogni tanto viene a trovarmi. È successo anche a mio padre, sai.” Aggiunse per dare credibilità alla cosa. Luzhin avevano uno sguardo scettico. “… la fenice era di Silente, ma si mostrava quando aveva bisogno di aiuto. A volte.”
“Un tratto familiare…” osservò. “Non c’è dubbio, voi Potter siete maghi insoliti…” Alla sua espressione confusa, si schiarì la voce. “Ho notato che sembrate provare fastidio, quando vi vengono fatti complimenti sulle vostre capacità magiche.”

“Non è fastidio…” Al capì che Lily doveva aver avuto uno dei suoi moti di intolleranza ai complimenti che non riguardavano la favolosa sé stessa.
Allora si è aperta davvero con lui, se è arrivato a notare che non usa la bacchetta solo per incantesimi cosmetici…
“È più che altro che… beh. Siamo stati messi sotto il mirino dell’opinione pubblica praticamente da sempre. Sai, figli di eroi di guerra… dell’eroe per eccellenza poi!” Sbuffò. Non amava particolarmente Diagon Alley proprio perché ogni volta che ci metteva piede era tutto uno sguardo. Perlomeno ad Hogsmeade ormai i paesani lo conoscevano tutti e avevano smesso anni prima di additare lui e i fratelli come fossero bestie a tre teste.
“Fama riflessa.” Convenne Sören.
“Esatto! Certo, i nostri genitori ci hanno protetto, non siamo come i figli delle star babbane, in realtà viviamo una vita normale, sia a scuola che a casa…” Vedendo che l’altro non coglieva, riprese il filo del discorso. “… quello che voglio dire, è che essere sempre riconosciuti, e quindi messi sotto giudizio, ti porta a sviluppare dei meccanismi di difesa. Piuttosto che mostrare a tutti quanto abbiamo ereditato da nostro padre, preferiamo evitare del tutto di paragonarci a lui. E da qui, la modestia aggressiva.” Sorrise a Sören.
Beh, a parte Jamie. È da quando siamo piccoli che non fa che berciare che supererà papà.
Sören capì l’hint e sorrise di rimando. “Anche a Lilian non piace parlare della sua forza magica.”
“Lo odia, vero?” Rise. “Però è brava. Si sforzasse di imparare qualcosa che non siano incantesimi su come rendere liscia la pelle o aggiustare i vestiti…”
L’altro fece un sorriso, poi tornò serio. “Non è soltanto brava. A mio parere, tua sorella è straordinaria.”
Al capì allora perché Lily fosse tanto attirata da quel tizio austero: i suoi complimenti non erano ammantati da falsità. Non erano neanche gentili, visto che li diceva con una faccia serissima. Erano attestazioni.
E Merlino solo sa quanto in fondo Lily sia insicura sulle sue capacità magiche… Un estraneo che non la blandisce, per lei dev’essere una vera e propria scoperta.
 
Quando giunsero a destinazione Hagrid li accolse sulla porta, dato che stava liberando il vialetto di ingresso dal ghiaccio. Luzhin si presentò rispondendo educatamente ai convenevoli del vecchio professore, ma non prese parte alla conversazione. Si allontanò piuttosto di un paio di passi, lasciando poi vagare lo sguardo sulla Foresta e sui terreni innevati.
“Se vuoi puoi andare… la via adesso è libera, posso tornare da solo.” Disse Al dopo una manciata di minuti; gli dispiaceva farlo attendere al freddo quando era chiaro si stesse annoiando.
“Non preoccuparti, ti riaccompagno. Non ho impegni urgenti.” Fu la risposta.   

“Perché non entrate in casa che ci offro una tazza di the caldo?” Propose Hagrid lanciando uno sguardo incuriosito a Sören che in effetti, rifletté Al, sembrava montare la guardia più che aspettare la fine della conversazione. “Ho fatto dei dolcetti!”
Oh, nonononono!

“Come se avessimo accettato…” Si schiarì la voce. “Dov’è Fanny? Volevo mostrarla a Luzhin. È qui?”
“Ah, vero! Con questo tempo, non è facile cacciare, vale anche per lei… dovrebbe arrivare tra pochetto.” Convenne l’omone grattandosi la barba. “Ma magari è meglio se ce l’aspettate dentro casa!”

Prima che ad Albus venisse dato l’onere di rifiutare, Fanny apparve dal folto della Foresta.
Davvero, mi salva ogni volta… - pensò sorridendo, mentre la fenice volteggiava attorno al capanno.
“Una fenice…” Mormorò Luzhin, con un’espressione di sorpresa assoluta.
Credeva mentissi?
“Te l’avevo detto, no?” Fischiò per attirare l’attenzione del rapace che dopo un breve, sinuoso giro finì per appollaiarsi vicino allo steccato a pochi metri da loro.
“Sì…” Convenne l’altro. Guardava la fenice con un misto tra stupore e timore.
Cosa c’è da aver paura? È solo… beh. Fanny?
L’aveva introdotta alla famiglia quell’estate. Ne erano rimasti tutti estasiati. L’unico che ne era rimasto poco impressionato era stato, ovviamente, Thomas.
Ma è naturale. Odia tutti i volatili, meno Kafka e solo perché è suo.
“Ah, eccola qua… ci vuoi dare un po’ di pappa, Albie?”
Tentò di non arrossire al nomignolo, dato che il tedesco gli lanciò un’occhiata velatamente divertita. “Grazie Hagrid… Ren!” Lo apostrofò in uno slancio di simpatia. “Ti va di darmi una mano a darle da mangiare?”  

Insomma, è rimasto solo per potermi riaccompagnare!
Il tedesco si schiarì la voce, in difficoltà. “Non credo sia il caso… le fenici allo stato brado sono molto…”
“Ah, sciocchezze!” Lo fermò. Fanny si era fatta coccolare da Lily, quando si erano conosciute. “Non ti farà niente!” Prese una manciata di semi da un secchio attaccato alla staccionata. “Dai, ti faccio vedere come si fa!”

Luzhin lo seguì con la faccia meno convinta della storia.
“Ti fa paura?” Chiese gentilmente. “Anche a Tom non piace molto. Dice che somiglia ad un avvoltoio.” Ne seguì uno stridio oltraggiato – la fenice sentiva e soprattutto, capiva tutto.
“Non è questo…” Ribatté il durmstranghiano, incrociando le braccia al petto in un chiaro gesto di chiusura. “È solo che tendo a non avere familiarità con creature non addomesticate.”
Al sorrise: Sören aveva la stessa espressione di Tom quando tentava di nascondere il timore per cose relativamente innocue. “Sta’ tranquillo. È del tutto…” Si interruppe, perché Fanny iniziò a cantare. Batté le palpebre stranito: l’unica volta in cui l’aveva fatto era stato un anno prima, durante il loro primo incontro.

Ero parecchio giù… anzi, diciamo pure avrei voluto buttarmi da un ponte. E il suo canto mi ha fatto bene. Mi fa bene anche adesso.
Ma in quel momento non aveva bisogno di un’infusione di coraggio.
Se non io, Luzhin?
Lanciò uno sguardo dietro di sé e scoprì che l’altro non sembrava affatto confortato: era terrorizzato.
Fissava la fenice quasi fosse la creatura che aveva dovuto affrontare alla Prima Prova, anzi, peggio.

“Io… devo… scusate. Devo andare.” Mormorò affrettato, prima di voltarsi e correre via.
Ma che diavolo…?
Hagrid gli si affiancò, altrettanto confuso. “Che gli è preso? Che, si sente poco bene?”

“Non lo so…” Rispose, perché davvero non ne aveva idea. Accarezzò la testa di Fanny, che pigolò soddisfatta mentre beccava il mangime dalla sua mano.
Perché ha reagito così?  
Poi ricordò una frase che aveva letto.
Il canto della fenice infonde coraggio nei buoni e terrore nei…
“… malvagi?”


****
 
Teddy si affacciò alla porta della serra principale di Erbologia.
Sapeva che Neville era lì: quando non era a lezione o a casa con la famiglia, era con le mani nella terra.

Bussò con le nocche ad una delle finestrella di vetro. “C’è nessuno? Posso entrare?”
Seguì un gran rumore di cocci.
“Nev!” Entrò dentro e raggiunse la fonte del rumore; il buon professore era finito lungo disteso, coperto di terra e con cocci sparsi ovunque. “Nev, per Nimue… mi dispiace tanto, ti sei fatto male?” Chiese chinandosi per tirarlo su.

L’uomo fece un gesto dismissivo, spazzandosi via il terriccio dai vestiti e guardando malinconicamente quello che doveva essere un vaso da trapianto.
“Non è niente, non è niente… Sono il solito maldestro.” Sospirò con un mezzo sorriso gentile ad illuminargli il volto. Nev era una persona gentile.
Per questo aveva un disperato bisogno di confidarsi con lui.

Si ritorna al solito punto. Quando non si ha amici stretti, ci si rende conto di quanto sia difficile prendere decisioni da soli…  
“Posso aiutarti?” Chiese sollecito. “Spero che la mia entrata non ti abbia spaventato…”
“No, no.” Gli assicurò, frenandolo dal tirare fuori la bacchetta. Prese la sua e pulì il disastro in pochi attimi. Una volta gli aveva confidato che la sua bravura con gli incantesimi di pulizia derivava da un’infanzia passata a rimediare alle conseguenze della sua goffaggine. “Ho fatto tutto da solo… non ti avevo neppure sentito.”

Ted annuì, poco convinto. “Posso…?” Tentò ancora.
Neville gli lanciò un’occhiata un po’ esasperata. “Va tutto bene. Posso fare io qualcosa per te?”

Teddy deglutì: dall’anno prima i loro rapporti si erano… raffreddati.
Normale. Quando è venuto a sapere della mia relazione con Jamie deve aver pensato che l’abbia frequentato quando eravamo ancora insegnante e allievo.
Cosa che ho fatto, in effetti.
L’unico motivo per cui era lì era perché, nonostante tutto, Neville era l’unica persona a cui potesse chiedere consiglio. L’unico con cui fosse riuscito ad aprirsi senza avere una crisi di angoscia.
Mi ha aiutato l’anno scorso, quando ero completamente fuori assetto. Magari…
Era un tentativo azzardato, ma del resto non sapeva da chi altro andare.
Ho bisogno di un parere. Prenderò una decisione, ma ho bisogno di un parere.  
“Sì… beh, speravo avessi un po’ di tempo. Dovrei parlarti… se hai tempo.” Sottolineò.
Neville si grattò la nuca, tirando subito indietro la mano e facendo una smorfia alle sue unghie sporche. “Beh… va bene.” Acconsentì. “The?”
Dieci minuti dopo erano nel piccolo ufficio dell’uomo, direttamente ricavato dall’ex-stanza per gli attrezzi. C’era odore di erba e terriccio e a Teddy era sempre piaciuto, anche quando era studente.
Neville si appoggiò allo schienale della propria poltrona, inarcando le sopracciglia. “Allora, cosa c’è?”  
Ted si umettò le labbra, guardando la tazza come se da essa potesse provenire una risposta.
“Ted?” Lo richiamò.
“Pensi che la mia relazione con James sia sbagliata?” Sparò a bruciapelo. Non era ciò che voleva chiedergli, ma doveva pur sempre sondare il terreno.
Neville fu altrettanto diretto nel rispondergli. “Sì, lo penso. E immagino tu sappia perché.”
Ted strinse la tazza tra le dita, sentendo la familiare ondata d’ansia e inadeguatezza investirlo. Intrappolò una scusa tra le labbra. “Sì, lo so. Ma non…” si fermò, inspirò. “… non mi importa. Non l’ho favorito, e l’ho sempre valutato come qualsiasi altro mio studente. Sai che non avrei fatto diversamente. E adesso…”

Neville lo fermò con una mano. Gli lanciò un’occhiata meditabonda, poi inaspettatamente sorrise. “Lo so.” Esordì. “Ti conosco da quando eri un bambino … hai sempre fatto la cosa giusta, non hai mai disatteso una regola. A volte, sembrava quasi non ne fossi capace…”
Si strinse nelle spalle: era un’analisi piuttosto veritiera. Aveva sempre seguito le regole perché erano… tranquillizzanti.

Fare ciò che ti viene detto, non disubbidire, è la cosa più semplice del mondo. La più sicura.
Ti fa sentire protetto.
“Mi aspettavo prima o poi che facessi qualcosa di assolutamente insensato.” Soggiunse l’altro professore. Ted alzò la testa, guardandolo confuso. “Andiamo, Teddy!” Rise. “Fare qualche sciocchezza rende umani.” Gli lanciò un’altra occhiata. “Non sono deluso da te, o meglio, lo sono stato, ma poi ci ho riflettuto e…” Sospirò. “In fondo James non era uno studente qualunque di cui ti sei invaghito. Voi due siete sempre stati legati da qualcosa… almeno ora questo qualcosa ha un nome.”
Ted sentì un groppo alla gola e dovette costringersi in silenzio per qualche minuto. L’altro uomo aspettò paziente.
“Come si fa a smettere di aver paura di fare sempre la cosa sbagliata?” Sussurrò infine a mezza bocca, tuffandosi subito dopo in un sorso di the. Era una bevanda terapeutica, l’aveva sempre pensato.
Neville si grattò il collo, pensieroso. “Beh, da buon grifondoro ti direi… si smette di aver paura quando la si fa. Affrontare il problema, di petto.”
“Sono un Tassorosso, Nev…”
“Il Cappello ti mette in una casa, Teddy, ma non dice chi sei a tutto tondo.” Replicò l’uomo, stringendogli appena il braccio. “Affrontare i tuoi sentimenti per James e portarli alla luce del sole è stato coraggioso.”

Teddy sospirò. “Non volevo perderlo. In fondo, anche quella è stata paura.”
“Beh, paura per paura, ne hai vinta una. Consideralo un traguardo!”
Ted sorrise, sentendosi meglio. Parlare con Neville aveva sempre avuto quell’effetto, sin da quando, durante una crisi particolarmente acuta di nostalgia da casa, il buon professore l’aveva invitato ad aiutarlo a travasare dei bubotuberi.

“C’è un’altra cosa che devo affrontare…” Iniziò. “James vuole venire a vivere con me.”
Neville inarcò le sopracciglia in piena sorpresa, ma fu abbastanza cortese da non sembrare troppo sbigottito. “Oh, beh.” Disse schiarendosi la voce. “Il ragazzo ha le idee chiare.”
Ted sbuffò un sorriso. “Puoi giurarci. È sempre stato così, no?”
“E tu non vuoi?” Aggrottò le sopracciglia, e Ted l’avrebbe abbracciato. Nev non commentava mai, molto raramente. Preferiva capire, grazie a Merlino. “Non ti senti pronto?”
“Per quanto sembri assurdo, non è questo. Ho paura…” Si fermò ad un’occhiataccia dell’altro.

“Basta, Teddy.” Lo apostrofò con una certa durezza. “Se lo pensi diventa reale. Ascolta. Dicono che chi è smistato a Grifondoro non rifletta mai… beh, non è vero. Quando arriviamo alle cose importanti, lo facciamo. Eccome. Solo, non rimuginiamo. Capisci la differenza?”
“È cristallina.” Convenne, capendo l’allusione. “Quindi non pensi sia prematuro?”
Neville scrollò le spalle. “Come posso saperlo? È una cosa tra te e James. Quello che posso dirti… consigliarti… è che se è quello che vuoi, dovresti farlo. Ti conosco da una vita, Teddy…” soggiunse affettuoso. “E raramente hai fatto qualcosa che volevi davvero. Hai sempre fatto di tutto per accontentare gli altri. Tua nonna, Harry, gli altri studenti, noi professori… mi sbaglio?” No, per niente – pensò, ma preferì non rispondere. Tanto era una domanda retorica. “Allora Teddy… cos’è che vuoi?”
Ted serrò appena le labbra.

Fregarmene.
In dieci minuti aveva realizzato quello che non era riuscito a fare in una settimana: non tenersi tutto dentro serviva sul serio.
Fece un mezzo sorriso. “Nev… al momento vorrei una cosa.”
“Dimmi pure!”
“Una mano con una certa questione, e penso che solo un residente di Hogsmeade possa aiutarmi…”

 
 
****
 
Note:


E non dite che non è mastodontico! ;D
Qui la canzone.
1 . Durmstrang über alles: Durmstrang al di sopra di tutto, letteralmente. L’originale è riferito alla Germania, ma comunque esprime il concetto della fedeltà a qualcosa. In questo caso, alla scuola.
Per gli occhiali di Malfoy, Qui
2. Schwerin è la capitale del Lander Meclemburgo – Pomerania che si affaccia proprio davanti alla penisola di Rügen. Qui per informazioni.
3. Tom ha diciotto anni. Rispetto ad Al e agli altri ha un anno (in realtà una manciata di mesi) in più. Questo perché, nonostante la sua nascita sia stata registrata nel 2005, è nato a Luglio del 2004. Quando Harry l’ha trovato, infatti, aveva già cinque mesi.

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Capitolo 40
*** Capitolo XXXVIII ***


Capitolo XXXVIII
 
 


I don't know where I am/ I don't know where I've been
But I know where I want to go
(The First Day of My Life, Bright Eyes)
 
24 Dicembre 2022
Hogsmeade, Centro. Mattina.
 
“Cento metri quadri, panorama, due camere e uno studio. Cosa ne pensa?”
Teddy non rispose subito: dopotutto non era ancora entrato.

Neville gli diede una pacca sulla spalla. “È davvero spaziosa. Più della prima casa mia e di Hannah.”  
Ted sorrise, lanciando uno sguardo al proprietario, un sottile vecchietto dal viso gentile. Gli aveva fatto subito una bella impressione. “Il camino è collegato alla Metropolvere?”
“Sì, professore, naturalmente!” Convenne il mago. “Il sistema di tiraggio è un po’ vecchiotto, ma sono certo che un giovanotto in forze come lei potrà aver ragione di qualche piccola manutenzione.”
Ted sorrise di nuovo. Una casa. Era una casa vera, vuota, pronta per essere arredata.

Sentiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma non era cattiva.
Aveva avuto una buona intuizione a chiedere a Neville: l’uomo conosceva la situazione immobiliare di Hogsmeade. Chi vendeva, chi acquistava, chi affittava. Lui voleva comprare.
Sapeva bene che James si aspettava qualcosa da lui. E la risposta era quello.
Un gesto eclatante. Una presa di posizione.
Forse era un regalo azzardato. Forse Jamie era ancora arrabbiato con lui. Forse non voleva trasferirsi in un villaggio e preferiva rimanere a Londra. Ma c’era un solo modo per scoprirlo.
Vedere se funziona.
Era la mattina della Vigilia e tra una manciata di ore avrebbe dovuto attendere alla pantagruelica cena della Tana; aveva tutte le intenzioni di presentarsi a James con le chiavi in mano.
Probabilmente avrò un infarto per la tensione… ma se sopravvivo, potrebbe funzionare.
Era stufo di deludere la gente attorno a lui, specialmente il suo ragazzino.
Ispirò una boccata d’aria fredda e sorrise all’aria comprensiva del suo vecchio professore di Erbologia.
Teddy si lanciò poi un’occhiata intorno: era una graziosa villetta, proprio al limitare di Hogsmeade, già nella pendenza delle grandi montagne. Il giardino aveva bisogno di una mano ferma, e il vecchio divano a dondolo pregava solo di essere riparato.
“Ormai la casa è troppo grande per me solo.” spiegò l’uomo, varcando la porta d’ingresso. Ted aspirò l’odore che filtrava dall’anticamera. Un largo sorriso prese certamente possesso dei suoi muscoli facciali.
Odore di libri.
Come se non bastasse a farlo sorridere come un bambino davanti a Mielandia, il salottino esplodeva di luce invernale.
Neville si guardò attorno, picchiando leggermente le nocche sugli infissi e mettendo la testa dentro il camino. “Avrà bisogno di un po’ di restauro, Teddy…”
“Non è un problema.” Forse era stupido, ma l’odore di libri, il vecchio dondolo e la luce che illuminava ogni singolo angolo del salotto erano molto più importanti di qualche passata di calce.

Neville gli sorrise. “Ti piace allora? Ho scelto bene?”
“Sì…” Convenne passando le dita su un vecchio scaffale vuoto, dove la polvere aveva mantenuta impressa le impronte quadrate dei libri. “Sì, mi piace. Però dovrà piacere anche a Jamie.”

“Non gliene hai ancora parlato?” Chiese l’altro stupito.
“No, è una sorpresa.” Si morse un labbro. “Pensavo di versare la caparra oggi e poi decidere insieme.”
Ho fatto male? Lo sapevo che era un’idea…
No. Dannazione. È un’ottima idea.  
Neville annuì, senza fare ulteriori commenti. Gliene fu grato. “Beh, fai un giro e vedi se ti piace.” Consultò l’orologio da taschino con una smorfia. “Mi aspettano per andare a Diagon Alley, ultimi regali e un ovvio giro ai Tiri Weasley.” Sospirò ironico. “Cedric sta diventando un piccolo maghetto viziato.”
Teddy sorrise. “Scommetto che non è solo colpa di Hannah.”
“Oh, no! È tutta colpa mia, lo ammetto!” Rise l’uomo. Poi gli diede un abbraccio che  ricambiò di tutto cuore. “Buon Natale, Ted. È davvero una bella casa, a James piacerà.” Aggiunse strizzandogli l’occhio.

“Beh, vuole fare un giro?” Chiese l’ometto quando rimasero soli. “Però la devo avvertire… tra un’oretta ho un altro possibile acquirente, quindi…”
“Non si preoccupi.” Lo fermò, anche se  seccato dall’avere così poco tempo. Aveva intenzione di studiare millimetricamente la casa: andarci ad abitare meritava almeno una riflessione ponderata.

Ma è la Vigilia, e probabilmente avrà fretta di concludere la vendita…
“La chiamo quando ho finito. Ma penso che la prenderò.” Disse con tono sicuro. Non aveva certo intenzione di farsi soffiare l’acquisto
Il vecchietto annuì, informandolo che l’avrebbe aspettato al caldo del Tre Manici.
Teddy, rimasto solo sospirò.
Non sentiva James da giorni, se non tramite brevi Gufi. In quel periodo aveva gli esami di metà corso e Teddy ricordava bene quanto fossero duri. L’aveva quindi lasciato stare. L’ultima lettera che si erano scambiati era stata solo per assicurare la reciproca presenza alla Tana.
Come se potessimo evitarla… ci verrebbero a prendere di peso.
Si soffiò distrattamente sulle mani intirizzite, sebbene coperte dai mezziguanti che usava quando correggeva i compiti. In quel periodo dell’anno alcuni punti di Hogwarts, specialmente le torri controvento e lui alloggiava in una di esse, erano simili a ghiacciaie.
Ma qui c’è un bel camino…
Non poté fare a meno di immaginarsi seduto in poltrona, con i piedi rivolti al fuoco, lasciati scaldare piacevolmente. Un libro sulle ginocchia e James stravaccato davanti al tappeto mentre divorava una di quelle riviste di Quidditch di cui era tanto appassionato e collezionava con la precisione di un filatelista.
Okay: probabilmente se non si fosse deciso a terminare il giro della casa avrebbe finito per trovarsi il prossimo, odioso aspirante acquirente trai piedi.
Mentre scendeva le scale dopo aver visionato il secondo piano, sentì aprirsi di nuovo la porta.
Ma non è possibile, saranno passati al massimo dieci minuti! Che diavolo!
Scese gli ultimi gradini infuriato, pronto a dirne quattro al proprietario, che da una rappresentazione magica di Babbo Natale era appena diventato Scrooge.
Si fermò di botto, con in faccia un’espressione demente da record – non aveva bisogno di controllare ad uno specchio – quando vide che con il vecchio c’era un James più sorpreso di lui.
“Jamie?” Esordì stupidamente.
L’altro batté le palpebre come se avesse visto un Marino seduto davanti al camino intendo a scaldarsi la coda. “Teddy…” Esalò più sbalordito di lui.

Okay, abbiamo appurato che siamo tutti sorpresi.
“Vi conoscete?” Disse ovviamente, come da copione Scro-… il proprietario.
“Alla grande.” Spiegò impassibile James. Era chiaro stesse cercando di far quadrare i conti dentro la sua testa. “Non eri ad Hogwarts?”
“Permesso.” Mormorò, poi si schiarì la voce. “Mi scusi, potrebbe lasciarci soli?”
“Naturalmente… ma vi prego di non litigare. C’è abbastanza spazio perché l’affittiate entrambi, se l’opzione vi aggrada.” Suggerì il buon uomo con aria pratica. Poi fortunatamente se ne andò senza ascoltare la risposta.

“Tu…” Iniziò James, ma Ted fu lesto a fermarlo.
“Sono venuto qui per comprare questa casa. O meglio, per vederla… e poi decidere se comprarla.”
“Per chi?” Chiese l’altro aggrottando le sopracciglia: probabilmente qualcun altro avrebbe già tirato le somme, ma Ted doveva ammettere che la loro ultima conversazione aveva virato su tutt’altre eventualità.

È chiaro sia confuso. Okay, un po’ troppo confuso… ma è James. Ha bisogno di risposte dirette.
Si avvicinò  e gli tolse il berretto di lana, perché sapeva che l’altro avrebbe cominciato a trovarlo fastidiosissimo entro pochi secondi, e poi gli passò le dita trai riccioli corti. James socchiuse gli occhi al tocco, ma non disse niente. Aspettava lui.
“Tu perché sei qui?” Gli chiese allora.
“Per comprarla, che storie!” Sbuffò. “Un mio amico dell’Accademia abita qui, e mi ha detto che c’era una casa niente male a buon prezzo dove aveva vissuto gente che amava i libri… e così ho pensato che…”
“Ho pensato la stessa cosa.” Sorrise spontaneo all’aria sbigottita dell’altro. “Volevo comprarla per noi.”
James si scostò leggermente dal suo tocco, fissandolo di sottecchi. “Avevi detto che non ti sentivi pronto.”
“E tu che avresti aspettato…” Ritorse senza vera intenzione di farlo. James dovette accorgersene, perché fece un ghignetto.

“Beh, magari volevo un po’ forzare la mano.” Gli diede una pacca sul fianco, facendo un passo ed eliminando qualsiasi distanza fisica tra di loro “E tu? Volevi strapparmi dalle braccia di Lenny?”
“Certo che n…” Cercò di negare ma poi notò che al tentativo aveva fatto corrispondere un abbraccio piuttosto serrato.

Dannato istinto.
“… forse.” Ammise mentre James ridacchiava. “Ma soprattutto… provarci. Con te.” Si schiarì la voce, e pensò nebulosamente che avrebbe dovuto tagliarsi i capelli perché lunghi in quel modo finivano sempre per entrargli nella visuale e fargli realizzare che erano un arcobaleno, quando c’era di mezzo quel ragazzino.
“Beh, provarci in che senso? Perché abbracciarmi così è già provarci, Teddy…” Lo canzonò, sporgendosi a tirargli un morsetto giocoso all’attaccatura della mascella. Ted ingoiò un brusco sospiro.
“Niente morsi.” Lo ammonì.
“Ma a te pia…”
“Il plenilunio è tra tre giorni, Jamie.”
“Ooops! Scusa.” Ghignò. “Comunque cosa intendi con provarci? Serio, eh.”

Ted fece un respiro profondo e poi tornò sul binario della ragionevolezza. Della serietà.
Facilissimo farlo con un adolescente con le smanie…
… e non mi riferisco a James.
“Provare a vivere assieme. Perché…” Il soffitto aveva bisogno di una mano di vernice robusta, e probabilmente avrebbero dovuto anche controllare l’eventuale presenza di perdite nell’impianto idraulico. C’erano delle macchie sospette. Comunque. “… perché stavolta so che posso farcela. E se avessi dei dubbi… tu li cancelleresti. È così che fai Jamie. Mi fai sentire al sicuro facendo cose che mi terrorizzano.” Concluse fissando una macchia che assomigliava tremendamente a Grop.
Non si accorse quindi delle mani di James che gli si piazzarono sulle guance, ma sentì il bacio fenomenale in cui l’altro lo coinvolse.
Avrebbe portato nella tomba gli occhi umidi di Jamie e il suo tentativo di frenare la gioia che gli tremava sulle labbra.
“Puoi contarci, Teddy. Ti proteggerò io dalle tue seghe mentali.” Promise solennemente.
Ted ridacchiò, stringendoselo addosso ed ispirando il suo odore come da bambino aspirava quello dell’erba appena tagliata. Era la stessa sensazione. Era bella.
James alzò gli occhi al soffitto, forse per darsi un tono come aveva tentato di fare lui poco prima.
“Woh Teddy, guarda là! Quella macchia assomiglia a Grop!”
 
I especially am slow
But I realized that I need you
And I wondered if I could come home…
 
****
 
Devonshire, Casa Potter-Weasley. Mattina.
 
“Così si è spaventato quando la tua fenice ha cominciato a cantare…”
“Non è la mia… ah, lascia perdere. Non era spaventato comunque, era terrorizzato!”
“Non penso che questo lo renda malvagio.”

… cosa? Sto davvero parlando con Tom?
Albus cercò di non farsi scivolare la cornetta dalle mani per la sorpresa. Il telefono: l’unico mezzo per comunicare con Thomas prima di vederlo di persona quella sera alla Tana.
Così si era ritrovato in salotto a sforzarsi di digitare correttamente la sequenza di numeri che corrispondeva al telefono di casa dell’altro. Ci aveva messo un po’, ma alla fine l’aveva avuta vinta.
Solo che adesso mi dice che… non pensa sia malvagio! Ma Fanny non può sbagliarsi è… Fanny!
 “Ma si dice che il canto delle fenici getti terrore nel cuore dei malvagi!”
Si dice, appunto.” Lo fermò. “Se questa frase fosse vera in senso letterale, sarei malvagio anch’io.”

“… come, scusa?”
“Non mi piace la tua fenice.” Mormorò. Meike doveva essere nei paraggi. “… perchè…” Ah no. Stava esitando perché era uno di quei casi in cui odiava ammettere una sua debolezza. “… perchè mi fa paura.”
Paura?

Non gli era sembrato particolarmente spaventato quando quell’estate gli aveva presentato Fanny in occasione del compleanno di zio Percy.
Pur vero che effettivamente le ha dato un’occhiata e poi è andato a chiacchierare con zia Hermione.
“Ma tu hai paura di tutte le cose che volano…”
“Non di tutte. Ho Kafka, ti ricordo. E i Gufi mi sono indifferenti.” Ritorse irritato. “Ho problemi con la tua fenice perché è una fenice.” Fece una breve pausa, in cui sentì un fruscio provenire dalla cornetta. Probabilmente aveva cambiato posizione. “… non so spiegarti bene cosa provo, ma quando me l’hai fatta vedere… ho provato ansia.”
Al non rispose, cercando di processare la notizia. Certo sì, Tom aveva fatto degli errori e a volte era attratto da cose che la maggior parte dei maghi di buon senso evitava, ma…

“Non sei cattivo, hai solo un carattere orribile!”
“Grazie.” Replicò l’altro asciutto. “Ma sono ciò che è rimasto dell’anima di Riddle.” A volte avrebbe dovuto esser meno brutale in certe affermazioni. “Volente o nolente, sono pieno di magia oscura.”
“Non capisco…” Lo ammetteva, era confuso.

“Ascolta.” Iniziò Tom, già spazientito dalla sua mancanza di ricettività. Nei periodi festivi aveva sempre i nervi a fior di pelle. “Si dice che il canto della fenice getti terrore nel cuore dei malvagi. Chi pensi sia universalmente noto per usare la magia oscura?”
“Un mago… malvagio?” Cominciò a capire. “Quindi in realtà spaventa chi usa la magia oscura?”
“Molto bene, Signor Potter.” Lo lodò canzonatorio.

“Sei sicuro?” Non l’aveva visto scritto in nessun libro. E di libri sulle fenici ne aveva letti.
Dovevo pur informarmi su Fanny.
Penso sia così.” Ammise. “Ti ricordi cosa ci hanno insegnato al Primo Anno? La magia lascia sempre una traccia nel corpo di un mago …” Lo sentì quasi fare una smorfia. “Abbiamo avuto prove di questa teoria.”
“Quindi Luzhin ha usato magia oscura!” Realizzò di colpo e la cornetta gli scivolò di nuovo dalle mani. La riprese al volo.  

“Data la reazione che ha avuto temo la usi tutt’ora.” Il tono era sarcastico, ma lo sentì teso. E come poteva dargli torto?
Quel tipo ronza attorno a mia sorella! Gira nei nostri corridoi!
“Dobbiamo immediatamente comunicarlo alla Commissione del Torneo!” Sbottò sentendo la collera esplodergli nel petto. “È pericoloso!”
“No.”
Al batté le palpebre, sbigottito. Forse il telefono aveva il difetto di distorcere le parole altrui?

“No?” Chiese per sicurezza.
“No.” Gli fu nuovamente confermato. “Non denunceremo Luzhin. Questo lo farebbe solo allontanare.”
“Ma è quello che vogliamo!”
“Non esattamente.” Ribatté Tom pacato. “Abbiamo solo il sospetto abbia fatto uso di incantesimi oscuri. Durante il Torneo ha giocato pulito.”
“Come lo sai?”
“Ci sono degli incantesimi di rilevamento durante le Prove. Non lo sai, Caposcuola?” Lo canzonò. Al inghiottì un insulto, anche se Merlino, se l’avesse avuto davanti gli avrebbe sicuramente sbattuto quella zucca impossibile contro il muro.  

“Non l’ha usata al Torneo, e allora? Basterà fare un Prior Incantato alla sua bacchetta, e se c’è qualcosa verrà fuori!” Esclamò lanciando un’occhiata verso la Tana. Erano tutti lì, ignari di quello che lui e Thomas stavano scoprendo. La cosa non gli dava una bella sensazione.
“Sì, vero.” Tom aveva l’irritante abitudine di farti ragionare esattamente come voleva. “… ma devi avere un motivo per farlo. Durmstrang non permetterà facilmente che la bacchetta del suo Campione sia esaminata, soprattutto se a chiederlo fossero due studenti per motivi non chiari.”
“Allora diciamolo a papà!” Esclamò, colto da illuminazione. “Sta investigando proprio su questo! Potrà ordinarglielo lui, è un auror!”
“Sta investigando sull’attacco durante la Prima Prova.” Obbiettò Tom. “E non credo che quello sia opera di Luzhin. Non aveva il tempo di uscire, produrre quel fumo nero e schiantare i Tiratori Scelti attorno allo stadio. È sempre stato in vista, prima nell’arena, e poi nella Tenda dei Campioni…”
“Un complice, forse?” Suggerì . Aveva voglia di sbattere la testa contro il muro: la vigilia di Natale si trovava a speculare sulla pericolosità di un tipo che portava al ballo sua sorella di quindici anni.

Posso almeno urlare?
“Un complice…sì, potrebbe.” Convenne l’altro meditabondo, ignaro dei suoi pensieri. “Forse quel Poliakoff.”
“Tom, dobbiamo parlarne con papà.” Insistette. Ormai era diventato una specie di disco rotto.

Ma con lui non fa mai male ricordargli che non siamo noi contro il resto del mondo, ma esistono degli adulti che magari possono evitarci il peggio.
Non quella sera però: per un giorno voleva solo perdersi nel caos della sua famiglia. Era chiedere troppo?
Probabilmente per qualcuno con il mio cognome… sì.
“Se gli auror cominciassero ad indagare, Luzhin si allarmerebbe…” Fu la risposta cocciuta. “E poi prima di Fanny pensavi anche tu che esagerassi. Il canto spaventoso di una fenice? Il suo strano comportamento? Non un granché.”
“E il suo assistente?” Chiese ed ebbe finalmente il potere di zittirlo. “Se è stato lui, dando un alibi a Luzhin, sicuramente si sarà assentato. Qualcuno l’avrà visto andarsene dalla Tenda dei Campioni!”

“Questo…” Si sentiva che Tom era riluttante. “Forse.”
Al ebbe l’impulso di lanciare la cornetta contro il muro.
“Massì, teniamoci tutto per noi!” Sbottò di colpo. “Mi sembra un’idea geniale!”
“Al?” Chiese l’altro con una lieve nota di preoccupazione nella voce. Era un sollievo sentirla.
Perlomeno vuol dire che mi ascolta.
“L’anno scorso con questa strategia hai rischiato di farti ammazzare.” Dava soddisfazione fargli chiudere il becco ogni tanto. “Diremo a papà dei nostri sospetti. Se Luzhin è così furbo come dici, allora avrà già una difesa. Altrimenti, forse, rischieremo di assicurare alla giustizia l’artefice di questo casino e magari sapremo anche cos’ha in mente Hohenheim.”  
Fu quasi certo di potersi immaginare la faccia colpevole di Tom al di là del filo.
“… non so quanto gli auror potranno investigare.” Tentò però. “L’anno scorso nessuno ha smascherato la Prynn, e c’era un’inchiesta in corso. Se Luzhin e compagno lavorano davvero per Hohenheim, avranno una copertura a prova di Veritaserum.”
“Spiacente, stavolta non ho intenzione di giocare al piccolo investigatore.” Replicò fermo. Mantenere il punto. Se Tom vedeva un’incertezza, colpiva peggio di un Battitore da Nazionale. “Non c’è in gioco solo la tua sicurezza, ma anche quella di Lily.”
Tom non disse nulla per qualche istante. “Va bene.” Sospirò infine. “Facciamo a modo tuo.”
Albus sorrise: l’anno prima non avrebbe ceduto così facilmente.

Non mi avrebbe neanche comunicato i suoi dubbi. Mi avrebbe detto che la fenice si era sbagliata e poi ci avrebbe rimuginato su. Da solo.
Era felice che fosse passato un anno. Decisamente.
“Stasera a che ore pensate di venire?” Cambiò discorso, perché si era stufato di tutte quelle teorie da complotto. Era la Vigilia, per tutti i Troll della Gran Bretagna!
In ogni caso, avrebbe parlato con Lily: se Tom si era beccato un ceffone era perché aveva avuto l’empatia di un mucchio di sassi. Premendo i tasti giusti, sua sorella avrebbe parlato come un fiume in piena.
Devo capire cosa Luzhin voglia da lei.
“Non ne ho idea.” Rispose intanto Tom. “Mio padre non è convinto, minaccia di portarci a Cokeworth¹.” Sbuffò, facendolo ridacchiare. “Ma penso che mia madre lo chiuderebbe nel portabagagli piuttosto che passare un altro Natale a litigare con Petunia. Verremo.”
“Il regalo per Meike?”
“Non glielo abbiamo già comprato?” Obbiettò con tono da martire. Albus soffocò un nuovo eccesso di risa – che poi erano anche un modo per sciogliere la tensione di poco prima.

Chi ha detto che parlare di cose stupide è stupido?
Il giorno dell’acquisto dei loro vestiti, aveva avuto la malaugurata idea di tirare fuori l’argomento ‘regalo di natale per la povera Meike’. Robin aveva colto la pluffa al balzo, trascinandoli in una serie infinita di negozi per bambini. Avevano finito per comprarle un vestito molto grazioso per il Ballo.
Tom alla fine aveva l’aria di poter cruciare sul serio qualcuno.
“Veramente quello è il regalo di Robin.” Gli fece notare. “Lo ha pagato lei, ricordi?”
“Gli daremo i soldi.” Obbiettò pronto.
“Tom!”
“Va bene.” Ringhiò di rimando. “La porto a Diagon Alley per pranzo e vedrò se si interessa a qualcosa.” Sbottò malmostoso. E riattaccò senza dargli tempo di dire altro.
Al fece un mezzo sorriso, posando la cornetta sul supporto.  
Mai un giorno di quiete…
Michel aveva avuto ragione e continuava ad averla: stare con Thomas Dursley non era stare con un ragazzo qualunque. Era dieci volte più complicato.
Allargò appena il sorriso.
… credo di avere un debole per i ragazzi Oltre Ogni Complicazione.
 
****
 
Londra, Casa Weasley – Granger.
 
Ron Weasley stava impacchettando gli ultimi regali per la famiglia. Non era un’operazione da poco, dato che aveva circa una ventina di persone in lista. Hermione quell’anno aveva preteso che perlomeno li confezionasse, visto che era del tutto refrattario allo shopping natalizio.
Sentì improvvisamente il rumore della porta del salotto che si apriva, salvo poi richiudersi.
E la serratura scattare.
… ma cosa?
Perplesso si voltò e rimase bloccato come un tonno preso alla rete quando vide che sua figlia Rose era nella stanza e che aveva appena chiuso la porta a chiave in modo estremamente determinato.
“Rosie…” Iniziò a disagio. La figlia non replicò il sorriso. “Ehm, hai bisogno di qualcosa?”
“Sì.” Disse con un’intonazione che gli ricordò paurosamente sua moglie da ragazza. “Parlare con te papà.”
Ron si alzò in piedi di scatto, lottando con lo scotch con cui stava incartando un pacco voluminoso. “Non adesso tesoro, devo finire tutti questi pacchi e poi caricarli in macchina.”

Sapeva cosa stava per succedere, e se c’era un modo per evitarlo l’avrebbe fatto; del resto era riuscito ad evitare di restar solo con la figlia sino a quella mattina.
Harry mi ha guardato male, ma lo Sparaschiocco del Venerdì sera è un’istituzione.
Non era stato scappare dalla figlia riparando a casa dell’amico la notte prima. Affatto.
“Papà.” Lo fermò, con quella determinazione d’acciaio negli occhi che poteva essere solo Granger. “Noi parleremo adesso.”  

Ron aveva fatto una smorfia, sentendo l’irritazione salire. Era il padre, era un adulto e aveva ragione.
E non importava che sua moglie gli fosse contro e che sua sorella si rifiutasse di dargli ragione.
Non Malfoy.
“Rosie, se è di quello là che mi vuoi parlare, sprechi fiato. Non ho intenzione di affrontare quest’argomento con te.” Esclamò, donando nuova attenzione ai regali.
 
Rose resistette all’impulso di gridare e prendere a calci qualcosa.
Suo padre era un maledetto testardo. E stava eufemizzando.
Quando era tornata da Hogwarts, la sera prima, lei e Hugo aveva trovato la casa occupata solo da sua madre che aveva comunicato loro che suo padre si sarebbe fermato a dormire da zio Harry.
Neanche Hugo si comporta così! Perché fa così?!
Non che avesse molta importanza. Avrebbero parlato, a costo di legarlo alla sedia con un incantesimo adesivo.
Gli si sedette accanto. “Papà.” Sottolineò quando lo vide in dirittura di alzarsi. “Per favore.
L’uomo storse le labbra, gli occhi incollati su scampoli di carta colorata. “Non capisco perché tu ti sia tanto fissata. Non è come se mi chiedessi il permesso, giusto?” Ribatté tagliente. “Tu e Malfoy…” E non aggiunse altro.
“Dovrei chiederti il permesso?” Chiese incredula. Non riusciva a credere suo padre fosse arrivato a quello. Certo, era protettivo, ma non aveva mai pensato di dover avere un dispaccio per frequentare un ragazzo. “Sono maggiorenne!”
“Sai che non è questo.” Replicò immediatamente, tendendo la mascella. “Non ho nulla in contrario con il fatto che ti veda con dei ragazzi… ma dipende dal tipo di ragazzo.”
“Scorpius è il miglior ragazzo che conosca!” Sbottò, trascinando il problema direttamente nella stanza. Di peso e svenuto: l’atmosfera difatti si fece immediatamente pesante.

“Sarà.” Le concesse, ma era sarcastico. “Ma ha una famiglia orrenda.” Poi si abbandonò sullo schienale, massaggiandosi la sella del naso. Tirò un lungo sospiro, e Rose sentì la disagiante sensazione di stare sbagliando tutto.
È così che ti fregano i genitori. Li deludi? Che una voragine possa inghiottirti.
“Ascolta Rosie…” Iniziò pacato, ma evitando accuratamente di guardarla. “Non ho niente contro Scorpius.”
Prego?
“Non hai niente contro…” Si fermò, prima di compiere un patricidio con il nastro da regali. “… papà, non è vero! Tu lo sopporti e non ti entra in testa che per me invece sia tutto il contrario! Io lo a…” Ma fu immediatamente fermata da un gesto nervoso dell’altro.

No.” Sbottò cocciuto. “Non detesto quel ragazzino, anche se penso che sia arrogante esattamente come suo padre. Ma ha diciassette anni… alla sua età può anche essere giustificato.”
Rose lo guardò confusa. Ma se non era per Scorpius in sé, allora…

No. Sul serio. Ancora questa storia?
“Scorpius è un Malfoy.” Era quella storia, decisamente. Suo padre era rigido, poteva capirlo senza toccarlo. Sprizzante malevolenza. Rose sentì un nodo spiacevole allo stomaco.
Come ci si sente quando invece i genitori deludono te?
Scorpius si era fatto in quattro per dimostrare a tutti che i Malfoy potevano avere qualcosa di diverso da una cattiva reputazione. Scorpius era il migliore amico di James, settario da morire sulle amicizie.
Questo papà deve saperlo. Eppure…
“I Malfoy, Rosie, sono persone cattive.” Disse infatti, con il suo miglior tono cocciuto. Quante volte aveva sentito quella filippica durante la sua infanzia? “Io li ho conosciuti, ho visto come si sono comportati durante la guerra. Pensano solo a sé stessi e a cosa può favorirli. Una famiglia è ciò che ti forma e Scorpius è cresciuto con loro. Può essere diverso, ma la natura non si cambia. Finirà per ferirti… ed è questo che mi spaventa. Perché conosco quelli come loro. Non ti accetteranno mai.”
A Rose strinse le dita contro la stoffa morbida del maglione, slargandolo. Era furiosa, era ferita. Non si era sentita così neppure quando…

No, decise. Non ci si era sentita mai, in quel modo.
Come ci si sente quando l’eroe della tua infanzia disattende le tue aspettative alla grande?
Forse aveva sempre evitato quel confronto proprio per paura inconscia di scoprire quanto suo padre potesse disilluderla. Forse era per questo che aveva avuto tanta paura a dirglielo.
Perché sapevo che sarebbe finita così.
L’uomo dovette notare la sua espressione, perché le scocco un’occhiata preoccupata. “Rosie…”
“Non è Scorpius che mi ha ferito.” Sentì la voce caricarlesi di pianto e si scostò quando suo padre tentò di toccarla. “Scorpius non mi ha mai ferito… sono io che ho ferito lui per difendere te. E ora mi chiedo se non abbia sbagliato tutto.”
“Ascolta Rosie… gli Weasley e i Malfoy…”

BASTA.
La famosa miccia tanto decantata fece esplodere il vaso. Altro che goccia.
La mia famiglia!” Sbottò, e sentì che in realtà urlava. Gli occhi sgranati di suo padre erano un buon indicatore “Il mio cognome! È questo, no? È sempre stato questo il problema! Ci definiamo un clan! Un maledetto, schifoso clan!”
“Rosie!” Sbottò l’uomo afferrandola per una spalla. “Calmati! Cosa…” Vedeva la confusione sul suo volto e capì che davvero non ci arrivava.

Una parte di lei capiva che non era del tutto colpa di suo padre: era solo il prodotto di uno stupido odio generazionale, rinforzato da comportamenti singoli.
E chi ne aveva pagato le conseguenze era stato proprio Scorpius, che lei si era offerto semplicemente per quello che era.
Ed io ho sempre ragionato con mio padre. Ma ho cambiato idea.
Perché per papà deve essere così difficile?
“Io sono Rose, non una Weasley nel campionario!” Seppe di aver scosso suo padre con quell’affermazione. E fu una soddisfazione, perché era vero. Amava la sua famiglia, ma era stufa di doversi giustificare per essere andata contro le sacre leggi insite nel loro cognome. “Scorpius è solo Scorpius. Io sono solo io. È tutto qui! Potrà avere una famiglia orrenda, ma non me ne frega niente, perché non voglio stare con la sua famiglia, voglio stare con lui! E lo stesso vale per lui!”
Suo padre serrò le labbra. Gli tremarono le parole sulle labbra, ed era certa che fossero cattive.
Poi si risedette di colpo sulla sedia, dandole le spalle. “Come vuoi, Rose. Non posso impedirtelo, ma scordati che sia d’accordo.” Fece una breve pausa, ma poi lo disse. “Mi hai deluso.”
Tu hai deluso me.” Non appena lo disse capì la portata di quell’affermazione da come suo padre si voltò per guardarla. Ma non si rimangiò la frase.
Perché è la verità.
Ricordò quando l’abbracciava e le diceva orgoglioso quanto fosse una brava bambina e di come assomigliasse a lui.
Ma non sto sbagliando. Non faccio la cattiva. Sono solo me stessa.
Inspirò lentamente, cercando di calmare i battiti furiosi del suo cuore. Era la prima volta che gridava così con suo padre. Era la prima volta che litigavano, direttamente.
Forse è per questo che ci abbiamo messo tanto. Nessuno di noi aveva il coraggio di arrivare a questo…
Le spalle di suo padre erano una linea dura. Non poteva toccarlo o avvicinarsi quando era di quell’umor tempestoso. 
“Io ti voglio bene papà…” Disse e fu felice che non le tremasse la voce. “… ma non posso abbandonare Scorpius solo per renderti tranquillo. Io e lui balleremo assieme al Ballo del Ceppo. E vorrei tanto che tu fossi felice per me. Perché io ho tutta l’intenzione di esserlo.”
L’altro non rispose: non che se l’aspettasse. Tirò un sospiro e poi uscì dalla stanza senza aggiungere un’altra parola.

Trovò Hugo raggomitolato nel corridoio, con aria corrucciata.
Deve aver imparato ad origliare da Lily…
“Cavolo, Rosie.” Disse grattandosi una tempia. “Cavolo.” Ripeté. Suo fratello non era mai tipo di molte parole. E fu felice che fosse così anche quella volta.
“Va’ da papà.” Gli sorrise. “Penso che adesso abbia bisogno del figlio giusto.”
“Ma va’, non sei sbagliata!” Esclamò. “Vai alla grande… e anche Malfoy. È a posto. Molto a posto.” Soggiunse con un sorrisetto incerto.

Rose gli arruffò i capelli senza peggiorare la già scombinata situazione. “Chi dice che sei scemo, non capisce niente.”
Hugo fece un sogghigno. “È mica lo stesso che dice che mia sorella non ha le palle?”

 
 
****
 
Diagon Alley, Londra. Primo pomeriggio.
 
“Ma è super-buona!”
Tom lanciò un’occhiata a Meike che si era sporta dal tavolino. Come risposta, si limitò ad un cenno disimpegnato. “Sta’ attenta a non sporcarti.”
“Looo so!” Sbuffò. “Non sono scema!” Si risedette però obbediente, sorseggiandola con esagerata attenzione. Tom fece un mezzo sorriso.

La telefonata con Al ancora gli ronzava in testa, ma cercava di non pensarci. Meike e il suo entusiasmo gli rendevano il compito più facile, anche se stare seduto in un bar magico, in mezzo a una cinquantina di altre persone in piena overdose da Natale Magico, non era la sua tazza di the.
Ma posso sopportarlo… per un’altra ora al massimo.
Purtroppo l’onere di scortare Meike nel suo primo bagno di folla magica londinese spettava a lui.
In compenso, non avevano trovato nulla che potesse andarle bene come regalo. Avevano visitato le principali botteghe del quartiere, e in tutte Meike si era comportata in modo strano: si avvicinava a oggetti che potevano interessarla. Quando poi però lo beccava a fissarla – per capire se fosse quello il regalo giusto– perdeva immediatamente interesse.
Ogni. Singola. Volta.
Era stato molto frustrante. Era inoltre chiaro ci fosse qualcosa che non andava, sin dal suo arrivo.
Quando l’aveva portata a casa dai suoi si era prevedibilmente intimidita.  Non appena però aveva capito che sarebbe stata vezzeggiata fino alla nausea, aveva riempito tutti di chiacchiere.
Esattamente come si era aspettato.
Solo che non mi aspettavo mi si appiccicasse come una Puffola Pigmea.
Aveva prima di tutto preteso di dormire nella sua stanza: non aveva fatto in tempo a spiegarle che non poteva che sua madre, cuore tenero, aveva piazzato la brandina degli ospiti attaccata al suo letto.
Aveva dovuto ordinarle di non seguirlo in bagno.
Non può essere normale. A Rügen non ha mai fatto così.
Sua madre non gli aveva dato spiegazioni in merito; le si erano solo inumiditi gli occhi, e aveva detto ‘stalle vicino tesoro’.
Detesto l’istinto materno.
“Hai finito?” Le chiese quando la vide infilare il dito nella tazza per leccare la cioccolata rimasta.
Nein, Ich…”
“Inglese, Meike.” La corresse: se doveva trasferirsi ad Hogwarts – e sarebbe successo - meglio  che imparasse subito a non rispondere automaticamente nella lingua madre.

Meike annuì obbediente. “No, non ho ancora finito. C’è n’è un po’!”
“I negozi stanno per chiudere.” Alla sua aria poco interessata, sospirò. “Non vuoi fare un ultimo giro?”
Al mi ucciderà se non ti trovo un regalo. Un regalo enorme e vistoso, possibilmente.

“Naah.” Replicò l’altra impietosa. “Ho già visto tutto, no?”
Tom si frenò dal mettersi una mano sulla faccia. Decise dunque di giocare la carta della brutale onestà.
“Al vorrebbe farti un regalo. Quindi fammi il favore di scegliere qualcosa di tuo gradimento, possibilmente non dai Tiri Infern… Vispi di George Weasley, così possiamo tornare a casa.”
Meike batté le palpebre confusa. Poi a sorpresa si morse un labbro. “Ma ce l’ho già un regalo… il vestito che mi ha fatto tua mamma per il ballo!”
“Solitamente a Natale i regali sono più di uno. Ne riceverai parecchi quest’anno, ho idea.”
“Ma non li voglio!” Sbottò di colpo, arrabbiata. Sbatté con forza la tazza sul tavolo. “Non sono una… una bettler!” Concluse, non sapendo il corrispondente in inglese.

Tom cercò di ricordare quale fosse. Lo ricordò. E serrò le labbra. “Accettare dei regali non significa mendicare, Meike. Come ti viene in mente?” Chiese in tono calmo.
Queste non sono idee che gli hanno messo in testa la gente di Rügen. Lì hanno tutti lo stesso tenore di vita. È stata Durmstrang.
La bambina abbassò lo sguardo: era umiliazione quella, bella e buona. “È che… io non vi ho fatto niente. Allora non è davvero scambiarsi i regali.”
“Tu hai undici anni. La gente non si aspetta che tu faccia loro regali. Hai per caso soldi tuoi? Lavori?”
“No…” Borbottò lanciandogli un’occhiata di sottecchi. “Però…”
“Chi ti ha detto che sei una mendicante?” La apostrofò quasi con durezza; non era uno psicologo dell’infanzia, non sapeva se stesse affrontando quei traumi in modo giusto.

… probabilmente no, ma so quali misure prenderò per evitargliene in futuro.
Meike chiuse le labbra, ostinata.  
“Meike.” La richiamò con tono fermo. “Dimmelo.”
“… le altre bambine. Quelle del dormitorio.” Buttò fuori infine, dondolandosi sulla sedia con aria riottosa. Era tornata al tedesco, ma non la corresse. “Però non preoccuparti. Sto bene.”

“Pensi che sia stupido?” La apostrofò con leggerezza. L’altra lo guardò allarmata e scosse la testa. “Allora perché pensi che mi beva le tue bugie?”
Cadde il silenzio mentre Meike si dondolava tenacemente sulla sedia. Tom si sporse per fermarla. “Tu non sei una mendicante.” Si assicurò che la bambina lo guardasse, prima di continuare. “Tua nonna non è ricca, ma ti ha sempre dato un tetto sulla testa e cibo nel piatto. Sono stato con voi quasi un anno, e sono stato bene. Quindi spero non crederai a quel che ti hanno detto delle ragazzine viziate.”

“No che non ci credo!” Obbiettò l’altra con forza. “Però…” Le lacrime le salirono di nuovo agli occhi. Eruppe in un singhiozzo. “… non ci voglio più tornare lì, Tom!”
Finalmente la verità.
Si guardò attorno, imbarazzato dalle famigliole che stavano fissando lo spettacolo. La prese per mano, ben attento a non trascinarla e si allontanò dal locale.
Le lacrime non si fermarono, ma almeno in strada poté darle un fazzoletto senza che fosse guardato con tenerezza da una ventina di streghe.

“Smettila di piangere.” Le ordinò continuando sul filone tedesco, dato che l’inglese in quelle condizioni era impossibile. “Dovrai finire l’anno a Durmstrang, ma poi farò di tutto per farti trasferire ad Hogwarts.” Tradì il suo proposito di non dirle nulla prima di averne la certezza, ma Meike piangeva.
A quella notizia l’altra si aprì in un istantaneo sorriso entusiasta. “Potrò venire a scuola con te e Al?”
“L’anno prossimo io e lui non ci saremo. Questo è il nostro ultimo anno.” Esitò, alla sua aria delusa. “… ma ci saranno Lily e Hugo. Non permetteranno che nessuno ti tratti male.”
“Fico…” Mormorò senza molto entusiasmo. “Ma tu proprio non ci sei?”
“Mi diplomo, Meike.” Le fece notare. Era forse una colpa? “Ma verrò a trovarti, e sono piuttosto certo che Al accorrerà ogni volta che lo chiamerai.”

Meike gli rivolse un gran sorriso. “Allora… ehm. Posso cercare il vostro regalo?”
La volubilità dei bambini…
“Sì.” Confermò. “Ma visto che hai rifiutato tutte le alternative proposte, lo sceglierò io.”
Aveva avuto un’illuminazione: la bacchetta di Meike era la stessa che aveva usato lui durante il suo soggiorno a Putgarten, quella del padre. Meike gli aveva confidato che non ci si trovava bene.

Il che significa che è totalmente inadatta.  
La bambina gli prese la mano fiduciosa. “Okay!” Fece una pausa meditabonda “Però se non mi piace lo cambio!” Aggiunse.
Sarebbe una splendida serpeverde…
Quando arrivarono di fronte a Olivander, lo trovarono però sprangato. E con un lezioso cartello canterino che informava gli spettabili clienti che l’esercizio rimaneva chiuso fino a Gennaio.
Tom fece una smorfia.
Al pretenderà la mia testa.
“Volevi comprarmi una bacchetta? Fico!” Intuì l’altra, purtroppo eccitata dall’eventualità. “Non preoccuparti, magari ci sono altri negozi di bacchette!” Esclamò liberandosi dalla sua mano.  
“È l’unico… non c’è un mercato competiti … Meike!” Esclamò quando la bambina sparì in un vicolo senza battere ciglio o dargliene annuncio.
Dovrei comprarle un guinzaglio?
La seguì per evitare di sgolarsi come un idiota in mezzo alla via.  
Meike.” La richiamò secco. Quella spuntò qualche secondo dopo, con un gran sorriso e la sciarpa allenata per la corsa.
“Ne ho trovato un altro!”
“Non dire sciocchezze.” La riprese, aggiustandole la sciarpa dato che erano in aria da sostanziosa nevicata. “Ti ho già detto che c’è n’è uno solo.”

“Ma io l’ho visto!” Protestò concitata, indicando l’interno del vicolo. “Là!”
Tom diresse lo sguardo nella direzione indicata dalla ragazzina. Non vide nulla.
“C’è, non dico bugie!” E lo prese per la manica del cappotto. Onde evitare che glielo strappasse – sapeva essere cocciuta quando voleva – la assecondò.

Effettivamente nel vicolo c’era una porta fornita di insegna con tanto di bacchetta. “È un laboratorio.” Le spiegò, indicando la dicitura appena sotto. “Qui fabbricano bacchette, non le vendono al pubblico.”
“Quindi le hanno.” Ribatté con tono di chi cercava di spiegare qualcosa ad una persona piuttosto tarda.
“Ma non le vendono.” Spiegò spazientito: voleva tornare a casa e farla finita con quel bagno di socialità. Gliene aspettava uno peggiore quella sera, e voleva avere almeno un’ora di quiete, lontano da qualsiasi essere vivente.   
Ma non aveva calcolato la testardaggine della piccola tedesca, che si mise a cercare il campanello per farsi aprire. A sorpresa, non fu necessario. La porta si aprì e ne emerse un uomo sulla cinquantina, sottile, con grandi occhi sporgenti di un marrone pastoso. Era vestito… curiosamente.  
È raro vedere un commerciante di Diagon Alley indossare un vestito babbano.  Che peraltro lo fa sembrare un maggiordomo degli anni ’50.
“Posso esservi utile?” Chiese, e per un attimo Tom si chiese se non fosse uno svitato alla Lovegood, dato che guardava nella direzione opposta alla loro. Poi vide come tendeva le dita saggiando la dimensione spaziale attorno a lui.
È cieco.  
“Cerchiamo una bacchetta!” Fu la vocetta acuta di Meike a rompere il silenzio.
Il mago si voltò nella loro direzione. “Non è questo il posto giusto, signorina, questo è un laboratorio.” Anche il tono era antiquato, di una gentilezza che ricordava vecchi film in bianco e nero. 
A Tom quei film piacevano. Tranquillizzato, fece un passo avanti. “La bacchetta è per lei.” Spiegò. “Capisco che non vende al dettaglio, ma Olivander è chiuso.”
“Chiuso?” La menzione dovette colpirlo perché i baffi squadrati tremarono appena. “Per quale motivo?”
“È la Vigilia, signore!” Esclamò Meike un po’ confusa.
“Non è davvero un buon motivo per privare una signorina di una bacchetta…” Sembrò riflettere brevemente. “Venite pure dentro. Forse troveremo qualcosa.”

“Mi chiamo Meike! E lui è Tom!” Disse la peste al mago con aria soddisfatta.
A Tom non restò che seguire entrambi. 
Il laboratorio era… un laboratorio. Tom non poté comunque fare a meno di guardarsi attorno. Aveva subito sin da bambino la fascinazione per luoghi simili dove idee prendevano forma e creavano cose.
L’ambiente era ordinato, pulito e con una chiara disposizione spaziale, probabilmente per facilitare l’artigiano. Ovunque sobbollivano alambicchi e c’era un forte odore di legno, cera per bacchette ed erbe secche.
“È la sua prima bacchetta, signorina?”
“Sì! Fin’ora ho usato quella di papà… ma non funziona tanto bene.” Spiegava intanto l’interpellata, saltellando attorno all’uomo. “Tom dice che forse è perché non va bene per me!”
“Capisco. Molto bene, vediamo cosa possiamo fare.” Tom notò che il mago cercava di capire dove fosse e si schiarì la voce per rendere chiara la sua posizione.

“Meike, non toccare nulla.” Aggiunse perché come qualsiasi undicenne che aveva avuto poco a che fare con il Mondo Magico, la bambina era totalmente eccitata e rischiava di travolgere qualcosa.
“Pensavo che fosse Olivander a creare le proprie bacchette.” Soggiunse, avvicinandosi alla piccola libreria in fondo al locale. I titoli non erano in braille. Che fossero incantati per leggersi da soli?   
“Il vero Olivander era un Fabbricante.” L’uomo si mosse verso una serie di scaffali contenenti scatole scure ed allungate. “Ma l’attuale proprietario del negozio, il signor Brooke… beh, è un semplice commerciante.”
“E lei no.” Osservò leggero.
L’uomo sorrise. “No.” Confermò quieto. Poi si toccò la tempia, come a ricordarsi qualcosa. “Che sciocco, non mi sono presentato. Potete chiamarmi Stevens.”
“Ma non è un nome!” Obbiettò Meike imbronciandosi. “Lei ha solo il cognome?”
“Meike, non essere invadente.” La riprese distratto. Notò che trai libri c’erano trattati di Pozioni, Incantesimi e Alchimia. E molti di essi iniziavano con ‘Trattato su’.

No, non è un banale commerciante.
“No, certo che no.” Annuì Stevens scorrendo con le dita la superficie ruvida delle scatole. “Ma è più facile che venga riconosciuto grazie al mio cognome.”
“Curioso, visto che è di origine babbana.” Tom notò un lieve fremito di allerta nei lineamenti dell’uomo.

Avrà una cinquantina d’anni. Durante la guerra era giovane. In età da rappresaglia di Mangiamorte.
Forse non era gentile analizzare un estraneo che stava facendo loro un favore, ma era curioso.
Dopotutto è il primo Fabbricante di bacchette che incontro.
Si era sempre chiesto come venisse alla luce una bacchetta, come fosse possibile far confluire il potere magico di un mago in un semplice agglomerato di legno e elementi organici. Quindi si sentiva legittimato ad appagare quella curiosità.
“Anche il tuo e il mio lo sono!” Replicò Meike, ignara del sottotesto. “E poi i cognomi purosangue non sembrano neanche veri!”
Tom fece un sorrisetto e sorrise anche il Fabbricante. “Signorina, sarebbe così gentile da darmi le sue mani?”
“Le mie mani?” Lanciò un’occhiata a Tom, che annuì una conferma. “Okay!” Gliele mise sulle sue invece di tendergliele, con un tatto che probabilmente lui alla sua età non avrebbe avuto.

Tipico di persone come lei e Al capire il gesto giusto senza che nessuno spieghi loro nulla.
L’artigiano vi passò la propria bacchetta, che Tom notò era un superbo esemplare finemente intagliato. Non sembrava uno dei prodotti dell’attuale Olivander.
“Vende le sue bacchette a Ol… a Brooke?” Chiese.
“La maggior parte. Ma ha anche altri fornitori. Il mio è un piccolo laboratorio, ed ho la deprecabile tendenza ad avere lunghi tempi di consegna.” Rispose il mago, e con un lieve cenno di ringraziamento, lasciò le mani della bambina. “Bene, posso avere la sua bacchetta?” Le chiese poi.
La bambina obbedì, usando lo stesso gesto di prima per consegnargliela. “Cioè, funziona!” Aggiunse un concitata, quasi fosse sua la colpa. “Però non funziona benissimo, ecco.”

Il mago se la rigirò tra le dita, mentre la ruga che aveva tra le sopracciglia si approfondiva. “È ovvio.” Decretò. “Non è una bacchetta adatta a lei.”
“Perché?” Chiese Tom. “È uso piuttosto comune passarsi bacchette di generazione in generazione, nelle famiglie di maghi.”

“Sì, ma non dovrebbe essere così. Specie quando…” Sorrise a Meike, interrompendosi. “Vede quelle scatole? Contengono bacchette. Le apra pure tutte, e trovi la sua.”
Davvero?” Esclamò gioiosa, lanciando uno sguardo dall’uno all’altro. “Posso Tom?”
“Il negozio non è mio. Se ti è stato dato il permesso…” Meike non aspettò che finisse la frase e si fiondò verso lo scaffale come una scheggia. 

Tom capì che l’uomo voleva parlargli in privato e quindi si avvicinò. “Cos’ha la bacchetta che non va?”
Usandola in prima persona aveva notato che faceva resistenza persino ad incantesimi banali.
Ma pensavo che fosse colpa mia, dato che ero abituato ad un legno diverso.
“Le bacchette non sono mai buone o cattive.” Esordì Stevens rigirandosela tra le dita e carezzandone il manico squadrato. “Ma ogni proprietario vi lascia un’impronta. La trasforma. La rende simile a sé.”
“Il padre di Meike, mi viene da supporre, per lei non era un buon proprietario…”
“Secondo la bacchetta, non era un buon’uomo. È una bacchetta rovinata, questa.” Scosse appena la testa. “Non va bene per una bambina.”

Tom non disse nulla: non sapeva nulla del defunto Wollin; solo che si chiamava Karl e aveva abbandonato il Mondo Magico per amore di una babbana. Non molto, quindi. Non si era neppure interessato, a dirla tutta.
È morto. Non è più un problema.
“Gliene comprerò una nuova.” Scrollò le spalle. “Una bacchetta che risponda solo a lei.”
“Saggia scelta.” Convenne il Fabbricante con un sorriso. Spostò leggermente in viso in direzione di Meike.  “Temo che il processo decisionale potrebbe andare per le lunghe. Gradisce una tazza di the…” Inarcò un sopracciglio con intenzione.
“Tom Dursley. E sì, volentieri.”
Dopo qualche minuto Meike era ancora con il naso negli scaffali e loro sorseggiavano the come si conveniva a due estranei di origine inglese costretti a passare del tempo assieme per cause di forza maggiore.
“Posso vedere la sua bacchetta?” Esordì Stevens dopo un paio di sorsi.
“Perché?” Istintivamente la cercò nel cappotto. Notò che il movimento non era sfuggito all’altro, per quanto cieco.

Altri sensi compensativi, suppongo.
“La sua aura magica è particolare.” Lo stupì. “Vorrei sapere come ne risponde la sua bacchetta.”
“La mia aura?” Percepire l’aura magica era una leggenda mai confermata: esistevano modi per misurarla ovviamente, per capire ad esempio se una maledizione avesse intaccato le capacità di un mago. Anche a lui era stata misurata alla nascita, visto il suo ritrovamento. Ma si trattava comunque di usare incantesimi di Medimagia.
Non di percepire l’aura di un mago come si sente vento sul viso.
“Noi fabbricanti di bacchetta non siamo bottegai.” Fu la risposta, mentre tendeva la mano in una muta richiesta. “Siamo studiosi. Molti di noi, semplicemente, finanziano i loro studi attraverso la vendita.”
“Studiate cosa?”
“L’Arte delle Bacchette². Non si aspetti che sia più specifico di così.” Si scusò con un lieve cenno della testa. Dopo un attimo riprese. “La guerra fu impietosa con il povero Olivander… così, prima di morire, decise di formare un apprendista. Disse che non avrebbe lasciato la Gran Bretagna priva di un Fabbricante.”
“È lei era quell’apprendista.” Intuì.
“In persona.” Tese di nuovo la mano. “Le bacchette sono soggette ad usura… e mi sembra che ultimamente la sua abbia avuto tempi duri. Me la lasci controllare.”
“Sente anche questo?” Lo canzonò, sentendosi però a disagio. E parimenti intrigato.

Possibile che davvero percepisca…?
“Sono cieco, ragazzo, ma ho altri sensi che rendono la mia vita meno dura.” Gli rispose.
A Tom non restò dunque che consegnargliela. Era interessato, e l’altro doveva averlo capito.

La curiosità un giorno mi ucciderà.
L’uomo chiuse gli occhi, un movimento involontario o forse per concentrarsi, e se la passò tra le dita come aveva fatto con quella di Karl Wollin. “Ah, una delle mie.” Disse con tranquillo compiacimento. “Agrifoglio, piuma di fenice, quattordici pollici.” Iniziò. “… leggermente rigida.” Fece un mezzo sorriso. “Non le piace stare in mano altrui. Neppure nelle mie, ed io sono il creatore.”
“… e questo come lo sa?” Gli uscì sbigottito, e poi si morse un labbro irritato.
L’uomo non prese in giro il suo tono di infantile sbalordimento. Si limitò a rispondere. “Si sente chiaramente. Ha per lei una fedeltà cieca. La riconosce come il vero padrone… e quindi non tollera di essere separata da lei. Cosa già successa, credo?”
“Sì. Per un periodo.” Tagliò corto, aspro. “Comunque è la mia prima, è normale mi sia fedele.” Smorzò un po’ i toni, lanciando un’occhiata a Meike che apriva e chiudeva scatole in allegria, completamente dimentica della loro presenza.

“Non si preoccupi, la lasci cercare…” Rispose quasi gli avesse letto nella mente. Piuttosto fastidioso. “E non è così comune come si pensa. Le bacchette riconoscono il padrone in chi la possiede, è vero, ma in teoria sono capaci di funzionare con chiunque. La sua temo non sarebbe funzionale in mano a nessuno.”
“Perché è mia.” Ammise infine, e l’altro fece un sorrisetto sottile.
“Precisamente. È un’ottima bacchetta e sa a chi appartiene. Ha dovuto affrontare molte prove…  e avrebbe bisogno di una buona manutenzione.” Aggiunse.
Ah, ecco. Non è solo un bottegaio, eh?
“Sono qui solo per comprarne una. Non per me.”
Il Fabbricante capì l’hint e ridacchiò. “Era un offerta disinteressata. Non mi sarei fatto pagare. E comunque… ne avrebbe bisogno. Perché non è bacchetta che ama gli incantesimi oscuri. Non le è piaciuto essere costretta.”
Dannazione.

Tom lanciò un’occhiata a Meike, che al momento agitava una bacchetta con decisione. Quando riportò lo sguardo sull’uomo sentì in sottofondo un gran rumore di cocci.
Spero non si tiri addosso uno scaffale come ha fatto Al.
“Come fa a saperlo?” Che ci fosse stata qualche soffiata, che l’avesse letto su qualche giornale? No, impossibile. Harry non l’avrebbe mai permesso.
“Lo leggo in questo legno come lei legge un buon libro, ragazzo. Ha un’amica devota. Veda di non usarla per certe cose.”
Tom era indeciso se essere irritato dall’invasività o o chiedergli come riuscisse a capire tutte quelle cose.

Essere un Fabbricante ti fa capire così tanto di un altro mago?
“Lei ne parla come se potesse pensare.”
“Non pensare, ma provare dei sentimenti. Fedeltà, slealtà…” Fece un mezzo sorriso. “La faccenda del possesso di una bacchetta non ha forse permesso ad Harry Potter di vincere Voldemort?”
Ah. Corsi e ricorsi storici…

“Sì, fu una storia complicata.”
“Fu una storia poco capita.” Obbiettò riconsegnandogliela. Tom la mise al sicuro, anche se non ce n’era bisogno. Ma la precauzione non aveva mai ucciso nessuno. “Molti maghi non capiscono l’importanza che questi oggetti hanno nelle loro vite.”
“Penso che chiunque possa capirlo senza sforzo.”
“No, non credo.” Sorrise beato all’ennesimo schianto causato da Meike. Forse era davvero un po’ matto. “La bacchetta non è un utensile. È parte di un mago. Di un solo mago. Se non si capisce questo, il mondo sarebbe colmo di Bacchette di Sambuco, l’unica bacchetta capace di tradire con intenzione. Non è la bacchetta che deve fedeltà al mago. È il mago che deve guadagnarsela.”

Tom guardò la sua. Il discorso di quello strano uomo vestito da maggiordomo aveva un certo grado di senso. Per lui particolarmente: senza la sua bacchetta, negli otto mesi tedeschi, si era sentito mancante.
“Mestiere singolare, quello del Fabbricante.” Concesse finendo il suo the.
“Mestiere unico e non alla portata di chiunque.” Fu la risposta.
Tom non disse nulla per un po’. Ma pensava.
È in un posto del genere che vorrei lavorare, un giorno… è sotto una persona del genere, che vorrei imparare. Uno studioso. Non un timbra carte … - pensò.
Aveva scoperto, date le recenti esperienze, che il Ministero non faceva per lui: c’era troppo rapporto interpersonale da curare, e doversi eventualmente piegare ad idioti come Scott, avrebbe finito per avvelenarlo. Non possedeva la diplomazia di Al o la simpatia carismatica di James.

Aveva sempre pensato ad un lavoro prestigioso, per ammansire la sua ambizione. Ma la sua sete di conoscenza era molto più stimolante.
Non era una scrivania ciò di cui aveva bisogno. Ma di un laboratorio.
“L’ho trovata!” Esordì Meike, trotterellando verso di loro con in pugno la bacchetta d’elezione. Tom capì che era quella giusta da come la bambina sembrava sollevata. Si produsse inoltre in un efficace incantesimo di levitazione delle loro tazze da the.
“Mi sembra adeguata.” Si alzò in piedi, portando la mano dentro il cappotto. “Quanto le devo?”
“È un regalo.” Scosse la testa l’uomo. “Non è forse Natale?”
“Wow, grazie signore!” Meike gli prese la mano di slancio stringendola. “Lei è meglio di Babbo Natale!”
“Non possiamo accettare.” Ribatté invece Tom. “È una bacchetta, non un giocattolo.”
“Appunto.” Sorrise questi, alzandosi in piedi con la fluidità di chi sapeva calcolare senza sforzo lo spazio attorno a sé. “So di aver lasciato questa bacchetta in ottime mani.” Sorrise in direzione di Meike, che avvampò compiaciuta. “Gliel’ho già detto, Mister Dursley. Non sono un commerciante in senso stretto.”

Tom detestava avere debiti, persino con persone che suscitavano il suo apprezzamento. “Insisto.”
“Allora… se devo pensare ad un compenso, forse poter studiare la sua bacchetta?”

“La mia bacchetta?”
“Ogni bacchetta racconta la storia del mago che la possiede.”  

Serrò le labbra. Un altro? “Quindi vuole studiare me.”
“No, la sua bacchetta.” Ripeté paziente. “Ogni bacchetta diventa un pezzo unico quando si adatta alla magia del suo possessore.” Fece un gesto che abbracciava il laboratorio. “Puro studio accademico.”

“Se avrò bisogno di una manutenzione, verrò da lei.” Non si sbilanciò, prendendo per mano Meike che intanto stava tentando di sollevare l’intero servizio di porcellana.
Non era la prima persona che si interessava a lui: per quanto lo interessasse di rimando, non era quello il periodo adatto per lasciar entrare un estraneo nella sua vita.
L’uomo non sembrò adontarsi della risposta fumosa, e aprì loro la porta. “Bene, allora… Buona Natale, ragazzi.”
“Buon Natale signore!” Trillò allegra Meike. Tom lanciò un’occhiata all’insegna, uscendo. Non disse nulla, lasciando che Meike cinguettasse in libertà elogi sul regalo. Ma pensò.  

 
 
****
 
 
Note:


Non volevate un capitolone? Bene, questo è diviso in due parti. Grasso, grosso natale Weasley.
Perché ho fatto tutto questo pippone finale sulle bacchette? Servirà. In futuro. Terza parte. ;D

(La mia logorreaaah…)
Questa la canzone.  Al di là di tutto. Bellissima. Un grazie a Shinu per avermela fatta conoscere. ^^
1.Cokeworth: da Pottermore. È il villaggio natale di Lily Evans, e per traslato, di Petunia. Ho sempre pensato che dopo aver lasciato Privet Drive, Petunia non vi sia mai tornata, anche se da brava borghese, abbia tenuto la casa per il figlio.
2.Arte delle Bacchette. In inglese, Wandlore. È praticamente intraducibile. Comunque, lo studio delle bacchette, dal punto di vista storico, fisico e di fabbricazione.

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Capitolo 41
*** Capitolo XXXIX ***


Capitolo XXXIX







Those Christmas lights, Light up the streets
Down where the sea and city meet
May all your troubles soon be gone
Oh Christmas lights, keep shining on
(Christmas Lights, Coldplay)
 
24 Dicembre 2022
Devonshire, La Tana.

 
Il Natale alla Tana era la teoria del caos applicata alla realtà.
Niente di più, niente di meno.
Frotte di persone – la maggior parte dei quali con capelli rossi – correva da un luogo all’altro, ridendo, urlando, inciampando, mentre carichi delicatissimi come vassoi, piatti o interi set di suppellettili erano lasciati a danzare nell’aria da incantesimi di levitazione.
Nonna Molly, la matrona di casa, impartiva ordini dalla cucina come un generale, acchiappando di tanto in tanto un figlio nella massa e snocciolando corvee da far impallidire Auror vissuti.
Lily da bambina si era sempre divertita un mondo: con i cugini era tutto un cercare di rubare qualche leccornia dal lungo tavolo della cucina prima che la nonna se ne accorgesse.
Al momento si godeva quei ricordi seduta sul divano del salotto in uno dei rari attimi di calma che precedevano il pantagruelico cenone. Le cuginette Lucy e Molly, eredi di tale tradizione, si erano acquattate dietro la porta socchiusa della cucina in attesa del passaggio del prossimo vassoio. Hugo, con loro, tentava di tenersi la bacchetta in tasca, mentre le impietose bambine cercavano di impadronirsene.
“E manca ancora metà famiglia…” Sbuffò Roxanne, seduta accanto a lei. Con un deciso colpo di bacchetta richiuse la porta, tra i moti di delusione delle due bambine, gemelle.
“Goditi l’atmosfera, cugina!” La apostrofò Dominique, che mangiava da mezz’ora e nessuno aveva ancora capito da dove avesse rubato la sua scorta infinita di cibo. Neanche nonna Molly, che l’aveva presa sul personale.
“Sì, prima che arrivi quel guastafeste di Tommy. Con la sua aura lugubre ci farà cascare le palle a tutti!” Esordì James che si rosolava le mani al fuoco del camino. Lily vide il libro in cui si era rifugiato Teddy tremare leggermente.
Fa un pessimo lavoro, se pensa che non ci si accorga che sta ridendo là dietro.
“Crepa James.” Fu la naturale e conseguente risposta di Al.
“È il casino che non sopporto.” Le confidò Roxie con un sospiro, mentre le due rosse cuginette avevano assalito l’altrettanto fulvo Hugo, nel tentativo di rubargli la bacchetta.
“Difenditi con onore, Gogo!” Motteggiò sadica Dominique, mentre il poveretto tentava di liberarsi dalle grinfie delle figlie di Percy Weasley.
“A me invece piace… dico, questa confusione. È famiglia.” Rise Lily, osservando le scene che si svolgevano di fronte a loro. Quello per lei era Natale, e non riusciva ad immaginarlo diversamente.
Rose era l’unica silenziosa del gruppo, se si escludeva Teddy. Stava guardando fuori dalla finestra, seduta accanto ad Al. Non aveva però l’aria patibolare degli ultimi tempi, ma quasi l’espressione… tranquilla.
Anche se quando è entrata stava tipo a venti metri da zio Ron. Devono aver litigato. E sono piuttosto sicura di sapere qual è stato l’argomento. 
Lily si voltò verso la cugina, ignorando le grida del suo valletto deputato seguite da rumori sospetti come qualcuno di ben più pesante di due bambine che gli si sedeva sulla schiena. Probabilmente Dominique.  “Ehi Roxie… sai dov’è zia Aud?”
“Deve essere su.” Rispose l’altra distratta, ridacchiando allo spettacolo del poveretto attaccato da ben tre cugine, di cui una era appunto la micidiale anglofrancese.

Lily si alzò, approfittando della distrazione generale. Sua zia Audrey era una magi-infermiera al San Mungo. E lei da un paio di giorni a quella parte aveva un pensiero che le frullava per la testa.
Ren.
Beh, non esattamente da un paio di giorni, ma erano nuove le sue intenzioni a riguardo. Se voleva capire, doveva usare l’unica cosa di cui non era fiera. Il suo essere una LeNa.
Non aveva però idea da dove cominciare, con quel suo potere: da bambina funzionava senza che potesse farci niente.

Ma adesso sono cresciuta. Forse è cambiato qualcosa?
Quando Ren e James si erano sfidati a duello aveva funzionato, in qualche modo. Aveva sentito le emozioni dell’altro.
E se potessi sentire anche i suoi pensieri? Sarebbe più semplice. Potrei aiutarlo.  
… e capire anche di cosa ha parlato con il Preside Piton, forse?
Lily vide con la coda dell’occhio che Albus la stava guardando, ma lo ignorò. Era arrabbiata con Thomas, e per una strana osmosi dei sentimenti sentiva che doveva avercela anche con il fratello maggiore.
Quei due sono simbiotici! Il dubbio che pensino anche in contemporanea viene. Sarebbe una certezza, se non bisticciassero sempre…
 
Sua zia Audrey era effettivamente al piano di sopra, intenta a sistemare la ex-camera di suo marito di modo che ospitasse anche lei e le bambine. Stranamente c’era solo zia Angelina con lei, e non una pletora di altre zie, o cugine, o parenti sparsi: era il momento perfetto per chiederle un consulto.
“Zia Aud?” Chiese, e la donna rotondetta, si voltò con un sorriso tutto denti. Zia Audrey le era sempre sembrata simile ad una di quelle pagnotte dolci che si sfornavano nelle grandi occasioni di festa: morbida, profumata e che andava presa a piccole dosi, onde evitare indigestione.
Parla il triplo di una persona normale…  
“Oh, Lils, ciao tesoro! Ti serve qualcosa? Merlino, come sei carina oggi… questo vestitino ti sta benissimo! Il rosso spesso non sta bene a chi ha i capelli rossi, ma…” Cominciò infatti.
“Sì, ehm, grazie.” La fermò. “Vorrei parlarti. In privato.” Aggiunse.
“Vado di sotto a vedere se Molly ha bisogno di una mano in cucina.” Zia Angelina era una delle sue parenti acquisite preferite, avendo la meravigliosa abitudine di non fare domande.
Caratteristica rara, in questa famiglia.
Rimaste sole, Lily si prodigò nell’aiutare l’altra donna a riporre la roba delle bambine nella cassapanca. Certi piccoli gesti rendevano sempre più disponibili persone del genere. “Zia … ecco, avrei una domanda.” Iniziò. “… medica.”
“Medica?” La donna entrò in modalità professionale, esattamente come aveva sperato. “Ti senti poco bene tesoro?”
“No, no sto benissimo. È più una curiosità. Cioè, io sono una LeNa, no?” Iniziò con tono casuale, mentre piegava golfini e maglioncini minuscoli. “Mi chiedevo… dovrò tenere l’orecchino di controllo, tipo, per tutta la vita?”
Aveva cercato di essere il più noncurante possibile, ma davanti all’espressione incuriosita dell’altra, seppe che non era stata poi così brava.

“Ti dà fastidio? Forse si è danneggiato… vieni, fammi dare un’occhiata.” Lily obbedì e si fece docilmente controllare. L’orecchino funzionava benissimo ed era ormai parte di lei come i capelli che aveva in testa. Non era quello il punto. “No, sembra tutto a posto.” Le fu infatti comunicato.
“Lo so.” Convenne. “È solo che vorrei sapere se ne ho ancora bisogno.” Spiegò.

L’altra rifletté un momento. “Lils, io non sono una Guaritrice, e non mi sono mai occupata di questa branca della Medimagia. Però questo genere di dispositivi sono fatti per durare una vita. Il che significa, suppongo, che tu debba portarli…”
“… per una vita.” Non era dove voleva che il discorso andasse a parare. Doveva calcare un po’ la mano. “Ma se volessi togliermelo, cosa pensi mi succederebbe?”

La donna fece un breve sospiro, sedendosi sul letto. “Vediamo… la Legimanzia Naturale è una caratteristica della propria forza magica, come il metamorfismo dei Metamorfomaghi. Solo che mentre la seconda è stancante più o meno quanto lanciare un Lumos la Legimanzia Naturale è molto più dispendiosa, in termini di sforzo fisico e magico.” Scosse la testa. “È ciò che ricordo dalle lezioni all’Accademia, Lils… non ricordo molto altro.”
“Va bene… è già qualcosa.” Rifletté: in effetti si era sentita sul punto di svenire quando l’aveva usata durante il duello tra James e Ren. “Però tu la paragoni al metamorfismo. Ted può decidere quando usarlo. Non potrei farlo anch’io?”
La donna scosse la testa. “Non funziona così, tesoro. Questo genere di caratteristiche possono essere sfruttate a comando, è vero, ma sono anche legate ai propri stati d’animo. Il che significa che se il mago subisce una forte emozione, i poteri si attivano senza che lui ne abbia il controllo.”
“Ah…sì, è vero.” Teddy sembrava non rendersi conto dei cambiamenti cromatici in atto sulla sua testa. Era uno dei motivi principali per cui lei e James lo prendevano in giro quando erano bambini.

Perdere il controllo era precisamente ciò che le era successo ad Hogsmeade.
Volevo sentirle. Ma non è come se avessi puntato la bacchetta e pronunciato un incantesimo.
È successo e basta. E non potevo fermarmi in nessun modo.
Cavolo.
“È pericoloso Lily.” La strappò ai suoi pensieri la zia, con aria seria. “Capisco che tu sia attirata dall’idea di sentire cosa pensano gli altri… chi non lo sarebbe?” Sorrise tra sé e sé. “Ma non saresti in grado di controllarti. Potresti consumare…”
“Consumare?”
“La magia non è infinita. È come il sangue. Può essere rigenerata, ma se ne perdi troppa in incantesimi, o utilizzando caratteristiche come la tua che comportano un grande sforzo magico…”
“Muori?” A quello non aveva pensato.

No, no, no. Non è un opzione praticabile.
La donna le sorrise, alzandosi e prendendo in mano uno dei golf del marito per liberarlo da un filo pendente. “Non esageriamo. Il corpo umano ha dei meccanismi di difesa. Prima di arrivare a quello, probabilmente perderesti i sensi. Poi per un bel po’ dovresti stare lontana da bacchette e incantesimi.” Le spiegò dandole una pacchetta sulla spalla. “È raro che si muoia in questo modo.”
Raro ma non impossibile? Mi basta.

“Insomma, non devo togliermelo.” Riassunse, frustrata. Non aveva intenzione di sentirsi male, neppure per scoprire cosa passava nella testa del suo teutonico amico. “Ma se imparassi a controllarmi? Ci deve essere un modo!”
La strega stavolta le scoccò un’occhiata perplessa. Probabilmente la sua insistenza era un tantino sospetta. “Sì, immagino di sì… te l’ho detto, è una branca molto specifica, non ne so molto… ma perché vuoi togliertelo?”
Esibì la sua espressione più innocente. Sfortunatamente sapeva fosse poco credibile. “Non lo so. Immagino sarebbe… interessante… leggere nella testa delle persone, come hai detto tu.”

Se solo avesse potuto leggere i pensieri dell’amico sarebbe stato tutto più semplice. Non solo le sue emozioni. Con quelle ci faceva ben poco. Capire cosa provava non le forniva la causa.
So come si sente, okay.  Ma non so il perché e chi lo fa sentire così.
La donna assunse un’aria diffidente. “Dovresti chiedere al guaritore che ti ha messo l’impianto. E comunque, tesoro, non piace a nessuno sapere di aver vicino qualcuno che gli fruga trai pensieri…”
Già.

Si morse un labbro. Certe pratiche non erano accettate neppure nel Mondo Magico.
I pensieri sono la cosa più personale e segreta che si ha… in nessuno dei due mondi va a genio chi cerca di rubartela.  
“Hai ragione…” Sorrise scrollando le spalle. “Era solo una curiosità. Sembra una cosa troppo pericolosa comunque. Grazie zia, mi hai tolto un bel po’ di domande dalla testa!”
La donna sembrò rasserenata dalla risposta, e le sorrise di rimando.
Uscita dalla stanza, Lily sospirò.
Okay, piano bocciato.
Avrebbe dovuto limitarsi ad usare gli strumenti che aveva già a disposizione.
Forse dovrei solo cercare di farlo confessare… cioè. Farlo aprire. Farlo parlare.
Cosa piuttosto difficile a farsi, se ne rendeva conto.
 
****
 
“Sei sicuro?”
“Papà…”
“No, devi dirmi se sei sicuro che non faranno uno di quei vostri trucchi…”
Tom alzò gli occhi al cielo, mentre accanto a lui Alicia e sua madre ridacchiavano sotto i baffi. Com’era ovvio Dudley Dursley era terrorizzato dall’eventualità di entrare in una casa che pullulava di streghe e maghi di ogni età e taglia. Anche Vern era tutto un’occhiata ansiosa.

“Sì, useranno la magia, ma no, non lo faranno per spaventarvi.” Ripeté per circa la ventesima volta da quando erano partiti da Privet Drive. “Non mi sembra che nessuno di voi abbia mai agitato una presa elettrica di fronte ad Harry o ai suoi figli per divertimento, no?”
“Non è la stessa cosa.” Ribatté testardamente l’uomo, mentre la moglie gli accarezzava supportiva un braccio.
“Sta calmo, Big D.” Lo apostrofò con gli occhi che le ridevano. “Harry e la sua famiglia sanno che la magia ti innervosisce. Tom gliel’ha detto, non è vero tesoro?”
“Sì. Gliel’ho ripetuto, a dirla tutta.” Aprì il cancello sgangherato della proprietà, lanciando un’occhiata alle finestre illuminate della vecchia casa.
Meike accanto a lui diede una pacchetta solidale alla mano di Dudley. “Non si preoccupi Herr Dursley!” Squadernò di colpo la propria bacchetta. “Se le fanno qualche scherzo, io la difendo!”
Robin afferrò il marito prima che facesse uno schizzo indietro. “Grazie Meike, sei molto cara. Hai sentito D? Sei ben difeso.”
“Smettetela di prendermi in giro…” Borbottò aggiustandosi il cappotto. “E tu, ragazzina… che t’ho detto su quel legnetto?”
“Bacchetta.” Precisò la bambina con puntiglio così simile al suo, che Tom si sentì sghignazzare sua sorella alle spalle. “Lo so che non la devo tirare fuori in casa, però adesso non siamo proprio proprio a casa, no?”
“Meike, via la bacchetta.” Tom dovette frenare un sorrisetto.

Alicia invece non fece lo stesso. “Andiamo papà, fattene una ragione, ne vedrai un sacco questa sera!” Lo apostrofò con aria eccitata, lanciando un’occhiata curiosa alla casa.
Vernon aggrottò in contemporanea le sopracciglia. “Ma… è tutta storta. Come fa a reggersi in piedi?”
“Magia.” Ribatté Tom con una certa soddisfazione, mentre il fratello adottivo prendeva un’aria ancora più preoccupata.

“Sicuro che ci regga tutti?”
“Più sicuro che un piano regolatore ben eseguito.” Replicò, afferrando il battente del portone e bussando un paio di volte. “Comunque dormiremo da Harry e la sua famiglia, non qui.” Spiegò: il viaggio di ritorno, con un mezzo babbano sarebbe stato troppo lungo. Robin aveva quindi accettato entusiasticamente l’invito di Ginny a trascorrere la notte da loro. Tom l’aveva saputo quel pomeriggio stesso.

Avrei dovuto immaginarlo, dato le distanze. Adesso capisco perché papà non voleva venire.
Una serata sì, ma un’intera notte?
“Chissà com’è dormire in una casa magica…” Fantasticò Alicia.
Tom le sorrise appena, mentre acchiappava Meike per il cappuccio, onde evitare che si scapicollasse in giardino. Stava infatti puntando uno gnomo che tentava di passare inosservato. “In realtà non è diverso che dormire a casa nostra. I letti non fluttuano mentre dormi.”
A meno che tu non abbia imbarazzanti strascichi di Magia Innata come James.

“Quello è uno gnomo!” Strillò Meike. “Non ne ho mai visto uno!”
“Potrai lanciarlo dopo.” La apostrofò, non potendo fare a meno di notare che suo padre e Vernon si erano praticamente messi alle sue spalle in cerca di protezione.

“Lanciarlo, sul serio?!”
Tom roteò gli occhi al cielo nell’esatto momento in cui Al aprì la porta.
“Benvenuti e Buon Natale!” Esordì con la solita quieta giovialità. Questo prima di vedere Meike ed aprirsi in un largo sorriso. “Meike!”
“Al!” Esclamò la bambina con gioia, placcandolo alla vita. Al non fece una piega probabilmente perché c’era abituato grazie al Quidditch.
Mh.
A quanto pare le sue lettere erano più sentimentali delle mie, se gli si è affezionata tanto.
“Hai visto Al? Guarda! Ho una super-nuova bacchetta! Me l’ha regalata Tom! Cioè, me l’avete regalata voi!” Cinguettò felice, rischiando di ficcargliela in un occhio per l’entusiasmo. “Grazie per il regalo!”
“È davvero bellissima, Meike.”  Al gli scoccò un’occhiata e Tom non si sentì più l’ultima ruota di scorta. In realtà, si sentì molto considerato. “Ma prego, entrate! Ha nevicato, vero? Venite a scaldarvi!” Apostrofò il resto della famiglia, salutandoli poi uno ad uno.
Tom aspettò nelle retrovie. Quando arrivò Harry riuscì a far spostare suo padre e suo fratello, immobili, dall’ingresso. Ringraziò il padrino con un’occhiata e quello gli sorrise comprensivo.
La situazione si normalizzerà non appena capiranno che nessuno vuole trasformarli in animali della fattoria…
Rimasti tra soli maghi, Al tirò una ciocca di capelli a Meike, rimasta saldamente abbracciata al suo fianco. “Allora… ti piace l’Inghilterra?”
“È bellissima! Ci voglio venire a vivere, e so che Tom mi farà venire ad Hogwarts!”

 Ti farà?
Tom si schiarì la voce di fronte all’aria divertita dell’altro. “Intendeva dire … che faremo tutti in modo che il suo trasferimento sia facilitato.”
“Sì, come ti pare.” Lo smontò la peste. Guardò dall’uno all’altro. “Ora vi baciate?” Chiese dal nulla.

Tom vide Albus avvampare come se avesse messo il viso troppo vicino alle fiamme del camino. “… eh?”
“C’è il vischio.” Replicò imperturbabile, indicando una fronda particolarmente cespugliosa sopra le loro teste. “Quando c’è il vischio chi si vuole bene, si deve baciare.” Aggiunse con teutonica certezza.

“Non è stata un mia idea.” Si affrettò a spiegare loro Al, in piena agitazione. “È stata Lily… e Freddy, forse. Io…” Lo guardò in cerca di aiuto.
Spero che non perda mai questa timidezza adorabile.
“L’hai sentita. Ci si deve baciare.” Replicò tranquillo, facendo un sorrisetto d’approvazione alla bambina.
Al gli lanciò un’occhiataccia. “Bene.” Si chinò all’altezza di Meike e le diede un bacio sulla guancia. “Ma al momento non sono abbracciato a te, Tom. E quindi il bacio spetta a lei.”
Meike fece un versetto che a Tom sembrò inquietantemente civettuolo. Poi per fortuna fu attirata di colpo da una forte luce colorata proveniente dal salotto. “Ehi, Al! C’è anche quel tuo zio che fai i fuochi magici?”
“Certo, zio George.” Le assicurò. “Credo ne abbia acceso uno proprio adesso. Perché non vai a vedere?”
“Fico!” Esclamò, e li piantò su due piedi senza aggiungere altro.

Al ridacchiò alla sua espressione perplessa. “Stasera dovrai dividerla con almeno venti persone. Puoi sopportarlo?”
“Naturalmente, voglio che faccia amicizia.” Replicò sostenuto.

“Amici alla fine della serata non le mancheranno, sta’ sicuro.” Gli si avvicinò, lanciandosi un’occhiata distratta alle sue spalle, sentendo l’ennesimo botto e scroscio di risa. “Alla fine tuo padre si è convinto…”
Tom si spazzò la neve dal cappotto. “Credo sia grazie al tuo. Avrà fatto pressioni.”
“Forse l’ha semplicemente convinto.” Osservò. Poi gli passò le braccia attorno alla vita con una naturalezza che rilassò immediatamente Tom: poteva detestare il chiasso in cui di lì a poco sarebbe stato forzato ad entrare. Ma non detestava Albus.

Dato di fatto ineluttabile come il sorgere del sole.
“Sono tanto, tanto contento.” Aveva le guance ancora rosse. Dunque non era imbarazzo per il vischio.
Scommetto che anche quest’anno James e Fred gli hanno corretto il succo di zucca.  
Poi si ricordò che quella era la tipica frase iniziale che l’altro, da bambini, utilizzava per salutarlo quando riusciva a venire a Natale. Sogghignò di rimando.
Mi hai fatto il regalo Tom?” Replicò, imitando la sua vocetta infantile in maniera piuttosto convincente.
Albus gli mollò un pugno leggero sulla spalla. Poi però si fece serio di colpo. “Certo che me l’hai fatto.” Sussurrò piano. “Sei qui.”

“Al…” Non  finì la frase che l’altro si alzò leggermente in punta di piedi e appoggiò le labbra sulle sue. Tom ricambiò il bacio sentendosi sparire dalle spalle il peso che l’aveva quasi schiacciato tre secondi prima ricordando il motivo per cui Al aveva rimarcato la sua presenza.
Okay. Niente sensi di colpa a Natale. Funziona così questa festa ridicola, no?
“Lo sai che ti hanno corretto il succo, vero?” Gli sussurrò sulle labbra, che in effetti avevano un vago sentore alcolico.
Al sbuffò. “Lo fanno ogni anno. Ne ho bevuto solo un po’.” Poi gli strinse il braccio, mentre il sorriso prendeva una sfumatura maliziosa. “A proposito di regalo… che dici, se mi dai il permesso posso scartarlo?”
Tom fece mente locale. Cenone, famiglia a pochi metri. Molta famiglia a pochi metri.
“Mi stai di nuovo punendo per qualcosa?” Chiese in tono informativo. Ormai illuderlo e poi mollarlo eccitato come un qualsiasi ormonale idiota era diventato il suo metodo di rappresaglia preferito.
Non credo di aver fatto nulla di sbagliato stavolta. Ma non si sa mai.
Al ridacchiò. “No… o meglio, dipende da come ti comporti stasera.” Lo sciolse dall’abbraccio. Si obbligò a non riacchiapparlo. “Tuo padre sembra molto teso… e anche tuo fratello non scherza. Se fossi un po’ più sociale del solito e li aiutassi ad interagire con gli altri, magari potrebbero rilassarsi.”
“E cosa ci guadagno?”

Al inarcò le sopracciglia, già sullo stipite della porta che dava sul salotto. “Il tuo regalo?”
“Quello me lo devi fare comunque.” Osservò piazzando una mano sul pomello per evitare che la aprisse spalancando le porte dell’inferno Weasley.

Al lo guardò da sopra la spalla con un’espressione furba. “Io parlavo dell’altro regalo.”
Rimase un attimo in silenzio. Poi ispirò. “Profondamente sleale, Signor Potter.”
“Lo so. Siamo tremendi noi serpeverde, vero?” Gli fece la linguaccia.

Tom fece un mezzo sorriso, poi tornò serio. “Dobbiamo parlare con Harry.”
Stasera?” Fece una smorfia. “È la Vigilia!”
“Non qui, quando saremo a casa.” Vedendo che non era convinto, andò sul pragmatico. “Non abbiamo molto tempo. Luzhin tornerà per il Ballo, ma il vascello di Durmstrang salperà per Santo Stefano. Il ventisei, tra tre giorni.” Soggiunse vedendo che non capiva. “Fuori dal territorio britannico per tuo padre sarà difficile avere influenza. O direttamente indagare.”

Al sospirò. “Va bene.” Mugugnò sconfitto. “Andiamo adesso? Vorrei ricordarti che ci sono persone che ci aspettano.” Non aspettò un suo cenno affermativo e spinse la porta, sparendo all’interno del salotto.
Tom sospirò. Poi lo seguì.
 
****
 
Albus osservò ridendo l’animata partita di neve che si disputava nel giardino della Tana.
Finita la cena era stato proposto da Hugo di andare fuori a respirare un po’ d’‘aria pura’.
Naturalmente una parola in codice…
Alicia e Vernon avevano acconsentito volentieri, meno a disagio dopo aver scoperto che molti dei loro parenti acquisiti non erano totali alienati e conoscevano l’uso dei basilari sistemi di intrattenimento babbano. Hugo specialmente aveva intavolato una fitta conversazione sui videogiochi con Vern.
Appena fuori, Freddy e James avevano aperto le danze. In meno di qualche minuto, l’aria si era riempita di decine di palle di neve. L’unica regola: niente uso della magia.
Non c’è niente di meglio che tirarsi blocchi di ghiaccio congelato per fare amicizia.
Persino Alicia, che possedeva a volte la stessa indifferenza distaccata di Tom, al momento era rossa in viso e ridente, mentre cercava di ripararsi dagli attacchi di Freddy, le gemelle e Dominique.
A Natale siamo tutti meno misantropi.
Rose, seduta accanto a lui su un enorme e vecchio divano lasciato lì per essere buttato e poi dimenticato, sospirò. “Gliel’ho detto.” Esordì mentre davanti a loro passava Hugo inseguito da un’implacabile Meike.
Al le scoccò un’occhiata. “A tuo padre?” Indovinò al primo colpo: facile del resto, dato che suo zio Ron aveva passato tutta la cena con un broncio infinito.
“Già. Pensavo peggio. Pensavo avrebbe cominciato a lanciare oggetti, sinceramente.” Ironizzò, stringendosi nel giubbotto. “Certo, probabilmente non mi parlerà per decenni. E mamma dovrà trascinarlo schiantato al matrimonio mio e di Sy.”
“Wow, già pensiamo al matrimonio?” La prese in giro, e l’altra arrossì.

“Non ho intenzione di mollare la presa su qualcuno che è riuscito a farmi litigare con mio padre. È una questione di principio. Poi, vedremo.” Mugugnò. “Intanto beh… amo quello stupido biondino.”
Al le strinse la mano, ingoiandosi una risata. Rose sapeva diventare violenta quando era in imbarazzo, come metà dei membri femminili della loro famiglia. “E tua mamma che ne pensa?”
“Credo che preferisca mantenersi neutrale finché non ha raccolto tutti gli elementi necessari ad un’analisi.” Scherzò. “E mi sta benissimo. Non ho bisogno di un’altra voce in testa al momento…”

Al le passò un braccio attorno alle spalle, e la strinse in un abbraccio che l’altra ricambiò grata.
“La sua famiglia non mi accetterà mai, vero?” Soggiunse piano, ma senza lacrime o incertezze.  
“Penso che ci vorrà tempo, per entrambe le nostre famiglie. Ma io e gli altri renderemo le cose più facili. Te lo prometto.” Le baciò la tempia fredda con affetto. Rose gli sorrise di rimando. Poi si alzò, spazzolandosi i pantaloni.
“Vado a controllare che non mi ammazzino Hugo. Vieni?” Fece un sorrisetto. “Scommetto che stavolta riesco a tirartene almeno una.”
“Impossibile. Ho riflessi da Cercatore. Serpeverde.” Puntualizzo strizzandole l’occhio. Poi guardò il campo di battaglia. Lily non c’era. Strinse appena le labbra. “Vai tu, io ti raggiungo tra un momento.”

Quando la cugina se ne fu andata, rientrò immediatamente in casa. Gli adulti erano seduti in salotto, sui divani, a bere il digestivo alle erbe di nonna Molly e chiacchierare. Sentì a sorpresa la voce baritonale di Dudley associata a quella di suo zio Ron. Chissà di cosa parlavano due persone tanto diverse.
È davvero la magia del Natale…
Lanciò un’occhiata all’interno e intercettò lo sguardo di Tom, seduto con zia Hermione davanti al fuoco.
Tipico. Se non lo conoscessi bene, sarei pure geloso della sua cotta intellettuale. Passa tutte le feste al suo fianco.
Di Lily però non c’era traccia. Evitare il chiasso per lei era un sintomo preoccupante.  Albus rifletté: l’anno prima era stato lui l’asociale della storia. E dove si era rifugiato?
Seppe di colpo dov’era sua sorella.
 
La soffitta della Tana era il luogo di raccoglimento interiore per eccellenza. Isolata dalla baraonda dei piani sottostanti, sufficientemente incasinata dal potercisi nascondere sentendosi al sicuro.
La trovò seduta di fronte alla bassa finestrella che dava luce alla stanza quando era giorno. Osservava il buio fuori e aveva acceso un paio di candele per non averlo dentro.
“Ehi…” La chiamò gentilmente. Lily sobbalzò lo stesso, lanciandogli un’occhiata allarmata. “Scusa, non volevo spaventarti.”
“Pare che ci si spaventi quando si pensa troppo.” Borbottò. Sembrava proprio avercela con lui.

Tirò fuori la sua aria più confusa e dispiaciuta. “Lils, sei arrabbiata con me? Ho fatto qualcosa?”
La sorellina arrossì, a disagio. “No… cioè… no. Dai.” Sbuffò arresa. “Siediti.” 

Al obbedì trionfante, ma non le chiese perché fosse lì. Non era il modo giusto per iniziare quella conversazione.
“Questo Natale è molto babbano, eh?” Le disse invece. “Sono contento che i genitori di Tom si siano ambientati. Certo, c’è stato quel momento in cui Freddy ha quasi fatto esplodere la sedia sotto il sedere di zio Dudley, ma…”
“Pensavo che nonna l’avrebbe trasformato in una zucchina.” Ridacchiò la sorella. “Meno male che Jamie l’ha fermato in tempo.”
“Chi l’avrebbe mai detto. Nostro fratello ha finalmente l’età che dimostra, e non cinque anni.”

“Tu dici? Io gliene darei dieci.”
Risero entrambi. Lily finalmente si era rilassata. Era quindi il momento giusto. “Emozionata per domani?” Le chiese con noncuranza.  

Lily scrollò le spalle. “Ho il vestito. Ho un appuntamento dal parrucchiere. Sono preparata.”  
“E non dimenticarti il cavaliere.” Aggiunse dolcemente. Lily si irrigidì, di nuovo. Però poi gli sorrise.
“Sì, giusto. Ed indosserà l’uniforme di gala. Ci pensi? Solo zia Hermione ha avuto questa fortuna, e comunque zio Ron pensò bene di rovinarle la serata. Mai notato che zio Ron è un rovina-serate?” Era chiaro tentasse di cambiare discorso. Al non rispose e l’argomento cadde da sé.
Lily si morse allora il labbro, aggrottando le sopracciglia. “Perché a nessuno di voi piace Ren?” Sbottò di colpo, aggressiva. Protettiva, in realtà. Ecco dove Tom aveva sbagliato: aveva visto solo l’aggressività e aveva reagito incalzandola fino all’inevitabile ceffone.
Invece vuole solo difendere il suo amico.
“Non ho mai detto che non mi piaccia.” Osservò quieto. “Sembra un bravo ragazzo.” Ed era vero. Tralasciando l’episodio sinistro con Fanny, Luzhin si era sempre comportato da perfetto gentiluomo, con tutti. Solo con James aveva perso la calma.
Ma Jam sa come fa saltare i nervi a qualcuno…  
Si comportava molto meglio della maggior parte dei ragazzi della loro età. Specialmente con Lily: la portava praticamente in palmo di mano.
Ce lo vedo a stendere il mantello su una pozzanghera, per farla passare.
Inoltre sembrava sincero. Non poteva dimenticare come aveva parlato di Lily, la sicurezza nel suo tono. Non gli aveva detto quelle cose per ingraziarselo: gliele aveva dette perché ci credeva.
Ciò non toglie però che abbia qualcosa che non va.
Lily nel frattempo sbuffò. “Allora se non ce l’hai con lui, mi spieghi perché sia tu che Tom lo spiate?”
“Spiamo?” Mantenne un tono sorpreso, anche se la vera sorpresa era che se ne fosse accorta.
Neppure tanto. Lo sai quanto è sveglia su queste cose…
“Sì, lo spiate. Soprattutto Tom. Perché?” Al si sentì un tantino agitato, quando Lily gli piantò gli occhi nei suoi. Sua sorella era un vero mastino, quando si trattava di avere delle risposte.
Non molla finché non le ottiene.
Capì quindi che doveva concederle qualche rivelazione, per farla aprire di rimando. Era una legge vecchia come il mondo. “Tom pensa che nasconda qualcosa… Pensa che Durmstrang possa essere coinvolta nell’attacco della Prima Prova.”
Non era vero: ma dirle la verità, cruda e diretta, non sarebbe stata una buona idea.
Se è innamorata di lui…
“Durmstrang? La scuola?” Lily batté le palpebre confusa. “Sì, beh, in effetti dopo l’attacco dei Dissennatori il Torneo è stato spostato là. Magari…” Fece una pausa. “Credi che Ren sia coinvolto?”
“Credo che possa saperne qualcosa. Dopotutto è il loro Campione.” Spiegò calmo. Se le avesse detto che c’entrava quasi sicuramente la Thule, Lily sarebbe andata nel panico. Non c’era alcun bisogno di coinvolgerla. Poteva aiutarli a capire Ren…

Ma non deve essere trascinata in questa storia.
“Ti ha colpita qualche suo comportamento particolare ultimamente?”
Lily nicchiò a lungo, infine fece un sospiro. “Sembra… preoccupato. Spaventato.” Si corresse. “Da qualcosa… o da qualcuno. È come se avesse sempre… non so. Ha…” Esitò. “… ha la faccia di chi in un vicolo buio pensa di essere seguito.”
Lily. Sia benedetta la sua capacità di dare immagini riassuntive perfette.

“Capito.” Le sorrise. “Comunque non preoccuparti. Sai com’è fatto Tom. Pieno di teorie cospirative.” Si alzò, sentendo che fuori gli altri stavano rientrando. Presto qualcuno si sarebbe chiesto dove erano finiti. “Io scendo. Vieni?”  
“Sì, certo.” Annuì tranquilla. Al fece per voltarsi quando, a sorpresa, Lily lo afferrò per un braccio. Aveva un’espressione concentrata, insolitamente seria. Si mordicchiò il labbro un momento, prima di parlare.
“Ren… lui… non farebbe male ad una mosca.” Mormorò. “Non ne sarebbe capace. Qualsiasi cosa stia pensando Tom… Ren non l’ha fatta. Ne sono sicura.”
Albus le sorrise: cosa avrebbe potuto dirle? Era chiaro che la sorellina non avrebbe mai potuto pensar male dell’amico. Ma lui… beh. Poteva aver tacciato per mesi Tom di paranoia. Ma non poteva più farlo, non dopo del collegamento di Luzhin con la Magia Oscura.
Avrebbe voluto dirle di allontanarsi, ma la conosceva: si sarebbe opposta per principio. In questo erano maledettamente simili.
Mi hanno detto in tutti modi di star lontano da Tom, di mettere la giusta distanza tra di noi.
L’ho mai fatto?
Certo, tra Sören e Lily non c’era lo stesso rapporto che passava tra lui e Thomas: per sua sorella probabilmente era solo una cotta tenace.
Ma sfortunatamente la nostra tenacia assomiglia terribilmente alla testardaggine …
Lily non doveva assolutamente scoprire cosa lui e Tom supponevano del tedesco.
Meno sa di tutta questa storia, meglio è. Non deve fare domande, non deve sapere. Niente.
“Non preoccuparti.” Le diede un leggero colpetto sulla spalla, nel modo più rassicurante che gli riuscì.
Lily gli sorrise appena di rimando. “Okay.” Disse, e poi gli si affiancò, scendendo con lui le scale.
Dobbiamo tenerla fuori dai guai. Da questi guai. A tutti costi. Non anche mia sorella.
Io ho scelto di farmi coinvolgere. Ma lei no.
Tom non aveva tutti i torti: dovevano parlare con suo padre. Quella sera stessa.
 
****
 
Germania del Nord
Residenza estiva degli Hohenheim.

 
La pendola vicino al camino aveva appena segnato le dieci di sera e la cena non era ancora stata annunciata.
Sören tese appena le labbra in una linea incerta, sfiorando con le dita la copertina del libro che stava tentando di leggere per distrarsi.
Non era da suo zio un comportamento del genere.
Suo zio, che aveva sempre preteso assoluta puntualità, rispetto delle tradizioni, rispetto dell’etichetta, persino quando erano soli.
Ma con la nuova casa, erano arrivate nuove regole. A Sören era stato ordinato di non lasciare i propri appartamenti, a meno che non fosse espressamente chiamato. E così aveva fatto da quando era arrivato il giorno prima.
Suo zio l’aveva accolto con poche parole e un abbraccio cerimonioso. Nulla di inusuale.
Ma quel ritardo nel servire la cena della Vigilia non andava bene. Non era… normale.
Scrollò la cenere della propria pipa nel fuoco, riponendola poi dentro il panciotto. Si era vestito di tutto punto, come si conveniva ad un’occasione del genere, ma questo era accaduto ore prima.
Doveva andare a controllare.
Si buttò addosso il leggero mantello che usava in casa per spostarsi lungo i corridoi gelidi: suo zio non amava il calore generato da incantesimi riscaldanti. Lo trovava fastidioso.
Invece non lo è. Ad Hogwarts è piacevole non trovarsi perennemente con le punta delle dita congelate.
Impiegò svariati minuti per raggiungere le cucine. Non ricordava bene dove si trovassero: quella tenuta l’aveva visitata poco da bambino. In realtà, era stata usata poco dallo stesso Hohenheim.
Le trovò seguendo il suono di voci e il riverbero di candelabri. I servi dovevano essere lì.
Si accostò alla grande porta ellittica, sentendoli ridere. Probabile stessero consumando la loro, di cena.
Sentì un crampo allo stomaco, ma lo ignorò. Avrebbe sempre potuto farsi portare qualcosa dopo.
Risentire il tedesco del Nord dopo tanto tempo era piacevole. Kirill e i ragazzi di Durmstrang parlavano il tedesco della Baviera, comprensibile per lui, ma dai suoni meno aspri, meno suoi.
“Povero Signorino…” Udì. Era la voce di un uomo. Forse il vecchio Etzel, servitore di suo zio da decenni. “Pensate che dovremo portargli qualcosa da mangiare?”
“Sei matto, vecchio?” La seconda voce era giovane. Un ragazzo. Doveva essere il nuovo sguattero. “Sai come funziona meglio di me, qua. Nessuna iniziativa personale!”
“Ma starà morendo fame… il pranzo è stato ore fa.”
“E che muoia!” Fu la risposta. “Tanto, son tutti uguali quelli della loro schiatta. Pensano che gli dobbiamo leccar le suole degli stivali per il loro sangue puro. Beh, ti dirò una cosa Etzel. Anche la mia, era una famiglia di purosangue. E dato che son nato Magonò, hanno ben pensato di cacciarmi ad elemosinare nelle strade di Lubecca!”

“Taci, Milo!” Lo apostrofò una terza voce, femminile. Sören la ricordava bene. Era la serva che da bambino aveva curato spesso le sue ferite dopo gli allenamenti. “Qui lo siamo tutti, e dovremo esser grati al padrone che ci ha dato un tetto sopra la testa e pane da mordere!”
“Grati sì…” Sbuffò. “Lo sono, sicuro. O lo ero, mica lo so. Andiamo… lo avete visto come si comporta in ‘sti ultimi tempi! Ci ordina di restar confinati nei nostri quartieri, non esce dal suo studio… e se gli gira storto, non ci pensa due volte ad agitar la bacchetta! Hilda l’ha vista la mia schiena, dopo che il padrone mi ha punito perché avevo rovesciato un solo, fottuto bicchiere!”
Sören inspirò: suo zio che usava violenza ai servi. Non era mai accaduto prima. Sì, era un uomo duro, inflessibile, e non perdonava gli errori. Ma ferire un ragazzo per un bicchiere rovesciato era… troppo.
“Zitto, zitto…” Mormorò l’uomo, e il tono di voce era teso, spaventato. “Non si parla male del padrone. Lascia perdere. Fa’ silenzio. Pensa a mangiare.”
“Bel Natale che è… rinchiusi qui con un pazzo. Una belva.” Grugnì il ragazzo. Poi seguì rumore di mascelle; avevano ripreso a mangiare.

Sören rimase appoggiato alla porta della cucina, pensando. 
Sapeva bene che i magonò tendevano sempre ad esagerare le loro condizioni per farsi compatire. Era una lezione che gli era stata insegnata sin da bambino. Ma il tono di quel servetto esprimeva frustrazione e paura, dietro l’irritante sfacciataggine. Non stava esagerando.
Come gli avrà ridotto la schiena?
Le comunicazioni con suo zio in quei mesi erano state poche. Circostanziali alla sua missione. Non aveva mai pensato di chiedergli nulla, ma solo di rispondergli.
Quando me ne sono andato era perfettamente in sé … Certo è pur vero che son stato qui pochi giorni. Sono tornato dalla Russia, ho chiuso il vecchio maniero e poi qui… una settimana, forse. Forse meno.
Decise che era il momento di capire. Esagerazione dei servi o meno, qualcosa non andava.
 
Percorse la distanza tra le cucine e lo studio di suo zio in pochi attimi, sentendo i crampi allo stomaco farsi sempre più forti e dolorosi. Non era solo la fame. Era ansia.
Serrò i pugni, ma poi bussò alla vecchia porta in noce davanti cui aveva atteso tante volte. Non era la stessa, certo, ma era un simbolo.
Non ebbe alcuna risposta. Normale, pensò nebulosamente. Non era stato annunciato.
E se si fosse sentito male? I servi sembrano aver talmente paura di lui che non saranno di sicuro entrati.
Si fece coraggio ed aprì la porta. Il fuoco baluginava morente nel camino, e le tende erano come sempre tirate. Sören non ricordava di averlo mai visto lavorare alla luce naturale del sole, persino durante le luminose giornate estive che talvolta graziavano la loro terra.
“Zio?” Lo chiamò, non riuscendo a capire se fosse seduto alla poltrona della scrivania. Era troppo buio e le ombre si allungavano e tremavano dinnanzi alle braci del focolare, inghiottendo tutto.
“Sören.” La voce di Alberich von Hohenheim non proveniva dalla scrivania, bensì vicino alle grandi finestre oscurate. Sören inspirò, voltandosi in quella direzione. “Non mi sembra di averti mandato a chiamare.”
“No.” Confermò con un lieve inchino di saluto. “Ma è molto tardi e la cena non è stata servita.”
“Lo so.” Fu la risposta inaspettatamente quieta.

Sören prese un nuovo sospiro. “Mi… mi stavo chiedendo il perché. È la Vigilia, zio.”
“La Vigilia…” Mormorò questi. “Sì, naturalmente. Se hai fame, puoi chiedere di farti preparare qualcosa. I servi dovrebbero ancora essere in cucina.”
“Non è questo.” Obbiettò, abbassando subito lo sguardo quando vide che l’uomo si avvicinava nella sua direzione. “È che … ho ascoltato i servi parlare, e ho inteso… che neppure Voi avete cenato.”
“Non ho fame.” Tagliò corto. “C’è dell’altro?”

C’era dell’altro. C’era molto. Sören si morse le labbra fino a sentire il sapore ferroso del sangue.
Cosa sta succedendo? Perché uno sguattero si permette di darti del folle?
Perché il piano che sto eseguendo sembra far acqua da tutte le parti, e fa rischiare a me e a Poliakoff continuamente?

Qual è l’obbiettivo finale?
C’è, un obbiettivo finale?

Erano un fiume di domande, che gli si erano formate lentamente, ma tenacemente in testa, come un cancro silenzioso. E non volevano saperne di andarsene, per quanto provasse a chiuderle fuori.
“Non c’è altro.” Disse però. Poteva pensare, ma parlare… era tutta un’altra storia. “Ero solo preoccupato.”
“Sei un buon nipote.” L’uomo uscì dal cono d’ombra. Sören trattenne un esclamazione soffocata. Durante i loro contatti l’aveva visto, ma sempre nebulosamente dietro la cortina fumosa del Fuoco Magico.
Dal vivo, si rese conto di quanto suo zio fosse dimagrito, pallido. Non emanava più quell’aria di imponenza che l’aveva sempre paralizzato sin da bambino.   
Non che questo lo rendesse meno spaventoso ai suoi occhi.
Di colpo capì cosa intendeva il giovane Milo.
Sembra una belva in gabbia…
Come se qualcosa lo consumasse, un pensiero. Aveva l’aria di un uomo che stava pensando troppo.
Ma non è solo questo… è…
“Un nipote affezionato.” Riprese l’uomo, con quella sua voce bassa, che si insinuava nel padiglione auricolare come una lama avrebbe fatto elegantemente nella carne. “Ma la tua unica preoccupazione deve essere il piano che porterai a termine.” Gli mise una mano sulla spalla. “Solo quella.”
“Sì, zio.” Esitò, poi lo disse. “Potremo cenare qui, se lo desiderate…” Capì di aver oltrepassato il segno quando vide lo sguardo dell’uomo.

“Al diavolo la cena!” Ruggì di colpo e Sören istintivamente fece un passo indietro. “E tutto ciò a cui pensi, sciocco ragazzo?! Questo tua non richiesta pietà un giorno ti costerà cara! E prega che non costi anche a me!”
“Io…” Si sentiva la bocca secca e il cuore battere furioso nel petto. Sapeva che era stupito essere terrorizzato e sentirsi in colpa per aver semplicemente proposto un’idea. Ma suo zio non aveva mai avuto quegli scatti d’ira improvvisi. Certo, a meno che non sbagliasse durante gli allenamenti. Ma lì si supponeva lo meritasse per essere goffo e poco reattivo. “Sono Vostro servo fedele.” Sussurrò in fretta, automaticamente.

L’uomo fece una smorfia. “È bene che tu lo ricordi.” Inspirò lentamente. “Dammi un bicchier d’acqua.” Gli ordinò secco.
Sören obbedì, ma quando si voltò a versarlo sentì un colpo secco, come di qualcosa, qualcuno, che cadeva a terra. Si voltò di scatto e vide l’altro mago reggersi con forza alle tende delle finestre. “Zio!” esclamò, avvicinandoglisi in fretta, e afferrandolo per un braccio per frenare la probabile caduta.
Sentì immediatamente un dolore accecante al volto e fu scagliato via con forza, a sbattere contro uno dei divani. “Non osare!” Ruggì l’uomo. “Non ho bisogno del tuo aiuto, patetico moccioso!”
Sören si raddrizzò, sentendo il sangue rombargli nelle orecchie e scaldargli il lato del viso colpito. Cercò di riflettere velocemente.
È quasi caduto, respira male…
È malato. Gravemente malato.
La realizzazione lo ghiacciò sul posto. Doveva esser così, dato che Alberich Von Hohenheim difficilmente si sarebbe fatto abbattere da una banale influenza. Da che ricordava, in quella casa l’unico a beneficiare delle cure del loro Guaritore personale era stato lui. Mai suo zio.
L’uomo nel frattempo sembrò essersi ripreso. Tirò un profondo respiro. “Va’.” Gli ordinò. Ma la sola sillaba bastò evidentemente a togliergli le poche forze che aveva riacquistato, perché le guance persero nuovamente colore.
“Zio…”
“Non darmi altri motivi per punire la tua insolenza.” Replicò l’uomo. “Ti ho ordinato di congedarti. Ubbidisci.”

A Sören non restò che inchinarsi e lasciare la stanza. Allontanandosi lungo il corridoio, incrociò una dei servitori, la donna, Hilda. Reggeva un vassoio con piatti coperti. “Signorino…” Mormorò sorpresa, occhieggiandolo. “… siete ferito!”
“Non è nulla.” Tagliò corto. “Stava portando la cena a mio zio?”
“No, Signorino.” Mormorò in tono incerto. “La stavo portando a Voi. Il padrone ci ha ordinato di non disturbarlo, ma abbiamo immaginato che potevate aver fame.”
Sören sorrise appena, facendo una smorfia alla fitta che ne conseguì. Il colpo doveva avergli tagliato il labbro sui denti. “La ringrazio Hilda. Posso portarla sopra da solo.” Gliela prese dalle mani, senza curarsi delle deboli proteste. “È la Vigilia, dovrebbe essere dispensata dai doveri dall’ora di cena, credo.”
“Sì, Signorino, ma…”
“Buon Natale.” La fermò. La Magonò capì l’antifona, perché fece un breve cenno assertivo.
“Buon Natale anche a Voi, Signorino.” Si inchinò, per poi allontanarsi. Sören guardò il riverbero del candelabro che la donna reggeva per farsi luce spegnersi lentamente. Poi tornò sui suoi passi.

Appoggiò il vassoio davanti alla porta dello studio e bussò di nuovo. “Zio.” Chiamò, sapendo che stava ascoltandi. “Vi ho portato qualcosa da mangiare… Vi prego almeno di assaggiarla.” Non aggiunse altro. Prese il tozzo di pane che accompagnava la zuppa di aringhe – sapeva che l’uomo lo faceva sempre avanzare - e se lo infilò in tasca, tornando poi nei suoi appartamenti.
Quando si sedette sulla poltrona accanto al fuoco, poté realizzare con calma la portata di ciò che aveva visto.
Zio è malato. Non ho idea di quanto sia grave, ma una malattia capace di piegarlo non dev’essere cosa di poco conto.
Chiuse gli occhi, mordendo il pane per calmare i morsi della fame. La bocca protestò, ma finì il suo frugale pasto impietosamente.
Domani spedirò un Gufo al nostro Guaritore…
L’avrebbe firmato a nome di suo zio; era capace di imitare la firma di chiunque. Era stata una delle cose che aveva dovuto imparare collateralmente da Johannes.
Caricò la pipa. Quello non era disubbidire. Era molto peggio. Era prendere iniziative, era mentire, era…
È capire. Devo capire.
Cosa diavolo sta succedendo?
La pendola suonò improvvisamente, facendogli quasi rovesciare il tabacco sulle gambe. Ascoltò i dodici rintocchi spegnersi lentamente nel silenzio della camera.
È mezzanotte. È Natale.
Fuori non nevicava. Non avrebbe nevicato quell’anno. Lanciò involontariamente uno sguardo verso il baule da viaggio: sapeva bene cosa ci fosse dentro, oltre ai libri, ai vestiti e ai suoi effetti personali. Si alzò lasciando perdere la pipa e lo aprì. In mezzo alle sue cose, spiccava una busta dai colori sgargianti e dal fiocco traslucido.
Il regalo di Lily…
La prese.
 
“Ren!”
La sua carrozza era già arrivata ai cancelli di Hogwarts; si era attardato per semplici motivi burocratici legati al Torneo e aveva evitato lo sguardo di Albus Potter per tutta la riunione tra delegazioni.

“Lilian…” Aveva visto Lily correre verso di lui dal pendio soprastante e l’aveva quindi aspettata.
“Te ne stavi andando senza salutarmi!” L’aveva accusato tirandogli una botta con la borsa.
Sören aveva fatto una smorfia al colpo. “Ma l’ho fatto.” Aveva obbiettato. “Stamattina, a colazione.”
C’era stato un momento di pausa. “Beh, di saluti non se ne ha mai abbastanza!” Aveva replicato l’altra senza scomporsi. Poi aveva frugato nella borsa e ne aveva estratto un pacchetto soffice che gli aveva messo in mano. Alla sua espressione confusa, aveva sospirato di nuovo. “È il tuo regalo, tonto.”
“Regalo…” Aveva deglutito penosamente. Certo, era Natale e lo scambio dei regali era la norma. “Io…”
“Sarà meglio che tu me ne faccia uno entro la mattina del venticinque.” Aveva intuito con la solita, inquietante perspicacia. “Puoi spedirmelo tramite Posta Gufica!” Gli spiegò squadernando il dito espressivamente. “Io ho preferito dartelo di persona, ma solo perché a casa non abbiamo Gufi capaci di traversate continentali.”

“Capisco.” L’aveva riposto nella tasca del mantello. “Avrai notizie del tuo regalo.” Le aveva sorriso preparandosi all’abbraccio che era arrivato puntuale come un orologio. “Non preoccuparti.”
“Non lo faccio.” Aveva risposto Lily. Poi si era staccata e con un saluto si era allontanata. Poi si era poi fermata di botto, voltandosi. “Oh, quasi dimenticavo… Buon Natale!”
 
Era arrivato il momento di scartarla come tradizione richiedeva.
Sören si sedette sul letto e tirò fuori una massa soffice color bianco avorio, seguita da un biglietto.

 
Ho pensato che dato che da te fa davvero freddo (anche se in Scozia non si scherza, vero?) magari poteva servirtene una in più. È fatta a mano. Da me. Ti terrà al caldo!
Buon Natale, Ren. Sono sicura che quando la scarterai (e indosserai!) già sentirò la tua mancanza.
 
Con tanto affetto,
Lily.

 
Se la mise al collo. Era calda come prometteva il biglietto. Si passò il tessuto tra le dita, portandoselo al viso e aspirandone il profumo.
Sapeva di Lily.
Le sue labbra si mossero praticamente da sole.
“Mi manchi anche tu…”
 
****
 
Inghilterra, Devonshire, Casa Potter-Weasley.

“Avete fatto bene a dirmelo.”
Harry si aggiustò gli occhiali salvo poi toglierseli con un gesto stanco.
Albus non era così sicuro che avessero fatto bene a parlare con il padre, tornati stanchi e satolli dalla Tana. Erano in salotto, con il caminetto acceso e davanti alle poltrone. Tutto urlava tranquillità e pace, tranne le loro espressioni.

Tom gli lanciò un’occhiata. “Luzhin è una persona strana. Non sappiamo esattamente cosa voglia dire, quel che ti abbiamo detto.” Gli confessò.
“Che probabilmente dovrò fargli un paio di domande.” Replicò l’uomo con tono grave. “Trovarsi in un posto e avere addosso prove che è stato altrove, il fatto che sia un Occlumante e che stia usando i suoi poteri… e poi il sospetto di uso della Magia Oscura.” Sospirò. “Sono tutti indizi di cui devo prender nota. Pur vero che potrebbero dare un buco nell’acqua, ma non dobbiamo lasciare nulla al caso. L’anno scorso con la Prynn, purtroppo, abbiamo fatto quest’errore…”

“Anche lei sembrava a … posto, vero papà?” Chiese Al, sentendosi sempre più a disagio. Stavano facendo bene? Era quella la strada giusta?
E se Luzhin fosse davvero coinvolto? Mia sorella è stata amica di penna di un ragazzo simile per anni?

Davvero non si è mai accorta di nulla?
 “Però papà…” Mormorò, con quel tarlo che gli era spuntato in testa. “… Lily lo conosce da tanto.”
“È vero.” Confermò il mago, massaggiandosi la nuca con una smorfia. “E questo mi rende solo più preoccupato, Albie.”
“Potrebbe anche avergli rubato l’identità.” Esordì Tom dal nulla. “Del vero Luzhin, intendo.”

“E come avrebbe fatto?” Esclamò Al sconvolto. A quella eventualità non aveva proprio pensato. Per lui Sören Luzhin era Sören Luzhin. Non qualcun altro. “Scusa, Lily dovrà aver ricevuto una sua foto agli inizi della loro corrispondenza. Si fa così, tra amici di piuma, ne sono sicuro!”
Tom esitò. “…  vero. Però qualcuno l’ha mai vista?”
Al scrollò le spalle. “Jamie la prendeva in giro in continuazione, dicendole che si era trovata il ragazzo… e così per evitare che ficcanasasse ha nascosto tutte le sue lettere. Foto compresa, ovvio.”
Suo padre li stava ascoltando assorto. “Che rapporto c’è tra lui e Lily?”
Al guardò Tom e venne ricambiato: era arrivata quella domanda.

E come si fa a dire a papà che Lily si è presa una cotta per il tedesco?
“Luzhin con lei è un gentiluomo…” Iniziò pieno di buone intenzioni.
“Albus, non sono stupido.” Lo fermò con aria tremendamente seria. “So che passano molto tempo assieme. Che sono molto amici e che la tratta bene. Me lo avete già detto.”
“Lilian si è innamorata di lui.” Andò brutalmente dritto al punto Tom. Al avrebbe voluto tirargli un calcio, ma l’espressione di suo padre non permetteva intramezzi semi-comici. “Quando abbiamo cercato di capire se avesse notato qualcosa anche lei, è diventata aggressiva. Lo ha giustificato.”
“Lo ha difeso!” Ribatté Al, perchè l’altro stava esagerando. “È suo amico, era solo preoccupata!”

Tom lo ignorò, rivolgendosi direttamente al padrino. “Se provi a sapere qualcosa da lei, si metterà in allarme e probabilmente allerterà anche Luzhin. Se proverai ad allontanarla da lui mentre viene chiarita la sua posizione, otterrai solo che ti antagonizzi.”
“Tom!” Quasi saltò in piedi, sentendosi trascinato in causa. Poteva aver ragione, ma era troppo.

Anche io mi sono comportato così l’anno scorso. E per difendere te, pezzo di idiota!
Harry li guardò entrambi, sempre con quella sua aria che lo faceva sembrare a dirla tutta persino un po’ distratto. Suo padre quando pensava lo sembrava sempre. “Thomas, conosco mia figlia…” Disse calmo, e anche se non era un’accusa, il messaggio passò comunque. Tom distolse infatti lo sguardo imbarazzato.
“Lo so. È solo che sono…” Prese un respiro. “… preoccupato. Luzhin non mi convince da quando ha messo piede ad Hogwarts. È come se fosse venuto per un motivo completamente diverso dal Torneo. Penso che ci sia un piano dietro. Non so se lo coinvolga, ma c’è. E mi fa impazzire non…” Si passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi senza terminare la frase. Al capì che era stanco. La serata doveva essere stata particolarmente impegnativa per lui.
Ciò non toglie che deve piantarla di dissezionare i sentimenti altrui come fossero Vermicoli!
Però, il solito: vederlo con quelle ombre negli occhi gli faceva passare la rabbia come la neve si sarebbe sciolta al sole.
“So quanto possa essere frustrante non capire le mosse dell’avversario…” Mormorò suo padre. “Ma non sei da solo, ricordatelo.” Li guardò entrambi.  “Avete fatto bene a dirmi dei vostri sospetti. Domani ci sarò anch’io al Ballo, terrò gli occhi aperti.” Il sorriso prese una sfumatura … piuttosto Serpeverde. “… e naturalmente mi farò presentare il cavaliere di mia figlia. Mi farò un’idea.”
“Poi ce la dirai.” Era quasi un ordine, ma era Tom. Al si trovò a guardare suo padre e sorridere assieme.

“Sì, Tom. Vi terrò informati.” Si alzò in piedi, stiracchiandosi. “Ora andate a letto. È tardi, e domani non vorrete perdervi l’apertura dei regali, no?”
“Come mai potremo.” Replicò Tom con tono cimiteriale, beccandosi stavolta una meritatissima gomitata nelle costole.

 
“Ci ha creduto subito, eh?”
Al si stese sul letto, accarezzandosi pigramente lo stomaco. Avrebbe finito per digerire in tempo per la Seconda Prova, probabilmente.

Tom si infilò una delle sue magliette deprimenti che usava come sopra del pigiama.  “Perché non avrebbe dovuto? Diversamente da te, lui si fida del mio intuito.” Replicò con tono sostenuto. Non doveva essergli piaciuto esser ripreso davanti al suo adorato padrino, riflettè Al.
“O forse, siete sulla stessa lunghezza d’onda. Di paranoia.” Alzò le mani in segno di resa all’occhiataccia che ne conseguì. “Non ho detto sia una brutta cosa! A volte avete ragione.”
“A volte? Finora non ho mai sbagliato.” Ribatté, infilandosi sotto le coperte con lui. Al tentò di avvicinarsi ma si beccò una spinta sul petto.
Si raddrizzò cercando di frenare l’istinto di tirargli un calcio in zone indifese. “Va bene. Quasi sempre. Però hai l’empatia di un fondo di calderone.” Non mollò il punto. “Con Lily sei stato orribile.”
Lei è stata orribile con me.” Ritorse aggrottando le sopracciglia. Ma stavolta Al riuscì ad insinuarsi tra le sue braccia, per quanto l’idiota continuasse ad essere rigido come un pezzo di legno.

“Ti ha tirato uno schiaffo. Sai quanti ne ha presi James? Non ne ha mai fatto il dramma che stai facendo tu.” Gli accarezzò piano un braccio, comunque consolatorio. “E poi con me ha parlato.”
Tom lo guardò con improvviso interesse. “Cosa ti ha detto?”
“Che le sembra che Luzhin sia tormentato da qualcuno. Credimi, se lo dice lei, può essere vero sul serio.”
“Mh.” Tom si lasciò cadere sul cuscino. Discorsi seri, ma erano pur sempre dentro un letto caldo mentre fuori aveva ripreso a nevicare con forza. Era l’atmosfera. “Di sicuro Hohenheim è il peggior fiato sul collo che possa capitare.”

“Già.” Rimasero in silenzio. Albus non aveva sonno, forse per gli avvenimenti della giornata o forse perché il respiro di Tom, che gli aveva appoggiato le labbra sui capelli, gli dava un piacevole brivido lungo la schiena. 
“Temevo che Meike finisse per voler dormire con noi… a casa mi segue come se avessi un sacchetto di dolci in ogni tasca dei miei pantaloni.” Disse Tom, con tono insofferente.
Al ridacchiò. “È inutile che fingi, tanto lo so che sei contento che sia qui. Non l’avresti lasciata salire sulle tue ginocchia per più di metà cena, altrimenti.”
“Sono contento che abbia fatto amicizia con Lily e Alicia e che se la siano portata a dormire con loro.” Replicò gelido, dandogli un pizzicotto. “E sai perché Meike ti ha chiamato Mutti per tutta la sera?”

Al rimase in silenzio, massaggiandosi il braccio. “No. Non credo di volerlo sapere… e comunque probabilmente gliel’hai suggerito tu.”
La neve cadeva silenziosa imbiancando il resto del mondo. Al reclinò la testa per guardarla posarsi dolcemente sul ramo del pesco vicino alla finestra.
“A me non sembra che Luzhin sia malvagio.” Disse.
Tom non replicò, ed Al pensò che si fosse addormentato. Poi però rispose.
“Neppure a me… ma non sta a noi giudicare.” 
Al sorrise, stringendo appena la presa sul corpo spigoloso dell’altro. “Con quest’affermazione ti sei appena meritato…”
“… il regalo.” Gli ricordò, e stava sogghignando. “Voglio il mio regalo.”

“È già mezzanotte?” Finse, mentre Tom l’aveva già acchiappato a dovere e schiacciato trai cuscini.
Il mio regalo.” Insistette, sordo ad ogni monito temporale.
Al soffocò una risata contro le sue labbra e tirò le coperte sopra di loro.
 
I go singing out of tune
Singing how I've always loved you, darling
And I always will…
 
 
****
 
Note:
Ormai capitoli che sono storie a sé, dalla lunghezza. Damn.

Qui la canzone. Da quanto volevo usarla! La adoro.
Quando Al e Tom parlano all’ingresso, il dialogo è ripreso dalla 10song challenge scritta più di un anno fa. Coerenza, Signori! XD
Next: The Prom Il Ballo del Ceppo!
 

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Capitolo 42
*** Capitolo XL ***


Capitolo XL
 

 





Ti amo non per chi sei tu, ma per chi sono io quando sto con te.

(G. G. Márquez)
 

25 Dicembre 2022

Wiltshire, Malfoy Manor.

Nott e Zabini sarebbero venuti al Manor per accompagnare Scorpius e la di lui ospite Violet ad Hogwarts con la carrozza di quest’ultimo. Scorpius di primi acchito ne era stato contento: tra lui e i due serpeverde c’era un’amicizia che non si manifestava come quella che aveva con Potty. Ma c’era.

E poi non sarebbe stato solo nel sorbirsi le crisi isteriche pre-ballo della sua graziosa dama.
Al momento attuale, in realtà, avrebbe dato fuoco ad entrambi.
 
“No, assolutamente non quegli occhiali!”
“Cos’ha che non vanno per l’amor di Merlino?!”
“Stai scherzando?”

Scorpius pensava che stare chiusi nel suo armadio dei  vestiti – cabina armadio la chiamava pomposamente Mike – da più di due ore in cerca della combinazione di accessori perfetti per il suo vestito avesse un po’ esacerbato entrambi. Vedendo inoltre  che l’aria battagliera di Zabini non cedeva di una virgola, decise di buttarsi sulla diplomazia. “Mike, hai un evidente problema con gli accessori babbani. Posso capirlo. Ti voglio bene lo stesso, amico. Ma voglio mettere quegli occhiali.”
L’altro non sembrò impressionato dalla sua maturità: normalmente, lo sapevano tutti, Michel non scendeva dal suo piedistallo. Ti guardava dall’altro e arricciava le labbra disgustato.

Gli unici momenti in cui si scaldava erano quelli precedenti ad un evento sociale.
Per l'appunto.
“Sono io a decidere in questa stanza. Sono io l’arbiter elegantiae, e tu non indosserai quegli orrendi occhiali babbani!”
“Non è una stanza, è un dannato stanzino e siamo chiusi qui dentro da troppo tempo!”
Da lontano, ovvero sia dentro la sua vera stanza, si udiva Loki sghignazzare al sicuro.
“Voglio questi occhiali!” Ripeté forse per la ventesima volta. “Sono belli e me li ha regalati Rose!”
“E questo sarebbe un motivo sufficiente per non indossarli…”
Scorpius, spazientito, decise di uscire facendo uno spavalto passo avanti. Il Capitano di Serpeverde gli sbarrò la strada.

“Passerai sul mio cadavere.” Lo informò serissimo.
Scorpius emise un lamento: Michel era un avversario tostissimo; non importava che al momento fosse rivestito di un completo a tre pezzi di seta borgogna. Non importava che si fosse autodichiarato un dandy. Era grosso e forte quanto lui. E con la bacchetta a portata di mano.
“Stiamo facendo tardi.” Tentò, mentre da lontano le risate di Loki sfumavano in sghignazzi.
E vaffanculo pure a lui.
“Persone come noi si fanno attendere.” Replicò imperturbabile. “Siamo il fiore all’occhiello della gioventù magica della Gran Bretagna. La festa non inizia senza di noi.”
Scorpius lo guardò, indeciso se schiantarlo e scavalcare il suo corpo esanime o soccombere alle sue fissazioni. “Okay.” Disse, perché non poteva uccidere un amico d’infanzia sponsorizzato dall’Associazione PurosanguePerSempre e passarla liscia. “Allora siamo in una fase di stallo.”
Dalla stanza si sentì un sommesso rumore, un chiudersi e aprirsi della porta.

“Si può sapere che state combinando qui dentro? Siete peggio di una ventina di ragazze!” La voce di Violet Parkinson-Goyle fu un balsamo per le orecchie di Scorpius.
“Violet, aiuto!”
“Mike ha preso Scorpius in ostaggio.” Spiegò garrulo Loki. “Oppure lo sta molestando. Ti va di scomm…”
“Chiudi il becco, Snaso.” Lo apostrofò spiccia e Scorpius fu certo che la mancata replica di Nott fu dovuta alla sua indignazione. “Michel, smettila di fare la fata madrina! Siamo in ritardo, la carrozza ci sta già aspettando!”

Michel fece una smorfia scocciata. “Parkinson, vuole portare quei cosi.”
Ci fu una pausa al di là della porta.

“Ti sei fregato da solo negandoglieli. Ora è diventato un punto di principio fare il contrario. Sono stata in Inghilterra tre volte quando ero bambina e ho capito il Piccolo Lord Malfoy alla seconda. Tu no? ” Scorpius annuì all’affermazione beccandosi un’occhiata nauseata. “Lasciaglieli portare e facciamola finita.”
Perché ti rivolgo ancora la parola?” Soffiò Michel, guardando con odio i suddetti agganciarsi al taschino della giacca. “Ti prego, almeno non indossarli o tuo padre pretenderà le nostre teste.”

Dieci minuti dopo erano finalmente tutti pronti. Scesero nel salone centrale, dove li aspettavano i suoi genitori. Scorpius notò che esprimevano emozioni contrastanti: suo padre, vestito interamente di nero, aveva una faccia in tono. Sua madre, fasciata di seta color oltremare, sembrava esprimere invece pacato orgoglio.
“Siete bellissimi, bambini.” Sorrise loro, baciando le guance a Zabini, come fosse solo merito suo.  
In effetti non ha dato tregua né a me, né a Violet e Loki per le ultime quarantotto ore… con Violet ha rischiato pure un paio di maledizioni.
Le ragazze sono così permalose…
“Non è colpa mia, Signor Malfoy.” Disse Michel, guardando con apprensione la faccia tirata del capostipite della loro nobil casata. “Sugli occhiali Scorpius non ha voluto sentir ragioni. E per la veste da cerimonia, ecco…”
“Immagino valga la stessa scusa.” Replicò suo padre, divertito; ma Michel non conoscendo la cinestesia Draconiana non poteva saperlo.

Probabilmente gli sembrerà sarcastico o insultante. A scelta.
“Già!” Replicò Scorpius in allegria, mentre alle sue spalle Loki soffocava una risatina. “Non siamo bellissimi, papà?”
“Sembrate dei babbani.” Fu la caustica risposta.

“Certo che lo siete, tesoro.” Sua madre si alzò sulle punte per baciargli la guancia. “Adesso però andate. Noi saremo nella carrozza dietro alla vostra.”
“Violet, ti prego di tenerlo sotto controllo.” Inspirò suo padre, rivolto alla francofona dama, che batté le palpebre un po’ intimidita, annuendo.

“Specialmente niente dolci.” Soggiunse. “Come hai avuto modo di notare in questi ultimi due giorni, lo rendono eccitabile.” Scorpius sbuffò, notando con divertimento che Violet sembrava proprio non captare l’ironia.
Quella di papà è un po’ tanto sottile…
“Allora ci vediamo ad Hogwarts!” Salutò i genitori.
Quando si accomodò nella carrozza assieme agli altri guardò fuori dal finestrino, lasciando poi vagare i pensieri mentre le foreste del Wiltshire sfrecciavano loro ai lati in una macchia scura e confusa.
Il Natale era stato molto meglio di quanto si fosse aspettato: Violet, Loki e Michel l’avevano passato con lui. Quando aveva chiesto di chi fosse stata l’idea di rimanere al Manor, i tre avevano rimpallato la risposta da un’insinuazione all’altra.
Scorpius aveva capito che l’avevano fatto più o meno tutti per lo stesso motivo: non fargli sentire troppo la mancanza del clan Potter-Weasley e collateralmente - c’era sempre un tornaconto - star lontani dalle proprie famiglie che, in vista del Ballo, speravano nel consolidamento di rapporti fruttuosi con gli ospiti presenti tramite i loro pargoli.
Specialmente Violet… credo che abbia chiesto asilo politico alla mamma o roba del genere.
Insomma, era stato una bella Vigilia, anche se molto purosangue. Non c’erano state battaglie a palle di neve, ma chiacchiere davanti al camino sorseggiando liquori alle erbe.
Però al quarto bicchiere sono riuscito a convincerli a giocare a nascondino!
… beh, Violet l’abbia trovata dopo tre ore, che si era persa, però è stato divertente.
Era stato una buona Vigilia, ma non vedeva l’ora di tornare ad Hogwarts e re-indossare i suoi panni di Sy.  
Violet gli tirò un calcetto, dato che gli era dirimpettaia, interrompendolo nelle sue riflessioni. “Se continui a sorridere così, ti verrà una paresi.” Lo apostrofò, lisciandosi l’elaborato vestito di satin, di un colore che Scorpius non sapeva classificare, ma che ben si abbinava al suo completo babbano.
Le ragazze coi vestiti sono proprio straordinarie…
“Lascialo fare.” Replicò Michel in un inaspettato anelito protettivo. “Dopotutto è comprensibile… rivedrà la sua bella dama di campagna.”
“Di tutta la frase lascerei soltanto di campagna.” Replicò Violet, ma senza troppa cattiveria. Sapevano entrambi che aveva poco su cui ironizzare.
Non con la dama che ti saresti scelta tu, Piggie.
“Non ha delle gran tette, ma ha spirito, la tua Weasley.” Chiosò Loki placidamente, lucidando il suo orologio da taschino.
Scorpius ritenne doveroso rifilargli un calcio nello stinco, che però, dato il poco spazio, prese Violet che per tutta risposta gli tirò un cuscino in faccia.
“Per favore.” Li apostrofò Michel sdegnato, scostandosi con un fluido movimento. “Se parlare di una Weasley scatena queste reazioni, non parliamone mai più. Datevi un contegno…  siete infantili.”
Fu giustamente seppellito da una valanga di cuscini.
 
And I can see our days are becoming nights
I could feel your heart beating across the grass
We should have run, I would go with you anywhere¹
 
 
Scozia, Hogwarts. Sette di sera.
 
“Tenetela ferma!”
“Non ci riesco!”
“Lasciatemi, dannate britanniche!”
Lily!


Lily stava bellamente fingendo che alle sue spalle, nella stanza delle ragazze del Quinto anno, usata come base per prepararsi, non si stesse scatenando l’inferno.
Prepararsi a casa era fuori questione. Molto meglio lontane dalle censura parentale. Specie nel mio caso.
Si disegnò una linea scura sulle palpebre, per dare profondità allo sguardo. Doveva avere gli occhi capaci di inchiodare un ragazzo alla sedia quella sera.
“Poi trucchi anche me?” Cinguettò Meike, sporgendosi a guardarla con occhi tondi e supplichevoli.  
“Non posso Mei.” Si scusò con un sorriso. “Thomas pretenderebbe la mia testa. Ho già rischiato con il lucidalabbra, sai.”
“Uffa, Tom è un bacchettone!” Sbuffò la bambina, in piena ragione.

Lilian Luna Potter!” Le interruppe Rose, mentre tentava di mettere a sedere l’indomabile Dominique, cioè la causa di tutte quelle urla. “Vieni a darci una mano!”
“Sul serio, è tua cugina, non la mia!” L’apostrofò Abigail, già vestita ma con i capelli impazziti a furia di tutto quell’agitarsi.

“Ho detto che non me li tolgo i tatuaggi!” Sbraitava Dominique, in uno dei suoi rarissimi attacchi di irragionevolezza, tenendosi a distanza delle due ragazze. Le altre compagna di stanza erano già scese, forse fiutando l’aria che si era trascinata dietro l’anglofrancese non appena aveva calcato il suolo della Torre di Grifondoro munita di vestito, accessori e un pessimo umore da record.
“Tua cugina è pazza?” Si informò Meike, facendo fare una ruota al vestito forse per la ventesima volta nell’ultima ora.
“Solo un pochino.”
“Forte!”

“Non puoi aprire le danze tatuata come un marinaio!” Sbottò intanto Rose. “La tua Preside non ha forse detto che sarebbe capace di trascinarti di nuovo in Francia?”
“Ha anche detto che mi avrebbe tagliato il braccio come estrema soluzione, mica dice la verità.” Fece spallucce l’interpellata, appiattendosi contro il muro dato che sia lei che la volenterosa Gail guadagnavano terreno. “Mi avete già fatto indossare questa roba, mi avete fatto togliere i piercing… ma i tatuaggi no!”

Lily distolse lo sguardo dallo specchio, con un sospiro: aveva imparato ad accettare l’inevitabile chiassosità della sua famiglia. Dominique era solo una delle espressioni, e neppure la più terribile. Rose per esempio, aveva passato tre ore a riordinare compulsivamente il bagno delle ragazze del suo anno, ripetendosi a nastro continuo ciò che avrebbe dovuto dire e non dire durante la serata.
Sono questi i momenti, brevi attimi, in cui vorrei essere un ragazzo. Insomma, Fergus e Hugo, per non parlare di Jamie sono splendidi in queste occasioni. Nessuna paranoia, solo… beh, noia.
“Guarda che chiamiamo i ragazzi e ti facciamo tenere ferma!” Rose stava raggiungendo il punto di rottura. Era in ansia per la serata, e soprattutto, per la presenza congiunta dei suoi genitori, quelli di Scorpius e Scorpius stesso.
Accompagnato da un’altra.
Lily, già pronta, con un cavaliere inappuntabile ad attenderla e non un cugino, si sentì un po’ egoista;  quindi infilò la bacchetta nella pochette e si alzò, fronteggiando la ribelle Dominique.
“Non provarci, nanetta.” L’apostrofò quella sardonica.
Ah, sì?
“Non io. Vic.” Stillò la sillaba lentamente, in modo che l’altra recepisse in pieno. Tirò fuori il suo specchio comunicante e lo agitò davanti al naso della cugina. “Chiamo tua sorella e le dico che fai i capricci?”
La minaccia, come Lily aveva sperato, sortì il suo effetto: Dominique assunse un’espressione furiosa, poi incredula e infine rassegnata.

Victoire. L’unica persona al mondo capace di esasperare Dom a tal punto da farla capitolare.
La francese si sedette con uno sbuffo scornato sul suo letto, tendendo il braccio in direzione di Rose. “Procedi. Ma che sia una cosa temporanea.” La minacciò.  
“Te li disilludo e basta, smettila di comportarti come se ti mozzassi un braccio.” Sbuffò questa, appoggiando la bacchetta sulla pelle e recitando la formula.
Abigail fu ben lieta di poter tornare accanto a Lily, di fronte al grande specchio della stanza.
“Tua cugina ha più piume di zucchero in tasca che buon senso in testa.” Esordì, quando fu sicura che l’altra non sentisse, troppo occupata a lamentarsi a gran voce con Rose.
“È solo il suo modo di esprimere disagio.” Spiegò picchiettandosi il rossetto sulle labbra per stenderlo in modo uniforme: Trucco Acqua e Sapone. I Babbani erano proprio dei geni, alle volte. “È una strega d’azione, non da salotto. E poi non sa ballare.”

“Tu di certo non avrai questo problema.” Sorrise Gail cospiratrice. “Ma il tuo cavaliere? No, perché è una vera e propria stregoneria complessa beccare un ragazzo che sappia mettere due passi di fila.”
Lily rifletté, poi scrollò le spalle. “Sören è un purosangue. A quanto ne so, insegnano loro a ballare da quando sono capaci di stare in piedi. Non puoi far politica se non sai condurre la dama giusta sulla pista da ballo.”

L’amica si sporse nella quadratura dello specchio per mettersi un riccio dietro l’orecchio. “Ha senso.” Mugugnò invidiosa. “Sei fortunata.”
Lily sorrise senza risponderle: Ren le aveva spedito il suo regalo, quella mattina. Era stata infatti svegliata da uno sparviero dall’aria minacciosa che le si era posato alla finestra. Si era buttata sul povero pennuto, che vezzeggiato e ringraziato, si era rivelato piuttosto mite.
Dopo averlo rifornito di cibo, aveva chiuso la porta a doppia mandata – casa sua in quei giorni era proprietà condivisa– e aveva aperto il pacchetto.
Si sfiorò il polso ornato dal presente: un braccialetto d’argento a doppio filo con una pietra che riluceva azzurro torbido, anche al buio; doveva essere magica.
Era stato un regalo talmente bello ed elegante che lei, la regina delle pretese natalizie, si era sentita intimidita.
E pure un po’ cretina, ad avergli regalato una sciarpa fatta a mano.
Ren sicuramente aveva passato la Vigilia tra cibi raffinati e cristalli, tra persone importanti e regali di buon gusto; doveva essere  rimasto perplesso dal suo regalo da pochi zellini, giusto quelli necessari a comprare la lana.
Che cavolo mi è venuto in mente?
“Lils?” La riscosse Gail dandole un leggero colpetto sulla spalla. “Ti sei incantata?”
“Ci sono!” Sorrise all’amica. “Anzi, senti… mentre finite di prepararvi, vado giù ad aspettare con Hugo e Gus. Mei, vieni con me?” Si rivolse alla bambina, che guardava affascinata lo spettacolo di Dominique che aveva tolto la bacchetta a Rose, con gran disperazione di quest’ultima.
“Stare con la vostra famiglia è sempre così buffo!” Esclamò, prendendole la mano obbediente. “Tom è l’unico musone.”
Lily rise, chiudendosi la porta alle spalle. “Ma gli vogliamo bene lo stesso, vero?”
“Sì!” Sorrise. “Anche se non sa ballare! Però è il mio cavaliere, quindi lo difendo.” Le lanciò un’occhiata che già prometteva un’adolescenza all’insegna della furbizia femminile. “È carino il tuo cavaliere?”
“Tanto. Anche lui è serio, ma i ragazzi seri vanno bene.”

“Benissimo!” Le confermò, liberandosi dalla sua mano per scendere le scale due a due.
Lily avrebbe voluto condividere quell’entusiasmo; ma per quanto fosse emozionata all’idea di ciò che la stava aspettando, c’era sempre una specie di pungolo, sottile come uno stiletto, che le tratteneva il sorriso che avrebbe dovuto avere sulle labbra.
Durmstrang coinvolta nell’attacco dei Dissennatori? Sembra così assurdo… solo per uno stupido Torneo?
E Ren? C’entra qualcosa, sa qualcosa? È questo che lo angoscia?
Si sentiva piccola; c’erano tante cose che non capiva, che non sapeva. E le sembravano enormi.
Nella Sala Comune ebbe però modo di tirarsi su di morale: la concitazione che precedeva un ballo era sempre divertente, specialmente a Grifondoro, l’anima festaiola di Hogwarts. Le chiacchiere, le risate, la musica suonata dalla radio del salotto e i vestiti colorati non potevano non metterla di buon’umore.

Sorrise all’aria impacciata di Hugo, in un vestito rosso fuoco che ricordava curiosamente quello del famoso cantante babbano con i capelli a banana.
Elvisqualcosa?
“Abigail… ehm, è pronta?” Chiese in un sorrisetto sghembo: era finalmente riuscito, dopo settimane di tentennamenti, a farle la fatidica domanda e, con suo grande smarrimento, la più piccola dei Finnigan gli aveva risposto sì, molto volentieri.
“Tra pochi minuti, non mangiarti le mani.” Lo ammonì scherzosa, voltandosi poi verso Tom e Al, che chiacchieravano seduti sul divano con Meike tra di loro.
Ovviamente sono perfetti … perfetti e perfettamente coordinati.
Al di là dell’ironia, pensò che due anime gemelle dovessero avere esattamente quell’aspetto: non c’era bisogno si tenessero per mano o si baciassero. Stare seduti l’uno accanto all’altro era già sufficiente. Erano talmente belli che glielo disse di getto, beccandosi un’occhiataccia da Tom, ma un sorriso affettuoso da parte del fratello maggiore.
“Anche tu sei una meraviglia.” Le disse alzandosi per abbracciarla. “Meno male che Jamie ti vedrà solo in Sala Grande. O non ti avrebbe fatto uscire per paure che tu faccia girare la testa a tutta Hogwarts.”
Questi sono i complimenti che mi merito.” Esclamò fissando Tom con intenzione, il quale la ignorò bellamente mentre Meike ridacchiava divertita.
“Eccoci.” Si inserì la voce di Rose alle loro spalle: sfibrata, trascinava Dominique come avrebbe fatto con un cavallo recalcitrante.
Lily dovette ammettere che la cugina d’oltremanica, stretta in un vestito vaporoso, come la moda magica imponeva, e senza tatuaggi, era…
Sbuffò una risatina. Stava bene, dato il fisico da indossatrice di biancheria intima – definizione di Jamie.
Però…
Sentì alle sue spalle Hugo tirarsi un pugno nello stomaco per non ridere. Persino Albus nascose una risatina voltando il viso alla ricerca di qualcosa alla sua destra.
… però è come mettere decorazioni natalizie su un ombrellone.

La bionda ignorò con dignità le risatine attorno a lei, così come le occhiate incuriosite dei grifondoro.
“Dai, ci divertiremo.” Tentò Al, che tentava anche, male, di contenere l’eccitazione, pari forse a quella di Meike.
Dominique inspirò, lanciando un’occhiataccia a Rose, che la ricambiò di tutto cuore. “Bando alle cazzate.” Disse col solito tono pratico, piazzandosi le mani sui fianchi. “Facciamo iniziare questo maledetto Ballo!”

There will be no rules tonight
If there were we'd break 'em
Nothing's gonna stop us now
Let's get down to it²
 
****
 
Sören non aveva più avuto modo di parlare con suo zio.
Quella mattina si era svegliato all’alba per poter prendere la Passaporta per Hogwarts e non l’aveva incrociato per i corridoi.
Tornato al Vascello aveva ingannato il tempo allenandosi e leggendo. Arrivata l’ora opportuna, si era rinfrescato e poi vestito con l’uniforme di gala; aveva di conseguenza sopportato i complimenti falsi di Poliakoff sul perfetto stato della sua uniforme, che ad onor del vero, aveva solo due anni di anzianità rispetto alle altre.
E non che l’abbia usata, diplomato.
Al momento aspettava l’arrivo di Lily di fronte alle possenti scale di marmo che portavano al primo piano del castello: assieme a lui attendevano un nutrito gruppetto di studenti di tutte e tre le scuole, tra cui riconobbe Scorpius Malfoy che pensò bene di avvicinarglisi.
“Luzhin!” Lo apostrofò vestito di una babbana giacca bianca su camicia nera. Dei babbani, Sören apprezzava i colori sobri. “Le dame si fanno attendere, eh?”
“Già.” Replicò stringato: dopo l’episodio della sera prima non si sentiva d’umor socievole. L’altro non sembrò accorgersi del suo desiderio di troncare la conversazione, perché gli sorrise di nuovo.

“Sai, ho sempre voluto indossare la vostra uniforme… è davvero marziale. Quando ero piccolo ho anche pensato di iscrivermi da voi. Però Durmstrang mi è sempre sembrata poco ospitale. Lo è?”
“Avrai modo di farti un’opinione quando verrete.” Notò che l’altro non lo stava ascoltando, da come occhieggiava la scalinata. Smise dunque di parlare.

Riflettendo sulla vecchia Alma Mater, Sören non poté fare a meno di sentirsi inquieto: se suo zio aveva fatto mettere sotto Voto Infrangibile la delegazione, o comunque l’aveva resa complice, non aveva certo potuto fare lo stesso con tutta la scuola.
A parte i ragazzi del Primo anno, il resto noterà che il loro Campione è uscito dal nulla.
Aveva espresso quel dubbio, all’inizio di Dicembre; gli era stato assicurato che tutto era stato preparato affinché non ci fossero fughe d’informazioni.
Come sempre ne so meno di quanto dovrei.
La cosa cominciava a irritarlo: meglio, cominciava a fargli maturare l’idea che quel piano così apparentemente ben congegnato, in realtà fosse totalmente affidato al caso.
Non era un bel pensiero.
“Oh, ecco le ragazze di Grifondoro!” Esclamò Scorpius, strappandolo dalle sue riflessioni. Voltò lo sguardo verso la scalinata. Eccole era la parola giusta: c’erano almeno una dozzina di ragazze che scendevano le scale, chi già accompagnata, chi alla ricerca del suo cavaliere. Un nugolo di vestiti coloratissimi, risatine e baluginii di monili.
Lily?
La vide e cancellò con un colpo di spugna tutte le altre.
Era sempre stato abituato a vederla nella castigata uniforme della scuola oppure con vestiti comodi, sebbene alla moda.
Adesso era come fosse stata trasfigurata. Il vestito la fasciava alla perfezione, la stoffa azzurra esaltava i capelli rossi e gli occhi chiari. Era diversa, eppure era lei. 
Era… strano.
Il suo corpo decise, di colpo, di fare stato a sé, perché sentì il cuore schizzargli in gola e l’odiato rossore diffonderglisi lungo il viso, scottandolo.
Si irrigidì, scattando in una stupida posa da soldato, mentre la ragazza lo cercava, lo individuava e finalmente gli sorrideva.
“Ren!” Esclamò, prendendo il piccolo strascico con la punta delle dita per scendere le restanti scale più agevolmente. Gli si fermò davanti e per un attimo gli sembrò che fosse rossa sulle guance: ma dovevano essere le luci.
“Wow, stai benissimo, l’uniforme ti dona da morire!” Disse con la consueta schiettezza, dandogli una pacca sulla spalla. Sören si ricordò finalmente le buone maniere e riuscì a comporre un sorriso che non sembrasse una paresi.
“Anche tu, Lily. Sei… bellissima.” Le prese la mano e vi posò le labbra: non era mai stato così contento che vi fosse un galateo a salvarlo dall’imbarazzo di dover improvvisare.
Perché Lily era splendida quella sera e lui era rimasto senza parole come un povero idiota.
Attorno a loro le varie coppie si cercavano, si formavano e sciamavano verso la Sala Grande: lui e Lily, come una mezza dozzina tra Campioni e studenti meritevoli erano invece stati istruiti ad attendere il segnale del cerimoniere; sarebbero entrati solo a sala piena e per aprire le danze.
Vide con la coda dell’occhio Thomas allontanarsi con la propria dama, curiosamente, una bambina. Non gli importò che lo guardasse, non in quel momento. Si sentiva troppo frastornato.
“Ren, sei silenzioso, va tutto bene?” Lily richiamò la sua attenzione, rompendo quell’attimo di impacciato silenzio.   
Le sorrise in automatico. “Perdonami, ero sovrappensiero. Hai passato una buona Vigilia?”
“Incasinata come sempre!” Rise scrollando le spalle. Erano nude, pallide e sembrava, estremamente morbide. “Ah, e grazie per il regalo!”

Quale rega… ah, naturalmente. Il mio regalo, il braccialetto.
Notò che lo indossava ma non le chiese se le fosse piaciuto. Aveva ben altro in testa, purtroppo.
Impacciato le offrì il braccio, occhieggiando il cerimoniere affaccendarsi per contare le coppie. Era quasi ora. Ne fu sollevato: ballando, non avrebbero dovuto conversare. Al momento non se ne sentiva in grado.
Anche Lily notò il movimento e gli si strinse al braccio. “Vedrai, saremo la coppia più bella della serata.” Disse forse per celare il nervosismo. “Saremo fantastici.”
“Non ne dubito.”
Per un attimo Sören si cullò nell’illusione che fosse tutto lì: una semplice serata con una ragazza che gli era cara. Vedendola sorridergli decise che quell’illusione sarebbe durata un po’ di più.
 
You change your position, You're changing me
Casting these shadows where they shouldn't be³
 
Rose aveva fatto tutto come si doveva. Si era lasciata pettinare da una magi-parrucchiera ad
Hogsmeade, aveva lasciato scegliere il vestito a Roxie e Lily e infine aveva analizzato i probabili esiti della serata da ogni angolazione possibile.
Insomma, si era preparata.
Ciò non toglieva, che scese le scalinate di marmo con il braccio di Al a sostenerla – detestava quei tacchi fragili che le avevano fatto comprare le cugine – si era sentita morire, vedendolo.
Non che stesse facendo niente di che: Scorpius era appoggiato al muro, con le braccia conserte e l’espressione tranquilla mentre chiacchierava con la sua elegantissima dama francese.
Non ce la farò mai a riprendermelo… questo vestito è orribile, non so camminare coi tacchi e…
Al le toccò la mano che stringeva forse un po’ troppo saldamente il suo avambraccio. “Rosie.” Mormorò gentile al suo orecchio e Rose rimise a fuoco il mondo.
“Sei meravigliosa, andrà tutto bene.” Aggiunse aiutandola a scendere incolume gli ultimi insidiosi scalini. Non cosa da poco, visto quanto entrambi fossero soggetti all’inciampare.  

Giusto, ho Al. 
Si sentì un po’ meno sperduta; ma non meno agitata di fronte a tutte quelle ragazze che camminavano con sicurezza ridendo di risate argentine. 
Ti prego, fa’ che non inciampi … Oh miseriaccia, chi me l’ha fatto fare di diventare Caposcuola? Ora dovrò ballare davanti a tutti!
Beh, sì, visto che sono la dama di Al avrei dovuto farlo lo stesso, però…  
“Grazie.” Borbottò, allentando la presa dal braccio, dato che al momento era in salvo e miracolosamente in posizione eretta. Notò il cugino tirare un sospiro di sollievo. “… scusa, fatto male?”
“No, mi stavi soltanto bloccando la circolazione venosa.” Ridacchiò, dandole un buffetto. “Andiamo a salutare Malfoy?”
“Mi viene da vomitare.” Con Al poteva essere brutalmente onesta. E lo era.

“Sei solo un po’ nervosa. Andrà tutto a meraviglia.” Le ripeté. Rose sorrise, o almeno tentò: in quel momento aveva una voglia pazza di trascinare via Al, prendere un chilo di gelato dalle cucine e rannicchiarsi nel suo abbraccio di serpeverde affettuoso.
Papà sarà in Sala Grande. Perché ho fatto la spaccona? Perché gli ho ordinato di essere felice per me?!
E se rovinasse tutto? E se mi odiasse? E se…
… se non la faccio finita, finirò per scappare urlando.
Inspirò coraggiosamente e prese lei stessa l’iniziativa di andare a salutare Scorpius e dama: Albus la seguì senza obbiettare.
Scorpius quando la vide si comportò da… Scorpius. Ovvero le rivolse un sorriso accecante.
“Rosie!” Esclamò allargando teatralmente le braccia. “Sei uno schianto!” Si rivolse poi a Albus per buona misura. “Mini-Potter, sei uno schianto anche tu.”
La Parkinson non sembrò pensarla alla stesso modo dall’occhiata che lanciò loro, ma ebbe perlomeno il buongusto di starsene zitta.
“A… anche tu.” Balbettò Rose con molta dignità. Lo pensava … più o meno. Il completo di Scorpius era un po’ troppo babbano per l’occasione, ma addosso a lui dava un’idea di distratta eleganza.
Naturalmente, stiamo parlando del Piccolo Lord di Hogwarts.
Vide poi che aveva agganciato i Ray-Ban al taschino della giacca. Questo riuscì a farla sorridere per la prima volta da ore. “Li hai portati davvero…” Osservò. 
“Sicuro! Completano l’insieme magnificamente, non trovi Rosey-Posey?” Gli uscì naturale e non se ne pentì, Rose lo capì dal successivo sorrisetto furbo.
“Sì, assurdità per assurdità, suppongo si annullino.” Ribatté facendolo ridere. Poi si trovarono a guardarsi, tanto a lungo che Rose scordò che avrebbe voluto strozzare la Parkinson per essere lì ed osare respirare.
Al si schiarì d’improvviso la voce, facendoli sussultare. “Dovremo metterci in fila, tra poco dovremo entrare.”
“Giusto mini-Potter.” Concordò Scorpius che invece aveva fatto un profondo sospiro. “Ci vediamo dopo, Rosie.”

“Certo…” Si lasciò condurre via docilmente dal cugino, che sembrava indeciso se mettersi a ridere o scuotere la testa.
“Che c’è?” Sbuffò quando si furono messi dietro una francese di Beaux-Batons e il suo enorme cavaliere durmstranghiano.
“C’è che da un momento all’altro poteva partire una canzone delle Sorelle Stravagarie. Qualcosa di retrò, magari.” La prese in giro. “Fai la tua mossa finale, non aver paura, anche lui ti vuole…” Canticchiò.
“Cretino.” Rose non poté trattenere né lo schiaffo sulla spalla dell’altro, né il sorrisetto che le spuntò incontrollato sul viso.

 
“Posso tramortire mini-Potter e rapire Rosie?”
“No.”
“Posso rinchiudere in uno sgabuzzino mini-Potter e…”
“No.”
“Posso assicurarmi tutti i suoi prossimi balli minacciando l’interno corpo stu…”
Scorpius.

L’interpellato fece il suo miglior sorriso di scuse e Violet alzò gli occhi al cielo.
“Che Morgana mi dia la forza, tuo padre ha ragione.” Mugugnò. “Sei peggio di un bambino in overdose da Api Frizzole.”
Scorpius scrollò le spalle, guardando perplesso gli ampi gesti del cerimoniere. Capì dopo qualche attimo che avrebbe dovuto mettersi in testa alla fila.
Ah, giusto. Sono il Campione della scuola ospitante…
Stava pensando a tutt’altro. Quel tutt’altro era il suo schianto personale, si trovava deliziosamente a disagio e lo stava divorando con lo sguardo dalle retrovie.
“Scorpius, giuro che ti acceco se non la fai finita.” Sibilò Violet sottovoce, tirandogli un violento pizzicotto sul dorso della mano. “Un po’ di contegno! In teoria, la tua dama sono io.”
Scorpius fece una smorfia infantile, perché se lo sgridava come un moccioso, da tale si sarebbe comportato. “Sei solo invidiosa perché la mia, di dama, mi guarda.”
Violet arrossì furibonda e gli tirò un secondo, micidiale pizzicotto, arte in cui ricordava fosse esperta sin dalla più tenera infanzia. “Se mi avvicino a Nicky, quella è capace di staccarmi le dita a morsi.” Borbottò.

Scorpius le batté una pacchetta comprensiva sulla mano mentre la guidava in prima fila. “L’ho vista abbastanza sul piede di guerra in effetti…”
“Lo è, le hanno fatto indossare un vestito.” Tagliò corto. Rinunciò a riprenderlo, quando voltò di nuovo lo sguardo per cercare Rose.

Avremo dovuto essere assieme, stasera.
Le porte della Sala Grande, rimaste chiuse per permettere quella stupida coreografia cerimoniosa, si spalancarono lentamente e Scorpius inspirò, guardando indietro un’ultima volta; dopo avrebbe dovuto concentrarsi su ben altro.
Rose gli restituì lo sguardo e abbozzò un sorriso.
Avrebbero dovuto essere assieme quella sera. Ma non era detto che le cose non potessero cambiare.
 
****
 
Harry ricordava molto bene il suo Ballo del Ceppo. Ricordava nitidamente quanto si fosse sentito a disagio e troppo giovane.
Una bella ridda di sentimenti che guardava ormai da lontano, quasi con nostalgia; il suo Torneo non era mai stato suo veramente, dato l’inganno di cui era stato preda… ma per i suoi figli, per quei giovani maghi e streghe che avevano invaso la Sala Grande colorandola e rendendola più viva, beh… per loro era reale.
Sorrise alla moglie, che gli appoggiò una mano sul braccio. “Decorazioni splendide… ma non all’altezza di quelle ordinate da Silente. Te le ricordi?” Chiese, guardando la neve magica scendere dal soffitto incantato.  
“Le trovo comunque notevoli.” Si inserì cortese l’agente Gillespie: era stata espressamente invitata come parte del corteo del Ministro. Sembrava peraltro piuttosto a suo agio, nonostante non conoscesse praticamente nessuno. Harry un po’ la invidiò. “Avete un vero talento per la Trasfigurazione qui ad Hogwarts.”
“Abbiamo un eccellente professoressa.” Convenne Harry indicando con un cenno Minerva McGrannit che sorvegliava con la severità di una volta le giovani ed entusiaste coppiette. “Ma Silente…beh, lui era davvero magico.”

L’americana sorrise gentilmente. “Mi sarebbe piaciuto conoscerlo.” Si era messa l’uniforme di gala del suo Dipartimento e Harry doveva ammettere che era molto più sobria di quanto avesse immaginato.
Ho sempre pensato che gli americani fossero chiassosi in tutto…
In confronto quella degli auror britannici era molto più squillante, tra mostrine argentate e mantelli sgargianti.
“Lei dove ha studiato?” Si informò Ginny, che dopo una lunga panoramica e qualche convenevole aveva decretato che Nora era una donna a posto. Harry ne era stato molto sollevato.
“All’Accademia di Magia, a Salem. Tutti i maghi e le streghe del Nord America vanno lì.” Spiegò senza smettere per un attimo di scandagliare la sala con lo sguardo; Harry aveva capito che stava cercando qualcosa. Avrebbe voluto chiederle cosa, ma aveva purtroppo promesso alla moglie che quella sera l’argomento lavoro non sarebbe stato tirato fuori.
Lanciò un’occhiata a Ron, che ascoltava con aria mortalmente annoiata una conversazione tra Hermione e una loro ex-compagna di scuola, ora nel settore dei Trasporti Magici. L’altro gli scoccò un mezzo sorriso supportivo. A prescindere.
Harry vide con la coda dell’occhio il piccolo Hugo nel suo vestito buono, scortare una ragazza carina e ricciuta verso un tavolo. Sorrise: i suoi ragazzi erano nel corteo d’onore e avrebbe ancora dovuto aspettare un po’ prima di vederli.
Si sentì dare una pacca sulla spalla e si voltò, trovandosi di fronte James e Teddy. Il primo indossava l’uniforme – ogni occasione era buona, aveva ironizzato Lily – e il secondo un tranquilli completo ibrido, come andava tra l’ultima generazione di maghi con sopra il mantello nero che identificava i docenti hogwartsiani.
“Ragazzi.” Li salutò con piacere. Aveva paura fosse Percy, che era solo a pochi metri da lui e in dirittura di arrivo nella sua conversazione con il buon vecchio Baston. “Ottima scenografia, Teddy.”
Il giovane professore sorrise. “Non mi prendo alcun merito, sono stato soltanto umile manodopera. I veri ideatori sono il professor Flitch-Fletchey e il Preside.”
“Sì, sì, tutto bello… ma speriamo che questa festa si tolga il gesso di dosso, odio dover restar fermo come un pinguino della buona società!” Replicò invece James, tormentandosi un bottone.

“Ti posso assicurare che gente come Malfoy e Nott non lascerà che la festa rimanga così.” Rispose Teddy divertito. “E so che lo sai.”
James fece un sorrisetto malandrino. “Oh, beh, ho i miei uomini all’interno.” Confessò facendoli ridere.

Harry lanciò l’ennesimo sguardo all’agente americana. Continuava a chiacchierare vivacemente con sua moglie, ma si vedeva che l’attenzione era altrove.
Crede di poter trovare qualche infiltrato della Thule? Ma la sicurezza…
La sicurezza a volte poteva fallire, anche se il sergente Smith era ormai un autentico paranoico in tal senso. 
Ricordò le parole di Al e Tom, la sera prima: avrebbe dovuto dire a Gillespie i sospetti dei suoi ragazzi sul campione di Durmstrang?
Non subito, decise: prima voleva conoscerlo di persona.
Non dovette attendere molto, dato che le grandi porte della sala vennero aperte.
Guidava la fila il giovane Malfoy, accompagnato da una brunetta che Harry non aveva mai visto. Poco distante da sé vide Draco Malfoy e signora. La donna sorrideva con l’orgoglio negli occhi e Malfoy pareva, per una volta in vita sua, non avercela con il mondo intero.
Già molto.
Subito dopo veniva sua figlia con Luzhin: Harry scrutò bene il ragazzo dato che l’aveva visto solo da lontano, durante la Prima Prova. Ron aveva avuto ragione ad ironizzare sullo scarso physique du rôle. Non sembrava uno studente di Durmstrang. Però non era affatto esile come era sembrato nell’arena. Dava l’idea piuttosto di una pianta sottile, ma con radici salde a terra: i suoi movimenti erano calcolati al millimetro, non rigidi, ma precisi.
Deve allenarsi molto. Non solo con la bacchetta, ma anche a livello fisico.
Ad Harry dava l’idea di un militare di professione, di quelli che ogni tanto aveva visto nei film militari che suo zio Vernon guardava d’estate.
Era uno studente di Durmstrang, ma non sembrava affatto un adolescente.
Detto questo, conduceva sua figlia con gentilezza. Arrivati al centro della pista si comportò come mai lui sarebbe riuscito a fare con la sua sfortunata dama vent’anni prima. Poi iniziò il valzer.
 
****


A Lily pareva di sognare.
Anche se in effetti nessuno dei suoi sogni da bambina erano stati così…

Beh, così e basta.
La Sala Grande era stata letteralmente trasformata in una location onirica. Dal soffitto vorticavano grossi fiocchi di neve magica, che si scioglieva nell’aria prima di cadere a terra. Le gotiche colonne di pietra erano state sostituite da statue di ghiaccio raffiguranti naiadi dai lineamenti delicati. I soliti tavoli di legno scuro erano stati sostituiti da grosse tavole circolari che sembravano spuntare direttamente dai ghiacci. Al centro, uno specchio d’acqua ghiacciata.
Questo vedeva Lily, mentre al braccio di Sören varcava l’arcata del portone, applaudita e guardata da  tutti.
Si era immaginata a dispensare sorrisi e baci, ma si sentì un po’ intimidita di fronte a quella calca composta da così tante facce: sì, molti erano suoi compagni di scuola, ma erano così diversi, vestiti con abiti da cerimonia o smoking di foggia babbana.
Sentì allora la mano di Sören coprire la sua. Gli lanciò un’occhiata: nonostante tenesse lo sguardo dritto di fronte a sé si era accorto del suo nervosismo.
Era felice di essere lì con lui.
Non ci sarei andata con nessun altro.

La delegazione venne poi diretta verso la pista da Ballo. Sören le si mise di fronte, facendole un fluido inchino; Lily aveva trovato gli inchini sempre piuttosto buffi, dato che di solito chi li compieva era rigido e impacciato.
Ma lui è nato per questa gestualità…
Replicò con una riverenza leggera – si era esercitata allo specchio – e fu ricompensata da un sorriso del ragazzo.
“Andava bene?” Mormorò a bassa voce.
Sören annuì con un lampo divertito nello sguardo. “Benissimo.”
Le note del valzer si diffusero nella sala, suonate dall’orchestra posta a lato, mentre cessavano i chiacchiericci.
Okay. Ci siamo. Wow. Sono agitata.
Sören la prese tra le braccia, posandole una mano sul fianco. Era bollente. Era quella singolare mano sempre caldissima. Lily si sentì immediatamente più calma, più sicura.
Sono Lily Potter, che cavolo!
Sorrise all’amico, che ricambiò, chinandosi poi all’altezza del suo viso. “Sei perfetta.” Le sussurrò all’orecchio: certo, probabilmente era solo per incoraggiarla…
Ma comunque Lily, anche a posteriori, ricordò quello come il momento perfetto.
 
All I wanted to say
All I wanted to do
Has fallen apart now⁴…
 
“Bel tipo.” Osservò Ginny affiancandosi ad Harry. “Non pesta i piedi alla mia bambina e sa condurla in un valzer.”
“Non cosa da poco.” Convenne Hermione, saggia.  
“Col cavolo!” Borbottò poco distante James. Harry sorrise; sapeva quanto suo figlio fosse protettivo con la sorella minore, spesso irragionevolmente.
Forse stavolta non tanto…

“Andiamo a prendere qualcosa da bere?” Chiese Ted, dopo avergli lanciato una breve occhiata valutativa. Non aspettò risposta, e lo portò via recalcitrante.
“Lils ha detto che fa parte della nobiltà della Bassa Sassonia.” Sua moglie non nascose un sorriso da ragazzina maliziosa. “Bisogna ammetterlo… non è una bellezza, ma ha quel qualcosa.”
“Quel qualcosa quale?” Si inserì Ron. Fu ignorato.
“Mi ricorda un po’ Viktor.” Aggiunse Hermione, impermeabile alle occhiate assassine del marito. “Lilian ne parla molto, eh?”
Moltissimo. Ci ha mai dato tregua ieri?” Replicò Ginny e stavolta fu lei a beccarsi un’occhiataccia.

Harry guardò la figlia volteggiare assieme alle altre coppie. Era bellissima, naturalmente, ma per lui lo sarebbe stata sempre. Non era quello il punto. Fu la sua espressione a colpirlo. Lily sorrideva come mai le aveva visto fare. Sorrideva a Luzhin.
Doveva farsi presentare quel ragazzo.
L’occasione fu a portata di mano non appena il ballo finì. Luzhin la condusse lontano dalla pista, portandola verso uno dei tavoli a disposizione degli studenti. Le scostò la sedia, sorrise di un probabile lazzo alla Lily e la fece accomodare.
Le perfette maniere di un gentiluomo…
Poi si allontanò verso il buffet, probabilmente per prenderle qualcosa da bere. Lily si guardò un po’ attorno, poi li individuò. Fu lei ad avvicinarsi.
“Papà!” Esclamò talmente radiosa che Harry non poté fare a meno di sorriderle. “Mi hai vista?”
“Certo tesoro, hai ballato cento volte meglio di quanto possa fare io.” La fece ridere.

Luzhin era al piccolo rinfresco e stava riempiendo due bicchieri di  succo zucca di zucca ghiacciato.
Non aveva niente che non andasse, eppure…
Forse sono prevenuto. I discorsi di Al e Tom, e poi il fatto che Lily sembra …
“Sören è un ottimo ballerino.” Lo lodò Ginny, materna e soprattutto ignara. “Quando ce lo presenti?” Harry le fu grato. Non aveva idea di come chiederlo senza farsi rimbrottare. Lily doveva essere di ottimo umore, perché non sembrò irritata dalla richiesta, ma anzi compiaciuta. “Anche subito!” Fece un cenno per farsi individuare. “Ren, sono qui!”
Se il ragazzo fosse stato preso di sorpresa o fosse poco contento di conoscerli, non lo diede a vedere. Li raggiunse obbediente, con un sorriso di pura educazione.

“Ecco il tuo succo, Lilian.” Esordì porgendoglielo. Poi si rivolse loro. “Signori Potter, finalmente ci incontriamo.” Era una frase fatta, ma ben detta. Parlava un ottimo inglese, appena accentato. “Lilian mi ha parlato molto di voi.”
Lily sorrise, agganciandosi al suo braccio con naturalezza. Un po’ troppa, considerò Harry. “Lui è Ren, e Ren, loro sono i miei genitori… tra cui possiamo annoverare il famoso Harry Potter.” Aggiunse scherzosa.

Il ragazzo fletté leggermente la testa, alla maniera militare dell’Istituto, stringendogli poi la mano. “È un onore.” Disse soltanto.
Harry sorrise, cercando di trovare la domanda giusta da porgli. Forse non c’era, per le risposte che voleva. Si limitò quindi a ricambiare la stretta guardandolo negli occhi. Aveva uno sguardo determinato, com’era ovvio: era un Campione del Tremaghi dopotutto. Ma guardandolo appena più a lungo delle normale cortesia, Harry non vide… nulla.
Nulla?
Aveva già incontrato occhi simili, rammentò stupito. Quelli di un vecchio professore. Occhi che non esprimevano. Gli occhi di Severus Piton, il miglior Occlumante di Hogwarts.
Al e Tom me l’avevano detto … sta usando l’Occlumanzia?
Non poteva esserne certo, ma se lo stava facendo, era certo per via di Lily.
Lanciò un’occhiata alla figlia, ma questa sorrideva mentre si presentava all’agente Gillespie. Se il ragazzo si stava Occludendo, la sua piccola LeNa non se n’era certo accorta.

“Sergente Gillespie, lui è Sören, il mio cavaliere!”
Fu un attimo. Harry lo vide fare una panoramica sull’uniforme dell’americana e riconosciutala, non riuscì a celare un’espressione allarmata.  
“È un piacere conoscerla.” Mormorò con un sorriso di evidente circostanza. Poi si rivolse a Lily. “Temo di dover fare una comparsata al tavolo del Direttore prima che inizi la cena. Ti raggiungo tra poco.” Dopo averli salutati con un cenno cerimonioso della testa se la diede letteralmente a gambe.
Harry ormai aveva esperienza nel notare quando qualcuno lo faceva, sebbene dissimulandolo.
Lily gli toccò un braccio, riscuotendolo. “Allora papà?” Esclamò con pura aspettativa. “Che ne pensi di Ren?”
Harry le sorrise: era inutile metterla in allarme. “Mi sembra un bravo ragazzo.” Si risolse a dire.
Lily per tutta risposta gli scoccò una strana occhiata, ma annuì. “Bene! Vado anch’io… credo che Rosie abbia bisogno di avermi attorno.” E qui la frecciatina fu tutta per Ron, che finse di non averla captata.
Harry aspettò che la figlia si fosse allontanata tra la folla, che stava sciamando verso i tavoli assegnati per la cena di gala, prima di sospirare.
Dannazione… che razza di situazione.
Nora gli si affiancò, mentre moglie e amici si apprestavano ad accomodarsi alla tavola d’onore già colma di funzionari, Ministri e ospiti. “Harry.” Richiamò la sua attenzione. “Mi sembri pensieroso.”
Non ha idea di quanto…
“Un po’ di gelosia paterna. È il primo ballo di società in cui non sono io ad accompagnare Lily.” Scherzò, ma l’altra non ricambiò il sorriso.
“So che questa sera non vorresti parlare di lavoro…” Iniziò con tono colloquiale, onde evitare che qualcuno notasse che la loro conversazione virava su tutt’altro. “… ma ho come l’impressione che tu mi abbia appena mentito.”
“Legimante?” Spiò, per sicurezza. Non che maghi esperti in quell’arte spuntassero come funghi, ma comunque…
“No, semplice intuito.” Replicò infatti l’altra. “Allora?”
Harry sospirò, sentendo gli occhi della moglie su di sé: aveva promesso, certo.

Ma il lavoro è il lavoro. E poi, per me è quasi una vocazione di vita temo.
“Il ragazzo che accompagna Lily… Thomas e mio figlio Albus pensano che possa essere coinvolto nell’attacco dei Dissennatori. Lui e il suo Assistente.”  
Nora non fece una piega, lo prese invece sottobraccio con naturelezza e lo guidò verso la tavolata,. “Hanno prove?” Domandò in tono pratico.
Harry cercò di ribellarsi all’idea che due adolescenti dovessero avere delle prove. Poi ricordò la sua, di adolescenza. “Non schiaccianti.” Disse. “Più che altro sparizioni ingiustificate e strani atteggiamenti.”
“Ho notato che sembrava innervosito dalla mia presenza.” Rivelò la donna, confermando i suoi precedenti sospetti. Fece un mezzo sorriso. “Ma sai com’è… l’uniforme spesso intimidisce.”
Harry sorrise amaro. Avrebbe voluto crederci: la sola idea che quel ragazzo fosse l’infiltrato della Thule e che stesse frequentando sua figlia…

Quello che più lo spaventava era il perché lo stesse facendo. Chiese un parere a Nora. Erano ipotesi, pensò accomodandosi con lei a tavola. Solo ipotesi.
“Beh, non si dice forse tieniti vicino gli amici, ma ancor più stretti i tuoi nemici?” Fece una smorfia, guardando distratta il foglio del menù. “Essere un Campione lo tiene lontano dai sospetti… Chi sospetterebbe mai di un ragazzo considerato un vessillo per la sua scuola? E poi può controllare le nostre mosse attraverso tua figlia.” Fermò la sua protesta con un cenno della mano. “So che è estranea ai fatti, ma è pur sempre tua figlia, nonché amica di Thomas.”
Harry deglutì: si sentiva come se avesse bevuto veleno. Nora aveva ragione, aveva detto cose che aveva pensato anche lui. Accanto a sé Ron, che nulla sentiva a causa dell’incantesimo silenziante che aveva castato, si voltò.

“Di che state parlando, non si sente che ronzii!” Esclamò. Sembrava quietamente disperato, notò Harry. Probabilmente il doversi trattenere dallo strozzare un Malfoy a caso lo stava logorando. Ignorando lo sguardo esasperato di sua moglie, che sveglia com’era aveva già capito tutto, Harry recitò di nuovo la formula per includere l’amico, nonché colui che, sulla carta, conduceva le indagini.
“Parliamo di lavoro.” Ammise. “… o meglio, di Sören Luzhin.”
“Ah, il ragazzo sospetto!” Riassunse l’altro. Harry l’aveva informato quella mattina, dato che aveva chiesto asilo politico a casa sua. Tra lui e le femmine di casa c’era maretta, gli aveva confidato come se ce ne fosse bisogno. “Sai, è strano.” Osservò meditabondo. “Ti aspetti che un sospetto sia sfuggente, no? Invece quel ragazzo ha l’aria… Harry, non lo so.” Si grattò il mento. “Di uno a posto.”
“Non lasciatevi ingannare.” Ribatté Nora. “Non stiamo parlando di ladri di calderoni, di gente che sa di essere nel torto e se ne frega. La Thule ha adepti che credono ciecamente in ciò che fanno. Per la conoscenza.” Recitò mente gli occhi le si incupivano. “Più si è giovani, più si è influenzabili. E, purtroppo, insospettabili.”

Harry si chiese se ne avesse mai incontrato uno, di quei giovani adepti.  
“Parole da veggente.” Sbuffò Ron. “Che facciamo, andiamo a farci due chiacchiere?”
“Non stasera.” Scosse la testa Harry. “C’è troppa gente, troppi giornalisti. Se la Stampa vedesse due Auror e un agente del DALM americano fare domande ad un Campione potrebbe farsi strane idee.”

Ron scoccò uno sguardo dritto verso un punto. Dov’era Lily, capì Harry. “Ma Lils…” Esordì. “Insomma, è il suo…”
“Lo so.” Si passò una mano sulla nuca. “Ma al momento non sta facendo nulla che giustifichi un suo interrogatorio.”

Cercò sua figlia; era seduta assieme ai cugini e ovviamente in compagnia di Luzhin. Gli toccava una spalla confidenzialmente, mentre il ragazzo si era chinato per ascoltarla. Sorridevano entrambi. Due ragazzi normali che si parlavano, ecco ciò che sembravano.
Forse quello che Luzhin non è.
“Non stasera…” Ripeté. “…ma il prima possibile.”  
 
****
 
Note:


Il capitolo sarà diviso in due parti. Questa più impostatella, la seconda più… ‘OMFG che sta succedendo’.
Niente di grave. Solo adolescenzialate. ;D

Qui il braccialetto che mi ha ispirato il regalo per Lily.
La canzone a cui si riferisce Al è questa con l’opportuna traduzione. Ve la ricordate? :D
Qui la comoda playlist. Le prime quattro canzoni sono.
1. “I Still Rembember” Bloc Party.
2. “Our Time Now” Plain White T’s.
3. “The Writer” Ellie Goulding.
4. “Mercy” The Fray.

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Capitolo 43
*** Capitolo XL (II° Parte) ***


Capitolo XL (II°Parte)
 



Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo.
E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre,
 mai s'era potuta riconoscere così.
(Il Barone Rampante, Italo Calvino)


 
“Dammi da bere.”
“… eh?”
Albus si voltò solo in tempo perché James gli impattasse contro, nella calca del post-cena.
Stava servendosi due Acqueviole per sé e per Rose e improvvisamente, dal nulla, suo fratello si era materializzato.

“Dammi da bere.” Ripeté prendendogli il bicchiere. “C’è una fila pazzesca! Metti un po’ di alcool e finisce che tutti ci si buttano come cavallette.” Vuotò il bicchierino schioccando la lingua. “Aw, ma che schifo! È Acquaviola!”
“Spero tu sia allergico.” Replicò irritato.

“Lo sai che non sono allergico a niente!”
“Un’allergia improvvisa. Accade. Shock anafilattico e sei morto.”

James lo afferrò per la collottola e gli strofinò vigorosamente le nocche sulla testa, tirandosi indietro quando tentò di sferrargli un calcio. “Aw, Albie, quanto sei carino!” Lo sfotté allegro.
Certe cose non cambiano mai…
La Sala Grande era molto movimentata. Era stato invitato nientemeno che il conduttore degli ‘Ascolti di Marvin’ su Radio Strega Network: vi era dunque una playlist tutta babbana, con gran scorno da parte delle autorità più conservatrici, e gran gaudio da parte della restante folla. Numerosa.
 
I feel like dancing tonight
I'm gonna party like it's my civil right¹


Com’era ovvio, James era nel pieno della sua estasi festaiola. Aveva già ballato con metà sala, coinvolto Malfoy in una danza virile e molestato Tom in più occasioni facendo ridere come una matta Meike.
Per questo Al se lo voleva tenere lontano.
“Jam, dov’è Teddy?”

“A fare il vecchietto.” Gli fu prontamente risposto.
“Dovrebbe tenerti d’occhio.”
“Mi ama, si fida.” Ghignò.

“Jamie, levati dai piedi.” Sospirò, rimettendosi a fare la fila per prendere da bere alla sua imparanoiatissima dama; Rose aveva ballato con lui, si era divertita ma erano trascorse ben tre canzoni dalla fine della cena e stava giungendo il Gran Momento.
Quello in cui farà qualcosa di stupido ed eclatante per convincere Malfoy.
Ah, l’amore.
Passò avanti ad un paio di ragazzi con la nonchalance di un’infanzia passata a volere ed ottenere sempre la fetta di torta ideale. Si ritrovò James affianco dopo dieci secondi.
“Se lo rifai ti spezzo le dita.” Lo informò, ottenendo solo una sghignazzata arrogante. “Okay. Allora un qualsiasi giorno delle prossime vacanze farai colazione con la tua pinta di succo di zucca e ti troverai impotente perché te l’avrò avvelenato.” Stavolta la minaccia funzionò perché l’altro smise la sua aria strafottente per lanciargli un’occhiata preoccupata.
“Serpe.”
“Scimmione.” Sbuffò. “Cosa vuoi?”
“Il tuo cervello.” Replicò. “Hai notato che Rosie e Malfoy non hanno ancora combinato?”
“Naturalmente.” Sospirò suo malgrado. “Ma temo non possiamo farci nulla.”
Dopotutto non poteva far molto neppure per Tom, nel pieno di una crisi di misantropia: non voleva lasciare il tavolo, neppure per prendere da bere qualcosa con lui. L’unica con cui aveva mostrato un po’ di coinvolgimento emotivo era stata Meike. L’aveva perfino fatta ballare un po’, ma poi la bambina aveva captato l’umore dell’altro ed era andata a cercarsi facce più allegre.

Bimba furba, sempre detto.
“Sì, beh, anche tu e Tommy non siete proprio una coppia che sprizza unione stasera.” Lo apostrofò James, notando la traiettoria del suo sguardo. “Che gli piglia?”
“Pensieri.” Tagliò corto. Era sicuro che non fosse solo uno dei suoi insopportabili momenti da lupo solitario. Non poteva biasimarlo, dopotutto, se non aveva voglia di far festa. Un anno prima avrebbe fatto in modo che tutti sapessero che era l’assistente del Campione, adesso invece aveva chiacchierato giusto qualche minuto con Lord Malfoy dato che Scorpius era venuto a prelevarlo forzosamente per presentarli.

Penso che ormai gli sia passata la voglia di essere al centro dell’attenzione.
Del tutto.
Mise a tacere la damina affranta che soggiornava nel suo Io e prese finalmente da bere.
“Certo che solo io e Ted siamo riusciti a venire assieme, voi vi siete tutti portati qualcun altro!” Esclamò James con il solito, apprezzabile, tatto da troll in un negozio di porcellane.
“Vaffanculo James.”
“Ehi!”
“Che succede?” Ted doveva essersi stufato di invecchiettirsi – verbo coniato da James, insolitamente geniale – ed era andato a cercare il suo ragazzo. “State di nuovo litigando?”
“Condizione naturale, direi.” Gli sorrise, mentre il giovane professore dava una leggera tiratina d’orecchi a James.

“Non ho iniziato io!” Protestò.
“Inizi sempre tu.” Ribatté. “Lascia in pace Albus e vieni con me.”
“Quello sempre Teddy!” Esclamò allegro, facendolo arrossire tricoticamente. “Però, sul serio, stavamo cercando di ideare un piano per far coronare il sogno d’amore di Malfuretto e Rosie. Sono lenti come due Scopelinde!”  

Al inarcò le sopracciglia. “Stavamo facendo questo? Certo che sei impiccione.”
“Parla per te, diario segreto delle femmine di famiglia!”
“Oh.” Ted batté le palpebre, ignorando con abilità consumata il loro battibecco. “Beh, immagino che Rosie abbia bisogno di una piccola spinta…” Di fronte all’aria stupita di entrambi, si schiarì la voce. “Diciamo che da persona a persona … devo un favore a Scorpius.”
“Che favore?” Chiese James incuriosito. Ted scrollò le spalle imbarazzato e Al intuì al volo.
Mi sa che quella volta, al Solstizio di Ottery St. Catchpole c’è arrivato solo perché qualcuno ce l’ha spedito. Malfoy, per l’appunto.  
Ted intanto riprese. “Dicevo… mi sono accorto anch’io che sono in una situazione di stallo. È chiaro che uno dei due ha bisogno di fare il primo passo.”
Albus si trovò suo malgrado intrigato dall’insolita iniziativa di Ted, l’unico uomo al mondo che sembrava privo di voglia di farsi gli affari altrui.

Suppongo che tutti cambino.
E suppongo che Jamie gli abbia anche fatto una testa così per tutta la sera.
“E quindi?” Guardò i due drink e Rose, che seduta ad un tavolo giocherellava con una ciocca di capelli lanciando occhiate in una sola, perenne direzione.
Scommetto che oltre la calca c’è Malfoy.
Ted fece uno di quei suoi sorrisi miti, apparentemente privi di malizia. Non è che fosse del tutto vero; Al sapeva bene, da bravo serpeverde, che l’assenza di malizia non era una qualità di questo mondo.
“Forse ho un’idea…”
 
****
 
Rose si sentiva pronta. Sul serio.
Ma come si faceva a capire quand’era il momento giusto?
Il Ballo era nel suo culmine, dato che finalmente la cena era terminata e la musica da valzer leggeri si era tramutata in qualcosa di più giovanile.
Gli adulti ormai erano stati relegati nello sfondo, e la notte era diventata ufficialmente loro.
Aveva intravisto Scorpius più volte, tra la calca: spesso ballava con la sua dama, ma stranamente questo non l’aveva angosciata; più che una coppia danzante, le erano sembrati una coppia di amici che si divertiva. Scorpius buffoneggiava molto e la ragazza rideva, più che provarci sensualmente.
Comunque è strano. Voglio dire, per quanto sembrava provarci all’inizio dell’anno scolastico…
Cos’è cambiato?
Al momento Rose era seduta ad uno dei tavolini, in attesa che Al le portasse qualcosa di fresco da bere: ci stava mettendo troppo e quindi non poté fare a meno di cercare Malfoy ancora una volta, anche se sapeva benissimo dov’era; seduto al tavolo dei genitori con nessuna intenzione di schiodarsi di lì.
Come cavolo faccio ad invitarlo a ballare se rimane in territorio nemico?!
Sapeva che doveva andare là, ma curiosamente i piedi sembravano esserlesi attaccati al pavimento.
Sentiva ogni tanto un’occhiata trafiggerle la nuca ed era certa che si trattasse di suo padre. Si era progressivamente rilassato durante la serata, vedendo che lei e Malfoy erano sempre ad una ventina di persone di distanza. Minimo.  
Dannazione.
Improvvisamente le si parò davanti James.
“Ehilà, cugina!” La apostrofò accaldato, con il sopra dell’uniforme abbandonato al suo destino e la camicia slacciata e rimboccata sui gomiti.
L’uomo della festa.
“Ehi Jamie.” Mormorò distratta; suo cugino era l’ultimo dei suoi pensieri al momento.
“Ti vanno due salti in pista?”
“Ho saltato come una cavalletta fin’ora. Mi sto riposando. A proposito l’hai… argh!” esclamò quando  l’afferrò per un polso e la strattonò su con un movimento fluido. “Ti ho detto che non…”
Blah blah blah.” Replicò l’altro imperturbabile portandola in pista senza che potesse opporsi. Non poteva, non con quei tacchi e con il rischio di capitombolarci. Le fece fare una giravolta da girare la testa mentre suonava una canzone scoordinata come il pazzo che la stava conducendo.  

 
They say… "You've got the right to remain on the dancefloor
So show us what you've got cause you know you've got more!"


“Jamie, ho i tacchi! Vuoi farmi rompere una caviglia?” Sbottò imbarazzata. Era molto meglio ballare con Al, eccellente quanto prudente ballerino.
A quanto pare l’estate scorsa ha imparato nei migliori club gay della Londra babbana.
James… no.
“Veramente voglio agitarti un po’ di fronte al naso del Malfuretto.” Ghignò abbozzando un casquet che la fece seriamente temere per la sua vita. Non che ballasse male, beninteso, ma l’allievo auror Potter era irruento in tutto. Il ballo non faceva eccezione.
“Non ce n’è alcun bisogno!” Lanciò un’occhiata verso la tavola dei Malfoy e pomposi ospiti. Scorpius li stava guardando con un’espressione indecifrabile. “Non è lui che deve fare la prima mossa!”
“Ah no?” James la tirò di nuovo su. Le stava venendo il mal di mare. “Sei tu? Allora che aspetti? È tutta la sera che vi lanciate occhiate struggenti!”
“Ha una dama, non è che posso chiederle di levarsi dai piedi!”
Anche se vorrei. Tanto.

James roteò gli occhi al cielo. “La francesina è tutt’altro che interessata al Malfuretto.”
“Lo dice anche lui, ma sinceramente ho avuto pro…”
“È lesbica.” Esclamò, ridacchiando della sua espressione sbalordita. Riuscì peraltro a farle fare un’altra giravolta senza che protestasse.

“Stai scherzando?!” Chiese con un filo di voce quando il mondo smise di vorticare impazzito.
“No, per niente. Le ho chiesto di ballare per allontanarla dal nostro biondino e mi ha guardato come se fossi una specie di schiopodo lebbroso.”
Rose sbuffò. “Certo, si rifiuta di concedersi a te, quindi è per forza omosessuale. Non sei il metro della sessualità di nessuno, idiota.”
“Non esserne tanto sicura!” Replicò offeso. “Ah, e poi Domi è venuta a dirmi che mi avrebbe strappato le braccia se glielo avessi chiesto di nuovo.”
“Domi…?” Avrebbe finito per rotearla sopra la sua testa senza che emettesse protesta, se continuava a darle certe rivelazioni. “Mi stai dicendo che …”
“Sono stupito anch’io, che ti credi. Pensavo che fosse asessuata o roba del genere!” Sbuffò divertito. “Comunque rimane il punto. Esistono al mondo coppie più assurde di voi due. Tu e Malfuretto siete quasi noiosi!”

Rose capì il sottotesto, e sorrise a quell’impossibile scimmione del cugino. Forse per questo Al non stava tornando con i loro drink.
I Potter hanno modalità tutte loro per farti capire che è ora di darsi una mossa.
“Jamie, vatti a trovare una nuova dama.” Lo apostrofò.
“Sicuro!” Le fece un gran sorriso, mollandola di colpo. Rose, che se lo aspettava, rimase in piedi piuttosto dignitosamente e si diresse poi fuori con l’incedere dell’Espresso per Hogwarts.
Se mi fermassi, non sarei più capace di ripartire.
Ci mise pochi attimi ad arrivare al tavolo dei Malfoy. Erano tutti e tre schierati, e per un attimo Rose pensò di tirare dritto e andare a schiantarsi contro il muro; Scorpius la stava guardando un po’ sorpreso, con un drink in viaggio verso le labbra. Non riuscì a guardare i di lui genitori, ma fu certa che Lord Malfoy la stesse fulminando con il suo temibile sguardo da becchino durante una sepoltura. Notò anche la non-presenza di Violet e ne fu felicissima.
“Rosie.” Esordì Scorpius. “Ehm, cia-”
“Malfoy, mi faresti l’onore di questo ballo?”

Avrebbe davvero voluto essere più sciolta, quasi ironica, estremamente auto-consapevole e intelligente. Non riuscì in nessuna di queste cose, ma gli tese comunque la mano. Scorpius allora le fece un enorme sorriso, tra l’incredulo e il divertito.
“Molto volentieri Weasley.” Le prese la mano tirandosi su e liberandosi del drink.
Rose sentì anche qualcuno fissarla alle sue spalle e sperò che fosse suo padre.
Non so decidermi? Beh, state a guardare.
Lanciò un’occhiata che sapeva essere molto sfrontata, ai genitori del suo Malfoy. Come sospettava, Lord Malfoy sembrava trattenere un brutto accesso di tosse, ma Lady Astoria le sorrise.
Oh.
Le sorrise di rimando e poi trascinò Scorpius sulla pista da ballo mentre molte persone guardavano. Troppe persone guardavano.
E che guardino. ‘Fanculo. Che guardino io che ballo con il mio ragazzo.
Si sentiva intoccabile in quel momento. Scorpius aveva accettato la sua mano e sì, le era sembrato che aspettasse proprio quello. Forse non era una richiesta usuale, ma Rose sapeva che con Malfoy l’usuale non funzionava un granché. Per fortuna.
Scorpius in effetti era divertito dalla sua situazione a ruoli rovesciati. Gli si leggeva in faccia a chiare lettere; la prese tra le braccia, perfettamente cavalier danzante e gentiluomo.
… ah. Gli ho chiesto di ballare e non ho neanche idea di che canzone…
 
And I'd give up forever to touch you
Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now²
 
La canzone che cominciò era miracolosamente una ballata. Troppo miracolosamente.
Rose capì che non era fortuna quando vide Al e Hugo affiancare il giovane mago che si occupava di alternare i dischi.
Ah, ecco dov’era finito quella serpe…
Al, incrociando il suo sguardo, le mostrò i pollici in segno di vittoria. Scorpius se ne accorse e ridacchiò.
“L’intero tuo clan sezione giovanile ha cospirato perché questo accadesse…”
“Non c’è di che stupirsene.” Sbuffò. “Sono degli impiccioni.”
“O tifano per noi.”  Replicò. “In ogni caso, fiorellino…” Rose non avrebbe mai creduto che le sarebbero mancati quei nomignoli idioti. E invece… “… che dici, riavviamo il nostro tempo?”
“Sarebbe anche ora, Malfoy.”

Non parlarono più, mentre la musica sembrava annullare qualsiasi rumore e tutti erano sfondo. Rose si dimenticò della sua famiglia, di suo padre e di… insomma, di tutti.
Non avevano la minima, stramaledetta importanza. Sentì l’ansia scivolare via, e sorrise anche lei.
Perché quello era il momento.
Non ci fu bisogno che si sporgesse per baciarlo perché si andarono incontro.  
 
“Ron, dove stai andando?”
“Hermione, li hai vis… dannazione! Quel moccioso ha osato…!”
“Nessuno ha osato niente.” Hermione Granger aveva visto e pensato abbastanza da farsi un’opinione su sua figlia, il giovane Scorpius e tutte le implicazioni del caso.

Per questo aveva afferrato la manica della veste del marito impedendogli di lanciarsi al salvataggio assolutamente non richiesto della figlia.
“La sta baciando! Mia figlia, davanti a…”
“Si stanno baciando.” Lo corresse con fermezza. Hermione aveva le sue opinioni e Merlino solo sapeva che nessuno poteva impedirle di esprimerle. “Rose è andata a chiedergli di ballare e lui ha accettato. Ora tu accetta che nostra figlia è innamorata del figlio di Draco Malfoy. Penso sia ora.”
Era un ordine e sapeva che suo marito li mal digeriva. L’espressione era esplicativa. Quindi addolcì il tocco e il tono. “Non una decisione che spetta a noi, in nessun modo… e in fondo, lo sai anche tu.”
Ron non replicò, non che Hermione se lo sarebbe aspettato. Quella sua cocciutaggine era il suo maggior difetto. “Ma è il figlio…” Iniziò infatti.
“Anche lei è una figlia, lo siamo tutti.” Lo fece risedere, ma meno riluttante di quanto si sarebbe aspettata; dopotutto, forse, il suo testardo marito voleva essere fermato. “Basta guardarli, Ron, per capire che non sarebbe giusto. Forse noi genitori non ci piacciamo, ma sai bene che questo deve andare oltre alle nostre reciproche antipatie. Loro l’hanno fatto.” Gli toccò la mano. “Non possiamo sapere come andrà in futuro … ma adesso non rovinare loro questo momento.”

Ron obbedì perché non poteva non farlo. Forse ricordava anche lui gli errori del loro Ballo del Ceppo.
Rimase a guardarli con aria indecifrabile, prima di sbuffare. “Quel ragazzino ha vinto la lotteria, con la nostra Rosie…”
E si sedette, vinto.
 
When everything's made to be broken,
I just want you to know who I am
 
****
 
Sören aveva trascorso la serata diviso. Esattamente così.
Ciò che di buono stava provando, era a causa di Lily. Era Lily ad averlo distratto, dopo l’incontro con l’agente del DALM americano, era stata lei a farlo ridere e imbarazzare in ugual misura tentando di ballare quegli strani, moderni ritmi babbani.
Per la prima volta in vita sua si era divertito.
Non è stato solo divertente però…
Le decorazioni della Sala, il valzer di apertura, il vestito di Lily, il loro toccarsi anche quando non danzavano, la complicità che aveva provato sorridendole…  era diverso da tutto ciò che aveva mai provato. Era simile ad un’ebbrezza.
Non era certo fosse appropriato.
Sono confuso… tanto per cambiare.
Al momento stava osservando la folla seduto ad uno dei tavoli; la sua dama non c’era. Era andata a consolare un’amica, Abigail, reduce da un appuntamento disastroso con il cugino.
Bevve un sorso dal suo drink tanto per fare qualcosa. Andata via quella piccola scia di energia vivace, si sentiva di nuovo assalire dal pungolo dell’ansia.
L’agente americano…
Quando l’aveva vista aveva dovuto trattenere ogni emozione, anche se non era certo di esserci riuscito del tutto; del resto era chiaro che quella donna fosse lì per lui. O meglio, per la Thule.
La stessa cosa.
Non gli era sembrata interessata alla sua persona, per fortuna.
Perché dovrebbe? Sei un Campione. Sei il cavaliere della figlia di Harry Potter.
Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione angosciosa, quasi si sentisse preso all’angolo.
Si sentì toccare la spalla. Si voltò e si trovò di fronte Poliakoff. Trattenne una smorfia scontenta, perché non aveva senso provasse irritazione al vederlo.
In realtà sì, dato che lo detesti e ti sta ricattando.
“Luzhin!” Lo apostrofò. Dal respiro pesante e alcolico, capì che aveva bevuto. “L’hai vista?”
Annuì un po’ stupito: Kirill, nonostante non fosse precisamente in sé, si era accorto della presenza dell’agente.
Beh, non che sia difficile. Non fa certo nulla per nascondersi, non è neppure in borghese.
“Sì.” Confermò, facendogli cenno di sedersi accanto a lui: non gli piaceva torreggiasse dietro la sua sedia come un dannato avvoltoio. L’altro ragazzo obbedì.
“Che facciamo?”
“Nulla. Qualsiasi iniziativa attirerebbe l’attenzione, ed è l’ultima cosa che ci serve al momento.”

“Ah, già…” Replicò stolidamente l’altro. “Però… l’ho vista confabulare con Harry Potter.”
“Non è lui a capo delle indagini per l’attacco alla Prima Prova?” Scrollò le spalle. “Probabilmente collaboreranno.” Non era così tranquillo come dimostrava, neppure lontanamente, ma non voleva dar motivo al russo di fiutare il suo nervosismo.

“Hai avuto anche missioni in America, giusto?” Lo incalzò avvicinandosi al suo orecchio; non c’era alcun bisogno di sussurrare dato che il tavolo a cui erano seduti era vuoto eccetto loro. Lo stava facendo per infastidirlo? Registrò la frase e serrò le labbra: sì, lo stava infastidendo.
“Certo.” Confermò. “E con questo?”
“Beh, c’è da tenere gli occhi aperti…” Borbottò il russo, preso in contropiede. Forse si era aspettato di trovarlo più preoccupato.
“Non serve che me lo ricordi, Kiriev.” Replicò asciutto, scostandosi al suo tocco e raddrizzandosi. “Grazie per la premura.” Il tono era conclusivo e l’altro lo intuì perché schioccò le labbra contrariato, ma si alzò.
“Va bene, va bene… ti lascio alla tua bella dama.” Fece un sorrisetto. “Posso chiederle un ballo?”
La sua espressione dovette parlare da sola, perché l’altro fece una breve risatina, ma che non poté nascondere del tutto il nervosismo. “Non fare quella faccia, me lo ricordo quel che mi hai detto! Lily Potter è tua, nessun problema.” Alzò le mani in segno di resa, prima di allontanarsi e sparire tra la folla.

Sören inspirò, sentendo i muscoli rilassarsi gradualmente; si contraevano di colpo ogni volta che Poliakoff era nei paraggi.
Con un paio di frasi è riuscito a rovinarti l’umore…
Bevve un sorso sostanzioso dal suo whisky incendiario. Ne aveva preso solo uno dall’inizio della serata, lasciando che Lily ordinasse per lui: aveva avuto l’impressione che alla ragazza non piacesse vederlo bere.
Sentì di nuovo una mano sulla spalla, ma stavolta fu diverso. Era morbida, femminile. Sorrise appena, voltandosi. “Lily.” La chiamò e gli fu sorriso.
“Ehi, scusa l’assenza. Gail aveva bisogno di una spalla terapeutica.” Alla sua espressione confusa, scosse la testa, sedendosi accanto a lui. “Tutto a posto. Alcune persone non si… mixano bene assieme, ecco tutto. Sarebbe bello potersene accorgere subito.” Soggiunse pensierosa.
“Non accade tanto spesso…” Disse per dire qualcosa.
Gli fece un mezzo sorriso disimpegnato. “Vero.”
Rimasero in silenzio. Non c’era molto di cui parlare a festa inoltrata. Lily guardò in direzione di un punto preciso della folla, e fece una risatina. “Era ora…” Gli diede un colpetto contento sulla spalla. “Mia cugina e Malfoy… vedi? Sono tornati assieme, da come sono avvinghiati. E non c’è stata neppure una faida familiare! È proprio la magia del periodo natalizio.”
“Ne sono lieto.” In realtà non gliene importava nulla e non aveva dato che un’occhiata distratta alla coppia: era attratto invece dal modo in cui le candele che fluttuavano sul soffitto giocavano con i riflessi ramati dei capelli dell’altra. Lily intercettò il suo sguardo, inarcando le sopracciglia.

“Ho qualcosa trai capelli?”
“No…” Scosse la testa, lanciando un’occhiata al braccialetto. Il regalo era stato straordinariamente semplice, quando aveva fatto mente locale. Lo aveva fatto commissionare da un orafo che si occupava della pulizia periodica dei gioielli degli Hohenheim: appena l’aveva visto nel suo catalogo, aveva capito che era quello.  

Ormai conoscono i suoi gusti… dopotutto, è ciò che dovevo fare.
Lily notò anche quella occhiata, e fece tintinnare il monile al polso. “È stupendo. Non te l’avevo ancora detto?” Non aspettò risposta. “Mi piace tantissimo, sul serio!” Ebbe una lieve esitazione e le guance, non poteva sbagliarsi, le si tinsero di imbarazzo. “… sì, insomma. Mi dispiace…”
“Di cosa?”

“Il mio regalo…”
Sören si trovò a disagio, ricordando di aver dormito con quella sciarpa appoggiata al cuscino. Non aveva mai dormito così bene nell’ultimo periodo.

“Mi … mi è piaciuto molto.” Si risolse a dire. La frase non parve convincere l’altra che fece una smorfia ancora più accentuata.
“Lo so che non è bello o di valore come il tuo, non serve che ti sforzi.” Mugugnò.
“Non mi sto sforzando!” La voce gli uscì piuttosto incredula, se ne rese conto da solo. “È il miglior regalo che abbia mai ricevuto.”
Lily sembrava più perplessa di lui, ma anche sottilmente compiaciuta. Del resto stava sorridendo. “Ora mi prendi in giro…”

“No.” Disse fermo. “Lo è davvero. Non mi era stato mai donato qualcosa di fatto a mano.”
“Non è…” Iniziò, salvo scuotere la testa divertita. Sören capì che aveva di nuovo frainteso qualche sottotesto. Non sembrava importante, comunque. “… è solo che è la prima volta che sento qualcuno dire qualcosa del genere a proposito di una sciarpa. Però suppongo ci sia sempre una prima volta.” Aggiunse velocemente. “E poi, sei il primo a cui la regalo in effetti.”
Cadde di nuovo il silenzio. Uno di quei silenzi che ormai Sören aveva imparato a riconoscere: erano il preludio a qualcosa, solo non sapeva cosa. Lily lo guardava infatti di sottecchi, come se si aspettasse un suo gesto.
Siamo ad un Ballo…
“Ti va di ballare?” Chiese incerto. Lily sembrò delusa, poi fece uno di quei suoi sorrisetti allegri.
“Certo, non dubitarne mai!”
Sören non capiva, sul serio, ma sembrava andar bene lo stesso. Si alzò e le porse la mano; la ragazza la prese sistemandosi il vestito con leggeri tocchi delle dita: sembrava essere nata per indossarlo.
La condusse in mezzo agli altri ballerini e aspettarono un po’ scioccamente la fine della canzone, a quanto pareva troppo movimentata per incontrare i gusti della sua dama.
Al ricominciare di un’altra però si illuminò. “Morgana, questa mi piace un sacco!” Esclamò.
 
There used to be a graying tower alone on the sea
You became the light on the dark side of me
Love remained a drug that's the high and not the pill³
 
Le sorrise. “Ti piacciono tutte le canzoni d’amore?” La prese in giro.
Lily stette al gioco, accarezzandogli civettuola la spalla. “Ma non lo sai, caro il mio Ren, che la maggior parte delle canzoni lo sono?”
“Si imparano sempre cose nuove.” Rispose non impegnativo, perché quella canzone, ad ascoltarla, era meno fumosa delle altre. Parlava di una situazione curiosa. Una situazione simile alla sua.  
Poi Lily gli appoggiò la guancia sul petto, abbandonandovisi con una fiducia così spontanea che Sören provò di nuovo quella singolare ebbrezza. “È la più bella serata della mia vita.” Gli mormorò.

Non le rispose: aveva notato che a volte Lily tendeva ad esagerare un po’, a tendere verso l’assolutezza. Poteva essere uno di quei casi. Ma non  per lui.
 
But did you know, that when it snows,
the light that you shine can be seen?
 
Sentiva il suo respiro tiepido solleticargli il collo. Senza rendersene conto, serrò appena la presa sulla vita. Sembrava così fragile, e piccola. Lo era. Eppure era lui a sentirsi quello debole.
Perché non poteva essere davvero il suo Ren? Perché non poteva essere Sören Luzhin?
 
I compare you to a kiss from a rose on the gray
The more I get of you, the stranger it feels
 
Per Lily quella era la serata perfetta.
Non avrebbe potuto essere migliore: Rose e Scorpius si erano finalmente ritrovati – molto meno stress per tutti. Teddy e James erano assieme, felici: li aveva visti scambiarsi un bacio bellissimo.
Al e Tom avrebbero finito la serata assieme, ci scommetteva da come aveva visto quest’ultimo cercare Al con lo sguardo, non trovarlo e andare rapidamente alla sua ricerca. Persino Dominique non era da sola, ma con quella francese, che le sedeva accanto posandole la testa sulla spalla. La cugina sembrava molto meno inferocita adesso, quasi tranquilla.
Ah, lo sapevo!
Persino il povero Hugo che, dopo una serie infinite di gaffe era stato scaricato dalla sua dama, si era consolato giocando con Meike un’ardita partita a Mazzo Incendiario.
E poi c’era Ren.
Ren era stato semplicemente incantevole.
“Ren?” Lo chiamò, anche se non pensò minimamente di scostarsi dalla sua comoda posizione. Era la migliore per ballare, abbracciarlo e non farlo notare troppo in giro.
“Dimmi Lily.” Le fu risposto. Non che avesse una vera e propria domanda in mente, era più…
Sì, insomma.
Era cotta di lui in modo inesorabile e trovava del tutto legittimo dimostrarglielo. Del resto, per come si era comportato quella sera, per l’affetto e le attenzioni che le aveva dimostrato…
Insomma, non posso sbagliarmi.
Pensieri a parte, lo stava guardando. Si stavano guardando e ormai ballare era poco più che inerzia.
Lily si aggrappò con leggerezza alla sua spalla e si alzò in punta di piedi. Notò un lampo di smarrimento nello sguardo dell’altro ed ebbe un’esitazione. Poco più di un secondo, perché poi facendo valere tutti i suoi quindici anni lo baciò.
 
Sören ci mise più di qualche istante a capire cosa stesse succedendo.
Di solito era piuttosto rapido nei processi mentali: era naturale, gli era spesso stato necessario per sopravvivere o non farsi catturare.
Ma stavolta sentì il cervello incepparsi, lo sentì, quasi fosse un meccanismo mal oliato.
Poi realizzò.
Lily lo stava baciando.
E non sulla guancia, non sulla fronte. Non c’era nulla di amichevole in quel gesto, o affettuoso.
Non va bene.
Il cervello riprese a funzionare. Lo realizzò in un lampo.
Non va bene. Non va affatto bene.
Si staccò. “Non… Lily, che stai facendo?” Mormorò cercando di tenere il tono fermo o, che Faust glielo risparmiasse, alzare la voce.
Lily corrugò le sopracciglia, mentre un lampo ferito le passò nello sguardo. “Non si vede?” Replicò sfacciata per coprire l’evidente delusione. “Tu mi piaci, Ren. Pensavo…”
“No.”  

Realizzò in quel momento. Fu come una doccia gelida.
Lily era quella ingannata, e lui colui che ingannava. Questo lo sapeva. Ma c’era dell’altro. Era lui, il problema; come un povero idiota si era ingannato da solo, con le sue mani.
Quello che provava per lei era eccessivo e sbagliato, ridicolo… e ormai inevitabile.
Poliakoff aveva ragione: si era illuso di essere Luzhin a tal punto che era diventato Luzhin.
Non sei invaghita di me. Ma di lui. Di Luzhin, non di me. Io in tutto questo non esisto.
Si scostò bruscamente sotto lo sguardo sbigottito della ragazza.
“Ren, cosa…?” Tentò, cercando di toccargli un braccio. Fece un altro passo indietro. Non doveva toccarlo.
“No…” Ripeté. “… non è vero.”
Sì, se l’era detto più volte ma non aveva mai realizzato del tutto la portata di ciò che stava facendo.

Lily non sarebbe mai stata sua amica. Né tantomeno innamorata di lui. Non di Sören Hohenheim. Mai.
Io per lei non esisto.
Si sentì improvvisamente soffocare, come se la Sala gli incombesse addosso: le belle candele ghiacciate, la volta piena di nevischio, i tavoli eleganti, gli astanti, Lily. Lo stavano soffocando.
Quello che provava era reale. Lo era maledettamente, nessun dubbio su quello. Eppure, allo stesso tempo, non lo era affatto.
Stava soffocando.
Si allontanò dalla pista da ballo senza voltarsi.
 
To me you're like a growing addiction that I can't deny
Won't you tell me is that healthy?
 
Lily rimase impalata in mezzo alla pista. Non molti avevano visto ciò che era accaduto tra lei e Sören, ma abbastanza dal sussurrarle alle spalle.
Appena succede qualcosa ad un Potter, tutto sulla bocca di tutti!
Sentì un groppo chiuderle la gola e le lacrime premere prepotenti per uscire.
No, no. Non azzardarti a piangere, o finirà nel giornalino scolastico!
… si fotta il giornalino scolastico.
Che diavolo è… che diavolo…
Si sentì voltare piuttosto gentilmente anche se un po’ goffamente. Era il suo Hugo.
Magari per qualcuno la legge del Clan Potter-Weasley era poco più che ironia applicata ad una famiglia allargatissima. Non era vero: Hugo sapeva sempre quando aveva bisogno di lui perché lui era un Weasley e lei una Potter. Perché erano due Potter-Weasley.
“Ohi.” Disse. “Ti va di ballare, eh? Sì, vero? Ecco.” E l’afferrò con una certa sicurezza, sperimentando qualche passo.
È più coordinato con me che quando era con Gail… - pensò distrattamente. Si sentiva frastornata, come se avesse preso uno schiaffo in faccia.
Mi ha rifiutata.
Hugo invece le aveva appena risparmiato una figura patetica, dato che il suo primo istinto era stato quello di correre dietro al suo fuggitivo cavaliere. 
Non è vero? Non è vero cosa?
Abbracciò con forza il cugino, approfittando dei ritmi lenti della nuova canzone. “Ch’è successo?” Chiese Hugo con un borbottio. “Vuoi che vado a picchiarlo?”
Lily strinse ancora di più la presa. “Portami via…” Riuscì a dire e non fu male, dato che aveva solo voglia di scoppiare in singhiozzi. “Per favore, non voglio più ballare.”
“… ricevuto.” Hugo era un vero asso nelle fughe tattiche da ambienti che non gli erano congeniali. In men che non si dica Lily si trovò seduta ad un tavolo con accanto il cugino che la fissava tutto arruffato e con l’espressione angosciata.  Le porse un fazzoletto. “Vuoi un bicchier d’acqua? Che chiamo Al? Rosie?” Snocciolò frettoloso. “Dai, dimmi qualcosa, cacchio!”  

Lily sapeva che era davvero una rarità che non aprisse bocca.
Beh, è anche una rarità che qualcuno mi abbandoni sulla pista da ballo dopo che l’ho baciato.
E dopo il trauma, venne la rabbia.
Mi ha piantata! Senza una spiegazione! L’ho baciato, non minacciato di morte!
“Un bicchiere d’acqua va benissimo.” Si sentì dire, quasi fosse un’altra persona ad avere quel tono tranquillo e cordiale. In effetti il cugino la guardò in modo strano, ma annuì, alzandosi e scappando sollevato verso il rinfresco.
Lily si alzò in piedi e uscì fuori dal salone. Avrebbe trovato Sören; non aveva il minimo senso ciò che era successo. Certo, era consapevole del fatto che non poteva piacere a chiunque e che c’era la possibilità che non piacesse all’amico.
Ma non mi avrebbe mai piantata così. Non per com’è fatto. Se non avesse voluto baciarmi me l’avrebbe semplicemente detto!
Dopo essere salita al Primo piano per pura inerzia – era quella la strada che faceva ogni giorno – prese un profondo respiro. Non poteva vagare alla sua ricerca a caso. Doveva pensare.
Appoggiò una mano ad una parete, sentendola freddissima; era quello che le serviva per tornare in sé.
Sören era letteralmente fuggito: non c’era verbo migliore che esprimesse il concetto. Era fuggito quasi avesse visto l’inferno spalancare le sue porte.  
Potrebbe essere andato alla nave.
Improbabile, pensò subito: il vascello era troppo distante. Nessuna persona sana di mente avrebbe camminato mezzo miglio con parecchi gradi sotto zero e solo un’uniforme di gala a proteggerlo.
Si morse un labbro frustrata; cercarlo non era semplice. Poi le sovvenne un pensiero.
Cosa farei io, se fossi scossa come lo era lui?
La soluzione le si presentò in pochi secondi.
Andrei a sciacquarmi il viso. Quindi andrei in un bagno.
I primi bagni erano al piano terra, Sören lo sapeva per forza, dato che li aveva usati. Tanto valeva provare.
Ridiscese la scalinata di marmo e quasi si scontrò con Rose e Malfoy, usciti dalla Sala Grande in direzione della porta principale: forse volevano andare a godersi il giardino magico realizzato per l’occasione. 
“Lils!” Esclamò Rose. Doveva avere un’espressione piuttosto eloquente se la cugina la guardava con quella preoccupazione. “Va tutto…?”
“Sì!” Sbottò in fretta, sorpassandoli. Ignorò il richiamo dell’altra ragazza e si infilò senza colpo ferire nel bagno dei ragazzi; era deserto.

Naturale. Nessuno studente utilizza i bagni di servizio quando sopra ha i propri… e per quanto riguarda gli ospiti, beh… se ne sono già andati quasi tutti.
Il bagno era immerso nel silenzio e Lily poteva sentire il ritmo veloce del suo respiro. Aveva fatto le scale di corsa, ed erano tante.
Poi capì che non era lei a respirare così; era un’altra persona. Di fronte al grande lavabo centrale, chinato in avanti con le braccia a puntellarsi sul ripiano di pietra, c’era Sören.
La casacca era stata abbandonata a terra, quasi se la fosse voluta togliere di dosso il più velocemente possibile, senza l’onere di posarla da qualche parte. Sulla leggera camicia di lino sottostante si stava allargando una grossa macchia di sudore.
Quando ha sudato così? Fa freddo tra l’altro!
La schiena si alzava ed abbassava. Stava respirando male.
… ma che…
Doveva capire. Doveva capire a costo di… beh, di parecchio. Si toccò il lobo dell’orecchio, percorse la cartilagine con le dita. Inspirò. E poi si tolse l’orecchino di controllo.
Sören non sembrava essersi accorto della sua presenza, quindi poté avvicinarsi senza che l’altro la notasse. Il viso gli gocciolava d’acqua: come aveva supposto, era andato a sciacquarsi il viso. Teneva gli occhi chiusi e l’espressione…
Di nuovo quell’espressione.
Un tormento profondo, l’avrebbe definito.  
“Ren.” Lo chiamò e il ragazzo si irrigidì. Le lanciò un’occhiata molto simile a quella di qualcuno consapevole di essere braccato da qualcosa di spaventoso.
Cavolo. Sono io? No, non è possibile. Che gli prende?
“Lily.” Disse e il tono era talmente in controllo da suonare falso. “… non dovresti stare qui, è il bagno dei ragazzi.”
Lo ignorò. Non meritava neanche risposta. “Che ti prende? Stai bene?”
“Sì… sto benissimo.” Era una palla talmente assurda che suonava quasi grottesca.

Lily capì che non aveva senso: non era per il bacio. O meglio, non solo. C’entrava il bacio, ma non sembrava entrarci lei, in quanto ragazza da rifiutare.
Riesco a capirlo perché sono senza orecchino?
Non poteva saperlo naturalmente. Ma doveva. Approfittandosi dell’attimo di sorpresa dell’altro – non si era aspettato che lo seguisse perché era il bagno dei ragazzi? Illuso – lo afferrò con forza per il polso. Fu un gesto istintivo, non sapeva cosa sarebbe successo. Per gli incantesimi serviva una bacchetta, per il suo potere…
Beh, sembrava bastasse toccarlo. Perché sentì.
Un terrore infinito, angoscia, orrore le ghiacciò l’intero corpo e si sentì quasi mancare l’aria.

Era quello che Sören provava in quel momento?
Oh, Merlino…

E poi vide un volto. Le balenò davanti quasi fosse un incubo. Un volto di uomo, occhi freddi, lineamenti familiari, capelli scuri.
Tom?
Non era Tom, naturalmente, ma gli somigliava da morire.
Smettila!” L’urlo la riportò bruscamente alla realtà, ma non fece in tempo a rimettere a fuoco la situazione che Sören l’afferrò per le spalle e la sbatté contro uno dei cubicoli in cui era diviso il bagno.  
“Ren!” Esclamò frastornata. Chi era quell’uomo? Cos’aveva visto?
Il volto dell’amico era vicinissimo al suo, sfuocato in un’espressione aggressiva.  “Non… frugarmi nella testa.” Il tono era basso, poco più di un sussurro ma Lily ne fu più spaventata che se avesse urlato.
“S… scusa.” Le uscì in un soffio. Avrebbe dovuto provare paura di fronte a quell’attacco? L’aveva aggredita, certo. Aveva paura. Ma non di lui.
Ho paura e basta. E non è la mia paura. È la sua.
Si umettò le labbra. Sören la teneva schiacciata tra lui e il legno del cubicolo: le sembrava di sentire il cuore dell’altro batterle contro impazzito. “Voglio…” Riprese controllo sulla poca voce che aveva. “… voglio solo aiutarti. Dimmi che ti succede, per favore.” Le uscì, perché era vero. A questo punto era inutile negare l’evidenza: il suo principe non era poi tanto azzurro e aveva un gigantesco problema.
“No, non puoi.” La risposta fu sferzante, rapida. Non ci aveva neanche pensato, ci scommetteva. “Devi…” Vide l’esitazione tremargli sui lineamenti, ma poi continuò. “… devi starmi lontana, d’ora in poi.”
“Cosa?” La voce le tornò piuttosto prepotente. Era un giocare d’istinto lì. “Non puoi…”
“Stammi lontana.” Ripeté, serrando la presa.

“A… allora…” Dannata voce tremante. “… perché non mi lasci?” Le uscì naturale, non filtrato. Era quello che pensava, ma non avrebbe voluto dirlo. Voleva che Sören le stesse vicino; certo, magari senza farle male come in quel momento, ma…
Come si fa a credere a qualcuno che ti ordina di allontanarti e poi fa in modo che tu non lo faccia?
Sören inspirò, assumendo di colpo quella sua espressione smarrita, che le faceva stringere il cuore.
“Io…”
E poi sentì il senso di colpa. Di nuovo non suo, dato che non aveva nessun motivo per provarlo.

 
“Lily! Dove sei?”

Era la voce di Rose, la sentì chiara a pochi metri da loro. Era fuori dai bagni, la sua brillante cugina; doveva aver capito che era quella la sua meta e l’aveva quindi seguita.

Sören si staccò di colpo, come se si fosse scottato. Non disse una parola e afferrò la sua giacca caduta a terra.
“Ren, dove…”
“Stammi lontana.” Mormorò senza guardarla. “Fallo e basta.”

Qualsiasi cosa stesse pensando o provando, Lily non riuscì più a coglierla perché uscì fuori dal suo raggio d’azione uscendo da quel bagno.
Averlo vicino. Funziona così.
Pochi attimi dopo Rose entrò di gran carriera, seguita da un Malfoy incredibilmente serio.
“Lily, per tutti gli inferni brulicanti!” Esclamò abbracciandola d’istinto. “Stai bene?”
“Sì, non è successo niente.” Stava bene, e nessuno doveva pensare che Sören le avesse fatto qualcosa. Perché non l’aveva fatto.

Cioè, sì, mi ha spinta, ma non è che…
“Luzhin è uscito come un bolide, qualcosa è successo per forza.” Replicò Scorpius, guardando l’ambiente, le chiazze d’acqua ovunque e infine lei. 
“Merlino, che ti ha fatto?!” Esclamò Rose, e Lily abbassò lo sguardo. Si spaventò un po’ quando vide che aveva cinque segni rossi su entrambe le braccia. E bruciavano anche. Non se n’era accorta a causa dell’adrenalina. “Ti ha strattonata, quel figlio di…”
No!” Esclamò d’istinto. Okay, le aveva fatto qualcosa, ma era certa che non fosse stata sua intenzione. Lo sapeva, punto e basta. “Non è… insomma, stava male! Non voleva!”
“Niente di quello che può succedere ad un ragazzo può giustificarlo dall’afferrare una ragazza come una fune da scalare.” Scorpius aveva un’espressione tesa, bellicosa. Non c’erano bacchette in vista, ma non era detto che non ce ne sarebbero state se non avesse dato qualche spiegazione. Tipo, subito.

Solo, quale?
In condizioni normali gli avrebbe dato ragione su tutta la linea. Anzi, si sarebbe personalmente incaricata di andarlo a denunciare al suo Direttore e di fargli assegnare la punizione più sgradevole.
… ma non voleva farmi male. Non se ne sarà neanche accorto, come quando mi ha afferrata dopo il colloquio con il ritratto del Preside Piton…
Inspirò.
“Per favore, non ditelo a nessuno.” Di fronte all’espressione incredula dei due amici, scosse la testa. “Ve l’ho detto, non voleva farmi male.”
“Col cavolo, Lily! Ma ti ascolti?!” Sbottò Rose. “Sembri una di quelle donne maltrattate!”
Quella fu la vera doccia fredda. Perché Rose, per quanto tendesse sempre al dramma, stavolta aveva ragione. Non era da lei coprire così qualcuno. Per niente.

“Sentite, non lo so.” Ammise per quanto le costasse farlo. Di nuovo, come durante il duello con James, aveva capito cosa provava, ma non il perché. “Ha perso la testa e non lo so… forse è lo stress per il Tremaghi.” Azzardò, sapendo di mentire.
Scorpius si tolse la giacca, mettendogliela sulle spalle. “Non diremo niente, se è quello che vuoi.” Iniziò, fermando con un’occhiata l’accenno di protesta della sua ragazza. “… ma penso tu sia abbastanza sveglia, Piccola Potter, da capire che da uno così devi stare lontano minimo due piani di scale.”
Lily bloccò una rispostaccia. Dopotutto Malfoy la stava solo consigliando. Non le stava ordinando nulla.  Ed ha pure ragione…
“Sono abbastanza sveglia Malfoy.” Gli sorrise. “Anche di più.”  
Scorpius annuì, ricambiando il sorriso. “Vuoi tornare alla festa?”
“Non se ne parla!” Si intromise Rose senza mezzi termini. “Manca solo che incontri di nuovo quel pazzo!”

“Non credo che sia tornato in Sala Grande, ma comunque sì, niente festa… preferisco andare a letto.” Annuì. Aveva solo una voglia incredibile di rannicchiarsi sotto le coperte.
Ho bisogno di crollare. Bisogno sul serio, accidenti.
“Va bene, vengo con te.” Sorrise sua cugina, già più tranquilla. “Sono un po’ stanca anch’io.”
Okay, vuole controllare che vada a letto come se avessi cinque anni. Ma con quel che m’è successo…
… sì, mi sa che glielo devo.
“Vi accompagno. Non ho intenzione di essere placcato dai miei appena rimetto piede in sala.” Soggiunse Scorpius facendo loro l’occhiolino, forse per alleggerire la situazione, forse perché era Malfoy, l’uomo ammiccante.
Rose gli fece un microsorriso, poi le passò un braccio sulle spalle, protettiva. “Sei sicura di non voler…”
“Non voglio denunciarlo.” La interruppe. “Ho le mie ragioni.”  

Gli altri due si guardarono, ma per fortuna rinunciarono a replicare.
Non avrei proprio la forza di mettermi a discutere adesso.
Si lasciò accompagnare fino alla sua stanza da Rose, vuota ad eccezione di Gail, a prima vista già nel mondo dei sogni. Le augurò la buonanotte e si chiuse la porta alle spalle.
Che. Diavolo.
Non aveva neppure voglia di piangere. Tutto quello andava ben oltre al suo orgoglio ferito, ben oltre ai suoi sentimenti presi a calci.
Molto oltre.
Sentì Gail muoversi sotto le coperte. “Ehi…” Mormorò assonnata. “… sei tornata presto. Tutto okay?”
Lily sforzò un sorriso. “Brutta serata anche per me.”
Per fortuna Gail non chiese delucidazioni, così poté infilarsi sotto le coperte senza dover parlare; si tolse solo le scarpe e posò la guancia sul cuscino freddo; se la sentiva bruciare. Il braccialetto di Ren catturò un raggio di luna che filtrava dalle finestre, brillando; il cielo dalla finestra era terso, non c’era neppure una nuvola.

Una serata perfetta…
Stavolta le lacrime neppure ci pensò a fermarle.
Che diavolo significa, Ren?
 
****
 
Albus non avrebbe mai pensato di finire la serata a fare il guardone.
Cioè, non precisamente.
Ma come altro si poteva chiamare il ruolo impostogli da un brillo e scaricabarili Direttore Lumacorno?
Avrei dovuto dirgli di no e andarmene a letto. Tanto, questa serata è stata una schifezza.
Aprì l’ennesimo sportello, trovandovi all’interno due ragazzi intenti a scambiarsi effusioni vivaci.
Due ragazzi maschi.
Aaah… meglio mi sento.
“Scendete.” Borbottò illuminandoli con un fastidioso quanto efficace lumos. “Avanti.”
“Fatti i fatti tuoi, Potter!” Rispose uno dei due, poco preoccupato di trovarsi di fronte un Caposcuola.

Mh. Sesto anno, Boyd Brennan.
“Grifondoro, eh?” Chiese ottenendo un’occhiata allarmata. “Sì, Grifondoro. Dieci punti in…”
“Va bene, va bene!” Esclamò l’altro occupante clandestino, rivestendosi alla meno peggio. “Andiamo, dai! È un Caposcuola, può toglierci i punti!”

Brennan fece una smorfia, ma acconsentì sotto la pressione del compagno. “Guardone!” Gli urlò quando furono a distanza di sicurezza, prima di scappare via.
Albus ebbe l’ impulso di sbattere la testa contro la prima superficie dura disponibile.
Tom l’aveva ignorato praticamente per tutta la sera. Era stato di un umore talmente metifico che solo Meike era scampata alle sue frecciatine al vetriolo.
Quando anche Rose l’aveva abbandonato per Malfoy – ne era stato contento, sul serio – aveva fatto per un po’ compagnia a Michel, salvo che questi si era mostrato più interessato a concludere con un piccoletto francese, che a dargli retta. Il francesino inoltre l’aveva fissato malissimo finché non li aveva salutati.
E Nott… sì, vabbeh, Loki in queste occasioni è reperibile quanto sangue di unicorno.
Si era divertito comunque, aveva ballato quanto e come aveva voluto.
Ma avrei voluto ballare con Tom.
Magari non così platealmente come avevano fatto sua cugina e Malfoy: quel genere di gesti non gli si confacevano. Li trovava belli sì, ma un pochino esagerati.
Roba da Grifondoro, insomma.
Aprì l’ennesima carrozza, stavolta trovandola fortunatamente vuota.
Beh, mi farò odiare solo da circa una dozzina di coppie. Perché diavolo il Direttore ha bevuto così tanto? Odio l’innata capacità serpeverde di scaricare la patata bollente a qualcun altro.  
Si voltò e per poco non gli prese un colpo. Tom era lì, quasi l’avesse chiamato pensandolo. Aveva però poca neve sul mantello invernale, il che significava che era appena uscito dal castello.
“Che stai facendo?” Gli chiese blandamente divertito.  
“Il lavoro del Professor Lumacorno.” Replicò neutro, chiudendo lo sportello e incamminandosi verso la carrozza seguente. Ondeggiava leggermente e Al tremava d’orrore all’idea di cosa avrebbe potuto trovarci.
Tette al vento? Urgh.
“E tu che ci fai qui? Stancato di far festa?” Non aveva potuto fare a meno di usare il sarcasmo.
Sentì un lieve sospiro da parte dell’altro. “Cercavo te.” Fece una pausa. “Sei arrabbiato?”
No, adoro passare un evento del genere da solo mentre tutte le coppie tubano nel grande miracolo natalizio!

“Sono stanco.” Disse, giusto per fargli capire che non lo era, ma che non gli avrebbe rivelato la causa. “E non è piacevole essere il guastafeste della situazione.”
Tom lo afferrò per una mano e strinse. “Allora smettila.” Lo strattonò appena. “Vieni.”
“Ho da fare.”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Sei arrabbiato.”
“Wow, sei davvero geniale come dicono.”
Tom lo voltò verso di sé. Lo scrutò un po’, poi rilasciò un lungo sospiro. “Sembravi divertirti con Rose.”
Al stavolta si trattenne seriamente da strozzarlo con la sua sciarpa coordinata al cappotto. “Certo che mi diverto con Rose, è mia cugina! O volevi che mettessi il broncio e fissassi il nulla cosmico come te?”

Tom ebbe quasi un’espressione colpevole. “La serata non è finita.” Tentò.
È finita. La gente si imbosca e gli ospiti se ne vanno.”
“Non per noi.” Lo afferrò di nuovo per mano. “Vuoi venire o no?”

Al era curioso, suo malgrado. Tom non avrebbe mai improvvisato nulla, non ne era capace: sicuramente aveva già qualcosa in mente da prima.
Solo l’ha tirata un po’ lunga sulla tempistica.
“Va bene…” Concesse liberandosi dalla sua presa. “… ma non ti tengo per mano. Hai le mani gelate.”
Tom fece una smorfia irritata, ma non ribatté. Al dovette trattenere un sorriso, quando lo vide strofinarsele per produrre un po’ di calore e infine, vinto, infilarsele nelle tasche del cappotto. “Di qua.”
Al lo fissò un po’ stupito: di là c’era il giardino ornamentale creato per onorare lo spirito del Ballo del Ceppo, o più prosaicamente, ogni occasione era buona per stupire gli ospiti stranieri.
Il giardino era molto più caldo rispetto all’ambiente circostante sebbene fosse interamente fatto di ghiaccio; fino a poco prima dovevano avervi passeggiato coppie ed ospiti ma adesso era vuoto e si sentiva persino la fontana centrale zampillare, colma di succo di zucca ghiacciato.
Questa dev’essere stata un’idea del Preside…
Tom si fermò poco distante dalla fontana. Esitò sotto il suo sguardo indagatore.
“Volevi che passassimo la serata assieme?” Chiese infine.
 
Decisamente era quello che Al voleva.
Non era un fine interprete delle emozioni altrui, ma l’espressione dell’altro era un libro aperto.
“Perché non me l’hai detto?” Non amava quelle serate di socializzazione forzata, ma Al invece le adorava. Meglio, ci si divertiva. Invece lui, dopo quello che gli era successo l’anno prima, aveva perso ogni interesse nelle pubbliche relazioni.
Non ho certo intenzione di diventare una pedina o rientrare nell’interesse di qualcuno. Mai più.
Io gioco da solo.
Al scrollò le spalle. “A che sarebbe servito? Ti conosco, so che quando sei di cattivo umore non cambi idea.”
Perfetto.
Aveva fallito su tutta la linea. Durante i giorni precedenti, vedendo l’eccitazione dell’altro, aveva intuito che per lui era importante, in qualche modo. Ma preso dai suoi pensieri, dalle sue preoccupazioni e non ultimo, da Luzhin, si era completamente dimenticato della cosa.
Oltretutto, l’aveva visto divertirsi assieme a Rose e alcune compagne di scuola. Aveva pensato che non aveva certo bisogno del suo muso lungo nei paraggi.
E invece.
Però aveva una soluzione. O meglio, la soluzione l’aveva perché qualcuno gliel’aveva suggerita.
Incredibilmente, Meike.
 
“Non ci balli con Mutti?”
“… come?”

Tom ci aveva messo qualche secondo a ricordare che Al ormai era noto così, tra loro due.  
“Non ci balli con Al?” Ripeté la bambina, comodamente sedutagli in braccio. Si era fatta prendere per poter vedere meglio la Sala, dato che era così super-alto.
“Mutti balla un sacco ed è pure bravo, poi vado a chiedergli se vuole ballare con me.” Spiegò la bambina, perdendosi un po’ nel ragionamento. “…ma voi vi baciate, quindi dovete ballare!”
“Una cosa non presume l’altra.”
“Non ho capito, ma
devi ballarci.” Una pausa. “Scemo!”
Ah, ecco. Sta prendendosi troppe libertà. Colpa di Al.
“I maschi non ballano assieme, Meike.” Tentò di spiegarle.
“Invece sì! L’ho visto in tv! E poi prima c’era pure una coppia, l’ho vista!”

“Sì, ma io e Al non balliamo. Assieme.”
“Perché tu non sai ballare?”
“Non è questo il punto.” Lo era, collateralmente. Sì, okay, principalmente. Albus era sempre stato bravino: da bambino l’aveva spesso visto ballare in camera sua canzoni che in effetti avrebbero dovuto aprirgli uno squarcio chiarificatore sui suoi gusti sessuali.

… lui invece non aveva mai mosso un passo. Non. Uno.
“Devi ballare! Un ballo lento… con quello sono bravi tutti, devi solo ondeggiare un po’, così!” E si era dimenata come un’anguilla, con il rischio concreto di cadere. L’aveva afferrata più saldamente.
“No.”
“Guarda che Mutti ti molla!”

“Non mi lascerebbe per una sciocchezza simile.” Si rifiutava di essere inquietato delle supposizioni di un undicenne.
Meike aveva inarcato un sopracciglio come aveva imparato a fare da lui.
“Sarà meglio che ti inventi qualcosa, Tom.” Gli aveva puntato un dito sul petto. “Perché tu sei il suo cavaliere!”
 
… e qualcosa aveva in mente, per quanto lo imbarazzasse profondamente. Il suo piano coinvolgeva un oggetto babbano che aveva recuperato dai dormitori – non suo, di Al – e la presenza, di Al.
Glielo doveva. Albus sopportava perennemente le sue crisi, i suoi guai e la sua irrisolta incapacità di considerare gli esseri umani più importanti di un libro.
Io mi piaccio come sono. Ma lui non è tenuto a fare altrettanto.
 
Al guardò con curiosa perplessità Tom tirare fuori dal mantello l’ipod viola che gli aveva regalato per Natale.
Lui a me.
“Perché l’hai preso?” Non che non funzionasse; funzionava. Attaccato al fondo del lettore c'era un semplice, minuscolo brillantino rosso, circolare e non più grande di un'unghia. Prodotto dei Tiri Vispi, ancora da brevettare, emetteva un leggero campo magico che proteggeva il congegno dal campo magnetico invece emesso da Hogwarts.
Tom lo sfiorò con la punta della bacchetta, azionandolo. “Perché la selezione musicale di stasera fa schifo.” Disse.
Gli venne da ridere all’espressione sdegnata dell’altro. Sulla musica non transigeva. Gli aveva regalato quel lettore multi - qualcosa e l’aveva caricato personalmente.
Tom si chinò, mettendogli gli auricolari. “Ehi!” Gli venne un po’ da ridere, perché gli stava facendo il solletico. “Che fai?”
“Per ballare serve la musica.” Disse, e prima che potesse ribattere qualsiasi cosa, schiacciò il tasto d’avvio. O play. Era poco avvezzo a tutta quella terminologia babbana.
Le prime note della canzone gliela resero immediatamente familiare.  
 
Honey you are a rock, upon which I stand
And I come here to talk, I hope you understand
 
Tom doveva conoscerla bene, quella canzone, da come l’aveva scovata a colpo sicuro in mezzo a tutti quei titoli. Anche lui la conosceva, gli piaceva. Si sentì poi prendere per mano.
Cavolo.
Quella posizione era inequivocabile.
… Ssì, insomma…
Tom stava ballando. Stavano ballando.
“Ascolta le strofe.” Gli disse. Al ascoltò.
 
The green eyes, shines upon you
And how could, anybody, deny you
I came here with a load and it feels so much lighter
Now I've met you…


… razza di scemo…
Le guance gli presero fuoco. Perché era quello che voleva: non grandi dichiarazioni, o scene parossistiche da film. Gli bastava che Tom scegliesse una canzone per lui e che gli stesse vicino. Che fosse il suo Tom, tutto lì.
“Mi dispiace.” Gli mormorò, e nonostante la voce fosse bassa e la canzone fosse alta, lo sentì comunque. “Sei la persona più importante che ho, non pensare mai il contrario.” Guardò ovunque tranne che lui, anche se a quanto pare erano importanti anche i suoi occhi verdi. “La prossima volta…”
“… mi basta che abbiamo questo ballo.” Concluse per lui, ricacciando eroicamente i lucciconi dove dovevano stare. Lontani. “… anche se deve parlare di cose lugubri.”
“Falla finita.” Disse con una lieve smorfia. “Tanto lo so che ti piace ciò che ascolto.”

“Mi piace perché mi ricorda te, zuccone.”
 
Honey you should know
That I could never go on
Without you
 
Tom lo strinse a sé e quindi Albus trovò del tutto giustificabile appoggiargli la testa sulla spalla.
Le feste in fondo funzionavano così, ad alti e bassi. Ora era decisamente un alto.
“Dici che abbiamo vinto la palma della coppia più stucchevole della serata? Un po’ in corner, ma…” Gli mormorò contro la stoffa del mantello.
Tom gli diede un lieve bacio sulla testa. “Puoi giurarci.”
“Stai per avere una crisi di allergia allora?”
“Già.”
“Facciamo prima finire la canzone però.”
“Facciamo prima finire la canzone.”  

 
The green eyes
You're the one that I wanted to find…
 
****
 
Note:

Capitolo dedicato alle due festeggiande Andrea Moon e
Anastasia_Malfoy!
Sfortunatamente l’aggiornamento della prossima settimana, salta. Sono a Vienna. ;)  
Un ringraziamento a Stitch84 per avermi dato una mano col banner. ^^
1. ‘I feel like dancing (tonight)’ All Time Low

2. ‘Iris’ Goo Goo Dolls
3. ‘Kiss from a Rose’ Seal
Rimando alla playlist della scorsa volta.
La quarta canzone è questa che io ho sempre ricollegato a tutti i portatori di occhi verdi della famiglia Potter. Meno Harry. xD

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Capitolo 44
*** Capitolo XLI ***


Capitolo XLI




 
 This is my life, It’s not what it was before
All these feelings I’ve shared
Somebody shake me, ‘cause I, I must be sleeping
(Far away, Staind)¹
 
26 Dicembre 2022
Scozia, Hogwarts, Lago Nero. Mattina.
 
Non era stato affatto semplice richiedere un permesso per perquisire il vascello di Durmstrang.
Naturalmente, politica.
Ron aveva passato un’intera, prima mattinata rimpallato tra l’Ufficio Cooperazione Magica Internazionale e quello dei Giochi e Sport Magici. Se nel secondo caso aveva trovato porte aperte e grandi sorrisi – la maggior parte dello staff era composto da vecchi compagni di Casa – naturalmente il Dipartimento di riferimento di Draco Malfoy – sebbene quest’ultimo fosse ancora in ferie - era stato più restio a concedergli la firma sul dannato modulo di permesso di indagine.
Nora in tutta quella trafila era stata molto utile. La sua influenza transnazionale e le sue chiamate rapide via camino all’ufficio centrale di Boston per contattare ‘amici di amici’ avevano snellito i tempi d’attesa.
Alla fine Ron era tornato in ufficio seguito dalla donna, nervoso ma trionfante, stringendo in pugno il cuoio che rivestiva le bolle ufficiali con tanto di firme-che-contavano.
Harry allora aveva chiesto se poteva accompagnarli, dato che dopotutto non era sua l’indagine. Era stato guardato dall’amico con divertimento, tanto quanto da Nora.
“Harry, pensavo fosse scontato…” Aveva ironizzato l’americana.
 
Così, una materializzazione ad Hogsmeade e una lunga camminata nel parco imbiancato di Hogwarts più tardi, si trovarono di fronte al vascello della scuola nordica. Era completamente sprangato e le vele ammainate. Sembravano non voler neppure comunicare con l’esterno.
Non penso stiano semplicemente dormendo.
“Da ragazzino mi faceva impressione.” Commentò Ron storcendo appena le labbra. “Mi sa che non ho cambiato idea.” Si scrollò poi la neve dal mantello e ordinò ai due giovani auror, una versione ridotta della sua squadra, di rimanere sulla banchina a tenere la guardia. Sembrava essere perfettamente concentrato sulle indagini, ma Harry sapeva quanto e come avesse la testa da tutt’altra parte.
Con quello che è successo ieri, temo sia normale.
Non se la sentiva di solidarizzare troppo con l’amico però, e dunque giustificarlo.
Dopotutto Scorpius, carattere esibizionista a parte, è un bravo ragazzo. Luzhin ho paura che non lo sia.
Ad un certo punto della serata peraltro aveva perso Lily di vista; solo grazie alle rassicurazioni di Hugo, che aveva detto lui fosse tornata alla Torre di Grifondoro, non era andata a cercarla forsennatamente per tutti i sette piani del castello.
Essere obbiettivo… è da un anno a questa parte che è un’opzione.
Prima Thomas, adesso Lily…
Ron nel frattempo si era avvicinato all’entrata principale. La passerella di imbarco era ancora lì, ma il boccaporto di ingresso era chiuso. Lanciò lui uno sguardo ed Harry gli fece cenno, un po’ scoraggiato, di bussare.
“Non credo vi sentiranno.” Obbiettò Nora.
“Credo che abbiano i loro modi, invece.” Replicò Harry, lanciando uno sguardo al cielo livido sopra le loro teste. Minacciava pioggia o molto più probabilmente, nuova neve. Inoltre, la superficie violacea del lago e il legname scuro di cui era fatta la nave aggiungevano cupi dettagli ad un quadretto già poco allegro.
Sono passate solo poche ore dal Ballo, ma sembra che Durmstrang se lo sia ben lasciato alle spalle.
Un rumore di chiavistello girato nella toppa li fece voltare. Dalla porta uscì un ragazzo, seguito da altri due che gli stavano alle spalle, in formazione di stampo militare.
Vedendoli, fece un breve inchino, imitato dagli altri due. “Il mio nome è Dionis Radescu.” Si presentò. “Primo Ufficiale di coperta. Posso fare qualcosa per voi?”
Il tono era garbato, ma Harry si accorse dello smarrimento negli occhi degli altri. Il giovane ufficiale era invece più calmo.

O più controllato.
“Capo-squadra Ron Weasley.” Si presentò Ron, un po’ sconcertato: non era certo abituato a rapportarsi in via ufficiale con ragazzi coetanei ai suoi figli. “Abbiamo bisogno di scambiare qualche parola con Sören Luzhin.”
Radescu stavolta tradì sorpresa, mostrando alla perfezione i suoi diciassette anni. “Luzhin…” Si riprese subito però, irrigidendosi maggiormente nella posizione di attenti. “Se è un inchiesta ufficiale devo vedere i permessi. Altrimenti non mi è concesso lasciarvi passare.”

Questi ragazzi si rapportano al mondo come fossero soldati. Merlino, sono felice che i miei figli siano tutti nati nell’orbita di Hogwarts.
“Devo farli vedere a te?” Non riuscì a trattenersi Ron. L’allievo non fece una piega e annuì cortesemente.
“Temo di sì, signore. Come ho detto, sono l’ufficiale in carica. Il nostro Direttore è al momento assente.”
“Dove?” Si intromise Harry.

“All’Istituto.” Fu la pronta risposta. “Preparativi, Signore.” E rimase in silenzio, attendendo.
Ron con uno sbuffo e un’occhiata esasperata nella sua direzione glieli tese. Il ragazzo li scorse con lo sguardo; dietro l’aria formale era smarrito, come un qualsiasi adolescente che aveva di fronte agenti della polizia magica.
Com’è normale, grazie a Merlino.
Riconsegnò loro i documenti. “Prego, da questa parte.” Disse, facendo cenno agli altri due di farli passare: essendo di stazza piuttosto considerevole, con la loro sola mole avevano bloccato l’entrata.
Entrarono dunque dentro la pancia ‘del mostro’: Lily l’aveva appellato così nella loro corrispondenza autunnale e Harry trovava che avesse centrato perfettamente il punto. Era quella l’impressione che si aveva camminandovi dentro. Radescu e compagni illuminavano loro la strada con la bacchetta, ma era un rimedio  esiguo per contrastare le tenebre umide e dal sapore salmastro che li circondavano.
Harry fu piuttosto sollevato quando finalmente varcarono un boccaporto accedendo ai piani superiori; c’era luce almeno, seppur poca e filtrata dagli oblò.
Quei corridoi non erano però più animati; si sarebbe aspettato più vivacità da una scolaresca maschile priva del suo Direttore. Invece non volava una mosca.
“Dove sono gli altri studenti?” Chiese Ron anticipando la sua domanda.  
“Nelle proprie cabine.” Fu la risposta. “La partenza è oggi, dobbiamo mettere ordine nei nostri effetti personali prima di salpare.”
Harry non ricordava così gli studenti di Durmstrang: li ricordava sì un po’ rigidi, ma non così formali, e non così privi di…
… non sembrano neppure ragazzi.
Non c’era spontaneità nell’espressione del giovane ufficiale Radescu né tantomeno in quelle dei suoi due subalterni. Questo non significava però che non vi fosse nulla.
C’è eccome.
Sembravano controllati. Controllati da qualcuno, ma non da un incantesimo. Non c’era nessun imperio, ma Harry sentiva l’aria tesa, costretta.
“Ehi, ma è questa la direzione delle cabine?” Chiese Ron all’improvviso. Harry, preso dai suoi pensieri, non si era ben accorto della direzione presa; in effetti non avevano oltrepassato le fitte porte dei dormitori.
“Pensavo avreste preferito accomodarvi nel nostro salotto degli ospiti.” Obbiettò Radescu.
“Preferiamo andare direttamente da Luzhin.” Replicò Ron spiccio. “Portaci alla sua stanza.”
 Questo si limitò ad annuire.
Tornarono indietro, e dopo una manciata di minuti furono davanti ad una porta. L’alloggio non sembrava più spazioso o migliore rispetto agli altri. Sembrava che nel vascello regnasse un clima egalitario, ben diverso dello smaccato trattamento di favore che Krum aveva avuto anni prima.
Radescu bussò alla porta due volte prima che gli venisse aperto. Non fu Luzhin a presentarsi però, ma un ragazzo bassetto, dalla barba caprina e gli occhi assonnati.
L’assistente. Quindi dividono anche la camera…
Si lanciò un’occhiata con Ron e intuì che l’amico aveva pensato alla stessa cosa.
Non può non essere coinvolto, se lo è Luzhin.
Il ragazzo si rivolse aspramente al giovane ufficiale, con un tono così irriverente che era chiaro che fosse qualche gradino sopra nella scala gerarchica. Poi li vide e l’espressione mutò completamente.
Ecco, questa è un’espressione spaventata come si deve.
“I Signori sono qui per parlare con Luzhin.” Spiegò calmo Radescu, in inglese. “Kiriev, falli passare.” Aggiunse poi con tono sbrigativo vedendo che l’altro non accennava nessun movimento.
“Dov’è Herr Direktor?” Chiese, e per tutta risposta si piazzò di fronte alla porta. Radescu serrò appena le labbra, in una chiara smorfia spazientita e nervosa.
“È fuori. Hanno i permessi di indagine. Dov’è Luzhin?”  
Stava accadendo qualcosa, intuì Harry. Era chiaro che il Primo Ufficiale volesse collaborare, forse per non attirare attenzione su di sé o forse perché loro erano adulti e tutto quello era ufficiale.
Quel Kiriev invece stava chiaramente facendo ostruzione, e la stava facendo perché era nel panico.  “Ragazzo, togliti di lì o penseremo che tu non voglia farci entrare.” Lo avvertì Ron stufo di doversi relazionare formalmente con ragazzi che avrebbe invece voluto sgridare.
“Io…”
“Che sta succedendo?” Una voce dall’interno della cabina lo fece ammutolire. Harry la riconobbe come quella di Luzhin. Poco dopo infatti entrò nella loro visuale; era stato probabilmente colto di sorpresa nelle sue abluzioni mattutine a giudicare dalle ciocche di capelli umidi e la mancanza della giacca dell’uniforme che sembrava parte obbligatoria del vestiario degli altri. Fece cenno all’assistente di spostarsi e quello lo fece senza fiatare.
“Posso esservi utile?” Chiese con la stessa formale cortesia di Radescu. Harry provò a trovare qualche segno di sorpresa o preoccupazione nella sua espressione. Non c’era. Di nuovo, non c’era niente.
Occluso anche stavolta?
Non deponeva certo a suo favore.
“Vorremo scambiare qualche parola con te, ragazzo.” Riprese Ron. “A proposito della Prima Prova.” Poi lanciò uno sguardo anche al caprino assistente. “E anche con te.”
Ancora nessuna reazione percepita da parte del tedesco. Harry lanciò un’occhiata a Nora, ma la donna gli rimandò uno sguardo privo di risposte.

Ancora troppo presto per farsi un’idea.
“Certo.” Dichiarò neutro. “Ma prima vorrei sapere…”
“Qual è il problema?” Sbottò l’altro, interrompendolo. “E poi, avete il diritto di stare qui?Questo è suolo di Durmstrang, e…”
“Hanno i permessi.” Si inserì Radescu, ma non guardò lui, ma Luzhin. “Li ho visionati io.”
Ci fu uno scambio di sguardi tra quest’ultimo e il giovane ufficiale. Poi Luzhin fece un lieve cenno della testa. “Va bene.” Disse. “Suggerirei però di spostarci nel salotto degli ospiti, temo che la nostra cabina sia troppo piccola.”

In effetti, l’ambiente non dava la possibilità di ospitare cinque persone. Conteneva a malapena due cuccette, una piccola scrivania e due bauli simmetrici aperti a mostrare un contenuto in linea con gli oggetti che avrebbe dovuto avere un qualsiasi studente. Lo sguardo di Harry però fu catturato da qualcosa di bianco che sporgeva dal baule alla sua sinistra. Una sciarpa bianca, stonata in tutti quei colori bosco, scuri.
La riconobbe: era la sciarpa che Lily aveva sferruzzato per buona parte delle vacanze di Natale.
Si sentì improvvisamente fissato. Si voltò verso Luzhin, ed era proprio lui: doveva aver intercettato il suo sguardo e l’oggetto che l’aveva colpito. Vi si frappose.
“Saremo da voi tra pochi minuti.” Disse il ragazzo. “Dateci solo il tempo di prepararci.”
Sappiamo entrambi che gliel’ha fatta mia figlia.
Non sapeva cosa significasse, ma sapeva una cosa: non gli piaceva.
 
****
 
“Cosa facciamo adesso?!”
Sören stava tentando di pensare, ma non era facile dato che Poliakoff stava avendo una vera e propria crisi di nervi.

“Sören, cosa facciamo!?” Si agitava, sudava e non voleva rimanere fermo nella cabina, riempendola di passi e parole. “Quelli sospettano di te, di noi! Hai visto come mi ha guardato il rosso! Maledizione, siamo…”
“Sta’ zitto.” Non serviva alzare la voce per farsi obbedire, se sapevi come usarla. E al momento l’ultima cosa di cui avevano bisogno entrambi, era urlare. Kirill infatti si bloccò, guardandolo in attesa. “Lascerai parlare me.” Aggiunse. “Risponderai solo se ti faranno delle domande dirette. Sii vago, non credo ti sarà difficile.”
Il russo serrò la mascella poco convinto. “Ti rendi conto di quello che sta succedendo?! Siamo nella merda!”
“Non lo saremo, se manterremo la calma.” Lo fermò, indossando la giacca e chiudendo gli alamari con cura. Era quello il trucco. Cura, perché non gli tremassero le mani.

Aveva notato lo sguardo di Harry Potter la sera prima. E come se non bastasse, c’era anche quell’agente americano. Inspirò.
Dopo quello che era successo con Lily…
La mano sbagliò l’incastro con l’asola e scivolò sul bottone d’osso. Ripeté l’operazione e finì di chiudersi il colletto.
Dopo ciò che era successo con Lilian, tutto era passato in secondo piano. Si era dimenticato dell’agente americano e dello sguardo analitico di Harry Potter.
Avevano fatto presto, troppo presto dal nutrire sospetti all’interrogatorio ufficiale.
Speravo saremo salpati in tempo per lasciarceli alle spalle.
Ma così non era stato e ora poteva solo mantenere la calma e farlo fare anche a Kirill.
Poliakoff si passò i palmi delle mani sul viso sudato. “Il Direttore non c’è, dobbiamo chiamarlo!”
“L’avrà già fatto Radescu.” Ribatté. “Vorranno controllare le nostre bacchette, prendi la tua.”
“Sei impazzito?! Scopriranno…”
“Non scopriranno niente, se lascerai parlare me come ti ho detto.” Il suo cervello lavorava febbrile, ma  era una condizione che durava dalla sera prima; non aveva dormito affatto, anche se con Kirill in stanza aveva finto.

I suoi sentimenti in quel momento dovevano essere disciplinati. Uno di essi, uno solo, una smorfia, un’espressione, avrebbe potuto tradirlo.
Aveva la bocca secca e il cuore in gola, ma paradossalmente era meglio rispetto alla sera prima. Tutto era meglio rispetto alla sera prima.
Infilò la bacchetta dentro il fodero attaccato alla cintura.
La forma prima di tutto. La forma, la disciplina che deriva da essa.
Quel mantra l’aveva sempre aiutato a mantenere la calma e funzionò anche quella volta.
“Kirill.” Si rivolse al ragazzo. Quello lo guardò spaventato: comprensibile. Avevano ben tre agenti a cui rendere conto, uno dei quali era nientemeno che il leggendario Harry Potter. “Torna in te e rifletti. Se hanno dei sospetti su di noi, non vuol dire abbiano delle prove. Forse è una semplice procedura, forse anche gli altri Campioni sono stati interrogati.”
“E se non fosse così?” Deglutì.

Vedeva finalmente oltre il cieco desiderio di distinguersi agli occhi di suo zio?
Era ironico pensare che Hohenheim con ogni probabilità neppure ricordava il suo nome.
Siamo pedine e nessuno ci perdonerà per ciò che abbiamo fatto. Nessuno mi perdonerà.
“Sören, se non fosse così?” Lo incalzò Poliakoff. “Se ce l’avessero proprio con noi?”
Si riscosse. “Allora non daremo loro modo di metterci all’angolo.”

L’altro annuì più rincuorato. L’idea di scaricare la responsabilità e il rischio a qualcun altro doveva tranquillizzarlo enormemente. “Va bene. Allora… andiamo?”
“Andiamo.” Convenne.

 
****
 
Non era esattamente facile sgattaiolare fuori dal letto quando il tuo ragazzo ti avviluppava nella stretta possessiva del suo bicipite da stramaledetto portiere di Quidditch, nonché Campione del Tremaghi.
Rose fissò il soffitto del letto a baldacchino di Grifondoro con cipiglio riflessivo.
Passare la notte con Scorpius era stato dannatamente, fottutamente – ogni tanto serviva qualche espressione colorita – imperativo. 
Aveva aiutato il fatto che alcuni studenti, compresi tutti i suoi cugini, avevano deciso di dormire ad Hogwarts e rientrare a casa con l’Espresso del giorno dopo. Era stata una buona copertura con i suoi. Beh, con mamma… papà ha borbottato qualcosa e sono sicura di non volerlo sapere.
Ovviamente anche lei avrebbe trascorso gli ultimi giorni a casa, ma quella sera, beh…
Era nostra. È stata nostra. Alla grande.
Sorrise appena, lanciando uno sguardo al volto addormentato del suo ragazzo.
Mio. Ah! Scapolo d’oro un cazzo.
Non aveva ancora parlato con i suoi genitori – cifrato, suo padre – ma andava bene così. Dopo l’exploit del ballo aveva preferito sgattaiolare via con il compagno alla ricerca di un posto appartato in cui passare finalmente del tempo assieme.
Ci sarà tempo per le spiegazioni… e mi sa che sarà un tempo mooolto lungo. Ad iniziare da questo pomeriggio, temo.
Ma andava bene. Non aveva più paura ora che aveva saltato quel maledetto fosso, ora che tutti, ma proprio tutti sapevano che amava Scorpius Hyperion Malfoy e che era ricambiata.
… nonostante questo, doveva davvero andare in bagno.
Sgusciò con una certa abilità dalla presa del ragazzo e si guardò attorno.
Uh…
Era il dormitorio dei ragazzi del Settimo e per una strana serie di coincidenze, Scorpius e lei erano stati gli unici ad usufruirne quella notte. Questo non significava però che quella camera non fosse un casino e che non vedesse la sua biancheria. Né la sua bacchetta per appellarla.
E no, neanche una maledetta camicia maschile. Ma dove abbiamo messo tutto?
Per un attimo folle pensò ad uno scherzo di James prima di ricordarsi che era tornato a casa con Ted di fronte ai suoi occhi.
Odio la mia famiglia.
Ricordando James, l’associazione di idee la portò a Lily. Doveva andare a vedere come stava.
Questo dopo essere andata in bagno ed essermi messa qualcosa addosso. Qualsiasi cosa.
Sbuffò vinta, afferrando la trapunta rosso oro che copriva il letto e tirandola via dal peso di Scorpius. In punta di piedi e avviluppata nell’enorme coperta si diresse verso il bagno.
Dopo circa cinque nanosecondi la risata di Scorpius riempì la stanza.
“Rosie, ma che stai facendo?” Lo spettacolo di Scorpius beatamente seminudo e sdraiato sul letto valeva sempre la pena di una lunga occhiata.
“Cerco di andare in bagno.” Replicò con dignità.
“E devi andarci come se dovessi affrontare una tormenta di neve?” Ghignò. “Andiamo, ti ho guardata tutto il tempo stanotte, e pure quando dormivi! Un sacco!” Si aprì in un sorriso. “Visione mattutina?”
Rose si sentì avvampare come un idiota. “Sei un maniaco.”
“No, sono il tuo ragazzo!” Replicò allegro, tirandosi a sedere. “Ed ho freddo, quella è la mia trapunta.”

Rose gliela lanciò praticamente in testa, con una mira che avrebbe reso suo fratello, il piccolo maniaco di Quidditch, orgoglioso e poi si tuffò in bagno tra le risate del deficiente.
Ehi, ognuno ha il proprio senso del pudore!
Tornare a letto e stringere Scorpius in un abbraccio e sentirlo così rilassato contro il suo seno però fu bello. Non ce la faceva proprio a rimanere arrabbiata con lui, anche se era un ridanciano cretino. Si beò di un suo lungo bacio, quello del buongiorno.
Adesso capiva perché Al, nel primo periodo del ritorno di Thomas, era sempre pronto ad eclissarsi.
La mancanza fisica diventa dipendenza.
“Buongiorno fiorellino di cactus.” Le sorrise Scorpius strofinando il naso contro la sua guancia. “Possiamo barricarci qui dentro per le prossime quarantotto ore?”
“Temo di no. Impegni familiari.” Ad uno sbuffo scontento, sospirò. “Sai come sono i miei impegni familiari. Non posso scappare, verrebbero a sfondarmi la porta.”
“Avete un karma schifoso, voi Potter-Weasley.”
“Mai stata più d’accordo.” Gli accarezzò i capelli, più corti sulla nuca e ancora più biondi. “… È Lily, sai.”
Scorpius alzò la testa, corrugando le sopracciglia. “Ah… già.” Ammise. “Ieri sera è stata piuttosto allarmante. Sembrava in preda alla Sindrome di Stoccolma.”

“Quella riguarda rapimenti o roba del genere…” Ricordò nebulosamente, scuotendo la testa. “No, sembrava più una specie di fidanzata maltrattata che non vuole denunciare il suo ragazzo. Lily non si è mai comportata così. I ragazzi…”
“… li comanda a bacchetta, ho notato. Però ha pur sempre quindici anni.” Sorrise appena Scorpius attorcigliando la catenina, suo regalo, attorno ad un dito. “… e possono esserci delle spiegazioni.”
“Scusa? Chi era pronto a fare la pelle a Luzhin ieri sera?”
“Ehi bambina, sono un Grifondoro, sono impulsivo.” Si strinse nelle spalle. “Ma, se come dici, la Piccola Potter non è quel genere di ragazza, allora forse la faccenda non è solo bianca o nera.”
Rose ci rifletté: Scorpius come al solito aveva ragionato ed aveva notato qualcosa che a lei invece era sfuggito alla grande.

“Lils di sicuro è cotta di Luzhin.” Disse infine. Era l’unica cosa che aveva chiara in quella faccenda. Non aveva in effetti idea di che tipo fosse il durmstranghiano. In quei mesi era stato l’ombra di Lily.
Di un’ombra non si capisce mai molto.
Scorpius rotolò al suo fianco per stiracchiarsi al meglio. Poi afferrò il cuscino, ficcandoselo sotto la testa e voltandosi verso di lei. “Beh, questo è normale.” Osservò. “Voi ragazze andate pazze per i belli e tenebrosi… guarda Dursley. È umanamente agghiacciante eppure tutte gli muoiono dietro.”
“Non io.”
“Per questo ti amo.” Replicò tutto un sorriso. Rose accantonò momentaneamente il discorso Lily per farsi baciare e stropicciare a dovere. In fondo il letto era caldo e loro erano ancora avviluppati nelle maglie del primo risveglio.

Non quarantotto ore, ma una mezz’oretta sì, miseriaccia …
 
Quando scesero per colazione, la Sala Grande era di nuovo tornata alla normalità. L’unico segno che la sera prima si era tenuta la festa erano i ghiaccioli ancora avviluppati alle travi che sostenevano la volta. Molti degli studenti erano già tornati a casa, ma i suoi cugini erano ancora tutti lì.
Osservò preoccupata la piccola Meike circondata da ben quattro serpeverde, il cui unico elemento adatto ad una bambina era suo cugino. L’aggiunta della Parkinson-Goyle e di Dominique non migliorava la situazione. L’undicenne però sembrava divertirsi un mondo tra quei loschi ceffi, a giudicare da come chiacchierava animatamente.
Al intercettò il suo sguardo e le sorrise, facendole cenno di unirsi a loro.
Ma anche n…
“Uniamoci a loro, mia diletta.” Replicò Scorpius passandole un braccio attorno alle spalle. Rose capitolò, dato che quel giorno il suo buonumore era tale da esser difficilmente scalfito.
“Avete passato una bella serata, vedo…” Ghignò Zabini intento a servirsi il the con precisione da piccolo lord qual’era. Smontava un po’ la sua espressione. “I vostri vestiti parlano per voi.”
“Gran serata! Un divertimento pazzo!” Convenne Scorpius, evitando una sua gomitata densa di imbarazzo e scostandole la sedia. “E voi?”
“Nessun ha ferite permanenti, quindi alla grande.” Esclamò Dominique tra sguardi sconcertati.

“Non eravamo in un’arena, razza di primitiva.” Sbuffò Violet. Rose le guardò: sì, erano davvero assurde di primo acchito, ma curiosamente sua cugina aveva un’aria meno matta affiancata alla francese.
“Parla per te, io mi ci sono sentita.” Rimbeccò Domi, prima di gettarsi sulla colazione.
Rose lasciò perdere le due – doveva ancora abituarsi all’idea bizzarra che la Veela-per-un-quarto avesse un interesse amoroso, al di là del sesso del suddetto – per guardare il tavolo occupato.
Lily non c’era. Guardò altri tavoli e vide Hugo in compagnia di amici, ma solo lui.

“Lils?” Chiese ad Al, che si strinse nelle spalle.
“Non è ancora scesa.”
Rose intercettò lo sguardo di Scorpius.

Allora non sta bene…
Sfortunatamente Tom intercettò il loro. “Le è successo per caso qualcosa?” Chiese, intempestivo come un Nato Babbano ad un raduno di Mangiamorte. Difatti l’intera tavolata ammutolì, Meike compresa.
Dannazione!
Era pessima a tenere i segreti, e tra parentesi neanche voleva tenerlo, uno come quello. Avrebbe voluto dire tutto a James ed Al perché facessero giustizia piuttosto.
Giustizia di muscoli e cervello da fratelli maggiori.
“Credo abbia litigato con il suo cavaliere.” Fu lesto a rispondere Scorpius, mago nelle bugie dette a metà.
“Con Luzhin?” Si intromise Al, con una delle sue famose espressioni calcolatrici che giustificavano la spilla che aveva appuntata al petto. “Nulla di grave, spero.”
“Non ci è sembrato grave, no.” Sorrise Scorpius, prima di servirsi una generosa porzione di torta alla melassa. “Ma dovreste chiederlo a lei… noi l’abbiamo solo riaccompagnata alla Torre, vero fiorellino?”
In effetti…

Al avrebbe di certo chiesto spiegazioni alla sorella a giudicare dalla sua espressione e Rose si sentì un filino meno colpevole. “Sì.” Una semplice sillaba poteva dirla. Detto questo, preferì riempirsi la bocca con la colazione piuttosto che usarla per parlare.
Non mi piace. Non mi piace questa storia… perché Al ha quella faccia lì?
Evitò con cura di guardare nella direzione del cugino. Aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, ma sperava, per la prima volta in vita sua, che la sua espressività l’avesse già tradita alla grande.
 
****
 
“Possiamo offrirvi qualcosa da bere? Vino, un distillato?”
Forse c’era un corso opzionale a Durmstrang sul come mantenere la calma fino a rendersi insopportabili, rifletté Harry. Luzhin li aveva fatti accomodare in un salottino sfarzoso, dove il colore predominante era il rosso vinaccia e il verde militare dello stendardo della scuola. Ron, alla sua destra, sembrava trovare la poltrona molto scomoda. Harry poteva capirlo: il cuoio di cui era rivestita era duro come un osso.
Certo non hanno l’ospitalità nel sangue …
“No grazie.” Replicò senza sorridere, imitato da Nora e l’amico.
Luzhin annuì leggermente. “Come preferite.”
Il silenzio cadde come una coperta pesante. Ron si schiarì la voce. “Iniziamo dalla Prima Prova…” Esordì. “Cos’è successo dopo che sei rientrato nella tenda?”
Il ragazzo rifletté brevemente. “Sono stato curato dall’infermiera per una ferita al braccio. Mi sono seduto sul lettino che mi era stato assegnato e poi ho aspettato la conclusione delle prove degli altri due concorrenti.”
“Non hai notato niente di strano durante quel lasso di tempo?”
“No, non direi.” Scosse la testa. “Inoltre non mi era concesso allontanarmi dalla tenda.”  

“Sì, questo lo sappiamo.” Ron fece un gesto evasivo con la mano, poi si rivolse all’assistente. “E tu dove ti trovavi?”
Lì era tutta un’altra storia. Harry poteva vedere il sudore condensarsi sulla fronte del ragazzo e da come teneva le mani ancorate ai braccioli era chiaro si frenasse dal torcerle l’una contro l’altra.
Nervoso. Non che sia indice di colpevolezza, ma comunque…
“In tenda. Suono asistente, dovevo… insomma… asistere?” Mormorò incespicando sulle vocali. “Io…”
“È stato con me tutto il tempo.” Si intromise Luzhin quietamente. Rispondeva a Ron, ma Harry sentiva lo sguardo su di sé. Era chiaro che lo ritenesse il suo vero interlocutore. Ogni tanto qualche occhiata era riservata anche a Nora.  

Ron inarcò le sopracciglia. “Ah. Però i Tiratori di guardia alla tenda hanno detto che ti sei allontanato, ad un certo punto…”
“Duovevo andare in bagno!” Esclamò frettoloso. “In tenda no c’era!”

“Certo, certo.” Lo rassicurò Ron, usando il suo famigerato tono ironico, famoso per far perdere la calma alla maggior parte dei suoi interrogati. “E sei tornato subito?”
“No.” Fu di nuovo Luzhin a rispondere. “Poi c’è stato l’attacco dei Dissennatori.”
“Mi piacerebbe che rispondesse il tuo amico.” Lo riprese Ron.

“Mi scusi.” Fu la cortese risposta. Ad Harry però non sfuggì il lieve cenno di permesso che diede al russo.
Può essere anche rigida gerarchia scolastica, ma è chiaro qui chi tiri le fila, dei due.
“Come ha detto Sören…” Borbottò Poliakoff. “… è diventato tuto nero. Mi sono spaventato e sono scapato verso castello, cuome tutti.”
All’occhiata interrogativa di Ron, Luzhin diede la sua risposta. “Sono rimasto nella tenda finché non ci ha aggrediti un Dissennatore. Qualcuno deve aver castato dei patronus. Nella fuga ho sbattuto contro qualcosa, non si vedeva nulla. Ho perso i sensi. È l’ultima cosa che ricordo.”
Quel ragazzo non usava subordinate. Frasi staccate piuttosto, frasi esatte. Forse era per via della barriera linguistica, ma Harry non ne era del tutto sicuro.
Merlino, parla come un robot.
“Un ricordo comodo.” Commentò Ron a mezza bocca. La reazione, prevista e voluta, però non arrivò; Luzhin si limitò a guardarlo incolore, aspettando evidentemente la prossima domanda.
Dava enormemente ai nervi.
“Non ricordi proprio nulla di quel lasso di tempo?” Gli chiese allora Harry. “Sei stato trattato per un aggressione da Dissennatore. Qualcuno deve averti soccorso.”
La mano posata casualmente sul bracciolo si contrasse appena sulla punta delle dita. “No.” Disse però con voce chiara. “Ero incosciente. Suppongo sia stato uno dei vostri.”
Harry sospirò impercettibilmente: non c’erano appigli, né tentennamenti. L’anello debole era chiaramente l’assistente, ma era chiaro che la presenza di Luzhin lo controllasse abbastanza da non farlo cadere in contraddizione.
Avremo dovuto interrogarli separatamente, dannazione. Ormai è troppo tardi.
 “Abbiamo saputo…” Continuò Ron. “… che non era la prima volta che visitavi l’infermeria di Hogwarts.”
“È vero.” Confermò. “Ho avuto un malore mentre mi allenavo. I rischi di essere un Campione…” Sorrise appena. Un’aggiunta oculata, distensiva.
Questo ragazzo non risponde alle domande. Gioca una dannata partita a scacchi!
“Eri molto lontano dal terreno concesso per gli allenamenti ai Campioni stranieri.” Obbiettò Ron. “Sei stato ritrovato ai cancelli di Hogwarts. Può dirci perché eri lì?”
“Mi ero allontanato per prepararmi su un terreno accidentato, quale quello del bosco è.” Spiegò. “Non mi ero reso conto di essermi allontanato tanto. È stata una fortuna che Potter e Dursley mi abbiano trovato.”

“Avevi del ghiaccio sulle scarpe, Luzhin.” Ron scoccò quella freccia con maestria, facendoglielo semplicemente notare. Non era ancora un’accusa. “Non faceva così freddo. La nostra idea è che tu ti sia materializzato fuori dai cancelli e lo sforzo ti abbia fatto perdere i sensi.” Fece una pausa. “Dov’eri andato?”
Lo sguardo del ragazzo perse di colpo ogni espressione gentile. Quello l’aveva messo in allarme, finalmente. Sorrise, ma era una smorfia meccanica, senza nessun calore. “Da nessuna parte. Correggetemi se sbaglio, ma i cancelli di Hogwarts sono di norma protetti da incantesimi. Come avrei fatto a materializzarmi allo stremo delle forze e forzare subito dopo il cancello?”
Buon punto…
“Forse hai perso i sensi dopo.” Obbiettò Ron senza scomporsi. “Quel che è evidente è che non ti stavi allenando.”
“Quel che è evidente, con tutto il dovuto rispetto agente, è che non avete prove per dimostrarlo.” Ribatté. Il tono aveva perso la calma di prima. Era chiaro che non si aspettava sapessero della sua piccola fuga.  

“Non abbiamo prove, ma…”
“No, non le avete.” Lo interruppe. “Come non ne avete che io o il mio assistente abbiamo portato i Dissennatori ad Hogwarts.”
Tutte le carte erano in tavola ed erano state brutalmente calate. Ron gli lanciò un’occhiata, quella definitiva, del passaggio del testimone.

Harry prese quindi la parola. “Ammetterai Sören, che una sparizione priva di spiegazioni e il fatto che il tuo assistente si sia assentato proprio prima dell’attacco diano da pensare.”
“La mia sparizione è ancora da dimostrare e Kirill non era l’unica persona ad essere fuori dall’arena in quel lasso di tempo.” Il tono vibrava di molte cose non dette e la calma ormai aveva fatto posto all’aggressività. Ma sempre controllata, come un cane a cui stavano tirando il guinzaglio.

Ad Harry diede quell’impressione anche se forse l’immagine non era molto rispettosa.
“Stiamo soltanto facendo il nostro lavoro ragazzo. È anche nel tuo interesse che il colpevole sia preso.” Rimbeccò Ron. “Dovreste collaborare.”
“Lo stiamo facendo. Non ci siamo rifiutati di rispondere alla vostre domande.”

Harry fece cenno a Ron di non ribattere. “Sì, è vero.” Rispose. Com’era vero che quel colloquio non stava portando a nulla. Spunti, forse, ma nessuna risposta certa. In pratica un buco nell’acqua. Così Ron giocò la loro ultima carta.
“Dovremo chiedervi le vostre bacchette adesso.”
Il russo si agitò e, nonostante l’occhiata ammonitrice dell’altro. “Mi rifiuto!” Sbottò. “Non avete diritto di chiedere nostre bacchette, voi inglesi!”
“Kirill.” Mormorò Luzhin. “Ce l’hanno, hanno un mandato.” Si alzò in piedi, estraendo la propria dal fodero e porgendola a Ron dalla parte del manico. “Prego.” Vedendo che l’altro esitava gli fece un cenno piuttosto imperioso aggiungendo qualcosa in tedesco, un ordine esplicito probabilmente.

Il russo fece una smorfia e obbedì.
Ron eseguì l’incantesimo di reversione su entrambe le bacchette. Sotto i loro sguardi si avvicendarono lampi rossi, bianchi, molti incantesimi, la maggior parte dei quali di difesa, nel caso della bacchetta del Campione. E poi una serie ravvicinata di schiantesimi da quella del russo. Harry ne contò ben tredici.
Il numero di Tiratori Scelti di pattuglia all’arena.
Ron sembrò pensare la stessa cosa. “E tutti questi schiantesimi?”
“Kirill mi ha aiutato negli allenamenti. Li ha lanciati a me.” Spiegò Luzhin stringendosi nelle spalle. “Come avete potuto constatare negli ultimi tempi ho eseguito molti incantesimi difensivi.”
Sfortunatamente il Prior Incantatio non dava tempistiche. Inoltre dalla bacchetta del tedesco non risultava nessuna magia sospetta. Anzi; quella bacchetta non aveva un solo briciolo di magia oscura nel suo nucleo.
Luzhin la riprese, rinfoderandola con cura. “Se non c’è altro, agenti, dovremo tornare nella nostra cabina per gli ultimi preparativi prima della partenza.” Era di nuovo privo di espressione. Aveva vinto, capì Harry, e quindi si era tranquillizzato. “Chiamo Radescu per farvi accompagnare all’uscita.”
Dannazione.
L’irritazione era tale che dovette trattenersi. Al e Tom non si erano sbagliati, quel ragazzetto era storto da capo a piedi. Sembrava un soldato dedicato ad una causa, e la Thule era proprio il tipo di setta che prevedeva tipi del genere.
“Conosciamo la strada.” Disse Ron, allacciandosi il mantello. Nora non aveva aperto bocca per tutta la durata del colloquio ma Harry era certo, o meglio aveva la speranza che avesse altro da aggiungere usciti di lì.
Perché maledizione, stiamo brancolando nel buio.
Sören aprì loro la porta. Harry ebbe voglia di dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma l’intimidazione non era trai suoi diritti di Capo dell’Ufficio Auror.
Non con gli stessi doveri era però Ron. Afferrò il tedesco per un braccio, talmente fulmineo che l’altro non ebbe neanche il tempo di scostarsi.
“Ascoltami bene moccioso.” Lo apostrofò strattonandolo verso di sé. “Non è finita qui.” Lo strattonò ancora per farsi guardare. “E un’altra cosa. Nessun sospetto frequenta la mia nipotina di quindici anni.”
“Agente Weasley.” Lo richiamò senza convinzione. Era quello che doveva fare in quanto capo, ma fosse dannato se era ciò che voleva.

Un lampo di rabbia invece passò nelle iridi del durmstranghiano. Stavolta l’Occlumanzia non poté frenare un’espressione furiosa. Il contatto fisico non richiesto era stato un innesco niente male.
“Di questo non si deve preoccupare.” Proferì duramente, strattonandosi via. “Lily è al sicuro.”
Lily è al sicuro?
Era una frase di cui lo stesso Luzhin si pentì all’istante, dall’aria che assunse. Non disse altro tuttavia, scostandosi per farli passare o più prosaicamente per invitarli a levarsi dai piedi.

Quando furono fuori dal salotto Ron eruppe in un’espressione colorita che né lui né Nora si premurarono di bacchettargli. “Col cazzo che Lily è al sicuro con quello!” Sbottò. “Se si avvicina ancora alla piccolina giuro che un paio di schiantesimi non glieli leva nessuno!”
Harry pensò a come Luzhin avesse nascosto la sciarpa regalatagli da Lily. Un gesto sciocco, istintivo. Un gesto che il ragazzo dell’interrogatorio non avrebbe fatto. Pensò anche a come sua figlia parlava di lui.
Certo, è ancora una bambina però…
Le aveva insegnato a non fidarsi delle persone solo perché erano gentili. E Lily in quelle cose aveva sempre imparato più in fretta dei suoi fratelli.
Ma anche se si fidava di sua figlia, non poteva semplicemente fare quello. Non avrebbe più permesso che nessuno dei suoi figli venisse messo in pericolo.
Il sospetto meno sospetto con cui abbia mai avuto a che fare. Merlino…
 
****
 
Lily non si era svegliata meravigliosamente. Per niente.
Si era svegliata da sola, di cattivo umore, dolorante e con un malditesta che sembrava una goccia cinese.
Probabilmente si era pure persa la colazione, dato che il sole ormai filtrava dalle finestre colpendo la porta del bagno; più semplicemente, era tardi.
Aveva indossato un paio di jeans ed un maglione, prendendoli dal guardaroba minimo permanente nel suo armadio scolastico ed era morbidamente franata sulla rientranza che dava sulla finestra. I terreni della scuola erano di un bianco compatto accecante, fastidioso.
Al momento infatti aveva gli occhi chiusi: non riusciva proprio ad aprirli e farsi uccidere dalla luce.
Uh, è come quella volta che ho voluto provare con Roxie il distillato di zia Muriel. È praticamente come avere di nuovo cinque anni ed essere in post-sbronza.
Lily, bambina cattiva.
Probabilmente era a causa dell’orecchino. Non se l’era ancora rimesso. Dovette dunque aprire gli occhi e gemere nauseata a tutta quella luce. Rovistò un paio di minuti nella pochette, sul comodino e dentro i cassetti.
Cavolo.
Non c’era: cercò di fare mente locale. La sera prima se l’era tolto in preda all’agitazione e ovviamente non ricordava dove l’avesse messo. Ma aveva già frugato nei luoghi in cui istintivamente avrebbe riposto qualcosa di piccolo.
L’ho perso?
Sarebbe stato un bel guaio. Sua madre probabilmente l’avrebbe uccisa. Al di là del costo del dispositivo, piuttosto alto a quanto aveva capito, non doveva stare senza.
Okay, teoricamente è tutto a posto. Per ora. Non è che sento niente, anche se sì, sono sola e non mi sento emotivamente stimolata, ma… oh, accidenti!
Si morse un labbro. Oltretutto non si sentiva bene, per niente. Forse erano stato il carico emotivo, forse quello magico, non ne aveva idea, ma si sentiva le guance scottare e un dolore diffuso alle ossa.
Febbre?
Un’ondata di ricordi la sommerse di nuovo e inspirò.
Ren. Che cavolo… razza di idiota.
Doveva assolutamente parlargli prima che partisse. Doveva capire che diavolo gli fosse preso e perché si fosse comportato come un bruto senza cervello.
Non proprio…
In realtà il comportamento dell’amico più che da bruto, era stato da psicopatico.
Sören era sembrato letteralmente terrorizzato da quel bacio; poteva non aspettarselo, ma non era precisamente quello il punto. Il punto era che le aveva detto di starle lontano.
Si rifiutava di sentirsi ferita, di sentirsi angosciata o confusa. Davvero, si rifiutava quindi non ci si sentiva. Avrebbe avuto le sue spiegazioni.
Le avrò e poi … sì, ci spiegheremo. Siamo amici, tra amici le cose si risolvono sempre.
Ci voleva ordine: prima di tutto doveva coprirsi bene, che se aveva veramente un’influenza in fieri non era il caso la tramutasse in simpatica polmonite, affezione, quella, che colpiva sia maghi che babbani. Fatto questo scendere ai piani inferiori, possibilmente non vista e sgattaiolare fino alla Roskilde – sì, si era pure imparata il nome di quella stupida, orribile nave.
Per entrare… beh, mi inventerò qualcosa o minaccerò di morte Poliakoff.
Con quel piano ben chiaro in mente si vestì e scese. Passò oltre la Sala Grande e ignorò la presenza dei suoi cugini e per fortuna fu ricambiata; non la videro, neppure Hugo.
A volte paga essere poco più alta di un maledetto elfo…
Scendere il leggero declivio che portava alla banchina di attracco non fu ugualmente semplice; il freddo, se inizialmente le aveva quasi fatto piacere, adesso le aveva reso la testa leggera.
Per la bacchetta di Morgana… perché non sono come Jamie, che non si ammala mai?
Quando fu a pochi metri dalla rimessa in cui venivano ospitate le barchette del Primo anno, vide qualcosa che per poco non la fece inciampare sui suoi piedi; suo padre, suo zio Ron, l’agente donna del DALM americano e un paio di auror erano appena usciti dalla nave.
Fece appena in tempo ad appiattirsi contro la parete della rimessa che le passarono affianco. Le passarono a fianco parlando.
“… dobbiamo ottenere un altro permesso di indagine. Rivoltare quella maledetta bagnarola da cima a fondo!” Disse suo zio Ron; era rosso in viso e particolarmente acceso sulle orecchie. Doveva essere molto arrabbiato.
“Non servirebbe a nulla, Ronald.” Ribatté l’americana. “E comunque temo che non sarà così facile stavolta… continuare su questa pista potrebbe far pensare ad un accanimento.”
“Accanimento di cosa?” Suo zio era davvero fuori dai gangheri. Lily ebbe una brutta sensazione; era chiaro che Durmstrang fosse coinvolta in qualcosa. In quella cosa della Prima Prova dunque? Uscivano dalla loro nave dopotutto.

Ren?
“Ron, Nora ha ragione…” La voce di suo padre era… non l’aveva mai sentito parlare in quel modo. Era agitato, i lineamenti tesi. La spaventò.  “… non abbiamo ottenuto niente, solo di metterli in allarme. Siamo stati troppo precipitosi.”  
“Ma quale altra alternativa avevamo, Harry?” Replicò suo zio allargando le braccia in un chiaro segno di impotenza. “… salpano stasera, e quando saranno a Durmstrang saranno intoccabili!” Si arruffò i capelli frustrato. “Quel maledetto moccioso. Come diavolo ha fatto a ripulirsi la bacchetta?”
Doveva essere gergo auror, pensò Lily confusa. Però, ad intuito, non pensava si trattasse di manutenzione della suddetta.

“Quella bacchetta non ha mai castato incantesimi oscuri.” Si intromise l’agente americana. “Il Prior Incantatio non può essere ingannato.”
“Potrebbe averne utilizzato un'altra?” Chiese suo padre.

Ma chi? Di chi cavolo state parlando?
Lily aveva le pulsazioni spiacevolmente accelerate. Avrebbe voluto saltare fuori dal suo nascondiglio e pretendere che le venisse spiegato tutto: ma no, non era una buona idea. Si abbracciò le ginocchia, si costrinse fisicamente.
“Non durante il Torneo.” Negò suo zio Ron. “Smith può essere un figlio di puttana, ma tra lui e gli organizzatori questo posto è peggio di Azkaban. Non avrebbe mai potuto introdurne una nell’arena, né lui né quel ciccione del suo assistente.”
È Ren.
Si sentì come se le si fosse ghiacciato qualcosa dentro; sì, Albus le aveva suggerito che Sören avrebbe potuto essere coinvolto in quella brutta faccenda dei Dissennatori, ma non ci aveva pensato più di tanto. Non ci aveva creduto.
E invece suo padre e suo zio stavano indagando su di lui. E suo padre…
È papà. Non è uno che si fissa a caso sulla gente. E anche zio Ron, è… sono degli ottimi auror.
Suo padre fece un lungo sospiro. “È meglio se andiamo. Dobbiamo scrivere il rapporto e poi decidere il da farsi.” Diede una pacca a suo zio e poi si incamminarono lungo il pendio.
Lily non poteva muoversi subito dietro a loro, pena l’essere scoperta; e comunque neppure ne aveva voglia. Si sentiva le gambe pesantissime.
Ren è un sospettato? Il mio Ren?
Le sembrava ridicolo, una sciocchezza; il suo amico, il ragazzo che la aiutava a studiare, che la ascoltava, le portava la borsa, le sorrideva e che sembrava ingenuo come un bambino…
È lo stesso ragazzo che ieri sera ti ha aggredita, Lily.
Sentì ululare Odino, il molosso gigante di Hagrid. Probabilmente il professore era lì vicino; spesso veniva a togliere il ghiaccio dalle cime a cui erano assicurate le barchette. Era il caso di uscire dal suo nascondiglio prima che la sorprendesse come una stupida. Si alzò e si incamminò nell’esatta, opposta direzione di suo padre e gli altri auror. Verso il vascello.
Non ci poteva credere. Doveva di sicuro essere una sorta di orribile, grosso sbaglio.
Eppure ieri sera…
Comunque la mettesse, aveva solo una gran voglia di urlare e chiedere a qualcuno, a chiunque, di spiegarle. Ma non poteva: se avesse chiesto al padre, avrebbe finito per farsi proibire qualcosa, di sicuro.
Rimaneva Ren.
Arrivò alla banchina e percorse la breve passerella che la univa alla nave. Il boccaporto era chiuso ma batté lo stesso, con forza, sul legno appiccicoso di sale marino e umidità lagunare.
Non ci volle molto prima che qualcuno venisse ad aprirle; riconobbe il ragazzo rumeno che l’aveva scortata nella sua seconda visita.
“Signorina Lily.” Ricordò nebulosamente anche di avergli chiesto di chiamarla per nome. Ovviamente quello era stato il risultato. “Posso fare qualcosa per lei?”
“Sì, voglio vedere Ren.”

Il ragazzo scosse la testa. “Mi dispiace, non è possibile.”
Si chiamava Dionis, se lo ricordò all’istante. “Per favore, Dionis.” Non era neppure uscito per appoggiarsi sulla passerella come aveva fatto l’ultima volta. Non era un buon segno. “Devo vederlo.”
L’altro assunse un’aria costernata; sembrava proprio un bravo ragazzo, ma in quel momento avrebbe voluto dargli un pugno in faccia. “Mi dispiace, è stato dato ordine di non far più entrare nessuno. Stiamo per salpare.”
“Non ci metterò molto!” Gli occhi lucidi li aveva perché tirava vento. “Solo…”
“Non è possibile, mi dispiace.” La fermò. “Signorina Lily…” Esitò, poi afferrò la porticina. “… lasci perdere, la prego.” Detto questo non le diede il tempo di dire nulla, perché le chiuse la porta in faccia.

Lily capì che era il caso di rientrare prima di diventare patetica. Neppure lei era così testarda. 
 
Entrò dall’entrata principale senza incontrare nessuno, per fortuna: appena varcata la grande soglia ad arco si accorse di tremare. La sciarpa strategica e il pesante mantello invernale non avevano potuto proteggerla dall’ormai inevitabile febbrone in corso.
“Signorina Potter, si sente bene?” La voce della professoressa McGrannit la fece sobbalzare. Le era sembrata arrivare da lontanissimo, quando in realtà era semplicemente alle sue spalle.
“Oh… io…” Balbettò: eccola lì, l’unica donna al mondo capace di metterla in sacrosanta soggezione. In quel momento fu felice di sentire quello e non altro. “… no, per niente.” Confessò infine. “Sto da schifo.”
“Moderi il suo linguaggio, non è un ragazzaccio di strada.” La squadrò da capo a piedi. “Venga, credo sia opportuna una visita in infermeria.”
“Sissignora …” Sorrise appena. L’anziana donna le scoccò un’occhiata indagatrice, ma grazie a Merlino non le chiese delucidazioni di alcuna sorta.

Neppure per le lacrime.
 
****
 
“Possibile che droghino chiunque anche solo per un raffreddore?”
“Ssh, Tom! Sta riposando!”
“Ma la droga non è quella cosa brutta?”
Al lanciò un’occhiata al proprio ragazzo che fissava il lettino in cui riposava Lily con il classico sguardo da sto-criticando-perché-io-posso. Meike era lì invece perché, semplicemente, seguiva Tom come un cucciolo curioso.

C’è da dire che attorno a lui succedono sempre le cose più assurde…
Per una volta non era Tom il problema, ma Lily. Che aveva le guance arrossate dalla febbre e il respiro affrettato, nonostante stesse profondamente dormendo.
C’era voluto un intero pomeriggio per capire dove fosse; alla fine era stato ovviamente Hugo a trovarla, facendo capolino in Infermeria a causa di un indigestione di dolci, problema che lo affliggeva in modo ricorrente da quando la natura l’aveva fornito di denti.
“Sta riposando ed è sotto un Distillato Soporifero.” Spiegò loro. “È leggero, e Madama Chips sa quel che fa, come Tom ricorda bene dato che ha approfittato delle sue capacità l’anno scorso…” Soggiunse lanciando un’occhiataccia all’altro. “È per farla stare meglio, Mei.”
“Ah…” La bambina sorrise sollevata. “Meno male.” Corrugò le sopracciglia in quel buffo modo che imitava in modo mirabolante il cipiglio snob di Tom. “… però mica sembra stare bene, eh!”
Al sorrise un po’ stancamente. Non sembrava ci fosse un giorno, da un mese a quella parte, in cui non succedesse qualcosa.  Si sedette sul ciglio del letto della sorella e le accarezzò la mano.

Scommetto che ieri si è coperta poco per mostrarsi tanto. E da qui, l’infreddatura.
“È solo un po’ d’influenza. Anche le migliori streghette la hanno.” Le strizzò l’occhio. “Perché non vai a chiedere a Milly se ti fa vedere dove vengono preparate le medicazioni? È piuttosto fico.”
“Fico!” Gli fece eco la bambina. “Sicuro che ci vado!” Esclamò prima di correre via a cercare l’assistente –infermiera con cui aveva già fatto conoscenza all’entrata. Era stata lei a permetter loro di vedere Lily.

Poppy ci avrebbe fisicamente costretto a stare lontani. Non sopporta più di una persona a paziente, ultimamente.
“Se continua ad urlare in modo così grifondoro non faremo mai di lei una serpeverde.” Mormorò Tom pieno di disappunto, facendolo ridacchiare.
“Temo, come ben sai, che la scelta non sia nostra, ma di un certo malmesso cappello.” Replicò scostando una ciocca sudata dalla fronte di Lily.
“Questo è tutto da vedere… Il Cappello tiene conto delle proprie scelte, non lo sa Signor Potter?” Tom si chinò a dargli un bacio morbido dietro l’orecchio, per infastidirlo e per rimarcare la sua presenza lì.
Ci mancherebbe. Dedico a qualcun altro le mie attenzioni, fosse pure mia sorella
Tom lanciò poi un’occhiata alle grandi vetrate, che il vento frustrava violentemente di nevischio. Fuori doveva essere un clima da orsi polari. Al lo lasciò ai suoi pensieri, approfittandone per occuparsi della sorella. Forse alcuni rimedi della Medimagia erano un po’ arcaici e poco innovativi secondo la moderna scienza babbana, ma avevano il pregio di funzionare.
Beh, perlomeno per noi maghi e streghe…
Prese una pezzuola di lino da quelle accuratamente impilate sul comodino e la bagnò con un po’ d’acqua della caraffa. Lily sospirò di sollievo quando gliela posò sulla fronte.
Cavolo, scotta proprio…
“Pensi che per domattina si sarà rimessa?” Si informò Tom con noncuranza falsa quanto una promessa di Loki. Sapeva che teneva a Lily in uno strano modo ispido e cauto.
“Sì, abbastanza da prendere L’Espresso. Appena nonna saprà che si è beccata l’influenza la vorrà alla Tana a costo di portarcela in braccio.”
Al strizzò il panno per immergerlo nuovamente e rinfrescare le guance della povera, al momento inerme, sorellina. A guardarla così, dormiente, pareva precisamente le quindicenne che era. A volte gli sembrava più grande, con i suoi lazzi e la sua innata capacità di capire le persone.
Ma non lo era.

Fu allora che si accorse che non indossava l’orecchino di controllo. Ci mise un attimo a realizzarlo, dato che per lui era solo qualcosa che Lily indossava da una vita e che quindi non era più abituato a notare. “Dov’è il suo orecchino?” Chiese a bassa voce, quasi a sé stesso. Non che fosse solo: Tom si sporse per guardare ed aggrottò le sopracciglia.
“Non dovrebbe indossarlo sempre?”
“Già… ma non ce l’ha. Forse è caduto sul cuscino?” Lo cercò attentamente, ma niente. Eppure lo ricordava come un cerchietto di metallo piuttosto grosso, istoriato di rune magiche a lui sconosciute: sapeva solo che contenevano un incantesimo di sigillo per impedire che sua sorella utilizzasse incautamente un potere che non era in grado di controllare. Ricordava bene le raccomandazioni dei genitori a lui e James quando la sorellina era tornata dal San Mungo con un sacchetto di dolci e un orecchio arrossato:  non farglielo togliere e neppure provare a rubarglielo per scherzo.
“Dobbiamo trovarlo, non può stare senza.” Spiegò a Tom, che per una volta non fece obiezioni ma si limitò ad annuire.
“Porto Meike con me. Se è capace di trovare granchietti in una pozza d’acqua che li mimetizza alla perfezione, sarà capace di trovare un orecchino di metallo in un castello.”
Rose entrò proprio in quel momento e li guardò con aria confusa. “Ehi, ho sentito che Lils ha la febbre… ma…”
“Sì, ha la febbre ed ha pure perso il suo orecchino di controllo.” Era arrabbiato con Lily. Perché non era venuta a dirglielo per farsi aiutare?

“Ah.” Disse Rose mordendosi l’angolo del labbro. “Vi do una mano. Avete controllato sul cu…”
“Già fatto.” La interruppe Tom, che detestava gli venissero suggerite cose già state fatte. “Altri posti dove può esserselo tolto o averlo perso?”
“Stamattina solo in Dormitorio. E poi…” Ci pensò, poi di nuovo quell’espressione colpevole.

Decise di lasciar correre, almeno per il momento. “Dove?”
“Ieri sera era nel bagno dei ragazzi, quello all’ingresso, può averlo perso lì.”
Al non ne fu tanto stupito. Lily era cresciuta con lui e Jamie, e non si preoccupava troppo delle differenze di genere: non aveva problemi ad usare il bagno dei ragazzi del suo anno per farsi una doccia, nel caso la sua fosse occupata dalle compagne, con grande imbarazzo di Hugo e amici. Doveva essere stato quello il caso. Dopotutto la scuola era stata colma oltre ogni misura, in quelle ore.

“Quella sua strana Legimanzia… pensi che l’abbia usata?” Il tono di Rose era davvero strano e sia lui che Tom le lanciarono un’occhiata. Prevedibilmente arrossì in modo furioso in zona orecchie. “Chiedevo solo! Magari è per questo che non si sente bene.”
Sì, mi sta nascondendo qualcosa.
“Se l’ha fatto, non è stato con noi.” Disse Tom, poi non aspettò le loro reazioni, prendendo per una spalla Meike, accorsa dopo che era stata chiamata. “Vieni, andiamo a cercare una cosa.”
“Dolci?” Chiese speranzosa, allentando un po’ l’aria tesa. Curiosamente l’aveva portata proprio Rose.

“No, un orecchino.” Le diede un colpetto sulla testa. “Andiamo.” Lanciò loro un’occhiata di commiato e poi risalì la scalinata, sparendo oltre la porta.
Albus a quel punto seppe che doveva sapere; la faccenda dell’orecchino poteva attendere. Rose gli stava nascondendo qualcosa, perché solo un segreto poteva farle venire quella faccia ansiosa. Era così sin da quando erano bambini.
Solo che adesso i segreti mi piacciono ancora meno…
“Allora… io vado a controllare su, alla Torre…” Tentò.
“Rosie?” L’apostrofo con gentilezza, ma con tono sufficiente fermo da immobilizzarla sul posto. “Credo che tu abbia una gran voglia di dirmi che sta succedendo. Vero?”


****
 
“Eccolo, l’ho trovato!”
Meike aveva davvero gli occhi buoni che ricordava perché trotterellò da lui con l’orecchino di Lily stretto in pugno. Glielo mostrò orgogliosa. “Visto?”
“Molto brava.” La lodò, dandole una pacchetta sulla testa.

“Dai!” Sbuffò. “Mi si scompigliano tutti i capelli!”
Tom inarcò le sopracciglia all’improvviso interesse: non ricordava le fossero mai importati poi molto dato che a Rügen li teneva sempre sciolti e pieni di sale. Doveva essere colpa di Lily e Alicia.
Osservò poi l’orecchino che gli aveva posato in mano. Non sembrava rotto, di primo acchito.
“Però, che strano!” Esclamò Meike saltando sul lavabo agilmente per mettersi a sedere. Alla sua occhiata, sbuffò. “Una volta ho messo gli orecchini della nonna, per gioco…” Spiegò afferrandosi i lobi delle orecchie”… ed uno l’ho perso perché non non si era chiuso bene. Però questo è chiuso super-bene!”
Tom rifletté; Meike aveva ragione. La chiusura era resistente, fatta apposta per evitare incidenti di quel tipo. Nessuna storia, Lily se l’era tolto di sua sponte.

Perché?
Non c’era modo di avere una risposta immediata, quindi si limitò a riporlo nel fazzoletto e avvolgerlo in modo che fosse impossibile gli sfuggisse nelle tasche.
“Chiederemo a Lily quando si sentirà meglio.” Disse più a sé stesso che alla bambina, del resto già distratta da una nuova deriva di pensieri.
“Andiamo alla Guferia? Mi ci porti?” Per l’appunto. “Voglio andare a trovare Kafka!” Tese le braccia per farsi prendere. Tom supponeva fosse ormai nell’età in cui ci si sentiva troppo grandi per essere maneggiati come poppanti. Perlomeno per lui era stato così.

Ma forse io non ero un bambino normale.
Con un sospirò la prese in braccio, aiutandola a scendere. Fu allora che notò il segno di una striatura bruna, simile ad una bruciatura, proprio in corrispondenza di uno dei lavabi.
Il lavabo era di pietra.
Non credo esistano tante cose capaci di scaldarlo a tal punto da lasciare un segno… di sicuro non un fuoco normale. Magico sì. Un duello, forse. Ma non ci sono tracce di altri incantesimi.
Esitò, preso da un’idea. Posò la mano sulla bruciatura. Aveva la forma esatta di un palmo umano. Grossolano, incerto, ma sembrava come se…

Si puntellò imitando la posa. Sì, era quella. Qualcuno si era fermato di fronte ad un lavabo, in una posa che indicava tensione. Una tensione tale da bruciare con la magia della nuda pietra.
Doveva essere successo qualcosa in quel bagno la sera prima. Qualcosa che coinvolgeva Lily e il suo orecchino di controllo.
“Tom! Dai, ti muovi? Non so mica la strada!”
“Arrivo.”
Avrebbe lasciato Lily ad Al, naturalmente. Aveva imparato la lezione.
Ma questo puzzle vedrà anche il mio contributo.

 
****
 
“Stiamo salpando.”
Sören non si voltò, dato che poteva riconoscere la voce anche senza guardare l’interlocutore in viso.
Radescu era affacciato alla porta del salottino privato dal Campione. Sören poteva immaginarlo mentre lo scrutava, indagatore.

“Grazie per avermi informato.”
Non seguirono rumori di commiato.

“C’è altro?”
“… è tutto a posto?” Gli rispose con una domanda; era quello, naturalmente. La comprensibile paura nel vedere delle uniformi auror. Dionis era un allievo ufficiale, ma era pur sempre un ragazzo di diciassette anni che non voleva essere coinvolto in qualcosa a cui non avrebbe mai preso parte se la decisione fosse spettata a lui solo. Poteva capirlo.
“È tutto a posto.” Lo rassicurò. “Non credo torneranno a disturbarci, non per il momento. Quando saremo all’Istituto avranno più difficoltà a replicare un’azione simile.” Aggiunse. Avrebbe dovuto parlare con suo zio, ma gli sembrava, da un lato, un esercizio sterile.
Dovrò informarlo dei nuovo sviluppi però. Questo sì.

“Bene…” Radescu tirò un grosso sospiro esitante. Si voltò per guardarlo incuriosito e lo scorse grattarsi la nuca imbarazzato. “Sören… è venuta qui Lily Potter. Voleva parlarti.”
Sentì lo stomaco dargli una fitta dolorosa. Qualcuno gli aveva detto, non ricordava chi, che il dolore se rifiutavi di pensarlo, filtrava nelle vene e faceva male.
“Non l’ho lasciata entrare, come mi avevi detto di fare.” Continuò. “Pensavo volessi saperlo.”
No, non volevo.
“Hai fatto bene.” Vedendolo ancora sulla porta si spazientì. Non aveva voglia di parlare, tantomeno di Lily e del suo ovvio tentativo di chiedere spiegazioni sulla sera precedente. Non aveva tempo per quello. Non voleva. “Ti ringrazio Dionis, puoi andare.” L’altro ragazzo stavolta capì l’antifona e dopo il cerimonioso e familiare battere di tacchi, se ne andò.
Sören, finalmente solo, chiuse gli occhi per ascoltare il rumore della risacca contro i fianchi della nave. Era un rumore che gli dava tranquillità. Gli ricordava l’infrangersi delle onde contro gli scogli di calcare che sentiva da bambino poco prima di addormentarsi.
Comunque si stavano muovendo; tra poco si sarebbero immersi.
Lily…
Quella vivace ragazzina dai capelli rossi era stata la parte più bella di un mondo che non gli sarebbe mai appartenuto. Ora che la sua esperienza ad Hogwarts si era conclusa e con l’arrivo a Durmstrang, il piano si avvicinava al suo compimento.
Lily…
Data l’assenza di ordini in merito e l’assicurazione dell’estraneità di Lily al piano, non le si sarebbe più avvicinato. E non importava quanto questo facesse male.
Il bacio era stata la realizzazione finale di quanto si fosse spinto troppo in là. Era stato un campanello d’allarme.
E se lo sentiva ancora premere sulle labbra.
 
****
 
 
Note:
1. La canzone .
Non so se riuscirò ad aggiornare costantemente, dato il periodo convulso. Ma per il momento, godetevi questo farci-capitolo. ;)

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Capitolo 45
*** Capitolo XLII ***


Capitolo XLII





Could this be out of line?
To say you're the only one breaking me down like this
(So contagious, Acceptance)
 
 
29 Dicembre 2011
Londra, Diagon Alley. Mattina.
 
“Sei sicuro?”
Tom inarcò le sopracciglia all’aria incerta di Al.
“Non sto andando a Notturn Alley, solo dietro l’angolo.”
“Che è molto vicino a Notturn Alley.” Gli fece notare stringendo la mano di Meike, che guardava dall’uno all’altro con aria curiosa. Era una tersa mattinata invernale e la neve era stata ordinatamente accumulata ai lati delle stradine di Diagon Alley. Era anche uno degli ultimi giorni di Meike in Inghilterra e Al era stato ben contento di accompagnarli per un’ultima visita nel quartiere magico per eccellenza. Tom aveva subdorato fosse contento anche di allontanarsi di casa, anche se non aveva capito perché.

Lo scoprirò, ma dopo.
In ogni caso, Al era rimasto di buon’umore finché non aveva capito il reale motivo di quella spedizione. Tom sospirò. “Starò via per poco. Devo fare delle domande a quel Fabbricante.”
“Di’ ciao da parte mia al Signor Stevens!” Esclamò Meike, distratta dall’insegna di Fortebraccio che si vedeva dall’angolo della strada. “La sua bacchetta funziona benissimo!”
“La tua bacchetta.” La corresse. Poi si rivolse ad Al. “Quell’uomo è un esperto di bacchette e di incantesimi. È il suo lavoro.”
“Credo che questi tuoi sospetti… dovresti prima parlarne con papà.”
I sospetti su Luzhin e il suo modo tutto particolare di non avere una bacchetta.

“Gliene parlerò quando avrò una tesi da sottoporgli. Presto.” Aggiunse vedendo che apriva la bocca per protestare. “Ha già molte piste da seguire e non voglio dargli un pensiero in più, ma fatti.”
Al gli lanciò un’occhiata in tralice. “Va bene.” Acconsentì infine. “Saremo a Fortebraccio. Se fai delle domande…” Esitò poi fece un sorrisetto. “… cerca di empatizzare. O sai come finisce.”
“Grazie per il consiglio.” Ironizzò. “Ci vediamo dopo.”

“Non fare il musone!” Fu l’ultima raccomandazione che lo colpì alle spalle. Sentì anche una risata di Al.
Fantastico. Sono diventato la vittima preferita di quei due.
Non poté comunque nascondere un sorrisetto. L’ironia intelligente poteva perdonarla.
Il sorrisetto sparì velocemente quando si trovò di fronte al laboratorio del Fabbricante Stevens.
Aveva una teoria e non aveva idea se avesse senso o meno. A lui sembrava l’avesse… ma poi bisognava anche scontrarsi con la realtà delle leggi magiche. E non poteva chiedere ad Harry ed aspettarsi che si mettesse a fare una ricerca anche su quello. Voleva portargli dei risultati e non gli interessava se non era tenuto a farlo, anzi tutto il contrario dato che era coinvolto nel caso come vittima; non voleva sentirsi in quel modo. Non voleva sentirsi impotente.

Impazzirei.
Prima che suonasse il vecchio campanello ossidato gli fu aperta la porta e l’allampanato Fabbricante di bacchette fece la sua comparsa; era una delle poche persone che riusciva ad equipararlo in altezza, e questo avrebbe dovuto innervosirlo. In effetti, era così.  “Signor Dursley… non l’aspettavo così presto!” Esclamò sorpreso. Il sottotesto era piuttosto chiaro.
Pensava che non sarei mai tornato nonostante gliel’avessi dato ad intendere. Ed ha ragione.
“A che serve un campanello se sa già che qualcuno è alla porta?” Ritorse, sentendosi inspiegabilmente come un bambino colto con le mani sul barattolo della marmellata.
Il Fabbricante sorrise senza rispondere. “Ha considerato la mia offerta?”
“Sono qui per delle domande.” All’espressione finalmente confusa dell’uomo, spiegò. “Domande sulla magia delle bacchette. Serve per forza una bacchetta per poter usufruire della forza di una bacchetta?”

Non sapeva se avesse spiegato bene il concetto che si agitava in mente. Probabilmente no. 
A sorpresa Stevens sorrise di nuovo. “Prego, si accomodi. Stavo giusto servendo il the.”

 
****
 
“Non vuole parlare con nessuno… neppure con Roxanne.”
Harry lanciò un’occhiata perplessa alla moglie. Ci impiegò più di qualche attimo per capire che stava parlando di Lily.

“Perché?” Gli uscì fuori intelligentemente. Era un uomo, non doveva giustificarsi se non comprendeva l’universo dei sottointesi femminili.
La donna si sedette accanto a lui, versandosi una tazza di caffé con la ruga delle Grandi Preoccupazioni che le solcava la fronte. Questo lo mise in allerta; erano giorni che tornava a casa ad orari indecenti, dopo aver passato ore e ore trai doveri insindacabili di Capoufficio che si erano accumulati in maniera imbarazzante. Terminati quelli, la sua attenzione ufficiosa era tutta rivolta al caso della Thule.
Quindi no, non aveva fatto molto caso a cosa accadeva tra le mura di casa sua.
È quello che c’è fuori a spaventarmi.
“Lo sai com’è quando si ammala.” Continuò Ginny alzando gli occhi al cielo. “… e per il resto non ne ho la minima idea. Te l’ho detto, si rifiuta di parlare. Con tutti. Se proprio deve, dice che sta benissimo.”
“E non sta bene?”
“Non sembra, no.”

Harry aggrottò le sopracciglia: non aveva pensato a Lilian in quei giorni, forse perché la sicurezza di averla in casa lo aveva tranquilizzato a sufficienza da accantonare il problema.
“Non si preoccupi. Lily è al sicuro.”
Luzhin e Lily… Che cosa le ha fatto?
Era la prima cosa che gli venne in mente, da bravo auror. E da padre apprensivo provò rimpianto nel non aver messo almeno un pizzico di paura in corpo a quel ragazzetto inquietante.
“Ha problemi a scuola?” Chiese più diplomaticamente, da bravo marito.
“Non che io sappia… ma forse con suo padre parlerebbe.” Era una frecciatina, e Harry l’accettò. Se la meritava dopotutto. “Sai che dà più retta a te che a me.”    
“Va bene, provo io.” Le sorrise dandole un bacio sulla guancia a mo’ di scusa. Si beccò uno scappellotto distratto. Espletata la sua punizione, salì le scale e bussò alla porta della figlia con una tazza di the caldo e biscotti di Molly Weasley freschi di mattinata. Era un’offerta di pace da non sottovalutare.
“Lily? Sono papà… vengo in pace ed ho dei biscotti.” Esordì scherzoso. Ci fu un breve silenzio al di là della porta seguito da un teatrale sospiro.
“Non vengo corrotta così facilmente.” Sì, era di cattivo umore. “… I biscotti sono della nonna?” Chiese dopo una seconda, meditabonda, pausa.
Harry frenò una mezza risata. “Puoi contarci piccola.”
La porta venne liberato del Colloportus ribelle con cui era stata chiusa. Harry sorrise.
Quando era nata Lily, per la prima volta in vita sua aveva capito com’era vivere con una bambina per casa, una femminuccia al cento per cento, che faceva i capricci per un vestito nuovo e piangeva se Jamie le tirava le trecce.

Era stato uno shock, avendo sempre avuto riferimenti come Ginny ed Hermione. Ma Lily era la sua principessa, e nessuno era riuscito a frenarlo dal viziarla spaventosamente. Non aveva mai capito il desiderio di avere una fauna di pupazzi, di volere la camera tutta rosa o di avere una trapunta soffice come una nuvola. Ma aveva acconsentito a tutto, e persino adesso non poteva fare a meno di sorridere come un allocco di fronte all’aria poco incline all’amore filiale della figlia minore.
“The?” Offrì posandolo sul comodino. “Bevine un po’, ti farà bene.”
“Non sono più malata.” Replicò sostenuta, anche se lanciò un’occhiata calcolatrice alla tazza fumigante. “Per i capelli di Morgana, detesto essere malata.” Aggiunse. “Non succede mai a nessuno in famiglia! Jam  quando mai è stato malato? Una volta in vita sua, forse?”
“Beh, non funziona proprio così. E poi siamo fortunati.” Scosse la testa. “Dovresti vedere come si ammalano facilmente i babbani. Noi maghi siamo più resistenti.”
“Parla per te.” Borbottò afferrando la tazza e dandone un cauto sorso. Tirò su con il naso. Era chiaro fosse reduce da un febbrone coi fiocchi, ma c’era dell’altro. Per quanto detestasse essere bloccata a letto, di solito era ben felice quando passava in convalescenza e poteva farsi viziare dall’intero consesso maschile che gravitava attorno alla casa.

Stavolta era diverso.
Harry diede un’occhiata attorno. Notò che sul comodino c’era una boccetta senza etichetta.
Albie.

La pozione doveva essere un tonico distillato dalle mani ingegnose del piccolo pozionista di casa. 
Lily però non l’aveva bevuta; era strano. Era l’unica in famiglia che si era sempre fidata del fratello sin dai suoi primi tentativi sulla strada della Medimagia.

Era il momento di indagare un po’. O più prosaicamente, di una bella chiacchierata padre-figlia.
“Posso sedermi?” Chiese con il suo miglior tono pacifico.
Si beccò un’occhiataccia. “Perché volete tutti sedervi?” Rispose storcendo il naso e mordicchiando un biscotto. “Non è che tutte le volte che mi prendo un raffreddore deve arrivare una processione addolorata! Al, Tom, la mamma, Roxie… non sto morendo!”
“No, certo. Ma da quando in qua si tratta male qualcuno che si preoccupa?” Osservò gentile.
Lily si mordicchiò un labbro. “Scusa.” Borbottò. “È che…”
“Sì?”
“Non voglio parlarne.” Sbottò.
Lily era una quindicenne. Una quindicenne con qualcosa che la tormentava. Non avrebbe parlato: piuttosto, per punto di principio avrebbe nascosto tutto fino a sentirsi male.

Doveva quindi cambiare strategia. “Va bene.” Acconsentì senza scomporsi. “Ma lo vedo che ti stai annoiando. Ti va una partita a scacchi?”
“Papà, facciamo schifo tutti e due…” Aveva finalmente aperto una breccia, dal sorrisino in tralice che gli lanciò. Probabilmente aveva intuito la sua diversione, non era affatto una sciocchina anche se ci si comportava spesso. Ma sembrava averla accettata. 

Si strinse nelle spalle. “Beh, allora sarà una battaglia ad armi pari. E poi, per una volta, forse avrò la possibilità di vincere. Con tuo zio Ron non c’è mai storia.”
Lily stavolta gli sorrise apertamente. “Ah, lo vedremo!”
 
****
 
Londra, Diagon Alley.
 
“Potenza e precisione di una bacchetta ma senza bacchetta.”
Stevens sorseggio con accuratezza la sua tazza di the. Non spillava neppure una goccia. I movimenti di quell’uomo erano quelli che ci si sarebbe aspettati da un orologiaio babbano. In effetti, la precisione del suo lavoro non doveva esser poi molto diversa.

“Esattamente.” Confermò. “Non so se mi sono spiegato bene…”
“Non saprei.” Ammise con un mezzo sorriso. “… lei non intende Magia senza Bacchetta, vero?”
“No.” Sospirò. “So che non ha molto senso quello che sto dicendo. Il fatto è che conosco bene la Magia Senza Bacchetta… non è lontanamente potente come quella che ho visto e soprattutto, precisa.”
Può essere precisa.” Osservò spingendo verso di lui un piatto di biscotti. “Nella mia vita ho visto maghi di valore non aver bisogno di una…”
“Sì, lo so.” Lo interruppe. Fece una pausa e si morse un labbro. Come riusciva a spiegarsi ad uno sconosciuto, per quanto intelligente, se non riusciva a capire neppure lui? “Colui che ha utilizzato questa magia è troppo giovane per avere quella capacità di controllo. Viene con gli anni, con l’esperienza.”

“Su questo posso darle ragione.” Inarcò appena le sopracciglia. “Quindi se non è senza bacchetta ma neppure con, che cos’è?”
“Speravo potesse avere un’idea in merito.” Confessò bevendo subito dopo un sorso bollente. Si sentiva un idiota. Venir fuori con domande assurde come quella, per giunta ad uno sconosciuto… ma ne apprezzava la mente brillante. E il fatto che non avesse assunto quell’espressione di scetticismo un po’ preoccupato che ogni tanto aveva Albus nei suoi confronti.

“Magia di una bacchetta ma senza bacchetta…” Mormorò l’uomo meditabondo. “Siete sicuro che una bacchetta non sia coinvolta?”
“Certamente. L’ho visto con i miei occhi.” Subito dopo una parte remota del suo cervello registrò che non era carino far riferimento alla capacità mancante nell’uomo, ma quello non parve neppure registrare la gaffe, perché si alzò. Andò verso la piccola ma capacissima biblioteca all’angolo del grosso stanzone da lavoro. Scorse i titoli con la punta delle dita per un po’, poi fece un sospiro. “Non ricordo dove l’ho messo… ma non ha importanza.” Fece un cenno evasivo. “Forse ho un’idea.”
Tom alzò la testa dalla contemplazione dei fondi della sua tazza. Cercò di calmare l’urgenza nel tono di voce. “Me la spieghi.” Sbottò comunque. Si schiarì la voce, mentre il Fabbricante ridacchiava.

“L’impazienza della gioventù…” Fu così gentile da non rammentare l’arroganza, e Tom si sentì arrossire.
“Intendevo dire…” Tentò.
“La sostanza non cambia, Signor Dursley.” Scosse la testa divertito, sedendosi di nuovo. “Comunque… anni fa ho letto un libro. Un lavoro di ricerca piuttosto interessante ad opera di un giovane alchimista inglese.”
“… il nome?”
Fece un cenno evasivo. “Si firmava con uno pseudonimo. Un metodo sicuro se si azzardano idee che cozzano con le leggi del Ministero.” Si appoggiò contro lo schienale della vecchia sedia. “In questo testo spiegava come fosse possibile avere la magia di una bacchetta senza bisogno di averla fisicamente tra le mani.”
Tom aggrottò le sopracciglia. Non si riteneva un idiota, tutt’altro, ma quel discorso sfuggiva alla sua comprensione. Il Fabbricante dovette percepire il suo stato d’animo, perché si apprestò a continuare.
“Una piccola premessa… la bacchetta è solo, di fatto, l’involucro. Qualcosa che serve a tenere assieme la magia che vi è dentro. Il Nucleo, è ciò che fa una bacchetta, non il suo legno.”
“Intende crini di unicorno, corde di cuore di drago…”
“Sì, esattamente.” Convenne. “Il legno si armonizza con il nucleo e dà la precisione di colpi, la forza. Però, in teoria, non è indispensabile. Solo che ovviamente tenere in mano un nucleo e provare a fare magie con esso…” Fece un mezzo sorriso. “Sarebbe come avere del tritolo e tentare di accendervi una pipa.”

Tom annuì. “Quindi senza legno una bacchetta non…”
Non è una bacchetta.” Sorrise. “Il nucleo è il catalizzatore della magia di un mago. Capisce? Il tramite in cui l’energia viene convogliata, rinforzata e si disperde. Il legno è ciò che la rende impugnabile.”

Tom ebbe un famoso momento da ‘eureka’. Se lo sentì arrivare addosso come una consapevolezza. “Quindi potrebbe esserci il modo di impiantare il nucleo in qualcos’altro che non sia il legno di una bacchetta?”
“Sì, è possibile.” Convenne l’uomo con un mezzo sorriso. 

“Impiantarlo su una persona.” Quasi inciampò con le parole, dalla fretta che ebbe di pronunciarle. “Sarebbe possibile impiantare un nucleo non so… nel braccio di un mago?”
L’uomo si pizzicò il mento pensieroso. “In linea del tutto teorica…”
“Lei è un Fabbricante.” Lo incalzò. “Sarebbe possibile?”
“Come le ho detto, Signor Dursley, in linea teorica sì.” Convenne con un sospiro. “Ma bisogna considerare il fatto che carne e sangue non sono legno. L’essere umano contiene carbonio come il legno, ma non è legno. Il processo sarebbe meccanicamente fattibile, forse legando il nucleo ai tendini e all’arteria brachiale…” Scosse la testa. “Ma sarebbe un azzardo. Un rapporto così diretto, non mediato… Un’operazione del genere, a livello morale sarebbe inconcepibile.”
“Perché?” Gli uscì di getto e subito dopo arrivò la colpa. Una voce interiore che aveva il tono di Al gli ricordava che aprire il braccio di una persona e infilarci il nucleo di una bacchetta non poteva essere un’operazione da nulla come togliersi una spina dal piede.

L’uomo fu così gentile da risparmiargli una risposta tagliente, anche se gliela lesse in faccia.
“Sarebbe pericoloso per la vita del amgo.” Disse invece. “Una forzatura al suo naturale equilibrio magico. Dubito che qualsiasi mago adulto potrebbe sopravvivere ad un’operazione del genere. Nel migliore dei casi, tutta la sua magia fuoriscirebbe dal braccio in un’esplosione. Il legno di una bacchetta ha delle valvole di controllo al suo interno. Non credo sia del tutto ricreabile all’interno di un arto umano… ma stiamo parlando di teoria.” Si fermò e si sporse verso di lui. “Ha conosciuto qualcuno…?” Lasciò aleggiare la domanda. Tom si sentì meno solo e paranoico quando vide una scintilla di interesse accendere lo sguardo opaco dell’artigiano.
“Non ne sono sicuro.” Tagliò corto. Non era lì per dare informazioni, ma per riceverne. “Ipotizziamo un bambino che non ha ancora ricevuto la sua prima bacchetta… sarebbe il ricevente ideale?”
Stevens inspirò leggermente. “Dio…” Si lasciò sfuggire dalle labbra. “Le confesso che questi discorsi mi stanno mettendo a disagio.”
“Non è l’unico.” Lo rassicurò, ma forse più che altro rassicuro sé stesso. Si sentiva male. Ma quello che più lo inquietava era che nonostante tutto, la curiosità lo spingeva a continuare a fare ipotesi. Si sentiva eccitato come forse una persona normale al suo primo appuntamento.

“Per pura teoria allora…” L’artigiano si passò una mano sulla guancia. “Un bambino che ancora non ha imparato a convogliare la sua magia tramite un elemento esterno sarebbe il candidato con più possibilità di riuscita. Nove, dieci anni. Più piccolo sarebbe troppo instabile.” Sospirò. “Ma chi farebbe mai una cosa così disumana?”
Quella singola frase fu peggio di una doccia fredda.
Mio padre.

Se ha strappato un’anima dall’oblio per darle il corpo di suo figlio, può anche torturare un bambino per avere l’arma perfetta.
Serrò appena le labbra. “Spero nessuno.” Mentì. Si alzò in piedi. “La ringrazio del suo tempo.” Voleva uscire di lì; improvvisamente si sentiva costretto.  
L’artigiano sembrò indovinare i suoi pensieri. “Si figuri. È raro che qualcuno venga a discutere della materia, a meno che non si tratti di ordini in pendenza.” Sorrise tendendogli la mano.  
Gliela strinse. “Mi è stato molto utile.”
“Lo spero.” Trattenne la mano ancora qualche attimo. “Signor Dursley… la devo avvertire. Se conosce una persona con un artificio simile… gli stia ben lontano.”
Tom batté le palpebre. L’espressione del Fabbricante era seria, quasi preoccupata. “Perché?”
“Immagini un momento di rabbia, un momento in cui è non è il caso abbia la sua bacchetta in mano… Le è mai capitato?” Non aspettò risposta; non che servisse. Arrivava un momento nella vita di molti maghi e streghe in cui accadeva. A lui era successo un po’ più di una volta. “Immagini allora quanto possa essere pericoloso un mago che non ha la possibilità di posare la sua bacchetta.”
La pietra bruciata…

Tom immaginò. E nell’istante in cui visualizzò, non volle averlo fatto.
 
Albus era nel bel mezzo di una partita a sparaschiocco con Meike quando Tom entrò nel locale; Fortebraccio aveva un sacco di giochi a disposizione dei clienti più piccoli ed era ben lieto di vederli utilizzare, che causassero esplosioni o meno.
Al vide Tom arrivare accompagnato da una faccia tremenda e quindi fermò con gentilezza Meike da aggiungere la carta che probabilmente avrebbe fatto esplodere l’intero mazzo. “Ehi, siamo qui!” Lo chiamò con un cenno.
Che è successo? Chi gli ha detto cosa? Cavolo.
Persino Meike si accorse della sua espressione. “Che hai?” Chiese un po’ apprensiva. “Vuoi una cioccolata calda?” Offrì immediatamente.
Tom a quel punto si scongelò appena, con un sorriso. “Vammene a prendere un po’, sì.”
“Ma quale? Ci sono tantissimi gusti!”
“Quella che piace a te.” Il messaggio sottointeso era chiaro e Meike non fece rimostranze. Doveva essere abituata ad esser spedita a far altro dai tempi di Rügen. Si allontanò trotterellando, promettendogli la più buonissima di tutto il locale.

“Tom, che è successo? Va tutto bene?” Gli chiese toccandogli una spalla. Il contatto parve riscuoterlo di colpo perché batté le palpebre prima di afferrarlo per la sciarpa slacciata sul collo e baciarlo. Al ricambiò il bacio tra la sorpresa e l’allarme. Non che non si fossero mai baciati in pubblico, ma non in quel modo: non serviva la Legimanzia per sentire che Tom ne aveva bisogno.
Si staccò con il respiro corto. Si poteva dire molte cose di Thomas Dursley, ma non che sapesse come essere travolgente. “… okay.” Mormorò. “Non che non mi sia piaciuto, ma per cos’era?”
Tom non rispose limitandosi a fissare con improvviso interesse il mazzo disordinato di carte. “… Sono felice che Harry mi abbia trovato.” Mormorò soltanto. Il che non era precisamente una confessione rivelatoria. Al lo sapeva. Era il fatto che reiterasse il concetto a preoccuparlo.
Gli prese la mano stringendogliela. “Lo siamo tutti.” Ribatté pacato: sommergerlo di domande in quel momento sarebbe stato controproddutivo, oltre che inutile.  
“Farò in modo che mio padre paghi per tutto quello che ha fatto.” Sussurrò in tono così basso che Al sentì un brivido corrergli lungo la schiena; Tom era sempre Tom, ma c’era qualcosa dentro di lui a volte, un’ombra che gli avviluppava il cuore. Che avesse paura o fosse arrabbiato, si manifestava e gli faceva dire quelle cose, gliele faceva pensare.
“Non sta a te farlo.”
Gli venne scoccata un’occhiata ancor più preoccupante del tono, ma forse il rafforzarsi della stretta alla mano servì, perché Tom serrò appena le labbra. “Vorrei che stesse a me, invece.”
“Non credo proprio.” Sorrise a Meike che posò orgogliosa la tazza ancora piena di crema e panna sul tavolo. “Sei solo uno studente.” Sottolineò a bassa voce.

Tom prese la cioccolata regalando un mezzo sorriso alla bambina. “Per fortuna, no?” Ribatté con una punta di ironia. Ma non aggiunse altro, rivolgendo la sua attenzione alla piccola tedesca.
Al non si illudeva che fosse finita lì. Ma per il momento, decise, bastava.
 
****
 
“Questo mi sembra un arrocco, vero papà?”
“Ehm.”
“Papà!”
Harry ridacchiò, alzando le mani in segno di scusa. “Lo sai benissimo che la logica e la memoria non sono il mio forte. E lo sanno anche questi pezzi.” Sbuffò mentre le sue due torri si strattonavano l’un l’altra. Quelli di Lily erano più disciplinati, o più semplicemente totalmente ammaliati da lei. Era la scacchiera di Albus, ma i bianchi di Lily la chiamavano da mezz’ora ‘Sua Maestà’ indefessamente.

“Non ti ricordavo così schiappa.” Ghignò attorcigliandosi una ciocca ramata attorno alle dita. “Sul serio, concentrati almeno un po’!”
“Beh, io invece non ricordavo che fossi così brava.” La riprese pizzicandole il naso per gioco. Lily stranamente non cercò di schivare lamentando a gran voce la sua età inadatta a certi buffetti, ma perse invece il sorriso.

“Mi ha insegnato Ren.” Disse con un filo di voce. “Ogni tanto giocavamo assieme. A lui gli scacchi piacciono molto.”
Ah.
“È un bravo giocatore?” Chiese in tono neutro. Sua figlia non doveva sapere. Era una specie di mantra che aveva quasi fatto ripetere a Ron, casomai si facesse venire la malsana idea di dire tutto a Lily per tenerla lontana dal tedesco.
Poteva ritirare Lily da scuola. Poteva farlo e sarebbe stata la soluzione migliore. Ma prima di arrivare a quella misura drastica doveva capire alcune cose.
Lily intanto stava fissando i propri pezzi, apparentemente per studiare la prossima mossa.
E non aveva risposto alla domanda.
“Lily?” Chiese non impegnativo.
“Sì, è bravo.” Sbottò. “Non lo so, cioè… sicuramente farebbe una gran partita con Tom o zio Ron.”
“Non ha mai giocato con i tuoi cugini?” Prese un biscotto e gli diede un morso. “Con Tom o Rose, per esempio. So che Rosie non dice mai di no ad una buona partita.”
“No, Ren non ha frequentato molto gli altri… neanche Rosie.” Borbottò stuzzicando un pedone senza farlo muovere veramente. “Stava sempre con me. È timido.”

Non mi è sembrato affatto timido.
Ma non lo disse ad alta voce, preferendo un sorriso. “Capisco.” Osservò la mossa svogliata della figlia. “E…” Beh, si supponeva dovesse indagare, ma lì si sconfinava in un territorio in cui, anche alla veneranda età di quarantatré anni, si sentiva un novellino. “… e lui ti è simpatico?”
Infatti fu guardato come se avesse detto una cosa stupida. “Papà, siamo amici da tre anni. Se non mi fosse simpatico, credi che avrei continuato a scrivergli ed avrei accettato di frequentarlo?”
“A questo proposito…” Si schiarì la voce. Lo sguardo di Lily si era fatto un po’ troppo analitico per i suoi gusti. “… era come te lo aspettavi?”
Lily gli lanciò un’occhiata di tremenda consapevolezza. Abbandonò totalmente la scacchiera per raddrizzarsi sui cuscini. “Che vuol dire?”

“Nulla, era solo…”
“Stai indagando su di lui.” Lo freddò di colpo. “Su di lui e su Durmstrang.”
Harry si sarebbe mangiato la lingua. Con l’età aveva a contenere i lati più impulsivi del suo carattere. Si chiamava maturità. Era questo che l’aveva reso un buon capo-squadra. Ma mantenere quel genere di distacco con i suoi figli gli era impossibile.

“Chi te l’ha detto?” Preferì quindi giocare a carte scoperte, e magari strigliare chi aveva avuto la brillante idea di fare domande troppo rivelatorie alla sua bambina.
Sempre che non sia stato Tom. In quel caso temo che nessuna ramanzina potrebbe attecchire.
“L’ho scoperto da sola.” Poteva essere vero, come poteva tentare di discolpare il delatore. Con Lily entrambe le possibilità erano probabili. “Sören non sarebbe mai capace di fare quello di cui lo incolpate!”
“Nessuno lo sta incolpando di nulla.” Disse fermo. “Ma devi capire che zio Ron e la sua squadra stanno svolgendo delle indagini. E ci sono degli indizi…”
Non sono veri!” Stavolta proprio urlò, e trasalirono in due. Lui e Lily.

Poi arrivarono le lacrime. “Ren non è … non è come pensate che sia! Perché diavolo dite tutti che lo è? Al… Al ha detto delle cose orribili, e non sa niente!”
Harry non ribatté, capendo che non era il caso. Però registrò il commento.

Per questo non ha bevuto la pozione?
Albus ovviamente era stato con lei in que giorni. Era quello che in casa le era stato più vicino. Harry non li aveva sentiti litigare, ma forse era accaduto quando era al lavoro.  
“Tesoro…” Cosa avrebbe potuto dire per migliorare quella situazione assurda? Ferire la propria bambina gli sembrava un delitto capitale.
Ma non posso neanche starmene a guardare mentre quel piccolo bastardo la manipola.
Si sporse, passandole un braccio attorno alle spalle e stringendosela contro. Lily non si ritrasse, per fortuna. Non era ancora il cattivo della storia, perlomeno. “Ascoltami. So che Sören è tuo amico.” Sospirò. “Ma può essere che sia coinvolto in qualcosa di più grande di lui.”
“Com’è successo a Tom l’anno scorso?”
Proprio no. Tom è uno dei nostri.  

Le sorrise. “Forse. Nessuno vuole incolparlo ingiustamente. Vogliamo solo capire. Vogliamo fare in modo che quello che è successo a Tom non ricapiti più. A nessuno di voi.”
“Neppure io lo voglio.” Mormorò Lily, posandogli la testa sul petto, più calma. Harry notò che non aveva negato la sua ultima presa di posizione.

Allora sa qualcosa?
“Pensi che Sören si sia cacciato in qualche guaio?” Le chiese con tutta la gentilezza possibile. Sapeva che era come camminare su gusci d’uovo.
Lily non rispose subito. “Non lo penso.” Mormorò infine. “Lo so.”
… come sospettavo…
Cercò di frenare il desiderio di mettere al sicuro tutta la propria, allargata famiglia, possibilmente in qualche posto lontano dall’intera umanità. “Quindi capisci che … è meglio se per un po’ tu e lui state lontani?”
A quell’azzardata richiesta si sarebbe aspettato un secondo scoppio d’ira adolescenziale, ma non arrivò. Anzi, Lily gli si aggrappò con più forza al maglione.
“Non ti devi preoccupare, papà…” Le stesse parole di Luzhin? “… non mi vuole più vedere.”
Harry batté le palpebre: ora era confuso. La frase di Luzhin gli era sembrata detta proprio per affermare il contrario. Invece…
Non ha senso. Se si è avvicinato a Lily per monitorare Tom e gli altri, come ha supposto Nora… perché adesso l’ha allontanata?
A che razza di gioco stava giocando?
In ogni caso non poteva rischiare la vita di sua figlia su una semplice incongruenza caratteriale. Che l’avesse allontanata o meno, decise, Lily non sarebbe andata a Durmstrang.
“Lily, ascolta…” Sospirò.  Il difficile arrivava adesso.

 
****
 
 
Surrey, Little Whining, Privet Drive.
 
Albus era tornato da Tom perché la situazione a casa sua era diventata peggio di un uragano non annunciato.
Sapeva bene che i Dursley – più che altro il capofamiglia – non apprezzavano gli auto-inviti, ma del resto la finestra di Tom era chiusa e non rispondeva alla ghiaia che tirava ai vetri. Probabilmente stava ascoltando musica in cuffia.

Quando fu Dudley ad aprirgli, Al inscenò il suo sguardo più mortificato. A quanto pareva suo zio – o cugino di secondo grado, o quel che era – era psicologicamente fragile a grandi occhi tristi.
Sensi di colpa che risalgono ad un’infanzia da bullo?
“Ciao zio, scusa l’ora e il non preavviso. Tom è in casa?” Non poteva essere da nessun’altra parte, ma la commedia andava recitata a menadito. Era buona educazione.
L’uomo sbuffò. “Sì che c’è. Ma con cosa sei venuto?”
“Non lo vuoi sapere.” Sorrise amabile. “Posso entrare?”
“Certo, certo…” Si spostò. “Tutto bene da te?”
“Meravigliosamente.” Convenne perché era quello che bisognava dire in quei casi.

E non, mia sorella ci odia tutti perché papà le ha proibito di andare a Durmstrang ed io ho peggiorato la situazione arrivando al momento sbagliato, cercando di calmarli e finendo per dire a papà la cosa per cui Lily non mi parla da due giorni.
Mutti!
Al non seppe se correggere Meike per la centesima volta o arrendersi all’inevitabile sarcasmo made in Thomas che la piccola aveva sviluppato. Nel frattempo ricambiò l’abbraccio entusiasta con cui lo placcò. “Ciao Mei.”
“Guardavamo un film alla tv. Tutti meno Tom!” Chiosò togliendosi un cucchiaio da gelato dalle labbra. “C’è un sacco di gelato!” Disse infatti. “Mi piacciono le marche inglesi!”
Mutti?” Suo zio Dudley aveva una strana espressione in faccia. Gli tremavano i baffi. Al capì con orrore che l’uomo capiva il tedesco. Perlomeno le basi.
“Mei, vado da Tom.  Buon film e buon gelato. Ci vediamo dopo.” Mugugnò infilando per le scale, inseguito dalla risata roboante di Dudley Dursley.
Ucciderò Tom.
Era una giornata orribile. Iniziata in modo poco simpatico e finita in modo orrendo. Voleva solo avere a che fare con una persona che non sbraitava, e Tom sì, aveva molti difetti, ma il suo tono di voce base era meravigliosamente basso. Monotono forse, ma c’era talmente abituato che lo trovava riposante.
Non bussò alla porta, sapendo benissimo che l’altro non l’avrebbe comunque sentito. Lo trovò infatti disteso sul letto, con le cuffie e un libro di narrativa babbana in mano, completamente assorto.
“Ehi.” Diede un calcetto al materasso. Tom sobbalzò di colpo, rivolgendogli un’occhiataccia.
Oh, cavolo. Fantastico. È ancora nervoso.
“Che ci fai qui?” Per l’appunto. Al sentì l’umore precipitare sotto la suola delle scarpe e cominciare a scavare. L’ultima cosa che aveva sentito chiudendo la porta di casa era stata una sequela di recriminazioni su quanto fosse un delatore, uno spione e un serpeverde.
Lily quando vuole sa essere insopportabile. E pure Tom. Amo gente insopportabile.
“Fai finta che io sia un’allucinazione. Ora me ne vado.” Replicò asciutto facendo per voltarsi. Per fortuna Tom aveva migliorato le sue capacità di reazione in quell’ultimo anno. Si alzò con uno scatto piuttosto impressionante per un ragazzo che faceva dei libri la sua ragione di vita e si frappose tra lui e la porta con una certa eleganza.
Poteva semplicemente chiedermi di restare. Ma immagino sia già abbastanza che non mi abbia sbattuto la porta in faccia con la magia.
“Aspetta.” Lo scrutò. “Cos’è successo?” Si schiarì la voce. “Intendevo dire questo, non cacciarti via.”
“Come no…” Sbuffò dirigendosi verso il letto. “… a volte mi illudo che la tua incredibile mancanza di tatto sia passeggera.”
Tom piegò le labbra in un sorrisetto. “Mea culpa.” Convenne. “Che è successo?” Ripetè sedendosi sul materasso, invitandolo ad imitarlo. 

Al fece una smorfia: in realtà non aveva voglia di parlare di quello che era successo.  Si sentiva frustrato e sapeva che se avesse vomitato tutto addosso a Thomas per farsi consolare, probabilmente l’avrebbe solo turbato.
In fondo si parla sempre del solito argomento. Pazzo psicotico e Sette Assassina.
“Che stavi ascoltando?” Chiese invece agganciando con un dito il filo degli auricolari.
“Siouxie and the Banshees.” Replicò con un sorrisetto. “Perché mi chiedi sempre cosa ascolto se non hai la minima idea di chi siano?”
“I babbani sanno cosa sono le banshee?”

“Per loro sono folklore irlandese. Meglio che rimangano nell’ignoranza.” Prese l’Ipod e lo posò sul comodino. Gesto tipico per dirgli che era disposto a dare udienza. “Ora vuoi dirmi perché sei qui e non al capezzale di Lily come la tua indole da crocerossina ti suggerisce?”
“Stronzo.”
“Già.” Gli passò le dita trai capelli, toccandogli gentilmente la nuca. Al sentì la tensione abbandonarlo, anche se solo un po’. “Parla.” Lo incitò con quei suoi imperativi impossibili. Al non l’avrebbe mai ammesso se non a sé stesso, ma li trovava eccitanti.

Tranne quando mi irritano oltre ogni misura.
E raccontò. Di come avesse saputo da Rose che Lily era stata aggredita da Luzhin la sera del Ballo del Ceppo. Di come quando le avesse riportato l’orecchino chiedendole spiegazioni avesse ricevuto una sostanziale porta in faccia.
“… le ho chiesto perché diavolo stesse coprendo quel bastardo e sai che mi ha risposto?”
“Ti ha preso a schiaffi?” Suggerì Thomas incolore. Fissava un punto qualsiasi della stanza con estrema concentrazione. Era il suo modo di ascoltare al cento per cento. Al per un attimo si pentì di averglielo detto: aveva evitato di farlo non appena saputolo proprio per evitare di alimentare quella sua malsana ossessione per il tedesco.

Ma ormai… forse tanto malsana non è.
“No, mi ha risposto che Rosie aveva esagerato. Ho tentato di chiederle se avesse ancora i lividi sulle braccia. Pessimo errore.” Inspirò. “Ma ero incredulo… ovviamente dopo mi ha cacciato di camera.”
“Ma li aveva?”
“Non lo so. Penso che se avessi tentato di spogliarla mi avrebbe fatto crescere un naso in più.” Brontolò a mezza bocca. Tom non sorrise. “Comunque è Lily. Odia trovarsi anche solo un graffio addosso. Avrà preso qualche unguento per farli riassorbire il giorno dopo, quasi sicuramente.”

“Questo è accaduto due giorni fa. Ed oggi?”  
“Quando sono tornato da Diagon Alley ho trovato una Terza Guerra Magica.” Si guardò le mani strofinandosi il pollice particolarmente sporco sotto le cuticole. Era una vera rottura tagliare radici con il kit di pozioni che aveva a casa. Non era neanche lontanamente buono come quello che teneva a scuola. Digressioni a parte, continuò. “…Sono giorni che è chiusa in camera sua, era ovvio che prima o poi papà cercasse di capire. L’ha fatto oggi. E deve essere arrivato alle mie stesse conclusioni.”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Niente Durmstrang.” Intuì.
“È il minimo visto quel che le è successo!” Sbottò esasperato. “Invece di capire la situazione… quando sono arrivato stepitava che nessuno poteva impedirle di andare all’Istituto, ti rendi conto?”
“In realtà i vostri genitori possono.”
“Ha solo peggiorato la situazione ricordarglielo.” Sospirò. “Papà cercava di farla ragionare, lo sai com’è fatto… quando sono arrivato io però, la situazione è precipitata.”

 
“È colpa tua!”
Lily si arrabbiava raramente. Questo non significava che non fosse capace di farlo in modo spettacolare.  

Albus aveva appena messo piede nella stanza della sorella per capire il motivo di tutto quel trambusto, dato che si udiva sin dai piani inferiori, e aveva trovato quest’ultima e i suoi genitori nel bel mezzo di una discussione.
“… Che ho fatto?” Gli era uscito confuso.  
“Sei stato tu a mettere in testa a papà che Sören è il colpevole! Tu e Thomas!”
L’utilizzo del nome completo di Tom non era un buon segno.
“Lily, non è così.” Aveva replicato suo padre. La voce era calma, ma forzatamente tale. Al si ricordava bene come le arrabbiature di Lily non fossero eredità Weasley, ma Potter. Lì c’erano due vulcani inattivi con al momento una bella attività. Aveva guardato sua madre, e questa gli aveva restituito un’occhiata estremamente consapevole.
Lilian.” Era intervenuta poi. “Ascolta quello che tuo padre ti sta dicendo. Durmstrang è troppo pericolosa in questo momento.”
“Al e Tom ci vanno! Per loro non lo è?” Aveva sbottato sarcastica. “Hanno un dispaccio speciale?”
“Sono maggiorenni.” Aveva tagliato corto suo padre. “Non posso impedirgli di prendere le loro decisioni.”
“A me sì invece, vero? Per ventiquattro mesi di differenza sono un’infante con zero capacità decisionale!” Lily era furiosa, ma più che altro sembrava
spaventata dall’eventualità di essere costrettaa rimanere ad Hogwarts.  Si intuiva dal tono concitato con cui parlava. I loro genitori non erano severi, ma erano coalizzati e inamovibili nelle rare decisioni che imponevano loro. Se decidevano una cosa, non cedevano.

“Non è un argomento di cui discutere, Lily.” Aveva detto infatti suo padre. “Non lascerò che tu metta la tua incolumità in pericolo per un capriccio.”
“Merlino!” Lily si era passata le dita trai capelli ora leonini. “Non è un capriccio! È per Ren! Lui ha
bisogno di me, è mio amico!”
Albus  a quel punto aveva capito qual’era il vero nocciolo della questione. E l’irritazione e la preoccupazione che aveva provato quei giorni lo avevano di nuovo morso alla gola. Rose aveva tentennato molto prima di confessargli tutto, ma quando l’aveva fatto la sua espressione era stata inequivocabile. Sua cugina si era spaventata, e non era certo una tipa impressionabile con tutte le volte che si era azzuffata con James e Freddy.
“Lily, Sören è il vero pericolo, non la sua scuola.” Aveva replicato serio, con l’attenzione di tutti improvvisamente catalizzata su di lui. “Al di là delle accuse che pendono su di lui, non è un bravo ragazzo.”
“Tu non lo conosci!” No, non lo conosceva, ma gli bastava abbondantemente ricordare l’espressione di Rose. E la sua espressione quando aveva visto Fanny.

Il canto della Fenice getta terrore nel cuore dei malvagi…
“Ti ha aggredita Lily, a me basta questo.” L’aveva detto, anche se sapeva che avrebbe definitivamente fatto perdere la proverbiale calma a suo padre. L’aveva detto e basta.
 
“Ed è successo?”
“Non ho mai visto papà così arrabbiato. Mamma ha dovuto incollarlo alla sedia con un incantesimo adesivo.” Sorrise appena, suo malgrado. Solo l’istintivo intervento materno aveva probabilmente evitato che suo padre prendesse la prima passaporta per la Norvegia per andare a giustiziare sommariamente il tedesco. “Comunque alla fine l’ha calmato. Ovviamente questo ha solo rafforzato la decisione dei miei. Papà ha già scritto un Gufo al Preside. Lily non andrà a Durmstrang.”

Tom non disse nulla, ma gli passò un braccio attorno alle spalle. Al sospirò, sentendosi meno in colpa e arrabbiato con il mondo. Si accoccolò vergognosamente contro di lui, ma andava bene dato che non c’era nessuna Mei a chiamarlo ‘mammina’ o nessun Dudley a ridere a crepapelle.
“Hai fatto la cosa giusta.” Disse piano, contro la sua tempia. “Lilian è geneticamente irragionevole.”
“Credo tu abbia appena insultato anche me…”
“Sì.” Ghignò appena. “Però siete fatti così. È il vostro principale difetto e maggiore pregio.”

“Mi ha detto che mi odia.” Era stupido, ma l’aveva ferito. Perché nonostante la razionalità della decisione dei suoi, nonostante il suo sacrosanto diritto di informare suo padre dell’aggressione… la capiva.
Luzhin poteva essere un problematico bastardo, ma Lily gli voleva bene.  
Lo feriva sapere che sua sorella, al di là delle sparate da adolescente incompresa, stava passando qualcosa di simile a quello che aveva passato lui l’anno prima.
Si sentì improvvisamente afferrare per un braccio che lo fece stendere sul letto. “Stanotte dormi qui.” Sentenziò Tom. “Diro a Meike di dormire con Alicia.”
“Ma no, sono i suoi ultimi giorni…”
“Non le dispiacerà se le spiegherò che devo consolare Mutti.”
Al si sentì avvampare, ma non ribatté. Aveva ribattuto abbastanza per tutta la giornata.

E pure per la prossima settimana.
Si lasciò invece spogliare docilmente del maglione e toccare i capelli. Quello lo rendeva assonnato e arrendevole dalla veneranda età di due anni. Tom lo sapeva.
“Lily è forte. Vedrai che le passerà.” Disse in tono non impegnativo. Al sospirò; avrebbe voluto dargli ragione, ma vedere sua sorella piangere parzialmente per colpa sua lo aveva fatto sentire sentire un verme. Rimasero in silenzio ed era tutto ciò di cui Al aveva bisogno in quel momento.
Rilassante, confortevole, amato silenzio.
Tom poi gli toccò leggermente il ginocchio. “Ho capito come Luzhin è riuscito a fare magie da bacchetta senza una bacchetta.”
… le ultime parole famose…
Al non aveva voglia di parlare ancora del tedesco, ma immaginava che l’altro si fosse tenuto quei pensieri dentro per tutta la giornata e per buona parte della loro conversazione. E non era il caso che li spedisse tramite gufo suo padre. Non quella sera. Aprì quindi gli occhi. “Come?”
“Potrebbe avere un Nucleo Magico nel braccio. Non è rilevabile ai sensori magici, non è visibile ad occhio nudo. È il modo per utilizzare una bacchetta senza avere una bacchetta.”
Al aggrottò le sopracciglia. “Dentro il braccio?” Sembrava proprio una cosa da Setta Segreta di Alchimisti. Questo non lo confortò affatto. Non che avrebbe dovuto. “Ma com’è possibile? Intendo dire… è possibile fare una cosa del genere?”
“Secondo il Fabbricante con cui ho parlato, sì.” Disegnò fili invisibili sul suo braccio nudo, con aria concentrata. “Probabilmente è stato un esperimento unico nel suo genere.” Esitò, poi gli lanciò un’occhiata. “È il genere di cosa che farebbe mio padre.”
“Hohenheim.” Lo corresse, puntellandosi sui gomiti.

“Sì, Hohenheim.” Mormorò distratto. “Secondo Stevens, Luzhin deve aver sofferto. Un’esperimento del genere è rischioso… ha anche detto che è vivo per miracolo.”
“Mi dispiace per lui… ma questo non lo giustifica.”

“Lo so.” Al attese perché c’era dell’altro. “Non voglio…”
“Non importa. Dimmelo.” Lo incoraggiò. Non era ancora arrivato il momento in cui non ne poteva più. Forse sarebbe arrivato, ma non era quello il momento.

“Avrei potuto essere come lui.” Buttò fuori. “Avrei potuto essere Sören Luzhin.”
Al non disse niente. Perché era vero, Tom avrebbe potuto crescere con Alberich Von Hohenheim. Avrebbe potuto essere un parco per esperimenti. E, nella peggiore delle ipotesi, se suo padre non l’avesse sentito piangere durante l’incendio …

Lo abbracciò di slancio, perché sì, era istintivo, troppo spontaneo e tutto il resto. Ma supponeva che fosse uno dei motivi per cui l’altro ricambiava sempre i suoi abbracci. Forte, come in quel momento.
“Una giornata da cancellare.” Scherzò sciogliendosi dalla presa. Tom sorrise appena. “Hai qualche rimedio per togliercela dalla testa?”
“Di sotto stanno guardando un film assolutamente ridicolo. Credo sia una commedia americana.”
“Fantastico.” Lo baciò sulle labbra. “Adoro gli svaghi babbani.” Fece per alzarsi, ma l’altro lo trattenne afferrandolo per la punta delle dita. “Tom?”
“Mi disp…” Dovette tappargli la bocca con un altro bacio, perché se l’avesse fatto con la mano si sarebbe impermalito a morte.

“Questo è uno dei rari casi in cui non devi scusarti, Signor Dursley.” Lo prese in giro, ma non troppo. “Approfittante.”
Tom prese un’espressione assorta. Poi gli sorrise, per fortuna. “Va bene.” Acconsentì. “Mi dispiace.” Ripeté ma stavolta con tono completamente diverso. Al ridacchiò e si chinò per dargli il bacio che desiderava.

Tom sentiva il respiro regolare di Al accanto al suo; il ragazzo si mosse leggermente nel sonno, mugugnando soddisfatto quando ebbe trovato la posizione giusta. Quindi se lo trovò incollato addosso.

Sorrise, ma poi pensò.
Avrei potuto essere come Luzhin.
Trovava che la pietà fosse un sentimento stupido. Ogni uomo al mondo faceva le sue scelte, e raramente potevano essere aliene da sue colpe. Non aveva provato pena per Parva Duil, l’uomo che si era venduto a John Doe, non aveva provato pena per Ainsel Prynn quando era stata uccisa davanti ai suoi occhi.
Non provava pena neppure per Sören. Ma poteva capirlo. Sospirò.
Capire ti faceva sentire molto peggio.
 
 
****
 
Note:
Non sparate sulla scrittrice, fa’ del suo meglio! ;D
Mi dispiace per il ritardo, ma sfortunatamente è un periodo denso, tra stage, esami e tesi.
Qui la canzone.

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Capitolo 46
*** Capitolo XLIII ***


Capitolo XLIII



 
La realtà dell'altra persona non è in ciò che ti rivela,
ma in ciò che non può rivelarti.
(Le parole non dette, Kahlil Gibran)


 
1 Gennaio 2023
Germania del Nord, Residenza estiva degli Hohenheim.
 
Il vento sbatteva impietoso contro le finestre rinforzate. Al Nord tutte le finestre avevano quella patina opaca, quella forte patina che impediva alle intemperie di entrare nelle stanze.
Sören guardò distratto il mare livido gonfiarsi di cavalloni. Dalla torre dove si era stabilito si godeva una vista eccellente della baia.  
Dove si era stabilito
Sorrise amaro strofinando i polpastrelli sulla carta ruvida del libro che aveva in grembo.
Dove era stato confinato era decisamente un termine più adeguato.
Tornato da Hogwarts suo zio aveva ripetuto la stessa scena della Vigilia. Lo aveva salutato con un abbraccio aspro, prima di consigliargli di riposarsi e che l’avrebbe mandato a chiamare quando avrebbe avuto bisogno di lui.
Aveva aspettato giorni prima di capire che non ci sarebbe stata nessuna chiamata. Non gli era stato espressamente vietato di abbandonare i suoi appartamenti, ma non aveva importanza; sapeva leggere tra le righe di Alberich Von Hohenheim.
Era un recluso senza sbarre.
Scese dal letto e si affacciò al bovindo, osservando il panorama di fronte a sé senza vederlo veramente.
Non aveva ancora capito che male attanagliasse suo zio. Quando aveva tentato di raggiungere la Guferia aveva infatti avuto un’amara sorpresa. Aveva l’ambiente vuoto, privo di qualsivoglia volatile. Quando aveva chiesto informazioni ad Etzel aveva scoperto che non avevano più una voliera e che lo sparviero di suo zio era l’unico animale postino portato dalla vecchia casa. Non avendo mai posseduto un Gufo o qualcosa di simile, Sören era rimasto, come avrebbe detto Lily, fregato.
Suo zio aveva tagliato ogni contatto con il mondo esterno, tranne lo stretto indispensabile; e, sembrava, li avesse tagliati anche con lui. Pur vero che suo zio lo chiamava al bisogno. Si assicurava che le sue necessità fossero sempre soddisfatte, ma non lo chiamava per una partita a scacchi serale.
Ma stavolta è diverso. Non vuole vedermi. Cosa sta cercando di fare?
Non poteva tagliarlo fuori dall’operazione perché era lui l’operazione.  
Non si fida più di me?   
Aveva sentito molti movimenti nel castello, in quei giorni.  Dalla torre vedetta in cui abitava aveva anche uno scorcio del cortile interno. Aveva visto arrivi: uomini venuti da lontano, tirapiedi a giudicare dagli abiti e dal modo in cui suo zio si rivolgeva loro. Quasi sicuramente mercemagi, maghi dell’Est prezzolati e con ben pochi scrupoli morali.
A cosa gli servono? Perché non chiama adepti della Thule?
Sentiva qualcosa di molto simile ad una sorta di tensione rabbiosa che gli scorreva sottopelle.
Suo zio pensava che un atteggiamento simile non avrebbe avuto ripercussioni sul suo stato d’animo?
Conoscendolo non doveva averci neppure pensato. Era ciò che era nel suo braccio a fare di lui ciò che era, non altro. Il resto era… ininfluente.  
Aveva smesso da tempo di sperare che Hohenheim avrebbe potuto sviluppare qualcosa di simile all’affetto per lui. Ma questo andava oltre l’anaffettività. Lo stava tagliando fuori.
Era talmente teso che sobbalzò quando bussarono alla porta.
“Avanti.” Disse voltandosi e sforzandosi di far scivolare via qualsiasi espressione dal volto. Aveva scoperto che diventa sempre più difficile. Una volta era un automatismo.
Lily non sopportava le tue espressioni ‘assenti’… Le chiamava così, no?
Serrò la mascella per impedire un fenomeno in realtà ormai inarrestabile. Infatti, quando il giovane magonò entrò gli venne lanciata un’occhiata guardinga. “Brutto momento Signore?” Chiese squadrandolo.
“No.” Scosse la testa. “Entra pure.”
Il ragazzo era molto più alto di quanto non avesse notato nella cucina in cui l’aveva visto mangiare. Era il manifesto del ragazzo tedesco: capelli biondo grano, presenza massiccia e colorito sano. Doveva essere della vicina Lubecca, a giudicare dall’inflessione.
“Sono venuto a portarvi il pranzo, dove posso metterlo?” Reggeva il vassoio che Sören aveva imparato a conoscere come parte integrante della sua routine giornaliera. L’unica novità era proprio l’avvento del ragazzo.
“Sulla scrivania.” Mormorò distratto. Una piccola novità ininfluente, ecco tutto.
“Signore.” Obbedì svelto il ragazzo.
… o forse no.
Sören gli lanciò un’occhiata incuriosita: aveva sempre pensato che i maghinò fossero immancabilmente anziani e dall’aspetto dimesso. Quel ragazzo era l’antitesi delle sue idee; solo la pettorina di chi serviva in quella casa, nei fatti, lo identificava come uno dei servitori. Neppure l’atteggiamento era quello giusto: aveva le spalle troppo dritte, e già un paio di volte l’aveva fissato dritto negli occhi.
Sören credeva nella gestualità del corpo e del viso. E quella sì che era una novità.  
“Sei nuovo.” Azzardò.  
“Sono stato assunto quando vi siete trasferiti. A settembre, Signore.” Ripeté diligentemente. Lo studiava di rimando. Doveva essersi aspettato di essere notato a malapena.
E normalmente sarebbe stato così.  
Forse era l’espressione di fondo ad averlo catturato. Aveva già visto quello sguardo vivo, intenso.
Lilian.
Erano due esempi di essere umano completamente diversi, eppure…
Oppure. Oppure sto immaginandomi cose che non ci sono.
Ma poteva essergli utile. Di certo aveva più possibilità di muoversi all’interno del palazzo di quanta non ne avesse lui. Doveva quindi stabilire un contatto.
Certo. Facile per te, vero?
Era pessimo in quello: avrebbe fatto un buco nell’acqua anche con Lilian, se non fosse stato per l’esuberanza dell’altra.
“Spero che ti trovi bene a servire questa casa.”
Gli venne restituita un’occhiata che ebbe quasi la forza di metterlo in allarme. Decisamente le parole sbagliate. “A nessuno piace servire per sopravvivere, Signore.” Pronunciò l’ultima parola con aperta strafottenza e Sören seppe che dopotutto se l’era cercata. Ma doveva mantenere il punto.

“Mio zio ti dà il permesso di esprimerti così?”
“No.” Replicò stringendosi nelle spalle. “Per come m’esprimo? Mi ha frustato.”

Sören inspirò; conosceva bene quel metodo di persuasione; i babbani utilizzavano lunghe corde di cuoio, ma i maghi… beh, non aveva termine di paragone, ma era un semplice movimento di bacchetta: più la crudeltà era facile, più vi si indulgeva.
“Mi dispiace.” Gli uscì spontaneo.  
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, indeciso se considerare le sue parole una presa in giro. Alla fine dovette propendere per un’ipotesi diversa, perché sospirò. “Hilda si è raccomandata di dirvi di mangiare subito, finché la zuppa è calda. Non sappiamo riscaldare il cibo con la bacchetta, noi.” Soggiunse ironico.
“Ringraziala, è sempre tutto squisito.” Aveva scoperto che la vecchia cuoca conosceva i suoi cibi preferiti. Non le aveva mai detto quali fossero, ma in quei giorni, vedendoli apparire con costanza, aveva capito che a volte le persone potevano sorprenderlo. O forse, era qualcosa che la donna aveva sempre fatto.

Solo che tu non ci hai mai fatto caso.
Non aveva mai fatto caso ad un sacco di cose, prima di conoscere lei. 
“Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me.” Lo disse di getto e non se ne pentì. Aveva bisogno di sapere, anche se non avrebbe dovuto. Non aveva importanza, non a quel punto.
Il ragazzo si fermò sul ciglio della porta. “Io rispondo solo ad ordine diretto di…”
“Di mio zio, lo so.” Lo interruppe. “Infatti si tratta di un favore.”

Il magonò fece una breve risata. Non sembrava allegra. “Quelli come me non fanno favori ai maghi. Come potremo mai esserne capaci?”
Sören capì dove voleva andare a parare. “Ti posso pagare.”
Questo parve accendergli qualcosa nello sguardo. Richiuse infatti la porta con delicatezza, fissandolo incuriosito. “Beh, se si tratta di un compito, la cosa si prospetta diversa.” Tese la mano, in un gesto chiaro più di mille parole.  
Stranamente la cosa non lo fece arrabbiare; avrebbe dovuto, in quanto il loro dislivello culturale, di classe e altro era tecnicamente abissale e non doveva permettersi di rivolgerglisi così. Ma non lo fece.
Sören prese dal suo piccolo forziere da viaggio una manciata di galeoni che depositò nel palmo aperto. “Questi adesso, il resto dopo.” Spiegò brevemente. 
“Abbiamo un accordo, Signore.” Il ripetersi ossessivo e canzonatorio di quel titolo invece sì che lo irritava.
Sören. Se devi pronunciarlo come se fosse un insulto, preferisco mi chiami per nome.”

La spontaneità per lui era cosa nuova, e non era certo di averla del tutto afferrata, ma dovette funzionare, perché il ragazzo ghignò. “Va bene signorino.” Fece un sorriso alla sua certa smorfia. “… Sören. Perdonami.” Non sembrava aver bisogno della sua grazia, però. “Non sono più abituato a chiamare un mago per nome.”
“Ma sei abituato a trattarlo come tuo pari.” Rimbeccò, ma non gli diede tempo di ribattere. “Devi trovarmi un Gufo e spedire questa lettera.” Gli mise in mano la missiva per il dottore di famiglia. “E quando arriva, devi portarmi la risposta. Nessuno deve sapere che l’ho mandata. Neppure il padrone.”
“Neppure il padrone.” Ripeté diligente. “Ho capito.”
E Sören ci credette; perché quel ragazzo detestava Hohenheim e probabilmente anche lui. Non lo avrebbe tradito proprio perché non aveva nessuna fedeltà o devozione verso la loro Casata, a differenza di Etzel e Hilda.

“Fallo il prima possibile.” Scoperchiò il piatto del pranzo. Aveva fame, lo sentì in quel momento. Era difficile accorgersi persino dei bisogni primari, quando il tempo scorreva sempre uguale. 
“Appena esco di qui.” Confermò riaprendo la porta. “Verrò a portarvi la cena e la vostra lettera.”
“Bene.” Non c’era molto altro da dire e quindi lo lasciò accomiatarsi.
 
****
 
Ministero della Magia, Ufficio Auror.
 
Tom era seduto sulla sedia dirimpettaia alla scrivania del padrino. Controllava con pigrizia le lancette del funzionale orologio da tavolo. Segnavano un’ora molto vicina al pranzo. Non aveva fame.
Aveva appena messo Meike sulla Passaporta per Schwerin e il suo umore era tutto fuorché improntato a considerazioni allegre.
Meike sarebbe tornata a Durmstrang il giorno dopo, e non avrebbe dovuto. Non era semplicemente tollerabile. Albus poteva prenderlo in giro quanto voleva, ma lui ricordava com’era sentirsi tagliato fuori da qualcosa. Ci aveva messo anni prima di capire che la sua famiglia era la sua famiglia, legami di sangue a parte. A Meike non era stato neppure concesso quel lusso.
Tolse un inesistente granello di polvere dal tavolo. A proposito di famiglia, quella mattina aveva avvertito i suoi genitori della trasferta in Norvegia. Un po’ tardi, ma aveva temporeggiato proprio per non rovinargli il Natale. Ovviamente non ne erano stati contenti, specialmente suo padre.
 
“Se alla ragazzina quella scuola non piace, perché devi andarci anche tu?”
“È per il Torneo Interscolastico. Il Torneo Tremaghi, ve ne ho parlato.”
“Non è quel torneo a cui ha partecipato anche tuo zio?”
Suo padre aveva un’ottima memoria e a volte ripescava ricordi decennali con precisione svizzera. Per sua sfortuna, era stato quello il caso.

 “Sì.”
“E non è quello dove c’è morto un suo amico? Cedric qualcosa?”


No, non ne erano stati affatto contenti, e quella mattina era uscito per andare a Londra più presto del previsto proprio per sfuggire ad una sicura predica infinita.
Sono preoccupati per me. Lo capisco. Ma non aiutano.
Avrebbe voluto tranquillizzarli, ma non gli era venuto nulla di intelligente da dire. Non era riuscito a rassicurarli neppure Al, venuto per gli ultimi saluti a Meike.
Il suddetto, tra l’altro, dopo che Meike era partita, gli aveva chiesto se voleva compagnia nell’attesa dell’incontro con gli auror. Aveva declinato; aveva fatto fin troppo. E poi l’idea di vederlo agitarsi man mano che lui e Harry elaboravano congetture e vagliavano ipotesi…
No, se poteva tenerlo fuori da quella storia, per quel che poteva, l’avrebbe fatto.
Sentì lo specchio comunicante scaldarsi dentro la tasca dei jeans e lo tirò fuori. C’era un messaggio che fluttuava in volute viola. Pervinca, avrebbe contestato Albus, dato che la scelta era stata sua.
 
‘Non mi sarebbe pesato accompagnarti, lo sai. Fa’ il bravo e sii rispettoso. Sei maggiorenne solo anagraficamente.’
 
Sbuffò. Quasi fosse una risposta, arrivò un secondo messaggio.
 
‘Comunque sono fiero di come stai affrontando le cose. Ti amo.’
 
Era assolutamente non necessario, non aveva certo bisogno di essere tirato su di morale. Si impose di non sorridere neppure un po’ e si infilò lo specchietto in tasca quando sentì aprirsi la porta dietro di sé.
“Oh, sei già arrivato?”
La voce di Harry glielo fece quasi cadere dalle mani.
Tempismo perfetto…
“Le Passaporte internazionali hanno il pregio di essere puntuali. Meike è partita senza problemi.”  Mormorò forse con troppa asprezza.

“Mi occuperò anche di questo, Thomas.” Gli sorrise tranquillo, sedendosi alla scrivania. “Nessuno di noi vuole che Meike frequenti una scuola che non le piace.”
Tom fece una smorfia. “Sai bene che non è solo questo.”
“So bene che sei preoccupato.” Replicò. “Non c’è niente di male ad essere protettivi. Non è un difetto.”
“Dillo a Ron.”
Harry stavolta non trattenne una breve risata, ma tornò subito serio. “Lui e Nora arriveranno tra poco. Sei sicuro di sentirtela?”
“Cosa? Parlare? Credo di potercela fare.” Ironizzò. “Come ti ho detto via Gufo sono sicuro che le mie ipotesi abbiano fondamento.”

Harry si passò le dita trai capelli, meditabondo. “Il nucleo di una bacchetta nel braccio… sembra incredibile.”
“Di cose incredibili è pieno il mondo babbano. Figurarsi quello magico.” Ironizzò di nuovo, facendo sorridere l’uomo. “È l’unica spiegazione possibile a tutto ciò che è accaduto con Luzhin come protagonista.”
“Può essere.” Ammise cauto. “Ma questo farebbe di quel ragazzo una specie di arma in grado di pensare.” Gli passò un’ombra nello sguardo e Tom seppe che stava pensando a Lily.

“Oppure un ragazzo con un braccio capace di funzionare come una bacchetta.” Replicò quieto, sentendosi inspiegabilmente in colpa.   
Luzhin era un mezzo, esattamente come lo era stata la Bacchetta di Sambuco. Non era John Doe, non lo aveva mai avvicinato per provocarlo o per attirarlo in un gioco di specchi malato.   
Sembrava, più che altro, un pedone riluttante.
Il buonismo di Al deve avermi definitivamente contagiato. Ci sono voluti anni, ma infine…
Harry fece un lieve cenno, come a dargli buona l’ipotesi. Ma era un padre. Probabilmente l’unica possibilità che avrebbe dato al Campione tedesco sarebbe stata quella di scegliere tra Azkaban e Nurmengard. 
Tom non avrebbe mai voluto trovarsi sulla strada del Salvatore quando avrebbe avuto tutte le carte giuste nel proprio mazzo.
Non stavolta almeno.
Harry lo riscosse. “A cosa stai pensando?”
Non poteva dire la verità, quindi optò per una diversione.  “Lily deve averla presa male.”
L’uomo serrò la mascella così tanto che Tom vide il tendine scattare. “Non ha importanza.” Pessimo punto da sottolineare, gli suggerì esasperata la voce di Al, praticamente parte della sua coscienza. “La sua sicurezza è più importante di quello che al momento pensa di me.”

Posso solo immaginare cosa vi siate detti se Al ne è uscito tanto abbattuto.
Si astenne comunque dal dirlo ad alta voce, intuendo che non era argomento in cui aveva capacità di interloquire senza far danni. Sentì la porta aprirsi di nuovo e vide con la coda dell’occhio entrare Ron e l’agente americana. Non sorrideva come la fu Ainsel Prynn – anche se aveva scoperto in seguito che non era neppure il suo nome.
Ne fu contento.
“Thomas.” Lo salutò con un cenno della testa e un sorriso distratto. Pareva incredibile, ma non gli dispiaceva essere ignorato in quel caso.
“Ehi.” Interloquì Ron, lanciandogli un’occhiata sorpresa e poi una confusa a Harry. Tom sbuffò. Naturalmente era il perenne adolescente da salvare.
Non. Lo. Sono.
“Tom è qui perché ha una teoria, e vorrei che la ascoltaste.” Spiegò Harry in tono pacato, facendo cenno loro di sedersi. L’americana lo fissò con aperta curiosità, mentre Ron con la solita, prevedibile espressione esasperata.
Detesto i padri di famiglia. Non avrò figli, se il rischio è di diventare paternalistico con l’intero universo.
Non perse tempo e la illustrò in maniera concisa. Sapeva bene che perdersi in inutili spiegazioni avrebbe solo invalidato la sua teoria, peraltro supportata da pochi fatti e tante congetture.
Alla fine le espressioni non erano molto incoraggianti.
“Una bacchetta nel braccio. Questa è bella!” Esclamò Ron. “Non si può mica fare una roba del genere!”
“Forse vent’anni fa.” Osservò con il suo miglior tono controllato, anche perché Harry lo monitorava, pronto a frenarlo se avesse affilato la lingua. “È il progresso.” Non poté fare a meno di aggiungere.
“Le  bacchette hanno sempre funzionato in un solo modo.” Fu la replica cocciuta. Remotamente poteva capire i suoi paletti mentali. Ron era un purosangue, cresciuto credendo che la Magia fosse immutabile e certa come una roccia.

Dall’altra parte era irritato, enormemente.
Sono quelli come lui che non permettono il progresso. E sono quelli come lui che impediscono a quelli come me di imparare.
“In realtà non è proprio così…” Esordì l’americana e Tom provò un insolito moto di simpatia, dato che incarnava un governo che voleva usarlo come un burattino. “… sono stati fatti degli studi, sperimentali, sulla possibilità di montare il Nucleo Magico su altri tipi di supporti. Come ad esempio, supporti che migliorino la precisione di tiro.”
“Come la differenza tra una pistola e un fucile da cecchino?” Chiese sentendo la curiosità scalciare violentemente. L’America era lontana e manipolatrice, ma a volte maledettamente interessante.
La donna fece un breve cenno d’assenso.
“Una cosa simile.”
“Cosa diavolo è un fucile da ciecato?” Ron si passò una mano sulla barba. “Scusate, ma credevo si parlasse di bacchette e di Mondo Magico!”

“Paragonare è sempre utile. I babbani non sono poi così diversi da noi su certi aspetti.” Spiegò l’americana. “In ogni caso, non sono mai state usate… cavie umane.”
“Luzhin lo è.” Ripeté “Avrebbe senso, considerando che sembrerebbe aver abbattuto la creatura magica della Prima Prova a mani nude. Oltretutto, il segno lasciato nel bagno non poteva essere stato fatto dalla punta di una bacchetta. Aveva la forma di una mano.”

Ron scosse la testa. “Luzhin è quasi sicuramente il nostro uomo… ma questa faccenda della bacchetta mi sembra assurda.”
Tom detestava la condiscendenza nel suo tono, ma perlomeno il padrino e l’americana sembravano considerare le sue idee. Probabilmente, era il massimo che poteva ottenere da quel consesso.
“Spiegherebbe però come mai non abbiamo trovato tracce di magia oscura all’interno della sua bacchetta.” Mormorò Harry e improvvisamente la teoria acquistò punti, da come cambiarono lo sguardo degli altri due.
Quindi non hanno trovato Magia Oscura nella bacchetta di Luzhin.
Questo avrebbe potuto scagionarlo, certo. Se non ci fosse stato il resto.
Stavolta fu il turno dell’americana di esibire un’aria poco convinta. “Fermi. Capisco che Luzhin sia il candidato ideale. All’interrogatorio non urlava certo alla sua innocenza. Però non vorrei che cercassimo prove schiaccianti dove c’è l’esatto contrario. Potrebbe avere la bacchetta pulita perché effettivamente non ha lanciato incantesimo oscuri.”
Tom osservò Harry e Ron assumere un’aria quasi indignata.
A quanto pare non tutti hanno le stesse idee…
“Stai dicendo che pensi sia innocente?” Chiese il padrino con calma. L’espressione era antitetica però.
L’americana indurì lo sguardo. “No. Sto dicendo che per incriminare un ragazzo dobbiamo avere  delle prove che sia colpevole.”
“E questo lo sappiamo bene. Ma se continuiamo a cercare di scagionarlo invece che…”
“Harry, capisco la tua posizione.” Lo fermò. “Voglio chiudere questa storia, tutta questa storia quanto te…” Doveva esserci ben altro che il prestigio del Ministero Americano da ripristinare per quella donna dall’aria fiera. “… ma ho fatto controllare la famiglia Luzhin e non è venuto fuori nulla.”

“Spiega il nulla.” Le intimò senza mezzi termini. Il padrino in certe situazioni aveva inevitabilmente il piglio da unico eroe della situazione che mal digeriva interferenze.
Certi traumi non si lasciano alle spalle…
La strega però non sembrò irritata, né tantomeno intimidita dal tono secco. Sotto gli occhi di Tom estrasse dalla tasca dell’uniforme qualcosa che assomigliava alla copertina di un libro. Era la copertina di un libro. Dopo un incantesimo sussurrato, divenne però un intero fascicolo.
Decompressione di documenti. Quanto prendono esattamente delle idee dei babbani?
Se Al fosse stato lì, probabilmente gli avrebbe fatto notare che stava sbavando come un mastino davanti ad un osso.
“Non è stato facile reperire informazioni sul ragazzo. I fascicoli scolastici di Durmstrang sono essenzialmente blindati.” Esordì la donna dando una copia sia ad Harry che a Ron. Poi gli sorrise e gliene allungò una terza.
Non fare in modo che ti stia simpatica. Non farlo.
Inghiottì il sorriso di rimando e si tuffò sul plico di carta pergamenata. La prima cosa che notò, era che mancava la foto identificativa. Ad Hogwarts era obbligatoria. Lo era stata, a dirla tutta, anche nella scuola babbana che aveva frequentato da bambino.  “La sua foto?” Gli uscì di getto.
La strega fece un mezzo sorriso amaro. “Non vengono scattate foto agli allievi.”
“E per quale diavolo di motivo?” Ron aveva dato voce al pensiero comune.

“Ragioni di privacy, mi è stato detto. Pare che così si limitino fughe di informazioni. Giornalisti.” Aggiunse alle loro espressioni confuse. “Durmstrang è famosa per istruire rampolli di famiglie altolocate, figli di politici, magnate e via di scorrendo. È aperta anche alle persone normali per motivi di immagine, ma…”
“… di base è una scuola classista.” Terminò per lei, ricordando lo sguardo mesto di Meike e le sue lacrime. Era disgustoso pensare che gente di talento venisse sfavorita a discapito di mocciosi il cui unico pregio era avere nobili natali.

Come ha fatto Voldemort a fondare una setta su questi ideali?
Ah, già. Attecchiscono terribilmente sugli imbecilli.

“Tom…” Mormorò Harry, ma con un’ombra di sorriso negli occhi. Ammonizione inutile: quella sua presa di posizione era ben vista dal padrino. E lo sapevano entrambi.
“Si può dire così.” Convenne la strega senza scomporsi. “I voti del ragazzo sono eccellenti, è vice-presidente del Club dei Duellanti, di quello di Pozioni e…” Fece un cenno dismissivo. “Ditene uno, e ne sarà membro.”
“Praticamente un Campione da Tremaghi perfetto.” Sbuffò Ron. “Fin qui, nulla di strano.”
“Non c’è nulla di poco chiaro nel suo curriculum, come vi ho detto. Nessuna nota di demerito, nessuna punizione. Per quanto riguarda la sua famiglia… pagina trentaquattro.” Soggiunse e ci fu un gran fruscio di fogli. “… figlio di Frederick e Olga Luzhin. Purosangue, il padre è di una rinomata famiglia di Gottinga. ”
“Parli goblinese per me.” Gli fece notare Ron e Harry soffocò una risatina. “Comunque… connessioni con la Thule?”
L’americana scosse la testa. “Non sembra. È una famiglia come se ne trovano tante nella Bassa Sassonia.”

“La madre?” Chiese Harry.
“Non è di origine nobile, i suoi erano piccoli commercianti della Renania. I matrimoni di questo genere sono molto frequenti…” Soggiunse. Tom pensò automaticamente a Malfoy; Astoria Greengrass, per quando ne sapeva, non aveva nessun blasone. Aveva senso. Era frustrante. “Ha ereditato dal padre una piccola azienda che importa polvere volante dall’India. Ora è l’azienda di famiglia.”
Tom scorse la lista di informazioni, smettendo di ascoltare. Era tutto praticamente inutilizzabile. I Luzhin sembravano maghi banalissimi, solo più agiati della media. Lo stemma della Casata coincideva con quello portato al dito da Sören. Erano semplici purosangue reinventatisi commercianti per sfuggire a debiti di generazioni.

Debiti…
“La situazione finanziaria.” Disse e probabilmente interruppe qualcuno perché fu guardato con rimprovero. Non gli interessò. “C’è modo di conoscere la situazione finanziaria della famiglia?”
“Immagino di sì.” Convenne la strega un po’ stupita. “Ma per quale motivo?”
Tom ringraziò le maratone di telefilm polizieschi che Vernon si ingurgitava bulimicamente ogni estate, piazzandosi nel salotto buono. “La Thule corruppe Parva Duil. Potrebbe essere successa la stessa cosa anche stavolta. Dovrà risultare da qualche parte. Soldi. Sono commercianti… i commercianti hanno alti e bassi. E rischiano più dei salariati.”

Stavolta fu guardato con molta meno perplessità rispetto alla sua articolata spiegazione sul Nucleo Magico. “Giusto Tom!” Esclamò Harry sorridendo. “La Gringott tiene un registro di tutti i versamenti e prelievi di ciascun mago. Sarà così anche per le banche straniere!”
“È ovunque così. Il mercato bancario non ha tanta inventiva… e poi, è interamente monopolizzato dai folletti.” Confermò l’agente. Sembravano tutti caduti dalle nuvole, il che era piuttosto bizzarro. Tom intuì che nel mondo babbano certe cose erano scontate, ma non in quello magico.

Globalizzazione. Flussi di capitali fruibili e prelevabili in tutto il mondo. Conoscendo i folletti… non credo.
Sembrano praticamente allergici all’aprirsi a qualsivoglia tipo di accordo.
“Spedisco un paio di Gufi.” Disse l’americana. “Ottima idea, Thomas.”
“Potremo anche contattare i genitori. Voglio dire, magari un interrogatorio via camino non dovrebbe essere impossibile da organizzare…” Propose Ron. “Metterli sotto torchio, no?”
“Infattibile.” Sospirò la strega. “Pare che siano partiti per un viaggio di lavoro a Bangkok.”
Harry inarcò le sopracciglia. “Tempismo insolito.”
Ron fece una smorfia. “Più indaghiamo su questo ragazzino, più diventa colpevole.”
Nessuno commentò la frase. Non ce ne fu bisogno.
 
****
 
Germania del Nord. Residenza estiva degli Hohenheim.
Pomeriggio inoltrato.
 
Sören si accorse che qualcosa non andava perché non stava arrivando la cena
Certo, c’era stato l’episodio della Vigilia, ma era stato un caso isolato, dovuto alla mancanza di ordini. E dato che non aveva fatto alcun torto a suo zio, e che, ancor meno, vedeva suo zio a cambiare le disposizioni, era chiaro che ai piani sottostanti era accaduto qualcosa.
Dunque, scese. I lunghi corridoi erano completamente silenziosi. Quella casa… sì, era esattamente come nel palazzo della sua infanzia. Un palazzo morto, dove l’unico rumore che sentivi era quello del tuo respiro. Sören era cresciuto nel silenzio, ma non lo apprezzava più come una volta.
O forse non l’aveva mai apprezzato; semplicemente, era tutto quello che conosceva. Persino gli anni dell’Istituto erano stati silenzio, almeno per lui. Hogwarts invece era chiacchiere, risate, rumore, allegria adolescenziale. Lilian era una figlia di Hogwarts.
E lui si era abituato.
Arrivò fino alla cucine ma trovò solo le braci che baluginavano fioche. Nessuna presenza umana.
Per un folle momento pensò di essere stato lasciato solo.  
Poi sentì delle voci. Attutite e distanti parecchi metri in linea d’aria, udibili solo perché non c’era nessun altro rumore a coprirle.
Si concentrò e ne capì la provenienza. Non avrebbe voluto farlo, dacché provenivano dallo studio di suo zio. Poi sentì la pelle del braccio, di quel braccio, formicolare spiacevole. Conosceva quella sensazione. Un incantesimo oscuro era stato appena lanciato.
Senza pensarci percorse a ritroso il corridoio, correndo per tutta la rampa di scale che divideva gli ambienti della servitù dal piano nobile dove c’erano gli alloggi e l’ufficio di Hohenheim.
Le voci provenivano da lì. Al momento non ne sentiva, ma non poteva sbagliarsi. Si accostò, posando la guancia contro il legno freddo e pesante della porta, i nervi tesi, pronti a scattare nel caso qualcuno l’aprisse di colpo.
Poi quel qualcuno urlò. Un urlo di dolore, straziante. Un urlo che Sören percepì come pieno di rabbia e paura. Era la voce del nuovo servitore, di Milo.
L’ha scoperto.
“Mi pare di aver detto a te e agli altri di non uscire dal palazzo. Non amo ripetermi.” E la voce di suo zio.
Sören aveva ben chiaro cosa stesse succedendo al di là della porta, anche senza vederlo. Conosceva bene la punizione per chi trasgrediva un ordine. Suo zio non si arrabbiava, non alzava la voce né chiedeva spiegazioni.
Azione e reazione. Azione e Reazione Sören. Non credermi che mi piaccia farlo. Ad ogni azione corrisponde un principio uguale e contrario. E contrario.  
Posò la mano sul pomello, sentendolo gelato. Meno gelato della punta delle dita o di come si sentiva interamente.
Un altro urlo.
Ricordava l’incantesimo. Lo ricordava impresso sulla sua pelle, sulle lunghe cicatrici ormai bianche e impercettibili che portava sulla schiena. Lo ricordava quando dopo il bagno la pelle nuova si era tesa per tanto tempo facendogli inghiottire il dolore come manciate d’aria viziata.
Non era stato annunciato e non poteva entrare. Nessuno poteva entrare nell’ufficio di suo zio, se non gli era stato dato il permesso.
Aprì la porta come se fosse stato qualcun altro a farglielo fare. Ma la aprì, e notò a malapena i due uomini ai lati degli stipiti che si voltarono minacciosi. Vedeva solo il giovane magonò biondo, rannicchiato nell’unico angolo della stanza privo di tappeti, la casacca in cui si allargava una grande e disgustosa macchia rossa.
Non riuscì a sostenere lo sguardo che suo zio certamente gli stava rivolgendo, ma parlò. “Non è colpa sua. Sono stato io. Io gli ho detto di uscire. Gliel’ho ordinato io.”
Ci fu un lungo attimo di silenzio in cui Sören sentì il cuore rombargli furioso addosso.
“Sei stato tu?” Suo zio sembrava sorpreso. Genuinamente tale. Dall’espressione non sembrava essersi aspettato quella sua presa di posizione.
E non ha tutti i torti.
“Sì.” Confermò. “Gli ho chiesto di uscire per una commissione.” Se fosse stato bravo ad improvvisare, sarebbe stato una persona diversa. “Avevo bisogno che comprasse un libro. La Seconda Prova sarà tra poco ed ho bisogno di materiale.”
Suo zio lo stava guardando e a quel punto dovette sostenere lo sguardo. L'Occlumanzia era qualcosa che era stato chiaro avrebbe dovuto imparare sin dalla più tenera età. Vi si aggrappò con la forza di un naufrago alla propria scialuppa. Perché stava mentendo.

“Non se ne dovrebbe occupare il figlio dei Poliakoff?”
“Non è quello che chiamerei un mago dalle intuizioni brillanti. Ho preferito lavorarci da solo.” Replicò. Sentiva i respiri secchi e dolorosi del ragazzo a pochi metri da sé e questo paradossalmente lo rendeva lucido. Stava perdendo sangue, aveva bisogno di cure immediate. Non poteva permettersi di esitare.   

Hohenheim fece un breve sorriso di apprezzamento; l’aveva convinto. Fece infatti cenno ai due uomini di avvicinarsi al magonò. “Portatelo dai suoi.” Ordinò semplicemente. Non sarebbe bastato. I maghinò potevano distillare pozioni come i maghi, ma lì c’era bisogno di un incantesimo curativo. Quelle ferite potevano infettarsi facilmente a contatto con il sudore. Sören lo ricordava. Anche suo zio doveva. Ma non gli importava, evidentemente.
Incrociò lo sguardo del ragazzo, ma gliene venne restituito uno vitreo.  
Sta per svenire. Per fortuna.
La porta si richiuse loro alle spalle; suo zio si voltò verso di lui, con un lieve inarcarsi delle sopracciglia. “Mi sembrava ti fosse stato insegnato ad annunciarti.”
“Sono spiacente, zio.” Chinò immediatamente la testa, ma sentiva una rabbia sorda ribollirgli nel petto. Senso di colpa, continuo. Forse era quello ad alimentarla.  Forse era il senso di colpa a farlo sentire così arrabbiato.

“Hai qualcos’altro da dirmi?”
Sören decise di mettere da parte i suoi sentimenti e avere risposte. “Tra pochi giorni tornerò a Durmstrang come Luzhin. Ma non sono Luzhin.” Chiedere era l’unico modo per sapere qualcosa. Almeno qualcosa. “Gli studenti lo sanno. Sanno chi è il vero…”
“Di questo non devi preoccuparti, pensi forse che siamo dei babbani?” Il tono era irritato. Era chiaro che dare spiegazioni non era tra le priorità di suo zio.

“Come?” Non poteva più tirarsi indietro. Era successo qualcosa di inarrestabile dalla serata del Ballo del Ceppo. O forse era iniziato tutto quando aveva preso il nome di quell’ignoto studente il cui unico merito era essere un ponte di collegamento tra loro e i Potter. Era iniziato tutto quando Lily l’aveva salutato.
“Spille.” Disse l’altro mago. “Le spille della scuola. Ad eccezione della delegazione dovranno indossarle tutti gli studenti dell’Istituto. Conterranno un incantesimo di disillusione. Ti vedranno come Luzhin, sarai Luzhin.” Concluse, prima di avvicinarsi alla scrivania per caricare la propria pipa.
Sì. Ha senso.
L’idea avrebbe funzionato. Avrebbe dunque dovuto essere sollevato. Focalizzato, sicuro di sé.
Non sentiva nessuna di quelle cose. C’era troppo che sfuggiva al suo controllo. Un tempo non si sarebbe neppure posto un pensiero con dentro una parola simile. Quando arrivavano gli ordini, arrivavano.

Adesso è diverso.
“Capisco.” Disse però. Suo zio sembrava stare bene. Non aveva più lo sguardo o la postura della Vigilia. Ma non poteva essere stato un abbaglio, Alberich Von Hohenheim aveva davvero qualcosa che non andava.
A partire dal fatto che ha assunto, a pagamento, mercemagi invece di affidarsi ai pedoni dell’Organizzazione. Non che abbiamo problemi finanziari, ma…
“Perché i mercemagi?” Suo zio si fermò dall’accendere la pipa. “La Thule…”
“Fai troppe domande.” Fu la replica sferzante. “Da quando sei così curioso?”
Aveva teso troppo la corda. Esagerando, avrebbe ottenuto l’effetto opposto. Avrebbe ottenuto una punizione. Chinò di nuovo la testa. Quante innumerevoli volte aveva osservato i tappeti di quell’ufficio? Se l’era scordato.

“Se non hai altre richiesta da soddisfare, sei congedato.” Si limitò ad annuire e lasciare l’ufficio. Suo zio gli aveva dato poca attenzione, ma doveva comunque stare attento, se non voleva insospettirlo.
Insospettirlo riguardo a cosa? Di cosa dovrebbe sospettarti?
Inspirò lentamente, sentendo l’aria più fredda del corridoio filtrargli nel respiro. Aveva altre priorità che rispondere a domande che gli fioccavano in mente, prive di senso.

Si diresse verso i quartieri della servitù; in quel palazzo si trovavano ai piani inferiori, vicino alle cantine, poco sotto le cucine. Non era mai stato là, anche se ne conosceva naturalmente l’ubicazione.
Scese alcune rampe di scale sconnesse e scivolose per l’umidità salina che filtrava dalle possenti mura di pietra e si ritrovò in un ambiente dimesso, poco diverso da quello delle taverne economiche  in cui a volte aveva soggiornato con Johannes durante le loro missioni.
Dovevano aver sentito i suoi passi, perché fu la vecchia cuoca ad andargli incontro, reggendo un candelabro. “Signorino!” Attestò confusa. “Cosa possiamo fare…”
“Nulla, Hilda. Sono qui per… Milo.” Lo pronunciò con una lieve esitazione, ma mai quanta ne vide dipinta nel volto della maganò. In effetti non sapeva se era stata una buona idea. L’istinto non era qualcosa che gli era stato insegnato a seguire.

L’anziana lo guardò come se gli avesse appena visto spuntare una seconda testa. Sarebbe stato divertente, se non fosse stato per la situazione.
“Hilda, portami da Milo.” Ripeté gentilmente, ma formulandolo stavolta come un ordine. Questo parve riscuotere la donna che annuì facendogli cenno di seguirla.
Aprì una porta non molta diversa dalle altre. Si apriva su una stanzetta, persino più piccola della sua cuccetta sulla Roskilde. Era pulita e ben tenuta, ma misera e spoglia. Sören registro la presenza di libri, un vecchio mantello consunto che doveva a malapena assolvere alla sua funzione e un violino. Fu la cosa che lo colpì di più.
Curioso che i maghinò abbiano dei nobili svaghi, eh Sören?
Si vergognò di quel pensieri.
Poi vide il ragazzo. Fu come un pugno nello stomaco, un deja-vu non voluto: era disteso sul letto, completamente fasciato sulla schiena; ma nonostante la fasciatura bene fatta, si intravedevano macchie rosse sulle garze.
Non ha ancora smesso di sanguinare.
“Vi posso portare una tazza di brodo, Signorino? Fa molto freddo quaggiù … con l’umidità che c’è il camino non tira bene, di questo periodo.”
Sören sentiva una strana morsa allo stomaco. Non era solo per la scena familiare. Lui veniva curato diversamente… venivano date lui pozioni che lo rimettevano in piedi in poche ore. Lì invece…

Non aveva mai conosciuto la miseria, data la sua posizione. Eppure l’aveva a pochi passi.
Quante cose non ho visto?
“Sto bene così Hilda. Lasciaci soli.” Gli ordini e non la gentilezza. Era naturale che la servitù nata e cresciuta in casa di suo zio li accettasse più serenamente. Era nella loro forma mentis, non poteva stupirsi. La donna infatti chinò la testa, obbedendo senza far rimostranze.
A porte chiuse, Sören si avvicinò al letto senza la minima idea di cosa fare. Supponeva avrebbe dovuto scusarsi: era colpa sua se quel ragazzo aveva finito per essere punito.
Le scuse sono inutili in questa situazione, temo.
Il respiro pesante del ragazzo non gli faceva capire se stesse dormendo o meno. Prese quindi l’unica sedia presente e si sedette accanto alla sponda del letto. Poi stese la mano. Ricordava piuttosto bene gli incantesimi di guarigione per quel genere di ferite.
Non ricordava però che non funzionassero.
“… ehi.” La voce del magonò era roca, ma straordinariamente calma. “…gli incantesimi di guarigione non funzionano con noi maghinò.”
Sören batté le palpebre. “Come?”
“Il sangue…” Sussurrò, aprendo gli occhi e piantandoli nei suoi. Era incredibile come persino in quella situazione fosse sfacciato. Doveva avere una forza d’animo non indifferente. “… è il sangue.” Ripeté.

Sören capì.
Naturalmente. È il sangue che fa reazione agli incantesimi curativi stimolando la riparazione dei tessuti. Il sangue dei maghinò non è magico. Nessun effetto, quindi.
Tolse la mano, sentendo la strana sensazione alla bocca dello stomaco intensificarsi.
“Mi dispiace… non volevo che…”
“La tasca interna del mantello.” Doveva essere un vizio, quello di interrompere. “Guardateci dentro.”

Sören obbedì, perché in quei casi non si poteva stare a pensare cosa doveva permettersi o meno un magonò. Tirò fuori, con sua grande sorpresa, una lettera. Ma non la sua, la risposta.
“Il medico sta a Lubecca. Non si fidava a dirmi tutto a voce, così vi ha scritto.” Fece un sogghigno storto. “Sono andato coi mezzi babbani. Peccato però che c’ho messo troppo e se ne sono accorti…”
Sören la intascò senza sapere cosa dire.
Dopotutto l’hai pagato. Poteva non accettare.
Avrebbe dovuto lasciare quella misera stanzetta, dato che era inutile rimanesse. Anche sconveniente, gli suggeriva la sua educazione. Invece si sedette di nuovo. Non poteva fare niente, ma poteva restare.
Il ragazzo non diede segno di essersi accorto del suo gesto. Le ferite sembravano aver definitivamente avuto ragione della sua tempra. Poi, quando Sören già lo pensava addormentato, parlò.
“Tu sei diverso.” Aveva usato un tono colloquiale e non doveva essere un caso.
“Diverso da chi?” Gli uscì spontaneo.
Stavolta l’altro rise, anche se dovette smettere subito con una smorfia di dolore. “Dal padrone. Da tutti i maghi che ho conosciuto.” Fece una pausa. Era incredibile riuscisse a parlare nonostante la pozione antidolorifica che doveva aver preso. “Perché diavolo rimani?” Soggiunse.

“Non lo so.” Ammise. La verità era che non aveva un posto in cui tornare. Aveva una camera sfarzosa, un intero sistema di stanze per ogni necessità, certo. Ma non era lì che voleva stare.  “Suoni il violino?”
Doveva sembrare un idiota con quelle domande prive di contesto, ma gli uscivano spontanee. Era colpa di Lilian, naturalmente. Prima di lei, non aveva mai dovuto trovare argomenti di conversazione. Ora gli veniva spontaneo cercarne.
Spontaneo… all’incirca.
“Già.” Essere fissato da un magonò come se fosse una creatura improbabile mancava al suo bagaglio di scarse esperienze interpersonali. “… Sul serio, perché sei qui?”  
“Perché non voglio stare lassù.” Era una confessione che avrebbe potuto fare a chiunque. Meno che a se stesso.
Milo – non era difficile da ricordare come nome. Solo due sillabe. Come Lily – aggrottò le sopracciglia. “Preferisci qui?” Scosse appena la testa. “L’ho detto, sei strano mago.”
Sören non risposte, ma una parola gli venne alla mente, slegata dal contesto ma veloce come un incantesimo. Era buffo, perché apparteneva al gergo marinaio della Roskilde e veniva spesso pronunciata con ironia e sussurri dai suoi compagni.
Ammutinamento.
Forse non era poi così slegata dal contesto.
 
****
 
Inghilterra, Surrey, Little Whinging.
Privet Drive.

 
Non c’era modo di rendere quel commiato semplice.
Se ci fosse stato, di certo Tom avrebbe trovato una scusa per far abbandonare a sua madre il compito non necessario di ricontrollargli la leggera sacca da viaggio con cui tornava ogni anno per le vacanze di Natale.
Da Sette anni. Ormai dovrei aver imparato a farla da solo.
“In Norvegia c’è un freddo incredibile, Thomas… non puoi semplicemente andarci con quel tuo cappotto da spaventapasseri!”
“Se intendi farmi indossare quegli orribili giacconi sportivi di Vernon… scordatelo.”
“Li vorrai quando la temperatura scenderà sotto zero!”
“Scende sottozero anche in Scozia.”
“Non così tanto!”
Tom sospirò, lasciando che sua madre infilasse cocciutamente l’ingombrante e colorato giaccone di suo fratello in mezzo alla sua roba. Avrebbe dovuto fare in modo che Al non lo vedesse o sarebbe morto soffocato dalle proprie risate.

O da me.
Capiva l’angoscia di sua madre. La Norvegia era lontana e Durmstrang non era sicura. I suoi genitori non sapevano tutto, ma non erano stupidi, specialmente quel mostro di intuito che era sua madre. Non capiva quelle premure, non del tutto, ma dovevano tranquillizzarla. Quindi supponeva di non poter interferire. Sopportò dunque passivamente anche un paio di guanti da sci. Ai para-orecchie sentì che doveva mettere un freno a quella follia.
“Mamma…” Tentò allora. La donna lo ignorò platealmente. “… mamma, non mi ammalerò. Non mi ammalo mai.”
“C’è sempre una prima volta.” Tom evitò di dirle che probabilmente il suo corpo non reagiva allo stesso modo di quello di un comune babbano, o forse, direttamente di un essere umano.
Non era il caso.
Le posò invece una mano sulla spalla, voltandola con gentilezza. “Starò attento. Non mi succederà niente, e farò in modo di tenermi in contatto con voi.” Snocciolò tutte le frasi di rito che conosceva e fu ricompensato da un abbraccio stritolante. Lo sostenne e lo ricambiò. Era così che andava fatto. “Starò attento…” Ripeté.
“Lo so che sei un ragazzo attento, Tom, ma a volte…” Sua madre non finì, preferendo nascondere la voce fioca e schiarirsi la gola. “Ho preso un secondo paio di guanti anche per Al. Magari i maghi non hanno il teflon.”
“Ne dubito, ma hanno altri modi…” Sospirò, e lasciò perdere. “… Sì, gli piaceranno di sicuro.” Le sorrise. Si sedette poi definitivamente sul materasso, lasciandole infilare tutto ciò che desiderava nella sua già provata borsa.

“Robbie, che stai facendo?” Suo padre aveva il raro potere di apparire quando più era opportuno. Fu quello il momento. “Non ha bisogno di tutta questa roba!”
“Va in Norvegia!”
Forse non avrei dovuto dire a due babbani dov’è presumibilmente ubicata una scuola intracciabile.

Ops.
“La Norvegia non è l’Antartide, e scommetto che saranno pieni di modi strani per tenersi al caldo.” Obbiettò ragionevolmente suo padre. “E poi è ora di cena! Ho fame!”
“Ah, ecco. Ovvio.” Sbuffò sua madre alzando gli occhi al cielo. “Hai due mani ed un cervello, Dudley, sei capacissimo di mettere qualcosa nel microonde.”
“Ma sei hai detto tu che dovremo mangiare più sano.” Ritorse l’uomo con una certa, calcolata perfidia. Tom inghiottì il sorrisetto che gli era spuntato perché sapeva che rendersi impermeabile a quei bisticci era il modo migliore per non venirne coinvolto.

La donna li fissò entrambi risentita, per l’ovvio assioma che tutti i maschi erano ugualmente colpevoli. “Perfetto, vado a cucinare qualcosa allora! Del resto il posto di una donna, come ama ripetermi tua madre, è in cucina!”
“L’hai detto tu, non io.”

Sua madre lasciò la stanza con un verso stizzito per evitare il degenerare della lite. Suo padre la sapeva lunga, perché fece un sorrisetto che non sarebbe sfigurato sul volto di un ragazzino viziato.
“Grazie.” Disse, perché supponeva suo padre non fosse venuto per la cena. Non solo, almeno.
“Le madri a volte esagerano. Sono madri, lo devono fare.” Replicò scrollando le spalle. Lanciò un’occhiata al letto ingombro di vestiti e il borsone strapieno. “Vedo che sei pronto ad ogni evenienza.”
“Dalla tempesta di neve all’ondata anomala di caldo.” Convenne.

“Fosse questo il problema.” L’espressione di suo padre si spense. “Tom, non mentirmi. Quanto è pericoloso?”
Tom a volte dimenticava, perché Dudley Dursley era l’essenza stessa del babbano, ma suo padre aveva sfiorato la Guerra del Mondo Magico. Non vi era mai entrato, ma era dovuto scappare a causa di essa. Aveva incontrato dei Dissennatori e aveva quasi perso la propria anima.
Non era facile dargliela a bere.
“È pericoloso.” Ammise. “Ma non sono solo.”
L’uomo, a sorpresa, fece un mezzo sorriso. “Una volta non l’avresti detto…”
“Cosa?”
“Avresti detto… so badare a me stesso.” Prese un paio di guanti dal mucchio ordinato di vestiti e gli lanciò un’occhiata pensierosa. “Pensare di poter fare tutto da soli… beh, ragazzo. È da idioti.”

“Ho avuto modo di notarlo.” Non sapeva cosa fosse giusto dire, o rispondere; lui e Dudley non avevano mai fatto le conversazioni padre-figlio che invece abbondavano nel rapporto tra Harry e Al.
Non siamo quel genere di persone.
Però doveva essere una di quelle conversazioni, se suo padre non era lì per ricoprirlo di raccomandazioni come sua madre. Supponeva.
“Pensi che vedrai quell’uomo?” Alla sua espressione confusa, aggiunse. “So che c’entra quel bastardo che ti ha abbandonato, Thomas. Harry mi ha spiegato un po’ di cose.”
Ah, Harry… Lo Statuto di Segretezza e le eccezioni di Harry Potter.

“Non lo so.” Non lo sapeva davvero. E preferiva non congetturare troppo su quell’eventualità. “Potrebbe.”
Suo padre sembrava interessatissimo alla fitta fantasia oltremare del suo copriletto. “Digli che sei un Dursley, ragazzo.” Borbottò di colpo. “Fagli capire quanto vali.”
Tom sentì la terrificante sensazione del dopo-processo, quando aveva finalmente avuto modo di rilassarsi con Al. Quella sensazione che gli aveva fatto pizzicare gli occhi e venire un insopprimibile voglia di …

“Naturalmente.” Ottimo, il controllo della sua voce non veniva mai meno. “Io sono un Dursley.”
Suo padre sembrava avere il suo stesso problema a controllare le espressioni facciali. “Eccellente.” Masticò. “Bene. Sei un bravo ragazzo, Tom.” Assunse quell’aria concentrata che aveva sempre quando faticava a spiegare qualcosa. Ovvero le proprie emozioni. “Un bravo ragazzo.” Ripeté.

“… ci provo.” Fece un passo indietro, perché farne uno avanti avrebbe significato forse abbracciarsi, e non erano pronti. Nessuno dei due, non ancora. Non era stato più lo stesso da quando lui era entrato nel Mondo Magico, ma stavano migliorando. Ed era pur qualcosa, no? “Ci provo papà.”
“Lo so.” Si schiarì la voce. “Bene…” Ci fu una pausa imbarazzante per entrambi. “Vado a vedere cosa combina tua madre.” Soggiunse frettoloso.

Tom, lasciato solo, ebbe la frastornante sensazione di sentirsi felice anche se non era il momento adatto.
Ci provo.
Prese a svuotare il borsone.
E ne vale maledettamente la pena.
 
****
 
 
Note:

Capitolo dedicato ai due cuginetti tetri. xD Sì, ricordiamoci che Sören e Thomas sono, a tutti gli effetti, cugini di primo grado.

Anche se Tom è uno stronzetto viziato, come ben si evince, per colpa di Dudley.
La canzone che mi ha ispirato il capitolo è questa . Godetevela, perché come tutte  le loro, è favolosa.

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Capitolo 47
*** Capitolo XLIV ***


Capitolo XLIV
 



 
A part of you that'll never show
You're the only one that'll ever know
Take your time, would you understand
What it's all about?¹
(Little House, The Fray)
 
 
5 Gennaio 2023
Scozia, Hogwarts, Torre di Grifondoro. Dormitorio delle ragazze del Quinto.
 
Abigail Finnigan era amica di Lily da quando erano al Primo Anno.
Probabilmente perché erano a Grifondoro, probabilmente perché entrambe avevano una rumorosa famiglia in cui erano anagraficamente le più piccole o quasi, ma si erano sempre intese bene. Loro, Aimee e Jane erano amiche, ma lei e Lily erano la cosa più vicina ad essere migliori amiche.
Vicina perché per quanto Lily fosse una persona con un cuore enorme, non si confidava veramente con nessuno, lei compresa.
Un po’ doveva essere perché sin da piccola era stata abituata ad essere vista in funzione delle sue parentele – e questo, poteva immaginarlo senza sforzo, non ti portava a fidarti facilmente del consesso umano - un po’ perché, a discapito della sua indole estrosa, in realtà della vera sé lasciava intravedere pochissimo. Gli unici che avevano questo privilegio erano i fratelli e i cugini – e neppure tutti, ne era piuttosto certa.
Abigail tutto questo lo sapeva, perché cinque anni nella stessa sezione della Torre di Grifondoro volevano dire qualcosa. Volevano dire molto.
Quindi, quando quella mattina si erano viste sull’Espresso dopo le vacanze di Natale, aveva subito capito che l’amica aveva qualcosa che le frullava in mente. Era un cambiamento impercettibile, ma quando pensava a qualcosa di grosso limitava le chiacchiere ascoltava – sembrava – molto di più.
(Jane aveva potuto raccontare tutte le sue vacanze senza essere interrotta neppure una volta.)
Al momento erano tornate alla Torre e Lily scherzava con il resto delle sue compagne di stanza di buon grado, dopo la distribuzione posticipata dei regali di Natale che facevano ogni anno. Era Lily ad aver inventato quella tradizione.  
“Noi scendiamo per pranzo. Voi venite?” Chiese una delle tre.
“Tra un attimo!” Rispose prevedibilmente Lily. Sì, stava architettando qualcosa. Era un po’ che non succedeva. L’ultima volta era stata al Secondo anno, quando avevano deciso che, limite di età o meno, sarebbero tutte andate ad Hogsmeade nella prima settimana di libera uscita. L’amica era riuscita a portare sia lei che le altre fino ad un passaggio segreto. Poi purtroppo Rose Weasley – fossero dannati, gli Weasley – le aveva scoperte.
Quando furono finalmente sole, Abigail non ebbe neppure bisogno di chiedere. Fu Lily ad aprire la conversazione.
“Mi serve la tua civetta.”
“Per fare cosa?” Richiesta legittima dato che l’altra condivideva senza problemi un gufo con il fratello di mezzo.

Lily prese dal borsone da viaggio una pila di maglioncini di cachemire babbano che le aveva sempre invidiato mostruosamente. “Devo ordinare una cosa dal negozio di scherzi di mio cugino Freddy.” Spiegò senza spiegare un bel niente.
“Perché non usi Anacleto?”

“Serve ad Al.” Scrollò le spalle evasiva, lanciandole un’occhiata da sopra la spalla. “Allora, posso contare su Bàn²?”
“Sì, certo.” Sbuffò poco convinta. “Però…”
“Grazie!” Le sorrise allegramente prima di afferrare il mantello e drappeggiarselo addosso. “Ci vediamo in Sala Grande.”
Lily.” Doveva sapere cosa stava succedendo, perché chiunque conoscesse Lilian Luna Potter concordava con la massima babbana, l’acqua cheta distrugge i ponti.

Venne fissata con l’aria più falsamente innocente dall’epoca dei Fondatori. “Cosa?”
Era capace di far saltare il Tower Bridge, quando era di quell’umore. C’era quella voce di corridoio secondo cui suo nonno paterno era stato uno dei massimi ideatori di guai di tutta Hogwarts.
Quel tizio e James erano dilettanti, se paragonati alla capacità spaventosa di ficcarsi nei casini della sua amica dai capelli rossi. Neppure al Terzo anno, quando si poteva, Lily aveva visitato Hogsmeade. Questo perché la volta del Secondo anno non era stata l’unica in cui aveva infranto le regole.
Ha tentato di scappare altre sedici volte… quindici delle quali ha avuto successo, prima che il Professor Paciock la scoprisse.
Se vuole una cosa, Lily la ottiene.
Abigail ebbe un’improvvisa illuminazione. “Ti prego… dimmi che non è per il Tremaghi.”  
Doveva essere per il Tremaghi. Non ci voleva un genio per capire che tra lei e il Campione di Durmstrang era successo qualcosa la sera del Ballo. Qualcosa di poco piacevole, dacché Lily era tornata in camera troppo presto e con gli occhi rossi. L’aveva sentita piangere, anche. Se lei aveva avuto una bella delusione con quell’idiota – idiota! – di Hugo, altrettanto Lily l’aveva avuta con Luzhin.  
Infatti a quell’affermazione si rabbuiò di colpo, tanto che Abigail desiderò essersi morsa la lingua. “Io e il Tremaghi non potremo essere più lontani di così.” Mugugnò.
“… ma scusa, non vai a Durmstrang con il coro?”
“Contrordine, i miei non hanno firmato il permesso.” Ribatté funerea. “Non vogliono che ci vada.”

Abigail batté le palpebre sorpresa: conosceva i Potter, ed erano i genitori più permissivi del mondo. I suoi in confronto erano diplomatici quanto il muro di pietra dei sotterranei Serpeverde. Lily e i suoi fratelli invece erano sempre stati liberi di aderire a qualsiasi iniziativa, che fosse fare provini per la squadra di Quidditch o brevi gite fuori scuola.
Non potevano non sapere che razza di occasione favolosa fosse per loro visitare una scuola straniera.
“Perché?”
“Pensano che sia pericoloso. Sai, con la faccenda dei Dissennatori. Hanno paura che succeda qualcos’altro alla Seconda Prova.” Masticò fuori, cincischiando con la sciarpa. “… però Al e Tom ci vanno. Per loro non lo è.”
“Merlino, mi spiace…” Mormorò supportiva, dandole una carezza sul braccio. “Ma troverai sicuramente il modo per sentirti lo stesso con Sören.”

L’espressione di Lily mutò ancora. Serrò le labbra con aria determinata, e poi le sorrise di nuovo, sfavillante. “Sì, infatti!” Disse. “Ci vediamo a pranzo. Grazie per Bàn, te lo riporto stasera!”
E senza darle tempo di dire altro, si chiuse la porta alle spalle.

Abigail sospirò appena: era sempre stata una ragazza molto giudiziosa. Con tre fratelli maschi e una sorella maggiore in delirio di onnipotenza le era toccato capire molto in fretta quando era il caso di intervenire per fermare una probabile cazzata.
Lily stava per farne una. Non aveva idea della portata, ma non aveva poi molta importanza. Doveva quindi armarsi di coraggio e andare a parlare con l’Idiota: l’unico essere umano a cui Lily desse un minimo ascolto era, purtroppo, proprio Hugo.
 
****
 
“Stai andando ad un funerale o a Durmstrang?”
Ted fece un mezzo sorriso non impegnativo, impegnato in effetti ad impilare una decina di libri che non aveva cuore di lasciare soli ad Hogwarts.

James, steso sul suo letto – i colori della trapunta erano quelli di Tassorosso e prevedibilmente James aveva speso anche quella volta parole ironiche – gli lanciava occhiate pigre, più che altro impegnato a sfogliare la rivista ufficiale dei cannoni di Chudley’s chiamata, con pochissima fantasia ‘I Ruggenti Cannoni’.
“Sono solo un po’ stanco… ieri sera il Grande Ritorno dopo le vacanze, oggi ho avuto tre classi e poi una riunione dei docenti.” Snocciolò accarezzando la costola del suo compendio preferito di creature magiche della Scandinavia. Ne aveva due edizioni di quello.
Forse è meglio portare quella più economica…
Ripose l’amata edizione manoscritta nella libreria e prese quella di comoda carta stampata.
“No, non sei stanco, sei depresso.” James saltò a sedere sul materasso, ne udì il cigolio. “Davvero, Teddy… c’è gente che pagherebbe per vedere com’è fatta Durmstrang! C’è tutto questo grande segreto…” Agitò le mani significativamente. “Eh?”
Ted fece una smorfia.

Vestiti. Il mantello regolamentare forse è troppo leggero però…
Beh, pur vero che qua in Scozia il freddo non scherza, ma…
Sentì altri cigolii alle proprie spalle, ma vi diede poco retta. James del resto era incapace di restar fermo per più di qualche minuto. Se era rimasto steso a letto durante il loro breve scambio di battute era solo perché aveva allenamenti massacranti da almeno due settimane.
Un soffio caldo, dritto all’orecchio lo fece sobbalzare di colpo.
Buh.” Disse James esattamente in piedi dietro di lui. “Dammi ascolto.”
Si massaggiò l’orecchio che prudeva maledettamente – lui e i suoi punti sensibili, era così per tutti? “Jamie, ho da fare i bagagli se non lo avessi notato…” Borbottò.

Il ragazzino non parve scomporsi al suo tono velatamente nervoso. In effetti, non lo faceva mai. “Tu non ci vuoi andare.” Constatò.
E dieci punti al Signor Potter…
Ted si guardò attorno: la sua stanza era disseminata di vestiti, mantelli, libri e sopratutto tre borsoni dalla capienza notevole. Odiava l’incantesimo di Estensione Irriconoscibile, e per questo girava sempre carico come un mulo, nei suoi sporadici viaggi.
L’ultimo è stato dalla Francia alla Scozia…
Si guardò attorno e vide, realizzò, che sarebbe stato ben tre mesi all’estero.
Il nervosismo si tramutò in sconforto puro.
No, non ci voglio andare.
“Non ci voglio andare…” Ammise, sentendo che il suo tono virava verso un borbottio ben poco maturo. James però non lo prese in giro: si limitò a sorridere dandogli una pacca sulla spalla.
“Beh, il primo passo è ammetterlo.” Ironizzò. “Perché non lo dici al Preside?”
“Pensi possa farlo? Non posso!” Esclamò nascondendo il viso tra le mani. Si sentì un po’ ridicolo e smise subito: la terapia-struzzo non funzionava mai, comunque. “Me l’ha chiesto, ma in pratica se mi rifiuto di accompagnare la delegazione… non lo so.” Sospirò di nuovo, sedendosi sul letto. “Non vuole altri che me e la McGrannit ad accompagnarlo.”

James ridacchiò, sedendosi accanto a lui. “È fico che si fidi tanto di te.”
“È inadeguato.” Scosse la testa. “Non sono questa gran protezione per gli studenti… voglio dire, naturalmente sono il professore di Difesa, ma…”
“Dici poco.” Replicò James. “E quei tre anni di Accademia?”
“Beh…” Odiava quando le persone avevano ragione. Sapeva di stare comportandosi in modo immaturo, ma del resto non aveva molta scelta, se non farlo tra quelle quattro mura e con James. Il Preside aveva dato per scontata la sua presenza, e così il resto dei professori. Neville l’aveva addirittura proposto di prima facie.

Senza contare nonna. Era così orgogliosa di me quando gliel’ho detto…
James gli lanciò un’occhiata di sottecchi. “Andiamo, sei la persona giusta, e lo sai. L’anno scorso con i Naga hai fatto scintille. E anche quest’anno coi Dissennatori…” Aggrottò le sopracciglia. “Certo che pensandoci… che due anni di merda.”
Ted non poté fare a meno di mettersi a ridere. Capì anche perché aveva sentito l’unico moto di contentezza della giornata quando aveva visto apparire James dal camino: il primogenito Potter era una delle poche persone che vedendo i suoi malumori non si scomponeva e, soprattutto, aveva il potere di farlo ridere.
Ben pensandoci, era l’unica.
Gli accarezzò un ginocchio sorridendogli. “Sì, beh… diciamo che non sia portati per vivere una vita tranquilla.”
“Non potevi dirlo meglio!” Ghignò l’altro. “Ma se non vuoi andarci, dovresti dirglielo. Dico, protestare. Non possono incastrarti in ‘sta cosa, se non vuoi.”
“Non è questo.” Si passò una mano trai capelli. Oh, beh… color verde acqua era buon compromesso con il verde palude che aveva fino a poco prima. James stranamente non glielo aveva fatto notare. Forse aveva avuto un moto di pietà.  “Devo andarci. Ci sono Albus e Tom. Voglio andare. È solo…”
“Che ti mancherò. Mi mancherai anche tu.” Concluse per lui con aria seria, mettendogli una mano dietro il collo e avvicinando i loro visi. Quella sua gestualità era a volte troppo marcata, ma dannatamente efficace. Improvvisamente non si sentì più tanto depresso.   

Merlino, avrebbe mai avuto ragione della sua improvvisa e non voluta adolescenza?
“Non è questo… cioè, anche, naturalmente… Ma lo sai, mi conosci, sono un tipo sedentario…” Balbettò tentando di svicolare. Rotolarsi tra le lenzuola di primo pomeriggio, come gli suggeriva il suo istinto, non era razionale quando doveva preparare tre valige per la partenza serale.
“Quando tornerai la nostra casa sarà già pronta.” Gli assicurò, ignorando il suo sconnesso parlare per dedicarsi al sollevamento del suo maglione. “Tranquillo, Teddy. Troveremo il modo di sentirci.”

“Non è…” Si accigliò realizzando il senso intero della frase. Era compito arduo quando il giovane uomo affascinante che aveva davanti decideva di aderirgli addosso come una seconda pelle. “… Ci lavorerai da solo?”
“In mancanza dell’altro inquilino.” Scrollò le spalle. “Magari mi faccio dare una mano da…”
No.

Tanto lo so che lo chiederesti a Lenny.
“Ma non sai neanche chi viene a darmi una mano!” Obbiettò divertito. Lanciò uno sguardo ai suoi capelli. “Oh, Teddy-arrabbiato. Ricevuto.” Sorrise. “Pensavo ti avrebbe fatto piacere tornare ed avere una casa pronta, fornita di biblioteca, tazze di the e camino funzionante!”
Ted sentì che stava covando un altro sospiro e preferì invece lasciarsi andare sul materasso. “È proprio di questo che parlavo.” Mormorò. “Perdermi le cose qui, Jamie. Le cose importanti. La ristrutturazione, lasciare i miei Tassorosso… lasciare la nonna. E… non vedere te.” Concluse passandogli le dita trai riccioli arruffati che gli ricadevano sulla fronte. “Come se non bastasse, non ho una bella sensazione in merito al Torneo.”
“Istinto da lupo?” Chiese faceto, ma neppure troppo. Si buttò accanto a lui intrecciando le braccia sotto il mento e guardandolo. Erano quei chiari occhi nocciola a fargli venir voglia di mandare tutto a monte.
Stava per cominciare una nuova vita, una vita che si preannunciava piena, una vita che aveva scelto in ogni suo singolo afflato.

… e poi, arriva la Cruda Realtà…
“Chiamalo come vuoi, ma non mi sento tranquillo. Per questo voglio partire e per questo… vorrei restarmene qua.”
“Ted Lupin, un uomo diviso.”
Ridacchiò. “Merlino, puoi giurarci.”

James si sporse per dargli un bacio a fior di labbra, e poi restò dov’era, semi sdraiato su di lui. “Non hai idea di quanto vorrei venire con te.” Gli borbottò contro il collo.
E non scherzava. Ted sapeva quanto l’altro si frenasse per non infilarsi in quella storia. C’erano i suoi fratelli, Rosie e il suo migliore amico invischiati. Conosceva la lealtà cieca che era capace di provare, e la sofferenza che sentiva quando non poteva aiutare chi amava.

Geni Potter…
“Lo so.” Non disse che avrebbe voluto averlo con lui. Anche se voleva. Perché James era sì, il suo ragazzino, ma era anche un giovane uomo capace di affrontare le emergenze. Lo aveva dimostrato più volte. “Ma sei più utile qui. Lily non ha preso bene il dover rimanere in Scozia.”
“È bene che se ne stia lontana da quel tipo.” Brontolò facendolo sorridere. “Ho sentito certe cose…”
Anche Ted aveva sentito quelle cose, ma non voleva tirare in ballo quel discorso; aveva la vaga impressione che il suo ragazzo aspettasse solo una mezza parola di supporto per partire con una crociata contro Durmstrang e un suo studente in particolare. “Rimarrà ad Hogwarts, quindi non preoccuparti.” Disse non impegnativo. “Piuttosto stalle vicino.”

James sbuffò di nuovo. “Non c’è bisogno che me lo dici. È mia sorella.”
Dica.”
“Merlino, sei più palloso di un libro stampato!”  

Sorrise e lanciò un’occhiata alle borse ancora vuote. Le avrebbe riempite con pezzi necessari della sua vita dopo. Era sempre stato un tipo che amava avere tutto pronto subito per evitare l’ansia pre-viaggio, ma poi arrivava James e… niente.
Se lo tirò addosso solo un altro po’. “Che vuoi farci… è da quando ho memoria che è un punto di principio pestarti un po’ di educazione in testa.”
James capendo tono e intenzioni ghignò. “E ci sei mai riuscito?”
“Sono un tipo paziente …”
 
I’ll be gone by the nights end
But I’ll be home in a little while
Lover, I’ll be home³
 
 
****
 
“È lo Specchio delle Brame.”
Scorpius si riscosse dal compito arduo di riordinare il suo cassetto di effetti personali post-vacanze natalizie perché Thomas Dursley era sul ciglio della porta della sua stanza.  

Era sempre straniante vedere un serpeverde vestito di tutto punto presenziare in quei locali. Il piccolo Potter, a ben pensarci, difficilmente veniva a Grifondoro in uniforme.
Dursley invece sembrava quasi sfoggiarla.
“Buon pomeriggio a te.” Sorrise chiudendo il cassetto straboccante nuovi oggetti, regali scampati ad una selezione impietosa; la maggior parte dei presenti che riceveva dalla sua ramificata parentela non gli si addicevano per nulla o, peggio, erano potenzialmente oscuri.
Cernita, cernita!
Suo padre per una volta non aveva questionato i suoi brutali metodi di valutazione; in effetti, non aveva protestato per niente. L’aveva visto sì e no due volte dopo il Ballo. Gli era più che altro apparso davanti, prima di scomparire nel suo ufficio o nei suoi appartamenti.
Credo che processerà tutto quel che è successo più o meno per il prossimo Natale. Secondo mamma in meno.
È sempre stata un’inguaribile ottimista.
“Anche a te.” Replicò Dursley riportandolo alla realtà. “Saltiamo i convenevoli?”
“Sicuro!” Annuì raggiungendolo. “Hai spaventato qualche nostro primino mentre venivi qui?”

Il serpeverde aggrottò le sopracciglia senza capire. Preferì infatti glissare. “Stavo dicendo… ho capito a cosa si riferiva la frase sul fazzoletto. Non rifletto il volto ma il cuore.” Recitò. “È scritta sulla cornice dello Specchio delle Brame.”
“Cos’è lo Specchio delle Brame?” Interloquì, facendogli cenno di accomodarsi. I suoi compagni di stanza erano ancora in Sala Comune a chiacchierare e, compiacendo Merlino, ci sarebbero rimasti fino ad ora di cena: vedere uno come Dursley seduto su uno dei loro letti avrebbe potuto scatenare un incidente diplomatico.

E poi Mister Oltre Ogni Previsione è così bravo a non far saltare i nervi…
Tom ad ogni buon conto non si sedette, preferendo rimanere impalato come un fuso in mezzo alla stanza. A Scorpius ricordò, con una certa dose di divertimento, il padre; avevano lo stesso modo di squadrare le spalle quando si trovavano in un ambiente che non consideravano piacevole.
Serpeverde… L’ho già detto?
“Lo Specchio delle Brame è un oggetto magico.” Gli fu nel frattempo spiegato. “Ho fatto delle ricerche incrociate su vari testi. Rifletto mi ha messo sulla giusta strada… era ovvio dovesse trattarsi di qualcosa…”
“… che rifletteva.” Concluse per lui con un sorriso. Tom fece una smorfia seccata, ma annuì.

Come fanno Mike e Lo a non aver voglia di interromperlo continuamente?
È troppo divertente la faccia che fa!
“… quindi ho trovato un oggetto che corrispondeva alla descrizione. E c’era una foto.” Tirò fuori dalla tasca del mantello un quadratino di pergamena accuratamente ripiegato.
“L’hai strappato da un libro?” Esclamò incredulo. Pensava che quelli come lui fossero moralmente incapaci di fare del male ai loro fidati amici di carta, spesso eletti compagni di vita.
“Non essere ridicolo.” Replicò infatti irritato, e Scorpius vide che si frenava dall’aggiungere un insulto sicuramente sinonimo di ‘babbuino’. “Ho usato il Gemino.”
Mea culpa.” Fece un sorriso di scuse, prendendola e dispiegandola; era una vecchia foto, ormai immobile; succedeva quando il sangue di drago in cui era stata sviluppata perdeva il suo effetto.
Deve essere molto vecchia.
C’era una stanza, di pietra e piuttosto spoglia. Lo specchio, alto fino al soffitto, era al centro della scarna composizione. Aveva una massiccia cornice di legno dorato che si avviluppava in volute complesse e proprio sulla sommità c’era quella frase. Esatta.
“Wow. Ottimo lavoro!” Esclamò ammirato. “E… cosa fa esattamente?”
Tom gli lanciò un’occhiata di sufficienza. “Quello che dice.”
“Dursley, è una licenza poetica grossa come un castello. Potresti gentilmente spiegarmi?” Gli suggerì paziente. Ad ogni nuova conversazione capiva sempre di più perché la sua Rosie lo avesse tanto a noia. Era insopportabile per chiunque non avesse una scorta pressoché infinita di pazienza. Il mini-Potter doveva possedere una serenità d’animo simile a quella dei centauri.  

L’altro, dall’alto della sua intelligenza inespressiva, sembrò comprendere i suoi limiti. “Significa che ciò che questo specchio riflette non è la persona, ma la sua coscienza.” Disse. “Il cuore viene considerato, nell’immaginario comune, custode dei desideri più profondi.”
“È così, sai.” Rintuzzò. “Quindi mostra i propri desideri?”
“Sì.” Confermò. “Così c’era scritto.”

Scorpius notò un altro particolare, questo piuttosto curioso: la stanza in cui era stata scattata la foto aveva qualcosa di familiare. L’architettura, soprattutto, e la cornice della finestra…
“Ma è stata scattata ad Hogwarts!” Esclamò. “Questa è una finestra di Hogwarts!”
“Lo specchio è stato qui. Anni prima che noi nascessimo. Tuo padre doveva avere undici anni all’epoca.”
“Molto preciso.” Fece mente locale. “Qualcuno dei tuoi l’ha visto?”
Tom esitò un attimo, poi annuì. “Sì, Harry. Ci si è persino imbattuto. Gli ho chiesto delucidazioni… e mi ha detto questo. Mostra ciò che più desideri al mondo. Non mi ha voluto dire altro, perché…” Scrollò le spalle rassegnato. “… crede dobbiamo scoprirlo da soli.” 

Scorpius sbuffò: dei dettami grifondoro non poteva soffrire quel senso di onestà a volte ottuso. Era una cosa da Tassorosso. Perché ampliarla anche a loro? Comunque c’era poco da fare. Intascò la foto. “Come pensi funzionerà la Prova?”
Mostrerà ciò che più desidero al mondo… E questo come dovrebbe costituire una prova?
Devo rinunciarci? Pensare a qualcosa di nobile?
Gli sembrava piuttosto assurdo. L’unica cosa che desiderava in quel momento già l’aveva: l’amore della sua Weasley.
Il problema è farlo perlomeno tollerare, se non desiderare, a mio padre.
“È possibile si tratti di scegliere la cosa giusta da fare.” Osservò Tom. “Nella Prima hanno misurato il tuo coraggio. Adesso è il turno del cuore. Fegato-cuore-mente, la triade del Tremaghi.” Inarcò un sopracciglio e a Scorpius venne da sorridere; sì, quel genere di linguaggio metaforico era terribilmente trito. Ma non gli diede la soddisfazione di convenire.
“Coraggio, sentimenti e intelligenza.” Ripeté invece, riflettendoci sopra. Si sedette sul letto. “Solo a me sembra strano mettere Sentimenti e Durmstrang nella stessa frase? Dalle descrizioni, quel posto ispira tutt’altro che condivisione dei propri sentimenti.”
Dursley stirò un mezzo sorriso. “Già.” Ammise. “Ma vinceremo.”
Scorpius gli lanciò un’occhiata: sapeva che era suo Assistente per un motivo che poco c’entrava con il Tremaghi e più che altro con la sua crociata personale. “Dovrai pensare ad altro quando sarai lì… posso cavarmela anche da solo.” Non lo disse atteggiandosi a vittima; sapeva per esperienza che quando c’era di mezzo famiglia e affermazione di sé non c’era nulla che potesse mettersi in mezzo.

Tom lo guardò valutativo, poi scosse la testa. “No, ti aiuterò.” Inaspettatamente gli tese la mano. “Per Hogwarts.”
Scorpius gliela strinse con un sorriso. Sì, era un insopportabile saccente, un serpeverde fatto e finito. Ma questo non gli impediva, dopotutto, di essere una brava persona.
“Per Hogwarts.”
 
****
 
Rose era contenta di partire per Durmstrang.
Beh, contenta magari era una parola grossa, ma…
No, era contenta.
Salutò con un sorriso suo cugino Albus, prima che venisse inghiottito nelle scale buie dei sotterranei di Serpeverde. Non le sarebbero mai piaciuti.
Beh, sono anche le ultime volte che li vedi.
La riunione tra Caposcuola, nonché capi-delegazione, e professori si era svolta senza scossoni. Al era un eccellente espositore e lei… beh, lei era brava nell’organizzare. In effetti, la loro coppia era vincente e i professori erano rimasti soddisfatti dal loro operato.
Quella sera sarebbero partiti dalla stazione di Hogsmeade con un espresso transnazionale che li avrebbe portati fino all’Istituto. Sarebbe stato un lungo viaggio dato che non potevano attraversare l’oceano né volare con la carrozze. A quella sua osservazione però, Teddy aveva sorriso divertito, e così gli altri docenti.
Non se la levano mai questa mania di dirci le cose all’ultimo minuto, vero?
Beh, di certo non sarà un treno volante.

Inspirò, frugando distrattamente nella borsa per controllare di non aver lasciato nulla in Sala Professori.
Era felice di andare a Durmstrang perché lì suo padre e i suoi rimproveri silenziosi sarebbero stati lontani.
Avrebbe mentito se avesse detto che le cose si erano aggiustate grazie alla sua rivelazione. Anzi; Ron Weasley non aveva processato un bel niente. Tutt’ora usava il trattamento del silenzio e del parlarle per interposta persona.
Credo che mamma sia stata sollevata quanto me dalla mia partenza… non ne poteva più di fare da tramite. E così Hugo.
Era riuscita a vedere Scorpius in quei giorni solo grazie all’intercessione di James e alla sua casa a Notturne Alley.
Porto franco.
Non che il suo ragazzo non avesse avuto problemi con suo padre…
Ma se non altro il suo gli parla. Poco, ma…
Sospirò incamminandosi verso la Torre di Grifondoro. Non c’era nulla che potesse fare in merito, quindi era inutile arrovellarvicisi. Persino sua madre alla fine aveva dimostrato apertamente il suo supporto.
‘Se ne farà una ragione Rosie. Prima o poi. Tu non preoccuparti e divertiti a Durmstrang.’
Se persino Hermione Weasley, che non era certo una fan dei Malfoy, si prendeva la briga di rassicurarla, allora voleva dire che le cose si sarebbero aggiustate.
Prima o poi.
Svoltò l’angolo e, presa da quei pensieri, quasi andò a sbattere contro Lily che veniva nella direzione opposta.
Lo spostamento repentino fece cadere le borse ad entrambe. Lily non la portava mai a tracolla, ma sulla spalla, e per quanto la riguardava, l’aveva ancora in braccio alla ricerca della sua agenda.
“Attenta!” Esclamò sua cugina stizzita. Quando si accorse che era lei sbuffò. “Accidenti, Rosie…” Si chinò a raccogliere ciò che le era caduto. Rose notò un pacco piuttosto voluminoso, fermato da due giri robusti di spago. Notò anche il logo dei Tiri Vispi stampato a margine.
“Posta?” Chiese incuriosita. Lily non era tipo da ordinare materiale dal negozio di scherzi di famiglia. Solo a dodici anni avevano ordinato, assieme alle amiche, dei filtri d’amore. Sfortunatamente, quel buontempone di Freddy li aveva corretti e il risultato era stato far starnutire il dormitorio del Secondo anno per una settimana.
(Quello collaterale era stato regalare a Freddy una coda da porcellino per un mese.)
Sua cugina  alla domanda prese il pacchetto e lo infilò in borsa. “Niente di che.” Borbottò un po’ troppo velocemente.
Rose non era per niente stupida. Forse molte cose le passavano sotto il naso, ma non quella.
“Lily, che cos’è?”
“Niente!” Esclamò afferrando la borsa e tirandosi su. La guardò meglio: era arruffata e accaldata. Doveva essere stata in Guferia e aveva corso nella via del ritorno. E diavolo, se sembrava sulle spine.

Era strano, perché era raro vederla così. Di solito aveva sufficiente faccia da schiaffi per far passare sotto silenzio qualsiasi sua idea malandrina. “Lily?” Ripeté. “Se non è niente perché lo nascondi?”
La quindicenne a quel punto sbuffò. “Okay. È una cosa che… che vorrei spedire a Ren.”

Improvvisamente il contenuto del pacco non le interessò più così tanto. Ma il destinatario sì. “Lily! Ti ho già detto che è meglio se gli stai lontana! Quale parte non hai capito?”
“Beh, più lontana di un paio di Stati!” Rintuzzò stringendosi nelle spalle. “Forse non lo vedrò mai più, visto che non posso venire a Durmstrang.” Serrò appena le labbra. “Volevo dargli un regalo prima di… non lo so, perdere i contatti, no?”
“Li perderai davvero?” Doveva. Luzhin era maledettamente inquietante, oltre che con seri problemi di gestione del controllo della rabbia. Ci mancava solo che sua cugina si facesse venire una fissazione per un tipo del genere.

Se già non ce l’ha. Che poi sarebbe pure di famiglia prendersi sbandate per tetri bastardi.
Lily roteò gli occhi al cielo. “Siamo onesti… quest’anno si diplomerà, e comunque viviamo in due Stati diversi. È vero, ha dei difetti… ma è stato un buon amico. Tu dovresti capire com’è quando ti manca una persona.” Le piantò gli occhi in faccia, e Rose si sentì un po’ a disagio.
“Scorpius è una brava persona, Luzhin…”
“… Sören non lo è, ma questo non fa di lui un mostro.” Ribatté secca. “È solo un regalo. Se vuoi, è un modo per augurargli buona fortuna e dirgli addio. Ho capito da sola che non è il caso di continuare i rapporti, okay? Ma questo non significa che non possa chiuderli amichevolmente.”
Rose la guardò e non vide nulla che potesse far pensare che mentisse. Era seria, con un’aria forse… beh, triste. Sembrava sincera.

“Okay…” Sospirò. Non poteva impedirle di spedire un pacco. Si sarebbe comportata come suo padre, e non ne aveva la minima intenzione dati gli ultimi sviluppi del loro rapporto. “Ti serve un Gufo per spedirglielo? Se vuoi puoi prendere il mio.”
Lily sorrise. “Non preoccuparti. Prendo in prestito la civetta di Gail. È più veloce, glielo recapiterà prima.” Serrò appena le dita sulla tracolla e poi le mise una mano sulla spalla, fissandola improvvisamente seria. “Se non ci rivediamo per cena, buona Durmstrang. Ti divertirai.” Squadernò di colpo uno di quei suoi ghigni fieramente perversi. “Tu e Scorpius finalmente potrete stropicciarvi in ogni luogo!”
Lilian!” Esclamò avvampando, perché non erano sole in quel corridoio. Improvvisamente, anche se stavano passando solo due ragazzini del Terzo anno, lo percepì affollatissimo.

Sua cugina rise e ne approfittò, ovviamente, per sgattaiolare via.
Rose sospirò, finendo di raccogliere le sue cose. L’agenda, come pensava, non l’aveva dimenticata in Sala Professori. La raccolse e la spolverò distrattamente.
Certo che però… cosa ci fa uno come Luzhin con un articolo dei Tiri Vispi?
 
Lily sospirò, appoggiata al muro di fronte al ritratto della Signora Grassa. La scuola era appena diventata un campo di battaglia. In realtà, lo era diventata da quando la sua mente era stata letteralmente folgorata da un proposito. Perché nessuno dei suoi cugini o fratelli o parenti acquisiti doveva scoprire cosa aveva in mente.
Ho un piano per andare a Durmstrang.
Tirò fuori la busta dalla propria tracolla, guardandola assorta: non era stato difficile far credere a Freddy che aveva intenzione di organizzare uno scherzo coi fiocchi all’indirizzo di una ragazza serpeverde rea di averle mancato di rispetto. Suo cugino era un Grifondoro semper fidelis: aveva passato i suoi anni scolastici a punzecchiarsi con la loro conclamata controparte scolastica verde-argento.
Ovviamente non era per uno scherzo.
Strappò la carta dal pacchi e un lieve baluginio le si presentò davanti. Sorrise; era figlia di un auror, figlia dell’uomo che possedeva Il Mantello dell’Invisibilità.
Non poteva avere quello, ma poteva comprarne un altro.
 
****
 
Germania del Nord, Residenza estiva degli Hohenheim.
 
Era arrivato il momento di partire.
Sören osservò i servi caricare gli ultimi bagagli nella carrozza tirata dai cupi Thestral, parte integrante del serraglio della famiglia Hohenheim da generazioni.

Lanciò un’occhiata al giovane Milo. In realtà, era ironico apostrofarlo in quel modo dato che dovevano essere più o meno coetanei. Ma in confronto ad Etzel, era un ragazzino.
Un ragazzino che dovrebbe essere ancora ferito…
I suoi movimenti erano infatti cauti e centellinati al millimetro; sembrava comunque che gli infusi e i generici rimedi Magonò avessero avuto effetto.
Il magonò strinse l’ultimo legaccio che assicurava il suo baule al tettuccio della carrozza e poi scese.
Si scambiarono poco più di uno sguardo. “Buon viaggio, Signore.” Mormorò a mezza bocca. Sören replicò con un cenno dismissivo. Il ragazzo gli lanciò una seconda occhiata di sbieco, ma c’era un’altra presenza che richiamava all’ordine entrambi, anche se per motivi diversi.
Alberich Von Hohenheim era di fronte all’ingresso principale, ad osservare la partenza. A presenziare, per meglio dire.
Sören si recò da suo zio per gli ultimi saluti, come etichetta comandava. “Vi contatterò non appena sarò arrivato.”

L’uomo fece un breve cenno della testa. “Molto bene. Fa’ buon viaggio Sören.” Gli strinse brevemente la mano. Non vacillava, ma era fredda.
Aveva letto lal lettera del Guaritore di famiglia. Non era stato affatto risolutiva: il buon’uomo lo conosceva dalla sua infanzia, ma nonostante questo non era riuscito a mettere la verità nero su bianco.
Gli aveva però proposto una conversazione via camino non appena avesse avuto un fuoco magico sicuro a disposizione.
Sicuro…
Le cose diventavano sempre più incomprensibili. Lanciò un’occhiata ai Mercemagi poco lontani; erano nei pressi del pozzo, apparentemente presi a scherzare trivialmente. Non erano tutti, ed erano comunque una dozzina.
Perché ci serve un piccolo esercito?
“È ora che tu vada.” Lo riscosse suo zio. “Ti aspetta un lungo viaggio.”
“Naturalmente.” Convenne docile. Si inchinò per un ultimo formale saluto e poi salì la scaletta della carrozza.

Quando si fu accomodato trai cuscini e sentì i Thestral dare lo strappo di partenza inspirò; era ora di tornare a vestire i panni di Luzhin. 
Non sarebbe stato facile, affatto.
 
 
****
 
Scozia, Hogwarts, Ora di Cena.
 
Aveva detto un campo di battaglia?
Si sbagliava, era una corsa ad ostacoli.

Lily inspirò: fu un moto di sollievo dato che aveva finalmente seminato il cugino: non le dava pace da tutto il pomeriggio. Alla fine aveva dovuto inventarsi una convocazione dal buon vecchio Neville per sfuggirgli. Naturalmente, Hugo si era offerto di accompagnarla.
È tutto il giorno che cerca di capire se sto organizzando qualcosa per Durmstrang! Argh!
Sfortunatamente il suo valletto, dietro l’aria arruffata e macilenta, aveva un cervello di prim’ordine, ereditato per via direttissima dalla famigerata, cervellotica, madre. E doveva entrarci in qualche strano modo anche Abigail. Era piuttosto certa, infatti, che avesse fatto la spia.
Su cosa non lo so… ma evidentemente non sono così brava ad inventarmi scuse.
… sì, in effetti ho sempre fatto abbastanza schifo.
Si appoggiò al muro di pietra all’imbocco della Torre di Grifondoro. Dentro, c’erano i preparativi tumultuosi di chi andava. Tra un paio d’ore il treno sarebbe partito.
Ed io sarò là sopra, costi quel che costi.
Si guardò attorno; c’era un motivo per cui aveva deciso di uscire, oltre che per liberarsi del cugino.
Se Gail mi vedesse armeggiare con una borsa adesso… beh, capirebbe tutto.
Percorse tutto il corridoio e finì all’imbocco delle scale mobili. Lì, due fiere armature nascondevano ciò che aveva accuratamente preparato e occultato. Si chinò e tirò fuori il compatto zainetto da viaggio che usava per portare parte del suo ragguardevole bagaglio annuale per Hogwarts. Non era molto grande, ma conteneva il necessario per partire. Inspirò di nuovo poi se lo nascose sotto il mantello; doveva portarlo perlomeno fino alla Sala Grande, nasconderlo nel bagno e aspettare che tutti fossero usciti per seguirli con il mantello.
Sarebbe tutto più semplice se Hugo non sospettasse. Cavolo!
C’erano pochi studenti in giro. Molti erano nelle proprie Sale Comuni, alcuni già accomodati a servirsi la cena. Era l’occasione per agire indisturbata.
Mangerò come tutti, fingerò di essere stanca e mi ritirerò nella mia stanza… Gail non mi seguirà di sicuro. Sarà tutta presa a dimostrare a Hughie quanto sta bene senza di lui. E Hugo sarà troppo concentrato a sobbollire.
A quel punto tirerò fuori il mantello, passerò invisibile in Sala Comune, uscirò, prenderò lo zaino dai bagni e mi accoderò alla delegazione.
Ripeterselo da ore aiutava a renderlo reale; e poi era perfetto. Infatti riuscì a nascondere perfettamente lo zaino e il mantello pesante dentro il bagno delle ragazze, sotto il lavello. Soddisfatta ne uscì con un gran sorriso. Dovette rientrare bruscamente dato che Al e Tom le passarono davanti, diretti probabilmente verso la Sala Grande.
Dannazione!
Seguire un piano perfetto era più difficile di quanto non credesse.
Se Al e Tom sospettassero qualcosa…
Non erano Hugo, né Rosie. Sarebbero stati capaci di legarla al letto della sua stanza e somministrarle forzosamente una pozione soporifera, il tutto per impedirle di fare una cavolata.
Serpeverde. Sexy, adorabili e dannatamente coalizzati nel fare buone azioni moralmente discutibili…
Passato il pericolo si incamminò di buona lena verso la Torre di Grifondoro; doveva rassicurare Hugo circa la sua totale innocenza, e non c’era niente di meglio che farsi scortare a cena.
Nel tragitto incontrò una sequela di quadri che osservò pigramente; il Primo anno ne era stata affascinata. Un dipinto che si animava era ben diverso da una fotografia. Li aveva sempre trovati poetici, in qualche modo. Da matricola si era persino fermata qualche volta a conversare con loro.
E a dire il vero, ho anche cercato di trovare il Preside Piton…
Sfortunatamente non c’era mai riuscita.
Beh, questo prima di incontrarlo mentre litigava con Ren. Litigavano, non c’è storia.
C’erano tante cose che non le tornavano; per questo doveva andare, per questo doveva fare delle domande e avere delle risposte. I suoi genitori avrebbero dovuto capirlo.
Capiscono se si tratta di Al e Tom… ma non di me?
Serrò appena le labbra.
So delle cose… Non sono fuori da questa faccenda, è inutile che tentino di allontanarmi!
E poi c’era anche il volto che aveva visto quando aveva usato la Legimanzia Naturale su Sören; non l’aveva scordato, non aveva potuto in quel periodo sebbene convulso. Era come se qualcuno glielo avesse stampato in mente e appiccicato davanti agli occhi.
Chi era l’uomo che ho visto? Un parente di Ren? Non gli somigliava per niente…
Alla fine, proprio per non perderlo, aveva usato uno dei regali di Natale che le erano stati fatti; ironia della sorte i suoi genitori le avevano regalato una macchina fotografica mnemonica. Era in tutto e per tutto simile ad una macchina fotografica a pellicola, tranne che al posto di sviluppare ciò che c’era davanti all’obbiettivo sviluppava ciò che immaginavi nel momenti in cui scattavi.
Tirò fuori dalla borsa la foto sviluppata: la custodiva gelosamente nella propria agenda e l’aveva guardata un bel po’.
L’uomo aveva un’età indefinibile e assomigliava tremendamente a Thomas. Sfortunatamente era in bianco e nero – l’unico modo per sviluppare foto di quel genere. Ma l’immagine era vivida abbastanza per metterle inquietudine.
Sì, assomiglia a Tommy, ma…
Tom non aveva quello sguardo inespressivo. Non era un mostro di comunicatività, ma quell’uomo, chiunque fosse, non aveva dipinta in volto una sola emozione. Né nella piega delle labbra, né nella curva sottile delle sopracciglia. E, cosa peggiore, i suoi occhi erano come gusci vuoti.
Ci passò il pollice pensierosa. Improvvisamente non ebbe più voglia di andare a riscontrare Hugo e inscenare la commedia delle buone intenzioni.
Sarò nei guai fino al collo quando sarò su quel treno…
Ormai aveva deciso e non sarebbe tornata indietro, ma sapeva bene a cosa andava incontro.
Oh, starò in punizione per secoli…
Improvvisamente qualcosa di molto nero le entrò nella visuale. Non capì subito perché un allegro quadro di giochi campestri si era improvvisamente rannuvolato. Poi notò che non era il quadro, era il soggetto ad essere cambiato – i festosi campagnoli in effetti si erano dispersi piuttosto velocemente.
“Preside Piton!” Esclamò senza riflettere, perché era proprio l’eroe della sua infanzia che le stava passando davanti.  Quello non diede segno di averla sentita e tirò dritto.
Sta passeggiando trai quadri? Ogni tanto ho visto Silente, ma lui non l’ha mai fatto!
“Professor Piton!” Tentò di nuovo, ma la figura nera e austera interruppe una partita di sparaschiocco tra un paio di maghi molto barbuti e continuò il suo incedere.
Doveva parlargli; era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. L’uomo ritratto aveva litigato con Sören.
E non si litiga con qualcuno come il Preside… beh, il quadro del preside … se non si hanno ottime ragioni.
“Severus!” Tentò infine e in effetti, stavolta, accadde qualcosa. Il mago si fermò e si voltò, guardandola come se stesse per decidere se darla in pasto ad una muta di Crup o abbandonarla nella Foresta Proibita alla mercé delle Acromantule.
“Noto con piacere che la sfacciataggine è una dote genetica, nei Potter.” La voce era proprio come suo padre gliel’aveva descritta; monotona, bassa e maledettamente angosciante.
Lily sentì improvvisamente il peso del suo essere una studentessa di quindici anni.
“Mi scusi.” Mormorò. “Ma non si fermava.”
“Non le è venuto in mente che avevo ottime ragioni?”
“Va di fretta?” Chiese stupita. “Cioè, lei è un quadro, non avete esattamente…” Smise di parlare all’ennesima occhiataccia raggelante. Si fece coraggio, perché conosceva quel genere di mimica. Tom era stata una bella palestra. “… non avete il senso del tempo.” Concluse.

Piton sospirò distintamente. Chi aveva dipinto il quadro era stato poco generoso nell’ingentilire quei tratti arcigni.
Realismo eccessivo?
Però c’era qualcosa di Ren in Piton. O viceversa. E guardarlo le dava una strana sensazione di deja-vu. Era piuttosto doloroso.
“Voi marmocchi vivete nell’illusione che noi ritratti amiamo conversare amabilmente a vostra richiesta.” La riscosse.
“Beh, di solito è così.” Stavolta ignorò la smorfia con naturalezza. “Voglio dire, è così. Comunque vorrei farle solo una domanda.” Non era brava come Albus nel fare gli occhi dolci, e dubitava che un oggetto inanimato come un dipinto potesse cadervi preda, ma comunque… “Per favore.” Mormorò con il suo migliore tono bisognoso.

Che fosse un pezzo di tela o meno, qualcosa cambiò impercettibilmente nell’espressione dell’uomo. Perse espressione, a dirla tutta. Lily si aspettò rassegnata un rimbrotto, ma invece ci fu un sospiro. “Parli.”
Era troppo stupita per gioire della sua insperata fortuna. “Lei ha … insomma, un paio di settimane fa ha parlato con Sören. Sören Luzhin, il Campione di Durmstrang.”
“Lo ricordo.” La rintuzzò infastidito. “Abbiamo avuto una conversazione decisamente spiacevole.”
“È la stessa cosa che ha detto lui.” Confermò senza scomporsi; dall’espressione dell’amico e da come l’aveva tirata via era stato piuttosto ovvio che non si fossero scambiati memorie familiari. “Perché avete litigato?”
“È questa la domanda?” Fece un sorrisetto sarcastico. Suo padre gli aveva descritto efficacemente anche quelli. In effetti, irritavano da morire. “Dovrebbe chiederlo a lui.”
“Non me l’ha voluto dire e adesso è partito.” Si strinse nelle spalle, ignorando il tono palesemente indagatoria del ritratto. “Io… so che qualcosa lo turba. Non so cosa, ma so che è piuttosto qualcuno.” Le venne in mente che forse Piton poteva sapere chi era l’uomo che aveva visto. Con un po’ di fortuna poteva essere un loro parente comune. Tirò fuori la foto dall’agenda mettendola davanti alla cornice. “Conosce quest’uomo?”
Piton aggrottò le sopracciglia. “Non so chi sia.”
Lily la rimise al suo posto, un po’ delusa. Doveva aspettarselo; del resto quello non era il vero Piton, ma solo una sua parvenza ed in ogni caso, pure l’uomo in carne ed ossa poteva non averlo conosciuto.

“Signorina Potter…” Il mago riportò piuttosto bruscamente l’attenzione su di sé. “Quello che io e il Signor Luzhin abbiamo discusso, è affare che non la riguarda in nessun modo. In ogni caso… posso dirle questo.” Lily drizzò le orecchie perché se non ne stava parlando, ci stava andando maledettamente vicino. “Non è chi dice di essere. Non è affar mio quel che…”
“Che vuol dire?” Quell’affermazione non era qualcosa su cui poteva far compromessi. “Che vuol dire che non è…”
Signorina Potter.” Stava giocando con il fuoco; quella era un’occasione assolutamente unica poter parlare con il dipinto più misantropo di Hogwarts. Ma proprio per questo non poteva avere riguardi.

“Ren è mio amico.” Lo disse con forza, perché l’avrebbe ripetuto finché non le avessero tappato la bocca. E allora lo avrebbe pensato. “Gli sta succedendo qualcosa e nessuno vuole dirmi in che guaio si è cacciato. Voglio scoprirlo.”
“O che guaio si sta portando addosso.” Interloquì il ritratto. “Ha cercato di avvicinarmi millantando una parentela nei miei confronti…”
“Ma è vera!”
“Ha detto che sua madre era una Prince, ma mia madre aveva solo un fratello.” Inarcò le sopracciglia. “Curioso, non trova?”

Lily cercò di far mente locale; in pochi attimi vagliò tutte le ipotesi possibili, i motivi per cui Sören avrebbe dovuto mentire ad un suo parente, peraltro racchiuso in una cornice.
Non ne trovò uno valido e restò stupidamente in silenzio, stringendo la borsa come se fosse un salvagente.
“Non ho idea del perché abbia dovuto inventare una storiella simile, ma ho sentito voci in giro… i ritratti hanno la fastidiosa abitudine di spettegolare. Il suo… amico…” Non sembrava un insulto ma neanche un complimento da come l’aveva pronunciato. “… è evidentemente invischiato in qualcosa da cui lei, sciocca ragazzina, deve star lontana. Oppure oltre alla sfacciataggine, da suo padre ha ereditato anche l’ incoscienza?”
Lily avrebbe dovuto forse offendersi, ma in realtà non le importava. Perché sì, era ufficialmente sfacciata e sconsiderata. Stava per partire per Durmstrang solo per avere delle risposte, dopotutto.

“Qualsiasi cosa dicano i ritratti… o la gente… io so che Ren è mio amico.” Sbottò sentendosi le guance scottare per l’agitazione. “Lo conosco.”
“Toccante.”
Era come avrebbe risposto il vero Piton. E per un momento, Lily desiderò che fosse vero, carne, ossa e cattivo carattere, e non una sua riproduzione di carta, per quanto interattiva. Perché avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva. Per lui. Lo aveva sempre pensato, ancor prima di capire che, dopotutto, Piton aveva fatto le sue scelte e ad esse aveva risposto.

Avrebbe dovuto esserci qualcuno che combatteva per lui come io faccio per Ren…  
Sorrise a quei tratti austeri e amari. “Dovrei lasciar perdere secondo lei?”
“Sarebbe consigliabile.”
“Beh, non posso.” Si strinse nella spalle e sorrise di nuovo all’espressione scettica dell’uomo. “Io Ren non lo abbandono.” Non aspettò risposta perché sapeva che non ci sarebbe stata. Aveva smesso di guardarla male, però. Più o meno. Il che, considerando il soggetto, era già molto. “Grazie Signore, mi è stato molto utile!”
“Questa buona azione indubbiamente rischiarerà la mia serata.” Commentò aspro il mago. “Sono libero di tornare al mio quadro o ha altre sciocche domande da sottopormi?”
“No, nessuna!”  Detto fatto, il ritratto se ne andò senza articolare neppure un saluto, allontanandosi con un gran svolazzare di mantello.

In pieno stile Piton, avrebbe detto papà…
Lily si raddrizzò. C’era notizie, e non erano buone. Ma non aveva tempo di pensarci, non davvero.
Avrebbe avuto un intero viaggio in treno per farlo.
 
****
 
 
Note:
 
E questo capitolo è anche, collateralmente, un buon compleanno a Red_93! Auguri, ragazza!


1. Questa la canzone
2. Bàn significa “bianco” in gaelico irlandese. Sì, la civetta di Gail è una civetta delle nevi come quella di Harry. ;D Ed è un maschio, per inciso.

3. Questa l’altra canzone. È un inedito quindi non è scaricabile. :/

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Capitolo 48
*** Capitolo XLV ***


Capitolo XLV




 
 
Darkness is a harsh term don’t you think?
Yet, it dominates the things I see
It’s not the long walk home that will change this heart
But the welcome I receive with every start¹
(Roll Away Your Stone, Mumford & Sons)
 
 
5 Gennaio 2023
Scozia, Stazione di Hogsmeade, sera.

 
Era l’Espresso di Hogwarts eppure sembrava diverso. Forse era qualcosa nella forma delle locomotiva, o forse nei pochi vagoni che le erano attaccati. Cinque non erano certo il numero canonico.
Teddy non vi era ancora salito, troppo preso a controllare la truppa di due dozzine di elementi esagitati dalla partenza. Persino Al, che era Caposcuola e mediamente un ragazzo pacato, non riusciva a non fare casino esattamente come il coro, chiacchierando entusiasta con Rose.

Umanamente, era comprensibile: Hogwarts non organizzava mai gite fuori porta, ad eccezion fatta per Hogsmeade. Lì si trattava addirittura di cambiare paese.
Dei tutti, quasi preferiva Tom che se ne stava nel suo spazio vitale dal diametro di circa tre metri, con la sacca da viaggio a tracolla e lo sguardo perso nel nulla della Foresta Proibita.
“I permessi, ragazzi… prima di salire fatemi avere i permessi. Alla mano!” Esclamò fermando per un braccio un entusiasta Quarto anno Grifondoro, parte del coro, che si stava lanciando sull’unica entrata aperta del treno.
“Se vuole li raccolgo io professore!” Esclamò Malfoy, in mezzo alla mischia e con un gran sorriso allegro. Sembrava il più esaltato di tutti e ad ogni buon conto doveva esserlo.
Il problema è che è un esagitato e agita empaticamente chiunque gli stia vicino…
“Lo faccio io, sono il Capodelegazione!” Replicò infatti Al, ricordandosi i suoi doveri nel momento sbagliato.
Ted inspirò lentamente; aveva lasciato James da un paio d’ore e già aveva voglia di prendere a testate qualcosa o infilarsi sotto una coperta come faceva da bambino. Non sapeva se fosse dipendenza o semplice disperazione. Optava per entrambe.
Avrei dovuto farmi aiutare almeno dalla McGrannit…
Aveva pensato che fosse opportuno lasciare i due anziani professori prendere posto nei rispettivi scompartimenti mentre lui pensava a far salire la delegazione e controllare che non ci fossero intrusi.
… è come avere centinaia di Snasi potenzialmente più pericolosi. Al momento passerebbero sul mio cadavere…
“Ci penso io!” Aggiunse Rose. “Fatela finita!” Strillò, ignorata dai più.
“Osate ignorare la mia fidanzata?!” Tuonò Scorpius quando vide un indisciplinato serpeverde fare un gestaccio in direzione della ragazza. “Tu, sei morto!”

“Lascia stare Patton!” Si erse a sua difesa Al, salvo acchiappare il ragazzino per il bordo del mantello e dirgli qualcosa all’orecchio che bastò a farlo sbiancare come un lenzuolo.
Oh. Mio. Merlino.
“Adesso basta!” Tuonò con il suo tono migliore e, miracolosamente, tutto tacque. Effettivamente, gli era sempre stato detto che quando si arrabbiava era spaventoso. Dovevano essere i capelli. E il fatto che alcuni dei suoi studenti fossero davvero minuscoli a suo confronto.

Si schiarì la voce. “Molto bene. Adesso mettetevi in fila, permesso alla mano, così finalmente partiamo.” Tese la mano al primo ragazzino che annuì, cacciandoglielo in mano efficientissimo.
Ted sentì qualcosa frusciare alle sue spalle quando si scostò per farlo passare. Si voltò: non c’era nulla però, solo il vano che introduceva al vagone, illuminato fiocamente da una lanterna.
Strano… mi era sembrato che qualcosa mi sfiorasse…
Ma le risatine sottovoce e i mormorii un po’ ridimensionati dei ragazzi potevano tratte in inganno. Si voltò di nuovo e controllò il secondo permesso.
 
 
****


“Io voglio quel letto, quello sopra!”
“Va bene, Malfoy. Nessuno ti sta impedendo di prenderlo.”
“… ah, beh. Attestavo.”
Al sospirò, lanciando un’occhiata di sbieco a Tom che ricambiò con una lieve smorfia compartecipe. Tra loro e i componenti maschi del coro erano otto e infatti quattro letti a castello erano stati fatti entrare nello scompartimento che, per l’occasione, era stato tramutato in un dormitorio compatto ma allo stesso tempo funzionale.

Chissà perché non hanno utilizzato un incantesimo di ampliamento…
Non che si stesse stretti, ma dal modo in cui Tom aveva serrato le labbra quando vi era entrato, era chiaro che la sistemazione fosse per lui soffocante.
Lui e i suoi venti metri quadrati di spazio vitale.
“Mi ricorda il Nottetempo.” Borbottò infatti con tono funereo, buttando il proprio borsone in uno dei letti in alto, sfidando un ragazzo del Quinto ad osare avvicinarsi. Al si scusò con lo sguardo, ed occupò frettolosamente il letto di sotto prima che potessero scatenarsi incidenti diplomatici ancor prima di partire.
“Oh, il Nottetempo!” Esclamò Scorpius, che sembrava aver ingerito una Pozione Risvegliante, a giudicare da come saltellava in giro. “Ho sempre desiderato farci una corsa, ma mio padre me l’ha proibito!”
“Un uomo saggio.” Mormorò a mezza bocca Tom, prima di arrampicarsi sulla stretta scaletta e sparire oltre le sbarre del letto.

“Cattivo umore?” Gli chiese confuso.
Al scosse la testa. “È Tom.” Fu sufficiente, perché il Grifondoro si limitò ad annuire con aria saputa, prima di buttarsi seduto sulla branda dirimpettaia alla sua.
“È un peccato viaggiare di sera… ci perderemo un bel po’ di paesaggi!” Esclamò, fissando il finestrino che rifletteva solo il buio fuori e lo sbuffo compatto della locomotiva in stallo.
“Arriveremo domani sera… credo vedremo paesaggi fino alla nausea.” Dal letto di sopra non si udivano rumori e Al seppe che Tom aveva già tirato fuori il proprio fido lettore mp3 per infossarsi nel suo autismo musicale.
“Oh, a proposito. Secondo te come facciamo a passare la Manica? Siamo in treno!” Chiese il biondo e anche Al ci fece un pensiero in merito.
Non ci si soffermò più di tanto però. “Con la magia.” Era una risposta diplomatica, quanto stringata, ma era stanco e si sentiva inquieto. Andare a Durmstrang stava diventando reale e non riusciva a condividere l’entusiasmo di Malfoy e degli altri ragazzi. Sarebbe stato lontano da casa; e non lontano una mezza giornata di treno, ma lontano oltre-confine. Certo, non era la prima volta, ma in Germania era stato diverso; lì aveva ritrovato Thomas, ed era stato un rush, un impulso.
Stavolta è diverso. Stavolta l’abbiamo pianificato.
Ma, onestamente, quando mai le cose vanno come spero?
L’altro ragazzò gli lanciò un’occhiata, forse intuendo il suo stato d’animo. Si sporse verso di lui. “Ehi, mini-Potter.” Lo apostrofò dandogli un colpetto sulla gamba. “Sta’ allegro! Siamo gente in gamba, ce la caveremo.”
Gli sorrise; non era il discorso incoraggiante dell’anno, ma era comunque avere un amico, e Malfoy aveva un’aura incredibilmente positiva. Dominique aveva ragione a chiamarlo Raggio di Sole.

E per una volta è bello vedere un viso sorridente … mi fa ricordare che questa è anche una vacanza. All’incirca.
Era bello avere qualcuno che si prendeva la briga di consolarlo; gli sarebbero mancati Michel e Loki.
Beh, soprattutto Mike… Lo non è proprio tipo che consola. Ghigna solo un sacco.
“Grazie Scorpius.” Rispose. “Vado a vedere come se la cava Rosie con le ragazze, mi fai compagnia?”
“Non aspettavo altro!” Esclamò saltando in piedi. Probabilmente era vero.

Rise, imitandolo. Lanciò uno sguardo in alto; Tom era steso sul materasso e teneva una mano a sostenersi la nuca, dato che il cuscino doveva essere troppo sottile per lui. Le cuffie erano già al loro posto. Gli sfiorò la mano e l’altro aprì gli occhi, aggrottando le sopracciglia in una muta domanda.
“Vado a fare un ultimo giro di controllo.” Non sapeva se avesse sentito, ma diede comunque un segno di assenso. Lo prese per buono.
La locomotiva si mise in moto in quel momento con un fischio acuto. Tom gli trattenne la mano di colpo, ma come l’aveva afferrata la lasciò, dandogli le spalle in un tacito messaggio.
Non preoccuparti per me… certo Tom, come no. È così facile dopo che hai questi scatti…  
Sospirò appena, facendo cenno a Scorpius di seguirlo. Fu grato che l’altro non commentasse il gesto, anche se di sicuro l’aveva visto.
 
Il corridoio di passaggio era molto stretto e soprattutto, per fortuna, vuoto; dalla carrozza accanto potevano sentire le ragazze chiacchierare allegramente e persino il rumore di una radio.
“Non si dormirà facilmente stanotte, ho idea. Festa in pigiama!” Ghignò Scorpius. “Chiamiamo gli altri e ci uniamo alle ragazze?”
Sapendo che non avrebbe potuto comunque fermare una cosa simile, neppure i professori se lo sarebbero aspettato, Al scosse la testa. “Tu fa’ pure… io non mi fermo, faccio il giro…” Ci rifletté. “…il rettilineo a dirla tutta, del treno.”
Malfoy ridacchiò, annuendo. “Come vuoi. Ma, seriamente, chi ti aspetti vada a gelarsi le chiappe per infrattarsi negli altri vagoni? Non saranno neanche riscaldati!”

Si strinse nelle spalle; sapeva bene che non c’era bisogno di controlli, dato che i Tiratori scelti avevano passato a setaccio tutto il treno prima del loro arrivo, ma era un modo per farsi passare il nervoso che lo attanagliava. “Dì a Rosie che non c’è bisogno venga con me.” Anticipò.
Scorpius annuì distratto, già completamente focalizzato sull’organizzare un meeting intra-Casa.
Malfoy è proprio caos racchiuso in un corpo umano.
Passò in silenzio nel vagone dei professori. Ted e gli altri adulti erano chiusi nelle loro stanze; nessuno sembrava aver intenzione di lasciare le proprie confortevoli stanze per andare a gelarsi svariate estremità nell’ultimo vagone, quello bagliagli, dove erano stipati bauli e oggetti pensati per tre mesi di trasferta.  
Illuminò l’ambiente con la bacchetta, guardandosi attorno. Passò le dita sulla custodia voluminosa e di cuoio solido che proteggeva la sua scopa da corsa. La verità era che non voleva quel clima di festa; forse era la pioggia che batteva sottile contro i finestrini, oppure …
Oppure il fatto che te la stai facendo sotto. È reale. È appena diventato reale.
Sentì un fruscio alla sua destra e sobbalzò. Si diede dell’idiota quando notò che era Anacleto, il suo gufo. Riconosceva la base della gabbia, coperta da un panno di lana per difenderlo dal freddo.
“Scusa Cleto… sono un po’ nervoso.” Sussurrò infilando le dita nelle sbarre per farsele beccare affettuosamente. “Mi dispiace per la sistemazione, ma con il tempo che c’è, attraversare l’oceano è fuori discussione. Porta pazienza, okay?” Si voltò a cercare Kafka dato che la cornacchia gracchiava piuttosto veementemente. Tolse la copertina dalla gabbia.
Curioso… di solito Tom non la rimbocca così. Dice che la rende claustrofobica.
Curioso era anche il fatto che non fossero stati i soli a farsi sentire. Anche il resto dei Famigli era agitato.
Sarà che sono entrato in fretta e furia…
“Ehi, chiacchierona…” La apostrofò affettuoso, senza però azzardarsi a infilare nulla di potenzialmente dilaniabile tra le sbarre. Kafka era un uccello sanguinario.
“Preferisci la compagnia dei volatili agli esseri umani?” Lo riscosse una voce. Era Tom, in maglietta e pantaloni della tuta che usava solo, rigorosamente, per dormire. Si erano tutti già inseriti nell’ottica della notte. Tutti tranne lui. “Devo averti contagiato.”  
Sorrise di rimando. “Succede quando passi del tempo con una persona con gravi carenze sociali.”
Tom non disse nulla, ma gli si avvicinò, tirandolo a sé in un abbraccio. Fu abbastanza inaspettato, ma non se ne lamentò; anzi, lo ricambiò con forza, seppellendo il viso dove la stoffa era ruvida per la trama di un disegno sicuramente tenebroso. Ne aveva bisogno.
“Se io sparisco, nessuno lo trova strano. Se sparisci tu vanno tutti in ansia, Caposcuola.” Sussurrò al suo orecchio. “Sono di là ad infrangere il coprifuoco e si chiedono dove tu sia. Andiamo?” Tom avrebbe preferito un milione di volte starsene in pace con la sua musica, piuttosto che accompagnarlo ad un’occasione conviviale.
Però… lo fa per me, ho idea.
“Va bene.” Gli prese la mano e la trovò singolarmente calda. “Ma… sei caldo?”
Tom sbuffò. “Il sangue circola. Se le tengo in tasca, si scaldano.”

Non gli chiese se ricordava l’appunto sulle sue mani da morto. Conoscendolo, se l’era presa a morte. Lo baciò e gli strinse la mano, un po’ più saldo e un po’ meno spaventato.
 
 
****
 
Lily stava letteralmente congelando.
Seriamente, dentro il vagone bagagli ci sarebbe morta.
Inspirò lentamente aria fredda e rilasciò umida condensa.
Decisamente morta.

Si strinse addosso la coperta che aveva messo nello zaino; era stata previdente. Aveva infatti previsto – in quel momento amava quella parola – che il vagone dove si sarebbe nascosta non sarebbe stato graziato del comodo sistema di riscaldamento magico delle altre carrozze.
E stiamo pur sempre attraversando la gelida Scozia…
Non era stato facilissimo intrufolarsi nel treno, ma neppure difficile come la sicurezza di Hogwarts aveva pensato; era bastato nascondersi tra le delegazione, armata di Mantello, e aspettare il momento giusto in cui Ted avrebbe lasciato un varco aperto tra lui e la porta. Quel momento era arrivato quando il ragazzino che aveva squadernato il permesso si era attardato nel dispiegarlo per consegnarlo ben visibile al professore.
A volte paga essere basse… e veloci.
Non avrebbe mai ringraziato abbastanza la capacità di reazione fulminea ereditata dalla madre.
Aveva rischiato, certo; Ted avrebbe potuto comunque accorgersi della sua presenza. Il Mantello la celava alla vista, ma Teddy aveva una specie di super capacità sensoriale per acchiappare chi tramava alle sue spalle.
Jamie ne ha fatto per anni un punto personale cercare di spaventarlo ad Halloween… mai riuscito.
Fortuna aveva voluto che il chiasso della delagazione aveva offuscato le super-percezioni dell’amico di infanzia. Quindi era riuscita a salire sul treno e correre verso il luogo meno frequentato dei pochi vagoni approntati per la partenza.
Le sue vicissitudini però non si erano fermate lì; poco dopo la partenza Al era entrato nel suo nascondiglio, e per poco non le era inciampato addosso. Solo la fortuna aveva voluto che avesse deciso di accoccolarsi tra due bauli per creare un effetto ‘caverna’ necessario a preservare un po’ di calore.
Aveva trattenuto il fiato per tutta la permanenza del fratello.
Per nascondermi devo aver urtato un bel po’ di roba. Ho fatto chiasso. Al è entrato dopo, non l’ha sentito, ma i Famigli sì, eccome. Specie quella carogna di Kafka.
Poi per fortuna era arrivato Tom e se l’era portato via.
Sbuffò appena, giocherellando con le frange della fida coperta di lana. Fare un incantesimo riscaldante non era sicuro, non con le probabili barriere che i Tiratori Scelti dovevano aver appiccicato un po’ ovunque.
Si strofinò le mani sulle guance, sentendole appena più calde rispetto al ghiaccioli che aveva come dita. I guanti aiutavano, ma solo ad evitare la cancrena per congelamento.
Non aveva mai pensato sarebbe stata una scampagnata, ma era… dura.
E la solitudine, il silenzio del vagone la stavano facendo pensare. Meglio, riflettere.
Sto facendo la cosa giusta?
… sì. La cosa giusta. Ma non è detto che sia quella che avrei
dovuto fare.
Non era quello il punto, ovviamente; sapeva che doveva trovare Sören, che doveva parlargli. Quello era il punto. Qualsiasi cosa stesse facendo, doveva fargliela smettere perché in tutti quei mesi, Sören era stato un dannato treno sparato verso l’abisso.
La paura che aveva letto nel suo comportamento, i suoi scatti, le sue strane sparizioni e le sue ferite… erano tutti pezzi di un puzzle che aveva un senso.
Forse non stava a lei deviare quei binari o roba simile. Non era certo un eroina e non intendeva esserlo per nulla al mondo – aveva visto che rischi si correvano, dato che scorrevano nel sangue Potter.
… ma non posso abbandonarlo. Non posso. So che lo rimpiangerei per il resto della mia vita.
E cavolo, sarebbe un sacco di tempo!
Si rannicchiò dentro la coperta. Ormai non poteva più tornare indietro; sarebbe quindi andata avanti.
 
****
 
 
Scandinavia, Istituto Durmstrang.

“La tua stanza, Sören.”
Dionis reggeva una torcia magica: Sören ne aveva viste tante durante la sua infanzia, ma tutte appese ai muri, mai rette da una persona. Era quello a rendere Durmstrang diversa da Hogwarts: i fuochi erano accesi raramente, e solo per scopi magici. Le torce appese ai muri erano poche, quelle bastevoli e ben poco illuminavano.
Ricordava Durmstrang. Sette anni passati in un posto non erano nulla. La ricordava, ma non la teneva nei suoi ricordi felici. Era semplicemente un ricordo.
Radescu tirò fuori una chiave elaborata che aveva appesa al collo e aprì la porta della sua stanza. “Sai come funziona… la puoi aprire solo tu, con la tua bacchetta.” Si schiarì la voce. “Ed io, naturalmente.”
“Sei il custode delle chiavi?” Chiese con un mezzo sorriso, e l’altro ricambiò.

“Già. La mia famiglia lo è da tre generazioni.” C’era orgoglio nel suo tono di voce e Sören poteva capirlo: custodire le chiavi dell’ala dell’élite era un grande onore.
L’Ala Nera – chiamata così per via di qualche leggenda che aveva francamente dimenticato - era una porzione esigua del castello, la più distante dal corpo centrale e, paradossalmente, la più prestigiosa. Lì dormivano il corpo scelto di Durmstrang, l’eccellenza tra gli studenti.
Era la prima volta che visitava quel posto.
Essere chi sono significa anche non dare nell’occhio. Ed essere uno dei prescelti, è come avere un cartello appeso al collo. In colori sgargianti, peraltro.
La stanza non era poi molto diversa da quella che aveva utilizzato nei suoi veri anni scolastici: una branda, una scrivania, una piccola libreria e un’alta finestrella da cui spirava aria di mare. Le pareti erano pura roccia, essendo l’Istituto stato edificato a ridosso della montagna. Notò qualche scarno effetto personale. Un paio di libri di testo scolastici, un set di scacchi magici dall’aria costosa. Nessuna foto: Luzhin non era certo un tipo che amava arredare.
Oppure ha liberato la stanza in vista del mio arrivo.
Non si era mai chiesto che fine avesse fatto; supponeva che  suo zio avesse pagato profumatamente lui e la sua famiglia per starsene fuori dai piedi.
E se non sono bastati i galeoni, penso siano state sufficienti le pressioni.
“Il tuo baule arriverà tra poco… hai bisogno di qualcos’altro?” Lo riscosse Radescu, girandosi la chiave tra le dita. Gli dispiaceva vederlo nervoso: era evidente che non si sentisse a suo agio con l’idea di averlo lì.
È un élite, e l’élite sta negli spazi a lei dedicati. Nessun altro ha il permesso di entrare, o non avrebbero un custode delle chiavi.
Ma non poteva preoccuparsi anche di quello.
“No, grazie.” Scosse la testa. Ci ripensò. “Poliakoff è già arrivato?”
“Ieri sera, sì.” Annuì, fermandosi sul ciglio della porta. “Te lo vado a chiamare? Dovrebbe essere in refettorio.”

“Digli che sono qui, sì.” Confermò. Doveva aggiornarsi con il russo. Non c’era molto che dovesse dirgli, ma forse Kirill aveva nuove informazioni.
Non sarebbe così improbabile che mio zio dicesse più a lui che a me.
Fece una smorfia e congedò con un cenno della testa Dionis che si tirò dietro la porta con delicatezza.
Finché non arrivava il baule con dentro il suo Fuoco Magico portatile, parlare con il dottore di famiglia era impossibile; a Durmstrang di camini ce n’erano pochi, quelli bastevoli per le lezioni o per le cucine.
Passò le dita tra la pelliccia di orso che copriva il letto. Era più morbida di quella in cui aveva dormito per sette anni.
Era ironico che occupassa la stanza del ragazzo che doveva impersonare senza sapere quasi nulla di lui; sì aveva le informazioni bastevoli per rendere credibile la sua recita, ma…
Ma non sei Luzhin. Sei tornato ad essere lui, tutti ti credono lui.

Aveva incrociato ragazzi sconosciuti e persino volti che ricordava nebulosamente appartenessero ai suoi ultimi anni di scuola. Tutti lo avevano salutato usando quel maledetto cognome, alcuni gli avevano persino sorriso e si erano complimentati per la risultato ad Hogwarts. Il piano di suo zio, dopotutto, stava funzionando.
… ma non sei lui. Non sei lui.  
Non fare nulla lo stava logorando. Ma in effetti, dalla Prima Prova, cosa aveva fatto di operativo?
A parte ingannare Lilian…
Si alzò di scatto, gettando un incantesimo riscaldante attorno alla stanza; i brividi di freddo che lo scuotevano stavano diventando insopportabili.

Aveva bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa; l’immobilità gli avvelenava la mente, gli faceva sanguinare le cuticule delle unghie morse ferocemente.
Sentiva il veleno della sua incertezza, della sua rabbia, della sua confusione stillargli doloroso nelle vene.
Sentì bussare alla porta. “Avanti.” Possibile Poliakoff fosse già arrivato?
Non lo era, ma era l’elfo domestico che trascinava il suo baule. Lo congedò velocemente e finalmente ebbe la possibilità di aprire il forziere contenete il fuoco magico e chiamare il dottore.

Agrippa, l’aveva sempre conosciuto così, era un lontano parente di suo zio. Era un uomo dall’aria in apparenza fragile, e la barba e i capelli grigi gli davano un’aria quasi polverosa. Sören aveva sentito durante tutta la sua infanzia la punta della sua bacchetta sfiorargli la pelle per esaminarla, guarirla.
“Sören, ragazzo mio, che piacere!” Sorrise al di là delle fiamme verdognole. “Anche se ormai dovrei rapportarmi a te come l’uomo che sei.”
“Buonasera Agrippa.” Replicò cortese. “Come state?”
“La salute è cosa labile, figliolo.” Scrollò le spalle. “Ma ammetto che essere un Guaritore aiuti i miei acciacchi.”
“Ne sono lieto.” Prese un respiro. “Devo farvi delle domande.” Vedendo l’uomo premere le labbra in una linea nervosa, aggiunse. “So che non vi sentite a vostro agio. Immagino mio zio vi abbia intimato il segreto.”
“Vige anche il principio tra Guaritore e Paziente, Sören. Il giuramento di Ippocrate non è solo cosa da babbani…”
“Lo capisco.” Lo interruppe. “Ma è mio zio.”

L’anziano sospirò. Lo poteva vedere anche attraverso il fuoco. “Vostro zio… è malato.”
Lo sapevo.
Lo sapeva, ma non poté fare a meno di sentire una stretta allo stomaco, e una potente ondata di panico scuoterlo. Suo zio era l’uomo che l’aveva plasmato, allenato, punito e che gli aveva dato uno scopo fino a quel momento. Suo zio doveva essere indistruttibile, eterno, inscalfibile.

Invece era un essere umano, come lui. Naturalmente lo sapeva, ma non l’aveva compreso fino a quel momento.
“Quanto… quanto gli resta?” Perché era quello. Hohenheim stava morendo. Non aveva bisogno di conferme per leggerlo nel viso quieto e dispiaciuto del Guaritore che aveva servito per generazioni la loro famiglia.
“Non credo che ci sia pozione o incantesimo che possa guarirlo, ormai.” Esitò. “Genetica. Non si può combattere. Sono i suoi polmoni.”

“Non può essere guarito?” Neppure con tutta la magia, le Arti Oscure e l’Alchimia che avevano a disposizione? Si sentiva frastornato, incredulo. Suo zio sarebbe morto.
E allora? Cosa succederà? La Thule andrà avanti, immagino… immagino, credo. Ma io?
“Temo che non sia nelle mie possibilità, né in quella di un altro Guaritore. Vostro zio lo sa.” Ci fu una nuova esitazione. Era ovvio che l’anziano mago non sapesse tutto, ma sapesse abbastanza da voler tenerlo segreto.

“Cos’altro, Agrippa?”
“Null’altro che non possiate immaginare… sta mettendo in ordine i suoi affari, mi ha detto. È tutto ciò che so, e tutto ciò che mi ha detto quando gli ho comunicato che non potevo far molto per aiutarlo, tranne allieviare le sue sofferenze.”

Sören sentì le unghie premergli sulla parte morbida del palmo, premere e fare male.
Mettere in ordine i suoi affari…
Non era una mera figura retorica, un fare testamento, un predisporre un piano per le sue esequie.
Vuole fare qualcosa di drastico. Vuole suo figlio, e non credo sia solo per parlargli o affidargli le fortune di famiglia.
No, era qualcosa di molto peggio. Non aveva idea di cosa fosse, ma non aveva poi molta importanza.
Perché ci trascinerà tutti giù con sé, per farlo…
I mercemagi, la perdita di contatti costanti con l’Organizzazione, la mancanza di informazioni, l’affiancargli un ragazzo inesperto come Poliakoff, quell’insensato attacco dei Dissennatori, il portare Thomas lontano dall’Inghilterra…
“Signore?” La voce di Agrippa lo riscosse. “Mi dispiace avervi dovuto dare questa spiacevole notizia… sarebbe stato meglio se ve ne avesse parlato vostro zio…”
“Sapete bene quanto me che non l’avrebbe fatto.” Tagliò corto. Si stupì della durezza che sentì nel suo tono, ma non cercò di aggiungervi una diversione cortese. Non era affatto dell’umore, per eufemizzare.

L’uomo sembrò infatti a disagio. “Non dite così, siete il suo unico nipote…”
No, sono un mezzo. Come lo siete voi, come lo è Kirill, o la Thule …

“Grazie Agrippa. Sarete ricompensato per la vostra sincerità.” Disse, ammorbidendo l’asprezza che sentiva premere lungo la gola. “Naturalmente questa conversazione deve rimanere tra me e voi.”
“Naturalmente.” Confermò il Guaritore; Sören poteva fidarsi del silenzio dell’anziano mago. Una delazione avrebbe portato guai anche a lui. “Temo di dovermi congedare…” Infatti non vedeva l’ora di terminare quella conversazione. Non era il solo.

“Certo, porti saluti alla sua famiglia.”
“Lo farò. Sempre vostro servo, Signore.” Con un lieve cenno ossequioso della testa sparì tra le fiamme.
Sören fece appena in tempo a chiudere il forziere che sentì bussare alla porta. “Sören, sono Kirill!”
“Entra.” Tempismo imperfetto, ma andava bene così. Fu quasi sollevato di vederlo; non aveva voglia di restare solo con i propri pensieri.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle, guardandosi attorno. “Ma come? Non ti sei già sistemato?”
“Il baule è arrivato pochi minuti fa.” Scrollò le spalle. Il russo lanciò un’occhiata al fuoco portatile, ma non disse nulla. Si guardò attorno e poi sbuffò.

“Beh, mi avevi mandato a chiamare, no?” Dalle briciole presenti sulla sua divisa era chiaro gli avesse interrotto un pasto. Uno dei tanti.
Direi che gli ho fatto un favore… le vacanze natalizie non hanno aiutato la sua dieta.
“Hai ricevuto ordini da mio zio?” Gli chiese a bruciapelo. Non si preoccupò dell’impressione che poteva avere l’altro sentendolo chiedere, invece che sapere.
Kirill aggrottò le sopracciglia, poi si strinse nelle spalle. “Nessuno. Pensavo li avessi tu…” Un lampo confuso gli balenò nello sguardo, ma null’altro. Perché non chiese.
Non è preoccupato?
“Dobbiamo andare avanti con il piano.” Si risolse a dire, per non fare seguire un silenzio forse rivelatore della sua inquietudine. “Aspettare la Seconda Prova. Hai materiale per me?”
“Certo.” Confermò con un cenno. “Se vuoi te lo posso mostrare adesso. La mia camera è poco distante da qui.” Sembrava tranquillo e fu questo a metterlo in allarme.

Gli ho appena detto che praticamente non ho ordini da mio zio e lui non chiede perché?
Lo guardò a lungo, ma non vide niente che potesse fargli intendere che nascondeva qualcosa. Sempre la stessa espressione stolida, sempre la stessa piega arrogante delle labbra.
E non è un Occlumante… me ne accorgerei.

Poliakoff, lo realizzò in quel momento, era un elemento imprevedibile, in quella storia. Sembrava troppo stupido per avere la confidenza e soprattutto, la fiducia, di suo zio. Eppure …
Eppure non devo presupporre che sia tutto qui.

Perché ora, tutto quello, era un problema. Era una corsa verso l’abisso. E forse un tempo non si sarebbe accorto di stare per cadervi dentro. Anzi, se suo zio glielo avesse chiesto, avrebbe addirittura accellerato fino a non sentire più il terreno sotto i propri piedi.
Ma adesso quell’abisso lo vedeva. E lo spaventava, a morte.
 
****
 
 
Highlands, Scozia. Notte.
 
Rose rischiò quasi di ficcare un piede nello sterno di qualcuno quando tentò di stiracchiarsi.
L’idea del pigiama-party poteva essere carino, ma quando si era sedici persone pigiate in uno scompartimento che doveva contenerne otto non era esattamente agevole. Loro e il gruppo del coro avevano chiacchierato, aperto dolci e persino cantato vecchi successi babbani e wrock fino a tardi. Quando il sonno era arrivato, era finito tutto in un gran caos di coperte, cuscini e persone che dormivano per terra. Tom e Albus erano gli unici veramente comodi, anche se dividevano un solo letto; Rose supponeva che nessuno sano di mente avrebbe chiesto a Thomas Dursley di lasciargli un po’ di spazio sul materasso. Tranne Albus, che gli aveva appoggiato la testa su petto con la naturalezza di anni di dormite alla Tana.
Devo ammetterlo… quando dorme Tom riesce persino a sembrare carino. Dopotutto è privo di sensi.

Era bizzarro che fosse rimasto, ma dopotutto era strano anche che avesse riportato loro Albus dopo che era scomparso con la scusa del giro di perlustrazione.
“Rosie?” Si sentì chiamare nella penombra. Malfoy le era appiccicato addosso, caldissimo e incuneato tra lei e la parete. Doveva stare scomodo, considerando la sua stazza non esattamente da matricola. “… Sto perdendo un braccio.” Piagnucolò infatti.
Rose sbuffò, ma non aveva tutti i torti. Non si sentiva i piedi da mezz’ora. “Andiamo a prendere un po’ d’aria. E vedi di non uccidere nessuno, passando.”
“Parla per te, Weasley.” La rintuzzò e dal tono sembrò immensamente sollevato. “Noi Malfoy siamo leggiardi.” 

“Allora la leggiadria deve aver saltato una generazione.” Replicò.
Con molti tattici passi in diagonale e qualche calcio non voluto, seguito da lamenti assonnati, riuscirono ad uscire in corridoio. Fuori dai finestrini il buio della brughiera era punteggiato da qualche scarsa luce; paesini babbani ignari che un treno magico sfrecciava sulle loro terre.

“Woah!” Scorpius si stirò smodatamente. “Stavo per perdere l’uso degli arti! E poi chi lo diceva a quelli del Torneo?”
“Esagerato.” Sbuffò stringendosi la vestaglia addosso con un brivido di freddo; all’interno del vagone letto faceva un caldo torrenziale. Fuori, un freddo abbacinante.
La dinamica dell’escursione termica…

“Questa promiscuità farà venire un infarto alla vecchia McGrannitt domattina.” Ghignò l’altro per tutta risposta. “Ma dopotutto che si aspettano? Non hanno messo muri o scale scivolose a guardia di voi graziose fanciulle.”
“Come se avessimo bisogno di guardiani…” Sbuffò divertita, inarcando poi un sopracciglia al leggero pigiama dell’altro. “Ma non hai freddo?”
“Bambinaal Malfoy Manor questa temperatura è considerata gradevole. Vieni tra le mie forti braccia!” E la attirò a sé, strizzandola un po’. “E riscaldati!”
Rose si mise a ridere, non potendone farne a meno. Gli battè una pacchetta sul petto. “Sì, Malfoy… funzionerebbe se non avessi la temperatura interna di un rettile.”
Scorpius spalancò la bocca oltraggiato. “Guarda che non è colpa mia se ho i piedi freddi!”
“Sono due pezzi di ghiaccio, non li hai soltanto freddi.”

L’altro sbuffò, senza mollarla di un centimetro. Rose sapeva di essere mediamente più calda di quel vampiro biondo, quindi si limitò a farsi usare con scaldino con enorme spirito di sacrificio.
“Mini-Potter era strano…” Mormorò dopo un po’ Scorpius, con la guancia appoggiata sui suoi capelli. “… sembrava angosciato.”
“Puoi biasimarlo?” Sospirò guardando verso lo scompartimento. Se Al e Thomas, due notabili solitari, preferivano passare del tempo con un branco di Grifondoro e Tassorosso – era questa la maggioranza – significava solo una cosa.

Vogliono pensare il meno possibile.
“No.” Confermò Scorpius serio. La sciolse dall’abbraccio. “È solo… che vorrei davvero poterli aiutare. L’anno scorso in qualche modo siamo stati utili, no? Invece quest’anno…”
“È meglio così.” Si appoggiò alla parete di legno, scivolando a sedere, subito imitata dal suo ragazzo. Aveva un suono dolce quella parola.

Probabilmente la userò al posto del suo nome per mooolto tempo.
“Pensaci, l’anno scorso abbiamo rischiato di metterci nei guai un sacco di volte.” Riprese. “E poi, alla fine, le cose si sono sistemate senza che avessimo voce in capitolo. Forse è giusto così.” Si strinse nelle spalle; ci aveva pensato, a chiedere ad Albus se potesse essergli utile, in qualsiasi modo. Ma la realtà era che tutta quella storia era spaventosa, oltre le loro possibilità. Il cugino ci era entrato non per il malato desiderio di provare emozioni forti, ma perché non voleva abbandonare Tom.
Odiava Tom, per quello; lo odiava perché aveva forzato Albus ad entrare in una situazione che, lei lo sapeva bene, lo spaventava a morte. Al non era Harry Potter. Era il suo migliore amico, che voleva diventare Guaritore e che dormiva ancora con un peluche.
Si sentì sfiorare la guancia da un dito. “Uno zellino per i tuoi pensieri.” La apostrofò Scorpius, inarcando le sopracciglia indagatorio.

“Sto solo pensando…” Esitò, poi continuò perché quel pungono andava condiviso. “… sto solo pensando che se succedesse qualcosa ad Al… sai, per la faccenda di Tom e di suo padre…” L’altro annuì. “Beh… sarebbe tutta colpa di Tom.”
Scorpius la fissò perplesso. “Non credo che Dursley volesse questo per lui e mini-Potter.”

“Sì, ma…” Detestava quando l’altro la faceva sentire sciocca; perché ci si sentiva. Ma non poteva fare a meno di pensare che Thomas fosse orribile ad … essere chi era.
Scorpius si fece serio, sospirando. “Rosie, vuoi bene ad Al. Normale. Ma non è un bambino… ha scelto lui di stare accanto a Dursley.” Si grattò la nuca. “E in tutta franchezza, non so se sarei capace di fare una cosa del genere per qualcuno. È tosto.”

“Al è straordinario.” Convenne, e poi rimasero in silenzio. Il rumore dei binari, secco e monotono, la cullò nel dormiveglia. Si avvicinò maggiormente a Scorpius: poteva essere un ghiacciolo, ma non era importante al momento. Fu ricompensata da un braccio attorno alle spalle e dal profumo di pulito del suo pigiama costoso filato sfruttando chissà quanti elfi domestici.
“Durmstrang non sarà una passeggiata, vero?” Mormorò. “Per nessuno di noi.”
“Diventeremo grandi e forti.” Rispose Scorpius dandole un bacio sulla fronte. “E un giorno, avremo un sacco di cose da raccontare ai nostri dodici figli.”

“Dodici…” Si bloccò. “Dodici?
“Voglio una famiglia numerosa, fiorellino!” Ghignò l’altro con aria beata. E anche un filino maniacale, come sempre quando partiva per la tangente delle sue elucubrazioni mentali “Pensaci, potremo fare a metà. Metà dei nostri figli avranno nomi della tradizione Malfoy, e l’altra metà…”
“L’altra metà scordatelo, idiota. Sono una ragazza, non un forno.” Le veniva da ridere, anche se fino ad un momento prima si era sentita sperduta, come quel piccolo treno in mezzo ad una dannata distesa di nulla. “E non chiamerò mio figlio Aldebaran.”

“Che ne dici di Cygnus?”
Rose non potè fare a meno di scoppiare una risata che sciolse il magone come neve al sole. Il matrimonio sembrava, ed era, una cosa lontanissima. Ma andava bene parlarne; era meglio che riflettere troppo su Durmstrang.
Sentirono la porta dello scompartimento aprirsi. Ne uscirono un arruffatissimo ed insonnolito ad Al, seguito da un apparentemente sveglio e compostissimo Tom.

Sembra sempre non dorma mai. Forse ha una bara da vampiro a casa sua e ad Hogwarts fa finta.
“Ehi.” Sbadigliò Al. “Che fate qui fuori?”
“Mi avete svegliato.” Li accusò Tom con aria mortifera. Al gli rifilò una gomitata che lo reso molto meno spaventoso. Più che altro, dolorante.
“Parliamo.” Scrollò le spalle Scorpius. “Lì dentro manca l’aria e al mio corpo statuario anche lo spazio.”
“Sei un cerebroleso, Malfoy.” Sospirò Tom. “Tutte quelle cadute dalla scopa…”

Si trovarono tutti e quattro a guardarsi, sapendo esattamente cosa ciascuno di loro stava pensando. Cosa temeva sarebbe successo e sperava invece accadesse.
Scorpius si strofinò le mani per riscaldarsele. “Allora!” Esclamò spezzando il silenzio e Rose fu quasi certa di vedere un lampo grato nello sguardo di Thomas. “Partita a Sparaschiocco?”
Morgana, se amava il suo Malfoy.

****
 
Poliakoff si richiuse la porta della stanza dietro le spalle: non aveva molto tempo prima che Sören tornasse. Non era tipo da gustarsi una cena. Mangiava poco, meccanicamente.
Era una vera pena capitale vedere come si alimentava, perché mangiare non era un verbo adatto; dubitava avesse persino un cibo preferito.
Per sicurezza castò un incantesimo di rilevamento attorno alla porta, poi aprì il baule del fuoco magico portatile. Vi lanciò una scarna manciata di polvere – Sören non doveva accorgersi della diminuzione nel piccolo cofanetto.
Il volto di Hohenheim si palesò immediatamente. Sapeva che aveva un fuoco portatile sopra la scrivania. Il Maestro non poteva essere tipo che si inginocchiava davanti ad un focolare.

“Ode alla Thule.” Recitò.
“Poliakoff. Aspettavo la tua chiamata.”
“Mi scusi, ma Sören ci ha messo più del previsto a disfare i bagagli e non dispongo di un fuoco portatile… inoltre…”
“Quale novità mi porti?” Lo bloccò. “Le tue impressioni, ragazzo.”
Kirill ispirò. Era un onore. Era un onore il compito che gli era stato dato, da Von Hohenheim in persona. “Credo che lei abbia ragione. È inquieto.” Inspirò passandosi le dita tra il ciuffo di capelli che gli era caduto sugli occhi. Tutta quella storia lo faceva sudare. E le scale che portavano all’ala dell’élite non erano poche. “… Si comporta in modo strano. Forse sospetta qualcosa.”
“Questo è certo. Mio nipote non è un idiota. Non glielo avrei permesso.” Replicò. Poliakoff chinò la testa in assenso. “Devi tenerlo d’occhio. Non lasciare il suo fianco neppure per un attimo.”
Kirill annuì di nuovo; così, dunque, Von Hohenheim pensava che Sören potesse tradire la Thule. All’inizio di quella storia gli sarebbe parso assurdo. Quel damerino gli erano sembrato una specie di manichino senza spirito, che viveva in attesa di ordini.

Ma poi ha perso la testa per la gallinella che doveva avvicinare… che imbecille.
“Per il resto, Signore?”
“Va’ avanti con il piano. Tieni tranquillo mio nipote, e informati sulle routine di mio figlio. Non devono esserci errori, non stavolta.”
“Sarà fatto.”
Non ci furono saluti o commiati, il fuoco sparì in uno sbuffo di fumo, e Kirill fu lesto a richiudere il bauletto e riporlo sotto la branda dove era stato precedentemente posizionato.

 
****
 
“Milo.”
Essere un servitore era dura. Passare il tempo a cercar riparo nel quartiere magico di Lubecca e non trovarlo era peggio, certo, ma ore intere a rimanere fermo in un angolo ad attendere ordini era… sfibrante.
“Signore.” Si fece avanti. Hohenheim aveva avuto una breve conversazione in una lingua che non conosceva, forse russo a giudicare dai suoi slavi che aveva percepito. Sembrava infastidito, ma era difficile dirlo visto che non vi erano lineamenti più duri di quelli di Alberich Von Hohenheim.

“Prendi il candelabro.” Voleva che lo scortasse; era un po’ che succedeva. Era molto però, aveva sentito dire da Etzel, che il padrone non utilizzava la bacchetta, neppure per un lumos.
In ogni caso obbedì e accese il grosso manufatto in ottone che rischiarò i loro passi; poteva essere giorno come notte. A volte gli sembrava di vivere una notte senza fine.

Capisco che non è sempre lo stesso giorno dal fatto che le mie ferite stanno guarendo. Solo da questo.
Affiancando lo stregone non aveva bisogno di sapere dove stessero andando. In cima ad una scala, l’uomo tese la mano. “Da qui continuo da solo.”  
Milo gli passò il candelabro senza una parola; ogni palazzo aveva delle stanze proibite, o segrete. Ed infatti; lavorava lì da cinque mesi, e non era la prima volta che veniva in quell’ala del castello. Soloper scortare il padrone che poi spariva inghiottito da una porta che si riapriva solo molte ore dopo.

“Aspettami qui.” Gli ordinò.
Milo si limitò ad appoggiarsi alla parete fredda dietro di sé. Non che dovesse ribattere; si lasciò dunque inghiottire dalle tenebre docilmente.

Perché sapeva, ad istinto, che erano di gran lunga meglio quelle, rispetto a ciò che c’era là sopra.
 
 
****
 
Note:


È passato un delirante periodo di tempo, lo so. E questo capitolo non è neanche allegro.
Il prossimo però sarà esplosivo. Al goes wild. (Immaginate anche perché :P)
In questo periodo mi sono stati fatti tanti regali meravigliosi. Vorrei linkarli tutti , ma visto che sono un culopeso da paura, vi invito a friendare la mia pagina facebook sopra alla mia pagina profilo(dicendomi magari chi siete ^^) ed ammirarli nella loro fulgida bellezza nella cartella immagini.
Dio, ho bisogno di una vacanza dalla vita reale... ah! Risponderò alle recensioni il prima possibile. Le leggo e davvero, GRAZIE.


1. Qui la canzone.
 

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Capitolo 49
*** Capitolo XLVI ***


Capitolo XLVI





 
 
Nella vita di un uomo, prima o poi, arriva un giorno in cui,
per andare dove deve andare, se non ci sono porte né finestre, gli tocca sfondare la parete.
(Rembrandt's Hat, Bernard Malamud)



 
6 Gennaio 2023
In viaggio verso Durmstrang.
 
Al fu svegliato da rumore di qualcosa che strideva.
Sul momento non capì cosa fosse; di certo era molto più semplice rotolarsi trai rimasugli delle poche ore di sonno che si era fatto. Accanto a sé sentiva il corpo di Tom premere contro il suo nel ritmo regolare del sonno.
Si stropicciò gli occhi alla luce impietosa del mattino facendo un breve recap della situazione attuale; avevano finito per tornare nei dormitori maschili, lui, Rosie e gli altri. Vedeva i capelli castagna matura di della cugina come una macchia sfuocata a pochi metri di distanza.

Promiscuità… se non torniamo tutti ai nostri posti prima che si sveglino i professori siamo fregati.
Sbadigliò, pronto a riportare tutta la delagazione ai posti assegnati e farsi insultare per questo; quando sarebbero stati capaci di intendere e di volere, avrebbero ringraziato.
Lo stridio si ripeté, poco distante dal finestrino. Buffo, sembrava un gabbiano.
Siamo vicini ad una città di mare? Siamo già arrivati?
Gli sembrava strano. Secondo i suoi calcoli sarebbero dovuti arrivare verso sera, se non direttamente il giorno dopo ancora.

Un treno non è veloce come una nave. Credo. Insomma, ci mette più tempo, non può fare certo una linea dritta dall’Inghilterra a Durmstrang.
Si stiracchiò doverosamente, dando il buongiorno alle proprie vertebre; lo divertiva sempre notare come Tom evitasse quel gesto, onde evitare rumori inquietanti.
Se rifugge lo sport poi non deve lamentarsi se cigola come una vecchia porta.
Aveva voglia di respirare un po’ d’aria fresca e gli sembrò un’idea del tutto legittima andare alla finestra ed aprirla. Con un po’ di fortuna il baccano avrebbe svegliato almeno Tom.
Quando si avvicinò alla finestra rimase perplesso; c’erano sul serio gabbiani che svolazzavano ad altezza uomo.

Bizzarro.
Si bloccò vedendo che c’era acqua al di là del finestrino; ma non era un fiume, né una costa che lenta digradava verso l’Oceano.
C’era acqua e basta. Acqua cobalto, onde spumose e…
Dov’è la terraferma?
Si appoggiò di colpo al davanzale pensando di stare ancora sognando o avendo allucinazioni piuttosto vivide.
Non le aveva, il treno era davvero sul mare. Dentro il mare. Nel mare.

Per tutti i boccini della Gran Bretagna!
I vagoni stavano solcando il mare come avrebbe fatto una nave; e non c’erano binari a dare direzione alla sua corsa, ma avanzavano spediti a giudicare dal fumo che beccheggiava all’angolo del finestrino.
Era magia. Era una magia così straordinaria che Albus si sentì salire spontaneo il sorriso sulle labbra; quello che poteva aspettarli poteva essere poco bello, ma solo il viaggio valeva la pena di essere lì. Per il momento. In quel momento.
Tornò da Tom e lo scosse per una spalla. L’altro aprì gli occhi di scatto, aggrottando subito dopo le sopracciglia. “Perché mi stai svegliando? Non ho voglia di fare colazione.”
“Non è per questo, alzati!” Lo incitò.
Tom con un sospiro gli obbedì; appena sveglio, prima che mettesse in moto tutti i suoi processi misantropi, era piuttosto collaborativo. Lo trascinò di fronte alla finestra. “Guarda!”   
Tom sbadigliò sporgendosi poco convinto. “In che città siamo, che sei tanto eccitato?”
“Nessuna città.” Sorrise, e poi ghignò quando vide Tom spalancare gli occhi di pura e genuina meraviglia.

“Stiamo affondando?” Chiese con vago tono allarmato.
Il solito disfattista.
“No, scemo.” Sbuffò divertito. “A dirla tutta, stiamo solcando i mari.”

Tom si sporse, quasi volesse eludere la barriera del finestrino e afferrare l’acqua con le mani per sincerarsi fosse vera. “È una magia complessa.” Mormorò con quel tono speculativo che preludeva una chiusa totale in biblioteca per eviscerare i segreti dell’incantesimo di turno. Per fortuna, non c’erano biblioteche per miglia. Marine.
“Pazzesco.” Convenne, sporgendosi accanto a lui. “Hogwarts è grandiosa, eh?”
Tom gli lanciò uno sguardo di sottecchi; sì, intendeva esattamente dire che se Hogwarts era capace di quello, sarebbe stata anche capace di proteggerli. L’altro dovette intuirlo, perché accennò un mezzo sorriso.

Hogwarts, Hogwarts del mio cuore, te ne preghiamo, insegnaci bene  giovani, vecchi, o del Pleistocene…” Recitò a mezza bocca. Al pensò che fosse un filino inquietante che Tom potesse afferrare così agevolmente i suoi pensieri. Poi pensò che, visti i precedenti, non era poi cattiva cosa.
Fa schifo ad empatizzare con chiunque, ma è meglio che sia perlomeno decente nel farlo con me.
“Hai sempre odiato quella canzone.” Ridacchiò, osservando il volo breve eppure aggraziato dei gabbiani. Dovevano averli seguiti dalla terraferma. “Non hai mai voluto cantarla.”
“Perché è stupida.” Scrollò le spalle. “Alcune cose di Hogwarts sono francamente ridicole… avanzi della presidenza Silente, del resto.”
“Tom…”
Albus.” Ghignò schivando una gomitata. “Però… ci ha insegnato, questo è vero.” Ammise piano. “È capace di mettere un treno sull’acqua.”  

Al appoggiò il braccio contro il suo. “Mi manca già…” E sapeva che per Tom era lo stesso; era stata la loro casa per sette anni, e abbandonarla prima del previsto, prima dello scadere del tempo, faceva comunque uno strano effetto.
Tom si chinò appena per sfiorargli con le labbra la fronte, e lì rimase. Erano gli ultimi momenti che avevano per loro in quella giornata, e probabilmente per le seguenti; Al sapeva di avere una scaletta da violazione dei diritti umani per quanto riguardava le relazioni con Durmstrang.
 
“Sin da prima mattina? Ragazzi, ci sono dei maschi eterosessuali impressionabili qui!”


Al quasi sobbalzò e lanciò uno sguardo imbarazzato a Scorpius che stava sbadigliando, seduto sul proprio letto.
“Malfoy, fa’ un favore al mondo e regala al tuo cervello sovra-eccitato un’altra mezz’ora di sonno.” Replicò gelido Tom, che Al scommetteva fosse imbarazzato quanto lui, ma molto meno disposto ad ammettere la parte di ragione del biondo.

“Nah, sono riposato.” Si alzò in piedi, dando un colpetto alla mano di Rose, stesa vicino a lui. La ragazza alzò la testa dal cuscino.
“C’è un motivo per cui mi svegli all’alba?” Bofonchiò. “Oh… no, aspetta non è l’alba.” Si tirò a sedere, di colpo in allarme. “Non è che i professori ci hanno beccato?”
“No, non ancora.” Scosse la testa Al, divertito dallo scandagliare forsennato della cugina; aveva quello singolare senso di adesione alle regole che la portava a preoccuparsi di seguirle, sì. Ma solo quando le aveva ben che infrante.

“Ma quelli sono gabbiani?” Esclamò Scorpius, facendosi spazio tra di loro. Tom lo incenerì con lo sguardo, ma fu ignorato; Scorpius doveva aver capito capito che l’altro serpeverde era molto facciata e poche intenzioni quando qualcuno gli era, più o meno, simpatico.
E Scorpius, a modo suo, gli piace.
“Ehi!” Sbottò Scorpius di colpo. Quando era eccitato sembrava non importargli di alzare la voce fino ad assordare qualcuno. “Siamo navigando!” Esclamò con la loro stessa meraviglia dipinta negli occhi. Li raggiunse Rose, altrettanto perplessa e poi sbalordita alla stessa vista.
Vedere le onde dell’oceano schizzare di schiuma un finestrino del treno era piuttosto… insolito.

Come vedere i delfini che saltavano a neppure un metro di distanza da loro, giocosamente.
Al si trovò estasiato come un bambino di sei anni, tirando il braccio a Rose e viceversa. Subito dopo, dovettero convincere Malfoy a non aprire il finestrino per accarezzarli.
“Siamo in troppi. Affacciatevi da altri finestrini.” Sbuffò Tom, tirandosi indietro per non rischiare ulteriori contatti con gli altri due. “E comunque sono solo pesci.”
“Sono mammiferi, ignorante.” Ribatté Rose scoccandogli un’occhiata da film western. Al ricordò con terrore come le indoli di Tom e la cugina si assomigliassero, appena alzati.
Prego?
“Eddai, Dursley!” Esclamò Malfoy con un piglio da paciere per cui Al l’avrebbe baciato. “Si chiama condividere un’esperienza. Goditelo, fa parte del bagaglio di ogni essere umano!”  

“Evito volentieri, grazie.”
Sentirono un lieve schiarirsi di voce alle loro spalle. Era Teddy, già vestito e sbarbato – beh, per lui non era difficile compiere la toilette mattutina dato che poteva farsela sparire, la barba. Li stava fissando con un blando sguardo divertito.
Ha assistito a tutta la pantomima? Ceeerto che sì.
“Ops.” Mormorò Malfoy.
“Fingerò di non sapere che Rose ha dormito qui e che il resto delle delegazione è in una sola stanza come non dovrebbe.” Sorrise divertito. “E sì, il treno è incantato. Saremo a Durmstrang prima di mezzogiorno. Cioè tra poche ore.”

Al fece un mezzo sorriso di scuse, mentre gli altri fingevano di non essere lì in più gradi di imbarazzo. Tom ignorava il tutto. “Vado a non svegliare gli altri, che non dormono in una stessa stanza, professor Lupin.”
“Bene.” Convenne Ted. “Ci vediamo nel vagone ristorante.”

 
****
 
Lily si svegliò a causa di un grosso scossone. Non ebbe ben chiaro cosa lo avesse provocato, ma quasi le cadde addosso una gabbia con tanto di occupante in testa.
Doveva essere stato uno scambio rugginoso o roba del genere. Non che fosse ferrata in materia.

Si sbadigliò, sentendosi anchilosata e intirizzita; una combo micidiale che avrebbe ucciso chiunque, se non si fosse preventivamente coperta con più strati di stoffa.
Aveva fame. Aveva sbocconcellato un panino la sera prima ma adesso percepiva i morsi della fame.
Solo ancora un po’… solo ancora un po’.
Inspirò, liberandosi del mantello dell’invisibilità che le aveva protetto il sonno e si stiracchiò.
Sentiva uno strano, singolare odore salmastro.
Siamo già arrivati? Ottimo!
In realtà non lo era affatto; era arrivato il momento topico del suo piano e si rendeva conto, sempre più velocemente, che non sarebbe piaciuto a nessuno.
Mi sono preparata… ho fatto le mie ricerche. Andrà tutto bene.
Non possono sbattermi fuori.
Il training autogeno era l’arma migliore in quelle situazioni. Si risedette nel suo giaciglio di fortuna e pescò dallo zaino un’arancia, che sbucciò con attenzione, aspirandone l’odore. Passare un’intera notte in compagnia di Famigli, alcuni dei quali mammiferi dalla scarsa igiene, non era stato esattamente… piacevole.
Morgana, darei il mio regno per una doccia bollente e vagonate di bagnoschiuma.
Succhiò la polpa aspra del frutto, guardandosi attorno; non si sbagliava, era cambiato qualcosa dalla sera prima. Gli scossoni regolari dovuti alle rotaie erano scomparsi e sentiva…
Acqua? Possibile che senta il rumore dell’acqua?
Non c’erano finestre in quel vagone, tranne una serie di minuscole feritoie in alto per arieggiare l’ambiente; le era quindi impossibile capire dove si trovasse.
Le prese di colpo un panico inspiegabile; non sapere dov’era, o cosa stesse succedendo, la fece alzare di scatto in piedi e ingoiare gli ultimi spicchi di arancia.
Era ridicolo perché il vagone andava dove andava il treno, e non era quindi stata separata dal gruppo.
Eppure.

Sentì aprirsi la porta di colpo. Fece un balzo per afferrare il mantello, ma non ebbe il tempo di indossarlo del tutto, perché le si palesò davanti il volto sbalordito e pallido di un suo compagno del coro; Harper, un Corvonero del Primo.
Oh, cavolo.
“Harp…”  Tentò, ma quello cacciò un urlo degno di una banshee.
In effetti vedere una testa ondeggiare nel nulla poteva essere un filino insolito.

Oh, CAVOLO.
 
****
 
“Guardate, si vede la terraferma, siamo vicinissimi!”
Albus alzò la testa dalle cinghie del proprio zaino. Quello dove aveva infilato le cose che potevano servirgli al momento; quello dove Tom aveva deciso di infilare quattro libri dalla copertina rilegata dal peso complessivo specifico di un cadavere.  

Si riscosse dunque dalla contemplazione del suo zaino-cassa-da-morto. A parlare era stato un ragazzo del coro. Ci fu una specie di raggruppamento folle attorno ai finestrino, che vide Malfoy arrivar primo con uno scatto da centometrista.
“È vero! E’ tutta… seghettata!” Esclamò tra l’approvazione generale.
“Si chiamano fiordi.” Sospirò Tom mentre uno spasmo segnalava quanto trovasse dolorosa l’ignoranza altrui. “Siamo in Norvegia.”
Dato che tutti ignorarono la sua spiegazione, Al, impietosito, decise di dargli udienza. “La scuola quindi sarà su un fiordo?”
“Presumibilmente.” Convenne, mentre il resto della delegazione maschile congetturava dove esattamente si trovassero al momento. Lanciò loro un’occhiata luciferina, ma lasciò perdere. “La delegazione di Durmstrang è arrivata in nave. È ovvio che abbiano un porto e dunque un accesso al mare o ad un lago collegato ad esso tramite fiume.”
“Come Hogwarts.” Riflettè, tirando fuori il libro più pesante e gettandoglielo in grembo. Tom fece una smorfia ma non cercò di infilarcelo una seconda volta.

Anche se ci riproverà di sicuro nel viaggio di ritorno.
“Secondo i miei calcoli dovremo trovarci nella parte Ovest della Norvegia…” Aprì il libro che si rivelò nient’altro che una guida turistica babbana. Al notò sorpreso che era piena di carte geografiche molto più complesse di quelle magiche. “Dovremo essere più o meno qui.” Tom indicò un punto nella pagina, ancora mare, ma vicino alla terraferma. “Se ci abbiamo messo così poco dobbiamo aver proceduto in linea retta… ad occhio e croce dovremo trovarci nel Vestlandet¹.”
Al finse di non trovare piuttosto sexy la pronuncia germanica – sicuramente sbagliata, ma poco importava, di Tom. Non era il momento.
Stupidi ormoni.
Riportò un occhio sulla guida dell’altro. “Quindi… fiordi.” Articolò esitante. Per quanto lo riguardava quella cartina era un insieme caotico di linee frastagliate, segni incerti e pallini colorati.
Tom sospirò divertito. “Voi maghi non sapete assolutamente niente di geografia.”
“Io non sono andato a scuola come te!” Ribatté piccato, sentendosi arrossire. “Comunque non è colpa mia se metà dei luoghi magici sono Intracciabili sulle mappe, non rendono facile lo studio della materia.” “In effetti…” Chiuse la guida e la infilò nel proprio borsone. Kafka era l’unica cosa che aveva messo in stiva. Viaggiava leggero, e quasi lo invidiò.

Mamma mi ha costretto a portare una valigia extra…
La porta scorrevole che separava il vagone-letto dal corridoio si spalancò di colpo, con un gran rumore di legno sbattuto.
“C’è una testa mozzata sul treno!” Urlò un ragazzino che Al ricordò si chiamasse Harpie o direttamente Harper.
L’avrebbe ignorato come ignorava gli scherzi roboanti di James – perché sembrava tanto uno di quelli - se non fosse che Harpie sembrava più pallido di un lenzuolo.
Decise di prendere la situazione in pugno, vedendo il luccichio pericoloso negli occhi di Malfoy.

Niente crociate, grazie. Non abbiamo messo ancora piede in Norvegia.
“Dove l’hai vista?” Chiese gentilmente. Con i primini si doveva usare ogni premura per farli parlare.
O si spaventano. Sono così fragili
“Ne… nel vagone bagagli. Ero andato a controllare il mio topo e a dargli da mangiare e… ho visto la testa di una ragazza fluttuare nel vuoto!” Sussurrò concitato, mentre tutti facevano cerchio con facce preoccupate – ed eccitatissime nel caso di Malfoy.
“Che aspetto aveva? Aveva del sangue addosso?” Chiese il biondo, che presumibilmente era cresciuto a racconti dell’orrore come fiabe della buonanotte. “Le mancavano dei pezzi?”
“Non aveva la testa, Malfoy.” Si inserì puntiglioso Tom.

“No… non lo so.” Bofonchiò Harper– ecco sì, era il cognome – mentre un compagno gli allungava pietoso della cioccolata. “Sono subito scappato… non l’ho guardata in faccia, ma… ecco, aveva i capelli rossi.”
Al si sentì piovere un orribile presentimento sulla testa. Di quelli che avevano la forma e il peso specifico di un’incudine.

Testa fluttuante. Capelli rossi.
… due elementi ricorrenti nella mia famiglia.
Ti prego, no.
“Sei sicuro?” Chiese sentendo lo sguardo di Tom su di sé. Doveva aver già capito, di sicuro.
“Sì.” Confermò, orribilmente certo.
TI PREGO, NO.
“Va bene Harper, grazie.” Gli sorrise incoraggiante. “Siediti e mangia la cioccolata. Vado subito a parlarne con i professori.”
“Vengo con te!” Si inserì Malfoy, ormai incontenibile. Seriamente, doveva avere quella malattia babbana per cui gli era impossibile restar fermo per più di pochi secondi.  
No.” Tagliò corto. “Vado da solo.” Il tono fu sufficientemente fermo dato che l’altro, per puro miracolo, non ribatté, limitandosi a guardarlo indispettito e mogio.
“Fa’ attenzione.” Disse Tom, anche se lo sguardo diceva tutt’altro.
Non credo nelle coincidenze – diceva.
Non ci credeva neanche Albus.
Pochi attimi dopo – gli sembrava di aver volato dalla camerata al vagone dei professori – bussò allo scompartimento di Teddy. Quello gli aprì con un sorriso perplesso.
“Al, qualche problema?”
“Sì.” Non imbellettò la situazione. Perché quel presentimento era ormai incombente sulla sua testa. “Harper ha visto una testa mozzata nel vagone bagagli. Una testa mozzata nel vuoto.”

Ted non era uno sciocco e soprattutto aveva passato un’intera adolescenza a badare a loro, i figli di colui che aveva passato anni scolastici ad occultarsi sotto un mantello dell’invisibilità.
Perse espressione. “Dannazione. Pensi si tratti di Jamie?” 

“James non ha i capelli rossi.”
Ted perse ancora più espressione se possibile. I capelli erano in compenso un vero turbinio di fiamme. “Merda.” Imprecò con tutti i crismi, afferrando il mantello e prendendo la bacchetta. Ad Al non restò che seguirlo, sperando con tutte le sue forze di sbagliarsi.

Perché non poteva essere stata così cretina. Semplicemente, non poteva.
Aprirono lo scompartimento e Ted balzò dentro a bacchetta spianata. C’era un gran odore di arancia.
Nessun Famiglio mangia arance… neppure il topo di Harper.
Homenum Revelio.” Scandì Ted, puntando la bacchetta in una direzione precisa, esattamente tra pile ordinate di borsoni e valige.
Successero due cose contemporaneamente; l’interfono presente in tutto il treno si accese e una voce preregistrata, identica a quella dell’Espresso per Hogwarts, li informò che erano appena entrati nelle acque territoriali della Norvegia.   
… e Lily apparve sotto i loro occhi, imbacuccata, arruffata e con l’aria di chi aveva passato una notte all’addiaccio.
Si è nascosta qui! Per questo ieri sera i Famigli erano tanto irrequieti. Perché c’era lei!
“Cosa diavolo…” Era l’unica frase da pronunciare. Quindi la pronunciò con il tono lento di un ritardato. Si rifiutava di avere processi mentali veloci, perché avrebbe portato ad un’unica realizzazione.
Mia sorella è qui.
Lily, che si diceva avesse una faccia tosta paragonabile solo a quella di zio George quando era ancora  vivo il gemello, si alzò in piedi. Ebbe la decenza di non ghignare, ma di limitarsi ad un sorriso. Non che fosse meglio, beninteso.
“Ciao.” Disse soltanto.
Per la prima volta in vita sua Al sentì l’urgenza di diventare ultimogenito.  
 
****
 
Londra, Ministero della Magia. Ufficio Auror.
 
Harry guardava un punto preciso nella mappa. Albus e Tom stavano arrivando in Norvegia in quell’esatto momento.
Aveva dovuto insistere molto per far accettare ad Al un incantesimo localizzatore del genere; forse era stato anche un gesto eccessivo, ma era pur sempre un padre, e soprattutto, un mago con le capacità necessaria a tracciare la presenza di suo figlio oltremare.
L’idea era stata di Molly, che per anni aveva seguito apprensiva gli spostamenti dei suoi due maggiori, Bill e Charlie; applicarla ad Al e al figlioccio gli era sembrata doverosa.

Così Durmstrang è in Norvegia. Beh, è un posto sufficientemente gelido, direi.
Sentì bussare alla porta e ritornò con i piedi per terra; era in ufficio e da capoufficio doveva comportarsi, purtroppo.
“Avanti.”
Si sentì spuntare un sorriso in viso vedendo che non era la sua segretaria con il solito agghiacciante faldone di circolari, ma Ron e Nora.

“Accomodatevi.” Li avrebbe quasi abbracciati. Qualsiasi nuova sul caso era migliore che fissare un puntino rosso, tutto ciò che poteva vedere di suo figlio al momento.
Ron gli fece un cenno, sedendosi con evidente piacere. “Natale è passato e nessuno che abbia rispettato un buon proposito… là sotto è un inferno, amico. Ho dovuto mollare un paio di casi a O’Loughlin, o avrei dovuto dormire qui per seguirli tutti.”
“Mi ricorda l’estate di servizio a Detroit.” Sospirò Nora. “Avevo a malapena il tempo di mangiare qualcosa che qualche novità spuntava sulla mia scrivania.”
“A questo proposito, novità sul caso?” Sapeva che erano lì per quello, non certo per lamentarsi sterilmente.
Ron annuì. “Sulla famiglia del ragazzo.” Si guardò con l’americana, e Harry fu contento di constatare che si erano presi in simpatia. Gillespie sapeva come muoversi tra le gerarchie, e Ron aveva sempre apprezzato le persone che sapevano stare al loro posto.

Specie quando non tentano di scavalcare il suo…
Ron aveva una cartellina in mano e l’aprì, leggendo di riga in riga. “Abbiamo seguito la traccia della famiglia… Nora aveva dei contatti in Germania. Pare che i coniugi Luzhin siano partiti verso Agosto, e che siano tutt’ora in Indonesia… così abbiamo contattato il vice dell’azienda. Dice che non li sente da mesi, ma che non  è la prima volta che fanno viaggi di lavoro e si rendono irreperibili.” Si grattò una guancia perplesso. “Hanno lasciato un piano di lavoro semestrale. In questi giorni stanno aspettando quello di Gennaio.” Aggrottò le sopracciglia. “Solo a me sembra sospetto che qualcuno molli la propria azienda e faccia perdere le tracce di sé? E poi, Indonesia? È comodamente lontana.”
“L’Indonesia sta aprendo il mercato alla Polvere Volante.” Ribatté Nora. “Stanno ampliando in questi anni le loro reti via camino. È normale che un’azienda del genere cerchi di preparare il terreno per una sua filiale.”
“Ma non avere contatti con la madrepatria per così tanto tempo… no, non è normale. Perché le condizioni in cui se ne sono andati non lo sono.” Harry si mordicchiò un labbro. “Sören è un Campione del Tremaghi. Hanno almeno lasciato un contatto di emergenza in caso succedesse lui qualcosa?”
“No, nessuno.” Negò Ron sfogliando il fascicolo. “Almeno a quanto ci ha detto il Vice. Ci abbiamo parlato via camino… sembrava nervosetto a dirla tutta.” Soggiunse. “Non vedeva l’ora che finissero le domande.”

“Potremo farlo venire qui per un interrogatorio formale.” Riflettè Harry. Il problema era che avrebbe dovuto chiedere una delega scritta dal DALM tedesco.
“Posso chiamare il Ministero tedesco.” Si inserì Nora. “Conosco delle persone che potrebbero farci avere l’estradizione in una manciata di giorni.”
“Sai, sei spaventosa.” Mormorò Ron, sinceramente impressionato. “Quanta gente conosci?”
La donna sorrise appena. “Molta. O molto semplicemente, l’America ha molti maghi che hanno mantenuto i contatti con le proprie origini… non è difficile per noi conoscere persone del Vecchio Continente.”

Harry scoccò un’occhiata a Ron.
Mi chiedo a che punto saremo con le indagini senza di lei…
Stava rivalutando l’operato americano; non si illudeva che in America gli agenti fossero tutti come Eleanor, certo; ma poteva sperare che non fossero tutti come Scott.
“E per quanto riguarda la loro situazione finanziaria?” Il suggerimento di Thomas era stato eccellente, e a posteriori, Harry si era chiesto se non dovesse organizzare qualche corso di aggiornamento nel suo ufficio: le forze di polizia babbane sembravano, per certi versi,  più evolute di loro.
Ron schioccò le dita. “Questo è il pezzo forte.” Ghignò, lanciando un’occhiata a Nora, che ricambiò divertita. “Sia chiaro, la Gringott è sicura e non muoverei uno zellino da lì, ma umanamente preferisco la Banca Interfederale Magica Tedesca. Perché, prima di tutto, ci lavorano anche i maghi… e non solo come Spezzaincantesimi. E poi, sono molto più carini quando alleghi alla richiesta una bolla di indagine.”
Harry sorrise. “Quindi avete avuto accesso ai conti dei Luzhin?”
“Molto meglio… a tutti i loro movimenti bancari. Entrate e uscite. Quando hanno saputo che era un’indagine intercontinentale hanno collaborato da matti.”
“La Banca Interfederale fonda il suo prestigio sulla totale trasparenza e soprattutto, sull’evitare cattiva pubblicità.” Spiegò l’americana. “Un’indagine in corso e agenti dappertutto vorrebbe dire perdere portafogli clienti.”

“Quindi…” Riprese Ron. “Abbiamo scoperto quello che Thomas aveva supposto.” Sembrava poco contento di aver assecondato il nipote acquisito, e Harry poteva capirlo.
Tom a volte è tremendamente supponente, e beh… soprattutto con lui.
“Quindi sono stati corrotti?”
“Non è così chiaro…” Spiegò Ron scuotendo la testa e passandogli una lunga pergamena che Harry svolse sotto i suoi occhi. Era piena di cifre e date da far girare la testa e chiese quindi con lo sguardo un riassunto conciso. “Sì, insomma.” Riprese l’amico. “… a Settembre sono stati depositati quattromila galeoni sul loro conto.”
“Da chi?”

“È qui che le cose si fanno interessanti.” Ron si avvicinò, cerchiando con il dito un nome scritto in calligrafia illeggibile. Si leggeva solo ‘Volo’.
“È un vivaio specializzato in Fiori Volanti² con cui la ditta dei Luzhin ha rapporti commerciali.” Spiegò Ron. Poi fece una pausa presumibilmente significativa.“La ditta ha sede legale in Canada.”

Harry li guardò confuso. “E quindi?”
“In Canada non c’è l’obbligo di segnalare il motivo per cui versi soldi a qualcun altro.” Si inserì Nora. “La situazione bancaria è molto simile a quella di qui. Finché hai i soldi, ai banchieri canadesi…”
“… peraltro tutti folletti come i nostri…” Soggiunse Ron.

“… a  loro non interessa che uso ne fai. Io e Ronald abbiamo cercato di rintracciare la ditta in questione, ma non esiste.”
“Non esiste?” Harry si sentiva sempre più confuso. Quel genere di ragionamenti, sin da ragazzo, non avevano mai fatto per lui. Cercò di fare il punto della situazione velocemente. “Significa che qualcuno si è servito di un nome falso?” Capì di colpo dove gli altri due volevano andare a parare. “Hohenheim, se n’è servito?”
“Non ci sono prove certe, ma è piuttosto singolare che una ditta che dovrebbe essere pagata per i suoi prodotti, paghi chi compra da lei.” Convenne Nora. “Oltretutto, l’azienda dei Luzhin non se la passava bene prima di questa iniezione di liquidi. Il mercato tedesco preferisce importare la Polvere Volante dalle Indie… costa meno.”
“I soldi sono serviti a salvare la ditta dalla bancarotta.” Harry si aggiustò gli occhiali con un gesto nervoso. C’era qualcosa che non gli tornava, una spina che pungolava il suo istinto. “Così hanno comprato il ragazzo.” Si fermò. “E prima di questo non ci sono prove che i Luzhin abbiano avuto a che fare con la Thule o Hohenheim?”
“Nessuna fin’ora.” Annuì Ron. “Voglio dire… a parte questa storia sono puliti. Li abbiamo rigirati come calzini. Non hanno amicizie poco raccomandabili, né affari loschi in ballo. Sembra un episodio isolato.” Lo scrutò perplesso. “Cosa c’è che non ti convince, amico?”
Harry sorrise appena: il buono di avere il suo migliore amico come collega era che non doveva dilungarsi nell’esplicitare le sue sensazioni. L’altro le indovinava al volo.

“La Thule utilizza i suoi adepti, non persone esterne, giusto? Al massimo se ne serve, com’è successo con Parva Duil.”
“Esatto.” L’agente Gillespie era una donna intelligente, perché dall’espressione che le apparve sul viso fu chiaro avesse capito. “… e i Luzhin sono estranei, secondo le nostre indagini.” Soggiunse infatti.
“Potrebbero tradire.” Concluse per lei. “Chi crede in te non ti tradirà, ma chi viene pagato…” Inspirò. “Cos’è successo a Parva Duil?”
“È morto.” Mormorò Ron. “È stato ucciso da John Doe quando era ad Azkaban per non farlo parlare. Credi che…”
Quella storia diventava sempre più spiacevole ogni giorno che passava. Harry se ne sentiva nauseato. Avrebbe voluto avere la sua bacchetta e un nemico vero da combattere, come Voldemort. Invece aveva un albero ramificato di spietata e calcolata malvagità che faceva capo ad un’ombra. Ed era in un altro Paese.

Avrebbe preferito Voldemort.
Posò gli occhiali sul tavolino e si massaggiò la radice del naso. “Credo che il nuovo piano lavorativo non arriverà mai al loro Vice. E credo che lui lo sappia.” Mormorò. “Dobbiamo farci una chiacchierata.”

 
 
****
 
Ted sapeva di avere una specie di maledizione pendente sulla testa, che lo portava inevitabilmente ad infilarsi in situazioni in cui mantenere la calma era una priorità, ma dare di matto un desiderio fortissimo.
Perché si trovava di fronte la faccetta serena di Lily e aveva voglia di tirarle il collo.

Invece aveva dovuto impedire ad Al di strangolarla – seriamente, era la prima volta che vedeva il mite serpeverde così infuriato - per scortarla poi nel suo scompartimento, al sicuro da rappresaglie fraterne.
Del tutto legittime…
Adesso sperava davvero che il Preside e la McGrannit riuscissero a risolvere quella situazione con il minimo spargimento di sangue possibile.
Perché Lily non doveva essere lì per niente al mondo, e invece c’era; c’era avendo infranto una decina di regole scolastiche e alcune meramente di buon senso.
Perlomeno aveva il buongusto di sembrare avvilita; o forse, semplicemente, era infreddolita da una notte all’addiaccio.
“Signorina Potter… si rende conto di quel che ha fatto?” Esordì il Preside, dopo il lungo silenzio sbigottito che era seguito alla chiamata dei due anziani professori. Quando aveva chiamato la McGrannit Ted aveva quasi visto rassegnazione nei suoi occhi.
Sì, penso non sia il primo Potter che gli combina un guaio del genere…
“Sì.” Disse Lily, alzando lo sguardo. “E sono pronta ad affrontare le conseguenze.”
Oh, no che non lo sei…

Ted poteva capire l’istinto omicida che aveva colto Al. Lo stava provando ininterrottamente da venti minuti. Quello e l’acuto desiderio di appenderla per le orecchie ai finestrini del treno in corsa.
Un gesto simile me lo sarei aspettato da un Jamie quindicenne… non da lei!
Purtroppo doveva ammettere che Lily aveva, sin dall’infanzia, una versione tutta sua di aderenza alle regole, che le venissero dettate dai genitori o da autorità costituite come quelle scolastiche. Solitamente questa sua insubordinazione di fondo era tenuta buona dal suo buonsenso, dato che Lily se voleva qualcosa – e la voleva sul serio - preferiva ottenerla in modi meno appariscenti.
Cosa vuole stavolta?
Ted era pronto a giurare che avesse fatto quella bravata non per il gusto di farla – quello era il modus operandi di James - ma per un motivo estremamente preciso.
Che in quel momento non gli interessava.

“Signorina Potter, è pronta anche a rischiare l’espulsione, forse?” Osservò la McGrannit e Ted le scoccò un’occhiata preoccupata; sperava non si arrivasse a tanto, anche se tecnicamente il Preside avrebbe potuto.
Lily sbiancò di colpo e qualcosa di molto simile alla realizzazione di aver commesso fatale cazzata le si dipinse in volto.
Ted la vide serrare le mani tra di loro e deglutire penosamente. “Se… se proprio devo.” Mormorò.
Anche quando è nel panico riesce a sembrare sfacciata…
Merlino, dacci la forza. Dammi la forza, tanta, collateralmente.
Lily, la Lily che conosceva non avrebbe mai rischiato un’espulsione per un semplice puntiglio o capriccio. Era testarda, ma non stupida.
Che c’è di così importante per lei a Durmstrang, che vuole venirci a tutti i costi?
“Non faccia ironia.” Ribatté la vecchia strega con durezza. “Lei è minorenne e la responsabilità della sua presenza qui, adesso, ricade su di noi.”
“Non… non era questa la mia intenzione, non volevo mettere nei guai qualcuno!” Esclamò di colpo, avvampando. “Ed in ogni sono stata regolarmente invitata! Ero la solista del coro, lo sono ancora!” Si rivolse al mezzo folletto. “Non è vero Preside?”

Vitious si schiarì la voce. “Sì, beh… vedi, Potter, non è questo il punto.” I Corvonero avevano sempre quella fissa di spiegare le cose anche quando l’altrui persona non aveva bisogno di chiarimenti. “Essendo minorenne hai bisogno di un’autorizzazione scritta dei tuoi genitori. Quella che avresti dovuto consegnarci per poter salire. Invece ti sei nascosta. Non penso che questo possa essere qualcosa di regolare.”
Lily tacque; stava riflettendo molto velocemente. Si risedette di colpo. “Adesso volete mandarmi a casa?”

“Sarà la prima cosa che faremo arrivati a Durmstrang, Potter.” Replicò la McGrannit. “Questo dopo aver avvertito i suoi genitori della sua inutile bravata.”
“Potete avvertire i miei genitori…” Non era tanto normale avesse quel tono sicuro. No, non preludeva niente di buono. “Ma non potete rimandarmi indietro.”
“Prego?”

“Non sono io il problema.” Si schiarì la voce. “Come avete detto, sono minorenne. E sono appena entrata nel sistema di Tracciamento Magico Minori norvegese. Da… da quando abbiamo passato il confine marino o roba del genere.” Indicò fuori dal finestrino. “Secondo le leggi del loro Ministero non potete rispedirmi a casa prima che non sia stato dimostrato che non sono autorizzata a stare qui. Ci vogliono un sacco di procedure.”
Dall’aria attenta con cui la grifondoro stava scandendo le parole Ted ebbe l’orrida sensazione che le avesse lette da qualche parte.
E gli sovvenne un particolare di quelle vacanze invernali; Lily che tampinava suo zio Percy con un’insolita costanza e moine che non aveva usato in quindici anni di frequentazione.
E Percy adora essere ascoltato, specie se poi può consigliare ai nipoti letture extracurriculari.
“Di cosa sta parlando Potter?” Di qualcosa che non conoscevano, pensò Ted, guardando la sorpresa dipingersi sul volto dell’anziana professoressa. “Ci sta forse prendendo in giro?”
“No, Minerva… non se la sta inventando. Non credo almeno.” Mormorò il piccolo Preside con tono grave. “Ho letto qualcosa in merito.” Soggiunse. “Il Ministero norvegese ha particolarmente a cuore la condizione del fanciullo ed ha stipulato molte convenzioni bilaterali con vari paesi a questo riguardo…”
“Infatti l’ho letto in un libro di Diritto Internazionale Magico. Controllate se non mi credete.” Replicò Lily, suonando rinfrancata. Ted avrebbe voluto sbattere la testa al muro, se fosse stato coerente con la sua figura professionale.

E non lo è.
C’era da restare sbalorditi, ad ogni buon conto: Lily aveva effettivamente letto un libro serio per la prima volta in vita sua. E peraltro pieno di procedure e codicilli.
La McGrannit inspirò, aggiustandosi gli occhiali sottili sul naso. Torreggiava sulla ragazza che sembrava aver più timore di lei che del Preside e di lui messi assieme.
Okay, ha senso. Come Preside è stata … notevole per incutere timore. Me lo ricordo bene.
“Arrivati a Durmstrang vedremo come procedere.” Si lanciò uno sguardo con Vitious. “Nel frattempo professor Lupin, la Signorina Potter è sotto la sua custodia.”
Ecco, tanto per cambiare. Maledetto karma.
“Sissignora.” Rispose comunque. Aprì la porta agli anziani professori e se la richiuse alle spalle.
Lily rimase seduta, giocherellando con un braccialetto che aveva al polso. Ted notò distrattamente la pietra che brillava alla luce presente nella cabina. Sembrava catturarla completamente.

Si sedette sulla cuccetta, sospirando. Lily per tutta risposta si morse un labbro.
“Ted, io… mi dispiace.” Mugugnò, sottolineando con forza le ultime due parole. “Non volevo mettere nessuno nei guai, devi credermi!”
“Beh, lo hai fatto. Le tue intenzioni non cambiano le cose.” Non ci girò attorno, perché doveva perlomeno capire cosa aveva innescato.
La quindicenne non rispose, ma si limitò a fissare il braccialetto come se da esso potesse provenire ogni risposta. Ted sperava che fosse pentita del suo gesto, ma ne dubitava.

“Lils, non sei una sciocca…” Riprese. “… né di solito ignori quel che ti viene detto di fare. Sai perché Harry ti ha negato il suo permesso, vero?”
“Certo.” Replicò sbuffando. “Perché non capisce.”
“Non capisce cosa?”
Per tutta risposta l’altra distolse lo sguardo, verso il finestrino. “Mi dirai che è stupido… come tutti gli altri. E francamente sono stufa di sentirmelo dire.”  

Sembrava infelice e spaventata, Ted lo realizzò in quel momento; al di là dell’esasperazione che poteva provare e l’emicrania che già si sentiva premere all’idea che avrebbe dovuto dire al padrino dove si trovasse davvero sua figlia…
Lily era come una sorellina. E lui il solito fesso emotivo.

Le fece cenno di raggiungerlo sul letto e quando si sedette accanto a lui le prese la mano, coprendole con le sue. “Prometto che non dirò che è stupido. Tu dimmi perché ti sei cacciata in questo casino.”
Lily alzò lo sguardo, mentre un vago rossore tra il titubare e l’imbarazzo le tingeva le guance. “È per Ren… Sören. Ho paura che stia per succedergli qualcosa di orribile. Lo so Teddy. E mi sarei sentita morire se non fossi stata qui adesso, ma ad Hogwarts, a farmi spedire Gufi che tornano tutti indietro…” Esitò e le parole si ruppero in un singhiozzo.
Ted aggrottò le sopracciglia: non sapeva molto del rapporto che c’era tra il Campione di Durmstrang e l’amica d’infanzia, ma sapeva, dato che le voci ad Hogwarts si diffondevano con la velocità di una mattia endemica, che era sospettato nell’indagine di Harry riguardante la Thule. Era abbastanza.

“Cosa pensi di poter fare per lui?” Cercò di suonare ragionevole, perché era l’arma migliore che aveva, da sempre. Non che funzionasse con Jamie. Ma la capra era un caso a parte. “Onestamente, se è implicato in qualche…”
Non lo so!” Esclamò. “Ma è meglio che rimanere ad Hogwarts! L’ho detto a tutti, ma tutti continuano a dirmi che non capisco il pericolo! Lo capisco!” Sbottò. “Ma non posso, non potevo restarmene in Scozia… Non… non ce la facevo!” Eruppe e poi arrivarono le lacrime.
Ted non disse nulla lasciando che Lily lo abbracciasse stretto, stringendola di rimando. Non era il momento delle spiegazioni sensate. La lasciò piangere per scaricare la tensione che doveva aver provato in quelle ore.
Gli sembrava un gesto totalmente fuori scala, fuori personalità per Lily. Ma era pur vero che l’ultimogenita della famiglia Potter era spesso un enigma.

E le acque chete sono famose per essere imprevedibili…
Oh, un po’ lo sono stato anche io. Più o meno.
Non si sentiva in umor da predica, cosa che comunque non sarebbe spettata a lui; non poteva incolpare una quindicenne di non avere sufficiente maturità per capire cos’era sbagliato e cos’era giusto da fare quando l’istinto puntava in un’unica direzione.
“Avrai una punizione colossale, Lils…” Sospirò accarezzandole i capelli. “Spero che tu lo sappia.”
“Sì, lo so…” Mugugnò contro il suo maglione. “Probabilmente riavrò la mia vita sociale verso i quarant’anni.”
“Puoi giurarci.” Le porse il proprio fazzoletto. “Ne valeva la pena?”
Lily lo fissò senza espressione e Ted ricordò come domande simili, ad un Potter, non avevano molta ragion d’essere.
“Sì.”
Per l’appunto.

“Okay.” Sospirò mentre l’altra si soffiava il naso. “Non posso dire che sono contento di averti qui, Lily. Non lo è nessuno…” Si sedette accanto a lei. “Cosa hai intenzione di fare una volta arrivata all’Istituto?”
Lily aprì la bocca per rispondergli, ma qualcosa attirò la sua attenzione fuori dal finestrino.

“Siamo arrivati!” Esclamò alzandosi in piedi. “Vedo la terraferma! Montagne!”
Ted suo malgrado la raggiunse, sporgendosi per controllare se non avesse semplicemente usato una diversione per evitare di rispondergli. Affatto.
Un maestoso fiordo stava inglobando il treno; alte pareti rocciose, di pietra scura si stavano richiudendo sopra di loro. Anche con l’angolazione migliore, non riusciva a vederne la fine.

Era piuttosto impressionante.
Era difficile che una nave babbana riuscisse ad arrivare fin lì, rifletté. Aveva letto che maelström³ magici venivano evocati per scoraggiare le navi a proseguire su quella rotta, comunque sufficientemente perigliosa da scoraggiare anche il più intrepido capitano.
“Wow…” Mormorò la ragazzina sotto di sé, schiacciando il viso per poter avere una visuale migliore, come lui senza successo. “Dov’è la scuola?”
Ted scosse appena la testa. “Non saprei. Credo sia…” Non terminò la frase perché l’Istituto apparve dinnanzi a loro, spuntando da uno spuntone di roccia grande quanto l’intero parco di Hogwarts, o così almeno gli sembrò.
L’Istituto Magico di Durmstrang si innalzava direttamente dalla nuda pietra, modellandosi basso e scuro sui vari dislivelli. Ne contò quattro. Il più alto era aggrappato al picco del fiordo e da lì sventolava una imponente bandiera che beccheggiava i colori della scuola.
A Ted diede la spiacevole sensazione di una fortezza militare pronta all’uso.
Lanciò uno sguardo a Lily; la ragazza era ammutolita e fissava ad occhi sgranati ciò che avrebbe, a regola, dovuta essere una semplice scuola di formazione.
“Ora capisco un sacco di cose.” Sussurrò. “Questo posto fa impressione. Credono di essere in guerra?”
Ted non rispose; ma sperò, di tutto cuore, che non fosse così.

 
 
****
 
 
Harry stava contemplando distratto Ron aggredire una costata di manzo alla mensa del DALM.
Accanto a lui, Nora sembrava impressionata dalla quantità di cibo che il rosso era capace di ingurgitare.

“A scuola era anche peggio…” Le spiegò, sfogliando distratto il rapporto di prima.
Ron deglutì con un grosso sorso di succo di zucca. “Hermione mi ha messo a dieta. Dev’essere quella cosa dei dentisti sul mangiar sano…i suoi sono dentisti.” Scrollò le spalle. “Dice che ho una cosa chiamata colestalto. Sempre che esista.”
Nora trattenne una mezza risata. “Temo che sia il colesterolo alto, Ronald…” Decifrò scoccandogli un’occhiata divertita. “Ed esiste, credimi.”
“Ah, sono un mago!” Fu l’ovvia risposta. “Qualunque cosa sia, non funziona per me. Herm ha ancora quelle sue strane credenze babbane. A casa va pure bene, ma qua mi sfogo, miseriaccia.”
“Non sono credenze…” Cercò di spiegargli la donna, ma sotto il suo sguardo scoraggiato, rinunciò.

Furono interrotti dall’arrivare trafelato della sua segretaria. “Grace…” La salutò con un sospiro. Era una ragazza adorabile, probabilmente un’autentica compagnia piacevole fuori dal lavoro. Come segretaria, dato il ruolo, per lui era assimilabile ad una minaccia continua alla sua tranquillità.
“Signor Potter…” Mormorò con un lieve fiatone. “È arrivata una lettera da Hogwarts. Sembra molto urgente… il gufo che l’ha recapita ha voluto assolutamente che scendessi a consegnargliela.” Doveva esser così dato lo stato pietoso dei capelli della povera ragazza.
Harry la prese perplesso; Ted era in viaggio e dubitava che Lily o Hugo avessero problemi talmente urgenti da istruire il proprio Famiglio a non dar pace a Grace.
La aprì. Gli bastò una frase per congelare letteralmente. Che poi solo una vi era scritta, nella grafia convulsa di Hugo.

 
Lily è scappata a Durmstrang.
 
****
 
 
 
Note:

Sono imperdonabile. *Si chiude le orecchie nei cassetti come Dobby*
Ma nel frattempo Real Life, più un certo progetto Repayment che mi ha preso un po’ di tempo. (Spammo, me ne rendo conto, ma ci credo davvero. Ecco.)
Questa la canzone del capitolo. Dopo aver bevuto l’intero album, dovevo citarli.

1.Vestlandet: Costa dell’Ovest, letteralmente. Geograficamente, la regione più ad Ovest della Norvegia, bagnata dall’Oceano Atlantico. Qui per maggiori informazioni.
2.Fiori Volanti: su HP Wiki sono chiamati semplicemente Floo, e da essi si ricava la Polvere Volante utilizzata nei camini. Datemi una migliore definizione, e giuro, la inserirò grata.
3.Maelström: (in norvegese moskstraumen, "corrente di Mosken") è un fenomeno simile a un gorgo, causato dalla marea lungo la costa atlantica della Norvegia. Qui per info.

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Capitolo 50
*** Capitolo XLVII ***


Capitolo XLVII
 




When the future's architectured by a carnival of idiots on show
If you love me, won't you let me know?
(Violet Hill, Coldplay)

 
 
 
6 Gennaio 2023
Norvegia, in dirittura di arrivo per Durmstrang.
 
“Non posso crederci.”
“Beh, devi. Lily è qui.”
Rose fissava con gli occhi fuori dalle orbite Al, e Tom pensò che quell’espressione le si addiceva. Poi pensò anche che se l’avesse espresso ad alta voce sarebbe stato ucciso e buttato a mare.
Albus era tornato nel vagone con i lineamenti tesi, e c’era voluto più di qualche insistenza per fargli infine dire tutto.
Lily era lì; si era imboscata nel vagone merci per tutta la durata del viaggio con l’aiuto di un Mantello dell’Invisibilità recuperato quasi sicuramente dai Tiri Vispi. Adesso Ted l’aveva in custodia.
Tom non si sarebbe aspettato tanta capacità organizzativa da una ragazzina che sembrava l’emblema stesso dell’accidia. Invece Lily aveva organizzato un piano, un vero piano, funzionante al cento per cento.
Se non fosse che aveva appena complicato i delicati equilibri di quella spedizione, l’avrebbe quasi stimata. 
“Quella cretina…” Sussurrò Rose. “Oh, questo la metterà in punizione per sempre!”
Come se fosse questo il problema…
Albus non ribatté, limitandosi a stringere con ancora più forza le cinghie della propria borsa da viaggio, cosa che faceva ininterrottamente da cinque minuti con il rischio di romperle; Tom intuì che il perseverare di quella discussione gli avrebbe fatto saltare definitivamente i nervi.
E non è facile farlo calmare quando succede. Questa faccenda rischia di essere il suo punto di non ritorno.
“Non ha importanza.” Intervenne, ignorando l’occhiataccia di default da parte di Rose. “Non resterà. La imbarcheranno quanto prima per Hogwarts. Non capisco come abbia potuto pensare di riuscire ad entrare a Durmstrang senza farsi scoprire e rispedire indietro.”
Doveva essere per Luzhin; era per Luzhin, dato certo.
Abbiamo sottovalutato la sua ossessione per lui. Come altro può esser chiamata del resto? Lo conosce a malapena, si prende una cotta e perde la ragione.
“Ehm, veramente…”
La voce di Scorpius fece capolino nella loro conversazione strettamente a tre; il resto della delegazione infatti commentava in modo più o meno ammirato la bravata. Forse era anche quello ad esacerbare Al.
Senza il forse.
“Veramente cosa?” Mormorò Al, e persino la grifondoro assunse l’aria di chi si era appena accorta di essere in bilico su una lastra di fragile cristallo.
Meglio tardi che mai.
Malfoy, che aveva invece il senso di autoconservazione di un salmone, scrollò le spalle. “Veramente non credo sia così semplice riportarla in Scozia. C’è una legge sulla Traccia magica che viene applicata ai minori che mettono piede sul suolo norvegese. Perché siamo tipo in Norvegia, no?”
“Sì, e quindi?” Tom vide con la coda dell’occhio Rose far cenno al proprio di ragazzo di tacere. Questi non la vide o la ignorò.
Un salmone che risale la corrente per andare a morire. 
“La legge in questione dice che i minori che vengono messi sotto Traccia magica in Norvegia non possono essere rispediti al mittente e basta. Deve essere avviata una procedura amministrativa o roba del genere. Adesso Lily è parte della popolazione magica norvegese, in parole povere.” Si grattò la nuca. “Non sono sicurissimo di come funzioni, ma so che c’è. L’ho studiata quando ero bambino, e non potevo dimenticarmi niente che riguardasse i trattati magici internazionali. È il lavoro di mio padre e doveva essere anche il mio. Solo che farò l’auror.” Sottolineò a casaccio.
“Ah.” Al fece un lungo respiro. Rilasciò aria, e poi sorrise. “Bene. Penso che non mi resterà torcerle il collo.” Comunicò loro con serenità.
Tom sentì che era il momento di intervenire. “Non mi piacerebbe vederti rinchiuso a Nurmengard.” Non era una frase che significava molto in realtà, ma serviva a mettere un punto.
Albus si stava chiaramente trattenendo dall’urlare e prendere a calci qualcosa; glielo leggeva nello sguardo e nel modo in cui era teso, contratto. Il fatto di dover mantenere la calma di fronte a tutti lo stava facendo impazzire più che la situazione in sé.
Suppongo non possa dar di matto, dato la figura che ricopre.
Tom era ben conscio del fatto che, al momento attuale, non potesse fare molto. Si limitò quindi a sostenere il suo sguardo e respirare il più piano possibile.
L’ho visto infuriato. E ha la deprecabile tendenza a picchiarmi.
“Già, è vero.” Mormorò infine l'altro ragazzo, e ci fu un collettivo, impercettibile, respiro di sollievo. “Penso che andrò in bagno.” Fulminò Rose con un’occhiata che la immobilizzò come se fosse stata fissata da un Basilisco. “Da solo.”
Detto questo marciò fuori e si chiuse la porta alle spalle.
“Però. Mini-Potter sa essere spaventoso.” Commentò Scorpius dopo un breve, impacciato, silenzio. “È andato a prendere a pugni la specchiera del bagno per caso?”
Rose sospirò. “Qualcosa di meno autolesionistico, ma sì.” Si mordicchiò un labbro, guardando fuori dal finestrino l’approssimarsi della terraferma. Il fiordo aveva una lunghezza interna ragguardevole. “Lily... che razza di demente. Non posso credere abbia fatto una cosa del genere!”
“Io ci credo eccome.” Replicò Scorpius. “Voglio dire, hai presente i suoi genitori?”
“Sì, Scorpius. Sono i miei zii.” 
Tom si estraniò dalla conversazione, ormai sterile; come aveva detto Malfoy, non c’era molto che si potesse fare per cambiare quella situazione.
Era seccato; era seccato perché la presenza di Lily avrebbe complicato ulteriormente le cose. Ma soprattutto le avrebbe complicate ad Al, che si sarebbe roso nel continuo terrore di aver lì la sorella minore e doverla proteggere da qualsiasi cosa li aspettava scesi dal treno.
Anche se Lily non interessa a Hohenheim. Era solo un mezzo per avvicinarmi.
Tom rifletté: il treno era in dirittura d’arrivo e non poteva permettere che Albus calcasse il suolo di Durmstrang fuori di sé, sebbene con una faccia appropriata all’occasione. Quindi abbandonò il vagone e bussò alla porta del bagno dei ragazzi in cui l’altro si era rifugiato.
“Non adesso Rosie.” Fu la risposta vibrante tensione. “Ho bisogno…”
“Sono Tom ed hai bisogno di calmarti, questo è chiaro.” Replicò tenendo il tono di voce volutamente basso. C’erano troppe orecchie tese in giro. “Ma non succederà se ti rinchiuderai in un bagno a prendere a calci le pareti.”
“Non sto…”
“Stai.”
Ci fu un lungo sospiro, poi la porta venne aperta. Tom se la chiuse alle spalle. Al era seduto sul vano finestra con l’aria di voler far esplodere qualcosa; probabilmente neppure gli sarebbe servita la bacchetta.
“Non doveva succedere. Cosa diavolo hanno controllato gli auror?” Sussurrò, con la mascella serrata in una linea dura. In quel momento sembrava la fotocopia appena maggiorenne di Harry. “E la scuola?! Teddy si suppone sia qui anche per controllare noi studenti!”
“Può essere entrata dopo il controllo degli auror, mentre il professor Lupin era distratto a controllare i permessi. C’era il modo. Nessun metodo di controllo è infallibile. Specie quelli magici.”
“Veramente…”
“I babbani vi sono di molto superiori in quanto a sicurezza. È un dato di fatto.” Replicò, ma non approfondì l’argomento perché non era quello il luogo né il momento. “Lily ha chiaramente pianificato tutto, per questo c’è riuscita.”
“Saperlo non mi fa stare meglio.” Si passò una mano sul viso, passandosi poi le dita trai capelli arruffati e tirando. “Non mi fa star meglio affatto.” Una pausa. “È tutta colpa mia. Avrei dovuto controllarla.”
Tom ritenne a quel punto di dover intervenire. Gli afferrò i polsi e districò le dita dal povero e bistrattato cuoio capelluto. “Smettila. Se continui, diventerai calvo a trent’anni.”
“È più probabile che succeda a te.” Fu la ritorsione. Glissò, perché Al sapeva diventare carogna in modo splendido quando era sotto pressione. 
“Non è colpa tua. Lily non è un pupazzo che hai portato dove non dovevi. Ha capacità di pensiero e d’azione. Sa mentire. È questo che l’ha portata qui. Nient’altro.” Espose pacato, e fu soddisfatto di vedere che Al seguiva avidamente il suo ragionamento.
“Detto così sembra sensato.” Borbottò strofinandosi di nuovo le mani sul viso. “Ma non riesco a togliermi dalla testa che avrei potuto evitare tutto questo casino.”
Tom si appoggiò alla porta del bagno, impedendo aperture ad opera di esterni dalla vescica debole. “Come?”
“Sapevo che Lily voleva mettersi in contatto con Luzhin, di nuovo. Insomma, dai, era chiaro!” Si massaggiò la nuca; stava incubando un’emicrania da stress niente male. “Ho sottovalutato quanto e soprattutto come lo volesse. Ed ora eccola qui.”
“L’abbiamo fatto tutti.” Replicò: anche a lui sembrava sconcertante che Lily fosse arrivata fino a quel punto. Ma supponeva di non doversi stupire più di tanto, in realtà.
È tipico dei nuovi Potter infilarsi in situazioni più grandi di loro per inseguire qualcuno.
“Papà avrà un infarto…” Mugugnò Al, reclinando la testa vinto. “E Merlino, quanto vorrei prenderla a schiaffi.”
“Potrai farlo. Ne avresti tutto il diritto.”
“Non assecondarmi.” Gli afferrò la mano e la strinse. Era cercare contatto consolante, e non glielo avrebbe mai negato. “A volte vorrei non essere un Potter.” Sussurrò piano. “Avrei delle sorelle che non tentano cose folli, e fratelli con più cervello. E un dna da Eroe che non si tramanda in modo devastante.”
Tom sorrise. “Io no. Mi piace che tu sia un Potter.” Replicò la stretta alla mano. “Il migliore, peraltro.”
Al arrossì, sbuffando. Il fatto che sorridesse appena era però un segno incoraggiante. Forse, almeno finché non si fosse trovato di fronte Lily, avrebbe mantenuto un minimo di buon’umore sindacale.
“Sì, in effetti senza di me non saresti sopravvissuto alla tua idiozia.”
Fece una smorfia, ma fu ricompensato da un Al che si alzò per stampargli  un bacio all’angolo della bocca. Tom si appoggiò meglio alla porta, chinandosi per far evolvere quel bacetto da terza elementare in qualcosa che gli era dovuto, visto come aveva affrontato la crisi.
In quel momento, l’interfono del treno decise di attivarsi per comunicar loro che erano arrivati. Seguì un potente scossone.
“Terraferma.” Mormorò Al, impallidendo un po’, ma riprendendo contegno.
Tom si scostò dalla porta, irritato ma dedicato alla causa. “Pronto Caposcuola?”
Al gli sorrise, ma evitò di rispondere. Non pretese lo facesse.

 
****
 
“Hogwarts è arrivata.”
Sören non aveva bisogno che Kirill bussasse alla sua porta, né che si facesse aprire per comunicargli quel che già sapeva. I rumori fuori dalla sua stanza erano chiari, come chiaro era stato l’ordine di quella mattina; indossare l’uniforme di gala ed essere pronti ad accogliere le delegazioni in ogni momento.
Beaux-Batons era arrivata poche ore prima e l’imponente cerimonia che era stata allestita in loro onore aveva intimidito non poco i francesi. Poteva capirli; erano una piccola, sebbene prestigiosa scuola nazionale. L’Istituto Durmstrang ospitava buona parte della gioventù dell’Europa del Nord, oltre a quella mittle-europea come lui. Norvegia, Svezia, paesi baltici, Russia, e una fetta nutrita dell’Est Europa.
“Sì, lo so.” Rispose aggiustandosi l’ultimo bottone d’osso della propria uniforme. “Scendo subito.”
“Ti aspetto fuori.” Gli comunicò il russo, chiudendosi poi la porta dietro.
Conta ogni mio passo…
Ormai era un dato di fatto che non poteva ignorare. Poliakoff lo stava controllando per conto di suo zio.
Zio si fida più di lui che di me.
Cancellò con un poderoso sforzo mentale quel ragionamento e raggiunse l’altro, che sostava appena fuori dalla porta con la schiena appoggiata al muro.
“Cos’è quella faccia?” Lo apostrofò scherzoso. “Ricordati che devi dare il benvenuto ai nostri amici britannici, non un addio!”
“È la mia faccia.” Replicò secco e Poliakoff fece una smorfia annoiata.
“Per Agrippa, se sei noioso! Stasera avremo cibo a volontà, idromele e persino animazione gentilmente fornita da Hogwarts. C’è il loro coro…” Fece una smorfietta, come a sottolineare quanto trovasse ridicola quel tipo di attività extra-curriculare. “Di che ti lamenti?”
“Non mi sto lamentando.” Aveva notato che il russo cercava di stuzzicarlo per fargli perdere la pazienza.
Ci vuole ben altro che qualche battuta fiacca. Sono stato temprato da Johannes.
Per non sprofondare nell’ansia doveva solo fare una cosa; andare avanti passo dopo passo, senza farsi domande, esattamente come avrebbe fatto un tempo.
Tralasciando che nulla era più come un tempo.
Sulle scale che portavano al piano inferiore furono raggiunti da un trafelato Radescu. “Ah, siete qui! Sbrigatevi, stanno arrivando!”
“Lo sappiamo Dionis, falla finita!” Sbottò sgarbato Kirill. “Con tutti i bauli e il serraglio di Famigli che si saran portati non scenderanno tanto presto!”
Sören non ribatté, limitandosi a controllare per l’ennesima volta che la fibbia della sua cintura fosse ben allacciata.
Si sentiva la bocca secca e il cuore pompare violentemente nel petto, e non aveva idea del perché.
In realtà la ho.
Hogwarts stava per tornare sotto i suoi occhi, sebbene in forma ridotta. Una Hogwarts fatta da Thomas Dursley, il suo obbiettivo. Da Albus Severus Potter, che sospettava di lui.
Una Hogwarts senza Lily.
Inspirò bruscamente e gli fu lanciata un’occhiata attenta dal russo.
Va’ all’inferno.
Lo sorpassò senza una parola affiancandosi a Radescu. Anche quello gli lanciò un’occhiata attenta.
“Sono tanto interessante?” Lo apostrofò forse con eccessiva durezza. Anzi, tolto il forse. Aveva esagerato dall’aria imbarazzata che assunse l’altro.
“No, no … affatto.” Mormorò a bassa voce. Lanciò un’occhiata a Poliakoff, che si grattava via una macchia dalla manica dell’uniforme. “Conosci il rumeno?” Gli chiese dal nulla.
“Sì.” Conosceva la maggior parte delle lingue neo-latine ovviamente. Era parte del bagaglio culturale che gli era stato inculcato sin dall’infanzia da fior di precettori. “Perché?”
Perché mi sembra che tu non voglia parlare di fronte a lui.” Gli rispose Dionis nella lingua madre. Sören afferrò il senso generale del discorso e tornò a farci l’orecchio quando continuò. “Che succede?
Niente che possa interessarti.”
Mi interessa se l’Istituto è in pericolo.” Fu la risposta secca. “Lo è? Perché sei preoccupato, si vede lontano un chilometro.
Non sono preoccupato.” Replicò cercando di non suonare aspro. Poliakoff era distratto dalla macchia tenace, ma si sarebbe presto accorto che stavano parlando tra loro in modo sospetto. “Va tutto bene.” Continuò in tedesco.
Radescu si limitò ad un cenno della testa, senza aggiungere altro. Non avrebbe comunque potuto, dato che era stato categorico.
Si morse un labbro; era dunque tanto palese la sua tensione? Non andava bene. Non andava bene affatto.
Scesero le tortuose scale a chiocciola che avrebbero portato all’ingresso principale; ricordava bene come le varie zone del castello fossero collegate da ripide scalinate, create il più delle volte nella pietra nuda della montagna, senza troppi fronzoli, spesso senza corrimano. Ricordava anche come d’inverno gelassero e fossero teatro di incidenti da parte delle incaute matricole. 
Ricordava molto, ma non gli importava nulla. In quel momento avrebbe voluto essere lontano chilometri dall’Istituto.
Perché per quanto fosse ridicolo da pensare, non aveva un solo amico là dentro. Nessuno a cui potesse rivolgersi, o affidarsi. Era solo.
Rilasciò lentamente l’aria dai polmoni e raddrizzò la schiena.
Basta piangersi addosso. Basta.
Lo era sempre stato. L’unica differenza era essersene accorto.


****


Scendere dal treno ed alzare lo sguardo era stato un tutt’uno.
Lily aveva notato come fosse stata approntata una sorta di rotaia finale, appena arrivata la terraferma, in cui il treno aveva agganciato le proprie ruote per terminare la corsa all’asciutto.
Teddy quando l’ultimo scossone di assestamento era terminato, le aveva fatto cenno di uscire. Aveva quindi preso il suo zaino e si era assicurata una copertura totale, tra mantello e sciarpa. 
Del resto mica possono tenermi qua dentro.
Aveva nascosto un sorriso vittorioso perché non era il caso e aveva seguito l’amico d’infanzia.
Alzare la testa era stato consequenziale per l’appunto, perché Durmstrang sorgeva da una parete di roccia ripidissima, molto più ripida di quanto le era sembrata vedendola da lontano. L’Istituto era     costruito praticamente in verticale, nato dalla roccia stessa, su tre piani. Il più alto era il più estremo, a picco sulla scogliera a strapiombo che digradava tra alte guglie e il mare.
L’entrata principale era di fronte a loro. Lily si accodò alla piccola delegazione, sbirciando. Vedeva in prima fila Albus e sapeva che avrebbe dovuto tenersi lontana da lui finché non gli fosse passata.
Forse tra un anno…
Inspirò leggermente; sapeva che il fratello non le avrebbe perdonato facilmente quella storia, come invece sembrava aver fatto Teddy, dato il suo sostanziale cuore tenero.
Non le importava. Affatto.
Proprio lui! Dovrebbe capirmi, visto quel che ha combinato per Tom l’anno scorso!
Decise di concentrarsi su altro, per esempio sull’ambiente del tutto nuovo che la circondava
L’imponente portone della fortezza  era anch’esso in pietra, riccamente istoriato di disegni di animali stilizzati in ghirigori complicati. Da quella distanza – più di un centinaio di metri di spessa neve li separavano dall’ingresso – vedeva poco e le sembravano forme prive di senso.
In ogni caso il portone era dannatamente d'impatto, alto il doppio rispetto a quello di Hogwarts – che di certo non era piccolo.
La delegazione incedeva compatta e infreddolita mentre soffiava un vento duro, che odorava di sale marino. Lily si strinse tra mantello e sciarpa pregando di arrivare prima di morire per assideramento istantaneo.
Perché, per tutti i troll della Gran Bretagna, non sono venuti a prenderci?
Non che se lo aspettasse; poteva quasi immaginare la soddisfazione di quell’antipatico del Direttore dell’Istituto mentre li osservava, al calduccio, arrancare nel ghiaccio per poi bussare alla porta, quasi dovessero supplicare ospitalità.
La neve faceva affondare voracemente i suoi stivaletti; con sorpresa intuì che sotto lo strato di ghiaccio c’era sabbia. Sabbia scura a giudicare dagli schizzi terrosi che seminavano gli altri di fronte a lei.
Ted la afferrò gentilmente per un braccio. “Ce la fai?”
“Sembrano sabbie mobili.” Mugugnò. “Ma davvero, prendermi in braccio sarebbe troppo.”
L’altro sorrise appena. “Non credo sia il caso.” Le fece notare.
Okay, ce l’avete tutti con me… ma non sono una prigioniera!
Sapeva di essere irragionevole, testarda e forse pure un po’ stupida. Sapeva che ci sarebbero state delle conseguenze. Non le importava. Tutto quello a cui riusciva a pensare in quel momento è che avrebbe rivisto Sören.
Ren.
Perché abbandonarlo non era un’opzione.
In testa alla delegazione c’era il Preside, notò, e fu lui a salire la bassa scalinata che portava all’ingresso. Lily, adesso più vicina, poté notare un’enorme battente, della dimensione della ruota di un carro. Ora poteva vedere con chiarezza quali fossero le figure rappresentate su tutto il portone, quasi in un horror vacui.
Era una sola figura in realtà, una lunga figura che si ripeteva ininterrottamente quasi fosse un serpente dal corpo chilometrico. Aveva più teste, a volte di orso, a volte di leone, e faceva una cosa sola; mangiava il resto delle decorazioni, che fossero animali o arbusti.
Era terrificante.
Ted sembrò seguire la direzione del suo sguardo. “Tutto bene?”
“Questa è la loro arte decorativa?” Sussurrò piano. “Che diavolo hanno in testa?”
Ted lanciò uno sguardo al portone, apparentemente poco impressionato. “Beh, la Norvegia ha una lunga tradizione guerriera. Hai mai sentito parlare dei vichinghi?” Le chiese, senza aspettare risposta. “Credo che abbiano ripreso alcuni elementi dalla loro arte tradizionale.”
“Che cosa carina…” Borbottò, avvicinandosi alla sua presenza rassicurante. La sensazione di inquietudine che aveva provato quando aveva avvistato Durmstrang, ora che c’era praticamente davanti, non era diminuita, anzi. Si era amplificata.
Lanciò uno sguardo ai propri compagni di fronte a sé; sembravano debitamente impressionati, ma non spaventati.
Del resto neanche Hogwarts è proprio un posto chiaro e luminoso. Ma qui è… diverso. C’è un’aria cattiva.
Non la sente nessuno?
 
Tom si mordicchiava ossessivamente un labbro da quando aveva calcato il suolo del fiordo. Avrebbe dovuto esser contento di non essere più su un treno che non affondava solo grazie alla magia – alcune superstizioni babbane gli sarebbero rimaste sempre addosso -  ma non si era sentito sollevato. Anzi, tutt’altro. Non riusciva infatti a scacciare il senso di oppressione che gli pesava sul petto.
Durmstrang era come se l’era immaginata: compatta per non disperdere calore con torri battute dal vento, più simile ad una fortezza che ad un castello, scura e costruita della stessa pietra della montagna, per renderla ancora più nascosta e di difficile individuazione di quanto già non fosse.
Durmstrang non era una sorpresa, ma era scocciante sentirsi così… oppresso.
Inspirò, lanciando un’occhiata ad Albus che guardava con attenzione il portone.
“È più grande di quello di Hogwarts, no?” Disse. Erano le prime parole che pronunciava da quando erano scesi dal treno e gliene fu inspiegabilmente grato.
“Sì, direi almeno una ventina di piedi.” Convenne. “Deve avere una sua funzione, immagino.”
“Intimorire i visitatori?” Sorrise Al, scoccandogli uno sguardo. “Ti sanguina il labbro.” Attestò poi con tono neutro.
“Lo so.” Fece una smorfia infastidito. Gli pulsava caldo, fastidioso. Detestava dimostrare nervosismo, ma non poteva farne a meno. Non in quel frangente.
Albus volse di nuovo lo sguardo al portone. Il Preside era salito per la breve scalinata e aveva estratto la bacchetta; con un tocco di bacchetta suonò l’enorme battente in ottone che gli restituì un cupo suono metallico.
“Che decorazioni strane.” Osservò, tanto per dire qualcosa, ma Tom gli diede attenzione; tutto meglio che rimuginare. “Sembrano essere parte di un disegno solo. Tipo, quando non stacchi mai la penna… Strani animali. Che creature magiche hanno qui, Tom?”
“Non è una creatura vera, né per noi, né per i babbani.” Mormorò. “È un essere mitologico, un simbolo della tradizione vichinga.” Aggiunse, vedendo la confusione nello sguardo dell’altro. “La bestia che afferra, significa forza e vitalità. Violenza, a dirla tutta.” Soggiunse.
Al non ribatté, limitandosi a guardare le decorazioni assorto. “È tutto fuorché un caldo benvenuto.” Si limitò a dire, smuovendo distratto con un piede un cumulo di neve.
Scorpius si sporse tra di loro; Tom vide con la coda dell’occhio il biondo accecante dei suoi capelli. “Posso dire che questo posto mette i brividi?” Esordì. “A voi no?”
“Chiunque sano di mente ti darebbe ragione.” Soggiunse Al, e Tom d’improvviso si sentì meno idiota ad esserne così inquietato. “Penso sia voluto. O forse no.”
“Non dev’essere sempre stato così.” Si inserì Rose, che aveva l’aria di chi avrebbe voluto un camino, e subito, dalla quantità di vestiti che le si gonfiavano sotto il mantello. “A mia madre era stata raccontata come … insomma sì, poco ospitale, ma adesso sembra una fortezza militare o roba del genere.”
“Pensa che mio padre voleva mandarmi qui, Rosellina.” Sospirò Scorpius. “Sono contento che mamma si sia opposta.”
“Anche io. Perché ti avrebbero buttato a mare dopo due settimane.”
Scorpius annuì serio, lanciando un’occhiata verso il punto più alto del castello. “Sì, in effetti sono un tipo troppo… brioso… per l’ambiente.”
“Tremendamente.” Ironizzò questa, ma neppure troppo dall’espressione preoccupata che lanciò al proprio ragazzo. “Per le sottane di Morgana, sto congelando. Quando si decidono ad aprire?”
Quasi avesse aspettato quella precisa frase, il portone si spalancò con l’eleganza di ingranaggi oliati o magia potente. Vitious si fece rapidamente indietro, prendendo di nuovo posto in testa alla fine assieme alla McGrannit.
Tom vide Rose mormorare qualsiasi di simile ad un ‘finalmente’ quando la delegazione si mosse e varcò l’ingresso in modo frettoloso e sollevato.
Farci aspettare al freddo… È questa l’ospitalità nordica?
L’ingresso era quanto di più simile ad una caverna, per metà scavata dalla natura e per l’altra da mani umane, a vedere il lungo colonnato che portava ad una scalinata alta quanto una piccola collina.
Ma non era la sala il punto. Era ciò che c’era dentro.
Perché quello che fece inspirare bruscamente tutta la delegazione come un solo uomo furono le persone; l’intera scuola era lì ad accoglierli come avrebbe dovuto, ovviamente. Ma l’intera scuola era praticamente la popolazione di una cittadina babbana. L’enorme marea di uniformi allineate lungo il colonnato, in più file, era impressionante. Tom si trovò senza parole.
La scuola non è un’inutile spreco di imponenza. Deve contenerli tutti.
Meike gli aveva accennato al fatto che fossero tanti, ma non così tanti. Sentì Al irrigidirsi al suo fianco.
“Ma quanti diavolo sono?” Sussurrò Rose. “E poi… perché se ne stanno zitti?”
Era forse quello a dare più effetto alla cosa. Il fatto che fossero tutti silenziosi come morti, irrigiditi in una posizione di riposo che ricordava quella dei militari babbani. Tutti con l’uniforme color fango regolamentare e con i capelli rasati o appuntati, nel caso fossero ragazze.
Tom cercò Meike con lo sguardo, ma non la vide; essendo una matricola doveva trovarsi nelle ultime file, troppo minuta per poter esser scorta. Notò però una violenta macchia rossa al ridosso della scalinata.
La delegazione della Prima Prova. Luzhin è lì.
“Preside Vitious!” Il silenzio fu spezzato dal rimbombare delle parole del Direttore Jagland che si avvicinò loro con rapide falcate. L’espressione gioviale non si estendeva però agli occhi.
Come sempre. Come attore fa schifo.
Il mago strinse brevemente la mano al piccolo Preside e poi baciò il dorso di quella della McGrannit. “Spero sia stato un viaggio agevole. Benvenuti a Durmstrang, da Durmstrang.” Fece un gesto omnicomprensivo e come un solo uomo, l’intera scuola si mise sull’attenti.
Tom sentì Rose sobbalzare e poi la vide afferrare il braccio di Scorpius come a trarne conforto.
Sì, oggettivamente impressionante.
Hogwarts, Hogwarts del nostro cuor…” Borbottò Scorpius, recitando senza intonazione e dando una pacchetta sulla mano contratta della propria ragazza. “Mai stato più felice di non essermi iscritto qui.”
Decisamente.
Al di là di questo, Tom apprezzò silenziosamente la coreografia austera e la marzialità dell’insieme, come il rigore delle uniformi e la compostezza delle espressioni. Era una scuola precisa come un orologio, e questo per lui era un pregio, non un demotivante difetto.
Forse adatta a me. Ma non di certo per Malfoy, o Al, o Rose. E soprattutto, non adatta a Meike.
Adesso capiva le occhiaie della bambina, le sue lacrime e la sua riluttanza a tornarvi; una scuola simile alimentava la disciplina interiore, la conoscenza. Ma certo non lasciava liberi di esprimersi.
Senza contare il sicuro nonnismo dei più grandi verso i più piccoli. 
Doveva trovare Meike, finita quella cerimonia. Se c’era qualcosa su cui poteva aver controllo in quel momento, era la serenità del suo folletto di Rügen. Non su suo padre, non sulle bravate di Lily, non su Luzhin.
Meike.
Doveva darsi un obbiettivo immediato, o la tensione avrebbe finito per fargli fare qualcosa di stupido.
“Prego, venite.” Li incalzò il Direttore. “Sarete stanchi per il lungo viaggio.”
Muoversi di nuovo fu quasi un sollievo. Tom abbassò lo sguardo verso Al, e lo trovò che fissava il nulla senza espressioni particolari in viso. Tradotto, era teso come una corda di violino.
Gli toccò leggermente il braccio con il suo e immediatamente l’altro gli afferrò il polso quasi fosse una cima lanciata ad un naufrago.
Conosceva la sensazione.
“Dimmi che non abbiamo fatto una follia a venire qui.” Sussurrò, così piano che fu certo che né Rose né Malfoy l’avessero sentito, benché fossero subito dietro di loro. “Dimmelo.”
Tom rifletté, poi disse l’unica cosa sensata, date le contingenze. “Se non fossimo qui, Lily l’avrebbe fatta franca.”
E poi, chi affronterebbe mio padre?
Al serrò la presa sulla sua mano e poi la lasciò. Intravide un sorriso piegargli l’angolo delle labbra. “Ti amo.” Mormorò, perché certe cose si dicevano a bassa voce, sembrava.
Tom sorrise di rimando. “Sì, lo so. Anch’io.”  Ma si dicevano.
 
Lily aveva visto il rosso delle uniformi dell’élite. Era impossibile non notarle, in tutto quel mare di mortificante color fango spiccavano come una luminaria di Natale. L’ex-delegazione di Durmstrang era in fondo all’enorme fila di sinistra, accanto alla lunga scalinata di pietra che si apriva su un portone ad arco che doveva portare al primo piano e forse alla zona abitabile. Lo sperava, perché avrebbe dato un braccio per potersi sedere al fuoco rinfrancante di una stanza riscaldata.
Comunque lì c’era Sören.
Inspirò, cercando di calmare il battito furioso del proprio cuore; era certa chiunque potesse sentirlo.
Lanciò infatti uno sguardo a Ted che le era accanto, e fu ricambiata da uno sguardo interrogativo.
Nota sempre se qualcuno lo guarda. Sesto senso mezzo-lupesco o ansia da prestazione?
“Tutto bene?” Le chiese con un sorriso gentile, ma distratto; era infatti piuttosto occupato a fissare le schiene potenzialmente indisciplinate dei suoi alunni. Che però stranamente marciavano in silenzio. Più che tranquilli in realtà, in soggezione.
Se volevano farci sentire a disagio, ci sono riusciti perfettamente.
“Sì, più o meno. In realtà sono estasiata dai loro metodi di accoglienza.” Replicò e notò che l’altro si ingoiò una risata, cercando di mantenere distanze e contegno.
“Sì, non hai tutti i torti.” Mormorò a mezza bocca. “Ma è il modo in cui lo fanno, quindi dobbiamo… accettarlo, suppongo.” Aggrottò le sopracciglia, poi raddrizzò la schiena, quasi a voler dare più autorevolezza alle sue parole.
Pensi anche tu che tutto questo sia agghiacciante, Teddy. Eddai.
“Sicuro.” Sorrise però, tanto per dire o fare qualcosa. La sottile linea rossa si avvicinava e lei doveva essere pronta.
Beh.
A fare nulla in realtà, che certo non sarebbe saltata addosso a Ren pretendendo spiegazioni; non in quel consesso e non subito almeno.  
E se non ci fosse?
Era improbabile, ma di cose improbabili ne erano successe tante in quell’ultimo periodo che ormai non credeva più alle sue previsioni ragionate.
Spesso si rivelano un bel buco nell’acqua. Grosso, tra l’altro.
Inspirò di nuovo. Poche manciate di secondi e l’avrebbe visto. Forse, allora, avrebbe saputo cosa fare.
Perché sì, non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto adesso che l’aveva finalmente a disposizione.
 
Sören ricordava com’erano le adunate dell’Istituto. Venivano fatte ad inizio di ogni anno scolastico per l’arrivo delle matricole. Per accoglierle, si diceva. Si rivedeva, undicenne, varcare quel grande portone, spaesato. Vedendo quella mole di gente, cresciuto sempre con la presenza di poche persone accuratamente selezionate, aveva quasi avuto un capogiro. Ricordava il sudore freddo che gli congelava la schiena, le mani e il viso bollente, la sensazione di profonda inadeguatezza. Sicuramente non era stato il solo, tra quelli del suo anno, a sentirsi così ma gli era sembrato.  
Ricordava quel giorno perché lo vedeva riflesso nei volti degli studenti di Hogwarts; vi leggeva lo stesso timoroso sgomento.
Persino il loro Preside sembrava intimorito, sebbene le spalle dritte e il viso fermo indicassero qualcuno di non facile intimidazione. Lanciò uno sguardo anche alla seconda professoressa accompagnatrice. Era la donna che aveva fermato il duello tra lui e James Potter. La donna ricambiò il suo sguardo duramente; si sentì in dovere di abbassarlo, e distoglierlo.
Notò quindi con la coda dell’occhio Albus Severus Potter, pallido e serio; un’espressione ben diversa da quella quieta e gioviale che aveva conosciuto. Poteva capirlo. Accanto a lui, come previsto, Thomas Dursley: per un attimo pensò che si fosse occluso, prima di ricordare di non averlo mai visto con una singola espressione chiara in viso. Era povero di espressioni come un Occlumante.
Poi vide qualcosa di rosso. Per un momento, registrò che erano capelli, capelli rossi. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa.
Razionalizza. Non è lei. Lei è ad Hogwarts adesso. È solo una ragazza con i capelli rossi, in Gran Bretagna è pieno di persone coi capelli rossi.
Trovò di nuovo il ritmo del proprio respiro e alzò il viso, tornando nella posizione di attenti che ci si aspettava dal campione di Durmstrang.
E la vide.
Se la trovò precisamente di fronte perché nel tempo in cui il suo ridicolo intelletto ragionava, la delegazione scozzese era avanzata.
Lily era lì.
Con precisione chirurgica – con istinto, pensò con il senno di poi – aveva alzato lo sguardo proprio nel momento in cui Lily gli era sfilata accanto.
Che… cosa…
Sentiva le sinapsi come congelate, quasi si fosse risvegliato dopo un sonno intenso.
Razionalmente – ah, parola meravigliosa. Inutile al momento, ma meravigliosa – Lily Luna non poteva essere lì.
Eppure Lily lo fissava in viso, apertamente. Era lì e lo guardava con quei suoi enormi occhi spudorati, verdissimi, e spaventosi.
Sentì la saliva seccarsi in gola e se gli avessero chiesto di parlare in quel momento, in quel preciso momento, non sarebbe stato in grado di articolare una sola sillaba.
Fu solo un attimo; Lily non poteva fermarsi. L’aveva vista rallentare, certo, testarda e inadeguata come solo chi non conosceva l’etichetta o se ne fregava poteva essere, ma poi il giovane professore accanto a lei le aveva fatto cenno di avanzare, toccandole il gomito con una mano.
È qui.
La delegazione gli passò oltre e subito dopo sentì un leggero colpo sul fianco. Era Radescu.
“La fila.” Sussurrò.
Non capì subito. Poi vide che c’era quasi un  passo di distanza tra lui e il rumeno. Si era sporto, aveva fatto un intero passo in avanti. Verso Lily.
Tornò immediatamente indietro. Non controllò se qualcuno l’avesse visto, perché sapeva di avere gli occhi di Poliakoff piantati sulla nuca.
Maledizione.
Ripararsi dietro una barriera di Occlumanzia fu la prima cosa che gli venne in mente; doveva far chiarezza mentale, doveva impedire al proprio cuore di galoppare come un dannato Thestral imbizzarrito, doveva capire perché Lilian fosse lì, nonostante glielo avessero proibito – e lo avevano fatto, questo era certo come il sole che sorgeva al mattino.
Ma soprattutto, doveva piantarla di sentire quel desiderio incontrollabile di andarle dietro.
 
 
****
 

Inghilterra, Londra, pomeriggio.
Ministero della Magia, Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale.
Ufficio Internazionale della Legge Magica.
 
“Signor Malfoy … c’è un problema.”
Quando la sua segretaria si annunciava facendo una pausa studiata, significava che un problema c’era sul serio.
Rachel – si ricordava solo il nome - era stata a Serpeverde un paio d’anni dopo di lui, e possedeva la grazia efficiente e discreta delle segretarie del Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale. Oltre a questo, sapeva essere una sottoposta intelligente, invece che stolidamente ammirata, come spesso capitava in altri Dipartimenti. O uffici. Auror.
Abbassò il plico che stava consultando sulla scrivania, e le lanciò comunque un’occhiata di seccata sufficienza. “Che succede?”
“Mi ha detto di avvertirla se quella persona fosse tornata qui.” Replicò senza scomporsi. “Quella persona adesso è qui.” Fece nuovamente una delle sue calcolate pause. “E sta urlando contro uno dei nostri funzionari.”
“Non mi aspettavo niente di meno, da un suo ingresso.” Commentò facendo sorridere leggermente la donna. “Che ufficio?”
“Ufficio Locazioni Errate.”
Draco Malfoy inarcò le sopracciglia perplesso; per quale motivo Il Bambino Meraviglia doveva sbraitare in quell’ufficio? Locazioni errate era uno sportello molto specifico. Serviva a dare consigli di procedura a maghi o streghe che si erano trovati materializzati, per sbaglio o per dolo – questo era ininfluente ai fini del consulto – nel territorio di un altro Ministero, cosa che faceva scattare immediatamente sanzione e arresto, se privi della documentazione necessaria.
Si alzò e si diresse, dopo un breve cenno di commiato alla segretaria, verso l’ufficio, che si trovava peraltro distante dal suo.
Potter, la solita seccatura.
Il problema del Dipartimento Cooperazione era che non vi era una sola indicazione e le geometrie architettoniche tendevano ad assomigliarsi drammaticamente.
Anni di consumata faccia tosta gli permisero di arrivare a destinazione senza dover chiedere ad un solo collega. Del resto era bastato seguire quelli giusti.
Le urla del Salvatore si sentivano persino oltre la porta chiusa. Non distingueva il tono, ma il tenore sicuramente. Era infuriato come solo un bamboccio viziato da mille porte aperte in suo onore poteva essere.
Entrò senza bussare, e si trovò di fronte un atterrito funzionario, quasi riparato dietro la sua scrivania e Potter che torreggiava – riusciva a farlo nonostante non fosse affatto imponente – sull’intera stanzetta. Dietro di lui vide la mole stolida e ciondolante di Weasley.
Weasley, in effetti, fu il primo a notare le sua presenza. “Che diavolo ci fai qui Malfoy?” Sbottò spazientito.
“Ci lavoro.” Replicò godendosi la mancanza di parole dell’altro. Potter doveva essere talmente infuriato da intimorire anche la sua spalla comica. Si rivolse poi all’altro auror. “Potter, smettila di maltrattare i miei funzionari. Non siamo nella vostra stalla di eroi, qui il machismo non sortisce alcun effetto.”
Questo si voltò scoccandogli un’occhiata di fuoco. Per un attimo Draco sentì l’impulso, giovanile ma saggio, di fare un passo indietro e andare a chiamare la sicurezza.
“Allora dì al tuo funzionario di darmi risposta chiare invece di blaterare di procedure senza senso!” Ringhiò. “Non sono qui per imparare il vostro regolamento!”
“Sei qui per comportarti come un essere umano. Cosa che so, al secondo piano, non riesce facile.” Replicò, ignorando le orecchie rosse di Weasley, in dirittura di esplosione. L’importante era che Potter non cominciasse a lanciare mobili; l’espressione gli faceva temere quell’eventualità. “Randolph, vatti a prendere un caffè in sala ricreativa. Qua ci penso io.”
“Sì, signor Malfoy.” Sussurrò il ragazzo, che ricordava nebulosamente avesse sostituito il vecchio funzionario deputato a quell’ufficio qualche mese prima. Potter non aveva avuto fortuna.
Quando il giovane fu letteralmente volato via con le ali ai piedi, Potter rilasciò un lungo sospiro.
“Ho bisogno di una mano.” Ammise francamente, sempre con la mascella tesa, ma meno da guerriero sul campo di battaglia. “E mi serve subito.”
Draco assaporò il luccichio disperato negli occhi dell’altro. Doveva essere successo qualcosa di grave per farlo reagire così.
Cosa può far perdere la testa a Potter, a parte qualunque cosa?
Data la sua furia, poteva trattarsi solo di un pericolo immediato. E l’unica cosa che mandava davvero il cervello del Salvatore a farsi una passeggiata era una minaccia diretta ai suoi cari.
Famiglia.
“A quale dei tuoi figli è successo qualcosa?” Chiese, e ghignò alla faccia sconcertata dell’altro. “Siamo onesti, Potter. Hai la sindrome della chioccia e non sai controllarti. Mettere insieme i pezzi non è difficile. L’unico problema è che consideri figli almeno una decina di persone. Quale, dunque?”
L’ex-grifondoro tacitò con un cenno della mano in tentativo di intromettersi di Weasley. “Lily.”  Disse serio. “La più piccola. Ha quindici anni, e adesso è a Durmstrang.”
“E quindi?”
“Non dovrebbe stare lì.” Si intromise Ron, perché Potter stava di nuovo avendo un attacco di collera obnubilante, a giudicare dal colorito terreo che aveva assunto. “Harry e mia sorella gliel’avevano proibito. È scappata.”
“Complimenti per la sorveglianza.”
“Malfoy, se sei qui per prendere per il culo…” Iniziò il rosso e Draco, davvero, trovava delizioso poter fargli saltare i nervi. Ma non aveva tempo da perdere.
Sono un po’ troppo ansiosi per aver spedito una ragazzina in una semplice scuola.
“Sono qui perché, come ho detto, questo è il mio lavoro. “ Tagliò corto. “Randolph è uscito da Hogwarts l’anno scorso. A parte blaterare di codici e regolamenti non può far molto per aiutarvi. Non è neppure la persona giusta.”
“E allora chi è?” Sbottò Potter inspirando come se dovesse andare in apnea. Al di là della collera, era chiaro fosse spaventato a morte. Da Durmstrang.
Meraviglioso. Ho mandato Scorpius là volontariamente. Davvero meraviglioso.
Cancellò con un colpo di spugna quel pensiero e si concentrò sul togliersi dai piedi quei due rozzi, incivili grifondoro.
“Un minorenne che scappa in un altro Stato non è cosa da tutti i giorni, Potter. Non esiste un ufficio deputato, non ufficialmente.” Spiegò sentendosi infinitamente paziente. “Di solito i ragazzini scappano nel mondo babbano. Di solito, tornano spaventati e ben risoluti a non metterci più piede.” Chiosò con leggerezza, e fu un po’ deluso da non ottenere reazioni. Potter ad ogni buon conto lo fissava con lo sguardo di un falco.
Non poteva far altro che l’auror. O il serial killer.
“Va’ avanti.” Lo incalzò.
“La Norvegia, dove ormai tutti sappiamo si trovi Durmstrang…” Scorpius si era premurato di blaterarlo a chiunque gli desse udienza quel Natale. “… ha leggi particolari per quanto riguarda i minorenni. Qualunque minore di diciassette anni si trovi nel suo territorio è nella sua giurisdizione, e gli viene quindi assegnata una Traccia.”
“Spiegati meglio, Malfoy.” Fu l’unica reazione di Weasley che si era evidentemente perso. 
“Ci stavo arrivando.” Replicò irritato. Per questo odiava gli auror. Di ogni conversazione, ne facevano un interrogatorio.
Tralasciando che questi due esemplari li odio da ben prima.
“La Traccia segnala la posizione e non solo ogni volta che un ragazzino usa la magia. Sempre. Considerando la scarsa comunità magica, i grandi spazi inabitati e la facilità con cui un bambino si perde, è stata una misura precauzionale doverosa.” Fece una pausa. “Ora, il problema è che questa Traccia impedisce la Materializzazione del minori fuori dai confini norvegesi. Lo stesso vale per un viaggio con la Polvere volante, Passaporta o imbarco via nave. Qualsiasi passaggio. Ogni volta che ci si prova, il ragazzo viene ri-materializzato alla posizione iniziale.” Di fronte alle espressioni sbalordite, soggiunse. “È una misura che è stata presa dopo che un gruppo di dodicenni si era perso sui monti a confine con la Svezia nell’idiotico tentativo di scappare di casa.” 
“Ma la nostra delegazione?” Chiese Weasley in un lampo di rara lucidità.
“Non so se avete notato il permesso che vi hanno fatto firmare i vostri figli.”
“Non avevamo bisogno di firmare niente, Draco. Sono tutti maggiorenni.” Replicò Potter. “Se lo sono firmati da soli.”
Draco ignorò la frecciatina, continuando come se non l’avesse sentita. “Il permesso è un contratto magico. Con la loro firma o quella di un parente o tutore, la Traccia non viene attivata. Sfortunatamente, a quanto mi è stato dato di capire, Lily non aveva il permesso con sé quando è scappata.”
“La Traccia su di lei si è attivata.” Concluse Potter sempre più pallido. Probabilmente era l’idea di non poter controllare la situazione a mandarlo in panne.
Quello o il fatto che ha spedito metà della sua progenie in un posto a rischio di attacco terroristico.
“Scommetto che era ciò che cercava di spiegarvi Randolph.” Confermò annoiato. “Riportarla indietro non sarà facile. Togliere la Traccia ad un minore non è cosa semplice, ci vorranno settimane solo per ottenere i permessi.”
Potter inspirò di nuovo. Sembrava prendere aria, quasi ne fosse a corto. “Quante settimane?”
“Non posso dare una stima precisa.” Alzò gli occhi al cielo. Grifondoro, tutti uguali. Tutto e subito erano le uniche opzioni disponibili per loro. “Dipende dalla velocità con cui si muoverà il Ministero norvegese. Considerando che hanno alcuni uffici de-localizzati in Svezia e Danimarca? Non ne ho idea.”
L’altro si mosse nella sua direzione. E di nuovo Draco sentì la vaga sensazione di doversela dare a gambe. Dietro quell’aria da scrivano – Potter aveva tutto fuorché il physique du rôle – si nascondeva il ragazzo che aveva ucciso il mago più oscuro di tutti i tempi. Un dannato guerriero quattr’occhi.
Non era una cosa da prendere sottogamba. Specie se il suddetto occhialuto lo stava puntando come un maledetto cane da caccia.
“Te ne occuperai tu, vero?” Non  era una domanda, lo percepì dal tono.
Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa passivamente. “Potter, ci sono altrettanti validi funzionari…”
“Tu sei il migliore.” Lo bloccò. Lo guardò in viso per capire quale fosse il trucco: se fosse una presa in giro o un’improvvisa svolta verso la follia. Non sembrava nessuna delle due opzioni.  “Voglio che sia tu a lavorarci. Per favore.” Soggiunse senza cambiare espressione.
Stavolta toccò a lui sospirare. Avrebbe potuto rifiutarsi. Avrebbe voluto; il fatto era che quella questione lo colpiva al fianco come un colpo sleale. Perché se la mocciosa di Potter era in pericolo, chi gli assicurava che Scorpius fosse invece perfettamente al sicuro?
L’unico modo per avere informazioni, era esser parte della storia.
“D’accordo.” Replicò. Non aspettò il ringraziamento che l’altro stava già formulando sulle labbra.“Ma ad una condizione. Non voglio vedere la tua faccia se non sarà espressamente convocata. Se avrò informazioni o aggiornamenti, lo saprai.” Ci pensò attentamente, perché Potter era meno sciocco di quanto non desse a vedere. “Né qualcuno del tuo clan, dei tuoi affiliati o dei tuoi auror dovrà di nuovo metter piede qui per questa faccenda. Intesi?”
L’altro lo fissò per un attimo senza espressione. Poi fece un mezzo sorriso, tendendogli la mano. “Affare fatto, Draco. E grazie.”
“Non ringraziarmi, evito che qualcuno dei miei funzionari abbia un infarto prima del tempo.” Commentò asciutto, stringendogli la mano. Lo stavano facendo un po’ troppo spesso negli ultimi tempi.
L’ex-grifondoro fece un secondo mezzo sorriso, poi si congedò con un cenno, portandosi dietro un incupito Weasley a cui non era andato giù tutto quel contatto fisico tra di loro.
Sapessi io, Lenticchia.  
 
 
“Pensi davvero che ci si possa fidare di Malfoy?” Lo apostrofò Ron, appena usciti da un ufficio in cui Harry si era sentito mancare l’aria per tutto il tempo. La filosofia dell’open-space degli auror era di gran lunga migliore.
“Suo figlio è lì, Ron. Se c’è qualcuno che vuole sapere esattamente cosa sta succedendo e come tirare fuori un ragazzo prima del tempo in caso di pericolo, è proprio Draco.”
L’amico gli lanciò un’occhiata valutativa. “Allora… era a lui che puntavi!” Esclamò di colpo. “Mi sembrava strano che fossimo andati da quel ragazzetto che non sapeva spiccicare una parola!”
“Non avevo idea se ci fosse qualcuno in grado di aiutarmi ufficialmente, ma ufficiosamente? Sì. Lui.” Replicò senza scomporsi all’aria sconvolta dell’amico. “Dovevo solo attirare la sua attenzione.” Concluse.
Avrebbe riportato indietro Lily. A qualunque costo.
E poi starà in punizione fino ai trent’anni. Minimo.
Non gli interessava sapere perché l’avesse fatto, anche se il Gufo che Ginny gli aveva spedito poche ore prima sollevava quell’interrogativo.
Non gli interessava il perché. Gli interessava il come. Come avrebbe ripreso il controllo su una situazione che già prima sembrava sfuggirgli dalle dita.
“Comunque dovremo cominciare a fidarci di lui prima o poi.” Osservò, mentre premeva il pulsante di chiamata dell’ascensore.
Ron fece una smorfia poco convinta. “E perché?”
Harry fece un sorriso dispiaciuto. “Perché abbiamo già suo figlio in famiglia. E temo che Scorpius venga con tutto il pacchetto.”
L’altro si infilò in ascensore senza una parola. Non stava a lui convincerlo, e lo seguì senza aggiungere altro.
“Figli…” Masticò Ron a mezza bocca. “A volte ti verrebbe voglia di non riprodurti, ah?”
Harry non rispose ma, suo malgrado, fu dannatamente d’accordo.
 

 
 
 

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Capitolo 51
*** Capitolo XLVIII ***


Capitolo XLVIII
 
 

 
Now the time has come to leave, keep the flame and still believe
Know that love will shine through darkness, one bright star to light the wave
(Mo Ghile Mear, Celtic Woman)



6 Gennaio 2023
Norvegia, Durmstrang.
Quasi ora di cena
 
Ad Albus non piaceva Durmstrang.
Non voleva passare per ingrato, non voleva neppure passare per xenofobo.
Ma non gli piaceva.
C’era qualcosa in quel castello che ispirava sfiducia; forse era il silenzio dei suoi strettissimi corridoi in pietra, forse era l’illuminazione praticamente assente – non che Hogwarts fosse luminosa come una giornata di Marzo, ma perlomeno vedevi dove mettere i piedi – forse, più semplicemente, era il pregiudizio che si portava dietro a  rafforzare quelle cupe impressioni.
Appena entrati dal grande portone ad arco, il Direttore Jagland li aveva indirizzati verso tre studenti all’ultimo anno a giudicare dall’altezza e corporatura – più che crescere, gli allievi dell’Istituto si sviluppavano in muscoli ed espressioni anodine.
Uno aveva preso in consegna i professori, un altro la delegazione e l’ultimo, tutto per lui, lo aveva invitato a seguirlo; l’avrebbe scortato fino alla sua stanza.
“Ho una singola?” Aveva chiesto solo leggermente lusingato. Davvero, appena appena, specie quando aveva incrociato gli sguardi smaccatamente indispettiti di Malfoy e di Tom.
L’unica risposta che aveva ottenuto era stato una faccia confusa.
Domanda idiota?
Non aveva più aperto bocca, e così aveva fatto il suo accompagnatore.
Scale a chiocciola, corridoi asfittici, pietra gelida ovunque e l’ululato del mare li avevano accompagnati per il resto del tragitto. Si era così ritrovato all’ultimo piano della fortezza. Il ragazzo aveva aperto una porta dall’aria anonima prendendo una grossa chiave da un mazzo che aveva attaccato alla cintura e poi gli aveva fatto spazio. Al era così entrato nella sua stanza. Si guardò attorno; l’ambiente era spoglio, funzionale, arredato per ospitare, più che per una lunga permanenza. Il letto era spazioso e coperto da una fitta pelliccia scura, che temeva appartenesse a qualche specie in via d’estinzione. Un angolo salotto era arredato da due poltrone dall’aria comoda e un tappeto anch’esso di pelliccia. Concludeva l’ambiente un massiccio focolare incassato nella parete.
Viste le premesse, pensavo peggio… Almeno qui fa caldo.
“Se le serve qualcosa, basta chiamarmi.” Disse l’allievo, distogliendolo dal flusso dei suoi pensieri. “Mi chiamo Dionis e sono al vostro servizio.”
“Vostro?” Si chiese a chi altro si riferisse oltre a lui, prima di rendersi conto che parlava solo di lui. Arrossì. “Non c’è bisogno di darmi del Voi, siamo coetanei!”
Il ragazzo gli restituì uno sguardo neutro. “Per chiamarmi basterà agitare la bacchetta.” Gli fece vedere il movimento con la sua, e Al seppe di esserselo dimenticato giusto un attimo dopo. “La cerimonia avrà luogo tra un’ora. Vi consiglio di…”
Ti.” Tornò alla carica, cocciuto. Quella situazione era sempre più sconcertante; non voleva essere apostrofato come un generale da un ragazzo che lo superava in peso e in altezza. Era assurdo. “Sul serio, ci tengo. Mi chiamo Al. Albus.” Rettificò, sperando che almeno il nome completo sortisse qualche effetto.

Già è abbastanza cerimonioso di suo.
Il durmstranghiano non espresse pareri o emozioni particolari. Si limitò ad annuire. “Come preferisci Albus. La cerimonia avrà luogo tra un’ora.” Ripeté. “Ti consiglio di cominciare a prepararti. Per il resto, sono al tuo ser…”
“Sì, va bene, ho capito, grazie.” Sorrise nervoso. Gli sembrava di esser precipitato in quei cupi racconti di guerra di cui era tanto appassionato James.

Quando il ragazzo se ne fu andato, dopo avergli consegnato la chiave della sua stanza, Al tirò un sospiro di sollievo togliendosi il pesante mantello da viaggio. Senza curarsi di dove fosse esattamente finito si diresse verso il focolare, stendendo le mani per rosolarsele a dovere.
Per tutti i calzini sporchi di Merlino, finalmente le sento di nuovo!
In quel momento non aveva la minima voglia di pensare, riflettere, elucubrare; voleva recuperare tutte le funzioni vitali, compresa una temperatura corporea umana. Tutto lì.
Non voglio pensare a cose come mandare un Gufo a papà e avvertirlo che sì, Lily è qui, e no, non posso darle la prima Passaporta che c’è a disposizione per tornare a casa. Non voglio.
Sentì la porta aprirsi dietro di sé. “Dionis, non mi serve niente.” Borbottò seccato. Sperava di non trovarselo dietro ad ogni due per tre, perché a Tom non sarebbe affatto piaciuto.
“Chi è Dionis?”
La voce incolore del suo ragazzo arrivò intempestiva come un temporale durante un giorno estivo. Si voltò per vederlo sulla porta, con il borsone a tracolla e l’aria infastidita. Doveva ammettere che quelle atmosfere umbratili gli si addicevano, specialmente alla sua figura alta e scura; avrebbe presumibilmente passato tutto il loro soggiorno a spuntare da angoli in ombra silenzioso come un gatto.

Facendo prendere un accidenti al sottoscritto.
“Il mio assistente personale.” Gli comunicò comunque con serenità, voltandosi nella sua direzione. “Piuttosto, che ci fai qui?”
La domanda cadde nel vuoto. Tom buttò il borsone sul suo letto e gli scoccò una seconda occhiataccia. “Perché hai un assistente personale?”

“E che ne so? Durmstrang è strana.” Replicò mantenendo la facciata tranquilla. Un minimo di indecisione avrebbe scatenato una crisi di gelosia in piena regola. “Posso avere una risposta alla mia domanda?”
Tom lo ignorò una seconda volta, affiancandoglisi e stendendo le mani al fuoco. Al aspettò pazientemente che recuperasse un minimo di capacità sociali.

“Non dormirò in una camerata con Malfoy e un sacco di ragazzini rumorosi.” Disse infine, mentre Al si era già allontanato per disfare i bagagli. “E intendo letteralmente. Non riuscirò a prendere sonno in loro compagnia.”
“Serpeverde ti ha viziato.”  

“Serpeverde ha rispetto degli spazi personali di una persona.” Fu l’ovvia replica. Non che potesse dargli torto, dopotutto. “Durmstrang invece ci considera ammassabili come una mandria di mucche.”
Al soppresse una risatina; assecondarlo nei suoi capricci era cosa che aveva imparato ad evitare sin da bambino. “Non esagerare. Sono sicuro che la vostra camerata è spaziosa e ben riscaldata.”
Tom non rispose, ma era un sì, da come si incupì scornato.

“Non dormirò. Passerò un mese insonne.”
“Allora dormi da me, no?” Sorrise prendendogli il borsone. Trovava divertente che Tom si fosse, più o meno, premurato di chiedergli se poteva rimanere.

Come se non sapessimo entrambi che non riusciamo a dormire bene, se non siamo assieme.
Notò gli angoli delle labbra dell’altro ragazzo incurvarsi impercettibilmente in un sorriso sollevato. “Bene. Ero qui per questo.” Disse infatti. “Anche se suppongo non sia permesso.”
“E allora? Non sono un problema nostro, le loro regole.” Scrollò le spalle.

Siamo qui assieme. Non separati. Assieme.
Tom stavolta ghignò apertamente. Sembrava sempre divertito – e anche piuttosto affascinato – quando aveva quegli attacchi di ribellione all’autorità costituita. “No?”
“Esatto.” Confermò e poi ridacchiò quando si sentì acchiappare e tirare tra le braccia dell’altro per un bacio a labbra fredde, le quali diventarono un problema secondario non appena si spostarono poco sotto l’orecchio in un bacio leggero e maledettamente eccitante. Avrebbe davvero voluto sincerarsi della comodità del letto verso cui Tom lo stava spingendo, ma c’erano altre cose da fare.

Molte, purtroppo.
Si staccò a malincuore, dandogli un colpetto sul petto. “Dobbiamo prepararci per la cerimonia di accoglienza.”
Tom si accigliò di nuovo. “Dobbiamo indossarle sul serio?”
Al batté le palpebre confuso, cercando di far mente locale. Quando capì a cosa l’altro si stesse riferendo, dovette trattenere un ghigno. “Sì, Tom. Temo proprio sia nelle nostre regole.”
“Non mi metterò una sottana.”
Alzò gli occhi al cielo; quei pregiudizi babbani spuntavano fuori dal nulla, ma erano difficilissimi da scacciare una volta che si presentavano. “Sono tuniche cerimoniali. Tutti i maghi le indossano.”

“Tuo padre non la indossa. Ron non la indossa.”
“Sono auror, non possono rischiare di inciampare nei propri vestiti.” Afferrò la tunica verde petrolio – lo stesso tipo di verde della loro Casa - che intravedeva tra sciarpe di scorta e guanti voluminosi; era stato un regalo di quel Natale e Tom, bisognava ammetterlo, si era sforzato un po’ oltre il solito minimo sindacale per non accettarla con una smorfia.
Perché, indovina chi gliel’ha regalata? Zia Hermione.
“Dammi un motivo per indossarla.”
“È da mago!” Sbuffò, con il sacrosanto impulso di fargliela ingoiare pezzo per pezzo. “Tu sei un mago, è regolamentare e dobbiamo indossarla.”
Tom piegò le labbra in una smorfia sprezzante. “La indossano solo i purosangue.”

Albus sospirò: a volte pensava che quei categorici rifiuti per le espressioni più conservatrici della magia avessero radici più profonde della sua educazione babbana.
Credo che non gli piaccia avere niente a che fare con un certo tipo di ideali… quelli dei purosangue e… beh, di Voldemort.
Erano riflessioni che si teneva per sé: c’erano angoli della coscienza del suo ragazzo che non andavano stuzzicati se non era strettamente necessario.
“Tralasciando il fatto che sei un purosangue…” Sottolineò con il suo miglior tono gentile, tendendogliela e facendogliela accettare, finalmente. “… ti sta bene. La indosseremo tutti e sarà solo per stasera. Dai.” Sospirò con il suo miglior tono bisognoso. “Non rendermi le cose difficili, non anche tu.”
Tom serrò le labbra e un vago lampo colpevole e allo stesso tempo indispettito gli passò nello sguardo.

Signori, ho ufficialmente vinto questa discussione.
“Va bene.” Borbottò. “Devo andare a cercare Meike. La porto qui?”
“Ah.” Fece mente locale, sentendo che era il suo turno di sentirsi in colpa. Con il casino di sua sorella, si era completamente dimenticato della presenza della loro piccola amica tedesca. “Certo, ma non metterti nei guai.”
“Io?” Ghignò l’altro slacciandosi i bottoni della camicia, con un’aria così innocente da essere inquietante. “Quando mai?”


****
 
Lily si sentiva un’appestata.
Poteva capire le ragioni per cui le ragazze del coro la guardavano a distanza, ed evitavano direttamente di incrociare lo sguardo con il suo.
Sì, è stato figo quel che hai fatto, ma metti che i guai son contagiosi e me li attacchi.
Non le biasimava, ma non biasimava neppure sé stessa.
Passò le dita sulla pelliccia che ricopriva il letto che l’avrebbe ospitata, a dire dei professori, finché non sarebbero riusciti a farla tornare a casa.
Non sarà così semplice. Non mi sono fatta venire il malditesta per nulla. Farebbero prima a rassegnarsi.
Tutto questo non l’aveva detto ad alta voce; in realtà, da quando Ted l’aveva assegnata ad una arcigna Rose non aveva avuto modo di aprire bocca. Sua cugina aveva scortato lei e altre nel dormitorio che era stato loro assegnato e poi era sparita, chiamata dalla McGrannit per chissà quale magagna organizzativa; sapeva che di quell’aspetto se ne occupava più lei che Albus, deputato invece ai rapporti con lo studentato di Durmstrang.
È una fortuna che parlino tutti inglese, o quasi. Anche perché Al non sa una parola di tedesco.
Era stato Sören a dirgli che era quella la loro lingua franca.  
Ren…
Inspirò, tirando un calcetto distratto al mobiletto accanto al letto. L’aveva visto, l’aveva vista, si erano visti. E non era stata una sua impressione, aveva percepito qualcosa fremere nei lineamenti dell’altro.
Sorpresa, sicuro e poi… non che fosse contento di vedermi, ma forse è l’unico che non sembra totalmente fuori di testa all’idea di avermi qui. Il che è tutto dire.
Doveva trovare un modo per incontrarlo, anche se non sarebbe stato semplice. Non come aveva immaginato perlomeno. Sembrava infatti che in quella scuola ci fosse una sorta di coprifuoco perenne.
Si succhiò il labbro pensierosa, guardando con invidia le altre ragazze prepararsi per l’esibizione che si sarebbe tenuta di lì a poco; ridevano, si davano una mano a chiudere le elaborate tuniche di scena, provavano le melodie.
A Lily piaceva cantare. Sin da bambina l’aveva trovata un’eccellente valvola di sfogo per ogni suo nervosismo.  I suoi fratelli avevano il volo, lei la musica. I suoi ricordi più belli coinvolgevano la radio, un tappeto su cui stendersi e canzoni da intonare a beneficio di Hugo. Non era solo questione di farsi ammirare da un uditorio; era azzerare i pensieri e concentrarsi completamente su qualcosa.  
In ogni caso, dubitava che l’avrebbero lasciata anche solo avvicinare al palco come spettatrice.
Sentì un colpo di tosse affianco a sé. Si voltò per vedere una delle ragazze, Tassorosso, accettare grata un bicchier d’acqua da una compagna premurosa.
“Morgana, con questo freddo temo proprio di essermi presa qualcosa!” La sentì lamentarsi con voce roca.
Che sfortuna.
… No. Momento.
Batté le palpebre velocemente, voltandosi. “Linnie, hai mal di gola?” Chiese a bruciapelo.
La ragazza la guardò sorpresa dal suo improvviso inserirsi. “Sì… cioè, credo di sì. È questo freddo… Mi ammalo sempre, d’inverno.” Seguì un altro violento attacco di tosse. “Speravo che il Decotto Tiramisù sistemasse le cose, ma che vuoi… me l’ha preparato mia zia prima di partire. È negata per le pozioni!”
“Non ci voleva.” Si intromise la ragazza del bicchier d’acqua. “Sei una delle soliste, non puoi ammalarti adesso!”
“Non credo di avere la febbre, è la tosse che mi preoccupa. E se tossisco quando sono sul palco?”

Lily sorrise, mostrando una faccia accorata d’occasione mentre di sé sentiva ruggire trionfo.
Già. Sei una delle soliste. E lo sono anche io. E il Preside farebbe di tutto perché l’esibizione sia perfetta.
Non era mai stata tipa da gioire delle disgrazie altrui.
A meno che non vengano a mio favore. Ehi, sono umana.
Rimase però in silenzio, limitandosi ad ascoltare le due ragazze rassicurarsi a vicenda. Rose rientrò in quel momento, con la grazia femminea di un generale che visitava le truppe. Lily sentì quasi l’impulso di mettersi sull’attenti quando le si piantò davanti tendendole una lettera.
“È per te, dallo zio.” Sbottò e poi si voltò per tornare al suo posto letto senza un’altra parola.
Wow. Trattamento del silenzio. Prevedibile. Per fortuna.
Deglutì, reggendo la busta tra le mani. L’esaltazione che l’aveva colta fino ad un momento prima si era sgonfiata come un palloncino babbano.
Strappò la carta, sfilando la lettera.
Almeno non è una Strillettera. Ma non è lo stile di papà. Quella è più la nonna… o la mamma.
Contò fino a cinque – non che avesse senso, ma comunque – e poi lesse.
 
Lily,
Quello che hai fatto è stupido. Non c’è altro modo per definirlo, e dirti che non me l’aspettavo da te è scontato.
Posso immaginare perché tu abbia deciso di fare questo. Posso capirlo. Non posso scusarlo. Non solo perché hai disobbedito ad un ordine mio e della mamma.
Vorrei che capissi da sola perché quello che hai fatto è molto grave.
 
Lily sentì un groppo serrarle la gola, e accartocciò la lettera tra le dita, quasi volesse, stupidamente ne era consapevole, nasconderla. La cosa peggiore non era aver disubbidito, ma aver tradito la fiducia dei suoi genitori.
La cosa peggiore è che lo farei di nuovo.

Non c’era mai stato niente in vita sua di cui era stata più sicura. Doveva essere lì.  
Aveva sempre deriso chi faceva stupidaggini in nome di quel sentimento. Rideva delle dichiarazioni appassionate delle sue amiche, volubili come vele al vento. Aveva detto a Roxanne che non si sarebbe mai innamorata.
E invece eccomi qui. Cotta come una zucchina e altrettanto idiota.
Sperava soltanto che suo padre, capendo, l’avrebbe anche perdonata. Prima o poi.
Si sentì toccare una spalla e si voltò. Era Linnie. “Ehi.” Disse e Lily in quella interiezione rassegnata e frustrata vi lesse quel che si aspettava. “Non credo di potermi esibire. Tu la mia parte la conosci, dovevamo dividercela.”
Non poté far altro che annuire, mentre sentiva lo sguardo della cugina trafiggerle la nuca.  

La tassorosso esitò a lungo e poi sospirò, vinta dall’evidenza di un nuovo e violento colpo di tosse. “Se il Preside è d’accordo, potresti prendere il mio posto… Pensi di farcela?”
“Certo.” Magari non sapeva come raggiungere Sören, ma il Fato – per dirla come l’avrebbe detta Fiorenzo – stava aggiustando la strada per lei.

E lei credeva nel Fato.
 
****
 
Tom non si era perso.
Indossava una stramaledetta tunica e non si era perso. Stranamente però, quella certezza non faceva che esacerbare la sua irritazione. Se qualcuno, chiunque, anche il Direttore della scuola in persona, lo avesse infastidito intimandogli di rimanere negli ambienti preposti alla delegazione, in quel momento l’avrebbe maledetto su due piedi.
Inspirò lentamente, rilasciando ossigeno e incamerando serenità d’animo. Fallendo.
Arrivare da Albus non era stato difficile. Aveva semplicemente salito una rampa di scale. Quindi, quando aveva lasciato l’ultimo piano, aveva percorso la strada all’indietro, ma qualcosa era andato storto.
Forse è stata quella scala … la seconda che ho preso.
Quella scuola sembrava frutto di un allucinazione escheriana. Hogwarts, con la sua planimetria mobile, in confronto era uno scherzo. O più semplicemente, conosceva la sua scuola e i suoi capricci architettonici.
Sette anni contro poche ore…
Come se la situazione non fosse abbastanza scoraggiante, non c’era nessuno a cui chiedere indicazioni; sembrava che l’intera scuola fosse disabitata.
Evidentemente passeggiare trai corridoi non è uso a Durmstrang.
Forse non era uso neppure percorrerli per spostarsi da un ambiente all’altro. Magari gli studenti si materializzavano, invece che camminare. Per quanto ne sapeva, ammise amaramente, poteva esser così.
Com’è possibile visto quanti sono? Non ce n’è neppure uno in giro?
Dove diavolo è il dormitorio del primo anno?
Poteva essere al piano terra, se l’élite – ultimo anno, studenti meritevoli – alloggiava all’ultimo. Aveva senso. Doveva trovare la scala giusta; se non altro non una che lo facesse tornare al punto di partenza.
C’era anche l’eventualità che Meike lo stesse cercando; dubitava che l’undicenne fosse rimasta buona ad aspettare un’occasione per vederlo. Non si sentivano da quando l’aveva messa sulla passaporta per Schwerin e Meike detestava l’interrompersi delle loro comunicazioni.
Sospirò notando come il corridoio che stava percorrendo non desse cenno di aver fine; era completamente al buio e aveva dovuto lanciare un lumos per riuscire a vedere dove mettere i piedi.
Non pensavo che ‘accendiamo i fuochi solo per scopi magici’¹ significasse un castello senza illuminazione.
Proprio un luogo ameno. Non c’è neanche una finestra.           
La non presenza di feritoie, o finestre forse significava un corridoio interno. Forse. Abbassò la bacchetta che rischiarava i suoi passi e tirò un secondo sospiro.
Adesso capisco perché ci hanno scortato. Non erano cerimoniosi, erano funzionali.
Sondò con i polpastrelli il manico rassicurante e familiare della propria bacchetta.
Doveva ammettere l’evidenza; si era perso.
Non è più grande di Hogwarts. Ma senza luce, orientarsi è impossibile.
Quella realizzazione portò a due cose: un’ondata di fastidio e una serie di rumori. Rumori veri, tangibili e in linea d’aria ad un centinaio di metri da lui – Durmstrang si sviluppava in lunghezza, più che in altezza. Tese le orecchie e ascoltò: erano due voci ed una di esse suonava familiare. La prima era di una ragazza che parlava un tedesco da seconda, forse terza lingua. Una studentessa dell’Istituto. La seconda, anch’essa femminile, ma infantile e madrelingua. Era Meike. 
Stavano litigando. Questo bastò per fargli raggiungere la fonte dell’alterco senza perdere un solo attimo.
Guidato dalle voci, si trovò di colpo di fronte alle due, che però non lo notarono. Spese la bacchetta e si nascose.
Sentiamo com’è che si comportano a Durmstrang.
Voglio andare dai miei amici!” Tom si stupì del tono di rabbia cocente che sobbolliva nella voce solitamente squillante della bambina. “Non resterò nella mia stanza!
Sei in punizione, Wollin!” Tom notò che la ragazza, più grande e quindi un Prefetto o un ruolo equivalente, aveva afferrato il braccio di Meike, che tirava nella direzione opposta, con una testardaggine che neppure un milione di castighi avrebbero domato. “Non fare l’idiota!
Idiota mi ci chiami già, che differenza!” Si divincolò con una smorfia, ottenendo solo di essere afferrata con più forza.
Non costringermi ad usare la bacchetta!
Tom aveva ascoltato abbastanza. Anzi, forse per un lato piuttosto scomodo del suo carattere aveva ascoltato fin troppo. Accese di colpo la bacchetta ed appoggiò una mano sulla spalla del Prefetto – o quel che era.

Tom!” Meike si aprì in un sorriso estasiato mentre la ragazza faceva un salto sul posto; a giudicare dalla sua espressione di shock si era spaventata.
Tom sentì un piccolo moto di soddisfazione. Il terrore – se inflitto a piccole dosi e a chi lo meritava – era divertente.
Buh.
Cosa… chi sei?” Esclamò con un notabile controllo, considerando che l’aveva detto in tedesco che no, non era la sua lingua. “Vieni da Hogwarts? Cosa vuoi?” Indovinò dai suoi vestiti, passando quindi all’inglese. Apparentemente gli studenti dell’Istituto erano versatili nelle lingue.  
“Lei.” Indicò Meike con un cenno della testa, mentre la bambina si apriva se possibile in un sorriso ancora più enorme. Sorrideva come Al, senza pietà per i suoi poveri muscoli facciali. “E abbassa la bacchetta, non vorrei che qualcuno si facesse male.” Aggiunse vedendo che l’aveva levata contro di lui in un istinto che dava da pensare.

Nervosetti da queste parti.
La ragazza obbedì. “Non intendevo puntartela contro. Mi hai colto di sorpresa.” Borbottò imbarazzata, lanciando uno sguardo frettoloso alla sua, di bacchetta.
“Lo spero.” Replicò neutro.
L’ho abbassata prima di te. Ma non significa non possa alzarla, prima di te.
Si rivolse poi a Meike. “Vieni.” Le disse semplicemente. “Andiamo da Mutti.”
Meike fece un risolino deliziato, sgusciando con una certa abilità dalla presa del Prefetto.

“Wollin è in punizione.” Si riscosse di colpo questa. “Inoltre, chi diavolo sei?”
Tom se l’era aspettato; e aveva lavorato, in merito. Tirò fuori un foglio da una tasca della tunica. “Il suo tutore.” Glielo porse. “Sono stato incaricato da Cordula Wollin. Devo occuparmi di sua nipote durante la mia permanenza.”
“Sul serio?”  Esclamò Meike con grandi occhi tondi. “Adesso non mi possono punire?”

Se alzeranno ancora la bacchetta contro di te li farò pentire di essere nati.
Quindi diciamo di sì.
Preferì comunque riferire una versione edulcorata. “Adesso non possono afferrarti come un mucchio di stracci.” La spinse leggermente dietro di sé, e fece qualche passo in direzione della ragazza. Forse era la sua altezza, forse era perché era spuntato praticamente dal nulla o forse era l’atmosfera che non angosciava solo gli ospiti, ma quella fece un rapido passo indietro.
Nervi molto tesi. Interessante.
“Wollin non dà mai retta.” Sbottò. “È in punizione per non aver rispettato gli ordini ricevuti.”
“Quali?”
“Mettere in ordine i suoi effetti personali, oltre ad essere scappata.” Sostenne il suo sguardo stavolta. La tempra delle ragazze dell’Istituto non era cosa da sottovalutare. Era inquieta, glielo leggeva nell’espressione, ma non spaventata, non più.
“Metterò a posto dopo che avrò salutato i miei amici, lo prometto!” Propose Meike alle sue spalle, con la ritrovata vocetta squillante, Tom la registrò con un certo sollievo.

“Penso sia un compromesso accettabile. La riporterò io al suo dormitorio.” Le porse di nuovo la lettera e la ragazza stavolta la prese, anche se con una certa riluttanza.
“La farò vedere al Direttore.” Disse, infilandosela nella giacca dell’uniforme. Anche quella delle ragazze aveva un taglio militare. “Nel frattempo Wollin deve tornare con me. Non ho l’autorità per autorizzare una cosa del genere.”
“Ma hai l’autorità per usare la bacchetta su di lei?” Chiese quasi gentilmente. Ovviamente no, dall’occhiata allarmata che gli venne lanciata. “Immagino ti abbiano detto che, quando non vieni obbedita, tu possa farlo, ma che non sia opportuno che se si sappia in giro. Pessima pubblicità.” Si voltò verso la bambina, che sembrava quasi aver ripreso colore. Adesso le si vedevano le lentiggini. “Meike, dille chi è Mutti.”
“È il Caposcuola di Hogwarts e mi vuole tanto bene!” Cinguettò Meike, a cui non sfuggiva nessun sottointeso. Del resto stava ghignando.

Ne farò un eccellente Serpeverde. Eccellente. 
“Non credo che il vostro Direttore sarebbe contento di sapere che si parla male di Durmstrang in un’altra scuola.” Soggiunse. Che avesse usato la bacchetta su Meike con intenzioni dolorose o meno, non aveva importanza.
Nessuno tocca le mie persone.
“Viene con me.” Prese per mano la bambina quasi a sottolineare il concetto. La strinse leggermente, rassicurante, quando la sentì aggrapparglisi alle dita. “La riporterò in tempo per l’appello.” Aggiunse, perché non aveva intenzione di creare veri imbarazzi diplomatici.
Al mi ucciderebbe. 
“Bene… per l’appello va bene.” Inspirò il Prefetto. “Farò vedere la lettera.”
“Non è un falso. Contattate sua nonna, se non è sufficiente. Vi dirà le stesse cose.” Replicò quieto. Aveva avuto l’impulso di affatturare la ragazza, ma spaventarla e metterla in una posizione di debolezza l’aveva appagato abbastanza. Per il momento. “Andiamo.” Incitò la bambina.
Meike, svoltato l’angolo, prese a trascinarlo con la forza di un piccolo treno a motore.  Dopo cinque minuti ritenne doveroso rallentare prima che sfondasse una parete con la testa. “Meike, fermati. Non è una corsa ad ostacoli.”
L’undicenne si voltò, mordicchiandosi un labbro con due occhi enormi. “Voglio andare da Mutti!”

“Stiamo andando da Al, ma rallenta.” Le intimò e quel che ottenne fu di venir placcato ad altezza vita in un abbraccio stritolatore.
Strano non fosse ancora arrivato…
“Mi sei mancato.” Borbottò contro la stoffa della sua orrenda tunica. “Mi sei mancato, questo posto fa schifo, voglio venire con te e Al ad Hogwarts!”
“Sì, questo posto fa schifo.” Confermò mettendole una mano sulla schiena e sentendola calda e sudata anche sotto l’uniforme spessa e grigia. Doveva aver lottato per arrivare fin là. “Non posso portarti ad Hogwarts, non quest’anno.” La sentì stringersi con più forza. “Ma sono qui, Al è qui. Non ti lasceremo sola.”
Sentì la bambina tirare su con il naso. “Hai una gonna.” Fu la sua toccante replica.

Ragazzini…
Tom stirò le labbra, ingoiandosi una rispostaccia. Fu piuttosto difficile. “È una tunica.”
“Sembra una gonna.”
“È una tunica.”
Meike alzò la testa con un sorrisetto. “Okay, come ti pare, però eri spaventosissimo! Tipo prima, quando sei uscito dal nulla, di botto!” Esclamò, saltando di palo in frasca come avrebbe fatto Malfoy. O forse era Malfoy ad avere la logorrea di un undicenne. “Hulda se l’è fatta sotto, facevi paura con quell’espressione arrabbiata, sai? Ti riesce proprio bene fare il cattivo!”
Tom trattenne un sogghigno amaro, perché l’entusiasmo della bambina era genuino. “Sì? Dillo ad Al. Dice che come cattivo non valgo niente.”
Meike si strinse nelle spalle. “Però come buono sei fico.”

Tom sorrise.  
 
****
 
“Al, c’è un problema.”
Rose si accomodò accanto a lui, scivolando sul sedile di pietra che era solo uno dei tanti – proprio tanti – che popolavano la sala comune di Durmstrang. A quanto gli aveva detto il suo durmstranghiano personale la sala si chiamava Montering. Cosa volesse dire, Al lo ignorava, ma in ogni caso il gigantesco ambiente non ricalcava affatto la loro Sala Grande. Più che svilupparsi in ampiezza si sviluppava in in verticale. I posti a sedere non erano ad un tavolo, ma in file che si disponevano in un semicerchio che sprofondava a picco di diversi metri. In fondo vi era una larga pedana circolare che doveva ospitare l’oratore d’occasione. In quel caso avrebbe ospitato il loro coro.

“Ohi, ma mi ascolti?” Rose gli colpì leggermente il braccio. “Ehi.”
“Sì, scusa… stavo guardandomi attorno.” Replicò. Da lì era facilissimo avere le vertigini; bastava alzare lo sguardo. Non si vedevano che uniformi scure a perdita d’occhio.

Non pensavo che a Durmstrang fossero così tanti.
Rose sbuffò. “Sì, è impressionante.” Convenne. “Comunque… c’è un problema.” Ripeté.
Si voltò verso di lei, lanciando anche un’occhiata distratta a Tom, seduto accanto a Scorpius. Erano gli unici della delegazione ad aver preso posto accanto a loro.

Il resto è coro. E poi, Lily.
I due si guardavano attorno con espressioni diverse; Malfoy sembrava entusiasta, anche se in modo contenuto, trovandosi tra estranei. Aveva assunto il vecchio sorriso gentile ma un po’ beffardo con cui l’aveva conosciuto.
Tom prevedibilmente era illeggibile. Sembrava che avesse esaurito tutte le sue emozioni nella breve conversazione avuta con Meike nella loro stanza, prima che dovesse riconsegnarla – era stato proprio lui ad usare quel termine, aggiungendovi una smorfia significativa.
Occupiamoci di un problema per volta… Per il momento Meike è al sicuro.  Tom avrà minacciato a dovere chi di dovere.
“Al!” Rose stava perdendo la pazienza a giudicare dallo schiaffo scocciato che gli diede sulla spalla. “Mi vuoi dar ascolto?”
Sospirò, facendogli un sorriso di scuse. “Scusa, hai ragione. Qual è il problema?”
“Lily.”
Ricacciò indietro l’irritazione che si sentì montare. “E dove sta la novità?”

“Sì, è che… no.” Si impappinò. Poi si mordicchiò un labbro. “Madaleine Anderson si è presa una brutta infreddatura.”
“Decotto Tiramisù.” Consigliò in automatico, prima di capire che l’altra stava girando attorno all’argomento. “E perché la cosa è collegata a Lily?”

“Lily la sostituirà sul palco.” Dovette intellegire il suo pensiero immediato da come lo squadrò apprensiva. “A dirla tutta, stavolta non è colpa sua… Non ha certo fatto ammalare la Anderson!”
“Conoscendola sarebbe capace di avvelenare qualcuno per salire sulle luci della ribalta.” Replicò piatto, e una parte di sé lo pensava sul serio; se sua sorella voleva qualcosa non si faceva troppi scrupoli ad ottenerla. Di solito i modi di riuscita non coinvolgevano o mettevano nei guai nessuno.

Di solito. Con questa bravata ci ha coinvolti tutti però.
Rose giocherellò con il ciondolo a forma di cactus che ormai portava quasi fosse un’estensione della sua persona. Al capì che esitava perché non voleva vederlo arrabbiarsi.
Ci sono dannatamente vicino, già…
“Ne va dell’esibizione, Al…” Tentò piano. “E lo so, sei arrabbiato. Lo siamo tutti, ma… in fondo lo facciamo per la scuola, no?”
Al non replicò nulla. Avrebbe voluto appendere sua sorella per le orecchie ad un punto molto alto finché non fosse rinsavita, tutto lì.
Ma neppure questo servirebbe ad un granché. Non è tipa che impara dai suoi errori.
 “Avevo capito che stava architettando qualcosa.” Borbottò Rose, palesando l’origine dei suoi tormenti.
Al le lanciò uno sguardo e vide che aveva le orecchie paonazze. Gli venne da sorridere e le prese una mano, stringendola gentilmente. Rose aveva una capacità tutta masochista di assumersi responsabilità che non le competevano, se si trattava della loro famiglia. In questo lei e Teddy si somigliavano.
Straordinario masochismo o spirito del branco?
“Rosie, non è colpa di nessuno, tantomeno tua. Avevamo capito tutti, più o meno, che stava pianificando qualcosa.”
“Non pensavo sarebbe arrivata a… a questo!” Sbottò per tutta risposta.
Al sospirò. “Già, neppure io.”
“Io però la ammiro.” Se ne uscì Malfoy, che fino a quel momento sembrava non averli uditi per la cacofonia di tante persone che parlavano tutte assieme. Aspettare non era dote neppure degli allievi.
Per fortuna, o avrei pensato non fossero umani.
Al squadrò perplesso il biondo, che gli restituì un sorriso dei suoi. “La ammiri?”
“A quindici anni non mi sarebbe mai saltato in mente di infilarmi di nascosto in un treno diretto oltre confine, solo per stare vicino ad un amico… tralasciando il fatto che non avevo amici.” Sorrise rassicurante all’aggrottarsi delle sopracciglia della fidanzata.  “La tua sorellina è tosta.”

“È testarda, è diverso.” Fece una smorfia. “E non riesce a capire i no.”
“Perché, Potter, tu ci riesci?” Ghignò. “L’anno scorso era tutto un proibirti qualcosa. E mi risulta che tu sia finito in una caverna e con una certa bacchetta in mano.”
Al si sentì arrossire, preso in contropiede. Ignorò lo sguardo di Tom, che aveva rivolto loro l’attenzione proprio nel momento sbagliato. “Era diverso.” Incrociò le braccia al petto, consapevole che non era una grande espressione di sicurezza. “Non ho mai preteso di aver fatto la cosa giusta. Solo quella necessaria.”
Malfoy si strinse nelle spalle, consultando con un movimento fluido il suo orologio da taschino. Sembrava avere smeraldi incastonati a giudicare da come brillava. “Forse la sta facendo anche tua sorella.”

“Luzhin ha aggredito Lily!” Esclamò Rose, riportandoli sul piano fattuale. “Hai visto anche tu i lividi, Scorpius!”
Il ragazzo convenne con un cenno della testa. “Sì, li ho visti e non penso sia una bella persona chi fa una cosa del genere.” Fece una pausa, prima di scuotere la testa. “Ma la piccola Potter non la pensa così. E al momento, quel che pensa lei non è da sottovalutare. In fondo l’ha portata qui, no?”

Lo abbiamo sottovalutato fin troppo in effetti… - Pensò Al, scambiandosi uno sguardo con Tom. L’altro indicò poi verso l’alto e Albus seguì la direzione del dito: vide una macchia di color amaranto accomodarsi nell’ultima fila, quella più in alto, quasi a ridosso dell’entrata.
L’ex-delegazione.  
Persino a diversi metri di distanza in linea d’aria riconobbe Sören Luzhin. Spiccava per la corporatura più magra e i capelli non rasati. Non c’erano molti ragazzi coi capelli lunghi in quella scuola.  
Le fiaccole che avevano illuminato fino a quel momento l’ambiente persero forza, facendo gradualmente calare la penombra.
“Stanno per iniziare!” Sussurrò Rose.
Al si accomodò per quanto poteva sul sedile di pietra. Poteva avercela con Lily per aver fatto qualcosa che, lo sapeva meglio di tutti, avrebbe potuto portarle conseguenze a lungo termine. Ma l’avrebbe applaudita. Perché era sua sorella.
 
****
 
Sören si accomodò dove Poliakoff lo invitò a sedere. Voleva avere una buona visuale, ma qualunque posto in realtà andava bene. L’élite godeva dei posti migliori, sempre. Misurò con lo sguardo l’intera platea, ma non fece in tempo a focalizzare nessuno in particolare che la regolazione delle torce venne abbassato al minimo.
Stanno per iniziare.
Di colpo si accesero le torce sul palco, con un lampo che suscitò un sospiro di sorpresa nell’uditorio. Poi entrò il coro di Hogwarts; erano una dozzina di elementi, vestiti con tuniche da cerimonia che baluginavano del bronzo che ornava lo stemma multicolore di Hogwarts. Quelle dei ragazzi erano molto semplici, lineari. Le ragazze indossavano corpetti sottili e gonne ampie.
Hogwarts era una scuola che non badava a concetti come la sobrietà e austerità; anzi, sembravano esserle del tutto estranei.
Forse è questo il suo maggior pregio.
Non dovette consumarsi gli occhi cercando la sua sagoma tra le ombre. Lily era sul palco.
Inspirò, facendo ben attenzione a congelare ogni espressione o movimento; dubitava che Poliakoff avesse il dono di vedere al buio, ma era meglio esser prudenti.
Il coro iniziò a cantare una melodia che a Sören sembrò inspiegabilmente familiare.  
 
Sé mo laoch mo Ghile Mear
‘Sé mo Chaesar, Ghile Mear,
Suan ná séan ní bhfuaireas féin
Ó chuaigh i gcéin mo Ghile Mear.
 
Gaelico.  
Di colpo qualcosa scattò nella sua memoria; la melodia era diversa, ma le parole, quelle le ricordava. Gli venne di colpo in mente suo padre.
Elias Prince non era tipo da cantare o intonare motivetti, ma Sören ricordò un vecchio disco, la puntina che grattava il vinile, una voce di uomo che cantava una canzone fatta di parole incomprensibili.
 
“Sai che lingua è questa, Sören? È gaelico irlandese. Viene da una terra distante dal Continente. Un’isola in mezzo al mare.”
“Voi lo sapete parlare, padre? Capite cosa dice?”
“Certo. Ti ho detto che parte della nostra famiglia viene da quella terra, lo ricordi?”
“Sì, me lo ricordo.” Un’esitazione. Curiosità. “Di che parla la canzone?”

Gli era stata elargita una carezza sulla testa, secca e breve come quando stringeva un nodo. “Di quel che di solito parlano le poesie del mio vecchio paese, Sören.” C’era stato un sospiro, e suo padre non sospirava mai. “… Parla di abbandono e di esilio.”
 
Non aveva dimenticato quell’episodio.
L’avevo semplicemente racchiuso in quel posto.
Era una scatola nella sua testa. Era lì che teneva chiusi tutti i ricordi che preferiva lasciar dietro un velo di Occlumanzia. Li aveva nascosti lì quando suo zio aveva cominciato a dargli lezioni in quella disciplina; ed ora eccola lì, Mo Ghile Mear, sulle labbra dei ragazzi di Hogwarts e sulle labbra di Lily.
Era tra le soliste; in prima fila e le sue mani, i suoi fianchi, il suo intero corpo si muoveva a ritmo della musica. Lo facevano anche gli altri, ovviamente, ma a Sören sembrava ci fosse solo lei.
Gli sembrava di non vederla da secoli, il che era ridicolo. Come era ridicola la nostalgia che sembrava stringergli lo stomaco in una morsa di ferro.
Si concentrò forzosamente sull’esibizione corale. Le soliste cantavano una strofa a testa, in inglese; era una bella canzone, eseguita in modo coinvolgente. Aveva già avuto modo di sentir provare il coro di Hogwarts, ma lo scenario era diverso, e paradossalmente più adatto alle atmosfere della canzone.
Lanciò uno sguardo ai ragazzi accanto a sé e li trovò ammaliati dalla musica.
Dove ho letto che la musica è una magia al di là di qualsiasi altra²?
Voleva godersi l’esibizione, ma non gli fu possibile. Perché Lily si staccò dalle altre e pronunciò la sua, di strofa. In quanto solista, le competeva. In quanta sua dannazione personale, pure.
 
Now the time has come to leave
Keep the flame and still believe
Know that love will shine through darkness
One bright star to light the wave
 
La sua voce era bella, limpida nelle note dell’adolescenza. Era brava, di quelle bravure nate con semplicità e sviluppate con piacere. Sorrideva. Era quello ad averlo sempre intrigato di lei; la gioia schietta che provava nel fare le cose.  
 
 “Ren, ti sono piaciuta, oggi, alle prove? Sei pregato di rispondermi elogiandomi moltissimo.”
“Ah, sì. Ho capito. È stato come…”
“Come?”
“… no, non importa.”
“No, adesso me lo dici. Subito. Ora!”
“… al cristallo. Quando hai cantato ho pensato al cristallo. Sai… quando… quando vi batti con una forchetta, per sbaglio, mentre mangi. Bicchieri di cristallo, intendo.”
“Non ne ho a casa, mi spiace, ma… è… wow. È un complimento… è il più bel complimento che mi hanno fatto sulla mia voce.”

“… Sul serio?”
“Ren, sto
arrossendo, se non si nota. Sul serio.”
 
Pensava ancora che Lily cantasse con la purezza del cristallo.
E questo rafforzava il suo malessere; doveva sapere perché si trovasse lì, perché non fosse ad Hogwarts, al sicuro. Ormai non rivestiva più un ruolo di interesse per suo zio. Se fosse rimasta in Scozia si sarebbe definitivamente lasciata quella storia alle spalle.
La canzone prese ritmi serrati, ci furono violini e l’incalzare di percussioni. Vide persino Radescu, il ragazzo immagine di Durmstrang, battere i palmi delle mani sulle ginocchia, ammaliato.
Quando tutti si alzarono applaudendo – un po’ per dovere, un po’ per sincero plauso – si alzò anche lui.
 
****
 
Lily sapeva di aver cantato bene. Si era esercitata per mesi, e non c’era una canzone del repertorio che non avesse provato fino alla nausea; il Preside da quel punto di vista era un perfezionista e pretendeva molto da loro. Da lei specialmente.
Per questo non mi ha incenerito quando io e Linnie gli abbiamo proposto la cosa.
Secondo me, sotto sotto, era contento che mi esibissi…
Ovviamente di questi suoi pensieri non aveva reso partecipe nessuno. E adesso, a spettacolo finito ci si crogiolava in segreto, chiacchierando con i compagni che avevano lasciato alle spalle ogni imbarazzo e l’avevano riaccolta nel gruppo. Non era male.
Aveva cercato Sören con lo sguardo non appena le torce si erano riaccese ma non l’aveva visto; doveva aver abbandonato i posti non appena gli era stato dato l’ordine di farlo. A quanto le era stato detto l’ex-delegazione era stata la prima a lasciare gli spalti.
Io non ho visto lui, ma lui di certo avrà visto me. Anche da lassù, i miei capelli rossi spiccano. Voglio dire, a parte Billy King, sono l’unica nel coro ad averli.
Mi ha visto, di certo.
Usciti dalle quinte si incontrarono con il resto dei compagni e a Lily morirono le parole in gola.
Suo fratello era lì, assieme a Tom, Rose e Scorpius. Si fermò di fronte a loro, con un sorriso. Era uno dei suoi, gentili e affabili, ma non si estendeva agli occhi.

Manco per sbaglio…
“Siete stati bravissimi, i miei complimenti!” Esclamò con calore. “Adesso ci sposteremo nella sala refettorio della scuola per la cena in onore della nostra delegazione e quella di Beaux-Batons. Avete un po’ di tempo, vi consiglio di approfittarne per andare a cambiarvi.” Li informò, continuando in quel sorriso che le ragazze definivano incantevole e lei falso come una promessa di Pix. Non guardò una sola volta nella sua direzione e Lily si sentì avvampare di rabbia e dispiacere.
Fu quella sensazione di indefinita ingiustizia che le strappò una smorfia. “Io posso venire o sono in punizione?”
Albus a domanda doveva rispondere. Anche se sorrideva, Lily intuì che si stava frenando per non sbottarle contro. “Il Preside ha detto che puoi. Quindi sì.” Due frasi secche e gelate come una palla di neve in piena faccia. Si rivolse di nuovo agli altri. “Ci vediamo dopo, e ancora complimenti.” Detto questo voltò loro le spalle e si incamminò, con sua enorme sorpresa, verso un ragazzo di Durmstrang che sostava impettito poco distante. Era nientemeno che Dionis.
Ma che…
“È il suo studente di riferimento. La sua controparte durmstranghiana. Lo scorta ovunque.” Gli comunicò Tom e Lily quasi sobbalzò; non si era resa conto che durante lo scambio di battute l’altro le si era spostato accanto.
“Bella tunica…” Disse per recuperare charme e tranquillità.
“Sta’ zitta.” Borbottò l’altro facendola ridacchiare.
“Lo conosco. Dico, quel ragazzo.” Replicò mentre gli altri venivano radunati da Rose; nessuno sano di mente si sarebbe avventurato da solo nella strada di ritorno per il dormitorio. “È a posto… per i canoni di Durmstrang, si intende.” Vedendo l’espressione irritata di Tom, le uscì suo malgrado un ghignetto. “Guarda che gli piacciono le ragazze. Mi ha chiesto di andare al Ballo del Ceppo assieme.”
Tom ammorbidì il cipiglio. “Meglio così.” Le scoccò un’occhiata. “Non vai con gli altri?”
“Subito.” Confermò. Esitò, perché se c’era qualcuno che poteva capire, oltre all’esperimento fallimentare di Albus, era Thomas, lo strano ragazzo meraviglia. “Al… è…”
“Sì, è.” La anticipò. “Comprensibile, direi.”

“Un corno! Proprio lui si mette a farmi la ramanzina?” Lanciò un’occhiata a Rose, la donna dalle mille orecchie e rimproveri. Fortunatamente era troppo occupata a gestire Scorpius e il resto della delegazione per notarla.
Al li ha mollati su due piedi. Cavolo, è proprio infuriato, accidenti a lui.
“Non mi ricordo te ne abbia fatta una.”
“Usa il trattamento del silenzio sdegnato, credi sia meglio?”
Tom rifletté fissandola attentamente; se non si era abituati, l’atteggiamento da sezionamento chirurgico del cugino acquisito poteva mettere molto a disagio.
Però, almeno, è l’unico che ancora mi parla…
“Penso che sia perché si è trovato nella tua situazione, o in una simile, che sia così arrabbiato.” Spiegò con espressione assorta. Quel genere di ragionamenti empatici non facevano per lui, ma Lily ne apprezzò lo sforzo. “Non penso stia a me dirti che ne ha sofferto, visto che ne ero la causa.” Concluse e non ci fu più nulla da ribattere.
Colpita e affondata.
“Raggiungi la delegazione, o ti perderai.” La riscosse. Poi si incamminò nella direzione opposta.
“Sicuro che non ti perderai tu?” Gli gridò dietro, tra il lazzo e la reale preoccupazione. Quella scuola era labirintica. Tom non si voltò neppure per risponderle male.
Troppo orgoglioso per ammettere l’eventualità, ho idea.
Si sbrigò a raggiungere il bagliore dell’ultima bacchetta della delegazione, che peraltro si stava allontanando con una certa fretta.
Non fece in tempo a farlo che qualcuno la afferrò nell’ombra e ce la trascinò dentro.

 
 
****
 
Note:


Bastardatona finale! :D
Cercherò di aggiornare il prima possibile – anche se sono entrata in un periodo infernale, detto sessione d’esami E tesi e davvero, non posso promettere niente. Anche se vorrei T_T

Questa la canzone. Guardatevi l’esibizione. Guardate chi canta la strofa di Lily, la ragazza col vestito dorato. Hayley Westenra è praticamente una Lily cresciuta. *_* Tra parentesi la cover del capitolo è proprio presa dal live linkato. ;)  
La versione che invece Sören ricorda mi piace pensare sia questa . Che Elias Prince fosse un babbanofilo? XD
In ogni caso la canzone è una ballata piuttosto antica e soprattutto, vista come una delle canzoni tradizionali dell’Irlanda e Scozia per eccellenza. Qui per info.

1. Direttamente dalla penna della Rowling. Pare che a Durmstrang non vadano d’accordo con l’illuminazione. “…and fires are only lit for magical purposes.” (da Hp Wiki)
2. La citazione, un po’ modificata, è di una frase di Albus Silente: “La musica! Una magia al di là di tutto ciò che facciamo”.   

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Capitolo 52
*** Capitolo XLIX ***


Capitolo XLIX
 

 

Dear my love, haven't you wanted to be with me
And dear my love, haven't you longed to be free
I can't keep pretending that I don't even know you
I've dreamt so long I cannot dream anymore
(Anywhere, Evanescence)
 
 
Norvegia, Durmstrang, ora di cena.
 
Lily pensò che sarebbe morta in quel preciso istante.
Un momento prima stava seguendo la luce dell’ultima bacchetta della coro, quello dopo un maglio di ferro le aveva tappato la bocca e trascinata nell’angolo presumibilmente più appartato dell’intero castello – e ce ne voleva, visto che era tutto buio.
La sua reazione non si fece attendere; tentò di piazzare calci mirati contro le gambe o le parti più sensibili del suo aggressore. Che stranamente non cercò di stordirla o strattonarla per farla smettere. Serrò solo la presa contro la vita. Non sulla bocca.
“Lilian, sono io!”
Avrebbe riconosciuto anche dopo un milione di anni quel tono di voce; basso, accentato e maschile.

Ren!
Si bloccò di colpo. Sentendola calma, Sören la liberò permettendole finalmente di voltarsi. Le torce della sala riverberavano fin lì e vide che era proprio lui. Capelli lunghi, uniforme e quegli occhi scuri che avrebbero mozzato il fiato a qualunque persona, di qualsiasi sesso sulla faccia della terra.
“Cosa…” Inspirò, ritrovando la voce. “… che diavolo ti è saltato in testa, sei impazzito?!” Esclamò sentendo un fiotto di rabbia cancellare il sollievo come un colpo di straccio. “Mi hai spaventata a morte! Pensavo volessero aggredirmi!”
L’altro non rispose, limitandosi a guardare alle sue spalle quasi il vero aggressore dovesse ancora arrivare. “Che ci fai qui?” Le chiese.

Mi ha almeno ascoltata?
Inspirò, intimando al proprio cuore di piantarla di battere come una grancassa. Avrebbe potuto schizzarle fuori dal petto, a quei ritmi. “Sono nel coro. Non mi hai vista?”
“Sì, ti ho vista.” Incrociò per un attimo il suo sguardo, ma subito lo puntò oltre a lei. Ancora. “Questo non risponde alla mia domanda.”

Lily ebbe l’impulso di scrollarlo per le spalle ed intimargli di darle attenzione, che era chiaro che non avesse ascoltato una singola parola di quel che aveva detto.
Non lo fece però, perché a guardarlo non aveva l’aria di uno che poteva esser afferrato senza conseguenze. E aveva visto di cos’era capace.
Sören si stava comportando in modo incomprensibile; non che l’ultima volta che si erano incontrati fosse stato meglio.
Ma almeno mi guardava … Adesso sembra che aspetti che qualcuno ci piombi addosso per farci fuori!
“Faccio parte della delegazione e sono qui perché faccio parte del coro della scuola, come ti ho già detto. Sono una delle soliste, mi hai visto…”
Sören le inchiodò gli occhi addosso, tanto che il tuffo al cuore che sentì era più che altro un’avvisaglia di infarto. “Non è vero. I tuoi genitori ti hanno proibito di venire. Non avresti dovuto prendere il treno, né esibirti.” Il tono era tagliente, diversissimo da quello che aveva sempre usato con lei, gentile e pieno di cura.

Lily sentì un magone, come qualcosa di sgradevole che non riusciva a deglutire. Quella frase era peggio della freddezza di suo fratello, del trattamento del silenzio di Rose e della lettera di suo padre.
Quanto sono scema.
“Io…” Se avesse pianto avrebbe mandato tutto all’aria. Tutto ciò a cui aveva rinunciato e che aveva rovinato per quel viaggio non avrebbe avuto senso.
L’avevi messo in conto che non ti avrebbe accolto a braccia aperte. Lo sapevi.
Allora perché cavolo fa così male?
Sören sembrò accorgersi della sua lotta contro l’emotività e qualcosa mutò nella sua espressione; gli occhi persero quell’orribile durezza e si ammorbidirono, anche se di poco. La bocca continuava a mantenere una piega fredda e nervosa invece.
“Lilian…” Iniziò e non si sbagliava, anche la voce era cambiata. Quando le parlava normalmente perdeva sempre molto del suo accento.
“In realtà mi chiamo Lily.” Le uscì spontaneo e ignorò l’espressione sconcertata che ne conseguì. “Sì, ti ho detto che mi hanno battezzata Lilian e Lily è un diminutivo, ma non è vero. Dico sempre così perché non mi piace il mio nome. Ti ho detto una bugia.”
Sören rimase in silenzio; era evidente che non si aspettasse quella confessione fuori contesto ed aveva ragione. Ma le serviva per riprendere controllo sull’impellente desiderio di scoppiare a piangere.

Funzionò; funzionò perché di colpo realizzò che l’unico modo in cui l’altro poteva sapere della sua non-autorizzazione era aver letto le sue lettere. Quelle che gli aveva mandato dopo il Ballo e che non avevano mai avuto risposta.
Le ha lette.
Non era molto, ma era abbastanza. Batté le palpebre per scacciare gli occhi lucidi. “Ti ho detto una bugia e te ne stavo dicendo un’altra. È vero, non sono qui con il permesso dei miei genitori. Mi sono imbucata.”
L’espressione di Sören sarebbe stata buffa, se non fosse stato serio il contesto. Era puro, semplice smarrimento. “Imbucata? Che significa?”
Doveva ricordarsi che l’altro non era avvezzo ai colloquialismi. “Intendo dire che ho preso il treno nascondendomi nel vagone merci.” Spiegò. “Mi hanno scoperto, ma a quel punto era troppo tardi, perché eravamo in territorio norvegese.”
“La Traccia…”

Lily annuì, sentendosi di momento in momento più forte. Quello che aveva fatto era sbagliato, ma l’aveva fatto bene. Inutile negarlo.
“Starò qua con altri finché non troveranno il modo per rispedirmi in Scozia.” Scrollò le spalle. Avendole nude sentiva un gran freddo, ma poteva ignorarlo, per il momento. “Secondo le mie ricerche però, ci metteranno tempo. Un bel po’.”
Senti Sören inspirare lentamente. Un respiro profondo, quasi dovesse incamerare aria per andare a lungo in apnea.
“… non dovresti essere qui…” Mormorò ed era un tono pieno di controllo, falso quanto le bacchette che vendeva suo zio George. Ormai capiva quando Sören fingeva. “Perché allora?”
Era la domanda campale. Formulata male, ma non poteva aspettarsi molto dalle capacità oratorie dell’amico. Era chiaro non fossero il suo punto di forza.

Quella domanda se l’era aspettata, e si era anche preparata un discorso che avrebbe fatto solo a lui. Un discorso sensato, organizzato, che l’avrebbe convinto che poteva fidarsi di lei e che gli avrebbe fatto realizzare che poteva aiutarlo, qualunque fosse il guaio in cui si era cacciato.
Ma occhi negli occhi – ehi, era romantico, ma anche inevitabile visto che Sören adesso la guardava, eccome – non riuscì a ricordarsene neanche metà. Neanche un quarto. Per niente.
Sentì le guance prendere fuoco e il cuore riprendere la sua sfrenata corsa verso un malore. Si umettò le labbra e racimolò tutta la sfacciataggine che le era rimasta.
“Per te, Ren. Non ti abbandono.”
Che poi, era il succo del discorso.
 
Sören avrebbe voluto urlare. In realtà, no. O forse sì.
Forse sarebbe impazzito perché provare tutte quelle emozioni concentrate in una manciata di secondi non doveva essere sano.
Sentiva rabbia; rabbia perché Lilian – no, anzi Lily – era lì e avrebbe dovuto essere miglia lontana.  
Sentiva paura; perché anche se suo zio voleva Thomas, non significava che quelli che lo circondavano sarebbero stati evitati nel processo di appropriarsene. E lui cosa avrebbe potuto fare per tenerla al sicuro?
E poi c’era qualcosa di ancora più profondo, che gli scuoteva il corpo come una febbre, ma la sensazione non era sgradevole. Era un misto tra esasperazione, nervosismo e la sensazione che aveva provato le poche volte che suo padre l’aveva carezzato, o quando Lily l’aveva preso per mano la prima volta.
E poi quella mano non te l’ha lasciata. Si intende metaforicamente. Anche adesso.
E infine il senso di colpa; quello sommergeva tutto il resto.
Lily era una bambina; una bambina vestita con un meraviglioso abito di festa, che sorrideva ed era felice quando cantava. Sprovveduta, con una famiglia che la amava e una vita perfetta. Stava bene alla luce. Lui invece vi sembrava grottesco.  
“Mi dispiace per averti spaventato, prima.” Iniziò, perché per prendere le distanze si doveva iniziare così. “Volevo solo ribadirti quello che ti ho detto al ballo. Devi starmi lontana.”
Lily non sembrò particolarmente turbata dalla sue parole. Sembrava aver acquistato una nuova sicurezza. Si chiese cosa diavolo gliel’avesse data. Cosa avesse sbagliato.

“Non ha funzionato, ti pare?” Replicò e fece persino un mezzo sorriso. “Senti, rispondi solo ad una domanda.”
“Lily…”
“Mi piace più quando mi chiami Lilian.” Era sfacciata, inopportuna … e ci stava ricascando di nuovo. Avrebbe dovuto metterla in guardia, spaventarla. Invece la stava ascoltando obbediente. “Siamo amici?” Fece persino un passo verso di lui. “È solo una domanda, a tutti è concessa una domanda. Siamo amici, Ren?”

Una domanda infantile. Sciocca, avrebbe detto suo zio. Con la vita che aveva non gli era concesso avere amici. Erano rischiosi, gli amici.
Era bello, avere un’amica.
“Ti sei fatta un’idea sbagliata di me. Pensi…” Perché nessuno gli aveva mai insegnato a gestire quel genere di situazioni? Suo zio non aveva minimamente considerato quell’aspetto. “… pensi di avere come amico una persona che…”
Che non esiste. Che è stata inventata solo per te.

“Che sta qui davanti a me.”
Era esattamente tutto il contrario. Ma non poteva contraddirla, perché farlo avrebbe significato far saltare la copertura.
Sören ritenne che rimanere senza parole era il danno collaterale minore, tutto sommato.
“Ren, sei davanti a me.” Continuò Lily e gli afferrò la mano, dal nulla. Trasalì e si frenò da compiere qualsiasi gesto di difesa. Doveva ricordarsi che Lily non era una minaccia.
Non fisica, almeno.
“Lo so.”  
“Sei la stessa persona che mi portava i libri, che mi dava ripetizioni di Incantesimi e che è diventato il mio cavaliere… Sei Ren.” Gli toccò la base del collo e stavolta Sören non tentò neppure di scostarsi. Si sentiva come uno di quei serpenti indiani, ipnotizzato dal suono di un flauto.
È davvero lei la sola ad essere stata presa in giro?
Direi proprio di no.
 
 
Sören aveva il battito accelerato di chi stava per schizzare via da un momento all’altro, eppure era immobile e la fissava come se fosse l’esatto centro di una voragine. O di uno scrigno del tesoro, non riusciva a decidere.
Avrebbe mentito se avesse detto che non era inquietata. Sentiva che in quel momento teneva un ragazzo tra le sue mani. E non in senso metaforico, malizioso o simili. Letteralmente. Era una sensazione assurdamente nitida.
Sören non era un ragazzo normale; uno che con un paio di fatture Orcovolanti ben piazzate avrebbe potuto allontanare se diventava molesto. L’aveva visto allenarsi, aveva visto la calcolata furia di cui era capace. Avrebbe potuto renderla un mucchietto di polvere con un colpo di bacchetta.
Eppure Lily aveva la sensazione che in quel momento il potere, trai due, l’avesse lei. Il che era dannatamente bizzarro.
Aveva quindici anni, in pochi mesi ne avrebbe avuti sedici, e gli unici ragazzi che aveva conosciuto era innocui, ormonali, scemi.
Non erano Sören. Forse, in effetti, era proprio quello il punto focale dell’intera faccenda.
Poi l’universo – insomma, loro in quel momento – si mosse tutto assieme. Sören la spinse e poi venne il freddo del muro di pietra.
Lily non tentò neanche di divincolarsi. In realtà, non aveva la più pallida idea di cosa fare.

Cosa… che fa?
Sentì i capelli dell’altro sfiorarle le guance. La sua altezza era sotto la media dei ragazzi che conosceva, ma comunque era più alto di lei e le toccava con la guancia la fronte. Aveva una peluria leggera, morbida. Non gli aveva mai visto un filo di barba addosso. Forse non gli cresceva.
Era… strano. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo ad averlo così vicino, eppure, non sapeva come, aveva la certezza che non ci fosse niente che preludeva a baci o cose del genere.
Era come quando l’aveva afferrata in bagno – anche se meno doloroso, in effetti.
Era una versione tutta sbagliata di un abbraccio.
“Sì… siamo amici.”
Fu poco più che un sussurro. Sembrava la voce di un bambino che aveva paura di dire ad alta voce la forma che pensava avrebbe preso il suo Molliccio.  
“Ren…” Gli sfiorò la guancia con le dita. Era bollente come al solito; sembrava avesse la febbre. “… Ren, che succede? In che guaio ti sei cacciato?”
Sören a quella domanda – che poi era quella vera, quella che voleva fargli da sempre – si irrigidì di botto. Si scostò, facendo un intero passo indietro. “Sai tornare al tuo dormitorio?”  
Lily annuì frastornata da quel repentino cambio di situazione. “Sì, credo… credo di sì.” Esitò. “Non è che ora sparisci di nuovo?”
Per quello che ho detto? Voglio solo aiutarti, accidenti!
Sören non mutò espressione. Si era chiuso di nuovo in quel suo guscio irraggiungibile. Solo che non c’era più tanta gentilezza attorno. “È Durmstrang. Non sparirò.” Replicò. “Torna al tuo dormitorio. È quasi ora di cena.” Non aspettò che lo salutasse e marciò via.
Lily si accorse improvvisamente di avere un gran freddo. Non voleva pensare, processare in quel momento ciò che era accaduto.
In effetti non sapeva che pensare.
Tornò indietro, verso le luci della sala e in dirittura del loro dormitorio.
Non si accorse minimamente di chi era dietro le porte da cui filtrava la luce.
 
 
****
 
Germania, Bassa Sassonia.
 
“Conrad Blecher?”
L’uomo si congelò nell’atto di infilare in una valigetta una pila di documenti.
Harry non sorrise, anche se il ghigno divertito che gli tendeva le labbra premeva per uscire. Ma non era professionale.

Conrad Blecher era il factotum della famiglia Luzhin; colui che al momento mandava avanti l’azienda nell’attesa che i coniugi tornassero. Colui che aveva risposto evasivamente alle domande di Ron, colui che aveva dato loro accesso a documenti sì, ma superficiali.
Colui che qualcosa sapeva, ma che aveva preferito non dire.
Lo sguardo dell’uomo, sulla tarda quarantina, saltò da lui, all’uniforme e il fodero della bacchetta fino alla porta. “Wer sind Sie?” Esclamò tra lo spavento e l’oltraggio.
Ron entrò in quel momento seguito da Nora.
“Buonasera.” Sorrise il suo vecchio amico, di quei sorrisi che non avevano niente di amichevole e molto di minaccioso. Lanciò un’occhiata alla ventiquattro ore di pelle. “Non disturbiamo, spero.”
Il mago si umettò le labbra. Sembrava oscillare tra il nervosismo e l’irritazione per essere stato colto con le mani nel sacco.

Il sacco di chi se la dà a gambe. Appena in tempo.
I permessi di indagine erano arrivati quella sera, a cena. Un Gufo da parte di Nora li aveva subito fatti correre all’Ufficio Passaporte. Per una volta né Ginny né Hermione si erano lamentate del pasto saltato. Ginny l’aveva addirittura aiutato a mettersi il mantello.
“Chi siete?” Disse il mago, stavolta in un inglese passabile.
“Sergente Auror Ronald Weasley, Sergente Gillespie… e Harry Potter.” Snocciolò Ron. Nora si chiuse con delicatezza la porta alle spalle.
“Harry Potter…” L’uomo sembrò sgonfiarsi come un palloncino. Ad Harry non piaceva vedere come il suo nome facesse ancora effetto sulle persone. Quella volta ne fu soddisfatto.
“Pensavo di aver risposto alle vostre domande.” Borbottò, abbandonando la valigetta e lisciandosi nervosamente le falde del mantello. “Vi ho detto tutto ciò che so sui miei datori di lavoro.”
“Ancora nessun piano di lavoro?” Spiò Ron allungandosi sulla sedia di fronte alla scrivania, pigramente, quasi dovesse riposarsi per un lungo viaggio. Lungo non era stato, ma faticoso eccome; la Passaporta Continentale per Hannover li aveva lasciato nauseati e frastornati.

Ci sono ottimi motivi per non abbandonare la nostra gloriosa nazione…
L’uomo ebbe uno scatto nervoso. Un ridicolo scatto verso la valigetta e un’occhiata verso la porta. Harry con la coda dell’occhio notò che Nora vi si appoggiò contro, bloccandola.
“Si sieda, Herr Blecher. Gli Auror hanno ancora qualche domanda per lei.” Disse in tono calmo, ma talmente ferreo che ebbe l’effetto di un ordine. Il mago infatti si sedette dietro la scrivania, slacciandosi il panciotto con un sospiro. Aveva cominciato a sudare.
Se c’è una cosa che ho capito della Thule, è che non prende manodopera stupida. Gli stupidi sono materiale, piuttosto. Lui sembra proprio fatto di quel materiale.
“Va bene…” Prese la pipa dall’interno della giacca e cominciò a caricarla. “Va bene, sono sempre a disposizione delle forze di polizia magica. È mio dovere di cittadino del mio Ministero.” Fece un sorrisetto esile. “In cosa posso aiutarvi?”
“I Luzhin l’hanno contattata dalla nostra ultima conversazione?” Chiese Ron; l’amico aveva saltato la cena, un pasto vitale per lui – ma quale non  lo era? – solo per buttarsi un mantello addosso ed essere sparato su suolo germanico. Harry sapeva che era preoccupato quanto lui. Anzi, forse di più; Ron aveva un senso della famiglia che rasentava la devozione che un soldato babbano avrebbe avuto per la propria Patria. L’idea che Lily o Rose, o Albus fossero nei guai riusciva persino a fargli bypassare i suoi istinti più atavici.

“No, no… nessun contatto.” Scosse la testa il mago. “Ve l’ho detto, l’ultima volta che li ho sentiti, tramite Camino, era Settembre. I primi di Settembre.” Specificò. “Hanno lasciato un piano di lavoro dettagliato, a cui ci siamo attenuti scrupolosamente… Herr Luzhin mi aveva detto che si sarebbe messo in contatto con me per metà Novembre, ma non l’ha mai fatto.”
“E non si è preoccupato?”
L’uomo schioccò le labbra, tirando una boccata di fumo. “Ve l’ho già detto. È già capitato che Herr Frederick e sua moglie si rendessero non rintracciabili. Quando sono in Asia non hanno le stesse possibilità di comunicazione che abbiamo qui in Europa. È già tanto se si trova un camino funzionante ogni dieci villaggi di maghi. È per questo che vogliamo arrivare in quelle zone.” Scosse la testa. “Non ci siamo allarmati perché era già successo.”
“Per così tanto tempo?”
L’uomo scoccò loro un’occhiata. “No.” Ammise lentamente.  

Nora si staccò dalla porta, affiancandosi alla poltrona di Ron. Harry sapeva che avrebbe dovuto sedersi, ma non ci riusciva. Bruciava dal desiderio intenso di afferrare quel tipo per il bavero del mantello e scrollarlo fino a farlo confessare.
Qualsiasi cosa.
La donna dovette accorgersi del suo stato d’animo, perché gli rivolse un sorriso comprensivo.
Sì, so di essere irragionevole. So che come capoufficio e ormai imbratta-carte non dovrei neppure essere qui.
Al diavolo.
“Sören…” Ed ecco di nuovo quel fremere nervoso nella labbra del factotum. Stavolta non se l’era immaginato, c’era stato davvero. “… Sören, il figlio. È il Campione di Durmstrang. Concorre per il Torneo Tremaghi … è un onore non privo di rischi.”
“Conosco il Torneo.” Commentò secco l’uomo. “Siamo tutti molto orgogliosi di lui.”
“E i genitori?” Incalzò Ron. “Sono tanto orgogliosi da essersene dimenticati?”
“No!” Esclamò quasi saltando sulla sedia. Era una molla carica, notò Harry. Ma c’era sincera indignazione nel suo tono. E paura. “Lei non…”
“Ci spieghi, Conrad.” Disse con il suo miglior tono calmo. “Perché ci sono punti in questa storia che ci rendono perplessi.”
“Le vostre finanze per esempio.” Esordì Ron. “L’anno scorso l’azienda era sull’orlo del lastrico, destinata a chiudere. Adesso sembra essere tornata sulla breccia, tanto che pensate di espandere il vostro mercato in Asia. I conti non tornano… un benefattore, forse?” Chiese mentre l’uomo perdeva velocemente colore. “Magari canadese?”
“Come…”
“Abbiamo controllato, Signor Blecher.” Si inserì Nora. “E abbiamo notato l’incongruenza. Com’è possibile ricevere un’iniezione di liquidi da un’azienda che coltiva in serra Fiori Volanti quando l’azienda in questione non ha mai avuto rapporti con voi prima di allora?”

“È stata…” Altra boccata. “… è stata un’idea di Herr Frederick. Ci hanno finanziato ricerche di mercato per…”
“Sulla fiducia? Ad un’azienda in perdita.” Ron inarcò le sopracciglia, con un’aria magistralmente stupefatta. “La cosa davvero strana, Signor Blecher, è che l’azienda benefattrice risulta… Com’è che dite voi americani, Nora?”
“Fittizia.” Rispose la strega con un lieve sorriso. “Non esiste nessun’azienda canadese. Però i soldi sono stati versati.”
“La domanda è da chi, Conrad?”

Il mago aveva le mani che tremavano. Harry lo registrò quando la pipa gli scivolò dalle mani e dovette riacchiapparla al volo prima che rovesciasse tabacco su tutto il tavolo. Non era nervoso, era terrorizzato. “Non ne ho idea. È stata un’idea di Herr Luzhin…” Ripeté meccanicamente. “Ha molti contatti all’estero, viaggia molto. Io mi occupo delle vendite all’ingrosso in Germania, di mandare avanti l’azienda quando lui è in viaggio. Di cercare nuovi portafogli clienti e cose del genere se ne occupa il padrone.”
Sta mentendo.
Harry non era arrivato ad esser a capo dell’Ufficio Auror solo per la sua vecchia cicatrice. Non era un Legimante, non avrebbe mai padroneggiato un ramo simile della Magia – Piton gli aveva reso dolorosamente chiaro quanto fosse negato. Ma si poteva scoprire molto anche solo osservando.
“La Thule.” Lasciò cadere quelle tre sillabe come se scaricasse un peso gravoso. Blecher congelò all’istante. “Ne ha mai sentito parlare?”

“No…” Sussurrò. “… cioè, sì. Come tutti… è quella setta, no? Sui giornali. Ne ho letto sui giornali, come chiunque.” Borbottò.
Harry si lanciò un’occhiata con Ron. “Lei ha frequentato Durmstrang, vero?”
“Sì, cosa c’entra questo?” Spiò il mago sconcertato da quell’improvvisa diversione.

“Negli stessi anni del Signor Luzhin?”
“No, ero qualche anno più avanti.” Scosse la testa. “Cinque per la precisione.”

Ron gli lanciò una seconda occhiata; era un azzardo. Non c’era nulla, sulla carta, che collegasse il factotum alla Thule o a Alberich Von Hohenheim. Conrad Blecher era un purosangue di una famiglia relativamente poco agiata, un ramo cadetto dei Luzhin. Lui e il Capofamiglia erano cugini alla vicina, e questo doveva essere uno dei motivi principali del suo impiego. Una persona come Hohenheim, influente e dominante, difficilmente si sarebbe avvicinato ad uno come Blecher, un mago che si poteva tranquillamente definire di seconda mano.
A meno che non ci sia stato un periodo della loro vita in cui erano pari.  
C’era una cosa che collegava Von Hohenheim all’uomo di fronte a loro.
Sono coetanei. Entrambi allievi a Durmstrang. Gli schedari di quella maledetta scuola sono accessibili quanto la Gringott, l’abbiamo visto con Sören, ma si può sempre fare un tentativo alla cieca…
Diede un lieve cenno d’assenso a Ron.
“Ha frequentato l’Istituto negli stessi anni in cui l’ha frequentata il loro leader, o uomo di facciata, che dir si voglia.” Disse Ron. “Mi sembra strano che non l’abbia conosciuto. Alberich Von Hohenheim?”
La reazione non si fece attendere. Blecher come Occlumante sarebbe stato una frana totale, perché l’espressione di panico che gli spuntò in viso era inequivocabile.
Eccolo qua, il collegamento trai Luzhin e Von Hohenheim.
“Non… non ricordo. Può essere.” Mormorò con una cautela del tutto inutile. Scrollò la cenere della pipa un’altra volta, anche se il caricatore era vuoto. “Nel nostro anno non eravamo pochi, non abbiamo Case che ci dividono come da voi… eravamo divisi per anno, in dormitori misti.” Continuò tentando di montare una storia il più rapidamente possibile.
Harry ne aveva abbastanza di stare ascoltare chiacchiere sterili. Si avvicinò in una falcata e sbatté la mano sul tavolo, con forza, abbassandosi all’altezza dell’uomo. Quello sussultò come se gli fosse esploso un incantesimo sotto il fondoschiena. “Blecher, se volessi sentire una storia di fantasia ascolterei la radio. Voglio la verità.”
“Sto…”
“Possiamo fare un controllo e vedere se soggiornavate nello stesso dormitorio.” Si inserì Nora; forse stava bluffando, anzi quasi sicuramente. Ma il tedesco non poteva saperlo. “Non ci vorrà molto.”
“Blecher, fai un favore alla nostra pazienza e al tuo sedere.” Sbottò Ron. “Dicci quel che sai.”

L’uomo fece un ultimo disperato tentativo di guardare la porta, ma questa era saldamente ostruita da Nora. E di fronte, aveva la mole fulva di un inglese di nome Ron Weasley.
Si passò le mani sul viso, sfregandole. “Io… sì. Lo conosco. Conoscevo.” Rettificò con un filo di voce. “È stato tanto tempo fa, eravamo ragazzi. Erano solo incontri… un gruppo di studio. Se stava organizzando la sua … associazione…”Esitò sulle parole, ma poi continuò. “… io non ne sapevo nulla.” Non tolse le dita dagli occhi, premendole appena. “Alberich era un tipo a cui davi retta. Da stimare, uno di quegli studenti portati in palmo di mano. Aveva quel modo di parlare che subito… beh, ti ritenevi fortunato che ti rivolgesse la parola, specie se eri una persona da nulla come me, uno che non portava neppure l’anello.”
Harry guardò confuso Ron, che sospirò. “Nobiltà cadetta.” Spiegò. “Non hanno il diritto di portare l’anello col blasone di famiglia.” Scrollò le spalle, con l’aria di chi la riteneva una grande cavolata.

“Siete rimasti in contatto durante questi anni?” Chiese Harry e il mago ridacchiò come se avesse sentito qualcosa di molto divertente. Tolse le mani dal viso e prese a caricare di nuovo la pipa.
“No, Alberich non era precisamente un tipo da rimpatriate, se capite cosa intendo.” Fece un mezzo sorriso. Harry notò che aveva smesso di tremare. Per quanto fosse ancora pallido e nervoso, sembrava meno spaventato.
Scaricarsi la coscienza fa questo effetto.
Lo pensò con rabbia sorda, ma cedere ai propri sentimenti sarebbe stato contro produttivo a quel punto dell’interrogatorio.
“Quindi come siete tornati in contatto?”
“Un anno fa, circa… l’azienda navigava in cattive acque. Pessime, a dirla tutta.” Fece una smorfia, seguita da un tiro di pipa. “Il padrone e sua moglie mi chiesero consiglio. Mi chiesero se conoscevo qualcuno che poteva aiutarli.” Fece una breve pausa. “La verità è che è stato lui a cercarmi.” Inspirò. “Non ho idea di come abbia fatto, ma non me ne stupisco. Uno come Alberich ha orecchie e occhi ovunque.”

Harry non disse nulla, processando le informazioni; Hohenheim non era il solito nemico che si ergeva solo, con una corte di devoti sottoposti a danzargli attorno come burattini. Era chiaro che la sua organizzazione funzionasse indipendentemente dai limiti che poteva avere in quanto persona. Lui, semplicemente, la usava.
Una famiglia a rischio rovina. Un ragazzo coetaneo di Tom. Un infiltrato perfetto.
Ma solo un ragazzo… com’è possibile che abbiano scelto un adolescente come spia?
Certo, a quanto gli aveva detto Nora la Thule sceglieva adepti giovani, la cui personalità in formazione si adattava benissimo ad essere plasmata.
Ma il ragazzo, facendo i conti, è stato contattato meno di un anno fa. È poco tempo per un’operazione così delicata. Dissennatori, infiltrarsi…
Dato il modus operandi della Thule gli sembrava insolitamente incauto.
“Io ho solo fatto da intermediario.” Continuò il mago. “Herr Luzhin ha voluto fare tutto da solo… mi sono soltanto limitato a ritirare una lettera nella taverna in cui vado di solito.”
“Una lettera?”
L’uomo si chinò ad aprire un cassetto basso nella scrivania. Harry vide Ron e Nora portarsi la mano destra alla cintura, ma poi il mago tornò su e gli porse una lettera la cui ceralacca era stata già strappata. “Il padrone mi ha chiesto di conservarla. Per sicurezza.” Spiegò. “Gli è stata recapitata da… beh, lui.”

Harry lesse. Era un indirizzo. Ad una sua occhiata interrogativa l’altro chiarì. “È un indirizzo qui ad Hannover, nel nostro quartiere magico. È esolo un numero civico in mezzo ad una strada. Una casa abbandonata. È lì che Herr Luzhin deve essersi incontrato con Von Hohenheim.”
O più probabilmente con un suo tirapiedi.

“Non so come si siano svolte le cose dopo, cosa abbia comportato accettare quei soldi. Non credo sia stata beneficienza.” Disse Blecher, con una smorfia amara. “So solo che verso Settembre sono partiti per l’Asia e da allora…” Tacque e un’ombra gli passò nello sguardo. “Avevo avvertito Herr Frederick… gli avevo detto che ogni cosa ha un suo prezzo, e che tutti questi galeoni ci avrebbero salvato, sì, ma erano… troppi.” Sussurrò chiudendo gli occhi per un attimo. “Ogni cosa ha un suo prezzo.”
“Dove sono adesso i Luzhin, Blecher?” Chiese Ron, e dall’espressione che Harry gli vide era chiaro avesse già la risposta.

“Non lo so. Non so se la loro sparizione c’entri con Alberich o con la Thule.” Sembrava sincero e Harry pensò che neppure il migliore Veritaserum avrebbe potuto fargli avere quell’espressione di disarmata angoscia.  Ron lanciò un’occhiata alla ventiquattro ore e alla piccola cassaforte alle spalle del mago.
“È per questo che stava scappando?”
Il tedesco serrò appena le labbra. “Cosa vi aspettate che facessi? L’azienda è stata tutta la mia vita, ma visti i presupposti, visto che persino degli Auror inglesi sono venuti a farmi domande… credevo fosse meglio sparire per un po’. E di mia spontanea volontà.”
“E Sören?” Spiò Harry; per quanto quel ragazzo fosse una possibile minaccia, era pur sempre una vittima.
È stato offerto dai suoi genitori a Hohenheim per salvare l’azienda.
Sentiva la rabbia che sobbolliva, e non era scattato solo grazie alla mole spaventosa di tensione che aveva dovuto processare durante tutta la sua infanzia.
Ragazzini. Questa è una maledetta guerra tra ragazzini.
“È a Durmstrang.” Rispose l’uomo ottusamente. “È il Campione del Tremaghi.”
“Non ha pensato che possa essere stato coinvolto?”
“Sören?” L’uomo apparve sconcertato all’idea. “Per quale motivo?”

Harry si scambiò un’occhiata con Ron e Nora; la reazione dava da pensare, ma poteva essere comprensibile alla luce di un uomo che non aveva idea come funzionassero le strategie di Von Hohenheim.
“Si è tenuto in contatto con lui?”
“No… non abbiamo corrispondenza.” Scrollò le spalle. “Sono solo il factotum dell’azienda. Se avesse bisogno di qualcosa certo, mi manderebbe un Gufo, ma fin’ora non è mai successo.”

“E non è mai tornato a casa?”
Blecher scosse la testa. “No, è andato direttamente all’Istituto.”

“E non l’ha trovato strano?”
Il mago aggrottò le sopracciglia. “È da anni che non lo vedo, da quando è entrato all’Istituto. Non viene mai ad Hannover, passa le vacanze in Baviera. La famiglia di sua madre ha una casa sul lago Chiemsee¹.” Si mosse sulla sedia. “Gli è successo qualcosa?”
Harry improvvisamente ricordò una cosa che gli aveva detto Tom.
Potrebbe anche non essere il vero Luzhin… Potrebbe anche avergli rubato l’identità.

Lì per lì non gli aveva data molta udienza; era infatti impossibile che un altro ragazzo si fosse sostituito al Luzhin originale. C’era un’intera scuola che l’avrebbe smascherato immediatamente.
Però… abbiamo la magia. E la magia risolve molte incongruenze.
“Nessuno dell’azienda lo vede da quando ha undici anni, è esatto?”
L’uomo esitò. “Beh, di persona. Ho visto le sue foto sul giornale.”
“L’ha trovato cambiato?”

Era cosciente del fatto che Ron e Nora lo stessero guardando perplessi, ma gli si stava formando un’idea in testa. Un’idea che gli dava i brividi, ma che partiva proprio da quella serie di opportune coincidenze.
Un ragazzo che nessuno ad Hannover o nell’azienda di famiglia ricorda. Un ragazzo che non torna a casa da anni, che è sempre rimasto chiuso in una scuola Intracciabile.
“Com’è naturale direi, tutti cambiano in sette anni.”
Si limitò ad un cenno d’assenso, lasciando che Ron continuasse nell’interrogatorio.
C’era assoluto bisogno di trovare i genitori di Sören Luzhin; gli unici, a quanto pare, capace di dirgli se suo figlio fosse stato sostituito.
 
****
 
Norvegia, Durmstrang. Notte.
 
Rose stava cercando di trovare la posizione adatta per dormire.
Era stata una giornata densissima di avvenimenti e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era passare la notte in bianco.

Non che dipendesse da lei; trovarsi in un ambiente così distante dal silenzio delle foreste della Scozia, era disagiante. Era inquietante sentire quel continuo mugghio, quasi una bestia della favole soffiasse sulle mura del castello.
Aprì gli occhi, sbarrandoli nel buio della camerata. Le imposte erano state chiuse e da esse non filtrava luce.  
Di colpo notò qualcosa di improbabile. C’era una luce. Una luce che filtrava dalla porta della stanza, da sotto. Sembrava la luce di una candela o di una lanterna. Era intermittente.
Sembra quasi… non è possibile. Sembra codice morse!
Conosceva quel particolare codice grazie ad una passione tutta personale di Hugo per i linguaggi cifrati; aveva passato notti intere a giocare con il fratello nel loro grande appartamento di Mayfair, a lanciarsi segnali con le torce – o si chiamavano pile?  

Dubitava però che qualcuno dei suoi compagni conoscesse quel codice.
Anche se…
C’era una persona a cui l’aveva insegnato per comunicare durante le noiose lezioni del professor Rüf. Che poi era la stessa persona che stava facendo quei segnali luminosi, dato che a decifrarli, veniva fuori un nome.
Scorpius.
Si alzò dal letto, infilandosi la vestaglia e afferrando la bacchetta sul comodino. Si appoggiò alla porta chiusa. “Ehi, sei tu?”
“Ehi.” Gli rispose la voce familiare del suo ragazzo. “In persona, fiorellino. Dormivi?”
“Certo, come no.” Ironizzò. “Tu?”
“C’è uno del coro che russa come una grancassa. È tremendo.” Sospirò. “Posso entrare?”
Rose guardò alle sue spalle; sentiva i respiri pesanti delle ragazze addormentate. Anche Lily era crollata, anche se aveva passato buona parte del post-buonanotte a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati. Non era un sonno pesante, però, ne era sicura, con la sicurezza di sette anni passati a dormire in compagnia altrui.  

“Meglio di no… Alcune potrebbero avere una sincope a vedersi un maschio a pochi centimetri dal letto.”
“Primine.” Sbuffò il ragazzo. “Allora vieni tu?”
“In una camerata di ragazzi? Scordatelo. Ho già passato esperienze olfattive oltre il tollerabile in quella di Grifondoro.”
“No, intendevo… in un posto.” Il tono si fece vago. “Qui in giro.”

A Rose sovvenne un pensiero. “Da quant’è che sei in giro?” Sospettava che James gli avesse passato alcune deprecabili abitudini. Prima tra tutte, le passeggiate notturne. 
“Svariato tempo.” Fu la replica sibillina. “Mi apri? O dobbiamo sussurrarci come amanti clandestini? Pensavo avessimo passato questa fase.”
Rose ridacchiò, stringendosi la cintura della vestaglia ed infilandosi la bacchetta in una delle tasche. Aprì la porta con tutta la cura possibile e se lo trovò di fronte, bardato di mantello e lanterna.
“Una lanterna, sul serio?”  

“Un uccellino mi ha detto che se qui accendi un lumos è come mettere una freccia enorme e luminosa sopra la tua testa.”
Rose batté le palpebre, stupefatta. “Rilevano…”
“Già.” Confermò con un mezzo sorriso. “E non vogliamo che qualcuno ci scopra in una scuola straniera dopo il coprifuoco, vero fiorellino?” Ghignò e Rose non poté non pensare che quell’espressione le faceva venire le farfalle allo stomaco.

Sempre fatta. Prima però le scambiavo per irritazione. Faccia da schiaffi Malfoy.
Inarcò le sopracciglia, perché dargliela vinta al primo round sarebbe stato controproducente per il loro rapporto. E poco divertente, anche. “Cosa ti fa pensare che ti venga dietro senza colpo ferire?”
Scorpius batté le palpebre. “Il tuo amore imperituro?”
“Ritenta, sarai più fortunato.”
Il ragazzo si grattò una guancia, poi squadernò un gran sorriso. “La tua curiosità vorace. Ehi, siamo a Nord. Facciamo i turisti!”

“Malfoy, sii comprensibile.”
“Non è divertente.” Scrollò le spalle come se fosse una spiegazione del tutto sensata. “Dai, fidati. Ti porto in un bel posto.  Prendi il mantello e mettiti gli stivali da viaggio.”
Rose inspirò. “Io… credo che potrebbe essere pericoloso. Non siamo ad Hogwarts.”

Quella scuola le dava i brividi..
Persino Dominique, che facendo parte della delegazione francese era arrivata il giorno prima, si era espressa in termini simili.
Beh, più o meno. Alla Domi, insomma.
 
“’Sti tipi sono simpatici come un dente di drago su per il culo.” Aveva chiosato scivolandole accanto alla fine del pasto. Il tavolo di Beaux-Batons era accanto al loro e il passaggio era stato notato solo dalla Parkinson-Goyle che aveva fatto finta di guardare dall’altra parte. Come al solito.
“Domi!”
“Beh? È vero. Prova a parlare con uno di loro. O fingono di non capirti o mettono su la commedia del soldatino. Non son contenti di averci qui, parola mia.”

Scorpius sbuffò. “Ti sei fatta influenzare da Dursley. È un accademia, non una prigione.”
Rose sospirò. “Solo un giro veloce.”
“Promesso.”
Dopotutto non era vera vacanza, per il suo sangue Weasley, se non c’era un’avventura di mezzo.

 
Si fece guidare dalla mano di Scorpius, e la luce della lanterna che ondeggiava a pochi passi da lei era l’unica cosa che vide durante tutto il tragitto. Di Durmstrang, tornata a casa, avrebbe descritto soprattutto il buio.
Sperava non fosse perenne, che perlomeno la mattina il sole sorgesse.
Salirono delle ripidissime scale, scivolose e ghiacciate; il cambio di temperatura si fece sentire di colpo. “Scorpius…”
“Stiamo uscendo sul tetto, copriti bene.” Le consigliò, voltandosi e regalandole un sorriso che la fece desistere da ulteriori obiezioni. Era quel maledetto sorriso da Raggio di Sole che le aveva fatto voltare le spalle alla forma mentis di suo padre e metà della famiglia.

Le avrebbe fatto anche percorrere delle maledette scalette gelide.
Sentì una porta cigolare sopra le loro teste; era una botola. Si chiese come Scorpius la conoscesse, ma poi lasciò perdere. Non c’erano limiti alle informazioni che quella testa matta riusciva ad ottenere dalla sua famiglia o da Zabini e Nott.  
“Chiudi gli occhi.”
“Mi ammazzerò su queste scale!”
“Ti tengo per mano, non ti romperai niente. Weasley malfidata.”
“Detto da quello che di cognome fa Malfoy.” Replicò sentendolo ridacchiare. Perché sì, nel mentre gli occhi li aveva chiusi sul serio. Sentì la forte morsa gelida del freddo e poi mosse qualche passo su una superficie liscia, grossi quadratoni di pietra, pavimento; erano usciti. Scorpius la aiutò a compiere i restanti passi verso qualcosa. Sperava non verso un’altezza sconsiderata perché non aveva simpatia per le voragini aperte nel vuoto.
“Okay, apri gli occhi.”
Rose lì aprì e, come la volta in cui l’aveva fatta salire su una scopa per sorvolare la Foresta Proibita, si sentì mozzare il fiato. Il cielo non era cupo e scuro come si sarebbe aspettata. Era anzi luminoso come il giorno, in mille rifrazioni di colore che si muovevano come onde sinuose nell’atmosfera.

“Aurora boreale…” Sussurrò.
“Da queste parti si vede.” Confermò affiancandolesi. “Me ne aveva parlato mia madre tempo fa. Tenuto a mente.” Si picchiettò la fronte. “Come dico spesso, fiorellino, a volte bisogna vedere le cose da una diversa prospettiva. Durmstrang non è orribile. È solo diversa.”
Rose distolse lo sguardo dallo spettacolo naturale per fissarlo sul suo, di spettacolo personale; Scorpius aveva fiutato la sua angoscia. E come sempre, aveva fatto la mossa giusta.

Lo abbracciò stretto, grata e innamorata. Erano cose che andavano piuttosto bene a braccetto.
“Non c’è di che.” Indovinò Scorpius baciandole i capelli. “Non ti sei innamorata di un cretino, sai?”
“Sì, invece.” Alla sua espressione offesa rise, baciandolo. “Ma sei un cretino fantastico.”

Scorpius assunse un’espressione riflessiva. “Posso sposarti, un giorno, Rosie?”
Rose inspirò bruscamente, perché se sarebbe morta d’infarto, un giorno, sarebbe stata colpa di quel bislacco, pazzo biondo. “… direi di sì. È una proposta?”
Scorpius le prese il viso tra le mani. “Puoi contarci. Lo giuro su questo milione di particelle luminose. Un giorno, Weasley, io ti sposo.”
Rose diede un’occhiata all’aurora. “Beh, allora dov’è il mio anello?” Scherzò. Intercettò l’improvviso accendersi dello sguardo dell’altro.
… Oh.
“Sì, ho pensato anche a questo.”
 
 
“Svegliati.”
“Mh?”
Albus rotolò sullo stomaco, sentendo la mano di Tom scuoterlo con una certa urgenza. D’istinto afferrò la bacchetta sul comodino, cercando di mettere a fuoco la situazione. “Che succede?”
“Niente che richieda una bacchetta.” Lo tranquillizzò. Riusciva a vedere nel buio l’ombra del suo profilo e persino il vago disegno deprimente della t-shirt elettiva di quella sera.

“Sì, ma … è già ora di alzarsi?” Intravedeva un lieve lucore alle imposte della finestra.
Se è questa tutta la luce che avremo…
“No, è notte. Vieni a vedere una cosa.” Lo incitò e Al, remissivo come solo il rincoglionimento gli permetteva, si trascinò infreddolito fino alla finestra. E spalancò gli occhi di colpo.
Non aveva la minima idea di cosa fossero quelle scie di luce verdi che lampeggiavano nel cielo notturno. Incantesimi? Troppo brillanti e continuate.  Lanciò un’occhiata preoccupata a Tom, ma vide che l’altro sorrideva divertito.
“Non è magia. Si chiama aurora polare, o boreale. È un’illusione ottica causata dall'interazione di particelle di origine solare con l’atmosfera terrestre. È un fenomeno naturale.” Gli spiegò. “Siamo alla latitudine giusta per apprezzarla al meglio.”

Al capì solo metà dei termini che l’altro snocciolò. Si limitò ad apprezzarla al meglio. Era uno spettacolo che neppure nel Mondo Magico aveva uguali, e sì che di luci e colori loro ne erano pieni.
“La possono vedere anche i babbani?”
Tom inarcò le sopracciglia. “Fenomeno naturale, ho detto.”
Al arrossì. Si era chiesto, durante il viaggio, quale sarebbe stata la sua utilità in tutta quella faccenda una volta arrivati a Durmstrang. Non per la delegazione, ma per Thomas. Era bravo con le erbe, e con gli incantesimi curativi. Ma non sapeva nulla di duelli e a quanto pare, della maggior parte delle cose del mondo. Quell’Hohenheim invece sembrava un pozzo di conoscenza, se aveva reso Tom chi era.

“Un'altra prova della mia ignoranza.” Ironizzò incrociando le braccia al petto, reprimendo un brivido.
“Non sei ignorante, sei nato mago.” Aggrottò le sopracciglia alla parola, ma la ritenne valida, perché continuò. “Sei settoriale.”  
Tom aveva l’aria di qualcuno che non era riuscito a chiudere occhio, neppure per riposarsi.
Quindi ha trovato una scusa per svegliarmi. Non è romantico? Beh, è Tom. Va bene così.
“È molto bella, ma io ho freddo.” Si voltò verso di lui. “Se non vuoi che torni a letto e dorma forse dovresti ovviare al problema.”
L’altro lo guardò attentamente, poi fece un mezzo sorriso. Lo abbracciò passandogli le mani ancora calde di letto lungo le spalle e le braccia, fermandosi sulla vita. Erano quello che qualcuno avrebbe chiamato ‘coccole’, ma non il suo spigoloso ragazzo; aborriva quella parola come se fosse una tremenda maledizione arcaica.
Gli appoggiò la guancia sulla spalla, baciandola e ispirando il leggero profumo di cotone e dentifricio. “Andrà meglio domani.” Gli promise e si promise. Forse non era un duellante abile, né un eroe da prima ora. Forse era quello il suo compito. Non esserlo. “Domani, andrà molto meglio.”
Tom non rispose ma strinse la presa.

Sì, eccolo qui il mio compito – pensò lanciando un’occhiata a quell’aurora, che illuminava di verde e azzurro la loro prima notte a Durmstrang.
 
 
****
 
Note:

Questa la canzone. Non mi ricordo neanche di che album sia, ma la adoro.

1.Il Chiemsee, detto anche bayerisches Meer, cioè mare bavarese, è il più grande lago della Baviera e, dopo il lago di Costanza ed il Müritz, è il terzo lago della Germania per estensione. (da Wikipedia)
 
Spero di riuscire ad aggiornare in tempi brevi, ma come sapete, non posso promettere niente.
Un grazie fantastilioso a tutte le ragazze di facebook. Ricordo ancora che per chi mi vuole contattare o avere informazioni sui capitoli, nel mio profilo c’è anche il bottone facebook. Chiedetemi l’amicizia, solo specificate chi siete^^
A presto! – spero, sigh.

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Capitolo 53
*** Capitolo L ***


Capitolo L

 
 


Per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare,
ricominciare da capo e buttare via tutto
e di nuovo ricominciare e lottare e perdere eternamente.
La calma è una vigliaccheria dell'anima.
 (Lev Tolstoj)
 
 
7 Gennaio 2023
Norvegia, Durmstrang.
Mattina.

Quella mattina Durmstrang aveva un aspetto decisamente migliore.

Svegliarsi con il sole era stata una piacevole sorpresa; Albus appena alzato aveva chiesto a Thomas – che già vestito e pulito divorava un libro alla finestra - se fosse un fenomeno certo, di tutti i giorni. Voleva rassicurazioni. Gli era stata scoccata un’occhiata che l’aveva qualificato come il geograficamente più ignorante di quella stanza.
Lui e le sue stupide scuole primarie babbane. Ma non erano i paesi del Nord ad avere meno luce?
Tom poi, mentre lui cercava di aver ragione della sua inestricabile massa di capelli mattutina, gli aveva spiegato che si trovavano alla stessa latitudine di Hogwarts e quindi le famosi notti perenni non erano cosa di cui doveva preoccuparsi.
Per fortuna, aggiungerei.
La mattina era migliorata lentamente, ma in modo costante. Certo, Tom era chissà dove ad accompagnare Scorpius a rilasciare un intervista per il quotidiano locale, ma era uno scotto da pagare se si era assistenti del Campione. Scorpius inoltre non sapeva una parola di tedesco, lingua in cui si sarebbe tenuta la conversazione.
Gli farà bene avere a che fare con Malfoy per qualche oretta.

Se ne torna sempre felicissimo di stare con me.
Al varcò la porta del refettorio e anche lì notò come tutto fosse pieno di luce; una splendida luce accecante. Il rumore di centinaia di mascelle gli avevano ricordato la Scozia.
Non era male.
Si servì dal lungo tavolo delle cibarie situato in fondo alla sala e intercettò con un sorriso Dominique seduta con la delegazione di Beaux-Batons. Anche loro sembravano più spensierati rispetto alla sera prima.
Possibile che un po’ di luce cambi un ambiente? 
Ad ogni buon conto non vedeva nessuno dei suoi, eccezion fatta per qualche ragazzo del coro; fu quasi tentato di sedersi con la cugina francofona – per quanto poco amasse i suoi lazzi e le sue chiacchiere sconclusionate, era meglio che gestire la sua delegazione.
Poi, come una visione, apparve Rose, in uniforme impeccabile e la spilla da Caposcuola bene in vista. Al le fece cenno e venne raggiunto in un batter d’occhio.
A guardarla da vicino, più che investita dell’aria luminosa della giornata, sembrava irradiarne.
Uh?
“Wow, certo che da giorno a notte questo posto cambia completamente!” Esclamò occhieggiando il tavolo imbandito con fare distratto. “Dove ci sediamo?”
“Dove non vengo subissato di domande o richieste di spiegazioni se non ti spiace. Lontano dai nostri, quindi.” Le sorrise. “Vado a cercare un posto.”
Rose annuì con la stessa espressione raggiante di prima. E anche un po’ vacua. A dirla tutta, si guardava attorno come se fosse lì per sbaglio e non spinta dall’atavico bisogno di nutrirsi.

Ripeto. Uh?
“Rosie?” La apostrofò quando vide che non si sarebbe mossa manco per sbaglio verso la colazione. “Non vai a prendere qualcosa?”
“Oh, giusto!” Esclamò riscuotendosi di colpo. “Vado subito.”
Al la seguì con lo sguardo mentre si serviva afferrando cose che per la maggior parte non avrebbe  neppure assaggiato.

Da quando mangia aringhe a colazione?
Decise di aspettare che fossero seduti. Scelse apposta un tavolo vuoto, circondato da tavoli di soli durmstranghiani occupati a rifocillarsi chiacchierando rumorosamente in un pastone di lingue nordiche.
Operazione prudenza conclusa.
Quando Rose si sedette non perse tempo. “Che hai? Sembra ti abbiano tirato una botta in testa.”
“Eh?” Rose batté le palpebre nello stesso, esatto modo di prima. Come se non capisse la domanda o meglio, come se non l’avesse neanche ascoltata. “Non ho niente, sto bene.”

Le brillavano gli occhi come ad un Cacciatore dopo un tiro particolarmente fortunato e decisivo.
“Sì, certo.” La prese in giro. “O qualcuno ti ha versato della Felix Felicis sullo spazzolino da denti o hai appena perso una quantità consistente di neuroni.”  
Rose a quel punto ebbe una strana reazione; si guardò furtiva in giro e poi squadernò un sorriso che definire entusiasta era riduttivo. Non l’aveva vista sorridere così neppure quando aveva preso il suo primo Ogni Oltre Previsione a Storia della Magia.
Era un po’ inquietante.
“Non hai notato le mie mani?” Chiese mentre le teneva saldamente sotto il tavolino.
Al si sentì genuinamente confuso. “A parte il fatto che non le vedo se le tieni in quel modo… ma poi perché dovrei?”
Rose si appoggiò sullo schienale della sedia. “Beh, non so…” Gli piazzò la mano destra a pochi centimetri dal naso. “Magari per questo.”
Albus mise a fuoco un lampo brillante. Un cerchio molto brillante al dito della cugina. Poi, naturalmente, realizzò.

Metà del refettorio si girò all’esclamazione di sorpresa che lanciò – e temette che fosse perché era stato tutto fuorché virile, ma al diavolo. “Oh, Merlino benedetto! È un…”
“… una pantofola.” Terminò per lui Rose, lanciandogli un’occhiata di avvertimento. “Una bellissima e inaspettata pantofola.”

Al capì l’antifona. La comprese. Poi le afferrò la mano per esser certo di aver visto bene. Era la prima volta che vedeva un anello di fidanzamento indossato da una cugina, del resto.
Se non si conta quello di Vic. Io e Lils abbiamo boicottato la visione per solidarietà verso Jamie. E per convincerlo a non trasfigurarglielo in un cobra reale, anche.
L’anello che brillava al dito di Rose era straordinariamente… carino. Un semplice cerchio d’oro rosa intrecciato con motivi celtici.
Straordinariamente perché mi sarei aspettato una roba da venti carati da uno come Malfoy.
Ma non da Rosie… furbo, il ragazzo.
Rose arrossì in quel modo tutto particolare delle ragazze di mostrarsi in realtà super-compiaciute. “Me l’ha dato ieri sera e… beh, credo di averglielo strappato di mano.” Avvampò completamente. “Poi il resto è piuttosto nebuloso. Devo aver avuto un crollo psicotico.”
Al ridacchiò. “È una meraviglia. E credo che il crollo psicotico fosse compreso nella reazione.”

Rose coprì la mano incriminata e fece un mezzo sospiro. Era cambiata, la sua rigorosa cugina, in quell’ultimo anno. Era buffo – e un po’ nostalgico – ricordarsi com’erano prima che accadessero quella serie di eventi terribili e convulsi; Rose con i suoi trancianti pregiudizi e lui con le sue annose insicurezze.
Stiamo crescendo tutti. Accorgersene non è male.
“L’anello non significa che ci sposeremo subito. Tipo, appena usciti da Hogwarts.” Spiegò sfiorandolo con il pollice. “È solo un … memorandum, secondo Scorpius.”
“Furbo, il ragazzo.” Tradusse a voce, facendola ridacchiare. “Gioca d’anticipo.”
“Conoscendo le nostre famiglie, è sensato.” Si schiarì la voce. Era ovvio che avesse passato tutta la notte a rigirarselo e coccolarselo con lo sguardo. Lo stava facendo anche  in quel momento. “Ci vorranno anni per far accettare l’idea di un matrimonio a papà… o al Signor Malfoy.” Ma non sembrava particolarmente preoccupata. “Strategia.”
Al ghignò dandole una pacchetta sulla mano. Accanto a loro le colazioni giacevano per il momento dimenticate. “Non mi risulta che la strategia faccia brillare gli occhi, Rosie.”
L’altra sbuffò con un sorriso tenace che le aleggiava sulle labbra. “Dentro di me sto urlando come ad una finale di Coppa. Conta?”
“Moltissimo.”

 
“Ehi, di che state parlando?”

Rose si rese conto del cambio di atmosfera dalla faccia di Al; il cugino aveva appena realizzato di avere alle spalle la sorella.

Lily non era stata confinata negli alloggi della delegazione; alla fine il Preside, anche per evitare che l’Istituto si rendesse conto che avevano portato un’imbucata, aveva acconsentito a farla stare in giro esattamente come tutti gli altri.
Albus non poteva saperlo, considerando che la notizia era stata comunicata nel dormitorio delle ragazze quella mattina.

“Perché sei qui?” Gli chiese, ed era il tono gelido delle grandi incazzature.
Nessuno vuole vedere Al arrabbiato e in controllo. Se è furioso, paradossalmente, è quasi meglio.
Se Lily era rimasta male all’accoglienza gelida, non lo diede a vedere, preferendo una smorfia scocciata da bambina viziata di cui era suprema esperta. “Non sono mica una prigioniera!”

“No, ma non sei neanche la benvenuta.”
“Al…” Tentò; il mondo le sembrava un posto così bello che era un peccato che quei due fossero in rotta per una faccenda che, a conti fatti, era inevitabile nel breve periodo. Non che suo cugino avesse tutti i torti, aveva tutte le ragioni piuttosto; ma Rose sapeva che a volte il torto o la ragione non c’entravano molto, nei rapporti interpersonali. Quasi per niente, a dirla tutta.

Lily serrò le labbra. “L’unico a non aver accettato che sia qui sei tu. Ci sono, fattene una ragione!”
“Non quando potrò metterti sulla prima Passaporta disponibile.” Replicò Al, voltandosi di nuovo verso Rose; aveva la mascella tirata e gli occhi in tempesta, ma le sorrise comunque. Era spaventoso. “Rosie, devo andare. Ci vediamo alla prima lezione. Tra un’ora, giusto?”
“Sì, tra un’ora.” Confermò. Dividere le lezioni con i durmstranghiani in una lingua a lei aliena – e con la magra speranza che gli incantesimi di traduzione facessero il loro lavoro - non le arrideva, ma tutto era meglio che rimanere con quei due allo stesso tavolo.

O nella stessa stanza, se è per questo. Non pensavo l’avrei mai detto, ma vorrei che Jamie fosse qui.
Albus si alzò, lasciando la colazione intoccata. “A dopo.” Ripeté prima di afferrare la tracolla e marciare via senza pronunciare un’altra sillaba.
“Lily, lascialo sbollire, lo sai che non gli passerà in un paio di …” Cominciò Rose, perché sapeva che la cugina non si sarebbe seduta, non dopo essere stata abbandonata senza poter dire la sua – un’onta.
No.” Disse infatti, seguendo il fratello in piena testardaggine.

Rose sospirò e prese un sorso dal suo caffè ormai freddo.
 
“Perché non riesci a capire?”
Lily voleva davvero che suo fratello capisse. Non che la perdonasse, quello non se lo aspettava da uno come Albus, capace di restare imbronciato per giorni se solo qualcuno osava scombinargli i piani.

Voleva che comprendesse che si trovava esattamente nella situazione in cui lui si era trovato l’anno prima; voleva che smettesse di guardarla come se avesse fatto la cosa più stupida del mondo perché sì.
Al, chiamato, si fermò; raggiungerlo non era stato difficile, dato che aveva lasciato la scena senza nessun vero motivo.
Si voltò e Lily si irrigidì, pronta a ribattere a qualsiasi cosa gli avesse detto di cattivo. I modi di arrabbiarsi di Albus erano due. Quello avventato e spesso manesco che contraddistingueva le sue liti con James – e qualcuna anche con Tom - e un altro, ben più temibile. La rabbia gelida, che lo piazzava in una categoria a parte rispetto all’impulsività tipica del loro clan.
Suo padre aveva detto una volta, scherzosamente ma non troppo, che giustificava perfettamente il secondo nome di Al, quello sempre dimenticato.
Severus. Al si chiama Albus Severus.
“Io capisco.” Disse avvicinandolesi. Lily ebbe la sensazione che forse tampinarlo fino all’esasperazione non era stata poi un’idea così felice. Forse avrebbe dovuto dare retta a Rose.  Forse.
“Allora se lo sai…”
“È per questo che non ti voglio qui!” Sbottò facendola sussultare. “Non è stato divertente l’anno scorso, non è stata una grande avventura! Non è stato eroico essere rapiti da uno psicopatico che voleva usarmi come carne da bacchetta! È stato orribile.” Abbassò ulteriormente il tono di voce, sentendo persone avvicinarsi. Al non era tipo da scenate roboanti. Si vergognava o le giudicava vergognose; con lui il confine era labile.

“Al…” Tentò, ma non c’era spazio per le repliche.
“È stato qualcosa che non mi dimenticherò mai, finché avrò vita.” La interruppe. “Le persone che vogliono Tom sono disposte ad uccidere per averlo. E ci sono quasi riusciti. Non credo abbiano smesso di volerlo. Questo tu lo capisci?”

Lily non aveva mai visto quell’espressione addosso al fratello; era oltre la rabbia fredda, o come diavolo l’aveva chiamata. C’era paura, e dolore. Non sapeva se poteva intuirlo perché era lei, o perché Al aveva perso presa su qualcosa che si teneva dentro e non aveva mai lasciato uscire.
In entrambi i casi, le si strinse il cuore vedere come mostrava a tutti il suo sorriso e rimaneva ferito dentro.
Tom lo sa? Ditemi che lo sa.
Al incrociò le braccia al petto distogliendo lo sguardo. “Mi ha cambiato. Sono cambiato. Non mi pento di ciò che è successo o delle scelte che ho fatto… Ma non voglio che tu le viva perché pensi che sia fico.”
“Ma è finita bene.” Lo interruppe. Non sopportava di vederlo ferito. Non sopportava di sentirsi spaventata da quello. “È finita bene, no? Tom sta bene, tu stai bene.”
Al ispirò leggermente. “Non è finita.” Fece una pausa, aggrottando le sopracciglia come se riflettesse velocemente. “Quando papà o gli zii ci raccontava della loro adolescenza sembrava così emozionante, vero?”
Lily annuì; le storie di guerra erano state la prima cosa che tutti loro ricordavano di aver sentito, ben prima di Baba Raba o la storia dei Tre Fratelli.

James era diventato un auror per viverle, lei aveva conosciuto il Principe. Tom le aveva sviscerate con centinaia di domande. Al le aveva bevute in silenzio, senza una parola. Quelle storie c’erano sempre state, in tutti loro, da quando erano nati. Erano nei loro nomi. Erano nel loro sangue.
E Lily dovette ammettere che erano anche quelle storie ad averla portata lì.
“Dover affrontare qualcuno che ha intenzioni orribili… non è come ci hanno raccontato.” Riprese Al. “Papà ha cercato di non spaventarci. Di farci vedere il lato bello della cosa. Io non sono papà.” Sorrise debolmente e Lily ebbe l’impulso di abbracciarlo. Ma era contratto, distante. Conosceva abbastanza suo fratello per sapere che c’erano dei momenti, anche per lui, in cui respingeva. Era uno di quelli.
“Io… voglio solo aiutare una persona a cui voglio bene, come hai fatto tu con Tom.” Disse, perché se non poteva abbracciarlo, poteva almeno parlargli. “È la verità.” Era quello che Al doveva capire.
Le venne lanciata un’occhiata. C’era un misto di affetto, esasperazione e pena in quegli occhi verdi che entrambi avevano ereditato, ma che solo Al aveva fatto con tutti i crismi.
Gli occhi di Lily Evans.
“Se vuoi aiutare … devi anche trovare qualcuno che voglia essere aiutato, Lils.”
Lily ebbe la distinta impressione di essere lei a dover capire stavolta.
E non le piacque affatto.
 
****
 
Inghilterra, Londra, Ministero della Magia, Ufficio Auror.
Mattina.
 
“Signor Potter, suo figlio la aspetta in ufficio.”
Grace aveva il raro dono di riportarlo con i piedi per terra quando aveva la testa persa trai pensieri, come sopratutto – doveva ammetterlo – gli succedeva al lavoro ultimamente.
La segretaria lo guardò con paziente aspettativa. “L’ho fatto accomodare.” Spiegò alla sua espressione confusa.
Si riscosse, perché darsi un tono quando eri capo-ufficio era un dovere. “Certo Grace, hai fatto bene.”
Ma… Jamie?
Di altri figli, acquisiti compresi, non si poteva trattare, dato che erano ad un oceano di distanza – anche se una di essi non avrebbe dovuto, lo ricordò come se ne era ricordato quella mattina non appena riaccesi tutti i circuiti mentali. Con profonda, scoraggiata irritazione.

Harry aprì la porta del suo ufficio, perplesso; James quella mattina, come tutte le mattine, doveva trovarsi in Accademia. Era forse successo qualcosa?
Qualcos’altro?

“Ehi papà!” Lo accolse suo figlio, stravaccato sulla sedia davanti alla scrivania. Non indossava l’uniforme. Si alzò subito però, quasi fosse stato preso da un improvviso desiderio di placcarlo. Ovviamente non accadde, ma il linguaggio corporeo di James era trasparente come acqua di fiume sin da quando era bambino; era chiaro fosse nervoso e volesse parlargli a tutti i costi.
Coraggio. Sentiamo.
“Ciao Jamie.” Gli sorrise comunque contento di vederlo: in quel periodo convulso lo aveva un po’ trascurato. “Non dovresti aver lezione?”
“L’ho saltata.” Replicò senza troppi giri di parole. “C’è ben altro da fare.”
Harry si sentì piuttosto stupido; forse non era ancora del tutto sveglio. Ingurgitare del caffè e materializzarsi a Londra, il tutto in una mezz’ora, non dava freschezza mentale. Specie se passavi la notte insonne. “Scusa non ti seguo… Cosa dobbiamo fare?”
James lo fissò come se trovasse la domanda completamente fuori luogo. “Come cosa?” Esclamò aggrottando le sopracciglia. “Lily! Dobbiamo andare a riprendercela!”

Harry sospirò. Avrebbe dovuto prevedere che il primogenito avrebbe reagito mettendosi in prima linea. Specialmente alla luce del fatto che fosse sempre stato molto protettivo con la sorellina, come tradizione Weasley voleva.
Forse avrei avuto una storia di fidanzamento più lunga se non avessi temuto la reazione di Ron.
James e Lily inoltre erano legati; bisticciavano spesso, ma Lily se aveva un problema, qualcuno che la infastidiva, era sempre andata dal fratello maggiore per farselo risolvere.
“Ci stiamo già muovendo James. La faccenda è meno semplice di quanto sembri e…”
“Non mi importa!” Sbottò interrompendolo. “Lils non può stare là, è una specie di comune di psicopatici!”

Harry sorrise appena, strofinandosi la mano dietro la nuca. Si sedette sul ciglio della scrivania, perché trovava ridicolo mettersi nella posizione di comando per antonomasia con suo figlio.
“Durmstrang è una scuola, Jamie.” Obbiettò paziente. “È  più sicura di molti altri posti… Il punto non è quello. Il punto è che tua sorella è scappata.”
James piegò le labbra in una smorfia. “Tutto per quel tipo sinistro.”
“Luzhin?” Sospirò. Non era il primo che glielo  diceva. Persino Ginny ne era strenuamente convinta.
Una fuga romantica…
“Chi altri?” Sbuffò James arruffandosi i capelli frustrato. “Io l’avevo capito che non avrebbe portato che guai, dalla prima volta che l’ho visto! Non mi è mai piaciuto!”
Harry non disse nulla, limitandosi ad un lieve cenno della testa; aveva preso sottogamba l’antipatia di James per il tedesco. E come avrebbe potuto fare diversamente del resto?
Non è obbiettivo quando si tratta di ragazzi e sua sorella, come non lo era Ron con Ginny.
E Luzhin è un maledetto
Campione.

“Stiamo indagando anche su di lui. Lily è sorvegliata da Ted e la professoressa McGrannit. Oltre al preside.” Soggiunse. “Non devi preoccuparti.”
“Non è…” James si fermò, tentennando. Voleva dirgli qualcosa, ma era incerto. “… non è questo.” Concluse con un borbottio.

“Jamie?” Era chiaro che quella testa arruffata si stesse arrovellando su qualcosa. A volte ad Harry sembrava di vedersi allo specchio.
Era sempre stato più facile capire James, che Al o Lily. James Sirius era immediato, lineare, diretto fino alla brutalità, ma di indole semplice. Albus invece era un autentico puzzle, sin da quando aveva pronunciato la prima parola o fatto il primo sorriso. E Lily…
… è imprevedibile come il vento, dannazione.
“Se hai qualche idea dimmela.” Incoraggiò il figlio. “So che Lils si confida con te.”
“Confida…” Il ragazzo sbuffò quasi divertito. “Non sui ragazzi, no di certo. È una cosa… un pensiero che ho in testa da un po’. Ma è una… stronzata, credo.” Concluse stringendosi nelle spalle. Ma non lo pensava davvero, glielo leggeva nella piega dura delle labbra.

“Dimmela e poi valuterò.”
James gli lanciò uno sguardo incerto, poi tirò un sospiro. “So perché Lily è completamente partita per quel tedesco. Insomma… perché si è comportata così. Perché è pericolosa, tutta questa storia, per lei.” Soggiunse un po’ frettoloso, quasi tentasse di costruire una giustificazione.
Harry aggrottò le sopracciglia. “Perché si è presa una cotta?” Si sentiva a disagio a parlar di quello con James, e a dirla tutta, ci sentiva a disagio in generale. Nella sua testa, per quanto Ginny lo prendesse in giro, i suoi figli erano ancora abbondantemente sotto la decina di anni.

Tutti. E grazie, preferisco continuare a vederli così, almeno per certe cose.
James scosse la testa. “Sì, quello è il risultato… dico, perché si è tanto fissata. Ma l’hai guardato bene quel tipo? Non ti è sembrato somigliasse a qualcuno?”
Harry rifletté, riportandosi alla mente il volto del ragazzo; gli era sembrato poco tedesco, quello sì. In generale, un viso poco continentale. Al loro unico incontro gli era persino sembrato inglese, prima che aprisse bocca.
“No, non mi viene in mente nessuno.” Ammise sinceramente.
James lo guardò un po’ spazientito. “A Severus Piton, papà.” Alla sua espressione sconcertata fece uno sbuffo imbarazzato. “Sì, insomma… lo ricorda. Non è uguale. Per esempio non ha quell’enorme probosci…”
“Piton.” Erano anni che non sentiva quel nome. Gli dava ancora un sottile disagio pronunciarlo. Aveva messo il nome di quell’uomo contorto ad Albus, ma in realtà era poco più che una riga sottile di inchiostro che suo figlio doveva scrivere sui documenti ufficiali. Nessuno ce l’aveva mai chiamato.

Era grato per quello che aveva fatto, lo sarebbe sempre stato. Ma non era mai riuscito a sbrogliare i sentimenti che provava verso di lui. A dirla tutta, neppure aveva voluto, preferendo chiuderli dietro una porta, come tante delle cose che erano accadute durante la guerra.  
“In effetti… un po’ gli somiglia.”
James annuì. “Non me ne sono accorto subito, ma quando l’ho conosciuto faceva lo snob, mi squadrava come se fossi cacca di doxy. Poi mi sono ricordato del vecchio ritratto del Preside. L’avrò visto tipo un milione di volte in Presidenza.”
“Non capisco dove vuoi arrivare…” In realtà cominciava ad intuirlo. E non gli piaceva.
James si ficcò le mani in tasca, guardandosi la punta degli anfibi con aria seria. “Lily avrà una cotta per il crucco, ma secondo me ce l’ha perché ha sempre avuto una cotta per… Com’è che lo chiama?” Fece un sospiro divertito. “Il Principe.”  
Harry raramente si sbagliava quando aveva un’intuizione.
Per l’appunto. Sbagliare qualche volta? Stavolta?
“Quante volte ti ha chiesto di raccontarci la sua storia? Io e Al non ne potevamo più. E quando hai smesso se la raccontava da sola.” Alzò lo sguardo. “Era ossessionata, miseriaccia.”
Specie perché ho avuto l’idea infelice di dirle che le ho dato il nome di sua nonna…

E credo di aver fatto più danni che altro.
“Aveva sette anni, James.” Obbiettò ragionevole come il padre che era e che doveva essere. “Non credo che…”
“Lils ha la brutta abitudine di fissarsi, papà.” Replicò. “Su cose. Persone. Faccende. Per anni. Magari non sono tante, ma sono sempre quelle. Io me lo ricordo il periodo della storia del Principe. Figurati se non se lo ricorda lei.” 

Harry rimase in silenzio Lily era sempre stata una bambina vivace, non c’era modo di farle colorare un disegno in tranquillità o aiutare Ginny a fare i dolci. Quello era Albus. Avere lei e James a pieno regime era stato particolarmente stressante quando entrambi avevano raggiunto il traguardo della prime Magie Accidentali. L’unica cosa che riusciva a tenere sua figlia ferma per più di cinque minuti era paradossalmente la sua voce. E una storia avvincente.
Terminate le classiche fiabe – Lily era un’ascoltatrice attentissima, capace di sgamare la stessa storia detta in modo diverso – aveva finito inevitabilmente per attingere alla realtà. Alla sua realtà, anche se debitamente edulcorata.
La storia di Piton, data la sua poca immaginazione e le richieste pressanti, gli era sembrata sufficientemente avventurosa per poter essere rielaborata in una favola. Gli era sembrato quasi doveroso, infine, tirarla fuori e raccontarla ai suoi figli.
Era risultata essere La Storia, per sua figlia. Specialmente quando aveva ricollegato il suo nome a quello della nonna.
 
“Io mi chiamo come la nonna?”
“Sì, ti sei chiamata così per lei, e Luna per…”
“Lo so, per zia Luna! E il Principe voleva bene alla nonna, no?”
“Direi proprio di sì.”
“Avrebbe voluto bene anche a me?”

 
Naturalmente Lily. Saresti stata la sua principessa.
Aveva trasformato Piton in un eroe. L’aveva fatto per la sua principessa, l’aveva fatto perché…
Perché ero un idiota e se Piton – o anche solo il suo quadro – lo scoprisse mi maledirebbe all’istante.
“Non avevo idea che su Lily avesse avuto quest’effetto…”
James si strinse nelle spalle. “Lils ha quindici anni, e anche se fa tanto la cinica è persino più romantica di quella lagna di Rosie. È arrivato quel crucco, che si comporta come un cavaliere del cazzo e somiglia a Piton, ma in versione bella. È convinta di vivere un’avventura.”
Questo spiegava perché Lily avesse deciso quel colpo di testa così inusuale per lei. Non la giustificava, ma rendeva comprensibile il tutto.

Non che fosse meglio. Se Lily credeva che quel ragazzo fosse il suo Principe – o comunque un’imitazione molto veritiera – se la sarebbe trovata trai piedi durante le indagini. Forse c’era già.
Dannazione.
Harry inspirò. “Non l’avevo considerata da questo punto di vista.”
James annuì. “Neppure io. In realtà ero arrivato fino alla somiglianza con Piton… È stato Hugo a dirmi il resto. Mi ha mandato un Gufo.” Si grattò una guancia. “Secondo lui quel tipo ha davvero qualcosa a che fare con Piton… e pensandoci, si chiama Sören.”
“Quindi?”

“Sören è la versione crucca di Severus.” Gli spiegò. “Ce l’ha detto lui. Ed ha detto anche che è un nome che si tramanda nella sua famiglia.” Inarcò le sopracciglia. “Papà, quante famiglie magiche al mondo pensi che abbiano quel nome come tipico? Secondo me, non tante.”
“Pensi che sia davvero imparentato con …” Non aveva riscontrato nessuna parentela anglosassone nei Luzhin. Ron e Nora non l’avevano trovata, o sicuramente gliel’avrebbero segnalata nell’approfondito rapporto che avevano redatto.
Un altro punto alla mia tesi. Alla tesi a cui non voglio pensare. Ma un altro punto, comunque.
“Io penso di sì.” Lo riscosse James. “Quel che ti ho detto può aiutare?”
Harry prese il mantello, gettandoselo sulle spalle. “Non lo so, ma è una pista. Vale un’occhiata perlomeno.” Lo guardò divertito, notando aspettativa in ogni singolo movimento facciale “Visto che tanto oggi hai deciso di saltare, ti va di accompagnarmi ad Hogwarts, recluta Potter?”
James si aprì in un sorriso entusiasta. “Non dirlo neanche, capo!”
 
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Primo pomeriggio.
 
Tom non riusciva a capire cosa fosse preso ad Albus.
Quella mattina si era svegliato di buon’umore, contento della semplice presenza del sole. Lo aveva  salutato con un lungo bacio che sapeva di dentifricio ed era sparito a fare colazione.  

Poi l’aveva ritrovato a lezione – Magia Applicativa, ovvero una versione piuttosto complessa del corso progredito di Incantesimi – incupito e contratto. Aveva lanciato l’incantesimo di traduzione necessario per seguirla ma poi non aveva preso un solo appunto.
Tom sapeva che quando Albus voleva esser lasciato solo non si dovevano mai fare tentativi di rompere il suo guscio di malumore. Rose naturalmente, da brava cugina ficcanaso, aveva fatto domande fino a che l’altro non era scattato in piedi annunciando che sarebbe andato a farsi un giro sulla scopa.
Neppure Malfoy ha osato chiedergli se voleva compagnia.
Tom l’aveva quindi lasciato andare a cercare il suo facchino durmstranghiano – quel Ionescu, o Radescu. Non aveva emesso rimostranze e, tranquillo, era andato a cercarsi Meike;  aveva passato il pomeriggio con lei, aiutandola con i compiti e tenendo genericamente lontane le attenzioni di quella faccia di troll del suo prefetto.
Adesso però si trovava a congelare sugli spalti del campo da Quidditch dell’Istituto, il quale naturalmente era stato edificato nell’angolo più ventoso, aspro e gelido dell’intero fiordo, in una rientranza tra due speroni di roccia, sospeso nel vuoto a picco sul mare.
Gli venivano le vertigini solo a spostare lo sguardo dal salvifico libro che si era portato appresso.
In una situazione normale avrebbe aspettato che Albus gliene parlasse di sua sponte: lo faceva sempre, era tipo da condividere i malumori in maniera relativamente immediata.
Non stavolta.
Al sfrecciava nell’aria, incurante del vento freddo che lo prendeva vigorosamente a schiaffi. Persino da lì vedeva come la saggina della sua scopa era piegata dal vento.
Non poteva lasciarlo solo in balia della sua testa e delle intemperie.
Lui non l’ha mai fatto con me.
 
Al aveva sempre creduto nel valore terapeutico dell’attività fisica; non si definiva uno sportivo, ma sapeva che spingere il suo corpo al limite, sentire l’adrenalina e la conseguente stanchezza da essa derivata era il modo migliore per abbattere l’inquietudine.
Era stato così per suo padre durante l’adolescenza, era così per lui e James.
Quel giorno non stava funzionando un granché. Non stava funzionando per niente, per quanto la sua scopa fosse veloce, il vento sferzante e l’adrenalina buona.
Adorava volare, ma il suo amato Quidditch non poteva sciogliere il groppo di tensione che si sentiva pesare sul petto. Stava congelandosi per nulla.
Ora di finirla.
E poi era quasi certo che Tom stesse rischiando l’assideramento, fermo sugli spalti.
Scese di quota e puntò verso le gradinate scavate direttamente nella pietra della montagna. Quando toccò i piedi a terra quasi incespicò; la terraferma lo rendeva molto più goffo dell’aria.
Sentiva il sudore gelido scorrergli lungo la tuta di allenamento che si era portato dietro; aveva i colori di serpeverde e l’aveva sempre fatto sentire bene dalla prima volta che l’aveva indossata.
Non basta.
Tom alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo. “Possiamo andare adesso?” Chiese con un tono che chiunque avrebbe definito antipatico.
Se non sapesse che è quello che usa sempre, di default.
“Non eri tenuto a rimanere qui.” Scrollò le spalle. Sapeva che non aveva senso prendersela con il suo ragazzo, ma non riusciva ad essere gentile, neppure con lui.  
Tom non replicò, limitandosi ad alzarsi. “Qual è il problema?” Chiese riponendo il libro all’interno del mantello. “Perché c’è un problema.”
“Niente di nuovo.” Controllò che la saggina della scopa non si fosse danneggiata a causa del vento. Nulla che il kit di riparazione non avrebbe potuto riparare. “Si tratta sempre di Lily.”
Solo pronunciare il nome di sua sorella gli provocava fastidio e Tom se ne accorse perché fece un mezzo sospiro. “Mi sembrava di aver capito che non le avresti più rivolto la parola.”
“Non è così semplice, se la persona con cui non vuoi parlare ti tende degli agguati.” Replicò mettendosi la scopa sulla spalla e incamminandosi verso l’entrata laterale della fortezza. Non voleva sviscerare il problema . Stava tornando il buio.

Il sole tramonta presto… Chissà perché non lo trovo sorprendente.
Era il buio a spaventarlo, di quel posto. Non gli era mai piaciuto, ma dopo l’anno passato aveva acquistato nuovi significati. Era stato buio nelle viscere della montagna in cui John Doe aveva rinchiuso Thomas, era stato buio nella tomba di Silente. Era notte quando si svegliava e si rendeva conto che Tom non c’era e forse non sarebbe mai tornato.
Non gli piaceva il buio.
“Pensi troppo a Lily.” Lo sorprese la voce del suo ragazzo. Scrutò la sua espressione, ma come spesso gli accadeva non vi lesse nulla di risolutorio.
Non era come Lily, lui. Conosceva il ragazzo che aveva di fronte da che aveva memoria, ma c’erano dei momenti in cui non aveva la più pallida idea di cosa gli passasse per la mente; e così era per gli altri, per tutti.
Non sarebbe bello, non sarebbe più semplice, se si potessero capire le intenzioni altrui come quelle di un avversario durante una partita a scacchi?
Tom fece una smorfia, distogliendolo dalle sue riflessioni. “Non siamo qui per tua sorella, Albus, né lo sono le persone che stiamo combattendo. Smettila di preoccuparti per lei.”
Al sentì il peso intensificarsi nel petto. Non poteva aspettarsi che Tom capisse. Era dall’altra parte della storia, era stato il rapito. Quello ferito e preso.
Nessuno pensa mai a chi rimane. A chi non assiste di persona, a chi non è in prima fila, a chi non è il maledetto personaggio chiave.
Accelerò il passo, ignorandolo.
Ovviamente non funzionò. Tom odiava essere trascurato, o che qualcuno non replicasse ai suoi ragionamenti. Sentì la sua mano bloccargli la spalla. La strattonò via.  
“Non sei solo tu, Tom, quando lo imparerai?!” Sbottò. “Non ci sei solo tu in questa maledetta storia!”
Tom sembrò genuinamente confuso da come guardò la mano respinta e poi lui. Aggrottò le sopracciglia. “Lo so, ci sei…”
“No, non io.” Lo interruppe. “Fai sempre gli stessi sbagli. Io so come ci si sente ad essere la persona che non è presa di mira. È quella che rimane ad aspettare notizie, quella che pensa che sia colpa sua e che rimane ferita, ma nessuno si prende la briga di controllare dove!” Sentiva il suo tono di voce salire e l’espressione sbigottita dell’altro era solo benzina sul fuoco. “Non voglio questo per mia sorella. Perché sì, è invischiata, l’ha fatto tutto da sola e non si può incolpare che lei… ma c’è. Come me. Pensi che sia tanto strano che mi preoccupi del fatto che finirà per stare male?”
Vide un lampo di comprensione negli occhi dell’altro e il conseguente irrigidirsi. Rimase in silenzio, e poi distolse lo sguardo.
“Vado a farmi una doccia.” Non gli restò altro da dire. Tom annuì scostandosi per lasciarlo passare. “Non…” Sì, c’era ancora qualcosa da dire, perché dannazione a lui, con Tom c’era sempre. “… non sono arrabbiato con te. È solo…”
“Ho capito.” Replicò. “Ci vediamo dopo.” Il tono era freddo, ma era il suo modo per rinchiudersi nel suo guscio a riflettere. Era meglio così.


 
****
 
Scozia, Hogwarts. Pomeriggio.
 
“Harry… sei sicuro?”
Neville era il ritratto dello sconcerto. Harry non poté fare a meno di sorridere ; capiva perché fosse tanto sorpreso dalla sua richiesta.

Non succede tutti i giorni che qualcuno venga a chiedere di parlare con il ritratto di Piton.
Specialmente se quel qualcuno sono io.
“Al cento per cento.” Confermò passando un dito sul legno istoriato della sedia di fronte alla scrivania del Direttore di Grifondoro. “Devo fargli delle domande.”
Accanto a lui James si stiracchiò. “Zio Nev, sembra che ti abbia chiesto l’impossibile!” Scherzò. “Non è che, per quanto è brutto, l’avete bruciato quel dipinto?”
“Jamie…” Lo ammonì. “C’è qualche problema?” Spiò, notando che Neville sembrava un po’ troppo incerto.
“No, teoricamente nessuno… in quanto Vice-Preside, e attualmente Preside in carica, finché non tornerà Vitious ho il potere di chiamarlo.” Spiegò, emettendo poi smorfia imbarazzata. “Il problema è che non verrà.”
Harry annuì; se l’era aspettato e pensava che sotto sotto fosse anche una questione di volontà; Neville era stato uno delle vittime predilette del vecchio professore, e probabilmente non aveva  nessuna voglia di battibeccarci ora che era adulto.

“Non importa, vorrà dire che andremo a cercarlo.” Si alzò in piedi. “È nell’ufficio di Vitious, immagino.”
Neville sembrò rincuorato dall’opzione che gli si era parata davanti senza sforzo. “In realtà non credo sia lì.” Confessò. “Ieri sono andato a prendere dei documenti e la sua cornice era vuota.”
Harry batté le palpebre sorpreso. “Vuol dire che si è svegliato?” Quello era molto strano; per due decenni aveva dormito senza soluzione di continuità. 

Perché si è svegliato? Proprio ora, poi.
“Così pare.” Gli fu confermato. “Però in giro non l’ho visto. Ultimamente vedo spesso il Professor Silente, ma non lui. Forse è da qualche parte nei dormitori di Serpeverde.”
“Ci sono cornici? Con tutta quell’umidità nei muri?” Per quel che ricordava dalla sua unica visita nei sotterranei, non aveva mai notato quadri.
“No che non ci sono.” Si intromise James. “Cioè…” Soggiunse ricordando che quell’informazione non avrebbe dovuto, come Grifondoro, essere in suo possesso. “Me l’ha detto Albie.” Borbottò alle loro espressioni divertite.
“James ha ragione, non ci sono quadri nei sotterranei.” Replicò Neville. “È un mistero dove sia finito.”
“Caccia!” Esclamò il ragazzo alzandosi in piedi entusiasta. “Che aspettiamo? Sarà divertente!”

 
Due ore e mezzo dopo la cosa aveva smesso di esser divertente ed era diventata irritante.
“Dove diavolo si nasconde quel vecchio pipistrello?!” Sbuffò suo figlio, buttandosi sfinito sulle scale del terzo piano – almeno ad Harry sembrava fosse il terzo, giravano da così tanto tempo che la planimetria gli si era confusa in testa. “Per le sottane infeltrite di Morgana, abbiamo rivoltato il castello come un maledetto calzino!”
“Non ne ho idea, Jamie.” Ammise imitandolo e alzando lo sguardo verso il soffitto ad arco, parecchie decine di metri più in su. “… Se sa che lo stiamo cercando è probabile che si stia nascondendo.”
“Insopportabile tela.” Borbottò arruffandosi i capelli. “Ma cosa gli vuoi chiedere poi, papà?”
Harry rimase in silenzio, riflettendo. “Sto seguendo… un pensiero.” Confessò infine. “Non saprei dirti se porterà a qualcosa.”
“Credi che sappia qualcosa sul crucco unto?”

Harry si frenò dal ridere al nomignolo poco rispettoso. Non era il momento, né il caso. “Non lo so, ma … ecco. Mettiamo il caso che qui ci fosse il ritratto di nonno James. Vorresti parlargli?”
“Sicuro, certo che sì!” Rispose di slancio il ragazzo. “Scommetto che sarebbe uno spasso!”

Harry sorrise. “Ho immaginato che se sono imparentati, Luzhin potrebbe aver cercato di contattarlo. Il professor Piton è un eroe di guerra, è conosciuto anche all’estero. Inoltre, si è svegliato. Proprio adesso. È una coincidenza curiosa.”
James si grattò un pezzo non rasato di guancia. “Pensi che si sia svegliato perché è parente di quello lì?”
“Le cose potrebbero essere connesse, sì.” Annuì. Si alzò di nuovo in piedi, spazzolandosi i pantaloni. “Coraggio, continuiamo.”

James fece una smorfia ma scattò su. “Che ne dici se ci dividiamo? Ci metteremo di meno!”
Harry esitò. “Jamie, non credo che sia così semplice fermare un uomo… un ritratto.” Si corresse. “… Del genere. Credo che…”
“Sì, so che mi ignorerebbe.” Fu la replica tranquilla. “Ma so come fermarlo.” Gli spuntò in bocca un sorriso malandrino. “Fidati capo, ho un piano.”
Ad Harry, dato che non aveva idee migliori, non restò che fidarsi.

Una decina di minuti dopo sentì la voce di James chiamarlo dal piano inferiore a volume sostenuto. Sbigottito, lo raggiunse il più in fretta possibile. “Papà, è qui!” Effettivamente, qualcosa di molto, molto nero era raffigurato in una tela di fronte al ragazzo. Una tela ben separata dalle altre appese al muro. In effetti sia a destra che a sinistra corrispondevano due posti vuoti. I quadri, notò Harry con stupore, erano stati staccati a messi a terra.
“Li riattacchi subito, ridicolo ragazzo!” Sbottò la voce del defunto professore, che sembrava sorprendentemente bloccato all’interno del dipinto. Poi Harry capì.
Gli ha tagliato le vie di fuga. Le figure dipinte si possono spostare solo di cornice in cornice, con un’esatta sequenza che non è mai cambiata negli anni. C’è un motivo per cui è raro che i quadri vengano cambiati di posizione ad Hogwarts. Si deve re-incantare tutte le cornici vicine per creare loro un passaggio.
Quello era uno dei tanti aneddoti che Hermione aveva sviscerato durante i pomeriggi oziosi alla Tana; doveva immaginare che il suo malandrino si fosse ricordato una cosa del genere prima di lui.
James ghignò, ficcando le mani in tasca in piena soddisfazione. “Non se la prenda, le ho detto che è importante!” Si voltò verso di lui con aria trionfante. “Tutto per te papà!”
“Potter…” Ringhiò Piton. “Dovevo immaginare che dietro tutto questo ci  fosse lei. A cosa devo il dispiacere di questa cattura?”
“Mi dispiace professore.” Deglutì un po’ a disagio, cercando disperatamente di trattenere l’ilarità. Il mago era l’apoteosi dell’umiliazione e della furia. Non era il caso di esacerbarlo ulteriormente. “Ho chiesto io a James di fermarlo, non se la prenda con lui.”
“Un Potter vale l’altro. Siete la mia rovina.” Decretò acido, scoccando ad entrambi un’occhiata bruciante. “Riattaccate quei quadri così posso andarmene.” Ingiunse.

Merlino, l’hanno reso uguale. Se chiedete a me, un pessimo utilizzo del sangue di drago.
“Solo un momento…” Chiese nel suo tono più gentile, anche se una parte di sé sentiva riaffiorare la vecchia irritazione di un tempo. Gli era grato e tutto il resto, ma l’antipatia non sarebbe mai scomparsa. “Ho delle domande.”
“Non mi dica, anche lei?” Esclamò Piton con una smorfia esasperata. “Ho l’aria di essere un chiosco informazioni, forse?”
Anche lei? Allora non mi sbagliavo. Luzhin l’ha contattato.

“È proprio di questo che volevo parlarle.” Spiegò. Vedendo che l’espressione arcigna non si smuoveva di un millimetro cercò l’accordo. “Attaccherò i quadri immediatamente se mi promette di non andarsene.”
“Non è nella posizione per avanzare richieste.”
“Neppure lei professore.” Replicò imperturbabile, mentre James dietro di lui soffocava una risatina. Se ne accorse anche Piton e così la vena pulsante sulla sua fronte.

“E sia. Ma quel disgustoso moccioso deve andarsene.” Tuonò l’uomo. “Sono stufo delle tua progenie, Potter.”
Stufo? Vuol dire che… Dannazione. Vuol dire che ha parlato anche con Lily.
“Ehi, senti un po’ brutto…” Partì in quarta il suo sanguigno pargolo. Harry racimolò calma che mai aveva avuto, ma che alla sua veneranda età riusciva perlomeno a fingere.
“Jamie, aspettami nell’ufficio di zio Neville. Per favore.”
Quello lo guardò oltraggiato, ma dopo un’occhiata al ritratto sospirò. “Okay, ma vado da Hagrid. Sono in debito di un the. Mi trovi lì.” Poi si congedò con un’inevitabile linguaccia che Harry finse di non aver notato.

“Mi scuso per James.” Iniziò prima che l’altro mago potesse dire qualcosa che avrebbe minato definitivamente le basi di quella conversazione. Non era dell’umore per sentir insultare nessuno dei suoi figli.
Non lo sono mai.
“Avrebbe dovuto pensarci prima di metter su famiglia.” Persino su tela era il solito bastardo unto, avrebbe detto il buon vecchio Ron. Harry si ripeté come un mantra che non l’aveva di fronte in carne ed ossa e che se ce l’avesse avuto gli avrebbe comunque dovuto la vita.
Questo lo calmò un po’. “Ha detto che non è la prima volta che qualcuno la contatta quest’anno.” Esordì preferendo andare subito dritto al punto. “È per questo che si è svegliato?”
Piton aggrottò le sopracciglia ed emise uno sbuffo sentito. “Silente.” Disse soltanto.

Oh. I rapporti interpersonali rimangono anche tra quadri allora.
“Era convinto che dovessi mettermi in contatto con quella che poi, a conti fatti, si è rivelata una frode.” Continuò. “Prevedibile, ma il Preside è sempre stato un convinto sostenitore della buona fede dell’umano creato.” Ironizzò.
“Che genere di frode?”
“Immagino che lei sia qui per Sören Luzhin.” Ipotizzò, ghignando alla sua espressione sorpresa. “Sono un ritratto, non un idiota. Come ho detto, non è la prima persona che mi infastidisce. Prima quel piccolo impostore e poi sua figlia.”

“A proposito di cosa?”
“Entrambi erano sostenitori della stessa, grottesca teoria.” Si mise le mani dietro la schiena e fece una lunga e sadica pausa. “Ovvero che il ragazzo ed io abbiamo legami di sangue.”
Dannazione.
Se i suoi pensieri avessero avuto il sonoro, in quel momento sarebbero state urla.

La domanda era perché. Perché Luzhin stava ingannando sua figlia?
Se faceva parte della Thule ed era ai diretti ordini di Von Hohenheim, perché coinvolgere una quindicenne di nessun interesse per loro, con un  potere sì, ma inibito e comunque non così speciale nel Mondo Magico?
Perché?
“L’ha fatto credere a mia figlia? Che è imparentato con lei, intendo.” Chiese e sentì il suo tono di voce straordinariamente tranquillo. Non credeva di essere un così bravo attore.
“Non ne ho idea.” Ammise sinceramente il mago. I ritratti di Hogwarts erano stati dipinti per aiutare la scuola e chi vi alloggiava. Per quanto Severus Piton fosse stato nient’altro che un bastardo con lui, il suo ritratto poteva rendergli le cose difficili, ma non mentirgli. “So solo che entrambi, in tempi diversi, sono venuti millantando la stessa cosa.”
“Quindi non è suo parente.”

Piton fece una smorfia. “Mi ascolti quando parlo, Potter. Il ragazzo era una frode. Non aveva fatto neppure le ricerche del caso. Mi ha detto di essere figlio della sorella di mia madre, ma mia madre aveva un solo fratello, maschio.”
Harry aggrottò le sopracciglia confuso; quello non aveva il minimo senso. Se si era voluto fingere un Prince per guadagnarsi l’ammirazione e la conseguente fiducia di Lily, perché non fare un minimo di ricerche e crearsi il giusto passato? Per un adepto della Thule l’accesso a certe informazioni avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi. Perché sbagliare in modo così grossolano?
A meno che…
“È sicuro che non stesse mentendo intenzionalmente?” Harry sentiva il cervello lavorare febbrile, senza ingranare il giusto binario. Era frustrante, ma a furia di ripetere i tentativi era certo che sarebbe giunto a qualcosa.
Per una volta ebbe l’onore di contemplare confusione su un volto che un tempo era stato anodino.  “In che senso?”
“Forse voleva coprire il suo vero grado di parentela. Magari sperava che non sapesse quanti fratelli aveva sua madre.” Era quello, comprese di colpo, come un fulmine a ciel sereno.
Luzhin aveva voluto informarsi perché era un Prince. Forse aveva chiesto a Lily. Ma sua figlia conosceva solo la storia di Piton. Per avere informazioni più estese aveva dovuto chiedere al diretto interessato.
E anche se è un quadro, non ha voluto dirgli la verità per paura che la dicesse a qualcun altro…
Era un ragionamento debole, ma con un certo grado di senso, se si pensava quanto fossero maledettamente macchiavellici i piani di Hohenheim.
“Questo fratello… mi parli di lui.” Non gli importava di esser cortese. Aveva capito che il ritratto aveva riflettuto – se poteva riflettere – su quella serie di interrogativi e strane incongruenze quanto lui.
E se è continuato a rimanere sveglio, forse non gli son tornare come non sono tornate a me.
Piton gli scoccò un’occhiata scontenta, ma parlò. “Elias Prince. Era il fratello minore di mia madre.”
“Quanto minore?”
“Molto. Era della generazione di studenti precedente alla mia.”
Quindi non è il nonno, ma il padre del ragazzo. Frederick Luzhin è Elias Prince?

“Seppi della sua esistenza quando entrai ad Hogwarts parlando con studenti più grandi che l’avevano conosciuto. Mi dissero che si era trasferito in Germania non appena presi i MAGO. Matrimonio combinato, allora era piuttosto frequente nella famiglie in rovina.”
Germania. 
Harry sentiva la bocca secca e faticò a deglutire. “Per caso ricorda il cognome della strega?”
Frederick Luzhin è davvero Elias Prince? Perché cambiare nome? Per sfuggire all’onta di famiglia?
“Non l’ho mai saputo.” Fu la risposta scoraggiante che lo riportò con i piedi per terra. “Al tempo non la ritenni un’informazione interessante.”

Harry si passò una mano trai capelli: aveva la testa piena di ipotesi, pensieri e connessioni. In quel momento avrebbe voluto avere Ron, con la sua praticità e Nora con la sua acutezza. Con loro non avrebbe avuto l’incredibile impulso di prendere a testate il muro.
Sto cominciando a rimpiangere le scartoffie del mio ufficio.
Una sola ipotesi però, spaventosa ma sempre più concreta, galleggiava enorme nel mare di congetture.
Ovvero che Luzhin non sia veramente Luzhin.
Nessuno a casa sua ha idea di che faccia abbia. I suoi genitori sono scomparsi. Ha parentele che non dovrebbe avere.
“Lei cosa crede?” Mormorò sentendosi infinitamente stanco. “Mentiva?”
Il ritratto rimase in silenzio. “Si è infuriato quando gli ho dato del bugiardo. Se un tempo sono stato un Legimante, non lo sono certo adesso. Ma sì, sembrava sincero.” Ammise infine.  

Harry sospirò. Non c’era molto altro da dire. Rimaneva però una domanda collaterale. “Ha parlato anche con Lily?”
“Sua figlia mi ha inseguito fino a prendermi per esasperazione, sì.” Confermò salace. “Mi ha chiesto per quale motivo io e il piccolo impostore avessimo avuto un alterco. Gliel’ho spiegato come l’ho spiegato a lei adesso. Naturalmente non ha creduto a me, ma al suo… amico.” Pronunciò quella parola in tono piatto, ma anche privo di ogni malignità precedente.

Ci fu uno strano, lungo silenzio, poi Piton disse qualcosa che Harry non avrebbe mai creduto di poter sentire da un uomo che aveva in odio l’intera stirpe Potter. “Assomiglia a lei.” Disse, con tono così rigido che sembrò quasi un’accusa.
Perché sappiamo entrambi di quale lei sta parlando.
“Lo dicono tutti.” Mormorò non sapendo bene cosa dire.
“Come se l’avessero conosciuta…” Ritorse con una piega amara sulle labbra.
Per la prima volta in vita sua, Harry sentì dolore all’idea di non poter parlare con l’uomo vero, in carne ed ossa. Non sarebbe stato facile, quello era sicuro.
Ma sarebbe stato giusto.
Harry inspirò. “Grazie professore. Non la disturbo ulteriormente.” Prese i quadri e li riattaccò con tutta la precisione di cui era capace. Il mago passò immediatamente in quello a sinistra. “Se ricorda qualcos’altro… faccio preparare una cornice nel mio ufficio. Può venire quando vuole.”
Non era il momento dei vecchi rancori, quello. Se era riuscito a seppellire la bacchetta con Draco in nome dei figli, ci sarebbe riuscito anche con ciò che rimaneva di Severus Piton.
Fu ricompensato con una prevedibile occhiata nauseata. “Dovrà congelare l’inferno prima che accada, Potter. Non ci rivedremo.”
“Io lo spero invece.” Replicò e per la prima volta lo pensò davvero. “Magari non all’inferno. Magari, semplicemente, dall’altra parte.”
Il ritratto rimase in silenzio, quasi non sapesse che replicare. Neppure tutta la magia del mondo era capace di prevedere cosa avrebbe risposto. Era stranamente triste.

“E cosa mai dovremo dirci?” Si risolse infine.
“Nulla.” Si strinse nelle spalle e sorrise appena. “Forse vorrei solo dirle grazie di tutto.”

 
 
****
 
Durmstrang, Ora di cena.
 
“Tom è qui?”
Scorpius gli lanciò un’occhiata divertita e Al se la prese tutta; poteva chiaramente immaginare che Malfoy avesse intuito qualcosa. Era un tipo sveglio, oltre ad avere una discreta capacità di leggere anche la persona più ostica.

Con il padre che ha…
“Sì, è qui.” Confermò appoggiandosi allo stipite della porta del dormitorio della delegazione maschile. “Che gli hai fatto? Ha una faccia da cane bastonato!”
Al sentì una fitta di senso di colpa anche se era certo di aver fatto bene a mettere le cose in chiaro, che spesso a Tom le cose andavano sbattute in faccia senza troppi giri di parole. La sua freddezza nei confronti di Lily gli aveva fatto male.

Rimase comunque sulle sue posizioni. “Ah sì?”
L’altro ragazzo scrollò le spalle. “No, in realtà. Ha un’aria spaventosa ed ha terrorizzato gli altri.” Chiarificò con un ghigno che al di là delle parole, sembrava deliziato. “Credo sia il suo modo di essere triste. Mio padre fa più o meno la stessa faccia quando lo è.” Sottolineò. “Riprenditelo, o stasera dormiremo tutti con la bacchetta sotto il cuscino.”

Al frenò una mezza risata, dandogli una pacca sulla spalla. “Ricevuto. E, ah… congratulazioni per la…”
“Pantofola. Già.” Lo anticipò disinvolto. “La mia rosellina meritava questo ed altro. Le comprerei tutte le pantofole della terra, se fosse necessario.” Concluse serissimo, con gli occhi che gli brillavano, secondo alcuni, del vago lampo della follia. Era un tipo strano, Malfoy. Ma uno dei migliori tipi strani che gli fossero mai capitati davanti, il che, supponeva, fosse okay.

“Non avrei permesso questa … pantofola… ad altri che te, Malfoy.” Gli sorrise e lo pensava davvero.
Rosie ha talmente tante paranoie che gli serve un tipo spensierato. Spensierato ma con un cervello.
“La tua approvazione, Mini-Potter, è per me vitale.” Gli assicurò con una smorfia buffa, poi gli fece spazio. “Prego. Se ne sono tutti andati a cena largamente in anticipo per lasciare alla tua dolce metà lo spazio per incupirsi a suo piacimento.”
“E tu sei rimasto qui?” Interloquì incuriosito; non riusciva a capire come Scorpius considerasse Tom. Sembrava ci fosse curiosità genuina da parte del rampollo Malfoy, mentre Tom era invece piuttosto freddo, anche se si vedeva come i loro battibecchi sotto sotto lo divertissero.
Gli piace quando trova qualcuno con cui litigare che è alla sua altezza.
L’altro si strinse di nuovo nelle spalle. “Ho come l’impressione che gli vada dato un occhio, di tanto in tanto.” Sorrise e non aggiunse altro, ed Al capì cos’aveva fatto.
Si preoccupa per lui.
“Grazie e… mi dispiace se non è stato propriamente amabile.” Si scusò in automatico; non che i cattivi umori di Tom fossero di sua stretta competenza, ma a volte ne era la diretta conseguenza.
“È Dursley, no?” Gli fece un cenno di saluto. “Ci vediamo a cena.”
Tom era seduto sul letto che gli doveva essere stato assegnato; era in mezzo agli altri, con la sola, sparuta barriera di un comodino. Troppo poco per un serpeverde abituato ad un letto a baldacchino ed un armadio personale. “Ehi.” Esordì con buone intenzioni. Tom non alzò neppure lo sguardo.
Mh, mi ha sentito entrare.

Si sedette sul ciglio del letto. “Scorpius mi ha detto che hai terrorizzato metà delegazione.”
A quel punto l’altro alzò lo sguardo dalla bacchetta. “Osavano troppo.” Si limitò a dire, rimirando il lavoro perfetto che  sicuramente aveva ripetuto più volte. Si da quando l’aveva comprata da Ollivander sette anni prima era stato un maniaco della manutenzione.

La sua bacchetta non ha mai una sola impronta.
“Hanno osato fare cosa?”
“Respirare.”
“… Li hai spaventati a morte, vero?”
Tom fece un sorrisetto sottile. “Già. Non averli attorno mi ha aiutato a riflettere.” Soggiunse. Al preferì glissare sui metodi agghiaccianti con cui il suo ragazzo si rilassava e metteva in contatto con la sua interiorità. Se funzionavano, era un compromesso quasi accettabile.
“Andiamo a prepararci per la cena? È tra poco.” Suggerì. “E le tue cose non sono qui.”
Tom lo seguì obbediente. Albus dovette a mettere che la cosa lo metteva a disagio; era abituato ai malumori infiniti e offesi. E sapeva che dopotutto, anche se non era stato intenzionale e aveva detto cose maledettamente giuste, si era sfogato.

Tom aspettò che fossero nella stanza per parlare. Si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso il camino, stendendo le mani in un movimento inconscio e non doveroso, dato che nella stanza c’era un piacevole tepore.
“Non ho intenzione di abbandonare né te, né Lily. O Meike. O chiunque di voi.” Esordì con tono misurato. Fissava le fiamme del camino senza guardarlo. “Non posso… comprendere cosa hai passato un anno fa. Non ho idea di cosa prova chi resta.” Sceglieva con cura le parole, e Al capì che ci aveva riflettuto tanto. “Ma non intendevo considerare Lily un fattore non rilevante.”
Al inspirò. “Volevi solo che smettessi di preoccuparmi?”
Tom fece una smorfia. “Non ha funzionato, temo.” Fece una lunghissima pausa in cui lo vide, con la coda dell’occhio, mordersi le labbra. “Ci provo, ma non è facile. Per me. A volte…” Si fermò e aggrottò le sopracciglia.

“A volte?” Lo incalzò. Se c’era un modo per uscire relativamente sereni e sani da tutta quella faccenda era non nascondere niente l’uno all’altro. Thomas aveva convenuto, ma era sempre il più riluttante ad adottare quella linea di pensiero.
Le persone non cambiano da un giorno all’altro. Maturano. Ci stiamo provando.
“A volte mi sento come se mancasse qualcosa che invece gli altri, tu, Lily avete.” Ripete. “A voi importa.” Al non dovette abbassare lo sguardo per sapere che Tom stringeva i pugni con forza. “Ho paura che nella mia testa le cose funzionino in modo diverso.”
“Non è vero.” Lo rimbeccò accarezzandogli piano il dorso della mano anche per costringerlo a dare ai bistrattati palmi. “A te importa. Molto più che a certe cosiddette brave persone… È che ti è più difficile realizzarlo, credo.” Cercò il suo sguardo finché non incontrò quegli straordinari occhi del colore del mare in tempesta. Chiunque l’avesse notato la prima volta, aveva centrato in pieno la cromia. “So che vuoi bene a Lily. Mi ha detto che l’hai difesa un po’ più di un paio di volte quest’anno.”
“Quella stupida adora i guai come un’ubriacone ama la bottiglia.” Borbottò, infastidito dall’essere stato colto sul fatto. “Dev’essere un tratto di famiglia.”

Albus ridacchiò. “In realtà sono i guai che ci trovano, non viceversa. Lily è l’eccezione che conferma la regola.” Fece una pausa e tornò serio, perché serio era il concetto che doveva ficcare in quella testa impossibile. “Tu tieni a noi, Tom. Lo sappiamo.”
L’altro non replicò per un po’. “Allora non respingermi più in quel modo.” Sputò fuori infine.
Quale… oh. Quando gli ho schiaffeggiato via la mano.
Si sentì ufficialmente in colpa. La fisicità per Tom era vitale; i gesti per lui erano più chiari, più inequivocabili rispetto alle loro parole. Per questo i gesti di Tom, sin da quando era bambino, erano sempre riflettuti, calcolati al millimetro.
A differenza dei miei.
Era evidente che più delle parole rabbiose che gli aveva rivolto, l’aveva ferito il rifiuto fisico. Gli passò un braccio attorno alla vita, lentamente, in modo che potesse prevedere la mossa e scostarsi se avesse voluto. Lily aveva ragione a paragonarlo ad un gatto sospettoso. Lo era.
Sorrise appena del pensiero, mentre Tom aggrottava le sopracciglia. “Cos’hai da sorridere?”
“Nulla.” Scrollò le spalle. “Mi dispiace. Ero arrabbiato, mi conosci. Scusa?”
“Forse.”
… gli dai un braccio? Si prende la mano.

“Che vuol dire?”
“Non ho fame. Restiamo qui.” Non era neanche una proposta, era un ordine.

Al fece una smorfia. “E se putacaso io ne avessi? Ho passato il pomeriggio su una scopa. L’attività fisica mette fame.”
“Ci faremo portare qualcosa dopo dal tuo schiavo.”
“Non è il mio schiavo! Radescu è un…” Lo guardò in viso e lasciò perdere. “Devi davvero lavorare sul tuo vocabolario.”

“Lo descrive bene.” Fu la replica imperturbabile. Stava già pensando ad altro, era evidente. Era evidente anche dallo sguardo che gli lanciò.
Tom si chinò per allineare il viso al suo. Lo guardò da sotto le ciglia scure, senza dire niente.
Stupide ciglia lunghe.
“Dovrei leggerti nei pensieri?” Gli chiese anche se non ne aveva bisogno. Il suo cuore aveva deciso di raddoppiare i battiti e si sentiva caldo sul viso.
Non ho bisogno di rifletterci, proprio no.
Non avevano avuto tempo per stare assieme da quando erano partiti. Prima la forzata convivenza con gli altri e poi un primo giorno massacrante.
 “Come Occlumante faresti schifo, ma suppongo di poterti spiegare cosa ho in mente…” Concesse magnanimo, prima di baciarlo. Fu un bacio tiepido e languido. Al gli allacciò le braccia attorno al collo spingendoselo maggiormente contro, quasi facendoselo crollare addosso. Non importava, anzi.
Tom gli passò le mani lungo le spalle, fino alle clavicole, per poi accarezzargli i fianchi, facendogli il solletico e facendolo sbuffare appena contro le sue labbra.
“Troppo sensibile, Signor Potter.”
“Pervertito.” Ribatté con un sorrisetto, mentre gli mordicchiava il mento. Tom fece una smorfia, prima di tendere un nuovo sorriso. Lo spinse leggermente contro il letto e stavolta non c’erano tuniche o spettacoli a cui dovevano attendere di mezzo. Al si sedette e Tom puntellando un ginocchio sul materasso gli fu subito sopra, in un bacio che racchiudeva un discreto concentrato di desiderio inespresso.

Chi pensa che sia freddo e semi-asessuato…
Non lo conosce, e a me sta benissimo così.
Tom cominciò a scendere con le labbra, lungo il petto e lo stomaco. Aveva indubbiamente una fissazione per la sua pancia, il che era strano, ma meno strano di altre sue fissazioni, come ordinare la biancheria per colore e utilizzo.
Lo considerò nebulosamente mentre Tom gli tracciava un cerchio leggero con la punta della lingua attorno all’ombelico. Inspirò quando l’altro gli fece scivolare i pantaloni dell’uniforme lungo le gambe e agganciò il pollice al bordo degli slip.
“E se io non volessi? Ho fame sul serio.” Replicò capriccioso, anche se l’altro non ci avrebbe mai creduto. Essendo due maschietti, si notava il suo coinvolgimento nella cosa.
Tom, quasi a volerlo sottolineare silenziosamente, tracciò una linea invisibile con il dito dall’interno della gamba fino alla leggera peluria poco sopra al suo inguine. E poi inarcò un sopracciglio.
“Dicevi?”
Al si dimenticò del motivo per cui doveva resistergli mentre l’altro faceva scivolare le dita lungo il suo sesso e prendeva a toccarlo, gentilmente, quasi fosse un movimento poco interessante.
“Scontro tra… titani.” Sussurrò con il poco cervello che gli rimaneva. Gli infilò le dita trai capelli, ravviandogli una ciocca che gli era caduta sul viso. Tom gli prese la mano, baciando i polpastrelli uno ad uno.
Al non aveva la minima idea di dove l’altro avesse imparato quel genere di gestualità. Forse erano entrambi due convinti autodidatti.
“Ora…” Gli disse. “… sta’ zitto.”
Tom sapeva usare la bocca: che fosse per fare il primo della classe, minare l’orgoglio di qualcuno o far sfoggio del suo cervello, sapeva come usarla. Questo, in senso metaforico.

In senso letterale, anche se Al non aveva molte esperienze in merito, trovava fosse un baciatore fenomenale. Ma lì doveva fermarsi, visto che Tom si rifiutava categoricamente di sperimentare; lasciava a lui il piacere, ma non se ne parlava di reciprocare.
Non penso proprio che stavolta sarà dive…
Il cervello di Al andò completamente in bianco quando l’altro fece scivolare il suo sesso in bocca.
 
Albus era la cosa più maledettamente eccitante che esistesse nell’intero universo, magico e non.  
Perché solo Al poteva diventare paonazzo, sgranare gli occhi e spalancare la bocca in una ‘o’ perfetta e umida senza sembrare un completo cretino, ma invece spedirgli una scarica di eccitazione capace di spazzare via ogni pensiero, ogni problema.
Amava Al – una delle poche certezze emotive della sua vita - e comportarsi come un idiota con capacità empatica pari allo zero non aveva dovuto migliorare l’umore dell’altro.
Lui è qui per me.
Se lo ripeteva, perché quello che stava facendo non era tra le sue cose preferite all’interno di un’alcova.
Cominciò a diventare improvvisamente molto più interessante quando Al prese a gemere. A discapito di quanto si potesse pensare, era un tipo silenzioso a letto. Tom in quel momento invece si chiese se non dovesse fare un mufflatio alla stanza.
Poi Albus lo afferrò per i capelli e diede uno strattone in corrispondenza di una manovra particolarmente ben riuscita.
“Al.” Mormorò staccandosi. “I miei capelli.
“Perché ti sei fermato?” Piagnucolò con gli occhi tondi di un peluche inquietantemente adorabile. “Ancora?”
Qualsiasi cosa avrebbe detto avrebbe potuto essere usata contro di lui in un secondo momento, quindi Tom preferì il silenzio, tornando ai suoi compiti.

Al quando raggiungeva l’orgasmo era uno spettacolo. Gli occhi gli diventavano enormi e gli si aggrappava stretto – nel post Tom aveva notato anche la comparsa di lividi in corrispondenza della mano prendi-boccino – come se non volesse lasciarlo andare.
Quell’orgasmo fu esattamente così, perché Tom lo aveva pianificato, e si era ritirato in tempo, sostituendo dita alle labbra per poterlo guardare in viso.
Il ritratto di un santo babbano al cospetto del paradiso e tutti gli angeli schierati non rendeva bene l’idea.
Ci si avvicina però.
Lo baciò all’angolo delle labbra quando l’altro mormorò sfiatato il suo nome, tirandoselo contro.
 “Hai tentato di strapparmi i capelli.” Osservò, perché andava detto. La politica della totale trasparenza doveva essere adeguata anche per quei casi.
“Potresti diventare comunque pelato.” Gli sussurrò con tenerezza terrificante, mentre gli strofinava il viso contro il collo e giocherellava allusivo con i primi bottoni dei suoi pantaloni.

“… niente più sesso orale per te. Comunque, non mi piace.”
“Quando io lo faccio a te non la pensi così.”
“Se a te piace farlo, sono felice che a te piaccia.”
“Stronzo…” Mormorò con un lamento, ma lo sentì sorridere contro la sua pelle. “Comunque ti amerò lo stesso, sai.”

“Pelato?”
“Sì, e persino con un’empatia terribile. Come tu mi ami anche se do di matto.” Gli sorrise. “Funziona così.”

Tom gli baciò piano una tempia. “Per fortuna.”
 
****
 

Note:
Questo capitolo è gigantesco per farmi perdonare dell’orribile ritardo con cui posto in questo periodo. Purtroppo la Real Life impera e posso dedicare solo pochissimo tempo a tutto questo, che amo ben più della tesi o degli esami. ;_;

Questo è il massimo di lemon a cui riesco ad arrivare. Ed è più o meno lemon come un EstaThe, ne sono consapevole. xD
Questa la canzone. Ogni tanto bisogna esser seri, con le canzoni. Per il resto, ancora grazie da abbraccio forte a chi mi recensisce, mi contatta su fb e tutto il resto. Siete la cosa bella di questo periodo, davvero.

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Capitolo 54
*** Capitolo LI ***


Capitolo LI

 
 

 
Everything I know is wrong/ Everything I do just comes undone
You left the sweetest taste in my mouth / Your silver lining the clouds
I wish that I could work it out
(The Hardest Part, Coldplay)
 
 
 
13 Gennaio 2022
Norvegia, Durmstrang. Dormitori dell’élite (Ala Nera).

 
Sören non aveva tempo da perdere. C’era una Prova in vista, nessuna direttiva da suo zio e un mucchio di problemi che gli gravitavano attorno.
Fortunatamente vivere nell’Ala Nera gli permetteva di allenarsi, dormire e rifocillarsi senza sostanziali interruzioni. Nessun contatto che non fosse strettamente necessario. In quella settimana aveva visto solo Dionis e Poliakoff. Non doveva neppure presentarsi alle lezioni, essendone esonerato per la preparazione al Tremaghi – e sospettava perché il Direttore non lo volesse vicino alla sua innocente e fallibile scolaresca.

Uscì dalle docce comuni del piano strofinandosi vigorosamente il telo umido sui capelli. Una doccia bollente aveva lavato via la fatica degli allenamenti mattutini. Avrebbe pranzato velocemente prima di mettersi a lavorare sulla Seconda Prova.
Lavorare sul Torneo era un buon modo per scaricare la tensione.
“Oh, eccoti qua!” Lo sorprese una voce. Alzò lo sguardo e si trovò di fronte al suo assistente. “Ti ho cercato ovunque!”
“Sono appena tornato dall’allenamento nella foresta. Cosa c’è?” Si avvicinò ai suoi vestiti, indossandoli con calma, sentendo i muscoli sciolti dall’acqua tendersi al brusco cambio di temperatura. O forse per la presenza non attesa dell’altro. Cacciò via il pensiero come avrebbe fatto con dello sporco sul pavimento.

Il russo fece una pausa e Sören non dovette guardarlo in faccia per sapere che lo stava scrutando. “L’inglesina.” Disse soltanto e fu sufficiente.  
“Cosa?”
“È un problema?” Era la prima volta che il suo assistente affrontava un problema di petto, senza giri di parole o tentennamenti tremolanti.

“Dovrebbe esserlo?” Replicò. Gettò l’asciugamano sulle panche in pietra che disseminavano il locale delle docce e si chinò per indossare i pantaloni dell’uniforme. Era un buon modo per evitare che l’atro vedesse la sua espressione.
Capirebbe che stai nascondendo qualcosa.
Angoscia, non è vero Ren?
“Dimmelo tu.” Kirill si appoggiò ad una delle scansie, puntellandosi con le mani grassocce. Era ironico che un ragazzo in apparenza tanto incapace potesse tenerlo in pugno.
Solo con le parole. Gli bastano quelle. Gli basta una chiamata allo zio. Una sola, e un sospetto.
“Sono sorpreso quanto te che sia venuta fin qui. Ma questo non è un ostacolo ai piani. È solo un sassolino sulla strada, nulla di più.” Si allacciò la camicia con attenzione e lo specchio di fronte a sé gli restituì l’immagine di un ragazzo troppo magro, con pieghe nervose attorno alla bocca e borse sotto gli occhi.
Non era nel suo periodo migliore. Per eufemizzare.  
“Bel paragone.” Osservò l’altro accarezzandosi la barbetta. “Ma anche un sassolino, se si infila nello stivale, può dar fastidio.”
Dannazione.

Si voltò, fissandolo con la sua espressione più neutra. “Ho detto che non è un problema.”
“Ad Hogwarts lo stava diventando.” Osservò quello con un mezzo sorriso. Era sgradevole e storto. Sembrava quello di Johannes. “È curiosa, quella ragazzina…”
“L’ho allontanata la sera del Ballo e questo chiude la questione.” Si ravviò i capelli con una mano. Ciocche bagnate gli finirono negli occhi ma non se ne curò. C’erano tante cose di cui non si curava, da quando era tornato all’Istituto. I capelli avevano bisogno di una spuntata, erano troppe le ciocche irregolari.

Non è un bene che tu ti stia trascurando, Ren. Dov’è la tua famosa disciplina?
Poliakoff si staccò dalla parete, avvicinandoglisi. “Spero che lo sia. Mi dispiacerebbe se rimanesse invischiata in questa storia… beh, più di quanto già non sia.”
“Che intendi dire?” Si complimentò per l’assoluto disinteresse che trapelò dalla su voce. Quella doccia bollente era stata davvero un toccasana.
“Nulla di particolare. Era solo un’osservazione.” Fu la replica. “Soltanto, ora come ora, è troppo rischioso avere a che fare con lei.” Fece un sospiro scocciato. “Non le hai parlato dalla sera del ballo di Yule, vero?”
“No. Ho mai abbandonato l’Ala Nera se non per allenarmi?”
Poliakoff si strinse nelle spalle. “Chiedevo. Non possiamo permettere che il piano venga messo a rischio per una gallinella ficcanaso. Abbiamo già avuto una visita degli auror britannici, vediamo di evitare le forze magiche scandinave.”
“Non c’è bisogno che tu me lo dica.”
L’altro fece un cenno dismissivo con la mano. “Non farei il mio lavoro se non ti dicessi queste cose. Sei terribilmente nervoso da quando siamo qui.” Un’altra di quelle sgradevoli occhiate che lo facevano sentire una sorta di cavia. Sensazione conosciuta peraltro. “Sei sicuro che vada tutto bene?”
Sören strinse i pugni e si concentrò nel nascondere dietro un muro di Occlumanzia il grumo di emozioni che stava tentando di sfondargli la cassa toracica. Doveva decisamente evitare di aggredire il compagno, sia verbalmente che, soprattutto, fisicamente.

Nessun ulteriore sbaglio sarà tollerato. Non con i sospetti che nutre su di me. So che li ha. So che appena avrà occasione o sicurezza li dirà allo zio. E Lily sarà in pericolo, più di quanto già non sia.
Aveva un compito, una missione. Ma aveva anche un desiderio: proteggere Lily.  
Suo padre gli aveva insegnato che i debiti di vita erano qualcosa che marchiavano l’anima, nel profondo. In quei giorni, dopo l’impetuoso incontro avuto con la minore dei Potter, aveva raggiunto la consapevolezza che l’unico modo per ripagarla era tenerla lontana da tutto ciò che sarebbe successo. Perché sarebbe successo, non aveva dubbi su quello.  
Lontana da tutto e soprattutto da te.
… Eppure.
Ti manca, no? Vorresti vederla ancora. Ti ricordi la sensazione della sua pelle contro la tua?
Nessuno l’aveva toccato tanto quanto aveva fatto Lily Potter. Aveva scoperto che era bello.
Non è importante. Non mi serve. È controproducente.
Oltretutto… riusciresti a guardarla negli occhi?
“Fa’ in modo che nessuno degli studenti di Hogwarts abbia accesso diretto all’Ala Nera.” Si sentì dire, e per fortuna era la cosa giusta. Quel magone allo stomaco ormai gli dava la nausea.  “Sai meglio di me che, date le contingenze, è meglio se evito il contatto con la famiglia Potter. Almeno fino a nuove direttive.”
Kirill annuì. “Per quanto riguarda la Prova invece… stai studiando la documentazione che ti ho passato?”

“Naturalmente.” Si allacciò la casacca. “Sarò nella mia stanza per un’altra ora. Poi andrò alla caletta. Assicurati…”
L’altro sbuffò, alzando le mani in segno di esasperata resa. “Ho capito, ho capito! Non ci saranno, fidati. Né il clan dei Potter, né gli altri Campioni.” Sorrise. “Lascia fare a me. Tu concentrati nell’essere il nostro perfetto Campione.”
Sören ingoiò una smorfia sarcastica; era stato a stretto contatto con Kirill Poliakoff in quei cinque mesi. Sapeva bene di avere un Assistente più sveglio di quanto non dessero ad intendere le apparenze.

 
Kirill si accomiatò con un cenno di saluto dal suo Campione. Assistito. Sorvegliato speciale.
Comunque la mettesse, erano tutti sinonimi.
Fece un sorrisetto, scuotendo la testa; c’era una parte di lui che provava pena per Sören Von Hohenheim. Era un mago letale, praticamente un’arma su due gambe. Un confronto in merito alle loro rispettive forze magiche non poteva neppure essere immaginato. Eppure per certe cose, l’arma letale sembrava un dodicenne. Imbranato, per giunta. Era quasi ridicolo.
Non l’hai più sentita, eh? E il rendez-vous strappalacrime la sera della cerimonia d’accoglienza?
Non si era neppure accorto che li aveva spiati, perché troppo concentrato a stringersi al petto quella sciocca streghetta inglese.
C’era decisamente bisogno che facesse una certa chiamata via camino. C’erano aggiornamenti.
 
****
 
“È una mia impressione o ci stanno tenendo sotto controllo?”
Era stata Rose a rompere il silenzio della biblioteca di Durmstrang. Albus le lanciò a malapena un’occhiata, molto più concentrato a cercare di capire come leggere nel giusto ordine le rune del libro di testo che aveva davanti e Tom e Scorpius erano immersi in un profondo battibecco sibilato a proposito della Prova, uno specchio magico e lì si fermava la sua voglia di sapere, davvero.

Batté le palpebre, notando che la cugina aveva scritto solo pochi centimetri della sua pergamena per i compiti del giorno dopo, il che era strano; non appena Rose aveva scoperto che le materie di Durmstrang avevano un’impostazione diversa da quelle inglesi si era subito stabilita in biblioteca per sessioni feroci di studio comparativo trascinando con sé il suo riluttante fidanzato.
Era passata quasi una settimana dal loro arrivo e non c’erano state sorprese o colpi di scena. La routine dell’Istituto li aveva inglobati come avrebbe dovuto. Non avevano molti contatti con gli allievi della scuola, ma in compenso trascorrevano molto tempo con la delegazione francese che aveva accesso alle loro stesse aree della fortezza.
Sì, perché tralasciando i nostri dormitori, il refettorio, il campo da Quidditch e la biblioteca non è che possiamo andare dove ci pare. Non che vogliamo. C’è sempre il rischio di perdersi, qua dentro.
Forte di quella riflessione, tornò all’espressione incerta di Rose. “Che intendi dire?” Le chiese.
“Intendo dire…” Sospirò, mentre anche gli altri due smettevano di bisticciare per dar loro attenzione. “… che sono sempre molto attenti ad organizzare attività per noi, sai, come la gita fuori porta di due giorni fa, quando siamo andati a visitare quel vecchio cimitero pagano.”
“È stato divertente!” Si intromise Scorpius. “Spettrale e tutto quanto!”
“Non lo è stato.” Borbottò Tom togliendogli di mano la penna stilo – babbana e quindi sua – che l’altro era in dirittura di mordicchiare.
“Non ti è piaciuta perché Dominique ti ha spaventato.” Ghignò l’altro. “Ammettilo.”
No.
Al fece un mezzo sorriso, ricordando come il suo ragazzo fosse letteralmente saltato in aria quando la platinata anglofrancese era saltato fuori da dietro una tomba urlando.

Ho dovuto evitare che la maledisse…
Al si rivolse di nuovo alla cugina. “Beh, non vedo cosa ci sia di strano… Anche noi abbiamo organizzato cose del genere per loro quando erano in Scozia. È per farci conoscere i dintorni.”
Rose fece una smorfia; era un paio di giorni che era inquieta e trasparente com’era, si notava molto. Forse era dovuto al fatto di aver realizzato che aveva un anello al dito e che avrebbe dovuto dire anche quello al padre.
Forse stavolta è la volta buona che zio Ron ha un infarto.
Scorpius, notando la sua espressione, le prese la mano e la intrecciò alla sua, baciandone le nocche.  
“Fiorellino, cosa cerchi di dirci dietro complessi giri di parole?” Le chiese allegramente; il perenne buon’umore del grifondoro era un balsamo, e non solo per la sua fidanzata, anche per loro. Che avesse percepito o meno la tensione che correva tra quelle mura, era sempre pronto a stemperare una conversazione tesa con una battuta o con una diversione.
Buffo a dirlo, ma senza di lui penso che avremo litigato un po’ di più e riso un po’ di meno.
 
“Che ‘sti vichinghi non ci tolgono gli occhi di dosso un secondo, biondo.”
 
Era Dominique, Al lo seppe prima di voltarsi dato che aveva di fronte Thomas, il quale aveva assunto un’aria tra l’irritato e lo sconfortato.
Ha questa faccia solo quando è in presenza di Jamie o Dom. E visto che Jam non c’è…
La suddetta infatti afferrò una sedia, voltandola e mettendocisi a cavalcioni, ignorando che fosse riccamente istoriata e che il resto della sala la stesse guardando in vari gradi di sconcerto. La biblioteca di Durmstrang era enorme, spaziosa e soprattutto, antica e sembrava del tutto inadeguata ad ospitare gesti del genere.  Metà degli scaffali ospitavano rotoli di pergamena, invece che libri rilegati. Sugli archi che si aprivano sul soffitto a volta erano incise rune che neppure Rose, che le studiava dal Primo Anno, era riuscita a decifrare.  
“Nicky, abbassa la voce!” C’era anche la ragazza francese dal nome inglese. Sembrava contrariata dall’essere lì a giudicare dalle braccia incrociate e l’aria genericamente infastidita.
“Violet!” Esclamò Scorpius, l’unico apparentemente felice di vederla.  
“Sì, ci siamo entrambe purtroppo.” Sbuffò questa, quando si rese conto che non poteva bacchettare due persone nello stesso momento. Si sedette rigidamente accanto all’altra, quasi dovesse esser dipinta per un ritratto familiare.
“Siamo in una biblioteca, Malfoy. Abbassate il tono prima che ci caccino.” Concordò Rose. Dato il silenzio scomodo che ne conseguì, Albus si sentì in dovere di riprendere la parola, seppure a bassa voce.
“Vi sentite controllate?” Considerate le contingenze, non poteva trascurare nulla. Anche le cose più sciocche potevano essere sintomo di qualcosa.
“Sicuro! C’è sempre qualcuno che ci sta attaccato al cu…” Esordì Dominique, prima che un’occhiata raggelante dell’altra le facesse roteare gli occhi al cielo. “… al fondoschiena. L’abbiamo notato un paio di giorni dopo il nostro arrivo. Non siamo mai veramente sole, se non in dormitorio.”
“Anche per noi è così.” Confermò Rose e Al, suo malgrado, dovette far mente locale e rendersi conto che ad eccezione della camera da letto, era sempre seguito come un’ombra da Radescu.

L’unico motivo per cui non è qui è perché… Beh, qui dentro è pieno di allievi.
“Ad Hogwarts non era così.” Si intromise Violet. Il suo spiccato accento londinese sembrava tutto fuorché francese. Era la prima volta che Al la sentiva parlare che non fosse per civettare con Malfoy. “Non che potessimo muoverci ovunque, ma qui ci stanno pedinando. Non siamo le sole ad averlo notato, anche i ragazzi hanno avuto la stessa impressione.”
“Mael. È un nanetto paranoico, ma stavolta penso abbia ragione.” Soggiunse Dominique. Aveva assunto un’aria seria ed era dannatamente credibile con quell’espressione addosso.

“Ne avete parlato con la vostre Preside?” Chiese Rose.
Violet fece una smorfia dismissiva. “Voi ne avete parlato al vostro? Non ci darebbe mai retta, direbbe che ce lo stiamo immaginando. In effetti è più che altro una sensazione.”
“Non ce l’hanno tutti.” Concluse Dominique afferrando una delle penne di Tom e osservandola incuriosita prima che questo gliela strappasse di mano. 

“Perché dovrebbero fare una cosa del genere?” Chiese Al.  
Dominique si guardò con Violet, e fu di nuovo questa a parlare. “Non ne abbiamo idea. Ma è chiaro che fanno di tutto per sapere dove siamo tutti quanti, in ogni momento. Anche adesso.” Era molto meno scema di quanto avesse millantato Rose, pensò Al, e doveva essersene accorta anche la suddetta dalla strana espressione di scornata confusione che aveva assunto.
Scorpius si stiracchiò, approfittandone per dare uno sguardo tutto attorno. “Eh, mi sa che è vero. Ci sono un paio di allievi che guardano dritto verso di noi da un po’.”
“Da quando siamo entrati qui.” Mormorò Tom.
“Questo Torneo ha qualcosa di strano.” Sbuffò Violet. “Ed è anche più inquietante di quanto non dovrebbe essere normalmente.” Fissò Scorpius. “Voi cosa sapete?”
Malfoy non batté ciglio, limitandosi ad un sorriso disimpegnato. “Nulla di più di quello che sapete voi.”
“Sciocchezze.” Lo interruppe. “Sapete qualcosa perché qualcosa è successo da voi l’anno scorso. Era su tutti i giornali. Sta succedendo di nuovo?”
“Non sono affari tuoi, Parkinson.” Sbottò Rose, che evidentemente non digeriva il tono di comando dell’unica donna oltre a lei in quel consesso.

Domi non conta.
Era uno scontro di volontà femminili, capì Albus preferendo far finta di non aver notato la cosa.
L’altra assottigliò lo sguardo serrando le labbra. “Sono affari miei, Weasley. Calpesto il vostro stesso suolo e questo basta per mettersi nei guai, secondo ciò che si dice della vostra famiglia.”
Le orecchie di Rose stavano diventando pericolosamente paonazze. Albus non era l’unico ad averlo notato, perché Malfoy intervenne un secondo prima che la ragazza desse fiato alla sua rabbia.
“Violet, non c’è alcun pericolo per Dom.” Proferì calmo. “Se succederà qualcosa… e non sto dicendo che sia cosa sicura, non coinvolgerà i Campioni del Tremaghi, ti do la mia parola.”
Non avrei potuto dirlo meglio.
Al si segnò mentalmente di ringraziare Scorpius circa un centinaio di volte finita quella storia.
La ragazza arrossì leggermente sulla guance, facendo una smorfia ed evitando di guardare proprio in direzione dell’interpellata.
“Sai che vuol dire in francese il tuo cognome?” Borbottò.
“Ho parenti francesi da qualche parte, certo che lo so.” Ghignò il ragazzo. “Ma io sono speciale. Della mia parola ti puoi fidare.”
“Io mi fido.” Convenne Dominique placidamente. “Il punto però resta. Questi son tutti sulle spine da quando siamo qui. È come se non ci volessero ma gli tocca far buon viso a cattivo gioco. Una roba del genere” Scrollò le spalle. “Pensavamo fosse giusto dirvelo.”
“Io non lo pensavo, è stata un’idea tua.” Continuò malmostosa la mora, prima di alzarsi in piedi. “Se non avete intenzione di metterci a parte dei vostri piccoli segreti ce ne andiamo.” Non aggiunse altro, lanciando un’occhiata significativa a Dominique prima di marciare via tutta impettita.

Quella sospirò lanciando un’occhiata verso l’ultimo lembo di gonna azzurra che spariva tra gli scaffali. “Mi sa che devo andare. Ohi, a proposito, dov’è Lils?” Chiese, come se tutta quella conversazione fosse stata costellata da banali convenevoli e aneddoti familiari. Albus era sbalordito ed insieme invidioso della capacità della cugina d’Oltre Manica di essere sempre al di sopra di qualsiasi preoccupazione.
Si deve viver bene così.
“In punizione.” Le rispose.
“Ah, quella rossa!” Ghignò affatto turbata dalla notizia – e perché avrebbe dovuto, dato che le punizioni scolastiche erano una costante nella loro famiglia?

“La Parkinson è una rompipalle.” Sbottò Rose quando se ne furono andate. “Ma poi che voleva?”
Scorpius scrollò le spalle. “Andiamo Rosie, è ovvio! Violet è preoccupata . Non è tipa che te lo dice apertamente, ma ha paura per la sua ragazza. Parecchia o non sarebbe mai venuta a cercarci di persona.”

“Mi sembra ancora incredibile che lei e Domi siano una coppia…”
“Volevano capire se erano le uniche ad aver avuto una sensazione che può tacciarti di paranoia.” Soggiunse Tom continuando a fissarsi le mani come se fossero la cosa più interessante al mondo. Altamente probabile che il suo cervello stesse lavorando a pieno regime.
“Beh, non lo sono…” Sbuffò Rose ravviandosi una ciocca di capelli. “Anch’io sono preoccupata per Scorpius.”
“Sei tenera Rosellina.”
“Sono angosciata, è diverso.” Inspirò. “Perché ci stanno sorvegliando?”

 
****
 
Lily si sarebbe suicidata dalla noia entro dieci minuti esatti d’orologio.
Ne era talmente certa che stava già progettando come sarebbe avvenuta la sua morte. Un defenestra mento sembrava l’ipotesi più fattibile e meno dolorosa. Uccisa da qualche scoglio aguzzo o dall’impatto con l’acqua.
Persino coreografico. Romantico. Scenico. Mi piace.
“Signorina Potter, non ha tempo da perdere con il naso per aria. I compiti non si faranno da soli.”
Lily lanciò un basso mugugno, tutto ciò che le era concesso di fronte all’espressione di pietra di Minerva McGrannit. Finite le impraticabili lezioni della mattina – erano tutte in tedesco e lei era una schiappa con gli incantesimi di traduzione simultanea - era stata portata da Ted nelle stanze assegnate alla vecchia professoressa e da lì non era più uscita, neppure per pranzare dato che aveva mangiato sotto la sua disagiante supervisione.

“Perché non posso studiare in biblioteca con gli altri?” Chiese fissando la propria pergamena intonsa ad eccezione di un paio di scarne righe. Trasfigurazione non era più il suo Gramo, ma rimaneva comunque una materia ostica.
Senza le spiegazioni di Ren, tra l’altro.
“Perché è in punizione.” Le fu ovviamente comunicato.
“Studiare non è come andare ad una festa o ad una gita…” Borbottò a mezza bocca. Poteva capire l’esser tagliata fuori dai divertimenti organizzati per le delegazioni – a cui non voleva comunque partecipare, dato che erano più che altro tetre visite in cimiteri o esplorazione degli impervi dintorni.
Ma studiare. In biblioteca!
Non avrei mai pensato che avrei desiderato una cosa del genere. Mai, nella mia vita.
“Come ho detto, lei è in punizione.” Ripeté l’anziana strega. “Questo significa che le è preclusa la possibilità di passare del tempo ad oziare.”
Lily batté le palpebre. “In biblioteca?” Tentò di nuovo.

Fu quasi certa di vedere una lieve contrazione nella bocca della professoressa. Se fosse stato un sorriso o una smorfia era però difficile stabilirlo. “Visto che ha una particolare inclinazione ad eludere la sorveglianza dei suoi fratelli o dei Prefetti, il Preside ha ritenuto che fosse opportuna una più stretta sorveglianza.”
Il Preside… diciamo pure papà.
Non disse nulla però, limitandosi ad ingoiare una risposta salace e rimettersi al lavoro sulla pergamena. Perlomeno con Teddy era meno noioso.
Aveva infatti avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere e farsi aiutare, e non fissare con sguardo giudicante; ma quel giorno il vecchio amico era dovuto andare in paese – ovunque fosse – a sbrigare delle faccende e quindi la Pluffa era stata passata alla McGrannit.
Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra; sembravano passati anni da quando Sören aveva giocato con lei e i suoi amici. Da quando avevano riso insieme ed era tutto normale, e bello.
Le mancava Sören; le sembrava assurdo essere nello stesso castello, dividere la stessa aria e non poterlo vedere.
L’aveva cercato con lo sguardo in quei giorni, in refettorio, nei corridoi, nelle aule. Ovunque. Sembrava essere scomparso e qualsiasi contatto con gli allievi di Durmstrang si era rivelato un continuo, smorzante fallimento. Se aveva tempo di fermarne uno, sembrava che enormi barriere linguistiche li ostacolassero. E la delegazione del Tremaghi si è smembrata. E chi li riconosce, se non sono tutti assieme?
Come se non bastasse, era controllata a vista; da sua cugina quando era in dormitorio, da Al durante le ore di lezione e per il post c’era un ovvio Teddy a scortarla ovunque.
Non dovrebbe essere Tom quello nei guai? Perché hanno messo in regime di sorveglianza speciale soltanto me?!
Tirò un ennesimo, rumoroso sospiro e a quel punto l’anziana strega fu costretta ad alzare gli occhi dall’incantesimo sferruzzante che stava controllando. “Potter.” Esordì con tono carico di esasperazione. “Sarebbe opportuno cercasse di rimanere concentrata almeno per dieci minuti di fila. I suoi compiti ne trarrebbero giovamento, mi creda.”
“Non ci riesco!” Sbottò sentendo la sua voce avere uno sgradevole picco infantile. Non che fosse una novità; di fronte alla vecchia strega scozzese si sentiva sempre infantile. “Io… non riesco a rimanere concentrata. Ho troppe cose in testa!”

Quella ripose il lavoro a maglia nell’apposito cestino e incrociò le mani in grembo. “Ad esempio?”
“Ad esempio…” Esitò, perché se non aveva trovato comprensione da suo fratello, Ted o gli altri dubitava di poterne trovare in un’eroina di guerra, dura come la roccia, inflessibile e… zitella. “Non capirebbe.” Brontolò amareggiata. 

“Mi metta alla prova.” Fu l’inaspettata replica. Il tono non si era addolcito di una virgola, ma perlomeno non stava tentando di riportarla ai suoi doveri. Era un progresso.
“È per via di Sören Luzhin che sono qui. Il piano era stargli vicino…” Strofinò con forza una macchia di inchiostro sulla nocca. Detestava avere le mani macchiate, era decisamente poco femminile. “… ma è andato tutto storto.”
“Suppongo non avesse considerato la punizione che ne sarebbe conseguita.” Osservò con un sorriso sottile.
Lily si sentì arrossire e per un folle momento le sembrò di vedere volteggiare la sua età nell’aria, quasi fosse stato lanciato un incantesimo Flagramus¹.
Stupida, stupida quindicenne.
“No… mi sa di no.” Ammise. “Però non è solo questo. Sören non è mai in giro ed ho paura che… insomma, che non stia bene e che qualcuno gli stia facendo del male.”
La McGrannit inarcò le sopracciglia. “Qui, a Durmstrang? Al suo Campione?”
“Lo so che è assurdo.” Si mordicchiò un labbro, continuando a tentare di strofinarsi via la maledetta macchia. Con tutto quel movimento di polso vedeva baluginare il braccialetto che l’amico le aveva regalato per Natale. Faceva male. “Vorrei solo vederlo. Vorrei sapere se sta bene. E non ci riesco.” Cercò con tutte le forze di ricacciare indietro il groppo che sentiva alla gola. Ormai era ospite fisso dei suoi migliori magoni. “Non mi sembra una cosa tanto pazzesca da chiedere, no?”

Non alzò lo sguardo perché in quel momento non sarebbe stata capace di fronteggiare una donna che aveva votato la sua vita ad alti valori morali e che di certo la trovava una minorenne cretina, riempita di sciocchezze ormonali. Poi sentì un sospiro.
Rassegnazione? È rassegnazione. Mi piace la rassegnazione. Significa vittoria Forse.
“È stato il Signor Luzhin a darle ripetizioni nella mia materia?”
Annuì rapidamente. “Sì, proprio lui! Non sarei migliorata tanto se non… cioè, mi ha motivato.” Rettificò, dato che non era il caso di dare tutto il merito ad un esterno di fronte alla docente in questione. “Me l’ha fatta vedere diversamente.” Sperò andasse bene.

La McGrannit non disse nulla, limitandosi a riprendere con un colpo di bacchetta il lavoro a maglia. Sembrava ne stesse venendo fuori qualcosa di molto tartan.
Scozzesi…
“Finisca i suoi compiti.” Disse facendola ripiombare nello sconforto. “Se termina prima che faccia buio forse potrà godere di una rinfrancante passeggiata fino alla caletta qui vicina.”
Lily la guardò senza capire; perché mai avrebbe dovuto interessarle congelarsi e dover poi risalire un pendio solo per vedere una caletta, per quanto potesse essere rinfrancante?
“Pensavo sapesse dove si allenano i Campioni, Signorina Potter.”
La McGrannit era ufficialmente diventata la sua professoressa preferita.

 
****
 
Inghilterra, Londra, Ministero della Magia.
Ufficio Auror.

 
“Luzhin potrebbe non essere Luzhin.”
Harry colse quella frase mentre osservava il magma indaffarato che era l’ufficio auror quel pomeriggio; non era, lavorativamente parlando, l’ora di punta. Era sempre così entrare nella loro sezione; promemoria volanti ovunque, auror che entravano ed uscivano presi da una fretta insostenibile. Checché se ne dicesse, quel caos convulso – eppure stranamente funzionale - era Grifondoro con una lieve spruzzata di indefessa operosità Tassorosso.

Osservare quello spettacolo lo aveva sempre tranquillizzato.
Non adesso.
Voltò le spalle alla grande vetrata che si apriva sul suo ufficio e guardò Ron, appena entrato. A breve distanza c’era Nora. Era stata lei a parlare.
“Notizie sui genitori di Luzhin?” Chiese.
“Ancora nessuna.” Scosse la testa Ron. “E indovina un po’? Casa loro ha un Custode Segreto, che sembra essere Frederick Luzhin stesso. Non possiamo neanche ottenere un mandato per una perquisizione in cerca di indizi. Non riusciamo a trovarla!”
“La Thule ha fatto le cose come si deve…” Mormorò sciogliendo le mani da dietro la schiena e misurando l’ufficio con i propri passi. Mantenere la calma e la freddezza mentale era una priorità assoluta.

Da adolescente sarebbe andato avanti a capo chino; ma non lo era più da parecchio tempo.
E non posso comportarmi come tale. Come Lily.
Ron si buttò sulla sedia di fronte alla scrivania, passandosi una mano trai capelli. “Fantastico, siamo punto e da capo. Nulla di fatto!” Fece una smorfia lanciandogli un’occhiata indecifrabile. “Pensi davvero che la teoria della sostituzione di persona sia valida?”
“Sì. Sören Luzhin non è chi dice di essere. Non ci sono prove schiaccianti… ma circostanziali? Troppe.” Osservò le foto che teneva sulla scrivania. I suoi figli lo salutavano sorridendo, con una serenità che gli dava uno strano senso di impotenza.
Non sapere quali fossero i piani di Hohenheim era peggio di un veleno; aveva già assaggiato quella bevanda sgradevole con Voldemort.
Avrei voluto che fosse l’ultima volta. Vorrei che non vi fossero coinvolti i ragazzi…
… Ma spesso volere qualcosa, non è ottenerla.
“Pensi che un adepto della Thule abbia preso il suo posto?” Lo riportò alla realtà Nora.  
“Sì, lo penso.” Confermò secco, voltandosi di nuovo verso di loro. “I suoi genitori sono irrintracciabili, i loro dipendenti non ricordano che faccia abbia. Prima di quest’anno era solo uno studente come tanti, non particolarmente famoso o di rilievo. Perfettamente sostituibile, dunque.”
“Ma com’è possibile che nessuno se ne sia accorto a Durmstrang?” Sbuffò Ron. “Insomma, i professori, i compagni… il Preside! A meno che non stia sotto Polisucco dall’inizio dell’anno.” Ci rifletté brevemente, poi scosse la testa. “È impossibile, ci sono i controlli preliminari del Tremaghi!”
“Allora potrebbero essere d’accordo.” Realizzò Nora lanciandogli uno sguardo. “Il Preside, i professori… Pensi che sappiano, Harry?”
“Forse non tutti. È difficile corrompere un’intera scuola. Ma non esiste solo la Polisucco, ci possono essere incantesimi. Fatture.”
“Difficile, ma non impossibile.” Nora sospirò. “Di certo la Thule non manca di incantesimi potenti.”

Ron fece una smorfia. “Scusate, ma devo chiederlo… È una delle idee di Thomas? Perché sembra una delle sue paranoie.” All’espressione che dovette assumere fece un sospiro. “È che mi sembra assurdo che un ragazzo possa essere sostituito così… tra l’altro diventando Campione e sbattendo la sua faccia su tutti i quotidiani magici d’Europa!”
Harry comprendeva lo scetticismo dell’amico; anche a lui sembrava inconcepibile che una sostituzione simile potesse aver avuto atto. Ma la Thule era stata capace di rintracciare i Doni l’anno prima, e appropriarsene sotto il naso di un intero corpo docenti e metà polizia magica britannica.
Impossibile è un vocabolo da ridefinire con loro.
Ron fiutando la loro esitazione tornò alla carica. Era l’avvocato del diavolo, come avrebbe detto un babbano, e anche se era uno sporco lavoro, Harry in fondo gliene era sempre stato grato.
A volte temo che non sia Tom l’unico ad avere un debole per le teorie complottistiche.
“Quello che mi chiedo è perché.” Esordì. “Perché montare tutto questo teatrino, l’attacco dei Dissennatori e l’infiltrarsi a Durmstrang? Diamo pure per scontato il fatto che il padre di Thomas lo rivoglia… tutto questo caos solo per riaverlo indietro? Ci sono modi molto più discreti di agire. Ne potrei elencare almeno cento.”
“Ronald ha ragione. Non è il solito modus operandi.” Convenne Nora. “Il loro principale vanto è sempre stato colpire per poi sparire nel nulla. Qui invece sono state lasciate tracce vistose. Un’operazione della Thule non avrebbe lasciato tutti questi indizi sulla famiglia di Luzhin.”
“Avevamo preso come punto fermo il fatto che questa non è un’operazione dell’Organizzazione, ma un’iniziativa personale di Von Hohenheim.” Ricordò loro. “Si è staccato dalla sua Organizzazione, e lavora in proprio.”
“Quindi si suppone che il ragazzo lavori per lui e lui soltanto.” Nora inspirò. “Abbastanza giovane per passare per studente, ma addestrato.” Si incupì. “Per quando ne sapevamo, aveva un solo braccio operativo personale, John Doe. Evidentemente non è così.”
“Non è una prima leva, la sua Prima Prova ne è stato esempio. Era oltre l’eccezionale.” Convenne Harry. “Sören Luzhin è il prodotto di un formazione magica superiore a quella scolastica. Durmstrang può essere rigorosa, ma quel ragazzo si comportava come un agente scelto, non come uno studente.”

La sua mimica facciale, la sua postura. I modi. Penso che darebbe filo da torcere persino ai nostri migliori auror. 
“E Lily?” Ron fece la domanda che Harry accuratamente evitava da giorni. “Lils che c’entra in tutto questo?”
“È solo un mezzo per avvicinarsi alla vostra famiglia.” Scrollò le spalle Nora. “Luzhin era suo amico di piuma. Quale occasione migliore per avvicinarsi a Thomas?”

Harry non disse nulla, lasciando che Ron convenisse al posto suo.
Non ne sono sicuro.
Lily si era affezionata a Sören in maniera tenace. Profonda. Era persino scappata per potergli stare vicino e non era una cosa che sua figlia avrebbe fatto a cuor leggero. Non era quel genere di ragazza. Era chiaro che si era instaurato tra loro un rapporto più intimo di quello di un’amicizia basata su una conoscenza per lettera.
“Luzhin si è finto parente di Piton con Lily. E forse lo è davvero.” Osservò pacato. Era la prima volta che lo diceva ad alta voce e la reazione non si fece attendere; Ron quasi si strozzò con la sua stessa aria e Nora assunse un’espressione di totale confusione. 
Aveva aspettato tanto a dirlo perché aveva dovuto rifletterci, da solo. Aveva chiesto a James di non dire nulla e si era assicurato che il messaggio arrivasse anche ad Hugo. Poi aveva passato un’intera serata a fissare i riverberi del camino con un bicchiere di Whiskey Incendiario tra le mani.
L’idea che un mago del genere avesse dei legami con il suo vecchio professore e ne avesse istaurati con sua figlia – Lily -  l’aveva quasi mandato in crisi.
E più ci aveva riflettuto più si era dato dell’idiota a non aver notato la somiglianza la prima volta che gli si era presentato.
I suoi occhi mi ricordavano quelli di qualcuno. Neri, come voragini. Non era Occlumanzia, o meglio, non solo. Sono gli stessi occhi di Severus Piton.
“Stai scherzando!” Quasi gli intimò Ron. “Piton non aveva famiglia magica, al Sesto anno abbiamo scoperto che suo padre era un babbano, non ti ricordi? Per questo si faceva chiamare Principe Mezzosangue!”
Harry annuì. “Sì, ma non lo era sua madre. Eileen Prince era una Purosangue. I Purosangue non hanno mai un solo figlio, se possono, no?”

Ron aprì la bocca e la richiuse un paio di volte. “Ma … si è solo finto, giusto? Lily ha quella mezza cotta stramba per il vecchio pipistrello. Ne avrà approfittato per farsela amica!”
Harry trattenne un sorriso, ricordandosi perché l’altro avesse in memoria un’informazione del genere.
L’ha preso in giro di fronte a lei quando aveva otto anni … e credo che sia stato lo scoppio di Magia Accidentale peggiore che Lily abbia mai avuto. Ron non ha potuto sedersi per un mese intero.
“Non ne sono così sicuro. Ha cercato il ritratto di Piton per avere informazioni sui Prince, voleva che qualcuno gli parlasse di quella famiglia.”
“Per rendere più verosimile la sua storiella!” Lo interruppe l’altro, ruggendo rabbia. “Per ingannare ancora meglio Lils! Piccolo, viscido bastardo!”

“Qual è il grado di parentela che ha detto di avere con Severus Piton?” Nora sembrava poco convinta, ma aveva il merito di saper far domande, più che pretendere spiegazioni.
“Sono cugini.” Replicò. “Oltre ad Eileen Prince c’era un fratello, Elias. Sembra essere suo figlio.”
Nora lo guardò confusa. “Sembra? Ci sono altri fratelli?”
Harry scosse la testa. “No… ma il ragazzo ha detto a Piton di essere imparentato con lui per parte di madre. Ha mentito. L’ha fatto, credo, per nascondere di chi era davvero figlio. Per inquinare le acque. I Luzhin non hanno legami con l’Inghilterra, né tantomeno con la famiglia Prince, almeno non secondo le nostre indagini.”
“Elias Prince.” Nora fece un cenno di assenso, scribacchiandolo sul taccuino di pelle nera che le vedeva spesso estrarre durante i resoconti di indagine. Avrebbe dovuto farne comprare un po’ anche per i suoi, sembravano utili per fissare le idee. “Dirò ai miei ragazzi di fare una ricerca sui nostri archivi.”
“Avete un archivio anche sui maghi europei?” Chiese Ron tra l’ammirato e il preoccupato. “Accidenti, non dirmi che avete schedato anche noi!”
Nora ridacchiò. “Temo di non poterne parlare liberamente, Ronald.”
Ron fece una smorfia. “Miseriaccia… voi americani siete tremendi!”
Harry sorrise appena allo scambio di battute trai due; era felice di avere un valido aiuto da Oltre Oceano. Doveva trovare le prove che Sören Luzhin non era chi diceva di essere. E aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile per farlo.

 
****
 
“Le mie gambe non mi permettono di proseguire oltre.”
Lily si voltò verso la professoressa McGrannit che, avvolta nel proprio mantello e in una vistosa stola di tartan scozzese, la guardava dal ciglio del sentiero che digradava violentemente fino alla famosa caletta.

“Ah.” Emise senza saper bene cosa dire. Ovviamente era stata accompagnata dato che non poteva muovere un passo senza che qualcuno le stesse col fiato sul collo. Lanciò un’occhiata in basso. Sören era lì, poteva essere lì. No. Era lì. Lanciò un’occhiata frustrata alla donna. “… ma mi aveva promesso…”
“So cosa le ho promesso.” Fu la replica pacata. “Vada dunque.”
Lily ebbe la sensazione di aver assunto una faccia da completa deficiente. “… Scusi?”
“Considerando il dover scendere e risalire, considero all’incirca venti minuti.” Fece una breve pausa. “Sto già contando.”
Lily non se lo fece ripetere due volte, per quanto non capisse cosa diavolo fosse preso a quella che, a conti fatti, era stata la professoressa più rigida e amante delle regole della scuola, secondo i suoi genitori.

Oh, beh. Al diavolo!
Scese di corsa il viottolo, sufficientemente largo per non metterle ansia. Non aveva problemi con le grandi altezze a strapiombo, ma con le cadute e le morti certe, sì.
La caletta era stretta e battuta dalle onde. La lingua di sabbia che la delimitava era grigiastra e crepitava sotto i suoi piedi come se fosse fatta di gusci d’insetti. Era un posto abbastanza largo per potersi allenare, a giudicare dai segni di bruciature di incantesimo sulla sabbia. Non capiva però perché fosse considerato tale; dentro la fortezza di sale dedicate agli allenamenti dovevano essercene a bizzeffe.

Lo capì quando per poco un’onda non le fece completamente il bagno. Fece un balzo indietro, stupita.
Evidentemente la conformazione della caletta non dava la sicurezza di essere all’asciutto.

Per la concentrazione? Beh, certo, lanciare incantesimi con il rischio di essere affogati non deve aiutare.
Sarà un allenamento per la Seconda Prova…
A proposito di quella, Sören. Non lo vedeva da nessuna parte. Fece ruotare lo sguardo su tutta la spiaggetta, ma non c’era traccia di anima viva. Inspirò, sentendo la delusione investirla; ci aveva sperato di poterlo vedere.
Era un’occasione perfetta. Lui si allena da solo, non si porta dietro quel viscido e io …
 
E poi lo vide proprio dove non l’aveva, per ovvi motivi, cercato; era in mare.
C’era uno scoglio che spuntava in mezzo a tutta quell’acqua tumultuosa e il suo amico era lì, in piedi e con gli occhi chiusi. Lily non capì cosa stesse facendo finché non notò che le onde sembravano evitare lo scoglio con una precisione che poteva essere solo magica. Non aveva idea di cosa stesse facendo, ma doveva essere un incantesimo. Sembrava profondamente concentrato.
Allora sì, è un allenamento sulla concentrazione. Chissà in che cavolo consiste la Seconda Prova.
Non aveva la bacchetta e quello era ancora più sbalorditivo. Ren era sbalorditivo.
In ogni caso, si presentava un interrogativo. Chiamarlo o meno?
Lily non ci mise molto a scegliere; il tempo concesso dalla professoressa era esiguo e scendendo ne aveva già sprecato un bel po’. “Ren!” Lo chiamò con forza, per sovrastare il rumore delle onde. “Ren!
Non diede segno di averla sentita, ed era possibile. “Ren, sono Lily! Ehi, mi senti?” Non desistette e a quel punto notò che l’espressione dell’altro, prima imperturbabile come quella di una statua, si contrasse.


Vattene.
 
Lily quasi sobbalzò quando sentì quel pensiero, non suo, esplodergli in testa come un petardo di zio George; era possibile…
Certo che lo era, lo capì dall’espressione di Sören, specchio gemello di quell’ordine. Sapeva che c’erano incantesimi che erano simili al concetto di Telepatia babbana, anche se non così immediati. Non c’era modo nel Mondo Magico per chiacchierare in silenzio, ma si poteva parlare nella testa degli altri. Più lunga era frase, più oneroso era l’incantesimo. Forse, concentrato com’era a far altro, era il massimo che aveva potuto dirle.

Ma era bastato per farla sentire uno schifo.
Inspirò. “No, non me ne vado! Devi parlarmi!”
Sören non ribatté, né a voce né tramite pensiero. Le voltò invece le spalle, in un gesto plateale che valeva più di mille parole.

“Hai detto che siamo amici, idiota!” Urlò al vento, frustrata. “Gli amici non dicono cose del genere!”
Di nuovo nessuna risposta; Sören aveva ripreso il suo allenamento.
Sentì il sacro fuoco dell’arrabbiatura infiammarla. Se c’era una cosa che detestava sopra ogni altra era essere ignorata.

Come se non bastasse, essere ignorata da qualcuno che non voleva farlo sul serio; perché era sicura che Ren non avesse la minima intenzione di allontanarla, non dentro di sé.
O non mi avrebbe abbracciato. O non mi avrebbe detto che siamo amici. Gliel’ho dovuto strappare di bocca, sembrava mi avesse appena detto una profanità, ma l’ha detto.
Il tempo stava scadendo e anche se non aveva idea di cosa sarebbe successo passati i venti minuti – le sembrava improbabile che la McGrannit venisse a riprenderla fin laggiù – non voleva, per la prima volta in vita sua, disattendere ad un ordine.
La professoressa mi ha aiutato. Avrebbe potuto non farlo, anzi mi sa che non avrebbe dovuto. Sono venti minuti e lo saranno. Ti costringerò a parlarmi adesso.
Inspirò guardando le onde tumultuose che le schizzavano le scarpe da ginnastica. Se le tolse e poi continuò a camminare. Sentì l’acqua gelida lambirle le caviglie ma continuò a camminare.
Se la Fontana della Buona sorte non va dal mago, il mago va dalla Fontana della Buona Sorte.

Le onde dovettero quasi lambirle la vita prima che Sören si accorgesse di cosa stava facendo.
L’espressione di totale sbigottimento che assunse quasi la ripagava del gelo agghiacciante che sentiva.
“Che stai facendo?!” Urlò e fu niente male sentire di nuovo la sua voce. “Qui è pieno di correnti, torna indietro!”
“Solo se vieni con me!” Ribatté sentendo che non toccava più. Niente panico, sapeva nuotare.
Anche se nuotare nel lago della Tana non è proprio come nuotare qui.

Non le importava di fare una cosa stupida dietro l’altra. Scappare da scuola, disobbedire alle regole, nuotare in un mare gelido pieno di correnti.
A volte bisogna fare cose stupide per fare quella giusta.
Lo pensò e un secondo dopo qualcosa le afferrò la caviglia e la trascinò a fondo.
 
Sören pensava che Lilian fosse matta. Non c’era altra spiegazione per la cocciutaggine con cui si ostinava a stargli dietro, a pretendere la sua amicizia. A fare quello che stava facendo.
Era matta, perché nessuna ragazza sana di mente avrebbe resistito così tanto per uno come lui.
L’aveva aggredita, respinta, allontanata. Eppure l’altra era continua a tornare, a sorridergli e a dirgli che erano amici.
Perché? Sono solo stato gentile con lei, e neppure sempre. Molti ragazzi sono gentili con lei. Troppi.
Sapeva perché Lily era sua amica, perché voleva proteggerla, ma non capiva perché Lily ricambiasse quel sentimento.
Non che fosse importante. Poteva reprimerlo, doveva reprimerlo.
Nel momento in cui sparì trai flutti, Sören comprese con precisione agghiacciante che non avrebbe più potuto reprimere un bel niente.
 
Non poteva credere che sarebbe morta in modo così assurdamente cretino.
I suoi l’avrebbero uccisa, Al in testa. Se non fosse affogata prima, beninteso.
Sentì l’aria sparire, l’acqua rovesciarglisi nei polmoni. Era orribile. Era spaventoso e non riusciva a risalire, qualcosa le tratteneva le gambe, come una morsa di ferro.
E poi, per fortuna, qualcosa la afferrò per le braccia. Altre braccia la strinsero e sentì la familiare sensazione della Materializzazione.
La seconda cosa che percepì, dopo la realizzazione che non sarebbe morta, era aria. Aria che le bruciò li polmoni, facendola tossire acqua e spavento.
“Lily, respira… calmati e respira! È tutto a posto, hai solo bevuto un po’!” Sentiva la presenza dell’amico tutto intorno a sé. La stava stringendo, le passava le mani sul viso per liberarla dai capelli fradici e nonostante il freddo dell’acqua e del vento, era caldo.
Tossì ancora una volta, sentendo le lacrime scivolarle sulla faccia per lo sforzo. Alzò lo guardo e vide che Sören la fissava e sembrava persino più spaventato di lei.  
“Scusa?” Le uscì, perché in effetti non era stata un’idea brillante, decisamente no.
Scala la classifica delle mie dieci idee peggiori.
L’espressione di Sören si ruppe. Non c’era altro modo di dirlo, perché un viso di solito inespressivo poteva fare solo quello. Le prese il viso tra le mani, facendo scivolare i pollici lungo le guance e appoggiò la fronte contro la sua e tirando un forte sospiro. Era un attestare che era lì, assicurarsene. Ancora, Lily non vi vide nessun significato romantico.
Avrebbe dovuto esser ferita dal non reciprocare dell’altro. Sören non l’avrebbe mai baciata o non si sarebbe mai messo con lei, era qualcosa che semplicemente sapeva. Ma non si sentiva scaricata, affatto. Aveva capito da tanto tempo che Sören non ragionava come un ragazzo normale.
Questo non significa che non provi niente… Prova troppo, mi sa. Almeno per i suoi standard.
“Sei matta.” Sussurrò. Era un attestazione bella e buona, ma di nuovo, Lily non se la prese.
Sorrise invece. “Sì, in effetti per come mi comporto…” Gli accarezzò la nuca perché non esisteva che se ne stesse ferma. “Ma è quello che fanno gli amici, Ren.”
“Davvero?”
Lily sospirò appena, dovendo dire tutta la verità e nient’altro che quella. “Beh… no. Non tutti.”

C’era un legame e andava oltre le loro parentele, oltre a tutto. Sin dalla prima volta che avevano incrociato lo sguardo in Sala Grande ad Hogwarts Lily aveva capito che Sören non sarebbe stato uno dei ragazzi di cui sbagliava il nome e a cui sorrideva senza vera intenzione. E sapeva che era lo stesso per l’altro.   
“Perché ci tieni tanto? Ad essere mia amica, intendo.” Quella domanda invece era di una semplicità disarmante.
“Perché ti voglio bene.” Fece un mezzo sorriso. Ormai si era abituata a quel genere di domande allucinanti. “E prima che tu me lo chieda, non si sa perché si vuole bene a qualcuno. Succede, e basta.”
Sören distolse lo sguardo. “Io… non me lo merito.”
“Non è una cosa che dipende interamente da te, sai.” Avrebbe maledetto chiunque gli aveva messo in testa quelle idee. Era impossibile che l’altro si stesse comportando in quel modo di sua spontanea volontà.

Ha cambiato atteggiamento da un giorno all’altro. E non essendo schizofrenico…
Era evidente che qualcuno lo stava costringendo.
È stato il padre di Tom.
Sören era invischiato in quella storia; ricattato e costretto a fare qualcosa e soprattutto, a comportarsi in quel modo. Doveva essere così; dopotutto le cose che Tom aveva combinato l’anno prima erano state influenzate da quell’uomo orribile.
Ma non disse niente; chiedere apertamente l’avrebbe solo fatto chiudere a riccio, e doveva arrivare in altro modo alla verità.
Gli interrogatori li lascio a papà e agli auror.
Lo sentì sospirare e poi staccarsi. Ecco, ora faceva freddo. Quasi le avesse letto nel pensiero, Sören tirò fuori la bacchetta e asciugò entrambi con un Incantesimo Riscaldante. “Devo riportati indietro.” Esordì dopo un breve silenzio scomodo. “Qui fa troppo freddo, e sei caduta in acqua. Se non torni al caldo ti ammalerai.”
“Va bene.” Convenne a malincuore. Essere malata non l’avrebbe aiutata minimamente in quella storia. Doveva essere in forze, non poteva permettersi di ritrovarsi come dopo il Ballo, raffreddata e debole. “E poi mi aspettano sopra.”
Sören annuì, tendendole la mano per farla rialzare. “Ci materializzeremo. È più veloce.”
A volte bisognava giocare secondo le regole e, soprattutto, secondo i limiti altrui. Lily si tirò quindi in piedi, stringendogliela. “Lo sai che tornerò a cercarti, vero?”
Sören le scoccò uno sguardo indecifrabile. “Sì, lo so.” Disse. “Ed io non mi farò trovare. È più sicuro per te.”
“Lascia decidere a me cos’è sicuro!”
“No.” La fissò serio. “È evidente che non ne sei capace.”

… Touché.
Lily non rispose, limitandosi a stringere più forte la mano. La stretta fu ricambiata.  
Subito dopo, l’insopportabile sensazione di essere costretta in uno spazio soffocante. Detestava ed avrebbe sempre detestato la Materializzazione, anche a conti fatti le aveva appena salvato la vita.
Riaprì gli occhi all’imbocco del piccolo sentiero. La professoressa McGrannit era lì, e sembrava non essersi mossa da quando l’aveva lasciata.
Alla sua età vorrei davvero esser così dritta e … uhm, imponente.
“Ha fatto presto.” Esordì guardandoli entrambi. “Signor Luzhin.” Salutò.
“Professoressa.” Mormorò quello di rimando, lasciandole la mano. Lily percepì il vuoto, davvero. “Con permesso, torno ai miei allenamenti.”
Ci fu uno scambio di sguardi tra l’anziana strega e Ren. Lily non aveva la minima idea di cosa significasse, ma fu abbastanza lungo. Poi Sören fece il breve e solito inchino cerimonioso degli allievi di Durmstrang e ridiscese il sentiero senza voltarsi indietro.

Lily si rifiutò di esserne ferita, perché doveva aspettarselo che l’altro avrebbe finto di non essersi, all’incirca, riconciliato con lei. Forse qualcuno lo spiava.
“Ha trovato la passeggiata rinfrancante?” Le fu chiesto strappandola dalle sue riflessioni. L’espressione della professoressa era impenetrabile; che fosse un’Occlumante?
O forse proprio non riesco a leggere persone come lei.
Lily annuì. “Sì… sì, molto.” Non aggiunse altro, perché anche la McGrannit poteva essere in contatto con suo padre – anzi, ne era quasi sicura.
Non voglio che Ren finisca nei guai. Non almeno finché non ho capito se posso aiutarlo senza che lo arrestino.
Non era una totale sprovveduta. Era cresciuta in una famiglia di servitori della legge dopotutto; Tom diceva sempre che nel loro mondo si tendeva a perdonare poco e sanzionare tanto. Era infatti rimasta sorpresa quando il cugino aveva riavuto la sua bacchetta.
Papà deve aver intercesso o roba del genere… Per Ren non lo farebbe. Perché dovrebbe? Pensa che sia colpevole.
“Non voglio sapere cosa vi siete detti, Signorina Potter.” Fu di nuovo richiamata all’ordine. “Adesso andiamo. Sta per calare il sole.”
Lily ebbe l’impressione che non avrebbe mai saputo perché Minerva McGrannit le aveva permesso di cercare Sören, come ebbe l’impressione che non ci sarebbe stata una seconda volta.

“Grazie.”
In ogni caso, glielo doveva.
 
****
 
Teddy si asciugò i capelli passandosi l’asciugamano piacevolmente caldo sul cuoio capelluto; aveva sempre preferito usare rimedi babbani che incantesimi riscaldanti. Una doccia bollente era quanto di meglio ci fosse, dopo un pomeriggio passato al gelo per commissioni che non erano neppure sue.
Sospirò, accomodandosi nella poltrona davanti al fuoco e reclinando la testa sullo schienale. Non pensava che badare a dodici studenti avrebbe potuto essere più stressante che badare ad una Casa intera.
Certo, a Tassorosso non ci sono Tom, né Scorpius… e neppure Lily.
Grazie a Merlino, aggiungerei.
Come se non bastasse Harry gli aveva già mandato dieci Gufi. Dieci, poveri Gufi ministeriali che erano arrivati alle mura della fortezza di Durmstrang più morti che vivi.
Se dipendesse da lui non dovrei staccarmi dai ragazzi neppure per un istante.
La realtà è che non trovava Durmstrang così pericolosa; certo, quando faceva buio non era il luogo più ameno del pianeta e sembrava che pericoli si annidassero in ogni cono d’ombra, ma forse proprio per questo l’intera delegazione inglese sembrava piuttosto riluttante all’idea di allontanarsi dagli ambienti comuni. Lily, Tom e Albus non facevano eccezione.
Si frugò nelle tasche della vestaglia da camera e ne estrasse l’orologio. Sorrise, dato che era arrivato il momento di chiamare la sua capretta del Devonshire, al secolo conosciuto come James Sirius Potter.
Gettò una manciata di Polvere Volante all’interno del focolare e aspettò che si materializzasse il soggiorno dell’appartamento dell’altro a Notturn Alley. “Jamie?”
Sentì un gran trambusto, come di qualcuno che correva a piedi nudi sul pavimento e poi il suddetto quasi arrivò in scivolata. “Ehi… oh! Appena arrivato!” Esclamò con il fiatone. “Miseriaccia!”
Ted sorrise divertito. “Ciao anche a te.” Si sistemò più comodo sulla poltrona. “Accademia?”
“Uh, no… Cena a casa-base.” Tirò su con il naso, togliendosi il cappuccio che gli copriva la testa. Era una delle tante mode babbane che assorbiva come una spugna. “Ultimamente, con la felice dipartita di Lils, c’è bisogno che stia in zona, capisci.”
Dovette trattenere una risata. “Dipartita non è il termine che credi tu. È sinonimo di… beh, di solito è accoppiato con la parola defunto.” Gli fece notare, mentre l’altro spalancava la bocca.

“Cazzo, no! Cioè, non intendevo… sei sicuro?” Come al solito era su di giri, e Ted era felicissimo di sentirlo. Gli mancava da morire, più di quanto credeva sarebbe stato possibile. Certo, avevano passato i precedenti mesi più o meno separati…
Ma almeno eravamo entrambi in Gran Bretagna. Se ci organizzavamo, potevamo vederci.
“Sono piuttosto sicuro, sì.” Confermò alla sua espressione di buffo imbarazzo. “Ricordami di comprarti un dizionario per il tuo compleanno.”
“Va’ all’inferno.” Sbuffò con un’ombra di sorriso sulle labbra. “Come stai, mio Teddy?”
Era la prima volta che riuscivano a sentirsi da quando era arrivato a Durmstrang e Ted sentì che doveva essere onesto. “Stanco. Preoccupato… Lily scalpita, Albus e Tom confabulano tra loro e non è mai una buona cosa, per quanto ricordo.”
“Mai.” Confermò l’altro grattandosi la fronte. “Anche qui le cose non vanno granché … Papà è abbastanza fuori di testa per la storia di Lils, anche se fa di tutto per nasconderlo. Non gli riesce granché.” Si strinse nelle spalle. “Come se non bastasse, continuano a saltare fuori storie inquietanti su Luzhin. Dieci a uno che è il colpevole dietro tutta questa storia.”
Ted aggrottò le sopracciglia, raddrizzandosi sullo schienale. “Ma avete … hanno qualche prova?” Si corresse mordendosi la lingua. L’ultima cosa che voleva era che James si sentisse parte delle indagini.

Anche se a quanto pare Harry ha pensato bene di coinvolgerlo, anche se è ancora un allievo auror.
Ma non avrebbe sindacato le scelte del padrino; dubitava che qualcuno avesse mai avuto voce in capito su di esse.
James scosse la testa, senza dar segno di aver notato i suoi ragionamenti interiori. “È proprio questo il punto. Per arrestare qualcuno ci vogliono delle prove. E tutto quello che papà e zio Ron hanno sono un sacco di indizi. Non puoi spiccare un mandato di cattura, internazionale a ‘sto punto, su degli indizi!” Tese la mascella. Anche con l’imperfetta definizione del fuoco magico lo vide incupirsi. “Comunque, quel che davvero importa è che Lils e la coppia delle meraviglie se ne stiano lontani da quel tizio.”
“Per quanto ne so, è così.” Lo rassicurò.

 
James aveva bisogno di sfogarsi. Sapeva che tutta quella storia non lo prendeva che di striscio, ma rimaneva il fatto. Voleva essere coinvolto e al tempo stesso sapeva che non c’era un vero motivo per cui potesse esserlo. Era stressante.
Parlare con Malfoy tramite specchi comunicanti gli aveva fatto fare quattro risate, l’aveva aggiornato sulla situazione, ma non aveva sciolto tutti i dubbi. Ted era l’unico a cui poteva rivolgersi, da sempre, per un compito del genere.
“Non è solo la questione di Albie e Tom…” Iniziò. Aveva una voglia pazza di gettarsi nel fuoco come un cretino, nel tentativo di placcarlo, baciarlo e tutto il resto.
La loro nuova casa era ancora vuota e non era maledettamente giusto.
Tremaghi del cazzo. Ha portato più rogne che altro.
“Allora cos’è?”
“È … tutto. Altro.” Balbettò. Tentò di cambiare discorso, perché nonostante tutto erano informazioni sensibili. “Teddy, era in previsione della nostra chiacchierata che non ti sei rivestito?” Ghignò, sentendo la familiare sensazione di mancanza acuirsi. Averlo vicino significava anche toccarlo, baciarlo e dannazione, fare l’amore con lui. Avere diciannove anni, dei bisogni e un ragazzo lontano ventimila miglia era la peggiore delle mancanze. “No, perché è un sacco sexy.”
Ted non si lasciò scomporre sebbene i suoi capelli, au contraire, presero fuoco – il miscuglio di arancione e rosso deputato ai momenti in camera da letto. Si schiarì la voce e si chiuse la vestaglia con un movimento da educanda.  “Non ci casco. Cos’è questo altro?”
E a James non restò che vuotare il sacco; suo padre sì, gli aveva chiesto di non parlare dell’indagine – di quel poco che sapeva – con anima viva. Ma Teddy non era una persona qualunque ed in ogni caso, era invischiato quanto lui.

Siamo una famiglia, lo siamo tutti.
Quando ebbe finito tirò un sospiro, sentendosi enormemente sollevato. I capelli di Ted avevano assunto una nuance di un lillà vivace. Stava riflettendo. “Certo. È un modo eccellente per avvicinarsi a Lily, quello di fingersi parente del Professor Piton.” Mormorò.”  Questo almeno spiega perché si sia tanto incaponita con questa storia.” Fece un sospiro. “Anche se non ne sono del tutto sicuro. Penso che siano diventati amici sul serio. Almeno, per Lily.”
“Sarà. Ma a volte avrei voluto che papà ci avesse dato dei nomi tipo Jack, Sally e John.” Sbuffò sentendo la sensazione di impotenza amplificarsi. Persino l’Accademia era diventata un posto scomodo ormai.
Dato che non posso essere in Norvegia.
Ted rise leggermente. “Sinceramente? Non ti vedo come un Jack, o un John.”
“Sicuro, ma sarei stato una splendida Sally.” Ghignò facendolo ridere apertamente stavolta. “Cazzo Teddy, mi manchi da morire.” Esplose perché neanche quello poteva esser tenuto dentro. 

L’altro sorrise, tendendo una mano, verso la sua guancia, quasi potesse raggiungerlo oltre le fiamme magiche e le miglia. “Anche tu mi manchi Jamie. Moltissimo.” Fu un’attestazione pacata, ma ci avevano lavorato un sacco in quell’anno e mezzo e James ne fu più felice che se gli avesse scritto una splendida poesia d’amore in rima baciata.
“Non mi sto perdendo granché, vero?” Chiese.
“No, davvero non un granché.” Sapeva che la risposta era una bugia o lo sarebbe diventata, ma a conti fatti non c’era molto che potesse fare.
Crescere significava anche mordersi le labbra e ingoiare il rospo. “Comunque, se so qualcosa da papà ti faccio sapere. Fai lo stesso con me?” Vide l’altro esitare. “Teddy, sono i miei fratelli, okay?”
Questo assunse la sua proverbiale espressione colpevole. “Certo, hai ragione. Ti farò sapere, promesso.”
Era ora di cambiare argomento, lo vedeva dal nervosismo con cui l’altro giocherellava con l’orologio da taschino.
Del resto non ci siamo mica chiamati per parlare di Lily e compagnia bella…
James quindi si accomodò meglio sul duro pavimento di legno del proprio salotto. Poi sorrise. “Allora… parlavamo di questa vestaglia.”
 
****
 
“Quindi ha mentito.”
“Sì, sua Eccellenza. Ha mentito.”
Un breve silenzio.

“Non l’avrei mai pensato, non di Sören… Evidentemente, non avevo calcolato dove si sarebbero manifestate le sue debolezze.”
“Se posso permettermi…”
“Parla, Kirill.”
Una frazione di secondo di esitazione, forse dovuta alla realizzazione che Alberich Von Hohenheim finalmente lo considerava degno di esser chiamato con il proprio nome di battesimo. “Sören ha completamente perso la capacità di giudizio. È nervoso, scatta facilmente… non si fida di me. Ha capito che lo sto tenendo sotto controllo e cerca di nascondere qualcosa. Temo che sia la sua debolezza per Lily Potter.”
“Credi sia così grave, dunque.”
“Ne ho la certezza.”

“Un tradimento?”
“Non ancora. Ma è ragionevole pensare a questa possibilità, Signore.”

Un impercettibile sospiro. Una dimostrazione di umanità da parte di uno stregone che Poliakoff era certo non avere debolezze. Ne rimase inebriato. Significava che si fidava di lui, era ovvio. “Sören è sempre stato un esperimento problematico.” Considerò o forse attestò. “Bene. Credo sia arrivato il momento di passare alla parte finale del piano. Inutile dirti che sarai tu a guidare, adesso.”
Kirill respirò eccitazione mentre era chinato sul focolare magico della stanza del Principino; non sarebbe tornato prima di qualche ora, seguendo i suoi allenamenti una routine ferrea. Entrare e uscire dalla sua stanza era facile come bere idromele. Gli incantesimi protettivi la cui manutenzione era affidata a Radescu erano facilissimi da spezzare e poi ricreare.

Specie se si ha l’aiuto della Thule.
“Sono vostro servo fedele.”
 
 
****
 
Note:

Non mi si può accusare che sia un capitolo breve! C’è un po’ di tutto!

1.Incantesimo Flagramus: genera nell’aria un’ardente linea di fuoco, che viene tracciata e modellata dalla bacchetta nelle forme volute. (Lexicon)
Per avere un’idea della caletta vicino a Durmstrang, qui e qua le foto che mi hanno ispirato la scena – con tanto di spuntone di roccia nella seconda, dove sta Ren. Documentazione! xD
Questa la canzone del capitolo. E questa nella parte Lily/Ren.

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Capitolo 55
*** Capitolo LII ***


Capitolo LII

 

 
Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia.
Il vero amore è una quiete accesa.
(Giuseppe Ungaretti)



19 Gennaio 2023
Norvegia, Durmstrang.
Alba.
 
Tom amava l’oceano.
Era una passione nata a Putgarten, quando ogni mattina si svegliava con il rumore del mar Baltico nelle orecchie. Lo calmava sentire che c’era qualcosa di vivo, ruggente, che in qualche modo riusciva ad essere persino più tormentato di lui nelle giornate di bufera.
A Durmstrang il mare era diverso; il fiordo intrappolava molta della sua forza burrascosa. Non era così selvaggio, così forte.
È intrappolato. Come me.

Aveva perso il conto di quanto era rimasto a guardare fuori dalla finestra; le prime luci del mattino avevano illuminato l’insenatura da un po’. Le aveva viste sorgere.
Non riusciva a dormire la quantità di ore che invece macinava Albus; lanciò un’occhiata verso il letto. Come al solito, spuntava solo la sua arruffatissima capigliatura – ogni mattina veniva sottoposta ad un trattamento intensivo per sembrare perlomeno quelli di un appartenente alla razza umana.
Per un attimo sentì il tepore del letto chiamarlo, e fu tentato dal languore che sarebbe deriva dallo spogliarsi di nuovo e premere la pelle di Al sulla sua, sentirne il calore, l’odore del sonno, baciargli le spalle nude e sentire mormorare il suo nome. Scacciò quel pensiero come avrebbe fatto con una mosca molesta.
Non riusciva a dormire perché era perdere tempo. Il sonno era una perdita di tempo, necessaria e inevitabile, ma comunque tale. Tutto, lì all’Istituto, era un’enorme, gigantesca perdita di tempo.
Devi aspettare Thomas. Aspettare.
Disegnò distratti ghirigori sulla finestra ghiacciata, seguendo gli arabeschi lasciati dal ghiaccio.
Hohenheim, come l’anno prima, era sparito. Era un gioco. L’uomo che gli aveva dato la vita – si rifiutava di chiamarlo in altro modo – stava giocando con lui come un gatto avrebbe fatto con un topo. Di nuovo. Lo voleva sfibrare, fargli abbassare le difese prima di colpire, ne era certo. Non c’era altra spiegazione per quell’attesa così innocua, calma. Logorante.
Inspirò bruscamente; sapeva benissimo che quella deriva di pensieri non gli avrebbe affatto giovato, ma non poteva fare a meno di sentirsi ogni giorno sempre più agitato. Seguire le lezioni, andare a ridicole gite organizzate, trascorrere del tempo a studiare e a pestare in zucca a Malfoy qualche informazione basilare per non essere buttato fuori dal Torneo era stupido. Stupido perché quella che lo aspettava era probabilmente la battaglia della sua vita; non sarebbe stata classica, non avrebbe affrontato nessuna armata.
Affronterò tutto quello che avrei dovuto essere e che non sono. Ed è peggio che un campo di battaglia.
Doveva indurre Hohenheim a fare una mossa. Magari esponendo il suo tirapiedi, Luzhin. Harry nelle sue lettere non gli aveva detto chiaramente che le indagini si stavano chiudendo attorno all’amichetto di Lily, ma era palese. Non c’erano altri indiziati, o glielo avrebbe detto. C’era solo Sören Luzhin.
Il problema era che prima di farlo cadere, doveva trovarlo. Luzhin non lo cercava, non lo stuzzicava, anzi, tutt’altro. Lo evitava.
Era questo a mandarlo fuori di testa. Ma non l’avrebbe persa. No.
Ho fatto in modo che Doe sparisse. Pensi che sarà diverso per il tuo nuovo tirapiedi? Quando tutti i pedoni sono stati sacrificati è il Re a dover scendere in campo.
La mia anima è più vecchia e sporca della tua. Pensi davvero di intimorirmi con così poco?
Percepì distintamente la magia crepitargli nelle vene, come una cattiva scossa elettrica. Il vetro della finestra, spesso e adatto a sopportare venti nordici, si crepò sotto le sue dita.
Scendi in campo e gioca.
“Tom?”
Sì irrigidì, dandosi dell’idiota perché si sentiva come se fosse stato colto con le mani nel sacco.

Non si voltò in direzione del letto, preferendo prendere la bacchetta e sistemare il danno prima che Albus se ne accorgesse.
“Non farmi venire lì.” Venne ammonito. “Si gela ed io non ho idea di dove sia finito il mio pigiama.”
Si voltò; Al lo guardava accigliato dal groviglio di coperte e Tom ricordò di colpo che quel giorno era il suo compleanno.
Il loro compleanno a dirla tutta, dato che Robin aveva pensato bene di dichiarare all’anagrafe che il suo cadeva esattamente un giorno dopo quello dell’altro ragazzo.
‘All’epoca pensai che sarebbe stato carino, no? Fare la festa con tuo cugino, intendo.’
In effetti i suoi compleanni non sarebbero stati così divertenti senza la gioia esplosiva di Albus a costellarli.
Di sicuro mi sarei rifiutato di festeggiarli e avrei piuttosto preteso nuovi libri e di esser lasciato solo per poterli leggere.
“Buon compleanno.” Sospirò e l’altro fece un mezzo sorriso dismissivo.
“Grazie.”  Poi gli tese la mano. “Non farmi venire lì, Tom.” Ripeté, e l’avrebbe fatto se non gli avesse obbedito. La prese e si lasciò tirare di nuovo a letto. Lasciò passivamente che lo tirasse sotto le coperte e lo stringesse in un abbraccio. Sentiva il battito del cuore contro la sua schiena, calmo e rassicurante. Avrebbe voluto starsene zitto, dato che era il suo compleanno. Non poteva.
“Non ce la faccio.” Mormorò, e riassumeva piuttosto bene la sua condizione. “Ho bisogno che finisca. Ho bisogno di farlo finire.”
La presa di Al si serrò appena, mentre la mano gli sfiorava il petto, aggrappandosi alla stoffa della sua maglietta. “Lo so.”   

“Non lo prenderanno mai, come non l’hanno preso l’anno scorso. Dovrò essere io. Sai che dovrò essere io.” Quella maglietta gliel’avrebbe strappata, ed era un peccato, perché ci teneva, dato che era originale ed era dei The Smiths. “… non farò nulla di idiota.” Soggiunse perché il battito del cuore dell’altro era triplicato.
Almeno per adesso.
“Tu sei un idiota.” Gli giunse soffocato. Gli parlava con la bocca contro la schiena, il respiro caldo era come se gliela bruciasse.
“Per fortuna ho te a ricordarmelo.” Ironizzò, voltandosi nell’abbraccio nel momento stesso in cui Al lo tirò a sé. Lo baciò e fu caldo, e fu anche mordersi le labbra ma era vivo e giusto.
Se avesse creduto in un dio – lasciava certe cose ai babbani e alle loro strampalate teorie sulla Creazione – lo avrebbe pregato di trovare un modo per fare ammenda con Al. Per chiedergli scusa in un modo che andava oltre le parole, che a volte sembravano solo suoni che uscivano dalle labbra.
Perché non è la tua guerra, ma te la sto facendo vivere lo stesso.
Si staccarono e Al lo guardò con uno di quei suoi sguardi duri, determinati. In quei momenti la somiglianza con Harry era straordinaria. “Siamo assieme in questo, te lo ricordi?”  
“Sì.” Fece un mezzo sorriso. “In ogni caso, sembra che sia meglio che non stia troppo solo. Tende ad avere conseguenze disastrose.”
In questa e nell’altra vita.
“Direi.” Al ridacchiò contro la sua spalla, strofinandoci contro la guancia. Era incredibile come, alle soglie della maturità, non avesse un filo di barba ma la pelle di un bambino.
Tom tornò ai baci, e al calore della pelle nuda. Essere adolescenti voleva dire, ringraziando Merlino, avere istinti. Istinti che spazzavano via ogni pensiero in favore del languore che prima aveva tanto rifiutato.

Perché so cosa mi fa. So cosa mi fa Al. Mi rende debole. Mi rende umano e fallibile molto più di quanto non sarei senza di lui.
C’era quella parte, quella oscura, che ogni volta sibilava scontenta. Furiosa. Ma come gli aveva detto Loki Nott mesi prima, gli esseri umani non erano cose, non erano pupazzi. Erano dotati di volontà e di fedeltà. Non c’era solo lui e le sue ombre, c’era anche Albus e la sua luce. Non accecante, che sarebbe stata insopportabile. Era calda e si trovava bene tra le sue ombre. Forse senza di esse non sarebbe stata neanche così bella.
“Tu sei mio, lo sai?” Fu Al a sussurrarglielo all’orecchio, piano, come una confessione. Più che altro un attestazione.
Del tutto legittima.  
“Sì.”
Che quella parte andasse a farsi fottere.

 
 
****
 
“Dove sono finiti mini-Potter e Dursley? Sono in ritardo!”
“Indovina, biondo.”
Alle lezioni di Arti Oscure – a quanto pare Durmstrang non aveva a simpatia i suffissi - ai ragazzi delle delegazioni erano assegnati in maniera irrevocabile i posti in cima alla classe e dunque, con un filo di irritazione, Rose si ritrovava perennemente trai piedi quella matta di sua cugina. In sé Dominique, se ignorata, era tollerabile; il problema era che Scorpius aveva la deprecabile tendenza ad entrare in risonanza con qualunque persona fosse più rumorosa di lui.

Ovvero, Domi. Insieme? Micidiali.
“È il compleanno di Al, oggi.” Venne comunque in soccorso al suo ragazzo. “A dirla tutta, il compleanno sia suo che di Thomas. È nato domani, ma lo hanno sempre festeggiato assieme.”
“Oh. Ah… ooh.” Aggiunse mentre l’anglofrancese sghignazzava al suo fianco. Il grifondoro, che notoriamente andava d’accordo più con le ragazze che  con i ragazzi, aveva trovato in quest’ultima una compagna di guai quasi pari a James. In quegli ultimi giorni aveva passato più tempo a riprenderli mentre si mandavano bigliettini idioti da un banco all’altro che a seguire le lezioni.
Almeno qualcuno si diverte…
“Beati loro.” Sbuffò Scorpius puntellandosi sulla lunga fila di banchi scuri. “Anch’io voglio far tardi per rotolarmi tra le lenzuola!”
“Scorpius!” Lo redarguì senza troppa convinzione; dopotutto la pensava allo stesso modo. Aveva un anello al dito eppure erano ritornati ad una sorta di castità vittoriana, persino peggiore di quella ad Hogwarts.  
Almeno in Scozia ti potevi imboscare. Qua hai paura che un Lethifold spunti dall’angolo buio in cui ti sei nascosto per mangiarti vivo.
“Ho dei bisogni, caramellina.” Mugugnò questo, guardandola con falsissimi occhi affranti. “Sono stufo di dormire con una mezza dozzina di altri ragazzi. Perché loro sì e noi no?”
Rose scrollò le spalle. “Sono due ragazzi. Non per fare differenze di genere, ma sono meno dichiarati di noi due.”

Oltre al fatto che ad Al hanno dato una camera singola e a me no. Dannati maschilisti.
“Da quant’è che le cose si sono fatte romantiche tra Sissy e Tommy?” Chiese Dominique, in un raro slancio di curiosità femminile.
“Da… sempre?” Scrollò le spalle. “Stiamo parlando di Al e Tom dopotutto. Hanno solo ufficializzato.”
Lanciò poi un’occhiata attorno a sé: i ragazzi di Durmstrang non facevano neppure finta di considerarli. Forse era la barriera linguistica, rifletté Rose, ma era anche una certa dose di sospetto verso la loro vitalità. Scorpius e Dominique facevano chiasso per almeno una dozzina di persone ed era evidente, dalle espressioni perplesse e a disagio, che il rumore umano non fosse cosa di tutti i giorni all’Istituto.

Grazie a Merlino sono nata inglese. È troppo persino per me.
“Stasera organizziamo qualcosa per quei due, vero?” La riscosse Scorpius. “L’anno scorso mini-Potter ci ha impedito di mostrarci gioiosi, ma quest’anno è tutto a posto!” Ci rifletté brevemente. “Beh, più o meno… comunque, festa!”
“Non ci ho capito niente, ma appoggio.” Convenne Dominique, con un’inquietante guizzo di eccitazione negli occhi. “Festa.”
“Ragazzi…” Iniziò piena di buone, sensate intenzioni. “Non siamo ad Hogwarts, né a Beaux-Batons. Credo dovremo chiedere dei permessi, o…”
“Lascia fare a noi. Siamo belli, biondi e nordici. Ci apriranno tutte le porte!” La interruppe il suo folle fidanzato. “Andiamo, ne abbiamo bisogno.”

Non aveva mai visto Dominique con un’aria supplice. La vide in quel momento. “Per tutti gli ippogrifi, sì! Festa. Ti prego. Piacerà a tutti e impedirà di farci scoppiare il cervello con tutta questa austerità!”
Rose esitò. I due non avevano tutti i torti. Forse organizzare qualcosa di divertente avrebbe allentato la tensione che ormai era cifra stessa di quelle giornate.

E in quanto Caposcuola dovrei occuparmi di tirare su il morale collettivo, credo.
“Magari prima è meglio parlarne con i diretti interessati.” Si intromise Violet, a sorpresa. Doveva aver ascoltato tutto ma straordinariamente non era intervenuta facendo la stronza. Anzi, aveva detto l’unica cosa sensata. “Le feste a sorpresa funzionano solo con certi tipi di persone. Che, a quanto mi è stato dato di capire, non hanno l’indole di chi finisce a Serpeverde.” Concluse, impassibile alle espressioni sofferenti dei due.
In effetti… Al ha sempre detestato le feste a sorpresa. Gli mettono ansia. E Tom… beh, lui credo detesti le feste in toto.
“Sì… hai… ehm, ragione.” Borbottò evitando di guardarla. Ora che non era più una diretta minaccia alla sua storia con Scorpius non aveva idea di come prenderla. Continuava a trovarla fastidiosa, ma immaginava di non aver più così tanti appigli per avercela con lei.
Al di là del fatto che è un insopportabile saccente.
… T ricorda qualcuno, Rosie?
Violet si limitò ad un sorriso distaccato, ma non aggiunse altro. Forse Dominique le aveva detto qualcosa, forse no.
In quel momento entrarono Albus e Thomas, trafelato il primo, come al solito torvo il secondo. Litigavano a bassa voce. Rose captò frammenti della reprimenda di Al, che coinvolgevano parole come ‘seminudo’, ‘non si apre la porta’ e ‘quel poveretto’.
Che diavolo ha combinato quel pervertito spilungone?
“Felice compleanno ragazzi!” Esordì Scorpius, impermeabile all’aria temporalesca che trasudava da entrambi.
“È il mio compleanno, non il suo.” Replicò gelido Al, sedendosi al banco e tirando fuori l’occorrente per la lezione. Rose vide con la coda dell’occhio Dominique allontanarsi di un paio di centimetri, lentamente, come avrebbe fatto in presenza di una creatura pericolosa. “Il suo è domani.”
“Fino a mezz’ora fa era anche il mio.” Obbiettò l’altro sedendoglisi accanto ed ignorando l’occhiataccia che gli scoccò. “Seriamente, stai facendo una questione per niente.”

“Aprire la porta a Radescu coperto solo dall’asciugamano è niente?!” Sibilò, prima di rendersi conto di avere pubblico e arrossire furiosamente.
Tom non si scompose di una virgola, calcolandoli come al solito come infinitesimali. “Mi viene da chiedere il motivo per cui sia venuto a bussarti.”
“Non mi aveva visto a colazione, pensava mi fossi perso!”

“Di nuovo?”
“Oh, sta’ zitto, questa scuola è un maledetto labirinto.” Sbuffò Al esasperato, fingendo di non accorgersi che tutti li stavano ascoltando. Le orecchie paonazze erano il segnale che no, non sapeva fingere. “Era imbarazzato a morte. Ho dovuto spiegargli che eri appena uscito dalla doccia!”
“Molto opportuno. Così ha capito anche perché me ne ero fatta una.”
“Questo è perché glielo hai detto tu!
Tom non ribatté a quella che doveva essere l’evidenza, prendendo piuttosto il suo calamaio e posizionandolo con precisione davanti a sé. A Rose non sfuggì il sorrisetto che tentava di nascondere.
Cretino possessivo.
Scorpius, che tratteneva una risata trai denti, si schiarì la voce. “A proposito di compleanni… tuo o suo, non importa.” Si affrettò a spiegare all’aria mortifera di Albus. “Stasera pensavamo di organizzare qualcosa. Niente di impegnativo, solo per stare assieme.” Sorrise incerto. “Non maledirmi, per favore?”
Al aggrottò le sopracciglia, poi si sciolse in un sospiro. “Sì… certo. Ci avevo pensato anch’io. Potremo chiedere la disponibilità di una delle sale ricreati…” Alle espressioni di sconfinata gioia dei due biondi, si interruppe. “Una cosa tranquilla. Non voglio che il mio compleanno sia la scusa per una rivisitazione della Battaglia di Hogwarts.”
“Sarebbe stato divertente!” Esclamò Dominique, facendo subito dopo un sorrisetto sghembo e palesando lo scherzo. “Non preoccuparti Sissy. La festa è vostra.”
“Mia.”
“Al…”
Rose ridacchiò dell’espressione scornata di Tom e quella di ormai finta indignazione del cugino.
Sì, c’era davvero bisogno di allentare la corda. Almeno per una sera. Non avrebbe fatto male, no?

 
 
****
 
Inghilterra, Londra, Diagon Alley.
Il Paiolo Magico, ora di pranzo.

 
Per Harry pranzare con sua moglie il mercoledì era diventa una specie di istituzione. La redazione della gazzetta era vicinissima al Paiolo Magico ed era lì che ogni mercoledì si ritrovava con Ginny per un piatto caldo e un po’ di chiacchiere senza pensieri.
Questo detto, Harry cercava disperatamente di seguire la conversazione, perché la sua dolce metà gli stava parlando di qualcosa e lui non aveva la minima idea di quale fosse l’argomento.

“Sì… beh, certo. È naturale.” Borbottò masticando il proprio stufato come se non mangiasse da giorni. Era un buon metodo di diversione a casa Weasley.
“È naturale che la sostituzione di Wilkinson con O’Malley all’ultima partita, persa tra l’altro, del Puddlemere?” Spiò sconcertata.
Ops.
“No, io… beh.” Si schiarì la voce.
Ginny sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Non mi stavi ascoltando.” Attestò pacata.
Harry chinò la testa, contemplando la schiuma della sua birra al frumento. “No.” Ammise. “Ginny è che…”
“Lo so.” Lo anticipò con un mezzo sorriso. “Non mi aspetto che tu mi ascolti. Ma non possiamo neppure mangiare in silenzio. È deprimente.” Raccolse le briciole con la punta dell’indice. “Ci sono novità?”
Era la frase che più aspettavano, e puntualmente non ce n’erano. Nora e Ron continuavano ad indagare, ed ogni mattina venivano a far rapporto, ma non vi era davvero niente di rilevante, o di nuovo.
Neppure Malfoy si era fatto sentire per la questione del rimpatrio di Lily; ad un suo Gufo di sollecito era corrisposto un silenzio inequivocabile.

Maledetta burocrazia magica. È così anche per i babbani? Adesso capisco Vernon e i suoi monologhi infiniti contro il loro governo.
“Nessuna.” Rispose e seppe di aver fatto passare un bel po’ di tempo dalla domanda. Ginny aveva finito la sua acquaviola nel frattempo. “Se non altro i ragazzi sono a scuola.”
“Non che questo impedisca granché.” Mormorò di rimando Ginny, lanciandogli un’occhiata eloquente. Harry ricordò come sua moglie, all’età dei suoi figli, aveva condotto una resistenza interna ed era stata torturata e maledetta svariate volte per finire a combattere in una battaglia all’ultimo sangue.

Ma la guerra è finita…
Avrebbero dovuto avvertirmi che le guerre hanno più declinazioni.

Le posò una mano sulla sua. “Teddy e la McGrannit li terranno al sicuro.” Le sorrise, anche se era tutto fuorché dell’umore di rassicurare chicchessia.
“Eravamo così da adolescenti?” Sospirò questa, facendolo ridacchiare. “No, non dirmelo, lo so. Eravamo peggio.”
“Assolutamente. Dovremo chiedere scusa ai tuoi per averli fatti preoccupare.”
Ginny si sporse per dargli un lieve bacio sulle labbra. “Quando tutto sarà finito.”
Harry!” Il tono di voce di Ron, baritonale e di presenza, li sorprese alle spalle. L’uomo a giudicare dai capelli arruffati e lo svolazzare del mantello di ordinanza aveva letteralmente fatto irruzione nel locale. A distanza lo seguiva Eleanor, più composta ma comunque trafelata.  

“Harry, Ginevra. Scusate l’interruzione.” Disse con un mezzo sorriso di scuse. Harry pensò che sotto sotto la teatralità del suo vecchio amico divertisse l’americana.
Fece un cenno dismissivo. “Novità?” Chiese. Era diventata la frase di quel periodo, davvero.
“Puoi giurarci!” Esclamò Ron con un sorriso trionfante. “Abbiamo passato l’intera mattinata al camino con un tizio del Ministero Indiano. Questi burocrati sono insopportabili ovunque!”
Harry sospirò impaziente, perché anche se aveva pensato la stessa cosa pochi attimi prima, non era il momento per lanciarsi in commenti. “Ron, le novità.”   
“Ah, sì!” Esclamò l’altro con aria colpevole. “Abbiamo trovato i Luzhin! O meglio, dove soggiornano quando sono in India. Un posto che si chiama Dimaper… o…”
“Dimapur.” Gli venne in soccorso Nora.
Per Harry fu un tutt’uno gettare il tovagliolo sulla sedia ed alzarsi in piedi, chiedendo con un cenno ad una delle cameriere il conto e il proprio mantello. “Avete chiamato l’Ufficio Passaporte per…”
“Già la abbiamo. Dobbiamo solo partire.” Lo anticipò l’agente americana. “Il mio contatto ci aspetta tra mezz’ora nel quartiere magico della città. Dobbiamo sbrigarci.”
Harry annuì, dando poi un’occhiata alla moglie, che gli sorrise, facendo un cenno dismissivo. “Vai. Al resto penso io.”
Non se lo fece ripetere, ed uscì dal Paiolo senza mantello e con un conto da saldare, ma finalmente, con un dannato obbiettivo.

 
****


Norvegia, Durmstrang.
Pomeriggio.

 
“Al non vorrà che venga.”
Rose alzò lo sguardo dalla lista che avrebbe consegnato agli elfi domestici di Durmstrang. Conteneva molto cibo e un sacco di sidro di mele – che sperava caldamente non fosse alcolico.
Lily le stava davanti, con l’aria della bambina che aveva ferrea certezza di non poter essere invitata alla festa perché era antipatica al festeggiato.
Un po’ le dispiacque, poi capì che era tutta una messinscena per farla intercedere al posto suo.

“Oh, piccola Potter, non potrà rifiutarti una festa, se è quella del suo compleanno!” Esclamò Scorpius, intenerito dai grandi, falsissimi, occhi tristi.
Lily sospirò. “È davvero arrabbiato con me, Sy… E sa mantenersi arrabbiato per un sacco di tempo.”
Quel beota del suo fidanzato la guardò con dispiacere. “Ma è una festa… Vedrai che non sarà così malvagio!”
“Albus non è malvagio, ha ragione.” Borbottò Rose a mezza bocca, dato che l’altra si stava praticamente abbracciando Malfoy e ciò non era tollerabile. “E tu falla finita. Va’ da lui e chiedigli scusa.”
Lily aggrottò le sopracciglia. “Non sono certo venuta qui per fargli un dispetto!”
“Non è questo il punto.” Sbuffò appoggiandosi allo schienale del divanetto del piccolo salottino che l’Istituto aveva loro concesso per la festa.

Francamente non speravo ci dessero davvero uno spazio…
Le capacità di persuasione di Scorpius e Dominique erano state superiori alle aspettative.
Lily, che era lì soltanto perché tutti i professori erano al momento impegnati, fece una smorfia irritata. “Spiegamelo allora, questo punto.”
“Sei viziata.” Replicò impietosa. “Ti aspetti che chiunque ti perdoni solo perché pensi di aver ragione. O che basti aver agito senza aver intenzione di fare del male. Non funziona così.”
La cugina stranamente non ribatté, limitandosi a mordersi un labbro. “È difficile chieder scusa a qualcuno che non vuole parlarti.”
“Trova il modo.” Scrollò le spalle, riprendendo la lista da dove l’aveva lasciata. Ignorò l’occhiata irata e il conseguente allontanarsi dell’altra. Finché rimaneva in vista, non era un problema.  

Scorpius si grattò una tempia, sedendosi sul bracciolo del divano. “Non credi di aver esagerato un po’?”
“No, per niente.” E lo pensava. “Lily è sempre stata abituata ad ottenere tutto ciò che vuole solo sorridendo ed essendo carina. Deve imparare a prendersi la responsabilità di ciò che fa.” Vedendo che l’altro rimaneva nella sua espressione dubbiosa – era un cuore tenero, Malfoy – si sciolse in un sospiro, posando per l’ennesima volta la maledetta pergamena. “Non fraintendermi, lo dico per il suo bene. Nella nostra famiglia non siamo tanto bravi a chieder scusa… È bene che impari.” Spiegò. “Prima di quanto abbia fatto io, se non altro.” Soggiunse.
Scorpius sorrise. “Tu mi hai chiesto scusa molto bene.” Le prese una mano tra le sue, quella dell’anello, e la intrecciò alla sua, baciandone il dorso. “Tanto che voglio passare il resto della mia vita ad importi la mia meravigliosa presenza.”
Rose cercò disperatamente di non morire in una pozza di gioia, congelando i lineamenti che premevano invece per esibirsi in un sorriso entusiasta. “Devo finire di ordinare il cibo per il rinfresco.” Proclamò rigidamente.

“E anche da bere. Alcolico, intendo. Sai, per noi maggiorenni.” Sottolineò Scorpius, scivolandole accanto e cercando le sue labbra per un bacio. “Che festa è senza un po’ di adolescenti ubriachi?”
“James ha avuto una pessima influenza su di te.” Sospirò, lasciando che le voltasse leggermente il viso con un dito e la baciasse. Il bello di aver palesato al mondo i suoi sentimenti, pensò, era poter baciare quel matto del suo ragazzo senza doversi nascondere.

Si sentì di colpo sfilare la pergamena dalle dita, e prima che potesse realizzare chi fosse stato, vide un lampo argentato all’angolo della visuale, seguito da un forte sghignazzo.
Oh, no.
“Domi! Dammi la lista!”
Beveraggio! Inebriante ambrosia degli dei!” Ululò la platinata cugina, brandendo il foglio come se fosse la Coppa del Tremaghi tra le risate e gli applausi – sul serio? – degli astanti. “Sono in missione per conto del dio del divertimento!”
Rose sentì Scorpius ridere contro la sua spalla e capì l’inganno. Tirò conseguentemente una botta sulla testa del deficiente. “Razza di idioti! Sarà una festa tranquilla, l’avevate promesso!”
Scorpius si massaggiò il punto colpito con il suo miglior sorriso da schiaffi. “Non dirlo a me, fiorellino. Pensa piuttosto a fermarla prima che consegni la lista agli elfi delle cucine.”

Violet, in fondo alla stanza e in apparenza non intenzionata a fermare la sua ragazza – lo sapeva, era anche un’alcolizzata – fece un sogghigno inquietantissimo. “Corre molto veloce. Ti consiglio almeno di provarci, Weasley.”
Rose, mentre partiva all’inseguimento, pensò che, dopotutto, Lily e i suoi aneliti da eroina romantica erano il male minore.
 
“Scusa.”
Al guardò sorpreso la sorella. Era marciata fino al suo tavolo, per tutta la biblioteca e ora lo guardava come se volesse dirgliene quattro invece che implorare il suo perdono. Aveva persino le orecchie paonazze, come succedeva solo nei momenti di più grande agitazione emotiva.

Indubbiamente assomiglia più a Jamie che a me.
Lanciò un’occhiata a Ted – doveva averlo costretto a scortarla fin lì – e rispose con un mezzo sorriso al suo cenno di saluto sprizzante pazienza.
“Per cosa?” Chiese, posando la piuma perché non sgocciolasse sui libri. Accanto a lui Tom spulciava un enorme tomo polveroso in tedesco per la Seconda Prova. Meike era con loro e stava tentando disperatamente di eludere la sorveglianza di entrambi e collateralmente farsi fare i compiti dal vecchio amico.
Lily inspirò. “Lo sai per cosa.” Fece una pausa lanciando un’occhiata all’altro serpeverde. “Possiamo parlarne da soli?”
Albus lanciò un’occhiata all’espressione curiosa di Meike e quella di falsissimo disinteresse del suo ragazzo. “Certo.” Sospirò suo malgrado.
Il fatto era che, nonostante tutto, se sua sorella aveva quell’aria abbattuta non poteva rimanere arrabbiato. Lily Luna aveva il potere di esasperarlo e intenerirlo in ugual misura sin da quando erano bambini. Era la sua sorellina dopotutto; gli era stata vicina quando Tom se n’era andato, era riuscita a farlo ridere quando fare un sorriso era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato. L’unica che non avesse tentato di convincerlo a rassegnarsi, ma che l’aveva solo abbracciato.
Quell’estate Lily gli aveva detto qualcosa che gli era rimasto impresso.
Mi nascondo perché aspetto che valga la pena uscire fuori…
In quegli ultimi mesi sua sorella era letteralmente uscita dal suo guscio di ragazzina un po’ capricciosa, ma tranquilla. Se non altro, molti lati inaspettati del suo carattere si erano scatenati con passione inaspettata.
E tutto per Sören Luzhin?
Allontanarla era la strategia sbagliata, lo aveva realizzato in quei giorni.
Se continuo a tenerla a distanza, è più difficile controllare che sta combinando.
Si appartarono tra due scaffali. “Senti… mi dispiace.” Iniziò Lily guardando dappertutto tranne che nella sua direzione. Dietro quella sua aria da bambolina nascondeva un orgoglio che faceva concorrenza a quello dei loro genitori. Assieme. “Non volevo farti preoccupare. Ho fatto una cosa cretina, e ti chiedo scusa. Sul serio.”
“Vuoi venire alla festa di stasera, eh?”
Lily gli scoccò un’occhiata colpevole. “Però le scuse sono sincere…” Mugugnò.
Al dovette trattenere un sorriso, perché era pur sempre un fratello maggiore e in vece dei suoi, da tale si doveva comportare. “Sul serio?”
Lily inspirò bruscamente. “Per favore, facciamo pace. Sai come far sentire qualcuno colpevole, credimi, mi ci sento moltissimo… e poi mi manchi.”
Albus le passò un braccio attorno alle spalle e si fece doverosamente stritolare, come codice fraterno comandava. “Ora va meglio.”

 
 
****
 
India, Nagaland, Dimapur.
Pomeriggio.
 
Harry non pensava che avrebbe visitato l’India due volte in meno di un anno e mezzo. Quando la Passaporta Intercontinentale – persino peggiore di quella per la Germania – li aveva fatti apparire nell’unico punto di Materializzazione della città si era sentito frastornato come se l’avesse investito un treno. Aveva a malapena salutato in modo dignitoso il contatto di Eleanor, un magro indiano dalla carnagione scura che si era presentato come Dhansiri.
O qualcosa del genere.
Il contatto, vestito con una casacca bianca e rossa  e una specie di pareo che aveva spiegato ad uno sconcertato Ron chiamarsi dhuti panjabi¹, li aveva fatti attraversare velocemente il quartiere magico; del posto Harry aveva solo memorizzato un’orgia di colori, stoffe, odori penetranti, donne con copricapi elaborati e uomini dalla barba più lunga di quella, leggendaria, di Silente. Poi erano saliti su un carro coperto trainato da cavalli macilenti e adesso stavano attraversando una trafficata strada babbana, in mezzo ad auto, motorini e animali di svariata taglia e genere.
Lanciò un’occhiata a Ron, che da quando erano saliti si era messo un lembo del mantello attorno al naso e aveva rifiutato di guardare ovunque tranne che i suoi piedi.
L’unica che sembrava perfettamente a suo agio era Nora. O forse era talmente concentrata a rimuginare che non notava neppure la cacofonia di suoni e odori attorno a loro.
Tossì all’ennesima nuvola di polvere e fuliggine che li investì.
Adesso capisco perché i Luzhin pensavano di poter esportare Polvere Volante. Viaggiare così è un inferno.
“Mi scuso. È il miglior mezzo di spostamento che abbiamo. Il più sicuro.” Esordì Dhansiri con un mezzo sorriso; non doveva essere la prima volta che aveva a che fare con maghi stranieri poco avvezzi al contatto forzato con il caos babbano. “Babbani.” Indicò infatti un po’ tutto attorno. “Qui le loro autorità sono molto attente. Niente materializzazioni, niente focolari.”
“Camini per la MetroPolvere?” Chiese, mentre Ron gli lanciava lunghe occhiate dolorose.

“Rischioso.” Scrollò le spalle. “Ci vogliono soldi, tempo. Molte protezioni.”
Harry non era in vena per approfondire il discorso quindi si limitò ad un sorriso disimpegnato. “Manca molto?”
“Dobbiamo uscire dalla città, poi un’altra ora. Le case dei maghi stranieri sono molto lontane dal centro. Più sicuro.” Ripeté.
Il resto del viaggio non fu particolarmente degno di nota. Usciti dalla città li aggredì la stessa vegetazione rigogliosa che avevano visto quando erano andati a cercare i Naga. Harry si spostò vicino alla strega americana, lanciandole un’occhiata. Ormai la considerava un membro effettivo della sua improvvisata squadra di indagine; aveva fatto molto affidamento su di lei, forse persino troppo per una persona che conosceva appena.

Non ho dimenticato il motivo per cui, in prima istanza, ci ha voluto aiutare…
Eleanor Gillespie era una strega intelligente e soprattutto, con un’innata capacità di avere relazioni fluide con chicchessia. Aveva molti contatti, supponeva, non solo in quanto agente del DALM americano, ma proprio per come riusciva a stimolare la fiducia nelle persone.
“Cosa pensi troveremo?” Chiese neutro, prendendola da lontano.
Un lampo di sorpresa attraversò le iridi della donna; era chiaro fosse completamente persa nei suoi pensieri. “Non saprei.” Iniziò pacata come sempre. “È una casa che i Luzhin hanno in comproprietà un’altra famiglia. È stato un vero tiro fortunato fare un’indagine più approfondita sulla loro cerchia di amici. I nobili tedeschi non sono molto propensi ad ammettere che non riescono a permettersi case all’estero, pare.”
Harry sorrise appena. “Adesso è vuota?”
“Sì, i comproprietari con cui abbiamo parlato ci hanno detto che la usano raramente ora che i parenti che avevano qui si sono ritrasferiti in Germania. Ci hanno comunque dato tutte le formule degli incantesimi di protezione. Non la usano da almeno due anni.”

“Potrebbero essere cambiati allora?”
“Dubito. Hanno un contratto magico che lo impedisce.” Fece un sorrisetto. “Finalmente non troviamo un muro, no?”
“Nora, come mai per te è così importante prendere Hohenheim?” La spiazzò, era evidente dall’espressione scombussolata. Ron lanciò loro un’occhiata ma continuò a guardare la strada come se non li avesse sentiti. Gliene fu grato. “La prima volta che ci siamo conosciuti mi hai detto che era personale.”
“Non l’ho detto.” Disse e non le si erano irrigiditi solo i lineamenti. Era tesa, sulla difensiva. La donna che aveva di fronte in quei mesi di frequentazione lavorativa non aveva mai messo un muro tra di loro, era sempre stata aperta e onesta. A domanda, aveva risposto senza esitazione o tentennamenti burocratici. Le poche volte che aveva messo un freno alla loro curiosità non era stato per pregiudicare l’indagine.

Adesso lo sto facendo. È personale.
“Me l’hai fatto capire.” Si sporse e le posò una mano sulla sua. “Ti ho anche chiesto se fosse una questione di vendetta. E ti ho risposto che non mi importava, finché potevo fidarmi di te.”
Nora guardò la mano, poi serrò appena le labbra. “Ed io ti ho risposto che avresti potuto.” Replicò. “Quindi adesso cosa vuoi sapere?”

Harry tolse la mano. “Quello che ti ho chiesto.” Disse molto semplicemente. “Ho bisogno di saperlo.”
“Alberich Von Hohenheim ha ucciso mio marito.” Lo disse staccando le parole, senza fretta, fissandolo direttamente negli occhi. Era uno sguardo vuoto, però, privo di qualsiasi calore o richiesta di comprensione. Era una mera attestazione. “Non direttamente, ovvio.” Soggiunse. “L’ha fatto uno dei suoi agenti, durante una delle loro operazioni.”

Harry vide con la coda dell’occhio che le spalle di Ron si erano mosse in un profondo sospiro. Anche da lì sentiva l’empatia che stava investendo l’altro. “Lavoravamo nella stessa unità, all’epoca.” Continuò Nora. “La Thule, come ti ho detto, non era ancora stata ufficialmente riconosciuta come organizzazione criminale di stampo internazionale. O conosciuta, in generale. Jeremiah fu chiamato per quella che sembrava una banale effrazione domiciliare.” Fece un messo sorriso amaro. “Il caso fu archiviato perché diventò una pista fredda. Nessun indizio, nessuna prova lasciata sul campo. Gli agenti che se ne occuparono lo classificarono come un semplice tentativo di furto.”
Harry aggrottò le sopracciglia. “Non fosti tu ad occupartene?”
Nora lo guardo quasi divertita. “Mi dissero che ero troppo coinvolta.”
Come te adesso, diceva la sua espressione. Harry d’improvviso comprese perché non si era mai opposta, né all’inizio né in seguito a tutte le interferenze, o al fatto che la squadra di indagine fosse guidata da Ron.

Ci è già passata.
“Ma tu non hai mai creduto che fosse solo quello.”
“Mio marito era un buon agente, uno dei migliori del nostro distretto.” Replicò con fermezza. “Non sarebbe mai andato solo, ignorando la procedura, se non avesse pensato che era un caso diverso dall’ordinario.” Si girò la seconda fede che indossava tra le dita. “Già allora eravamo sulle tracce della Thule, anche se erano solo gli inizi, i primi pezzi del puzzle… Jeremiah era passionale in tutto ciò che faceva, specialmente nel nostro lavoro. Seguiva il suo istinto, diceva.” Fece un mezzo sorriso. “Un po’ mi ricorda voi due.” Indicò con un cenno Ron, che ormai aveva smesso di fingere di non ascoltare.

“Hai mai saputo chi fosse l’esecutore?” Chiese infatti ed Harry fu certo che se l’amico ce l’avesse avuto davanti avrebbe maledetto il suddetto sul colpo. Non era un mistero che Ron nutrisse una forte simpatia per l’americana e stesse cominciando a rivedere molti dei suoi preconcetti per i loro cugini di oltreoceano grazie a lei.
Nora fece di nuovo un sorriso amaro. Erano domande a cui aveva dovuto rispondere molte volte, rifletté Harry. “C’erano degli Avversaspecchi incantati per monitorare lo studio. Sappiamo chi è stato. Il Camaleonte.”
“John Doe?” Sentì autentico dispiacere all’idea di non aver tolto di mezzo personalmente quell’avanzo di galera quando ne aveva avuto l’occasione.

Nora annuì. “Era il braccio destro di Von Hohenheim. Pagato profumatamente, ma dava lealtà solo a lui. Ma erano in due.” Si infilò di nuovo la fede. “L’altro era un ragazzino a giudicare dalla corporatura.”
Harry si lanciò un’occhiata con Ron. Era una coincidenza che tra loro e il padre naturale di Thomas ci fosse sempre un ragazzo? Ne dubitava.

E se fosse sempre lo stesso?
“Pensi che…”
Nora scosse la testa. “Come ho detto, tra gli adepti della Thule ci sono anche ragazzi appena diplomati. Poteva non essere il falso Sören. Ma se lo fosse…” L’espressione era quella di una leonessa in gabbia. “… avrebbe altre domande a cui rispondere.”

 
La villa era completamente in legno, recintata da alti cancelli in pietra, magici, che restituivano agli ignari babbani la vista di una vecchia catapecchia in rovina. Quello che gli occhi di un mago vedevano era invece una casa ben tenuta, in legname dipinto di un rosso mattone e dal tetto scuro, sviluppata su due piani. Non particolarmente lussuosa, ma comunque comoda e adatta a quelle temperature.
Considerazioni generali a parte, il posto sembrava disabitato da un po’. L’erba del prato all’inglese era alta centimetri, come se per mesi nessuno si fosse preso la cura di tagliarla e erbacce erano cresciute ovunque. Le numerose finestre che si aprivano sui bovindi raccontavano invece una storia diversa.
“Quando c’è la stagione delle piogge, qui?”
“Tra Giugno e Settembre.” Intervenne l’indiano, aprendo il cancello con un complicato movimento di bacchetta che era riprodotto su un taccuino che aveva cacciato fuori dalla casacca.

Harry indicò le finestre. “Sono state pulite. Qualcuno è stato qui di recente.”
“Non l’altra famiglia. Abbiamo controllato.” Ribatté Ron, tamburellando le dita sulla fodera della bacchetta con aria impaziente. “Credi che siano in casa?”
“No, la casa sembra disabitata, ma sono stati qui.” 
Entrati, perquisirono la casa come da procedura. C’erano evidenti segni che qualcuno vi avesse soggiornato di recente; vestiti negli armadi, scorte di cibo, libri e persino delle ricevute dello spaccio magico della città.
“C’è il guardaroba minimo per tre persone.” Esordì Nora uscendo da una delle camere del piano di sopra. “Sören è stato qui.”
“L’impostore o…”
“Quello vero, Ron. Lui e i suoi genitori. Si sono nascosti qui, dove nessuno li avrebbe potuti rintracciare. Neppure il loro factotum sapeva dell’esistenza di questo villino.” Rispose Harry all’amico che rivedeva gli estratti con aria concentrata.

“Non se ne sono andati da tanto. Questi conti risalgono ad una settimana fa.” Li sventolò sospirando. “Li abbiamo mancati di poco.”
Dhansiri rientrò in quel momento. Indicò con un cenno il giardino. “C’è qualcosa che dovreste vedere, agenti.”
Uscirono tutti nel giardino sul retro. L’indiano si diresse a colpo sicuro verso una pila di frasche, probabilmente tagliate dagli alberi che debordavano sulla proprietà. Le scostò con un colpo di bacchetta e rivelò terra smossa.
Ad Harry non ci volle che qualche secondo per realizzare per quale motivo era stato scavata. La forma, la dimensione della buca riempita era inequivocabile.
“È una tomba.” Mormorò Nora impallidendo.
Ron imprecò, dirigendosi ad ampie falcate verso la zona. Si chinò premendo una mano sul terriccio fresco. “Non più di una settimana.” Stabilì con tono brusco. “Non ha neppure cominciato a compattarsi.” Si passò una mano sul viso e non disse altro.
Harry non replicò mentre la rabbia e l’impotenza lo investiva come un’onda maligna; non aveva potuto fare niente per evitare la morte dei Luzhin, nonostante li avesse cercati per mesi. Niente.
Mi dispiace. Dannazione. Mi dispiace.
Si strofinò la cicatrice, mentre Nora gli lanciava un’occhiata attenta. “Non è colpa di nessuno, né nostra né tantomeno tua.” Disse mettendogli una mano sulla spalla. “Sono stati loro stessi a rendersi irrintracciabili. Come potevamo proteggerli se non sapevamo dov’erano?”
“Ma qualcuno li ha trovati e li ha messi a tacere. La stessa persona che li aveva fatti temere per la loro incolumità. Non erano qui per aspettare che il Torneo finisse, Nora. Si stavano nascondendo.”

“Non potevi salvarli, Harry.” Ripeté l’altra con fermezza. Non rispose, sapendo che era vero, che i Luzhin si erano scavati letteralmente la fossa con le loro mani cadendo nella rete di Alberich Von Hohenheim.
Nonostante questo, non poteva fare a meno di sentirsi in parte responsabile. Probabilmente era la sindrome da eroe. O patologia, come sosteneva Ginny.
Non sono arrivato in tempo. Non li ho salvati.
“Tiriamoli fuori di lì.” Disse, e sembrava la voce di un altro, non la sua. “Identifichiamoli. Dobbiamo essere sicuri che siano loro prima di procedere. In ogni caso, la loro morte ci permetterà di aprire casa loro e trovare le prove che ci servono.”
“Harry…” Lo richiamò Ron, mentre si alzava spazzolandosi i pantaloni. “Qualcosa non torna.” Esordì e alla sua espressione confusa, spiegò. “Erano tutti e tre qua, giusto? Le scorte, i vestiti indicano che c’erano sia i genitori che il ragazzo. Ma la dimensione della fossa e il volume di terra smossa…” Scosse la testa. “Potrei sbagliarmi, ma…”
“Ma cosa?”
“Sembra che siani stati seppelliti due corpi, non tre .”

 
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Dopocena.

 
La festa era divertente come Lily si era aspettata; del resto mettere un evento nelle mani di Dominique era automaticamente portarlo al successo. Aggiunto a lei, Scorpius era un insospettabile ma eccellente selezionatore di canzoni wrock e babbane. Persino Tom alla fine si era rilassato abbastanza per esibire qualche magro sorriso, tenendosi comunque ben lontano da qualsiasi ipotesi danzante, a differenza di Al, che al momento stava facendo ballare Meike ed elargiva a chiunque ringraziamenti e sorrisoni. Era contenta che suo fratello si fosse finalmente buttato, almeno per un po’, la tensione alle spalle.
Comunque non era quello il problema.
Finì il suo cocktail miscelato per lei appositamente dalle mani bislacche di Dominique; aveva un ottimo sapore, ma era un po’ tanto forte, tanto che già le girava la testa. Posò il calice da qualche parte e si diresse verso l’entrata del salottino, dove la musica era attutita e nessuno cercava di coinvolgerla in nessuna conversazione.

Aveva pregato Albus di farla partecipare, ma dal momento in cui la festa era iniziata non si era sentita affatto di umor festaiolo. Anzi, tutt’altro.
Chissà Ren cosa sta facendo adesso…
Perché il karma esisteva e ce l’aveva con lei – non gliel’aveva forse detto, Fiorenzo? – la canzone cambiò e ne venne una che Lily non conosceva, ma che sfortunatamente aveva molto più senso di tutte le altre fino a quel momento ascoltate.
 
All of the things that I want to say, just aren't coming out right
I'm tripping on words, you got my head spinning
I don't know where to go from here

 
Era orribile essere innamorate. Oltre a quello, già complicato di per sé, si aggiungeva quella dannata situazione allucinante.
Approfittando del fatto che tutti fossero distratti – anche Teddy, che stava chiacchierando di cose barbose con Rose – aprì la porta ed uscì fuori, per respirare un po’ d’aria fredda e ricomporsi prima di farsi beccare con gli occhi lucidi da chicchessia.

Non sapeva davvero che fare con Sören; aveva fatto la spaccona, aveva detto che l’avrebbe cercato, aiutato, ma la realtà è che non aveva idea di come. Dopotutto era solo una studentessa del Quinto.
Quindici, schifosissimi anni.
Se Al e Thomas avevano potuto vivere la loro grande, spaventosa avventura e salvarsi a vicenda lei non riusciva nemmeno a parlare con l’altro senza che scappasse nella direzione opposta.
“Se vuoi aiutare … devi anche trovare qualcuno che voglia essere aiutato, Lils.”
E se Albus avesse avuto ragione?
Immersa nel buio, notò subito quando una luce apparve alla fine del lungo, snodato corridoio. Dovevano essere da qualche parte nell’ala Est, anche se non ne era troppo sicura dato che aveva semplicemente seguito Rose e il resto delle ragazze.
La luce, quella di una torcia a giudicare dal colore caldo – il lumos era bluastro – si stava avvicinando a passo d’uomo e Lily si passò velocemente le mani sulle guance, pregando che il trucco babbano che le era stato regalato per Natale avesse tenuto come prometteva la confezione.
Non si sarebbe mai aspettata di trovarsi di fronte Poliakoff. Neppure lui, a giudicare dalla smorfia che fece. “Inglesina.” La apostrofò con un sorrisetto e un inchino cortese ma di facciata. “Sempre in giro, vedo.”
“C’è un compleanno.” Replicò con una scrollata di spalle. “E comunque non preoccuparti, non ho la minima intenzione di andare in giro a ficcanasare.”
“Ren detto me differente.” Replicò senza stare troppo attento alla forma. Tanto Lily aveva capito il sottotesto. “… So di vostro incontro in caletta.”

“Come lo sai?” Di certo Tappo Tombo – adorava Dominique e i suoi nomignoli – non l’aveva saputo dalla McGrannit. Stava bluffando? No. Sapeva davvero qualcosa.
Il russo si strinse nelle spalle. “Io suo assistente. Lui me parla, sai.” Inarcò le sopracciglia. “Ma tu piange?”
“No.” Le sembrava assurdo che Sören si fosse confidato con quel tizio, ma del resto aveva scoperto che erano assurde tante altre cose e inoltre, in quella caletta erano indubbiamente soli. Ren aveva parlato.
E non a me.
“Lui tiene a te.” Esordì il russo a sorpresa. Si passò la torcia nell’altra mano e le porse un fazzoletto insospettabilmente pulito, visto il tipo. Fece un sorrisetto tollerante. “Avanti. Io no te piace, io so. Ma fraülein che piange, non si lascia piangere. È codice di Istituto.”
Dopotutto era solo un fazzoletto e quindi Lily lo prese e si asciugò il viso. Il trucco aveva retto, era tutto il resto che era indicativo, supponeva. Gli lanciò un’occhiata; Tappo Tombo si stava comportando in modo anomalo e diceva cose anomale. Non sembrava intenzionato a provarci con lei, non era quello l’atteggiamento. Manteneva una distanza adeguata e le aveva passato il fazzoletto senza tentare di toccarla.

Allora cosa?
“Certo che tiene a me, siamo amici.” Borbottò soffiandosi il naso. Gesto dubbio o meno, un fazzoletto le serviva. Il vestito corto che indossava e il coprispalle che lo accompagnava erano carini e alla moda sì, ma non erano forniti di tasche. “Quello che mi chiedo è come lo sappia tu.”
“Tu forse non sa tante cose di Sören, ma neanche di me. Tu non è unica che è stata con lui in questi mesi.”
“Non mi siete mai sembrati amiconi.” Ribatté caustica. Non le importava di essere sgarbata. Si ricordava come l’avesse mollata in mezzo ai Dissennatori alla Prima Prova, e come fosse stato disgustoso in generale.

E poi Ren l’ha sempre tenuto a distanza quando era con me. Un motivo ci sarà.
Il russo si strinse nelle spalle. “Niet, non lo siamo, è vero. Però questo no significa che io non sappia.” E qui si fermò, guardandola con intenzione. “Lui è nei guai, e io so che guai sono perché ci sono anche io dentro.”
Lily finse con tutte le sue forze di non far vedere che il cuore aveva preso a batterle come una gran cassa.  
Perché ne parla a me?
“Hai passato tutti i mesi di Hogwarts a tentare di allontanarmi da Ren…” Iniziò cercando disperatamente di capire cosa si nascondesse dietro l’espressione poco intelligente di Kirill Poliakoff. Era una LeNa, anche senza orecchino capiva le persone. Si accorse con sorpresa che non gli arrivava niente dal suo interlocutore.
Si è Occluso? No, insomma… credo di no. Non lo so… Perché non funziona?
Fraintendendo la sua espressione, l’altro sorrise. “Erano ordini.”
“Da chi?”
Non gli rispose. “Se vuoi aiutare Ren, tu deve fidarti di me.”
“Col cavolo!” Esplose facendosi guardare con sbalordimento. “Perché dovrei?”

L’altro sembrava ad un passo dal perdere la pazienza, ma sorrise di nuovo. Quello schifoso sorrisetto untuoso che gli avrebbe cancellato dalla faccia tanto volentieri. Magari con uno schiaffo. “Perché possiamo fare in modo che tuo Ren non finisca a Nurmengard.”
E non c’era nient’altro che dovesse dirle, davvero.
Lily, che fino ad un momento prima si era abbastanza accaldata dalla temperatura alla festa, sentì freddo. Tanto. Si strinse nel coprispalle e gli lanciò un’occhiata, facendogli cenno di continuare.
“Lui è indagato, e Auror sono bravi.” Obbedì il ragazzo. “Nurmengard è brutto posto. Peggio di vostra Azkaban, mi hanno detto. Carcere duro. Non esci, solo entri. Per sempre.”
Lily sapeva, aveva già interiorizzato che Sören aveva la sua dose di colpe. Ma nonostante questo non poté fare a meno di avere un’improvvisa, violenta, voglia di gridare e piangere. “È stato lui… con i Dissennatori?”

“Costretto.” Convenne. “Come me. Tu sa chi ha costretto noi… potente, impossibile rifiutare. Pericoloso. Questione di vita o di morte. Lui ha minacciato nostre famiglie. Tu capisce?” Chiese grave.
Lily non capiva, ma poteva accettarlo. Se qualcuno dei suoi fosse stato minacciato, avrebbe ceduto alle richieste di un mostro? Forse. Probabilmente. Di sicuro. “Sì… credo di sì.”
“Io no voglio finire in prigione. Tu vuoi che Ren finisca?”
“… no. No, certo che no!” Era confusa, spaventata. Era stata così stupida a voler essere invischiata nell’azione. Eppure c’era e ora le si chiedeva di fare una scelta. “Perché non parli con il tuo Direttore?”
Con un adulto, maledizione!
Il ragazzo fece una smorfia sarcastica. “Tu non fidi di me, ma anche io non fido degli altri. Herr Direktor è in contatto con quell’uomo.”
Lily inspirò; doveva immaginarlo. Era impossibile che non ne sapesse qualcosa, ma diversamente da quanto avrebbe fatto il loro Preside, gli stava benissimo che quel mostro del padre di Thomas spadroneggiasse nella sua scuola e ricattasse i suoi studenti.

“Sören non si fida degli altri. Si fida solo di te.” Aggiunse. Lily lo guardò e sembrava, con tutti i crismi, sincero. Non percepiva menzogne, non c’era niente nella sua espressione che lo mostrava. “Io non posso convincerlo a parlare ad Auror, tu ancora non ci sei riuscita. Ma insieme, forse possiamo.”
Lily prese un ennesimo sospiro. Chi le aveva detto che l’importante era respirare?
Piantò gli occhi in quelli dell’altro. Sicurezza. Era importante anche quella.
“Okay. Che devo fare?”  
 
 
****
 
Note:


E infatti, mi odierete come ho detto su effebbì. Prossimo capitolo, puntone massimo di svolta.
Da qui, si finisce presto! ;D

Canzone capitolo qui.
La maglietta di Tom, visto che documento tutta la cronistoria delle sue t-shirt, è questa Il prezzo? Vi stupite che Tommy sia un collezionista? Ce l’ha nella – aehm – anima. xD
1.Qui per maggiori info.
La canzone che Lily sente invece è questa una roba che se non sei di buon’umore… da sotterrarsi. Per l’appunto.

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Capitolo 56
*** Capitolo LIII ***


Capitolo LIII
 

 
If I act accordingly will it save my humanity?
You're either you or a loyalty disowned
Conviction seems to follow accusations alone
When love alone is enough to set you free
(15 Min Fame, Poets of The Fall)
 
 
20 Gennaio 2023
India, Regione del Nagaland, Dimapur
Prima mattina.
 
Vista l’indagine in corso, Harry aveva ritenuto opportuno rimanere a Dimapur finché non avessero avuto riscontro sull’identità dei cadaveri trovati – Ron aveva avuto ragione, erano due, non tre. Non appena capito chi fossero, avrebbero potuto iniziare le ricerche del terzo. Nora aveva già preso i contatti con le forze di polizia magiche del posto per farli partecipare in prima linea.
Come al solito, non ci resta che aspettare.
Mandati Gufi di spiegazioni alle rispettive famiglie, Dhansiri si era prodigato per trovar loro una sistemazione confortevole per la notte. Al momento stavano consumando la colazione in una piccola locanda nel cuore del Quartiere Magico della città. Erano seduti sulla veranda di legno che si apriva su un rigoglioso giardino pensile ed era una buona giornata, né troppo soleggiata né in dirittura di pioggia. Ron stava generosamente addentando l’ennesima porzione di un pane fritto, molto dolce e speziato, il poori, piatto tipico delle colazioni indiane. Eleanor leggeva il quotidiano locale bevendo caffè che, a giudicare dal colore e la consistenza, sembrava esser stato preparato con l’intento di svegliarla. Harry si chiese per l’ennesima volta se dormisse la notte. “Dovresti provarci, sai.” Si lasciò sfuggire.
Nora inarcò le sopracciglia, colta di sorpresa. “A fare cosa?”
“Dormire un po’.” Le sorrise. “Dicono aiuti a pensare meglio.”
La strega fece una smorfia divertita. “Soffro d’insonnia sin dall’adolescenza e quando seguo un caso peggiora, niente da fare. E non sono mai stata una fan delle pozioni soporifere.”
Harry annuì, anche se non pensava fosse tutta la verità; supponeva che, come lui, la creola facesse fatica a prendere sonno proprio per l’impostazione personale che aveva dato a quel caso particolare. L’unico ad essere immune al demone della veglia notturna era Ron. Lo invidiava, e non doveva essere l’unico.

Quello, quasi avesse sentito i suoi pensieri, lanciò loro un’occhiata. “Secondo voi quanto ci metteranno? Dico, a identificare i due corpi e capire cosa li ha uccisi.”
L’agente americana sospirò. “Possiamo solo aspettare. C’è una semplice clinica qui, non attrezzata per le diagnosi magiche post-mortem. Hanno materializzato i corpi a Dehli¹. Ci vorrà un po’.”
L’uomo emise una smorfia scontenta. “Hermione mi ucciderà. Oppure troverò le mie cose fuori dalla porta, uno dei due. Vale lo stesso. Le avevo detto che ci avrei messo in tutto una mezza giornata… ed eccoci qua, arrostiti dal sole e mangiati dalle zanzare!” Allargò le braccia in modo teatrale, salvo poi per farle ricadere sconfitto. “Merlino, se odio la Thule.”  

 “Siamo arrivati ad un punto di svolta con le indagini, non ci vorrà molto e poi potremo tornare a casa dalle nostre famiglie.” Disse Nora tentando di consolarlo.
“Scommetto manchi un sacco a tua figlia…” Sbuffò l’altro con un mezzo sorriso subito dopo. Harry la guardò sorpreso. “Hai una figlia?”
“Sì, Ama. Ha diciannove anni.” Sorrise la donna. “Manco da mesi e lei manca a me.”

“Non vedo l’ora che tutta questa storia sia finita… Così avrò la certezza che Rosie e Hugo sono al sicuro.” Sospirò Ron; ormai aveva perdonato la figlia per frequentare un Malfoy, ma era restio ad ammetterlo per imbarazzo. Harry aveva intuito che gli eventi che si erano scatenati in quel periodo e la lontananza della figlia maggiore avevano convinto l’amico di una vita a rivedere le sue posizioni. Almeno un po’.
Furono interrotti nel piacevole chiacchierar di nulla dall’arrivo di Dhansiri, che portava un bauletto dall’aria vissuta e con grosse venature ad intersecarlo.
“Una chiamata via fuoco magico per lei, Signor Potter.” Esordì posizionandolo di fronte a lui, previo scostamento di tazze di caffè e cesti di pane e frutta.
Harry inforcò gli occhiali che aveva abbandonato per godersi un po’ del tepore dei raggi di sole che filtravano dal tetto in vimini. “Da parte di chi?”
“Lord Draco Malfoy.” Alla menzione, Ron si alzò in piedi e con un cenno brusco abbandonò il tavolo e veranda. Nora lo guardò interrogativa. Harry sospirò.   

“Lunga storia. Ti dispiace?” Chiese indicando il baule chiuso, ma dal quale proveniva un tenue bagliore.
Lasciato solo e ringraziato Dhansiri che si accomiatò immediatamente, non gli restò che aprire il cofanetto con un colpo di bacchetta. Non vi erano che fiamme verdognole e danzanti; non vide dunque Malfoy, ma sentì la sua voce. “Potter.” Iniziò con la classica cascata di snobismo. “Siamo soli?”
“Sì, Ron non c’è.” Sospirò di nuovo, con la certezza che avrebbe passato i prossimi anni a fare da stato cuscinetto tra due maghi cresciuti ma testardi come gli adolescenti che erano stati. Il che, visti i suoi trascorsi adolescenziali con Malfoy, aveva dell’ironico.

Ci fu un breve silenzio, poi finalmente l’altro parlò. “Ti ho chiamato solo per dirti che tua figlia sarà imbarcata con la prossima Passaporta per Inverness.”
Harry sentì il sollievo investirlo come una corrente benefica; almeno uno dei suoi ragazzi sarebbe stato lontano da quell’inferno. Lily, poi, era diventata la più testarda e ribelle. Sì, era decisamente una buona notizia.

“Bene… molto bene.” Disse. “Quando?”
“Accetto i tuoi doverosi ringraziamenti, Potter.” Replicò sarcastica la voce oltre le fiamme. “Domani, comunque. Quella delle cinque in punto.”

Si passò il fazzoletto sulla fronte; il caldo piacevole di poco prima cominciava a scottare. “Quindi è tutto risolto con il Ministero Norvegese?”
“Scandinavo.” Lo corresse con sussiego. “Sì. Non ho l’abitudine di chiamare insopportabili Ragazzi Meraviglia se non ho la certezza di aver rimediato ai guai dei loro pargoli.” Harry ignorò la frecciatina, perché dopotutto non poteva dire che l’altro avesse torto. “Hanno sbloccato la Traccia di tua figlia questa mattina.”

“Non può prenderla oggi quella Passaporta?” Sarebbe andata a prenderla, decise; avrebbe strigliato quella piccola incosciente e poi l’avrebbe abbracciata stretta.
“Non c’è.” Il tono dell’altro mago era definitivo e Harry gli credette. L’importante era che Lily tornasse in Gran Bretagna. A casa. Ventiquattro ore non erano molto, in fondo.

“Grazie Draco.” Sorrise anche se l’altro non poteva vederlo. “Ti sono debitore.”
“Oh, lo so.” Fu la risposta ed era certo che stesse anche ghignando. “Richiama pure il tuo tirapiedi peldicarota, devo andare.” E le fiamme si spensero con uno sbuffo di fumo.
Harry inspirò, ma non fece in tempo a ricomporsi e nettarsi di nuovo la fronte – il caldo era davvero insopportabile e repentino in quel paese – che Dhansiri rientrò di fretta, accompagnato da Nora e Ron.
Ron lanciò un’occhiata al fuoco portatile. “Il Furetto Rimbalzante mi ha appena chiamato tirapiedi peldicarota o è stata una mia impressione?”
“Una tua impressione.” Replicò Harry con un cenno dismissivo. “Che succede?”
Ron fece una smorfia, evidentemente poco convinto, ma vedendo che lo scrigno era silente e spento si decise a parlare. “Sono arrivati i risultati degli esami post-mortem.”
“E…?”
“I due corpi appartengono a Frederick e Olga Luzhin.” Sbuffò. “Significa che il ragazzo è ancora vivo e che forse è riuscito a scappare dai sicari di Hohenheim.”
Harry si alzò in piedi. “Se è riuscito a scappare potrebbero esserci tracce nel villino. Dhansiri, prepara il carro. Torniamo là.”   

 
 
****
 
Norvegia, Istituto Durmstrang.
Mattina.
 
Rose si beava del contatto delle labbra del suo ragazzo. Il bacio mattutino, poco prima di colazione, ancora fresco di dentifricio, era forse il suo preferito. Erano soli, dato che le altre ragazze si erano dirette verso il refettorio dopo aver lanciato occhiatine e risatine in direzione del loro Campione.
Oche.
Cominciava a rivalutare la Parkinson-Goyle; perlomeno aveva smesso con quel ridicolo atteggiamento da damigella in pericolo che invece affliggeva tutte le altre ogni volta che vedevano il Campione di Hogwarts in tenuta da allenamento nera e rossa.
“Menta?” Chiese Scorpius baciandole l’angolo della bocca. “Mi piace la menta.”
Rose ridacchiò arruffandogli il caschetto biondo che gli era valso da parte di Dominique il titolo di petit prince.

“Sei pronto per la Prova?”
“Sicuro! Dursley, anche se brontola tanto, sta facendo un buon lavoro. Evitasse di colpirmi con le costole dei libri nel punto più tenero della nuca magari sarebbe meglio… ma è Dursley. È un uomo crudele.” Sospirò con piglio eroico.

“In questo caso Tom ha tutto il mio appoggio.” Gli accarezzò comunque il punto offeso e questo le valse un secondo, profondo bacio.
“No, ma continuate a fare finta che sia un pezzo d’arredamento … Tanto mi piace guardare.” Li informò una voce squillante.
Sua cugina Lily li guardava con il sopracciglio debitamente inarcato e la borsa scolastica molto meno piena di quanto avrebbe dovuto. Era certa che scroccasse pergamene e libri di testo ai poveri compagni maschi da una vita.
Scorpius si volse verso di lei con il solito, inscalfibile sorriso adamantino. “Oh, piccola Potter! Ci sei anche tu?”
“La tua dolce metà dovrebbe scortarmi a colazione.” Scrollò le spalle. “Ma si è dimenticata di me per gettarsi tra le tue braccia muscolose.” E le occhieggiò con intenzione. “Non che non la capisca.”
Scorpius gonfiò il petto come un tacchino. “Davvero pensi che siano muscolose? Perché sai, sto facendo questo allenamento per i bicipiti che…”
“Sì, okay. Andiamo.” Borbottò, prima che il suo idiota personale facesse la ruota di fronte a quella gatta cretina che condivideva metà del suo genoma. “Siamo in ritardo per la colazione.”
Lily fece uno dei ghignetti per cui era tristemente famosa, ma non aggiunse niente di imbarazzante o troppo esplicito. Le tese invece la sua borsa, questa adeguatamente preparata, senza una parola.

Meno male!
Si incamminarono per i corridoi asfittici della fortezza mentre la cugina attaccava un chiacchiericcio querulo con Scorpius. Pareva di ottimo umore, ma Rose non ci cascò; quella mattina si era comportata in modo normale ed era stato questo ad insospettirla. Niente bronci, niente rispostacce o evitare il suo sguardo.
Non doveva essere arrabbiata con me perché la seguo come un’ombra e non la lascio scappare dal suo tedesco?
Le lanciò un’occhiataccia, ma le fu rimandato indietro un sorriso sereno, di chi non aveva un problema nella vita.
“È vero che torni a casa?” Chiese Scorpius facendole interrompere il contatto visivo.
“Sì.” Confermò Lily senza particolari inflessioni. Sospettosissimo. “Sono riusciti finalmente a sbloccare non so che incantesimo che mi permetteva di rimanere qui. Sapete, quella Traccia.”
“Mi spiace che tu non possa rimanere fino alla Prova, non c’è proprio modo?”

Lily fece una lieve smorfia. “Temo di no… Mi piacerebbe, ma tutto quello che mi aspetta è la Scozia e una strigliata dei miei.”
“Almeno ne sei consapevole.” Si inserì Rose. Sua cugina doveva andarsene, non c’era altro da aggiungere.
Così potremo finirla di farle da balia. Beh, almeno ad Albus ha chiesto scusa…
Arrivarono in refettorio e Lily si voltò di colpo verso di lei. “Mi spiace di averti rovinato il soggiorno.” Esordì con quieto sguardo dispiaciuto. “Volevo solo aiutare un amico, ma l’ho fatto nel modo sbagliato. Ora lo capisco… scusa Rosie.”
Rose rimase senza parole. Data la deriva di pensieri precedenti non si era aspettata quell’uscita estemporanea. Si sentì arrossire. Il suo principale difetto, Scorpius glielo aveva fatto notare in più di un’occasione, era la tendenza a sparare giudizi. Giudicare. E ci era cascata di nuovo. “Uhm… beh, okay. Scuse accettate.” Borbottò. “L’importante è che tu abbia capito.”
Lily si limitò ad annuire con un sorriso mite, prima di andare a prendere posto tra le altre ragazze del coro.
“Sembra essersi rassegnata, no?” Intervenne l’altro grifondoro, prendendole la borsa e dirigendosi verso il tavolo che ospitava Albus, Dominique e Violet e in fondo, all’angolo misantropo, Thomas.
Rose scrollò le spalle. Conosceva l’altra da che aveva memoria, e se aveva una certezza era che non ci si poteva fidare di quel che le usciva dalla bocca.
Speriamo che stavolta mi sbagli.
 
Rose era una maledetta diffidente.
Lily aveva ben chiaro che non poteva permettere a nessuno – il suo Leviatano personale in testa - di scoprire cosa era successo la sera prima.

Non era facile; se imboscarsi nel treno le aveva preso poco meno di mezzo pensiero e zero senso di colpa, adesso ne provava a palate.
Stava di nuovo agendo alle spalle della sua famiglia e soprattutto di Albus. Non la piaceva per niente, la faceva sentire una bugiarda. Aveva promesso al fratello, seppur implicitamente, di piantarla con i casini. E invece.
Però sapeva di fare la cosa giusta. Ed era questo a darle la forza e farle tenere la bocca chiusa. Se avesse spifferato tutto ad Al prima del tempo, prima di aver convinto Sören a costituirsi, sarebbe stato tutto inutile.
Al ha la sua battaglia per Tom. Io ho la mia.
Non poteva tirarsi indietro, non con Ren che rischiava Nurmengard. Il suo amico era una Pluffa sparata verso gli abissi e non poteva permettergli di perdersi per colpa di un mago pazzo, delirante e cattivo.
Naturalmente non si fidava di Kirill. Era un tipo viscido e le dava cattive vibrazioni. Inoltre era palese che non gliene importasse un fico secco di Sören e che volesse solo salvarsi la pelle. Però c’era poco da fare, era l’unica mano che le era stata tesa in quei frangenti. Non poteva schiaffeggiarla via solo perché la metteva a disagio.
 
“Domani sera io porterò te da Sören. Lo costringerò a parlarti. Parlarci.” Si era corretto. “Se funzionerà chiamerai tuo padre e chiederai lui di portarci in Inghilterra.”
“In Inghilterra? Perché?”
Il russo aveva sbuffato come di fronte ad una bambina lenta di comprendonio. “Noi chiedere asilo politico a tuo paese. Se verremo presi in custodia da tuo Ministero sarà… meglio.”
“Come fai a saperlo?” Il Ministero inglese non era conosciuto per essere clemente. Tom l’anno prima si era cacciati nei guai, da minorenne, eppure aveva subito un processo con tutti i crismi oltre ad aver rischiato di veder rotta la sua bacchetta.

Poliakoff aveva fatto un sorrisetto dei suoi, sgradevole da morire. “Tu ha tanti parenti in Ministero, no? Figlia del famoso Harry Potter, il Salvatore. Tu non vuole salvare noi?”
“Veramente solo Ren.” Aveva ribattuto sostenendo il suo sguardo, anche se sentiva un brivido di disgusto all’idea che avrebbe finito inevitabilmente per aiutare entrambi. Non poteva scegliere la merce nel pacchetto, doveva prenderlo tutto intero.

“Se tu vuole trovare tuo Ren, fraülein, serve mio aiuto. Do ut des, sì?” Disse infatti l’altro, tendendole la mano. “Abbiamo un accordo?”
Lily gliela strinse. “Abbiamo un accordo, russo. Ma niente scherzi.” Aveva detto con il suo miglior tono di ghiaccio. Le era valso un sorrisetto divertito. L’aveva detestato con la forza di mille soli.
Poliakoff, ignaro dei suoi pensieri, aveva fatto un inchino cerimonioso. “Tu ha mia parola, fraülein.” Poi le aveva teso una moneta, una valuta che Lily non aveva mai visto e che aveva segni che sembravano cirillico incisi sopra. “Tu prende questa. Domani sera, quando calda, trova modo per uscire da tuo dormitorio e venire in refettorio. Tu farcela?”
“Sì.” Avrebbe trovato il modo. A costo di schiantare qualcuno, se lo ripromise con la bocca secca e lo stomaco serrato. Aveva serrato la moneta in pugno, sentendola stranamente fredda al tatto. “E poi?”
Il russo aveva fatto una faccia sorpresa. “E poi io porto te da Sören, no?”

 
Lily ingoiò un sorso di succo di more – versione locale di quello di zucca – e inspirò lentamente, rispondendo distratta ad una domanda della ragazza accanto a lei.
Avrebbe trovato il modo di non mancare all’appuntamento con Kirill e avrebbe seppellito il senso di colpa che provava verso Albus.
Avrebbe salvato Sören, ad ogni costo.
 
****
 
“Abbiamo trovato tracce di sangue.”
Harry si voltò in direzione di Dhansiri, che aveva scoperto essere la sua versione locale. Per aiutarli aveva infatti fatto chiamare un manipolo di giovani Tracciatori, corpo scelto di agenti della polizia magica che si occupavano di individuare indizi nelle scene del crimine.

Dovrei proporlo alla Direttrice Jones. Non sarebbe male avere gente che si occupa selettivamente degli indizi, magari con incantesimi ad hoc.
Avevano infatti tutti sonde magiche attaccate alle cinture delle loro vesti e bacchette più lunghe della norma, che gli era stato detto servissero per lanciare Incantesimi Scandaglianti più potenti del normale.
Si avvicinò all’uomo dalla pelle mangiata dal sole. “Dove?”
“Da questa parte, prego.” Gli fece strada attraverso il giardino incolto della proprietà, salvo fermarsi in un punto qualsiasi del muro di cinta che la circondava. A caso non era, perché chinandosi, Harry vide che c’erano tracce luminescenti che coloravano alcuni ciottoli.
“Cosa sono?”
“Abbiamo spruzzato una Soluzione Rilevatrice sul muro. Tutto attorno.” Spiegò indicandogli il punto. “Qui il sangue ha fatto reazione.” Spiegò.

“Sembra che qualcuno l’abbia scavalcato di gran fretta.” Si inserì Ron, avvicinandosi assieme a Nora e chinandosi per osservare meglio. “Saltato, in realtà… ma non vedo come abbia potuto ferirsi.” Passò una mano sui ciottoli tondi e leggermente regolari che sporgevano dalla muratura. “Qui è tutto liscio.”
“Doveva essere già ferito.” Commentò la creola mordendosi un labbro. “È chiaro, il ragazzo deve essere riuscito a scappare, a differenza dei suoi.”

“Sì, ma dov’è?” Ron lanciò uno sguardo all’intricata selva di alberi pluviali che si snodava di fronte a loro. “Là dentro? C’è da perdersi, miseriaccia!”
Harry si tolse gli occhiali. Con l’umidità appiccicosa di quel posto gli davano un fastidio immenso. Li pulì per l’ennesima volta e se li rimise. “Cerchiamo di capire la dinamica.” Fece il punto. “I Luzhin sono stati uccisi in casa, sono stati sorpresi. Non c’era segno di lotta, né nella villetta né sui loro corpi. Il ragazzo è stato più svelto, è riuscito a mettersi in salvo, ma è rimasto ferito. Quanto gravemente?”
Dhansiri si voltò verso uno degli agenti, parlottando brevemente. Il giovane a cui si rivolse, che sembrava essere al comando, si espresse in modo certo e sicuro. Il loro contatto poi tradusse. “Dev dice che la quantità di sangue e la velocità di impatto sui ciottoli fa pensare ad una ferita importante. Non così grave da non poter correre però.”
“Quindi è scappato nella foresta per nascondersi. Ha la bacchetta con sé, perché non l’abbiamo trovata da nessuna parte, né nella fossa, né in casa. Può essersi curato.” Riassunse Harry. Era una flebile speranza quella che li guidava alla ricerca di Sören Luzhin. Una corsa contro il tempo. Il giovane mago non era un autoctono, difficilmente avrebbe potuto orientarsi in una foresta simile, spaventato e ferito. Avendoci avuto a che fare l’anno prima, quando i Naga li avevano scortati al loro villaggio, aveva notato come fosse semplice perdere i punti di orientamento. Anche se si era medicato – cosa che sperava – avrebbe comunque dovuto combattere contro la fame, ma soprattutto la disidratazione.
Ed è più di una settimana che è lì dentro.
“Per quanto si estende?” Fece un cenno verso il verde. L’espressione di Dhansiri fu inequivocabile.
“Miglia. Una persona può arrivare a non tornare mai a casa se si perde.” Si strinse le spalle con aria rassegnata. “Con le creature, magiche e non che la abitano, se non ha imboccato la direzione giusta troveremo solo le sue ossa.”
Harry inspirò bruscamente. “Non possiamo saperlo. È un ragazzo cresciuto in Norvegia, in paesi che hanno grosse distese boschive. Inoltre, Durmstrang è famosa per dare un’eccellente preparazione tattica ai propri allievi. Aveva tutti i mezzi per riuscire a sopravvivere. Dobbiamo solo trovarlo.”
“E se i sicari di Von Hohenheim ci avessero preceduto?” Si inserì Ron. Esitò alla sua espressione conseguente. “Okay, allora che facciamo?” Allargò le braccia esasperato. Non era l’unico ad essere messo a dura prova dal clima indiano. “Seriamente, Harry… è come cercare una bacchetta in una foresta disboscata! Luzhin ormai sarà a miglia da qui. Ha visto ammazzare i suoi genitori, è in fuga!”   

Harry cercò di pensare velocemente; l’altro aveva ragione, non potevano andare a cercarlo in mezzo a quel labirinto di arbusti, né poteva chiedere a Dhansiri e la sua squadra di venire con loro. Non avevano tempo e non potevano passarlo a cercare nella direzione sbagliata.
Se solo ci fosse un modo per localizzarlo…
Fu un lampo che gli attraversò il cervello. Di colpo seppe esattamente cosa fare.
“Dhansiri, hai un fuoco portatile con te?” Chiese. Al cenno affermativo del mago, continuò. “Voglio parlare con il responsabile del Vostro Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Subito.”
L’indiano se fu sorpreso della bizzarra richiesta non lo diede a vedere, annuendo e incamminandosi verso il carro che li aveva portati lì. I suoi compagni invece lo fissarono in piena confusione.

“Amico, ma che c’entra…?” Esordì l’amico e anche Nora lo guardò con perplessità.
“I Naga, Ron.” Sorrise trionfante. “Sanno percepire l’aura magica a miglia di distanza. L’anno scorso hanno trovato Thomas. E la tribù che abbiamo conosciuto è precisamente ciò che fa al caso nostro. Possono trovare Luzhin.”
“Vuoi tornare da quei lucertoloni assetati di carne magica? Sei matto?!”  Esclamò inorridito  e Harry vide vacillare persino la di solito solida americana. “L’altra volta avevamo Scamandro con noi, ma a questo giro nessuno ci eviterà una morte lenta e dolorosa!”
Harry sospirò: sapeva che era un azzardo, per molti versi una pensata del tutto folle. Ma erano l’unica speranza di quel povero ragazzo e non si sarebbe fatto venire dubbi solo per dettagli come l’incertezza dell’intera situazione.

O il fatto che i Naga non sono assolutamente tenuti ad aiutarci ed è improbabile che lo faranno volentieri.
“Ho fatto in modo che l’uomo che li aveva rapiti la pagasse. L’altra volta hanno collaborato.” Spiegò con la sua migliore espressione calma. “Vale almeno un tentativo. Non ricordo dove sia il villaggio, ma a giudicare dalla quantità di zanzare e di piante che mi ricordo dall’ultima volta, non deve essere distante da qui.”
“Sì, c’è una tribù di Naga ad un paio di miglia da qui… Siamo nella regione dei loro primi insediamenti.” Mormorò Nora, quasi cercasse di capire se fino a quel momento avesse obbedito agli ordini di un completo sciroccato senza saperlo. “Però Harry… non sono noti per essere amichevoli con i maghi. Non parlano neppure la nostra lingua.”
“Ma io parlo la loro.” Replicò disinvolto, ignorando l’espressione scioccata della donna.
“Tu parli il Serpentese?” Aggrottò le sopracciglia. “Ma non era una capacità che avevi perso con la morte di Voldemort?”
Harry le sorrise. “Confido nel fatto che quest’informazione rimanga confidenziale, agente Gillespie.” Quando vide il cenno affermativo della donna, scrollò le spalle. “Che posso dirti? La magia lascia sempre delle tracce. Questa è la mia.”

Nora scosse la testa, prima di ridacchiare. “Parola mia, Harry… sei davvero il Ragazzo Meraviglia che tutti descrivono.”
Rise di rimando, cogliendo l’espressione esasperata, ma al contempo divertita del vecchio amico d’infanzia. “Uomo ormai. Ma sì, temo di sì.”

 
****
 
Norvegia, Durmstrang, Foresta attorno all’Istituto.
Pomeriggio.

 
Sören quasi si scontrò con Albus Severus Potter. Quasi perché all’ultimo momento riuscì a evitarlo e finirono per fissarsi sconcertati nel bel mezzo di un incrocio tra due viottoli. L’inglese gli si era parato davanti uscendo da una fila di pini.
“Mi dispiace, non ti avevo visto.” Disse respirando profondamente per regolarizzare il respiro. Era una curiosa coincidenza incontrare qualcuno nell’immensa foresta che cingeva i terreni di Durmstrang.
Eppure era accaduto e ora si trovava di fronte il fratello di Lily, anche lui vestito con una tuta – la foggia sembrava babbana – palesemente nel pieno di una sessione di allenamento.
“Errore mio!” Sorrise questo, dopo essersi ripreso dalla sua stessa sorpresa. “Ero concentrato, ho svoltato quel gruppo di alberi senza guardare… Certo non mi immaginavo di incontrare qualcuno!” Diede un’occhiata attorno. La foresta era silenziosa, interrotta saltuariamente da qualche grido di uccello.
Sören sorrise neutro, senza saper bene cosa dire. Era uscito per l’allenamento quotidiano, ormai l’unica routine a cui si dedicasse con costanza. Era utile per scaricare la tensione. Era venuto lì sperando di non incontrare nessuno.
E invece.
“Ti stai allenando per il Tremaghi?” Riprese l’inglese, asciugandosi la fronte sudata con una manica della felpa. Babbana, senza ombra di dubbio. Era persino di una taglia più grande, all’incirca. Non doveva essere sua.
“Sì.” Sapeva di dover dire qualcosa per non sembrare inadeguato. O sospetto. “Tu?”
“Solito allenamento quotidiano.” Scrollò le spalle. “Ad Hogwarts gioco a Quidditch e qui ho portato la scopa per tenermi allenato. Oggi però tira troppo vento e vorrei evitare di finire contro una parete di roccia. Così, ho optato per una corsetta.”

Sören annuì di nuovo. Non si aspettava di dover avere di nuovo a che fare con il figlio di mezzo di Harry Potter, nonché amico intimo di Thomas. Non sapeva dunque come comportarsi.
“Allora…” Iniziò, tentando disperatamente di trovare un modo per accomiatarsi senza che l’altro capisse che non voleva aver nessuna interazione con lui. Poteva essere pericoloso.
“Facciamo un pezzo di strada assieme?” Gli propose dal nulla, facendogli serrare lo stomaco. “Correre in due è più divertente… e poi, ho sempre paura di perdermi.” Fece un sorriso enorme, con la stessa sfumatura e inclinazione di quello di Lily. Lo colpì allo stomaco come un pugno. 
“… Certo.” Mormorò. A quel punto non poteva smarcarsi, sarebbe sembrato sospetto.
Ripresero a correre senza una parola. Fortunatamente era meglio non parlare se non volevano sentirsi mozzare il respiro dopo un centinaio di passi, dato che il terreno era un susseguirsi di discese e relative salite accidentate.
Sören comunque non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata di sottecchi; Albus Severus, o Al, sembrava in apparenza la creatura più mite del pianeta. Era basso per la sua età, dalla costituzione esile e dal viso gentile. I grandi occhi chiari gli davano un’aria un po’ spaurita, che all’Istituto gli sarebbe valsa feroce nonnismo da parte degli altri studenti.
Ma…
Era un Caposcuola e apparteneva alla Casa più competitiva e classista di Hogwarts. Qualcuno doveva averlo eletto, ed erano le stesse persone che lo accettavano come guida. Aveva notato come gli altri inglesi rispettassero la sua opinione e le sue decisioni. 
La parola chiave con quel ragazzo era apparenza. In realtà, per quasi tutti i Potter di cui era a conoscenza. Lily con la sua aria frivola che nascondeva una mente acuta e reattiva, e come non pensare poi al Salvatore, simbolo del ragazzo dall’aria qualunque che riusciva a diventare leggenda?
Sören non aveva avuto modo di parlargli granché nei mesi di permanenza in Scozia, ma ricordava il loro unico incontro; Albus Severus possedeva una fenice. Non era certo qualcuno da sottovalutare.
Si accorse di colpo di essere stato scoperto nella sua analisi; il ragazzo infatti gli restituì uno sguardo consapevole e un lievissimo sorriso.
Sentì una fitta al costato e seppe di doversi fermare prima di rimettere il frugale pranzo che si era concesso. Rallentò e l’altro, quando se ne accorse, decelerò e lo raggiunse.
“Tutto a posto?” Gli chiese con aria preoccupata; era quello che detestava dei figli di Harry Potter.
Perché siete gentili con me?
Lo facevano sentire soltanto più sbagliato e disgustoso.
“È solo un crampo, tu va pure avanti.” Si sedette su una roccia al lato del sentiero. Si sentiva il cuore battere a mille, e non era certo per la corsa.
“Sei un Campione, tra poco ci sarà la Seconda Prova, non devi sottovalutare un problema del genere.” Replicò l’altro inginocchiandosi davanti a lui. “Fammi vedere. Ne capisco abbastanza, voglio fare il Medimago.”  
“No, non ce n’è bisogno…” Tentò, cercando di alzarsi. Non voleva che lo curasse, che lo toccasse. Albus Severus e Lily dovevano stargli lontani. Miglia. Vide con la coda dell’occhio l’altro tirare fuori la bacchetta e non poté impedire al suo corpo di irrigidirsi e scattare in piedi. “Ho detto di no!
Il silenzio che conseguì alla sua esclamazione – maleducata, fuori luogo – sembrò assordare l’intera foresta.
 
Al non aveva trovato Luzhin per caso. Affatto.
Se non poteva fermare Lily, a meno di legarla ad un letto e farcela rimanere fino al giorno dopo, quando finalmente avrebbe preso la Passaporta per la Scozia, poteva sondare il terreno con l’altra controparte della tragedia shakespeariana.
Sören Luzhin doveva essere il nemico numero due, il braccio armato del mostro. Eppure sembrava tutto fuorché quello.
Tom sosteneva stesse adottando una strategia pensata per sfibrare, fiaccare il nemico. La persona sfibrata tra di loro, in quel momento, sembrava il tedesco, persino più di Tom. Non aveva mai visto qualcuno con un’aria più tormentata.
Curioso…
Ad ogni buon conto, trovare Luzhin non era stato difficile: come Caposcuola era a conoscenza degli orari degli allenamenti di Malfoy, e carpendo quelli di Dominique aveva semplicemente dedotto i suoi.
Luzhin non si era minimamente sbottonato durante la corsa. L’aveva solo beccato, una volta, a guardarlo e aveva capito perché sua sorella avesse ciarlato tanto degli suoi occhi. Oggettivamente, scuri e profondi com’erano, affascinavano.
Non aveva fatto passi falsi, comunque. Fino a quel momento. Si era chinato per aiutarlo – per controllare in realtà se fosse un crampo vero o una scusa – e l’altro era scattato in piedi neppure avesse cercato di attaccarlo.
Poi capì. Aveva tirato fuori la bacchetta.
Il durmstranghiano era rigido e con i lineamenti serrati. “Qual è il problema?” Gli chiese con il suo tono più pacato. Era consapevole del fatto che Luzhin non era precisamente un mago alle prime armi. A dar retta alle paranoie di Thomas era un letale, addestrato ad uccidere a comando.
Cerchiamo di non pensarci…
“Non ho nessun problema.” Gli fu risposto. Secco, sulla difensiva. “Posso curarmi da solo, ti ringrazio.”
“Perché allora ti sei spaventato? Non avevo certo intenzione di schiantarti…” Se c’era una modalità soldato per i maghi, Sören Luzhin ne era la manifestazione; schiena dritta come un manico di scopa, mano vicino al fodero della bacchetta legato alla coscia. “…Pensi che avessi intenzione di farlo?”
Era un tiro fortunato. Non aveva certo la Legimanzia nel sangue come sua sorella. Ma capì di aver centrato il punto quando lo vide impallidire.    

La persona che aveva davanti sembrava sull’orlo di un crollo nervoso. Non ci voleva certo uno psicomago per intuirlo.
Altra storia rispetto a John Doe. Davvero questo ragazzo è l’arma letale di Hohenheim?
Perché sarà pure un’arma letale … ma ha la capacità di bluffare di un Tassorosso.
“Scusa se insisto, ma hai l’aria di qualcuno che paura di essere aggredito da un momento all’altro…” Fece una pausa oculata. “… È perché pensi voglia proteggere Lily?”


Come aveva pensato, Albus Severus non era tipo da sottovalutare.
Nel giro di pochi attimi da innocuo era passato a pericoloso. Aveva persino cambiato faccia; non aveva niente del ragazzo impacciato e gentile di poco prima. La sua aura magica non vacillava neppure un po’. Un’aura magica talmente pura da aver attirato una fenice. Pura come mai sarebbe stata la sua.
No, non pensava l’avrebbe attaccato; l’inglese non aveva l’aria di un duellante, la presa che aveva sulla bacchetta era da manuale, facilmente neutralizzabile. Gliel’avrebbe potuta strappare con l’incantesimo di disarmo più semplice.  
Eppure Sören per la prima volta in vita sua ebbe paura di qualcun altro oltre Alberich Von Hohenheim.
Forse era questo che un malvagio come lui doveva provare quando si trovava di fronte ad un giusto.
 
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Guardava la sua bacchetta come se gliela volesse spezzare. Al ingoiò l’ansia che si sentì strisciare addosso. Una mossa falsa e la situazione avrebbe potuto precipitare e non era certo che a quel punto ne sarebbe uscito indenne.
“Lily è venuta qui per te. Lo sai? Immagino abbia trovato il modo di dirtelo nonostante la sua punizione.” Esordì con sicurezza. Insistere su sua sorella sembrava la giusta via. Era una magra consolazione, ma sembrava fosse davvero un punto debole per l’altro. “Non so chi tu sia… non so quale sia il tuo scopo qui.” Non replicò e Al la considerò una vittoria personale. E una consapevolezza piuttosto angosciante. “Ma hai ragione ad avere paura…” Neppure stavolta fu smentito. “… perché se le succede qualcosa, sarai il primo che verremo a cercare.”
E lo pensava veramente.
Qualcosa guizzò di colpo negli occhi del tedesco. “Non farei mai del male a Lily.” Aveva persino ripreso colore, a giudicare dalle guance chiazzate di rosso. Rabbia. Si era arrabbiato al pensiero che lo ritenessero capace di farle del male.  
Inarcò le sopracciglia. “Davvero?” Doveva capire. Se era davvero il braccio armato di Hohenheim, perché si scaldava tanto?
Al limite, Lily dovrebbe essere un mezzo per raggiungere Tom.
 
Sören sentì il sangue confluire di nuovo dove doveva. Si sentì anche respirare con più sicurezza. La rabbia era buona, era sana. Inoltre su quello non poteva mentire, perché su Lily aveva solo certezze.
“Preferirei morire piuttosto che farle del male.”
La confusione negli occhi di Albus Potter era palese. Non era tenuto a dargli spiegazioni. Il giovane, temerario inglese avrebbe dovuto accontentarsi della sua parola.

A quel punto non c’era altro da aggiungere; Potter non poteva accusarlo apertamente. “Credo sia opportuno continuare entrambi per la propria strada.” Esordì dopo un attimo di silenzio. “Se non hai altro da dirmi.”
L’altro sembrò tornare l’adolescente che avrebbe dovuto essere, perché arrossì tra l’impotenza e lo sdegno. “No, ho detto tutto.” Replicò intascando la bacchetta. Doveva essere di famiglia, voler avere sempre l’ultima parola. “Sta’ attento a quel crampo.”

Quei Potter erano incredibili. Nonostante la tensione prossima allo scontro, riusciva ad uscirsene con una frase premurosa. “Lo farò.”
Entrambi presero sentieri diversi, ma a lungo Sören si sentì gli occhi dell’inglese sulla schiena.
 
****
 
“Non so come diavolo tu ci sia riuscito, amico…”
Ron guardava con aperta apprensione le code serpentine strisciare di fronte a loro. Nel bel mezzo della boscaglia, con nessun punto di riferimento e le bacchette che al massimo potevano dare un nord incerto, era meglio non perdere le loro impensate guide.

“Dobbiamo ringraziare Nora e i suoi agganci. Il tipo dell’Ufficio Creature sembrava tutto fuorché contento di collaborare con noi.” Replicò sorridendo all’americana, che fece un cenno dismissivo.
“Io ho solo i contatti giusti. Sei stato tu a parlare con i Naga e loro ti hanno ascoltato.”
“Il capotribù si ricordava di me. A quanto pare, essere l’unico mago di loro conoscenza che parla il Serpentese ha aiutato.” Si strinse nelle spalle di fronte all’aria tra lo sconcertato e l’esilarato della donna. Non avrebbe mai creduto che parlare una lingua oscura avrebbe potuto essere una cosa buona, un giorno. Qualcosa per cui venir valutato positivamente, persino.

Mai dire mai…
Ron scostò una fronda con una smorfia. “Siamo sicuri che abbiano sentito qualcosa?”
“L’aura magica di un essere umano per loro è come una sorta di segnale sonoro.” Replicò. “O almeno così mi hanno spiegato… dicono che ci sentono. Siamo molto rumorosi, pare.”
“Ma non si confonderanno con le nostre?” Avevano lasciato a Dimapur Dhansiri e la sua squadra, ma erano comunque tre maghi piuttosto potenti. Harry ci rifletté su.
“Glielo chiedo.”
“Sì, okay… ma non farli venire troppo vicino.” Borbottò l’amico e anche Nora sembrò di simile opinione.

Harry sospirò, ma annuì con un cenno della testa e raggiunse i tre guerrieri che Lootra, il capotribù, aveva dato loro per la ricerca.
“Sahmi?” Chiamò quello che sembrava il capo. Era il più grosso e dall’aria più feroce. Harry tentò di ricordarsi che secondo la rigida etica guerriera un amico del capotribù era intoccabile anche per il più assetato dei giovani Naga e dunque erano tutti e tre relativamente al sicuro.
La creatura si voltò verso di lui, forse con un’aria interrogativa. Difficile dirlo tra le zanne notevoli e gli occhi da rettile, color del sangue.
Siete sicuri che le nostre auree magiche non vi diano problemi?” Si risolse a non girarci troppo attorno. Non era certo che il suo Serpentese fosse ottimo come la sua lingua madre.
Sì.” Disse semplicemente il guerriero. “Dì ai tuoi compagni di non rimanere indietro.” Aggiunse, lanciando un’occhiata dietro di loro. “Non possiamo perdere tempo a cercare altri umani. Tra poco sarà buio. Ci sono creature qui, che neppure noi possiamo affrontare con così pochi guerrieri.” 
Harry annuì. “Non preoccuparti, non perderemo il passo.” Ad un cenno di commiato tornò pochi passi indietro. Sia Nora che Ron, nonostante il caldo fiaccante, erano stati addestrati a sostenere ritmi di marcia piuttosto sostenuti e se la stavano cavando bene.
“Che ha detto?” Chiese Ron, deglutendo nel vedere altro oltre alla coda serpentina, per la precisione lancia e cresta retrattile.
“Che non ci sono problemi.” Riassunse. “Forza, se cala il buio non saremo più capaci di trovarlo.”
“Con il vero Sören avremo la prova schiacciante del complotto di Von Hohenheim e potremo finalmente spiccare un mandato di cattura internazionale per il falso Luzhin. Quei grigi burocrati non potranno alzare una sola protesta…” Osservò Nora dopo una manciata di minuti di marcia silenziosa. Gli occhi grigi erano acciaio. “Potremo andare a prenderlo di persona.”
“Non vedo l’ora.” Sorrise ferocemente Harry. Quei due anni erano stati un incubo per i suoi figli. Era qualcosa che gli faceva bruciare l’anima persino peggio che durante la sua adolescenza.

Si tratta dei miei ragazzi.
Appena messe le mani sull’impostore, gli avrebbe fatto sputare ogni singolo piano di quel mostro del padre naturale di Thomas. L’avrebbero così trovato e ficcato nel buco più profondo del pianeta e lì rinchiuso. Per sempre.
Il cerchio si stava chiudendo e non c’era nulla che Von Hohenheim potesse fare.
Dobbiamo trovare il ragazzo… Il cerchio si chiude, se lo troviamo.
Un sibilo attirò la sua attenzione. Apparteneva al giovane Naga a cui si era rivolto prima. Si andarono incontro.
I miei guerrieri hanno trovato qualcosa oltre il ruscello.” Si sentiva infatti rumore d’acqua. “Seguiteci.
Harry tradusse per i suoi. Quando arrivarono sul posto vide le altre due creature vicino ad una pozza d’acqua. Vicino c’era quello che sembrava uno straccio. Lo fece levitare fino alla sua altezza per poterlo guardare al meglio.

Non era uno straccio, ma un pezzo di camicia strappato con un recido netto. Ed era insanguinato.
“Deve essersi fermato per tamponare la ferita e curarla.” Disse Nora osservando la pezzuola. “Il sangue è ancora fresco. Non è riuscito a chiuderla…” Si morse il labbro. “Ferita da maledizione.”
C’è odore di sangue.” Si inserì Sahmi. “Molto. Chi cercate è qui vicino. Volete che andiamo a vedere?” Si offrì.
Harry gli sorrise, ma scosse la testa. “No, avete già fatto troppo, Sahmi, ti ringrazio. Da qui ci pensiamo noi. Aspettateci qui.” Per quanto l’offerta fosse stata generosa, l’ultima cosa di cui un ragazzo ferito e che si sentiva braccato aveva bisogno, era vedere tre enormi serpenti dalle forme antropomorfe.

“Meglio che se ne stiano nascosti…” Borbottò Ron a bassa voce, come se avesse capito il loro scambio di battute. Era intuitivo, il suo buon amico. “Che facciamo, ci dividiamo?”
“Sì, e tenete la bacchette poco in vista, ma alla mano. Potrebbe scambiarci per i sicari, vediamo di evitare  che ci attacchi.”

Quando si furono divisi, Harry avanzò per un centinaio di metri. “Sören!” Chiamò in inglese, sperando che il ragazzo fosse abbastanza lucido per riconoscere una lingua straniera. “Mi chiamo Harry.” Riflettè, poi aggiunse. “Sono Harry Potter, capo dell’Ufficio Auror di Londra. Siamo qui per aiutarti!”
Non vi fu alcuna risposta. Pochi attimi dopo però sentì una morsa alla nuca; istinto di una vita quello di sentire quando qualcuno gli puntava la bacchetta al collo.

Alzò le braccia in segno di resa, gesto di resa che li accumunava ai babbani. “Sta’ calmo… sono un amico, non sono qui per farti del male.” Disse staccando con cura ogni parola, per fargliela recepire. “Adesso mi sto voltando.”
“Lentamente.” Disse una voce giovane, sfinita ma abbastanza salda per fargli intuire che il suo proprietario avrebbe potuto difendersi in caso di scherzi.
Si voltò, e si trovò di fronte il ragazzo; lacero da capo a piedi, i vestiti di buona fattura erano ridotti a brandelli sporchi. Aveva una larga ferita sulla coscia, bendata in modo ineccepibile, ma sanguinante. Nora aveva ragione, doveva averlo colpito una maledizione.
Era comunque il figlio dei Luzhin. La bocca del padre, i capelli e gli occhi della madre. Gli stessi occhi che lo riconobbero di colpo anche oltre la febbre e il terrore.  
A volte è una fortuna avere una faccia che è sulle copertine dei libri e quotidiani di tutto il mondo.
“Harry Potter…” Sussurrò abbassando immediatamente la bacchetta. “Cosa…?”
Harry sorrise, tra la pena e la feroce gioia. “Ciao Sören. Sta’ tranquillo, è tutto finito.”

 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Dopocena.
 
“Tu hai fatto cosa?”
Al non vide l’espressione di Thomas precedente alla frase, dato che si stava strofinando l’asciugamano sui capelli, reduce da una piacevole doccia bollente. Ma percepì il tono e non poté frenare un sorriso.

“Sono andato a parlare con Luzhin.” Ripeté diligentemente. “E l’ho minacciato.”
Sentì Tom alzarsi dalla poltrona di colpo per poi strappargli via l’asciugamano dalla testa. Lo stava guardando come se avesse una gigantesca ferita mortale e sanguinante.
Esagerato.
Non distolse lo sguardo, sostenendolo con la sua migliore espressione neutra. “Non è successo niente… anzi, mi sa che l’ho spaventato.”
Tom sembrava indeciso se strapparsi i capelli o strapparli a lui. “Ti rendi conto che hai minacciato un sicario di mio padre?” Sillabò lentamente, quasi avesse a che fare con un ritardato.   

Beh, messa così in effetti non ci faccio una bella figura.
“Ti rendi conto che se avesse alzato la bacchetta contro di me, che mi trovavo nella foresta durante il suo orario d’allenamento, i sospetti sarebbero immediatamente ricaduti su di lui?” Gli fece notare di rimando, avvicinandosi al fuoco e al suo piacevole tepore. Aveva solo i pantaloni addosso, ne aveva bisogno.
L’altro quasi avesse indovinato i suoi pensieri gli fece arrivare con un colpo di bacchetta una delle sue magliette. In faccia, ma se lo aspettava, quindi la indossò senza un lamento.
Tom non disse niente per un po’ anche se, aguzzando bene l’orecchio, si potevano sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare a pieno regime.
“Lo avevi pianificato.” Disse infine. “Perché non mi hai avvertito?”
“Perché avresti insistito per andarci al posto mio, e non mi sembrava un’idea brillante lasciarti solo con un tipo che potrebbe rapirti.” Osservò sedendosi sulla poltrona precedentemente occupata e versandosi una tazza di the fumante che l’altro serpeverde si era fatto portare dalle cucine – o direttamente dal povero Radescu.
“Avrebbe potuto rapire te!” Fu il ringhio conseguente. “Sei completamente fuori di testa?”
Al non ribatté; comprendeva la rabbia, e in realtà era così tranquillo perché al momento si trovava in compagnia e in camera, al sicuro.
Non è stata una passeggiata dirgli quelle cose. Salazar, mi tremavano le gambe!
Sospirò. “Siediti.” Lo invitò con tutta la gentilezza di cui era capace. “Per favore…” Soggiunse notando la sua aria riottosa. “Non vuoi sapere cosa ci siamo detti?”
Lo voleva, glielo leggeva nella curiosità che gli divorava lo sguardo. Tentennò, ma infine si sedette, per quanto fosse rigido come un pezzo di legno; non gli serviva toccarlo per saperlo.

Sembra essersi seduto su un manico di scopa. Ma al contrario.
“Parla.” Gli intimò. “E non nascondermi niente. Non azzardarti .”
“Lo so.” Sorrise appena, bevendo un sorso di the. Era ben fatto, all’inglese. Niente limone, niente latte. Non era come essere a casa, ma era comunque una consolazione sapere che i norvegesi erano in grado di preparare il the delle cinque. “È stato un impulso in realtà… Ci ho pensato stamattina a lezione.”
“Gli impulsi dovrebbero essere inibiti alla nascita, a voi Potter.”  

“Ma se adori quando gioco d’astuzia!” Lo prese in giro, ma con cautela vedendolo rabbuiarsi. “Tom, era un rischio calcolato. Pensi davvero che dopo quel che è successo l’anno scorso…”
“L’anno scorso sei caduto in una trappola come un tassorosso del Primo.” Gli fece notare monocorde, ma con una punta di compiacimento che giudicò davvero malvagia.

Visto che è stato per colpa tua.
“Non ero lucido.” Rimbeccò arrossendo. “Stavolta lo ero, ed infatti…”
“Non è successo niente, me l’hai già detto.” Lo interruppe con un gesto infastidito della mano. “Va’ avanti.”

Albus raccontò per filo e per segno l’incontro avuto con Luzhin. Si soffermò particolarmente sulle sensazioni che aveva avuto, su come il tedesco avesse reagito alle sue provocazioni. Alla fine Tom, più calmo, prese la scacchiera da viaggio – babbana, regalo del suoi genitori – e dispose le pedine per la loro solita partita serale. Anche Al le preferiva a quelle magiche.
Se non altro, non ti urlano contro.
Presero a giocare in silenzio, e Tom si prese lo spazio di un’intera mossa verso uno dei suoi alfieri prima di parlare. “Continua a comportarsi come se fosse innocente… peccato che sia tutto fuorché quello.” Considerò con sarcasmo. “Anche stavolta ha montato la commedia dell’amico affezionato.”
“Credo invece che quella parte sia vera.” Obbiettò meditabondo, cercando di trarre in salvo il povero pezzo, minacciato dal cavallo dell’altro. “Credo anche un’altra cosa… anche se è un po’ un’ipotesi buttata lì e mi darai dell’ingenuo.”
Tom si rilassò contro lo schienale, concedendogli un mezzo sorriso. E mangiandogli il povero alfiere. “Quello sempre. Sentiamo.”

Al, giusto per sottolineare che non lo era, gli tirò un calcio sulla caviglia, dato che con quelle dannate gambe da fenicottero si era impossessato di metà tappeto, compresa la sua parte. E si prese un pedone nero. Se la girò tra le dita con attenzione. “Penso che Luzhin sia come un alfiere.” Disse poi; giocare gli aveva fatto venire in mente la definizione calzante che cercava da quel pomeriggio. “Non una torre.”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Che diavolo significa?”
“Beh…” Esitò, non sapendo bene come spiegarsi. Si mordicchiò un labbro, eseguendo un arrocco per difendere il suo re, considerando che Tom tentava sempre, nei primi minuti di gioco, di sfondare la linea. “Un alfiere non ha la possibilità di controllare tante caselle, no? Rispetto ad una torre, la metà o quasi. Ha delle limitazioni molto forti nel gioco.”
“È un pezzo leggero, sì. Vale e si muove meno della torre o della regina.” Convenne un po’ seccato dalla moltitudine di metafore. Non era tipo da seguirle facilmente. “Grazie per la lezione di scacchi. Quindi?”
“Quello che ti ho detto.” Insistette. “Inoltre ho come l’impressione che gli stiano dando ordini che non gli piacciono, che lo mettono a disagio e che forse non capisce.” Arrivò ad azzardare. Era nel mondo delle congetture, se ne rendeva conto.  

Tom inarcò le sopracciglia. “Come può non capirli? Non mi è sembrato un mentecatto…” C’era una punta di derisione, e Al la ignorò perché altrimenti avrebbe dovuto rovesciargli la teiera vuota in testa.
“Dico solo che, dal punto di vista delle pedine, le cose non sono mai chiare.” Ribatté paziente. “Anche nel mondo reale spesso non sai per quale motivo ti ordinano di fare qualcosa. Guarda i soldati. Intendiamoci, io e te siamo abituati ad avere adulti che hanno in mano le leve del potere, che sanno o possono sapere tutto.” Tentò di spiegare e fu felice di vedere che Tom aveva smesso di fissarlo con sufficienza. “Siamo abituati al fatto che ci spieghino perché dobbiamo fare qualcosa, sia a scuola che a casa. Ma non va sempre così.”
“Ho capito.” Replicò con una ruga di concentrazione che gli solcava le sopracciglia. “Ma questo non cambierebbe la sua pericolosità o le sue colpe.”
“Sì, vero.” Convenne osservando la triste fine del suo ennesimo pedone. “Però mi è venuta in mente un’altra cosa.”

Tom fece un mezzo sorriso, in cui Al scorse sincero compiacimento; gli piaceva quando gli dimostrava, a detta sua, di essere all’altezza. Si sporse infatti verso di lui, visto che le loro sedie erano voltate l’una verso l’altra per la partita e gli accarezzò il profilo del viso con un dito.
“Una vera fucina di idee, Potter.”
Al tentò di non arrossire come un idiota. Non doveva farsi distrarre da un seducente cretino che adorava avere sempre il controllo e che per giunta gli stava vincendo la partita. Gli afferrò il polso e bloccò la discesa della mano verso il collo. “Penso che Luzhin sia uno specchietto per le allodole.”  

Tom batté le palpebre, quasi non avesse capito. “… Stai dicendo che il vero colpevole non è lui?”
“Non dico che non abbia portato i Dissennatori ad Hogwarts. Dico che non è lui che tuo padre ha scelto per fare la sua mossa finale.” Prese coraggio e aggiunse. “Non sa bluffare, sta andando in pezzi, e tuo padre è tutto fuorché uno sprovveduto. Non poteva non calcolare che non avrebbe retto la pressione delle indagini, delle domande. Ha calcolato te, e non ti conosceva. Non può far affidamento su una persona così, secondo me. ”

Tom si liberò dalla sua presa, alzandosi in piedi e accostandosi al camino. Le fiamme gli danzavano sui lineamenti, dando ai suoi occhi una sfumatura scura, quasi nera.
“Potrei sbagliarmi.” Mormorò vedendo la linea della mascella dell’altro tendersi, quasi sul punto di spezzarsi; non aveva potuto tenersi quei pensieri per sé, ma sapeva che ne sarebbe conseguito un prezzo notevole. “Insomma, è solo un’idea…”
“No.” Mormorò Tom piano. “Credo tu abbia ragione. Luzhin non si comporta come Doe. Luzhin non sembra sapere quello che fa.” Fece una smorfia ironica. “È un alfiere che si comporta da torre non potendolo fare. Definizione perfetta, Signor Potter.”
Al si alzò, avvicinandoglisi. Gli premette il braccio contro il suo, in un muto gesto di conforto. Non c’era molto altro che potesse fare.
“La domanda è una sola… Se Luzhin è l’alfiere.” Disse Tom, osservando il fuoco come se da esso potesse spuntare una risposta risolutoria. “Chi è la torre?”
 
****
 
Lily quasi sentì bollire la moneta sotto la federa del cuscino. Vi aveva chiuso sopra il pugno e lo tolse velocemente per non bruciarsi. Inspirò.
È il momento.
Lanciò un’occhiata alle compagne. Era ormai notte fonda, e le altre dormivano senza soluzione di continuità. Si alzò a sedere, si vestì e si avvolse il mantello attorno alle spalle, il tutto il più silenziosamente possibile. Per sicurezza lanciò un’occhiata al letto di Rose; la cugina era seppellita dentro le coperte, freddolosa com’era e respirava regolarmente nei ritmi del sonno.
Ottimo.
Calzò le pantofole per non fare rumore e scivolò fuori dal dormitorio reggendo la bacchetta illuminata dal più tenue lumos che era riuscita a produrre. Non c’era tempo per pensare o riflettere su quel che stava facendo. Doveva solo andare.
Arrivare al refettorio non fu difficile. Aveva fatto quella strada almeno tre volte al giorno in quelle settimane. Il grosso stanzone era al buio e le sedie erano state rovesciate sui tavoli per pulire il pavimento dopo la cena, mentre le molte finestre riflettevano un temporale in corso, con tanto di lampi che illuminavano a tratti i muri di pietra.
Deglutì, stringendosi il mantello addosso. Non era così freddo durante il giorno e soprattutto, non era così dannatamente inquietante.
Fraülein.” La voce di Poliakoff le fece fare un salto e quasi le scappò la bacchetta di mano. “Calma, sono io.” Sogghignò alla luce di una lanterna.
Lanterna?
“È meglio se spegne bacchetta. Qui rilevano anche piccoli incantesimi.” Le consigliò toccandone la punta con le dita. Lily ritrasse il braccio e la spense.  
“Ren dov’è?”  
Il russo scrollò le spalle. “Non qui. Dobbiamo andare in altra parte di castello. Tu segue.”
Lily inspirò. Se solo avesse potuto scoprire se le stesse dicendo la verità! Si toccò l’orecchino, ma non fece in tempo a sfilarlo che l’altro si voltò di nuovo verso di lei. “Presto, sì?”
Si morse il labbro, ma annuì; l’ultima cosa che voleva era rivelargli che era una LeNa. Avrebbe dovuto aspettare il momento adatto.

Che non ci fu, perché Poliakoff non gli tolse gli occhi di dosso neppure per un momento. Si affiancò a lei per farle luce con la lanterna e non le lasciò neppure un cono d’ombra in cui avrebbe potuto sfilarsi l’orecchino.
Dannazione, avrei dovuto farlo prima!
Scesero e salirono rampe di scale, ripide, a chiocciola, semplicemente intagliate nella pietra. Lily ad un certo punto perse semplicemente il senso dell’orientamento. “Dove stiamo andando?” Chiese per l’ennesima volta.
Il volto porcino del ragazzo si voltò verso di lei, e sorrise di nuovo. Non l’aveva mai visto sorridere tanto; non sapeva però se fosse una cosa buona. “Siamo quasi arrivati, fraülein. Pazienza.”
Arrivarono di fronte ad una porticina, simile ad almeno altre dieci in quel corridoio. Il russo prese un mazzo di chiavi dalla cintura e ne inserì una nel grosso chiavistello di ferro. La fece girare un paio di volte nella toppa, poi estrasse la bacchetta e fece alcuni movimenti piuttosto complicati. La porta si aprì silenziosa come fosse fatta d’aria e non di legno e cardini arrugginiti. “Vieni.”
“Non ci penso neanche!” Esclamò. Non sarebbe entrata in una dannata stanza buia con un tipo che le metteva i brividi. Non era così imbecille.

Il russo sospirò, aprendo del tutto la porta. Posò la lanterna su un sostegno accanto al muro e le indicò un tenue lucore distante da loro la lunghezza dell’intera stanza. “Sören.” Disse semplicemente.
Ren!
Era la luce di una lanterna quella, non c’era ombra di dubbio. Lily si staccò dal fianco dell’altro per entrare nella stanza e dirigersi verso l’amico, ripassandosi a mente il discorso che avrebbe dovuto fargli. Avvicinandosi sempre di più notò però che la sagoma che scorgeva assieme alla fiamma danzante era … strana. Sembrava sfumata, come quella di…
Si trovò di fronte ad uno specchio, enorme e alto una decina di piedi. Uno specchio che rifletteva la lanterna di Poliakoff.
Cosa…
Si voltò e fece appena in tempo a sentire uno strappo violento alla mano. La bacchetta volò in mano al ragazzo, che nella penombra dell’unica finestra era a malapena riconoscibile.
“Ridammela!” Esclamò sentendosi subito stupida, mentre la paura le ghiacciava le vene.
Era una trappola, che idiota, idiota, idiota! Era una trappola!
Il russo ridacchiò, ma non fece in tempo ad aprire bocca per risponderle che una seconda luce illuminò violentemente la stanza. “Butta via la bacchetta!” Era una voce femminili, e per Lily estremamente familiare. “Allontanati da lei e butta la bacchetta a terra, subito!”
Rosie!
La cugina aveva finto di dormire come mai l’avrebbe ritenuta capace di fare e l’aveva seguita. Per un momento Lily ringraziò ferocemente la malafede di Rose e sperò. Sperò prima di rendersi conto che  qualcosa non andava nel ragazzo di fronte a loro. Quando l’aveva avuto accanto non gli era sembrato così alto, né tantomeno … biondo?
Rose sgranò gli occhi, notando probabilmente la stessa cosa. “Il ragazzo biondo…” Sussurrò quasi le mancasse di colpo la voce.
Chi è il ragazzo biondo?! Che sta succedendo?!
Poliakoff non era più Poliakoff. Davanti a loro stava un mago di una ventina d’anni, dai lineamenti tutto fuorché slavi.  
“Grazie per averlo notato, tesorino.” Sorrise in un perfetto, impeccabile inglese venato solo da un leggero accento secco. Lo stesso di Sören. “Non ne potevo più di impersonare quel sacco di lardo. Una vera seccatura portarmi addosso tutti quei chili, se chiedete a me.”
“Rosie…” Sussurrò piano. La cugina le restituì un’occhiata e Lily vi lesse non vi lesse che sconcerto e paura. “… Rosie, che sta succedendo?”
Il ragazzo si voltò con un movimento elegante. L’uniforme gli stava corta, sui polsi e le caviglie ma nonostante questo non era ridicolo, faceva paura e basta. “Oh, principessa. Succede che adesso io e te andiamo in un posto.”

No!” Esclamò Rose facendo un passo avanti, anche se Lily poteva vedere come le tremasse la bacchetta. Leale e coraggiosa Rose, non l’avrebbe abbandonata neanche di fronte al Molliccio più terrificante.
L’altro inarcò le sopracciglia con aria confusa. “No?”
“Eri morto! Devi essere morto! Tom aveva detto…”
“Ah, il signorino Hohenheim!” Fece una breve risata. Sembrava divertirsi un mondo a vederle terrorizzate. Aveva un’espressione giovanile, allegra, ma distorta da qualcosa di profondamente cattivo, Lily poteva sentirlo anche con l’orecchino.“Quando ci si crede maledettamente in gamba … è un difetto di famiglia, beninteso, non è del tutto colpa sua.” Scrollò le spalle. “Ma basta parlare, ora di sbrigarci. Fa’ la nanna ragazzina. ” Puntò la bacchetta sulla cugina che non riuscì neppure a levare la sua; un lampo bianco e Lily la vide sbattuta contro il muro come un pupazzo di stracci.

Rose!” Urlò con quanto fiato aveva in gola, prima che la mano callosa del ragazzo le tappasse la bocca. Aveva occhi azzurri che sembravano biglie di vetro. Il sorriso non si estendeva manco per sbaglio ad essi e Lily capì perché non aveva potuto leggere le sue intenzioni; non era un ragazzo pieno di sé, non era uno qualunque.
Era John Doe, il mago che aveva rapito Thomas. Il mago che adesso voleva rapire lei.  
“Niente chiasso, principessina.” Ghignò questo, intascando la bacchetta con un movimento fluido. “Disturbi il sonno della tua amichetta.”
Tentò di divincolarsi, ma il biondo rise, prima di spingerla brutalmente contro lo specchio. Lily gridò, aspettandosi schegge acuminate e fragore di vetro rotto.
Urlò ancora di più quando lo attraversò come fosse fatto d’aria.
 
 
****
 
Note:
Non ve lo aspettavate eh?
Dai, parliamone. Possibile che un tipo come Doe fosse davvero morto in mezzo al mare come un tirapiedi qualunque? Ve l’ho nominato un po’ troppo spesso perché fosse stramorto, no?


Sì, merito una scarica di legnate. Ma abbiate fiducia!
(Saprete anche che fine ha fatto Kirill, giuro.)

La canzone è questa . L’album che la contiene mi ha ispirato tantissimo. Quindi prendetevela con i Poets of The Fall, ecco! XD
1.Dehli. Una delle città più antiche del mondo, che conta 13 milioni di abitanti. È un agglomerato urbano, ma si sviluppa in tempi antichissimi. Probabile che al più nutrita comunità di maghi, in India, si trovi qui, così come il loro Ministero.
 
Per il titolo del capitolo: è persiano per scacco matto, o letteralmente “il re è indifeso”.
Per tutto il pezzo scacchistico, rimando alla voce su Wikipedia. Gioco, ma in modo totalmente casuale e da principiante, ci tengo a sottolinearlo. Però mi ero ripromessa di infilarceli e …that’s it. Se mi legge qualche scacchista … che mi perdoni.

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Capitolo 57
*** Capitolo LIV ***


Capitolo LIV




 
 


 
Cos'è un ribelle? Un uomo che dice no.
(Un uomo in rivolta, Albert Camus)


 
21 Gennaio
Norvegia, Durmstrang.
Cinque del mattino.
 
Un braccio gli artigliò la spalla strappandolo dalle maglie profonde del sonno.
Sören si alzò di scatto, cercando la bacchetta sotto il cuscino non potendo utilizzare il braccio. Troppo rischioso, gli ricordò la sua mente, mentre il resto del corpo urlava oltraggiato dal risveglio repentino.
“Sören, sono io!” Esclamò una voce che sul momento non riconobbe. Registrò la cadenza slava e la mancanza di pause dovute ad un respiro affrettato. Non era Kirill, quindi chi?
Non appena gli occhi si furono abituati alla luce della torcia tenuta in mano dall’altro, riconobbe la testa rasata e gli occhi scuri ed espressivi di Dionis Radescu.
“Radescu?” Mormorò passandosi la mano sulla barba notturna. “… Che ci fai qui?”
“C’è un problema.” Andò subito al punto; era vestito e dotato di mantello per uscire nell’inclemente tempo mattutino e sembrava piuttosto teso.
Questo lo svegliò di colpo. Si liberò delle coperte ed indossò la vestaglia, ignorando i morsi del freddo; mantenere un incantesimo riscaldante durante il sonno non era mai una buona idea, se non si voleva bollire vivi. L’altra faccia della medaglia era svegliarsi in una stanza gelida. “Quale?”
“Dobbiamo essere io e Poliakoff ad issare la bandiera sulla torre principale stamattina.” Esordì un po’ sgrammaticato, comprensibile considerata l’ora e la fretta con cui parlava. “Noi élite lo facciamo a turno ogni giorno.” Aggiunse. “Sono andato a chiamarlo dieci minuti fa. Ho bussato, ma non mi ha risposto.”
Sören sospirò. “È probabile che non ti abbia sentito. Ho avuto modo di notare che ha il sonno molto pesante.” Accese la lanterna da tavolo che rischiarava la stanza quando il fuoco era spento. Detestava parlare quando una fiamma come quella che reggeva il rumeno gettava ombre cupe nella stanza. “Apri la porta e sveglialo. Sei il custode delle chiavi… come sei entrato qui, puoi entrare da lui.”
Sapeva di esser stato scortese, ma riuscire a mettere insieme qualche ora di sonno diventava ogni notte una conquista. Guardò l’orologio appeso al muro; segnava le cinque scarse del mattino.
Due ore. Ho dormito meno di due ore. Nessuna conquista oggi.
Radescu inspirò. “Lo so, è solo che… ho una brutta sensazione.” Sembrava indeciso se continuare a parlare, ma dopo avergli lanciato un’occhiata, continuò. “Conosco Kiriev da sette anni e anche se è pigro, non tralascerebbe mai un compito come questo solo per dormire. C’è una punizione dura per chi trasgredisce, e…”
“Aspettami fuori.” Lo interruppe. Era quello che l’altro voleva sentirsi dire, evidentemente, dall’aria sollevata che gli mostrò. Era quasi ironico che gli si affidasse quando era proprio lui che aveva portato i guai all’interno dell’Istituto.

E poi… ha più remore ad entrare nella stanza di Kirill che nella mia?
Aveva dell’assurdo. Praticò le abluzioni mattutine piuttosto velocemente e dopo aver indossato l’uniforme praticamente al buio – la luce della lanterna bastava soltanto a non farlo inciampare – lo raggiunse.
La stanza di Poliakoff non era molto distante dalla sua; la chiudeva una porta uguale. Radescu, per mostrargli forse che non aveva mentito, bussò un paio di volte chiamando sottovoce il nome del compagno. Non vi fu risposta.
“Va bene, ho capito. Apri.” Gli ordinò secco. Una lieve inquietudine gli si era parimenti insinuata sottopelle. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, prendendo una delle chiavi dal mazzo e dando un vigoroso giro di chiavistello. “Vado avanti io.” L’ultima cosa che voleva era che Radescu fosse attaccato da qualcosa, Poliakoff appena svegliato in testa.
O altro…
Deglutì, ma si rifiutò di lasciare spazio all’immaginazione; probabilmente il russo doveva aver ecceduto nella dose serale di vodka incendiaria che si concedeva ed era precipitato in un profondo sonno alcolico. Non era la prima volta che succedeva, dunque doveva essere quello.
Entrato si fermò subito; la stanza era piccola quanto la sua, anche se disordinata e piena di ciarpame inutile. Il letto, per quanto non rifatto, non conteneva nessuno. Toccò le lenzuola con una mano e le sentì fredde; Poliakoff non vi aveva dormito quella notte.
Dove diavolo è a quest’ora?
“Sören?” Si sentì chiamare dal ciglio della porta. Radescu entrò guardandosi attorno. “Non c’è nessuno.” Considerò, prima di arrossire alla sua occhiata irritata dalla constatazione superflua. “Perdonami. È che non me lo aspettavo.”
“Già, neanch’io.” Dovette ammettere, mentre gli prendeva la fiaccola di mano per far luce nella stanza; accendere il fuoco del caminetto avrebbe preso troppo tempo e Sören voleva cercare di tornare a letto per recuperare qualche ora di sonno prima della colazione.

Non ci riuscirò, ma devo almeno provare.  
“Forse è in bagno?” Tentò questo, avvicinandosi alla scrivania oberata di pergamene e libri trattati con la presunzione di chi li vedeva solo come mezzi. Sören ebbe un fremito di indignazione quando vide che alcuni esibivano una grossa chiazza circolare, come se vi fosse stata appoggiata sopra una tazza sporca.
“No, il letto è freddo. Non ha dormito qui stanotte.” Rispose sentendo l’ansia crescere come un morbo vorace. Kirill era il suo assistente, ma anche persona informata dei fatti, complice. E apparentemente, il nuovo protetto di Von Hohenheim.
Dov’è? Cos’è andato a fare per conto di mio zio?
Radescu allargò le narici. “Non senti uno strano odore?” Fece una smorfia. “Come di qualcosa andato a male?”
Sören annuì. “Con tutti gli spuntini che fa, non mi stupirei se ne dimenticasse qualcuno a marci…” Si bloccò, focalizzandolo per la prima volta. Quando realizzò cos’era, un conato gli strinse le viscere.

“Qualcosa è morto, qua dentro.” Mormorò piano, mentre l’altro lo guardava sconcertato. “È odore di decomposizione.” Aggiunse; non era la prima volta che sentiva quell’odore dolciastro, disgustoso. Come adepto della Thule, non era la prima volta che incontrava la morte sul suo cammino.
Il rumeno se sembrò spaventato, lo diede poco a vedere. Strinse la mascella e fece una nuova panoramica della stanza. “Viene da…”
“Dall’armadio.” Lo precedette. Era utilizzato per gli effetti personali che non potevano rimanere nel baule, come vestiti o uniformi, ed alto quasi quanto una persona, ma poco profondo.

Non dovrebbe essere possibile nasconderci un corpo.   
Solo pensarlo gli fece venire il cuore in gola. Non sarebbe stato possibile nel mondo babbano forse, ma la magia era in grado di piegare il tempo e sopratutto lo spazio.
“Fermo.” Apostrofò il rumeno che si era immediatamente diretto verso il mobile per aprirlo. “Faccio io, tu fammi luce.”
Il ragazzo fu lesto ad obbedirgli, dimostrando che non aveva tutta questa voglia di essere colui che avrebbe confermato i loro timori. Sören poteva capirlo; era coraggioso, non certo un vile, ma era pur sempre un ragazzo con esperienze minime di vita reale.

Non ci tengo ad essere io a dargliene.
Aprì uno degli sportelli e dovette fare un repentino passo indietro, mentre la realizzazione lo investiva con orrore; qualcosa cadde dall’armadio, troppo grossa per essere contenuta a meno di un incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Qualcosa che aveva la forma e il peso di un essere umano.
Qualcuno che era il cadavere di Kirill Poliakoff.
Sentì Radescu accanto a lui esplodere in un’esclamazione soffocata nella sua lingua madre. Non urlò, né tentò di scappare con la torcia e di questo gliene fu profondamente grato. “È…” Sussurrò piano, tentando di padroneggiar il tedesco anche nel pieno dello shock. “… È morto.” Attestò lentamente.
Quello che un tempo era stato un arrogante e vitale giovane mago adesso sembrava un grosso sacco di patate o un orribile bambola a grandezza naturale.
Sören sentì l’impellente desiderio di vomitare e scappare il più possibile lontano da lì. Il suo braccio destro era morto e lui non aveva idea del perché, anche se sapeva per colpa di chi.
Zio. L’ha ucciso lui. 
“Fammi luce.” Ripeté dopo un tempo che gli parve infinito. Erano rimasti a fissarlo inebetiti come due mocciosi che negavano l’evidenza.
Se per Radescu è comprensibile… Vergogna, Sören. Sei davvero un debole.
L’allievo gli obbedì immediatamente; alla luce del fuoco Sören si chinò sul corpo riverso del russo e lo voltò per una spalla.
Quello che vide ebbe quasi il potere di far cedere Radescu, a giudicare da come la luce della torcia tremò violentemente. Il volto di Kirill era una maschera di sofferenza, con i lineamenti stravolti alla disperata ricerca di salvezza. E aria.
Aveva già visto quell’espressione addosso ad un cadavere. La ricordava con la precisione orribile di un incubo.
È morto soffocato.
Solo una persona al mondo poteva far assumere un’espressione simile alle proprie vittime.  
Non è possibile. È morto, morto smembrato da una Passaporta rotta. Dursley è sopravvissuto, ma lui è morto. Zio mi aveva detto che era morto.
… Come se non fosse la prima volta che Hohenheim ti mente.
Deglutì sentendosi la gola di carta vetrata. Se Johannes era ancora vivo, l’omicidio del suo assistente acquistava improvvisamente senso.
Ha preso il suo  posto. E l’unico modo per farlo in modo veloce, indolore, senza organizzare un’onerosa sparizione del vero Poliakoff… era ucciderlo e occultarne il cadavere.
A giudicare dal rigor mortis e dal fetore di decomposizione che un incantesimo mascherativo non era del tutto riuscito a coprire, il corpo doveva essere lì da molti giorni, se non una settimana.
Ha preso il suo posto e neppure me ne sono accorto…
“… Che sta succedendo?” La voce di Radescu lo riportò bruscamente alla realtà. Sören si alzò in piedi, coprendo il corpo con il lenzuolo preso dal letto. Lanciò un’occhiata all’ improvvisato compagno e lesse nel suo sguardo confusione e paura. Cercava delle risposte ed era palese le aspettasse da lui.
Potrai aspettare in eterno.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di qualcun altro invischiato in quella faccenda. Specialmente perché il primo a voler capire era lui.
“Non ne ho idea.”
“Menti!” Esclamò di colpo e ad alta voce. Lo inchiodò con uno sguardo determinato che doveva averlo reso l’élite che era. “Devi sapere cosa sta succedendo. Kirill era stato incaricato di seguirti, di darti una mano nella tua missione, non è così?” Strinse con forza la mano sulla bacchetta, ma non la levò contro di lui, voleva assicurarsi di averla, intuì. “Kiriev non mi piaceva, ma lo conoscevo da sette anni. Non eravamo amici, ma era un compagno.” Rimarcò con forza la parola. “E adesso è morto. Qualcuno l’ha ucciso ed io voglio sapere chi, e perché. Questa è la mia scuola.”

Sören serrò le labbra. Comprendeva la rabbia del durmstranghiano, peggio, la apprezzava. Persino in una situazione del genere, riusciva a mantenere il sangue freddo sufficiente a fare domande. “Non ne ho idea.” Ripeté con più calma. “Ho delle supposizioni, solo queste.”
“L’hai ucciso tu?” La domanda suonò come lo scoppio di un incantesimo nella stanzetta silenziosa.

Certo, è ovvio che te lo chieda.
Averne la consapevolezza non lo fece sentire meglio.
“No.” Ci fu un lungo scambio di sguardi, e alla fine Radescu abbassò il suo.
“Ti credo.” Disse piano, guardando il lenzuolo bianco che copriva quello che un tempo era stato Kirill Poliakoff. Sören si impose di non sentirsene sollevato dato che non avrebbe dovuto importargli. “Faust solo sa perché, visto chi sei, ma ti credo. Non ne sapevi niente, giusto?”
“Giusto.” Convenne. Doveva sbrigarsi, realizzò. Se Johannes era a Durmstrang, c’era per un motivo. Doveva raggiungerlo, doveva capire. “Devo andare. Tu torna nella tua stanza e non fare parola con nessuno di ciò che hai visto.”
“Non posso. Devo …” Inspirò. “Devo denunciare la cosa. Non posso far finta di niente!”
“Lo capisco.” Lo interruppe. E davvero, era così. Aveva imparato in quei mesi a stimare quel giovane mago valoroso, la sua rettitudine morale e la sua incapacità di usare sotterfugi. In un altro mondo, sarebbe stato onorato di avere la sua amicizia.

Ma non è quel mondo. Non lo sarà mai.
 “Fa’ quel che devi, ma vattene. Non vuoi essere coinvolto in questa cosa, credimi.”
Io non voglio che tu sia coinvolto. Troppe persone innocenti lo sono state. Troppe. Basta.
Radescu invece di dargli retta, esitò. “Che sta succedendo Sören?” Ripeté inaspettatamente. “Qual è il motivo per cui…”
“Non ti coinvolgerò, dannazione! Quindi smettila di chiedermelo!” Sbottò irritato; stava cercando di mettere assieme le idee, di ancorarsi ad un frammento di ragione in quel mare di follia e quel ragazzo, con i suoi ragionamenti, non faceva che interromperlo.

Johannes era lì per un motivo. Per rapire Tom, forse?  Gli sembrava improbabile, il ragazzo era troppo sorvegliato e comunque in perenne presenza di Albus Severus. Non era quello il piano di suo zio, non dall’inizio.
Potrebbe essere cambiato. Ma dubito.
Un terribile sospetto si insinuò di colpo tra le sue sinapsi; era sciocco, non aveva senso, ma prese possesso di lui come un ordine dato sotto imperio.
Lily.
“Dov’è il dormitorio delle ragazze di Hogwarts?” Chiese di botto, rimediando un’occhiata stranita dall’altro.
“Al secondo piano, ala Nord.” Gli fu però risposto senza la minima esitazione; Radescu, realizzò, era capace di orientarsi alla perfezione nel labirinto che era la fortezza di Durmstrang, a differenza sua. Poteva tornargli utile dunque, adesso che tutte le sue facoltà intellettive erano puntate in unica direzione. Verso un’unica persona.
Lily.
Non voleva coinvolgerlo, ma non vedeva altro modo. Non era mai stato l’uomo che dettava l’azione, era un gregario, un soldatino, avrebbe detto Doe; non aveva la minima idea di come procedere senza ordini, senza aiuto.
“Portami lì.” Gli ordinò.
L’altro non ebbe reazioni. Gli scoccò invece un’occhiata. “Perché?” Gli chiese. “Dimmi almeno un perché, ed io farò come dici. Non farò altre domande, ma dimmi perché vuoi andare dalle ragazze di Hogwarts.” Sören serrò le labbra; evidentemente temeva che avrebbe fatto loro del male.

Non io.   
Aveva fretta, non poteva perder tempo a girare attorno all’argomento o trovare una scusa credibile. “Ho paura che gli uomini di mio zio siano qui per rapire qualcuno. L’assassino di Kirill ha preso le sue sembianze per potersi muovere indisturbato.” Riassunse stringatamente, ignorando la voce che gli urlava di tacere, che stava solo dando materiale ad un testimone oculare che avrebbe in seguito potuto parlare con gli auror. Non gli importava. Avrebbe cominciato a farlo una volta vista Lily, forse.
Radescu inarcò le sopracciglia. “È un Metamorfomago?”
“Non proprio.” Spalancò la porta. “Non c’è tempo per le spiegazioni. Se vuoi essere d’aiuto, portami là.”

“Vuoi fermarli?”
Era quella la domanda da un milione di galeoni, avrebbe detto la sua piccola amica inglese. La sua risposta sarebbe stata una sola, campale. Avrebbe testimoniato il definitivo tradimento o la fedeltà alla Thu…

Al diavolo.
“Sì, voglio fermali.” Si sentì pronunciare, e per la prima volta in vita sua, seppe che aveva detto esattamente ciò che sentiva. Che voleva. Né più, né meno. “Fammi strada.”
Radescu, esibendo uno strano accenno di sorriso di cui non capì il motivo, fece un cenno affermativo e lo guidò fuori dalla stanza.
 
Arrivare al dormitorio delle ospiti inglesi fu veloce come un battito di ciglia, o così sembrò a Sören: Radescu lo guidò attraverso passaggi nascosti dietro armature o arazzi, che si potevano sbloccare solo toccando determinate parti dei suddetti e in una certa sequenza. Non vi prestò molta attenzione, comunque.
Lily.
Suo zio aveva sempre nutrito un certo interesse per lei; inizialmente per le sue qualità di LeNa, ma poi di quelle non ne avevano più parlato. Quante volte però aveva cercato di sondare il rapporto che intercorreva tra di loro?
Ed è amica di Dursley. Dursley tiene a lei, la considera parte della sua famiglia. È una leva. Mio zio potrebbe considerarla una leva per ricattare suo figlio.
Alberich Von Hohenheim non agiva mai per vie dirette. Se voleva qualcosa, la otteneva lavorando con calma e pazienza, e colpendo dove meno ci si aspettava.
Come ad una partita a scacchi.
Radescu si fermò, sbucando con lui su un corridoio uguale a tanti altri. Notò però una porta piuttosto grossa in fondo. Doveva essere quella del dormitorio. “È lì.” Disse infatti l’altro. “Adesso che facciamo?”
“Tu resta di guardia e assicurati che non arrivi nessuno.” Gli tese la mano. “Dammi le chiavi.”
Il rumeno fece un istintivo passo indietro, e sul viso gli passò un’ombra di diffidenza silenziosa. “Devi fidarti.” Non trovò di meglio da dire. E sapeva che era una richiesta assurda da parte di uno come lui. Aspettò una replica salace, ma questa non arrivò. Arrivò piuttosto il mazzo di chiavi nella sua mano. Alla sua espressione sorpresa, l’altro fece un mezzo sorriso.

“Te l’ho detto, solo Faust sa perché, ma sento che non sto sbagliando ad aiutarti.” Mormorò senza traccia di esitazione alcuna.
Sören non poté far altro che annuire. Non c’era tempo per chiacchierare, a malapena per ringraziare, così si diresse verso il dormitorio. Fece scattare il più piano possibile la serratura e socchiuse la porta. Si sentiva a disagio a sbirciare nell’intimità di una decina di ragazze. Persino in quel momento la sua ridicola indole riusciva a metterlo in imbarazzo.
Imbarazzo che fu spazzato via con un colpo di spugna quando si rese conto che c’era un letto vuoto. Ed era quello di Lily perché riconobbe il libro di mitologia norrena che aveva preso in prestito da lui senza mai restituirlo. Sentì un maglio artigliargli le viscere e la vista offuscarsi.
Chi avrebbe mai detto che il terrore potesse esser capace di farlo venir meno?
“Sören!” Sussurrò una voce alle sue spalle. Si rese conto di essere quasi crollato contro lo stipite della porta perché trovò il braccio di Radescu a reggere il suo. “Che ti prende?”
“L’ha presa…” Sussurrò, sentendosi parlare come da una caverna molto profonda. Il sangue gli rombava nelle orecchie, rendendo distorte persino le parole dell’altro.
L’ha presa. Ha preso Lily, la mia Lilian… mio zio la vuole.
Adesso che faccio?
Radescu lo fissò a lungo senza una parola. Potevano, per quanto ne sapeva, esser passati cento anni. “Non può essere uscito dalla fortezza. Ci sono incantesimi anti-smaterializzazione e il mare è troppo agitato per usare un imbarcazione.” Se era un modo per confortarlo, non stava funzionando. Si sentiva il cervello ovattato, come avvolto da un grande e soffocante manto bianco. Non sapeva neanche se il suo compagno di fortuna avesse capito a chi si stava riferendo.
Non ha importanza. Non ha importanza niente… l’ha presa. Mio zio vuole lei, non vuole Thomas. Vuole lei.
Perché?

Sören!” Si sentì scuotere per un braccio e poi un dolore alla guancia rimise di colpo a fuoco il mondo. Radescu l’aveva schiaffeggiato. La sua espressione doveva essere notevolmente espressiva, perché l’altro assunse un’aria mortificata.
“Scusami. Ho dovuto farlo.” Borbottò imbarazzato. “Chi hanno preso?”
“Lily Potter.” Dirlo ad alta voce gli fece venir voglia di vomitare. Trattenne un conato per il bene degli stivali dell’altro allievo. Se non altro, il colpo inaspettato gli aveva fatto ritrovare un po’ di presenza.  

“Aspetta, tuo zio? Tuo zio è il tuo contatto nella Thule?! Morții mă-tii¹!” Radescu con quell’esclamazione roboante quasi lo mollò sul colpo, ma fu abbastanza accorto da non farlo del tutto. Non si sentiva le gambe, e quel continuo mugghio nella sua testa gli rendeva difficile prestare attenzione.
Lily.  
“Mio zio è la Thule. Alberich Von Hohenheim ti dice qualcosa?” Inspirò, incamerando aria e realtà. Doveva riprendere il controllo, subito. Non poteva permettersi di crollare. E neanche di notare l’espressione shockata e inorridita del ragazzo di fronte a sé.
Ha fatto rapire Lily. Mi aveva promesso che non le sarebbe successo niente.
Qualcosa cominciò a scottargli il petto, il viso, facendogli formicolare le mani e soprattutto quel braccio. Era rabbia, realizzò. Non era mai stato così arrabbiato in vita sua con qualcuno.
Quel qualcuno era suo zio.
Tutto, puoi farmi tutto, sono solo un cane al tuo servizio. Lo so. Da sempre.
Ma non Lily. Non lei.
Qualcosa nella sua espressione doveva essere cambiata, perché Radescu si arrischiò a mollargli il braccio. Con sua stessa sorpresa, notò che le gambe reggevano.  Non avrebbe mai pensato che la rabbia potesse essere un sentimento più rinfrancante di cinquanta sorsi di vodka incendiaria.
“Perché ha rapito la Signorina Potter?” Il rumeno aggrottò le sopracciglia. “Per via delle sue parentele?” Vide confusione nelle iridi del durmstranghiano, ma non se ne curò. La nausea era sparita e così il rumore nella sua testa. Non era mai stato tanto lucido in vita sua.  
Doveva tornare alla villa dei Von Hohenheim, trovarla e portarla via di lì. Il piano era semplice e l’unico possibile al tempo stesso. Non gli interessavano le conseguenze, il tradimento verso la Thule, verso l’uomo a cui doveva vita, educazione, terrore e obbedienza. Era stato tutto spazzato via dalla pura furia che gli incendiava le vene.
Non Lily. Non dovevi toccarla.
Mai, in anni di fedele servizio aveva chiesto nulla allo stregone che per lui aveva quasi assunto la statura di un dio. Non aveva questionato un ordine, avanzato una richiesta, preteso qualcosa.
Ma c’era qualcosa che Elias Prince gli aveva insegnato, qualcosa che portava dentro come un talismano. Il suo codice morale; ed esso metteva sopra a tutto una frase.
Mai infrangere le promesse.
Suo zio gli aveva promesso che non sarebbe stato fatto alcun male all’ultima figlia di Harry Potter. Suo zio gli aveva mentito.
Non ne era stupito, ovviamente. Era nel modus operandi di Hohenheim non curarsi delle emozioni altrui. La cosa nuova era avere un intenso desiderio di fargliela pagare per questo.
“Come pensi che siano entrati?” Il custode delle chiavi era l’inaspettata voce della sua coscienza. Sören rifletté guardandosi attorno nella densa ombra del corridoio; Johannes se n’era già andato, ne era certo come era certo che il sole sarebbe sorto di lì a poco, rivelando la sparizione di Lily.
Come ha fatto? Deve aver avuto un aiuto come quando è entrato ad Hogwarts.
Poliakoff.
Quel nome gli balzò alla mente, e dovette sovvenire anche a Radescu. “L’ha fatto entrare Kirill!” Esclamò infatti e poi incredibilmente aggiunse. “E so anche come.”
 
 
****
 
India, Dimapur
Otto e trenta di mattina (ora locale)
 
Il giovane Luzhin si era svegliato pochi minuti prima, e Dhansiri era andato immediatamente a chiamarli. La piccola clinica magica di Dimapur aveva le dimensioni di un ufficio, con pochi lettini e una sola infermiera ad aiutare un guaritore che aveva più l’aria di un santone indiano. Persino l’infermeria di Hogwarts, pensò Harry, era più grande.
Il ragazzo era steso su uno dei lettini vicino alla finestra e guardava fuori, anche se aveva l’aria di non notare affatto il panorama. Era di un altezza allampanata, che ancora tentava di destreggiarsi tra le maglie dell’adolescenza e i primi segni dell’età adulta. Aveva i lineamenti sottili, occhi di un celeste slavato tipico delle popolazioni teutoniche e un accenno di barba bionda. Le privazioni di quella settimana avevano dato al viso un pallore ossuto; aveva l’età di Albus, ed Harry provò una dolorosa tenerezza.
“Ciao Sören.” Esordì, facendolo voltare. Dietro di lui le presenze silenziose ma necessarie di Nora e Ron; senza di loro non avrebbe potuto affrontare quel colloquio straziante. “Possiamo rubarti un minuto?”
Il giovane fece un lieve cenno con la testa e si passò le mani una sull’altra, andando automaticamente con lo sguardo alla bacchetta posata sul comodino. Il guaritore che l’aveva visitato aveva detto che le ferite sarebbero guarite in una settimana.
Quelle fisiche. Per quelle psicologiche, temo non ci sia un tempo stimabile.
Nora aggiunse qualcosa in tedesco, che Harry intuì si trattasse di una richiesta circa la lingua che preferiva parlare.
“Va bene l’inglese, lo capisco.” Disse con forte accento, ma comprensibile. Gli lanciò un’occhiata. “Lei è davvero Harry Potter?”
Harry sorrise, sedendosi sullo sgabello in vimini vicino al letto. “Sì, piacere di conoscerti.” Gli tese la mano, e il ragazzo gliela strinse di rimando, tradendo un’espressione emozionata .
“È un onore.” Mormorò con ancora la voce roca dalla disidratazione, ma più ferma della sera prima. “Per mio padre lei era un eroe.” Il fatto che utilizzasse il passato rese Harry vergognosamente sollevato. Avrebbe odiato dovergli dare quella notizia.
Io vi ho sempre convissuto… ma è diverso. Uguale, ma diverso.
“Condoglianze per la tua perdita.” Si sentiva disgustoso ad utilizzare quelle formule di rito e non aggiunse altro. Del resto il ragazzo non diede cenno di averle gradite, né di averle ascoltate. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso.
“Vorremo farti alcune domande su cosa è successo.” Si inserì Ron con lo stesso tono che riservava ai figli dopo un grosso spavento. Harry gli fu grato di aver preso la parola; il peso dell’empatia che si sentiva in fondo allo stomaco era equivalente ad un macigno.
Il tedesco annuì, e Ron continuò. “Puoi raccontarci come sei finito nella foresta?”
“Sono scappato.” Rispose fissando le lenzuola come se vi stesse leggendo le risposte. “Il Guaritore mi ha detto che ho passato una settimana là fuori, ma io … non ricordo. Mi è sembrato molto meno.” Ammise con aria smarrita. “Sono arrivati degli uomini alla villa. Erano due e parlavano male la mia lingua. Forse ucraini, perché sembravano parlare russo, ma io conosco il russo e loro non sono riuscito a capirli.”
“Li avevi mai visti prima?”
“No, Signore. Credo fossero mercemaghi.” Harry si morse un labbro, intercettando l’occhiata di Nora.

Mercemaghi? Allora è vero, Hohenheim non ha più la copertura della sua Setta.
“Sono entrati in casa… hanno distrutto le barriere protettive del cancello. Stavamo facendo colazione quando sono arrivati,  papà li ha sentiti forzare la porta. Volevo seguirlo, combattere… ma mia madre mi ha ordinato di scappare.” Fece una pausa e strinse la coperta tra le dita forse per cercare di frenarne il tremito. “Un allievo di Durmstrang non scappa, ma…” Deglutì penosamente. “… ma quando ho sentito il rumore di incantesimi ho avuto paura e… sono stato un vigliacco.” La voce gli sparì e Nora si mosse verso di lui, mettendogli una mano sulla spalla. Il ragazzo stranamente non si irrigidì. Harry notò ancora una volta come le donne nel consolare fossero imbattibili.
“Non sei stato un vigliacco.” Rimarcò pacato. “Hai fatto ciò che ti ha chiesto tua madre, ciò che era giusto.” Ad un’occhiata di Nora, si schiarì la voce. “Hai qualche idea di chi abbia potuto farti questo?”
Il ragazzo alzò gli occhi arrossati, ma non piangeva. “Sì, signore.” Disse con voce asciutta. “La Thule. Uno dei loro è venuto da mio padre quasi un anno fa e gli ha promesso che avrebbero salvato la nostra azienda. Mio padre era disperato, aveva paura che avremmo dovuto vendere tutto per pagare i debiti … Non voleva che io e mia madre finissimo per strada ad elemosinare come maghinò.” Inspirò bruscamente. “Per questo ha accettato. Lui è… era…” Si corresse strizzando gli occhi. “… un mago onorevole, dovete credermi.”
“Ti crediamo.” Lo rassicurò Harry perché non c’era altro da fare. Non avrebbe certo rovinato i ricordi di un orfano con puntiglio da poliziotto. “Cosa volevano in cambio?”
Erano domande di cui avevano già la risposta, ma avevano bisogno di particolari, prove, connessioni. E quel ragazzo smunto era la chiave.   
“Il mio nome.” Disse senza esitazione. “Uno dei loro ha preso il mio posto a Durmstrang. So solo questo, non so come ci sia riuscito. Dopo che sono tornato per le vacanze estive ci hanno detto di andarcene dalla Germania per un po’… e così abbiamo fatto. Ci mandavano soldi, il pagamento.” Abbassò di nuovo lo sguardo. “Poi hanno smesso… ed abbiamo capito che le cose non stavano andando come dovevano. Mio padre ci ha portato qui, ha detto che saremo stati al sicuro, ma…” Non terminò la frase e tacque.
Harry non provava rabbia verso il ragazzo, nonostante fosse stato complice di quell’orrenda operazione. Era spaventato, e il non guardarli era un segno evidente che provasse umiliazione, oltre che dolore. Era una vittima, e questo gli bastava ampiamente per perdonarlo.
Ma devo sapere.
“Sören… tu hai una corrispondenza con mia figlia Lily, giusto?” Il ragazzo alzò lo sguardo confuso, come se lo ricordasse per la prima volta da quando l’aveva visto.
“Lily Luna, sì. È una delle streghe a cui scrivo… seguo un programma chiamato Amici di Piuma da quando ero al primo anno  di Istituto. Mi serve per imparare nuove lingue.” Convenne perplesso. “Io… è un problema? Cosa c’entra con…”  
“L’hai detto al ragazzo che ha preso il tuo posto?”
“No.” La realizzazione gli dipinse i lineamenti di sconcerto ed impallidì. “Ma i miei genitori lo sapevano, non gliel’ho mai nascosto.” Arrossì. “Non fraintendetemi, non mi sono mai vantato di averla come amica di piuma, io…”
Harry interruppe il balbettare sconnesso del ragazzo. “Tuo padre può averlo detto alla Thule?”
Il ragazzo aveva un’aria atterrita. “È per questo che siete qui…?” Chiese. “È per questo che la Thule si è interessata a noi, che ha ucciso i miei genitori? Per delle lettere che scambiavo con sua figlia?”
Nora gli scoccò un’occhiata, quasi per impedirgli di ribattere. “Sören, vorrei che dessi un’occhiata ad alcune foto e mi dicessi se riconosci il ragazzo ritratto.” Si inserì. Tirò un fascicolo fuori dalla tasca interna del mantello – che Harry aveva scoperto essere capiente come una borsa e sicuro come un mokessino². Con sua sorpresa, estrasse da esso una serie di foto del falso Luzhin, tutte scattate durante il Ballo del Ceppo.
Non ho notato stesse scattando foto, come diavolo ha fatto?
Prese nota di chiederglielo in un secondo momento, preferendo osservare le reazioni del ragazzo. “È lui che ha preso il mio posto?” Chiese prendendole. “Non ci ho mai parlato, i contatti li ha presi e mantenuti mio padre…” Esitò, poi continuò. “Però l’ho già visto.”
“Dove?” Quasi lo aggredì, tanto che il poveretto sobbalzò sul lettino.  
“E… era due anni avanti a me, Signore. A Durmstrang. Credo che si chiami come me… e che sia tedesco.”
Dunque non fingeva l’accento né il fatto che fosse un allievo. Per questo ci ha ingannato tutti. Non ha dovuto fingere poi molto.
“Il cognome?” Chiese Nora, che aveva lo sguardo d’acciaio della grande caccia, sebbene si sforzasse di mantenere un tono gentile per non inquietarlo.
Novyj³, ma credo fosse falso. Girava una voce…” Passò le dita sulla coperta ancora una volta. Era troppo presto, date le sue condizioni, per ridargli la bacchetta senza che perdesse istantaneamente le forze, ma Harry comprese il suo desiderio di stringerla. “… Si diceva che fosse nipote di un uomo terribile, uno stregone tedesco. Alberich Von Hohenheim.”
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Cinque e mezzo del mattino (ora locale)


Radescu l’aveva riportato alla stanza di Kirill facendo il percorso inverso senza una parola.

Sören non poté far altro che seguirlo e fidarsi; tra poco l’Istituto si sarebbe svegliato e la sparizione della figlia di Harry Potter sarebbe stata sotto gli occhi di tutti. Per quel tempo, doveva essersene andato o non avrebbe più potuto farlo. Era il primo sospetto che avrebbero cercato e messo in stato di fermo e non poteva semplicemente permetterselo. Doveva uscire di lì, e usare la stessa via di Johannes era l’unico modo.
Il rumeno si diresse a colpo sicuro verso la caotica scrivania del russo, spostando  appunti e leggendoli febbrilmente. “Ho letto qualcosa prima…” Gli spiegò. “Se è stato lui a far entrare gli uomini di tuo zio, avrà dovuto trovare il modo. E Kiriev non avrebbe mai nascosto degli appunti come si deve.”
“Credi che abbia scritto su pergamena una cosa del genere?” Era talmente sbalordito che Radescu ridacchiò della sua espressione.

“Di che ti stupisci, lo hai avuto come compagno di cuccetta, hai visto com’è disordinato… era.” Tornò serio, lanciando un’occhiata al corpo coperto dal lenzuolo. “Nenorocitule⁴…” Mormorò in rumeno. “Aveva più vodka in vena che buonsenso in testa. Era entrato nell’élite per via di suo padre, lo sapevamo tutti. Credo che la cosa avesse finito per pesargli.”
Sören non disse nulla; non aveva ucciso materialmente Poliakoff, ma era come se l’avesse fatto. Aveva capito da tempo che il russo era un idiota ossessionato col farsi notare, ma vi aveva mai posto rimedio, o cercato di avvertirlo.

Lo disprezzavo troppo.
“Ecco!” Radescu esclamò di colpo tirando fuori un rotolo di pergamena dal caos. “È scritto in russo, non lo so tradurre bene… ma credo che ci sia scritto passaggio. Forse parla di come è riuscito a portarli qui?”
Sören gli prese il foglio dalle mani. Capì immediatamente di cosa si trattava; era una serie di appunti riguardanti la Seconda prova, ma non solo; c’erano delle annotazioni frettolose a lato posteriori alla prima stesura. Riconobbe un incantesimo e riconobbe cosa era stato incantato. Ancora una volta dovette trattenere l’ammirazione per l’arsenale di incantesimi della setta: suo zio poteva essere impazzito, ma il suo lavoro era e sarebbe sempre stato straordinario.

“La Seconda Prova sarà affrontare lo Specchio delle brame…” Mormorò a bassa voce. Erano informazioni che aveva già da qualche settimana, ma che aveva accantonato. “E lui l’ha reso una Passaporta.”
L’altro inarcò le sopracciglia sbalordito. “Kirill?”

“Non è difficile se devi solo seguire le istruzioni.” Ad una seconda scorsa trovò la riga che localizzava lo specchio. La mostrò e tradusse a Radescu che fece un breve cenno affermativo.
“So dov’è, andiamo.” 
 
Ormai l’Istituto aveva assunto i contorti di un incubo allucinato. Sören vedeva di fronte a sé la schiena coperta dal ruvido tessuto dell’uniforme dell’allievo rumeno e pensava che comunque sarebbe finita quella storia, lui non sarebbe stato vivo per raccontarla.
Sto per tradire mio zio, l’uomo a cui ho dedicato tutta la mia vita.
Non era spaventato; aveva accettato che non ci sarebbe stato un lieto fine per lui, che accertato il suo tradimento sarebbe stato punito, perché un’arma non si ribella mai al proprio padrone. Una bacchetta veniva spezzata, lui sarebbe stato ucciso. E la cosa più sconcertante è che non gli importava.
Non se Lily vive.
Lily in quel momento stava probabilmente realizzando che la persona a cui voleva bene era un falso, che era nient’altro che un piano costruito ad hoc. L’avrebbe odiato.
Non importa. Te lo meriti.
Ciò che era importante era salvarla; doveva ripagare il debito che aveva contratto con quella piccola, straordinaria strega, che con la sola forza della sua anima era riuscita a salvarlo dalle tenebre in cui era affogato dal giorno che suo padre era morto.
“Siamo arrivati.” Disse Radescu strappandolo alle sue riflessioni. Lo vide aggrottare le sopracciglia, vedendo che la porta di fronte a cui sostavano era socchiusa. “È aperta.” Mormorò, afferrando la bacchetta dal fodero sulla cinta con un movimento sicuro. “Potrebbe…”
“No, ormai sono lontani. Non si sono preoccupati di chiuderla, tutto qui. Ormai hanno ciò che vogliono.” Spiegò, facendogli cenno di scostarsi e sguainando la sua. Dopotutto la prudenza non era mai troppa.
La stanza era grande, e doveva essere stata un magazzino prima che vi fosse posizionato un grande specchio a cornice alto almeno dieci piedi.

Lo specchio delle brame…
Sören illuminò l’ambiente, con la fiaccola sentendo dietro di sé la presenza di Radescu, il quale emise di colpo un’esclamazione soffocata. “C’è qualcuno a terra!” Si voltò di colpo; era una ragazza, ma aveva i capelli castani.
Non è lei.
“È solo svenuta.” Mormorò Radescu con enorme sollievo. “Ma che ci fa qui?”
“È Rose, sua cugina.” Disse lanciando un’occhiata verso lo specchio. Lily in quel momento era nelle mani di Johannes. Doveva essersi spaventata a morte vedendo aggredita la cugina. Forse le aveva prese assieme, rapendole dai loro letti. “Deve essere stata presa in ostaggio per convincere Lily a seguirli.” Considerate le contingenze, Radescu faceva al caso suo. “Resta con lei. Io vado.”
L’altro si alzò in piedi, dopo aver coperto la ragazza con la sua casacca. “Dove? Non puoi!” Esclamò fronteggiandolo. La sorpresa di vederlo con un atteggiamento aggressivo lasciò Sören senza parole. Si riprese subito però.
Non ho tempo.

Strinse le labbra e, per quanto lo disgustasse dopo tutto quello che l’altro aveva fatto per lui, gli puntò la bacchetta contro.  Radescu alzò le mani e un’espressione tradita gli passò sul viso, prima che lo corrucciasse arrabbiato.
“Non ti voglio impedire di andartene, ma se te ne vai adesso, senza una spiegazione, verrai considerato colpevole quanto gli uomini di tuo zio!”
“Sarebbe solo la verità.” Replicò abbassando il braccio. Ignorò lo sguardo sgomento dell’altro per puntarlo nuovamente verso lo specchio. “Prendi la ragazza e portala in infermeria. Dammi dieci minuti, poi dai l’allarme.”
“Torniamo assieme!” Fu la replica cocciuta. “Se rimani potrai spiegarti, ed io testimonierò in tuo favore! Dirò che non c’entri nulla con l’omicidio di Kirill! Puoi aiutare gli auror a salvare la Signorina Potter!” 
Sören sentiva un nodo allo stomaco. Una piccola parte di sé voleva dargli retta; rimanere avrebbe potuto garantirgli forse immunità come reo confesso. Forse Harry Potter stesso l’avrebbe graziato pur di ritrovare sua figlia.

Ma non poteva. Era colpa sua se Lily era stata rapita. Era certo che suo zio sapesse del loro legame e che rapirla non fosse solo un modo per attirare a sé Thomas.
È anche un modo per richiamarmi all’ordine.
Aveva passato diciannove anni a spiare ogni sua mossa per compiacerlo e farsi amare. Non c’era mai riuscito, ma aveva perlomeno carpito qualcosa dei suoi meccanismi mentali.
“Sören, può andare a finire bene…” Mormorò Radescu in tono accorato, così strano per il rigoroso ragazzo immagine di Durmstrang; ma aveva un cuore buono, nessun dubbio su questo. “Tu non sei come Kirill, non sei come la Thule… puoi cavartela!”
Curiosamente erano le stesse parole, non identiche ma comunque simili, che gli aveva rivolto quell’agente americano, anni prima. Stavolta però non provò rabbia e smarrimento, ma consapevolezza. Radescu e quell’agente avevano ragione.

Sono diverso. È proprio questo il punto. Non posso essere come Hohenheim, ma non posso neppure essere come voi. Posso solo salvare Lily, o morire tentando.
“Devo andare.” Disse, e il tono fu sufficiente a far desistere l’altro, che lasciò ricadere le braccia lungo il corpo, rassegnato. “Ti chiedo solo di concedermi dieci minuti di vantaggio. Puoi farlo?”
“Sì… credo di sì.” Gli si avvicinò. Non sapeva cosa dire, come accomiatarsi dall’espressione. “Buona fortuna.” Risolse poi, tendendogli una mano. Lo fissava con un’espressione per lui indecifrabile; non era mai stato un cinesteta.

Ricambiò comunque la stretta, riuscendo persino a trovare la voglia per un breve sorriso. “Grazie Dionis.” Utilizzò il nome perché era quello che si faceva in quei casi, supponeva. “Mi hai chiamato guerriero, ma sei tu ad esserlo. Senza il tuo aiuto non ce l’avrei fatta.”
L’altro sorrise. “Ce ne vuole uno per riconoscerne un altro, te l’ho detto.” Gli lasciò la mano e fece un passo indietro. “Che Odino ti assista, Sören.”

Non c’era più nulla da dire, quindi raggiunse lo specchio. Aveva memorizzato l’incantesimo usato da Kirill per aprire la Passaporta; doveva essere ancora incantata verso la destinazione, se aveva interpretato bene i piani di suo zio. Lo lanciò e la superficie dura dello specchio diventò liquida dopo un lampo di luce azzurra. Sentì alle sue spalle Radescu trattenere il respiro.
Lui non lo fece, semplicemente attraversò lo specchio.
 
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Dieci del mattino (ora locale)

Rose si svegliò sentendo come se la testa le fosse stata infilata sott’acqua. Capiva che qualcuno stava parlando accanto a lei, ma non riusciva ad afferrare le parole, distorte e distanti un intero oceano. Tentò di aprire gli occhi ma dovette richiuderli perché la luce la ferì come una lama.

Qualcuno accorse al suo capezzale. “Rosie!” Era la voce di Scorpius, nessun dubbio su questo. Era molto agitata. “Rosie, ehi, come ti senti?”
Uno schifo, Sherlock – rispose indispettita la parte meno rintronata della sua testa mentre le labbra si limitavano ad un lamento poco impegnativo. Non riusciva a capire dove fosse e perché mettere a fuoco fosse così difficile. Poi qualcuno gli premette sulle labbra la superficie fredda di un bicchiere; bevve avidamente e senza domande.
Il liquido era dolciastro e probabilmente una pozione perché subito il mondo divenne meno accecante e le voci più intellegibili. Si trovò di fronte il volto pallido e tirato di Scorpius e, a sorpresa, quello di Dominique. La Parkinson chiudeva il cerchio e reggeva il bicchiere; doveva essere stata lei a somministrarle la pozione. Ammutolì per la sorpresa.
“Lo sapevo, la botta l’ha fatta diventare scema.” Esordì sua cugina, mentre Scorpius perdeva ancora più colore se possibile; sembrava uscito miracolosamente vivo da un frontale con il Nottetempo.
“Sto… bene.” Articolò scoccandole un’occhiataccia e prendendo la mano del suo ragazzo e stringendola più forte che poteva. “Sto bene Scorpius, sul serio.” Ripeté più sicura.
Il mondo era tornato in assetto e lei cominciava a ricordare il motivo per cui si trovava apparentemente nel lettino dell’infermeria di Durmstrang.
Merda.
“Mi chiamo Scorpius, e non mi ci chiami mai.” Mugugnò questo. “Dì qualcosa da Rosie!”
Sbuffò, tirandogli un pizzicotto sulla mano, facendolo sussultare. “Sei sveglio, questa è la realtà e non sono morta, demente.” Borbottò brusca data la presenza del ritrovato ghigno di Domi e dell’espressione sorniona della Parkinson-Goyle. Lo scemo però fece un sorriso enorme, e questo la ripagò dell’imbarazzo che provava. “Dov’è Lily?”
Ditemi che è stato un brutto sogno e quella piccola idiota al momento sta facendo colazione.
Scorpius e Dominique si scambiarono un’occhiata tornando seri. “È sparita.” Disse l’anglofrancese. “Tipo nel nulla. Un ragazzo dell’Istituto ti ha trovata stesa dove tengono la roba per la Seconda Prova e ti ha portata qui.” Fece un cenno vago verso l’uscita dell’infermeria. “A proposito, cacchio ci facevi lì?”
Rose non rispose. La prima frase le aveva già chiarito tutto; nessuno sapeva, ma lei sì.
John Doe. Lily. Lily è stata rapita.
Si sentì la gola riarsa e finì inevitabilmente per fissare la sua ex-rivale, che inarcò un sopracciglio. “Non sono un infermiera, Weasley. Ti ho dato la pozione perché temevo che Scorpius l’avrebbe rovesciata per l’emozione e Nicky…” Guardò con scorata sufficienza la propria ragazza, che sghignazzò come la squilibrata che era. “… avevo paura ti ci affogasse.”
Rose arrossì, mentre Scorpius le versava sollecito l’agognato bicchier d’acqua che trangugiò grata. “Io…” Disse stringendolo dalle dita. “… Lily non è sparita”
“Sicuro che lo è!” Esclamò Dominique perplessa. “La stanno cercando in tutto l’Istituto, sia i nostri che i nordici. Sarà andata a combinare qualche guaio da rossa.”
“È stata rapita.” Sbottò facendola ammutolire di colpo. “Io c’ero, ero con lei… o meglio, l’ho seguita quando stanotte è scappata dal dormitorio.” Inspirò, sentendosi sufficientemente in forze per alzarsi a sedere sul letto. Le braccia di Scorpius che la ressero comunque aiutarono molto. “Dov’è Al?” Era lui che la preoccupava; Albus in quel momento doveva essere fuori a cercare la sorella.

Dominique si alzò immediatamente in piedi. “Vado a chiamarlo!”
“Non sarebbe meglio chiamare i professori? O i Presidi?” Obbiettò Violet sconcertata; comprensibile che non conoscesse il modo Weasley di reagire ai guai, ma Rose non aveva tempo per spiegare.
“Domi, va’ a cercare Al.” Ripeté. La ragazza era già pronta a lanciarsi fuori con uno scatto, che fu l’interpellato stesso a palesarsi entrando dalle porte dell’infermeria. Era seguito dall’immancabile Thomas.
“Rosie.” Sorrise appena, ma era tutta scena. Come aveva supposto, era uscito fuori a cercare la sorella a giudicare dal mantello da viaggio e la bacchetta in pugno. Saltò i convenevoli. “Cos’è successo?”
 
“Lily è stata rapita da John Doe.”
 
Quella frase ebbe il potere di scatenare un’intera gamma di reazioni. Dominique e Violet la guardarono tra lo sbalordito e il confuso, mentre quest’ultima chiedeva chi diavolo fosse la persona appena menzionata. Scorpius serrò le labbra, e lanciò un’occhiata ai due appena arrivati.
“John Doe?” Mormorò Tom lentamente, quasi dovesse assorbire la notizia. “John Doe è morto.”
“No. Mi ricordo di lui, una faccia così non si dimentica.” Ribatté con forza, perché non si sarebbe fatta dare della bugiarda quando ancora sentiva il terrore strisciarle addosso come una brutta e lunga febbre. Rabbrividì istintivamente e sentì subito un braccio di Scorpius cingerle la vita. Gli rivolse un breve sorriso grato, prima di continuare. “La persona che ha preso Lily era John Doe. Ero lì, ho seguito Lily quando è sgattaiolata fuori dal letto ieri notte. L’ho seguita fino alla stanza dello Specchio e l’ho visto.” Occhi del genere e un ghigno simile potevano solo appartenere all’allucinante braccio destro del padre naturale di Thomas. “Credo che avesse preso l’aspetto dell’assistente di Luzhin per attirarla lì… ma poi si è trasformato.”

“Trasformato…” Tom non aggiunse nulla, ma la perdita totale di espressione parlava da sola. “… C’era Luzhin con lui?”
Rose fece mente locale, poi scosse la testa. “No, era solo.”

“Luzhin è sparito.” Ribatté, come se fosse colpa sua la non-presenza del suddetto sulla scena del rapimento.
“Se era coinvolto non lo so, ma non era lì!” Sbottò spazientita. “So ancora contare quante persone mi trovo davanti, sai?”
Tom fece per ribattere qualcosa ma un rumore improvviso e violento li fece girare tutti verso la fonte. Era stato Al; aveva rovesciato una sedia e probabilmente l’aveva fatto con un calcio.

“Non importa chi sia stato… non arriverà a vedere la luce di domani.” Disse con un’orrenda voce priva di inflessione. In quel momento nessuno sulla faccia della terra avrebbe paragonato gli occhi di Al a smeraldi, prati verdi o altre cose carine. 
Hanno il colore di un maledetto Avada Kedavra.
Rimasero tutti in silenzio, persino la loquace Dominique, che sembrava valutarlo di colpo sotto una luce diversa; poteva capirla. Era la prima volta che vedeva Al perdere il controllo e non sapeva quanto potesse essere impressionante.
Tom tentò di avvicinarglisi, ma l’altro fece un passo indietro e un cenno con la mano che bastò a fermarlo.
‘Non toccarmi’…
Rose ingoiò l’orribile senso di colpa che sentiva alla bocca dello stomaco.
Dovevo impedirle di lasciare il dormitorio… Non avrei dovuto seguirla, ma fermarla.
Scorpius si schiarì la voce. “… Perché Lily?” Disse piano, quasi avesse paura di disturbare un drago dormiente. “Insomma, non voleva…”
“Vuole me.” Lo interruppe Tom, che sembrava notevolmente più in controllo di tutti loro messi assieme. “Sa benissimo che non ci sarei mai andato di mia spontanea volontà, quindi non ha colpito me. Mi ha ricattato.” Rose gli vide stringere i pugni e realizzò che calmo non lo era affatto. Era rassegnazione, non calma, quella che aveva negli occhi. “Ha rapito Lily per costringermi a scambiarmi con lei. La mia presenza in cambio della sua.”
“Come puoi esserne sicuro?” Ribatté Scorpius perplesso. “Ti ha contattato …”
“No.” Lo fermò Tom raddrizzando la sedia caduta e lanciando un’occhiata di sbieco ad Al, che non si era ancora mosso di un millimetro. “Ma lo farà. Altrimenti perché prenderla in ostaggio?”

“Avete informato zio Harry e papà, vero?” Chiese. Il suo primo istinto in quel momento era di chiamare gli adulti e genericamente gridare aiuto. Gli adulti avrebbero saputo cosa fare. I loro adulti. Avrebbero risolto le cose come avevano fatto l’anno prima, ne era certa.
Qualcuno deve aggiustare le cose.  
La risposta di Tom la strappò alle sue riflessioni. “Il Professor Lupin ha mandato loro un Gufo intercontinentale.”
Sentì il panico salirle assieme alla voglia di vomitare. “Un Gufo ci metterà giorni! Quei pazzoidi hanno già un vantaggio!”
“Sta continuando a tentare con il Fuoco Portatile, Rosie, ma ci sono delle interferenze. Le chiamate da paese e paese sono difficili, ma vedrai, il professor Lupin li troverà!” Si inserì Scorpius accarezzandole un braccio nel tentativo di consolarla. Non funzionò, non con Al che sembrava diventata una statua di sale vendicativa e Lily in mano a dei mostri, ma apprezzò il gesto.

Nessuno si era aspettato quella svolta. Lily era stata vista come una seccatura, come un’ospite non gradita e un motivo di preoccupazione, ma mai in vero pericolo.
Non ha legami diretti con Tom… ma è pur vero che è parte della famiglia.
Lily era l’anello debole e nessuno di loro se n’era accorto. Avevano ignorato fino a che punto la quindicenne sarebbe stata capace di mettersi nei guai.
Eppure dovevamo capirlo. Ha ideato un piano per venire qui.
Quando l’aveva vista sgattaiolare via dal letto l’aveva seguita pensando ad un rendez-vous notturno con il campione di Durmstrang, niente di più. Uno di quegli sciocchi ma comprensibili colpi di testa delle ragazze innamorate.  
Ero già pronta a riportarla in stanza a calci nel sedere…
Non si sarebbe mai aspettata quello.
Cercò di fare il punto della situazione; era stata svenuta per buona parte della mattinata, a giudicare dal fatto che sembravano tutti già vestiti da un po’. Guardò l’orologio e per poco non sobbalzò sorpresa.
Le lancette andavano indietro. Segnavano le due del mattino.
Ma che…
“Che c’è?” Si informò Scorpius seguendo la direzione del suo sguardo.
“Il mio orologio va indietro e…  non l’ha mai fatto. È babbano, non dovrebbe comportarsi così!”
“L’hai settato sul cronometro probabilmente.” Dichiarò lapidario Tom, irritato dal loro distrarsi.
“Non è digitale, ha le lancette!” Replicò sfilandoselo come se fosse una granata babbana. Al si riscosse di colpo dalla sua contemplazione di propositi omicidi per avvicinarlesi. Aveva quasi un’espressione umana il che, supponeva, fosse positivo.
“Fammi vedere.” Le chiese. Prese l’orologio e se lo rigirò tra le dita, con una ruga di concentrazione che gli solcava la fronte. Sfilò la bacchetta dai pantaloni e picchiettò sopra la cassa che ospitava la batteria. Quella produsse cinque o sei scintille bluastre. “È stato incantato.” Decretò. “Ha fatto reazione con la bacchetta.”
“Incantato da chi?” Chiese Violet, tentando miseramente di non sembrava voracemente incuriosita.
“Doe. John Doe l’ha incantato per un motivo, per lasciarci un messaggio… Come un anno fa ha fatto recapitare una lettera ad Harry con una ciocca di capelli di Al…” Rose fu quasi contenta che Tom non avesse completamente perso la testa o fissasse confuso gli altri in cerca di risposte. Lo detestava cordialmente giorno per giorno, ma vederlo padrone di sé era una consolazione.
Forse lui sa cosa fare… Cosa possiamo fare…
“Sì, ma mandare indietro le lancette di un orologio non è quello che chiamerei un messaggio chiaro.” Replicò Violet. “Che significa?”
“Un conto alla rovescia. Ve lo dico io, quell’orologio sta facendo un conto alla rovescia.” Dominique aveva la rara dote di dire la cosa giusta al momento giusto. Non era mai stata una gran chiacchierona, né una riflessiva, ma aveva la mente agile come un gatto. Zio Charlie diceva che era la caratteristica fondante di un buon guardiano di draghi.
Viva i guardiani di draghi.
“Per cosa?” Poi vide con la coda dell’occhio Al serrare la mano sull’orologio e capì. “Un conto alla rovescia prima di cosa?” Si corresse ed era purtroppo una domanda retorica.
“Mancano due ore a mezzogiorno. O a mezzanotte. L’ora zero.” Rifletté Al. “Abbiamo due ore.”
Ho due ore.” Lo corresse Tom. “Ho due ore per andare da mio padre.” Cercò di muoversi verso l’altro per prendere l’orologio, ma Albus indietreggiò allontanando la mano.
“Mi sembrava di essere stato chiaro… Non andrai da solo.” Era uno scontro di volontà, ma il vincitore era già stato deciso.  
A vederli e conoscerli poco, sembra tutto il contrario…
Invece era Al che teneva in pugno la volontà tirannica ed impulsiva del loro sinistro cugino acquisito.
Questo infatti tirò un lungo sospiro interrompendo il contatto visivo e segnando la vittoria dell’altro.  
“Da soli non si è mai una grande minaccia.” Aggiunse Al intascandosi l’ orologio. “Ora sappiamo cosa vuole Von Hohenheim, e quanto tempo abbiamo per darglielo.”
“Vuoi consegnargli Dursley?”  Esclamò esterrefatto Scorpius, prima di arrossire di fronte all’occhiata linciate dell’altro. “Scusa, domanda idiota.”
Rose si mosse inquieta; la determinazione sul viso di suo cugino non le piaceva affatto. Parlava di iniziative prese lontano da qualsiasi autorità, che fosse genitoriale o scolastica. Parlavano di decisioni prese subito, e senza consultare chi di dovere.
Non le piaceva.
“Dobbiamo aspettare zio Harry…” Tentò, poi si fece coraggio, anche se il senso di colpa le impediva di guardare direttamente verso Al. “Dobbiamo aspettarli, sono loro che devono agire, non noi!”
Sentì Al sospirare. “Non noi, io e Tom.” Non appena lo disse, esplose un coro di proteste dai due biondi.
“Voi due?!” Esclamò Scorpius. “Vi farete ammazzare!”
“Avete due Campioni del Tremaghi e non ci utilizzate? Mi sento offesa!” Proclamò Dominique, alzandosi in piedi ed ignorando l’occhiataccia scoraggiante della propria ragazza. “E poi siete due topi di biblioteca, cosa pensate di fare con quelle braccia tisiche? Vi faranno saltare la bacchetta di mano in pochi secondi!”
Tom serrò le labbra, infuriato dall’allusione della sua incapacità di duellare. “Non si tratta di una guerra, teste vuote.” Li apostrofò senza mezzi termini. “Non ci sarà da menare la bacchetta.”
“E come pensi di andartene, se non stendendo qualcuno, genio?” Replicò Dominique minimamente scalfita dall’aria mefistofelica di quest’ultimo e quella della propria ragazza combinate. Rose la ammirò moltissimo. “Vuoi diventare tu, il nuovo ostaggio? Sul serio… non conosco questo cattivone, ma una cosa sui cattivoni la so. Non mantengono mai i patti.”
“Non credo proprio che lasceranno andare la piccola Potter per te, Dursley.” Convenne Scorpius, e Rose con orrore si accorse che Albus li stava guardando meditabondo.

Non staranno davvero pensando di andare?!
“Siamo tutti studenti!” Esclamò interrompendo la diatriba. “Non possiamo pensare di batterci contro un’organizzazione che esiste da decenni ed ha maghi come quel John Doe!”
“Vi farete ammazzare, e questa  sarà la fine della vostra grande idea. I vostri genitori vi troveranno pronti per un funerale.” Sibilò Violet, il cui pallore denotava lo stesso grado di paura che Rose si sentiva addosso.
Sa anche lei che uno Weasley è come un fiume in corsa se si mette in testa una cosa. Inarrestabile. E qui, tra Al e Domi, ce ne sono ben due…
Scorpius la guardò combattuto. Trai tre, era l’unico che sembrava aver mantenuto un po’ di buon senso. “La piccola Potter ha letteralmente le ore contate, Rosie.” Disse però. “I vostri genitori non arriveranno mai in tempo per salvarla… e dubito che quel tizio ci concederà una proroga. Le lancette parlano chiaro.” Si grattò la nuca, lanciando un’occhiata verso Al e Tom. Tentò un lieve sorriso. “Come dice quel racconto babbano sugli spadaccini? Uno per tutti, tutti per uno? Non possiamo abbandonarla.”
“È la cosa più idiota che abbia mai sentito!” Rose provò un moto di istintivo affetto verso Violet, il che era assurdo, ma doveroso dato che l’altra al momento era la sua più potente alleata.
“L’anno scorso sei stato tu a dirmi che non potevamo invischiarci in storie su cui non potevamo avere controllo!” Convenne dandole manforte. Se solo Al avesse smesso di avere quell’aria così dannatamente determinata…


“Che sta succedendo qui?”
 
Rose si voltò verso la voce con il cuore gonfio di sollievo. Era la Professoressa McGrannitt, scortata da Ted. L’amico aveva i capelli del viola più cupo che gli avesse mai visto addosso e l’aria mite che lo contraddistingueva era stata spazzata via da qualcosa che lo rendeva decisamente figlio di un lupo mannaro. Metteva in soggezione.
“Stanno decidendo in che modo andare a farsi ammazzare, professoressa!” Esordì Violet, ignorando il tentativo di Dominique di acchiapparla per farla tacere. Si divincolò dalla sua presa. “Voglio andare a salvare Lily Potter!” Si voltò verso di lei. “Weasley, diglielo anche tu!”
Rose dovette annuire. Cercò in ogni modo di non voltarsi verso Al, perché sapeva che in qualche modo lo stava tradendo.
Scusa. Non voglio che ti succeda qualcosa. Non anche a te.
L’anziana strega li guardò ad uno ad uno con quel suo sguardo da falco. Poi si rivolse ad Albus, quasi avesse capito che era lui il leader di quell’improvvisata combriccola. “Signor Potter, capisco la preoccupazione per sua sorella, ma lei non è un auror, né tantomeno un mago qualificato ad affrontare pericoli di questo genere. Pensa di poter far meglio di agenti scelti ed addestrati?”
“No professoressa, non lo penso.” Replicò con calma. Sembrava dannatamente adulto, così diverso dal ragazzino spaventato e sotto shock dell’anno prima da sembrare quasi un’altra persona. “Ma questo non cambia le cose.” Continuò. “Alberich Von Hohenheim ci ha dato un conto alla rovescia e adesso, a quel conto mancano due ore. Trascorse, temo che farà del male a mia sorella. Mio padre e i suoi auror non arriveranno mai in tempo, e anche se riuscissimo a contattarli e spiegar loro la situazione neppure il fuso orario giocherebbe a nostro favore. Tra qui e l'India, dove sono adesso per indagini, c'è un fuso-orario di quattro ore. Qualcuno deve andare, e dubito che le autorità locali si muoveranno. Non abbastanza velocemente, comunque.”
Il discorso venne fatto nel completo silenzio della stanza, interrotto solo dall’improvviso temporale che schizzava di pioggia le finestre.
Fu Ted a prendere la parola. “Due ore Al?”
Venne ripetuta la spiegazione dell’orologio, e non ci furono tentativi di smentirla da parte dei due professori; era evidente che Thomas ci avesse preso al primo colpo.
La genialità va a braccetto con quant’è odioso… 
“È una trappola, ve ne rendete conto?” Interloquì Ted restituendo l’orologio ad Al, che a quel punto ne era diventato l’ufficiale depositario.
“Lo sappiamo.” Prese la parola Tom. “Ma c’è scelta? Ci ha presi di sorpresa, ha preso Lily perché non ce lo aspettavamo… Non avrei mai pensato avrebbe preso lei.” Per un momento la voce parve incrinarsi, ma fu solo un attimo, perché poi tornò il consueto tono arrogante.  “La uccideranno. Come hanno ucciso Ainsel Prynn l’hanno scorso e come probabilmente si sono sbarazzati del vero Kirill Poliakoff.” Inarcò le sopracciglia. “Perché è morto, non è vero?”
Il loro vecchio amico serrò le labbra preso in contropiede. “Come l’avete saputo? La notizia non è stata comunicata agli studenti.”
Al sospirò appena e lanciò un’occhiata all’altro serpeverde. “Non era difficile da scoprire. A colazione mancavano sia lui che Luzhin e gli altri allievi erano molto scossi. Di Luzhin si hanno notizie?” Rose fu felice che Albus non sembrasse così a suo agio nel parlar di cadaveri. Non era sicura gli piacesse quel nuovo lato del cugino, disposto a parlare di cose terribili con una sicurezza spietata.

Anche se meglio questo che le crisi di panico dell’anno scorso.
Ted scosse la testa. “No, a quanto c’è stato dato di capire. E non è molto.” Soggiunse con una lieve smorfia, atta a nascondere il disappunto dovuto ad un alterco con il corpo scolastico ospitante. “Lo stesso allievo che ha trovato Rose ha anche trovato il corpo di quel povero ragazzo. Adesso è chiuso in presidenza.”
Lontano da occhi ed orecchie inglesi… cioè, nostre – il sottotesto era evidente.
“Niente Luzhin.” Tom si scambiò uno sguardo con Al. “È strano. Se non era con Doe, ma non è neppure in un sacco come Poliakoff… Dove diavolo è?”
“Non ha importanza.” Lo riprese Al. “A questo punto, non è lui il problema.”
“Signor Potter, il problema è che state prendendo una decisione impulsiva e temo molto sbagliata.” Replicò la McGrannit, ma Rose notò che non ne stava parlando come se volesse fermarli. Con orrore, si rese conto che non ne aveva la minima intenzione.  
“Come ha detto Tom, professoressa, non c’è scelta. Chi resta avvertirà i nostri genitori e gli auror…” Fece un lieve sorriso. “… Con un po’ di fortuna, arriveranno i rinforzi prima che ce ne sia davvero bisogno.” Fece una pausa, poi disse la parola che Rose aveva temuto fino a quel momento. “Siamo maggiorenni. Non potete obbligarci a rimanere se non vogliamo.”
“Siete anche studenti.” Gli fece notare la donna con espressione severa. 
“Pensa che la paura di una punizione o di un espulsione sia più importante di mia sorella?” Disse Al, in un impeto grifondoro che evidentemente fece piacere alla vecchia professoressa, da come i lineamenti, sebbene austeri, si accesero di una scintilla di comprensione.
Ci sono dei momenti in cui davvero, come grifondoro, non ci capisco.
“Non possiamo impedirvelo, è vero.” Convenne Ted con il suo famigerato tono pacato. “Ma io posso venire con voi.” Fermò con una mano la protesta di Al. “Sono un vostro professore, Albus. Maggiorenne.” Soggiunse con tono inequivocabilmente ironico. Ted sapeva essere il re delle frittate girate.
Tom fece una smorfia. “Stiamo diventando un vero corpo di spedizione…” Ma Rose non era del tutto sicura fosse scontento di avere persone che combattevano accanto a lui.
È proprio vero, stiamo cambiando tutti…
“E come contate di salvarla?” Si inserì Violet, il cui tono era prossimo all’esplosione, ma si teneva buona perché in presenza di due professori. Come lei, sembrava tener di conto l’autorità scolastica. “O meglio, come pensate di andarvene di qui? Non sapete neppure dove l’hanno portata!”
Ci fu un denso, lungo attimo di silenzio, poi Tom parlò. “L’orologio.” Disse come se fosse ovvio. “Stanno usando gli stessi schemi dell’anno scorso, le stesse mosse. Il che significa che l’orologio è una Passaporta.”
“Potter, mi faccia vedere.” Replicò la McGrannitt. Albus tese l’orologio da polso all’anziana strega, che se lo rigirò tra le dita prima di picchiettarci con la bacchetta come aveva fatto l’altro, ma più a lungo ed utilizzando formule che Rose non conosceva. “Il Signor Dursley ha ragione.” Decretò infine. “È una Passaporta. Ed è carica.”
“Pare semplice…” Mormorò Dominique. “… hanno proprio una gran voglia di vederti. E se ci materializzasse chessò, in mezzo all’oceano o in dirittura di sfracellarci su una montagna?”
Sua cugina riusciva ad avere dei rari momenti di lucidità, sembrava. Tom no, perché scosse la testa.
“È sicura. Mi vogliono lì.”
Rose sentiva che avrebbe dovuto dire o fare qualcosa. Ma mentre gli altri si mettevano d’accordo su come attuare il piano con il beneplacito di ben due professori, pensò che non le restasse che pregare.
 
Ted aveva dato ordine di uscire dall’infermeria, tornare nelle proprie stanze e prepararsi all’ora x – così chiamata da un’esaltatissima Dominique. Scorpius sapeva che Rose era tutto fuorché felice di come si erano messe le cose, ma non poteva certo fermarle. Non da solo, e comunque non voleva.
Suo padre l’avrebbe preso a calci, ma il suo indomito lato grifondoro urlava al salvataggio e non era una cosa che poteva reprimere solo per inezie quale la sua incolumità.
Voglio diventare un auror, non posso certo fare la ragazzina spaventata!
Erano rimasti soli nell’infermeria e Rose fissava le finestre con un’ostinazione tenera e un po’ triste.
“È la cosa più stupida che abbiate mai fatto. Tutti assieme, per giunta.” Mormorò serrando le dita sulla coperta. “Non riesco a capire perché la professoressa vi abbia dato il permesso.”
“Non si tratta di darcelo o no, sai.” Replicò sedendosi in fondo al letto e toccandole una gamba. La ritirò cocciuta. “Siamo maggiorenni, Rosie.” Sospirò. “Per il Mondo Magico siamo in grado di prendere una decisione, compreso andarcene da scuola per andare a salvare qualcuno. I tuoi genitori dovrebbero dirti qualcosa in merito.”

La ragazza gli scoccò un’occhiata. Tratteneva le lacrime e Scorpius si sentì infinitamente infimo. “Vorrei solo trovare questa cosa sensata.” Gli confessò “So che qualcuno deve andare, ma non voglio che sia tu o Al e gli altri!” Tirò su con il naso. “Ed è orribile nei confronti di Lily…” Lasciò scivolare due grosse lacrime lungo le guance. “È tutta colpa mia… avrei dovuto fermarla prima che arrivasse da quell’uomo orribile e…”
“Ehi, no! Non lo è!” La sua fidanzata era un controsenso vivente, ne era convinto ogni giorno di più; era coraggiosa, capace di affrontare una fortezza buia e un ragazzo armato di bacchetta per salvare sua cugina senza pensarci un solo istante, ma quando era il turno degli altri si spaventava e tirava fuori tutte le insicurezze che avrebbe dovuto provare per sé stessa. Aveva un cuore buono e leale e la amava per questo. Si spostò vicino a lei e la strinse in un abbraccio che ricambiò con forza. “Non è colpa tua. Non potevi certo sapere che quel Doe era vivo e che avrebbe rapito la piccola Potter… nessuno di noi se l’aspettava, Al compreso.” Prese il fazzoletto e le asciugò il viso – benedette raccomandazioni di suo padre di averne sempre uno pulito in tasca come si addiceva ad un vero lord. “Sei stata fantastica! Non credo che tutte le cugine del mondo avrebbero affrontato un castello tetro e un tipo pericoloso come hai fatto tu.”
“Già, non che sia servito a molto.” Borbottò, ma sembrò essersi un po’ rinfrancata. Lodare il coraggio con uno Weasley faceva sempre presa, Rose non faceva eccezione. “Comunque continuo a pensare che sia folle quello che state per fare…”
“Sei la voce della ragione.” Le sussurrò all’orecchio, baciandoglielo.  

“Quale ragione… l’abbiamo persa un anno fa.” Borbottò. “Branco di pazzi.”
“Sì, ma siamo anche i buoni. Mi è stato detto che ai buoni va sempre meglio, in proporzione.” Doveva mostrarsi forte e sorridere. Quella storia era pericolosa ed esser cupi non avrebbe soffiato un vento positivo sulla loro spedizione.
È la tua famiglia, rosellina. Ma pare che sia diventata anche la mia.
E la cosa gli dava una strana, forte ebbrezza. Essere parte di qualcosa probabilmente voleva dire quello.
Rose gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Uno di quei baci che si davano ai cavalieri in partenza per la guerra e quindi epici. Si staccò e lo guardo con quegli occhi nocciola che l’avevano fatto cadere fulminato alla decisiva età di quattordici anni. Tutto quello era accaduto, in fondo, perché si era innamorato di Rose Weasley. Annessi e meravigliosi connessi. “Riportali tutti interi, Malfoy.”
Indossò il suo sorriso migliore. “Contaci.”

 
 
****
 
 
Note:

Questo penso sia il capitolo più obeso che abbia mai sfornato. Anf!
Questo detto, come immaginate, ci stiamo avviando allegramente alla fine. Questa la canzone del capitolo. Vi consiglio di guardare anche il testo. Non è deprimente come canzone, ma perché questo capitolo non è deprimente. È di decisioni! ;D

1. Morții mă-tii: Letteralmente, e non sto scherzando, il rumeno per ‘li mortacci tua’. Adoro Radescu. Non potevo esimermi da fare un parallelo con l’altrettanto adorato intercalare romano.
2.Mokessino: da Harry Potter e i Doni della Morte. È un sacchetto tascabile che Hagrid regala ad Harry per il suo diciottesimo compleanno. Ha la particolarità di poter essere aperto solo dal suo possessore.
3.Novij: si pronuncia ‘novìc’ è di origine russa e per ora non diro nient’altro sull’argomento. ;D
4.Nenorocitule: in rumeno, colloquiale per ‘povero diavolo’.

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Capitolo 58
*** Capitolo LV ***


Capitolo LV








Ogni azione, anche la più piccola, apre e chiude una porta.
(Marguerite Yourcenair)
 
 
 
21 Gennaio 2022
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Tre del mattino (ora locale)
 
C’era qualcosa che gocciolava da qualche parte.
Lily lo sentiva ma non voleva alzare la testa per vedere, perché era in un maledetto sotteraneo buio e rendersi conto che non era effettivamente in grado di vedere l’avrebbe solo gettata nel panico.

Più di quanto già non era, beninteso.
Quando aveva ripreso i sensi aveva cercato, a tentoni, di capire dove si trovasse e ora che lo sapeva avrebbe voluto rimanere nell’ignoranza. Era in uno stanzone di pietra, con una grossa porta di legno rinforzato da sbarre di metallo; aveva provato ad aprirla ma sembrava inchiodata.
Perché è qui che tengono i prigionieri.
Stringersi le ginocchia al petto ed affondare il viso nelle pieghe della gonna non serviva a molto; non serviva a niente e non la faceva sentire più calda o più sicura.
Aveva paura. Sentiva il cuore battere impazzito e non aveva idea da quanto fosse in quelle condizioni; non c’erano finestre che potevano mostrarle l’alba, o la notte.
Papà…
C’era solo quella parola nella sua testa. Voleva suo padre perché le sembrava di essere nelle viscere stesse della terra e aveva il terrore che ci sarebbe rimasta per sempre.
Non aveva la minima idea di come fosse arrivata lì. Sapeva solo che aveva oltrepassato uno specchio invece che schiantarcisi contro, poi aveva perso i sensi.  L’unica cosa certa era che era stata rapita da John Doe, il mostro che l’anno prima aveva fatto tanto male a Tom.
Perché io?
Le domande avevano solo il potere di farla sentire ancora più esposta e spaventata. Strizzò gli occhi, sentendo le lacrime pungerle di nuovo le ciglia. Ne lasciò andare un paio.
Sperava che Rose stesse bene; l’aveva vista crollare come un sacco di stracci e non muoversi più dopo che John Doe l’aveva colpita. Pregò e pregò che sua cugina in quel momento fosse al sicuro, sveglia e magari arrabbiata con lei.
Voglio tornare a casa.
Voleva abbracciare Al, voleva chiedergli scusa, perché era stata un idiota e lui aveva avuto ragione; tutta quella storia era orribile e non era affatto come nelle avventure raccontate dai loro genitori.
Soffocò un nuovo singhiozzo.  
Un forte rumore di catenaccio la fece sobbalzare. Sentì poi dei passi scendere lungo delle scale ed avvicinarsi. Alzò la testa e vide un chiarore tenue trapelare dalla feritoia bassa intagliata nella porta, probabilmente usata per passare cibo e acqua senza dover entrare. Si addossò alla parete di pietra, sentendo l’umido bagnarle i vestiti.
John Doe.
Ci fu un rumore di chiavi che venivano spulciate e trovate e poi venne dato un rugginoso colpo alla serratura. La figura di un uomo entrò nella cella e Lily avrebbe voluto essere ingoiata dalle pareti; non le restava che rimanere immobile e respirare il più piano possibile.
Appena gli occhi si furono abituati alla luce, si rese conto che non si trattava di John Doe; anche se altrettanto biondo aveva una corporatura diversa e capelli lunghi e scompigliati, non rasati a zero. Indossava una casacca e pantaloni di stoffa grezza e quelli che sembravano zoccoli. Era giovane, poco più che suo coetaneo.
Il sollievo comunque durò poco; il ragazzo tese la torcia nella sua direzione e Lily notò che reggeva nell’altra mano una pezzuola e una fialetta intrappolata tra medio e indice.
Pozione. Veleno.
Rinculò così forte che sbatté la testa contro il muro mentre il suo carceriere la guardava stupito. Poi le sorrise e quel sorriso, palesemente divertito e beffardo, la mandò su tutte le furie.
“Cosa vuoi?” Lo apostrofò aggressiva sentendosi lo stomaco attorcigliato in una morsa. “Stammi lontano, o …” Tacque di fronte all’evidenza di una bacchetta mancante.
Il biondo non diede segno di aver percepito la minaccia, perché agitò l’ampolla e fece qualche passo. “Mediko.” Disse con un forte accento gutturale. Era tedesco, Sören pronunciava le parole nello stesso modo.
Ren…
Dov’era in quel momento? Sapeva che era stata rapita? Doveva, visto che il padre di Tom lo stava ricattando facendolo lavorare per lui. Sapeva dell’imboscata di John Doe?
No. No, è impossibile. Non poteva saperlo, l’avrebbe fermata.
Mediko.” Ripeté il ragazzo facendo un altro passo in avanti. Sembrava studiare le sue reazioni, il che era stupido; era lei quella disarmata, lui di sicuro la bacchetta la aveva.
Bacchetta…
Anche se non gliela vedeva in mano né addosso. Niente fodere, niente cinture in cui infilarla. Non aveva neppure tasche dei pantaloni.
Dov’è la sua bacchetta?
Si umettò le labbra, vedendo la fiala e la pezzuola di lino che teneva in mano. “Vuoi… vuoi curarmi?” Decifrò confusa. Non era ferita, quindi doveva essere una scusa. “Non sono ferita, stammi lontano!”
Il tipo aggrottò le sopracciglia. Era chiaro non capisse una parola di quel che gli diceva. Scosse la testa e si inginocchiò alla sua altezza, indicandole le gambe. Solo allora Lily notò di avere una caviglia gonfia ed escoriata. Doveva essersi fatta male quando era atterrata dall’altra parte. L’adrenalina e il fatto di esser seduta le stava semplicemente attutendo il dolore.
“Oh… non… non me n’ero accorta.” Ammise, lanciandogli un’ennesima occhiata.
Perché curarmi? Vuol dire che non vogliono uccidermi? Che vuol dire?
Le domande e la paura le facevano girare la testa, ma doveva mantenersi lucida. Buio o meno, il tempo continuava a scorrere e altre cose stavano accadendo.
Le venne porta pezzuola e pozione. “Tu.” Disse e gliele tese testardo finché non le accettò. “Mediko.”
“Sì, ho capito!” Esclamò spazientita. Versò il liquido leggermente vischioso sulla pezzuola e lo annusò. Non aveva un cattivo odore; sapeva di erbe e aveva  l’odore pungente dell’alcool. La appoggiò e fece una smorfia. Bruciava come l’inferno. Se la tolse subito. “Ma che diavolo è?!”
Il ragazzo emise un sorrisetto. “Babbano. Alkohol.” Si strinse nelle spalle. “ Sehr Gut?
Gut un accidente. Fa male! Perché mi state curando con i rimedi babbani?!” Essere arrabbiati scacciava la paura. Più o meno.
Il tipo ghignò, sembrando estremamente divertito dalla sua esclamazione. “Keine Magie, fraülein. Nein.” Si strinse nelle spalle.
Lily capì: mesi passati con Sören le avevano insegnato per osmosi qualche parola.
Niente magia? Ma allora…
Realizzò di trovarsi di fronte ad un Magonò. La sorpresa fu tale che rimise la pezzuola sulla caviglia e si scordò di urlare. Si fissarono per qualche attimo in silenzio, poi il ragazzo si alzò in piedi spazzolandosi svogliato i pantaloni che ad un’occhiata più approfondita mostravano più rammendi che cuciture e le fece cenno di alzarsi.
Non usano elfi domestici usano… esseri umani.
Obbedì confusa. La caviglia gli diede una fitta fastidiosa ma resse il colpo. “Dove… dove andiamo?” Le venne indicato il soffitto, quindi forse i piani superiori. Il magonò dovette notare il suo rapido impallidire perché tentò un sorriso. “Nein. Calma, calma.” Si toccò le labbra. “Parlare.”
Non le avrebbero fatto male, era questo il succo dello zoppicante discorso. Inspirò ed annuì, e solo allora il magonò aprì la cella e la condusse fuori. Gli fu grata di aver aspettato e di non averla tirata fuori a forza. “Sono… mi chiamo Lily.”
Il ragazzo batté le palpebre sorpreso da quella presentazione; lo era anche lei, ma la paura faceva fare cose stupide, incluso cercare uno sguardo gentile in mezzo all’orrore. “Milo.” Le fu risposto.
“Allora… grazie per la medicazione Milo.” La caviglia le faceva male, ma era in grado di camminare piuttosto agevolmente. Forse non era del tutto un rimedio babbano; sapeva che i Maghinò avevano pozioni tarate per la loro mancanza di magia o cose del genere. 
Milo aggrottò le sopracciglia. Non riuscì a capire se avesse compreso le sue intenzioni perché si limitò a spingerla leggermente; non le restò che salire assieme a lui.
 
Era un vero e proprio palazzo, lo scoprì salendo scale che da pietra scivolosa diventarono legno ben costruito. Non poteva capire però quanto e come fosse sfarzoso perché era completamente immerso nel buio; doveva ancora essere notte.
Quante ore sono passate? Era appena mezzanotte quando Poliakoff… no, John Doe mi ha chiamato.
Era impensabile e spaventoso pensare che aveva risposto alla chiamata di un assassino. Inspirò bruscamente e non poté neanche pensare di rallentare o fermarsi che la mano del Magonò la spinse subito in avanti. “Sì, mi sto muovendo!” Sbottò nervosa. Parlare ad alta voce in quel posto era strano. Era come urlare dentro un cimitero, inappropriato. Tacque.
Passarono un corridoio pieno di armature e arazzi alti il doppio di lei che raffiguravano velieri e battaglie navali in modo così dettagliato da sembrare veri, quasi si stesse affacciando sulla scena. Buio o meno, quel poco che vedeva grazie alla torcia rendeva davvero ricco il padre di Tom.  
“Dove mi stai portando?” Chiese e ovviamente non ebbe risposta alcuna.
Se fosse stata Al, o Thomas, sicuramente si sarebbe fatta venire qualche idea geniale, avrebbe trovato il modo di scappare e chiamare aiuto, ma non era loro e non lo sarebbe mai stata.
Sono solo… io.
E il suo cervello era bianco dal panico.
Arrivarono di fronte ad una porta in quercia, non grande abbastanza da essere un ingresso, ma sufficiente per nascondere una stanza importante. Una sala da pranzo o forse un ufficio; non era ferrata in Magi-Architettura. Milo bussò con forza e la porta si schiuse con un sonoro rumore di ferro. Poi la guardò. Doveva entrare.
No, no… no, no, no!
La sua espressione dovette essere indicativa perché l’altro la prese per un braccio e la spinse dentro. 
Lily precipitò di nuovo nell’oscurità totale e sentì il cuore schizzarle in gola; voleva la torcia, voleva il sole. Cercò di gettarsi contro la porta, ma la trovò chiusa; il Magonò doveva essersela tirata dietro senza possibilità di riaprirla.
Dopo qualche attimo notò che c’era un fuoco acceso in fondo alla stanza, anche se erano solo braci. Non le importava se era una trappola, ci si diresse senza indugio. Raggiunse e si accostò al camino e tese le mani al poco calore che ancora emanava. Passarono minuti, o forse ore; il suo senso del tempo, nel buio, era completamente confuso, sballato. Il cuore accelerava e decelerava a suo piacimento. Sentiva freddo, e poi caldo. Non era mai stata così spaventata.
Cosa ci faccio qui?
Aveva bisogno di risposte, ma la sola idea di chiederle al padre di Tom o a John Doe le ghiacciava il sangue nelle vene.
Presa da quei foschi pensieri notò in ritardo che la stanza si stava gradualmente illuminando; si guardò attorno e notò prima una scrivania accanto a sé, e poi qualcuno seduto dietro. Il padre di Tom.
Rimase bloccata come un cervo di fronte ai fari di un camion babbano, senza sapere cosa dire o fare.
Cosa…
L’uomo era lo stesso che aveva visto nei ricordi di Ren; sulla cinquantina, dai lineamenti sottili e gli stessi occhi di Tom. Indossava vesti sontuose e decisamente da Purosangue.  
“Vuole che ravvivi il fuoco?” La domanda fu così inaspettata che Lily non riuscì ad aprire bocca. “Sembra infreddolita.” Era disagiante sentirlo parlare, perché aveva la stessa cadenza apatica di Tom, mischiata però all’inglese che Sören parlava all’inizio della loro frequentazione; un inglese appreso nei libri, vecchio, quasi di un’altra epoca.
“Io… no.” Mormorò recuperando la voce. “No, sto bene.”
“Si sieda dunque.” Fece un cenno della mano e una delle due sedie davanti alla scrivania venne scostata. Lily capì che non c’era modo di rifiutare l’offerta, così obbedì. “Gradirà qualcosa da bere.” Aggiunse e un bicchiere colmo di un liquido ambrato apparve di fronte a lei.
La legge di Gamp… No, deve averlo materializzato dalle cucine già riempito.
Anche in quelle situazioni riusciva a pensare a cose totalmente idiote.
“Beva.” Lily stavolta non obbedì. Era terrorizzata, ma non stupida; le era stato insegnato che nel Mondo Magico non andava mai bevuto o mangiato nulla di cui non si conosceva la provenienza. Non avrebbe rotto quell’insegnamento nemmeno sotto tortura.
L’uomo dovette indovinare i suoi pensieri perché tra la barba castana e curata apparve un lieve sorriso. “Non è avvelenato, né corretto. È solo Whiskey incendiario, uno dei vostri.” Spiegò. “Se avessi voluto drogarla l’avrei già fatto.” Soggiunse con tono leggero.
Lily aveva freddo e quel bicchiere prometteva calore immediato, quindi lo afferrò e mandò giù.  Il liquore le bruciò la gola, ma le fece anche tornare colore sul viso e fermezza nelle gambe. Strizzò gli occhi e riprese a respirare.
Era chiaro che non l’avrebbero uccisa, non subito. Era stata curata e portata nell’ufficio personale del padre di Tom. Forse voleva interrogarla.
Ma a proposito di cosa? Io non so niente!
“Mi chiamo Alberich Von Hohenheim. Sa chi sono?” L’interrogatorio era già iniziato dunque. Quella domanda però era facile.
“Il padre naturale di Tom. La persona che l’anno scorso gli ha quasi fatto uccidere mio fratello e mio padre.” Non avrebbe pianto, non avrebbe implorato di essere liberata. Sarebbe stato stupido, sterile, da bambina spaventata. Era spaventata, ma sarebbe morta piuttosto che mostrarlo.
Sono una Potter. E tu sei un fottuto, malato mostro.
Il mago inarcò appena le sopracciglia, ma non commentò l’ultima frase. “Vedo che possiamo saltare i convenevoli. Me ne rallegro.” Era pallido, Lily lo notò in quel momento. Dietro l’aspetto curato c’erano occhiaie e un pallore livido che gli scavava le guance e rendeva più acuti gli occhi.
Quest’uomo è malato…
Non aveva bisogno di togliersi l’orecchino per capirlo. Ogni singola fibra di quell’uomo gridava poca salute.
Vuol dire qualcosa? C’entra qualcosa con la sua ossessione per Tom?
“Lily Luna Potter.” Disse strappandola dalle sue riflessioni. “Ultimogenita del famoso Harry Potter, studentessa della Casa di Grifondoro e Legimante Naturale.” Fece un secondo sorriso – neppure stavolta si estese agli occhi – alla sua espressione sbigottita. “Sì, so della sua piccola particolarità e so anche dell’orecchino di controllo. Vorrei se lo togliesse.”
“Perché?” Non aveva il minimo senso; se sapeva che ne aveva uno, sapeva anche che il portarlo per anni aveva compromesso irrimediabilmente le sue capacità. “Non …”
“Devo chiamare qualcuno che esegua la mia richiesta al posto suo?” Lily pensò a John Doe e non aspettò una seconda minaccia per toglierselo.

Arrivò immediatamente. Fu come sentirsi soffocare. La vista le si offuscò e quello che provò fu rabbia, frustrazione e un dolore così accecante che non perse i sensi solo perché non era suo.
Quando riprese coscienza si accorse di essere quasi caduta dalla sedia.
“Notevole… una LeNa sopita percepisce tutto questo.” La voce di Von Hohenheim sembrava provenire da molto lontano. Ci mise più di qualche attimo per sentirla vicino a sé come avrebbe dovuto. “Non dev’essere per il suo sangue Peverell.”
“Peverell…” Ricordava qualche lontana parentela con quel cognome. Inspirò, notando che in pochi attimi si era coperta di sudore freddo, malsano. Si raddrizzò sulla sedia e trovò subito pronto un secondo bicchiere. Stavolta lo bevve senza fiatare. “… Che c’entrano i Peverell?”
“Solo una considerazione.” Stornò quasi con gentilezza. “Si sente meglio?”
“Cosa… cos’era quello?” Non ebbe risposta, ma lo indovinò. Era ciò che provava il mago di fronte a lei. Il che non aveva senso, ma era spaventoso comunque.
Niente ha senso qui dentro. La mia presenza, questa conversazione, quello che mi ha lasciato vedere di lui…
Che sta succedendo?
“Cosa ci faccio io qui?” Riprese coraggio. Che vantaggio poteva avere nel rapirla? Non era come se potesse usarla per fare alcunché.
“Attende, come me.” Le fu risposto. “Ho necessità di parlare con mio figlio… e temo che questo sia l’unico modo per avere una conversazione con lui.”
È pazzo!
Serrò le labbra. “Tom non verrà qui per salvare me! Lo faranno gli Auror! Mio padre non lascerà che si prenda questa responsabilità!”

L’uomo fece un gesto infastidito, quasi volesse scacciare una mosca molesta. “Non ci sarà tempo per decidere.” Prese la pipa da una scatola istoriata vicino a sé e cominciò a caricarla. “Mi è stato fatto notare che gli affetti sono qualcosa di potente, capace di creare legami e doveri, Signorina Potter.” Cambiò discorso. “Mio figlio verrà qui per salvarla, esattamente come lei è qui perché ha tentato di salvare Sören.”
Ren?
Il mago inarcò appena le sopracciglia e non ci fu bisogno di parole; Lily capì che sapeva. Sapeva di loro due. “Non sono finita qui, sono stata rapita!” Sbottò. “Dov’è Ren?” Chiese e le venne restituito uno sguardo indecifrabile. “Che gli avete fatto?!”   
“Non certo quello che pensa.” Accese la pipa e tirò qualche breve boccata. Lily si accorse con stupore che conosceva l’odore di quel tabacco. Era lo stesso che fumava il suo amico; troppe volte l’aveva ripreso per quell’abitudine malsana e puzzolente per non ricordarselo. “Sören gode di ottima salute e della mia incondizionata gratitudine.”
“Per cosa? Per averle permesso di usarlo come un burattino e di spaventarlo a morte?!” Non le importava di essere disarmata, né di trovarsi di fronte ad uno stregone capace di trasformarla in un mucchietto di cenere. Ricordava la paura che aveva letto negli occhi dell’amico, il modo in cui l’aveva stretta e il terrore che aveva letto quella volta nel bagno delle ragazze. Non l’avrebbe scordato mai. “Lei è un mostro!”

Senza orecchino Lily sentiva che Von Hohenheim era divertito dalla sua rabbia e solo un po’ infastidito, come lo sarebbe stato di fronte ad un insetto molesto.
Avrebbe voluto ucciderlo, e realizzare che era un anelito ridicolo era ancora più frustrante
“Credo che ci sia un fraintendimento di fondo … Lei predica l’innocenza di una persona che non lo è.”
“Sören è innocente!”
Il mago fece un sospiro. “È dunque quello di cui si è convinta… Non pensa che sia stato questo a farla finire qui?”
“Siete stati lei e John Doe a farmi finire qui!” Qualsiasi cosa stava tentando di fare o di convincerla a pensare non ci sarebbe cascata. Mai. “Mi avete rapita!”
“Semantica.” Ora era solo divertito. “Nega forse il suo desiderio di salvare Sören? Nega forse di aver ignorato le raccomandazioni dei suoi amici, della sua famiglia e di aver infranto regole e buonsenso per seguirlo?”
Lily esitò. Quello non poteva certo negarlo, era la verità. “Lei non mi sembra una ragazza sciocca.” Considerò. “Immagino quindi che sapesse di correre dei rischi quando ha deciso di acconsentire al piano di Kirill Poliakoff.”
“S… sì.” Mormorò. Forse Sören si trovava nel castello in quel momento. Oppure era ancora a Durmstrang? A quell’ora aveva sicuramente saputo del suo rapimento.
O lo sapeva già? Sapeva che sarei stata rapita? Sapeva di John Doe?
Un attimo prima sarebbe stata pronta a giurare che ne era all’oscuro, ma realizzò che non ne era più capace.
Lo sa? Se lo sa perché non l’ha fermato? È mio amico, avrebbe dovuto.
“Voleva evitargli il carcere. Ammirevole, non c’è dubbio.” Era quello che gli aveva detto Poliakoff… no, Doe. Evitaci il carcere. Non era vero, dunque. Era stata un’idea di Von Hohenheim dirle quelle cose, farle credere che avevano bisogno della protezione di suo padre e del Ministero inglese?
“Sono le scelte che ha preso che l’hanno portata a parlare con me, adesso. È forse un ragionamento scorretto?”
Lily distolse lo sguardo e lo fissò sulle mani; aveva le dita aggrappate alla gonna, talmente strette da avere le nocche bianche. Adesso capiva come Tom era quasi riuscito a perdere se stesso l’anno prima. Von Hohenheim non stava tentando di convincerla, semplicemente attestava. Era arrivato al cuore delle sue incertezze come un Guaritore avrebbe fatto con un paziente e lì aveva cominciato ad operare.
“Mi … mi avete fatto prendere quelle scelte!” Sbottò e nel momento stesso in cui lo disse realizzò che era vero.
Io… io non ho scelto niente. Sono qui perché sapevano che non avrei detto di no a Poliakoff.
Era lei l’anello debole della catena. Non Thomas, non Albus o gli altri. Era lì perché era l’unica che avrebbe potuto cadere nella trappola del mago di fronte a sé.
Per salvare Ren… 
“Se vuoi aiutare … devi anche trovare qualcuno che voglia essere aiutato, Lils.”
Aveva sempre supposto che Sören fosse una pedina riluttante, perché quello urlava il suo atteggiamento e la sua sofferenza.
Pensando questo si era dimenticata ciò che sapeva da quando aveva scoperto di essere una LeNa.
Le persone mentono.
“In tutta onestà, quando ho chiesto a Sören di avvicinarsi a lei non avrei sperato in un risultato così soddisfacente…”
“… Cosa?” Aveva captato solo la fine della frase, ma ricostruirla fu semplice. Come semplice fu capirne il sottotesto. “Sören è il mio amico di piuma! Lo è da anni, lo conosco da anni! Non mi ha avvicinato, ci conoscevamo già!”
Le persone mentono, Lily. Lo sai, lo sai perché l’hai visto, l’hai letto nei loro sorrisi, nelle loro smorfie, nei loro occhi. Ci sono vari gradi di bugie. Bugie innocue, bugie sciocche, bugie palesi, bugie impossibili da scovare, bugie tremende. Le persone mentono.
Tutte.
“Lei conosce due Sören. Il suo amico di piuma è il primo… e non è la stessa persona di cui stiamo parlando adesso.” Non aveva senso, non aveva il minimo senso quello che usciva dalla bocca di quell’uomo disgustoso. Ne era certa. Voleva solo farla confondere per poi chiederle chissà cosa. O chissà, forse per divertimento.
Le persone mentono.
Alzarsi e liberarsi dalla comodità della poltrona fu tutt’uno. L’uomo osservò quel movimento senza particolari reazioni. Forse l’aveva previsto, come aveva previsto tutto il resto.
“Sarò più chiaro.” Tirò l’ennesima boccata del tabacco di Sören. “È stata avvicinata sotto mio ordine. Il Sören di cui stiamo parlando è il suo corrispondente sono due persone diverse. Uno è uno sfortunato ragazzo di cui non credo avrà più notizie… e l’altro, è mio fedele servo e nipote.”
Nipote…
“Sta mentendo!” Aggrapparsi a tutto, anche all’impossibile. Forse, era stupido, forse era idiota, ma Ren esisteva. Il suo dolce, e impacciato Ren che l’aveva ascoltata, fatta ballare, aiutata… salvata. Che l’aveva abbracciata su quella stupida scogliera come se fosse la cosa più importante del mondo.
Esiste. Ren esiste… Non mi ha mentito. Non può avermi mentito per tutto questo tempo per fare del male a Tom. Per fare del male a me.
“Forse ha bisogno di una prova, lo capisco…” Nessuna comprensione. Nessuna empatia. Lily se ne intendeva di empatia abbastanza per non vederla riflessa nel volto dell’uomo. “Perché non si volta?” Voltarsi? E per cosa?
Lo fece. Non volle averlo fatto.
Non volle perché si accorse che si era voltata per vedere un quadro. Un quadro di quelli che i purosangue si facevano fare per appenderli, silenti e giudicanti, nelle loro case. Un quadro che raffigurava Alberich Von Hohenheim…
E Sören.
Nessun dubbio su quello; occhi neri, capelli lunghi e corvini, vestito come un Purosangue. Sören.
Sören era nello stesso ritratto con un assassino, con il folle padre di Tom perché era suo nipote.
A Lily venne da vomitare.  
“Come ho detto… l’affetto crea legami, doveri. Dipendenza. Risultati inaspettati, anche.” La voce continuava a parlare, ma Lily aveva smesso di ascoltarla, sentirla, analizzarla. “La devo ringraziare, Signorina. Ora so se riporre fiducia in mio nipote e rivedrò mio figlio.” Fece una breve pausa. “Mi sembrava corretto farle avere i miei ringraziamenti di persona.”
Lily non disse niente. Dopo qualche attimo, o forse secolo, si sentì prendere per un braccio con la stessa delicatezza di prima. Era il ragazzo Magonò; com’era entrato? Non aveva importanza, comunque.
Fu riportata indietro, nella sua cella, ma non protestò una sola volta.

 
 
****
 
Inghilterra, Londra. Ministero della Magia
Undici del mattino (ora locale)

 
Avevano portato il giovane Luzhin con loro, dato che il ragazzo non poteva rimanere con le autorità indiane, né aveva espresso il desiderio di tornare immediatamente a casa. Doveva essere ancora ufficialmente dimesso, quindi era stato portato al San Mungo e lì lasciato alle cure dei Medimaghi e Guaritori.
Harry era così tornato al Ministero. “Dobbiamo far spiccare un mandato di cattura per Sören Novij … sempre che sia questo il nome.” Soggiunse; ormai l’unica certezza che avevano era che il ragazzo che per mesi era stato una spina nel fianco lo era davvero.
Il nipote di Alberich Von Hohenheim. Il cugino di Tom. Stesso sangue di Tom e di suo padre…
Dannazione.
“Novij è un cognome di origine russa.” Osservò Nora affiancandoglisi lungo il grande atrio, a quell’ora già gremito di maghi e funzionari di svariato genere e taglia. “I Von Hohenheim hanno connessioni con la nobiltà magica di quel paese tramite matrimonio … credo.” Fece una smorfia. “Dovrei consultare il mio archivio per esserne sicura.”
“Se chiedete a me, non sembrava russo. Aveva un accento tedesco, no? E poi quella storia che era imparentato con i Prince?” Replicò Ron. “Allora era vero che era una montatura!”
“Non ne sono convinto.” Replicò Harry, ignorando l’occhiata esasperata del compagno. “Può essere un cognome presente nella famiglia ma non suo. Von Hohenheim non avrebbe mai usato il suo cognome per iscrivere suo nipote, Ron. Avrebbe attirato attenzioni non desiderate.”

“Questo è vero…” Ammise l’altro guardando l’orologio da taschino. “Diamine, con questi fusi-orari del diavolo non si capisce nulla! Siamo partiti dopopranzo e qui è quasi ora del brunch! Non so neppure se ho voglia di dolce o di salato!”
“Può dar fastidio, vero?” Sospirò compartecipe Nora, dandogli una pacca sulla spalla. “Ti rimetterai in sesto entro stasera, non preoccuparti.”
Harry fece loro un breve sorriso. Era preoccupato. Aveva tentato di contattare la moglie per sapere se poteva andare a prendere Lily, che sarebbe dovuta tornare quella sera stessa con la Passaporta per Inverness. Non c’era riuscito. Né con lo specchio magico – la distanza di ben due continenti non aveva reso possibile la chiamata – né con il fuoco portatile, dato che non l’aveva trovata al camino del suo ufficio alla Gazzetta del Profeta.

Sarà fuori per un’intervista, forse.
Quando varcò l’ufficio auror fu quasi placcato dalla sua segretaria. La povera ragazza aveva l’acconciatura fuori posto e gli occhiali di traverso e, in generale, l’aria di chi aveva fatto uno scatto da centometrista per andargli incontro. “Signor Potter!” Ansimò. “Sua moglie l’aspetta nel suo ufficio… e anche la sua, Caposquadra Weasley.” Aggiunse a beneficio di Ron che la squadrò perplesso. Poi abbassò il tono di voce e si guardò attorno quasi avesse paura di parlare ad alta voce. “… e c’è anche Lord Malfoy.”
Harry si scambiò un’occhiata gemella di puro stupore con l’amico d’infanzia.

Malfoy, Hermione e Ginny? Assieme? Che diamine sta succedendo?
Le domande era troppe, ed era meglio perciò tagliar corto. “Grazie Grace. Fa’ strada.” Le ordinò spiccio, facendo cenno ai propri auror – che fingevano malamente di non essersi assiepati attorno a lui per carpire qualche scampolo di conversazione – di tornare al lavoro.
Ron gli si affiancò. “Harry, solo io trovo assurdo…” Iniziò, ma lo fece tacere con un cenno della mano. Non lo trovava assurdo, lo trovava preoccupante. Sua moglie non si sarebbe mai assentata dal lavoro se non per motivi gravi, e lo stesso valeva per Hermione le cui udienze si svolgevano soprattutto di mattina.
Senza contare Malfoy. Non si allontanerebbe dal suo Dipartimento per venire nel mio neppure per tutti i galeoni del mondo.
Quando aprì la porta dopo aver congedato Grace, si trovò di fronte proprio ciò che aveva temuto; Ginny era seduta di fronte alla scrivania, con un fazzoletto stretto in pugno e gli occhi rossi. Hermione stava letteralmente scavando un selciato nel suo tappeto e Malfoy era appoggiato alla libreria come un avvoltoio o un attaccapanni molto lugubre. Si voltarono tutti verso di lui e per un momento Harry ebbe l’orrendo deja-vu di trovarsi di nuovo nella stanza della Necessità con tutta la resistenza di Hogwarts che aspettava di sentirlo parlare.
“Che sta succedendo?” Tagliò corto.
“Non… non hai ricevuto nessun Gufo?” Chiese sua moglie con uno strano tono esitante. Era raro che Ginny si facesse sopraffare dalle emozioni. Rarissimo e per questo spaventoso.
“No, quando me l’avete mandato?” Scosse la testa. “Lasciate perdere, con il fuso orario continentale è un vero inferno. Cos’è successo?” Ripeté.
“Tua figlia, Potter.” Si scollò dal palato Draco, ignorando la selva di occhiatacce che lo investì. Stranamente il tono beffardo che lo contraddistingueva non c’era. Lily non aveva combinato qualche guaio. Lily era in qualche guaio, e persino l’istinto paterno di Malfoy era stato attivato.
“Cos’è successo a Lily? Sta bene?” Esplose Ron con aria preoccupata.
“Lily è stata rapita.” Mormorò Hermione, ma ebbe l’effetto di risuonare come un incantesimo esplosivo. “Ieri notte… Harry.” Disse eliminando la distanza tra di loro in pochi passi e stringendogli un braccio. “Harry, noi…” E rimase completamente senza parole.
Sembrava un mondo alla rovescio, pensò sentendosi stordito come se gli avessero tirato uno schiaffo. Ginny piangeva, Malfoy non faceva il bastardo e Hermione rimaneva senza parole. 
Come un automa si sedette dietro la scrivania, notando che gli altri sembravano stupiti dal suo contegno. Come poteva dire loro che l’automatismo di essere il capo dell’ufficio auror era l’unica cosa a cui potesse rimanere ancorato per mantenersi lucido?
“Spiegate.” Disse scegliendo con cura la parola ed infischiandosene del tono basso che fece impallidire Hermione e quasi scattare sull’attenti Malfoy.
“Ieri notte Lily è scappata dal suo dormitorio per incontrare l’assistente di Luzhin. Forse per parlargli, forse per farsi portare dal ragazzo.” Iniziò Hermione. Toccava sempre ad Hermione gestire ed esporre le patate bollenti. “Rose l’ha seguita di nascosto per tentare di riportarla indietro, ma l’assistente… è risultato essere in realtà John Doe. È stato lui a rapirla.”
“Ma è morto!” Esclamò Ron incredulo. Non tentò di perorare ulteriormente quell’idea però, perché soffocò un imprecazione subito dopo. “Dannazione, affogato in mare … era troppo semplice!” Poi si bloccò. “Rosie?” Gli uscì e Harry non lo biasimò per quell’attacco di egoismo paterno.

“Rose è stata schiantata.” All’espressione del marito si affrettò a rassicurarlo. “Sta bene, Ron. È stata lei a chiamarci con la professoressa McGrannitt e a raccontarci tutto. Un ragazzo l’ha trovata e portata in infermeria per fortuna.”
“Perché Lily?” Ginny aveva la voce roca ma manteneva una fermezza invidiabile, che gliel’aveva fatta amare da quando erano ragazzi. Non avrebbe mai dovuto rassicurare Ginny Weasley o preoccuparsi delle sue lacrime, questo aveva pensato. Ed era un sollievo enorme anche in quel momento.
“È una leva.” Rispose inaspettatamente Malfoy. “Ha creato una connessione con quel supposto Campione di Durmstrang … ha fatto in modo che vostra figlia si fidasse di lui e, evidentemente, del suo assistente. L’ha resa un perfetto target proprio perché improbabile.”
Harry non disse nulla, mentre gli altri snocciolavano congetture, chi schierandosi dalla parte di Malfoy chi, come Ron, negando per principio. Vennero anche tirati in ballo le loro scoperte in India, compresa la reale identità del Campione di Durmstrang. Le reazioni non si fecero attendere, ma Harry le lasciò gestire a Ron. Malfoy aveva ragione; Lily era una leva e lo era per Tom. Conosceva abbastanza il suo figlioccio da sapere che in quel momenti si stava dando tutta la colpa di quel che era successo.
Tom gli aveva detto che era sicuro di capire la mente di suo padre; ma era evidente che la cosa fosse vicendevole.
Anche Von Hohenheim ha capito come ragiona Tom.
“Nora.” La sua voce fece quietare la discussione di colpo come se avesse sparato un incantesimo in aria. L’agente americano guardò verso di lui, in silenziosa attesa. Non aveva emesso una parola per tutta la durata della scena. “Voglio che tu mi dica esattamente quante e dove sono ubicate le residenze di Alberich Von Hohenheim. So che avete questo genere di informazioni…” Non lo sapeva, ma poteva indovinarlo da come l’americana tradì sorpresa. “L’avranno portata in una di esse.”
“Come puoi esserne sicuro?” Replicò Hermione confusa. “John Doe l’anno scorso nascose Tom in una caverna nella foresta di Hogwarts.”
“Von Hohenheim non si fida più di nessuno. Nora, me l’hai detto tu che ha tagliato fuori la sua stessa organizzazione.” Si rivolse alla creola, che annuì. “Ha bisogno di un posto sicuro, che conosce e in cui può difendersi… Avrà dei mercemaghi al suo servizio, probabilmente gli stessi che hanno ucciso i Luzhin.” Ignorò le espressioni di amiche e mogli. “Poi, che messaggio ha lasciato? Avrà voluto mettersi in contatto. Lily non è l’obbiettivo, è Thomas.”

Sapeva che avrebbe dovuto mostrarsi più emotivo. Forse rovesciare la sedia e pretendere di precipitarsi a casa di quel lurido figlio di puttana avrebbe aiutato, ma non era così che avrebbe salvato la sua bambina.
Morirai. Non mi basta vederti in prigione, voglio vederti morto.
Lily aveva solo quindici anni ed era una ragazzina spensierata. Avrebbe dovuto annoiarsi a lezione, non essere nelle mani di un mago psicotico che perseguitava un povero ragazzo la cui unica colpa era avere il suo stesso sangue.
Hermione si scambiò un’occhiata con Ginny, poi parlò. “È questo il punto… John Doe ha lasciato una Passaporta. Ha incantato l’orologio da polso di Rose per attivarsi ad una certa ora e probabilmente portare chi lo indossa o tocca da Von Hohenheim.”
“Dov’è quest’orologio adesso?”

Ci fu un lungo, scomodo silenzio. Ginny strinse il fazzoletto tra le dita e Hermione serrò le labbra come quando si trovava di fronte un membro del Wizengamot particolarmente tenace nel contro-interrogatorio. “Ce l’hanno i ragazzi…” Si risolse a dire infine, e Harry davvero, non capì.
“In che senso Herm?” Chiese Ron con lo stesso stupore dipinto nello sguardo. “Non l’ha presa in consegna Ted, o chessò, la McGrannit? Persino le loro autorità di lì avranno fatto domande, gliel’avranno mostrata!”
“Per quanto ci ha detto Minerva no, non sono ancora arrivati agenti a Durmstrang. Le indagini stanno andando a rilento, anche perché là sta nevicando e i trasporti sono bloccati.”
“I ragazzi sono andati a salvare Lily.” Era Ginny e ormai aveva recuperato del tutto la sua solita, pratica fermezza. Anche gli occhi erano asciutti ed Harry ci mise più di qualche secondo a processare cosa gli aveva veramente detto.
“Anche mio figlio.” Soggiunse Malfoy e fu chiaro di colpo perché fosse lì ed avesse quell’espressione austera e priva di arroganza, ma piuttosto pallida e grigiastra come ai tempi di Voldemort. Era terrorizzato.  
“Hanno fatto… cosa?” Ron era persino più pallido se possibile, prima di avvampare di colpo, come nei suoi migliori momenti di rabbia. “La McGrannitt è impazzita?! E Ted, Ted si è bevuto il cervello?! Hanno la Passaporta e l’hanno attivata?!”
“Urlare come un ossesso non cambierà la situazione, Weasley. I vostri figli e il mio sono andati a recuperare la ragazzina. L’abbiamo saputo quando il danno era già stato fatto, all’incirca non più di mezz’ora fa. La Passaporta è stata attivata.” Sbottò Malfoy serrando le dita sulle braccia specialmente dove una volta era il marchio. Harry aveva sentito dire che nei momenti di stress emotivo alcuni ex-mangiamorte percepivano ancora dolore all’avambraccio, come una vecchia ferita quando cambiava il tempo.
Doveva essere quello il caso.
“Teddy è con loro…” Tentò Hermione, ma fu messa a tacere da una sua occhiata. Non ci volle però che qualche secondo perché si riprendesse. La sua vecchia amica non avrebbe mai smesso di parlare per una semplice occhiataccia. “… Harry, per quanto sia letteralmente fuori di me dalla rabbia, e per quanto voglia appendere ognuno di loro, singolarmente, per i piedi c’era un conto alla rovescia.” Spiegò con la stessa calma con cui probabilmente convinceva che i suoi assistiti erano maghi dabbene e pilastri della comunità. A ragione, peraltro. “La Passaporta si sarebbe attivata una sola volta. È terribile, ma …”
“Sono maggiorenni, e noi abbiamo fatto ben di peggio.” Concluse per lei senza battere ciglio. “Lo so.” Era da quando avevano messo in campo la Passaporta che aveva capito che Al, Tom e gli altri non sarebbero rimasti ad aspettarli.
Tom e Albus non l’hanno fatto l’anno scorso. Perché avere buonsenso adesso?
C’era una certa ironia nella calma che si sentiva addosso ora che aveva appreso la notizia principale; forse non erano molti gli adulti che ricordavano le gesta idiote fatte da adolescenti. Lui sì.
Ancora peggio, le ho esaltate di fronte ai ragazzi.
Sarebbe stato ipocrita aspettarsi ubbidienza e buonsenso dal sangue del suo sangue.
E sarei un pessimo padre e padrino a non punirli fino ai settant’anni quando tutto sarà finito.
“Chi altro c’è con loro?”
“Dominique e Scorpius.” Disse sua moglie. “E Teddy, ovviamente.”
“L’unica persona che ha un addestramento auror… Credo che andrò a vomitare.” Sussurrò a denti stretti Ron. “Che diavolo è saltato in mente a quei bambini?”
“Più o meno le stesse cose che pensavamo noi alla loro età.” Replicò ignorando l’occhiata incredula di Ron. “Lily è la sorella di Al, la cugina di Tom e Dominique ed è amica di Scorpius… Von Hohenheim contava su questo. Sull’affetto, sulla paura. Sul tempo.”
C’era un fuoco che si sentiva bruciare nel petto. Erano anni, decenni che non lo sentiva deflagrare fino a bruciarlo. Solo Voldemort aveva avuto quel potere su di lui; a distanza di anni era tornato, ma stavolta la bacchetta non era puntata verso di lui, ma verso Thomas, Lily, Albus, Ted, Dominique e Scorpius.
Quel fuoco divampava.
“Vuole Tom, e non gli importa di prendere tutto il pacchetto…” Mormorò Hermione. “Non ha contato che sarebbero venuti anche gli altri?”
“Credo, come hai detto tu, che non gli interessi.” Si tolse gli occhiali e li pulì con cura prima di indossarli di nuovo. Spesso gesti insignificanti davano più presa sulla realtà di mille parole. “Come l’anno scorso ha sbagliato a considerare Tom solo, malleabile… sbaglierà anche stavolta. I ragazzi non sono soli.”
“Sì, certo, hanno noi!” Esclamò Ron alzandosi sulla sedia. “Ma come facciamo a raggiungerli se la Passaporta è già stata attivata?”

“Come ho detto a Nora, ci serve l’ubicazione di tutte le residenze dei Von Hohenheim.”
“Molte saranno Intracciabili.” Osservò Malfoy aggrottando le sopracciglia. “Tutti i Purosangue le rendono tali, è una prassi consolidata nei secoli, Potter… non esiste magione purosangue che sia alla luce del sole.”
“Non è del tutto corretto.” Intervenne Nora mentre stava scrivendo concentrata qualcosa sul taccuino, che aveva l’aria di essere una lettera da spedire tramite Fuoco Magico.
L’uomo inarcò le sopracciglia. “Prego?”
“Malfoy Manor, due miglia a Nord di Stonehenge, Wiltshire, Inghilterra. Se vuole ho coordinate più accurate.” Sorrise all’aria sgomenta di questo. “Ma credo voglia terminare questa conversazione qui.”  

“Una di esse sarà dove hanno portato Lily e dove sono stati materializzati i ragazzi.” Spiegò Harry a beneficio degli amici e della moglie. Nora del resto aveva già capito e sposato la sua linea di pensiero.
Penso che, più di me, non veda l’ora di puntare la bacchetta alla trachea di Von Hohenheim.
Non era certo che le avrebbe lasciato questo onore.
“E come facciamo a sapere qual è quella giusta?” Osservò Ron. “Ne avrà molte, non possiamo perquisirle tutte finché non troviamo quella giusta!”
Harry osservò con attenzione le proprie dita tamburellare sul legno della scrivania. Notò che anche la moglie faceva lo stesso sul bracciolo della poltrona e le sorrise, oltre la preoccupazione e la furia silenziosa che gli scorreva nelle vene. Ginny gli restituì uno sguardo che parlava; gli stava ordinando di riportare a casa sua figlia facendo più danni possibile.
È precisamente ciò che ho intenzione di fare.
“Abbiamo insegnato ai nostri ragazzi che possono fidarsi di noi.” Esordì. “Non penso abbiano intenzione di fare tutto da soli. Ci contatteranno. Dobbiamo solo essere nel posto giusto al momento giusto.” Si voltò verso Hermione. “A proposito del ragazzo che ha trovato Rose… Sai dirmi qualcosa in più?”
“Solo il nome, Dionis Radescu.” Al suo conseguente irrigidimento, lo squadrò attenta. “Lo conosci?”

“Non era l’ufficiale di coperta o Vattelappesca nel vascello di Durmstrang?” Chiese Ron.
“Sì, era lui. E sembrava anche essere in rapporti con Novij e il suo assistente.” Fece un cenno a Malfoy. “In quanto puoi farci avere una Passaporta per la Norvegia?”
“Non lavoro nel Dipartimento Trasporti Magici, Potter!” Scattò irritato l’uomo, prima di fare una smorfia. “Un’ora.” Soggiunse. “Anche meno se riesco a mettere un po’ di fretta a quei troll.”
“Bene.” Si alzò in piedi, facendo cenno a Nora e Ron di fare lo stesso. “Dobbiamo parlare con il ragazzo. Credo che possa darci informazioni utili, e non le potremo certo avere se le chiediamo di seconda mano… Hanno rapito Lily perché qualcuno in quella scuola l’ha permesso.” Serrò la mascella. “Quello Jagland, il Direttore… Non credo proprio fosse all’oscuro della faccenda. Penso vorrò parlare anche con lui.”

“Potter, non potete andare lì a pretendere di interrogare come se foste su suolo britannico! Creerete un incidente internazionale di proporzioni epiche.” Sbuffò il suo ex-rivale, ma sembrava parimenti poco propenso a fermarli. “Il Ministero Scandinavo vorrà la vostra testa su un piatto d’argento!”
“Che provi a prenderla, allora.” Replicò senza battere ciglio.  
L’altro emise una smorfia disgustata. “Cerca almeno di non ammazzare nessuno nel mentre, perché non salverò il tuo ridicolo fondoschiena da Nurmengard. Ne gioirò piuttosto.” Si staccò dalla libreria e sorpassò Ron che si scostò, una volta tanto non con l’intenzione di tirargli una spallata o qualche colpo mancino. Non con rispetto, era chiedere troppo, ma piuttosto con accettazione dell’inevitabile.
Già qualcosa.
“Voglio quella Passaporta in mezz’ora, Malfoy.”
“Va’ all’inferno, Potter.” Fu l’ovvia risposta prima che la porta venisse richiusa violentemente alle sue spalle. Harry ebbe la certezza che gliel’avrebbe portata in venti minuti.
“Chi l’avrebbe mai detto che ci saremo affidati e fidati del furetto.” Mormorò Ron quasi si sentisse svuotato da quell’affermazione. “Ma per Lily…”
“Per Lily tutto, Ron.” Disse, e non ci sarebbe stato mago oscuro, stregone o cattivo della storia che avrebbe visto la luce del giorno dopo. “Tutto.”

 
 
****
 
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Sette del mattino (ora locale)
 
Sören quasi cadde a terra data la forza con cui lo specchio gli fece attraversare il camino dell’ufficio di suo zio; lo riconobbe subito, dacché l’aveva visto innumerevoli volte durante la sua infanzia e recentemente attraverso lo scrigno del Fuoco Magico.
Von Hohenheim non era presente a completare il quadro però; vi era invece Johannes, che seduto scompostamente con gli stivali sul tavolo, sgranocchiava arachidi gettandosele in bocca da una mano colma. Dunque era vero, era vivo. Suo zio gli aveva mentito, non era morto nelle profondità del Mar Baltico.
Il sorriso di Johannes era come lo  ricordava: sardonico, storto… e malvagio.  “Buongiorno principino.” Lo salutò come per anni aveva fatto, e Sören dovette reprimere un brivido.
“Dov’è Lily?” Lo apostrofò senza mezzi termini. “Dove l’hai portata?”
“Oh, non preoccuparti per la tua principessa…” Scrollò le spalle. “Sta benone. Certo, per come si possa star bene dentro una cella.”
“L’avete messa nelle segrete?” Deglutì un grumo di rabbia che minacciava di bloccargli il respiro. “Non ce n’era alcun bisogno!”
L’uomo fece un gesto vago, dondolandosi sulla sedia riccamente istoriata. Davvero suo zio gli lasciava fare quello nel suo prezioso ufficio?
Non aveva mai capito molto del rapporto che intercorreva trai due; sapeva che quest’ultimo veniva pagato profumatamente per i suoi servigi, ma non era solo uno stipendiato, era qualcosa di più; suo zio si era sempre affidato a lui come ad un braccio destro, come al migliore dei suoi uomini.

Come ho potuto pensare che fosse morto in modo così stupido?
“Non credo proprio tu abbia molta voce in capitolo ragazzo.” Disse squadrandolo con attenzione. “… Sai, il padrone è molto deluso.”
Sören serrò le labbra. Non ci sarebbe cascato, non avrebbe lasciato che il terrore e il senso di colpa per aver disubbidito – non sei un bravo bambino, Sören? – vincessero.

Lily. Devo salvarla, devo tirarla fuori di qui prima che la usino come merce di scambio… Prima che rischi la vita per qualcosa che neppure la riguarda.
Non era il momento per chiedere spiegazioni; non avrebbe chiesto perché era stato completamente tagliato fuori dai piani. Dubitava peraltro che avrebbe avuto una risposta soddisfacente da quel giullare ghignante e letale.
“Lily Potter non c’entra niente con questa storia. È soltanto una ragazzina… rapirla esacerbererà solo la rabbia del Salvatore. Non porterà a nessuna conseguenza positiva per noi.”
Johannes fece una breve risata, gettandosi in bocca un’ennesima nocciolina. “Noi? Principino… non c’è nessun noi. Persino tu devi aver capito capito che il padrone non si fida più di te.”
Sören notò come la bacchetta dell’altro mago fosse posata accanto alla ciotola di arachidi, perfettamente a portata di mano. Conosceva la rapidità letale di Johannes.
Ma anche la sua propensione alle chiacchiere… Non c’è niente che adori come spiegare quant’è stato in gamba e geniale.
“Non si è fidato di me dal principio se non mi ha detto che eri ancora vivo.” Argomentò in tono neutro. Sembravano esser soli nell’ufficio; dov’era suo zio e perché aveva deciso di fargli incontrare Johannes al posto suo?
Non vuole neppure sprecarsi a parlarmi…
La rabbia tornò fedele e potente, e scacciò il senso di ansia che gli contraeva lo stomaco e gli faceva sudare le mani; una presa scivolosa sulla bacchetta avrebbe potuto essergli fatale, ed usare quel braccio era troppo rischioso dato il suo stato d’animo.
“Sbagliato!” Scosse l’indice con fare paternalistico. “Via, via Sören… ti stava mettendo alla prova. Non era quello che volevi? Più compiti, più responsabilità… più stima? Il nostro buon padrone ti ha voluto dare una possibilità…” Schioccò la lingua. “Inutile dire che hai fatto un disastro, vero?”
“Cercare di evitare danni collaterali non è fare disastri. È fare la cosa giusta.” Johannes era solo un tirapiedi con troppo margine di manovra. Un mago capace sì, ma non quanto lui. Poteva batterlo perché l’altro aveva troppa fiducia in sé stesso, era un narcisista. Adorava parlarsi addosso e questo lo portava automaticamente ad abbassare la guardia quando lo faceva.
Come adesso. Come l’anno scorso…
L’uomo fece una risatina. Sembrava davvero trovare esilarante la sua aria seria. L’aveva sempre trovata tale ed era stato questo a farglielo odiare tanto, da sempre. “Giusta? Solo perché ti sono andati in fiamme i calzoni per una puttanella non significa che tu sia diventato l’eroe della storia.”
Sören frenò la mano nella corsa alla bacchetta; aveva trascorso l’infanzia a subire i lazzi di Johannes e dunque sapeva cosa l’altro stava tentando di fare; voleva fargli perdere la calma per poi approfittarne per sbatterlo a terra, inerme. Quante volte era stato schiantato da quel ghigno orrendo?  
Mi avete insegnato a reprimere e controllare fino alla morte. Non sprecherò l’insegnamento.
Non posso. Lily ha bisogno di me.
“E cosa mi dici di te, John Doe?” Lo apostrofò con il nomignolo con cui era conosciuto presso gli inglesi, riuscendo persino a produrre un sorriso sarcastico. “Mio zio è contento del fallimento dell’anno scorso?” Vide un lampo cupo passare nelle iridi dell’uomo. Chi aveva un ego come il suo recepiva male le critiche, specialmente se fondate. “Ti ha fatto uccidere un povero disgraziato e prendere le sue sembianze per rapire una ragazzina… Davvero un compito di prima scelta.”
“Non l’ha fatto fare a te, ragazzo.” Sì, c’era riuscito, l’aveva fatto infuriare. “Questo la dice lunga su che fine farai. Sai dove finiscono gli attrezzi rotti?” Lo vide ghignare, perché sì, dannazione, il colpo era andato a segno. “E tutto per una mocciosa… Una mocciosa che peraltro ti odia. Te l’ho detto principino, non sei l’eroe. Sei il mago cattivo.”
Sören sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene alla scelta del tempo verbale. Aveva usato il presente, non il futuro. Questo significava solo una cosa. “Gliel’avete detto…”
“È stato tuo zio.” Si strinse nelle spalle. “Ehi, la principessina doveva sapere la verità.”

Non percepì neppure l’istante in cui decise di mettere mano alla bacchetta. Percepì piuttosto il rumore potente del suo incantesimo e quello basso e sibilante dello scudo usato da Johannes. E la sua risata.
“Non nell’ufficio del padrone! Sai quanto tiene alla…” Non lo lasciò finire perché attaccò di nuovo. Non gli interessava in quel momento la tappezzeria, suo zio, mantenere il controllo. Johannes sembrò intuire le sue intenzioni, perché il sorriso gli sparì dalle labbra e cominciò a fare sul serio.
Non basta. Non basta per me. Mi avete cresciuto per essere un’arma.
Ecco qua.
Non aveva mai combattuto con Johannes con l’intento di fargli male, neppure quando l’altro non si era risparmiato in maledizioni o ferite sanguinanti durante gli allenamenti; era un alleato, non era mai riuscito a concepire il concetto di arrecargli dolore per vincere un duello. In quel momento neppure gli importava della vittoria. Voleva solo vederlo morto.
Johannes soffocò un’imprecazione quando il suo ennesimo scudo venne infranto in una miriade di schegge bluastre. Perse l’equilibrio e cadde a terra rovinosamente, sbattendo contro il tavolo su cui prima si era tanto sollazzato. La bacchetta rotolò lontano da lui e Sören fu lesto a pestargli il polso prima che si rialzasse a prenderla. L’altro strinse una maledizione tra le labbra.
“Portami da Lily.” Disse. Qualcosa nel suo tono funzionò, perché Johannes gli lanciò un’occhiata allertata.
“Vuoi ammazzarmi principino? Sì, te lo leggo negli occhi…” Mormorò con tono soffocato. Il duello doveva aver impegnato molta della sua magia, perché adesso aveva l’aspetto di un cinquantenne,  ovvero la sua età reale. “Davvero? Vuoi tradirci così? Tutto per…” Pestò con forza sul polso troncandogli la parola a metà.
“Portami da Lily.” Ripeté. Tradimento? Certo che stava tradendo e certo che Lily l’avrebbe accolto con odio e livore. Oltre la furia erano cose che aveva già messo in conto. Non voleva essere amato o applaudito per aver scelto la parte dei buoni. Non voleva essere perdonato e non stava lavorando affinché avvenisse. Aveva un obbiettivo, tutto lì.
 
“Sören.”

Quella voce l’aveva perseguitato per tutta la sua vita. Non poteva che farlo irrigidire, fargli sudare le mani e rabbrividire.

Suo zio era entrato in quel momento o forse c’era stato sin da prima, annidato nelle ombre come un lupo che osservava la preda. Non che avesse importanza; era lì.
Si voltò nella sua direzione e lo vide ergersi come un idolo troppo grande per lui. Troppo immenso. Sentiva la sua magia, solenne e potente come il mare schiacciare la sua, che in confronto non era altro che un ruscello fangoso. “Abbassa la bacchetta e lascia rialzare Johannes.”
Fece un passo indietro, mentre l’uomo riassumeva le sue sembianze da ragazzo e si raddrizzava, spazzolandosi la giacca. “Grazie Vostra Eccellenza, oggi il bimbo è un po’ irre…”
“Silenzio.” Tuonò. “Lasciaci soli.”

“Come desiderate. Se mi cercate, sono a portata d’orecchio.” Fece un inchino e dopo avergli disgustosamente strizzato l’occhio lasciò la sala.
Suo zio si spostò dietro la scrivania, facendo evanescere con un colpo di bacchetta i gusci e le noccioline lasciate dal tirapiedi. “Siediti.”
“… No.” La sua stessa voce lo stupì. Ma era vero, non voleva sedersi. “Sto in piedi.”
Suo zio gli lanciò un’occhiata, ma non commentò. “Sono deluso, Sören.” Esordì. “Avrei voluto che le cose finissero diversamente … ma non posso dire di essere sorpreso. La tua debolezza si è manifestata quando avevo maggior bisogno di te. Ho dovuto affidarmi ad altri per un compito che era tuo.” Se c’era dispiacere nel suo animo, certo non traspariva da quegli occhi immoti, freddi. “Ti ho cresciuto ed addestrato. Sembra che non sia servito a molto.”
Sören si umettò le labbra ma non rispose. Si sentiva il cuore in gola e sapeva, sapeva che non avrebbe mai potuto battere suo zio. Questo non significava che non avrebbe perseguito comunque il suo obbiettivo. “Liberate Lily Potter, zio…” Mormorò. “Non vi è di nessuna utilità ormai. Avete già ottenuto ciò che volevate attirando l’attenzione sul suo rapimento. Lasciate che la riaccompagni dai suoi.”

“Così sarai arrestato…” Osservò con tono neutro. “La giustizia non sarà tollerante con te.”
Represse il brivido all’idea di passare il resto della sua vita in prigione. Suo zio aveva ragione, non avrebbe visto più la luce del sole. “Non ha importanza.” Non l’aveva, non se Lily poteva tornare a casa dalla sua famiglia, al sicuro da uno scontro che si preannunciava imminente.

L’uomo sembrava incuriosito. Non vi era rabbia nei suoi lineamenti, ma da che lo conosceva verso di lui non ve n’era stata mai, se non collaterale.
Sono sempre stato troppo insignificante ai suoi occhi per provocargli emozioni più forti dell’indifferenza.
Era sempre stato così per tutti. L’unica persona che aveva provato dei sentimenti per lui era chiusa in una cella piani più sotto.
“Dunque il debito che hai con lei è più importante di quello che hai con me? Del sangue?” Era una domanda sincera. “È talmente forte che ti rende indifferente la tua incolumità?”
Non avrebbe mai potuto levare la bacchetta contro suo zio, quella era una certezza che andava a braccetto con il fatto che non era solo un debito quello che lo legava a Lily Potter. Gli restava dunque solo la sincerità. “Sì.”
Il dolore arrivò e non poté dire di non esserselo aspettato. Sentì la forza nelle gambe abbandonarlo come se fosse una marionetta a cui erano stati appena tagliati i fili. Paragone calzante.
Il Dolore – meritava una maiuscola – si irradiò ovunque, coprendolo di sudore, impedendogli di far nient’altro che crollare a terra e reggersi il braccio anche se avrebbe voluto strapparselo.
“Dovrei ucciderti…” La voce di suo zio oltrepassava il bianco accecante dell’agonia e gli forava il cervello come un ago. “… ma non meriti che sprechi le mia magia per te. Come tuo padre, alla fine ti sei rivelato un debole.”
Mio padre…
“Sì, lo era.” Rispose la voce, quasi avesse intuito la sua domanda. “Colui che fugge per mondarsi di un’onta familiare se la porta dietro come un demone, è inevitabile. La sorella maggiore di tuo padre fece una scelta scellerata, e così fece lui. Perché quando capì a cosa serviva il nostro lavoro, il lavoro per te… per renderti l’arma che sei, cercò di distruggere tutto. Peccato fosse più portato a creare. Il lavoro rimase e lui morì.”
Suo zio probabilmente pensava di parlare a qualcuno che era alle soglie dell’incoscienza; si doveva esser scordato che la soglia di dolore aumentava con l’esperienza e lui non era nuovo a tutto quello.
Il fumo, il laboratorio in fiamme… Non è stato un incidente. Mio padre non è morto in un incidente.
Tentava di salvare… me?
Non capiva perché glielo stesse raccontando; suo zio non era stato tipo da confessioni all’ultimo minuto. Forse voleva umiliarlo prima di farlo uccidere da Johannes o qualcuno dei suoi recenti tirapiedi. Aveva senso, ma non stava funzionando. Ad Alberich Von Hohenheim non era mai interessato capire i sentimenti altrui e non si era certo mai sforzato di capire i suoi; dunque non poteva intuire quello che quel discorso significava per lui.
Mio padre è morto per salvare me.
“Ho cercato di renderti un Von Hohenheim, ma ho fallito.” C’era forse del rimpianto nella sua voce? No, doveva essere il Dolore a distorcere tutto. “Un Prince rimane sempre un Prince. Avrei dovuto lasciarti morire con lui.”
La sua coscienza urlava di lasciarsi andare, concedersi sollievo da quell’agonia, del riposo. Sentì chiamare un nome e poi un paio di braccia lo presero di peso e se lo caricarono sulle spalle. Svenne e riprese conoscenza un paio di volte. Poi qualcuno gli spinse a forza una ciotola contro le labbra, forzandolo a bere. Si rifiutò, tentò, ma gli venne tappato il naso e fu costretto ad ingoiare.
E finalmente arrivò il buio.
 
 
****
 
 
Note:
;D
Mi odiate vero? Ma è tutto a posto… tutto a posto! No, sul serio. Davvero. Ecco.

Questa la canzone che mi ha ispirato ed ha anche ispirato il titolo del capitolo (you don’t say?). Un po’ di vecchio NW come si deve.
I ragazzi andranno al salvataggio nel prossimo, promesso.
Vi invito inoltre a guardare gli orari; non sono messi a caso, ma rispettando i fuso-orari mondiali. Sì, li ho calcolati utilizzando la simpatica app dell’Iphone. Questo spiega anche perché Harry sia costantemente in ritardo. ;)
Per le recensioni, giuro che risponderò! È che è un periodo abbastanza di fuoco.
L
 

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Capitolo 59
*** Capitolo LVI ***


Capitolo LVI
 
 
 
 
Possiamo lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi.  
A lasciare che sia il passato a decidere per il nostro futuro.
Oppure possiamo scegliere.  E forse inventare qualcosa di meglio è il nostro compito. 
(Soffocare, C. Palahniuk)
 
 
21 Gennaio 2023
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Una del mattino.
 
Desislav Ganin era consapevole del fatto che la vita di un Mercemago era più dura di quella di un mago con una professione onorevole.
Ciononostante, da dove veniva lui fare il Mercemago era l’unico modo per non finire come un pezzente a mendicare per un tozzo di pane e un po’ di minestra. Certo, anche nel loro lavoro c’erano momenti di bonaccia: capitava ci fossero giorni in cui buttare giù un po’ di vino elfico che sapeva d’aceto era l’unico modo per combattere i morsi della fame, ma c’erano anche grandi occasioni.
Come era capitato a loro due mesi prima, quando erano stati arruolati da Alberich Von Hohenheim; Desislav non sapeva granché sul mago tedesco che dava loro vitto e alloggio in cambio di semplici pattugliamenti dei suoi terreni. Neanche gli importava finché aveva abbastanza soldi da poter spendere alla taverna e qualche procace Incantatrice dalle labbra di miele sulle ginocchia.
Quel giorno però era stato diverso; il Capitano li aveva svegliati all’alba e aveva intimato di disporsi attorno alle mura della fortezza, chi dentro, chi fuori. A lui era toccato il compito più infame, rifletté sputando tabacco vischioso sul terreno accidentato; doveva infatti sorvegliare dall’alto il porticciolo in cui attraccavano le imbarcazioni.
Infame perché tirava un vento del diavolo, freddo e tagliente come un coltello. Non c’era neanche un po’ di sole, dacché il tempo in quella terra schifosa variava da piovoso a nuvoloso.
Desislav non ricordava l’ultima volta in cui aveva visto il sole.
Riflettendo cupamente sul suo compito, e chiedendosi quando Bogdan sarebbe venuto a dargli il cambio, rimase totalmente abbacinato dall’improvviso lampo di luce che esplose all’interno della rimessa delle barche. Scattò in piedi dalla posizione accovacciata che aveva assunto per mantenere un po’ di calore e sfilò prontamente la bacchetta dal fodero. Prima di gettarsi a capofitto a controllare lanciò però un incantesimo di segnalazione ai compagni; non avrebbe fatto la fine del pollo. Un Mercemago non arrivava alla vecchiaia facendo l’eroe.
Lo scoppio della Materializzazione portò da lui Bogdan e Ghena, una strega della Dobrugia a cui nessuno di loro aveva mai pensato di fare avances, neppure da sbronzi; il solo occhio glauco che ti trafiggeva ti lasciava le viscere molli e la sensazione che fosse meglio non scherzare con lei; alcuni dicevano fosse una Megera.
“Che succede Ganin?” Fu lei ad apostrofarlo con il bulgaro sporcato di accento rumeno tipico delle sue zone. “Sarà bene che sia qualcosa di importante o…”
“Lo è!” La anticipò sputando a terra il resto del tabacco, ormai masticato in abbondanza. “È come aveva detto il Capitano, qualcuno si è Materializzato con una Passaporta alla rimessa, laggiù!” Indicò il posto con un cenno della testa.  

“Andiamo.” Disse immediatamente questa.
Nella rimessa era piuttosto buio ma fu facile individuare il pacco appena arrivato; il ragazzo che si era Materializzato doveva averlo fatto male, perché era seduto a terra, con la schiena appoggiata ad una parete. Si teneva una spalla con la mano e respirava forte, pallido in volto.
Qualcuno ha fatto una brutta caduta…
“Non ti muovere, tu.” Lo apostrofò Ghena in tedesco puntandogli la bacchetta addosso. “Sei Thomas?”
Desislav squadrandolo meglio notò che aveva una certa somiglianza con il loro generoso, quanto inquietante, datore di lavoro. Era piuttosto giovane però dato che indossava un uniforme scolastica; non doveva fare neanche venti primavere.
“Sì, sono io.” Disse. “Non… non fatemi del male.” Mormorò con tono spaventato, guardando le loro bacchette spianate. “Non sono armato.”
“Questo lo controlliamo subito.” Ghena non era donna che andava contraddetta, così lui e Bogdan si affrettarono ad afferrare il ragazzo e perquisirlo. Ovviamente trovarono la bacchetta infilata nei passanti posteriori dei pantaloni. Bogdan se la rigirò tra le dita e poi se la infilò nel vecchio pastrano consunto con soddisfazione; avrebbero riparlato di quel suo prendersela senza colpo ferire. Sembrava un buon legno, non avrebbe lasciato che la avesse solo perché era stato più svelto a scovarla.

“Non eri armato, eh?” Ghignò Ghena. “Voi piccoli Chistata Krŭv¹ siete tutti uguali. Credete di poterci far fessi solo perché non abbiamo il blasone!”
Il ragazzo fece una strana espressione. Il pallore sembrò ridimensionarsi notevolmente, e Desislav, non senza una certa inquietudine, lo vide serrare la mascella e fissarli con uno sguardo che in una taverna sarebbe bastato a decretare un Duello all’ultimo sangue. “Ridatemi la bacchetta. Ora.
Desislav non si considerava un cervello fino, ma non ci voleva un genio per capire che il ragazzino non sembrava più così spaventato. Forse non lo era mai stato, realizzò.
Ma che…
Bogdan invece fece una risata divertita, logico considerando che avevano di fronte un adolescente secco come un albero e disarmato. “Mi sa che ora è mia, bel musetto.” Gli afferrò il viso con una mano e lo voltò verso di lui; nella compagnia era conosciuta la passione che aveva il valacco per i bei ragazzi.
Desislav si voltò verso la Megera per chiederle con uno sguardo di rimettere in riga Bogdan, che c’era qualcosa che non gli tornava, ma poi sentì un gemito di dolore; Bogdan era crollato a terra con le mani sul viso. Sconcertato capì che era stato il ragazzo.
“Ops.” Disse soltanto soffiandosi via una ciocca di capelli dalla fronte. “Mi dicono sempre che ho la testa dura.”
Ghena fu svelta a reagire; con una falcata gli fu accanto e gli spinse la bacchetta contro la gola. “Non siamo balie che lasciano giocare i mocciosi.” Ringhiò. “Desislav, rialza quell’idiota, portiamo il mostriciattolo al castello!”
Desislav obbedì ma non appena toccò il valacco sentì uno scoppio esplodergli vicino, rintronandolo. Era un incantesimo, era più di un incantesimo. Rotolò a terra e castò un immediata barriera che gli impedì di essere letteralmente investito da una selva di incantesimi che arrivavano da tutte le parti. Ghena lanciò un paio di Schiantesimi, mentre dalle barche ormeggiate saltavano fuori quattro figure armate. Un lampo argento – erano i capelli? - fu addosso alla Megera che abbandonò la presa sul ragazzo per difendersi.
Desislav ignorò l’ormai esanime Bogdan ed estrasse la bacchetta; avrebbe dovuto dar retta alle sue sensazioni. Era una trappola. Doveva immediatamente lanciare l’allarme, prima che…
Prima che un lampo rosso lo centrasse in pieno petto.
 
“Dovevi aspettare il segnale!”
Naturalmente Lupin doveva avere a ridire. C’era da aspettarsi che l’insopportabile ragazzo biblioteca gli facesse notare lo sbaglio. Si chinò sul Mercemago svenuto che aveva osato prendere in ostaggio la sua bacchetta e se la riprese, stringendola e promettendole che nessuno, oltre a lui, l’avrebbe più toccata. Si frenò dal gettarlo in acqua solo perché gli altri vigilavano.
Seccante.
“Avevano la mia bacchetta.” Spiegò, e notò un’occhiata di approvazione da parte di Malfoy. “Nessuno prende la mia bacchetta.”
“Teddy dai, ha recitato la parte del tipo cacasotto da schifo… Segnale o non segnale, avrebbero fiutato la trappola comunque!” Esclamò Dominique, che aveva neutralizzato la controparte femminile degli avversari come faceva tutto. Rapida e con un sogghigno sulle labbra come se fosse tutto un gioco.

Forse in certi contesti è utile.
“Non ho chiesto di aspettare il segnale convenuto per un capriccio.” Ribatté cocciuto il metamorfomago, i cui capelli erano un manto di fiamme e l’espressione quanto più lontana da quella mite che approntava per i suoi impressionabili Tassorosso. Erano di quel colore da quando era stato annunciato il rapimento di Lily. “Thomas, l’improvvisazione non ha mai … Albus!” Tom si voltò per vedere il suo ragazzo tirare un calcio al Mercemago ladro e al momento, gemente.
“Cosa?” Chiese questo, suonando anche sorpreso. “Avete visto come guardava Tom!” Borbottò mentre le occhiate raddoppiavano. “Non mi è bastato schiantarlo, tutto qui …” Vedendo l’espressione dell’altro, sbuffò “Alla fine li abbiamo neutralizzati, no? È questo l’importante!”
“Siamo stati grandiosi!” Convenne Scorpius.
“Le forze di Von Hohenheim non sono certo tutte qui.” Fece loro notare Ted, ingoiando un grosso sospiro e probabilmente una serie di improperi. “Riflettete. Pensate davvero che siano venuti tutti? Questa è solo una pattuglia.”

Tom dovette ammettere che quel ragionamento aveva senso; per quanto mal sopportasse Ted, sapeva che era un uomo intelligente e con tre anni di studi all’Accademia Auror alle spalle. Dubitava, con il cervello metodico e rigido che aveva, che li avesse dimenticati.
“Tra poco ne arriveranno altri.” Considerò meritandosi un’occhiata d’approvazione da Lupin.
“Sì. Dobbiamo nascondere loro e andarcene noi, il tutto senza farci vedere. Scopriranno sicuramente che siamo qui, ma non sapranno dove. È questo che conta.” Lanciò un’occhiata alla scogliera, ripida ma praticabile, che portava al grosso agglomerato che era la fortezza sopra di loro.
Tom capì che stava valutandone la conformazione e le vie d’accesso alle mura. Per un momento provò uno sconcertante moto di stima per l’altro mago. “Va bene.” Convenne e glissò sull’occhiata stupita di quest’ultimo.
Anch’io so essere ragionevole.
Gli altri, ovviamente,  non contrastarono il fatto che Lupin avesse preso il comando, aiutando a legare, imbavagliare e nascondere i Mercemaghi nelle barche ormeggiate. Si fidavano di lui da sempre, come Dominique e Albus e avevano imparato a stimarlo come docente nel caso di Malfoy. Lui invece aveva i suoi motivi, oltre al generale buonsenso, nell’affidare il comando all’altro.
Non devono affidarsi o guardare a me. Perché non abbiamo gli stessi obbiettivi.
Lily doveva essere salvata ad ogni costo, ma non sarebbe stato lui a farlo. Per quello c’erano Lupin e gli altri.  
Io devo vedere mio padre.
Vide con la coda dell’occhio che Albus lo stava guardando. “Va tutto bene?” Gli chiese facendolo sentire stupidamente in colpa; era stupido perché non coinvolgere Al in quella sua decisione aveva senso, non era sbagliato.
Ti ho già coinvolto troppo, vi ho già coinvolto troppo. Questa è una cosa tra me e Von Hohenheim.  
Era un discorso a due interlocutori. Non avrebbe trascinato Al o gli altri nella follia dell’uomo che gli aveva dato due volte la vita.
Per quanto fosse razionale la sua decisione il senso di colpa però non se ne andava; stava di nuovo nascondendo qualcosa ad Albus.
“Sì, sto bene.” Gli sorrise. “Così sei stato tu a schiantarlo?”
Al annuì. “Ho esagerato però, in fondo era già a terra.” Tom notò in quel momento che aveva un taglio sulla guancia, forse dovuto ad uno striscio di incantesimo. Si sentì serrare lo stomaco. Prese la bacchetta e richiuse l’abrasione mentre l’altro si toccava la guancia stupito.
Giocatore di Quidditich… Non si accorgono di sanguinare finché non crollano a terra.
“Mi so difendere da solo.” Gli disse sopprimendo l’impulso di rivoltarlo come un calzino per accertarsi non avesse altre ferite. E quello era solo l’inizio; una breve scaramuccia e Al era già ferito.
Non permetterò che ti succeda qualcosa… Non ancora.
Forse Al poteva aver ragione di un Mercemago, ma non di Doe né di Von Hohenheim.
Non dovrai neppure vederlo. Sarò io ad occuparmi di lui.

Al non rispose; mentre gli altri si affrettavano ad uscire di lì, lo afferrò per il bavero del mantello e gli parlò direttamente sulle labbra, piano, per farsi sentire solo da lui. “No che non lo sai fare… Spero te ne ricordi.”
Tom si chiese per quanto sarebbe riuscito a nascondere il suo piano ad Al. Perché la parola insieme non era soltanto un concetto a cui affidarsi; era anche qualcosa da cui non si poteva fuggire.
 
 
****
 
Norvegia, Dintorni di Durmstrang.
Due del pomeriggio.
 
Harry era furioso.
Furioso con la situazione, naturalmente, ma anche furioso perché aveva dovuto confrontarsi nel giro di poche ore con le sue peggiori paure; sapere che uno dei suoi figli era in pericolo e ferirne un altro lui stesso.
La Passaporta li aveva materializzati nel piccolo villaggio adiacente ai terreni dell’Istituto – assai più vasti di quelli di Hogwarts, e principalmente costituiti da rocce a strapiombo e una foresta di pini che si estendeva a perdita d’occhio. Al momento lasciava che fosse Ron a trattare con il conducente del noleggio di slitte del villaggio, l’unico mezzo di locomozione usato dai locali in quel periodo dell’anno.
James naturalmente aveva saputo ciò che era successo; glielo doveva aver detto Ginny, oppure l’aveva saputo per vie traverse. Chi fosse stato non aveva importanza, ciò che era importante era stata la decisione immediatamente presa.
Venire con noi.
Era irrotto nell’ufficio auror poco dopo che Malfoy era tornato con la Passaporta e i permessi d’attivazione, con la povera Grace alle calcagna.
 
“Vengo con voi!” Aveva esclamato, facendoli ammutolire tutti. Aveva il fiatone e l’uniforme da allenamento dell’Accademia; appresa la notizia doveva aver mollato tutto ciò che stava facendo per raggiungere il Ministero.
Lodevole, ma decisamente non richiesto.
“No, Jamie.” Aveva esordito prima che chiunque altro potesse aprire bocca. Dopotutto fino a prova contraria il capo era lui. “Andremo io, Ron e il Sergente Gillespie.”
“Non potete lasciarmi qui!” Era sbottato. “Si tratta di Lils e Al! E Merlino, c’è anche Teddy e Scorpius e… Domi? Persino Domi!”
Harry sapeva che le osservazioni erano pertinenti; non gli importava. Non avrebbe permesso che tutti i suoi figli rischiassero la vita, per quanto fosse fiero del senso di amore e coesione che regnava tra di loro. In quello era in accordo con la moglie, dato che gli era bastata un’occhiata per captare l’appoggio dell’altra. “Per quanto tu sia in gamba, non posso portare un allievo Auror in missione. È contro le regole e soprattutto, contro il buonsenso.”
“E gli altri? Sono studenti!” James sembrava stupefatto dal suo rifiuto; Harry si era appuntato di fare un discorso ai suoi figli, finito tutto, sull’importanza di non darsi responsabilità che non avevano.
“Le contingenze sono diverse, James.” Era intervenuta Hermione. “Non credere che non li avremo fermati, se fossimo stati lì.”
“Si tratta dei miei fratelli! Si tratta del mio ragazzo e dei miei amici! Non potete chiedermi di restare qui ad aspettare notizie come un moccioso!”
Harry aveva capito; aveva capito e sposava a pieno le ragioni del suo Malandrino; era certo che si sarebbe battuto con valore, ed era proprio questo il punto. James avrebbe affrontato la Morte stessa pur di salvare i suoi fratelli e i suoi amici. Era come lui, ed esattamente come lui non era ancora pronto per quel compito. Non era giusto che lo fosse, come non lo era stato per lui.
“È un no, James. Resterai qui, con tua madre e zia Hermione. Sarete i primi a cui daremo notizie.”
“Non me ne frega un accidente! Io
verrò con voi!” Si era avvicinato con due falcate alla scrivania e vi aveva sbattuto le mani. Harry aveva avuto lo sconcertante deja-vu di rivedersi ragazzo. Solo che stavolta era lui il Silente della situazione
“Tu non verrai con noi.” Anche il tono era da Silente, ed Harry si era odiato, ma non aveva vacillato. “Devo occuparmi di riportare a casa i tuoi fratelli, James. Non ho tempo di badare anche a te.”
 
Era stato meschino, se ne era reso conto non appena pronunciato quelle parole. Aveva lasciato che il figlio maggiore se ne andasse com’era venuto, come una furia. Ginny gli era andata immediatamente dietro, promettendogli con uno sguardo che l’avrebbe riportato alla ragione.
Non ci sono torti o ragioni in questa storia… Se ci fossero, non dovrei raggiungere dei ragazzi che combattono.
Nora gli si avvicinò, stretta nella pelliccia in cui aveva trasmutato il proprio mantello. “So che non sono affari miei… ma una parola da genitore a genitore?”
Harry suo malgrado sorrise. L’americana aveva una straordinaria empatia, e questo gliel’aveva definitivamente resa amica. “Permesso accordato, Sergente.”
La strega gli restituì il sorriso. “Hai fatto bene con tuo figlio. Sembra un ragazzo di cuore, ma abbiamo bisogno di averti concentrato. Non lo saresti stato con lui accanto… Come non lo sarei stata io con accanto Ama.” Fece una breve pausa in cui entrambi osservarono Ron pagare il conducente della slitta. “Sai, anche lei lavora al Dipartimento.” Alla sua espressione sorpresa sospirò. “C’è da aspettarselo no? I nostri figli ci vedono tornare a casa a notte fonda sin da quando sono bambini, sanno che lavoro facciamo, sanno che combattiamo i cattivi. Anche nel Mondo Babbano non è raro che ci siano generazioni di servitori della legge.”
“A volte vorrei che non fosse così…” Confessò. “Vorrei che James avesse scelto di fare, chessò… Il giocatore di Quidditch. È molto bravo con la scopa.” Pensare ad altro, persino pensare alla lite era meglio che pensare alla piccola Lily nelle mani di Von Hohenheim e Al, Tom e gli altri al suo folle salvataggio.

“Non possiamo decidere del futuro dei nostri figli. Sta qui la fregatura.” Sospirò la strega facendo annuire di rimando. “Sei un buon padre, Harry.” Gli diede una pacca sulla spalla. “Aggiungi anche questo alla lista dei tuoi infiniti meriti.”
Harry sospirò; apprezzava il tentativo, ma era stato piuttosto vano, date le contingenze.
“A volte vorrei che fosse il solo.”
 
Arrivati all’Istituto si trovarono di fronte un’enorme porta. Tanto enorme che a causa del nevischio che vorticava impazzito non era possibile vederne la fine. Ron pagò il conducente e lo congedò frettolosamente prima di avvicinarsi, stringendosi nella grossa sciarpa che Hermione aveva insistito – con tutte le ragioni – per fargli indossare.
“Miseriaccia, è enorme! Come bussiamo?”   
Nora indicò l’enorme battente incastonato proprio al centro; era grande quanto una ruota di carro e si supponeva molto più pesante. Lo fecero risuonare con la magia e attesero. La porta si aprì quasi immediatamente, rivelando che qualcuno era già stato avvertito del loro arrivo. Dall’enorme atrio di cui erano visibili solo la prima fila di colonne, apparve una donna bionda dall’aria rigorosa che indossava l’uniforme standard dell’Istituto, unicamente abbellita da una spilla con un grosso rubino al centro. La seguivano due energumeni persino più alti di Ron, ma dai lineamenti ancora imberbi.

Una docente e due studenti.
“Sono la Professoressa Tjader Jaspersen, assistente del Direttore.” Si presentò con la rigidità tipica dei sottoposti di una struttura militare. “Posso sapere le vostre generalità e il motivo della vostra visita?”
Harry aveva poca voglia di ripassare cerimoniale e protocolli diplomatici, buoni forse per un ministeriale come Malfoy. “Sapete benissimo chi siamo e il motivo per cui siamo qui.” Esordì asciutto. “Mi porti dal suo Direttore, subito.”
Il tono dovette sortire un certo effetto, perché le labbra tirate della donna fremettero prima di tornare all’immobilità. “I permessi d’indagine” Tentò.
“Sono Harry Potter e mia figlia è stata rapita.” Con un cenno fermò il braccio di Nora, la quale già stava cercando materiale cartaceo che chiudesse la bocca all’altra strega. Non serviva; per una volta avrebbe fatto esattamente quello che Piton gli aveva sempre rinfacciato. Il bullo.

“Se volete contattare il Ministero Britannico siete liberi di farlo, ma nel frattempo sarà meglio che il suo Direttore mi riceva.” Fece una calcolata pausa. “Altrimenti le posso giurare su Merlino che riempirò la vostra scuola di Auror e qualsiasi tipo di forza di polizia Magica. Sono stato chiaro?”
Lo era stato, perché la donna non tentò una seconda obiezione e li fece immediatamente entrare.
Ron si schiarì la voce. Doveva essere l’elemento razionale del gruppo, ed era meglio che si muovesse velocemente ad assolvere quel compito. “Dove sono gli agenti del vostro Dipartimento di Polizia Magico?”
“Bloccati dal maltempo. Richiede una Passaporta necessita ore … di solito.” Harry ignorò la frecciatina; che lo accusassero pure di smuovere mari e monti a suo favore. L’avrebbe fatto letteralmente se questo avrebbe significato riportare la sua bambina a casa.
“Noi inglesi siamo gente sveglia.” Replicò Ron come se ottenere Passaporte nel giro di una ventina di minuti fosse cosa da tutti i giorni. “Ah, oltre al vostro Direttore vorremo parlare con un allievo, Dionis Radescu. Ha trovato Rose Weasley nel luogo del rapimento di Lily Potter… abbiamo bisogno di fargli qualche domanda.”
“Di questo dovrete parlarne con Herr Direktør.”
“Il ragazzo è maggiorenne, no? Se non ha nulla in contrario non credo ci saranno problemi.”
Herr Direktør…” Iniziò di nuovo ed Harry ne ebbe abbastanza.
“Il suo prezioso Direttore è probabilmente complice del rapimento di una minorenne straniera e connivente di un Mago Oscuro ricercato in due Continenti.” Ringhiò. Oh, lo fece davvero. “È accaduto qui, nella sua scuola, sotto gli occhi  di voi professori. Vuole davvero continuare a fare ostruzione?” Sentì la mano di Nora sul braccio ed ispirò forte, vedendo che la docente era impallidita come uno straccio. “Ci porti da lui.” Borbottò infine.
La donna non aprì più bocca, guidandoli attraverso un labirinto infinito di corridoi e salotti dalle volte altissime. Incontrarono abbastanza studenti per farsi l’idea generale che tutti sapessero cos’era accaduto, ma preferissero abbassare lo sguardo e badare ai fatti propri. Naturalmente non si poteva dar la colpa a ragazzi dell’età di Lily, Albus e Thomas. Tuttavia…
Lily è stata presa qui. Qualcuno, molte persone hanno distolto lo sguardo.
“Harry.” La voce di Nora lo riscosse. Si accorse che aveva stretto tra le dita il fodero della bacchetta e che da esso uscivano piccole scintille rosse. Allentò la presa e scoccò un’occhiata interrogativa all’americana. “Come ci dividiamo per gli interrogatori? Per economizzare i tempi.” Spiegò.
Sì, quello aveva senso. “Io andrò dal Direttore, tu e Ron dal ragazzo. Dopo andremo assieme da Rosie e dalla McGrannit.” Aggiunse a beneficio dell’amico, che però sembrò tentennante.
“Credo sia meglio che venga con te.” Mugugnò con l’aria di chi avrebbe preferito ingoiare un cucchiaio di Puzzalinfa piuttosto che mettere in discussione la sua obbiettività di fronte ad estranei.
Come ha appena fatto.
“Vengo io.” Si inserì Nora come se non si fosse appena seduta su una polveriera di sua sponte. “Non sono molto brava negli interrogatori, ma mi è stato detto che Ronald è notevole.” Ron arrossì di piacere alla lusinga. “Se per te non è un problema.” Lo squadrò e Harry lesse comprensione ma anche ferrea intenzione di non fargli mandare tutto alla malora.
Si piegò all’evidenza della sua poca obbiettività. “Non lo è.” Si rivolse alla professoressa. “Qualcuno può accompagnarlo da Radescu?”

La donna fece fremere di indignazione le labbra una seconda volta, ma a parole non obbiettò. “Sì, possono farlo gli allievi.”
Decise le disposizioni, ad Harry non restò che prepararsi mentalmente all’interrogatorio. Aveva come l’impressione che ci sarebbe voluto tutto il suo autocontrollo.
 
****
 
Ginny seguiva da un po’ il figlio maggiore. Dopo aver praticamente corso per tutta la rampa della scale di servizio che portavano alla piazza centrale del Ministero aveva rallentato, salvo per finire, adesso, a sedersi su una delle panchine di fronte alla fontana dedicata ai tre fratelli Peverell, costruita dopo la guerra in sostituzione di quella precedente, distrutta durante la battaglia al Ministero.
James doveva aver capito di esser stato seguito, ma non dava cenno di considerare la sua presenza. Così finì per sedersi vicino a lui. Da quell’angolazione vedeva il filo teso della mascella del suo povero ragazzo.
Aspettò che fosse lui a parlare però.
“Sono la mia famiglia.” Mormorò lentamente. “Sono i miei fratelli, i miei amici… Teddy. Sono la mia famiglia. Come può non capirlo?”
“Lo so, tesoro.” Replicò pacata. Vedendo che l’altro non aveva reazioni se non un lieve sorrisetto sarcastico, quasi a dimostrazione del fatto che lei non poteva capire, sospirò. “Sai bene che tuo padre non si presentò per il suo Settimo anno, vero?”

James aggrottò le sopracciglia. “Andò a cercare gli Horcrux con zio Ron e zia Herm, sì.” Le scoccò un’occhiata interrogativa. “E quindi?”
Era il momento di condividere un po’ di vecchi rimpianti con uno dei suoi figli; Ginny non si era mai ritenuta donna che guardava al passato. Ma se serviva per trarne insegnamento, poteva anche indulgervi. “E quindi non considerò neppure l’idea di rendermi partecipe della spedizione.” Replicò con tono discorsivo, ma fu contenta di notare come adesso avesse attenzione completa. “Ero ancora minorenne, certo… Un anno meno di lui e molta meno esperienza, forse. Ma non me lo chiese neppure. Decise, ed io dovetti adeguarmi.”
“Potevi insistere… Insomma, minacciarlo di seguirlo!” Si mordicchiò il labbro. “Non credevo tu volessi…”
“Aiutarlo? Più di ogni altra cosa, James. Rimasi ferita quando mi disse che non mi avrebbe portata con sé.” Aspettò che avesse recepito il messaggio e continuò. “Ma poi riflettei… Riflettei bene sulle sue ragioni, perché, a dirla tutta, era l’unica cosa che potevo fare. E smisi di essere arrabbiata. Capii.”
James si voltò verso di lei. “Cosa?”

“Che se avessi insistito per andare con lui l’avrei soltanto fatto soffrire.” Gli mise una mano sulla sua. “Avrebbe finito per cedere, perché sapevo che aveva bisogno di me. Ma avrebbe finito per consumarsi nell’intento di proteggermi a tutti i costi.”
“Potevi badare a te stessa come posso farlo io! Sei sempre stata una tosta, ma’!” Ginny sorrise a quell’accorata dichiarazione; era sempre piacevole quando uno dei suoi figli glielo ricordava. “Avresti potuto aiutarlo davvero nella ricerca di quei cosi!”

“Forse.” Concesse. “Ma non è questo il punto… Tuo padre aveva paura per me. Ed era questa percezione che lo avrebbe distolto dal suo obbiettivo. Doveva esser certo di sapermi al sicuro.”
James abbassò lo sguardo. “Stai dicendo che sarei stato un peso?”
“Sto dicendo che tuo padre deve affrontare una prova molto dura. Lily è in pericolo… e non è riuscito a fermare tuo fratello.” Inspirò, imponendosi di continuare quel discorso e non concentrarsi sullo spavento che provava. “Non sarebbe concentrato a sufficienza sapendo che ci sei anche tu.”
“Ha bisogno di sapermi al sicuro…” Sospirò. Si era rilassato nei lineamenti, e Ginny conosceva abbastanza il suo maggiore per sapere che stava processando la notizia, lentamente ma in modo costante.
“Proprio così.” Gli strinse con forza la mano. “Hai ereditato il mio destino tesoro, mi spiace.”
James sorrise, stringendole la mano di rimando. “Spero di aver preso anche il tuo essere tosta, allora.”
Ginny gli accarezzò i capelli corti e ispidi sulla nuca. “Assolutamente tesoro.”
 
****
 
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Una e mezzo.
 
Sören riprese coscienza lentamente, vedendo un alone sfumato cominciare a prender contorno, sempre più velocemente finché non si accorse di fissare una candela appoggiata su un basso tavolino. Aveva una sete dolorosa così cercò di dirlo; quello che venne fuori fu un rantolo privo di senso.
“Ah, sei sveglio!” Lo sorprese una voce che rimbombava dalle profondità degli abissi. Quando gli fu avvicinato un bicchiere alle labbra bevve avidamente e senza fare domande.  
“Ti sentirai meglio.” Disse la voce che Sören riconobbe per come trascinò l’ultima sillaba. Era il dialetto di Lubecca. Era Milo, uno dei tre Magonò a servizio di suo zio.
Mise a fuoco la figura atletica del ragazzo. Era seduto sulla sedia di paglia accanto al letto, più che altro una branda a giudicare dalla scomodità. Realizzò di essere nella sua stanza e negli appartamenti della servitù.
“Meglio?” Chiese il ragazzo finendo di arrotolare una sigaretta di tabacco. “Credo di sì… per voi Maghi le nostre pozioni funzionano meglio che per noi. Ironico, no?”
“Che ci faccio qui?” La voce era tornata salda e sì, si sentiva effettivamente meglio. Con meraviglia ricordò di aver appena subito una punizione. Meraviglia, perché non sentiva alcun dolore al braccio.
Sono stato curato, dunque.
Milo si accese la sigaretta sfregando un cerino sul muro. “Sei al sicuro.” Tirò una boccata di fumo e poi gliela passò. “Ti ho salvato il sedere, Signorino.”
Sören la prese e vi diede una boccata. Il sapore forte del tabacco non erano Vodka incendiaria ma gli diede un po’ di stabilità in più. Si sentiva ancora girare la testa. “Cos’è successo?”
Il Magonò fece schioccare la lingua. “Cosa stava per succedere piuttosto… Avrei dovuto mollarti nelle segrete e lasciarti agonizzare, secondo ordini.” Piantò gli occhi nei suoi, e ancora una volta Sören fu sorpreso di vedervi una fermezza d’animo senza pari. “Invece…” Lasciò aleggiare la frase.

“Invece non l’hai fatto.” Disse per lui. “Se lo sapesse mio zio ti ucciderebbe.”
“Puoi giurarci.” Replicò con un sogghigno. “Forse mi farebbe pure di peggio. Sembra nervosetto di questi tempi.”
Sören cercò febbrilmente di fare il punto della situazione; era di nuovo in grado di camminare, correre, battersi. Poteva ancora salvare Lily. Tutto questo era stato possibile grazie all’intervento del Magonò. La domanda fu sequenziale. “Perché vuoi aiutarmi?”

Milo gli lanciò un’occhiata. “Non ci vuole un cervello da Purosangue per capire che qui le cose stanno andando a puttane.” Si riprese la sigaretta e ne diede una soddisfatta boccata. “Io son venuto qui per evitare la strada e avere la pancia piena. Non per farmi arrestare da voi maghi come complice nel rapimento di una ragazzina.”
Aveva senso. Sören controllò di avere piena motilità e controllo delle gambe e delle braccia, poi si alzò in piedi. La testa gli girava un po’, ma sarebbe passato. Era a posto.
Si voltò verso l’altro. “Temo tu non ci abbia guadagnato molto a salvarmi… Non sono certo dalla parte dei buoni.” Ironizzò richiamando le parole di Doe; chissà dov’era Johannes. Sperava ben lontano di lì.
“Sì, ma non sei neanche cattivo…” Virgolettò le parole. “Davvero ragioni in bianco e nero, tu?”
Sören lo fissò confuso e l’altro scosse la testa. “Lascia perdere. Vuoi salvare la ragazzina, no?”
“Esattamente.”
“Bene, ti aiuterò.” Decretò alzandosi in piedi e spazzolandosi i pantaloni. “Se la Rossa riesce a tornare a casa forse eviterò Nurmengard. Personalmente non voglio neanche trascorrerci un solo giorno… Uno come me non ama gli spazi angusti.”

Sören ascoltò a metà il chiacchierare dell’altro. Estrapolò piuttosto ciò che gli interessava. “Puoi aiutarmi?”
Milo fece un sorriso divertito. Chissà se era capace di farne sinceri. “Si dà il caso che sia il carceriere.” Fece tintinnare con un colpetto di dita delle chiavi attaccate alla cintura. “Tuo zio pensa proprio zero di noi SenzaMagia.”
“È difficile pensare che uno di voi si ribelli rischiando la sua ira. Forse non crede voi siate capaci di prendere decisioni razionali.” Replicò senza il vero intento di offendere o sottintendere la debolezza di nessuno. Era così che ragionava Alberich.
L’altro fece una smorfia, ma sembrò accettare il punto. “Non posso dargli tutti i torti. I due vecchi se la stanno facendo sotto nelle loro stanze… L’unica cosa di utile che han fatto è stato prepararti la pozione, e solo perché sei il padroncino.” Fece una smorfia nauseata. “Sai come funziona? Tecnica degli Snasi. Nascondi la testa e aspetta che passi la bufera.” Diede un’ultima boccata poi gettò il mozzicone nel fuoco. “Io nella bufera però non ci voglio affogare e mi dispiacerebbe veder affogare pure quei due.” Gli tese la mano. “Siamo d’accordo? La nostra salvezza per la tua bella Rossa.”
Sören non esitò prima di stringerla; aveva capito sulla sua pelle che non poteva salvarla da solo. Aveva bisogno dell’aiuto di quello strambo, irrispettoso Magonò. “Lily non è mia…” Puntualizzò però, sentendosi un idiota non appena lo ebbe detto: che senso aveva chiarirlo in quel momento?
Milo inarcò le sopracciglia. “No? Ci avrei scommesso cinque galeoni che era la tua fidanzatina. Quando l’ho portata giù, dopo che quel vecchio con la faccia da moccioso l’aveva rapita, mormorava il tuo nome. Da svenuta. Non sarà tua, ma nella sua testa tu ci sei di sicuro.”

Sören sentì una stretta allo stomaco; chissà cosa doveva aver provato Lilian quando aveva scoperto tutto dalla bocca crudele di suo zio. Non poteva immaginarlo… ma forse tradimento era un’espressione calzante.
“È mia amica.”
Il Magonò gli scoccò un’occhiata indecifrabile, gemella di quella che gli aveva dato quando era rimasto con lui dopo che era stato torturato. “Parola mia, Von Hohenheim… sei un mago ben strano.”
Sören sorrise appena. Lo era; ma se quella sua stranezza avrebbe aiutato Lily a scappare era la benvenuta. “Vorrei un favore.”
“Un altro?” Motteggiò, ma gli fece cenno di continuare mentre accendeva la lanterna con cui avrebbero attraversato l’oscurità del castello.
“Non sono un Von Hohenheim. Sono un Prince. Puoi ricordarlo?”

L’altro non ribatté, ma fece un inchino, tutto fuorché umile, ma neppure irrispettoso. Forse era il suo modo per attestare che aveva capito la sua richiesta.
“Come desideri, Sören Prince.”
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Due del pomeriggio.

 
Il Direttore Helmut Jagland atterrò con tutto il suo peso di quasi due metri sulla sedia, con una precisione che aveva del notevole considerando il fatto che c’era stato spedito da un pugno. Il pugno, per precisione di notizia, apparteneva al Salvatore dei Due Mondi, all’Eroe che aveva sconfitto il Mago più oscuro di tutti i tempi.
In breve, Harry Potter, che al momento si stagliava di fronte all’uomo quasi fosse il doppio in altezza e in imponenza. Perlomeno, a giudicare dal colorito terreo del norvegese, lo sembrava.

“Lei… Come… come osa?” Balbettò in pessimo inglese; la maschera di boria e supponenza era completamente scomparsa non appena il Capo Auror era entrato nel suo ufficio, bypassando i due nerboruti allievi posti a suo presidio.
C’era da dire che i suddetti, riconosciutolo, non avevano tentato di fermarlo.
“Chiudi il becco, feccia.” Poche persone avevano avuto il privilegio di vedere il Leggendario Bambino-che-era-sopravvissuto-due-volte seriamente infuriato, e Nora realizzò di essere appena entrata nel novero. Non tentò di fermare la rabbia del collega d’Oltre Oceano però; comprendeva perfettamente il suo stato d’animo, e finché non avesse tirato fuori la bacchetta, creando un precedente magico che avrebbe potuto crear loro grattacapi, non avrebbe alzato un mignolo.
Mai piaciuti i Purosangue fieri di esserlo. Fortuna che ormai in America sono più rari delle eclissi di sole.
“Mia figlia è stata rapita sotto la tua tutela… E non perché non te ne sei accorto, ma perché hai voltato lo sguardo.” Il tono di Harry era di una calma mortale, ma c’era dietro talmente tanta rabbia che nessun uomo sano di mente avrebbe ribattuto. Jagland infatti non aprì bocca. “Sei della Thule.” Era un’affermazione, e a questo il senso del dovere di Nora pizzicò.
“Harry…” Disse soltanto, e l’altro recepì anche se non si voltò a guardarla. Le bastò sentirlo inspirare bruscamente.
Non so se sia vero quello che dicono dei Grifondoro, ma basandomi solo su Harry e Ronald… Sì.
Non sono difficili da capire. Da fermare, piuttosto.

“Riformulo la domanda… Conosci Alberich Von Hohenheim?” Sbatté la mano sul tavolo di quercia nobile non appena l’uomo tentò di protestare. “Facciamola semplice.” Disse. “Rispondi con un sì o con un no. Preferisco. Non ho tempo da perdere.”
“… Sì.” Sussurrò l’altro mago, terrificato. Lo sguardo volava per tutta la stanza, ma si soffermava spesso sul fuoco magico. A Nora fece quasi pena; era ovvio che l’inglese non l’avrebbe fatto muovere di mezzo centimetro in direzione di qualsivoglia forma di comunicazione.

“Hai fatto infiltrare qui suo nipote, Sören?”
“Sì…”
“Hai fatto in modo che venisse scambiato per il suo omonimo, Sören Luzhin. Come?”
Nora si accorse che Harry non aveva ancora revocato l’ordine di risposta binaria, così si schiarì la voce. “Parli pure liberamente.”

“Tramite… delle spille. Sono incantate. Le indossano tutti gli studenti e il corpo docente… In questo modo il ragazzo aveva l’aspetto di Luzhin. Per tutti.” La voce del norvegese era ridotta un sussurro; sembrava incredibile, ma nonostante la stazza e l’espressione distinta era ormai ridotto ad un vecchio tremante.
Proprio vero che la paura è lo specchio dell’anima.
“Per tutti tranne chi?” Lo incalzò Harry. “Chi altro sapeva della sostituzione?”
“La delegazione del Tremaghi… ed io. Solo io.”
Nora gli lanciò un’occhiata; comprendeva, ma non poteva permettere che si facesse una caccia al colpevole tra minorenni. “Come ha convinto i suoi allievi a non denunciare la cosa?”
Il Direttore la guardò come se non capisse la domanda. Era mal formulata in effetti; era piuttosto probabile che quel manipolo di ragazzi fosse stato cresciuto nella più ferrea obbedienza e disciplina.
Ma dovevano comunque tutelarsi da un’eventuale crisi di coscienza…
“Come poteva esser sicuro che non avrebbero parlato? Magari senza volerlo.”
“Erano tutti sotto Voto Infrangibile.” Disse infatti e stavolta Nora dovette frenare l’Auror afferrandolo per un braccio. Con la coda dell’occhio aveva visto la mano scattargli troppo vicina al fodero.
“Harry, no.” Disse piano mentre Jagland aveva l’aria di chi stava per svenire o rimettere. “Affatturarlo non ci porterà da nessuna…”
“Ha messo dei ragazzi sotto Voto Infrangibile.” La interruppe con gli occhi che bruciavano. “Sai cosa succede se, anche solo per sbaglio, per una parola di troppo, lo si rompe?”
“Sì.” Gli strinse appena un polso e con sollievo vide l’altro rilassarsi e allontanare le dita dalla fondina. “È solo un burattino… Non è lui che ha preso queste decisioni. Probabilmente non ha mai visto Von Hohenheim in vita sua.”
“È… è la verità!” Esclamò l’altro mago, concitato; con disgusto Nora ricordò come l’avesse trovato distinto al Ballo del Ceppo. “Mi è stato dato ordine tramite terzi!”
Harry si era liberato della sua presa e aveva fatto un paio di passi verso la finestra quindi ora il testimone passava a lei. Era quasi un sollievo constatare che persino un uomo della sua tempra arrivava vicino al punto di rottura. “Chi?”
“Non so chi fosse… I corrieri sono sempre diversi. Era la prima volta che ne ricevevo uno, a parte quando sono stato nominato Direttore.” Jagland non era furbo come sembrava, perché stava praticamente vuotando il sacco sulla corruzione della sua nomina, in modo così stupido da essere quasi imbarazzante.
“Non importa. Lo descriva.”
“Era… biondo. Sì, biondo. Un ragazzo giovane. Credo fosse tedesco dall’accento, parlava molto… era irrispettoso.” Il Camaleonte. Così era stato quell’avanzo di laboratorio a predisporre le cose per l’arrivo del nipote di Von Hohenheim. “Non so altro… ho solo obbedito a ciò che mi è stato chiesto di fare!”
“Peccato che lei non stesse lavorando per la Thule, ma per un uomo da cui la sua Organizzazione ha preso le distanze.” Gli rivelò. “Alberich Von Hohenheim non rappresenta più niente, se non una mina impazzita, un rapitore e un assassino. E lei, Signore, ne è complice.”
Nora non si giudicava una persona impietosa, ma vedere un vigliacco realizzare di essere mortalmente fottuto era appagante. Prese poi la bacchetta e materializzò una pergamena nuova di fronte all’uomo.

“Questa… a che serve?”
“Alla sua confessione. Partendo dalla Thule, se non le spiace.” Sorrise, poi si rivolse ad Harry. “Tu raggiungi il sergente Weasley, qua finisco io.”
L’uomo si limitò ad un breve sorriso. “Perfetto.” Esitò, poi aggiunse. “Grazie.”
“No, grazie a te.” Una volta Jeremiah le aveva detto che ad accompagnarsi a persone di valore portava sempre a qualcosa di buono. In quel momento Eleanor Gillespie pensò che se poteva mettere una pietra sul suo incubo personale lo doveva a quell’uomo con l’aria da ragioniere e l’interiorità di un eroe.

 
 
Harry fu sorpreso quando vide che nell’infermeria, oltre che a Rose e la McGrannitt c’era anche il giovane sotto-ufficiale con cui aveva parlato ad Hogwarts. Ron lo accolse con i lineamenti notevolmente più rilassati; vedere la figlia sana e salva, con un buon colorito addosso, doveva essere stato un notevole sollievo.
“Signor Potter.” Lo salutò la McGrannitt. Harry si sentì diviso: se da una parte voleva prendersela con lei per aver permesso ai suoi figli di compiere quell’idiozia, dall’altra il rispetto e la stima che nutriva glielo impediva.
“So cosa pensa.” Lo anticipò. “Ma come ho spiegato al Signor Weasley, il mio margine di manovra era minimo. Legalmente, i suoi figli sono maggiorenni… Personalmente, sarei andata io stessa se fossi stata in grado di essere un aiuto e non un peso. Ho visto ragazzi ben più giovani battersi come eroi… e due di essi sono in questa stanza.”
Ron prese un’aria imbarazzata. Anche Harry si trovò a corto di parole; la donna aveva centrato il cuore stesso delle loro indoli. Sospirò. “Non sono qui per accusarla, professoressa. Sono qui per riportare indietro tutti sani e salvi.” Sorrise a Rose. “Come ti senti?”
“Molto meglio zio.” Fece una smorfia insofferente. “Mi tengono qui per sicurezza, ma sto bene.”
“Hai avuto una commozione cerebrale, Rosie!” La apostrofò suo padre con forza, ma poi finì per guardarla con affetto. “Non lascerai quel letto prima di  un mese, se chiedi a me.”
“Meno male non devo farlo…” Borbottò “Zio, io…” Lesse colpa negli occhi della nipote, e si affrettò a sorriderle come meglio poté.
“Sei stata molto coraggiosa. So che hai fatto del tuo meglio… grazie.” La ragazza arrossì, ma non ribatté né sembrò rincuorata. Poteva capirla, ma doveva passare oltre. Si rivolse dunque al giovane durmstranghiano. “Radescu, giusto?”
Il ragazzo annuì; aveva l’aria sveglia e molto meno rigida rispetto al loro primo incontro. Si avvicinò e gli strinse la mano. “Grazie per aver soccorso mia nipote.” Lo scrutò; se era sotto Voto Infrangibile l’interrogatorio con Ron doveva essere stato un buco nell’acqua. “So che sei sotto Voto…” Esordì e Ron annuì. Forse era la gratitudine per avergli salvato la figlia, ma sembrava comunque ben disposto verso il giovane.

“Sì, ho fatto un Incantesimo di Rilevamento quando me l’ha detto. C’è dentro fino al collo.” Confermò i suoi sospetti. “Ma è qui comunque per aiutarci.”
Harry si chiese come, ma fu lo stesso Dionis a venirgli in aiuto. “Non posso parlarvi di quello che è successo quando … Luzhin…” Disse cauto, poi sospirò. Doveva essere tremendo avere una spada di Damocle del genere sulla testa. “… era con noi. Ma posso dirvi quello che è successo ieri sera.”
“Non rientra nel Voto Infrangibile?” Chiese perplesso e si scontrò con l’aria confusa dell’amico e quella valutativa della McGrannitt.

Il ragazzo sorrise. “Ho studiato bene il Voto. Per capire se c’era modo di parlare… Non c’è.” Disse subito. “Ma si tratta di un giuramento. Di altre parole. Io ho giurato di non tradire l’identità del ragazzo presentatosi come Sören Luzhin. In senso lato, ho giurato di proteggerlo.”
“Dunque?” Non capiva. Se era lì per aiutarli fare muro attorno al nipote del padre di Tom non era la strategia giusta.

“Ieri notte io e Sören abbiamo scoperto che Kirill Poliakoff, il suo Assistente era stato ucciso…”
Harry si scambiò uno sguardo con Ron, ma quello gli fece solo cenno di ascoltare. “Sören non ne sapeva niente. È  stato messo da parte… Quindi ha fatto una scelta. Ed è per questa scelta che io posso parlare.” Prese un profondo respiro. “Con questi occhi, Signore, io ho visto Sören scegliere di andare a salvare sua figlia.”

“Lily?” Dovette appellare tutto il suo auto-controllo per non sbottare contro il ragazzo. “È colpa di quel ragazzo se mia figlia…”
“Con tutto il rispetto, Signore.” Lo interruppe incredibilmente. Era pallido, ma determinato. “So che la persona di cui stiamo parlando non si può definire un mago perbene. Però è un guerriero.” La definizione sarebbe stata ridicola in bocca a molte persone, ma non a quel ragazzo che un guerriero lo sembrava davvero. “Si è votato ad una causa sbagliata, è indubbio. Ma testimonio sul mio onore che la persona che ho visto non è più un nemico. Non per sua figlia, non per lei. Quella causa, Signore, l’ha abbandonata sotto i miei occhi.”
“Dice che Novij ha usato lo Specchio delle Brame per andare da suo zio e per convincerlo a rilasciare Lily.” Sbuffò Ron. Sembrava incerto se cedere alla fiducia che ispirava quel ragazzo rigoroso o cedere al suo scetticismo da Auror.
Harry scelse il secondo. “Dionis, Sören Novij è il nipote di uno stregone oscuro che si è macchiato di innumerevoli crimini. Non vi è onore in persone del genere, né crisi di coscienza… Quel ragazzo è stato cresciuto sotto l’ala di suo zio. Perché avrebbe dovuto rinnegarlo? Ti ha ingannato per farsi aiutare.”

Il Durmstranghiano non si scompose. “ Per sua figlia, Signore.” Disse come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Sono amici.”
Harry non rise solo perché l’espressione di quel ragazzo era troppo seria per farlo. Conversioni del genere non esistevano nella vita reale. Nessuno passava dal male al bene solo per affetto.
Sicuro? Un precedente lo conosci… e curiosamente, è pure parente del ragazzo.
Severus Piton. Ha rinnegato Voldemort per salvare tua madre. No?
Guardando il volto pallido e tirato di Rose e quello stanco della McGrannitt decise di accantonare quel problema, per il momento. Non poteva continuare a far domande su qualcosa che comunque non gli avrebbe fatto guadagnare tempo ma piuttosto il contrario. “Hai detto che ha usato lo Specchio delle Brame per andarsene. Come?”
“Lo ha trasmutato in una Passaporta.” Fu l’immediata risposta. “Ha usato un incantesimo per attivarla.”
“Lo ricordi?”

Il giovane rumeno sorrise. “Posso fare di meglio, Signore. Posso mostrarvelo.”
 
****
 
Milo si voltò per controllare la presenza del mago dietro di sé; quel Prince era silenzioso come un gatto e non lo si sentiva camminare, né tantomeno respirare.
“Entrato in modalità spia?”
Venne squadrato con confusione; c’era tanto di sorprendente in quel tipo. Si vedeva da come si muoveva, dalla velocità con cui reagiva a tutto ciò che gli circondava che era letale, però al tempo stesso era capace di espressioni da bambino sperduto. “Non importa.” Scosse la testa. “Non perdermi di vista e non entrare nel raggio della torcia… Se ti vedono siamo fottuti. Tuo zio ha già detto a tutti che non sei più parte della banda.”
“Lo immaginavo.” Replicò senza particolari emozioni. Alternava una faccia anodina a quell’aria da cucciolo smarrito, che certo avrebbe sciolto più di una ragazza e pure qualche ragazzo con la fissa per i ragazzi più bassi di lui e che amavano vestirsi da mago cattivo.

Di certo qui ci sarebbe tanto da lavorare per uno strizzacervelli babbano… È il controsenso di se stesso.
Scesero le lunghe scale a chiocciola che portavano da una sezione della torre di centro alle segrete, situate parecchi piani più sotto. Dallo spiffero umido che tirava fuori doveva aver cominciato a piovere.
“Tuo zio ha arruolato altri Mercemaghi.” Continuò sottovoce. “Ora sono una specie di piccolo esercito maleodorante e con pretese assurde. Non sarà facile uscire dal castello, lo pattugliano da cima a fondo.”
“Di questo non preoccuparti.” Fu l’ovvia risposta da macho della situazione. Però era stranamente convincente. “Piuttosto… Vuoi che porti fuori anche voi?”
“Voi chi?” Poi intuì che si riferiva anche ai due vecchi Maghinò. “No, scordatelo. Prima di tutto, sarà già un inferno portar fuori una persona… Secondo, saremo dei bersagli mobili. Ho un coltello, ma non è un granché contro due dozzine di bacchette incazzate.”
Sören sospirò, ma non disse niente; in quella sua stramba testa dovevano esser state ficcate anche nozioni di strategia. Quel discorso terra terra doveva aver senso anche per lui.

“Ce la caveremo.” Si sentì in dovere di dirgli. “Quando arriveranno i buoni diremo che non sapevamo che stava succedendo e oh, avevamo tanta paura per le nostre misere vite…” Scimmiottò un tono piagnucoloso e si voltò a guardare l’altro. Aveva fatto un mezzo sorriso.
Beh, perlomeno non gli hanno cancellato il senso dell’umorismo.
“Tu mi hai aiutato però.” Osservò. “Mio zio non ci metterà molto a capire che sei stato tu.”
Milo Meinster non era nato stupido; senza Magia, ma non senza cervello. Fece un sorrisetto. “Motivo per cui  io…” Si fermò e vide che anche il mago si irrigidì facendo scattare la mano vicino al fodero della bacchetta; erano dei passi piuttosto affrettati.

Tre, due… Quanti diavolo sono?
“Sta arrivando qualcuno!”
“Tre persone.” Replicò Sören con sicurezza. “C’erano guardie nei sotterranei?”
“Fino a due ore fa no!” Masticò un’imprecazione. “Devono averle messe mentre ero sopra… Nasconditi!”
Sören non se lo fece ripetere e sparì inghiottito dalle ombre e forse anche da un incantesimo di Disillusione veloce.

Come previsto, arrivarono tre Mercemaghi, trai più cenciosi e maleodoranti, stimò con disgusto.
Solo perché non hai abbastanza Galeoni per avere dei vestiti di ricambio non significa dover farsi marcire addosso quelli di tutti i giorni.  Io i miei li lavo. Quant’è difficile?
“Ehi, Magonò!” Lo apostrofò uno dei tre, il più in alto nella loro traballante scala gerarchica a giudicare dai vestiti meno unti e più cicatrici. “Che ci fai qui?”
“Controllo la prigioniera?” Chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo; sfortunatamente così non era, perché tutto quello che doveva fare erano darle da mangiare o spostarla.
E non ho ordini di spostarla, né ho un piatto in mano. Merda. Giochiamoci la prima.
“Non abbiamo saputo di nessun spostamento. Che ci fai qui?” Insistette il tizio, avvicinandosi e facendogli arrivare alle narici puzza di vino elfico e stantio. Milo, che era stato condannato ad avere un naso sensibile, si concentrò sul non rimettere.
Merlino, persino un cassonetto della spazzatura ha un odore migliore…
“In realtà sono venuto per i vostri brutti musi.” Replicò con il suo ghigno migliore; se Prince era furbo avrebbe approfittato di quella diversione per andare dalla sua amichetta.
E per aprire la porta si inventerà qualcosa… Non è il ragazzo meraviglia del padrone?
Pensò questo e poi sentì un dolore lancinante al costato. Nessuno si era mosso o lo aveva colpito, ma la bacchetta del Puzzone era levata. Una fattura. Crollò in ginocchio.
“Fa’ anche lo spiritoso, il Sangue Marcio… La magia con voi serve solo per farvi strisciare.”
Milo notò che un’ombra si era mossa al lato della sua visuale; bene, Prince non era un’idiota. Era consolante. “Veramente Sangue Marcio sono quelli con i parenti babbani…”  Puntualizzò; non era la prima fattura che si beccava, e i Maghi non entravano mai nell’ordine di idee che anche quelli come loro potevano sviluppare una certa resistenza – o sopportazione – alle stesse.

Chiuse gli occhi quando vide il Mercemago preparare il secondo colpo, ma poi sentì una specie di guaito. Li riaprì: Sören, uscito dal cono d’ombra, era piombato sul suo aguzzino, tirandogli un colpo al braccio e facendogli cadere la bacchetta. Il bastardo si voltò subito, riflesso condizionato per capire cosa diavolo l’avesse preso; errore. Si vide arrivare un colpo a mano aperta al setto nasale, che lo fece esplodere in un grumo di sangue e muco.
Sören prima che cadesse come una bambola, lo usò come scudo contro gli incantesimi degli altri. Neutralizzò gli altri due nello stesso modo con un efficienza che aveva dello spaventoso.

Cazzo. A mani nude?
“A mani nude?!” Ripeté ad alta voce. Sören si chinò ad aiutarlo e lo rimise in piedi; magrolino, ma con dei muscoli d’acciaio. Li sentì tendersi quando lo tirò su di peso.
“Gli incantesimi fanno rumore.” Replicò. Gettò un’occhiata ai tre corpi svenuti e malmenati. “Anche loro erano rumorosi.”
“Dove diavolo hai imparato quella roba da babbani?” La fattura non doveva essere stata di prima classe, perché il dolore stava scemando. “Dico sul serio, cos’era, kung-fu?”

Prince gli scoccò l’ennesima occhiata confusa. “Non so cosa sia. Mi è stato semplicemente insegnato a difendermi in qualsiasi situazione. Anche quando non ho una bacchetta e non posso usare…” Tacque, inspirando. “Andiamo.”
“Non dovremo nasconderli o qualcosa del genere?” Diede un calcetto al tipo di prima. Era svenuto sul serio e forse stava affogando nel suo stesso sangue.
Crepa.
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Dove? Questa è una scala. In ogni caso, prima o poi se ne accorgeranno comunque. Sarò fuori prima del prossimo turno di guardia.”
“Arrogante bastardo…” Ghignò divertito. “Grazie, comunque. Potevi aggirarli e andartene, lo sai?”
Sören fece un mezzo sorriso. “Sì, lo so.” Non era tanto sveglio nei doppi sensi, ma qualche sottotesto sembrava coglierlo.

Scesero un altro paio di rampe, poi Milo gli mise una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione. La gratitudine era una brutta bestia; sapere che la persona davanti a lui gli aveva appena risparmiato un bel ciclo di torture lo metteva in una posizione scomoda.
Non posso diventare sentimentale adesso… Per un mago, poi!
“Ascolta, non posso venire con te.” Gli disse, staccandosi le chiavi dalla cintura e porgendogliele. “Come hai detto tu rischio troppo. Deve sembrare che me le hai rubate… Schiantami.”
Sören esitò, poi sembrò considerare la cosa velocemente. “Sei sicuro che i Mercemaghi che abbiamo appena incontrato non sospetteranno? Posso portarti con me fuori di qui prima che lui se ne accorga.”

Nah, sono troppo stupidi per fare due più due.” Ribatté. “E poi te l’ho detto, non posso abbandonare i vecchi. È una questione da grande famiglia Magonò. Devo tornare da loro.” Vedendo che esitava sbuffò. “Andiamo, non hai tempo!”
Sören annuì; apprezzava il fatto che fosse un tipo di poche parole. “Sei pronto?”

“Fallo sembrare convincente, mi raccomando.” Gli strizzò l’occhio e si beò ancora di quella faccia da cucciolo smarrito; sul serio, come poteva un tizio letale essere così adorabile? Era disturbante. “Terza cella a destra. Va’ a salvare la tua principessa.”  
 
****
 
Sören posizionò la torcia che gli aveva consegnato Milo sul supporto accanto alla cella. Lilian era lì, non c’era tempo da perdere. Prese le chiavi e le inserì nella serratura; il movimento avrebbe neutralizzato la barriera che era stata messa per impedire ad esterni di aprirla con la magia. Dall’interno era chiusa allo stesso modo.
Sentì un rumore al di là della porta e si sentì serrare lo stomaco; come avrebbe potuto convincerla a fidarsi di lui ora che sapeva la verità?
Aprì la porta e una lama di luce entrò dentro la cella. “Lily.” La chiamò. “Sono io, Sören.” Cercò di tenere la voce ferma, anche se tutto quello che voleva era chiedere perdono. “Va tutto bene.” Non erano le parole giuste, forse.

“… Sören?” La voce, era la sua voce. Respirò sollievo sentendola; certo, sapeva che era viva, Milo gliel’aveva assicurato implicitamente portandolo lì.
Tuttavia, era viva.
Si avvicinò all’uscita, strizzando gli occhi per la luce improvvisa. Aveva ancora l’uniforme scolastica spiegazzata e anche rotta in più punti. Doveva esser caduta e si stringeva le braccia al petto come a difendersi dal freddo. “Sören…?” Mormorò, quasi non credesse alla sua presenza.
Le tese la mano. “Ti porto via di qui.” Vedendo che non accennava a muoversi si sforzò di trovare parole più adatte. Non avevano tempo, ma non voleva usare la forza. Voleva convincerla. Voleva che gli credesse. “Al sicuro, Lily… ti porto al sicuro. Via.”
Sei patetico. Perché dovrebbe?
Gli occhi della sua piccola amica erano grandi di spavento e confusione. Non parlava, però. Non chiedeva, non protestava, non urlava accusandolo di essere come suo zio, come Johannes.
Perché?
Le porse nuovamente la mano. “Non c’è tempo, Lilian. Ti prego, devi fidarti.” Cercò di infondere in quelle parole tutta la convinzione che provava. Aveva abbandonato suo zio per lei. Era stata la scelta più giusta della sua vita, la più vera. Come poteva comunicarglielo però?
Lily rimase a guardarlo per un tempo che gli parve infinito. L’espressione sul suo viso era illeggibile, oltre al pallore dello shock. Avrebbe tanto voluto essere un Legimante in quel momento, invece che un banale Occlumante. “Lily…”  
“… Non ho la bacchetta.” Disse all’improvviso. “Non ho la mia bacchetta.”
“Johannes te la deve aver presa. Non preoccuparti, io…”
“Voglio una bacchetta. Per difendermi.” Il tono era incolore, ma lo sguardo determinato. “Verrò con te, ma voglio una bacchetta.”
“Ti fidi?” Gli venne spontaneo chiederlo, sperarlo. Forse con il suo essere Legimante Naturale aveva capito la bontà delle sue intenzioni. Forse.

“Sì.” Disse. “Ma…”
“Va bene.” Estrasse la sua dal fodero e gliela porse dalla parte del manico. “Puoi prendere la mia per il momento. Penseremo dopo a cercarne una.” Usare quel braccio in un eventuale scontro non era l’idea migliore del mondo, ma non poteva neppure lasciare Lily disarmata, se era l’unica condizione che gli imponeva per seguirlo.

“E tu?”
“Io me la caverò.” Scosse la testa. “Adesso dobbiamo andarcene, non c’è più tempo.”
Lily gli prese la mano. Era stranamente fredda, ma forse non era così strano considerando che aveva passato le precedenti ore in una cella gelida. Il palmo toccò il suo e poi Sören si sentì strattonare. Non capì finché non vide la punta della sua bacchetta puntata contro il petto.

“Stupeficium.”
Sören istintivamente si protesse il petto con quel braccio e questo gli impedì di essere schiantato sul colpo. Non poté impedire però che perdesse l’equilibrio e crollasse a terra. Lily saltò indietro, agile come un gatto e con una manata richiusa la porta.
Lei fuori, lui dentro.
“Lily!” Saltò in piedi ignorando il dolore al petto; si era protetto, ma non era stato abbastanza per evitare, forse, la frattura di una costola. Lo Schiantesimo era stato pronunciato con un intento solo.
Neutralizzarmi.
“Lily, aprimi!”
Sentì dare un giro di chiave; le maledette chiavi erano rimaste nella toppa, all’esterno e l’altra le aveva appena usate. “Lily!” Urlò sbattendo il pugno contro il legno pesante e incantato. “Liberami!”
“Almeno su questo non hai finto…” Sentì dire la voce dell’altra. Era fredda, piena di rancore. “Non sai davvero renderti conto quando qualcuno ti prende in giro.” Esattamente come aveva immaginato e come gli aveva detto suo zio, Lily Potter lo odiava.

Ma non così… non avevo immaginato questo.  
“Non…” Non sapeva cosa dire, era quella la verità. Avrebbe dovuto saperlo che Lily non l’avrebbe mai visto come il suo salvatore, come l’eroe, ma come uno dei cattivi, venuto forse ad ingannarla. Come aveva fatto Johannes, come gli aveva chiarificato suo zio. “Ti prego.” Mormorò appoggiando la fronte contro la porta. “Ti prego, non riuscirai ad uscire di qui … Non da sola. Avrai bisogno del mio aiuto.” Nessuno gli aveva mai insegnato ad affrontare una cosa simile. Come poteva sapere qual’erano le parole giuste? C’era modo per saperlo? “Hai… hai detto che siamo amici.”
“Ho detto a Sören Luzhin che eravamo amici. Tu sei Sören Luzhin?” La voce aveva avuto un tremore. Aveva solo quindici anni, e lui le aveva stravolto la vita. L’odio andava bene con le lacrime, non con la fiducia. 

Premette la fronte contro il legno, sentendola bruciare per il freddo del metallo innestato. “No… non sono Sören Luzhin.” Sussurrò. “Mi dispiace… mi dispiace tanto.”
“Ti dispiace? Io mi fidavo di te!” Urlò. “È colpa tua se sono qui! È per salvare te, come la povera idiota che sono, che sono finita in questa situazione! Ed era tutto falso! Tutto quanto!”
Sören si scostò dalla porta, riprendendo fiato e contegno. Non era mostrandole quanto era dispiaciuto che si sarebbe fatto aprire, ormai era ovvio. “Hai tutto il diritto di odiarmi per quello che ti ho fatto…” Anche se questo non lo rendeva meno facile. “Ma devi credermi, non sto lavorando per mio zio, adesso. Sto lavorando per te.”
“Le persone mentono.” Sentì un paio di passi. Era indietreggiata, se ne stava andando.

“Sei una LeNa!” Se fosse scappata non avrebbe più potuto aiutarla. I Mercemaghi, o Johannes l’avrebbero trovata e nascosta in un altro posto, mentre lui sarebbe rimasto lì, impotente. “Guarda dentro di me, scopri se sto mentendo!”
I passi si fermarono. Lily stava valutando seriamente la cosa. Non poteva vedere nulla ma poteva percepire la sua esitazione. O forse voleva solo crederlo.
“Va’ all’inferno…” I passi si allontanarono. Sören chiuse gli occhi: era finita.
Poi sentì una risata; e la riconobbe subito, come riconosceva tutto di Johannes.
 
“Ma così mi rendete il lavoro una passeggiata!”
 
No. No, no, no… Non dovrebbe essere qui. Come ha saputo? Come ha saputo che…
Sbatté le mani contro la porta. “Lily, aprimi! Aprimi subito!” Urlò, ma non poteva sapere se l’altra fosse lì, o se fosse già nelle mani di Johannes. “Scappa!”  
“Ren…” Fu un sussurro e gli sembrò, assurdamente, che fosse al suo orecchio.
E poi, un lampo verde. Un boato. Quel lampo verde.
Johannes, John Doe. Uno dei pochi maghi di sua conoscenza capace di lanciare un Avada Kedavra senza aprire bocca.
 
 
****
 
Note:
Okay, prometto che dal prossimo capitolo niente cliff-hanger.

Qui la canzone. Gran colonna sonora, the Avengers. <3
1.Sangue puro in bulgaro.
Per capirsi, immagino il castello così però che si affaccia in un paesaggio come questo .

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Capitolo 60
*** Capitolo LVII ***


Capitolo LVII

 
 


 
I was looking for a breath of life
For a little touch of heavenly light
But all the choirs in my head say, no
Who’s side am I on? Who’s side am I?
(Breath of life, Florence & The Machine)
 
 
 
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
 
 
Un lampo verde, almeno nel Mondo Magico, voleva poter dire solo una cosa. Il verde non era un gran colore in certi ambienti, e sicuramente non in quello di Sören.
Lo vide, capì. Non ci fu il passaggio successivo in cui realizzò che se Johannes aveva colpito Lily, Lily era morta.
Sentì solo il controllo che veniva spazzato via dal terrore e dalla rabbia. Mai, nella sua vita, aveva provato tanta paura.
Ma non per sé, stavolta.
La Magia era cosa strettamente legata alle oscillazioni del proprio animo; la sua magia, in special modo, era legata a doppio filo alle sue emozioni. Per questo Von Hohenheim si era adoperato in ogni modo per reprimerle, schiacciarle, renderle morte.
Perché quella mano era un’estensione di se stesso; era se stesso. L’aveva sempre vista e considerata con repulsione, perché lo qualificava come un’arma, come qualcosa che aveva perso ogni umanità.
Eppure a quella mano fu grato, perché fu lei, fu lui a far saltare il portone incantato dalla barriera protettiva. Vide il metallo dei cardini e dei rinforzi scaldarsi, diventare arancione, il legno bruciare ed esplodere in un milione di schegge che gli volarono tutto attorno, senza però colpirlo. Il braccio proteggeva e distruggeva.
La porta esplose.
La seconda cosa che vide oltre il pulviscolo di segatura e schegge fu l’espressione di Johannes; era evidente che non si fosse aspettato quella svolta degli eventi. Forse era stato lui stesso a incantare il portone, o potenziare la barriera già presente.  A volte rimaneva sorpreso dal fatto che lo considerassero così poco.
Mi avete creato voi.
La terza cosa che vide fu Lily, anche se gli sembrò la prima; Lily che era a terra. I capelli rossi, persino in quella penombra da torcia sembravano fiamme liquide.
A terra.
Johannes levò la bacchetta ma era lento. Sul serio, lo era, perché l’incantesimo che gli lanciò era così debole che lo scacciò via con una manata.
Mi avete creato voi. Davvero non sapete di cosa sono capace?
Il braccio bruciava come se glielo avessero infilato nella lava bollente e si sentiva il respiro mozzo, il cuore in gola. Lo stava usando male, non stava neanche tentando di controllare la magia che gli veniva risucchiata dalle vene per poi uscire fuori come fulmini durante un temporale. Se continuava così non sarebbe durato a lungo.
Non aveva importanza. 
Johannes tentò di attaccarlo di nuovo; aveva smesso di parlare, ridere, prenderlo in giro. Evidentemente persino un bastardo della sua risma si rendeva conto quando la situazione gli era sfuggita di mano.
Ne aveva abbastanza. Non usò un incantesimo, neppure una formula, ma a volte bastava l’intenzione, perché prima della parola, c’era la volontà.

Infranse lo scudo protettivo di Johannes con una vampata. Lo vide sbattere contro il muro, battere la testa, scivolare a terra. Morto? Perdeva molto sangue dalla testa e non si muoveva. Di certo non era più in grado di fare del male. Individuò la sua bacchetta e gliela bruciò in una pioggia di schizzi di luce e scoppi.
Lily.
Si voltò verso di lei, le corse incontro ignorando le fitte dolore del braccio; lo aveva usato troppo, lo aveva usato male e non aveva importanza.
Lily, ti prego… Lily.
Non poteva essere morta. Non doveva essere morta. Le principesse come lei, glielo avevano insegnato le poche storie che aveva letto durante la sua infanzia, non morivano, non era possibile. Le si inginocchiò accanto, ma non la toccò; se aveva battuto la testa non doveva muoverla, non poteva rischiare di …
Di peggiorare la situazione? E se è…
No.
Aveva il viso voltato di lato ed era pallida; gli occhi erano chiusi, ma non spalancati nel vuoto, quindi forse…
Ti prego. Ti prego, ti prego, ti prego…
Pregare qualcuno o qualcosa era roba da babbani. Certo, si poteva pregare un avversario di risparmiarti la vita, ma non era quello il caso dato che non stava pregando per sé.
Le tastò il polso, ma era troppo agitato. Gli sembrava ci fosse del battito, debole. Non ne era certo… Come si prendeva poi il battito? Era una cosa da Guaritori e lui non lo era.
Aveva un’unica certezza che gli impediva di impazzire: l’Avada Kedavra non doveva averla colpita, dato che chi moriva per La Maledizione Senza Perdono aveva gli occhi spalancati, il volto livido e l’espressione di chi aveva visto la Morte. Lily non aveva nessuno di quei segni che aveva imparato così bene a riconoscere.
Ti prego, ti prego, ti prego…
Sören si accorse di stare pregando qualcuno, in effetti; stava pregando proprio lei, la Morte, che non la portasse via dal mondo, che non si prendesse una ragazzina innocente. La sua ragazzina innocente, la sua innocenza. La sua migliore amica.
“Lily…” Voleva chiederle di svegliarsi, di reagire, ma gli sembrava di aver la lingua legata, fatto salvo per quelle uniche due sillabe. Le teneva la mano come un inutile idiota, mentre la magia dentro di lui ribolliva. Non poteva farla uscire, perché era certo che in quel momento avrebbe distrutto tutto, loro compresi. Non poteva far nulla, se non rimanere lì e chiamarla.
Perché sì, Lily non era stata presa dall’Avada Kedavra. Ma non si svegliava.
 
****
 
Il lupo si avvicinò fiutando il terreno ghiacciato da più strati di neve compatta, resa dura dal camminare di scarponi umani. Annusò il terreno e si avvicinò circospetto alle enormi mura grigie e lisce come se il vento le avesse lavorate per secoli. E probabilmente era così.
Non poté avvicinarsi però alla nuda pietra che subito qualcosa di indefinito sembrò far tremare l’aria, quasi le molecole si fossero agitate come foglie mosse dal vento. Un attimo dopo sulle merlature si affacciarono due uomini a bacchette spianate.
“Rilassati Jeno, è solo un lupo.” Disse uno dei due ritirando la bacchetta nel mantello. “Queste foreste ne sono piene, anche se i babbani hanno fatto un bel lavoro nell’ammazzarli. Metti via la bacchetta, che ti congeli le mani.”
L’altro ignorò il suggerimento del compare e lanciò piuttosto un incantesimo che si abbatté con uno scoppio al lato dell’animale, che balzò via sparendo dietro una fila di cespugli circostanti.
“Jeno, sei un idiota!”
Questa fu l’ultima cosa che il lupo udì prima di trotterellare nella direzione da cui era venuto. Corse per un po’ nella boscaglia, prima di svoltare una fila di alberi e trovarsi di fronte quattro ragazzi chiusi nei propri mantelli che si riscaldavano le mani ad un fuoco azzurrino e privo di fumo.
“Ehi, eccoti qua!” Esclamò Albus alzandosi in piedi e porgendogli un fagotto di vestiti. “Com’è andata?”
“Non sa parlare in quella forma.” Gli fece notare Tom arricciando il naso e strofinando le mani prima di infilarle dentro il mantello.

“Devi sempre puntualizzare, vero?”  
Il lupo sembrò quasi sorridere di quel battibecco, prima di sparire dietro una serie di massi rocciosi con il fagotto trai denti. Ne uscì qualche minuto dopo stiracchiandosi, di nuovo in possesso dei suoi pantaloni tweed, del suo maglione infeltrito e del suo mantello più caldo.
“Non sapevo fosse un Animagus, professore!” Esclamò Scorpius. “Era un lupo davvero figo!”
“Un Metamorfomago, Scorpius. Posso prendere l’aspetto di qualunque creatura che abbia più o meno la taglia di un uomo.” Spiegò brevemente; non era il momento di fare lezione dopotutto. Si sedette poi in mezzo a loro e tese le mani al fuoco. “Come pensavo c’è una barriera protettiva attorno al castello.” Soggiunse. “Se ci si avvicina scatta un allarme.”
“Beh, e allora? Possiamo affrontarli!” Esclamò Dominique, insofferente a quella situazione di stallo e raccolta informazioni. Ted non era sicuro fosse la più nervosa del consesso però; Tom infatti si passava le mani l’una sull’altra guardandosi la punta delle scarpe.
Evita lo sguardo degli altri…
Li guardò uno ad uno; erano poco più che maggiorenni, nessun Auror dotato di un grammo di cervello si sarebbe affidato a dei ragazzi non ancora diplomati, per quanto due di loro fossero Campioni del Torneo Tremaghi. Certo, erano svegli e capaci; la riprova l’aveva avuta quando avevano affrontato i tre Mercemaghi al porticciolo delle barche.
Ma è stato un caso che non ci siano stati danni… Tre Mercemaghi e per poco Al e Tom non sono stati schiantati. Tom non mi ha obbedito e Dom non ha aspettato la copertura di Scorpius e si è avventata a testa bassa.
Non erano addestrati, il problema era tutto lì. Ma se c’era una cosa che gli era stata insegnata all’Accademia era che non era importante quanto la situazione fosse disperata. L’importante era sfruttare al meglio i mezzi che si avevano a disposizione.
“Ascoltatemi bene.” Ripeté, e fissò lo sguardo in particolar modo su Thomas che gli restituì un’occhiata indecifrabile e diffidente come sempre. “L’unico modo per entrare è avere un piano.” Prese la bacchetta e cominciò a disegnare in mezzo alla neve una rudimentale piantina del castello. I segni presero una colorazione arancione, ben visibile. “Ho fatto il giro del perimetro e le mura sono circondate, ogni posizione è stata coperta, nessun angolo cieco. Ci sono almeno una dozzina di Mercemaghi sulle merlature. Non ho visto l’interno, ma si può ipotizzare che ce ne siano altrettanti sparsi dentro, se non di più.”
“Almeno una trentina? Per le palle di drago, noi siamo solo in cinque!” Borbottò Dominique un po’ meno spavalda. Era capace di contare e realizzare dopotutto.

“Forse dovremo aspettare gli Auror?” Chiese Malfoy incerto. “Voglio dire, so che…”
“No.” Lo interruppe Tom. “Ricordati che c’è un conto alla rovescia che sta per scadere.”

Ted si passò trai capelli, notando come il colore rosso non accennasse ad andarsene. “Thomas ha ragione, non possiamo aspettare Harry e le sue squadre. Oltre al fatto che non ci vorrà molto prima che si accorgano che quelli che abbiano affrontato non stanno tornando.” Spiegò. “Per tornare al discorso… L’unico modo per entrare è creare un diversivo.”
“Qualcuno resta fuori e fa casino?” Chiese Scorpius perplesso. “Perché io e Domi possiamo farlo, ma…”
Ted sorrise. “No, con diversivo io intendo un mascheramento.”

Intercettò l’espressione confusa di Al e gli sorrise; era soprattutto a lui che si affidava per controllare Thomas. Perché sì, non si fidava dell’altro serpeverde; lo conosceva e sapeva bene come le sue intenzioni fossero sempre ammantate di un tornaconto personale.
Non che non voglia bene a Lily…

Non metteva in dubbio quello. Il punto era che Tom non era lì per il loro stesso motivo, era più che evidente dal suo atteggiamento, e Ted non poteva permettere che si separasse dal resto del gruppo per le sue crociate personali.
Se gli succedesse qualcosa Harry mi ucciderebbe ed io non me lo perdonerei mai.
Doveva tenere assieme quei ragazzi; non aveva potuto impedirgli di venire lì e combattere per un’amica, per una sorella. Come avrebbe potuto del resto? La pensava come loro. Ma non poteva permettersi di lasciarne indietro neppure uno, Thomas compreso.
Devo riportarli a casa. Tutti quanti.
 “È per questo motivo che abbiamo rubato i vestiti a quei Mercemaghi?” Gli chiese Al strappandolo dalle sue riflessioni.
“A proposito, se li tengo ancora nello zaino mi verranno le piattole!” Si lamentò Scorpius. “Davvero, a che ci servono?”

Ted sorrise all’aria schifata del più giovane dei Malfoy. In certe espressioni era incredibilmente suo padre. “Se dici così, Scorpius… credo che non ti piacerà quanto sto per proporvi.”
 
 
“Sono tornati Ghena e gli altri! Aprite la porta!”
Il complicato sistema di sbloccaggio del portone principale venne attivato; meccanismi oliati si mossero e le due mezzelune di legno si aprirono mentre sotto lo sguardo della dozzina di Mercemaghi che occupavano la corte interna entravano Ghena, Desislav e Bogdan, conosciuti solo tramite nome, perché i Mercemaghi, era fatto noto, non avevano bisogno di cognomi.

La pioggia mista a nevischio che si stava abbattendo sulla regione da giorni non permetteva di vedere il volto dei due uomini, ma Ghena era a capo scoperto, l’occhio guercio che fissava il nulla. Con loro portavano due ragazzi, infreddoliti e dall’aria molto giovane.
“Fateci entrare.” Disse questa. “Dobbiamo portarli da Von Hohenheim.”
“Non sei tu a dare gli ordini, megera!” La apostrofò uno della dozzina, manchevole di un pezzo di naso e dei capelli. Aveva però il mantello migliore, foderato di pelliccia di lupo e due orecchini d’oro ai lobi. Doveva essere il Capitano, anche se non vi erano mostrine a qualificarlo. “Conosci le consegne, Ghena. Nulla entra od esce senza che abbia il lasciapassare di quel Johannes.”
La strega per tutta risposta afferrò il braccio del più alto dei due e lo frappose tra di loro. “Questo è ciò che chi ci paga cerca. Glielo abbiamo portato… serve davvero farci gelare qui mentre aspettiamo quel buffone?” Soggiunse sprezzante.
Il mago senza naso fece una smorfia incerta. “Chi sono?” Chiese.
“Thomas Dursley e Albus Severus Potter…” Fu la risposta. “Lo smilzo è il figlio del nostro datore di lavoro, l’altro è un amico. Te l’ho detto, è ciò che cerca. Facci entrare.”
Il Capitano esitò, scoccando un’occhiata verso Desislav e Bogdan. Infagottati nei pastrani avevano qualcosa di strano. “E son venuti da soli?”
“Da soli, sì… non c’è voluto niente a catturarli.”  

C’era qualcosa di strano in Desislav e Bogdan, davvero; Il Capitano si avvicinò ai due, che tenevano le teste chine per ripararsi dal nevischio che sferzava i volti di tutti, rendendoli rigidi e doloranti. Nel silenzio ovattato dalla neve sentì del cuoio piegarsi su se stesso. Desislav aveva stretto il mezzo guanto della mano destra. “Cos’hai? Come mai non spiccichi parola, ah?” Lo apostrofò in un bulgaro approssimativo, dato che quella lingua barbara non era la sua. L’altro non rispose, limitandosi a spostare il peso da un piede all’altro.
“Avete intenzione di fare una chiacchierata?” Chiese la strega della Dobrugia, ma stavolta aveva un tono nervoso impossibile da ignorare.
Non c’era dubbio che ci fosse qualcosa di strano. Di dissonante, avrebbe detto se avesse conosciuto la parola in questione.
Bogdan era troppo alto, ecco cos’era. Il pastrano bisunto che era suo marchio di riconoscimento invece che arrivare alle caviglie arrivava a metà polpaccio. “Toglietevi i cappucci.” Ordinò loro mettendo mano al fodero della bacchetta.  I due si guardarono, e poi guardarono verso Ghena. La strega non batté ciglio. “Qual è il problema, Capitano?” Chiese.
“Non sto parlando con te, ma con loro… Perché nascondono il viso? Han paura di spaventare qualcuno, forse?” Un paio di risatine serpeggiarono tra gli uomini, ma furono subito spente da una sua occhiataccia. “Abbassate quei dannati cappucci prima che vi schianti, feccia!” Tuonò.
Il Capitano non vide muoversi i due Mercemaghi, ma se avesse avuto ancora piena funzionalità dell’occhio sinistro – danneggiato da una Maledizione l’estate prima – avrebbe visto Ghena tirar fuori la bacchetta dal fodero.
Copritevi gli occhi!” Disse in una voce e una lingua che non erano le sue.
Il lampo accecante che si riverberò nella neve però lo vide eccome. Lo vide e poi divenne cieco.
 
Le urla dei Mercemaghi accecati dal Lumos Solis che il professor Lupin aveva lanciato riempivano le orecchie di Scorpius. Anche se accecati dal riverbero causato dalla neve, i Mercemaghi non erano disarmati e stavano lanciando incantesimi a grappolo, con una mira pessima, ma non per questo meno letale.
Quanto sono idioti! Rischiano di prendersi tra loro!
… e sì, di prendere pure noi!
Ne schivò uno e poi schiantò il pazzo furioso che glielo aveva lanciato. Sentì puzza di bruciato vicino alla tempia e sperò di non essere diventato pelato.
“Bel colpo!” Esclamò Dominique, la quale sembrava perfettamente nel suo elemento. Tanto per cambiare. Scagliò infatti un Impedimenta che mandò a gambe all’aria un Mercemago, il quale incantesimo finì per colpire una statua vicino a loro; venne sbriciolata come se fosse stata fatta di biscotti.
Merda! Merda!
Non era molto Malfoy avere quella parola in testa a nastro continuo, ma diavolo se era adatta alle contingenze!
“Verso l’ingresso! Andate verso l’ingresso!” Urlò Ted, di nuovo il buon professore che conosceva e non quella Megera terrificante. Non l’aveva mai visto usare il suo potere da quando lo conosceva; ora che sapeva di cos’era capace un Metamorfomago era felice che fosse una dote rara.
Vide sfrecciare Dursley e il Mini-Potter davanti a sé; da bravi serpeverde avevano uno scatto verso la salvezza niente male. Dursley però si voltò un paio di volte per deflettere gli incantesimi e piazzarne di veloci e precisi come se li scoccasse da un arco.
Però, allora serve a qualcosa tutto quel suo amoreggiare con la sua bacchet-… Merda!
Quasi scivolò su una lastra di ghiaccio, e solo i riflessi da Quidditch lo ressero in piedi e gli permisero di tener dietro agli altri due.
Ho già detto merda?
Dentro!” Urlò di nuovo Ted. Gli incantesimi dei Mercemaghi sembravano essersi fatti più esatti. Si stavano riprendendo e non ci sarebbe voluto molto prima che li usassero come bersagli in movimento.
Scorpius corse il più velocemente possibile, sorpassando persino Al e Dursley. Spalancò la porta di legno con un calcio ben piazzato; fortuna volle che per una volta era una semplice porta di legno, forse quella usata dai domestici, quella di servizio, pesante ma non incantata. Si aprì docilmente di schianto.
“Forza!” Li incitò, afferrando il braccio del Potter di mezzo e tirandolo dentro, dato che persino in quelle situazioni riusciva a inciampare su se stesso. “Dobbiamo chiuderli fuori!”
“Come?” Ansimò Thomas, il meno atletico di loro a giudicare dal colorito violento che aveva assunto il suo di solito pallido incarnato. “Non c’è…”
“Se ci seguono in questo labirinto siamo fregati, ci prederanno uno ad uno.” Lo interruppe Al inspirando ed espirando lentamente. “Ted! Domi!” Fece loro ampi cenni; sia l’anglofrancese che Lupin erano rimasti indietro per coprir loro le spalle, era evidente anche senza bisogno di nozioni tattiche.

Scorpius ignorò una parte di sé che urlava di rimanere al sicuro e uscì tirandosi su il cappuccio per proteggersi dalla neve che adesso vorticava impazzita; gli mancava solo esser accecato da quella.
Raggiunse Domi che se la vedeva con due tizi grossi il doppio di lei e lanciò un Petrificus a quello che stava per aggredirla da dietro. Fece aderire la schiena alla sua per avere entrambi le spalle coperte.
“RaggioDiSole!” Esclamò voltandosi verso di lui con il viso imbrattato di sangue; un semplice taglio al sopracciglio per fortuna. Si strofinò la manica sul viso come se nulla fosse. “Sei il vero erede di Godric!”  
“Al momento lo prendo come un insulto!” Ringhiò un po’ disperato.
Era un delirio, lo era veramente e lui era terrorizzato; ma questo non aveva importanza quando eri nel bel mezzo della mischia, scoprì. L’adrenalina teneva in piedi, ed era buona. Buonissima.
Okay, sono fuori di testa. Sarò un fantastico Auror, me lo sento.
Lupin riuscì poi a farli ripiegare verso il portone mentre Tom e Al coprivano loro l’entrata con dei Protego Totalum che facevano onore alla loro nomea di secchioni.
“Chiudete il portone!” Esclamò, ma Scorpius sapeva che non sarebbe bastato, non per fermare un’orda di Mercemaghi, dimezzati sì, ma infuriati per essere stati messi in scacco da quattro ragazzini ed un adulto; inoltre non c’era modo di arrivare al battente e non essere crivellato dal fuoco nemico.
Lo sapeva e quindi fu sequenziale fare un gesto che lo qualificò come il punto di non ritorno del vero grifondoro. Fece esplodere l’ingresso con il miglior Confringo della sua storia personale; porta, cardini e pietra franarono in un solo ammasso di calcinacci, chiudendo l’entrata. Definitivamente.
Il silenzio che ne conseguì, mentre fuori i lampi colorati degli incantesimi si infrangevano sulla nuda pietra senza risultati, fu riempito dalle facce sbalordite dei suoi compagni di ventura.
Non era stata precisamente un’idea venuta dal nulla; gli incantesimo esplosivi erano gli ultimi arrivati nel suo parco armamenti personale.
Poo e il suo esplodere porte per salvare docenti in mezzo alle fiamme… Sono un ragazzo con una buona memoria, fatemene una colpa.
Questo è per te, James.
Si liberò del pastrano disgustoso che aveva dovuto indossare e lo gettò nell’angolo più buio e più lontano dai suoi occhi. “Dovevamo guadagnare tempo e chiudere la porta.” Disse al muto consesso. “Ha funzionato, no?”
Ted inspirò, guardando la frana. “Sì, in un certo senso…” Decretò passandosi una mano trai capelli amaranto. Se quello era il colore dedicato alla battaglia, Scorpius lo trovava adeguato.
“James ti ha contagiato. Condoglianze.” Sospirò Al, ma non sembrava propenso alla rabbia. Piuttosto alla calma e controllata rassegnazione; doveva esserci abituato, visto il cognome. Si spostò vicino a Domi e prese a medicarle il viso. Questa, immobile per ordine di Al, trovò comunque il modo di rifilargli una pacca sulla spalla. “Bel colpo, asso.” Ghignò. “Ormai sei uno di famiglia!”
“Muoviamoci.” Li spronò Ted togliendosi il mantello della Megera e gli ultimi scampoli del suo scomposto aspetto. “Lily è qui, da qualche parte.”

“Nelle segrete.” Disse Thomas aggrottando le sopracciglia. “Deve essere nelle segrete.”
“Quindi si deve scendere, giusto?” Dominique si stirò il collo con uno schiocco. “Scendiamo!”

Scorpius si affrettò a seguire gli altri, ma non prima di aver dare un’occhiata al suo disastro costruttivo.
Concedetemi un momento di trionfo personale.
Aveva funzionato, anche se probabilmente tutti i Malfoy, dalla prima generazione a quella di suo nonno, si stavano rivoltando nella tomba. E Rosie l’avrebbe ucciso.
Fece un sorrisetto.
Forte.
 
****
 
Tom sentiva una voce.
Non era però la stessa voce che sentiva quando la rabbia prendeva il posto della razionalità e gli diceva di fare cose che faceva fatica a non trovare sensate.
Quella voce ormai era un mormorio infuriato, ma talmente debole da esser quasi patetico.
No, la voce che sentiva nella testa non era la voce del suo vecchio Io. Non l’aveva mai udita, e gli chiedeva una sola cosa.
Vieni.
Non ci voleva un genio o l’essere una LeNa per capire che si trattava di suo padre; se era lo stregone geniale che tutti dicevano fosse, era ovvio che sapesse come parlare alla sua coscienza. Era uno di quegli incantesimi straordinari che doveva conoscere e che a lui erano preclusi.
Vieni.
Strizzò gli occhi, sentendo una fitta attraversargli il cervello come un ago rovente.
“Tom?” Sentì la mano di Albus sfiorargli il braccio. “Tutto a posto? Sei ferito da qualche parte?”
“No, sto bene.” Scosse la testa. Al era accanto a lui come un’ombra e la cosa lo rincuorava e irritava al tempo stesso. In quel modo non c’era, il modo, per allontanarsi dal gruppo.
Al gli lanciò un’occhiata, la presa sulla bacchetta ben salda. Aveva i capelli totalmente impazziti e l’aria provata, ma anche quell’espressione di pietra negli occhi che significava guai per chi aveva la sfortuna di trovarsi dall’altra parte del suo legno. Quei due anni lo avevano trasformato, reso più duro e meno disposto a dar fiducia alle sue affermazioni, almeno in certi frangenti.
Era certo che Al non si fidasse delle sue parole.
Ed ha ragione.
“Da questa parte.” Disse Ted, che teneva la bacchetta levata in un Lumos tenue ma bastevole a rischiarare i loro passi. Era infatti tutto completamente avvolto nell’ombra, salvo le poche porzioni illuminate dalla bacchetta; il pavimento era interamente coperto di tappeti dalla foggia morbida che rendeva i passi privi di rumore. Sembrava che il buio fosse lì da anni, decenni, e vi si fosse sedimentato come sporco nell’angolo di una stanza.
“Scorpius, stiamo andando nella direzione giusta?” Chiese Lupin.
“Siamo nella sezione centrale del castello, quindi sì. Tra poco dovremo trovare la torre maestra, e lì ci saranno delle scale. Cucine e poi segrete, subito sotto.” Snocciolò il purosangue con sicurezza. “Cavolo, ma nessuno di voi sa com’è fatto un castello?”
“Nessuno di noi ci abita tranne te, piccolo lord.” Motteggiò Dominique. “Sono solo io ad inciampare ad ogni passo? Cacchio è tutta ‘sta tenebra?”
Ted sospirò. “È per evitare che persone come noi si orientino.”
“O forse il padrone di casa odia la luce.” Fece una smorfia Al. “In ogni caso questo posto mette i brividi.”
“Che novità… ultimamente vado solo in posti spaventosi.” Borbottò Scorpius. “Casa mia in confronto è ridente.”
“Silenzio adesso.” Li redarguì il professorino, tale che era. “Potrebbero esserci altri Mercemaghi qua attorno.”

Nessuno obbiettò quell’osservazione e ripreso a marciare in fila indiana. In questo modo Tom era bloccato, dacché era Al che chiudeva la fila, non lui. Se solo avesse provato a rallentare per poi allontanarsi avrebbe sbattuto contro l’altro e sicuramente si sarebbe pure beccato una fattura per averci provato. 
Avrebbe fatto prima a mettermi un guinzaglio…
Poi, arrivò, puntuale come un orologio.
 
Vieni.
 
Non c’era bisogno glielo ripetesse in continuazione; era lui a voler andare, ma come poteva spiegarlo a quattro persone che avevano una missione completamente diversa dalla sua?
Nessuno avrebbe mai capito perché voleva incontrare suo padre. Nessuno dotato di genitori normali, che li avevano amati dal primo giorno della loro nascita, con cui condivideva sangue, ossa, carne, spirito. Amava la sua famiglia, amava ogni singolo Dursley e si sentiva tale, ma solo perché l’avevano accettato.
Di tutte le persone che conosceva, forse solo Meike ed Harry potevano capire cosa provava ogni volta che pensava al concetto di famiglia. E forse neppure loro.
Aveva bisogno di conoscere quella persona, ma doveva farlo da solo; non avrebbe permesso ad Albus e gli altri di rischiare la vita per accompagnarlo. Perché avrebbero rischiato, molto di più che a combattere qualche mago cencioso per la salvezza di quella sciocchina.
Forse era il karma – Lily gli aveva fatta una lunga ed estenuante lezione in merito qualche estate prima – ma dal nulla si sentì sibilare qualcosa e poi l’esplosione di luce violenta e fumo allertò tutti.
Incantesimi.
I Mercemaghi erano riusciti a entrare, o forse, come aveva detto Lupin, ce n’erano altri dentro il castello.
Era il momento. Non ci sarebbe stata un’altra occasione, e forse l’aveva proprio creata Von Hohenheim, mentre come un aquila famelica osservava tutto dalla torre più alta. 
La confusione di incantesimi, fatture e protezioni aveva completamente assorbito Al e gli altri; il suo ragazzo era protetto da un’armatura dietro cui si era nascosto, perché da lì gli incantesimi non potevano raggiungerlo.
Vieni.
Strizzò di nuovo gli occhi, sentendo come se la sua testa si fosse divisa in due. Una parte di sé gli urlava di rimanere, di combattere per riportare a casa  Lily e ignorare il richiamo di Von Hohenheim. L’altra invece lo spronava a muoversi, che non appena la scontro fosse volto in favore dei suoi – e a giudicare da come stavano avanzando era questione di poco – non avrebbe più avuto possibilità di andarsene.
E tu, cosa dici?
Era la prima volta che si rivolgeva all’Altro. Di solito lo ignorava mentre sibilava, ringhiava e ordinava a destra e a manca.
Liberati dal demone. Liberati dal demone e potremo essere noi stessi.
Fece un mezzo sorriso; quello era il primo buon consiglio che gli dava.
Guardò la schiena di Al un’ultima volta; se avesse potuto se la sarebbe impressa a fuoco nella retina. Avrebbe voluto il suo viso, i suoi occhi, ma doveva accontentarsi, visto che stava scappando.
 
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
 
Attivare la Passaporta presente nello Specchio delle Brame – Harry se l’era trovato davanti e aveva provato una nostalgia fortissima – era stato più difficile del previsto. Anzi, peggio, era stato impossibile.
Radescu li aveva portati nella camera del defunto Poliakoff e aveva consegnato loro gli appunti; era persino venuto con loro fino al magazzino per aiutarli a decifrare il cirillico, che nessuno parlava o scriveva, Nora compresa. Tuttavia non erano riusciti ad aprire il passaggio.
“Dannazione!” Esplose facendo sussultare il povero allievo.
“Mi dispiace Signore… ho visto Sören farlo, e credevo fosse semplice.” Mormorò come se la colpa ricadesse interamente sulle sue spalle.
Harry che l’aveva ormai preso in simpatia gli posò una mano sulla spalla. “Non è colpa tua, Dionis. Novij è un mago addestrato, e probabilmente Poliakoff ha avuto più tempo di noi per esercitarsi.”
Ron seduto su una catasta di vecchi scatoloni dall’aria muffita sospirò. “Dovremo chiamare qualche esperto del Dipartimento Trasporti?”

“E come lo portiamo qui?” Replicò schioccando le labbra frustrato.
La McGrannit che, dopo essersi assicurata che Rose avesse compagnia e che il Preside badasse alla delegazione, era venuta con loro, fissò con aria severa lo specchio, quasi volesse redarguirlo. Poi parlò. “Devono aver chiuso il passaggio dall’altra parte.” Fece un sospiro. “Per questo non funziona.”
“Forse è questo il problema.” Si inserì Nora. “Noi non siamo compresi nel pacchetto. Hanno chiuso il passaggio dopo che i ragazzi sono entrati.”
Harry scosse la testa. “Dobbiamo continuare … È la nostra unica possibilità di raggiungerli.” Prese un profondo respiro. I crampi della fame non gli davano tregua da ore, ma diversamente da Ron aveva rifiutato qualsiasi tentativo di fargli mangiare qualcosa. L’avrebbe fatto dopo. “Nora, come stiamo messi con la ricerca dei possedimenti di Von Hohenheim?”

“Sta procedendo.” Fu la replica. “Ho dato l’ordine ai ragazzi di Boston, ci staranno sicuramente lavorando in questo momento.”
Ron aggrottò le sopracciglia. “Ma la risposta arriverà in tempo? Un Gufo Continentale…”
Nora fece un sorrisetto, tamburellando con le dita sul taccuino di pelle assicurato alla sua cintura. “La risposta mi arriverà qui. Tutti gli agenti della mia squadra hanno lo stesso tipo di taccuino, e sono comunicanti nelle due pagine finali.” Alle loro espressioni sbalordite, quella di Radescu compresa, assunse un’aria divertita. Harry pensò che ai suoi occhi gli europei dovevano sembrare incantatori alle prime armi. “Avete anche voi incantesimi simili. Specchi comunicanti? Il principio è lo stesso. Un po’ approfondito, in effetti.” Ammise.  

“Sai Harry, finita questa storia dovremo farci fare un corso d’aggiornamento o roba del genere.” Borbottò Ron grattandosi la barba a disagio. “Ci mangiano la pappa in testa, questi coloni.”
L’americana fece per ridere, ma la risate le si spense sulle labbra quando nel magazzino entrarono una mezza dozzina di maghi in uniformi rosse con una croce gialla su entrambi gli avambracci¹. Harry non ci mise molto a capire che appartenevano alla forza di polizia magica della Scandinavia.
Ci voleva pure questa!
“Capo Ufficio Potter, Sergente Weasley, Sergente Gillespie… In nome del Ministero Scandinavo Unito vi dichiaro in arresto.” Esordì uno di loro, con più mostrine e l’aria indubbiamente marziale. A Harry ricordò immediatamente Scrimgeour; la capigliatura leonina era la stessa.
Harry fermò con un cenno l’immediato e furioso alzarsi di Ron. “Con quali accuse?”  
“Aggressione di un funzionario del Ministero, sconfinamento territoriale e infrazione dello Statuto del 1289 sulla Non Interferenza in Affari di Natura Nazionale.” Snocciolò l’uomo in un inglese pulito ed efficiente. Harry avrebbe scommesso la sua intera camera alla Gringott che era un ex-allievo dell’Istituto. “Vogliate seguirci, prego.”
“Un momento… Siamo qui per una nostra indagine, un rapimento! Sono affari nostri!” Esclamò Ron le cui orecchie paonazze rischiavano l’ustione.

La McGrannit fu pronta a dar manforte. “Una minorenne, inglese, è stata rapita con la connivenza del Direttore di questa scuola.” Disse con l’indignazione che le bruciava gli occhi. “Questi uomini sono qui per riportarla a casa… Dovreste arrestare il Direttore, non loro.”
“Siamo a conoscenza dell’intera faccenda, Signora. Ce ne occuperemo.” Rispose senza scomporsi il mago. “Tuttavia l’azione degli Auror qui presenti non è stata autorizzata dal loro Ministero, dato che non è stata data nessuna comunicazione al nostro.” Gli uomini dietro di lui si mossero come uno solo nella loro direzione. “La loro presenza non è autorizzata, ed è dunque classificabile come ostile.”
Harry si maledisse; avrebbe dovuto aspettarsi che quel ratto di Jagland avrebbe cercato di contattare la polizia per imbastire la scena della vittima. Avrebbe dovuto farlo sorvegliare da Nora. Alle forze di polizia nordiche ci sarebbero volute ore, forse giorni, perché la verità venisse a galla.
Non possiamo permettercelo. Non possiamo assolutamente permettercelo.
“Dannazione, razza di idioti, ci sono dei ragazzi in pericolo, lasciateci fare il nostro lavoro!”  Ruggì Ron, mettendo mano al fodero. Gli scandinavi sfoderarono immediatamente le bacchette, quasi avessero previsto il movimento, e Harry fu costretto ad afferrare il braccio dell’amico prima che esplodessero incantesimi da tutte le parti.
“Non siamo ostili.” Disse cercando di controllare il desiderio di schiantare tutti e rimettersi al lavoro. “Se dovete arrestare qualcuno, arrestate me. Sono io che ho aggredito il Direttore Jagland, io che ho portato qui queste persone. Sia il Sergente Weasley che il Sergente Gillespie erano in buona fede. Gli ho mentito, ho detto che avevamo le autorizzazioni per operare nel vostro territorio.”
“Harry!” Esclamò Ron incredulo. Lo fece tacere con un’occhiata.

Qualcuno deve continuare a lavorare e salvare i ragazzi… Se devo essere il capro espiatorio lo sarò.
Qualcuno deve andare dai ragazzi.
L’agente lo fissò incerto, guardando poi da Nora a Ron. “Prediamo atto della sua dichiarazione.” Disse. “Tuttavia la situazione non cambia. Dobbiamo trattenervi in stato di fermo finché la vostra posizione non sarà chiarita dal Ministero inglese. La vostra indagine è sospesa.”
Harry inspirò lentamente, sentendo il richiamo della bacchetta. Erano solo sei uomini, schiantarli non sarebbe stato difficile. Con la bufera che imperversava fuori dalla finestra difficilmente ne sarebbero arrivati altri a breve.
Ma c’erano il ragazzo rumeno e la McGrannit; non poteva rischiare di coinvolgerli o peggio, ferirli.
Oltre al fatto che aggredire degli agenti stranieri … Stavolta neppure Hermione potrebbe salvarci.
Come amava ripetere e odiava ricordare, non era più il ragazzino legittimato a valicare le regole in virtù del suo statuto di Prescelto.
“Non posso parlare per i miei colleghi inglesi…” Esordì dal nulla Nora, infilando la mano all’interno della giacca dell’uniforme e sfilandone una bolla dall’aria ufficiale con tanto di ceralacca ancora integra. La porse allo scandinavo. “… ma credo che questa mi tolga dal conteggio degli arrestati.”
L’uomo scorse il documento. “Immunità totale?” Esordì.

Cosa?
Harry scoccò un’occhiata all’americana, ma quella non gliela restituì.
“Contattate pure il mio Ministero, o l’agente di collegamento al vostro. Vi dirà quello che vi sto dicendo adesso… Ho giurisdizione ad operare nel vostro territorio e in quello di tutti gli stati europei.” Inarcò le sopracciglia. “È tutto scritto lì.”
Il mago lo rilesse, poi annuì. “Bene, Sergente Gillespie. In questo caso, vi prego di accettare le mie scuse e quelle del Ministero. Continui pure le sue indagini.” Fece cenno ai suoi uomini. “Mettete in sicurezza gli inglesi.”

Ron venne subito afferrato e disarmato dai due più robusti. Non si sarebbe mai ribellato se non avesse avuto la certezza di esser seguito, e Harry non mosse un muscolo. Stava cercando di capire perché Nora si fosse tirata fuori di colpo e perché avesse nascosto loro un particolare così importante.
La guardò finché l’altra non si sentì fissata. Allora gli restituì lo sguardo e poi, mentre gli scandinavi erano distratti, mosse le labbra in una scarna frase, comprensibile persino a chi, come lui, non sapeva leggere il labiale.
Fidati.
Harry non poté far altro, anche se l’esperienza gli aveva insegnato che la fiducia era cosa labile ed Eleanor aveva appena tirato fuori una carta dal mazzo senza fargliela vedere.
 
****
 
Germania del Nord, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
 
Era stato un idiota a pensare che sarebbe stato facile. Ogni passo che faceva era una tortura, dato che il senso di colpa lo affossava e cercava di tirarlo indietro.
Se gli succedesse qualcosa mentre non ci sei? Se venisse ferito? Se si affidasse a te per proteggersi le spalle e tu non ci sei?
Al. Non appena se ne accorgerà vorrà ucciderti.

Un anno prima avrebbe considerato con fastidio l’idea di avere bisogno fisico di essere al fianco di un altro. Ma era un dato di fatto; Al non aveva sbagliato quando aveva detto che si appartenevano a vicenda. Forse non era un guinzaglio. Forse era un filo che li legava dal giorno in cui Harry lo aveva posato nella culla dell’altro per mere ragioni di spazio.
Non è questo ad averti salvato?
 
“Dove diavolo credi di andare?”
 
Appunto.
Tom non poté dire di non esserselo aspettato, in fondo; era impossibile che Albus non percepisse la sua mancanza perché lui percepiva la sua. Sempre. Era stato come un dolore sordo per otto mesi. 
Si voltò inspirando. “Al, io…”
Avrebbe dovuto aspettarsi anche il pugno che gli impattò sul mento, mandandolo a sbattere contro un arazzo pieno di polvere. Al diventava fisico in modo babbano quando era infuriato.

“Razza di coglione!” Sbottò, quasi ficcandogli la bacchetta in un occhio, e accecandolo per buona misura con un Lumos. “Che diavolo pensavi di fare?!”
Tanto per cambiare, aveva sottovalutato l’altro. E non doveva essere una bella cosa a giudicare dall’espressione omicida che gli vedeva riflessa negli occhi. Deglutì, sentendo il sapore ferroso del sangue riempirgli la bocca.
Capisco il suo punto di vista… ma perché deve sempre picchiarmi?
“Lo sai cosa penso di fare…” Borbottò passandosi la lingua sul labbro, e trovando quello inferiore ovviamente ferito. Al aveva i pugni di uno scaricatore di porto dietro quell’aria da cerbiatto indifeso. Sciocco da parte sua scordarsene. “E comunque sei scappato anche tu.”
Per venire dietro a te!” Urlò rosso in viso. E Tom pensò di colpo che lo amava, perché contro ogni previsione era assolutamente felice che gli fosse andato dietro.

In effetti, sono un coglione.
“Scusa.” Mormorò scostando la bacchetta accecante con la sua; non si fidava a toccarla con la mano, aveva paura che gli avrebbe mandato indietro una scarica di magia non indifferente. “Sai bene che devo…”
“No che non devi! È una trappola! Tutti i piani di tuo padre volevano portare a questo… a tu che vai da lui!”

Tom inspirò. “È vero.” Ammise. “Ma è l’unico modo…”
“L’unico modo per cosa?” Al non avrebbe accettato una spiegazione raffazzonata, né si sarebbe accontentato di qualche frasetta strappalacrime. Glielo leggeva negli occhi che avrebbe perso la sua fiducia per sempre se non gli avesse detto la verità.
“Devo capire perché sono nato.” Fermò con una mano l’immediata obiezione dell’altro. “Mi sembra di averti già fatto questo discorso… ma lo ripeterò.” E faceva male farlo, perché ogni volta era come ricordare l’ingiustizia della sua presenza sulla terra. “Tu sai perché sei nato. Harry e Ginny ti hanno voluto, sei nato da un atto d’amore. Io sono nato e non avrei dovuto. Avrei dovuto pagare le mie colpe con l’oblio e il dolore eterno piuttosto.”
Vide l’espressione dell’altro ammorbidirsi. Non era pena quella che gli leggeva nello sguardo però e gliene fu grato. Era comprensione. Sapevano entrambi che non aveva molto senso sostenere il contrario.
“Ho bisogno di conoscere la persona che mi ha fatto tornare.” Non poteva guardarlo negli occhi mentre diceva quello.  
“Credi di dovergli qualcosa?” Sentì la pressione della mano di Al sul palmo. Dovette guardarli quei dannati occhi. Li amava, era quello il punto. Gli strinse la mano di rimando. “Tom, credi di dovergli ciò che sei?”
“No.” Il buio aiutava, pensò. Era più facile parlare al buio, che risultava ovattato, fuori dal tempo e dallo spazio. Lily sarebbe stata salvata, le cose si sarebbero risolte. Erano gli eredi di maghi e streghe che avevano combattuto il Male; non potevano fallire.
In quel momento tutto quello non contava. C’erano solo loro due e chi li spiava della torre più alta.
“Voglio dirgli che non gli devo niente e che perciò deve lasciarmi in pace.” Si risolse a dire infine; era la verità in fondo. Raggiungere quell’obbiettivo era tutto un altro discorso, ma non lo disse.
Al si limitò, dopo un tempo che gli parve infinito, ad un lungo sospiro. “Lo capisco.” Ammise, e fu sollievo, se lo sentì filtrare nelle vene; ne aveva bisogno. “Lo capisco … ma questo non rende più pericolosa la situazione.” Soggiunse. “Non ti lascerà andare, Tom. Ha scatenato tutto questo orrore solo per averti qui. È pazzo.”
“Non gli permetterò di prendermi.” Si avvicinò fino ad essergli a pochi centimetri e Al non si scostò, anzi gli passò il pollice sul labbro maltrattato. Baciarsi fu inevitabile e fu un bacio lungo, doloroso per parte sua, ma liberatorio come una boccata d’aria fresca dopo una lunga apnea. Si erano a malapena toccati in quelle ore, ed era stata dura, per quanto la situazione decisamente non fosse consona; erano due adolescenti in fondo e non avrebbero dovuto affrontare tutto quello.

Peccato che altri abbiano scelto per noi.
“Idiota.” Sentiva l’odore della neve, del lieve sudore dovuto allo scontro, di bruciato degli incantesimi. L’odore di Al. Sì, il cuore aveva smesso di dolergli come se un filo glielo stringesse. Gli baciò l’angolo che le labbra formavano con la guancia. Non sarebbe stato male morire così.
… a dire il vero, forse no. Ci voglio vivere, così.
Si scostò. “… Vieni con me?”
Al scrollò le spalle. Era ancora arrabbiato, ma era lì. Sarebbe sempre stato lì. Per fortuna.
“Dove altro dovrei andare secondo te?”
 
 
“Siamo nell’ala giusta, non preoccuparti.”
Non è per questo che mi preoccupo, scemo.
Albus levò la bacchetta per guardare l’ennesimo arazzo sfarzoso; gli sembravano tutti uguali. Come uguali gli sembravano i corridoi e le porte. Era un castello enorme, non grande quanto Hogwarts, ma comunque pazzesco. Thomas, a ben vedere, era l’erede legittimo di tutto quello e il concetto faceva un po’ girare la testa. Aveva provato a chiedergli cosa pensava che avrebbe fatto il Ministero tedesco dei possedimenti di Von Hohenheim una volta che fosse stato catturato – perché sarebbe successo, non c’era alcun dubbio.
Tom aveva replicato, con durezza, che non gli interessava e che per quanto lo riguardava poteva pure bruciare tutto dalle fondamenta; non gli aveva più chiesto niente.
“Come fai a sapere che non ci siamo persi?” Chiese affiancandoglisi. Tom aveva un colorito pallido, ma anche un’aria determinata. Gli teneva la mano da quando avevano deciso di incamminarsi, soli, in direzione della voce che diceva di sentire.  
Detta così, sembra che stia assecondando un pazzo.
E forse lo stava facendo, ma non aveva possibilità di scelta, perchè l’altro sarebbe andato con o senza di lui. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che si sarebbe dannato l’esistenza per tutta la vita se non avesse risolto quella faccenda una volta per tutte, anche a rischio della sua incolumità.
Tom sospirò interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “La voce.” Disse. “Diventa sempre più chiara. Pare che sia un incantesimo che si rafforza con la vicinanza.” Aggrottò le sopracciglia. “Vorrei tanto sapere di cosa si tratta. Non ne conosco di simili.”
“Beh, glielo potrai chiedere, no?” Non potè fare a meno di suonare sarcastico e ignorò l’occhiata dell’altro e lo stringersi immediato della presa sulle sue dita.  

“… Scusa.”
“È due anni che me lo dici, comincia a non fare più effetto sai.” Replicò fissando un punto qualsiasi delle tenebre che li avvolgevano. Non appena Teddy avesse scoperto della loro fuga sarebbe impazzito. Si sentiva in colpa, ed era tutto a causa di quel cretino che chiedeva scusa.  

Comunque c’era qualcosa di folle nel modo in cui, nonostante tutto, comprendeva le ragioni dell’altro.  
Chissà se è così per tutti innamorarsi di qualcuno oppure è una fortuna tutta mia…
“Vuoi sapere cosa voglio fare una volta diplomato?” Lo sorprese. Gli scoccò un’occhiata, ma la penombra del Lumos rifletteva un volto indecifrabile. Albus non poté far altro che annuire.
“… Voglio lavorare da quel Fabbricante di bacchette. Voglio chiedergli di prendermi come apprendista.” Non gli diede il tempo di commentare, perché continuò con lo stesso tono senza emozioni, e per questo, nervosissimo. “Con i soldi dell’apprendistato voglio prendere in affitto una casa a Diagon Alley, un appartamento all’ultimo piano. Dovrà esserci molta luce, niente stanze fredde o buie.” Specificò. “So che ti piace stare in posti alti e con la luce… Hai sempre invidiato James e Lily per la Torre di Grifondoro.”
… Oh.
Al sentì il familiare groppo alla gola; solo Tom poteva uscirsene con idee del genere in una situazione tanto disastrata.
Decisamente inopportuno…
Per questo lo amava. “Possiamo prenderci un gatto?” Gli chiese di rimando, come se stessero prendendo un gelato da Fortebraccio e non fossero in procinto di fare la cazzata più grossa della loro storia personale. “Ho sempre voluto un gatto, ma Jam è allergico. Però non nero.”
Tom sorrise appena, versione tutta sua di un’esclamazione di gioia radiosa. “Se ci tieni…”
“Fabbricante di bacchette… suona bene, ti vedo adatto.” Continuare a parlare smorzava la paura e la tensione; Tom, incredibilmente, l’aveva capito prima di lui. “Del resto sei sempre stato morboso con la tua bacchetta.”
“Perché è la mia.” Fece un ghignetto. “E poi, ho sempre amato l’argomento, fin da prima di nascere.”
“Umorismo macabro, Tom.”
“È inglese.”
Ridendo, Al sentì un lieve spostamento d’aria; lì per lì non ci fece caso. Castelli del genere erano sempre pieni di spifferi. Tom era davanti a lui, come sempre a causa di quelle sue dannate gambe da fenicottero. Abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate e con sgomento si accorse di poterle vedere perché da esse scoccò una scintilla.
Poi un lampo violento e si sentì sbalzare via.
 
 
****
 
Okay, sono morta.
Lily aveva questa consapevolezza. Sul serio, la aveva e non si sentiva spaventata, neppure un po’.  
Quando si è morti, si è morti – pensò facendosi coraggio e aprendo gli occhi.
Rimase di stucco, perché l’aldilà se l’era immaginato un po’ diverso; suo padre gli aveva detto che prendeva la forma dei ricordi, o comunque di qualcosa che si era già visto in passato, solo con contorni poco definiti, da sogno.
Di certo non poteva essere, dunque, un parco comunale pieno di erbacce, panchine sgangherate, uno stagno deprimente e una serie di altalene che avevano bisogno di una robusta mano di antiruggine.
Lily si alzò in piedi, dato che si era ritrovata stesa a terra, tra polvere e cicche di sigarette. Notò che indossava l’uniforme scolastica, non una tunica bianca di cristiana memoria.
… Che cos’è questa storia?!
Si guardò attorno, sentendo una certa irritazione montarle addosso mentre si spazzolava con cura la gonna impolverata. Quel posto non poteva essere la sua meta finale.
Questo posto fa schifo!
Mosse alcuni passi, sentendo le scarpe battere contro la terra secca e grigiastra. Non c’era nessuno, il parco sembrava abbandonato da secoli, anche se a giudicare da una serie di cartacce di caramelle, l’età moderna doveva esser perlomeno arrivata.
Non sapendo cosa fare – si supponeva dovesse venir qualcuno a prenderla o cosa? - si sedette su una delle altalene; stranamente non cigolò. Per essere il gioco più sgangherato che avesse mai visto dondolava liscia e senza un rumore.
Dove diavolo sono?
Non era così che sarebbe dovuta andare. Aveva quindici anni, un futuro e un sacco di cose da fare e sperimentare, tipo la maggiore età. Invece l’ultima cosa che ricordava era stato un lampo verde e il rumore spaventoso di un tuono che le era esploso nelle orecchie. Inequivocabile.
Avada Kedavra.
Quel mostro che l’aveva rapita era tornato e l’aveva uccisa. Sembrava fosse successo così. Del resto aveva usato una Maledizione Senza Perdono, la più mortale.
Rabbrividì, nonostante non tirasse un alito di vento, anzi, ci fosse un caldo appiccicoso da far schifo. Nell’aldilà l’estate era inglese.
Gridare non sarebbe servito a niente, protestare ancor meno… In ogni caso, gridò.
Gridò fino a che la voce non le fece male e non si sentì il petto dolere. Gridò perché era stata tradita da una persona a cui voleva bene, perché lasciare la sua famiglia mentre metà di essa tentava di salvarla era una cosa orribile. Gridò perché non poteva essere morta.
Strizzò gli occhi con forza, ma lì riaprì esattamente nello stesso posto. Ingoiò un singhiozzo che bruciava come acido.
“Questo posto fa schifo.” Tradusse a parole e a beneficio di nessuno.
 
“Sì, in effetti è proprio bruttino!”

La voce ebbe il potere di congelarla sul posto mentre la paura che diceva – fingeva – di non provare tornava prepotente. Chi aveva parlato era una ragazza ed era vicinissima, talmente vicina che poteva esserle seduta…

… accanto.
La ragazza si dondolava sull’altra altalena come se fosse sempre stata lì, vestita nell’uniforme di Hogwarts come lei. La foggia però era totalmente fuori moda, dati la gonna da educanda, lunga fino a metà polpaccio. Non aveva neanche provato ad accorciarsela, come ormai facevano tutte, a scuola. L’unico particolare davvero stonato però, era la mancanza di scarpe e calzini; aveva i piedi nudi. Facendosi coraggio, la guardò in viso.
Oh, Miseriaccia.
Conosceva quella ragazza, anche se non ci aveva mai parlato.
Del resto, non si poteva parlare con i morti – morti sul serio, non fantasmi. Quindi non aveva mai potuto parlare con Lily Evans, sua nonna.
“Ciao Lilian.” Le disse come se non avessero fatto altro che parlarsi tutta la vita. “Come stai?”
Non poteva rimanere muta come una povera scema di fronte a lei. 
Cos’è, sono finita all’inferno?  
“… Sono morta.” Si trovò a borbottare come una perfetta scema.
Sua nonna – nonna che dall’aspetto sembrava avere la sua età – sorrise. Aveva il sorriso di Al. “No che non lo sei.” Disse. “Ti dispiace se parliamo un po’?”
 
 
****
 
Note:


Mancano tre! (Credo. O quattro. Beh, dipende, quanto volete ciccioni i capitoli? ;D)
Un sacco di situazioni aperte e, spero, un colpo di scena inaspettato.
C’entrerà qualcosa con Se Sparissero le Ombre, la Lily/Severus che ho scritto qualche tempo fa. In un certo senso, è collegata. Intelligenti pauca. ;)
Questa la canzone del capitolo. Gran canzone e colonna sonora di un film che, nonostante la protagonista, dovrò vedere.
1. La bandiera con la croce rossa in campo giallo è quella dell'unione di Kelmar, unione politica delle repubbliche scandinave voluta da Margherita I di Danimarca  nel 1397. Prende il nome dalla città svedese di Kalmar dove venne istituita. Conclusasi alla fine del 1523. Essendo i maghi sempre un po' indietro per quanto riguarda i rivolgimenti territoriali e politici del mondo babbano, ho supposto che al contrario dei loro connazionali babbani, abbiano mantenuto l'unione politica e amministrativa della penisola . Per la bandiera qui . Per maggiori info qua .

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Capitolo 61
*** Capitolo LVIII ***


Capitolo LVIII

 
 
 
 
 
The cycle repeated /As explosions broke in the sky
All that I needed /Was the one thing I couldn't find
(Burn It Down, Linkin Park)
 
 
“… Sono morta.” Si trovò a borbottare come una perfetta scema.
Sua nonna sorrise. “No che non lo sei.” Disse. “Ti dispiace se parliamo un po’?”

 
 
“Tu, parlare con me?” Lily si sentiva stupida. Si sentiva tale perché Lily Evans – sì, la sua augusta nonna – la guardava come se fosse tutto perfettamente normale. Per un momento allucinato pensò che tirasse fuori una torta, come l’altra nonna – quella che le piaceva – faceva ogni volta che lei e i fratelli andavano a trovarla.
Per fortuna non successe.
“Vedi altre persone?” Chiese invece, dandosi una spinta leggera sull’altalena. “Siamo solo io e te.”
“Sì, l’ho notato.” Replicò aspra, alzandosi in piedi e facendo dieci doverosi passi. La distanza era un buon metodo per esprimere sconforto.

Sono morta e chi mi viene a prendere è la Perfettissima?! Grazie tante!
L’altra ragazza inarcò le sopracciglia. “Non hai voglia di parlare, vedo.”
“Ma dai!” Anche a dieci passi di distanza poteva vedere la piega perfetta dei suoi capelli. Ci si svegliava di sicuro, non doveva stare mezz’ora di fronte allo specchio come lei, che doveva domare il suo terrificante Dna tricotico ogni giorno. Senza contare i lineamenti da bambola di porcellana, le forme statuarie –era una fottuta elfa a confronto - la pelle chiarissima e …

Sì, vabbeh, gli occhi.
“Posso sapere perché mi detesti tanto?”
Lily aprì la bocca, ma dalle labbra non le uscì alcun suono.

Perché ti detesto?
A parole non era semplice spiegare perché non sopportasse doversi confrontare con lei, persino in un luogo onirico e dunque deposto alla pace e alla serenità. L’aveva spiegato a Ren – a quello che credeva fosse Ren – ma dirlo in faccia a Lily Evans era tutt’altra storia.
“Perché… non sarò mai come te.” Buttò fuori, sentendo lo stomaco dolere e le ciglia pizzicare di lacrime trattenute. Non sarebbe mai stata tutto ciò che rappresentava il suo nome; non così coraggiosa, non così intelligente e piena di buonsenso. Sua nonna era un’eroina, lei sarebbe stata sempre e solo Lilian, la sciocchina, la ragazza che faceva fatica a concentrarsi sulle cose importanti e sbagliava giudizi sulle persone, nonostante avesse un dono che le facilitava il compito. Quella delle scelte sbagliate.
Insomma, una deficiente.
Le venne scoccata un’occhiata sorpresa. “E perché mai dovresti esserlo?” Si alzò dall’altalena e la raggiunse.
Lily fece un passo indietro. “Non… non lo so.” Borbottò presa in contropiede. Faceva caldo, realizzò. Faceva davvero caldo, molto più di prima. Forse era il sole che picchiava impazzito, fortissimo, arroventando tutto. Panchine, altalene, terreno, ogni cosa. “Possiamo spostarci all’ombra?”
“Qui non c’è ombra.” E non poteva sbagliarsi, per un momento Miss Perfezione aveva smesso di sorridere e fatto una smorfia. “Perché, ti dà fastidio?”
“Beh, magari con un paio di occhiali da sole…” Le uscì spontaneo, salvo arrossire alla risata dell’altra.

“Tu non sei come me, Lilian.” Disse inclinando la testa di lato per guardarla meglio. Era un gesto che faceva anche lei. Merlino, se la odiava. “Per fortuna, aggiungerei.”
“Fortuna per te.”
“Per te.” Le fece eco. “Vorrei farti notare che sono morta.”
Touché.
“Quindi … io non lo sono?” Già, aveva dimenticato quel piccolo particolare. Le era stato appena confermato di essere viva. “Ma l’Avada…”
“Non ti ha preso.” L’anticipò. “Diciamo che sei scivolata.”
“Scivolata?” Aggrottò le sopracciglia; ricordava di aver cercato di scappare, o comunque buttarsi a terra, quando aveva visto John Doe levare la bacchetta contro di lei. Lei e i fratelli avevano ricevuto precise istruzioni da padre sin dall’infanzia. Se non puoi combattere, non fare l’eroe. Il concetto era permeato. Ma non ricordava di essere riuscita ad evitare il colpo. “Come ho fatto?”
L’altra Lily fece un mezzo sorriso enigmatico. Davvero, sorrideva come Albus – o più probabilmente, suo fratello sorrideva come lei. Un sorriso simile l’aveva visto solo in un dipinto babbano a Parigi. Monna Lisa, le sembrava si chiamasse.

“Non puoi dirmelo?” Spiò, anche se un dubbio l’aveva. “Cioè… sei stata tu?”
“Tu che dici?” Rise della sua espressione sicuramente scornata. “Dall’Altra Parte, Lilian, vi osserviamo, lo dissi anche a tuo padre. Quando siete nati, io e tuo nonno siamo stati felicissimi. Per noi non c’è modo di dimenticarvi.”
“Tipo angeli custodi?” Era un po’ ridicolo, ma ricordava qualche nozione babbana dai discorsi della nonna di Rose, che era cattolica o una cosa simile.

Lo sguardo di sua nonna si illuminò. Forse le ricordava le sue, di origini. “Sì, una cosa simile.” Confermò.
Nel silenzio che ne conseguì Lily sentì frinire le cicale; quel posto sembrava immerso in una delle rare estate inglesi, dove il sole sembrava voler scaldare ogni cosa per ripagarli del fatto di esserci così poco il resto dell’anno.  
“Quindi non sono morta… Okay.” Fece il punto della situazione. “Allora che ci faccio qui? Non è, tipo… l’Altra Parte questa?” Prese un respiro profondo. Le stava andando a fuoco la testa, a dirla tutta.  
Davvero, neanche un po’ d’ombra? Sicuri non siamo all’inferno?
“No.” Negò l’altra Lily soffiandosi via una ciocca di capelli liscissimi. Per avere quell’effetto lei doveva lavorarci tre ore. Comunque. “Qui siamo ad una frontiera. Un lembo di terra tra due mondi, un posto in cui uno spirito, come me, può incontrare una persona viva come te.”
Wow. Dovrei essere impressionata?
Non lo era, sul serio. Neanche un po’.
“Sì, vabbeh … ma come ci sono finita? Se non sono morta, che mi è successo?” Insistette; tutti quei sorrisi sibillini non l’avrebbero certo fatta fessa. Era una LeNa, lei.
Sua nonna non sembrò seccata dalla sequela di domande; anzi, sembrava quasi piacerle. Tipa strana. “Hai battuto la testa quando sei scivolata ed hai perso i sensi… È una condizione mentale fertile a questo genere di contatto.” Ci pensò, poi aggiunse. “Tuo padre ha sperimentato qualcosa di simile, ti ricordi?” 
Lily annuì; sì, quello aveva senso. “Sei qui perché c’è qualcosa che devi dirmi?” Tirò ad indovinare.
Le venne fatto cenno di camminare, ma nel mentre e dopo sua nonna rimase alla distanza di sicurezza che le aveva imposto. Questo dovette apprezzarlo, sebbene a malincuore. “Sì.” Guardò il sole e aggrottò le sopracciglia; sembrava piuttosto contrariata dall’astro, quasi avesse il potere se scegliere di splendere o meno.
“Si tratta del tuo amico Sören.”
 
 
****
 
“Al!”
Sentire Tom chiamarlo in quel tono allarmato era un fenomeno più unico che raro, dato che era quasi confermata la teoria secondo cui fosse incapace di utilizzare le corde vocali oltre un certo limite. Alzare la voce? E quando mai?
Al batté le palpebre e si tirò seduto, massaggiandosi con una smorfia la testa; ricordava solo una gran luce e poi un’altrettanta gran botta. Era rimasto stordito per qualche attimo, seduto contro le gambe di una grossa cassapanca di legno.
Vide Tom a qualche metro da lui, immobile. “Tom? Aiutarmi ad alzarmi no?” Bofonchiò tirandosi in piedi.
L’altro per tutta risposta stese una mano di fronte a sé; con enorme stupore Albus vide formarsi una patina luminosa attorno ad essa, quasi solida.
“C’è una barriera.” Disse. Il tono sfumò di nuovo nella preoccupazione, e così l’espressione ansiosa. “Stai bene?”
“Gran botta, nessun danno… sai che ho la testa dura.” Sorrise appena. Poi realizzò che se c’era una barriera dalla parte di Tom, molto probabilmente valeva lo stesso principio dalla sua. Si avvicinò e ripeté il gesto dell’altro. Stessa reazione.
“Maledizione…” Mormorò sgomento. “Com’è successo?”
“Credo fosse una trappola.” Tom misurò un paio di passi, da un lato all’altro del corridoio, già di per sé non molto ampio, almeno in larghezza. In lunghezza, sprofondava verso l’infinito. “Si è attivata quando siamo passati.”

“Come facciamo a romperla?”
“Non possiamo.” Lo freddò. “Ci ho già provato. Mi ha rispedito indietro qualunque incantesimo. Raddoppiato.”  
“Non puoi aver provato tutto. Quanto sono stato…”
“Abbastanza.” Lo interruppe brusco. Si morse un labbro. “Non è questione di trovare l’incantesimo giusto… il fatto è che qualunque esternazione magica viene rimandata indietro. È una barriera complessa. Oltre…” Fece un respiro profondo, quasi dovesse ingoiare un cucchiaio di una medicina disgustosa. “… È oltre la nostra portata.” Ammise infine.

“Maledizione.” Ripeté, realizzando che Tom non gli stava mentendo; non era una delle sue macchinazioni per andare da Von Hohenheim escludendolo dalla faccenda. Era l’agghiacciante realtà.
Si avvicinò il più possibile all’altro, finché non sentì sfrigolare l’energia della barriera. Si fermò di colpo quando vide Tom assumere una faccia così ansiosa che, in altre contingenze, avrebbe meritato una foto. “Che facciamo?”  
L’altro abbassò lo sguardo. “Tu devi tornare dagli altri.”
“Cosa?! Non pensare di liberarti…”
“Non voglio liberarmi di te!” Sbottò di rimando e con immediata violenza. “Visto quel che ho fatto prima non mi crederai, ma non…” Chiunque avesse visto Tom in quel momento non avrebbe pensato a lui come un mostro di glacialità e freddezza, ma tutto l’opposto. “… non volevo questo.” Concluse passandosi una mano trai capelli. Frustrazione, rabbia, paura. Al capì che non avrebbe potuto manifestare quelle emozioni, anche se le provava; c’era già Tom a provarle a sufficienza per entrambi.

Fece un profondo respiro. Calmare il cuore era il primo passo. Poi avrebbe pensato al resto. “E tu?”
“Anche se mi trovassero non mi farebbero niente… Von Hohenheim vuole parlarmi, non può rischiare che mi uccidano.” La voce della ragione. Tom stava riacquistando lucidità, ed era un sollievo. Nei brevi momenti in cui era stato incosciente per la botta doveva averlo spaventato a morte. “Al, devi trovare Lupin e gli altri. Saranno già con Lily adesso.” Fece un tentativo piuttosto debole di sorriso. “Non ce l’ha insegnato Harry? Da soli, mai.”
“Per questo non voglio lasciarti, cretino… Non è mai una buona idea farti fare le cose in solitaria.” Era la verità, sentimentalismi a parte. L’unica volta in cui erano rimasti separati davvero, l’anno prima, l’altro era stato rapito, sfruttato e quasi ucciso.
Non lo chiamerei un gran precedente…
“Questa volta non puoi decidere tu.” Tom fece un passo in avanti, appena un movimento, non di più. Un altro millimetro e sarebbe stato calciato indietro dalla magia oscura che pulsava tra di loro come un organo malato. “… Al,  va’ via.” Soggiunse con un tono che l’avrebbe ferito, se non fosse stato indice di un sentimento tutto contrario. “Se c’è una barriera sensibile al movimento ci sarà anche un allarme. I Mercemaghi non toccheranno me, ma non posso assicurarti lo stesso trattamento.” E non sapeva se glielo stesse dicendo per spronarlo, o perché fosse vero.
Ma può esserlo.
“Torneremo a prenderti.” Gli assicurò. “Hai capito?” Avrebbe voluto sfondarla quella barriera, farla a pezzi a mani nude. Dividerli in quel modo era forse la cosa più crudele che quel mostro di Von Hohenheim aveva fatto sino a quel momento. “Tornerò a prenderti.” Aggiunse, perché se gli altri lo avrebbero fatto per dovere e amicizia lui l’avrebbe fatto per un solo motivo.
Io senza di te non mi muovo. Né avanti, né indietro. Resto fermo e ti aspetto.
Tom sorrise. “Lo so.” Tese la mano nell’aria, quasi volesse toccarlo. La ritirò subito dopo, imbarazzato, ma il gesto c’era stato, e valeva più di mille dichiarazioni. “L’hai sempre fatto.” Continuò distogliendo lo sguardo. Imbarazzato, appunto. “Ti ho mai ringraziato?”
Al sorrise, inghiottendo l’odioso groppo alla gola, ma lasciando che gli occhi gli si inumidissero. Sperava che il buio aiutasse a dissimulare l’incipiente principio di pianto.

“No, direi di no, razza di ingrato.”
“Quando ti ho detto che ti amo…” Inarcò le sopracciglia. “… supponevo fosse implicito.”
Al stavolta rise, lasciandosi sfuggire qualche lacrima. “Visto tutto quello che hai combinato, me lo devi dire almeno cento volte.”

“Cinquanta.” Finse di barattare. Nessuno aveva mai visto il sorriso Tom diventare dolce, salvo una ristretta cerchia di eletti. Qualcuno avrebbe detto che sembrava quasi fuori posto in quel viso cupo e un po’ austero.
Che quel qualcuno vada a farsi fottere.
“Al.” Lo richiamò. “Vai.” Stavolta era uno dei suoi ordini.  
Gli voltò le spalle e corse via senza voltarsi; altrimenti sapeva che nessuno dei due avrebbe avuto il coraggio di fare un altro passo lontano dall’altro.
 
 
****
 
Harry lanciò un’occhiata a Ron; l’amico di una vita contava le crepe sul muro della stanza in cui li avevano rinchiusi – con tanto di sorveglianza alla porta – con la concentrazione di chi teneva la mente occupata per evitare reazioni inconsulte.
Lui aveva perso il conto delle crepe mezz’ora prima.
Un’ora intera era passata, e nulla si era mosso. La McGrannitt e Vitious stavano facendo carte false per poter mettere becco nella situazione; era certo infatti di aver sentito l’alterato accento scozzese della vecchia strega al di là della porta; doveva esser arrivata fino al corridoio, ma poi gli zelanti agenti nordici l’avevano prontamente rimandata indietro.
Dannazione, stiamo perdendo tempo!
Ormai era diventato un mantra ossessivo, un dannato, insopportabile ritornello dentro la sua testa.
Sentì un’imprecazione robustamente colorita provenire dall’amico. Subito dopo si alzò di colpo, cominciando a misurare a gran passi la piccola stanza che altro non era che l’appartamento privato di un professore, messo a disposizione dalla solerte, quanto insopportabile, segretaria del Direttore.
“Giuro che faccio confringere la porta e schianto quei due idioti che ci stanno a palo!” Esclamò a voce sufficientemente alta da dar intendere che voleva render palesi le sue intenzioni.
“Sta’ calmo.” Lo riprese senza convinzione. “Ci sbatterebbero a Nurmengard senza battere ciglio. E da lì, credimi, sarebbe ancora più difficile uscire.”
Ron sbuffò scornato, risedendosi sulla sedia della scrivania. “Okay, ma dobbiamo fare qualcosa!”
“Cosa? Abbiamo già tentato tutto… il camino non è collegato alla Metropolvere, le finestre sono inchiodate e non abbiamo un gufo.” Elencò stringatamente. “Ron, credimi, se ci fosse qualcosa…”
“E dov’è finita Nora?” Lo interruppe. La forte simpatia e stima che provava per l’americana aveva subito un duro colpo. Era evidente come il suo tirarsi fuori gli avesse fatto una brutta impressione.

Come non dargli ragione?
“Non lo so.” Scosse la testa, sedendosi sul ciglio del davanzale. “Il fatto è che abbiamo sbagliato.”
“Cosa?”

Harry sospirò; si era reso conto, riflettendo oltre la rabbia della prima mezz’ora che il loro venire lì, minacciare un Direttore – un pubblico funzionario – di un altro stato non solo era stato avventato, ma anche stupido. Aveva usato il suo essere Capo Auror per avere le informazioni e raggiungere dei risultati, e questo era andato bene finché si era trovato in Inghilterra e in India, notoriamente un protettorato magico della prima.
Ma non ho messo in conto che agendo come ministeriale, e non come privato cittadino, avrei avuto molta meno indulgenza qui. La Scandinavia non è esattamente famosa per avere un sistema di regole elastico.
Neppure noi, ma in Inghilterra io sono Harry Potter.
Non biasimava gli agenti nordici per averlo arrestato; al loro posto avrebbe fatto lo stesso.
Lo spiegò a Ron, e vide l’altro raggiungere la sua stessa consapevolezza. “Siamo proprio nei casini, eh Harry?” Disse con un tono che gli ricordò curiosamente la loro adolescenza e i primi guai. “Almeno fossimo riusciti a raggiungere i ragazzi…” Si passò una mano trai capelli. “So che sono in gamba e tutto, e che c’è Teddy con loro, ma…”
“Li raggiungeremo.” Lo fermò. “Li tireremo fuori di lì, Ron, non preoccuparti.”
L’altro fece un sorriso tra l’esasperazione e l’affetto. Gliene venivano rivolti spesso, sia da lui che da Hermione. “A volte mi chiedo perché diavolo ti ho sempre dato retta, anche quando hai queste idee da scoppiato come un calderone.” Rise. “Poi mi ricordo che hai anche una fortuna sfacciata. Ci credi davvero?”

Harry fece per rispondere, ma l’aprirsi della porta lo allertò. Saltarono entrambi in piedi, rivelando l’uno all’altro quanto in realtà fossero coi nervi tesi. Entrò il tipo con i capelli a spazzola di prima. “Capo Auror Potter, Sergente Weasley…” Esordì facendo loro spazio, e il gesto era inequivocabile. “La vostra posizione è stata chiarita. Siete liberi di andare.”
“Eh?” Ron non poté frenarsi, anche se arrossì immediatamente per l’uscita poco sveglia. “Che significa che la nostra posizione è chiarita? Chi l’ha chiarita?”

L’agente non rispose ed Harry intuì che se qualcosa era successo, era stato ai piani alti; l’ordine doveva esser stato comunicato senza spiegazioni. “La ringrazio.” Disse, dando un colpetto al gomito dell’altro per farlo tacere.
Fuori furono invitati da Capelli a Spazzola a seguirlo. Harry stava cominciando a capire la dinamica dei fatti. C’era stata una comunicazione tempestiva, un ordine, un eludere le regole.
Ora bisogna solo capire se gioca a nostro favore.
Furono condotti nell’ufficio del Direttore, ma non vide traccia né dei durmstranghiani che sorvegliavano il portone né dell’antipatica segretaria. Tantomeno vi era Jagland. Quando entrarono vi trovarono invece Nora. Era in piedi di fronte alla scrivania e sembrava perfettamente in controllo, tanto che fu lei a congedare l’agente scandinavo; quello obbedì senza fiatare.
“Nora!” Esclamò Ron in totale sbalordimento. “Per tutti i calzini sporchi di Merlino, che diavolo sta succedendo?”
Quella sorrise. “Pensavate vi avessi abbandonato?”

Ron si schiarì la voce, guardandolo in cerca di aiuto. Harry non lo lesinò. “Sì.”
“Harry!” Esclamò l’amico esterrefatto. Ma non negò neppure.
Nora annuì. “È comprensibile, l’avrei pensato anch’io.” Replicò senza battere ciglio. “Il fatto è che dovevo tirarmi fuori, per potervi aiutare. Se avessi cercato di difendervi senza avere una base solida sarei finita confinata come voi due… ed era l’ultima cosa di cui avevamo bisogno.”

“Eleanor, parla chiaro.” Non avevano tempo, ma le spiegazioni lì erano doverose. Ce n’erano state poche, ed era stato quello ad averli infilati in quel ginepraio.
“Ho usato un influenza che non ho.” Esordì sibillina. Continuò subito dopo però. “Ho una serie di permessi di indagine, bolle ufficiali che mi permettono di muovermi da voi, come qui o in Germania. Ne ho fatto valere una che in realtà, se controllano bene, non parlano di immunità d’azione anche per gli agenti che mi accompagnano.”
“Non capisco…” Borbottò Ron aggrottando le sopracciglia. “Hai fornito loro un permesso che ci autorizza ad indagare ovunque come te… Ma noi non l’abbiamo una cosa simile, e dubito che il tuo Ministero ce l’abbia rilasciato sulla simpatia.” Sgranò gli occhi, raggiungendo la consapevolezza. “Hai falsificato una bolla d’indagine?”

Harry non disse nulla; non bisognava essere il Capo dell’Ufficio Auror per sapere che se l’americana aveva fatto una cosa simile, aveva non solo scavalcato la legge, ma l’aveva proprio presa a calci.
“Siamo tutti servitori della Legge Magica, Ronald.” Replicò la donna con la calma surreale tipica di chi aveva appena preso una decisione epocale. “Ma, come ho detto ad Harry, il mio obbiettivo … il vero obbiettivo per cui mi alzo ogni mattina, è prendere vivo Alberich Von Hohenheim e vendicare la memoria di Jeremiah.” Non c’era esitazione, o rimpianto nel suo tono e nella sua espressione. Harry si sentì in colpa per averla considerata una voltagabbana. Aveva dimenticato quanto la vendetta potesse rendere una persona affidabile. Del resto, Piton non aveva fatto lo stesso?
Anche se non si parla della stessa tipologia di persona, affatto. Per fortuna.

“Senza di voi non posso farcela.” Continuò la strega. “Senza di me, scusate la franchezza, ma non potevate farcela. Capito questo, la decisione da prendere era una sola.”
Harry sentì crescere ulteriormente, se possibile, la stima per quella donna d’acciaio. Erano donne come lei, Ginny, Hermione e Luna che facevano girare il mondo nel verso giusto, ne era assolutamente certo.
“Bene.” Disse; non era il momento giusto per perdersi in ringraziamenti e gratitudine. “Rimane però un problema… la Passaporta dentro lo Specchio delle Brame. Non funziona.”
Nora sorrise di nuovo. “Ho avuto la fortuna di conoscere degli eccellenti docenti inglesi, qui… Sembra che, in fondo, per certe cose, abbiamo ancora tanto da imparare dalla Madrepatria. La Passaporta è attiva, Harry. Possiamo andare.”



****
 
“Sören?”
Sentirsi quel nome  in bocca le dava un sapore amaro. Come aver inghiottito per sbaglio una spezia che doveva solo insaporire il piatto che stava mangiando. La spezia in questione però era indigeribile.

Sua nonna non sembrò notare la sua espressione. “Certo. Sören. O preferisci che lo chiami Ren?”
“Non preferisco nessuno dei due.” Lo stomaco le si serrò in una morsa spiacevole. Rabbia, umiliazione. Era questo che provava quando pensava a lui. “Non voglio parlarne.”
L’altra assunse un’aria comprensiva che le fece venir voglia di urlarle contro. Come poteva capire?

… beh. In realtà, cocca, capisce eccome. In famiglia, la più grossa delusione in tema amicizia se l’è presa lei, a pari con nonno James e il ratto.
Finse di non cogliere l’allusione. Non voleva, non ci pensava neppure a trovare un punto di contatto tra di loro. “Non è mai stato mio amico.”
“Ma l’hai considerato tale.”

Non era mio amico!” Non doveva piangere. Non serviva a niente e probabilmente, con tutto quel sole, si sarebbe disidratata. “Era… ha soltanto finto, per potersi avvicinare a me! Era ordini di suo zio, non certo … Non era nemmeno il Sören vero.”
“Ah, intendi il tuo amico di piuma.” Era inquietante come sapesse tutto di lei. La spiava o cosa?

Non dev’essere difficile, quando sei qui. Inquietante, sul serio.
“Però, scusa… Sören Luzhin l’hai mai visto dal vivo?”
“No, ma che c’entra?” Ne stavano parlando. La cosa più irritante era rendersi conto di come sua nonna riuscisse a manipolare la loro conversazione nella direzione da lei voluta. Non era l’ingenua eroina piena di buone intenzioni che le avevano sempre descritto.
È una gran stronza!
“In questi mesi hai avuto modo di conoscere quel ragazzo più di quanto tu abbia fatto con il vero Sören Luzhin, mi sbaglio?”
Lily fece una smorfia insofferente; negare era stupido, ma non darle ragione un punto di principio.
Si guardò attorno per non dover guardare l’altra. Perché poi quel parco? Era quello comunale di Cokeworth, ne era sicura, come era sicura di avere le scarpe ai piedi.
Poi capì: era il posto in cui sua nonna e Severus Piton si erano incontrati per la prima volta. Non poteva essere che quello. C’era addirittura il cespuglio dove il Piton ragazzino si era nascosto.
Questi paralleli cominciano a venirmi a noia…
“Perché mi hai portato qui?” La apostrofò, cercando di sviare il discorso.
L’altra ragazza si strinse nelle spalle. “Non sono stata io, sei stata tu. Questa è la tua festa¹. Hai immaginato il parco ed hai chiamato me.”
“Non è vero!”
Sua nonna non rispose. Dannatamente irritante. Decise di glissare, e nel farlo, fu proprio lei a tornare al punto. “Non capisco dove vuoi arrivare. Sören… o come diavolo si chiama davvero, mi ha preso in giro. Non c’è altro da dire.” Ripeté per forse la milionesima volta. Sentiva il sudore cominciare a bagnarle la pelle, scendere fastidiosamente lungo la nuca. Lanciò uno sguardo a sua nonna, ma quella non sembrava affatto risentire della calura.
Certo, è un fantasma.
“Pensi davvero ciò che dici?”
Le lanciò un’occhiata. L’altra Lily la stava guardando con uno sguardo severo che prima non aveva. Boccheggiò a corto di parole. Era ridicolo, ma si sentì inspiegabilmente in colpa.  
È quel che è successo. Sören era tutta una montatura. È la verità… Perché te la prendi con me?
Sua nonna tornò verso le altalene. Non le restò che seguirla; ormai c’era cascata con tutti i piedi, in quella dannata conversazione. La curiosità era una gran brutta bestia.
“Il fatto, Lilian, è che non esiste il  bianco e il nero.” Disse. “Alla tua età lo credevo… La mia esperienza mi aveva insegnato che il mondo si divideva sempre in due parti. Maghi e Babbani, Magia e normalità, io e Petunia, Serpeverde e Grifondoro… luce ed ombra.”
“Non è così?” Le uscì spontaneo. “Insomma, è vero che esistono sia luce che ombra.”
Sua nonna si illuminò, quasi avesse detto la frase del secolo. “Sia.” Ripeté. “È proprio così… sia. Sia luce che ombra, esistono entrambe. Coesistono, entrambe. È questo che io non capivo.”
Come si fa a non capire una cosa così banale? È stupida?
“Okay, non c’è il buio assoluto o la luce assoluta, anche se qui ci stiamo andando vicino…” Strizzò di nuovo gli occhi. Quel sole l’avrebbe accecata. “Grazie tante, è come dire che il mare è salato. Lo sanno tutti.”
“Ma non tutti lo capiscono.” Si sedette di nuovo sull’altalena, e si diede una spinta con i piedi nudi. Si alzò una lieve nuvoletta di terra. Da quant’è che non pioveva in quel posto? Anni?
“Sì, ma questo cosa c’entra con Re… con Sören?” L’abitudine era dura a morire, le disse una voce che era come un coltello che affondava compiaciuto nel suo stomaco.  
“Amicizia e indifferenza. Sono altri due opposti.” La ignorò. “Tutti pensano che sia l’odio, ma in realtà, l’odio è solo una reazione, una conseguenza… È l’indifferenza il vero opposto dell’amore.”
“Ma che diavolo…”

“Pensi davvero che tu sia indifferente a quel ragazzo? Che stesse solo eseguendo gli ordini? Pensaci bene.” Inclinò la testa per guardarla. I grandi occhi chiari rendevano quasi scialbi il resto dei lineamenti. Sua nonna era tutta occhi, o almeno, così sembrava a lei.
“Io…”
“No, non lo pensi.” La anticipò. “Hai abbastanza cervello per sapere che gli hai cambiato la vita. Hai anche abbastanza cuore per sapere che ve la siete cambiata a vicenda.”
Lily non disse nulla, mentre le lacrime a quel punto uscirono gloriose e al diavolo la disidratazione.
Era vero, Sören l’aveva cambiata. L’aveva fatta uscire fuori dal guscio comodo in cui si era rinchiusa. L’aveva fatta uscire a giocare in prima linea, l’aveva fatta esporre come nessun ragazzo era mai riuscito. Per dirla semplice, era il suo maledetto, primo amore. Ed era anche più di quello, se lo sentiva nelle ossa.
Perché non posso avere delle esperienze normali? Banali, anche! Banale va bene, banale è bello.
Invece no. Dopotutto, era pur sempre una Potter.
“Entrare nella vita di qualcuno, anche per una serie di circostanze che non dipendono da noi, significa prendersi delle responsabilità. Non vale solo per chi è in torto, in un’amicizia… ” Continuò sua nonna. Sentì un tuono. Era così lontano che fu costretta a voltarsi e strizzare più volte le palpebre per vedere che nel lenzuolo turchese che c’era al posto del cielo si stavano addensando delle nuvole.
Le estate inglesi cambiano così in fretta…
Lily era stanca di stare in piedi, così si sedette nell’altalena accanto a quella dell’altra. Solo perché era stanca, tutto lì. “Di cosa sarei responsabile?” Chiese comunque, nel suo tono più sgarbato. Non si sentiva particolarmente gentile, date le circostanze. “Di essere cascata nella trappola?”
“No, quello non c’entra. Sei responsabile di essergli diventata amica. Di avergli teso la mano quando credimi, nessun altro l’aveva mai fatto.”
Lily aggrottò le sopracciglia. “Non stiamo parlando solo di me, vero?” Indovinò. “Si tratta di te e del Preside Piton.” Ora quei paralleli avevano improvvisamente un senso. 
“Preside…” Fece una breve risata. Non sembrava molto allegra, per niente. “È così strano. Nella mia testa resterà sempre Sev.”
“Lui ti ha tradita.” Era così che suo padre gliel’aveva raccontata. Un po’ più edulcorata, ma anche da bambina aveva letto oltre le righe il giudizio del genitore. E adesso lo comprendeva a pieno. Il tradimento era un concetto comprensibile solo se veniva provato in prima persona.
“Non userei una parola così forte…” Certo, perché era morta e quindi era tutta pace, amore e serenità. Ma lei sapeva la verità. Il tradimento esisteva, ed era la sensazione più schifosa della Terra.
“L’hai perdonato?” La aggredì quasi.
“Non c’è mai stato niente da perdonare. Una parola… ma Lilian, se ne dicono così tante. ” Scosse la testa, e un tuono suonò ancora più vicino. “Ero una bambina, ero sciocca. Pensavo di avere tutte le ragioni del mondo, ma la storia mi ha insegnato altrimenti.”
“Sì, ma ti ha ferita!”
“Ed io ho ferito lui.” Il tono non dava spazio ad obiezioni, così Lily tacque. “La mia morte l’ha legato ad una vita terribile.” Chiuse gli occhi e quando li riaprì erano in due ad averli lucidi. “Severus era pieno di ombre, ed io pensavo che la luce fosse meglio. Fosse tutto. Mi sbagliavo.”

Lily si morse un labbro; il caldo stava diventando umido, come se una coperta bagnata le si fosse appoggiata addosso. Ma con quello, sarebbe arrivata anche la pioggia.
“Fra me e Sören non è la stessa cosa.”
Sua nonna sospirò. “No, è vero. Ma lui ha bisogno di te adesso … e tu hai bisogno di perdonarlo. In fondo questo è uguale.” Stese il braccio e le prese la mano stringendola nella sua. Non tentò di divincolarsi. Non voleva, anche se era scomodamente calda. “Hai un dono, Lilian. Gli hai letto nel cuore quando è tornato a prenderti, no?”
“La Legimanzia non fa leggere i pensieri della gente.”
“Mentiva o no?” La riprese. “Tu lo sai.”
Lo sapeva. E sapeva anche la risposta, anche se faceva male e rendeva tutto più complicato.  

“Non posso perdonarlo.” Prese una boccata d’aria. Era umida ora, e fresca. “Non so… non so come fare.”
L’altra le strinse la mano. “Lo imparerai. Hai tempo… e non sei me.”
“Tu non sapevi perdonare?”

“Sono sempre stata un po’ lenta in certe cose.” Ironizzò, ma vi lesse tristezza in quella frase. Perché era implicita un’altra.
Non ho avuto tempo.
Lily non replicò la stretta ma lasciò che sua nonna continuasse a stringere, senza divincolarsi neppure un po’. “Si può sapere perché dobbiamo essere sempre noi Potter a salvare capra e cavoli?” Esclamò per togliersi di dosso l’idea di abbracciare l’altra. Era orrenda.
La ragazza rise. “Penso che sia pessimo karma.” Ghignò – oh, era proprio un ghigno – alla sua aria indispettita. “Non sei la sola a saper cos’è, sai?”
Lily sbuffò, alzandosi in piedi. “Come faccio a tornare indietro? C’è un passaggio, una porta, un treno, qualcosa?” I nuvoloni ormai si addensavano velocemente e spirava un vento gelido e secco. Forse non era una questione di clima, era una questione di stato d’animo. Il suo. Comunque era piacevole dopo tutta quell’afa.  
Sua nonna non si alzò dall’altalena. Si limitò a dondolare leggermente. “Sta arrivando la pioggia.” Disse soltanto. “A te piace?”
Lily scrollò le spalle rassegnata dall’assurdità di quella conversazione; uno psicologo babbano da quel dialogo ci avrebbe tratto una diagnosi coi fiocchi, probabilmente piazzandoci pure qualche bella psicopatia. “Se non ci fosse sarebbe un bel guaio, no? È necessaria.”
“Già, hai proprio ragione.” Le prime gocce cominciarono a colpire il terreno, e furono bevute da esso come se non piovesse da anni. Lily si accorse che sua nonna, mentre la pioggia diventava più fitta, era sempre più sfumata. Come un acquerello bagnato da una mano maldestra.
Come un fantasma…
Sentì l’insopprimibile voglia di chiederle un altro milione di cose. Di arrabbiarsi di nuovo con lei. Di dirle che le dispiaceva. Di abbracciarla.
“L’hai incontrato?” Ormai vedeva solo rosso e i colori spenti della divisa. “Hai visto Severus dopo?”
Sua nonna si spinse sull’altalena, che cominciò ad ondeggiare avanti e indietro. “Certo.” Rispose, e la voce sembrava provenire da molto lontano. Lontanissimo. “È stato bello.”  

E Lily si rese conto che non era sua nonna a sbiadire. Era lei. Era vero, se ne stava andando; il parco, le panchine, le altalene si scioglievano? No, era lei.
“Aspetta!” Ora sì che le veniva da piangere, ed era da autentiche idiote. Aveva passato tutta la vita a detestare sua nonna, il simbolo che rappresentava, e ora aveva paura di lasciarla. “Non so che fare! Non so che cavolo fare quando tornerò indietro!”  
“Vivere, bambina mia. Devi vivere.” E la voce adesso era quella di un’adulta. Chissà se era la stessa che aveva sentito suo padre, quella che gli aveva dato la forza di affrontare Voldemort. “È tutto qui, alla fine.”
 
Fu come venir svegliati quando il corpo aveva tutte le intenzioni di dormire; non sentirsi le ossa, i muscoli e la pelle, e poi immergercisi di nuovo, di colpo.
Fu piuttosto doloroso.
 
Lily spalancò gli occhi e la prima cosa che vide fu nero. Ombre ovunque, il che era ovvio, dato che era stata abituata al sole accecante del… sogno? Era stato un sogno? Ne avrebbe parlato con suo padre, una volta finito tutto.
Il nero poi si definì in ombre. Ombre di torce, lingue di fuoco che baluginavano. Il pavimento era freddo, e umido e si sentiva odore di mare.
Era tornata al castello. Era tornata indietro. Percepì poi una pressione alla mano; per un attimo credette che fosse ancora sua nonna a stringerla.
“Lily…?”
Era Sören. Sören, che inginocchiato accanto a lei le teneva la mano stretta nella sua. I contorni della stanza – no, era un corridoio– si fecero più definiti, e così la figura del ragazzo. Era davvero vicino a lei, e la guardava come se fosse risorta dalla tomba.
Quant’ero messa male?
Non era quello il punto, comunque. Doveva piuttosto dire qualcosa, alzarsi a sedere magari, dimostrare a sé stessa e all’altro che era tutta intera, mente e corpo.
Poi si accorse che Sören piangeva. Non aveva mai visto nessuno piangere senza singhiozzare, diventare rosso in faccia e tremare. Sören, al solito, era l’eccezione. Le lacrime gli scorrevano sul viso come fili d’acqua sottili. Erano lacrime di sollievo.
 “… Stai piangendo.” Gli sembrò un attestazione piuttosto intelligente, date le contingenze. Non sapeva cosa dire. Sentiva male alla testa, nausea e paura. E rabbia. E confusione.
Può esplodermi la testa, così la facciamo finita, grazie?
“Cosa?” Si toccò il viso e si guardò la mano, con una perplessità che aveva dell’incredibile, perché sincera. Non se n’era davvero accorto. “Io… sì, credo di sì.” Attestò con una nota di stupore. “Non ti svegliavi, e… non rispondevi.” Concluse e distolse lo sguardo.
Non farlo. Non provare a sembrare …
Era meglio pensare alla cose pratiche. “Dov’è John Doe?” Dopotutto poteva essere ancora in giro e aver voglia di finire il lavoro.
Sören si strofinò la manica ruvida dell’uniforme di Durmstrang sulle guance, con il risultato di peggiorare ulteriormente la situazione. “Non è più in grado di nuocere a nessuno. Sei al sicuro adesso.” Disse. La dicotomia più folle. Aveva gesti di un bambino e il tono di un adulto. Era quello ad averla maledettamente attratta sin da subito; quell’impacciato controsenso. 
Non provare a sembrare innocente!
“Sono nel castello di un pazzo, nei suoi sotterranei, sono tutto fuorché al sicuro!” Replicò, ma si pentì immediatamente di quel tono aspro. Sören sciolse le loro mani serrate l’una all’altra; non si era accorta di aver ricambiato la stretta finché l’altro non l’aveva lasciata.
“… Mi dispiace…” Un mormorio, accentato. Le emozioni non andavano d’accordo con l’esprimersi in un’altra lingua. “Lily, mi dispiace tanto.”
“Lo so.” Ed era vero. Era questo a rendere più straziante il tutto. Capire, grazie al suo essere LeNa, o semplicemente un essere umano funzionale, che Sören stava dicendo la verità. “Dispiace anche a me.”
“Mi odi?” Era assurdo sentirsi in colpa con qualcuno che le aveva, anche senza rendersene conto a pieno, fatto a pezzi fiducia nel genere umano e cuore. Era assurdo, eppure…
“Non lo so…” Ignorò l’espressione dell’altro, perché si rifiutava di provare empatia. La provava comunque. “… Forse. È perché ti ho voluto bene.”
Non poteva dire altro. Non sapeva neanche lei cosa provare in quel momento. L’unica cosa che voleva fare era scappare il più lontano possibile da quel castello, da quel corridoio, da Sören.
L’altro abbassò lo sguardo. “È giusto.” Si inginocchiò, tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Poi le piantò gli occhi in faccia e Lily non riuscì a distogliere lo sguardo. Non ci sarebbe riuscita mai, se la guardava in quel modo.
“Voglio solo che tu sappia una cosa. Hai il diritto di non considerarmi più una persona amica… ma tu, per me, lo sarai sempre, finché avrò vita.”
Lily non disse niente. Non aveva la forza, la capacità o il coraggio di analizzare quella frase e interiorizzarla. Sören del resto non sembrava volere una risposta. Meglio così. Prese la mano che le veniva porta e si tirò su. Le girava un po’ la testa, ma era sopportabile. La caviglia però aveva ripreso a darle delle fitte pazzesche; la pozione del Magonò doveva aver finito l’effetto. “Voglio andarmene.” Disse. “Portami via di qui.”
Sören annuì. “Ce la fai a camminare?” Non aspettò la risposta; gli bastò guardare come posava il piede a terra per tirare fuori la bacchetta e curarle la caviglia. “Ora è a posto. Andiamo.”
Lily non dovette dire una parola in merito e per la prima volta fu contenta di non doverlo fare.

 
 
****
 
Qualcosa ticchettava nel profondo, nelle viscere stesse del castello.
Il ticchettio non era altro che l’incedere del tempo. L’incedere del tempo legato, ovviamente, come nella migliore delle tradizioni, ad un conto alla rovescia.
Il ticchettio si arrestò, e qualcosa cominciò a bruciare.
 
****
 
Milo rinvenne e immediatamente capì che c’era qualcosa che non andava.
Ovviamente c’era qualcosa che non andava da prima; il castello era assediato dai Mercemaghi, il padrone era impazzito. Date le contingenze, lui aveva avuto la meravigliosa idea di collaborare – rischiando le penne – con l’unico erede, preso da senso di colpa verso la sua fidanzatina.
Speriamo che alla fine della storia, la cazzata si riveli una bella pensata.
Tuttavia, c’era qualcosa in più, di storto. Il sesto senso gli stava dicendo che qualcosa era accaduto di nuovo nel castello e che, in toni generali, non gli sarebbe piaciuto affatto.
Credeva a quella sensazione perché del suo sesto senso ne aveva fatta un’arte.
I Mercemaghi che lo avevano attaccato erano ancora riversi a terra, svenuti; il piccolo principe aveva avuto più riguardo per lui, che per quei tre avanzi di galera.
Dovrei ringraziarlo, se non mi suonasse una grancassa tra le tempie.
Si tirò in piedi e si spazzolò i poveri vestiti bistrattati; si segnò l’ennesimo, inevitabile, rammendo.
Una cosa per volta, decise; se doveva togliersi dai piedi in tempo utile, e portarsi dietro i due vecchi, doveva cominciare subito.
C’era uno strano odore però; un odore che non aveva niente a che fare con il sale del mare, o con quello chiuso e penetrante dei sotterranei. Era un odore sgradevole, come qualcosa di marcio.
Cadaveri?
No, non ce n’erano. I tre Mercemaghi erano malmessi, ma ben vivi a giudicare dai lamenti. In ogni caso, odore o meno, doveva andarsene prima che qualcuno lo beccasse con quei tre e traesse le conclusioni più sbagliate.
Tornò negli appartamenti della servitù. L’odore era persistente, come l’improvviso caldo che sentiva in quegli ambienti. Era così strano, sentirsi a suo agio con i vestiti che indossava, dato il tepore, che dava quasi fastidio.
Ci si abitua anche al gelo segamani, pare.
Hilda ed Etzel erano seduti di fronte al camino; Milo provò sia pena che rabbia a vedere come stessero affrontando le incombenze di tutti i giorni, come se fuori non stesse accadendo nulla, o peggio; come se non avesse importanza per loro, parti di un ingranaggio che non doveva mai deviare.
“Ehi.” Li apostrofò. “Lasciate perdere… Le cose si stanno mettendo male. Dobbiamo andarcene.”
“Come, Milo?” Chiese Etzel fissandolo sbigottito. “Che dici?”
“Dico che il padrone ha rapito una ragazzina, e quella ragazzina è figlia di un pezzo grosso del Ministero britannico. Harry Potter, ne avrete sentito parlare anche voi, no?” Non aspettò risposta. “Adesso è qui, e non ci vorrà molto prima che se la vengano a riprendere in pompa magna, con incantesimi e arresti lampo. Il padrone ha toccato il fondo, ed io non voglio affogare. Voi?”
I due rimasero congelati, come buffe e tristi statue di sale. Inevitabile, doveva insistere. “Non ci arrivate? Verremo arrestati come complici! Ai maghi non interessa sapere come e quanto siamo invischiati nei loro affari, daranno per scontato che siamo parte del pacchetto!”
“Ma non possiamo…” Esordì Hilda guardandosi smarrita attorno, come se dagli oggetti della misera stanza potesse provenire una risposta. “… non possiamo andarcene. Dove andremo? Serviamo questa casa da tre decadi!”

“Sei sicuro di ciò che dici, ragazzo?”
Milo fece una smorfia; la titubanza poteva capirla, ma non la paura dell’ignoto. Perché quello che li aspettava se fossero rimasti era decisamente peggio. “Non avete sentito movimenti fuori?” Tirò ad indovinare. Era rimasto svenuto per tutto il tempo, ma era certo che il piccolo principe avesse già fatto quel che doveva, allertando metà castello, se non tutto. Dalle espressioni ansiose dei due, capì di averci preso in pieno.
“Pensate che il padrone vi congederà, o vi dirà che potete andarvene prima che arrivino gli agenti? Che vi salverà? Dobbiamo salvarci da soli.” Sapeva di premere in modo violento su tasti che per quei due poveri anziani erano quanto più di sensibile. Non aveva importanza, se alla fine dei giochi restavano vivi e soprattutto, liberi.
Fu Hilda, dopo aver serrato le mani sullo strofinaccio con cui stava pulendo un candelabro, a parlare. “Pensi davvero che ci arresteranno?”
“Hilda!” Scattò Etzel, guardando in alto, quasi avesse paura che Von Hohenheim scendesse come una sorta di vendicativo deus ex machina.
“Milo non è uno sciocco!” Lo rimbeccò la donna. “Ed hai sentito e visto anche tu! Forse sono già entrati… Ci sono stati molti rumori, incantesimi… Qualcuno si è scontrato con quei Mercemaghi.” Spiegò a suo beneficio.
“Allora sono già qua.” Tagliò corto. Avevano meno tempo del previsto. Chissà che fine aveva fatto Sören? Non che gli importasse, beninteso. “Dobbiamo levare le tende, ora.”
I due anziani si guardarono di nuovo; Milo in un certo senso ammirava il modo in cui prendevano le decisioni assieme, consultandosi solo con un’occhiata o con un gesto. Supponeva che quello volesse dire amore. Non che ne avesse mai avuto prova concreta e personale.
“Va bene.” Disse infine Etzel, mentre la moglie gli stringeva il braccio con forza, quasi a dargli supporto silenzioso. “Va bene, Milo. Cosa dobbiamo fare?”
Finalmente!
“Andate nella vostra stanza, prendete solo quello che riuscite a portare con facilità. Niente roba pesante, o ingombrante. Taglieremo per la foresta, verso Lubecca, è la strada più sicura. Lì ho dei contatti, ci aiuteranno loro.” Li rassicurò con il suo miglior sorriso, vedendoli stringersi l’uno all’altro. “State tranquilli, andrà tutto bene.”
Almeno spero.
C’era qualcosa che non gli tornava però. Quell’odore schifoso gli si era piantato nelle narici. Che ci fosse qualche perdita nell’impianto di scarico?
Nah. Conosco l’odore del liquame e non è questo.

“Sentite anche voi questo odore?” Li richiamò mentre se ne stavano andando. “Dico, questa puzza?”
Hilda lo guardò confusa, mentre l’altro uomo si limitò ad una leggera smorfia. “Sì, lo sento… Forse qualche problema di tubature? Sono molto vecchie.”
Milo scrollò le spalle; evidentemente era tutta una sua suggestione, e forse erano davvero le tubature. Il caldo però non si spiegava.
Aveva comunque un’ultima cosa da fare prima di darsela a gambe e lasciare per sempre quel castello degli orrori. “Dove vai?” Lo apostrofò l’anziana, vedendo che non prendeva la strada delle loro stanze, ma quella in alto, verso i piani padronali.
Milo ghignò. Poteva essere considerato una brava persona per aiutare due vecchi, ma restava sempre un tipo tirato su dalla strada. E sapeva bene che in tre non sarebbero durati che pochi giorni senza qualcosa da barattare con la fauna locale di Lubecca.
“Il nostro ultimo stipendio.” Prima che la donna potesse ribattere qualcosa, corse via. Non aveva proprio voglia di farsi redarguire per voler rubare un po’ di argenteria a quello stronzo di Von Hohenheim.
 
 
****
 
Tom non aveva bisogno di una guida per sapere dove stava andando; c’era la voce che funzionava meglio di una bussola babbana.
Quel castello avrebbe potuto essere suo, rifletté. Tutta quella ricchezza, quell’opulenza maestosa nascosta dall’oscurità avrebbe potuto essere parte dei suoi possedimenti. I Von Hohenheim erano palesemente molto, molto ricchi, sia in termini magici che babbani. Se fosse cresciuto lì, lo sarebbe stato anche lui.
Eppure non provava nessun rimpianto all’idea di rimanere figlio di babbani che pagavano religiosamente le tasse e sceglievano con accortezza, ogni anno, un luogo di villeggiatura economico.
Non pensava cose banali come ‘l’amore di una famiglia è meglio dei soldi’, perché non era quello il punto. Era vedere come tutta quella ricchezza a niente servisse se non rimanere soli, e odiati.
Perché l’uomo che gli aveva dato la vita non era precisamente circondato da affetto, o anche solo da sostenitori.
Cos’ha? John Doe? Il falso Luzhin? Non un granché.
Certo, in quel momento era solo anche lui, ma sapeva che qualcuno sarebbe tornato a prenderlo. La differenza stava tutta lì. 
Albus, Harry, la sua famiglia, quella marmaglia di parenti acquisiti e più o meno amici che gli riempiva la vita, esasperandolo ma facendolo anche sentire un essere umano funzionale. Erano loro ad essere la differenza. Erano loro ad averlo reso la persona che era.
Se non lo fosse stato poi, Albus l’avrebbe preso a pugni.
Non aveva paura; o meglio. Ne aveva, ma era anche sicuro che qualsiasi cosa gli avesse detto Von Hohenheim non l’avrebbe fatto perdere in se stesso come l’anno prima. L’avrebbe ferito forse. Se John Doe era riuscito a farlo scappare da tutto ciò che amava, non aveva dubbi sul fatto che il suo padrone avesse una lingua ancora più biforcuta.
Fece un mezzo sorriso.
Avresti dovuto far resuscitare qualcuno di più arrendevole di me. Si sa che ero un tipo tenace.
Non lascio ciò che è mio. E tutto questo non è mio. La mia famiglia, invece sì.
Si fermò di fronte ad un portone. Era salito per le scale più ripide, più alte. Doveva dunque essere arrivato. La porta infatti si aprì silenziosa, lasciando intravedere luce al di là di essa.
Avrebbe lottato, e avrebbe vinto. Perché quella volta era dalla parte giusta.
 
“Benvenuto, Thomas…”
 
 
****
 
 
Albus non vedeva più in là del suo naso ed era piuttosto sicuro di essersi perso.
Comunque, si rifiutava di lasciarsi andare allo sconforto. In qualche modo sarebbe riuscito a trovare Ted e gli altri. L’aveva promesso a Tom … e alla sua stessa incolumità.
Anche se il mio senso dell’orientamento, specialmente al buio, fa schifo.
L’unica cosa di cui poteva rallegrarsi era il fatto di non aver incontrato Mercemaghi, almeno fino a quel momento.
C’era troppo caldo, comunque. Un caldo strano, simile a quello che si provava quando si stava troppo vicini al fuoco. Aveva dovuto togliersi il mantello e piegarlo sotto il braccio.
Svoltò l’ennesimo, anonimo angolo, cercando disperatamente di ricordare se avesse visto la serie di dipinti che gli si parava davanti.
… Boh.
Non aveva prestato granché attenzione all’arredamento purtroppo, dato che litigava con Tom.
Avrei dovuto trovarmi dei punti di riferimento. Sono un idiota.
Un rumore lo allertò. Non poteva sbagliarsi, erano passi. Spense la bacchetta e si nascose dietro una grossa armatura – c’erano più armature lì che ad Hogwarts. Attese, cercando di respirare il più piano possibile. Come si faceva, poi, a respirare piano?
La domanda rimase senza risposta, perché una luce piuttosto forte illuminò vicinissimo al suo nascondiglio; con stupore vide che si trattava di una torcia, e non di una bacchetta. La reggeva un ragazzo biondo, ma non John Doe. Non si sarebbe dimenticato mai quella faccia.
Lo vide avvicinarsi ad una vetrinetta riccamente istoriata ed aprirla con una chiave; ne aveva tante attaccate ad un mazzo che portava appeso alla cintura. Con stupore lo vide poi togliersi uno zaino dalle spalle e cominciare ad infilarci dentro oggetti dall’aria ricca e costosa.
Un ladro? Adesso? Con tutto quel che sta succedendo?
La scena era talmente surreale che Al ci mise un po’ a capire che non avrebbe potuto andarsene, non senza farsi notare.  
Oh, dannazione!
Scattò fuori dalla sua nicchia e lanciò uno Stupeficium, ma l’altro fu più svelto di lui. Che l’avesse già sentito, o che avesse i riflessi pronti, riuscì a gettarsi a lato e farsi mancare.
Al prese di nuovo la mira; sarebbe quasi stato disposto a lasciarlo andare, ma poteva sempre avvertire i suoi compari. Di certo, da com’era poveramente vestito – in maniera tradizionale tra l’altro – doveva essere uno dei Mercemaghi.
Nein!” Esclamò quello levando le mani. Halt mal! Ich habe kein Zauberstab, ich bin ein Squib²!
Tedesco, favoloso.
Non aveva la minima idea di cosa gli stesse dicendo, ma l’aria spaventata e le mani levate in segno di resa lo bloccarono.
Perché non ha preso la bacchetta per difendersi?
“Non ti capisco!” Sbottò innervosito. Se ci fosse stato Tom sarebbe stato un gioco da ragazzi, dato che l’altro il tedesco lo conosceva.
Già, ma non c’è.
Inspirò; non poteva neanche dargli le spalle e correre via. Se fosse stata tutta una messinscena e l’avesse poi colpito alle spalle?  
Solo che… ah, cavolo! Non mi piace schiantare la gente che non si difende!
… questo è molto, stupidamente, Grifondoro.
“Inglese? Sind Sie Engländer³?” Gli venne chiesto in quella lingua pietrosa. “Io … no magia. Magonò?” Tentò incerto, spiando la sua reazione.
È un Magonò? Cavolo! Non posso schiantare un Magonò!
Il problema è che non c’era modo di credergli sulla parola; la sua condizione non l’aveva scritta in faccia.  
“Alzati.” L’unica cosa sensata da fare era perquisirlo. Se aveva la bacchetta, l’aveva addosso.
L’altro parve capire l’ordine ed obbedì, alzando le mani con una smorfia insofferente.
Ringrazia che non ti ho spedito a dormire!
Guardò ovunque e gli frugò nelle tasche; la bacchetta non c’era, e non c’era neanche nello zaino di corda che si portava dietro, anche se abbondava ogni tipo di argenteria e metalli preziosi, dalle posate ai soprammobili.
“Lo sei davvero, dannazione…” Possibile che un Magonò avesse deciso di rubare proprio quando stava succedendo il finimondo? Poi notò un particolare che risolse definitivamente il dilemma; lo stemma cucito sulla casacca che indossava. Era lo stemma impresso su ogni singola cosa lì dentro, quello dei Von Hoenheim.
“Sei … lavori qui?” Indovinò, anche se era strano vedere un essere umano e non un elfo domestico vestire quei panni. Sapeva però che gli elfi domestici erano più che altro una prerogativa inglese, al massimo francese.
Ja.” Confermò. Un po’ di inglese allora lo capiva. “Andare?” Tentò.
Col cavolo!
Quel tipo sapeva muoversi in quel labirinto senza rischio di perdersi. Gli puntò la bacchetta al petto e lo vide sbiancare di un paio di toni. Non gli importò. “Adesso mi accompagni a cercare i miei amici.” Fece mente locale. “Ingresso. Portami all’ingresso.” Teddy aveva detto che, nel caso si fossero persi, di ritrovarsi tutti lì.
Il Magonò lo guardò con sguardo ottuso, ma sapeva che era tutta una messinscena. “Falla finita, lo so che mi capisci! Abbastanza almeno da sapere cosa ti sto chiedendo. Ingresso.” Ripeté.
L’altro gli lanciò un’occhiata. Sbuffò, ma poi annuì, raccattando lo zaino e indicando davanti a sé. “Dort. Là.” Tradusse poi a suo beneficio.
“Prima tu.” Gli fece cenno con la bacchetta. Il Magonò non se lo fece ripetere due volte e prese a camminare.
Speriamo non faccia scherzi.
Anche se lo riteneva quasi sicuro. Un servitore ladro non era certo quello che poteva definirsi una guida affidabile.
Avanzarono per un paio di metri in una direzione che Al era certo non aver mai preso; sperava solo non lo stesse portando in un vicolo cieco. Sperava solo di aver preso la decisione giusta.
Il caldo cominciò a diventare più opprimente. Non era il solo a sentirlo, dato che vide l’altro ragazzo passarsi una mano sulla fronte, forse per pulirsi dal sudore.
Che sta succedendo?
“Fermati, dove siamo?” Lo apostrofò, ma quello si voltò guardandolo incerto. “Dove. Siamo?” Ripeté più lentamente.
“Ingresso.” Replicò. “Di là.”
“Perché fa così caldo?” Nessuna risposta. Se lo capiva, non lo capiva abbastanza. Era frustrante.
Poi arrivò il fumo. Dapprima fu un penetrante odore di marcio, poi cominciarono a tossire, poi sentì gli occhi lacrimare. La penombra si fece più definita, più chiara. Troppo chiara.
Vide il Magonò sgranare gli occhi e non ci fu bisogno di traduttore per capire quello che poi urlò.
 
“Feuer!”
 
 
****
 
Note:

E nella prossima puntata… un drago volante sputafuoco! :D
Okay, a parte gli scherzi, so che ci sto dando dentro con i cliff-hanger. Forse troppo. Ma non è colpa mia se il capitolo finisce proprio bene in ‘sto modo! Non odiatemi, tutti i nodi verranno al pettine! >_<

 
Questa la canzone del capitolo. Tamarra ma comunque adatta. Specie nella parte non cantata ;D
1. Non ve lo siete immaginati. È la stessa cosa che Silente dice ad Harry quando sono nel limbo. ;)
2. ‘No, fermo! Non ho la bacchetta, sono un Magonò!’ Traduzione ad opera della bravissima e disponibilissima Blankette_Girl. Grazie ragazza!
3. ‘Sei inglese?’

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Capitolo 62
*** Capitolo LIX ***


Capitolo LIX






 
And – which is more – you’ll be a man, my son!
(If, Rudyard Kipling)
 
 
“Resta dietro di me.”
Non che Lily avesse intenzione di far altro; aveva ormai capito abbastanza di quella situazione per sapere che meno prendeva iniziative, meglio era.

Magari per sempre.
Sören le aveva lasciato la sua bacchetta e lei non aveva protestato; si sarebbe sentita ancora peggio senza, anche se era consapevole del fatto che probabilmente non avrebbe saputo neanche asciugarcisi i capelli. Era così diversa dalla sua, e aliena. Scura e dritta, senza un solo nodo, o asperità. L’impugnatura era quasi inesistente. Ma la cosa più straordinaria era il fatto che a Sören non servisse; non aveva infatti bacchette in pugno, ma piuttosto una sfera di luce gli brillava nella mano come un piccolo sole. 
Non gli aveva fatto domande in merito, e l’altro non le aveva dato spiegazioni.

Si voltò poi nella sua direzione; Lily non tentò neppure di leggerlo, di capire cosa provasse. Davvero, non le interessava.
“La via è libera.” Le comunicò.
“Va bene.” Sapeva di essere totalmente nelle mani dell’altro. Non aveva fiducia in lui, quella no, ma non era preoccupata. Sapeva, aveva la certezza, che Sören l’avrebbe guidata fuori di lì, anche a costo della sua stessa vita.

Era questo a rendere tutto più incasinato.
“… Il tuo vero nome. Come ti chiami davvero?” Si sentì formulare la domanda mentre una parte di sé le intimava di far silenzio.
Non deve interessarti. Finita questa storia devi cancellarlo. Al diavolo quello che hai sognato, o le allucinazioni che hai avuto. Al diavolo!
Lo vide irrigidirsi, poi voltò il viso di tre quarti. “Sören. Mi chiamo Sören.” Mormorò. “Io… non ti ho sempre mentito.”
“Ma davvero!” Il tono le uscì più sferzante del previsto, ma non se ne scusò. Aveva tutte le ragioni del mondo del resto. “Su cosa mi avresti detto la verità?”

“Sul mio nome, sul fatto che sono un Prince… e su quello che provo per te.” Anche a qualche passo di distanza lo sentì deglutire. “Non ho mai provato niente del genere prima, per qualcuno. Quindi credo mi sarebbe anche difficile mentire.”
Lily ignorò l’ultima parte del discorso. Doveva, doveva assolutamente. Non avrebbe mai creduto che si potesse andare in overdose di sentimenti. “Tua madre era una Prince? Perché il ritratto di Piton era convinto del contrario, ed io credo più al suo ritratto che a … te.” Smise di parlare, perché la schiena rigida dell’altro faceva troppo male a guardarsi.

È perché ti ho voluto bene…
C’era un modo corretto – e possibilmente poco doloroso – per affrontare tutto quello?
“Ti ho mentito solo da chi ho preso il cognome.” Riprese Sören. “Mio padre si chiamava Elias Prince, ed ha sposato una Von Hohenheim, la sorella del padre di Thomas.”
“Quindi siete… cugini?”
“Sì.”
Avrebbe creduto più in una parentela con Il Principe che con Tom; non si somigliavano affatto, anzi, fisicamente sembravano giorno e notte.
A parte l’aria seria.
Presero delle scale. Erano le stesse che aveva fatto all’andava, di legno scuro. Non le piacevano, ma si rifiutò di avvicinarsi alla presenza, suo malgrado rassicurante, del traditore.
“Non mi credi?” Lily si riscosse. Era una sua impressione, poi, o cominciava a fare caldo? Sicuramente, dato che il viso dell’altro era bagnato di sudore. Quest’ultimo si frugò nella tasca dell’uniforme e poi tirò fuori un anello, porgendoglielo. Non era quello che aveva indossato durante l’anno scolastico. Era diverso, di metallo completamente ossidato. Lo prese e se lo rigirò tra le dita, inevitabilmente curiosa. Raffigurava due mani stilizzate che stringevano una corona. “È lo stemma dei Prince.” Le spiegò. “Non ti sarà difficile controllare in un libro di araldica magica, una volta tornata a casa.”
Se tornerò a casa.”
“Tornerai a casa. Sul mio onore.” Replicò con perfetta, insopportabile sicurezza.
Perché così ci credo anch’io.
Glielo tese indietro. “Non mi interessa.” Disse brusca. Non poteva guardarlo negli occhi e sarebbe stato meglio non parlargli. Eppure non poteva, non quell’ultima cosa.
Non se vuoi sapere perché.
Doveva essere la botta in testa a farle quell’effetto, perché quell’ultima frase aveva avuto l’intonazione e il tono di voce di sua nonna Lily.
Sören se lo riprese. Sfiorarsi le mani non avrebbe dovuto farla sentire come se qualcuno le avesse violentemente preso a calci lo stomaco. Invece fu precisamente così.
Che diavolo. Quanto sono stupida? Quanto…
“Lily…”
Distolse lo sguardo e gli cacciò in mano quel maledetto anello. “Smettila!” Le veniva da piangere e non era giusto; la gente quando batteva la testa perdeva semplicemente i sensi, non sognava sua nonna morta da quarant’anni che le intimava di perdonare qualcuno di imperdonabile.

Facendolo sembrare perfettamente sensato poi!
Sören non disse niente, ed era sicura che avrebbero ripreso quella lunga marcia agonica, quando si fermò di botto.  
Non ebbe il tempo di chiedergli che gli fosse preso, perché un bagliore improvviso comparve di fronte ai loro occhi. Veniva dall’alto, ma era sempre più luminoso, sempre più caldo. Cominciò a tossire quando il fumo si riversò su di loro come un banco di nebbia degno del Devonshire. La sua reazione fu di rimanere instupidita come un’autentica idiota da manuale. Sören no. La prese per un braccio e senza troppi complimenti le premette il suo fazzoletto sul viso. “Non respirare!” Le intimò prima di essere scosso da un colpo di tosse. Lily avrebbe voluto dirgli che il consiglio valeva anche per lui, ma fu brutalmente spinta in un angolo, una rientranza che era stata scolpita per permettere una curva migliore agli scalini. Questo prima che un enorme, spaventoso, fottuto muro di fuoco si abbattesse su di loro.
Gli incendi esplodono?
Le venivano in mente le frasi più idiote nei momenti più sbagliati, era sempre stato un suo difetto. Si coprì il viso, rannicchiandosi istintivamente, ma non sentì bruciare, non sentì dolore né calore. Anzi.
Freddo?
Quando si arrischiò ad aprire gli occhi capì perché tutti i babbani che conosceva facevano facce instupidite quando produceva anche le magie più banali. Perché la magia era eccezionale e lo era ancora di più quando abitava il corpo di un mago oltre la media. Si sentì una babbana a confronto.
Il motivo per cui non erano bruciati vivi dalla propagazione violenta del fuoco era semplice; Sören aveva eretto un muro di ghiaccio tra loro e le fiamme, talmente spesso che non era possibile vedervi attraverso. Gli ultimi fili di ghiaccio gli scorrevano tra le dita della mano.
Lily si strinse la bacchetta al petto, perché lei per essere strega aveva bisogno di un legno; ora si spiegava però perché l’altro non aveva avuto problemi a consegnargliela… non gli serviva!

Dannazione!
“… Straordinario.” Le uscì dalle labbra, e non era ciò che doveva dire viste le contingenze e un inspiegabile incendio in corso a pochi metri. Silenzio, era doveroso il silenzio, ma …
Dannazione, un muro, un intero muro di ghiaccio a mani nude!
Sören si voltò battendo le palpebre, stupito dalla sua reazione. Gli vide apparire sulle labbra un sorriso, ma poi perse colore di colpo e si accasciò a terra come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.

E quello non era un buon segno.
“Ren!”
 
****
 
La Passaporta contenuta nello Specchio delle Brame li aveva materializzati all’interno di uno sgangherata rimessa per le barche che evidentemente non veniva usata da decenni, a giudicare dal legno marcio e dalle imbarcazioni coperte da più strati di ghiaccio e sporco.
La vera sorpresa era stata però vedere cosa, o meglio chi, contenessero le barche attraccate; due maghi e una strega male in arnese, legati e spogliati dei loro vestiti. Ron era stato il primo a suggerire – nascondendo una smorfia divertita – che Ted e i ragazzi fossero passati di lì. Harry aveva sposato a pieno l’ipotesi.
Hanno rubato i vestiti ai Mercemaghi per infiltrarsi. Trucco vecchio, ma sempre valido.
 “Ho mai detto quanto odio i viaggi con Passaporta?” Disse poi Ron. “Certo, sempre meglio che viaggiare con quei trabiccoli infernali degli arei babbani…”
“Aerei.” Lo corresse Harry distratto, mentre Nora abbozzava un sorrisetto. Sembrava che gli americani di errori simili fosse raro ne facessero. “Dov’è il castello?”

Nora indicò il promontorio che si ergeva coperto di pini e neve di fronte a loro. “Alza la testa.”
Il castello dei Von Hohenheim, per quanto dovesse essere una residenza secondaria, era enorme. Più piccolo di Hogwarts, aveva comunque un’architettura che lo rendeva altrettanto imponente. La pietra chiara e le guglie scure lo avrebbero reso un esempio piuttosto magnificente di stile germanico, ma in sé vi era qualcosa di lugubre, nonostante tutto il candore che imperversava, trai colori delle fondamenta e la neve.

Sembra una bara … una bara bianca, come quella di Silente.
Il paragone sorprese lui stesso. Inspirò, poi fece un cenno agli altri due. “Sbrighiamoci.”
Ron e Nora annuirono e misero mano alla bacchetta; non sapendo se vi fossero barriere magiche dovevano inevitabilmente risalire a piedi. Rischiare di Spaccarsi era l’ultima cosa di cui avevano bisogno.

Specie perché siamo solo in tre. Maghi capaci, ma solo in tre.
Avrebbe voluto avere la sua vecchia squadra degli esordi a coprirgli le spalle; il gigante Flannery, la sveglia Stump e l’esperto Paulson. I tre ormai erano a capo di altrettante squadre Auror e in ogni caso, certamente, non poteva chieder loro di venir lì dall’Inghilterra.
Già con quanto ci abbiamo messo noi… E con i guai che  ci porterà a posteriori.
Ron stava parlottando con l’americana e la sua espressione sconcertata era piuttosto curiosa. “Cosa?” Chiese inserendosi nella conversazione.
“Nora mi sta dicendo che ha contattato la Polizia Magica Tedesca.” Disse Ron, con la tipica espressione incerta che assumeva quando non sapeva se arrabbiarsi o piegarsi alla ragionevolezza dell’evento.
“Dovevo farlo.” Replicò la strega con aria tranquilla. “Non possiamo arrestare nessuno. Io non ne ho l’autorità, in quanto agente di collegamento. Posso seguire le indagini, spostarmi all’interno del territorio magico europeo e posso ovviamente agire in mia difesa e in quella altrui, ma non posso effettuare arresti. E neppure voi, visto…”
“… visto che questa non è l’Inghilterra. Giusto.” Sospirò Harry; quando avevano interrogato il factotum dei Luzhin avevano in realtà fatto pesare un’autorità che non avevano.

Per fortuna non poteva saperlo…
Ma arrestare Von Hohenheim, per quanto fosse un desiderio fortissimo, non era possibile.
“Se avesse agito su suolo britannico sarebbe stato vostro. Avrei voluto che foste voi.” Ammise.
Harry si sentì un idiota a realizzarlo in quel momento. Aveva sempre pensato che sarebbe stato lui a sbattere il bastardo a Nurmengard.
Ma già il fatto che si tratti di Nurmengard e non di Azkaban avrebbe dovuto aprirmi gli occhi.
Se ci fosse stata Ginny, gli avrebbe ironicamente fatto notare come il suo complesso da Salvatore gli facesse sempre credere di essere l’uomo della situazione quando in realtà non lo era da più di vent’anni.
“Siamo stati degli idioti a non realizzare…” Replicò. “Ma tu lo sapevi da quando Von Hohenheim ha rapito mia figlia. Però non hai detto nulla.”
Non era propriamente un’accusa. Infatti la risposta di Nora non fu una giustificazione. “Spesso non si può scegliere con chi lavorare, Harry. Ormai ti sarai reso conto anche tu che entrambi condividiamo alcune visioni su cosa un funzionario di polizia dovrebbe fare. Incontrarvi per me, oltre ad un onore, è stata una fortuna.” Sorrise. “Come ti ho detto, non mi è mai interessato sapere dove finirà Von Hohenheim o chi lo arresterà. Quello che mi interessa è vederlo sparire nelle viscere di qualche prigione.” Sospirò poi. “Spero sia lo stesso per te, perché se vogliamo continuare a fare questo lavoro dovremo essere spettatori.”
“Alla fine.” Vide Ron ghignare alle sue spalle con la coda dell’occhio. “Solo alla fine però.”
Nora ricambiò il sorriso. “Mi trovi perfettamente d’accordo.”

Risalirono il crinale in silenzio. Dovevano mantenere fiato e concentrazione in vista di cosa gli aspettava finita la scalata.
Quello che trovarono li lasciò completamente basiti.
Trovarono i Mercemaghi che si erano aspettati e difatti estrassero le bacchette pronti allo scontro. Erano due dozzine e corsero loro incontro come un’orda.
Corsero loro incontro e poi li superarono. Parzialmente nascosti da un gruppo di arbusti che cingeva il fossato erano comunque visibili ad un occhio attento. Ma quegli uomini non stavano attaccando loro, fuggendo da qualcosa.
“Che miseriaccia sta succedendo…?” Mormorò Ron sbalordito.
“Non lo sapremo finché non ne fermeremo uno. E stanno scappando.” Harry uscì dal goffo nascondiglio colpendo – se ne vergognò un po’ – alle spalle uno dei Mercemaghi con un incantesimo di Pastoia.
A mali estremi…
Quello cadde come folgorato e rotolò per qualche metro nella neve. I compagni non si fermarono, né diedero segno di aver notato l’attacco o il lampo di luce da esso scaturito. Sembravano totalmente concentrati nello scappare il più velocemente possibile. Alcuni di loro, notò Harry, nella rovinosa ritirata tossivano violentemente.
Ma cosa…
Con Nora e Ron si avvicinò al prigioniero di fortuna, immobilizzato in un’espressione di sorpresa. Si assicurò di averlo legato con un Impedimenta prima di terminare l’altro incantesimo. Rianimato, quello si mosse tra il sorpreso e il furioso, prima di guardarli in faccia e vomitare qualcosa in un idioma che Harry non aveva mai sentito.
“Che cavolo blatera?” Esclamò Ron. “Ehi, parla normale. Parla inglese!”
“Ronald, non siamo in Inghilterra, la nostra non è la lingua madre qui.” Lo riprese blandamente la creola, ma con un piglio decisamente alla Hermione, tanto che questo borbottò istintivamente.

“Incantesimo di traduzione?” Suggerì Harry con una punta di comprensione; né lui né l’amico erano abituato a scontrarsi con barriere linguistiche avendo sempre vissuto e lavorato in una nazione forte della propria lingua. Mai come in quel periodo avevano fatto tanta fatica a farsi capire.
“Credo sia bulgaro, ma non conosco una formula per la traduzione in inglese. Provo con il tedesco.” Si scusò Nora, prima di rivolgerglisi nella suddetta lingua. Fortuna volle che il Mercemago quello un po’ lo parlasse. Si scambiarono qualche breve battuta, ed Harry vide con sorpresa la donna impallidire.
Non un buon segno. Non un buon segno affatto.
“Che sta dicendo?” La incalzò Ron che doveva aver notato la stessa cosa. “Che succede Nora?”
La donna guardò verso il castello, poi verso di loro. “Dice che è scoppiato un incendio.”  
“Un incendio?” Ron guardò verso il castello. Immobile, silente, come un quadro babbano. “Ma che stai dicendo? Non c’è fumo, non ci sono fiamme! Dovrebbe esserci almeno il fumo che esce dalle finestre…”
“Gliel’ho detto. Dice che c’è una barriera attorno alle mura che impedisce alla gente di uscire ma, pare, anche alle cose. Fuoco compreso.”

Harry sapeva che l’ultima cosa che doveva fare era perdere la testa; anni, decenni prima, nelle grigie elementari che aveva frequentato, aveva imparato una poesia che non aveva dimenticato neppure durante i suoi anni magici. Per quanto la situazione fosse inadatta, la pensò.
Se riesci a conservare il controllo quando tutti attorno a te lo perdono¹…
In fondo era quello il suo maggior pregio, che sapeva di aver passato di peso a James, il suo maggiore. Vide le espressioni pallide, spaventate di Ron, ma anche della roccia Nora, perché il fuoco era un mostro che spaventava l’umanità dall’alba dei tempi, che fosse magica e babbana. Perché neanche la magia più potente, di fronte al fuoco, poteva aver sicurezza di riuscita e non di morte del mago.
E capì che come al solito, era l’unico che riusciva a pensare ancora. Non grandi pensieri, non era Hermione e non lo sarebbe mai stato.
Ma pensieri efficaci.
“Se sono usciti, c’è anche un’entrata.” Disse dopo un lungo silenzio. “Chiedigli da dove sono scappati. È da lì che entreremo.”
 
****
 
Era come se il suo intero corpo fosse stato paralizzato da un veleno a diffusione rapida.
Sören avrebbe dovuto sapere che utilizzare quel braccio avrebbe avuto delle conseguenze; certo, lo sapeva, ma l’aveva ignorato per l’urgenza di portare Lilian fuori di lì. Di metterla in salvo ed assolvere al suo compito.
Il mio ultimo, forse…
Si sentiva le punte delle dita intorpidite, e quella sensazione stava propagandosi e pulsando in ogni sua fibra. Era ancora cosciente e per questo sapeva di essere paralizzato.
Se dormissi…
La barriera sarebbe durata a sufficienza per farla scappare, rifletté. Doveva solo indicarle il modo per uscire di lì.
Sören!” Sentì la voce dell’altra trascinarlo bruscamente nella realtà. Sentì come se gli avesse preso a calci la mente, e forse Lily l’aveva fatto sul serio, essendo LeNa.
Notò che gli si era inginocchiata a fianco, e lo scrollava per la casacca dell’uniforme. “Sören!” Ripeté. “Cos’hai? Rispondimi!”
Era troppo difficile, lungo e doloroso da spiegare, e non c’era tempo in ogni caso. “La barriera…” Volse lo sguardo verso il muro di ghiaccio. Cinque, forse sei minuti. Forse anche meno. Non era mai stato molto bravo in quelle stime. Erano suo zio e Johannes che si preoccupavano di prendere le misure della sua magia. “… la barriera non durerà a lungo. Poi arriverà il fuoco.” Chissà da cosa era stata scatenato poi. “Stammi a sentire…” Parlare in inglese era difficile quando tutto era sfuocato. “Se torni indietro e finisci il corridoio c’è l’accesso … l’accesso per il passaggio della servitù.” 

La vide aggrottare le sopracciglia come se non capisse. Eppure era certo di essersi espresso in un inglese corretto. “Che significa?” Gli fu chiesto.
“Il passaggio della servitù non dovrebbe essere stato raggiunto dall’incendio, è dall’altra parte del corridoio, da dove siamo venuti … Porta ad un’altra ala del castello, e poi ad un’uscita secondaria. Da lì potrai scappare.”
“Perché parli al singolare?” Sembrava furiosa, e davvero, non ne capiva il perché. Gli aveva anche afferrato la casacca come se volesse scrollarlo. Sentiva le sue unghie premere contro la pelle. Non capiva. Le stava offrendo ciò che voleva, ciò che le aveva promesso. Forse aveva paura di non farcela da sola. Ma poteva. Era Lily.

“So di non stare onorando la mia promessa… ma non riesco…” Sospirò. “Non riesco più a muovermi, mi dispiace.”
“E quando quella roba di ghiaccio si scioglierà, ed io sarò via e tu non potrai muoverti?” La domanda era strana, perché c’era una sola risposta. Sören non la disse perché non ce n’era bisogno. Si limitò a rimanere in silenzio. Lily era una ragazza intelligente, avrebbe ca…
Lo schiaffo che gli arrivò gli fece bruciare la guancia come l’inferno stesso.
Brutto idiota!” Sören ci mise qualche attimo prima di realizzare che l’altra si stava faticosamente puntellando per tirarli entrambi in piedi. “Non azzardarti!”
“A fare… a fare cosa?” La guancia bruciava e il mondo era di nuovo a fuoco. Il dolore poteva essere anche buono, quindi.

“A suicidarti!” Sbuffò sonoramente prima di tirarlo su. Sören tentò di aiutarla come poté. Le gambe perlomeno aveva conservato un po’ di forza per non crollarle completamente addosso. “Se solo ti azzardi ad immolarti come il grande eroe tragico che credi di essere giuro che ti vengo a riprendere dall’Altra Parte solo per ammazzarti di nuovo!”
Non erano vere minacce di morte. Le conosceva bene e sapeva che non avevano quel tono e soprattutto non erano accompagnate da quella faccia. Lily aveva l’espressione concentrata, con le labbra ridotte ad una linea sottile e serrata. Aveva gli occhi lucidi.

Non voleva che piangesse, non ancora.
“Non voglio immolarmi.” Cercò di farle capire, anche se non aveva la minima idea di cosa volesse dire. Forse c’entrava con il sacrificarsi, ma non ne era sicuro. Comunque, non capiva il nesso. Lasciarlo lì ed andare avanti era la cosa più razionale da fare.
Come se Lily fosse una creatura razionale. È tutta sentimenti, la conosci bene.  
Data la situazione, lo schiaffo e la rabbia dell’altra era quantomeno bizzarro che si sentisse contento. Eppure era quello il sentimento che lo placcò improvviso come un centauro bizzoso. “Ti rallenterò, sono pesante e non auto-sufficiente.” Andava detto. Andava spiegato. Lily forse non sapeva cosa stava rischiando portandoselo dietro. “Non sono più in grado di proteggerti, piuttosto il contrario. Devi lasciarmi qui.”
“Morgana, non tentarmi…” Ringhiò,  e fu proprio un ringhio. Inquietante in bocca ad una ragazza che sembrava capace di dire solo cose graziose. “Ascoltami bene. Devi scontare i casini che hai combinato e …  non tutto quello che hai fatto è stata colpa tua.” Esitò, poi fece una smorfia. “Molto, ma non tutto.”  
“Io…”
“Sta’ zitto!” Lo interruppe con veemenza, cominciando a camminare. Anche volendo non avrebbe potuto sciogliersi dalla stretta. Gli stringeva il polso con forza, passandosi l’altro braccio sulle spalle, quello innocuo; esili, eppure abbastanza tenaci da reggere il suo peso. “Ci manca solo che tu muoia.” Borbottò. “Questo sarebbe rovinarmi la vita.”

“Non voglio…”
“Perché lo faresti.” Continuò, ignorando il suo tentativo di inserirsi in quello che sembrava un monologo. “Quindi vedi di uscire tutto intero da questo casino mostruoso.” Gli piantò gli occhi in faccia e la contentezza fu spazzata via dalla strana sensazione di disagio e aspettativa che aveva provato molte volte in sua presenza. Non era mai riuscita ad identificarla. “Se vuoi farti perdonare, devi vivere.”

Sören percepì le sue dita stringere la presa sulla spalla di Lily. Sembrava fragile, quella di una ragazzina, eppure aveva una forza straordinaria. Perché Lily era straordinaria. “Te lo prometto.” Mormorò. E lo intendeva con tutto il cuore. Che sì, checché ne dicessero suo zio e Johannes, ne aveva uno. Faceva male e poi smetteva, e poi faceva di nuovo male e così via.
Era averne uno, no?
Lily si morse le labbra. “Bene, fantastico.” Disse stringendo la presa contro la sua vita. Era lì che teneva la bacchetta. “Direzione, Ren. Dove dobbiamo andare?”
Sören non le fece notare che aveva ripreso ad utilizzare quel nomignolo, che era ormai diventato a lui così caro. Ingoiò il sorriso perché in certe cose bisognava stare molto attenti, l’aveva imparato.

“Da quella parte.”
 
****
 
“Teddy, che diavolo facciamo?”
“Professor Lupin!”
Ted si sentiva diviso in due come se qualcuno lo avesse tagliato in due parti esatte. Sapeva che doveva essere quello a prender le decisioni, che Dominique e Scorpius erano solo due ragazzi, e non doveva stare a loro il compito di abbandonare, coscientemente, Al e Thomas per cercare Lily.

Era proprio quello il punto; come prendere la decisione giusta, se una decisione giusta non c’era?
Guardò i due; Scorpius era pallido e tirato, e si voltava continuamente indietro. Guardava indietro e guardava lui. Era chiaro che fosse nella sua esatta situazione. Dominique invece aveva perso ogni espressione giocosa per sostituirla con una del tutto priva di emozioni, ovvero  la sua versione di preoccupazione.

“Dividiamoci.” Propose la ragazza con voce decisa. “Posso andare a cercare io i due secchioni mentre voi andate a prendere la rossa, nessun problema.”
Ted doveva prendere una decisione, in quanto professore, in quanto adulto, in quanto l’unico che poteva sopportarne le conseguenze. Non avrebbe addossato un peso simile a due ragazzini.

“No, nessuna divisione.” Replicò con tono forse eccessivamente duro, ma necessario per farsi dar retta dalla bionda testa platinata che aveva imparato a conoscere negli anni provenzali come una sorella minore. “Andremo tutti assieme. Da Lily.”
“Ma Dursley e Mini-Potter…” Tentò Scorpius incerto.

“Non ci hanno separato, sono loro ad aver scelto di prendere un’altra strada.” Anche se parlò al plurale era sicuro che la decisione fosse stato presa da uno solo dei due; Thomas.
E da quando sono capaci di reggersi in piedi che Tom si mette nei guai e Al lo segue per correggere i suoi maledetti errori.
Era frustrante, ma inevitabile come il fatto che il sole sorgesse ogni giorno. Aveva rinunciato a capire il rapporto che intercorreva tra quei due, anche se istintivamente ne riconosceva la forza. Niente avrebbe potuto separare Al da Tom. Quando aveva notato l’assenza dei due, non lo aveva neanche sfiorato il pensiero che non fossero assieme.
E questo la dice lunga…
Scorpius aggrottò le sopracciglia. “Intendi dire che se ne sono andati spontaneamente?” L’espressione che scaturì da quelle parole parlava da sola.
Sì, anche i Serpeverde possono essere dei cretini patentati, Scorpius.
“Andiamo biondo, da quando in qua Tommy si imbarca in salvataggi all’altrui persona?” Motteggiò Dominique scrollando le spalle. “Era chiaro che non gliene fregasse un tubo di salvare Lils. È qui per qualche altro motivo tutto suo che a me non interessa.” Si strinse nelle spalle. “Il capo ha parlato. Andiamo a salvare la rossa.” 
Scorpius fece una smorfia. “Mi sento tanto tassorosso delle cause perse … senza offesa per i presenti.” Gli lanciò un’occhiata di scuse neppure troppo convinta. “Ma se noi ci occupiamo della Piccola Potter… Chi si occuperà di quei due piantagrane?”
“Non ho detto che non torneremo a prenderli.” Replicò Ted con un sospiro. “Ho detto solo che dobbiamo avere delle priorità. Restare qui fermi non aiuterà né loro né Lily.”
“Ben detto, Teddy!” Esclamò Dominique. “Muoviamo le chiappe? Che tra parentesi questa puzza di fumo proprio non mi piace.”
“Fumo?” Ted si diede dell’idiota per non aver notato prima la stimolazione di un senso che, a dirla tutta, aveva piuttosto sviluppato – eredità lupesca, l’avrebbe chiamata Jamie. Troppo preso ad usar cervello e razionalità, come al solito, aveva dimenticato l’istinto.
Era odore di fuoco, ma vi era anche qualcosa di marcio. Non Ardemonio, stimò con relativo sollievo. Sarebbero già morti tutti, data la velocità di propagazione del suddetto.
Questo non significa che non sia fuoco magico.
“Lo conosco ‘sto odore! Alla Riserva non c’è cosa che non puzzi così!”
Ted dalle parole di Dominique estrapolò la soluzione; era Fuoco Di Drago. Non vi era un drago vero, naturalmente, ma si potevano estrarre le pietre focaie presenti nella gola di tale creatura per farne inneschi per qualsiasi tipo di fuoco magico; da quelli d’artificio venduti ai Tiri Vispi ai temibili Fuochi Ritardanti usati dalle squadre di Tiratori Scelti per stanare i fuggitivi; questi ultimi i Babbani li avrebbero chiamate bombe.
“Merda!” Esclamò Scorpius sgranando gli occhi. “Non ditemi che c’è anche un incendio!”
“È l’effetto di un Fuoco Ritardante, Scorpius, riconosco l’odore.” Si sentì in dovere di dirgli; la distanza alunno-insegnante che intercorreva tra le mura scolastiche lì non poteva valere. E poi, quei due ragazzi gli avevano dimostrato testa e cuore. No, decisamente non poteva più trattarli come bambini. 
“Hanno usato Fuoco di Drago come innesco?” Dominique inarcò le sopracciglia. “Allora siamo nella cacca. La velocità di propagazione non è come quella dell’Ardemonio, ma ci vuole più di qualche secchiata d’acqua dalla bacchetta per spegnerlo.” Proclamò serena.

Scorpius fece un sorriso nervoso. “Merlino, ma che razza di sfiga scatenano i Potter?” Era sempre più pallido, ma Ted apprezzò il fatto che nonostante tutto non avesse ancora perso la testa. Che c’e n’era ben donde.
“Credo sia inutile dirvi che se c’è ancora una possibilità di andarsene, è adesso ragazzi.” Spiegò calmo, ma senza infiorettare la cosa. “Siete entrambi in gamba. Entrambi potete uscire adesso, da soli.”
Scorpius e Dominique si guardarono, e fu questa a parlare. “Certo Teddy.” Fece una delle sue smorfie buffe. “Ti lasciamo tuuutto da solo a salvare le chiappe della rossa e dei due secchioni. Com’era la storia che non dovevamo separarci?”

“Siamo con te, Professore.” Ghignò Scorpius e non era un titolo, pareva detto come un nomignolo. “Meglio un Tassorosso che un Grifondoro a prender decisioni. Pare che, statisticamente, portiate a casa la pelle più di frequente.”
Ted sorrise. Non c’erano bisogno di parole, quindi si limitò ad una pacca ciascuno. “Scorpius, solitamente quante vie d’accesso ci sono alle segrete?” Chiese poi.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, meditabondo. “Almeno due.” Stimò. “Quella normale e quella di servizio, per i servitori o… carcerieri. Non ci piove che sia così anche qui, l’architettura è simile.”
“Siamo vicini?” Incalzarlo con le domande era un buon metodo per distrarlo. Scorpius infatti dava il meglio di sé quando veniva messo al centro dell’attenzione di qualcuno, meglio se un gruppo. 
In questo lui e Jamie sono due gocce d’acqua.
“Dovremo esserci.” Fu la pronta, lucida risposta. Malfoy indicò di fronte a sé una rampa di scale che si apriva nel vuoto e nel buio. Erano strette e nascoste parzialmente da un arazzo che vi pendeva mollemente sopra. La porta era aperta. “Sì, è quello il passaggio di servizio.”
Ted sentì odore di umido, salmastro, terra. Era la direzione giusta, gli suggeriva Il Lupo – sì, chiamava così quella parte di sé.
“Scendiamo. Ora. 
Non ci furono obiezioni.
Scesero velocemente le scale, con solo l’aiuto delle proprie bacchette. Ted, nonostante avesse chiesto silenzio, sentì i due ragazzi confabulare dietro di lui.
“In caso io muoia, ed è abbastanza probabile… Devo prima sapere una cosa. Capisci, Weasley, proprio non posso finire nella tomba e non saperlo.”
Habla, RaggioDiSole.”
“Ma tu e Violet siete…”
Stiamo.” Fu la tranquilla proclamazione. Ted non poté fare a meno di esserne meravigliato a sua volta; dopotutto sorprendeva la scoperta che Dominique potesse avere una relazione di coppia con qualcuno.

Pensavo neppure le interessassero, gli esseri umani.
“Assurdo!”
“Non dirlo a me!” Uno sghignazzo. “Per essermi infilata in questo casino? M’ammazzerà se tornerò viva.”
“Per favore, io ho una Rosie. La mia pallocchetta è assai brutale.”

“La tua morde?”
Un breve silenzio meditabondo “… No, in effetti quello non lo fa.”
“Allora poche storie, ho vinto io.”
“Ragazzi…” Li riprese. Capiva perché quei due scherzassero; non c’era medicina migliore delle sciocchezze, per allentare la tensione. Tuttavia abbassare la guardia non era una buona idea. “Fate silenzio, potrebbero esserci…” Si bloccò perché quasi li avesse chiamati, arrivarono dei passi. Fece cenno ai due di fermarsi e quelli obbedirono all’istante smettendo chiacchiere e sorrisi. Le bacchette furono spente all’istante.

Poco dopo arrivò il fioco lume di una bacchetta. Un lumos tenue, unico.
Una sola bacchetta.
Il problema era che i passi sembravano di due coppie di piedi. Trattenne il respiro, poi batté la mano sul braccio di Scorpius, immediatamente dietro. “Vado a vedere. Restate qua.”  
“No, Profes…” Tentò quello, ma scese prima che potesse dargli tempo di rispondere. Se i due sconosciuti lo avessero attaccato, Dominique e Scorpius sarebbero stati l’effetto sorpresa.
Il bagliore fioco si faceva sempre più vicino, brillante. Svoltato l’angolo della tortuosa scala si sarebbero trovati faccia a faccia. Inspirò e chiamò a raccolta forza e concentrazione; un altro scontro stava per arrivare.
Odio la violenza. La odio.
Voler essere Auror come sua madre era stata la scelta meno oculata della sua vita.
Fortuna ho cambiato idea in tempo.
Levò la bacchetta e lanciò il Lumos più brillante che gli riuscì per accecare i due in arrivo; un buon metodo per neutralizzare senza far troppi danni.
Tutto si sarebbe aspettato fuorché la reazione conseguente.
 
“Che diavolo!”
 
Era una voce femminile, giovane e inglese che conosceva benissimo. Perché era la voce di Lily Luna.
Sbalordito si trovò di fronte proprio la ragazza che erano venuti a salvare con tutti i pericoli del caso. Lily, con i capelli arruffati, l’uniforme sporca e ovviamente abbacinata.
Lei e il ragazzo tedesco sparito nel nulla, Sören Luzhin. Ted notò solo in un secondo momento che l’amica teneva in piedi il ragazzo sostenendolo. Lo notò e poi si sentì letteralmente schiacciare contro il muro. Era stato il tedesco che, come un fulmine lo aveva sbattuto contro il muro; gli torse il polso per fargli cadere la bacchetta mentre con l’altra mano gli tolse aria stringendo alla gola. Presa ineludibile.
Dannazione, li ho accecati e non riescono a vedermi!
“Ren, che cavolo sta succ… Non vedo niente! Che stai facendo?!” Gridò Lily strizzando gli occhi inutilmente. Ted provò a parlare ma il maledetto ragazzino aveva tutta l’intenzione di strozzarlo.
Dann…
Pensare stava cominciando a diventare difficile, dato che l’aria faticava ad arrivare al cervello.
Vide un baluginare alle sue spalle, e subito arrivarono Scorpius e Dominique, disattendendo fortunatamente ai suoi precedenti ordini.
“Lily?!” Esclamò Scorpius sgomento. Comprensibile; la scena che gli si era parata davanti doveva essere quantomeno sconcertante. “Professore! Ehi, lascialo subito!” Esclamò subito dopo, pronto a lanciarsi contro Luzhin per liberarlo dalla sua presa mortifera.
No, no, no! Fermi!
Qualunque fosse il motivo della presenza di Luzhin, quel gioco di fraintendimenti stava per scatenare un disastro.
Sören, no!” Esclamò di colpo Lily. “Fermati, è Scorpius, sono amici!” Fece qualche passo incerto, inciampando a causa della visuale ridotta. “Basta!”  
Quest’ultimo, quasi Lily avesse spento un interruttore, lasciò la presa e scivolò dal lato opposto della parete facendo un profondo sospiro. “Non vedo… non potevo saperlo.” Mormorò. “Scusa.”
“Sì, neanche io, ma non è un buon motivo per aggredire gente a caso!” Sbottò con un insolita furia. Poi si calmò, voltandosi nella loro direzione. “Scorpius…?”
“Sì, e Dominique. E Teddy.” Recitò Dominique con lo sguardo che saettava dalla cugina al tedesco, concludendosi con lui. “Qualcuno mi spiega che diavolo sta succedendo?”
Lily esitò, strizzando ancora una volta gli occhi. Li puntò su di lui, il che significava che la visuale era parzialmente ritornata. “Teddy?” Chiese infatti. “Io… cioè. Stavo scappando?”
“E noi stavamo venendo a salvarti, Piccola Potter. Ma vedo che ti sei portata avanti con il lavoro.” Si inserì Scorpius. Lanciò uno sguardo eloquente e battagliero a Luzhin. “Lui?”
Lily si morse un labbro. Ted conosceva bene quel gesto; stava per eludere la conversazione. “Lunga storia, c’è un incendio, possiamo parlarne do…”
“Sappiamo dell’incendio. Abbiamo tempo.” La interruppe; non era vero, ma dovevano chiarire la posizione del tedesco prima che uscissero fuori nuove svolte e sgradite sorprese. “Che ci fa qui?”
Allora è vero che lavora per Von Hohenheim.
Lily guardò verso Luzhin, poi sospirò. “Non è davvero Luzhin è… il nipote del padre di Tom. È … è complicato.” Scosse la testa, rassegnata all’idea di non potersi spiegare.
“È cugino di Tom?” Scorpius inarcò le sopracciglia. “Momento. Al diavolo la parentela. Significa che è coinvolto in questa storia?”
“Ti ha rapita lui?” Dominique aveva assunto un’espressione poco raccomandabile, a differenza del suddetto rapitore. A Ted bastò un’occhiata per capire che Lily non lo stava sorreggendo perché si era storto una caviglia. Era sudato, pallido e allo stremo delle forze. Doveva aver utilizzato le ultime energie per attaccarlo.
“Lily.” La richiamò. Quella si voltò verso di lui con un’espressione ansiosa. “È vero? Ti ha rapita?”
“No!” Esclamò. “Altrimenti perché me lo starei portando dietro?” Chiese retorica, prima di scuotere la testa alle sue stesse parole. Sembrava più confusa di loro. “Cioè… faceva parte del piano, ma è stato John Doe, Sören mi ha tirata fuori dalla cella in cui mi avevano rinchiusa! Il padre di Tom voleva liberarsi di me, ma lui…” Si morse di nuovo il labbro. Se lo stava martoriando e non era da lei. “Ho già detto che è complicato?”
Ted guardò di nuovo verso il tedesco. Aveva lo sguardo piantato a terra e respirava male. Di certo non costituiva un pericolo più grande di un incendio o di una dozzina di Mercemaghi.
“Okay, fantastico. Chissenefrega.” Tagliò corto Dominique, prendendola per un braccio. “T’abbiamo trovata, quindi leviamoci dalle scatole prima di morire arsi vivi. Mi piacerebbe campare un altro paio d’anni. Ho cose grandiose da fare, sì?”
“E di lui che ne facciamo?” Scorpius lo teneva sotto tiro, a cinque doverosi passi di distanza. Non lo biasimava; doveva aver visto l’espressione omicida che il ragazzo aveva dipinto in volto quando lo teneva per il collo.
Mi avrebbe ucciso senza esitare se avesse Lily non l’avesse fermato.
“Lo molliamo qui!” Proclamò Dominique. Non c’era da aspettarsi opinione diverse dalla ragazza, che giudicava in base ad una dicotomia perenne. In questo lei e James si somigliavano come gemelli.
“Col cavolo!” Lily si liberò dalla presa della cugina e si frappose tra loro e il tedesco. “Lo portiamo con noi! Non è in grado di andarsene da solo, e scommetto che neppure voi sapete con precisione dov’è l’uscita! Ci può dire come uscire, è casa sua!”
“Lily, è il nipote di Von Hohenheim, non possiamo fidarci di lui su due piedi.” Le spiegò con tutta la gentilezza che gli era rimasta. Non era molta. “Capisco che sia tuo amico…”
“Non è mio amico.” Era un tono definitivo, freddo e risoluto. Così poco da Lily che ne rimase colpito, e non in senso positivo. Non piangeva, ma era pallida e ferita. Quell’espressione Ted l’aveva già vista addosso a persone che avevano perso molto. Non avrebbe mai voluto vederla sul viso di una ragazzina di quindici anni. Specialmente sulla spensierata Lily Luna.

“Quello che ha fatto, fingersi un altro per avvicinarsi a noi è imperdonabile.” Continuò senza guardarlo. Ted vide però che il tedesco non guardava altri che lei. “Ma non è stato lui a rapirmi, né a cercare di uccidermi. Mi ha salvata. Conosce la strada per uscire di qui, e ci porterà fuori. Me l’ha promesso.”
“Ti ha ingannato per tipo un anno e tu credi alle sue promesse?” Dominique inarcò le sopracciglia. “Sul serio, rossa, non ti facevo scema! Ci darà in pasto allo zietto e tanti saluti!”
“Non lo farò.” Era la voce del ragazzo. Si rialzò in piedi e scostò gentilmente Lily. Sembrava reggersi in piedi per pura volontà, ma la voce era sicura. “Ho promesso a Lilian di portarla fuori di qui. Vi porterò tutti fuori di qui. Non le chiedo e non vi chiedo di fidarmi di me. Tuttavia, non avete scelta.”
“Posso picchiarlo?” Borbottò Dominique. “Sul serio, già non mi piaceva prima … ma ora.”
Scorpius inspirò. “Però ha ragione.” Si strinse nelle spalle all’occhiataccia dell’anglofrancese. “Stiamo andando un po’ a caso. Fin’ora ho azzeccato la planimetria, ma per uscire di qui ci servirà qualcosa in più che la fortuna e le similitudini con casa mia. ”
Ted come al solito sentì il dovere di prendere una decisione. Lily non aveva avuto parole gentili per il tedesco, eppure si era frapposta tra lui e Dominique e Scorpius, la prima cocciutamente – e ragionevolmente – impietosa e il secondo equilibrista tra due fazioni opposte come solo chi aveva sangue Malfoy poteva essere.
Non c’era tempo per indagare su cosa muovesse le decisioni dell’ultimogenita Potter, né tantomeno su quelle del suo improbabile protetto. In realtà c’era tempo solo per prendere una decisione. E dunque, la prese.
“Viene con noi.” Decretò. “Lils, sta’ con Scorpius e Domi. Di lui mi occuperò io.”
Stavolta Lily non protestò; si mise trai due biondi facendo un lieve sorriso a Scorpius, che ricambiò e le passò un braccio attorno alle spalle con fare protettivo.
Ted si voltò verso il falso Luzhin. Questo non aveva smesso un momento di seguire i movimenti della ragazza; era come se avesse il terrore di perderla di vista. “Come posso chiamarti?” Gli chiese interrompendo la visuale.
“Sören. È il mio vero nome.” Lo disse come se non fosse la prima volta. Rassegnato.
“Voglio che ti sia chiara una cosa allora, Sören.” Fece in modo che lo guardasse negli occhi. Non fu facile. “Se avrò il sospetto che ci stai portando dalla parte sbagliata sarò io stesso a darti in pasto alle fiamme.” E non scherzava, perché il suo buon cuore gli poteva suggerire di salvare uno scagnozzo di Von Hohenheim, ma non di tendergli una mano se avesse dimostrato di non meritarsi quella possibilità.
Il ragazzo annuì. “Non mi aspetto nient’altro.” Non chiese scusa, né perdono. Non cercò un intercessione. Non aveva neppure l’aria ansiosa del reo confesso che cercava simpatia per scampare ad una futura condanna. Stava lì ed attendeva una sua reazione.
“È vero che l’hai salvata?” Chiese. Sciocco da parte sua forse, ma voleva sentire la risposta.
Sören distolse di nuovo lo sguardo da dove era Lily, oltre Scorpius e Dominique. Ted avrebbe scommesso mille Galeoni che avrebbe saputo trovarla anche in mezzo al buio e centinaia di persone. Era inquietante.
“È lei che ha salvato me.”
Non aggiunse altro.
 
****
 
“Che stiamo facendo qui?!”
Il ragazzino dai grandi occhi verdi oltre che carino era insopportabile e rumoroso come una batteria di coperchi che cadeva a terra.  
Questo detto, il tipetto per poco non era bruciato vivo, rimanendo fermo come un rincoglionito mentre il fuoco avanzava vorace. Non c’era di che stupirsene; gente non abituata a vender cara la pelle ogni giorno non era brava ad usare il cervello quando andava nel panico.  
Lo aveva così trascinato via, tornando esattamente su suoi passi. Il fuoco – che era scoppiato un fottuto incendio, come a voler peggiorare ulteriormente le cose – andava in alto, non in basso, e c’era più possibilità di scappare dai quartiere della servitù che dalle vie canoniche.
Lo aveva spinto dentro la cucina e aveva chiuso la porta con forza, prima di dirigersi verso la sua spoglia cameretta. Non avrebbe lasciato al fuoco l’unica cosa che avesse veramente valore per lui. Certo, si era allontanato per prendere la sua meritata liquidazione, ma questo non voleva dire che non sarebbe tornato per lui.
Tese le orecchie; il silenzio in cui era immerso il posto voleva dire che Etzel e moglie se n’erano già andati. Bene, gli avevano dato retta. Ora doveva solo raggiungerli nella foresta.
“Ehi, sto parlando con te! Perché mi hai portato qui?!”
L’inglese arrabbiato era più facile da capire che quello da conversazione. Occhi Verdi era pieno di disappunto per non esser morto arso vivo, probabilmente.
Coglioncello. Neanche un grazie, eh.  
Senza una parola sollevò il materasso per prendere l’unico amore della sua vita. Il suo violino. Controllò che lo spago attorno alla frusta custodia di marocchino fosse integro. Lo era. Lo infilò dunque con tutta cura nella sacca.
“Cos’è quello?!”
Cavolo, ma non sta mai zitto?
Sbuffò a guance piene, voltandosi. “Violine.” Spiegò indicandolo. Forse utilizzando la radice latina, condivisa anche da un anglosassone, l’altro avrebbe capito.  Meine Violine.
“Eh?” Sgranò gli occhi, sempre con la bacchetta spianata. Forse pensava stesse nascondendo un’arma babbana – l’unica che in effetti avrebbe potuto utilizzare.
Milo fu così costretto ad aprire la custodia con uno scatto secco. “Violine.” Ripeté indicandolo. “Es ist nur ein Violine!²
L’altro inspirò, distogliendo lo sguardo ed arrossendo. Era buffo, gli si leggeva in faccia ogni espressione.
“Va bene, scusa… pensavo… beh.” Borbottò. “Ma che ci facciamo qui?”

Milo fece una smorfia frustrata. “Sicuro.” Stentò. “Qvesto posto sicuro.” Aveva vissuto qualche anno a Berlino, miscuglio infinito di facce, persone, etnie e lingue, oltre che porto tollerante verso i Maghinò. Avendo dovuto rapportarsi con gente da ogni parte del Mondo Magico aveva imparato un po’ d’inglese. Abbastanza da capirlo – e fingere di non saperlo fare – ma non da parlarlo.
Il ragazzo si guardò attorno. “Okay, ho capito che vuoi uscire quanto voglio uscire io. C’è un incendio. Ma perché siamo tornati indietro?”
“Uscita grande kaputt.” Lo capì perché impallidì di brutto. “Altra. Altra uscita.”
Occhi Verdi si mordicchiò il labbro. Era definitivamente carino. Chissà in che sponda pescava. Probabilmente in quella dove sguazzavano maschietti par suo. Il che era giusto, dato il delizioso fondoschiena di cui era fornito.
Milo…
Ridacchiò di sé stesso, chiudendo la sacca e buttandosela in spalla. “Andare?”
“Devi riportarmi dov’ero prima.” Lo ghiacciò. Non era sicuro di aver inteso bene, e anche l’altro parve intuirlo perché si ripeté. “Devi portarmi dov’ero prima. C’è una persona che ho lasciato, una persona che non saprebbe che fare in un incendio.”
“Sei pazzo?” Gli uscì di cuore, e anche piuttosto correttamente. Gli insulti erano la prima cosa che imparava in una lingua straniera. “Tu muore!”
Occhi Verdi tentennò vistosamente, ma poi deglutì con indomito e assolutamente cretino coraggio. “Non me ne andrò senza di lui.” Decretò.

Lui chi? Chi se ne fotte! Affari tuoi!
Fece una smorfia, alzando le mani. I patti erano portarlo fuori di lì, non imbarcarsi in una missione suicida per riportare indietro altra gente, probabilmente ormai oltre la barriera di fiamme. La bacchetta gli faceva paura, certo: ma gli faceva molta più paura il fuoco.
Il ragazzo parve capire il ragionamento dietro il suo gesto. Lo vide con una certa sorpresa fare un sorriso che proprio non si addiceva a quella faccetta d’angelo. Perché gli angeli non ghignavano.
“Se non vieni con me, io morirò. E se morirò tu avrai lasciato morire uno dei figli di Harry Potter. Conosci Harry Potter? Mi chiamo Albus Severus e sono suo figlio.”
Merda.
E chi non conosceva il Salvatore dei Due Mondi? Era il maledetto Che Guevara dei maghi.
Così Bambi è un figlio d’arte. Grandioso.  
Non che volesse poi dir molto. Fece una smorfia divertita. “Io e te soli. Se tu muore, io non parla.” Replicò sereno.
La risposta fu un incantesimo che lo prese in pieno petto. Non fu doloroso come si aspettava, però, dato che riuscì a rimanere in piedi. Era stato più che altro uno spintone. Si premurò comunque di guardarlo storto.
Se non avessi la bacchetta ti prenderei a calci in culo, maghetto!
L’altro non aveva smesso di sorridere però, il che era inquietante. “Sai che ho appena fatto?” Gli chiese scandendo bene le parole. “Ti ho colpito. Non preoccuparti, è un incantesimo leggero, l’avrei sentito anche tu.” Aggiunse. “Ma la magia lascia tracce. E ora chi ti troverà, e ti troveranno perché ci sono già gli agenti di mio padre qua fuori, saprà che hai avuto a che fare con me.” Abbassò la bacchetta. “Ti ho scritto il mio nome addosso. Sapranno tutti che sei l’ultima persona con cui ho avuto a che fare.”
Piccolo figlio di puttana!
Essere colpevole della morte di un rampollo dell’alta società magica non era un buon biglietto di presentazione per le teste di latta, che fossero tedesche o inglesi. Certo, poteva star bluffando, ma chi glielo assicurava? Anche se fosse scappato chi gli assicurava che le teste di latta di tutta Europa non gli avrebbero dato la caccia?
Dannazione!
Avrebbe voluto liberarsi di lui, più di ogni altra cosa al mondo, ma non c’era storia. Era fregato. Si limitò a fissarlo in cagnesco. Perlomeno era stato infinocchiato da un tipetto astuto.
Magra consolazione.
“Scommetto che conosci un passaggio sicuro per arrivare da Von Hohenheim. Un passaggio senza fiamme, intendo.”
Certo che lo conosceva, ma non era quello il punto.
Da Von Hohenheim?
Lo guardò con tanto d’occhi ma l’altro non vacillò. “Fammi strada.” Ripeté scostandosi dalla porta.
“Perché?” Perlomeno doveva sapere il motivo per cui rischiava la vita.
Occhi Verdi lo fissò con un’espressione indecifrabile. Ferma, avrebbe detto. E anche rassegnata in un certo senso. Gli si addiceva. “Perché devo andare a prendere un idiota che non sa badare a se stesso.”
Un idiota che è andato a parlare con il padrone? Ma quello, dato l’incendio, sarà già scappato!
Glielo disse, ma la risposta fu un gesto di diniego. “Saranno già assieme adesso.”
Chi poteva essere il tipo da salvare? Forse il tanto discusso figliol prodigo? Quel Thomas? Ne aveva sentito parlare da Etzel e Hilda, ma di certo non abbastanza per aver chiara la situazione.
Non che me ne freghi granché.  
Sospirò. “Pericoloso.” Disse soltanto, ma l’altro parve non udirlo neppure. Gli fece di nuovo cenno di fargli strada.
Odio i maghi.
Fece una smorfia e uscì dalla stanza.
 
****
 
“Vieni avanti, Thomas.”
Uno studio. C’era luce, a differenza del resto del castello. Luce dovuta ad un grosso camino, ma comunque sufficiente per poter spegnere la bacchetta e farsi avanti senza dover inciampare rovinosamente nei propri piedi.

E poi, Alberich Von Hohenheim. Era seduto su una poltrona, non dietro uno scranno come la sua immaginazione l’aveva sempre dipinto. Una poltrona di broccato con di fronte un’altra, gemella. Tra di loro un tavolino, sgombro di tutto tranne una scacchiera.
Tom provo irritazione immediata a quella messinscena. Una partita a scacchi era ciò che quell’uomo credeva di aver vissuto fin’ora?
Gli scacchi sono un gioco. Nessuno muore negli scacchi, nessuno viene ucciso.
Strinse la bacchetta e l’uomo colse il gesto. Sorrise.
“Non ho intenzione di duellare con te.” Fece una breve pausa. “Siediti, ti prego.”
Tom guardò la sedia, poi la porta alle sua spalle. Avrebbe potuto ucciderlo e andarsene. L’effetto sorpresa l’avrebbe aiutato.
Saresti davvero in grado di uccidere, Tom?
Oh, io sì. Ma tu? Saresti capace di ricominciare?
La voce dell’Altro gli solleticava le orecchie, ponendo quesiti ora più che mai. Quesiti a cui, a dirla tutta, non era poi così volenteroso di dar risposta.
Si sedette, appoggiandosi al morbido schienale. Si prese il tempo per guardare l’uomo che gli aveva tolto il sonno e la serenità per quei lunghi diciotto mesi.

Era come guardarsi allo specchio; stessi lineamenti sottili, eppure volitivi. Stessi capelli, benché quelli dell’uomo fossero lunghi alla maniera dei Purosangue di due generazioni precedenti e più chiari. La barba era corta, curata. Le vesti erano ricche, probabilmente intessute a mano da esperti e laboriosi sarti. 
Sarei potuto essere così, se fossi vissuto qui?
Non si rispose, perché era molto più interessante notare come dietro l’aria imponente, si nascondessero degli indizi interessanti. Il volto infiacchito, le guance cascanti. Ma erano gli occhi ad essere rivelatori. C’era qualcosa che vi bruciava dentro, e non era un’emozione. Era un malessere che si propagava nelle palpebre gonfie.
Era come vedersi ad uno specchio, sì. Ma deformato.
L’ uomo con un cenno della mano fece apparire due bicchieri di cristallo e una bottiglia panciuta, sigillata. “Ho passato il tuo esame, Thomas?” Gli chiese con tono leggero, palesando che aveva letto perfettamente le sue intenzioni.
“Non c’è stato alcun esame.” Replicò. “Cosa vuoi da me?”
Questo fece un breve sorriso. “Dritto al punto, vedo.” La bottiglia fu stappata con uno schiocco. Magia senza bacchetta. Semplice ma d’effetto.
Non per me. Queste cose le sapevo già fare un anno fa, prima del mio esilio a Rügen.
“Ho fretta.” Replicò osservando il liquido paglierino versarsi con un gorgoglio nel bicchiere dal suo lato. “E non ho sete.”
“Peccato. È un eccellente liquore importato dalle Ardenne.” Lo verso per sé e ne sorseggiò il contenuto. “Durante certi tipi di conversazioni bere qualcosa è un’etichetta non scritta. Sei maggiorenne, no? Puoi bere. ”
La voce era calma, rassicurante. Un certo timbro caldo la rendeva affascinante. Il genere di voce che parlando pacatamente riusciva ad animare intere folle.

“Cosa vuoi?” Ripeté senza vacillare. Non se ne sarebbe andato senza delle risposte. Non se ne sarebbe andato senza averlo ucciso e tolto per sempre dalla sua vita come un chirurgo babbano asportava un cancro.
Per cortesia, moccioso. Davvero credi di poter levare la bacchetta e togliere una vita umana?
Cosa ne penserebbe Albus?
Serrò le labbra. L’uomo sorrise ancora. Impossibile che sapesse cosa stava accadendo nella sua testa, eppure…
“Voglio vedere mio figlio, forse?”
“Non sono tuo figlio.”

Fece un cenno assertivo. “Vero. Mio figlio è morto diciotto anni fa, la notte in cui nacque. Permettimi comunque di considerarti una mia creatura.”
Tom sentì un oppressivo peso al petto. Quello non poteva contestarlo, razionalmente. Non poteva contestare di aver avuto vita, una nuova vita, per mano del mago che gli stava davanti.

“Mi hai fatto venire qui per farti ringraziare?” Ritorse con un sorriso agro. “Perché non lo farò. Non ti ho chiesto io di farmi tornare.”
“Eppure sei qui.” Inarcò le sopracciglia. “Respiri, possiedi la Magia, hai fatto esperienze, conosciuto persone, ti sei legato ad altre. Stai vivendo una seconda possibilità.” Bevve un altro sorso leggero e posò il calice sul tavolino, accanto ai suoi pedoni neri. “Non dirmi che questo ti dispiace.”

Non poté ribattere, non quella volta.
“Lo immaginavo.” Continuò. “Non fraintendermi, non cerco gratitudine. Mi sono rassegnato da tempo ad aver persone ingrate attorno a me.” Si passò un dito sulle labbra, meditabondo. “Era tutto per arrivare a questo, Thomas. Per arrivare a noi. Che ti piaccia o meno, il tuo sangue appartiene ai Von Hohenheim.”
Tom serrò le dita sui braccioli di stoffa. Sentiva l’Altro urlare nella sua testa, e la sua bacchetta chiamarlo.
“Il mio sangue appartiene a me.” Ribatté. “Della gente è morta per questo grandioso momento.” Motteggiò feroce. “Della gente che amo è stata ferita per colpa tua… solo per parlarmi?”
L’uomo non rispose subito. Si limitò ad appoggiarsi sullo schienale. “Avresti accettato un invito formale via Gufo in cui ti spiegavo chi ero e cosa volevo?”
Cosa…?
Von Hohenheim fece un cenno dismissivo, come se si scusasse della frase precedente. “Sai bene chi sono. Sai bene che patetici fattucchieri con poca immaginazione mi cercano per tutto il globo. Il nostro incontro non avrebbe potuto avere luogo in altro modo che così. Né il tuo padrino né altri lo avrebbero permesso. Tu stesso … ti saresti fidato, forse? Ti hanno cresciuto per cercare approvazione e regole da altre persone. Questo ti ha reso debole. Manipolabile. Sia da loro, che da me.”
Tom si trattene dal saltare in piedi ed attaccarlo; la furia che gli era divampata nel petto non era facile da trattenere ma aveva delle domande. Domande a cui voleva una risposta, domande che fino a quel momento non aveva fatto neppure a sé stesso.
Von Hohenheim, almeno per il momento, gli serviva vivo.
“Rapire la figlia di Harry Potter per portarmi qui… Decisamente un metodo valido. Senza conseguenze, soprattutto.” Sibilò afferrando il suo bicchiere, e giocando a far rilucere i riflessi. Non bevve però; bottiglia sigillata o meno, la sua paranoia galoppante gli aveva sempre salvato la pelle.
“Sei qui adesso.”
“Qui assieme ad altre persone, con il mio padrino in arrivo. Perché arriverà.”

L’uomo sorrise. Non vi era calore in quella esternazione. “Nutri molta fiducia in lui.”
“Mi ha salvato.” E non disse altro, anche se frasi intere, immagini, verità intercorsero in quel breve instante.

E mi ha combattuto e ucciso, una volta.
“Certamente.” Replicò Von Hohenheim. “Comunque è già qui.” 
Harry…?
La sua espressione dovette essere di pura meraviglia e speranza, perché la vide riflessa nel sarcasmo di cui si tinse il volto dell’altro.
“Sei un ragazzo, Thomas. Ti affidi ancora così tanto agli adulti?”
Tom sentì Voldemort – le cose andavano chiamate con il loro nome -  urlargli di nuovo nella testa.
Chiedigli ciò che abbiamo bisogno di sapere, e poi uccidilo!
Non te ne libererai mai se non lo uccidi. Non saremo mai liberi dall’idea che quest’uomo ci ha dato la vita e può anche darci la morte.
La soluzione finale è la morte!
“Sono un esperimento.” Disse piantando gli occhi sulla scacchiera. Era una partita già iniziata, e in stadio avanzato. Ben giocata, da mani esperte, per quello che poteva vedere e comprendere. “Un esperimento alchemico, mi disse John Doe.”
“Cosa vuoi sapere?” Lo anticipò lo stregone. “Se sei umano?”
Tom non rispose. Si stava imponendo di guardarlo negli occhi, ma era difficile. Era come fissare una voragine infinita, come fissare il suo abisso personale e vederci dentro tutto ciò che lo teneva sveglio la notte, che solo la presenza di Al il suo abbraccio riuscivano a lenire. E non sempre.
I morti, l’oscurità, l’anima spezzata. Sette volte. Sette volte.
Sette peccati. Quale mancava al tuo appello? Nessuno, vero?
Distolse lo sguardo e lo abbassò sulle mani. Tremavano. Impercettibilmente, ma tremavano.
Non importa quello che ti ha detto Al, quello che ti ha assicurato Harry. Non avresti dovuto avere una seconda possibilità.
Non te la meriti.
Quell’uomo, versione distorta di una parte di sé, del suo sangue, gli stava mettendo di fronte le sue più grandi paure.  
“Il tuo corpo lo è. La tua anima lo è stata.” Osservò la voce di Hohenheim, lontana, eppure gli sembrava gli parlasse all’orecchio. Da una parte Voldemort, dall’altra suo padre. Decisamente disagiante. “Ma come hai detto tu, sei un esperimento… un prototipo, se mi passi il termine.” Fece una breve pausa. “Non so cosa ne sarà di te.”
Era sincero. Era sincero proprio perché, se ne accorse in quel momento, aveva già bevuto due bicchieri. Due bicchieri pieni, e nell’aria vi era un aroma che prima non aveva percepito a pieno. Lo catalogò e riconobbe. Era odore di infermeria, di erbe officinali, di San Mungo. C’era odore di pozioni.

Il fuoco scoppiettava e illuminava il viso di Alberich Von Hohenheim. Un viso scarno, giallastro.
Malato.
Sembrava davvero leggergli la mente, perché annuì, quasi avesse risposto ad una sua domanda silenziosa. “A tua differenza, Thomas, io conosco sin troppo bene ciò che mi riserverà il futuro. Un futuro immediato, oserei dire.”
“Stai morendo.” Non ci voleva un genio per fare due più due. Neppure per realizzare che aveva di fronte un uomo già condannato a morte. Forse era per questo che aveva messo in piedi quel teatrino degli orrori? Perché l’incombere della morte l’aveva portato a non aver nulla da perdere o remore morali o razionali da rispettare?
“È per questo che mi hai voluto qui? Che ti sei fatto terra bruciata attorno?” Si guardò attorno. “Non hai nessuno. Neppure il tirapiedi che mi hai spedito l’anno scorso. Sei solo.” Era l’altro ad essere debole, non lui.
Mai.    
Alberich fece un cenno evasivo. “Pedine. Non ho pianto certo la loro perdita. Era necessaria per arrivare qui, a questo momento. In fondo, alla fine del gioco non restano poi molti pezzi sulla scacchiera. Restano i Re.”
Era pazzo. O forse no. Tom non poteva dire di conoscere il confine labile tra sanità e follia. Forse non c’era neppure, perché aveva avuto riprova che la ragionevolezza era cosa grandemente sopravvalutata.
“Non rimangono solo i Re, non si conclude una partita così.” Replicò con un puntiglio forse infantile. Ignorò il sorrisetto dell’altro.
“Cosa vuoi da me?” Gli sembrava di ripeterlo all’infinito. Perché forse era quella la vera domanda. La domanda.
L’uomo posò il bicchiere, e poi si tolse la bacchetta dalla cintura. Tom si mise immediatamente in allarme, prima di vederlo posarla di fronte a sé. Rivolta a sé dalla parte del manico.
Cosa diavolo…?
“La stessa cosa che vuoi tu, Thomas.” La spinse nella sua direzione. “Che tu mi uccida.”
 
****
 
Entrati si resero conto di quanto l’incendio fosse vero.
Una cortina di fumo li fece immediatamente arretrare. Harry si tamponò il viso con un risvolto del mantello, mentre sentiva gli occhi lacrimare violentemente dietro gli occhiali.
“Moriremo soffocati se facciamo qualche altro metro!” Tossì Ron, coprendosi naso e bocca con la manica della divisa.
Riflettè velocemente. “Nora!” Esclamò. C’era sempre bisogno dell’elemento erudito nel gruppo. E né lui né Ron avevano mai risposto al requisito. “Pensi che possa andare qualcosa come un incantesimo Testabolla?”
La creola afferrò il taccuino e vi scribacchiò qualcosa, lanciandoglielo poi. “Prova questa formula, dovrebbe funzionare anche fuori dall’acqua!”
Harry la lesse con gli occhi che bruciavano come tizzoni e poi la eseguì. Una patina gialla gli offuscò la visuale ma al tempo stesso riprese a respirare. Passò il taccuino a Ron, e in pochi attimi furono tutti e tre in grado di avere aria pulita nei polmoni.
L’amico toccò la sostanza solida e giallastra che avvolgeva la sua testa come un palloncino e, assicuratosi che non sarebbe scoppiata, fece un sospiro sollevato. “Okay, da che parte ora?”
In quel momento sentirono dei forti rumori provenire alla loro sinistra, verso una serie di scale che scendevano. Qualcuno però stava salendo. Un gruppo di persone che camminava allo stremo delle forze, a giudicare dai passi incerti e faticosi. Harry fece cenno di fermarsi e portare le bacchette alla mano. Potevano essere Mercemaghi che tentavano di scappare. Li avrebbero aiutati, ma non disarmati.
Scese la prima rampa di scale. Corse, quando si accorse chi era il capofila.
Sua figlia. I suoi capelli rosso tiziano erano troppo peculiari per essere scambiati con quelli di qualcun altro.
Lily!” Esclamò, ma evidentemente l’incantesimo Testabolla modificato non gli permetteva di farsi udire. La ragazzina però lo vide e sgranò gli occhi.
Si strappò il pezzo di stoffa che si era legata attorno al viso. “Papà!” Harry vide che subito dietro spuntava Malfoy, talmente sporco di fuliggine da avere i capelli scuri. La spingeva in alto, tentando di non crollare al tempo stesso. Prese in braccio sua figlia, afferrando il ragazzo. “Ron!” Urlò senza successo. Fortuna voleva che il fido compagno fosse subito dietro di lui; afferrò il giovane Malfoy da sotto le ascelle e se lo caricò sulle spalle.
Dietro vi erano altre tre persone. Dominique, la quale sembrava stare meglio degli altri – i geni Veela o le sue ripetute estati in mezzo a draghi sputa fuoco dovevano aver aiutato – e infine Ted, che portava sulle spalle…
Sören Von Hohenheim?
Il figlioccio era un bagno di sudore e i capelli avevano perso ogni colore, metà per il fumo e l’altra metà sicuramente per la spossatezza. Non riuscì a dire nulla, ma lo sguardo fu più che eloquente.
No, dannazione, non mi devi chiedere scusa Teddy.
Ma dove sono Al e Tom?
Mancavano all’appello, questo era il fatto.
Fu Nora a soccorrere il giovane, dividendo il peso del tedesco con lui. “Fuori di qui, subito!” Gridò a voce alta e chiara. Ovvio che l’americana conoscesse il modo per farsi sentire oltre la bolla.  
Fecero a ritroso la strada in fretta e furia e nel cortile si tolsero l’incantesimo, mentre i ragazzi tossivano e crollavano a terra in più gradi di debolezza.
Dominique si stese a pelle d’orso sulla neve, chiudendo gli occhi. “Per tutte le palle di drago.” Sussurrò con voce arrochita. “Ed io che pensavo di voler fare un mestiere fuori di testa. Forse dovrei candidarmi per l’Accademia Auror o giù di lì. Perché questa roba è stata veramente fuori di testa.”
Scorpius ridacchiò, passandosi sul viso la pezza con cui si era protetto fino a quel momento per togliersi lo sporco che lo imbrattava. “Ti passo il modulo per la domanda d’ammissione allora.”
“Grazie biondo, ma preferisco vivere.”

Harry posò a terra Lily, che si guardò attorno spaesata. La luce pomeridiana che rifletteva la neve doveva abbacinarla da come strizzò gli occhi. “Papà…” Disse e non riuscì a dire altro prima di stringerlo forte e scoppiare a piangere. Harry la abbracciò di rimando mentre tra i singhiozzi la sentì scusarsi infinite volte.
“È tutto a posto, streghetta, va tutto bene…” Borbottò impacciato, perché poteva anche essere l’uomo che salvava la situazione – e in quel caso lo era stato solo grazie a forti aiuti dall’esterno – ma con le parole non sarebbe mai stato bravo. A parte quando doveva pronunciarle per fare il suo lavoro. “Lily, dove sono Al e Tom?”
Non ditemi che l’hanno fatto ancora.
Teddy perse il poco colore che i suoi capelli avevano riacquistato. “A quanto pare il fuoco si è propagato molto più velocemente di quanto pensassimo.” Abbassò lo sguardo. “Al e Tom …”
“Dursley ha deciso che aveva di meglio da fare e Albus l’ha seguito. Sono andati da Von Hohenheim, per quanto ne abbiamo capito.” Terminò per lui Scorpius, accettando grato una delle borracce che Nora aveva fatto apparire per tutti.

Ron, vicino a lui, spalancò la bocca. “Quel piccolo coglione!”
“Non posso che darle ragione.” Replicò Scorpius con una smorfia. “Volevamo andarli a cercare, ma l’incendio… beh, ha reso le cose un po’ difficili.”
“Non c’è bisogno che ti giustifichi ragazzo!” Esplose Ron in un singolare anelito di empatia verso il biondo, tanto che questo lo guardò sbalordito. “Giuro che prendo a calci il sedere quel coglioncello non appena ce l’ho tra le mani!”

Harry, senza sciogliere dall’abbraccio Lily, guardò verso il castello, e poi verso i tre ragazzi. “Da che parte?”
“Ah, boh.” Borbottò Dominique trangugiando acqua come se fosse Elisir di Lunga Vita. “Chiedilo al mangiapatate zio, è lui il signorotto del castello.”
Harry guardò in direzione del tedesco che se ne stava seduto come gli altri bevendo dalla bottiglia che gli era stata assegnata. Non aveva aperto bocca e fissava la pietra del selciato come a volervi scomparire. Represse l’impulso di prendere la bacchetta e maledirlo. “Tu.” Lo apostrofò e questo alzò immediatamente la testa. “Dove si trova tuo zio?”
Sentì Lily irrigidirsi nel suo abbraccio. “È nel suo studio. È sicuramente lì.” Mormorò il ragazzo. “Posso portarvici.”
Stavolta Lily si mosse e Harry sciolse la presa capendo le sue intenzioni. “Papà, non può.” Disse a bassa voce, guardando ovunque tranne che in direzione del giovane Von Hohenheim. “Ha perso quasi tutta la sua magia e non si regge in piedi. Se lo riporti là dentro morirà.”
Harry stava per obbiettare che poco gli importava di quello spregevole ragazzino, ma qualcosa nello sguardo di sua figlia gli fece morire le parole in gola. Per qualche ragione che non comprendeva, Lily lo stava ancora proteggendo. “Lily…”
“Noi non siamo come loro.” Lo fermò. “Noi siamo migliori. Dovrà pagare per ciò che ha fatto, ma non così.” Deglutì e si asciugò l’ennesima lacrima facendogli stringere il cuore e ribollire il sangue di rabbia. “Non così, papà, ti prego.”
Dovette annuire. Sua figlia aveva ragione, e ringraziava Merlino che glielo avesse ricordato prima di commettere un grave errore dovuto alla furia che provava. Non era un giustiziere, era un maledetto Auror. “No, tu resterai qui.” Disse al tedesco. “Dicci solo come arrivarci.”

Sören annuì. “Non posso assicurarvi che la strada sia libera però.”
“Non preoccuparti.” Si guardò con Ron che annuì deciso. “A quello pensiamo noi.”

 
****
 
Il ragazzo lo stava guidando per dedali infiniti. Ma erano ancora vivi, il che, supponeva, fosse già molto considerando il fumo che tossivano ad ogni piè sospinto. Albus aveva strappato un pezzo del mantello che aveva poi gettato via – troppo pesante, troppo caldo – e se l’era legato al viso. Ne aveva fatto uno uguale per il Magonò che non aveva neppure ringraziato.
Beh, lo stai obbligando ad andare incontro alle fiamme, chiaro non sia dell’umore.
Appena aveva capito che Tom era tra loro e il fuoco non aveva esitato un istante; non avrebbe mai abbandonato quell’idiota a sé stesso ora che aveva una guida capace di eludere barriere magiche e fiamme. Non l’avrebbe lasciato a confrontarsi con i demoni interiori che sicuramente l’incontro con Alberich Von Hohenheim gli avrebbe scatenato.
Sono stato costretto ad andarmene. Esser costretti non significa rinunciare.
Era terrorizzato, sapeva di star facendo una cosa stupida, ma non aveva importanza. Uscire di lì senza Tom sarebbe stato inutile.
Tanto vale che mi butti dalla scogliera.
Perché poco da fare, non poteva sopravvivere se l’altro non viveva. Accanto a lui, possibilmente. Vita natural durante, ancora meglio.
Tutto questo è molto Grifondoro, Signor Potter.
Sorrise appena; in fondo, certe eredità non si potevano eludere per la decisione di un cappello male in arnese.
Milo premette l’ennesimo mattone dell’ennesimo anonimo muro. Si aprì l’ennesimo passaggio segreto. Tossì e gli fece cenno sbrigativo di passare. Al obbedì. Fece appena in tempo a vedere una lingua di fiamme investirlo che fu afferrato da sotto le ascelle come una specie di cucciolo di gatto e tirato indietro, mentre il Magonò calciava il mattone richiudendo il passaggio tra sbuffi di fiamme e fumo.
Scheisse!” Sbottò coloritamente, perché quello era un insulto di sicuro. Ricordava di averlo sentito pronunciare da Meike e il conseguente rimbrotto di Tom. “Passaggio kaputt!”
“Ho notato…” Mormorò controllando di non aver preso fuoco. Sarebbe stato spiacevole. Fortuna voleva che conoscesse un paio di incantesimi ignifughi, insegnatigli da nonna Molly per evitare scottature durante i pomeriggi estivi passati ad imparare a cucinare alla Tana. Non l’avrebbero salvato da un incendio aperto, ma avevano tenuto per qualche fiamme ribelle.

Diversamente però era andata all’altro ragazzo che si guardava le mani con una smorfia dolorante. A giudicare dalla puzza dove esserglisi bruciata le peluria degli avambracci e le mani stesse non erano in condizioni migliori. Gli si avvicinò sollecito, ma lo vide ritrarsi di scatto, fissando la bacchetta. Sospirò: evidentemente non si fidava dei maghi, e a giudicare dalle cicatrici che gli vedeva sulle braccia, notabili ma vecchie, ne aveva ben donde. Quel tipo di cicatrici erano il risultato di fatture.
Non si fida eppure mi ha salvato la pelle. Certo, può averlo fatto per non dover spiegare come sono morto, però…
Non esisteva solo il bianco e il nero al mondo. Quel ragazzo non era un complice di Von Hohenheim, era un suo servitore. E probabilmente una vittima. “Non voglio farti male, voglio curarti. Studio Medimagia.” Spiegò gentile, inventando ma neppure troppo. Dopotutto stava davvero studiando – con molta calma – per il concorso che si sarebbe tenuto l’anno dopo.
Merlino, ora come ora sembra impossibile sedermi in un aula per fare un test.
Mostrò al Magonò la sua migliore faccia innocente, e quello fece una smorfia, facendo cenno di procedere.
Okay. Magonò. Significa che la maggior parte degli incantesimi curativi su di lui non ha effetto.
Puntò la bacchetta in direzione delle mani tese.
Proviamo l’Incantesimo a Fattore Rigenerante. Non funzionerà come per un mago, ma almeno gli darà un po’ di sollievo.
Sorrise quando vide l’altro spalancare gli occhi di fronte al fatto che le sue mani avevano di nuovo pelle sana, anche se leggermente scottata. Doveva però essere un dolore sopportabile a giudicare dal distendersi dei lineamenti. “Dovrai comunque farti curare, era una brutta scottatura.” Lo informò un po’ a caso, dato che non era capito.
L’altro con sua somma sorpresa annuì. “Vielen danke.” Gli fece cenno. “Di qua.”
“Allora mi capisci!”
Gli venne servito un ghignetto che rispondeva ampiamente alla sua domanda.

Merlino, possibile che ho a che fare solo con ragazzi stronzi? Ho un’attira-stronzi in tasca?!
Sbuffò seguendolo di rimando. Non fecero che pochi passi che un’enorme esplosione li gettò a terra.
Al, tra il dolore e la sorpresa, capì immediatamente che si trattava del passaggio che Milo aveva richiuso prima.
Abbiamo costretto l’incendio, ma l’incendio non può essere costretto. Esplode!
Si sentì tirare su di peso dall’altro. “Corri!” Gli urlò in inglese strattonandolo. Il fuoco stava ruggendo alle loro spalle. Albus si tirò in piedi e scattò via con tutte le sue forze.
Ci raggiungerà! Dannazione, siamo un corridoio senza finestre, senza sbocchi, è incanalato!
Milo si gettò sulla porta alla fine del corridoio, ma con orrore si accorsero che era sbarrata. Al tentò un Alohomora ma non si mosse di un millimetro.
Il fuoco stava arrivando e dunque tentò il tutto per tutto. La bacchetta sputò un getto d’acqua violento che si abbatté contro il fuoco facendolo dissolvere in una nube di vapore. Ma lo stava confinando, non estinguendo.
Che razza di fuoco è?!
“Apri quella porta!” Intimò al ragazzo. “Devi aprirla o moriremo!”
L’altro si chinò sulla serratura, estraendo dalla sacca qualcosa di tremendamente simile ad un kit da scasso. Si mise al lavoro, mentre Al si voltava per concentrarsi sull’incantesimo. Era fradicio, la bacchetta era bollente e al di là della cortina di vapore acqueo sentiva il fuoco bruciare.

Non posso morire così, non posso!
Eppure sentiva venir meno le forze, la testa girare. Non era abituato ad usare tutta quella magia, specialmente in così poco tempo. Era stanco, talmente stanco che sapeva che ancora pochi attimi e il getto si sarebbe estinto.
“Sbrigati!” L’altro si voltò, pallido in volto, e poi riprese la sua opera di scasso. Non funzionava, forse c’era una barriera simile a quella che aveva diviso lui e Tom.
Sentì letteralmente la magia finire e chiuse gli occhi.
Merda.
E poi qualcuno lo afferrò per la cintura dei pantaloni e lo strattonò indietro. Il Magonò forse, ma era tutto inutile, la porta non si apriva e…
“Albus!”
Aveva le allucinazioni? Perché non poteva essere suo padre a chiamarlo. Poi di colpo sentì vento fresco tutto attorno a sé. Spalancò gli occhi e vide suo padre e zio Ron circondare lui e Milo a bacchette spianate. Il fresco era dovuto ai getti ghiacciati provenienti dalle loro bacchette; le fiamme vennero congelate.
Papà!” Esclamò voltandosi. Sentì le braccia del genitore avvolgerlo, e strinse con forza di rimando. Un singhiozzo violento gli squassò il petto e non gli importò che questo lo facesse regredire all’età di cinque anni.
C’era suo padre.
“Albie…” Si sentì accarezzare i capelli come un bambino. Ma andava bene, persino l’infamante nomignolo. Alzò il viso e c’era davvero suo padre, i suoi occhiali fuori moda e il viso e duro e deciso dell’eroe. Perché lo era davvero, al diavolo la facile ironia. Era il suo eroe. “È tutto a posto adesso. Come stai?”
Papà … l’unico  uomo a sentirsi in imbarazzo dopo che ti ha salvato la pelle.
“Bene. Adesso.” Gli fece eco, sorridendo all’altro mago. “Grazie… non ce la stavamo cavando granché.” Se c’era suo padre forse voleva dire che molto di quel casino era stato risolto. “Lily?”
“Lily e gli altri sono già fuori. Con loro è rimasta Nora, te la ricordi?” Annuì. Fu davvero la più bella notizia che potessero dargli, date le circostanze. Lily era salva; l’obbiettivo principale di quella missione suicida era riuscito anche senza di lui.   
“È stato un caso trovarti, ti abbiamo sentito urlare. A proposito, lui chi è?” Chiese suo zio facendo cenno verso il Magonò che ricambiò l’occhiata sospettosa con una del tutto strafottente nonostante avesse i vestiti bruciacchiati e tossisse l’anima.  

“È un servitore del castello, mi stava portando…” Non c’era tempo da perdere. “Tom è con Von Hohenheim, papà!”
L’uomo masticò un’imprecazione a mezza bocca. “Pensavo foste assieme.” Disse spazzolandogli quello che restava della sua povera felpa. “Cos’è successo?”
“Ci ha separato una barriera magica.” Spiegò e finse di non notare che suo padre dava per scontato che avesse seguito l’altro. Forse scontato lo era davvero, e non solo ai suoi occhi. “Sono sicuro che è stato quel tipo!”
“Ovvio, voleva che Thomas fosse solo.” Suo padre aveva un’aria omicida meravigliosa, e Al si trovò nella posizione di sentirsi felice che quella rabbia fosse indirizzata verso la persona spregevole che cercava di far del male al loro Tom.

Facciamogliela pagare, papà.
“Va bene.” Gli venne sorriso brevemente, un tentativo poco convinto di tranquillizzarlo. “Adesso zio Ron vi porterà fuori da questo inferno. Io vado a cercarlo.”
“Vengo con te.” Non dovette neanche rifletterci. Perché, poi? Di fronte al formularsi di evidenti obiezioni sulla bocca di suo padre, lo bloccò. “Ho fatto una promessa a Tom, papà. Gli ho promesso che sarei tornato a riprenderlo e intendo mantenerla.” Levò una mano, e ignorò l’aria corrucciata di suo zio. “E poi, andare da soli non è una buona idea. Posso esserti ancora utile papà. Non sono più un bambino che devi proteggere.”
“Ma se vi abbiamo appena salvato la pelle! Stavate per morire!” Giusta obiezione da suo zio Ron purtroppo. Al fece una smorfia, ma suo padre, diversamente dall’altro, sospirò.

Vittoria?
“Va bene. Albus verrà con me.”
“Harry!”

Suo padre scosse la testa all’esclamazione dell’altro mago. “Credo che avrò bisogno di qualcosa di più efficace di una bacchetta per affrontare quell’uomo.” Non disse altro, ma ad Al fu chiaro che lo portava con sé solo perché sapevano entrambi che Tom non sarebbe stato nelle condizioni di ascoltare eventuali ragionamenti razionali. Se l’anno prima la strategia di John Doe era stata metterlo in crisi, era ovvio pensare che anche Von Hohenheim avrebbe seguito quella linea. Non sarebbe stato uno scontro canonico buoni contro cattivi.
Tom quando si premono certi tasti non riesce a rimanere lucido… E sappiamo bene cosa succede quando perde il controllo.
“Non potete andare soli!”
“Lo so, Ron.” Gli sorrise suo padre dandogli una pacca sulla spalla. “Ma tu devi portare questo ragazzo fuori, prima che si senta male. È ferito e gravemente intossicato. E poi, credo proprio che Nora avrà bisogno di una mano quando arriveranno gli agenti locali.”

L’uomo sospirò. “Sai sempre cosa dire quando serve, eh Harry?” Scosse la testa e gli diede una solida pacca sulla spalla in quel segreto linguaggio virile che Al aveva sempre poco compreso. “Cercate di tornar vivi, o Ginny mi ammazza. Voi Potter avete un abbonamento per le missioni suicide, miseriaccia!”
Al si scambiò un’occhiata con suo padre, e quello sorrise appena. “Che vuoi farci. Il sangue non è acqua.” Gli mise poi una mano sulle spalla e strinse appena. “Sei sicuro Al? Da qui non si torna indietro.

Notò la dismissione dell’infamante nomignolo. Doveva esser segno di qualcosa.
“Lo sono, papà. Andiamo a riprenderci Tom.”

****
 
“Ucciderti?”
Gli sembrava impossibile aver udito quelle parole. Eppure il viso di Von Hohenheim non diede segno di fraintendimento.
“Uccidermi.” Inarcò le sopracciglia. “Non è ciò che vuoi? Liberare il mondo e soprattutto te dalla mia presenza?”
Lo era, certo. Lo era ed era spaventoso che l’altro conoscesse i suoi pensieri, quelli più cupi, oscuri.
“I Babbani, esseri inferiori certo, ma meno di quanto ci si aspetti, sostengono che l’uccisione del padre sia un processo dovuto, per la maturità di un giovane uomo.” Sorrise. “Anche se da loro viene inteso in senso metaforico.”
Tom inspirò bruscamente e altrettanto bruscamente respinse la bacchetta. “Non ti ucciderò.”
Ed era vero. Per quanto quel desiderio malsano gli corrodesse le viscere sapeva che alla fine dei giochi non vi avrebbe dato seguito.

Non posso diventare un assassino. Non posso per loro.
Per Harry, Albus e la sua famiglia, per le persone che amava. Non  meritavano di soffrire sapendolo macchiato di una colpa simile, per quanto spregevole fosse stata la vittima.
“Non ne ho bisogno. Morirai comunque. Perché sporcarmi le mani?” Passò le dita sui braccioli della poltrona, trovandoli bollenti. Forse perché si sentiva bruciare.
Uccidilo. Proprio perché è comunque condannato la pena sarà più lieve da sopportare.
È vendetta. Vendicati per quello che ti ha fatto, che ci ha fatto. Che ci farebbe, se potesse.
Negli occhi dell’uomo apparve un lampo di collera, subito soffocato. Scosse la testa. “È una giusta obiezione…” Ammise. “Prendilo dunque come un gesto di misericordia, se preferisci. La mia fine sarà orribile, già sono stato avvertito. Porre fine alle mie sofferenze…”
Perché dovrei?” Ripeté interrompendolo. “Non ti uccido per pietà. Non ti uccido perché non ne ho bisogno. Non provo niente per te.”

Non era vero, non del tutto; provava odio e paura. Quell’uomo gli aveva dato la vita e altrettanto facilmente poteva togliergliela. Usare misericordia su di lui? Mai.
“Torniamo piuttosto alle mie domande… Avrò la vita di un qualsiasi essere umano?”
Il mago fece un cenno dismissivo. Sembrava, per il momento, d’accordo con accantonare la sua richiesta. “Ti stai chiedendo se ti ho dato un’aspettativa di vita maggiore o minore rispetto alla media?”
“Esattamente.”
“Come ho già detto, hai il corpo di mio figlio.” La bacchetta era ancora tra loro e non vi era segno che se la volesse riprendere però. Questo lo rendeva nervoso. “Un corpo umano, il corpo di un mago. Non sono un indovino, non ho idea di cosa il futuro riserberà per te. Ce l’ha forse qualcuno?”

Cadde il silenzio. Tom non riusciva a distogliere lo sguardo dalla bacchetta. Era così diversa dalla sua, così scuro il legno, non anglosassone. Anche la fattura apparteneva alla moda di decenni prima.
Concentrati sui particolari. Non concentrarti sul fatto che potresti ucciderlo e nessuno saprebbe che l’hai impugnata tu. Non è tua, vero Tom?
Nessuno potrebbe mai avere la certezza che sei stato tu. Il ragionevole dubbio, mio caro.
“Così sei deciso a risparmiarmi.” Tom fu riscosso dalla voce. Perdersi in se stesso, aveva davvero ragione Albus, non era mai una buona idea. Si sentiva lo stomaco serrato e la bocca asciutta.
“Non ti ucciderò.” Ripeté. “Non sono affari miei cosa decidi di fare di quel che resta della tua patetica vita.”  
Il mago rise di rimando, lasciandogli l’amara sensazione di non aver afferrato qualcosa. “Speravo davvero di non doverlo fare.” Era un bluff, decretò. Era la frase che preludeva ad un bluff. “Checché ne dicano i miei detrattori, odio arrivare a misure estreme.”
“Non c’è niente con cui tu possa ricattarmi.” C’era, c’era eccome se Von Hohenheim dava mostra di capirlo così bene. L’aveva spiato, il maledetto. Era certo che aveva passato quei quasi due anni a carpire informazioni su di lui come uno sparviero avrebbe studiato la propria preda.

Von Hohenheim prese la bacchetta e con un lieve cenno – che lo fece comunque impallidire per lo sforzo – appellò a sé quello che sembrava un bacile d’argento profondo poche dita.
“Un Pensatoio…”
“La funzione è simile.” Convenne, prima di pronunciare qualche parola in latino e sfiorare la superficie con la punta della bacchetta. Essa si riempì di un liquido azzurrino. “Saresti così cortese da guardare?” Gli chiese. “Ti posso assicurare che non corri rischio. È solo uno schermo.”  
Tom gli lanciò un’occhiata ma aveva colpito un altro dei suoi punti deboli; la curiosità vorace. La superficie si fece brumosa e in pochi attimi si palesò, davvero come in uno schermo televisivo, un corridoio. Un corridoio invaso dal fumo.
“Lo riconosci?” Chiese Von Hohenheim, che neppure guardava ma sembrava non ve ne fosse bisogno.
“È un corridoio di questo castello.” Intuì. “Perché me lo stai mostrando? Cos’è questo fumo?”
“È fuoco.” Una risposta semplice eppure spaventosa. Tom ci mise più di qualche attimo a realizzare cosa stava dicendo l’altro.
“ … Incendio. C’è un incendio?” La cascata di conseguenze lo investì come un tifone. Era bloccato su una torre, ma gli altri? Erano riusciti ad uscire?
“Non è vero, mi stai mentendo.” Non poteva aver dato fuoco al suo stesso castello con lui dentro.
Come se non volesse morire, eh Tom?
“Immaginavo avresti pensato ad una menzogna. Guarda pure fuori dalla finestra. Aprila, se preferisci, così sarai certo che non l’ho incantata.”
Tom si alzò di scatto dalla poltrona, tirò le tende pesanti a mani nude, sentendole sganciarsi dai supporti perché erano fatte per aprirsi con la magia. Spalancò la finestra che si apriva sulle merlature del castello. Merlature invase dal fumo, finestre sfondate dalla furia del fuoco e fiamme, fiamme ovunque.  

“Se ti chiedi perché questa zona non sia stata colpita la risposta è semplice … C’è una barriera. Non so per quanto resisterà, ma dovrebbe darti sufficiente tempo per scappare.”
Tom non riusciva a distogliere lo sguardo da quello spettacolo orribile. Non ascoltò neppure parola dell’altro. Perché non gli importava.
Gli altri … Al. Sono riusciti a scappare?
Harry … no, non può essere venuto a cercarmi. Non può. Non deve.
Avevano un vantaggio consistente su di lui. Persino Al doveva essere riuscito a tornare indietro e ricongiungersi a Lupin, Malfoy e le due ragazze. Anche Lily, naturalmente.
Dovevano aver avuto tempo prima dell’incendio.  
“Dove sono?” La voce non sembrava neanche la sua. Sentiva la bacchetta bruciare nella tasca del mantello. “Dove sono i miei amici?” Non ebbe risposta. “Dimmelo!” Ringhiò  e vide le candele accanto a lui tremare violentemente; no, non andava bene. La sua Magia stava reagendo troppo velocemente al suo stato d’animo.
Sta’ calmo. Mantieni la calma.
Neppure le tecniche che gli aveva insegnato Cordula sembravano servire.
L’uomo sorrise appena. “La bacinella, Thomas. Ha risposte più efficaci delle mie. E temo che a me non crederesti.”
Si gettò su di essa e quella, quasi avesse recepito il suo desiderio, si fece torbida di nuovo e mostrò, quasi fosse uno Specchio delle Brame al contrario, proprio ciò che non desiderava vedere.
C’era Albus in compagnia di un ragazzo biondo che non aveva mai visto ma indossava vesti da servitore. Correvano rincorsi dalle fiamme. Albus cadeva, si rialzava e poi arrivavano ad una porta. La porta era chiusa, non riuscivano ad aprirla. L’immagine cambiò di nuovo. Lupin, Malfoy, quella matta di Dominique e Lily avanzavano in mezzo al fumo, tossendo e incerspicando. Non riuscivano a respirare. Di nuovo. Harry e Ron venivano investiti da una cortina di fumo.
Sono dentro. Non sono riusciti ad uscire.
“È una menzogna…” Sussurrò e no, la voce non sembrava proprio la sua. Trasfigurata in qualcosa di meccanico e orribilmente privo di emozioni. Non per molto, comunque. Si conosceva abbastanza bene per sapere che sarebbe arrivato il momento. Quel momento, in cui lui e l’Altro erano una cosa sola, la stessa persona.  
Voldemort.
“Nella mia condizione non sono in grado di creare visioni così dettagliate. Vedi la realtà, Thomas. Solo quella.” Disse l’uomo con calma surreale. Non vedeva la sua faccia? Non capiva che gli stava facendo vedere il suo peggiore incubo?
Moriranno per colpa tua, Tom. Lily è stata rapita a causa tua, Al ti ha seguito, gli altri sono qui perché tu esisti. Moriranno perché esisti.
Tutto per colpa tua. Ancora una volta, porti morte.
Si allontanò di scatto dal tavolino, con violenza e questo si rovesciò  mentre il bacile cadde a terra con un rumore metallico spargendo liquido azzurrino sul tappeto. Von Hohenheim non batté ciglio. “Ritira l’incendio!” Gli intimò. “Richiama quelle fiamme!”
“Non posso.” Si guardò le mani e la bacchetta che giaceva tra di esse. “Non sono stato io a scatenarlo e anche se ne fossi in grado e non lo sono, non lo farei.” Discorreva. Sembrava parlare del più e del meno e non di vite umane.
Eri così, Tom. Eri così anche tu.
“Moriranno!” Era patetico, se ne rendeva conto. Von Hohenheim non sorrideva, ma lo guardava piuttosto come un insetto curioso. Chissà, forse non si era aspettato la sua disperazione.
“Quello che hai visto non era in tempo reale. È accaduto venti minuti fa. Sono già morti.”
Qualcosa dentro di lui si ruppe. Una diga, o forse, se si voleva esser precisi, il suo cuore.
Con un cuore rotto non si andava avanti. Non si sentiva, non si provava niente.
Era ora, ragazzo. Dormi, e lascia fare a me.
 
****
 
Entrare nella sezione della torre padronale e non trovarvi né fumo, né calore, né tantomeno fiamme era stato un sollievo, quanto un inquietudine. Significava che erano nel posto giusto, ma anche che di lì a poco avrebbero dovuto confrontarsi con un mago considerato uno stregone, per le sue capacità.
Non era Silente ad esser stato nominato Stregone? È l’unico che conosco.
“Al, tutto a posto?” Gli chiese suo padre stringendogli il braccio, sia per sentirlo, sia per assicurargli che c’era. Al gradì molto.
“Sì, un po’ affumicato, ma quest’incantesimo americano è fantastico!” L’aria era viziata all’interno della bolla, ma c’era ossigeno e questo bastava. Ad un cenno di suo padre la sciolse però; ora potevano respirare agevolmente anche senza l’aiuto della magia. Quest’ultimo sembrava persino più teso di quando erano nuovamente entrati nell’incendio.
“Papà, che c’è?”  
“Sono preoccupato per Tom.” Sorrise appena. “Ovvio, no? Dai, andiamo.”
“C’è qualcos’altro.” Non appena lo ebbe detto realizzò che era vero, da come venne guardato. “Hai … hai paura che Tom faccia qualcosa di stupido?” Tentò di indovinare.

Suo padre serrò la mascella. “Al, Tom è… lo sai com’è. È particolare, non è…”
“So che ha l’anima di Voldemort. Che in un’altra vita è stato … quel tizio.” Replicò tranquillo, o almeno fingendo di esserlo. Lo sguardo di suo padre non doveva farlo vacillare. “Ma non è Voldemort. Giusto?”

“Giusto…” Si morse un labbro. “Non intendevo dire questo, comunque. Ti ricordi la faccenda degli Horcrux, vero? Come sono stati creati, intendo.”
Al annuì, mentre un brivido spiacevole gli correva lungo la schiena. Come poteva dimenticarsi di quella tecnica orribile, anche se la conosceva solo a grandi linee.

E non intendo approfondire la cosa, grazie.  
“L’anima di Voldemort è stata divisa sette volte. Tom ha … è…” Si corresse mentre salivano le scale. Parlare sì, ma non perdere tempo. Era questo che adorava di suo padre. “ … è il settimo pezzo. Non sono un esperto, non so come funzioni, ma… credo sia questo a renderlo diverso da noi.”
Vero.

Tom l’anno prima era stato pesantemente influenzato dalla Pietra della Risurrezione e forse lo era stato proprio perché non era tutto intero. Era stato influenzato e messo sotto Imperio da John Doe non perché fosse un mago debole. Tutt’altro.
È la sua anima ad esserlo.
“Pensi che possa di nuovo esser messo sotto maledizione?”
Suo padre non si voltò, continuando a salire. Faceva fatica a stargli dietro, ma non perse il passo. “No, non è questo di cui ho paura. Non solo almeno.”
“Allora cosa?”
Lo sentì sospirare profondamente. Non si voltava e forse era perché non voleva fargli vedere quanto angosciato fosse.
Come se non lo capissi.
“Ho paura che la sua anima sia molto più a rischio della mia o della tua, in certe situazioni. È più facile … che si perda, capisci?”
Ad Al venne da rimettere. Non era giusto; Tom aveva vissuto diciotto anni forse non perfetti, ma da essere umano che lottava ogni giorno contro i propri difetti.
Non era giusto che la sua anima contasse così poco.
“Non la perderà. Forse sarà un po’ malridotta, ma adesso appartiene ad una persona buona.” Disse con tono sicuro, tanto che suo padre si voltò per guardarlo. “Lo so, papà. Lo conosco.” Fece una breve pausa. “E comunque non glielo permetteremo, giusto?”
Suo padre sorrise. “Giusto.”
Un rumore improvviso, di qualcosa di metallico che cadeva sopra le loro teste li fece sobbalzare. Non si dissero nulla; solo, presero a correre.
Tom!
Ad Al sembrava di non avere più le gambe quando arrivarono in cima a quella torre infinita. Suo padre non perse tempo. Con un incantesimo che non gli aveva mai visto fare, ma che doveva appartenere all’arsenale super-segreto degli Auror, scardinò la porta che crollò con un tonfo. La saltò, entrando dentro. Lo seguì a ruota.
Si trovarono di fronte una scena che avevano paventato.
Tom teneva la bacchetta puntata al petto di un uomo seduto su una poltrona, disarmato. Gliela teneva puntata così forte che la stoffa della veste si era bruciata tutta attorno.
Tom!” Urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
L’interpellato non si voltò neppure, e Albus capì di colpo cosa aveva temuto suo padre. Alla luce impietosa del giorno – la finestra era aperta e rifletteva il pomeriggio nevoso – gli occhi di Tom erano rossi.
No, no, non di nuovo!
Non era Imperio, o lo era. Non aveva importanza. Ciò che importava era che il ragazzo di fronte a loro aveva di nuovo perso il controllo, lasciando che quel poco che era rimasto di Voldemort si impadronisse di lui.
“Dannazione…” Sentì mormorare suo padre. “Thomas, allontanati da Von Hohenheim!”  
L’uomo – che dunque era il mostro – fece un quieto sorriso, senza neppure guardarli. Li aveva sentiti, e gongolava. Voleva morire? Perché?
“Avanti. Sei venuto qui per un motivo e adesso hai anche la possibilità di esaudire il tuo desiderio. Fallo.” Serrò le dita sulla punta della bacchetta, spingendosela contro. “Uccidimi.”
No, non è vero! Non è venuto qui per ucciderti!
Un ghigno orribile deformò il viso di Tom. Si era sbagliato; voleva. Qualsiasi cosa avesse detto o fatto quel mago disgustoso, lo aveva spinto a desiderarne la morte. Ma Al era certo che anche se l’altro ci aveva pensato, non avrebbe mai agito.
Non è capace di uccidere. Non vuole più uccidere. Tu non lo conosci!
Vide con la coda dell’occhio suo padre puntare la bacchetta in direzione dei due. “No, papà! Se tenti di disarmarlo…”
“Lo so, potrei innescare una reazione con la sua bacchetta e far partire l’Avada.” Non c’era dubbio che volesse usare L’Anatema Che Uccide a giudicare dalle scintille che già gli sprizzavano dalla bacchetta. Erano verdi. “Ma Al, non c’è altro modo. Non posso stare a guardare mentre…”
“C’è!” Insistette interrompendolo. “Dobbiamo farlo tornare in sé!” Si voltò verso questo. “Tom, razza di cretino! Guardami! Non devi ucciderlo, è quello che vuole!”

Lo vide aggrottare le sopracciglia. Una parte di lui sembrava ancora connessa con la realtà circostante, e dunque doveva averli sentiti. Solo c’era qualcosa che lo bloccava.
Cosa? Cosa l’ha mandato fuori di sé?
“Morti…” Mormorò. “Sono tutti morti per colpa tua…”
Ed ecco la soluzione.

Gli ha fatto credere che siamo morti nell’incendio!
“No, razza di stupido!” La bacchetta aveva scintille sempre più ravvicinate, sempre più verdi. “Non siamo morti, siamo salvi. Tutti!” Di nuovo una leggera smorfia e stavolta il ghigno vacillò e si spense. Gli occhi però era ancora rossi. Un dannato rosso rubino. “Guardami, sono qui davanti a te!”
“Al, continua…” Sussurrò suo padre. “Continua, sta’ funzionando.”
A lui non sembrava. Le scintille c’erano ancora e così l’espressione di trionfo di Von Hohenheim. Ma fosse dannato se si sarebbe arreso. Doveva trascinare Tom fuori dagli abissi della sua coscienza prima che perdesse per sempre l’uscita.

Un omicidio. Un omicidio danneggia l’anima di chi lo compie.
La sua è convalescente. Reggerebbe il colpo?
“Ti ho promesso che sarei tornato a prenderti, no?” Fece qualche passo nella sua direzione e vide l’altro irrigidirsi. Aveva sentito la sua presenza, anche se solo fisicamente.
Andiamo, idiota! Andiamo!
“Te l’ho promesso … eccomi qui. Non potrei mai morire in modo così cretino ed abbandonarti!” Si umettò le labbra mentre sentiva lo sguardo di suo padre su di sé.
Al diavolo.
“Io mantengo le mie promesse. Sempre. Quindi mantieni la tua e torna da me. Adesso.” Forse non era il caso di dare ordini a qualcuno che non sembrava neanche notificare la tua presenza.
Eppure.
Tom fece una smorfia di dolore, come se qualcosa lo avesse colpito. E finalmente si voltò nella loro direzione. Fu come vederlo prendere in faccia una secchiata d’acqua. Sgranò gli occhi e inspirò bruscamente. “Al…” Sussurrò. “Sei…”
Bentornato, cretino – gli veniva da piangere, ma il sollievo era ancora fuori luogo. “… vivo.” Terminò per lui. “Sono un Potter, ho nove vite come i gatti, non lo sai? Siamo vivi, tutti. Gli altri sono al sicuro.”

Suo padre abbozzò un sorriso, senza però togliere lo sguardo o la bacchetta in direzione dallo stregone.
“Thomas, allontanati.” Disse pacato. “E abbassa la bacchetta.”
Tom si guardò la mano e poi Von Hohenheim. Dovette realizzare cosa stava per fare, perché si tolse come se fosse sui carboni ardenti. “Figlio di puttana!” Ringhiò. “Aveva detto…”
“Che Al e gli altri erano morti nell’incendio.” Annuì suo padre. “Ho capito benissimo la situazione. Lascia che sia io ad occuparmene.”
Tom non se lo fece ripetere due volte. Gli si mise accanto senza una parola, e Al provò il desiderio violento di stringerlo, e baciarlo fino a togliergli il respiro. Scoppiare a piangere, eventualmente.

Non era il momento.
Dopo. Tu, da camera, non esci per una settimana.
“Ciao.” Disse invece. “Sei un idiota.”
L’altro sorrise appena e c’era un intero universo di sentimenti dietro quel sorriso. Scommetteva dieci galeoni che Von Hohenheim non l’avrebbe mai saputo notare. Per questo aveva perso. Aveva visto solo una delle centinaia di sfumature che componevano Thomas Dursley.

“Ho come l’impressione che tu me l’abbia detto almeno dieci volte negli ultimi cinque minuti.”
“È perché non mi ascoltavi.” Si morse le labbra, mentre l’altro gli stringeva forte il polso. “Dovevo ribadire il concetto. Spero che adesso sia chiaro.”

“Chiarissimo.”
Von Hohenheim aveva perso tutta la sua aria trionfante. Sembrava preso da una furia indicibile, per quanto non sembrasse intenzionato a far nulla. Al capì. Non poteva. Sembrava un sacco vuoto su quella sedia.
“Sta morendo.” Mormorò Tom indovinando i suoi pensieri.
“Questo non lo salverà dalla prigione.” Si intromise suo padre, tenendo il mago sotto tiro.  
“È così Thomas?” Lo apostrofò con gelido disprezzo. Ad Al non sfuggì l’intensificarsi della presa sul suo polso. La sciolse e gli afferrò la mano, intrecciando le dita alle sue. “Alla fine ti sei rivelato un debole. Ti sei fatto convincere dalle parole di un ragazzino.”
Tom inaspettatamente inarcò le sopracciglia. Guardo lui e poi guardò l’uomo che diceva di essere suo padre. Al non aveva mai visto nessuno più lontano da quel concetto.

“Non sono debole.” Replicò pacato. “Sono un essere umano.”
Quella frase fece scattare qualcosa nel volto dell’uomo. Si incendiò, letteralmente, di furia. Con un urlo disumano si gettò sulla bacchetta posata sul tavolo.
No!
Suo padre però non era un ragazzino paralizzato dalla sorpresa e dalla paura. Afferrò la bacchetta e si frappose tra loro e il mago.
“Expelliarmus!”
Il suo marchio di fabbrica, il suo incantesimo preferito. Un lampo di luce attraversò la stanza e colpì Von Hohenheim in pieno petto, sbalzandolo un metro più indietro. Questo, con espressione dolorante e sorpresa incespicò senza equilibro. Incespicò verso la finestra aperta dietro di sé.
A volte le morti avvenivano a rallentatore, o almeno questa era la percezione di alcuni. A volte invece in un battito di ciglia.
Fu in un battito di ciglia che l’uomo, il mago, lo stregone e il capofila della Thule attraversò la finestra e precipitò nel vuoto.
Al vide suo padre tentare di andare in suo soccorso e quasi cadere lui stesso, prima di afferrarsi alla ringhiera e frenarsi. Corsero anche loro verso il parapetto.
Alberich Von Hohenheim giaceva parecchi metri più sotto, scomposto come un burattino, sul tetto, morto.
Si voltò verso Tom e gli prese il braccio, senza dire niente. L’espressione dell’altro era indecifrabile. Era dentro che gli si stava scatenando una bufera.
Fu suo padre a rompere il silenzio. Senza una parola gli passò un braccio attorno alle spalle e se lo tirò contro. “È finita.” Disse, e con quel tono lo era, finalmente. “È morto Tom. È finita.”
L’espressione del Ragazzo Che Era Nato Due Volte ebbe un fremito e poi si ruppe in un singhiozzo. Forse era la prima volta che suo padre vedeva Tom piangere. Non diede adito alla minima sorpresa però, e strinse solo l’abbraccio.
Dopotutto, era quello che faceva un vero padre.
 
 
****
 
Note:

Gente, ci siamo. Questo era l’ultimo capitolo. Ultimo sul serio.
(Cioè, poi ci sarà l’Epilogo. Ci sono ancora due o tre cosette da spiegare. ;D)

Questa la canzone che fa da leitmotiv al capitolo. Direi che è perfetta, specialmente il testo che vi invito a guardare. Un grazie a Blankette_Girl e alla sua cultura musicale, sempre impeccabile, per avermela suggerita.
1.Verso della poesia “Se” (If) di Rudyard Kipling, più conosciuto per aver scritto ‘Il Libro della Giungla’ e ‘Capitani Coraggiosi’.
2.“È un violino, un semplice violino!” letteralmente, la traduzione.

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Capitolo 63
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 
 
 
Quando la tempesta sarà finita, non saprai come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio.
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
(Kafka sulla spiaggia, H. Murakami)
 
 
 
Lily era stata la prima ad avvistare Harry, Al e Thomas. Teddy aveva visto la ragazzina alzarsi in piedi ancor prima che spuntassero dalla collina scoscesa che digradava verso la rimessa delle barche – luogo ultimo e sicuro in cui avevano deciso di spostarsi.
“Sono loro!” Gridò correndogli incontro, insolitamente vitale per una mezza intossicazione da fumo. Ma era la forza di volontà, e soprattutto la tensione di saperli ancora dentro, ad averla tenuta in piedi fino a quel momento. Ad averli tenuti tutti, in piedi.
Fu Albus a staccarsi dalla piccola comitiva. Era il più malconcio e bruciacchiato dei tre a giudicare dallo stato della sua felpa sportiva, una volta verde, adesso grigiastra e piena di bruciature. Più malconcio, eppure ebbe la forza di andare verso la sorella e strizzarla in un abbraccio.
Teddy poté immaginare facilmente cosa si stessero dicendo, dalle lacrime della ragazzina e l’aria sollevata e un po’ irritata dell’altro. Lily doveva star profondendosi in scuse e il fratello maggiore doveva pensare che metà di esse fosse dovute solo al senso di colpa.
Andò loro incontro, facendo cenno a Dominique e Scorpius di restare seduti a respirare dalle maschere di ossigeno portatile che gli agenti tedeschi – preventivamente avvertiti – avevano portato con sé. Non controllò il giovane Von Hohenheim; grazie a Merlino, non era più affar suo.
“Scusa!” Lily aveva l’aria di averlo detto almeno cento volte. “Mi dispiace, io…”
“Basta, Lils.” La fermò Al facendole una carezza e sporcandola di fuliggine su tutta la guancia. “Sai bene che non siamo qui solo per te. Non fare l’egocentrica.” Motteggiò senza asprezza.

Lily fece una piccola smorfia consapevole, guardando poi verso Tom. “Stai bene Tommy?”
Thomas aveva un’espressione molto diversa dalla solita facciata d’indifferenza che approntava per urbi et orbi. Doveva essere piuttosto provato. “Sì.” Disse. “Ed è Tom.”
Lily ridacchiò e poi andò ad abbracciarlo. Sorpresa ulteriore, il ragazzo non si irrigidì né si scostò infastidito ma ricambiò con un certo trasporto. Rigido come uno stoccafisso, avrebbe detto James, ma era pur sempre un abbraccio.
Merlino, voglio tornare da Jamie.
Era un desiderio così acuto che solo il buonsenso gli impediva di tentare una Smaterializzazione intercontinentale. Rivolse allora lo sguardo ad Harry che si stava pulendo gli occhiali con il risvolto del mantello d’ordinanza, infischiandosene dell’etichetta e della sacralità dell’uniforme. Notatolo, l’uomo interruppe l’operazione e andò a stringergli la spalla. “Teddy, credo di doverti la mia completa gratitudine.” Aggrottò lui stesso le sopracciglia al tono formale e si sciolse quindi  in un sorriso. “Meno male che c’eri, ragazzo mio. Meno male.”
Ted si sentì arrossire di disagio e piacere. Non era molto virile, ma quello era il suo padrino.

“Grazie Harry.” Si schiarì la voce. “Avrei voluto avere il potere di fermarli.” Non chiese scusa e fu straniante; ma anche stranamente giusto.
“Sappiamo benissimo che era impossibile!” Rise infatti l’altro scuotendo la testa. “Hai fatto quello che dovevi, li hai tenuti al sicuro. Grazie.”
Ted strinse la mano sulla sua spalla. “Non pensarci neppure. Dopotutto rimangono miei studenti. Lo dico senza il rischio di sembrare fuori luogo … ho solo fatto il mio lavoro.”

Harry annuì. “Con pessimi studenti, oserei dire.” Suggerì con sguardo che suggeriva tutt’altra opinione; dietro l’aria doverosa da padre severo era chiaro come il sole che fosse orgoglioso dei suoi figli.
E della loro capacità di attirare guai? Anche. Harry a volte è proprio strano…
“Oh, credimi, quest’anno i Tassorosso hanno ottime probabilità di vincere la coppa delle Case.” Motteggiò di rimando.
Cosa?” Fu la voce di Tom a sorprenderli. “Significa che ci verranno tolti dei punti per quello che abbiamo fatto?”
“Non se ne parla!” Gli diede manforte Lily. “Voglio dire, sono pronta a non uscire di casa prima dei quarant’anni e pulire tutti i gabinetti di Hogwarts con uno spazzolino da denti, ma non puoi togliere punti a Grifondoro Teddy! Stavamo vincendo!”
“Veramente no.” Le fece eco Al inarcando le sopracciglia. “Mi ricordo i valori della Clessidra, Lils. Eravamo sopra a voi di almeno cento punti.”
“Ah, saranno sicuramente migliorati dall’ultima volta!” Ribatté quella con sicurezza. “I due secchioni di Serpeverde sono in gita e non potevate fare punti a Durmstrang.”

Lui ed Harry si guardarono prima di mettersi a ridere; era bello vedere come nonostante tutto, nonostante le cicatrici che sia Lily che Tom avevano riportato, riuscissero ancora a pensare a cose come i punti delle proprie Case.
Va bene. È ottimo. È buon materiale per lasciarsi tutto questo orrore alle spalle.
“Hai ragione Lily. È meglio se ti preoccupi della punizione che ti aspetta a casa.” Disse Harry, e dietro il sorriso era maledettamente serio. La quindicenne parve intuirlo perché fece un sospiro scornato e annuì. Gli occhi le andarono immediatamente verso il falso Luzhin, che, piantonato da due agenti e ammanettato, non muoveva muscolo. Teddy l’aveva però beccato più volte a fare lo stesso gioco di Lily. Ma sempre in tempi alterni; i loro sguardi non si erano mai incrociati.
“Sono arrivati gli Auror … o credo siano tipo Tiratori Scelti tedeschi.” Disse Lily mordicchiandosi le labbra. “L’agente Gillespie e lo zio ci stanno parlando da un bel po’. Non capisco il tedesco, ma credo li stiano interrogando. Hanno fatto domande anche a noi, in inglese.”
Il sorriso del padrino scomparve come neve al sole. La realtà, oltre la felicità di saperli tutti vivi e in salute, tornò prepotente. “Bene.” Disse. “Adesso vado a parlarci io. Al, Tom … voi bevete e sedetevi, non voglio sentir rimostranze. Lily, vale lo stesso per te.” I tre ragazzi si avviarono ubbidienti verso Scorpius e Dominique; i due maschi furono accolti a pacche sloga - legamento e borracce d’acqua debitamente incantate con un Rabbocco. Lily si limitò a sedersi vicino a Dominique e ascoltarla ciarlare sconclusionatamente come suo solito.
Arrivò dunque il momento delle domande. “Von Hohenheim?”
“È morto.” Ad una sua protesta Harry levò una mano significativamente. “È precipitato da venti metri di torre e abbiamo visto il suo corpo venir aggredito dalle fiamme. Credo sia abbastanza, e voglio che con Tom se ne parli il meno possibile.”
“… È stato lui?”

Un lampo scuro passo nelle iridi chiare del Salvatore. “No. Sono stato io. Tom non ha levato la bacchetta contro suo padre.”
Ted deglutì. “Va bene.” Mormorò guardingo. Credeva ovviamente alle parole del padrino, ma non era del tutto sicuro che l’adolescente che in quel momento stava bevendo acqua e scherzando con gli altri non ne sarebbe stato in grado.

Meglio così.
“Non poteva essere diversamente.” L’espressione dell’uomo era incredibilmente seria. “Thomas non dovrà mai uccidere nessuno, in nessuna circostanza … la sua anima non ne reggerebbe il peso.”
Ted aggrottò le sopracciglia, poi capì. “È perché è già stata divisa, vero?”

Harry annuì. “Non sono bravo in queste cose, ma credo che una settima parte di anima sia un po’ poco per reggere quello che un omicidio comporta. Von Hohenheim doveva saperlo, è suo figlio.” Sospirò. “Credo volesse farla finita portandosi tutto ciò che aveva creato con sé, Tom compreso. Il modo migliore era renderlo un assassino. Nulla di bello sarebbe accaduto alla sua anima, se avesse preso la vita di suo padre.” Voltò il viso verso il castello. La barriera che le racchiudeva doveva aver ceduto, e ormai l’intera struttura era in fiamme.  
Ted si passò una mano trai capelli. Ci sarebbero voluti giorni perché tornassero colorati e brillanti come era la norma. Giorni e James. “Farsi uccidere…” Meditò. “… sei sicuro che fosse questo il suo fine ultimo?” Esitò vedendo l’espressione dell’altro. “Voglio dire … tutto quel che ha fatto … Per farsi uccidere da suo figlio?”
Harry sospirò. “Era pazzo.” Scrollò le spalle. “In ogni caso non ha più importanza. È finita.”
Ted annuì con un sorriso. “Non vedo l’ora di tornare a casa.”
L’altro si massaggiò la nuca con una smorfia. “Merlino, a chi lo dici … Un bagno di dieci ore e un buon the.” Spalancò gli occhi quasi immaginasse quella meraviglia. “Ma temo che prima ci siano alcune questioni da sbrigare.” Soggiunse a malincuore, guardando Von Hohenheim Nipote. “Lui?”
“Non ha detto una parola da quando ve ne siete andati. Gli agenti sono venuti e l’hanno preso in consegna, credo che vogliano interrogarlo alla loro centrale. Per noi bastano semplici deposizioni, ma per lui…”

Harry annuì, dandogli una pacca sulla spalla. “Ma … quel ragazzo biondo? Quello venuto con Al?”
Ted assunse un’espressione imbarazzata. “È scappato.” Si risolse a dire grattandosi la guancia e guardando verso la fitta foresta che si apriva a pochi metri dalla rimessa. “Nessuno lo stava sorvegliando perché … beh, tu e i ragazzi eravate dentro, gli agenti erano appena arrivati e bisognava spiegar loro la situazione e…”
“Ed ha preso il volo.” Harry sospirò. “Beh, c’era da aspettarselo. Credo fosse stato messo in mezzo da Al.” Si strinse nelle spalle. “Era un Magonò. Forse è meglio così, non era giusto che venisse messo in mezzo. Non è come se avesse partecipato attivamente alla cattura di Lily.”

Ted convenne con un cenno della testa, accompagnando il padrino verso gli agenti. L’uomo si presentò all’impeccabile agente-capo con due enormi baffi biondissimi e l’aria marziale. Da una certa latitudine, agli occhi di Ted, i maghi si somigliavano tutti.
“Come stavo spiegando alla sua collega, Capo Auror Potter, prendiamo in consegna Sören Von Hohenheim.” Esordì questo. “Il caso, come potrà immaginare, passa ufficialmente a noi per motivi geografici. Tuttavia il nostro Ministero sarà lieto di collaborare con il vostro, nel caso lei e i suoi agenti vogliate prendere parte agli interrogatori … come ospiti.” Ci tenne a specificare, rimarcando il fatto che il merito della cattura sarebbe andato a loro.
Poco giusto. Ma considerando le centinaia di regole e regolette degli Statuti di Cooperazione Magica che sicuramente son stati infrante…
“Vi ringrazio.” Sorrise Harry con la sua miglior espressione da copertina. Era piuttosto affascinante e energica, e i tedeschi parvero gradirla da come si rilassarono immediatamente. “Dateci solo un po’ di giorni per riprenderci, poi saremo a vostra completa disposizione. Come potrete ben capire, voglio dedicarmi alla mia famiglia.”
Natürlich!” Esclamò il mago con aria comprensiva. Ron ghignò alle spalle del suddetto. L’obbiettivo principale della messinscena del padrino era evitare la sua, di deposizione. E ci stava riuscendo perfettamente.

Forse Al è finito a Serpeverde per un motivo ben preciso. L’ho sempre pensato, ma … è un po’ come il Grande Segreto dei Potter. Sarebbero potuti essere tutti degli eccellenti Serpeverde. Tranne James.
“Abbiamo già completato le deposizioni dei vostri figli, quindi credo che non ci sia motivo per cui restiate ulteriormente qui. Dell’incendio e la sicurezza della zona ci pensiamo noi.” Concluse il teutonico funzionario.
Herr Blumstein ci ha gentilmente fornito una Passaporta per tornare a Londra.” Si inserì Nora mostrando con un certo divertimento uno stivale dall’aria vissuta. “Chissà perché avete questa fissazione per render le calzature Passaporte, qui in Europa…” Soggiunse.

Harry ridacchiò all’aria perplessa del tedesco; era ovvio che ormai intercorresse un intenso cameratismo tra il padrino, Ron e la strega d’oltreoceano. Era raro che i due uomini si fidassero così apertamente di qualcuno, ad eccezion fatta delle loro mogli. Doveva essere una donna notevole. 
“Bene!” Esclamò con forza Harry. “Credo sia ora di andare, oltre che il caso. Ginny ed Hermione saranno preoccupate a morte, per non parlare di Rose, Hugo e James!”
“Li troveremo tutti alla Tana.” Lo rassicurò Ron. “Certo però che è meglio non perder tempo.”  
Ted capì il sottotesto e si affrettò ad andare dai cinque adolescenti che si erano riuniti e stretti tra di loro, raccontandosi le vicendevoli parti in quella faccenda. Non gli sfuggì come Al e Tom stessero accostati, dividendo la stessa borraccia e battibeccando sulla suddetta – Tom non voleva bere quanto l’altro gli stava consigliando di fare. Non si tenevano per mano, ma quella vicinanza era più esplicita di un bacio da film.

Incrociò lo sguardo di Harry, che guardava proprio in quella direzione. Sorridendo.
Ma lo sa?
Sarebbe stato il Secondo Segreto dei Potter, sicuramente.
Harry sa o meno di quel che succede tra Thomas e Al?
“Ragazzi, ora di andare.” Li riscosse. Scorpius fu il primo a saltare in piedi, mollando la mascherina e mettendosi a tracolla la borraccia.
“Grandioso! Devo raccontare quanto sono stato eroico alla mia Rosie. Mi amerà e non faremo che fare sesso per le prossime venticinque settimane!”
“Questo eviterei di dirlo in presenza di zio Ronnie, biondo. Ci tieni ai tuoi attributi, no?” Ghignò Dominique facendolo impallidire vistosamente.

Lily non si alzò come gli altri. O meglio, si alzò, ma guardò ovunque tranne che in direzione del padre e della Passaporta. Guardava verso il falso Luzhin, o il vero Von Hohenheim. Teddy trovava piuttosto inquietanti quei suffissi.
“Lui… che fine farà?”Chiese con un filo di voce che non le si addiceva. Ted pensò che ci sarebbe voluta più di qualche risata condivisa e affetto familiare perché la quindicenne superasse quella storia.  
Di noi, forse è stata quella più colpita. Forse persino più di Tom.
“Lo ha preso in consegna il Ministero Tedesco, com’è ovvio che sia visto che siamo in Germania e lui è tedesco.” Le spiegò come se stesse parlando del tempo. Gli altri erano tutti ammutoliti. “Gli faranno delle domande, e se si dimostrerà collaborativo…”
“Finirà a Nurmengard?”

Ted si trovò a corto di parole perché percepiva dolore nella voce dell’altra. Sorprendentemente, fu Scorpius a prendere la parola, prendendo anche da parte la ragazzina.
“Ascolta… Sì, finirà in prigione, perché quel che ha fatto non può prevedere altro.” Gli sentì dire, in tono pacato e maturo, così lontano dal suo solito smaccato e gioviale da sembrare quasi quello di un’altro. “Però credo che saranno clementi con lui. Dopo che l’avranno interrogato sarà chiaro come il sole che ha fatto quel che ha fatto perché suo zio gliel’ha ordinato. Non ci andranno giù troppo pesanti, specie perché è un testimone prezioso.”
“Sei sicuro?” Lily teneva gli occhi incollati alle scarpe e ma tutto il resto del corpo sembrava teso verso il tedesco, ad una decina di metri di distanza. Il suddetto sembrava non aver notato la cosa; ma aveva lo stesso atteggiamento fisico dell’altra.

Ha notato che stanno parlando di lui, eccome.
“Ehi, stai parlando con un tizio che ha avuto metà famiglia ospite ad Azkaban!” Sogghignò il biondo, con una spigliatezza che nascondeva uno stato d’animo contrario. Lo si capiva dagli occhi. “Mio padre ha fatto cose poco carine quando era giovane, ma è riuscito comunque a trovare la sua strada ed avere una vita dignitosa. Una bella vita. Se Sören vuole, può uscirne.”
Favoloso Scorpius – Ted lo pensò con affetto. Quel ragazzo aveva più cuore e cervello di tanti suoi coetanei e di molteplici adulti.
Rose non avrebbe potuto scegliere persona migliore.
Lily gli sorrise grata. “Okay.” Si voltò di nuovo in direzione degli agenti e del loro arrestato. Poi guardò lui, l’autorità probabilmente più vicina. “Teddy, pensi che possa andare a salutarlo?”
“Lily, non lo so…”
“Solo salutarlo!” Insistette, poi inspirò. “Forse è meglio se vado a chiedere a papà.”
“Meglio, direi.” Si inserì Albus con espressione poco contenta, ma senza aperte rimostranze. La presenza di Tom e gli eventi che lo avevano reso protagonista quel giorno e l’anno prima non glielo permettevano.

 
Chiedere a suo padre una cosa del genere era come tirargli un calcio nel sedere mentre era chinato. Una cosa del genere. Sicuramente altrettanto urtante.
L’espressione con cui accolse la notizia infatti fu quella di chi aveva ricevuto un colpo inaspettato.  
“Voglio solo salutarlo prima che la Passaporta si attivi!” Inghiottì un groppo di incertezza, perché anche suo zio Ron e l’americana li stavano guardando. “Io … credo di doverglielo.”
“Tu non gli devi nulla, Lils!” Sbottò suo zio con forza. “Quel piccolo, viscido bastardo…”
“Mi ha salvato la vita.” Lo interruppe ignorando suo padre. Era molto più facile parlare senza guardarlo in viso. “So benissimo quel che ha fatto e non intendo perdonarlo, ma devo dirgli addio.” Ecco le parole giuste. “Se voglio lasciarmi questa storia alle spalle … ecco, sento che devo farlo.”
Sentì suo padre sospirare. “Va bene.” Acconsentì facendo finta di non vedere l’espressione di protesta sul viso dell’amico di una vita. Si rivolse alla strega. “Nora, puoi spiegare la situazione agli agenti prima che si allarmino? Credo che il loro inglese sia limitato al gergo professionale.”
“Nessun problema.” Replicò sorridendole. “Vieni.”

Lily sentì il cuore stazionarsi in zona gola quando si avvicinò agli agenti, tipi enormi e minacciosi. Sören era stato fatto sedere a terra e aveva le mani legate da manette magiche, dietro la schiena. Quando la vide sgranò gli occhi ma non aprì bocca. Riprese però colore, e questo era talmente palese che non doveva esser l’unica ad essersene accorto. Le guance pallide si erano tinte di rosso.
Dannazione.
Lily sentì a malapena le parole che si scambiarono gli adulti in quell’idioma pietroso che era il tedesco; era infatti troppo presa a fissare l’altro e farsi fissare di rimando. Da fuori dovevano sembrare due idioti. Poi uno dei tre tedeschi disse qualcosa a Sören e questo si alzò immediatamente quasi l’avessero caricato a molla. Era rincuorante – anche se sbagliato pensare che lo fosse – sapere che anche l’altro voleva parlarle.
Come se non bastasse tutti – ma proprio tutti – li stavano guardando come se fossero due pesci tropicali in un acquario babbano.

“Possiamo avere un paio di minuti? Da soli?” All’espressione degli agenti crucchi mise su la sua migliore aria contrita. “Per favore?”
Come se volessi fargli scivolare una bacchetta in tasca! Sarei la vittima, qui!
Nora parlottò nuovamente con quello che sembrava il capo, a giudicare dalle mostrine. Quello fece un cenno svogliato, ma accondiscendente. L’americana le mise una mano sulla spalla. “Solo un paio di minuti.” Le raccomandò, allontanandosi poi con gli altri tre maghi.
Sören tirò un lungo sospiro, e Lily si trovò di colpo a corto di parole.
Sono un idiota.
“Lily…”
“Volevo solo dirti addio.” Impostò il tono di voce nel modo più neutro che poté. Il suo proposito si infranse miseramente sullo sguardo dell’altro.

Dovrebbero bandirli, occhi così. I cattivi devono esser cattivi, i buoni buoni.
… Sì, come se funzionasse così, nella vita reale.
“Grazie.” Replicò Sören distogliendo lo sguardo quasi avesse capito che la metteva a disagio. “Lo apprezzo molto.” Prese di nuovo un forte respiro. “Io, Lilian … mi dispiace.”
“Lo so.” Ancora quel discorso. Non sarebbero mai andati avanti e il tempo sarebbe finito chiedendo e sentendosi dire quella stupida parola.

Scusa. Non serve a niente scusarsi. Non cambierà quel che è successo.
“Non sei cattivo.” Buttò fuori e evitò accuratamente di notare l’ espressione di genuina sorpresa che ne conseguì. Sören era troppo vulnerabile per non farle male. Di nuovo. “Tu … non sei una persona cattiva.” Ribadì. “Non so se … se conterà qualcosa per gli altri. Ma per me sì.” Le scarpe avevano la forma più interessante del mondo quando si volevano trattenere le lacrime.  
Perché dev’essere così … così maledettamente complicato?
“Grazie.” Dovevano proprio tenerlo ammanettato? Era maledettamente difficile non piangere quando una persona a cui voleva bene si rivelava un inganno. Era doloroso realizzare che l’affetto non era sparito di un’oncia. Sua nonna – o le sue allucinazioni – avevano ragione. Sören era sempre lì, non era diverso dalla persona che aveva conosciuto. Sorrideva nello stesso modo, schivo e incerto, la guardava nello stesso modo, come se fosse un mondo nuovo in cui era appena atterrato e non vedesse l’ora di scoprire.
Dannazione.
“Non ringraziarmi.” Tirare su con il naso non era come piangere, vero? “Diventa una persona decente, piuttosto.”
Qualcosa si accese nello sguardo dell’altro. Lily si rifiutò categoricamente di capire cosa. “Te lo prometto.” Replicò. “Posso…” Sören guardò verso gli agenti. Era ben chiaro che il tempo si fosse già esaurito. “… Posso scriverti?” Deglutì e lanciò un’altra occhiata verso i suddetti, in rapido ed efficiente avvicinamento. “Se ne avrò la possibilità, si intende.”
Lily lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non si era accorta di averle tenute serrate al petto per tutto quel tempo. In fondo non era come una promessa. Non era niente e…

No, è decisamente qualcosa e dovrebbe dirgli di no.
Non lo farai mai - diceva la voce di quella gran stronza di sua nonna.
“Sì. Non so se potrò risponderti però.” Ammise sincera; era altamente probabile che suo padre avrebbe intercettati i Gufi, specie se provenienti da una prigione, facendo poi due più due.
Uguale quattro. Uguale Lily non pensare neanche di corrispondere con un galeotto che ha cospirato per farti rapire e quasi uccidere.
Uguale diamine papà, hai proprio ragione.
Era una promessa che non aveva senso, e doveva saperlo anche l’altro. Eppure.
“Non fa niente, ti scriverò comunque.” Le sorrise appena. “Addio Lilian.”
Lily sapeva di essere una persona irrazionale. Per questo, solo per la sua irrazionalità, gettò le braccia al collo di Sören e strinse forte. Forse gli fece pure male, ma non lo sentì irrigidirsi affatto per il dolore. Se c’era un modo per ricambiare un abbraccio ammanettato, Sören lo fece.
Lily si staccò e corse via senza voltarsi. Farlo sarebbe stato del tutto folle, dato quel che sentiva agitarsi nel petto. Tornò da Al e gli altri e fu grata a tutti di non sentire dire una sola parola sulla scena a cui sicuramente avevano assistito.
“La Passaporta è attiva.” Disse suo fratello. Lily annuì e si lasciò portare via. Non guardò neanche una volta verso Sören Von Hohenheim, verso Sören Prince. Ma ebbe la certezza che lui stesse guardando lei.
 
****
 
 
“Non posso credere di essermi perso tutta l’azione!”
Ted sorrise stringendo la presa sulla vita di James, seppellendo il viso nell’odore caldo e familiare della pelle del suo ragazzo.

“Se non altro ti sei risparmiato un intossicazione da fiamme magiche. Non sono mai stato tanto contento di aver abbandonato l’Accademia per l’insegnamento…” Borbottò mentre il fuoco nel camino scoppiettava vivace e salvifico, considerando che avevano abbandonato i vestiti da un bel pezzo; avrebbero dovuto montare un impianto di riscaldamento quanto prima.  
Ci penseremo non appena inizieranno i lavori. Magari tra un mese.
Il calore del camino e una quantità bastevole di coperte e cuscini stesa a terra componevano comunque il giaciglio perfetto, fuori dal mondo, e Ted lo trovava perfetto per concludere una giornata a dir poco infernale.
Avevano cenato alla Tana, raccontato, esplicato, rassicurato. L’intero Clan era accorso da tutte le parti della Gran Bretagna per accogliere i valorosi. Era stato rinfrancante, allegro. Ma non aveva fatto altro che desiderare portar via James per tutto il tempo, chiudere le porte della loro casa e sprangarcisi dentro per almeno una settimana.
Me lo merito, direi.
Nessuno infatti aveva mosso obiezioni quando aveva declinato l’invito di Molly a restare per la notte; addirittura Harry aveva sorriso e aveva augurato loro serenamente la buonanotte.
Beh, c’è di peggio che immaginare me e James nello stesso letto. Tipo, quello che è accaduto oggi.
Alzò lo sguardo verso il viso imbronciato dell’altro. Corrucciato, avrebbe detto il ragazzo.
Imbronciato, decisamente.
“Jamie, posso farti notare che è stato pericoloso e piuttosto spaventoso?” Considerò pigramente, baciandogli l’addome. L’altro fece un sospiro compiaciuto, ma tenne il punto.
“Esatto! Sono un allievo auror, avrei dovuto esser presente più di tanti a…” Gli tappò la bocca con un bacio, e non ci furono rimostranze.
Devo cominciare a rivalutare la fisicità. Non è tanto male, se ci si pensa. Efficace, senza dubbio.
James gli passò le dita lungo i capelli, ritirandosi poi perplesso. “Teddy … te lo devo proprio dire.” Considerò. “Hai i capelli pastello.”
Ted inarcò le sopracciglia all’espressione con cui guardava la sua povera testa. “Mi sto già adoperando nella cura.” Gli fece notare, e l’altro fece un sogghigno.
“Vedo. E sento.” Mormorò strofinandosi significativamente contro di lui. “Oh, tho … ‘sti colori accesi tutto di un tratto!”
Ted ridacchiò, nascondendo il viso nell’incavo del collo dell’altro. Il suo concetto di ‘riposo del guerriero’ aveva l’odore di erba appena tagliata, sudore e James.
Sfido a trovarne uno migliore.
“Mi han detto che sei stato grandioso, là fuori. Davvero ti sei trasformato in un lupo o Malfoy ha avuto le allucinazioni?” Chiese buttandosi nel disastro di coperte, piumoni e cuscini e tirandoselo rudemente dietro. Ted non si lamentò.
“Ho solo fatto il mio dovere.” Replicò. “E poi, se fai Potter di cognome, o Weasley di ascendenza non sai badare a se stesso. È un po’ una costante a cui bisogna porre rimedio. E chi meglio di un Lupin?”
“Ma che stronzo!” Gli mollò uno schiaffo sulla schiena, però gli ridevano gli occhi. “Ehi, comunque non scherzo … Secondo me, il vero eroe di tutta questa faccenda, mio Teddy, sei tu.”
“Lo pensi davvero?” Chiese, buttando la modestia dalla finestra per una volta.  
James lo guardò come se fosse un cretino integrale. “Tu che dici? Hai tenuto insieme la baracca per tutto il maledetto tempo. Ti dovrebbero dare una medaglia, o almeno, dedicarti un brindisi!”
“Non vedo medaglie o bottiglie di Burrobirra.” Scherzò di rimando. “ … ma non mi lamento, ho qui tutto quello da cui volevo tornare.” E su questo non scherzava.
James ghignò, come suo solito per nascondere un incipiente principio di occhi lucidi e commossi. “Vorrei vedere.”  Si stese sui cuscini e allargò le braccia. “Bentornato a casa, mio eroe!”
Ted scoppiò a ridere.

 
 
****
 
 
Il ritorno a casa era stato un’ordalia, ma anche precisamente come se lo aspettava.
Tom aveva dovuto infatti, nell’ordine: telefonare ai suoi ed assicurargli che era sano e salvo, oltre a promettere che non sarebbe tornato immediatamente ad Hogwarts, ma sarebbe prima passato da loro per il fine settimana. Rassicurare tutti gli occupanti della Tana – ovvero tutto il Clan Potter-Weasley in seduta plenaria – che era ancora in sé e che non stava affatto elaborando il lutto per la perdita di quell’immenso figlio di puttana di Von Hohenheim. Evitare di essere ingozzato a morte da Molly durante la cena. Rispondere poi a svariati Gufi, da quello di Meike, prioritario, a quello di Loki, inaspettato. Infine, evitare di mettere le mani addosso ad Al in presenza di Hugo e Fred Junior, che avrebbero diviso la camera con loro quella notte.
Il compito più difficile di tutti …
Aveva invidiato Lupin che, con una faccia di bronzo invidiabile, aveva salutato tutti e si era portato via James quasi di peso.
Sesso post-guerra per loro. Il migliore.
La situazione era tornata alla normalità solo a tarda notte, quando finalmente tutta la mandria di teste più-o-meno-rosse aveva lasciato tavola e raggiunto le camere da letto, impilandovisi in più modalità.
Scorpius stesso aveva lasciato la casa solo una mezz’ora prima, portato via da un carro trainato da funebri cavalli neri, marchio Malfoy per eccellenza.
Dalle triple porzioni che gli han servito e dal fatto che potesse baciare Rose senza essere decapitato da Ron, è indubbio che ormai sia ufficialmente parte del clan.
Dopotutto si è quasi fatto ammazzare. La prova di rito per essere ammesso l’ha passata a pieni voti.
Lui non era andato a letto. O meglio, aveva finto, ma quando aveva sentito Hugo russare, Fred fare lo stesso e Al dormire profondamente era scivolato via, preso le scale e poi la porta sul retro, quella che dava sul giardino.
C’era una coltre di neve che copriva tutto; dimenticava sempre come il tempo in Inghilterra fosse bizzarro. Era lieto lo fosse, perché il silenzio della neve era quanto di più pacifico vi fosse.
Silenzio, finalmente.
Ne aveva bisogno per restare solo con i suoi pensieri. Non che avesse una gran voglia di pensare in realtà, per una volta. Quando riaprì gli occhi, scoprì di non essere solo; Lily era seduta sulla vecchia altalena legata alla quercia secolare che si ergeva tra la sterpaglia e i vecchi attrezzi babbani che Arthur tentava di usare senza successo ad ogni falciatura. Era fornita di sciarpa e una grossa felpa appartenuta a James, a giudicare dai colori accesi nei toni del rosso.
Si guardarono brevemente, poi Tom la raggiunse.
“Ehi.” Disse l’altra con un mezzo sorriso. “Non dormi?”
“Potrei farti la stessa domanda.” Si sedette sul basso steccato, dopo aver spolverato via la neve che vi si era depositata. “Avremo la stessa risposta.”
Lily ridacchiò. “Credo di sì.” Non vi era spensieratezza in quella esternazione e Tom perse la voglia di congedarsi e tornare dentro. “È stata una giornata … beh, trovalo tu un aggettivo, super-cervellone. Sei tu quello con il vocabolario stampato in testa.”
“Non credo esista una parola adatta per classificarla.” Scrollò le spalle e guardò la frangia della sua sciarpa di Serpeverde. Non sua; era tutta spiegazzata.

Ho di nuovo preso quella di Al.
“Già.” Lily si spinse sull’altalena che fece un cigolio forte quanto uno scoppio di incantesimo. Si fermò. “È finita, giusto?”
“Sì.” Convenne guardando verso la Tana. Era completamente immersa nel buio, eppure sembrava più luminosa e calda di una giornata d’estate. Doveva fare quell’effetto avere un posto da chiamare casa. “Ma non era questa la domanda, vero?” Indovinò.
“Sei chiacchierone stasera, Tommy.” Motteggiò l’altra con una piccola smorfia. Poi annuì. “Finirà mai? Voglio dire … questa sensazione schifosa. Come sentirsi scollati dal mondo, intendo.”
Tom capì perfettamente quello che provava; era la stessa cosa che aveva provato per otto mesi a Rügen e che stava sentendo in quel momento.
Sono vivo, non è morto nessuno. Stiamo tutti bene.
Davvero?
Scosse la testa. “Ci vorrà del tempo. Comunque credo di doverti delle …”
“Se mi stai per chiedere scusa ti do un pugno sul naso. Ne ho sentite fin troppe. Per una vita intera, direi.” Lo fermò aggrottando le sopracciglia. E Tom intuì da chi altro le avesse sentite.

“Le mie hanno il pregio di esser vere.”
“Anche le sue.” Ritorse con forza, con rabbia. Non le ribatté. “Non è questo il punto, comunque… È che non servono a niente. No?” Anche stavolta non diede risposta. Non era come se ne fosse richiesta una. “Sai, ho mentito a zio Ron … quando gli ho detto che non ho perdonato Sören.” Riprese. Per l’appunto, era un monologo. Ma andava bene, perché non si sentiva particolarmente loquace. “Non l’ho perdonato, non ancora … ma so che lo perdonerò, prima o poi.” Inspirò con forza, dando un calcio ad un cumulo di neve che aveva scavato davanti a se con un piede. “È … è normale? È giusto?”

“Perdonare? Sì, per fortuna.” Si strinse nelle spalle e un solo nome gli venne in mente; il proprietario al momento dormiva il sonno dei giusti, perché se si fosse svegliato l’avrebbe ammazzato per non essergli accanto a dormire come avrebbe dovuto. “Parlo a titolo personale, come puoi ben immaginare.”
Lily fece un mezzo sorriso, ravviandosi i capelli con le mani. La vide serrare appena le dita sulla cute. “Merlino, che schifo di giornata.” Mormorò facendolo sorridere. L’umorismo era qualcosa che apprezzava profondamente, in Lily. “Tutti a dirmi che è finita, Tommy … ma perché ho l’impressione che sia appena iniziata?”
Sospirò. “Non finisce mai con la morte del cattivo. È una cosa che succede solo nelle fiabe.” E chi poteva sapere meglio di lui? “Ma non dovrai mai affrontare tutto questo da sola. Credo che questo conti qualcosa.”
Non lo siamo, non lo sono. Questo fa tutta la differenza del mondo.

Lily gli sorrise apertamente stavolta. “Puoi giurarci.” Si aggrappò alle corde dell’altalena. “Mi daresti una spinta?” Chiese dal nulla.
La guardò perplesso. “Non abbiamo più cinque anni.”
“Come se l’avessi mai fatto quando li avevamo.” Ritorse, poi il sorriso vacillò. Appena, non si notava neppure, ma successe. Tom non poteva classificare quell’espressione, perché non era una LeNa e non era neppure una persona empatica.

Si staccò comunque dalla staccionata. “Cinque anni…” Borbottò facendola ridacchiare. Però spinse e l’avrebbe fatto anche se non aveva senso, per lui.
Era proprio questo essere umani.
 
 
****
 
 
Bretch Van Der Linde rincasò tardi quella sera. Era certo di essersi dimenticato di dire agli Elfi di lasciare qualcosa in caldo per cena ma dopotutto andava bene così, non aveva fame.
Von Hohenheim era morto. C’era di che festeggiare, ma esser stato un piccolo ingranaggio che aveva contribuito ad innescare quella serie di eventi lo rendeva comunque nervoso.
È normale, è normale vecchio mio… Un buon bicchierino e tutto andrà a posto.
Essere l’informatore della task-force anti-Thule era stato un rischio, ma calcolato; anonimo, puntuale e calcolatore, proprio così. Von Hohenheim andava fermato. E se il pazzo avesse parlato? Averlo fatto prima di lui gli avrebbe garantito un salvacondotto verso l’immunità.
Che gli altri andassero pure al diavolo, lamentandosi e disperandosi della perdita di un mago geniale,  Alberich era stato un pazzo fino all’ora della sua morte ed era stata un’autentica fortuna che fosse morto portandosi i loro nomi.
Sospirò, aprendo la porta dello studio con un colpo di bacchetta; l’indomani mattina avrebbe fatto le valigie, diretto nelle sue proprietà in Sudamerica. Con un po’ di fortuna il suo nome sarebbe sbiadito dalla memoria comune in qualche decennio.
Andò verso il mobiletto di cristallo che ospitava la sua amata collezione di bottiglie di rara stagionatura e si versò un bicchierino di ErbaVerde delle Ardenne, sorseggiandolo con piacere.
Alla tua memoria, Alberich.
Lo sputò immediatamente quando sentì le vie respiratorie chiudersi di colpo. Troppo tardi; l’alcool tracimò dalle sue labbra. Crollò a terra.
Veleno!
Fu allora che vide un’ombra scura, languidamente allungata sulla sua poltrona preferita, quella più vicina al fuoco. Qualcosa era appollaiato sopra lo schienale, come un avvoltoio. No, erano i suoi sensi sconvolti. Era una persona.
“Il buon vecchio Brecht ha sempre le stesse abitudini.” Cantilenò la voce di un uomo, infantile e per questo sballata, inquietante. “Sempre un bicchierino per conciliare il sonno … o la coscienza sporca.” L’avvoltoio si chinò su di lui con un tanfo di tabacco e pessimo whisky. Questo prima che anche il naso smettesse di funzionare, lasciandolo a boccheggiare come una carpa fuori dall’acqua.
“Beh, dovevi aspettartelo vecchio mio.” Rise la voce. “A nessuno piacciono gli spioni.” La voce si allontanò e tornò verso l’altra ombra. “Non è vero, mia regina?”
 
 
 
Inside this cold heart is a dream
That's locked in a box that I keep
Buried a hundred miles deep
Deep in my soul in a place that's surrounded by aeons of silence¹…
 
 
 
 
 
 
****
 
Note:

Trolololo.

Ho fatto la troll fino all’ultimo, ne sono consapevole. *occhi angelici*
Comunque, questa¹ la canzone che chiude la storia.
Ascoltatela, è bellissima, azzeccata e … vabbeh, ho già detto belissimimisisimissima?
Ora, in chiusura…
Che dire, sono stati due anni (due anni!) lunghi e bellissimi. Ad Umbra Lumen non sarebbe stata quello che è se non fosse stato per VOI. Sì, tutte le persone che leggono, disegnano, recensiscono i miei disperati e mi contattano tramite fb. Un grazie immenso, perché non siete il carburante della storia, ne siete Il MOTORE.
I piani per il futuro degli sciagurati … Come ho detto su Facebook, ho intenzione di scrivere il Settimo anno di scuola di Dominique e Violet, una specie di shot estiva e poi, sì, inevitabile: la Terza Parte.
(Dan-dan-dan!)
Sto già lavorando al plotting da un po’, quindi non credo si dovrà attendere molto. Forse addirittura prima di Settembre!
Insomma, diciamocelo: ci sono ancora molte cose da spiegare, no? :P

A presto quindi!

Dira

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