Ipotesi per un ritratto a colori di Aurelia major (/viewuser.php?uid=20934)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 4: *** Parte 4 ***
Capitolo 5: *** Parte 5 ***
Capitolo 6: *** Parte 6 ***
Capitolo 7: *** Parte 7 ***
Capitolo 8: *** Parte 8 ***
Capitolo 9: *** Parte 9 ***
Capitolo 10: *** Parte 10 ***
Capitolo 11: *** Parte 11 ***
Capitolo 12: *** Parte 12 ***
Capitolo 13: *** Parte 13 ***
Capitolo 14: *** Parte 14 ***
Capitolo 15: *** Parte 15 ***
Capitolo 16: *** Parte 16 ***
Capitolo 17: *** Parte 17 ***
Capitolo 18: *** Parte 18 ***
Capitolo 19: *** Parte 19 ***
Capitolo 20: *** Parte 20 ***
Capitolo 21: *** Parte 21 ***
Capitolo 22: *** Parte 22 ***
Capitolo 23: *** Parte 23 ***
Capitolo 24: *** Parte 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 1 *** parte 1 ***
Ipotesi per un ritratto a colori Parte I
Parte 1
" Adesso basta , così non si può andare avanti !" Esclamò
Michiru alzandosi di scatto e allontanandosi precipitosamente la sua camera . E
tanta fu la sua foga che lasciò cadere il libro di solfeggio col quale si stava
esercitando e i suoi lunghi capelli ondeggiarono quasi fossero la criniera di un
leone . Normalmente la sua natura era alquanto mite e accomodante , tuttavia
anche la sua pazienza aveva un limite e questa storia andava avanti già da
troppo ormai .
Fin da quando si era trasferita in quest’istituto , due mesi
addietro , aveva dovuto dire addio alla sua tranquillità e progressivamente
aveva dovuto abbandonare tutte le sue radicate abitudini a causa di una fanatica
del rock ascoltato a volume assolutamente alto ! Per l’ennesima volta si chiese
irosamente perché mai in una scuola esclusiva come questa non facessero dei test
attitudinali per comporre gli accoppiamenti nei dormitori . Perché mai le era
dovuta toccare la malasorte di una compagna di camera rumorosa , sciatta e di
bassa lega ? Magari su questi ultimi due particolari poteva persino essere
accomodante , ma sul rumoroso proprio non riusciva a passarci sopra ! Inoltre
era stufa di doversi esercitare con il violino nella sala da musica fino a tarda
sera , senza contare che le era diventato impossibile dipingere in mezzo a quel
caos , giacché a causa della sua convivente non le era affatto possibile farlo
nella propria stanza . Quindi fu a passo deciso che , ignorando il frastuono
dello stereo che veniva dalla stanza accanto alla sua , si diresse verso
l’uscita della camerata con tutta l’intenzione di andare a protestare presso la
direzione . Aveva provato più di una volta a chiarire quel punto con quella
ragazza , ma visto che le sue rimostranze venivano bellamente ignorate , era ora
di fare un passo risolutivo .
Il dirigente scolastico a cui si rivolse ascoltò molto
comprensivamente il suo problema . Del resto Michiru veniva portata in palmo di
mano da professori e responsabili vari e lo stesso preside aveva molta stima di
lei . Capitava di rado infatti di poter vantare una studentessa altrettanto
brillante , di così bella presenza e che oltretutto si avviasse a diventare una
violinista di primissimo livello . I suoi insegnanti di musica ne erano
entusiasti e quelli di belle arti in misura persino maggiore . In pratica il suo
talento e buon gusto erano fuori discussione , quindi perché correre il pericolo
di alienarsi una persona che fosse così rappresentativa per il buon nome
dell’accademia ? Per cui l’uomo considerò sacrosanta la sua istanza e acconsentì
alla sua richiesta di cambiare dimora .
Oltretutto non si trattava di una pretesa eccessiva , anzi
sembrava addirittura illogico che fino a quel momento le istituzioni scolastiche
non se ne fossero rese conto . Effettivamente miss Kaioh aveva realmente bisogno
di un ambiente silenzioso , spazioso e solare dove poter coltivare i suoi
innumerevoli talenti . Oltre naturalmente ad una compagnia adeguatamente
qualificata che non fosse una qualsiasi ragazzetta che con i suoi bagordi poteva
risultare una fastidiosa fonte di disattenzione . Quindi , quale posto migliore
per lei se non gli appartamenti in cui erano alloggiate le studentesse esterne ?
Nella scuola in effetti si trovavano alcune alunne che erano arrivate per uno
scambio culturale con altri istituti o addirittura dall’estero . E in quanto
tali queste godevano di un trattamento decisamente privilegiato , si trattava
infatti di una specie d’elite cosmopolita cui volutamente veniva lasciata un
largo spazio di privacy e comodità in virtù dei loro meriti superiori .
E così fu che successivamente , dopo averne discusso anche con
gli altri membri della direzione scolastica , onde non fare altri errori in
merito , Michiru venne convocata dal preside in persona il quale le comunicò la
sua nuova sede .
La scelta era caduta su un’allieva proveniente dagli Stati
Uniti , la quale , per via dei suoi numerosi impegni extra scolastici , era
spesso via . Inoltre era particolare risaputo che Haruka Tenou fosse una persona
estremamente riservata e che quindi per lei non poteva affatto essere causa di
molestia .
Michiru graziosamente ringraziò e dopo pochi giorni si trasferì
, anche se inizialmente si ritrovò alquanto disorientata . Non che avesse
qualcosa da ridire sulla momentanea solitudine e quiete , anzi , ma l’aspetto
della sua nuova casa la confondeva .
Se si escludevano infatti le due camere da letto e un angolo
cottura , il resto era tutto un unico spazio aperto , geometrico , razionale ,
scevro da qualsiasi particolare che potesse raccontare qualcosa sulla persona
che lì abitava . Forse gli unici tocchi individualisti che si potevano notare
erano la muntain bike che stazionava nell’andito e il tecnigrafo che stava
accanto ad una delle due scrivanie che si trovavano nella livingroom . Per il
resto non c’erano oggetti che stazionavano , per cui ne dedusse che questa Tenou
poteva essere un soggetto amante dell’ordine oppure che badasse a mantenere la
sala comune pulita mentre nella sua stanza imperava il casino più completo .
Resistette a questa curiosità per un paio d’ore , ma poi non riuscì a
trattenersi e con fare circospetto ( il che non trovava spiegazione giacché era
sola , anche se si sentiva un po’ colpevole nel violare così la privacy di una
persona che neppure conosceva ) s’introdusse nella camera accanto alla sua .
Onestamente rimase un po’ delusa , era così ordinaria ! Un letto , un armadio e
una libreria dov’erano riposti i libri scolastici , neppure lì nessun indizio
che le riportasse qualcosa della persona con la quale avrebbe diviso le sue
giornate . Scontenta se ne ritornò di là accantonando momentaneamente il suo
desiderio di sapere . Solo il lunedì finalmente , e in modo del tutto casuale ,
ebbe modo di capirci qualcosa di più .
Infatti , durante la pausa del pranzo , consumata con un paio
di sue compagne di classe , Ayako intavolò il discorso .
" Sai non t’invidio proprio . " Esordì mentre Michiru restava
con le bacchette a mezz’aria a fissarla interdetta . " Insomma , ti è toccata
una bella grana . Tenou , intendo dire . "
Davanti a questa precisazione la violinista ostentò una falsa
noncuranza , onde non sbilanciarsi troppo e palesare il suo interesse , e si
limitò a risponderle con un’alzata di spalle .
" Non che sia indegna di ammirazione intendiamoci , anzi . I
suoi successi sportivi sono sulla bocca di tutti , ma se solo penso a quella sua
aria da altezza altezzosa , mi viene il nervoso . E credimi sulla parola quando
ti dico che quella è socievole quanto può esserlo un pezzo di ghiaccio ! "
" Andiamo Aya , per te non c’è nessuno immune da critiche ,
magari ti stai sbagliando ." Replicò scettica beccandosi un’occhiataccia dalla
sua interlocutrice che imperterrita continuò nella sua tirata .
" E’ pazzesco Michi , ti sei ficcata in un ginepraio e non te
ne rendi neppure conto . Lascia che ti illumini allora , Haruka Tenou è in
assoluto la persona più scostante e presuntuosa di tutta la scuola . E a memoria
collettiva , nessuno ricorda che abbia fatto mai un solo gesto amichevole verso
il prossimo . Ah certo , non potresti mai accusarla d’inciviltà o maleducazione
, ci mancherebbe . Ma guai ad attraversare il suo perimetro , se solo ci provi
ti riserva un trattamento che ti gela fin nel midollo ! "
" Accidenti . " Fece pensierosa . Poteva essere ? Chissà , del
resto Aya era nota per la sua vocazione all’iperbole , quindi non c’era da fare
troppo affidamento sul suo giudizio . Però generalmente era abbastanza accurata
con le notizie ed i pettegolezzi , per cui si arrischiò a chiedere . " E tu lo
sai perché in questo momento non c’è ? "
" Sai , se tu passassi meno tempo tra i pennelli , i libri e le
note non ci sarebbe bisogno di chiedere , in quanto la tizia è piuttosto
conosciuta . Ad ogni modo ti spiegherò , si da il caso che sia il capitano della
squadra di atletica e che quando ci siano le gare è sempre in giro . In questo
caso comunque si tratta di una delle tante dispense speciali di cui usufruisce ,
poiché recentemente è stata ufficialmente cooptata nella Federazione
Automobilistica Giapponese e presto correrà nel campionato juniores . Quindi si
può assentare come le pare e piace ."
" Pressappoco le medesime licenze , se così le vogliamo
definire , che vengono concesse a me per i festival musicali o le gare della
squadra di nuoto , giusto Aya ? Dovrei dedurne che anche quando parli di me
assumi quell’aria d’indignazione ? " Chiese con candore facendola arrossire
d’imbarazzo .
" Andiamo Michi non prendertela . Nel tuo caso è diverso . Tu
sei un esempio positivo , un idolo qui a scuola e non potrebbe essere altrimenti
. Voglio dire , non ti ho mai visto far pesare i tuoi successi a qualcuno
ostentandoli come un esempio di superiorità o negare una parola gentile se chi
parlava con te non era al tuo stesso livello . La tua grandezza sta anche nella
tua modestia e nella tua amabilità . Tenou invece è una che ci sguazza a stare
in vetta , ma che soprattutto , ci tiene assolutamente che gli altri stiano di
sotto e sappiano che sono inferiori a lei ! Questa è la differenza ."
Non sapendo come replicare alla violenta invettiva , giacché in
fin dei conti non sapeva proprio che risponderle , Michiru lasciò cadere
definitivamente il discorso . Nonostante ciò non poteva negare che il suo
interesse , da latente che era , stava aumentando in modo considerevole .
D’altronde quanto aveva sentito fino a quel momento era in netto contrasto con
l’idea anonima che se ne era fatta giudicandola dall’arredamento .
Nonostante ciò nei giorni successivi fu così presa dalle
lezioni scolastiche e quelle musicali che non ne riparlarono più , finché una
sera , tornando nel suo alloggio , non notò che le luci erano accese .
Presa da un insolito nervosismo prima affrettò il passo e poi
lo ridusse progressivamente fino a fermarsi esitante davanti all’uscio . Aveva
quasi timore d’entrare ... ma timore di cosa ? Non sapeva spiegarselo neppure
lei , quindi , dandosi dell’idiota , aprì la porta e con disinvoltura entrò
.
Per prima cosa le saltò all’occhio un casco nero da
motociclista posato sulla scansia all’ingresso e poi una valigia e un borsone
sportivo buttati in un angolo . Oltre a questi , nessuna presenza umana in vista
. Infine sentì chiaramente lo scroscio della doccia in funzione e , rassegnata a
dover attendere ancora , andò a preparare un po’ di tè per ingannare il tempo .
E fu mentre se ne stava accoccolata a sorbire la bevanda accanto alla finestra
che avvenne il sospirato incontro . Michiru non udì nessun rumore , ma percepì
lo stesso una presenza e voltandosi lentamente si trovò di fronte la famigerata
Haruka
Tenou .
" Alta ... " Pensò subito e , immediatamente dopo , " imponente
."
Ad occhio e croce doveva sovrastarla almeno di una ventina di
centimetri e , rispetto al suo fisico esile , quello dell’altra appariva
decisamente statuario .
" Ciao . " Disse sorridendole cordialmente dopo una pausa di
silenzio durante la quale Haruka si era limitata semplicemente a fissarla .
" Buonasera a te . " Fu la replica alquanto formale che ne
ricevette .
" Ti va una tazza di tè ? " Chiese con un cenno cortese , non
sapendo proprio come gestire la situazione e cominciando a sentirsi un poco
inibita .
" No , grazie . "
Un gesto di diniego , le voltò le spalle , raccolse le sue
borse e per qualche minuto ci fu un andirivieni durante il quale Michiru
immaginò stesse riponendo la sua roba . Caparbiamente indugiò restando dov’era
per avere perlomeno l’occasione di presentarsi come si deve quando avrebbe fatto
nuovamente capolino . Ma mentre ormai la violinista già si stava chiedendo che
diavolo stesse combinando , il clic metallico di una porta che si chiudeva
risuonò distintamente .
" Mm , forse Aya non aveva tutti i torti !" Mormorò tra sé e sé
stranamente risentita .
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Parte 2 ***
RINUNCIA : I personaggi non mi appartengono , li prendo semplicemente in
prestito per un po’ , inserendoli in un contesto alternativo .
2
Il mattino dopo al suo risveglio non ebbe modo di rivederla , poiché a quanto
pareva era già uscita e Michiru ironicamente si chiese se per caso non lavorasse
part - time in una panetteria . A questo pensiero non riuscì a reprimere un
sorrisetto , immaginare Haruka coperta di farina ad infornare pagnotte era
davvero comico . Magari poteva farne una bella caricatura e appenderla nella
bacheca all’ingresso ad uso e consumo dell’ilarità generale! Se lo sarebbe
davvero meritato .
Ad ogni modo una volta entrata nella sala mensa la notò seduta ad un tavolo
un po’ in disparte e da sola . Combattuta tra la stizza per quel che era
avvenuto la sera prima e la volontà di darle un’altra chance , restò a mezza
strada tra lei e il gruppo con il quale si sedeva abitualmente . Alla fine la
strana e inspiegabile attrazione che provava ebbero la meglio e con una faccia
tosta , che davvero non sospettava di possedere , a passi decisi si avvicinò al
tavolo e senza tanti complimenti si sedette .
" Buongiorno ." Esordì col tono di voce di chi non è disposto a farsi
ignorare di nuovo . Haruka levò gli occhi dall’agenda che stava consultando e
per un attimo Michiru ebbe l’impressione che non l’avesse neppure riconosciuta ,
visto lo sguardo indifferente che le indirizzò . Poi vide un sopracciglio
inarcarsi , come se il fatto che le stesse rivolgendo la parola fosse qualcosa
di assai inopportuno , e infine si degnò di mugugnare un saluto di rimando .
" Mi chiamo Michiru Kaioh . E’ un piacere conoscerti ." Insisté prima che
quella potesse rimettere il naso tra le sue carte . " Visto che personalmente so
chi sei , e che non si potrebbe dire altrettanto , mi è parso giusto presentami
." Aggiunse alquanto combattiva .
Haruka sospirò e , ostentando una pazienza che era ben lungi da provare ,
chiuse il taccuino che stava consultando , si appoggiò alla spalliera della
sedia per guardarla ben bene e fece una smorfia annoiata .
" Sono estasiata . Ma , giusto per la cronaca , già avevo sentito parlare di
te . E’ praticamente impossibile ignorare chi sei , giacché qui dentro sei una
specie di reginetta e non si può fare a meno di imbattersi ciclicamente in
individui che tessano entusiasti le tue lodi . Quel che non sapevo è che tra le
tue molteplici abilità vantassi pure una notevole bravura come seccatrice .
Comunque , visto che sentivi di dovermelo dire , mi fa piacere che ti sei tolta
questo peso ."
Detto questo Haruka riaprì l’agenda considerando definitivamente chiuso
l’argomento . Non aveva calcolato che , sotto l’aspetto etereo e la bellezza
rinascimentale , Michiru poteva vantare una testa dura peggio di quella d’un
mulo .
" Senti , perché non dai una mezz’ora di vacanza la sarcasmo ?" Ribatté
intenzionata a non farsi intimidire . " Inoltre esprimi giudizi abbastanza
pesanti per una che in un istituto femminile indossa una tenuta che a tutta
prima mi pare proprio da maschio !"
" Che acuto spirito di osservazione ! I miei complimenti Kaioh . Ma dovresti
ringraziarmi non credi ? In effetti seduta di fronte a me ne risalti ancor di
più , no ? Qualcosa come la bella e la bestia , più o meno ." Affermò
gratificandola con uno sguardo d’aperta valutazione . " Inoltre non c’è scritto
nulla nel regolamento che m’impedisca di farlo e ti confesserò una cosa che
magari non hai notato nella tua immensa perspicacia : molte , tante di quelle
che stanno facendo colazione in questo momento , proprio qui , accanto a te , si
rifanno gli occhi guardandomi ."
" E la cosa dovrebbe riguardarmi ?" Chiese di rimando punta sul vivo . In
effetti doveva ammettere che quella tenuta le donava parecchio , anzi le stava
decisamente da dio , accidenti a lei !
" Tu che dici ? " Chiese inclinandosi verso di lei fino a che i loro volti
rimasero a pochi centimetri di distanza .
" No ! " Fece scostandosi con un sobbalzo .
" Molto bene , quindi non ti dispiacerà se gentilmente ti prego di smetterla
di rompermi le palle . " Concluse piantandola lì e dirigendosi verso la ciotola
dei cereali .
Ormai prossima all’esasperazione Michiru restò inebetita . Ma come si
permetteva quella stangona insolente ?! Chi accidenti si credeva di essere ?
Si alzò a sua volta e andò a sedersi tra le sue amiche , persone che
normalmente non l’avrebbero mai liquidata in quel modo cafone .
Aya la gratificò con uno sguardo complice .
" Visto ? E non lamentarti che non te l’avevo detto ."
" Hai perfettamente ragione , quella è un monolite dalla lingua biforcuta ! E
se solo ci riprovo ad essere cordiale con lei , ti autorizzo a prendere la mia
testa e sbatterla in qualsiasi muro a tuo piacimento !" Replicò ficcando con
livore la forchetta nel piatto che aveva davanti , suscitando in questo modo le
risate di tutte le commensali .
Purtroppo quello era solo l’inizio di una giornata che si dimostrò poi essere
fonte di molte frustrazioni per lei .
Fintanto che durò la lezione di storia infatti , benché continuasse a
ribollire in un brodo di rabbia a causa del comportamento di Haruka , riuscì a
starsene relativamente tranquilla . Ma quando subentrò l’ora di geometria ,
materia che detestava con anima e corpo , e se la vide entrare in classe , i
suoi nervi incominciarono inesorabilmente a risalire . Fino a toccare il culmine
quando , con sfiga dal tempismo perfetto , chiamata alla lavagna , s’inceppò su
un problema senza riuscire a risolverlo . E si sentì morire quando infine il
professore convocò ad assisterla proprio Haruka . La quale , con molta
sufficienza , le tolse il gessetto dalle mani e in due mosse risolse la faccenda
, concludendo il quesito con uno svolazzante " Come Volevasi Dimostrare "
.
Così la bionda se ne tornò al suo posto , non prima però di averle rivolto
uno sguardo d’ironica commiserazione , ottenendo in cambio una bomba carica
d’odio dalle pupille di Michiru , la quale dovette pure sorbirsi una noiosa
reprimenda da parte del docente che l’esortava ad impegnarsi un po’ di più nelle
materie che non erano di suo completo gusto .
Nell’intervallo inoltre oltre al danno si aggiunse la beffa , poiché mentre
pranzava da sola , in quanto era troppo di malumore per sopportare le
chiacchiere frivole delle ragazze , Haruka si prese la briga di sedersi ad un
tavolo non troppo lontano da lei e ad un posto dove fosse ben visibile .
Michiru si chiese a che gioco stesse giocando e decise di ignorarla
totalmente , ma non appena levò gli occhi includendola nel suo campo visivo ,
quella prontamente alzò un tomo di trigonometria e , agitandolo allegramente ,
le indirizzò un ghigno diabolico .
Michiru eroicamente resisté all’impulso di riempirla di parolacce , giacché
il linguaggio da trivio non era tra le sue abitudini , e si dolse amaramente di
aver attaccato bottone a colazione . Per sua fortuna in quel momento
sopraggiunsero le ragazze della squadra di nuoto , venute a reclamare il loro
capitano per gli allenamenti del pomeriggio e la trascinarono letteralmente via
.
Haruka la seguì con lo sguardo finché non fu fuori vista e poi esplose in una
grossa risata .
Nel mentre sopraggiunse una ragazza dai lunghi capelli e dalla carnagione
scura , che scevra di qualsiasi remora nei confronti della pessima reputazione
di Haruka , le si sedette di fronte restando a fissarla in modo interrogativo
per qualche minuto .
" Non ti pare di stare esagerando ?" Chiese con voce pacata .
" Forse , ma mi sto divertendo troppo !"
" Quello che ancora mi stupisce è che di tanto in tanto hai pure il coraggio
di lagnarti perché la gente ti trova odiosa . Hai una faccia tosta tu , che
neppure le sgualdrine vecchie di mestiere posseggono !"
" Andiamo Setsuna , che male c’è ? Sto solo giocando , uno spasso innocente
in una barbosa mattina d’autunno ."
Setsuna Meiou , diplomanda quell’anno , borsa di studio in fisica e
conoscenza di vecchia data , si limitò a guardarla sorniona . Lasciò che un
silenzio improvviso aleggiasse tra loro fino a farlo diventare carico di
significati . Dopodiché lo interrupe con noncuranza , uscendosene con una
conclusione del tutto inaspettata per Haruka .
" Stai facendo di tutto per mettertela contro vero ? "
" Figurati . La sto prendendo in giro e non vedo perché devi andarci a
cercare uno scopo recondito ." Replicò Haruka indifferente dandosi un colpo al
ciuffo che le era caduto davanti agli occhi . E innanzi all’espressione
enigmatica che le si presentava cercò di darsi un tono . Dato che il classico
modo di fare di Setsuna ancora una volta la stava mettendo alle strette . Era
sempre la stessa storia con lei . Arrivava all’improvviso e con un occhiata si
faceva il quadro della situazione , dopodiché serafica , come se niente fosse ,
se ne usciva con qualche commento che non mancava di metterla in difficoltà
.
" Secondo me invece ti piace , anche se neppure te ne rendi conto . " Affermò
dopo qualche minuto di ponderata riflessione . " E proprio perché ,
inconsciamente , temi che potreste fare il botto , preferisci troncare subito ,
prima che le cose si complichino ."
" Ah Suna , la tua visione romanticamente spassionata delle cose mi stupisce
. La cosa è molto più pragmatica , ammetto che è abbastanza carina , ma da qui a
farci tutti questi castelli in aria , ce ne passa . Piuttosto quel che mi da
fastidio è tutta la confidenza che mi da . Punto , fine della storia ."
" Sarà . " Replicò ambigua , poi le sorrise con affetto e preferì cambiare
argomento .
" Come va con la bambina ? " Chiese alludendo alla monoposto da
competizione che Haruka e il suo team stavano equipaggiando in vista dell’inizio
del campionato di formula junior che avrebbe avuto inizio quella primavera .
Alla menzione della sua macchina Haruka s’illuminò tutta , presa da un
genuino entusiasmo che nessuno mai , a parte qualche privilegiato intimo come
Setsuna , aveva avuto modo di vedere .
" Ci stiamo lavorando , purtroppo posso dedicarmi a tempo pieno solo durante
il weekend . Ma dovresti vederla , è uno schianto ! Rossa e bianca ,
un’aerodinamica avveniristica , un motore da urlo ... anche se devo ammettere
che le gomme mi preoccupando un po’ ." Ammise dubbiosa .
" E’ un vero peccato però ." Fece saltando di palo in frasca la ragazza più
grande . " Da quando hai deciso di riservarti a tempo pieno al mondo dei motori
, stai abbandonando progressivamente quello dell’atletica . Continui tanto per
continuare , ma non ci metti più l’impegno di prima . Pensare che col tuo
talento saresti potuta tranquillamente essere inclusa nella rosa dei primatisti
convocati per le prossime olimpiadi . "
" Beh , mica si può fare tutto . Bisognava scegliere e l’ho fatto . Non sono
così idiota da tentare di seguire le due cose contemporaneamente , rischiando di
fallire entrambe . Come sai tengo ad esprimermi al massimo livello in quel che
faccio e disperdermi su due fronti sarebbe controproducente ."
" Già ... in fondo di Michiru Kaioh ce n’è una sola . Lei sì che ne è capace
. Violinista , pittrice , nuotatrice , tutto in una volta e allo zenit . Rasenta
la perfezione oserei dire . E sì perché l’ho sentita suonare , ho visto le sue
opere ed è certezza che lei alle olimpiadi ci andrà .
Forse hai ragione vecchia mia , se la tratti uno schifo non è perché ti piace
, piuttosto perché riesce dove tu non puoi , o vuoi , arrivare ." Concluse con
un tono di sfida che non mancò il segno . Haruka in effetti fece un grosso
sforzo per dominarsi . Setsuna l’aveva proprio messa in trappola , non aveva vie
d’uscita , qualsiasi cosa avesse detto si sarebbe trovata al punto di partenza
.
O ammetteva di essere inferiore a quella ragazzina , cosa del tutto
intollerabile , o , peggio ancora , palesava una fascinazione che non credeva di
provare . E il suo orgoglio le impediva di fare marcia indietro .
" Figurati , se ammettono quella bamboccia , potrebbero benissimo ammettere
me . Anzi , mi accoglierebbero a braccia aperte , persino se corro a mezzo
servizio !"
Affermò determinata , con quella grinta che , quando veniva canalizzata nel
modo giusto , poteva portarla dove voleva , oltre ogni limite .
Setsuna aveva l’espressione del gatto che s’è appena mangiato il topo .
" Vedo che sei molto sicura di te , per caso stai cambiando idea ?"
" Neanche per sogno , intendo continuare per la mia strada . Non devo
dimostrare niente a nessuno , tantomeno a quella principiante ."
" Che parole grosse Haruka ! Non è che davvero inizia a roderti ? " Insinuò
ridacchiando davanti all’espressione sempre più ostile inalberata dalla bionda
.
"E’ un’insinuazione priva di fondamento questa . Evidentemente non mi conosci
abbastanza , se pensi che una sviolinata , una nuotatina e una spennellata siano
sufficienti a buttarmi giù dal piedistallo !"
Concluse criptica e con un che di minaccioso che non faceva presagire nulla
di buono per la povera Michiru …
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Parte 3 ***
3
3
Nel frattempo Michiru era impegnata con le esercitazioni di nuoto della sua
squadra . E , in quanto capitano , doveva necessariamente starsene a bordo
piscina a controllare i movimenti delle sue compagne . Suo ardente desiderio era
quello di tuffarsi immediatamente e godere di quella pace che solo nell’acqua
sapeva di poter trovare . Invece , per il momento , dovette accontentarsi di
dare disposizioni strategiche e suggerimenti vari alle ragazze , badando bene a
non sfogare il suo malumore su di loro . Sarebbe stato meschino infatti
scaricare la collera scatenata da quella maledetta su quelle povere innocenti .
E quando infine poté fare il suo allenamento , la rabbia le iniettò tanta di
quell’adrenalina in corpo che fece dei tempi strepitosi . Raramente la si era
vista mulinare gambe e braccia con tanta foga . Di solito il suo stile era più
elegante che energico ...
Il coach guardandola si fregò tutto soddisfatto le mani , se Kaioh manteneva
questi livelli , alle prossime gare avrebbero stacciato tutti gli avversari !
Quindi tutto contento l’aiutò ad uscire dalla sua corsia e davanti a tutta la
squadra le fece i suoi complimenti , spronando le altre a prendere esempio da
lei .
Certo ce n’era di che andarne fiera , nonostante ciò Michiru continuava a
sentire come un retrogusto amaro dentro di sé . Quello era il suo ambiente e
niente la faceva più felice che nuotare , se poi si ci aggiungeva pure un bel
plauso generale , era inspiegabile . Eppure l’essere stata respinta da Haruka in
quel modo le bruciava ancora e molto . Per la prima volta in vita sua si sentiva
rifiutata e non riusciva a darsene ragione . Continuava a rifletterci sopra e
non trovava nessuna definizione plausibile .
Seguitava solo a rivedere insistentemente quel glaciale e beffardo sguardo
verde con il quale si erano scontrati i suoi approcci amichevoli.
Considerò l’idea d’immergersi nuovamente nell’acqua , affinché potesse
trovare quella quiete che sembrava sfuggirle , ma ebbe seri dubbi che stavolta
si sarebbe concretizzato il consueto effetto . Era troppo turbata per lasciarsi
avvolgere da quel mondo che pure sentiva atavicamente suo . L’istinto glielo
diceva , lo stesso istinto che le faceva avvertire i cambiamenti dell’oceano ,
anche quelli impercettibili . Era un segreto , una consapevolezza che non aveva
mai rivelato a nessuno , ma di cui era certa . Sentiva che il mare la
influenzava , percepiva il suo umore variare con le maree e viceversa , per
questo era restia ad abbandonarsi all’abbraccio dell’acqua della piscina . Era
uno spazio troppo circoscritto e la sua acqua troppo immota per esserle d’aiuto
, solo impetuosità dell’oceano avrebbe potuto pacificare il tumulto che sentiva
dentro .
Ormai si era fatta sera ed era inutile stare ancora lì ad indugiare , sebbene
il calore del luogo avesse un qualcosa di confortante e che la rendeva
riluttante ad abbandonarlo . A rilento si fece la doccia e prendendo la strada
verso casa si domandò come sarebbe finita quella storia . Avrebbe mollato subito
, accettando supinamente quell’ostilità , o avrebbe lottato fino a quando ci
sarebbe stato un epilogo ? Inoltre non aveva nessuna certezza che alla fine la
situazione si sarebbe capovolta secondo i suoi desideri , anzi era più probabile
che arrivassero ai ferri corti prima o che , peggio ancora , Tenou non chiedesse
a sua volta di cambiare stanza .
Triste e sospirosa entrò nell’appartamento buio , evidentemente Haruka aveva
preferito evitare la sua presenza , andandosene preventivamente . Eppure in
qualche modo , ora che era ritornata stabilmente , la sua presenza pareva in
qualche modo permeare l’aria . Magari era solo una sua impressione , causata
dalla fresca brezza autunnale che penetrava dalla finestra . Ma quel posto
rispetto alla settimana prima era vivo , adesso sembrava quasi pulsare , anche
se l’unica traccia visibile della bionda era la pila di libri posata sul piano
dello scrittoio .
Malinconicamente Michiru si preparò la cena e seduta al tavolo con come unica
compagnia la tv , alla quale aveva tolto l’audio , cercò di pensare ad altro .
Riandò con la mente al passato , ai suoi genitori , ai primi concerti , alla
gioia che aveva provato quando per la prima volta aveva materializzato qualcosa
di compiuto su una tela . Ricordò le estati felici di quand’era bambina e si
chiese perché a quello stadio della sua vita non le riusciva più di provare la
medesima gaiezza . Non che fosse infelice , anzi le piaceva pensare di essere
una persona serena ed equilibrata , ma ora come non mai si rendeva conto che
c’era qualcosa che sicuramente le mancava . Benché avesse tante certezze delle
quali erano prive le sue coetanee . Nonostante avesse la fortuna di vedere la
sua strada con chiarezza e d’aver iniziato a percorrerla senza indecisioni .
Maledizione , c’era di che esserne appagata ! Stava facendo esattamente quello
che sognava , quindi che diavolo aveva da affliggersi ?
Scosse la testa esasperata , possibile che fosse così volubile ? Chiunque
altro avrebbe pagato oro per essere al suo posto ! Iniziò a chiedersi se per
caso non fosse una di quelle persone dalla psiche fragile che si creano delle
difficoltà senza ragione apparente , tranne quella di aiutarsi a passare il
tempo . Ma non riuscì a darsi risposta giacché nel mentre la porta si spalancò
ed un Haruka in tenuta da jogging e grondante di sudore le si presentò davanti
.
" Ho visitato cimiteri molto più allegri di questo posto ." Affermò dopo aver
dato un’occhiata in giro e aver acceso le luci .
" Oh scusami tanto ! Ora che lo so , la prossima volta farò in modo di farti
trovare il carnevale di Rio de Janeiro !" Replicò sprezzante .
Haruka ghignò divertita , giacché la battuta effettivamente meritava , e con
noncuranza iniziò a fare stretcing .
" Ah a proposito , mentre venivo qui ho incontrato una tua amica che ,
guardandomi malissimo , mi ha chiesto perché non sei andata a cenare in mensa
."
" Per oggi ne ho avuto abbastanza del resto del mondo ." Rispose secca senza
neppure voltarsi . Aveva testé deciso infatti di trattarla con il medesimo
distacco con cui veniva trattata .
" Come ti pare ." Fu tutto quello che ottenne , dopodiché Haruka stese a
terra un tappetino da palestra e iniziò ad eseguire una serie di addominali .
Michiru non le badava , ma poteva lo stesso sentire il suo fiato farsi pesante a
causa dello sforzo fisico . E innanzi a quell’esempio di volontà le sembrò quasi
imbarazzante starsene inattiva a far finta guardare quel film insulso . Per cui
risoluta tirò fuori un libro di solfeggio e , sempre voltandole ostinatamente le
spalle , prese a cantare lo spartito in tono sommesso. La cosa buffa fu che il
pezzo andante che aveva scelto si adattava perfettamente al ritmo del respiro di
Haruka e che lei stessa vi si era spontaneamente adeguata . Non poté far a meno
di abbozzare un sorriso , chissà che avrebbe detto se l’avesse saputo !
E quando notò che aveva cambiato tipo di pratica , in quanto era passata alle
flessioni , scelse un altro brano , moderato stavolta , che le consentisse di
ripetere quella comunione melodico – ginnica . Anzi cambiò addirittura la chiave
musicale , poiché ritenne che quella di violino fosse troppo alta per
accompagnarsi alla bionda . Già , le si addiceva di più la chiave di contralto .
E infatti , mutando registro , la sincronizzazione divenne pressoché perfetta
.
Completamente ignara di quanto si stava svolgendo accanto a lei , Haruka
terminò il suo allenamento e ,alzandosi dal pavimento con troppo slancio , per
non cadere , compì un mezzo salto che fece fare un bel po’ di rumore . Il che
provocò un visibile sobbalzò alla musicista .
" Ops , scusami . Ti ho fatto paura ? " Le chiese senza l’abituale ostilità .
Chissà , forse era per il fatto che era stanca morta o perché accaldata e ancora
preda all’esaltazione del movimento fisico non appariva glaciale come al solito
.
" Ero soprappensiero ." Fu la risposta risentita di Michiru , non si sarebbe
fatta illudere da quel blando interesse !
" Beh volevo solo rassicurarti che , se stamattina l’ho fatto apposta a farti
fare la figura della tonta , ora non era affatto mia intenzione disturbarti !"
Proclamò incapace di resistere all’impulso di punzecchiarla . Gliel’aveva mai
detto nessuno che quando prendeva quell’espressione risentita e snob era
adorabile ? " Porca vacca ! " Esclamò Haruka tra sé e sé . " Ma che
accidenti vado a pensare !? "
"Ah già , stamattina ." Michiru fece un elegante gesto della mano , come a
sottolineare la trascurabilità dell’evento . " Che la geometria non fosse il mio
forte era di dominio pubblico. E’ una materia talmente banale e fine a sé stessa
! Non c’è soddisfazione per me a recitare a memoria una serie di assiomi con
tanto di dimostrazione . E se proprio devo risolvere un quesito , preferisco un
cruciverba , il quale consente di sfoggiare una cultura molto più ampia . Buon
per te se ti ci riempi la vita , ma io non sono così miserabile da invidiartelo
!" " Toh , beccati questo giraffa presuntuosa ! "
" Non c’è che dire Kaioh , la racconti bene , ma secondo me , qualcuno
qui è ancora incavolato per questa risibile faccenda . " Butto lì divertita
, effettivamente quella ragazzina aveva la risposta pronta .
" Punti di vista , ma a proposito di disturbo , adesso dovrei esercitarmi con
il violino . Naturalmente andrò in camera mia , però si sentirà lo stesso .
Volevo avvertirti , non sia mai che ti rompessi di nuovo le palle ! " Il
riferimento al discorso avuto quella mattina era inequivocabile .
" Per quanto mi riguarda puoi farli tranquillamente anche qui i tuoi esercizi
." Fu la risposta sorprendente che ne ebbe . " La musica non mi disturberebbe
mai come potrebbero le chiacchiere inutili prima di colazione . Inoltre ne ho
abbastanza di fitness per oggi ."
" Quindi le mie sarebbero chiacchiere inutili ?" Chiese aspra fissandola in
malo modo , mentre Haruka per niente turbata andava in cucina e ne ritornava con
una bottiglia d’acqua che vuotò in tre sorsi . " Potrebbe darsi , naturalmente
chiunque altro avrebbe avuto il buongusto di tenersi per sé certe opinioni .
Invece tu non puoi far a meno di dirmelo , vero ? Ci siamo incontrate ieri per
la prima volta , ma credimi , più ti conosco e più sono incline a pensare che
quello che si dice su di te non sia ispirato unicamente da gelosia o cattiveria
."
" Figurati , me l’immagino quello che ti avranno raccontato sul mio conto ."
Replicò Haruka tranquilla , come se la piega assunta dalla conversazione non la
riguardasse , anzi ci stava addirittura prendendo gusto . " Il problema
principale qui è che la maggioranza delle persone è ordinaria . E quando ad un
individuo ordinario gli si presenta un comportamento lontano dal suo abituale
cliché , novanta volte su cento , va fuori di testa ."
" Belle parole , invece di girarci intorno perché non vieni al dunque ?"
"Okay , allora riassumendo , ne risulta che : non sono il tipo che in classe
" fa gruppo " , non mi aggrego a cricche ed evito persino di praticare sport di
squadra . Quindi è chiaro che preferisco la solitudine . Ed è vero . Però
converrai con me che è una cosa insolita e che in molti , magari tu per prima ,
non se ne spieghino la ragione . Succede allora che , messi davanti a questa
anomalia , i più si diano come spiegazione quella più semplice o plausibile .
Ovvero che sono un’asociale presuntuosa e detestabile .
Ora , considerando l’ipotesi che il mio carattere potrebbe anche essere
sgradevole , mi chiedo : è così difficile accettare una natura diversa dalla
propria ? La risposta è sì Kaioh .
L’ho capito da tempo e sono abbastanza onesta da ammetterlo e subirne le
conseguenze. Non m’interessa di uniformarmi ai comportamenti altrui , anche se
questo probabilmente mi renderebbe più simpatica . "
Stupita da tanta loquacità , e dall’innegabile logica di quel discorso ,
Michiru cercò di raccogliere le idee prima di parlare . Voleva dire la cosa
giusta , era un’opportunità unica questa e non voleva fallirla .
" Detto così sembra coerente e quasi , quasi potresti addirittura convincermi
. Ma sei sicura che non ti pesi stare sempre da sola ? Voglio dire , a volte la
linea di demarcazione tra un ostinato orgoglio e la disperazione , è
sottilissima . "
" L’orgoglio non c’entra , solo , non cambierei per gli altri , né pretendo
che questi cambino per me . Inoltre quando sono sola ho la miglior compagnia di
questo mondo ... io ! " Affermò scoppiando a ridere e Michiru non poté far a
meno di unirsi alla sua ilarità , nonostante tutto divertita da quella
altisonante sicurezza in sé stessa .
" Comunque bisogna che guardi in faccia alla realtà Haruka Tenou , tra queste
quattro mura volente o nolente avrai la mia compagnia , quindi è meglio che ti
ci abitui fin d’ora ."
Dichiarò risoluta . Ormai l’aveva capito , non aveva scampo , non ci avrebbe
rinunciato . Giacché in quel piccolo lasso di tempo , durante il quale le aveva
parlato da pari a pari , senza inibizioni , aveva iniziato a comprendere quanto
questa ragazza imponente potesse contare per lei .
" Lo stesso vale per te ." Replicò Haruka criptica e , rendendosi conto di
aver parlato troppo per i suoi standard , preferì troncare lì la conversazione ,
andando a farsi una lunga doccia ristoratrice.
Michiru invece indugiò dov’era , sentiva il bisogno di esprimere quello che
stava maturando dentro di lei . Non poteva farlo a parole , in quanto le parole
sarebbero state riduttive . C’era solo un modo , prese il violino dal suo nido
di velluto e iniziò a suonare . La melodia sgorgava ora rapida , ora lenta e
sinuosa man a mano che le note esprimevano le emozioni provate quella sera . La
malinconia , la rabbia , la speranza , quel germoglio di allegria provati
qualche istante prima ... e finalmente comprese cosa effettivamente sentisse
scarseggiare nella sua vita .
" Sono sempre stata sola . " Sussurrò nel buio della stanza . " E non voglio
esserlo oltre ."
Voltò il capo nella direzione in cui era scomparsa Haruka e lasciò che le
dita e le corde fremessero fino allo spasimo nel suono di una nota prolungata
.
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Parte 4 ***
4
Passarono alcune settimane da quella sera e in qualche modo sembrò stabilirsi
una certa routine . E , anche se il loro rapporto non sembrò progredire più di
tanto , perlomeno Haruka ebbe l’apparenza d’iniziare ad abituarsi alla presenza
di Michiru . Naturalmente non cambiò di una virgola le sue abitudini , però
doveva confessare che le piaceva starla ad ascoltare quando suonava . In quei
momenti si sentiva stranamente rilassata , trovava una pace inconsueta ,
abituata com’era alla vita frenetica di sempre .
Inoltre questa ragazza iniziava ad intrigarla , giacché era diversa da tutte
le altre . Era palese che provasse un interesse marcato nei suoi confronti , del
resto le accadeva sovente , ma Michiru non le sembrava affatto una di quelle
mezze sceme che normalmente si squagliavano in rossori e batticuori in sua
presenza . Né una a caccia di avventure particolari , quanto a questo . Già ,
era davvero singolare .
Quindi in virtù di ciò non assumeva più quell’aria seccata quando se la
ritrovava dinnanzi e , finché Michiru le lasciava i suoi spazi , la convivenza
filava in modo abbastanza liscio .
Dal canto suo Michiru tentava di adeguarsi e procedeva a tentoni come se si
ritrovasse per casa una belva strana ed imprevedibile . Non voleva provocare la
naturale intolleranza di Haruka , per cui frenava la sua spontanea espansività e
la voglia sempre maggiore che aveva di instaurare un contatto con lei .
Il che in pratica voleva dire che evitava di parlarle a prima mattina , dal
momento che aveva scoperto che appena sveglia era più irritabile del solito .
Avrebbe fatto colazione con lei solo se espressamente invitata , evento che
ancora doveva concretizzarsi e che sospettava si sarebbe fatto attendere ancora
. E quand’erano insieme le poneva poche domande , avendo cura di non scendere
mai nel privato , limitandosi a quello che condividevano giorno per giorno .
Ma questa situazione la stava logorando , anche perché , sebbene quando
fossero da sole Haruka avesse la compiacenza di essere abbastanza cortese , per
il resto , in classe , a mensa e soprattutto davanti agli altri , nella
maggioranza dei casi l’ignorava . Per quanti sforzi facesse , Haruka la trattava
esattamente come tutti gli altri . Non le riconosceva uno status privilegiato ,
in quanto sua compagna di stanza e , soprattutto , non le concedeva la benché
minima apertura .
Poteva capitare ad esempio che se la sera prima , chiacchierando del più e
del meno , si erano ritrovate d’accordo su un argomento , la cosa portava
Michiru a credere di aver fatto un passo avanti . Invece poi , se avevano
qualche lezione in comune , la bionda entrava in classe , a stento le faceva un
cenno distratto , si sedeva dall’altro capo dell’aula e il più delle volte non
le rivolgeva neppure la parola . Insomma uno stillicidio e il bello era che per
Haruka era del tutto normale , non si accorgeva affatto di quanto questa
situazione la facesse stare male . Del resto che poteva aspettarsi da una che in
un istituto grande come quello , tra centinaia di studentesse , pareva avere una
sola conoscente intima ? Già perché spesso l’aveva vista insieme a Setsuna Meiou
a scambiare quattro chiacchiere e a ridere tra loro . E si era detta che era
sintomatico il fatto che si trovassero bene tra loro quelle due , In effetti
Setsuna era un’altra dal comportamento atipico , anche lei sempre in disparte e
con l’apparenza di chi non sente il bisogno della compagnia altrui . Due anime
affini praticamente , ma il riconoscerlo non significava accettarlo supinamente
o non esserne gelosa . Sì perché , ogniqualvolta le adocchiava congiunte , si
sentiva prendere dalla stizza , come se la ragazza dalle lunghe chiome la stesse
defraudando di qualcosa . Non era un bel sentimento e se ne vergognava anche ,
nondimeno era incapace a reprimerlo e l’invidia la consumava . Dato che Setsuna
riusciva ad avere con naturalezza un pezzetto di Haruka , cosa che per quanto la
riguardava e nonostante la fatica immane , sfuggiva .
Haruka pareva non notarlo e Michiru non sapeva se la causa risiedeva nel
fatto che non le importasse , oppure perché era talmente presa da non averne la
cognizione .
In effetti teneva un ritmo assai stancante , lo studio , la scuola , gli
allenamenti di atletica oltre al fatto che ogni venerdì sera tornava in città e
si dedicava esclusivamente allo sviluppo della sua monoposto . Non che ne avesse
parlato con lei , sarebbe stato troppo bello , ma i rumors e le indiscrezioni
dal mondo delle corse correvano periodicamente sul filo di internet e Michiru
non poteva far a meno di leggerli .
L’ennesima settimana scolastica terminò e di nuovo si separarono , ognuna
diretta alla propria casa , senza che nulla di significativo fosse accaduto
.
Michiru tornò dai suoi , vide il suo insegnate privato di musica , al quale
durante un diverbio su una particolare esecuzione poco mancò che sfasciasse il
suo prezioso violino sulla faccia , tentò di dipingere , buttando insoddisfatta
tutti i suoi infruttuosi tentativi nell’immondizia e infine telefonò ad una sua
vecchia conoscenza dandole appuntamento per la domenica pomeriggio . Aveva
davvero bisogno di sfogarsi un poco e chi meglio di Elsa poteva capirla ? Erano
amiche da tempo immemore e avevano fatto tutto il corso di studi insieme fino al
liceo , poi le loro strade si erano divise , ma si erano sempre mantenute in
contatto . Quindi fu con genuino piacere che l’abbracciò davanti al caffè dove
si erano date convegno .
Elsa era una ragazza filiforme , dalla carnagione scura , non molto alta ,
dal sorriso contagioso e dalle maniere franche e aperte . Insomma tutto il
contrario della persona della quale le disse Michiru per tutto il tempo .
Infatti , dopo le domande di prammatica , senza indugiare oltre , aprì il
discorso e un’ora dopo ne stava ancora parlando animatamente . Quando infine si
fermò , Elsa le rivolse un sorriso colmo di simpatia e all’improvviso scoppiò a
ridere.
" Non prendertela Michi ." Riuscì a dire poi , dominandosi innanzi
all’espressione stranita della violinista . " Forse non ci hai fatto caso , ma
per tutto il tempo che hai parlato di questa tipa , stranamente non ne hai fatto
il nome ."
" Non ci ho fatto caso , ma anche se fosse , cosa c’è di così comico ?"
" Che ho capito lo stesso di chi stiamo parlando !" Replicò Elsa con una
smorfia compiaciuta . " Del resto non era troppo difficile visto che frequentate
lo stesso istituto , che il ritratto che ne fai è accurato e che per giunta
corrisponde alla perfezione . Piuttosto mi dovrei offendere ! Pare che ti sia
completamente dimenticata che anch’io sono un astro nascente tra le stelle della
corsa !"
Michiru arrossì imbarazzata , rendendosi conto della gaffe . Doveva
riconoscere di non averci pensato affatto , benché il collegamento fosse facile
, se non addirittura immediato. Elsa infatti era una podista di altissimo
livello e , quando erano a scuola insieme , l’aveva vista competere di frequente
. Ma oggi era così presa dai suoi problemi che non aveva affatto messo in
relazione le cose tra loro , facendoci una figura pessima con la sua più vecchia
amica .
" Perdonami , ultimamente non ne faccio una giusta ." Ammise stringendole la
mano a mo’ di scusa .
" Ma dai , non è necessario , succede . Io il mese scorso ho dimenticato il
compleanno del mio ragazzo ! Inoltre , se penso a tutte le volte che ti ho
rintronato con le mie chiacchiere interminabili proprio su di lui ! Non pensarci
cara . E ora dimmi , sto morendo dalla curiosità , è di Haruka Tenou che stiamo
parlando vero ?"
" Precisamente ." Confermò annuendo e , nonostante tutto , con gli occhi che
le brillavano.
" Ci avrei giurato ! Non poteva essere che lei del resto . E’ un peccato che
non si riesca a vedersi più spesso tra noi , altrimenti sapresti senz’altro di
quanti rospi mi ha fatto ingoiare negli ultimi tre anni quella maledetta !"
Michiru fissò la ragazza senza parole , mentre un dubbio le balenava in testa
.
Stai a vedere che magari lei ed Haruka si erano persino incrociate qualche
volta quando era andata a sostenere Elsa prima di una gara ! Poteva essere , ma
se l’avesse vista allora , anche senza conoscerla , se ne sarebbe ricordata
?
Stimolata più che mai Michiru spronò la conversazione in modo che l’amica
vuotasse il sacco .
" Insomma Michi , finché quella non ha messo piede in Giappone , ero la
numero uno nella nostra categoria di velocità . Non c’era adolescente che mi
potesse stare al pari . Poi dall’America è arrivata lei e mi sono ritrovata
relegata al posto di seconda . Ma non è questo il problema , giacché mi rendo
conto che siamo su livelli differenti e che è innegabile . Quel che non riesco a
superare è il fatto che laddove io mi impegno come una dannata , lei sembra
vincere senza sforzo , come se fosse la cosa più naturale del mondo .
In tutte le gare che abbiamo disputato l’una contro l’altra non mi è riuscito
di prevalere , in nessuna occasione . Tu l’hai mai vista all’opera ?" Chiese
d’un tratto e ricevuto un cenno di diniego continuò .
"Peccato , altrimenti ti sarebbe più facile capire . Ma ti assicuro che non
esagero quando dico che è impossibile cercare di starle alla pari . Non so come
spiegarmi meglio , ma è velocità allo stato puro , una scarica d’elettricità ,
praticamente una spanna più su di chiunque altro . Riuscirei ad accettarlo con
più filosofia se non fosse la bastarda strafottente che è . Non che manchi di
lealtà , ma non ha nessuna considerazione per i limiti altrui , dentro e fuori
la pista . Fa venir voglia di metterle le mani in faccia !"
" In effetti so bene di che parli . E’ una persona scostante , anche se non
credo che lo faccia seguendo uno scopo . Insomma , intendo dire , non è
intenzionale , è fatta in questo modo e non c’è niente da fare ."
" Uh , è la prima volta che ti sento fare l’avvocato del diavolo per qualcuno
Michi … mi sa che ci sei finita dentro ad occhi chiusi e piedi uniti !" Esclamò
sorpresa .
" Non esagerare , penso solo che si dovrebbe concederle il beneficio del
dubbio , come a chiunque . " Si giustificò con fare neutrale , anche se le
guance le divennero di un bel color porpora .
" Certo , certo ." Replicò Elsa conciliante , con un ghigno che le andava da
un orecchio all’altro . " Sono d’accordo , ma lascia che ti racconti un episodio
esplicativo .
Un paio d’anni fa all’incirca , disputammo una serie di gare all’interno di
un meeting d’atletica . Nelle prime prove , sui 400 e i 1200 metri già ci
eravamo affrontate e mi aveva regolarmente sconfitta . Restavano solo i 100
metri , la categoria regina , la mia preferita e anche la sua . Ricordo che
eravamo fianco a fianco , lo starter ci diede il via e lei s’involò , da subito
passò in testa . Uno scatto folgorante Michi , ma ad un certo punto stramazzò in
malo modo . Si scoprì poi che nella sua corsia , sotto lo strato di gomma che
ricopriva la pista , c’era un irregolarità , si era creata una crepa e lei ci
era finita dentro col piede bloccandosi . A causa dello slancio la caduta fu
rovinosa , si ruppe il legamento del ginocchio e nell’attimo in cui le passai
accanto vidi chiaramente che stringeva i denti in una smorfia di dolore . Ma non
una lacrima , non un urlo . Finita la gara arrivò l’unità di soccorso e la
raccolsero e neppure in quel momento disse una parola .
Vinsi quella corsa e , presa da un sentimento di lealtà , ma anche di
dispiacere , giacché la mia più grande rivale si trovava in un momento
drammatico , andai immediatamente in infermeria per vedere come stava ed
eventualmente darle una parola di conforto . E sai tutta questa mia premura come
fu ripagata ?"
" E’ molto probabile che ti abbia detto di non romperle le palle ." Rispose
Michiru sospirando . Era proprio nel suo stile .
" Esatto . Chiunque al posto suo sarebbe crollato , ma lei niente , fredda
come una statua , uno stramaledetto tronco di pino !"
" Chissà perché , ma la sua reazione non mi stupisce affatto ." Fece Michiru
sorridendo , ma anche abbastanza triste . " Ma ciò non fa altro che confermare
quando abbiamo detto fin ora , quindi cosa c’è d’illuminante ? "
" Tutto o niente . Devi considerare che la mia è una conoscenza superficiale
e davvero non so che consiglio darti . Allo stesso tempo però conosco te , per
questo mi chiedo se ne valga la pena . E se mi chiedessero su due piedi di
nominare immediatamente una coppia di persone che non hanno nulla in comune
sulla faccia della terra , citerei entrambe ! "
" Non posso darti torto , ma come spiegarti ?" Chiese tentando di farle
capire . C’erano parole adatte per descrivere quello che sentiva ?
" Non c’è bisogno Michi ." Replicò Elsa con uno sguardo d’intesa . "
Nonostante tutto riconosco che Tenou ha qualcosa di speciale e che il tarlo può
attrarre . In fin dei conti , se ci penso , è normale . Anche tu sei una ragazza
piena di capacità ed è ovvio che , incontrando una tua pari , senta una spinta
verso di lei . Può darsi persino che sotto la scorza sia migliore di quanto
appaia . Ma per te sarà una bella faticaccia penetrare le difese della Vichinga
!"
" Vichinga ?! "
" Oh sì , non te l’ho detto ? E’ così che è soprannominata nel giro .
Effettivamente se ci pensi : è alta , è bionda , è scorbutica . Non starebbe
affatto male con in testa un elmo con le corna !"
Elsa scoppiò a ridere e Michiru per un attimo ebbe la ridicola visione di
Haruka , con un paio di corna spropositate sulla testa , vestita di pelliccia ,
con i gambali a pelo lungo e armata di ascia , correre sulla tundra
all’inseguimento di un grosso tricheco ...
Era troppo , la ridarella la prese e non riusciva a smettere . Gli altri
avventori si girarono incuriositi a guardare quelle due ragazze , una più carina
dell’altra , che irrefrenabilmente ridevano tenendosi i fianchi .
E , quando quella sera Michiru rientrò a scuola , comprese appieno quanto le
avesse fatto bene quell’incontro . Non solo aveva rivisto con piacere una
persona cara , ma aveva anche parlato dei propri problemi e ci aveva riso su
.
Anche Haruka era rincasata , la trovò distesa , davanti alla tv sul divano
della sala .
" Ciao , hai passato un buon fine - settimana ?"
" Estenuante ." Rispose stiracchiandosi con voluttà . Si sedette , come per
farle posto , e dopo averla adocchiata chiese : " E tu ? Hai l’aria allegra
."
" Mm le solite cose , però oggi mi sono vista con una cara amica . Tra
l’altro vi conoscete , ti ricorderai di Elsa ."
" Ma certo , Elsa Grey , altresì nota con l’appellativo di Pigmea Statica !"
Rispose Haruka dopo averci riflettuto un attimo .
" Hai una parola buona per tutti eh ? " Chiese Michiru accomodandosi accanto
a lei .
" Beh , visto che da lei mi sono beccata della Vichinga , non vedo perché non
dovrei renderle il favore . Tantopiù , visto che te l’avrà detto di sicuro .
Come se la passa ?"
Stupita dall’interessamento Michiru si voltò a fissarla interrogativa e
Haruka si limitò ad inarcare un sopracciglio .
" E’ tanto strano che lo chieda ? "
" Se devo essere sincera , sì ." La provocò . " Questo trattamento benevolo
non è da te e mi chiedo se ne sarò mai parte ."
" Vedremo , se i risultati di fine anno saranno soddisfacenti ." Motteggiò
bonariamente .
"Comunque sta bene , abbiamo parlato un po’ di te e mi ha raccontato del tuo
infortunio ."
Continuò , preferendo cambiare argomento , infatti si stava inspiegabilmente
innervosendo . Probabile che la sua pazienza stesse per raggiungere il suo
limite invalicabile .
" Già " , l’unica competizione che abbia vinto contro di me ." Buttò lì senza
sapere quello che il suo commento casuale avrebbe scatenato . Infatti Michiru
vide rosso .
" Certo che sei impossibile !" Sbottò d’un tratto . "Lo sanno tutti che sei
grande , un vero e proprio fenomeno ! Ma potresti fare a meno di sbattermelo in
faccia ogni cinque minuti !?"
" Ehi , ma che accidenti ti piglia ?!" Ribatté Haruka esterrefatta da quello
scoppio di rabbia estemporaneo quanto violento .
" Sono stufa ! Sono stanca di te e del tuo ego colossale ! E’ della mia amica
che stai parlando , non potresti essere meno caustica ? "
" Non vedo cosa ci sia d’offensivo , è la verità ." Replicò infastidita , poi
prese un aria consapevole e con un ghigno malizioso aggiunse : " Sindrome pre
mestruale Michiru ? Perché se è così , ti consiglio un infuso con mezzo chilo di
valeriana dentro !"
" Ma vaffanculo Haruka Tenou !"
Fu la replica furente che ne ebbe , dopodiché la violinista se ne andò in
camera sua sbattendo pesantemente la porta .
" Accidenti . " Mormorò la bionda . Ma che diavolo le prendeva ? Certo che
non si sarebbe mai aspettata di sentirsi mandare a quel paese , e in quel modo ,
da quella ragazzina raffinata e composta .
A dispetto di sé stessa ridacchiò , in un certo senso l’ammirava , pochi
avrebbero avuto il coraggio di farlo .
" Bene , bene . A quanto pare non è solo una violinista con un bel paio di
tette ! "
Ne concluse mentre sentiva che l’apprezzamento fisico , unico sentimento che
fino a quel momento aveva provato nei suoi riguardi , iniziava a velarsi di
rispetto .
N.d.a.
A tutti coloro che hanno recensito un sentito ringraziamento , sono davvero
lusingata . Spero solo di non montarmi troppo la testa con tutti
questi complimenti ! Inoltre tengo a precisare che questa fic è parzialmente
edita , nel senso che è tutt'ora in corso , anche su un altro sito . Ed è
per questo motivo che la sto aggiornando così velocemente , il che vuol dire che
una volta rimessa in pari non sarò così celere .
Un abbraccio circolare , Aurelia major .
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Parte 5 ***
5
La notte non portò consiglio e l’indomani Michiru si svegliò ancora
notevolmente alterata .
Del resto aveva continuato a rimuginare a lungo su quel che era accaduto,
ricoprendo altresì d’improperi la bionda e di conseguenza si era addormentata
molto tardi , non prima però di essersi chiarita alcuni concetti .
Innanzitutto non aveva nessuna intenzione di scusarsi .
Era ora di piantarla con quell’atteggiamento remissivo ! La sviliva e non
portava a niente di buono . Al diavolo , di norma erano gli altri che le
correvano dietro e non il contrario ! Fino a che i loro passi non si erano
incrociati era lei la personalità . Anzi La Personalità , con la maiuscola !
La pittrice talentuosa, la musicista eccezionale, l’incantevole nuotatrice .
Erano questi gli epiteti che le venivano tributati sovente. E una che riusciva a
raggruppare su di sé quella sequela di aggettivi lusinghieri, non poteva
perdersi appresso ad una troglodita tronfia di presunzione !
Inoltre, che aveva poi di tanto attraente ? Una bella faccia ? L’estetica
non era mica fondamentale ! Un bel corpo ? Chiunque avrebbe potuto averlo
facendo palestra alla stessa stregua ! Una naturale predisposizione per lo
sport ? Mica era la sola, quella scuola era colma di giovani che eccellevano
nello sport ! Una comprensione repentina per tutto quello che riguardasse la
matematica ? Era sufficiente una calcolatrice, un libro di testo ben scritto
e uno studio costante ! Una natura enigmatica ed intrigante ? Beh a fare
i silenziosi si poteva pure passare per intellettuali profondi, ma poteva darsi
che se ne stesse zitta perché non aveva un accidenti di interessante da dire
!
Tutte balle, fino a quel momento aveva inseguito qualcosa che non esisteva !
Semplicemente i suoi occhi di artista avevano rivestito Haruka di abiti non suoi
. Nella sua immaginazione l’aveva nobilitata, finché, stufa delle sue pose
insolenti, non aveva compreso appieno quanto fosse poca cosa . Forse per questo
era tanto adirata, sì non poteva essere altro che la delusione .
Questo ne aveva concluso e ora non aveva nessuna intenzione di vederla o di
averci un dialogo .
Haruka era di tutt’altro avviso . Innanzitutto era decisamente più rilassata,
giacché aveva dormito saporitamente per sette ore di fila e poi a lei l’accaduto
aveva lasciato una piacevole sensazione di sorpresa . Insomma, scoprire che la
sua interlocutrice aveva coraggio, oltre che un bel corpo, e un cervello di
prim’ordine quanto a questo, gliel’aveva fatta rivalutare . In un certo senso il
vederla meno remissiva, anzi decisamente combattiva, aveva messo pepe al loro
rapporto, poiché fino ad allora le era sembrato una noiosissima partita di
scacchi . Il confronto invece l’affascinava e, adesso che la violinista l’aveva
sfidata sul suo campo, si sentiva disposta a prenderla in considerazione come
individuo .
Di questi complicati processi mentali Michiru non aveva assolutamente sentore
e, quando Haruka entrò in classe e si prese la briga di salutarla per la prima
volta con un cordiale buongiorno, accompagnato da una smorfia quanto mai
affabile, la sua irritazione aumentò vieppiù .
Lo stava facendo apposta ?
Non c’erano dubbi in proposito, una come lei, che operava sempre nel modo
meno opportuno considerate le circostanze, poteva agire in quel modo solo ed
esclusivamente per dileggiarla ! Se una cosa del genere l’avesse fatta non più
tardi di qualche giorno prima, a Michiru sarebbe scoppiato il cuore di felicità,
ma farlo adesso significava solo usare l’ennesima leva per oltraggiarla !
" Perché non la fa finita una buona volta ?! " Pensò sempre di più
indispettita .
Se ne stava a pochi banchi da lei, dominandola con la sua sola presenza e,
quando i loro sguardi s’incrociavano, anche perché Michiru nonostante si fosse
impegnata ad ignorarla, proprio non riusciva ad evitare di lanciarle di tanto in
tanto un’occhiata, si vedeva rivolgere un sogghigno... complice ? No, non era
proprio possibile, era solo la sua immaginazione ! Pure, pareva proprio che
Haruka le stesse dedicando una quantità d’attenzione del tutto inconsueta,
avendo persino l’aria di chi se la sta spassando un mondo .
Confusa la violinista alla prima occasione se la squagliò . Non era facile
restare indifferenti sotto l’esame attento di quelle pupille verdi, né resistere
troppo a lungo all’incanto che sapeva creare con quel suo ghigno storto. Come
faceva con una semplice moina a farti sentire al centro dell’universo ?
Per sfuggire alla sua malia dovette allontanarsi e riordinare i suoi pensieri
. Fortunatamente sopraggiunse l’intervallo e Michiru andò a trascorrerlo nella
corte, che congiungeva due delle quattro ali dell’edificio, per starsene un po’
in pace . In genere quel posto era esclusivamente un luogo di transito e a
quell’ora era deserto .
" Potere di una parolaccia !" Si disse Michiru . Poiché il cambio nei loro
atteggiamenti era sopravvenuto proprio dopo quella, o così pareva .
Ma ripensandoci non poteva limitarsi solo a quello . L’arroganza di Haruka
era troppo intrinseca per riuscire a dominarla con una frase offensiva, ci
doveva essere qualcos’altro sotto . Poteva darsi che l’assaggiare la sua stessa
medicina l’avesse aiutata a comprendere quanto il suo comportamento fosse
deleterio ?
Escluso anche questo, era passato troppo poco tempo . Questa conseguenza
sarebbe stata ragionevole, per una persona ostinata come lei, soltanto dopo sei
mesi di quella terapia d’urto . E allora ?
Ancora una volta le sfuggiva il nesso e, nonostante quello che si era
ripromessa durante le ore notturne, ovvero di evitarla e comportarsi come se non
esistesse, ecco che si stava di nuovo ossessionando ! E dire che la sua forza di
volontà era citata come proverbiale !
D’un tratto Michiru sentì un fischiettio, accompagnato dal suono ritmico di
passi, che si avvicinava . Risuonava distintamente sotto le volte del peristilio
che girava attorno al cortile interno della scuola e il rumore aveva origine
dall’entrata che si apriva sull’altro lato, quello direttamente di fronte a lei
.
Michiru voltò il capo in quella direzione sperando, e al contempo temendo,
che fosse chi lei avrebbe voluto che fosse .
E in risposta ai suoi desideri inconsci ecco che sull’uscio apparve Haruka .
La quale , con le mani in tasca e l’aria impertinente di chi sa di essere nel
torto, ma è consapevole di potersela cavare lo stesso, le fece l’occhiolino .
Dopodiché per un attimo sembrò incerta se proseguire verso la musicista o no .
Alla fine optò per la parte opposta e, girando attorno al quadrato lentamente,
spariva e si riappariva nel vano delle aperture lasciate dall’alternarsi delle
colonne . Ad un certo punto si fermò all’angolo, l’ultimo prima di raggiungerla,
e il suono del suo fischio cessò .
Michiru, che aveva seguito tutta la scena rapita, trattenne il fiato quando
non la vide sbucare e il silenzio si rifece completo . Poi , a dispetto di sé
stessa, non riuscì a reprimere l’impulso e si affacciò trepidante verso il cono
d’ombra dov’era scomparsa .
A quel punto, con tempismo perfetto, Haruka svoltò l’angolo, allargò le
braccia e con aria teatrale iniziò ad avvicinarsi lentamente canticchiando : "
Fammi quello che vuoi ... indifferentemente ! Tanto lo so che per te ... io
per te non son più niente ! E dammi questo veleno , non aspettar domani ...
perché , indifferentemente , se tu mi uccidi , io non ti dico niente ! "
E su quest’ultima strofa le si parò davanti, le fece una inchino caricaturale
e, con un’incomparabile faccia di bronzo, incrociò le braccia in attesa
uscendosene con : " Che facciamo ? Hai intenzione di tenermi il broncio ancora a
lungo ? "
Michiru la valutò da capo a piedi con un cipiglio truce, doveva farlo,
altrimenti non sarebbe più riuscita a dominare la voglia di scoppiare a ridere
che le stava crescendo dentro . Inoltre non poteva fargliela passare liscia con
tanta facilità ! Se avesse capitolato adesso Haruka si sarebbe persuasa
definitivamente che poteva trattarla secondo il suo capriccio, mettendole i
piedi in testa quando le pareva . E non era questo che voleva Michiru . Voleva
il suo rispetto, oltre che la sua ammirazione . E poi valeva il gioco
dell’alternanza, giacché Michiru riteneva che fosse giusto che Haruka
rispettasse il turno . Ora toccava a lei patire correndole dietro ! E nel caso
in cui non fosse stata disposta a farlo, allora poteva finalmente allontanarsi
da lei e considerarla una parentesi illusoria .
Quindi si contenne in modo ammirevole, sollevò il volto in modo regale,
giusto quel tanto che sottolineasse adeguatamente la differenza che passa tra la
nobiltà e la plebe, e per tutta risposta prese ad allontanarsi senza degnarla di
una parola .
La bionda, incredula e indecisa sul da farsi, la seguì con lo sguardo finché
non fu sotto l’arco della porta, dopodiché parve scuotersi .
" Ehi Kaioh ", le gridò dietro a mo’ d’avvertimento, " se te ne vai adesso, è
escluso che mi torni tra i piedi di nuovo, chiaro ?"
Michiru, senza neppure voltarsi, le fece un gesto con la mano al di sopra
della spalla, una mossa che voleva chiaramente star a significare quanto poco le
importasse . E tutta soddisfatta di sé tornò in classe sentendosi meglio, molto
meglio . Le ritornò persino l’allegria e per il resto del giorno fu di un tale
brio che contagiò tutti . Poiché, soprattutto quand’era di quell’umore, era
meraviglioso starle accanto .
Haruka invece, terminate le sue lezioni, preferì evitare ulteriore compagnia
. In un certo senso questa poteva persino essere interpretata come una forma
d’altruismo verso l’umanità, visto che il suo umore era assassino e che avrebbe
reagito in modo estremamente violento alla minima piccolezza . Per cui, onde
evitare spargimenti di sangue, fece l’unica cosa che avesse il potere
d’impegnarla al punto da non dover pensare affatto . Andò a cambiarsi, prese la
mountain bike e iniziò a muoversi velocemente pedalando come una forsennata . In
un baleno uscì dalle mura dell’edificio e si diresse verso le colline che
circondavano la cittadina . Come un treno s’impegnò nell’impresa di arrivare in
cima alla più alta e scalò molte ripide salite prima di fermarsi a riposare
sulla sommità della vetta .
E solo una volta lì, da sola, senza occhi indiscreti che la contemplassero,
diede sfogo a quel che sentiva . In effetti dentro di sé stava ribollendo .
Quanto era volubile quella ragazzina, accidenti a lei ! L’aveva tampinata per
settimane ! Proponendosi, offrendosi come amica , illudendola con le sue premure
e abituandola alla sua presenza ! E ora che faceva ? Quando infine le aveva dato
una possibilità, una chiara offerta d’armistizio, la respingeva in quel modo ?!
Senza neanche la soddisfazione di una litigata poi, con eleganza, compostamente
. Avrebbe preferito che le avesse urlato dietro, che l’avesse ingiuriata
pesantemente, nel qual caso infatti avrebbe potuto risponderle . Ma così no !
Era una perfidia bella e buona privarla della possibilità di avere l’ultima
parola !
Haruka diede un calcio stizzoso alla terra, sollevando una discreta quantità
di terriccio umido, e con malagrazia strappò la bottiglia d’acqua da suo vano
sulla canna della bici . Bevve avidamente placando la sete e, una volta finito,
si guardò attorno immergendosi nei colori del crepuscolo autunnale . La
pacatezza della scena parve darle una parvenza di calma e iniziando la discesa
finalmente venne ad una risoluzione .
" Questa è una partita che possiamo giocare in due bellezza ." Pensò scalando
le marce con movimenti scattanti . " Per il momento avrai pure segnato un punto,
ma se voglio posso farti ballare, al ritmo che dico io, fino a quando non
m’implorerai di smetterla ! " Minacciò dischiudendo le labbra in un ghigno
diabolico...
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Parte 6 ***
6
Dopo quell’episodio, pur prevedendo tuoni e fulmini, stranamente le cose tra
loro non sembrarono complicarsi . Il che diede a Michiru molto da pensare, si
era aspettata infatti che Haruka potesse farle qualche ritorsione o che
addirittura adottasse misure drastiche . Invece, con sua grande sorpresa, la
bionda non solo già il giorno dopo parve avesse dimenticato l’episodio, ma
addirittura appariva serafica . Come se gli avvenimenti, e il non trascurabile
fatto che il suo famoso orgoglio fosse stato calpestato e vilipeso, non la
toccassero affatto .
Naturalmente, con sommo dispiacere di Michiru, l’impercettibile accenno di
cordialità e attenzione che le aveva mostrato precedentemente tornarono
nell’oblio, ma tolto questo, regnava una pace inconsueta . Pareva una tregua, ma
in effetti non lo era, piuttosto la si poteva definire stasi, un raccogliere le
energie prima della ripresa delle ostilità .
Michiru ne aveva la precisa percezione, la chiara sensazione che ci fosse
qualcosa che non quadrava . Poiché, per quanto poco potesse conoscere Haruka, le
suonava comunque strana la sua mancanza d’iniziativa . Non era affatto da lei
subire un chiaro insulto alla sua personalità e restarsene inerte. Come le aveva
detto Aya ?
Che era capace di sfoderare un comportamento tale da gelare fin nel midollo.
Quindi chi o cosa l’aveva fermata in questo frangente ?
Michiru nutriva seri dubbi che fosse per un riguardo verso di lei o per un
agente esterno, tipo l’intervento moderatore della sua diletta Setsuna.
Innanzitutto immaginava non ne sapesse nulla, inoltre sarebbe stata in grado di
fermarla ? Sospettava infatti che una volta lanciata la bionda poteva essere
inesorabile come una catastrofe naturale .
E allora, cosa impediva ad Haruka di trattarla come si meritava ? Perché non
agiva con ripicca ? Sarebbe stato lecito, oppure riusciva ad essere tanto
superiore da metterla da parte senza avere neppure la tentazione di fargliela
pagare ?
" Perché non mi fa assaggiare la sua stramaledetta vendetta ?!" Si
chiese per l’ennesima volta, tanto era snervata dal quella faida muta .
Qualora l’avesse fatto avrebbe potuto chiarire la situazione con lei e le
avrebbe dato la possibilità di ricominciare da dove si erano fermate . Invece
eccole lì, con Haruka che si trastullava a fare l’irreprensibile che dimentica,
ma non perdona, e lei che non poteva ripiegare dall’atteggiamento assunto, pena
perdere quel briciolo di dignità che ancora le restava ai suoi stessi occhi e a
quelli di quella dannata testarda !
Insomma adesso tutto dipendeva da quel che Haruka avrebbe fatto, giacché , se
pure si fosse cosparsa il capo di cenere e avesse retrocesso dai suoi passi,
mendicando quanto precedentemente le era stato offerto, era certa che la bionda
avrebbe respinto le sue profferte con il più strafottente dei comportamenti .
Già se la figurava, un ghigno di sufficienza, uno sguardo beffardo e sarcastiche
parole come premio alla sua richiesta d’indulgenza !
" Eccola là ", pensò Michiru , dopo alcuni giorni di quell’andazzo,
indirizzandole uno sguardo carico di risentimento, " vorrei proprio sapere da
dove le viene quell’aria tutta soddisfatta !"
In effetti Haruka aveva decisamente l’espressione placida ed indolente del
leone che ha appena finito di papparsi, con molto gusto, una gazzella saporita .
Doveva ammettere tra sé e sé che una volta tanto il placare la sua naturale
irruenza era stata una scelta positiva.
Liquidare quella ragazzina subito e con clamore sarebbe stato un balsamo per
la sua rabbia, ma senz’altro una soddisfazione effimera, del tutto momentanea .
Invece, tessendo la sua tela con pazienza e precisione stava creando
un’atmosfera che andava caricandosi sempre di più . Era chiaro che Michiru era
sul chi vive e che si aspettava da lei una rivalsa, di qualsiasi natura essa
fosse . E il prolungare allo spasmo la sua attesa, l’ansia che le torceva le
viscere, vederla in stati d’animo contrastanti, era molto più stimolante !
" Una batosta è sempre dura da sopportare ." Ponderò con filosofia mentre la
osservava con la coda dell’occhio tormentarsi con le dita una ciocca setosa nel
suo banco in prima fila . " Ma se riesci a creare un’aspettativa, se dai origine
ad un clima, allora puoi far anche impazzire una persona ..."
Si adagiò comodamente sulla sedia allungando le gambe in avanti e continuò a
fissarla con interesse . Era palese solo ai suoi occhi o anche gli altri si
stavano accorgendo di quanto fosse distratta ed eccitabile in questi giorni la
celeste Michiru ? Aveva perso l’appetito, sbagliava persino le scale più
semplici delle sue ripetizioni musicali e in piscina stava rendendo pochissimo,
con grande costernazione degli educatori che la seguivano . Oltre a ciò il suo
comportamento era assolutamente lunatico, triste un momento, forzatamente briosa
nel successivo e aggressiva in quello immediatamente dopo .
Insomma si vedeva che era confusa . Sere prima quando se n’era andata dalla
stanza comune con ostentazione, mentre Michiru stava accingendosi a fare i suoi
esercizi serali, gli stessi che fino al casus belli, lei Haruka, aveva
ascoltato con evidente piacere , per poco non era scoppiata a piangere . Aveva
chiaramente notato che si era morsa il labbro abbassando gli occhi addolorata e
lì un po’ di rimorso l’aveva presa, ma poi aveva rivissuto mentalmente il
momento in cui le aveva buttato il suo rifiuto in faccia e, ostinata più che
mai, aveva proseguito imperterrita per la sua strada .
Ma era il caso di applicarsi tanto su una quisquilia come quella ? In
effetti, pensandoci a mente fredda, le aveva complicato la vita abbastanza e
poteva ritenere il suo orgoglio soddisfatto . Eppure sembrava che un diavoletto
dispettoso ballasse ai margini del suo buonsenso, ricordandole in continuazione
che non gradiva affatto come quella ragazzina la facesse sentire e ancor meno
quanto poco le erano piaciute le parole che Setsuna aveva avuto riguardo a loro
due . Non desiderava coinvolgimenti, ma non voleva neppure sentirsi surclassata
.
La talentuosa violinista ! L’incomparabile pittrice ! La campionessa di nuoto
!
Quante volte aveva sentito tessere le lodi di quella principessina ricca e
viziata ? D’accordo poteva concederglielo, a conoscerla si comprendeva che non
era una snob e che s’impegnava con metodo ed umiltà per avverare i suoi sogni .
Ma che la sua più cara amica, colei che sapeva esattamente da quale ambiente
provenisse, l’unica a cui avesse mai confessato la rabbia che la consumava per
lo stato frustrante della sua nascita, la esaltasse era inconcepibile . Quindi,
considerata pure la sua imprevidente debacle, gliel’aveva giurata . Si sentiva
morire dalla vergogna, e dalla rabbia, per la sua evidente stupidità
ogniqualvolta ci ritornava sopra . Come aveva solo potuto pensare di
accattivarsela ? Haruka Tenou che briga per conquistare una marmocchia ?
Inconcepibile !
Anzi, riflettendoci, non gliel’aveva fatta ancora pagare abbastanza !
Forse quello era il giorno sfortunato di Michiru, oppure il caso ha più
ironia di quanto s’immagini, fatto sta che, mentre quest’ultima spasimava e
Haruka si avvelenava nei suoi umori astiosi, fece il suo ingresso il professore
di matematica annunciando una bella verifica a sorpresa, per la costernazione
delle studentesse tutte .
D’abitudine i test erano divisi da persona a persona, in modo tale da
impedire che gli alunni seduti vicini potessero aiutarsi a vicenda, e la sorte
volle che ad Ayako capitasse lo stesso quesito che aveva Haruka .
La bionda risolse il suo in tempi brevi, inutile aggiungere che lo trovava
persino noioso per quanto fosse facile da risolvere, umore questo assolutamente
non condiviso dalle sue compagne di classe . Ad ogni modo, mentre aspettava che
le altre finissero, ammazzando il tempo pigramente, atterrò sul suo banco una
pallottolina di carta che ovviamente non era destinata a lei . Levò lo sguardo e
vide chiaramente Ayako mettersi le mani in faccia per il disappunto e
indirizzare ampi cenni di malumore verso l’autrice del maldestro lancio . E qui,
all’intuizione di quanto ancora poteva fare per turbare la pace della povera
Michiru , un ghigno astuto stirò le labbra di Haruka .
Quindi con estrema disinvoltura aprì l’involto e , dandogli un’occhiata
,rapidamente lo corresse , dopodiché lo arrotolò di nuovo . Poi si voltò verso
la persona a cui originariamente era destinata e con un lancio dalla parabola
precisa glielo tirò , facendole persino l’occhiolino quando Ayako la fissò
stupefatta .
In effetti questa , alla vista del suo prezioso suggerimento che finiva tra
le grinfie di quell’infame di Tenou , si era aspettata nella migliore delle
ipotesi che lo stracciasse e nella peggiore che la svergognasse davanti a tutte
denunciandola al professore . E invece quell’essere imprevedibile non solo non
aveva fatto nulla di tutto ciò , ma l’aveva altresì soccorsa . Una vera manna ,
poiché era cosa nota che Tenou fosse un vero genio in tutte le materie
scientifiche , con particolare predilezione per l’aritmetica e la geometria
.
A Michiru questo amabile siparietto sfuggì , ma finita la verifica , rimase
con mezzo metro di bocca spalancata per la meraviglia , quando udì e vide quel
che stava accadendo a pochi metri da lei .
Si era ormai all’intervallo per il pranzo e Haruka si era alzata per
andarsene , ma mentre stava transitando volutamente accanto ad Aya , che sedeva
immediatamente dietro alla violinista , venne fermata proprio da questa .
" Mm Tenou , volevo dirti semplicemente grazie ." Balbettò diventando rossa .
Michiru si girò con un sobbalzo sulla sedia a fissarla interdetta , giusto in
tempo per veder balenare un sorriso a trentadue denti da parte di Haruka .
" Ma ti pare Kobayashi ?" Replicò sfoderando tutto il suo charme , cosa che ,
non mancò di notare Michiru indispettita , fece arrossire ancora di più Aya . "
In fondo quel foglio non era diretto a me ."
" Non mi riferivo solo a quello ." Fece la ragazza in un mormorio imbarazzato
. " Non solo hai tenuto per te la cosa , ma hai persino corretto tutti gli
errori che c’erano ! Ti ringrazio dal profondo del cuore Tenou ." Concluse
veemente , facendo un mezzo inchino , ma ancora senza osare di levare il capo
.
" Andiamo , andiamo , tira su quella testa Ayako ." L’esortò Haruka
chiamandola confidenzialmente per nome , cosa che non aveva mai fatto , intanto
che l’attenzione degli astanti iniziava a farsi desta . Quindi , accorgendosene
, abbassò la voce , ma non tanto da impedire che Michiru l’udisse , e continuò :
" Un aiuto completamente sbagliato non lo è affatto . Inoltre temo che chi te
l’ha mandato avrà un voto pessimo . Per cui , visto che stavi correndo un
rischio , ho fatto in modo che almeno fosse per un motivo valido ! " Aggiunse ,
badando bene di non apparire troppo condiscendente o superba , infine , prima di
prendere commiato , si accinse a dare la pennellata finale , il cosiddetto tocco
da maestro.
" Comunque , onde evitare rischi , ti consiglio di dedicarti alla materia un
pochino di più . E se hai bisogno di una mano , qualche volta possiamo persino
studiare insieme , se ti va ovviamente . Buona giornata a voi gentildonne
. "
Concluse buttandosi negligentemente la borsa dei libri sulla spalla e , prima
di andarsene lanciò una divertita occhiata circolare a tutte , ivi compresa
Michiru , che per inciso fino a quel momento era stata volutamente esclusa dal
suo campo visivo .
Uscita Haruka , le presenti iniziarono a mormorare contemporaneamente tra
loro sul quell’avvenimento insolito . Da due anni che era lì Tenou non si era
mai fermata a parlare con qualcuna di loro e il fatto diventava ancora più
memorabile se si pensava che era apparsa così rilassata , completamente aliena
dalla sua nota scontrosità . In secondo luogo era ancora più strano perché le
sue attenzioni si erano rivolte ad una ragazza insignificante come Kobayashi
mentre l’eclettica Kaiou , che pure era la sua compagna di stanza , era stata
totalmente ignorata !
Sorda a quei commenti Aya restò imbambolata ancora per un momento , ma non
per molto . Infatti Michiru , che invece aveva sentito benissimo dove stavano
andando a parare le chiacchiere di quelle arpie , la tirò fino al corridoio ,
affinché avessero un minimo di riservatezza , e le si piazzò di fronte con le
mani appoggiate sui fianchi , in un atteggiamento che non lasciava presagire
nulla di buono .
" Da quanto in qua tu e Altezza Altezzosa siete così in confidenza ?" Chiese
seccata . Ma non era arrabbiata con Aya , affatto , gli strali della sua collera
andavano tutti in un'unica direzione , poiché aveva inteso benissimo a che gioco
stava giocando Haruka e non voleva che una sua amica venisse coinvolta in quel
gioco al massacro .
" Sono stupita quanto te ." Ammise Aya infine scuotendosi , ma senza potersi
impedire di continuare a sorridere raggiante . Cosa che fece vedere a Michiru
ancora più rosso .
" Non avrei mai immaginato che potesse esser così ... così ..."
" Subdola ?" Consigliò Michiru fissandola con cipiglio severo . " Sveglia Aya
, l’hai detto tu stessa e non più tardi di qualche settimana fa , che Haruka
Tenou è un tipo da prendere con le molle ! Oppure credi che all’improvviso abbia
scoperto la tua innata simpatia e ne sia rimasta folgorata ?"
" Però resta il fatto che mi ha dato una mano ! Francamente Michi , i miei
voti in matematica fanno schifo , un’altra insufficienza e me la sarei vista
brutta . Invece guarda un po’ che succede ? Forse non è fetente come immaginavo
, comincio a pensare d’averla giudicata in modo troppo frettoloso ..."
" Eh sì , adesso mi diventa un angelo caduto dal cielo !" Sbottò la
violinista esasperata e ancora una volta tentò di essere ragionevole per il bene
di entrambe . Ci teneva alla loro amicizia e non intendeva comprometterla .
" Aya rifletti , in condizioni analoghe credi che sarebbe successo ? Al
massimo ti avrebbe ributtato quel foglio , ma di certo non si sarebbe presa la
briga di fare quel gesto magnanimo , seguita da quella pagliacciata subito dopo
! Ha uno scopo , lo sta perseguendo e tu non c’entri nulla ."
" Quindi non devo montarmi la testa , vero Michi ?" Replicò rabbuiandosi ,
reagendo proprio come Michiru non voleva , ma esattamente come aveva calcolato
Haruka .
" Sarebbe normale se fosse successo con te , giusto ? Tu sì che hai le carte
in regola , mentre se capita a me è il frutto di chissà quale contorta strategia
! "
Davanti a questo atteggiamento Michiru perse le staffe . La reazione di Aya
la faceva sentire tradita , era mai possibile che tutto il loro feeling , il
cameratismo che fino a quel momento avevano condiviso potesse essere spazzato
via dalle momentanee affettazioni di quella maledetta ? A tal punto era potente
il suo fascino sulle persone ?!
" Aya cerchiamo di essere pratiche . Non voglio ferire i tuoi sentimenti , ma
prima che le cose si complichino ancor di più , devi capire . Se io oggi non
fossi stata in classe , non sarebbe successo niente . E’ a me che vuole arrivare
, ha fatto la brillante con te solo ed esclusivamente per fare un dispetto a me
." Tentò di spiegarle , dominando a stento il risentimento . Purtroppo sbagliò i
tempi e i modi e , soprattutto , ormai il carisma di Haruka aveva fatto
inesorabilmente breccia .
" Invece sai che penso ?" Le chiese la ragazza con altrettanta animosità . "
Che è solo egocentrismo bello e buono ."
" Sai cosa Aya , magari hai ragione . In ogni caso è meglio che per il
momento me ne vada , altrimenti direi cose delle quali poi ci potremmo pentire
entrambe . "
Affermò perentoria , dolente che l’altra non dicesse nulla per fermarla o
riconciliarsi . Quindi risoluta girò sui tacchi e prese a marciare rapidamente
alla ricerca dell’oggetto della loro discussione . Per la prima volta in vita
sua sentiva forte l’impulso di menare le mani .
" Giuro su dio che appena la trovo la prendo a calci in culo !"
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Parte 7 ***
7
Forte di questa risoluzione Michiru si diede a rastrellare da cima a fondo
l’istituto in cerca della bionda , ma per quanto si fosse data da fare per
trovarla , per il resto del giorno Haruka risultò irreperibile . Non che stesse
sottraendosi di proposito , lungi da lei evitare uno scontro , ma siccome le
classi erano ben lontane dall’essere terminate , oltre al fatto che entrambe
avevano i loro impegni , venne sera e ancora la violinista era in attesa di
dirle il fatto suo .
E quando finalmente la scovò , in modo del tutto fortuito , era un qualcosa
di molto simile ad una bomba in procinto di scoppiare .
Gli avvenimenti quel giorno infatti non avevano fatto altro che precipitare
sempre di più , non solo c’era stata quell’irritante faccenda con Ayako , che da
sola sarebbe stata più che sufficiente . Ma Michiru venne anche convocata da un
drappello nutrito d’insegnanti , i quali le espressero accoratamente la loro
viva preoccupazione per il suo calo di rendimento . E per lei , che normalmente
veniva additata come esempio da seguire e che veniva considerata dagli stessi la
punta di diamante della scuola , il doversi giustificare imbastendo una scusa
plausibile , era stato quanto mai mortificante . Senza contare che avevano
ventilato finanche l’ipotesi d’avvertire i suoi genitori , nel caso in cui la
sua resa scolastica non fosse tornata rapidamente al top .
Prospettiva tutt’altro che piacevole , Michiru già poteva immaginarsi la
reazione burbera , ma almeno conciliante , di suo padre e quella sicuramente
isterica , punteggiata di lamenti recriminanti , di sua madre . Da lei
pretendevano la perfezione e neppure la minima mancanza era tollerata !
Purtroppo la sgradevole faccenda non terminò lì , giacché la stessa solfa si
ripeté a bordo - piscina con l’istruttore di nuoto . Cosa che , se pur possibile
, le fece ancora più male . Per Michiru infatti il rapporto speciale che aveva
con l’acqua era un punto cardine , qualcosa che andava al di là della
ragionevolezza , sfociando nel metafisico . E , il constatare che la comunione
quasi mistica che aveva con il suo elemento vitale poteva star progressivamente
scemando , la fece sentire smarrita e abbandonata .
Dopodiché , come se non fosse abbastanza , venne la finale ciliegina sulla
torta .
Infatti ebbe un acceso diverbio con le sue compagne di squadra , le quali ,
fattesi audaci e postala innanzi alla forma francamente poco smagliante avuta
dell’ultimo periodo , non intendevano sopportare oltre le aspre reprimende cui
Michiru riservava loro qualora facessero qualche errore .
Insomma una giornataccia . Pareva che nessuno credesse più in lei e nei campi
dove fino a poco prima aveva fulgidamente brillato , adesso stava decadendo .
Persino la sua migliore amica sospettava che la sua sollecitudine non fosse
altro che uno specchietto per le allodole atto a nascondere uno scopo recondito
. Senza dimenticare che tra tante sciagure doveva annoverarci anche un Haruka
fermamente piantata sul piede di una logorante guerra psicologica !
Facile intuire quindi l’alto tasso d’infiammabilità potenziale dello stato
d’animo di Michiru quando , uscendo dall’aerea che dalla piscina s’immetteva in
quella della palestra di ginnastica , incontrò per i corridoi Haruka . La quale
procedeva tutta azzimata e a passo elastico verso la sala da spinning .
Aveva indosso una tenuta da ciclista e la sua struttura fisica risaltava
splendidamente in quell’abbigliamento attillato , il che , unito al ghigno di
superiorità che le rivolse , fu per Michiru la classica goccia che fa traboccare
il vaso .
" Che aria da cane bastonato Kaiou ! " La salutò mordace con evidente intento
di provocazione e , avendo notato che nel frattempo stavano sopraggiungendo le
altre nuotatrici , aggiunse : " Non mi dire , spogliandoti per metterti quel
costume ridicolo , hai scoperto di avere dei cuscinetti di cellulite ?"
" Nel qual caso sarebbe stato meglio ." Ribatté Michiru fregandosene
altamente di chi poteva udire e fissandola freddamente , in un modo tale che
Haruka involontariamente rabbrividì . Di norma quella era la sua specialità , ma
a quanto pareva la marmocchia aveva ben appreso il metodo .
" La scoperta del giorno Tenou è che , se ancora avevo qualche dubbio
sull’evidenza , adesso ho realizzato appieno quanto tu sia inequivocabilmente
una bastarda senza cuore che approfitta delle debolezze altrui al meschino scopo
di sentirsi onnipotente ."
" Cha parole grosse Kaiou , strane se escono di bocca ad una che ha fatto
dell’eleganza dei modi un marchio di fabbrica ." Replicò con fare indolente a
benefico di quante stavano ferme ad osservarle , ma uno scintillio nello sguardo
avrebbe dovuto mettere sul chi vive Michiru , in quanto tra tutti gl’insulti che
avrebbe potuto usare , aveva adoperato l’unico che davvero era in grado di
mandare in bestia l’imperturbabile Haruka .
La violinista non poteva saperlo naturalmente , giacché sul fatto
gl’interessati mantenevano la più totale delle omertà , ma essendo Haruka per
l’appunto un’illegittima , il darle della bastarda , era più o meno come
mettersi a saltellare inconsapevolmente su di un campo minato .
E Haruka , che sentiva chiaramente la reazione violenta montare dentro di lei
, ma che per un codice d’onore personale mai avrebbe sollevato le mani su
qualcuno che fisicamente non era alla sua altezza , tentò di svincolare prima
del punto di non ritorno .
" Comunque ti sarei grata se ti togliessi da piedi ." Continuò di malagrazia
. " Come vedi ho un allenamento da fare , un addestramento serio , non quelle
stupidaggini da Ester Williams con il quale vi dilettate voialtri !" Aggiunse
sprezzante provocando i mormorii indignati delle astanti . Michiru non batté
ciglio davanti all’ennesima ingiuria , non avrebbe fatto il suo gioco
lasciandola andare così facilmente . Era giunto il momento di mettere i puntini
sulle i !
" Perché non facciamo una scommessa Tenou ?" L’invitò mentre le transitava
accanto .
" Visto che ritieni il nuoto una disciplina risibile , avrei veramente
piacere nel dimostrarti che i miei muscoli sono ben esercitati quanto i tuoi
."
" Tutto questo in una piscina , giusto ?" Replicò saccente voltandosi a
guardarla con un sopracciglio inarcato ad angolo acuto .
" Oh no , sarebbe vile da parte mia . In quel caso non avresti nessuna
possibilità !" Ribatté convinta con atteggiamento di aperta sfida . " E’ sul tuo
stesso campo che voglio umiliarti pubblicamente . Se mi dai cinque minuti di
tempo per cambiarmi , andiamo insieme a fare il tuo difficoltossissimo
allenamento e la prima che abbandona ha perso . Che ne dici ?"
" Che dovresti pensarci molto bene prima di fare delle proposte azzardate ."
Replicò scettica fissandola da sotto in su con fare valutativo . " Il training
che mi accingo a compiere è duro , dannatamente tosto , persino per me che ci
sono abituata . E quantunque sarebbe uno spettacolo spassoso vederti stramazzare
, mi sento in dovere di avvertirti che non rischi solo una brutta figura ,
potresti farti male . Molto male ."
" Sì o no Tenou ? Oppure devo presumere che hai paura ? Certo sarebbe uno
smacco assai difficile da sopportare , in fondo tolta la tua abilità nello sport
, cosa sei ? Praticamente niente !"
" Dico , vai pure a cambiarti Kaiou ." Assentì dominando a stento la collera
, le offese che le aveva rivolto erano andate tutte dolorosamente a segno . E se
Michiru voleva la guerra , guerra avrebbe avuto . Le avrebbe dato una lezione
che sarebbe stata praticamente impossibile da dimenticare .
" Voi " , aggiunse puntando il dito su quelle che rapite e gongolanti stavano
ascoltando ,
" che nessuno si azzardi a muoversi di qui ! Siete tutte testimoni e perdio
resterete per confermare quanto sta per accadere ! Di modo che nessuno oserà
insinuare che abbia giocato sporco o che abbia approfittato della situazione
."
Davanti a quella veemenza le ragazze cessarono i lazzi che avevano esternato
fino a quel momento e rimasero ammutolite . E , benché fossero ancora tutte
piacevolmente appagate per il comportamento di Michiru durante quell’alterco ,
poiché era evento inimmaginabile che il loro capitano , una ragazza dolce e
femminile nei modi e nell’aspetto , potesse strigliare a dovere quel maschiaccio
presuntuoso di Tenou , innanzi alla fredda furia di quest’ultima capirono subito
quanto fosse prudente obbedire senza fiatare .
" Ora " , annunciò Haruka quando Michiru fu di ritorno in calzoncini ,
t-shirt e scarpette da ginnastica ed entrarono nella sala che ospitava le bici ,
" una di voi si posizionerà accanto alla mia bike e una vicina a Kaiou . Ci
controllerete , in modo che né io né lei avremmo possibilità d’imbrogliare
."
Si avvicinò alla bici di Michiru e rapidamente la regolò prendendo come punto
di riferimento l’altezza dell’anca della violinista , poi la fece sedere , serrò
i lacci dei pedali sui suoi piedi e infine andò a compire la medesime operazioni
sulla propria , una bike professionale , portata lì appositamente dal suo
personal trainer per i suoi allenamenti specifici .
Montò e fissò di fronte a lei la ragazza dai capelli acquamarina , quindi
agganciò gli attacchi posti sotto alle sue scarpe ai pedali , e si accinse ad
informare la sua avversaria e il pubblico presente di quanto stavano andando a
fare .
" Questa sarà una lezione di spinning esattamente così come avevo intenzione
di realizzarla sapendo di doverla fare da sola . Kaiou crede di potercela fare ,
personalmente penso di no . Ma visto che insiste non tenterò ancora una volta di
farle cambiare idea ."
Guardò interrogativa Michiru per conferma , augurandosi che intendesse
ragione e si tirasse indietro all’ultimo momento , ma visto che questa si limitò
a fissarla di rimando senza profferire parola , continuò :
" Annuncerò ad alta voce le variazioni del livello di sforzo e la vostra
amica dovrà fare esattamente quel che faccio io . Man a mano che andremo avanti
la quota della resistenza della bike aumenterà considerevolmente , proprio come
se stessimo affrontando un percorso che dalla pianura s’inerpica su di una
montagna . C’è qualche obiezione ?" Chiese tornando a guardare Michiru e questa
si limitò a scuotere il capo . Haruka lanciò uno sguardo alle altre che
stazionavano appoggiate al muro sul fondo della stanza e ricevutone i taciti
segni d’assenso , regolò l’orologio per una durata complessiva di un’ora e
impugnò il telecomando dell’impianto hi-fi che doveva diffondere
l’accompagnamento musicale alla sessione . Prima di dare il via si sentì in
dovere di dare qualche istruzione supplementare a beneficio di Michiru , la
quale già avrebbe avuto difficoltà in condizioni normali , ma da novellina in
quello sport e senza alcuna cognizione di causa su quanto stava per
intraprendere , sarebbe durata ancor meno .
" Bene Kaiou ci siamo . Ho fatto quanto potevo per metterti in condizione di
poter gareggiare al meglio , avrai notato prima che armeggiavo sulla tua bike ,
non ho fatto altro che tararla sulla tua altezza . Per cui , quanto a questo non
avrai problemi , la corsa della pedalata , la posizione della sella e del
manubrio , sono precisamente corrispondenti alle tue leve .
E ora apri bene le orecchie : il primo tratto sarà un percorso di
riscaldamento in posizione Uno . Sarebbe a dire che terrai le mani al centro
dello sterzo , le braccia piegate ed i gomiti alti . Così ."
Le mostrò come doveva fare e Michiru eseguì prontamente . Haruka annuì per
conferma .
" In questa durata la resistenza sulle ruote è comandata al minimo , giusto
quel tanto che serve a sciogliere i muscoli . Dopodiché , aumentando il carico
dell’attrito , si affronterà una salita leggera , passando in posizione Due .
Ovvero porti le mani ai lati del manubrio , le braccia sono tese , ma senza
caricarvi sopra il peso del corpo . Esatto ."
Approvò notando che Michiru aveva subito assunto la posizione corretta . E
non poté fare a meno di sorriderle , la ragazzina era pronta d’ingegno ! Forse
in un altro contesto sarebbe stato piacevole pedalare con lei , istruirla... ma
perché accidenti erano finite in quel modo ?
Michiru le sorrise di rimando , questa storia andava a farsi sempre più
singolare .
Doveva ammettere che , mentre Haruka procedeva con la sua dissertazione ,
davvero si stava appassionando a questa pratica sconosciuta . E lungi da lei il
sapersene spiegare il motivo . Forse perché aveva a che fare con un qualcosa di
strettamente connesso a quella bionda che le stava sconvolgendo la vita ?
Possibile , ma anche il vagheggiare l’improbabile idea che , una volta deposte
le armi , potessero pedalare insieme , aveva il suo peso .
" In questa fase del percorso" , riprese Haruka riguadagnandosi la sua
attenzione ,
" opereremo una serie di jump che accelereranno considerevolmente il ritmo
cardiaco . Con il termine jump intendo dire che si ci solleva dalla sella
e si pedala in piedi per un lasso di tempo variabile . Bada bene Kaiou , ci si
alza e abbassa a scansioni frequenti , il corpo è molto sollecitato , per cui ti
ripeto : sono le gambe e gli addominali che ti devono sostenere , spalle e
braccia devono essere sciolte , altrimenti ti farà ancora più male dopo !"
Michiru si alzò sui pedali , ma stavolta sbagliò completamente la postura . E
, vedendo che da sola non riusciva e volendo evitare di perdere altro tempo ,
Haruka scese dalla sua bike e andò a correggerla . Le si portò al lato e , senza
pensare più di tanto a quel che stava facendo , le mise una mano sul fianco e
una sulla spalla . Con una leggera pressione le spinse indietro il busto
sistemandola nel modo giusto . Poi , rendendosi conto che stavano praticamente
faccia a faccia , tanto che i respiri si confondevano , e altresì , comprendendo
infine la morbidezza di quanto stava tastando incauta , levò immediatamente le
mani . Tentò di moderare la bruschezza dell’atto , fingendo di dare un ulteriore
controllo e , girandole intorno , non trovò nulla di meglio da dire che : " Più
indietro il culo ."
Michiru ridacchiò sommessa , aveva chiaramente notato infatti che Haruka era
arrossita . Ed effettivamente anche lei si era sentiva avvampare quando l’aveva
afferrata in quel modo repentino . Doveva ammettere però che non era una
situazione del tutto spiacevole , anzi . E la faccenda cominciava a farsi comica
, visto che Haruka per sottrarsi ad una situazione spinosa , si era infilata in
una che Michiru poteva rendere persino peggio ! Doveva farlo ? Ma sì ,
effettivamente se lo meritava !
" Così va bene ? " Chiese spingendo con ostentazione le terga verso il
sellino e nella direzione della sua faccia .
" Sì , può andare ." Replicò Haruka allontanandosi velocemente dopo un
occhiata brevissima .
"Calma Haruka calma" si esortò mentalmente deglutendo più volte mentre
tornava verso il suo posto , " la pressione del sangue si deve alzare durante
l’allenamento , non prima , porca vacca !" E poi , senza poterselo impedire
, anche perché se pure avesse voluto , non ne sarebbe stata capace per niente ,
pensò : " Accidenti che culo ! Tutto al punto giusto , non le manca
proprio niente !"
Digrignando i denti , ormai amaramente delusa dai suoi stessi pensieri , che
la tradivano senza pietà , si issò nuovamente in sella e tentò di riprendere le
fila del discorso da dove si era interrotta .
" Dov’ero rimasta ? "
" Ai jump ." Le ricordò Michiru sogghignando compiaciuta .
" Già ... bene , da quelli in poi alternerò salite leggere e pesanti , in Uno
e Due . In quelle più ripide la manopola della resistenza è ad un tocco dal suo
massimo , fateci attenzione ."
Si raccomandò con quelle che avevano l’incarico di controllare .
" Dopo di che sarà la volta dell’arrampicata finale e si passa in posizione
Tre . Sarebbe a dire che le mani impugnano le corna del manubrio , il busto si
sposta leggermente in avanti e tutti i tessuti muscolari del corpo sono
impegnati ."
Annunciò eseguendo lei stessa la posa , non fidandosi di quel che sarebbe
potuto succedere se si fosse ritrovata nuovamente nel pericoloso gorgo di pochi
minuti prima .
" A questo punto tutto il circuito andrà decrescendo fino a ritornare in
posizione base , terminando con gli esercizi di stretching ."
" Okay , tutto chiaro ." Assentì Michiru visto che Haruka non aggiungeva
altro , ma aspettava ancora a dare il via .
" Siamo pronti allora , occhio ai comandi che annuncerò ." Concluse Haruka
seccamente allo scopo di celare la sua perplessità .
Ma davvero non si rendeva conto quella ragazzina ? Si era ficcata in una
storia che rischiava di finire con una brutta contrattura muscolare . Era idiota
oppure era stata lei stessa a spingerla a quegli estremi ? Effettivamente c’era
da rifletterci su come fossero arrivate a questo punto . E per quanto fosse
avventata la sua audacia era dcomunque da ammirare , altri al posto suo ci
avrebbero pensato due volte prima di sfidarla . Cosa sarebbe stata capace di
fare? Ormai non aveva più alcun dubbio sull’intraprendenza di Michiru Kaiou ! Ma
il campanello d’allarme che suonava dentro di lei le stava intimando di cessare
immediatamente quella farsa prima che succedesse l’inevitabile . Da atleta
qual’era sapeva perfettamente che a quello stadio e con quel percorso , non ce
l’avrebbe mai potuta fare . E pure Michiru doveva saperlo , anche lei era una
sportiva professionista .
" E’ matematico , crollerà ."
Perché tanto accanimento ? Voleva dimostrarle qualcosa ? Probabile . E
d’altro canto se l’avesse esortata a ritirarsi , se si fosse tirata indietro lei
stessa , quelle cretine avrebbero potuto davvero pensare che si stesse
rimangiando la parola data e che avesse paura ! Perché era stata così idiota da
volerle tutte lì ? Se fossero state da sole avrebbe potuto farla ragionare , o
quantomeno avrebbe potuto sottrarsi senza perderci troppo la faccia . Ma
arrivate a quel punto era praticamente impossibile .
Certo che non era affatto da lei preoccuparsi tanto per il benessere di
un’altra persona , la stessa che nel giro di pochi istanti l’aveva oltraggiata
con parole decisamente indigeste . La medesima che l’aveva respinta quell’unica
l’unica volta che si era azzardata a fare un passo d’avvicinamento verso un
altro essere umano senza averne un secondo fine . Haruka scosse la testa
dispiaciuta , e , arrendendosi davanti all’inevitabile , s’accinse a dare inizio
a quella contesa assurda .
" A proposito " , fece prima di dare l’avvio , legandosi una bandana tra i
capelli , " qual'è la posta Kaiou ?"
" Per quanto mi riguarda , se vinco , dovrai impegnarti ad accettare
qualsiasi cosa ti chieda e mantenerla per una durata complessiva di un mese ."
Annunciò Michiru sorridendole scaltra . " Nel qual caso Tenou dovrai fare quanto
ti dirò senza fiatare , né ribellarti . E per quanto ti riguarda ?"
" Molto divertente ." Ammise Haruka , sempre più persuasa che le possibilità
della violinista fossero rasenti lo zero . " Mm ... " Mugugnò grattandosi
pensosamente il mento , che davvero non sapeva cosa dire . Il proporle di
andarsene fuori dalle scatole dalla propria abitazione era la prima cosa che le
veniva in mente , ma sicuramente lei se l’aspettava , inoltre , a dispetto di sé
stessa , non era davvero certa di volerlo . Quindi ? Cosa avrebbe potuto davvero
infastidire quella piccola principessa delicata ? Tirò fuori la prima cosa che
le venne in mente .
" Che per la stessa durata t’impegni ad essere una sguattera e la mia ancella
personale Kaiou . Il che significa , cucinare , stirare , lavare e accudirmi in
tutti i miei bisogni . Anche durante il weekend . Per cui , se mi viene voglia
di un’insalata greca la domenica a pranzo , toccherà a te procurarmela e
venirmela a portare , ovunque io sia !"
Michiru si limitò a sorriderle enigmatica . " Siamo intese , dai pure il via
Tenou ."
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Parte 8 ***
8
" Incrociamo le dita ." Pensò Haruka facendo partire la musica e
iniziando a pedalare .
" Che situazione di cacca … E se le viene un infarto ? Sai le risate , va
a finire che mi chiudono in gattabuia per omicidio colposo ! E che potrei dire
in mia difesa ? La vittima era consenziente ? Ha fatto di tutto per farsi
schiattare le vene ? Aveva la testa più dura del vostro scranno di legno
massello Vostro Onore ?! "
" Segui il ritmo Kaiou ! Sei scoordinata !"
La sgridò spazientita come si accorse che lasciava andare i piedi a casaccio
. Volentieri l’avrebbe strozzata , si trovava ad essere l’involontario demiurgo
di quella situazione balorda e la cosa non le piaceva per niente . Per cui non
fu parca di rimproveri sarcastici .
" Guarda me , non è difficile , porca zozza ! Sei una musicista no ? Segui il
tempo , dovresti sapere come si fa ... ecco , brava , lo vedi che poi non sei
così deficiente ?!"
" Attenta a come parli … cafona ! "
Replicò Michiru risentita . " Giuro su dio che si pentirà amaramente di
tutto quanto , maledetta giraffa arrogante ! " Si ripromise stringendo i
denti .
Michiru guardò attentamente la cadenza impressa sui pedali dalle gambe di
Haruka e tentò d’imitarne i movimenti . A poco a poco le movenze , da meccaniche
che erano all’inizio , iniziarono a venirle naturali mentre si lasciava andare
alla partizione della melodia .
" Un piede tira e l’altro spinge , ricordatelo !" Ribatté incurante delle sue
lamentele e incitandola quando una volta per tutte la violinista afferrò la
scansione del passo e vi si adeguò .
Dopo alcuni minuti di quella corsa blanda Haruka , che le aveva concesso un
po’ di tempo in più , in modo che potesse afferrare il senso del movimento ,
ordinò la prima stretta alla resistenza . Lasciò che si abituasse a
quell’opposizione per un altro brano musicale , ma terminato questo modificò
completamente l’accompagnamento . La musica iniziò a diventare più ritmata e
Michiru , avvertendo la variazione d’attrito , mise ulteriore forza nelle gambe
allo scopo di non perdere il passo .
" Fluida , più sciolta , non sprecare tutte le tue energie fin da adesso
Kaiou ! Risparmia il fiato per dopo . " L’ammonì con un cipiglio truce .
Michiru annuì e tentò di fare come le aveva detto , concentrata al massimo
per dosare la forza , coordinare il moto al suono e stare al passo della bionda
.
" Bene , il riscaldamento è terminato ." Affermò Haruka cambiando di nuovo
musica e introducendo un nuovo brano , sincopato stavolta . Il pezzo iniziava
con uno sviluppo andante e ogni due battute passava ai quattro quarti .
" Adesso Kaiou ci solleviamo , inizia la salita . Porta le mani in Due e
preparati , ascolta la musica ... alterna , talloni verso il basso , una gamba
spinge e una tira ... voglio il tempo ... un ... due .. un ... due ... sì ,
esatto ! Continua così !"
La incitò ancora una volta e Michiru diligentemente seguì le sue istruzioni
accompagnando il piede che pigiava con un cenno della testa , allo scopo di
aiutarsi con l’intonazione di quella specie di rumba . E , quando il ritmo della
musica stava per accelerare per l’ennesima volta , Haruka stimò che fosse pronta
.
" Vengo su !" Ordinò staccandosi dalla sella ed elevandosi a mezz’aria .
Mantenne la postura disponendo il peso sul busto e sugli arti inferiori .
Michiru invece stava nuovamente caricando troppo sulle braccia , le fece un
fischio con le dita e , quando quella la guardò interrogativa , tolse le mani
dal manubrio , continuando a pedalare in piedi e agitandole dimostrativa .
" Il peso è retto dagli addominali e dalle gambe , comprendi o te lo devo
ripetere in un’altra lingua a tua scelta ?!"
Con un moto di protesta la violinista fece come le era stato detto ,
provocando con il suo cipiglio una smorfia divertita da parte della bionda .
Haruka lasciò passare un minuto ancora in quella posizione , per il momento i
movimenti di Michiru erano perfettamente sincroni ai suoi , benché furtiva
avesse dato alla sua resistenza una stretta supplementare . Quel che per lei era
insufficiente per la violinista sarebbe stato troppo , quindi incrementò il suo
carico , ma lo fece in modo da non fargliene accorgere .
Controllò l’orologio , confrontando il tempo con la condizione del proprio
battito cardiaco , e dando l’ennesimo controllo alle apparenti condizioni di
Michiru .
" Novanta pulsazioni ." Stimò soddisfatta di sé , dopo di che tentò di
valutare approssimativamente la frequenza del battito dell’altra . Per il
momento pareva reggere lo sforzo agevolmente . " 110 palpiti direi . Mm , è
brava la sirenetta , chi l ‘avrebbe mai detto ! "
" Okay , vengo giù Kaiou , siediti . Ma mantieni costante la corsa perché ora
faremo quattro jump da otto , quattro e due secondi cadauno . Ci serviranno a
preparare le gambe per la salita successiva ."
Annunciò verificando ancora una volta se Michiru la stesse seguendo , quindi
lasciò passare gli otto secondi annunciati e allo scadere s’alzò nuovamente . A
beneficio di della musicista scandì il passare dei secondi ad alta voce . Un
secondo , un giro di pedali , un altro secondo , altro giro di pedali e così via
.
A dire il vero quell’enumerazione non sarebbe stata necessaria , giacché per
una concertista come Michiru , che era cresciuta a latte e metronomo e che ormai
era padrona di quella comunanza ginnico – melodica , era assolutamente superflua
.
Eppure nonostante tutto la violinista le fu grata , la voce chiara e potente
di Haruka stava fungendole da sprone . Iniziava infatti ad avvertire la
stanchezza , quell’attività fisica era troppo diversa da quanto a cui era
avvezza . La sollecitazione cui stava sottoponendo i muscoli dell’addome e la
mancanza del movimento sciolto che realizzava in acqua iniziavano a sfiancarla .
Le gambe le si stavano facendo pesanti e andava avanti per mera forza di volontà
. E il pungolo della voce di Haruka la stava aiutando enormemente .
Comunque i suoi sforzi non passarono inosservati .
Sincerante ammirata , Haruka la fissava intensamente mentre manteneva la
concentrazione e si sforzava di andare avanti nonostante l’evidente
spossatezza.
Indubbiamente aveva una gran forza di volontà , ma il troppo era troppo e
l’occhio esperto della bionda individuò tutti i sintomi di un crollo imminente
.
Michiru stava sudando copiosamente e aveva il fiato rotto , per cui , al
primo accenno di scoordinamento , le ordinò perentoriamente di abbassarsi di
nuovo sul sellino .
" Vengo giù ."
A questo comando Michiru con sollievo si lasciò andare in posizione seduta ,
ma commise l’errore di allentare sia la postura che il moto delle gambe .
" Mantieni la corsa della pedalata Kaiou , non mollare ! "La strapazzò subito
. " Il battito del cuore deve scendere lentamente , il movimento deve essere
costante . Se non ce la fai , allenta la resistenza ." L’ammonì infine celando
la preoccupazione . Ormai del tutto indifferente alla loro scommessa , anzi , se
ne era completamente scordata .
Ma Michiru non se n’era affatto dimenticata e , nel suo furore agonistico ,
non era assolutamente intenzionata a prendere in considerazione
quell’eventualità .
" Scordatelo ! " Urlò caparbia e con occhi di fuoco si voltò verso la ragazza
che doveva controllare la calibratura dell’attrito . " Tu ! Allinea
immediatamente la mia resistenza con quella di Tenou !"
L’interpellata sobbalzò impaurita dal tono di voce autoritario , ma , sebbene
Michiru avesse un’espressione feroce , pensò bene di lanciare prima una rapida
occhiata verso Haruka per verificare se era d'accordo . Tempo perso , Michiru
intercettò subito quello scambio di sguardi .
" Che aspetti idiota ? E tu fatti gli affari tuoi Tenou !" Intimò
intenzionata a tener duro nonostante tutto .
" Che faccio ?" Pensò Haruka in quella cruciale manciata di secondi .
" Se la fermo adesso potrebbe essere peggio . Ora come ora posso solo
mantenerla sulla linea , sperando che regga fino a quando possa fermarla senza
rischi ."
" Non scaldarti troppo Kaiou , di norma è così che si procede , non ti sto
facendo nessuna concessione ! Adesso liberiamo la bike allentando per un quarto
la resistenza e raddoppiamo la pedalata . Respiriamo e riprendiamo fiato . "
Esclamò correndo ai ripari e nel frattempo pensando frenetica a come poteva
cambiare tutta la struttura della lezione in modo da farla terminare senza danni
.
Lasciò che pedalasse liberamente qualche minuto più del normale allo scopo di
farla recuperare per il rush successivo , dopo di che avrebbe messo la parola
fine su quella ridicola faccenda .
" Ci siamo quasi , l’ultima ascesa e si ritorna in pianura . Vengo su in
posizione Due , do una stretta ."
Michiru fece come le era stato detto , anche se si sentiva morire . Appena
aveva diminuito la resistenza le avvisaglie dei primi crampi ai polpacci avevano
iniziato a farsi sentire , ma caparbiamente li aveva ignorati . Era assetata ,
poiché , presa dalla sua vanagloria , quando aveva baldanzosamente gettato il
guanto della sfida ad Haruka , si era completamente dimenticata di portarsi
appresso dell’acqua e , sudando abbondantemente , le pareva quasi di sentire i
livelli di zucchero nel sangue calarle in modo vertiginoso .
" Resisti , resisti accidenti a te ! " Pregò Haruka vedendola al
limite del tracollo fisico .
Non poteva deporre le armi adesso , ancora uno sforzo e poi sarebbe rientrata
nei livelli di sicurezza cardiovascolare .
" Avanti smidollata , si va in tre !" Urlò sperando di scuoterla con
quell’insulto e sfidandola con voce beffarda . Desiderosa che , con la sola
forza dello sguardo , fosse capace di trasmetterle l’impeto necessario ad
arrivare in fondo .
Michiru ignorò del tutto l’epiteto offensivo ma sembrò attingere avidamente a
quello sguardo . Strinse i denti e tentò di scovare le residue energie che
ancora si augurava albergassero in lei , ovunque queste fossero .
Haruka agitata controllò ancora una volta il frequenzimetro e , quando questo
finalmente arrivò alla cifra che ansiosamente attendeva , le urlò di tornare in
sella . Ma senza ordinarle di modificare la resistenza . Michiru le lanciò un
‘occhiata che era un misto di odio e disperazione .
" Mantengo , mantengo Kaiou ! Continua , non azzardarti a mollare adesso !
Solo trenta secondi !" La supplicò stringendo convulsa le mani sul manubrio ,
tanto che le si sbiancarono le nocche .
Michiru serrò l palpebre mentre miriadi di punti incandescenti le comparivano
davanti agli occhi e aprì la bocca lasciando uscire un lamento di pena che diede
i brividi a tutte .
Haruka , nella concitazione del momento , divelse letteralmente il
frequenzimetro dal suo supporto portandoselo davanti agli occhi e , quando
finalmente quegli interminabili 30 secondi cessarono , gridò con quanto fiato
aveva in gola : " Libera quella fottutissima resistenza !"
Michiru non l’udì neppure , ma non appena le gambe avvertirono l’assenza
della cavezza che le aveva frenate , subito i muscoli le si contrassero in modo
spasmodico , facendola urlare di dolore .
Con un balzo Haruka smontò rapida dalla bike e le si precipitò accanto .
Repentina slegò l’imbracatura che le immobilizzava i piedi e senza tanti
complimenti la stese sul pavimento alzandole le gambe e flettendole
alternativamente .
"Sta buona Kaiou , al resto ci penso io ." La rassicurò con voce ferma quando
Michiru si divincolò a causa della sofferenza fisica .
" Nella mia borsa c’è una bottiglia , fatela bere !" Sbraitò senza rivolgersi
a nessuno in particolare e subito un paio di loro si affrettarono a prendere
quanto aveva chiesto . Nel frattempo la fece alzare in piedi e accovacciandosi
prese a massaggiarle energicamente i polpacci e le cosce .
Michiru bevve avidamente , grata per il liquido che le scendeva nella gola
riarsa e noncurante del sapore aspro che aveva . Vuotò la bottiglia e solo
allora sembrò rendersi conto dell’effetto benefico che stavano avendo le mani di
Haruka . Le gambe le dolevano ancora naturalmente , ma gli spasmi erano cessati
.
" Ce n’è un’altra , meglio se mandi giù anche quella ." Consigliò Haruka
porgendole il recipiente colmo di quella mistura indefinibile .
" D’accordo , ma almeno potrei sapere cos’è ?" Chiese quando la bionda tornò
in piedi , persuasa che ormai non ci fosse bisogno di ulteriori frizioni .
" Acqua , sali minerali sciolti , un cucchiaino di zucchero e aminoacidi .
Continua a fare stretching ." L’esortò sentendo prepotente la voglia di
andarsene , ma non osando lasciarla , per timore che si sentisse di nuovo male
.
" Che schifo ! Ehi Tenou , ma è legale ? Voglio dire , non è che devo
avvertire quelli dell’antidoping ? " Esclamò Michiru nel tentativo di fare dello
spirito . Haruka aveva una faccia che denotava manifesta preoccupazione , ma si
scorgeva pure una rabbia latente in cerca di un appiglio qualsiasi su cui
sfogarsi . Michiru era certa che il peggio stesse per concretizzarsi .
Invece la bionda rimase in un silenzio di tomba e stette lì finché non la
vide terminare i suoi esercizi distensivi . Dopo di che prese imperturbabile a
raccattare le sue cose , e quando ebbe finito , le lanciò uno sguardo
indecifrabile .
" Fossi in te andrei in infermeria a farmi dare un’occhiata , non ce ne
sarebbe bisogno , ma non si può mai sapere . Puoi farti accompagnare da una di
quelle ." Aggiunse porgendole un asciugamano che aveva avuto cura di togliere
dalla sua sacca e indicando il gruppo di ragazze che ancora stavano là in attesa
.
" Negativo Haruka ." Fece Michiru asciugandosi dal volto il sudore gelato
.
" Fai un po’ come ti pare ." Replicò cupa avviandosi verso l’uscita . Non
era una sua responsabilità , aveva fatto tutto lei , fregandosene bellamente dei
suoi avvertimenti ! Ma allora perché sentiva quell’assurdo senso di colpa ?!
" Forse non ci siamo capite ." La bloccò la violinista ammiccando . " Sei tu
che mi devi accompagnare ."
" Ah , ti devo accompagnare ." Ripeté Haruka voltandosi e calcando
pesantemente il tono sull’imperativo . " E da dove mi verrebbe quest’obbligo ?"
Chiese minacciosa .
" Ti tocca pagare la scommessa Tenou , hai promesso , non puoi tirarti
indietro ." Le spiegò soave con un riso malizioso .
" Ma di che diavolo stai parlando ?!" Ribatté lasciando finalmente sgorgare
la rabbia che fino a quel momento aveva represso .
" Beh si da il caso che i termini erano chiari , chi gettava la spugna aveva
perso . E fino a prova contraria , chi è scesa dalla bike per prima sei stata tu
." Le spiegò in tono pacato senza tentare neppure di nascondere il compiacimento
che sentiva .
" Ma questa è una frode !" Esclamò tentando di sfuggire alla trappola che si
stava inesorabilmente chiudendo su di lei .
" Vogliamo vedere cosa ne pensano a riguardo i testimoni che hai
appositamente voluto qui ?" Le chiese conciliante indicando il gruppo alle sue
spalle .
Haruka diede un’occhiata alle ragazze riunite e i ghigni e le espressioni
d’intesa che queste si stavano scambiando le fecero comprendere all'istante
l’antifona . Non avrebbe avuto manforte da quelle baldracche ! Avrebbero fatto
fronte comune per il loro capitano , non fosse altro perché , prima in corridoio
, senza contare gli anni precedenti , gliene aveva dette e fatte di tutti i
colori . Non aveva mai lesinato insulti o prese in giro per quelle tizie e , ora
che avevano l’occasione di vederla mordere la polvere , non se la sarebbero di
certo lasciata sfuggire .
Sospirò amareggiata , Michiru gliel’aveva proprio fatta ed ora era alla sua
mercé … per un intero mese !
Represse malamente la grande voglia che aveva di mettersi a sbraitare tutte
le parolacce del suo infinito vocabolario e tentò di fare buon viso a cattivo
gioco .
" Cammina !" Le ordinò tra i denti con tutta la malagrazia possibile ,
precedendola sulla porta .
" Oui mon amì ! " Replicò la violinista di buon umore mentre la
raggiungeva e la prendeva sottobraccio .
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Parte 9 ***
9
" E dai Haruka , fammi un bel sorriso !"
La canzonò Michiru mentre si dirigevano in infermeria e l’altra non poté
reprimere una smorfia piuttosto scocciata che rese il suo viso quanto mai comico
. In ogni caso non si prese la briga di risponderle né di abbassare gli occhi ,
benché la gaia ilarità della violinista riecheggiasse tra le volte dell’andito
.
" Avanti ... ti prego ... dai ! " Continuò Michiru di evidente buonumore
tirandole con insistenza l’arto a cui ancora era aggrappata . Ma , visto che non
aveva ancora sortito effetto , spostò un braccio fino a circondare con un poco
di difficoltà il collo della bionda e ridacchiò più forte . " Accidenti se sei
alta , messa così sembro una scimmia appesa ad un banano !"
" Se non la pianti ti darò un motivo in più per ricorrere al medico ."
Replicò Haruka fingendosi seccata e sempre ostinatamente senza degnarla di uno
sguardo , anche se dovette fare un grosso sforzo per non scoppiare a ridere a
sua volta. " Lei la scimmia e io il banano ?? Ma come le pensa !?"
Comunque riuscì a restare impassibile perché , d’accordo doversi adattare a
quella circostanza , ma essere anche presa per il sedere , era troppo !
Giunte finalmente davanti all’infermeria Haruka si divincolò dalla morsa che
la teneva e , ignara che il peggio stesse profilandosi , bussò . Stava solo
pensando a qualcosa da dire al medico , una qualsiasi balla che rendesse
plausibile la loro presenza lì e a quell’ora . Forse la ragazza al suo fianco
non ci aveva neppure pensato , presa com’era dalla sua allegria , ma a gestirla
male , quella faccenda , per quanto risibile potesse essere , poteva creare
problemi ad entrambe . Per cui la precedette nell’ambulatorio , augurandosi che
la sua intraprendenza riuscisse a cavarla d’impaccio .
" Buonasera dottore . Kaiou ha avuto delle contratture durante un allenamento
, l’ho portata qui per precauzione ." Esordì piazzandosi risoluta davanti a
Michiru e impedendole col proprio corpo di farsi avanti .
Sfortuna volle che in quel momento si trovasse a colloquio col medico niente
di meno che la vicepreside , la quale proprio quella sera si era presa la briga
di passare per concordare alcuni dettagli pratici . E che , a sentire che
l’allieva numero uno della scuola poteva essersi fatta male , mettendosi in
pericolo a danno del buon nome dell’istituto , letteralmente balzò dalla sedia
sulla quale era seduta .
" Bingo !" Pensò Haruka tra sé e sé mettendosi una mano in faccia . Si
poteva essere più scalognate di così ? Lei e quella donna fin dal primo anno
avevano avuto abbondanti contrasti e doveva ringraziare solo il suo tutore ,
oltre alla pingue retta che versava mensilmente alla scuola , se ancora non
l’avevano buttata fuori a calci nel sedere . Sebbene lo desiderasse con tutto il
cuore e spesso si fosse adoperata a quel fine .
" Presto dottore la visiti !" Ordinò perentoria prendendo Michiru
premurosamente per una mano , dopo aver scostato la bionda con molto meno cura
.
" Le duole ?" Chiese l’uomo dopo averla fatta stendere sul lettino , averle
tastato i polpacci e flesso più volte le gambe.
" Non molto ." Mormorò mentre la vicepreside li tallonava entrambi con
sollecitudine . In effetti pareva molto agitata e Michiru , che solo adesso
cominciava a scorgere le implicazioni che potevano venirne , tentò di pensare
velocemente a come tirare fuori da quel pasticcio sé stessa e Haruka .
" Com’è successo ?" Chiese il medico sedendosi dietro la scrivania .
" Credo di essermi sforzata troppo e sono stata assalita dai crampi ,
fortunatamente c’era Tenou che mi ha soccorsa all’istante ." Rispose Michiru
sgranando gli occhi con fare innocente , tipo Bambi o Cappuccetto Rosso davanti
al cacciatore , e preparandosi a dire qualcos’altro che avrebbe fatto fare una
brillante figura alla bionda , in modo da poterla salvare dal capestro .
" Direi che ha fatto un ottimo lavoro ." Assentì il dottore provocandone il
sollievo , anche se si trattò di un fatto del tutto temporaneo . Giacché a
questo punto s’intromise la direttrice , che fino a quel momento ancora non
aveva espresso la propria opinione in merito , ma che rapidamente si stava
facendo un quadro della faccenda .
Del resto non era la prima volta che sorgevano dei problemi laddove era
coinvolta quella maledetta Haruka Tenou ! Se solo ci pensava sentiva salirle il
nervoso e i capelli cominciavano a diventarle bianchi ! Ah certo , Tenou veniva
considerata una persona riservata e dalle spiccate potenzialità dalle alte sfere
, ma se le stesse avessero saputo solo la metà di quel che combinava tra quelle
mura , come minimo avrebbero proposto per lei la camera di tortura ! Il problema
era che quella disgraziata era molto accorta in quel che faceva , i suoi exploit
difficilmente le erano imputabili , poiché al momento del disastro riusciva
sempre ad avere un alibi di ferro . Con raccapriccio la vicepreside ricordò le
esplosioni a catena nel laboratorio di chimica che mandarono in fiamme il
parrucchino del professore ... poi fu la volta della colla sul water nel bagno
dell’amministrazione ... dopodiché qualcuno si prese la briga di
manomettere la macchinetta del caffè automatica con una potentissima purga
dall’effetto ritardato di due ore ...senza contare la porta del suo ufficio
decorata con caricature sadomaso aventi come soggetto lei stessa e il portinaio
... oppure i dvd di storia moderna sostituiti con dei porno in sala proiezioni
... l’elenco era lungo e variegato . E tutti quei danneggiamenti erano iniziati
da quando la ragazza allampanata aveva preso a frequentare , con visibile ed
estrema riluttanza , la loro accademia !
Senza contare lo scompiglio che provocava tra le studentesse con quel suo
aspetto androgino e l’abbigliamento volutamente ambiguo che ostentava . Il che
era un chiaro segnale di benvenuto per quelle che potevano essere tentate ad
accomodarsi ! Del resto , che ci si poteva aspettare da una ragazza , una
ragazza ! che si mormorava facesse il pilota di auto ? Non v'era certezza di
ciò , ma il solo fatto che lo si sospettasse per lei equivaleva ad una certezza
acclarata .
E così come per le bravate , allo stesso modo la vicepreside sospettava ,
senza averne prove certe purtroppo , che Tenou se la spassasse con più di una
ragazza all’interno della scuola . Chiaramente la cosa non era mai venuta fuori
e per fortuna ! Giacché era chiaro che tutte le interessate badassero a
mantenere ben celato il segreto , ciononostante quando notava una liceale fiacca
, irritabile e visibilmente disperata , coglieva in tutto ciò inequivocabilmente
quella che soleva chiamare : "Sindrome da abbandono Tenou" !
Per cui non poté che allarmarsi quando la vide entrare nell’infermeria con la
diletta Kaiou , la studentessa che più la riempiva di compiacimento . Si era
opposta dal primo momento a quella convivenza ed ecco che inesorabilmente
l’influenza nefasta di Haruka Tenou dava i suoi primi deleteri frutti !
Quindi fu con voce ostentatamente calma che affrontò , per prima , la più
assennata tra le due .
" Ciò non toglie che questo non è un incidente accorso in piscina , vero miss
Kaiou ?" Chiese austera facendo leva sui noti principi di lealtà e sincerità
della violinista . "Altrimenti non si spiega la presenza di Tenou in un ambiente
che non le compete . Oltre al fatto che è oltremodo incongruo che il capitano
della squadra collassi come una novellina . Quindi la pregherei di rispondermi
onestamente ."
" Ecco ... come spiegarle ?" Incominciò Michiru tentando di prendere tempo
.
" Non è da lei comportarsi in modo sconsiderato miss Kaiou e le confesso di
essere molto delusa ! Ma come , proprio lei si mette in condizione da farsi
biasimare ? Mi meraviglio , non è degno della sua persona , né del buon nome
della sua famiglia . Cosa direbbero i suoi genitori se fossero qui ? Si rende
conto che in questo modo mette in difficoltà anche chi lavora per la sua
educazione ? Attualmente miss Kaiou le ricordo che è sotto la tutela
dell’istituzione scolastica e che , mettendosi in situazioni imprudenti , non
danneggia solo sé stessa , ma anche me e i miei superiori . Mi duole dirlo , ma
pare proprio che negli ultimi tempi abbia imboccato una strada che non le si
confà affatto . Una china discendente direi , visto che mi è stato riferito di
cali di rendimento , comportamenti fuori dalla norma e ora tenta persino di
raggirarmi ! E’ vergognoso se penso che tutto ciò viene da una ragazza come
lei!"
Michiru si morse il labbro afflitta davanti a quell’aperto rimprovero , era
la prima volta che veniva trattata in quel modo da un rappresentante scolastico
, giacché mai in vita sua coloro che detenevano l’autorità avevano avuto parole
che non fossero d’elogio e ammirazione . Si sarebbe nascosta sotto un tavolo per
la vergogna e tutto i discorso che intendeva fare si era completamente
volatilizzato dalla sua testa .
D’altro canto Haruka , che invece era abituata al biasimo e alla contrarietà
altrui e che ormai ne aveva piene le tasche , perse definitivamente la pazienza
.
In fin dei conti come si permetteva quella vecchia befana d’inalberare quel
tono ? Manco fosse morto qualcuno ! Per una fesseria stava facendo un casino del
diavolo e per di più stava pesantemente umiliando Michiru . Il motivo era più
che evidente , era chiaro che la direzione , vista la fama crescente della
ragazza , avesse l’assurda pretesa che questa fosse sempre la più splendida e
splendente , in modo che la scuola facesse bella figura e aumentasse la quota
degli iscritti . E ancora più ovvio era il fatto che le reprimende non
prendessero avvio dalle motivazioni citate dalla donna , quanto piuttosto dal
fastidio evidente che provava nel vederle insieme . Del resto lei lì dentro era
sempre stata mal tollerata . D’accordo che da parte sua ce l’aveva messa tutta
per ottenere quel risultato , ma in questo caso era differente . Una volta tanto
era davvero priva di colpa , oltre al fatto che il troppo era troppo !
Voleva punirla ? E allora che si rivolgesse direttamente a lei senza mettere in
mezzo Michiru !
" In questo posto di merda c’è solo una persona che ha il diritto
sacrosanto di trattare male Kaiou ... e sono io ! Gli altri devono continuare a
baciarle i piedi !"
Pensò presa da un livore intenso , dopodiché spostò risolutamente Michiru e
si piazzò davanti alla vicepreside . Le due si fissarono a braccia conserte per
un buon minuto , tipo Mezzogiorno di Fuoco , mentre sia il medico che la
violinista non sapevano che pesci pigliare . La direttrice sotto la calma
apparente aveva la pressione a mille , effettivamente sulla fronte le si stava
gonfiando una vena dalle dimensioni spropositate . E più Haruka la fissava con
quello sguardo strafottente , capace di far infuriare professori ed alunne da un
capo all’altro dell’istituto , più questa sembrava in procinto d’esplodere .
" Infatti non è successo in acqua ." Si degnò di chiarire una buona volta col
fare insofferente di chi è consapevole delle conseguenze a cui va incontro , ma
delle quali se ne frega grandemente . In omaggio delle forme apparenti mantenne
un tono di voce rispettoso , ma comunque tutto il suo atteggiamento era in netto
contrasto con quella che solitamente era la deferenza accordata agli adulti in
generale e agli istitutori in particolare .
" Inoltre voglio precisare che non si trattava affatto di un’esercitazione
inerente la scuola . Era un allenamento privato , personale . Nonostante
ciò ho invitato Kaiou a prendervi parte . Non c’è niente di male in questo anche
se , sfortunatamente , non ho tenuto debito conto degli eventuali effetti .
Quindi le ripeto e lo tenga ben a mente , è stata una mia iniziativa e quanto è
successo è solo ed esclusivamente una mia responsabilità ."
Stupefatta , e con mezzo metro di bocca aperta , Michiru si voltò a guardarla
. Tutto si sarebbe aspettata a quel punto tranne che Haruka prendesse le sue
difese e si addossasse interamente una colpa che non era propria . Ad essere
equa era stata lei a coinvolgerla in quel confronto che la bionda non aveva
voluto né cercato e non poteva permetterle di mettersi nei guai per scagionarla
. Non era affatto giusto accidenti a lei !
" Veramente sono io che ho insistito madam , Tenou non c’entra !" Affermò
perentoria dando una spinta alla bionda e riguadagnando la sua posizione
originaria innanzi alla direttrice . Cosa che le procurò uno sguardo indignato
sia da quest’ultima che da Haruka .
Ma quell’interruzione fortuita era proprio quello che la vicepreside
attendeva , infatti , una volta azzittita Tenou e con Kaiou che non aveva le
medesime doti d’opposizione , poteva tranquillamente fare il suo gioco .
" E’ molto toccante che lei dica questo per giustificare la sua compagna di
stanza ." Assentì la donna meditabonda fingendo di concederle il beneficio del
dubbio . " E proprio per questo motivo eviterò di prendere provvedimenti nei
suoi riguardi ." Affermò benevola rivolgendole un sorriso luminoso , ma poi ,
con tutt’altro tono e con un’espressione trionfante aggiunse : " Ma Tenou Haruka
mi è nota per le sue frequenti intemperanze e ripetuti colpi di testa . Magari è
vero che abbia acconsentito sotto le sue insistenze , ma ciò non toglie che
avrebbe dovuto impedirle lo stesso di mettersi in una situazione imprudente .
Senza contare il comportamento spudorato ed ingiustificabile che sta avendo nei
miei confronti ... frutto della pessima educazione americana a cui era avvezza ,
oserei dire ."
" Frequento la sua scuola da due anni madam , si vede che il vostro
metodo non serve ad un cazzo !" L’interruppe Haruka inarcando il sopracciglio e
indirizzandole uno dei suoi più riusciti ghigni . Tanto ormai la frittata era
fatta , quindi perché non prendersi una rivalsa ? E infatti fu la classica
goccia , la donna perse completamente la testa .
" Basta così maledetta bestia arrogante !" Urlò inviperita con gli occhi
iniettati di sangue e la vena sulla fronte che ormai aveva le dimensioni di una
sanguisuga . " Sei in detenzione Tenou , hai capito ? DETENZIONE ! E non ho
finito ancora , assisterai a tutte le lezioni , farai tutti i turni di pulizia
della tua classe , non mangerai in mensa e fino a natale puoi scordarti di
lasciare la scuola per il fine settimana ! E ringrazia il cielo che mi fermo qui
!"
" Ha intenzione di espellermi madam ?" Chiese palesando un interesse
minimo tanto quanto rasentava lo zero lo sconcerto che nelle intenzioni della
donna avrebbe dovuto provare . " Perché se è così , me lo dica subito e la
facciamo finita immediatamente . "
" Ti piacerebbe vero ? " Replicò ancora più incollerita e buttando
metaforicamente fumo dal naso e dalle orecchie . " Invece nonostante i tuoi
ripetuti tentativi passerai qui ancora quest’anno e il prossimo ! Darò un grande
party quando finalmente ti sarai diplomata , ma nel frattempo dovrai sopportarmi
ancora per parecchio e farò di tutto per renderti la vita un vero inferno ! Ah ,
ah ! " Concluse andandosene e sbattendo pesantemente la porta dietro di lei.
Costernato il medico fissò ancora per qualche momento l’uscio da cui quella
furia era scomparsa e tutto sottosopra , ritenendo di non poter fare altro , le
congedò .
Avviandosi lentamente verso il dormitorio e inoltrandosi nel parco restarono
ambedue in silenzio , ognuna agitata da sentimenti contrastanti , anche se di
natura differente .
Haruka era al contempo appagata e indispettita . Soddisfatta perché ancora
una volta aveva tenuto testa a quella carampana e tutto ciò che rappresentava ,
ma dolente per quanto questo le fosse costato.
Quella punizione era spropositata , quella strega maledetta aveva calcato la
mano di proposito , giacché quando si trattava di lei l’ordinario non le pareva
mai abbastanza ! Anche se doveva ammettere che si ci era messa d’impegno per
provocarla . Ad ogni modo , finanche se ne sbattesse delle implicazioni , quel
domicilio coatto non ci voleva proprio . Come avrebbe fatto a lavorare con il
suo team se doveva restarsene richiusa ? Tutti i weekend ... stava sviluppando
la sua monoposto porca vacca ! Come poteva sperare di competere in modo decente
se le mettevano i bastoni tra le ruote in quel modo? Inoltre , se tanto ce
l’avevano sul gozzo , perché non l’espellevano una volta per tutte ?
Evidentemente per lei valeva lo stesso discorso fatto per Michiru , era in
ascesa , una mente brillante , un'astro nascente nel panorama sportivo ,
praticamente una potenziale calamita per miriadi rampolle dell’alta società che
si sarebbero precipitate ad iscriversi nella stessa scuola che frequentava
Haruka Tenou !
Infine , saltando di palo in frasca , ma proprio doveva chiederselo : che
diavolo aveva da prendersela tanto a cuore se avevano strapazzato un pochino la
principessa Kaiou ? Le importava ? Pareva di sì in effetti . Ma perché , forse
non avevano una guerra in corso ? Non aveva fatto di tutto all’inizio per
evitarla e successivamente per darle il tormento ? Ma che cavolo le prendeva ?
Si era infastidita , anzi era andata proprio fuori di testa , quando avevano
osato alzare la voce con lei . Forse perché le sembrava così fragile , inerme ,
pronta riempirsi di lividi al minimo tocco . Troppo delicata insomma per usarle
un trattamento che non fosse altro che gentile .
" Sì , così tenera che si taglia con un grissino , come il tonno Star !
Hei Haruka non starai facendo sul serio ?! Non puoi prenderti una scuffia per
quella ! Fino ad ora ti ha solo procurato un mare di grattacapi !"
Michiru camminava lentamente qualche passo indietro la bionda . E fu
guardando quella schiena rigida , quel suo modo di camminare impettita , che
carpì il nocciolo della questione . Qualunque cosa avesse detto o tentato di
fare sarebbe finita lo stesso in quel modo . Benché Haruka se la fosse davvero
cercata .
In fondo , ripensando al discorso che avevano avuto in precedenza , la bionda
aveva ragione : la gente davanti ad un comportamento inusuale non discerne . E
quindi , in virtù di uno stereotipo , lei Michiru Kaiou , che era la ragazza
modello , sebbene fosse la causa originaria di quel disastro , ne era uscita
incolume e ad Haruka , universalmente considerata quella strana , nonostante
fosse innocente , toccavano tutte le conseguenze del suo gesto .
Dire che si sentiva in colpa era riduttivo e non se la sentiva neppure di
stigmatizzare il comportamento sedizioso della bionda . Piuttosto provava una
profonda vergogna , per sé stessa e per l’istituzione scolastica e una rabbia
impotente per quell’ingiustizia palese . Forse adesso davvero iniziava a
comprenderla , se quello era il modo ordinario col quale la gente si comportava
con lei , era logico che fosse diventata ombrosa ed intollerante . Chissà quante
ne sopportava ! E per quale motivo poi ? Cosa aveva di così anormale ? A lei non
sembrava che lo fosse affatto , anzi ne era più che affascinata e ora non aveva
fatto altro che complicare ancor di più le cose . Aveva rovinato tutto , non
c’era scampo .
" Haruka , perché l’hai fatto ?" Le chiese sommessa e Haruka , sentendo quel
tono accorato si voltò a guardarla bloccandosi a metà strada .
" Vuoi la verità ? Mi ha fatto girare le palle quando ha iniziato ad
insultarti . Quello compete solo a me ! Inoltre non ho fatto altro che
accelerare i tempi , sarebbe finita in questo modo in ogni caso ." Affermò con
l’aria di chi la sa lunga e a Michiru non parve neppure troppo dispiaciuta . Ad
ogni modo quella rivelazione era stata sorprendente , si era arrabbiata per
lei ?!
" Non avresti dovuto . Sono felice che abbia cercato di soccorrermi , ma era
colpa mia e non è giusto !" Proruppe iniziando la frase con fermezza ma finendo
con lo scoppiare in lacrime . Affranta si portò le mani al volto e prese a
singhiozzare sconsolata .
" Mio dio che tragedia greca !" Sbottò Haruka avvicinandosi e afferrandola
per le spalle tremanti . " Avanti non essere così drammatica , non è la prima
volta che mi succede e temo che non sarà neppure l’ultima ."
" Volevo esserti amica , desideravo solo avvicinarmi a te ! Invece l’unica
cosa che sono stata capace di fare è stato solo di metterti nei guai ! E ora mi
detesti più di prima !"
" Ma sei una mia amica e non è vero che ti detesto ." Ribatté avvolgendola in
un abbraccio che sperava essere tranquillizzante , consapevole di quel che le
era scappato di bocca . Alla fine Michiru aveva vinto , del resto non poteva
essere poi così terribile avere un rapporto con lei , o no ?
" Sentimi bene fontana ambulante , è tutto a posto ok ? Anche se in questo
momento sarei tentata di legarti con una fune dietro alla moto e di portarti a
fare un giro in autostrada , non ti odio mica !" La canzonò sperando che si
ricomponesse .
" Ecco brava , prendimi pure in giro ! " Si lamentò tirando su col naso e
ficcando la testa nel suo petto . E lì rimase mentre Haruka la lasciava frignare
tranquillamente aspettando che si calmasse . Anzi , prese addirittura a
carezzarle dolcemente la sommità del capo , ammettendo infine che il loro
contrastarsi fino a quel momento non era stato altro che una schermaglia puerile
.
" Aahhhhhahhhhhhh !!!!" Urlò improvvisamente Michiru facendola sobbalzare
allarmata .
" Che diamine succede adesso ?!" Proruppe guardandola stupefatta .
Senza parole la violinista si limitò a indicare con un dito il punto in cui
fino a poco prima era stato appoggiato il suo volto . Al centro della t-shirt
ciclistica di Haruka , la su preferita , quella in speciale fibra antisudore ,
tecnicamente studiata per lasciare traspirare la pelle e che le era costata un
occhio della testa , spiccava una macchia informe e nerastra .
" Te l’ho sporcata tutta col mascara ..." Riuscì infine ad articolare Michiru
sgomenta .
" No , non dirmelo ... ma si può essere più deficienti di così ?! Ma come ,
vai ad allenarti in piscina col make-up in faccia ?" Replicò incredula e con
l’espressione di una al quale stanno per cadere le braccia . Michiru si limitò
ad annuire facendole gli occhi dolci e sperando di cavarsela a buon mercato
.
" Basterà lavarla e tornerà come prima , vero ?" Chiese la bionda minacciosa
.
" ... è un rimmel resistente all’acqua quello ... "
" Comincia a scappare ." Le consigliò Haruka pacata .
" Come ? No eh , non farai mica sul serio , vero Haruka ?" Chiese
indietreggiando e iniziando a correre mentre rideva argentina .
" Ma io t’ammazzo !" Fu l’ultimo commento della bionda prima di lanciarsi
all’inseguimento.
Naturalmente avrebbe potuto agguantarla in un attimo , ma nonostante tutto
doveva ammettere che quel gioco divertiva lei per prima , per cui continuò a
correrle dietro ghignando allegramente .
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Parte 10 ***
Rinuncia : I personaggi non mi appartengono, è solo un prestito
temporaneo.
" Pietà ti prego ! Mi arrendo !"
Urlò Michiru ansante per le risate e levando le mani in segno di resa ,
fermandosi davanti al vialetto d’ingresso che portava al loro alloggio .
Haruka , che a bella posta non l’aveva raggiunta , prolungando fin lì
quell’allegro inseguimento , incombeva su di lei ed era ad un passo dal
ghermirla .
Quando all’improvviso , sembrò rendersi conto solo allora di quanto stava per
fare e si tirò indietro intimidita , mutando completamente espressione . Da
divertita che era si accigliò visibilmente , prese una posa eretta e incrociando
le braccia , come se volesse legarle in modo da evitare di compire gesti
involontari e imbarazzanti , fece qualche passo indietro .
" Ma che finale degno di una soap opera !" Esclamò sarcastica innanzi allo
sguardo incerto che le indirizzò Michiru .
Effettivamente doveva ammettere di essere stupita del suo atteggiamento , ma
quando mai aveva avuto tutta quella familiarità con qualcuno ? Okay , la
girandola degli eventi accaduti quella sera era stata vertiginosa , ma da qui a
stravolgere il suo modo di fare , ce ne passava . Magari poteva consentire che
tra lei e la violinista s’instaurasse una certa confidenza , ma superficiale ,
solo ed esclusivamente a livello verbale !
Ed era per questo che si era intenzionalmente fermata non appena si era
accorta che stava per compire quello che , a tutta prima , pareva proprio un
gesto d’affettuoso cameratismo .
Sapeva che di non poterselo permettere e per svariati motivi , non ultimo
quello che non poteva prevedere come avrebbe reagito la ragazza . Razionalmente
ci potevano essere due risposte immediate : poteva apprezzare , quanto ritrarsi
disturbata . Il suo istinto maliziosamente le suggeriva che ne sarebbe stata
lieta . E proprio per questo le suonava nella testa un rumoroso campanello
d’allarme .
Michiru era una persona cristallina , troppo limpida se paragonata a sé
stessa , e lasciarsi andare con lei equivaleva a mettersi in una serie di
situazioni piene di variabili incognite . Era disposta ad assumersene l’onere ?
Inoltre , a dirla tutta , poteva pure sbagliarsi su tutta la linea e allora cosa
sarebbe successo ? Non avrebbe sopportato di vedere equivocate le sue intenzioni
una volta tanto che non ci stava assolutamente provando !
No , la risposta era decisamente no . Meglio mantenere sempre una notevole di
distanza tra loro . Anzi era suo preciso dovere mettere dei paletti e fare in
modo che reggessero nonostante tutto .
" Roma non si è fatta in un giorno , giusto ?" Affermò Michiru interrompendo
il flusso dei suoi pensieri .
Era delusa , per un attimo le era parso che finalmente Haruka stesse
sciogliendosi con lei , ci mancava tanto poco ! Prese fiato , dominando lo
scontento , e tentò di prenderla con filosofia . Del resto non poteva aspettarsi
alcunché di diverso da un carattere impenetrabile come quello di
quell’enigmatica stangona . Piuttosto , considerato che fino a qualche ora prima
stavano vivendo un clima da guerra fredda , doveva essere più che soddisfatta di
come stavano procedendo nel frattempo . Certo sarebbe stato magnifico se le
avesse regalato quel breve , ma indicativo , contatto fisico . Nella forma
poteva sembrare un atto insignificante , ma per lei avrebbe contato molto
giacché , per quanto la riguardava , era fondamentale esprimere le proprie
emozioni anche attraverso i gesti .
Fosse dipeso da lei avrebbe annullato da subito quella distanza e le barriere
che Haruka pareva volesse stabilire tra loro . In fin dei conti che c’era di
sbagliato nell’esprimere dell’affetto ? E se l’altra non ne era capace , era più
che disposta a prendersi l’incombenza di fare in modo che ciò avvenisse .
Sospettava però e a giusta ragione , che qualora avesse tentato , agli occhi
della bionda quella sarebbe parsa come un’evidente impudenza . Presumibilmente
detestava quel tipo di effusioni , considerandole alla stregua di smielate e
risibili manifestazioni . Per cui evitò di prendere qualsiasi iniziativa in quel
senso e si limitò a farle strada sull’uscio .
" Allora ,a chi tocca per prima la doccia ?" Chiese entrando e accendendo le
luci . " Se la usiamo contemporaneamente l’acqua sarà tiepida ."
" Non devi preoccupartene " , rispose laconica avviandosi verso la propria
toilette , " mi lavo sempre con l’acqua fredda dopo un allenamento . Mantiene i
muscoli più tonici ."
" E io che pensavo che lo facessi perché in te c’era un’autentica vena di
stoicismo ! " La canzonò affacciandosi dalla sua porta . " Ma non prendertela ,
per me ci sarà sempre qualcosa di catoniano nella tua natura !"
A quella battuta Haruka , nella solitudine della sua stanza , ghignò
involontariamente . Chissà se era un caso o se la violinista si stava
effettivamente riferendo a quella censura che aveva imposto ai suoi atti prima
in giardino . Poteva darsi che avesse capito ? Magari , sarebbe stato tutto
molto più semplice se l’avesse compreso e accettato . Ad ogni modo pareva che
non le importasse molto , considerato come la stava prendendo . Però , allo
stesso tempo , si chiese se non fosse tutta una finzione messa in atto allo
scopo di non farle troppa pressione .
" Oppure sono io che mi faccio fin troppe seghe mentali ." Pensò buttandosi
sotto al getto gelido della doccia . " E’ naturale che tra amici ci si comporti
con spontaneità e normalmente non avrei nessun problema a farlo . Con Setsuna
certe idee non mi sono maii saltate in testa . Ma il punto è che con Michiru è
diverso e che nei suoi riguardi non posso ignorare la valenza che certe
situazioni hanno per me . E se pure ignorassi che effettivamente mi piace ,
cosa che devo assolutamente fare , e agissi in un modo irreprensibile ,
cosa che devo assolutamente fare ! Resta il fatto che le mie azioni
potrebbero sempre essere giudicate sotto un ottica ambigua . Insomma ma non si
rende conto ?! Pensavo che fosse palese ..."
Dubbiosa , e anche un po’ arrabbiata , cominciò ad asciugarsi vagliando le
varie possibilità che aveva per uscire da quell’impasse , mentre dalla stanza
accanto si udiva il suono di un asciugacapelli in funzione . Lanciò un’occhiata
di sbieco in quella direzione ... Sapeva e non le importava ? Sapeva e per
questo s’aspettava qualcosa da lei o come una mammoletta non aveva capito un
accidenti ?!
A quest’ultima ipotesi Haruka prese in considerazione addirittura l’idea di
parlarle fuori dai denti e di spiegarle quanto la propria natura fosse
differente dalla sua . Ma dopo averci pensato sopra la scartò sdegnata . Non
aveva nulla da giustificarsi né da sottoporre al giudizio altrui , se Michiru
alla fine avrebbe capito da sola e vi si sarebbe addirittura adeguata , bene .
Altrimenti restava un suo problema e lei Haruka non voleva averci nulla a che
fare , che non aveva nessuna intenzione di mettersi in trappola da sola ! Solo
doveva essere accorta e tenere a bada i suoi bassi istinti , che ci voleva ?
Meditabonda si rivestì e andò nel cucinino in cerca di qualcosa da
sgranocchiare , giacché era passata da un pezzo l’ora di cena e non aveva
nessuna voglia di recarsi in refettorio a mendicare cibo .
Michiru la trovò così , acciambellata sul divano in pantaloncini e canottiera
mentre dava distratte occhiate ad un libro di letteratura e masticava
vigorosamente .
" Vuoi favorire ?" L’apostrofò senza neppure alzare gli occhi tendendole una
confezione di biscotti al cacao .
" Adesso capisco perché sei una fanatica dello sport , se mangi quei cosi
devi smaltirli , altrimenti diventerai un otre ." Motteggiò bonaria decisa a non
farsi mettere in soggezione dal suo atteggiamento mutevole . Che strano tipo !
Sembrava di ballare un perenne minuetto con lei , un minuto prima era gentile e
quello successivo scostante . Prima l’aveva addirittura rincuorata e adesso
invece le teneva il muso per chissà quale ragione assurda . Ombrosa ecco cos’era
e , da cavallerizza esperta , Michiru sapeva esattamente cosa fare con un
cavallo ricalcitrante !
" Se fossi in te li mangerei . Sono buoni oltre al fatto che con il calo di
zuccheri che hai avuto durante l’allenamento ti farebbe bene reintegrarli ."
Consigliò Haruka liquidandola con un’alzata di spalle , ma poi notò che tra le
mani Michiru teneva la sua t-shirt , la stessa che le aveva macchiato quella
sera , e prese un’aria interrogativa . A quello sguardo la violinista fece un
sorriso di scusa .
" Pensavo di provare a lavarla , magari torna come prima . Mi dispiace
moltissimo di averla rovinata ."
" Lascia stare , ne comprerò un’altra . Questa ormai è da buttare ." Replicò
burbera , e Michiru per tutta risposta la guardò storto senza mollare
l’indumento . Per cui Haruka si vide costretta a darle un chiarimento ,
altrimenti avrebbero ricominciato con le incomprensioni e non aveva nessuna
voglia di affrontarne le conseguenze . Incredibile ma vero , quella ragazzina la
stava logorando !
" Ora non ricominciare con la sindrome della piccola fiammiferaia ! Non la
sto gettando via a causa tua , è un dato di fatto , la macchia non verrà via ,
quindi è più semplice prenderne una nuova ."
" D’accordo Haruka , ma sappi che sarò io a comprartela ." Replicò tranquilla
sedendosi di fronte a lei , con la schiena addossata al supporto del divano e le
gambe raccolte sotto la camicia da notte , prendendole dalle mani il tubo dei
biscotti .
" E perché dovresti regalarmela ?" Fece Haruka piccata . Ci mancava solo
questa , che s’intromettesse dove meno tollerava che lo facesse . I suoi
completi sportivi li sceglieva in base ad un preciso criterio pratico oltre al
fatto che per lei erano fonte di una passione creativa che nell’abbigliamento di
tutti i giorni era ben lungi da provare . Il tessuto , la foggia , il colore ,
tutto era scelto secondo un gusto molto personale e proprio non le garbava
l’idea che qualcuno ci mettesse becco !
" E’ molto carina con i capelli tirati sopra il capo e in tenuta notturna
, ma , considerazioni estetiche a parte , non devo farmi fregare dalle sue
lusinghe . Non voglio mica correre il rischio che mi regali una maglia fiorata e
che per di più mi rompa le palle perché non me la metto !"
" E chi l’ha detto che te lo regalo ?" Rispose Michiru , con l’aria di chi la
sa lunga , interrompendo il suo monologo interiore . " Diciamo che sarà un equo
scambio , perché questa me la tengo io ."
" E che te ne fai ?" Chiese meravigliata , dopodiché non poté resistere alla
tentazione di una frase pungente . "Voglio dire , ammettiamo pure che stasera ti
sia nata un’insana passione per lo spinning e che abbia intenzione di
dedicartici , con palese piacere masochista usando la mia maglia ... ma è troppo
grande per te . Al massimo puoi comprarci una cintura abbinata e usarla come un
vestitino !"
Michiru si limitò a scuotere il capo con un mezzo sorriso davanti a
quell’evidente impossibilità che Haruka aveva di capire certe sottigliezze e si
spiegò .
" Diciamo che mi piacerebbe tenerla come ricordo , a futura memoria , in modo
che anche tra molti anni , ogniqualvolta la vedrò , mi tornerà in mente il
giorno in cui è nata la nostra amicizia e sei accorsa in mio aiuto . "
" Ho capito , sei la classica persona che tiene stipati negli armadi gli
oggetti più inverosimili mentre la roba sua se ne va in malora !" Commentò
indifferente sperando che il rossore che le stava salendo alle guance non fosse
visibile . Ma quella ragazzina aveva idea dell’effetto che faceva mentre faceva
certe affermazioni , guardandola in quel modo e con quel maledettissimo sorriso
pieno di grazia ?!
" Tu non credi alla sorte , vero ?" Le chiese continuando a guardarla con
dolcezza .
" Esatto , penso che tutto dipenda più che altro dal caso ." Rispose
indolente eludendo il suo sguardo e ruotando la sua posizione in modo da
stendersi sul fianco opposto del divano con le mani incrociate dietro la testa
.
" Invece io credo che noi due fossimo destinate ad incontrarci . Sì , assumi
pure quell’aria scettica se vuoi , ma la penso proprio così . Altrimenti come ti
spieghi il fatto che pure venendo da due paesi diversi , avendo due stili di
vita inconciliabili tra loro e un’indole del tutto antitetica , mi trovo
talmente bene con te ? Persino adesso trovo che sia piacevole star qui senza far
niente a chiacchierare sull’assoluto ." Affermò seria protendendosi in avanti e
riducendo la distanza che c’era tra loro , cosicché le ginocchia rannicchiate di
Haruka vennero a trovarsi sotto al suo naso . Haruka non si azzardò a cambiare
nuovamente la sua posizione , pena svelare il suo ormai essere sulle spine , ma
dove voleva arrivare con quel discorso ? Meglio tentare di essere conciliante
.
" Adesso non farmi domande assurde , dovrei stare nella tua testa per saperlo
. Mah , forse quello che ti sta fuorviando è la novità , bene o male quando si
conosce qualcuno di nuovo c’è sempre un minimo d’interesse . Oppure è proprio il
fatto che non abbiamo nulla che spartire che t’incuriosisce e ti fa parlare in
termini fatalità . Ma lascia che ti dica una cosa , la gente esce ed entra in
continuazione dalle vite altrui e niente è scritto su pietra . Non sto mettendo
in dubbio la tua costanza negli affetti , per quanto ne so potresti perfino
essere come Penelope , che pur di aspettare Ulisse , tesse e disfa la tela per
anni ! Ma ritengo che sei abbastanza intelligente da sapere che nulla dura in
eterno . "
" Sì dovrei saperlo e forse hai ragione ."
Ammise docile restandosene in silenzio a riflettere su quanto le era stato
appena detto , tanto che Haruka sollevata pensò che ormai avesse lasciato cadere
l’argomento . Invece all’improvviso sentì un lieve tocco sulla cicatrice che
aveva sul ginocchio e senza parole fissò Michiru che lentamente la stava
percorrendo con l’indice .
" Eppure presumo che ogni volta che guardi questo sfregio ripensi al momento
il cui sei caduta , al dolore che hai provato , a tutte le relazioni che sono
connesse a questa ferita , e che sarà così sempre . Non credo che lo scorrere
del tempo cancellerà queste sensazioni in te . E allora perché col resto
dovrebbe essere diverso ?"
A quest’interrogativo Haruka sospirò meditabonda e infine abbandonò la posa
noncurante che aveva tenuto durate tutto quel discorso . Effettivamente Michiru
si meritava una risposta seria .
" Bella domanda e se sapessi controbattere adeguatamente forse non avrei
mandato a puttane molte cose ... Sei un tipo molto celebrale Michiru , fin
troppo per me che normalmente liquido certe considerazioni con un’alzata di
spalle , preferendo fregarmene . Cosa vuoi che ti dica ? Per esperienza so che
si cambia nel corso degli anni , gli eventi si susseguono , nuovi elementi
entrano nella nostra sfera e l’equilibrio inevitabilmente si altera . E’ tutto
così precario ! Pensaci un attimo , tra un anno ci diplomeremo e allora che
accadrà ?"
Concluse alzandosi e portandosi allo stesso livello della sua interlocutrice
, in modo che le fosse facile guardarla negli occhi e rendersi conto che le
stava parlando da pari a pari .
" Un giorno alla volta Haruka , non ti chiedo altro . Lascia che ti stia
vicino un giorno alla volta ." Affermò Michiru con gentilezza e prendendole la
mano con tanta naturalezza che la bionda non poté , né volle , evitare quel
contatto .
Benché non poté far a meno di chiedere burbera : " Accettandomi così come
sono ? Senza mugugnare , senza tentare di cambiarmi come vorresti che fossi
?"
" Sì , accettando le reciproche differenze e brontolando quando è il caso ,
non sei una persona facile , lo sai no ?" Replicò scoppiando in una risata
argentina .
" Mi pare di non aver mai detto il contrario , del resto è così che il popolo
mi vuole e non posso certo deluderlo !"
" Presuntuosa ! Allora che ne dici , sabato prossimo andiamo a fare shopping
? Tanto lo so che se ti comprassi una t-shirt a mio gusto non la metteresti mai
."
" Richiama i cani Kaiou ! Pare che ti sei dimenticata che sarò in punizione
fino a Natale ."
" Andiamo , non mi freghi mica sai ? Tanto lo so che da qui a sette giorni
avrai già escogitato qualcosa per tirartene fuori . Puoi essere diabolica quando
vuoi e sono convinta che a questo proposito già ti sta frullando qualcosa per la
testa ."
"Per il momento ancora niente di preciso , ci devo pensare ... Comunque
voglio fidarmi di te . Sei disposta a prenderti un paio d’ore di freddo per
darmi una mano ? Ti assicuro che lo spettacolo che ne deriverà , varrà la pena
."
Propose di punto in bianco balzando in piedi come se si fosse risolta ad
agire in quel preciso momento .
" Va bene , ma di che si tratta ?"
"Tu vestiti di nero , una cosa comoda mi raccomando e legati i capelli , dopo
ti spiego ."
Qualche minuto dopo si ritrovarono davanti alla porta d’ingresso di scuro
abbigliate e Haruka le porse uno zuccotto di lana , nero anch’esso , identico al
proprio per coprirsi i capelli .
" Meno diamo nell’occhio e meglio è , senza di questo , al buio , la mia
zazzera è una specie di faro nella notte ."
" E ora che sembriamo Diabolik ed Eva Kant potresti dirmi che diavolo stiamo
andando a combinare ?"
Haruka per tutta risposta si infilò un paio di guanti di lattice e le mostrò
una borsa dove , tra altri attrezzi , infilò una chiave inglese che teneva nella
tasca posteriore . Infine , tirando fuori per ultimo un piccolo grimaldello , la
cercò con uno sguardo complice ghignando .
" Stiamo andando a fare una visitina all’auto della vicepreside !"
" Carogna !" Replicò Michiru ridacchiando e seguendola a passi felpati .
Così fu che il mattino dopo , l’inizio del primo weekend di clausura per
Haruka , lei e Michiru se ne stavano in paziente attesa , sul terrazzo
sovrastante la scuola , tenendo d’occhio il parcheggio . Quando finalmente la
vicepreside si accomodò in auto , Haruka diede il gomito alla sua vicina .
" Adesso capirai perché ci ho messo tanto e perché ho dovuto far sporcare le
tue manine delicate di grasso ."
Come la donna girò la chiave nel quadro d’accensione nell’ordine accadde che
: il cofano si spalancò come un giocattolo a molla , mentre contemporaneamente
si veniva creare un corto circuito elettrico che fece esplodere rumorosamente
delle scintille che culminarono in una potente fiammata che si levò verso l’alto
.
" Ora ho capito perché hai perso tutto quel tempo ad invertire i cavi della
batteria ." Esclamò Michiru fissando la scena con occhio clinico .
La sua asserzione fu immediatamente sovrastata dal rumore del radiatore , che
esplodendo , mandò acqua bollente e sbuffi di fumo bianco in ogni direzione
.
" Dì Haruka , ma siamo sicure che resterà incolume ?"
" Non preoccuparti , ho fatto in modo che i dispositivi di sicurezza
intervenissero tempestivamente ! " Replicò Haruka facendole l’occhietto .
Infatti in quel momento le urla isteriche della donna cessarono del tutto a
causa di entrambi gli aribag che le esplosero addosso contemporaneamente e
l’azzittirono all’istante . E l’urto dei palloni scoppiati , come gran finale ,
fece ribaltare il sedile di guida , al quale nottetempo erano state allentate
tutte le viti .
Fu uno spettacolo grandioso e Haruka e Michiru stavano ancora ridendo
appoggiate al parapetto quando gli inservienti ormai avevano tirato fuori
dall’abitacolo la vicepreside , la quale appariva decisamente terrorizzata , ma
, nonostante ciò , stava dando fuori di matto urlando improperi all’indirizzo di
una certa Tenou .
" Bene , adesso sì che puoi andare a casa Michi ." Annunciò Haruka inforcando
gli occhiali da sole e avviandosi verso le scale .
Michiru sorrise raggiante , le corse dietro e afferrandola per un braccio
espresse allegramente la sua opinione : " E perdermi tutto il divertimento ?
Scordatelo , io resto qui a farti compagnia !"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Parte 11 ***
Rinuncia : i personaggi non mi appartengono , è un prestito e di mio c'è solo
la trama .
11
" Guarda che non è necessario ", affermò Haruka divincolandosi con
disinvoltura dalla sua stretta e iniziando a scendere le scale,
"non credo che mi annoierò . Anzi, tutto sommato una volta tanto non mi
dispiacerebbe abbandonarmi all’accidia."
"Ecco appunto." Fu la replica della violinista mentre tentava di tenerle
dietro affrettandosi, giacché ogni passo dell’altra equivaleva a due dei suoi.
Senza contare che Haruka procedeva ad un’andatura piuttosto spedita. "Non nego
che mi piacerebbe conoscerti un po’ meglio durante questi giorni senza lezioni,
ma devo ammettere che era soprattutto l’idea di prendermi un meritato riposo che
mi allettava." Aggiunse mentre il suono dei suoi tacchi sull’impiantito
s’intensificava.
" Beh non sarò certo io ad impedirtelo, fai pure il tuo comodo e lasciami
fare altrettanto." Precisò la bionda da un punto indefinito del pianerottolo
sottostante, apparentemente all’oscuro del fatto che dietro di lei non ci fosse
nessuno.
"Cos’è questo? Un modo più amabile di notificare il tuo solito non
rompermi le palle?" Chiese Michiru fermandosi accanto alla balaustra e
occhieggiando il corrimano di legno brunito. Era abbastanza largo, continuo e
bello lucido. Aveva tutta l’apparenza che l’avessero strofinato con della cera
di recente. Perché no? Era solo un piano e poi pareva che quell’insensibile non
avesse nessuna intenzione di aspettarla, quindi raccolse le pieghe della gonna
su di un lato, si accomodò e dandosi una spinta cominciò a scivolare verso il
basso. Affrontò di slancio la curva della ringhiera e acquistando velocità ci
prese persino gusto. Anche se, in dirittura d’arrivo, temette si stare per
rompersi tutti i denti, poiché l’atterraggio risultò alquanto difficile. Infatti
le scarpe che indossava, tra le loro molteplici qualità, come l’eleganza sobria
e la morbidezza del cuoio, non prevedevano attinenza con certe acrobazie.
Fortunatamente riuscì a mantenersi in piedi, con un notevole senso
dell’equilibrio e ebbe pure la faccia tosta, a pericolo scampato, di fare un
mezzo inchino ad Haruka, la quale a quel casino si era voltata a fissarla con
espressione decisamente allarmata.
"Dicevi scusami?" Chiese alzando il mento,dandosi un colpo ai capelli e
gratificandola con un sorrisetto di superiorità.
"Che probabilmente devi cambiare pusher, poiché la roba che vende ti fa uno
strano effetto!"
"Sai qual’è il tuo problema Haruka? Nonostante la tua apparenza
anticonformista, sei una rigidona!" La sfotté incamminandosi senza una meta ben
precisa, tanto aveva testé deciso che una volta tanto non avrebbe fatto
programmi. Generalmente le sue giornate erano vincolate da un rigido protocollo,
ma per quel weekend la studentessa diligente, la pittrice solitaria e la
violinista dal grande avvenire potevano concedersi una meritata vacanza. E
felice cominciò ad assaporare quella sconosciuta sensazione di libertà.
"Potrebbe darsi, ma ridimmelo quando me ne starò sbracata in mutande a
scaccolarmi il naso mentre tu aspetti l’ispirazione per il tuo capolavoro
immortale!" L’invitò sorniona, ghignando provocatoria all’idea di quel quadretto
domestico. " Tanto da come si sta mettendo il tempo, non credo proprio che potrò
fare altro." Concluse inaspettatamente togliendosi gli occhiali da sole e
ponendoseli sulla testa in modo che, una volta tanto, il ciuffo non le ricadesse
sugli occhi.
"Dici che piove?" Chiese Michiru gettando uno sguardo dubbioso al cielo
terso. Eppure, concentrandosi, isolandosi per un attimo da tutto quel che le
stava intorno e ascoltando attentamente verso sud, in direzione della baia a
valle, pareva proprio che la marea si stesse ingrossando. Si stava facendo
suggestionare? Per esserne certa guardò verso l’oceano in lontananza, notando
infine le onde lunghe e i gabbiani che volavano bassi, segno inequivocabile di
un temporale incombente.
"Fidati, ho un barometro infallibile nel ginocchio, quando il tempo sta per
mettersi al brutto inizia a farmi un male cane. E poi il vento sta cambiando."
Specificò cogitabonda, come se con quell’ermetica affermazione avesse reso tutto
più chiaro. Chiunque avrebbe considerato un’affermazione simile quantomeno
bizzarra, la reazione di Michiru invece fu quella di voltarsi di scatto a
contemplarla sconcertata.
Era mai possibile, si chiese confusa, che qualcun altro, come lei, potesse
avere simili affinità con un elemento primigenio? E non era fin troppo fortuito
che questo qualcun’altro fosse proprio la persona che l’attirava
irresistibilmente e che sentiva così vicina?
Doveva essere una coincidenza, non c’era altra spiegazione plausibile. Era
solo una affermazione casuale capitata in un frangente topico...
Disorientata si portò una mano al capo, come per schiarirsi le idee e fissò
di nuovo e con maggiore attenzione il profilo dell’altra. Haruka non le badava e
se ne stava immobile, appoggiata ad un tronco d’albero, come in attesa che lei
venisse ad una risoluzione.
Michiru cercò di andarci cauta, anche se una ridda di considerazioni le si
affollavano in testa ad un ritmo vertiginoso.
Era un caso anche che il cognome Tenou ,sillabandolo, potesse significare re
del cielo, così come Kaiou, letto allo stesso modo, divenisse re del mare? E,
guardandola ancora una volta, non c’era qualcosa di decisamente aereo nella sua
figura?
Rispondendo affermativamente a questa considerazione ogni tassello sembrava
andare al suo posto con sorprendente naturalezza .
In effetti l’altezza, il pallore eburneo dell’incarnato, il dinamismo
affusolato degli arti, il sole nei lunghi capelli, l’agilità nelle movenze,
tutto lo suggeriva. Addirittura l’indole corrispondeva, poteva essere al
contempo sfuggente, impetuosa e sferzante, esattamente come il vento nelle sue
molteplici forme.
"Ehi Kaiou, sveglia."
La voce di Haruka la scosse dai suo pensieri e, ancora confusa e persa nelle
sue stesse fantasie, faticò abbastanza a prestare attenzione a quanto le stava
dicendo.
"Ti ho chiesto se ti andava un caffè." Ripeté indicando con un gesto vago la
direzione in cui si trovava la caffetteria all’interno della scuola.
"Volentieri." Rispose lasciando che la precedesse e seguendola
silenziosamente, continuò con le sue elucubrazioni.
Anche se inverosimile fino all’assurdo, più ci pensava e più si convinceva
delle sue tesi. Chissà se, pragmatica com’era, si era mai soffermata ad
interrogarsi su quella sua peculiare assonanza trascendentale?
Forse, per il momento almeno, era più saggio non fargliene parola. Avrebbe
atteso, conoscendola meglio magari poteva chiarire se la stava rivestendo di
panni non suoi, oppure se era un dato di fatto, per quanto incredibile potesse
essere.
"Ehi, ma si può sapere che ti è preso?" Le chiese infine Haruka accomodandosi
di fronte a lei ad un tavolo all’angolo del locale. " Sono dieci minuti buoni
che mi fissi come se avessi i piedi al posto delle orecchie!"
"Nulla, stavo solo pensando a cosa inventarmi per giustificare la mia
assenza." Fece inalberando un’espressione perplessa. Già le pareva di sentire
gli strepiti del suo maestro di musica!
"Giusta osservazione, a questo proposito mi sa che devo fare qualche
telefonata. Scusami un attim ." Replicò tirando fuori dalla tasca interna del
soprabito un cellulare.
"Già che ci sei ti spiace ordinare anche per me? Caffè, nero, lungo e senza
zucchero."
Così mentre Michiru se la sbrigava con la cameriera, Haruka si attaccò al
ricevitore e senza prendersi la briga di allontanarsi, tanto non si trattava di
conversazioni personali. Lasciò per ultima quella più difficoltosa e,
anche se non se ne stava lì ad orecchio teso per origliare, la violinista ebbe
lo stesso modo di ascoltare interessanti brani di conversazione. In un certo
senso le svelava un altro lato della sua personalità che non conosceva.
"Ciao Hitomi... senti non cominciare ad urlare... te l’ho già spiegato,
purtroppo non posso farci niente... sì, certo che avevo intenzione di recuperare
il tempo perduto, cosa credi? Venerdì prossimo cercherò di venire via prima
possibile e farò una tre giorni di test intensivi... eccome se mi ricordo!
Figurati se me la perdo... e tu che gli hai detto? ... Ottimo sei una contaballe
nata ...ma quale credibilità, ti pago anche per questo! Okay, okay non
preoccuparti per lo sponsor... quello che non sanno non può farli incazzare...
beh se ci lasciano col culo a terra, visto che la macchina è rossa, possiamo
sempre rivolgerci alla catena di pizzerie Bella Napoli! ...scherzavo... tu metti
tutto in stand-by per qualche giorno... ok , d’accordo, anche a te."
"Che palle !" Sbottò quando in conclusione poté interrompere quella
conversazione. Michiru non riuscì a reprimere una risatina, giacché sospettava
fortemente che l’onere di fare da PR ad Haruka doveva essere un impegno
parecchio gravoso!
"Problemi?" Chiese dopo un po’ dato che l’altra non aveva aggiunto altro e si
era solo limitata a sorseggiare il suo caffè sbuffando di tanto in tanto.
"Direi di sì...a quest’ora sarei dovuta essere in pista a provare. C’è una
faccenda che non va con l’aerodinamica e l’ingegnere di macchina contava sui
test di queste settimane per cercare di risolverlo. Magari per questo weekend
faranno girare il collaudatore per farsi un ulteriore idea, ma è un’eccezione
che non può ripetersi. Insomma, a questo stadio non serve ad un granché. Per
meglio dire, oltre al fatto che il pilota ufficiale sono io e tocca a me, da un
certo punto in poi la macchina diventa come un vestito su misura e in virtù di
ciò l’ultima parola può essere solo mia. Fortunatamente non siamo stretti con i
tempi, il campionato inizia a marzo, ma nel frattempo ci sono anche altri
particolari intrallazzi a cui volente o nolente devo badare."
"Onestamente Haruka ti confesso di saperne molto poco in merito
all’automobilismo. Anzi diciamo pure che sono completamente ignorante in
materia, ti spiacerebbe illuminarmi. Che intendi precisamente con
intrallazzi?"
"Sporco denaro." Affermò sibillina e Michiru involontariamente si lasciò
sfuggire un’espressione piuttosto contrariata. Non era nel suo stile assurgere
al ruolo di giudice, però si dava il caso che ritenesse la leva del danaro un
movente tra i più gretti. E nell’udire Haruka che ne parlava in modo così
spassionato, l’ammirazione che nutriva per lei subì un colpo repentino.
"Da qui all’inizio delle gare dovrò partecipare a tutta una serie di eventi,
promozioni, party e chissà cos’altro al solo scopo di pubblicizzarmi quanto più
è possibile. Accidenti, non mi ci vedo proprio a sorridere a denti stretti come
un pesce lesso a tutti quei coglioni che mi finanziano, ma che ci posso fare? E’
così che va."
Aggiunse come per rafforzare l’impressione che no, non si era sbagliata.
Michiru non voleva credere alle proprie orecchie, anche se le asserzioni di
Haruka erano state chiarissime. E allora crebbe in lei l’indignazione e si sentì
delusa, profondamente delusa. Mio dio, poteva aver preso un abbaglio simile?
Haruka era il tipo che avrebbe fatto di tutto per soldi? Nel qual caso, quel che
aveva creduto di aver compreso e apprezzato sul suo conto, doveva essere
riesaminato sotto quest’ ottica deturpante. E fuorviata da quelle considerazioni
si lasciò scappare un commento che non avrebbe dovuto.
"In pratica, ti stai svendendo?" Chiese con alterigia.
Va detto in sua difesa che Michiru non era una bacchettona, solo, poteva
permettersi grazie alla famiglia abbiente dalla quale proveniva e alle
frequentazioni altrettanto benestanti che aveva, di non misurare le sue passioni
sull’altare del profitto. Dipingeva e si esibiva con il violino per
realizzazione personale, per la gioia di farlo, in definitiva per tutta una
serie di motivazioni le quali con il guadagnarsi da vivere non avevano nulla a
che fare. E nella sua ingenuità un po’ snobistica credeva che ricavare danaro
dal suo talento sarebbe equivalso a disonorare le proprie aspirazioni. Ergo lo
stesso discorso doveva valere per Haruka.
Peccato che la violinista non considerasse che quel che valeva per lei, non
poteva essere universalmente condiviso. Vero che Haruka studiava nella sua
stessa scuola, ma era ben lungi dal provenire da un retaggio facoltoso,
tantomeno nobile, come il suo. Infatti in quel prestigioso istituto c’era
entrata grazie ad una borsa di studio e la sua famiglia, se di famiglia si
poteva parlare, era ben lontana dall’essere una di quelle conformi alla
tradizione .
Per cui la rabbia profonda che investì Haruka, e la prepotente voglia di
ricacciarle in gola quelle affermazioni spocchiose, non erano del tutto
ingiustificate.
"Beh che credi principessina?" Chiese tremendamente gelida inarcando un
sopracciglio con quel suo modo caratteristico. "Per essere competitivi nel
circuito delle corse ci vuole un mucchio di grana. Magari nel raffinato universo
delle avanguardie artistiche in cui svolazzi sono solo la predisposizione e
l’ideale che contano, ma nel mio mondo non basta, ci vuole il sostegno degli
sponsor e la vacca va munta finché ce n’è bisogno! E se farmi fotografare a
scopo pubblicitario con un cesso in braccio servirà a portare altri introiti
alla mia squadra, sta certa che non mi tirerò indietro! Sono decisa a realizzare
il mio sogno e ora che finalmente sono ad un passo dal farlo non mi farò fermare
da considerazioni sofistiche sulla liceità delle mie azioni!"
"Accidenti! Hai addirittura il coraggio di ammetterlo? Ma non ti rendi conto
che questa strada porta solo in basso? E per cosa poi? Per un quarto d’ora di
notorietà? E allora sappilo, personalmente preferirei essere un anonimo zero per
tutta la vita, piuttosto che svilirmi in questo modo vergognoso!"
"Sai cos’è veramente vergognoso? La falsa modestia di cui t’ammanti. E come
definiresti quell’ipocrita amicizia che mi hai promesso non più tardi di ieri?
Chi accidenti credevi d’avere innanzi Kaiou?! Il principe Kaoru Idaishio? Beh
sorpresa, a quanto pare non sono una tua pari. Niente debutto in società per me,
sono una figlia della plebe! Ma ti stupirà sapere che me ne sbatto altamente del
piccolo mondo antico dal quale provieni, che personalmente non avrò la
possibilità di andare da papà e chiedergli in regalo un ferrarino tutto rosso,
ma porca puttana, posseggo quel privilegio infinito che è la soddisfazione di
sapere che tutto ciò che ho me lo sono guadagnato! E tanto mi basta per sentirmi
migliore di te e di quelli come te!"
Basita innanzi a tutta quella veemenza Michiru capì di aver esagerato e
altresì di aver toccato un nervo molto sensibile. Presa dal panico tentò di
raccogliere le idee per dirle qualcosa, una cosa qualsiasi che arrestasse il
flusso di quelle parole ingiuriose e che le consentisse di fare marcia indietro
e mostrarle la contrizione che provava. Ma Haruka non gliene diede il tempo.
S’alzò in piedi e dopo aver frugato nel portafogli gettò alcune banconote sul
tavolo con evidente disprezzo e senza neppure badare al taglio.
"Pagatici il caffè con questi bambolina e guardami bene mentre esco da quella
porta, perché sarà l’ultima volta che mi vedi da una distanza ravvicinata."
"Haruka, per favore ascolta un attimo..." Cominciò con voce esitante, ma
quella neppure ci pensò a prestarle attenzione.
"Taci! E non m’interessa come farai, ma vedi di andartene fuori dai coglioni
entro lunedì, altrimenti giuro che ti butterò personalmente fuori a calci in
culo. Poi possono pure crocifiggermi nell’auditorium se gli pare!"
Michiru non riuscì a dire nulla, solo le tese le mani a palmi in avanti come
a chiedere comprensione per il suo grossolano errore, sperando in cuor suo che
quel gesto valesse mille parole e riuscisse nell’impossibile.
Vana illusione, Haruka ormai non vedeva, né sentiva nient’altro all’infuori
del rombo del sangue che le pulsava a causa della rabbia. Infatti girò i tacchi
e uscì sbattendo pesantemente la porta, facendo sobbalzare buona parte degli
astanti. Dopodiché si diresse senza indugio nella sua camera e da lì, dopo aver
tolto l’uniforme e prelevati casco e chiavi, nel parcheggio sotterraneo.
Risoluta montò sulla moto e dando gas più volte per far riscaldare il motore,
una volta per tutte uscì a forte velocità dall’istituto. Oh, era consapevole che
questo suo ennesimo gesto di ribellione avrebbe avuto delle pesanti conseguenze,
ma arrivata a questo punto preferì ignorarle. La sua unica priorità adesso era
di andare al circuito, salire sulla sua monoposto e correre. Correre fino a
quando tutto intorno a lei non sarebbe stato altro che una serie di macchie
indistinte di colore, fino a quando la forza centrifuga che la schiacciava non
avrebbe vinto la sua resistenza, fino a quando non si sarebbe sentita tutt’uno
con la spinta del vento... fino a quando non avrebbe avuto più davanti agli
occhi quell’espressione che inequivocabilmente aveva manifestato quanto fosse
poca cosa ai suoi occhi.
"Maledetta stronza!" Mormorò ancora una volta immettendosi nella corsia di
sorpasso e spingendo l’acceleratore fino a lanciare la moto ad una velocità
oltre i 200 km/h.
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Parte 12 ***
12
Il temporale, preavvertito qualche ora prima, si era scatenato appieno mentre
era in autostrada, e quando Haruka fece il suo ingresso nel motorhome era
bagnata fino al midollo e per niente placata. All'opposto, il suo umore non era
andato che peggiorando.
I numerosi presenti rimasero di stucco alla sua vista e non si sa fino a che
punto se per la sua presenza inaspettata o per come appariva.
In effetti il suo arrivo, di gran carriera, arrestando la moto di grossa
cilindrata con un rumoroso stridore di freni, e l’avanzare a passi decisi, quasi
minacciosi, verso il garage, non promettevano niente di buono. Inoltre, come a
scenografare la sua latente aggressività, era vestita di nero da capo a piedi. E
fu, con un’espressione terribile sul volto e senza degnare di una parola alcuno
,che entrò levandosi il casco dal capo e strappandosi il chiodo che le si era
incollato addosso.
"Dove diavolo sono gli altri?" Berciò all’indirizzo dei meccanici addetti al
cambio gomme che stavano controllando i treni dei pneumatici.
"Al muretto..." Balbettò uno di questi impaurito. Aveva sentito parlare
spesso del caratteraccio del pilota ufficiale e non avendo mai avuto modo di
averci a che fare in prima persona, credeva che fosse più che altro
un’esagerazione. Ma si stava ricredendo rapidamente. Pareva, furente com’era, e
da com’era sbucato all’improvviso in mezzo a quella tempesta di pioggia e
fulmini, il dio del temporale in persona!
"Bene, così eviteremo di perdere altro tempo prezioso." Reagì afferrando dal
suo supporto sul muro una delle ricetrasmittenti che comunicavano via radio con
i vari membri del gruppo. E senza ulteriori indugi pigiò un pulsante che la mise
subito in contatto col responsabile di squadra.
"Sono ai box. Vado a cambiarmi, nel frattempo fatemi la cortesia di far
scendere quell’allocco dalla mia macchina!"
Detto questo, senza dar neppure il tempo di replicare al suo interlocutore,
riappese e andò nello spogliatoio. La vestizione fu rapida, ma accurata.
Controllò una ad una che tutte le imbottiture fossero al posto giusto e che le
chiusure di velcro della tuta e delle scarpe chiudessero per bene. Non avrebbe
consentito che il nervoso che le era preso a causa di quella bamboccia influisse
sul benché minimo particolare o la mettesse in condizione di non esprimersi al
suo meglio. Il suo rendimento era proverbiale, gliel’avrebbe fatta vedere, a
tutti quanti!
Intanto, nel tempo in cui terminò d’indossare l’equipaggiamento completo e
tornò indietro, nella rimessa si era riunita l’intera squadra. I componenti
dello staff tecnico parevano parecchio alterati, non al suo stesso livello, ma
quasi. Senza contare Hitomi ,la quale, benché furibonda, in sua assenza aveva
tentato di calmare gli animi, anche se era tutt’altro che tranquilla. Se avesse
potuto l’avrebbe strozzata!
"A che gioco stiamo giocando Tenou?" L’apostrofò l’ingegnere capo palesando
tutta la sua irritazione. "Prima il tuo manager giura e spergiura che
l’influenza t’ha steso, tanto da non poterti muovere dal letto per venire qua a
far quello per cui si sborsano soldi a palate! E poi, come per magia, eccoti e
scoppi di salute! Questo non è un modo di lavorare serio."
"Abbiamo dovuto cambiare tutto il piano di lavoro del fine settimana per
adeguarci alla tua assenza, tutti i preparativi precedenti sono finiti nella
merda all’improvviso, che razza di faccia di bronzo presentarsi qui!" Rincarò la
dose il capomeccanico, concludendo la frase con uno scaracchio ad effetto, che
andò a spiaccicarsi a pochi centimetri dai suoi piedi.
"Ma porco mondo, m’avete preso per lo scemo della situazione? Sali dalla
macchina, scendi dalla macchina che sua altezza è qui! Ma che cazzo!" Esordì
entrando in scena il collaudatore, mentre chi era troppo in basso nella scala
gerarchica per parlare apertamente, si limitava a bisbigliare sullo sfondo ed
erano mormorii tutt’altro che amichevoli. Insomma, una scena molto teatrale. Ci
mancava solo il deus ex machina, che puntuale arrivò.
"Hanno pienamente ragione Haruka." Si unì alle filippiche Hitomi. "Come
diavolo credi che si possa andare avanti se ti comporti in questo mod..."
"Non una parola di più!" Eruppe Haruka livida con un tono di voce che non
ammetteva repliche e tutti, dal primo all’ultimo, benché fossero degli adulti,
nonché dei tecnici navigati del settore e gente abituata ad aver a che fare con
gl’individui più disparati, s’azzittirono di colpo come scolaretti davanti al
maestro.
"Lei signor Hayato", continuò rivolgendosi per primo all’ingegnere, "ha le
sue motivazioni per essere scontento. E lei signor Shinobu", proseguì puntando
il dito verso l’altro tecnico, "il suo lavoro è prezioso e, malgrado sembri il
contrario alla luce di quanto ho fatto, sa bene quanto la stimi. Nonostante la
sua mira con gli sputi non valga un granché." Precisò strafottente, poi fece una
pausa e si portò al centro, in modo che potesse guardarli ad uno ad uno e al
contempo gli altri potessero fare altrettanto.
"In definitiva tutti qui, a partire da Hitomi, alla quale ho fatto fare una
pessima figura, ivi compreso l’ultimo dei svita-bulloni, hanno le loro
sacrosante ragioni per mandarmi al diavolo e criticare il mio comportamento. Ho
fatto un bordello, ho creato difficoltà e fastidi a tutti voi e di questo me ne
scuso." Aggiunse un po’ più calma, ma senza riuscire ad ammorbidirsi, anzi si
erse il tutta la sua altezza e li squadrò con un’occhiata che di penitente aveva
ben poco.
"E proprio perché sono un pilota professionista che ora sono qui con la ferma
intenzione di svolgere il mio compito, esattamente com’era nei piani stabiliti.
Questo, non solo perché ho firmato un contratto e perché mi pagano
profumatamente, ma soprattutto per la considerazione che ho per il lavoro che
state svolgendo."
Finito di parlare si portò le mani ai fianchi e con aria di sfida attese una
replica qualunque.
"Ok Tenou, abbiamo capito, ora muovi il culo però, hai dell’arretrato da
fare. E ricordati, se ti va male con le macchine puoi sempre darti alla
politica!"
Quest’esclamazione venne all’improvviso da Hayato, che ghignando passò
paternamente un braccio sulle spalle di Haruka e la condusse all’esterno. La
battutaccia servì a rompere la tensione che aleggiava nell’aria e i presenti
ripresero le loro mansioni con sollievo, sentendosi molto più distesi. Se quel
giorno le cose si fossero messe al peggio, l’impegno di mesi sarebbe andato in
fumo e molti di loro avrebbero dovuto attendere l’anno successivo per entrare in
un’altra squadra.
Naturalmente Haruka non se lo fece ripetere due volte, per un attimo aveva
accarezzato l’idea di rendergli una replica tagliente, ma poi saggiamente aveva
preferito passarci sopra e aveva accettato il suo gesto di pace.
Già, ponderò con distacco, mica poteva essere sempre arrogante, né poteva
pretendere di avere l’ultima parola, soprattutto quando aveva torto marcio.
Ed ecco finalmente la macchina, la sua monoposto. Impaziente entrò nello
spazio angusto, che era stato dilatato al massimo per adattarsi alla sua
statura, si sistemò le cuffie, indossò i guanti, s’infilò il casco e concluse
agganciando il volante al suo sostegno sopra il piano dei comandi.
Una miriade di spie e luci lampeggiati presero vita non appena azionò il
contatto e quand’anche il motore cominciò a farsi sentire, alzò i pollici in su,
segno che tutti i dispositivi si erano attivati e pronti all’uso.
Uscì a velocità sostenuta dalla corsia dei box e finalmente iniziò a girare
in pista. Da quel momento in poi parve diventare un tutt’uno col congegno
meccanico su cui era. I suoi gesti erano precisi e venivano effettuati sempre un
attimo prima che si presentasse l’esigenza.
Di quella struttura di ferro e carbonio era la mente e il demiurgo e, una
volta assisa su quel mezzo che la faceva sentire onnipotente, per lei non
esisteva altro. Svanite le angustie, volatilizzata la rabbia, dimenticate le
offese. Il volto nauseato di Michiru, che fino a quel momento era stato
onnipresente ai margini del suo inconscio, sbiadì fino a cancellarsi. Il suo
unico scopo adesso era di sfrecciare di giro in giro sempre più veloce,
determinata a carpire alla potente monoposto ogni sua probabile mancanza,
spremendole al contempo tutte le risorse possibili per potenziarne le
prestazioni. Tutto ciò mentre dialogava via radio con i tecnici che al muretto,
ascoltando le sue indicazioni, prendevano appunti frenetici sulle variabili che
segnalava loro.
Continuava a piovere a rovesci, ma la cosa non sembrava influire sulla sua
guida, anzi, Haruka era uno di quei rari piloti che sul bagnato riuscivano
addirittura ad esaltarsi. E l’addetto alla telemetria scosse il capo sbalordito
quando, cronometro alla mano, prese atto dell’ennesimo giro veloce, il quinto
consecutivo, completato in quell’istante.
"Stai filando che è una bellezza Tenou! Come risponde la macchina?" Anche
attraverso le cuffie Haruka avvertì il tono compiaciuto del vecchio Shinobu.
"Il motore non risente ancora, senta come canta!" Esclamò accelerando sul
rettilineo.
"Ma i freni tendono a sbloccarsi troppo lentamente e il cambio ne
risente."
"Alla chicane come reagisce il musetto?" Sopravanzò la voce di Hayato che
aveva notato dei pesanti ondeggiamenti.
"Sbanda, è il caso di ribassarlo e, di conseguenza, rivedere pure l’assetto
dell’alettone posteriore."
Haruka continuò a provare fino a quando ci fu abbastanza luce per farlo,
fosse stato per lei avrebbe continuato volentieri anche al chiarore dei
riflettori, ma capì che almeno per quel giorno era il caso di smettere. Tanto
l’indomani l’attendeva un'altra giornata campale e preferì non abusare troppo
delle sue forze, anche perché da quando aveva fatto colazione quel mattino, non
aveva più mangiato e ormai avvertiva i crampi della fame.
Tornò ai box molto su di giri e, considerando le pacche sulle spalle e i
sorrisi soddisfatti da cui fu gratificata, considerò che l’incidente diplomatico
accorso in precedenza fortunatamente era stato superato senza danni.
E sollevata si diresse verso l’alloggio situato a ridosso dello spazio
comune. Molto più comodo del solito camper, aveva fatto i salti di gioia quando
la dirigenza gliel’aveva assegnato. In quanto, benché minuscolo, era ottimale
per soddisfare le sue esigenze primarie, tipo l’appetito. Difatti, mentre
aspettava l’arrivo di Hitomi, mangiò quasi tutte quelle che scherzosamente
definiva le razioni del panico.
Era stanca morta, tuttavia appagata, e dopo una doccia corroborante si affidò
alle cure di quest’ultima. Fatto singolare, poiché ella era sì la sua manager,
ma anche qualcosa di più. Haruka l’aveva come collaboratrice sin dagli inizi, da
quando giovanissima, aveva affrontato le prime gare di formula-kart che
l’avevano vista vincente protagonista negli Stati Uniti. All’epoca Hitomi era la
sua fisioterapista, con il passare del tempo il suo ruolo era mutato, ma
continuava a conservare questa mansione nonostante ciò, anche perché Haruka si
era sempre rifiutata di sostituirla.
"Guarda che dobbiamo farci due chiacchiere te e io." Esordì la donna
iniziando a massaggiarle il collo anchilosato.
"Mm, non basta che ti abbia fatto le mie scuse davanti a tutti?" Fu la
risposta di Haruka seguita da un lungo sospiro di beatitudine. A volte si
ritrovava a chiedersi, non senza una certa malizia, se la sua passione per
quello sport non fosse nata dal piacere che trovava in quelle lunghe e
rilassanti sedute di manipolazioni.
"Sei fuori strada, non è di questo che voglio parlarti. Anche se so benissimo
che quel mi spiace ringhiato a denti stretti è il massimo a cui puoi
arrivare." Affermò con un certo sarcasmo facendole segno di stendersi sul
lettino.
Haruka ridacchiò, in effetti Hitomi la conosceva bene ormai, non foss’altro
perché era una delle poche persone che, esigenza lavorativa, la vedeva spesso
nuda. Ma naturalmente non si trattava solo di questo, giacché per nuda, non
intendeva solo quel che questa poteva vedere con gli occhi. A differenza che con
gli altri, anche persone che sentiva vicine come Setsuna, con lei si comportava
senza nessuna remora. Era autentica al cento per cento, poiché la considerava,
oltre ad un elemento insostituibile nelle pubbliche relazioni, una sincera
alleata e una confidente preziosa in un contesto dove doveva districarsi da più
di un problema, usando molte cautele.
"E’ ora. Anzi per la precisione avresti già dovuto darti una mossa." Continuò
la donna, riprendendo le fila del discorso e iniziando a frizionarle
vigorosamente i muscoli delle spalle. "Per il momento, fortunatamente, sei
sconosciuta ai più, ma quando comincerai con le prime vittorie sarà
difficilissimo mantenere il segreto."
"Hai perfettamente ragione." Assentì la bionda dopo qualche minuto di
silenzio assoluto rotto solo da i suoi sospiri, che non erano più di
beatitudine, quanto di un sentimento mal represso d’ingiustizia. "Stenterai a
crederci, ma negli ultimi tempi non ci ho affatto pensato, come se la cosa non
fosse un problema mio."
"Forse perché eri troppo concentrata su quell’eterea bellezza dagli occhi
blu!" La punzecchiò Hitomi la quale, con il progressivo passare delle settimane,
aveva sentito nominare sempre più spesso una certa violinista, che tanta
confusione stava causando alla sua protetta. Con occhio clinico aveva
individuato tutti i potenziali segni di una rapida infatuazione, della quale
forse neppure Haruka si rendeva conto. Generalmente, quando qualcuna colpiva la
sua immaginazione, si trattava di solito di concupiscenza e nulla più.
In questo caso invece, al di là del mero apprezzamento estetico, questa
ragazzetta le aveva provocato qualche sconquasso di troppo per non destare una
certa apprensione. Haruka appariva lunatica, scontrosa più del solito e il suo
abituale non è che non fosse abbastanza! E soprattutto si era lanciata in
interminabili sproloqui sulla natura quantomai assillante e molesta, ma dalla
bellezza incomparabile, di questa fantomatica donzella. Cosa mai accaduta in
precedenza. E il peggio era che un momento ne parlava entusiasta, mentre quello
successivo pareva fosse ad un passo dall’ammazzarla.
"A proposito, come vanno le cose tra voi?" Chiese punta dalla curiosità.
"Tranquilla, l’ho piantata di rintronarti, siamo arrivate al capolinea. Anzi,
ti sarei grata se non ne parlassimo più." Rispose alzandosi di scatto dal
lettino e prendendo a rivestirsi.
"Mi spiace." Il rammarico di Hitomi era genuino, davvero aveva sperato che
Haruka potesse avere qualche parentesi che infrangesse il suo abituale
romitaggio. Poi si disse che, nel qual caso, sarebbe stato un bel problema e che
tutto sommato, per quanto penoso potesse essere, era stato decisamente meglio
che fosse accaduto. E dando voce a questa considerazione, proseguì: "Però se ci
pensi, ora sarà tutto molto più semplice. Pensandoci, presumo che se hai tanto
indugiato prima di fare il grande salto forse è perché avresti voluto..."
"Cazzate!" L’interruppe immediatamente passando nella stanza accanto, tanto
che l’altra non poté far a meno di seguirla. "Non so che film ti sei fatta nel
frattempo, ma posso assicurarti che quella in tutta questa faccenda non
c’entra nulla!"
"Allora meglio." Rispose fingendo di crederle, ad ogni modo il tempo sarebbe
stato un balsamo, doveva solo aspettare. Accettò la bottiglia che Haruka le
stava porgendo e si sedette nella poltroncina di fonte a quella dove l’altra si
era appena accomodata a sorseggiare la sua birra. "Allora come si mette ?"
"Col casino che ho piantato in questi giorni stavolta l’espulsione è sicura.
Non potranno farne a meno, ero in detenzione e me la sono svignata, non la
scampo stavolta. Grazieaddio! Finalmente andrò in una scuola pubblica e
ambosessi." Affermò perentoria con un gesto eloquente della mano. "Quel
maledetto posto ha esaurito la sua funzione fin da quando mi assegnarono la
borsa di studio che mi consentì di tornare in Giappone. Ma che vuoi, finché non
ho avuto la certezza nero su bianco dell’ingaggio, ci sono dovuta restare, anche
se controvoglia. Come ben sai."
"Già, ma passiamo ai dettagli pratici, vuoi? Fortunatamente all’epoca avemmo
la brillante idea di iscriverti con il tuo secondo nome, quindi, almeno sotto
quest’aspetto problemi non dovremmo averne."
Poi la guardò in un modo abbastanza esplicito e, con apparente severità,
aggiunse. "Ma devo chiederti a quante hai dato la benché minima certezza che sei
una donna."
"In che senso?" Reagì inarcando il sopracciglio.
"Non fare la santarellina con me Haruka Tenou! Sai benissimo cosa
intendo!"
Tutto quello che ottenne fu una risata elusiva, ma visto che il cipiglio
truce con cui veniva gratificata non scemava, tornò seria.
"Okay, se la metti in questo modo, cercherò di fugare tutti i tuoi dubbi. Ho
sempre badato ad essere completamente sola quando mi denudavo e, udite, udite,
al di là di qualche lingua non sono mai andata. Quindi nessuna potrebbe
affermare, dati alla mano, di cosa si celi sotto questi abiti
maschili."
"Erano in molte a chiamarti con il tuo nome di battesimo?" Chiese preferendo
ignorare l’ironia caustica dell’altra.
"Solo in due." Rispose laconica distogliendo per un attimo lo sguardo. "E sai
che di Sentsuna ci si può fidare... quanto all’altra... beh, se fossi in lei ci
penserei due volte prima di attraversarmi di nuovo la strada!"
"Ma non ne hai la certezza." Puntualizzò con un punta di rammarico. "E mi
duole dirtelo, pure se non metterai più piede in quel posto, resta lo stesso
molto più di una possibilità che qualcuno ti riconosca e parli. Un professore a
caccia di soldi facili, una compagna di classe risentita o addirittura quella
direttrice che hai sfidato senza la minima prudenza, accidenti a te!"
"Credi ?" Chiese poco persuasa. "E allora senti come la penso. Per quanto
riguarda quelle con le quali mi sono parzialmente trastullata, non credo che
metterebbero in pericolo la propria reputazione esponendosi. Hanno da trovare un
buon partito e se venissero fuori certe cose la faccenda si farebbe complicata.
Quindi queste sono fuori dai giochi. Quanto alle restanti ragazzine viziate,
come sai, mi sono mantenuta costantemente ai margini. Non ho dato confidenza ad
alcuna e l’unico elemento in cui ho spiccato, tanto che potrebbe essere
pericoloso, è la mia eccellenza nell’atletica. Ma di fatto è da un bel pezzo che
non compaio sulla scena, inoltre, come si riconduce una stella centometrista ad
un pilota d’auto? X non è uguale ad Y! E poi, da podista sono stata un fuscello,
guarda il mio corpo adesso, dove sta l’esilità?"
Hitomi accennò lievemente col capo. In effetti c’era una logica in tutto ciò.
Nel corso dei mesi passati Haruka aveva lavorato con diligenza in palestra e a
tutt’oggi aveva sviluppato una muscolatura scultorea. Adatta a resistere a tutte
le sollecitazioni cui la sottoponeva lo sforzo di guidare un auto da corsa, ma
decisamente troppo ampia per una sprinter. Per cui l’attaccò su un altro
fronte.
"Eppure si sapeva lo stesso che ti stavano cooptando nella lega juniores di
formula 3."
"Voci. Chi mi ha mai visto? E vuoi che i giornali sportivi non parlassero
dell’unica femmina presente nella lega? Un fatto così eclatante fatto passare
sotto silenzio? Ma andiamo!"
"E scommetto che su internet ci scrivano solo fandonie giusto?" A questa
domanda retorica Haruka non si prese neppure la briga di rispondere. "Ok,
ammettiamo pure che tu abbia ragione, ma il resto?"
"Fossi in te non mi preoccuperei troppo dell’istituzione scolastica." Affermò
pratica, poi la guardò con intenzione finché non le fiorì tra le labbra un
ghigno molto cattivo. "Insomma un posto prestigioso come quello che viene
corrotto da una studentessa che alla fin fine non è chiaro se sia un maschio o
una femmina?! Pensa allo scandalo Hitomi, un sedicente ragazzo che gira
impunemente negli spogliatoi e nelle camerate delle ragazze a dispetto del
regolamento delle figlie di Maria! Chi iscriverebbe più la sua ricca rampolla in
un tale eremo d’ambiguità? Senti me, pure se avessero fondatissimi sospetti,
quelli terranno la bocca chiusa. Gli conviene!"
"D’accordo." Annuì levando le mani come segno della sua totale intesa.
"Nondimeno, più in là sarebbe saggio fare una bella donazione alla scuola.
Ovviamente quando il tuo ingaggio aumenterà. Con discrezione, mi pare
chiaro."
"Naturalmente, ma tutto a suo tempo." Assentì meditabonda. Stava per
bruciarsi numerosi ponti alle spalle. Non che avesse dubbi o covasse prematuri
pentimenti, però... era giusto così? Ancora una volta fu la voce di Hitomi che
la riportò alla realtà.
"Speriamo bene Haruka. E’ fondamentale per la tua nascente carriera che non
ci sia alcun dubbio sul fatto che tu sia un ragazzo. C’è troppa discriminazione
perché tu possa tentare."
"Cominciamo dai capelli." Annunciò tirando fuori un paio di forbici e
iniziando a tagliare le ciocche che le arrivavano sulle spalle.
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Parte 13 ***
13
Michiru restò seduta a lungo in quel caffè, non sapeva cosa fare per riparare
al suo errore, né come farlo, quindi rimase immobile. Come se, in tal modo,
fosse possibile lasciare che le scivolasse addosso.
Si limitava ad osservare con sguardo mesto gli scrosci di pioggia, sospesa in
un limbo senza soluzioni continuità. Ma la sua apparente compostezza celava un
lavorio instancabile dei pensieri, poiché le violente invettive che Haruka le
aveva rivolto continuavano a risuonarle nella testa e ognuna di esse era simile
ad un colpo di sferza.
Facevano male, ma ritenne di meritarsele, ad una ad una.
Quale maledetta superbia l’aveva spronata a parlare in simili termini? Che
diavolo ne poteva sapere lei delle motivazioni che potevano spingere una persona
a fare determinate scelte? Non la conosceva affatto, eppure aveva avuta la
presunzione di darle lezioni di vita. Che comportamento idiota.
Fino a quel momento aveva usato mille cautele, trattenendo la sua impazienza
e avvicinandola a poco a poco, sperando di riuscire ad inserirsi in quella sua
impenetrabile scontrosità. E quando c’era quasi, per un capriccio d’arroganza,
per l’incapacità d’accettare che questa non era propriamente come lei se l’era
figurata, o volesse che fosse, aveva mandato tutto a monte! E peggio ancora
l’aveva fatto nel peggiore dei modi, ferendola e trattandola dall’alto in basso.
Come se ne fosse stata realmente capace.
Non era stato affatto nelle sue intenzioni, non poteva neppure immaginarselo
uno scenario simile, lei che umiliava Haruka? Eppure l’aveva fatto, il destino
stava giocando con lei? E che poteva fare adesso per rimediare?
Cospargersi il capo di cenere e scusarsi sarebbe stato il minimo, ma non
abbastanza purtroppo. Haruka già una volta era tornata sui suoi passi per lei e
sospettava, sapendo che era del tutto inutile illudersi, che non sarebbe stata
disposta a farlo di nuovo.
Anche perché le querelle avute tra loro fino a quel momento erano poca cosa
in confronto alla recentissima diatriba. Quelle non erano altre che puerili
contese, mentre in questo caso si trattava di qualcosa di molto più serio.
"Ho fatto proprio un capolavoro!" Pensò con amarezza senza risparmiarsi
quanto a sarcasmo.
"Sia come sia, devo fare qualcosa. Star qui a rimuginarci non risolve nulla.
Devo tentare di farmi intendere, giocandomi il tutto per tutto... perché, nella
malaugurata ipotesi che il nostro legame termini oggi, almeno non avrò il
rimorso di aver lasciato qualcosa d’intentato."
Quindi animata da una volontà ferrea si diede una mossa e si mise sulle sue
tracce. Provò in tutti i posti dove riteneva potesse essere, cercò in palestra,
nelle aule, nello spazio ricreativo, chiese di lei a chiunque le capitasse a
tiro, ma invano, sembrava che la terra l’avesse inghiottita. Addirittura arrivò
ad appostarsi sotto le finestre dell’alloggio di Setsuna, incurante del fatto
che si stava bagnando tutta, sperando che per una serie di coincidenze fortuite
la ragazza stesse passando il fine settimana a scuola e che la bionda avesse
riparato da lei. Attese per circa un’ora, ma il luogo era e restò deserto.
Infine, nutrendo pochissime speranze, tornò nella loro camera. Ovviamente
l’accolse solo l’eco dei propri passi. Cercò di non farsi prendere dallo
sconforto e tentò di pensare con raziocinio. Si guardò intorno attentamente e
notò che sul ripiano accanto alla porta mancavano il casco e le chiavi. Andò
nella sua stanza per averne ulteriore conferma ed eccola lì, buttata a terra
senza il minimo riguardo, l’uniforme che ancora indossava quel mattino. A questo
punto era lampante che se n’era andata. Che poteva fare adesso? Chissà dov’era e
rintracciarla sarebbe stato praticamente impossibile. Non aveva nessun recapito,
né il minimo indizio di dove potesse trovarsi casa sua. In un giorno feriale
avrebbe potuto chiedere quelle informazioni in segreteria, sempre che avessero
ritenuto opportuno fornirle quei dati, ma oggi era chiusa. Praticamente aveva le
mani legate e questa sensazione d’impotenza aumentò vieppiù la sua agitazione.
Certo avrebbe potuto aspettarla, nel caso in cui, sbollita la rabbia, avesse
fatto ritorno. Ma aveva fondati motivi per dubitare che lo facesse, oltre al
fatto che era evidente quanto fosse indifferente della detenzione cui era
sottoposta. Probabilmente l’avrebbe rivista direttamente lunedì successivo.
Quindi l’interrogativo si riduceva a: restare in attesa a scuola, senza
nessuna certezza di un epilogo immediato, tantomeno felice, e nel frattempo
macerarsi nell’incertezza e nel biasimo? Oppure andarsene a sua volta sperando
che, una volta a casa sua, avesse potuto svagarsi e al contempo trovare una
soluzione?
Optò per la seconda e con il morale sotto i tacchi si preparò per andare a
prendere il bus alla fermata. Senza prendersi la briga di cambiarsi e neppure di
chiamare l’autista che normalmente sbrigava quest’incombenza. In un certo senso
preferì evitare entrambe le cose come per infliggersi una punizione per quanto
aveva combinato, anche se la riteneva una pena risibile.
Fatto sta che la combinazione degli elementi, la pioggia che le era caduta
addosso, la successiva infreddatura che si era presa aspettando l’autobus e, non
ultimi, i sensi di colpa che covavano in lei, sfociarono in un tracollo fisico.
Come arrivò a casa infatti si sentì venire meno, in effetti era pallida e non
troppo in forze. Messa in allarme dallo strepito che causò, la madre accorse
immediatamente e constatando il suo stato provato, sentenziò che si mettesse
subito a letto. In effetti aveva la febbre e la temperatura continuò a salire
fino a sera. Convocato, il medico di famiglia le diagnosticò una banale
influenza di stagione e le prescrisse, tra l’altro, di stare a letto per almeno
sette giorni.
A questa notizia Michiru tentò debolmente di protestare, se avesse lasciato
passare un’intera settimana prima di chiarirsi con quella testarda, le sue già
scarse possibilità si sarebbero annullate del tutto! Ma come spiegarlo a
quell’uomo o, peggio ancora, a sua madre? Non avrebbero capito. Anzi, come a
confermare l’incomunicabilità tra le parti, non appena madre e figlia rimasero
da sole, Michiru dovette pure subire una severa reprimenda perché non aveva
sufficientemente badato alla sua salute.
Davanti a simili argomentazioni la ragazza preferì abbandonare del tutto
l’idea di fare persino un tentativo di conciliazione. Sua madre normalmente era
già di per sé molto rigida, ma oggi per soprammercato, appariva altresì molto
nervosa.
"Guai in vista." Pensò tirandosi le coperte fino al mento, per un attimo
dimentica dei suoi problemi. Non era più un segreto infatti che i rapporti tra i
suoi genitori non fossero idilliaci, non lo era ormai da un bel pezzo, sebbene
fingesse sempre di ignorarlo. Dacché poteva ricordare infatti, avevano sempre
discusso, in toni civili certo, ma comunque d’incomprensioni si trattava. Era
stata una scoperta implicita, quantunque fosse troppo piccola per capire e
penetrare il nocciolo della questione. Poi, da alcuni anni a quella parte, la
situazione era andata via, via precipitando e anche le apparenze formali che i
due si erano sforzati di mantenere, erano progressivamente cadute.
Infatti, finché suo padre si era accontentato di avere delle amanti
occasionali, era regnata una calma apparente. Ma quando la situazione fortuita e
il plurale erano venuti a mancare, in quanto le amanti si erano ridotte ad una e
i rapporti con questa erano diventati stabili, la bomba era scoppiata. Le
recriminazioni a lungo represse di sua madre erano sfociate in una serie di
dispute brutali e alla fin fine suo padre aveva colto la palla al balzo per
andarsene. In pratica lo vedeva pochissimo, nella grande casa faceva ritorno
solo di tanto in tanto e mai per periodi lunghi. In un certo senso era
preferibile, perché quando c’era, la tensione si poteva tagliare con il
coltello. Spesso si chiedeva perché si ostinassero a mantenere quell’esteriorità
e non la facessero finita una volta per tutte divorziando. Non pensava che
l’impedimento potesse essere di natura sentimentale, probabilmente doveva essere
qualcosa di più prosaico. Suo padre era a capo di una holding di società
immobiliari che gli fruttavano utili da capogiro, probabilmente a spaventarlo e
a farlo esitare, era la prospettiva dei pingui alimenti che nel caso avrebbe
dovuto versare a sua moglie.
D’altro canto sua madre proveniva da un’antica casata, che poteva vantare
persino uno shogun tra i suoi antenati, e aveva un patrimonio personale più che
ragguardevole. Per cui non aveva affatto bisogno di essere mantenuta dal
coniuge. Inoltre il suo senso di dignità era tale che Michiru non pensava si
sarebbe abbassata a combattere in tribunale una volgare guerra sui dettagli di
un eventuale sostentamento. Quindi, dov’era la chiave di volta?
Ebbe modo di capirlo il giorno successivo quando sua madre, congedando la
domestica che l’assisteva, si sedette accanto al suo letto e succintamente
l’informò di quanto stava accadendo e dei suoi propositi per il futuro.
Senza il minimo stupore Michiru apprese che le pratiche per la separazione
erano avviate da tempo e che si era in dirittura d’arrivo, le parti si erano
accordate sia sulla divisione dei beni che sul suo affidamento. La sua
meraviglia fu destata piuttosto da quanto si proponeva sua madre per il
dopo.
Aveva intenzione di riprendere la sua carriera difatti, esattamente da dove
l’aveva lasciata quando si era sposata.
Sachiko Kaiou, discendente della nobile dinastia degli Hanamura, in gioventù
era stata una musicista di fama internazionale, esattamente come sua figlia si
stava avviando a diventare, ma con una differenza. Essendo un’arpista le sue
possibilità di rientrare nel giro erano molto più ampie che per altri
orchestrali, in quanto erano ben pochi quelli che potevano dirsi maestri di
questo strumento e potevano vantare altrettanta padronanza nell’esecuzione.
Sachiko era stata in passato una virtuosa e ancora oggi veniva citata come
musicista dalle doti incomparabili.
E per tutti quegli anni che era stata, prima una sposa – bambina, in quanto
la differenza d’età fra i due coniugi era pesante, e poi madre, Sachiko aveva
continuato in segreto a mantenersi in esercizio e a seguire la scena musicale
nell’intima speranza che un giorno prima o poi avesse potuto riprendere il posto
che le spettava. Suo marito non ne voleva neppure sentir parlare, perciò, con
svariati pretesti, sovente si recava nella residenza della sua famiglia, dove
poteva suonare senza essere biasimata per questo. Successivamente, quando
Michiru cominciò le scuole primarie e acquistò una certa autonomia, questa poté
intensificare i suoi sforzi fino a tornare ai livelli di una grande concertista.
I dubbi e le possibili remore che l’avevano tormentata in precedenza erano
svaniti, poiché, nonostante avesse sacrificato le proprie ambizioni alle pretese
del marito, aveva infine realizzato che in cambio ne stava ricevendo solo scorni
e mortificazioni.
Per cui quando, in contemporanea all’ingresso di sua figlia alle scuole
superiori, (avrebbe infatti frequentato una collegio d’elite, degno del suo
brillante e precocissimo diploma al conservatorio di Kyoto, che tanto clamore
aveva causato negli ambienti musicali) il suo matrimonio era definitivamente
naufragato e suo marito aveva preso casa con quella mantenuta, si era decisa. A
quel punto era inevitabile, anche se non poteva negare di sentirsi sollevata,
benché questo volesse dire restare sola con come unica compagnia quella dei
domestici. Non importava del resto, il suo unico scopo era quello di rifarsi di
quanto aveva perduto e di conseguenza era ripartita daccapo, con l’umiltà di una
novizia.
Senza più scuse o tentennamenti aveva intensificato lo studio e nell’immensa
e solitaria tenuta avevano preso a risuonare le melodie di quell’arpa che per
tanti anni era stata muta e ridotta allo stato di semplice pezzo
d’arredamento.
Ora, finalmente conscia della sua rigenerata abilità, era pronta a buttarsi
tutto alle spalle. Tra l’altro, nel frattempo, aveva riannodato i fili spezzati
delle sue frequentazioni accademiche, le stesse che aveva dovuto troncare
nell’imminenza del matrimonio. E da ciò ne era derivato che un suo precedente
maestro, che tante volte l’aveva diretta nelle varie orchestre alla cui guida
era stato, l’avesse chiamata per un posto stabile nella filarmonica che stava
approntando. Era l’occasione della vita e non intendeva lasciarsela
sfuggire.
"Ed è per questo che te ne parlo solo adesso, volevo esserne certa prima.
Sfortunatamente il tempo stringe e sono costretta a metterti fretta per la tua
decisione." Disse a conclusione del lungo discorso che le fece. "Pensaci bene
Michi, Vienna! E non è detto che resteremmo sempre in Austria, all’opposto, è
solo il punto di partenza. Intanto potresti continuare i tuoi studi nel cuore
dell’Europa e al contempo ti si aprirebbero porte che ora non puoi neppure
immaginare. Avresti la possibilità di cominciare a farti un nome e una
reputazione al centro della scena musicale più prestigiosa. Pensa per un attimo,
solo per un attimo, alla sensazione che potrebbe darti un concerto solista
eseguito alla Fenice di Venezia o all’Operà di Parigi!" Esclamò infervorata con
gli occhi che le luccicavano e Michiru si chiese, con un certo cinismo, se tanto
entusiasmo fosse provocato da quanto prospettava a lei o dalla visione di sé
stessa sui medesimi palcoscenici.
"Sarebbe senz’altro educativo." Rispose con distacco, tanto, che pure i
trasporti di Sachiko si raffreddarono, sostituendosi ad un certa collera.
"Guardiamo in faccia alla realtà Michiru." Propose sbrigativa abbandonando il
fare suadente avuto fino ad allora. "Se decidi di non partire, accetti la
potestà di tuo padre? E sai benissimo quanto negli ultimi tempi abbia avuto a
cuore il tuo benessere! Oppure intendi formare un bel quadretto familiare con
lui e quella sgualdrina che si tiene nel talamo?"
"Dall’altra parte invece mi si prospetta un’esistenza di tutt’altra levatura
vero?" Replicò duramente guardando sua madre dritto negli occhi. "Non vedo l’ora
in effetti! Solo l’idea di sei mesi qui, due da un’altra parte e i successivi
chissà dove, mi riempiono di euforia!" Affermò sorridendo ironica, un sorriso
che non aveva nulla d’allegro. "Sempre che ritenga opportuno tenermi con te, ma
se poi la mia presenza potesse esserti d’intralcio, allora che si fa mamma?
Resto a Vienna? O preferisci Parigi? Pensa, io me ne sto quieta in una
meravigliosa capitale europea della quale non conosco la lingua, dove non ho
affetti, né uno straccio d’amico, mentre tu sei in giro a prenderti i tuoi
meritati allori. Sì, proprio la soluzione ideale." Continuò annuendo con enfasi.
"Però , allo stesso tempo, anch’io dovrò farmi un nome e allora dovrei dare
concerti, cercare l’approvazione del pubblico colto e dei critici bohemièn,
avendo cura di trovare un pigmalione che m’introduca nell’ambiente giusto. Non
c’è che dire, è proprio la vita che ho sempre sognato!" Concluse a metà strada
tra la rabbia per la palese stupidità della madre e la sofferenza per l’essere
trattata ancora una volta come una bambola senz’anima. Da tempo ormai non le
sembrava di essere altro che lo specchio della frustrata ambizione materna.
"Eppure hai sempre dichiarato di adorare la musica!" Obbiettò l’altra
tentando di farle intendere le sue ragioni.
"E’ vero, ma non per partito preso o perché tu stessa l’adoravi. Non te ne
sei mai resa conto, ma ho patito e continuo tutt’oggi a soffrire, perché per te
non sono altro che un veicolo di continuità! Sono stata costretta ad essere una
bambina prodigio e una fenomenale interprete per sublimare il tuo
autocompiacimento. Non voglio fartene una colpa mamma, sono abbastanza adulta da
provare a comprendere le tue ragioni e non intendo discuterle, tanto non
cambieresti idea. Ma ammetti almeno una volta che nella guerra tra te e papà lo
scotto maggiore l’ho pagato io.
Ho fatto di tutto per compiacervi entrambi, nella mia innocenza speravo che
questo sarebbe stato abbastanza per mantenervi uniti. E quanto ho sofferto
quando vi vedevo così superficiali, così distanti tra voi e da me! La mia
infanzia è stata piena di solitudine e quando non lo era, si trasformava in
qualcosa d’infinitamente peggio. Mi sentivo tanto un animale da circo, ma a voi
era indifferente. Mi volevate diva e diva sono stata, per voi ! Tutti quei
concerti, le serate di beneficenza, le esibizioni in casa dei vostri amici, le
adulazioni dei maestri, l’invidia da cui ero circondata e la consapevolezza di
non avere una vita come gli altri, mi hanno tormentato per anni. E ora che sono
cresciuta, che mi sono definitivamente rassegnata all’idea che tra i miei
genitori non possa esserci pace e che soprattutto ho trovato un’isola felice
dove almeno fino al diploma potrò vivere tranquilla, vuoi che l’abbandoni?"
Domandò al culmine di quella lunga confessione che le era come stata strappata
dal cuore. Afferrò le spalle di sua madre come per sollecitare una risposta, ma
visto che questa restava in silenzio e che abbassò lo sguardo, evitando persino
di guardarla, aggiunse dell’altro. Tanto valeva essere chiara, in modo da
evitare qualsiasi fraintendimento.
"La mia risposta è no, resterò dove sono. Il che non vuol dire che intendo
vivere con mio padre. E non prenderla come una cosa personale, ma sono decisa a
completare in patria i miei studi, anche quelli universitari. E, se sarò capace,
è sempre qui che continuerò il mio percorso come violinista."
E non c’era più niente da dire, Sachiko evitò ulteriori discussioni e accettò
la decisone di sua figlia. Pensava di essere capace di poter badare a sé stessa?
Ebbene l’avrebbe lasciata fare. E qualora le cose fossero volte al peggio, che
se la sbrigasse suo padre una volta tanto! Ora doveva cominciare a vivere la
seconda parte della sua vita, augurandosi che fosse senz’altro più soddisfacente
della prima. E forte di questa risoluzione cominciò a prepararsi per la
partenza. Restavano da decidere molti dettagli pratici sia per sé stessa che
riguardo alla vita che Michiru avrebbe affrontato una volta sola. Anche perché,
nonostante le assicurazioni che si dava, Sachiko pareva aver trascurato il
particolare che la completa tutela legale era affidata a lei, benché il
mantenimento fosse congiunto.
Michiru affrontò tutto ciò con un distacco ammirevole e nonostante tutto
poteva dirsi ugalmente legata ai suoi genitori, in sostanza non era cambiato
granché, tanto quest’allontanamento era nell’aria da sempre. In pratica era
cresciuta paventandolo e l’aveva assimilato come un evento che prima o poi si
sarebbe concretizzato. Inoltre, era sinceramente felice per sua madre,
nonostante tutto finalmente la rivedeva viva. Sembrava sprizzare energia ed
eccitazione da tutti i pori ora che aveva preso a percorrere quella strada che
per tanti anni aveva sognato. E se Sachiko stava peccando d’egoismo era
irrilevante, l’aveva già perdonata.
In tutto ciò tuttavia aveva continuato a pensare ad Haruka, anzi addirittura
usandola come distrazione dalla realtà circostante. Anche perché, confinata
com’era in quel letto, aveva iniziato ad abbozzare un suo ritratto a carboncino.
Per il momento aveva collezionato solo tentativi infruttuosi e la pila di fogli
appallottolati sulle coperte era cresciuta a ritmo sorprendente. Riteneva questi
fallimenti, nonostante la sua conclamata abilità, frutto dal fatto che malgrado
riuscisse a riprodurre le sue forme apparenti, non era capace di giungere a
coglierne l’essenza.
In definitiva, rifletté malinconica, esattamente come aveva fatto con il loro
rapporto. Non l’aveva compresa e il risultato era stata quella sgradevole, e con
tutto il cuore sperò temporanea, discordia. Chissà cosa aveva pensato quando,
tornata a scuola, non l’aveva ritrovata in camera. Che avesse obbedito al suo
imperativo facendo armi e bagagli?
Forse, ma quando non l’aveva vista durante le loro lezioni comuni, si era
chiesta dove fosse? Oppure davvero non le importava? Nel qual caso sarebbe stato
un bel paradosso!
Tutto da ridere per chi non fosse coinvolto, giacché per quanto la
riguardava, nonostante il divorzio dei suoi in corso e più di un cambiamento
epocale nella sua esistenza, rieccola di nuovo ad ossessionarsi!
Cosa stava facendo? Com’era il suo umore? Si era calmata? Sarebbe stata
disponibile perlomeno a sentire quel che aveva da dirle?
Forse era il caso d’informarsi, magari Aya l’aveva vista o addirittura aveva
avuto modo di parlarle. Immediatamente le telefonò e quel che seppe la riempì
d’un incertezza sottile che la mise sul chi vive. Haruka infatti non solo aveva
saltato tutte le lezioni fino a quel momento, ma cosa ancora più allarmante,
nessuna l’aveva vista in giro fin dal precedente sabato, praticamente da quando
erano insieme.
Inutilmente Michiru tentò di tranquillizzarsi dicendosi che ci potevano
essere almeno una dozzina di motivi plausibili per la sua assenza che Aya non
poteva sapere. Inoltre non era necessariamente detto che tra questi dovesse
esserci per forza qualcosa di preoccupante. Magari era ad uno stage di atletica,
forse si poteva trattare addirittura un malanno inaspettato, proprio come per
lei, perché no?
L’amica non poteva sapere con certezza, la direzione della scuola invece
doveva esserne al corrente, loro avrebbero potuto risponderle. Ciò nondimeno,
come avrebbe motivato il suo interesse? Non era una parente, non poteva fingersi
tale, perché proprio non avrebbe saputo come qualificarsi, ma solo e
semplicemente la sua compagna di stanza!
Trascorse gli ultimi giorni della convalescenza in preda all’ansia e alla
frustrazione, tentando di accelerare al massimo i tempi di guarigione ed
affermando a più riprese di sentirsi perfettamente in forma, per quanto fosse
ancora piuttosto debole. E quando il giovedì pomeriggio, previo il riluttante
consenso del medico, poté finalmente tornare a scuola, si precipitò
letteralmente nella loro abitazione.
Al suo ingresso fu accolta solo dal silenzio, le stanze sembravano prive di
vita, come se la presenza dell’altra non fosse mai esistita. Freneticamente
Michiru tirò le tende e alla luce morente del giorno la livingroom le apparve
vuota, benché l’ordinaria mobilia fosse tutta al suo solito posto. Presa da una
crescente impazienza vagò con lo sguardo in cerca di un particolare qualsiasi
che confermasse il passaggio di Haruka, ma invano. E con il cuore che le batteva
forte si diresse verso la camera da letto della bionda, determinata a sapere, ma
con la paura che le attanagliava le viscere. E una volta lì vide confermati
tutti i timori che l’avevano assillata nei giorni precedenti.
I libri che riempivano lo scaffale erano spariti, il letto era spoglio e un
velo di polvere consistente copriva tutte le superfici. Ancora incredula
spalancò le ante dell’armadio e davanti ai ripiani nudi ancora non volle
accettarlo. Era inutile, non ci riusciva.
"Non può essere, no..." Mormorò con un filo di voce genuflettendosi. Poi,
inaspettatamente, una rabbia terribile prese corpo dentro di lei. Non poteva
averle fatto questo! Era troppo, persino per quel che le aveva detto!
E fu con la furia di un erinni che si alzò e si diresse risoluta nell’unico
posto dove avrebbe potuto avere una risposta. Macinò la distanza che la separava
da quel luogo a grandi passi, senza progettare alcunché, ma con una
determinazione palpabile, febbrile. E quando bussò alla porta di Setsuna e se la
ritrovò davanti che la fissava neanche troppo sorpresa, tutto quel che covava
dentro di lei scoppiò.
"Dimmi dov’è! Tu lo sai maledetta! Dimmi dov’è!"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Parte 14 ***
Rinuncia : i personaggi non mi appartengono , di mio c'è solo la storia .
14
"Bizzarro."
Fece Setsuna senza troppo scomporsi davanti all’evidente stato d’agitazione
della sua interlocutrice. Michiru stava quasi aprendo bocca per aggiungere
dell’altro, ma questa la prevenne, e alzando una mano le ingiunse il
silenzio.
"E’ la stessa domanda che pensavo di farti quando ti ho vista sulla porta."
Spiegò con calma distaccata facendo aumentare vieppiù il turbamento di Michiru,
la quale a quel pacato chiarimento era rimasta inerte, come se l’animosità che
l’aveva sorretta fin lì fosse evaporata all’improvviso.
Per un momento sembrò davvero non sapere che pesci pigliare, tanto
l’atteggiamento dell’altra le sembrava tranquillo, quasi soprannaturale. Ma poi
l’ira parve riscattarsi dalla clandestinità a cui si era momentaneamente data e
riprese il sopravvento.
"Bizzarro? La stessa domanda? Mi stai prendendo in giro Meiou?!"
Sbottò infine esternando tutto il suo sbigottimento.
"Lungi da me." Replicò l’altra con un sorriso di simpatia genuino, dovuto
innanzitutto dalla trasparenza col quale le emozioni si specchiavano sul viso
dell’altra, ma soprattutto perché trovava quella ragazza gradevole e le spiaceva
vederla in quello stato. Quindi si portò al lato dell’ingresso e le fece un
garbato cenno col capo. "Comunque entra, non mi sembra affatto il caso di stare
qui in piedi a parlare. Inoltre, non offenderti Kaioh, ma temo che le tue urla
potrebbero causare qualche problema. In questo padiglione la maggioranza pare
abbia fatto il voto di silenzio."
Era una battuta? Doveva prenderla come tale oppure no? Dal volto non
traspariva nessun elemento indicativo, ma allo stesso tempo suonava come una
celia, anche se non era chiaro. Ebbe quasi l’impressione che Setsuna le stesse
lasciando una sorta di libero arbitrio, come se dovesse decidere da sé,
indipendentemente da quella che era stata la sua intenzione in origine. In ogni
caso quel contegno composto stava rapidamente smontandola, in un certo senso
rimase soggiogata da quei modi da sfinge. Per cui fu senza parlare che la seguì
all’interno, mentre s’interrogava sulla natura enigmatica di Setsuna e sulla
piega imprevista che stavano prendendo gli eventi.
La violinista aveva dipinta sul viso un’espressione di vaga incertezza,
giacché non aveva affatto cognizione di dove l’avrebbe portata la conversazione
che stavano per avere.
"Accomodati pure." L’invitò Setsuna indicandole il divano. "Ho appena fatto
il tè, si potrebbe addirittura dire che il tuo arrivo tempestivo sia un’ottima
opportunità per berlo insieme e fare conoscenza."
"Non la metterei proprio in questo modo." Fece dubbiosa celando un certo
imbarazzo e cominciando a sentirsi un po’ impacciata. Dov’erano finite le sue
buone maniere? Era si era catapultata in quel luogo con la stessa grazia di uno
scaricatore di porto e con la certezza assoluta che l’altra le stesse
sicuramente nascondendo qualcosa. Ecco cosa succedeva quando ci si lasciava
accecare dalle emozioni violente! Eppure Setsuna era riuscita a placarla con una
facilità incredibile.
"Prima o poi doveva presentarsi l’occasione e per carattere non indulgo più
di tanto a chiedermi il perché delle cose." Rispose dirigendosi verso l’angolo
cottura e tornando con due tazze in mano. Gliene mise una davanti, si sedette e
senza nessun indugio affrontò il punto.
"Allora Michiru, posso chiamarti per nome vero? Non ti nascondo che quando ho
notato la tua assenza, congiunta a quella di Haruka, sono addirittura saltata
alla conclusione che potevate essere insieme."
"Eri in errore, come puoi constatare." Commentò badando ad usare un tono che
non risultasse ostile. Setsuna fino a quel momento si era comportata nel
migliore dei modi, mostrandosi l’adulta della situazione, al contrario di lei
che era arrivata strepitando.
"Beh, questo lo so adesso. Comunque, se così fosse stato, la cosa non mi
avrebbe stupito. Nient’affatto." Per un attimo, e fu un istante infinitesimale,
il suo viso ebbe un guizzo ironico, quasi compiaciuto, come se il constatare che
l’amica ancora una volta aveva dato prova di sé, fosse qualcosa che l’appagasse.
Ma come si è detto durò un niente, tanto che Michiru pensò d’esserselo
immaginato. Sorseggiò il suo tè e attese il resto.
"Ti posso assicurare che nel corso degli anni ho visto persone, del tutto
differenti l’une dalle altre, fare le cose più pazze per lei. Ha un carisma a
cui è difficile sottrarsi e generalmente quelli che vorrebbero attirare il suo
interesse tendono ad acconsentire a qualsiasi suo ghiribizzo. E, ignorando se
questo caso era l’ennesimo oppure no, mi sono data la spiegazione più ovvia,
sbagliando."
"Mi stai dicendo, tra le righe, che sono un individuo facilmente
influenzabile?" Chiese interessata, constatando sorpresa di non essere offesa da
quel discorso. Setsuna aveva davvero un modo particolare di piazzare il colpo in
punta di fioretto. Che fosse o no una provocazione, restava il fatto che c’era
da riflettere sulle sue parole. Giacché, forse Haruka in un certo senso era
davvero una sorta di affabulatrice, ma lei d’altro canto non ne usciva meglio,
tutt’altro. Non era che un’altra voce alla sua lista, l’ennesima vittima della
malia che operava!
Strinse i pugni risentita. Questa constatazione privava quella che aveva
creduto una relazione privilegiata, speciale, di tutta la sua bellezza. La fece
sentire ordinaria e, peggio ancora, risibile. Nient’altro che una sciocca
ragazzina con la quale giocare a proprio piacimento.
Setsuna si accorse del suo percettibile, ed ennesimo, cambiamento d’umore.
Non era affatto nelle sue intenzioni metterla contro Haruka, eppure questo stava
accadendo. Segno che tra quelle due c’erano svariate correnti sotterranee che
probabilmente neppure loro avevano ancora iniziato a sondare. Quindi fu con
spirito di pacificazione che tentò di correre immediatamente ai ripari.
"Non ho detto questo, non avrei potuto sai? Ti conosco solo per sentito dire
e non mi azzarderei a fare un’affermazione simile a cuor leggero. Volevo solo
dire che ho frainteso basandomi su dati empirici. Pensa, sono sempre stata
convinta che se fosse stata Haruka il protagonista di Grease, ci avrebbe messo
molto meno a far diventare Sandy una donnina allegra."
Setsuna fece questo commento mantenendo fino all’ultimo la stessa espressione
neutra, ma poi si lasciò andare all’ilarità e Michiru, a dispetto di sé stessa e
della situazione, fu a sua volta presa da una latente ridarella che
progressivamente diventò una risata irrefrenabile. Mai avrebbe pensato che
sarebbe finita in questo modo allorché aveva deciso di affrontare la sua
nemesi.
Stavano ancora cercando di ricomporsi entrambe quando la ragazza più grande
riprese il filo.
"Ad ogni modo è evidente che qualcosa bolle in pentola, ma non credo che ci
sia da preoccuparsi. Haru è una testa calda, ma sa badare a sé stessa. Inoltre
immagino che presto o tardi sapremo, perlomeno quando lo riterrà
appropriato."
"Haru eh?" Pensò piccata avvertendo nuovamente la morsa dell’invidia
che sovente l’aveva avvinta ogniqualvolta aveva constatato da un gesto o una
parola la reale intimità che le due avevano. "E di che mi meraviglio? Dovevo
aspettarrnelo qualcosa di simile."
"Non sei d’accordo?" La pungolò Setsuna dato che l’altra sembrava essersi
persa in chissà quali considerazioni.
"Nel tuo caso suppongo di sì, per quanto mi riguarda invece, temo l’esatto
opposto." Michiru sospirò sconfortata, nonostante le riflessioni che non più
tardi di pochi minuti prima aveva avuto su Haruka. Confusa si chiese fino a che
punto poteva comprendersi davvero una persona. Poco a quanto pareva. Per quasi
due lustri era stata convinta di potersi fidare ciecamente della propria indole,
invece adesso stava scoprendo quanto potesse essere illusoria una convinzione di
questo tipo al cospetto dell’imprevisto. E col morale a terra ammise che sì,
forse non aveva abbastanza considerazione di sé e altro non era che la tacca più
recente sul calcio della personalità dominante della bionda. Ma, pure posta
innanzi all’amara verità di tutto questo, come avrebbe potuto sol provare a
smentire quel che sentiva dentro? Era innegabile e le valutazioni sull’autostima
potevano andare anche a farsi benedire. Voleva stare con lei, il resto non lo
voleva sapere, né le importava.
"Senti, è più che evidente che non vi siate salutate nel migliore dei modi
l’ultima volta."
Azzardò Setsuna, che ancora una volta aveva dovuto assistere allo spettacolo
di quelle emozioni esposte e altalenanti, tentando di aiutarla a trovare il
bandolo della matassa. Non le piaceva veder soffrire in quel modo una persona,
in particolare questa che aveva innanzi. Indovinava un temperamento amabile in
lei, un animo fin troppo soggetto alle sollecitazioni esterne. E non poteva
restare indifferente ad osservarla come se le sue reazioni fossero un
esperimento su una cavia da laboratorio.
"E se tu fossi meno coinvolta da tutto questo ti direi le solite frasi trite,
assicurandoti che tutto andrà bene. Ma si da il caso che, a me per prima darebbe
fastidio affermare simili banalità. Inoltre per quanto ti concerne sei dotata di
bastevole perspicacia e conoscenza della persona per sapere da te quello che
potrebbe succedere. Detto ciò, posso solo aggiungere che Haruka sul momento fa
fuoco e fiamme, ma che una volta tornata in carreggiata, e magari riconosciuto
il suo sbaglio, è capace di ravvedersi e addirittura di chiedere
indulgenza."
"Evento frequente come la neve nel Sahara, giusto?" Fu la volta di Michiru di
fare dello spirito, anche se il sorriso che ne seguì, era talmente triste da
vanificarne all’istante l’effetto.
"Sotto questo cielo tutto può succedere Michiru." Offrendole quella vaga
consolazione Setsuna si sentì, per la prima volta da anni a questa parte, poco
idonea alla situazione. Che poteva fare? Usare un minimo di buonsenso, era
l’unica.
"In ogni caso sappi che, qualora volessi parlare, sfogare quanto ti porti
dentro, sono qui, ti ascolto. Non prenderla come un’invadenza nella tua sfera
privata, oddio potrei sembrare un’intrigante ed è comprensibile che questo mio
invito ti metta in difficoltà. Sarebbe normale, praticamente siamo due
sconosciute. Nonostante ciò, credimi, in questo momento nessuno potrebbe capirti
più di me. Parlare di te e Haru a qualcun altro che non fossi io, servirebbe
solo a buttare ennesima benzina sul fuoco della sua pessima fama e, peggio
ancora, a farti fraintendere. Per cui se vuoi, se pensi che possa esserti
d’aiuto, abbandona qualsiasi remora e fallo."
Così fu che Michiru le raccontò tutto, dall’inizio, dalla prima volta che si
erano incontrate fino all’aspra discussione avuta in ultimo. Non tralasciò
nessun particolare, dando rilievo allo stesso modo a quelli poco lusinghieri,
sia per lei che per l’altra, che a quelli che davvero le avevano donato stralci
di fiducia per il futuro del loro legame. Le parlò dell’ansia, dei
tentennamenti, della testardaggine, dei rossori e dei giornalieri malumori.
Senza alcun freno inibitore le disse persino della tormentosa della gelosia
che aveva nutrito e che provava tutt’ora, nei suoi riguardi. Raccontò gli stati
d’animo più nascosti, tratteggiando senza nessun imbarazzo l’avvicendarsi delle
sue sensazioni. Espresse tutti i dubbi che nutriva in merito ad Haruka, tutte le
domande che fiorivano intorno alla sua figura, quesiti che nel frattempo si
erano mutati in sbigottiti perché che non trovavano senso.
Fece il punto della situazione più e più volte, guardandola dal suo punto di
vista e da quello che poteva essere l’eventuale di Haruka. Chiedendosi dove e
perché aveva mancato. Chiedendo a Setsuna se, cosa della quale non si sarebbe
mai, mai persuasa, era la natura della bionda ad essere irrimediabilmente
amorale, intrinseca nella sua indifferenza, imbevuta da quell’impassibile
durezza che la rendeva così lontana. Perché, di questo ne era sicura,
quest’ultima sapeva quanto fosse importante ai suoi occhi, allora perché non
perdeva occasione di passarle sopra? Per quale ragione si mostrava di continuo
superficiale e priva di qualsiasi affezione? Era vero, sacrosanto, aveva
sbagliato nei suoi riguardi, le aveva detto cose irripetibili, ma da ultimo.
Prima aveva fatto di tutto per capirla, per starle vicino senza acuire le enormi
differenze che avevano, cercando inutilmente di colmare quel baratro che l’altra
pareva voler porre tra loro. Mentre Haruka aveva resistito, aveva opposto una
strenua resistenza, ma solo fino ad un certo punto. Già, tutto ad un tratto,
inspiegabilmente, le aveva dato una possibilità. Eppure alla luce di come s’era
tirata indietro alla prima difficoltà, sembrava l’avesse fatto solo per esibirle
quel che poteva essere. Mostrarglielo semplicemente per il gusto, lo sfizio
spietato, di toglierglielo non appena aveva incominciato ad assaporare cosa
voleva dire essere sua amica.
Setsuna la lasciò parlare, facendo sì che spaziasse a piacimento e senza
interromperla mai. L’ascoltò attenta mentre dipanava quel viluppo aggrovigliato,
senza sollecitarla quando le parole le venivano meno e s’interrompeva, o quando
l’emozione di quanto stava dicendo la sopraffaceva. Non le mise fretta, si
limitava ad annuire partecipe, evitando di dire alcunché potesse arrestare il
flusso delle frasi, anche quando queste si accavallavano l’una con l’altra,
rendendo quasi incomprensibile il senso. Le lasciò l’agio di vuotare il sacco e
quand’ebbe finito, non prese a controbattere immediatamente come un pubblico
ministero volto a smontare tutto l’impianto dell’avvocato della difesa.
Ponderò seriamente su quanto aveva udito. Una confessione avrebbe meritato
rispetto a prescindere, questa in particolare poi, molto di più. Non era da
tutti mettere a nudo la propria anima e restare così, inermi e senza difese,
esposti al giudizio altrui. Soprattutto se si trattava di un astante col quale
non si aveva la minima confidenza e nei confronti del quale si provavano
tutt’ora sentimenti di antagonismo. Questa ragazza aveva coraggio, oltre ad un
gran cuore, e per questo motivo Setsuna sovvenne che era il caso di
contravvenire ad una delle sue basilari regole di comportamento. Che la lealtà
che aveva verso Haruka era indiscutibile, ma sentiva di doverne anche a Michiru,
che incosciente ,o con fiducia, aveva spogliato l’intero nucleo del suo essere
innanzi a lei.
"Purtroppo Michiru io non posso, neppure se volessi credimi, dare risposta ai
tuoi interrogativi. Conosco Haruka da un pezzo, ma riguardo a certi suoi
atteggiamenti spesso non sono riuscita a capirci più di tanto. E infatti l’ho
sempre accettata così per com’è, altrimenti avrei dato fuori di matto. Mi rendo
conto che questo non può valere per chiunque e in particolare per te. D’altro
canto, sapendo quanto c’è dietro, non mi sento neppure di condannarla. L’indole
è propria, ma indiscutibilmente viene forgiata in una certa misura anche dagli
avvenimenti. E credimi quando ti dico che la vita non è stata facile per lei. Il
che non le da licenza di fare quel che le pare. Tengo a specificare inoltre che
non sto menzionandolo quale attenuante ai suoi sbagli. Semplicemente è un
monito, tienine conto per quel che è.
Non te ne avrei parlato in circostanze normali, sono cose personali,
avvenimenti ai quali raramente fa cenno. Penso che il suo unico desiderio a
riguardo sia buttarseli alle spalle.
E sappi per di più, questo allo scopo di emendare l’idea fallace che ti sei
ficcata in testa, che la conoscenza di queste circostanze non mi è data
dall’essere una confidente favorita, quanto dal fatto che ero presente nel
momento stesso in cui queste avvenivano. Il che fa di me una testimone, non
l’amica della vita, punto.
Tornando ad Haruka, premetto che non scenderò nei particolari, anche se
tenterò di farti comprendere quanto più mi sarà possibile. E’ una questione di
correttezza, sarebbe un tradimento, anche se perpetrato alla luce dei propositi
migliori. Inoltre mi piacerebbe, per te, che fosse lei stessa a dirtene."
Dopo questo lungo preambolo Setsuna fece una pausa voluta, atta a dare il
tempo materiale ad entrambe per riflettere su quanto stavano per affrontare. Da
parte sua Michiru voleva sapere, conoscere voleva dire capire e lei non chiedeva
altro. Ma allo stesso tempo si domandava se sarebbe stata poi in grado di
prendere nel modo giusto le conseguenze che potevano derivare dallo scoperchiare
quel vaso di Pandora. Quanto e come sarebbe cambiata per lei Haruka alla luce
delle rivelazioni che stava per scoprire? Prese fiato come un subacqueo che si
prepari ad una lunga immersione in apnea e le fece cenno di continuare.
Setsuna centellinò il suo tè, ormai freddo, soprappensiero. Il problema non
era cosa rendere manifesto o celare, la sua oratoria era sufficiente quanto a
questo. Né nella presunta doppiezza che stava per compiere risiedeva la
questione, avrebbe potuto citarla come esempio parlandone in terza persona,
senza nominarla mai e Michiru non avrebbe certo capito che stava riferendosi ad
Haruka. No, il punto piuttosto era che, ora come allora, si chiedeva ancora una
volta se la natura di quest’ultima fosse effettivamente il frutto degli eventi o
l’esatto contrario. Normalmente sociologi, psicologi e tutti coloro i quali
tentavano di darsi spiegazioni su un comportamento poco incline al comune,
tiravano in ballo traumi, paure ancestrali e ambienti familiari disagiati. Nel
caso di Haruka forse solo uno valeva su tre, ma Setsuna la trovava una
spiegazione approssimativa e non voleva affatto che anche Michiru vedesse tutto
il contesto sotto quest’ottica. D’altro canto, che poteva esserci di più
illuminate dei fatti nudi e crudi? Per cui, non appena la violinista le fece
intendere di essere pronta, cominciò il suo racconto, avendo cura di renderlo
scevro da ogni paternalismo.
"Avevo all’incirca tredici anni quando ci trasferimmo negli Stati Uniti,
all’epoca mio padre lavorava come matematico quantistico e stava tenendo una
serie di conferenze attraverso gli atenei statunitensi, però vivevamo
stabilmente a New York. Ignoravo che i miei si fossero resi disponibili presso i
servizi sociali, lo scoprii solo quando, un giorno improvvisamente, me la
ritrovai davanti. Haruka già era stata data in affido precedentemente, non so
davvero quante famiglie abbia girato, ma quando arrivò da noi inizialmente
pensammo che non fosse del tutto in sé. Parlava solo se interpellata e anche in
quel caso rispondeva a monosillabi, la sua presenza era solo fisica. Mia madre,
pensando che il contatto quotidiano con una sua coetanea le avrebbe fatto bene,
dispose che passassimo molto tempo insieme.
E Non fu facile Michiru, te l’assicuro. Era una ragazzina magra, magra,
allampanata, con una gran massa disordinata di capelli e dal carattere piombato.
Reagiva raramente agli stimoli esterni e la sua natura era sfuggente, lo è
tutt’ora, ma a quei tempi in modo assai più esasperato. Non starò qui a dirti
come e quando iniziò ad interagire con noialtri, ma sappi che ci volle del tempo
e che comunque non si aprì mai del tutto. Ad ogni modo, col passare dei mesi,
scoprimmo che non era affatto d’intelletto limitato come avevamo immaginato
all’inizio. Anzi, mi padre scoprì in lei una predisposizione alla matematica e
alle scienze che aveva un qualcosa di portentoso e la spronò in quel senso. In
tempi strettissimi Haruka recuperò tutto il percorso scolastico che si era persa
nel frattempo e intanto noi, attraverso le periodiche visite dell’assistente
sociale, ne sapemmo abbastanza su di lei. Immaginavo che i suoi genitori fossero
morti o, peggio ancora, in galera, ma non era così. Per quanto riguarda la
madre, Ame Tenou, si trattava di una nostra compatriota volata oltremanica una
quindicina d’anni prima sull’onda dell’ultimo entusiasmo hippie fuori tempo
massimo. Era una fotografa sperimentale che, con mezzi di fortuna, visto che del
suo lavoro non riusciva a vivere, girava il mondo e faceva esperienze.
Quanto al procreatore biologico, uno svedese sciroccato perennemente fatto
d’erba e anfetamine, non ne aveva riconosciuta la paternità e aveva continuato
la sua vita disinteressandosene completamente. In definitiva Ame stessa aveva
deciso di dare in affidamento sua figlia giacché non era in grado di provvedere
a lei, benché inizialmente avesse provato. In ogni caso non intendeva
continuare. Ma se dovessi dirti che Haruka abbia mai pronunciato una parola di
biasimo su entrambi, o sulla madre in particolare, visto che comunque fino alla
metà dell’infanzia avevano vissuto insieme, mentirei. Tanto è vero che in un
modo o nell’altro si mantenevano in precario contatto. Ogni tanto arrivava una
cartolina, qualche lettera, brandelli d’appartenenza che Haruka accoglieva con
piacere, ma senza eccessivi entusiasmi. Allora non me lo spiegavo, ma ora
immagino che lei, a differenza di noialtri, ivi compresa l’istituzione che aveva
a carico il suo benessere, prendesse sua madre esattamente per com’era, forse
perché ormai sapeva che altro non poteva chiedere o aspettarsi. E non credo che
neppure il sentirsi estranea presso di noi le pesasse, già l’unica cosa che
detestava era sentirsi inferiore. Le sue rivalse probabilmente nascono tutte da
qui, ma il condizionale è d’obbligo, non ne ho alcuna certezza. E comunque resta
straordinario il fatto che, nonostante tutto quanto ti ho raccontato, sia una
persona dall’equilibrio invidiabile. Ha le sue tare, come tutti, ma con delle
premesse simili ci si sarebbe potuti aspettare decisamente di peggio.
Quando l’incarico di mio padre terminò, e decidemmo di far ritorno in
Giappone, volevamo che venisse con noi. In quei due anni ci eravamo affezionati
tantissimo a lei, ma come puoi immaginare rifiutò. Non so quanto l’impressione
che il nostro potesse essere un gesto di carità abbia influito. Oppure, allo
stesso modo, quanto le pastoie burocratiche abbiano contato, poiché non sarebbe
stata una passeggiata passare tutto l’iter che avrebbe consentito l’espatrio. Di
certo c’era che Haruka in quegli anni aveva iniziato a correre con i go-kart,
prima come semplice amatore e successivamente a livello competitivo. Era entrata
in una squadra, aveva cominciato ad accumulare vittorie e non aveva nessuna
intenzione di abbandonare questo nuovo mondo che le si schiudeva davanti carico
di promesse. Quindi, con la morte nel cuore, partimmo facendole promettere che
si sarebbe tenuta in contatto, ma con poche speranze che lo facesse. Invece
ancora una volta ci stupì, ci scriveva regolarmente e dalle sue lettere
apprendemmo che a furia di successi si stava facendo un nome nell’ambito delle
corse minori. Tutto ciò contemporaneamente a risultati notevoli nell’ambito
scolastico e atletico. Haruka era nata per correre e lo stava facendo alla
grande. Successivamente ci comunicò che, contemporaneamente all’assegnazione di
una borsa di studio di entità ragguardevole, aveva ricevuto da una scuderia
automobilistica giapponese una proposta d’ingaggio da definire. Era determinata
ad accettare, ma non sapeva come avrebbe potuto lasciare l’America per tornare
alla sua terra d’origine. Praticamente aveva in mano le armi del suo riscatto,
ma non sapeva bene come usarle. I miei genitori intervennero allora, scovarono
Ame nell’eremo in cui viveva e ottennero la tutela legale di Haruka. In questo
modo ebbe la possibilità di venire a Tokyo, iscriversi alla nostra scuola e
cominciare la sua carriera.
Qui inizia anche la tua storia, gli altri particolari li lascio al tuo acume
e a quanto Haruka vorrà dirti qualora ne abbia l’intenzione.
In definitiva tutto quello che ti ho raccontato altro non è che un abbozzo.
Narrandoti parte di queste vicende ti ho fornito alcune indeterminate linee su
uno sfondo in bianco e nero. Spero che ti siano d’aiuto, davvero desidero con
tutto il cuore che possano riavvicinarti a lei. Ma ora tocca a te Michiru, sei
tu l’artista che da questi tratti imprecisi e disordinati deve ricavare la forma
e il contenuto."
"Potrei essere l’ultima persona a cui chiederlo." Affermò Michiru solenne con
un’intensità tale nello sguardo che Setsuna rabbrividì. E si chiese apprensiva
quanto e come ciò che le aveva testé narrato potesse alterare l’equilibrio tra
loro. Difficile a dirsi per il momento, solo sperò che la violinista la
prendesse nel modo giusto.
Preoccupazione superflua, Michiru non aveva nessuna intenzione di abbandonare
la partita, anzi, quanto aveva appreso non aveva fatto altro che rafforzare la
sua risoluzione. E quanto disse infine non fece che ribadirlo.
"Non ho che delle ipotesi per farne un ritratto a colori... malgrado ciò
tenterò. Proverò fino a quando i miei tentativi non la riporteranno a
me."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Parte 15 ***
15
Da quel momento in poi Michiru trovò in Setsuna un’amica e un’alleata. Iniziò
a trascorrere gran parte del suo tempo libero con lei e scoprì, dietro
all’apparente riservatezza, una persona deliziosa. Setsuna era la quintessenza
dell’equilibrio, oltre che un animo schietto. Sempre più spesso si trovava a
paragonarla alle acque di un torrente di montagna che nascesse da un ghiacciaio,
tanto le sembrava cristallina e nitida. Nondimeno in sua compagnia si rideva
tantissimo. Sapeva essere pungente e brillante, ma in modo sottile, lieve, tanto
che all’inizio Michiru non coglieva mai del tutto dove volesse andare a parare.
Allo stesso tempo era mite e riflessiva, poteva starsene ferma ore intere
appiccicata ad un libro o persa nei propri pensieri, senza lasciarsi turbare da
quanto la circondava. Aveva per chiunque un sorriso disponibile e la logica
stringente che permeava tutte le sue azioni quotidiane aveva su Michiru un
effetto benefico, moderatore. Alla violinista pareva, in un modo che aveva dello
straordinario, che questa avesse la capacità di lasciar sgorgare le sue
emozioni, mitigandole, ma contemporaneamente senza interferire né mutare la loro
essenza.
Sovente Michiru si chiedeva se Setsuna facesse il medesimo effetto anche ad
Haruka.
Le aveva credute affini, praticamente in simbiosi tra loro, poiché pensava
che la bionda potesse coesistere solo con chi , grosso modo, sentisse vicino
alla propria indole. Invece più frequentava Setsuna più si persuadeva che questo
poteva essere un ragionamento valido per chiunque altro, ma che per la ragazza
dalle lunghe e scure chiome non reggesse. Setsuna riusciva ad essere una persona
sé stante, senza essere inflessibile. Conservava la sua autonomia pur avendo la
capacità di adattarsi agli altri, sapeva essere socievole malgrado la sua
individualità spiccata. Praticamente era l’antitesi di Haruka, ché fossero tali
caratteristiche a darle modo d’avere un rapporto paritario con lei?
Poteva darsi, ma allo stesso tempo la medesima contrapposizione di carattere
valeva per lei, quindi dove stava il particolare mancante che tra loro creava
alchimia?
Non riusciva a coglierlo ma, anche in virtù della frequentazione che stava
instaurando con Setsuna, ebbe l’agio di cominciare ad intendere particolari
essenziali. Specifiche celate che non aveva saputo intuire sul momento,
distratta com’era dalla presenza accentratrice della bionda.
E una volta assimilatele infine capì perché tra lei ed Haruka non si era
potuto trovare un equilibrio. La loro ferree volontà del tutto dissimili negli
intenti, ma egualmente forti e determinate, non avevano fatto altro che
scontrarsi. Certo c’erano state alcune tregue, ma non erano servite all’intesa,
piuttosto a corazzarsi ancora di più l’una contro l’altra.
In un certo senso la bionda era la fortezza inespugnabile e lei il barbaro
invasore. E dove ci sarebbe voluta un’ambasceria diplomatica, lei aveva dato
colpi d’ariete cercando di forzare il blocco.
In pratica se si fosse accostata ad Haruka ammorbidendo le differenze senza
escluderle, lasciando un margine alla sua natura dominate, ma senza
sottomettersi a lei e soprattutto evitando di dare senza prendere mai, non
avrebbero avuto i frequenti contrasti che avevano contraddistinto il loro
rapporto fin dal principio. Il suo errore fondamentale non era stato tanto
combatterla, benché la sua strenua resistenza le avesse fatto l’effetto della
benzina sul fuoco, no, l’errore stava nell’aver voluto strafare. Nella fretta di
giungere a lei si era annullata come persona e quando aveva provato a
riaffermarsi come tale, rialzando la testa, esprimendo un opinione, per quanto
offensiva potesse essere, l’altra se n’era adontata.
"Il dittatore non permette alla plebe di esprimersi." Si disse, a
conclusione di questa argomentazione, mentre schizzava Haruka nelle vesti di
Lucio Cornelio Silla. E continuando a disegnare i drappeggi della toga su
quell’efebico corpo giunse alla conclusione che tra loro non si trattava di una
fondamentale impossibilità di convivenza, quanto di un fraintendimento
strutturale. Levò gli occhi dal foglio e guardò in direzione della costa. Dalle
sue finestre poteva vedere il mare al tramonto. Era immoto e piatto, nessun
alito di vento ne increspava la superficie.
Questo era il punto, anche lei era stata tale, calma e distesa, poi gli
alisei di Haruka avevano cominciato a soffiare e si era trasformata
progressivamente in un mare in tempesta, così come l’altra rapidamente si era
mutata in una bufera di vento. Era naturale quindi che combinandosi e
scontrandosi non dessero luogo ad altro che un uragano. Viceversa Setsuna
proprio come il corso d’acqua pacifico a cui la comparava, prima con Haruka e
ora con lei, aveva la capacità di temperare gli aspetti impulsivi di entrambe,
lasciando che defluissero senza fare opposizione. Altro che alchimia, il suo era
semplice buonsenso innanzi a due ragazzine pestifere!
Michiru cominciò ad affezionarsi a lei e per Setsuna era lo stesso, trovavano
conforto nella reciproca compagnia. Iniziarono a frequentarsi con regolarità e
si vedevano spesso di sera, nella stanza dell’una o dell’altra. Passavano il
tempo parlando di tutto, confrontandosi su svariati argomenti oppure si
limitavano a godere della mutua presenza in silenzio, mentre ciascuna svolgeva
le proprie attività. In questo modo ebbero agio di conoscersi a poco a poco,
avendo l’opportunità di appianare progressivamente le diversità senza ostilità
di sorta e, allo stesso tempo, riuscendo a consolidare e incrementare tutto
quanto le accomunasse.
Perché, accidenti alla sua smania, aveva avuto tanta fretta con Haruka?
Già poiché, sebbene Setsuna le fosse diventata ormai familiare e la sua
vicinanza costante le fosse di estremo appoggio, non era esattamente la stessa
cosa. Né voleva che questa dovesse fungere da sostituta. Ma la situazione
cominciava a farsi snervante, così a volte tentava d’evadere dalla morsa
oppressiva dei suoi stessi pensieri. E finché teneva la mente impegnata su altre
cose riusciva persino ad allontanare dalla testa l’immagine della bionda. Ma non
appena incappava in un momento di pausa, come si prendeva una tregua dalle sue
occupazioni quotidiane, questa ricompariva prepotente in tutti i suoi
dettagli.
In classe le sembrava sempre che stesse lì, lì per fare il suo ingresso.
Camminando per gli affollati meandri della scuola spesso, in modo del tutto
involontario, si scopriva a vagare con lo sguardo in cerca di lei, come se si
fosse allontanata solo momentaneamente. E che dire quando imboccava il corridoio
che dalla piscina passava per la palestra? Non riusciva a fare a meno di dare
un’occhiata alla sala delle bike, nell’assurda speranza che fosse tornata. Ma il
momento peggiore era quando si ritrovava sola nel loro alloggio.
Se socchiudeva le palpebre riusciva ad evocarne la presenza, stesa sul divano
a riposarsi dopo un allenamento estenuante. Seduta al suo tecnigrafo a tracciare
linee, mentre si tormentava la capigliatura indisciplinata e borbottava calcoli
astrusi. Oppure quando con espressione decisamente seccata era costretta a
studiare i pesanti tomi di giapponese moderno. Il sopracciglio che s’inarcava, i
segni che le comparivano sulle guance quando ghignava, il tic di far ondeggiare
la gamba mentre era seduta... Poi era costretta a riaprire gli occhi e
l’illusione covata scompariva, lasciandole dentro un’amarezza insostenibile. E
allora non le restava altro da fare che stringere i denti e ingiungersi a
perseverare, scovando tutta quella pazienza che non era riuscita ad avere quando
lei ancora c’era. Prima o poi sarebbe venuto fuori qualcosa, nel frattempo le
labili tracce che Haruka si era lasciata dietro le davano un qualche conforto.
Giacché, sebbene il suo dileguarsi fosse stato repentino, non era riuscita ad
annullarsi del completamente. Innanzitutto le era rimasta la sua t-shirt, con la
quale ormai dormiva tutte le notti e nella quale, quando la nostalgia diventava
intollerabile, affondava il volto per respirarne il profumo. Con quel gesto
momentaneamente la ritrovava e, respirando quel flebile effluvio, un misto di
sudore e di qualcosa di strettamente connesso a lei, per un breve istante la
sentiva nuovamente vicina. In modo tangibile, fisico, che non fosse solo un
illusorio ricordo. Oltre a questo aveva rinvenuto una matita mordicchiata su
un’estremità, finita casualmente sotto ad una sedia. Piccolezze che non potevano
bastarle, ma che serbava come se fossero tesori.
In seguito scoprì qualcosa che in un certo senso la fece sentire peggio, un
oggetto che era parte integrante di Haruka. Costei nella sua fretta si era
dimenticata un blocchetto d’appunti in un cassetto della scrivania e, incastrato
tra le spire che tenevano insieme i fogli rivestiti dalla sua fitta scrittura
angolosa, Michiru aveva scoperto un lungo capello biondo. Con riverenza ed
estrema attenzione l’aveva rimosso, tenendolo nel palmo della mano come prova
che non si era immaginata tutto.
Ultimamente infatti sembrava che gli eventi cospirassero per farglielo
credere. Giacché, se durante i primi giorni dell’assenza di Haruka la cosa era
passata pressoché inosservata, poiché non era certo la prima volta che accadeva,
mano a mano che passavano i giorni attorno alla sua eclisse fiorirono le ipotesi
più disparate. Alcune protendevano per un sicuro tracollo fisico, Tenou aveva
tirato troppo la corda e ora ne pagava le conseguenze. Le fautrici di questa
congettura erano i membri del club di ikebana, le quali trovavano inopportuna e
alquanto malsana la mole di attività sportiva che Haruka sosteneva.
Sull’altro fronte c’erano quelle del partito dei forcaioli, composto per la
maggiore da tutte coloro che la bionda aveva sistematicamente ridicolizzato,
dopo aver liquidato sprezzantemente le loro offerte di amicizia, e che provavano
ben più di un risentimento nei suoi riguardi. Queste si dicevano certe di una
sua cattura da parte delle forze dell’ordine. Tenou era troppo un cattivo
soggetto per non finire dritta nelle patrie galere!
Le possibiliste si limitavano ad immaginare che se ne fosse semplicemente
tornata negli Stati Uniti, mentre quelle che non ci avevano avuti diretti
contatti, ma che comunque venivano stuzzicate dall’interesse generale,
azzardavano che fosse fuggita alle Hawaii per diventare una tri-atleta. Senza
contare le testimoni oculari dell’esplosione dell’auto della vicepreside, le
quali erano certe della sua colpevolezza e supponevano che fosse stata scoperta,
ergo che la sua non fosse altro che un’espulsione fatta passare sotto
silenzio.
Poi il trascorrere del tempo e le inevitabili novità accadute nel frattempo,
via, via lasciarono cadere la sua vicenda nell’oblio. E quand’ormai le foglie
avevano cessato di cadere e il freddo si era fatto intenso, di tutto il gran
parlare che si era fatto non restava che il vuoto. E sorprendentemente Michiru
constatò di come la stessero accantonando con facilità, se non addirittura con
piacere.
Era una sorta di rimozione collettiva alla quale, escluse le chiacchiere
della prima ora, nessuno sembrava dare importanza. Le compagne di classe che
l’avevano alternativamente detestata e ammirata, i membri della squadra di
atletica dei quali era il capitano e non ultimi gli stessi insegnanti, ai quali
aveva sempre dato filo da torcere, tutti passivamente avevano preso atto del suo
allontanamento e in fretta avevano voltato pagina. Come se non ci fosse mai
stata.
Persino Aya, con la quale per Haruka aveva aspramente litigato, dopo
l’inevitabile curiosità iniziale, non ne aveva più fatto cenno con lei.
E dire che Michiru, quando il fatto era ancora recente, aveva dovuto
difendersi da orde di ragazzine convinte che lei sicuramente sapesse. Era
convinzione comune in effetti che lei, in quanto sua compagna di stanza e quindi
la persona che fino ad allora le era stata più prossima, dovesse per forza aver
captato un dettaglio, un barlume di consapevolezza qualsiasi che portasse a
qualche indizio.
Michiru non si era mai espressa in tal senso, aveva sempre taciuto
trincerandosi dietro un silenzio neutro e celando con una facciata cortese
quanto le si agitava dentro. Finché gl’interrogativi si erano affievoliti fino a
spegnersi del tutto.
Allo stadio attuale nessuna aveva ancora interesse a porre domande, Haruka
era come stata cancellata da un tratto di penna e persino quelle che la
seguivano adoranti in ogni suo microscopico gesto, alla fin fine si erano
limitate a scrollare le spalle.
Atteggiamento da "è morto il re , evviva il re ?" Si chiese la
violinista, ma riflettendoci attentamente capì, si trattava di ben altro. Ed era
infinitamente peggio.
La menefreghista, l’asociale, la superba, la sarcastica Haruka era più comodo
eliminarla.
Si trattava di una persona troppo dura per riservarle un trattamento
migliore. Annullando la memoria dei suoi record su pista le altre atlete
riprendevano coraggio nelle proprie possibilità. Rimuovendo il ricordo della sua
solitudine orgogliosa quelle che, nonostante si disprezzassero tra loro, si
tenevano compagnia per paura del silenzio e dell’isolamento, potevano continuare
a sguazzare nella loro miseria spirituale senza vergognarsi. E quante si
piegavano a compromessi per il proprio tornaconto personale, non avendo più il
suo incrollabile esempio davanti, dormivano più quiete la notte. In definitiva
la forza con la quale Haruka aveva permeato ogni suo gesto aveva schiacciato
troppi amor propri per dedicarle più di un fugace pensiero transitorio. E quindi
la totalità di quanti l’avevano conosciuta supinamente l’aveva abolita dalla
collettiva reminiscenza con sollievo e a nessuno pareva doveroso chiedersi
altro.
Michiru, se avesse palesato i suoi sentimenti, avrebbe fatto la figura
dell’anacronistica nella sua insistenza. Ché la maggioranza voleva che restasse
abbandonata nelle nebbie della vaghezza, come se Haruka non fosse stata altro
che un parto della sua fantasia, come se si fosse creata per osmosi un’amichetta
immaginaria! E se non fosse stato per Setsuna, l’unica con la quale potesse
parlarne, e per quei marginali oggetti che la bionda aveva scordato, avrebbe
potuto pensarlo anche lei.
Inoltre, laddove su internet c’erano miriadi di siti che la magnificavano
come un’atleta in ascesa, non vi si faceva più cenno. Era stata depennata
persino dall’albo delle presenze che riportava le manifestazioni e le gare
nazionali a cui aveva partecipato. Per la federazione sportiva, in pratica, non
era mai esistita.
Michiru cercava di non scoraggiarsi e per quanto le era possibile cercava di
restare calma innanzi a quella epurazione a tappeto.
Che facessero pure, per quanto la riguardava non aveva nessuna intenzione di
dimenticare, anzi faceva di tutto per intensificarne il ricordo... oddio, riecco
che si riferiva a lei come se fosse deceduta! Maledizione e ancora maledizione!
Non doveva neppure pensare ad un’eventualità del genere! Pure, quando il vento
di tramontana soffiava e constatava che l’inverno era iniziato, sentiva le sue
certezze vacillare. Quante settimane erano passate? Natale era alle porte ormai
e ancora era in attesa, in un’assurda, vigile e credula attesa che si palesasse,
che finalmente rendesse chiaro che fine avesse fatto! Anche Setsuna a questo
punto aveva iniziato a preoccuparsi, finché i giorni erano rimasti tali non si
era scomposta, persuadendosi che ci fosse un motivo valido. Ma quando,
all’insaputa di Michiru, tentò ripetutamente di rintracciarla sul suo numero di
cellulare e questo risultò prima spento e infine inesistente, decise di recarsi
a casa sua. Un’amara sorpresa l’attendeva, l’amministratore del residence dove
Haruka aveva un monolocale in affitto, le comunicò che il contratto era stato
annullato e che già da un pezzo la ragazza aveva fatto armi e bagagli.
A questo punto si risolse a chiedere l’intervento di suo padre, era la sua
ultima carta e decise di giocarsela. Ma fece male i suoi conti perché la
risposta dell’uomo fu ermetica e irremovibile. Sì, sapeva quanto era accaduto e
l’aveva appreso dalla stessa Haruka, la quale stava bene, ma essendo impegnata
in faccende personali, aveva categoricamente imposto di non essere importunata.
Aveva aggiunto inoltre che, quando avesse potuto, sarebbe stata lei stessa a
contattare Setsuna e chiarirle la faccenda. Così come aveva fatto con lui. Per
il momento non se ne parlava, punto, fine della storia.
Davanti a questo monumentale menefreghismo Setsuna perse la pazienza che
sempre aveva avuto nei suoi confronti. E per la prima volta capì perché mai
Haruka non covava malanimo verso la madre, erano uguali! Fottutamente identiche
nella determinazione a fare quel che cavolo volevano, nel momento stesso in cui
lo volevano e senza curarsi di quanto potevano far soffrire chi avevano
accanto!
Avrebbe potuto continuare le ricerche, infatti conosceva la sede centrale
della sua scuderia e persino l’indirizzo dell’ufficio di pubbliche relazioni cui
Hitomi si appoggiava, ma preferì evitare. Se Haruka la voleva fuori, l’avrebbe
accontentata! Che se la sbrigasse da sola per l’ennesima volta. Per quanto la
riguardava l’avrebbe attesa al varco e lì si sarebbe pentita amaramente di tutte
le ansie che stava seminando!
Passò un’altra settimana e quella successiva. E, a pochi giorni dalle
vacanze, Natale sembrava non voler recare ancora nessuna novità. Nel frattempo
la rabbia di Setsuna si era sufficientemente placata, ma non la sua
inquietudine. In ogni caso la sera prima delle feste, l’ultima passata a scuola
dell’anno che stava per terminare, lei e Michiru decisero di trascorrerla
insieme. Intendevano festeggiare con una cenetta a base di delizie e spumante
sia natale che capodanno, giacché nelle date preposte sarebbero state ognuna
presso i propri cari. Così fu che, grazie ad una dispensa speciale, quel
pomeriggio si recarono in centro per far la spesa. Tornarono cariche di sporte e
giusto in tempo, il nevischio difatti aveva preso a cadere copioso e Setsuna,
voltandosi per esternare una facezia alla violinista, alla sua vista rimase
muta. Michiru aveva il soprabito parzialmente imbiancato, le guance arrossate
dal freddo e i capelli che fuoriuscivano dal cappello le incorniciavano il viso
d’angelo come un alone. Era una visone luminosa e davanti a questa rara bellezza
ancora una volta Setsuna si domandò risentita perché Haruka si stesse ostinando
a farle del male. Voleva punirla? Oppure ne era spaventata?
Domande, sempre domande e mai una risposta che potesse soddisfarle!
"Guarda, c’è qualcosa nella tua cassetta delle lettere." Le fece notare
Michiru sfregandosi le mani infreddolita. Soprappensiero Setsuna non colse,
davvero non si sarebbe aspettata nulla di simile, per questo la prese senza
badarci più di tanto.
Non ci pensò per tutta la sera, ore gradevoli che trascorsero a cucinare e
piluccare più pietanze mentre discorrevano piacevolmente. Poi quando Michiru fu
andata, se ne ricordò e andò a vedere chi le scrivesse.
Era una cartolina, il timbro recava la dicitura Jerez de la Frontera e
la data di appena qualche giorno prima. Appena riconobbe la grafia Setsuna
sussultò come se una scarica elettrica l’avesse attraversata. Si affrettò a
leggere, Haruka scriveva dalla Spagna:
Non ti dico Buon Natale perché presto sarò di ritorno.
E’ stato un viaggio contraddistinto dalle F questo:
Formula 3
Feste
Belle figure... & Fighe!!
Haruka
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Parte 16 ***
16
Ultima chiamata , i passeggeri per il volo Madrid – Tokyo sono pregati di
recarsi all’uscita numero 9. Ripeto, i passeggeri del volo AJ-2806 da Madrid a
Tokyo sono pregati di recarsi al gate d’imbarco numero 9.
La convocazione, prima in spagnolo e poi in inglese, risuonò nei meandri
dell’aeroporto superando il brusio che si levava dalla folla di viaggiatori che
gremiva i corridoi dello spazio internazionale. Haruka, che aveva accuratamente
evitato di finire nel trappolone teso dai gestori di duty-free agli incauti
turisti a base di svariati oggetti inutili e terrificanti souvenir, quali
bambole di matador e nacchere variopinte, era già da tempo in attesa ai cancelli
d’imbarco. Già di indole preferiva evitare la ressa, ma in questo caso, per di
più, non vedeva l’ora di tornare a casa. Non che quella trasferta da tempo
programmata non fosse stata di suo gradimento, anzi, proprio la summa di quanto
aveva sperimentato a Jerez l’aveva riempita d’impazienza. Erano quasi pronti,
mancava un passo alla perfezione e per questo motivo era ansiosa di rimettersi
al lavoro per completare gli aggiustamenti al telaio della macchina. Se avessero
completato l’allestimento del veicolo prima del previsto infatti, avrebbe avuto
tempo ulteriore per familiarizzarsi col prototipo completo e questo le avrebbe
dato alcuni vantaggi supplementari che potevano rivelarsi inestimabili.
Oddio, a voler essere sincera fino in fondo, doveva riconoscere pure che era
decisamente stufa dell’andazzo al quale aveva dovuto sottostare nelle ultime due
settimane.
E non si lamentava del fatto che l’avessero messa alla sferza e fatta
lavorare come un mulo, all’opposto, non chiedeva di meglio. Quello che le rodeva
era tutto quanto girava intorno alla sua figura professionale. O, per meglio
dire, quanto concerneva il marketing, tipo le estenuanti sessioni fotografiche
destinate alla pubblicità della marca di olio automobilistico che la
sponsorizzava. Durante una di queste era stata ad un passo dal perdere le staffe
e mandare a quel paese il fotografo, che continuava a blaterare sulla sua scarsa
predisposizione all’obiettivo, e al contempo informare i vari assistenti, che
ogni due minuti si precipitavano a ritoccarle il make-up, con parole succinte
sulla sede ultima e piuttosto specifica del loro corpo cui destinare quel
pennello da trucco.
Questo avveniva durate il giorno, dopo le prove poi, al calar delle tenebre,
ogni maledetta sera le toccava sorbirsi una delle tante feste date nella villa
privata di qualche riccone andaluso. Party dove non poteva assolutamente
mancare, pena trascurare le basilari regole delle pubbliche relazioni. Così,
invece di restarsene nel riposo più assoluto a sorseggiare sangria e a imparare
il flamenco come avrebbe preferito, le toccava mettersi in tiro, predisporsi a
fare la brillante e andare a rapportarsi con della gente alla quale normalmente
non avrebbe dedicato neppure cinque minuti di tempo. Suoi mentori in questi
circoli che per lei equivalevano ad un girone dantesco erano Hitomi, che non la
perdeva di vista un attimo, preoccupata com’era che da un momento all’altro la
sua pupilla potesse sbottare e palesare la noia che la pervadeva, e il capo-team
che fortemente l’aveva voluta come pilota. Senza contare il suo principale
finanziatore, un grassone azzimato e alquanto cafone, che per la maggior parte
del tempo la conduceva presso i suoi ospiti tutto soddisfatto, come se stesse
esibendo un raro esemplare di animale. Insomma non aveva un attimo di privacy,
le stavano appiccicati tutto il tempo, e mentre giravano per i vari gruppi,
presentandola ai tizi importanti, e signora, che erano intervenuti a
quest’ennesimo party, le suggerivano con chi era utile fermarsi a scambiare due
chiacchiere e chi no. Al che era praticamente obbligata ad abbandonare coloro
che magari aveva trovato interessanti e con cui si stava intrattenendo
piacevolmente, il più delle volte si trattava di belle e giovani signorine, per
precipitarsi a fare un’ingessata conversazione con quelli che contavano sul
serio. Magari tenendoli a bada con qualche facezia curiosa e autoreferenziale
che li facesse ridere, tanto sottolineare quanto fosse cordiale e da rendere il
fare la sua conoscenza un vero piacere.
In conclusione, per dare un’adeguata spinta d’avvio alla sua carriera, stava
facendo tutte quelle cose che detestava e che rifuggiva come la peste. Non le
faceva bene all’umore e la rendeva più irritabile di sempre, ma sapeva quanto
fosse necessario, si ripeteva che se l’era voluta e andava imperterrita fino in
fondo.
Oltre a ciò c’era un’altra questione che andava risolta quanto prima, poiché
occorrevano delle urgenti migliorie da doversi obbligatoriamente apportare prima
che il campionato prendesse il via. E non riguardavano solo la sua monoposto o
il suo senso frustrato dell’affabilità sociale.
Anche il suo telaio in effetti aveva bisogno di qualche modifica.
Probabilmente più d’una, giacché se n’era resa conto durante quei dieci giorni
passati continuamente assediata da un parterre variegato di persone, non ultime
alcune donzelle che l’avevano tallonata stretta. E lì , quando la marcatura si
era fatta ad uomo, per un pelo, ad essere precisa per alcuni centimetri,
la sua messinscena non era saltata e aveva inteso che aveva bisogno di parecchie
rettifiche.
Beh, era innegabile che aveva tutte le apparenze di un ragazzo e passava
agevolmente per tale. Ma doveva stare molto attenta al suo agire col gentil
sesso, che a quanto pareva le spagnole non ci mettevano molto ad andare al sodo,
e a come parlava, particolarmente quando si riferiva a sé stessa. Ma più di ogni
altra cosa aveva bisogno di adeguato abbigliamento.
Tralasciando la questione del volume anatomico, che aveva risolto
parzialmente indossando sempre pantaloni dalla vita e cavallo basso, problema
che non sussisteva però con la tuta da pilota, visto che le imbottiture
simulavano il simulabile adeguatamente, restavano altre abitudini che doveva
sradicare.
Giusto per non andare per il sottile, una mattina in hotel poco c’era mancato
che tutto andasse a puttane a causa di un paio di mutande che si era dimenticata
in giro! Ovviamente non si trattava in assoluto di un capo guarnito di pizzi o
di allettanti trasparenze, era un paio di slip normalissimo, ma era più che
evidente che erano da donna. Con orrore li aveva notati con la coda dell’occhio
e aveva fatto appena in tempo ad agguantarli rapida prima che la cameriera
entrasse con la sua colazione.
"E fosse solo quello." Si disse sfiduciata mentre saliva sull’aereo e cercava
il suo posto. Tutto si poteva dire del suo seno tranne che fosse prosperoso,
affatto, nel suo caso era obbligatorio definirlo quale uno sterno leggermente,
proprio appena, appena sporgente. Eppure aveva dovuto rinunciare ai reggiseno
sportivi che fino a quel momento avevano adeguatamente supplito alla bisogna.
Adesso le toccava bendarsi come la mummia di Tutankamen o, nella migliore delle
ipotesi, applicarsi una fascia elastica di tessuto impalpabile che si era fatta
appositamente confezionare. Al sarto alla quale l’aveva commissionata aveva
spiegato che si trattava di una panciera per curare un fastidioso mal di schiena
provocatole dall’abitacolo della macchina. Fortuna che l’uomo era un tipo
discreto e che i suoi addominali avevano grosso modo la stessa massa del suo
torace e che il tessuto era deformabile, sennò come avrebbe fatto?
Quest’episodio le aveva chiarito definitivamente le difficoltà alle quali
stava andando incontro, ma siccome non aveva nessuna intenzione di tirarsi
indietro, aveva immediatamente spedito Hitomi a caccia. Sarebbe stato compito
suo trovarle altri orpelli simili ed eventualmente farseli modificare per
adattarli alla sua figura, tanto era brava ad inventarsi frottole.
Restava comunque un altro ostacolo che non era affatto da poco: come si
sarebbe comportata quando quell’altra faccenda sgradevole, che per il momento
fortunatamente non si era presentata, ma che presto sarebbe giunta, avrebbe
fatto capolino? Perché la sua natura, non è che si sarebbe arrestata innanzi
alla situazione creatasi nel frattempo, eh no, quanto prima avrebbe preteso
dazio. E dire che già normalmente a lei quel simpatico problemino che ogni
ventotto giorni a stento tollerava dava immenso fastidio, figuriamoci
adesso!
Urgevano contromisure, analgesici a pacchi e mutande ( ancora mutande ?
maledizione !) a tenuta stagna come lo scafandro di un palombaro!
Haruka sospirò, non sarebbe stata una passeggiata e lo sapeva fin
dall’inizio. Si contorse sull’angusto sedile e cercò di sistemare in un modo più
confortevole le lunghe gambe.
Se avesse accettato l’offerta del partner spagnolo del suo promotore a
quest’ora sarebbe stata in prima classe, comodamente seduta ad ascoltare musica
e sorseggiare acqua tonica. Invece eccola lì, per questioni di prudenza, poiché
lei e Hitomi , alla luce di quanto sopra, avevano concluso che per i primi tempi
era meglio adottare un basso profilo. Per cui doveva arrangiarsi a lottare con
lo spazio ridotto e il tedio del lungo viaggio. Tanto sulla compagnia di
quest’ultima non si poteva contare, cadeva in catalessi subito dopo il decollo.
Quanto a lei, benché ne avesse bisogno, proprio non le riusciva di assopirsi in
quelle posizioni impossibili.
"E pensare che quando vivevo in quel centro d’accoglienza ero costretta a
dormire su una branda con un materasso di crine e senza riscaldamento!" Pensò
con un ghigno amaro riandando con la mente a quel periodo breve, ma infame, che
aveva trascorso in quell’ostello saturo di adolescenti disadattati. Beh, in un
certo senso quei mesi l’avevano temprata e addirittura, oggi, riteneva che
finanche i frequenti scontri che aveva avuti con gli altri ospiti del luogo
erano stati profittevoli. Altrimenti avrebbe corso il rischio di finire in uno
stato d’inedia mentale e fisica pericolosa. E forse era anche grazie alle lotte
che aveva affrontato se adesso era qui.
Forse era il caso di approfittare delle lunghe ore di silenzio e immobilità
date dal volo per sviscerare alcuni elementi ai quali non aveva dato giusto
rilievo durante la frenesia degli ultimi tempi.
Innanzitutto quest’impazienza di tornare a Tokyo. Per lei era davvero una
novità. Quando c’era venuta per la prima volta si era trattato di pura esigenza
e d’allora , ogniqualvolta se n’era allontanata, aveva vissuto il distacco con
disinteresse, ché poco gliene importava a conti fatti. Ora invece pareva proprio
che quel senso di non appartenenza sperimentato tra miriadi di ragazzi
abbandonati a sé stessi ed intensificato dal vagare da famiglia in famiglia che
in passato l’avevano resa alquanto glaciale, le faceva comprendere alla fin fine
l’importanza di avere una casa a cui far ritorno.
Certo la sua non sarebbe stata una di quelle tipiche dettata dallo
stereotipo, non era un allegro focolare domestico popolato d’amorevoli volti che
l’avrebbero attesa a braccia aperte, sarebbe stata comunque sola. In ogni caso
si trattava di un posto suo, quali non ne aveva mai avuti. Finalmente un punto
fermo, un posto dove potersi trattenere e dove, sperava, la sua smania di
muoversi e mutare frequentemente l’ambiente in cui viveva potesse acquietarsi.
Forse in lei c’era un po’ della natura nomade di sua madre, chissà, restava il
fatto che fino ad oggi aveva continuamente rifuggito l’idea di un asilo
inamovibile poiché si era sempre sentita una persona transitoria.
A tutt’oggi invece ne sentiva l’esigenza, ora che le cose si stavano muovendo
della direzione che voleva, finalmente si sentiva i grado di affrontare una
routine. In un certo senso era gradevole la continuità di quanto aveva vissuto
fino alla partenza e che stava per riprendere. Andava a scuola, tornava casa,
lavorava all’autodromo e viceversa. Inoltre il suo ingresso al liceo statale al
quale si era iscritta era stato a dir poco trionfale. Giacché, tralasciando gli
studi che non le avevano mai dato particolari difficoltà, era la sua natura
narcisistica che ne stava uscendo oltremodo gratificata. Infatti questa veniva
quotidianamente appagata da stuoli di studentesse che, alla vista di quel nuovo
studente alto, biondo e parecchio affascinante, avevano avute tutte un grazioso
soprassalto.
La maggioranza sospirava per lei, le lasciava messaggi d’amore
nell’armadietto e, le più audaci, spesso le preparavano anche il pranzo. Il
tutto, ad ulteriore gloria del suo ego straripante, coronato dall’invidia
evidente degli altri studenti, i quali si sentivano minacciati dalla sua
avvenenza come un branco di pecore che avessero avvistato un lupo!
La sua natura era e, ne era certa, sarebbe sempre rimasta solitaria.
Nonostante ciò non poteva negare che il civettare continuo che aveva con quel
codazzo di femmine adoranti che la seguivano dappertutto le piaceva e parecchio.
Anche perché si poteva dire che quest’atteggiamento non fosse altro che la
conseguenza di un altro fattore. Invero l’unica pecca di questa sua nuova vita
era la sua volontaria astensione da qualsiasi attività sportiva. Il rischio che
avrebbe corso qualora ne avesse intrapresa una non valeva la candela, Hitomi
aveva insistito molto e lei ne aveva convenuto. Passava per un maschio, come si
sarebbe comportata qualora avesse dovuto dividere gli spogliatoi con gli altri
studenti? Per cui aveva rinunciato del tutto a qualsiasi tipo di competizione
adducendo come motivazione che il suo programma d’allenamento professionale era
incompatibile con quello scolastico. In effetti era vero, indiscutibile, ma ciò
non toglieva che la cosa le bruciava, soprattutto quando avvistava i corridori
che si pavoneggiavano sui campi d’addestramento come se fossero dei campioni,
invece delle autentiche mezze seghe che in realtà erano. In quei momenti la
voglia di dimostrare quanto fossero limitati diventava incontenibile e quindi,
per distrarsene e anche per una sorta d’infantile rivalsa nei loro riguardi, si
dedicava vieppiù a fare la libertina, guadagnandosi in questo modo la rapida
nomea di casanova incontrastato della scuola.
Che poi tutto quel flirtare, per sua espressa intenzione e per la manifesta
delusione delle concupite, portasse spesso ad un nulla di fatto, non era
importante. Insomma le serviva solo a riempire gli spazi vuoti che altrimenti
avrebbe passato in occupazioni meno gradevoli.
Haruka si raddrizzò ancora una volta nello spazio insufficiente e mormorando
silenziosamente un’imprecazione tentò di accoccolarsi come meglio poteva. Fissò
per qualche minuto il sole che calava sopra la coltre delle nubi e nel frattempo
lasciò che i suoi pensieri vagassero liberamente. Effettivamente era ora di
essere un poco onesta con la sua coscienza, giacché, checché ne dicesse e
sebbene fosse compiaciuta di come stavano procedendo le cose, doveva ammettere
che non bastavano una manciata di giorni esaudenti per cancellare quanto si era
lasciata dietro.
Che poi, cos’era? Voleva abbandonare i contesti che l’avevano vista
protagonista precedentemente, quindi dov’era il nodo? Non vedeva difficoltà di
sorta nel qual caso, se non quell’assurdo senso di vuoto che talvolta sentiva e
al quale non riusciva a dare nome e forma. Avvertiva chiaramente una mancanza e
rabbiosamente non riusciva a darle una collocazione precisa. Anche perché era
del tutto imprevedibile, poteva stringerla nella sua morsa quanto meno se
l’aspettava e come una voce in sogno continuava a ripetersi senza svelarsi.
Questa sorta di velata ossessione era cominciata pressappoco dopo il suo
definitivo distacco del vecchio liceo. Anche se, a volergli dare un’ubicazione
temporale e dimensionale, non aveva una continuità tale da consentirlo. Per di
più poteva intensificarsi e affievolirsi a capriccio, senza alcun criterio. Sì,
c’era molto di sentimentale in queste emozioni e la cosa non le piaceva affatto,
quindi cercava di non dargli in nessun modo importanza.
Così facendo sembrò per un certo periodo che questi attacchi (di melanconia?
Rimpianto? Mah. ) si diradassero e non ci aveva pensato più. Ma in seguito,
durante il suo impegnativo soggiorno spagnolo, era accaduto qualcosa che le
aveva fatto cambiare idea.
Stremata com’era dal duro lavoro in pista e nei salotti, si era presa un
break di 36 ore e ne aveva approfittato per andare a vedere la celeberrima
Barcellona. Era stata una visita lampo, non programmata, per cui aveva tentato
di vedere quanto più possibile in quel tempo risicato. E girando a casaccio tra
le vie del centro ad un certo punto, attraversando l’oscuro Barrio Gotico, si
era ritrovata all’improvviso sul porto. Spensierata si era diretta verso
l’ardita struttura del ponte ligneo di recente costruzione e , una volta lì ,
era rimasta incantata dalla vista del mare luccicante sotto di lei.
E in quel momento , sola tra la folla di stranieri, l’azzurro splendente del
mediterraneo che contrastava col cielo plumbeo, l’aveva ipnotizzata. Quel colore
terso, tipico del mare invernale, le aveva nuovamente messo addosso quella sorta
di nostalgia della quale non riusciva a liberarsi. Così, perdendosi nella
contemplazione del moto instancabile delle onde, per un attimo le erano balenate
davanti allo sguardo spire di lunghi capelli che parevano confondersi fino a
diventare tutt’uno col mare e lo scintillio di un paio d’occhi che di quelle
acque avevano la medesima lucentezza.
Aveva scosso la testa per liberarsi da quella malia e stringendo i denti si
era sollecitata a non lasciarsi sopraffare. Quale prova di forza era rimasta
immobile a fissare l’azzurro in movimento come a sfidare quella visione. Che
osasse pure a ripresentarsi! Avrebbe resistito, cazzo se l’avrebbe fatto!
Ma nonostante tutto era stata una vittoria parziale, perché aveva dovuto
trattenersi a lungo prima di disperderla del tutto e, passeggiando nei paraggi,
anche perché nonostante tutto non riusciva ad allontanarsene, aveva cercato
invano un modo per liberarsi da quella che considerava una manifesta debolezza
da superare quanto prima.
C’era poco da fare, alla fine aveva inteso perfettamente a chi la riportasse
quella specie di illusione caduca. Il che non faceva che rafforzare
ulteriormente la sua risoluzione. E questo valeva tanto per la persona, quanto
per quel che le aveva e stava provocando. Inoltre la spaventava soprattutto
quanto percepiva, sentiva quasi i tentacoli del suo potere estendersi su di lei.
Ora più che mai non poteva mettersi in balia di un altro essere umano,
maledizione a lei!
Haruka esalò un sospiro collerico ed impaziente, causato dai suoi stessi
pensieri e da quel volo che sembrava non dovesse mai finire. Le sembrava di
essere inchiodata a quella poltroncina da un anno. Volentieri sarebbe sfuggita a
quel che stava meditando, ma , sapendo di non potersene sottrarre a lungo, pena
ostinarsi a dolersi inutilmente, continuò imperterrita. Incrociò le braccia,
chiuse gli occhi e , vieppiù aiutata dal buio che le hostess avevano fatto
scendere nella carlinga , tornò sulla delicata questione.
A che pro recriminare su quanto non era stato? Non poteva abbandonarsi a
simili fantasie, doveva badare ad essere realistica. Ok , d’accordo, era vero.
Il senso di conforto provato in compagnia di quella marmocchia le mancava, anzi
, aveva iniziato a capirne la valenza solo una volta che se n’era allontanata,
ma a che serviva piangere sul latte versato ?
Non c’erano margini di ritorno, assolutamente. E se pure ci fossero stati,
non se ne parlava! Perché, tolto il litigio col quale s’erano dette praticamente
addio, la Tenou Haruka che quella aveva conosciuta, non doveva esistere più. E
all’attuale Haruka non restava che accontentarsi di quel poco che avevano
condiviso. Che poi in sostanza non era un granché! Quindi che cavolo aveva da
scervellarsi tanto?
"Granché sto par de palle! Che faccia di bronzo che ho , se fossi onesta
con me stessa ammetterei seduta stante che darei qualsiasi cosa in questo
momento solo per avere ancora l’occasione di sedermi in un angolo, abbandonarmi,
chiudere gli occhi e sentirla suonare ! "
"Vero, sacrosanto , ineccepibilmente espresso nella forma e nei
contenuti."Risuonò un’altra voce nella sua testa, ed era una voce stentorea
, impossibile da ignorare e dall’oratoria altrettanto efficace.
" Così alla fine, dopo le vicissitudini schifose cui sei stata
protagonista, mandi tutto all’aria per cosa? Per essere dipendente da un’altra
persona? Cosa della quale sai benissimo non essere in grado. Fuggiresti a gambe
levate al primo accenno d’oppressione. L’hai già fatto e saresti capace di
rifarlo, lo neghi ?
E stiamo parlando della stessa ragazza che considera quel che fai, quel che
ti gratifica , quello che hai raggiunto dopo aver lottato con le unghie ed i
denti e che ami alla follia , una degradazione, uno svilimento morale ed
intellettuale. Nient’altro che un modo miserabile per guadagnare quattrini! Che
ne sa lei di quel che provoca la mancanza del vile danaro? Quel che a te è
costato sudore, sangue e mortificazioni, a lei bastava chiederlo. Pensi sul
serio che potrebbe capirlo, pure se glielo spiegassi un milione di volte?
Andiamo, una come lei, con te e con l’ambiente dal quale provieni, non c’entra
un emerito cazzo! Qualora, incautamente, ti aprissi a le parlassi, sul serio
credi che potrebbe capire? E’ una marmocchia presuntuosa, della quale hai punta
fiducia. E dillo infine che soprattutto non hai la minima cognizione di come
reagirebbe ai tuoi teneri trasporti! Sveglia testa di cazzo! Tu e quella siete
due elementi che non possono fare lega tra loro, neppure nel più fantasioso
sogno ad occhi aperti che puoi creare nella tua testa offuscata dal
desiderio!"
Tutto vero, ognuno di quegli argomenti era incontestabile, lo sapeva bene e
non c’era null’altro da aggiungere. Brama e realtà non andavano a braccetto,
così come necessità emotive e differenze inconciliabili non potevano fondersi
come per magia.
Perciò anche stavolta, come sovente, fin troppo sovente per la sua giovane
età, esattamente come aveva dovuto fare più volte nel corso degli anni, si
predispose alla rinuncia . Doveva sigillare la porta sull’eco di quei riverberi
che palesavano il suo bisogno e poteva farlo solo chiudendosi ancora una volta e
sempre più ermeticamente in sé stessa.
"Non riesci a dormire?" Chiese Hitomi, con voce impastata, aprendo un occhio.
I contorcimenti di Haruka infine avevano avuto ragione del suo sonno, fino la
svegliarla del tutto.
" No..." Ammise contrita , una contrizione che con il pisolino disturbato
della donna non aveva nulla a che fare. "Non è che avresti un
sonnifero?"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Parte 17 ***
17
"In Spagna?! Accidenti è piuttosto lontana! Com’è? Faceva
caldo? Hai visto la corrida?"
La sequela di domande, sparate in rapida successione, onde
sopravanzare il vocio delle altre ragazze convenute, le quali a loro volta
contemporaneamente tentavano di farsi notare, furono poste ad Haruka da una
brunetta seduta da qualche parte alla sua sinistra.
Stava tenendo corte infatti, il che voleva dire starsene assisa
al centro di un’attenta platea composta da una decina di femmine dagli
atteggiamenti affettati e più che disposte ad andare in manifesto visibilio a
qualsiasi suo commento o gesto. Cosa che le faceva sospettare che il confine tra
la piaggeria e un’infatuazione vera è propria fosse più labile di quanto avesse
potuto pensare . Ad ogni modo si sentiva tanto come un sultano che visita il suo
gineceo con tutte quelle cortigiane intorno, anche se per loro aveva coniato una
definizione più appropriata.
In effetti aveva preso l’abitudine di definirle quali le
peripatetiche, giacché queste, da sole, a gruppi variabili o addirittura
tutto il branco come nel caso attuale, solevano seguirla ovunque andasse non
appena faceva capolino a scuola. Poi, una volta individuatala, prendevano a
scortarla d’appresso bevendosi tutte le sue affermazioni come se fossero
oracoli. Tutto ciò faceva molto socratico e se avesse avuto intenti didattici,
specialmente in quel senso, si sarebbe potuta divertire parecchio.
Peccato però che spesso approfittasse dell’occasione che le servivano su un
piatto d’argento solo per pavoneggiarsi o dileggiarle sulle pose ridicole che
assumevano.
Oggi poi si erano rivelate più tenaci del solito, poiché la
rincontravano per la prima volta dopo sua prolungata assenza. Il che voleva dire
che era da un bel pezzo che non la vedevano, per giunta né l’avrebbero rivista
per altrettanti giorni a causa delle vacanze natalizie. Quindi le avevano teso
l’agguato con perizia, facendole la posta alla fine delle lezioni. L’avevano
attesa al varco allo scopo di braccarla e intrattenersi un in sua compagnia ad
ogni costo e tanto avevano detto e insistito che alla fine aveva accondisceso.
Ad ogni buon conto, onde evitare di stare a freddo, ché tornando aveva trovato
la città coperta da una spessa coltre di neve che continuava a fioccare lieve,
le aveva facilmente persuase a recarsi perlomeno al coperto. Così adesso se ne
stava davanti ad un bel caffè caldo ad intrattenersi con le loro ciance.
Per la verità non si era fatta pregare più di tanto o , per
meglio dire, si era fatta supplicare finché non aveva magnanimamente concesso il
suo assenso, benché la sua risoluzione fosse stata quella fin dall’inizio. In un
certo senso , si giustificò con sé stessa, questo altro non era che una sorta di
principio, magari non una regola generale , quanto una postilla atta a trovare
un lenitivo per il suo umore altalenante.
Ecco, esattamente a questo fungevano le invocazioni che aveva
trasversalmente preteso. Non erano altro che un sedativo alla sua inquietudine
umorale, mica si trattava esclusivamente d’altezzosità da parte sua.
Vero Haruka ? Certo Haruka !
Inoltre era verità che quelle ragazze, se prese a dosi
equilibrate, nell’insieme potevano essere persino abbastanza ricreative. Oddio
in effetti sospettava che, pur sommandole complessivamente, con poca probabilità
avrebbero raggiunto un quoziente intellettivo normale, però se ci si
intratteneva non era certo per affinare le sue doti culturali . Più che altro
avevano la funzione di un utile scacciapensieri, non avrebbe avuto con loro
conversazioni sull’origine dell’universo , ma perlomeno si sarebbe fatta quattro
risate.
Razzismo intellettivo e considerazioni sarcastiche a parte, la
triste realtà era che in alternativa non aveva altro. E per contro l’idea di
girovagare senza scopo per le strade fino a tornare nel suo appartamento
asettico e silenzioso non le sorrideva più di tanto.
Il team era ufficialmente in ferie, la macchina riposava sotto
i suoi teli protettivi e Hitomi si era recata in una località termale per
riprendersi dallo stress di starle continuamente appresso. Certo avrebbe potuto
svagarsi un po’ in una playroom, ma ci aveva già provato sul finire del
pomeriggio del giorno prima e non era stato affatto dilettevole come aveva
sperato. Il che era strano, in genere si attaccava a quei videogame con frenesia
maniacale, con una concentrazione assolutamente degna di miglior causa e se ne
schiodava solo quando era riuscita a portarli a termine, per quanto difficoltosi
potessero essere. I suoi preferiti erano le simulazioni di corsa, tanto per non
allontanarsi troppo dal solito tran, tran e un gioco ad incastri eseguito
mediante figure geometriche.
Ed era alle prese proprio con uno di questi quando si era
accorta con stupore che stavolta il magico effetto estraniante tardava a
manifestarsi. Anzi era palese che più che distrarla quel giochetto la stava
facendo vieppiù innervosire. Non ne stava imbroccando una, stava collocando i
tasselli a casaccio e , per una precisa fin nel profondo quale lei era, la cosa
l’aveva fatta incazzare parecchio.
Per cui aveva mollato la partita a metà e con manifesto
scontento aveva abbandonato il luogo a favore di un bar alla moda. Tanto era
l’ora del happy hours, il che voleva poter dire che avrebbe visto gente, bevuto
un paio di cocktail e fatto un po’ di conversazione con qualche conoscenza
fortuita. Visto che non era affatto difficile rimorchiare in determinati
contesti. E in effetti l’aggancio c’era stato, appena dieci minuti dopo essersi
seduta al bancone era stata approcciata da una tizia vestita di lustrini, che
alle orecchie portava un paio di cerchi tanto grossi da poterci far saltare da
una parte all’altra delle tigri, come in uno spettacolo circense. Ad ogni modo
aveva un decolté di tutto rispetto e pareva abbastanza spigliata da poter
risultare simpatica, sebbene fosse evidente che non era altro che una sua
coetanea, o giù di lì, che s’era bardata a festa, ma tant’è. Comunque la sua
previsione era destinata a rivelarsi completamente sbagliata.
Cirque du Soleil, come l’aveva ribattezzata in onore dei
suoi orecchini spropositati, non solo si stava dimostrando un’autentica
deficiente bamboleggiante, ma aveva pure un chiacchiericcio vacuo che trovava
veicolo ed espressione in una insopportabile vocetta cantilenante dalla
petulanza manifesta. Il che stava smontando la sua prospettiva di una serata
scintillante con una fretta incredibile.
E la sua scocciatura innanzi a quella presunta vamp dal gusto
dubbio stava aumentando di pari passo al livello con il quale stava celermente
vuotando un bicchiere dopo l’altro , il che voleva dire che stava raggiungendo
livelli mostruosi. Al sesto Margarita non si disturbò neppure di fare un
vago tentativo per nascondere lo sbadiglio che le deformò il volto e fu giusto
per civiltà che si mise la mano davanti alla bocca. Dopodiché, abbastanza
alticcia, chiedendosi chi glielo facesse fare a dover sottostare a quella
manfrina, addusse un inesistente impegno. Indi piantò seduta stante la dama
fatale e se la squagliò prima che si sbronzasse del tutto e facesse qualcosa
della quale si sarebbe pentita per il resto dei suoi giorni.
"Beh, per quanto distante, è inverno anche lì, sai?" Si degnò
di rispondere infine alle domande fattele, gratificando le sue interlocutrici
con un mezzo sorriso di condiscendenza. Tanto che queste neppure ravvisarono il
pacato sarcasmo che conteneva la sua voce.
"In ogni caso mi è stato detto che non è questa la stagione per
la corrida, per quanto ne so dovrebbe essere la primavera. E poi ragazze, il mio
era un soggiorno lavorativo. Senza contare che ai tori preferisco le vacche."
Concluse facendo loro l’occhietto e scatenando in tal modo una salva di risolini
imbarazzati.
"E comunque, se l’idea dei bovini mi avesse attirato, avrei
preferito di gran lunga organizzare una corsa, tipo quella che fanno a Pamplona,
con me che filo a tutta birra davanti e i tori che m’inseguono alle spalle.
Fermo restante che avrei corso con la mia macchina. Sapete, non vorrei proprio
rovinarmi il fondoschiena a causa d’un paio di corna taurine!"
L’uditorio scoppiò nuovamente in una serie di mormorii ilari e
quella che del gruppo passava per la più intellettuale esclamò : "Non credo però
che Hemingway sarebbe stato d’accordo, è poco appropriato al pathos dell’evento.
Come avrebbe commentato secondo te?"
"Che forse è ora per i tori di prendere la patente." Rispose
ghignando. Anche se la risposta che davvero avrebbe voluto darle restava
nell’intimo della sua cattiva coscienza.
E’ un mistero ragazzina dal cervello spongiforme, certo non ci
farei bella figura neppure se mi vedesse adesso in vostra compagnia!
Il mordente di tale riflessione non mutò la sua aria amabile,
la sua intolleranza piuttosto si manifestava da un gesto secondario. Infatti
aveva preso a giocherellare con un lembo del foulard che portava al collo. Era
un acquisto recente e neppure troppo in linea con il suo modo usuale di
abbigliarsi. Restava il fatto che il colore rosso vivo di quel fazzoletto aveva
attirato il suo sguardo non appena l’aveva notato adagiato su quella bancarella
in mezzo al mercatino del sabato sulla Rambla.
Era roja sangre, un rosso sanguigno, in netta
contrapposizione con l’azzurro che la stava ossessionando. Così, portando
addosso quella tinta forte, che surclassava con violenza quel colore lieve,
delicato, s’illudeva che potesse fungerle da scudo. E in ogni caso pensava le
regalasse un discreto tocco d’eccentricità. Ovvio, portarlo più che altro era un
gesto di stravaganza da parte sua. Questa storia del rosso e dell’azzurro non
era che una gran puttanata! Perché doveva sempre cercare una ragione intrinseca
che non fosse quella che appariva all’evidenza? Era un vezzo, nient’altro che un
vezzo.
Vero Haruka ? Certo Haruka!
Sì , ma intanto , che diavolo ci faccio qui a perdere tempo con
queste cretine?
Si chiese dubbiosa ancora una volta in preda alla noia più
profonda. Sembrava che dal suo ritorno l’uggia fosse diventata una costante
nella sua vita. E accidenti era rientrata appena da quarantott’ore! Due giorni
passati nel tedio assoluto e con l’impressione che nulla potesse appagarla. Se
accendeva la tv non faceva altro che saltare di canale in canale alla ricerca
non si sa di che, presa da impulsi di zapping frenetico. E, da velocista
qual’era in tutte le manifestazioni del suo essere, era riuscita a mettere il
record su giro persino col telecomando. Novantanove canali in trentatre secondi
netti, una media invidiabile.
E se provava ad abbandonarsi mettendo su un cd di musica
rilassante, magari allo scopo di fare un po’ di yoga, sentiva invaderla non il
relax , bensì qualcosa di molto più vicino alla depressione. E provare a
svuotare la mente da tutti i pensieri non faceva altro che lasciare campo libero
ad uno solo, quello che più d’ogni altro voleva evitare.
Forse immergersi nella lettura d’un libro sarebbe stato un modo
utile per staccare la spina e impegnare il cervello in altre divagazioni. Ma non
appena iniziava a leggere, invece di lasciarsi coinvolgere dalla trama, si
perdeva in assonanze, allusioni e considerazioni e si trovava nuovamente al
punto di partenza. Ci aveva provato più di una volta con la cultura letteraria,
una di troppo in effetti, tanto che l’incolpevole libro si era trovato a
diventare oggetto aerodinamico e volare attraverso la stanza fino ad atterrare
scompostamente sul pavimento. Ed era stata la fine dei possibili svaghi
intellettivi.
Cambiando totalmente genere, era palese che una bella corsa in
moto sarebbe stata l’ideale. Purtroppo però le strade ghiacciate non erano
adatte al fine di schizzare ad una velocità tale da disperdere il malumore. E
non era tanto il timore di rompersi l’osso del collo a frenarla, quanto una
specifica clausola del suo contratto che la vincolava ad essere in buona salute
e perfette condizioni fisiche per tutta la durata dello stesso. Una visone
ottimistica delle cose, non c’era proprio che dire! Quel documento era una sorta
di talismano contro le malattie e le eventuali iatture. A dare retta a quel
pezzo di carta avrebbe dovuto avere un’immunità da supereroe!
Ad aumentare ulteriormente la sua frustrazione poi c’era la
consapevolezza di non poter usufruire della panacea che sempre aveva alleviato i
suoi dispiaceri, ovvero l’uso indiscriminato del fitness. Il centro sportivo
dove si stava allenando con i suoi istruttori era chiuso per ferie, non poteva
andare in un’altra palestra per timore di essere scoperta e nevicava troppo per
fare jogging . E la cosa assurda era che il suo appartamento era tanto grande da
poter adeguatamente attrezzare una delle tre stanze vuote con bilancieri, tapis
roulant, bike e tutto l’ambaradan per chiudersi lì dentro e sudare sgobbando
come si deve. Peccato però che, per il momento almeno, non aveva avuto ancora il
tempo di realizzare questo progetto che potesse fungerle da terapia
d’urto.
"Che palle, che palle dalla circonferenza spropositata! Ma
perché ‘ste galline non chiudono la bocca una volta per tutte e non ascoltano
per un po’ la bellezza della quiete?"
Si domandò tamburellando nervosamente le magre dita sul piano
del tavolo. Al che il suo uditorio, notando quel gesto d’impazienza, unito al
mutismo nel quale Haruka si era trincerata, giacché era da parecchio che non
stava più badando alla conversazione, finalmente le concesse l’assenza di rumori
che tanto agognava. E, quando infine il silenzio divenne prolungato, facendosi
notare persino dalla bionda che si era persa nella contemplazione del viavai
della gente che passava al di là della vetrina, questa sembrò riscuotersi.
Guardò la panoramica tutta dei volti che la fissavano interlocutori e capì che i
diversivi spesso possono ritorcersi proprio contro chi li plasma a suo uso e
consumo. Altresì comprese di non poterne proprio più e che se non avesse
piantato immediatamente baracca e burattini avrebbe fatto uno sproposito.
"La compagnia è delle più gradevoli signore." Esordì reagendo a
quello scrutinio indagatore cui il collettivo interrogativamente la gratificò e
aggiunse: "Nonostante ciò per me è ora di andare."
Quindi si alzò e risoluta indossò il soprabito scuro, dopodiché
abbandonò a passi spediti la scena, prima che quelle potessero tentare di
trattenerla.
Dove andare? Con chi potersi svagare per un tempo sufficiente
ad evadere quel maledetto stato d’animo che la stava consumando?
Beh Setsuna sarebbe stata la scelta privilegiata, nonché
l’unica per la verità, ma nei suoi riguardi non si sentiva propriamente ben
disposta. O per meglio dire, avvertiva che potesse essere il contrario. Di fatto
riconosceva a pelle che tra loro c’era qualcosa in sospeso e con istinto remoto
fiutava aria di tempesta. E non che avesse la coscienza propriamente candida a
riguardo, sarebbe stato sufficiente enumerare tutte le chiamate alle quali non
aveva risposto. Oppure ricordare che né aveva tentato di contattarla durante o
dopo il suo viaggio. Vero che il suo comportamento era stato dettato
dall’esigenza superiore cui doveva sottostare, ma sotto, sotto c’entrava anche
quel tangibile timor di panico che la prendeva non appena pensava di farlo.
Vero Haruka ? Certo Haruka!
E come negarlo ? Setsuna la conosceva fin troppo bene e
avrebbe affondato il bisturi della sua logica stringente con chirurgica
precisione nel suo animo agitato. Il che non era una prospettiva allettante. E
il sentirsi ripetere, con quel suo modo serafico e disarmante quello che dentro
di sé sapeva già, non poteva che appesantire la situazione.
Vero Haruka ? Certo Haruka!
Mica è detto Haruka... Setsuna saprà solo quello che vorrai
dirle, in pratica poco, anzi niente! Sarà pure una dalle intuizioni fulminanti,
ma finché non sei tu stessa a tirare in ballo l’argomento, lei che ne può
sapere?
Il che non era un dettaglio trascurabile. Inoltre aveva voglia
di rivederla , in un certo senso la mancanza del conforto della sua presenza le
pesava. Inoltre in definitiva, l’incontrarla poteva essere un bene. Nella
peggiore delle ipotesi, se pure l’avesse messa con le spalle al muro facendole
sputare fuori tutta la faccenda, beh da che mondo è mondo è esattamente
nell’affrontarle che si vincono le paure. O no ? E quanto a questo lei non era
certo il tipo che si tirava indietro.
"In fin dei conti che ho da perdere? E questa è anche
l’occasione giusta per fare gli auguri a tutta la famiglia. Ma sì, vada per
Setsuna." Si decise da ultimo e con un’alzata di spalle prese la strada che
portava verso la metropolitana.
Ma se Haruka aveva contato sull’effetto cuscinetto
rappresentato dai genitori dell’amica, presto dovette ricredersi, infatti
Setsuna quel pomeriggio era sola in casa. E , quando se ritrovò inaspettatamente
innanzi sul vano della porta, come se niente fosse, la sua faccia divenne
qualcosa da ricordare. Fu un florilegio di espressioni tratte direttamente
dall’antologia globale dell’incazzatura postmoderna. Ché l’imperturbabile
Setsuna , davanti alla faccia di bronzo che Haruka le stava esibendo, una volta
tanto si lasciò andare all’iracondia.
"Guarda, guarda che ha portato il gatto! Incredibile, accidenti
t’avevo data per defunta ormai ed è un vero peccato che mi sia sbagliata Haru. A
quanto pare il mio è stato uno spreco balordo di danaro, poiché avevo già
comprato gl’incensi e l’altarino!"
E la bionda, sebbene consapevole di essere nel torto marcio,
non riuscì a reprimere un ghigno tra l’impacciato e il divertito, poiché trovava
la rabbia dell’amica, e la satira corrosiva con cui la stava esternando,
irresistibilmente esilarante. Cosa che fece aumentare notevolmente il dispetto
dell’altra. Il menefreghismo di Haruka stava andando oltre ogni confine
sopportabile.
"Puoi riciclarli come regali di natale, effettivamente è un
dono perfetto per un amante del macabro. E se proprio non ne trovi uno, dalli a
me. Li conserverei comunque quali testimonianze della tua devozione. Ad ogni
modo, posso accomodarmi o mi lasci sulla soglia come un venditore di
enciclopedie?"
Chiese scostandola e facendosi avanti senza tanti complimenti
fino a fermarsi nell’ingresso.
"E perdere l’irripetibile occasione di strigliarti come ti
meriti? Accomodati pure, siedi, bevi qualcosa o passiamo direttamente al piatto
forte?" Propose Setsuna prendendole il cappotto e precedendola in soggiorno.
"Visto che pare tu ce l’abbia nel gozzo da parecchio, direi che
è meglio che lo butti fuori subito cara." Propose spaparanzandosi a gambe larghe
sul divano e intanto che aspettava l’esordio dell’altra si guardava intorno
indolente , come a cercare eventuali cambiamenti avvenuti dall’ultima volta che
era stata lì.
"Dì un po’ Haru, lo stai facendo apposta a fare la
strafottente, oppure pensi che anche con me valga la regola dell’attacco al fine
della difesa?" Domandò Setsuna tirando la prima bordata a salve, il che voleva
dire che lo fece con calma simulata.
"Mh, chi bastona per primo bastona due volte!" Spiritosamente
la bionda evitò il suo attacco e scoppiò in una risata che fece vedere rosso
alla ragazza famosa per la sua proverbiale compostezza.
"Sei detestabile, anzi peggio!" Affermò parandosi mani sui
fianchi di fronte all’altra. "Non solo ti presenti qui all’improvviso sbucando
fuori dal nulla, ma non fai neppure un gesto che palesi un minimo di
mortificazione per quel che hai fatto! Sparisci per mesi, senza una notizia, non
un cenno, un accidenti di fil di fumo, e poi te ne vieni ben bella come se
niente fosse. Avendo persino la stramaledetta pretesa che tutto sia perdonabile
davanti a quel tuo ghigno da impunita sfacciata!"
Sacrosanto discorso, perfetto in tutti i suoi crismi. Se Haruka
avesse potuto avrebbe gratificato l’amica di un battimani, perché si riconosceva
in pieno nella descrizione udita. Purtroppo la situazione lo vietava, quindi
cercò d’essere conciliante.
"Tutto vero, hai ragione sono inscusabile, ma che vuoi fare?
Anche se la porti a cassazione quel che è fatto è fatto. Per cui, se intendi
ascoltare le mie ragioni sarò ben felice d’illustrartele, in caso contrario non
saltarmi alla gola in questo modo. Non è da te e mi chiedo che diavolo ti stia
prendendo."
Setsuna per contro rimase stupita dalla facilità con la quale
Haruka stava venendo al punto. Di regola ci volevano ore ed ore di discussioni
con lei per farle intendere ragione ed indurla a chiarirsi. Oltre al fatto che
le sue scuse erano rare e dalla prolungata gestazione.
Si chiese da quale argomento stesse sviandola e , notando le
unghie rosicate fino alla carne viva e l’aria insofferente che tentava di
celare, comprese. Trionfante capì il gioco al quale l’amica stava giocando e ,
come un cane da pastore con il gregge, prese tutt’altra direzione per spingerla
al recinto.
Ecco che avrebbe fatto, un introduzione andante, continuazione
del movimento lieve, seconda battuta in crescendo, arresto, rullo di tamburi,
sarabanda e infine concerto grosso! Michiru non avrebbe saputo eseguire sinfonia
migliore al suo posto!
Per cui sorrise amabile alla bionda e si mostrò disponibile al
dialogo. Inoltre le premeva davvero sapere.
"Il problema è che tu la passi liscia troppo frequentemente e
questo ti ha dato l’errata convinzione di poter fare del libero arbitrio uno
strumento d’assoluto individualismo. Comunque, spiegati, avrò ben il diritto di
sapere, dopodiché però amica mia preparati, poiché ho parecchie cose da
dirti."
"Sarà un piacere." Replicò ignara della trappola in cui si
stava mettendo.
Così Haruka le riportò tutti gli avvenimenti che avevano preso
il via da quando aveva cominciato la sua recita nei panni di Tenou lo studente
playboy, Tenou il corridore dall’avvenire luminoso e Tenou la cui faccia presto
avrebbe fatto mostra di sé su parecchi cartelloni pubblicitari.
Setsuna ascoltò mettendo momentaneamente da parte il suo piano.
Inoltre la cosa la stava coinvolgendo più di quel che avesse potuto immaginare.
Tant’è che stava facendole svariate domande, dirette nella loro incisività a
tentare di trovare un anello debole in quella catena di frottole che via, via
diventava sempre più grossa e inverosimile. Allo stesso tempo però doveva
ammettere che quello di Haruka era un progetto ben congegnato e che, se c’era
una persona in grado di portarlo a termine brillantemente nonostante tutto,
quella era proprio lei. In effetti era completamente a suo agio nella parte in
cui stava recitando e, se non l’avesse conosciuta affatto, vedendola per la
prima volta non avrebbe mai sospettato che sotto quei panni potesse esserci una
donna. Magari l’avrebbe presa per un ragazzo marcatamente efebico, ma mai per
una donzella. E la cosa più incredibile era che riusciva ad essere così
mascolina che non si aveva neppure il dubbio che potesse essere un giovanotto
effeminato, malgrado il volto imberbe e i tratti snelli. Un dannato dandy, ecco
cos’era!
"E non avresti potuto parlarmene fin dall’inizio?" Chiese
ragionevole, incrociando le braccia e fissandola di sghimbescio, quando l’altra
ebbe concluso.
"Sì, avrei dovuto l’ammetto. Ma la decisione vera e propria è
stata presa in modo così repentino che mi ha preso la mano. Dopodiché non c’è
stato tempo di fare alcunché."
Fece una pausa e davanti allo scetticismo palese della sua
interlocutrice tentò di riguadagnare terreno. "Lo so che come scusa è
zoppicante, ma è la solenne verità. Comunque, prima di partire alla volta delle
iberiche sponde, sono passata a trovare tuo padre e gli ho illustrato tutto il
progetto. Ti dirò, era perplesso, ma non mi ha fatto difficoltà quando gli ho
chiarito i miei punti di vista. E non solo, quale mio avvocato, ha provveduto
alla modifica di alcuni documenti senza i quali avrei fatta ben poca
strada."
Setsuna scosse la testa ghignando a dispetto di sé stessa, suo
padre si era fatto infinocchiare di nuovo da quella furbastra!
"Se fosse per lui Haru, darebbe il suo assenso a qualsiasi tua
bravata. Stravede per te e tu ne approfitti senza alcun ritegno!"
"Adesso mica mi diventerai gelosa?" Chiese senza neppure
tentare di celare la soddisfazione. Che sollievo! Setsuna non solo si era
calmata, ma stava discorrendo con lei come se nulla fosse accaduto e per di più
non avevano affatto menzionato quella là. Meglio di così non poteva
davvero andarle!
"E dai Suna, se avessi potuto arrivare dove volevo senza ‘sta
carnevalata credi che non l’avrei fatto? Ma non avevo scelta, per cui vedi di
farla corta, ho sbagliato, chiedo venia , perdonami su!" L’esortò sbattendo le
ciglia a mo’ d’ingenua verginella, cosa che provocò l’aperta risata
dell’altra.
Oh Haruka , ormai è tanta la tua presunzione che credi di
abbindolarmi così facilmente? Hai così poca considerazione di me? Eppure
dovresti ricordare che su me il tuo fascino ha presa scivolosa!
"Ma che contaballe che sei! Tu ci stai sguazzando in questa
messinscena, e qualunque cosa tu dica o faccia per convincermi del contrario è
del tutto inutile."
"Solo un pochino. Allora che si fa? Sono mondata dal mio
terribile peccato?" Chiese pronunciando le ultime parole con toni terrei da
savonarola .
"Riguardasse solo me, senz’altro." Affermò leggera, dopodiché
la fissò di traverso e aggiunse: "Ma con Michiru come la metti?"
" Michiru?" Borbottò perdendo di colpo la sua aria allegra e
inarcando un sopracciglio.
"Già Haru, Michiru. O vorresti darmi ad intendere che te ne sei
già dimenticata?" La provocò vieppiù Setsuna, al che Haruka riguadagnò un tanto
della sua apparenza distaccata e replicò come se poco gliene importasse.
"La memoria corta a volte può essere un bene inestimabile, ma
non è questo il caso. Piuttosto mi chiedo cosa c’entri lei con te e di
conseguenza con quello del quale stavamo discutendo."
Setsuna a questo punto decise di scoprire le proprie carte,
altrimenti l’altra avrebbe cercato di defilarsi ed era maestra in tale tecnica.
"Sappi cara mia che, durante il tuo periodo di mutamento dal
femminile al maschile, abbiamo avuto modo di conoscerci e frequentarci. Cosa che
mi ha fatto scoprire in lei una persona dalle qualità inestimabili e dai
sentimenti squisiti, il che non dovrebbe suonarti come una novità. Peccato che
tutto questo quadro positivo sia macchiato da un’ingiustificata affezione nei
tuoi riguardi. Ha di te una considerazione che non ne vale affatto la pena."
Haruka non replicò subito. Prima si alzò dal divano, ficcò le
mani nelle tasche e iniziò a gironzolare per la stanza fino a fermarsi vicino ad
una finestra dove si soffermò. Né si voltò quando infine si degnò di
reagire.
"Fatti suoi in ogni caso, ma continuo a non capire dove vuoi
andare a parare."
"Continui a fare l’indiana?" La provocò nuovamente Setsuna
dando finalmente fiato ai tromboni. Le andò vicino e la voltò a forza fino a
quando non furono faccia a faccia. Addirittura l’afferrò per i risvolti della
giacca per non darle modo di sottrarsi.
"Bene, allora te lo dico chiaro e tondo. E ascoltami bene
Haruka. Per me non c’è problema se ti spacci per quel che non sei, sono pronta a
sostenerti in qualsiasi imbroglio ti possa essere d’aiuto per la tua carriera,
perché non stai danneggiando nessuno. E non mi lamento se di punto in bianco
sparisci e riappari come per magia , io lo so che torni. Io lo so che hai
bisogno dei tuoi spazi e ti conosco abbastanza da accettare il tuo spiccato
egocentrismo come parte integrante del tuo carattere, spendo che non lo fai allo
scopo di ferire. Nel mio caso io lo so Haruka, ma lei no . Non lo concepisce né
se l’immagina. E finché si tratta di darti una mano in quel che ritengo giusto,
sarò sempre disponibile per te. Ma quel che le stai facendo non mi piace per
niente e te lo dico a chiare lettere. Tu le stai facendo deliberatamente del
male, ci stai godendo della sua sofferenza. Te ne nutri perché ti fa più forte.
Mezza parola d’offesa non è sufficiente a giustificare il torto sproporzionato
che le stai facendo. E la compiacenza che ci stai mettendo mi fa orrore. Tu non
puoi sapere del suo strazio, non ne conosci neppure la metà! Quindi vedi di
darti una regolata, piantala subito, perché sappi che non ti permetterò di
continuare!"
Con fermezza Haruka afferrò i polsi dell’altra e allontanò le
mani che ancora la tenevano, ma non le lasciò. Li tenne lì a metà tra loro e
intanto fissava Setsuna con occhi di fuoco, mentre le nari le si dilatavano in
un respiro pesante che testimoniava lo sforzo impiegato a contenere la furia che
le dilagava dentro. Pure non le diede spiragli, era gelida e quando parlò lo
fece con una calma polare.
"Commovente. Sul serio, è così commovente da rasentare il
patetico Setsuna. Non ci hai messo molto a fare lega con quella e ad ammantarmi
dei sentimenti più ignobili. Ma non credere, mi fa piacere che vi siate scoperte
e trovate come due inestimabili perle in fondo al mare. Sicuramente godrete
molto della reciproca compagnia, cosa della quale personalmente sono del tutto
incapace. Del resto un’egocentrica come me ha milioni di aneddoti con i quali
intrattenere sé stessa. Ergo non ho bisogno d’altro. Dici che le sto facendo
deliberatamente del male. Non sai quanto sei lontana dalla verità, poiché se
solo avessi voluto amica mia, adesso starebbe assai peggio! Quella è una debole
e tu ne stai facendo una mia colpa!"
Setsuna non tentò neppure di divincolarsi da quella stretta
ferrea. E alle parole di Haruka le fiorì sul volto un sorriso di derisione via,
via più ampio. Era ora di dare il via al concerto grosso.
"Già Haruka, talmente debole che te la fai addosso dalla paura
alla sola idea di rincontrarla, o mi sbaglio? Qua se c’è una che tra voi due è
inerme, sei tu! Ti conosco da troppo tempo e ti ho visto schiacciare tanta gente
per dubitarne. Stavolta sei sopraffatta ed è questa la leva che ti spinge a
comportarti in modo così ignobile. Oltre all’insopportabile consapevolezza di
sapere di esserle inferiore. Ti brucia, ti rode da morire ché lei sia la summa
di quanto tu non potrai mai raggiungere, anche se smuovi mari e monti , anche
se..."
"Ora basta! Chiudi il becco Setsuna sennò ..."
Sbraitò Haruka mollandole grossolanamente le braccia e
allontanandosi rapida. Poiché sapeva che non sarebbe riuscita a dominarsi oltre.
Ma Setsuna, a dispetto della propria incolumità, l’incalzò con veemenza,
standole addosso con spietatezza.
"Altrimenti che Haruka? Mi stai avvertendo? E qual’è la
minaccia, quella di togliermi la tua preziosa amicizia? Sai che danno! Ne posso
fare completamente a meno. E per quanto tu faccia e intrighi , ne potrà fare
presto a meno anche lei!"
Haruka strappò il soprabito dall’attaccapanni e ponendolo nel
vano del braccio riguadagnò in soggiorno. Fissò per un minuto interminabile la
figura al centro della stanza con un qualcosa negli occhi che molto somigliava
al rimpianto. La delusione che sentiva era enorme, sproporzionata, pure non ne
voleva fare sfoggio a quella che per anni aveva sinceramente creduta vicina. Non
gliel’avrebbe data questa soddisfazione, a costo d’inghiottire lacrime di
sangue!
"Sai cosa? Evitiamo di perdere altro tempo e facciamola finita
subito. Ché francamente del tuo appoggio, per quel che vale, me ne sbatto le
palle. Abbiamo chiuso Setsuna Meiou , divertiti con quella vestale dal culo
stretto e buon pro ti faccia!"
Le augurò infine la bionda lasciando che l’ira finalmente
l’accecasse. In quel momento avrebbe volentieri preso a schiaffi Setsuna e se
non lo faceva era solo per rispetto verso i suoi genitori e verso sé stessa. Che
quello sì che le sarebbe parso un gesto imperdonabile. Quanto a quella piccola
intrigante dal volto d’angelo... millantava sofferenza? Ebbene gliene avrebbe
data una prova tangibile, altro che le cazzate che andava raccontando! Le
avrebbe dato un’ora di autentica, effettiva ed ineguagliabile angoscia della
quale si sarebbe ricordata ogni minimo dettaglio finché campava!
Quanto a Setsuna rimase alla finestra a guardare l’amica che si
allontanava. Aveva fatto quel che poteva, adesso toccava a loro. E non aveva
timori di sorta, quando i nodi sarebbero venuti al pettine Haruka avrebbe
capito. Ora era più importante indirizzarla nella direzione giusta.
"Bene Haru." Si disse appagata dal compito svolto. "Vediamo se
sono stata capace di metterti sufficiente pepe al culo da andare ad
affrontarla!"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Parte 18 ***
18
Folle di rabbia e incurante di quanti si scansavano al suo
imperioso avanzare Haruka prese la strada per tornare in centro. Al momento era
indecisa su come comportarsi, ma in ogni caso pensò che se voleva dare
soddisfazione ai suoi istinti di rappresaglia avrebbe avuto bisogno di un minimo
di organizzazione. Anzi era il caso di partire da una vera e propria base
operativa. Quindi le sarebbe convenuto tornare a casa, organizzare le sue mosse
e predisporsi agli eventi prima di passare all’azione.
Punto primo e fondamentale: non doveva essere limitata nei
movimenti. Certo si sarebbe potuta spostare in taxi, ma col traffico che c’era
non avrebbe fatto molta strada e chissà quanto tempo avrebbe perso. Per cui
urgeva munirsi di casco, indumenti consoni e prendere la moto. Con quella si
sarebbe districata con facilità persino nella code chilometriche che si stavano
formando. Maledetto shopping natalizio, ma non potevano restarsene alle loro
case tutti quei coglioni festanti?
Punto secondo: doveva muoversi immediatamente contando sul
fattore sorpresa, coaudivato dal carburante emotivo, oppure sarebbe stato più
opportuno darsi una calmata e predisporre un piano accurato?
L’istinto le consigliava di partire lancia in resta, per quanto
irrazionale fosse, ma una volta tanto lasciò che fosse la logica a prendere il
sopravvento. In effetti doveva ammettere che a mente fredda avrebbe ragionato
meglio, senza contare che le mancava un dato fondamentale per passare
all’attacco. Infatti, dove poteva essere quella maledetta?
Lo ignorava.
Probabilmente, ipotizzò sprezzante, nel dolce grembo del suo
focolare domestico. Sì esatto, magari in una sala squisitamente addobbata a
festa e davanti ad un bel fuoco scoppiettante. Le pareva quasi di vederla, con
indosso un caldo maglione di cachemire che leggeva davanti al camino circondata
dai suoi affetti. Alla sua desta il paparino dalle tempie imbiancate che le
gettava occhiate compiaciute, che bella era la sua bambina! E dall’altra parte
la mammina, donna pretenziosa ma ancora avvenente, che centellinava il suo tè
sul divano. Ci mancava solo il gatto persiano in grembo ad uno dei tre e il
tappetino musicale di bambini che cantavano Jingle Bells !
Che schifo…
Oppure, sospettò piccata, poteva star preparandosi per un
party. Una bella riunione mondana d’alta società, frequentata da vecchi tromboni
in smoking accompagnati dalle carampane che avevano sposato e dalla gaudente
figliolanza che dava il giusto apporto di gioventù dorata a quel raduno chic. Sì
possibile, in fin dei conti l’indomani sarebbe stata la vigilia e i festini da
qui a capodanno sarebbero stati parecchi. Ergo, soppresse l’idilliaca scenetta
precedente e la sostituì con questa, ponendo Michiru in un abito da sera molto
succinto al centro di un gruppetto di eleganti giovanotti. Li immaginò con le
chiome impomatate e modi garbati da gentiluomini, nell’atto di accondiscendere a
qualsiasi suo ghiribizzo con solerzia, mentre quella li dominava dall’alto della
sua grazia illuminandoli con la sua risata argentina. Sarebbe stata adorabile e
quelli non avrebbero potuto fare altro che starsene immobili ad ammirarla con
espressione ebete.
Haruka strinse i denti torva. La visione da lei stessa evocata,
a dispetto di tutto e tutti, l’irritava oltremisura e inconsciamente serrò i
pugni come se quello scenario fosse reale e potesse irrompervi per devastarlo
con la furia di un turbine. Pregustò l’idea di prendere a cazzotti in bocca quei
cicisbei, così come le capitavano a tiro, tanto si meritavano
indiscriminatamente una bella ripassata. E per quanto fittizia, quella
sensazione la rinfrancò. Ah, sarebbe stato un pestaggio meraviglioso! Il trionfo
della lotta di classe, certo, mica si trattava d’altro? Escluso, neppure in una
fantasticheria avrebbe combinato un macello simile per gelosia... Gelosia? Di
quella? Ma andiamo!
Preferì non addentrarsi nell’argomento e tornando coi piedi per
terra si disse che pure, poteva darsi che si stesse sbagliando. Michiru poteva
essere dovunque e alla luce di ciò si trovava in un impasse dal quale sarebbe
stato difficile trarsi. Poiché, posto che una delle congetture che aveva
paventato fosse giusta, restava il fatto che ignorava del tutto l’indirizzo e le
frequentazioni che la violinista aveva. Violinista...? Aveva detto violinista?
Già, violinista, giusto.
Michiru era un personaggio famoso nell’ambiente musicale.
Doveva confessare di non averci affatto pensato prima, ma riflettendoci il dato
si faceva interessante. La ragazza era un talento, si esibiva, doveva avere un
seguito di fans nutrito, non foss’altro perché era decisamente una bella
figliola.
Dettaglio assolutamente ininfluente Haruka, tienilo bene a
mente!
Ok, quindi?
"Per cui c’è una base concreta per una bella ricerca su
internet." Rifletté accelerando involontariamente il passo. Chissà, se la
fortuna le avesse arriso magari poteva pure trovare qualche accenno che le
consentisse di scoprire dove abitasse. E per non lasciare nulla d’intentato,
prima di salire al suo appartamento, acquistò anche un giornale in cui veniva
riportata la cronaca mondana della città e il calendario degli eventi musicali e
sociali della successiva settimana. Si fregò le mani per la splendida intuizione
e pensò che sì incazzata lo era, ma anche abbastanza lucida nella sua
risoluzione da comportarsi secondo un certo criterio.
Così mettendosi il giornale sotto al braccio entrò nell’atrio
facendo un cenno di saluto al portiere e salì nel suo superattico al penultimo
piano. Aveva un affitto astronomico, trattandosi di un grattacielo a Shabuya, ma
la vista che aveva dalle sue finestre ne valeva la pena.
"Dunque", si disse entrando intanto che le luci si accendevano
al suo passaggio ed automaticamente l’impianto hi-fi prendeva a diffondere
musica chillout, "la cosa migliore adesso è darmi una calmata, sennò potrebbe
sfuggirmi qualcosa agitata come sono."
A questo scopo si fece un bel bagno caldo con tante bollicine,
poi in t-shirt e boxer, che tanto il riscaldamento era a palla tanto da poterci
far crescere delle piante tropicali lì dentro, andò in cucina a prepararsi
qualcosa da mettere sotto i denti. Optò per una di quelle insalate che tanto le
piacevano e armata del recipiente che la conteneva, andò a sedersi davanti al
suo portatile.
Intanto che aspettava che il computer si collegasse alla rete
prese a sgranocchiare uno dei gambi di sedano di quell’enorme pinzimonio senza
interrogarsi affatto su quanto stava andando a fare. Ché se l’avesse fatto,
all’istante le sarebbe balzato agli occhi quanto fosse incoerente il suo agire.
Fino a poche ore prima, nonostante la sua brama, era fermamente decisa ad
evitare Michiru come la peste, ora invece stava per dar fondo a tutte le risorse
disponibili che aveva allo scopo di scovarla e rivederla. Sì, forse era
decisamente un bene che non ci riflettesse, altrimenti c’era da chiedersi per
quale motivo si stesse impegnando a quella stregua, e come niente la sua collera
sarebbe divampata di nuovo. Rabbia di facciata più che altro, poiché tra sé e sé
sapeva benissimo che la rivalsa non era che una scusa. Ma ammetterlo sarebbe
equivalso a sminuirsi ai suoi stessi occhi, senza contare che la sua
cocciutaggine intrinseca avrebbe potuto frenarla. Ragion per cui per il momento
scelse di tacerselo, era molto più comodo per l’amor proprio ed evitava che lo
stesso potesse fiaccare la sua determinazione. Ché Haruka comprendeva fin troppo
bene i suoi processi mentali e sapeva anche come difendersene quando voleva.
"Vediamo, mhm ..." Mugugnò iniziando a digitare all’interno del
campo di ricerca. "Kaiou Michiru, violinista, concerti, teatro, orchestra.
Pittrice, mostre, esposizioni, vernissage. Nuotatrice, gare, premi,
competizioni. Supporter, foto, sito non ufficiale, informazioni.
Vai bello, trovamela!" Esclamò cliccando sul cursore e fissando
attenta il video. Tempo pochi secondi e le comparirono sullo schermo decine di
siti dove figurava il nome della ragazza. Con pazienza prese a sviscerarli uno
per uno.
Passò ore attaccata al pc e , sebbene non ne ricavasse nulla
allo scopo delle sue ricerche, scoprì comunque miriadi di indicazioni sulla
natura di Michiru che fino a quel momento aveva bellamente ignorato. In un certo
senso venirne a conoscenza in quel modo, considerato che fino a poco tempo prima
erano state a stretto contatto nell’intimità di una camera condivisa, la fece
sentire abbastanza in colpa. O per meglio dire, superficiale in un modo
fastidioso. Tanto che gradualmente il velo le cadde dagli occhi e cominciò a
chiedersi se sotto, sotto le argomentazioni di Setsuna non contenessero fondi di
inoppugnabile verità. Si era mai interessata a qualcun altro che non fosse sé
stessa? Era evidente che la risposta era no, mai se n’era presa la briga.
Per mesi l’aveva avuta accanto, ma non le aveva assolutamente
prestato l’attenzione che avrebbe dovuto e quando l’aveva fatto era capitato
solo perché in qualche modo la cosa era direttamente connessa con lei. Spesso
l’aveva vista disegnare e non le era mai passato per la testa di buttare un
occhio a quanto nasceva dalle sue mani, né aveva in nessuna occasione commentato
in alcun modo la sua attività conclamata di pittrice. Nonostante sapesse della
sua bravura, malgrado passasse tutti i santi giorni davanti ad un suo quadro che
faceva bella mostra di sé nell’andito della scuola. Allo stesso modo non aveva
avuta punta curiosità di vederla all’opera su di un palco, la sentiva suonare
tutte le sere, nondimeno non le era importato nulla. Come se quelle struggenti
melodie invece che la prova tangibile di un talento invidiabile, non fossero
altro che un mero accompagnamento ai suoi pensieri. E clamorosamente non aveva
dato peso nemmeno alle sue vittorie sportive, proprio lei che dello sport era
una fanatica e che sapeva perfettamente quanto sacrificio e sudore costassero
quei primati!
E l’apprendere da uno sconosciuto sostenitore che colei che
tanti grattacapi e confusione le stava creando e che ormai era diventata il
centro su cui ruotava parte considerevole dei suoi pensieri, suonava su uno
stradivari preziosissimo, sperava di recarsi presto in Italia dove avrebbe
potuto coniugare allo stesso tempo tutte le sue passioni artistiche, che era una
cavallerizza consumata e che di recente aveva visto i suoi genitori divorziare,
era deabilitante. Più leggeva più il suo ego si sgonfiava e all’inverso cominciò
a pentirsi amaramente del suo comportamento. Avrebbe potuto chiedergliele di
persona quelle cose, di sicuro ne sarebbe stata oltremodo contenta, anzi di più.
Tanto che era certezza che le avrebbe risposto passando ore a chiacchierare su
quegli argomenti. Magari chiedendo la sua opinione in merito, perché Michiru ci
teneva a lei. Ne aveva dato ampie prove. E in cambio che ne aveva ricevuto?
Niente, solo disinteresse, insensibilità e derisione! Tutti
sentimenti poco edificanti che prendevano le mosse dalle motivazioni più
sbagliate. Chè da quando aveva avuto l’età della ragione aveva sempre
considerato i sentimenti effettivi banali, troppo semplici per essere presi in
considerazione. Che razza di deficiente!
Poteva affermarlo a questo punto e se lo disse senza
risparmiarsi.
L’aveva data per scontata sol perché questa aveva mostrato
affezione nei suo riguardi, l’aveva rifiutata per il suo attaccamento immediato,
senza sotterfugi. Troppo bizzarro le sembrava che lei Haruka Tenou potesse
suscitare in qualcuno sensazioni autentiche, poiché fino a quel momento l’intero
scibile dei suoi rapporti umani era stato talmente contorto che ormai riteneva
normale quello. Ergo ad un attaccamento vero, tangibile, non era emotivamente
preparata.
"Merda! Probabilmente se mi avesse presa a calci in faccia non
saremmo finite così. Già, se Michiru m’avesse trattata con la medesima arroganza
che le ho usato ne avrei avuto più rispetto! Basti pensare a mia madre. Ame mi
ha mollata come una valigia vecchia e non ho mai avuto nulla da ridire su
questo, tutto normale, come se niente fosse. Per contro, ne ho avute da dirne a
quella poverina per qualsiasi cosa facesse o dicesse! E perché poi accidenti a
me?!"
Con violenza s’alzò dalla sedia e prese a girare come un
animale in gabbia accanendosi contro la propria evidente e scellerata ottusità.
Che pretendeva da Michiru? All’apparenza imperava che mantenesse le distanze, ma
scavando gli strati del suo esistere atavico, quello che raramente veniva alla
luce, comprese che si trattava di ben altro.
E al culmine di questo travaglio spirituale Haruka infine
accettò quel che riteneva intollerabile, fino ad ammettere umilmente che non
aveva fatto altro che riversare su Michiru tutto quel guazzabuglio confuso di
sentimenti che da anni si portava appresso come un ingombrante carico. Mai aveva
lasciato che questi sentimenti potessero emergere, pure Michiru, grazie al
conforto che la sua presenza le ispirava, a poco a poco aveva penetrato la
personalità che con pazienza aveva eretto a difesa del suo io essenziale.
Meticolosamente e senza colpo ferire Michiru aveva aperto una breccia, fino ad
arrivare quasi a cogliere il nucleo del suo essere e in virtù di ciò lei aveva
inconsciamente preteso quanto gli altri non avevano potuto. Da lei esigeva a
questo punto quanto le avevano sottratto e quanto successivamente da sé si era
negata. Se stava riuscendo in un impresa simile poteva risarcirla emotivamente
di tutto. Era la prima persona che toccava la sua essenza più pura e doveva
comprendere i suoi bisogni. Doveva! Altrimenti non si spiegava come fosse stato
possibile che arrivasse fin lì. No, colei che stava riuscendo in quella impresa
disperata non poteva arrivare a tanto e poi perdersi in incertezze!
Eppure, dopo averle dato tanto, repentinamente gliel’aveva
tolto, giudicandola non degna degli sforzi che aveva impiegato. La questione
stava tutta qui.
Non nella grossolanità che considerava avesse avuto nel
giudicarla, partendo dal vanaglorioso presupposto che l’averla affascinata la
rendeva di conseguenza equiparabile a quante l’avevano preceduta e senz’altro
seguita. Vero, l’aveva pensato e ancora una volta aveva misurato una persona sul
metro che le veniva dal suo protagonismo sfrenato, ma il punto non era questo.
Era solo una delle tante scappatoie plausibili che si era raccontata. E se aveva
buttato nel cesso quel che poteva essere un rapporto straordinario, la ragione
andava ricercata altrove. Precisamente nel momento esatto in cui aveva visto la
delusione disegnarsi sul volto di Michiru. In quel momento si era sentita come
una scommessa persa, un risultato rivelatosi inferiore alle attese e non era
riuscita a tollerarlo.
Neppure adesso riusciva, ma nel frattempo aveva sperimentato
una solitudine insopportabile, che non era quella orgogliosa che aveva sempre
inalberato come un vessillo di superiorità. In passato non avvertiva mancanza di
nulla perché nulla aveva provato e ne faceva quasi un vanto. Si sentiva
indomabile, un’invitta individualista consapevole del suo egoismo e felice di
esserlo. Poi Michiru le aveva attraversato il cammino e tutto era cambiato.
Setsuna aveva visto giusto, fin dal primo momento. All’epoca aveva tentato di
farglielo capire tirando in ballo altre questioni, ma faceva lo stesso. Tra loro
era la violinista ad essere completa e quando avrebbe preso del tutto coscienza
di sé, lei non le sarebbe stata più necessaria. Presto l’avrebbe relegata nel
dimenticatoio. E non c’era neppure troppo da meravigliarsi se quelle due se
l’intendevano tra loro, erano le facce speculari della stessa medaglia.
Sì, quella tarata era lei. Talmente miserabile da non essere
neppure in grado di capire per tempo che se scappava era solo perché avrebbe
voluto essere inseguita. Tanto contorta da pretenderlo capricciosamente, sebbene
avesse disseminato miriadi d’ostacoli su quella strada. Eh già, si credeva
troppo un premio ambito e solo una su mille poteva farcela!
Quante cazzate, eppure il nodo era proprio questo: la fonte del
suo odio scaturiva dal fatto che Michiru non ce l’aveva fatta. Chè se avesse
tenuto veramente a lei avrebbe potuto, avrebbe almeno tentato...
"Okay Haruka, direi che di stronzate ne hai dette, pensate e
fatte fin troppe per arrivare così in basso. Ed è ora di smetterla." Affermò ad
alta voce come a voler confermare che aveva preso pienamente coscienza. Fissò il
panorama trapunto di luci che si stendeva ai suoi piedi e cercò di venirne a
capo.
"Se credo sul serio che il postulato appena espresso valga
qualcosa, ora tocca a me. Devo trovarla, non fosse altro che per dirle senza
falsi pudori quanto finalmente ho compreso. Che mi mandi pure al diavolo, ma
almeno avrò tentato. Stavolta sono io che mendico e chi spera deve osare!"
Risoluta tornò alla scrivania presa da quello che, se fino a
qualche ora prima era stato un desiderio intenso, ora , innanzi a quanto aveva
riconosciuto, era diventato un volere lancinante. Doveva rincontrarla, ad ogni
costo.
Sospirò portandosi una mano alle tempie, certo doveva
riconoscere che meno tempestiva di quanto fosse stata, era impossibile. Finché
l’aveva avuta ad un passo era stata irragionevole e ottenebrata dai suoi
malumori, mentre adesso che le consapevolezze calavano impietose su di lei e
squarciavano il velo del suo bisogno, non sapeva da che parte voltarsi per
rintracciarla.
"Cazzate Tenou!" Dichiarò sbarrando gli occhi e sbattendo con
forza una mano sul piano del tavolo. Era ora di smetterla, era del tutto inutile
crogiolarsi nella commiserazione delle colpe compiute. Sì era stata un’autentica
imbecille, ma proprio perché l’aveva confessato sperava con tutto il cuore di
essere ancora in tempo. Per cui se davvero voleva rimediare, era essenziale
darsi una mossa e piantarla di compiangersi. E quel che le avrebbe detto una
volta incontratala era un problema secondario, adesso doveva tirar fuori gli
attributi e far in modo di poterla rivedere faccia a faccia.
"Vediamo... se io fossi Michiru cosa farei? Settimana bianca?"
Tornò sul sito che elencava le sue preferenze e controllò alla voce dei suoi
hobby. Lo sci non vi veniva menzionato. Poteva essere indicativo come potevano
essere un cumulo di bufale scritte a casaccio. Scosse la testa, chiuse gli
occhi, incrociò le braccia e riprese a meditare. "Settimana ai tropici? No, non
credo. Questo è quel che farei io e lei me l’immagino più presa dall’atmosfera
natalizia che non in bikini a prendere la tintarella. Per quel che ne so,
ovviamente!"
Sbuffò insofferente sentendo montare dentro di lei la voglia di
prendersi a botte in testa e prese a rosicchiarsi le unghie, come se non le
avesse già consumate fino alla carne viva. Era in questi contesti che capiva e
giustificava quelli che s’attaccavano alla bottiglia o fumavano come turchi.
Piuttosto a lei serviva un caffè e anche bello tosto. Andò di là a prepararselo
e intanto continuò nelle sue divagazioni. Poteva essere con uno dei suoi
genitori, da altri parenti, addirittura da amici o magari festeggiava fuori
città, chi poteva saperlo? Tornò davanti al computer ed aprì la sezione immagini
ingrandendo una bella foto in primo piano della violinista. L’avevano presa di
tre quarti, ma sorrideva e aveva lo sguardo rivolto verso l’obiettivo. In un
certo senso aveva un’aria misteriosa, accattivante.
"Allora, dove diavolo sei?" Chiese ad alta voce, come se a
quella domanda retorica la foto potesse rispondere. Che imbecille, se le avesse
mostrato un minimo di curiosità non si sarebbe trovata in queste ambasce.
"Mio dio, se mi ricapita sottomano giuro che le faccio sputare
tutto, fino all’ultimo particolare insignificante, altroché se lo farò!" Si
ripromise esasperata, quindi si concentrò nuovamente sulla foto fissandola
intenta.
"Ripartiamo da zero. Esaminiamo il fattore corrente. E’ in
ferie, ha tutto il tempo che vuole per dedicarsi a quel che più l’aggrada ed è
natale... sì, ma poi? Forza, avanti, fai funzionare quella pappetta che ti
separa le orecchie! Qual è il primo luogo comune dedicato a questa maledetta
festa? L’abete? Le palle sull’albero?! No, no , accidenti , qua di palle ci sono
solo le mie! Dunque, natale... a natale si fa festa, ok . Ma a questo già c’ho
pensato prima e non se ne cava un ragno dal buco. Cassiamo ed andiamo avanti. A
natale si fanno regali. Che faccio m’apposto nella zona dei negozi? Negativo,
troppa folla e basse probabilità. A natale si sta insieme a chi si vuol bene...
e infatti è incontrovertibile verità che sono da sola come un cane! Avanti, non
devo perdermi in facili sarcasmi. Dunque natale... accidenti al natale! Altro
che a natale si è tutti più buoni, a me fa incazzare più del solito! MOMENTO!
Com’è che ho detto? A natale si è tutti più buoni? Beh, io resto comunque un
pezzo di merda, ma è innegabile che Michiru è una ragazza dal cuore d’oro, basti
pensare che voleva la mia amicizia! Se non è abnegazione questa... bontà... mhm
quanti sinonimi ed accezioni ha la bontà? E soprattutto un’artista che volesse
adoperarsi a tal fine che potrebbe fare? Beneficenza ovvio, mi ricordo ancora di
quei quattro cani che hanno cantato l’anno scorso per quel concerto filantropico
i cui introiti andavano all’Unicef... cazzo ci sono! Dove ho messo quel giornale
maledetto?!"
Con un salto balzò verso il divano dove la rivista giaceva
spiegazzata e prese a sfogliarne le pagine frenetica. Dove diavolo aveva visto
quel battage promozionale? Eccolo , tra la cronaca degli amorazzi di
quell’attore da quattro soldi e il reportage fotografico sul centro benessere
all’ultima moda. Consultò la lista dei partecipanti all’esibizione e finalmente
ecco il nome che agognava. Michiru Kaiou avrebbe partecipato eseguendo un pezzo
da solista. L’evento, che pareva avesse attirato tutti i potenziali benefattori
dal portafoglio gonfio e la straripante voglia di apparire, si sarebbe tenuto a
bordo di una nave da crociera che per tutta la durata della manifestazione
avrebbe incrociato nelle acque della baia di Tokyo. Perlopiù pareva che ci
volesse un invito per partecipare. Noblesse, oblige, solo gli abbienti
potevano fare donazioni di quel calibro, ma c’era anche un limitato numero di
biglietti in vendita.
Haruka si collegò immediatamente al sito che organizzava la
serata, solo per scoprire avvilita che da giorni erano andati esauriti.
Bazzecole, un’inezia simile non sarebbe bastata a fermarla!
Prese il cellulare e vi si attaccò finché dall’altro capo del filo, dopo
innumerevoli squilli a vuoto, una voce parecchio assonnata non rispose.
"Ciao Hitomi, ti sei rilassata abbastanza?" Chiese ironica.
"Haruka? Ma porco mondo sono le quattro del mattino! Si può
sapere che accidenti ti salta in testa di chiamare a quest’ora?!" Esclamò questa
irritata più che mai, poi la preoccupazione per la sua incolumità prese il
sopravvento. "Ehi tutto bene? Voglio dire sei tutta intera, è successo
qualcosa?!"
"Mia cara ho un contratto che m’impedisce di spatasciarmi come
un caco marcio sull’asfalto di una strada cittadina, quindi non preoccuparti, ma
grazie per il pensiero eh? Veniamo a noi, ho pensato, visto che voi manager
altro non siete che una mafia legalizzata e che vi conoscete tutti tra voi come
i massoni, non è che ti ritrovi qualche aggancio per partecipare a Notte
sotto le stelle?"
"E da dove ti viene quest’improvviso interesse per la musica
classica? A notte fonda poi, dacché mi ricordo hai sempre affermato che
t’annoiava da morire!"
"Ce l’hai o no?" Chiese imperiosa dominando a stento
l’impazienza. Fortuna volle che Hitomi fosse troppo stordita in quel momento per
fare due più due e ricavarne le conseguenti deduzioni.
"Ce l’avevo, ma si da il caso che l’ultimissima coppia di
biglietti li abbia fatti recapitare niente popò di meno che al nostro comune
capo. Non vorrai mica piantare un casino con lui?!" Chiese piuttosto allarmata,
conosceva fin troppo la testa dura di Haruka e la volontà folle che la prendeva
quando qualcosa le veniva negato.
"Avanti Hitomi pensa, non c’è proprio niente che si può fare?
Ti prego!"
Ti prego? Haruka la stava implorando? Si diede uno schiaffo
per capire se fosse desta o persa in un sogno impossibile e, constatato di
essere sveglia, intese quanto ci tenesse.
"Beh", cominciò titubante, giacché da quell’espediente potevano
venirne una valanga di complicazioni, "sapevi che il capo ha una figlia
adolescente che a quanto ne so si è presa una clamorosa scuffia per te?"
"No, non lo sapevo, ma vai avanti." L’invitò sperando che
venisse rapida al dunque.
"Ho sempre fatto in modo che non vi incontraste per ovvi
motivi, capisci no?"
"Chiaro, ma?"
"Mah, così su due piedi supponevo che, qualora potessi
intervenire al concerto in sua compagnia le cose cambierebbero. Insomma se
glielo proponi, figurati se non t’invita."
"Direi proprio di sì! Ti adoro Hitomi! Allora per prima cosa
domani le mandi un bel mazzo di rose a mio nome, allegandoci un bigliettino
sdolcinato dove la si invita a ‘sto cavolo di party. Per quanto mi riguarda vado
a comprarmi uno di quei fottutissimi smoking e passo la giornata a far in modo
da essere il più fico della festa! La pollastra non avrà scampo e io potrò
imbucarmi!"
"Va bene, okay, ma Haruka si suppone che facendo questo dovrai
comportarti nei suoi riguardi in un certo modo… Parlando fuori dai denti, se
stai correndo appresso a qualcun’altra, come la metti con la figlia del tuo
datore di lavoro? Ti prego, frena gli ormoni e pensaci bene, qua si rischia di
mandare tutto a puttane!"
"Devo andare a quella festa, ne va della mia sanità mentale.
Tutto il resto è irrilevante. Ma non temere, cercherò di usare un minimo di buon
senso, questo te lo prometto."
"Speriamo bene."
"Tranquilla, tanto se somiglia solo un po’ al padre, sarà un
bidone di lardo con fattezze porcine e la leggerezza di un ippopotamo in un
negozio di cristalleria." Ipotizzò pensando a quella specie di orco in abiti
chiassosi che ogni fine mese le elargiva un congruo compenso. Nell’oscurità
della sua stanza d’albergo Hitomi ghignò divertita, Haruka sarebbe rimasta con
mezzo metro di lingua da fuori qualora avesse conosciuto quella ragazza. Per il
momento preferì mantenerla nell’ignoranza, hai visto mai che se ne sarebbe
invaghita al punto da modificare il suo comportamento?
"Allora d’accordo Haruka, saranno rose e violini."
"Esattamente, rose e violini. Buonanotte Hitomi e grazie."
Concluse chiudendo la comunicazione e poi soggiunse, più violini che
rose! E finalmente se ne andò a letto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Parte 19 ***
19
Era mezzogiorno passato quando Haruka si decise ad
alzarsi dal letto. A passi da zombie si diresse nel bagno e quel che vide nello
specchio la convinse che aveva bisogno di restaurare tutta la facciata prima di
rimettere piede in mezzo alla gente. In effetti aveva un paio di occhiaie belle
livide, dalle quali gli occhi le sporgevano come quelli di un
calamaro.
“Conciata così al massimo posso cospargermi di succo
di limone e fare il pezzo più saporito della frittura di paranza!” Considerò prima di dare un’occhiata al
resto,é a quanto pareva la
notte insonne aveva prodotto altri effetti collaterali. E restando nella
metafora mangereccia si poteva affermare senza fallo che i suoi capelli, che dalla testa le partivano sparati in
tutte le direzioni, molto ricordavano il ciuffo dell’ananas. Il colorito poi più che eburneo richiamava piuttosto
molto da vicino quello del tofu appena condensato.
“Adesso prima mi faccio una bella doccia fredda,
seguita da un ricco caffè, magari via endovena, dopodiché una visita dal
barbiere e il gran finale con
l’acquisto di un abito da sera consono. Speriamo solo che non mi tirino fuori
uno di quei completi che si vedono sulle bamboline che mettono sopra le torte
nuziali.”
Sperò inarcando dubbiosa un sopracciglio. Non amava
molto il classico e aveva sempre sospettato che tra l’eleganza ed il pacchiano
ci fosse un filo molto esiguo. Ergo non avrebbe voluto trovarsi dalla parte di
quest’ultimo. Comunque non c’era che dire, nonostante tutto si era svegliata di
buonumore e questo non fece che migliorare quando le telefonò Hitomi
comunicandole l’esito del suo invio floreale.
“E’ andata Haruka, Shanaya Yamamay graziosamente
accetta il tuo invito. Nel biglietto le ho scritto che la raggiungerai a bordo
alle otto, ce la fai ad essere lì verso le sette?”
“Alle sette? Scusa e che ci devo fare lì un’ora prima
del previsto?” Chiese mentre tentava di domare a colpi di spazzola le ciocche
sovversive, al momento sembrava ci fosse in atto un golpe tra il ciuffo e il
resto dei capelli.
“Stamani ho ordinato per te presso la maison di
Armani vestiario ed accessori, li troverai ad aspettarti in cabina poiché ne ho
prenotata una a tuo nome. Ti cambierai una volta là, tanto non mi sarei
aspettata comunque che da casa tua al porto saresti arrivata impeccabile,
giacché presumo ci andrai in moto.”
“Non avendo altro mezzo di locomozione... ad ogni
modo, prima che facessi tutto tu, avevo pensato di prendere un taxi. Però
riflettendoci la tua soluzione mi pare più appropriata. Grazie Hitomi, se
l’unica stella del mio cielo!”
“Adesso
non metterti a fare la ruffiana, se l’ho fatto è solo per salvaguardare anche il
mio culo! Ché conoscendoti saresti
stata capace di presentarti ad una serata simile con un paio di jeans strappati
e una giacca di pelle! E non è della figuraccia che avresti fatto che mi
preoccupavo, piuttosto della reazione della signorina Yamamay. Ricordati chi è e
vedi di non fare passi falsi.”
“Sai cosa Hitomi? Ci avevi mai riflettuto che il
nostro capo ha lo stesso cognome di una famosa catena di negozi che vendono
intimo? Secondo te sarebbe appropriato se mi rivolgessi alla mia ospite
chiamandola Signorina Mutanda? In fondo l’assonanza c’è.”
“Non t’azzardare!”
“Su, non farti venire la tachicardia, scherzavo. Ma
ora dimmi, a quale banchina devo dirigermi e soprattutto, come riconosco Perizoma-san?”
“Haruka! Piantala, che se ti scappa un lapsus simile
davanti a lei potremmo finire a spasso tutte e due.”
“Probabilmente a vendere mutande, sarebbe un
contrappasso ideale.”
Haruka ridacchiò al sibilo inorridito di Hitomi,
avrebbe dovuto piantarla sul serio, quest’ultima aveva ragione ad avvertirla, se
una perla del genere le fosse uscita innanzi a quella ragazza, molto
probabilmente avrebbe chiuso anzitempo la propria carriera. Pure non riusciva a
smetterla di fare la spiritosa, era incredibile quanto fosse allegra, sembrava
che finalmente si fosse tolta un peso e le pareva di fluttuare
stamattina.
“Ha detto che ti verrà incontro, quindi non c’è
problema. Lei conosce perfettamente la tua faccia, quel che mi preoccupa è che vorrebbe
aggiornarsi anche sul resto.”
“Non ti angustiare vecchia mia, dimentichi forse
il sesto senso, modello virgin allarm, che ho
sviluppato in Spagna? Come la pollastra s’attizza, me la squaglio. Ti assicuro
che al primo cambiamento di temperatura della concupiscente, sarò già lontana.
Non voglio mica rischiare altri palpeggi in fuori gioco. Mi rendo conto
però che il tuo pessimismo è giustificato, del resto la notte del 24 qualsiasi
ragazza sana di mente vorrebbe da me un bel pacco regalo!”
“Haruka trattieni la tua naturale cretineria e per un
attimo rifletti. Il problema sta proprio qui, se quella s’accorge che sei
tutta dinamite e niente miccia, il che sta a significare che una volta
scartato il tuo involucro non troverà una mazza, saranno guai. Fa la
brava, altrimenti potrai dire addio ai tuoi sogni di gloria. Per cui vedi di
fare la galante, ma mantieniti a distanza di sicurezza e soprattutto fai quel
che devi fare in fretta e poi vattene subito, perché per te quella barca è più
pericolosa del Titanic!”
“Okay, vorrà dire che, onde evitare qualsisi rischio
iceberg, mi farò servire persino i
drink senza ghiaccio. A scopo cautelativo!”
“Oggi sei troppo gioconda per i miei gusti, posso
solo sperare che la prospettiva di finire in mezzo ad una strada sia un
deterrente efficace per te.”
“Più efficace di quella possibile cozza? Credi a me
Hitomi, andrà tutto bene. Mi recherò al party, incontrerò chi devo e poi
riaccompagnerò quel mitilo alla scogliera dalla quale proviene. Facile
no?”
“Come dici tu.” Assentì docile la donna mentre tra sé
e sé rideva maliziosamente. Haruka non aveva proprio idea di quel al quale stava
andando incontro. Quasi certamente l’indomani si sarebbe mangiata le mani,
altroché! Shanaya era un tocco di ragazza e chissà se le sue ammonizioni
avrebbero retto innanzi a tanta avvenenza. “Allora ti saluto, divertiti stasera
e mi raccomando, occhio a quel che fai.”
“Tranquilla è tutto sotto controllo.” La rassicurò,
dopodiché infilò il soprabito e si
accinse a recarsi dal coiffeur per darsi una sistemata. Era così ottimista che
mentre l’ascensore la portava al pianoterra si mise addirittura a canticchiare a
tema.
Bravo, bravissimo,
bravoooo! Là, là, là, làààààààà!
Tutte mi cercano! Tutte mi vogliono! Sono il factotum della città ah ... Sono il
factotum della città, de la città... della città ...
lààààààààà!!!
Eseguì il finale mentre le porte si aprivano e ,
davanti al portiere di turno che la guardava allibito, fece un mezzo inchino
insolente. Dopodiché ridendo euforica uscì all’aria aperta, nonostante il cielo
plumbeo sentiva che quella sarebbe stata una fantastica
giornata!
Dall’altra parte della metropoli, precisamente in una
villa a strapiombo sul mare, all’interno del proprio budoir, un’altra ragazza
pensava alla festa che s’approssimava e il suo umore era tutt’altro che
radioso.
Michiru si scrutò nello specchio e sospirò triste.
Non che fosse particolarmente infelice quel giorno, benché in un occasione
simile fosse costretta a trascorrere una notte magica come quella della vigilia
in mezzo a degli estranei. Piuttosto, se quell’ingaggio non le fosse parso
doveroso e la sua coscienza non l’avesse spinta ad accettarlo, avrebbe preferito
essere da sola giacché Sachiko latitava nel cuore dell’Europa e lei non aveva
nessuna intenzione di trascorrere le feste con suo padre e la sua concubina.
Pure avrebbe suonato, quantunque si chiedesse dove avrebbe trovato l’ispirazione
e lo stimolo per farlo.
E sospirando nuovamente si voltò, avendo notato nello
specchio l’ingresso del nuovo residente a casa Kaiou.
“Ligea vieni qui.” La chiamò chiedendosi se stavolta,
dopo due giorni d’inviti di quel tipo, questa le avrebbe fatto la grazia di
acconsentire ad una sua richiesta. E ancora una volta fece un buco nell’acqua,
Ligea come sempre l’ignorò, proseguendo come se non avesse affatto parlato e a
passi felpati si diresse verso il suo letto dove s’accomodò senza tanti
complimenti. Poi, quasi volesse altresì irriderla, voltò il capo verso di lei e
fissandola imperscrutabile le sbadigliò in faccia.
Quella gatta, rifletté ancora una volta, le ricordava
molto qualcuno e non solo per le medesime iridi verdi o per il suo manto
chiaro. E così come per l’altra, anche l’arrivo della felina era stato
imprevedibile, essendo questa la conseguenza dell’inusuale strenna natalizia di
suo padre, benché quest’anno non si sarebbe aspettata di averne. Eppure l’altro
giorno si era presentato a lei con intenti riconciliatori, porgendole un cestino
dal quale proveniva un gran baccano. E quando successivamente l’uomo aveva
afferrato che sua figlia non era intenzionata ad intendere ragioni, non senza
strepitare, s’era rassegnato. Ma lui se n’era andato e la micia era
rimasta.
Era una semplice gattina di pochi mesi, pure la
convivenza si era rivelata difficile sin dal primo momento, poiché Ligea non
aveva nessuna intenzione di venire a patti con lei, esattamente come colei la
quale spesso veniva equiparata. E a rimarcare ancora di più quell’assonanza
c’era il fatto che ormai era diventata la gatta la padrona della situazione. Due
giorni soltanto, ma erano stati sufficienti a Michiru per comprendere che non
aveva alcun trasporto nei suoi riguardi e che faceva quel che le pareva,
nonostante la cosa non andasse a genio a lei, che sarebbe dovuta essere quella
che comandava. Piuttosto sembrava addirittura che lo facesse apposta per
irritarla. Non le riconosceva nessuna autorità, combinava ogni sorta di sgarbi e
se faceva tanto di accarezzarla, qualora avesse la residua illusione che con un
po’ di dolcezza l’avrebbe resa meno riluttante, per tutta risposta l’amabile
animaletto le si rivoltava contro infuriata sfoderando le unghie.
Più che il nome della sirena mitologica, pensò amara,
avrebbe dovuto darle quello di Haruka. Giacché, proprio come quest’ultima si
comportava. E se suo padre gliel’aveva regalata attendendosi che le facesse
compagnia, aveva fatto fiasco su tutta la linea. Ligea non le si metteva neppure
in grembo, figuriamoci venirle incontro o far le fusa per lei. In compenso un
paio di volte l’aveva gratificata con una sorta di vicinanza magnanima che però
si era limitata allo starsene sulla poltrona di fronte alla sua. Sì, il nome Haruka le sarebbe stato a
pennello, decisamente.
Adesso dormiva e come al solito si era acciambellata
sul suo letto, dove non avrebbe dovuto essere.
Michiru abbozzò un sorriso triste e lasciò perdere la
gatta per concentrarsi cu altre incombenze. Svagata prese ad osservare le varie
mise che la cameriera aveva tirato fuori dall’armadio e collocato lì
intorno perché scegliesse cosa indossare per l’evento serale. Depressa fissò le
varie combinazioni di colori e modelli senza che queste risvegliassero in lei la
minima reazione, come se fossero anonimi abiti e non le costose vesti di
sartoria che erano. Normalmente le piaceva mettersi in ghingheri e presentarsi
adeguatamente al suo pubblico. Se non fosse stata così inane avrebbe speso ore a
provare e riprovare le varie
toilette finché non fosse stata
soddisfatta del risultato. Oggi, come ieri, come il giorno prima ancora e
quell’altro che l’aveva preceduto, tutto le sembrava opaco, senza vita.
Abito lungo? Decolleté quadrato? Capelli legati o
sciolti? Quanta futilità. Ché per quel che concerneva la vivacità rasente il
suolo che l’animava, avrebbe potuto tranquillamente infilarsi dentro un sacco di
patate e non avrebbe fatto differenza. E proprio qui stava la questione,
ultimamente pareva che niente fosse in grado di scuoterla dall’apatia che la
stava sommergendo. Dopo inutili tentativi di creazione aveva riposto
momentaneamente i pennelli nella loro scatola e davvero non sapeva dove e quando
li avrebbe riesumati. Quanto al violino, non eseguiva da tempo immemore melodie
allegre. Appena prendeva l’archetto in mano ne scaturivano inevitabilmente suoni
melanconici che diventavano progressivamente interminabili nenie colme di
sconforto. Motivi che eseguiva a scopo evocativo, poiché credeva, fortemente
voleva credere, che quelle note potessero superare la distanza e richiamare a sé
la persona cui le dedicava. Ma fino a quel momento aveva fallito e l’unica
attività che sembrava darle sollievo era quella di passare ore ed ore a nuotare
in piscina.
Perciò trascorreva le sue interminabili giornate a
galleggiare sull’acqua di quello spazio coperto e circondato da vetrate che le
consentivano la vista del panorama marino. Se fosse stato meno freddo avrebbe
cercato l’abbraccio del mare, ma proprio perché la glacialità delle onde le
avrebbe ricordato la medesima di colei la quale era causa di quell’umore tetro,
preferiva restare nel grembo caldo della grande vasca.
Purtroppo oggi non aveva affatto tempo da spendere in
quel metaforico ventre materno
poiché, nonostante sarebbe stata una delle ultime ad esibirsi, segno di
quanto fosse tenuta da conto dall’organizzazione, avrebbe comunque dovuto essere
tra le prime a salire sull’imbarcazione. Una volta a bordo si sarebbe truccata,
avrebbe indossato la sua coda di pavone e avrebbe fatto la ruota che
implicitamente esigevano da lei durante il party antecedente al concerto. Certo
gli chaperon non le sarebbero mancati, né sarebbe stata incapace di sostenere le
conversazioni brillanti che in genere aveva in queste occasioni, solo si sentiva
cadere le braccia. Ma doveva farlo,
se non altro perché le donazioni sarebbero state fatte tramite una sorta di asta
benefica. Ogni artista avrebbe ceduto la propria esibizione al miglior offerente
e se davvero voleva aiutare coloro che abbisognavano di generosità, doveva
essere briosa, effervescente, persino davanti a quegli individui tronfi. Dopo
sarebbe pure potuta ripiombare nei suoi stati torpidi, ma stasera doveva dare
l’impressione di non essersi mai divertita tanto prima d’allora.
E a questo scopo una buona volta, finalmente decise
quale vestito indossare, indicandolo con un gesto alla domestica che subito lo
ripose nella sua scatola per non farlo gualcire. Dopodiché aggiunse le scarpe e
i monili con i quali si sarebbe adornata. E qui ci fu un momento d’interdizione
da parte sua giacché per quella sera non avrebbe potuto portare la collana che
ultimamente aveva sempre al collo. Era un ciondolo che nel suo interno cavo
ospitava quell’unico capello biondo che era segno tangibile del passaggio di
Haruka nella sua vita. Era diventato una specie di talismano per lei e
separarsene, seppur per una sera, le appariva come se le avesse voltato le
spalle.
“E proprio la notte di Natale.” Pensò rattristata.
Perché non riusciva a darsi pace? Forse se avessero avuto un epilogo, persino se
fosse stata una conclusione negativa, avrebbe potuto lasciarsela alle spalle. Ma
così no.
Soprattutto dopo quell’incubo che aveva avuto notti
prima. Aveva sognato infatti che Haruka se n’era andata perché ,vittima di un
male incurabile, preferiva attendere la fine lontano dalle occhiate
compassionevoli degli altri. Il che, considerato quanto potessero essere labili
le visioni oniriche, era perfettamente in linea col personaggio. Ma la coerenza
del suo inconscio non le aveva impedito di svegliarsi con un grido strozzato e
di tirarsi le ginocchia al petto.
Abbracciandole senza riuscire a trattenere le lacrime, dolorosamente si chiese
se davvero, nel caso in cui fosse stato questo il motivo scatenante, avrebbe
preferito sapere o no. La sua ignoranza in tal senso era protettiva, finché
restava nel territorio dell’incerto infatti tali terrificanti pensieri non avevano
conferma. Il che non era affatto darsi una risposta. Ad ogni buon conto, da quel
momento in poi, aveva avuto cura di includerla sempre nelle sue preghiere e
sperava ardentemente, insieme al suo ritorno, che stesse bene. Nient’altro, né
gloria, né amore o il minimo accenno a
sé.
Per cui proprio non riusciva a disgiungersi da quel
pendente, quindi si risolse a tenerlo al collo fin quando avrebbe potuto,
dopodiché se lo sarebbe legato al polso, continuando a sentirne il contatto
sulla pelle. Haruka doveva essere con lei quella sera, nonostante tutto.
Fece cenno che portassero da basso quegli scatoloni e
si preparò ad uscire, non prima però di fare l’ennesimo
tentativo.
“Io vado Ligea.” Annunciò alla gatta, la quale si
limitò a muovere impercettibilmente l’orecchio e socchiudere un occhio, come a
voler dire che ne prendeva atto, ma che non gliene poteva fregare di meno.
Michiru, nonostante tutto riuscì a sorriderne, era innegabile, un pezzetto
dell’essenza di Haruka sicuramente era
trasmigrato in quell’animale!
La lasciò sul letto, sperando che non le riducesse a
brandelli le lenzuola con le unghie e da ultimo prese la custodia che conteneva
il violino. Era ancora indecisa sul brano da suonare quella sera. Debussy?
Chopin? O Vivaldi? Le sembravano tutti troppo smaccatamente leggeri per il peso
che portava dentro. La delicatezza di quegli autori poco si adattava alla forza
con la quale avrebbe voluto tenere avvinto il ricordo. Incerta salì sull’auto
che l’attendeva e mentre si dirigeva verso il porto si rilassò sui comodi sedili
chiudendo gli occhi. A questo punto una folla d’immagini le invase la testa.
Haruka assisa sulla bike che stillava sudore intanto che le sue gambe
instancabili parevano non avvertire la fatica; Haruka che pensava a chissà cosa
mentre un ghigno divertito le stirava i lineamenti ; Haruka incurante del
professore e della lezione che stava tenendo alle prese con gli sguardi che
tentavano d’intercettare il suo; Haruka che correva nel parco saettando accanto
a quante passeggiavano, senza fermarsi mai con nessuna; Haruka che con parole
sprezzanti fustigava l’ambiente che la circondava; Haruka che senza una parola
si disperdeva nel nulla, senza voltarsi indietro.
E questo era una parte che aveva vissuto di lei, poi
vennero le rappresentazioni di quanto poteva solo immaginare.
La vide bambina insieme a sua madre in una stanza
spoglia, ma al contempo caotica, dove ovunque stazionavano orpelli che
testimoniavano la natura errabonda delle due. Fregatene, le pareva
d’udire che le ingiungesse la donna, è quel che sei la cosa che davvero
conta, il resto è superfluo.
Poi la immaginò abbandonata in un angolo di una casa
borghese, volontariamente lontana dalla sua famiglia adottiva. Si figurò il
volto infantile ma già fermo, più che determinato a mantenere le distanze da
quella gente che non sentiva comune a lei. Delineò quegli occhi verdi, più
grandi allora di quelli che aveva conosciuti, assottigliarsi e diventare via,
via sempre più duri mentre passava da un posto all’altro, da una famiglia
all’altra. La vide infine quasi simile all’attuale, monolitica e definitivamente
introversa, nell’atto di fare la conoscenza dei gioviali e provvidenziali Meiou.
Ma a quel punto le ferite non potevano più rimarginarsi, ormai erano diventate
cicatrici e se le sarebbe portate per sempre addosso.
Michiru riaprì gli occhi, la consapevolezza era
calata su di lei, adesso sapeva cosa avrebbe suonato. Invero, quale brano più de
Il volo del calabrone avrebbe potuto rappresentare l’eterno errare, la
forza instancabile, le tremende giravolte che Haruka aveva compiuto da un
continente all’altro? Nessuno altro probabilmente, quindi la decisione era
presa. Avrebbe vibrato sulle corde del violino quel pezzo infernale,
difficilissimo, ma di ode a quella che nelle difficoltà era arrivata fino a lei.
Sarebbe stata la sua serenata, il suo personale omaggio a quella creatura,
perché non si sentisse sola, ovunque fosse, in quella notte d’immensa
lontananza.
E sulla passerella che dalla terraferma la portava
alla nave Michiru fu stimolata dal vigoroso grecale che proveniva dal mare,
soffiava imperioso e pareva essere scaturito dal nulla. Alzava le onde creando
una leggera spuma e allo stesso tempo giocò a lungo con i suoi capelli e con le
falde del cappotto. Era gelato, ma nonostante ciò, quando se ne sentì avvolgere,
per la prima volta dopo tempo sentì rinascere la speranza.
Il vento è tornato e il mare sta cambiando. Pensò
portando la mano al seno e stringendo istintivamente il medaglione. Si era al
crepuscolo e il sole luccicò con un debole barbaglio bucando momentaneamente la
cappa di nubi. Michiru si portò all’interno, era stata solo un’illusione?
Chissà, intanto avrebbe partecipato a questa stupida festa e forse non sarebbe
cambiato nulla, eppure si sentì invasa da un irragionevole senso
d’aspettativa.
Haruka controllò l’ora e silenziosamente tentò di
soffocare un’imprecazione. Accidenti a lei e a i suoi impulsi irragionevoli! Se
quando aveva finito di farsi tagliare i capelli fosse filata dritta a mangiar
qualcosa e poi al parcheggio dove aveva lasciato la moto, non avrebbe perso
tutto quel tempo. A quest’ora avrebbe dovuto già trovarsi all’imbarcadero,
invece eccola impelagata nell’ennesima situazione della quale poteva dar la
colpa solo a sé stessa. Magari avrebbe dovuto aspettare prima di buttarsi a
corpo morto in quel negozio, però davanti a quella vetrina proprio non aveva
saputo resistere. Un paio di Manolo
Blahnik erano il sogno di ogni femmina vittima della moda e quelle, doveva
ammettere, sebbene non fossero affatto nel suo stile, erano un gran bel paio di
scarpe. Tacco alto, fibbie che s’intrecciavano alla caviglia, d’un color argento
appariscente ma non volgare. In breve sarebbero state divinamente ai piedi di
Michiru e, pensò con un ghigno astuto, presentarsi a mani vuote nella notte
principe dei doni, poteva essere una gran brutta figura. Non che pensasse di
potersela ingraziare in quel modo, ma si dava in caso che non appena aveva
immaginato la violinista con quei sandali addosso, non era riuscita a
reprimersi. Al che era cominciata
la bagarre, in breve si era trovata in balia di tre commesse un po’ sgualdrine
che , oltre a lanciarle ognuna a suo modo un segnale invitante, l’avevano
bersagliata con una serie di domande alle quali non sapeva dare risposta. Che
misura aveva Michiru? Eh, vallo a sapere, ecco un’altro quesito che avrebbe
dovuto aggiungere al lungo elenco che stava formulando. Per cui tentò di
cavarsela descrivendo alle tre l’altezza e la corporatura della ragazza. Si dava
il caso però che questi dati non fossero necessariamente indicativi, spesso, le
fece notare una del trio con modi inequivocabili, ad un’altezza media poteva
corrispondere un piede piccolo o una fetta spropositata. Sicuro di non sapere
che numero avesse la propria fidanzata?
E vallo a spiegare a quella che non si trattava di
questo. Inoltre si stava impicciando o l’aveva detto così, tanto per dire?
Difficile dirlo, ma intanto che decideva di prenderle lo stesso, optando per una
grandezza media, veniva succintamente informata che qualora avesse dovuto
cambiarle, per lei, per
lui, non avrebbero fatto
nessuna difficoltà.
Ma certamente e magari se vengo da sola è meglio
ancora eh?!
Pensò Haruka ironica, ma anche abbastanza onesta da
riconoscere che quelle lusinghe la compiacevano come non mai. Grosso errore, il
suo narcisismo le aveva fatto perdere un mucchio di tempo, ché se non fosse
rimasta lì a flirtare sarebbe stata un pelo meno in ritardo. Ma tant’è, cominciò
a correre come una forsennata in direzione del parcheggio.
Filò a tutta birra per le strade cittadine pregando
ardentemente di non incappare in pattuglie dei vigili urbani o in rilevatori
elettronici di velocità e ad ogni semaforo scalpitava nervosamente. Quando
finalmente arrivò sulla strada costiera si rilassò un pochino, poteva farcela,
la nave con le sue luci scintillanti appariva in lontananza. Ancora qualche
chilometro e sarebbe entrata in porto, una bazzecola per la cilindrata che stava
cavalcando. Ma proprio mentre formulava tale pensiero e dava ulteriore gas,
superando di nuovo e abbondantemente il limite di velocità imposto, la sua buona
stella decise di allontanarsi per un break. Mancava pochissimo all’imbocco della
zona portuale quando con orrore sentì le sirene che si avvicinavano, seguite
dall’apparire delle temute luci lampeggianti negli specchietti retrovisori. E
non poté far altro che fermarsi. E, intanto che due poliziotti le verbalizzavano
l’infrazione, condita da un rimprovero piuttosto severo, e le appioppavano una
multa salata, tanto che gli zeri del totale si perdevano in una fila
interminabile, la iattura raggiunse
il suo clamoroso zenit. Il che voleva dire che si vide sequestrare con un fermo
amministrativo la sua adorata moto. E le toccava pure attendere l’arrivo del
carro-attrezzi che se la sarebbe portata via. Furibonda si sedette in compagnia
dei militi sulla balaustra del litorale e da lì poté assistere indisturbata allo
spettacolo della partenza della nave.
“Bingo!”
Esclamò mollando un pugno vigoroso al parapetto. E ora che avrebbe fatto?
Di rinunciare ed andarsene non se ne parlava proprio. Si guardò intorno in cerca
di una soluzione, ci sarebbe stato qualcuno disposto ad affittarle una moto
d’acqua, un motoscafo, una maledetta zattera! Macché, il posto era deserto,
neanche una schifosissima barca di pescatori puzzolente di pesce che potesse
darle un passaggio!
Arrivò il convoglio e, accompagnato dalla scorta dei
poliziotti, tristemente si portò via l’unico mezzo di locomozione del quale
disponeva... e se pure non l’avesse fatto? Mica poteva legarci dei galleggianti
e sperare di raggiungere la nave con quella!?
Pensa Haruka, cazzo, pensa!
S’ingiunse saltando giù dal muretto e cominciando a
camminare frettolosamente verso destinazione ignota.
Un momento! Si disse bloccandosi di colpo. Si era ricordata di
quel che aveva visto al margine della strada quando aveva imboccato per il
lungomare. Decine di negozi che vendevano attrezzature marittime, li aveva
notati con la coda dell’occhio. Si ricordava perfettamente delle colorate boe di
segnalazione e delle mute da sub che avevano in esposizione. E che vorresti
fare? Comprarti una muta? Haruka ricordati che non sai nuotare accidenti a
te!
Nuotare no. Si disse condiscendente. Ma col windsurf sono una
stramaledetta fuoriclasse! Esclamò mentre il vento che veniva dal
mare con un alito più forte le scompigliava i capelli. Fortuna che l’abito di
gala l’aspettava in cabina e che quel mattino aveva indossato un paio di scarpe
da ginnastica. Afferrò saldamente i manici della borsa che conteneva il dono dal
quale erano partite tutte le sue sfighe e prese a correre nella direzione dalla
quale era venuta, mettendoci uno slancio che nelle gare che aveva sostenuto in
precedenza non aveva impiegato mai. A lunghe e potenti falcate si diresse verso
la meta ultima, fregandosene altamente del giubbotto che aveva abbandonato per
strada a causa dell’impaccio e del calore che le procurava. Così fu che il
negoziante che stava a momenti per chiudere, tanto quello già era un periodo di
vacche magre, figurarsi se per Natale venivano a fare acquisti da lui, si vide
piombare in negozio una furia bionda dal volto congestionato e dal fiato rotto.
Ché Haruka aveva corso senza risparmiarsi e senza lesinare quanto a velocità per
più di cinque chilometri.
“Voglio una tavola e una vela da windsurf!” Ringhiò
piegandosi e poggiando le mani sulle ginocchia. Era sfinita e aveva una moquette
in bocca, tanta era la sete.
“ P- prego?” Chiese l’uomo impaurito, convinto
com’era di trovarsi innanzi ad un rapinatore che ancora doveva tirar fuori la
pistola.
“Una vela ed una tavola, subito. Come cazzo sono, non
ha importanza la marca o il modello, me le dia immediatamente!” Sbraitò senza
ancora riuscire a rialzarsi.
“Ma, non saprei...” Tergiversò questo indeciso o meno
se chiamare la polizia, al che Haruka si eresse in tutta la sua temibile altezza
e fulminandolo con lo sguardo, tirò fuori il portamonete dalla tasca.
“Glieli pago oro!” Assicurò sbattendo pesantemente la
carta di credito, pericolosissimo veicolo di spese nelle sue mani bucate, tant’è
che se n’era sempre giudiziosamente negata l’uso fino ad oggi, sul bancone
innanzi a lei. ”Mi dia anche una muta, non importa quale e se ce l’ha solo rosa
confetto! E già che c’è, anche dell’acqua, me lo quoti pure al costo dello
champagne!”
A questo punto l’uomo capì l’antifona e cominciò a
radunare quanto gli era stato chiesto mentre Haruka ingollava l’acqua come se
fosse appena stata salvata dall’arsura del deserto del Gobi. Pagò senza fiatare
l’ammontare esorbitante del complessivo, quel tizio si era rivalso su di lei di
tutte le mancate vendite dalla fine dell’estate in poi, e telefonò alla
capitaneria di porto. Chiese di essere messa in contatto con la plancia
dell’Albatros, meno male che si era ricordata il nome col quale avevano
battezzato quella bagnarola dei mari, e una volta in comunicazione con uno degli
ufficiali, tanto fece e tanto disse che riuscì a persuaderli a prenderla a bordo
in quel modo anomalo. Si trattava solo di portarsi in prossimità della barca, un
gioco da ragazzi! Ma il vento, quel vento che da sempre sentiva come fido
alleato, non l’avrebbe tradita. Non stavolta almeno.
Dopodiché si fece dare anche uno zainetto, che pagò
contanti, ove riporre il vestiario che ancora aveva addosso e la scatola con le scarpe per Michiru. Indi
si recò nel retrobottega a cambiarsi. Rabbrividendo di freddo, che quel
maledetto le aveva dato una muta che le lasciava le braccia e metà delle gambe
scoperte, si fece aiutare a portare la tavola e la vela sulla spiaggia vicina. Così , salutata dagli
incoraggiamenti che l’uomo grato, adesso sì che era anche per lui Natale, le
rivolgeva, mise in mare il windsurf e s’accinse a quell’impresa
disperata.
“Ce la puoi fare. Ce la farai cazzo!” Mugugnò tirando
su l’albero dall’acqua ed
afferrando il boma cominciò a caracollare in attesa di prendere un po’ di vento
che le consentisse l’avanzata iniziale. E quando infine sentì le spinte
dell’aria farsi più consistenti, si spostò sulla tavola inclinandosi in modo
opportuno e iniziò a fendere le onde.
Si era fatto buio ormai, ma non se ne diede pensiero, orientandosi con le
luci di poppa della grande nave che era in lontananza alla sua destra. Il vento
non la stava deludendo, continuava a soffiare esuberante e la spingeva sempre
più veloce verso il traguardo
finale. Sorrise raggiante
muovendosi sulla tavola in modo da sfruttare ancor di più quel grecale
provvidenziale e il suo sorriso divenne un ghigno compiaciuto quando s’accorse
che stava attirando un bel po’ d’attenzione. Infatti pareva proprio che gran
parte dei passeggeri si fosse
riversata sulla murata della nave per assistere alla sua singolare impresa. E
quando arrivò in prossimità del boccaporto che avrebbe dovuto accoglierla nelle
viscere del vascello, grida
d’incitamento e applausi festosi accolsero il suo approdo.
Eccomi Michi, sto arrivando. Mormorò saltando in acqua ed afferrandosi alle mani
protese dei marinai. Riuscirono persino a recuperare il suo windsurf
arpionandolo e accostandolo sul fianco della nave. Ci avrebbero pensato i membri
dell’equipaggio a tirarlo in secca,
Haruka ebbe cura di prelevare solo lo zaino che si era irrimediabilmente
infradiciato.
Con espressione di scusa pregò l’ufficiale che
l’accolse di perdonarla per il suo arrivo quanto mai balzano e, buttandosi sulle
spalle la coperta che questi le porgeva, lo seguì nei meandri della nave. Quando
arrivarono al ponte da dove si dipartivano i corridoi che portavano alle cabine
una piccola folla plaudente l’attendeva e Haruka, con la faccia di bronzo che la
contraddistingueva, levò in alto le mani unendole nel gesto del vincitore. Gli astanti risero deliziati e intanto
che sorrideva soddisfatta, Haruka con lo sguardo frugava tra la miriade di volti
in cerca di uno solo. Purtroppo non lo trovò.
Cercò di consolarsi, tentando di domare la delusione,
dicendosi che Michiru non era proprio il tipo che si sarebbe scapicollata per
assistere a quella bagarre. Frattanto una figura ignota emerse dal gruppo
avanzando ancheggiante verso di lei. Una gran bella figura, doveva ammettere.
L’esaminò partendo dai piedi. Slanciata, fisico da mannequin, belle tette. Poi
passò alla faccia, e neppure lì nulla da eccepire. Una cascata di capelli
ondulati del colore del miele le ricadeva sulle spalle scoperte. Una chioma
selvaggia, strinata da ciocche più chiare, che incorniciava un volto parecchio
avvenente. Naso all’insù, occhi cerulei e ben distanziati, labbra piene e
morbide... insomma, proprio una bella figa. La quale, quando le arrivò
dappresso, si fermò e sorridente le porse la mano con il palmo
all’ingiù.
“Ciao Haruka,
sono Shanaya Yamamay.”
Ah!
Pensò Haruka in quella cruciale
manciata di secondi. Hai capito quella carogna di Hitomi? Non me l’aveva
detto mica che qui avrei trovato la playmate del paginone
centrale!
E poi, riavendosi dalla piacevole sorpresa,
riacquistò i suoi modi urbani. Prese la mano che le veniva offerta e chinandosi
in avanti la sfiorò appena. A quanto pareva avrebbe dovuto aspettare un po’
prima di vedere Michiru, per cui, perché nel frattempo non intrattenersi con
questa
cavallona?
“Avremmo dovuto conoscerci prima Shanaya.” Cominciò
sorniona strizzandole l’occhio. E quest’ultima, strizzandoglielo di rimando,
affermò: “Meglio tardi che mai.”
“Giusto. Ora, se vuoi scusarmi un attimo, andrei a
cambiarmi. Ti spiace avviarti mentre mi rendo
presentabile?”
“Figurati Haruka, ti attendo al bar, ma tu non farti
aspettare troppo, mi raccomando.” Concluse maliziosa e dandole la schiena nuda,
giacché aveva una scollatura vertiginosa,
cominciò ad allontanarsi lasciandosi dietro una scia di profumo molto
conturbante. Gli ormoni ipersviluppati di Haruka reagirono all’istante, malgrado
lo scopo primario che l’aveva condotta lì.
“Non cominciare senza di me!” Fece quest’ultima
malandrina occhieggiandole il fondoschiena da paura appena, appena celato dalla
veste succinta. A questo commento Shanaya si limitò a lanciarle un’occhiata
parecchio esplicativa da sopra la spalla e se ne andò
ridacchiando.
Domine dei che femmina! Si disse Haruka continuando a rimirarla
con tanto di bocca aperta ed incurante del fatto che fosse diventata quasi
bluastra dal freddo. E molto, molto galvanizzata si diresse verso la stanza che
Hitomi le aveva fatto preparare. Certo che aveva presente il motivo per il quale
si era quasi ammazzata per venire a questo party, doveva vedere Michiru, doveva
parlarle. E l’avrebbe fatto non appena avesse potuto, subito, quando l’avrebbe
intercettata però. Intanto poteva tranquillamente farsi un giro con quella,
quando le sarebbe ricapitato un simile pezzo da novanta da aggiungere al suo
palmares ?
Fischiettando entrò nella cabina e lo stava ancora
facendo quando emerse dal bagno ripulita e con i capelli lavati di fresco.
Addomesticò le chiome ribelli, lasciando comunque campo libero alla frangia, che
pareva piacere molto alle donne e prese a vestirsi. Tutto poteva dire alla sua
manager tranne che fosse priva di gusto. Lo smoking che le aveva preso infatti,
sebbene fosse elegante, era moderno. Dalla linea adeguata, ma non imbalsamata.
Applicò i gemelli ai polsini, dopodiché tastò la rigidità del colletto alla
diplomatica della camicia. Perfetto, esattamente come voleva che fosse. Prese il
papillon e lo annodò lasciandolo un po’ disordinato, in modo che fosse lampante
che il suo era un cravattino vero, non una di quelle burinate posticce. Infine indossò la giacca attillata e più
che appagata si rimirò allo specchio.
Ah, come potrà resistermi?
Ridacchiò alla domanda retorica e constatando che non
le mancava nulla si avviò verso il salone dei rinfreschi, senza chiedersi in effetti a chi si
riferisse precisamente con quel commento.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Parte 20 ***
20
Michiru fece il suo ingresso nel salone illuminato a giorno
accompagnata esclusivamente dal sussurro frusciante dell’abito di seta che
indossava. Non aveva un cavaliere, non ancora almeno, ed era sua ferma
intenzione evitare parate trionfali, i flash dei fotografi, le annunciazioni
roboanti e luci puntate. Non ci teneva a comportarsi da diva, non si sentiva
tale e le dava immensamente fastidio quando la trattavano come se lo fosse.
Inoltre la serata, se non nella forma, perlomeno nella sostanza aveva intenti
filantropici, motivo addizionale per non essere affatto intenzionata a far la
passerella sul tanto ambito tappeto rosso.
Eppure l’effetto che ottenne fu esattamente l’opposto. Poiché
in mezzo a quella moltitudine di lustrini il suo abito privo di qualsiasi
eccesso, alla fine si era decisa per un tubino nero molto sobrio che la fasciava
fino al collo, mentre le braccia nude erano coperte da lunghi guanti dello
stesso colore, le dava ulteriore risalto. I capelli poi aveva preferito tirarli
in uno chignon in cima alla testa e quella semplicità rendeva le pettinature di
quante l’attorniavano, ché quella sera c’erano delle creste lì dentro che
sembrava di stare in mezzo alle cavie peruviane, alquanto ridicole se paragonate
a lei. Stesso dicasi per le parure di gioielli che erano disseminate in giro,
luccichii ovunque, ma gli strali di quel fulgore parevano perdere la loro
lucentezza al suo passaggio. Michiru aveva ridotto i fronzoli al minimo, infatti
ad ornarla c’era solo il medaglione dal quale infine non si era voluta separare.
In breve, nel complesso dava l’impressione di una estrema eleganza, benché
austera, quasi virginale. In precedenza, mentre stava preparandosi, si era
guardata allo specchio e le era venuta in mente
Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. In effetti lo stile
era quello e del resto il gatto ce l’aveva anche lei, no?
Ad ogni modo, sebbene il suo intento fosse stato quello di non
voler evidenziarsi, spiccava tra le intervenute proprio per la distinzione e la
classe allo stato puro che sprigionava. Fu abbagliata dagli innumerevoli lampi
dei fotografi, ma con grazia li assecondò, giacché non c’era scampo a quelle
iene della stampa, erano inevitabili come le calamità naturali. E intanto che
era bersagliata dagli scatti, molte teste si voltarono a fissarla. Contava molti
ammiratori in quella sala e, quanti ancora non la conoscevano, rimasero
letteralmente conquistati dall’aura che emanava, poiché Michiru riusciva ad
essere incantevole come poche altre e questo non era la conseguenza di un
make-up riuscito o di altri artifizi squisitamente femminili, quanto della
naturale armonia che permeava tutti i suoi atti.
E quando riuscì a sfuggire alle forche caudine dei media ebbe
poco tempo per rallegrarsene, giacché subito le si fecero intorno parecchie
persone e fu presa dalla solita girandola di convenevoli che ormai espletava a
menadito. Salutò calorosamente gli amici di famiglia, le vecchie conoscenze e
quanti rivedeva dopo tanto tempo. Oltre a questi, c’erano pure quelli che pur
non avendo il piacere di conoscerla di persona, anelavano egualmente ad un
minimo della sua attenzione. Tanto che la cerchia della quale era protagonista
assoluta si stava rapidamente ingrossando. In breve fu circondata da un
capannello di gente nutrito, ovunque volti, voci e mani che si protendevano,
indi la sua visuale ne fu completamente menomata. Non vedeva più in là del
proprio naso e per questo motivo le sfuggì completamente l’entrata di Haruka, la
quale, malgrado fosse una sconosciuta in quel contesto, sebbene non appartenesse
a quel mondo dorato, avanzava altezzosa come non mai in direzione della sua
ospite. Michiru con la coda d’occhio intravide qualcuno di familiare, ma essendo
impegnata in varie conversazioni contemporaneamente, non riuscì a mettere a
fuoco. Indubbiamente si trattava di una persona che conosceva, ma la visone fu
tanto fuggevole che non ne ebbe la certezza. Ad ogni modo, se si trattava di
questo, presto o tardi si sarebbero incrociati di nuovo.
"Come mai tutto questo tempo?" Chiese Shanaya con voce che
definire tubante non sarebbe stato azzardato. Haruka fece un sorrisetto che
voleva essere un cenno di scusa, ma che non riuscì del tutto a mascherare quel
che sottintendeva, dal momento che aveva ravvisato in quel tono flautato il
preludio ad una scoppiettante schermaglia di corteggiamento. E ci stava
sguazzando.
"C’era una ressa incredibile in mezzo alla stanza. Sul serio,
un nugolo impressionante di gente tutta accalcata attorno ad una persona. Non ho
capito di chi si trattasse, ma presumo fosse qualche pezzo grosso. In ogni caso
trovo tutto ciò alquanto esagerato." Dichiarò con una punta di fastidio nella
voce e nell’espressione, e, visto che la ragazza la fissava interrogativa, si
spiegò sfoderando tutto il suo charme irresistibile. "Quel che intendo dire è
che, visto che non si tratta di me, né di te, è incomprensibile
quell’assembramento."
Shanaya rise di cuore scambiando l’affermazione sia per una
spiritosaggine che per un velato complimento, quale in parte voleva essere. Ma
d’altro canto non poteva sapere che ad Haruka le luci della ribalta erano
moleste quando non ne era lei stessa la protagonista.
"Allora dimmi, cosa fai di bello nella vita? E cosa preferisci
da bere?" Chiese mentre con un cenno chiamava a sé il barman.
"Una flute di champagne, penso che il nostro incontro lo
meriti." Replicò questa insinuante, spostandosi sullo sgabello giusto quel tanto
che rendesse completa la sua prospettiva, in tutti i suoi procaci dettagli, alla
bionda. La quale accennò col capo e non si sa fino a che punto il gesto fu
rivolto al barista che le mostrava la bottiglia o allo spettacolo che la donna
le stava offrendo. In ogni caso gradì entrambe e intanto che sorseggiava la
bevanda ascoltò con un sogghigno benevolo quanto Shanaya andava dicendole. Nel
complesso si trattava di un quadro molto prevedibile, feste, fasti e lussi di
ogni tipo. Shanaya doveva essere la cocca del padre e ad un analisi
approssimativa si poteva tranquillamente affermare che se ne approfittava senza
alcun ritegno. Viaggi, auto, vestiti, aveva tutto a profusione e la scuola non
era che una piccola parentesi tra tutti gli sfizi che si concedeva. Beh poteva
permetterselo no? Dopo il diploma sicuramente l’avrebbe attesa una bella
università privata dove laurearsi con lode in virtù non dei propri meriti
accademici, quanto dei soldi a palate che il paparino avrebbe sganciato.
Nonostante ciò, questa annoiata rampolla pareva avere una passione che davvero
l’assorbisse, oltre all’infatuazione per lei naturalmente, infatti fin da
bambina era stata avviata allo studio della danza classica. Il che era chiaro,
bastava darle uno sguardo per rendersene conto. Aveva una costituzione
splendida, flessuosa, senza un filo di grasso in eccesso.
"Mhm", pensò Haruka ridacchiando sotto i baffi mentre quella le
raccontava dell’istruttrice tedesca e dell’allenamento ferreo che l’imponeva,
"corpo acefalo, ma che corpo! Elastica com’è, sai le acrobazie che ne
uscirebbero!" Inarcò un sopracciglio deliziata, ma preferì evitare di
soffermarcisi e deviò il pensiero verso altri scenari meno imprudenti. Chissà
come stava con addosso il tutù? Chissà come sarebbe stata lei conciata
con orpelli da danzatore! E per un attimo si vide con una di quelle ridicole
tutine che solevano indossare i ballerini e fu troppo da sopportare in silenzio.
Scoppiò a ridere irrefrenabile e per fortuna la sua ilarità coincise con una
freddura esternata da Shanaya, la quale si unì partecipe alla sua gaia risata.
Effettivamente la ragazza non stava nella pelle all’idea che
Haruka Tenou, proprio quello che aveva adocchiato e seguito d’appresso per mesi,
se ne stesse lì ad ascoltarla con espressione piuttosto attratta e che ridesse a
tutte le sue battute. Naturalmente era abituata ad aver a che fare con maschi
che scodinzolanti l’assecondavano in tutto, ma questo qui era diverso. Lo
sentiva a pelle, l’aveva avvertito fin dal primo momento quando, vedendo
sfrecciare la monoposto in velocissime diagonali nel circuito di proprietà di
suo padre, si era chiesta chi fosse questo nuovo pilota che aveva ingaggiato.
Normalmente non se ne importava affatto, ché l’automobilismo era di quanto più
lontano ci fosse dai suoi interessi. Tuttalpiù partecipava agli eventi mondani
che vi erano connessi, ma lo sport vero e proprio non lo seguiva. Perciò quanti
si avvicendavano intorno alla scuderia paterna non la riguardavano. Pure,
allorché casualmente si era trovata nel paddock e aveva visto scendere dalla
macchina quel dio biondo dai capelli arruffati e dai modi bruschi, aveva perso
completamente la testa. E più si rivelava irraggiungibile, più lo voleva. Si era
fatta venire una crisi isterica quando il team era partito per Jerez e suo padre
si era categoricamente rifiutato di includerla nella spedizione. L’uomo infatti
aveva intuito da tempo che l’improvviso ficcare il naso di sua figlia in
questioni che fino a quel momento aveva bellamente ignorato avevano un preciso
scopo. E proprio non ci teneva a perdere un professionista promettente come
quello per le bizze della sua erede. Poi, come un dono dal cielo, era arrivato
quell’invito inaspettato e Shanaya era pronta a giocarsi il tutto per tutto alla
prospettiva di una relazione con Haruka. Per questo era tutta frizzi e lazzi. E
spesso, con gesti apparentemente casuali, non faceva che sfiorarlo, perché
proprio non le riusciva d’impedirselo. Ma soprattutto, presto aveva inteso che
poteva essere la mossa vincente, stava adulando spudoratamente il suo amor
proprio.
Haruka era davvero un bel pezzo di ragazzo ed era palese quanto
ne fosse consapevole, inoltre, dacché la sua infatuazione era sbocciata, aveva
assistito a tutte le sue prove, quindi era piuttosto ferrata sull’argomento. Fu
facile quindi spostare il discorso dai suoi successi danzanti alla sua abilità
ed alle prospettive grandezze che poteva raggiungere, in modo da lisciargli a
dovere le penne. Così, tra i frivoli racconti che gli sciorinava e le lusinghe
sottili che stava impiegando, la conversazione procedeva brillante e ben presto
l’angolo del bar dov’erano seduti divenne un polo d’attenzione. Molti furono
attratti in quella direzione sia per il colpo d’occhio scenico che per
l’evidente buonumore che i due sprizzavano. Di fatto formavano una coppia
notevole, era un piacere contemplarli, poiché racchiudevano tutto quanto era la
quint’essenza del fascino. Oltre a ciò, la chiacchierata animata che stavano
avendo metteva subito allegria a quanti potevano seguirla, ragion per cui si
trovarono ad essere involontariamente il principale perno attorno al quale
ruotava tutta la gioventù presente. Signorine e giovani uomini si facevano
sempre più dappresso, ché avevano di che rifarsi gli occhi ad osservarli, e ben
presto sulle loro teste presero ad intrecciarsi commenti e proponimenti di ogni
tipo.
Nel frattempo Michiru era alle prese con svariati corteggiatori
i quali, da quando aveva fatto la sua comparsa, non le stavano dando tregua. Chi
esigeva un ballo, chi un appuntamento al chiaro di luna dopo il concerto, un
altro tentava di monopolizzare la sua attenzione con una dotta discussione sui
trovatori francesi, un altro ancora la stava invitando ad un party per il fine
anno. Insomma un vero assedio, la stavano rintronando ed era scocciata da
morire. Sorrideva, annuiva partecipe, ma li trovava mortalmente ordinari,
stereotipati in un modo immensamente fastidioso. Già in altre occasioni, con
estrema lucidità, li aveva classificati come insopportabilmente irritanti, pieni
di boria e dal complimento facile quanto vacuo, ma stasera stavano davvero
passando il segno. La misura era più che colma, quindi fu con molta discrezione
che guardò l’orologio nella speranza che l’ora della sua esibizione fosse
prossima, ma con disappunto constatò che ci sarebbe voluto ancora del tempo. Per
cui si voltò verso quello meno peggio del gruppo e con un’allusione, neanche
tanto sottintesa, alla sete insopportabile che veniva a parlar tanto, si lasciò
condurre verso il bar. Gli altri rimasero indispettiti e delusi a far fronda e,
osservando sottecchi il giovane che la scortava, dovette ammettere tuttavia che
Yo Tanaka era davvero un bel giovane, non molto alto, ma gradevole nell’aspetto
e dai modi da gentiluomo. Inoltre era un rampollo dell’antica nobiltà, proprio
come lei, e questo particolare lo rendeva molto conscio di sé. Non che fosse
arrogante, non più di quanti in quel momento la circondavano, però sapeva di
essere una preda ambita e riteneva che solo una sua pari come Michiru fosse
degna della sua vicinanza. Particolare ulteriore per farle il filo, giacché
oltre a questo, era sinceramente infatuato di lei e si adoperava in modo che
fosse più che palese.
Insomma, ad uno spettatore casuale sarebbero parsi invero una
felice coppia di novelli fidanzati, o prossimi tali. Lui le si rivolgeva
adorante e sollecito cercava di prevenire tutte le sue esigenze e Michiru era
troppo educata per trattarlo con freddo distacco come avrebbe voluto, quindi
parevano molto complici tra loro.
Perciò, avanzando lentamente tra la folla e fermandosi a
scambiare un saluto ora con uno, ora con l’altro dei numerosi amici che entrambi
avevano, Haruka ebbe tutto l’agio di assistere al loro approssimarsi e di
congetturare su quanto scorgeva.
Fino a poco prima, come sempre, stava tenendo banco conversando
un gruppo di divertite signorine, cosa che non aveva mancato di contrariare
alquanto Shanaya, che tuttavia era troppo scaltra per renderlo manifesto, quando
istintivamente aveva avvertito l’impulso irresistibile di voltarsi verso il
centro della grande sala. Dall’alto della sua statura le fu facile spaziare al
di sopra delle numerose persone che l’attorniavano e fu proprio allora che la
vide e con un sussulto la riconobbe. Camuffò la sua eccitazione e stringendo gli
occhi escluse qualsiasi altro particolare dal suo campo visivo, chiudendo fuori
tutto quanto la circondava. Non sentiva più il brusio che si levava dagli
intervenuti, né il cicaleccio costante che si svolgeva a pochi passi da lei,
semplicemente si stava abbeverando a quella visone come se non potesse
colmarsene abbastanza e si sentì sommergere dall’esaltazione.
Anche Michiru la stava osservando attentamente, valutandola
dalla testa ai piedi. Era evidente che non era sicura che fosse lei, ma quando
infine levò lo sguardo e i loro occhi s’incontrarono, allora vide scoccare un
lampo di identificazione in lei. Finalmente si era persuasa, ecco adesso le
stava sorridendo raggiante ed Haruka non poté che ricambiare, cominciando ad
inalberare il suo ghigno storto. Ma quando stava quasi per spingersi in avanti,
allo scopo di andarle incontro, con un tuffo al cuore notò anche il
damerino che procedeva al suo fianco. Chi era quel bellimbusto? Le teneva
confidenzialmente il gomito e lei ci stava discorrendo amabilmente. Proprio
così, non poteva sbagliarsi, aveva sul volto quell’espressione aperta,
ammaliante, che Haruka ben conosceva. Sì, quei due dovevano essere piuttosto
intimi e, vedendo realizzati tutti i presentimenti negativi che aveva avuto
anzitempo, la felicità appena provata fu sostituita da una vampa di rabbia
cocente.
Guarda, guarda come si diverte con quel coglione fatto e
finito! Pensò drizzandosi impettita e raggelandosi all’istante. I caldi
impeti appena nati in lei furono spazzati via fulmineamente e schiumando sdegno
richiamò tutti i suoi istinti di rivalsa raccolta. Istinti che subito si
radunarono nel piazzale d’armi della sua collera, come un esercito pronto a dar
battaglia. Ché la panoramica dell’evidente letizia della violinista le risultava
oltremodo insopportabile, senza contare che quel suo manifesto essere
perfettamente a suo agio nel bel mondo, laddove lei si sentiva un pesce fuor
d’acqua, non faceva che buttare benzina sul fuoco. La faceva sentire una
pivella, non c’era confronto con la navigata Michiru, vero?
Tra loro due ne usciva sempre vincente e pareva non ci fosse
nulla che potesse demolirla. Balle, tutti avevano un punto debole, si trattava
solo d’individuarlo! E il suo latente complesso d’inferiorità, unito alla
vergogna di sapere che stava per esporre i suoi sentimenti, mescolato al
terrificante mostro verde della gelosia che le si era avventato sulla schiena,
creò un mix di sensazioni letali che la misero in una disposizione d’animo
decisamente infame. Haruka stava vedendo rosso e spassionatamente si chiese cosa
potesse fare per renderle la pariglia. A questo punto provvidenziale avvertì la
mano di Shanaya che le si appoggiava di nuovo sull’avambraccio e all’istante si
diede l’ovvia risposta.
Merda per me, merda per tutti, Michi cara! Meditò
vendicativa e, molto deliberatamente, passò un braccio attorno alle spalle della
donna, stringendola con fare possessivo. E quest’ultima, che agognava
dall’inizio del party un gesto simile, quando finalmente sentì la pressione del
braccio di Haruka, si vide servire su un piatto d’argento l’occasione che
attendeva. Pure non era ancora il momento, il suo cavaliere infatti sembrava
distratto da qualcos’altro.
Avanti, vieni da questa parte sgualdrina, ché adesso ti mostro
uno spettacolino assai divertente! L’esortò Haruka incitandola mentalmente,
come se con la sola forza del pensiero potesse spingerla ad apprestarsi.
Contemporaneamente a quest’equivoco mostruoso dall’altra parte
della barricata si stava svolgendo una scena analoga.
Michiru, appunto, era ad una decina di metri dal bancone quando
improvvisamente si blocco allibita, tanto che il suo accompagnatore, che le
teneva cortese il gomito, per poco non perse l’equilibrio rischiando di finire
faccia in avanti. Non gli badò affatto, troppo occupata com’era a decifrare le
emozioni che la stavano catturando. Aveva il batticuore in effetti e si sentì
rimescolare. Impallidendo visibilmente si chiese se non stesse sognando. Poiché,
dritto innanzi a lei c’era uno sconosciuto che a tutta prima, nei modi, nella
voce e nell’aspetto, era la copia esatta di Haruka! Ma non poteva essere, era
una coincidenza beffarda. Doveva essere per forza un caso! Altrimenti voleva
dire che la sorte si stava davvero burlando di lei. Eppure una somiglianza
simile era troppo accidentale, troppo assurda per ritenerla fortuita. Ché se uno
che assomigliava talmente tanto ad Haruka era là, c’era perché voleva esserci. E
se sotto quegli abiti maschili veramente era lei, allora non era solo di
passaggio. Haruka non agiva mai a capriccio, doveva avere uno scopo ben preciso.
Ma come confutare tali teorie? Aguzzò lo sguardo e l’osservò attentissima
registrando, man a mano che s’avvicinava, tutti i particolari di quel dandy
accentratore che si pavoneggiava in mezzo a quel gruppo di femmine leziose.
Durante quello scrupoloso esame ne concluse che poteva darsi,
sì poteva essere lei, ma allo stesso tempo poteva trattarsi d’un errore
clamoroso. Un sosia? Piuttosto un gemello, ché la corporatura corrispondeva, il
colore delle chiome era il medesimo e anche il profilo era il suo. Sebbene i
capelli corti lo rendessero più affilato e persino più bello di quanto ne
serbasse memoria.
Ma non ne era certa, benché quando arrivò a portata di voce,
notò che questa era profonda come quella della quale aveva preziosa
reminiscenza. Quindi scese con lo sguardo a fissare le mani di quella copia
vivente e le ritrovò grandi ed affusolate come ricordava. Quelle mani sembravano
poter stritolare una noce e al contempo reggere gentilmente un fragile
cristallo. In un lampo di memoria rivide mani analoghe che stringevano convulse
il manubrio della bicicletta o prese nell’atto di spostare delicatamente le
squadre sul tecnigrafo... sì erano identiche, perfettamente uguali.
Da ultimo si lasciò la prova risolutiva. Potevano mentire gli
occhi?
Erse il capo e fissò lo sguardo direttamente in quelle iridi
verdi, che in quel momento ancora la eludevano. Ma quando infine il verde
canzonatorio si imbatté nel suo azzurro anelante la verità, Michiru non ebbe più
alcuna remora. Ravvisò nelle pupille di Haruka, era lei, ne era sicura oltre
ogni dubbio ormai, un lampo di riconoscimento e rabbrividendo si lasciò
avvolgere da quel manto smeraldo che per la prima volta la pareva caloroso. E in
quel momento Michiru ebbe l’impressione che non ci fosse nessun’altro in quella
sala gremita. Sorrise raggiante e si sentì inondare dalla gioia quando
dall’altra parte cominciò a fare capolino il primo accenno del collaudato ghigno
che tanto aveva sperato di rivedere. Era lei, quel lampeggiare ironico di denti
l’avrebbe riconosciuto tra mille, quella era Haruka!
Tentò di ricomporsi in qualche modo e di guadagnare velocemente
verso il bancone dei rinfreschi dov’era la bionda. A questo scopo si rivolse
verso il suo accompagnatore e sorridendo mormorò qualcosa per giustificare
quella manifesta defalliance, pensando al contempo al
modo più rapido per toglierselo di torno. Allorché inorridita assisté ad una
scena che non avrebbe mai voluto vedere.
Haruka le stava ancora sorridendo, ma era un sorriso che non le
si specchiava più nelle profondità dello sguardo, anzi, le labbra avevano preso
una piega feroce. Notò altresì che si era irrigidita visibilmente e colse da
ultimo l’occhiata gelida, indecifrabile, che le lanciò. Dopodichè questa arretrò
fino a tornare nella sua posizione originaria, quindi, controllando che la sua
attenzione fosse ancora desta, si sedette accanto ad una ragazza oltremodo
appariscente e con ostentazione se la strinse contro.
Ma che diavolo stava facendo? Che le voleva dimostrare? E
soprattutto, si chiese cominciando ad irritarsi di brutto, poteva esserci di
peggio di quello sfoggio da quattro soldi?
Purtroppo per lei la risposta era affermativa e lo comprese
all’istante quando proprio lì, alla presenza degli invitati tutti, della stampa
e, non ultima, la sua, Haruka tirò ulteriormente a sé la bellona di turno per
baciarla in modo ostentato e molto, molto lascivo!
Ma non si limitò a questo, giacché mentre si premurava di
esibirsi nella sua personalissima variante del bacio alla francese, che era una
sorta di violenza carnale eseguita mediante bocca, mantenne un occhio aperto per
controllare se Michiru stesse ancora assistendo. Ed appurato che era là a
fissarla basita, in ottima compagnia tra l’altro, visto che i più li guardavano
imbarazzati e i cronisti ci stavano andando a nozze, stirò le labbra in un
ghigno diabolicamente compiaciuto. Come se aver mandato contemporaneamente a
puttane le sue chance con la violinista, le raccomandazioni di Hitomi e
probabilmente la sua carriera, fosse un primato di cui andar fiera. E sebbene
avesse appena inanellato un filotto di tutto rispetto, non le sembrò ancora
abbastanza, aspettava solo un pretesto qualsiasi per andare all’attacco e
l’insperato aiuto le venne nientedimeno che dal compito Yo Tanaka. Il quale
notando il visibile disappunto di Michiru subodorò che probabilmente quella
scena equivoca offendeva la sua delicata natura, quindi pensò bene di uscirsene
con un’affermazione che sottolineasse adeguatamente la differenza tra il volgo e
l’aristocrazia.
"Quel tizio è proprio un pagliaccio." Affermò disgustato,
guadagnandosi finalmente uno stralcio dell’attenzione della sua accompagnatrice,
e rincarando vieppiù la dose aggiunse: "Non gli bastava di aver fatto
quell’entrata da ciarlatano, arrivando qui a cavallo dell’onda, ora tenta di
mettersi nuovamente in mostra circuendo una delle ragazze più in vista dell’alta
società!"
"Perché non ti spieghi meglio?" L’invitò Michiru in un sussurro
abbastanza sgarbato, tanto che non sembrava neppure venire da lei. Yo pensò
d’aver capito male, figurarsi se la celeste violinista poteva ringhiare
domande... No, era inconcepibile, doveva aver per forza frainteso.
"Sì carissima, trattasi della solita smania d’apparire dei
nessuno. Chissà come ha avuto il privilegio d’essere invitato, ma siccome come
tutti i maleducati era in ritardo ed ha perso l’attracco, per non lasciarsi
sfuggire l’occasione di partecipare ad un simile evento ha raggiunto la nave su
un windsurf. Non riuscirei ad immaginare nulla di più inappropriato, ma certa
gente non ha la grazia di comprendere quando si è di troppo, benché persino la
sorte abbia tentato di ricacciarli indietro!"
Ah è così allora! Si disse Michiru raggiungendo il culmine
dell’indignazione e della rabbia esasperata. Nientedimeno è stata capace di
compiere una simile impresa al fine di raggiungere quella! Io non c’entro nulla,
anzi sono solo di complemento! E certo, già che c’era mica poteva lasciarsi
sfuggire l’occasione di deridermi un altro po’ ! Come se quello che mi ha fatto
fino ad ora non fosse abbastanza!
"E quella che si sta avvinghiando come se fosse munita di
tentacoli, chi è?" Chiese risentita, senza neppure tentare di celare il
malumore, alludendo a Shanaya la quale effettivamente cingeva Haruka in una
morsa avvolgente, tipo piovra, quasi temesse che una volta sfuggitale non
l’avrebbe più riacchiappata.
"La signorina Yamamay, è piuttosto celebre nell’ambiente in
quanto è una ballerina d’una certa bravura. Recentemente l’ho vista ne Il
lago dei cigni e devo dire che ha una tecnica davvero invidiabile, voglio
dire, tutti sono capaci di fare un pliés, ma lei ha
un’elevazione…"
Avanti imbecille, vieni al dunque! Brontolò tra sé e sé
Michiru mentre quello continuava nel suo sproloquio e quelle due proseguivano ad
pomiciare in una ridicola pantomima della versione pornosoft dei fidanzatini di
Payne.
"… oltre a ciò è la figlia di Takeshi Yamamay, un magnate della
siderurgia che recentemente si è buttato anche nelle competizioni
automobilistiche. Ha un’equipe che corre in Formula 1, Indy e Nasdaq. Insomma
una famiglia in vista, suppongo che quel tanghero stia progettando
un’arrampicata sociale."
E brava Haruka, i miei più sentiti complimenti! Con una sola
mossa sei balzata in sella! Pensare che per mesi mi sono fustigata credendo
erroneamente di averti giudicata male. Un accidenti, sei peggio di quel che
pensavo! Non hai moralità, non ti fermi davanti a nulla!
Tutto stava crollando come un fragile castello di carte, pure
afferrare appieno il recondito scopo della bionda e la sua evidente natura
subdola, non toglieva il fatto che in quel preciso momento il suo impulso
primario era quello di intromettersi tra le due, separarle con la forza e poi
prenderle entrambe ad unghiate!
Stesso dicasi per Haruka, che ai graffi avrebbe preferito una
consistente dose di calci nel sedere, ma tant’è, continuava ad amoreggiare con
Shanaya, nonostante la sua attenzione fosse completamente presa dalla coppia di
fronte a lei. E quando si sentì definire quale cafone ed opportunista da quella
specie di bella statuina pettinato col grasso di balena, deliziata capì d’aver
trovato il bersaglio ideale su quale scaricare tutta la sua ira mal
repressa.
Si slegò dalla morsa di Shanaya e, ingiungendole di andare a
farsi un giro, si diresse spedita verso quel cicisbeo da strapazzo.
Michiru scorse immediatamente il suo approssimarsi e si domandò
che cosa avesse in mente adesso. Voleva proprio spremerle fuori tutto il
suo disappunto? Beh, che si accomodasse pure, era più che pronta a dirgliene di
tutti i colori! Ma Haruka non la degnò di uno sguardo, piuttosto tamburellò
sulla spalla di Yo finché questi non si voltò a contemplarla sorpreso. Colto
alla sprovvista il ragazzo rimase interdetto, ché proprio non s’immaginava quel
che potesse volere da lui quel colosso che incombeva dall’alto.
"Allora bello, chi sarebbe il tanghero e l’arrampicatore
sociale?" S’informò con fare casuale, ché l’atteggiamento intimidatorio se lo
riservava per la prossima passata.
"Mi dia del lei!" Replicò offeso Yo scollandosi di dosso la
mano di Haruka come se fosse un qualcosa di ripugnante. Ci teneva a far bella
figura davanti a Michiru, per cui adottò quell’atteggiamento dignitoso, benché
la voce gli fosse uscita un tantino acuta.
"Senz’altro." Assentì la bionda lasciando che il minaccioso le
si palesasse sul volto e nel comportamento. "Allora, lurido pezzetto di merda
fossile sedimentato nell’ano di un omino stitico, si riferiva a me, quando
parlava di villania e spregiudicatezza?"
"E se anche fosse?" Ebbe il coraggio di chiedere l’altro ignaro
del rischio che stava correndo.
"Ah, nel qual caso capiterebbe che la sua faccia andrebbe
accidentalmente a spaccarsi su i miei pugni!" Affermò valutandolo da sotto in su
e scuotendo il capo rammaricata, come a dire che, constatata la sua pochezza,
quella era l’unica conclusione possibile.
Yo stava per aggiungere dell’altro, ma fu anticipato da
Michiru, la quale intromettendosi con la sua sottile figura, s’incuneò tra loro
immischiandosi in quel velenoso scambio di battute.
"Smettila Haruka, questa non è un’arena e non ci saranno risse
qui. Sebbene tu stia facendo di tutto per provocarne una, comportandoti come una
bestia!" Gl’intimò infuriata fregandosene bellamente di quel che poteva
accadere. Ormai le cautele erano andate tutte al diavolo e non faceva più
progetti sul suo conto.
"Chiudi il becco, ché con te facciamo i conti più tardi!"
Esclamò per nulla impressionata quest’ultima, fulminandola con un’occhiata che
avrebbe incenerito chiunque altro che fosse meno intrepido di Michiru. Ma per
l’appunto questa era spinta da un’animosità irosa che aveva eliminato qualsiasi
freno inibitore. Ad ogni modo Yo si risentì molto del modo screanzato con cui
quel bifolco stava trattando la donna della quale era innamorato e questo lo
rese più ardimentoso di quel che in realtà fosse.
"Ma come si permette di rivolgersi ad un’aristocratica in
questo modo?! Pretendo soddisfazione, subito!"
"Con molto piacere grandissimo stronzo!" Ribatté Haruka pronta
a scaraventarlo contro il primo muro a portata di mano, peccato che Michiru
fosse ancora tra loro.
E al culmine di tutta questa confusione, improvvisamente le
luci si abbassarono e l’occhio del riflettore puntò i tre che, interdetti da
quell’interruzione inaspettata, cessarono momentaneamente le ostilità e per amor
d’apparenza cercarono in blocco di darsi un contegno.
Ma quando la voce del presentatore enunciò gioiosa: "Signore e
signori, amici, sono lieto di annunciarvi che l’ammontare delle donazioni di
quest’anno è di molto superiore a quello del precedente! Inoltre v’invito a fare
un applauso caloroso al signor Tanaka, infatti la busta contente l’offerta
maggiore per aggiudicarsi l’esibizione di madmoiselle Kaiou era sua. Complimenti
signor Tanaka, con la sua generosità aiuterà chi soffre e per una sera la nostra
incantevole artista sarà tutta sua!"
Il fascio di luce si spostò e l’uomo continuò nel suo elenco
rivolgendosi ad altri benefattori.
Ovviamente, riferendosi a Michiru e Yo, quella dello showman
era stata una facezia, che non sottintendeva alcunché di sconcio, ma per Haruka
fu la classica goccia. Si voltò verso i due ed interrogativa chiese: "Ah, allora
è così che si fanno le marchette nelle classi elevate?!"
E di goccia in goccia, come per il principio dei vasi
comunicanti, anche quello della pazienza di Michiru, innanzi a quello che fu il
principe dei commenti sprezzanti, traboccò.
Non solo il comportamento di Haruka era stato immondo fino a
quel momento, ma che pretendesse pure di passare per quella tutta linda e
d‘avere l’ultima parola, era troppo! Per cui Michiru perse il ben
dell’intelletto e furibonda assestò sulla nivea guancia della bionda uno
schiaffone in cui si ravvisava una forza sorprendente. Haruka ci rimase di
stucco, non l’aveva neppure vista partire quella pizza clamorosa, né si sarebbe
mai aspettata che la manina esile della violinista potesse far tanto male. Ma
non ebbe neppure il tempo di soffermarcisi più di tanto, poiché il suo
antagonista l’invitò ad uscire per regolare i conti in sospeso.
Bingo! Adesso gli stacco una gamba e lo picchio con quella!
Pensò ignorando totalmente Michiru e seguendolo all’esterno.
Dal suo canto questa stava per lanciarsi al loro inseguimento.
Ma che intenzioni avevano quei due imbecilli? Volevano fare un combattimento?!
Doveva fermarli accidenti a loro!
Tuttavia non poté stargli alle calcagna perché venne nuovamente
bloccata dal conduttore e dal maledetto riflettore che venne ad illuminarla
intanto che se la stava squagliando alla chetichella.
"Prego madmoiselle Kaiou, ci raggiunga sul palco. Quale punta
di diamante di questa avanguardia artistica, la pregherei d’eseguire una
overture che dia inizio a questo splendido concerto!"
Dannazione! Imprecò Michiru mentre si dirigeva velocemente
verso le quinte e prelevava il violino dal tavolo degli strumenti. Non poteva
rifiutarsi, ma non poteva neppure lasciare che quei due si facessero saltare i
denti. Adesso quei cretini avranno tutto il tempo per pestarsi a dovere
mentre eseguo questa maledetta introduzione!
Emerse dal sipario con un sorriso finto e tirato come un
elastico e con una fretta assolutamente inusuale fece un cenno al direttore
d’orchestra. Quindi, appena l’attacco dei suonatori le diede il là, cominciò a
suonare preoccupandosi di tutta una serie di avvenimenti che nulla avevano a che
spartire con la melodia o il pubblico. E intanto che faceva scorrere le dita
sulle corde, lanciava occhiate ansiose al di là delle vetrate, sperando di
scorgere i duellanti. Presa dall’agitazione la sua esecuzione divenne impellente
e ben presto, quella che avrebbe dovuto essere una musica languida, si trasformò
in qualcosa di molto simile agli stacchetti musicali che facevano da sottofondo
alle comiche mute. Con quell’accompagnamento velocizzato da un momento all’altro
ci si poteva pure aspettare che i convenuti iniziassero a prendersi a torte in
faccia!
E sentendosi la parodia di sé stessa gettò uno sguardo alla
platea.
Quanti la conoscevano come artista ed avevano assistito alle
sue esibizioni precedenti apparivano disorientati, chi invece l’ascoltava per la
prima volta si stava chiedendo che accidenti avesse di così talentuoso per
meritarsi una fama simile. Molti altri invece ridevano, credendo che la sua
fosse una satira.
Michiru terminò quella schifezza d’interpretazione e fatto un
mezzo inchino si eclissò dal palcoscenico correndo a tutta birra verso i ponti
esterni. A metà del corridoio eliminò l’impaccio delle scarpe dai tacchi
spropositati che indossava, slacciandosele e lanciandole verso imprecisata
direzione. Indi continuò a filare tenendo tra le mani solo la custodia del
violino che non aveva avuto l’agio di riporre in un posto sicuro.
Ad ogni modo arrivò appena in tempo. Quei due avevano scelto
come teatro alla contesa lo spazio antistante alla piscina e in quel momento Yo
stava decisamente avendo la peggio. Haruka lo teneva per la collottola e,
agguantatigli le falde della giacca, lo teneva sollevato da terra, avendo cura
di allineare l’altezza della sua faccia alla propria. Ghignava e cosa avesse
intenzione di fare dopo era ancora un mistero, né Michiru ci teneva a saperlo.
Si precipitò in quella direzione e urlandole insulti di tutti i
tipi le si aggrappò al dorso finché questa non mollò il ragazzo, che si abbattè
al suolo tossicchiando. E lì, infatuazione o no, preso da una strizza
reverenziale, batté in ritirata lasciando sola la violinista a vedersela con
quel pazzo scatenato. Chè amore e terrore non erano sentimenti che legavano bene
tra loro.
"Oh, oh Michiru, a quanto pare il tuo paladino s’è cagato
addosso!" Affermò Haruka non paga del risultato. E non solo la stava deridendo
ancora una volta, ma sprizzava pure orgoglio da tutti i pori, come se quel che
avesse combinato fino a quel momento fossero azioni di cui vantarsi. Da parte
sua Michiru a questo punto aveva raggiunto l’ultimo stadio della furia omicida,
per cui, come un’erinni vendicatrice le si avvicinò a passi decisi e quando fu
ad un palmo da lei lasciò fluire tutte le parole covate a lungo.
"Tu sei in assoluto la summa di tutte le sciagure che possano
capitare ad una persona. Non solo sei un essere abbietto, ma te ne esalti pure!
Mi hai tolto la pace, rovinato la vita e persino mandato a monte l’esibizione di
stasera! A causa tua la reputazione che con tanta cura ho costruito è
rovinata!"
"Concordo, sputtanata alla grande." Annuì sarcastica ma con un
campanello d’allarme che le suonava a distesa da qualche parte nella testa. La
voleva piantare sì o no? A quanto pareva no, perché si premurò di aggiungere:
"La prossima volta pensaci prima di farmi incazzare!"
"Ah Haruka, tu non sai nemmeno cos’è un’incazzatura!" Replicò
Michiru mollandole in faccia, sulla medesima guancia della sberla per la
precisione, una pesante sventola con la custodia del violino che tuttora teneva
in mano. Dopodiché approfittò fulminea del fatto che il colpo l’avesse
sbilanciata su di un fianco e rapida le assestò una robusta pedata che la mandò
dritta, dritta nel centro della piscina.
"E ora rinfrescati le idee, hai visto mai che ti calmi!?" Le
gridò dietro mentre quella annaspava nell’acqua. E pregna di soddisfazione
cominciò ad allontanarsi. Ah, finalmente!
Ma arrivata a metà del tavolato, non udendo più i tonfi che
Haruka produceva nell’acqua, tornò sui propri passi. E arrivata in prossimità
della vasca la vide andare a fondo senza che facesse nulla per mantenersi a
galla. Era tutta scena o si trattava del non trascurabile fatto che forse
Haruka, l’atleta incredibile, la regina di tutti gli sport, non sapesse
nuotare?
In effetti, lontana da qualunque bordo a cui potersi
aggrappare, Haruka stava colando a picco. Avrebbe potuto chiamare aiuto, ma non
ne ebbe il tempo e sotto, sotto preferiva crepare in quelle acque tiepide,
piuttosto che invocare il soccorso di Michiru.
Che razza di modo balordo di morire! Ebbe pure la faccia
tosta di pensare mentre affondava, poi perse conoscenza e il buio calò su di
lei.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Parte 21 ***
21
Dannazione…
‘sta annegando sul serio!
Questo fu l’ultimo pensiero razionale di Michiru nel
momento stesso in cui assisteva alla rapida discesa a corpo morto di Haruka
verso l’alveo della piscina, dopodichè non ci fu più spazio per ulteriori
meditazioni, giacché la drammaticità dell’evento la colpì in tutta la sua
dimensione e si trovò ad agire istintivamente.
Ripensandoci in seguito si sarebbe sempre chiesta
dove aveva trovato la prontezza di spirito, e soprattutto la prestanza fisica,
per procedere nel modo adeguato durante quella manciata di secondi cruciali.
Giacché sarebbe stato sufficiente un indugio di troppo a far in modo che finisse
diversamente. Ciò nonostante non era destino che quella sera Haruka ci lasciasse
le penne, sebbene l’iniziale impressione di Michiru fu esattamente quella e
difatti agì di conseguenza.
Tant’è che, vieppiù stimolata dallo spavento, la
ragazza fu piuttosto lesta e con un repentino guizzo si tuffò verso la bionda,
raggiungendola con un paio di ampie bracciate sul fondo dove si stava posando.
Stimò che probabilmente doveva essere priva di conoscenza, visto che aveva
completamente cessato di dibattersi e che involontariamente continuava a
respirare, come se non si rendesse conto d’essere sott'acqua. La qual cosa riduceva pericolosamente la quantità di
ossigeno del quale ancora disponeva. Ergo non c’era tempo da perdere, poiché le
bollicine che emetteva dal naso si stavano visibilmente diradando. Per cui
Michiru l’afferrò per un braccio e veloce le passò il proprio attorno alla vita
per sostenerla, quindi appoggiò i calcagni al fondo, intenzionata a darsi una
spinta supplementare che le consentisse di tornare in superficie. Tentò, ma per
quanti sforzi facesse non le riusciva. Caparbiamente provò di nuovo, ma le servì
solo per rendersi definitivamente conto che erano arenate. Haruka era inerte e
il suo peso si stava facendo consistente, inoltre prima di tuffarsi Michiru non
aveva avuto il tempo, né le era passato per la testa, di fare un minimo di
ventilazione che le consentisse
un’apnea prolungata. Fortunatamente la sua resistenza andava ben oltre quella di
un semplice nuotatore, ma non aveva mai dovuto far i conti con un corpo estraneo
che rendesse tanto impacciati i suoi movimenti in acqua. Pure non aveva nessun
intenzione di mollare la presa, anche se iniziava a sentire un’opprimente
pressione al petto.
Erano circa a due metri di profondità e, così come si
stava mettendo la situazione, ritentare di emergere era impossibile, per cui
prese a nuotare verso la parete più vicina. Aveva poco tempo per considerare se
fosse la scelta giusta oppure no, per cui decise di giocarsi l’unica carta
ancora disponibile. Infatti la piscina era munita nel suo interno di riflettori
che illuminavano la vasca e accanto ad ognuno di questi c’era un bocchettone che
erogava l’aria compressa del depuratore. Questi giunti sporgevano leggermente
con dei rubinetti di plastica e
contava proprio sul precario appiglio che questi potevano darle, unito a quello
delle plafoniere delle luci, per farvi presa e cercare di arrampicarsi fino al bordo.
Quando ci arrivò si diede giusto un attimo per
ghermire con la mano libera quell’accidenti, dopodiché posò un piede sul faretto
e si tese verso la parete. Quindi, raccogliendo nuovamente le energie, si sforzò
di risalire appoggiandocisi e facendo leva su quello. Con una lentezza
straziante prese ad inerpicarsi sul muro scivoloso e, quando finalmente la mano
le affiorò dall’acqua, con esultanza si afferrò all’orlo del bordo della
piscina. Strinse i denti e, senza badare al dolore che avvertiva ai tendini
della spalla, con le residue energie si issò fino a tirarsene fuori, portandosi
appresso Haruka che ormai appariva cianotica. La resse finché non le rimasero
che le gambe in acqua, quindi veloce si gettò fuori dalla vasca e, non appena sentì il pavimento
sotto i piedi, la ghermì per i polsi e la trascinò completamente
all’esterno.
Con raccapriccio constatò subito che non inalava e
fulminea prese ad eseguire gli interventi di soccorso ai quali aveva più volte
assistito fin dalle sue iniziali lezioni di nuoto. Rapidamente le insufflò
l’aria attraverso la bocca e al contempo prese ad farle un vigoroso massaggio per consentirne
l’assorbimento e l’espulsione. Ripeté più volte l’operazione mentre, senza
neppure rendersene conto, tra una pausa e l’altra, le ordinava perentoria di
respirare. Ed era talmente presa dal terrore che non si riprendesse che le
urlava contro come se potesse sentirla, poiché le stava davvero provando tutte
per stimolarne una benché minima reazione. E quando da ultimo l’udì emettere un
flebile rantolo, esultante la voltò su di un fianco in modo da evitare il
rischio d’asfissia. Fu un’azione
provvidenziale, poiché non appena si trovò in quella posizione rovesciata,
Haruka prese a rigurgitare tutta l’acqua che aveva ingollato e questo le
consentì d’iniziare a riaversi. Tant’è che autonomamente si mise carponi
e cominciò a tossire con violenza intanto che espelleva quel carico che le aveva
accluso i polmoni. In quel momento
non aveva affatto cognizione di quanto fosse accaduto, occupata com’era a
buttare fuori il superfluo, ma quando sentì il tocco fermo delle mani di Michiru
che le toglievano la giacca e si voltò a fissarla ad occhi sbarrati, comprese.
“Come ti senti?” Chiese ansiosa quest’ultima mentre
le levava il cravattino e prendeva a sbottonarle la camicia onde facilitarle
l’ossigenazione.
“Come un frullato.” Fu la replica mozzata che la
bionda riuscì a mormorare nell’intervallo tra il forte ansare e qualche residuo
colpo di tosse. E fu propizio che stesse tuttora boccheggiando, giacché in quel
momento ebbe persino la tentazione pazzesca di cantagliene quattro e lamentarsi
per il tiro mancino che le aveva giocato. Ma il doversene giocoforza stare
zitta, la fece rendere conto di quanto appariva atterrita la ragazza e di
conseguenza gliene passò completamente la voglia. Michiru sussultava e chissà fino a che
punto quel tremito era causato dall’aria gelida o dalla reazione postuma a
quant’era accaduto. Doveva essersi presa un bello spavento e, al disopra di
tutto, non doveva essere stata impresa facile tirarla fuori da quel ginepraio.
L’esile struttura della ragazza suggeriva delicatezza, non la vigoria di cui
aveva dato prova. Tuttavia a dispetto di quant’appariva, le aveva appena salvato
la vita.
Haruka strinse le labbra contrita, ché non sapeva
proprio che fare o dire innanzi all’immensità di quel fatto. Aveva un debito di
sangue con lei adesso e non era affatto cosa da poco. Inoltre, come dare inizio
al discorso che avrebbe dovuto farle fin dal principio, alla luce di quanto era
appena accaduto? Ardua impresa, specialmente allorché le sovvenivano le perfidie
che le aveva perpetrato fino a quel momento. Quante volte avrebbe sbagliato
prima d’apprendere la lezione? Perché non riusciva mai ad ingoiare l’orgoglio
per un tempo bastante ad intendere ragioni? Era stata ad un passo dal crepare
a causa della sua ostinazione e,
maledizione alla sua cocciutaggine, era stata lì, lì pure per farci rimanere
secca Michiru!
“Ce la fai ad alzarti?” La voce di quest’ultima
interrupe il suo spiacevole divagare. “Non è il caso che restiamo a prendere
freddo qui fuori, potrebbe venirti un malanno.” Affermò rendendo ancora più acre
il rimorso che la bionda sentiva. Ecco, si stava dando pensiero un’altra volta
esclusivamente per lei! Non pensava affatto quella testa di rapa che con quel
gelo potesse buscarsi lei stessa una bronchite acuta!
E l’esibizione di siffatto altruismo, e perché no?
Affezione, le fece abbassare del tutto la cresta. Al punto che, se avesse
potuto, dalla vergogna, Haruka sarebbe fuggita per andare a nascondersi.
Ma il suo desiderio si rivelò d’impossibile
attuazione poiché Michiru, non avendo avuto alcuna replica, le tese la mano e
l’aiutò a rimettersi in piedi. Non che ce ne fosse bisogno, ce l’avrebbe fatta
benissimo da sola, ma docilmente la lasciò fare. Anche quando questa la cinse
alla vita allo scopo di sorreggerla. Una volta tanto infatti, aveva compreso
all’istante che la ragazza aveva necessità di fare qual gesto e che allo stesso
modo esigeva di toccarla, come se volesse tangibilmente constatare che era lì,
tutta intera e viva. Ma nonostante
l’apparente remissività, non poteva restarsene muta, proprio non riusciva a
tacere, poiché quel silenzio le sembrava colpevole, omettente. Quasi che non
avesse il coraggio di parlare e di confessare tutto quel che le gravava sulla
coscienza. Eppure doveva, non poteva continuare a tenerselo dentro e covarlo,
pena sentirsi ancora più miseranda di quanto le sembrava. Così, mentre
lentamente si avviavano verso un’entrata che le portasse dentro senza dover per
forza passare per il salone centrale, giacché erano entrambe fradice e un
ingresso simile era del tutto fuori luogo, tentò d’imbastire qualcosa di decente
che le consentisse di arrivare al dunque.
“Senti...” Prese a dire
titubante.
“Da questa parte.” L’interruppe Michiru deviando
verso i corridoi interni.
“Dunque io...”
“Penso che la cosa migliore adesso sia quella di
andare a cambiarsi.” La bloccò di nuovo la violinista.
“Insomma quel che intendevo dire...” Ricominciò
daccapo Haruka alla ricerca disperata di un avvio dignitoso, quando Michiru per
l’ennesima volta le impedì di parlare aggiungendo:
“Nella mia cabina dovrei avere il
necessario.”
Ma porco
mondo! Imprecò silenziosamente la bionda, se si
comportava in questo modo come diavolo faceva a scusarsi decentemente? Certo non
poteva inveirle contro di nuovo, ché per quel giorno l’aveva fatto a
sufficienza. Pure doveva trovare un modo, perciò attese l’attimo e, quando
furono nell’ascensore che le stava portando ai ponti superiori, approfittando
del fatto che non c’erano occhi e orecchie indiscrete in giro, si
mosse.
In quel momento Michiru stava proponendole qualcosa
che aveva a che fare con gli abiti di scorta che si era portata appresso, quando
Haruka la prese per le spalle facendo cessare all’istante il suo discorrere su
pratici dettagli. Michiru la guardò sorpresa e anche un po’ intimorita, ma la
bionda non se lo diede per inteso e continuò a tenerla ferma mentre di rimando
la fissava con veemenza. Indi tirò un profondo respiro, come a darsi uno stimolo
che le consentisse di andare fino in fondo, e cominciò:
“Innanzitutto voglio scusarmi con te per come mi sono
comportata fino ad ora. Mi rendo conto di aver avuto un atteggiamento ributtante
e non sai quanto me ne dispiace. Lo so che queste potranno sembrarti lacrime di
coccodrillo, ma sul serio, se puoi, cerca di perdonarmi. Non so proprio che
diavolo mi sia pigliato, accidenti a me!”
Michiru fece per parlare ma Haruka scosse la testa,
come a farle intendere che era ben lontana dall’aver terminato. Fece una pausa,
ché aveva bisogno di una piccola sospensione che le desse modo di trovare il
fegato di mettersi a nudo in quel modo, come in nessuna occasione prima d’ora
aveva fatto, e andò avanti.
“Se si trattasse solo di questo avrei persino la
sfrontatezza di suggerire che le sventole che mi hai tirato sarebbero bastanti a
pareggiare i conti. A proposito, bel gancio destro, complimenti.” Esclamò
provando ad abbozzare il suo solito sogghigno, tentativo che fallì miseramente.
Tanto che Michiru, la quale stava
per replicare con un commento salace che auspicava potesse alleggerire
l’atmosfera, ci rinunciò immediatamente. Si era accorta infatti che una volta
tanto il ghigno di Haruka non era il consueto. Non c’era punta dell’abituale
sarcasmo, anzi appariva triste, quasi abbattuto, ed era una novità tale che non
seppe come comportarsi. Voleva dirle qualcosa, una cosa qualsiasi che attenuasse
quel mea culpa con quale si stava volontariamente mortificando, ma la bionda
ancora una volta le fece cenno di tacere e proseguì.
“Ma per quadrare le somme purtroppo non sarebbero
sufficienti tutte le randellate di questo mondo. Tuttavia credimi quando ti dico
che non avevo assolutamente idea di quel che ti avrei arrecato quando ho
lasciato la scuola di soppiatto. Certo avevo una vaga idea della tua emotività,
tanto quanto può figurarsela una troglodita stolida quale sono, ma a dispetto di
ciò, pensavo che ti saresti facilmente lasciata alle spalle tutta questa storia.
Esattamente com’io stavo facendo, benché la tua sensibilità non avesse nulla a
che fare con la mia. Paragonata a te in effetti non ne esco tanto bene... ma che
cavolo sto dicendo?! Comparata a chiunque, ho lo stesso garbo d’un
mulo!”
Haruka si fermò nuovamente sopraffatta com’era dalle
sue stesse emozioni. Si scostò i capelli che le erano piovuti sugli occhi e
compì tutta una serie di gesti che denotavano il suo crescente nervosismo e che
contemporaneamente le servivano per cercare di guadagnare tempo. Era alla
ricerca delle parole adatte in effetti e voleva che queste venissero fuori nel
modo giusto. Il che significava dover essere spontanea, fino in fondo. Ne
sarebbe stata capace? L’ignorava, ma tentò di attenuare lo sguardo stravolto col
quale stava fissando Michiru e
quando riprese a parlare il suo tono appariva più sommesso, quasi
spossato.
“Insomma Michiru, il mio, oltre ad essere il
ragionamento di un’autentica idiota, ti da’ la misura approssimativa della mia
presunzione. Poiché ancora una volta stavo valutando i tuoi sentimenti secondo
un criterio opinabile. E se non è questo un indice di quanto possa essere
dannatamente superficiale la mia capacità di comprensione, allora non lo so
quale potrebbe essere! E fidati, non sto cercando giustificazioni, so
perfettamente di non averne.
Vuoi un altro magnifico esempio? Eccotelo: ti
confesso anche d’aver pensato che in fin dei conti nulla ci accomunava e che una
bugia in più o in meno non facesse molta differenza.
Cos’ero io per te? Chi eri tu per me? Due estranee
che per combinazione si erano incrociate,
all’atto pratico due sconosciute, quindi più di tanto non ti
dovevo.
Ma poi, vedi a volte com’è beffardo il caso? Ero così
presa dalle mie azioni da non rendermi conto a tutta prima di quel che era
palese sia per quel che ti riguardava, che per quanto mi concerneva. Detto in
breve, ho avuto bisogno di schizzare all’altro lato del pianeta per ammettere
infine che il mio agire era una lama a doppio taglio e che stava colpendomi
esattamente nella stessa misura in cui stava ferendo te. Oddio, questo l’ho
saputo soltanto poi e dalla bocca di Setsuna, ad essere onesta. Ma avrei dovuto
concepirlo da sola. Invece ho tirato dritto fregandomene e, tanto ho iniziato ad
attribuirvi importanza, quando la tua mancanza è diventata intollerabile. Bel
comportamento del cazzo! Il comprendonio ha iniziato a funzionarmi solo quando
mi sono trovata in un vicolo cieco.
La mia stupidità è stata monumentale, per questo, cerca di capire ti prego. Abbi
indulgenza, sebbene non ne meriti.
Servirebbe a qualcosa dirti che alla fine ho capito i
miei sbagli? Ti aiuterebbe se ammettessi oggettivamente che non li ho compresi
del tutto, ma almeno una parte?
Vorrei che così potesse essere, ma sappi anche che se
stasera sono venuta qui è stato unicamente perché volevo mettertene a parte,
implorando allo stesso tempo il tuo perdono. Proprio come sto facendo adesso.
Potresti rispondermi che avrei dovuto darmi una mossa prima, invece di combinare
un disastro dopo l’altro... e avresti ragione. Sacrosantamente ragione. Sai
cosa? Detto tra noi forse sarebbe stato meglio se mi avessi lasciata in ammollo.
Già, molto meglio.”
Haruka tacque ed abbassò le braccia allentando la
presa. Ora che aveva vuotato il sacco poteva lasciarla andare, così come allo
stesso tempo poteva sciogliere la tensione che l’aveva stretta. Per di più
quelle dichiarazioni l’avevano svuotata, giacché per la prima volta in vita sua si era
messa inerme nelle mani di un’altra persona. Del resto se era arrivata a questo
stadio non aveva altri a cui darne la colpa se non sé stessa. Consapevolezza che comunque
non le dava abbastanza forza per
guardare la ragazza che le stava di fronte, dato che aveva paura di un rifiuto
ed allo stesso tempo ne temeva la parziale assoluzione. Michiru adesso deteneva
un potere immenso su di lei e chissà se ne era del tutto conscia. Ma in fin dei
conti che importava? Ché innanzi a questa inammissibile verità sotto, sotto
sentiva di non poterla biasimare se putacaso se ne fosse servita quale arma di
rivalsa. Sapeva di meritarselo e se fosse stata al suo posto, sinceramente,
non avrebbe esitato a farne uso in
un caso o nell’altro. Poiché nell’ipotesi in cui Michiru l’avesse scacciata, il risultato sarebbe equivalso a lasciarla nel
baratro delle proprie ossessioni; per contro, perdonarla poteva anche voler dire
che la violinista avrebbe potuto giocare con i suoi sentimenti al fine di
attuare una lunga e perpetrata vendetta. Sì, se intendeva fargliele scontare per
intero ne aveva l’opportunità. Quindi cosa avrebbe scelto tra le due? E
soprattutto perché non le riusciva affatto di supporre una soluzione che non
c’entrasse nulla con la rappresaglia e l’espiazione? Il rimorso era troppo
grande? Forse, probabilmente era questo il motivo.
Ed alla luce di ciò Haruka infine si risolse a
innalzare il capo ed ebbe modo di stupirsi ancora una volta dell’imprevedibilità
della violinista, ché Michiru la stava fissando a braccia conserte e con un
cipiglio di disapprovazione evidente. Stava per darle il benservito?
“Sai Haruka, te la canti e te la suoni con
un’autonomia invidiabile.” Fece Michiru inclinando la testa a guardarla con un
piglio carico di parole non dette. Allusioni che la bionda non colse, altrimenti
non l’avrebbe confuso per un commiato.
Ma Haruka era troppo agitata in quel momento, per cui Michiru si persuase
che aveva bisogno di argomenti più convincenti. Con molta lentezza slegò le
braccia dal viluppo in cui le teneva e inaspettatamente lasciò partire la mano
verso l’alto, finché questa non si
abbatté sul volto della ragazza più alta.
“Questo è
per essertene andata come un ladruncolo nella notte.” Spiegò sorniona, lasciando
scorgere però un sorrisetto d’intesa. Dopodiché, ripartì all’attacco e dandole
l’ennesimo manrovescio, aggiunse: “Questo invece è per non aver avuto
fiducia in me al punto da dirmene il motivo.”
Dopodichè con due passi le si avvicinò e le prese il
mento tra indice e pollice
voltandole il capo fino a quando non poté osservare adeguatamente il
risultato della sua opera. Al che inarcò un sopracciglio e ghignò producendosi
in un’imitazione pressoché perfetta della bionda.
“Bene, direi che dovresti metterci un po’ di
ghiaccio. In effetti è gonfio da far paura.”
“Ouch,
ti spiacerebbe cambiare lato la prossima volta?” Chiese Haruka
massaggiandosi pensierosa la
mascella ed evitando recriminazioni di sorta.
Il ghigno di Michiru si allargò vieppiù, intuiva
infatti che stavolta la sua interlocutrice avrebbe potuto benissimo evitare
entrambi i ceffoni e le piaceva
pensare che non l’avesse fatto perché sapeva di esserseli guadagnati in pieno.
Oltre a ciò, considerati quelli che normalmente erano i suoi processi mentali,
probabilmente Haruka si era fatta colpire come a darle una sorta di risarcimento
morale. Michiru malgrado tutto ridacchiò, ché in quel momento aveva
l’irripetibile occasione di
suonargliele per tutto il tempo durante il quale ne avesse avuto l’estro.
“D’accordo Haruka, per adesso è abbastanza.” Dichiarò
alla fine tornando neutrale. Le porte dell’elevatore si aprirono ma non
si mossero di lì. “Quanto al resto, non è il momento né il luogo per sviscerare
le ragioni del tuo agire. Voglio sperare però che più tardi ne avremo
l’occasione.”
“Non chiederei di meglio.” Replicò questa celando la
sorpresa. Michiru stava ridendo! Sottotraccia, ma stava ridendo... Certo che,
stando a quel che le aveva raccontato Setsuna, il suo comportamento si stava
rivelando molto più distaccato di quanto si sarebbe potuta immaginare. Niente
urla, scene isteriche o pianti a dirotto. Se li era aspettati? Anzi, per essere
più precisa, aveva sperato in una dimostrazione così
plateale?
Forse sì, poiché nel qual caso avrebbe saputo come
comportarsi. Stesso non poteva dirsi di questa lieve ironia con la quale la
stava confondendo.
Ma possibile che avesse sempre da recriminare? Non
era sufficiente che pareva volesse darle un’altra possibilità? Fattelo bastare imbecille! S’ingiunse perentoria, quindi, visto che
l’altra non proferiva parola, uscì dal vano dell’ascensore e si avviò verso
ignota direzione. Stava quasi per chiederle da che parte dovesse andare, quando
improvvisamente si sentì afferrare e stringere da tergo. In questo modo si trovò
circondata dalle braccia dell’altra, la quale cingendola stretta, le premeva il
volto nella schiena, tanto che quando infine parlò, la voce le venne fuori
soffocata, appena udibile. E non stava schernendola stavolta, Michiru in quel
momento era serissima.
“Non farlo mai più.” Disse infine dopo un prolungato
silenzio, sottolineando le sue parole con una stretta supplementare che aumentò
la pressione con la quale la teneva. “Non azzardarti a scomparire di nuovo in
quel modo. E’ solo questo che ti chiedo. Ti perdono Haruka, ma non
riprovarci.”
E quest’ultima, che si era sempre ritenuta un’abile
retore, una maestra della dialettica affabulatrice, una che con la retorica
poteva sottrarsi a qualsiasi situazione spinosa, posta innanzi a quest’impegno
che sentiva gravoso, opprimente per la sua indole libertaria, riuscì solo ad annuire impercettibilmente.
Poiché aveva il men che vago sospetto che, qualora avesse aperto bocca, le
parole le sarebbero uscite balbettanti, incerte, dato che un’isospettabile insicurezza le stava facendo tremare le gambe.
Michiru immaginava la valenza di quanto le stava chiedendo? Forse no, in fondo
non le aveva mai parlato del senso di soffocamento che provava innanzi a
qualsiasi prospettiva di un legame profondo e duraturo. Per contro aveva già sperimentato
cosa si provava nell’allontanarla
da sé, l’aveva verificato sulla sua stessa pelle e ormai sapeva di trovarsi tra
due fuochi. Doveva scegliere, ma non l’aveva già fatto? Altrimenti perché si
sarebbe scapicollata al fine di arrivare qui?
Ho paura.
Riconobbe frastornata.
Era assurdo, eppure innegabile, la sua non era altro
che paura. Terrore d’essere dominata, timore di esporsi troppo, il raccapriccio
di chi sa quanto siano illusorie le relazioni affettive e che teme l’inevitabile
contraccolpo quando queste infine esauriscono la loro parabola. E dire che si
era sempre pensata come una profetessa del Carpe Diem e che in virtù di ciò, aveva colto senza
eccezione quel che l’oggi le offriva, senza star troppo a complicarsi la vita.
Ma chi mai come Michiru era
riuscita a colpirla così nel profondo?
Nessun’altro. Ammise
lasciandosi sfuggire un sospiro rassegnato.
Eh sì, tutto giusto, ma proprio per questo aveva più
che fondati motivi per esserne preoccupata, poiché tutto ciò era pericoloso e
alla lunga sarebbe diventato sempre peggio.
Troppe erano le variabili incognite per non lasciarsi
prendere dall’apprensione… E se si fosse fatta fagocitare dai sentimenti fino a
non poterne più fare a meno, che avrebbe fatto quando anche Michiru, come tutte
le persone importanti della sua vita, l’avesse abbandonata? Poteva risultare la
batosta fatale, una prospettiva tutt’altro che allettante. D’altro canto, non
poteva pretendere neppure la botte piena e la moglie ubriaca, e considerato che
senza non viveva bene e accanto poteva esserle fatale, l’unica
soluzione possibile era accoglierla presso di sé, ma corazzarsi allo scopo di
non esserne travolta.
Un piano questo che considerava risolutivo, benché
facesse acqua da tutte le parti. Infatti Haruka, stoltamente si stava
convincendo e prevedeva di riuscire
a controllare con facilità la
natura remissiva di Michiru. Un’assurda convinzione di cui spesso in seguito si
sarebbe tristemente rammaricata.
Tuttalpiù le difficoltà le ipotizzava esclusivamente
nell’imbrigliare la propria aggressività caratteriale ed emozionale, ché poteva
succedere di tutto e le sue azioni ad altro non sarebbero servite che ad
aumentare vieppiù i casini che già erano avvenuti. Ma doveva tentare comunque,
altrimenti non aveva senso essere ritornata prepotentemente a lei. Era
imperativo provare e ancor di più riuscire.
Meglio
padrona all’inferno, che serva in paradiso! Si decise infine accantonando di getto tutte le
considerazioni. La voleva accanto, punto. Non c’era altro da stare a
cincischiare. E qualora fossero sorte delle complicazioni di varia natura,
emotiva o addirittura sessuali, giacché fin dal primo momento era stata
consapevole di essere attratta da lei, beh, allora avrebbe trovato una via
d’uscita.
Carpe Diem
Haruka, il destino è in grembo alle stelle e non sai che può succedere domani…
magari potresti addirittura scoprire che non te ne frega un cazzo! S’ingiunse chiudendo irrevocabilmente le porte ai se
e i ma.
Così fu che la sua figura d’un tratto sembrò come
ammorbidirsi, benché dentro di sé stesse facendo un considerevole sforzo di
volontà per giungere a dominare il
tremito che la stava scuotendo. Piegò il capo fino a riuscire a gettare
un’occhiata a Michiru al di sopra della spalla, cosa che le servì solo per
rendersi conto che la ragazza più piccola teneva ancora la faccia affondata tra
le sue scapole, pose gentilmente una mano su quelle intrecciate sul suo addome e
infine parlò.
“Hai la mia parola.” Promise solenne e subito si
stupì perché, nonostante tutte le sue angosce, non avvertiva le braccia che la
circondavano come delle ponderose catene che metaforicamente sembrava potessero
tenerla inchiodata al suolo. Ché in tutte le occasioni che avevano preceduto
questa, se le era sentite pesare addosso come dei macigni. Eppure adesso, vuoi a
causa della stranezza della situazione o per via dell’intensità della quale era
permeata, davvero non avrebbe saputo dire, per la primissima volta in vita sua
la vicinanza estrema con un altro essere umano non stava opprimendola e non
provava alcun bisogno di scappare.
Ad ogni modo, per quanto quel mutuo contatto la
stesse sbalordendo e appagando in tutte le sue complesse e molteplici chiavi di
lettura, non potevano restare ancora in quella posizione di stallo. Quindi
delicatamente si sciolse da quell’abbraccio e si girò a guardare la violinista.
“Ora, che ne dici se ci sbrigassimo in fretta qui,
per poi sederci davanti ad un bel punch caldo e sviscerare con calma tutta la
faccenda?” Chiese mentre quest’ultima la fissava con un tal sguardo d’adorazione
che Haruka si sentì di nuovo tremare. Era bastato un minimo di garbo da parte
sue e già Michiru aveva deposto tutte le armi. La bionda deglutì d’un tratto
nuovamente esitante, ma stavolta non per sé, piuttosto per l’altra. Perché
comprese nuovamente, e appieno stavolta, che tra le mani aveva la rischiosa
prerogativa di farle facilmente del male. Egoisticamente fin’ora aveva pensato
solo ai suoi sentimenti, ma l’onere di quel peso ora pretendeva dazio. Aveva
giurato, le aveva fatto una promessa e sperò con tutto il cuore di riuscire a
mantenerla.
Perciò la cosa più urgente da fare a fronte di quanto
sopra, era di riportare quanto prima i loro rapporti su una base normale. Ché
tutto quel melodramma era imprudente da gestire e la ragazza dai capelli
d’acquamarina era già di suo un po’ troppo portata a cavalcare l’onda della
spinta emotiva.
“Direi che sarebbe un’ottima idea, ho dei vestiti di
ricambio, ma tu?” Replicò Michiru, non del tutto ignara di quel che si stava
agitando dietro a quelle lucenti iridi verdi. Inconsciamente percepiva un
cambiamento nell’altra e con acume squisitamente femminile si predispose ad
agevolarle il cammino. Non poteva discernere con precisione su quali fossero le
valutazioni che la stavano agitando, ma era più che evidente che Haruka avrebbe
avuto bisogno di tempo, oltre che una dosa sconfinata di pazienza da parte sua,
per venirne a capo. Tant’è che non calcò più la mano sull’intensità, bensì fece
in modo da alleggerire ulteriormente il pathos tra loro.
E fu ridacchiando che additò lo smoking completamente
zuppo e le ciocche dorate che si erano stizzite ed elevate in una cresta che
definì molto trendy, e che le fecero venire la prepotente voglia di lisciarle
tra le mani. Tuttavia si trattenne, memore dell’ideologia di un passo alla
volta.
“C’è poco da fare per quanto mi riguarda, vorrà dire
che ascolterò la tua esibizione attraverso la filodiffusione. Non posso mica
presentarmi a quegli alti papaveri come un pezzente!” Scherzò prontamente, grata
del fatto che Michiru pareva non aver notato quel repentino cambio di
registro.
“Potresti definirla Arte Povera Haruka, proprio come per
l’arredamento. Personalmente, visto che ignoro del tutto dove siano finite le
mie decoltè, giustificherò in
questo modo il fatto che salirò sul palcoscenico scalza.” Fece canzonatoria
mostrandole i suoi piedi nudi.
“A prescindere che parecchie star ne fanno un vanto
d’esibire le estremità in bella vista e che le tue sarebbero anche carine da
vedere, ad ogni modo oserei dire che questo è un problema di facile
risoluzione.”
“Sono tutta orecchi!” La sfotté nuovamente
assaporando inebriata la sconosciuta sensazione di rivolgersi a lei senza
soggezione e con sfrontato umorismo. Perché se da un lato agiva con estrema
circospezione, dall’altro non stava più a chiedersi cos’era il caso e cosa no,
perché finalmente poteva dare sfogo a tutta l’euforia che fin qui aveva
represso. Poiché dopo l’attesa spasmodica del suo ritorno, sospensione
accresciuta ulteriormente dalle sue ansie, Haruka era nuovamente innanzi a lei e
da questo momento in poi si sarebbe presa tutte le confidenze che voleva,
esattamente nel momento in cui lo desiderava, ché non voleva sprecare altro
tempo in vaghi tentennamenti.
“Che ne diresti di un paio di Manolo, argento, tacco
alto e fibbia al polpaccio?” La stuzzicò Haruka facendole l’occhiolino e, senza
aspettarne la reazione, si incamminò verso le cabine di destra.
“Che con l’altro abito che ho portato ci starebbero
d’incanto.” Sorpresa da quella proposta Michiru la seguì silenziosamente, ma
dopo qualche istante con un guizzo subitaneo cambiò espressione e con voce
sdegnata aggiunse: “Ma se simili meraviglie sono destinate o, peggio
ancora, appartengono a quella
gattamorta, allora te lo puoi scordare che le indossi.”
“Se ti stai riferendo alla mia accompagnatrice puoi
sotterrare l’ascia da guerra Kaiou.” Fece la bionda ghignando sotto i baffi, per
poi volgersi a guardarla, quindi prese a camminare all’indietro, in modo da
continuare quella conversazione vis a vis. Effettivamente la cosa si stava
facendo divertente e, esibendo la solita sicumera, si spiegò. “Comunque non
stavo rifilandoti un usato sicuro, non sono sue. E tengo a sottolineare che il
fatto che siano in mio possesso non debba per forza comportare che fossero un presente per lei. Inoltre, ad
occhio e croce, non mi pare proprio che lo stile vi accomuni, anche se sospetto
che entrambe abbiate una certa propensione ad essere delle Fashion
Victims!”
“Molto interessante, è carino che tu abbia notato che
personalmente non m’abbiglio come una donnaccia.” Michiru le fece un sorrisetto
pungente che poco celava l’istintiva antipatia che subitanea aveva provato non
appena aveva scorto Shanaya, per non menzionare quel che le si era agitato in
petto allorché lei ed Haruka ci avevano dato dentro in quel modo.
Fatto sta che a quest’ultima questa gelosia latente e
nient’affatto nascosta, nonostante tutti i suoi buoni propositi, diede un
brivido di sottile piacere, poiché oltre a gratificare il suo straripante
narcisismo, era un chiaro indice di
quanto potesse essere possessivo l’affetto di quell’apparentemente diafana
creatura. Ma fu un attimo, perché subito la cassò dalla testa, in quanto non
intendeva lasciarsi prendere da simili lusinghe, trattandosi di
Michiru.
“Ma questo non spiega com’è che ti porti appresso un
paio di scarpe simili. Non vorrai farmi credere che sono tue?!” Adesso era il
suo turno di farsi quattro risate, poiché immaginare che la bionda sotto il
severo abito da sera, portasse delle calzature simili, era quanto mai grottesco.
Eppure dietro all’ilarità stava facendosi strada una speranza che trovava
decisamente velleitaria, ma che proprio non voleva saperne di scemare. Hai visto
mai che potessero essere realmente
un regalo per lei? Nulla lo faceva supporre e Haruka non le sembrava
assolutamente il tipo da fare un gesto simile, pure, da come le rispose
glissando, non fece altro che far aumentare vieppiù quel accattivante
sospetto.
“Newyorchese purosangue e fiera di esserlo lo sono
Michiru, ma non per questo devo
agghindarmi per forza come una protagonista di Sex and the City. E poi mi pare che qui
tu voglia troppo addentrarti nel merito della questione. Che ti frega da dove
vengono e dove sarebbero dovute andare? Sono tue adesso, se le vuoi. Altrimenti
dopo le feste vado a cambiarle con un bel paio d’anfibi.”
“Grandiosa arrampicata sugli specchi Tenou, è chiaro
che il tuo Manolo sia più quello del free climbing che non lo stilista di grido
che è. Ma non agitarti, anche
perché non capisco il motivo di tanto imbarazzo. Che male ci sarebbe a dire
chiaro e tondo che erano una strenna per me? E guarda che avrei apprezzato, eh?
Peccato che non possa esprimerti tutta la mia gratitudine, visto che non lo
ammetteresti neppure sotto tortura.”
“Che palle! Non farla tanto lunga, le vuoi o
no?”
“Claro che
sì!”
“Bene. Io sono arrivata, questa è la mia suite, se
vuoi scusarmi un attimo te le prendo, così puoi portartele di là e completare la
tua mise.”
“Fai con comodo Haruka, a questo punto penso che la
cosa migliore sia ottimizzare. Ci vorrebbero almeno venti minuti per asciugarmi,
rivestirmi e sistemarmi i capelli da sola. Ma se mi dai una mano posso farcela.
Ora vado a prendere le mie cose, tu nel frattempo togliti quella roba fradicia
di dosso e aspettami.”
E senza darle neppure il tempo di ribattere, Michiru
infilò la porta e la lasciò con un palmo di naso. Ma ebbe appena l’agio di
denudarsi e infilarsi in un accappatoio, intanto che veniva travolta da tutta
una serie di visioni allusive concernenti gli scenari che potevano verificarsi
qualora avesse lasciato briglia libera alle sue spinte passionali , che la
ragazza fu di ritorno ed Haruka poté solo pregare che non accadesse nulla di
quanto aveva appena evocato. La salvò la sua completa ignoranza sui complicati
processi di vestizione delle donne in generale e la totale inabilità nel
decifrare i vari oggetti della cosmesi in particolare. Infatti mentre l’altra si
spogliava, volutamente si trovò ad andare alla ricerca del phon, ché guarda un
po’, era proprio sotto al suo naso, e, intanto che Michiru era solo coperta da
un asciugamano e le mostrava la voluttuosa curva del collo e della schiena,
prese ad asciugarle i capelli passandole a casaccio dal beauty case che aveva recato con sé,
quel che man a mano le veniva chiesto e che puntualmente sbagliava, beccandosi
finanche le sue canzonature. Millantò persino di non ricordare dove avesse
posato le Manolo, così mentre quella si rivestiva, ebbe un’altra ottima scusa
per mostrarsi impegnata in altre occupazioni che non fossero star lì a fissarla
con mezzo metro di lingua da fuori.
E quando finalmente Haruka sentì i frusci dell’abito che veniva infilato, venne
presa da un tale sollievo che si sarebbe messa a ballare per la contentezza.
“Allora come sto?” Chiese Michiru aggiustandosi i
capelli e parandosi di fronte a lei in attesa.
La bionda la squadrò da capo a piedi e fece un
sonoro, quanto esplicativo, fischio d’apprezzamento. Effettivamente era un vero
e proprio schianto, peccato davvero che non potesse vederla mentre s’esibiva,
sarebbe stato senz’altro un momento memorabile.
“Li stenderai, garantito. E non che stessi male
prima, ci mancherebbe, ma eri troppo rigida per i miei gusti. Adesso invece, mm,
non so come dire, è come se questo vestito ti rendesse diversa. Ecco, sarà il
colore o qualcosa d’altro che non saprei completamente definire, ma c’è qualcosa che con l’altro di sicuro
mancava.”
“Grazie.” Disse Michiru garbata e non aggiunse altro,
benché un sorrisetto sibillino le aleggiasse sulle labbra mentre prendeva la via
della porta. Haruka la seguì sull’uscio per augurarle in bocca a lupo, ma non ne
fu in grado poiché, improvvisamente la ragazza tornò sui suoi passi e le si
fermò innanzi.
“Non è il colore e neppure il taglio, stupida. La
differenza è che adesso sono felice!” Affermò, dopodichè le piantò un
inaspettato bacio su di una guancia e allegramente si allontanò, lasciando la
sua interlocutrice con tanto di bocca spalancata dallo stupore, ché quella
innocente effusione l’aveva turbata assai di più di quanto avesse potuto
supporre. Ma i colpi di scena per Haruka non erano destinati a finire qui, era
solo l’inizio della sua nottata movimentata.
Effettivamente Shanaya la stava cercando da un bel
pezzo quando casualmente, transitando nelle paratie di poppa, la ritrovò e la
vide fermarsi in compagnia di Michiru accanto agli alloggi. Stava quasi per
chiamarla, ma la presenza dell’altra la trattenne, poiché stava maturando dentro
di sé il medesimo processo d’avversione che la violinista aveva già portato a
compimento. In ogni caso non mancò di stupirsi allorché notò lo stato in cui
versava il suo accompagnatore e, nel tempo in cui ne ricercava una causa
qualsiasi, la sua meraviglia aumentò ancora di più, poiché dopo pochi minuti la
stessa ragazza di prima s’infilò nel medesimo locale nel quale Haruka aveva
riparato. E, restando nascosta dietro l’angolo, l’attesa di Shanaya divenne
quantomai furibonda quando infine, dopo un tempo non molto prolungato, ma
considerevole per quanto stava subodorando, Michiru ne uscì. E il constatare che
sia l’acconciatura che l’abbigliamento della ragazza erano completamente
diversi, non fece che rafforzare i suoi sospetti, creando un clamoroso
fraintendimento. Inoltre Michiru appariva completamente beata, compiaciuta e, se
ancora le restava qualche dubbio sull’attività che i due avevano intrapreso in
quel lasso di tempo, questo venne immediatamente spazzato via dal riscontro che
Haruka era in desabbillè e che la
tipa aveva preso commiato non prima di averle donato un ultimo bacio.
In sostanza, ne concluse, stava assistendo alle
battute finali di un amplesso fortuito e chiaramente soddisfacente per ambedue e
questo in fretta la mutò in una furia. Repentina si portò all’ingresso e con
malagrazia bussò, spalancando l’uscio allorché una stupita Haruka le
aprì.
“Ma che diavolo…” Strepitò davanti a quel
comportamento irruente, poi, resasi conto di chi si trattasse, subito ebbe cura
di stringersi addosso l’esigua stoffa di spugna che la
copriva.
“Considerato che è il nostro primo appuntamento non
vanto pretese su quanto hai appena fatto.” Cominciò Shanaya badando bene a
controllare la foga che la stava animando, immaginava infatti che farne mostra
non avrebbe fatto altro che allontanare Haruka da lei e questa era l’ultima cosa
che voleva. “Ritengo però che sollazzarti con un’altra mentre io t’aspetto
dabbasso sia comunque un comportamento cafone!”
“Sollazzarmi?! Aspetta un minuto Shanaya, non
crederai mica che … andiamo, non dirmi che dici sul serio?!” Spiccicò
decisamente frastornata davanti a quel precipitare
d’eventi.
“Certamente.” Annuì quest’ultima chiudendo con un
calcio la porta e facendosi avanti decisa. “Tanto che spero proprio non ti
rifiuterai di dare a me quanto hai appena dato a lei!”
“Che cosa?!” Haruka completamente interdetta
inizialmente non capì quanto stava andando a succedere, però, non appena un
barlume di lucidità le sovvenne, con calma più che altro ostentata, iniziò ad
indietreggiare in cerca di una qualsiasi via di scampo. Paradossalmente i più
foschi presentimenti di Hitomi stavano rapidamente diventando una concreta e
sciagurata realtà. Ma in breve si ritrovò spalle al muro e intanto Shanaya
conquistava terreno inesorabile, avanzando con fare alquanto
inverecondo.
“Hai capito benissimo, benché ti ostini a fare il
santerellino.” Affermò la ragazza che ormai le era arrivata dappresso e che,
piantandole le mani attorno al collo, si stava protendendo verso la sua bocca.
Al che Haruka con un salto improvviso si divincolò e, balzando sul letto, si
portò sull’altra sponda, sperando di raffreddare in qualche modo gli entusiasmi
dell’altra e, in tutta onestà, i
propri.
“Shanaya! Tuo padre… io… ci siamo appena conosciuti…
insomma, non si può!” Dichiarò in successione cercando di guadagnare tempo, ma
Shanaya sapeva quel che voleva e come ottenerlo, tant’è che con un’isospettabile
velocità la raggiunse e, quando Haruka fece nuovamente la mossa di liberarsi, la
ghermì per una falda dell’accappatoio. Haruka si contorse onde sfuggire a quella
ferrea presa, ma Shanaya ben lungi dal mollarla, tenne duro e la spinta
centrifuga dei due movimenti combinati portò all’inevitabile. L’ultimo strattone
fu quello decisivo e l’indumento cadde, lasciando la bionda senza veli ed
esposta agli sguardi dell’ultima persona che avrebbe
voluto.
“Merda!” Esclamò sopraffatta senza neppure tentare di
coprirsi, tanto ormai la frittata era fatta e non c’era modo d’uscirne. Shanaya
la stava fissando stralunata e dire che era frastornata non avrebbe reso l’idea,
in quanto gli occhi parevano stare per uscirle dalle orbite tanto era lo
stupore. Haruka si lasciò cadere
sul bordo del letto vinta, ecco c’era riuscita, tutto era finito prima ancora di
cominciare e la colpa era da imputare esclusivamente alla sua testa di cazzo!
Non sapeva se mettersi a piangere o se darsi a capocciate nel muro, ed era a tal
punto presa dal suo scoraggiamento che neppure notò che Shanaya le si era
nuovamente accostata.
Di fatto quest’ultima era davvero rimasta scossa
dalla vista di quel corpo nudo, poiché una cosa simile non se l’era affatto
aspettata, né avrebbe potuto vagheggiarla. Ché fin lì Haruka aveva recitato la
parte dell’Uomo Che Non Deve Chiedere Mai
alla perfezione. Tuttavia se ne stava riavendo rapidamente, ché in quei
concitati attimi la sua natura semplice e alquanto superficiale aveva realizzato
quanto ai più raffinati intelletti sfuggiva: ovvero che maschio o femmina, il
fascino che quella persona esercitava su di lei restava immutato. In breve,
era innamorata di Haruka e lo
scoprire accidentale che non si trattava di quel che all’apparenza dava ad
intendere, non cambiava questo stato.
Oltre a ciò, dato assolutamente non trascurabile,
Shanaya non era il tipo che precedentemente si era fatta fermare da distinzioni
simili. In pratica aveva avuto già delle esperienze in tal senso e quindi, a
differenza di chiunque altra al suo posto, la cosa le perveniva sì inaspettata,
ma assolutamente non spiacevole. Insomma, detto in breve, non gliene poteva
fregare di meno, anzi quella scoperta non mancò di mettere ulteriore vivacità
alle sue brame.
“Dimmi una cosa, lei lo sa?”
Haruka levò lo sguardo alquanto sconcertata dal fatto
che la ragazza fosse ancora lì e che non se ne fosse scappata urlando inorridita
o minacciandola di tremenda vendetta.
“Sì, lei… noi, ci conosciamo da prima e… avrai capito
che la situazione è un po’ diversa da come avevi pensato.” Butto lì irresoluta,
come se fosse quello il punto della situazione. E la sua indecisione accrebbe
ancora di più quando il suo commento scatenò nella sua interlocutrice un’aperta
e manifesta ilarità.
“E chi lo dice? Il fatto che siete due ragazze non
esclude a priori che non vi siate potute divertire e parecchio
anche!”
“Ah, davvero? E tu che ne sai?” Chiese Haruka
piccata, nonostante tutto quell’atteggiamento di sufficienza stava iniziando a
darle sui nervi.
“Lascia che te lo dimostri.” Fu la risposta criptica
che ne ebbe.
E detto questo Shanaya, con una singola e sinuosa
mossa si sfilò l’aderente e scollacciato abito che indossava, restandole di
fronte coperta appena, appena da un
esiguo pezzetto di stoffa. Non portava reggiseno e, beffa delle beffe, il perizoma a cui spesso in quelle ore
era stata accomunata, faceva bella mostra di sé come se la bionda in lui potesse
ravvisare una metafora dantesca
sulla legge della rivalsa.
Ma in quel preciso momento Haruka non aveva
assolutamente la cognizione adatta per prestare attenzione alle figure
retoriche, piuttosto, tutto quello che riuscì a fare fu di deglutire a più
riprese a causa della gola che improvvisamente sentiva riarsa. Sapeva
perfettamente che avrebbe dovuto allontanarsi da quel talamo di seduzione
subito, a meno che non intendesse soccombere ai sensi, ma davanti allo
spettacolo di quelle curve esposte, di quel corpo magnificamente modellato dalla
danza, non riuscì a muovere un passo. Quel pezzetto di cervello che ancora
funzionava nella sua testa le gridava a distesa di ribadire un deciso diniego,
eventualmente ringraziare per il cortese invito e salutare educatamente per poi
filarsela all'istante alla volta di Michiru, la quale era e sarebbe dovuta
restare la sua meta ultima. Di fatto poteva tornare di lì a poco e non era
affatto nei suoi piani perdersi
nella lussuria intanto che l’aspettava, almeno non stanotte. Magari poi,
addirittura con la stessa Shanaya, perché no? Ma non
stanotte!
Haruka tentò, ma fu capace solo a bofonchiare
qualcosa d’intelligibile e quando Shanaya le si sedette in arcione e cominciò a
baciarla con una lascivia tale da scuotere persino un pezzo di marmo, riuscì
solo a pensare un concitato “Oh
merda!”. E la risoluzione che l’aveva sospinta fino a quel momento, andò a
raggiungere tutti i suoi buoni propositi che già si erano dati alla latitanza
non appena quel demonio tentatore aveva fatto la sua mossa. Pure fino all’ultimo
cercò di resistere a quell’onda d’urto restando coraggiosamente inerte, ciò
nonostante, quando la temperatura iniziò a salire, mandò al diavolo qualsiasi
prudenza e si lasciò coinvolgere in modo sempre più trascinante in
quell’attività che per la prima volta la vedeva completa co-protagonista.
E sebbene avesse ancora qualche remora a
riguardo, ad un certo punto le amorevolezze di cui veniva fatta oggetto le
offuscarono a tal punto la mente, che non poté far altro che lasciarsi andare e
collaborare a quell’unione fisica in maniera via, via sempre più partecipe,
dimenticandosi del tutto delle motivazioni che l’avevano portata a bordo di
quella nave e della persona alla quale si era ripromessa di non far del male.
Non che la sua fosse deliberata
cattiveria, piuttosto si trattava dell’incoscienza di chi per troppo tempo aveva
strangolato le sue pulsioni. Davvero, oltremodo a lungo aveva posticipato le sue
voglie e presa in quel vortice sensuale non riuscì, né volle, chiedersi se
quello che stava facendo fosse giusto o sbagliato.
A questo avrebbe avuto abbondante tempo per pensarci
dopo.
Più tardi emerse da quell’amplesso tonificata, ma
anche un tantino frastornata,
chiedendosi come fosse possibile il sentirsi simultaneamente appagata e
dispiaciuta. E la sua vergogna non stava tanto nella soglia della pudicizia che
più volte aveva superato in quei fondamentali istanti, quanto nell’acquisita
consapevolezza che tutta la sua logica e fermezza avevano ceduto di brutto
innanzi ai suoi istinti animali.
“A quanto pare ho scoperto un vero talento stasera!”
Rimarcò Shanaya accoccolandosi al suo fianco e facendo eco ai suoi stessi pensieri con quella
battutina indisponente.
“Buon per te allora, ma come la mettiamo adesso?”
Fece Haruka tirandosi su di un gomito e fissandola con un ciglio inarcato. Una
singola espressione, ma carica di doppi sensi.
“E come vorresti metterla? Io sto una favola e tu
pure, nonostante adesso stia facendo la faccia della virtuosa che ha soggiaciuto
controvoglia! E anche se non vuoi ammetterlo, scommetto che saresti subito
pronta ad un altro round!”
“Quel che intendevo dire, piccola ninfomane che non
sei altro, è chiederti quel che hai intenzione di fare a riguardo.” Specificò
cercando d’evitare di guardarla, perché sì, accidenti a lei, se l’avesse
contemplata un tanto di troppo, esposta com’era in quella posa provocante,
davvero avrebbero ripreso all’istante le ostilità.
“Ah non angosciarmi con le tue preoccupazioni Magnus! Mi sembra ovvio che non
racconterò il tuo segreto a nessuno. Certo potrei rovinarti, e te lo
meriteresti, visto che mi hai quasi scaricata. Ma per tua fortuna ti sei
rivelata un portento e non ho nessuna intenzione di precludermi tutti
gl’interessantissimi giochetti ai quali in futuro potremo
dedicarci.”
Davanti a questa spassionata dichiarazione d’intenti
Haruka non seppe se adontarsene o prenderla come un complimento. Ad ogni modo le
stava andando di lusso e con sollievo poteva dire salva la sua identità
fittizia, anche se in un angolino del suo inconscio prevedeva lo stesso guai
grossi.
“Sicché mi salvo dal capestro grazie alla tua
insaziabilità. Mm, chi l’avrebbe mai detto. Capirai però che, sebbene neppure io
sia propensa a rinunciare ai diletti prossimi a venire, dovremmo andarci piano
per i primi tempi. Insomma Shanaya, già cammino sul filo del rasoio, capirai che
tuo padre potrebbe non vedere la cosa di buon occhio.”
“Quante cazzate! Perché non dici chiaro e tondo che
quel che ti mette in apprensione piuttosto è la reazione di quella bamboccia?”
Replicò svagata senza sapere fino a che punto avesse colpito il bersaglio. Ma da
come Haruka reagì, intese d’aver centrato in pieno.
“Di chi stiamo parlando, di
grazia?”
“Okay Magnus, vedo che ti diverti a fare la
gnorri.”
“E’ la seconda volta che lo dici, che diavolo mi
significa ‘sto Magnus?”
“E’ latino, vuol dire grande, e siccome ti trovo superlativa in tutto quello che fai,
per me sarai sempre e solamente Magnus. Chiamala licenza poetica se ti pare. Ma
tornando a noi, lascia che ti dica una cosa: non sarei così meschina da usare il
tuo segreto come arma di ricatto, se è di questo che avevi timore. Tu mi piaci
Haruka, sul serio, perché se così non fosse stato, ti posso assicurare che non
mi sarei comportata in modo così libertino. Ad ogni modo ti faccio una proposta.
Continuiamo a vederci, frequentiamoci e stiamo a vedere, che ne
dici?”
E che poteva rispondere? A guardarla con disincanto,
tutta quella circostanza non era altro che una manna piovuta dal cielo. Non capitava
tutti i giorni infatti che una beltà simile le si proponesse in quel modo, né
che la stessa si offrisse di farle da amante all’interno di una situazione che
per lei non ne prevedeva nell’immediato. Infatti, dovendo nascondere la sua vera
natura, aveva previsto lunghi periodi di vacche magre sotto quel punto di vista,
invece ecco che quella gran figa di Shanaya Yamamay le toglieva le castagne da
fuoco. Neppure a voler fare la sofista a tutti i costi ci avrebbe trovato da
ridire su un’offerta simile, ché in definitiva la lista dei pro era bella
pingue. Sfortunatamente però alla voce dei contro c’era una nota che strideva
fastidiosamente e il punto era tutto lì. Ma se avesse voltato le spalle a
Shanaya, era sicura che un giorno non troppo lontano la speranza illusoria che
lei potesse ricambiare i suoi
sentimenti avrebbe trovato riscontro? Inoltre Michiru da lei ambiva ad un ruolo di sola amica e confidente,
un rapporto platonico in pratica e poteva sopportarlo senza il conforto
materiale che Shanaya le stava porgendo su di un piatto d’argento? E poi c’era
da tenere presente un’altra variabile fondamentale, poiché, se allo stadio
attuale, da semplice amica, la violinista era stata in grado di squassarla in
quel modo radicale, nella migliore delle ipotesi, quanto aumentava il suo
potenziale distruttivo da possibile innamorata? Senza contare che si era giurata
di non cagionarle più sofferenze.
No, alla luce di tutte queste considerazioni sarebbe
stato stupido lasciarsi scappare quest’occasione, soprattutto perché, dopo
quanto era successo in precedenza, voleva con Michiru il rapporto perfetto.
Cosa che non si sarebbe potuta affatto concretizzare qualora le avesse
confessato di farla oggetto delle sue deviazioni. Non era una buona idea, per
niente. Accettando l’offerta di Shanaya invece, aveva la possibilità di starle
vicino e contemporaneamente di tenere a bada i suoi bassi istinti, la soluzione
ideale. Doveva solo dir di sì e lo fece senza ulteriori indugi. La gratificò con
un ghigno complice e con l’aria di chi fa una gran concessione replicò:
“Certo, credo che dovremmo proprio e non solo perché
dovrei esserti grata per la tua discrezione. Anche tu mi piaci, tanto che mi
sono fatta infinocchiare dalle fregole e non ho pensato affatto al casino che
potrebbe succedere se ci beccassero insieme adesso. Ho intenzione di rivederti
anch’io, però ora sarebbe meglio se ci ricomponessimo e facessimo finta di
niente. Peccato che debba pregarti di andartene, benché è onesta verità che
volentieri resterei qui a farmi strofinare la schiena.”
Shanaya scosse la testa ridendo a più riprese, poiché
la faccia tosta di Haruka, a dispetto di tutto, gliela rendeva persino più
affascinante. Per cui cedette, ma non senza togliersi il gusto dell’ennesima
punzecchiatura.
“Senti, senti. Da verginella pudica a viziosa
consumata. Ho creato un mostro! Okay ti lascio campo libero, ma dimmi solo se
per te è un’amica e basta o qualcosa di più.”
“Tengo molto a lei, non posso negarlo.” Ammise alzandosi ed indossando l’accappatoio.
”Ma è e resterà tale, quindi, se cercavi una rivale, ora sai che non ce
n’è.”
“Figurati, come se non sapessi che orde di femmine
urlanti ti correranno dietro non appena vincerai la tua prima gara.” Replicò
continuando ad adularla, poiché trovava adorabile il ghigno soddisfatto che
inalberava quando la incensava a dovere. E la replica che ne ebbe, intanto che
pure lei si rivestiva, la fece nuovamente ridacchiare.
“E non
hai contato quelle che lo fanno da prima della vittoria!”
“Non saranno un problema. Capirai, sapendoti uomo me
ne sarei potuta tormentare, ma considerato quel che ho scoperto stasera, so per
certo che le acrobazie sono riservate a me sola!”
“Che fortuna eh?”
“Davvero un gran culo.” Assentì palpandole le terga
spiritosamente. “Eppure continuo a chiedermi se davvero non debba preoccuparmi
di quella lì.”
“Tranquilla, di Michiru me ne occupo io.” Rispose
accompagnandola sulla soglia ed evitando di dar retta a quel fardello opprimente
che avvertiva alla bocca dello stomaco. Era un senso di colpa? E per cosa poi?
Un po’ di libido non aveva mai ucciso nessuno e Shanaya era stata più che
consenziente. Lei lo voleva. Io lo
volevo! Che male c’è? Non sto tradendo nessuno!
Vero, non la stava ingannando e aveva scelto la
soluzione che riteneva migliore per entrambe, nondimeno, in un certo senso, le
sembrava che la stesse raggirando lo stesso. Infatti non poteva far a meno di
chiedersi come l’avrebbe presa Michiru qualora avesse saputo. Ma lei era
un’amica, quella che sperava diventasse una preziosa complice, una compagna a
cui affidarsi con fiducia, una
sorta di angelo inconsapevole e non il ricettacolo della sua idea distorta
dell’amore!
Merda!
Merda! Merda!
Sbraitò nel buio sbattendo la porta, per poi mettersi
le mani in faccia, sopraffatta da quel che aveva appena
fatto.
N.d.A.
Questa postilla è riservata a quanti hanno seguito
fin qui questa fanfiction. E’ da un po’ che non aggiornavo e probabilmente
quanti ne attendevano il seguito ora mi staranno riempiendo di parolacce ed
invettive assortite. In effetti quel che ho appena fatto combinare ad una delle
protagoniste non è propriamente un azione che le dia lustro e presumo che vi
stiate chiedendo il perché. Ebbene, trattasi di tipico snodo che porterà ad una
concreta evoluzione narrativa, poiché la presente in breve troverà conclusione,
per continuare in un seguito più adulto che si adatti alle esigenze che nel
corso della storia i personaggi hanno maturato. Altresì colgo l’occasione per
ringraziare coloro i quali leggono e commentano , gratificandomi con i loro
complimenti ed acute osservazioni. Il mio sentito grazie va a tutti voi, nella
speranza che quest’ultimo tiro mancino non vi abbia deluso troppo!
:-P
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Parte 22 ***
22
Stava fluttuando in un meraviglioso
limbo, lontana da qualsivoglia preoccupazione. Nulla di sgradevole poteva
colpirla qui, le ansie giacevano ricacciate sotto il tappeto dell’inconscio e
avvertiva soltanto la rigenerante percezione del corpo esausto che finalmente si
ristora nel riposo. Una gran bella sensazione, non c’era che dire, tanto che
inalberava nel sonno un’espressione di tranquillo godimento.
Haruka era profondamente assopita,
immersa in una placidità in gran parte dovuta alla stanchezza, sia mentale che
fisica, accumulata durante quella sfibrante ed interminabile giornata. In fin
dei conti la notte prima non aveva chiuso occhio e le precedenti ore avrebbero
abbattuto chiunque, per cui ad un certo punto era crollata. E le sembrava di
aver dormito per giorni interi quando infine cominciò piano, piano a riaversi.
Infatti captava qualcosa che la
disturbava e fu arricciando il naso, ad evidente prova del suo fastidio, che
schiuse appena un occhio per controllare cosa fosse ed eventualmente eliminarlo
per poi riappisolarsi. Naturalmente sapeva che prima o dopo si sarebbe dovuta
alzare, ma non è che ne avesse tanta voglia. Invero il suo fu un vano tentativo
di facciata, dettato più che altro dalla severa istitutrice vigilava i suoi atti
e che ogni tanto s’affacciava ai margini della sua mente.
Praticamente un gesto doveroso, sebbene
sapesse di essere più che riluttante ad abbandonare quel comodo e caldo
giaciglio, tant’è che subito si arrese e tentò di mettersi a pancia in giù per
evitare quel chiarore che la importunava. Tuttavia qualcosa all’altezza
dell’addome gliel’impedì. Di fatto avvertiva al basso ventre un’inconsueta
pesantezza, quantunque non ricordasse di essersi abbuffata a cena, al contrario,
le pareva proprio di non aver toccato cibo.
Perplessa tirò fuori una mano dal
viluppo intricato delle lenzuola e prese a grattarsi lentamente le bionde
ciocche arruffate, fino a quando proprio non poté evitare di smuoversi. Un
grosso sbadiglio le deformò i tratti androgini del volto e sbattendo le palpebre
ancora insonnolita, gettò un’occhiata all’orologio che portava al polso
constatando che mezzodì era passato da un pezzo.
"Adesso mi faccio uno di quei caffé…"
Pensò ancora intontita increspando le labbra, poiché in bocca le pareva di avere
del cemento a presa rapida, tanto la sentiva pastosa. In ogni caso riaffondò
nella morbidezza del guanciale considerando l’idea di restarsene ancora un po’ a
poltrire al calduccio, era fin troppo piacevole per abbandonarlo senza un minimo
di resistenza. Sorrise beata, finché non realizzò che c’era qualcosa che
decisamente non quadrava.
Generalmente, quando con molto dolore
era costretta ad arrendersi e togliere le zampe dal letto, per Haruka era
normale un certo senso di straneamento e un che di disorientato, anche se il suo
non era il resuscitare di una recidiva mummia da un millenario sonno. Ad ogni
modo quel mattino il suo ritorno alla civiltà non le sembrava il consueto, mise
a fuoco lo sguardo intorpidito e inarcando un sopracciglio s’accorse della
prima, lampante, differenza. Di fatto a svegliarla era stata un’insolita
inondazione di raggi solari sul volto, il che all'istante le fece comprendere,
non senza un moto di sconcerto genuino, di non essere nel suo appartamento. Già,
di norma teneva gli scuri ben chiusi a causa della luce che le dava molta noia
mentre dormiva, inoltre era chiaramente avvertibile provenire dall’esterno un
cinguettare alquanto desueto. A Shabuya sicuramente non c’erano passerotti e
meno che mai udibili dalle finestre di un grattacielo! Senza contare che la sua
camera da letto era la metà di quella.
A queste considerazioni perse qualsiasi
residuo di accidia e sobbalzando notò altresì un altro fattore anomalo. In
effetti aveva già avvertito un non poco familiare peso sullo stomaco e levando
il capo scoprì che la natura del fardello che sentiva agli addominali era una
specie di palla di pelo chiaro. Così fu che i suo sguardo cisposo venne ad
incontrarsi con uno che era colorato del medesimo verde. Sempre più confusa
Haruka fissò il gattino che se ne stava placidamente adagiato sulla sua pancia,
e che non trovava il suo stupito esame significante al punto da aprire entrambi
gli occhi, chiedendosi infine dove diavolo fosse e perché quell’animale l’avesse
scelta come cuccia. Perciò, mentre cercava di fare mente locale, si guardò
intorno sperando che qualche particolare, sia pure approssimativo, le chiarisse
la situazione. Ma né l’ampia vetrata dal quale entrava copioso il bagliore del
mattino, né l’arredamento sobrio della stanza le dicevano alcunché. Di sicuro
c’era solo che si era assopita scompostamente in un letto a due piazze che non
era il suo. E qui, come un lampo che squarcia le nere nubi di pioggia
rischiarando a giorno il cielo, un sospetto fulmineo la colse e subito alzò la
trapunta per controllare in che stato fosse.
Lo scoprire di non essere spogliata
acquietò momentaneamente i suoi timori, per un attimo terrificante infatti,
aveva temuto di essere tra le coltri e le grinfie di Shanaya, in qualità di
ospite coatta nella magione degli Yamamay. E l’essere coperta poteva voler dire
che non fosse nei paraggi. Eventualità questa che le fece tirare un sospiro
sollevato, anche se non poté fare a meno di domandarsi dove avesse rimediato
quella specie di tuta che aveva addosso. A tutta prima le sembrava una di quelle
che in genere vengono indossate dagli addetti alle manutenzioni o qualcosa di
simile. In ogni caso era l’ennesimo interrogativo da aggiungere a quelli che
ancora esigevano risposta. A questo scopo tentò di richiamare alla memoria quel
che aveva fatto nelle ultime ore, ma nella testa non aveva altro che una tabula
rasa, dato che il cineforum dei suoi ricordi si arrestava bruscamente a quando
aveva praticamente buttato fuori dalla sua cabina l’avvenente donzella bionda.
Il che non garantiva affatto che quest’ultima non se la fosse nuovamente
rimorchiata e trascinata fin nei meandri della sua lussuosa dimora. Nel qual
caso le sarebbe convenuto filarsela quanto prima. Ma come? E dov’erano tutti i
suoi effetti personali? Certo che era un bel mistero, magari prima di
squagliarsela sarebbe stato opportuno informarsi sulle modalità che l’avevano
condotta in questa sede.
"Probabilmente sarò stata sbronza. Eh
sì, non c’è altra spiegazione, tant’è che ho un cerchio alla testa e la bocca
che profuma come una fogna di Calcutta." Ponderò scuotendo il capo spazientita,
come chi non sa proprio che misure adottare con un bambino pestifero, quindi
tornò a posare lo sguardo sul cucciolo che continuava a fissarla da sotto in su
con occhio interessato e sbottò lasciando fluire tutto il suo
malumore.
"Allora bestiaccia, considerato che la
mia situazione già non è delle più felici, perché non vedi di toglierti dalle
palle?!"
A quest’uscita l’animale non fece una
grinza, anche se c’è da dire che aprì entrambi gli occhi stavolta, piuttosto,
con estremo disappunto di Haruka, si alzò e stiracchiandosi sulle zampette prese
a fare le fusa. Dopodichè avanzò di qualche passo fino a fermarsi all’altezza
dello sterno, dove prese a tastare con gli artigli l’effettiva morbidezza di
quest’altra zona. Poi, considerato che tutto sommato era preferibile lo stomaco,
fece dietrofront e se ne ritornò sulla pancia. Una volta là infine, dopo aver
zampettato un altro po’ , si riaccucciò e con visibile soddisfazione si piazzò
direttamente di fronte a lei.
Chiedendosi se il felino la stesse
prendendo per il culo, Haruka si grattò pensosamente la testa incerta sul da
farsi, finché non udì dei passi che si avvicinavano e un discreto bussare
precedette l’ingresso del suo ignoto anfitrione.
"Ehilà dormigliona, da come ronfavi
temevo che avresti continuato per tutto il giorno."
Haruka fissò sbalordita l’ingresso
dell’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere, ché tutto si sarebbe
potuta immaginare, fuorché di trovarsi innanzi Michiru inappuntabilmente vestita
e che le dava uno smagliante buongiorno.
"Prima di salire ho chiesto alla
domestica di portare un po’ di caffé, anche se devo ammettere che non ero sicura
che ti fossi svegliata. Te ne andrebbe una tazza?"
Michiru si sedette graziosamente sulla
dormeuse innanzi a letto e dopo qualche minuto di silenzio non poté fare a meno
di ridacchiare quando notò che la sua interlocutrice non accennava a risponderle
e continuava a scrutarla incerta con un’espressione alquanto
stralunata.
"Scommetto che ti stai chiedendo come
sei finita qui, vero?" Chiese sorniona ridendo maliziosamente e visto che la
bionda si limitò ad annuire, benché avesse due punti interrogativi al posto
delle pupille, tanta era la sua voglia di sapere, decise seduta stante di
tenerla un altro po’ sulle spine.
"Ah, vedo che hai compagnia. Mi
dispiace che ti abbia disturbata, non so proprio come abbia fatto ad entrare.
Certo che è curioso, da quando me l’hanno regalata Ligea non ha avuto un solo
gesto d’amicizia per me e adesso guardala come ti fa le fusa! Sembra quasi che
me lo faccia apposta."
Indispettita Haruka stava quasi per
mandarla a quel paese, ivi compresa la gatta, quando capì a che gioco voleva
giocare la ragazza e decise di assecondarla. Tutto sommato era divertente e poi
ora che era sicura di essere fuori pericolo, poteva permettersi di prendersi
tutto il tempo che voleva. Oltre a ciò le pareva doveroso, in quanto Michiru si
sarebbe potuta tranquillamente limitare a metterla in un taxi e spedirla verso
destinazione ignota, invece di prendersi la briga di accoglierla nella sua casa.
Chissà che scusa si era dovuta inventare con i suoi? Presumibilmente si era
beccata una paternale senza fine, in effetti rincasare con uno chaperon
imprevisto non doveva essere stata una passeggiata. E non ultimo, malgrado fosse
un particolare assai secondario, per il momento voleva evitare di abbandonare le
coperte, giacché si vergognava parecchio a mostrarsi con quegli indumenti
addosso. Doveva essere veramente ridicola conciata in quel modo, per cui scoccò
un’occhiata di sfida alla violinista e deliberatamente prese ad accarezzare il
pelo lucente del dorso dell’animale, che a quel gesto cominciò ad agitare la
coda contento.
"Ligea eh? Beh e che ti aspettavi? " La
provocò e visto che Michiru per tutta risposta assunse un’espressione di aperto
scetticismo, aumentò il carico.
"Figurati, mi pare ovvio. Insomma, è
una femmina e in quanto tale è matematico che, appena ravvisata la mia presenza,
si sia catapultata a fare la svenevole con me. In più suppongo che sia di razza,
poiché solo un’intelligenza superiore avrebbe immediatamente compreso che la
compagnia della sottoscritta è preziosa."
"Capirai, sai che diletto adocchiarti
riversa, con la verve di una medusa spiaccicata sulla battigia e che russi
peggio di un camionista avvinazzato! Non farti illusioni Haruka, ché se questa
indisponente sta facendo la smorfiosa è solo perché avete il medesimo
caratteraccio."
A questo commento la bionda scoppiò a
ridere compiaciuta, in effetti era un’accurata descrizione dello stato in cui
doveva aver versato per gran parte del mattino, oltre che un chiaro segno che
qualcuno aveva gentilmente vegliato la sua catalessi rigenerante. Tanta premura
era molto gentile da parte di Michiru e se ne sentì lusingata, ma restava
l’inquietante arcano del suo arrivo lì. Beh, considerato che aveva un sfilza di
domande da farle, perché non cominciare da quella? Però non poté resistere
all’impulso di prenderla ancora in giro.
"Caratteraccio dici? Ne dubito, ma se
così fosse, pensa all’allenamento che te ne deriverebbe. Praticamente tra me e
lei potresti sviluppare una vocazione alla sopportazione e al silenzio."
"Ti piacerebbe! Spiacente di
comunicarti però che tutte le mie tendenze contemplative si siano esaurite e
che, qualora ce ne sarà esigenza, avrete entrambe la giusta dose d’improperi e
botte sulla testa."
"Ahia Ligea, qua ci conviene rigar
dritto!" Si lamentò ridacchiando, anche se avvertiva in quelle parole un velato
monito. A quanto pareva il vento stava cambiando e chissà fino a che punto la
violinista stava facendo dello spirito. Eppure doveva ammettere che quella
grinta non le risultava affatto sgradita, già in occasione della loro piccola
competizione sportiva aveva potuto saggiare l’insospettabile carattere di ferro
che Michiru aveva. Naturalmente da quel momento in poi l’aveva piantata di
misurarla come una sciocca bambolina, benché l’iniziale impressione di
delicatezza permanesse.
Che strana ragazza sei
Michi. Pensò rimirandola con fare solo
apparentemente distratto. Sì certo, non si poteva negare che l’aggettivo
soave ben le si addicesse, né il suo essere indiscutibilmente amabile.
Pure, dacché le aveva suonato quegli sganascioni, aveva iniziato a guardarla
sotto un’ottica nuova e invero stava iniziando a compararla alla stessa stregua
di un diamante. Davvero, poiché di quello aveva lo splendore e proprio perché
splendida non ti accorgevi subito della sua consistenza adamantina, facendoti
fuorviare dalla sua aria apparentemente fragile. Per cui non prese affatto
sottogamba le sue parole. Anche perché qualcosina che le pesava sulla
coscienza decisamente la spronava in tal senso.
Nel frattempo fece il suo ingresso la
domestica con in mano un vassoio recante tutto un servizio da caffé e ad un
cenno di Michiru apparecchiò il tavolinetto antistante la finestra, dopodichè
silenziosa com’era giunta, le lasciò.
"Forza vieni fuori, ti prometto che non
riderò." L’invitò la violinista visto che Haruka, benché visibilmente attratta
dal penetrante aroma del caffé, non faceva atto d’alzarsi. Ma a dispetto di
tutti i suoi buoni propositi, Michiru non riuscì a trattenere l’ilarità quando
ancora una volta la vide agghindata in quel modo. Tutto sommato la maglietta,
benché un tantino aderente, la copriva abbastanza. Il problema erano le brache,
non arrivavano neppure a metà polpaccio e, considerato che l’amabile insieme era
di bianco colorato, la bionda si trovava ad essere un singolare intreccio tra un
pescatore di triglie e un gelataio a cui si era ristretto il bucato. Già quando
durante la notte l’aveva costretta a mettersi quella roba aveva riso di gusto,
ma adesso che l’altra era nel pieno delle sue facoltà mentali e che la fissava
con un cipiglio decisamente truce, l’effetto era ancor di più esilarante. C’è da
dire che Haruka, contrariamente al suo solito, non esternò con parole alcun
disappunto, piuttosto, sfoderando un fare molto dignitoso, silenziosamente si
accomodò a tavola facendo finta di niente.
"Potrei farci un quadro sai?" Fece la
violinista sedendogli dirimpetto. "Uno di quelli del filone impressionista, di
tema didattico… Paziente malato di mente a colazione!" Concluse ilare
dopo averla esaminata ben bene.
"Okay Kaiou, molto divertente, davvero.
Ora però, ti dispiacerebbe spiegarmi? Oppure conti di passare tutta la giornata
a prendermi per il sedere?"
"Sarebbe uno spasso, hai una faccia che
è un poema." Affermò continuando a sghignazzare e iniziando a riempire le tazze
e solo allora Haruka notò che accanto al bricco del caffé c’era anche una teiera
fumante.
"Vedo che non ti fai mancare nulla."
Buttò lì tanto per cambiare argomento.
"Non sono un amante di quella brodaglia
nera, ma siccome al mattino non ti ho mai vista sorbire altro, ho pensato che
avresti gradito." Replicò acquietandosi e facendole cenno di
servirsi.
"E questo ci porta direttamente ad uno
dei cardini principe de casino che c’è tra noi." Ammise seria guardandola di
sbieco dal bordo della tazza. Inutile fare tanti giri di parole, meglio andare
dritti al sodo, tanto ormai era palese che la situazione era del tutto sfuggita
al suo controllo. Michiru la stava fissando alquanto interrogativa,
apparentemente ignara di dove volesse andare a parare, per cui si spiegò meglio.
"Prendi quest’inezia per esempio, ci hai fatto caso e ne hai tenuto debitamente
conto. Ebbene, ammetto che personalmente non conosco del tutto i tuoi gusti, le
tue passioni e le preferenze varie che accordi al mondo a te circostante. Ci
riflettevo proprio l’altro giorno e l’episodio di stamattina non fa che
confermarmelo."
"E’ naturale." Replicò Michiru
altrettanto seria e con molta spontaneità aggiunse: "Non ti offendere Haruka, ma
tu non dai nessuna apertura al prossimo e quindi è normale che sia portata ad
essere all'oscuro persino delle cose che ti passano sotto il naso tutti i santi
giorni." Ecco, finalmente gliel’aveva detto, con calma e senza farci nessun
contorno di scene madri. Ma come avrebbe reagito l’iraconda stangona? A quanto
pareva bene, perché Haruka non diede alcun segno di irritabilità, anzi sembrò
riflettere con molta attenzione su quelle parole.
"Il che, e l’ho capito abbastanza negli
ultimi tempi, non è sempre un bene. Allora che si fa? Mi fai un compendio?
Magari un bel manuale, Michiru Kaiou: istruzioni per l’uso?"
"Ho un idea migliore Haruka. Facciamo
come normalmente si usa, ovvero, impariamo a conoscerci giorno per giorno. La
qual cosa, non per rinfacciartelo, sarebbe potuta tranquillamente accadere da
tempo. Naturalmente con questo non intendo importi la mia presenza a tutti i
costi, ma se intendi far progredire il nostro rapporto non vedo come potremmo
altrimenti."
Davanti a quella logica stringente non
c’era nulla da eccepire, per di più averla inseguita con perseveranza allo scopo
di ritrovarla non era che il a priori di questa evoluzione, sebbene fino a quel
momento Haruka non ci avesse affatto pensato. Eh sì, un nuovo inizio. Ma magari
fosse stato così semplice. O quanto meno, allo scopo di realizzarlo, avrebbe
dovuto spiegarle parecchie cose, il che implicava un certo lasso tempo e
soprattutto un impegno incondizionato da parte sua.
Ma forse non voleva intendere anche
questo l’entrare in confidenza con un’altra persona?
L’essere finalmente abbastanza adulta e
serena da accettare un vincolo che non significasse solo un legame incatenante,
quanto una mano tesa con amore verso di lei?
E soprattutto, non si era ripromessa di
piantarla con tutti quei sofismi che le mandavano in pappa il cervello?
E’ chiaro a questo punto che in materia
di rapporti mi mancano proprio i fondamentali.
Rifletté individuando per l’ennesima
volta queste sue lacune comportamentali. E dire che non si era mai posta
problemi di questo tipo! Evidentemente i tempi delle sue certezze da orgogliosa
amante della solitudine erano belli che andati.
"D’accordo Michiru." Assentì infine
dopo quella pausa prolungata. "Cercherò di essere meno ombrosa e un po’ più
aperta. E non sto parlando di quella falsa giovialità che ostento per motivi che
poi ti spiegherò. Quel che tu avrai magari sarà una versione meno espansiva, ma
autentica di quel che veramente sono. Altre promesse non sono in grado di farne
e non perché intenda tirarmi indietro, ma alcune cose… beh, so fin d’ora che
sarebbero difficili da mantenere." Concluse di getto tentando di mascherare
l’imbarazzo laddove l’altra le volgeva di rimando un sorriso a un tempo
comprensivo, ma anche saturo di contentezza.
"C’è di buono che sono cambiati tanti
di quegli scenari da quando ci siamo separate che le cose potrebbero essere in
qualche modo più semplici." Aggiunse senza però specificare dove fosse la
differenza, quindi sorbì un altro sorso valutando attentamente su quanto stava
andando a dirle. Vuotare il sacco sul momento? No, meglio sapere prima che
diavolo era stata capace di combinare durante la notte. Giacché, qualora avesse
detto o fatto qualcosa di disastroso, avrebbe potuto addurre una qualche
motivazione pertinente. "Tuttavia ti prego, dimmi come sono finita a casa
tua."
"Ehi ma non lo sai che la curiosità
uccise il gatto?" Motteggiò Michiru notando immediatamente che l’altra
trasaliva. La violinista sorrise enigmatica, ché a quanto pareva la monolitica
Haruka paventava scenari inconcepibili. Considerò la mezza idea di tenerla un
altro po’ sulla corda, se non altro perché con quell’aria ansiosa e piuttosto
diffidente era davvero uno spettacolo insolito e la trovava adorabile. Ad ogni
modo non se la sentì di prolungare ancora la sua agonia e decise di acquietare i
suoi timori.
"Va bene, eccoti la cronaca fedele di
quanto è accaduto. Dopo aver terminato la mia esibizione ho perso parecchio
tempo in chiacchiere con dei conoscenti, anche se per la verità avrei preferito
raggiungerti subito. Però sai, agli orchestrali interessava la mia opinione
sull’acustica della sala, gli organizzatori volevano comunicarmi le date del
prossimo impegno e mi ero lasciata dietro anche qualche bellimbusto che credeva
di avere ancora dei discorsi in sospeso con me. E sai, visto che con alcuni di
questi ci conosciamo da anni, sarebbe stato villano andarmene senza prestargli
un minimo d’attenzione, anche se il mio disinteresse dev’essere risultato palese
ad un certo punto. Ad ogni modo quando ho bussato alla tua porta, ci hai messo
tanto di quel tempo per venirmi ad aprire che ho pensato ti fossi assopita."
Haruka ascoltava attentamente,
incuriosita su quel che era stata in grado di combinare. Ma il suo interesse
ebbe una svolta rabbiosa alla menzione dei conoscenti di vecchia data della
ragazza. Non le piacque il riferimento a quei tizi e ancor meno il fatto che tra
loro questi si comportassero come se fossero una sorta di casta chiusa. Pareva
essersi completamente scordata che, quanto a rapporti sociali, ne aveva da poco
consumato uno che era molto più stretto!
Michiru, dal suo canto, si stava
chiedendo perché mai l’altra guardasse dappertutto tranne che a lei e
soprattutto perché d’un tratto s’era accigliata. Anzi, soprappensiero aveva
persino cominciato a mangiarsi le unghie. Accidenti se pareva nervosa, ma che
aveva che l’agitava a tal punto? Doveva essere qualcosa d’indicativo, perché mai
l’aveva vista in questo stato di tensione. Chiederglielo? No, per il momento
meglio soprassedere e cercare d’acquietarla con l’effettiva spiegazione dello
svolgersi degli eventi.
"E quando infine ti sei degnata
d’aprirmi ho capito all’istante che eri decisamente alticcia, non foss’altro
perché avevi seminato ovunque il contenuto, vuoto ormai, di tutto il minibar.
Non ci hai messo neppure un paio d’ore a farti fuori una quindicina di
bottigliette."
A questa rivelazione Haruka non fece
una piega, naturalmente questo spiegava il mal di testa e la conseguente amnesia
riguardo ai fatti avvenuti, senza contare il fiato da leone che si ritrovava.
Restava da chiarirsi perché mai di punto in bianco avesse deciso di sbronzarsi…
Ah già, Shanaya.
Un flash, più di uno a dire il vero, di
quel che era accaduto improvvisamente le balenò alla memoria. Arrossì fino alle
orecchie, eh sì, a questo punto non era affatto difficile immaginare che si
fosse attaccata alla bottiglia alla luce di quel che era successo e di tutto
quel che ne era derivato. E non era tanto una questione di scrupolo o di sensi
di colpa, quanto di sentire d’aver fatto qualcosa di profondamente sbagliato e
di averci sguazzato nonostante ne fosse consapevole fin dal principio.
Ma per me! Lo sbaglio riguarda solo me!
Puntualizzò aggrappandosi a quelle che si
figurava le sue immutabili ed acclarate certezze.
Allora perché non te la canti qui su
due piedi con lei? Chiese spassionata quella
vocina che da un po’ di tempo a questa parte aveva preso a temere e a rifuggire
come la peste.
Rabbrividì alla sola ipotesi,
malgrado continuasse ostinatamente a dirsi convinta che quelle fossero faccende
che con Michiru avessero poco o niente a che spartire. Nonostante ciò, con un
conciso: Non mi pare proprio il caso! Mise a tacere subito la vocetta
petulante ingiungendole l’omertà.
In ogni caso comunque doveva metterci
una pezza, poiché un comportamento simile non le era affatto usuale. O per
essere più precisa, Michiru non aveva mai assistito allo scatenarsi del suo
demone cattivo.
E devo fare in modo che mai lo possa
vedere! Pensò risoluta guardandola. Aveva un
che di angelico esposta com’era al riverbero che filtrava dalla finestra,
un’immagine diametralmente opposta a quel che le avrebbe potuto dare qualora la
belva che sonnecchiava in lei si fosse sfrenata.
"Ma sai, la tensione emotiva del nostro
dialogo, ero a stomaco vuoto e stavo senza far niente…" Borbottò vaga, fingendo
come se davvero non sapesse darsi ragione del fatto che si fosse scolata un
bicchiere dopo l’altro.
"Ehi, guarda che non ti sto facendo
mica la paternale!" L’avvertì Michiru precedendola, ci mancava solo che la
prendesse nel modo sbagliato e ricominciassero con le incomprensioni. "Non sono
una bacchettona, anche se devo ammettere di non essermi mai presa una sbronza
solenne." Confessò un po’ impacciata come se questa fosse una mancanza di cui
vergognarsi, quindi assunse un’espressione abbastanza affascinata e fu
sorridendole ambigua che aggiunse: "Lacuna che spero presto mi farai
colmare."
Haruka a quest’uscita si limitò a fare
un sogghigno elusivo e non aggiunse altro. Di certo non si sarebbe presa
l’incombenza di cambiare in peggio quella creatura che ormai aveva preso a
reputare meravigliosa. Anzi, se qualcuno aveva intenzione di provarci, prima gli
sarebbe toccato di far i conti con lei. Nessuno doveva sfiorarla, neppure uno
doveva osare sol azzardarsi di pensare di poterla snaturare, sabotando in questo
modo il loro nascente idillio!
Sì perché proprio lì, in quella durata,
in quel mattino speciale, in quella stanza estranea, l’intuizione che solo in
sua compagnia poteva essere pervasa da quella sensazione di pace e bellezza, la
colse inaspettata. Fino a quel momento ne aveva avuti solo indizi, bocconi di
consapevolezza che l’avevano sospinta fino a qui. Ora invece riconosceva senza
riserve che era questo l’incanto che aveva tentato con tanto affanno di
recuperare. E allo stesso modo capì che Michiru intendeva anche questo quando
parlava di attaccamento graduale attraverso il conoscersi.
E altrettanto fulmineamente Haruka
decise che mai, in nessun caso, avrebbe fatto alcunché potesse rendere
differente la ragazza da quel che era. Meglio, sarebbe stato suo impegno far in
modo di congelare quest’attimo, di renderlo perenne, in modo che nulla potesse
rompere la bolla che la ragazza era in grado di creare per loro due. E di
conseguenza, se questo significava dover strozzare le sue emozioni, ebbene, era
un sacrificio che era pronta a fare. Del resto aveva già deliberato in tal
senso, escludendo da subito un’eventualità simile. Premeditatamente, senza
curarsi d’altro che dei suoi ragionamenti, aveva così stabilito. Per decine di
motivi che riteneva sensati, non ultimo questo.
Perciò, presa dalla sua cieca
ostinazione, non badò affatto all’enormità egoistica di quanto stava
progettando, né all’imprevedibilità del futuro. Non si pose affatto
l’interrogativo di quanto ciò poteva voler significare per la ragazza di fronte
a lei e neppure pensò a quelli che sarebbero potuti essere i sentimenti di
Michiru. Ché prima ancora di sapere quel che lei pensasse in merito le aveva
tolto qualsiasi voce in capitolo. Del resto non la era persuasa che non fosse
affatto una sopraffazione, più che altro pensava al suo come un velato e
maturo controllo della situazione. Ma a dir la verità a certe
considerazioni non dedicò più di una fugace riflessione, impegnata com’era a
decifrare solo quel nascere intenso e spontaneo che faceva da contraltare
all’ostinata indifferenza che l’aveva preceduto. E vi si abbandonò senza
discernimento, senza pensare che in quel modo avrebbe edificato da sé, mattone
dopo mattone, una prigione cui negli anni a venire si sarebbe sentita ogni
giorno, sempre di più, schiacciare. E dalla quale non sarebbe riuscita ad
evadere.
"Chiaramente non era il caso di
lasciarti come stavi." Continuò la violinista riprendendosi da dove si era
interrotta. "Così ho pregato uno degli inservienti di darmi una delle loro
uniformi, giacché i tuoi vestiti erano ancora fradici. Ho fatto una fatica del
diavolo a convincerti e li hai messi addosso solo dopo che ti sei chiusa in
bagno."
"Probabilmente sarà stato un
soprassalto di pudicizia." Si giustificò Haruka figurandosi che, sia pure
nell’ebbrezza, in quel momento doveva aver pensato ugualmente che non era il
caso di spogliarsi davanti a lei. In silenzio ringraziò il cielo per il senno
che aveva mostrato, ché per un momento le balenò innanzi la fantasia dello
spettacolino inguardabile di sé stessa impegnata in avance da ubriaca nei
confronti di una sbalordita Michiru. Meno male che non era stata ciucca a fino
quel punto! "Però", aggiunse tanto per deviare il discorso da quella pericolosa
strada, "non credo che mi avrebbero buttato fuoribordo se fossi rimasta
lì."
"Sbagliato, la nave stamattina andava
alla fonda e gli ospiti erano cortesemente inviatati a lasciare l’imbarcazione
non appena attraccato. E credimi Haruka, non eri nello stato mentale adatto per
comprendere tali semplici nozioni. Come minimo saresti rimasta a dormire come un
sasso e se non ti avessi presa di peso e trascinata fino alla macchina, a
quest’ora staresti su di un banco dei mercati ittici in vendita come un enorme
salmone svedese. Il che, viste le tue origini, non sarebbe stata affatto
un’incongruenza."
Michiru s’interruppe bruscamente,
conscia del lapsus che le era sfuggito. Atterrita la guardò attendendone la
rabbiosa reazione. Ma con sua somma sorpresa la bionda sembrò non farci caso.
Quell’affermazione sembrò passare sulla sua testa senza danno, non disse nulla,
né si peritò di lanciarle una delle sue solite occhiate furibonde ed
incendiarie. Forse le era sfuggito del tutto il nesso, cosa che Michiru sperò
ardentemente, pregando che in futuro fosse abbastanza accorta da non farsi
scappare un’altra perla del genere.
Haruka sogghignò all’aria sollevata
dell’altra e, siccome Ligea le si stava strofinando sulle gambe, la sollevò
ponendosela in grembo. Così, mentre i suoi pensieri correvano in svariate
direzioni, prese a grattarle con voluttà dietro le orecchie e intanto che il
gatto esternava tutta la sua soddisfazione attraverso un ronfare lieto, lei
rifletteva su quanto aveva appena appreso. Naturalmente la consapevole allusione
che Michiru aveva sbadatamente esternato non le era sfuggita per niente ed era
chiaro che poteva esserci una sola persona che avrebbe potuto parlargliene. A
questo punto era lecito chiedersi fin dove si potesse essere spinta. Le aveva
raccontato tutto, tutto, o si era limitata all’esplicativo? Conoscendola,
probabilmente era stata ponderata, sebbene chiarificatrice, altrimenti non
avrebbe affatto tirato in ballo la questione. Come nel suo stile del resto.
Pacata, ma pratica. Essenziale, ma dritta allo scopo.
E ripensandoci ora, il comportamento
che Setsuna aveva avuto nei suoi riguardi l’ultima volta che si erano viste, non
era stato oltremodo aggressivo? Vero, troppo inusuale per la sua natura placida.
Invece, sentendo quel che aveva appena detto la violinista, beh, i conti
tornavano tutti.
Che gran figlia di puttana!
Pensò sinceramente ammirata, ché Setsuna era
stata di una sottigliezza ed astuzia di millimetrica precisione ed efficacia.
Avrebbe quasi dovuto ringraziarla, certo, ma non prima di avergliele cantate di
brutto! Pure, il suo intervento era stato provvidenziale, magari un po’ troppo
indiscreto per i suoi gusti, ma tutto sommato teso al suo benessere. Quindi non
condannabile, valutato il risultato finale. Piuttosto c’era da chiedersi come
l’avesse presa Michiru alla luce di quanto le veniva rivelato. Già, più che il
sapere dei fatti suoi sbandierati senza il suo assenso, le dispiaceva di non
aver potuto assistere in presa diretta alla sua reazione, ché quella le avrebbe
illustrato subito quel che la ragazza pensava delle sue origini infami. Chissà
se era meglio così, che l’avesse appreso senza che lei dovesse prendersi la
briga di sciorinarle tutta la faccenda, sottoponendosi al conseguente fuoco e
fila di domande che sapeva già l’avrebbero sicuramente disturbata. Il che non
aveva nulla a che fare con Michiru, quanto col fatto che non le andava troppo di
dibattere sul perché e il percome degli eventi. Si trattava del passato e
riteneva che tornarci sopra non servisse a nulla.
Eppure, eppure si sentiva defraudata.
Non che normalmente magnificasse i suoi problemi, tutt’altro, ma che la
violinista ne fosse a conoscenza senza che lei stessa avesse avuto l’opportunità
di esporglieli, le pareva come se Setsuna le avesse alienato una possibilità.
Curioso! Durante il corso degli anni l’assistenza sociale l’aveva mandata da
innumerevoli strizzacervelli e si era sempre rifiutata di collaborare, spesso
reagendo con violenza ai loro tentativi di spronarla. Perché allora tutto ad un
tratto voleva verificare la reazione dell’altra?
Perché questo ti darebbe la certezza
assoluta che tiene a te?
Non seppe rispondersi, né volle
rispondersi. Solo, si disse glissando elegantemente, che forse, un giorno,
sarebbe stato d’uopo tornare sull’argomento. Per il momento preferì ignorarlo.
Magari più in là si sarebbe presentata l’occasione e allora avrebbe potuto
sondarla a dovere.
Che strano, è la prima volta che ho
veramente voglia di parlarne… Meditò davvero
stupita, possibile mai che Setsuna avesse previsto persino questo? No,
impossibile, altrimenti quella femmina sarebbe stata dotata di poteri
sovraumani!
Scelse di lasciar perdere, certe
riflessioni stavano facendo aumentare considerevolmente il suo già andante mal
di testa e la mettevano davanti ad incognite che fino ad allora aveva
sapientemente schivato. Era preferibile ritornare sugli eventi della notte e
così fece.
"Così, conciatami in questo modo
ridicolo, mi hai poi condotta fin qui, per mettermi a nanna nella camera degli
ospiti, giusto?"
"Esatto." Fu la cauta risposta di
Michiru, il ghigno che aveva aleggiato sulle labbra di Haruka l’aveva messa sul
chi vive. Accidenti, cosa le stava passando per la testa? Aveva un’aria
mefistofelica, ma non sembrava arrabbiata, al contrario. In questo preciso
momento poi, appariva piuttosto pensosa, sembrava essersi persa in chissà quali
supposizioni. Avrebbe mai capito fino in fondo quel che si agitava dietro quegli
espressivi tratti? Per loro peculiare natura spesso erano caustici, molte volte
l’aveva scoperto a sue spese, nondimeno in quell’istante sembrava esternare una
certa, bonaria, indulgenza. La quale fu velocemente seguita da un che di
perplesso che per un prezioso istante le donava finalmente l’apparenza
dell’adolescente quale in realtà era. Quella mattina il suo umore era davvero
altalenante e l’alterigia di cui normalmente dava prova sembrava essersi
temporaneamente volatilizzata.
"A questo punto non posso far altro che
ringraziarti allora." L’affermazione di Haruka la strappò ai suoi pensieri e si
vide porgere persino un cenno garbato, oltre che uno dei suoi sorrisi più
affascinanti. Poi però la bionda sembrò ritornare nella precedente incertezza e
per un attimo parve un po’ combattuta, come se dovesse risolversi a fare un
qualcosa a cui era abbastanza maldisposta.
"Mi duole darti altri grattacapi, ma
devo chiedertelo lo stesso. Per caso non è che hai recuperato anche le mie cose
oltre alla mia carcassa alcolizzata?"
"Certo, anzi i tuoi vestiti dovrebbero
essere già qui, lavati e stirati di fresco. Mi rendo conto che quella roba non
dev’essere il massimo della comodità, ma non vedo dove sia tutta quest’urgenza."
Disse sollecita cercando di prendere tempo, era chiaro che quella richiesta
implicava un congedo presto a venire e non voleva assolutamente che se ne
andasse. Ma come impedirglielo?
"Come vedi ho approfittato in modo
spudorato della tua gentilezza e non vorrei abusarne fino a rendermi molesta.
Non prendertela a male Kaiou, ma oggi è Natale e mi rendo conto che avrai
senz’altro dei doveri verso la tua casa e i tuoi cari. Il che rende la mia
presenza notevolmente di troppo. Non temere però, non sto cercando nuovamente di
sottrarmi, ma i nostri discorsi dovranno aspettare almeno fino a domani."
"Che programmi hai per oggi?" Le chiese
per tutta risposta e Haruka, che nonostante quel che andava dicendo, si
preparava molto a malincuore ad andarsene, svagatamene le rispose.
"In tutta franchezza non ci ho ancora
pensato. Magari vado in centro, butto giù un boccone e poi potrei andare a
pattinare al palazzo del ghiaccio. Boh , non lo so, considerato che mi hanno
appiedato, posso fare progetti solo in base al percorso del metrò."
"Quindi non sei attesa da qualche
parte?" Domandò ancora una volta, tanto per esserne sicura al di là di ogni
ragionevole dubbio.
"Intendi per uno di quei pranzi
smaccatamente ipocriti durante i quali ci si scambiano regali inutili, si mangia
esclusivamente cibo che incoraggia il progresso del colesterolo e nel corso dei
quali tutti fanno finta di essere felici, benché si stia sputando sangue? Senza
offesa, ché potrebbe darsi tocchi anche a te una manfrina del genere, ma se stai
parlando di uno di questi, allora la risposta è no. E grazie a dio!"
"Bene." Michiru si alzò dalla sedia e
senza aggiungere altro prese la porta, intanto che la bionda si chiedeva che
diavolo le avesse preso, poiché non riteneva in nessun modo ingiuriosa la sua
descrizione della media borghesia impegnata nei festeggiamenti del Natale. In
ogni caso non ebbe ulteriore spazio per rifletterci, perché poco dopo la ragazza
ritornò seguita da un’altra cameriera, che recava con sé tutto il suo vestiario
accuratamente ripiegato.
"Ora, considerato che tale rito dal far
contorcere le viscere, tanto per me quanto per te, non avrà luogo qui. Visto che
i miei genitori sono entrambi altrove impegnati, il piano è questo Haruka:
adesso fai in modo da renderti presentabile mentre io t’aspetto dabbasso.
Dopodichè potremo decidere con tutta calma cosa ci va più di fare. A meno che tu
non abbia piani diversi, naturalmente."
Propose disponibile, ma con un tanto
d’autoritario che, se non si fosse trattato di lei, come minimo avrebbe fatto
imbufalire la sua interlocutrice al punto da essere mandata al diavolo, se non
presa per la collottola e buttata fuori. Invece per tutta risposta Haruka prese
un’aria assorta, poiché stava rimuginando su quanto potevano andare a fare per
trascorrere quella giornata che normalmente per lei era sempre stata fonte di
tedio e frustrazione.
"Mm, direi di no. In ogni caso ti
consiglio vivamente di congedare la servitù, onestamente mi pare esagerato avere
tutta questa gente intorno per sole due persone, non sei mica un vassallo dello
Shogun!" Rispose infine sfidandola col primo imprevisto che le venne in mente
per mettere alla prova il suo conformismo.
"Fossi in te non ne sarei tanto
sicura." La stuzzicò di rimando Michiru con quel suo fare caratteristico a metà
tra il misterioso e il malizioso che prima d’allora non aveva mai ardito usare
con lei. "C’è molto che ancora devi apprendere sul mio conto."
"E’ vero." Ammise conciliante, quindi
inarcò un sopracciglio e rincarò la dose. "Potresti illuminarmi mentre mi aiuti
a preparare il pranzo."
"Volentieri! Sarà uno spasso vederti ai
fornelli. Devo ammettere che non riesco ad immaginarti impegnata in un contesto
squisitamente domestico e femmineo. D’altro canto, potresti rendermi il favore
parlandomi di te intanto che espletiamo il rito decadente e retrivo di decorare
l’albero."
La ribattuta della violinista manteneva
alto il livello del loro scoppiettante duello verbale, ma Haruka si considerava
maestra nell’avere l’ultima parola e non intendeva farsi sopraffare.
"Sarà uno spasso e poi, bassina come
sei, è naturale ti occorra aiuto per mettere il puntale in cima. E tanto perché
tu lo sappia, cucinare non sottintende solo femminilità, piuttosto a me da tanto
l’idea dell’autosufficienza. Quello che a tutta prima a te pare mancare del
tutto!"
La stoccata di Haruka non mancò di
colpire il segno, ma la sua interlocutrice, che fino a quel momento aveva sempre
represso la sua verve per timore d’urtarla, graziosamente le rispose a tono. In
effetti più il mordente della bionda aumentava, più per contrasto, l’ilarità di
Michiru si faceva sottile. Una bella schermaglia tra due stili totalmente
differenti, ma al medesimo livello nell’efficacia.
"Sai una cosa Haruka? Versare l’acqua
calda nel recipiente del ramen non è la summa di tutte le indipendenze! E vorrei
anche farti notare che se io mi metto a cucinare il risultato è da leccarsi i
baffi. Lo stesso non so se si potrebbe dire di te. Già mi vedo le padelle che
cantano L’Avvelenata di Puccini!"
"Non mi sembra d’aver detto di essere
una cuoca sopraffina, senza omettere che ignoro del tutto chi sia costui e chi
abbia intossicato. Però, se tanto ti preme, pigliatelo ‘sto primato. Cucina pure
Kaiou, io non chiedo di meglio." Concluse sghignazzando.
"Credi di avermi fregato, vero?" Chiese
guardandola da sotto in su con un sorrisetto che avrebbe dovuto metterla in
guardia. "Allora sai che c’è di nuovo? Io cucino, ma tu lavi i piatti!"
"D’accordo." Assentì prontamente, tanto
che Michiru si chiese come fosse possibile. Un’accettazione supina non era da
lei, infatti la bionda scoppiò a ridere svelandole l’arcano. "Figuriamoci, è
chiaro che in cucina ci sarà senz’altro una lavastoviglie di proporzioni
industriali. Mi basterà premere un pulsante e il gioco è fatto."
"Non ci avevo affatto pensato." Assentì
Michiru un po’ colpita, forse l’altra in fin dei conti aveva ragione, ché
davvero era all'oscuro quel che si svolgeva nelle stanze dove operava la
servitù. Cominciò sul serio a sentirsi una specie di negriera
avansecolo.
"Avanti non prendertela, stavo solo
scherzando." Fece la bionda notando che i suoi dileggi erano andati molto più in
là di dove aveva previsto arrivassero.
"Davvero?" Chiese non del tutto
persuasa. In effetti non era la prima volta che l’altra le mandava un frecciata
in tal senso, sarebbe bastato ricordare la discussione che avevano avuto a
scuola l’ultima volta che si erano viste. Ma ora che diavolo stava
facendo?
Infatti Haruka aveva preso un
tovagliolo e se l’era avvolto sulla testa, poi rivolgendosi a Michiru con un
accento molto marcato esclamò: "Ma certo Miss Rossella. E ora tu mangiare
subito tutta tua colazione, altrimenti io dire a padron Ashley che tu no buona
moglie!"
Davanti a quest’improvvisazione Michiru
scoppiò a ridere stupita e quella caricatura ebbe il potere di dissipare tutte
le sue preoccupazioni. Adesso era certa che non stava deridendola con
cattiveria, all'opposto, il fatto che si fosse presa la briga di fare quel
teatrino a suo uso e consumo le riscaldò il cuore. Mai si sarebbe figurata
infatti che l’altra fosse stata disposta a fare la deficiente per disperdere un
suo malumore. E questo la riempì di gioia, tanto che l’allegria le tornò subito.
"Ah guarda io potrei passare per lei,
ma tu sei assolutamente troppo pallida e magra per poter essere Mamy." Affermò
intanto che Haruka, accertata l’efficacia dei suoi atti, si rilassò
visibilmente. "Comunque sono lieta di constatare che il tuo sarcasmo corrosivo
finalmente è tornato tra noi. In effetti mi chiedevo che fine avesse fatto e
devo ammettere che mi mancava. Mm, tornando al discorso di prima, sei allergica
a qualcosa?"
"Di commestibile? Non che io sappia,
solo che detesto le cose mollicce." Dichiarò storcendo le labbra, quindi sollevò
dalla pila i suoi jeans e con enfasi aggiunse:" E ora, ti spiacerebbe andartene
fuori dai piedi che vorrei cambiarmi?"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Parte 23 ***
23
23
Le disse tutto.
O perlomeno, quanto riteneva fosse
giusto dirle.
E complice il clima di sintonia
istauratosi quel mattino, approfittò della mutua collaborazione in cucina e del
momento nutrizionale del pasto per introdurre il discorso che le stava a cuore.
Sperò che Michiru si fosse armata di buona pazienza, poiché cominciò con un
lungo preambolo atto a sviscerare ogni singolo elemento, a costo d’apparire fin
troppo pedante. Ma siccome intendeva parlarle chiaramente una volta per tutte,
in modo da non doverci tornare più sopra, preferì prendersela estremamente calma
tracciandole l’intera e l’ingarbugliata mappa dei legami che da lei si
dipartivano in innumerevoli fili e che facevano capo a coloro i quali avevano
importanza nella sua sfera personale. Antipasto indispensabile questo per
introdurre il piatto forte, poiché, se prima non le avesse illustrato le
relazioni tra Hitomi, la scuderia per cui correva, la misoginia che imperava in
quello sport prettamente maschile e i rapporti intercorrenti con la famiglia
Yamamay, sarebbe stato oltremodo difficile che Michiru capisse il perché del suo
voltagabbana totale d’identità e stile di vita.
Inutile sottolineare che per ovvie
ragioni omise del tutto di menzionare i dettagli inerenti la piega decisamente
personale che aveva preso nei confronti di Shanaya. Del resto nel quadro
generale non che incidesse un granché e in quel momento si stava discutendo di
scelte di vita, non d’incidenti di percorso. Oltre al fatto che non aveva alcuna
voglia di scoprire quel che la ragazza potesse pensare a riguardo.
Ad ogni modo sapendo quanto fosse
Intuitiva, per non menzionare gl’indizi forniti dalla crapa rapata e
l’abbigliamento, s’immaginava che Michiru già avesse captato qualcosa e si fosse
fatta un’idea della situazione. In effetti ci contava proprio, poiché sperava in
qualche sua domanda ad hoc che le desse modo di spiegarsi senza troppo faticare.
Ma contrariamente al suo solito Michiru si stava limitando ad ascoltarla quieta
e senza profferire parola, per cui a malincuore dovette accollarsi l’onere e
bere fino in fondo l’amaro calice. Ardua impresa, perché non era mai stata
troppo brava con le parole quando si trattava d’illustrare qualcosa
d’intimamente personale. L’eloquenza le veniva meno in questi casi, normalmente
infatti tendeva a lasciare che le proprie azioni parlassero da sole, di modo da
non doversi prendere il disturbo di star lì a analizzarne il perché o il
percome. Ma riguardo ai fatti attualmente dibattuti non si poteva, ché il suo
operato in merito era troppo suscettibile ad essere equivocato e, a lasciarlo
nel limbo delle supposizioni altrui, chissà che guazzabuglio ne sarebbe venuto
fuori.
Quindi le toccava spiegasi e,
approfittando della passeggiata che stavano facendo nel lussureggiante giardino
interamente ricoperto di neve, le narrò della mistificazione cui si stava
rendendo protagonista. Non fu una scelta fatta a caso, al contrario, aveva
indugiato apposta. Fidava in quel biancore quale agente scenografico in grado
d’attenuare parzialmente lo shock che le sue rivelazioni avrebbero potuto
provocare nella ragazza.
Non che dubitasse della sua tolleranza
o larghezza di vedute, ma Michiru non era adusa né al corrente delle tremende
giravolte che il caso pareva si divertisse a porle davanti in successione e che
di volta in volta doveva aggirare con qualsiasi mezzo, lecito o no. Per cui
c’era più di una evenienza che quella faccenda potesse apparirle alquanto laida.
Haruka lo capiva perfettamente, così come era consapevole del fatto che,
d’accordo che era una ragazza illuminata, ma la violinista poteva anche covare
tutta una serie di pregiudizi dei quali lei non aveva nessuna cognizione. In
effetti era un azzardo e ci sarebbe dovuta andare con i piedi di piombo, ma era
stufa di perdersi in dubbi. Ultimamente ne aveva avuti più di quanti la sua
portata di sopportazione ne potesse sostenere e trovava che stessero snaturando
il suo equilibrio. Sì, era proprio ora di farla finita una volta per tutte con
le esitazioni. Per cui ruppe gl’indugi e, non senza un certo senso di
liberazione, vuotò il sacco.
Naturalmente quella sorta di
confessione fu fatta in modo molto personale, giacché Haruka restava sempre
Haruka. Il che voleva dire che pur badando a restare attinente all’argomento
sostanziale, non pose la questione in modo da avere attenuanti di sorta. In
pratica si limitò ai fatti nudi e crudi, senza star troppo sottolineare le
scusanti che l’avevano spinta ad agire in questo determinato modo. Certo avrebbe
avuto svariati motivi da addurre a questo proposito, ma al momento era del tutto
inutile ormai ritornarci su con osservazioni o polemiche, per quanto costruttive
potessero essere. L’essenziale invece era il principio, ovvero che non stava
assolutamente pietendo comprensione. Semmai era tutto l’opposto, per cui, se
Michiru voleva prendersi la briga di giustificarla, che facesse pure. Tanto non
era troppo difficile trovare il nesso che la sollevava dal sospetto. In caso
contrario, ciccia. Poiché per quanto la riguardava non aveva affatto intenzione
di buttare quella storia sul tavolo come se fosse una merce di scambio o di
usare i suoi problemi quali leve atte a stimolare la compassione della ragazza.
Ché il dilemma dal quale era emersa con molto dolore e l’identità fasulla che
stava inscenando non dovevano ridursi a divenire l’oggetto del contendere
emotivo tra loro, accidenti!
Era una questione d’amor proprio certo,
ma pure di razionalizzazione, in quanto era certa che in questo modo non faceva
altro che facilitarle le cose. Invero, impostando la questione così come stava
facendo, Michiru non aveva che da scegliere: o con lei o contro di lei. Si
trattava di decidere se prendere o lasciare. Semplice, sbrigativo, senza tutte
quelle maledette sfumature e quei fuorvianti chiaroscuri che avevano minato da
subito il loro mutuo conoscersi.
Ché poi fosse stata lei per prima a
disseminare quel cammino d’ostacoli era un altro paio di maniche. Anzi, si
poteva dire che così come prima l’aveva intralciata in ogni modo, adesso per
contrappasso le stava rendendo tutto più agevole. Insomma se le avesse detto:
"M’interessi, mi piace stare con te e pare che per quanto ti riguardi sia lo
stesso. Ma c’è questa serie di particolari coi quali devi scendere a patti. Ti
stanno bene? Sì? Ottimo! No? E allora, abbiamo un problema! Sarebbe stato
pressappoco lo stesso. Tuttavia non glielo disse, e se l’avesse fatto magari
Michiru avrebbe potuto avere un minimo di voce i capitolo, ma come sempre Haruka
era convinta di sapere perfettamente cosa fosse meglio per entrambe.
Tipico della bionda e lontano da lei
lasciarsi sfiorare dal dubbio che in quel modo per l’ennesima volta la stava
chiudendo fuori, anzi peggio, perché la stava mettendo da parte dopo averle
aperto uno spiraglio. Eppure non era una resistenza intenzionale la sua, bensì
un impulso che istintivamente affiorava nonostante tutti i suoi buoni propositi.
Del resto non si cambia da un giorno all’altro, né a sola forza di volontà.
Senza contare che era persuasa di star avendo addirittura delle premurose
attenzioni verso Michiru, in quanto così comportandosi le evitava l’insidiosa
trappola di farla sentire messa alla prova.
Ragionamento sconclusionato? Giusto un
pelo. Ma va detto a sua discolpa che era in bambola, completamente confusa.
Sragionava e non se ne rendeva nemmeno conto, impegnata com’era a raccontarsi
una storia che contraddiceva immediatamente dopo con svariati pretesti, e tutto
perché voleva dimostrarle che a questo punto si erano definitivamente lasciate
alle spalle certi giochetti. Chiedeva, fortemente desiderava, che potessero
avere una superficie liscia dove fluire liberamente. Vagheggiava una tela pulita
dove alternativamente lei e l’altra potessero dipingere a loro piacimento senza
scontrarsi con gli eventi e soprattutto tra loro. E a questo scopo si adoperava
senza badare ad altro che non fosse la sua visione finale.
Anche se doveva riconoscere che questo
era solo un lato della medaglia. L’altro era rappresentato da motivazioni
decisamente prosaiche e di natura egoistica, le quali, sebbene comuni a
chiunque, nella sua indole sapeva assolutamente esasperate.
Con estremo disincanto ammetteva che se
le aveva taciuto determinati particolari era stato anche per il suo innato
riserbo e soprattutto perché non riteneva di doverle dar conto di tutte le sue
azioni. Darle spazio, starle vicino e persino affezionarvisi era un conto, ma
mettersi completamente nelle sue mani era tutto un altro discorso e l’ultima
cosa di cui sentiva la necessità era quella d’aver alle costole un giudice che
con un bilancino pesasse la sua condotta ad ogni passo. E a fronte di tutte
queste attente valutazioni, concluse la sua succinta dissertazione, con una
sibillina affermazione:
"Ora sai. E francamente non so che
altro dirti, salvo che se ci si corica col cane, poi si ci sveglia con le
pulci."
Come a dire che per Michiru
ritrovarsela davanti sotto mentite spoglie non era altro che la conseguenza di
un intreccio di cause ed effetti sui quali doveva tranquillamente passare sopra,
perché l’importante era unicamente il risultato.
Concetto abbastanza articolato per
dedurlo da quell’ermetica frase, per di più ambigua, oltre che espressa in modo
piuttosto colorito. E rendendosene conto Haruka inarcò un sopracciglio
insoddisfatta. In effetti scaturiva poco chiara persino ai suoi stessi orecchi e
lei di quel casino conosceva tutti i dettagli, quindi come poteva pretendere che
Michiru intendesse? Ma che diavolo le era passato per la testa di uscirsene con
un simile perla retorica?
Ennesima e fedele testimonianza del
recondito timore che stava dilagandole dentro. Sicuro che era fermamente
risoluta a mantenere intatta la sua indipendenza e altrettanto certo era che
allo stesso tempo sperava di riuscire in ogni caso ad interagire con lei. Ma
quel che nel profondo la stava logorando era l’ancestrale paura del rifiuto. Da
anni combatteva una guerra senza esclusioni di colpi con quella, per molto tempo
si era persuasa d’averla sottomessa, ma ora doveva arrendersi ad una spiacevole
evidenza. Michiru riusciva a metterla a nudo, svelava incrinature che non
pensava di possedere e a sua insaputa aveva aperto una crepa che solo lei era in
grado di richiudere. E su questo Haruka ci sarebbe persino passata sopra. Sì,
per quanto stupefacente potesse essere, in condizioni normali, dopo l’iniziale
reazione opponente, magari avrebbe potuto persino arrendersi rassegnata innanzi
a tale inconfutabile dato di fatto. Ma siccome di ordinario la vicenda che le
vedeva protagoniste non aveva granché, allora, nel caso che a fronte di quelle
sorprendenti verità Michiru si fosse ritratta disgustata, lei Haruka che avrebbe
fatto? Non avrebbe avuto scampo, sarebbe caduta per sempre vittima di quella
paura e avrebbe potuto anche darne in escandescenze. Tutte magnifiche
eventualità, altrochè!
La fissò trepidante pronta a cogliere
il minimo cambiamento nei suoi tratti. Il silenzio che la ragazza stava
mantenendo non stava affatto proteggendo dalle sue apprensioni e la portò a
chiedersi se quello fosse il mutismo di chi comprensivamente aspetta il momento
opportuno per parlare, o invece quello di chi non riesce a trovare parole
adeguate ad esprimere il suo biasimo. Supposizione mica tanto campata in aria
questa, in quanto Michiru già in precedenza le aveva fatto intendere che per lei
non valeva il detto che voleva in guerra e in amore tutto ammissibile. Non le si
era rivoltata contro forse quando avevano appena, appena sfiorato l’argomento?
Era bastato un accenno e subito avevano fatto scintille. Con la differenza che
almeno allora aveva subito palesato i suoi sentimenti, mentre perché adesso
indugiava? Che reagisse, che la sommergesse col suo rimprovero, una cosa
qualsiasi, purché arrivasse maledizione!
Haruka contrasse la mascella e alzò il
mento con ostentata fermezza predisponendosi a quanto temeva l’aspettasse.
Appariva granitica, incrollabile, ma in verità l’inquietudine le aveva
aggrovigliato le viscere in un teso nodo. Aveva un intero concerto di bassi che
le rimbombavano dentro la testa e quella spasmodica disarmonia s’innalzò fino a
toccare il culmine quando infine la sua interlocutrice manifestò un’aria
alquanto afflitta.
"E’ un vero peccato." Esordì Michiru e
Haruka avvertì chiaramente la vampa della collera accendersi in lei. Badò a
controllarla e strinse i denti in attesa del resto. Come aveva previsto c’erano
arrivate, nonostante tutto ecco che giungeva infine la repentina marcia indietro
che aveva paventato a priori. Sicuramente gliel’avrebbe comunicato con estrema
gentilezza e savoirfaire, figuriamoci se poteva usare un registro meno che mai
cortese! Ma sempre di un congedo si trattava, anche se non aveva nessuna
intenzione di lasciarsi liquidare senza opporsi. Ah no, senza lottare mai! Forse
si era scoperta più debole di quanto pensasse e probabilmente era la ragazza che
le stava di fronte a renderla tale, ma nonostante tutto a monte di quella
singola debolezza batteva ancora il suo spirito indomabile. E Haruka Tenou aveva
sempre combattuto fino alla fine!
Non la lasciò finire, anticipandola di
slancio.
"Pare anche a me." Cominciò più fredda
della brina che ricopriva le fronde, ma non riuscì a continuare poiché l’altra
le si fece sotto, talmente vicino che nonostante il pesante abbigliamento
invernale riuscì a percepirne lo stesso il tenue profumo.
"Sì, devo ammettere che mi duole
veramente." Concordò Michiru annuendo dispiaciuta e, prima che Haruka potesse
ribattere, continuò: "Non hai idea quanto ci tenessi, avevo sperato che presto
potessi avere una possibilità… ma ormai non possiamo farci nulla, né io, né tu.
Sfortunatamente."
"E quindi ti arrendi eh? Come se la mia
opinione non contasse un emerito accidenti?!" Ribatté la bionda ficcandosi
furiosa le mani in tasca. Perché invece di trascinarla all’aria aperta non ne
avevano discusso al chiuso? In casa avrebbe potuto sfogare la frustrazione
spaccando qualcosa, ma qui che cavolo poteva mai fracassare?
"Beh, non vedo come potrei agire
diversamente." Fece la violinista alzando le spalle impotente e facendola
arrabbiare vieppiù. "L’hai detto tu stessa che non avresti più gareggiato come
velocista. Peccato davvero, avrei tanto voluto vederti almeno una volta correre
i cento metri. Elsa giurava che fosse uno spettacolo incredibile."
A quest’uscita Haruka rimase senza
parole e con la bocca spalancata dalla sorpresa, poiché non si era assolutamente
aspettata una cosa simile. In verità aveva interpretato l’atteggiamento
dell’altra in tutt’altro modo e, guardando all’impeto con la quale era insorta e
si era ribellata a quell’evento, avvampò malamente. La sua reazione infatti era
stata così immediata, a tal punto spontanea, ché le rivelò un barlume di
consapevolezza tale da lasciarla sgomenta. Era bastato un accenno infatti per
farle scoperchiare tutto un mondo sconosciuto e stava scoprendo un vulcano
ribollente di magma incandescente dentro di lei. Cognizione questa che,
rivelandosi per la prima volta in tutta la sua pienezza, ebbe sulla sua testa lo
stesso effetto della caduta di un pianoforte dall’ottavo piano.
"Devo starci attenta porca
puttana!" Fu l’unica cosa che riuscì a dirsi,
stordita com’era da quei sentimenti che volevano emergere a tutti i costi.
Errore, errore fatale! Doveva dominarli, sennò l’avrebbero travolta e sarebbe
stata la fine di tutto.
Cominciò ad eseguire degli
impercettibili esercizi di respirazione allo scopo di acquietare il battito
cardiaco che le andava a mille e, quando a fatica riuscì a riguadagnare un
minimo di compostezza, non osò posare lo sguardo sulla ragazza. Fortunatamente
Michiru pareva non essersi accorta di nulla, intenta com’era a contemplare la
pace immota del luogo circostante, come se fosse capitata lì per la prima volta.
Ne spiò le mosse e, fissandola non
vista, apprezzando per l’ennesima volta quel profilo armonioso, i bollenti
spiriti di Haruka tanto come rapidamente si erano elevati, ebbero un’altra
doccia fredda. Capì che c’era poco da fare, le era chiaro che l’irreparabile
ormai era accaduto e che a questo punto poteva solo sperare d’essere in grado
d’arginarne l’avanzare impetuoso. Imperativo categorico al fine di non rovinare
quel poco che fino a quel momento avevano potuto condividere.
Cercò disperatamente di darsi un
contegno, tossicchiò per attirarne l’attenzione e bofonchiò qualcosa riguardo a
dei dvd sui quali erano immortalate le sue atletiche gesta. Dopodichè, ripensò a
quanto le aveva appena detto e prese atto che Michiru non la stava affatto
congedando. Anzi, si stava rammaricando di non poter condividere qualcosa che
era stata parte integrante del suo essere. Un cruccio legittimo, giacché la
violinista aveva da tempo compreso che vederla correre avrebbe risolto meglio di
milioni di parole gli enigmi che la circondavano. Era persuasa infatti che solo
osservandola nell’espletazione fisica delle sue evasioni emotive sarebbe potuta
venire a patti con la sua natura sfuggente. Ché per una manciata di secondi
avrebbe finalmente potuto scorgere il nucleo del suo carburante vitale.
Per un momento irripetibile si
fissarono negli occhi e per la prima volta si capirono. In quel cruciale attimo
per osmosi Michiru abbracciò in pieno le trepidazioni nascoste sotto quella
facciata impenetrabile e Haruka penetrò appieno le effettive intenzioni
dell’altra. Ma fu una cosa talmente breve che entrambe pensarono di esserselo
immaginato.
Ad ogni modo ora che la bionda era
certa di non essere vittima della riprovazione dell’altra
si lasciò scappare un profondo sospiro
di sollievo. Come diceva sempre Ame? Nell’ascoltare si rivela natura del
mondo. E aveva ragione, poiché se avesse avuto la pazienza di dare ascolto
alle parole dell’altra, invece di correrle sempre avanti, per il futuro avrebbe
potuto evitare di straziarsi le coronarie.
E a dispetto di sé stessa e della
situazione le venne persino da ridere per la sua stupidaggine. Non che fosse sua
abitudine vestire l’abito dell’ingenua, ma in questo caso se ne sbatté
altamente. Piuttosto tutto ad un tratto si sentiva inspiegabilmente euforica
tanto che il verde delle sue iridi divenne scintillante come in poche occasioni
avveniva. Aveva la stessa espressione che in genere si profilava quando sul
campo stracciava tutti i suoi avversari riportando un successo frutto d’immani
sforzi.
Michiru questo non lo sapeva, pure notò
immediatamente quel cambiamento e le labbra le si stirarono in un sorriso di
profondo appagamento. Aveva giocato d’anticipo in realtà, calcolando al buio
l’effetto che avrebbero potuto avere le sue affermazioni. Audace mossa, ma
l’unica che riteneva in grado di poter in qualche modo sbloccare Haruka
agitandole qualcosa nel profondo. Insomma si era aspettata un moto istintivo da
parte sua, ma quanto stava accadendo superava di gran lunga ogni sua più rosea
previsione, in quanto la bionda in quel preciso istante sembrava trionfante. Più
che altro si era attesa una divertita replica, ma nulla più. Poiché, proprio
come Setsuna in precedenza, aveva cominciato a pungolare Haruka di traverso,
fidando sulle reazioni che pensava avrebbe potuto avere. Invece quest’ultima era
riuscita a stupirla ancora una volta facendole intravedere un qualcosa del quale
ancora non aveva preciso sentore.
E dire che credeva d’aver iniziato a
conoscerla, ma vedendola un momento prima furibonda e quello immediatamente dopo
entusiasta, senza contare gli intermezzi di tentennamento che avevano
intervallato i due stati d’animo prevalenti, capì che il cammino era ancora
lungo e che sarebbe stato poco intelligente dare per scontate certe cose.
Era cambiata in quei mesi Michiru, non
pretendeva più come una bambina ostinata d’avere tutto e subito. Aveva ormai
appurato che reclamare di procedere speditamente con Haruka era un errore
madornale, aveva afferrato che si stava bruciando al fuoco della sua stessa
fiamma. Così ora con naturalezza si stava adattando ai suoi tempi e paziente si
dedicava agli sviluppi che avrebbero portato. Ma più che un precetto zen, o un
movente opportunistico, il suo altro non era che una nuova forma d’affetto. E
cioè l’accettazione di uno status quo che fino a quel momento non aveva potuto
accogliere, dato che non era ancora pronta a riceverlo. Adesso al contrario era
preparata e si stava scoprendo meno fatalista e più propensa a combattere per
quel che voleva, dal momento che al culmine di quella separazione forzata aveva
capito d’aver imparato a misurare i suoi bisogni e finalmente intendeva appieno
i suoi desideri. Ergo, con una maturità sorprendente per la sua età, stava
usando questa conoscenza acquisita per circoscrivere la mutevole sfera delle
smanie dell’altra. Tant’è vero che, se le omissioni e la conseguente esclusione
cui Haruka la stava facendo vittima si fosse compiuta prima del loro distacco,
sarebbe stata origine di un fraintendimento doloroso e sopratutto di una sequela
d’interrogativi quali l’avrebbero vista di continuo perdente. Poiché sempre
aveva commesso l’errore di rapportarsi ai suoi silenzi come inadeguata e
fallace. Ma rispetto al passato ora sapeva d’aver acquistato consapevolezza e
non cercava più ombre nel deserto, piuttosto prendeva la diffidenza dell’altra
come tale, non rapportata a lei. A tempo debito avrebbe saputo, in questo
momento invece sarebbe stato del tutto inutile e vanaglorioso tentare di forzare
i suoi blocchi.
Spesso aveva nuotato in mare aperto e
ora come allora aveva recepito che tentare d’opporsi alla corrente era del tutto
inutile, l’unica era di lasciarsi trascinare finché non avrebbe avuto forza a
sufficienza per arrivare dove voleva. Per cui abbozzò un sorriso indulgente
davanti all’evidente impasse di Haruka e decise di toglierla dall’imbarazzo.
"Mi sa che qualcuno qui era un pochino
preoccupato." Buttò lì apparentemente spensierata.
"Cazzate!" Replicò la bionda la quale,
superato il momento di beatitudine celestiale e realizzato che in effetti era
rimasta vittima di una sorta di manipolazione, di fatto appariva alquanto
contrariata. Anche se stava facendo di tutto per dissimularlo. Un vano
tentativo, poiché Michiru intuiva il suo turbamento, benché se ne avesse saputo
giusto un po’ di più sulla sua causa scatenante, non sarebbe di certo rimasta
così ponderata.
Ad ogni modo il punto era che Haruka
non poteva concepire una cosa simile, e non perché fosse per l’ennesima volta
oggetto delle beffe della ragazza, quanto perché con quella pausa prolungata a
bella posta davvero l’aveva tenuta alla ruota. Il che la portò a chiedersi
inorridita se offrisse davvero quell’impressione di fiacchezza. Sperò di no e
nonostante sapesse che quello della violinista era stato una sorta d’innocente
tentativo di riprova, le pareva proprio che Michiru ci stesse davvero prendendo
gusto a stuzzicarla più del dovuto.
Il che era pericoloso, non solo per
l’impronta che poteva darne, ma perché non era certa di riuscire sempre a
soffocare quel che la ragazza era capace di risvegliare in lei. E tralasciando
quest’aspetto, in verità lo tralasciava con piacere, quella poteva essere una
imprudente abitudine anche per un altro motivo. Perché, se fino ad un certo
punto era piacevole lasciarsi prendere in giro quando la canzonatrice era lei,
d’altra parte c’era un altro fattore che meritava attenzione e la preoccupava
alquanto.
Già, infatti cosa sarebbe successo
allorché un ghiribizzo simile avesse preso Michiru nel momento in cui lei fosse
stata preda di uno dei suoi umori assassini? Certa gente, per molto meno, ancor
oggi tremava al pensiero della sua reazione violenta. Comunque non ebbe il tempo
materiale di pensare a certe eventualità e neppure di rimbeccarla a dovere, ché
l’altra già aveva imboccato un’altra tangente.
Difatti Michiru ritenne opportuno
troncare di netto tutto quel discorso, onde frenare la bufera emozionale che da
un momento all’altro rischiava di travolgerle entrambe. Haruka era con evidenza
preda di svariati dubbi che disegnavano sul suo volto tutta una gamma
d’espressioni che andavano dal perplesso all’incerto. Al contempo poi, per
quanto la riguardava, non si sentiva ancora tanto forte da poter gestire quel
che si rimescolava in lei a fronte di tutto ciò. Vero che per il momento aveva
retto bene il timone, ma trattandosi di Haruka e del delicato castello che
stavano edificando, il suo turbamento s’ingigantiva e a stento riusciva a
tenerlo a bada. Per cui ritenne prudente cambiare argomento.
"Un passo alla volta." S’ingiunse perentoria.
Inoltre era davvero inquieta per lei,
infatti tutta una serie di preoccupazioni avevano preso ad assillarla man a mano
che udiva i dettagli della sua incredibile metamorfosi. Era evidente infatti che
c’erano delle falle nel suo piano e speranzosa si augurò che Haruka avrebbe
accettato di buon grado il suo tentativo di darle una mano. Quindi s’apprestò a
porgergliela.
"Parliamo di cose serie, che ne dici?"
Propose di punto in bianco. "Tornando a quanto mi hai detto infatti, mi pare
chiaro che ci sia qualcosa a cui non hai pensato."
"Ah, davvero?" Fece l’altra con fare
casuale, non c’era traccia del cipiglio truce che Michiru aveva temuto, per cui
si sentì spronata a continuare. "Sei stata abile a cancellare le tue tracce e ti
confesso, cosa che mi ha stupito alquanto, che a scuola ormai non si parla
assolutamente di te. Come se fossi stata una specie di meteora."
"Prevedibile." Haruka annuì compunta
con l’aria di chi la sapeva lunga. "L’eccellenza è mal tollerata, sempre. Mh,
che brutto colpo per il mio amor proprio però! E’ avvilente constatare quanto
siate volubili voi femmine!" Esclamò dandosi una manata teatrale alla fronte e
ridendo a fior di labbra la violinista francamente si chiese fino a che punto
stesse scherzando. Effettivamente per una orgogliosa come lei doveva essere un
boccone amaro da mandar giù. Ma in fin dei conti se l’era voluta, quindi preferì
non approfondire quest’aspetto della cosa.
"Devo cantarti la donna è mobile,
qual piuma al vento?" Replicò ironica.
"Oh no, meglio ma che gelida manina,
se la lasci riscaldar, con ‘sto freddo mi pare la cosa più adatta!"
"Però, non m’immaginavo conoscessi
l’opera." Fece Michiru interessata, per tutta risposta la bionda le rilanciò una
frase che, semmai la ragazza non avesse appreso da Setsuna quanto sapeva,
sarebbe stata alquanto oscura.
"Diciamo che per un certo periodo ho
dovuto sopportare dei bohemièn che nello stereo non mettevano altro da mane a
sera. E dai, che ti ridai qualcosa m’è rimasto impresso. Ma ti prego,
riprendiamo da dov’eravamo rimaste."
"D’accordo." Assentì mollando subito la
presa, per quei discorsi ci sarebbe stato tempo più avanti, sempre che l’altra
avesse voluto ovviamente. "Da quel che mi è parso di capire è cosa nota
nell’ambiente automobilistico che tu sia vissuta all’estero, vero?"
"Sì, del resto il mio ingaggio è stato
contrattato quand’ancora vivevo negli states."
"Anche a scuola si sapeva delle tue
origini statunitensi, anzi era una delle tue caratteristiche distintive, anche
se i più pensavano che fossi californiana. Forse si erano lasciate traviare
dalla zazzera bionda e da quel tuo accentino un po’ marcato che sbuca di tanto
in tanto quando alzi la voce." Esclamò ridacchiando alla menzione delle vocali
allungate che le venivano fuori quando s’irritava.
"Dici davvero? Accidenti, credevo che
la mia pronuncia fosse buona." Fece Haruka sinceramente stupita, infatti credeva
di non parlare affatto come una macchietta di Stanlio & Onlio.
"Non c’è male quando parli giapponese."
La rassicurò subito, in effetti se non fosse stato per quel piccolo difetto si
sarebbe potuto tranquillamente pensare che non si fosse mai allontanata dal
paese del sol levante. "Ma abbiamo frequentato qualche lezione d’inglese
assieme, ricordi? E sai Haruka, non offenderti, ma il tuo eloquio non è quel che
propriamente si definisce british."
"Ok vorrà dire che qualora mi
presentassero la regina Elisabetta farò finta di essere sordomuta!" Affermò un
po’ piccata, era la prima volta che le facevano un appunto del genere, ma del
resto se chi glielo faceva notare era miss punti perfetti, allora era più che
normale! Comunque preferì non far polemiche e andò avanti: "Ma ti spiacerebbe
evitare altre divagazioni e venire al dunque?"
"Quel che voglio dire è che, qualora
una persona che tu abbia conosciuto in passato ti vedesse in tv e notasse quanto
quel corridore ti rassomiglia per corporatura, modi, tratti somatici, origini e
addirittura ha il tuo stesso nome, magari potrebbe fare un collegamento. E se
poi si facesse prendere dall’estro di verificare, che cosa potresti fare?"
"Il mio è un nome neutro, l’America è
immensa e ogni santo giorno c’è qualche discendente degli emigranti che ritorna
al paese d’appartenenza." Affermò per niente sulla difensiva. Quelli erano gli
stessi dubbi che aveva vagliato in precedenza e credeva d’averli in qualche modo
aggirati. Per cui continuò: "Quanto alla somiglianza, ho fatto tutto quel che
potevo. Certo avrei potuto tingermi i capelli, ma credo che non avrebbe fatto
altro che aumentare i sospetti più che dissiparli. E poi ho una faccia troppo
bella per rovinarla con una plastica!" Aggiunse indirizzandole un ghigno da
canaglia al quale Michiru rispose mimando una profonda esasperazione.
"Quanto sei narcisista, mi meraviglio
che non t’innamori ogniqualvolta passi davanti ad uno specchio!"
"Questo no, ma non manco mai di
stupirmi della magnificenza di quanto vedo." Replicò facendole l’occhiolino. "E
poi sai, pare che ognuno di noi abbia fino a cinque sosia. Anche se suppongo che
una somiglianza tale unita ad un evidente caso di omonimia è pressoché
inverosimile. Indubbiamente non mancherà di creare un certo scompiglio, ma in
ogni caso quella che mi hai fatto è un’ipotesi che avevo già soppesato,
concludendone che potrei solo negare. Disgraziatamente davanti a certi
imprevisti sono impotente."
"Non del tutto, sai stare da tanti anni
su di un palcoscenico mi ha insegnato qualche trucchetto e ad occhio e croce
credo che ciò che ti occorra ora altro non è che un diversivo plausibile.
Attuarlo diminuirebbe il rischio che la tua copertura possa crollare non appena
si sussurri qualche indiscrezione."
Dichiarò pratica e Haruka la guardò di
tralice senza reagire, guardandola mentre iniziava ad avanzare nel candore
soffice che ricopriva il manto erboso. Non aveva capito esattamente cosa volesse
dire e, così come per quanto aveva appena proferito, allo stesso modo Michiru
procedeva spedita attraverso quello spazio dove non c’era traccia di sentieri
visibili. Come se, diversamente da lei, sapesse esattamente dove voleva
dirigersi. Non le restò che seguirla, incuriosita su dove volesse andare a
parare.
"Potrebbe darsi." Assentì infine
simulando una profonda riflessione. Poi raccolse una manciata di neve e iniziò a
lavorarla nervosamente con le nude mani incurante del gelo. "Voglio dire, credo
che potrebbe essere una soluzione ideale. Se solo sapessi che accidenti è!"
Ammise infine adombrandosi. Porca miseria, prima le aveva fatto fare la figura
della scema, adesso era il turno di farla passare per un’ignorante?!
"Ma hai freddo? Non mi sembri a tuo
agio." Le chiese improvvisamente Michiru notando da ultimo l’aria aggrottata che
inalberava. "Se vuoi possiamo rientrare." Propose come se ignorasse di esserne
il perché scatenante. Ci era o ci faceva? A questo punto Haruka non lo sapeva
più, sentiva solo che la situazione le stava sfuggendo sempre di più dalle mani
ad ogni attimo che passava.
"Non ce n’è bisogno, piuttosto ti sarei
grata se mi spiegassi di che si tratta." Replicò iniziando a pensare che volendo
Michiru era capace d’essere più tortuosa di un rebus. Ah, e io che mi
consideravo una dall’oscuro agire! Pensò beffarda. Ma com’è che quella
ragazzina riusciva a fiaccare tanto facilmente la sua proverbiale sicumera?
Accidenti, a lasciarla fare c’era più di una probabilità che potesse presto
ridurla ad una gelatina tremante in balia dei propri umori! Proprio l’opposto di
quanto normalmente desiderava apparire.
"Quando un’illusionista esegue un
trucco", cominciò Michiru fermandosi sotto un albero e fissandola con uno
sguardo penetrante da sotto le lunghe ciglia, occhiata che subito incatenò
l’interesse della bionda con il suo zaffiro luminoso, "deve necessariamente
distogliere l’attenzione del pubblico da ciò che sta realmente facendo. A questo
scopo quindi crea un diversivo plausibile, il quale altro non è che un
espediente per camuffare il gioco di prestigio che sta compiendo."
"Interessante." Fece Haruka mentre col
naso per aria osservava la cima dell’altissimo abete valutandone le proporzioni.
Poi riportò lo sguardo sulla ragazza e per un po’ si dondolò sui talloni
cercando di cogliere il nesso. "Quindi che mi suggerisci? Di tirare fuori un
coniglio dal cappello non appena si fanno delle illazioni? Oppure di farmi
legare nell’abitacolo della macchina come un novello Houdini?" La punzecchiò
prendendo tempo, si rendeva conto infatti d’essere ancora piuttosto lontana dal
punto fondamentale del quale si stava dibattendo.
"Se zittisci il tuo sapiente sarcasmo
giusto il tempo di farmi finire, magari mi spiego meglio." La replica piccata di
Michiru partì a razzo, ma ciò nonostante, non appena venne a scontrarsi con il
sogghigno divertito che Haruka le indirizzò, perse tutto il suo mordente. Com’è
che riusciva sempre a plagiarla in quel modo? Sì stava reggendo bene l’urto di
quel tira e molla infinito, ma non poteva negare che nonostante tutto la bionda
era capace di smontarla con un niente. Attraversava le sue barriere con una
facilità irritante, e il peggio era che le riusciva più naturale quando aveva un
comportamento lieve come uno zefiro estivo, anziché furioso come la sferza della
tramontana.
Michiru scosse il capo impotente
innanzi alla sua arrendevolezza, purtroppo quando si trattava delle smorfie di
quella cialtrona tutti i suoi buoni propositi andavano a farsi benedire. Ad ogni
modo l’aveva zittita per un tempo sufficiente a proseguire.
"Ti faccio un esempio pratico. Prendi
la pittura ritrattistica, guardi un quadro e capisci subito quel che l’artista
intendeva rappresentare, giusto?"
"Sì più o meno." Accondiscese Haruka
meditabonda, dopodichè sghignazzò e riprovò a farle perdere il filo. "Però
onestamente mi sono sempre chiesta se al personaggio de L’urlo di Munch
per caso non abbiano rubato il portafogli o abbia saputo che la moglie lo
cornifica!"
"Sii seria un attimo e ascoltami."
Ribatté Michiru severa, un capolavoro come quello non poteva essere impunemente
beffeggiato. Già, ma allora perché non riusciva a reprimere quella maledetta
ridarella che le saliva dai fianchi? Resse con lodevole costanza, anche perché
se avesse cominciato a ridere, quella inanellando sciocchezze a ripetizione come
al suo solito, non l’avrebbe fatta più continuare.
"Adesso invece pensa ad un’opera d’arte
moderna, una qualsiasi." Propose, e a lei ne vennero in mente innumerevoli,
stesso però non poteva dirsi della bionda che la fissava alquanto interrogativa
aspettando un’imbeccata. Alla fine non ne poté più e sbottò.
"Beh? Ma che c’entra? Sai Michiru se
volevi farmi una dissertazione artistica non c’era bisogno di tirare in ballo
tutta ‘sta faccenda. Ti sarebbe bastato invitarmi ad una mostra e poi cominciare
la tua erudita conferenza."
"Questo vorrebbe dire che qualora
t’invitassi ad una esposizione ci verresti?" Rispose la violinista insinuante e
rigirandole la frittata sotto il naso. In effetti c’era proprio un vernissage
che l’interessava moltissimo e inizialmente aveva pensato di farsi accompagnare
da Setsuna. La quale per sensibilità e colpo d’occhio le era parsa la candidata
ideale, ma alla luce di quanto stava udendo poteva darsi che vi si sarebbe
recata in compagnia di qualcun altro. Magari potevano andarci tutte e tre
insieme. Sai che spasso, già si vedeva la scena: lei e la ragazza dalle lunghe
chiome che in primo piano discutevano sul valore intrinseco che l’artista aveva
voluto dare ai sui quadri e Haruka sulla loro scia che brontolava a proposito
delle palle infinite che si stava facendo!
"Dipende." Rispose quest’ultima
guardinga figurandosi il medesimo scenario di Michiru, ma con l’aggiunta di
un’occhialuta e bruttissima intellettuale che non solo la tediava all’infinito
con le sue attente valutazioni, ma che a fine giro la interrogava pure facendole
fare una pessima figura. Chissà perché le ricordava un tantino la vicepreside…
"Comunque Michiru, se volevi farmi una
proposta simile era sufficiente dirmelo, quel che non capisco invece è che
diavolo c’entri adesso. E se devo essere sincera, qua tra maghi da strapazzo e
pittori dal genio folle io non ci sto capendo un accidenti!"
"Ecco l’hai detto, pittori folli."
Rispose la ragazza animandosi, a quanto pareva stavano arrivando al punto.
Haruka ringraziò il cielo e si augurò che da quel momento in poi la
conversazione diventasse comprensibile, ché fino a quel momento, digiuna com’era
d’arte, non è che avesse colto più di tanto.
"Infatti dubito che chiunque davanti ad
un quadro di Dalì sappia darsi una risposta univoca su quel che intendeva
rappresentare. E cosa fa lo spettatore medio davanti a quel che non capisce?"
Continuò Michiru sparandole a bruciapelo un’altra domanda inaspettata.
Haruka strinse i denti soffocando
un’imprecazione. In effetti quel che spontaneamente le salì alle labbra fu:
Manda al diavolo l’arte e va a farsi una birra nel bar più vicino! Ma
evitò di dirlo ché chiaramente non era quel che ci si attendeva da lei, quindi
si esortò rassegnata ad un po’ di pensiero teoretico. No, no. Fammici
pensare. Quando quel carrozziere da strapazzo mi pitturò da schifo la moto fu
con lui che me la rivalsi, quindi se tanto mi da tanto dovrebbe essere lo
stesso.
Fissò Michiru e chiese di rimando
speranzosa: "Guarda al creatore dell’opera?"
"Esatto! E la domanda successiva è: se
Dalì fosse stato un semplice ritrattista di paesaggi, credi che sarebbe stato il
personaggio balzano ed eccentrico che era?"
"Senti ma che vuoi che ne sappia?"
Perse il controllo spazientita innanzi all’ennesimo quesito al quale non sapeva
dare risposta. "Invece, non è che mi stai dicendo, tra le righe, che putacaso ti
dedicassi all’astrattismo comincerai a girare con l’occhio da pazza cocainomane
e vestita da punkabbestia? No, perché nel qual caso, di sciroccati così potrei
presentartene quanti ne vuoi."
Michiru stavolta rise di cuore, era
evidente che quel discorso speculativo non aveva effetto su quella pragmatica
dai piedi ben piantati in terra che Haruka era, per cui cercò di semplificare il
tutto.
"Quel che intendo dire è che chiunque
conosce quell’artista anche se non ne capisce il messaggio. Persino chi ne
ignora le opere. Insomma un diversivo plausibile riuscito alla
perfezione."
"Mm, vediamo se ho capito. Posto che
probabilmente i quadri di quel tizio siano delle boiate pazzesche, si è
normalmente portati a credere che sia un grande talento perché si comportava
come uno squilibrato?"
"Proprio così." Assentì Michiru con
aria complice. Haruka ci pensò un po’ su grattandosi la testa perplessa, finché
non le venne un paragone che trovava molto più vicino ai suoi parametri di
valutazione.
"Come dire che l’operazione Desert
Fox altro non era che un diversivo plausibile usato dal presidente Clinton
per distogliere l’attenzione dai giochetti che gli faceva Monica Levinsky nello
studio ovale?" Chiese ripensando al tutto il casino che quella faccenda aveva
causato. In effetti ai tempi dell’impeachment si era fatta un sacco di
risate e la faccenda le era rimasta impressa.
"Se ti piace metterla così, sì
probabilmente è lo stesso." Fece l’altra trovando l’esempio tutto sommato
calzante.
"Mica a me, a lui piaceva metterla
così!" Ribatté ironica credendo d’imbarazzare la candida fanciulla, ma le disse
male poiché Michiru invece d’arrossire le sparò un’occhiata che non prometteva
nulla di buono. Infatti ci mise il carico da cento.
"Perché tu come l’avresti messa?"
Chiese carezzevole.
"Io l’avrei messa alla porta, dì ma te
la ricordi quant’era brutta?" Fece evitando di rispondere a quella domanda
indiretta e continuò: "Però potresti avere ragione, sai? Il discorso fila, ma
ancora mi sfugge come si concretizzerebbe con me tutta questa
teoria."
"Vincendo darai molto da parlare, e non
ho alcun dubbio che vincerai. Però a parte i successi sul campo, esagera.
Amplifica a dismisura ogni minima inerzia e soprattutto comportati all’opposto
di quel che hai sempre fatto davanti agli altri. Insomma, quando sei in pubblico
fa’ tutto quel che normalmente non faresti mai."
"Passeggiare per Shinjuku con un maiale
al guinzaglio gioverebbe?" Chiese graffiante a mo’ di sfottò. Ovviamente aveva
capito perfettamente a cosa si stava riferendo, ma era interessata a verificare
cosa esattamente secondo Michiru volesse dire esagerare.
"Ma che diavolo hai capito? Non
intendevo queste stupidaggini, per l’amor del cielo! Devi creare ad arte una
serie di comportamenti, non incidenti e caos. Smetti la tua uniforme da
introversa, folleggia, da’ confidenza a tutti, insomma comportati come a scuola
non hai mai fatto. Lo so che in un certo senso sarebbe come violentare la tua
natura, ma chi diventa una persona pubblica non può che comportarsi così se
vuole mantenere un certo distacco."
"Mm." Mugugnò finché l’espressione
meditativa che apposta esibiva non fu sostituita da un sorrisetto furbo che mise
sul chi vive la violinista. "Sai una cosa? Da quando ho cominciato questa
messinscena ho preso a vestirmi come Dolce & Gabbana comanda, conosciuto e
preso a frequentare un mucchio di persone, partecipato a feste incredibili e non
ultimo per fine Gennaio dovrebbe arrivarmi finalmente il cabriolet giallo che
scarrozzerà il mio delizioso culo in giro per la città. Molto vistoso non credi?
Senza contare che ho sistematicamente insidiato ogni femmina che entrasse nel
mio perimetro ad una distanza minima di cento metri." Terminò d’enumerare sulle
dita e chiuse il pugno dandosi un colpo nella mano aperta e al suono della
discreta botta che produsse affermò canzonatoria: "Guarda te che coincidenza,
stavo cimentandomi in una serie di diversivi plausibili e neppure lo
sapevo!"
"Questo perché nonostante tutto sei
sempre stata un’esibizionista presuntuosa! Ad ogni modo è esattamente quel che
volevo dire, anche se la tua vocazione a fare il casanova da strapazzo non è che
una conseguenza inevitabile." Replicò la violinista con fare brillante,
chiedendosi al contempo se sarebbe riuscita a convivere pacificamente con
quest’aspetto della faccenda. Era quantomai sgradevole per lei, sebbene sapesse
che fosse necessario e quanto la bionda ci andasse a nozze.
Ad ogni modo c’era ancora una variabile
che andava discussa e alla quale Michiru pareva non aver pensato, contrariamente
ad Haruka che non esitò a puntarci sopra l’indice.
"A questo proposito ragazza mia, cosa
ci inventeremo quando i paparazzi ci beccheranno assieme? Sarà un florilegio di
stronzate su carta stampata. Già mi vedo i titoloni!"
"In che senso scusa?" Fece Michiru
cadendo dalle nuvole.
"Sei famosa, più che nota alle cronache
mondane. Basterebbe ripensare allo scompiglio che hai creato ieri in mezzo a
quegli alti papaveri." Replicò acida riferendosi alla ressa di bellimbusti che
l’attorniava.
"Senti chi parla, perlomeno io
ho fatto un entrata normale." Affermò urtandosi un pochino. Accidenti a te,
dopo quel po’, po’ di spettacolo che hai dato, hai anche la faccia di bronzo
d’accusarmi di dissolutezza? Pensò guardandola malissimo. Precedentemente
aveva deciso di non parlarne, ma visto che Haruka stessa aveva tirato in ballo
la questione, le tirò un preciso fendente.
"Inoltre non ero mica io a
pavoneggiarmi e a strofinarmi addosso a quella cavalla melensa davanti a
tutti!"
"Ehi ma che storia è questa?" Chiese
sulla difensiva. Come se sotto non ci fosse nessun altarino, come se quella
fosse un’ingiusta accusa e lei non fosse quella gran marpiona che era. "Se devo
passare per maschio devo comportarmi come tale! Mi sembrava di essere stata
chiara su questo punto."
"Chiarissima, ma non fare la parte de
è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo, perché Haruka cara, tu
non sei un playboy coattivo. E’ più che evidente quanto la cosa ti diverta un
mondo."
Davanti a quella veemenza la bionda
rimase interdetta e la sua psiche ancora una volta dimostrò quanto potesse
essere abile nell’attuare i suoi collaudati meccanismi di tutela, poiché dalla
reazione di Michiru estrapolò solo quello che le faceva più comodo
prendere.
Cazzo dev’essere proprio un’antipatia a
pelle quella che ha per Shanaya! Pensò come
una perfetta idiota. Comunque era evidente quanto la cosa la irritasse per cui
cercò di blandirla.
"Beh Michiru, riflettendoci, forse ho
calcato un po’ la mano. Però non eri tu stessa a dirmi, non più tardi di due
minuti fa, che è proprio così che mi dovrei comportare?"
Presa in contropiede la violinista non
ebbe la prontezza d’inventarsi un motivo valido che non fosse quello vero, e
cioè che era gelosa marcia. Questo però non gliel’avrebbe detto mai, non era
affatto il momento di farle questo tipo di confessione, l’equilibrio era ancora
troppo precario per una rivelazione del genere. Così Haruka si diede da sé
l’unica spiegazione che trovava accettabile.
"Ma se temi che Shanaya e tutte quelle
come lei possano minare il nostro rapporto, allora sta’ tranquilla. Quelle sono
solo figure di contorno." La rassicurò con fare superficiale, talmente
approssimativo che Michiru cominciò a sospettare che le stesse nascondendo
qualcosa.
"Non mi sento affatto minacciata."
Rispose con un’occhiata che riverberava come l’acciaio nudo e per la prima volta
Haruka ebbe un brivido di paura. E non era il timore che precedentemente aveva
provato al cospetto di quel che provocava in lei la ragazza, quanto l’allarme
causato dallo scoprire una ferrea volontà in netta contrapposizione con la
propria. Non era mai accaduto ed era singolare che un soprassalto simile fosse
fatto nascere da una persona dall’apparenza inerme come Michiru.
Abbozzò e prudentemente batté in
ritirata.
"E’ un bene, perché sappi che è tutta
una finta. Una sceneggiata fatta a beneficio degli altri e che con te non ha
nulla a che fare."
Poco convinta Michiru inarcò un
sopracciglio, ma per il momento preferì sorvolare, si accontentò di aver messo
il dito nella piaga procurandole un soprassalto di coscienza.
"Dicevi a proposito della mia fama?"
Chiese abbassando il mento e con fare un po’ più disponibile.
Haruka captò il cambiamento e si tuffò
in quell’apertura molto tirata su di morale, conscia del pericolo appena
scampato.
"Che in quanto conosciuta,
accompagnandoti con un fusto quale io sono, provocherai innumerevoli illazioni.
Senza contare che qualora la fama baciasse anche me, e si spera, l’eco diventerà
ancora più grosso." Affermò non senza una certa autoironia, la violinista
intendendo l’antifona le ghignò di rimando.
"E tu lasciali dire. In tal caso poi
sarebbe una benedizione, poiché non farebbe che rafforzare l’espediente di cui
discutevamo prima. Oltre a ciò, a scuola non siamo mai state celebri per andare
d’amore e d’accordo. Quindi se qualcuna delle nostre compagne avesse qualche
diffidenza a proposito, il vederci assieme su un rotocalco la spiazzerebbe in
pieno. Basterebbe ricordarsi del trattamento estremamente riguardoso che mi hai
sempre riservato davanti a tutte."
"Okay, chiedo umilmente perdono per la
mia condotta, d’accordo?" A quella sciabolata elegante la bionda sbuffò
imbarazzata. "Ma tu non rinfacciarmelo più!"
"Non ti stavo rimproverando, stavo solo
sottolineando quanto la cosa potrebbe tornarti utile." Fece Michiru tutta
candida ridacchiando.
"Beh sì, a me sì, ma con la tua
reputazione come la metti?" Si informò un poco insinuante, ma Michiru non fece
una piega..
"Tranquilla, se mi fossi voluta curare
di tutti i flirt che mi hanno attribuito dalla pubertà in poi a quest’ora sarei
alla neuro. Pensa che per un periodo mi hanno addirittura definita quale la
Lolita della musica classica. E tutto ciò solo perché avevo frequenti
scambi e collaborazioni con dei compagni di conservatorio. E dire che mi sono
sempre comportata in modo ineccepibile. Ad ogni modo, non hai di che
preoccuparti Haruka, è perfettamente normale. Tuttalpiù diranno che ce la stiamo
spassando assieme, il che tutto sommato è abbastanza innocuo." Concluse
sbrigativa, ma poi posta di fronte alla manifesta perplessità della sua
interlocutrice, non poté far a meno di chiederle incredula: "Ti prego, non dirmi
che una cosa simile ti creerebbe delle difficoltà, perché non ci credo."
"A me no di certo, siccome sono io
quella che deve passare per lo sciupafemmine che si sollazza in ogni dove." Fece
la bionda punta sul vivo da quelle dichiarazioni e dal poco peso che la ragazza
pareva dare al loro reciproco, anche se fittizio, fare coppia. Beh se la
prendeva così, allora meglio mettere i puntini sulle i fin dal
principio.
"Piuttosto direi che se di difficoltà
si deve parlare, allora sono tutte tue. Ché se ci prendono per fidanzatini e io
faccio la bella vita, non ci vorrà molto per appiccicarti l’etichetta della
scema tradita. Senza contare le questioni cui andresti incontro qualora perdessi
sul serio la testa per qualcuno. A quel punto sì che saresti nei guai."
"Tutto a suo tempo." Michiru fece
spallucce come se quell’ipotesi fosse talmente lontana nel tempo da renderne
assolutamente inutile il prenderla in considerazione. "E poi sai quanti
simpatizzanti avrei?" Aggiunse lanciandole una significativa occhiata. "La
povera vittima innocente del bieco pilota rubacuori!"
Risero insieme a quel quadretto, una in
modo autoreferenziale, in quanto sapeva benissimo d’esserlo già, e l’altra per
puro spasso, perché trovava una cosa simile quanto mai lontana dall’essere vera.
"Lasciamo pure che i media si
sbizzarriscano a dire quel che gli pare, potremmo sempre girare la cosa a nostro
vantaggio e male che vada, una bella conferenza stampa di smentita e tutto torna
come prima. L’essenziale è restare quel che veramente siamo, poiché sappiamo
entrambe che quelle sono solo fantasie."
Propose e la bionda assentì convinta
dalla giustezza di quelle argomentazioni.
"E vero, io e te che stiamo insieme è
senz'altro uno scenario da fantascienza… okay, ma preparati fin d’ora per
l’esplosione della bomba, perché mi sa che già domani potrebbe succedere." Le
comunicò apprestandosi a tornare indietro verso la casa.
"Dici? Perché che succede domani?"
Michiru scrollò la gonna per farne cadere la neve che si era attaccata sull’orlo
e le si fece vicina.
"Si va in centro." Annunciò la bionda
porgendole il braccio, il manto gelato che copriva l’erba era troppo cedevole
perché la ragazza potesse procedervi agevolmente. Già prima aveva notato che
arrancava un po’, mentre lei con i suoi anfibi da squadrista poteva
tranquillamente sorreggere il peso d’entrambe. "Oppure ti sei dimenticata che
ancora mi devi una t-shirt?"
"Per niente. Ci limitiamo a quello e
basta?" Chiese appoggiandosi grata al sostegno che l’altra le aveva offerto.
Stava calando il buio e il freddo s’era fatto più intenso ed era piacevole
avvertire quel calore accanto.
"Oh no, se ti va puoi venire con me a
farti un istruttivo giro in questura. Devo vedere che fine hanno fatto fare alla
mia piccola. Chissà quanto si è sentita sola stanotte!" Esclamò Haruka
ripensando al pomeriggio del sequestro e a quanto era cambiato nel frattempo.
Tutto sommato ne era valsa la pena.
"Ma di chi stai parlando?" Fece Michiru
levando il capo a fissarla interrogativa.
"Della moto mi sembra ovvio."
"Ah, mi pareva strano che usassi un
tono tanto affettuoso per un essere umano!" Replicò sarcastica dandole una
stretta per sottolineare il concetto.
"Un po’ di rispetto Michi, ci hanno
separate con la forza." Replicò ridacchiando, in effetti valeva sia per la sua
moto che per entrambe.
"Come hai detto?" Domandò la ragazza
bloccandosi e facendola fermare di conseguenza.
"Sì me l’hanno sequestrata." Ripeté
l’altra chiedendosi il perché di quella fermata.
"Non quello Haruka." Ribatté un po’
spazientita. "Come mi hai chiamato prima?"
"Michi." Confermò la bionda come se
fosse la cosa più naturale di questo mondo.
Allora aveva sentito bene! Michiru
sorrise sotto i baffi abbassando il capo e riprendendo a camminare. Dopo qualche
minuto di silenzio e di riflessione fece riudire la propria voce.
"Solo gli amici mi chiamano così sai?"
"Che vorrebbe dire? Che noi non lo
siamo?" Ribatté colpita dall’importanza che la ragazza stava dando a quella
piccolezza. Effettivamente ormai si era abituata a chiamarla così, peccato le
sfuggisse il particolare che fino a quel momento non l’aveva mai fatto in sua
presenza o al di fuori dei suoi pensieri.
"Non ho detto questo. Però mi fa
strano, ecco tutto."
"Vabbé vorrà dire che non lo farò più."
Propose Haruka voltandosi dall’altra parte per nascondere il riso beffardo che
le era salito alle labbra. Una cosa simile avrebbe di sicuro provocato una
brutta reazione! Infatti:
"Uffa, ma perché prendi sempre tutto
nel modo sbagliato?" Proruppe la violinista confermando la sua supposizione e
facendola ridacchiare in sordina. "Volevo dire che sei l’ultima persona dalla
quale potrei aspettarmi di essere appellata con un vezzeggiativo."
"Beh abituatici, mi piace, è carino."
Le comunicò ancora ghignante. "Anzi sai che c’è di nuovo?"
"Cosa?" Michiru si fermò davanti alla
porta-finestra e fece scorrere l’apertura.
"Dì a chi lo usa di regola che la
pianti, sarà una mia esclusiva prerogativa d’ora in poi." Annunciò battendo i
piedi al suolo per toglierne la neve in eccesso e facendole cenno di precederla
pure all’interno.
"Meno male." Michiru sospirò entrando
nel tinello rischiarato dal fuoco invitante del caminetto. Si mise in poltrona
mentre la sua accompagnatrice restava in piedi davanti al focolare godendo del
calore delle fiamme. Come accidenti avesse fatto a restare tutto quel tempo
all’esterno senza soprabito restava un mistero.
"Meno male cosa?" Le chiese infine
visto che l’altra non aveva aggiunto altro e si limitava a sorridere sorniona
fissandola dalla sua comoda postazione.
Il sorriso di Michiru si allargò
vieppiù.
"Il sarcasmo ti è tornato ieri, la
vanità è ricomparsa prima. Mancava solo la prepotenza all’appello ed eccola
qua." E detto questo scoppiò a ridere inondando l’ambiente con la sua risata
argentina.
"Bentornata tra noi Haruka!" Esclamò
allora la bionda unendosi alla sua ilarità.
3
This Web Page Created with PageBreeze
Free Website
Builder
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Parte 24 ***
24
Era una giornata tendente al grigio
quella e il tenue bagliore che filtrava dalle nuvole attraversava fioco le
finestre e le porte del centro ricreativo cittadino. Tuttavia, sebbene il bel
tempo non sorridesse a quella che doveva essere una giornata di festa e di
sport, l’andito era imbandierato a dovere e una discreta calca si stava già
addensando all’interno. Gruppetti di persone gironzolavano qua e là ingannando
l’attesa, poiché c’era ancora un’ora buona d’aspettare prima che l’evento
prendesse il via. E c’era chi sostava davanti allo stand degli articoli in
vendita e chi si soffermava a leggere le brochure che illustravano ampiamente
quali servizi offrisse quella moderna struttura. E man a mano che trascorrevano
i minuti e l’affluenza aumentava, l’ingresso si trovò ad essere stipato di
gente, cosa che casualmente favorì l’entrata ad effetto di colei che per indole
e necessità tendeva sempre a stupire.
In effetti, quando l’imponente figura
di Haruka attraversò la soglia, oscurando per un istante con la sua stazza il
cono di luce, chi si trovò a volgere lo sguardo in quella direzione restò
catturato. Razione che in crescendo contagiò, col progredire del suo avanzare,
la totalità dei presenti. Poiché ebbe la fortuna sfacciata di trovarsi ad
inoltrarsi tra due ali di folla, ressa, che trovandosi ai fianchi dell’andito,
involontariamente divenne spettatrice e claque del suo cammino. In quella marea
di figure medie e dalle nere chiome brillava come un faro al buio, attirava
l’attenzione e, rendendosene perfettamente conto, con l’istrionismo che le era
proprio, fece in modo di dare al popolo ciò che il popolo voleva.
Con molta spontaneità rese il suo
incedere più sciolto, quasi dinoccolato, come se in quel modo avesse voluto
sottolineare vieppiù l’alta statura e il suo svettare sulla maggior parte di
loro. Badò tuttavia ad evidenziare una certa grazia felina nel movimento, allo
scopo di non apparire troppo impettita, godendosi al contempo la sensazione
incomparabile di abbagliare dei perfetti sconosciuti.
Oggi era qui in veste di semplice
spettatrice, ciononostante, memore della faccenda dei diversivi plausibili,
oltre che dello scopo secondario che l’aveva condotta in questa sede, le piaceva
creare un po’ di scompiglio attraverso la sola magnificenza della sua fisicità.
Nondimeno non era semplice vanità la sua, benché ammettesse di esserlo un
tantino di troppo, ma obiettivamente era consapevole che c’era dell’altro. La
verità era che per anni aveva conosciuto solo l’altra faccia della medaglia,
ovvero quella di essere un nessuno, uno zero a cui finanche il diritto
dell’apparenza era negato. E ,ora che stava vivendo la situazione all’opposto,
adesso che era ad un passo dagli ambiziosi sogni di gloria e di rivalsa che da
allora aveva iniziato a covare, tendeva ad amplificare al massimo qualsiasi
effetto circostanziale. Fermo restante l’indubbia importanza dei possibili
acchiappi femminili che potevano derivarne. Anche se stavano diventando una
pericolosa fissa di cui presto o tardi si sarebbe dovuta occupare.
Ad ogni modo non era questo il momento
per impensierirsi con simili bazzecole e scrollando le spalle si liberò del
problema immettendosi nel varco che s’inoltrava verso il locale della vasca
olimpionica. Procedé fendendo il brusio degli astanti e coloro che
l’incrociavano, per lo più liceali come lei, sebbene ci fosse anche un certo
numero di adulti e quelli che identificò come degli universitari, d’istinto
tendevano a farsi da parte per cederle il passo. In un certo senso era un moto
spontaneo, ché il dinamismo con il quale camminava e la marziale bellezza del
suo aspetto, facevano sì che si fosse portati a scostarsi un po’ più in là sia
per la predominanza che emanava, che per poterla ammirare. Aveva tutto quel che
poteva calamitare l’interesse altrui e sprigionava il fascino maledetto di un
ufficiale nazista, vestita com’era di un lungo cappotto scuro di foggia
militare. Impressione vieppiù intensificata dal volto affilato dall’espressione
altera e dal biondo scintillante dei capelli.
Accorgendosene, aveva captato infatti
alcuni commenti a quel proposito, Haruka rallentò fingendo di fermarsi a
considerare il da farsi. Poi, esibendo una cordialità insospettabile per il suo
aspetto fiero, che invero allentò la morsa d’apprensione di quanti l’avevano
osservata e che li portò a risponderle con uno spontaneo sorriso, con estrema
gentilezza chiese indicazioni ad un gruppetto di studentelli. I ragazzi le
risposero piuttosto sopraffatti, al contrario delle ragazze che per contro le
lanciavano occhiate timide mentre ridacchiavano tra loro.
Haruka non poteva palesare il ghigno
che voleva per forza scoprirle i denti, ma, constatare quel che stava creando
con una semplice domanda, la riempiva di soddisfazione. Era evidente infatti che
non avevano alcun dubbio sulla sua mascolinità e che per quei ragazzi il
rispondere alla sua richiesta d’informazioni fu fonte di inspiegabile
nervosismo.
Effetto capobranco!
Pensò ironica, poiché nella loro
pochezza persino quelle mezze seghe riuscivano immediatamente a captare il
sopraggiungere dell’individuo predominante e di conseguenza andavano in tensione
vedendo minacciato il loro territorio. Quanto alla frangia femminile, per lo
stesso motivo supponeva, si sarebbero a lungo ricordate di lei. E non tanto per
il modo in cui si accomiatò, per la cronaca, con un galante ammicco di
ringraziamento e un sorriso scintillante, quanto perché lo spirito atavico della
donna è portato a cercare il meglio per sé e per la sopravvivenza della specie.
Naturalmente quelle non potevano sapere che in questo senso sarebbe stata utile
come un frigorifero al Polo Nord, ma, visto che attorno a lei chiunque altro
scompariva fino a diventare parte integrante della tappezzeria, non poteva certo
biasimarle! Ah, che bello che era svettare sugli altri umiliandoli!
Sogghignando tra sé e sé per quel
siparietto ben riuscito e, accompagnata dal rimbombare ritmico dei suoi passi,
Haruka si portò nella sala dove si trovava la piscina principale e salì fino
all’ultima gradinata per andare a sedersi sugli spalti ancora vuoti. Una volta
tanto però il suo non era un volontario isolamento, quanto il desiderio di
evitare di aver noia da quanti potessero trovarsi alle sue spalle.
Effettivamente era difficile vedere al di là della sua stazza quando si piazzava
davanti a qualcuno e, visto che le capitava spesso, di preferenza sostava sempre
ultima in qualsiasi fila. Inoltre da quel punto poteva vedere tutto e allo
stesso tempo chiunque poteva distinguerla da lontano, l’ideale per i suoi
scopi.
Arricciò il naso infastidita, l’odore
acre e vagamente chimico del cloro dell’acqua si avvertiva persino da lassù. Si
alzava in nuvolette di vapore saturando l’ambiente circostante, sebbene quel
posto fosse decisamente ampio e ben areato. Quel giorno si sarebbero tenute le
prime gare di nuoto del nuovo anno, al mattino avevano disputato le categorie
minori, laddove di lì a poco avrebbero concorso le studentesse dell’ultimo e
penultimo anno delle superiori. L’elite agonistica delle migliori scuole di
Tokyo e provincia era radunato qui oggi, ché quello che si sarebbe conteso era
un banco di prova importante per chi aveva intenzione di andare lontano in
quello sport. C’era un non so che nell’aria che dava il sentore della
determinazione di quanti si apprestavano a rivaleggiare, un misto di costanza e
grinta che fece salire alla bionda un rigurgito di rimpianto autentico.
"Presto prenderà il via il campionato
di automobilismo." Pensò risoluta scuotendoselo di dosso. "E allora non avrò più
tempo per queste nostalgie inerenti al mio tempo d’atleta."
Mancava poco infatti, ormai si era a
fine Gennaio e aveva ripreso a lavorare a tempo pieno al conclusivo
completamento dello sviluppo della sua monoposto. Si era agli sgoccioli e la
macchina non aveva bisogno di ulteriori rifiniture, bensì di rodarsi finché
gomme, motore e telaio non fossero stati tarati a puntino. Tanto che stava
impiegando tutto il suo tempo libero dividendosi tra il circuito, dove
incessantemente girava a velocità sempre maggiori, accumulando chilometri su
pista e nell’apposita galleria del vento, e la palestra. Aveva un programma
d’allenamento spietato e dei personal trainer che la seguivano non mancavano mai
di stupirsi innanzi alla sua tenacia e a quel corpo che sembrava insensibile
alla stanchezza. Ma questi non potevano immaginare che Haruka, volando incontro
al suo scopo, tendeva ad ignorare sistematicamente ogni limite e non scorgeva
altro che il fine che si era imposta.
Sì, non vedeva l’ora di cominciare e
mordeva il freno sempre più impaziente in quell’attesa che stava cominciando a
diventarle spasmodica. Era insopportabile e le dava quasi un senso di malessere
fisico. Detestava l’inerzia e faceva di tutto per occupare il tempo che non
dedicava alle future glorie della sua carriera. Probabilmente anche per questo
era qui oggi, oltre che per mettersi in vista e, naturalmente, perché
l’aveva promesso a quella rompicoglioni di Michiru. Per la verità la violinista
non le aveva dato tregua finché non aveva detto di sì e, non fidandosi
completamente della sua parola, quel mattino le aveva fatto pure una ulteriore
telefonata per assicurarsi che davvero intervenisse.
Darle il mio numero di cellulare è
stato un grosso errore.
Pensò la bionda che ormai aveva perso
il conto del volume di chiamate e messaggi che giornalmente riceveva sulla sua
utenza privata. Di fatto tra Hitomi, Michiru e Shanaya le sembrava di essere
bersagliata come un centralino di un call-center impazzito. Senza contare
Setsuna che, puntuale come un orologio, le faceva uno squillo tutte le sere.
Ultimamente era diventata molto loquace, Haruka sospettava che fosse dovuto un
po’ allo stress causato dalla monumentale mole di studio che stava affrontando
in vista degli esami di ammissione all’università e un altro po’ per quel che
era accaduto qualche settimana prima. In effetti la sera di Natale, subito dopo
essersi accomiatata dalla residenza dei Kaiou, avevano avuto tra loro una
conversazione telefonica alquanto singolare, ma inevitabile. Del resto alla luce
di quanto era accaduto, era inutile tirarla tanto per le lunghe, per cui si era
detta che era meglio riannodare subito quel legame sfilacciato, prima che si
spezzasse del tutto.
"Auguri bastarda!" L’aveva apostrofata
infatti non appena Setsuna aveva alzato la cornetta e per tutta risposta l’altra
si era limitata a riderle in faccia all’altro capo dell’apparecchio.
"Altrettanto, carogna! Tutto risolto
allora?" Aveva replicato col solito tono caldo, come se l’aspro battibecco che
le aveva viste protagoniste non avesse mai avuto luogo o fosse stato meno
rabbioso di quel che entrambe ricordavano.
"Tra noi? O tra me e madama la
musicista?" Aveva ribattuto la bionda salendo sul taxi che
l’attendeva.
"Tra noi mi sembra ovvio. Sai,
conoscendoti, ho immaginato che dopo quel che ti ho detto ti fossi precipitata a
cercarla col coltello tra i denti. Ora non so di preciso quel che può essere
accaduto ma, visto che è quasi mezzanotte e a meno che tu non abbia avuto un
soprassalto di coscienza causato dallo spirito del Natale passato, presente e
futuro come Scrooge, presumo che abbia passato la sera con lei. Magari a
litigare, altrimenti perché chiamarmi e per giunta a quest’ora? Mi sbaglio?" Le
aveva chiesto provocandole un moto genuino d’affettuosa intimità. Non sarebbe
cambiata mai, sarebbe sempre stata la sua prediletta, adorata, rompiballe e
vecchia Setsuna. Ossia, colei che in caso di bisogno non esitava a far la parte
dell’infame, oltre che una straordinaria stratega e una figlia di puttana
dall’incomparabile operato.
"Figurati, non dovresti neppure
domandarmelo, dato che parrebbe tu l’abbia visto nella sfera di cristallo. Pensa
te, mi ha messo a decorare l’abete, ma ti rendi conto?" Le aveva chiesto
ironicamente provocandole un ennesimo eccesso di risa e da lì avevano preso a
discorrere di tutto e niente, proprio come avevano sempre fatto.
Così, con quella chiacchierata
spensierata e che nulla di chiarificatore pretendeva, poiché le due pur senza
parlare si erano intese benissimo, si erano gettate di comune e tacita intesa
quell’episodio alle spalle e il sereno era immediatamente tornato tra loro.
Haruka doveva ammettere che era bello riaverla al suo fianco, poiché per quanto
i suoi pensieri negli ultimi tempi fossero stati occupati da ben altre cose, la
costante presenza di Setsuna aveva fatto sentire la sua assenza.
Viceversa bella non era stata per
niente la strigliata che Hitomi le aveva fatto quando le aveva confessato
tout court quel che aveva combinato con la figlia del loro datore di
lavoro. In quel momento la bionda aveva temuto seriamente per la sua incolumità,
ché la sua manager aveva fatto fuoco e fiamme, inoltre, non l’aveva mai udita
dire tutte quelle parolacce in una sola volta. In ogni caso avevano urlato
entrambe fino a quando non si erano calmate, il che voleva dire che avevano
continuato per un bel pezzo. Dopodichè l’aveva convinta a parlarne civilmente e
ponendole davanti ad una pinta di birra, quella che la donna preferiva, le aveva
esposto le sue ragioni fino a concluderne che forse era stata un pochino
sconsiderata. A quest’ammissione di colpa l’altra non aveva potuto che dirsi
d’accordo e avevano continuato a discuterne fino al momento in cui, una Hitomi
notevolmente più distesa, non se n’era uscita con una frase che riassumeva
concisamente il succo della faccenda.
"Credo che manterrà il segreto, ma ti
sei messa in bel casino Haruka… Adesso ti toccherà fartela ogniqualvolta vorrà!"
Aveva esclamato con un ghigno arguto provocando nella testa della sua
interlocutrice la poco confortante visione di una Shanaya in vesti da padrona
che armata di una lunga frusta le intimava di andare verso il talamo e di darsi
da fare.
Tra i frizzi e i lazzi le aveva
descritto quella boccaccesca rappresentazione e ne avevano riso insieme
sganasciandosi, ma ripensandoci dopo Haruka ne aveva convenuto. Ché quella
pronunciata da Hitomi non poteva che essere una incontrovertibile verità, anche
se fino a questo momento era riuscita grossomodo a tenere a bada la passionale
fanciulla. Beh certo, con qualche difficoltà indubbiamente, però vista e
considerata la situazione in cui era andata a trovarsi, tutto sommato non era
andata troppo male.
Era successo infatti che, in prossimità
di San Silvestro, Yamamay senior aveva invitato tutto il team a trascorrere le
festività dell’ultimo dell’anno nell’albergo che possedeva presso una rinomata
località di montagna. Il che voleva servire quale ulteriore motivo
d’aggregazione per i suoi collaboratori, nonché quale premio per i risultati che
stavano ottenendo in vista delle corse imminenti. Haruka aveva colto la palla al
balzo, adorava sciare e poi l’occasione capitava proprio a proposito. Michiru
difatti aveva raggiunto i suoi nonni nella natale isola di Kyushu, cosa che
l’aveva fatta incazzare alquanto. Aveva creduto infatti che le sarebbe stato
chiesto di seguirla, non ci sarebbe andata, ma tuttavia se l’aspettava e ci era
rimasta malissimo quando aveva infine compreso che non era affatto intento della
ragazza farlo. E, quando si erano viste per un caffé veloce prima della
partenza, poco ci era mancato che le facesse una partaccia. Non che fosse suo
desiderio fare la conoscenza di quelli che vagheggiava essere due vecchi
imbalsamati e dei loro ospiti altrettanto vetusti. Probabilmente se ci fosse
andata sarebbe dovuta sottostare per tutto il tempo ad un rigido protocollo di
comportamenti e tradizioni che non conosceva, né capiva. Però il fatto che la
violinista se ne stesse andando tutta contenta verso le natie sponde e la stesse
lasciando da sola a rompersi i maroni, le aveva dato oltremodo fastidio. Alla
fine aveva taciuto, per pudore, soprattutto per orgoglio, preferendo non
dirglielo, malgrado fino all’ultimo avesse avuto la tentazione di spararle
qualche battutina ad hoc in modo da cancellare la radiosa espressione che
mostrava.
Che diavolo aveva da essere così
briosa? Vallo a sapere, ma lungi da lei palesare il suo scontento. Se ne stette
zitta e le augurò buon viaggio, benché avesse un muso lungo così dopo averla
salutata.
Certo avrebbe potuto trascorrere le
restanti vacanze in compagnia di Setsuna, peccato però che ritenesse fosse
troppo impegnata con le sue incessanti sessioni di studio per disturbarla,
quindi aveva optato anche in questo caso per il silenzio e le si prospettava un
capodanno parecchio triste. Meditò di sbronzarsi fin dal mattino. Poi, per
fortuna, Hitomi le aveva comunicato la bella novità e, approntando la sua
attrezzatura sciistica, si era detta che qualche giorno su e giù sulle piste non
era poi tanto male. Per non menzionare che quello del suo capo più che un invito
era una convocazione, per cui non era troppo saggio rifiutare. Vero che c’era
l’incognita rappresentata dalla sua spumeggiante figliola, ma per contro,
restarsene a Tokyo a gingillarsi non era affatto una prospettiva piacevole. In
definitiva aveva accettato con entusiasmo, ci era andata e si era anche molto
divertita. Meglio, aveva avuto addirittura l’opportunità di acquistare ulteriore
lustro agli occhi dei membri del suo team, in quanto le evoluzioni che aveva
compiuto snowboard ai piedi e sulle moto da neve avevano riscosso l’ammirato
plauso di tutti i suoi assistenti. E quando poi di sera, complice l’atmosfera
rilassata della sala riscaldata dall’immenso caminetto nell’hotel, tutta la
truppa si riuniva e si scherzava sorseggiando brandy fino a tarda notte. In
questi momenti Haruka si sprofondava in una poltrona accanto al focolare e
oziava, lasciando che tutto le scorresse intorno senza parteciparvi. Insomma una
bella parentesi per lei e per loro, utile per quando sarebbero ritornati a
lavoro.
Sua instancabile accompagnatrice in
questi trascorsi era stata Shanaya, la quale, quantunque avesse perfettamente
capito che non era il caso di rischiare di farsi beccare insieme a pomiciare,
vista la costante presenza di suo padre, era comunque determinata a passare con
lei quanto più tempo possibile. Anche perché, considerando che fino all’ultimo
l’uomo era stato piuttosto restio alla sua venuta, ora che l’aveva spuntata non
si sa come, voleva abituare un po’ alla volta l’intransigente paparino alla
presenza di quello che in un futuro mica troppo lontano sarebbe potuto diventare
un papabile genero.
Cosicché Haruka, che di questi maneggi
nulla sapeva, il che era una fortuna, altrimenti si sarebbe ritrovata con un
travaso di bile, si era ritrovata suo malgrado in sua compagnia. Non che le
dispiacesse, anche perché Shanaya, mostrandole una insospettata prestanza
fisica, aveva sciato con lei per tutto il tempo, seguendola senza indugio
persino sulle piste nere, tracciati che affrontavano fregandosene bellamente dei
cartelli di pericolo. Chiaramente la ragazza non poteva starle alla pari quanto
a velocità, ma nonostante ciò Haruka doveva ammettere che comunque era molto
brava e che tutto sommato il fatto che spesso, approfittando della solitudine,
le strappasse qualche appassionato bacio, non fosse poi un gran male.
A dire la verità, nonostante i suoi
buoni proposti, ad un certo punto aveva preso a dolersi abbastanza di non poter
osare di più, soprattutto quando a cena se la ritrovava innanzi che faceva il
suo ingresso nella stanza al braccio del papà con indosso abiti griffati e
oltremodo attillati. Era uno schianto e sapeva perfettamente di esserlo, inoltre
sembrava addirittura che si divertisse a provocarla, per vedere fino a quando
avrebbe resistito. Haruka non aveva abboccato, ma occorsa tutta la sua volontà,
nonché i tempestivi e provvidenziali interventi di Hitomi, perché l’inevitabile
non si concretizzasse. Sentiva pruderle le mani dalla smania repressa e quando
avvertiva che ormai stava lì, lì per scoppiare, quella settimana di distensione,
che negli ultimi giorni per lei non lo era stata affatto, era terminata e tutti
avevano fatto ritorno alle rispettive case.
Da quel momento in poi non avevano
avuto occasione d’incrociarsi, giacché entrambe erano state davvero troppo prese
dalle rispettive occupazioni, così tutto era tornato alla normalità e, quando
Michiru era rientrata, Haruka le si era presentata come se niente fosse,
sentendosi perfettamente a posto con la coscienza. Non aveva nulla da biasimarsi
no? Era candida e casta come un giglio, tale e quale come quando si erano
separate. Come se poi una scopata in più o in meno avessero potuto fare la
differenza per la violinista se avesse saputo. Ma visto che non ne era al
corrente, queste erano sottigliezze cui non riteneva fosse appropriato
badare.
Ad ogni modo da quel momento in poi i
giorni di riposo sembrarono finire in un baleno, la scuola era ricominciata e a
poco a poco tutto il tran, tran era rispeso. Salvo che per il fatto che durante
il weekend lei e Michiru avevano un appuntamento fisso. Infatti, ancorché i loro
fine settimana fossero saturi d’impegni, al pomeriggio oppure a pranzo, o meglio
ancora la sera, facevano in modo d’incontrarsi. E man a mano che la loro
conoscenza s’infittiva, anche la confidenza prendeva piede sempre più
profondamente, tanto che, se per caso capitava di non potersi incontrare, pareva
ad entrambe che la settimana non fosse completa e che la successiva non lo
sarebbe stata finché non si sarebbero ritrovate faccia a faccia. Nulla di
trascendentale capitava durante quegli incontri, eppure non mancavano mai di
lasciarle un rotondo senso di buonumore addosso. Erano appaganti, trovava nella
violinista un senso di completezza che con chiunque altro mancava e sempre più
spesso si stupiva di scoprire in lei una persona che non aveva assolutamente
sospettato, celata com’era dall’aspetto composto e dignitoso che Michiru
presentava.
E l’occasione data da queste gare di
nuoto prometteva di rivelare ad Haruka un lato della ragazza che ancora non
conosceva. In effetti era molto curiosa di vederla gareggiare, poiché, sebbene
non le riconoscesse la sua medesima frenesia indiavolata, non le sembrava
proprio il tipo che lasciasse eccellere impunemente qualcun altro sulla sua
stessa ribalta.
Comunque, considerazioni agonistiche a
parte, dove accidenti s’era ficcata? Sarebbe stato carino da parte sua
accoglierla all’ingresso, fosse stato anche solo per trenta secondi, invece di
lasciarla a sbrigarsela da sola alle prese col tabellone che riportava gli orari
e varie specialità in programma. Tuttavia non era il caso di piantarle una grana
per questo, in effetti era stata lei ad essere arrivata abbastanza presto e gli
spalti erano ancora semivuoti, tant’è vero che alcune atlete ne stavano
approfittando per fare un ultimo riscaldamento ai bordi della piscina.
Haruka poggiò il soprabito sul sedile
accanto al suo, si spaparanzò a gambe larghe e, lasciando scendere gli occhiali
da sole sul naso, si godette lo spettacolo gratificando le nuotatrici di
un’occhiata circolare e decisamente valutativa.
"Certo che il culo a mandolino dovrebbe
essere messo tra le specie estinte. Oppure tra i patrimoni mondiali
dell’umanità." Pensò ghignando dopo aver attentamente quotato uno per uno tutti
i fondoschiena in bella mostra davanti a sé. Poi notò il sopraggiungere
dell’ennesima ragazza in accappatoio e se la squadrò con intenti didattici,
ossia, ci mise lo stesso impegno che metteva nel risolvere un problema di
geometria quando doveva calcolare all’istante e senza dati apparenti, piano,
perimetro e profondità della figura data.
"Oh, oh, bella gnocca inscritta in
costume sgambato ad ore nove!" Ne concluse riferendosi alla brunetta ben tornita
che or, ora faceva il suo ingresso emergendo dal corridoio degli spogliatoi.
"Con quelle boe non avrà certo problemi a restare a galla!"
Rifletté sghignazzando, ma fu
interrotta nelle sue valutative divagazioni dal trillo del telefono. Lo pescò
dalla tasca dei jeans dove l’aveva ficcato e, leggendo il nome che compariva sul
display, gettò uno sguardo circolare al semicerchio dei posti a sedere di fronte
a lei. Se non ricordava male infatti Setsuna le aveva detto che avrebbe cercato
di trovare il tempo di venire e infatti eccola là, seduta in basso a destra in
prossimità del traguardo.
"Non ci credo, sei uscita di casa!" La
sfotté non appena attivò la comunicazione.
"Ma tu che diavolo ci fai qui?!"
Replicò l’altra con un tono di rimprovero per niente velato.
"Stavo effettuando un controllo. Guarda
quelle ragazze, è una vera pietà! La maggior parte ha immediato bisogno di
Culo basso Bye-Bye, le mutande che alzano e rimodellano le chiappe!"
Esclamò ilare e dall’altro capo della sala Setsuna riconobbe chiaramente
l’espressione da impunita nella quale Haruka si stava superbamente producendo.
Sospirò levando gli occhi al cielo, invocando l’aiuto divino per scovare uno
scampolo di pazienza da poter usare con quella spudorata incorreggibile.
"La tua passione per l’anatomia
femminile lasciala da parte un attimo, okay? Hai idea che da qui a breve questo
posto sarà invaso da una parte considerevole di tue ex compagne di scuola,
nonché delle autorità accademiche alla quali fino a ieri hai fatto strappare
tutti i capelli? Certo che volendo scegliere il posto più sbagliato dove andare,
hai preferito il più opportuno. Ma che ti sei bevuta il cervello?" Domandò
facendo della caustica ironia e guardandola di sbieco nonostante la
lontananza.
"Ma ti pare Suna?" Replicò la bionda
per nulla impermalita, anzi si stava divertendo un sacco al cospetto
dell’apprensione dell’amica. "E’ proprio per questo motivo che sono venuta qui
oggi. Tu fammi solo una cortesia, fa’ finta di non conoscermi, senza tralasciare
però di lanciarmi di tanto in tanto uno sguardo incredulo."
"Ho paura di chiederti che accidenti
hai in mente." Affermò questa rassegnata e la bionda rise ancora di
gusto.
"Sta’ a vedere!"
Detto questo riappese e, man a mano che
iniziavano ad sopraggiungere i volti che riconosceva e aveva aspettato, Haruka
si beò dello stupore di quante l’individuavano e s’affrettavano a comunicare la
sua presenza alle altre. In breve diventò il fulcro dell’attenzione di tutta la
delegazione del suo vecchio istituto e la totalità di quante lo formavano
indiscriminatamente si stava chiedendo se fosse lei e, in caso affermativo, come
avesse l'audacia presentarsi lì con una simile faccia di bronzo. Un buon inizio,
ma perché il suo piano fosse soddisfacentemente portato a termine ci sarebbe
voluta una temeraria che osasse spingersi fino a lei e parlarle. Purtroppo per
il momento quelle si stavano limitando a passare la notizia di bocca in bocca
restandosene ferme come le belle statuine, cosa che la bloccava in posizione di
stallo. Però subito dopo notò con una coda d’occhio l’entrata di una familiare
capigliatura, era di uno stravagante e vistoso rosa shocking e poteva
appartenere ad una persona sola. Non si sbagliava infatti, era proprio lei, e
constatatolo si disse che non c’era da preoccuparsi oltre a questo punto. La
osservò per alcuni minuti, concludendone che Elsa era rimasta esattamente come
se la ricordava, non era cambiata in nulla, salvo che per il fatto che in quel
momento appariva molto più conscia e sicura di sé.
E ti credo, da quando mi sono defilata
sta dominando lei la scena!
Pensò calpestando definitivamente
l’ultimo avanzo d’umiltà che ancora poteva albergare in lei. Ma va detto che in
ogni caso era la sacrosanta verità, ché da quando Haruka si era ritirata, Elsa
non aveva perso una sola corsa. In ogni caso quando la ragazza si fermò a
salutare le componenti di quella che era stata la squadra di atletica della
bionda, queste non ci misero molto ad aggiornarla sulla sua eclisse, nonché
della sua odierna e tempistica ricomparsa proprio in quel punto e sotto i loro
occhi.
E fu seguendo la parabola dello sguardo
della sua interlocutrice che Elsa finalmente la scorse, mentre Haruka ostentava
un disinteresse da premio Oscar, sebbene di straforo stesse seguendo attenta
tutta la scena. E dovette frenare l’esultanza quando finalmente avvistò che,
quella che era stata la sua principale antagonista, si stava dirigendo
risolutamente verso di lei e con piglio alquanto deciso.
"Bene!" Si entusiasmò approvando in
pieno. "Finalmente una che ha le palle di afferrare il toro per le
corna!"
E soffocando per tempo il ghigno
soddisfatto che le stava salendo alle labbra, si predispose a quel che le
avrebbe detto. Perché era fuori da ogni dubbio che l’ascesa di Elsa si stava
compiendo allo scopo di parlarle.
"Salve." Esclamò per l’appunto
quest’ultima accomodandosi immediatamente alla sua destra e senza perdere tempo
d’avanzo. Haruka a bella posta le gettò un’occhiata incuriosita e fece
lampeggiare il suo sorriso più disponibile.
"Ciao. Troppo caldo giù eh?" Chiese con
fare casuale e senza tracce residue della burbanza che sempre l’aveva
contraddistinta agli occhi della ragazza. E fu una buona mossa, perché la vide
subito prenderne nota. Evidentemente Elsa era convintissima che fosse lei e
quella cordialità la stava disorientando.
"Abbastanza." Rispose vaga, dopodichè
la sua natura franca prese il sopravvento e decise di andare subito al sodo.
"Sai che mi ricordi molto una persona che conosco?"
A questa uscita Haruka fece udire una
breve risata, avendo cura però di mondarla da qualsiasi traccia della sua
abituale tracotanza. Il che stimolò ulteriormente il desiderio di saperne di più
della sua interlocutrice.
"Si può sapere cosa c’è di così
divertente?" Domandò infatti ravvisando ancora una volta l’impressionante
rassomiglianza tra questo sconosciuto e la sua nemesi sportiva. Pure Haruka
Tenou che conosceva lei a questo punto già sarebbe stata impegnata a sferzarla
con gli strali del suo pungente scherno, mentre questo bel tipo si stava
limitando a reagire con una bonaria complicità.
"Nulla." Fece la bionda ricomponendosi,
però poi le strizzò l’occhio e continuò: "Ma si da il caso che in genere questo
è quel che dico io alle belle ragazze per attaccare bottone!"
A quest’uscita Elsa fu presa in
contropiede, di fatto poteva dare l’impressione di un approccio maldestro il
suo, e si affrettò a dissipare subito le nascenti velleità che quel tizio poteva
star avendo.
"Non è questo il caso amico, casomai ti
fosse venuto il dubbio. Ma vedi laggiù?" Continuò indicandole le sue vecchie
compagne, le quali tutte, indifferentemente, avevano gli occhi puntati verso di
loro. C’era pure parte dei suoi ex professori e, ciliegina sulla torta, c’era
pure la vicepreside. Anche lei se ne stava come uno stoccafisso a fissarle a
bocca aperta, già, meglio di come stava procedendo, davvero non poteva. Haruka
represse di nuovo l’euforia e tornò a concedere tutta la sua attenzione a quanto
le stava dicendo Elsa.
"Ebbene amico, pare che tutte quelle
persone siano convinte che tu sia una ragazza. Ora, non che voglia screditare la
tua virilità, ma siccome anch’io conoscevo una studentessa che ti è simile come
una goccia d’acqua, mi è parso il caso di venire a controllare di persona. Senza
offesa, naturalmente."
"Figurati." Fece spallucce con adeguato
disinteresse, come se fosse una cosa normalissima per un ragazzo essere
scambiato per una femmina e non indispettirsene. Poi fece balenare nuovamente il
suo fascinoso sorriso e imbastì all’istante una storiella credibile: "Fin da
bambino mi hanno spesso ripetuto che sono troppo bellino per essere un
ragazzo, come se poi l’essere tale dovesse voler dire per forza avere un aspetto
rozzo. O anche tu pensi che in linea di massima l’uomo ha da puzzare?" La
provocò usando apposta quello stereotipo che era in genere appannaggio delle
persone poco educate e assolutamente grossolane.
"Se è per questo, profumi come tutta
una distilleria fratello. E che mi prenda un colpo se paghi per l’acqua di
colonia!" Ribatté Elsa tutto sommato divertita da quella scaltra sortita. Forse
si stava sbagliando e non erano la stessa persona, eppure questo tizio aveva di
quella l’inconfondibile impronta. I suoi sospetti presero di nuovo piede, ché
chi le stava davanti cominciava ad apparirle come una versione edulcorata
dell’Haruka che ricordava. Poiché, se quella che soleva chiamare la Vichinga,
avesse smussato più spesso gli angoli, era esattamente così che sarebbe stata.
Haruka per contro lasciò partire una
risata compiacente, anche perché effettivamente pure lei si stava piacevolmente
intrattenendo a questo scambio di battute salaci, e piazzò un altro commento
molto poco casuale.
"Comunque signorina, a dire il
vero la cosa non mi giunge affatto nuova. In effetti anche io e la persona per
la quale sono qui abbiamo fatto conoscenza per questo motivo. Ero ad un party
natalizio quando uno splendore di ragazza mi si para davanti e mi fa’ :
Haruka?
Il che è buffo, perché mi chiamo
proprio così. Però non mi ricordavo assolutamente di lei, ben strano evento,
giacché di norma una bellezza simile farei fatica a dimenticarla. Poi sa cosa?
Viene fuori che non solo io e questa fantomatica damigella per la quale sono
stato confuso condividiamo nome e cognome, ma che addirittura ci somigliamo come
due gemelli! Dovrò andare a protestare con i miei genitori, a quanto pare uno
dei due è stato un po’ birichino!" Concluse affabile accavallando le gambe e
riappoggiandosi allo schienale, come in attesa di quel che Elsa avrebbe
replicato.
"Uh, e scommetto che questa fantomatica
persona, sia una di quelle in gara di qui a breve." Fece quest’ultima fissandola
di sbieco con uno sguardo pieno di sottintesi, occhiata che si vide restituire
con incredibile trasparenza. O questo tipo era esattamente chi diceva di essere,
oppure era talmente scaltro che sarebbe stato oltremodo difficile spingerlo a
tradirsi.
"Per l’appunto." Haruka le cedette
intenzionalmente un altro po’ di terreno, se Elsa ci cascava era fatta, ma
doveva far in modo che calasse nella trappola senza che se ne rendesse
conto.
"Non è che magari stiamo parlando di
Michiru Kaiou?" Domandò la ragazza più piccola insinuante, calandosi ignara nel
trabocchetto che le era stato accuratamente teso. Credeva di essere le a
manovrare le pedine, invece era tutto l’opposto. E se quella conversazione fosse
stata una partita a scacchi, il suo dire sarebbe stato la mossa dell’alfiere, in
diagonale e dritto al cuore della faccenda. Mentre Haruka ne stava curando la
regia occulta, pareva non facesse nulla, invece a passi millimetrici la stava
chiudendo in un vicolo cieco.
Ora toccava a lei la mossa ed Elsa si
stava chiedendo se avrebbe tentato di svincolare di lato come il cavallo, o se
avrebbe ceduto come un semplice pedone. Non credeva in ogni caso che avrebbe
fatto resistenza come la torre, poiché si aspettava un contrattacco diretto.
Restava da vedere solo se l’avrebbe fatto come un maschio o una femmina, da re o
da regina insomma. Dipendeva tutto da lì.
"Esattamente. La conosci?" Replicò la
bionda di rimando e poi, senza attendere risposta, aggiunse: "Perché in caso
affermativo avrei un paio di domande. Sai mi secca proprio essere avvicinato
solo perché sono simile a qualcun altro." Mantenne per qualche secondo un’aria
dispiaciuta, quindi reputò che fosse arrivato il momento d’inalberare quella tra
lo scocciato e l’irritato. "Si può sapere chi accidenti è questa Haruka
tenou?!"
Scacco matto.
Elsa era sconcertata e rimase muta per
qualche istante, ché in due mosse la situazione le era stata ribaltata sotto il
naso. Sì o no? Era lei o non lo era? L’istinto le diceva di sì, ma non sarebbe
stato parlandoci che l’avrebbe scoperto. Abbassò il capo vinta e solo allora
notò un particolare che fino a quel momento le era sfuggito. Beh, questo
cambiava tutto e non c’era altro da dire. Tornò a levare gli occhi alla figura
che le sedeva accanto, ma stavolta era lei a ridere maliziosamente. Soffocò
l’ilarità e si apprestò a dargli una risposta.
"Chi è?" Fece una pausa e ci pensò un
attimo, poi le venne il paragone adatto. "Se hai visto le Cronache di
Narnia puoi identificarla nella Strega Bianca, colei che ha assoggettato un
intero regno al perenne inverno solo per le sue ambizioni. Glaciale, sprezzante,
inarrivabile." Concluse la sequela di aggettivi e si alzò in piedi, ma prima di
congedarsi aggiunse: " E’ la persona più scostante, meno affabile e pregna da
capo a piedi d’arroganza che puoi immaginare vecchio mio. Ma questi
particolari non contano nulla, poiché quella è soprattutto il più grande atleta,
maschio o femmina che sia, che abbia mai solcato le piste. Non so che fine abbia
fatto, né se corre ancora, ma mi piacerebbe gareggiare ancora una volta contro
di lei. Perché solo correndole affianco, anch’io una volta, per un attimo, ho
provato la sensazione di volare nell’infinito."
Detto questo le fece un sorrisetto
ambiguo e, senza attendere replica, se ne andò. Adagio si riportò dabbasso e
sempre con estrema calma tornò lì da dove era partita in avanscoperta. Le si
fecero intorno tutte desiderose di sapere, c’erano persino qualche professore e
un membro della dirigenza, sebbene stavano avendo la decenza di mantenersi ad
una certa distanza. A quanto pareva pure loro erano ansiosi di capire, forse
volevano togliersi definitivamente il pensiero, chissà. Ad ogni modo, perché no?
Ne avevano il diritto in fondo e fu per farglielo sentire bene che parlò con un
tono di voce parecchie ottave sopra il suo solito.
"Quello lì è un uomo ragazze. Statevene
tranquille, non vi darà più ombra. Potete scordarvi pure di quella
piantagrane."
Elsa restò per assistere all’esibizione
di Michiru e ne valse la pena, giacché fu una gara strepitosa. Combattuta,
esaltante, sebbene già dalle prime bracciate la violinista impose il suo ritmo e
superiorità. Ma il fatto che sovente ridesse tra sé e sé non andava ricercato
nella vittoria della vecchia amica, quanto nell’imprevedibilità della moda.
Già, ché se Haruka quel giorno non
avesse indossato quei jeans strappati e se uno degli spacchi non si fosse aperto
proprio in corrispondenza del suo ginocchio, allora Elsa non avrebbe mai visto e
riconosciuto la cicatrice che la bionda si era procurata durante quella famosa
corsa che poi lei aveva vinto. E sarebbe rimasta sempre col dubbio. Ma l’aveva
vista e i suoi sospetti avevano trovato certezza.
Certo, volendo avrebbe potuto
rovinarla, ma perché poi? Del resto correva ancora, anche se in un’altra lega.
Sogghignò scorgendo l’allampanata figura che s’avvicinava a quella dell’eterea
violinista e le scoccò uno sguardo pieno di rimpianti, ma allo stesso tempo
saturo d’ammirazione.
"Và, vola verso il tuo cielo, qualunque
esso sia." Mormorò infine dicendole addio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** 25 ***
25
Memorie in una notte di mezza estate
--- Parte prima---
Nulla resta scritto su pietra.
Se lo ripeteva spesso, era una delle sue massime
preferite. Così come era radicata in lei la convinzione che il forever and
ever fosse un esclusivo appannaggio della letteratura e del cinema.
Nondimeno, osservando il panorama che si estendeva ai suoi piedi, non poteva
negare che c’erano delle eccezioni, cose, che per quanto la riguardavano, non
sarebbero cambiate mai. Sebbene fosse passata da un continente all’altro,
malgrado stesse gradualmente prendendo atto di quanto la sua vita fosse, sotto
molti punti di vista, diversa rispetto a prima.
Già, tutto si poteva dire ormai, tranne che fosse
ancora la sparuta adolescente avvelenata fin nel midollo che tre anni orsono
aveva messo piede per la prima volta sul suolo nipponico. Eppure, nonostante
ciò, di quella conservava ancora talune abitudini, una combinazione di buone e
cattive, le quali comunque le assicuravano un certo senso di continuità. Ed era
confortante sapere che un filo indissolubile legava la sua vita da yankee a
quella che viveva oggi, qui, all’altro capo del mondo.
Generalmente non si accostava più di tanto a certe
considerazioni, ma qui era diverso, perché in un certo senso c’era un
qualcosa di trascendentale nello starsene allungata comodamente sull’impiantito
di questa terrazza ai margini delle maestose alture che la circondavano. In
questo luogo aveva modo di ripensare, dopo tanto tempo, alla sua infanzia. Più
precisamente a quel periodo d’oro, quando Ame ancora la conduceva con sé.
Poteva avere sì e no cinque anni all’epoca e
insieme, attraverso un percorso tortuoso, affrontato perlopiù a bordo di autobus
sgangherati e in autostop, avevano girato le sconfinate lande del Texas, i
brulli massicci dell’Arizona, l’assolata Alabama, per poi perdersi nelle distese
riarse del Nuovo Messico, fino ad approdare sulla sponda estrema della west
coast. Ricordava perfettamente quelle peregrinazioni sconclusionate e le
innumerevoli facce che si erano avvicendate durante quelle trasferte
avventurose. In ogni caso era singolare notare come da bambina avesse avuto la
possibilità di fare una simile esperienza, di sicuro ai limiti
dell’avventatezza, ma proprio per questo indelebile. Forse l’unico rimpianto che
aveva a riguardo era che in quel mentre era in un’età troppo infantile per
apprezzarla e viverla appieno, di tutto il resto e dei disagi che avevano
patito, non poteva fregargliene di meno.
Un sorriso indulgente le stirò le labbra, come
capitava sempre ogniqualvolta pensasse a sua madre, poiché proprio non riusciva
d’evitare di considerarla con una certa, benevola, condiscendenza. Del resto,
perché non avrebbe dovuto? Giacché, sebbene Ame fosse una peripatetica
inveterata, benché proprio per questo l’avesse abbandonata, comunque, finché
aveva potuto, aveva condiviso con lei tutto. Donandole in questo modo il raro
privilegio d’assaporare il gusto autentico della libertà assoluta. Quindi,
escludendo l’aspetto da perenne freak, o le fisime da figlia dei fiori che la
contraddistinguevano, non c’era da meravigliarsi troppo se sotto molti aspetti
fossero affini e che il medesimo tarlo le rodesse entrambe. Tanto che Haruka
sapeva benissimo d’essere ciclicamente tentata di fare armi e bagagli e di
partirsene per ignota destinazione.
Poi, naturalmente, le sue smanie si calmavano e a
mente fredda riusciva a persuadersi della follia di certe idee, quantunque si
ripromettesse che un giorno l’avrebbe fatto davvero, quando il momento giusto
sarebbe arrivato. Prima doveva guadagnarsi gloria e il conseguente riscatto, nel
frattempo, la tanto agognata latitanza, quella meravigliosamente irrazionale che
vagheggiava, avrebbe dovuto attendere.
Ad ogni modo, anche se ormai quei vagabondaggi
erano lontani, stasera l’oblio della memoria le stava restituendo ad uno ad uno
i posti in cui erano state e i volti dei personaggi bislacchi con i quali spesso
Ame si accompagnava. Erano una specie di tribù variegata, eclettica e, quando si
ritrovavano insieme, inevitabilmente le notti venivano illuminate dai fuochi di
bivacco e il suo dormiveglia cullato da una sequela di discorsi incomprensibili
e dal suono delle chitarre folk.
Una volta aveva visto un documentario sulle
generazioni seguite a Woodstock e francamente non aveva saputo spiegarsi perché
quanto stava passando sullo schermo le apparisse tanto eccessivo e lontano dalla
realtà. Sapeva troppo di stereotipo, mentre gli hippy con i quali aveva avuto a
che fare lei, sebbene per la maggiore fossero degli effettivi sciroccati, non
erano affatto caricaturali come li si voleva far apparire.
In ogni caso restava il fatto che di quelli, e del
periodo che aveva passato con loro, le era rimasta attaccata addosso la
fascinazione per certe atmosfere e che il richiamo delle notti d’estate ancor
oggi era immutato per lei. Anche se, in questa specifica serata d’agosto,
l’unico rumore che si sostituiva al silenzio era l’occasionale graffiare della
punta della matita su di un foglio.
Curioso, se questo fosse accaduto non molto tempo
prima, avrebbe dato in escandescenze, per quanto insignificante potesse essere
quel fruscio. Ora invece avere compagnia non le dispiaceva, anzi aveva insistito
molto perché Michiru venisse fin lì, servendosi di tutte le sue risorse
persuasive per strapparla all’oceano che tanto amava. A dire la verità aveva
spinto molto sul fatto che per lei sarebbe stato impossibile recarsi in
spiaggia, a meno che non ci fosse andata coperta da capo a piedi, e innanzi a
quest’ostacolo insormontabile la violinista aveva capitolato. Del resto aveva
passato già tutto Luglio in riva al mare, la nostalgia la stava logorando e
l’idea di passare il resto delle vacanze nella parte più remota della penisola
di Izu in compagnia di Haruka era una prospettiva cui difficilmente si poteva
resistere.
Insomma alla fine era venuta e i primi giorni non
aveva fatto altro che pentirsi e dolersi per non aver ceduto a quel richiamo già
in precedenza. Quanto ad Haruka, era più che appagata dalla sua presenza, anche
se doveva ammettere che in questo frangente c’era il rischio concreto che
potesse svelare di sé un aspetto che nessuno avrebbe mai potuto presentire,
neppure l’intuitiva e sensibile ragazza che le stava accanto.
Sì, perché il suo amore per quelle particolari ore
che seguono il crepuscolo, tendeva a trasfigurarla. In questi particolari
momenti infatti pareva trasformarsi, diventava tutt’uno col respiro della
natura, cedeva le armi e per un lasso di tempo sublime lasciava ascendere al
cielo quanto di più metafisico albergasse dentro di lei.
Ciò accadeva perché più d’ogni altra cosa le
piaceva abbandonarsi mentre il sole calava, e, quando la luce lasciava spazio al
manto morbido dell’oscurità e i grilli prendevano a frinire, una tregua umorale
ingentiliva i suoi tratti taglienti. Adorava queste sospensioni durante le quali
rilassava le membra sempre attive, intanto che dal bosco le arrivava alle narici
il profumo dell’erba accompagnato dal verso ritmico degli uccelli notturni. E,
per quanto mondana fosse obbligata ad apparire, non avrebbe mai barattato i
vitali giorni che trascorreva qui, in cambio di un’esclusiva località vip dove
mettersi in mostra.
Che andassero a farsi fottere tutti! Questo luogo
era diventato il suo elitario eremo e per nulla al mondo ci avrebbe rinunciato.
E non solo perché aveva posato con le sue stesse mani gran parte del legno di
cui era fatto questo ricovero, ma soprattutto perché alla progettazione e
costruzione dello stesso aveva preso parte una persona che le era cara quanto le
memorie appena evocate. Del resto ne era parte integrante.
Sorrise nostalgica e rivide, come se ce l’avesse
di nuovo innanzi, la figura angolosa, rivestita dal candido camicione messicano
e dai jeans sfilacciati, della ragazza che da un giorno all’altro era diventata
elemento fondamentale del clan del flower power in mezzo al quale era
cresciuta.
Beh, a dirla tutta c’era da ammettere che in
quella moltitudine Siddharta, che lei aveva chiamato sempre e soltanto Sid,
spiccava per concretezza ed intelletto. Forse proprio per questo le si era
affezionata fin da subito, contrariamente a quanto, prima e dopo, le sarebbe
successo con chiunque altro. Ma forse non si era trattato solo di questo, molto
probabilmente si era trattato dell’innamoramento di due anime affini, di due
spiriti nutriti dal medesimo senso di solitudine, sebbene una fosse ancora una
bimbetta e l’atra sulle soglie dell’età adulta. Ma a ben guardarla Sid avrebbe
potuto essere sua sorella maggiore, tanto erano rassomiglianti nei colori degli
occhi e dei capelli, e in effetti spesso le avevano scambiate per tali, anche
perché Haruka le stava sempre appiccicata come una pulce. Quando l’aveva vista
per la prima volta era ancora una mocciosa, mentre l’altra andava per i venti, e
aveva avuto nei suoi riguardi una sorta di irresistibile imprinting, ché a
tutt’oggi Sid restava ancora l’unica persona che avesse suscitato in lei un
desiderio d’emulazione. Ad ogni modo la ragazza l’aveva presa sotto la sua ala
protettrice e fin da subito aveva cominciato ad insegnarle tutto quanto sapesse
e quanto via, via stesse apprendendo sulle polverose strade dell’ovest che
macinavano.
Da lei aveva imparato il muei tai in tutte
le sue svariate forme e, prima ancora d’imparare a leggere o scrivere, grazie a
quella dottrina, Haruka aveva cominciato a disciplinarsi, mentre Sid con
maestria, attraverso un versatile addestramento, adeguatamente incanalava la sua
forza interiore. Senza contare che, se durante i suoi periodi di detenzione le
aveva suonate di brutto a tutti quelli che avevano tentato di sopraffarla,
doveva ringraziare lei, la quale aveva ritenuto non fosse mai troppo presto per
imparare a difendersi e, meglio ancora, ad attaccare.
Del resto Sid era stata la sola che nei frangenti
appena citati aveva ricercato assiduamente l’occasione di vederla, ché dopo la
rinuncia della sua custodia da parte di Ame, sia in riformatorio che presso le
famiglie cui era in affido, il suo era stato il solo volto noto che aveva
incontrato ancora. Purtroppo non sempre era stato possibile, ma comunque per
molto tempo la bionda asceta aveva rappresentato per Haruka quel fondamentale
punto fermo di cui abbisognava in un mondo che vedeva andarle, ogni giorno
sempre di più, completamente allo sbando.
Poi le loro strade si erano divise, in quanto la
ragazza aveva ripreso a viaggiare, e quando Haruka si stava preparando per il
suo ritorno in Giappone, prima di partire, le aveva lasciato una lunga lettera
presso il dojo nel quale soleva allenarsi quando passava per Santa Fè, nella
speranza che in futuro passasse di lì e che in qualche modo avrebbero avuto
l’opportunità di rivedersi.
In seguito, dopo l’opportuna lettura della missiva
lasciatale, la fame di vita e di esperienze di Sid, nonché la voglia di rivedere
la sua piccola peste, l’avevano condotta nel paese del sol levante. E nonostante
fossero passati anni, durante i quali molto era cambiato, l’affetto che
nutrivano l’una per l’altra era rimasto immutato. E la felicità di Haruka
raggiunse un picco mai più provato quando se la ritrovò davanti e, dopo qualche
giorno trascorso ad aggiornarsi su quanto era accaduto nel frattempo, erano
partite per trascorrere insieme tutto il periodo delle vacanze scolastiche, tre
mesi tutti per loro. Tutto ciò col beneplacito del suo tutore, ché i Meiou
infatti, sotto le adeguate insistenze ed argomentazioni della stessa Setsuna,
considerata la gioia evidente dipinta sul volto della loro protetta, non avevano
avuto cuore di negarle il loro assenso. Così Sid e Haruka, proprio come un
tempo, avevano preso a seguire un itinerario tutto loro che attraversava in
lungo e in largo il Giappone.
In effetti la realizzazione di questa baita era
stata una sua idea, stavano vagando tra questi monti quando avevano rinvenuto il
rudere di un vecchio rifugio di montagna abbandonato. E fatte le dovute ricerche
avevano scoperto che sarebbero state sufficienti poche migliaia di yen per
averne il possesso. Al che di comune accordo avevano deciso di riportarlo a
nuova vita, non solo per il tangibile incanto del luogo, quanto per la gioia di
creare di nuovo qualcosa insieme. Sid era un’esperta nella trasformazione del
legno infatti, nonché un falegname provetto, ed era stata più che contenta di
trasmetterle tutte le tecniche di lavorazione di cui era a conoscenza. Così
avevano passato tutta l’estate prese da questa immane fatica, lasciando in piedi
solo i muri originari e sistemando ad una ad una le travi del tetto e le liste
del pavimento. Di notte dormivano all’addiaccio, oppure sotto una tenda
improvvisata, quando i repentini temporali estivi le sorprendevano.
Era stato un impegno gravoso, immane, e, quando
infine il soggiorno di Sid era arrivato al capolinea, non ne erano arrivate
neppure a metà. Ma questo non aveva affatto spaventato l’ingegnosa vagabonda,
riteneva infatti che a quel punto Haruka fosse in grado di cavarsela da sola.
Quindi il giorno della partenza le aveva battuto una mano sulla spalla e aveva
preso ad allontanarsi senza voltarsi indietro, come sempre, mentre quella che
non manifestava mai apertamente i suoi sentimenti, la salutava con gli occhi
pieni di lacrime. Ma Haruka non piangeva per il dolore, poiché capiva quel
distacco e sapeva della sua necessità, piuttosto lo faceva perché non l’aveva
mai fatto per nessuno e quindi, in quel modo, le lacrime che versava in un certo
senso rappresentavano la prova tangibile della gratitudine che provava verso di
lei.
La riconoscenza ha tante sfaccettature diverse,
proprio come l’amore, e anche per questo, ogniqualvolta che c’era più di un
giorno di vacanza, Haruka lavorava sodo per portare a termine il compito che Sid
le aveva lasciato come ennesima lezione di vita. E così fu che, poco dopo il suo
sedicesimo compleanno, quel lungo ed estenuante lavoro ebbe fine e da quel
momento in poi Haruka cercava di passare quanto più tempo possibile in questa
che considerava la sua vera casa.
E non desti stupore il fatto che non nominasse mai
Sid, né che non vi facesse menzione sia pure indirettamente. Era una scelta
precisa, in primo luogo perché faceva di tutto per onorarla principalmente con
il proprio agire, e soprattutto, perché pensava che quello fosse un privilegio
da concedersi solo all’interno di quel determinato contesto bucolico. Insomma,
avrebbe trovato inappropriato farlo in un ambito che immaginava Sid avrebbe
detestato con tutto il cuore e del resto, richiamarne alla mente la voce e il
volto nei meandri di quella snobistica scuola, oppure nel suo appartamento tutto
cromato e hi-tech, le sarebbe sembrato assurdo. Per cui si permetteva di farlo
solo qui, dove ancora si respirava la sua presenza, dove ogni albero, ogni
forra, aveva un qualcosa che gliela ricordava, ché persino quando le onde del
lago a fondovalle s’increspavano, le sembrava di udirne la profonda
risata.
Haruka batté le palpebre, come a creare uno stacco
concreto dalla malia di quelle divagazioni, e attraverso la penombra fissò
Michiru che se ne stava accoccolata su di una pila di cuscini multicolori
all’altro capo del porticato. Continuava a schizzare come se fosse completamente
dimentica di ogni altra cosa, facendo sentire la sua presenza solo di tanto in
tanto, magari con l’occasionale strofinio della carta o l’involontario movimento
degli arti. La bionda la contemplò assorta mentre mentalmente la comparava a chi
prima di lei amava stare distesa esattamente nel stesso posto. E non era un
paragone del tutto azzardato, sebbene Michiru e Sid non avessero nulla in
comune, sia nei modi che nell’aspetto. Ma decisamente la sua antica mentore e la
violinista avevano un qualcosa che le avvicinava, anzi, in alcuni casi Michiru
pareva addirittura sovrapporsi all’altra, cosa che Haruka non avrebbe mai
creduto possibile. Del resto era straordinario come la ragazza stesse
rapidamente entrando in simbiosi con la natura del luogo, non sembrava affatto
che questa fosse la prima volta che venisse qui. Si era integrata con una
facilità incredibile ai suoi ritmi e, allo stesso tempo, pur ricercando sempre
il suo contatto, manteneva comunque la propria autonomia.
Praticamente aveva imparato ad accettare il suo
bisogno di solitudine ogniqualvolta si manifestava, esattamente come stava
cominciando a pretendere lo stesso rispetto per i propri. E spesso capitava che
non si vedessero per tutto il giorno, ché magari una se ne andava verso il lago
a dipingere e nuotare, e l’altra verso le vette da scalare a mani nude o in
bicicletta. E se al suo posto ci fosse stata Sid sarebbe accaduto lo stesso, ma
con la differenza che quest’ultima tendeva ad estraniarsi con lo yoga, mentre
Michiru si ritirava nel suo mondo interiore attraverso l’esercizio quotidiano
del violino. E, se quando ciò avveniva, non mancava mai di dispiacerle un po’,
restava il fatto che vederla suonare con alle spalle quello sfondo, udire il
riverbero delle note attraversare quell’anfiteatro naturale, era uno spettacolo
che ne valeva davvero la pena. Ma in ogni caso non aveva senso questo suo
ostinarsi a farle coincidere a tutti i costi, teneva molto ad entrambe e non
c’era bisogno che creasse questo parallelo come per giustificarsene.
Mah, chissà quale sarebbe stata l’opinione di
Michiru in merito, magari un giorno gliene avrebbe parlato, esattamente come
aveva fatto riguardo a miriadi di argomenti che non avrebbe mai pesato d’essere
in grado di rivelare. Soprattutto a lei, quella che nel giro di neanche un anno
aveva compiuto l’incredibile impresa di scavarsi una nicchia tra le sue costole
e un esclusivo incavo nella sua testa.
Sospirò appagata nonostante l’evidente
contraddizione, ché il fatto che la presenza di quella ragazzina qui e ora la
rendesse estremamente appagata era un monumentale paradosso, eppure oggi
finalmente poteva dirsi lieta di tutte le petulanze delle quali l’aveva fatta
oggetto fin dall’inizio. E guai se non avesse insistito, altrimenti a quest’ora
chissà che accidenti di fine avrebbero fatto.
Lentamente si alzò e iniziò ad accendere le
fiaccole che aveva posto sulla balaustra per illuminare la loggia, dopodichè
tornò nella posizione in cui era prima e riprese a caso il flusso delle
digressioni cui stava dando libero corso.
Che pace! Qui poteva assaporare un’armonia e un
equilibrio incomparabili, magari dipendeva dal suo stato d’animo, o dalla
bellezza del posto, o meglio ancora dalla silente figura che le era vicina senza
per questo ingombrarla, ma quest’imbrunire aveva in sé qualcosa di magico che
allontanava dalla sua mente tutte le malinconie negative per far posto solo a
quelle gradevoli.
E allora le venne spontaneo ripensare a tutti gli
episodi che erano avvenuti negli ultimi mesi. Il che era buffo, perché al loro
accadere le erano sembrati di poco conto, invece ripensandoci adesso, li
scopriva quantomai significativi. Si portò la mano destra davanti agli occhi e,
contemplando l’alone di colore che non era ancora scomparso del tutto, sogghignò
a dispetto di sé stessa. Una volta tanto gli strali della sua pungente ironia
erano rivolti verso il suo stesso di comportamento, poiché non avrebbe mai
immaginato di scoprirsi superstiziosa. Ché una scettica come lei non poteva
esserlo, per nulla al mondo, pure ne ostentava chiare tracce, proprio lì, sul
dorso della mano.
Ma poteva definirsi scaramanzia quella, oppure era
la stimmata di qualcos’altro che le faceva più comodo definire tale? Valeva la
pena di rivangare da dove avesse preso le mosse questa singolare faccenda
allora.
Tutto si correlava alla sua attività di pilota.
Naturalmente anche l’ultima corsa cui aveva preso parte, non più tardi di due
settimane addietro, altro non era stata che l’ennesimo successo della lunga
serie alla quale aveva dato principio fin dal suo esordio. Ciò nonostante, la
sera precedente il suo debutto, era stata presa da una strizza completamente
estranea alla sua abituale presunzione. Sarà che era stressata da morire a causa
dalle incessanti prove che fino all’ultimo l’avevano vista protagonista, sarà
che durante le qualifiche aveva avuto qualche problema di troppo con il
sovrasterzo della monoposto, sarà che c’era in ballo molto di più di quel che le
piaceva ammettere, ma in quelle snervanti ore antecedenti la gara il suo
circuito interno era andato in tilt. Casualmente, anzi provvidenzialmente
sarebbe stato il caso di dire, Michiru era lì con lei e quel che era accaduto
quella notte, con l’andare del tempo, aveva assunto una valenza assai
sintomatica.
Giaceva insonne nel letto, voltandosi e
rivoltandosi in preda all’ansia e, non riuscendo ad assopirsi in nessun modo,
benché fosse esausta e l’indomani l’attendesse l’ennesima levataccia, alla fine
si era alzata e aveva preso a gironzolare per il suo appartamento. Tesa e
preoccupata si era fatta un caffé ed era andata a berselo in soggiorno sperando
che la vista delle luci della città in qualche modo potesse placarla. Non
credeva d’aver fatto baccano, e proprio per questo, quando la violinista era
emersa dalla stanza degli ospiti stropicciandosi gli occhi e andandole incontro,
l’aveva fissata alquanto sorpresa.
"Che succede?" Aveva chiesto Michiru mentre si
accomodava sul divano e tirava le gambe sotto di sé, soffocando un grosso
sbadiglio. A quella domanda la bionda si era limitata a fare un gesto
spazientito, che non diceva nulla, e aveva continuato imperterrita il suo
addivieni con la calma di un animale in gabbia. Finché improvvisamente non si
era buttata a peso morto sulla poltrona di fronte a lei e non aveva
sbottato:
"E se domani va da schifo?"
A quest’interrogativo, e al cipiglio provocatorio
e inquieto della sua interlocutrice, Michiru si era limitata a sorridere. Ed era
uno di quei sorrisi che avevano cominciato a contraddistinguerla da qualche
tempo in qua, uno di quelli consistenti in una smorfia a un tempo dolce, ma
parallelamente un po’ canzonatoria, che covava in sé un che d’enigmatico non
sempre decifrabile agli occhi dell’altra.
"Vincerai." L’aveva contraddetta tranquillissima,
come se quella convinzione le derivasse da un dato precedentemente acclarato e
del quale era del tutto inutile discutere. Ma Haruka, alla quale la tensione mal
repressa faceva l’effetto di renderla vieppiù polemica, aveva sbuffato
sarcastica.
"Vorrei sapere che accidenti ne sai tu!? Ci sono
tante di quelle variabili che neppure puoi immaginare! Un treno di gomme
difettoso, un pit stop organizzato male, uno stronzo che in pista ti viene
addosso deliberatamente! L’abilità del pilota può incidere solo fino ad un certo
punto, il resto giace in grembo a quella puttana della fortuna!" Aveva concluso
rabbiosa dando una botta clamorosa al bracciolo rivestito di pelle.
Innanzi a quel comportamento aggressivo Michiru
non si era scomposta più di tanto, anzi, facendo spallucce e uscendosene con un:
"Se si tratta solo di fortuna..." aveva raccattato dal piano vicino alla
vetrata il kit da disegno che portava sempre con sé e ne aveva tratto una
boccetta dal tappo nero e un pennello a punta fine. Dopodichè, accoccolandosi a
terra davanti a lei, aveva intinto l’estremità di quest’ultimo nel colore e,
tirandosi in grembo uno dei suoi piedi, aveva cominciato un complicato disegno
che si estendeva dal polpaccio al malleolo.
"Ma che diavolo stai facendo?!" Aveva chiesto
Haruka quando infine si era ripresa dall’iniziale meraviglia ed era riuscita a
recuperare l’uso della parola. E, visto che non ne aveva ricevuto risposta, ché
Michiru sembrava concentratissima su quanto stava facendo, aveva aggiunto tanto
per dir qualcosa: "Mi stai facendo il solletico."
"Resisti." Aveva replicato criptica l’altra
continuando imperterrita e allungando i tratti di nero dal tallone al retro del
ginocchio. Poi, con un ultima rifinitura aveva concluso l’elaborata creazione e,
sempre senza profferire parola, le aveva afferrato la mano e delicatamente
l’aveva girata prima da un verso e poi dall’altro, come a cercare la prospettiva
migliore. Quindi, dopo un tempo che ad Haruka parve lunghissimo, si decise e,
stringendola con una blanda presa, aveva cominciato a tracciare delle sottili
linee spezzate che dal polso si protendevano fino al punto in cui cominciavano
le falangi.
Così fu che Haruka vide nascere dal nulla sulla
sua pelle una folgore dalla squisita quota stilistica. Incuriosita, e
soprattutto sedotta dalla bellezza di quella raffigurazione, mosse
impercettibilmente il capo per adocchiare cosa invece le avesse fatto al piede
e, scrutando l’intrico di arabeschi che lo decoravano, intuì che altro non erano
che la rappresentazione di un‘ala.
Voleva dirle qualcosa, chiederle il perché di
quella sorta di pittura tribale, ma vedendo quanto ancora fosse intenta nella
realizzazione della sua opera, preferì starsene zitta per non rompere l’incanto
di quel momento. Ché, incredibile a credersi, sentiva scivolare via da lei
l’ansietà, sostituita da qualcos’altro che difficilmente avrebbe potuto
definire. Avrebbe potuto dire a riguardo solo che si trattava di un che di caldo
ed avvolgente, come una coperta o un abbraccio rassicurante nel bel mezzo del
gelido inverno.
"Non ti muovere, lasciali asciugare prima."
La voce della violinista la riscosse dalle sue
fantasie e con un cenno annuì, non fidandosi a parlare, poiché temeva che la
voce potesse uscirle in un tono notevolmente differente dal suo
abituale.
"Scommetto che per le testa ti stanno frullando
infinità d’interrogativi, vero?" Fece la ragazza ridacchiando e rompendo quel
silenzio inconsueto.
"Già. Una saetta e un’ala, simbologia
interessante, considerato che dovrò correre come il vento domani. " Concesse
rimirando per l’ennesima volta i decori che l’adornavano.
"Appunto, considerali dei talismani, una sorta di
amuleti di buona fortuna. Per quanto mi riguarda sono convinta che non ne
avresti affatto bisogno, ma hai visto mai?" Aveva ribattuto maliziosa e con un
tanto di condiscendenza che, se non si fosse trattato di lei, la bionda avrebbe
trovato intollerabile.
Ad ogni modo, superstizione o no, se li era tenuti
e aveva fatto una gara strepitosa, stupendo pubblico e addetti ai lavori con la
sua guida spericolata e la sonante vittoria che ne era derivata. E da quel
momento in poi aveva preteso sempre che alla vigilia di qualsiasi competizione
Michiru passasse la notte nel suo appartamento e rinnovasse di volta in volta
quel rito propiziatorio. Senza contare inoltre che quei disegni erano di una
magnificenza incomparabile. Spesso si diceva che avrebbe dovuto farseli tatuare,
ma poi che fine avrebbe fatto quella cerimonia che condividevano? Ormai sapeva
che non avrebbe saputo rinunciarvi, per cui aveva lasciato le cose così come
stavano. Ma per quanto potevano continuare così a vegetare in quella terra di
nessuno?
La guardò di tralice mentre quella ignara
continuava a dipingere, era a pochi metri da lei, una distanza esigua, tanto che
le sarebbe bastato qualche passo per annullarla e gettare una volta per tutte la
maschera. Sì, ma poi? Non sapeva neppure lei di che cosa si trattasse davvero,
senza contare che non era ancora pronta ad affrontarne tutte le
conseguenze.
Sospirò indecisa e fissò ancora una volta le linee
sbiadite della mano, chiedendosi se allo stesso modo, col tempo, avessero potuto
perdere vigore anche le sensazioni che, sempre più forti, le si agitavano dentro
quando Michiru era con lei. A volte riusciva a tenerle a bada, ma non sempre e
allora poteva capitare pure che si trovassero ad un passo dalla rotta di
collisione. Ed era un male, era evidente infatti che alla violinista la
situazione stava bene esattamente così e che qualsiasi accenno prevaricante
l’amicizia e sconfinante nell’appassionato avrebbe potuto turbarla, se non
addirittura allontanarla per sempre da lei.
Così Haruka aveva scelto il silenzio, benché nei
mesi precedenti spesso fosse stata ad un passo dall’infrangerlo, anche se non
sempre in modo del tutto involontario. Ad ogni modo avrebbe potuto rivangare
molti di questi momenti topici, ché parecchi se n’erano susseguiti dacché
Michiru aveva praticamente eletto casa sua come territorio prescelto dove
trascorrere il suo tempo libero, ma uno in particolare le era rimasto impresso.
Già, in quel caso c’era mancato davvero poco e volendo, ad uno spettatore
imparziale, la faccenda poteva apparire addirittura in chiave comica. Eh sì,
giacché in quel frangente tra tanti, il sentimento, la ragione e la libido che
si mescolavano incessanti in lei, si erano fatti una grandissima scazzottata tra
loro.
Tutto era accaduto in un pomeriggio di sabato che
avevano accuratamente prestabilito con adeguato anticipo in modo da essere
entrambe svincolate da qualsiasi obbligo. In effetti Michiru aveva davvero
bisogno di un ripasso approfondito di geometria, ché i suoi voti ultimamente non
avevano brillato e lei desiderava avere una valutazione finale che non
comprendesse nelle sue eccellenze una striminzita sufficienza. Quindi, chi più
della bionda avrebbe potuto porgerle il destro? Anche perché un doposcuola
presso un professore mal si sarebbe incastrato con tutte le attività che già
svolgeva, oltre a ciò Michiru riteneva che Haruka fosse più che qualificata, per
cui si erano accordate in tal senso. E quest’ultima, la quale riteneva che le
falle della ragazza in merito fossero più che altro dovute all’antipatia per la
materia e non ad una radicata ignoranza, aveva accettato senza considerare che
ultimamente le sue pulsioni si stavano facendo sempre più turbolente.
Ah certo, Shanaya sapeva come ben placarle,
altrochè se lo sapeva, tanto che stavano sperimentando una varietà e quantità
cui a volte era difficile stare dietro. Praticamente ormai conoscevano menadito
la zona dei love hotel di Shinjuku, anche se la ragazza sempre più spesso le
chiedeva sospettosa perché si rifiutasse ostinatamente di usare il proprio
appartamento come alcova. Haruka a tal proposito adduceva di volta in volta una
serie di scuse credibili, senza però rivelarle che il motivo pregnante
consisteva nel fatto che non voleva assolutamente che Shanaya arrivasse ad
introdursi più di tanto nella sua sfera privata. Ad ogni modo non era questo il
punto, piuttosto si trattava del fatto che, da un po’ di tempo a questa parte,
l’effetto placebo di quelle effusioni avevano preso ad avere una durata sempre
più limitata. E con raccapriccio Haruka si era accorta che in molte occasioni,
proprio nel momento culminante, le sue fantasie correvano in ben altra
direzione, tanto che, almeno un paio di volte, poco ci era mancato che le
scappasse di bocca un nome che non era quello di colei la quale in quel momento
le si agitava addosso.
Insomma, come allentava la morsa del suo ferreo
controllo, come si lasciava andare alla passione, l’immaginazione le si
scatenava, incurante del fatto che fosse tra le braccia di un’altra persona.
Rischioso, molto imprudente. Ma che poteva farci?
E per fortuna che fin lì era andato tutto bene!
Sennonché, durante quel particolare pomeriggio deputato alla geometria in tutte
le sue varianti, finì per impelagarsi dritta, dritta nel gorgo del suo desiderio
represso.
Michiru stava a capo chino sul libro che le aveva
piazzato davanti e, dopo esserselo studiato per qualche minuto, memore delle
spiegazioni che la bionda le aveva dato, aveva scribacchiato un’equazione per
poi chiederle:
"Quindi qui qual è la funzione del
seno?"
A siffatta domanda Haruka avrebbe potuto dare più
una risoluzione, ma nessuna delle quali c’entrasse molto con la trigonometria.
E, colta da improvvisa arsura, deglutì più volte, attaccandosi alla bottiglia
d’acqua allo scopo d’evitare di darle una risposta. Temeva infatti che potesse
sfuggirle qualche lapsus terrificante. In effetti erano cinque minuti buoni che
gli occhi continuavano a correrle, quantunque li stesse storpiando in maniera
innaturale nel tentativo d’impedirselo, per l’appunto verso la zona intermedia
tra lo stomaco e lo sterno della violinista seduta di fronte a lei.
Perché aveva acconsentito a darle delle
ripetizioni? E perché Michiru, accidenti a lei, era venuta in metropolitana e
senza ombrello? Se l’avesse accompagnata l’autista di famiglia non si sarebbe
infradiciata e, in tal caso, non avrebbe avuto necessità di cambiarsi. Invece,
causa l’improvviso bisogno d’indipendenza che aveva preso a stimolarla dacché si
frequentavano abitualmente, se n’era venuta a casa sua come una pendolare
qualsiasi, facendosi cogliere in pieno dalla pioggia gelata che da giorni
sferzava la città.
Se l’era ritrovata sulla soglia completamente
zuppa e, d’accordo che non poteva restarsene con quella roba fradicia addosso,
ma aveva proprio bisogno di indossare quei suoi vecchi short e quella maglietta
senza maniche che accidentalmente aveva ristretto in lavatrice? E, considerato
che i pantaloncini risalivano a quando Haruka aveva una dozzina d’anni e che la
t-shirt si era ritirata con un lavaggio a novanta gradi (altra cifra che
riportava i suoi pensieri verso un territorio da evitare assolutamente,
porcaccia zozza!) le calzavano a pennello. Anzi, a dire la verità il tessuto
della maglietta tendeva pericolosamente a salirsene al di là dell’ombelico… Ma
maledizione, non sarebbe stato meglio che si fosse data una mossa e che le
avesse preso di persona qualcosa da mettersi? Magari un bel completino
oversize!?
Bella idea questa, peccato che qualsiasi sua
eventuale contromisura fosse stata prontamente azzerata dal tempismo incredibile
che Michiru aveva sfoderato. Infatti la violinista si era fiondata verso i
cassetti della sua roba smessa ad una velocità pari a quella di una Ferrari sul
rettilineo di Indianapolis e a lei altro non era rimasto che battersene in
ritirata prima che cominciasse a svestirsi. Ah certo, avrebbe potuto restare e
magari darle un consiglio spassionato su cosa mettere e cosa no, ma così non
avrebbe fatto che ripetere la torturante esperienza già patita a bordo
dell’Abatros, e per l’amor di dio, non era proprio il caso! Ché se la ricordava
benissimo la faticaccia che aveva fatto allora per impedirsi di star lì a
guardarla a con mezzo metro di bocca aperta, per cui si era dovuta arrendere
all’inevitabile. E purtroppo per lei questo non era stato che
l’inizio.
Haruka stava sudando abbondantemente e non solo
per via dell’aria condizionata tenuta molto alta, ma a chi poteva darne la colpa
se non a sé stessa? Certo che se avesse saputo tutto ciò in anticipo, col cavolo
che l’avrebbe posizionata a quelle temperature tropicali! Sottozero sarebbe
stata l’ideale, così quella maledetta si sarebbe dovuta per forza coprire,
magari con un burqua di lana!
E invece no, Michiru se ne stava mezza spogliata
esibendo un’invidiabile disinvoltura e, come se niente fosse, levava il suo
sguardo innocente a lei, in attesa delle sue perle trigonometriche. Come se poi
fosse una cosa facile ragionare su periodiche e radianti innanzi a quel po’, po’
di spettacolo esposto. Ma come spiegarle il suo impasse senza scendere nel
dettaglio?
"Maledetto Cartesio!" Pensò piena di livore e
prossima all’ebollizione mentre si faceva aria con una mano. "Lui e le sue rette
di sto par de palle! Ché qui più che cogito ergo sum, si è al coito
ergo sum!"
Innalzò gli occhi al cielo mormorando un misto
d’invettive e una silente preghiera all’indirizzo di un nume qualsiasi, ma tanto
benigno da darle la forza di restare quieta.
"Allora Haruka, facciamo notte?" Chiese Michiru
impaziente battendo l’indice sulla curva del grafico illustrato sul libro degli
esercizi.
Haruka ebbe un soprassalto e la fissò con tanto
d’occhi, persa com’era nel suo mondo di maledizioni e recriminazioni. Ma la
parola notte s’illuminò nella sua testa come le insegne a Brodway durante
la stagione dei musical.
Notte? Aveva detto notte? Porca puttana no! Ci
mancava solo il calare delle tenebre per trasformarla definitivamente in una
potenziale violentatrice! No, no, no, avrebbero terminato quel fotuttissimo
problema immediatamente e poi l’avrebbe spedita di corsa a casa!
"Ah, scusa. Stavo pensando ad altro." Aveva
borbottato avvertendo, per la prima volta dopo tanto tempo, il bisogno di
qualcosa di forte. Peccato che l’unico alcolico presente nel suo appartamento
fosse quello contenuto nella bottiglia del suo profumo preferito.
Saké!
Aveva invocato disperata, peggio di un avvinazzato
fetente buttato fuori a calci dalla più infima delle bettole, ma, visto che a
quell’appello nessuna cassa di bottiglie scintillanti si era miracolosamente
materializzata, aveva tentato di sgombrare la testa da tutte le immagini
tentatrici che le si presentavano, spazzandole con una ruspa di scevra
razionalità. Ci voleva qualcosa che le ammosciasse la libido all'istante,
subito! Pensò a Pitagora, l’eccelso non falliva mai con lei. Peccato però che,
mentre s’accingeva ad enunciare il celeberrimo assioma, nel frattempo lo sguardo
le fosse caduto sulle gambe allungate dal suo lato. Così il suo tentativo di
citazione era diventato una parodia consistente ne: La somma dei quadrati
costruiti sulle cosce… oh merda!
Scuotendo il capo aveva distolto gli occhi e
ostinata aveva riprovato riesumando stavolta Talete e il suo simpatico teorema
semplice. E in effetti l’avvio fu abbastanza buono, ma a metà della formula era
precipitata a volo d’angelo nella diretta contemplazione del volto di Michiru,
perdendosi nella delicata curva della mascella, seguita dall’esame attento al
madreperlaceo orecchio, fino a terminare nelle volute delle ciocche dei capelli
che lì si arricciolavano setosi.
Niente da fare!
Frustrata aveva constatato la sua totale debacle
su tutti i fronti.
"E’ evidente. Forse è colpa mia." Aveva detto
tutto ad un tratto Michiru sospirando.
Sì bella, diciamocelo, è proprio colpa tua.
Rivestiti!
L’aveva esortata mentalmente, ma ovviamente la
violinista non aveva inteso quello e avevano continuato con quel tira e molla
finché quest’ultima non aveva portato a termine, e in piena autonomia, un’intera
pagina del suo libro di esercizi. Il che costò ad Haruka un esborso incredibile
d’energie, in quanto quel dominarsi la stancò più di quanto avrebbe potuto una
sessione massacrante di fitness, oltre che innumerevoli passaggi alla toilette,
dove si recava a immergere la faccia nell’acqua gelida allo scopo di calmare i
suoi bollenti spiriti.
Haruka ridacchiò voltando il capo verso l’oscurità
della valle, meglio nascondere il ghigno che le era fiorito al ricordo di quel
pomeriggio terrificante, altrimenti come avrebbe potuto spiegarlo all’altra?
C’era ben poco da ridere d’accordo, sapeva benissimo che sarebbe potuto capitare
di nuovo, anche se si adoperava i tutti i modi perché così non fosse, però ciò
non toglieva che ci fosse una grande ironia di fondo con la quale la sua natura
sarcastica si divertiva un modo.
Doveva proprio star facendosi un sacco di risate,
ché , come per osmosi la sua personalità ultimamente sembrava stesse scindendosi
in due differenti branche. In più di un’occasione infatti aveva notato il
prepotente insorgere di una parte di sé del tutto inedita rispetto a quella che
da sempre aveva imperato sui suoi atti. E se da un lato c’era il suo vecchio io,
ombroso, saccente e maledettamente spiritoso, dall’altro, a tratti si ritrovava
ad essere timida, indecisa e incredibilmente attenta alle altrui esigenze.
Inutile star a sottolineare comunque che tutta sta premura e nobiltà d’animo
balzavano fuori, fortunatamente non sempre, solo quando si trovava al cospetto
di una determinata femmina.
Oddio, magari poteva essere addirittura un
cambiamento in positivo, anche se non ne era affatto convinta, ma restava il
fatto che fosse decisamente rischioso, dato che arrivava inaspettato ed
imprevedibile nelle sue manifestazioni. Inoltre l’assurdo era che per lo più
certe sensazioni si scatenavano davanti ad emerite bazzecole. Passi che stesse
diventando una mammoletta in seguito ad uno shock emozionale, ma lo scoprirsi
tutta intenerita davanti al futile dettaglio degli occhiali da vista di Michiru
la trovava davvero una clamorosa stronzata! Ma quando mai si era persa in simili
arrossamenti? Che aveva quella ragazza di diverso dalle altre?
Era importante, troppo importante. Questo era il
punto al di là di ogni ragionevole sproloquio. Ma non era amore, non poteva
essere quello. Ché le uniche forme d’amore che avesse mai provato si erano
cristallizzate attraverso Ame e Sid, due persone con le quali aveva un legame
libero, incondizionato, scevro da catene e resistente alla lontananza e al
tempo. Per cui, constatando invece quanto stesse diventando progressivamente
dipendente dalla violinista, e come non sarebbe stata capace di sopportare il
medesimo distacco da lei, il suo non poteva essere amore.
Piuttosto doveva trattarsi di una forma viscerale
di ossessività da parte sua, altro non era che il risvegliarsi di un istinto
possessivo velato d’affetto e prepotentemente condizionato dall’attrazione
fisica.
Magari fosse stato amore, nel qual caso l’avrebbe
preferito, giacché sarebbe stato senz’altro più semplice da gestire rispetto a
quel guazzabuglio. Ma così c’era solo da andarsene di testa, anche perché
inevitabilmente le cose erano destinate a cambiare e allora che diavolo sarebbe
successo?
Ora però non era in condizione di darle nulla, né
di pretendere nulla e nuovamente si ritrovava ad essere spettatrice impotente in
balia della sua volontà. Tutto stava a quel che Michiru avrebbe fatto e se lei
avesse deciso di fluttuare per sempre in quell’ignavia avrebbe dovuto adeguarsi,
tout court.
"Lei è il mio angelo." Si disse a fior di labbra
appoggiando il capo alla balaustra, chiuse gli occhi e strinse i pugni. "E’ il
mio angelo, e io sono troppo incostante per poter solo pensare di legarla a
me."
N.d.A.
Si è in dirittura d’arrivo signore.
Inizialmente avevo pensato di orchestrare il
finale di questa storia in un’unica soluzione. Però poi mi è venuto il dubbio
che ne sarebbe derivato un capitolo troppo lungo, dalla difficile gestione per
chi scrive, ma soprattutto per chi legge. Così ho deciso di scinderlo in più
parti, abolendo il registro corale usato fin qui e lasciando che di volta in
volta si alternasse il punto di vista delle due protagoniste. Forse a qualcuno,
se non a tutti, l’inserimento del personaggio Sid sarà sembrato forzato, me ne
rendo conto. Ma mi è stato necessario, in quanto l’ho usata come espediente per
gettare uno squarcio di luce sul passato di Haruka, nonché come termine di
paragone per le elucubrazioni che la nostra elabora nel finale. Per cui spero
che venga assorbita in scioltezza.
Bene, per il momento è tutto, e ancora un
grandissimo grazie a quanti mi spronano ad andare avanti! ^___^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Memorie
in una notte di
mezza estate
---
Parte seconda---
Ormai
stava per scendere la notte.
Michiru
distolse gli occhi dal disegno che stava abbozzando e guardò
giù verso la valle
vasta e pacifica che si estendeva ai suoi piedi e che lentamente stava
tingendosi
di scuro. Si era affezionata a quella vista, era un rito che compiva
tutte le
sere ormai, perché le donava una tranquillità
tale da poter cullare persino
l’illusione che quell’attimo di beatitudine estrema
avrebbe potuto protrarsi
per sempre.
Si
strinse addosso le braccia, chiudendo gli occhi per meglio assaporare
la
sensazione fuggevole da cui si sentiva pervadere. Era vano darsi false
speranze
e lei ne era consapevole, però stasera le sembrava di essere
ad un passo dal
ghermire quanto fino a quel momento era stato esclusivo alimento delle
sue fantasie,
azioni e reazioni, che ancora tardavano a concretizzarsi e che si
costringeva a
circoscrivere e frenare.
Con
la coda dell’occhio lanciò una rapita occhiata
all’altro capo della loggia e si
chiese per quanto tempo avrebbe potuto ancora reggere quella
messinscena.
Sempre più spesso infatti, si ritrovava a domandarsi per chi
lo stava facendo:
per sé stessa o per lei?
Meglio
non pensarci.
Si
ingiunse tornando a fissare dritto davanti a sé.
Sì,
molto meglio concentrarsi nuovamente su quanto stava facendo e lasciare
quel
perenne interrogativo insoluto, altrimenti non le sarebbe restato altro
da fare
che alzarsi, dirigersi verso Haruka e prenderla di petto per affrontare
la
situazione una volta per tutte. La tentazione era forte, ma altrettanta
era la
paura per ciò che ne sarebbe conseguito. Quindi, ancora una
volta, preferì
restare in quella vaghezza gravida di attese, piuttosto che
precipitarsi in
quel che poteva divenire un girone infernale. Ora, più che
in precedenza, aveva
troppo da perdere per rischiare.
Tornò
a quanto stava creando e, sfumando leggermente il tratto di matita
appena
tracciato, evitando allo stesso tempo di guardare la realizzazione fin
lì
eseguita, si dedicò esclusivamente al dettaglio degli occhi,
mentre oziosamente
i suoi pensieri imboccavano una tangente parallela e si perdevano nella
riflessione riguardante la natura ambigua della sua ritrovata
creatività.
Da
quando era arrivata qui infatti era diventata tutta un fremito di
ribollenti
ispirazioni, cosa che mancava d’accadere fin dal principio
del nuovo anno. Ah
certo, non che non avesse dipinto o disegnato nei mesi precedenti,
tutt’altro.
Ma si era trattato per lo più di studi preparatori, di
lavori che in un certo
senso erano valsi quali tracce iniziali di un modello che ancora doveva
prendere una forma completa nella sua testa. Per cui il suo affannarsi
fino
allo spasmo non aveva prodotto altro che opere vaghe, incompleti
abbozzi di un
puzzle ancora da definire e che aveva speso nell’attesa di
quel di più che ancora
tardava a manifestarsi
nella sua creatività.
E
ogniqualvolta esaminava quel che all’inizio le era parso uno
schizzo
promettente, inevitabilmente, ad un’occhiata più
approfondita, le montava
dentro la frustrazione per non aver espresso quanto avrebbe voluto e,
esasperata oltre ogni dire, finiva per appallottolare rabbiosa il
frutto di
tanti sforzi per darlo in pasto alla pattumiera.
Molto
probabilmente quelli erano stati mesi felici per i riciclatori della
carta, ché
di sicuro l’operatore addetto al ritiro dei sacchetti ricolmi
di fogli
accartocciati che tutti i santi giorni gli lasciava, come minimo si ci stava pagando il
mutuo con tutta quell’abbondanza!
Era
stato un rospo duro da mandare giù quello,
giacché fin da quando aveva iniziato
a dipingere non le era mai capitata un’impasse simile,
né aveva dovuto lottare
con il frustrante senso d’impotenza dell’artista
che sa quel che vorrebbe
generare, che scorge, così come se ce l’avesse
davanti, quel sublime che spasima,
ma che infine deve deporre i pennelli, poiché
sa che per il momento non è in grado di dargli la forma che
questi merita.
Una
bella lezione d’umiltà per lei, soprattutto
perché appresa nella sua furia
d’insistere. Ma,
paradossalmente, quella
sequela di insuccessi le aveva donato una vittoria, giacché
finalmente aveva
inteso di non essere ancora pronta e sufficientemente matura per
riprodurre ciò
che si proponeva.
Il
che non voleva dire che avesse rinunciato, piuttosto le
era stato utile a capire quanto fosse opportuno
darsi un periodo di tregua, anziché
continuare a generare aborti mostruosi di quella
meravigliosa idea che
aveva preso nella sua testa le proporzioni di una fissa dominante.
E
così Michiru, nel modo più doloroso, aveva
imparato che l’ispirazione non era
uno stato d’appartenenza esclusiva, bensì un
qualcosa di capriccioso.
Incostante quanto potrebbe esserlo una pagliuzza sospinta dal vento e
tanto
eclettica quanto potevano essere le totalità infinite dei
colori che potrebbe esprimere
un tramonto novembrino: ora blu, ora violetto e, una manciata di attimi
dopo,
di un vellutato indaco.
E
forte di questa nuova consapevolezza si rassegnò, dovette
farlo, alla realtà
dell’estro volubile.
Lo stesso
costantemente assente quando con più insistenza lo si
cercava e, al contrario,
sempiternamente nascosto dietro ogni singolo dettaglio, espressione o
ombra
scorgesse, qualora non
le fosse
possibile esprimerlo appieno e fissarlo su carta come avrebbe voluto.
In
un certo senso, pensava adesso che pareva finalmente essersi
riconciliata col
suo talento, l’ispirazione poteva paragonarsi
all’amore, dato che esattamente
come questo, se vitale poteva spandersi
in
ogni fibra dell’ essere, ma in caso contrario,
quando non c’era più… non
c’era più, ed era inutile insistere.
E
allora, si chiese per l’ennesima volta sbirciando nel buio
alla ricerca del
volto di lei, era
un sintomo d’amore il
fatto che proprio ora avesse rinvenuto quest’intensa
creatività da esprimere, oppure
era l’ispirazione stessa a farle credere di provare quei moti
affettivi?
Interrogativo
interessante per un sofista, ma solo per lui, poiché le era
sufficiente levare
il capo a contemplare Haruka, che distesa dall’altro capo
della terrazza giocherellava
con un’intricata matassa di fili, per capire e smentire una
simile ipotesi immediatamente.
Inoltre,
a che pro gingillarsi con quel punto di domanda, se in cuor suo da un
pezzo
l’aveva acclarato? Se
quel che provava
non fosse stato autentico infatti, da tempo si sarebbe arresa, buttando
via
quelle patetiche imitazioni dell’originale, per potersi
dedicare ad un soggetto
molto meno insidioso.
La
fissò nuovamente nel buio mentre la carezza della brezza
leggera della sera le
faceva ondeggiare la coda in cui aveva racconto i lunghi capelli.
Eh
già, l’ispirazione era una fottuta bastarda e non
era un caso che le venisse
meno e facesse la difficile proprio
nei
riguardi di colei che avrebbe voluto più d’ogni
altra cosa ritrarre. A quanto
pareva lo spirito contraddittorio della sua musa aveva influenzato
l’arte,
quand’invece sarebbe dovuto accadere il contrario.
A
questa riflessione Michiru si lasciò sfuggire, nonostante la
stizza impotente
che i suoi travagli le avevano creato, un sorrisetto compiaciuto.
Chiunque
altro avrebbe fatto salti di gioia innanzi alla prospettiva
d’esser preso a
modello da lei, mentre nel caso della bionda, non si era azzardata a
chiedere,
sapendo benissimo delle beffe e dei dinieghi cui sarebbe andata
incontro
qualora l’avesse fatto. Ma, se la sua inventiva
s’era inceppata, non era colpa
del fatto che dovesse trarre le forme apparenti di Haruka furtivamente e con il
cuore in gola,
piuttosto pareva che quanto più le si avvicinasse, giorno
per giorno e
affettivamente, tanto più le appariva talmente sfaccettata
che disperava di
poterla mai circoscrivere su tela.
O
così le era sembrato, ma poi il tempo e gli eventi accaduti,
avevano sconfessato
questa pessimistica convinzione ed era rinata in lei la fiducia e con
essa
l’illusione di essere diventata qualcosa di più
che una semplice amica. Già,
altrimenti non si spiegavano tanti episodi, apparentemente
inspiegabili, che a
ritmo vertiginoso si erano susseguiti.
Haruka
in effetti aveva avuto un comportamento assai strano dacché
avevano preso a
frequentarsi assiduamente. Lunatica ed imprevedibile lo era sempre
stata, ma
nello spazio di tempo che era seguito la loro riconciliazione, piano, piano aveva
cominciato ad agire in
modo sempre più strampalato. E la cosa assurda era che,
finché si trovavano in
pubblico, il suo comportamento appariva quello di sempre: brillante,
altezzoso,
affabile. Poi come per magia, non appena si ritrovavano sole, le
bizzarrie sembravano
prendere piede in lei all’improvviso. Sembrava proprio che
non appena si
ritrovassero a quattrocchi perdesse la calma che normalmente ostentava,
cosa
che per il passato non era mai accaduta.
Oddio,
non che prima avessero condiviso chissà quanto insieme,
senza contare che non
aveva avuto davvero il tempo materiale di conoscerla veramente bene,
ma, per
dirne una, davvero non si sarebbe aspettata che la glaciale Haruka
fosse un
tipo pudico e facile agli imbarazzi. Eppure pareva proprio che
così fosse. E
non tanto per sé stessa, quanto solo ed
esclusivamente per
quanto riguardava
lei, Michiru, ché se qualche volta aveva fatto tanto di
girare per il suo
appartamento in desabillé, poco c’era mancato che
Haruka si facesse prendere da
una crisi di panico.
E
dire che l’aveva creduta molto più navigata,
tant’è vero che se avesse voluto
dare credito a certe voci che giravano sul suo conto a scuola, le
sarebbe stato
molto facile supporre che la bionda l’avesse saputa molto
lunga sull’altrui
anatomia femminile. In effetti così credeva e su questo
presupposto era nata l’ennesima
nota dolente su cui non si dava pace.
Certe
dicerie infatti l’avevano persuasa che, nel momento in cui
avesse deciso di esprimerle
apertamente i suoi sentimenti, la cosa l’avrebbe di molto
agevolata. Invece
pareva che quei pettegolezzi non trovassero altro fondamento che in un
abusato
e stantio cliché. Indubbiamente Haruka aveva i tratti tipici
della nomea che le
attribuivano, il che non voleva dire però che questi erano
sufficienti ad
appiopparle un dato
di sicura
appartenenza. D’altro canto lei stessa, benché non
avesse affatto le stimmate
dello stereotipo, aveva perso la testa per una ragazza. Quindi si era
detta che
forse non era solo l’aspetto ad essere indicativo.
Però certe supposizioni non portavano
altro che a farla girare tuttora attorno all’ipotetico che
ancora giaceva
insoluto…
Insomma
la questione era questa, finché aveva supposto che Haruka
avesse una certa
inclinazione, si era sentita più che mai sicura di quanto si
proponeva di fare.
Ma quando poi, a fronte del comportamento estremamente virtuoso che
quest’ultima
ostentava, le erano venuti i primi dubbi sulla veridicità
delle proprie
convinzioni, si era sentita in obbligo di darsi una calmata. In definitiva, se Haruka
fosse stata ciò che
lei supponeva fosse, sarebbe stata più che contenta
d’avere una femmina
discinta per casa, giusto?
Per
cui, il fatto che non lo fosse, lasciava supporre tutt’altri
scenari. Sacrosanta
ed innegabile supposizione, però era strana pure la reazione
opposta che aveva.
Eh sì, perché, posto pure che fosse eterosessuale
al di là di ogni ragionevole
dubbio, che noia
poteva darle la vista
delle nudità altrui?
Mistero.
O
invece il problema era da rapportarsi a lei sola? E perchè
mai poi?
Belle
domande, peccato che entrambe fossero ancora senza risposta e che
girassero e
rigirassero tra i suoi pensieri fin da quel piovoso pomeriggio che
avevano passato
a studiare insieme. Se lo ricordava benissimo quello, in effetti le sue
fisime
da quel momento avevano preso vigore.
Del
resto come poteva essere altrimenti, visto che le era piombata bagnata
fradicia sull’uscio
e Haruka aveva fatto un’espressione
a metà tra lo sconsolato e l’addolorato? Per non
menzionare che il sopracciglio
le se era talmente arcuato che stava lì, lì per
arrivarle sulla nuca. Da quel
momento in poi aveva iniziato a dare letteralmente i numeri, cifre che
nulla
avevano a che fare con la trigonometria!
In
quel frangente si era detta che non era assolutamente possibile che un
tale comportamento
stravagante potesse dipendere da lei o dall’irrilevante dato
della sua
vicinanza, ché Haruka mai aveva dato simili segni di
squilibrio riguardo a lei.
Tuttavia,
man a mano che i mesi trascorrevano, e che siffatte stramberie
s’intensificavano, il sospetto le era venuto. Del resto
ogniqualvolta si era
fermata a dormire a casa Tenou, cosa che aveva iniziato a succedere
sempre più
di frequente, la bionda irragionevolmente si era impuntata sul fatto
che dovesse
usare un abbigliamento, a suo dire, più
appropriato. E tanto aveva
insistito,
instancabile, finché Michiru, stremata e sempre
più perplessa, non aveva inteso
infine che si stava riferendo ad una banalissima vestaglia.
A
questo punto non le era
rimasto che
accontentarla e non tanto perché ci si era sentita
praticamente costretta a
causa delle sue petulanze, quanto per il fatto che più
aumentava la frequenza
dei pernottamenti che Haruka definiva discinti, più si
avvicinava allo zero la
temperatura del condizionatore. Il che non doveva essere una cosa
casuale,
molto probabilmente quella bastarda l’abbassava di proposito!
Michiru
a tutt’oggi ancora
non era in grado di
dare una spiegazione ad un simile contegno, tenendo conto di quanto
sopra, ma
era sicura che non si trattasse di nuovi sintomi
di ombrosità o insofferenza nei suoi
riguardi. Già, era fin troppo evidente quanto
ad Haruka facesse piacere avere la sua compagnia e la sua
presenza
costante persino a casa sua, nonostante certe bizzarrie.
Tutto
ciò era fonte di estremo appagamento per lei, il dato
tangibile di una meta
agognata, tanto, che fino ad un certo punto se l’era fatto
bastare. Malgrado tutta
quella serie di manie inspiegabili stessero minando la sua pazienza. Ma
poi,
inesorabile, un crescendo di circostanze l’avevano coinvolta
ad un punto tale che,
al loro culmine, aveva
acquisita la precisa
consapevolezza di quel che veramente voleva. E da quel momento in poi
nulla era
stato più come prima.
Ad
essere onesta fino in fondo infatti, finché i primi
campanelli di desiderio non
avevano preso a squillare sonoramente, aveva
sempre considerato la sua affezione nei
riguardi di Haruka come un ventaglio di sentimenti che andavano
dall’ammirazione,
all’attaccamento affettivo. Insomma un contesto molto
platonico che si nutriva
di sensazioni elevate e assolutamente nobili, che nulla avevano a che
fare con
smanie sensuali. Praticamente era fermamente convita di riscaldarsi al
fuoco
dei sentimenti puri, piuttosto che ardere di brame che fossero
riconducibili al
passionale, tantomeno ad al fisico.
In
definitiva, si era detta, se guardava il corpo di Haruka con tanta
perseveranza,
lo faceva con l’occhio dell’artista onnisciente e
senza nessuna sottotraccia di
fantasie equivoche. E ne era talmente persuasa che si stupiva delle
occhiatacce
che ne riceveva di rimando. In effetti, quando la fissava a quel modo,
e la
bionda se ne accorgeva, pareva risentirsene assai, al punto che aveva
modificato la sua solita a abitudine di girare per casa in short e
canottiera. Cosa
che aveva fatto prendere alla violinista l’abitudine di
sfotterla al proposito,
al punto che definiva il suo appartamento come il primo e unico
avamposto nipponico
della dirigenza talebana.
Però
poi, un sabato sera come tanti, un evento aveva fatto sì che
si aprisse la
prima e determinante crepa nella muraglia incrollabile di queste sue
candide convinzioni.
E tale era stata l’impressione che ne aveva avuto, che da
quel punto in avanti
l’aveva piantata di fare la gioconda in merito,
poiché le era completamente
caduto il velo dagli occhi.
Casualità
o no, fu insieme a Setsuna, che forse chi più di chiunque
altro pareva intuire
cosa si celasse nel suo cuore, che
si
ritrovò in quel frangente catartico.
Erano
appena uscite da un locale dove avevano partecipato ad un interessante
caffè
letterario incentrato su le Note del
guanciale, libro che entrambe adoravano, quando
quest’ultima l’aveva
indirizzata, quanto inconsapevolmente
ancora
se lo chiedeva, verso il suo destino. Da poco era passata la mezzanotte
e nessuna
delle due aveva voglia di rincasare, cosicché Setsuna le
aveva proposto di
darsi, una volta tanto, ad un divertimento meno apollineo e
più dionisiaco.
Detto
ciò, come al suo solito, senza sviscerare più di
tanto l’arcano delle sue
affermazioni, l’aveva condotta nel ventre pulsante della
discoteca più
affollata e alla moda del momento. Il che era singolare,
giacché questa sapeva
benissimo quanto detestasse certi luoghi, quindi, perché
l’aveva portata in
mezzo a quella ressa sudaticcia e pressoché sbronza? Non
seppe darsene motivo,
né le fu d’aiuto il sorriso enigmatico che Setsuna
le rivolse a fronte delle
sue vivaci rimostranze. Si limitò a incoraggiarla ad entrare
mentre Michiru,
ripensando alla serie interminabile di vernissage a cui
l’aveva condotta e ai
quali Setsuna l’aveva seguita
esclusivamente per il piacere della sua compagnia, si
mordeva la lingua
ed arrendevole la seguiva.
In
fondo, si era detta entrando in quell’alveo rimbombante, si trattava solo di
stringere i denti per un
po’ e, male che andasse, avrebbe trascorso qualche ora
noiosa. Poco se
paragonata alle medesime che forse aveva imposto all’altra e
sulle quali non
aveva mai sentito alcuna lamentela. Per cui la piantò di
fare la difficile e,
prendendola sottobraccio, di sua iniziativa la traghettò
verso il bar per
offrirle un giro di bevuta in segno di tacita scusa. Del resto non
avrebbe
potuto fare altrimenti, digiuna com’era di ballo moderno, se
ballo si poteva
definire quell’esagitato muoversi di qua e di là
che poteva scorgere eseguire
da quella moltitudine astratta.
Così
avevano trascorso qualche ora a sorseggiare bibite tassativamente
analcoliche, schivando
numerosi e continui approcci da parte di giovanotti parecchio
insistenti, mentre
tentavano di portare avanti una conversazione in mezzo a quel frastuono
insopportabile.
Tanto che Michiru si stava chiedendo perché accidenti non
fossero andate in una
sala da tè, visto che Setsuna pareva volersi limitare a
chiacchierare e non le
aveva dato nessuna impressione di volersi lanciare in pista, quando
quest’ultima
le diede il gomito per richiamare la sua attenzione. In effetti aveva
notato
che aveva gettato più di una penetrante occhiata
all’arena gremita durante la
loro conversazione, e ora pareva aver trovato quanto andava ricercando,
dal
momento che stirò le labbra in un sorriso di autentica
soddisfazione.
“Guarda,
guarda chi c’è.” Affermò
bonaria, come se quel rumore intenso non stesse trapanando
loro le orecchie e, soprattutto, come
se
la vista di quanto aveva scorto fosse casuale e lei non fosse voluta
andare in
quel luogo di proposito.
Divertita,
più dalla reazione dell’amica che per un reale
interessamento verso il
conoscente che Setsuna aveva scorto, Michiru gettò
un’occhiata nella direzione
indicatale e lì, in mezzo a quella folla di corpi anonimi e
ondeggianti, scorse
una figura che faceva spicco su tutti. E
non solo perché stava assisa su di una sorta di palchetto
innalzato al centro
di quell’umanità brulicante, ma soprattutto
perché la stazza e il rilucente oro
dei capelli erano inconfondibili. Inoltre, chissà se per un
caso o per una
precisa volontà del demiurgo che conduceva quella sorta di
rito pagano, dal
caleidoscopio delle luci colorate un raggio singolo partiva
dall’alto
illuminandone le movenze.
E
come un officiante che eseguisse un rito tribale, così
Haruka sembrava
presiedere a quella cerimonia d’idolatria collettiva,
guidando quella folla che
sembrava rapita dalla danza ai limiti dell’indecenza che
stava compiendo. In
quel momento sembrava non essere più la persona che Michiru
conosceva, quanto la
proiezione di una forza primigenia del tutto scevra da qualsiasi
vestigia di
raziocino, al punto che i suoi tratti apparivano addirittura alterati,
quasi
sovraumani, presa com’era nel vortice del ritmo e delle
pulsazioni ancestrali
che la scuotevano.
Michiru
ebbe la netta impressione che in quell’attimo le due
identità della bionda si stessero
fondendo in un perfetto equilibrio, quasi fosse diventata
l’essere perfetto, un
androgino senza sesso e privo di emozioni, capace di attrarre
indiscriminatamente le pulsioni primordiali di tutti i presenti.
In
quel momento, per la prima volta, Michiru andò a sbattere,
totalmente priva
della protezione razionale che fino a quel momento l’aveva
sostenuta, faccia a
faccia contro quella realtà che fino ad allora aveva
volutamente ignorato. Ché
la vista di quel corpo esibito in quel
dondolio sensuale, risvegliò in lei sensazioni mai sentite.
E
finalmente afferrò la vexata
questio:
il suo non era un sentimento esclusivamente idealistico, ma si nutriva
anche
della smania che la stava avvampando e che per la prima volta sentiva
in tutta
la sua estensione. Tuttavia capì pure che la sua non era
solo mera voglia,
bensì un eterogeneo miscuglio d’amore e brama di
possesso che non le lasciavano
scampo.
Simile
rivelazione la lasciò senza fiato, incredula, al punto che
seduta stante dovette
abbandonare il luogo, giacché troppa era la confusione che
sentiva. Con una
scusa piantò in asso Setsuna e si allontanò in
fretta, poiché
aveva bisogno di restare sola per riflettere
sull’accaduto.
Fu
una notte insonne quella per lei, trascorsa in una veglia che passava
al
setaccio tutto quanto era accaduto fin dal loro primo incontro,
poiché doveva
capire dove, quella che aveva creduta una forte amicizia, si era
trasformata in
quanto ora stava sentendo. Rivisse a ripetizione le immagini di Haruka
a
ritroso, da quella stessa sera fino ai primi giorni e le ore che
avevano
trascorso insieme, come se si trattasse dei fotogrammi di un film.
Tentava
infatti, attraverso queste, di dare un
senso al batticuore che sentiva crescere e che pareva
l’avesse presa nella sua
morsa per non lasciarla più.
E
nella solitudine della sua cameretta, le rivelazioni caddero ad una ad
una sul
suo grembo, ché mentre si agitava scossa
tra le lenzuola del suo letto d’adolescente,
afferrò appieno che la bionda aveva
fatto nascere in lei i primi germogli del passaggio
dall’età dell’innocenza a
quella adulta. E soprattutto comprese che questi altro non erano che il
barometro indicante la portata dei suoi sentimenti.
Se
si stava evolvendo in questo senso allora era esattamente
perché questi erano
cresciuti, già. Senza contare che ormai, qualsiasi cosa
riguardasse Haruka, da
tempo andava amplificandosi a dismisura nella sua prospettiva e in
quest’ottica
tutto prendeva un senso. E il contesto tutto, visto sotto questa luce,
le
spiegò finalmente anche perché persino
le
minuzie nella loro pochezza, se la riguardavano, erano capaci di
riempirla di
felicità.
Quanti
momenti, che parevano come uguali a tanti altri, le erano rimasti
impressi
dentro? Miriadi.
Frasi,
espressioni, movimenti, il tono della voce, l’attimo, il
posto, il tempo, la
nervatura delle mani, la grana fine dei capelli, il balenare improvviso
d’un
sorriso o una smorfia di disappunto brusca. Caspita, si fosse trattato
d’altro,
faticava a ricordarsi persino cosa aveva mangiato a pranzo! Allora se
non era
amore questo, come accidenti faceva a rivivere così
fedelmente tante cose
apparentemente insignificanti?
Non
c’era scampo, non si trattava più di una tenera
amicizia, se mai lo era stata.
E se ancora aveva qualche dubbio in proposito, il richiamare alla mente
quanto era
accaduto nell’occasione in cui aveva perso l’aereo
per Osaka, glielo tolse del
tutto.
Mancava
poco al suo compleanno, sì perché aveva nevicato
per tutto il giorno, e
l’indomani avrebbe dovuto tenere un importante concerto.
Purtroppo, a causa del
maltempo, il volo era stato cancellato e lei, non sapendo come fare, stava per farsi prendere da
un attacco di panico,
quando Haruka si era offerta di accompagnarla in macchina. Aveva
tentennato, un
po’ perché la distanza era notevole e sarebbero
comunque potute arrivare in
ritardo se ci fosse stato traffico, e un po’
perché davvero non voleva
infliggerle una faticaccia simile.
A
queste rimostranze Haruka si era limitata a fare il gesto di chi
risolutamente
manda al diavolo ogni preoccupazione e l’aveva esortata a
darsi una mossa verso
il garage, ché quella era la scusa perfetta per saltare la
verifica di
giapponese moderno che l’aspettava in classe il mattino dopo.
Una
scusa? Un modo silente e discreto per porgerle il destro senza che se
ne
rendesse conto appieno?
Non
riuscii a capirlo, né la bionda si prese la briga di
spiegarsi. Così
viaggiarono per molte ore l’una a fianco all’altra
nell’intimità dello stretto
abitacolo e, durante tutto il percorso, nulla parve a Michiru tanto
piacevole quanto
quel viaggio fatto respirandole il respiro, accompagnata dalla vista
dello
scorrere dell’autostrada con le sue stazioni di servizio e i
punti di ristoro,
mentre a tratti, la
voce tranquilla di
Haruka faceva da contraltare ai suoi pensieri. E persino quando se
n’erano
rimaste in silenzio era stato bello, perché era stata una
quiete piena del
condiviso piacere di essere insieme quella.
“Se
vuoi dormi pure.” Le aveva detto ad un certo punto la bionda
mentre attendevano
che il benzinaio completasse il suo lavoro. Erano in piedi fuori
dall’auto per
sgranchirsi un po’ le gambe e, a questa proposta, Haruka
s’era sfilata il
soprabito allungandoglielo. “Stenditelo
addosso, starai più calda. E non preoccuparti troppo Michi,
ci penso io. ”
Aveva aggiunto per tranquillizzarla che sarebbero arrivate a
destinazione in
tempo, dopodiché aveva spento lo stereo e si era rimessa
alla guida.
Quel
gesto l’aveva toccata nel profondo, esattamente come
l’affermazione che ne era
seguita. Ché in quel modo le era parso che Haruka le avesse
voluto togliere un
peso dalle spalle, come se con quella semplice esortazione, avesse
afferrato in
mano le redini della sua vita, dicendole che da quel punto in poi se ne
sarebbe
occupata personalmente.
E
allora grata si era accoccolata sotto al tepore del cappotto, che
ancora
conservava il calore del suo corpo, fissandola colma
d’affetto. Perché
quella piccola attenzione voleva
significare tanto, soprattutto se veniva da parte di colei che non
riservava
mai premure a nessuno.
Sì,
forse già allora si era persa per lei, ma stupidamente non
ci aveva pensato.
Del resto però non erano solo certi significativi
particolari a far testo,
giacché spesso era stata sufficiente anche una semplice
espressione del volto,
o un casuale aneddoto legato ad un gesto specifico, per far
sì che le volute
del loro legame, che
ora stava scoprendo
ed identificando come null’altro che amore, la stringessero
sempre di più nel
loro vincolo.
Come
quella volta che l’aveva presa in giro perché
stava ricucendo dei bottoni che
le si erano allentati su alcune camicie.
L’aveva
vista come una scenetta troppo muliebre, comica se associata ad Haruka.
E
infatti aveva fissato interessata tutta l’operazione, notando
quanta minuzia ci
mettesse e come il risultato fosse inappuntabile, a differenza di
quanto si era
immaginata vedendola alle prese con ago e filo.
“Però!”
Aveva esclamato ilare osservando da vicino il lavoro eseguito.
“Non avrei mai
immaginato che possedessi simili doti femminili. Che direbbero le tue
ammiratrici se sapessero che il re di ogni pista, il maliardo che fa
palpitare
i loro cuori, cuce e rammenda come la migliore delle couture
parigine?”
A
quest’uscita Haruka si era limitata a sogghignare senza
risponderle, ma poi,
visto che aveva continuato a canzonarla, vagheggiando divertita la
reazione
inorridita dei fan che la domenica pomeriggio affollavano gli spalti,
vedendo in
lei un modello di maschio virile da emulare, questa aveva fatto
spallucce.
“E
che c’è di male?” Aveva replicato come
se niente fosse, quindi preso un
rocchetto di colore diverso per una camicia più scura e
inumidendo il filo tra
le labbra, sembrò pensarci su. E, mentre infilava nella
cruna la nuova
gugliata, aveva continuato a fissarla interrogativa come se quell’obiezione
fosse poco calzante, tanto che,
fu riprendendo a rammendare che le espose
spassionata il suo punto di vista.
“In
fondo quando ho cominciato con l’atletica non avevo il becco
di un quattrino,
né la prospettiva di vederne per un bel pezzo e credimi, un paio di scarpette dovevo
per forza farmelo
durare finché possibile. Giocoforza ho dovuto imparare.
Sapessi quante volte me
le sono rattoppata da sola! Credi davvero che debba
vergognarmene?”
A
quest’osservazione Michiru aveva perso tutta la sua verve e
si era sentita una
vera stupida per aver sollevato la questione, sebbene Haruka non avesse
usato
il solito registro sarcastico nel bacchettarla, quanto piuttosto nelle
sue
parole si poteva scorgere una leggera vena di malinconia e quasi di
rimpianto. Così
Michiru aveva pensato che, paradossalmente, forse
per lei a quel tempo tutto era più
facile, malgrado vivesse in condizioni
precarie e fosse per lo più emarginata. Pure, nonostante
ciò, pareva ricordarla
ugualmente con nostalgia.
Allora
la ragazza non poté far a meno di chiedersene il motivo.
Probabilmente, quando
era costretta nelle privazioni, il disagio di Haruka era esclusivamente
materiale, ma al contempo era veramente libera,
svincolata quanto solo un amante della libertà
come lei poteva
apprezzare. Per contro, adesso
che aveva
raggiunto un certo benessere, ora che era una personalità in
vista, così come
sempre aveva detto di desiderare,
spesso
sembrava oppressa da un qualcosa che Michiru poteva solo intuire, ma
che ciononostante
avvertiva con la chiarezza di una vibrazione stonata.
Forse,
ma forse, poteva darsi che tutto ciò che stava realizzando
non fosse
esattamente quanto diceva di volere. Forse, ma forse e sempre e solo
forse, quello che
gli altri poteva apparire come la
concretizzazione di molte ambizioni, non era altro che una maschera che
la
bionda indossava per affrancare un passato infelice.
Forse.
E
chissà, si chiedeva guardandola e spingendosi più
a fondo ancora, se
la determinazione ferrea che la portava a
spingersi sempre più in avanti fosse il risultato di un
sogno a lungo covato o
la testardaggine congenita di una che sentiva di dover sempre
dimostrare
qualcosa… Michiru
di certo non poteva
saperlo, ma sperava con tutto il cuore che così non fosse,
altrimenti come
poteva Haruka non accorgersi di quanto ciò fosse futile e
insensato?
Non
ebbe il coraggio di chiederglielo, ma quest’episodio
marginale, benché ancora
una volta avesse evidenziato quanto fossero
grandi le differenze che le separavano, le aveva dato comunque segnale
che qualcosa
era definitivamente mutato, che un altro fondamentale tassello si era
aggiunto
ad arricchire il loro rapporto, quasi senza che se ne fosse resa conto.
Sì
perché con quel breve accenno Haruka l’aveva resa
partecipe di un qualcosa dal
quale per molto tempo l’aveva esclusa e il parlare in sua
presenza di un
passato, fino ad allora mantenuto oscuro, denotava da parte sua la
tacita
consapevolezza e accettazione che lei sapesse, nonostante mai le avesse
raccontato alcunché.
Per
cui se ad Haruka era venuto naturale alludervi, era lecito poter
affermare che
non aveva più di lei la deleteria convinzione che fosse una volubile ragazzina snob
che non avrebbe
potuto capire l’entità dei suoi travagli. E
constatarlo così, in un momento
qualunque di un giorno qualunque, le aveva dato un brivido caldo.
Era
stata accettata, le veniva concessa la possibilità di
capirla e farsi capire e,
in qualche modo, ora si consentiva di sperarlo, la remota
eventualità di essere
ricambiata poteva dirsi avverabile.
Tutto
questo accadeva prima di averla potuta vedere interagire nel campo cui
dava il
meglio di sé, il che voleva dire che solo dopo averlo fatto
poté dirsi sicura
di quanto andava rimuginando da mesi, poiché quando
finalmente la vide correre
sul suo bolide, il cerchio si chiuse.
Già,
come spiegare altrimenti quel che aveva sentito agitarsi dentro la
prima volta
che aveva assistito al suo sfrecciare folle su quella macchina che
sembrava a
tal punto fragile da potersi spezzare da un momento
all’altro? E, considerato
che succedeva dopo l’episodio della discoteca, era ancora
più difficile
metterlo in parole.
La
consapevolezza del suo essere innamorata infatti dava una ridondanza
particolare ad ogni emozione, facendo in modo che mutassero
improvvisamente, alterate
com’erano dall’enzima del sentimento.
Durante quella gara aveva tremato, sussultato e gioito nello spazio di
pochi
minuti e, quando l’aveva vista tagliare il traguardo, il suo
primo impulso era
stato quello di correre all’impazzata nella sua direzione.
Anche perché era da
qualche settimana che non si vedevano. Del resto, dopo la
conversazione,
oltremodo interessante, che avevano avuta, Michiru si era rifiutata di
vederla,
né pensava di volerlo più, e le teneva
ostinatamente il muso.
Dal
suo angolo sulla loggia la violinista tornò
all’attuale e sorrise divertita rimembrando
quel particolare frangente. Ah, sai che ridere se ne avesse chiesto la
rievocazione ad Haruka! Come minimo la bionda avrebbe preferito
buttarsi nel
baratro sottostante, piuttosto che affrontare nuovamente quella spinosa
querelle!
Era
successo un vero e proprio casino e davvero ci era mancato poco quella
volta.
In effetti tale era stato il suo disappunto, o meglio definirla furia
assassina? Che sul serio aveva pensato di darle il benservito una volta
per
tutte.
Rise
di gusto, ché ora poteva permetterselo, ma la collera
funesta che l’aveva
assalita sul momento del fattaccio, non aveva avuto assolutamente nulla
di spassoso.
Sebbene, riflettendoci adesso, doveva ammettere che di ridicolo ce ne
fosse
abbastanza, e abbondantemente, nel dato significativo che tutta quella
buriana
aveva preso piede proprio dagli strali accusatori che Haruka le
rivolgeva.
La
controversia difatti era cominciata dal suo lamentarsi di lei
giacché, a causa
d’impegni precedentemente presi, Michiru non aveva potuto
assistere alle prime
due prove del campionato cui Haruka concorreva, e la bionda se
l’era legata al
dito.
Non
faceva che recriminare a questo proposito, notte e giorno. Ma poi,
inspiegabilmente, un misterioso commento di Setsuna aveva spento
all’istante i suoi
moti di rivalsa. Lì per lì Michiru non ci aveva
badato, ché un simile
spettacolo non era affatto insolito tra loro, infatti le poteva vedere
sovente
beccarsi. Ma in questo caso le parole di Setsuna avevano avuto il
potere di
farle comprendere un
succinto quadretto
su cui da tempo s’interrogava. Al che tante cose si erano
chiarite con una
limpidezza disarmante, tanto che le fette di salame, che da sempre
aveva avute
sugli occhi, le erano saltate con un triplo salto carpiato.
Le
faccenda era andata più o meno così: era passato
qualche giorno dall’ultima competizione
e ancora Haruka, mentre prendevano il tè tutte e tre nel suo
appartamento,
stava sbraitando a proposito della sua assenza.
“Neppure
un presente di felicitazioni mi ha mandato!” Aveva concluso
seccata incrociando con
uno scatto repentino le
braccia, onde accentuare vieppiù il suo sdegno
per quella che considerava una
deficienza manifesta ed insultante.
Setsuna,
a quest’atteggiamento, si era limitata a sospirare paziente,
come alle bizze di
una poppante. Michiru invece, aveva obiettato, usando molto
più sarcasmo di
quanto non avesse intenzione, che di regali e felicitazioni ne stava
ricevendo
pure troppi. E, puntando l’indice sull’ammasso
voluminoso di lettere che stavano
sul tavolino e sui sovrappiù che giacevano in ogni dove,
aveva sottolineato
quanto le sue numerose adoratrici si fossero date da fare in materia di
omaggi,
ori, incensi e mirra.
Per
cui, aveva continuato pungente, non c’era affatto bisogno del
suo contributo
per far elevare ulteriormente la sua cresta di presunzione. Quindi,
aveva
concluso decisa, non
vedeva perché
avrebbe dovuto mettersi a buttare ulteriore benzina sul fuoco, visto
che di
lusinghe e sviolinate, ne stava ricevendo più che a
sufficienza.
Inoltre,
aveva aggiunto riferendosi ad un cesto di prodotti per
l’igiene del corpo ai
gusti di vaniglia, cacao e caramella mou, che Haruka pareva aver molto
gradito,
tanto che lo usava così di frequente che ormai olezzava
perennemente come una
bancarella di bonbon, qualche
bagnoschiuma
e un paio d’essenze, non erano poi questo granché.
Anzi, si trattava di un
regalo talmente dozzinale, che non valeva proprio la pena
d’usarlo come esempio
da sbandierare e
sbatterle in faccia ad
ogni piè sospinto!
Efficace
sortita questa da parte della violinista e Haruka
stava ribatterle salace, quando notò che
Setsuna
stava inalberando un sorrisetto ironico, che la bloccò
all’istante. Conosceva
quel particolare ghigno e non aveva
nessuna voglia di sfidare la sorte chiedendogliene il motivo, dato che
pareva
proprio che Setsuna non aspettasse altro che qualcuno le porgesse il
destro
adatto a farle dire quale bella parolina in proposito.
Anche
Michiru aveva notato quella singolare risatina e le era piaciuta
pochissimo, la
credeva infatti un lazzo indirizzato a lei, praticamente la derisione
silenziosa dell’amica innanzi ai suoi patetici tentativi di
darsi importanza
agli occhi della bionda.
Grosso
errore il suo, poiché non poteva sapere che quello era
l’unico tentativo che poteva
fare allo scopo di soffocare la ben più crescente
ilarità che le stava salendo
dalla bocca dello stomaco. E
se la
ragazza se la stava ridendo non era per lei, quanto
per la situazione tutta.
Inoltre,
visto che proprio non le riusciva di resistere alla tentazione di
lanciare una
bella stoccata ad entrambe, Setsuna aveva volutamente abbassato gli
occhi sul
bordo della tazza, per
poi risollevarli immediatamente
dopo, nel fissarle placida e con ostentazione mentre soffiava sul
liquido
fumante. Infine aveva concluso la pantomima chiedendo:
“E
dimmi Haru, questi detergenti cremosi, sono un regalino della
Yamamay?”
A
questa precisa domanda Haruka si era limitata a grugnire un vago
assenso, guardandola
oltremodo minacciosa, quale
monito silente d’avvertimento che la
piantasse subito, immediatamente, altrimenti sarebbero stati guai
grossi.
Setsuna
ghignò nuovamente e Michiru, alla quale non era
sfuggito l’eloquente scambio
d’occhiate, ne approfittò per chiedere, con
finto candore, perché supponesse che un simile omaggio
potesse provenire da quella là.
Haruka
si mise una mano in faccia, Michiru si protese in avanti in attesa del
verbo
onnisciente dell’amica e
Setsuna, la
quale era convinta che i tempi ormai lo richiedessero a gran voce e che
se non
gli avesse dato una spinta decisiva, quelle due sarebbero andate avanti
per
anni senza approdare a nulla, sorniona rispose:
“Dopotutto,
devi tener presente
che il sapore che
quella roba lascia sul corpo, dovrebbe essere piacevole
da leccare.”
Furono
pochi gli attimi di quiete che quest’affermazione
lasciò dietro di sé, infatti venne
interrotta subito dal suono
inequivocabile di una persona che si sta strozzando.
In
effetti Haruka non credeva a quanto avevano appena udito le sue
orecchie e le era
andato per traverso il sorso di tè appena sorbito.
Quanto
a Michiru, così
come l’altra stava
sputando ad idrante l’infuso che la stava soffocando, allo stesso modo nella sua
testolina
pudibonda, a quella risposta inequivocabile, cominciarono ad eruttare a
zampilli, e tutte
insieme, con la
potenza di un vulcano represso dal mesozoico,
le illazioni e i sospetti ai quali fino a quel momento non
aveva voluto
dar assolutamente credito. Eppure
l’ovvietà di quell’infamante tresca ce
l’aveva avuta davanti agli occhi fin
dall’inizio!
“Se
la fa… E’ da mesi che se la scopa!”
Sbottò
mentalmente al termine di questo processo di collegamento tra i vari
episodi cui
aveva evitato prudentemente di dar nesso. E qui fu presa da una
indignazione maestosa,
la quale, molto singolarmente, aveva
una
certa incertezza nell’indirizzarsi con precisione. Davvero
non sapeva se
prendersela con quella miserabile lasciva di Haruka, la quale, mentre lei ne faceva
oggetto del suo amore
incondizionato e bersaglio di congetture al limite della follia
astratta, non
aveva trovato niente di meglio da fare che sollazzarsi con quella
donnaccia,
che chiamare baldracca sarebbe stato farle un vanto!
D’altro
canto sarebbe stato lecito rivolersela pure con Setsuna, la quale non
si era
fatta scrupolo alcuno di far cadere, con un solo abile colpo di lingua,
il suo
fragile castello di pie illusioni, senza
alcun riguardo per i suoi trasporti e solo per il gusto di fare
l’arguta e
colei la quale tutto sa e tutto vede!
Quanto
a Shanaya le sarebbe piaciuto torcerle il collo lentamente, prima di
affogarla
in una vasca zincata piena di acido solforico.
Certo,
razionalmente sapeva che delle tre era quella che aveva meno colpe
sulla
coscienza, in quanto nell’ipotesi in cui si fosse trovata al
suo posto e nelle
medesime condizioni, si
sarebbe
comportata allo stesso modo, prendendosi quanto le veniva offerto su di
un
piatto d’argento. Già, era facile immaginarsi la
rapidità con la quale ne
avrebbe approfittato qualora Haruka le avesse dato le medesime
possibilità
porte a quella donnaccia!
Pure
non riusciva a darle assoluzione alcuna, giacché le aveva
profanato, e
continuava a farlo maledizione a lei, un
qualcosa al quale ormai si sentiva troppo avvinghiata per poterci
passare sopra
con la minima indulgenza.
Insomma,
se avesse potuto le avrebbe arse sul medesimo rogo, ché
avevano tutte e tre il
loro bel carico di responsabilità condivise.
Però,
pensò in un momento di cristallina lucidità,
seppure avesse immediatamente urlato
il suo sdegno, e il suo essere finalmente consapevole, a quella maniaca
sessuale e la sua degna compare, che stavano entrambe a fissarla in
attesa di
una sua minima reazione, oltre a una serie di litigi infiniti,
cos’altro
avrebbe concluso?
Quella
tresca disgustosa di certo non avrebbe avuto fine solo
perché ora sapeva e la
condannava, figuriamoci quanto poteva fregargliene a quella laida di
Haruka!
Quanto a Setsuna, non le avrebbe dato altro che l’ennesima
occasione per farsi
due risate alla faccia sua! No! Che se ne andassero a quel paese
entrambe! Lei
non voleva averci più nulla a che fare.
Fu
così che, con una scusa, si sottrasse a tutta quella
discussione e che, per
tutti i giorni che la seguirono, si chiuse in un mutismo ed un
isolamento che
alle due parve inspiegabile. Le settimane passavano e Michiru non dava
segni di
vita e, quando il
suo silenzio e la sua
assenza, cominciarono
a diventare oltremodo
pesanti e francamente oppressivi, Haruka, la quale ancora
s’illudeva che quelle
illazioni fossero passate inermi sulla testa della violinista,
cominciò a
tampinarla con insistenza.
Michiru
fu d’una fermezza ferrea, addusse come motivazione lo studio
e la preparazione
per alcuni concerti imminenti, e di gran prestigio, cui sarebbe stata
solista,
poiché non se la sentiva ancora di dare fuoco alle polveri e
urlarle furibonda
quanto doveva.
Era
chiaro che era ancora troppo vulnerabile nei suoi confronti per darle
la
possibilità, eventualmente,
di parlare e, a limite, difendersi. Sì, se
l’avesse fatto allo stato attuale
della sua confusione e indignazione,
quello davvero rischiava di diventare un addio definitivo. Voleva
questo?
Certo
che no, ma non era giunto ancora il momento di parlarle.
Così
a nulla erano valse le insistenti telefonate e i pellegrinaggi sempre
più stizziti
che Haruka aveva fatto alla sua porta, col cappello in mano,
consapevole di
star agendo come il più fetente dei questuanti. Ma a questo
punto non le
importava, voleva sapere e, porca vacca, avrebbe saputo!
Ma
Michiru si era sempre fatta negare, incrollabile e sorda alle sue
suppliche,
insensibile alle blandizie che sempre avevano avuto il potere
d’irretirla e che
adesso invece respingeva per paura di cadere nuovamente vittima
indifesa della
sua malia. Per questo aveva preferito farle sbattere sul muso la porta
dal suo
altezzoso maggiordomo, un impettito e dignitoso signore cui la boria di
Haruka
non faceva né caldo né freddo, come se
l’invettive che la bionda gli sbraitava
rabbiosa, rimbalzassero sulla rigidità del suo sparato senza
colpo ferire.
Grottesca
coincidenza: costui era esattamente lo stesso che comunicava a suo
padre, quando
erano saltati fuori i suoi intrallazzi adulterini,
che sua madre si era ritirata nei suoi
appartamenti e aveva dato ordine di non disturbarla.
Come
dire, corsi e ricorsi storici.
Quanto
a Setsuna, lei non si lasciò impressionare più di
tanto da quest’atteggiamento
austero e glaciale, immaginava infatti che nel petto palpitante e
dolente di
Michiru stava covando un’ira che prima o poi avrebbe dovuto
trovar sfogo. Per
cui sarebbe dovuta essere sua cura solo capire quando
sarebbe stata stagionata abbastanza da essere
pronta a sprigionarla. Insomma, tutto stava nel farsi trovare pronta al
momento
opportuno. Nel frattempo, tutto quello che poteva fare era di lasciar
tempo al
tempo, tanto, tentare di far leva su Haruka sarebbe stato del tutto
inutile.
Setsuna
volutamente lasciò che Michiru si macerasse nel suo brodo
velenoso senza
disturbarla, poi, quando stimò che il periodo di
decantazione era stato più che
adeguato, l’ineffabile ragazza dalle lunghe chiome si
presentò non invitata a
casa Kaiou e non si stupì affatto quando il distinto uomo in
livrea la
introdusse là dove Haruka bramava essere e veniva
regolarmente mandata indietro.
Michiru
come se la trovò davanti ebbe la medesima impressione di
quando il suo
professore di musica le dava il là per una esecuzione cui
potesse esprimere
tutte le sue potenzialità ignorando lo spartito. In effetti,
non le diede
neppure il tempo di aprire bocca, che gliene disse di cotte e di crude,
senza
curarsi affatto di star alzando la voce o di
offenderla pesantemente.
Del
resto era pure colpa sua no? Ché se Setsuna le avesse
rivelato fin da subito la
natura schifosa, che sicuramente doveva conoscere visto che si
frequentavano da
tanto, di quella bastarda di Haruka, lei non avrebbe continuato a
sognare ad
occhi aperti come una deficiente! Si proclamava sua amica, ma col
cavolo che le
aveva detto quanto potesse essere infame quella maledetta! Se, e
quando, era
corsa da lei la prima volta le avesse suggerito di lasciar perdere,
ché la bionda
era un soggetto da evitare accuratamente se voleva preservare la sua
sanità
mentale, tutto questo non sarebbe mai successo!
Per
cui le rigettò addosso tutto quello che pensava di lei, ma
soprattutto tutto
quanto pensava di quella cacasotto dell’amica sua,
ché solo una vigliacca
poteva comportarsi come lei stava facendo.
“Ma
quali delicati sentimenti?! Ma quali tenere attenzioni?! Mi hai
raccontato solo
balle Setsuna! E quanto a quell’altra, non ha avuto neppure
il coraggio di
dirmi la verità. E lei lo sa quel che provo per
lei!” Aveva concluso picchiando
un vigoroso pugno sul pianoforte a coda, preziosissimo,
dell’ottocento viennese,
che a sua madre era costato un occhio della testa.
“Perché
tu gliel’hai mai detto?” Fu la replica neutra che
ne ebbe, mentre ancora
nell’aria s’udiva il vibrare che proveniva dalla
cassa armonica appena presa a
cazzotti.
Michiru,
innanzi a tanta calma ostentata, sentì nuovamente salirle il
nervoso,
l’atteggiamento sereno che Setsuna riusciva a mantenere in
ogni frangente cominciava
davvero a darle sui nervi.
“E
non è abbastanza manifesto, accidenti a te?”
“Certamente,
ma lasciare che sia l’evidenza a parlare, laddove avresti
dovuto farlo tu, ha
solo avuto il risultato che ad Haruka sia scattata la classificazione
tra santa e puttana.”
Affermò concisa, tanto
che, davanti all’imperscrutabilità di tale
affermazione, Michiru si afflosciò
come un soufflè mal cotto, ché davvero si sentiva
cadere le braccia a
questo punto.
“Ora
che vorresti dire?!” Proruppe stremata com’era da
quei giorni di assordante
silenzio auto-imposto, sfiancata dai perché sbigottiti e
sgomenti che le
fiorivano, a qualsiasi ora del giorno e della notte, sul bordo
dell’amor
proprio offeso, come tanti fiori vermigli in una palude di delusione.
Stanca dal
quotidiano domare la sua voglia di andare a buttarsi implorante tra le
braccia
di quella maledetta… implorarla?
E
per cosa visto che è stata lei a tenermi
a distanza per meglio ficcarsi nel letto di quell’altra
debosciata!?
“Cara.”
Cominciò Setsuna cauta, consapevole
che l’amica fosse più tesa delle corde del violino
che suonava e che doveva
andarci con mano leggera, ma ferma. “Non vorrei essere
sempre, come m’accusi,
quella edotta che coglie nel segno infallibilmente.
Però mi tocca e temo che il punto stia proprio
qui. Forse a te non è chiaro, ma debbo dirti che persino una
persona evoluta, e
che si pretende di mondo, come la nostra Haruka, è finita
dritta, dritta in
questo stupido equivoco. E questo non fa che condizionarne le
scelte.”
“Cazzate
Setsuna!” Sbraitò Michiru pestando rabbiosa un
piede, gesto quanto mai
appropriato per lo stato scarmigliato delle sue chiome, che definire
leonine
non avrebbe reso del tutto l’idea, e dei solchi neri che le
cerchiavano gli
occhi. “A te piace da morire giocare a fare la sfinge e colei
che sa, laddove
noi poveri sempliciotti non abbiamo capito niente!”
“Però,
vedo che la solitudine ha portato un progresso notevole nel tuo
eloquio.” Tentò
di blandirla carezzevole con un lievissimo umorismo, ma Michiru era
stufa di
farsi infinocchiare bellamente da quelle due dannate affabulatrici, per
cui
sbrigativa la interruppe.
“E
comunque non capisco che intendi dire, quindi perché non
parli chiaro?”
“Volentieri.”
Fece Setsuna mutando completamente tono. Prese un espressione
più seria e
cominciò pacata:
“Credi
di essere la sola ad aver esaltato l’immagine di chi ti stava
dinnanzi? E’ più
che palese che pure quella testona
ti ha
trasfigurata, a tal punto esaltata nella sua testa, che crede di
compiere un
imperdonabile peccato qualora s’azzardasse a vederti come una
possibile
compagna, o peggio ancora, dio non voglia, come la destinataria dei
suoi
desideri sessuali!”
Certo
Setsuna non si stava preoccupando di essere troppo esplicita e, a
questo
commento nient’affatto velato, Michiru ebbe un sobbalzo. Del
resto, visto che
solo una volta e solo tra sé e sé, da quando
aveva fatto la conoscenza di
Haruka, si era azzardata a mettere la questione in questi termini, nel
sentirlo
fare, era inevitabile che la cosa le desse uno scossone. Sintomo di
quanto
fosse ricco di significati veritieri il ragionamento che le si stava
facendo.
“Sono
mesi che quella cretina si destabilizza nel tentativo di oggettivarti e
ridurti
ad un qualcosa di molto simile ad un icona che rifulge di
santità. Non te ne
sei accorta? Eppure è chiaro! Sta lì a fissarti
come un baccalà in estatica
adorazione, ma non si azzarderebbe mai a muovere un passo nella tua
direzione
come tu, e pure lei, vorresti!
Se la fa
addosso alla sola idea! Per cui l’unica scappatoia che quel
genio ha trovato è
stata quella di elevarti ancor
di più
alla gloria degli altari, mentre
lei si
pasce nel concreto!
Con
quella ci fa sesso e lo fa perché è convinta che
con te sia proibito. Se tu ti
svegliassi una buona volta, forse potrebbe darsi che la pianterebbe di
vederti
come nostra signora immacolata e magari si darebbe una mossa pure
lei!”
Concluse
veemente, dando finalmente piglio all’impazienza che da mesi
covava. In effetti,
ogniqualvolta pensava alla situazione assurda cui quelle due si erano
impegolate,
le veniva voglia di prendere le loro belle teste e sbatterle
l’una contro
l’altra.
“Così
adesso vorresti dirmi che la colpa è mia e che quasi, quasi
sarei io a
spingerla tra le braccia di quella zoccola?!”
Replicò Michiru punta sul vivo.
“No
imbecille! Ma parlagliene un buona volta e fallo in modo inequivocabile
porca
miseria!”
E
così, preso debito conto di questa velatissima esortazione,
Michiru aveva
deciso che l’avrebbe fatto.
E
quale occasione più propizia del gran premio che si sarebbe
tenuto quella
domenica? Le avrebbe dato la possibilità di piombarle
addosso e dirle quanto
doveva senza che Haruka avesse affatto sentore di quanto stava di
lì a venire.
Certo lei avrebbe preferito un’atmosfera decisamente
più romantica, magari un
tramonto in riva all’oceano o un bel tete-a-tete
davanti ad una bottiglia di vino. Ma in entrambi i casi sicuramente la
bionda
avrebbe cominciato a fiutare che c’era qualcosa sotto e, come
minimo, avrebbe
cercato una scappatoia per filarsela come al suo solito.
No,
meglio prenderla alla sprovvista.
Per
cui il gran giorno Setsuna l’attese all’ingresso
dell’autodromo in modo che Michiru
potesse entrare nel motorhome, in quanto lei era provvista del pass che
le
avrebbe consentito un accesso altrimenti assolutamente proibito. E, una volta
là, era stato inevitabile
incontrare e fare la conoscenza della famosa Hitomi, il
che voleva dire per Michiru, scoprire un
altro tassello fondamentale della vita di Haruka, oltre ad avere la
possibilità
di assistere alle fasi cruciali di quell’avvenimento sportivo
da un punto molto
privilegiato. Senza contare il fine ultimo della sua venuta.
Quanto
a Hitomi, palesemente incuriosita,
l’aveva squadrata da capo a piedi prima di
sorriderle apertamente e di
appuntarle sul petto il lasciapassare
che le dava libero accesso ai box.
“Tanto”,
aveva detto allegra, giustificando quel gesto, “credo proprio
che ti vedremo
molto spesso qui!”
Michiru
rifletté sul dato molto indicativo che pareva che tutti
quanti stessero intorno
ad Haruka dessero per scontato il fatto che, presto o tardi, sarebbero
finite
assieme e che lei pendesse dalle sue labbra. Il che, seppur in parte
vero, era
un tantino offensivo. Ma non ebbe l’agio di chiedersi
perché mai poiché, una
volta all’interno, fu catapultata
in un
contesto sconosciuto, ma che si rivelò molto eccitante, dove
tutto pulsava e
sapeva di concitazione.
Inoltre,
pensò mentre si guardava intorno, familiarizzare con
quell’ambito voleva dire
annullare ulteriori
gradi di separazione
che ancora la tenevano lontana da una Haruka della quale era
all’oscuro, quella
che ancora doveva vedere da vicino e che forse avrebbe potuto chiarirle
una
volta per tutte l’enigma che era. Ovverosia, quella che
diventava tutt’uno con
la sua macchina e che in pista si diceva non avesse scrupoli di sorta.
Come
con me?
Non
poté far a meno di chiedersi. Ma poi si ripeté
che il tempo delle domande e
delle ipotesi era finito e che oggi, una volta per tutte, avrebbe
saputo.
Così,
attenta, si era guardata in giro alla sua ricerca e aveva potuto
osservare il nervosismo
degli addetti ai lavori nell’imminenza della competizione.
Tutti erano intenti
ad un febbrile lavorio, eppure del pilota non c’era traccia,
ancorché la sua
presenza si potesse avvertire ovunque, finanche nella caricatura che, a
mo’ di
nume tutelare, era fissata sulla tela che proteggeva la strumentazione
elettronica.
Setsuna,
notando come l’amica stesse cercando freneticamente la
bionda, aveva provveduto
a tranquillizzarla spiegandole, mentre Michiru pensava tra se e se che
doveva
essere un habitué per saperla così lunga, che non
doveva aspettarsi di vederla
comparire nell’immediato.
“Un
po’ di pazienza Michiru, lo so che è difficile, ma
dopo il warm-up si chiude da
qualche parte fino all’ultimo minuto. Lo sanno tutti qui e
nessuno va a
disturbarla, perché sennò sono guai.”
Aveva chiarito, dopodiché le aveva
pressoché confermato che, diversamente da lei, che ancora
non aveva fatto la
conoscenza della bionda quando correva in formula kart, per quanto la
riguardava, aveva avuto la possibilità di poterne seguire la
parabola fin dal
debutto. Quindi conosceva a menadito tutte le sue abitudini e la
trafila cui
era solita.
“E
poi, d’accordo che il motivo per cui sei qui non è
questo, però non
dimenticarti che avendo visto le prime due gare in tv, ti sei persa lo
spasso
di assistere alle esibizioni del prima e del dopo di quella peste.
Figurati,
già normalmente è una miniera di pretese, pensa
un po’ che è capace di
combinare qui che gioca in casa! Rassegnati cara, per le prossime ore
dovrai
accontentarti di poterla vedere solo come una macchia di colore che, a
intervalli regolari, sfreccia qui davanti. Però,
dopo…” Aveva aggiunto
lasciando in sospeso la frase e strizzandole l’occhio.
“Dopo
potrebbe darsi pure che dovrai portarmi in un bar a prendermi la mia
prima
sbronza. Non è lì che si va infatti, quando si ha
una delusione d’amore?
“Beh?
Con tutto lo champagne che ci sarà qui dopo vuoi andartene
in un bar? Che
spreco!” Le interruppe Hitomi ridacchiando.
Il
caso infatti aveva voluto che avesse intercettato quello scambio di
frasi e,
ridendosela sotto i baffi al pensiero di quanto stava architettando
alle spalle
della sua protetta, le prese di sorpresa nella loro intima
conversazione. Non
l’aveva origliata tutta, però ne aveva colto i
fatti salienti e tanto bastava.
Michiru
avvampò e Setsuna, una volta tanto,
non
trovò niente di opportuno da dire ora che i loro altarini
erano stati scoperti
malamente. Ma Hitomi fu clemente e non ficco il dito nella piaga,
piuttosto si
adoperò in modo da agevolare il cammino a quella ragazza di
cui tanto aveva
sentito parlare e sulla quale aveva sempre congetturato speranzosamente.
Che
testa di zucchina che sei Haruka!
Pensò
ridacchiando e cominciando già a far progetti per il futuro.
In effetti c’era da
vagliare quella interessantissima proposta di correre in formula indy
l’anno
venturo e occorreva muoversi con un certo margine per trovare nuovi
ingaggi
pubblicitari e compagnia bella. Figuriamoci
se Perizoma-san non ci farà sbattere fuori non appena quella
testona le darà il
benservito!
Ne
concluse prima di fare la mossa successiva. Prese Michiru per un
braccio e,
trascinandosela dietro, continuò:
“E’
vero, guai a chi si azzarda a
deconcentrarla, s’incazza come un animale, però
hai visto mai?”
Michiru
non seppe che risponderle, ignara com’era di dove volesse
andare a parare la
donna, e quand’arrivarono in un ambiente che in mezzo a quel
caos pareva
un’oasi di pace, si chiese turbata, osservando la scena che
le si parava
davanti al di là dell’uscio, cosa
avrebbe dovuto fare adesso. Per il momento infatti non le pareva
proprio il
caso di dar piglio a conversazioni concernenti i suoi sentimenti a
lungo
taciuti.
Là
se ne stava Haruka, aveva già indosso la tuta dai colori
fiammanti e il casco
appoggiato accanto, standosene rannicchiata sul nudo pavimento. Sedeva
incurvata
su sé stessa, come a voler racchiudere tutta la
concentrazione nel nucleo del
suo corpo compresso, le gambe erano tirate verso il busto, esattamente
come le
braccia, poste in modo che con le mani potesse tenersi il volto e la
fronte.
Aveva
gli occhi chiusi e l’espressione del volto era decisa, ferma,
implacabile. Le
labbra si muovevano in una muta preghiera e parevano non emettere
suoni. Ma
Michiru guardandola intensamente riuscì a intuire il
bisbiglio concitato che
pronunciavano.
Io
sono velocità, io sono velocità, mormorava
e
Michiru non sapeva se ciò fosse una sorta di mantra che si
ripeteva per darsi
coraggio, o una consapevolezza che si ripeteva per persuadersi ancora
una volta
della sua superiorità.
Non
glielo chiese, né volle importunarla in un momento tanto
segreto, ma fu grata
ad Hitomi per averle dato la possibilità di poterla
osservare in quella
circostanza. Chiunque altro avrebbe scambiato un atteggiamento simile
per
sicumera presuntuosa, ma lei no, perché già
quando alla vigilia della prima
gara le aveva disegnato sulle mani e sui piedi, era stata certa delle
sue
vittorie. Ora poi che aveva visto questo, non aveva più
dubbi.
Tanto
che aveva accantonato momentaneamente la sua impazienza e seguito la
corsa con
molta partecipazione, godendosi il boato della folla e il frastuono
incredibile
che le macchine producevano. Era riuscita persino a mantenere intatta
la
fiducia in lei quando Haruka pareva aver perso la testa della
classifica
irrimediabilmente a causa di un brutto svarione al secondo pit stop.
Né si era
troppo meravigliata quando era tornata in prima posizione, con una
serie di
manovre spericolate e sorpassi da brivido, quando ormai né
sugli spalti, né ai
box, nessuno ci sperava più.
Oddio,
ad essere onesta aveva intimamente tremato alla vista delle audaci
evoluzioni
in cui si era prodotta e, durante alcuni sorpassi, era scattata in
piedi senza
avvedersene. Del resto, come avrebbe potuto restare indifferente
innanzi ad un simile
sprezzo della propria incolumità? Ché la bionda
stava guidando come se non ci
fosse stato più domani, come se non avesse nulla a cui
tornare, come se non si
fosse affatto resa conto che due occhi, i suoi occhi, ansiosi e
innamorati,
stavano assistendo impotenti alla testimonianza
dell’avventatezza cui stava dando luogo.
Ad
ogni modo Haruka aveva riportato una sonante vittoria, ma per Michiru,
per
quanto lo volesse, per quanto bramasse correre immediatamente nella sua
direzione e dirle quanto ormai non riusciva più a
trattenere, era stato
praticamente impossibile avvicinarla dopo che questa, raggiante, era
scesa
dalla macchina e si era precipitata a stringere le mani dei suoi
collaboratori.
E in quel clima di festa condiviso ancor più si era
rabbuiata quando dalle
tribune erano calati il patron della squadra, accompagnato da quella
maledetta
Shanaya, per complimentarsi col loro ardimentoso corridore.
Che
poteva fare?
Si
era rintanata in un angolo a guardarla mentre Haruka faceva la ruota
come un
maledettissimo pavone, chiedendosi quando si sarebbe degnata di farle
un cenno.
Ma Haruka, sebbene l’avesse vista, malgrado per
un’infinitesimale momento si
fossero scambiate uno sguardo imperscrutabile, cui una cercava certezze
e
l’altra lanciava interrogativi, continuava a salutare la folla che la
stava osannando. E,
maledizione a lei e alla sua immodestia, al suo rientro nei box, aveva
cominciato a parlare con quel panzone tronfio del suo capo e,
naturalmente, subito
dopo, invece che andare da lei, aveva
cominciato
a fare la splendida con quell’oca bionda di sua figlia!
Dopodiché, passandole a
pochi metri, ma facendo bellamente finta di non vederla, le era
transitata
davanti per andare a prepararsi la premiazione.
Michiru,
più dolente che furibonda, ci era rimasta talmente male che
immediatamente
aveva ricacciato indietro le velleità che fin lì
l’avevano sospinta. Ma come
aveva potuto convincersi che avrebbe potuto? Che beota! La
realtà era quella,
altro che quanto andava dicendo Setsuna o quel che le faceva
più comodo dirsi!
Continuò
a fustigarsi mentre s’avviava mestamente verso
l’uscita, ma non ebbe la
possibilità di andarsene. Hitomi infatti, che aveva
assistito a tutta la scena
e che immediatamente aveva inteso il fraintendimento cui aveva potuto
dar luogo
il comportamento di Haruka, prese
nuovamente in pugno la situazione. Afferrò Michiru per il
polso e, stordendola
con una fiumara inarrestabile di chiacchiere, alle quali la ragazza non
aveva
alcuna possibilità di replicare, e la portò fin
sotto il palco dove sarebbe
avvenuta la consegna dei premi.
Volentieri
Michiru si sarebbe dispersa tra la folla, ma la donna la teneva ben
stretta, e
così ora le sarebbe toccato pure assistere a tutta quella
manfrina. Perché
doveva vedere anche questo? Non era sufficiente quanto già
aveva patito fin
qui? Era proprio necessario che la vedesse pure mentre con una mano
teneva il
trofeo e con quell’altra s’avvinghiava a quella
battona?
Voleva
scappare il più lontano possibile, eppure le
toccò presenziare alla salita dei
tre piloti vincitori accompagnati dallo scroscio delle acclamazioni del
pubblico entusiasta. Applausi che, nel caso di Haruka, diventarono una
vera e
propria ovazione.
Eppure
questa, e Michiru lo notò subito,
una
volta assisa sul gradino più alto, continuava a volgere il
capo tutt’intorno,
come se stesse cercando qualcuno o qualcosa.
“Fatti
vedere.” L’esortò a questo punto Hitomi
e la violinista si volse a guardarla stranita.
“Prego?”
Chiese presa d contropiede.
Ah
certo, sarebbe stato meraviglioso se davvero fosse stata lei lo scopo
di quella
frenetica ricerca, ma visto il trattamento che la bionda le aveva
riservato,
era da escluderlo del tutto. Ammenoché non volesse insistere
su un
comportamento decisamente masochista! Per cui le aveva risposto in malo
modo: “Ehi
Hitomi, ti piace giocare al Dottor Stranamore? Non è mica me
che vuole!”
“Ah
no? E allora chi, mia sorella?” Aveva ribattuto questa
ironica, quindi aveva
aggiunto con l’aria di chi la sa molto lunga:
“Sveglia Kaiou! La Yamamay è
proprio davanti
al suo naso, e tu credi davvero che stia cercando lei? Secondo te, non
l’avrebbe già vista?”
A
quest’incontrovertibile verità
Michiru
non aveva dato replica, ma del resto che aveva da perdere a questo
punto? Così aveva
sventolato allegra un braccio per farsi notare, sperando in cuor suo di
non
rendesi nuovamente ridicola., e con somma gioia s’accorse che
Hitomi aveva
ragione, perché Haruka, ora che l’aveva finalmente
individuata, stava esibendosi
nel suo famoso ghigno a trentadue denti, dopodiché, togliendosi i guanti e
mostrandole i disegni
che le aveva fatto l’ultima volta, le aveva strizzato
l’occhio.
“Dopo
me li ritocchi!” L’avvertii
da ultimo, prima di
attaccarsi alla magnum di champagne e
innaffiare tutti quelli che le stavano nei paraggi, mentre saltellava
beata
tutt’intorno.
Da
sottolineare che, con gran diletto di Michiru, il
primo getto che schizzò dalla bottiglia,
quello più copioso,
prese in pieno la
silhouette di Shanaya, che così si vide rovinato il make-up
a quale aveva
dedicato ore. Effettivamente la cosa parve stizzirla molto, oppure
aveva notato
qualcos’altro, tipo il fatto che stava venendo letteralmente
trascurata?
Michiru
lo ignorava, ma ad ogni modo non fu questa piccolezza a cambiarle
radicalmente
l’umore, quanto lo sfoggio precedente, che le mise addosso
una tal voglia di
dar sfogo all’euforia, e molto altro ancora, che si unì ai
festeggiamenti di quella calca
indescrivibile. Non prima però di aver
ricambiato il sorriso che le era stato rivolto, anzi si
poteva dire che
il suo ne fu l’esatto
specchio. Cosa che
non sfuggì affatto ai numerosi giornalisti presenti, i quali vigilavano,
dacché l’avevano
individuata, nell’attesa di un simile siparietto.
Tant’è che ci stavano dentro alla
grande con foto e domande indiscrete urlate all’indirizzo ora
dell’una ora
dell’altra. Il che trasformò quella cerimonia in
una vera e propria bolgia.
Lo
stesso poi si era ripetuto durante la conferenza stampa successiva alla
gara, giacché,
dopo gli interrogativi di rito sulla strategia e sull’assetto
del motore,
Haruka si vide porre una serie di domande più da cronaca
rosa, che non da
testata sportiva.
Fatto
che le divertì intensamente e, il giorno dopo, ne stavano ancora ridendo
insieme, poiché sui
quotidiani sportivi l’accento era posto perlopiù
sulla loro presunta storia
d’amore, che non sulle gesta del pilota o sulla
validità della macchina.
“Ma
ti rendi conto?” Le stava chiedendo Haruka ridacchiando
mentre si accomodava al
tavolo per fare colazione. “Io faccio un mazzo
così tra allenamenti e gare, e
poi finisco oscurata da una querelle riguardante la terribile
incognita: quei
due se la fanno assieme?!”
Reduce
da una notte di baldoria con lei, notte durante la quale aveva
preferito non
pensare a nulla e lasciarsi andare all’euforia del momento e
del loro
ritrovarsi, Michiru ebbe un sogghigno ispirato. Ché Haruka
si era espressa
esattamente come lei aveva fatto allorché aveva scoperto la
sua tresca con
quella gattamorta di
Shanaya.
Era
il caso di tirare in ballo la questione adesso? Chissà, ma
non poté resistere
alla tentazione di tirarle una frecciatina.
“Povera
cara! E io che dovrei dire allora?” Aveva
ribattuto andandole a tergo e scompigliandole i capelli briosa.
“Guarda
che dico sul serio. E per favore non inguaiarmi ultimamente il
pagliaio!” Ribatté
riferendosi allo stato già arruffato cui versavano le sue
chiome.
“Anch’io
parlo sul serio, sai? E credo che se i cronisti avessero visto come mi
hai
trattata prima , dopo e durante la gara, di certo non avrebbero montato
tutto
questo casino. Non è bello essere ignorati completamente,
soprattutto quando è
da settimane che non ci si vede.”
Aveva
risposto brillante, ma con una tale serietà nello sguardo, che Haruka si era messa
subito su chi vive. Naturalmente
l’aveva notato, ma valeva la pena star a vedere come avrebbe
reagito poiché, se
non avesse cominciato con le sue solite filippiche difensive, lei
avrebbe avuto
l’occasione per poter sondare la questione che tanto le
premeva.
In
effetti dopo la conferenza stampa non aveva potuto, in quanto ne era
seguita la
solita sessione di fisioterapia con Hitomi, dopodiché, con
la sua solita
irruenza, la bionda l’aveva trascinata nel suo vortice e, francamente,
non reputava un festino in night club pieno di gente che
le interrompeva
continuamente, quale luogo ideale per un chiarimento. Tantomeno per una
dichiarazione d’amore.
Insomma
si era fatta l’alba, erano rincasate assieme, e ancora
aspettava il momento più
opportuno.
“Ma
di che stai parlando?” Incuriosita, Haruka aveva sollevato ad
arte un
sopracciglio.
Ah
naturalmente si aspettava una rimostranza simile, tanto che il suo finto cadere dalle
nuvole era più che
altro una provocazione. A suo avviso , in realtà, Michiru
non si sarebbe dovuta
affatto attendere un comportamento diverso da parte sua.
Figuriamoci,
pretendere moine da lei nel bel mezzo della concitazione di una corsa!
Eppure
pareva proprio che non ci arrivasse
e le
spiacque se, nella sua tacita supponenza,
aveva
dato origine a dispetto e imbarazzo per lei. Ma che dirle? Meglio farla
parlare
e metterci una pezza dopo.
“Allora?”
L’aveva esortata nuovamente, così Michiru le si
era seduta di fronte e,
incrociando le braccia con fare spazientito, si era apprestata a
chiarirle le
idee.
“Naturalmente
mi rendo conto che eri concentratissima e che certe cose neppure ti
passano per
la testa normalmente, figuriamoci prima di una corsa. Però
che diamine Haruka,
era troppo chiedere un cenno di saluto o una banale occhiata di
riconoscimento,
quale essere umano, prima di metterti alla guida o magari dopo? E
guarda che lo
so che mi hai vista, quindi niente scuse!”
“Ah,
stiamo parlando di questo allora.” Per nulla stupita o
alterata dalle sue
pretese, Haruka assunse un’espressione riflessiva e,
protendendosi in avanti
verso di lei, le sparò una domanda a bruciapelo:
“E tu credi che nel qual caso,
sarei riuscita a fare quanto ho fatto?”
“A
cosa ti riferisci scusa?” Confusa dalla domanda Michiru, che
sul serio non
aveva capito dove volesse andare a parare, aveva distolto lo sguardo.
Ma Haruka
non glielo consentì, scioccò le dita per
richiamarne l’attenzione e continuò:
“Certo
ti ho vista, ma rivolgerti un cenno, parlarti, sarebbe equivalso a
registrare
la tua presenza, insomma a prenderne atto. Il che vuol dire che ne
sarei stata
consapevole mentre correvo e, sapendolo, forse non sarei stata in grado
di
compiere simili azzardi. Diventa tutto più difficile quando
sai che lì fuori
c’è qualcuno che ti osserva e per il quale non sei
solo un pilota.” Concluse,
poi si rese conto d quel che aveva appena detto e impallidì
visibilmente.
Porca
mignotta, porca mignotta, porca
mignotta!
Pensò
stringendo i pugni sotto il tavolo.
“Quindi
questo vale anche per Setsuna, Hitomi e la
Yamamay?”
Ribatté sfacciata Michiru nel tentativo estremo di capirla.
Quella
sorta mezza ammissione che Haruka si era appena lasciata scappare era
preziosa
e doveva sfruttarla
al massimo, perché
dalla replica che ne avrebbe ricevuto,
sarebbe dipeso molto. Per cui l’incalzò.
“Dimmi
Haruka, vale anche per loro, o riguarda solo me?”
“E’
diverso.”
Ammise
la bionda deglutendo e guardando ovunque, tranne che a lai. Ma questo
fu tutto
ciò che Michiru fu capace di cavarle di bocca,
giacché, pur insistendo molto su
questo punto, Haruka non le spiegò dove fosse la differenza,
anzi, si chiuse in
un silenzio deliberato, trincerandosi dietro la protezione del
quotidiano
aperto davanti alla sua faccia, che mai come adesso le era apparso
così
interessante. Peccato che non stesse capendo una cippa di quanto
febbrilmente
stava scorrendo, benché stesse ostentando il massimo
dell’applicazione.
A
questo punto, esasperata, Michiru decise di giocare a carte scoperte.
Si riempì
nuovamente la tazza di tè, allo scopo di darle il tempo atto
a farle stimare di
potersi finalmente rilassare dai suoi attacchi, e sparò la
bordata successiva,
quella dal calibro più grosso. Raccolse tutto il suo
coraggio e con fare lieve,
quasi spensierato chiese:
“Toglimi
una curiosità Haruka, tu
sei gay?”
Il
rumore del giornale sbattuto sul piano del tavolo fu per Michiru
l’anticipazione
alle due pupille di fuoco che la fissarono come se, da un momento
all’altro, la
loro proprietaria avesse voluto strozzarla. E subito dopo livida di
rabbia la
bionda sbraitò:
“E
questo ora che cazzo c’entra?”
“E
dimmi”, continuò imperterrita e incurante
della reazione che stava deliberatamente
fomentando, “ mi trovi attraente?”
“Perché,
in caso affermativo le due cose andrebbero di pari passo?!”
Incredula
Haruka balzò in piedi, incerta se metterle davvero le mani
addosso o tentare di
salvare il salvabile. Oddio era inevitabile che una cosa simile non
fosse già
accaduta, del resto, lei per prima e più di una volta, si
era meravigliata che
una domanda simile non le fosse stata posta da tempo. Ma, proprio per
questo,
aveva sperato che lei avesse capito e tacitamente accettato. Quindi,
perché
adesso la metteva in questi termini? Maledizione, possibile mai che,
persino
mantenendo quel difficilissimo atteggiamento casto e assolutamente
riservato, era
riuscita a farla sentire minacciata? E allora a che pro si era repressa
per
tutto quel tempo?
Ma
non c’era più tempo per farsi simili domande
ormai, Michiru era davanti a lei e
aspettava una
risposta. Le pareva quasi
di vedere il bivio spalancarsi davanti a lei. La scelta era semplice a
questo
punto: o parlava una volta per tutte oppure negava per sempre.
Fulminea
prese la sua decisione e saltò il fosso prima
d’avere il tempo di ripensarci.
“Sì
sono gay e sì, tu mi piaci.”
Ammise
serrando le mascelle come se si fosse trovata davanti ad un cavadenti
piuttosto
che alla ragazza alla quale stava confessando una parte dei suoi
trasporti.
“Ma…?”
La spronò la violinista davanti alla sua manifesta
riluttanza.
“Cosa?”
“Avanti
Haruka”, l’invitò Michiru sorridendo
debolmente, conscia di quanto le fosse
costata tale affermazione e, allo stesso tempo, consapevole che quella
non
fosse quanto aveva sperato, “sarebbe troppo bello se non ci
fosse un ma. Ti
conosco ormai e so benissimo che devo aspettarmi una postilla, una
chiosa a
margine, che ingarbuglierà tutto di nuovo.”
“Già.”
Approvò la bionda intuendo quanto l’aveva delusa
con quella sua mezza verità.
Ma non poteva farci niente, per il momento questo era tutto quello che
poteva
darle e lei lo sapeva, perché ormai quella ragazzina la
conosceva, pure troppo
per i suoi gusti.
La
cosa migliore sarebbe stata lasciarla stare dove stava fin da quando se
l’era
filata alla chetichella dalla loro comune scuola, ma purtroppo non
l’aveva
fatto ed ora eccole qui, ognuna con le sue ragioni e con i propri
validi
motivi. Che poteva fare ora per rimandare l’inevitabile? Scappare non le era
più possibile, lei per
prima lo sapeva,
anche se era più che
restia ad accettarlo. Tutto ciò somigliava molto ad una resa
e la cosa,
ovviamente, non era un boccone facile da mandar giù.
Optò
per un compromesso.
“Senti
io non lo so, è la prima volta che mi sento così,
e non ci capisco più niente.
Mi pare di essere un fottutissimo sputo nel vento!”
“Questo
mi lusinga Haruka.” Michiru non voleva interromperla,
né intendeva fare dello
spirito inappropriato, ma quel francesismo era troppo comico per non
farglielo
notare. Inoltre, con quella
metafora
bizzarra, Haruka aveva avuto il potere di sciogliere immediatamente la
tensione
che aleggiava tra
loro, laddove, il più
pacato dei discorsi, avrebbe fatto cilecca.
“E
ci mancherebbe altro, hai di che andarne fiera!”
Commentò
sarcastica, dopodiché, passandosi una mano sulla fronte,
prese ad andare avanti
e indietro com’era solita fare quand’era preda alla
preoccupazione.
Michiru se ne stette per un
po’ ad osservare quell’irrequieto andirivieni, ma
ad un certo punto non ne poté
più. Le si parò innanzi e risoluta le
afferrò le mani tra le sue.
“Senti
, se questo ti può aiutare, stiamo lontane per un
po’. Forse in questo momento
la mia presenza continua t‘impedisce di fare chiarezza.
Magari stando separate
capirai cos’è che veramente vuoi. Presto
cominceranno le vacanze estive, prenditi
un po’ di tempo per te sola, senza
legami,
so che ne hai bisogno.”
Haruka
non rispose, si limitò ad annuire un paio di volte. Fortuna
volle che la frangia
spettinata che le cadeva sulla fronte impedì alla violinista
di poterla
guardare negli occhi, altrimenti, se
avesse potuto vederli, non avrebbe avuto la fermezza di lasciarla
andare.
Così
fu che, come d’accordo, non
appena
terminarono le scuole, Haruka
partì alla
volta della penisola di Izu e Michiru tornò alla sua isola
natale.
Passò
un mese, trenta giorni gravidi d’attesa, desiderio e
frustrazione. Ma alla fine
i suoi sforzi furono ricompensati.
Una
notte, la notte in cui le stelle cadono e, coloro i quali se ne stanno con naso
all’insù, le osservano per poter
esprimere i desideri a lungo covati, le arrivò un sms il cui
significato era
manifesto.
Ti
prego, vieni.
Ad
un richiamo simile
non poteva resistere
e neppure ci provò, andò da lei e,
sebbene
ancora non avessero riesumato quel discorso, per il momento non
importava,
poiché adesso era qui, al suo fianco, ad
assaporare il loro ricongiungersi.
Michiru
la contemplò all’altro capo del portico,
comparando il ritratto terminato
mentre i suoi pensieri vagavano attorno al passato recente, e
rifletté sul
fatto che aveva cominciato ad amare la notte proprio
dopo quella che le aveva portato il
trepidante richiamo di Haruka.
Compiaciuta
rabbrividì d’intensa gioia, grata di questo
momento unico che aveva preso ad
attendere, assaporandolo in prospettiva, durante tutto l’arco
delle ore diurne.
Lo scoprire quanto le piacesse la notte era una rivelazione recente,
tuttavia vi
si era abbandonata senza sforzo, con fervore da neofita, e ora le
spalancava il
cuore, lieta del suo perenne manifestarsi.
Forse
anche questa sarebbe stata una semplice notte, una come tante,
poiché nulla la
differenziava da quella topica che l’aveva trascinata qui,
ciò nonostante se
ne faceva irretire lo stesso. Per quel senso
di continuità e di conforto che le
donava, per la consapevolezza che dall’istante in cui fosse
scesa la tenebra, la
calura sarebbe diminuita e il profumo acre del sottobosco avrebbe
cominciato a
solleticarle le narici. Ma
soprattutto l’amava
perché sapeva che al calar del sole lei ed Haruka si
sarebbero adagiate lì
fuori a godere del fresco e della reciproca presenza.
Sì,
forse era soprattutto per questo e persino per
l’insignificante gesto di accendere
le fiaccole che la bionda compiva immancabilmente quando i primi grilli
cominciavano il loro canto notturno. Lo spiava quel gesto, lo covava
sera dopo
sera nell’attesa del suo compirsi, poiché ai suoi
occhi quell’atto aveva preso
una valenza quasi rituale, come se la fiamma tenue a cui Haruka dava
vita esaltasse la
medesima che sentiva arderle
dentro.
E
questo le faceva nascere il sospetto di sbagliarsi, ché
forse non erano dei semplici
vespri estivi quelli che stava vivendo, forse
ogni sera aveva in sé i germogli di qualcosa di speciale,
giacché erano attimi troppo
intensi, troppo carichi di significato, per essere tali e per poterli
confondere con quelli che aveva trascorso sola in riva
all’oceano.
Già
lei era un’isolana, amava gli abissi marini e se ne
considerava figlia,
tanto che quando il sole si spegneva
lentamente nel mare, inondando il cielo di colori di brace e lei veniva
cullata
dal suono della risacca, non
mancava mai
di lasciarsi rapire all’incanto della natura. Pure non le era
possibile
comparare questo senso di armonia con quello d’assoluto che
era nato da quando
aveva respirato la notte nel silenzio di queste selve. Ma la differenza
non
stava nello scenario o nella geografia del luogo, il contrasto era dato
da
colei che aveva fortemente voluto la sua presenza su questa terrazza
affacciata
sul mondo.
Le
lanciò un’occhiata affettuosa abbracciandola e
carezzandola con la sola forza
dello sguardo. Sì era solo merito di Haruka se qui
l’essenza dell’oscurità si
distingueva da qualsiasi altra, anche perché
l’intreccio degli sguardi che si
scambiavano al chiarore di quella fiamma era troppo complesso per
poterlo
catalogare con quelli che avevano già avuti in precedenza.
Ma forse non c’era
da darsi troppe spiegazioni, cincischiare fino a rovinare le sensazioni
che
provava. Era sufficiente solo godere della difformità del
buio e dei sentimenti
che sentiva amplificarsi a dismisura nella libertà e
vastità di questo spazio
incontaminato.
Sorrise
indulgente alla propria ottusità, fino a pochi giorni prima
infatti, per lei le
ore prive di sole non avevano mai avuto un significato personale,
più che altro
soleva ritenerle come una temporanea cessazione di vitalità,
come nient’altro
che una prolungata pausa, in attesa che il sole tornasse e desse il via
ad un
altro giorno. Ingenuamente aveva ritenuto che la luce fosse la vita e
la sua
assenza una piccola, temporanea, scomparsa della stessa. Ma adesso
aveva cambiato
idea, quello spazio immobile e granitico aveva avuto il potere di
toglierle
finalmente i dubbi sui quali per mesi si era dibattuta.
E
dire che non aveva mai sospettato di nascondere una vena di notturno
nel suo
animo, né assolutamente aveva immaginato di aver bisogno di
uno sfondo
saturnino per ampliare a dismisura pensieri ed emozioni. Quanto si
sbagliava!
Doveva
essere stata cieca per non accorgersene, poiché aveva
scoperto di struggersi
letteralmente nell’atmosfera solenne che si poteva creare in
questo luogo
quando la luce scemava e tutto s’ammorbidiva nella
precarietà delle tenebre. Sentiva
in quei frangenti i battiti del cuore rallentare, le sembrava persino
che il
tempo si dilatasse a dismisura mentre colei che le stava di fronte si
stemperava
fino a darle l’impressione che fosse diventata
tutt’uno con il suo essere
più profondo. In quella atmosfera velata
per la prima volta la sentiva vicina, talmente tanto da poterle
finalmente
parlare come dal primo istante avrebbe voluto. E
tutto questo non faceva che esaltare con
violenza le sue emozioni, mentre nel buio Haruka, che di quelle
suggestioni ne
era oggetto e sorgente, le sembrava si trasformasse, poiché
i tratti taglienti
del suo volto risultavano addolciti, i colori aggressivi degli occhi e
dei
capelli si sfumavano e in quel momento le era più cara che
mai.
In
questo remoto rifugio gli strati di ragionevolezza, pudore e
tentennamento che le
si erano opposti nel corso dei mesi precedenti stavano venendo meno ed
ora era
ad un passo dal denudarsi interamente. Ma come avrebbe potuto
altrimenti, circondata
com’era da quella bellissima eco dei suoni accresciuti nello
spazio vergine tra
le gole e le alture?
Li
percepiva come note, segnali annunciatori della tenebra calante, che
come un
manto protettivo, progressivamente l’avvolgeva.
Sì, la notte sarebbe stata la novella
messaggera del momento in cui finalmente avrebbe dichiarato
l’amore che
sentiva.
Si
stiracchiò appagata, felice di quel che sarebbe sembrato
poco e che invece per
lei rappresentava tanto. Felice del leggero graffiare della matita sul
foglio
che così bene si accompagnava all’occasionale
fruscio dell’accoccolato corpo di
Haruka. Felice di quella comunanza esteriormente scevra, che al
contrario molto
sottintendeva, pur restando muta. Ché per raggiungere la
felicità di questa che
poteva apparire come una qualunque serata estiva, aveva speso risorse
che
neppure sospettava di possedere.
Non
era passato neppure un anno da quando aveva posato gli occhi per la
prima volta
su di lei, neppure un anno dal momento in cui era entrata in quel
vortice che
l’aveva scossa e rivoltata come un guanto. E nel frattempo
era cambiato tutto,
poiché nel volgere di una stagione erano mutate molte cose e
ora ogni parola,
ogni movimento, qualunque cosa coinvolgesse entrambe, si
stava caricando, anzi sovraccaricando, di
significati sostanziali. Tanto che questo crescendo di emozioni non
dette, alle
quali ambedue non concedevano libero sfogo, per motivi assai
differenti, si stavano
rimescolando fino a creare una corrente fortissima, che manovrava verso
una
collisione ormai prossima.
Michiru
se lo sentiva nelle ossa, nei muscoli, nello spasmo
dell’addome contratto,
qualcosa, qualsiasi cosa, doveva succedere. Per troppo tempo aveva
abortito le sue
emozioni sul nascere, ed era arrivato
il momento di dar loro voce, lasciando che si librassero fin dove
avrebbero
voluto posarsi. Ma chi poteva dire quando sarebbe arrivato il momento
giusto? Ché
la sfinge che riposava le
allampanate membra a pochi passi da lei testardamente respingeva
affetti e
tenerezze.
Ormai
era diventato una sorta di corrida e Michiru si trovava suo malgrado ad
personificare il ruolo del toro. Tentava di caricarla e sorprenderla da
ogni
angolazione, allo scopo di coglierla di sorpresa, ma Haruka, come un
consumato
torero, con abili volteggi e scatti agili dei fianchi eludeva ogni suo
attacco.
Continuando a piroettare all’infinito ed era
una danza indefinibile la sua, un
ondeggiamento arcano, che non le faceva comprendere lo scopo ultimo di
questa
protratta fuga. Prillava lontano da lei perché inebriata
dalla sua stessa
inafferrabilità, oppure era un rifiuto prolungato ad arte, in modo da porgerglielo con
grazia per non
farla soffrire troppo?
Michiru
non sapeva darsi una risposta, però ormai lei sapeva, il suo
agire era stato
troppo inequivocabile perché fosse altrimenti. E Haruka non
poteva ancora far
finta d’ignorare bellamente quel che provava per lei
maledizione! E se i suoi
sentimenti non erano corrisposti, se durante questa ennesima
separazione era
giunta a questa conclusione, che glielo dicesse chiaramente!
Meglio
un no definitivo, piuttosto che quell’incertezza reticente
che non portava da
nessuna parte.
Fissò
il suo ritratto che aveva tra le mani e poi insistentemente
guardò a lei,
sperando che con la forza del solo sguardo potesse invogliarla ad
alzare gli
occhi. Sentendosi osservata
Haruka
levò il capo e finì dritta tra le braccia di
quelle volute azzurre. Quante
sfumature poteva comprendere lo zaffiro? Se l’era chiesto
spesso negli ultimi
giorni, esattamente come si era detta che non era più
possibile posticipare la
conclusione cui era giunta.
Nonostante
ciò la compagnia di Michiru le era così preziosa,
così appagante, che non aveva
avuto ancora il coraggio d’aprir bocca, sebbene fosse palese
quanto lei stesse
attendendo impaziente. Forse una persona meno onesta con se stessa
avrebbe
cercato un altro accomodamento, ma Haruka era Haruka e davanti alla
dolcezza di
quello sguardo sentì che non era più possibile
fluttuare in quel limbo senza
certezze.
“Vieni
qui Michi” , l’invitò battendo un
colpetto sul cuscino vicino al suo, “siediti
accanto a me. Dobbiamo parlare.”
N.d.A.
Chiedo
venia per l’intervallo assolutamente tardivo cui questo
capitolo giunge.
Purtroppo in altre faccende ero affaccendata J .
Spero
vivamente che nel frattempo nessuno abbia plasmato una bambolina e con
quella
dato via a riti voodoo che riguardassero la mia persona e presunto
lassismo!
Scherzi
a parte, anche a me è dispiaciuto molto dover tralasciare
per tutto questo tempo
le avventure di queste due impedite, ma a volte le grane ci capitano
tra capo e
collo e non si può far altro che stargli dietro, sperando
che si esauriscano nel
più breve tempo possibile.
Mi
scuso con quanti attendevano questo capitolo con ansia e mi auguro di
cuore che
quanto sopra non abbia deluso le aspettative.
Siate
clementi!
Aurelia
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
Dicono
che il tempo sia un’astrazione e, in quanto tale, non ci sia nulla di
più relativo e soggettivo
del suo scorrere.
Da
ciò ne conseguirebbe che calendari, orologi, clessidre,
meridiane e simili, altro
non sarebbero che inutili
armamentari,
giacché passato, presente e futuro costantemente
oscillerebbero nell’atto di
cogliere e perdere l’attimo all’infinito. Certo, in
caso contrario non ci
sarebbe vita, né respiro, sbatter d’occhi e
palpiti del cuore. Ma allo stesso
tempo, preda di
quest’alternanza, il
corpo soffre, freme e si contorce sotto la spinta delle fasi generate
da quest’incessante
divenire.
Una
bella contraddizione in termini.
E
quasi, quasi la questione potrebbe ridursi ad un banale gioco di parole
tra il soffrire
o vivere: Soffrire per vivere o vivere
per soffrire?
Naturalmente
a tutto ciò non si sfugge, a limite si ci può
cavillare sopra e dedurne addirittura
che il vissuto sia solo un’ipotesi, poiché,
esattamente come il tempo, sarebbe
strettamente connesso all’individualità. Tanto che
le vicende di una persona, o
più, si ridurrebbero ad un insieme sconnesso di punti di
vista, i quali raramente
convergerebbero nella stessa direzione.
Tizio
disse, Caio rispose.
Sembra
facile. E’ accaduto, è un fatto, ma allo stesso
tempo potrebbe non esserlo. Ché
ci sarà sempre qualcuno che la racconterà in modo
diverso, il quale
probabilmente verrà contraddetto
da
qualcun altro, che a sua volta verrà smentito da un altro
ancora, e ancora e
ancora. Sembra facile, ma a pensarlo sotto questa particolare ottica,
non lo è
più.
Perché
tempo e storia s’intersecano, si dividono, per poi tornare a
rimescolarsi in
tangenti intricate
e inattese, in un
gioco d’incastri e nodi che col reale pressoché
non avrebbero più nulla a che
vedere.
Come
la storia di loro due.
Forse
la soluzione potrebbe essere semplicemente di lasciarsi vivere,
affidandosi alla
corrente e prendendo le cose così come vengono,
assaporandole fin tanto che
durano e tentando di non dolersi troppo quando terminano.
Beh,
ad esserne capaci, potrebbe essere un ottimo proposito, ma poi, che ne
sarebbe
di sogni, desideri e necessità? Senza contare che questi
sono solo la punta
dell’iceberg di tutto un mondo ancora di variabili quali il
caso e
l’opportunità, che a loro volta, inevitabilmente,
vanno a scontrarsi con la volontà
e libero arbitrio.
Proprio
come la storia di loro due.
Conflitto
mica da poco questo, soprattutto se pendente come una spada di Damocle
sulle
teste di due diciassettenni, le quali simili considerazioni
trascendentali non
dovrebbero farne. O perlomeno non a livello conscio.
Eppure
il loro allontanarsi, confondersi, tornare, distanziarsi, per poi
ravvilupparsi
ancora, non era stata forse la rappresentazione fisica e consumata di
tutto
questo filosofeggiare?
Naturalmente
Haruka non metteva affatto la questione in questi termini, in effetti
il suo
pensiero si basava perlopiù su basi prosaiche, sebbene
l’interrogativo di fondo
restasse lo stesso.
Né
questo era il meditare di Michiru, quantunque tra le due, fosse quella
che per
indole e occorrenza fosse portata di più al pensiero
teoretico.
Insomma
da un lato e dall’altro c’era ormai
l’esigenza impellente d’un punto e a capo,
perché le ipotesi e le possibilità con le quali
si erano baloccate fin lì le
avevano sfinite ed era arrivato il momento in cui la vita si doveva
necessariamente confrontare col tempo e con la storia.
E,
nell’imminenza di questa circostanza a lungo sospirata, le
sfumature del loro
rapporto parevano ridursi fino a convogliare in un colore unico, ma
ancora indefinibile.
Sarebbero state pervase da un azzurro terso o dal rosso sangue?
Chissà.
Ma
a prescindere dall’epilogo a cui sarebbero giunte, comunque a
posteriori, trastullandosi
nuovamente con tempo e storia, entrambe avrebbero potuto aver sempre
qualcos’altro
da dire in proposito, proprio perché tempo e storia sono,
senza eccezione alcuna,
immolabili alla propria personale motivazione e dilatabili a
piacimento.
E
a che portata era adesso il futuro, nel momento in cui Michiru si stava
adagiando morbidamente
accanto ad Haruka?
Lei non ne aveva idea, pur sapendo perfettamente che l’altra
avrebbe potuto
sottrarglielo imprevedibilmente qualora gliene fosse venuto
l’estro. Malgrado
ciò era animata da uno spirito incrollabile e cieco, che la
faceva protendere
nell’atto di afferrarlo con entrambe le mani, mentre la
determinazione a
tenerlo saldamente finché avesse potuto le dava la forza di
non cedere.
Come
e quanto si stava trasformando il presente di Haruka ora che la
violinista si
voltava a fissarla
dopo essersi seduta?
Lo ignorava e ignorandolo lo temeva. Giacché la sua ansia
era pervasa dalla
vorace brama di viverlo e, al contempo, una parte di lei ancora si
sforzava di
individuare una scappatoia davanti
all’ineluttabilità di quel confronto.
E
il passato in tutto ciò che parte aveva?
Era
il sedimento che avrebbe fatto da base alla loro possibile
congiunzione, o il
veleno che l’avrebbe irrimediabilmente alterata fino ad farla
morire? Pur
tuttavia, tutto questo tentennare, non stava già
massacrandola sul nascere?
Non
sono mai stato un tipo che evitava
i tentativi per passare direttamente alle rinunce.
Questo
il pensiero ultimo, e rabbioso, della
bionda su quegli interminabili travagli, mentre il gioco di luci creato
dalle fiamme
dava origine a fuggevoli ombre sui tratti del suo viso. E a questa
vista Michiru
interiormente tremò, la semioscurità della fiamma
guizzante infatti dava ad
Haruka l'aspetto di una maschera di pietra. Nella cavità
delle sue orbite si
poteva scorgere una tenebra che forse non era del tutto dovuta a quel
gioco di
luce, appariva impenetrabile, un marmo freddo, senza calore o
misericordia.
Era
ad appena un palmo da lei, così vicina, così
dannatamente vicina, eppure ancora
una volta lontanissima. Ma stavolta le avrebbe impedito di ritirarsi
nel
santuario del suo distacco, questa notte non le avrebbe concesso di
farsi
mettere nuovamente da parte per lasciarla salire sul basamento del
piedistallo
monumentale che lei, con i suoi stessi atteggiamenti devoti, le aveva edificato.
Non
era più tempo di strategie e di proponimenti, era arrivato
il momento di dare
un colpo di spugna definitivo a tutti i sottintesi, le parole non
dette, le
impressioni su cui s’era interrogata a posteriori.
Così d’istinto le buttò le
braccia attorno alla vita e la strinse a sé, appoggiandole
il volto sulla
spalla e chiudendo gli occhi, senza riuscire a dar voce a quel che
l’agitava. E
stretta nel suo abbraccio Haruka non osò fiatare, rimase inerte, subendolo
passiva, sebbene
cominciasse a sentire dalle profondità del suo essere un
calore sconosciuto
avvolgerla.
Provò
ad irrigidirsi per combatterlo, ma per quanto stringesse le mascelle,
serrasse
i pugni e tendesse i muscoli fino allo spasmo, quella maledetta
sensazione non
cessava, anzi si amplificava fino
a
diventare qualcosa di concreto, nonostante fosse immateriale. Aveva
caldo,
aveva freddo, voleva e non voleva abbandonarvisi. Come sarebbe stato
infinitamente riposante cedere, capitolare finalmente e lasciarsi
andare una
volta tanto, che male ci sarebbe stato in fondo?
Ché
non c’era nulla di sensuale nei loro corpi avvinti, solo il benessere che
può dare l’amore
manifesto, veicolato attraverso i gesti. Ciononostante davanti a lei
ancora una
volta si profilava l’orizzonte sconfinato e libero che aveva
vagheggiato dacché
la sua personalità aveva cominciato a definirsi. La visone
ancora un volta le
si presentò così come sempre se l’era
figurata, un enorme, illimitato spazio da
percorrere a suo piacimento, senza vincoli, dove gli obblighi che
frenavano gli
altri su di lei non avevano potere. Inutile mentirsi, sapeva bene
infatti che la
seduzione di questa chimera le aveva, senza eccezione alcuna,
condizionato ogni
scelta. Ma per la prima volta nella sua paradisiaca illusione
s’insinuò un
dubbio: procedere senza mappa voleva poter dire anche andare alla
deriva?
Incedere imperterrita nel suo altero isolamento, era la fuga
d’una anima bella
o la disfatta di uno spirito arido?
Spalancò
gli occhi per lo stupore, per poi richiuderli fino a formare due linee
sottili,
ostili e cattive.
“Ame!
Sid! Pensò insicura e piena di risentimento. “Perché non mi avete
preparato a questo? Vi
siete limitate a mostrarmi il vostro vessillo d’indipendenza
sbattendovene di
tutto ciò! Avreste dovuto dirmi dove termina la
libertà e comincia il bisogno!
Maledizione, accidenti a voi! Dove finisce l’uno e inizia
l’altro?
Stava
per avere moto di stizza, ma subito lo represse, tanto che Michiru
neppure se
ne accorse. Doveva controllarsi porca vacca! Questa era debolezza e lei
non
voleva essere debole, loro le avevano insegnato a non essere tale.
Eppure le
sue gran maestre di vita si erano dimenticate di lasciarle una
metafora, un’esperienza
qualsiasi che le sarebbe potuta essere utile ora.
Ebbene,
forse il tempo concessole per restare ancora cocciutamente attaccata
alla loro
sfera era giunto al capolinea. Probabilmente, ora che le soglie
dell’età adulta
si stavano schiudendo davanti a lei, il flessibile legame che fin
lì l’aveva
posta a metà tra sua madre e Sid, si stava sfilacciando e il
loro esempio era
destinato a tramontare.
Sono
cresciuta ormai e devo
decidere da sola.
Si
disse tentando di farsene una ragione, ciò nonostante una
gran tristezza le
piombò addosso. Com’è che , sebbene non
fossero mai state veramente presenti,
quantunque non ne fosse mai dipesa e la loro mancanza non le fosse
pesata, nel
preciso momento in cui se ne stava distaccando, con la consapevolezza
di farlo,
sentiva il bisogno quasi concreto di poggiare
la testa sul grembo di Ame e sentire il profumo lieve del
sudore di Sid?
E
mentre se lo chiedeva, come un lampo, ricordò una
conversazione avuta tanto
tempo prima proprio con
quest’ultima.
“Non
me ne frega niente di lei Sid, amo Ame,
ma posso farne tranquillamente a meno.”
“Non
stento a crederlo microbo, ma sai
una cosa? Al momento del trapasso c’è una cosa che
facciamo tutti, nessuno
escluso: gettiamo uno sguardo sull’ignoto e invochiamo nostra
madre.”
Perché
le tornava in mente adesso? Che Sid non intendesse la morte come
trapasso e
avesse già tentato di dirle allora che, quando fosse venuto
il suo turno, avrebbe
provato questo dolore?
D’impulso
levò il capo verso l’alto nell’ultimo,
disperato, tentativo di eludere questi
pensieri e la stretta con cui Michiru la cingeva. Era in preda
all’angoscia e cercava
nei meandri di sé stessa l’uscita da questo
labirinto di suggestioni.
Nel
punto in cui erano la loggia non era coperta dalla tettoia e la volta
celeste
si poteva ammirare in tutta la sua smisurata vastità.
Haruka, tentando di
divagare, pensò che ci si sarebbe potuta tranquillamente
perdere e trascorrere
tutto il resto della vita nel contemplarla, tanto appariva immensa e
infinita.
In
questo spazio sono solo un puntino e
lei pure. Due nullità se paragonate a tutto questo, eppure
potenzialmente
capaci di condannarci alla felicità
o ad
un tormento altrettanto grandi.
E
pensatolo qualcosa di molto simile allo sgomento le franò
addosso tutto insieme.
Com’è che tutto ad un tratto le stava venendo una
gran voglia di piangere? No, non
voglia, esigenza piuttosto, la
necessità di chi per anni si è privato del
conforto delle lacrime perché se ne
riteneva incapace, consapevole che cedervi avrebbe mandato in pezzi il
nucleo
compatto che la sosteneva.
“A
che pensi?”
La
voce di Michiru era appena un sussurro, ma non insicura. Esattamente
come
percepiva la sua stretta protettiva, laddove aveva sempre pensato
potesse
essere opprimente, dal momento che in ogni frangente aveva sentito le
braccia
altrui come una costrizione, alla stregua di pesanti catene che
l’ancorassero a
quel posto e a quella persona, inabissandola
dentro sé stessa fino a perdercisi.
“A
tante cose Michi.”
Replicò
in un soffio affrettandosi a massaggiarsi le palpebre con indice e
pollice,
perché, nel caso in cui lei avesse notato che aveva gli
occhi rossi, l’attribuisse
a quello sfregamento. “A
quel che vorrei
e non vorrei dirti. A quanto sia strano per me tutto questo e finanche
che il
cielo è talmente basso stanotte, che ho
l’impressione che alzando un braccio potrei
addirittura toccarlo.”
Detto
ciò sembrò acquietarsi, addolcirsi finalmente,
tanto che si concesse di
abbassare il volto
fino a sfiorarle la
fronte col mento appuntito. Ma era solo un momento di tregua, e lo
sapeva bene,
un attimo di pace che faceva da preludio a quel che ne sarebbe dovuto
seguire,
ché procrastinare non era più possibile. Solo un
minuto, un minuto durante il
quale si concesse d’offuscarsi la mente con quei maledetti
sogni ad occhi
aperti che avevano preso a perseguitarla, e poi avrebbe lasciato che le
cose
seguissero il loro corso.
Gustò
quegli istanti decantandoli come se stesse centellinando un vino
prezioso,
assaporandone l’assaggio di possibilità che
promettevano, ma tenendo sempre ben
presente che erano solo abbagli. Tanto che se ne sottrasse prima che la
loro
insidia raggiungesse l’apice oltre il quale non sarebbe
riuscita più a tornare
indietro e si risolse a dare avvio a quella conversazione che sempre
aveva
evitato.
“E
tu a cosa pensi?” Disse, con tutt’altro tono di
voce rispetto al precedente,
per infrangere quel silenzio che pericolosamente stava trasformandosi
in malia.
A
Michiru bastò questo trascurabile particolare per
comprendere all'istante che i
baluardi di difesa, che improvvida s’era illusa
d’aver finalmente valicato,
erano stati nuovamente rizzati. Capì d’essersi attardata troppo a
contemplare da lontano il
ponte levatoio aperto e ora, più che in passato, era
consapevole dell’inutilità
del tentare d’abbattere il muro a colpi d’ariete.
Del
resto si era rivelato inefficace tutto con lei, e non tanto per
l’ostinazione a
negare l’evidenza che l’animava, quanto per
l’incertezza con cui lei stessa si
era mossa. E a cosa avrebbe giovato spingersi per l’ennesima
volta a tentoni
nel bosco fitto delle emozioni della bionda? No, una volta per tutte,
sarebbe
stata sincera. Anche se poteva voler dire allontanarla fino a correre il rischio di
perderla per sempre. Quindi,
stancamente, come chi sta per abbandonarsi al moto della corrente
inarrestabile, che lo spinge sempre più lontano dalla riva,
le rispose:
“Che
quanto potrei darti non lo riterrai mai abbastanza. Che mentre tu pensi
di
poter sfiorare il cielo io, persino ora che ti tengo tra le braccia,
ancora
dubito di poterti veramente toccare, tanto sei distante.”
Concluse
triste, quasi rassegnata, ma poi, molto deliberatamente, Michiru
levò una mano ad
accarezzarle adagio i capelli sulla nuca, per poi scendere altrettanto
piano a
lambirle la mascella, attardandovisi.
Infine le prese la mano ed intrecciò le sue
dita snelle a quelle inerti
e fredde dell’altra.
“Ti
tocco, tuttavia non basta ad avvicinarmi a te.”
Sussurrò abbassando il capo di
proposito, in modo che le ciocche dalla fronte le cadessero come un
sipario a
coprirne l’espressione affranta del volto.
“E
pensi che lo faccia apposta, vero?” Replicò Haruka
piano, sebbene una netta
asprezza le trapelasse dalla voce. Non si azzardava a muoversi
d’un millimetro,
ma quelle affermazioni le stavano scatenando una rabbia intensa in
corpo.
E
ti pareva che alla fine non era colpa
mia! Pensò sentendosi defraudata di
un qualcosa che non sapeva definire, ma che stava scatenando in lei una
reazione preoccupante.
“No,
ora non più.”
Ribatté
la violinista tornando a guardarla dritto negli occhi e Haruka si
chiese perché
per un attimo le fosse parso d’intravedere nel volto
dell’altra un’amara
ironia. Ma non ebbe il tempo di spiegarselo, perché
nuovamente Michiru le stava
parlando e lei scoprì inaspettatamente d’aver sete
delle sue parole.
“Eppure Haruka
negli angoli bui delle case,
nell’ignoto che ci aspetta dietro la curva di una strada che
non conosciamo,
nella solitudine di queste stesse selve e nelle profondità
dell’acqua dove il
sole non arriva, vive qualcosa che non si vede e non si
tocca… non è cattiva,
ma si ciba e cresce del timore che si ha di lei… e a volte tu sei
così.”
“Ti
stai fottendo dalla paura eh?”
L’interruppe
incapace di ascoltare il resto, intuendo appieno, alla luce di quanto
le aveva
appena detto, da cosa scaturisse quel senso d’abbandono che
provava. Ma non
ebbe l’agio di scagliarle addosso la lava incandescente della
sua delusione,
poiché l’altra fu più rapida.
“No
Haruka, tu hai paura.”
Ribatté
dura, velenosa quanto possa arrivare ad esserlo un innocente,
un’anima incapace
di far del male, che viene improvvisamente accusata d’un
sacrilegio che sarebbe
stata lontana persino dal concepire. Era ingiusto, profondamente
scorretto da
parte sua tentare di rivolersela su lei addossandole il crimine delle
sue
stesse fobie. E non l’avrebbe tollerato.
“E
di cosa?”
Le
ringhiò scattando in piedi. E il suo fu un movimento
repentino dovuto in ugual
misura all’esigenza di staccarsi dal suo calore, ma anche
dall’allarme
inconscio che lo sguardo fiammeggiante dell’altra le aveva
messo addosso. Aveva
alzato la cresta sì, ma per reazione, poiché
aveva capito di aver osato troppo stavolta,
anche se non era stata sua intenzione ferirla così a fondo.
Ma come si può
spiegare la reazione sdegnata e disperata di chi si sente rifiutato?
Ehi
imbecille, è questo che volevi no?
Sì…
o no? Ma porca puttana!
“Perché
non me lo dici tu Haruka ?”
Interruppe
il suo monologo interiore Michiru avanzando di tre passi
finché non le si parò
di fronte. E così la bionda si ritrovò con le
spalle al muro, dietro di lei c’era
la balaustra che la separava dall’abisso e davanti uno
medesimo, ma molto più
pericoloso del baratro che aveva alle terga. E allora non scelse
consapevolmente, ma si lasciò andare, o sarebbe
più giusto dire che le parole
troppo a lungo taciute presero il sopravvento? Ad ogni modo, con la
dirompenza
di una forza che non si poteva trattenere oltre,
sbottò.
“Io
non so neppure di che stiamo parlando! Buio, sensazioni ancestrali,
acqua,
sole! Ma che accidenti vuoi dire? Parla chiaro Michiru, cosa cerchi?
Che vuoi
da me?”
“Cosa
vuoi tu piuttosto?”
Insorse
l’altra con una veemenza tale che ad Haruka parve
s’ingigantisse fino ad
occupare tutto il suo campo visivo. Non vedeva altro che lei,
tentò d’arretrare,
ma non poteva e si sentì vulnerabile da ogni lato.
“E’
una resa o una dichiarazione d’amore che
t’aspetti?” Continuò puntandole contro
il volto esasperato di chi si gioca il tutto per tutto.
“Dimmelo Haruka, vuoi
sentirti dire che t’amo? Oppure preferisci che ti dica che da
quando ho posato
gli occhi per la prima volta su di te non trovo più
pace?”
Continuò
irrefrenabile, incurante ormai di quel che stava dicendo e di quanto
poteva provocare.
“Credevo di essere felice, pensavo d’aver
abbastanza, invece ho scoperto che
finché non potrò amarti come voglio non lo
sarò!” S’interruppe momentaneamente
ansimante, sopraffatta dalle sue stesse emozioni, ma poi concluse:
“E’
sufficiente questo, oppure devo prostrarmi ai tuoi piedi e implorare
una
briciola del tuo affetto?”
Qualcun
altro al posto di Haruka avrebbe capitolato a questo punto, non
foss’altro per
comprensione, per darle modo di riaversi, ché davvero non si
riconosceva in
quel momento la ragazza che Michiru era sempre stata. O perlomeno
avrebbe
tentato la via della calma, della conciliazione. Ma dopo
l’iniziale
sbigottimento, la reazione della bionda fu totalmente opposta. Non ci
pensò affatto
a tentare di sedare quella bufera, tutt’altro, e le
rovesciò addosso quel che
aveva nel gozzo fin da quando aveva iniziato ad intuire che i trasporti
della
violinista non erano più solo amichevoli. A questo punto
tanto valeva dirglielo
a chiare lettere.
“Cazzate,
CAZZATE! Tu credi di amarmi, tu credi di essere innamorata di me,
quand’invece
sei infatuata di un’idea!”
Sbraitò
spezzando tutti i vincoli che fin lì si era autoimposta,
massì che aveva da
perdere ormai? A
questo punto se ne
sbatteva se così facendo si metteva a nudo innanzi ad
un’altra persona. Ché
purtroppo questa poteva essere fraintesa persino come una confessione,
ma non
gliene importava più nulla, poiché era il
sacrosanto grido di rivalsa di chi si
sente preso per i fondelli dalle altrui lusinghe e non ci sta. Era ora
di
piantarla con questa sceneggiata platonica!
E,
presa nel vortice della sua stessa rabbia, non si accorse neppure di
star
muovendosi, tanto che il suo avanzare le portò dalla
terrazza all’interno,
facendo sì che le loro posizioni fossero invertite, adesso era Michiru ad aver
le vie di fuga
bloccate, davanti a lei un’intimidatoria Haruka, dietro il
tavolo su cui
disegnava abitualmente.
“E
la colpa è mia, cosa credi?”
Continuò
quest’ultima determinata a vuotare il sacco, allo scopo
ultimo di toglierle
qualsiasi velleità su quelle infondate promesse
d’amore. “All’inizio mi piaceva
giocare con te, era un tira e molla stuzzicante, e chi lo nega? Avrei
dovuto
frenarti allora lo so, ma non credevo si arrivasse a questo, mica ti
facevo
così cretina! Perché tu ti sei lasciata prendere
la mano Michiru e tutto perché
apparentemente ti sembro un uomo! Ed è di quella idea che tu
sei innamorata. Ma
io non ti permetterò di rovinarmi per una
fantasia!”
L’avvertì
gratificandola d’un occhiata tremenda, ovvero lo sguardo
innamorato di chi sospetta
di star facendo una gran puttanata. E,
se Michiru fosse stata un tantino più navigata,
immediatamente l’avrebbe capito
e ne avrebbe approfittato per colpirla nel momento in cui era
più esposta. Ma
non lo fece, tuttavia la reazione che ebbe sortì lo stesso
effetto d’una
medesima più smaliziata.
“Non
uscirtene con queste stronzate Haruka, non azzardarti!”
L’ammonì infiammandosi
ulteriormente, toccata com’era stata in quel che sentiva
più sacro,
inviolabile. Tutto aveva sopportato fin qui, ma questo era decisamente
troppo,
non le avrebbe lasciato calpestare perfino
l’autenticità dei suoi sentimenti,
questo mai!
”Tira
fuori il coraggio e piuttosto dimmi che non provi lo stesso per me.
Questo posso
accettarlo, ma non sbattermi in faccia questi finti riguardi! Non
provare a
giocare con mio cuore, l’hai già fatto e fa troppo
male perché io ti lasci
continuare solo per compiacere il tuo orgoglio!”
“Ma
che diavolo stai dicendo?! Il mio orgoglio? Il tuo
piuttosto!”
Ribatté
sopraffacendola con l’impeto della voce e con
l’imponenza fisica. E, senza
rendersi conto di quanto faceva, l’afferrò per le
spalle, finché non le fece
arrovesciare il capo e i due volti non si trovarono che ad un palmo di
distanza.
Quindi proseguì imperterrita, fregandosene altamente se con
le bordate di quanto
andava dicendole stava demolendo, pezzo dopo pezzo, quanto si era
ripromessa
più volte di preservare. E se stava facendole del male
scuotendola a quel modo,
meglio ancora. Avrebbe pareggiato in parte i conti.
“Già,
la talentuosa pittrice, l’invincibile nuotatrice, la grande
musicista, aveva
trovato un osso troppo duro! Talmente duro che neppure lei riusciva a
rosicare!”
Sibilò sarcastica col tono d’un imbonitore e, ogni
qualifica, l’aveva
sottolineata con uno sbatacchio tale da farle battere i denti.
“Una bella sfida
per un fenomeno come te, non è vero?”
Chiese
corrosiva scuotendola nuovamente per sollecitarne una reazione, ma se
s’attendeva terrore o sgomento, non ne trovò negli
occhi dell’altra. Anzi,
quello che vide fu un furore talmente intenso che la obbligò
a calcare
ulteriormente la mano.
“E
il fatto che mi atteggiassi e mi vestissi come un ragazzo non ha fatto
che
pungolarti finché non ti sei convinta di quello che non
esiste!”
“Bastarda!”
Con
una manata energica Michiru si liberò da quella stretta e,
se Haruka fosse
stata meno imponente di quel che era, quel
colpo avrebbe potuto mandarla a sbattere contro il caminetto. Invece se
la cavò
con tre passi indietro, i quali comunque non le servirono a ripararsi
dal vampa
cocente delle affermazioni che ne seguirono, né le furono
utili a ripararsi
dalle unghie curatissime che le lasciarono altrettanti segni brucianti
sul dorso
della mano. Cominciarono a sanguinare, ma nessuna delle due parve farci
caso.
“Questo
non c’entra niente idiota e lo sai benissimo! Ma naturalmente
devi sempre
assecondare la negatività, perché se non fai
l’infame non ti senti soddisfatta
e sei convinta che la stessa bassezza animi tutto il resto
dell’umanità!”
“Sai
che ti dico Michi?” La sfidò usando volutamente
quel diminutivo confidenziale,
mentre tentava, senza farsi vedere, di tamponarsi lo stillicidio che
quella
zampata da tigre le aveva causato. Faceva un male caino, ma non le
avrebbe
certo dato la soddisfazione di dirglielo.
“E
se mi mettessi una bella gonna a pieghe, una camicetta tutta merletti,
mi
conciassi come una bamboccia quale tu sei e ti portassi davanti ai tuoi
pari,
avresti il coraggio d’affermare d’amarmi come
dici?”
La
provocò buttando sul tavolo l’ennesima beffa, ma
tale non era, in quanto si
trattava piuttosto dell’inattesa ammissione del dubbio
principe che le dava il
tormento da tempo. “Scommettiamo
Michiru? Io sono sicura che non me l’infileresti mai la
lingua in bocca così
conciata!”
“Ah,
sei in cerca di certezze Haruka? Vuoi confutazione?”
Chiese
ghignando, finalmente s’era accorta dell’olocausto
che l’altra tentava
disperatamente di nascondere e ne fu malignamente lieta.
Sperò con tutto il
cuore d’averla graffiata in modo tale da lasciarle una
cicatrice, per una
vanesia come lei non ci sarebbe potuta essere punizione peggiore! Ad
ogni modo
non era il caso di gingillarsi troppo, sua maestà aspettava
una risposta. E
poi, se la conosceva bene, e sotto questo punto di vista pareva proprio
di sì,
per orgoglio Haruka non si sarebbe mai rimangiata la parola data, e sai
che
vendetta sublime sarebbe stata costringerla ad una simile sceneggiata?
Come
la più volgare delle entraîneuse ti
voglio portare a spasso per Tokyo! Pensò
animata dall’amor
proprio offeso e da un genuino spirito punitivo, dopodichè
serissima aggiunse:
“Perché
se è questo che vai cercando allora non hai che da dirlo. Io
non ho nessun
problema. Qualora ti levasse ogni dubbio, sono pronta a farlo. Decidi
pure
dove, quando e davanti a chi!”
Si
offrì persuasiva, facendosi sotto insinuante, completamente
dimentica del
furore che fin qui l’aveva animata. Allo stesso modo la
proposta indecente
parve sedare Haruka, la quale, solo adesso cominciava a presentire cosa
le sarebbe
toccato a causa delle sue incaute asserzioni. La rabbia le si
volatilizzò dal
volto per lasciare il posto ad una perplessità preoccupata e
il consueto sopracciglio
fece capolino innalzandosi come un ago barometrico quando la pressione
va su,
sempre più in alto.
“Lo
dici solo perché sai che è una
provocazione!” Buttò lì incapace di
dire altro.
“E
certo, figuriamoci se per me ti vestiresti come una
bamboccia!” Le rinfacciò
Michiru con petulanza.
“Qua
non si sta parlando di moda accidenti a te!”
Protestò
stranita, si sentiva esattamente come un uomo che tutte le domeniche se
ne va
allo stadio piuttosto che portare la consorte al cinema. Come se
quell’assurda
pretesa fosse cosa buona e giusta e l’accondiscendervi fosse
stata una
testimonianza risolutiva! E infatti la violinista reagì
esattamente come se lo
fosse, come se il punto gravitasse attorno al fatto che indossasse o no
le
sottane per amor suo.
“Infatti,
qua non si sta parlando di niente! Perché mi hai fatto
scapicollare fin qui se
avevi intenzione di comportarti come una mocciosa?”
“IO?”
Sbraitò
basita da tutta quella situazione. Da non crederci, dal dramma erano
passate
direttamente alla farsa e tanti saluti al pathos. Una bagattella, ecco
cos’erano diventati i suoi sentimenti! Quasi, quasi si
sarebbe messa a piangere
davvero.
“La
ragazzina arrogante che crede di saper tutto sei tu, invece non sai
niente di
me!” Protestò con un tono così bizzoso
da sentirsi ridicola nel momento stesso
in cui lo diceva.
“Credi?
E allora guarda!” Replicò Michiru afferrando una
manciata di fogli a caso tra
quelli sparsi sul suo piano di lavoro.
“Qui!”
Affermò mettendole sotto il naso il primo della pila.
“Questa è la tua faccia
quando pensi a chissà cosa e sorridi credendo che nessuno ti
veda! Qui!” Ripeté
passando al successivo disegno e sbattendoglielo in faccia.
“Ti riconosci? E’
quando mi guardi come se fossi mezza matta e ti viene un sopracciglio
che
sembra una squadretta! Qui!” Continuò mentre
l’altra fissava a bocca aperta,
contemporaneamente, sia l’autrice che le sue opere.
“Quando dormi come una
troglodita e ciononostante sembri un angioletto! Devo continuare
Haruka? Guarda
che ne ho per un bel pezzo di tuoi ritratti!”
“Ma
porca puttana e da dove esce sta galleria di pose?” Non
poté far a meno di
chiederle frastornata, perché davvero era inspiegabile tutto
ciò.
“Dall’ignoto,
visto che sono diventata un’esperta di furti
espressivi!” Replicò tagliente
inalberando un broncio che, se la situazione ormai non fosse stata a
metà tra
il grottesco e il serio, un sogghigno fetente sarebbe sorto ad
illuminare i
tratti della bionda. Nobilmente Haruka resistette, sospettava infatti
che, nel
caso gli avesse dato libero corso, si sarebbe ritrovata un altro
sfregio da
medicarsi addosso.
“Ma
tu, sei così presa da te stessa che non te ne sei accorta,
mai.”
Il
disappunto che grondava quest’affermazione tolse ad Haruka
qualsiasi velleità
ironica, ché così era manifesta la disillusione
che aveva generato con la sua
incuranza, che le venne voglia di andare a nascondersi. Ma come era
potuto
succedere, com’era stato possibile che avesse ignorato
quell’attenzione
costante, quello sguardo amorevolmente concentrato addosso?
“Ho
sempre cullato la speranza che fosse solo una finta, che non ne
parlassi perché
sei una testarda irriducibile.” Continuò Michiru fuorviata da
quell’apparente
indifferenza. “Invece non solo ti è sfuggito del
tutto, ma ora stai anche lì,
lì per montare un casino esagerato sulla cosa. E non
azzardarti a negarlo, perché
per te qualsiasi pretesto è buono per negare spudoratamente
e per mettermi in
croce!”
L’accusò
puntandole contro l’indice accusatore. Beh, non che avesse
tutti i torti in
effetti, ma in questo caso si sbagliava e di grosso pure. Al contrario,
questa
faccenda la stava facendo vergognare da morire e, come con tutte le
cose che la
mettevano in imbarazzo, non sapeva proprio come venirne fuori.
Provò ad usare
un registro intenzionalmente ragionevole.
“Senti,
se hai intenzione di litigare dimmelo, così la piantiamo
subito, non ho affatto
voglia d’impelagarmi in una discussione che non porta a
niente.”
“Noi
stiamo già litigando Haruka!”
Ecco
che le sue lodevoli intenzioni finivano direttamente nel gabinetto, a
quanto
pare il suo assennato invito alla calma era passato indenne sulla testa
dell’altra.
“Ma
non ti riesce proprio di capire? Le ho provate tutte con te, con la
calma, con
leggerezza, tremendamente seria, spudorata, ma niente. Tu segui una
musica
completamente diversa e non c’è verso di unire la
mia partitura alla tua. Ma
perché, perché credi sempre che io voglia
sopraffarti? Cosa ti fa pensare che
volutamente ti opprimerei fino ad annullarti? Ormai l’ho
capito sai, è questo
il problema.”
“Tu
vuoi sapere il perché?” Sospirò
buttandosi a peso morto sulla poltrona.
Che
stanchezza mio dio! Un duello infinito il loro, tanti giri di valzer e
infine
erano di nuovo punto e a capo. Ma allora non era un valzer, era un
minuetto.
Del resto, fin qui, non avevano progredito Michiru tre passi in avanti
e lei
stessa tre passi indietro per mantenere la giusta distanza?
“Sì
e non ti chiederò altro, giuro.” Promise
sedendogli di fronte e appoggiandosi
stancamente una mano sugli occhi, ché la lotta travagliata
fin qui condotta
l’aveva inaridita, fiaccata fino all’inverosimile
con la dirompente esplosione
di quei vuoti verbali.
“Okay
Michi, se è questo quello che vuoi.”
S’arrese
e nel suo atteggiamento corporeo per la prima volta Michiru non
ravvisò i
soliti atteggiamenti di chiusura. Le braccia giacevano inerti,
quand’invece le
aveva sempre incrociate e il mento non era alzato e proteso in avanti,
bensì
declinava sul lato, mostrandole tutta la curva della mandibola.
“Ma
c’è un impegno che esigo.”
L’avvertì prima di aprire quell’ultima
dannata
porta. “Ti dirò tutto, ma qualunque cosa accada,
non pentirtene. Indietro non
si torna, chiaro?”
“Te
lo prometto, non te ne vorrò, succeda quel che
succeda.” Le rispose con
fermezza.
Sì
era disposta ad assumersi quell’onere, sebbene intuisse che
in questo modo
l’altra stava scaricando tutta sulle sue spalle la
responsabilità di ciò che
eventualmente ne sarebbe conseguito. Malgrado ciò sapeva che
non era dovuto
alla precisa intenzione di pararsi le spalle, piuttosto al radicato
malinteso
che Haruka aveva nei confronti dei suoi stessi sentimenti. Insomma se
glieli
stava presentando come se fossero il terzo segreto di Fatima era sol
perché
continuava a considerarli come un fardello e non una gioia.
“E
ti prego di non interrompermi, che già così
è molto difficile. Figuriamoci se
cominci con la tua solita sfilza di domande scomode.“
Dopo
questa premessa si prese qualche minuto per riflettere, come se fosse
sola in
quella stanza e non ci fosse un’altra persona che trepidante
ne aspettasse le
spiegazioni. E mordicchiandosi le labbra andava alla ricerca del modo
opportuno
di esprimersi, ma capì che non ce n’erano di
più o meno idonei e le toccava
inoltrarsi in mare aperto senza mappa.
“Che
posso dire?” Cominciò incredula di star facendolo
per davvero. “Io vivevo
tranquilla prima che m’incrociassi il cammino. Mi pascevo
nella mia solitudine
e non chiedevo nulla alla vita, poiché mi sembrava di avere
tutto.” Ghignò, ma
era una smorfia disillusa, anzi triste. “I miei sogni, le mie
future rivalse mi
assorbivano tanto che non c’era posto per
nient’altro. Bastavo a me stessa.” Fece
una pausa chiudendo gli occhi, il cui sguardo fin lì aveva
indugiato altrove.
Poi la guardò diritto in faccia e rabbiosa andò
avanti:
“Ma
tu, lo sai che significa scoprire di punto in bianco di avere delle
esigenze?”
Non attese risposta e tirando una botta al bracciolo della poltrona
l’accusò.
“No che non lo sai! Te ne stavi lì bella, bella a
pizzicare le corde di quel
dannato violino e intanto io scoprivo la necessità. Come se
al posto delle
corde stessi pizzicando i miei tendini, al punto che mi veniva voglia
di gridare!”
Incapace
di star seduta di scatto s’alzò e
cominciò un andirivieni che ben s’appaiava
alla veemenza con cui proseguì nella sua invettiva.
“Tu
non sai, non puoi sapere, eri così calma e pacifica! Ma io
no, e non solo per
quello che stava accadendo, quanto per
quell’immobilità costante. Ogni santo
giorno sembrava che presto sarebbe successo qualcosa, ma poi restava
tutto
uguale!”
Arrivata
davanti al piano su cui erano sparsi i suoi ritratti
s’interruppe nuovamente.
Ne prese uno in mano osservandolo attentamente, come se non
riconoscesse in
quei tratti i propri. Lo ributtò nel mucchio con un gesto di
rifiuto,
trovandone intollerabile la vista e si costrinse a continuare.
“Ci
sono stati giorni che avrei pagato qualsiasi cifra perché
qualcosa l’infrangesse,
perché riuscissi a capire che diavolo stava succedendomi. E
sopratutto cosa ti
passasse per la testa quando mi guardavi, quando mi parlavi con quella
maledetta adorazione stampata sul volto.”
Alzò
le braccia in un gesto d’impotenza che rese perfettamente
l’idea di quanto
intendeva dire. Poi, quasi ad interpretare la caricatura di
sé stessa, recitò
interrogativa: E sempre di più a chiedermi è
come penso? O mi sto ingannando? Cosa avrà voluto dire?
Quell’abbraccio che
cazzo significa?! Dannazione,
credevo
di essere fatta di pietra e invece mi stavo scoprendo una maledetta
spugna! E
più tu dilagavi, più io mi gonfiavo e
così il mio cuore! Mai avrei pensato di
poter soffrire così tanto…”
A
sentire questo Michiru fece per aprire bocca ma , sebbene non la stesse
guardando direttamente, le fece segno di restare zitta. Non doveva
fermarla
adesso, se l’avesse fatto non sarebbe più stata in
grado di andare avanti. Non
si può interrompere un suicida mentre conta i barbiturici
che gli occorreranno,
sennò non avrà più il nerbo di andare
fino in fondo. Per questo ora doveva
necessariamente sguazzare nelle sue miserie se voleva uscirne una volta
e per
sempre. Per cui, perché non toccare il punto più
basso? Era giunto il momento di
parlarle persino di quel vergognoso sentimento verde, quello che meno
di ogni
altro tollerava.
“In
più ero invidiosa marcia di te, di quelli che ti stavano
intorno e di tutto ciò
che facevi e del quale non ero partecipe… che
schifo!” Berciò prima di dirigere
i suoi passi sulla veranda. Giunta davanti al parapetto
poggiò le palme sul
corrimano, chinò il capo e, nel tentativo di contenere
quell’abbondanza copiosa
di emozioni che rischiavano di sotterrarla, i muscoli delle spalle le
si ingrossarono
visibilmente.
Prudentemente
Michiru rimase dov’era, conscia che l’altra si
stava preparando all’ennesima
rivelazione e che quei preamboli le erano necessari per lo sforzo che
stava
compiendo. La
bionda sbuffò stentando a
mascherare la collera per quell’umiliazione cui la violinista
l’aveva costretta
e s’affrettò a riprendere, nella speranza che quel
supplizio finisse presto.
“Eppure
continuavo a negare che potesse essere amore, ed è giusto!
Perché io non ne sono
capace. Ma soprattutto perché era mia indiscutibile
convinzione che nessuno avrebbe
potuto farmi perdere la testa. E meno
che mai una ragazzina che fin lì avevo giudicato
insignificante!”
Di
questa sortita chiunque altro se ne sarebbe adontato, ma non Michiru,
che si
limitò a sorriderne come un matematico a cui gli tornano
tutti i conti. Fin qui
s’era impedita con molta fermezza di avere qualsivoglia
reazione a quanto
andava via, via udendo, ma l’insofferenza malcelata di una
simile dichiarazione
esprimeva molto più di quanto la sua autrice avesse voluto
manifestare.
Oh
Haruka, proprio tu non ti rendi
conto che meno moltiplicato per sé stesso produce
più!
Pensò
intenerita, possibile che fosse a tal punto sconvolta da dimenticare un
concetto così elementare? E per questo Michiru si
lasciò sfuggire quel
sorrisetto e scosse il capo, ché quella lamentela suonava ai
suoi orecchi come
la più lieta delle melodie. Ma guai a farglielo capire, per
cui si ricompose
immediatamente e tornò a prestare attenzione a quanto stava
accadendo intorno a
lei. Non molto per la verità, la bionda era tornata alla sua
poltrona preferita
e aveva preso a giocare col koboloi col quale era solita gingillarsi
e pareva che non volesse aggiungere altro. Da dove venisse quello
scacciapensieri non era difficile intuirlo, probabilmente doveva essere una regalia di Ame. Oppure
era di
quell’altra? L’unica volta che era entrata nella
camera da letto che qui
occupava la bionda infatti, subito la sua attenzione era stata
catturata dalla
foto incorniciata di quella donna, ma non aveva mai avuto il coraggio
di
chiederle chi fosse e perché non gliene avesse mai parlato.
Però ora, chissà
perché, si convinse che quel rosario, che instancabile
Haruka stava scorrendo,
come se cercasse nei suoi grani le risposte che da sola non trovava, non potesse essere altro
che un suo lascito.
Ad
ogni modo si erano arenate, doveva parlare lei ora? O semplicemente
sollecitarla con un gesto, un incoraggiamento qualsiasi? Mio dio,
sbagliare
adesso avrebbe prodotto più danni di uno tsunami.
Stava
ancora dibattendosi tra le varie possibilità, quando
s’accorse che l’altra la
stava squadrando con un cipiglio piuttosto truce.
“Cosa?”
Chiese con la medesima cautela di chi stia camminando sulle uova.
“Niente,
mi chiedevo se avessi finito di fare i tuoi comodi. In caso
affermativo, vorrei
concludere, ché dopo c’ho un appuntamento
urgente!” Fece tagliente e
visibilmente spazientita.
“Guarda
che sei tu che ti sei interrotta.” Le fece notare con estrema
pacatezza.
“E
certo, per darti l’agio di ridermi in faccia
comodamente!” Affermò
ricominciando a prendere giri.
“Non
ridevo di te.” Pazientemente Michiru tentò di
riportala in carreggiata.
“E
allora di chi? Porca puttana, pensavi ai fatti tuoi, neanche mi stavi
ad
ascoltare!”
“Non
è vero e lo sai. Per favore continua.” La
pregò accorata senza vergognarsi di
poter apparire implorante, ché se fosse stato soltanto
quello il prezzo, da un
pezzo l’avrebbe supplicata.
Tale
atteggiamento parve disorientarla, farle perdere parte della carica
eversiva
che le aveva proiettato addosso fino a quel momento. Provò
più di una volta a
parlare e riprendere il filo da dove s’era interrotta, ma
come apriva la bocca
per farlo, così la vista dell’abbattimento
dell’altra neutralizzava
immediatamente i suoi strali.
Accidenti,
non ce la faccio a vederla
così!
“Ti
viene difficile senza opposizione eh?” La
sollecitò la violinista interpretando
le sue espressioni con una chiarezza impressionante. Già,
davanti alla
mansuetudine la bionda non sapeva proprio che pesci pigliare. Per cui
si
risolse a domandarle quanto da tempo si era riproposta, ma che non
aveva mai
trovato la fermezza di chiederle.
“C’è
una cosa che ho bisogno di sapere Haruka, e credo che momento migliore
di
questo non ci sia. Dimmi la verità, lo provocasti ad arte il
nostro litigio,
vero?”
“Già.”
Ammise
allargando le braccia come per giustificarsene, poiché se
era arrivata a capire
questo, allora era inutile continuare con quella commedia. Via, senza
rete! A
che pro non spiattellarle tutto?
“Sì,
ma non l’avevo pianificato, se ti riferivi a questo. Stavi
diventando
pericolosa, troppo, per
cui quel
pomeriggio, appena cominciasti ad usare quel tono tronfio, ne
approfittai per
portare la conversazione dove volevo io. Non che avessi bisogno
d’un pretesto
per andarmene o mandarti affanculo, sia chiaro. Ma se ti avessi
lasciato
pensare che era stata tutta colpa tua, beh, sarebbe stato tutto molto
più
semplice.”
“Non
fa una piega Haruka. Ed è commovente l’analisi
approfondita delle emozioni che
ti ha portata ad applicare sulla mia pelle il principio di azione e
reazione!”
Il
sarcasmo umiliato cui grondava questa constatazione della violinista
parve
farla contrarre su sé stessa. La bionda infatti
annuì incapace di respingere
l’implicita accusa. Aveva ragione da vendere, ma
c’era dell’altro da dire a
proposito, non per spiegarsi, perché tanto ormai ogni difesa
sarebbe stata vana,
quanto per superare questo impasse e arrivare al nocciolo della
questione.
“Sì,
sono stata una carogna, e chi lo nega? Ma ti posso assicurare che il
sollievo
provato è stato di breve durata. Non sai quanto mi sono
sentita mortificata
quando ho capito che era stato del tutto inutile. In sostanza i miei
sentimenti
continuavano a crescere come se non mi fossi affatto mossa da
lì. Mi
sono riempita le giornate con mille
impegni, ma credi che sia servito? Te lo dico io, non è
servito ad un cazzo. Il
pensiero mi sbatteva sempre allo stesso posto e pure quando cercavo di
metterci
un argine, sostituendolo con qualcosa d’altro, era sempre a
te che tornava. Ho
passato notti e notti insonni a cercare di dominarmi, stringendo i
denti e
dimenandomi nel letto come un’indemoniata. E quando poi
infine la stanchezza
aveva la meglio, persino i miei sogni mi tradivano e c’eri
tu, sempre, che
m’abbracciavi e mi tenevi stretta a te… Setsuna
crede di essere un genio di
tattica, ma la verità, quella che mi sono sempre taciuta
fino a che non me ne
sono venuta qui a pensarci sopra con la reale intenzione di farlo,
è che mi ha
solo porto la scusa che cercavo da tempo per tornare sui miei
passi.”
Ecco
l’aveva detto e non era morta, né Michiru sembrava
particolarmente sorpresa. Si
limitava a fissarla di tralice con gli occhi semichiusi, valutandola e
soppesando le sue parole, come se non fosse ancora pronta a scoprire il
suo
gioco e attendesse la sua successiva mossa. Poteva biasimarla?
Chiaramente no,
era l’identica tattica da lei stessa usata fin dal primo
momento nei suoi
confronti, e dava frutto. Quindi non c’era nulla su cui
sindacare. Toccava
ancora a lei parlare, spiegarsi, aprirsi
e poi, eventualmente, avrebbe potuto protestare per il fatto che se ne
stesse
in agguato ad aspettarla in riva al fosso.
“Ora
probabilmente ti starai chiedendo perché montai quel
teatrino sull’Albatros…
già, perché? Perché non riuscivo a
sopportare, così come non lo sopporto
adesso, che tu abbia tanto potere su di me. E’ inammissibile,
non posso essere
in balia di un’altra persona a tal punto, altrimenti la me
stessa che ho
creduto di conoscere fino ad ora non
esiste e mi sono cullata per diciassette anni nell’illusione
d’essere quella
che non sono. E porca puttana Michi, mi piacevo, ero più che
soddisfatta di me!
E invece che scopro? Che quella che rideva delle romanticherie, sospira
alla
luna! Che quando non ci sei anche l’aneddoto più
divertente è senza senso, che la
musica non ha più colore, l’agonismo mi lascia
indifferente e le attività di
tutti i giorni sono utili solo nella speranza di stancarmi al punto da
dormire
qualche ora di sonno agitato la notte!”
Sbottò
infuriata, alzandosi e andandosene fuori al terrazzo, come se la vista
dell’altra
le fosse intollerabile. Michiru si trattenne dal seguirla, doveva
riflettere
poiché, la serie di rivelazioni, culminate in
quell’eccesso di rabbia nerissimo,
appena udite le diedero finalmente la definita cognizione
dell’estensione del
tormento dell’altra. Haruka non respingeva lei, no, la bionda
rigettava la
portata stessa dell’amore che nutriva. E Michiru solo ora che
veniva fatta
partecipe di questi intimi strazi, cominciava ad afferrarne la
profondità e il
paradosso.
Forte
di questa convinzione non ebbe più remore, a passo lento e
silenzioso la
raggiunse e si attardò a fissarne la schiena rigida,
ché Haruka le dava
ostinatamente le spalle e se ne stava con entrambe le braccia
appoggiate al
pilastro della loggia. Guardava nel buio ma non vedeva né
capiva nulla,
attendeva e basta.
Adesso
o mai più, pensò la violinista intuendo che una
volta calato il silenzio Haruka
non ne avrebbe mai più riparlato. Ed era esattamente in
questo preciso momento che
doveva sapere che veniva ricambiata allo stesso modo, sennò
sarebbe andata di
là di ogni limite. Un’oltre che la violinista
temeva moltissimo, perché ora che
aveva inteso quanto precedentemente sfuggiva ad ogni comprensione, le
riusciva
facilissimo immaginarsi quel che l’altra aveva intenzione di
fare.
Probabilmente l’avrebbe portata in una terra di nessuno dove
avrebbe tentato d’oggettivizzare
ogni sentimento, finché non si fosse persuasa di esserne
indifferente, fino a
chiudersi di nuovo nella sua torre d’avorio e allontanarla
definitivamente.
E
così come a bordo dell’Albatros l’aveva
cinta in quella stretta muta,
altrettanto fece adesso. Solo che stavolta non lasciò che
rimanesse voltata, né
che l’emozione l’impedisse di agire. La fece girare
nel cerchio delle sue
braccia e Haruka non oppose resistenza neppure quando le
passò le braccia
intorno al collo e si avvicinò tanto che le loro labbra si
sfiorarono quando
quest’ultima fece riudire la propria voce.
“Sì
Michiru, tu mi fai paura. Mi terrorizzi perché hai il potere di
disgiungermi dalla parte di
me che è più forte. A causa tua mi sento esposta
e vulnerabile a tremare di
freddo. E tutto ciò è deleterio. Credimi, fino a
qualche giorno fa ancora mi
cullavo alla lusinghiera idea che il mio sfuggirti risiedesse nel ben
più nobile
motivo di non volerti ferire. Ma visto che stiamo parlando fuori dai
denti, la
verità è che ho solo tentato di proteggere me
stessa, perché tu mi annacqui il
sangue e mi svergogni alla luce di quanto sono stata e di quanto voglio
continuare ad essere!”
Concluse
prendendole il volto tra le mani e tenendolo con forza, come se
nonostante
quanto avesse appena detto, non riuscisse a lasciarla andare. Ma doveva
farsi
forza, doveva rialzarsi, doveva assolutamente risalire sul suo
maledetto piedistallo!
Quindi disse quanto
andava detto.
“E’
tutto, tirane le tue debite conclusioni.”
Per
tutta risposta Michiru annullò la residua distanza che
separava le loro bocche
e cominciò a baciarla con trasporto. La bionda avrebbe
voluto protestare,
allontanarla, ma quelle labbra che accarezzavano le sue le fecero
perdere completamente
la cognizione tra quanto s’imponeva di volere e quel che
davvero desiderava. Divenne
tutto cenere nel vento e, senza neppure rendersi conto di quanto stava
facendo,
la compresse in una stretta incontenibile e, da vittima che era di quel
bacio,
ne divenne la dominatrice. Quante volte aveva vagheggiato come sarebbe
stato?
Ebbene, l’immaginazione non aveva nulla a che fare con la
realtà, poiché aveva
sempre pensato che dolcezza e passione non potessero coesistere, invece
le
labbra di Michiru le stavano dando entrambe. Inoltre, generalmente era
lei che
conduceva, ma adesso si ritrovava ad essere a prendere e dare con la
stessa
intensità, ché la brama dell’altra era
identica alla sua, mentre quest’amplesso
labiale non aveva nulla in comune con nessun’altro
sperimentato prima.
Era
l’odore del pane appena sfornato, un girotondo in un campo di
girasoli, una
sonata di pianoforte al chiaro di luna, l’abbandonarsi del
corpo dopo una lotta
estenuante, il pensiero che si annulla nella percezione di essere
esattamente
dove si è sempre voluto. E il vertice sembrava non arrivare
mai.
Scombussolata
si staccò per prendere fiato e nello zaffiro degli occhi
dell’altra vide
rispecchiarsi esattamente quanto sentiva agitarsi nel suo intimo.
Pareva
proprio infatti che anch’essa ne fosse stata travolta. Eppure
in quella vampata
che le aveva avvinte aveva nettamente percepito quanto fosse profondo
quel che
quella ragazzina covava dentro di sé. Passione
sì, indubbiamente, ma non solo
la spinta istintiva della sensualità, era calore di
sentimento. Un amore
viscerale che non si nutriva di giri di parole come il suo, ma che si
amplificava
e cresceva attraverso i fatti, gli sguardi, i gesti e in tutta la
cadenza dei
momenti che insieme le avevano viste protagoniste.
In
un lampo ne passò al setaccio i momenti cruciali e quanti le
erano parsi senza
importanza, e
allora capì e dovette
chinare il capo. A questo punto non era solo il suo di cuore a
costringerlo,
dal primo momento c’era stato pure quello di Michiru che
aveva manovrato fino a
questa sua resa.
“Mi
sa che son bella che fottuta!” Esclamò tendendole
la mano.
“Sai
una cosa Haruka?” Fece Michiru afferrandola e andando, senza
tanti complimenti,
ad appollaiarsi tra le sue braccia. “Non troverò
mai più nessuno che mi parli
d’amore come te.”
Detto
ciò cominciò a ridacchiare senza riuscire a
fermarsi più. E tutte le sue
intenzioni romantiche andarono a farsi benedire. Haruka
ghignò a dispetto di
tutta quella situazione. Eh sì, proprio come aveva supposto,
dal dramma erano
passate alla commedia. Poco male, non pretendeva voti solenni,
però accidenti a
lei, poteva dirglielo che l’amava, no?
“Amore?”
Ribatté indispettita. “Richiama i cani razza di
presuntuosa, questa non era
affatto una dichiarazione!”
“Ah
no?” Buttò lì maliziosa e, anche se non
ne aveva affatto voglia, se ne staccò e
le si parò innanzi con le mani suoi fianchi.
“Beh
potrei anche essermi sbagliata, considerato che tu dici tutto e il
contrario di
tutto. C’è da rimbecillirsi in effetti, visto che
a quanto pare non puoi fare a
meno di me, ma nel frattempo te ne senti sputtanata. Sul serio Haruka,
sei una
schizoide alla prova dei fatti, anche perché hai omesso
abilmente di chiarire
la natura dei tuoi sentimenti al di là delle ossessioni, per
cui mi chiedo se
il tuo non sia un caso di osmosi o peggio. Ma dopotutto non credo che
tu mi
abbia fatto venire qui allo scopo di forzarti al ricovero in una
clinica per
malattie mentali, altrimenti avresti chiamato Setsuna no? E allora
cuore mio,
perché non mi dici tutto fino in fondo? In fin dei conti se
hai preteso quella
chiosa un motivo ci sarà.”
“E
pensare che sono io quella che passa per infame! Vuoi vedermi sputare
bile eh?”
“Non
meno di quanta me ne hai fatta sputare a me tesoro.”
“Sta
bene, allora sappi che ho fatto domanda per essere ammessa al MIT dopo
il
diploma, il che vuol dire che neppure tra un anno me ne
ritornerò negli Stati
Uniti. Che mi dici adesso amore mio?”
“Che
hai fatto benissimo, che un cervello matematico di
prim’ordine come il tuo è
giusto che aspiri all’eccellenza. Hai in previsione anche un
ingaggio in
formula Nasdaq?”
“E
questo è quanto? Cioè non te ne frega una mazza
che me ne vada? Porca vacca
Michiru ma fammi capire, stiamo insieme o cosa?”
“Certo
che sì, oppure credi che stessi scherzando prima?”
“Spero
bene di no. E allora come la mettiamo? A me solo l’idea della
separazione fa male
da morire, mi getta nello sconforto, non riesco neppure a pensarci
porca vacca! E tu
invece te ne esci col contratto
automobilistico? E nel caso che vuoi, la provvigione?!”
“No, figurati,
chiedevo visto che per quanto
mi riguarda allo stesso tempo è molto probabile che vada a
studiare
all’accademia delle belle arti di Parigi, in contemporanea ad
un mio più che
presumibile ingresso Ecòle
dell’Operà.”
“Pure?!
Mammina ha lavorato bene in questi mesi eh? Chissà quanti
pantaloni ha dovuto
sfilare per arrivarci!”
“Tu
lascia stare mia madre e pensa a te che ti calzavi la figlia del
padrone!”
“Se
mi calzavo la figlia del padrone non era per far carriera ma per
evitare di
saltare addosso a te! E neanche un grazie ho ricevuto!”
“Oh
allora grazie tante Haruka per esserti immolata all’altare
del sacrificio per
me! E dimmi un po’, casomai adesso mi levassi tutto di dosso
che faresti?
Organizzeresti un’orgia seduta stante?!”
“Che
è, una proposta?”
“Sì
aspetta e spera!”
“Ma
che accidenti stiamo dicendo qui? Si presume che una che sta con me non
se ne
va in Francia a suonare i piattini!”
“Neppure
in America a fare brum brum su una
carriola a 200 all’ora Haruka. Ma, come giustamente mi facevi
notare durante il
tuo logorroico monologo, io non posso annullare la tua vita, e neppure
tu la
mia. Ma che ti ami è incontestabile e non
cambierà. Certo, l’idea della
lontananza non piace neppure a me, cosa credi? Però sono
convinta che ce la
faremo, potrà mai essere peggio di quel che abbiamo
combinato nell’ultimo anno?
Io non penso.”
“Non
mettere limiti alla provvidenza! E poi con quella testa dura che ti
ritrovi,
non oso proprio immaginare quel che potrebbe
succedere…”
“Scenate,
telefonate intercontinentali, pianti, maledizioni e felici
ricongiungimenti
probabilmente. Tutte cose che, bolletta del telefono a parte,
potrebbero
succedere pure se non ci muovessimo da Tokyo. E ci sono ancora dodici
mesi da
vivere assieme, come due rette parallele, prima
che tutto questo si concretizzi. Credimi
Haruka amore mio, a me il futuro non spaventa affatto.”
“Neppure
a me, ma noto che le mie lezioni di geometria non ti sono servite ad
una mazza
Michi. Mi duole dirtelo tesoro, ma debbo ricordarti che due rette
parallele non
s’incontrano mai, e onestamente come paragone non mi piace
per niente!”
“Siamo
a cavallo Haruka, non ti prenderanno mai al Mit, preparati a venire a
Parigi
con me e a girare in bicicletta col basco in testa e la baguette sotto
il
braccio.”
“Cosa?!”
“Ehi
genio Einstein ha dimostrato che l’universo è
curvo e di conseguenza le rette parallele
sono destinate ad incontrarsi.”
“Mi
sa che hai ragione. Però se somigliano giusto un tanto a
noi, non si salutano
neppure!”
……………
“Allora
ci muoviamo o no? E’ mezz’ora
che aspetto accidenti a te!”
“Haruka
ma è mai possibile che neppure
al bagno mi fai stare tranquilla? Fammi fare la doccia in santa
pace.”
“Sei
lì dentro da due ore, vuoi che
vada in mezzo alla natura per fare quel che devo fare?!”
“Sbraita
quanto ti pare, tanto non ti
faccio entrare.”
“E
capirai, sono dieci anni che ti
conosco, tutto quel che c’era da vedere ormai l’ho
visto!”
“Ne
sei proprio sicura?”
“Certo...”
“Allora
entra!”
“Mio
dio che ninfomane, ma in testa c’hai
sempre la stessa cosa?!”
Fine
N.d.A.
A
mio padre, con tutto l’amore e l’ammirazione
che gli porto.
Una
lastra di marmo non potrà mai
separarci, sarai sempre con me papà.
Aurelia
Finalmente
ce l’ho fatta, anche se disperavo di riuscirci vista la piega
presa dalle cose
negli ultimi mesi.
Dunque,
innanzi tutto i ringraziamenti a chi mi ha seguito, e commentato, fin
dall’inizio
e a chi si è aggiunto strada facendo. A voi tutti la mia
imperitura
riconoscenza per i complimenti, i commenti salaci,
gl’incoraggiamenti e tutte
le parole cui ho fatto tesoro a livello personale e migliorativo. In
quanto
che, da un certo punto in poi, ho molto fidato sulle vostre reazioni
per perfezionare
quanto andavo scrivendo. Un grazie speciale al Thartaruka Fan Club
(l’ho
scritto bene?) alla sua presidentessa e a tutti i suoi membri,
ché se la storia
ha avuto un lieto fine è solo perché poi non
avrei sopportato le vostre
lamentele!
Non
mi dilungo oltre, giacché non voglio assolutamente che
questa nota a piè pagina
rischi di sembrare una autocelebrazione, salvo che per sottolineare di
nuovo l’epigrafe
di cui sopra. Ché lo sforzo creativo e quanto ne
è derivato è dedicato con
immenso amore, e la certezza che non li dimenticherò mai, a
due persone che non
ci sono più.
Bene,
per il momento è tutto, e spero che l’epilogo non
vi abbia deluso.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=118423
|