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Driiin! Il rabbioso ruggito della sveglia lo colpì alla testa come una martellata.
Merda, merda, merda! E ancora merda, giusto per non sbagliare.
Non ditemi che sono già le sette del mattino…Che mal di testa assurdo! Gojyo si alzò dal letto, i capelli rossi scompigliati, resistendo
all’impulso di andare in bagno e rimettere tutto quello che aveva mangiato
dall’ultimo Natale fino al giorno prima.
Si infilò nel bagno, si sciacquò la faccia, e dopo una veloce doccia si vestì
con i suoi soliti jeans, indossò la camicia della divisa scolastica -ma solo
perché vestiva bene nel tutto-, s'infilò nelle sue logore scarpe da ginnastica e coronò il tutto con l’immancabile giacca di pelle. Non era più clima da giaccone, ma era figo e si
intonava con la moto.
Dopo essersi infilato in bocca un toast e aver dato un’occhiata depressa al
terribile disordine della cucina, che tuttavia era ben poca cosa rispetto a
quello della sua stanza, dove aleggiavano riviste porno, preservativi ancora
integri e confezioni di preservativi usati (quelli aveva il buon gusto di
buttarli dopo l’uso), boxer svolazzanti e persino biancheria femminile lì
dimenticata da qualche partner occasionale, terminò di prepararsi.
Legò i capelli in un codino, indossò il casco, e si avviò verso la sua bella
“Red tear”, una superba moto rossa di grossa cilindrata che, già da sola,
attirava la metà delle ragazze della sua scuola che non facevano parte della
metà di quelle attirate dal suo fascino naturale. Oh, la modestia certo non era
il suo forte. Ho decisamente bisogno di un’aspirina. Per una volta che vado a
lezione, non poter capirci un cazzo non è che sia il massimo... Così dicendo, salì sulla moto e la fece partire con un assordante rumore
che, probabilmente, aveva svegliato buona parte del quartiere.
Arrivato al semaforo rosso, frenò con un rumore di gomme che avrebbe fatto
rabbrividire chiunque.
Davanti a lui si accingeva ad attraversare Shinobu, una ragazzina di un anno
più piccola di lui, che si ritrovava misteriosamente sempre tra i piedi. Quando
lo vide, per l’appunto, la ragazza si fermò in mezzo alla strada e lo
apostrofò: “Ma cosa vedo…il grande Sha Gojyo che si abbassa a fermarsi al
semaforo rosso come i comuni mortali! Che ti prende, è il sonno?”
“Ora ti metto sotto, Shinobu…”, le rispose lui, mimando il gesto di girare la
mano sull’acceleratore.
“Ascoltami un po’, Anna dai capelli rossi…sono in ritardo, me lo daresti un
passaggio?”, disse lei, guardandolo divertita con i suoi begli occhi verdi e
raccogliendo la provocazione.
“Ma senti senti! Adesso sei tu che ti abbassi a chiedere un passaggio ad Anna
dai capelli rossi?”
Intanto il semaforo era scattato, ed un impaziente automobilista aveva iniziato
a suonare il clacson per fare dare una smossa al giovinastro in moto che aveva
davanti.
“Idiota! Mai sentito parlare d’inquinamento acustico? Piantala o quel clacson
te lo infilo nel culo!”, sbraitò la dolce fanciulla dai capelli castani e gli
occhi verdi avvolta nella sua ordinata divisa scolastica.
“Vedi di salire o quello ti infila qualcos’altro, nel tuo bel culetto”, disse
Gojyo alla ragazza.
Shinobu si strinse nelle spalle, salì e si tenne forte ai maniglioni dietro di
lei.
C’erano due motivi per cui a Gojyo piaceva scarrozzare in giro quella ragazza,
cui dava spesso e volentieri un passaggio: il primo era che non gli si
avvinghiava alla vita, cosa che lui non sopportava, e il secondo era che non
prorompeva in gridolini isterici quando lui accelerava, effettuava sorpassi al
limite della legalità o rizzava la moto sulla ruota posteriore.
Sperimentava acrobazie sempre più pericolose per poter sentire un gridolino di
paura dalle labbra di Shinobu, ma lei si limitava a stringere le labbra e a
rafforzare la presa sui maniglioni dietro di lei. Evidentemente, era dotata di
un interessante sangue freddo.
Con una frenata assordante, il rosso avvertì la scuola che era arrivato il suo
miglior playboy.
Shinobu scese, risistemandosi i capelli alla meno peggio, e, dopo aver dato
un’occhiata all’orologio, annunciò che si sarebbe eclissata in fretta, prima
che quella strega della professoressa di lettere la invitasse ancora una volta
a lasciare l’aula fino alla fine della sua lezione, per farle pagare il fio del
suo ritardo.
Gojyo, dopo averle lanciato un gesto di saluto con la mano, che passò
puntualmente insoddisfatto, sospirò e si sfilò il casco, agganciandolo alla
moto. Frattanto, gli si avvicinarono le consuete ragazze e ragazzine, che da
lui volevano solo una cosa, e che Gojyo era ben propenso a dar loro senza tante
chiacchiere.
Intanto Shinobu correva per il corridoio, più veloce che poteva.
Accelerò, in vista della porta dell’aula, almeno finché dalla direzione opposta
non sopraggiunse qualcun altro –probabilmente di corsa per lo stesso motivo-
che le finì immancabilmente addosso.
Shinobu rimbalzò a terra, con un’esclamazione di sorpresa, e riconobbe
immediatamente l’amico.
“Goku, è la quinta volta, quest’anno. Facciamo installare un semaforo?”
Porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi, il ragazzo scoppiò a ridere. I
suoi occhi dorati brillarono per un momento di allegria, poi ripresero il loro
consueto sguardo.
“Ciao, Shinobu. Mi sa proprio che faremmo meglio a non entrare, visti i
risultati delle ultime quattro volte”
“Tentar non nuoce”, gli rispose lei facendo scorrere la porta dell’aula.
Ovviamente il loro impegno non fu ripagato, perché, non appena entrati in
classe, si accorsero che la professoressa era già arrivata, e al vederli
entrare assunse un’espressione che definire stizzita era dir poco.
“Ori, Son, di nuovo in ritardo, eh? Mi chiedo che cos’abbiate in quelle teste
bacate! Fuori tutti e due in corridoio, e stavolta restateci, se non vi
dispiace”
Il ricordo del caffellatte e dei cornetti mangiati in mensa, nell’attesa che
finisse la lezione della strega, attraversò i pensieri dei due, che si
scambiarono uno sguardo eloquentemente divertito, e fecero dietro-front fuori
dalla porta.
“Io te l’avevo detto”, bisbigliò Goku con un sospiro divertito. Shinobu rispose
facendo schioccare la lingua sul palato. “Finisce sempre così…”
Sobbalzarono quando dalla classe accanto, una terza, sbattendo la porta, fece
capolino Gojyo, ancora la sigaretta spenta in bocca. Fin lì nessuna novità,
Gojyo finiva nei guai con i professori un giorno sì e l’altro pure. Quello che
sbalordì Shinobu, fu che il rosso era seguito a ruota da Hakkai, il Re della
Puntualità e dell’Affidabilità. Titoli a parte, si trattava di un grazioso
ragazzo dai lineamenti delicati e dolci, l’unica persona con cui si potesse
non-parlare e avere comunque un ottimo rapporto. Oh, al diavolo, chi non aveva
un buon rapporto con Hakkai? Persino Gojyo aveva un debole per lui, tanto che
Shinobu si chiedeva di tanto in tanto fino a che punto il loro rapporto si
fermasse alla pura amicizia. Naaa, Gojyo era il donnaiolo più incallito del
mondo, e mai e poi mai si sarebbe abbassato a tanto, neanche con un ragazzo
tanto bello come Hakkai.
Il rosso, ovviamente, non perse occasione di provocarla. C’erano dubbi? “Ma
guarda guarda! E così, nonostante il mio passaggio, sei arrivata di nuovo in
ritardo?”
Shinobu lo ignorò sdegnosamente, e invece si affrettò a salutare Hakkai.
“Ciao, Hakkai, come va? In che dimensione parallela sono finita, per essere
arrivato in ritardo proprio tu?”
“Oh, ciao a entrambi”, ricambiò l’altro. “Capita anche a me di non svegliarmi
in tempo, sai?”
“Già”, lo canzonò Gojyo. “Ma solo a lui può capitare per aver studiato fino a
tardi la sera prima”
Shinobu alzò gli occhi al cielo con un risolino sulle labbra, imitata da Goku.
“Tsk!”
Le futili conversazioni da ‘buongiorno, amici’ furono interrotte da un modello.
Oh, non che si trattasse di un modello, ma Shinobu, per quanto pressoché
disinteressata all’argomento uomini, non poteva che riconoscerne la
bellezza. Può essere bello un quadro, una ragazza prosperosa e ammiccante, un
cd di musica, un film alla tv.
Ma il ragazzo biondo dalla divisa in disordine che era appena uscito dalla
porta scorrevole a pochi metri da loro non era di un ‘bello’ opinabile. Era
bello e basta. Non sapeva spiegarlo, ma se lo sentiva a pelle. Sebbene de
gustibus disputandum non est, chiunque avesse affermato che quel biondo non
fosse bello, sarebbe stato uno sporco bugiardo o un cieco. O un
invidioso.
Il tipo in questione aveva sbattuto la porta rumorosamente ed e si stava
accendendo una sigaretta lì nel corridoio –un degno concorrente di Gojyo
nella corsa verso il cancro ai polmoni, pensò Shinobu. La classe da cui era
uscito era surrealmente silenziosa. E quando alzò gli occhi verso di loro,
rivelando lo sguardo più gelido che avesse mai visto, comprese perché.
“’Mbè? Che cazzo avete da guardare?”
Shinobu comprese allora che non era stata l’unica a fissarlo. Con un ennesimo,
sonoro schiocco della lingua sul palato, il ragazzo si allontanò senza degnarli
di un’ulteriore occhiata.
“Voto in finezza: zero. E bello sì, ma un ghiacciolo al confronto ti
riscalderebbe come un termosifone. Qualcuno sa chi è? E’ nuovo, vero?”
“E’ nuovo”, confermò Gojyo con tono annoiato. “Si è trasferito poco dopo
l'inizio dell'anno da non ricordo che prefettura. Le ragazze sono in visibilio”
“Ci credo”, ribatté Shinobu con un arricciare malizioso delle labbra.
Gojyo la squadrò divertito. “Non sapevo che ti piacesse il tipo androgino.
Quello sembra una femmina fatta e finita”
Shinobu sorrise sotto i baffi. Gojyo aveva volutamente esagerato. Che c’è,
ti irrita il non essere l’unico ad attrarre le ragazze?. Ecco, Gojyo faceva
parte della categoria degli invidiosi, sebbene, in quanto a popolarità o
bellezza, non avesse proprio nulla da invidiare. Ma, proprio come diceva lui,
il biondo era un tipo da bellezza femminea, mentre Gojyo era bello nel
senso virile del termine. Naturalmente, un tal complimento non le sarebbe mai
sfuggito dalle labbra. “No, non è il mio tipo, infatti. Ma penso di non aver
mai visto nessun ragazzo così bello, nel senso canonico del termine”
Hakkai intervenne. “Genjo Sanzo. Ero in presidenza per una questione del
comitato scolastico, quando è arrivato per il disbrigo delle pratiche. Il
vicepreside era un po’ contrariato per l’assenza di un tutore: pare viva
completamente da solo”. Sorrise pensieroso. “E’ strano a dirsi, ma quando l’ho
visto ho pensato che non fosse la prima volta. Eppure una persona così bella di
solito non si dimentica”
L’ultima affermazione fece guadagnare ad Hakkai gli sguardi perplessi di
Shinobu e Gojyo.
“Da quando hai tendenze strane, tu?”, lo punzecchiò il rosso.
Il ragazzo dagli occhi verdi scosse la testa, ridacchiando. “La vita non ruota
tutta attorno a ciò che pensi tu. Comunque sì, quello che ho detto poteva
risultare ambiguo. I fatti sono quelli, comunque: non sono riuscito a smettere
di fissarlo. Ho sentito qualcosa di strano”
Si guadagnò le risatine maliziose di Gojyo e Shinobu.
La ragazza si accorse subito dopo che la voce di Goku non si sentiva da un po’.
“Goku, tu che ne pensi? …Goku?”
Goku aveva puntellato il gomito alla coscia, e reclinato il viso sulla mano.
Aveva in volto uno sguardo concentrato, perso nel vuoto, le labbra
semisocchiuse. Shinobu spalancò leggermente gli occhi, stupita. Schioccò le
dita davanti a lui per richiamarlo sul pianeta Terra.
“Goku? Stavi dormendo a occhi aperti?”
I suoi occhi tornarono lucidi. “Eh…no, stavo pensando. Lo conoscete quel tipo
che è appena passato?”
Shinobu, Gojyo e Hakkai si guardarono. Non aveva ascoltato nemmeno una parola.
Il rosso fu il primo ad alzarsi. “Mi sono rotto di parlare di maschi con
voialtri maschi”
“Ci sono anch’io, veramente”. Shinobu manifestò la sua presenza alzando una
mano.
“Fa niente. Vado a vedere se trovo qualcuna libera, mi annoio”. Si stiracchiò,
muovendo qualche passo verso il corridoio.
“Cosa vieni a fare, a scuola, tu, io proprio non lo so”, commentò Hakkai
aprendo un testo di chimica.
“E me lo chiedi?”, ribatté l’altro con un fischio. “E’ un terreno di caccia
perfetto!”
“Sigh...”
“Ehi, cacciatore!”, lo richiamò Shinobu, incrociando le braccia dietro
la testa.
“Che c’è, mocciosa?”, le rispose Gojyo, voltandosi appena verso di lei e
rallentando il passo.
Shinobu sorrise. “Lavori oggi, dopo le lezioni?”
“Come quasi sempre. Se ti serve un passaggio fino a casa, penso che Jin
e Koji saranno ben lieti, lo sai come sono fatti”
“Sì, loro sono gentili”
“Perché entrambi da bambini avrebbero desiderato una sorella minore, immagino”,
ghignò Gojyo.
Shinobu sorrise. Jin e Koji erano i due compagni di scorribande di Gojyo, come
lui alti e prestanti. Li si vedeva campeggiare a qualsiasi ora nel cortile
della scuola con le loro moto e le giacche di pelle, quasi si sentissero in un
film anni Settanta. La prima volta che li aveva visti, Shinobu aveva detto loro
che i tempi di Happy Days erano ormai finiti, e loro erano scoppiati a ridere.
Erano sempre stati cordiali con lei, affettuosi e gentili, anche più di Gojyo,
che aveva espresso più volte la sua meraviglia innanzi al loro comportamento
nei suoi confronti: lui, al contrario, non perdeva tempo per canzonarla o
provocarla.
Gojyo era temuto e rispettato da tutti, nel liceo T, a causa dei suoi modi
piuttosto sbrigativi, ma Shinobu non lo considerava veramente
pericoloso. Abitava da solo, non si sapeva nulla di lui, e lavorava come
meccanico in un’officina. In ogni caso, i suoi genitori non gradivano che
frequentasse gente di quella risma. Non erano esageratamente all’antica, più
che altro detestavano che i vicini pensassero male della famiglia, e i suoi
continui rientri a bordo di moto guidate da motociclisti in giacca di pelle
facevano alquanto chiacchierare il quartiere. La misura in cui a lei importava
era molto prossima allo zero, in ogni caso. Lasciava che parlassero. Un po’ più
le importava quando sua madre, periodicamente, le faceva una scenata molto
vicina alle lacrime. Le dispiaceva, ma prima o poi avrebbe compreso. Forse.
Salutò Gojyo con un cenno della mano, poi si voltò verso Goku. Era nuovamente
in quella posizione concentrata, da pensatore, che obiettivamente poco
gli si addiceva.
“Insomma, Goku! Si può sapere che ti prende, stamattina?”
“Niente… so solo che vedere quel ragazzo mi ha reso come…inquieto. Ho provato
una strana sensazione”, rispose Goku stringendosi nelle spalle. Le scrollò,
come liberandosi da brividi.
“Parli ancora di Sanzo? Beh, se ti piacciono i ragazzi, devo dire che hai gusti
masochisti…quello è il tipo che ti uccide!”
“Ma perché ricondurre tutto a quello?”, sbuffò il ragazzino, come
poc’anzi Hakkai aveva fatto con Gojyo. Ciò le diede da pensare che, forse, lei
e Gojyo erano più deviati del previsto. Con un sorriso, mise una mano sulla
testa di Goku, scompigliandogli i capelli color cioccolata. “Dai, ti prendevo
solo in giro…e anche se fosse, non ci sarebbe niente di male”
Goku la guardò negli occhi. “Mai avuti dei deja-vu, Shinobu?”
Lei aggrottò le sopracciglia. “Può darsi…non faccio molto caso a queste cose”
Il ragazzino scosse la testa. “Io ne ho avuto uno poco fa. Ti dirò di più…non è
stato solo un deja-vu. La sensazione era quella di una miriade di
deja-vu, così tanti da non farti capire più niente. Un calderone di sensazioni
così agglomerante da risultare nauseante.”
“Si pensa che i deja-vu siano dovuti a motivazioni neurologiche”, osservò
Hakkai da dietro il libro di chimica. “Alterazioni delle funzioni cognitive e mnemoniche”
“Non puoi sempre ridurre tutto a ciò che è razionale, Hakkai”, osservò Shinobu
abbracciandosi le ginocchia. “A volte si finisce per sbatterci la faccia su”
Goku intervenne, con voce penetrante. “Non credo affatto che ciò che ho provato
io possa essere di natura neurale”
Hakkai ribatté con una punta di polemica. “Allora davvero credete che si possa
rivivere qualcosa per la seconda volta?”
“Non ho detto questo”, osservò Shinobu. “Ma almeno io concedo il beneficio del
dubbio”
Il moro non le rispose subito. “In fondo non hai torto. Tu non puoi dimostrare
che è così, e io non posso dimostrare il contrario…”. Sorrise. “E’ divertente
la realtà, vero?”
“Più che altro, è meglio non pensarci a certe cose, o ti viene la confusione.
Tanto non puoi venirne a capo, tanto vale che rinunci”
Una porta scorrevole si spalancò con un gran fracasso; i tre sobbalzarono. Ne
uscì l’insegnante di lettere, furiosa. Quella donna sapeva essere sempre più
rompipalle.
“Avete preso la scuola per un ostello? Prima arrivate in ritardo, poi vi
mettete a chiacchierare, e poi addirittura vi distendete per terra!”
Hakkai intanto aveva accennato un rispettoso inchino del capo per salutare
l’insegnante.
“Non parlavo con te, Cho, puoi continuare a ripassare, lo so che tu, quelle
poche volte che arrivi in ritardo, lo fai perché studi fino a tardi…”, disse
lei sorridendogli amorevolmente. Shinobu aggrottò le sopracciglia: non era una
novità, che la professoressa avesse un debole per Hakkai. Il suo tono cambiò
decisamente quando si rivolse nuovamente a Shinobu e Goku. “La prossima volta
non vi butterò fuori, visto che così non vi faccio che il piacere di
permettervi di farvi i vostri affari! Dovete capire che non siete più alle
medie…”
Goku e Shinobu attivarono meccanicamente il comando “ignora”, stanchi di
sentirsi ripetere sempre le stesse identiche cose.
Quando la professoressa fu soddisfatta della propria ramanzina, li fece
entrare, non senza aver prima salutato gentilmente Hakkai e avergli augurato
buona fortuna per il compito di chimica. Sì sì, certo...vecchia zitella, Hakkai ti piacerebbe come amante o come
figlio? Shinobu, sbuffando, si accasciò al proprio posto. Per fortuna,
l’ora di lettere finì pochi minuti dopo, e non dovette sorbirsi molto di quella
noia letale.
Ma la professoressa, prima di andarsene, le fece cenno di uscire con lei dalla
classe. Alzando gli occhi al cielo, prevedendo l’ennesima noiosa ramanzina,
Shinobu si alzò, lanciando uno sguardo molto eloquente a Goku, il quale
ricambiò con una solidale alzata di spalle.
La donna appoggiò la schiena all’intelaiatura della porta, una posizione
straordinariamente scomposta per lei, si riavviò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, e s’inumidì le labbra. “Veramente, io non so cosa dovrei fare con
te, Ori! Tu sprechi le tue potenzialità. Hai un’ottima padronanza della lingua
scritta e orale, un buon intuito e discrete capacità di memoria. Anche gli
altri professori sostengono che rendi molto meno di quel che potresti. Sei
sveglia, hai un’intelligenza pronta e una lingua svelta, e secondo me potresti
essere una delle studentesse migliori della sezione, se non fossi sempre
disattenta, indisciplinata e… se non frequentassi quelle persone”
La ragazza inarcò un sopracciglio, irritata: doveva immaginare che l’elenco di
elogi nascondesse un tranello. "Professoressa, scusi la faccia tosta, ma
credo che lei parli senza cognizione di causa"
La donna si strinse nelle spalle. Il suo sguardo divenne irritato. "Ori,
se mi sto prendendo la briga di farti questo discorso è perchè non sopporto di
vedere una ragazza sveglia e carina mettersi sulla cattiva strada. Cho Hakkai è
un ottimo ragazzo, su Son Goku non ho nulla da dire, ma Sha Gojyo, e i suoi due
degni amici, sono delinquenti. Risse, probabilmente droga, alcool e donne. Più
assenze che presenze, rendimento scolastico pessimo, e continui richiami
disciplinari di ogni tipo. Si può sapere perchè li frequenti? Cosa può
darti una simile feccia?"
Qualcosa nel modo in cui pronunciò l'ultima parola la costrinse a conficcare le
unghie, fortunatamente corte, nel palmo della mano. Sentì che il torace le
sussultava d'indignazione. Gojyo era un idiota, era probabilmente stronzo e
quasi sicuramente violento, ma lei non doveva permettersi assolutamente di
chiamarlo 'feccia'. Non sapeva esattamente cosa, ma Gojyo ne aveva sicuramente
passate tante, e non felici. Aveva più intelligenza e sveltezza di mente di
quanto mostrasse, aveva un buon talento con la musica e il canto, e, se solo ci
si fosse messo, avrebbe dimostrato anche di essere un ottimo atleta.
Avrebbe voluto aprir bocca e dirle tutto questo, ma non sarebbe servito.
"Ori, pensaci. Dovresti iniziare a frequentare qualche ragazza. Con cui
andare a comprare qualche vestito, leggere fumetti, e perchè no, anche andare a
ballare. E' questo quel che dovrebbe fare una ragazza della tua età. Per l'amor
del cielo, guardati. Hai i gomiti sbucciati, come un ragazzino delle medie, ed
è un livido quello nel collo?"
Shinobu andò a portare la mano, inavvertitamente, al collo. Sì, era un livido.
E no, non gliel'aveva causato un ragazzino delle medie, ma una ragazza.
Probabilmente una di quelle di cui lei, che non vedeva a un palmo dal naso, non
avrebbe mai sospettato. La ragazza tirò un lungo respiro, senza rispondere.
Scrollò le spalle in un gesto che avrebbe dovuto essere d'indifferenza.
"Ha finito?"
La professoressa chiuse gli occhi, esasperata. "Ho finito. Se hai problemi
di qualsiasi tipo, Ori, puoi venire a parlare con me in sala professori. In
qualunque momento"
"Ci penserò, grazie", si costrinse a dire Shinobu con voce cortese.
Non ne aveva la minima intenzione. Salutando con un cenno del capo che sarebbe
dovuto risultare sufficientemente rispettoso, rientrò in aula, e andò a
sistemarsi al suo posto.
Non le ci volle molto, per accorgersi che cinque o sei ragazze la stavano
squadrando, chi con divertimento, chi con soddisfazione, chi con sdegno.
Shinobu abbassò lo sguardo con un sospiro di cui non si rese conto. E sarebbero queste le persone con cui dovrei legare?
Gojyo gemette divertito contro le labbra della ragazza, prendendole la mano
e mettendosela sul cavallo dei pantaloni. Il seno era morbido e caldo sotto le
sue mani, incastrate sotto i ferretti del reggiseno. Si staccò dalle sue
labbra, le ridisegnò con la lingua il profilo della mascella, e le prese il lobo
tra i denti. “Qui è scomodo", le sussurrò malizioso. "Ci andiamo a
distendere un po' nel magazzino degli attrezzi?". Le sue dita le
titillarono i capezzoli.
La ragazza rise giulivamente. “Vuoi fare sesso?”
Gojyo alzò gli occhi al cielo, senza che lei se ne accorgesse. No, voglio giocare a carte, nel magazzino degli attrezzi...Kami, perché più
sono formose e più sono stupide? Inizio a pensare che il nutrimento per il
cervello sbagli strada e vada a finirle tutto nelle tette... “Sì”, si limitò a rispondere, tentando di celare il tono sarcastico.
La ragazza tolse la mano da dove lui gliel'aveva poggiata, e andò a riavviarsi
i lunghi capelli mossi. Le sopracciglia sottili si arcuarono graziosamente,
mentre staccava il corpo da quello di lui.
“E io dovrei accontentarti ancora? Che garanzie mi dà fare sesso con te ogni
volta che ti va?”
Gojyo non poteva credere alle proprie orecchie. “Che intendi dire con garanzie?
I preservativi li ho sempre usati, mi risulta”
La ragazza si sistemò un attimo i vestiti, apparentemente indignata. “Non
capisci niente, Gojyo. Io pensavo di essere quella più vicina a te,
l’abbiamo fatto tante di quelle volte...ero sicura...speravo...che tu un giorno
saresti stato mio. Ma non può essere...tu ogni giorno hai altre a cui pensare”
Il ragazzo si passò una mano sulla fronte. Sentì la propria eccitazione svanire
in un istante.
“Mio, mio...mi hai preso per un oggetto da sfoggiare con le amiche?”
“Sei tu che tratti le ragazze come oggetti”
“Fino ad adesso non te ne è mai importato, o sbaglio?”
“Fino ad adesso mi ero illusa di riuscire a instaurare una relazione con te, ma
è impossibile, osi dire il contrario?”
“No. Ma non mi sembra di averti mai dato una speranza del genere”, concluse
fulminandola con uno sguardo gelido. Sempre così. Prima o poi, tutte
pretendevano qualcosa di più, dopo aver aperto le gambe. Prima o poi, tutte
chiedevano di essere le uniche per lui. Non esisteva una persona unica per Sha
Gojyo. Non poteva esistere, e non sarebbe mai esistita. Non voleva che
esistesse.
La ragazza parve trattenersi a fatica dall’affibbiargli un ceffone. Si
allontanò velocemente, non prima di averlo scrutato con uno sguardo indignato.
Gojyo sospirò, accendendosi una sigaretta per evitare di seguirla con lo
sguardo. Non poteva farci nulla. Appartarsi con le ragazze gli piaceva da
matti, il brivido, l’eccitazione, il venire…ma nulla di più. Le ragazze gli
piacevano, ma…gli piacevano tutte. E non gliene piaceva nessuna. Però gli
andava bene così, non cercava altro.
Risistemandosi un po’ i jeans e la camicia, si avviò verso la sua sezione.
Sarebbe stato meglio seguire almeno un paio di lezioni, quel giorno…d’altronde,
cosa ci era andato a fare lì a scuola, se no?
Tentando di ricordare che materia avrebbe avuto in quell’ora, urtò qualcuno. Se
fosse stata una ragazza, avrebbe potuto sfoggiare il suo sorriso da seduttore e
placare i suoi bollenti spiriti; se fosse stato un ragazzo, avrebbe assunto lo
sguardo infastidito. In ogni caso, la cosa sarebbe finita lì.
“Tsk! Rossino, vedi di stare più attento!”
Il tono irritante era inconfondibile. Seppe, ancora prima di alzare lo sguardo,
che era quel… come si chiamava? Ah, sì: Genjo Sanzo.
“Vuoi attaccare briga? Guarda tu a dove vai, piuttosto!”. Gojyo non era dotato
di molta pazienza. Sentiva che il sangue già gli affluiva alla testa, e non
aveva ancora sentito il resto.
“Mi sembra che sia tu ad aver voglia di calci in culo, piuttosto…togliti di
mezzo o vedrò di accontentarti”
Gojyo lo afferrò per il colletto della camicia. Evidentemente, il frocetto non
aveva ancora ben capito come funzionava il mondo, se si permetteva di parlare
così a lui.
“Mi sa che ti serve una lezione di educazione…”
“Non ti azzardare a toccarmi!”, lo aggredì il biondo, affibbiandogli quello che
risultò essere un gancio destro discretamente potente. Il dolore sullo zigomo
esplose prepotentemente, e Gojyo lo mollò per massaggiarselo. Se l’era cercata.
Non mi farò umiliare dall’ultimo arrivato! Lo aggredì con un calcio, che quello evitò appena in tempo. Il biondo, che
sicuramente non chiedeva di meglio che sfogare la propria frustrazione su
qualcuno (i suoi occhi parlavano chiaro), non si fece scappare l’occasione di
rispondere ai colpi, tramutando in pochi secondi una baruffa insensata in una
vera e propria rissa piena di sentimenti.
Per questo coglione che non ha nient’altro da fare. Per questo mondo che fa
schifo. Per il sonno arretrato che non riesco a recuperare. Per quella voce
insistente che non mi lascia in pace. Per…per… Al quinto colpo apportato al corpo di Gojyo, Genjo Sanzo non aveva più
scuse. O meglio, avrebbe potuto continuare per secoli, ad elencare le cose per
cui valeva la pena di picchiare quel presuntuoso testa di cazzo, ma un una
ginocchiata al torace gli impedì di formulare ulteriormente pensieri concreti.
Si accasciò piegato in due, senza aria, e per un attimo temette sul serio che
Anna dai capelli rossi l’avrebbe mandato all’ospedale con tanto di fratture
toraciche. Al diavolo tutto, pensò, sentendosi incapace di parare il prossimo
colpo.
Un misto di voci concitate, e un paio di braccia che lo sollevarono verso
l’alto, lo resero cosciente della fine del pestaggio.
L’incapace dai capelli rossi era adesso arpionato a stento da due professori,
una furia cieca negli occhi rivolta verso di lui e verso il mondo intero –cosa
che, per un istante, gli sembrò familiare-, mentre ancora si dibatteva per
liberarsi dalla presa dei professori. “Questa me la paghi, stronzo, non abbiamo
ancora finito la discussione…”
Un ghigno comparve sulle labbra di Sanzo.
“Non vedo l’ora!”
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 16/07/09]
Dire che era furioso sarebbe stato un tenero
eufemismo.
A Sha Gojyo le rotelline funzionavano tutte, ma non poteva negare di avere,
ogni tanto, qualche piccolo problema di controllo della rabbia. La scuola lo faceva incazzare, il traffico lo faceva incazzare, gli
impiegati, tutti uguali con le loro valigette, lo facevano incazzare. Ecco. Poi
c’erano cose che lo facevano incazzare ancora di più. E
quel finocchietto biondo si era appena fregiato del titolo.
Era abituato a risse con gente da due soldi. Era abituato a zuffe anche da solo
contro più aggressori.
Ma era la prima volta, lo giurava tutto, che veniva
attaccato da una persona con quello sguardo. Fiero. Freddo. Furioso. Da tigre in gabbia che se la prende con chiunque, topi o leoni.
Mollò un calcio a un cassonetto dell’immondizia di
fianco a lui. Il preside non era presente, e il vicepreside, un idiota da
niente, aveva assunto un’espressione rassegnata, come se con lui non ci fosse
più nulla da fare, come se avesse perso le speranze con persone come lui.
Immondizia. Ecco come l’aveva trattato, quel merdoso.
Certo però che Sanzo…gli veniva una rabbia al solo ripensarci…Gli avrebbe
spaccato la faccia, la prossima volta che l’avesse visto. Stronzo. Ma chi
ti credi di essere?
Sbuffò, controllando velocemente l’orologio. Era ora di andare al lavoro.
Certo, era una seccatura, ma l’indipendenza era ciò che aveva sempre
desiderato, quando era più piccolo, e il lavoro faceva parte del pacchetto
promozionale.
Amando molto moto (soprattutto la sua) e motori, aveva facilmente trovato
lavoro in un’officina non troppo miserabile, e lo stipendio settimanale che riceveva gli permetteva di vivere una vita quasi decente.
Ogni tanto si giocava qualche quattrino a poker, e modestamente vinceva molto
spesso. Era discretamente bravo, a leggere nelle facce della gente, e il suo
volto non tradiva alcuna emozione se lui non glielo
concedeva.
Infilando le mani nelle tasche per controllarne il tremito, si diresse a passi
ampi verso la moto. L’officina lo attendeva.
Shinobu
si stava avviando verso il cortile della scuola. Aveva perso tempo a rivestirsi
dopo la lezione di educazione fisica, e sperava che
Jin e Koji non se ne fossero ancora andati. Gojyo abitava abbastanza vicino a
casa sua, in un quartiere pieno di magazzini, in realtà, ma i suoi amici le
davano uno strappo ogni tanto, anche se non era proprio di strada. La gente con
il cosiddetto buonsenso ne sarebbe stata alla larga. Si dava il caso però, che
per Shinobu il buonsenso comune poteva bellamente andare a farsi fottere. Non aveva motivo di temere loro più di un impiegato
in giacca e cravatta e borsa in vitello, pronto a pagare una liceale appena
messo piede nel quartiere di Shibuya.
Gojyo e i suoi amici avevano conoscenti praticamente
ovunque. Bastava un sussurro nell’orecchio di un gestore, e sul loro tavolo
comparivano magicamente gli alcolici, anche se erano tutti minorenni. Shinobu,
che aveva preso a bere birra di nascosto fin dall’anno prima, era stata
contenta di passare a roba più sostenuta, sia pure senza esagerare -per amore
della verità, un paio di volte si era ubriacata pesantemente.
Non riusciva ancora a capacitarsi, in ogni caso, di come fosse
riuscita a farsi accettare dai centauri. Bella non era, senza
dubbio, non una ragazza da corteggiare sicuramente, e non aveva chissà che
fantastiche doti, non era ricca, insomma, guardando oggettivamente la cosa non
c’era nessun motivo perché dovessero sobbarcarsi una ragazzina. Probabilmente
lo doveva al fatto che Gojyo, in fin dei conti, era il primo a stimarla e,
immodestamente parlando, spesso riusciva a far fare
loro un sacco di sane risate. Cazzo! Non ho l’orologio! Devo averlo dimenticato in palestra!, imprecò
sentendosi il polso sinistro stranamente leggero. Tornò sui suoi passi, rientrando
nell’edificio sportivo: ecco, adesso sì che era quasi sicura che Jin e Koji se
ne sarebbero andati. Attraversò la palestra vuota –erano
andati via già tutti- e scese la rampa di scale che conduceva agli
spogliatoi femminili. Non vide nessuno, in mezzo alle file di
armadietti. Sbuffando, cercò la chiave nella cartella, sperando di aver
dimenticato l’orologio dentro il suo, e di non averlo perso altrove. Si chinò
sul pavimento –il suo armadietto era nella fila più bassa-, e introdusse la
chiave nella serratura, ma prima che potesse scattare un rumore dietro le sue
spalle la fece sobbalzare.
“Salve, Ori!”. Una ragazza dai capelli ricci, che la superava abbondantemente
in altezza, l’aveva apostrofata con voce canzonatoria. Ho idea che il mio orologio non lo vedrò più. Al
diavolo l’orologio. “Ciao, Akami”, sorrise, rialzandosi. Pensò che avrebbe fatto meglio a
raccogliere i capelli, e fortunatamente aveva un elastico nero attorno al polso
a mo’ di braccialetto, quindi lo usò. “Hai dimenticato qualcosa anche tu o devo
a te la sparizione del mio orologio?”
La guardò. Avrebbe voluto evitare qualsiasi tipo di scontro, ma se l’altra
l’avesse ingaggiato non sarebbe rimasta con le mani in mano.
Una contro una. Credeva di poterla far piangere.
La ricciuta si strinse nelle spalle. “Può essere. Possiamo scambiare due
parole?”
“Spiacente”, tagliò corto lei con voce neutra, certa che la cosa comunque non sarebbe finita lì. “Mi aspettano per andare a
casa”, mentì.
“Ori”, disse l’altra con voce morbida, come se stesse parlando con una bambina.
“Non mi ha fatto piacere che tu abbia spaccato un labbro alla mia amica
Ikinose, pochi giorni fa”
La risposta di Shinobu fu uno sbuffo sarcastico. “La tua amica Ikinose mi ha
mollato un cazzotto tale che, se mi avesse preso in faccia invece che nel
collo, mi avrebbe spaccato uno zigomo. Ha usato un mollettone
di ferro per tirapugni”
“Ikinose aveva le sue ragioni”
“Ikinose è una troia gelosa. Si fa sbattere almeno da tre ragazzi attualmente, o meglio, è ciò che va dicendo in giro, ma le brucia
perché Hakkai le ha detto no. Non so in che modo io sia implicata
nella cosa, e quando gliel’ho chiesto la sua risposta è stata il famoso
cazzotto”
Akami mollò un pugno a un armadietto. “Ori, mi hai rotto i coglioni con i tuoi
discorsetti sarcastici. Ikinose non vede perché tu debba trascorrere ogni
minuto libero con Cho o Son, o in alternativa con Sha,
quando è libero. Non risulta che tu sia la ragazza di
nessuno dei tre, e ci mancherebbe”
Shinobu fu incerta se ridere o arrabbiarsi. Alla fine decise per la prima, e
ragliò un riso che dovette fare inferocire l’altra. “Questi saranno anche cazzi
miei. Nessuno si è mai permesso di dirmi come devo comportarmi, e certo
non ascolterò le provocazioni di galline dal cervello striminzito come voi.
Aria, tesoro, devo andare a casa.”
Chiedersi il perché della sua impopolarità era inutile. Il bell’aspetto di
Hakkai, di Gojyo e anche di Goku aveva fatto sì che
nel liceo T si fossero formati tanti ridicoli club, sostenuti da altrettanto
ridicole ragazzine che naturalmente non vedevano di buon occhio chi si
avvicinasse a una distanza minore di quella di sicurezza ai ragazzi in
questione. Distanza non in senso fisico, ovviamente: perché nessuna poteva
negare che Gojyo avesse l’agenda piena di appuntamenti.
“Okay, mi hai davvero stancata”. Akami si fece avanti,
e Shinobu, inavvertitamente, mosse qualche passo indietro. Dalla porta che
riconduceva alla rampa di scale per la palestra, dove avrebbe dovuto dirigersi,
entrarono altre tre ragazze. Quella che conduceva il gruppetto, prendendola
alle spalle, le diede uno spintone che la condusse violentemente proprio contro
Akami, che la respinse con un calcio. Shinobu contrasse gli
addominali e solo grazie a questo il dolore non fu terribile, ma la sua
furia stava per raggiungere livelli inusitati. Il corridoio tra gli armadietti
era stretto, e lei era circondata su due lati; Akami era davanti a lei, le
altre due dietro, e una terza si era appostata davanti alla porta d’ingresso,
controllando che non arrivasse nessuno.
Le due ragazze dietro di lei ridacchiarono. Akami si portò le braccia ai
fianchi.
“Allora, Ori…hai finito di fare la spaccona, ora che nessuno ti guarda le
spalle?”
Shinobu strinse le labbra in un sorriso sarcastico. “Lieta di sentirmelo dire
da chi mi ha attirato in palestra da sola, e ora mi sta minacciando insieme ad altre tre”
“Sta’ zitta, troia. Quelle come te si chiamano gattemorte. Con quel
faccino pulito e ingenuo, sempre pronte ad attaccarsi alla cintura di ragazzi
che le proteggano, salvo poi tirar fuori le unghie per difendere il territorio quando non sono in vista ”
“Ma ti ascolti ogni tanto, quando parli?”, sbottò Shinobu, tirandosi
su le maniche della camicia. Presto sarebbe a dir poco esplosa. “Cammini con le
cosce allargate, per quanto ti fai sbattere. E vieni a
dare a me della troia?”
Si voltò verso le altre due, per rendere più chiaro il concetto. “Mi avete
rotto i coglioni, tutte quante. Spero che sia l’ultima volta
che lo ripeto. Occupatevi dei cazzi vostri”
Erano invidiose. Invidiose perché appariva sempre in
compagnia di Gojyo, o di Goku, o di Hakkai. Porca miseria, ma
si poteva essere più idioti? Che cazzo c’era da
invidiare? Lei stessa si faceva schifo. La sua vita le faceva schifo.
Akami sbuffò teatralmente. Si tirò un po’ indietro, oltre la
fila degli armadietti, e si chinò contro il muro. Shinobu vide che aveva
afferrato il manico di legno di una ramazza. Senza
alcun preavviso, si avvicinò, tirò indietro le braccia e fece per colpirla alla
testa, ma Shinobu evitò il colpo scartando indietro.
Sfortunatamente si sentì bloccare le spalle da una delle altre. Il secondo
colpo non andò a vuoto, e la colpì subito sopra l’orecchio destro. Il dolore fu
atroce, e sentì che iniziava già a zampillare sangue. E
ne sarebbe presto arrivato un altro. Si chiese, in uno sprazzo di lucidità tra
il dolore e la confusione per la botta, fin dove si sarebbero spinte. Non
potevano ammazzarla. Ma avrebbero potuto conciarla per
le feste con il bastone e dichiarare che era scivolata dalla rampa di scale.
Shinobu, divincolandosi con tutte le sue forze, si liberò della presa,
assestando due violente gomitate in rapida successione al mento di quella che
la bloccava, fortunatamente più alta di lei. Chinò la testa, e si lanciò contro
Akami, che aveva nuovamente brandito il bastone,
colpendola allo stomaco. Il dolore alla testa peggiorò di colpo, ma riuscì
ugualmente a prenderle il bastone prima che potessero
farlo Akami o la terza, impicciata da qualche chilo di carne più del
necessario. Lo impugnò saldamente e, senza neanche voltarsi, lo mulinò
all’indietro. La colpì sulla clavicola.
In quel momento la porta dello spogliatoio si aprì di scatto, colpendo la
ragazza che ne stava a guardia. Shinobu si chiese
confusamente se fosse un professore o altre ragazze pronte a dar manforte a
quelle che l’avevano aggredita. Niente di tutto questo: ne entrò
Ryuho Gojuin.
Gojuin era un albino, e se ne vedevano veramente pochi in giro: i capelli erano
eccezionalmente chiari, e gli occhi rossicci, rari anche per uno come lui. Il
loro colore poteva suggerire uno sguardo caldo, ma nulla di più lontano dal vero: erano glaciali. Era stata la prima cosa
che aveva notato quando l’aveva visto.
Akami e le altre due che l’avevano aggredita, furenti e doloranti, urtarono
entrambi, fuggendo su per la rampa di scale insieme alla quarta che sorvegliava
la porta. Le loro voci, infastidite e furenti, continuarono a riecheggiare mentre attraversavano la palestra vuota.
Shinobu si accasciò al suolo, ansante, appoggiandosi alla fila di armadietti in metallo. Finalmente si concesse il lusso di
massaggiarsi la ferita, da cui scaturiva un fiotto di sangue che scorreva lungo
i capelli e le si infilava nel colletto, lungo il
collo. Non era molto, ma era costante. Sperò di non aver bisogno di punti di sutura.
“Buongiorno, Gojuin”, lo salutò, massaggiandosi le tempie che ancora pulsavano.
“Qual buon vento?”
“Ori…Mi era parso di sentire delle voci provenire dalla palestra”. Porse la
mano, inizialmente incerta, verso la ragazza. “A quest’ora non dovrebbe esserci
nessuno, quindi pensavo ad esterni…”
Gojuin era un ragazzo che frequentava il terzo anno. Non era uno studente
particolarmente problematico, o meglio, nessuno aveva
mai avuto da ridire sul suo comportamento, ma il suo sguardo vuoto e gelido e i
suoi modi di fare freddi lo rendevano inavvicinabile a chiunque, professori,
ragazzi e ragazze, che pure ammiravano il suo bell’aspetto: era infatti molto
alto, un po’ più di Gojyo, aveva un bel fisico, un bel viso, e i suoi colori
avevano un che di affascinante.
“Il tuo arrivo è stato provvidenziale”. Shinobu accettò la mano che lui le
porgeva, tirandosi su appigliata alla sua stretta robusta. “Non so come sarebbe
andata a finire”
“Per quel che ho visto, non te la stavi cavando male”
Shinobu rise, sorpresa, costringendosi a smettere quando
sentì la testa rintronarle come un tamburo. Ryuho Gojuin era estremamente
freddo e cortese, e non si aspettava una simile frase da parte sua. Si chinò a
raccogliere il bastone, ed ebbe un leggero capogiro. Passò subito.
“Per favore, non riferire a nessuno quel che hai visto
oggi. Non voglio inutili chiacchiere né confronti in presidenza”, gli chiese, riappoggiando il bastone al muro. Si chinò a
raccogliere le sue cose. L’orologio non c’era, ma pazienza.
“Come vuoi”
“Grazie per l’involontaria intromissione, in ogni caso”
La conversazione, dopo quell’inizio incoraggiante, aveva assunto il
solito tono orribilmente formale. Shinobu si passò una mano tra i capelli per
sistemarli alla meno peggio – somigliava molto ad una
valchiria, in quel momento-, e fece una smorfia schifata quando li sentì
appiccicosi di sangue.
“Di nulla. Ti accompagno in infermeria?”, si propose
l’altro.
Shinobu scosse la testa. “No, grazie. Sto bene. Sono solo un po’ rintronata
dalla botta alla testa, ma passerà”
Gojuin si strinse lievemente nelle spalle, quindi, inaspettatamente, le si avvicinò.
“Credo abbia smesso di sanguinare”, commentò studiandole la ferita. “Non è
profonda”
Shinobu sorrise. “Meno male. Grazie”. Il respiro iniziava appena a
regolarizzarsi. “E’ meglio che vada a casa, prima che succeda qualcos’altro”
Gojuin annuì compostamente, precedendola. “Arrivederci, Ori”
La ragazza sorrise tra sé e sé. Si chiese se l’avesse
riconosciuta, se ricordasse quell’episodio accaduto due anni prima. Non
vi aveva mai fatto cenno, quelle poche volte che avevano conversato brevemente.
Non le dispiaceva, Gojuin, chissà poi perché. Non amava eccessivamente i tipi
freddi e scontrosi.
In ogni caso, non era quello momento per pensieri
simili. Doveva andare a casa di qualcuno a medicarsi, non
poteva di certo rientrare a casa in quello stato.
Andare da chi? Goku? No…
Era davvero strano: per quanto lo conoscesse da quasi due anni, non aveva la
minima idea di dove abitasse né sapeva nulla della sua famiglia: una volta che
gli aveva chiesto qualcosa, lui aveva assunto uno sguardo così abbattuto che
non aveva osato aggiungere altro.
E, se era per quello, non sapeva nulla nemmeno della famiglia di Gojyo, ne tanto meno di quella di Hakkai, che vivevano da soli. In
effetti…erano tutte persone alquanto schive, sebbene non lo mostrassero in
apparenza. Hakkai era cortese fino all’inverosimile, Goku appariva decisamente estroverso, quanto a Gojyo…Beh. Gojyo era uno
spudorato dongiovanni.
Sarebbe andata da Hakkai. Probabilmente stava già studiando, ma poteva anche
permettersi di disturbarlo.
Hakkai e le sue depressioni. Direttamente proporzionali ai suoi sorrisi di cortesia.
Se qualcuno l’avesse visto in quel momento, probabilmente avrebbe stentato a
riconoscervi l’Hakkai con la cravatta della divisa scolastica impeccabilmente
annodata: steso sul divano con un braccio di traverso a proteggergli gli occhi
dalla luce del lampadario, in preda a un mal di testa
fastidioso che non aveva l’aria di voler tornare sui propri passi. Aveva
iniziato a piovere, naturalmente, giusto perché il ticchettare delle gocce sui
vetri potesse vezzeggiare calorosamente il pulsare sordo che provava alle
tempie.
Sospirò, catalogando mentalmente il suo armadietto dei medicinali nella
speranza di riscontrarvi un analgesico, che sicuramente gli avrebbe causato
sonnolenza; e, tra quella e il mal di testa, non riusciva a decidere quale
fosse il male peggiore.
Temeva, in realtà, che l’umidità di quei giorni fosse solo
una delle cause del suddetto mal di testa; e che, piuttosto, ne fosse complice
il peggioramento della sua insonnia, ora non più dovuta esclusivamente a sogni
di un passato non troppo passato –ma molto reale-, ma anche a ossessive
immagini che immancabilmente si dileguavano dalla sua memoria non appena apriva
gli occhi. Volti, situazioni e voci che si ripetevano insopportabilmente, che
gli martellavano un messaggio nelle tempie, come il
sonno disturbato di chi è in preda alla febbre e non riesce a liberarsene.
Sette volte, aveva contato, si erano verificati sogni di quel tipo, e tutti
nelle ultime due settimane. Nulla da fare, per ricordare qualcosa. E i sogni lo lasciavano con una sensazione angosciante al
petto. Ma, almeno a quella, era abituato.
Si alzò, faticosamente, e si diresse verso la finestra; al passaggio, chiuse i
libri di scuola: almeno per quel pomeriggio, di studiare non se ne parlava. Il
martellare sul vetro si era fatto insopportabile, e decise
di aprire la finestra: forse alla sua salute non avrebbe giovato, ma
probabilmente al suo umore sì.
Aveva appena schiuso i vetri e assaporato le prime gocce di pioggia sul viso,
che, ironicamente, un altro martellare alle tempie gli causò
l’esplosione di piccoli lumini gialli dietro le palpebre: era il campanello.
Hakkai lasciò la finestra aperta, sempre più persuaso ad assumere
quell’analgesico che adesso gli faceva più gola che mai. Si ripromise di farlo
dopo aver aperto la porta. La vista di Shinobu oltre la soglia gli suggerì che avrebbe
avuto bisogno dell’intera cassetta del pronto soccorso.
“Oh,
non dovevi disturbarti a mettere il tè sul fuoco…non mi tratterrò tanto”
Hakkai richiuse la cassetta del pronto soccorso. Il suo analgesico aveva già
iniziato a fare effetto, e la ferita di Shinobu l’aveva sistemata alla bell’e meglio. Non era profonda, fortunatamente.
“Non mi disturbi affatto, e in realtà mi piacerebbe
sapere che cosa ti è successo. E inoltre ti conviene
smacchiare il colletto della camicia, o a tua madre prenderà un colpo”
“Hai ragione come sempre”, annuì lei. Hakkai notò che, per quanto si muovesse
vivacemente, la sua voce ogni tanto era percorsa da un lieve tremore. Shinobu
sedette sul divano, si slacciò tre bottoni sotto il collo, e si sfilò la
camicia della divisa scolastica.
Hakkai, con un leggero sospiro, decise di andare a
controllare anticipatamente l’acqua per il tè.
“Non vorrei assumere la parte del morigerato nonnino d’altri tempi”, disse
dalla cucina. “Ma non dovresti spogliarti così facilmente”
La sentì ridacchiare, probabilmente dal bagno. Iniziò lo scroscio
dell’acqua. “Non sei mica Gojyo. L’ultima persona da cui mi
aspetterei un guizzo di malizia sei tu”
Hakkai sorrise mestamente al bollitore.
“L’acqua è abbastanza calda”, annunciò, spegnendo il gas. “Sei
riuscita a togliere il sangue dal colletto?”
“Quasi tutto”, rispose lei, e il ragazzo sentì l’acqua del lavandino smettere
di scorrere.
Meno di un minuto dopo, erano entrambi seduti al tavolino del soggiorno, i
libri di scuola accatastati in un angolo. Hakkai versò il tè
in due tazze.
“Allora”, fece portandosi la sua alle labbra. Dopo l’analgesico, era un
vero toccasana per il suo mal di testa. “Adesso mi spieghi
cos’è successo? Anzi, chi è stato?”
La ragazza posò la tazza sul tavolo dopo averla appena piluccata. Aggrottò le
sopracciglia, come per minimizzare. “Niente di nuovo, Hakkai. Ho avuto uno
scambio di vedute piuttosto vivace con alcune ragazze della scuola”
Sospiro di Hakkai. “Di nuovo Ikinose? O Maki?”
“Altre”, rispose Shinobu, prendendo la tazza tra le mani, cambiando idea a
mezza strada e riappoggiandola sul ripiano in legno.
La spinse verso il centro del tavolo. “Non ho iniziato io, sia chiaro”
“Non volevo accusarti”, si giustificò il ragazzo, deponendo anche lui la sua
tazza di tè. Shinobu non ci avrebbe mai fatto caso, ma
gli sembrò indelicato continuare a bere in un momento del genere. “Se dovesse
servirti una mano…”, continuò, ma si interruppe quasi
subito. Non c’era modo di aiutarla a risolvere quel tipo di problemi, e lei un
aiuto di quel genere non l’avrebbe mai accettato.
“Hakkai”, mormorò lei con un sorriso triste. “Mi hai già dato tutto l’aiuto che
potessi darmi: non volevo tornare a casa in quello
stato. Per il resto…be’, non te la prendere, ma non credo che tu, o qualcun
altro, possiate aiutarmi con questo genere di
problemi”
Il ragazzo aprì la bocca per aggiungere qualcos’altro, ma Shinobu lo anticipò
con un gesto della mano. “E adesso…scusami…ma ho idea
che farò qualcosa di molto stupido”. Appoggiò il gomito al tavolo, e nascose il
viso dietro la mano. Hakkai fissò lo sguardo sulla finestra ancora aperta,
lasciando che si sfogasse.
“Ehi, Sagojyo!”. Il capo, un uomo piuttosto in carne, con le mani e la tuta blu
perennemente sporche di olio nero, lo chiamò mettendo
fuori la testa da sotto la macchina, una Subaru Impreza nera che aveva visto
già qualche primavera.
Gojyo non lo sentì, in un primo momento. Si era preso due minuti di pausa non
annunciata, e ne stava approfittando per fumare al davanzale, osservando le
strade affollate oltre la finestra. Luci di fari che si confondevano, rumori che alle sue
orecchie apparivano indistinti.
Un po’ come il mondo. Un mondo che, al di fuori di se stesso,
gli appariva distorto, confuso. Non aveva colori, non
aveva suoni. Solo una massa informe di percezioni.
Quella pioggia che vedeva scorrere davanti a sé
assumeva la forma di sbarre, che lo imprigionavano nella vita*. Mph, dovrei fare il poeta, cazzo.
La cenere cadde dalla sigaretta.
“Gojyo?”
Al secondo appello, il ragazzo si riscosse. Dormiva un po’ male,
ultimamente. Il suo sonno era sempre stato più che soddisfacente, ma da un paio
di settimane aveva la sensazione di sognare qualcosa di poco piacevole, che al
risveglio non riusciva a richiamare alla memoria. E si
ritrovava, durante il giorno, a cercare di ricordare ciò che la sveglia gli
portava via.
“Dimmi, ojisan**.”, rispose facendo saltar via ciò che restava della sigaretta
oltre il davanzale.
“Ti ho detto di passarmi quella chiave inglese!”, sbraitò l’altro, spazientito.
Il rosso sospirò e si avviò al bancone per prendere ciò che gli era stato
richiesto.
“Che c’è, Akage***, problemi di donne?”, gli chiese
l’uomo sarcasticamente prendendogli dalle mani l’arnese metallico. “Dillo allo
zio, cosa affligge i tuoi ormoni adolescenziali?”
“Ma quali donne!”, rispose Gojyo, stizzito. Che
gliene importava, a quel vecchio? I soliti buoni propositi ipocriti. La gente
vuole farsi i cazzi tuoi per mostrarsi buona, brava e compassionevole, ma non
appena ti serve una mano, scompare misteriosamente. E lui era sempre stato
abituato a cavarsela da solo, fin da quando era
piccolo.
Si portò le mani alla testa e si rifece il codino, che si era sciolto
scivolato. Gli piacevano i propri capelli, erano di un rosso
acceso e lunghi fino al mento. Guardò l’orologio: le nove meno un
quarto; un quarto d’ora di lavoro, e il suo unico
pensiero sarebbe stato come trascorrere la serata. A casa a dormire, vista la serata. Con questa pioggia il mondo sembra
schifosamente più nitido. E più orribile, di
conseguenza. Il turno di lavoro finì senza grandi emozioni, poco meno di quindici minuti
dopo; Gojyo salutò il capo e si gettò la giacca su una spalla, uscendo
dall’officina per prendere la moto.
“Cazzo! Ma tu vedi che tempo di merda e siamo ad
aprile!”
Tsk! Ci mancava solo che si mettesse a piovere! Sanzo calciò la prima cosa che si trovò sottopiede, una confezione di cartone
che in una vita precedente aveva probabilmente contenuto qualche schifido
intruglio da fast food. Aveva l’insana abitudine di
sfogare la sua rabbia contro gli oggetti più impensati, ma se riusciva a
dirigerla verso un oggetto senziente, magari ben disposto a contraccambiare, ci
trovava più soddisfazione. Lo stronzo con i capelli tinti di
rosso, quella mattina, era stato un osso duro, decisamente.
Camminava sotto la pioggia, i capelli biondi già completamente bagnati. Tutto va storto. Tutto, tutto.
Scosse la testa, schioccando la lingua sul palato anche se
nessuno l’avrebbe sentito. Che diavolo ci faceva lì? In che cazzo di mondo era
capitato?
Incubi lo perseguitavano da quando si era trasferito
in quella città: incubi che riguardavano qualcuno dagli occhi dorati di cui non
ricordava nemmeno il nome. E…una voce che lo chiamava. Liberami…fammi esistere!
Stronzate. Stronzate su stronzate.
Anche appurato che quella voce esistesse realmente,
lui viveva solo per se stesso.
Erano solo stupidi incubi dovuti al suo malumore che, sebbene costante, era
sensibilmente peggiorato negli ultimi tempi.
Sogni e voci. Una meraviglia.
Oh, senza dimenticare quella dannata pioggia.
Lo faceva soffocare, lo opprimeva.
I fari delle auto, dei lampioni e delle insegne si riflettevano sulle gocce di
pioggia che cadevano fitte, assumendo così quasi una consistenza corporea.
Formavano quasi una cappa. E lui…l’unica cosa che voleva, in queste giornate, era
affondare la testa sotto un cuscino e rialzarla solo la mattina dopo. Ma nemmeno questo gli era permesso, a causa degli incubi
ricorrenti.
Si era trasferito nella caotica Tokyo appena due settimane prima, con la
speranza di riuscire a mantenersi da solo, almeno lì, e di vivere alla
giornata. Ma ci aveva rimesso la propria tranquillità e i propri
sogni, in quella città infernale. Ascoltami. Ti sto aspettando.
Alzò la testa di scatto: la voce dei suoi incubi lo perseguitava anche quando
era sveglio?
“Mi sto bevendo il cervello…”, sussurrò amaramente, sogghignando. Non fare finta di non sentirmi. Per favore, vieni!
Sanzo si guardò intorno: la gente gli passava accanto,
senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Gente troppo indaffarata dalla propria vita e dai propri
problemi per soffermarsi sugli altri. Ma lui aveva imparato a cavarsela da solo.
Non aveva bisogno di nessuno. Ho bisogno di te…Ti chiamerò ancora, e
ancora. Vieni… Basta…basta!,
concluse il ragazzo affrettando il passo per allontanarsi da tutta quella folla
per strada, che lo rendeva nervoso.
Imboccò, senza neanche accorgersene, un vicolo quasi avvolto nell’oscurità.
Solo la luce fioca di un lampione che a malapena funzionava illuminava un po’
quella stradina deserta.
Sanzo affrettò ancora di più il passo. Si ritrovò a correre.
Improvvisamente, incespicò in qualcosa, cadendo sul selciato.
“Ahi!”, si lamentò una voce nel buio.
Sanzo si volse.
Si ritrovò faccia a faccia con un ragazzino che stava
accoccolato per terra, sferzato dalla pioggia, completamente zuppo. Chissà da quanto tempo era lì seduto.
Gli occhi ametista di Sanzo si incontrarono con quelli
del ragazzo, che tra l’altro era sicuro di aver già visto a scuola.
Occhi dorati.
“Tu…maledetto!”
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 18/97/09]
Non riusciva ad alzarsi; era come incollato a quel selciato bagnato, era come
immobilizzato da quegli occhi dorati che lo fissavano pochi centimetri più in
là.
Goku se ne stava zuppo e intirizzito, tremando lievemente, abbracciandosi le
ginocchia e nascondendo il viso in mezzo alle braccia. Anche
lui pareva ipnotizzato da quel ragazzo che gli stava di fronte.
Sanzo ne era sicuro: non sapeva come, ma era stato quel
ragazzino dallo sguardo da cane bastonato a chiamarlo insistentemente per tutto
quel tempo.
Questo pensiero lo fece andare così fuori dai
gangheri, che ebbe anche il potere di riscuoterlo: la prima cosa che fece,
ancora prima di rialzarsi, fu di assestargli un sonoro pugno in testa.
“Ahi! Ma perché l’hai fatto?”, piagnucolò lui sorpreso, massaggiandosi la
testa.
“Tu, piuttosto! Perché mi chiami così insistentemente?!”
“Ma io non ho chiamato nessuno!”, si giustificò l’altro, sempre più
confuso.
“Ti ho sentito chiaramente, non mentire! Sono notti che non riesco a chiudere
occhio a causa tua!”
“Non è vero!”
“Zitto”, comandò Sanzo dandogli un altro pugno e
rialzandosi. Era completamente infangato. Che figura di merda.
Non solo era caduto, ma era anche rimasto lì disteso per inutili secondi
favoleggiando su chissà quali voci. Si diede mentalmente dell’idiota, mentre si
puliva gli abiti alla meno peggio. Come poteva essere
quel ragazzino a chiamarlo nella sua testa?
Il ragazzo lo seguiva con lo sguardo -tonto (e assolutamente irritante)-, ma
non dava segno di volersi rialzare dalla strada.
“Frequenti il mio liceo, vero? Che ci fai qui con
questo tempo?”, gli chiese Sanzo raccogliendo la cartella e ripulendo alla meno
peggio anche quella, guardando schifato le macchie di fango che avrebbe dovuto
irrimediabilmente lavare via prima che si incrostassero, rendendogli il tutto
ancora più difficile.
“Sì…”, mormorò lui abbassando lo sguardo. Sì…che cazzo di risposta sarebbe? Prima di essere sopraffatto dalla
voglia di annegarlo in una pozzanghera, Sanzo decise di cambiare domanda.
“E perché non ti alzi da lì e te ne torni a casa?”. E io perché glielo sto chiedendo? Che faccia come vuole. Il ragazzino scosse la testa e non rispose.
La venetta, che, come un ‘allarme
rosso’ aveva iniziato a pulsare sulla sua fronte,
rifece capolino. “Non hai nessun posto dove andare?” Nessuna risposta, nessun cenno.
Sanzo si portò la mano alla fronte, esasperato. Perché
diavolo si stava preoccupando per lui? Le possibilità erano due. O risolveva i
suoi interrogativi sul se fosse possibile o meno
annegare una persona in una pozzanghera fangosa, o se ne andava. E non aveva
tempo per la prima opzione.
Mosse un passo, due. Si fermò. Al diavolo te e tutti! Mondo di merda! Rifece lo stesso, breve percorso all’indietro. E, per una qualche ragione che esulava dalla sua
stessa comprensione, gli tese la mano.
“Andiamo. Vieni a casa mia”
In quel momento, gli parve di sentire un attimo di sollievo nel mal di testa
cronico che gli attanagliava le cervella.
“Davvero non vuoi che
ti accompagni?”, chiese Hakkai a Shinobu accompagnandola
alla porta. Era seriamente preoccupato e dispiaciuto, e a dirla tutta si
sentiva anche indirettamente responsabile.
“No, grazie…ti ho già disturbato abbastanza”, rispose lei calzando le proprie
scarpe e il cappotto di lui, essendo il suo completamente
zuppo.
“Nessun disturbo! E’ già tardi…non è prudente camminare da sola”. Il ragazzo
esibì uno dei suoi soliti sorrisi di circostanza, che fece rabbrividire
Shinobu.
La ragazza scosse la testa: “Non è necessario…grazie di tutto, Hakkai!”
Infilò la porta, e con un ultimo cenno di saluto sparì giù dalle scale.
Ritrovandosi in mezzo
alla folla della grande strada in cui era sboccata, dopo essere uscita dal
vialetto in cui si trovava l’appartamento di Hakkai, si sentì improvvisamente
sola e triste. Forse doveva restare un altro po’, o magari farsi accompagnare
davvero…si sentiva bene, con lui. Era una persona dolce. A volte aveva
l’impressione che fosse un po’ falso, persino con se
stesso, ma comunque una persona speciale. Così diversa da tutte le facce vuote
che vedeva attorno a sé…
Un gomito la urtò nelle costole, facendole un po’
male. Alzò lo sguardo, lievemente irritata.
“Scusa, sorella ♥!”, cinguettò la voce mielosa di un ragazzo. Il
tipo in questione si soffermò un istante sul suo viso: “Sai che sei carina? Che ne diresti di
andare a bere qualcosa insieme?”, aggiunse poi lanciando un’occhiata ammiccante
al compagno.
Shinobu alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Ci mancavano solo gli idioti.
“No, grazie. Sto andando a casa”
Ostentando una faccia tosta che in quel momento le
fece ribollire il sangue, il ragazzo la prese a braccetto. “Dai,
non ti consumiamo mica! Andiamo solo a bere!”.
“Lasciami, stronzo!”, tuonò lei, poco finemente, strattonando il
braccio. “Non mi mettere le mani addosso. Ho trascorso una pessima giornata, e
la goccia che potrebbe far traboccare pericolosamente il vaso sarebbe l’insistenza fuori luogo di due coglioni
come voi!”
Quello che le aveva afferrato il braccio ostentò un’espressione vagamente
perplessa, che sostituì immediatamente con un sorriso divertito. “Ma che
caratterino abbiamo! Non sai come ci si rivolge alle
persone più grandi?”
“Non è meglio lasciare perdere quest’isterica?”,
suggerì l’altro, evidentemente meno interessato a perdere tempo con una causa
palesemente persa.
“No, è un tipo spassoso. Potremmo divertirci, stasera”, disse
lui prendendola nuovamente per un braccio e ammiccando. Evidentemente,
l’ascoltare la sua opinione non rientrava nei suoi
programmi serali.
Shinobu, sentendosi pericolosamente vicina al boilingpoint, e desiderando ardentemente evitare risse
verbali e/o fisiche, si guardò pazientemente intorno alla ricerca di qualcuno
che stesse solo lontanamente osservando ciò che le
stava capitando. In una città come Tokyo, però, evidentemente, la gente ha
troppa fretta o troppa poca voglia di grane per
fermarsi a guardare due tipi dall’aspetto poco raccomandabile che stanno
palesemente molestando una ragazza in divisa da liceale.
Certa che il ricordo della vergogna subita nel dover giocare quell’ultima carta
le avrebbe tolto il sonno per almeno due settimane, Shinobu decise di
utilizzare l’ultimo espediente, alias quello di sfruttare la pessima fama che
Gojyo si era fatto in tutte le scuole dei quartieri
adiacenti a quello del loro liceo.
“Se non vi togliete dalle palle immediatamente, Sha Gojyo del liceo T vi farà
sputare sangue ”
“Sha Gojyo?”, disse ridacchiando uno dei due, “Quell’idiota dai capelli rossi? Se
la farebbe sotto non appena vedrebbe la nostra band..”
In quel momento un pugno lo colpì senza dargli il tempo di terminare la frase.
“Chi se la farebbe sotto, finocchio?”
Gojyo era lì, il braccio ancora teso. Ora squadrava il ragazzo rimasto in piedi.
“Non ho sentito bene cosa ha detto il tuo amico. Puoi ripeterlo, per favore?”
Quello, per tutta risposta, se la filò, seguito dal pestato, che nel frattempo
si era rialzato.
“Idioti…buoni solo a parole”. Si voltò verso Shinobu. “E
idiota pure tu! Hai tutta questa voglia di farti pestare e stuprare?”
“Ma io non ho fatto niente!”, si lamentò l’altra, constatando
che, effettivamente, Gojyo aveva il tempismo di un cowboy di un buon western.
“Si può sapere che ci fai qui?”
“Stavo passando con la moto e ti ho vista per caso, così ho…diciamo ‘posteggiato’
e sono venuto a darti una mano”
Shinobu si voltò e notò la moto posteggiata alla meno peggio
davanti l’entrata di un supermarket, mentre il padrone, furioso, gesticolava e
parlava con alcuni clienti.
Fissò lo sguardo sul pavimento, aggrottando le sopracciglia in un’espressione
imbronciata.
Uno…
Due…
Tre.
“Grazie”
Gojyo si stiracchiò, divertito. “Su, andiamo, ti do un passaggio fino a casa!”
Shinobu annuì, imbarazzata, nel frattempo, dall’aver dovuto usare il nome
dell’amico per tentare di tirarsi fuori dagli impicci.
Sperava solo che lui non avesse capito, né si fosse chiesto, perché si stesse
parlando di lui.
“D’accordo!”.
Ogni volta che uno dei due doveva dire ‘scusa’ o ‘grazie’ all’altro, la cosa si
sviluppava in una vera e propria tacita sfida nel vedere quanto tempo impiegava
la persona in questione a scusarsi o ringraziare. L’altro, poi, come da routine,
esibiva un’espressione trionfante.
E così, salita sulla moto, (ovviamente Gojyo aveva zittito il proprietario del combini alzando il dito medio) messasi nella sua consueta
posizione, Shinobu si abbandonò al piacere che le dava il vento che le soffiava
in faccia forte a causa della velocità. Ormai aveva anche smesso di piovere.
La sensazione della schiena calda di Gojyo davanti a lei, della moto che
sfrecciava, delle vecchiette che imprecavano quando il
ragazzo le schizzava di fango, dei clacson rabbiosi degli automobilisti…le
piaceva incredibilmente andare sulla moto con lui.
Il ragazzo fermò la moto davanti il portone di casa sua.
Finalmente, ora che il cappuccio della giacca di Hakkai le
era scivolato, il rosso poté guardarla un po’ meglio in viso. Un’espressione
perplessa si dipinse sul suo volto, mentre allungava una mano per sfiorare le
bende.
“Ma si può sapere che hai combinato?”
Shinobu respinse la sua mano. “Niente di preoccupante”
“Non me la racconti giusta. Se ti ha importunato qualche
ragazzo dimmelo, che gli faccio ingoiare i denti!”, disse lui alzando un pugno
e sorridendo con il suo solito sorriso da seduttore spaccone. Non l’avrebbe mai
ammesso, ma l’idea che un ragazzo potesse alzare le mani su quella che
considerava ‘la sua compagna di cazzeggio’gli dava parecchio fastidio.
“No…nessun ragazzo. Un semplice incidente. Ci vediamo domani”. Non voleva
fargli sapere che aveva problemi con le teppiste della scuola, e a maggior
ragione che tali problemi erano dovuto a lui. Sorrise
timidamente, poi gli diede una pacca sulla spalla e corse dentro.
Sentì il rombo della moto che ripartiva.
La ragazza chiamò l’ascensore, vi salì e fece scattare la serratura con le
chiavi.
Dentro, tutto era come al solito: la madre cucinava,
il fratellino piccolo era disteso davanti alla tv e il padre leggeva il
giornale.
La madre la salutò, poi finalmente trasferì la sua
attenzione dalle faccende domestiche alla figlia. Il tono di voce e lo sguardo
cambiarono, quando vide le bende che le coprivano la testa e parte del viso.
“Che hai combinato, stavolta?”
Il tono, da ‘bentornata-figlia’, era passato
rapidamente al ‘cos’ho-fatto-di-male-per-avere-una-figlia-come-te’
Shinobu scosse la testa, già certa che la scusa non avrebbe attecchito, ma restia
al confessare l’ennesima rissa. “Sono solo caduta dalle scale e ho sbattuto la
testa. Mi sono fatta medicare in infermeria, non è
niente di grave”
“Sempre la solita scema”, mormorò il fratellino senza distogliere lo sguardo
dal televisore.
“Cadi troppo spesso per i miei gusti”, mormorò la madre con le mani sui
fianchi, ostentando una voce delusa. “Quando ti
deciderai a smetterla di frequentare i teppisti e di attaccare briga? Ti sembra
che i professori non me l’abbiano detto che fai spesso
a botte con maschi e femmine della tua scuola e che ti rivolgi male verso gli
insegnanti? Vorrei sapere che ho fatto di male per avere una teppista come
figlia!”
Ecco, l’aveva detto di nuovo.
Il padre, in quel momento, alzò gli occhi dal giornale e la scrutò con uno
sguardo severo. Si preparò a dire qualcosa anche lui, qualcosa di, come al solito, infinitamente più fastidioso, ma la moglie lo
anticipò.
“E il rumore di moto di poco fa, non eri tu che rientravi con qualche
delinquente?”, continuò imperterrita la donna. La ragazza decise che si era annoiata di tutte quelle
chiacchiere. “Sono affari miei quello che decido di fare nella mia vita. Non ho
fame!”, e, così dicendo, andò in camera sua, sbattendo
la porta.
Cadde seduta sul pavimento, appoggiando la schiena alla porta.
“Non sopporto più nessuno…”
Le lacrime che aveva trattenuto a casa di Hakkai
scivolarono inesorabilmente giù.
Gojyo rientrò in casa, gettandosi sul letto. Non aveva avuto la forza di
telefonare a Jin, alla fine. L’incontro con Shinobu
lo aveva distratto, e buttato di nuovo giù. Non era l’unico ad avere seri
problemi con il mondo, evidentemente.
Gettò la testa sotto il cuscino, stanco. Quindi cambiò idea e, rimessosi seduto, decise di
chiamare Hakkai. Aveva voglia di parlare con qualcuno.
Quel ragazzo taciturno e dal sorriso perennemente stampato sul suo volto (in
realtà il suo sorriso, quello vero, non l’aveva mai visto nemmeno lui) era una
delle uniche persone che riuscisse a sopportare:
sapeva quando doveva parlare e quando era meglio tacere, e inoltre Gojyo poteva
copiare indebitamente da lui i compiti in classe senza che si lamentasse.
In realtà, il loro rapporto aveva radici molto più
profonde…chissà, se non si fossero incontrati, cosa ne sarebbe stato di
entrambi. Era una storia vecchia e un po’ triste. Hakkai…un’altra
persona che aveva problemi col mondo.
Shinobu era un’altra delle persone con cui aveva un qualche tipo di rapporto:
quella strampalata ragazzina non gli stava alle costole per essere portata a
letto, non lo biasimava per la sua natura…attaccabrighe, a
meno che lui non provocasse una rissa senza il minimo significato. Era
vero, parlava un po’ troppo per i suoi gusti, ma proprio non si poteva dire che fosse un’ipocrita; e poi, lo divertiva immensamente
stuzzicarla.
La voce di Hakkai rispose, ben sveglia, al telefono.
“Pronto?”
“Pronto? Hakkai, sono Gojyo”. Il rosso fu stranamente
rincuorato di sentire una voce amica. Provò improvvisamente la voglia di
riprendere la moto e di andare da lui, ma la nota triste che la voce di Hakkai
assunse lo dissuase dal farlo.
Hakkai, di sera diventava triste.
“Gojyo? Come mai mi hai chiamato?”
“Stavi studiando?”, chiese il rosso, già certo della risposta.
“No…ero solo sorpreso di sentirti chiamare da casa. Non sei
fuori?”
Gojyo sbuffò. “Stasera…non ne ho voglia. Mi sento
stanco”
“…ti capisco. In questi giorni non ho voglia di fare nulla e dormo poco”
Un moto di complicità. “Anche tu? Come mai?”
Il ragazzo dagli occhi verdi tacque per un momento. Poi la sua voce risuonò
nuovamente nell’etere, più stanca e triste di prima. “Sogni strani”
Il rosso scattò in piedi, sorpreso. “Anch’io!”
Una nota di sorpresa apparve nella voce di Hakkai: “…davvero? Che sogni?”
“Non ricordo mai nulla al mattino. Solo…fiori di
ciliegio e sakè”
“Io ricordo di sognare qualcuno, ma non riesco mai a
ricordarmi i volti, al mattino”
“Non ci posso credere. Non saremo legati a livello karmico?”
“Non credo a queste cose.”
“…veramente neanch’io. Madev’esserci
qualcosa che esula dalla nostra comprensione, in questo schifo di vita”
Hakkai tacque, pensieroso.
“Prima è stata qui Shinobu”
“Davvero? Allora veniva da casa tua? L’ho incontrata mentre
aveva da discutere con due teppisti”
Nessuna risposta, per qualche secondo. Poi un sospiro. “Lo sapevo, che dovevo
accompagnarla a casa…”
“L’ho accompagnata io. Come mai era
da te?”
“Aveva bisogno di una base dove leccarsi le ferite, e non solo in senso
figurato. Sembra che quei ragazzi che hai visto tu non siano stati gli unici
con cui ha avuto da ridire, oggi.”
“A me ha detto di aver avuto un incidente, ma non ci ho creduto nemmeno per un
momento”
“Uhm, pare che parecchie ragazze della scuola siano…di
vedute ristrette. Sembra che la considerino una che fa di tutto per mettersi in
mostra ”
“Lei? E’ svitata di suo! Ci sarebbe davvero da preoccuparsi, se lo facesse appositamente”
“Questo lo sappiamo io, te e Goku, non loro”
Gojyo si lasciò ricadere sul letto, improvvisamente sfinito.
“In ogni caso…sapevo che aveva dei problemi, ma non pensavo di esserne la
causa.”
“Non ti gasare. Nessuno di noi può farci granché, è una sfida tra donne che
deve risolversi tra donne”
“Posso picchiare i ragazzi che la infastidiscono, ma
non sia mai che alzi un dito sulla donne”
“Già”, ridacchiò Hakkai, “Non sarebbe da te”
“…in ogni caso, quella ragazza ha un che di strambo”
“Questo è vero. Ha un che di caloroso. E non si fa
problemi a dire le cose come stanno. Dote rara, di questi tempi”
“Sì…”. Gojyo osservò un attimo di silenzio, quasi stesse meditando.
“Hakkai, chiudo. Vado a studiare qualcosa e poi a dormire, sperando che sia una
notte tranquilla”
“Spero che la mia lo sia altrettanto”
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 24/02/08]
“Allora, stupida scimmia? Hai finito?”
Un accappatoio blu scuro addosso, proprio come scura
era la birra che teneva in mano, Sanzo aspettava davanti la porta del bagno,
battendo nervosamente un piede per terra.
La porta si aprì.
“Finalmente!”, sbottò il biondino, seccato.
Goku, i capelli che grondavano goccioline d’acqua, un asciugamano avvolto
intorno alla vita e sulle spalle, uscì, lo sguardo ancora rabbuiato.
Sanzo si portò una mano alla fronte, esasperato e stanco. Gli lanciò addosso alcuni vecchi vestiti. Non sapeva nemmeno di averli
portati con sé, finché non si ricordò che quelli erano probabilmente gli ultimi
vestiti che suo padre gli avesse comprato prima di
morire. Probabilmente li aveva presi senza nemmeno pensarci, quando aveva
lasciato il vecchio appartamento, se così poteva chiamarlo. “Vestiti!”, ordinò
prima di allontanarsi verso la propria camera per vestirsi a sua volta.
Giunto in prossimità del letto, dopo aver chiuso la porta, si sedette. Che diavolo mi è preso? Perché
ho portato quel ragazzino qui? E’ impossibile che sia stato lui a chiamarmi,
ma…quegli occhi! Ho avuto una sensazione di deja-vu…non ho potuto fare altro che tendergli la
mano. Me le cerco tutte io! Chissà perché, il suo circuito mentale avviò autonomamente un collegamento
con i sogni che lo torturavano ogni notte.
Si ricordava solo occhi dorati…e una sensazione di nostalgia…quella stessa nostalgia che aveva provato al vedere il ragazzino
mestamente seduto per terra sotto la pioggia. E dannazione, anche lui aveva gli occhi dorati!
La domanda insistette ancora, bruciante: Perché? Scosse la testa. Era troppo stanco per pensare. Uscito da scuola, era
andato al lavoro alla farmacia dove l’avevano assunto, e ora aveva da studiare.
Non poteva badare anche al ragazzino. E anche se
avesse avuto tutto il tempo del mondo, lo avrebbe fatto sloggiare in ogni caso,
al più presto possibile. Si rivestì in fretta. Mentre sfilava la testa dallo scollo a V della t-shirt
che aveva indossato, la porta della camera da letto si aprì. Ne
entrò Goku, tenerissimo in quegli abiti che gli andavano leggermente
larghi, e quel suo viso spaurito.
Sanzo si ritrovò inutilmente a chiedersi come fosse possibile che i suoi abiti
di quando aveva tredici anni stessero così larghi a lui che ne
aveva quasi diciassette.
Il ragazzino si sedette sul letto, accanto a Sanzo.
“Tsk! Non ti hanno insegnato che prima si bussa?”, bofonchiò il biondo,
non sapendo che altro dire, per il momento. Ma Goku non rispose.
“Mi dici almeno come ti chiami?”
Il ragazzo s’inumidì le labbra. “Goku…Son Goku”
“Allora ce l’hai la lingua!”, commentò acidamente
Sanzo accendendosi una sigaretta.
“Tu…sei Sanzo, vero? Ti ho visto stamattina mentre
uscivi dalla classe”
Il biondino annuì, ma non aveva intenzione di lasciar perdere il discorso. “Ce l’hai una casa?”
Goku si limitò a scuotere la testa. “Non più…”
“In ogni caso, domani vedi di sloggiare. Non so nemmeno perché ti ho portato
qui, stasera”, ribatté burberamente lui. “Dormi di là,
sul divano”
Goku scosse la testa. “Ho paura…del buio. E fa tanto,
tanto freddo”
Sanzo, esasperato, gli assestò un pugno sulla testa. “Ma
non hai diciassette anni? Stupida scimmia!”. Dopo averlo sospinto fuori dalla porta, si gettò sul letto. Non aveva proprio
voglia di studiare. Iniziamo col far capire alla scimmia chi comanda in casa mia. Cercò di
addormentarsi, cosa che gli riusciva sempre difficile, perché durante il sonno
lo assalivano immagini legate a ricordi poco piacevoli. Mentre si rigirava nel letto, sentì la presenza di qualcuno
che si distendeva accanto a lui.
“Che vuoi?”, sbottò, ferito nella sua privacy.
“Ho…ho provato a fare come dicevi tu, ma mi fa paura quella stanza vuota”. Il
ragazzino allungò timidamente un braccio e gli cinse una spalla.
Il biondino scosse la testa, sempre più esasperato; non desiderava la presenza
di un’altra persona accanto a lui mentre si autocommiserava durante la veglia precedente il sonno, ma
d’altronde, anche se non lo avrebbe mai ammesso, forse tale presenza l’avrebbe
tranquillizzato.
“Tsk! Fa’ come vuoi!”.
Inspiegabilmente, cadde in un sonno tranquillo e piacevole.
Che bel calore…da quanto non dormivo così comodo?,
si chiese Goku aprendo gli occhi. La prima cosa che vide fu il colore della
luce.
Era la prima sera, dopo tanto tempo, che dormiva tranquillamente: i soliti sogni lo avevano perseguitato nelle prime ore di sonno,
abbandonandolo poi per lasciare spazio a tanta luce. Che bello!,
pensò Goku allungando una mano e tirando quelli che sembravano tanti fili
dorati davanti al suo viso.
“Ahia!”, sobbalzò Sanzo sentendosi strappare i capelli. Scattò seduto sul letto
e colpì il ragazzino con un giornale arrotolato che stava sul comodino. “Si può
sapere che fai, stupida scimmia?!”
“Mi hai fatto male!”, piagnucolò il ragazzino massaggiandosi la testa.
“Si può sapere perché mi hai tirato i capelli?”, chiese Sanzo colpendolo di
nuovo.
“Scusa…è che li ho visti davanti a me così vicini…sembravano tanti raggi di
sole!”
Il biondino arrossì lievemente a quel complimento così ingenuo. Poi si riscosse,
e lo colpì un’altra volta. “Stupida scimmia!”
“Sanzo…”
“Che c’è, ancora?”
Un sordo brontolio fu ancora più eloquente della sua voce. “Ho fame…”
“Io ti ammazzo!”
Era ancora l’alba.
Non potevano essere che le cinque o le sei.
Shinobu si chiuse la porta alle spalle; inspirò l’aria frizzante di quel
mattino di aprile e si decise a muoversi.
Ogni volta che litigava in quel modo con i suoi, usciva sempre di casa prima che tutti si alzassero. Di solito trascorreva
quelle due o tre ore nel parco, su un’altalena, andava a fare colazione in
qualche caffetteria aperta o scavalcava il cancello di scuola per entrare e posizionarsi in classe per ripassare qualcosa; questa volta,
però, aveva in mente di andare altrove. Attraversò l’incrocio, anche se il
semaforo era rosso: in fondo, non si vedeva neanche l’ombra di una macchina, a
quell’ora; trovando il portone aperto, s’introdusse in una palazzina che
constava di tre piani. La zona non era delle migliori, ma per
fortuna non si vedeva nessun malintenzionato in giro; salì di corsa le scale, dato
che mancava persino l’ascensore, e si fermò davanti la porta di casa: alzò
l’indice per suonare il campanello, ma poi si fermò: forse era troppo presto
per svegliare una persona. Mentre cambiava idea
e tornava sui suoi passi, si accorse che la porta di casa era aperta. Quell’idiota!,
disse tra sé e sé. Ora gli combino un bello scherzetto!.Così, si decise ad entrare in casa di Gojyo.
Diavolo, se c’era confusione, in quella casa: quasi mancava lo spazio per
posare i piedi per terra.
Sentì russare così, ridacchiando, si diresse verso la camera da letto: in mezzo
al caos infernale di quella stanza, vide la figura tranquilla di Gojyo che
dormiva beato spaparanzato nel letto, coperto fino al torace che sembrava nudo.
Per fortuna era solo; la sera prima non le era sembrato tanto in vena di attività notturne, ma non si poteva mai sapere.
Ridacchiando ancora alla vista di quel ragazzo che di solito era un teppista,
ma che in quel momento aveva il viso più dolce del mondo, Shinobu si avvicinò
al letto, quasi inciampando su una rivista porno. Si chinò un po’ per osservare
il viso del ragazzo, che continuava imperterrito a dormire.
Improvvisamente, il ragazzo allungò un braccio e le sfiorò una gamba.
“Mmh…avvicinati un po’ di più…”, mormorò nel sonno posizionandole una mano tra le gambe, afferrandola per una
coscia e traendola a sé. Rimasta per un attimo interdetta, la ragazza lo colpì
in viso con un pugno. “Sei un maniaco anche quando dormi! Ritiro tutto ciò che ho pensato un attimo fa!”, gridò, arrossendo appena.
Il ragazzo si drizzò a sedere, perplesso, spostando un po’ il lenzuolo. Dopo
essersi guardato per un attimo intorno, realizzò che
la ragazza che gli stava davanti era più che reale, così come più che reale era
stato il pugno che gli aveva dato. “Shinobu!? Si può sapere che cazzo ci fai a casa mia?”, alzò la voce.
In quel momento si mosse un po’ troppo, e il lenzuolo si spostò
definitivamente, scivolandogli sulle gambe abbronzate. Era completamente nudo.
Shinobu incrociò le braccia, scuotendo la testa con aria
indifferente.
“Hai la femminilità di un cassonetto dell’immondizia!”, commentò lui
coprendosi velocemente. Che diamine, doveva essere
proprio lui a rimproverarle la mancanza di senso del pudore?
“Oh, mio Dio! Ora non potrò più prendere marito!”, rispose lei con voce
monofonica.
“Cretina! Dov’eri quando hanno distribuito
l’intelligenza?”
“Con te, probabilmente”
Il ragazzo si affrettò a rivestirsi. “E sei anche
maniaca! E’ tua abitudine intrufolarti in casa degli altri senza permesso?”
“Meno male che ero io e non un ladro! E’ tua abitudine lasciare la porta
aperta?”
Gojyo, che si era messo addosso un paio di pantaloni,
si lasciò ricadere sul materasso. “Tanto, non è che ci sia nulla da rubare…mi dici che cazzo ci fai qui?”
La ragazza gli si avvicinò e si inginocchiò davanti al letto. “Stamattina sono
uscita presto…e avevo pensato di venirti a trovare, ma
la porta era aperta e così sono entrata! Tu da perfetto maniaco mi hai infilato
le mani in mezzo alle gambe ed eri pure nudo!”
Gojyo si portò una sigaretta alle labbra, poi si mise a tastare qui e lì sul
letto. “Porca miseria! Ma dov’è l’accendino…”
Shinobu si guardò intorno e lo trovò vicino a lei; gli accese la sigaretta che
portava alle labbra.
“Come mai sei uscita di casa all’alba?”
“Al solito…ieri sera ho litigato con i miei”
“Per la moto?”, chiese Gojyo ridacchiando, ripensando alla sera in cui la madre
di lei l’aveva aggredito verbalmente, dicendogli di stare lontano da sua
figlia, dopo che l’aveva riaccompagnata a casa.
“Anche…ma era solo una scusa. Mia madre non sopporta che io non sia brava e buona come le mie compagne e che leghi solo
con…delinquenti, come chiama quelli come voi”
“Lo siamo!”, rispose quello con un sorriso furbo.
Shinobu scosse la testa. “Chiamatevi come volete, ma a me non fate nulla di
male. Sarò banale, ma finché si sta bene con una persona, che importanza ha quello
che la gente pensi di lei?”
“Che c’è, ti sei messa a fare la predicatrice? Il
mondo è quello che è, devi cavartela da sola, e basta. Perché
non vai via di casa, se non stai bene con i tuoi?”
“Perché voglio loro bene. Non è la mia famiglia che non va…è che mi
sento fuori posto, come se non dovessi stare in questo mondo. Odio la gente
ipocrita, odio le mie compagne, odio i vecchietti
bigotti per strada…non ce la faccio più”
Gojyo tacque: si era improvvisamente ricordato perché quella strana ragazza era
una delle poche persone con cui parlava. La pensava esattamente come lei, solo
che lui prendeva la palla al balzo e si divertiva, usava le persone a suo
piacimento, anche se non gli piacevano. Specialmente le ragazze. Ma lei no, non usava nessuno: diceva ciò che pensava senza
peli sulla lingua, ed era per questo che stava bene con lei…
Le diede un buffetto sulla testa. “Sei semplicemente deprimente. La pianti di autocommiserarti? Sai che ti
dico? Bigiamo le lezioni e ce ne andiamo da qualche
parte”
Shinobu alzò la testa, indecisa. “Bigiare? Non sarebbe la prima volta, questa settimana…ma tanto cos’ho da perdere?”
Gojyo si alzò dal letto. “Brava. Vado a fare una doccia. Spia pure, se hai voglia di vedere un bell’uomo”,
ammiccò con tono spaccone. “Prendi il casco che c’è all’ingresso”
Shinobu sentì la porta del bagno chiudersi. Si guardò intorno: certo che c’era
un caos, lì…Si rimboccò le maniche e decise di dare una pulita alla stanza.
“E cammina, che siamo in ritardo!”, sbraitò Sanzo dando una sonora spinta alla schiena di Goku, che camminava appena davanti a
lui.
“Ma perché dobbiamo correre così?”, piagnucolò Goku con in bocca una brioche.
“Perché hai perso un’ora per fare colazione!”, rispose quello dandogli
l’ennesimo pugno sulla testa. Ancora un po’, e avrebbe iniziato a fumargli la
mano. Mentre camminava velocemente, alcuni pensieri gli frullavano
in testa: aveva compiuto un’azione assurda dietro l’altra, dalla sera prima;
aveva dato retta a quegli stupidi sogni; aveva portato a casa sua quell’inutile
ragazzino; gli aveva permesso di dormire nel suo letto con lui e di svuotargli
il frigorifero, e ora stavano persino andando a scuola insieme! Mai nei
suoi diciott’anni di età si era stupito così tanto di se stesso.
Il ragazzino si bloccò di colpo, agitando una mano. “Ehi! Hakkai!”; Sanzo, che
si era distratto, per poco non gli andò contro.
Il ragazzo dagli occhi verdi, che si stava ripulendo gli occhiali, lo vide e si
avvicinò a lui. “Ciao, Goku!”. Poi si voltò verso Sanzo, salutandolo con un
formale “Buongiorno”. Il biondo rispose scorbutico “Tsk!”. Dalla sera prima,
in cui aveva raccattato quel ragazzino da terra, aveva inconsciamente pensato
che fosse solo al mondo. Ma, evidentemente, aveva
conoscenti. Si può sapere, allora, perché aveva fatto
tutta quella tirata del ‘non so dove tornare’? Non ci
capiva più niente, non aveva ottenuto una sola
spiegazione sugli avvenimenti precedenti al loro incontro. Ma in fondo, che gliene importava? Affrettò il passo,
e si allontanò.
Che quello stupido ragazzino facesse come gli pareva,
l’importante era che non lo disturbasse più.
“Sanzo! Aspettami! Dove vai?”, gli chiese lui
correndogli dietro e prendendolo per la manica. “Dove
vuoi che vada…a scuola! Torna dai tuoi amici e non mi seccare più!”
“Ma Sanzo…”
“Ho detto di andare via!”, sbraitò il biondo. Se la stava prendendo più del dovuto, o sbagliava?
Hakkai, intanto, rimase a fissare quella scena, perplesso…che rapporto c’era
tra i due? Fino al giorno prima pareva che Goku non lo
conoscesse, ma adesso…Gli ripugnava pensare ad un possibile incontro notturno
del tutto occasionale: Goku aveva meno malizia di un bambino di dieci anni, e l’altro
non aveva l’aria di un tipo del genere.
Scosse la testa, avvicinandosi a Goku, che, come il giorno
prima, osservava silenzioso il vuoto. Gli sfiorò una
spalla.
“Dai, andiamo…gli parlerai più tardi”, gli disse, pur riconoscendo di non
sapere nulla della situazione né di poter aggiungere nient’altro.
“Vieni con noi” “Ma io ho fame!!!!” “Ti ho detto di seguirci, mostro” Io non sono un mostro.
Io…chi sono io?
Qual è lo scopo della mia nascita?
Le catene pesano…sono fredde. “Vieni con me. Conosco una persona con cui potresti stare” Una persona…con cui poter stare? Esiste una
persona che non abbia paura di me? Che non mi odi? “E questo cos’è?” Capelli biondi…che brillano tutti. Mi ricordano tantissimo il sole. Due occhi stupendi che potrebbero gelare persino le fiamme.
Mi piace. E’ con lui che voglio stare: mi fa sentire bene. “E io dovrei tenere questa stupida scimmia con me?” Scimmia?
Non sono una scimmia.
Sono qualcuno che ha bisogno di te; perché non te ne accorgi?
Fammi tuo: dammi un nome. Marchia la mia persona con una semplice parola. “Goku. Il tuo nome sarà Goku” Ecco.
Adesso sono davvero tuo.
“Sei tu…che porti disgrazie. E’
colpa tua se è morta” Io? No…non è vero, non ho fatto nulla.
Le ho voluto bene.
Lei mi voleva bene. Eppure…se n’è andata. Perché mi batti? Perché nei tuoi occhi stralunati vedo odio e
rabbia?
Lasciami in pace…
Voglio fuggire via di
qui.
Ho sentito la sua presenza.
“Son! Ti sei di
nuovo addormentato in classe!”
Il professore di matematica sbraitò contro il ragazzino, battendo un
pugno sul banco.
Goku sobbalzò, ritrovandosi in classe.
Cos’aveva sognato? Non ricordava nulla... Solo…tristezza. E annichilimento. Era stato di nuovo abbandonato?
No.
Non voleva.
Aveva sentito la sua presenza.
Lui l’avrebbe portato via dalle tenebre in cui aveva sempre vissuto.
Non poteva lasciarlo così.
Questa volta avrebbe fatto valere la propria presenza. Non voleva più essere
lasciato indietro. Aveva capito che quella persona appena conosciuta era la persona con cui avrebbe voluto dividere il suo tempo. Aspettami, Sanzo…
La campanella di fine lezioni era suonata da alcuni
minuti.
Sanzo si stava recando a casa, per posare divisa e cartella, dato che quel
giorno aveva doppi turni alla farmacia dove lavorava. Alzò gli occhi quando sentì dei passi veloci dietro di lui, e una
mano invadente afferrarlo per la camicia. Non ci voleva molta fantasia per
immaginare chi fosse.
“Sanzo!”, lo chiamò Goku con la consueta voce squillante.
“Ancora tu?”, mormorò, freddo. “Si può sapere cosa vuoi da me?”
Sanzo si chiese per l’ennesima volta quale insana idea gli fosse
venuta in mente. Se l’era cercata.
“Posso…posso tornare
con te a casa tua?”
“Ovviamente no.Perché mi perseguiti?”
Gli occhi dorati di Goku brillarono di decisione. Basta commiserazione. Voleva
stare con quella persona, e gliel’avrebbe detto. Anche a costo di annichilirsi nuovamente.
“Perché ieri sera ho
perso un posto dove stare, poi ho visto te e ho sentito una sorta di nostalgia…perché
tu ti sei accorto di me, perché mi hai portato via dalla strada, e perché hai
detto di aver sentito una voce…perché voglio capire chi sei e il motivo di
questa sensazione di…”, cercò le parole adatte, e gli vennero in mente quelle
di Hakkai, “…di rivivere una seconda
volta tutto questo”
Il ragazzo dai capelli biondi si fermò e si voltò sconcertato, e tutto il suo
autocontrollo non bastò a nascondere la sua reazione agli occhi di Goku; Sanzo
avrebbe quasi preferito ritenersi impazzito, piuttosto che pensare che ciò che
provava lui avesse una corrispondenza. Una coincidenza, senz’altro, ma
seccante. E una voce dentro di lui gli diceva che non
era così.
“Tu…cosa devo fare con te?”. Non aveva avuto intenzione di dirlo ad alta voce,
eppure l’aveva fatto.
Gli occhi dorati del ragazzino lo guardarono, ancora. Goku sorrise, inclinando
leggermente la testa di lato. Di nuovo, quella sensazione
di nostalgia e di tranquillità lo prese.
“A te la scelta, Sanzo…portami con te…”
Ormai era chiaro, era stato lui a chiamarlo, lui era la chiave di tutti quei
sogni strani che lo tormentavano da quando era
giunto a Tokyo. Sospirò: che fosse chiaro, se portava quella scimmia con sé era
solo per proprio tornaconto personale, solo per capire che legame avesse con i suoi
sogni. In ogni caso, qualunque fosse il motivo, quella era stata la seconda
persona in assoluto a cui si fosse
interessato, in tutta la sua vita.
Si rialzò e gli porse nuovamente la mano.
“E va bene, scimmia. Hai
vinto…andiamo a casa”
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 24/02/08]
*la parte successiva è una
regressione alla mattina del giorno narrato nel
capitolo precedente*
“Ahh…che
aria piacevole si respira qui!”, esclamò Shinobu, mentre i capelli le
svolazzavano qui e lì; se li sistemò dietro le orecchie. La tristezza di quella
mattina era svanita, lasciando il posto ad un bellissimo sorriso.
Gojyo intanto, appoggiato a un tronco, seduto sul
prato del parco dove l’aveva condotta, la osservava ridendo tra sé e sé di quei
comportamenti così infantili e innocenti. E poi,
faceva bene anche a lui un po’ d’aria, ogni tanto. Le sigarette sembravano
addirittura più buone.
La ragazza, che correva qua e là, sparì per un momento dalla sua vista, poiché era ridiscesa un po’ per il pendio.
Gojyo alzò appena un po’ la testa per vedere dove si fosse
cacciata, quando si sentì chiamare. “Gojyo! Ginger, vieni qui! Guarda!”
Il ragazzo, sospirando, si alzò, dopo essersi spento la sigaretta sul
tacco della scarpa. Fece alcuni passi e si affacciò: davanti a lui, si stendeva
una piccola vallata verde dove erano piantati alcuni alberi di ciliegio, ora in
piena fioritura. Presto sarebbe stato tempo di hanami.
Vide Shinobu correre attorniata dai petali rosa che il vento le sospingeva addosso, e decise di raggiungerla. Gli piaceva,
ogni tanto, staccare un po’ dal traffico cittadino. Era vero, quel parco si
trovava pur sempre in città, ma quel mattino non c’era
nessuno, e se chiudevi gli occhi e fingevi di non sentire i rumori del
traffico, riuscivi a sentirti in un mondo a parte. Ridiscese velocemente il pendio, accorgendosi che aveva di
nuovo perso di vista la ragazza. Si disse che
ci voleva un guinzaglio, per lei. Peggio dei bambini…
Si guardò intorno, entrò nella macchia d'alberi e si appoggiò ad un tronco,
chiedendosi dove potesse essere finita. Improvvisamente, la testa rovesciata
della ragazza fece capolino giù da un ramo che stava proprio sulla sua testa.
“Cucù!”, disse ridendo la ragazza.
Gojyo, un tipo troppo aggressivo per trovare
divertenti simili giochetti da bambini di terza elementare, non parve trovare
il minimo interesse in quello scherzetto. “Scendi, scema! Potresti cadere!”
“Ma guarda che…”, disse la ragazza, ma non finì di parlare, perché le
sue gambe persero la presa e lei cadde a testa in giù verso il prato, finendo
però sopra Gojyo, che perse l’equilibrio e cadde a terra a sua volta.
Innumerevoli petali rosa si staccarono dal ramo e caddero insieme a loro, portati via dal vento.
Nessuno dei due parlò, per decine di secondi. Shinobu, le labbra semisocchiuse,
sembrava incerta se guardare lui o i fiori. Sotto di lei, Gojyo sembrava non
avere dubbi: la fissava senza proferire parola, e Shinobu poté giurare in
seguito che per un attimo non gli era sembrato nemmeno lui.
“A…alzati”, riuscì finalmente a dire il rosso. Si riscosse. “Perché non ti
comporti da persona intelligente, una volta tanto?”
Anche l’altra parve risvegliarsi da quel momento di imbambolamento. Iniziò a massaggiarsi il gomito.
“Appena ho visto quell’albero, mi è venuta
improvvisamente voglia di salirci…”
“Come una scimmia o uno scoiattolo…da dove ti vengono certe idee?”, le fece
Gojyo, rialzandosi. Shinobu giurò di averlo visto arrossire per un attimo.
La ragazza lo imitò e andò a portarsi sotto il tronco dell’albero da cui era
caduta: era davvero bellissimo. Posò una mano sulla corteccia, e alzò lo
sguardo per osservare la cascata di petali che le continuavano a cadere sulla
testa.
Trovo che i fiori siano bellissimi… “Non trovi che i
fiori siano bellissimi, Gojyo?”, assentì, voltandosi. “Il cielo, poi, visto da
sotto gli alberi, sembra incorniciato come in una cartolina”
“Già”, confermò Gojyo, guardando più lei che l’albero.
Shinobu si gettò sul prato, distesa. Non avrei mai pensato
di poter vivere un momento simile…di poterlo
condividere. “Non so nemmeno spiegarti come mi sento…so solo
che è bellissimo poter condividere con una persona un simile momento”, mormorò
la ragazza, un po’ imbarazzata.
Gojyo si inginocchiò accanto a lei, quindi, cambiando
idea, si gettò anche lui sull’erba, nella stessa posizione di Shinobu –con le
braccia lunghe distese sopra la testa-, le dita quasi a sfiorarsi. “Quando provo a gridare, di fronte a questo
cielo… è come se la mia voce si perdesse”, si scoprì a dire.
Shinobu ebbe per un momento una sensazione di capogiro, là distesa. Fu quasi
come se le sue labbra si fossero mosse per conto proprio: “E’ vero. Il cielo è così grande…” …che mi fa venire freddo. “…che mi fa venire freddo.”
Gojyo si tirò su immediatamente, sconcertato. E la sua sensazione non svanì quando la lesse anche negli occhi di Shinobu.
“Vorrei andare via”, disse Gojyo, a disagio.
“Sì…”. Shinobu abbassò lo sguardo. “Ho fame, dai, andiamo a mangiare qualcosa!”
La moto giunse rombando davanti il
cancello della scuola. Tutte quelle pare mentali erano svanite pian piano, tra
il pranzo e la corsa in moto, e dopo una decina di minuti di silenzio, i due
erano tornati a parlare quasi normalmente.
Gojyo si tolse il casco e fece un cenno agli altri motociclisti, che si
portarono vicino a lui.
“Ehi Gojyo! Te la sei presa comoda stamattina, vero?”
Anche Shinobu si tolse il casco e li salutò: tutti si
voltarono a guardarla. “Ehi, c’è Shin-chan!” “Ciao Shin-chan!”
“Te la sei spassata con il capo tutto il giorno?”
La ragazza scese dalla moto, divertita. “Siamo andati solo a farci un giro. Ora
devo proprio andare a casa, ragazzi…ci vediamo domani”
“Aspetta, dove vai? Non vieni con noi a bere?”
La ragazza si fermò, incerta, quasi con le orecchie drizzate.
“La parolina magica, eh?”
“Andiamo, ragazzi…lo sapete che Shinobu non regge”, la canzonò
Gojyo.
“Proprio tu non dovresti dirlo…è ovvio che voi risentiate di meno dell’alcool,
bestioni come siete, ma ti ricordo che, nonostante la mia costituzione, reggo
più che dignitosamente” Jin, un ragazzo tutto tatuato, scoppiò a
ridere. “Hai la lingua lunga come sempre, tu…non esagerare, stasera, mi
raccomando”
Gojyo aggrottò un sopracciglio, divertito. “E fu così che la recuperammo dal
pavimento del bagno”
Shinobu arricciò il naso, piccata, ma trovò anche lei la battuta divertente, e
non così dissimile dalla realtà; specialmente dopo una volta in cui l’avevano letteralmente recuperata dal pavimento
del bagno, dopo dieci drink a stomaco vuoto.
“Oh beh, almeno i miei livelli pietosi non sono lontanamente paragonabili a
quelli di Gojyo…”, cinguettò, “Io almeno non ho mai
tentato di rimorchiare un travestito a Shibuya, sotto
gli effluvi dell’alcool…”
Le risate furono fragorose, escluse ovviamente quelle di Gojyo.
“Lo sapevo che l’avresti detto, lo sapevo! Tiri sempre
fuori quella storia quando non sai come ribattere!”
“Sì, ma è una storia vera, no ♥? Hai poi richiamato Hiroko?
Mi sembrava che le…gli…piacessi abbastanza!”
“Tu…”; ma non seppe come continuare, anche perché
ridevano tutti, lei compresa. Finiva sempre così.
Sanzo chiuse il telefono. Era la
prima volta che si dava per malato, al lavoro, e aveva persino i doppi turni,
quella sera. Si sedette sul divano: davanti a lui, seduto su una sedia, stava
Goku, le gambe che penzolavano avanti e indietro.
“Allora…vuoi raccontarmi che cosa ti è successo?”, gli chiese Sanzo, composto.
Goku non rispose, continuando a tenere lo sguardo abbassato.
“Se non vuoi parlare, non importa…”, disse Sanzo accendendosi una
sigaretta. “Segui da solo la via che hai scelto…”
“Io…è solo che non ho più un posto dove stare. Tutto qui”
Sanzo gli diede un pugno sulla testa. “Me l’hai già ripetuto mille volte,
scimmia!”
Il ragazzo si lasciò cadere di nuovo, rassegnato, sul divano: si sentiva
stanco, perché era la prima volta che aveva a che fare con qualcuno in quella
maniera, e la cosa lo stancava non poco.
Il ragazzino non gli aveva detto nulla, di lui non sapeva che il nome: Goku…
“Go”: “comprendere ciò che è” e “Ku”:
“ciò che è invisibile”. Non sapeva perché, ma anche quel nome gli comunicava un
senso di nostalgia…si chiese chi glielo avesse dato.
Aveva famiglia, quel ragazzino? O viveva in un
istituto? Se veniva a scuola, dove lo aveva visto
allegro con altri strampalati, in che posto tornava? E
perché adesso non poteva più tornarci?
Evidentemente, non voleva parlargliene. Pazzesco, lui se l’era portato a casa,
e non si fidava a raccontargli ciò che gli era successo? Beh, che si arrangiasse.
“Non hai dei soldi?”, gli chiese.
“Non ho più nulla”, rispose lui senza alzare lo sguardo. “Ah, però non
preoccuparti, mi troverò un lavoro”
Sanzo si portò la mano alla fronte e la fece scivolare fino al mento,
esasperato.
“Andiamo”, gli disse. “Ti porto a comprare qualcosa. Ma ricordati che mi restituirai tutto, fino all’ultimo yen.”
Goku lo guardò con uno sguardo pieno di riconoscenza., che per un momento spaesò Sanzo.
Ma il biondino si ricompose subito, affrettandosi a darsi quel contegno che era
abituato ad assumere. “Ora muoviti, stupido! Non ho tutta la serata!”
Ora mi tocca pure mantenerlo…cose da pazzi!, pensò Sanzo, appoggiato alla parete.
Alla scimmia servivano vestiti, d’accordo, ma non aveva intenzione di sceglierglieli, diamine. L’aveva mollato
nel negozio e aveva deciso di aspettarlo fuori.
Sbuffò annoiato, nonostante Goku fosse dentro da pochi minuti. Peggio delle donnette.
Lasciò vagare lo sguardo per la strada, annoiato.
“Sanzo?”
Sentendosi apostrofare, il biondo alzò lo sguardo su quello che si rivelò
essere il ragazzo che aveva incrociato a scuola quel giorno, Hakkai, forse.
Mimò un saluto con il capo, non troppo convincente.
“Ah, allora ricordavo bene il nome…meno male”, sorrise Hakkai, e a Sanzo non
mancò di sfuggire l’aria ipocrita che tirava.
Tuttavia, gli fu impossibile rispondergli in maniera maleducata.
“Sì, sono io. Tu invece sei Hakkai, se non sbaglio”
L’altro annuì cortesemente, poi si fece silenzio. Sanzo guardava Hakkai, e
Hakkai guardava Sanzo. Entrambi sembravano
rimuginare qualcosa di cui erano restii a parlare.
A rompere il silenzio fu Hakkai. “Ascolta…Goku…”
Sanzo lo scrutò, curioso di sapere dove volesse andare a parare; in fin dei
conti, anche lui voleva parlargli della scimmia.
“Io…non vorrei sembrare invadente, ma…”
“Avanti”
“Vi conoscete, giusto?”
“Solo da ieri”
“Che rapporto hai con lui, se non sono indiscreto?”
“Sì, sei indiscreto”. Tacque per alcuni secondi.
“Questi sono fatti miei. Ma anch’io, in realtà, ho qualcosa da chiederti, per cui…”. Si sentiva improvvisamente idiota. “L’ho trovato
ieri per strada, sotto la pioggia”
Hakkai lo guardò sconcertato: sapeva ben poco della vita privata di Goku, ma possibile che fosse scappato di casa? E soprattutto…sapeva anche meno riguardo a quel ragazzo
biondo, ma perché…
“Perché l’hai preso con te?”, domandò, serio.
Sanzo scosse la testa. Non sapeva nemmeno perché gli stesse
dicendo quelle cose, in fondo non lo conosceva nemmeno; ma di cose assurde ne
aveva accumulate una tale quantità, nelle ultime ventiquattr’ore,
che una in più o in meno non faceva differenza. E poi, dopo tanto tempo, aveva incontrato una persona
che gli ispirava fiducia: da quello che aveva capito, Hakkai era una persona
silenziosa e accondiscendente con tutti, ma non esitava a far capire
immediatamente ciò che veramente pensava.
Inoltre…i suoi occhi gli ricordavano qualcosa. Era come se li avesse già visti
molto, molto tempo addietro.
Incredibile.
La barriera di ghiaccio che aveva tanto faticosamente forgiato attorno a sé in
tutti quegli anni si stava pericolosamente incrinando.
“Non lo so. So solo che ho sentito la sua voce che mi chiamava. Non la sua voce
materiale, non so se mi comprendi…”
Hakkai annuì: aveva inteso immediatamente la sensazione.
“E’ scappato di casa?”
Il biondo aggrottò le sopracciglia. “Questo speravo che me lo dicessi tu”
Hakkai non rispose, imbarazzato. “Purtroppo, ne so quanto te, su Goku”
“Com’è possibile?”
“Parla ben poco di sé. Almeno, a me. Puoi chiedere qualcosa all’altra ragazza
che frequenta, Shinobu Ori”
“Vorresti dirmi che non sai dove quella stupida
scimmia torna, o meglio, tornava a casa tutti i giorni?”
Hakkai scosse la testa, fissandolo. “Mi dispiace di non poterti aiutare”
Sanzo afferrò immediatamente il messaggio: non
sono una persona indiscreta. Annuì.
“E questa persona…è in classe con Goku, hai detto? E’ forse quella che era con
voi in corridoio?”
“Esattamente”
In quel momento, Goku uscì dal negozio, con le borse
in mano. “Sanzo, ho preso tutt…ah, ciao, Hakkai! Che sorpresa!”
Il moro ricambiò il saluto con un sorriso. “Stavo andando a fare la
spesa, e ho incrociato Sanzo…stavamo parlando del più e del meno”
“Hakkai…”, lo squadrò il ragazzino.
“Dimmi pure”
“Per favore…per il momento, se qualcuno te lo chiede, di’
che non sai dove mi trovo…potresti farlo?”
“Certamente”, rispose l’altro. Goku era certamente in fuga da qualcosa, ma non
sapeva di cosa si trattasse. Di una cosa era certo:
lui non l’avrebbe certamente tradito.
“Grazie mille”, fece Goku, sincero. Poi, dopo averlo salutato calorosamente, si
rivolse a Sanzo. “Andiamo?”
Il biondo annuì, facendo un cenno di saluto ad Hakkai.
Anche lui era arrivato alle stesse conclusioni del
moro, consapevole di essersi già cacciato in un qualche pasticcio. Risolse che,
in ogni caso, avrebbe chiesto qualcosa anche a questa Shinobu.
“Ce la
fai? Ce la fai?” Il viso arrossato,
Shinobu svuotò tutto d’un fiato l’ennesimo bicchiere di sakè.
“E con questo sono sei! Grande, Shin-chan!”, esclamò
qualcuno della banda.
La ragazza si lasciò cadere sulla spalliera della sedia. Era stanca, mancava da
casa da più di diciotto ore, non era andata a scuola e sicuramente i suoi
l’avevano data per dispersa…Ma l’aria fresca che aveva
respirato quella mattina al parco, quella sensazione di felicità, se la sarebbe
ricordata a lungo, così come non avrebbe rimosso le sensazioni di sconcerto che
certamente aveva condiviso con Gojyo.
Il rosso le si appoggiò accanto. “Ehilà! Allora, già stanca di bere?”, e così
dicendo vuotò il suo decimo bicchiere.
Shinobu lo guardò con aria sprezzante. “Semplicemente, so
quando dire basta: ho coscienza dei miei limiti”. E, così dicendo, vuotò
un altro bicchiere.
“Vedo…”
“Continua così, e davvero finirai di nuovo distesa sul
pavimento del bagno”, gli fece eco un altro ragazzo, Koji.
Shinobu si alzò, lievemente barcollante, dalla sedia. “Non preoccuparti, stavolta
non sono mica a stomaco vuoto! Vado a prendere un po’ d’aria appena fuori dal locale!”, e così dicendo, si avviò verso l’uscita.
Si appoggiò al muro fresco: quelle
serate le piacevano da impazzire, la sensazione euforica che le dava l’alcool
non poteva paragonarsi a nessun’altra.
Osservò davanti a sé la luce della luna piena, che sotto l’effetto del saké le
sembrava stranamente simile ad una caramella al limone; improvvisamente,
quell’immagine fu sostituita da un volto che era certa
di aver già visto.
“Ma tu guarda che coincidenza!”, l’apostrofò un ragazzo. Era lo stesso che, il
giorno prima, insieme ad un amico, l’aveva molestata
per strada. A riprova di ciò, aveva ancora il naso bendato dal pugno che gli
aveva fatto mangiare Gojyo. Era accompagnato da due compari, ma tra i due non
c’era quello del giorno prima.
“Ah…ma sei tu!”, disse tranquillamente Shinobu.
“Tutta qui la considerazione? Ieri le ho prese per colpa tua!”
“Per colpa mia? Per colpa della tua demenza, vorrai
dire. Chiunque sano di mente sa che a prendere per il culo Gojyo ci si lasciano i denti!”
“In ogni caso, sei stata fortunata. Stasera vedremo se ti andrà di nuovo così
bene”
“Ah, Gojyo è dentro, a proposito…te lo vado a
chiamare? ♥”, gli rispose lei con voce squillante, facendo per riaprire
l’entrata del locale.
Senza una parola, il ragazzo le afferrò per una spalla. Non diede tempo a
Shinobu di voltarsi rabbiosamente, come avrebbe voluto fare, perché le puntò un
coltellino al lato del collo.
Shinobu richiuse velocemente la bocca, immobilizzandosi.
“Ecco, brava…sta’ zitta”
“Ehi, Atsu, sei sicuro che
questa non ci metterà nei casini?”
“Sicurissimo. La ridurremo in modo che non avrà più
voglia di parlare”
“A me arrapa l’idea. Ma dove
ce la portiamo?”
“Al magazzino dove ci fumiamo l’erba”
“Ottima idea”
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]
Schiena contro schiena.
In battaglia, nella vita.
Una sigaretta accesa con l’altra.
Una fiaschetta di saké condivisa sotto ciliegi in fiore.
Il protrarsi di un’eternità sempre uguale. Le cose stanno cambiando. E non possiamo arrestare il corso degli eventi. Il suo arrivo. Il suo sguardo ferito, in guardia.
La risata di un bambino. In un mondo di vuoto.
La volontà di proteggere qualcuno da un meccanismo ormai in funzione.
La sensazione di veder scivolar via tra le mani ogni certezza. Ormai…possiamo solo combattere.
Per tutto ciò che non possiamo più difendere...per tutto ciò che
speriamo...andiamo avanti!
Poi, il nulla.
Le immagini mutano. Un viso noto, prima sorridente, poi sempre più deformato da
una maschera di dolore. Di sangue.
Le mani sporche. Ancora una volta. Per qualcuno che non si è saputo proteggere.
Per qualcuno che si è assassinato. Impotenza. Senso di colpa. Ormai…non si può più tornare indietro. Dobbiamo pagare il prezzo della
nostra felicità. Lacrime, per la prima volta. La fine di tutto ciò che si è costruito,
ancora una volta. E’ solo colpa tua! Perché non sei morto al suo posto?
Hakkai alzò di scatto la testa dal cuscino. Si era appisolato qualche ora
prima sul divano, ma in quel momento si sentiva esausto, come se non avesse
chiuso occhio per secoli. Anzi, peggio.
Sogni. Sogni strani.
Un passato remotissimo avvolto da un alone di nebbia che si prova a
comprendere, e un passato recente che sovviene in mente anche se si prova con
tutte le forze a dimenticare. E’ in momenti come questo che mi pento di non averla fatta finita, pensò
gettandosi a faccia in giù sul divanetto. Gojyo, avevi ragione. La peggior
punizione è questa.
Era in momenti come quelli…che gli sembrava di scivolare, di perdere ogni più
piccolo progresso che aveva conseguito fino a quel momento. Era in momenti come
quelli…che voleva semplicemente sprofondare. E poi se ne pentiva. Ma poi quei
momenti tornavano. E poi se ne pentiva ancora una volta. E via, in un circolo
vizioso infinito…Avrebbe avuto mai un termine?
Era rallentato, quando Gojyo era entrato nella sua vita. Aveva visto un po’ di
luce, ma le tenebre erano ancora troppo profonde perché quella luce, ancora
debole come quella di una candela, potesse dissiparle…
Cambiò idea; si alzò, si recò in bagno e lì, appoggiandosi nervosamente al
lavandino, si bagnò il volto. Quindi, aprì l’armadietto che appeso a pochi
centimetri dal suo viso, e ne trasse fuori un flacone azzurro quasi vuoto.
Ingoiò alcune pillole, con l’impazienza di un drogato in crisi d’astinenza.
Aveva paura di dormire. Aveva paura di sognare.
Perché i ricordi si possono rinchiudere nel proprio cuore, ma di notte, quando
il cuore riposa, riescono a sgattaiolare
fuori e invadere la mente.
Quello era il momento peggiore della giornata. Un momento in cui era costretto
ad affrontare faccia a faccia il suo passato. Senza alleati.
E lui non voleva.
Intontito dall’improvvisa assenza di sonno, incapace di poter impegnarsi in
alcunché, Hakkai accese il televisore; non perché lo interessasse, ma per avere
l’illusione di essere riuscito a trovare qualcosa che lo impegnasse.
Spesso rimaneva tutta la notte così, osservando le immagini che transitavano
sullo schermo, senza però guardarle. Meglio così. Meglio osservare immagini
estranee, che immagini passate che ti lacerano il cuore.
“Porca…puttana!”, gemette uno degli assalitori, riuscendo
finalmente a spalancare con una spallata la porta del magazzino. Shinobu non
era riuscita a pensare a nulla di meglio che mollare un calcio nei legamenti
posteriori del ginocchio a quello che, davanti a lei, stava introducendo la
chiave del magazzino nel catenaccio. Il ginocchio gli cedette per un
momento, e lei tentò di divincolarsi, ma poi la parte sinistra del viso
le esplose in un tripudio di dolore, quando le arrivò un violento colpo inferto
col dorso della mano, che la fece trasecolare. Mentre ancora tentava di
recuperare l’equilibrio, si sentì spingere ferocemente in avanti, e cadde con
le ginocchia sul pavimento sporco del magazzino. Alzò la testa di scatto,
furiosa, solo per trovarsi la lama del coltellino a pochi centimetri dal volto.
Inghiottì gli insulti, tremando per il freddo e la paura.
Mentre uno degli altri due richiudeva il catenaccio da dentro, Atsu fece oscillare il coltello a destra e a sinistra davanti a lei, come a mimare no.
Il suo volto dagli occhi incavati era vicinissimo al suo, poteva contare le
tramature della garza che gli ricopriva il naso.
“Te lo ripeterò ancora una volta: piantala di agitarti come un’ossessa. Se non
sei ritardata, ormai avrai capito che ci perdi soltanto, a opporre resistenza”
Partì il secondo schiaffo, stavolta da destra. Shinobu riuscì ad abbassare la
testa abbastanza in fretta per riceverlo poco più su della fronte, invece che in volto. I
ragazzi sbuffarono divertiti.
“La mia ex era vivace come lei”, commentò il più alto dei tre, accendendo una
piccola pila elettrica che si era cavato dalla tasca e puntandogliela
direttamente in volto. “Mi piacciono, le ragazze allegre. E’ più divertente
farsele”
“Allora il prossimo calcio ai legamenti te lo prendi tu”, ringhiò l’altro, quello con
i capelli tinti di biondo. Tirò fuori quello che a Shinobu parve in tutto e per
tutto un pennarello, ma, quando ne ebbe svitata la punta, ne scivolò fuori un
pacchettino di erba.
“Che roba hai capitato stasera, Ryo?”, chiese Atsu mettendosi più comodo, senza
perderla un attimo di vista. “Cinese?”
“Questo passa il convento”, si strinse nelle spalle l’altro, cercandosi ancora
nelle tasche e cavandone sigarette Marlboro e cartine.
L’altro la illuminò ancora, da sotto in su, soffermando il cono di luce, con
suo sommo divertimento, tra le sue gambe. “Non dirmi che il naso te l’ha
spaccato lei, Atsu?”
“Non dire stronzate. E’ stato il suo amico Sha, quello del liceo T che sembra un finocchio
con i capelli tinti di rosso”
“Non è tinto e non è finocchio”, ribattè Shinobu, senza potersi trattenere. “E
poi parla quello che per farsi una donna deve prendersela con la forza. Coglione!”
Il coltello scattò, ferendole il viso a metà della guancia destra.
“Gojyo…non è già tanto che Shinobu è uscita?”. Koji si sfilò la giacca,
accaldato per l’alcool ingerito, scoprendo il torace ben messo, vestito da una
canotta nera.
Il rosso gli rispose senza entusiasmo. “Sarà rientrata senza che ce ne accorgessimo
e sarà distesa sul pavimento del bagno delle donne, per l’appunto”
Jin scosse la testa. “Ne dubito! Non l’ho vista assolutamente rientrare”
Gojyo si portò una mano alla fronte, esasperato; era ancora perfettamente
sobrio, nonostante la bottiglietta di saké davanti a lui fosse quasi vuota.
“Quella cretina si sarà sentita male fuori! Vado a vedere com’è
messa…aspettatemi qui”
Il ragazzo uscì, si guardò intorno e non vide proprio nessuno. Mentre già la
sua mente vagava a miglia di distanza, coniando una serie di termini poco carini
verso quella perdigiorno della sua amica, si guardò intorno. Non la
vedeva da nessuna parte. La chiamò un paio di volte, ma non ottenne risultato.
Rientrò nel locale, percorrendolo tutto, e passando accanto al proprio tavolo,
ignorando le domande degli altri. Quindi infilò la porta del bagno delle donne,
immediatamente subissato da lamentele, e ne uscì pochi secondi dopo, deciso.
Tornò al tavolo e salì su di una sedia.
“Qualcuno ha visto una ragazzina bassa, con i capelli castani, in divisa
scolastica?”
Nessuna risposta.
“Tengo a precisare che se qualcuno le ha messo un dito addosso, si ritroverà
con le budella attorcigliate intorno al collo”
Gli amici di Gojyo intuirono immediatamente l’andazzo e si guardarono intorno,
squadrando a turno chiunque capitasse loro sotto tiro. Conoscevano bene il tipo
di clientela del pub. E, altrettanto bene, gli altri conoscevano loro e la loro
reputazione.
“Se vengo a sapere che qualcuno di voi ha visto qualcosa, giuro che gli spacco
la faccia”, continuò Gojyo, certo che, se aveva un qualcosa di utile, era il
convincere gli altri che sapeva fare qualunque cosa avesse affermato di voler
fare. Shinobu non sarebbe mai sparita da sola, né avrebbe mai seguito
qualcuno in vena di rimorchiare, e poi la sua cartella era ancora sotto la sua
sedia. Quindi, se non l’aveva trovata, doveva necessariamente essere stata
allontanata con la forza.
E, in capo a due minuti, avrebbe anche saputo da chi.
Il ragazzo alto la scrutava, ma il suo sguardo non tradiva nessun altra
emozione se non un moderato divertimento. Nessuno dei tre aveva riso quando
aveva gridato, e Atsu le aveva intimato di non gridare, o la linea sarebbe
diventata una croce.
“Ma allora vuoi fare proprio sul serio, eh?”
Shinobu alzò il gomito, tergendosi il sangue che già scorreva copioso. Non
avrebbe voluto gridare. Ma il dolore era stato troppo forte e improvviso. Le
veniva da piangere, ma non avrebbe dato loro una simile soddisfazione.
“E’ la prima volta che una donna mi porta a un punto simile, ma mi sono
veramente rotto i coglioni. Vediamo se aprirle le gambe le farà chiudere la
bocca.”
Si chinò su di lei e le aprì con malagrazia la camicia, senza che potesse
impedirglielo. Due bottoni rimbalzarono sul pavimento.
“Ryo, vieni qui. Tienile le gambe”, continuò tranquillamente. “Non vorrei che
mi tirasse un calcio nelle palle. Ne sarebbe capacissima”. L’altro si affrettò
a obbedire, divertito, e Shinobu si trovò puntellata al pavimento.
Atsu si chinò su di lei, portandole due dita alla ferita. “Ma guarda, ti ho
rovinato il faccino…mi hai dato del finocchio, o sbaglio?”
Lei non rispose. Era così terrorizzata che le parole le morivano in gola se
appena cercava di pronunciarle, e improvvisamente desiderò non avergli rivolto
tutte quelle ingiurie. Si sentiva umiliata, la parte destra del volto era una
maschera di dolore, e non aveva idea di come sarebbe andata a finire la serata.
Anzi, forse ne aveva un’idea fin troppo precisa. E’ una situazione senza via di uscita. Sono in tre, sono armati, e dubito
fortemente che Gojyo, sia pure con tutte le sue conoscenze, riuscirà a trovarmi
qui dentro. Non so come uscirne. Proprio no. So solo che mi fa schifo il
pensiero che uno di loro possa toccarmi. Ricacciò indietro un singulto. Non aveva la minima intenzione di cedere
alle lacrime, e non l’avrebbero affatto aiutata. I tre erano eccitati dalla
situazione, e dubitava che sarebbe riuscita a divincolarsi anche da uno solo di
loro, persino se disarmato.
“Lasciami andare”, disse infine, riuscendo a controllare quasi totalmente il
tremito nella voce. “Lasciami andare e finiamola qui. Lo sai anche tu che, se
mi stuprate, la cosa non finirà qui. Anzi. Sarà appena cominciata. Lasciami
andare e potrei anche far finta che non sia successo niente”
Sperò fino alla fine che un’ombra di risentimento, o di timore, passasse per
gli occhi del ragazzo. Ma il ghignetto che gli piegò le labbra non dava adito a
dubbi.
“Può essere che, domattina, non avrai tanta voglia di parlare”. Il ragazzo le
tirò su il reggiseno, scoprendola, e facendola sentire completamente esposta.
“E’ troppo tardi per il dietrofront, signorina. Avresti dovuto pensarci ieri”
“E’ l’ultimo avvertimento”, mormorò lei, sperando di essere lontanamente
credibile. “Lasciatemi andare”. Sentì le mani di uno degli altri, quello che le
teneva le gambe, risalirle lungo le cosce. Un brivido di disgusto la
attraversò, e scalciò senza nemmeno pensarci, ma lui le riafferrò saldamente le
caviglie. Rise. “Io la pianterei con questi scherzetti. Ti farai solo più male.
Vuoi essere il primo, Atsu, visto che l’idea è stata tua?”
“Naturalmente”, ammiccò l’altro. “Voglio scoprire personalmente se questa
stronza è ancora vergine. Ne dubito fortemente, ma non si sa mai.”
“Ah, fate voi, per il momento”, intervenne l’altro. “Ho voglia di una canna,
adesso. Tanto, c’è tutto il tempo”
“Già”
Il ragazzo le lasciò il seno, e iniziò a slacciarsi la cintura, guardando ora
lei, ora la fibbia. Il cavallo dei pantaloni, notò Shinobu, era decisamente
rigonfio. Si chiese ancora una volta cosa avrebbe dovuto fare. Lui si abbassò i
pantaloni, scoprendo il rigonfiamento nei boxer.
“Puoi risparmiarti almeno il dolore. Facciamo un patto, da uomo a donna”,
ridacchiò, “Tu apri le gambe e aspetti pazientemente che abbiamo finito. Se non
opponi resistenza, ti prometto che non avrai nemmeno un livido. Chissà,
potrebbe anche piacerti, che ne sai? Come incentivo, tu adesso te lo prendi in
bocca buona buona e te lo lavori per benino. Che ne pensi?”
Shinobu sentì che qualcosa le saliva in gola. Non voleva farlo, ma fu più forte
di lei: schiuse le labbra e rise.
“Azzardati a mettermi qualcosa in bocca, e giuro su mia madre che te lo stacco
con un morso”. Vide il suo sguardo mutare, da divertito a irritato, e comprese
che aveva solo peggiorato la situazione. Oh, ma se tornassi ancora indietro
lo ridirei ancora, oh sì. Forse riuscirai a cacciarmi dentro qualcosa, ma certo
non per mia volontà. Il suo tono apparve alle sue stesse orecchie straordinariamente calmo. E
Shinobu seppe che probabilmente l’avrebbero stuprata, e ancor più probabilmente
pestata a sangue, ma non le avrebbero infilato in bocca alcunché.
L’aguzzino, per tutta risposta, si mise a cavalcioni su di lei, abbassandosi i
boxer. Le arrotolò la gonna, fino ai fianchi. E teneva ancora in mano il
coltellino.
“Hai scelto la via più dura, stronza” Sicuramente. Come sempre.
Shinobu strinse forte i denti e le palpebre, mentre sentiva che lui le
abbassava gli slip lungo le cosce. Tentò di concentrarsi sul dolore che provava
al viso, per non dover sentire nient’altro.
"C'è un catenaccio all'interno"
“Spaccalo”
Improvvisamente, si sentì sgravare dal peso su di lei. Persino la presa alle
caviglie si annullò di colpo. Riaprì gli occhi, e, senza perder tempo a
guardarsi intorno, tirò su il busto e si fece indietro, rannicchiandosi contro
la parete a ginocchia strette.
Guardò la porta in del magazzino cedere sotto violente sferzate di ferro su
ferro. Rabbrividì, ringraziando silenziosamente Gojyo: la voce era senza alcun
dubbio la sua.
La porta si aprì violentemente, schiantandosi contro la parete in gesso. Gojyo
entrò, le mani nelle tasche, e un’occhiata al suo volto le bastò per
comprendere che non gli aveva mai visto un’espressione simile. Non si poteva
dire nemmeno furiosa. Era semplicemente gelido.
Entrò, seguito da Koji e Jin. Erano alti, tutti e tre, più alti dei
delinquentelli che l’avevano portata lì, e sicuramente più robusti, ma non per
questo gli altri si sentirono intimoriti. Atsu si tirò su i boxer, sputando a
terra.
“Siete fuori zona, ragazzi”
Gojyo lo guatò, come si potrebbe scrutare un insetto. Senza alcun preavviso,
senza alcuna parola, scattò in avanti e gli sferrò un pugno che, secondo
Shinobu, si sarebbe ricordato per tutta la vita. Gli altri due guizzarono in
sua direzione, ma Jin afferrò quello biondo per le spalle e lo scaraventò per
terra senza apparente fatica, mentre Koji mandò l’altro a picchiare la schiena
contro il muro con una sola spallata. I due si rialzarono quasi subito,
furiosi. Jin scattò nuovamente in direzione del biondo, finse un pugno al
volto, e invece lo colpì al torace. Quando quello si piegò in due, senza fiato,
il ragazzo lo colpì con entrambi i gomiti alla nuca. Il biondo cadde sulle
ginocchia, gemendo, poi si rialzò faticosamente, e decise di dirigersi verso
l’uscita. Koji si limitò a guardare l’altro, che risolse saggiamente di seguire
l’amico.
Non degnarono di uno sguardo il loro compagno Atsu, che Gojyo aveva costretto
faccia a terra, tempestandolo di calci sulla schiena. Non proferiva parola, il
suo volto non tradiva alcuna emozione.
Atsu aveva iniziato a gridare.
“Gojyo”, lo chiamò Shinobu.
Il rosso la guardò. La vista del sangue che aveva in volto e della gonna
arrotolata parve scuoterlo, anche se col risultato che i calci aumentarono
d’intensità. Il ragazzo gridò più forte.
“Che fai? Urli?”, ringhiò Gojyo. “Tre contro una, campione di virilità.
Complimenti!”. Piegò il ginocchio, e pestò la mano del ragazzo con tutto il suo
peso. L’urlo di Atsu fu roco.
“Gojyo”. Stavolta fu Koji a pronunciare il suo nome. Si chinò sul pavimento,
prendendo il coltellino. “Se vuoi ammazzarlo, fallo con questo. Se continui a
farlo gridare come un maiale scannato, arriverà qui un mucchio di gente.”
Lo lanciò a Gojyo, che lo afferrò al volo. Shinobu fu colta da un’ondata di
panico.
“Smettila, Gojyo”, disse con voce che risultò più acuta di quanto non avesse
voluto. “Non ne vale la pena.”
Il rosso alzò la testa verso di lei. Il suo sguardo le scivolò ancora sul
corpo, ma parve non andare oltre ai fianchi. “Ti ha violentata, Shinobu?”
Scosse la testa, velocemente. “No. Siete arrivati in tempo”
Gojyo chiuse brevemente gli occhi, così velocemente che Shinobu in seguito
pensò di esserselo immaginato. Scagliò il coltellino per terra, con stizza.
“Solo per questo non ti ammazzo”, sibilò, in direzione del ragazzo. Lo
scavalcò, andando verso di lei. La sua espressione era adesso più normale, ma
ugualmente indecifrabile. Si strofinò le nocche, sporche di sangue, e si sfilò
la giacca. Gliela appoggiò sulle spalle, chiudendo la lampo sul davanti, poi si
tirò la manica della camicia oltre la mano e le asciugò delicatamente il viso
dal sangue.
“La camicia è strappata?”
Shinobu scosse la testa, intontita. Guardò oltre Gojyo: Atsu stava alzandosi
faticosamente. Koji si chinò misericordiosamente e lo tirò su con malagrazia,
sospingendolo verso l’uscita.
“Chiuditela.”, le mormorò con voce morbida, senza degnare la scena dietro le
sue spalle di un’occhiata. “Coraggio, riassettati. La ferita sulla guancia non
è profonda, sai? Forse ci vorrebbero dei punti, vuoi che ti accompagni in
ospedale?”
La ragazza passò in rassegna ogni eventualità. Si sentiva ancora intontita, ma
adesso era al sicuro. Doveva calmarsi, e rispondere a Gojyo. Iniziò a chiudersi
i bottoni della camicia, giusto per iniziare a reagire.
“Non vorrei. Sono minorenne, e questa è chiaramente una ferita da coltellino.
Mi tratterranno, chiameranno i miei genitori, e scatterà la denuncia”.
Puntellandosi con la schiena alla parete, si risistemò gli slip, e srotolò la
gonna lungo le gambe. “Però va chiusa. O resterà la cicatrice. Cioè, penso che resterà
lo stesso. Più vistosa, però.”
“Gojyo”, s’intromise Jin. “Possiamo andare da Kimi”
“Sì, ci stavo pensando anch’io”, gli rispose Gojyo stringendosi nelle spalle. A
un suo sguardo interrogativo, spiegò: “E’ una nostra vecchia conoscenza. E’
un’infermiera, non ancora abilitata. Se non è di turno stasera, possiamo andare
a casa sua. Non fa mai troppe domande, ma ogni volta non ci risparmia la
predica”. Sorrise sotto i baffi. “Come puoi immaginare, capitano spesso
incidenti del genere.”
Shinobu annuì distrattamente. Non voleva mettersi a piangere, specialmente
adesso che non ce n’era più motivo. Fu scossa da un tremito, ma non per il
freddo: la giacca di Gojyo era molto calda. Chinò il viso, tirando fuori un
braccio da sotto la giacca per asciugarsi gli occhi e la ferita.
“Grazie, ragazzi. Mi dispiace. Io…” Non voglio piangere, dannazione. Non sono una donnetta. Ma loro erano
venuti. L’avevano trovata. E l’avevano aiutata.
“Ehi, bimba!”, esclamò Jin, passandosi una mano tra i folti capelli neri.
Sembrava un po’ imbarazzato, mentre si chinava presso di lei. “Niente
lacrimucce, dai. Adesso andiamo da Kimi, ti fai mettere qualche punto…e non
preoccuparti, ha le manine delicate…e poi torni a casa e ti fai una bella
dormita. Domani mattina sembrerà tutto meno tragico”. Le tamburellò leggermente
sulla testa, dato che aveva ancora il capo chinato. “Ce la fai ad alzarti?”
Gojyo si puntellò sui talloni, facendole passare una mano dietro le spalle.
“Andiamo, princess. Ti porto io”
Shinobu si sentì arrossire. Scosse la testa, lasciandosi scivolare il braccio
di Gojyo dalle spalle. Sentiva che le gambe potevano reggerla, e voleva uscire
da lì a testa alta. Iniziò a mettersi in piedi, aiutandosi con il muro. “Ce la
faccio. Grazie.”
“Non c’è bisogno che andiamo tutti”, fece Gojyo, osservandola con attenzione per
tema che potesse cadere. “L’accompagno io da Kimi. Grazie per la compagnia,
ragazzi”
“Scherzi?”, ghignò Jim. “E’ stato un piacere”. Koji gli assestò una gomitata
nelle costole, ed effettivamente, pensò Shinobu, non era stata una frase tanto
delicata. Sorrise, raddrizzandosi, per far capire che era tutto a posto.
“Grazie ancora, ragazzi”
La moto correva nella notte. Dovevano essere circa le ventitrè; il cellulare di
Shinobu continuava a suonare, probabilmente la chiamavano da casa, e lei
avrebbe voluto ignorare ancora una volta la chiamata, ma non poté fare altro
che rispondere.
“Pronto?”
Una voce di persona che probabilmente si sarebbe comodamente sentita anche in
Tibet costrinse Shinobu ad allontanare di scatto il cellulare dall’orecchio.
Shinobu, tenendosi in equilibrio sulla Red Tear, se lo massaggiò chiedendosi
seriamente se non avesse riportato danni tali da dover utilizzare un
apparecchio acustico per tutto il resto della sua vita.
Mormorò qualche parola di scusa a sua madre, rassicurandola che sarebbe
rientrata entro mezzora. In teoria ne sarebbe passata probabilmente almeno una
intera, dato che la ferita alla guancia perdeva ancora sangue, e doveva ancora
essere sistemata.
Sospirò rumorosamente.
“Tua madre?", chiese Gojyo.
La ragazza sospirò ancora. “Da cosa lo deduci? Dalla voce melodica e pacata?”
Gojyo sorrise. "Può sembrare una rottura, ma almeno hai qualcuno che si
preoccupi sinceramente per te. La mia, ad esempio, non se ne preoccupava per
niente”
Shinobu arrischiò timidamente ad afferrarsi ai suoi fianchi, invece che ai
maniglioni dietro di lei. Sapeva che a Gojyo non piaceva che qualcuno gli si
avvinghiasse addosso mentre guidava, ma le facevano male le braccia. Il rosso
non disse nulla, comunque. Era pensieroso, e Shinobu scommise che i suoi
pensieri erano andati alla madre, ovunqu'essa fosse.
"E' qui a Tokyo, tua mamma?", chiese comunque.
La voce di Gojyo fu neutra. "No. E' morta. Prima o poi ti racconto,
forse". Shinobu lo sentì scrollare le spalle, come se volesse liberarsi di
un peso invisibile, e si pentì della domanda. Non doveva aver avuto vita
facile, Gojyo, e spesso provava un senso di tenerezza nei suoi confronti come
può sentirlo solo chi raramente si sente fortunato di qualcosa che possiede,
davanti a qualcuno che non ce l'ha. Goku, Hakkai e Gojyo erano simili, in tal
senso.
I suoi ricordi tornarono improvvisamente al magazzino. Alle mani di quei
ragazzi sulla sua pelle, al dolore che ancora pulsava sul viso, alle parole di
minaccia, al rumore degli scarponcini di Gojyo contro la schiena di quello che
si chiamava Atsu, allo schiocco che avevano fatto i tendini della sua mano
quando Gojyo gliel’aveva pestata con tutte le sue forze. Rabbrividì
violentemente, e una sensazione quasi mai provata prima prese possesso della
sua gola.
"Gojyo", articolò con fatica. "Puoi accostare da qualche parte,
per favore?"
Gojyo non chiese perchè. Si guardò intorno, controllò gli specchietti
retrovisori, quindi accostò al marciapiede. Erano in zona residenziale, e a
quell'ora non si vedeva nessuno in giro. Il rombo della moto era l'unico rumore
che risuonava per la strada.
Shinobu scattò giù, si sfilò il casco e si chinò presso il canale di scolo del
marciapiede. Rimise un getto che in buona parte era fatto di bile, tossendo.
Non avrebbe resistito un secondo di più.
Sentì vagamente Gojyo inclinare la moto sul cavalletto. Poi si chinò su di lei,
scostandole dal volto i capelli che per fortuna non si erano sporcati. Fu una
buona mossa, perchè un secondo conato la scosse immediatamente.
Shinobu continuò a respirare con gli occhi chiusi, profondamente. Gojyo le
sfilò delicatamente la borsa -che era rimasta al locale e che aveva recuperato
lui- e cercò un kleenex, che le porse; lo prese ringraziando a mezza voce e si
ripulì le labbra, sempre a occhi chiusi.
"Gojyo"
"Dimmi"
"Voglio sapere la verità...l'avresti ammazzato, se te l'avessi
chiesto?"
La voce del rosso fu senza incertezze. "Sì."
Shinobu annuì, prese un altro respiro profondo e riaprì gli occhi. Quella
risposta avrebbe dovuto riempirla di paura, e invece la sincerità nel suo tono
la tranquillizzò.
"Grazie, Gojyo."
Inaspettatamente, Gojyo iniziò a ridere. Rumorosamente.
"Tu...sei...assurda!", riuscì a dire, tra una risata e l'altra.
Shinobu afferrò lei stessa i propri capelli, risistemandoli. Tirò su il busto,
cercando un posto dove sedersi, anche se si sentiva molto meglio. Notò una
fioriera rettangolare, adiacente alla parete di un d'abbigliamento naturalmente
chiuso, e andò a sedersi sul bordo. Gojyo stava ancora ridendo.
"Cosa c'è di tanto divertente?", chiese, lasciandosi sfuggire un
sorriso.
"Shinobu, stavo per ammazzare un ragazzo, stasera", dichiarò Gojyo, e
smise di ridere. Il suo tono divenne più duro. "Se non mi avessi chiesto
di smetterla, gli avrei piantato la lama del temperino nella gola e me ne sarei
fottuto delle conseguenze. Anzi. L'avrei ammazzato di calci."
Shinobu lo guardò negli occhi, seria.
"Ti credo. E ti ringrazio."
Il rosso prese posto accanto a lei, sulla fioriera. Oscillò leggermente quando
lui vi fu seduto.
"Non hai paura di me?"
Lei scosse la testa, sorridendo. Da quando aveva sentito la sua voce, fuori dal
magazzino, di paura non ne aveva più avuta.
"No, Gojyo", disse, appoggiando la fronte alla sua spalla. "Come
potrei aver paura di te? Stavano per farmi del male. E tu sei arrivato in
tempo". Sentì che stava per cedere alle lacrime. Per il sollievo.
"Come potrei?", ripeté, con la voce impastata dal pianto.
Lo sentì sospirare. Senza voltarsi a guardarla, allungò un braccio e le carezzò
la nuca.
"Non mi hai ancora detto come mi hai trovata", singhiozzò,
nascondendo il volto.
"Abbiamo chiesto in giro. Li conoscevano. Hanno paura di me, Shinobu. Nel
locale, intendo, nel giro. Io e gli altri...non abbiamo fatto esattamente i
samaritani, finora. Non è mai morto nessuno. Ancora. Ma all'ospedale ci sono
finiti in tanti. Qualcuno doveva aver visto per forza qualcosa, se davvero eri
stata allontanata con la forza: e sapendo che riguardava me, non ci hanno messo
molto a informarci." L'ha fatto per me. A Shinobu importava solo questo. Che l'avesse fatto
per lei.
"Però posso giurarti una cosa. Per quante brutte cose abbia fatto...non ho
mai alzato un dito su una donna. Nè ne ho mai toccata una che non lo volesse
davvero. Non si fa. Non è una cosa nè virile, nè umana."
"Grazie, Gojyo", ripetè ancora una volta Shinobu. Pensò, con una
punta di divertimento, che il rosso ne stava accumulando per i prossimi mesi,
di ringraziamenti. E non sarebbero mai stati abbastanza. Prese un profondo
respiro, e riuscì a smettere di piagnucolare.
Gojyo si alzò, tendendole una mano per aiutarla a rialzarsi. Le sorrise con
benevolenza. "Coraggio. Non facciamo aspettare Kimi."
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 15/08/09]
“Che belli, i tuoi capelli brillano tutti! Sembri il sole!”
Non toccarmi. Cosa vuoi da me?
“Dammi un nome…”
Perché mi infastidisci? Io non voglio avere a che fare con nessuno.
“Guarda che belli,
questi fiori!”
Perché mi parli con tanta confidenza?
Occhi
dorati, uno sguardo sbarazzino, pesanti catene ai polsi, al collo e alle
caviglie.
Chi
sei tu, che penetri così a fondo nel mio essere?
Chi
sei tu, che ti arroghi il diritto di farmi pensare: non voglio perderti?
“Io non ho
nulla da insegnarti. L’unico in grado di insegnarti qualcosa sei tu stesso;
tutto ciò che posso dirti è: non avere legami. Vivi solo per te stesso, e per
te stesso sii forte. Ed ecco che avrai trovato qualcosa per cui vale la pena
vivere, in questo mondo”
Capelli biondi? Mi ricorda qualcuno…ma sì: è qualcuno che
mi è stato vicino per tanto, tantissimo tempo; qualcuno che mi ha insegnato
l’unica cosa che vale la pena sapere: vivere solo per se stessi à la vera
forza.
“Qualunque
cosa succeda, ricordati di non dimenticare mai te stesso”
Tu, che parlavi così, perché te ne sei andato in quel modo?
Genjo Sanzo si svegliò di soprassalto, madido di sudore.
Sembrava non avere fiato nemmeno per respirare. Ancora, ancora quei maledetti
sogni. Per fortuna, almeno la voce non lo chiamava più insistentemente.
Si era placata.
Era solo una coincidenza che lo avesse fatto dopo
che aveva accolto quel ragazzo nella propria casa?
“Sanzo!”
Istupidito dalla sveglia improvvisa, il biondino si
passò una mano sugli occhi, prima di realizzare che, in quella casa, non era
più solo.
Già. Non era solo, adesso.
“Che c’è, scimmia?”
Goku gli corse vicino.
“Tieni!”
Dalle mani tese del ragazzino, spuntava un
tovagliolo bianco con dentro dei biscotti ancora fumanti.
Sanzo li guardò, poi guardò Goku senza capire.
“Sono per te! Ho cucinato i biscotti!”
Il ragazzo, titubante, afferrò ciò che lui gli
tendeva.
“Perché lo hai fatto?”
“Perché avevo fame, tu dormivi e così…Ho provato a
fare qualcosa che potesse farti piacere. Ti piacciono i biscotti?”
Sanzo lo guardò in viso.
Aveva provato a fare…qualcosa che potesse fargli
piacere?
“Avanti, mangiali! Volevo solo dimostrare…che dalle
mie mani può anche uscire qualcosa. Che non servono solo a rompere tutto ciò
che toccano”
Il biondo si portò un biscotto alla bocca. Quanto
tempo era passato da quando qualcuno aveva cucinato per lui, mettendo qualcosa
del proprio io in quel semplice gesto?
…cinque anni.
Cinque anni aveva vagabondato solo, al mondo.
Le innumerevoli case che aveva visitato, le
innumerevoli persone che lo avevano circondato della loro ingombrante
presenza…niente, nessuno aveva saputo dargli quel po’ di calore innocente con
cui in pochi giorni quel ragazzo gli aveva riempito la casa.
“Che c’è? Non sono buoni?”
“Stupida scimmia…”, riuscì appena a mormorare Sanzo
prendendone un altro.
“E con questo, la riunione è terminata”, conclusero
i rappresentanti delle varie sezioni.
Ryuho si alzò dalla sedia, e dopo aver borbottato un
“Buonasera” che, a senso suo, avrebbero dovuto sentire tutti, fece scorrere la
porta dell’aula e ne uscì.
Maledizione. Perché si era fatto convincere a
candidarsi come rappresentante degli studenti?
Proprio lui, che dei problemi della scuola, e del
mondo in generale, se ne fregava altamente, avrebbe dovuto rappresentare
l’opinione degli studenti?
Risolse che lo aveva deciso per la pura
soddisfazione di poter togliere le parole di bocca a quei saccenti dei
professori, con le sue risposte argute e fredde. Quando parlava lui, ai
comitati, nessuno osava fiatare finchè non aveva finito, e anche allora le sue
parole erano seguite da alcuni secondi dirispettoso silenzio.
In verità, anche di quella sorta di reverenza che la
gente aveva per lui non gliene importava niente.
Di che cosa gliene importava?
Non lo sapeva neanche lui.
Semplicemente, si chiedeva perché fosse venuto al
mondo.
Ma, da un po’ di tempo, la sua attenzione era stata
attirata da qualcosa all’esterno del suo io di cui si era sempre e solo
preoccupato: finalmente, nel mondo a lui estraneo, aveva visto qualcosa che lo
aveva colpito.
Qualcuno.
Occhi verdi, capelli castani, un fisico minuto, un
carattere particolare.
Una persona che non si nasconde dietro le apparenze,
e che va avanti da sola.
Shinobu sedeva tranquillamente nel parco della
scuola. Erano quasi le sette, e praticamente tutti gli allievi erano tornati a
casa, meno quei pochi che frequentavano club particolarmente impegnativi, e in
ogni caso essi erano nell’edificio scolastico.
Aveva salutato Gojyo, Hakkai e gli altri ragazzi,
dicendo che aveva ancora qualcosa da fare a scuola. In realtà voleva
semplicemente crogiolarsi lì, da sola, nel silenzio e nel vento fresco del
parco.
Era sempre stata una ragazza pratica, che non si
preoccupava mai di pensare e che agiva per istinto, ma ultimamente si
soffermava troppo spesso a riflettere.
Tentò di ricordare il sogno della notte precedente:
nulla. Il buio più totale.
L’unica sensazione che ricordava era un intenso
profumo di fiori di ciliegio.
E…tanti visi, tante persone di cui non ricordava
l’aspetto né l’identità…
Fu strappata alle sue riflessioni da una voce che la
chiamava.
“Ori!”
Si voltò: riconobbe la voce di chi la chiamava.
Gojuin era un ragazzo di un anno più grande di lei,
ma che ne dimostrava ben di più; non parlava quasi mai con nessuno, stava
sempre per conto suo e, come Gojyo, era temuto e rispettato da tutti.
Lui e Gojyo si detestavano.
Forse i loro caratteri, seppur opposti, erano dello
stesso tipo: uno spaccone, esibizionista e passionale, l’altro freddo, chiuso e
distaccato. Eppure, entrambi erano chiusi al dialogo e ai rapporti umani, come
se avessero sbarrato il loro cuore agli altri. Dal primo momento in cui si
erano visti, tra di loro si erano accese scintille, come se fossero legati da
un’antica rivalità insensata.
“Gojuin! Come mai ancora a scuola a quest’ora?”
“Sono stato trattenuto da un’assemblea”
Come al solito, quel ragazzo non diceva né tantomeno
faceva trasparire ciò che pensava. Era un enigma assoluto.
“Capisco…”
“E tu? Cosa fai qui da sola?”
“Niente…riflettevo”
“A volte, non è la soluzione giusta, se hai problemi
da affrontare”
“Hai ragione. Ma non ho un problema in
particolare…”, rispose lei stupitissima dal fatto che lui, la prima volta in
anni di conversazioni del più e del meno con lei, aveva detto ciò che pensava.
“Ti hanno più infastidito?”
“Le ragazze? No. Ho avuto…diciamo…fastidi di altro
genere”, disse indicando la medicazione al viso. Probabilmente, le avevano
detto, la cicatrice non se sarebbe mai andata via del tutto.
“Come ti sei ferita?”
“Ho spesso da ridire con persone che neanche
conosco…e tutto perché, purtroppo, sono troppo diretta. La gente è così
abituata a sentirsi lusingare da parole ipocrite, che non esita a scagliarsi
contro chi ha il brutto vizio di dire ciò che pensa”
“Ossia?”
“Mi hanno messo le mani addosso, e io non potevo
fare altro che difendermi a parole”, concluse lei abbassando il capo. Se quella
sera Gojyo fosse arrivato un minuto più tardi, lei a quest’ora…
“Purtroppo esistono persone che si comportano in
maniera tale da non poter essere chiamate così”
“E’ vero”, disse Shinobu socchiudendo gli occhi.
“Riguardati, Ori… ”, disse lui mettendole una mano
sulla testa.
Dopo aver detto così, fece per allontanarsi. Mosse
qualche passo, poi si voltò e disse:
“Ori…se hai problemi…ricordati che puoi sempre
venire da me. Non ho il carattere per dimostrarlo, ma ti sono grato per quello
che hai fatto per me due anni fa.”
La ragazza annuì, poi fece per alzarsi e andarsene.
“Se ne ricorda ancora? Non ha mai dato segni di
avermi riconosciuto…”, pensò Shinobu incamminandosi.
Ma prima che fosse giunta al cancello della scuola,
si trovò davanti un ragazzo dai capelli biondi che si mise sulla sua strada.
“Sanzo…?”, mormorò lei. Avevano ragione Goku e
Hakkai, quel ragazzo non era solo bello, era affascinante: emanava un’atmosfera
seducente in ogni suo movimento o atteggiamento. I suoi occhi, poi…erano simili
ad ametiste…ipnotizzavano.
“Non ho tempo da perdere. Ho bisogno di parlare con
te. Sei Ori, vero?”, disse lui, il tono freddo.
“Sì, sono io. Ma credo che non abbiamo nulla di cui
discutere, o sì?”
“Cosa sai su Son Goku?”
“Cosa hai a che fare tu con Goku?”
“Non è affar tuo. Dimmi se sai qualcosa sulla sua
vita privata, dove abita, se ha una famiglia…”
Shinobu, desiderosa di provocare quel ragazzo tanto
insolente che, senza nemmeno conoscerla, le parlava in tono così arrogante,
rispose: “Perché dovrei?”
“Quanto tempo devi farmi perdere?”, rispose lui,
scaldandosi.
Shinobu si grattò la testa; quel tipo si arrabbiava
troppo facilmente, era divertente: “Tu dimmi cosa hai a che fare con la
scimmietta, e io ti dico che cosa so su di lui.”
Sanzo strinse i pugni: quel giorno si era assentato
da scuola per recuperare i turni perduti alla farmacia, ed era venuto apposta
per parlare con quella ragazzina, che ora lo stava deliberatamente provocando.
La guardò in viso…occhi verdi, un sorriso
provocatorio…gli venne voglia di prenderla e di sbatterla ripetutamente al
muro, ma si costrinse a restare calmo.
“Sai che sei proprio un bel tipo?”, le chiese.
“E tu sai che non me lo dicono in molti? Di solito
mi danno della stronza”
“E hanno ragione. Mi dici quello che sai?”
La ragazza scosse la testa e fece per allontanarsi.
“Ti comunico che a parole con me non la spunta nessuno, oltre Hakkai. Qui pro
quo, Genjo Sanzo!”, rispose sorridendo.
Lui non rispose, valutando se ucciderla o no.
Shinobu sospirò; si voltò, gli si avvicinò e lo
prese per una manica: “E va bene…Andiamo…”
Lui strattonò il braccio e lo liberò dalla sua
presa: “Perché dovrei venire con te?”
“Ti racconto quello che so! Se non vuoi dirmi nulla,
non importa, tanto se hai a che fare con Goku lo saprò da lui…il problema è che
non lo vedo da diversi giorni, e sono preoccupata”, gli rispose lei.
“Quella stupida scimmia non muore nemmeno se la
ammazzi. E’ nel mio appartamento”
“Non ci posso credere! Goku ha cambiato sponda?”
Il biondino le diede un pugno sulla testa: “Idiota!”
Lei gli tirò fuori la lingua, massaggiandosi la
testa: “Uomo senza delicatezza! E allora mi dici che ci fa da te?”
Sanzo si accese una sigaretta e rispose: “Ora vive a
casa mia”
Il mento di Shinobu si abbassò improvvisamente,
quasi fino a cascarle sul petto: “Tu…e Goku…insieme?”
Il ragazzo, commentando “Tsk!”, annuì.
Goku si rotolava nel letto: era pomeriggio, Sanzo
era uscito per fare chissà cosa, e lui si era appisolato per circa trenta minuti.
Trenta minuti d’inferno.
Ricordi lontanissimi, ricordi recenti, che si
mescolavano, si amalgamavano in sogni sconclusionati, frammentari,
incomprensibili.
Vedeva buio, luce, freddo e calore; vedeva
solitudine, felicità, un abbandono e una speranza.
Un passato remotissimo, un passato recente, un
presente che finalmente gli arrecava un po’ di sollievo; finalmente aveva
trovato la luce e il calore che cercava: Genjo Sanzo.
Lui lo aveva tirato fuori dalla pioggia e dalla
solitudine, dal dolore e dall’angoscia. Goku aveva detto addio alla sua vecchia
vita, aveva deciso di abbandonare la scuola, di lavorare, di fare per quella
persona così importante per lui tutto ciò che poteva per renderla felice.
Perché il ragazzino aveva intuito che nel biondo e
burbero giovane, quella freddezza celava sentimenti tristi, proprio come i
suoi.
Aprì i suoi occhi dorati; osservò le ombre della
sera che danzavano sul soffitto della camera da letto. Presto sarebbe tornato.
Sì, ora non era più solo, aveva qualcuno da aspettare e qualcuno che lo
aspettasse.
Il rumore prodotto dalla chiave che girava nella
toppa lo strappò dalle sue riflessioni; sentì la porta aprirsi e muoversi i
passi che ormai avrebbe riconosciuto anche tra mille: Genjo Sanzo era tornato a
casa.
“Sanzo!”
Saltò giù dal letto, e si precipitò nel corridoio
per accogliere il ragazzo.
“Goku!”
Il ragazzo si bloccò alla fine del corridoio:
“Shinobu?”
La ragazza annuì, mentre si toglieva in fretta le
scarpe e correva ad abbracciare il ragazzino, che la guardava sorpreso.
“Tsk! Te l’avevo detto che stava bene…”, disse Sanzo
togliendosi anche lui le scarpe.
Tsuzuku…
Commentucci! E anche questo settimo capitolo è
finito…grazie ancora a tutti quelli che leggono ecommentano. Per Poison: commenterò al più
presto “Prendimi così”. E’ ovvio che svelerò pian piano il passato dei
protagonisti…a grande richiesta, nel prossimo capitolo si saprà qualcosa in più
su Goku.
Shinobu stava seduta davanti su un divano,
guardandosi attorno; il disordine tipico di un ragazzo che vive da solo (a
parte Hakkai, ma quello era un caso sovrumano) la fece sorridere. Ops, ora i ragazzi
che vivevano da soli erano due; si notava lo sforzo compiuto in
quell’appartamento da uno dei due ragazzi per tenere un minimo d’ordine,
probabilmente vanificato dall’altro dei due.
Shinobu sorrise ancora, chiedendosi quale; Goku o
Sanzo? Goku, molto probabilmente.
Il ragazzino sedeva accanto a lei, cingendosi le
ginocchia con le braccia e sorridendo anche lui. Sanzo, invece, era seduto su
una poltrona davanti a loro; era certo che quello fosse il momento più adatto
per chiedere al ragazzino qualcosa di sé. E avrebbe sfruttato l’impertinenza di
quella ragazza snervante.
La ragazza si gettò sorridendo su Goku e gli
scompigliò i capelli più volte, mentre quello tentava di liberarsi dalla sua
presa: “Stupida scimmia!…Ero preoccupata! Come mai non sei più venuto a
scuola?”
“Vedi…ho deciso di lasciarla. Voglio trovarmi un
lavoro e vivere qui”
Questa risposta stupì anche Sanzo; non lo sapeva
nemmeno lui.
Ma Shinobu non neparve affatto colpita; invece chiese: “E perché adesso vivi qui?”
Bingo. La domanda che Sanzo aspettava fu posta.
La ragazza mollò la presa al collo di Goku,
risistemandosi sull’altro lato del divano, in attesa della risposta.
Goku si strinse nelle ginocchia, e disse: “Io…non ho
più un posto dove andare”
Quella era la sintetica risposta che Goku aveva dato
a Sanzo più e più volte, fino a costringerlo a non chiedere più nulla.
Shinobu guardò Goku, poi guardò Sanzo. Aspettò un
momento come per pensare, poi disse: “Mi sono dimenticata di avere un
appuntamento urgente. Devo scappare”
La solita scusa strausata centinaia di milioni di
volte lasciò intendere a Sanzo che quella ragazzina avesse più sale in zucca di
quanto gliene si avrebbe dato a prima occhiata. Il biondo capì immediatamente
che lei aveva voluto dargli modo di parlare con calma con Goku.
Shinobu scosse la testa; anche senza che nessuno
aprisse bocca, si era resa conto che era arrivato il momento in cui il
ragazzino avrebbe detto qualcosa a Sanzo, e lei riteneva che l’unica persona
che aveva il diritto di ascoltare era proprio lui; lei era superflua.
Se Goku avesse avuto bisogno di lei, ci sarebbe
stata sicuramente. Non era necessario che sapesse perché Goku era scappato di
casa, dato che di questo, certamente, si trattava. Dunque si alzò prendendo la
cartella e disse: “Io vado via; Sanzo, non disturbarti di accompagnarmi
all’uscita, so la strada”
“Tsk! Non ci pensavo nemmeno!”, la punzecchiò.
La ragazza gli lanciò un’occhiata fintamente
furiosa, poi si diresse verso l’uscita.
“E non mettere le mani addosso a Gokuuuuuuu!”,
concluse chiudendo la porta e facendosi sentire probabilmente fino al piano più
alto dell’edificio.
Clack.
Il rumore della porta che si chiudeva.
Sanzo combatté contro l’impulso di affacciarsi al
balcone e scagliarle in testa il primo oggetto che si fosse trovato sotto mano.
Ma ora, c’era altro di ben più importante da fare.
“Quella ragazza è davvero cretina!”, si limitò a
commentare Sanzo accendendosi una sigaretta.
“Naaaaa, è solo un po’ strana! Il solo fatto che
frequenti quel pervertito lo è!”
“Ti riferisci all’idiota con i capelli rossi?”
“Proprio lui! Pensa che il numero di ragazze con cui
è uscito è impressionante!”
“E’ proprio un idiota”, ripeté pensando a quando
l’aveva aggredito perché lui l’aveva ignorato.
“Sì, ma è l’unica ragazza su cui non ha mai messo una
mano addosso”, fece notare Goku.
Il biondo tacque un momento, aspirando il fumo; poi
chiese: “C’è qualcosa che dovresti dirmi, Goku?”
Era una delle poche volte che lo aveva chiamato per nome;
di solito lo chiamava “scimmia”, o qualcosa del genere. Chissà poi perché tutti
gli davano quel soprannome…
“Semplicemente che adesso ho iniziato a vivere”,
pensò di rispondergli Goku.
Ma non poteva…aveva fatto così tanto per lui…gli
doveva almeno delle spiegazioni.
Però…non voleva che lui vedesse le sue ferite. Non
voleva che lui lo considerasse un debole, un inetto.
Doveva continuare a nascondergli il suo passato?
O forse doveva dimostrargli tutta la sua fiducia?
Sì. Doveva dirglielo.
Ma non sapeva da che parte cominciare.
Iniziò allora a togliersi la maglietta, mentre Sanzo
lo guardava senza battere ciglio.
Il biondo, dal canto suo, non aveva ancora capito
questa sua reazione: che stava facendo la scimmia?
Quando i suoi occhi si posarono sul corpo del
ragazzino, per poco la sigaretta non gli cadde dalle labbra.
Ferite. Numerose cicatrici inferte con corpi di
diversa natura; alcune sembravano ustioni, altre frustate, altre ancora…tagli.
Lo sguardo ametista, meno gelido del solito, si posò
su quello dorato di Goku.
Non chiese nulla, ma i suoi occhi parlavano per lui.
“Questi…sono il risultato della mia debolezza”,
disse semplicemente Goku.
“Chi è stato?”, chiese il biondo.
“Colui che dovrei chiamare…padre”
“Perché?”
“Per una colpa che non ho commesso. Per una persona
che mi voleva bene e che si è sacrificata al posto mio”
“Non puoi chiamare padre una persona che ti fa
questo”
“Non lo era di sangue, ma sulla carta stava scritto
così”
“Che vuol dire?”
“Nessuno di loro due aveva legami di sangue con me”
“Non erano i tuoi veri genitori?”
“Erano la mia famiglia. Lei…lei mi voleva bene. Me
lo dimostrava continuamente”
Sanzo spense la sigaretta e decise che era meglio
non porre altre domande e lasciarlo parlare.
Goku strinse le labbra; “Sono sempre stato solo. Fin
da quando ho memoria. Poi…mi hanno detto che finalmente avrei trovato una casa.
E così è stato: una casa un po’ più grande di questa, con un giardino…”
Con voce tremante, continuò; faceva male, davvero
male, scoprire il lato di sé più debole all’unica persona che, in quel momento,
costituiva la sua vita. “Un paio di genitori…fin da piccolo ero convinto che
fosse ciò che dovevo desiderare ardentemente. E, fino ad alcuni anni fa, ne ero
ancora convinto…Quando lei cucinava per me…Quando mi abbracciava e mi
vestiva…Quando mi sorrideva. Era bellissima”. Anche Goku sorrise tristemente
pensando a quei ricordi felici, pochi.
“Poi, un giorno…non è stata colpa mia. Io…volevo
solo andare a prendere un gelato con lei. Ma…una macchina, una macchina è
arrivata, e io non l’avevo vista, e lei…”. S’interruppe.
Sanzo si portò una mano alla tempia; non voleva
ascoltare altro. Non era possibile…era troppo.
“Lui non era mai stato cattivo con me. Nemmeno buono,
però. Si capiva che, se mi teneva in casa, era solo per fare piacere a lei.
Quindi quando è morta…ha dato la colpa a me. Beveva, e beveva sempre…e poi mi
feriva. Queste…me le ha inferte lui in sei anni”, disse indicandosi il torace.
“Perché non sei andato via…?”, fu l’unica cosa che
Sanzo riuscì a chiedere.
“Perché ho sempre pensato che fosse davvero colpa
mia. E che mi meritavo ciò che lui mi faceva. E poi…lei mi aveva sempre detto
che lo amava quanto amava me. Non volevo abbandonarlo, solo…è triste essere
soli”
Il biondo alzò lo sguardo; doveva ascoltarlo, era
l’unica cosa che potesse fare per lui, il ragazzino si stava sforzando in
maniera inimmaginabile per raccontargli quelle cose.
“Avevo pensato anche di morire. Non sapevo cos’altro
fare…ma ogni volta che ci provavo, il coraggio mi mancava. Ero troppo codardo
anche per uccidermi”
“Che avresti ottenuto, in questo modo? Nulla.”
Goku annuì. “Adesso l’ho capito. Io ero immerso
nell’oscurità. Poi…da qualche tempo avevo iniziato a sognare. Qualcuno che
tendeva le sue mani verso di me, avvolto in una luce dorata simile a quella del
sole. Sapevo che avrebbe sentito la mia voce. Quella sera, non ho più potuto
subire. Io…l’ho colpito e sono fuggito via. Pensavo che la pioggia mi avrebbe
pulito da tutto lo sporco accumulato in questi anni…ho corso e corso, e poi,
quando non ce l’ho fatta più, mi sono accasciato per terra. E sei arrivato tu,
che mi hai teso la mano”
I suoi occhi, che ora esprimevano un’immensa
gratitudine, non erano nemmeno inumiditi dalle lacrime. Troppe ne aveva sparse,
e troppe, anzi, tutte, erano state inutili. Le aveva terminate.
Il ragazzo biondo si staccò dal suo sguardo e, dopo
essersi alzato con decisione dalla poltrona, si allontanò dalla stanza. Sperò
per un istante che il ragazzino non fraintendesse il suo gesto, l’ultima cosa
che voleva fare in quel momento era infliggergli un’ulteriore coltellata.
Ma adesso…il pensiero di una persona sacrificatasi,
di un’altra che, per quanto si provi ad amare, non fa altro che infliggere
ferite, gli aveva fatto venire voglia di sprofondare nel buio.
Si accese una sigaretta dietro l’altra, pensando;
per quel ragazzino non poteva fare niente, al momento, se non lasciare aperta
la porta della sua stanza e un po’ di spazio sul letto.
Shinobu scrollava la testa, camminando per strada e
dondolando la cartella avanti e indietro: “Perché devo andare a scuola? Perché
non sono nata centinaia di anni fa, quando l’unica cosa importante nella vita
era salvare la pelle?”, si lamentò ad alta voce, incurante delle persone che si
erano voltate a guardarla.
Sanzo: “Perché non ti stai zitta?”
I tre si erano casualmente incontrati per strada.
La ragazza non aveva chiesto nulla su ciò che era
successo il giorno prima; sapeva che non ne aveva il diritto; l’unica cosa che
poteva stare era stare vicina a Goku, se ne aveva bisogno.
La cosa che maggiormente le faceva piacere era che,
ora, sentiva che l’armonia tra i due era notevolmente aumentata.
Shinobu aggrottò le sopracciglia e rispose: “Perché
non ti comporti da normale diciottenne? Il tuo carattere mi ricorda quello di
un nonno psicopatico, che se ne sta tutto il giorno a brontolare e a evitare
qualsiasi contatto con gli altri. Rimugina su tutto ciò che gli accade intorno,
formulando come unico commento: idioti! Stupidi! O varianti del genere…”
Goku si lasciò fuggire una risatina, immaginandosi
il nonno di Heidi con un mitra spianato in mano; gli venne in mente una
scenetta in cui Heidi entra nella capanna e dice: “Nonnino! Ho fame!” e il
nonno: “Ammazzati!”. Probabilmente, Sanzo da vecchio sarebbe diventato proprio
così.
“Formate proprio una bella coppia di bakasaru, voi
due”, sbottò Sanzo.
Shinobu: “Ma dai! Non ti stanchi mai ad essere
sempre così tetro?”
“E tu non ti stanchi mai ad essere sempre così
rompipalle?”
Seguirono alcuni secondi di silenzio. Probabilmente
Shinobu aveva esaurito le rispostine.
“Ok! E con questo siete uno a uno!”, proclamò Goku.
“Ad ogni modo, Goku, sei sicuro di volerlo fare?
Intendo, di lasciare la scuola!”, chiese la ragazza cambiando discorso.
Goku annuì: “Ormai ho deciso: vado a lavorare!
Questi saranno i miei ultimi giorni”
Sanzo: “Tsk! Fa’ come vuoi…basta che tu non mi sia
di peso!”
Entrarono nel cancello della scuola; un gruppetto di
ragazze ammassate lasciarono intendere che Gojyo era arrivato presto, quella
mattina.
“Ginger!”, chiamò ad alta voce la ragazza per
attirare la sua attenzione.
Il ragazzo sentì la sua voce, fece cenno ad alcune
ragazze di spostarsi e le alzò il pollice per salutarla; ma quando vide con chi
la ragazza era arrivata a scuola, il suo sorriso spaccone svanì di colpo.
Gojyo scese dalla sua “Red tear” con un balzo,
scostò le ragazze attorno a lui e andò a posizionarsi davanti a Genjo Sanzo.
“Tu!”, sibilò facendo scrocchiare le ossa delle
dita, “Stupido frocio… Non abbiamo ancora finito il discorso della scorsa
settimana…”
“Non avrai attaccato briga anche con lui?”, chiese
Shinobu prendendolo per una manica.
“Fatti da parte, ragazzina”, disse Gojyo
sospingendola via.
Sanzo lo guardava con occhi inespressivi, senza
aprire bocca. Intanto Goku guardava prima l’uno e poi l’altro, senza capire.
Gojyo afferrò Sanzo per il colletto della camicia:
“Fatti sotto, stronzo!”
Shinobu prese Goku per le spalle e tentò di
allontanarlo: “Andiamo, Goku…credo che abbiano da discutere…”; temeva che anche
lui si sarebbe immischiato nell’imminente rissa, per proteggere Sanzo.
Il ragazzino, dopo un po’ di resistenza, si lasciò
condurre via; i due si allontanarono dal cortile, raggiungendo il grosso gruppo
di curiosi che osservava i due ragazzi più belli della scuola impegnati a
menarsi le mani a vicenda.
La lotta cominciò; Sanzo aveva rabbia in corpo da
scaricare, troppa, per poter lasciar perdere quel pallone gonfiato.
“Cazzo, Gojyo, piantala!”, sbraitava Shinobu dal suo
punto di osservazione.
Ma nessuno la ascoltava: i due erano troppo
impegnati a schivare calci e pugni per sentirla.
A quel punto, si sentì una mano sulla spalla: si
voltò e vide Gojuin che la guardava: “Che succede, Ori?”, le chiese.
“Non ne ho idea…pare che Gojyo e Sanzo abbiano da
discutere…”
“Che lo facciano fuori! Qui causano solo disturbo”,
rispose quello, glaciale. Si mosse per raggiungerli.
“Aspetta!”, disse Shinobu afferrandolo per la giacca
della divisa: “Potrebbe essere meglio lasciarli sfogare…se li fermi adesso, ti
sbranano!”
Il ragazzo la guardò con gli occhi rossi fiammanti,
lasciando intendere che sarebbe andato comunque, e si avvicinò ai due
litiganti.
“Adesso basta!”, disse, lapidario.
Sanzo, assestando un pugno in faccia a Gojyo,
commentò: “Levati dalle palle, tu!”; quell’altro, conficcando al biondo un
piede nello stomaco, rispose: “Ma guarda! Il grande Ryuho Gojuin che si degna
di parlare a noi miseri mortali! Come mai sei sceso dall’olimpo, pecorella?”
Gojuin sentì il sangue ribbollirgli: detestava che
qualcuno commentasse i suoi capelli chiari; “Andate a menarvi fuori!”, disse,
ancora una volta.
Ma nessuno dei due lo ascoltò, anzi, gli arrivò una
gomitata che lo prese in pieno volto; intanto, Sanzo era a terra, e Gojyo sopra
di lui stava per finirla una volta per tutte, quando una presa solida gli
bloccò il braccio. Gojyo si voltò: era Hakkai, con lo sguardo severo.
“Piantala!”, disse lui, serio.
Intanto Shinobu e Goku si erano convinti ad
intervenire anche loro: Goku si chinò su Sanzo, mentre Shinobu si piazzò
davanti a Gojyo con le mani sui fianchi: quel ragazzo era troppo infiammabile,
e non sempre lei riusciva a placare i suoi bollenti spiriti. Inoltre, era
davvero irritata dal fatto che anche Gojuin fosse stato coinvolto nella rissa.
Per fortuna, Gojyo si era fermato: Hakkai era
l’unica persona capace di fargli ritrovare un po’ di quel suo buonsenso che
andava troppo spesso a farsi fottere.
“Cazzo, ma si può sapere che c’entro io? Solo perché
ero in mezzo…”, disse Shinobu strofinandosi gli occhi.
“Perché, ti risulta che io abbia fatto qualcosa?”,
le rispose Goku, seduto accanto a lei.
Gli altri quattro non parlavano: Hakkai era ancora
arrabbiato con Gojyo, e sedeva accanto Ryuho che aveva le braccia conserte;
Gojyo e Sanzo erano ai due lati opposti della sala, fumandosi una sigaretta
dopo l’altra.
Tutti e sei erano stati convocati dal preside per
aver causato la rissa; a nulla erano servite le scuse di Shinobu e Goku che avevano
tentato di giustificarsi dicendo che loro due, Hakkai e Gojuin non avevano
fatto nulla, anzi, stavano solo cercando di separarli…
Il preside entrò. Era un uomo piuttosto bassino,
grosso, calvo e sulla cinquantina, con un paio di occhiali rotondi.
“Voi, voi…sempre voi! Ori, Son, Sha, Sanzo…non ne
posso più! E da voi due, il più intelligente alunno della scuola e il
presidente del comitato scolastico, non me lo sarei mai aspettato!”
“Con permesso, signor preside…”, parlò Gojuin,
“Volevo precisare che io, Cho, la signorina Ori e Son, siamo estranei alla
rissa. Le nostre intenzioni erano quelle di placare i due litiganti, ma siamo
stati coinvolti nostro malgrado nella lite”.
Il preside si tolse gli occhiali e li strofinò sulla
propria camicia; come al solito Gojuin aveva la lingua tagliente, e non c’era
da ribattere. Poche parole e uno sguardo che avrebbe raggelato chiunque erano
bastate per metterlo a tacere; si limitò a rispondere: “Potete andare…i
testimoni della rissa mi consentiranno di far luce sulla faccenda…”
Le sei persone uscirono dalla presidenza in una
scomposta fila indiana; Shinobu andò a posizionarsi immediatamente accanto a
Gojyo, temendo che, non appena uscito dalla visuale delle autorità scolastiche,
si sarebbe nuovamente scagliato su Sanzo per terminare la discussione.
Invece il ragazzo, visibilmente irritatissimo, al
pari di Sanzo, non proferì parola né parve avere intenzione di riprendere la
rissa.
La ragazza sospirò e decise di lasciar perdere tutte
le ingiurie che aveva intenzione di scagliargli, invece andò a concentrarsi su
Ryuho.
“Mi dispiace che anche tu sia stato coinvolto”,
disse.
“Non preoccuparti…non ci saranno conseguenze,
neanche per te, Cho e Son”
“Non era a quello che mi riferivo…”, disse
portandosi una mano su una guancia per fargli capire cosa intendesse.
“Ah, ti riferisci alla gomitata? Non preoccuparti,
non è nulla…”
“Gojyo a volte è un animale”
“Quell’idiota non doveva mettersi in mezzo!”,
sbraitò Gojyo, qualche metro più in là.
“Ha ragione Shinobu!”, disse, irritatissimo anche
lui, Hakkai. Era lui che, di solito, insieme a Shinobu, impediva a Gojyo di
cacciarsi nei guai. E detestava le liti senza significato.
“Guarda che quella cretina l’ha detto solo perché è
dispiaciuta che Gojuin ci sia rimasto ferito!”, disse Gojyo malignamente. Per i
suoi gusti, quel tipo si prendeva troppa confidenza nei suoi confronti.
“Cosa vorresti dire?”, chiese lei voltandosi.
“Che della rissa non te ne importa niente. Perciò
non venire a rompermi il cazzo con i tuoi: -Ohhhh! Gojyo è un animale!-”, la
schernì imitando la sua voce.
Shinobu pestò un piede per terra, furiosa: “Sei uno
stronzo!”, gridò. “Gojuin, andiamo in infermeria!”, aggiunse prendendolo per un
braccio.
E così svoltarono nel corridoio di destra e si
allontanarono.
Hakkai guardò Gojyo scuotendo la testa: “Sei davvero
idiota. Perché non sei un po’ più sincero? Pensavi veramente quello che le hai
detto?”
Gojyo diede un pugno sulla parete: “E’ chiaro.
Quello lì se la mangia con gli occhi. Non hai idea di come la guardi, e a lei
non dispiace affatto”
“E a te dà fastidio?”
“No di certo. Ma che non venga a fare la
santarellina dicendomi di non fare a pugni. Io faccio quello che cazzo voglio!”
“Sei davvero patetico”, disse Sanzo, parlando per la
prima volta dopo tanti minuti di silenzio assoluto.
“Credimi, detto da te, suona stranamente irreale. In
ogni caso, devo farti i miei sinceri complimenti. Sei il primo che riesce a
suonarmele.”, rispose Gojyo, avendo perso tutta la sua voglia di prenderlo a
pugni. Era un altro che aveva voglia di prendere a pugni, adesso.
“Almeno c’era un motivo appena sufficiente da essere
definito tale per quella lite?”, s’informò Hakkai, senza perdere la nota
irritata nella sua voce.
Nessuno rispose; quando Hakkai parlava così, non
c’era nulla da fare: se anche avesse detto che i giapponesi sono invece nati in
Norvegia, avrebbe certamente convinto tutti gli astanti che era così.
E infatti, adesso Gojyo si sentiva stranamente
idiota per aver intrapreso quella rissa a causa di un urto; Sanzo, imperscrutabile,
commentò: “Tsk!”.
Hakkai sospirò, imitato da Goku; lui non considerava
la violenza sempre ingiustificata, dato che se era volta a salvare la pelle
propria o altrui era necessaria, ma non approvava le risse intraprese per delle
sciocchezze, come quella lì.
“E’ un idiota…ma come si permette? Io pensavo solo
che era inutile quella rissa…e non volevo che lui si mettesse nei guai per
cazzate come quella! Non è vero che mi sono arrabbiata solo perché ha colpito
Gojuin…che cazzo gli passa per la testa?”, pensava Shinobu rovistando
furiosamente tra le cassette del pronto soccorso. Dove diavolo era l’infermiera
quando serviva?
“Lascialo perdere, è davvero un deficiente!”, disse
Gojuin intuendo a cosa stesse pensando.
“Mi dispiace, Gojuin…so che tu odi le risse”
Lui scosse la testa. “Non preoccuparti. Nemmeno per
la ferita, non è nulla”
Finalmente, dopo aver fracassato a terra un paio di
bottigliette, Shinobu riuscì a trovare disinfettante e cerotti.
Si avvicinò al ragazzo tamponandogli la ferita sanguinante,
appena sotto l’occhio sinistro; in piedi davanti a lui, pensò che era la prima
volta che poteva guardare i suoi occhi così da vicino. Erano davvero stupendi.
“I tuoi occhi…”, disse lui, come se le leggesse nel
pensiero, “Mi ricordano qualcosa”
“Eh?”, chiese lei, sorpresa dalla coincidenza.
“Non farci caso…sto dicendo sciocchezze. Ma non
posso fare a meno di pensarci, da quando li ho guardati per la prima volta.”
Un ragazzo dai capelli e gli occhi di un colore
inusuale. Un teppista, un violento dal cuore perennemente chiuso, che ha dato
fondo a tutte le su energie in un’ennesima lotta insensata.
Disteso a terra, in un angolo della strada,
osservava le immagini delle persone lontane che, seppur scorgendolo, non gli
prestavano aiuto, assolutamente indifferenti alle disavventure di un teppista.
Un ragazzo che non aveva niente da fare, o da
sperare, e che non chiedeva aiuto perché non ne voleva.
Finchè, un’ombra non si avvicinò finalmente a lui,
in quell’afosa sera estiva.
“Che ti è successo?”
“Nulla. Lasciami in pace”
La ragazza gli porse la mano.
“Ti aiuto ad alzarti”
“Non ho bisogno di aiuto”, disse trovando appena le
energie per scostare la sua mano.
“Io invece credo di sì. Coraggio, non è il caso di
stare seduto qui in mezzo alla strada”
“…perché stai facendo questo?”
Lei lo guardò sorpresa: “C’è bisogno di un perché?”
“Sono qui da tre ore e nessuno si è avvicinato”
“Io non sono “nessuno”. Ti do una mano, se mi dici
dove abiti. Perché non credo che tu voglia rivolgerti ad un pronto soccorso,
vero?”
Gojuin, che fino a quel momento aveva tenuto lo
sguardo abbassato, alzò gli occhi per osservare quelli della strana ragazza che
aveva davanti; occhi verdi, che gli diedero un’improvvisa sensazione di
nostalgia.
Guardò la mano che lei ancora gli tendeva. La afferrò:
“Va bene, andiamo…”
La ragazza l’aveva condotto a casa, gli aveva dato
una mano a riprendersi e gli aveva persino medicato le ferite. Poi, era sparita
con un sorriso, lasciandogli la casa piena di calore. Non l’aveva più rivista, almeno
fino all’anno prima.
Quando i suoi occhi si posarono su una matricola un
po’ svampita che si aggirava per la scuola, riconobbe subito quell’unica
persona che, una calda sera estiva, lo aveva aiutato a rialzarsi e,
inconsapevolmente, l’aveva riportato alla realtà.
L’avrebbe rivista ogni giorno, da allora.
E così aveva fatto: l’aveva seguita con gli occhi
dalla finestra dell’aula, l’aveva osservata a lungo, accorgendosi che lo spazio
vuoto che aveva dentro si era riempito delle sue immagini.
Lui l’amava, in qualche modo.
“Ecco fatto!”, disse Shinobu applicandogli un
cerotto sul viso. “E così, anche oggi, mi sono saltata le mie due ore di
lezione quotidiane! Sai com’è, me l’ha ordinato il medico…”
Rimise a posto tutto, raccogliendo anche i cocci di
vetro delle bottigliette che aveva rotto: “Tu non hai visto niente, eh?”,
scherzò sorridendo, “Altrimenti l’infermiera me ne dirà di tutti i colori!”
La ragazza si lavò le mani, poi disse: “Bè? Non vai
in classe? Hai intenzione di bigiare anche tu? Io vado via, qualche lezione
dovrò pur seguirla, no?”
Era abituata ai suoi silenzi, quando parlava con
lui. Le prime volte le sembrava di parlare da sola, ma poi si era resa conto
che c’era un altro modo con cui lui le rispondeva: lo sguardo.
“Shinobu?”
“Sì?”, disse lei, sorpresa di sentirsi chiamare per
nome.
Shinobu obbedì, ancora stupita di sentirsi chiamare per
nome.
Lui si sporse un po’ dalla sedia e la baciò sulle
labbra, sollevando una mano per cingerle la vita.
Il tocco delle sue labbra era proprio come l’aveva
sempre immaginato: e non si stupì nel provare anche in quel gesto un’improvvisa
nostalgia, come se, in un tempo remoto, fosse già avvenuto.
La ragazza, preoccupata da
quella reazione che le sembrava assurda da parte di un ragazzo come Gojuin, non
perse nemmeno un momento a scansarsi. Quel ragazzo la affascinava, era vero, ma, non
appena le loro labbra si erano incontrate, in lei si era instaurato un
sentimento di…non sapeva nemmeno come definirlo. Aveva sentito come se tutto
ciò fosse sbagliato.
Perchè avesse provato questo
sentimento proprio nei confronti di Gojuin, non lo sapeva.
Il ragazzo la fissò per un istante, poi si sollevò
dalla sedia e andò a recuperare la cartella. Mormorando uno “Scusami” piuttosto
freddo, tratto sicuramente dal suo repertorio di frasi smorzate, il ragazzo si
alzò e si allontanò.
“Dannazione…ancora una volta…non riuscirò ad averla”
Sarebbe per sempre volata via come un aquilone senza
filo.
“Hai deciso di provarci anche con Sanzo e Gojuin?”,
sbraitò una delle due ragazze che le impedivano di passare per il corridoio.
“Siete tra i piedi. Devo andare in
mensa a mangiare, mi aspettano”. Il suo tono era freddo, un po’
canzonatorio.
“Sei proprio una troia”, disse l’altra.
“E voi siete proprio due
galline”, rispose lei.
La ragazza che aveva parlato per prima, punta
nell’orgoglio, alzò il braccio per schiaffeggiarla, ma Shinobu bloccò il suo
braccio e disse: “Non avete il diritto di farmi violenza perché le cose non
vanno come volete voi. Io non impedisco niente a nessuno”; si portò una mano alla guancia, poi alla fronte e infine alla
testa: le bende le nascondevano ancora le ferite fisiche. “Vedete queste? Mi
sono continuamente inferte da persone che credono di avere diritti sul mio
corpo e sulla mia vita. Volete che vi spieghi come alcune di voi mi tendono
agguati e mi aggrediscono con bastoni? Oppure come
ragazzi che si credono un cazzo e mezzo mi aggrediscono per prendere il mio
corpo? Basta che lo chiediate. Lasciatemi passare, sono in ritardo e ho bisogno
di mangiare”.
Forse era il discorso più lungo che avesse mai fatto con qualcuna delle sue compagne; questa
volta non aveva voluto usare la violenza, solo dimostrare quanto fosse annoiata
da quella situazione.
Le sue parole, comunque,
ottennero l’effetto sperato: le due ragazze si fecero immediatamente da parte,
ammutolite da quei discorsi che non si aspettavano di sentir uscire dalle
labbra di una loro coetanea.
Si diresse verso la mensa; era disgustata dalla
stupidità della gente, anche se, alla fine, lei non era molto meglio di loro.
Si guardò intorno, alla ricerca del solito tavolo che nessuno osava occupare
perché era il posto abituale di Gojyo. E infatti, lui,
Hakkai, Goku e incredibilmente anche Sanzo, avevano già preso posto.
Prese una sedia e si sedette davanti a Gojyo. Si
scoprì ancora incavolata con lui: in fondo aveva insinuato che lei…anche se
dopo gli ultimi trascorsi avrebbe avuto tutto il
diritto di travisare.
No. Lei non era così: davvero aveva criticato la
rissa perché le scocciava vederlo nei guai, insieme a Sanzo; quindi lui aveva
automaticamente torto. Ma…lui, qualche giorno prima,
l’aveva salvata da una sicura violenza sessuale. Era sempre lui che la tirava
fuori dei guai. Forse era giusto che anche lei si scusasse per avergli dato
dello stronzo…Doveva scusarsi lei, tanto lui non l’avrebbe
mai fatto.
In una specie di implicita
sfida, fissò i propri occhi verdi in quelli rossi dell’amico. Sembravano tanti
ciuffi d’erba in mezzo ad un campo di garofani.
Lo fissò per un po’, aspettandosi una qualche
reazione da parte sua, mentre Hakkai e Goku, conoscendo i due polli, temevano
di veder volare scintille da un momento all’altro. Gojyo non aveva mai alzato
un dito su quella ragazza, lei, semai
l’avesse colpito, l’aveva fatto soltanto per scherzo.
Ma erano frequenti i loro battibecchi, che a volte duravano molto a lungo, e
che a volte sfociavano in vere e proprie liti verbali, che terminavano con uno
dei due che se ne andava rompendo qualcosa.
Gojyo ricambiò lo sguardo; quella stupida si
aspettava forse delle scuse? In fin dei conti, però, forse era davvero lui ad
avere torto. Certo, però, da lei scuse non se ne aspettava.
Aprì la bocca per parlare, poi la
richiuse, non sapendo che dire.
Distolse lo sguardo, incrociò le braccia e
finalmente mormorò: “Mi dispiace”.
Shinobu non si aspettava di poter sentire delle
scuse; sorrise, poi gli disse: “Scusami anche tu”
Adesso il silenzio assoluto che regnava nel tavolo,
in contrasto con la confusione della mensa, si era sciolto; Hakkai si informò sull’andamento scolastico di Shinobu e sulle sue
ferite al viso, mentre Goku si divorava una quantità tale di porzioni di cibo
che avrebbero tranquillamente sfamato il Vietnam per un mese, Sanzo e Gojyo
fumavano, apparentemente indignati di dover mangiare allo stesso tavolo.
Shinobu, invece, ascoltava le loro chiacchiere, felice che i bollenti spiriti
di Gojyo e Sanzo si fossero calmati. Forse, a volte,
per comprendersi, una buona scazzottata era l’ideale.
“Argh! Stupida scimmietta, quello era il mio
hamburger!”
“Razza di pervertito, non c’era scritto sopra il tuo
nome!”
“Scimmia dalla bocca larga che mangia il cibo
altrui!”
“Sciupafemmine senza cervello!”
“Volete piantarla, voi due?!!!”,
sbraitò Sanzo battendo un pugno sul tavolo.
“E tu di che ti impicci,
razza di fallito?”
“Non intendo farmi insultare da uno il cui
rendimento scolastico rasenta il patetico”
“E tu che ne sai del mio
rendimento scolastico? Credi di essere un genio?”
“Ginger, ma non ti stanchi mai di aggredire
chiunque?”
“E’ l’unico modo che ha per sentirsi importante”
“Proprio questo non dovresti
venirmelo a dire tu! Ti irriti così spesso che stai
diventando calvo!”
“Calvo io? Pensa alle tue rughe!”
“Ragazzi, calmatevi…ci stanno guardando tutti!”,
fece notare Hakkai.
E infatti, guardandosi
intorno, Shinobu notò che tutti gli sguardi delle persone nella mensa (molte,
per inciso), erano puntati su di loro.
Sanzo sospirò, chiedendosi perché fosse finito con
quegli idioti.
Per un momento, i suoi pensieri furono interrotti da
qualcosa.
“Ragazzi…mi dite che giorno è oggi?”
Gojyo, inghiottendo un pezzo di pane, rispose:
“Credo il 5 aprile, perché?”
Shinobu si voltò verso Goku, schioccando le dita:
“By Jove, è possibile che tu sia così scemo? E io che me ne stavo dimenticando! Goku, oggi non compi 17
anni?”
Gli occhi di Goku si persero un attimo nel vuoto.
Poi schioccò le dita anche lui. “E’ vero! Oggi dovrebbe
essere il mio compleanno!”, disse sorridendo.
“Accidenti! Sono un genio! Auguri,
Goku!”, fece notare modestamente Shinobu, col volto di chi ha appena
vinto le elezioni come presidente degli Stati Uniti.
“Cosa? Io non lo sapevo. La
scimmia allora è più piccola di te?”, chiese Gojyo alla ragazza.
“Veramente sarei più grande di lei di…più di un mese”,
rispose Goku.
Gojyo la guardò: “Tu…non hai ancora 17 anni?”
“Bè…in effetti baro un po’
sull’età. Devo farli a Maggio”
“Che mocciosa!”
“E tu quando li hai fatti
diciotto, Ginger? Lo scorso Novembre, vero?”
“Già…Hakkai invece a Settembre”, rispose Gojyo.
“E tu quando compi gli
anni, Sanzo?”, chiese Goku.
“Tsk! Non sono affari che ti riguardano, bakasaru”
“E daiiiiiii!”, dissero in
coro Shinobu e Goku.
“Tsk…a Novembre anch’io, come quel maniaco”
“A chi maniaco, idiota?”
“Piantatela tutti e due!”,
li riportò all’ordine Hakkai.
“Allora all’uscita…tutti a bere fuori per
festeggiare i 17 di Goku!”, proclamò Shinobu.
“Cosa? Non ti è ancora bastata la lezione dell’altra volta?” domandò Gojyo
riferendosi all’aggressione.
Hakkai: “Perché no?…io sono d’accordo”
Goku: “Anch’io! Sanzo, vieni anche tu?”
Sanzo: “Tsk!”
Un paio di sguardi supplicanti (ovviamente quelli di
Goku e di Shinobu) si posarono sul viso del ragazzo.
“Tsk! Questa sottospecie di signorina, sono sicuro
che non riesce a reggere nemmeno un bicchiere!”, lo punzecchiò
Gojyo.
“Vuoi morire?” chiese lui con un tono che avrebbe
gelato le ossa a chiunque.
“Ohhh…ma che paura! Ammettilo, signorinella!”
Sanzo scattò in piedi sbattendo le mani sul tavolo.
“Giuro che ti ammazzo!”, sibilò.
Shinobu: “Voi due, non avrete intenzione di
ricominciare?”
Hakkai: “Finitela! Sanzo, vieni o no con noi?”
Goku: “Sanzo, avanti! Se
reggi l’alcool, faglielo vedere a quel pervertito!”
Il biondino lo guardò di sottecchi; poi sbuffò e
disse: “Tsk! E va bene. Ma se Anna dai capelli rossi
apre ancora bocca, giuro che ci ficco dentro un pugno”
Shinobu diede una gomitata a Gojyo, che stava per
rispondere (ma richiuse immediatamente la bocca), e disse: “Allora, siamo
d’accordo”
Shinobu tornò a pensare; si sfiorò le labbra,
cercando di ricordare l’ultima volta che aveva baciato qualcuno. Forse…era
passato quasi un anno. Peraltro non le riusciva più di pensare ad alcun
ragazzo, almeno da quando aveva iniziato a fare quegli strani sogni, che la
facevano sentire svuotata.
Non le interessavano particolarmente le questioni
amorose che tanto impegnavano le sue cosiddette compagne, perché non credeva
particolarmente nell’amore, non avendolo mai provato. Aveva avuto qualche
esperienza, certo, ma niente di serio: ragazzi troppo stupidi per considerare una ragazza al di fuori del modo in cui
appare; uno l’aveva piantata dopo neanche ventiquattr’ore, perché la sera
stessa in cui lei aveva accettato di uscire insieme, l’aveva condotta in un
Love Hotel con un pacco di preservativi in tasca, e lei aveva reagito non
troppo gentilmente; un altro l’aveva mollata per tornare con l’ex, la quale era
convinta di poter instaurare un rapporto con Gojyo che durasse più di una
notte; gli altri…era troppo difficile ricordare; in ogni caso, non era riuscita
a tenersi un ragazzo per più di un mese.
D’altronde, a parte Gojyo
che ne cambiava una a serata, né Hakkai, né Goku e tantomeno Sanzo apparivano
interessati a queste cose: il primo rifiutava gentilmente le tante ragazze che
gli confessavano i suoi sentimenti; il secondo era piuttosto lento a capire
quando gli stessero facendo proposte di quel tipo, e doveva sempre essere
Shinobu a spiegargli: “Guarda che quella ti ha regalato i biscotti perché vuole
essere la tua ragazza!”; il terzo, pur essendo da pochissimo arrivato in quella
scuola, riscuoteva le simpatie femminili quasi al pari di Gojyo; mentre, però,
il rosso le accettava quasi tutte, lui le rifiutava freddamente commentando con
il solito “Tsk!”. Come le ragazze non si fossero ancora stufate dei
suoi modi da homo herectus, era ancora un mistero anche per Shinobu.
Quanto a lei, i suoi cosiddetti “ragazzi” non erano
stati altro che pallide imitazioni di ciò che credeva fosse comune a tutte le
ragazze della sua età: affidava loro solo una minima parte di se stessa; il resto di lei, quello che si fidava di Hakkai e Gojyo, per
intenderci, non aveva la minima intenzione di concedersi a quelle persone;
eppure, lei continuava ad illuderle e a illudere se stessa, che quello che
stesse provando l’avrebbe resa felice.
Ma si sbagliava: non poteva
essere felice con una persona a cui non donava tutta se stessa.
Però…
Il suo sguardo ricadde su Gojyo intento a fumarsi
una sigaretta; il ragazzo ricambiò lo sguardo, interrogativo; Shinobu scosse la
testa e tornò ai suoi pensieri: le sensazioni che aveva
provato qualche mattina prima…non potevano essere accantonate.
“Shinobu?”
Si riscosse dai suoi pensieri; al diavolo tutto, ci
avrebbe pensato in futuro. “Che c’è?”
“Mi stavo chiedendo…”, continuò Hakkai, “…se per ora
riposi abbastanza. Ti vedo un po’ stanca”
Infatti, il volto di solito roseo della ragazza era
ultimamente segnato da un paio di occhiaie e da un
leggero pallore.
Lei sospirò: “Bè, dormo poco, ma questo l’ho sempre fatto…il problema è come dormo: ogni notte faccio
sogni strani e…”
Tutti, proprio tutti, in quel tavolo, la guardarono
stralunati: Gojyo che stava dondolandosi con la sedia la riportò immediatamente
dritta; Goku e Hakkai abbandonarono ciò che stavano portando alla bocca, e
persino Sanzo lasciò cadere la cenere della sigaretta. Il coro fu quasi unico: “Eh?”
Lei li guardò uno per uno,
sorpresa: “Non avrete pensato cose oscene, spero!”, tentò di scherzare.
Ma le facce dei ragazzi attorno a lei non parvero
voler scherzare: “Che cosa sogni?”, chiese Hakkai.
Lei scosse la testa: “Non saprei…non mi ricordo
molto. Ogni notte faccio sogni collegati tra loro, ma…”; scosse ancora la
testa: “Non ricordo nulla”
Gojyo eHakkai si guardarono in viso; Sanzo e Goku abbassarono lo sguardo.
“Ma…non ditemi che anche
voi…”, continuò allora lei.
Sanzo sbarrò gli occhi e pensò: “Da quando mi sono
trasferito io a Tokyo? Che questi idioti c’entrino in qualche
modo qualcosa?”
La campanella di fine intervallo
li riportò alla realtà.
Ormai era chiaro: quei sogni erano collegati tra
loro, occorreva solo trovare il filo conduttore e avrebbero saputo.
Commentucci: Assurdo…devo dire che questo è il
capitolo che più mi ha stancato! Io non ho nessun problema a scrivere scene
slash o di sesso, ma mi blocco per delle stupidaggini.
La parte su Gojuin…volevo
inserire assolutamente qualcosa a riguardo, ma non volevo prolungarla. Si
capirà qualcosa in più quando racconterò le vite nel Tenkai.
Ho scritto e riscritto questa parte tantissime
volte: la difficoltà principale è il fatto che Gojuin
verrebbe troppo OOC…così, dato che il personaggio è di per sé inspiegabile, ho
voluto “affidargli” un tipo di sentimento altrettanto inspiegabile: si è
aggrappato alla figura di Shinobu perché l’ha considerata l’unica immagine a
colori nel suo mondo in bianco e nero, avendo lei un carattere difficilmente
indistinguibile. Non credo sia innamorato…anche perché un Gojuin innamorato non
è un Gojuin! Oggi non riesco a mettere giù due pensieri coerenti…più rileggo e
più non capisco io stessa quello che ho scritto.
Bè, non spoilero più, spero che poi, con l’avanzare
della storia, tutti comprendano la situazione Gojuin/Shinobu.
Salve
a tutti! Innanzitutto vorrei fare un mondo di auguri a chiunque stia leggendo
queste righe, e ringraziare le solite commentatrici incallite, ovvero Yuri, Lorusgra,
PoisonApple, Kakashi e Kairi84. Thanks a lot! Grazie anche a chi legge e non
commenta. Vi lascio al capitolo…
Capitolo
10 – Ruined birthday
Il
fiatone, Shinobu correva intorno al campetto, con i bloomers che tanto
detestava; spesso e volentieri indossava un paio di pantaloncini maschili,
perché detestava quell’indumento da maniaci, però per quella giornata aveva
deciso di evitare altri comportamenti scorretti (dato che era per il momento
coinvolta ingiustamente nella rissa di Gojyo e Sanzo, e aveva perduto due ore
di lezione tra la sosta in presidenza e l’infermeria); così, a malincuore, si
era convinta a indossare i bloomers.
Detestava
la noiosa ripetizione delle ore di ginnastica; anche se correre le piaceva, e
spesso e volentieri lo faceva da sola durante il pomeriggio o la sera, avrebbe
milioni di volte preferito essere al campo di calcio con i maschi, piuttosto
che essere obbligata a ripercorrere infinite volte quello stramaledetto cortile
insieme alle ragazze della sua classe.
Sbuffando,
evitò agilmente uno sgambetto che “casualmente” le aveva rivolto una sua
compagna.
Si
voltò verso il campo di calcio; oltre a guardare i ragazzi giocare, cercò con
gli occhi Gojyo, che aveva educazione fisica anche lui in quell’ora.
“Quell’idiota
ha bigiato di nuovo?”, pensò Shinobu non vedendolo.
E
dire che lei avrebbe dato non sapeva cosa per giocare a calcio…
Questa
volta non riuscì a evitare un ulteriore sgambetto, così rovinò per terra,
mentre le ragazze ridacchiavano.
La
professoressa suonò il fischietto. “Insomma, Ori! Più concentrata! Così
rallenti anche le tue compagne, si può sapere come sei caduta?”
Shinobu
strinse i pugni. Calma…calma. Emise un respiro e rispose sorridendo, mentre si
rialzava: “Non saprei, professoressa. Devo essere inciampata”
Sarebbe
servito solo a perdere un mucchio di tempo, dire che era stata una delle
compagne a farle lo sgambetto.
La
professoressa la guardò scuotendo la testa, mentre nessuno fiatava. Inutile,
quella ragazza aveva sempre una gran faccia tosta..
La
risposta, comunque, di certo non piacque alla padrona dell’inciampo, che giurò
di fargliela pagare. Per l’ennesima volta, quella bamboccia aveva avuto
l’ultima parola su di lei.
“Deve
avere ragione Hakkai…questi sogni sono tutti collegati tra loro. Persino
Shinobu li fa di frequente…chissà se riuscirò a capirci qualcosa”, pensava
Gojyo baciando un po’ distrattamente la ragazza del terzo anno che era riuscito
a imbarcare per non dover giocare una delle solite partite di calcio.
“Sei
distratto, Sha…che ti prende?”, chiese la ragazza facendo per aprirsi un po’ di
più la camicia sul davanti.
Il
ragazzo le scoccò un’occhiata non troppo interessata, dicendo: “Non è niente.
Solo un po’ di stanchezza, dolcezza. Fammela passare un po’…”, continuò
attirandola a sé.
“Che
ne dici di andare in un posto più comodo dopo le lezioni?”, gli sussurrò
nell’orecchio la ragazza.
“Mi
dispiace, ma sono occupato. Vado a bere fuori con gli amici”, disse Gojyo con
un sorriso sardonico.
“Se
preferisci loro a me…”, sussurrò la ragazza con un sorriso malizioso,
allontanandosi appena un po’ da lui.
“Bè…oggi
non posso proprio. Sarà per un’altra volta”, disse lui risistemandosi la camicia.
Come al solito, alle lunghe tutte le ragazze diventavano noiose, e accampavano
diritti su di lui.
La
ragazza lo guardò delusa: “Ultimamente non sei più tu, Sha. Le donne non erano
la tua vita?”
“E
lo sono ancora”, rise Gojyo. Dove voleva arrivare?
Lei
iniziò a ricoprirsi: “Ti stai allontanando sempre più da quello che eri, da
quello che piaceva a noi tutte. Perché?”
“Ti
ho detto che è solo un po’ di stanchezza, niente di più. Se vuoi, domani sera
ci vediamo nel mio appartamento, e allora vedrai se non sono più io”, disse lui
con un sorriso spaccone.
“Prima,
insieme al tuo corpo, ci davi anche l’anima. Adesso sembra che sia da qualche
altra parte”
Gojyo
scoppiò in una risatina: “Ma che sciocchezze vai dicendo?”
Lei
terminò di rivestirsi, scuotendo la testa e decidendo di cambiare discorso: “Esci
con i ragazzi delle moto?”
“No.
Con Genjo, Cho, Son…”
“…e
Ori?”
Gojyo
annuì.
“E’
quella mocciosa che ti sta cambiando?”
“Non
sto cambiando, Maki. Sono sempre lo stesso ragazzo che scopa con te quando non
c’è nessuna di meglio da farsi”, concluse lui un po’ irritato.
La
ragazza gli assestò un sonoro schiaffo. “Sono una delle poche che c’è sempre
quando ne hai bisogno”, fece per andarsene.
Si
fermò sulla soglia del ripostiglio. “…E in ogni caso, credo che quella
sgualdrinella troverà più divertente uscire con Gojuin, stasera”.
“Che
c’entra Gojuin?”
“L’hanno
vista in infermeria con Gojuin. Sì, erano in atteggiamenti mooolto intimi,
Gojyo”
“Un’altra
delle solite cazzate che mettete in giro sul suo conto? A me non interessa”,
disse accendendosi una sigaretta, con lo sguardo annoiato.
“Questa
volta è vero. L’ha vista Misao, e sai che è una di quelle che vuole restare fuori
da qualsiasi chiacchiera. Non vuole andare contro Ori. O meglio, non lo voleva,
prima che vedesse il ragazzo che le piaceva baciare un’altra che, si dice, ci
prova con tutti”, concluse la ragazza uscendo dal ripostiglio.
Gojyo
rimase lì con la sigaretta in bocca. Non che gliene importasse, ma voleva
proprio chiedere a Shinobu se era vero. E lo avrebbe fatto all’uscita.
Goku
e Shinobu, chiacchierando allegramente del più e del meno, stavano andando
verso la moto di Gojyo. Sarebbero andati tutti insieme a bere, e Goku era
eccitatissimo all’idea.
“Sai
che sono molti anni che non festeggio il mio compleanno?”, disse, saltellando.
“Davvero?
Allora stasera ci divertiremo un sacco! Andremo al karaoke, a bere, e poi a
mangiare”
“Evviva!
Cibo cibo cibo!”
“Ci
mangeremo una bella torta al cioccolato!”, disse saltellando anche lei.
“Ah!
Eccolo il pervertito!”, disse Goku indicando Gojyo, che se ne stava appoggiato
alla moto.
Lo
raggiunsero.
“Ehi,
Ginger! Tu vai in moto? Dove ci vediamo?”, gli chiese la ragazza
tranquillamente.
“Non
dovresti uscire con Gojuin?”, le disse il ragazzo per provocarla.
“Eh?”,
chiese stupita Shinobu. Non poteva immaginare che lui sapesse.
“Ma
sì, mi hanno detto che siete diventati molto intimi, ultimamente…”
“Ma
che ti prende? Non avevamo chiarito quella faccenda?”.
Pensava
che si stesse riferendo ancora alla lite nel corridoio, riesumata per una
qualche arcana ragione.
“Non
sono affari miei, ma non dovresti uscire con lui?”
“Ma
perché?”
“Perché
mi hanno detto che l’hai baciato in infermeria, oggi”, concluse lui, gelido.
Ci
furono alcuni secondi di silenzio totale. Goku stava per chiedere: “Ma è
vero?”, ma capì subito che tirava una brutta aria, peggiore di quando
litigavano ad alta voce.
Shinobu
scosse la testa. L’ultima persona che, chissà perché, voleva che lo sapesse,
l’aveva saputo.
“Chi
te lo ha detto?”, si limitò a chiedere.
“Un
uccellino. O meglio, una figa”, rispose, volgarmente, Gojyo.
“Non
c’è bisogno di essere volgare, adesso”
“In
ogni caso, io adesso vado”, disse superandola e avviandosi verso il cancello.
“Aspetta
un attimo! E la cena fuori?”
“Bè…credo
che anch’io avrò il diritto di spassarmela con chi mi pare, no?”
“Capisco
che la cosa ti irriti perché non provi simpatia verso Gojuin, ma…”
“Veramente
la cosa mi è indifferente”, rispose lui.
“E
allora perché non esci con noi?”, gli chiese la ragazza. Decisamente, iniziava
ad irritarsi anche lei.
“Non
mi va più. Ci si vede”, disse lui.
“Gojyo!”
Lui
si voltò per un momento.
“Sei
uno stronzo. Non sono cazzi tuoi quello che faccio e con chi lo faccio, ma se
hai problemi risolvili con me e con nessun altro. Non ti farò rovinare il
giorno del compleanno di Goku con la tua stupida boria. Hai capito?”, gli disse,
arrabbiata con lui come non mai.
Era
troppo. La prima era sbottata, adesso toccava a lui.
Gojyo
le si avvicinò, mettendole due dita sotto il mento e alzandole il viso; la
ragazza era già bassa di suo, circa cinque centimetri in meno di Goku, ma al
confronto con Gojyo sembrava ancora più piccola: “Cerca di non prenderti tutta
questa confidenza con me. Chi sei tu, per dirmi che sono stronzo e borioso?
Vedi di starmi alla larga. Non ho tempo da perdere con le ragazzine
presuntuose”.
E
così dicendo, fissando i suoi occhi rossi in quelli della ragazza, si
allontanò.
Shinobu
lo guardò; stava tremando di rabbia. Davvero quello era il ragazzo che poco
tempo prima l’aveva salvata da una violenza sessuale e le aveva poggiato la sua
giacca sulle spalle, lo stesso con cui aveva passato una mattinata tra gli
alberi di ciliegio e con cui si divertiva a bere?
“Ma
si può sapere che c’è?”, chiese Goku, che finalmente, credendo scampata la
tempesta, si rischiò a parlare.
“C’è
che è un gran coglione”, esclamò risentita la ragazza.
Fuori
del cancello, Hakkai e Sanzo stavano aspettando Gojyo e gli altri due. Lo
videro passare a piedi, senza la moto.
“C’è
qualcosa che non va, Gojyo?”, chiese gentilmente Hakkai.
“Sto
andando a fare due passi!”, mormorò lui continuando a camminare.
“Dov’è
Goku? E Shinobu?”
Il
ragazzo dai capelli rossi si voltò di scatto: “Penso che quella troverà più
piacevole uscire con Gojuin, stasera. E comunque non parlarmi più di quella
mocciosa”
“Sbaglio
o percepisco una nota d’irritazione nella tua voce?”, disse lui tentando di
nascondere uno dei suoi soliti sorrisi.
“Perché
dovrei essere irritato?” chiese Gojyo.
Sanzo
arrivò con una sigaretta in bocca: “Allora, dove sono le due saru?”
Gojyo
non rispose e si allontanò.
Hakkai,
sospirando, rispose: “Credo che sia successo qualcosa. Se fosse stata una delle
solite discussioni, si sarebbe messo a urlare , o
qualcosa del genere. Invece il suo tono era…deluso”
Sanzo
soffiò il fumo e, indicando Gojyo, disse: “E’ un idiota”
Hakkai
annuì: “Sono d’accordo con te. Certe cose non sa proprio ammetterle”
Il
ragazzo dagli occhi verdi scosse la testa e soggiunse: “Temo che toccherà a noi
andare a cercare tutti”.
Ma
non ce ne fu bisogno, perché in quel momento dal cancello uscirono Goku e
Shinobu, che sembrava avere le braci sotto i piedi, dato che con la sua
andatura avrebbe comodamente superato una moto da corsa, mentre Goku stentava
quasi a starle dietro.
La
ragazza, mormorando una specie di saluto, girò l’angolo e si allontanò.
“Goku,
sai cos’è successo a quei due?”, chiese Hakkai.
“L’avessi
capito! So solo che hanno litigato come non li avevo mai visti prima. Gojyo
sembrava volerla schiaffeggiare e c’è mancato poco che Shinobu non sollevasse
la moto e gliela tirasse in testa! Uffa! Shinobu mi aveva promesso che avremmo
mangiato la torta al cioccolato, che saremmo andati a cantare e…”
Il
pugno di Sanzo, inesorabile, calò sulla testa di Goku. “Ti dispiace spiegarti
in due parole, razza di scimmia logorroica?”
“Sanzo,
calmati. Goku, sai perché hanno litigato?”, s’intromise Hakkai, anche se
iniziava già a capire.
“Non
ho capito bene…Gojyo ha detto a Shinobu che avrebbe dovuto uscire con quel
Gojuin, ma lei non capiva, così lui le ha detto che una figa…questa parola non
l’ho capita bene… gli aveva detto che l’aveva vista baciarsi con Gojuin…e così
hanno iniziato a litigare come non mai. Io non lo capisco quel pervertito!”
“Ci
vorrebbe l’interprete per capirlo! E la cosa peggiore è che non si capisce
neanche lui stesso…”, sentenziò Hakkai, che invece aveva capito ogni cosa.
Sanzo
si ficcò un mignolo nell’orecchio, sentenziando “Tsk!”
Hakkai
sospirò; “Goku, andiamo noi tre a mangiare la torta al cioccolato. Gojyo sarà
meglio lasciarlo perdere, ma più tardi chiameremo Shinobu e le chiederemo se
vuole unirsi a noi, d’accordo?”
“Sì!”,
esclamò Goku un po’ rinfrancato.
Tsuzuku…
Concludo
augurando ancora buone feste, e con qualche anticipazione: il prossimo capitolo
svelerà il passato di Hakkai…basta, non spoilero più!
“Sto arrivando!”, si affrettò a dire Hakkai, sperando
che la persona che stava insistentemente suonando il campanello da alcuni minuti lo sentisse.
Si stropicciò gli occhi, chiedendosi a chi potesse venire la balzana idea in
mente di buttargli giù la porta alle due di notte. Non che l’avesse svegliato,
ovviamente; anche quella sera Hakkai aveva scelto la veglia, piuttosto che i
ricordi amari. La sua innata beneducazione lo spinse a pensare che i vicini
avrebbero sicuramente protestato; idea subito cancellata dal suo malumore, che
per contro lo spinse a pensare che non gliene fregava poi granché.
Le sue mani armeggiarono con l’inutile chiavistello –non aveva nulla in casa
che valesse la pena d’essere rubato-, quindi scesero alla maniglia.
La luce quasi inesistente del neon giallastro del pianerottolo individuò le
fattezze di un Gojyo palesemente brillo (che non si era limitato al bicchiere
della staffa, probabilmente), il cui stato era molto poco
velatamente suggerito dalle chiazze arrossate sugli zigomi, e dalla sclera che
ormai faceva un tutt’uno con le sue iridi rosse.
“Gojyo? Che ci fai qui, a quest’ora?”. La voce di Hakkai risuonò leggermente allarmata, in contrasto con quella eccitata dell’amico.
“Non ho interrotto niente di importante, immagino!”
Hakkai aggrottò le sopracciglia, scostandosi e facendolo entrare, e Gojyo non
perse tempo a stravaccarsi sul suo divano dell’amico. Sospirò. Non aveva niente
contro le incursioni notturne, in fondo: doveva piuttosto essergli quasi
riconoscente per avergli evitato l’ennesima notte d’inquietudine.
“Non avresti qualcosa da bere, Hakkai?”, chiese il rosso con gli ampi cenni
delle mani tipici di chi è troppo inebetito per credere che le sole parole
bastino per comunicare un semplice concetto.
“Temo che per stasera tu abbia bevuto anche troppo…Puzzi di alcool
da fare schifo
“Macchè! Sto benissimo…riesco a vedere le cose ancora più lucidamente del
solito!”
“Stento a credere persino che tu sia arrivato fin qui tutto intero, con la
moto…”
“Mi pare ovvio! La mia moto mi ama e non mi farebbe
mai del male! E’ la femmina più affidabile che esista, e non ti lascia mai con
il culo per terra”
“Sì, sì”, tagliò conciliante Hakkai. “Mi spieghi come mai sei venuto proprio
qui per smaltire la sbornia?”
Gojyo alzò gli occhi rossi verso Hakkai: “Questa è bella! Da chi se non dal mio
unico amico potrei andare ad appoggiarmi nei momenti
di euforia?”
“Se tu questo lo chiami ‘momento di euforia’…Io direi
piuttosto che sei andato ad autocompatirti da solo,
buttandoti su…almeno cinque bottiglie, direi”, sentenziò Hakkai sedendosi anche
lui sul divano, accanto l’amico.
Il rosso non accettò la provocazione. “Vi siete divertiti alla festa della
scimmia?”
“Festa? Non è stata poi così allegra,
dato che Shinobu è sparita dalla circolazione e non ha nemmeno voluto
rispondere al telefono. Non è stato molto maturo da parte vostra. Per Goku,
avreste potuto mettere da parte i dissapori per un paio d’ore, no?”
“Io sono andato a spassarmela, invece”
Hakkai si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia,
sfilandosi gli occhiali.
“Mi racconti con esattezza cos’è successo, piuttosto?
Da ciò che si è desunto dal farfuglioso racconto di
Goku, le sei saltato al collo per un’idiozia da bambini”
“Non l’ho affatto aggredita; è stata lei a fare la
presuntuosa e a darmi dello stronzo e del borioso”
“Andiamo, Gojyo, non è la prima volta e senza dubbio non sarà l’ultima, ma a
sentire Goku quello che ne è seguito è stato più di un semplice battibecco. Perché l’hai presa in quel modo?”
“Perché la sua supponenza la detesto”. Appoggiò il capo allo schienale del
divano. “Senza contare che mi sta rovinando la piazza: pensa che oggi Maki mi ha scaricato dicendo sono cambiato in peggio”
Hakkai scosse la testa, portandosi la mano alla bocca perché Gojyo non si
accorgesse che gli scappava da ridere. “QuindiGojuin non c’entra nulla, giusto?”
Gojyo parve indignato. “No di
certo. Se se la vuole portare a letto, che faccia pure”
Hakkai appoggiò anche lui la nuca allo schienale del divano, lo sguardo rivolto verso il soffitto. Fece scorrere una mano sul
rivestimento ruvido. Gojyo era probabilmente uno di quelli di loro ancora
dotati di uno spirito tale da permettergli di
annaspare nel verde mare dell’adolescenza. Se la stava
godendo fino in fondo, senza dubbio. Donne, motori,
-formalmente- liceo, alcool, e ogni tanto anche qualcosa di non propriamente
legale.
In fondo, quasi quasi, lo capiva persino.
Ironicamente, Gojyo era legato a Gojuin. Gojyo non
l’avrebbe mai ammesso, ma Hakkai era convinto che il
rosso lo ritenesse inconsciamente un perfetto rivale, con cui era costretto a
condividere qualcosa per certi scherzi del caso. Forse, ultimamente, anche
l’amore. Gojyo era così stupido da non ammettere il bisogno che provava di un
affetto che non lo avrebbe mai deluso; per questo cambiava una donna al giorno: per non rimanerne deluso bastava deludere
anticipatamente…
Hakkai non avrebbe mai espresso questo pensiero ad alta voce, pena il
linciaggio; ma nessuno poteva impedirgli di chiedersi, a volte, se Gojyo non
avesse ciò di cui aveva bisogno proprio a portata di mano…
“Perché stai ridacchiando, Hakkai?”
“Chi? Io?”
“Sono leggermente brillo, non cieco e sordomuto. A che stai pensando?”
“Al fatto che a volte ci viene voglia di mangiare una mela abbandonata lì sul
tavolo proprio quando qualcun altro ha allungato la
mano per prendersela”
Il rosso parve soppesare le sue parole, ma Hakkai era sicuro che i suoi
neuroni, in quel momento, fossero troppo occupati ad implorare un salvagente.
“Che vorresti dire?”
“Niente, Gojyo…niente. Fammi un favore soltanto: se avverti che stai per
rimettere, ti prego di guadagnare velocemente il bagno”
Sai che sei davvero antipatica? Può darsi…ma nessuno mi ha mai insegnato ad essere
una persona migliore. Lo sai…pensavo
che le notti fossero buone solo per scopare con belle donne… non mi ero mai
soffermato a guardare il cielo… Idiota. Tu, che pensavi solo
ai piaceri carnali. Io, che non riuscivo a trovare una ragione di vita, né lì né
in nessun altro posto.
Tu odiavi regole, imposizioni e tabù. A me erano indifferenti, mi bastava solo
conservare quel po’ di tranquillità che ero riuscita a trovare. Camminare,
camminare, camminare…non mi interessava essere l’acqua
del fiume, che imperversa violentemente, riempiendo ogni silenzio con il suo
fragore; mi bastava essere l’acqua di un ruscello. Qualsiasi cosa. Mi bastava
continuare ad avanzare, anche in punta di piedi…
Sei stato tu a trasformarmi in acqua di fiume. Forse è stato
per questo che è finita com’è finita.
Quel luogo…l’odore delle foglie fresche calpestate
dalla pelle degli stivali militari…il profumo pungente della resina e quello
del ferro scintillante delle lame che non hanno mai visto una sola goccia di
sangue, e…
Dove ci trovavamo?
E soprattutto, chi eri tu?
Il tuo volto è arrogante e dolce allo stesso tempo…il tuo corpo mi dà
sicurezza, ma alla fine ha bisogno del mio calore…
Tu sei diventato tutto ciò di cui avevo bisogno.
Hai alleviato le mie ferite, anche se io non potevo fare nulla per te. E tu? Ti dispiaceva, o ti era indifferente?
Tu, cosa provavi per me?
Uhm…il rosso del tramonto era il mio colore preferito.
Poi c’erano le violette illuminate dal sole, gli smeraldi e l’oro…tutti colori
che mi erano familiari, che lo sono anche ora. Questi discorsi da ‘domani potremmo non aver più tempo per parlarne’…tieniteli
per quando e se arriverà il momento. Dio, quanto amavo il tuo volto illuminato
dall’energia che sprigionavi! Questo tuo modo di vivere momento per momento…di
cancellare il passato e il futuro come se niente valessero…quanto
lo adoravo…
Ti avevo chiesto se ci saremmo rivisti, prima o poi, l’ultima volta che abbiamo
avuto occasione di parlarci…te l’ho chiesto con un sorriso, ma non so dove ho
trovato la forza di ricacciare indietro le lacrime. Ne sono sicuro! L’hai detto con quel tuo sorriso
spaccone sul volto. Il fatto che tu sia un dio non vuol dire
che tu sia immortale, sai? Nétantomeno
lo sono io.
Spero che ci sarà un’altra occasione di vederti, di sentirti, di parlarti,
fosse anche una su un milione, fosse anche tra migliaia di anni.
Che bello…sento il profumo dei ciliegi che mi inebria! Shioka!
Shinobu scattò a sedere sul letto; questa volta era riuscita ad
afferrare qualcosa, qualcosa di concreto. Non più il solito mosaico di
sensazioni e pensieri slegati tra loro… Strinse il lenzuolo tra le mani; non faceva freddo,
ma era scossa da fremiti di eccitazione e nervosismo. […o forse di tristezza, chissà] Ma l’altro, chi era? Aveva la sensazione di essere,
nel sogno, in compagnia di qualcuno, ma non ne ricordava le fattezze.
Si gettò indietro sul cuscino. Si passò la mano sulla fronte leggermente
sudata, sentendo che le gambe continuavano a sussultarle. Non credeva di
riuscire a riaddormentarsi. Era una sensazione lontana, indefinibile, ma allo
stesso tempo indubitabilmente presente, quasi fisica. Un’eccitazione
mai provata, non esattamente di tipo sessuale, ma qualcosa di triste, a tratti
straziante, tanto da chiuderle la gola in una morsa. Poteva ancora
sentire il calore del corpo di quell’uomo, delle sue
labbra. Un calore che non l’avrebbe abbandonata per tutto il
resto della notte, quasi fosse disteso tra le lenzuola accanto a lei. Se mai nella vita avesse provato il lancinante desiderio di pelle
nuda contro la sua, era quello.
Si ritrovò a sfiorarsi le labbra con un dito: a chi appartenevano quei ricordi?
C’era qualcuno che stava cercando di mettersi in contatto con lei o…?
Chiuse gli occhi. Forse quel fremito non apparteneva a lei, e non avrebbe mai provato un calore simile; ma di una cosa era
certa: se esisteva davvero una persona come quella, l’avrebbe certamente
incontrata. E si sarebbe innamorata di lei.
Era una promessa.
Quella mattina Gojyo si risvegliò sul divano di Hakkai. Mise lentamente a fuoco
la realtà, distinguendo l’amico, probabilmente sotto l’effetto di qualche
farmaco, seduto al tavolo con un libro in mano e un bicchiere di sakè nell’altra.
Incapace di spiccicare qualsiasi cosa somigliasse ad
una parola, Gojyo alzò la mano come per salutare Hakkai, scoprendo di avere
forti dolori alla nuca e alla schiena, nonché un pungente dolore alle tempie,
che probabilmente in capo a mezzogiorno sarebbe diventato insopportabile, e un
principio di nausea.
Vedendo Hakkai bere sakè di prima mattina, ebbe il
forte impulso di andare in bagno a rimettere persino l’anima, ma si trattenne e
si limitò ad andare a sciacquarsi la faccia.
Hakkai fece capolino dalla porta
del bagno, esordendo con uno dei suoi soliti sorrisi che parevano incollati in
un volto sbagliato: raramente il suo sorriso si estendeva agli occhi.
“Buongiorno, Gojyo…dormito bene?”
“Dovresti far ricontrollare le molle del divano”, si limitò a rispondere quello
bagnandosi il viso. Ora si sentiva leggermente più lucido.
“Quanto hai bevuto ieri sera?”
“Ho perso il conto al ventiseiesimo bicchierino”
“Fiuuu!”, fischiò Hakkai, anche se Gojyo sapeva che
quel ragazzo in apparenza gracilino avrebbe potuto berne il doppio e poi
costruire un castello di carte alto due metri senza buttarlo a terra una sola
volta.
“Non mi ricordo nemmeno come sono arrivato qui”
“A bordo de ‘l’unica femmina che non ti lascia con il culo
per terra’!”
Gojyo lo guardò senza capire, poi uscì dal bagno e andò ancora una volta a
sedersi sul divano.
“Non mi capitava da tanto di sbronzarmi così”
“Spero che ti basti a lungo”
“Cazzo! Avrei anche potuto rompere la moto”
“Avresti anche potuto romperti l’osso del collo”
Gojyo sbadigliò, stirandosi come un grosso gattone
rosso. “Mi presti qualcosa da mettermi addosso, Hakkai? Se torno a casa mi butto sul letto e addio lezioni”
L’amico annuì, sempre appoggiato allo stipite della porta. “Ti faccio un caffè?”
“Non sarebbe male, ma ho paura che il mio stomaco non lo reggerebbe”
“Vuoi una mela, allora?”
Silenzio. Gojyo rimase con l’asciugamano a mezz’aria.
“Questa dovrò chiederti di spiegarmela, Hakkai”
“Niente, Gojyo…niente.”
Con due enormi borse sotto gli occhi e un toast in bocca, Shinobu, una volta
tanto in orario, entrò in classe; era ancora mezza vuota, ma gli sguardi che
molti le lanciarono le furono più che sufficienti.
Si esibì in uno smagliante sorriso che aveva un unico significato:
Andate al diavolo tutti quanti.
Ma, soprattutto, che andasse al diavolo Gojyo.
La sua tiritera, che in bocca ad un altro avrebbe potuto passare per scenata di
gelosia, l’aveva stizzita non poco. Ma ‘Gojyo, il marpione’; ‘Gojyo, il trombafemmine’;
‘Gojyo, il Gesù-quanto-sei-infantile!’; e soprattutto
quello che preferiva, ‘Gojyo, il
Potresti-essere-Claudia-Schiffer-per-quel-che-me-ne-frega-non-vali-più-del-prezzo-del-preservativo-che-ho-comprato-per-fotterti’,
per quel che ne sapeva, si era semplicemente esibito nel capriccio di un
bambino dell’asilo che poteva essere riassunto con: ‘Hai parlato con lui che mi
sta antipatico, ora ti tolgo il saluto’.
Non riusciva a spiegarselo altrimenti, perché sarebbe stata più incline a
credere Sanzo un infiltrato della Caritas, piuttosto
che Gojyo geloso.
E non era mai riuscita a cavare a lui o ad Hakkai uno
straccio di spiegazione sulla sua presunta rivalità con Gojuin.
Spesso si stupiva di quanto poco sapesse di quelli che considerava a pieno
titolo ‘amici’. Famiglia…ne avevano? Qualcosa senza
dubbio aveva dovuto dar vita a tutte le ombre che
avevano negli occhi, a quegli sguardi da bambini spauriti mascherati da
cavalieri senza macchia. Qualcosa che difficilmente lei avrebbe potuto capire, o anche
solo mandar giù, una persona che, in fondo, aveva tutto e semplicemente non
riusciva a trarne giovamento.
Appoggiò il mento sul braccio, attendendo che suonasse
la campana. Doveva parlare assolutamente con Hakkai. Non avrebbe certamente
saputo né voluto descrivergli le sensazioni che quella presenza le aveva suscitato, ma il nome era di sicuro importante. Magari
Hakkai l’avrebbe riconosciuto, un punto d’incontro concreto e reale. Qualcosa da cui partire in quella storia in cui non c’era nessun
dove a cui arrivare, quantomeno. E magari Sanzo,
Goku. Gojyo…che si fottesse,
per il momento. Che bruciasse all’inferno sodomizzato da
migliaia di diavoli armati di forcone.
Hakkai sospirò.
Casa sua, negli ultimi tempi, gli sembrava sempre di più una sede per sedute
psicoanalitiche: persone depresse, ubriache, insonni, etc…non
era un pensiero carino, in quel momento, con Shinobu davanti che tentava di
fasciarsi alla bell’e meglio
la spalla, e uno sguardo tutt’altro che sbarazzino in
viso, ma tant’era.
In effetti, aveva conoscenze davvero singolari…
Un trombeurdesfemmes in costante attività ormonale, che ultimamente si
lasciava andare un po’ troppo spesso a eccedenze
alcoliche.
Una ragazza lunatica, che alternava fasi di ottimismo
acuto alla depressione più nera, senza riuscire ad impegnarsi in alcunché. Un ragazzino sempre affamato, dal passato oscuro, che
ultimamente era sempre irreperibile.
Un arrogante e violento biondino dal temperamento focoso, che chissà cosa
nascondeva…
Ultimo ma non meno strambo, proprio lui: un ipocrita che nascondeva le sue
colpe sotto un sorriso falso, a cui non importava niente della vita e che non
si aspettava niente più da essa.
Hakkai sospirò…con una visita collettiva da uno psichiatra,
sicuramente avrebbero fatto vivere di rendita per tutta la vita lui, suo
figlio e suo nipote. Non che gli piacessero gli psichiatri, beninteso. Li
considerava ipocriti che per denaro frughino nella
psiche umana per cercare le ragioni di un determinato comportamento…certo, come
se i comportamenti umani, spesso così tremendamente meschini e orribili, potessero
essere spiegati.
Non amava l’essere umano, Hakkai. Ma poiché c’era
nato, essere umano, tanto valeva giocare la sua mano di carte fino in fondo.
Buon viso a cattivo gioco, buon viso a cattivo gioco.
Non negava, tuttavia, di provare un certo colpevole affetto, che forse era più
un misto di rispetto e lealtà, verso Gojyo, verso Shinobu, e sì, anche verso
Goku, e un qualche tipo di soggezione verso Sanzo.
Non era così stupido da non ammettere, anche, che il suo ‘sentimento’ era in
buona misura ricambiato da Gojyo, e forse surclassato da Shinobu, che al di là dei suoi modi da ‘mi mangio il mondo’,
avrebbe visto benissimo nello stupido atto di sacrificare se stessa per qualcun
altro.
Nondimeno, escluso forse Gojyo, ciò che Shinobu e Goku vedevano di lui era
l’Hakkai gentile, l’Hakkai premuroso e socievole,
probabilmente anche qualche fattezza di Hakkai l’ipocrita. Ma di certo non Hakkai l’assassino.
“Tieni, Hakkai”, lo riportò alla realtà la voce spenta di Shinobu. “Grazie di
tutto”
Hakkai prese in mano il rotolo di bende, poi le si avvicinò
e iniziò a scioglierle quelle che tato faticosamente
si era fatta passare attorno al braccio. “Ti sembra un bendaggio questo? Ti
scivolerà via appena muovi la spalla”
Shinobu, remissiva, lasciò che Hakkai le facesse
scivolare giù la camicia della divisa e le stringesse la bendatura.
“Che è successo, stavolta?”
Shinobu si lasciò scivolare fino ad appoggiargli la fronte sul torace. “Giornata
sbagliata, Hakkai. Solo che ne ho fin troppe,
ultimamente.”
Il tono del moro era conciliante, rassegnato, mentre continuava a stringere il
nodo. “Ennesima scazzottata? Redarguisci tanto Gojyo, ma alla fine razzoli
abbastanza male, Shinobu…”
“…ammetto che stavolta ho scagliato la prima pietra.
Giornata no, Hakkai, te l’ho detto. Cristo, dov’eri durante la pausa pranzo?”
“Mi ha trattenuto un professore per delle fotocopie…non ho avuto neanche il
tempo di mangiare…cosa…?”
La sentì deglutire contro la sua maglietta. “Meglio
starsene a casa, in questi giorni. Il problema è che
in casa mi ci dovrei chiudere e non uscire più. All’uscita…stavo venendo da te
perché pensavo non fossi venuto a scuola…ho incontrato uno dei soliti gruppetti
di ragazze…hanno cercato di prendermi la borsa, forse
volevano buttarla da qualche parte, non so…fatto sta che ho colpito, ho colpito
piuttosto forte, la prima che mi è capitata davanti. Non…”
Tacque. Hakkai non parlò. Aveva finito il bendaggio, ma non si muoveva.
“…Hakkai, diamine, non mi piace combattere contro il mondo, non voglio…ma…diavolo, c’è sempre qualcuno che tenta di mettermi
sotto, io vorrei soltanto…”. La voce era ora impastata di pianto. “Vorrei
soltanto non procedere con la testa troppo bassa. Ma a
volte mi sembra così dannatamente impossibile…”
“Ci proviamo tutti, Shinobu”. La voce di Hakkai tremava leggermente. “Chiniamo
troppo la testa e procediamo senza farci vedere né vedere
nulla noi stessi, o la teniamo ben alta e continuiamo a prendere a testate il
mondo…non riusciamo a trovare una via di mezzo per camminare semplicemente
perché prima dobbiamo inciampare tanto e cadere. E c’è
chi continuerà a cadere per tutta la vita, Shinobu, ma penso che tu abbia la
forza per rialzarti ogni volta”
“Rialzarmi diventa ogni giorno più difficile”, mormorò la ragazza senza
muoversi di un centimetro. “Ti è mai passato per la testa di non rialzarti
più?”
Hakkai non rispose.
“Ogni tanto, la mattina, apro gli occhi e mi chiedo come sarebbe, invece,
restarmene a letto. Non intendo a poltrire, intendo proprio restare a dormire senza più svegliarmi. Ogni tanto mi incuriosisce
la morte, in questo senso. Magari farei un favore a qualcuno, togliendomi di
mezzo, che ne pensi?”
Sentì Hakkai che si irrigidiva.
“…tu non ci hai mai pensato? Non hai mai creduto che forse sia
stato un errore venire al mondo?”
“…provaci.”
Shinobu sbarrò gli occhi, ancora appoggiata al torace di Hakkai, irrigidito
nella sua posizione eretta.
“Avanti. Ti accompagno, se vuoi”
La stretta sulle sue spalle fu dura. Hakkai la scostò da sé. Il gesto in sé fu
delicato, ma il sorriso sinistro che Shinobu gli vide sul volto non lo fu
altrettanto.
“Non è difficile, sai? Ci sono molti
modi…puoi semplicemente andare in cucina lì dentro e prendere un
coltello. Ti consiglio le vene dei polsi, possibilmente fallo dentro la vasca
così dovrò solo sciacquare via il sangue. O vuoi qualcosa di più plateale e rapido? A Tokyo ci sono
migliaia di grattacieli. Scegline uno e fatti un bel
volo. O preferisci un ponte?”
“…Hakkai?”
“Sì, coraggio. Un bel ponte.” Come quello da cui mi stavo
tirando giù io, che sì, me lo sono detto decine di volte che è stato un errore
venire al mondo. Oh, sì, probabilmente se l’è detto anche Kanan.
Tante volte, almeno finchè il suo sangue non è finito
sulla tappezzeria della mia stanza. Shinobu scattò in piedi. La benda, premurosamente stretta da Hakkai, si
disciolse e restò impigliata alla sua spalla per una decina di secondi, quindi
cadde a terra. Si sentiva le labbra secche, il viso paonazzo.
“Cristo, Shinobu, ti ascolti mai parlare, ogni tanto? Giusto
una volta soltanto, tanto per controllare?”
Non credeva che avrebbe mai sentito Hakkai imprecare, eppure così fu. Non capiva. Perché si era
scaldato tanto? Non è normale, per un essere umano, almeno per una volta,
desiderare la morte? Mettere in discussione la propria esistenza, non serve ad
affermare l’umanità di una persona?
“Idiota…trovo stupendamente idiota questa conversazione.”, sibilò Hakkai, tanto
per concludere. Perfetto, Hakkai, così si fa. Urlale in
faccia, sputale addosso la tua stessa vergogna. Almeno
lei non c’è arrivata, con le gambe oltre la balaustra di un ponte di Yokohama. E le mattonelle del tuo bagno sono ancora linde e pinte. Una smorfia incomprensibile si dipinse sul volto di Shinobu, mentre tentava
di raccogliere abbastanza forza per uscire
dall’appartamento di Hakkai. Un’ulteriore reazione
dell’amico la spinse a rialzare lo sguardo: Hakkai stava ridendo.
Appoggiato al tavolo, una mano a coprirgli il volto, Hakkai rideva amaramente.
“Ma sì, dai, ti sto criticando proprio io! Proprio divertente la cosa,
sai?” E’ tutto
inutile, ormai…
E’
stato un errore. “Evidentemente è il mio karma, vedere le persone a me vicine morire
per mano propria! Coraggio, dai! Hai deciso in che modo vuoi farlo?”
Shinobu mosse un passo, un altro. Le tremavano leggermente le mani, e anche le
gambe, a dirla tutta. Posò le mani aperte sul torace di
Hakkai, fino a spingerlo contro il muro, quindi, senza una parola, lo abbracciò.
Non disse nulla per alcuni minuti, che sembrarono ad entrambi lenti come ore e
brucianti come secoli. Quindi, senza muoversi,
mormorò: “Chi è stato, Hakkai?”
Nessuna risposta.
“Hakkai, hai tutte le ragioni per non voler parlare più con una simile idiota.
Dico cose stupide, e nella maggior parte dei casi penso anche cose stupide. Non
sono dotata della benché minima sensibilità e…”
“Mia sorella. O la mia amante, chiamala come vuoi. Era
entrambe le cose”
Hakkai decise, per la prima volta dopo tanto tempo, da quando
aveva raccontato di sé a Gojyo, la prima persona importante della sua vita da
quando era successo, di non rinchiudere dentro di sé quella parte della sua
vita così dolorosa, ma di affrontarla.
Forse ciò che lo legava a quel ragazzo dagli occhi rossi era proprio un amore svanito in un mare di sangue.
I suoi ricordi volarono ad alcuni anni addietro, quando era
ancora uno studente delle medie, sempre più maturo della sua età e serio, ma tutto sommato “normale”.
Non si poteva dire che fosse una
persona allegra; il suo carattere chiuso teneva lontani non solo i suoi
coetanei, ma anche gli adulti, e persino i suoi stessi genitori, che comunque,
gestendo un’importante azienda, non avevano troppo tempo per occuparsi dei due
gemelli.
Gemelli.
Purtroppo, il rapporto tra fratelli può essere difficile.
Specialmente se sono gemelli, se sono nati insieme ed hanno
condiviso ogni momento della loro vita fin dalla nascita.
Io…non voglio avere
altri che te, Kanan.
Era quello che, ingenuamente, ripeteva il ragazzo alla
sorella, che gli sorrideva dolcemente.
Lei era tutto il suo mondo: se lei
non fosse esistita, il mondo avrebbe anche potuto cessare di esistere.
L’affetto fraterno divenne qualcosa di più.
Le carezze di due fratelli divennero un tocco più profondo e
incestuoso.
Quei due fratelli avevano finito per unirsi.
Dove stava il problema? A nessuno
dei due importava di ciò che pensasse la gente;
entrambi volevano solo essere felici.
Impararono ben presto che, al contrario, il mondo può essere un posto molto triste.
Hakkai…ormai è troppo
tardi.
Che stai dicendo, Kanan?
Non possiamo più
tornare indietro.
Che vuol dire?
Adesso, Hakkai…dobbiamo
pagare il prezzo della nostra felicità.
Kanan…cosa stai cercando di dirmi?
Che sono incinta.
Che cosa?
Che dolore. Non pensavo che le
parole potessero penetrare così a fondo nel cuore di una persona…
Aspetto un bambino,
Hakkai.
Non può essere!
Non…c’è più nulla da
fare. Ormai…
Troveremo una soluzione, Kanan.
Insieme.
Insieme.
No!
Perché ti ritrai? Perché rifiuti le mie mani, che tante volte ti hanno
stretto?
Kanan, perché stai piangendo?
Noi…non saremmo dovuti
venire al mondo!
Non dire così…
E’ tutto inutile,
Hakkai!
Kanan, ti prego. Smettila di
scherzare e posa quel coltello.
Addio…sono stata
felice, ma ormai è finita. Non posso partorire tuo figlio.
Kanan, non farlo! Smettila!
…
Sangue.
Non ne avevo mai visto così tanto…
E’ stata tutta colpa mia.
E’ come se le avessi inferto io
quelle pugnalate al cuore.
Io ho ucciso Kanan.
Tu…saresti dovuto
morire al suo posto!
Schifoso
bastardo…cosa hai fatto a mia
figlia?
Voi…a cui non è importato mai nulla di noi due, adesso…
Ma certo.
Non è una buona pubblicità per la vostra azienda, vero?
Vattene via.
Io…
Vattene via!
Forse sarebbe meglio che morissi anch’io?
Forse.
Non avrebbe voluto
risvegliargli brutti ricordi, non avrebbe voluto vedere il lato più fragile di Hakkai. Avrebbe voluto continuare a credere che quel
ragazzo l’avrebbe sempre rassicurata con la sua presenza, che sarebbe sempre stato sorridente e sicuro di sé, invece…
L’ombra negli occhi di Hakkai aveva finalmente preso forma, si era palesata più
improvvisamente e disperatamente che mai. I palmi aperti contro il muro gelido,
Shinobu piangeva. E non aveva il coraggio di alzare lo
sguardo, perché probabilmente avrebbe visto anche Hakkai piangere. Hakkai, che
credeva di averle esaurite tutte, quelle lacrime. Lo
sentiva, sentiva il suo torace contrarsi in singhiozzi…e avrebbe
voluto sparire, veramente, per aver pungolato una simile ferita con la
sua idiozia. Mai, non avrebbe mai più ripetuto una cosa del genere, lo
prometteva a se stessa.
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]
La penna in bocca mentre osservava distrattamente la bocca della
professoressa che si muoveva ritmicamente con lo sguardo posato su un libro di
inglese, Shinobu sospirava
//Rebirth//
Capitolo
12 – Thoughts
La penna in bocca mentre osservava
distrattamente la bocca della professoressa che si muoveva ritmicamente
con lo sguardo posato su un libro di inglese, Shinobu
sospirava.
Non aveva trovato il coraggio di parlare ad Hakkai del
sogno, con tutto quello che era successo prima. Si sentiva ancora schifosamente
idiota, e non riusciva a credere che sarebbe ancora stata capace di guardarsi
allo specchio.
Hakkai aveva pianto, diamine. L’aveva
spinto a parlare della sua ombra più profonda, del fardello incredibilmente
pesante che un ragazzo di diciott’anni si portava sulle spalle.
Non era riuscita a pensare ad altro, quasi, quella notte. Non era riuscita a
non chiedersi se lei era all’altezza, se poteva
permettersi, di stargli accanto.
…ci sarebbe riuscita.
Voleva bene ad Hakkai con tutta se stessa, e non si
sarebbe mai più comportata con una simile ingenuità. Avrebbe cercato di non
ferirlo mai più. E tuttavia, c’era anche un’altra motivazione alla sua
assenza di sonno, la notte precedente.
Scarabocchiò sul banco dei petali di ciliegio e quel nome che le era sovvenuto
in mente.
Shioka…
Non le diceva proprio niente.
O meglio, le ricordava qualcosa, ma aveva la sensazione di non voler
ricordare…che tutti quei sogni appartenessero a vicende sepolte in un angolo
immortale dell’anima, che però sarebbe stato meglio
non riesumare?
Non lo sapeva.
Doveva riferire quel nome a tutti, senza dubbio. Sì, anche a Gojyo.
Gojyo. Per un attimo si era dimenticata di tutti i suoi problemi con lui. Se se
lo fosse trovato davanti un’altra volta, gli avrebbe
certamente scagliato in faccia parole taglienti e magari qualche oggetto: quell’idiota non l’aveva nemmeno lasciata spiegarsi. E Gojuin…chissà cos’aveva in mente. Perché
aveva fatto una cosa tanto stupida? Certamente non le sembrava il tipo da
baciare le ragazze a destra e a manca, per quello
c’era Gojyo. E d’altronde era restia a pensare di
piacergli. Non gli sembrava esattamente il tipo, in realtà.
Già…e poi…chi l’aveva vista in infermeria?
Lasciando scivolare di più la testa sul banco mentre i suoi pensieri vagavano a
destra e a manca senza trovare un fondamento, fece cadere tutto ciò che aveva
davanti: quaderni, il libro, le penne, facendo un gran frastuono.
“Ori! Va’ subito fuori. Quando la smetterai di ciondolare e
inizierai a prendere sul serio la scuola?”
Magnifico. Non aveva certo perso l’occasione di rimproverarla. Certo,
era stata disattenta, me che bisogno c’era di sbottare a quel modo?
Raccogliendo velocemente tutte le cose da terra, tra il silenzio generale, si
avviò verso la porta e ne uscì.
Si sedette per terra, con la schiena appoggiata al muro, e fece per tornare ai
suoi pensieri, quando si ritrovò davanti la professoressa di lettere.
La donna sospirò.
“Ori…che hai combinato, stavolta?”, disse con finta preoccupazione.
Strega.
Come se Shinobu non sapesse che era lei che le metteva tutti i professori
contro, per quella sua stupida fissazione delle “cattive compagnie che la
portavano su una cattiva strada”.
“Ho semplicemente fatto cadere il materiale scolastico per terra,
professoressa”, disse con voce secca, “e la sua collega ha ritenuto opportuno
non consentirmi di continuare a seguire la sua lezione”
“Dovresti fatti aiutare. Non credi che, se il tuo
comportamento migliorasse, anche tuoi rapporti con i docenti sarebbero migliori?”
“Professoressa, non vorrei essere scortese, ma so già cosa sta per dirmi: che
dovrei mettermi a studiare, che dovrei lasciar perdere
i miei amici cosiddetti teppisti, e che dovrei rispettare di più la scuola e la
mia famiglia. Lasci che le dica una cosa: eviti di ripetermi le stesse cose, per favore. Credo che il mio rendimento scolastico sia
già sufficiente così com’è, e se lei cordialmente”, sottolineò
questa parola, “la smettesse di convincere gli altri professori che sono un
pessimo elemento, certamente le cose mi andrebbero notevolmente meglio”
Tacque, aspettando la risposta dell’insegnante, che aggrottò le sopracciglia,
“La tua sfacciataggine peggiora ogni giorno che passa. Cerca di mettere la
testa a posto, perché in questa società non c’è posto per i reietti che non
rispettano dogmi e regole”
“I veri reietti sono quelli che fanno di tali dogmi lo scopo della loro inutile
esistenza, non coloro che vivono la loro vita
divertendosi”, concluse Shinobu. Non voleva assumere il tono di ragazza saccente, ma quei soliti discorsi del “chi non segue le
regole è un reietto” la facevano andare in bestia. La professoressa strinse le labbra; non sapeva se continuare
o no a cercare di discutere con quella ragazzina insolente; decise di prendere
la via delle minacce. “Sarebbe inutile che mandassi a chiamare i tuoi, vero? E d’altronde, non c’è
un motivo valido per espellerti da questa scuola, o meglio, non più, dato che
hanno confermato che eri estranea alla rissa di ieri mattina. Ma avverti quei delinquenti dei tuoi ‘amici’ che al prossimo
atto di violenza gratuita qui a scuola, saranno espulsi seduta stante. E quanto
a te…domani sono sicura che mi dimostrerai il tuo sufficiente rendimento
scolastico su tutto il programma dall’inizio del trimestre ad
adesso”, concluse l’insegnante andandosene.
Shinobu pestò un piede per terra…, mentre le labbra le
si increspavano in un sorrisetto ironico: se quella
strega voleva la guerra, l’avrebbe avuta; anche a costo di trascorrere tutta la
notte sui libri, cosa piuttosto probabile, gliel’avrebbe infilata in quel
posto. Non si faceva problemi ad accingersi a passare la seconda notte insonne,
né d’altronde la letteratura giapponese rappresentava per lei un grosso
problema. Attese, le spalle poggiate alla parete, che
suonasse il finis, che non si fece
attendere poi tanto. Decidendo di fare buon viso a cattivo gioco, ostentò
un’espressione contrita condita da un’abbastanza convincente ‘mi perdoni’, quando la professoressa d’inglese varcò la porta
della classe per allontanarsi nel corridoio. La professoressa rispose
con un’accondiscendente cenno del capo – d’altronde,
non era lei la causa dei suoi problemi a scuola.
Si rese conto che era iniziata la pausa pranzo solo
quando vide i suoi compagni, che per lo più le passarono davanti senza degnarla
di un’occhiata, uscire dall’aula e allontanarsi a piccoli gruppi nel corridoio,
a gran voce.
“Posso parlarti?”
Shinobu si massaggiò inconsciamente la spalla dolorante mentre si voltava.
Aveva riconosciuto la voce della compagna, una certa Misao.
La ragazza aveva un’aria costernata, fissava
nervosamente ora lei, ora il pavimento.
Il viso di Shinobu si rilassò; Misao era una persona riservata
e silenziosa. Non aveva mai avuto di che ridire con lei, la qual cosa,
trattandosi di una delle amiche diMaki,
era difficile a credersi.
“Certamente, ti ascolto”. Si guardò un paio di volte intorno, alla ricerca di un
angolo del corridoio non invaso dalla confusione. “Vieni, andiamo di là!”, la invitò,
avviandosi.
Si appoggiò all’ombra di un pilastro sporgente, leggermente riparato dal
continuo viavai di gente. Non sapeva quanto tempo la conversazione con Misao le avrebbe portato via, ma
d’altronde non aveva ancora deciso se presentarsi o no al solito tavolo in
mensa. Non aveva esattamente voglia di rivedere Gojyo, né tantomeno di litigarci.
“Volevo scusarmi con te, Ori”, mormorò velocemente la ragazza,
cogliendola a tradimento nei suoi pensieri. Tanto che Shinobu pensò di aver
sentito male.
“Eh?”. Non era una gran risposta, lo ammetteva, ma non era stata capace di
niente di meglio.
“Mi è scappato. Con Maki. Ieri, in infermeria, intendo…ero lì. Credo che adesso lo sappiano più o meno tutti”
Shinobu contrasse le labbra per reprimere un risolino di scherno. Ora capiva un
paio di cose.
“Misao, è ovvio che lo sappiano tutti. Non credo che Maki abbia mai chiuso la bocca da quando
ha imparato a parlare”
“Io…volevo scusarmi con te…perché…”
“Per metterti a posto la coscienza, perché non sei una ragazza che di solito fa
queste cose, immagino”, tagliò corto Shinobu con un gesto della mano. Aveva
voglia di andare in mensa, immediatamente, di togliersi da quel corridoio.
“Io…veramente non…credo che lo sappiano più o meno
tutti, che mi piace…”. Non alzò la voce, e Shinobu lo apprezzò. Ci mancava solo
una scenata di gelosia, lì, nel corridoio.
“Che lo sapessi o no, le cose non cambiano. Se non sei arrivata al momento sbagliato, credo che fosse piuttosto
visibile il fatto che non sono stata io a farlo. A baciare Gojuin,
intendo”. Esitava sempre a pronunciare quelle piccole, infami
parole. “E’ stato lui che..”
“Lo so…ho visto anche che ti sei ritratta subito…e io l’avevo detto a Maki, ma…”. La voce le tremava. Sicuramente doveva esserci
rimasta male, e Shinobu lo capiva.
“…ma a Maki deve essere sfuggito questo piccolo
dettaglio quando ha riferito il fatto a mezza scuola”, concluse Shinobu alzando
le spalle. Tipico, tipico. Povera ingenuotta,
probabilmente voleva sfogarsi con qualcuno, e Maki ha
colto la palla al balzo per avere qualcosa in più su cui sparlare di lei.
“E’ per questo che mi dispiace…io non volevo che si
sapesse in giro, men che mai che si diffondesse una versione sbagliata del
fatto…per questo sono venuta a scusarmi, ma…”
Shinobu la zittì nuovamente con un gesto impaziente. “Non c’è bisogno. Me ne
importa meno che niente, che ci sia un motivo in più
perché io sia sulla bocca di questo covo di pettegoli. Veramente…me ne importa
pochissimo. Sta’ solo attenta a Maki, Misao. Solo questo. Non prendere per oro colato tutto ciò
che dice” Misao aggrottò le sopracciglia castane in
un’espressione rassegnata. “Per quel che può valere…io non credo che tu ti
metta in mostra, Ori” L’altra sorrise.“Grazie”, le scivolò fuori dalle labbra. Non se
l’aspettava, una simile frase. Misao annuì. Parve soppesare per qualche momento
un’idea, poi disse: “Ti va…insomma…di pranzare insieme da qualche parte?”
Shinobu arrossì leggermente, neanche le si fosse
dichiarato qualcuno. “Non…ecco, non mi dispiacerebbe…ma
devo parlare con Hakkai e Goku di una cosa importante.”. Misao
fece cenno di sì con la testa. “Però…un’altra volta, insomma, si potrebbe
fare”, continuò Shinobu.
Si sentiva un’impedita, ma un simile invito tra capo e collo avrebbe
fatto venire un ictus a chiunque, nella sua situazione.
“Va bene. Senz’altro. Buon pranzo, allora, Ori”
“Shinobu”, la corresse l’altra. “Ci vediamo”
Entrò in mensa, occupando il primo tavolo libero che riuscì a trovare. Quasi
per caso, cercò con gli occhi quello che occupava di solito, scoprendo che era occupato da Gojyo con i suoi amici scavezzacollo.
Vide che uno dei ragazzi al suo tavolo l’aveva notata, perché indicò in sua
direzione, e la testa del rosso voltarsi, probabilmente più per riflesso
condizionato che per voglia di vederla.
Prima che i loro sguardi potessero incontrarsi, si voltò caparbiamente,
alzandosi, e prendendo posto nella panca opposta, in
modo da dare le spalle a Gojyo.
In quel momento, notò Hakkai e Goku che, piatti alla mano, voltavano la testa
da una parte e dall’altra, incapaci di decidere se sedersi con l’uno o con
l’altra. Dietro di loro stava Sanzo, che sembrava non preoccuparsene.
Dopo un’iniziale incertezza, Hakkai si incamminò verso
di lei, seguito dagli altri due, e tutti e tre presero posto, poggiando i
piatti sul tavolo.
“Ancora, Shinobu? Perché non la piantate di fare gli
idioti?”, fu il saluto seccato di Hakkai, che indicò Gojyo con un cenno del
capo.
La ragazza scosse la testa, mettendosi le mani sulle orecchie, per far capire
all’amico che non intendeva ascoltare oltre.
“Questa volta ha proprio passato il limite, Hakkai”, affermò, giocherellando
con il cibo sul piatto. Le era passato l’appetito.
“Sai che è stata una lite da bambini, no?”
La ragazza scosse la testa. “Non era una delle solite litigate. Era incazzato nero, e non riesco a capire perché, la qual cosa rendeincazzata nera me.”
“Ma non dovevate chiudere questa conversazione? Parliamo
d’altro, no?”, s’intromise Goku, seccato. Probabilmente non gli era andata ancora giù, la sua festa semirovinata.
“Mi dispiace, Goku”, mormorò Shinobu abbassando lo sguardo sul tavolo.
“Non…l’altro ieri non ero dell’umore, ma sarei dovuta
venire ugualmente. Tu non c’entravi nulla”
Tacque.
“Non c’è problema, Shinobu”, rispose Goku posandole affettuosamente una
mano sulla testa. “Non mancheranno altre occasioni di far festa, no?”
“Non pensare che me lo sia dimenticato, però”; Shinobu tirò fuori la lingua.
“Ieri ti ho preso qualcosa, te lo do all’uscita”
“Davvero? Cosa?”
“Un’idiozia, ma…”
“Tsk! C’è il ‘corpo del reato’…”,
li interruppe Sanzo, indicando Gojuin che era appena entrato in sala. Non
l’avrebbe mai ammesso, ma probabilmente era un po’
divertito da quella situazione.
Shinobu, dopo essersi girata nella direzione di Gojuin, si rivolse
immediatamente per non essere vista.
“Vuoi evitarlo, quindi?”, chiese Hakkai.
“Secondo te? Mi sembra l’unica soluzione possibile, al momento. Sempre meglio
che andare da lui davanti a mezza scuola per parlargli”
“E da quando ti preoccupi di ciò che mezza scuola
pensa?”, fu la domanda spinosa di Hakkai. Diciamo
pure che ‘mezza scuola’significa ‘Gojyo’.
Shinobu poggiò il mento sul tavolo. “Ti odio quando
fai così, sai?”
Goku interruppe bruscamente lo scambio di batture. “Ma insomma, ti piace o no, quello lì?”
“No”, rispose seccamente Shinobu. “Non nel senso che intendi tu, almeno”
“E quindi dov’è il problema con Gojyo?”
Seguì un silenzio imbarazzato nel tavolo. Probabilmente gli ingranaggi nel
cervello di Shinobu scattarono solo in ritardo.
“Scusa, che vorresti dire con questo?”, chiese accigliata la ragazza, con tono
polemico.
“Dovresti capirlo, no? Lui ti ha baciato, Gojyo è geloso e si è
arrabbiato, tu sei arrabbiata perché Gojyo si è
arrabbiato, ma se non ti piace quel tipo credo che il problema non si ponga,
no?”. Beh, il ragionamento non faceva una grinza.
“Il tuo sillogismo è sbagliato per una semplice
ragione: Gojyo non è geloso. Non so perché si sia incazzato,
dato che il suo cervello funziona con un solo neurone inespugnabile, ma ne
dovrà cadere di neve in Africa, prima che io mi convinca che la sua è stata
gelosia! Mi sono spiegata?”, sbottò Shinobu.
“Non ti sei spiegata affatto. E comunque
non alzare la voce”, ribatté il ragazzino.
Shinobu tacque. Non aveva voglia di litigare. La campanella che indicava la
fine della pausa pranzo suonò, così Hakkai fece per
alzarsi.
“Aspetta, Hakkai”, mormorò Shinobu afferrandogli un lembo della manica. “Aspettate
e ascoltate tutti, per piacere”. Strinse le labbra, senza sapere da dove
cominciare, poi allungò le braccia sul tavolo, gingillandosi con un bicchiere
di carta accartocciato, e aspettando che la mensa si svuotasse un po’.
“Allora?”, chiese Goku, inclinando leggermente la testa di lato. Sanzo sbuffò.
Shinobu intrecciò le dita delle mani. Arricciò leggermente le labbra con fare
polemico, quando Gojyo e il suo gruppo, senza neanche un cenno o un’occhiata
verso il loro tavolo, uscirono dalla mensa. “Volevo parlarne a tutti, così da
avere le vostre impressioni tutte insieme. Ne manca uno, ma
beh”, arricciò le sopracciglia con fare sornione, “ci dormirò
ugualmente, stanotte”
Hakkai e
Goku sospirarono; Sanzo, che stava giocherellando con il pacchetto di
sigarette, fece un gesto d’impazienza. “O ti dai una
mossa, o me ne vado. Ho lezione, io,
sai.”
Shinobu si strinse nelle spalle, inumidendosi le labbra.
“Visti i discorsi dell’altro giorno, credo che mi capirete tutti se vi dico che ho sognato”.
Tacque per un po’, osservando le espressioni degli amici per cercare di
carpirne una qualche reazione, ma non ve ne furono. “Me lo ricordo abbastanza
bene, stavolta. Non che significasse chissà cosa, ma
sono certa che fosse un sogno di quel
tipo. Io…ero lì, era un bosco, forse, o un prato…un luogo non troppo
frequentato, insomma…Non mi è sembrato un avvenimento reale, non so se mi
spiego, erano più che altro ricordi amalgamati…e non mi ricordo nemmeno le parole,
a dir la verità…”
“Insomma”, puntualizzò Sanzo, seccato. “Ricordi qualcosa?”
Shinobu lo zittì con un cenno. “C’era una persona, oltre a me, una persona con
cui avevo trascorso molto tempo in quel luogo…ma
questo non è importante…il fatto è che quella persona mi ha chiamato”.
Soprassedette sul circondario di sensazioni che aveva
provato quella notte.
“Interessante”, commentò Sanzo reclinando il viso sul palmo della mano. “Adesso
sappiamo persino come ti chiami…”
“Insomma, la smetti di rompere?”, sbottò la ragazza, sbattendo il palmo della
mano sul piano del tavolo. “Non era il mio nome che ha chiamato, porca miseria,
ha detto Shioka!”
“Shioka?”,
ripeté Hakkai, pensieroso.
“E chi cavolo sarebbe? Sei sicura che c’entri con quella storia, qualunque storia sia, e che non sia una delle tue stupide fantasie?”
Shinobu
gli indirizzò un’occhiata astiosa, poi spostò la sua
attenzione su Goku.
“Goku? Ti dice niente? E a te, Hakkai?”
Hakkai schioccò le labbra scuotendo la testa, mentre Goku rimase pensieroso,
fissando un punto non meglio identificato.
“No”, rispose infine. “E credimi, mi piacerebbe tanto…ma
non mi sembra di averlo mai sentito, né mi suscita impressioni particolari”
La ragazza incrociò le braccia con un sospiro deluso. Eppure…sono sicura che questi sogni c’entrano in qualche modo con loro. Non
può essere altrimenti. Io non ci credo all’immateriale, non tanto, insomma, ma
che quattro persone facciano sogni collegati fra
loro…no, grazie, non chiedetemi di credere che avvenga per caso. “Ehi”; Hakkai richiamò la sua attenzione, con un sorriso conciliante. “Non
darci troppo peso…magari è presto, o…qualcos’altro, insomma”
Shinobu annuì. “Di una cosa sono sicura, però…il posto che ho sognato…è lo
stesso per tutti noi. Non so cosa, dove o quando
sia…ma è lo stesso. Siete d’accordo?”
Hakkai e
Sanzo non risposero, pensierosi, ma Goku annuì con decisione.
In fondo, i deja-vu che aveva provato con Sanzo…e
anche con gli altri…
“Sapete”, sussurrò, “…non mi stupirei se questa non fosse la nostra prima vita
insieme”
Shinobu si
alzò di colpo dal tavolo, rischiando di far cadere la sedia.
“Che ti prende?”, chiese il ragazzino, stupito, dopo essere sobbalzato.
“Niente. La lezione. Ne riparliamo un’altra volta”
Chiedetemi di credere a tutto, ma
non a questo.
Non era lui.
E’ solo una supposizione di Goku, questa. Ci dev’essere
dell’altro.
“Merda!”, si lamentò Gojyo svitando un bullone avvitato troppo stretto dal
motore dell’auto; l’olio gli colava sulle mani, e il ragazzo si guardò bene di
mettere i capelli rossi al sicuro. Ci mancavano solo i capelli sporchi di olio di motore.
“Non sono cazzi
tuoi quello che faccio e con chi lo faccio!”
Benissimo! Allora che la smetta di rompermi le palle, quell’idiota.
Fuma di meno, stai bevendo troppo, che motivo c’è di fare a botte…Poi tentano
di stuprarla, e tanto c’è Gojyo il fesso che, porca
miseria infame, s’intenerisce e le salva il culo. Ma
poi devo restare fuori da quel che fa e con chi lo fa…
“Sha! Appena hai finito dammi una mano qui!”, lo
chiamò il capo dall’altra parte dell’officina.
Il ragazzo scivolò via da sotto l’auto che stava riparando e si asciugò il
sudore dalla fronte con un avambraccio. “Sto arrivando!”, si affrettò a
rispondere. E in realtà, il senso di colpa bruciava un
po’ per quell’ultima, ingiusta osservazione.
Prese la cassetta degli attrezzi e si avvicinò alla macchina su cui il suo capo
stava lavorando, estraendone alcuni arnesi.
“Lavori di buona lena oggi, eh? Che ti prende, ti
hanno scaricato e vuoi sfogare i nervi sul lavoro?”
“Ma che scaricato!”, fremé il ragazzo porgendo gli attrezzi all’uomo.
Rimase a molleggiarsi sui talloni, con le ginocchia piegate, osservando le mani
veloci ed esperte dell’uomo che mettevano a posto il motore. Sì, quell’ultima
osservazione era stata decisamente ingiusta. Gli
veniva in mente, in quel momento, solo l’immagine di lei
con i vestiti stracciati, inginocchiata sul pavimento del magazzino con lo
sguardo assente, e la sua giacca sopra le spalle. E la cosa lo faceva incazzare
ancora di più.
“Ecco fatto!”. Il capo interruppe il flusso dei suoi pensieri. “Adesso cambia i
freni e i fanali posteriori e con questa abbiamo finito!”
Gojyo annuì, affrettandosi a iniziare il lavoro.
“Allora, mi dici cos’hai? Hai lo sguardo accigliato”
“Non ho niente!”, mormorò il ragazzo, impegnato ad allentare viti e a
controllare i contatti delle lampadine dei fanali.
Il padrone dell’officina gli si avvicinò alle spalle con passo pesante, quindi gli
diede una sonora tirata alla coda.
“Lavori con me da tre anni, Sha”, gli disse l’uomo con voce affettuosa,
“Conosco ogni tua espressione e posso persino dirti dal tuo odore quante donne
ti sei portato a letto nell’ultima settimana. Perciò
non venirmi a dire che non hai niente”
Gojyo gemette, ma evitò di massaggiarsi l’attaccatura dei capelli, o li avrebbe
sporcati di olio. E continuò imperterrito a montare i
fanalini, senza rispondere. Sospirò. Certe volte, il capo gli appariva quasi
come una figura paterna, e gli sembrava sinceramente interessato alla sua
persona.
“Capo, ho solo avuto una discussione pesante con una persona” …che si comporta come se si aspettasse
qualcosa da me, ma poi mi dice di farmi i cazzi miei. “E ti senti in colpa per questo?”
“Non mi sento per nulla in colpa! Però le donne…no, al
diavolo, non tutte le donne…è lei che non capisco”
Inaspettatamente, l’uomo scoppiò a ridere. “Solo le donne ci portano ad un
simile livello di incazzatura,
Sha. Non ho mai patito malanno o sfortuna di alcun
tipo, che siano stati capaci di farmi incazzare come fa
mia moglie”
Gojyo aggrottò un sopracciglio. “Capo, sei decisamente
fuori strada se stai pensando quel che io credo che tu stia pensando”
L’uomo si strinse nelle spalle. “Non penso nulla. Comunque,
se ti serve l’opinione di un vecchio, ti conviene andarle a parlare. Probabilmente
voleranno parole pesanti, sai”, rise.
“E non solo quelle, conoscendola”, lo corresse Gojyo. Magari ci sarebbe
andato, sì, anche solo per dirle un altro paio di paroline a proposito.
“Brutto affare, le donne combattive. Ma anche se
diciamo sempre di volerle accondiscendenti, la verità è che poi ci annoiano. Alla
mia età si vorrebbe un po’ di tranquillità, ma ricordo
che alla tua i contrasti erano divertenti. Bastava chiedere scusa anche quando
non ce n’era motivo”
Gojyo sbuffò divertito, finendo di rimontare la copertura del fanalino. Il capo
non la conosceva, Shinobu. Scuse di questo tipo le avrebbe
fiutate subito e si sarebbe incazzata ancora di più.
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 28/02/08]
“Uff!”, sbuffò Shinobu introducendo le monetine nella
macchinetta. Aveva proprio voglia di una birra.
Mi tocca una nottata di studio
ininterrotto…tutta colpa di quella megera della professoressa! Non ha altro da
fare se non rompermi le palle tutti i giorni?
Pigiò il
bottone che avrebbe selezionato la birra.
Non
successe nulla.
Controllò
se per caso avesse introdotto meno dell’importo stabilito, ma non notò nulla.
“Cazzo! Ci
mancava solo questa!”, gridò, nel silenzio della strada.
Sferrò un potente calcio alla macchinetta, che, dopo aver emesso un
borbottio elettronico, si decise a lasciar cadere giù la sua birra.
“Stronza! Ti ci metti pure tu?”, mormorò
alla macchinetta prendendo la birra.
Si stupì
di se stessa: parlare con un distributore di bibite…stava proprio dando i
numeri, ultimamente; sospirando, aprì la lattina e ne bevve un sorso.
“Ce li hai
vemt’anni, signorina?”, chiese una voce alle sue
spalle, facendola sussultare.
Davvero, non mancava che questo…, si disse la ragazza riconoscendo
la divisa di un poliziotto di quartiere.
“Allora,
ragazzina…non sai che i minorenni non possono bere alcolici?”.
Il suo
tono era provocatorio.
Per una birra, tutta quella confusione…e pensare che bevevalitrate di sakè…
Ma non
era il caso di stare a discutere: le mancava solo di tornare a casa scortata
dalla polizia.
Quindi
girò sui tacchi e corse via più veloce che poteva.
Non udì le
grida di protesta del poliziotto, né le interessavano: doveva soltanto
scomparire in qualche vicolo secondario e aspettare che quel rompipalle fosse
svanito dalla circolazione per tornare a casa.
Il cuore
le batteva a mille quando si fermò in un vicoletto, ansimando per la gran corsa; proprio non si
poteva dire che fosse fuori allenamento, dato che era riuscita a seminare un
uomo adulto. Finì di bere la lattina.
Dopo
essersi guardata intorno per un po’, gettò l’involucro vuoto e fece per tornare
a casa.
Cos’altro manca? Che mi cada un aereo dell’aviazione
militare sulla testa? O che mi rapisca qualche alieno
per sfruttarmi come cavia da esperimento? Sarò costretta magari a girare su una
ruota per produrre energia elettrica, o a trovare l’uscita dei loro labirinti
per poter mangiare una crosta di formaggio…
Sì, stava
proprio dando i numeri.
Davvero, non credevo che tutti i
giorni di un anno fossero sfortunati come i venerdì 17…
Finalmente
vide le luci del suo palazzo in fondo alla strada. Sperava soltanto che,
arrivata a casa, non ci fosse altro motivo di litigio.
Con la
cartella in spalla, si incamminò per il marciapiede. Si
bloccò fulmineamente sul posto, quando notò una moto posteggiata davanti e un
uomo che gesticolava furiosamente davanti al conducente.
Dei, se
esistete, vi prego, fate che abbia ingerito qualche sostanza allucinogena
insieme alla birra, senza accorgermene…
Si
avvicinò ancora. Le sagome iniziarono a diventare più distinte.
Dei, se
non siete sotto la doccia o a riprodurvi, ascoltatemi, almeno per una volta…una
sola, dannazione…
Scosse la
testa; immaginò di sentire una segreteria telefonica. Risponde la segreteria telefonica del mondo divino. Al momento siamo
impossibilitati a rispondere alle vostre preghiere, lasciate un messaggio dopo
il bip…
E,
ovviamente, i fatti stavano proprio come aveva temuto: era Gojyo che stava disquisendo con suo padre, e
probabilmente né di politica, né di sport.
“Razza di
delinquente, ti ho detto decine di volte di lasciare in pace mia figlia!”
“Vedi di
piantarla, vecchio. Ha già l’età per decidere da sola le sue amicizie, o no?”
“Nel caso
in cui si tratti di amicizie poco raccomandabili, è
dovere dei genitori intervenire!”
“Non dire
sciocchezze. Tutto ciò che interessa a voi genitori è salvare la faccia con i
vicini”
“Razza
di…”
Se
avesse avuto un fischietto, lo avrebbe usato per dichiarare un time out; se
avesse avuto delle cuffie, le avrebbe indossate e, dopo aver superato i due
facendo finta di non conoscerli, sarebbe entrata in casa.
Ma non
poteva permettere che continuassero a fare quel casino.
Così,
nonostante la poca voglia di parlare con Gojyo, e quella altrettanto scarsa di
dare ragione a suo padre, si decise ad intervenire prima che l’intero vicinato
conoscesse le sue faccende; peraltro stava iniziando a piovere.
Alzò una mano in segno di pace, mentre si accostava ai due.
“Shinobu,
entra in casa”, la salutò il padre.
Gojyo,
senza una parola, la guardò facendo un vago cenno con la sigaretta accesa.
Shinobu
tacque per un momento: darla vinta al padre o a Gojyo? Salire in casa o
aspettare lì?
Soppesò per un momento le due opzioni.
“Papà,
saliamo. Ma vedi di finirla di dare spettacolo”, tagliò
corto seccamente, incamminandosi per le scale, senza degnare di uno sguardo
Gojyo.
“Ah, ne ho
abbastanza, ti stai bruciando l’ultima occasione di parlare con me!”, sbottò
Gojyo, stizzito, rimettendosi il casco. Si sentiva decisamente
umiliato.
“Oh, ma
davvero? Eppure, le ultime parole che ricordo sono ‘Vedi di starmi alla larga, non ho tempo da
perdere con le ragazzine presuntuose’. Allora, cosa ci fai qui?”
“Non ha
più importanza. Se vuoi salire con il tuo paparino, fallo!”
“Non ho la
minima voglia di raccogliere le tue provocazioni”
La
pioggerellina peggiorò; il padre di Shinobu non osava trovare il coraggio di
intervenire nella discussione: decisamente, almeno
quando si arrabbiava, sua figlia somigliava alla madre. Decise tuttavia di
riprendere il suo ruolo dominante, così afferrò per un braccio la ragazza.
“Adesso basta. Sali con me e lascia perdere quel
delinquente!”
La ragazza spostò lo sguardo furibondo dal ragazzo al padre. “Mollami il
braccio! Sto cercando di chiarire un discorso con
quest’idiota, non vedi?”
Intanto
qualche vicino dei primi piani si era affacciato;
l’uomo, osservando discretamente chi in capo a pochi minuti sarebbe venuto a
conoscenza dell’intera faccenda, si decise ad abbandonare il campo per limitare
i danni, non senza aver prima lanciato un’occhiata delusa alla figlia degenere.
Quando
l’uomo fu entrato nel palazzo, Gojyo si tolse il casco.
“Perché devi essere sempre così acida e testarda?”
“Perché devi essere sempre così imbecille? Non mi fai mai parlare, non capisci veramente un cazzo! Che ti costa a permettere alla gente di spiegarsi?”
Tra i suoi pensieri, fece fugacemente capolino l’idea che aveva energicamente
tentato di estromettere. Ancora una volta, la negò con forza.
“Non ti
faccio parlare? Veramente sei tu che non mi hai fatto ancora aprire bocca!”
“Hai
parlato anche troppo! O mi spieghi in fretta perché
sei venuto, o ti togli dalle palle!”. Le tremava leggermente la voce. Gettò con fare incollerito la cartella sul marciapiede, poi, con
gesti nervosi, cominciò a sistemarsi i capelli, già bagnati.
Gojyo avrebbe voluto rispondere a tono, ma ripensò al capo, che l’aveva
avvertito del fatto che probabilmente sarebbero volate parole pesanti. Si
costrinse a controllare il tono della voce: decisamente,
era meglio non fare andare oltre tutta quella discussione.
“Abbiamo
entrambi esagerato, due giorni fa”, proferì infine.
Anche
il tono della ragazza, di rimando, si abbassò, senza però perdere la sua
sfumatura acida. “Per una volta, forse hai ragione”
Gojyo
ignorò la provocazione. “Ultimamente sono un po’ nervoso, e credo di essermela
presa con la persona sbagliata”
“Beh, a me
fai innervosire tu. Ogni parola che pronunci, è una provocazione nei miei
riguardi”.
“Non posso
farci nulla, io sono fatto così; eppure, sono due anni che noi due andiamo avanti in questo modo, no?”
Shinobu
annuì; sentiva la sua rabbia svanire pian piano; il tono di voce suadente del
ragazzo, che assumeva quando non si vantava o
offendeva qualcuno, le faceva svanire sempre tutta la rabbia. Osservò le pozzanghere
d’acqua che già stavano iniziando ad espandersi sul marciapiede, e le
goccioline che continuavano, imperterrite e sempre più violente, a cadere.
“Non…al diavolo…so che ti è antipatico Gojuin, Gojyo…ma
non c’era motivo di aggredirmi…non è da me che è dipeso quello che ti hanno
raccontato”
Gojyo tentò di tagliare la discussione. “Se anche
fosse stato, non sarebbero stati cavoli miei”
“Allora perché te la sei presa?”
Gojyo si strinse nelle spalle. “Te l’ho detto, ero
nervoso, e il fatto che…”. Tacque. “Shinobu, per buona pace del nostro
rapporto, qualunque diavolo sia, lascia perdere” Chissà perché, poi, mi sento sempre in
competizione con quello lì. Quello che sentì convinse Shinobu della sua teoria di reazione infantile al
suo avvicinamento a una persona con cui Gojyo aveva
sempre da ridire. La ragazza sospirò. “Dall’alto della mia presunzione”, rimarcò particolarmente, “vediamo di chiudere il
discorso”
Gojyo
liberò ancora quel suo sorriso spaccone; conosceva troppo bene quella ragazza
per pensare che fosse ancora arrabbiata. Scese dalla moto, si avvicinò a
Shinobu e le pose due dita sotto il mento, sollevandole il viso; avvicinò
lentamente il suo. “Se vuoi posso farmi perdonare
stanotte…”, la provocò.
Shinobu
aggrottò le sopracciglia con un sorrisino malizioso; eppure, non poté in
seguito negare di aver avuto un guizzo, all’idea che continuava impietosamente
a rigirarle in mente. Non è lui. No, non è
lui. “…e se io accettassi?”, cinguettò
distrattamente. Vide un lampo di sorpresa attraversare gli occhi del rosso.
Approfittando della posizione, reclinò il viso verso il suo collo e vi poggiò
le labbra. Sentì Gojyo contrarsi istintivamente quando le schiuse.
E gli diede un morso.
“Ma porca…puttana…”, gemette il rosso massaggiandosi la parte lesa,
mentre Shinobu si allontanava a una distanza di sicurezza, ridendo.
“Cosa credevi che volessi fare? Baciarti?”, continuò Shinobu, tra le risate.
“Avresti dovuto vedere la tua faccia…impagabile, Gojyo”. Tentò di calmarsi, ma
riprese a ridere. “Ti ho ripagato con la tua stessa moneta…considera il
discorso chiuso con questo”.
Gojyo, piccato, si guardò il palmo della mano, ma per fortuna non vi vide
sangue. Il collo gli faceva un male cane. “Stronza…che
bisogno c’era di mordermi?”
Shinobu si strinse nelle spalle, reprimendo un ultimo sbuffo divertito. “Mi è
parso decisamente divertente e appropriato. So che
saresti disposto ad accettare le avances di praticamente qualunque essere femminile sulla faccia della
terra, ma non credevo che non ti saresti opposto alle mie”
“Adesso non blaterale idiozie”, disse lui, facendole passare una mano dietro le
spalle e abbassandole la testa. Iniziò a scompigliarle i capelli. “Chi la vuole
una mocciosa come te?”
“Facciamo così”, finse di meditare, mentre Shinobu continuava a tentare di
liberarsi. “Visto che me lo meritavo, non ti ammazzo.
Ma non sono stato l’unico a comportarmi male, se non sbaglio”.
La lasciò andare.
“E allora? Vuoi
mordermi anche tu?”
Gojyo
inclinò la testa, come per pensarci su. “No!”, rispose infine, alzandole la
gonna della divisa con un gesto improvviso.
Shinobu si
affrettò a riabbassarla, ma non si mosse per colpirlo a sua volta: in fondo,
adesso erano pari.
Ritenendosi
soddisfatto, Gojyo si voltò per tornare indietro e recuperare il casco.
“Allora ci
vediamo domani, mocciosa con le mutande a fragoline!”
Shinobu
annuì. “Augurami buona fortuna. Se tutto va bene,
quella megera della prof di lettere ci penserà due volte prima di riprendermi
ancora”
“Hai
intenzione di darle fuoco alla casa?”
“Niente di
così drastico. Farò vedere a lei e al resto della
classe quanto sono stupida”
Gojyo
inclinò la testa di lato, con fare interrogativo, quindi le sorrise. “Vedrai
che non ci vorrà molto”
Shinobu alzò gli occhi al cielo, ma poi sorrise a sua volta. Tutto alla
normalità, pareva. Se non che, aveva ancora quell’idea spinosa in mente.
“Gojyo”, mormorò, stringendo le labbra quando il rosso si voltò nuovamente
verso di lei.
“Cosa?”
Ficcò le
mani nelle tasche. “Ti dice niente il nome Shioka?”
Gojyo
parve soppesare il nome per qualche istante che le sembrò lunghissimo, poi
scosse la testa.
A metà tra la delusione e il sollievo, Shinobu sospirò.
“Chi dovrebbe essere?”
La ragazza si strinse nelle spalle. “Ne parliamo domani. Ma
fammi sapere se ti viene in mente qualcosa, per favore. E’
importante”
Gojyo annuì, indossando il casco. “D’accordo, mocciosa…a domani”
Un
bicchiere di caffé in mano, Sanzo si dirigeva verso la propria classe; aveva
troppo sonno anche per pensare. Quella stupida scimmia gli dava decisamente troppo da fare, e anche se adesso non lo avrebbe
avuto più in mezzo ai piedi a scuola, dato che finalmente aveva deciso di darsi
da fare da solo per il proprio mantenimento, a casa non faceva altro che scocciarlo.
D’altronde,
se l’era cercata; che gli era saltato in mente di distruggere la sua normale
solitudine? Però, proprio non poteva dire di rimpiangere la casa vuota: era
confortante il tepore che la casa emanava quando
tornava a casa la sera e non la trovava più vuota; non doveva più gettarsi sul
letto, dopo aver puntato la sveglia perché suonasse nel cuore della notte,
troppo stanco persino per andare a mangiare; adesso la casa era pulita, e la
cena pronta, quando rientrava. Il suo continuo silenzio non infastidiva Goku,
che tuttavia faceva un frastuono insopportabile raccontandogli tutto ciò che
aveva fatto durante la giornata.
Mentre
camminava, i suoi pensieri furono interrotti da qualcuno che, appoggiandosi
sulle sue spalle e spiccando un salto, gli aveva fatto rovesciare tutto il caffé
a terra. Se non fosse stato sicuro che Goku non era più a scuola, avrebbe detto che era lui. Ma c’era qualcun
altro che si prendeva tutta quella confidenza con lui...
“Vuoi fare
la fine del mio caffé, cretina?”
“Sempre
gentile, eh? Quanto ti voglio bene quando fai così!”,
gli rispose una voce fin troppo nota.
Per la
miseria, quanto l’avrebbe volentieri uccisa! Si limitò a sfogare la sua rabbia
sul bicchiere di carta, che gettò a terra e appiattì con il tacco della scarpa,
e senza nemmeno voltarsi fece per proseguire.
“Non
pulisci il caffé da terra?”
Sanzo si
rifiutò persino di rispondere, gelandola con uno sguardo.
“No, dai,
lasciamolo lì. Magari uno dei miei prof ci scivola su e va a sbattere la faccia
per terra…speriamo!”, aggiunse Shinobu sorridendo.
“Io mi
riterrei più soddisfatto se scivolassi tu...un’idiota in meno al mondo...”
Shinobu
non lo ascoltò e continuò a canticchiare; era troppo contenta per dare ascolto
alle provocazioni del ragazzo: le cose tra lei e Gojyo si erano sistemate,
aveva fregato la prof rompipalle con un’interrogazione stupenda, mancava solo
che scoprisse quello che volevano dirle i suoi strani
sogni…
Guardò
Sanzo; sì, era una giornata troppo bella per sentirlo
recriminare. Quando gli avrebbe visto una luce diversa
negli occhi?
“Sono così
di buonumore, oggi, che non ti rispondo neanche”
“Tsk!”
Shinobu
abbassò notevolmente la voce. “Goku come sta?”
“Come vuoi che stia…è sempre la solita scimmia piena di energie”
“Sì…vederlo
di buonumore è davvero un sollievo…fa quasi bene al cuore”. Shinobu incrociò le
braccia dietro la schiena. “Grazie, Sanzo.”
“Si può sapere cosa blateri, adesso?”
“Per Goku.
Perché è contento. E’ grazie a te”. Gli
sorrise ancora. “E’ in buone mani, penso”
“Ma la smetti di sproloquiare, mocciosa? Guarda che ogni cosa che faccio
è interamente per mio tornaconto personale”, ribatté
Sanzo, acido.
E si può sapere perché non pensi un po’ a te stessa, invece di sorridere
così per quella scimmia?
“Sì, sì”,
tagliò corto Shinobu, muovendo qualche passo all’indietro. “Salutamel…’cidenti!”
Camminando all’indietro per parlare con Sanzo, aveva urtato contro qualcuno.
“Scusami”, mormorò voltandosi. E, neanche a farlo
apposta, era Gojuin. Shinobu rimase quasi pietrificata. Abbassò lo sguardo.
“Ciao,
Gojuin”, lo salutò.
“Ciao”
Silenzio.
Shinobu lanciò uno sguardo implorante verso Sanzo, ma il biondo si stava già
allontanando, con noncuranza. Si strinse nelle spalle, rassegnata. Prima o poi, il discorso andava affrontato.
“Hai dieci minuti liberi, Gojuin?”
L’albino annuì, facendo un gesto per invitarla ad incamminarsi. Probabilmente
aveva intuito il motivo di quella discussione. Shinobu non lo sapeva con
certezza: salvo rari casi, l’espressione di Gojun era
sempre impenetrabile. Più ligia di quella di Sanzo.
“Ascolta”, iniziò Shinobu, leggermente imbarazzata, mentre camminava. In
realtà, non avrebbe voluto prendere quest’argomento, ma ormai che c’era, voleva
sapere perché Gojuin l’avesse fatto.
“Tu, Ori, non ricordi ancora niente, vero?”, la interruppe improvvisamente l’altro,
quasi non l’avesse sentita.
Shinobu si fermò, rimanendo leggermente indietro rispetto all’altro, le mani
nelle tasche della gonna.
“Cosa dovrei ricordare?”, chiese, ma dalla semplice
domanda del ragazzo era dipanato un oceano di supposizioni.
“Non
ricordi ancora niente…e nemmeno gli altri”, ripeté lui, come a voler comunicare
qualcosa a se stesso, e non a lei.
Shinobu
rimase lì, a guardarlo. Adesso aveva un’espressione guardinga. “Non mi piace
sentirmi presa in giro, Gojuin, e da due giorni ho questa sensazione”. Si
strinse nelle spalle. “Parla con me, invece di parlare
da solo”
Gojuin non
rispose ancora. Lo sguardo con cui la stava guardando in quell’istante le parse indecifrabile, e la spinse a chiudere i pugni nelle
tasche, a disagio.
“Ho
ricordato tutto, Shinobu”, continuò l’altro improvvisamente.
Lei impiegò qualche decina di secondi, in cui si osservarono in silenzio, lì
fermi nel corridoio, per mettere a fuoco i pensieri. Dal quadro di disordine,
spiccò un unico concetto: i sogni.
“Tu sai chi è Shioka”, le scivolò dalle labbra, senza sapere bene come e
perché. “Tu…”
Si fece avanti, prendendolo per un braccio. “Dimmi
quello che sai”
Gojuin scosse la testa, liberando gentilmente il braccio dalla sua presa. “Non farmelo
dire, per favore. Non è ancora il momento, Shinobu. Presto anche tu ricorderai,
immagino”
“Ma perché? Cos’è tutto questo? Quando?”
Il ragazzo le mise una mano su una spalla. “Non pensarci adesso,
Shinobu. Ti conviene”
“Ma…”
Gojuin scosse ancora la testa, per indicare che il discorso era chiuso. Shinobu
si sentiva ribollire, voleva prenderlo per le spalle, strattonarlo, fargli dire
ciò che sapeva…
Si scostò, appoggiandosi al muro del corridoio, concentrandosi su un punto
imprecisato. Gojuin non poteva vedere la sua espressione, ma era certo che
fosse delusa e confusa.
“Va bene”, gli disse lei, stringendo leggermente le spalle. “Va bene,
aspetterò”
L’altro annuì, facendo un passo indietro, anche se aveva la sensazione che la
loro discussione non fosse finita lì.
“E adesso dimmi perché l’hai fatto”
Shinobu si era nuovamente voltata verso di lui, e gli
aveva fissato uno sguardo accusatore in volto. Non sembrava irritata, ma
certamente non si sarebbe accontentata di un silenzio.
“Sei sempre piena di ‘perché’, tu”, scappò di bocca a
Gojuin, con un piccolo sbuffo divertito.
Già, perché l’aveva fatto? Continuava a chiederselo. Forse perché
da quando aveva fatto quel sogno si era convinto di essere sempre più legato a
quella ragazza. E anche la presunta rivalità
con Gojyo non appariva più una coincidenza.
Lui adesso
si trovava un gradino più in alto rispetto agli altri cinque. Perché aveva
ormai capito che cosa legava tutti quei sogni, e chi era
stato in realtà.
Ma se Shinobu
ancora non sapeva, significava che non era il momento. D’altronde, per lei
sarebbe stato ancora più difficile. Non poteva spiegarglielo. E non poteva nemmeno tentare di farle capire perché l’aveva
baciata, senza raccontarle ogni cosa.
Shinobu
reagì dando una manata al muro, in un gesto di nervosismo. “Non le sopporto le
mezze frasi buttate lì, Gojuin, dannazione”. Si scostò dal muro, scuotendo la
testa. “E di mani addosso ne ho avute fin troppe, in
questo periodo”, gli soffiò. “Quindi, se non ti
dispiace…”, si mosse, “Io andrei”
Gojuin non si giustificò, ma sulle labbra gli apparve una smorfia amara. “Come
vuoi…tanto…”
Tanto le cose non cambierebbero, se
ti spiegassi.
La vita scorreva inesorabilmente noiosa.
Quei
giorni che si ripetevano sempre, continuamente, eternamente…lo facevano
impazzire.
Sempre lì ad osservare e comandare quegli stupidi inetti che a malapena
sapevano tenere una spada in mano.
Ma
tanto l’unico che contava era il Dio della Guerra, Nataku.
A che
servivano le altre truppe se tanto era sempre lui a condurre e vincere le
battaglie?
Il demone umano Gyumao…infinite volte più grande di lui…era stato
debellato da quello che sembrava un ragazzino di nove, dieci anni. Ma che
celava in sé una forza oscura, temuta dagli dei perché
maggiore alla loro.
Già…quel
ragazzino superava infinitamente persino la sua, di forza, lui, che era il
generale della Divisione occidentale dell’esercito, che faceva parte della
famiglia dei dragoni, Ryuu Ou Sekai Gojuin.
L’uomo si
alzò dal letto, leggermente intontito. Quei pensieri lo colpivano a tradimento,
spesso, specialmente nei momenti che precedevano o seguivano il sonno. Se tali idee in passato l’avevano lasciato del tutto
indifferente, ultimamente si erano concentrate e gli davano da pensare fin
troppo spesso. Da quando era arrivata lei, ovviamente.
Indossò con cura la sua elaborata tenuta, trattenendo qua e là sbuffi e qualche
sospiro…infinite volte aveva ripetuto quelle azioni, infinite
volte si era chiesto se per caso esistesse qualcosa di meglio di quella solfa.
Certo non
avrebbe preferito essere come coloro che si trovavano ancora più in alto, alle
dirette dipendenze dell’imperatore…quell’idiota! Sarebbe di certo morto in
dieci secondi, se si fosse trovato ad affrontare un nemico senza l’ausilio
delle sue truppe. Anzi, anche con le sue truppe, dato
che queste sarebbero state sconfitte in cinque secondi.
Naturalmente,
esclusi il maresciallo Gensui e il generale di divisione Taisho, suo sottoposto.
Peccato che la loro irriverenza fosse direttamente proporzionale alla loro forza.
Ma lui,
Gojuin, era il comandante della divisione occidentale dell’esercito…e chi era,
per criticare l’imperatore? Dopotutto, anche lui lo riveriva come facevano
tutti.
Era troppo
tempo che si auspicava l’insorgere di qualcuno che mettesse infine a quella noia…ma non voleva che fosse Li Touten. Quell’uomo, il
braccio destro dell’imperatore, era la divinità più viscida che avesse mai visto; non solo aveva la quasi certezza che
complottasse alle spalle dell’imperatore, ma tutto il suo potere gli derivava
dal ruolo del figlio Nataku. Lanciava il figlio in missioni suicide,
continuando a ripetergli che lui di certo non avrebbe pianto per la sua morte.
Gojuin non
era certo il tipo da pensare ai più deboli (anche se
Nataku lo era solo psicologicamente); gli dava fastidio il comportamento
viscido di Li Touten, ma, almeno per il momento, non poteva far altro che
tenere i piedi in una staffa, e rimanere a guardare la situazione.
La vita
era rimasta immutabile nel Tenkai…e se anche vi erano in
corso cambiamenti, erano quasi pari al erodersi di una montagna: granello,
dopo granello, dopo granello, con una lentezza estenuante. Almeno finché non
era arrivata lei.
Nei suoi
occhi vi era una tristezza profonda, una purezza affascinante che non aveva mai
visto in nessun altro abitante del Tenkai.
E non
voleva assolutamente che fosse invischiata nelle sordide faccende politiche.
Temeva che
Tenpou potesse usarla per diminuire l’influenza di Li
Touten, che con la sua innocenza fosse il soggetto migliore da maneggiare ai
propri scopi. O temeva semplicemente che Taisho la
portasse in un luogo in cui nessuno sarebbe riuscito a raggiungerla?
Lo
sapeva…sapeva che quella testa calda era stato l’unico
a cui avesse aperto il suo cuore. Gli aveva affidato il suo primo sorriso dopo
tanto tempo, a lui, che aveva la testa piena d’aria. Sapeva che sarebbe stata
certamente dalla loro parte, nel caso in cui avrebbero apertamente sfidato Li Touten, sapeva che non si sarebbe tirata indietro.
Lui…non
poteva fare altro che osservarla, da lontano. Guardarla sorridere, adesso, ma sorridere a Taisho, non a lui.
Non
riusciva ad avvicinarsi a lei neanche di un passo…ogni volta gli sembrava che
lei gli scivolasse via come sabbia dalle mani, involontariamente. Se n’era mai accorta?
Si era mai
accorta di come la guardava, dei suoi sentimenti?
Sentimenti?
Gojuin
sogghignò; sapeva provare dei sentimenti? C’era qualcuno, nel Tenkai, che fosse capace di provarli?
Sembrava impossibile. Lui non voleva provare sentimenti. Tanto, lì nel
Tenkai erano inutili; le unioni interpersonali avvenivano solo per puri fini
utilitaristici. Persino i matrimoni erano d’interesse.
Poteva
ancora sentire il calore dei suoi polsi dentro la sua stretta…ma
i cappi che indossava, per contro, erano gelidi.
Sì, doveva
essersene accorta, che lui provava qualcosa.
“D’accordo,
lo ammetto”, sussurrò, da solo nella stanza.
Ma non
si sarebbe mai avvicinato a lei più di così. Il suo cuore non era ancora così grande…al momento c’era spazio solo per
Taisho. Se si fosse dimostrata dalla parte di Gensui…
…lo sarebbe stato anche lui.
Senza dubbio, l’avrebbe seguita persino dalla parte di Li
Touten.
Era la
prima volta che isolava concretamente ciò che voleva, ciò che intendeva fare.
Era la
prima decisione autonoma che prendeva, che non accettava passivamente, e l’avrebbe onorata fino alla fine.
Fino alla fine.
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 28/02/08]
Fischiettava. Era allegro, in
quell’ultimo periodo: stare con Sanzo lo faceva sentire bene. Era da
tempo che non trascorreva giornate intere senza pensare a niente, senza essere costretto
a leccarsi tristemente le ferite.
Poteva pensare un po’ a se stesso, adesso: uscire di casa al mattino,
andare a lavorare, conoscere un sacco di clienti…erano tutti molto
gentili con lui, specialmente il padrone: un uomo sulla quarantina, con il volto
cortese, forse appena appena un po’ imbronciato.
La vita con Sanzo, a casa, non era certamente facile: il biondo era una persona
che tendeva un po’ troppo spesso al malumore, per i suoi gusti; e, in
quelle giornate, era meglio lasciarlo seduto al davanzale della finestra con le
sue sigarette. Una parola di troppo, un rumore di troppo, e dava in
escandescenze. Per il resto, aveva imparato piano piano a conoscerlo: un
ragazzo silenzioso, che tuttavia, a saperlo ‘leggere’, si rivelava
estremamente comunicativo. Ormai a Goku bastava vedere il modo in cui voltava
le pagine del giornale, o sorseggiava il caffé, per capire di che umore
fosse. Non gli ci era voluto molto per comprendere i suoi gusti in fatto di
cucina: Sanzo non si era mai lamentato, fino a quel momento, dei suoi pasti;
ma, dal modo in cui aveva arricciato le sopracciglia mentre mangiava, una volta
che aveva fatto il curry, aveva intuito che al ragazzo non piacevano
eccessivamente gli alimenti troppo piccanti o saporiti. Gli piaceva il pesce, probabilmente,
perché qualunque piatto a base di pesce gli avesse cucinato
l’aveva sbocconcellato lentamente.
Quando non lavorava, capitava che vedesse Shinobu, Hakkai o Gojyo.
Un’uscita alla sera, ogni tanto, o qualcuno –Shinobu soprattutto-
lo veniva a trovare a casa, o al lavoro quando non c’era troppo da
fare…
Gli piaceva, quella nuova vita. Gli piaceva Sanzo, e gli piacevano gli altri, e
gli piaceva lavorare per vivere, e occuparsi di qualcun altro…Sanzo era
stata la cosa più bella che gli fosse capitata in tutta la sua vita. Non
riusciva a definire nemmeno lontanamente ciò che provava per lui...un
padre, una persona da amare, un convivente, un amico...no, Sanzo era di
più, molto di più.
Non si era pentito nemmeno per un momento, di essere fuggito via. Tuttavia,
aveva idea che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con ciò che si
era lasciato indietro. Gli vennero i brividi al lontano ricordo di ciò
che aveva passato gli anni addietro. La schiena gli si intirizzì
notevolmente al pensiero di ciò che sarebbe stato di lui se non avesse
incrociato un paio di splendidi occhi viola in una serata piovosa.
Goku si affrettò a ripulire il tavolo; il padrone lo chiamò,
così lasciò lo strofinaccio lì dove si trovava e lo
raggiunse.
"Molto bene, Son.", gli fece quello, sorridendo. "Lavori bene e
sei sempre sorridente e gentile con i clienti. Le ragazzine ti adorano",
continuò mostrando il mignolo.
Goku arrossì lievemente, un po’ imbarazzato. "Beh..."
"Di bravi ragazzi come te non ce ne sono molti, in giro...", continuò
l'uomo scompigliandogli i capelli. Il ragazzo sorrise: il capo lo trattava con
i guanti. Non aveva fatto alcuna domanda, sebbene fosse minorenne, sulla sua
famiglia o sulla scuola: l'aveva assunto e basta. Probabilmente ce
l’aveva scritto in faccia, che aveva bisogno disperatamente di un lavoro
e non di domande, ma in ogni caso ben pochi avrebbero accettato di correre un
simile rischio: si sentiva enormemente riconoscente verso di lui.
Il tintinnare dei campanellini che annunciavano l'apertura della porta misero
sull'attenti il proprietario del locale.
"Dai, finisci di lavare i piatti, Son...ci penso io a servire il
cliente"
L'uomo scostò le tendine della cucina, per tornare al bancone, mentre
Goku tornava al suo lavoro.
"Irasshaimase, in che cosa posso servirla?"
"Buongiorno"
A Goku sfuggì di mano il bicchiere che stava ripulendo, che ricadde nel
lavandino.
Quella voce...l'avrebbe riconosciuta tra mille.
Sentì che le gambe non lo reggevano più, quindi si lasciò
scivolare sul pavimento, la schiena poggiata alla parete attrezzata. Tremava
leggermente, quasi fosse un riflesso condizionato. Che....che diavolo ci fa lui qui? Combattendo contro il terrore che si era in un attimo impadronito di lui,
strisciò fino a sbirciare nel salone, da dietro le tendine della cucina.
Sì...era lui. Non avrebbe dimenticato il suo viso, le sue mani, per
nulla al mondo.
Gli si offuscò la vista; si tirò indietro, in cucina, guardandosi
intorno. Non c'era nemmeno una porta di servizio da cui fuggire via dal locale:
per uscire, avrebbe dovuto necessariamente passare davanti a lui. Lui...legalmente può portarmi via con lui. Perchè mi sta
cercando? Scosse la testa. Gli veniva da piangere. A lui...non basta che
io sparisca, che io muoia. Vuole farmela pagare...è pazzo.
Si fece forza e ancora una volta sbirciò, osservando l'uomo al bancone,
che parlava con il capo. Aveva con sé una foto. La sua foto.
Sì, lo stava cercando. Come diavolo aveva fatto a sapere che si trovava
lì?
In un attimo si vide trascinato a casa con la forza; vide l'immagine di Sanzo
che si allontanava sempre più da lui...
Non poteva pretendere che il capo lo nascondesse. Quanti guai avrebbe avuto se
le autorità avessero scoperto che faceva lavorare un minorenne, per di
più durante le ore scolastiche? Se lui è andato alla scuola…e gli hanno detto che sono
scomparso…succederà il finimondo. Goku trattenne a stento le lacrime. Per quanto ancora quell'uomo avrebbe
rovinato la sua vita?
"Aspetti. Devo andare a togliere un'ordinazione dal fuoco",
sentì dire al suo capo.
Goku si spostò, terrorizzato dal fatto che suo padre potesse
scorgerlo.
Quando rientrò in cucina, il gran sorriso del capo era sparito; il suo
volto era incredibilmente serio. Gli occhi neri lo fissavano da dietro gli
occhiali.
"Son..."
Il ragazzino non poté più trattenere le lacrime, e abbassò
la testa di scatto. "Io...mi dispiace!"
L'uomo scosse la testa, facendogli contemporaneamente un gesto con la mano, per
indicare che non aveva importanza. "Chi è?"
"Mio...mio padre. No. Non è mio padre"
L'uomo lo guardò negli occhi per lunghi secondi, come se stesse
meditando. Goku non si sottrasse al suo sguardo indagatore.
Poi, in silenzio, mise il sakè sul fuoco. Sospirò, e tornò
nel salone.
A Goku si mozzò il respiro. Gli avrebbe detto che lui era lì;
quell'uomo sarebbe entrato e l'avrebbe portato via.
"Le stavo dicendo...il ragazzo della fotografia..."
"Allora?"
"Mi dispiace. Ha lavorato qui fino alla settimana scorsa. Poi è
sparito. Era strano, sembrava in fuga da qualcosa...E' forse scappato di casa?
In ogni caso...credo che volesse andare via dalla città. So che ha
lasciato la scuola"
L'uomo imprecò, ma non sembrava troppo convinto.
"Chieda ancora in giro...mi dispiace"
Finalmente Goku riuscì a respirare. Si lasciò cadere di nuovo a
terra. Quando sentì i campanellini dell'entrata annunciare la chiusura
della porta a vetri, iniziò ad ansimare senza controllo.
Il capo rientrò in cucina.
"Perchè...perché l'ha fatto?"
L'uomo sorrise: "I suoi occhi...non mi piacevano. Preferisco i tuoi,
quando sorridi. Mi ricordi il figlio che è andato a vivere con mia
moglie, quando ci siamo separati"
Anche Goku sorrise di rimando, rinfrancato. Ma il suo fu un sorriso triste.
Un altro scampanellio li interruppe. Goku si voltò di scatto,
terrorizzato dall'idea di poter incrociare lo sguardo di suo padre.
Invece, lo fissarono un paio di bellissimi occhi viola.
"Ci sei, scimmia? Andiamo a casa."
"Ma si può sapere perchè vieni a disturbarmi anche a
casa?", si lamentò Gojyo accendendosi una sigaretta.
"Perchè ci hai offerto una birra", fece notare Shinobu
aggrottando le sopracciglia, e agitando una lattina.
"'Vi'? Io l'ho offerta ad Hakkai...sei tu che ti sei messa in mezzo...e
poi, Hakkai se n'è andato...perché non togli il disturbo anche
tu?"
Shinobu si accomodò meglio nel divano, scrutandolo divertita. Sì,
decisamente era tornato tutto alla normalità. Lui sfotteva lei, lei
sfotteva lui, uno dei due faceva marcia indietro, o finivano per pizzicarsi.
Bevve un altro sorso dalla lattina, rilassata. "Andiamo...abito proprio
qui dietro! Mi stai buttando fuori casa?"
Gojyo si lasciò cadere sulla poltrona. "Guarda che tra un'ora devo
andare a lavoro..."
"Sì, sì...tra un attimo tolgo il disturbo!". E,
così dicendo, prese il telecomando e accese la televisione.
Gojyo scosse la testa. Quella ragazza si sentiva sempre a casa propria, ovunque
fosse. Specialmente a casa sua.
"Senti...com'è che hai smesso di parlare di ragazze, tutto d'un
tratto? E' da un po’ di tempo che non ti sento più vantarti delle
tue conquiste...", chiese lei guardando lo schermo.
Il rosso si sentì punto sul vivo, ricordando improvvisamente ciò
che Maki gli aveva detto tempo prima: Ti stai allontanando sempre più da quello che eri, da quello che
piaceva a noi tutte. Perché?
Prima, insieme al tuo corpo, ci davi anche l’anima. Adesso sembra che sia
da qualche altra parte. "Se non me ne vanto, non vuol dire che non ce ne siano", fece
lui, un po’ irritato.
Shinobu lo guardò e sorrise divertita, un sorriso da 'chi vuoi prendere
in giro?'. "Non vorrai dirmi che ti piace qualcuna?! Kami, Gojyo, se mi
dici che è Maki, puoi scordarti di rivolgermi la parola",
minacciò, ridacchiando. Dava per scontato che Gojyo non avrebbe mai
avuto una ragazza fissa, che tutto sarebbe continuato com'era, con l'amico
pieno di tempo libero e le risate assieme. Proprio non avrebbe saputo
immaginarsi una routine quotidiana con un Gojyo impegnato sentimentalmente.
"Punto uno, proprio tu che mi conosci non dovresti dirlo...sai che sono
troppo innamorato del sesso, per innamorarmi di una donna"
"Ah, bene! Mi stavo iniziando a preoccupare..."
"Punto secondo...se mi piacesse una ragazza, certo non sarebbe Maki. Non
ha due neuroni funzionanti nemmeno a cercarglieli con la lente
d'ingrandimento"
"Però te la porti a letto", fece Shinobu aggrottando le
sopracciglia.
"Non ho parlato di tette e culo, ma di neuroni. Per il sesso, quelli non
servono"
Shinobu sbuffò, abbracciando il cuscino. "Io di queste cose posso
anche farne a meno"
Gojyo sorrise sotto i baffi. "Parli così perchè non sai
nemmeno cosa significa"
"E tu che ne sai?"
L'altro scoppiò a ridere, artigliandole il collo e scombinandole i
capelli. "Andiamo, mocciosa...chi vorresti prendere in giro? Se mai ti
venisse voglia di imparare qualcosa, vieni prima da me, piuttosto che andare
con il primo incapace che ti gironzola attorno"
"Dai, Gojyo!", si lamentò l'altra, tentando di liberarsi.
"Sei ripetitivo, mi farai diventare calva, con il vizio di tirarmi i
capelli!"
Finirono per cadere entrambi dal divano. Shinobu fu la prima a tirarsi su,
sbuffando.
"Con te mi sembra di tornare alle elementari, Gojyo, parola!"
Il rosso tirò fuori la lingua. "Da come parli, sembri chissà
quale donna matura..."
Shinobu si risedette sul divano, pensierosa. Quella discussione le aveva fatto
tornare in mente il sogno di poco tempo addietro.
"Gojyo..."
"Nh?"
"Non ti è venuto in mente se hai mai sentito il nome Shioka,
vero?"
Lui scosse la testa. "Senti, lo so che quest'argomento ti sta a cuore...ma
personalmente non saranno due sogni a darmi da pensare" Quelle sensazioni al parco, tempo fa, sì che mi darebbero da pensare,
però.
"Tu che ne pensi della supposizione di Goku?", continuò Gojyo.
"Quella secondo cui stiamo rivivendo una seconda vita insieme?"
"Supposizioni, appunto", tagliò corto Shinobu.
"Dài...lo sai che io a queste cose non credo, ma ammetto di aver
provato qualcosa di simile a deja-vu, spesso e volentieri...tu no?" Certo che sì, si ritrovò a pensare la ragazza. E tu
dovresti saperlo benissimo. Non lo disse ad alta voce, ma si limitò
a distogliere lo sguardo.
Gojyo sospirò, seccato. Gli sarebbe piaciuto che Shinobu avesse smesso
di rimuginare su quella storia. Si trattava di cose così lontane,
incerte e immateriali che pensarci per più di due minuti gli dava il mal
di testa. E, anche a volerci pensare, non c'era su che riflettere né
utilità nel farlo.
"Smettila, Shinobu", avrebbe voluto dirle. Ma il fantasma dell'ultimo
litigio aleggiava ancora sulle loro teste, e d'altronde i pensieri della
ragazza non erano propriamente affar suo. Tamburellò sul bracciolo del
divano con le dita di una mano, lanciando ancora un'occhiata a Shinobu, che era
tornata a guardare lo schermo del televisore. Ma era sicuro che stesse ancora
rimuginando su qualcosa. Per costringersi a distrarsi, anche lui prese a
osservare le immagini in movimento che scorrevano sul video.
"Oh, questa canzone mi piace", fece Shinobu d'improvviso indicando il
televisore, su cui scorrevano le immagini di Superman di Five for
fighting. "La danno un po' ovunque ultimamente, vero?"
Gojyo annuì, ringraziandola silenziosamente per aver tagliato
così bruscamente il discorso. "Piace molto anche a me. Ma ti
credevo un tipo più da rock o metal"
"Lo sono, infatti", rispose l'altra. "Ma ciò non vuol
dire che non possano piacermi canzoni più tranquille"
Il rosso controllò l'orologio. "Ho dieci minuti di tempo prima di
scendere per andare a lavoro. Vuoi sentire una cosa?". E, senza aspettare
la conferma di Shinobu, si alzò dal divano e, grattandosi le tempie nel
tentativo di ricordarsi dove l'avesse messa, andò in camera propria.
Quando tornò nel salone, aveva una chitarra scura in mano. Shinobu
riconobbe sul momento la vecchia Tervis, tenuta benissimo nonostante avesse
già diversi anni.
"Oh, non la tiravi fuori da un po'!", commentò, sistemandosi
meglio nel divano. "Mi dedichi un concerto?"
Per tutta risposta, Gojyo si risedette e iniziò a suonare una canzone
che era inconfondibilmente Superman.
"Il tuo orecchio mi stupisce ogni volta, parola mia"
L'altro ghignò, continuando a suonare. "Bello e talentuoso, che
buon partito sono!". Shinobu lo ignorò, osservando piuttosto la
chitarra.
"Ti ho mai chiesto chi te l'ha data? La tieni come se fosse una
reliquia!"
Incredibilmente, vide il viso di Gojyo arrossire appena percettibilmente, e fu
sul punto di chiedergli se fosse il regalo di una ragazza. Ma il ragazzo fu
celere a reprimere quel guizzo di chissà-che-sentimento che gli era
apparso per un momento negli occhi, e scosse la testa, quasi a se stesso.
"Mio fratello. Me l'ha regalata lui"
Shinobu osservò alcuni secondi di silenzio imbarazzato. Non gliene aveva
mai sentito parlare, anzi, a dirla tutta, non credeva che gli avrebbe mai
sentito raccontare qualcosa sulla sua famiglia.
"E...lui dov'è, ora?", si lasciò sfuggire.
"Non lo so", fu la risposta secca di Gojyo, il che la costrinse a
distogliere lo sguardo da lui, pentendosi delle cinque parole che aveva
pronunciato.
"Ti ho messa a disagio?", chiese lui, un po’ seccato, smettendo
di suonare Superman.
"Per nulla", mentì lei, "Dovrei chiedertelo io"
Gojyo scosse la testa con uno sbuffo. "Credo di conoscerti abbastanza,
ormai, da capire quando sei imbarazzata. Vuoi sapere di mio fratello? Ecco qui:
non c'è nulla da sapere o da nascondere. Mio fratello se n'è
andato di casa otto anni fa. La chitarra era sua, me l'ha regalata quando ero
un po’ più piccolo...forse ne avevo nove. Ricordo che era molto
bravo a suonare...me l’ha insegnato lui, quel po’ che so"
Shinobu si pentì di aver aperto il discorso. Non osò chiedere
perchè se ne fosse andato o se avesse avuto più sue notizie...i
suoi pensieri furono interrotti da Gojyo che aveva attaccato un altro brano.
Una melodia piacevole, che non aveva mai sentito.
"Mi piace. Che canzone è? Che parole ha?"
Gojyo tirò fuori il suo solito sorrisino. "Non ci sono parole. Non
ancora...l'ho composta io"
La ragazza strinse le labbra e aggrottò le sopracciglia. "Il tuo
neurone sa fare anche questo?"
"Sa farlo sì, ma non si è ancora evoluto al punto da saper
scrivere i testi. Come sai, le parole non sono il mio forte"
"Dovresti provarci, comunque, è un peccato"
Gojyo scosse la testa. "E' meglio così...piuttosto, dato che ti
senti tanto brava, perchè non ci provi tu?"
"Eh? Io? Scherzi?", fu la risposta di Shinobu.
Gojyo annuì, poggiando il mento sulla chitarra. "Vediamo cosa sai
fare. Tu sei brava con le parole, a differenza di me"
"E tu che ne sai?"
Gojyo la guardò, ma il suo sguardo sembrava lontano. "Per scrivere
bene, che sia un testo, una lettera, una poesia, persino uno stupido tema
scolastico, bisogna conoscersi. Per conoscersi bisogna essere sinceri con se
stessi. Bisogna ammettere e confessare quel che si sente dentro, e bisogna che
non ci si vergogni di quel che si è ammesso. E' una questione di sentimenti,
sai". Fece una smorfia, ma non continuò, nè Shinobu aggiunse
nulla per un po'.
"Tu sai farlo", aggiunse dopo un po' il rosso, a voce bassa.
"Non è una questione di grammatica nè di tecnica. E' solo
questo"
Vide che la ragazza non lo stava guardando, e sorrise. Le parole di suo
fratello iniziava a comprenderle solo adesso. La vide sospirare, indecisa.
"Hai un registratore portatile o qualcosa del genere?"
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 05/06/08]
Nulla. L'ametista non si mosse, il biondo aveva ancora lo
sguardo perso nel vuoto.
"Sanzo!", lo chiamò ancora Hakkai.
Il ragazzo, con la solita compostezza che lo
contraddistingueva, parve riscuotersi. Guardò Hakkai con aria interrogativa.
"Si?", chiese burberamente.
Hakkai scosse la testa. "Che ti prende? Non ti avevo
mai visto con la testa così tanto tra le nuvole"
"Nulla di particolare"
Il ragazzo dagli occhi verdi sospirò. Si sedette accanto
il biondo, incrociò le braccia sul banco, e vi poggiò il viso; si sistemò gli
occhiali e fissò i suoi occhi in quelli viola del bonzo.
Sanzo sostenne lo sguardo per un pò, poi sbuffò. "Non
sono affari che ti riguardano". Quanto detestava quegli occhi che lo
fissavano indagatori...gli ricordavano troppo lo sguardo di una persona che non
c'era più, e a cui bastava guardarlo per comprendere tutto...
Hakkai capì che la seconda affermazione, leggermente
diversa dalla prima, rappresentava una sorta di 'sì, c'è qualcosa che non va'.
Fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma...
"E' successo qualcosa con Goku?", disse una voce
alle loro spalle.
"Ancora tu? La smetti di perseguitarmi?", fece
Sanzo riconoscendo la voce e lasciandosi scivolare rassegnato sul banco (sempre
con il suo solito self-control).
"Che ci fai qui, Shinobu? Non hai educazione
fisica?" chiese Hakkai.
"Tecnicamente sì. In pratica ho bigiato", disse
la ragazza tirando fuori la lingua.
"Vai a bigiare altrove", disse Sanzo alzandosi.
"Non ho voglia di ascoltare le tue chiacchiere"
Hakkai ridacchiò: "Eppure, ti ha chiesto ciò che
stavo per chiederti io. Problemi con Goku?"
"Non sono affari vostri, sanguisughe. Lasciatemi in
pace..."
"...che tradotto nella lingua di Sanzo significa:
'sì, c'e qualcosa che non va, ma preferisco rigirarmi nel mio brodo piuttosto
che chiedere aiuto a voi'", continuò Shinobu.
Sanzo rispose colpendola alla testa con un gomito.
"Sei sempre più fastidiosa"
"E tu sempre più freddo"
Il ragazzo dagli occhi verdi mise fine alla discussione.
"Vedete di finirla". Sospirò. "Sanzo, se hai problemi puoi
benissimo parlarne con noi, ma se non vuoi non possiamo farci nulla.".
Rimase ad aspettare la risposta del biondo.
In quel momento arrivò di corsa un ragazzo. Ansimò un poco
e disse: "Ragazzi, voi conoscete Son Goku, vero?"
Hakkai e Shinobu annuirono; Sanzo, invece, non mosse
ciglio.
"Bè, lo stanno cercando. Pare che sia scomparso, e
che suo padre stia facendo un mucchio di domande", continuò quello.
Shinobu fece per aprire bocca, ma la richiuse immediatamente.
Decise che era meglio che a rispondere fosse Hakkai o Sanzo.
"Non lo vediamo da un pò", disse Hakkai
tranquillo. "Spero che stia bene"
"Bè, comunque le ultime persone ad averlo visto siete
state voi, insieme a Sha Gojyo. Vogliono parlare con voi"
"Quando?", chiese Hakkai.
"Subito. C'è suo padre nell'ufficio del preside"
Shinobu guardò interrogativa prima Hakkai, poi Sanzo.
Sperava di non lasciarsi scappare qualche sciocchezza.
I tre si alzarono e, senza dire una parola, si
incamminarono.
"Hakkai, spero bene che mi spiegherete un minimo
prima che io dica qualche sciocchezza", sussurrò Shinobu camminando.
"Non so nulla nemmeno io, Shinobu. Ma se suo padre
viene a sapere che è da Sanzo, ha tutto il diritto e la legge dalla sua parte
per portarlo via. Non ho la minima idea del perché sia andato via di casa,
ma...". Si voltò a guardare Sanzo, imperscrutabile.
"Sanzo, sei connesso? Ti stiamo chiedendo
spiegazioni!", esclamò irritata Shinobu.
Sanzo non rispose, pensieroso; Hakkai sospirò e disse: "Per
il momento sarà meglio negare di averlo visto nelle ultime settimane,
Shinobu"
"D'accordo"
Arrivarono davanti l'ufficio del preside; Shinobu arretrò
di qualche passo, timorosa, e il suo sguardo s'incontrò con quello di Hakkai.
"Non preoccuparti. Goku se la caverà, vedrai"
Sanzo aprì la porta, e si trovarono davanti il preside, un
uomo e Gojyo. Shinobu si morse la lingua: e se quell'idiota si fosse lasciato
scappare qualcosa?
"Buongiorno", disse Hakkai facendo un mezzo
inchino, che rimase l'unico, dato che nè Shinobu nè Sanzo si mossero. Quest'
ultimo, in particolare, squadrò l'uomo con odio.
"Ragazzi, mi dispiace avervi fatto allontanare dalle
lezioni (in quel momento Shinobu represse una risatina), ma come già saprete
Son ha lasciato la scuola senza il permesso del padre, ed è sparito".
Guardò i tre ragazzi, poi continuò, "Sha ha già asserito di non vederlo da
un pò di tempo, nè di sapere che avesse intenzione di fare o dove andare. Voi
che cosa ne dite?"
"Non lo vedo da un pò, signore", disse Shinobu, sicura.
"Comunque, mi è parso di capire che non stesse molto bene, prima di
andarsene", disse lanciando un occhiata all'uomo accanto al preside. Ha
uno sguardo disgustoso. Viscido.
"Cho?"
"Mi associo a quanto detto da Ori", disse
umilmente.
"Sanzo?"
Sanzo non rispose. Shinobu e Hakkai lo guardarono un pò
preoccupati. Speravano che mantenesse il suo solito sangue freddo e che non
dicesse sciocchezze...
L'altro uomo si avvicinò a lui.
"Per favore, se sa qualcosa mi dica dov'è mio
figlio...", disse quello.
Sanzo si trattenne dall'impulso di sputargli in faccia.
Strinse i pugni.
"Allora?", fece il preside.
"...Non vedo perché dovrei avere alcun rapporto con
questa persona. E' solo un conoscente, nulla di più, e non provo il minimo
interesse a scoprire dove sia e che cosa faccia"
Il preside si diede ad una specie di ramanzina, che
nessuno udì; Sanzo e l'uomo si stavano squadrando con odio, mentre in un
attimo, guardandoli, a Shinobu, Hakkaie
Gojyo fu lampante che l'uomo sapeva, e che Sanzo conosceva tutta la
situazione di Goku, che a loro ancora sfuggiva.
Quando Hakkai si rese vagamente conto che il preside aveva
terminato la ramanzina, ebbe la buona idea di congedare tutti con la scusa
delle lezioni che stavano trascurando. Quando la porta fu chiusa dietro le loro
spalle, Shinobu si rivolse a Gojyo.
"Sono felice di sentire che non hai sparato nessuna
cazzata"
"Per chi mi hai preso? Appena l'ho guardato in
faccia, ho capito che Goku era da lui che è scappato. Credevi che gli dicessi
che era da Sanzo?"
"L'ho temuto per un attimo"
"Idiota"
"E comunque..."
In quel momento videro Sanzo che si allontanava
velocemente, e Hakkai che lo seguiva a ruota, ma non si mossero. L'ultima cosa
che Sanzo avrebbe fatto era raccontare qualcosa a loro tutti. Se doveva
parlare, c'erano buone possibilità che lo facesse solo con Hakkai, l'unico che
riusciva a non prendere a pugni in testa.
Shinobu sospirò. Guardò Gojyo. "Mi piacerebbe poter
fare qualcosa per Goku...e per Sanzo. Ma non ho la minima idea di quello che
sta succedendo"
"Casini. Come al solito", rispose Gojyo.
"Credi che dovremo parlarne direttamente con
Goku?"
"No. Meglio lasciarlo in pace"
La ragazza sospirò ancora. "Ogni volta che sembra che
qualcosa si sistemi...l'equilibrio si spezza nuovamente"
Gojyo sorrise. "Già. Ma è questo che rende
imprevedibile la vita, no? Ti annoi ancora, ultimamente?"
Shinobu non rispose, pensierosa. "No", ammise,
"Non più come prima"
Gojyo tentò di cambiare discorso. "E a sogni, come
andiamo?"
"Sempre gli stessi. Nulla di nuovo...e tu?"
"Lo stesso. E anche gli altri, credo: o meglio, Hakkai".
Tacque un attimo. "Credi che Gojuin...?"
Shinobu capì al volo quello che voleva dire. "Sì.
Anche lui. E, a quanto pare, sa molto, molto più di noi"
"Non andrò certo a chiedergli nulla"
"E lui non ti risponderà di certo"
In quel momento, arrivò Hakkai. Aveva il viso spento.
"Hakkai, cos'hai saputo?" fece Gojyo.
“Credo che sia meglio che vi racconti un paio di cose...”,
mormorò Hakkai.
Shinobu sfogò la sua frustrazione sul primo muro deserto
che trovò. Trattenne qualche lacrima.
“E’ questo...di cui doveva parlare con Sanzo tempo fa? E’
per questo che è andato via? Io...non ho potuto fare niente...eppure...ci
conosciamo dal primo anno...e non mi sono accorta di nulla”
“Calmati. Non potevi saperlo, non ha detto nulla mai a
nessuno. Adesso il problema è un altro...”, fece notare Hakkai.
Shinobu smise per un momento di tempestare di calci il
muro. “Già...” mormorò, “...come non fargli scoprire che Goku è a casa di
Sanzo...”
“Sbagliato. Come evitare che Sanzo...vada a casa del padre
di Goku, direi”, continuò Hakkai.
“Credi che...”, fece Gojyo.
“...dovremo fermarlo? Io credo di sì...”, fece il ragazzo
dagli occhi verdi.
“Io credo che invece...dovremmo dargli una mano...”, disse
piano Shinobu, stringendo i pugni. Se le fosse capitato tra le mani, di lui non
sarebbe rimasto granchè.
“Io per una volta sarei d’accordo con Shinobu...”, fece il
rosso, “Si potrebbe organizzare qualcosa”
“Andiamo, ragazzi...sapete di che cosa state parlando?
State organizzando...”
“...un pestaggio. Molto, molto educativo”, continuò
Shinobu. Non era mai stata d’accordo ad azioni del genere, a cui Gojyo era
abituato, ma in quell’occasione era il minimo che si potesse fare.
“Non fare il santarellino, Hakkai. Se impara la lezione,
ci penserà due volte prima di avvicinarsi a Goku...non sei arrabbiato anche
tu?”
Gli occhi verdi del ragazzo lo fissarono. “E’ naturale.
Molto più di quanto lo sia tu, probabilmente. Ma non mi sembra una buona
ragione per...”
“Non ti sembra una buona ragione il fatto che ha torturato
per anni un ragazzino? L’ha avvilito, nel corpo, nella mente. Avrebbe potuto
uccidersi, capisci? In quel caso, come ti saresti sentito tu, che saresti
venuto a sapere tutto solo a posteriori? E se quel...quel...figlio di puttana
si riprende Goku...riesci a capire come si sente adesso, come si sentirà?
Dovrebbe pregare di non finirmi tra le mani....giuro che se adesso l’avessi qui
davanti...ora capisco perché Sanzo lo guardava così, in presidenza...” crollò
per terra, abbracciandosi le gambe.
“Quello che intende dire Shinobu, è che è l’unica
soluzione per punirlo e contemporaneamente far sì che non si avvicini a Goku.
Se lo denunciassimo, a parte il fatto che Goku dovrebbe venire allo scoperto,
sarebbe la sua parola contro quella di quel figlio di puttana. Vuoi che Goku
finisca di nuovo tra le sue mani? Sanzo non ti ha forse raccontato che per ora
è sempre spaventato? Deve aver sentito che lo cerca di nuovo...”, rincarò la
dose Gojyo, impaziente.
Hakkai non parlò. “Si può trovare un’altra soluzione”,
disse semplicemente.
“No. Non in questo caso, Hakkai”, disse Shinobu.
“Io vado a radunare i ragazzi per stasera. Hakkai, sei dei
nostri o no? Ci serve il tuo sangue freddo, prima che la situazione ci sfugga
di mano”
Il ragazzo strinse i pugni. “Va bene”, disse infine,
“...ma non lasciatevi prendere la mano. Se succede qualcosa...e non lo dico per
lui, sia ben chiaro, saremo tutti nei guai fino al collo”
Shinobu annuì: “Non morirà nessuno. Ci limiteremo a
mandarlo all’ospedale...o meglio, prima lo avvertiremo...se non darà segno di
ragionare, ci penseremo noi”
“’Noi’?”, fece Gojyo. “Tu non ti muoverai da casa,
mocciosa...a parte il fatto che sei troppo riconoscibile, anche con un
passamontagna, non ci serve una palla al piede. Non andiamo a giocare!”
“Ma che dici? Pensi che me ne starò a casa? Anch’io
voglio...”
“No”, fece Hakkai. “Tu non farai proprio nulla. Resta a
casa, e basta”
“Ma...”
“Discorso chiuso”, terminò Gojyo aprendo la porta del
magazzino. “Hakkai, andiamo. Dobbiamo decidere un paio di cose...”
Quando la porta si fu chiusa, Shinobu lanciò
un’imprecazione e diede un violento calcio al muro, già pieno di impronte delle
suole delle sue scarpe.
“Merda! Con chi credono di avere a che fare? Io...”
Tacque. “Non mi diranno nulla, di sicuro. Però c'è qualcun
altro a cui posso spillare qualche informazione..."
"La risposta è no"
"Eh?", chiese Shinobu assumendo l'espressione
più ingenua che le riusciva. Non aveva ancora aperto bocca sull'argomento.
"Ehi bimba! Chi credi di prendere in giro? Vuoi
sapere le nostre intenzioni di stasera, vero?", continuò quello
ammiccando.
Shinobu aggrottò le sopracciglia. "Non chiamarmi
bimba. Comunque...è qualcosa che mi riguarda da vicino, Jin. Ho una rabbia
simile, dentro, che potrei incenerire il monte Fuji anche solo
guardandolo"
Il ragazzo le pose una mano sulla testa. "Andiamo,
bimba. Non so quale sia la sitauazione, dato che Gojyo non ci ha detto nulla,
ma per esserci di mezzo anche Hakkai dev'essere qualcosa di grosso. In ogni
caso, siamo tutti con loro; hanno detto di non metterti in mezzo, e io ne ho tutta
l'intenzione"
"Non puoi dirmi proprio nulla? Anche se prometto di
non uscire di casa?", disse riassumendo l'espressione ingenua.
Jin scoppiò a ridere: "Non provarci nemmeno, bimba!
Anche con quella faccina che ti sei messa, non ti crederò mai! Appena ti dico
il posto, ti fiondi lì e prendi a legnate il tizio ancora prima di noi"
Shinobu si strinse nelle spalle: "E allora che dovrei
fare? Sono preoccupata e incazzata nera..."
"Non devi fare nulla; nessuno se lo aspetta da te, e
nessuno vuole che tu rischi"
Shinobu abbassò lo sguardo; come sempre, si sentiva
totalmente inutile.
"Ah...c'è qualcosa che potresti fare..."
"Cosa? Dimmi 'startene a casa' e ti faccio ingoiare
tutti i denti"
"No...parlare col biondino. Ho sentito Hakkai e Gojyo
parlottare di far tutto di nascosto, ma credo che quella ragazzina ci darà
problemi, anche se non so che c'entri in questa storia. Sei capace di parlargli
senza peggiorare la situazione?"
"Parlare? Con Sanzo? Bella questa...ogni cosa che gli
dico, è come se in lui filtrino solo queste parole: 'Voglio-ucciderla'. Fine
delle comunicazioni"
"Bè...allora lascia stare. L'ultima cosa che voglio è
che ci dia ancora più problemi del previsto"
"Sanzo...posso parlarti un attimo?"
Shinobu sapeva dove Sanzo lavorava, e anche i suoi orari;
così non le fu difficile "braccarlo" in farmacia. Lui se la ritrovò
così, su due piedi, davanti il bancone dove stava lavorando, cercando di capire
cosa avesse fatto per trovarsela sempre in mezzo ai piedi. Sospirò
rumorosamente; probabilmente l'unico modo per togliersela di torno era
ucciderla.
"No." fu la risposta secca, e sintetica, del
biondo.
"Stanotte...prima di fare qualcosa, qualunque cosa,
accordati con Gojyo e Hakkai. Per favore", disse lei senza nemmeno
ascoltarlo.
Sanzo strinse i pugni; come al solito, sapeva sempre più
di quanto dovesse sapere.
"Non devo fare proprio nulla"
"Ah no? Sei sicuro?". Ora si mette pure a
mentire...ah no! Dimenticavo che devo tradurre quello che dice...
"Non sono affari tuoi"
Traduzione: "Sì, ho intenzione di fare qualcosa,
ma piuttosto che chiedere aiuto a voi preferisco morire"
"Può darsi, può darsi di sì, e può darsi che non lo
siano di nessuno di noi due". Shinobu aveva deciso di giocare la carata
dell'esasperazione.
"Vuoi litigare?"
"No. Voglio discutere, disquisire e farti ragionare,
ammesso sia possibile"
Sanzo pregò che se ne andasse alla svelta. "E io
voglio lavorare"
"Allora, me ne vado". Sanzo non potè credere a
tanta fortuna. "Fatti trovare alle 21 a casa di Hakkai...non fare di testa
tua, o va a finire male a te, a Goku e a tutti. Anzi, a me no, dato che mi
hanno tagliata fuori e non so nulla. Ciao!"
Più concisa e chiara di così non poteva essere: 'se fai
tutto da solo, va a finire male, e chi ci andrà di mezzo sarà soprattutto
Goku', era il messaggio che sperava arrivasse a Sanzo. L'ultima cosa che voleva
era che quel figlio di puttana rimettesse le mani su Goku, e sebbene era certa
che Sanzo volesse fare qualcosa, poichè anche se non l'avrebbe mai ammesso
avrebbe preferito ucciderlo pur di non restituirgli Goku, era altrettanto certa
che quel biondino che non perdeva mai la calma avrebbe potuto essere anche più
pericoloso di Gojyo, il violento per eccellenza.
"Allora ragazzi...ho scoperto dove abita, e a che ora
torna dal lavoro. Ops, dal bar dove va a sbronzarsi", disse Gojyo
fregandosi le mani.
Hakkai non rispose, non era ancora del tutto persuaso.
"Hakkai...se non sei del tutto d'accordo è meglio che
resti qui a casa, o ci sarai solo di peso", continuò il rosso.
"...ho detto che starò con voi, e ne ho tutta
l'intenzione"
"Benone. Ci serve un moderatore, o potrebbe anche
andare a finire peggio del previsto. Ragazzi, mi raccomando, dategliele di
santa ragione, lo merita davvero...", disse ancora il rosso, dando
un'occhiata in giro ai ragazzi armati di spranghe e catene.
Hakkai annuì; almeno su questo era d'accordo, se lo
meritava ampiamente. "E se denuncia tutti?"
"Non appena lo soccorreranno e scopriranno quant'è
ubriaco, non gli daranno certo ascolto, anche se tenterà di
descriverci..."
"Quanto siete ingenui..."
"Sai fare di meglio, signor sottuttoio?"
"No. E' per questo che sono qui. E per quanto
riguarda Sanzo?"
"Qualcosa mi dice che lo troveremo già lì; se è come
penso io, saprà già dove trovare quell'infame e, anche se ha sempre quel volto
impassibile, si starà rodendo dalla voglia di fargliela pagare..."
In quel momento, sentirono uno scampanellio.
"Diavolo...non dirmi che è Shinobu?", disse
Gojyo ad alta voce.
"E che dovrebbe fare?", disse Hakkai andando ad
aprire. "Anche se fosse lei, con le moto non potrebbe mai seguirci..."
Ma il volto che vide al di fuori della porta non fu quello
di Shinobu.
"Sanzo? Che ci fai qui?"
Ed infatti, bagnato dalla leggera pioggia, ormai quasi
estiva, di metà maggio, stava lì sulla soglia Sanzo, gli occhi decisi che
fiammeggiavano.
Il biondo entrò, scrollandosi la pioggia dai capelli.
"La mocciosa mi è venuta a disturbare al lavoro..."
"E lei come sapeva posto e ora?", chiese Gojyo.
Jin si strinse nelle spalle; aveva ottenuto quello che
sperava: il biondo si era dato una calmata, e aveva deciso di non fare
completamente di testa sua.
"Avete un piano?", chiese semplicemente Sanzo.
"Bè, sì....abbiamo deciso di...", fece per dire
il rosso.
"Non mi interessa. Vi dico il mio, di piano: nessuno
di voi si muoverà di qui. Niente spranghe, niente catene, niente impiccioni.
Vado solo io. Solo questo", lo interruppe Sanzo.
"Potresti avere bisogno di aiuto", fece Hakkai,
anche se iniziava a credere che fosse meglio che se la sbrigasse solo lui. Era
quello che aveva più diritto di tutti.
Il biondo si voltò e fissò i suoi occhi viola in quelli
verdi del ragazzo: "Io non ho mai bisogno di aiuto"
Quegli
stessi occhi viola stavano fissando con odio il volto di un uomo, bagnato anche
lui per la pioggia, che era appena uscito da un locale.
“Tu...sei
il ragazzo di stamattina”, disse quello, ricambiando l’odio che leggeva nei
suoi occhi.
Sanzo
non rispose, né annuì, Mosse un passo verso di lui.
“Tu...sai
dov’è Goku. Ne sono certo: sei tu che lo nascondi”
Il
biondo combattè ancora contro i moti d’ira che provava. “E se anche fosse?”
“Sai
che posso portartelo via”, disse ancora quello, ignaro del pericolo che stava
correndo provocandolo.
“Sai
che posso ucciderti”, disse ancora Sanzo di rimando. Un altro minuto, e avrebbe
perso completamente le staffe. Cercò di non ripensare alle cicatrici che aveva
visto sulla schiena di Goku, alla sua paura per il buio, ai suoi occhi spauriti
quando l’aveva incontrato, e a come i suoi occhi, adesso, fossero tanto simili
ad allora.
“Non
puoi farmi paura, moccioso”, lo disprezzò ancora l’uomo.
Per
tutta risposta, Sanzo gli assestò un pugno in pieno volto. “Questo è per mia
soddisfazione personale, stronzo”, disse. Poi lo colpì allo stomaco con un
calcio. “E questo è per Goku”
L’uomo
non fece nemmeno per rialzarsi da terra. In un movimento stranamente fulmineo
per un ubriaco, uscì dalla tasca un coltellino a serramanico e lo piantò nel
polpaccio di Sanzo, che crollò a terra. “Non puoi portarmi via quel mostro.
Deve ancora pagare per mia moglie...”, delirò.
Si
avvicinò a Sanzo, che a parte la caduta non pareva risentire del dolore
all’arto, e gli fu subito addosso, tanto che potè sentire il puzzo d’alcool.
Strappò via dal polpaccio del ragazzo il coltellino, senza che lui lasciasse
trapelare la minima smorfia di dolore, e glielo puntò alla gola.
“Adesso...dimmi
dov’è il ragazzo”
Finalmente
Sanzo ebbe l’occasione per sputargli in faccia. “Ora lui non ti appartiene
più”, mormorò.
In un
attimo, fu colto da un impulso così violento da invertire completamente le
posizioni: adesso era lui che teneva in mano il coltellino insanguinato; ma
adesso non c’era più solo il suo, di sangue, dato che l’aveva rapidamente
accoltellato alla spalla. L’uomo urlò di dolore, mentre lui lo teneva
puntellato al pavimento e muoveva l’arma pericolosamente verso la sua gola. Gli
occhi di Sanzo erano celati dalla frangetta bionda, ma l’uomo percepì il loro
gelo e il loro odio.
“Potrei
benissimo ucciderti...in fondo, nessuno verrebbe a sapere mai chi è stato...sai
quanti vagabondi e ubriachi vengono uccisi in queste strade e i loro assassini
mai ritrovati? In fondo...potrebbe essere una soluzione. Tu non potresti più
cercarlo...e si tratterebbe solo di una persona schifosa in meno a questo mondo
schifoso...”
Ma
sentì improvvisamente due mani serrargli le spalle e forzarlo a spostarsi.
“Goku...?”,
mormorò l’uomo, ancora terrorizzato.
Il
ragazzino raccolse il coltello dalle mani di Sanzo e lo guardò per un attimo,
mentre i suoi occhi dorati si riflettevano nella lama sporca di sangue. “Non è
necessario, Sanzo...potrei farlo io”, disse voltandosi verso il ‘padre’, ancora
per terra.
“Andiamo,
Goku...non è il momento di giocare. Torniamocene a casa”
“‘Torniamocene
a casa’?”, disse Goku sogghignando. “Tu...non hai più alcun diritto per dirmi
questo. Si avvicinò all’uomo, che tentò di arretrare, ma fu fermato da Sanzo,
che aveva allungato davanti a lui la gamba sporca di sangue, minacciosamente.
“E’
semplice...mi basta abbassare questo...e tutto sparirebbe nel sangue”, e così
facendo abbassò il coltellino verso la sua gola. La mano gli tremò per un
istante, mentre l’aria intorno a loro, e persino la pioggia, sembrava essersi
congelata. “Ma ho la sensazione...che non cambierebbe nulla. La morte non è mai
una soluzione. E poi...lei non vorrebbe questo”. Abbassò il coltellino e
lo scagliò lontano.
“Adesso...voglio
che tu te ne vada, Non cercarmi, non avvicinarti più a me in nessun modo. Se lo
farai...giuro che ti ucciderò”
“No.
Lo farò io”, sibilò Sanzo alzandosi faticosamente in piedi.
Goku
si alzò a sua volta, voltando le spalle all’uomo, che, incapace di parlare, se
ne stava disteso nel suo stesso sangue. Quando Sanzo si incamminò, lo seguì,
facendosi passare il suo braccio attorno alle spalle, a mò di stampella.
“Non
ho bisogno di aiuto, scimmia!”, disse burberamente Sanzo facendo per ritirare
il braccio.
“Ma
io sì!”, rispose Goku sorridendo.
Tsuzuku...
Vediamo
vediamo...capitolo un pò più turbolento...finalmente quel bastardo ha avuto
quello che si meritava (un pò di sane legnate e una coltellata nella spalla),
anche se non basta nemmeno un pò a compensare quello che ha passato Goku gli
anni addietro. Sanzo si è finalmente sbottonato un pò e quell'impicciona di
Shinobu è riuscita a farne una giusta...alla fine, hanno fatto tutto Sanzo e
Goku e Gojyo&co, dopo aver organizzato tutto, alla fine per fortuna non
hanno fatto danni...se no chissà come finiva.
Parlando
d'altro, sono contenta di come la ff si sia evoluta: la parte che preferisco
verrà quando inizierò a parlare del Tenkai. Non vorrei spoilerare, ma le
vicende seguiranno più o meno quelle del manga, non dell'anime...per questo non
ho inserito e non inserirò Homura.
Spero
che continuiate a seguire e a commentare, Simona.
“Vorrei
sapere perché mi ritrovo qui a giocare con voi idioti a questo stupido gioco!”,
si lamentò Sanzo temperando la propria stecca.
“Bè…una
volta ogni tanto dobbiamo pur portare i bambini a giocare fuori, no?”, rispose
Hakkai sorridendo e mandando perfettamente in buca la pallina che aveva mirato.
Si
alzò e fece il giro del tavolo, puntandone un’altra.
“Scusa,
a chi ti riferisci, Hakkai?”, chiesero incredibilmente in sincronia Shinobu,
Gojyo e Goku sentendosi chiamati in causa. “Ahh…io con te non ci gioco più! Che gusto c’è a giocare se vinci sempre? E poi perché devo giocare in squadra con questa mocciosa che è più bassa
della stecca?”, continuò il rosso.
Approfittando
di uno sbaglio di Hakkai, il ragazzo imbucò due palline, per poi lisciare
clamorosamente la terza.
Shinobu,
intanto, aveva qualche difficoltà a manovrare la grande asta
di legno. “Non sono tagliata per il biliardo”, si giustificò scuotendo la
testa.
“E per che cosa saresti tagliata?”, la punzecchiò Gojyo.
“Il
mio genio è incompreso!”
“Quale?”,
s’intromise Sanzo. Fortunatamente per la parità della partita, nemmeno lui
sembrava cavarsela tanto bene a quel gioco. Infatti, mancò di poco la buca,
lasciandosi sfuggire un “vaffanculo”.
Venuto
il turno di Shinobu, riuscì ad imbucare una pallina, suscitando gli applausi di
Hakkai e ottenendo di chiudere la bocca a Gojyo per un po’.
Si
sistemò meglio i capelli, e poi si arrampicò sul tavolo per ovviare alla scarsa
lunghezza delle sue braccia, dovendo tentare un tiro piuttosto scomodo. Mancò
la buca per un soffio.
“Non
so, vuoi coricarti lì, Shinobu?”, le fece notare Gojyo.
“Potrei
pensarci, perchè?”, disse lei scendendo e risistemandosi la divisa scolastica.
Gojyo
indicò dietro le proprie spalle un paio di ragazzi che avevano interrotto la
partita per osservare discretamente sotto la gonna della ragazza.
Per
tutta risposta, la ragazza li guardò di rimando e, alzando il dito medio,
ottenne la ripresa della partita dei due scocciatori.
“E’
il mio turno”, fece Hakkai mettendosi in posizione e mancando di poco una buca.
“Accidenti! Sembra che io abbia esaurito tutta la mia fortuna!”, mormorò infine.
“Alla
buon’ora!”, lo rimbeccò Gojyo approfittandone e segnando un altro punto. Era
riuscito finalmente a portarsi in parità con Sanzo e Hakkai, nonostante i
continui sabotaggi di Shinobu, che aveva rischiato anche di distruggere il
tappeto verde. Un’unica, ultima palla in buca, e avrebbe vinto. Sbagliò il tiro
successivo, e si accorse di avere piazzato la palla proprio davanti
una delle buche, offrendo a Sanzo un colpo impossibile da mancare
persino per lui che non aveva molta esperienza di biliardo.
“Sarebbe
impossibile anche per te sbagliarlo…”
“Tsk!”,
fu il commento del biondo, che si apprestò a tirare.
Posizionò la stecca e fece per colpire la palla…
“Sanzo!”,
lo aggredì Goku facendogli volare stecca e pallina bianca.
“Yeah!”,
fu il commento più che soddisfatto di Gojyo e Shinobu, che per una volta
dovevano ringraziare Goku per la sua invadenza.
Finito
con il petto sul tavolo verde, Sanzo si affrettò a rialzarsi e a prendere a
pugni il ragazzino: “Si può sapere perché non aspetti che la gente ti risponda?
Stupida scimmia!”
“Ahio!
Ma che ho fatto adesso?”, tentò di capire lui,
coprendosi la testa per difendersi dalla scarica di pugni.
“Goku,
sei grande!”, si complimentò Shinobu ridendo, contribuendo a non fare capire
niente al ragazzino.
“Muori!”
fu la risposta di Sanzo al suo commento.
“Sanzo…ho
finito i gettoni per il videogioco di SuperNikuman! (ma
da dove l’ho tirata fuori questa? Nda)
“E che vuoi da me?”
“Calmi,
calmi…Goku, tieni questi e continua pure a giocare!”, s’intromise gentilmente
Hakkai porgendogli alcune monete.
“Grazie!”,
esclamò il ragazzino allontanandosi.
“Ti
dà da fare la saru, vero?”, sorrise Gojyo appoggiandosi alla stecca.
“Tsk!
E’ solo una seccatura!”, rispose lui accendendosi una
sigaretta.
“Sarà,
ma non ti dispiace poi tanto, vero Sanzo?”, fece notare Hakkai con un sorriso
che diceva tutto. Il biondo non potè rispondergli a tono, perché un grido di
Shinobu fece capire a tutti che aveva appena imbucato
la pallina vincente.
“Stancanti.
Assolutamente stancanti. Non ci sono altri aggettivi per
descrivervi”, mormorò Sanzo accendendosi una sigaretta.
Hakkai
ridacchiò; non aveva dubbi sul fatto che il biondino stesse rapidamente
crescendo interiormente, anche se non lo dava a vedere.
"Come
sta la tua gamba, Sanzo?", chiese improvvisamente, indicando il polpaccio
del biondo.
"Tsk.
Non mi dà più alcun fastidio"
"Te
la sei cavata con poco...non sei voluto nemmeno andare in ospedale, e abbiamo
dovuto pensarci io e Shinobu; non so per quanto tempo non ha più mangiato, dopo
averti ricucito i lembi di muscolo.", disse ridacchiando, pensando alla
faccia della ragazza. "E ringraziala di aver
trovato giusto avverire Goku...altrimenti sarebbe finita ben peggio, dico
bene?"
"Tsk!",
ripetè ancora Sanzo soffiando via il fumo.
"Per
fortuna, è finita bene per tutti...", disse Goku sorridendo felice.
Adesso, i suoi occhi erano tornati a com'erano prima
di tutta quella storia. Era tornato il solito, allegro, vivace Goku.
L’aria
del pomeriggio si faceva sentire; lo smog delle auto ricopriva tutt’intorno
come una cappa grigia, e si sentivano gli starnazzi delle ragazze e le
chiacchiere della gente. Certamente, quello non era il momento migliore della
giornata.
Tuttavia,
Hakkai si sentiva tranquillo. Da quando aveva detto tutto a Shinobu, aveva la
sensazione di essere maturato, di aver fatto sì per la prima volta dopo tanto
tempo che un po’ di luce entrasse nel suo cuore.
In
quel momento, che tutto ciò non sarebbe durato per sempre, non gliene
importava; la piccola luce, simile a quella di una candela appena accesa, che
lo illuminava da dentro, avrebbe continuato a brillare a lungo, costantemente,
finchè non si sarebbe consumata spontaneamente. Fino ad
allora, non avrebbe permesso che nessuno la spegnesse.
Notando l’improvviso incupirsi dello sguardo del moro, Sanzo espirò
il fumo; in fondo, erano due persone molto simili. Entrambi nascondevano qualcosa nel loro passato, entrambi cercavano
di lasciarselo alle spalle ed entrambi osservavano passare la loro vita
inesorabilmente, aspettando che gli eventi li conducessero da qualche parte.
Senza
pretendere di fare nulla.
Adesso
lui non ti appartiene più.
Il
volto costantemente pallido del biondo si tinse per un istante di un leggero
color rosso.
Da
dove diavolo gli erano uscite quelle parole?
Osservò
Goku che, per una volta silenziosamente, trotterellava accanto a lui: era stato
capace di cambiarlo tanto? Davvero gli era tanto gravoso fare da “padrone” a
quell’animaletto?
…Oppure era l’animaletto che, in fondo, lo possedeva?
“Dai, scema, muoviti! Abbiamo perso fin
troppo tempo!”, disse Gojyo accendendo la moto.
“Veramente
sei stato tu a voler fermarti a bere una birra!”, rispose lei infilandosi
rapidamente la giacca.
“Sì,
ma sei stata tu a farti imbarcare da quel tipo ubriaco che non ti mollava più!”
“Cretino!”,
rispose lei.
La
ragazza prese il casco che lui le porgeva. “Gojyo, dov’è l’altro?”, chiese accorgendosi
che non era quello che il ragazzo le dava di solito.
“Non
c’era messo che andassimo a giocare a biliardo”, rispose facendole segno di
salire.
“Ma prendilo tu, no?”
Gojyo
scosse la testa, sorridendo ironicamente: “Mi scompiglia i capelli. Dài, io non
ne ho bisogno!"
"Ti
scompiglia i capelli? Kami, Gojyo, parli come una delle mie compagne di
classe!"
Il
rosso si passò la mano tra i capelli con aria da figo, ottendendo una risatina
poco convinta della ragazza, che prese il casco e lo indossò, salendo sulla
moto.
La
moto partì con un rumore quasi assordante.
“Ah
ah! Abbiamo vinto contro Hakkai!” disse Gojyo
accelerando.
Shinobu
strinse la presa ai maniglioni dietro di lei, fino a che le sue nocche non
divennero bianche. “Dobbiamo ringraziare Goku!”, disse.
“Certo
non te! Hai fatto proprio pena!”
Shinobu
lo afferrò per i fianchi e glieli strinse. “Chi ha imbucato l’ultima pallina?”
“Solo
un cieco l’avrebbe mancata!”
Anche se sapeva che il ragazzo non poteva vederla, Shinobu
tirò fuori la lingua.
Poi
tacque, ascoltando il rumore della moto nel rumore della città. Fortunatamente,
non era ancora orario che uscissero i lavoratori dai propri uffici.
Si
sarebbe volentieri assopita, ma temeva che qualche
improvvisa manovra del rosso con la moto l’avrebbe sbalzata giù.
“Come
va con la tua vecchia?”, chiese Gojyo.
Shinobu
sospirò. “Come al solito…non credo che mi capirà mai”
“E chi riesce a capire qualcun altro? E’ già difficile capire
se stessi…”
“Bè,
lei dovrebbe. E’ mia madre, no?”
Gojyo
si lasciò sfuggire una risatina: “E che cosa vorrebbe
dire? Che solo per questo è tenuta a capire quello che ti
passa per la testa?”
“Non
dovrebbe essere così?”
Gojyo
continuò a ridacchiare. Se tutto fosse stato così semplice…
Shinobu
cercò di capire dove avesse sbagliato. Anche Gojyo, decisamente, aveva un suo lato oscuro, che lo rendeva ancora
più affascinante. Quando si perdeva nelle sue
elucubrazioni, aveva persino paura di chiamarlo.
La
moto si avvicinò ad un incrocio. "Tieniti, bimba!" le disse Gojyo
gridando per superare il rumore della moto.
Shinobu
per una volta staccò le mani dai maniglioni e si aggrappò alla vita del
ragazzo. Quando diceva così, era meglio fare il
possibile per non spiaccicarsi sull'asfalto.
L'incrocio
si stava rapidamente avvicinando.
Idiota...
ha intenzione di frenare all'ultimo momento come al
solito?
"Cazzo,
Shinobu...non funzionano i freni"
I
momenti successivi si susseguirono come scene di un film al rallentatore, o
almeno così parve alla ragazza; le parve di essere sbalzata giù dalla moto, giusto
prima che si scontrasse con un auto. L'urto fu forte,
ma non perse i sensi.
Quando prese coscienza di ciò che era successo, con fatica
si risollevò dall'asfalto, con un sapore metallico in bocca. Ancora intontita,
si tolse il casco; si guardò intorno svogliatamente, incapace di poter mandare
input al suo cervello per alzarsi o fare alcunchè. Finalmente, l'istante di
smarrimento svanì, lasciando spazio alla preoccupazione più nera.
Vide
la moto ad alcuni metri da lei. Zoppicando, vi si diresse, e aiutò i primi
soccorritori a sollevarla. Gojyo se ne stava lì, disteso sull’asfalto, con i
capelli che si confondevano con il colore del sangue.
“Gojyo…”,
mormorò gettandosi anche lei sull’asfalto per chiamarlo, per dirgli di
smetterla di fare il cretino e di alzarsi da terra.
Fu
allora che si accorse che il braccio le faceva un gran male; in un altro
momento avrebbe percepito così tanto il dolore che si sarebbe messa a gridare,
ma si sentiva così strana che non ci faceva caso più di tanto.
“Gojyo!”,
lo chiamò più forte allungando una mano verso di lui. Gli toccò il viso, ancora
caldo e sporco di sangue.
Una
gran nausea la colse; fece appello a tutto il suo sangue freddo per non svenire
o rimettere. Si voltò verso la moto, e mise una mano sulla carrozzeria squarciata,
proprio sopra una delle due ruote.
"Manca
la pastiglia dei freni...", mormorò. Si voltò di nuovo verso Gojyo,
aspettando che si riprendesse.
"Stai
bene, ragazzina?", le disse qualcuno.
"Che diavolo è successo? Perchè cazzo non ha frenato?".
Doveva essere il proprietario dell'auto contro cui la
moto si era scontrata. L'uomo perdeva sangue dalla testa.
"Qualcuno...ha
tolto la pastiglia dei freni...", ripetè Shinobu.
"Il
ragazzo è grave..."
"Ci
sono altri feriti?"
"L'ambulanza
sta arrivando..."
Zitti…perché
non se ne stavano zitti? Sentiva che la testa era sul punto di esploderle. E per di più, Gojyo non apriva ancora gli occhi.
“Ha battuto la testa…c’è molto sangue. Non aveva il casco”
Nessuno
la udì; l’ambulanza arrivò, facendo un gran frastuono. Lei aveva sempre
detestato quell’insistente sirena.
Un
uomo con i guanti la prese per un braccio, per fortuna quello sano. “Stai bene?
Sali, forza!”
E così dicendo, l’aiutò a salire il gradino della vettura.
Shinobu
si voltò ancora una volta a guardare Gojyo. C’era tanto, tanto sangue, e il
ragazzo continuava a non muoversi. Duepersone, di gran fretta, lo caricarono su una barella e gli applicarono
un respiratore.
L’uomo
si rivolse ancora a lei: “Cos’è successo? Riesci a
parlare?”
La
ragazza si volse per non dover guardare la gran quantità di sangue che sgorgava
dalla testa del ragazzo; cercò di concentrarsi sulla voce dell’uomo che le
parlava: “Qualcuno...ha tolto la pastiglia dei freni. La moto è volata...non ricordo bene...”, farfugliò.
L’uomo
le fece cenno che bastava così: “Ti fa male da qualche parte?”
La
ragazza non rispose. Sentì improvvisamente le gambe
diventarle leggere…non sarebbe riuscita a tenersi in piedi.
Si
sedette sul pavimento dell'ambulanza, asciugandosi il sudore e qualche
gocciolina di sangue che le sgorgava dal viso, dove si trovava l'allacciatura
del casco.
Teneva
il braccio ferito dentro la tasca della giacca; non poteva permettere che lo
vedessero, o l'avrebbero allontanata dalla porta della sala operatoria.
Si
sentiva una cretina ad alzare la voce, ma in quel momento non sapeva cos’altro
fare.
“Fatemi
entrare! Devo vedere come sta!”
Se l’avesse visto fare in un telefilm, avrebbe dato
dell’idiota alla ragazza che lo diceva: come potevano farla entrare in una sala
operatoria? In quel momento non le importava, non si sentiva
più padrona delle sue azioni.
Non
riusciva nemmeno a piangere.
Il
medico le pose una mano sulla spalla, scuotendo la testa; non osava nemmeno
alzare la voce davanti la preoccupazione della ragazza.
“Vada
a fare una telefonata”, ripetè, “Le faremo sapere come sta”
“Non
voglio chiamare nessuno. Voglio entrare!”, disse
scattando in avanti.
Il
medico la afferrò per il braccio sinistro, quello che teneva dentro la tasca.
Shinobu
si lasciò sfuggire un violento gemito.
“Sei ferita al braccio? Vieni, ti
accompagno in radiologia”
“Non
se ne parla! Non mi muovo da qui!”
Il
medico sospirò e decise di avvertire il primario o chiunque nelle vicinanze avrebbe potuto iniettarle del tranquillante.
Shinobu, arresasi, corse verso una delle sedie di plastica che
affollavano la sala dove si trovava. Per fortuna, avevano trovato la sua
borsa con dentro il cellulare.
Esitò
un attimo, pensando a chi fosse meglio avvertire per
primo.
Poi
compose il numero.
“Hakkai?”
“Hakkai,
chi era al telefono?”, chiese Goku preoccupato notando il pallore che aveva sbiancato il volto del ragazzo.
“Shinobu.
Hanno avuto un incidente…Gojyo è piuttosto grave!”,
mormorò cercando nella rubrica il numero della madre di Shinobu e degli altri
amici del rosso.
Sanzo
lasciò cadere la cenere dalla sigaretta, ma il suo viso non mutò.
Goku,
invece, iniziò a tremare: “Hakkai, che facciamo?”
“C’è
da chiederlo? Andiamo in ospedale! Sto chiamando la madre di Shinobu, perché
quando le ho chiesto se l’avesse avvertita lei ha
messo giù...”, disse lui armeggiando con il telefonino e scendendo di corsa le
scale della metropolitana, seguito a ruota da Goku. Il ragazzo, però, si fermò
per un attimo sulle scale: “Sanzo…vieni anche tu?”
Il
biondo, mantenendo la sua solita flemma, gettò a terra la sigaretta, la spense
e annuì.
“Ho
detto che non ho bisogno di nulla!”, ripetè ancora la ragazza al nuovo medico
che era venuto ad infastidirla.
“Ha
una probabile frattura al braccio, e si rifiuta di recarsi in radiologia!”,
disse il medico al nuovo arrivato.
“Andiamo,
ragazzina. Qui stiamo lavorando”
Shinobu
tremò di rabbia per un momento, indicando la porta della sala operatoria: “Ho
detto e ripeto che non mi muovo finchè il mio amico non esce di lì!”
Decisi
ad afferrarla con la forza, i due medici si avvicinarono a lei.
Ma furono fermati da un braccio robusto.
“Non
avete sentito quello che ha detto la signorina?”, disse un ragazzo enorme e
ricoperto di tatuaggi.
I
medici tacquero ritrovandosi di fronte cinque ragazzi in jeans e giacca di
pelle, che arrivarono seguiti da Hakkai, Sanzo e Goku, e inspiegabilmente da
Gojuin.
Shinobu non potè trattenersi e corse da Hakkai, scoppiando a
piangere sul suo petto. “Hakkai…per fortuna siete qui!”
Hakkai
la strinse a sé: “Tu stai bene?”
“Sì…io
sì!”
Si
staccò dal petto di Hakkai e guardò Sanzo, Goku e i cinque amici di Gojyo.
“Grazie, ragazzi!”, mormorò.
Poi
guardò Gojuin e chiese, sorpresa: “Anche tu qui?”
Il
ragazzo annuì. “Mi ha avvertito Hakkai. Fortunatamente, vedo che stai bene”
“E Gojyo?”, chiese finalmente Hakkai. Per un momento sperava
di non doverlo chiedere, per non sentirsi rispondere che…ma no, non poteva
essere: Gojyo era duro a morire.
Shinobu
scosse la testa, asciugandosi le lacrime: “E’ in sala operatoria…non mi hanno
detto nulla!”
“Capisco”,
risposero un po’ tutti.
“A
proposito, Shinobu…dato che sicuramente non l’hai
fatto, ho avvertito io tua…”
L’arrivo
di una furia in tacchi e tailleur impedì al ragazzo di continuare.
“Shinobu!
Shinobu!”, si avventò su di lei una signora sui quarant’anni, abbracciandola e
facendole sentire le ossa a pezzi.
“Mamma?”,
disse Shinobu lanciando contemporaneamente un’occhiata piuttosto eloquente ad Hakkai. Per un istante si abbandonò all’abbraccio della
donna.
“Che è successo? Ti avevo detto di non salire in moto! Dov’è quel delinquente che ha ti ha fatto questo?”, parlò a
raffica la donna.
Nessuno
parlò; solo Shinobu, stringendo i pugni, gridò: “Piantala
di dargli del delinquente! Ti sembra il momento? E se
proprio vuoi saperlo…”, disse indicando la porta della sala operatoria; la sua
voce si abbassò di colpo, fino a ridursi quasi ad un sibilo “…quel delinquente
è lì dentro, e non si sa se vivrà”.
Non
si sentì più un suono, a parte quello della ragazza che ansimava. Come si era
permessa sua madre a dire quelle cose in un momento come quello?
Il
tono della donna si raddolcì; guardò i ragazzi che erano lì dentro, poi disse:
“Ho capito. Mi dispiace. Mi hanno detto che sei ferita ad un braccio…vieni a
medicarti”
Shinobu
scosse violentemente la testa: “No!”
La
donna fece per ribattere, ma Hakkai le mise una mano sulla spalla: “Signora…si
calmi e la lasci stare, per un po’. Sua figlia è
testarda, se mi permette, quanto lei, o almeno così mi sembra. Sono certo che
appena avrà notizie di Gojyo andrà subito in radiologia”
Il
tono calmo e pacato di Hakkai fece perdere
completamente la vena combattiva alla donna, che sospirò: “Vado a cercare tuo
padre. Credo che stia per arrivare”,
E così dicendo, si allontanò.
La
porta della sala operatoria si aprì proprio in quel momento.
“Per
il momento è in coma…ma non ce la farà per molto”, disse semplicemente l’uomo
in camice verde che era venuto verso di loro.
Tsuzuku...
La
spagnola è tornata! Fratelli d'Italia l'Italia s'è
desta...dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa...basta con lo spagnolo!
I "gemelli" spagnoli che hanno ospitato me e i miei compagni mi mancano, ma non ne potevo più di parlare spagnolo!
Ehm
ehm...basta con l'euforia, sono tornata ieri sera ed adesso posto...spero di non scioccare nessuno con questo capitolo...l'ho
scritto decenni fa e adesso l'ho rimesso a nuovo. E' qualcosa di triste, o
almeno spero di aver comunicato questa sensazione...questo capitolo segnerà una
svolta nella fanfiction...vedrete perchè.
Ho voglia di una sigaretta, di una delle mie, ma il fumo
di Marlboro light così denso da oscurare persino i tratti del tuo volto mi
colma talmente i polmoni da traboccarmi nello stomaco. Dev’essere solo una
sensazione, beninteso, perché tutto questo non è reale.
Non è reale adesso, ma lo è stato dieci anni fa. E’ stato reale quel senso di
colpa che mi ha spinto a tagliarmi i capelli nel lavandino del bagno, è stato
reale il sapore del sangue in bocca, è stata reale la sensazione delle
piastrelle gelide contro il viso fino al momento in cui Jien mi ha trovato e
trasportato in ospedale.
Etc etc etc, direi se fossi capace di tirar fuori un pensiero coerente, in
questo momento. La verità è adesso sono solo un bambino di nemmeno otto anni.
Ho cercato di attirare la sua attenzione, ho cercato quell’affetto che,
credevo, mi fosse dovuto da mia madre come lo era a tutti gli altri bambini. Ma
l’affetto, come tutto a questo mondo, non è gratuito e non è scontato, e io
l’ho imparato fin troppo presto. L’ho imparato perché, invece di carezze,
quelle mani mi assestavano manrovesci e percosse, fin da quando ho memoria,
l’ho imparato perché la sua voce, invece di intonare ninnananne, malediceva gli
déi e mio padre e mia madre.
Che non fosse lei, mia madre, quella vera, una di quelle che si stringe al
petto il bambino e gli accarezza i capelli, lo compresi pochi anni prima che
succedesse tutto ciò che è successo. Adesso non ricordo da chi lo sentii: gli
adulti parlano sempre pensando che i bambini non ascoltino o non capiscano,
dimenticano di quando essi stessi erano bambini e assimilavano e comprendevano
fino a qualche oscuro livello verità che in loro presenza non avrebbero dovuto
essere enunciate, e ricadono negli errori dei padri così come i figli
ricadranno nei loro. Cinque anni, e comprendi improvvisamente che tua madre non
è tua madre, che tua madre è qualcuno che non c’è più; sei anni, e comprendi
cosa vuol dire che tua madre, quella vera, ha rubato il papà a quella che
continui ugualmente a chiamare mamma; sette, e comprendi cosa significhi
allevare un figlio non tuo, e che ti ricordi ogni momento il tradimento del tuo
defunto marito. Quasi diciotto, e ancora non comprendi, invece, perché la donna
che ti ha cresciuto ti abbia preso con sé invece di lasciarti alla carità del
mondo. Quasi diciotto, e ancora non comprendi molte cose, in verità, ma in
questo momento non importa, perchè ti senti stanco e assonnato, e hai solo
voglia di chiudere occhi già chiusi.
Ti senti stanco, sfinito, come se il carico di tutte le lacrime mai versate ti
pesasse sulla schiena, sulla testa, proprio come quella volta in cui pensasti
che, sì, forse per far smettere lei di versare le sue avresti potuto
lasciarti morire, e lei sembrava proprio d’accordo. Jien fuori casa, da
qualche parte, certo non poteva annullare completamente la sua vita da
sedicenne restando sempre in casa, anche se era sulla buona strada, e la mamma
lì, con il coltello in mano, e tu seduto sulle piastrelle della cucina.
Questa volta basta. Ho aspettato il colpo, senza sapere dove sarebbe arrivato: alla gola, al
cuore, al ventre? Avevo paura del dolore, avevo paura di non morire
immediatamente, ma aspettavo quel colpo con impazienza.
Secondo dopo secondo, respiro dopo respiro: entrambi affannati.
Il colpo non è arrivato, perché Jien si è messo tra me e la mia morte. Ha
fermato la mamma, mi ha ordinato con furia di andare in camera mia, ma io non
ero felice, tutt’altro: ancora una volta, non era finito niente.
Così credevo.
Almeno finché sono entrato in camera tua, qualche ora più tardi, e ti ho
trovata nel tuo letto, i capelli sciolti, gli occhi chiusi ancora umidi, e il
sangue ovunque.
Sono di nuovo a quel punto. Ci ho provato, lo giuro, ma in
questo momento sono stanco come quel giorno, ferito come quel giorno.
Troppo stanco per continuare.
Shinobu si lasciò cadere sulla sediolina di plastica più vicina. Le gambe non
l’avrebbero retta un secondo di più.
“Quali sono…i danni riportati? Per favore, dica a noi. Non ha famiglia. Abbiamo
il diritto di sapere!”
L’infermiere scosse la testa. “Beh, comunque un tutore legale ci sarà pure”,
disse con poca partecipazione. “In ogni caso, ha una commozione celebrale
grave. E' entrato in coma...ma non è stabile. Può accadere di tutto nel volgere
di poco tempo, o restare così per molto. Stanno ancora tentando una
rianimazione. Tuttavia, finché non si stabilizzeranno i valori, non potremo
dire di più".
Shinobu cercò di sorreggersi il capo con le mani. Il braccio sinistro si
rifiutò di muoversi. Il dolore era atroce, ma non era a causa sua che, entro
poco, avrebbe dato sfogo alle lacrime. Chiuse gli occhi per calmarsi, per
pensare. Non c’era molto a cui pensare. Non riusciva a mettere in ordine le
idee, eppure non le sembrava di aver battuto forte la testa. Avvertiva la
presenza di Hakkai, lì davanti a lei, e dell’infermiere, probabilmente ancora
in attesa che gli fornissero un recapito telefonico. Sentì Hakkai che,
lentamente, dettava un indirizzo e un numero di telefono all’uomo, ma non lo
registrò, né trovò la lucidità per chiedersi a chi appartenesse.
“Signorina”, interloquì l’infermiere con tono più morbido, dopo aver preso
appunti. “Sta sanguinando dalla fronte, e quel braccio non si sistemerà da
solo. Venga con me, le prometto che le faremo avere notizie non appena ci
saranno novità”
Shinobu impiegò qualche secondo a rendersi conto che l’uomo stava parlando con
lei. Braccio, sangue…che importava? C’era Gojyo in sala operatoria, Gojyo,
dannazione! Era lì, a pochi metri di distanza, dietro quella porta, e lei
non si sarebbe mossa da quel corridoio finché non avrebbe avuto sue notizie più
precise. Il resto non importava.
La voce le uscì tremante, e ne fu spaventata. “Mi lasci restare.”
L’uomo sospirò, rassegnato. “D’accordo. Badi a evitare qualsiasi movimento con
il braccio sinistro, la frattura potrebbe scomporsi. E chiami immediatamente
qualcuno se avverte capogiri”. Si risistemò la penna nel taschino e andò al
bancone della reception. Hakkai, dopo aver mormorato che sarebbe tornato
subito, lo seguì. Shinobu gli rispose con un cenno del capo molto distratto.
Aprì gli occhi, tentando di tornare almeno per un po’ con i piedi per terra.
Distinse le sagome di Jin e Koji, anche loro seduti poco lontano, vide Sanzo,
Goku. Li guardò per un po’, senza vederli veramente, poi fissò lo sguardo sulla
porta della sala operatoria. Tentò di immaginare in che condizioni potesse essere
Gojyo, in quel momento. Hakkai tornò subito dopo, e occupò la sedia accanto la
sua.
“L’infermiere ha detto che la Stradale passerà più tardi a parlare con te.
Forse non è il momento, ma te la senti di raccontarmi com’è successo?”
Shinobu annuì, tentando di mettere in ordine le idee. I ricordi erano un po’
confusi, ma riuscì a ricostruire abbastanza bene l’avvenimento, e il semplice
concatenare le sequenze la fece sentire un po’ meglio, più lucida. “Stavamo
procedendo verso un semaforo. Correva. Come al solito. Poi ha detto qualcosa
riguardo ai freni. L'ultima cosa che ha detto è stata: 'Non funzionano i
freni'. Prima che arrivasse l'ambulanza, non capivo più niente, avevo paura di
toccarlo, e ho pensato che se fosse morto l’ultima cosa che mi avrebbe detto sarebbe
stato quel commento sui freni. Terribile, vero? Sono andata a controllare il
pezzo davanti della moto, quello dove ci sono il telaio, il cilindretto, la
pinza. E mancava la pastiglia. Hanno sabotato la moto, Hakkai. Stavamo per
morire. E non è neanche detto che…”
Quell’ultimo pensiero fu orribile, e non riuscì a continuare. Il groppo in gola
si estese, non riuscì a trattenere i singhiozzi. Tentò di cacciar via le
lacrime, ma di smettere di piangere non c’era verso.
Hakkai le toccò la spalla, con cautela. Si chinò su di lei.
“Calmati. L'importante, adesso, è che lui si riprenda. Alla moto penseremo
dopo"
La voce tranquilla e suadente di Hakkai, il suo tocco gentile, le fecero
riprendere un po’ il controllo di sé.
“Non puoi aiutarlo stavolta, Shinobu. Si può solo aspettare”
Annuì, ma le lacrime ripresero a scorrere. Vorrei parlargli.
Dio, quanto vorrei parlargli.
Hakkai, l’ultima cosa che voglio è aspettare.
Shinobu si alzò dal sediolino, su gambe malferme. La caviglia mandò sprazzi di
dolore acuto, subito imitata dal braccio. Tirarlo su era troppo doloroso, ma
altrettanto lo era lasciarlo oscillare.
Arrivò zoppicando alla porta della sala rianimazione, e vi si appoggiò. Voleva
vederlo. Aveva una paura folle che morisse. E se Gojyo non avesse trovato
nessun motivo per voler vivere?
Si rendeva conto solo in quel momento che Gojyo aveva un passato, aveva
pensieri, sentimenti, di cui lei era completamente all’oscuro. Le era piaciuto
illudersi di conoscerlo un po’ meglio degli altri, oh, ma che bellezza, ma si era solo ingannata come un’ingenua, sciocca ragazzetta.
Lei di Gojyo non sapeva niente. Non te ne andare, Gojyo.
Non ci provare.
Voglio che resti. Lo voglio sul serio. Esistevano gli dèi? Avevano la facoltà di intervenire nel mondo umano?
Shinobu si lasciò scivolare lungo la parete, cercando di respirare con
regolarità. Chiuse gli occhi, per la prima volta in vita sua in un
atteggiamento molto simile alla preghiera. Qualcuno mi aiuti.
Voglio che sappia che qualcuno sta piangendo per lui.
Non deve andarsene. Sono un’egoista, ma non deve andarsene.
Un letto. Dev'essere senz'altro un letto. Non mi sono
ancora tolto dalle palle, sembra.
Il caldo è insopportabile, devo avere la febbre alta: sollevo le mani, e le
vedo incredibilmente piccole. Sono mani che non hanno ancora toccato il seno di
una donna estranea, sono dita i cui polpastrelli non sono stati ancora induriti
dalle corde di una chitarra, e che probabilmente non puzzano ancora del fumo di
Hi-Lite. Non hanno ancora toccato un coltello, non hanno mai frizionato la
rondella di un accendino, non hanno mai maneggiato droghe. Sono le mani di un
bambino che non ha mai avuto l'affetto di sua madre, sono le mani sudate di un
bambino febbricitante che aspetta ancora qualcuno che venga a stringergliele,
allontanando da lui gli incubi della malattia. Mamma, va’ da lui. Ha bisogno di te, in questo momento.
Perché dovrei andare lì dentro da quel mostro? Che muoia pure. La voce dell'unica donna che non sono mai riuscito ad avere, che mi rifiuta
ancora una volta.
Chiudo gli occhi.
Sono stanco.
La tua anima in questo momento starà sicuramente
strillando d'indignazione. La stai stuprando lasciando morire il corpo che ti è
stato concesso.
Stupido idiota. Gojyo aprì gli occhi, incredulo, allibito. Non era in un letto, ma in un
prato: fu tutto ciò che gli riuscì di distinguere a una prima occhiata, oltre a
qualche tratto indistinto dell'apparizione che aveva parlato.
"E' la mia prima esperienza premortem, ma non credevo che si potesse
venire insultati da un vecchio barbagianni che presiede il mondo dall'inizio
dei tempi. Che devo fare per andarmene? Seguire la luce in fondo al tunnel?
Attraversare lo Stige?" Non devi fare proprio niente. Sta' lì e aspetta. E credo cheil colpo
alla testa ti abbia distrutto quella poca capacità di pensare che ti rimaneva: non
so per chi tu mi abbia preso. "E chi saresti, allora?" Coraggio, guardami. "Non vedo niente" Guardami meglio, idiota. Distinse qualcosa nel grigiore, per la prima volta. Tratti decisamente
familiari. E provò un’insidiosa sensazione di stretta al petto. Di
sgomento.
Un ghigno amaro gli si dipinse sul volto, assolutamente involontario.
"Ce l'ho fatta a farti ammazzare, allora?"
Tese una mano verso di lei, e la sensazione, tra tutto quell’intorpidimento, fu
quella di pelle tiepida sotto le dita. Accarezzare una persona viva. Una
persona viva e in lacrime. "Shinobu, non sei...?" Anche. E non solo. Toccami ancora. Gojyo le accarezzò gli zigomi, le sopracciglia, le palpebre, il naso. Poi
scese ad accarezzarle le labbra e la curva del mento. Nessuno sbaglio.
"Non sei Shinobu." Non proprio. Ma si può dire di sì. E non l'hai uccisa.
"Perchè stai piangendo, allora?"
Una mano dentro la sua, piccola, calda. Provò sollievo, un
conforto dilagante, permeante. Sono lacrime per te. E sono anche mie. Lacrime per lui, non a causa sua.
Vuoi davvero morire, Sha Gojyo?
"Non lo so. Io...credevo..." Torna, Sha Gojyo. Non è ancora il momento, per te. Lo sai anche tu. ”Torniamo insieme” Io non posso. Non come vorrei. Ma mi sta bene così. Mi sta benissimo. ”Dimmi il tuo nome”
Presto. ”Immagino di doverti ringraziare”
Non me. ”Addio, allora”
Non dirlo nemmeno per scherzo. Non ci sono mai stati addii, tra di noi.
Shinobu si rese conto di aver urlato solo quando si sentì stringere da
Hakkai.
“Sta’ calma”, la tranquillizzò il ragazzo, ma la sua voce le sembrava distante.
Era in piedi, ma probabilmente non ci sarebbe rimasta a lungo. Tremava
violentemente, il braccio pulsava come non mai, e sentiva che le gambe stavano
perdendo presa sul terreno. Hakkai la sostenne, premuroso, ma lei non riuscì a
recuperare l’equilibrio.
Il ragazzo dovette accorgersene, perché sorresse tutto il suo peso e la
distese, lì sul pavimento gelido, badando che il braccio non urtasse il suolo
bruscamente. Sentì che le sosteneva la testa. Udì la voce di Goku, vicina,
allarmata, ma Hakkai gli chiese ruvidamente di lasciarle prendere aria.
“Sta’ calma”, le ripeté ancora, e stavolta la sua voce fu chiara e vicina.
“Adesso Goku va a chiamare l’infermiere e ti facciamo mettere più comoda.
Tranquilla. Gojuin è andato a chiamare i tuoi genitori”
Shinobu sgranò gli occhi, prese un respiro profondo, e finalmente la nebbia che
le aveva offuscato la vista e la mente parve dipanarsi un po', permettendole di
articolare un paio di parole. “Sto bene, Hakkai. Sul serio.”
Hakkai aveva aperto la bocca per dire qualcos’altro, ma in quel momento Shinobu
si rese conto che avevano spalancato la porta della sala operatoria.
Immediatamente, il suo campo visivo fu occupato da un medico, che si affrettò
ad abbassarsi la mascherina.
“Sta bene?”, domandò, sfilandosi un guanto e appoggiandole due dita sotto il
collo. Le trovò fredde. Provò una sensazione curiosa, il pulsare delle proprie
vene sotto le sue dita.
“Tranquilla”, mormorò quasi subito. “Il battito sta tornando regolare.
Probabilmente è stato solo un mancamento”
“La rianimazione è terminata?”, chiese Hakkai. Shinobu avvertì
impercettibilmente che stringeva la presa sulle sue spalle.
“Sì, non preoccupatevi. Il ragazzo è fuori pericolo”
Continua... [leggermente riveduta e corretta nel Febbraio 2010]
Avevo
tutto quello che potevo desiderare.
Ero felice e ringraziavo la fortuna per avermi dato tutto. La mia famiglia non
era mai stata troppo presente, è vero, ma in lei avevo trovato tutto ciò di cui avevo
bisogno. Ma c'erano anche giorni in
cui mi prendeva l'ansia. In cui il senso di colpa mi
attanagliava le membra, perché, nonostante non avessi mai amato le regole del
mondo e persino del buonsenso, sapevo che quel che avevo intrapreso era
spaventosamente vergognoso.
Non me ne importava granché, per intenderci, ma in quei momenti
temevo...sapevo...che tutto ciò che possedevo
un giorno se ne sarebbe andato. E così è stato. Tutto è
sparito nel sangue. E’ finita male, è finita nel
peggiore dei modi.
Solitudine.
Ancora solitudine.
...poi ho incontrato quegli occhi rossi.
Quegli occhi che mi hanno aperto un mondo che non mi sarei mai aspettato. Da quando il suo sguardo, così duro eppure
così bisognoso di essere salvato, si posò su di me...
...compresi che era lui che mi stava offrendo aiuto. Che notte fredda...
Solo su questo ponte, non aspetto nessuno.
Non odo alcun suono.
Non sento alcun passo.
Meglio così.
“Non
è un po’ freddo, per buttarsi giù oggi?”
Osservai le sue mani che si strofinavano un po’ per scaldarsi, e poi andavano a
frizionare la rotellina di un banale accendino di
plastica, avvicinandolo alle labbra. Riportai lo sguardo davanti a me. Ero
seduto sulla balaustra di uno sporco ponte, attorno a me solo il buio della
notte. E il nero del fiume.
Non mi ero nemmeno accorto di essermi sporto così tanto.
“Veramente non...”
Le parole mi morirono tra le labbra. Forse, irrazionalmente, stavo per dire la verità: non volevo
gettarmi. Menzogne: allora, com'ero arrivato dall'altra parte della
balaustra senza nemmeno accorgermene? Il ragazzo dai capelli rossi en pendant con gli occhi mi guardò senza troppa convinzione.
“Contento tu...”
Lo ricordo come se fosse successo ieri: la sua lingua guizzò velocemente sulle labbra mentre spostava di lato la sigaretta.
Poi lui si voltò. E fece per
andarsene con noncuranza.
Io mi rigirai verso il fiume. Faceva un
freddo terribile, avevo la pelle accapponata dal gelo e
dall'inquietudine. Ma paura no, nemmeno un po’. La
rassegnazione la faceva da padrona.
Il ragazzo doveva aver cambiato idea, perchè percepii
la sua presenza, accanto a me. Sempre fumando la sua sigaretta, si era
appoggiato anche lui alla balaustra.
“Fumare fa male”, lo apostrofai, senza pensarci,
cercando di distinguere un sia pur minimo movimento nel nero dell’acqua sotto di
me. Onde grigie, sporche. Il fiume era lercio.
“Suona strano detto da uno che sta per buttarsi giù da un ponte, sai?”
Scossi la testa. “Se fossi
nella mia situazione, probabilmente ci staresti pensando anche tu”. Mi stupii
di avere ancora la voglia di sprecare fiato. Dopotutto, doveva importargliene
ben poco, a lui.
“Davvero? Può darsi. Ma continua pure, non far
caso a me. Non preoccuparti, non ti fermerò: e non ho neppure
intenzione di buttarmi in quella cloaca nel caso in cui tu cambiassi idea dopo
aver spiccato il balzo e avessi voglia di essere salvato”
Mi lasciò completamente senza parole. Non credevo fosse possibile tanto
sarcasmo nei confronti di un aspirante suicida. Ma mi
corressi subito: non era sarcasmo. Sono sicuro che, se mi fossi buttato senza
emettere un suono, lui sarebbe rimasto lì, appoggiato alla balaustra, a
guardare il punto del fiume in cui ero sprofondato. Sulla seconda affermazione,
invece, non ne ero troppo sicuro.
Mi voltai un po’ verso di lui, e lo vidi spegnere la sigaretta sotto il tacco
della scarpa, rimboccarsi di più nel suo giubbotto di pelle, e sporgersi
leggermente a guardare il fiume.
“Chissà...forse, se ne avessi
avuto l'occasione, l'avrei fatto davvero”
No, probabilmente no. Se era ancora lì, a parlare con
me, evidentemente non aveva davvero voluto farla finita. E’
fin troppo facile morire, le occasioni non mancano mai.
Mossi avanti e indietro le gambe, nel vuoto che si estendeva davanti a me, per
riattivare la circolazione.
“Non sei di qui, vero?”
“No. Sono di Tokyo”, mi
rispose.
Chissà come mai, ebbi la sensazione che, per lui, trovarsi a Tokyo, a Hiroshima
dov'eravamo, aOkinawa, Timbuctu o New York, non facesse alcuna differenza.
“Avevo bisogno di cambiare aria per un po’”, soggiunse.
Sospirai. Mi chiesi se avrei dovuto lanciarmi nel vuoto in quel momento,
senz’altro indugio. Lo sconosciuto non avrebbe considerato
scortese la repentina conclusione della conversazione, immaginai.
Sentivo la voce di mio padre, maligna e addolorata, incoraggiarmi a saltare. E
sentivo la mia, ancora più crudele, ordinarmi di vivere per espiare.
“Qual è la scelta migliore, secondo te?”, gli chiesi,
improvvisamente. Ero retorico, non mi aspettavo né volevo alcun suggerimento da
parte sua. Credetti di averlo colto
alla sprovvista, perchè mi chiese, di rimando: “Eh?”
“Secondo te, quale sarebbe la differenza, tra il morire e il continuare a
vivere?”
“Che vuoi che ne sappia, io? Non so come hai vissuto tu finora, né perchè vuoi
farla finita, né se farebbe o
no alcuna differenza. So solo che se ti butti, morirai senza saperlo, no?”, aggiunse, sornione. “Oh, comunque
non sto tentando di dissuaderti, parliamoci chiaro”
Respirai la fredda aria notturna. Mi arrivò alle narici anche il puzzo del
fiume, naturalmente.
“E com'è Tokyo?”
“Mah. Una normalissima, sporca, città, con
tante ragazze pronte a dartela per nulla e tanti, tantissimi casini".
Tacque per un attimo. "Perché non vieni a darci un'occhiata?”
La domanda mi spiazzò. Era un'alternativa,
una via di fuga che mi stava offrendo? Mi volsi completamente a guardarlo: un
ragazzo alto, anche più di me, dagli occhi e i capelli lunghi dello stesso
colore. Dimostrava più o meno
la mia età. Allora, non ero l'unico sedicenne ad essere cresciuto troppo in
fretta.
“Davvero, potresti venire a darci
un'occhiata. Non farebbe male neanche a te, cambiare aria. Io
sono venuto a Hiroshima, forse nella segreta speranza di trovare una persona. Ma non l’ho trovata. Pazienza, tanto non l’ho cercata
seriamente. E non so nemmeno se avevo tutta questa
gran voglia di ritrovarla, sinceramente. Magari a Tokyo anche tu hai una
persona da ritrovare, no?”
“Nessuno”, risposi, stringendomi leggermente nelle
spalle. “Non ho più nessuno”
“Pazienza. So anch'io come vanno queste cose. Aria nuova, e in ogni caso, che
hai da perdere? I ponti ci sono anche lì”. Ammiccò. “Hai la faccia di chi vuole
lasciare questa valle di lacrime per senso di colpa, non per noia. Se vuoi
sapere come la penso io, vivere è una noia così pazzesca che la morte sarebbe solo una facile via di fuga”
“E’ quel che penso anch’io. Mi stavo solo chiedendo se avrei avuto la forza di
affrontare questa punizione. E
poi...i tuoi capelli e i tuoi occhi mi ricordano il sangue. Anche quella sarebbe una punizione”
Sentii che tossiva il fumo dell'ennesima sigaretta accesa. Poi il ragazzo
scoppiò a ridere, sinceramente divertito.
“Non era mica una proposta di matrimonio, eh?”, puntualizzai, meravigliandomi
di avere ancora lo spirito per scherzare. Era stato quel ragazzo...da quando era apparso sul ponte,
aveva aperto, facilmente come si apre una porta di cui si ha la chiave, una
parte nuova di me, sconosciuta, o forse dimenticata.
Lui continuò a ridere per un po’, poi mi disse: “Non è per questo. Rido perchè sei l'unica persona
che, come me, vede nel rosso dei miei capelli e dei miei occhi il colore del sangue. Mi ha divertito...in fondo, non ci conosciamo che da una decina
di minuti...” Sorrisi. Non lo facevo da quando
lei era morta. Improvvisamente, sentii che almeno un po’, molto lentamente, sarei potuto cambiare.
“Qual è il tuo nome?”, gli chiesi, scendendo dalla balaustra e rimettendomi
dalla parte giusta del ponte.
“Gojyo. Sha Gojyo”
“Piacere di conoscerti, Gojyo”, dissi.
Non sapevo se prendere sul serio o no l'idea di andarmene a Tokyo. Era passato
quasi un mese da quandoKanan era morta...
“E il tuo qual è, futura mogliettina?”
“Cho Hakkai”
“D'accordo, Hakkai...allora, per la nostra fuga d’amore, ci diamo
appuntamento qui domani a quest’ora, va bene?”,
ammiccò Gojyo.
Stavo per risalire su, su. Molto
lentamente, sicuramente sarei incespicato più volte e ridisceso, ma stavo
risalendo. Forse per un nuovo tuffo, più alto, chissà. Ma stavo risalendo.
“Ci vediamo domani”, annuii.
[Che cosa mi è preso?
Quegli occhi...quegli occhi
mi chiedevano di salvarlo e insieme di ucciderlo. Preso alla sprovvista, non ho
potuto fare altro che tendergli la mano.
Nulla di più oltre a questo. Se avesse voluto uccidersi,
l'avrei lasciato fare. Che ironia...un'altra persona che
vede in me il colore del sangue. Che mi è saltato in mente di
proporgli di tornare insieme a Tokyo?
Lo conosco da meno di venti minuti...
...davvero? Mi è sembrato, in realtà, di conoscerlo da tempo immemorabile.]
“Hakkai, tutto bene? Sembri spossato. Va’ a casa, qui basto io. Gli altri sono
già andati via tutti”
Hakkai disconnesse il cervello dalle sue elucubrazioni e alzò
il viso, incontrando quello stremato di Shinobu, che pure gli stava sorridendo.
Scosse la testa.
“Tutto bene, grazie...tu, piuttosto, perché non vai a
dormire? Hai avuto un mancamento, prima. Posso restare io,
almeno ho le ossa tutte intere…”
Sorrise ironicamente.
La ragazza si sedette sulla poltroncina. Almeno, pensò Hakkai, erano più comode
di quelle del corridoio adiacente alla sala operatoria. Shinobu sospirò
rumorosamente.
“Non ho sonno, nonostante mi abbiano imbottita di farmaci”. A giudicare dalle
occhiaie e dalle palpebre semisocchiuse, osservò Hakkai, era una menzogna bell’e buona.
Alzò il braccio sano per grattarsi il fianco; sulla pelle, lasciata scoperta
dalla corta magliettina che
la ragazza aveva indossato dopo aver gettato via la divisa scolastica stracciata
e sporca di sangue, si vedeva vistosamente
una benda, sotto la quale la ferita era stata chiusa con numerosi punti.
Hakkai osservò lividi e contusioni
che si era provocata cadendo dalla moto. A parte il braccio fratturato, una
distorsione alla caviglia le permetteva di camminare solo zoppicando, e la
parte sinistra del suo corpo, a partire
dalla spalla fino a giù, nel polpaccio, era contusa e, in alcuni
punti, lacerata. Il ragazzo convenne che se l’era davvero cavata con poco, nonostante tutto:
secondo quanto aveva ipotizzato Shinobu, era caduta dalla moto poco prima
dell’urto con l’auto, atterrando sul braccio sinistro.
“Davvero, Shinobu, dovresti andare a riposare. Ormai è fuori pericolo”
“Lo so...e so anche che non
riprenderà conoscenza tanto presto. Ma
mi sento un’idiota ad andare a dormire, mentre tu sei qui”
Il ragazzo scosse la testa. “Io resto solo perché...”. Tacque. Non lo sapeva
nemmeno lui. Si era incantato a ricordare il loro primo incontro, e improvvisamente,
nonostante si sentisse così stanco, aveva perso la voglia di tornarsene a casa.
“Nemmeno io ho sonno. Domattina, se non ci saranno novità, andrò a casa”
“Hanno detto che...anche se
non l’hanno ancora visitato, dicono che non ha riportato danni permanenti al
cervello né a nient’altro. Contano di dimetterlo in qualche settimana, se tutto
va bene. Ma tutto è da vedersi...quando
riprenderà conoscenza, allora saranno del tutto tranquilli. I due uomini della
stradale hanno detto che torneranno domani.
Sicuramente avranno trovato
che la moto è stata sabotata...”
Hakkai allungò un braccio e lo appoggiò sullo schienale della poltroncina di
Shinobu, dietro le sue spalle. “Non stancarti troppo, Shinobu. Rilassati,
adesso”
La ragazza appoggiò il viso sulla spalla di Hakkai, annuendo.
E lì si addormentò.
Continua… [leggermente riveduta e corretta nel Dicembre 2009]
“Hakkai, sei tu…”, mormorò Gojyo cercando faticosamente di sollevarsi dal
cuscino. Era sollevato. Ma dovette ammettere che sperava di vedere un’altra
persona, prima dell'amico.
Si sentiva intontito e aveva la testa infinitamente pesante. Un dolore
improvviso lo colse al torace, e solo allora si ricordò di avere due costole
rotte. Gemette.
“Come ha detto Sanzo…? Ah, sì. Qualcosa del genere gli scarafaggi non
muoiono mai. Ma stavolta mi sa che ti sei rotto le antenne. Vedi di non
agitarti troppo”
Gojyo represse una risata che sicuramente avrebbe finito di spezzargli le
costole. “Ciao, Gojyo, oh, sono così contento di vederti ancora vivo! Mi
mancavano dichiarazioni d’affetto così sentite, Hakkai. Grazie per il
bentornato!”
Il sorriso dell’amico fu sardonico. “Prego. A proposito…bentornato, Gojyo”
Il rosso ricambiò il nuovo sorriso che era apparso sulle labbra di Hakkai,
spontaneo e sentito. Anche il suo lo fu altrettanto.
Già, era sopravvissuto. Se si sarebbe rivelato un bene, o un male, l’avrebbe
scoperto solo in seguito. Per il momento, però, provava sensazioni
indescrivibili al sentirsi accolto con sincero affetto.
“Mi dispiace che vi abbiano fatto entrare solo oggi. Io ho protestato, ma non
ne hanno voluto sapere. Come se vedere le vostre facce affatichi il mio
delicato e spossato fisico.”
“Tre giorni di riposo assoluto mi sembra il minimo, viste le tue condizioni,
Gojyo”, lo ammonì Hakkai con finto tono giulivo, sistemando dei fiori in un
vaso sul comodino. Gojyo pensò che fosse proprio un gesto che ci si aspettava
da lui. “Sei stato in coma per poco, ma ti ricordo che hai smesso pur sempre di
funzionare”.
Gojyo si stropicciò gli occhi, infastidito dalle flebo. A tal proposito, aveva
una sorta di sfumato ricordo di un sogno, prima di risvegliarsi. Forse
un’esperienza premortem? Sssseh, ci mancherebbe, rise tra sé e sé. Baggianate. “Ho chiesto notizie di Shinobu. Anzi, più che altro me le hanno date quasi
spontaneamente. Hanno detto che la mia vivacissima ragazza sta benissimo, a
parte ulna e radio fratturati, che comunque dovrebbero sanarsi in poco più di
un mese. Era molto preoccupata per me, naturalmente, ma purtroppo le regole
valgono per tutti e non le hanno consentito di entrare. Hai notizie più
fresche, Hakkai, sulla mia vivacissima ragazza?”
Hakkai annuì, appoggiandosi al muro in mancanza di sedie nella stanza. “Oggi le
hanno operato il braccio, quindi dev’essere ancora sotto l’effetto
dell’anestesia. A parte le due fratture, una distorsione e qualche escoriazione
qua e là, sta benissimo, e credo che l’ospedale non abbia mai avuto un reparto
radiologico così…vivace, se dobbiamo usare le loro parole. Ci passo tra
un po’…ti vogliono vedere anche gli altri, e oggi ci permettono di entrare solo
uno per volta”
Gojyo si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. “Dille di starmi alla larga
finché non le tolgano il gesso, sto messo male e la sua delicatezza la
conosciamo tutti”
“Peccato…mi aveva chiesto di riferirti che sarebbe passata appena possibile”
Un sorriso involontario gli piegò le labbra. Provò un inconfessabile sollievo.
Voleva vederla. Non sapeva perché, ma si sentiva…riconoscente, come se il fatto
che fosse sopravvissuto all’incidente dipendesse in una certa misura da lei.
Come se lei gli fosse stato vicino.
“Hakkai”, chiese, stringendo le labbra poco dopo aver pronunciato il suo nome.
“Come l’ha presa?” Hakkai lo squadrò. Non era stato molto chiaro, Gojyo, ma
parve capire ugualmente cosa intendesse. Si strinse leggermente nelle spalle.
“Non so se sta a me dirtelo, ma non esattamente bene. Immagina una
normale ragazza preoccupata e aggiungi l'esuberanza di Shinobu. Tira tu le
somme”. Gojyo lo vide sollevare una mano, e scrutarsi il palmo. “Se avesse
potuto, perdonami la frase fuori posto in un contesto del genere, ti avrebbe
tenuto dentro l’anima a viva forza. Lo shock è stato abbastanza forte, e si è
rifiutata di farsi visitare prima che tu, dieci minuti dopo, o forse cento, non
lo saprò mai, fossi dichiarato fuori pericolo. Ha anche avuto un mancamento.
Presumo sia stata la caduta, l’averti visto disteso sul selciato con la testa
mezzo spaccata, il tuo casco che aveva lei addosso nel momento dell’incidente,
il fatto che ancora un po’ e te ne saresti andato, Gojyo”
Gojyo non rispose. Fissò un punto della stanza non meglio identificato; non
sapeva cosa rispondere, non era mai stato abituato a sentirsi [desiderato]
[trattenuto]
[voluto] a sentire su di sé quella volontà di… Affetto, Gojyo. Non cercare parole strane. Quella che cerchi è ‘affetto’.
Forse non l’hai chiesto tu e forse sì, ma è tempo di fare l’adulto e di
ammettere che adesso c’è qualcuno che si è accorto della tua esistenza. Hakkai,
innanzitutto. Ma non solo. “Gojyo, sono spiacente di strapparti alla tua conversazione solitaria, ma
tra un po’ devo andare. E, d’altronde, sarebbe uno spreco di fiato dirti quel
che sto pensando in questo momento, giusto?”
“Scusami, Hakkai, se ogni tanto io riesco a dialogare con me stesso
senza mentirmi”, lo rimbeccò, con un sorriso a trentadue denti.
Hakkai sbuffò, leggermente divertito. “Dovresti dialogare anche con qualcun
altro, secondo me. Forse riusciresti a fare un po’ di chiarezza”
Gojyo strinse le labbra. Un bussare, piuttosto insistente, lo richiamò alla
realtà, e l’insistente voce di Goku risuonò chiassosa oltre il legno, seguita
da quello che con tutta probabilità doveva essere un pugno di Sanzo.
“D’accordo, è arrivato il momento che vada. In realtà avrei voluto parlare
dell’incidente, ma ne riparleremo domani, con calma. Ah, quasi dimenticavo”, si
frugò per un attimo nelle tasche, “I poliziotti della Stradale hanno dato il
tuo telefono cellulare a Shinobu, e lei l’ha dato a me perché te lo
restituissi. Il display si è spaccato, ma funziona, ho controllato. Fammi una
chiamata, se ti serve qualcosa, le tue chiavi di casa e tutto quello che avevi
nella giacca l’ho io”, concluse poggiando il telefonino sul comodino.
A Gojyo venne da ridere. “Grazie, mogliettina. Come farei senza di te?”
“Ah, mi piacerebbe proprio saperlo”, ridacchiò l’altro. “Vado a trovare
Shinobu, se si può, così finalmente può entrare Goku. Ci vediamo domani”
Il rosso sospirò. “A domani, Hakkai…a proposito…”
Hakkai, che aveva appoggiato la mano alla maniglia, si voltò in sua direzione.
“Grazie di essere venuto.”
L’altro sorrise, uno di quei sorrisi di cuore, che ben di rado gli si vedevano
sul volto.
“Prego. Ma mi hai detto troppe volte ‘grazie’, oggi. Conservatene qualcuno
anche per gli altri”
Hakkai fece appena in tempo ad aprire la porta, che Goku, con un borbottio,
s’insinuò nella stanza.
“Mi sembra che stia abbastanza bene”, commentò Gojuin facendo un cenno del capo
verso la stanza, da cui rumoreggiavano già le voci scherzose e concitate di
Gojyo e Goku. Hakkai infilò le mani nelle tasche, incamminandosi lentamente
verso il corridoio. “Non sapevo che fossi venuto. Sei qui da molto?”. Gojuin
era stato lì il giorno dell'incidente, e tutti e tre i giorni aveva prestato
visita e Shinobu e aveva chiesto notizie fresche di Gojyo. Considerevole,
tenendo presente il fatto che il rapporto con Gojyo era tra il freddo e il
catastrofico. Hakkai non sapeva, sinceramente, se il rosso avrebbe fatto lo
stesso per lui, a posizioni invertite.
A lui non dispiaceva, Gojuin, invece. Sentiva che, in qualche modo, non doveva
avere uno spirito a lui tanto dissimile. E poi c’era quella faccenda dei sogni.
Shinobu aveva detto che, in qualche modo, c’entrava anche lui.
“Sono appena arrivato”, rispose l’altro, con voce pacata com’era suo solito,
incamminandosi con lui. “Sono passato a chiedere notizie su quello lì.
Adesso vado a vedere come se la cava Shinobu”
“Non vuoi entrare?”, domandò Hakkai, ma la risposta era scontata.
Gojuin sogghignò, stringendosi nelle spalle. “Non credo che gli farebbe tanto
piacere. Lo conosci meglio di me. Comunque mi auguro che resti a letto ancora
un po’: anche se ultimamente siamo riusciti a scambiare qualche parola senza
che diventasse un pugno, ho la sensazione che le cose non continueranno così
ancora per molto”
“Perché mai?”, chiese Hakkai aggrottando le sopracciglia.
L’albino si strinse ancora una volta nelle spalle. “Temo che non gradirà molto
la visita che riceverà nei prossimi giorni”.
Hakkai si fermò, incredulo. “Come hai fatto a contattarlo?”
“In realtà ho mantenuto i contatti tutto questo tempo. O meglio, lui li ha
mantenuti con me”
“E Gojyo non…”
“No, naturalmente Gojyo non lo sa. Non stava a me intromettermi, e non gliene
ho mai fatto parola”
Hakkai si inumidì le labbra.
“Hai ragione”
“Su cosa?”
“Questa non te la perdonerà tanto facilmente, Gojuin”
Uno sbuffo divertito proruppe dalle labbra dell’altro. “Pazienza, sopravviverò
ugualmente. Andiamo al reparto radiologia?”
E' strano a dirsi, ma il tempo ha ripreso a
scorrere.
L'eternità può sembrare una faccenda figa, finché non ti ritrovi a perdere il
conto degli anni tutti uguali, proprio come gli esseri umani perdono il conto
dei giorni quando si annoiano. Poi di rado, ma solo di rado, e non a tutti,
accade qualcosa che finalmente ti fa sentire vivo, e non una mummia che si
trascina per inerzia.
A me è accaduta lei. Di solito si dice 'piovuta dal cielo', per riferirsi a una
persona che ha fatto irruzione nella tua vita dal nulla. Nel mio caso è
l'esatto inverso: lei è ascesa dalla terra. Ha il profumo della mortalità pur
non essendo mortale, quello delle foglie che mutano abito e poi seccano, quello
delle stagioni che cambiano e del vento sostenuto e della terra fertile che si
solleva. Il profumo del grano che matura, quello dei fiori che sfioriscono. Il
profumo, per farla breve, di tutto ciò che è vivo e che muta.
Credo di voler vedere un sorriso sulle sue labbra; non ho mai provato un
desiderio simile: non ti sconquassa le carni, come un desiderio fisico, né le
divora. E’ un desiderio puro e semplice, come desiderare di afferrare una
farfalla che vola tra i fiori.
Ma afferrare una farfalla è una frase che possiede in sé due istanze
inconciliabili: la sua bellezza morirà non appena l'avrai presa tra le mani.
Io non voglio costringerla ad essere felice; voglio solo che un giorno mi
guardi e pensi che la mia esistenza ha lasciato un segno nella sua.
La amo? Difficile a dirsi, perché non so cos’è l’amore. So cos’è il sesso, so
cos’è l’eccitazione, so cos’è un corpo femminile. Cosa sia un cuore, invece,
non l’ho mai saputo, perché non me l’hanno mai dato. E non me l’hanno mai dato
perché io non l’ho mai chiesto.
Da quando ho isolato in me il desiderio di vederla sorridere, ho perso la
capacità di mentire a me stesso. Ci ho provato a lungo, e ho la sensazione che
dovrei continuare ad accantonare questi pensieri, pericolosi in un mondo come
il nostro. Pericolosi per la sua tranquillità, per il suo benessere, perché
quanto a me, l’annoiato generale Kenren Taisho, la loro novità non può che
rendermi eccitato come tutto ciò che trova il modo di cambiare in un mondo
immutabile.
E' per lei che devo tacere, per il mio grazioso essere eretico. Tacere finché
non sarà pronta a sorridere con tutta l'anima, poiché ora è solo il suo volto a
sorridere.
Lo farò per lei, per la mia Shioka.
Gojyo si svegliò, e il sogno si ritirò
velocemente come un’onda sul bagnasciuga, portandosi via quasi tutto; a chi
appartenevano quei pensieri, quel nome? Shioka…non era stato il nome che
Shinobu le aveva detto tempo addietro? Perché lo sognava, adesso? E chi era
Kenren Taisho?
...quel volto...
...aveva la sensazione di aver visto un volto, mentre era stato vicino
all'andarsene...
...che fosse quella, Shioka...?
...non si ricordava più il suo aspetto: la sua immagine si sovrapponeva a
quella di Shinobu.
Forse aveva ragione lei: tutti quei sogni erano collegati. Ma aveva la
sensazione che più fossero andati avanti con quella storia, più ne avrebbero
risentito. Tali pensieri lo abbandonarono rapidamente. Ben presto, di tutte quelle
sensazioni che aveva provato al risveglio rimase ben poco. Probabilmente,
rifletté prima che anche quel pensiero si dileguasse, il fatto che non
parlassero sistematicamente di tutta quella storia, dipendeva proprio da
questo. Era raro che si iniziasse a parlare spontaneamente dei sogni, e ben
poche volte c’era qualcosa di nuovo da annotare, o meglio, ricordavano qualcosa
di nuovo.
Si ritrovò a concentrarsi sull’odore della camera d’ospedale, che gli dava
improvvisamente più fastidio del dovuto. Probabilmente associava odori di
disinfettante, colori asettici e pacatezza nei comportamenti alla sua infanzia.
Più volte, infatti, suo fratello ce l’aveva portato di corsa, in ospedale, con
brutte ferite che puntualmente venivano spiegate con cadute accidentali.
Oh beh, era da un po’ che Gojyo non riteneva di dover colpevolizzare suo
fratello, almeno per quello. Era un ragazzino, ai tempi, e cercava
semplicemente di tener su la famiglia meglio che poteva. Se n’era trovato di
peso sulle spalle, Jien. Però era più forte di lui, non riusciva a togliersi
dalla testa il fatto che fosse fuggito subito dopo il suicidio della madre.
Quell’argomento lo irritava alquanto, perciò, confidando nel dolore che quella
nuova serie di movimenti gli avrebbe provocato, si costrinse a trovare una
nuova posizione di fianco, che fosse comoda. Funzionò, perché le costole
iniziarono subitaneamente a protestare, e presto il pensiero di Jien e di sua
madre non gli parve poi così vicino.
Si sfiorò la benda sulla fronte. Di cicatrici ne aveva, ma probabilmente quella
si sarebbe guadagnata il titolo di più vistosa di tutte. Beh, magari ci avrebbe
messo una bandana su, non erano male.
E, ripensandoci, se l’erano cavata davvero con poco, lui e Shinobu.
La vita gli aveva generosamente concesso un’altra chance, pareva. Di nuovo in
gioco.
Una luce si accese nel corridoio adiacente alla camera buia dove trascorreva la
sua vacanza forzata, e subito dopo un'infermiera entrò nella stanza.
"Chiedo scusa, signor Sha, l'ho svegliata?"
Non era ancora abituato a sentirsi dare del lei, ma considerando
l'avvenenza della ragazza avrebbe anche potuto farci l'abitudine. Si tirò
leggermente su con un sorriso concupiscente che, visto il pallore e la tenuta
ospedaliera affatto cool, risultò probabilmente tutto fuorché sexy.
"No, ero già sveglio. E' successo qualcosa?"
L'infermiera si strinse nelle spalle con fare professionale. "Hanno
chiamato da radiologia con l'interfono. La sua...amica, la signorina Ori,
è...sparita dalla stanza. L'infermiera di turno qui mi ha detto che lei stava
dormendo e che non ha visto nessuno per i corridoi, ma ho dovuto chiedere il
permesso di poterla svegliare per controllare comunque. Sa, la politica
dell'ospedale nei confronti dei degenti minorenni..."
A Gojyo venne voglia di ridere. Si mordicchiò l'interno del labbro, o avrebbe
finito per farsi esplodere i punti di sutura. "Spiacente, non ho idea di
dove possa essere. Ha provato al bar, al pianterreno?"
L'infermiera abbandonò per un attimo l'aria professionale, sospirando risentita
e rivelando interamente la sua giovane età. "Se lo scopre il primario..."
Gojyo dovette combattere ancora contro l'impulso di ridere. Si strinse nelle
spalle in un atteggiamento che, sperò, risultasse spiacente. L'infermiera si
scusò sentitamente del disturbo, spense la luce e uscì.
Fu solo allora che si permise di ridere.
"Shinobu, non dirmi che sei davvero qui?”, mormorò tra le risate nel buio
della stanza, augurandosi che nessuno lo sentisse e lo sottoponesse a migliaia
di esami nel timore che la botta in testa l'avesse ridotto al punto di parlare
da solo.
Si sentì un risolino di risposta. “Se ne sono andati?”
“Sì, cretina. Sei sotto il letto, vero?”
Shinobu uscì da sotto il lettino spolverandosi i capelli col braccio sano. Le
scappò uno sbuffo divertito, poi si inginocchiò per terra, appoggiando la testa
sul materasso.
“Ti sei confusa con l'orario visite, Shinobu?"
“Infatti ti ho visto dormire e non ho voluto svegliarti…volevo solo vedere se
fossi ancora vivo”
“C’era pericolo?”
“Se ti fossi visto nelle condizioni in cui ti ho visto io, ti saresti risposto
da solo”, mormorò con voce polemica la ragazza. E, dal leggero tremito che le
aveva attraversato la voce per un momento, Gojyo non faticò a credere che, come
sosteneva Hakkai, le avesse quasi preso un colpo. Gli venne voglia di
sorridere, chissà poi perché.
“Andiamo, mocciosa”, sussurrò con voce pacata, facendole un po’ posto nel
letto. “Vieni qui”
“Mi stai invitando nel tuo letto, Gojyo?”, cinguettò Shinobu.
“Non ti aspettare chissà che. Non riuscirei nemmeno a mettermi carponi, con
queste costole scassate che mi ritrovo”
“Oh, allora, visto che sei impossibilitato, ne approfitto”, scherzò l’altra
guardandosi intorno guardinga, e poi distendendosi sul bordo del letto. Sistemò
con cura il braccio ingessato, poi tentò di accomodarsi in modo da non cadere
dal letto.
Gojyo riprese a ridere. Non ne poté fare a meno.
“Che ti prende?”
“Niente…è che è la prima volta che sento di una visitina notturna in una stanza
d’ospedale. Devo ammettere che questa mi mancava”. Gli facevano male le
costole, quindi tentò di farsi passare l’attacco di ridarella, tra l’altro
immotivato. Probabilmente, si disse, si stava liberando dal nervosismo
accumulato. Doveva ammettere che uno dei pensieri che più gli erano balenati in
mente era quello che Shinobu, al suo risveglio, si sarebbe tenuta alla larga da
lui. Bello spavento, doveva essersi presa, nel trovarsi in mezzo ad un
probabile tentativo di omicidio.
“Mi dispiace”, si ritrovò a dire, "Mi hanno detto dei freni sabotati. Tu
non dovevi esserci".
“Non…”, a Shinobu la voce tremava ancora. Deglutì. “…lo dire neanche per
scherzo. Eri tu quello svenuto con la testa rotta sull’asfalto, e io quella che
aveva il tuo casco ancora in mano”
Gojyo scoprì di volerla toccare. Era lui che avrebbe dovuto sentirsi in colpa,
era lui che magari avrebbe dovuto controllare i freni prima di lanciarsi
nell’incrocio a tutta velocità, ed era lui che volevano colpire sabotando la
moto. Allungò un braccio, scoprendolo impossibilitato a muoversi a causa della
flebo; senza pensarci due volte, se la sfilò e, dopo aver mosso più volte il
braccio per riattivare la circolazione, lo usò per cingere la vita della
ragazza.
“Piantala, scema”, bisbigliò, ma articolando l’ultima parola con grande
affetto, al punto che poi se ne vergognò. “Se uno dei due doveva proprio farsi
male, meglio che sia stato io”
Seguirono diversi secondi di silenzio da ambo le parti.
“Eh, già…tra i due, lo strafigo duro come una roccia sono io”
“Vai a quel paese, Gojyo”, sentenziò Shinobu con voce indignata. “Allora devo
aver sbagliato sala operatoria, si vede che sono capitata davanti quella del
tizio che era entrato in coma”. Lei per prima parve trovare la battutina
eccessivamente pesante. “Scusa”, sospirò. “Ma non fare tanto il grand’uomo,
c’erano anche persone preoccupate per te”.
“Lo so”, disse l’altro in un soffio.
Hakkai si era sicuramente preoccupato, la scimmia si era scaraventata in camera
sua sprizzando energia da tutti i pori, era entrato persino Sanzo ad
esprimergli il suo disappunto perché per un attimo aveva sperato di essersi
liberato di lui. Oh beh, e poi c’era lei. Ma non solo.
C’era stato qualcuno, che l’aveva chiamato quando stava quasi per andarsene.
Shinobu, probabilmente, ma aveva la sensazione che si trattasse anche di
qualcun altro. Magari la stessa Shioka, chiunque fosse.
“La prossima volta che mi fai prendere un simile spavento, ti ammazzo io, lo
giuro sopra tutti i numi del paradiso”, ricominciò a dire la ragazza,
strappandolo ai suoi pensieri.
“D’accordo…”
“Non sei immortale, stupido”
“Lo so…”
“E poi…”
“Shinobu”, la interruppe il rosso. “Puoi stare zitta solo un minuto?”
Il silenzio che seguì parve soddisfarlo.
Era lì. La persona che gli infondeva quel calore che non aveva mai ottenuto da
sua madre, la persona che gli aveva tenuto la mano e l’aveva trattenuto in quel
mondo che era stato sul punto di abbandonare.
“Volevo solo parlare ancora con te. Seriamente, intendo”
Shinobu non disse niente. Non c’erano parole da aggiungere a quelle di Gojyo.
Lui non l’aveva guardata negli occhi una sola volta, mentre parlava della
madre, e sinceramente era stato meglio così. Gli aveva appoggiato una mano sul
polso, ascoltandolo in silenzio.
Una cosa era certa, non sarebbe stata più così indelicata da parlargli dei
problemi che aveva con sua madre, quando quella di Gojyo aveva addirittura
tentato di ucciderlo.
Già, ci sarebbe arrivato pure uno psichiatra da due soldi, che il suo cercare
l’amore delle donne celava un amore che non era riuscito ad ottenere dalla
madre.
Gli carezzò leggermente il polso, non riuscendo a trovare voce, né parole da
dire. Probabilmente, nessuno a conoscenza di quei particolari della vita del
rosso l’avrebbe più guardato come un ragazzaccio da due soldi. Un leone ferito,
ecco come lo vedeva.
“Ne sei uscito a testa alta, Gojyo”. Fu tutto quello che riuscì a dire, e il
rosso non le chiese spiegazioni.
“Non te ne esci con un ‘mi dispiace’?”
“No”, gli rispose, voltando un po’ il viso per guardarlo negli occhi. “Non
sarebbe sufficiente”
Quel che fece Gojyo la spiazzò leggermente: le poggiò il viso sulla spalla.
Gojyo stesso ebbe un moto di disagio nel farlo; sì, era la prima volta che le
si stringeva così vicino, se si escludevano i brevi abbracci scherzosi. Era la
prima volta che si soffermava a sentirne il profumo; sapeva di sapone al
ciliegio, un profumo che le si sarebbe potuto facilmente attribuire, così dolce
e intenso al momento stesso…strinse ancora la presa attorno alla sua vita; quel
corpo non lo rifiutava, quegli occhi non lo guardavano con disprezzo, quelle
mani non lo percuotevano, quel cuore non lo odiava. Fu per un attimo tentato
dal baciarla, ma quando le sfiorò il viso con una mano, una sensazione di
deja-vu, se possibile ancora più forte di quella che aveva provato al parco, lo
costrinse ad abbassare la mano. Forse lo sentì, pure quella volta, anche
Shinobu, perché in un movimento repentino gli afferrò la mano.
Ma gliela lasciò subito.
“Shioka”, mormorò Gojyo, non sapendo che pesci prendere.
Shinobu si rizzò su di colpo. “Shioka cosa?”
“Ho sognato quel nome”
A Shinobu mancò un battito. “Cosa dici?”
Gojyo la zittì con un cenno brusco. Entrambi, in silenzio, attesero, ma nessuno
parve averli sentiti.
“Abbassa la voce, idiota!”, bisbigliò il rosso.
“Dimmi tutto quello che sai!”
“Eri tu…e lei…insomma, non lo so”
“La botta in testa ti ha rincretinito del tutto?”
“Perché, vuoi dirmi che tu riesci a dare un resoconto lineare di questi sogni?”
“Spiegati meglio!”
“C’eri tu, o meglio, ti somigliava, ma l’ho chiamata Shioka. E mi sono
autodefinito ‘Kenren Taisho’”
Shinobu non parlava, ma Gojyo sentì distintamente che l’aveva attraversata un
tremito.
“Gojyo…”
“Cosa?”
“Se ti chiedo una cosa, prometti di essere più sincero e preciso possibile?”
Gojyo tentò di scrutarla nel buio, guardingo. “Ci provo”
“Che sensazioni…sentimenti…ti suscitava, Shioka?”
Il rosso non rispose. Non ricordava con chiarezza, ma era qualcosa di forte,
senza dubbio. Forse…
“Nostalgia. Credo ci fosse qualcosa di più, ma non saprei dirti. Qualcosa
di…caldo…che non ho mai sentito io. Shinobu, chi è Shioka? Cosa…?”
Vide che Shinobu, seduta sul letto, aveva poggiato il mento sulle ginocchia, e
lo fissava.
“Inutile che ti chieda se il nome Kenren ti dice nulla, vero?”
Shinobu scosse la testa. “Non posso esserne sicura, Gojyo”
“Non voglio che tu ne sia sicura, voglio sapere cosa ne pensi”
Shinobu abbassò lo sguardo. “Penso che…” …che potrebbe essere l’uomo che ho sognato tempo fa. “…penso che sia ora che me ne torni in camera, Gojyo”
Gojyo le afferrò delicatamente un braccio. “Shinobu, non scappare da questa
storia”
La ragazza si scostò le ciocche da davanti il viso, poi fece qualcosa che Gojyo
non si sarebbe mai immaginato: si chinò su di lui e gli cinse il collo con il
braccio sano, poi gli posò un delicato bacio sulla fronte, sopra la fasciatura.
“Non scappo”, sussurrò. “Solo, non voglio pensarci adesso”.
Gojyo sperimentò forse per la prima volta un calore che gli saliva dalle
viscere fino ad arrivargli alle tempie. Non di tipo sessuale, beninteso.
Qualcosa di diverso, che non riusciva a classificare.
“D’accordo”, riuscì a malapena a mormorare, portando la mano a sovrapporsi su
quella della ragazza.
“Torno in camera…dormi bene”, soggiunse Shinobu, scendendo cautamente dal
letto, non prima di avergli stretto la mano per qualche secondo.
“Anche tu…”, rispose lui sorridendo.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta nel Marzo 2010]
Shinobu si sedette sul letto, facendo attenzione a non urtare nuovamente il gesso con il
relativo braccio rotto, come aveva fatto entrando dalla porta di casa.
Sì, quella era la sua stanza. Non era stata che poco in ospedale, ma si sentiva
angosciata al solo ricordare i volti apatici, il puzzo di medicinali e
disinfettanti, lo squallore di quella camera che inutilmente si cercava di
rallegrare con fiori etsimilia.
Adesso era sul suo letto, soffice, confortevole, suo. Due giorni dopo sarebbe già tornata a scuola, non aveva senso restare a casa
ulteriormente. E poi, era il braccio sinistro che non
poteva usare.
Di certo, tutti l’avrebbero additata come ‘la ragazza
coinvolta nell’incidente con Sha’. Come
se non la additassero già abbastanza. La notizia dell’incidente si era
propagata a macchia d’olio, d’altronde Gojyo non era un ragazzo di cui passava
inosservata l’assenza. Dopo poche ore dal suono della campanella, il giorno
successivo all’incidente tutti sapevano cosa e come era
successo, e ovviamente in molte si erano riversate in ospedale per trovarlo,
con grande dispendio di liti, schiamazzi e lamentele degli altri degenti. Era
intervenuto il primario del reparto in persona per sedare gli animi e, intuito
l’andazzo, aveva interdetto l’orario visite a chiunque
non dimostrasse di avere un legame più che stretto con Sha Gojyo. La cosa non
riguardava lei e gli altri, perché ormai era tristemente famosa in ospedale la
scena davanti alla sala operatoria.
La ragazza si lasciò scivolare fino ad appoggiare la testa sul cuscino; si
sentiva esausta, ma tutto sommato tranquilla. I suoi
ricordi andarono alla discussione con Gojyo, due notti prima.
Ormai non poteva più far finta di niente. I deja-vu e i sogni, e d’altronde anche quello che provava
lei stessa, la portavano in un’unica direzione. Sui primi non sapeva proprio
che pensare, poteva liquidare la questione con se
stessa e con gli altri quanto voleva, ma nulla le impediva di pensare che Gojyo
avesse un qualche indubbio legame con Kenren, che con ogni probabilità era
l’uomo di cui aveva sognato tempo addietro…Shioka, poi…non sapeva ancora bene
come incastrare i tasselli, forse aveva ragione Goku, chissà, ma su una cosa
non c’erano dubbi: le sensazioni di quel sogno…e i deja-vu,
sia al parco che due notti prima…le lasciavano sulla pelle una sensazione
troppo simile per liquidare il tutto.
Riguardo a ciò che provava…non sapeva se si stesse lasciando suggestionare o meno, ma non lo credeva. Appisolandosi, si rese conto che
non poteva più negare che l’idea che Gojyo morisse le aveva strappato ogni
respiro, che quando aveva sentito le fatidiche parole
‘è fuori pericolo’ si era improvvisamente sentita
rivivere, e che due notti prima, se avesse dato pienamente ascolto all’impulso,
l’avrebbe probabilmente baciato, e non sulla fronte. No. Dannazione, no. Si contorse nel letto, nel dormiveglia. Aveva voglia di agitarsi, di fare
qualunque cosa, pur di negare fortemente quel che
provava, ma non le riusciva di muoversi più di così. Non può essere successo, non con lui. Mi
rifiuto di crederlo. Fu avvolta improvvisamente dal sonno.
Le sensazioni erano troppo
taglienti e pulsanti perché si trattasse di un sogno; ma la situazione non
poteva che suggerire quell’unica soluzione.
Era un giardino bellissimo, composto quasi esclusivamente da alberi di
ciliegio in fiore: il profumo non dava adito a dubbi.
Il gorgoglio dell’acqua, piuttosto una melodia, tradiva la presenza di
un ruscelletto.
L’erba era umida di rugiada, la sentiva sotto i piedi nudi: il suo corpo c’era
ancora, spoglio da qualunque abito, e l’erba le solleticava le caviglie. Non
percepiva la presenza di vita, però. Né un insetto, né un passero, né tantomeno
una persona.
Le venne voglia di vedere il ruscello. Camminò, facendo frusciare l’erba sotto
i piedi, finché non ne vide la sponda. L’erba era bagnata, adesso, più che umida, man mano che si avvicinava. Si inginocchiò,
senza stupirsi di poter muovere il braccio che credeva rotto, presso l’acqua,
chinandosi per sfiorarne la superficie con un dito.
Quel posto doveva essere quello che aveva sognato già una volta. Il posto di
Shioka e di Kenren, probabilmente.
Non appena ebbe formulato quel pensiero, la sua immagine riflessa tremò, poi
mutò leggermente. Sebbene fosse cambiato ben poco, Shinobu fu certa
che l’immagine che il ruscello le rimandava non fosse la sua, che avesse
qualcosa di profondamente diverso.
Il volto era più smagrito, il naso leggermente più spigoloso, il taglio di
capelli diverso, così come pure la tonalità del colore. Ma
ciò che più attirò la sua attenzione furono gli occhi: il taglio,
l’espressione, e il colore: uno era verde, ma l’altro era dorato. Le
ricordò quelli di Goku.
...chi era?
“…Shioka?”, mormorò, certa che così fosse.
La figura nell’acqua annuì dolorosamente. Aveva un’espressione di profonda
sofferenza negli occhi.
Quella presenza non era la sua coscienza, ma non era nemmeno qualcosa di
materiale. Sembrava qualcosa che esistesse solo in
funzione di un ricordo. Sono te. “In che modo sei dentro di me? Perché invadi
persino i miei sogni?” Scusami. Credo che lo capirai presto. La voce era calma e dolce, ma anche triste.
“Anche tu con questo ‘capirai’? Dunque
non sono matura nemmeno per sapere la verità?” …credimi. E’ meglio così. Shinobu sospirò; ci mancava solo un principio di schizofrenia latente. Non
era troppo giovane per questo? Le mancavano solo i sogni in cui si sdoppiava,
avendo a che fare con un'altro aspetto della sua
personalità...
“In me…c’è più di una personalità. Non sei solo tu: c’è…qualcos’altro”, disse
guardandosi intorno, come temendo di veder oscurarsi il cielo d'un tratto e comparire una presenza oscura. Un'altra parte
di sé. Per fortuna, quel qualcos’altro è quasi interamente soffocato. In questo sei più forte di me. Shinobu si sedette
sulla sponda, giocando a far cerchi
sull'acqua con le dita dei piedi.
“Io non capisco…perché? Me, gli altri…Gojyo…lui è Kenren?
E tu…Dimmi qualcosa, spiegami solo cos’è tutto questo”
Questa volta la figura scosse la testa, ma Shinobu fu
certa di averle visto piegare le labbra in un sorriso divertito. Pensa al presente, per il
momento...Kenren, o Gojyo che dir si voglia… “Allora sono davvero la stessa persona?!” Non ha importanza. Pensa
al presente, ti ripeto. Accetta quel che provi, solo così ti
ricongiungerai con una parte di te persa… “Non ne ho alcuna intenzione. Gojyo è uno spirito
libero, non potrei né vorrei mai…per uno stupido
pensiero da ragazzina…” Non è uno stupido pensiero. Provi qualcosa per lui da sempre…da
quando i vostri sguardi si sono incrociati per la prima volta,
la voce si abbassò fino a ridursi a quasi un sussurro, …da molto prima. Shinobu aggrottò le sopracciglia. “Qualunque cosa tu sia, ti sei
manifestata per farmi la predica o cosa?” Sei ancora così immatura…proprio come lo ero io. “Sono immatura, sì. Chissà, magari ho paura di essere rifiutata. O sono così orgogliosa che non voglio affrontare questo
discorso con lui. Non ha importanza, in ogni caso” Non è ancora venuto il momento, pare… “Per cosa? Dimmelo!” Provò un’improvvisa sensazione di tristezza, o forse
di dolore, tanto che si portò le mani sul petto. Immerse completamente i piedi
nell'acqua, e cancellò il riflesso che tanto la stava angustiando.
“Basta”, disse, ad alta voce.
Shinobu si risvegliò, come da normalità, nel suo letto. Solo, la sensazione di
essersi quasi ricongiunta con una parte di sé dimenticata, e di
averla poi perduta. Non ricordava nulla di quel che aveva sognato, ma si
sentiva malinconica.
Ripensò al dormiveglia, a ciò che aveva realizzato.
Non poteva essersi affezionata a Gojyo a tal punto. Non doveva. Gojyo amava il sesso, amava le donne. Si sentiva idiota al solo
pensiero di andare da lui e dirgli ciò che provava. Lui non aveva alcun
interesse per lei come donna, e gliel’aveva più volte dimostrato. La
proteggeva, sì, come si può proteggere una sorella.
Si sentiva l’incredibilmente idiota protagonista di uno shojo
manga per ragazze con ancora la voglia e l’ingenuità di credere che il primo
amore sia un principe azzurro, e che amore significhi
uscire insieme, scrivere le iniziali con un cuore su un albero e fare l’amore
per la prima volta sotto una palma, su una spiaggia al tramonto…
Poteva mai esserci cascata proprio lei? E proprio con
Gojyo?
Si sedette sul letto; sì, c’era proprio cascata. Ma non avrebbe fatto
nulla per cui Gojyo se ne sarebbe avveduto. Che tacessero tutti, Hakkai, Goku, e lei stessa.
Doveva solo ricacciare indietro quei pensieri per un po’. Sì, solo un po’, poi
sarebbero andati via da soli. Doveva comportarsi come sempre, litigare con
Gojyo, far pace con lui, litigare ancora e far pace di nuovo. Il resto sarebbe
venuto da sé. Le venne improvvisamente in mente qualcosa; corse alla sua
scrivania, e ne trasse fuori un piccolo registratore; prese carta e penna, e
tornò a distendersi sul letto.
La borsa ben stretta in spalla, Shinobu stava correndo per i lunghissimi
corridoi dell’ospedale. Ma che diavolo! E’ possibile che debba sempre
perdermi?
Quel maledetto ospedale era un labirinto. Che ci faceva adesso in pediatria?
…aveva girato almeno tre piani, e non aveva ancora trovato il reparto esatto.
Era tutto più semplice quando si trovava in
radiologia: da lì si sapeva orientare…ma continuando così, avrebbe perso tutto
l’orario visite in cerca della neurologia. Si fermò di scatto: tanto valeva prendere l’ascensore,
tornare alla reception e chiedere meglio…
Affrettò nuovamente il passo: fece per girare il corridoio, ma si scontrò con
qualcuno che aveva appena girato l’angolo nella direzione opposta alla sua.
“Porca miseria! Scusami!”. Sentì una voce che, per un momento, le sembrò
di riconoscere.
Alzò lo sguardo verso quello che risultò essere un ragazzo alto, con capelli castani
e diversi orecchini alle orecchie. Figo, e tatuato
per giunta. Shinobu pensò che potesse essere un musicista.
“Scusami tu”, gli rispose. E senza dubbio aveva un che
di familiare, a parte la voce. Magari era davvero un musicista, e l’aveva visto
suonare da qualche parte.
“Mi dispiace di averti urtato”, ripeté lui, “Ma sono
di fretta e mi sono perso. Di questo passo, prima di trovare il reparto che
cerco se ne andrà l’orario visite…”
Shinobu sorrise di quella coincidenza: “Ti capisco. Sto
vagando da almeno un quarto d’ora…”
“Cerchi la radiologia? Ci sono passato due minuti fa”, chiese lui
indicando il braccio ingessato di Shinobu.
“Per la miseria, no! Ci ho passato l’ultima settimana, e mi rifiuto anche solo
di rimetterci piede! Tu che reparto cerchi?”
“Neurologia”
La ragazza ridacchiò. “Anch’io! Vieni, andiamo a informarci alla reception”.
“Già fatto, e mi hanno detto ‘terzo piano, in fondo’”
“Idem. Ma qui non c’è assolutamente nulla, se non
marmocchi che piangono”, fece lei indicandosi intorno.
In quel momento, passò accanto a loro un medico con varie cartelle in mano. Il
ragazzo le fece cenno di attendere, poi gli si avvicinò.
Shinobu gli sentì chiedere: “Scusi, il reparto di neurologia non è in questo
piano?”
“No. E’ al terzo piano dell’area B, proprio dalla parte opposta della reception”, rispose quello, con l’ovvia voce di chi ha
molto da fare.
“Ci vuole tanto a mettere qualche indicazione in più, o almeno una receptionista che si ricordi di precisare in che area si
trova?”
Il medico gli rispose con un’alzata di spalle indifferente, e si allontanò di
fretta; il ragazzo si voltò nuovamente verso di lei e sorrise. “Forse non
capisce la mia lingua”
Shinobu ridacchiò. “Scherzi a parte, non hai l’accento proprio di Tokyo. Da
dove vieni?”
“Kyoto”
“Bel viaggetto!”, commentò la ragazza, ma non si
sbilanciò chiedendogli il motivo della sua visita. In un ospedale, certe
domande è meglio evitarle.
“Già”, sorrise amichevolmente l’altro. “Vengo a trovare mio fratello”, spiegò. Probabilmente non era un tipo eccessivamente discreto. “Comunque, il mio nome è Jien. Piacere di conoscerti!”, concluse
porgendole la mano.
“Shinobu Ori”, gliela strinse. Molto affabile, di sicuro. Si incamminarono
verso il reparto di neurologia. Si costrinse a non pensare che, entro pochi
minuti, avrebbe visto Gojyo e avrebbe dovuto concentrare ogni sua energia per
comportarsi come sempre.
Gojyo sbadigliò; si girò e rigirò
nel letto, poi si mise più comodo. L’orario visite era
iniziato da quasi venti minuti, ma ancora non si faceva vedere nessuno, nemmeno
Shinobu, che il giorno prima era stata dimessa e gli aveva promesso di venire.
Si girò su un fianco, sorridendo nel trovarsi davanti un’infermiera piuttosto
giovane e carina che stava sistemando il suo comodino. Non trovo nulla di più
divertente da fare che toccarle il fondoschiena. La ragazza proruppe
in un buffo gridolino, irrigidendosi, e, mormorando
qualcosa di poco carino, uscì dalla stanza.
Poche decine di secondi dopo, ne entrò un medico.
Gojyo sbuffò.
“Allora, signor Sha, la vogliamo smettere? Le infermiere si sono stancate di essere
molestate da lei. La prossima volta le assegneremo la
signora Tetsuka, che, dall’alto dei suoi cinquant’anni di esperienza, saprà certamente prendersi
cura di lei molto meglio di quanto lo facciano le ragazze…tra l’altro, non si
vergogna nel fare certe cose davanti la sua mogliettina?”
“Dottore, le dispiace smetterla di dire sciocchezze?”
Shinobu entrò in quel momento nella camera, accigliata. Per l’appunto, la
triste scena davanti la sala operatoria era così celebre, che ormai medici e
infermieri del reparto di neurologia erano, espressamente o
meno, convinti che lei fosse la ragazza di Gojyo, e quelli più scherzosi
facevano valere la loro opinione con battute che credevano divertenti.
“Come va il braccio, signorina Ori?”
“Sempre rotto”
“Via, che se l’è cavata con poco!”, le sorrise il medico, poi, salutandola con
un cenno della cartella che teneva in mano, uscì dalla stanza.
Shinobu attese di sentire i passi del medico che si allontanavano. Guardò fisso
per un paio di secondi il pavimento, poi rialzò il volto con un sorriso.
“Lieta di vedere che ti diverti!”,proruppe, sfilandosi la borsa dalla
spalla. “Ecco qua! Di solito ai malati si porta la frutta, ma ho pensato che
sigarette e saké andassero meglio”. Ne trasse un pacchetto di Hi-Lite e una
lattina di saké, che tenne in mano, indecisa. “Le nascondo dentro il cassetto”
Il volto del ragazzo si illuminò. “Sigarette! Non mi
ricordo più nemmeno che sapore abbiano!”
“Non alzarti finché non ti danno il permesso, chiaro? E non farti beccare”
“Solo tu potresti portare sigarette e saké ad un malato, e poi preoccuparti
della sua salute”
“E solo tu potresti palpare le infermiere per passarti il tempo!”
“Perché ci hai messo tanto?”
“Perché mi sono persa e mi sono ritrovata in pediatria!”
Sentiva un vago chiacchiericcio dietro le sue spalle, proveniente dal corridoio, ma vi
si concentrò solo quando qualcuno aprì la porta della
camera. Ne entrò un’infermiera, che uscì subito dopo
avergli fatto un cenno, e il ragazzo che aveva conosciuto poco prima in
pediatria.
“Ah, sei tu! Hai poi trovato…”. Le parole le morirono in bocca, come se avesse
appena realizzato che 2 + 2 = 4. Si voltò verso Gojyo
e ne ebbe la conferma vedendo l’espressione sul suo
volto.
“Jien…?”
“Gojyo…salve!”
Shinobu rimase qualche secondo con la borsa per aria, incapace di aprire bocca.
Poi, senza una parola né un cenno, si defilò dalla stanza.
“E’ la tua ragazza? Ti sei trovato un tipo tosto.
Molto!”, fece Jien come per introdurre una conversazione, voltandosi verso la porta.
“Taglia corto. Perché appari adesso?”
Shinobu dondolava le gambe avanti e indietro, incredula di aver attraversato
mezzo ospedale al fianco del fratello di Gojyo. Ecco perché
le sembrava di riconoscere sia il timbro di voce, sia le fattezze. A
parte il colore di occhi e capelli, che probabilmente
Gojyo aveva preso dalla madre –magari era occidentale-, la costituzione fisica,
i tratti del volto e l’espressione gioviale avrebbero dovuto farle capire
subito con chi aveva a che fare.
“Shinobu?”
La voce di Hakkai la richiamò alla realtà. L’amico era accompagnato da Gojuin.
“Oh, Hakkai…Gojuin…buon pomeriggio a voi”
“Cosa fai qua fuori?”, chiese Hakkai, ma a Shinobu
parve di capire che già sapesse tutto, e paradossalmente, non solo lui.
“C’è suo fratello dentro”, rispose semplicemente. “Non volevo disturbare”
“L’hai chiamato davvero, allora…”, mormorò Hakkai, ma non a lei.
“Che ci trovi di strano? Pensavi che non lo avvertissi
di quello che è successo?”
“Quello che mi chiedo, è con che diritto si presenti
proprio ora, dopo che…”. Si accorse improvvisamente che stavano estromettendo
Shinobu dal discorso, per cui tacque.
“So tutto. Gojyo me ne ha parlato alcune sere fa”, lo
rassicurò la ragazza. “Ma hai fatto bene ad
interromperti, immagino che non sia una cosa di cui parla volentieri”. Il suo
sguardo saltò da Hakkai a Gojuin. “E tu, come…?”
L’albino si sedette due sedioline di plastica oltre
Shinobu. Sospirò, come se ciò che voleva dire fosse difficile da ammettere.
“Jien è mio cugino. Le nostre madri erano sorelle”
Shinobu aggrottò le sopracciglia a quella rivelazione. “E…perché questo
rapporto di assurda rivalità tra voi due? Cosa…?”
“Gojyo è cresciuto a casa mia, dopo che Jien se n’è andato. Lui sperava
di rifarsi una nuova vita…ma è sempre rimasto in
contatto con me, chiedendomi notizie di suo fratello. Non giudicatelo male”
“Non sapevo che voi due foste rimasti in contatto”, l’interruppe
Hakkai, perplesso.
“Perché allora Gojyo non vive più con voi?”
“Secondo te abbiamo l’aspetto di due persone che possono vivere sotto lo stesso
tetto? Lo ha fatto per alcuni anni, o almeno ci ha provato. Fino ai quattordici
ha abitato con la mia famiglia. Ma credo che si sia
sempre sentito fuori posto…non ha mai accettato di essere stato raccolto dalla
famiglia della stessa donna che l’aveva odiato. Era sempre in contrasto con i
miei…finché non se n’è andato via. E io l’ho imitato
poco tempo dopo. D’altronde, neanch’io provavo molto affetto
verso i miei stessi genitori…”
Shinobu si appoggiò alle ginocchia, senza sapere cosa pensare.
“E come lo vedi ora, era a casa: non parlavamo quasi mai, quelle poche volte
che succedeva la cosa finiva in una lite, a volte in una rissa; lui poi sfogava
la sua rabbia sulle persone fuori, e lo stesso facevo anch’io, come ben sai”.
“Non pensavo che vi conosceste a tal punto”
“Infatti non ci conosciamo quasi per niente. Hai visto
anche tu che, a scuola, ci trattiamo come due perfetti
estranei. Ci trattavamo, almeno”, disse, guardandola
fisso. “Certo, non glidev’essere
andato giù facilmente, il fatto che frequentassi i suoi stessi amici”.
Shinobu comprese all’istante tutte le implicazioni della situazione. Poi, tornando
alla questione principale, la domanda le sorse spontanea. “Che
pensi che voglia fare suo fratello?”
Gojuin scosse la testa. “Non lo so. Al telefono mi ha detto
semplicemente ‘Vengo appena posso’. Ha
spiazzato anche me, ma...”
In quel momento, Jien uscì dalla porta: non era
rimasto poi molto. Si avvicinò ai tre ragazzi. “Ciao, Ryuho. Inutile che ne
parli con te, immagino”. Si rivolse immediatamente alla ragazza. “Scusa, Ori,
posso parlarti un attimo?”
La ragazza annuì e lo seguì, facendo cenno ad Hakkai e
a Gojuin di entrare, non prima che Jien si rivolgesse nuovamente al cugino.
“Ryuho, ho lo Shinkansen alle nove. Ti aspetto giù al
bar, così ci facciamo una chiacchierata, d’accordo?”.
L’albino annuì e seguì Hakkai all’interno della
camera. Jien iniziò subito a frugarsi nelle tasche, da cui trasse un mazzo di
chiavi e un assegno, che le porse. “Dallo a Gojyo. E’ in bianco, non avrà problemi. E
anche queste…capirà presto a che servono. Sono venuto apposta, ma da me non li
accetterebbe mai, e ancora meno da Ryuho…vedi che puoi fare, d’accordo? Credo
che tu sappia tutto: so di non essere stato un
fratello modello, per tantissime ragioni, ma almeno adesso voglio poter fare
qualcosa. Non credo che possa andare a lavorare in questo stato, quindi voglio
fare ciò che posso almeno economicamente"
“Aspetta, aspetta”. Shinobu interruppe la fiumana di parole nervose.
Probabilmente, il colloquio con Gojyo non doveva essere stato dolce. “Credi
davvero che li accetterà da me?”
"Non lo so, ma non so a chi altro rivolgermi. Fammi questo favore...puoi cercare di convincerlo tu?"
Il volto del ragazzo era sincero, pentito.
Shinobu sospirò e annuì. "Vedrò quello che posso fare. Ma non ti assicuro
niente, non sono la sua ragazza, e ben poche volte mi ascolta"
Jien fece un cenno di diniego con la mano, come a dire
che non importava. "Grazie in ogni caso. Arrivederci, Ori…vado ad
aspettare Ryuho giù".
E, così dicendo, si allontanò, lasciandola con gli
oggetti in mano.
Shinobu guardò le chiavi e l’assegno: convincerlo ad accettarli…era una parola.
Li avrebbe certamente tirati dal terzo piano. Gojyo era estremamenteorgoglioso, e per di più non avrebbe accettato che un’estranea
mettesse becco nelle sue faccende di famiglia. Sospirò, e fece per entrare.
“Gojuin, sei stato tu, vero?”, stava dicendo Gojyo.
“Ovvio. Andava avvertito”
“Perché non ti sei fatto i cazzi tuoi?”
“Era un suo diritto saperlo”
“Era un suo diritto anche sparire otto anni fa, quando
avevo appena dieci anni?”. Gojyo si stava infervorando troppo perché non ne
fosse rimasto almeno un po’ turbato.
Gojuin girò sui tacchi e, con un’alzata di spalle, fece
per andarsene. Hakkai, dopo aver salutato Gojyo, ritenendo che non fosse aria, lo seguì.
Si sarebbe defilata volentieri anche lei, ma le cose che aveva in mano pesavano troppo.
“E tu che vuoi? Non vorrai farmi la predica anche tu?”
“No, affatto. Non sono fatti miei, in realtà. Ma, per
quel che può servire, secondo me si sente in colpa e non sa come comportarsi”.
Quanto si sentiva idiota...non sapeva che dire.
“Come facevi a conoscerlo?”
“Vedi di non farti qualche brutto film, eh? Niente
complotti contro la tua persona…Non sapevo chi fosse
finché non è entrato qui. Ci siamo urtati mentre
cercavo il reparto, e dato che c’eravamo persi entrambi, ci siamo presentati”
Gojyo la guardò non troppo convinto. Notò le cose che teneva tra le mani. “Devi
dirmi qualcos’altro?”
Shinobu distolse lo sguardo.
“Ascolta…questi sono da parte sua”, disse avvicinandosi e porgendogli le chiavi
e l’assegno. “Ti prego, accettali…credo che siano un simbolo di
riappacificazione…non so cosa siano le chiavi, ma l’assegno ti sarà utile
adesso che non puoi lavorare…”
Si sentiva estremamente stupida. Lei stessa, nella
situazione del ragazzo, non li avrebbe mai accettati; poteva permettersi una
simile ipocrisia? Altro che riappacificazione...qualunque ragione avesse avuto il fratello per andarsene, non aveva il diritto
di comparire adesso e mostrarsi pietoso.
Gojyo le scostò violentemente la mano, reazione che lei si era aspettata. “Sei
impazzita? Credi che accetterei denaro da una persona che, otto anni fa, mi ha
abbandonato al mio destino?” Aveva ragione. Ma anche quel
ragazzo...avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.
“Si è sempre preoccupato per te…ha sempre chiesto tue notizie a Gojuin! Perché
non puoi dargli l’occasione di dimostrarsi utile?”
“Poteva venire molto prima…per me non significa più niente. Credi che abbia
bisogno della sua elemosina?”
Shinobu sospirò; “D’accordo...neanch’io li avrei accettati. Basta con
l’ipocrisia. Ma non è vero che non lo consideri più
tuo fratello…basti pensare a come tieni alla chitarra che lui ti ha regalato
quand’eri piccolo. Non lo ammetterai mai, ma ti è mancata
la sua presenza”
Gli si avvicinò. Per un attimo temette di ricevere qualche colpo, ma lui non si
mosse né rispose.
“Prendili…”, ripeté ancora. Li posò sul comodino vicino al letto. “Credo che si
farà vedere più spesso, d’ora in poi. Io torno domani, Gojyo…tu pensaci”
E, così dicendo, uscì dalla stanza e lo lasciò solo.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 06/03/08]
Ciao a tutti! Vi è piaciuto il capitolo?
Spero di sì...probabilmente Jien (o meglio, Dokugakuji) apparirà ancora...anche se non ne sono del tutto sicura.
Oddio...ve li immaginate Gojuin e Gojyo che vivono
insieme? Nitroglicerina allo stato puro...
Come abbiamo visto, qualcuno si è finalmente deciso a fare i conti con se
stessa...nel prossimo capitolo, avrà luogo una
discussione tra due testoni, mentre Hakkai parlerà con Shinobu.
Ci avviamo verso la resa dei conti...
Simona
Ps: Grazie ai commenti di Cleo “Makaitenjyo”, Francesca da Napoli, rox_koraen
che mi hanno spedito delle mail; Pois, Ria, Kakashi, Kairi84, Eirinya,
Nasty86 che commentano sempre e mi aiutano molto; la mia nee-chanJastine a cui auguro tutto il bene del mondo!
Ps2. Anche se non c’entra nulla, dedico questo
capitolo alla mia ‘ragazza’ Sylvie (la mia migliore
amica), che oggi compie 18 anni, e al mitico Fede che ne compie 19. Auguri!!!
Una
bambina che cresceva lentamente, davanti ai ‘loro’ occhi.
Una
bambina che era diventata quasi una donna.
Una
donna che, a detta loro, sarebbe rimasta per sempre con l’aspetto di una
diciassettenne.
Le
spalle, doloranti, le tremavano.
Dei
polsi, ormai, aveva perso quasi completamente la
sensibilità.
Poteva sentire l’odore del sangue, del suo sangue,
dell’umidità, del metallo arrugginito.
Della
pioggia.
La
pioggia che cadeva incessantemente fuori, e gocciolava pian piano dalle
infiltrazioni del tetto.
Avere
paura del buio...lei?
No, non
aveva aura del buio. Anzi...
Era il
solo momento della giornata in cui poteva stare tranquilla.
Il rumore delle onde di un ruscello nelle orecchie...mi sono
innamorata del rumore dell'acqua.
Sembra...sembra
che tutti i miei problemi vi si sciolgano dentro.
Sto aspettando lui.
E finalmente il suo volto compare, riflesso tra i cerchi formati dal
cadere dei petali rosa.
...e mi
dimentico del rumore dell'acqua.
Voglio vederla felice. Voglio farla
felice. E' la prima volta che provo qualcosa del genere.
Non posso credere di aver
conosciuto qualcuno che mi prendesse fino a questo
punto.
Ho persino smesso di vedere altre
donne.
E' lei. Non ho mai creduto a queste
cose, ma credo che sia l'unica persona per me.
Adesso conosco la vera bellezza,
superiore a qualsiasi fiore.
Ho trascorso non so dire quanto tempo qui in apatia.
Da quando è arrivata, le giornate
scorrono più in fretta.
Da quando è arrivata, i fiori
sembrano più belli.
Ma alle spalle di dove la luce più
splende, si cela un'altrettanto profonda oscurità.
Qualcosa si sta muovendo, e non
riesco più a controllare la situazione.
Sono esausto. Da quando lui è qui,
sono infinitamente esausto.
Le giornate volano come non mai, la
noia delle scartoffie da bollare è spezzata dalle sue grida.
Non appena sparisce dalla mia
vista, mi sento inquieto. E sento l'irrefrenabile
impulso di andarlo a cercare.
Ho scoperto di poter provare
sentimenti, qui, in questo mondo, io, il cinico per eccellenza.
Voglio proteggerlo. Nessuno dovrà
toccare il mio animale.
Da quando sono qui, ho conosciuto
la vera luce del sole.
Una luce chiara e calda, così
diversa da quella che avvertivo prima.
E' lui. E' il mio sole. E lo sarà per sempre.
Da quando ho visto i suoi capelli
dorati per la prima volta, ho deciso che sarà la mia unica luce.
Non abbandonarmi. Non bruciarmi.
Non lasciarmi al freddo.
Vola come un aquilone senza filo.
Non puoi richiamarla a te. Non puoi
legarla.
Non riuscirò mai
a raggiungerla, posso solo seguirla.
Perché non ha affidato a me il suo primo sorriso?
La voglio...sento
di volere davvero qualcosa, per la prima volta nella mia
vita.
Non sono gli alberi, non sono i
fiori, non sono i petali, non è nemmeno l'acqua.
Questo posto sarebbe come tutti gli
altri, se non ci fosse lui.
Sono riuscito a dirle quello che
provo. Non mi importa se è proibito, non mi importa
quale pena mi sarà inflitta se verremo scoperti.
Me ne pentirò in seguito. Anzi, non
me ne pentirò mai.
Ho preso la mia decisione. Quando i tempi saranno maturi, giocherò a carte scoperte.
Lascerò che sia lui a fare la prima
mossa. Non avrà nessuna delle persone che amo.
'Credi che riuscirai ad essere per sempre il sole di quel ragazzino?'
Giuro che farò di tutto perchè sia
così.
Non mi allontanerò da lui. Non
voglio essere protetto: voglio proteggerlo.
Nessuno oscurerà il mio sole.
Sarò sempre dalla sua parte. Qualunque decisione prenda.
Anche se non l'avrò mai, potrò sempre bearmi dell'illusione di poterle
essere d'aiuto.
Non voglio perdere niente!
“Ma non
posso crederci! E’ forse morto il papa?* O gli alieni hanno invaso la terra? Il
mondo deve proprio aver cominciato a girare al contrario, perché il divino
Genjo Sanzo è venuto a farmi visita!”, proclamò Gojyo alzando le braccia al
cielo, con un sorriso ironico stampato sul volto.
“Tsk! Altro che papa...se vuoi ammazzo te”, esordì Sanzo.
“Dove sono tutti gli altri, genio?”
“Un’altra battuta ironica e ti riapro la testa,
maniaco”
Si scrutarono per un paio di secondi. Poi Gojyo sospirò e sorrise beffardo. “Va
bene, va bene...lasciamo perdere. Dove
sono tutti quanti?”
Sanzo si sedette e si accese una sigaretta. “Non lo so. Mi hai preso per
una segreteria telefonica? Avranno tutti faccende più
importanti da sbrigare che perdere il pomeriggio dietro ad un mezzo
morto come te”
Gojyo aggrottò le sopracciglia. “Tu invece hai tempo da
perdere?”
Sanzo rispose facendo schioccare la lingua contro il palato in quel suo modo
così seccante e affascinante al tempo stesso; Gojyo lo squadrò per un attimo,
mentre quello faceva vagare lo sguardo per la stanza; era un tipo che non si
sarebbe mai fatto piegare da niente e da nessuno, con le palle ben messe al
posto giusto, e la lingua più tagliente che mai. Si chiese come potessero
essere arrivati al punto di sedere vicini in una
stanza d’ospedale, con il carattere totalmente opposto che si ritrovavano.
Beh, di altre persone col carattere diverso ce
n’erano, con cui andava d’accordo: Shinobu, tanto per fare un esempio, anche se
a volte quegli strani lati così diversi tra loro del suo carattere lo
intrigavano, altre volte lo facevano diventare matto; Hakkai, che, placido e
tranquillo (e anche un po’ ipocrita con se stesso e con gli altri), riusciva
sempre a tranquillizzarlo; Goku, seppure in uno strano modo, quel diciottenne
poco cresciuto con cui si azzuffava e si divertiva tanto; e, per finire, anche
se non si poteva proprio parlare di andare d’accordo, c’era Gojuin. Ora, quel
tipo avrebbe preferito levarselo dalle palle il prima possibile,
ma, in fondo, volenti o nolenti, qualcosa li avvicinava sempre: non
c’era nulla da fare. Fino a pochi mesi prima, avrebbe trovato impossibile
persino rivolgergli la parola, dopo i trascorsi. Ma, implicitamente, pareva che
fosse dei loro, anche se non sapeva esattamente cosa significasse. Chissà, magari era la
questione dei sogni.
In ogni caso, pareva che fossero entrambi cresciuti un po’, se riusciva a
trascorrere ore con il cugino di suo fratello senza che si accapigliassero. Più
che altro, pensò, era cambiato l’altro: si era fatto ancor più silenzioso che
in adolescenza, se possibile, e aveva abbandonato quasi del tutto la sua indole
violenta.
Ricordava benissimo le loro liti: Gojuin non era uno che se lo facesse chiedere
due volte, ‘vuoi litigare?’, e non era uno che ci
andasse piano con le mani. Anzi, forse due o tre cicatrici
che aveva addosso gliele aveva fatte lui.
La situazione familiare di Gojuin non era delle più
tranquille, poi. I suoi genitori trattavano Gojyo meglio che potevano,
ma, a quanto aveva capito, forse non era esattamente figlio di entrambi, perché era in continuo
contrasto con il padre.
Da quando se n’era andato di casa, però, probabilmente si era un po’
rasserenato, ed ecco che, se evitavano di rivangare vecchi discorsi, riuscivano
anche a stabilire un rapporto
pacifico.
“Dove sono andati tutti?”, chiese il rosso, trovando alquanto strano che,
improvvisamente, tutti avessero avuto impegni distinti.
“Non lo so e non mi interessa”, rispose seccamente il
biondo.
Gojyo si tirò un po’ su, fissando Sanzo, o meglio, le sue sigarette. Quella
mattina stessa, gli avevano sequestrato quelle che Shinobu gli aveva portato. Sanzo sbuffò, accorgendosi del suo sguardo, e
ne prese una dalla tasca, mettendogliela tra le labbra. Poi gliel’accese,
ovviamente incurante di stare violando la regola principale di qualunque
ospedale.
“Grazie...Sanzo?”, mormorò Gojyo aspirando il fumo a pieni polmoni.
“Che vuoi?”
“Stamattina...mi sono assopito...ho fatto uno strano sogno. Tra
le altre cose, mi ha assalito una voce triste, lamentosa...come di qualcuno
rinchiuso”, sussurrò Gojyo abbassando la voce. “Hai provato qualcosa del
genere?”
Un’espressione perplessa si dipinse sul volto di Sanzo, al che Gojyo fu sicuro
di non essere stato l’unico.
“Non posso credere di dover avere qualcosa in comune come un idiota come te!”
“Rassegnati, bello...ormai siamo legati a livello karmico!”
“Neanche per sogno. A queste cose non ci credo e preferirei morire piuttosto
che avere un simile vincolo con uno come te”
“Mi dispiace per te, ma temo che sia così. E poi...credo proprio che ci avviamo al capolinea, biondino. Spero solo
che non sia un male”, aggiunse pensieroso Gojyo.
“Che potrebbe esserci di male?”, chiese Sanzo spegnendo la sigaretta.
“Per te che hai la scorza dura come il piombo, nulla. Ma
ci sono persone più delicate.”
“Ti riferisci alla mocciosa?”
“Shinobu per un certo verso. Ma anche tu, nonostante quello che ti ho detto
poco fa, e io, e Hakkai, e Goku...non abbiamo i nervi
così saldi. Tutti, credo, abbiamo trascorso vicende
capaci di minare il sistema nervoso di chiunque. Non è forse così? Ripeto,
spero che non sia un male scoprire tutto quanto”, concluse il rosso spegnendo
anche lui la sigaretta, premendola contro il metallo del bordo del letto.
Sanzo incassò il colpo. Effettivamente, tutti loro ce l’avevano
scritto in faccia, almeno per chi sapeva leggervi, che avevano trascorso brutte
esperienze. “Hai qualche idea che ti frulla in testa?”
“Io non parlerei di idee...parlerei di sensazioni, più
che altro. Non ti è mai capitato di osservare qualcosa e di pensare che l’hai già vista molto, molto tempo fa, o di averne vista una
simile? Non ti è mai capitato di fare qualcosa e di pensare che l’hai già fatta? A me ultimamente capita molto spesso. E quasi sempre, capita quando sono con uno di voi. E non sempre le sensazioni che provo nel vedere quel
determinato oggetto, o fare quella determinata azione, sono piacevoli. Tutt’altro. Spesso provo...angoscia, paura di perdere
tutto. E questo non è affatto piacevole. Anche perché io non voglio avere nulla che sia possibile perdere.
E non credo di essere l’unico.”
Sanzo aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito. Una volta tanto, non
poteva dargli torto. A partire da quando aveva visto
gli occhi di Goku per la prima volta, o aveva sentito una voce chiamarlo...
Gojyo, soddisfatto dei dubbi che aveva insinuato nel ragazzo, si grattò la
testa e continuò. “Touchè, vero Sanzo? E non credere che
siamo gli unici. C’è qualcosa, qualcosa dietro, che presto ci sarà
chiara. Gojuin sa molto più di noi, o almeno è quello che crede Shinobu. Ma se
noi non sappiamo ancora nulla, vuol dire che non è il
momento. Credo che ci sia qualcosa che prima dobbiamo
sperimentare...una sensazione nuova, una maturazione interna. Non so di che
cosa si tratti, ma penso che presto ci sarà chiaro
tutto. Shinobu ha già identificato un nome, e così io, e non vedo perché...”
Sanzo lo interruppe. “La botta in testa ti ha fatto
guarire dalla tua incredibile stupidità? Avevo seri dubbi che riuscissi a mettere insieme due pensieri coerenti.”
“Andiamo, Sanzo...”
Il biondo sentì in bocca una sensazione amara e niente affatto piacevole. La
sensazione che le cose sarebbero davvero cambiate
quando tutto sarebbe venuto alla luce; una volta tanto, il rosso aveva
fatto centro, anche se non l’avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso.
“Non mi importa nulla di tutta questa storia, non voglio saperne niente”, si
alzò dalla sedia. “Io me ne vado!”
Quando il ragazzo fu uscito, Gojyo rise sotto i baffi.
“Genjo Sanzo è turbato...ora sì che sono convinto di non essere rincretinito
del tutto…”
“Grazie, ragazzi...ci siete stati
di grande aiuto”, mormorò un agente a Shinobu e gli altri.
“Non c’è di che!”, ricambiò la ragazza. Era la prima volta che trovava tanto
simpatico uno sbirro.
Uscirono tutti dalla centrale, Gojuin, Shinobu, Goku, Hakkai, e due degli amici
di Gojyo.
“Siamo stati fortunati”, proclamò Hakkai soddisfatto.
“Sono più che d’accordo con te!”, approvò Jin. “Mi
dispiace solo di non aver potuto farli fuori”
Shinobu annuì. “In fin dei conti, meglio così. Abbiamo avuto un culo grande quanto una casa: un
paio di tizi della banda se la sono fatta sotto...e, con un tentato omicidio di
mezzo, li comprendo. E così hanno denunciato quei
bastardi. Per fortuna la polizia ha chiamato prima noi di Gojyo, altrimenti...”
“Ed è stata una fortuna ancora più grande il fatto che fossero quelli che tempo
fa ti hanno aggredita, Shinobu!”, fece Goku.
La ragazza annuì ancora. “Li ho riconosciuti subito. Certe facce non si
scordano...vero ragazzi?”, fece rivolgendosi a Jin e Koji, i due amici si Gojyo.
I due annuirono. “Gliene abbiamo date proprio tante, quella volta. Soprattutto
a quello che aveva organizzato tutto...si chiamava Atsu,
vero?”, fece Jin, e Koji
annuì: “...e...Shinobu? Appena scopro che stai
pensando che è colpa tua ne do tante anche a te, d’accordo?”, continuò.
Shinobu incassò il colpo, tacendo. Se un po’ si era liberata del senso di colpa
per via del casco, adesso si sentiva di nuovo bruciare di vergogna, per via del
fatto che Gojyo se li fosse fatti nemici per causa
sua. Poco importava che il rosso, come pure i suoi amici, fosse immerso in
quell’ambiente fino al collo. Il fatto restava.
“La colpa è di Gojyo, Shin-chan.
Crede di essere intoccabile, dovrebbe stare più
attento”, fece Koji incrociando le braccia. “E dovresti stare più attenta anche tu”.
“Via, via”, fece Hakkai. “Ormai è andata. Hanno rischiato grosso, ma
l’importante è che se la siano cavata senza grossi
danni”
“Piuttosto...c’è un’altra cosa che mi preoccupa enormemente”
“Sarebbe, Shinobu?”, chiese Gojuin.
“Il fatto che Sanzo è andato oggi in ospedale da solo”
Seguirono diversi secondi di silenzio, finché Hakkai chiese: “Sanzo? Solo? In
una stanza con Gojyo? Come lo sai?”
“La polizia ha chiamato anche lui, ma credo che abbia qualche problema con le
autorità. Non problemi con la legge, non so se mi spiego...è più una specie di odio ingiustificato. Mi ha detto
che non sarebbe venuto, e io gli ho suggerito, visto che non aveva nulla da fare,
di andare da Gojyo...e di non dirgli niente di dov’eravamo tutti. Se lo
conosco, ci voleva andare da un pezzo da solo, ma non avrebbe voluto dirlo a
nessuno ”
“E credi che sia stata una buona idea mandare la tigre
nella gabbia del leone?”, fece notare argutamente Hakkai alzando l’indice a mo’
di professorino.
“Dai, non sono mica due bambini! Non credo che distruggeranno l’ospedale, no?
Forse riusciranno un po’ a parlare e a capirsi almeno un po’...”
Altri secondi di silenzio.
“D’accordo, scherzavo! Dovrà proprio cadere il cielo,
prima che Sanzo e Gojyo riescano a parlare da persone civili...”
“Ragazzi, noi andiamo!”, fecero Jin
e Koji dirigendosi verso le moto.
“Attenti ai freni!”, scherzò Goku.
“Vado anch’io”, fece Gojuin. Sostò un attimo, indeciso.
“Gojuin, se organizzeremo qualcosa insieme ti chiameremo!”, lo invitò
vivacemente Goku.
Hakkai e Shinobu annuirono, convinti. Nonostante il ragazzo sapesse più di loro
e tenesse tutto per sé, ormai era implicitamente del
gruppo. Qualunque cosa Gojyo avesse potuto dire non sarebbe riuscita a cambiare
la realtà; come se fossero stati scelti uno a uno
tanto tempo prima, si attraevano l’un l’altro: il legame che aveva unito le
infanzie di Gojyo e Gojuin, la convivenza di Sanzo e Goku, l’antica amicizia di
Hakkai e il rosso, il suo rapporto ambiguo con Shinobu. Persino Sanzo e Gojuin,
non essendosi scambiati poi molte parole, sembravano essere
uniti da un implicito legame di non-comunicazione: nessuno dei due parlava, ma
capitava che si scambiassero occhiate non conflittuali, la qual cosa,
conoscendo Sanzo, era molto rara. In realtà, al biondo non
dispiaceva affatto il suo continuo silenzio: almeno in questo, erano
molto simili. Gojuin era l’unico, insieme ad Hakkai,
sul quale Sanzo non avesse proprio niente da ridire: come poteva lamentarsi di
persone dall’intelligenza così sviluppata da saper tenere la bocca chiusa
quando era il caso?
Shinobu, da parte sua, pareva aver accantonato il bacio e l’irritazione che
aveva provato quando il ragazzo non aveva risposto ai suoi interrogativi; ad
Hakkai e Goku tutto sommato era simpatico; a Sanzo non dispiaceva. L’unico che avesse problemi con il ragazzo era Gojyo, ma ultimamente si
era dato una calmata anche lui; forse aveva fiutato nell’aria che, qualunque
cosa avesse detto, ormai Gojuin era uno di loro, a partire dal fatto che gli
stessi sogni lo legavano all’allegra combriccola.
“Sì, Gojuin...sta’ sicuro che ti chiameremo. Domani ci vediamo
tutti in mensa?”, rincarò la dose Shinobu.
Il ragazzo li squadrò tutti e tre incerto sul da farsi. Si stava
forse...integrando in un gruppo? Impossibile. Io, in un gruppo. Per di più, quello di Gojyo?
No...ciò che mi lega a loro...sono l’unico ad esserne a conoscenza, per adesso.
Sento di farne parte.
Qualunque cosa faccia, un’attrazione irresistibile mi
lega a loro, che hanno condiviso la mia stessa sorte così tanti anni fa.
Sembra assurdo...ma è vero. Che sia arrivato il momento di mettere da parte il mio
orgoglio e il mio atteggiamento discostante per... “D’accordo. Ci vediamo domani”, mormorò senza cambiare espressione.
E si allontanò.
“Hakkai, che ore sono?”, chiese Shinobu accorgendosi di aver dimenticato a casa
l’orologio, che portava sempre sulla destra.
“Le sette e un quarto, perché?”
“Oddio, com’è tardi! Vado a preparare la cena e poi scappo subito al lavoro! Ci
vediamo domani!”, esclamò Goku correndo via.
La ragazza tacque per un attimo. “Dovrei
andare da Gojyo. Per la faccenda del fratello, sai”
“Già. Pensi che accetterà l’aiuto?”
“Non credo. Però ho accettato di mettermi in mezzo,
quindi vorrei sapere come finisce questa storia”
Notò che Hakkai era distratto. Richiamò la sua attenzione prendendogli un lembo
della manica e tirandolo leggermente. “Perché non dici
nulla? Ho fatto male?”
“No, non è questo. Jien ha fatto bene a darli a te. Se
li prenderà dalle mani di qualcuno, saranno le tue”
“Seh, sicuramente. Io credo che l’unico motivo per cui ieri non mi ha gridato di farmi i cazzi miei sia stato che mi sono defilata dalla stanza
prima che si riprendesse abbastanza da farlo”
“Shinobu”, fece Hakkai, giulivo. “Quanti credi che sappiano della famiglia di
Gojyo?”
“Beh…tu, Gojuin, e…”
“E nessun altro”
Shinobu tacque. “E con ciò?”
“E con ciò io, al tuo posto, inizierei a guardarmi intorno senza ipocrisie né paranoie”.
Fece capolino la parte di Hakkai senza peli sulla lingua.
“Che vuoi dire?”
“Mi hai capito perfettamente. Poi sono fatti vostri…”
Shinobu si fermò. “Hakkai, tu dai troppo per
scontati gli ingranaggi cognitivi di Gojyo. Non è che solo perché io…”
“Tu cosa?”
Shinobu rifiutò il contatto con il suo sguardo. “Io
niente, vado in ospedale”
“Complimenti per la velocità con cui te ne sei accorta”, sentenziò Hakkai.
A quelle parole, Shinobu voltò la testa e lo fissò a lungo. “Hai finito con il
sarcasmo gratuito? Non vedo il motivo per cui dovrei
fare la figura della fessa. Si vede lontano un miglio che Gojyo non è
interessato a me, né a nessun’altra. Non ho proprio la voglia, ammesso e
concesso che provi una qualche attrattiva di tipo sessuale verso di me, di
essere una delle sgualdrine che si porta a letto, non ho
voglia di rovinare il nostro rapporto, qualunque esso sia, per una fantasia da adolescentina. Non voglio che sappia niente, anzi, scordati
di tutto anche tu”
“Dimenticherò tutto, se vuoi...ma la cosa più intelligente che puoi fare è
parlargliene. Così andrà a finire che ti vergognerai persino nel guardarlo in
faccia, ottenendo che il vostro rapporto
si deteriorerà ugualmente. E’ questo che vuoi? Credi di essere il tipo da ‘faccio finta di niente’?”
“Devo”, rispose Shinobu, riservando ad Hakkai uno degli sguardi più battaglieri
che le riuscissero. “Quel che ho adesso è tanto. Mi deve bastare” Già. Voglio che tutto continui così.
Hakkai sbuffò, spostandosi il ciuffo da davanti gli occhi e aggiustandosi gli
occhiali. “Parlagli, Shinobu. Non oggi, non in ospedale, ma parlagli”
La ragazza tacque. “Non voglio”, disse infine. E si allontanò.
Shinobu bussò alla porta dell’ospedale, o meglio, ci provò. Perché quando ebbe alzato il pugno per picchiare sul
legno plastificato, la porta si aprì di scatto, mettendole davanti un Sanzo il
cui volto era tutto meno che propenso ad ascoltare una battutina da parte sua
senza alzarle davvero le mani.
“Ciao, Sanzo”, si limitò a salutarlo, resistendo alla tentazione di infilare
suddetta battutina in mezzo alle due parole che aveva detto.
Il biondo non rispose e si allontanò velocemente. Questa volta Hakkai ha torto. Tutto rimarrà come prima. “Ciao, pervertito maniaco palpa...”, esclamò
Shinobu entrando e accorgendosi rapidamente che non era aria nemmeno quel
giorno.
Il ragazzo non rispose nulla, ma sbuffò, innervosito.
La ragazza represse immediatamente tutta l’ironia accumulata. Sospirò. Quando
il rosso alzò lo sguardo verso di lei, meccanicamente lo
distolse.
“Avete fatto qualcosa tutti insieme, oggi?”
“Sì!”, scherzò Shinobu, “Approfittando della mancanza della tua ingombrante
presenza, siamo andati ad un parco di divertimenti, al cinema, al circo, al
mare, in montagna, al lago, poi a bere insieme, e...”
Scrutò per un attimo il viso di Gojyo. D’accordo, non è aria.
“Ci ha chiamato la polizia”, ammise finalmente.
“Cosa cosacosa? Che è successo?”
“Hanno preso i tizi che hanno sabotato la moto”, rispose lei con una punta di
timore nella voce: avrebbe potuto espellere tutto il nervosismo che gli leggeva
negli occhi verso di lei, in quel momento.
“E perché non mi ha chiamato nessuno?”
“E che avresti fatto se ti avessero chiamato?”
Gojyo non rispose.
“Te lo dico io: avresti organizzato una delle tue...spedizioni punitive, o ci
saresti andato tu di persona sulla sedia a rotelle, trascinandoti dietro il carrellino della flebo e le tue belle pilloline” Forse ho esagerato un tantino...sarà nervoso come una tigre in
gabbia, per dover stare chiuso qui. Per fortuna, le parve che il rosso si trattenne,
almeno un po’.
“Sei venuta per litigare, Shinobu? Non è giornata” Come se non me ne fossi accorta...l’aria qui dentro dev’essersi
appesantita durante la discussione con Sanzo.
“Scusami. Non credere che non capisca come ti senti, bloccato
qui. Ma se gli sbirri hanno mai fatto qualcosa
d’intelligente, l’hanno fatta oggi chiamando prima noi tutti”
Gojyo non rispose. “E chi erano? Li conoscevi?”
La ragazza annuì, sentendosi a disagio. “Erano...i tipi che mi hanno aggredita e che tu e gli altri avete pestato a sangue”
Il rosso si lasciò scivolare sul cuscino, spossato. “Come li hanno presi?”
“Non tutti hanno le palle sode; c’è sempre qualcuno che se la fa sotto, quando
il gioco si fa duro, e lo sai meglio di me. Il gioco
si era fatto più duro del previsto: addirittura un tentato omicidio. Hanno
rischiato di far ammazzare due persone, per non parlare del conducente
dell’auto che ha riportato una commozione celebrale”, sospirò
Shinobu.
Il rosso non rispose; Shinobu si sedette in un angolo del letto. “Io, Jin e Koji li abbiamo riconosciuti
subito, e li hanno arrestati. Presto verranno a
parlare anche con te, quindi non era necessario che
venissi a raccontartelo io: sono venuta per parlarti d’altro”
Gojyo si portò le braccia dietro la testa. “Avanti, sentiamo che altro c’è”
Shinobu abbassò la testa. “Mi dispiace”
“E per che cosa?”
“Per ieri: quando è venuto tuo fratello...io non ho
pensato minimamente a come dovessi sentirti; mi aveva chiesto il favore di
convincerti ad accettare i soldi e le chiavi, ma non credevo nemmeno io a tutte
le belle parole che ti ho detto. Mi dispiace di essermi immischiata in affari
che non mi riguardano...è un argomento troppo delicato perché possa prenderne
parte” Tacque, aspettando la risposta dell’altro.
Sentì che Gojyo si lasciava sfuggire uno sbuffo,
questa volta divertito. “Tutta questa serietà per una sciocchezza? Credevo chissà
cosa...”
Shinobu strinse le labbra, e si fregò le mani tra loro; ora stava per porre la
domanda più spinosa che poteva porre in quel momento, posto che fossero affari
suoi, e non lo erano. “Hai deciso di accettare l’aiuto di tuo fratello, Gojyo?”
Il rosso la guardò per un attimo, poi sbuffò. “Sì”,
ammise, “Ma gli restituirò tutto fino all’ultimo yen, quando ci rivedremo” ‘Quando ci rivedremo’? Shinobu
sorrise, sollevata: riusciva ad intravedere una piccola speranza alla fine del
tunnel.
“E mi farò dimettere presto, dovessi palpare ogni infermiera dell’ospedale per
farmi cacciare via”
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 06/03/08]
La sua pallosa vita da studentessa stava per ricominciare.
Se canno gli esami di questo mese mia madre mi
ammazza...le ho fatto prendere un colpo tale con l’incidente, che ho dovuto
prometterle di darmi una calmata e di iniziare a studiare seriamente...
Con il braccio rotto al collo (- Mamma, ti ho già detto che così fa troppo vittima! –E
allora? Non credo che finora ti sia mai fermata a chiederti quello che gli
altri pensano di te! – Ma dai, lo lascio pendere così,
che si nota di meno! – Certo, così lo vai a sbattere a destra e a manca come
due giorni fa entrando a casa...il gesso è già incrinato! -), si decise,
per una volta in perfetto orario, a scendere di casa ( - Shinobu, ti accompagno io a scuola? – Sì certo, ci manca solo la
scorta, mamma! Non capisci che devo risultare
trasparente?-). Ma quando fu scesa, la sagoma
familiare di Hakkai la salutò.
“Ciao, Shinobu, tutto bene?”
“Ciao, Hakkai, come mai qui?”
Shinobu si scostò le ciocche dal viso; ormai i capelli
erano così lunghi che i ciuffi di davanti, scalati perché non dessero fastidio,
le cadevano continuamente davanti gli occhi. Il ragazzo
sorrise. “Ho pensato di venirti a prendere. Andiamo a scuola insieme”
“Di’, ti sei messo d’accordo con
mia madre? Guarda che sto benissimo...”
Ma lui non la stette a sentire e
le tolse la cartella dalle mani. “Questa te la porto io”
“Ma Hakkai! Non sono reduce
dall’esplosione della bomba H!”
Il ragazzo scosse la testa dando a
intendere che non voleva sentire ragioni, e per tutta risposta s’incamminò,
seguito dall’altra.
“Allora?”, le fece il ragazzo.
“Allora cosa?”
“Non hai detto niente a Gojyo, vero?”
La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Hakkai...no, basta,
non ho intenzione di sprecare altro fiato. Non capisco di che cosa tu stia parlando”, tagliò corto.
Il ragazzo ridacchiò e tacque. Testarda come al solito, fino allo sfinimento. Cambiò discorso. “A
proposito...se ti serve aiuto per rimetterti in pari con lo studio, sarò ben
felice di poterti dare una mano”
Ottimo! Con uno come Hakkai... “Piuttosto, Hakkai-kun...”
Il moro socchiuse gli occhi; dove
voleva andare a parare?
“So per quasi certo che le domande del test di ogni anno sono quelle già usate l’anno precedente...non
avresti una copia del compito dell’anno passato di questo mese, vero?”, disse,
con lo sguardo rivolto verso l’altro e un sorrisino innocente sul volto.
Ah, ecco. “Spiacente...in
realtà è molto probabile che ce l’abbia, ma non ho
intenzione di aiutarti a barare ai test”
No no
no...cavolo...dannazione...dovevo proprio avere a che
fare col secchione più serio di tutta la scuola?
Shinobu assunse la faccina da angioletto.
“Tipregotipregotipregotiprego...”
Hakkai fece invece un’espressione imbarazzata: “No, no e
no. Ti aiuto a studiare, ma non a copiare”
“Ma non è copiare! Sarebbe
copiare se avessi il foglio davanti durante l’esame...così invece saprò semplicemente in anticipo le risposte...e questo non è
mica copiare!”
Hakkai sbuffò. In fondo, la carriera scolastica della
ragazza non era di sua responsabilità...se avesse potuto aiutarla in questo
modo, l’avrebbe fatto. “E va
bene...ma solo per questa volta. E me ne devi una.”
Evvai! Alla
grandissima! Esame superato! Ho corrotto lo studente più serio della
scuola...chissà la prof di lettere quante me ne direbbe se lo sapesse...
“Piuttosto, parlando d’altro...credo che verrò a prenderti anche all’uscita. Ah, ti accompagno anche
in classe”
“Che ne pensi di seguirmi anche
in bagno?”, chiese Shinobu con una punta di polemica.
Hakkai sbuffò, spazientito. “Come pensi che prenderanno il
tuo rientro a scuola le ragazze che ti infastidiscono?”
Shinobu tacque per un attimo, pensierosa. “Non me ne sono
mai preoccupata, perché dovrei farlo adesso?”
“Primo, perché sei più coinvolta nella faccenda che mai.
Secondo, perché non sei in condizioni fisiche tali da poterti difendere come al solito”
La ragazza sospirò. “Uff, Hakkai...non fare il paranoico!
Più che dirmi ‘brutta puttana! Sei stata tu a fare quasi ammazzare il povero
piccolo Gojyo’ non possono fare...”. Mimò la voce di una ragazzina alla
perfezione.
Il moro però non rise. “Io credo di sì...ti ricordo le
varie aggressioni...”
“Ma come? Credi che attaccheranno
una povera piccola ragazza indifesa e convalescente?”
L’altro annuì. “Sicuro”
Svoltarono l’angolo, e la scuola apparve ai loro occhi.
“Ciao, Cho!”, fece un ragazzo correndo verso di loro. “Sai
che oggi c’è comitato, no? Vogliono parlare con tutti i vari rappresentanti
delle classi per decidere riguardo alle nuove attività del club di...”, non terminò la frase, quando i suoi occhi si furono posati su
Shinobu.
“Ciao!”, fece il ragazzo. “Come va il braccio? E come sta Sha?”
E questo chi è? Ci conosciamo? Spero che non venga mezza scuola sconosciuta a farmi le stesse
domande. “Tutto bene, grazie. Gojyo si riprenderà presto”. Per scrostarmi le persone di dosso è meglio
rispondere con le solite frasi fatte.
Il ragazzo fece un cenno del capo e sparì.
Quando furono entrati nel
cancello della scuola, Shinobu senza alcuna sorpresa si sentì alquanto
osservata e additata. Chi ridacchiava, chi mormorava qualcosa all’orecchio di qualcun altro...tutte reazioni che si era aspettata.
Hakkai si guardò un po’ intorno e, con un sorriso sornione
stampato sul volto, le mise una mano sulla spalla.
“Hakkai, vuoi aiutarmi o precipitarmi?”
Il ragazzo ridacchiò. “Diamo modo loro di sparlare per
qualcos’altro, no?”
Shinobu sospirò. “E va bene...andiamo in classe...”
Salirono le scale del primo piano, non senza un po’ di
fatica da parte della ragazza, e si avviarono per il corridoio, insieme agli
ultimi ritardatari.
Hakkai fece scorrere la porta in
legno.
Non appena furono apparsi in classe, piombò il silenzio
più assoluto: tutti avevano interrotto le loro attività per guardare i due.
“Sorridi per il servizio fotografico, Shinobu!”, sussurrò
Hakkai divertito.
“Veramente preferirei defilarmi...”, mormorò a denti stretti
Shinobu.
In quel momento, anche la professoressa, guarda caso quella di lettere, si presentò in classe. Si
accorse immediatamente della presenza di Shinobu e di Hakkai.
“Buongiorno, Ori! Cho, devi aver sbagliato classe, perché
la tua è quella accanto...”, fece la donna con un
sorriso ebete stampato sul volto e una voce che sarebbe dovuta sembrare
divertente.
“Oh, no, professoressa”, rispose Hakkai abbozzando un
mezzo inchino, “Sono venuto ad accompagnare la signorina Ori, ancora debilitata
per l’incidente”, e così dicendo posò la sua cartella sul banco. “Vado subito
via”
Diede un’affettuosa pacca in testa a Shinobu e uscì.
Il silenzio assoluto della classe non si dissolse finché
non fu di nuovo lei a parlare.
“Bentornata, Ori. Spero che tu ti
dia una bella regolata, d’ora in poi, e che lasci perdere certe persone”
Fico! Sono in classe
da cinque minuti e non ha perso tempo per tornare a fare i suoi discorsi del
cazzo! “Bè, professoressa...quanto allo studio, conto di
mettermi sotto presto e bene. Ma credo che un
certo mio amico avrà più bisogno che mai di me, quando sarà dimesso
dall’ospedale, non avendo nessun parente in casa...”, disse con un ampio
sorriso sul volto.
“Oh, bè...credo che in fondo tu abbia ragione. Ringrazia Cho per il suo aiuto...è bene anche avere persone affidabili su cui contare”
“Senz’altro, professoressa” Su questo ha ragione: un amico come Hakkai non lo troverò nemmeno tra
un milione di anni.
“Bene, ragazzi...”, disse la donna andando a sedersi alla
cattedra. “Riprendiamo da dov’eravamo arrivati. Ori,
se non capisci qualcosa, interrompimi e fallo
presente. D’altronde, non è nemmeno
colpa tua se sei rimasta assente così tanto tempo...”
La campana della pausa pranzo suonò; Shinobu non aveva
avuto particolari problemi a seguire le lezioni, d’altronde una settimana di
studio si recupera in fretta. Quello che avrebbe avuto più bisogno di aiuto di tutti sarebbe stato Gojyo...ma solo perché lui,
di studio, non voleva proprio saperne; andava a scuola solo perché non voleva ridursi a fare
l’aiuto-meccanico per tutta la vita.
Shinobu raccolse tutte le sue cose nella cartella e si
alzò dal banco per raggiungere Hakkai, Gojuin e Sanzo in mensa.
“Scusa, Ori, posso parlarti un
momento?”
La ragazza alzò gli occhi. “Misao...ciao. Certo, quanto vuoi!”
Aveva già dimenticato il tiro mancino che le aveva giocato andando a raccontare a Maki che aveva baciato Gojuin
in infermeria. Né la ragazza sembrava volergliene
ancora per quel bacio.
Tutte le ragazze interruppero le loro chiacchiere per
ascoltare discretamente la conversazione.
“Volevo solo chiederti informazioni
sulla tua salute...ti sei ripresa?”
“Certamente! Tra tre settimane
potrò togliere il gesso...e allora sarà un sollievo”
“Ah, bene...e Sha? Come sta?”
Shinobu sorrise e annuì. “Benissimo, o, almeno, meglio di
quanto non si pensi. L’ho visto fino a ieri...Non
sopporta di stare in ospedale, ma fisicamente non credo che abbia problemi”
“Dev’essere stata dura, eh?”, chiese la ragazza con un
sorriso triste.
Chissà quante si sono augurate che mi succedesse qualcosa del genere...la tua
cara amica Maki è la prima di queste...e vieni a chiedermi se è stata dura?
Shinobu scosse la testa. “Adesso è tutto a posto”
Misao annuì. Un paio di altre
ragazze le si avvicinarono. “Shinobu, pensi che potremo entrare in ospedale per
visitare Gojyo?”, chiese una.
“Per la verità, temo di no. E’ così famoso che molte
persone sono andate là a fare casino per
entrare...soprattutto ragazze, ma anche i motociclisti della sua banda. Fanno
entrare solo me, per miracolo, dato che mi
sparerebbero volentieri a vista dopo tutto il casino che ho fatto quando ero
ricoverata...e poi Hakkai, Sanzo, Go...juin e basta”. Si ricordò alla fine di
non nominare Goku, non quando era a scuola: finché le acque non si sarebbero
del tutto calmate, cosa che sperava sarebbe accaduta dopo le
vacanze estive, dato che il suo patrigno aveva ritirato la denuncia di
scomparsa e non si era fatto più vedere, avrebbe dovuto scordarsi del suo nome.
Anzi, devo ricordare a quell’incosciente
di non farsi vedere così spesso in ospedale. Qualche ragazza potrebbe
riconoscerlo.
“E ha riportato qualche segno
permanente?”, chiese un’altra.
“Non credo proprio. Ha le palle sode”
“Shinobu? Tutto bene?”
Era Hakkai, che faceva capolino dalla porta della classe.
Meno male, è tutto a
posto. Mi ero preoccupato per nulla.
“Ah, Hakkai! Sì, sto venendo...” Grazie grazie grazie...Hakkai un giorno ti sposerò,
lo sai?, salutò con un cenno del capo le compagne e si mosse verso la
porta.
“Stavo iniziando a preoccuparmi che ti fosse successo
qualcosa...”, mormorò Hakkai allontanandosi con la ragazza. “Quindi
sono risalito a cercarti. Com’è andata?”
“Meglio di quanto osassi sperare. Mi hanno addirittura
chiesto notizie sulla mia salute...dio che melensaggini...”, rabbrividì
al pensiero che simili scenette ipocrite si sarebbero ripetute a lungo.
Una ragazza, guardando allontanare i due, si avvicinò a
Misao. “Che ne pensi?”, le chiese.
La ragazza sospirò. “Credo che Maki abbia fallito su tutta
la linea”, rispose lei, pensierosa. “E anche tutte le
altre, farebbero meglio a mettere il cuore in pace: lei è così, e basta. Non
cerca di mettersi in mostra in alcun modo, ed è per questo che tutti loro le si sono avvicinati così spontaneamente...ed è per questo
che esercita un certo fascino su tutti. Anche sulle
ragazze che continuano a maltrattarla”
“Dunque, signor Sha...non ha nessun parente, o comunque un adulto che possa prendersi cura di lei?”
Il medico gli stava facendo un terzo grado alquanto
seccante. Gojyo lo guardò come per dire ‘che cosa vorrebbe
insinuare?’.
Comunque scosse la testa. “No.
Non ho parenti qui, tutti lontani”. Si riferiva a Jien, che naturalmente era
ripartito. Ogni tanto gli telefonava, si faceva
sentire piuttosto spesso. Gli parlava per una decina di minuti della sua vita, si informava sulla sua salute, poi riattaccava.
Il medico sospirò. “Bè, se mi dice così, non posso proprio
dimetterla prima di un paio di settimane. Come minimo”
“Cosa?”, sbottò Gojyo. “E perché diavolo non può?”
“Si calmi e ragioni. E’ rimasto in coma per minuti. E’
stato seriamente in pericolo di vita, e il suo cuore non ha retto per alcuni
secondi. Si è quasi spappolato la testa, e rotto due costole, in più ha
riportato numerose ferite non gravi. Ora, non ha riportato lesioni conseguenti
alla grave commozione cerebrale, ma potrebbero verificarsi casi di...”
“Non ha importanza. Tagli corto e si spieghi”
Il medico sbuffò. “Le sto dicendo che lei non ha nessuno
che la riporti qui di corsa in caso di svenimenti, giramenti di testa,
controindicazioni ai farmaci, paralisi temporanee e non, conseguenti al danno
al cervello. Le sto dicendo che un giorno i suoi amici, o la sua mogliettina,
potrebbero arrivare in casa sua e trovarla morto per terra. Rimarrà
qui due settimane in osservazione, e poi potrà tornarsene a casa e
rischiare la sua vita. Ma intanto io avrò adempiuto al
mio dovere di medico”
Gojyo alzò gli occhi al cielo, toccandosi una parte del
corpo ben nota al pensiero di Shinobu o Hakkai che aprono
la porta di casa sua e lo trovano morto per terra. Niente da fare. Tra l’altro
era anche minorenne, non poteva nemmeno firmare e uscire.
“Si dia una calmata, Sha. Lei si rimetta in forze, e io la
dimetto. Il prima possibile: è una promessa. Anch’io capisco che un bel ragazzo nel fiore dell’età come
lei non voglia passare un mese della sua vita chiuso qui, ma è inevitabile.
Arrivederci”
E il medico se ne andò.
Idiota. Parla come
se mi conoscesse.
“Oh, andiamo, Gojyo, sono solo
due settimane!”
La voce, al telefono, trillava come non mai, tanto che lo
fece quasi irritare.
“Dici questo solo perché tu, bel bella,
in una settimana ne sei uscita tranquillamente”
“Senti bello, sono messa che studio come una pazza da
quando, la settimana scorsa, sono tornata a scuola! E non passa giorno che una
trentina di ragazzi/e non mi chiedano che fine hai
fatto”
“Comunque...per il 30 maggio
dovrei essere fuori”
“Hai visto? Almeno ti hanno dato una data, così se non la
rispettano puoi protestare”
“Ciao Gojyo!”, s’insinuò una voce nella chiamata. “Come
stai?”
“Hakkai? Sei con Shinobu?”
“Sì. La sto aiutando a studiare. O meglio, a copiare le
risposte del test di metà maggio dello scorso anno...”
“Mica scema! Per fortuna io il test me lo salto... andrebbe uno schifo sicuramente”
“Appena uscirai, ti aiuterò io a recuperare...”
“Va bene Hakkai...grazie”
Sentì un rumore di passi. Probabilmente, il ragazzo stava
portando il telefono in un’altra stanza.
“Gojyo...non ci sente nessuno. Come stai,
psicologicamente?”
“Una merda. Voglio uscire da qui”
“Lo supponevo, ma non intendevo quello. Hai fatto
chiarezza?”
“Diamine, Hakkai, come se fosse facile! Credi che sia come
rovistare nel computer e selezionare una cartella dove leggere la risposta
esatta?”
“E perché non ne parli con lei?”
“Perché prima devo parlarne a me
stesso. E poi, cosa non insignificante, come fai a sapere che
non ci rimetterò la faccia in entrambi i sensi?”
“Non posso saperlo, infatti. Devi rischiare tu”
Chi sarà il più
stupido dei due?Se la giocano terribilmente. Hanno la testa più dura del
piombo.
Gojyo sbuffò. Non poteva sopportarlo quando faceva il
professorino. “Chiudo qui, non ho la scheda a credito
illimitato!”
“Ciao!”
Sentì dei passi correre nella stanza, e la voce di
Shinobu. “Ah, sta chiudendo? Ciao Ginger, ci vediamo domani all’orario
visite...”
“Ciao, Shinobu...”
Continua...
Eccoci qui...la calma piatta è
finita con questo capitolo...il prossimo sarà alquanto interessante per lo
svolgimento della storia: Gojyo finalmente sarà dimesso e gli amici gli faranno
una bella festicciola a casa, si verrà a sapere qualcosa di più su come Hakkai
e Shinobu si sono conosciuti...e...?
Basta spoilerare! Vediamo...ho calcolato che i capitoli
della ff in tutto saranno poco più di trenta. Perciò preparerò me stessa e tutti alla fine, gradualmente...
Jin fermò la moto davanti il portone. Hakkai si chiese se Gojyo sarebbe
stato in grado di scendere, ma prima che potesse avvicinarglisi, il rosso saltò
giù agilmente, e poi si sfilò il casco. Teneva il borsone in spalla. Non ho parole. L’ultima cosa che gli ha raccomandato il medico è stata di
non sforzare le costole. Le carte di dimissione le aveva firmate il padre di Gojuin, tutore legale
di Gojyo. Lui e la moglie erano stati a trovarlo un paio di volte, mentre era
ricoverato, e gli erano sembrati sinceramente preoccupati. Hakkai pensò che
dovevano essere due brave persone, ma non avevano mai fatto i conti con i
disagi di Gojyo, che si era trovato ad abitare con i parenti della madre
adottiva che aveva tentato di ucciderlo. La coppia gli aveva caldamente
proposto di andare a stare da loro per qualche giorno, ma Gojyo aveva
categoricamente rifiutato. Gojuin li aveva salutati appena, invece. Mio
padre è così, si diverte a dispensare carità, gli aveva detto una volta
Gojuin. Gojyo non era figlio suo, e nemmeno io, in realtà. Non c’è
possibilità di errore, lui non può averne. Ma in quella famiglia tutti fingono
di vivere nel paese delle meraviglie: mia madre non poteva permettersi un
divorzio e suo marito non le ha permesso di abortire. In fin dei conti, lui di
figli non avrebbe mai potuto averne, quindi è stata un po’ un’adozione. Gojyo e
io non siamo tanti diversi: non amiamo la carità. Mia madre ha insistito per
tenerlo in casa: avendo tradito anche lei, provava pena per quel bambino che la
sorella aveva tentato di uccidere. Mio padre non si è opposto.
“Gojyo, vedi di non agitare troppo quel borsone”, borbottò Shinobu, appoggiata
al portone. “Se ti si rispaccano le costole, ti toccano altre due settimane in
ospedale”
Gojyo esibì un sorriso a trentadue denti. “Non sottovalutare la mia forma
fisica, ragazzina! Potrei usarti per far sollevamento pesi”
“Più che altro, penso che vorrai tornar presto a dedicarti alle flessioni sul
materasso, giusto?”
Hakkai sbarrò gli occhi, stupito e divertito, dato che il rimbecco era venuto
da Goku. Shinobu si accasciò sul marciapiede, ridendo, mentre Gojyo minacciava
Goku con il borsone. “Ti mancavano proprio le legnate, allora, scimmia? Sanzo,
dovresti educare un po’ meglio il tuo animale domestico”
“E’ stata la cosa più sensata che gli abbia sentito dire nell’ultimo mese”,
ribatté sdegnosamente il biondo. Hakkai considerò argutamente che non si era
fatto pregare eccessivamente, per venire.
“Se iniziate a far così prima ancora che tiri fuori la birra, non oso
immaginare il seguito”, s’intromise Koji, slegando la cassa di birre dal
bauletto della moto.
Il gruppetto, a cui si era unito anche Gojuin, si trasferì dalla strada nella
saletta dell’appartamentino di Gojyo. Si stava un po’ stretti, ma non importava:
Hakkai si rese conto che molti di loro, nella breve vita che gli era toccata,
non avevano sperimentato un simile calore molto spesso. Alla categoria
apparteneva anche lui. In quel momento non si stava festeggiando Gojyo, ma la
vita stessa.
“Questa casa è troppo pulita e ordinata. Chi ci ha pensato?”
“Io e Shinobu”, gli rispose Hakkai. “Ah, tranquillo, non abbiamo buttato nulla,
a parte il cibo andato a male nel frigo.”
“Considerati onorato”, s’intromise la ragazza. “Non capita spesso che mi metta
a fare le pulizie, specie in un appartamento tanto schifido”
Ognuno aveva la sua birra alle labbra, escluso Goku che non era abituato a
bere. E ognuno aveva trovato una propria sistemazione nella stanza: Shinobu,
con il braccio ingessato penzoloni dietro la schiena, stava raccontando
qualcosa di divertente a Koji e Jin, che sghignazzavano lanciando ogni tanto
uno sguardo a Gojyo, il quale si accapigliava con Goku riguardo a un certo
ultimo dango rimasto nella confezione. Hakkai sedeva nel divanetto, con
Gojuin da un lato e dall’altro Sanzo, il quale fumava silenziosamente. A tratti
scambiavano qualche parola.
La sua attenzione, principalmente, era concentrata su Gojuin. Non avevano avuto
molte occasioni di parlare seriamente, eppure gli premeva sapere se anche lui
fosse, in un certo modo, collegato ai sogni. Shinobu aveva assicurato che sì,
aveva fatto precisi riferimenti, ma non aveva voluto raccontare nulla. Ha praticamente detto che non è il momento. Che c’è un tempo per tutto e per
tutti. Ma sono sicura che abbia riconosciuto il nome di Shioka. E mi ha chiesto
se avessi…ricordato. Non ho chiesto altro, e non penso che ne avrebbe parlato
in nessun caso. Ma io so che è così, Hakkai. Ne sono sicura. Lui c’era. In quel
posto e in quel tempo, lui c’era. Hakkai ricordò le parole di Shinobu. E ne era quasi certo anche lui. Di
qualunque cosa si trattasse, Gojuin ne faceva parte. Si guardò intorno,
accertandosi che nessuno degli altri stesse ascoltando.
“Shinobu è certa che, di quella storia, tu ne sappia più di noi, Gojuin.
E io sono d’accordo con lei, sebbene noi due non ne abbiamo mai discusso”
Gojuin volse la testa verso di lui. Aggrottò la fronte, come se stesse
riflettendo, ma il suo sguardo distante non cambiò. “Pensavo che avesse smesso
di interrogarsi”
“Cerca di andare avanti senza pensarci, come un po’ tutti noialtri. Ma ogni
tanto arriva qualche deja-vu…e la mente vi ritorna senza posa. Personalmente
farei volentieri a meno di dar peso a tutta questa faccenda. Sono solamente
sogni, in fondo. Se anche ci fosse un motivo per cui sembrano essere collegati
tra loro, non mi preoccuperei di scoprirlo. Ma ogni tanto penso che un giorno
scopriremo qualcosa che non ci piacerà poi tanto. E mi chiedo se noi tutti
potremo ignorarla”
Sanzo si mosse sul divano, accanto a lui. Non li guardava direttamente, ma
Hakkai era sicuro che non si stesse perdendo una parola, le sopracciglia
corrugate in un’espressione pensierosa.
Gojuin si strinse nelle spalle. “Se vuoi sapere cosa penso al riguardo, non lo
so. Non ne ho idea. Non so se sono cambiato, ma ho capito un po’ di cose. Non
mi sento peggio, ma per me è diverso. Io…” Smise di parlare, come se avesse
detto troppo. Per un attimo, un’espressione aveva fugacemente attraversato i
suoi occhi, sbalordendo Hakkai. Qualcosa di molto simile a una malinconica
rassegnazione. “Lascia perdere, Hakkai. Tanto, immagino che prima o poi
succederà. E allora, magari, ne parleremo tra di noi”
Hakkai non poté fare a meno di notare che, da quando avevano iniziato a
parlare, il suo sguardo era andato spesso a Shinobu, che continuava a
chiacchierare con Koji e Jin inconsapevolmente. Che Gojuin non fosse attratto
da lei era fuori discussione. Ma lui credeva che ci fosse qualcosa di più. E,
comunque, non aveva dubbi su dove sarebbe andata a parare quella situazione,
non appena Shinobu e Gojyo avessero messo da parte l’orgoglio.
“Ti invidio. Il tuo sguardo è puramente fraterno”
Hakkai si rese conto che anche lui si era messo a fissarla, e che l’albino se
n’era reso conto. Gojuin affermava di non essere cambiato, ma lui aveva idea
che lo strato di ghiaccio che l’aveva sempre circondato si fosse leggermente
sfaldato.
“Sì, è vero”, rispose divertito. Gojuin non immagina nemmeno quanto
comicamente inappropriata sia stata la sua frase. Per mia sorella provavo
tutto, meno che affetto fraterno. Shinobu è per me una vera sorella, molto più
di quella che ho perso.
“Ehi, Hakkai!”, l’aveva chiamato Gojyo una sera, quando ancora lavorava nel
locale il cui proprietario gli aveva presentato proprio lui. Stava asciugando i
bicchieri da cocktail, lo faceva ogni sera, poco prima dell’apertura. E spesso
arrivava lì, Gojyo, con i suoi amici, appena chiusa l’officina, a chiedere un
tavolo. Il proprietario gli serviva alcolici, anche se non c’era uno tra loro
che fosse maggiorenne. Hakkai sospettava che Gojyo, o qualcuno dei suoi, gli
avesse fatto spesso qualche favore non proprio lecito. Gli dava spesso il
tavolo più vicino al bancone, perché ordinavano in continuazione, e a volte, se
non c’era troppa gente, permetteva a lui di sedersi con loro a bere qualcosa.
Se invece del servizio ai tavoli Hakkai si occupava del bancone, Gojyo
trascorreva buona parte della serata lì, a chiacchierare con lui, invece che
con gli amici con cui era arrivato. Anche quella sera, Gojyo, che oltre a Jin e
Koji frequentava al tempo altri due studenti del loro liceo, prese posto al
bancone piuttosto che al tavolo. “Allora...vedo che ti trovi bene qui al
locale!”, aveva esclamato accendendosi una sigaretta. Era già un mese che
Hakkai lavorava lì, e anche se gli orari non erano molto agevoli non poteva
proprio lamentarsi. “Già...e lo devo tutto a te, Gojyo. Grazie per avermi
presentato il proprietario...”. Gli aveva risposto con quel suo sorriso
malizioso, che Hakkai aveva già imparato a conoscere e ad apprezzare, perché
nella maggioranza dei casi andava a sostituire una qualche reazione di cui si
sarebbe vergognato, come imbarazzo o contentezza. Al tavolo, insieme ai suoi
compagni di cagnara, risuonò una voce femminile. E lì la vide. Era minuta, molto
chiara di carnagione e dal tono vivace. Gojyo aveva seguito il suo sguardo fino
a lei. “Ori Shinobu”, gli aveva spiegato, “Frequenta il primo anno
della nostra sezione, forse la conosci di vista”. In effetti non gli era
sconosciuta, probabilmente l’aveva già incrociata diverse volte nei corridoi.
Due occhi verdi in un liceo giapponese non passano inosservati. Anche perché
erano appena di qualche tonalità più sbiaditi dei suoi. Si chiese come fosse
finita al tavolo con Gojyo. Non è la prima, né probabilmente l’ultima
ragazza, che porta qui, ricordò di aver pensato. Ma solitamente, quando
veniva con una donna per offrirle da bere, non lo faceva in compagnia degli
amici. Inoltre, almeno fisicamente, non sembrava il classico tipo che faceva
perdere la testa a Gojyo: troppo poco appariscente.
Hakkai si era domandato se Gojyo fosse già stato a letto con lei. Non che gli
interessasse granché, probabilmente la sua figurina si sarebbe fusa nella sua
memoria con tutte le altre ragazze che Gojyo gli aveva presentato nell’ultimo
mese. Gojyo, sorprendentemente, era parso intuire i suoi pensieri, perché gli
rispose immediatamente che non era la sua ragazza, né aveva la minima
intenzione di portarsela a letto. “Allora, Hakkai, vieni a prendere le ordinazioni o no?”, gli aveva
gridato Koji dal tavolo presso cui sedevano. Gojyo si scostò dal bancone, con
l’apparente intenzione di andare a prendere posto al tavolo. Alzatosi dallo
sgabello, si era chinato sul bancone verso di lui, le mani ben distese sul
piano di legno. “Non l’ho incontrata in una situazione molto felice. Non so
fino a che punto si sia resa conto della situazione, ma sono entrato in
palestra con una ragazza e ho trovato lei con due tipi che non ti raccomando. E
non sembrava che stare lì le piacesse molto. Ho mandato via la mia tipa e,
naturalmente, ho invitato gentilmente i due ad alzare i tacchi: non mi
piacciono quelli che insistono con le ragazze. Loro non erano tanto felici, ma
quando li ho pestati hanno deciso di andarsene.”. Gojyo, aveva già capito
dopo un mese, era un donnaiolo incallito. Non aveva mai visto mancargli una
ragazza da sotto le coperte, e non era una situazione tanto ordinaria dato che
non aveva nemmeno diciassette anni. Non era neanche lontanamente uno stinco di
santo, ma era particolarmente sensibile quando si trattava di cavalleria nei
confronti del gentil sesso. Ad Hakkai la cosa sembrava divertente. In ogni
caso, la ragazza doveva essersela vista brutta, e non gli sembrava così strano
che si fosse, in qualche modo, affezionata a Gojyo. “Ho compreso la
situazione, ma da qui a portartela in giro a ordinare alcolici c’è un bel
passo”. Il rosso gli aveva risposto con un sorriso sornione: “Come avrai
intuito, ultimamente me la trovo spesso alle costole. Non credo che sia
interessata a me in quel senso, ma quando la incontro fa le feste come un
cagnolino da salotto. E gli altri la trovano adorabile. Hakkai, ti rendi conto?
Sono tutti più alti di un metro e ottanta, vanno per i novanta chili, e si
inteneriscono per una ragazzina di sedici anni dalla voce squillante”. Hakkai
aveva riflettuto che, quando Gojyo voleva, sapeva benissimo come sbarazzarsi di
una ragazza troppo invadente; specialmente se, come in quel caso, non v’erano
implicazioni di tipo sessuale. E sospettò che Gojyo, in fin dei conti, non si
sentisse poi tanto infastidito dalla sua presenza. Prese le ordinazioni al
tavolo –la ragazza gli era stata presentata, e l’aveva subito pregato di
chiamarla per nome: Shinobu-, e tornò pochi minuti dopo con il vassoio.
Il padrone del locale, come si era aspettato, gli aveva dato il permesso di
sedere con loro, essendo un giorno feriale con ben pochi avventori. Prese posto
tra Gojyo e la ragazza, con un tocco di vodka liscia nel bicchiere.
Aveva compreso quasi subitaneamente cosa intendesse Gojyo riguardo ai suoi
amici. Erano prevalentemente ragazzi di strada, abituati ad essere malvisti.
Indifferenza e timore, spesso disprezzo, dagli estranei come dalle famiglie.
Avevano scelto quella vita e la accettavano.
Ma quella ragazza rideva con loro, aveva un sorriso per tutti, non disprezzava
il loro contatto. Trasmetteva calore, sincero e spontaneo. Suo malgrado,
anche lui si era ritrovato a sorridere.
Ogni tanto Gojyo le lanciava una battutina provocatoria, che lei apprezzava
ridendo e rispondendo a tono. In ogni caso, alla fine del suo bicchiere di
vodka lemon, ad Hakkai parve un po’ brilla. L’alcool le aveva colorato
graziosamente le guance, e rideva spesso, di gusto.
La conversazione era entrata momentaneamente in stallo, dato che Gojyo si era
alzato con Jin e Koji per andare a prendere da bere direttamente al bancone.
Hakkai notò che lei lo stava osservando con un sorriso, e ancora una volta si
ritrovò a pensare che aveva occhi davvero inusuali. Non avevano nemmeno il
tipico taglio giapponese. Era graziosa, non esattamente il tipo di ragazza che
si definisce bella, ma aveva un viso piacevole da guardare. “Sai Hakkai, hai due occhi davvero belli”, gli aveva detto a voce bassa,
e lui non poté fare a meno di ridacchiare della coincidenza. “Peccato che
siano così tristi”. Gli aveva sorriso ancora, appoggiando il mento sul
dorso della mano. Una mano piccola, da bambina. “Ultimamente ho incontrato
un sacco di persone tristi. Persone che ridono o sorridono di continuo, ma che
non si aspettano niente dalla vita. Vanno avanti come fantasmi, alla cieca,
senza sapere bene dove e quando smetteranno di camminare. Aspettano qualcosa.
Una disgrazia o una salvezza, un’occasione per vivere o per morire.”. Stava
guardando la schiena di Gojyo seduto al bancone, ovviamente. Hakkai comprese
immediatamente perché quella ragazza fosse lì, con quei ragazzi che
apparentemente così poco si adattavano alla sua compagnia: lei era attratta
da quel modo di vivere. Gojyo non era stato solo il suo salvatore: lui
rappresentava un mondo lontano, ed eppure distante un braccio da lei. Un mondo
in cui un sorriso non è mai regalato, ma conquistato.
Istintivamente, si sentì nudo; proprio come quando aveva incontrato Gojyo, sul
ponte. E provò, nei confronti di quella ragazza con cui aveva scambiato solo
poche parole, qualcosa di molto simile alla dolcezza, sgorgante da una fonte
sconosciuta.
Hakkai rifletté che, probabilmente, in quel momento aveva provato uno dei suoi
primi deja-vu. Non c’entravano i corridoi della scuola: Shinobu era sempre stata
presente nel suo dna. Una sensazione pazzesca e inspiegabile, ma che forse
adesso iniziava a trovare un suo incastro.
Strappato ai suoi ricordi, Hakkai controllò l’orologio: erano le nove e mezza.
Shinobu era adesso seduta sul pavimento, a gambe conserte, e chiacchierava
allegramente con Gojyo. Hakkai vide che lo sguardo di Gojuin si soffermava
ancora, di tanto in tanto, su di lei. Mi spiace per te, Gojuin, ma ormai credo che sia troppo tardi. “Sanzo, io andrei. Voi vi trattenete?”
Sanzo scosse la testa. “Domani c’è lezione per tutti a parte lui e Goku,
direi”. Controllò anche lui l’orologio. “Scimmia, tu non hai il turno di notte
oggi?”
Goku alzò lo sguardo, e Hakkai comprese che qualcuno gli aveva fatto bere una
birra: aveva il viso arrossato, e gli occhi lucidi. “Ah, sì. Non avevo pensato
completamente all’orario! Tu resti, Sanzo?”
“Neanche per sogno. Sono rimasto anche troppo”
Gojuin si alzò con loro, risistemandosi la camicia. “Shinobu, rientri con noi?”
“No, resto un altro po’”, rispose giulivamente portandosi alle labbra quella
che doveva essere la sua terza birra. “Non preoccupatevi per me, andate pure!”
Hakkai annuì con un sorriso. Notò che Jin e Koji erano indecisi sul da farsi,
quindi risolse per la prima volta in vita sua di fare l’indiscreto impiccione.
“Io credo che a Gojyo non dispiacerebbe restare da solo con Shinobu”, mormorò
loro, a voce appena udibile. I due si squadrarono immediatamente con un
sogghigno d’intesa, e annunciarono che sarebbero andati via anche loro, come
Hakkai aveva ampiamente pronosticato. Il gruppo si diresse, dopo i saluti e le
battute di rito, verso la porta d’ingresso.
Hakkai fu l’ultimo a chiudersi la porta alle spalle, non prima di aver lanciato
un’eloquente occhiata a Gojyo, che rispose con un noto gesto di taglio
all’altezza della gola. Se non chiarite stasera, per me potete andare a quel paese.
Quando la porta si fu chiusa alle loro spalle, Shinobu si alzò dal pavimento,
iniziando a raccogliere le lattine vuote in giro per la stanza. Gojyo rimase
appoggiato alla parete, la sigaretta in bocca, con sguardo distratto. “Tutto
bene?”, gli chiese, raccogliendo le lattine vuote nel box di cartone che le
aveva trasportate fin lì.
“Naturalmente”, rispose il rosso, distrattamente. Spense la sigaretta nella
lattina vuota, gettata a pochi centimetri dal suo ginocchio sinistro, e andò a
prendere posto sul divano.
“Gojyo”, interloquì Shinobu, grattandosi un sopracciglio, e lasciando andare la
scatola. “Chi vuoi prendere per i fondelli?”
“Che finezza, Shinobu, giuro che non ci sono abituato…”
La ragazza aggrottò la fronte. “Smettila di sviare il discorso, signorino. Sono
dieci minuti che ammicchi, e forse non te ne sei nemmeno reso conto. Sei uscito
dall’ospedale nemmeno tre ore fa, e dovresti metterti a letto”
Gojyo reclinò il capo sulla testiera del divano, lasciandosi sfuggire un
sospiro. Shinobu osservò il suo torace alzarsi e abbassarsi regolarmente: quel
movimento regolare la tranquillizzava leggermente. Se gliel’avessero detto, lei
stessa non ci avrebbe creduto: ma erano i residui del panico totale che l’aveva
colta quando lui aveva rischiato la vita. Ciononostante, era praticamente
sicura che Gojyo non stesse troppo bene.
Il rosso le restituì lo sguardo, sorridente. “Ho solo un po’ di mal di testa.
Niente di preoccupante, mocciosa. Capita, dopo essersela spaccata”
“No”, lo contraddisse lei, stizzita. “Non deve capitare a un ragazzo che è
stato in punto di morte e che abita da solo. Gojyo, se ti senti male stanotte,
o domani, o tra una settimana, delucidami: chi chiamerà il pronto
soccorso per salvarti il culo?”
La voce del ragazzo fu polemica. “Shinobu, piantala di fare la
crocerossina. Mi hanno dimesso. Rilasciato. Stop. Sto bene, d’accordo? Sono
convalescente, penso sia normale un po’ di mal di testa”
Shinobu non poteva credere alle sue orecchie. Come poteva essere così
superficiale, dopo la dannata strizza che le aveva fatto prendere? “Gojyo”,
risolse infine. “O chiami il pronto soccorso, o il medico che ti ha seguito, e
ti fai vedere per un controllo, o ci penso io”
Gojyo scattò d’improvviso seduto. E Shinobu fu improvvisamente certa che quel
gesto gli avesse causato una fitta piuttosto violenta. Ma l’altro si fece in
avanti, e le bloccò il polso.
“Mia madre non si curava di me, è vero. Ma il fatto che te ne abbia parlato non
vuol dire che tu debba sentirti in diritto di sostituirla. Credo di essere
abbastanza cresciutello per quello, Shinobu.”
Centro.
Shinobu si sentì improvvisamente ferita, e imbarazzata, e anche incazzata.
Ferita perché il suo tono era stato più tagliente che mai, e perchè Gojyo,
nonostante l’atmosfera di complicità che si era instaurata a seguito degli
ultimi avvenimenti, aveva ora chiaramente posizionato un paletto di Divieto
d’accesso. Imbarazzata, perché appariva ormai lampante che, probabilmente incoraggiata
dalla suddetta atmosfera di complicità, si era spinta troppo oltre con la
confidenza. Incazzata, anzi, incazzata nera, perché nonostante tutto
ciò, Gojyo era un cretino. Cretino forte. “D’accordo”, sputò, risentita. Al momento, rabbia e imbarazzo combattevano
in meandri non tanto reconditi del suo cervello una battaglia senza esclusione
di colpi. Per evitare di palesare l’una o l’altro, decise che sarebbe stato
meglio tornare a casa. “Comprendo quando la mia intromissione non è gradita. Ci
vediamo domani, Gojyo. O almeno lo spero.”
Con stizza, agguantò la borsa sul divano, agganciandosela alla spalla
corrispondente al braccio sano. Le comunicazioni erano terminate, per quanto la
riguardava.
“Smettila”, fece lui, ma la voce si era ammorbidita. “Sono le dieci, e la zona
non è bella, lo sai. Se proprio vuoi andartene, ti accompagno. Non mi piace
l’idea che vaghi da sola quand’è buio, in una zona simile”. Si schernì con un
sorriso tirato: “E non mi sento ancora pronto per una scazzottata, nel caso in
cui dovessi venire a recuperarti da qualche parte”
Secondo centro, ancora più preciso del primo.
Shinobu fu colta da un brevissimo e improvviso accesso di nausea. L’odore del
gesso nel magazzino. Il dolore al volto e ancora un altro odore, quello del proprio
sangue. La sensazione di dita sporche sulle sue cosce. Aveva smesso di andare
in giro da sola quand’era tardi, dopo quell’episodio, e Gojyo lo sapeva
benissimo. L’unico motivo per cui, quella sera, era rimasta a casa sua quando
tutti gli altri erano andati via, era per timore che potesse star male, senza
nessuno in grado di soccorrerlo in tempo. E no, quello Gojyo poteva immaginarlo
solo fino a un certo punto.
“Ti spiace se resto, stanotte, allora?”
Vide Gojyo spalancare leggermente gli occhi. L’aveva detto con voce così
tranquilla, che doveva essersi stupito del suo repentino cambiamento d’umore. Non mi importa se mi considera una stracciapalle. Meglio questo, che saperlo
solo in casa. “E’ una proposta oscena, Shinobu ♥?”, chiese lui con voce improvvisamente
faceta. “E’ la seconda in poco tempo, inizio a preoccuparmi”
Shinobu gli rispose con una punta d’imbarazzo che non avrebbe mai provato, in
precedenza, nei confronti di una battutina così semplice e provocatoria. “Seh,
ti piacerebbe. Resto soltanto per amore della tua salute, Gojyo. Lasciami solo
fare una telefonata a casa per avvertire che non rientro”
“Sì, sì. Intanto è meglio che vada a cercar la chiave della camera da letto,
non si sa mai: la notte è galeotta, e potresti cader preda del desiderio di
concupire un così bell’uomo”
La ragazza gli rispose gonfiando le guance, in un’espressione di comico
sarcasmo. Quindi, come sempre, fece per afferrare la zip della borsa con la
mano sinistra, dimentica della sua momentanea menomazione. Con una smorfia,
rimise giù il braccio e usò invece la destra per cercare il cellulare. Gojyo,
intanto, fischiettava dal corridoio, probabilmente diretto in camera da letto.
Shinobu notò con divertimento che il motivetto era Superman dei Five for
fighting. Le sembrava trascorso un secolo dalla sera in cui l’aveva suonata con
la chitarra.
Meno divertente fu la telefonata a casa. Di scuse non ne aveva: sua madre
sapeva fin troppo bene che difettava di amicizie femminili presso cui
trascorrere la notte. Decise di essere sincera, insomma, in buona misura:
Hakkai (al top della personale classifica di gradimento di sua madre, come di
molte altre donne di una certa età) era preoccupato che Gojyo trascorresse la
prima notte a casa da solo, e le aveva chiesto gentilmente di restare anche
lei. C’era stata qualche protesta, ma il nome di Hakkai era risultato decisivo.
Spense il cellulare, abbastanza soddisfatta. E Gojyo tornò nella saletta
proprio in quel momento, con in mano la sua vecchia Tervis. Fischiettava ancora
lo stesso motivetto, e Shinobu notò con piacere che sembrava star bene, adesso.
“Non ti fa più male la testa, vero?”
“No, mocciosa. Te l’avevo detto, che era una cosa da niente. Vuoi che ti
accompagni a casa?”
Shinobu soppesò l’idea per un istante, più che altro perché ultimamente erano
aumentate le occasioni in cui si sentiva in imbarazzo quando si trovava da sola
con lui. Poi scosse la testa. Non osava ammetterlo neanche a se stessa, ma era
contenta smettila di dire idiozie, Shinobu, sei giubilante di poter passare del tempo con lui, tranquillamente e senza puzzo di
disinfettante o viavai di medici. Senza le restrizioni dell’orario visite, e
anche senza il continuo arrivo degli altri, sì. Del buon vecchio, sano tempo da
soli, com’erano soliti fare.
“Resto.”
Cantarono per quasi un’ora, sorseggiando una birra tra un testo e l’altro. Buzzlip,
Do as Infinity, Dir en Grey, ma anche canzoni americane dei SoaD,
e con sommo divertimento di Shinobu Gojyo attaccò persino a cantare un enka.
Gojyo pizzicava abilmente le corde della chitarra, terminava un brano, prendeva
qualche sorso di birra e ne attaccava un altro. Si sentiva euforico all’idea di
non trovarsi più in quella pesante camera d’ospedale, e, perché non
ammetterlo?, era anche contento di trascorrere quel tempo con Shinobu, come ai
vecchi tempi. Non provava più quel fastidioso pulsare alla testa che era
iniziato dieci minuti prima che andassero via gli altri, e che aveva
preoccupato tanto la ragazza. E ammise a se stesso che forse si era accalorato
un po’ troppo. Ma non aveva la minima intenzione di tornare in ospedale per
farsi trattenere per altri accertamenti. Inaspettatamente, poi, Shinobu aveva
deciso di restare. E lui si era sentito improvvisamente contento smettila di sparare cazzate, Gojyo, sei giubilante di poter trascorrere la sua prima serata a casa in compagnia.
Posò la chitarra di lato, piegando le dita per far schioccare le nocche.
Contemplò Shinobu che sorseggiava la sua birra, accucciata sul pavimento
davanti il divano, e prese qualche altro sorso anche lui dalla sua lattina, con
una smorfia. L’avevano lasciata svaporare.
“Perché sei voluta rimanere, Shinobu?”
Non gli piaceva sondare i pensieri altrui, per quello c’era Hakkai (che non
aveva nemmeno bisogno di chiedere), ma la domanda gli era sorta spontanea alle
labbra.
Shinobu ruotò la testa verso di lui, con la lattina in mano. “Te l’ho detto.
Non mi andava che restassi da solo, non mi sembrava che stessi tanto bene”
La ragazza poggiava le spalle alla base del divano. Da lì, Gojyo poteva vederne
la nuca, dato che si era spostata i capelli sulla spalla destra. Provò una
deliziosa sensazione raschiante al ventre; non era ancora eccitazione, non
credeva che sarebbe mai arrivato al punto di eccitarsi per pochi centimetri di
pelle visibile sotto l’attaccatura dei capelli, ma era deliziosa lo stesso. E
quella era Shinobu.
La serata si rivelava alquanto originale.
Non seppe mai perché, ma provò il desiderio di scusarsi. Di scusarsi perché la
sua pelle sotto l’attaccatura dei capelli lo stimolava, ma ovviamente non era
una scusa che potesse essere manifestata ad alta voce; quindi la sua mente
inconsapevole operò un transfert.
“Mi dispiace per quella frase su mia madre”
Non era ancora il clima adatto, ma Shinobu indossava una canotta azzurra. Provò
il desiderio di sfiorarle la pelle. Si chinò leggermente e le toccò una spalla.
Shinobu, inaspettatamente, sobbalzò. Gojyo si era reso conto fin troppo bene
che, ultimamente, la ragazza si sentiva spesso a disagio con lui, quando erano
da soli. Inizialmente aveva imputato il suo impaccio all’incidente, o a
qualcosa che da esso derivava, ma ciò contrastava con le sensazioni che aveva
provato quando lei era sbucata da sotto il suo letto, in ospedale, e si era
distesa accanto a lui. Eppure, a volte non riusciva a cacciarsi dalla mente
l’idea che fosse stato il racconto della sua infanzia a turbarla. Oppure era
qualcosa che aveva a che fare con i sogni.
“Non importa”, rispose lei, ma si fece scivolare i capelli nuovamente sulla
nuca, come imbarazzata. “So di essere veramente pesante, a volte, ma ero
preoccupata. Hai ragione tu: non sono tua madre né ho il diritto di comportarmi
come tale.” Abbassò la voce. “Forse ti ho fatto pesare troppo le mie
attenzioni, ultimamente”
“Sei sempre stata impicciona, non è una novità” E non te ne sei mai preoccupata. Si può sapere cos’è cambiato? La sua sensibilità aveva sempre lasciato alquanto a desiderare, ma quel
leggero cambiamento l’aveva registrato. Pensieroso, riprese tra le mani la
chitarra, attaccando un motivo senza porvi attenzione. Forse è solo
nervosismo. “Oh, è quella dell’altra volta…quella che hai composto tu, vero? Avevo
completamente dimenticato una cosa…”
Gojyo vide che tornava a frugare nella borsa. In mano aveva il suo
registratore, quello che le aveva prestato secoli prima per registrare
la stessa melodia che stava strimpellando in quel momento. E un foglio di
carta.
“Quando hai scritto il testo?”
“Qualche giorno fa. E’ solo il ritornello, però”
Il rosso le sfilò il foglio dalle mani, e lo lesse con un fischio ammirato. “Da
dove l’hai copiato? Confessa, dai!”
Shinobu si strinse nelle spalle in un gesto di ampia modestia. “Ne deduco che
non ti dispiace”
Lui lo rilesse. Poi le restituì il foglio, riattaccando il motivo con la
chitarra. “Avanti, fammi sentire”
Let go, let yourself free of you and your soul / Lasciati andare, liberati
da te stesso e dalla tua anima
And then you'll come to see all the truth in your eyes / E allora arriverai a
vedere tutta la verità nei tuoi occhi
Don't try to be someone you can't be / Non provare ad essere qualcuno che non
puoi essere
All you gotta do is let go, just let go of yourself- / Tutto ciò che devi fare
è lasciarti andare, lasciarti andare da te stesso
and then you'll see... / E allora vedrai...
Don't try, try to pretend that it doesn't hurt / Non provare, provare
a fingere che ciò non ti ferisca
You don't have to be perfect, cause no one can be / Non devi essere perfetto,
perchè nessuno può esserlo
If your tears can't stop fallin', just reach out your hand / Se le lacrime non
si fermano, allunga la mano
All you gotta do is believe, just believe in yourself- / Tutto ciò che devi
fare è credere, solo credere in te stesso
and just let go... / E lasciarti andare...
“Dai, Gojyo, non guardarmi così. Lo sai che sono intonata
quanto una iena in calore.”
“E’ vero, ma non è questo. Stavo pensando che non è affatto male”. Lo pensava
sul serio. C’era qualcosa che gli toccava una qualche corda, dentro. “Te
l’avevo detto, che ne avevi le capacità. In genere si pensa che le parole siano
il modo più esplicito di comunicare un concetto, ma non è sempre così. Bisogna
saperle usare.”
Shinobu rispose con un sorriso, che gli parve lievemente imbarazzato. Si
accomodò sul divano, accanto a lui, le gambe unite e ripiegate sotto il busto.
Appoggiò il braccio ingessato su una coscia. “Te la faccio sentire un’altra
volta, poi la cantiamo insieme, e poi voglio sentirla con la tua voce. Secondo
me andrebbe suonata con una tonalità più grave, e io non ci arrivo”
Gojyo la ascoltò cantare una seconda volta, pensando che
la sua voce effettivamente non era un granché, ma le sue labbra che si
arcuavano o contraevano per modulare una nota erano decisamente sensuali. Non
vi aveva mai prestato la minima attenzione, ma adesso che l’aveva notato,
mentre lei cantava, non riusciva a pensare ad altro. Gojyo, non ci pensare nemmeno. E invece lo fece.
Mentre lei voltava la testa per dirgli qualcosa, chinò il busto e la baciò. Non
si pentì di non averlo chiesto, anche se si aspettava violente conseguenze. Lo
fece e basta, e fu un bacio smaliziato, privo della minima connotazione
sessuale, solo un desiderio di labbra. Quello che un po’ meno si sarebbe
aspettato, fu che Shinobu non lo respinse, anzi, gli poggiò la mano destra
sulla spalla. E schiuse le labbra. La mano le tremava leggermente.
Fu più bello e spontaneo di quanto si sarebbe immaginato, come se, in tanti
anni, non avesse aspettato che questo. Come se una parte di sé lo desiderasse
da secoli.
Quando si staccarono, nessuno dei due osò parlare. Il silenzio divenne presto
pesante, anche perché Shinobu, con un’espressione indecifrabile, aveva voltato
la testa e sembrava non volerlo guardare in faccia. Gojyo si scervellò, doveva
dire qualcosa, qualsiasi cosa, o sarebbe impazzito.
“Mi dispiace” Di non avertelo chiesto, completò mentalmente. Perché non gli era
dispiaciuto affatto. Anzi. Era una delle cose che meno gli era dispiaciuto fare
in tutta la sua vita.
“Ho fatto un cazzo di sbaglio dopo l’altro, per tutta la vita. E questo
sicuramente è l’ennesimo. Ma per favore, non dirmelo adesso. Perché questo
sbaglio mi è piaciuto un casino”. Forzò un sorriso, che non gli doveva essere
riuscito tanto bene, ma tanto lei non lo vide.
“Perché cazzo l’hai fatto, Gojyo?”
La sua voce tagliente lo ferì come un colpo in testa. Se non lo volevi potevi semplicemente tirarti indietro. Perché hai
ricambiato, allora? Si sentiva irritato, e quel che lo irritava ancora di più era non sapere perché. “Perché avrei dovuto farlo, secondo te?”. Il suo tono si adattò a quello
della ragazza.
“Dimmelo tu. Eri in astinenza da labbra femminili? Come hai potuto fare una
cosa del genere proprio a me?”
Gojyo provò la forte tentazione di urlare. Adesso si sentiva anche un po’
umiliato, la qual cosa innalzò la sua irritazione di un buon centinaio di
gradi. Sì, il punto era proprio quello. Come poteva pensare che avrebbe fatto
una cosa del genere proprio a lei? Allungare sessualmente le mani su di
lei, l’unica ragazza tra i suoi amici? Piantala, Gojyo, ormai è chiaro che nei suoi confronti il tuo affetto non è
più esattamente solo fraterno. Quando ti ha appoggiato la mano sulla spalla, il
tuo basso ventre si è decisamente risvegliato. Questo non giustificava la sua insinuazione. Lei era…lei era Shinobu,
diamine!
Ebbe un’improvvisa voglia di fumare. Potente, irresistibile. Vide un angolo
bianco del pacchetto di Hi-Lite sbucare discretamente da sotto il divano,
proprio accanto al suo piede sinistro, e si chinò per afferrarlo. Le costole
gli dolsero a quel movimento, ma le ignorò bellamente. Aprì il pacchetto e lo
avvicinò alle labbra, traendone una sigaretta. Ecco fatto. Almeno adesso aveva
le labbra occupate, e si sarebbe risparmiato altre tentazioni simili a quella
di poc’anzi. Non che ce ne sarebbero state altre, s’intende. L’accendino era
nel pacchetto, che scosse fino a farlo cadere. Si accese la sigaretta.
“Sono lieto di constatare l’opinione che hai di me. Non sono uno stinco di
santo, lo sai, ma non pensavo che proprio tu avresti mai pensato che potessi
usarti per soddisfare le mie voglie sessuali. Me ne farò una ragione, e saprò
come regolarmi per il futuro”. Si alzò dal divano, decisamente vicino al boiling
point. “Esco. Non credo che tu abbia voglia di dormire da sola con un
simile maiale, né di farti accompagnare a casa. Dormi pure nel mio letto, e
chiudi bene domani, quando esci.”
“E perché l’hai fatto, allora?”. La voce di lei risuonò
lamentosa, e solo allora Gojyo si accorse che lei evitava accuratamente di
mostrargli il volto perché non voleva che la vedesse piangere. “Vorresti farmi
credere che ti interesso?”
Gojyo ebbe voglia di tirarsi una manata sulla fronte, ma
non lo fece. Nessuno, probabilmente, l’aveva mai messo in difficoltà fino a un
punto simile. “Sei sempre stata ricettiva, Shinobu. Non capisco perché tu debba
essere così ottusa proprio in un momento simile. In quest’ultimo
periodo…insomma…" Cristo...interrompimi. Tirami un oggetto in testa. Qualunque cosa: sto
diventando uno spettacolo vergognoso. Gojyo si sentì come un soldato, l'unico rimasto sul campo di guerra, che,
dopo essere uscito allo scoperto, si accorge che non può più nascondersi da
nessuna parte. Aspettava la fucilata da un momento all’altro. O di mettere il
piede su una mina.
“Porca troia, Gojyo, possibile che tu non capisca niente? Se mi sono
incazzata così tanto, è perché anch’io lo volevo. Sono due settimane che a
stento riesco a guardarti in faccia, poi ci sono quei sogni del cazzo, e adesso
tu che mi baci all’improvviso. Cosa devo pensare?". Lo disse tutto
d’un fiato, frastornandolo, e gridando. E lo fece guardandolo dritto negli
occhi.
Gojyo si lasciò ricadere sul divano. Gettò la sigaretta nella lattina di birra,
nonostante avesse preso solo un paio di tiri. Non ce la faceva. Doveva ridere.
Rise, sollevato, compiaciuto, imbarazzato. Quella…cretina si era
incazzata perché temeva che lui l’avesse presa in giro. Non aveva capito
granché di quell’accenno ai sogni, ma non importava. Rise, e poi si allungò
verso di lei. Prima che avesse il tempo di protestare, la baciò un’altra volta,
sperando che il suo gesto risultasse più eloquente di qualsiasi altra cosa
avesse potuto dire.
"Penso che, tra tutti e due, sia meglio tacere, Shinobu", le disse
poi, il viso vicino al suo. "Abbiamo rovinato il primo, non roviniamo
anche gli altri"
Shinobu tirò su col naso, sollevando il braccio sano per asciugarsi le lacrime.
Con suo piacere, lei sorrise.
"Hai ragione. E’ meglio tacere".
Gli carezzò il mento, sporgendosi per baciarlo ancora.
Gojyo sorrise sotto le sue labbra, prendendola tra le braccia. Le costole
protestarono ancora, ma non ci badò.
Se ci sarà da pentirsene, spero di accorgermene il più
tardi possibile.
Continua…
[leggermente
riveduta e corretta in data 19/07/09]
Sanzo infatti
era rientrato a casa, riuscendo a percepire un profumo di vivande appena
cucinate fin da dietro la porta, e avendo subito dedotto che Goku era già
arrivato e si era messo subito ai fornelli.
Fortunatamente per il suo
stomaco, nonostante i primi rischiati avvelenamenti prodotti dalla cucina non
proprio commestibile di Goku, il ragazzino era notevolmente migliorato, più che
altro per cause di forza maggiore, dato che al locale dove lavorava il padrone
lo faceva anche cucinare.
Il suo fegato avrebbe
continuato a resistere ancora per un po’, non dovendo più mandare giù cibi
precotti, accompagnate da robuste dosi di birra e di sigarette. Non che la faccenda lo risollevasse più di tanto...
“Scimmia?”
Il ragazzino non rispose, almeno
non subito, essendo impegnato con pentole e padelle e avendo probabilmente
(Sanzo poteva vederne i fili neri terminare in una delle grandi tasche che
ornavano i pantaloni) la sua stupida musica scassatimpani nelle orecchie. Dopo
le prime volte, in cui lo aveva minacciato di gettare lo stereo dal balcone,
Goku aveva desistito e si era “accontentato” del lettore portatile, in modo
tale da non disturbarlo in quelle poche ore di riposo quotidiane che il biondo
si concedeva.
Sanzo, seccato e per nulla
propenso a chiamare per la terza volta la scimmia, si fece sentire
appioppandogli un sonoro pugno sulla testa.
Il ragazzino sussultò e gettò un
urletto di sorpresa e di disapprovazione. Finalmente si tolse le cuffie e
disse: “Ma Sanzo! Si può sapere perché l’hai fatto?”
La venetta del nervosismo iniziò
pericolosamente a pulsare sulla tempia del biondo: “E me lo chiedi, scimmia? Ti
ho chiamato per ben due volte, ma non ti saresti accorto
nemmeno di una banda di lanzichenecchi in libera uscita!”
Goku sorrise imbarazzato e tornò
ai suoi fornelli.
Sanzo invece si appoggiò al
tavolino, intento ad osservare la nuca del ragazzo e i suoi movimenti veloci
mentre lavorava. Si accese una sigaretta; ormai avveniva
sempre più spesso che si soffermasse a guardarlo in quei rari momenti di
silenzio che la scimmia si concedeva, e questo era uno di quelli; quando Goku
era in cucina, non fiatava; sembrava che il cibo fosse la sua unica
preoccupazione.
“Allora, scimmia?”, chiese,
facendosi rigirare la sigaretta tra le labbra. “Perché
sei arrivato così presto oggi? Di solito non stacchi alle due di notte?”
Goku interruppe i suoi traffichi con la pentola nella quale stava cucinando chissà
cosa; potè sentire l’odore di pesce che, flebile, giungeva fino a lui. Si girò
e lo guardò con i suoi begli occhi dorati, sorridendo.
“Oggi...Sanzo...sono due mesi che
abitiamo insieme. Volevo esserci, almeno stasera”
Sanzo rimase un po’ spiazzato
dall’atteggiamento di Goku. Il suo sorriso dolce aveva il potere di togliergli
le parole di bocca anche adesso che lo vedeva infinite volte quotidianamente.
Anzi, più che mai. Fece schioccare le labbra in un sonoro ‘tsk’
“E
allora? Non è mica l’ultimo, no?”, disse, mordendo la
cicca della sigaretta.
Il sorriso di Goku si allargò e
divenne, se possibile, ancora più dolce.
“Già. Spero proprio di no. Non
finirò mai di ringraziarti per quello che hai fatto per me, Sanzo”
Il biondo alzò gli occhi; se lo
fece per un impeto di esasperazione di fronte a quelle
sciocchezze, o se c’era anche un misto d’imbarazzo, non seppe dire. “Non devi
ringraziare nessuno, stupido”
“Ma se non ci fossi stato tu...se
non mi avessi sopportato...”
Sanzo fece un gesto d’impazienza
con la mano. “Ti ho preso con me solo per farti tacere”
Goku annuì; ormai aveva capito
quello che il biondo intendeva dire: da quello che aveva avuto modo
d’intendere, anche da parte sua c’era stato l’aver sentito un qualche richiamo,
una voce. E questo lo rendeva immensamente felice. Perché voleva dire che potevano stare insieme. Solo questo
gli bastava.
Non aveva mai smesso di credere
che Sanzo fosse il suo sole...
Emanava una luce dorata quasi
abbagliante. E ovviamente non si trattava solo dei
suoi capelli...
Era come un’aura, una bellissima
aura luminosa, che richiamava tutti intorno a sé.
Non solo lui, anche se era quello
che poteva più godere del suo tepore.
Gojyo, Hakkai, Shinobu, forse
anche Gojuin.
Tutti avevano atteso per chissà
quanto di radunarsi al cospetto di quella luce dorata.
Ma solo
lui poteva stargli così vicino da comprendere appieno l’intensità dei suoi
raggi.
E di questo ne
era segretamente compiaciuto.
Un sole...una
stella...
...era questa la sensazione che
provava quando era con lui.
Bearsi al
calore dei raggi del sole, o alla vista di una fulgida stella...
...lontana. Lontano.
Il sole e la stella non possono
essere raggiunti.
Proprio per questo sono tanto
ambiti.
E
proprio per questo sono tanto pericolosi.
Quando allunghi
la mano, certo di poter toccarli, incurante del fatto che ti scotterai
certamente...
...allora capisci che sono così
lontani che non potrai mai raggiungerli.
In questo senso, Sanzo era come
una stella pericolosa. Una stella carica, pronta a scoppiare. O a sparare. Per colpire lui, o chiunque gli si avvicinasse.
Perché Sanzo
aveva una parte oscura, forse una parte di sé dentro rimasta bambina, sempre
attenta a non farsi toccare da nessuno. Una parte che nemmeno lui
sarebbe mai riuscito a raggiungere.
O forse
si?
Sarebbe mai riuscito a scalare la
vetta più alta e a raggiungere il sole?
Ci avrebbe provato di sicuro...
“Ma si
può sapere che ci fai tu qui?”
“E’ questo il modo di accogliere
gli ospiti?”
“Se sono
indesiderati, sì. E tu sei sempre indesiderata”
“Davvero? Goku, sono
indesiderata?”
Il ragazzo osservò prima Sanzo,
poi Shinobu, quasi incerto. Poi sorrise e scosse la testa.
“Bravo cucciolino! Vieni qui!”, scattò in avanti la ragazza, dopo aver fulmineamente
fatto la linguaccia a Sanzo, per abbracciare Goku.
Io li ammazzo...giuro che li ammazzo tutti e
due...
Shinobu si guardò intorno un paio di volte. Era appena pomeriggio, l’aria
calda aveva già iniziato a tirare fastidiosamente, fornendo il presupposto per
presagire che quella sarebbe stata un’estate più calda delle altre. “Ma Hakkai dov’è?”
Vide emergere il ragazzo con un
bicchiere di the freddo in mano. “Ciao Shinobu! Mi stavo godendo la sfida
psicologica tra te e Sanzo in posizione neutra!”
“Giuda! Perché
invece non mi dai una mano quando mi maltratta?”
Hakkai ridacchiò. “Fino a prova
contraria, ti sei presentata tu a casa sua senza invito...”
Shinobu mollò la presa attorno a
Goku, e mise il broncio. Fu il ragazzino a risolvere la situazione. “Veramente,
Hakkai, l’ho invitata io! Non ci vediamo più tanto spesso, da quando ho
lasciato la scuola...”
“Vediamo...vi siete visti due
giorni fa alla festa per Gojyo, no?”, finse di sforzarsi per ricordare Hakkai.
Goku annuì. Shinobu avvampò
discretamente, mentre Hakkai le rivolse un sorrisino divertito.
Guarda che so!
Sanzo, intanto, era tornato alla
lettura del giornale. Sembrava morbosamente interessato a ciò che accadeva nel
mondo, e questo sembrava a tutti un tale paradosso...
Shinobu si sedette sul pavimento
fresco, e ringraziò Goku che porse un bicchiere di the freddo anche a lei.
Hakkai si sedette compostamente, come suo solito, su una sedia, portando lo
sguardo sulla ragazza. Goku andò a portarsi davanti il televisore,
accendendolo.
“Sanzo, la sai una cosa?”, chiese
la ragazza prima di bere il primo sorso di tè, per disturbare il biondo che si
era seduto a leggere il giornale.
Il biondo si sistemò gli occhiali
sul naso, aprendo la prima pagina, senza rispondere.
“Ho deciso di scrivere un
libro...‘Manuale per interagire con Genjo Sanzo’”
Sentì Hakkai reprimere le
risatine, mentre Goku si voltava e iniziava a ridere con la schiena sul
pavimento, seguito dalla stessa ragazza. Il biondo, invece, lanciò loro una
ciabatta, che la mancò di striscio.
Quant’è bello prenderlo in giro!
“Shinobu, a che ora sei andata a
casa l’altra sera, alla fine?”, chiese Hakkai, il suo sorriso furbetto stampato
in faccia.
Così impari a prendere in giro Sanzo...
Shinobu aggrottò le sopracciglia.
Spiffero o non spiffero?
“E
questo è quanto”, finì di parlare Shinobu.
Hakkai sorrise divertito, Goku
con un biscotto in bocca si voltò verso di lei, Sanzo alzò gli occhi dal
giornale. Poi tutti e tre tornarono alle loro faccende.
La venetta del nervosismo iniziò
a pulsare sulla fronte di Shinobu: “Vedo che siete immensamente interessati...”
Hakkai ridacchiò (Io lo sapevo già...), Sanzo non rispose,
anzi, continuò imperterrito a leggere il suo quotidiano, mentre solo Goku parve
darle corda: “Ma scusa! Ti sembra una notizia tanto eclatante?”
Sì. “Che cosa vorresti dire?”
“Che tutti tranne voi due se n’erano resi conto. Da secoli, ormai”, fece notare Goku come
se fosse la cosa più naturale del mondo.
Shinobu aprì la
bocca per rispondere, ma, per una volta, non seppe che cosa dire.
“Direi che è arrivato il momento
di intonare un Alleluia per voi due testoni”, fece Hakkai.
Sanzo fece schioccare le labbra
chiudendo il giornale. Come fosse capace di tenerlo
con una mano, e nell’altra il caffè o la birra, mentre contemporaneamente con
quest’ultima si riaggiustava gli occhiali sul naso di tanto in tanto, per
Shinobu era un vero e proprio mistero. A lei sarebbe servita la laurea solo per
imparare a ripiegarlo. Evidentemente, Sanzo aveva un talento innato per questo.
Si tolse gli occhiali, mettendoli
nella tasca della camicia beige che indossava. “Credi che sia interessato ai
tuoi affari di cuore?”
“Non ci pensavo nemmeno! L’ho
detto anche a te solo per par condicio! Non mi aspettavo nemmeno che alzassi lo
sguardo dal giornale, e invece -miracolo!-, l’hai fatto!”, batté le mani
ripetutamente.
Sanzo sbuffò e andò ad
appoggiarsi al davanzale, accendendosi una Marlboro.
“In ogni caso...”, disse Goku,
vuoi per interrompere la disputa, che comunque era
certo che si sarebbe riaccesa entro poco, vuoi perché questa domanda lo
assillava da tempo, “Non capisco proprio come possa piacerti quel pervertito!”
Perché è infantile. Perché è sensuale.
Perché mi fa stare bene. Shinobu non rispose.
Hakkai rise: “Goku, non sono
domande da farsi. Sarebbe come chiedere a te perché ti piace
stare con Sanzo”
Goku arrossì di colpo, punto sul
vivo, mentre Sanzo si voltò verso la finestra, cosa che non sfuggì agli occhi
scrutatori di Shinobu e Hakkai, che si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Quest’ultimo, in particolare, si
accorse troppo tardi del suo madornale errore: aveva offerto a Shinobu
l’imperdibile occasione per profondersi in una delle sue battute fuori luogo. A
volte si ritrovava a pensare che gli sarebbe piaciuto censurare ciò che la
ragazza diceva senza peli sulla lingua, anche con un semplice e innocuo Beep-beep...
Shinobu...per favore, trattieniti la battutina.
Devo trattenere la battutina. Non devo fare nessun commento...
Ma
l’ilarità ebbe la meglio sulla ragazza. “Che vuoi,
Hakkai...Sanzo deve avere qualche...dote
nascosta a noi ignota. Che ne dici, Goku?”
Hakkai sospirò esasperato,
Shinobu tentò di reprimere le risatine, Goku non aveva capito la battuta ma
arrossì ancora di più, mentre Sanzo, dopo aver sbattuto le nocche sul bordo del
davanzale, si era avvicinato a lei, le mani nelle tasche, mentre ancora la ragazza
tentava di effettuare un debole autocontrollo sulle
proprie risate, e gli aveva assestato un calcio nel fianco.
Se l’è cercata, pensarono all’unisono Hakkai e Goku.
Shinobu si espresse con un gemito
a stento soffocato e un’esclamazione violenta. Si tirò su, massaggiandosi la
parte lesa: “Razza di stronzo! Ti sembra modo di fare?”
“Perché
apri quella dannata boccaccia solo per dire sciocchezze?”, sbraitò Sanzo.
“E tu
perché non controlli la tua aggressività?”
Si squadrarono. Sanzo sbuffò e
tornò al suo davanzale. Il viso di Shinobu fu deformato da un nuovo accesso di ilarità, non più per la battuta stupida di cui si era
fatta portavoce, ma perché la situazione le appariva così...familiare, così...confidenziale, che non potè che riderne sollevata. Quelle, per lei,
erano autentiche manifestazioni d’affetto verso il biondo (probabilmente non
eccessivamente condivise, ma ciò rendeva il tutto ancora più divertente), al
quale non poteva semplicemente avvicinarsi e saltargli sulle spalle
scompigliandogli i capelli.
Hakkai e Goku sospirarono...
“Routine...”, dissero in coro.
Gojyo arrivò davanti alla porta di casa di Hakkai.
- Hakkai...questa casa sembra sempre di più una giungla.
Infatti, il rosso riuscì a contare almeno sette piantine accuratamente
potate e posizionate ai lati della porta di casa.
Cercando di non spezzare un rametto che gli si era impigliato in una
delle tasche dei jeans, inspirò e finalmente suonò il
campanello. Pochi secondi dopo, il ragazzo dagli occhi verdi venne ad aprire la
porta.
“Hakkai...sai che cosa ti dico? La prossima
volta verrò con un machete per farmi strada...”, lo salutò
Gojyo.
“Buongiorno anche a te!”, esclamò Hakkai ridacchiando. Si scostò dalla
soglia per farlo entrare. “Non ti aspettavo...qual buon vento?”
“Sono stato in ospedale per togliere i punti”, rispose Gojyo
togliendosi la bandana dalla fronte e indicandosela. Si chinò per togliersi le
scarpe. “E ho pensato di passare. Dovrei tornare a
scuola entro pochi giorni”
“Tornerai anche al lavoro, vero?”
Gojyo sorrise: “Certamente! Il capo ha già detto che mi farà recuperare
tutto il lavoro arretrato...”
Il rosso si sedette al tavolo, mentre Hakkai si accingeva a preparare
del tè. “Riprenderai il tuo tenore di vita di prima?”, chiese senza voltarsi.
“A questo proposito, Hakkai, vorrei dirti una cosa...”
Hakkai si voltò a guardarlo, poggiando il bollitore sul fuoco ancora
spento. “E’ successo quello che penso sia successo,
ieri sera?”. Gli aveva rivolto uno dei suoi rari sorrisi sinceri.
Gojyo non potè che sorridere di rimando. “Dipende...tu che cosa stai
pensando?”
“Mi chiedevo...se ti fossi deciso a fare chiarezza con te stesso, e con
Shinobu”
“In effetti...anche se ho sputato sangue per
affrontare l’argomento”
Hakkai si fregò le mani. “Non ti dico ‘te l’avevo detto’ solo perché
sarebbe troppo scontato”
- Mi costa ammetterlo, ma anche questa volta avevi
ragione tu.
Hakkai continuò a sorridere. “E lei? Come l’ha
presa?”
“Intendi quando l’ho baciata o quando mi sono reso ridicolo tentando di
spiegarle che mi piaceva?”
“Credo che tu abbia confuso l’ordine delle due cose”
“Quando l’ho baciata non si è tirata indietro.
Ma poi ha cominciato a pensare che la stessi prendendo
in giro”
“Ahi...la vedo brutta...chiunque, trattandosi di te,
l’avrebbe creduto. E immagino che la tua...arte
oratoria...non ti abbia aiutato”
“Di’ pure che stavamo per litigare di nuovo”
Hakkai si immaginò la scena, andandoci molto
vicino. Se Gojyo avesse prima affrontato la questione
verbalmente e con chiarezza, forse la ragazza non l’avrebbe presa così. O forse aveva davvero fatto bene a passare subito ai
fatti...altrimenti la ragazza ci avrebbe creduto ancora meno. Se solo si fosse spiegato bene dopo, magari sarebbe finita
meglio.
Ma, alla fine, tutto si era concluso bene,
quindi...
“E alla fine ha capito?”
“Alla fine mi è scappato qualcosa che non mi scapperà mai più. E ha capito”
Hakkai sospirò di sollievo. Poi fu curioso di sapere un’altra cosa.
“Spero che tu stanotte...”
Gojyo alzò gli occhi al cielo. “No, Hakkai, non l’ho toccata! Io sono
infortunato, lei ha il braccio rotto...”
“...e non te la sei sentita di fare con lei come hai fatto con tutte le
altre”, concluse per lui Hakkai.
Gojyo non rispose.
“Benone! Vuol dire che sei maturato, almeno un po’...”
Il ragazzo era sinceramente contento per quello che era successo;
finalmente, almeno l’amico avrebbe potuto godere del
calore di una persona che gli voleva bene sinceramente, che avrebbe potuto
sostituire, sebbene in maniera diversa, quella donna che l’aveva maltrattato.
Sapeva che il rosso, sebbene palesemente incostante per quanto
riguardava le donne, non sarebbe stato incoerente, e avrebbe fatto di tutto per
non farla soffrire, una volta palesati in quel modo i
propri sentimenti.
Proprio come aveva fatto con lui.
Non l’aveva mai abbandonato, gli aveva
dimostrato più volte di tenere a lui, sebbene in uno strano modo.
Ed era certo che si sarebbe comportato bene anche con Shinobu.
Continua...
*_* scrivere la prima parte mi è
piaciuto moltissimo. Non mi capita molto spesso di dare spazio alla vita
quotidiana insieme di Goku e Sanzo. I pensieri della scimmietta mi sono
sembrati molto dolci, eppure poco ingenui: si è accorto (non che ci volesse la
laurea, tanto per riprendere i pensieri di Shinobu) che il biondo assume la sua
facciata scostante solo per non soffrire più, e ha iniziato a chiedersi,
maturando, se sarà capace di sfondare le sue difese.
La seconda parte mi ha divertito
molto. E’ davvero divertente scrivere dei battibecchi tra Sanzo e Shinobu,
scriverne mi diverte ancora di più che farla litigare con Gojyo. Sarà che il
biondo e la ragazza hanno entrambi la lingua lunga...e
entrambi sprizzano scintille da tutti i pori, uno per il continuo nervosismo e
l’altra per darsi un tono...in fondo non sarebbe male se succedesse qualcosa
tra i due, no? (ovviamente scherzo...non tradirei mai il legame che tanto
faticosamente si è formato tra lei e Gojyo...e soprattutto, credo che Goku, per
quanto voglia bene alla ragazza, non la prenderebbe troppo bene!)
L’ultima parte l’ho inserita
così, di getto. Spero che i flashback vi piacciano, anche se
preferisco quelli più remoti. Non ho mai usato flashback nelle mie fic,
ma ho scoperto che scriverli è piacevole, e, se ben inseriti, non
appesantiscono la storia come pensavo.
Adoro il rapporto tra Gojyo e
Hakkai, e spero di non arrivare mai a stravolgerlo; ovviamente il moro sarebbe
stato il primo al quale Gojyo avrebbe raccontato dei trascorsi con Shinobu, e
volevo a tutti i costi inserire questo momento, anche se Hakkai mi serviva
anche a casa di Sanzo per l’ ‘annuncio formale’ di Shinobu (è un catalizzatore incredibilmente
efficace!^_^). Bene, mi accorgo che ho scritto un poema inutilmente...non
voglio farvi perdere altro tempo, quindi ringrazio le lettrici e chiudo qui i
miei deliri.
Gojyo, gli occhi arrossati per
l’alcool, se ne stava seduto, una mano a sostegno del viso e l’altra tesa con
il palmo verso l’alto a mostrare orgoglioso il poker di donne che aveva totalizzato, su un tavolino. La luce fioca che proveniva da
un piccolo lampadario sovrastante il tavolo da gioco
illuminava tutt’intorno.
Shinobu poteva vedere il fumo
nell’aria che andava raddensandosi in alto.
Qui dentro c’è tanta nicotina che si può tagliare con il coltello, pensò distrattamente.
Si osservò il braccio. Grandioso,
l’unica cosa buona di quella giornata era stata l’andare al pronto soccorso per
chiedere se era necessario sostituire il gesso o se
poteva lasciare il braccio così com’era, e, dopo un paio di radiografie, le era
stato detto che il braccio era praticamente a posto, che avrebbe dovuto tenerlo
a riposo, ma contemporaneamente iniziare un po’ di fisioterapia perché si
muovesse di nuovo come prima.
Per il momento, il minimo che
poteva fare era stringere debolmente gli oggetti nella mano e muovere
leggermente il polso. Poteva definirsi fortunata già così, le
avevano detto.
Adesso si stava decisamente annoiando. Gli amici di Gojyo erano sparsi qui e
lì nel locale, chi con qualche ragazza, chi in compagnia di una bottiglia di
liquore, chi giocando ad altro.
Lei, invece, era in piedi,
appoggiata alla sedia di Gojyo, che, già riempito di alcool
fino all’orlo per festeggiare la prima sbronza dopo la sua ripresa, giocava a
poker. Quel locale le era sempre stato interdetto, un po’ per la gente che vi
girava, e infatti la ragazza aveva già visto passare
in giro un po’ di “roba” (ci mancava solo la retata, ed erano a posto...), sia
perché si giocava d’azzardo, quindi gli animi, annaffiati di alcool e di
eccitazione per le giocate, erano pronti a scaldarsi per un nonnulla. Gojyo e
gli altri avevano sempre tentato di tenerla alla larga da lì, ma quella prima
sera il rosso voleva divertirsi, e non voleva essergli di peso.
Si sentì una mano sulla spalla,
e, voltandosi, vide una ragazza che le faceva cenno. “Fossi
in te, io starei piuttosto attenta. Non hai la faccia di una che viene qui spesso”
“In effetti, è la prima volta che
vengo in questo locale”, rispose. E non ci tengo a
tornarci ancora...
“Bè, vedi di stare vicina a chi
ti ha portato qui, perché girano strani tipi”, disse la ragazza, che indossava
una minigonna più mini che gonna, e un’attillatissima
camicetta luccicante. I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda, ed era
truccata piuttosto pesantemente. Certamente, non era lì per
ballare, o, almeno, era interessata a diversi tipi di danze.
Gojyo batté un pugno sul tavolo.
“Tutte le donne vengono a me!”, disse, incassando la vincita che gli aveva
regalato quel poker di donne. “Oboro, vedi di non mettere strane idee in testa
a Shinobu, per favore”
La ragazza davanti a lei assunse
un’espressione sorpresa sul volto. “Intendi dire che è con te, Gojyo? Ah,
povera ragazza...allora ti consiglio di stare ancora
più attenta!”, rise.
“Che
c’è, fai la spiritosa?”, fece lui senza nemmeno voltarsi, prendendo in mano le
altre carte. “Shinobu, fammi un favore...se riesci a farlo senza buttarle per
terra, prendi le carte e sollevamele fino al volto...magari porti anche
fortuna...attenta a non mostrarle”
Shinobu guardò la ragazza e le
sussurrò un ‘grazie’. Nonostante
avesse l’aspetto di una lucciola, le sembrava più corretta e simpatica di molte
cosiddette brave ragazze che le giravano intorno.
Lei le batté ancora sulla spalla
e le sorrise, annuendo. Poi, chiamata da tre ragazzi che sedevano a gambe
aperte (vestiti, per fortuna), su dei divani in fondo alla sala, si affrettò ad
andarsene.
“Allora, ti muovi? Qui aspettano
il mio turno”, fece il rosso indicando le facce poco
pazienti dei signori (già, perché avevano almeno il doppio della sua età) che
stavano giocando con lui.
Shinobu si inginocchiò
presso il tavolo, prese le carte e gliele avvicinò come le aveva chiesto. “Mi
spieghi come fai a giocare ubriaco fradicio?”
“Le cose sono due”, fece il
ragazzo a voce non troppo alta dopo aver dato un’occhiata
alle carte, ignorando la sua domanda. “O porti iella,
o sei...”
Le sussurrò all’orecchio: “...la
dea della fortuna”
“Gioco!”, disse gettando delle
monete e una banconota nel piatto.
Due si ritirarono. Un altro, con
un sorrisetto sornione, disse: “Rilancio!”
Gojyo cambiò due carte. Poteva
sperare in una scala reale di cuori, ma così facendo aveva rinunciato a un tris di assi.
Le cinse il collo con il braccio
che sorreggeva le carte, stringendosi a lei e mettendole le tre rimaste
davanti. “Ora si balla, bimba”
Oddio, è ubriaco perso. Spero che tra gli altri ci sarà qualcuno
sobrio, o, almeno, non sbronzo, che mi aiuterà a riportarlo a casa.
Shinobu invece, dopo il primo
bicchierino, aveva deciso che per quella sera una buona e semplice astinenza
sarebbe stata l’ideale, visto come si stavano mettendo le cose e l’ambiente in
cui si trovavano.
Le due carte arrivarono. Gojyo le
avvicinò e ne sollevò piano piano una. “Allora, Shinobu...”. Non parlò più,
facendogliela vedere. Era una carta giusta. Le avvicinò l’altra, con un occhio
socchiuso, e le disse: “Alzala tu”
Oddio ma quanto si è giocato? Ubriaco com’è, se non è la carta esatta
mi sventra qui davanti a tutti...
La prese ugualmente, sollevandola
piano piano. L’espressione di Gojyo non cambiò, ma era una donna di cuori. La
carta che serviva per completare la scala reale.
Anche la
sua rimase impassibile, intuendo che, dando modo all’altro di vedere che erano
messi piuttosto bene, avrebbe sfalsato il gioco.
Gojyo e l’altro iniziarono un rapido pingpong di rilanci, raddoppi, piatti. Shinobu
si sottrasse alla presa del rosso e si guardò un po’ intorno, alla ricerca di
Koji, probabilmente il più assennato del gruppo, per stabilire come e quando
riportarlo a casa.
“Shinobu, dove vai? Non mi
abbandonare adesso, stiamo rilanciando!”
“Neanche più in bagno si può
andare? Arrivo subito!”, gli rispose allontanandosi.
Fece una volta il giro del
locale, guardandosi intorno, alla ricerca di Koji, ma non lo vide da nessuna
parte. Sospirando, fece per tornare al tavolo di Gojyo, quando un tonfo e delle
voci concitate la convinsero a darsi una mossa.
“Baro!”
“Dimostralo, checca!”
“Valla a mettere in culo a tua...”
“Ti ammazzo!”
Non ebbe bisogno di molta
fantasia per intuire che Gojyo si era cacciato di nuovo nei guai...non vedeva
in giro i suoi amici, quindi la cosa poteva finire molto, molto male.
Un gruppo di curiosi si era
raccolto attorno ai due, per terra, che se le davano di santa ragione. Gojyo
stava ripetutamente colpendo il volto dell’uomo, con una ferocia indescrivibile
negli occhi, mentre l’altro lo colpiva con forti ginocchiate all’addome.
Kami, le costole no! Non sono ancora a posto!
La sua parte razionale, quella
rissosa, e quella prudente ma non del tutto razionale si scontrarono.
Se lo
non lo aiutava, il tipo gli rompeva di nuovo le costole non ancora a posto. Se lo aiutava, le prendeva lei dall’uomo o da Gojyo stesso.
La parte prudente le suggerì di andare a cercare gli altri, ma aveva la
sensazione che si sarebbero potuti ammazzare a vicenda prima del suo ritorno.
Così si fiondò su Gojyo e, tirandolo con tutta la sua forza, sforzando il
braccio ancora indebolito, tentò di spostarlo da lì, ma era come parlare con il
muro.
“Gojyo, piantala
e vieni!”
Il rosso non rispose, tornando a
colpirlo.
“Gojyo!”, alzò la voce, dandogli
un altro sonoro strattone e riuscendo ad allontanarlo da lui di qualche
centimetro.
Il ragazzo si liberò da lei con
una gomitata. “Lasciami perdere! Vattene a casa!”
Calma. Con calma. Calma cosa? Lo ammazzo io!
Lasciò il ragazzo e si guardò
intorno. Non vedeva gli amici di Gojyo, ma notò un’enorme bottiglia di sakè quasi
piena sul tavolo.
Senza perdere tempo, l’afferrò e
diede ai due una bella rinfrescata alle idee.
Gojyo si portò subito le mani
alla testa, spostandosi, mentre l’altro riceveva direttamente in faccia il
sakè.
“Ti sei dato una calmata?”, disse
la ragazza in tono disgustato, gettando la bottiglia per terra.
“Devo ucciderti o cosa?”, fece
rabbioso lui prendendola per le spalle e sbattendola sul bordo del tavolo,
costringendola a piegare dolorosamente la schiena.
“Ehi, ehi, ehi, adesso basta!”
Gojyo si voltò per vedere chi
altri osava mettersi in mezzo, per quella sera, e si
accorse che era Koji, con gli altri.
“Che è
successo?”, chiese.
“Questo stronzo di cane ha
barato!”, gridò il rosso facendo per scagliarglisi di nuovo addosso, ma Shinobu
si frappose tra i due e posò i pugni sul petto del ragazzo. “Smettila!”, gli
disse.
Il rosso fece di nuovo per
infuriarsi con lei, ma la testa che aveva preso a girargli e le gambe, che non
lo reggevano più, lo fecero crollare sulla ragazza.
“Eh...ehi!”, fece lei tentando di
sorreggere gli ottantacinque chili del ragazzo. “Ragazzi...datemi una mano, per
favore!”
Jin e Koji lo trascinarono verso
l’uscita, seguiti da una Shinobu abbastanza preoccupata. Merda...spero solo che sia l’alcool e non
qualche problema al cervello...
“Jin, io vado dentro a sistemare
un po’ le cose...vado a vedere come sta quel tipo e a vedere se ci sono altri
casini...”
Il ragazzo annuì e, dopo aver
adagiato per terra Gojyo con la schiena appoggiata al muro, si rivolse a
Shinobu.
“Hai fatto una cosa parecchio
pericolosa. Solitamente non si interviene nelle risse
da gioco, ci sono i soldi di mezzo e ci si scalda ancora di più...Gojyo poi era
completamente ubriaco, avresti potuto prenderle di santa ragione...”
Shinobu annuì. “Lo so. Ma ha
preso parecchie ginocchiate nelle costole, e dopo quello
che è successo...”, s’inginocchiò presso di lui. Posò la mano sul torace di
Gojyo, ma respirava perfettamente. Era solo svenuto per tutto quello che aveva
bevuto.
“Jin, potresti andare a cercare
dell’acqua e una pezza? Non è il momento di sobbarcarlo su una moto per
trascinarlo a casa”
Il ragazzo comprese e annuì,
allontanandosi.
Shinobu rimase lì, le braccia
posate in grembo, con le ginocchia piegate, a guardarlo in viso. Lo vide fare
una smorfia e produrre un mugolio.
“Bene. Ben svegliato!”, disse
piano.
Gojyo aprì un po’ gli occhi,
portandosi una mano sulla faccia. “Cretina...perchè ti sei messa in mezzo...?”
L’odore dell’alcool che Shinobu gli aveva versato di sopra
gli era divenuto insopportabile.
La ragazza lo ignorò. “Jin sta
arrivando con l’acqua. Koji e gli altri sono dentro a sistemare il casino che
hai fatto. Tu come ti senti?”
“Mi fanno male le costole...”
“Lo immaginavo. Altro?”
“Mi gira la testa...”
“Immaginavo anche questo. Poi?”
“Devo rimettere tutto dal mio
quinto compleanno...”
“Insomma, noto che stai
perfettamente”, lo canzonò lei, tirandosi fuori un fazzolettino dalla tasca e
asciugandogli il sudore e il sakè dalla fronte. Lo liberò dei capelli sul viso.
“Scusa...per
poco fa. Ti ho trattata di merda”
“Non preoccuparti, sto bene”
“Quando ti ho spinto sul tavolo...mi sono trovato indeciso se strapparti i vestiti di
dosso o farti sputare sangue. Non si interviene...”
“...in questo tipo di risse. Lo so, me l’ha detto Jin. Ma sto bene.
Aspettiamo che lui torni con l’acqua, e, appena ti sei ripreso un pò, ti
accompagno a casa”
Gojyo non rispose ne annuì. Chiuse di nuovo gli occhi,
concentrandosi sulla mano fresca di lei ancora sul suo volto.
Il ragazzo arrivò, porgendo a
Shinobu una bottiglietta d’acqua e la pezza. “Come sta?”
“Meglio”, rispose lei bagnando il
frammento di stoffa e passandoglielo in faccia. “Ha esagerato, come primo
giorno”
“Lo penso anch’io”
“Dentro? Tutto a posto?”
“Sì. Koji ha recuperato i soldi e
tutto. Il tizio si è dileguato”
“Perfetto”. Continuò a
massaggiargli il volto con la pezza. “Ginger, bevi un po’ d’acqua”
Gli avvicinò la bottiglia alle
labbra e lui bevve per alcuni secondi.
“Sono contento”, commentò Jin guardandola.
“Perché?”
“Perché
finalmente si è deciso a dirti quello che provava”
Shinobu arrossì un poco. “Come
l’hai capito?”
“Finora...quando si ubriacava,
era di pessimo umore. Non aveva mai lasciato che qualcuno gli si avvicinasse,
nemmeno per accompagnarlo a casa, figuriamoci per
fargli prendere aria”, rispose Jin.
“Che
scemo!”, commentò Shinobu sorridendo e guardandolo.
Videro che Gojyo faceva per
alzarsi, puntellandosi al muro. “Sto bene...”, mormorò, “Possiamo tornare
dentro”
“Possiamo tornare a casa, vuoi
dire!”, fece Jin anticipando Shinobu.
“No...non è necessario...casomai...accompagnate
a casa lei”
“Scordatelo!”, fece Shinobu
facendosi passare un suo braccio attorno al collo. “Jin, accompagnalo a casa.
Trovo Koji e vi raggiungo”
Una ventina di minuti più tardi, si ritrovarono tutti e quattro sotto casa sua.
Shinobu aveva le chiavi in mano, e tentava di aprire portone e porta, mentre
gli altri trasportavano Gojyo sulle spalle.
Salirono le scale, impresa
alquanto ardua, dato che non c’era ascensore, e, quando lei ebbe aperto anche
la porta, lo trascinarono fino al letto e lo deposero lì.
“Fiuu”, sospirarono stanchi e
sollevati i due. “Finalmente a casa!”
“Già. Ora rimane solo una
questione da risolvere...”
“Quale?”, chiesero in coro i due.
Shinobu lanciò una rapida
occhiata al proprio orologio, decidendo che era abbastanza presto e che poteva
ancora telefonare.
Sparì dalla stanza con il
cellulare in mano, e tornò pochi minuti dopo.
“Resto io, finchè non resuscita”
“Tu? Con lui ubriaco? Buona
fortuna!”, fece Koji battendo le mani.
“Bè, anche se fosse...non credo
che ormai avrebbe più da ridire!”, scherzò Jin. Anche
lui aveva bevuto.
“Jin!”, esclamò lei, irritata.
“Cosa
cosa? Perché, è successo qualcosa?”, fece Koji, ridendo
e stropicciandosi gli occhi. Oddio. Prima non se n’era accorta perché era tutta
presa da Gojyo, e Jin e Koji le erano sembrati lucidissimi, ma in realtà anche quei due avevano bevuto, e parecchio, e
adesso l’alcool iniziava a farsi sentire. Aveva messo Gojyo ubriaco su una moto
guidata da un ubriaco, e lo stesso aveva fatto lei. Ringraziò chiunque esistesse in cielo, se qualcuno esisteva, di essere arrivata
sana e salva a casa di Gojyo.
“Credo che il capo e questa qui
si siano...”, Jin si abbracciò le spalle, arricciando le labbra e inclinando la
testa.
Koji lo guardò
per un attimo con la bocca aperta, poi scoppiò a ridere. “Shinobu, da te
non me l’aspettavo proprio! Credevo fossi superiore a questo qui!”
Shinobu strinse le labbra. Adesso
i due stavano ridendo sguaiatamente, come due fusi, appoggiati al muro, Gojyo
russava nel letto e lei si ritrovava con quei tre alcolizzati. Probabilmente
scenette divertenti come quella si ripetevano spesso
quando andavano tutti insieme a bere fuori, ma adesso che loro avevano bevuto e
lei era perfettamente in possesso della sua lucidità, le parvero grottesche.
Specialmente perché si rideva di lei.
“Credo sia ora che voi due ve ne andiate a casa...”
Li stava buttando fuori con le
moto, mentre erano bevuti?
“Anzi...credo che sia ora che voi
due vi andiate a sedere di là...finchè non vi riprendete un po’ dalla sbronza”,
sospirò.
I due continuarono a ridere. “Andiamo, non vorrai prenderti cura solo di lui, vero? Anche noi siamo fusi...”, disse Koji.
Anche i migliori cadono... “Neanche per sogno. Andatevi a sedere, e tra
poco vi porto un tè. D’accordo?”, disse, togliendosi la giacchetta e rimanendo
in canotta.
Andò in cucina, e si mise ai
fornelli; fece scaldare l’acqua, e, mentre aspettava, si affacciò alla
finestrella della cucina per prendere aria. Non aveva sonno, e prendersi cura
di loro quando erano fusi le piaceva, anche se solitamente anche lei lo era,
sempre e comunque meno di loro. Il bollitore fischiò,
così sciolse il tè nell’acqua e ne versò due tazze. Lo zuccherò, e andò a
portarlo nel salone.
Il russare le suggerì che i due,
stravaccati nelle poltrone, stavano già dormendo profondamente.
Sospirando, cambiò strada e tornò
in camera di Gojyo.
Non stava più russando, anzi,
sedeva scompostamente sul proprio letto, lo sguardo perso nel vuoto, uno sguardo
da ‘Chi sono io? Dove mi trovo?’.
Quando Shinobu entrò nella camera
con il tè in mano, ne ebbe la conferma. “Tu? Che ci fai qui? Che ore sono?”, le
chiese, intontito.
Shinobu ridacchiò, porgendogli il
tè. “Ti riassumo...sono le undici e mezza all’incirca, Jin e Koji stanno
dormendo di là strafusi, e, a parte il fatto che mi preoccupava lasciarti in
quelle condizioni, non ci tengo a rischiare la pelle e tornare a casa sola o
con loro due ubriachi”
Si sedette sul bordo del letto,
con una tazza in mano. Bevve un po’.
Gojyo guardò la tazza come se si
fosse ritrovato in mano una bottiglia d’acqua, e ne bevve un lungo sorso,
perché aveva la bocca secca.
“Vacci piano, è
bollente! Se volevi dell’acqua, potevi dirmelo...”
Gojyo mugolò facendosi aria nella
bocca, rischiando di rovesciare la bevanda. “Accidenti, mi sono ustionato la
lingua!”
“Grazie tante, l’ho appena
fatto!”
“Vedo che come sempre ti senti a
casa tua...”
“Ah, figurati, mi sono soltanto
presa cura di te sbronzo...”
Gojyo non rispose e la attirò a
sé. “Allora lascia che ti ringrazi...”
E’ ancora perso...,
ma sorrise e accettò il suo bacio. Sapeva di tè, e anche di liquore, e odorava
tanto di alcool che non si sentiva nemmeno più l’odore
delle sigarette...odore in gran parte dovuto dalla bottiglia che gli aveva
rovesciato addosso.
Le mani di Gojyo andavano
scendendole sotto la canotta, mentre le sue labbra avevano abbandonato la sua
bocca e stavano iniziando a saggiare il suo collo.
“Gojyo...”, mormorò Shinobu
mettendogli una mano sul petto.
Il rosso non la ascoltò e le
tolse completamente la canotta. Shinobu lo lasciò fare, ma prese leggermente le
distanze da lui.
“Gojyo...ascolta...io vorrei,
ma...di là ci sono gli altri, tu sei ancora bevuto e...”
Gojyo non rispose più. Si era
riaddormentato. Sopra di lei.
Shinobu sorrise
dolcemente, distendendolo meglio e posandosi la sua testa sulle gambe.
“Allora...posso sperare che tu sia davvero mio, come hai detto stamattina a
scuola?”, mormorò a bassa voce.
- Che botta!-“Maki, sei sempre più patetica”, mormorò appoggiandosi al muro. Il
braccio ingessato non poteva muoverlo, era già molto se riusciva a alzarlo e abbassarlo, non le era di nessun aiuto.
“Che cosa ti avevo già detto un po’ di tempo
fa?”, fece la ragazza, sistemandosi i capelli dietro le orecchie.
“Vediamo...‘Sono una puttana’?”, rispose
Shinobu con un sorrisino in volto.
“Ragazze, tenetela stretta”, ordinò la ragazza, assestandole un pugno
in volto.
- Io metto tutto in conto...poi mi paghi tutto
con gli interessi...- Non si lasciò
sfuggire nemmeno un gemito.
“Non ti avevo detto che non l’avresti avuta vinta?”
“Allora l’ho avuta vinta?”
Le assestò un altro pugno, mentre le altre la tenevano. “Non ti avevo
detto di stare lontana da lui?”
Shinobu si leccò via il sangue dalle labbra. “Sei arrivata tardi, Maki.
Troppo tardi. Stiamo insieme, afferrato il concetto? Io...e solo io...me lo
porterò a letto, d’ora in poi”
L’altra strinse i pugni e le diede una ginocchiata nello stomaco.
Shinobu tossì, sentendo d’improvviso di dover rimettere tutto il pranzo di tre
ore prima.
“Non dire cazzate. Gojyo non può avere una relazione duratura con una
ragazza”
“Probabilmente non può avere una relazione duratura con te”, la
contraddisse ancora Shinobu. Doveva ancora rigettare tutto il nervosismo
accumulato quella mattina, e non le importava se non era
nella posizione per farlo.
Infatti, la ragazza l’afferrò per i capelli, tirandoglieli. “Lo sai cosa vuol
dire mettersi contro di me, Ori?”
“Credi di farmi paura? Mi fai solo pietà”, sussurrò
ancora Shinobu. Le parole le nascevano in bocca e uscivano da sole. Si stava
mettendo ulteriormente nei guai.
“Come vuoi tu”, fece allora l’altra. Le afferrò il gesso. “Questo...è
ancora rotto, vero? Quindi non fa nulla se lo spezzo
ancora un po’, vero?”
Shinobu non rispose. Il braccio le aveva fatto un male cane fino a poco
tempo prima, tanto che si era dovuta imbottire di antidolorifici.
Ultimamente il dolore era scemato, ma se le minava di nuovo la solidità
dell’osso erano davvero guai.
Si era ritrovata per l’ennesima volta vittima di un agguato. Possibile
che non avesse ancora imparato ad evitare di aggirarsi da sola per magazzini e
palestre, dopo l’orario delle lezioni? Doveva essere proprio scema, o proprio
imprudente, dopo un’aggressione a scopo sessuale e infiniti agguati da parte delle
ragazze.
Vide Maki uscire un coltellino dalla tasca. Probabilmente aveva troppa
paura per usarlo, tra un pestaggio e un’aggressione a mano armata ne passava di acqua sotto ai ponti. Lo usò per iniziare a tagliare il
gesso che portava al braccio.
Vide dividersi le firme di tutti i suoi amici sotto la lama. Tolto
quello, il suo braccio era più fragile di una lumaca a cui era stato tolto il
guscio.
- Bene. Che si aprano le danze... -
“Che sta succedendo qui?”
Alzò lo sguardo. Ma guarda, il cavaliere era venuto
un’altra volta a soccorrerla a cavallo del suo destriero bianco.
“Allora?”, fece Gojyo. “Ho chiesto che state facendo!”
Maki restò lì, il coltellino a mezz’aria, il gesso mezzo tolto
nell’altra, mentre le altre due ancora tenevano Shinobu per la vita e per
l’altro braccio.
Gojyo le si avvicinò e le assestò un forte
schiaffo. Maki fu sbalzata indietro, il coltellino le cadde
di mano.
“Si può sapere che volevate fare?”
“Ecco...noi...”, mormorò la ragazza, massaggiandosi la guancia.
“Su. Lasciatela andare”, si rivolse Gojyo alle
altre due, che obbedirono subito.
“Oh nobile cavaliere...”, fece Shinobu sistemandosi meglio il gesso e
massaggiandosi la faccia. “La bella principessa si inchina
alla vostra gentilezza e vi porge il suo fazzoletto come pegno d’amore!”
“Se hai tanta voglia di scherzare, ho fatto
fatica inutile a venire, o no?”, disse Gojyo, irritato.
Shinobu strinse le labbra. “Scusami. Ti ringrazio”. Si era messa nei
guai, come immaginava, il primo giorno che lui era tornato a scuola, e aveva
considerato ben poco le altre ragazze. Maki l’aveva aspettata in palestra
insieme a due amiche per convincerla a stare lontana da lui.
Gojyo la prese per un braccio, quello sano, e
la condusse con sé. “Maki...”, disse, prima di uscire. “Non permetterti mai più
di fare una cosa del genere. Non sono un oggetto, e lei forse è una delle prime
ad averlo capito. Non sono di nessuno, ma adesso sto con lei. Solo con lei, hai
capito? Dillo anche alle altre. La prossima a farle un agguato le prenderà come
se fosse un maschio, chiaro? E ringrazia Misao. Se non mi raccontava come stavano le cose e le rompevi di
nuovo il braccio, te la vedevi brutta. Molto brutta. Arrivederci, Maki”
Uscì dalla porta, lasciando lei e le altre ragazze a piangere.
Continua...
Capitolo finito! Yeah! Ringrazio
come sempre chi ha commentato...chi chiedeva una scenetta tra innamorati ne ha avuta una...ehm...molto umoristica (Gojyo fuso che si
addormenta...ma quanto lo prendo in giro?). La parte del locale mi è piaciuta
perché a me piacciono i posti così...pericolosi, anche se non ho mai occasione
di andarci, e tra i miei amici non ce ne sono che si dedicano a passatempi così
stimolanti (uffa...è la fregatura di chi conosce solo
bravi ragazzi!). Ehm...chiudiamo qui. Vi anticipo che i prossimi capitoli
saranno dedicati, per un motivo o per un altro, ai piccioncini...almeno per il
momento, perché ho intenzione, prima di svelare il passato nel Tenkai, di fare
apparire almeno un’altra volta Sanzo e Goku, e magari di fare spiegare Shinobu
e Gojuin.
Giuro che non ci vado perché ho voglia di
vederla...non mi sono mai abbassato a questo e mai mi abbasserò...giuro che ci
vado solo perché non ho nient’altro da fare...
Gojyo si avvicinò alla porta di legno. Spinse la
porta, ma solo un po’, e sbirciò dentro. Fu molto discreto solo perché temeva
di aver sbagliato posto, o di non trovarla lì, o almeno così credeva. In realtà
voleva osservarla senza che lei si avvedesse della sua presenza.
E la vide.
“Su, Shinobu, mettici più potenza! Vuoi tornare a
muovere il braccio come si deve, o no? E le gambe? Andiamo, quelle non te le
sei rotte! Spingi più sul piede di appoggio, quando tiri un calcio!”
E Shinobu, la fronte imperlata da goccioline di sudore,
senza nemmeno annuire, con la faccia contratta dallo sforzo si impegnava,
metteva più forza in quello che faceva.
“Perfetto! Va bene così...adesso...ma no, e quella me
la chiami guardia? Alza di più i pugni!”
Questa volta la ragazza annuì, e riuscì a parare un
paio di colpi che le venivano inferti, per poi riuscire a piazzare un pugno
esattamente al centro del guantone dell’insegnante.
“Benissimo, Shinobu. Continua così!”, disse quello
profondandosi in un piccolo inchino e sbattendo il guantone contro quello della
ragazza.
Shinobu, ansimando, annuì, fece anche lei un piccolo
inchino, e si allontanò, andando a sedersi a pochi metri dalla porta, senza
ancora accorgersi di lui.
“D’accordo...Ishitaki, adesso vieni tu”
Il ragazzo fece un piccolo inchino e si posizionò
davanti l’insegnante. Scoccò un’occhiata scettica a Shinobu, che se ne accorse
e lo guardò di rimando con un sorrisino sornione.
“Prima posso farle una domanda, maestro?”, chiese il
ragazzo, che dimostrava più o meno sedici anni, con lo sguardo corrucciato.
“Certamente”, rispose bonariamente il maestro. Era un
uomo di mezza età, dallo sguardo gentile e dolce allo stesso tempo.
“Perché ha deciso di aprire una palestra in cui
insegnare indiscriminatamente anche alle ragazze?”
L’uomo tacque, sorridendo. Poi disse. “Shinobu, so
che hai appena finito e sei stanca, ma vorresti per favore alzarti e venire
qui?”
Gojyo vide la ragazza, sorpresa, gettare a terra
l’asciugamano con cui si era tersa il sudore. Si alzò e andò verso
l’insegnante.
“Mettiti in posizione di guardia, Shinobu”, disse
seriamente l’uomo.
La ragazza obbedì.
“Ishitaki, attaccala”
“Come?”, chiese sorpreso il ragazzo.
“Attaccala. Mi chiedevi perché insegnassi anche alle
ragazze: te lo spiegherò subito”
Il ragazzo sorrise sprezzante e iniziò ad assestare
una serie di pugni a Shinobu, che, pur avendo il braccio sinistro indebolito,
riuscì a respingere i colpi e ad affibbiargli a sua volta un sonoro pugno in
faccia.
“Scusa!”, disse poi, imbarazzata. “Non volevo
colpirti per davvero”
Il ragazzo, basito e tremendamente rosso per la
pessima figura fatta, tornò a sedersi massaggiandosi il volto.
“Ti basta come risposta, Ishitaki, o vuoi che
ripetiamo l’esperimento con la signorina Sato?”
Il ragazzo scosse la testa.
“Benissimo. Molte delle ragazze che vi circondano
sono tette e culi, sempre pronte a gridare se appena si spezzano un’unghia. Ma
quelle che vengono qui non temono di farsi male o di sporcarsi: si impegnano e
mettono corpo e anima in quello che fanno, riuscendo spesso a superare in destrezza
e abilità qualunque uomo”
Si udirono risolini risuonare in tutta la palestra.
Anche Gojyo ridacchiò alla pessima figura fatta dal ragazzino. Tornò a guardare
Shinobu.
In quel momento, una ragazza si voltò verso la porta
e si accorse di lui. La vide mormorare qualcosa alla compagna vicina e
ridacchiare. La salutò con un cenno, poi rise di se stesso per aver compiuto
quell’azione quasi meccanicamente.
“Bene ragazzi...con questa...perla di saggezza, vi
lascio. Ci vediamo tra tre giorni”, fece l’uomo.
Saluto generale.
Shinobu si mosse verso la porta, poi venne fermata
dalla ragazza che poco prima Gojyo aveva salutato.
“Shinobu, complimenti per il pugno a Ishitaki! Quel
cretino crede di essere più forte solo perché è un ragazzo...ma senti...l’hai
colpito davvero per sbaglio?”
Shinobu si volse un momento verso il ragazzo, che
stava parlando imbarazzato ad alcuni amici, poi sorrise e tirò fuori la lingua:
“Nemmeno per sogno. Volevo ricordargli che non siamo più nell’età della pietra”
La sua risposta doveva essere piaciuta alle altre
due, perché iniziarono a ridacchiare.
“Ho sentito che hai avuto un incidente e che ti sei
rotta il braccio. Tutto bene?”
“Sì, adesso va tutto per il meglio. Ho ripreso un po’
di sensibilità...su, in riabilitazione, ho conosciuto il maestro, che mi ha
detto di aver aperto qui una palestra di kick boxing. Così ho pensato che
valeva la pena di provare”
L’amica bisbigliò qualcosa all’orecchio della sua
interlocutrice; la ragazza prese per una spalla Shinobu, e le disse in un
orecchio: “Hai visto quel gran figo con i capelli rossi che ci guarda da fuori
la porta?”
Lo sguardo di Shinobu si posò su Gojyo, ma già sapeva
che si trattava di lui ancora prima di scorgerlo. Ridacchiò e lo salutò con un
ampio gesto della mano.
“Lo conosci?”, le chiesero in coro, stupite, le due
ragazze.
“Bè, sì, è...ecco...”, non voleva dirlo. Si
vergognava troppo ad ammetterlo.
“E’ il tuo ragazzo?”, l’anticipò una delle due.
Shinobu aggrottò le sopracciglia e non rispose. Fece
appena un piccolo cenno del capo.
“Ma che fortuna! Dove l’hai conosciuto? Da quanto
state insieme?”
Gojyo, vedendo che la cosa tirava per le lunghe, le
fece un cenno impaziente. Shinobu annuì e disse: “Ragazze, devo andare. Ci
vediamo tra tre giorni, ok? Poi potrete farmi il terzo grado”
Le due sorrisero e annuirono, mentre Shinobu si
muoveva.
“Se non vuoi finire male, stammi lontano finché non
mi sarò fatta una doccia”, disse Shinobu al ragazzo mettendogli le mani sul
petto e respingendolo debolmente quando lui si chinò per baciarla.
Gojyo ridacchiò, e aspettò pazientemente che lei
sparisse dentro gli spogliatoi, per poi riapparire poco più di cinque minuti
dopo, indossando una canotta nera e un paio di jeans.
“Mi hai stupito”, le disse sinceramente il ragazzo,
mettendole una mano su una spalla.
“Perché?”
“Perché ti sei iscritta qui senza dirmi niente”
“A proposito, come mi hai trovata?”
“Sono passato da Hakkai dopo l’ospedale...e mi ha
detto dov’eri. Così...”
Vide il volto di Shinobu illuminarsi di un ampio
sorriso. “Sei passato a prendermi?”
Gojyo non rispose. Entrambi erano così testardi e
orgogliosi da non riuscire a stabilire come comportarsi, adesso che stavano
insieme: Gojyo, per esempio, mai avrebbe ammesso, nemmeno a se stesso, di
essere andato a cercare Shinobu perché aveva voglia di vederla, né lei avrebbe
ammesso di sentirsi in qualche modo compiaciuta di stare insieme al ‘gran figo’
che le ragazze ammiravano.
Ma nessuno dei due dava importanza alle piccole
mancanze dell’altro. In questo senso, erano così simili che far notare tale
difetto all’altro era come rimproverarlo a se stesso.
Perciò Shinobu non si aspettò risposta dal rosso, né
fece alcuna battuta di spirito sulla sua mano sulla propria spalla, bensì
seguitò a camminare in silenzio, sorridendo soddisfatta.
“Che hai da sorridere come una scema?”, le chiese
Gojyo accigliato.
“Niente...piuttosto, come ti sembra la mia versione
‘hard’?”
“Nessuna differenza con quello che fai di solito...la
kick boxing è solo un modo per attaccare briga più controllato, no? In ogni
caso, ho apprezzato molto in pugno in faccia a quel tipino”
Shinobu scoppiò a ridere: “Non sarebbe permesso
colpire dove non ci sono protezioni, ma non ho saputo resistere! E poi la kick
non si usa per le risse...”
Gojyo si accese una sigaretta. “E ho anche notato che
ti sei fatta delle amiche!”
“Amiche? Io la chiamerei convivenza civile...quella
che non mi riesce con le mie compagne di scuola perché si influenzano l’una
sull’altra”
“Come mai hai deciso di iscriverti a uno sport tanto
impegnativo? Poco dopo esserti rotta il braccio? E per di più con questo
caldo...”, disse legandosi i capelli in un codino e sbottonandosi un po’ la
camicia.
“Vedi...le arti marziali sono molto diverse dalle
risse. Ho capito questo: impari presto a controllarti. E poi il maestro è
geniale...è un tipo molto alla mano, intelligente, spiritoso...”
“Divertente! Perché non gli chiedi di diventare tuo
amante?”
Shinobu gli tirò fuori la lingua, piazzandogli una
gomitata nel torace e strappandogli un piccolo gemito. “O merda! Ti ho preso
nelle costole in restauro?”
Gojyo prese fiato: “Decisamente. Se volevi i cento
punti, li hai ottenuti con la lode. E questo per te è sapersi controllare?”
“Scusa! Non sono abituata a doverti trattare con i guanti”
Gojyo le scompigliò i capelli. “Non cambierai mai”
Shinobu tacque per un momento. Poi: “A proposito...ma
dove stiamo andando? Io sto seguendo te, ma...”
Gojyo fece tintinnare qualcosa nelle tasche. “Tu ti
sei fatta coinvolgere, e ora mi segui fino in fondo!”
“Mi stai portando in un sexy shop?”, chiese Shinobu
divertita.
Gojyo alzò lo sguardo per un attimo, come a prendere
seriamente in considerazione la cosa. “Sì. Mi servono un frustino e delle
manette, quelle che ho a casa sono troppo consunte...ah, poi devi dirmi le tue
misure così compro un po’ di biancheria hard...anzi, te la provo io nel
negozio, va bene?”
“Che ne dici se invece ti compri un calco in gesso da
plasmare a mia immagine e somiglianza, così usi quello e non mi rompi le
palle?”, rispose Shinobu con una voce che tradiva l’imbarazzo.
Il ragazzo scoppiò a ridere: “Guarda che non mi
sembra tanto una cattiva idea...quando lo plasmiamo il calco?”
A Shinobu parve una domanda volontariamente mirata.
“Ha parlato quello che tre giorni fa si è addormentato mentre...”,
s’interruppe.
Ma senti questa... “Ti ho già detto che non mi
ricordo”.
“Io mi ricordo, invece...dimentichi ciò che ti fa
comodo non ricordare? E io come una cretina sono rimasta in reggiseno e mi sono
addormentata pure io, poi la mattina dopo sono entrati Jin e Koji e...ti lascio
immaginare i commenti. ‘Shinobu, non sapevo che adesso si scopasse con la parte
di sopra!’, e, ‘Non te l’avevamo affidato per saltargli addosso!’”, fece la
ragazza ricordando il rintronamento di tutti e quattro di quella mattina,
quando si erano trascinati a scuola come zombie.
Gojyo tornò serio, osservandola con uno sguardo
intenso e penetrante che fece presagire a Shinobu che era entrato in modalità
'adesso sono serio', e facendogli di colpo riguadagnare i suoi quasi diciannove
anni, che troppo spesso perdeva per strada.
“Niente sexy shop...”, mormorò Gojyo tornando al
discorso precedente, prima che, come al solito, degenerasse. Gli faceva comodo
cambiare discorso in quel momento, avrebbe pensato Shinobu in condizioni
normali. Vedere Gojyo serio era un vero e proprio spettacolo. Serio, non
arrabbiato, precisò a se stessa. Quando le rivolgeva quello sguardo
penetrante, la ragazza si sentiva sussultare e improvvisamente ricordava il
motivo per cui gli piaceva tanto, che solitamente le sfuggiva.
Shinobu iniziò a guardarsi intorno; il suo senso
dell’orientamento non faceva faville; il centro di riabilitazione, che si
trovava nello stesso edificio della palestra, era situato in un quartiere non
troppo lontano dal suo, ma di cui non aveva molta praticità; e la zona in cui
ora stavano camminando lei e Gojyo era poco lontana, ma comunque sconosciuta
alla ragazza. Non aveva la minima idea del dove e del perchè il ragazzo volesse
portarla.
Facendo vagare lo sguardo, Shinobu si accorse di
essere finita in un quartiere pieno di uffici e magazzini. Seguì Gojyo per i
vari vicoli, strade non troppo illuminate e soprattutto non troppo frequentate,
finché il ragazzo non si fermò davanti una saracinesca arrugginita.
Non posso crederci. C’è ancora...
Sentì il respiro del ragazzo farsi più intenso,
quando tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi, le stesse chiavi che Jien
aveva dato a Shinobu perché le consegnasse a Gojyo da parte sua.
Quelle sono le chiavi che mi ha dato Jien per
Gojyo...allora questo luogo ha a che fare con lui?, mosse, più che per
soggezione che per altro, un paio di passi all'indietro. In un attimo,
all'improvviso, le sembrava di aver invaso lo spazio vitale di Gojyo, ovvero
quel determinato luogo in cui non ti devi trovare in quel determinato momento.
Gojyo armeggiò per alcuni secondi con il vecchissimo
lucchetto, poi, con sua trepidazione, si aprì.
Deglutì; tirò su la saracinesca, ma, arrugginita, non
riuscì a farla scorrere. Al secondo tentativo, con non poca protesta delle
costole non ancora pronte ad essere sottoposte a sforzi gravosi, la saracinesca
scattò, e l’aria fu invasa da un odore acre di polvere e di chiuso.
Gojyo annusò per un momento quell'odore, e venne
preso da un lieve senso di nostalgia. Si voltò verso Shinobu, facendole un
cenno con la testa per invitarla ad entrare con lui.
La ragazza non proferì parola; non poteva capire, ma
poteva intuire che posto fosse quello. L’odore di vecchio, anzi, di ricordi,
parlava chiaro.
Il rosso entrò lentamente dentro il magazzino; accese
l’accendino e con quello riuscì a trovare un interruttore che,
inspiegabilmente, riuscì ad attivare.
La luce artificiale rivelò un grande locale gremito
di oggetti d’ogni tipo. Shinobu riuscì a intravedere negli scatoloni
attrezzature musicali, pezzi di motore, persino vecchi giocattoli.
Il respiro di Gojyo non si era ancora calmato:
improvvisamente, fu come se una nube densa di passato fosse caduta su di lui;
quello era il magazzino dove Jien trascorreva le sue giornate, suonando,
armeggiando con la moto, portandoci le ragazze.
Mosse alcuni passi verso il centro del locale,
accarezzando le varie scatole e scaffalature man mano che vedeva oggetti
familiari.
Quei muri...quegli scaffali...quello era il posto
dove il ragazzo lo nascondeva.
Lui...gli veniva in mente solo adesso...cercava di
sottrarlo il più possibile alla presenza della madre. Lo portava lì, nel suo
posto segreto, e gli insegnava a suonare, a fumare, a...Lì Jien faceva il
fratello maggiore che nascondeva di essere quand’era in casa con la madre.
Travolto dall’ondata improvvisa di ricordi, Gojyo
sifermò al centro della stanza,
incapace di stabilire che fare. Senza nemmeno fare un giro, si sedette sul
pavimento polveroso, e alzò lo sguardo verso il soffitto ammuffito e scuro. Che
c'era andato a fare lì? A che pro rinvangare il passato? Voleva andarsene, ma
voleva anche restare lì. Voleva abbandonare tutti quei ricordi che
improvvisamente l’avevano assalito, ma contemporaneamente si
sentiva...rassicurato.
Si sentì posare due mani sulle spalle. E lo invase
quel calore che, la prima sera in cui si era ripreso in ospedale, lei gli aveva
regalato.
“Qui...” mormorò il ragazzo “E’ dove mio fratello mi
nascondeva da mia madre per tutto il tempo possibile. Dove lui...”
Shinobu scosse la testa, anche se lui, essendo di
spalle, non poteva vederla. “Hai visto? Non eri solo allora...e lo sei adesso
meno che mai”
Gojyo si ritrovò a sorridere; “Io...”, non seppe
continuare. Solo adesso si era reso conto del perché gli era venuto subito in
mente di portarla lì con lui; inizialmente aveva pensato di doversela vedere da
solo, di aver bisogno di fare i conti con il proprio passato da sé, ma subito
il suo volto gli era venuto in mente, si era ricordato di come la sua voce
fosse spiccata tra i ricordi amari, quando aveva perso conoscenza a seguito
dell’incidente, si era ricordato di come lei gli fosse stato accanto la sera
stessa che aveva ripreso conoscenza, e di come avevano trascorso la notte, quel
giorno che le aveva confessato di provare qualcosa per lei. Erano rimasti tutta
la nottata distesi sul suo letto, scambiandosi poche parole e molti sguardi. I
giorni successivi, avevano dovuto affrontare la quotidianità, e iniziare a
porre le basi del loro rapporto, silenziosamente.
Aveva iniziato a sentire il desiderio di vederla più
spesso, di averla vicino a sé in maniera più profonda, di voler ricercare un
contatto più intimo, non solo a livello fisico: quel giorno, aveva
inconsciamente deciso di portarla con sé a rivivere il suo passato. E ora aveva
capito perché. Perché ora non era più solo.
Le prese un polso e se lo avvicinò alle labbra,
posandole un piccolo morso sulla pelle.
Sentì la ragazza irrigidirsi e assestargli un piccolo
pugno sulla testa – questa volta si era controllata, visti i precedenti – “Ma
sei impazzito? Che ti prende in un momento del genere?”
Gojyo scoppiò a ridere, abbandonando tutto il
nervosismo accumulato fino a quel momento per la prova che lo aspettava, tutte
le sensazioni torbide che il pensiero di dover riaffrontare il passato gli
rievocava. Non rispose alla ragazza, ma continuò a ridere.
Shinobu fu incerta se dover preoccuparsi o esserne
sollevata. Poi comprese: “Non sei capace di manifestare il tuo affetto in
maniera meno animalesca?”
Gojyo non smise di ridere subito. Le prese una mano
e, rischiando di farla rovinare a terra, la usò per sollevarsi dal pavimento
polveroso. Si avvicinò a Shinobu, poggiandole la testa nell’incavo della
spalla, anche se dovette abbassarsi di molto, dati i poco meno trenta centimetri
di dislivello tra le due altezze (meno male che era abituata a indossare scarpe
non troppo basse...).
“Grazie...”
Iniziò a fare un giro del locale, osservando gli
oggetti che ricordava e quelli che non aveva mai visto, mostrando ogni tanto
qualcosa a Shinobu. Gli cadde di mano il mazzo di chiavi.
Pollice e indice si chiusero attorno a una grossa
chiave. Se l'avvicinò al volto, posandosela sul palmo della mano.
E' vero...dovrebbe essere ancora qui, se non l'ha
portata via. Ma in quel caso non mi avrebbe dato le chiavi.
“Vediamo...”,
Si avvicinò ad alcune scatole sul fondo del
magazzino, e cercando di spostarle. Shinobu gli fu vicino e iniziò ad aiutarlo.
"Cosa cerchi, Gojyo? Diamine, questo magazzino è
molto più grande di quello che sembra..."
“...prima era qui. Kami, mi sembra assurdo
tutto questo...mi sembra di essere tornato a dieci anni”
"Se è per quello, sei cresciuto solo
fisicamente"
"E tu nemmeno lì, parola mia! L'unica maniera in
cui ti espandi è in larghezza"
"Vorresti dire che sono grassa?"
"Vorrei dire che non hai esattamente un vitino
da vespa"
"Bastardo...". Shinobu incassò il colpo
senza rispondere, perchè in fondo sapeva che Gojyo aveva ragione. Si era
alquanto impigrita, ultimamente, e l'andare a bere fuori con gli altri non la
aiutava con la linea...poi c'erano le sbafate colossali di dolci con Goku, che
per quanto mangiasse come una discarica, non ingrassava di un etto ed era
addirittura più magro di lei...
Gojyo esultò silenziosamente per la battaglia vinta.
Spinse su con la schiena, e finalmente riuscì a liberarsi dell'ultima scatola
che impicciava, scacciando uno scarafaggio che andò a rifugiarsi tra le scarpe
di Shinobu, la quale si limitò a muovere un passo in avanti.
"Perchè non l'hai schiacciato?", fece Gojyo
posando in disparte la scatola.
"E dovrei uccidere i tuoi simili? Non sia
mai!"
Entrambi si voltarono quasi contemporaneamente verso
la porzione di magazzino liberata.
Le labbra di Gojyo si piegarono in un sorriso
compiaciuto.
Era ancora lì.
La moto su cui suo fratello aveva lavorato giorno e
notte.
La moto che aveva faticosamente comprato e
risistemato.
La moto che suggellava una riconciliazione.
Continua...
Capitolo interamente incentrato su Gojyo e
Shinobu...non è esattamente quella che si può definire una scenetta romantica,
ma è molto intima. Mi piacerebbe far rientrare Jien in scena...ma non so se ce
ne sarà l'occasione...mi è sempre piaciuto il rapporto tra i due fratellini
(per essere così i fratelli, mi sarebbe piaciuto conoscere il padre...), e
trovo che Jien/Doku sia un personaggio bellissimo, anche se, dopo aver letto il
volume 7 di Saiyuki, sono stata colta da fondati dubbi
sull'...ahem...incorruttibilità del demone. Insomma, la questione è aperta:
secondo voi, Jien si portava a letto sua madre? Vi prego ditemi di no...sul
forum tutte sono convinte di sì...ç_ç Doku non puoi farmi questo...matrigna di
Gojyo sei una baldracca!!!
^^" Naturalmente ogni mio discorso degenera.
Ultimamente ho il compu che fa le bizze e voglio ucciderlo. Spero di postare il
capitolo che state leggendo il prima possibile, ho già saltato la domenica,
consueto giorno di post...uhm...come vi avevo anticipato, il prossimo capitolo
sarà incentrato su Sanzo e Goku...diciamo che presto si aprirà la parte
centralissima della fiction, quello che tutte volevate sapere ma che nessuno vi
ha mai rivelato (dove l'ho già sentita stà frase?)<---oddio ma quanto sono
fusa da uno a dieci?
Basta scrivere bakate, the show must go on (come
dicevano i Take that, sapete quel cretino di mio padre sostiene che l'abbiano
cantata i queen...mah...l'ignoranza della gente! -.- <---faccia assassina
dei fan dei queen che vorrebbero bruciarmi sul rogo per eresia...va bene va
bene, lo so che i Take that, pace all'anima loro, non si sarebbero mai sognati
di fare musica così...), quindi vado a studiare scienze e ci sentiamo alla
prossima! Sapete il prossimo mese ho gli esami ma la vistra Simo continua
imperterrita a scrivere e a postare regolarmente!
"E quindi ti sei iscritta a kick boxing?", chiese Goku
sorseggiando la sua aranciata.
L'interessata,
con in mano una buona dose di vodka, la prima di una
lunga serie, per la cronaca, annuì sorridendo. "E' davvero
divertente!"
"Tsk...è
solo un modo in più per attaccare briga, no?", commentò Sanzo dall'alto
del suo boccale di birra.
Shinobu
alzò lo sguardo, corrugando i muscoli della faccia così tanto da esibirsi nella
perfetta imitazione di un carlino. "Conosco qualcuno che mi ha detto
qualcosa di molto simile...". I suoi occhi, simili a radar, si andarono a
posare su Gojyo, che per poco non si affogò con il sakè. "Che c'è, Sanzo, sei tu che ti stai facendo sempre più simile
a Gojyo o è il contrario?"
I due
risposero scattando in piedi, stupendo tutti per la
straordinaria simultaneità, degna di due praticanti di nuoto sincronizzato. "Che cosa hai detto?!". I due manifestanti, dopo essersi
squadrati, spostarono la loro indignazione da Shinobu all'altro.
"Cosa vorresti dire, checca ossigenata? Sarebbe un onore
somigliare ad un uomo come me!"
"Mi
vergogno persino di far parte della tua stessa specie, stupido idiota!"
"Cerchi
rissa?"
"Per
tua fortuna non ne ho la minima intenzione"
"Fatti
sotto, stronzo!"
"Te
la stai proprio cercando..."
Gli
sguardi di Gojuin, Goku e Hakkai si invece portati
sull'indiretta causa di tutta quella discussione. Sguardi da 'Tu Li Hai Fatti Litigare E Ora Tu Li Fermi'
"Va
bene, va bene, ho capito! Se volete menarvi, fatelo
fuori, stupidi!", esclamò Shinobu battendo le mani, quasi stesse cercando
di dividere due dobermann litigiosi, e guadagnandosi due occhiate che la
trapassarono da parte a parte.
"Shinobu,
hai la straordinaria capacità di peggiorare sempre le situazioni. Complimenti,
è una dote rara"
"Hakkai,
da quando sei diventato così pungente? Il tuo carattere è notevolmente
peggiorato, o sbaglio?", osservò Shinobu
inclinando la testa e sorridendo, suscitando l'ilarità di Goku.
Hakkai
ricambiò il sorriso, frapponendosi nel mentre tra Gojyo e Sanzo, la cui distanza
era intanto pericolosamente diminuita, e ottenendo di farli sedere senza dover
dire nemmeno una parola. Guardò la ragazza con uno sguardo da 'Hai Visto Come
Si Fa?'.
Goku
tossicchiò per richiamare l'attenzione. "Prima che il discorso
degenerasse, come sempre, io e Shinobu stavamo parlando della kick
boxing", disse, desideroso di mettere un punto alla questione. Nonostante conoscesse Sanzo, e ancora di più conoscesse
Gojyo, vederli litigare ogni volta che si scambiavano più di tre parole
consecutive, per quelle cazzate, oltretutto, gli faceva ribollire il sangue.
"Già,
già...in ogni caso, Sanzo, come ho già detto a Gojyo, la kick boxing non una
semplice teorizzazione delle tecniche da rissa, è qualcosa di più disciplinato
e...artistico. In questo senso, l'istruttore ci evita
tutte quelle chiacchiere sullo ying, e lo zen, e tutte queste stronzate
teoriche, come le chiama lui. Ci insegna a combattere,
e tutt'al più perchè e quando non è il caso di farlo. Tutto qui"
"Presumo
che sarebbe inutile consigliarti di andarci piano con quella roba, vero,
Shinobu?", fece Hakkai indicando il vassoietto con il secondo giro di ordinazioni che un ragazzo aveva appena portato.
"Presumi
bene. Sono ancora alla seconda portata, bello", ammiccò
Shinobu afferrando il secondo bicchierino. Il ragazzo dagli occhi verdi
sospirò, prendendo la sua seconda ordinazione e rigirandosi tra le mani il suo
sakè.
"Gojuin,
sei venuto per fare la bella statuina? Interloquisci,
su!", esclamò la ragazza dopo aver vuotato il bicchierino. Decisamente, iniziava a scaldarsi.
In
effetti, il ragazzo non aveva spiccicato che poche parole da quando si era
seduto al tavolo, e ora osservava il fondo del suo bicchiere in religioso
silenzio.
"Forse
è annoiato da tutte le vostre chiacchiere", s'intromise Sanzo.
Gojuin
fece un cenno di diniego con la testa, mettendo una mano avanti per ribadire il concetto. "No. Generalmente non sono di
molta compagnia"
"Una
dote rara, il silenzio. Se solo qualche stupido qui intorno sapesse appena il
significato di questa parola...", continuò Sanzo, guadagnandosi tre paia di occhiatacce da Goku, Shinobu e Gojyo, che si erano
sentiti chiamare in causa.
"Ci
degnerai un giorno di scendere dal tuo piedistallo, o venerabile Sanzo?",
chiese Gojyo chinando ironicamente il capo.
"Lo
stesso giorno in cui ogni scarafaggio sarà stato sterminato da questa
terra", ribatté l'altro impassibile.
"Gojuin,
è faticoso l'incarico di rappresentante degli studenti?", fece Hakkai per
cambiare discorso, prima di ritrovarsi nel ben mezzo
di un'ennesima Pearl Harbour.
"No,
non particolarmente...gli insegnanti, una volta che hai trovato il modo di
farli rigar dritto, imparano ad avere soggezione di te"
"Ah,
questo credo che non sia da tutti...", ribatté l'altro.
"Già...è
stato fantastico quando hai zittito il preside che ci aveva coinvolti
nella rissa di Sanzo e Gojyo!", osservò Shinobu.
Furono
interrotti dall'arrivo di un ragazzo dalla capigliatura assurda, che,
trafelato, si appoggiò al tavolo, posandovi su una grossa bottiglia di vodka,
cosa che fece luccicare gli occhi di Shinobu.
"Tu
sei...tu sei Sha Gojyo, non è vero?", fece il ragazzo rivolgendosi al
rosso.
"Sì,
ci conosciamo?", chiese l'interessato accendendosi una
sigaretta, e deluso dal fatto che a riconoscerlo non fosse stata una
bella donna.
"Credo
proprio di sì...sono Kirishima, abbiamo suonato insieme qualche mese fa proprio
su questo palco...", fece il ragazzo indicando la piccola folla che si era
radunata attorno al palchetto del locale.
Gojyo
inclinò la testa. "Kirishima...Kirishima...ma certo! Tu sei il tizio che
aveva la rock band, vero?"
"Esatto!
I Red Anark, ricordi? Abbiamo suonato qualche pezzo nostro, e poi qualcosa
degli Iron Maiden e dei Nirvana. Stasera abbiamo in programma qualcosa dei
Penpal e anche un paio di pezzi nostri...gli stessi
che abbiamo suonato qualche mese fa"
"Ancora
non avete sfondato, eh?"
"Purtroppo
no. Ci serve molta fortuna", convenne il ragazzo. Dato che sostava ancora lì, a tutti fu chiaro che non era giunto al
tavolo solo per salutare la sua vecchia conoscenza. Shinobu lo scrutava con
curiosità, intuendo ciò che il ragazzo stava per chiedere.
"Senti...stasera ci manca il chitarrista. Ti ho visto qui dal
palco, e quasi svenivo per il culo che abbiamo avuto. Tu
te la cavavi bene con la chitarra elettrica, no? E
avevi anche una voce niente male. Che ne pensi? Se in un'ora ti facciamo provare i testi di qualche mese fa, credi
di saperli suonare?"
Gojyo
ci pensò un pò su. Iniziò a canticchiare un motivetto, poi
annuì. Non suonava su un palco da secoli, ed era proprio quello che ci
voleva per farlo andare su di giri, quella sera. "Ragazzi, state a guardare come si suona con le palle!", esclamò al
gruppetto al tavolo, che lo guardò con poca fede.
"Senti...credi
che, per il disturbo, potresti lasciarci questa qui?", chiese Shinobu al
ragazzo indicando la bottiglia di vodka sul tavolo, che non aveva mai
abbandonato con gli occhi.
Kirishima
ammiccò. "Prendetela pure, ragazzi. Se Gojyo ci salva il culo stasera, ve ne regalo altre tre!"
"Uff...",
mormorò Shinobu appoggiata al muro. La bottiglia giaceva vuota a terra, tra
Sanzo, Hakkai, Gojuin, e lei, si era svuotata come una borraccia nel Sahara.
Hakkai
e Goku stavano erano dentro ad osservare Gojyo che tentava, in un'ora, di
ricordarsi i pezzi. Sanzo era a fumare da qualche parte. Gojuin...non lo
sapeva. Almeno, finchè non se lo vide comparire alle spalle.
"Ah,
sei tu, Gojuin...ho pessimi ricordi di questo posto e di gente che mi arriva
alle spalle...", mormorò dopo essere sobbalzata.
"Questo
perchè sei imprudente"
"Imprudente
perchè addirittura pretendo di prendere una boccata d'aria senza che mi si molesti?"
"Vuol
dire che bevi troppo, che ti fai sorprendere troppo spesso al buio da sola, e
che anche in quel caso non ha la prontezza di spirito di saper tenere la bocca
chiusa", osservò l'albino, corrucciando le sopracciglia.
"Tanto
di cappello, sir! Cento punti pieni! Il nostro carattere non lo possiamo
cambiare, però."
"Sei
un pò alticcia, o sbaglio?"
"Non
sbagli. Ma il bello deve ancora venire...pretendo da
quel tizio che ha rapito Gojyo le tre bottiglie che ci ha promesso!",
disse incrociando le braccia dietro la testa.
"Sempre
che Gojyo se la cavi"
"Se la caverà...sembra stupido, ma sa suonare davvero bene. E ha un orecchio per la musica prodigioso. Si ricorda di una
canzone anche dopo averla sentita mezza volta, se ha detto che crede di potersi
ricordare la musica di quella band, sta' sicuro che se la ricorda davvero..."
"Ti
trovo infervorata, vero?"
Shinobu
chiuse la bocca, poi sorrise. "In un certo senso...è una sfida trovargli
dei lati positivi, quindi è divertente"
"E tu...ne sei innamorata", concluse Gojuin abbassando
lo sguardo.
Shinobu
non rispose. Rimase con lo sguardo per aria, a guardare il cielo. "Bè",
disse poi, "Non è sempre possibile dare un nome a
ciò che proviamo. Non dobbiamo per forza dire: è amore, è amicizia...esistono
diversi livelli di sentimenti che si possono provare per una persona. Infiniti.
E non esisterebbero abbastanza termini coniati dalle
lingue di tutto il mondo, per connotarli...io posso dire: sì, è amore, ma
potrebbe essere qualcosa di diverso...in fondo, anche quello che posso provare
per un cucciolo che mi hanno regalato potrebbe chiamarsi amore. Posso dire che
tu sei un mio amico, Gojuin, come posso dirlo di Hakkai...ma non è lo stesso
tipo di amicizia. E con ciò
non intendo che Hakkai è 'più' amico di te, o viceversa...dico solo che provo
per voi sentimenti diversi. Ma mi piacete. Mi piacete tutti e due"
"Bum!
Mi hai rifilato un due di picche indirettamente,
Shinobu", fece il ragazzo portandosi davanti a lei per guardarla
negli occhi. La ragazza si accorse con grande sorpresa
che sorrideva leggermente. Non lo aveva mai visto sorridere, né forse lo aveva
mai fatto.
"Chiamalo
pure un due di cuori. Ti ho appena detto che mi piaci, se non sbaglio", ridacchiò lei, sollevata.
"Ah-ah...l'hai
fatto di nuovo. Hai detto due, non asso...immagino che
l'asso sia per Gojyo, vero?"
"Se
avrà la fortuna di pescarlo, buon per lui", concluse
la ragazza.
Entrambi
tacquero. Non c'era bisogno di aggiungere altro. La
situazione era completamente chiarita. Eppure...una
parte di Gojuin non avrebbe mai rinunciato a lei. Non avrebbe mai tradito se
stesso, perchè affermare che era pronto a ignorare
tutto sarebbe stata ipocrisia bella e buona.
Appoggiò
una mano al muro, accanto la sua testa. "Ricordati
che...se un giorno troverò per terra quell'asso di cuori, te lo porterò e
pretenderò ciò che mi spetta, d'accordo?"
Shinobu
rise divertita. Gojuin era una persona estremamente
piacevole e affascinante, e aveva certamente molti più lati positivi di quanti
ne lasciasse trapelare. "Come credi!", esclamò tirandosi su e facendo
per entrare.
"Coraggio,
entriamo...quell'idiota avrà finito di provare, a quest'ora"
I
riflettori del palco si accesero. Shinobu e Gojuin impiegarono non poco per
trovare Hakkai, Goku e Sanzo, a poca distanza dal gruppo, che gesticolavano verso di loro (ovviamente, escluso Sanzo).
"Allora?
Com'è andata?", chiese Shinobu ad Hakkai e Goku.
"Bè...non
male. Si ricordava più o meno gli accordi. Ha perso giusto un pò di tempo per
ricordarsi le parole. Speriamo che ce la faccia", rispose
Hakkai.
"Che canzoni canteranno?"
"Bè...credo Waiting so Long dei Penpal...e poi qualche pezzo loro.
Tutti pezzi molto belli, ho sentito. Credo che abbiano talento, per quanto
possa capirne io"
"Allora
non vedo l'ora di ascoltarli", fremette d'impazienza la ragazza.
"Un
rumore di attrezzatura sistemata sul palco li fece
tacere e voltare tutti. I ragazzi stavano montando gli strumenti, e la testa
rossa di Gojyo spiccava in mezzo a tutte le capigliature da punk da strapazzo
degli altri, che sembravano essere costruite col Bostick o col cemento armato.
Kirishima
prese il microfono, soffiandoci su. Il silenzio cadde nel locale, le luci,
escluse quelle colorate del palco, si spensero.
"Buonasera
a tutti! Anche se ormai abbiamo fatto notte...". Una
risata si sparse nel locale. "Abbiamo avuto ragionevoli motivi per farvi
attendere così tanto...quel testa di cazzo di Hikaru ha deciso di tirarci bidone proprio stasera...e ha avuto la gentilezza
di farcelo sapere appena un'ora e mezza fa. Eravamo tutti pronti a farci un bel
tuffo nel fiume, quando l'ispirazione divina è caduta giù dal cielo...o meglio,
ho trovato qui dentro a sbronzarsi con i suoi amici il
vecchio Sha Gojyo, questo bel ragazzone dai capelli rossi. Non credo che le
ragazze se ne avranno a male se stasera lo utilizziamo
come sostituto di quello stronzo di Hikaru, no?"
"Noooooooooooooooo!".
Il coro di pure voci femminili concitate si sparse per la stanza.
"Per
cui, se sbaglia abbiate la decenza di non tirargli ortaggi
addosso, poverino, ha dovuto imparare tutto in poco tempo..."
Il
coro di 'Nooooooooooooooo', questa volta anche maschile, riecheggiò di nuovo.
"Bene,
direi che ho detto tutto. I Red Anark possono iniziare a farvi tremare il
piloro fino al culo, vero?"
"Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!"
"Allora...iniziamo
con un pezzo nostro, il cui compositore modestamente sono io...ragazzi, e
soprattutto ragazze...un applauso di incoraggiamento...perchè
stasera vi cantiamo...Still Time!"
Gojyo
attaccò la batteria e iniziò a strimpellare, accompagnato dalla tastiera e da
tutti gli altri strumenti. Kirishima aveva lasciato spazio a
Gojyo davanti al microfono, probabilmente sarebbe stato lui a cantare.
Dareka ga sutete shimatta
kinou wo hiroiage
Gamushara
ni te wo nobashita
kotae wo
tsukitsukete
[Raccogliendo
il passato
che qualcuno ha lasciato cadere,
ho freneticamente aperto la mano
gettando via la risposta]
Nani wo te
ni irete mo
manzoku
suru koto wa nai
Fukuzatsu
ni karanda
kokoro no sukima kara
nigedase
[Non
c’è soddisfazione
in qualunque cosa tu possa avere.
Vola via
dal vuoto nel tuo cuore aggrovigliato]
Sou sa Make a Treasure
sabitsuita toki no naka ni
kimi no koe wo kiku
kono mama todoketai
hikari no naka kimi ga
matte'ru
sou
shinjite'ru kara ima sugu ni
[Di
questo fanne tesoro,
ho sentito la tua voce nel tempo arrugginito.
Voglio
porgertelo ora,
perché credo
che tu stessi aspettando me dentro la luce]
Subete wo
tsukai hatashita
mirai wa
surikirete
Tameraigachi ni eranda
yume sae kishimidasu
[Il
futuro è consumato
da chi si ci dedica completamente.
Persino
i sogni, scelti con cura,
cominciano a cigolare]
Yuu'utsu na nichijou
nukedasu koto sae shinai
Sonna kimi no soba de
machi-tsudzukete'ru
no wa gomen da
[Non
provare a fuggire
dal cupo passare dei giorni.
Dovrai
scusarmi
per averti fatto aspettare una persona come me]
Dakara Make a Treasure
sabitsuita kagami no naka
jibun wo sagashite
kono te de tsukamitai
doko ni ite mo kimi ga
matte'ru
sou
shinjite'ru kara ima sugu ni
[Per
questo fanne tesoro
...sto
cercando me stesso in uno specchio arrugginito.
Voglio
afferrarti con le mie stesse mani
perché credo
che tu mi stia aspettando, ovunque io sia]
Nani wo te
ni irete mo
manzoku
suru koto wa nai
fukuzatsu
ni karanda
kokoro no
sukima kara nigedase
[Non
c’è soddisfazione
in qualunque cosa tu possa avere.
Vola
via
dal vuoto nel tuo cuore aggrovigliato]
Sou sa
Make a Treasure
sabitsuita
toki no naka ni kimi no koe wo kiku
kono mama todoketai
hikari no naka kimi ga
matte'ru
sou shinjite'ru kara
[Di
questo fanne tesoro,
ho sentito la tua voce nel tempo arrugginito.
Voglio
porgertelo ora,
perché credo
che tu stessi aspettando me dentro la luce]
Dakara Make a Treasure
sabitsuita
kagami no naka jibun wo sagashite
kono te de
tsukamitai
doko ni ite mo kimi ga
matte'ru
sou
shinjite'ru kara ima sugu ni
[Per
questo fanne tesoro
...sto
cercando me stesso in uno specchio arrugginito.
Voglio
afferrarti con le mie stesse mani
perché credo
che tu mi stia aspettando, ovunque io sia]
La
canzone finì. Seguirono un paio di secondi di silenzio assoluto. Poi l'intero
locale esplose in un mix di applausi, grida e fischi
di ammirazione.
Anche Shinobu, Hakkai, Goku, e persino Gojuin battevano
concitatamente le mani.
"Hai
sentito? E' stato...assurdo! L'ha davvero provata solo per
un'ora?", esclamò Shinobu pietrificata.
"Già...quando
ci si mette, è capace di una concentrazione che ha dell'incredibile", le
rispose Hakkai continuando a battere le mani. Sanzo, invece, imperturbabile
come sempre, non mosse un ciglio.
"Ragazzi...come
vedete, non c'è stato bisogno di tirargli degli ortaggi! Che
dite, lo prendiamo al posto di Hikaru?", gridò Kirishima dal microfono.
Un
coro di "Sììììììììììììììììììììììììììììììììì" esplose nella sala,
mentre Gojyo si faceva avanti nel microfono.
"Buonasera
a tutti! Effettivamente, è stato tutto parecchio improvviso...bè, sono stato
bravo o no?"
Il
coro di risposte positive riecheggiò ancora.
"Davvero?
Ma c'è qualcuno che ancora non ho sentito
rispondere...ehi voi laggiù!", si sbracciò verso Shinobu, Hakkai e gli
altri. "Vi ho fatto vedere o no come si suona con le palle?"
"Datti
all'ippica, Gojyo!", risposero, imbarazzati dall'essere improvvisamente
osservati da mezza sala, Goku e Shinobu, incredibilmente in sincronia. Poi si
unirono in un sonoro batticinque.
"Devo
darmi all'ippica, stupida scimmia e stupida mocciosa? Ora vi faccio vedere io!
Sotto con le prossime canzoni!", gridò eccitato il rosso. Era parecchio su
di giri, come si era augurato, e sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene.
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"Freddo..."
Sanzo
sollevò un pò il busto, voltandosi verso Goku. Con una mano posò il giornale
accanto a sè, mentre con il medio dell'altra si aggiustò gli occhiali sul naso.
"Come
hai detto, scimmia?"
Non
gli ci volle molto per capire che Goku non stava parlando con lui. Non stava
parlando con nessuno. O forse, stava parlando con
qualcuno che non poteva sentirlo.
Il
ragazzino si strinse a sè, tremando lievemente.
"Freddo..."
Freddo?
Come minimo ci sono venticinque gradi! Anzi, ora ti scaravento giù dal letto
che fa troppo caldo per starci in due!
Sospirò
rumorosamente. Da quando quella stupida scimmia gli aveva invaso il letto, per
lui non c'era più pace nemmeno di notte. Le prime volte si era risvegliato
convinto che il palazzo tremasse fin dalle fondamenta per un improvviso
terremoto di sesto grado scala Ritcher...poi aveva
capito che era un inutile essere che provocava tutto quel trambusto...
Ma la cosa che lo faceva più incazzare, era il suo non essersi
saputo imporre per cacciarlo via dalla sua stanza. Goku si era categoricamente
rifiutato di dormire da solo, e buonsenso avrebbe voluto che Sanzo avesse avuto
tutti i diritti per scaraventarlo via di casa...eppure, dopo la prima notte in
cui aveva scoperto di aver dormito tranquillamente con
quell'animale nel letto, dopo estenuanti lotte notturne, il biondo per la prima
volta nella sua vita era stato costretto a capitolare, e gli aveva lasciato lo
spazio nel letto. Tanto, era a due piazze...se non che,
quei continui terremoti notturni lo facevano incazzare come non mai. E la cosa peggiore era che si stava anche abituando.
Ormai,
quando non tornava a casa per i turni notturni alla farmacia, si chiedeva
sempre come stesse Goku, a dormire da solo. Se gli veniva
la strizza a dormire nell'altra stanza, figuriamoci in casa da solo...
Oh
bè, affari suoi.
Eppure,
non poteva non ammettere che anche lui si sentiva
tranquillo, a dormire con lui.
Non
tranquillo in senso...fisico, cioè, non si riposava
affatto quando dormiva con lui, però non faceva incubi.
Neanche
uno.
Una
delle cose che lo avevano turbato non poco era stata appunto questa: e cioè che ben poche volte aveva sognato di suo padre,
nonostante, prima del trasferimento, fosse il suo incubo più ricorrente. Ma non riusciva ancora a credere, o forse ad ammettere, che
fosse merito di Goku.
Freddo...Già,
freddo...quanto ne aveva sentito lui quella notte...ma
non aveva avuto nemmeno una coperta. Nemmeno qualcuno che gli chiedesse come
stava.
Impercettibilmente,
allungò la mano verso il braccio di Goku, e ne sfiorò il polso. Aveva delle
cicatrici anche lì...non le aveva mai notate, strano.
E
quelle non doveva avergliele inferte il patrigno.
Conosceva la sottile sensazione di annichilimentoe insieme di onnipotenza che si provava al
vedere le proprie vene azzurrine nel polso, lì in bella mostra come a chiedere
di essere tagliate. E...naturalmente, più senza senso
era la vita di chi le guardava, più apparivano nitide.
Quelle
di Goku, a giudicare dall'imprecisione delle linee rosa che gli si avvicinavano
senza però toccarle, dovevano essersi fatte vedere nitidamente molte volte, ma,
ironia della sorte, non si erano mai fatte
raggiungere.
Goku
si voltò improvvisamente dall'altra parte, un mormorio nello stomaco ben eloquente.
"Ho fame...", sussurrò in mezzo ad altre parole incomprensibili.
Alle
quattro di notte? Fammi dormire o giuro che ti impicco
con il salame che c'è nel frigo! E' mai possibile che non si riesca MAI a
dormire con te?
Come
classica goccia che fece traboccare il vaso, Goku si voltò verso di lui con la
stessa irruenza con cui si era voltato dall'altra parte, mancandolo per un pelo
con il pugno teso.
Mentre
la venetta del nervosismo si ingrossava nella tempia
del biondo, l'altra sua mano si portò automaticamente alla prima arma di
fortuna che trovò, il quotidiano che prima stava leggendo; lo arrotolò e
affibbiò a Goku una sventagliata in pieno volto.
Giuro
che un giorno o l'altro ti ammazzo, lo sai?
Ma il ragazzo non si mosse, né si svegliò; continuò a dormire,
rannicchiato su se stesso. Sanzo lo vide avvicinarsi lentamente a lui, sempre
nel sonno. Appoggiò la fronte contro il suo fianco, e non si mosse più.
Miracolo!
Finalmente è caduto in catalessi...forse adesso mi riuscirà di
dormire un pò...sono sfinito dalla sbronza di poco fa e domani mi devo pure
alzare presto...
Si
guardò intorno, cercando con gli occhi il lenzuolo che era finito chissà dove,
divenuto inutile per i venticinque gradi di temperatura di quella notte.
Naturalmente,
Goku lo aveva scaraventato per terra, giusto dall'altra parte del letto.
Maledicendo lui e se stesso, Sanzo dovette alzarsi per raccoglierlo; glielo
gettò rudemente addosso, poi andò a distendersi nella stessa posizione di
prima, notando che Goku si era avvicinato di nuovo a lui per ricercare un
minimo di contatto fisico.
Spense
la debole luce che illuminava la stanza quando leggeva di notte. Una volta che
la scimmia aveva placato i suoi bollenti spiriti, tanto valeva che ne approfittasse per addormentarsi prima che riprendesse a
far ballare la tarantella al letto...
Freddo...
Blu
scuro...
Una
grande sfera gialla.
Queste
furono le prime cose che il Seitentaisen vide quando
nacque.
Nacque...nacque da chi?
Da
cosa?
Cos'era lui?
Nudo,
ricoperto da una patina umida, il demone dagli occhi dorati sedeva su una
roccia.
I
suoi lunghi capelli mossi dal vento.
Un'indicibile
energia concentrata nelle sue mani.
Quello...era
il mondo?
Adesso
lui esisteva?
Cosa voleva dire...'esistere'?
Che avrebbe fatto tante cose?
Che
avrebbe trovato qualcosa per cui farle?
Guardandosi
intorno...vedeva solo la luna.
Che fosse quella il suo scopo?
Che un giorno...sarebbe riuscito a raggiungere la luna?
La
prima cosa che fece, fu di volgere i palmi verso l'alto, tentando di allungare
le braccia più che mai, per raggiungere quella fonte di luce che gli sembrava
così vicina.
Ma non ce la fece.
Forse...prima
di raggiungerla doveva fare qualcos'altro.
Doveva
diventare più forte.
O più grande.
E allora...sarebbe riuscito ad arrivarci.
Quella
prima notte, la trascorse fissando la luna, tremando
dal freddo e da una strana sensazione allo stomaco.
Poi
la luna si allontanò sempre di più...
...e si sentì perduto quando la vide scomparire pian piano.
Chiuse
gli occhi. Aveva capito la prima cosa della vita: la delusione.
Aveva
capito la seconda: la solitudine.
Aveva
capito la terza: il freddo.
Era
convinto...che scomparsa la luna, il mondo sarebbe stato avvolto dal buio.
Ma
invece, quando riaprì gli occhi, vide che il mondo era stato avvolto da una grande luce.
Cos'era
quel corpo, infinite volte più grande della luna e
infinite volte più luminoso?
Una
parola di formò nelle sue labbra.
"E'
il sole"
Il sole...il sole. Qualcosa che splende.
Qualcosa che riscalda.
Desiderò raggiungere il sole, adesso la luna non aveva più
significato.
Ma anche il sole era troppo lontano per lui, forse più della
luna.
Però una cosa l'aveva capita.
Esisteva
qualcos'altro, a parte la delusione, la solitudine, il freddo: la speranza.
La
speranza che, un giorno, avrebbe potuto trovare qualcosa di simile al sole.
La
speranza di poter godere in pace dei suoi raggi.
La
speranza di poter nascere veramente.
Era
giunto qualcuno che si muoveva come lui, che gli somigliava: qualcuno che, non
appena aveva visto i suoi occhi, aveva provato timore.
Che
ci fosse qualcosa che non andava, nei sui occhi?
Avevano
detto che erano dorati...
...perchè
non andava bene?
L'oro
non era forse il colore del sole?
E allora perchè era una cosa cattiva?
Lui
non era cattivo...
...lui...lui...
...l'avevano
chiamato essere eretico.
Che significava?
Che avrebbe fatto del male agli altri esseri che gli assomigliavano?
Perché gli avevano messo le catene?
Erano
pesanti...fredde...scomode...
...perchè
l'avevano fatto?
Era
convinto...che se avesse incontrato altri esseri come lui, non sarebbe stato più solo.
Un
altro errore.
Forse...ci
si sente più soli a stare con persone che non ti vogliono bene.
Perché l'avevano coperto con dei vestiti di stoffa e
condotto con loro?
La
pietra dov'era nato era così rassicurante...
...così
familiare...
...e
il luogo dove c'era quella pietra era così bello...poteva sentire il rumore di acque vicine, versi di animaletti...
...gli
avevano promesso del cibo.
Ma non era per quello che li aveva seguiti.
Forse...per
un attimo...aveva pensato che lo conducessero dal sole.
E infatti...un sole l'aveva trovato.
Un
uomo. Un bellissimo uomo dai capelli color del sole.
Infiammabile,
magari, ma un bellissimo uomo.
Che lo faceva sentire bene.
Adesso...non
era più solo.
Era
in cammino sulla strada per raggiungere il sole.
Continua...
Vediamo...premetto
che questo è stato il capitolo che più mi ha fatto soffrire. Non perchè non
avessi ispirazione o qualcosa del genere, ma perchè il mio voracissimo
computer, ribattezzato Attila - Dove passa lui non cresce più l'erba, per gli
amici Gengis Khan, si è fagocitato la seconda parte non una, non
due, ma ben tre (scarpiere Slim?)volte, morale della favola: l'ho riscritta 4
volte.
Roba
da far suicidare un santo...
Per
l'ispirazione, si ringrazi la canzone Hallelujah della colonna sonora di Shrek,
Angel di Robbie Williams, e la main theme di The Lord of the Ring (scommetto
che l'avete sentita tutti, l'hanno anche trasmessa con la pubblicità della
birra Moretti^^)...nonché la mia preferita delle
canzoni di Saiyuki Reload, Fukisusabu kaze no naka de (nota pubblicitaria:
scaricatevele tutte che ne vale la pena!!!!), e la versione medieval di
Tightrope.
Ah...non
faccio mai disclaimers, tanto si sa che i personaggi non sono miei ma della divina-somma-miprostroaisuoipiedi Kazuya Minekura...ma
stavolta volevo farli per quanto riguarda la canzone...naturalmente
non è mia (forse solo la traduzione, che ho fatto dall'inglese
all'italiano...), è la stupenda Still Time, seconda sigla di chiusura di
Saiyuki (che pirla faccio i disclaimers e nemmeno mi ricordo come si chiama
l'autore...). La domanda da un milione di dollari è: perchè proprio Still Time?
All'inizio volevo optare per Don't look back again o
proprio per Fukisusabu kaze no naka de, ma non avevo le traduzioni. For real
era troppo scontata...quindi ho scelto la bellissima Still Time, che mi fa
vibrare ogni volta che la ascolto. A proposito di disclaimers, i Penpal sono il
gruppo che canta le canzoni di Berserk...Waiting so Long è per l'appunto una di
queste. Per l'idea, ho sfruttato il mio amico Fede, che deve
cantare in giapponese questa canzone alla festa d'istituto della mia scuola...
Ho
fatto questo capitolo bello lungo per farmi perdonare dei ritardi di aggiornamento...che ne pensa
Chiuse il libro che aveva davanti a sé, sollevando
una nuvoletta di polvere, e si riaggiustò gli occhiali sul naso.
“Libro?”
Osservò la copertina. Riusciva a distinguerne il
colore, era una sorta di fulvo, ma non gli riuscì di
leggerne il titolo.
Si alzò dalla sedia, osservandosi intorno...una
stanza che non riconosceva, un’atmosfera diversa, come di...sospensione nel
tempo.
Si guardò le mani; sì, quelle erano le sue mani, di
Cho Hakkai, sebbene vi notò tante piccole cicatrici sulle dita, probabilmente
dovute alle pagine taglienti di infiniti libri letti
nel corso di infiniti secoli.
Indossava un lungo camice bianco, e sotto questo una camicia beige, sulla quale spiccava una
disordinata cravatta; ai piedi portava buffi zoccoli, e i suoi pantaloni erano
di un marroncino chiaro.
...un ricercatore?
Era quella l’impressione che gli dava l’aspetto che
aveva assunto.
In maniera lampante, Hakkai intuì di essere finito,
questa volta più coscientemente del solito, in un altro dei suoi strani sogni.
Un grande specchio stava appeso davanti a lui, e l’immagine che gli rimandò fu
quella di un uomo che gli somigliava molto, ma che non era lui; il suo sguardo
era...diverso. Più coscienzioso. E aveva i capelli
lunghi. Era più maturo. Solo allora notò la sigaretta che gli pendeva dalle
labbra, e che in quel momento aveva lasciato cadere la cenere.
Si tolse istintivamente la sigaretta dalle labbra;
non aveva mai potuto sopportare il fumo, e spesso aveva gentilmente chiesto a
Gojyo di non fumare in sua presenza. Poi però comprese...che lì non era Hakkai. Era qualcun altro, che sicuramente aveva il
brutto vizio del fumo. E rimise la sigaretta al suo
posto, facendo buon viso a cattivo gioco.
Hakkai (?) iniziò a misurare a grandi passi la
stanza, che sembrava una biblioteca: molti libri giacevano sugli scaffali,
altri per terra, altri sui mobili di fattura antica e sui tavoli. Numerose
pergamene erano arrotolate qua e là, e dovunque avvertiva odore di polvere,
carta antica, e fumo di sigaretta.
Notò una porta in fondo alla stanza, e l’aprì. Si
ritrovò in un ampio corridoio, sul quale si aprivano numerose stanze. Si lasciò
guidare dall’istinto, e si avvicinò ad una delle porte, aprendola.
La stanza era vuota. Dentro c’era odore di un qualche
profumo ai fiori, forse magnolie, e alcuni vestiti giaceva
piegato sul letto o sulle poltrone che completavano la stanza altrimenti
spoglia.
Hakkai si avvicinò ad una dei capi piegati e lo aprì;
era un vestito femminile, piccolo, un po’ usato, dal cui dorso pendevano alcuni lacci che sicuramente servivano ad
affibbiarlo. Fu colto da un’improvvisa nostalgia, e provò il desiderio di
risvegliarsi per rivedere i suoi amici. Poi, però, la razionalità prese il
sopravvento, e posò il vestito dove e come l’aveva trovato.
Una grande finestra, coperta
da tendine rosse, lasciava filtrare la luce.
Aprì le tendine, e osservò quasi estasiato il
bellissimo panorama che la finestra gli aveva aperto davanti: un luogo fiorito,
solare, attivo; persone che andavano, persone che venivano, soldati, donne,
anziani, ma nessun bambino.
Quella vista, che avrebbe dovuto riempirlo di gioia,
gli mise invece in bocca un sapore amaro, poco piacevole.
E provò ribrezzo per quella
gente che vedeva sotto di lui.
Richiuse le tendine, uscì dalla stanza e ne chiuse la
porta. Continuò a percorrere il corridoio, ignorando meccanicamente quasi tutte
le stanze; poi, improvvisamente, si fermò davanti una porta, e l’aprì senza
pensarci.
L’odore che aleggiava in quell’altra
stanza era invece di chiuso: sicuramente la persona che ci viveva non la
utilizzava che per dormire. E infatti notò un letto
sfatto, degli abiti gettati alla rinfusa sul pavimento e sul letto, e, sul
fondo della stanza, unico oggetto ordinato e curato, un’armatura lucente.
Hakkai si avvicinò all’armatura e ne toccò l’elmo,
che rifletté il suo volto sconosciuto. Si guardò ancora
intorno, convenendo che, armatura a parte, avrebbe facilmente potuto
attribuire la stanza ad una persona di sua conoscenza.
Sorrise a quel pensiero, ma fu in quel momento che,
tra i capi maschili che giacevano inerti, notò un biancore che spiccava: e
quando si chinò non fu quasi sorpreso di ritrovarsi in mano un paio di
mutandine da donna.
Sì. Questa stanza mi ricorda qualcosa.
Ma, e qui rimase sorpreso, credette
di sapere a chi apparteneva quell’indumento. E a quel punto una
sensazione di insicurezza, di timore gli invase la
mente.
Lasciò cadere per terra le mutandine, piccole e
semplici.
E uscì dalla stanza
chiudendo la porta.
Senza saperne il perché, si ritrovò a porre un
bollitore sul fuoco e a tirar fuori da una dispensa
una bottiglietta di sakè. ‘Bottiglietta’ non era la
parola esatta, dato che conteneva una quantità tale di sakè che avrebbe potuto
facilmente dissetare quattro persone; fu in quel momento che si accorse di una
figura di spalle davanti a lui, dai capelli rosso scuro, tutta vestita di nero,
e intenta a lucidare uno stivale anch’esso nero.
“Quando è pronto il tè?”,
chiese la figura, sempre dandogli le spalle.
Tutto ciò che Hakkai avrebbe voluto fare era di
correre da lui, voltarlo e guardarlo bene in viso. Ma,
incredibilmente, non potè che rispondergli.
“Tra poco. Hai intenzione di andare al comando,
oggi?”
Il ragazzo sbuffò. “Sì, purtroppo sì”
In quel momento sentì una voce argentina che
proveniva dal corridoio, e il cuore gli balzò in gola, certo di conoscere senza ombra di dubbio quella voce. Un rumore familiare di oggetti metallici che venivano agitati si confuse con
quel suono.
Sentì i passi, la voce e i rumori argentini farsi più
vicini.
Vide la porta aprirsi lentamente.
“Tenpou?”
Non ancora. Poco tempo...poco tempo e saprai. Ma non adesso.
Hakkai si svegliò, madido di sudore.
Accese immediatamente la lampada sul comodino,
ansimando, e scattò in piedi.
Corse al tavolo, prese carta
e penna, e iniziò a scrivere tutto quello che ricordava. La penna scivolava sul
foglio, così come i suoi ricordi gli scivolavano via dalla
mente piano piano; se non avesse scritto
quegli appunti, in capo a poco avrebbe dimenticato persino di aver sognato.
Prese minuziosamente nota di ogni sensazione, di ogni
gesto, di ogni paesaggio, di ogni viso. Delle poche parole dette dalla figura
di spalle, delle parole che aveva sentito dentro di sé nello svegliarsi, e
infine del nome che gli era sovvenuto in mente.
Tenpou.
Il solo pensarlo gli mise i brividi addosso.
Si lasciò scivolare sulla sedia, afferrando
spasmodicamente il telefono che stava accanto a lui.
Chiamò Gojyo, ma non rispose. Chiamò Sanzo e Goku, ma
il telefono squillò invano. Non aveva il numero di Gojuin, e comunque
chiamare lui sarebbe stato inutile. Il telefonino di Gojyo era irraggiungibile,
sicuramente spento. E quello di Shinobu suonava senza
risposta.
Mise giù la cornetta. Per una volta che aveva lui un
palese bisogno di parlare, nessuno si faceva trovare.
Certo non poteva sapere che qualcosa, quella sera,
uno scherzo del destino magari, aveva portato fuori dalle
loro case ognuno degli amici...
...che qualcosa non voleva che
raccontasse a nessuno quello che aveva sentito...
...semplicemente perché
anche per gli altri era quasi giunto il momento di sapere.
Senza anticipazioni.
Tutti gli altri erano già andati via da un pezzo.
Lei da quella mattina si sentiva inquieta. Come un gatto che senta avvicinarsi una tempesta, un cane
che percepisce l’arrivo di un terremoto, o un topo che si prepara ad
abbandonare la nave avendo capito che è tempo che si aprano le danze.
Aveva indugiato un po’ osservando il legno del
pavimento della palestra. Il maestro era uscito dagli spogliatoi, pronto a
tornare a casa, ma vedendola lì si era seduto accanto a lei. Le aveva offerto una bibita in lattina, che aveva accettato
distrattamente, ringraziandolo.
Senza chiederle una sola
spiegazione, aveva aggiunto: “Sei stanca, o ti va di allenarci un altro po’?”
Shinobu lo aveva guardato; aveva annuito, sorridendo,
e si era alzata lentamente in piedi, imitata dall’altro. Dopo un piccolo
inchino, avevano dato inizio ad una serie di piccoli scontri da pochi minuti
ciascuno, che avevano asciugato completamente
l’energia di Shinobu, compresa quella mentale; eppure, quella sensazione di
agitazione non l'aveva ancora abbandonata.
Il braccio stava tornando a muoversi come prima,
anzi, meglio. Riusciva a usarlo per parare i colpi
senza che un formicolio la prendesse, e riusciva anche ad assestarci qualche
pugno abbastanza potente. Alla fine di uno scontro, che le era sembrato il dodicesimo,
crollò a terra senza più fiato, né forze.
“La ringrazio”, aveva allora sussurrato ansimando
all’uomo, che aveva sorriso e si era seduto.
“L’età si fa sentire...”, mormorò allora quello
asciugandosi il sudore che gli sgorgava copioso dal viso. “Un tempo avrei retto
anche il doppio della fatica, adesso sono sfinito”
“Dev’essere bello...dedicarsi tanto intensamente a
qualcosa che piace, per così tanto tempo. Io non ne sarei capace: odio le cose
che non cambiano mai”, sussurrò lei facendosi aria con una mano.
L’uomo scosse la testa. “Sì, ma è altrettanto bello
dedicarsi a tante piccole cose, mettendo in ognuna la stessa passione che si impiegherebbe se fosse l’unica”, concluse lui.
Shinobu sorrise e annuì, lasciandosi scivolare sul
pavimento di legno, piacevolmente tiepido. Il caldo di quella sera era
opprimente, ma le tante finestre aperte nel locale facevano interscorrere un
po’ di corrente.
“Come mai tanta energia da sfogare? Hai le tue cose?”
“Non dica sciocchezze, per favore...”, rispose
Shinobu aggrottando le sopracciglia.
L’uomo rise. “Ora è davvero il caso di andare. I tuoi
saranno preoccupati”, fece lui.
“I miei saranno a dormire”, lo contraddisse,
“Ormai sono abituati. Spesso torno così tardi
la sera che non ho il tempo di prendere sonno che già devo alzarmi a studiare”
“Perché non allenti il
ritmo? Ma sarebbe come dire ad uno Shinkansen di
andare a 15 km/h, no?”
Shinobu ridacchiò e annuì. “L’ho rallentato anche
troppo per colpa dell’incidente stradale. Adesso ho voglia di rifarmi”
“Com’è successo, se posso chiedertelo? So solo che
c’entra una moto...”
“Bè....ero con un amico, e
indossavo il suo casco. Non è una persona...estremamente
socievole con gli esponenti di sesso maschile. E’ invischiato in un sacco di
beghe con sedicenti teppisti di altre scuole. Ma chi gli ha sabotato la moto...è stata una persona che lui
aveva pestato per difendere me.
Perché stava tentando di farmi del
male. Gli hanno tolto la pastiglia dei freni...hanno
quasi causato la morte di tre persone”. Ormai, raccontare quelle cose non le
faceva più né caldo né freddo. Ma sul serio, non
mentiva a se stessa. Perché Gojyo era salvo, lei non
si era fatta niente, e i responsabili erano finiti al chiuso. Secondo la logica
del buonsenso (leggi: secondo la logica dei cosiddetti 'adulti'), adesso lei
avrebbe dovuto temere le moto e tenersi alla larga da certa gente. Secondo la
logica di Shinobu, visto che non era successo nulla,
avrebbe potuto accantonare tutto e continuare come prima. Quindi era stata a
dir poco felicissima quando Gojyo aveva avuto l'altra
moto, sua madre lo sarebbe stata molto meno, ma tant'era....
“Si direbbe che il tuo rapporto con questa persona
sia speciale, vero?”, chiese l’uomo. “E’ quel ragazzo dai capelli rossi che è
venuto qui poco tempo fa?”
Shinobu annuì. “E’ lui”
L'uomo si alzò. “Bè, credo che ti abbia scovato anche
oggi!”
Shinobu alzò gli occhi e, in effetti, vide, sotto la
luce soffusa della palestra, la sagoma di Gojyo. Il maestro la guardò
sorridendo, e disse: “Bè, giovani, vi lascerei volentieri la palestra per i
vostri comodi, ma devo chiudere”
La ragazza scosse la testa. “Grazie ancora. Non aveva
da fare a casa?”
“No, solo ascoltare una moglie isterica che mi
prepara fagioli quattro volte a settimana”, rispose esasperato lui. “Preferisco
tenermi alla larga da casa quanto più posso”
Shinobu si alzò, andando a recuperare la sacca, e si
affiancò a Gojyo. Si volse indietro, fece un piccolo inchino e salutò
l’insegnante.
“A fra tre giorni, maestro”
“Ci vediamo, Shinobu”
Uscirono entrambi all’aria aperta.
“Ho interrotto qualcosa?”, chiese Gojyo, sulla
difensiva.
“No...nulla. Ma come fai sempre a
sapere dove sono?”
“Sesto senso. Sciocca, ti sto aspettando da almeno
un’ora e mezza qua fuori! Si può sapere come mai non sei uscita al tuo solito
orario?”
“Ho continuato ad allenarmi fuori tempo”, si scusò
lei. “Se avessi saputo che eri fuori...perchè non sei
entrato a chiamarmi?”
Gojyo non rispose. Si avvicinò alla moto, le porse un
casco, e se ne mise uno in testa anche lui. “Andiamo a bere qualcosa?”
“Sembro uscita da una pattumiera! Offrimi
qualcosa a casa tua, così mi faccio anche una doccia!”
Il silenzio di un paio di secondi che seguì da ambo
le parti la portò a riformulare la proposta.
"Intendo, se ti va.
Altrimenti torno a casa, perchè ho proprio bisogno di una doccia e non posso
chiedere al maestro di lasciare aperta la palestra finchè non ho finito di
usare gli spogliatoi"
“Ah, ma allora non era una proposta indecente!"
Shinobu alzò gli occhi al cielo. Si sentiva già abbastanza
stanca, per dover anche sentire le sue cavolate.
"Andiamo, sali...", sorrise Gojyo salendo sulla
moto.
Era appena uscita dalla doccia, i capelli ancora bagnati,
e il viso arrossato. Neanche la doccia calda era servita ad alleviare un pò la
sua inquietudine. Si sedette sul divano, silenziosa. Un improvviso battito al
cuore le fece portare la mano al petto.
Le cose sono due...o sto dando di matto, o mi si è
guastato qualche ingranaggio. O c'è qualcosa che esula
dalla mia comprensione. Non so quale delle tre augurarmi...
Sentì una lattina gelida poggiarsi sulla sua fronte.
Allungò una mano e la prese, aprendola e ascoltando divertita il 'pffff' della linguetta che si
apriva, e quella prima, fumosa ventata di odore di alcool. Un odore amaro e
sincero, che la faceva sentire bene.
Già...a pensarci bene, perchè aveva quella passione per
l'alcool?
Risaliva a tempi remoti...aveva scoperto che l'alcool metteva a nudo qualsiasi verità. 'In vino veritas', diceva un vecchio detto latino, e si era trovata
pienamente d'accordo. I peggiori ipocriti si scoprivano sotto l'effetto
dell'alcool, così come le brave persone. Peccato che queste
ultime fossero ben rare...
"Mi dici come mai sei così silenziosa? Che ti prende?", mormorò Gojyo sorseggiando la sua birra.
Un'altro tuffo al cuore le fece
scrollare le spalle. Appoggiò la fronte al palmo della mano, sospirando.
Un'idea iniziò a formarsi nella sua mente...e se fosse
tutto correlato ai sogni? Se fossero sempre le stesse
sensazioni che facevano parte di tutta quella storia? Che
voleva da lei quella ragazza che le somigliava tanto? Sebbene era certa di continuare a sognare di lei, non si ricordava
mai nulla, la mattina successiva. Le faceva paura. Non aveva alcun diritto di
interferire nella sua vita.
"Gojyo...tu che ne pensi di tutta questa situazione?"
Era da un pò che non la sentiva parlare di quella storia.
Gojyo aveva quasi pensato che se ne fosse dimenticata.
Si alzò dalla poltrona e andò ad appoggiarsi alle sue
spalle, il viso a pochi centimetri dal suo. Odorava di un mix di birra, profumo
di vaniglia (probabilmente il bagnoschiuma) e di limone (forse lo shampoo). Quell'odore
alcolico, e dolce, e acre allo stesso tempo gli penetrò fino ai polmoni,
facendogli stringere lo stomaco. Quella sera la trovava particolarmente
attraente. Sebbene non indossasse nulla di diverso dal solito, sebbene si
comportasse come sempre, sentiva di volerla stringere e di non volerla lasciare
più. "Perchè me lo chiedi adesso? C'è qualcosa di nuovo?"
La ragazza scosse la testa, poggiandosi un dito sulle
labbra, pensierosa, e lasciando vagare lo sguardo. Cosa poteva spiegargli? Che
si sentiva una strana sensazione allo stomaco che non l'aveva mollata un attimo
da quella mattina? O che voleva stare con lui, perchè dentro di sè pensava che
avrebbe potuto alleviare la sua inquietudine? Fu presa da piccoli brividi
dietro la schiena. Appoggiò il viso sul palmo della mano, guardando neglio
occhi Gojyo che non si era ancora mosso.
"Siamo tutti appesi ad un filo. Noi due, Goku, Sanzo,
Hakkai, Gojuin. Siamo tutti fragili, troppo fragili...ho paura di scoprire il
perchè di queste sensazioni e il perchè dei sogni. E non so nemmeno dirti
perchè provi tutto ciò...per la prima volta, mi sento vacillare. Perchè ho
trovato qualcosa che voglio preservare. I sentimenti che provo per te, l'amicizia
profonda che sento per tutti gli altri. Se penso che qualcosa potrebbe
cambiare, io...". S'interruppe.
Il ragazzo si sedette accanto a lei, e sentì che Shinobu
gli posava la testa su una spalla.
Cosa vuole da me? Rassicurazioni? Sul fatto che tutto
rimarrà sempre così? E le vuole da me? Io...sono quello che per eccellenza non
è mai riuscito a conservare nulla. Ho rovinato sempre tutto nella mia vita, e
non sono mai riuscito a godermela appieno. In questo momento...mi sento come
mai mi sono sentito. Perchè, devo riconoscerlo, anch'io credo di aver costruito
un rapporto con delle persone che non voglio perdere, un legame speciale, che
potrebbe definirsi...fatale. Che cosa potrei dire io che la faccia sentire
meglio?
La sigaretta spenta sulle sue labbra si mosse un pò su e
giù. Voltò appena un pò la testa, osservando il profilo pensieroso di Shinobu. Non
sapeva nulla di ciò che sarebbe stato in futuro, ma una cosa era certa: voleva
restare con lei almeno nel presente.
"Io...davvero, non so che cosa potrei dire. Ammetto
di essermi ritrovato a temere anch'io di scoprire le infinite cose che non
riusciamo a capire di questa situazione. Però una cosa l'ho capita: e cioè che
non vale la pena di soffermarcisi, almeno per il momento. Quando sarà il
momento, ce ne occuperemo. Tutti insieme, spero", mormorò lasciando vagare
anche lui lo sguardo per la stanza.
Sentì la testa di Shinobu muoversi. Forse aveva annuito.
"Quindi...ti va di affogare tutti i problemi in un
altra birra?"
La testa della ragazza si mosse appena. Questa volta,
però, inspiegabilmente, credette di averlo interpretato come un 'no'.
Gojyo si sollevò appena dallo schienale: "Come? La
qui presente Shinobu Ori ha appena rifiutato una bevanda con una gradazione
alcolica superiore al 5%?"
Si sentì stringere la vita. La ragazza nascose interamente
il volto contro la sua spalla, cingendogli i fianchi. "Non alzarti. Non
adesso..."
Sorridendo, Gojyo poggiò le mani sulle sue. "Ho
capito. Tranquilla"
"Io...giuro che ho sempre pensato di non avere
bisogno di nessuno. Volevo andare avanti così, per sempre, per non ritrovarmi
mai a chiedere aiuto. Però...ho bisogno di te. Sul serio. Almeno per
stasera...almeno in questo momento di incertezza"
Sentì Gojyo ridacchiare. Poi le mancò l'appoggio per il
viso, perchè il rosso si era disteso sul divano. Allungò le braccia, e la
sollevò, portandola sopra il proprio torace, a gambe larghe. Scosse la testa,
aggrottando le sopracciglia.
"D'accordo, avanti, dove hai nascosto la solita,
violenta, rompicoglioni Shinobu Ori? Tirala fuori subito"
"Vedo che i miei tormenti esistenziali ti hanno
rattristato...", mormorò lei. Idiota. E pensare che, per una volta
nella mia vita, ero seria...Ho detto qualcosa di incredibilmente stupido, che
non mi ero mai fatta sfuggire con nessuno...
"Bene, adesso andiamo decisamente meglio. Il sarcasmo
è il primo passo per ritrovare la vecchia Shinobu"
La ragazza strinse le labbra e si appoggiò con le mani sul
suo petto. "Davvero divertente. Se questo è il tuo modo per consolarmi,
lasciatelo dire, sei un idiota"
Gojyo continuò a ridacchiare. "Ottimo...adesso hai
anche iniziato ad offendere"
Shinobu decise di stare al gioco, e si distese
completamente su di lui. Portò il peso sulle mani, poggiandole sul materasso
del divano, e avvicinò il viso al suo.
"Vuoi essere picchiato? Ti manca questo per ritrovare
la vecchia Shinobu?"
"Bè, in effetti..."
Shinobu esibì un sorrisetto provocatorio, e gli assestò un
morso nella spalla. Forse questo l'avrebbe accontentato.
"Uhm...se pensi di infastidirmi, così, sei proprio
fuori strada...", mormorò il rosso stringendosela contro. Altro che
infastidire, iniziava ad eccitarsi. E se il suo scopo non era provocarlo
sessualmente, quella ragazzina avrebbe fatto meglio a piantarla subito, o non
l'avrebbe più mollata finchè non le avrebbe fatto vedere le stelle.
Sentiva le sue labbra contro il collo, e in capo a pochi
secondi fu convinto di non essere più pienamente padrone delle sue azioni: fece
passare le mani sotto la sua canotta, e iniziò a slacciarle il reggiseno. Shinobu
sollevò il viso, e rimase a fissarlo un pò interrogativa.
"Ti comunico che, nella mia vita, di ben poche
cose sono sicuro. Una di queste è che stanotte voglio fare l’amore con te.
Prima che perda totalmente la lucidità, dimmi se lo vuoi anche tu. Se non ne sei sicura, piantiamola qui e ti riaccompagno a
casa. Altrimenti...sappi che non ti mollerò fino a
domani mattina”, concluse con un sorriso a metà tra il dolce e il presuntuoso,
le mani ancora sotto la sua canotta.
Sentì le dita di Shinobu tamburellare sul suo torace,
ma gli occhi di Gojyo erano concentrati sulle sue labbra. Aveva aspettato fino
a quel momento di confessarglielo, che aveva una voglia matta di sentire il
pieno possesso del suo corpo. Non voleva imporle nulla, non voleva segnarla nel
profondo per appropriarsene, ma voleva sentirla sua, almeno per quella notte.
Shinobu...irradiava calore verso di lui, un grande
calore, ma aveva la sensazione di non riuscire a percepirlo tutto. Era
sicuro...che l'avrebbe assaporato appieno solo dopo aver fatto l'amore con lei.
Quel corpo...non l'aveva mai visto completamente nudo, ma negli ultimi tempi
era un pensiero ricorrente. Voleva stringerlo forte a sè, fino a far combaciare
ogni centimetro della loro pelle. Voleva sfiorarlo, e baciarlo in tutta la sua
interezza.
Le labbra di Shinobu si piegarono in un timido
sorriso. Ancora una volta, un'altra personalità di Shinobu aveva fatto capolino, pronta a sorprenderlo.
"Non credo...che me ne pentirò"
Quella nuova personalità di Shinobu, inaccessibile a
chiunque escluso Gojyo, gli diede veramente l'illusione che fosse
solo sua. Una nuova intimità, un nuovo legame più profondo, si sostituì alle
piccole e sporadiche manifestazioni di affetto che li
univano. Il corpo di Shinobu, solitamente così sicuro di sè, così...prepotente,
tremava al suo tocco. La sua pelle si arrossava se sfiorata un pò più
violentemente.
Scoprì che riusciva a cingerle i polsi con le mani,
che poteva farle del male semplicemente muovendosi in
maniera sbagliata.
Godette nel sentire il suo respiro affannoso, nel
riuscire a strapparle dei gemiti a stento trattenuti, e nel percorrerle tutto
il corpo con le dita, con le labbra. Nel sentirla
irrigidirsi, nel sentirsi stringere i fianchi con le sue ginocchia contratte
dal dolore e dal piacere. Ma soprattutto, nel
sentirla, in quell'estremo spasmo incontrollato, mormorare il suo nome con voce
spezzata.
Il suo nome.
Quante di quelle che si era portato a letto non lo
conoscevano neppure?
Quell'unica parola, che aveva sottinteso mille cose.
Non appena fu cosciente di quell'unica parola da lei
pronunciata, ogni suo movimento s'interruppe di colpo.
Gravò su di lei con tutto il suo
peso, il viso affondato contro la sua spalla, le mani sui suoi fianchi.
Per alcuni lunghi secondi, il suo torace e il petto
della ragazza, pulsanti per la fatica, avevano combaciato. E
fu certo di aver sentito l'agitato battito del cuore di Shinobu sovrapporsi al
suo. Finché, quando aveva sentito le mani di lei portarsi
alla sua nuca e perdersi tra i suoi capelli, e scivolare spossate lungo la sua
schiena, aveva abbandonato il suo corpo, seppure a malincuore, e le si era
disteso accanto.
Non aveva detto nemmeno una parola, qualunque
commento sarebbe stato superfluo. L'attirò a sè con gli ultimi residui di energia ancora disponibili, e, una mano poggiata
nell'incavo della sua schiena, il posto più naturale in cui fu portato ad
abbracciarla, la guardò chiudere gli occhi e addormentarsi profondamente,
distesa sul petto.
Restò per una decina di minuti ad osservarla
respirare placidamente, e improvvisamente un'ondata in piena di tranquillità lo
colse.
Che fosse quella, la vera
tranquillità?
Che fosse l'osservare
dormire una persona nuda accanto a sè, una persona che si vorrebbe proteggere?
Gojyo le scostò i capelli dalla schiena, e vi
appoggiò il viso, assaporando il profumo della sua pelle che sapeva di
vaniglia, e ormai anche di qualcosa di proprio. Qualcosa che
era entrato dentro di lei e l’aveva fatta diventare sua, se non altro, almeno
per quella notte.
Che succedesse pure il finimondo,
adesso.
Non avrebbe rimpianto nulla.
Continua...
Va bene...va bene...squillino
le trombe...
...perchè questo capitolo, senza scherzare, è stato
riscritto una decina di volte, e cambiato al massimo. Non scherzo se dico che è
stato il capitolo che mi ha fatto più penare.
Già...perchè il consueto dubbio amletico - simoniano, cioè 'romanticismo o
non romanticismo? romanticismo a metà e in che modo?',
mi ha attanagliata per tutto il tempo. Se vi facessi
leggere la prima stesura, la seconda, e le ultime due, non riconoscereste
niente. Mah...così è la vita...
Spero abbiate gradito...ringrazio
chiunque abbia commentato fin qui, la vostra pazienza sarà presto
ricompensata...
Sanzo aprì gli occhi; li richiuse immediatamente, accecato dalla forte luce che
penetrava da una grande finestra davanti a lui. Aveva dormito col volto
appoggiato sulle braccia, sul ripiano di quella che sembrava una scrivania;
parecchi fogli sparsi sul legno, altri sul pavimento.
Mosse il braccio, intorpidito, ma così facendo urtò un timbro, che rovinò per
terra, producendo un rumore sordo. Merda. Si può sapere dove sono finito? Massaggiandosile
tempie, Sanzo si alzò, gettando uno sguardo alla stanza. Un vetro rotto in una
delle finestre, protetto da un telo di plastica blu che aderiva al telaio in
metallo; un disordine terribile di aeroplanini
di carta, fogli disegnati e pastelli; documenti accatastati alla rinfusa,
accanto alla scrivania.
Vide uno specchio rotto, appoggiato in un angolo della stanza. Sembrava
piuttosto antico almeno a giudicare dal fregio della cornice, scarabocchiato
però con colori vivaci, come se un bambino si fosse divertito a impiastricciarlo. Quando si mosse
per avvicinarcisi, una lunga coda di cavallo bionda oscillò dietro le proprie
spalle e si posò pigramente sulla sua spalla. Afferrò i fili
biondi e li tirò leggermente; la tensione che esercitò sulla propria nuca lo
convinse che quei lunghi capelli appartenevano a lui.
[a lui?]
Gettò uno sguardo allo specchio incrinato; seppur irregolare, la superficie gli
rimandò un’immagine che non poteva che essere sua: la mano stava ancora
esplorando la capigliatura bionda, e un’espressione severa e al contempo sorpresa
paralizzava i suoi occhi ametista. Occhi e capelli, indubbiamente del
suo stesso colore, erano l’unica cosa che riconoscesse
nell’immagine che lo specchio gli aveva rimandato. Il fisico eccessivamente
snello, sotto il lungo vestito viola che indossava, lo faceva sentire
stranamente fragile.
[cos’era quello? Il passato, come tutti gli altri ritenevano? Il futuro?
Chi era quell’uomo la cui anima era stata sostituita dalla sua?] Fece il giro della stanza. Il suo sguardo si posò su
un vaso, poggiato anche quello sulla scrivania. La luce del sole rimbalzava sui
petali lisci e colorati dei fiori che lo ornavano. Afferrò delicatamente uno
dei fiori, scarlatto, e se lo portò lentamente al viso, chiedendosi se avrebbe
potuto sentirne il profumo... Manca qualcosa. Lo posò di scatto dove l’aveva trovato. Lo aveva preso l'amara sensazione
dell’assenza di qualcuno, insopportabile da sostenere. Quella sensazione che
svuota immediatamente lo stomaco, che secca la gola, e provoca una senso di caldo alle labbra. [una sensazione che più di una volta aveva provato
nella sua realtà, a dirla tutta]
Il suo sguardo si posò su una porta larga ed elegante; vi si avvicinò e, con
sicurezza, l'aprì. Ne uscì cautamente, e si diresse a piccoli passi verso
l’uscita di quel raffinato palazzo.
[sì, per quanto paradossale fosse la cosa, era sicuro
di sapere dove si trovasse l’uscita]
Il suo sguardo ignorò meccanicamente decine di volti che procedevano accanto a
lui. Avrebbe voluto guardarli, fermarli, ma non riusciva
a far altro che andare davanti a sé, guardando dritto davanti. Senza sapere
come, si ritrovò d’improvviso in un grande prato di
fiori. Eppure, non gli sembrava di essersi allontanato
poi tanto dalla stanza in cui si era risvegliato.
Tante macchie colorate si mischiavano al verde del prato. Tanti
fiori, che oscillavano a comando del venticello leggero che spirava.
L’erba era abbastanza lunga, incolta, e probabilmente avrebbe
potuto nascondere una persona che vi si fosse distesa.
E infatti, vide alcuni ciuffi castani fare capolino
dal verde. Le figure che riusciva a scorgere, riverse
sul terreno, erano due; si sentiva un leggero ridacchiare infantile, che doveva
appartenere sicuramente ad un bambino.
[che aveva già sentito]
L’altra figura non parlava, né si muoveva. Era distesa a
braccia aperte, riusciva a vederne a tratti la pelle candida. Un ragazza. Non riusciva a vederla, ma ne era sicuro.
Tra i riflessi del sole sui petali, sulle foglie, sulla pelle ambrata del
bambino e su quella nivea della ragazza, brillavano luccichii metallici; la
luce rossastra del tramonto appena iniziato individuava...
[...catene]
Tanti cappi metallici che chiudevano polsi, caviglie e collo.
Si riscosse. Non era il momento di incantarsi. Doveva andare lì e vedere chi
erano quelle due figure.
Si mosse dal piccolo gradino in pietra che lo poneva in una posizione
sopraelevata rispetto al prato, scendendo nell’erba tiepida, e iniziò a muovere
dei passi verso di loro.
In quel momento, la realtà attorno a lui iniziò a farsi meno nitida. Poco. Poco ancora.
Genjo Sanzo si risvegliò con ancora
il braccio teso nel tentativo di raggiungerli.
Si sollevò sulla schiena, cercando a tentoni
l'interruttore della luce. Merda, imprecò mentalmente mentre illuminava la
stanza. Che diavolo di ore sono? La prima cosa che fece, prima ancora di afferrare la sveglia sul comodino,
fu di voltarsi verso la parte sinistra del letto. Era vuota,
il lenzuolo troppo ordinato perchè Goku potesse aver dormito lì.
Finalmente, prese tra le mani l'orologio. Le tre e trenta. E' vero, stasera ha il turno di
notte al locale. Dovrebbe rientrare tra poco... Spense la luce e si lasciò ricadere sul cuscino.
Si era addormentato prestissimo, e sicuramente doveva aver dormito in maniera
così profonda che non lo avrebbe sentito nemmeno rientrare. Quando
mai aveva dormito così di sasso? Nemmeno i sonniferi che prendeva
tempo addietro avevano mai avuto il potere di farlo dormire così...
Quel sogno...chi diavolo erano quelle persone nell'erba? Ma
soprattutto, dove diavolo era finito lui? Che
significava tutto ciò? La saru...appena rientra, lo prendo a pugni sulla
testa. Non c'è mai quando serve. E
poi è da due giorni che è rincoglionito. Hakkai...dovrei chiamare lui. Forse... Scivolò nuovamente nel sonno. Senza chiamare Hakkai, senza aspettare Goku.
Shinobu aprì gli occhi; la luce che filtrava dalle finestre
la costrinse a richiuderli immediatamente; tirò fuori un braccio da sotto il
cuscino, e si strofinò più volte gli occhi; fece rapidamente mente locale,
perchè evidentemente quello non era il suo letto, e quella non era la sua
stanza, e poi sentiva che le formicolava il braccio sinistro. Sì, decisamente, ci avevano dormito sopra in due.
Voltò faticosamente la testa per poter guardare Gojyo. Un ragazzo che dorme...non credeva che potesse essere così bello. Gojyo aveva il viso privo da qualsiasi
contrazione...sicuramente doveva essere profondamente addormentato.
Shinobu sorrise, pensando a quanto dolce fosse il suo viso solo
quando dormiva.
Non voleva muoversi per non svegliarlo, così si rimise nella posizione
precedente e rilassò i muscoli...chissà che ora era: aveva perso totalmente la
concezione del tempo e del luogo. Tra l'altro, si sentiva incredibilmente
dolorante...
Si sentì cingere le spalle; il ragazzo si era
svegliato comunque.
“Uhm...conoscendoti, temevo di svegliarmi e di non trovarti più”, mormorò
allora la ragazza alludendo al suo temperamento da amante occasionale.
“Che vorresti dire?”, rispose lui sollevandosi, poi cambiando idea e
ristendendosi. “Facciamolo ancora...”, aggiunse con voce roca e addormentata, accarezzandole
la schiena.
Shinobu arrossì ancora, come se avesse realizzato solo in quel momento.
“Ancora? Sei instancabile per queste cose, vero?”
Lui annuì, col mento poggiato sull’incavo della sua schiena. Poi, fu sicura di sentirlo ridere.
"Com'è stato?"
Shinobu affondò il viso nel cuscino. “Fatti miei”, borbottò.
Gojyo rise. "Lo prenderò come un complimento. Quindi
mi sentirò autorizzato a farlo più spesso. Però prima mangiamo...vai a
preparare la colazione”
“Una sola notte e mi hai già declassata da ragazza a
sguattera? E poi, che ora sarà mai?”
“Non saprei e non mi importa…comunque non credo che sia più tardi delle undici”
In quel momento, suonò il campanello.
“Che palle...”, sussurrò Gojyo affondando di nuovo il viso nella sua schiena.
“Lascialo suonare!”
“Ma chi sarà?”
“Hakkai?”, si chiese Gojyo. Tese le orecchie. “Shinobu, non è il tuo telefonino
che vibra, vero?”
Shinobu mugolò. Aveva gli occhi chiusi, e probabilmente era ancora intontita
dal sonno.
Il suono del campanello riecheggiò ancora.
Gojyo sbuffò divertito, dandole una carezza sulla testa. Si sedette sul bordo
del letto e indossò i boxer. “Vado a vedere chi è, te
lo porto io…”
E uscì dalla camera da letto.
Shinobu aprì gli occhi in quel momento. Già, il telefonino. Dov’era?
Telefonino. Casa. Famiglia…
“Oh, per la miseria sfondata!”.
Scattò a sedere sul letto, afferrando la prima cosa che le venne a tiro, ovvero la camicia di Gojyo, e indossandola. Si slanciò fuori dalla stanza, pur conscia che ormai l’irreparabile
sarebbe ugualmente avvenuto.
“Sì, sì...arrivo”, mormorò Gojyo, leggermente infastidito, armeggiando con i
chiavistelli della porta. Con un ultimo sbadiglio, si passò la mano sui capelli
e aprì la porta.
Si ritrovò davanti una donna con i capelli arruffati, che aveva
la sensazione di aver già visto. Aveva il telefonino in mano.
“Senti, sai per caso dov’è Shinobu? Ieri sera non è
rientrata a casa...
Gojyo impiegò alcuni secondi per fare mente locale, accorgersi di chi gli stava
davanti, ricordarsi che era successo tutto così improvviso che Shinobu si era
dimenticata di avvertire la madre la sera prima, e iniziare ad avviare un
calcolo mentale che gli consentisse di stabilire se
era meglio dirle che era da un’amica (?), fare finta di non averla vista,
oppure rifilarle qualche panzana ammettendo che era lì.
“Cristo, che mi sodomizzi Satana in
persona con il suo forcone! Manco da casa da ventiquattr’ore
e non ho telefonato per avvisare!”
Shinobu scelse proprio quel momento per gettarsi a
capofitto nell’ingresso, con addosso solo la sua camicia, agguantando la borsa
per cercare il cellulare.
Gojyo non fu certo di voler vedere il viso di quella donna la cui figlia si era appena mostrata in quelle condizioni, dopo una notte
trascorsa fuori casa senza avvertire. Shinobu, dal canto suo, trovato il
telefonino, parve afferrare la situazione solo in quel momento. Rimase con il
telefonino in mano, inginocchiata sul pavimento.
“Mamma, non è come sembra...cioè, no, è tutto
esattamente come sembra, ma lascia che ti spieghi...”
La donna non disse nulla. Girò sui tacchi e scese le scale.
“Mamma, aspetta!”, fece Shinobu facendo per seguirla,
ma Gojyo la trattenne ridendo. La situazione gli appariva così paradossale e
divertente che non poté trattenersi. “Dove credi di andare conciata così? Vuoi
lanciare una nuova moda?”
La ragazza sbuffò e pestò un piede per terra,
accorgendosi di essere svestita. “Non ho
chiamato casa! Porca di quella troia balorda!”
“Questo l’avevo intuito, finesse a parte”
“E tu perché non me l’hai ricordato?!”
“Adesso non dare la colpa a me, eh?”
Shinobu si tolse la camicia e si rivestì di fretta. “Vado a casa!”
Gojyo si accese una sigaretta. Aveva una voglia matta di continuare a ridere,
ma sapeva che non era esattamente il momento. Magari si sarebbe trattenuto
finché lei non fosse uscita da casa.
“Tu sei meglio degli spettacoli di cabaret in tv,
Shinobu!”, si lasciò sfuggire.
La ragazza, ovviamente, lo fulminò con uno sguardo eloquente. “Provo a
parlarle, porca miseria!”, imprecò, indossando le scarpe. “E grazie per la comprensione!”
“Se ti butta fuori di casa, ricordati che puoi sempre venire qui!”,
cngiuettò Gojyo divertito, ma Shinobu non parve
trovare la battuta così improbabile. Corse fuori di casa.
In pochi minuti, fu davanti la porta del suo appartamento. Prese le chiavi,
aprì, e iniziò a chiamare la madre.
Non ottenne risposta, ma le sue scarpe erano lì, quindi la donna doveva essere
necessariamente in casa. Non c’era nessun altro.
Shinobu entrò in tutte le stanze della casa, chiamandola. Trovò la porta del bagno chiusa a chiave.
“Mamma!”, disse, “Per favore, apri!”
Nessuna risposta.
La ragazza sospirò. Fu incerta se andarsene o rimanere lì a parlare con una
porta chiusa, poi si schiarì la gola e iniziò a parlare con voce più dolce. Si
sentiva decisamente in colpa.
“Mamma...so di non essere stata esattamente una figlia modello. Per la verità, non sono stata affatto una buona figlia. Questo perché sono
sempre stata convinta che tu non mi ascoltassi, che tu non mi avresti capita qualunque cosa ti avessi detto, e sono certa che la
cosa vale per entrambe: pensi lo stesso di me, vero?”
Tacque, e andò in camera sua; in un minuto ebbe pronta una grossa borsa.
“Credo...sia meglio che io me ne vada per un po’. Solo un paio di giorni. Tu in
questi giorni rifletterai, e poi mi dirai se hai intenzione di accettare le mie
scelte e di ascoltare i miei problemi. Io so...di averti
dato numerose preoccupazioni e delusioni, a partire dalla
scuola, ai rapporti con le mie compagne, agli amici di cui non ti fidavi, alle
serate fuori, all’incidente, fino ad arrivare a ieri sera. Il mio è stato un
comportamento molto immaturo, ma voglio che tu sappia che non ho pensato
deliberatamente di non avvertirti, semplicemente ieri sera ero
così confusa per problemi personali, che non ho pensato più a niente.
Non credere di essere stata l’unica ad avere dei problemi...ho trascorso giorni
così tristi da chiedermi per quale motivo fossi nata,
ma finalmente credo di esserne uscita. Anzi, ne sono sicura. Ed è per merito di quegli amici di cui non ti fidavi. Ed è per merito di Gojyo.
Mamma, io non sono una cattiva ragazza. Non ti racconto balle, né trascorro le
notti fuori a farmi sbattere da persone diverse dandoti a bere una qualsiasi
cavolata. Sto solo con lui, capito? E,
in fondo, è un bravo ragazzo – forse”. Disse quest’ultimo spezzone ridacchiando.
“Ora, sto cominciando a sentirmi una stupida a parlare davanti una porta
chiusa, perciò credo che prenderò la borsa e me ne
andrò. Ne riparliamo tra tre giorni, d'accordo?
Tre giorni, mamma...solo tre. Poi mi dirai se hi intenzione di ricominciare
tutto daccapo. E non dire nulla a papà, per favore...
Discutiamone noi due da sole. Digli che sono da
un’amica. Salutami lui e Ken-chan...arrivederci”
Non ottenne risposta, così, sospirando, se ne andò.
Gojyo venne ad aprire la porta con la schiuma da barba addosso e la
bottiglietta in mano, coperto solo da asciugamano avvolto intorno alla vita.
“Ma che ci fai di nuovo qui?”, l’accolse, “Non dirmi
che ti ha buttato davvero fuori casa!”
Per tutta risposta, Shinobu gettò a terra, rumorosamente, il borsone, poi lo
guardò corrucciata. “Tu cosa ne dici? Credevi che mi aspettasse con il tappeto
rosso e lo striscione ‘Brava, figlia! Hai perso la verginità’?”
Gojyo la guardò non molto convinto.
“Che c’è, ti sei pentito della battuta? Se ti sembra
che sia troppo presto per convivere, vado da Hakkai
finché non trovo una soluzione”, buttò giù lei, facendo per riprendere il
borsone.
“Dai, andiamo”, fece lui mimando un inchino. “Il mio umile castello è al vostro
servizio, mia signora”
Shinobu lo ignorò, aggrottando le sopracciglia e scrutandolo. Non era granché
di buonumore, e poco incline a scherzare su quell’argomento.
Gli portò una mano al volto. “Schiuma da barba? Non dirmi
che ti radi anche tu!”
“No, pensi che i peli in faccia non mi spuntino per farmi un favore?”. Gojyo si
tolse un po’ di schiuma dal viso e la sporcò sul naso e sul petto.
Shinobu aggrottò ancora una volta le sopracciglia; quindi sfoderò il suo miglior
sorriso da angioletto, prese la bottiglia spray dalle mani del ragazzo e, come
una cuoca che si accinga a decorare una torta con la
panna, gliela spruzzò addosso.
“Idiota! Mi sono appena fatto la doccia!”, fece lui ridacchiando e continuando
a sporcarla.
La lotta finì quando entrambi si ritrovarono sul
pavimento, pieni di schiuma ovunque, ansimanti.
“Ma quanto sei stupido da uno a dieci?”, fece Shinobu. “Guarda che hai fatto!”. Alzò le braccia e fece un ampio gesto,
sollevando altre nuvolette bianche di schiuma profumata.
“Ehi, ehi, hai iniziato tu!”, protestò il rosso,
agitando la bomboletta vuota. “Io ti ho solo sporcato un pochino in faccia, e
tu guarda come l’hai presa!”
Per tutta risposta, Shinobu gli fece la linguaccia, indicandolo. “E vedi di coprirti!”.
Infatti, l’asciugamano del ragazzo si era pericolosamente abbassato. Lui si
guardò non troppo preoccupato. “Ehi, guarda che stanotte mi hai visto tutto nudo...”
“Allora vuol dire che te ne starai
senza mutande per tutto il tempo in cui sarò con te?”
“Per la maggior parte del tempo, spero proprio di sì”, ammiccò il rosso.
Shinobu sorrise pacatamente. “Scemo”, borbottò, poco convincente. Si alzò dal pavimento.
“Vado a fare una doccia...”, mormorò.
Il ragazzo la prese per mano, alzandosi anche lui.
“Vengo con te”
Shinobu si stiracchiò. Sentiva
dolorante ogni suo più piccolo muscolo, per l'allenamento extra in palestra
della sera prima, e per...Non immaginava che potesse essere così piacevole
trascorrere le giornate in quel modo.
Sentì il respiro profondo di Gojyo: lui si era già addormentato. Gli sfiorò i
ciuffi di capelli bagnati, lunghi ormai fin quasi alle spalle.
Arrossì lievemente. Avevano fatto l’amore quella notte, l’avevano fatto sotto
la doccia, e poi si erano distesi, coperti solo da asciugamani, sul letto di lui, non molto grande, ma abbastanza spazioso
perché nessuno dei due cadesse per terra.
Gojyo si era addormentato quasi subito. Stanco? Era lui dei due, in fondo, che
si agitava di più. Ma era anche quello più abituato a
quel tenore di vita.
Adesso la aspettavano un paio di giorni a casa sua. Voleva dimenticare tutto,
ogni pensiero, ogni dovere, almeno per quei due
giorni. Voleva trascorrerli a mangiare, e dormire, e fare l'amore, e battibeccare, e bere insieme a
lui.
Gli posò un leggero bacio sulla fronte, proprio come aveva fatto quella notte
in ospedale.
Si acciambellò accanto a lui poggiandogli la testa sul torace, e sbadigliò. Anche lei, evidentemente, si era stancata. E, ora che ci pensava, nessuno dei due aveva mangiato dalla
sera prima. I primi sintomi di uno sbandamento? Non gliene importava. Quando si
sarebbero svegliati, avrebbero mangiato, avrebbero bevuto birra, e fatto quello
che più li avrebbe aggradati.
Sentì che la propria schiena veniva percorsa da un
brivido. E si addormentò.
*********************************
Konzen Douji si accasciò lentamente sulla scrivania, quasi a voler trovare una
risposta nelle venature casuali del legno. Nel farlo gettò a terra parecchi
fogli di documenti, ma non si preoccupò di raccoglierli.
Non so chi, ma qualcuno del mondo
sottostante aveva scritto...
La noia.
La noia potrebbe uccidere una persona. Ma qui in paradiso la morte non esiste…
…proprio una bella fregatura. Il sommo Konzen
Douji allungò le braccia per stiracchiarsi.
“‘Sono così dannatamente annoiato’…Ce
l’hai scritto in faccia, Konzen”
L’uomo, dai lunghi capelli dorati, il corpo esile e lo sguardo che esprimeva
una noia indescrivibile, sollevò il viso verso l’origine di quella voce.
“Fatti gli affari tuoi”, rispose.
“Non hai ancora imparato come si saluta la grande dea dell’amore e della
misericordia Kanzeon Bosatsu?”
“Sei venuta per annoiarmi? Ho ancora del lavoro da fare”, si lamentò,
chinandosi per raccogliere i fogli gettati a terra.
“Lavoro? Intendi quei fogli su cui apponi il timbro senza nemmeno leggerli?”
Il biondo schioccò la lingua sul palato con fare scostante, per nulla
desideroso di prolungare la conversazione.
“Comunque, vieni”. La dea fece per allontanarsi,
richiamandolo a sé con un gesto delle lunghe dita.
“Mh?”, fece il biondo, mostrando disinteresse.
“Un viaggiatore ha raccolto e portato qui uno strano animale”
A malincuore, eppure un po’ incuriosito, Konzen si alzò e fece per seguire la
dea.
“Già…”, continuò lei, “…un animale dagli occhi dorati”.
Poco dopo, la dea era seduta sul suo trono, mentre alla sua destra si ergeva
Konzen, lo sguardo annoiato, e alla sua sinistra l’accigliato Jiroushin, il più fidato sottoposto di Kanzeon.
“Mi dispiace di avere interrotto i vostri doveri...”, si affrettò a dire,
inginocchiata, una divinità prostrata dinnanzi a loro.
“Lascia perdere gli inutili convenevoli. Hai portato
il bambino del mondo sottostante?”, lo interruppe la dea, seccata dal solito finto
servilismo.
“Sì, divina Bosatsu…ho trovato il demone eretico nato da una roccia sulla cima
del monte Kakasan…”
“Né umano…né demone. E’ una creatura nata dalla natura”,
commentò a bassa voce la dea, senza scomporsi, in maniera che solo il nipote
potesse sentirla.
“Lasciami! Non tirarmi così forte!”. L’attenzione dell’annoiato Konzen
fu attirata da una voce infantile e infastidita.
“E’ davvero così spaventoso?”, chiese ironicamente la dea.
La divinità scosse il ragazzino. “Taci! Non potresti essere un po’ più maturo?”
“Bugiardo! Mi avevate promesso che mi avreste dato da mangiare, se fossi venuto
fin qua con voi!”, rispose, irritato, un bambinetto esile dai capelli color cioccolata e gli occhi
dorati. Ai polsi, alle caviglie e al collo portava pesanti
catene, mentre sulla sua fronte spiccava il luccichio di un diadema d’oro.
A Konzen scappò da ridere, davanti a quello spettacolo patetico. E sarebbe un animale? Ne ha di sicuro
l’aspetto...ricorda una scimmia selvatica. “Questo bambino è nato con gli occhi dorati, e ha una forte personalità. Mi
chiedevo che punizione bisognasse infliggergli, e così sono venuto a chiedere
la vostra opinione…”
Mentre l’uomo parlava, gli occhi di Konzen e della creatura si
incrociarono per un momento.
“Il paradiso proibisce di uccidere”, sentenziò Kanzeon.
La creatura si mosse, le sue catene tintinnarono. Si
portò proprio di fronte Konzen, alzando il viso per osservarlo meglio.
“Che cosa vuoi?”, chiese Konzen, infastidito, abbassando lo sguardo verso di
lui.
Il ragazzino si illuminò di un ampio sorriso.
“Magnifico! Stai brillando!”
E così dicendo afferrò una delle lunghe ciocche di capelli di Konzen,
stringendola.
“Mi ricordi tanto il sole!”
“Perdoni la sua sfrontatezza, sommo Konzen Douji!”, si affrettò a scusarsi
l’uomo che l’aveva condotto lì.
Ma in quel momento la ciocca che il bambino stringeva tra le mani fu tirata
così forte che si strappò.
“Scusa!”, fece il bambino con un sorriso imbarazzato – e assolutamente idiota.
Konzen strinse i pugni, pronto a scoppiare da un momento all’altro. Kanzeon,
intanto, sembrava estremamente divertita dalla
situazione, tanto da trattenere a stento le risate.
“Cos’hai fatto, razza di bakasaru!?”, gridò Konzen, strattonandolo.
“Ti ho chiesto scusa, non ti basta!?”, gridò il bambino, quasi arrabbiato anche
lui.
Mentre i due socializzavano (o meglio, facevano a botte) e la divinità che
aveva condotto lì il bambino temeva ripercussioni sulla sua stessa persona,
Kanzeon Bosatsu, avendo forse qualcosa in mente, interruppe la scena.
“Questo bambino…ce ne occuperemo noi. Qui.”
“Eh? Cosa state dicendo, Somma Kanzeon Bosatsu? Voi,
che non vi siete mai presa cura nemmeno di un fiore, pensate di tenere un
bambino qui?”, s’intromise Jiroushin.
“Sfacciato! E poi, chi ti ha detto che l’avrei tenuto
io?”
“Uh?”
“Lascerò tutto a mio nipote, Konzen Douji”, concluse la donna con uno sguardo
più che eloquente.
“Cosa?!”, esclamò Konzen, sorpreso e risentito, sentendosi chiamare in causa.
Si slanciò verso la zia, sbraitando. “Cosa diavolo stai
dicendo, dannata vecchiaccia?”
“E’ un ordine della dea della misericordia. Sii grato e accetta.”, sentenziò lapidaria la dea.
L’uomo rimase ammutolito, mentre la dea continuava a
infierire: “E ricordati di dargli anche un nome: è il tuo animaletto”
"Non ho intenzione di accettare..."
Zia/o e nipote si affrontarono con lo sguardo, come un cobra e una mangusta.
"Non puoi opporti", tagliò corto Kanzeon Bosatsu con un sorrisino provocatorio ed enigmatico in volto.
Il biondo la osservò con uno sguardo omicida in volto, poi girò sui tacchi e se
ne andò, seguito a ruota dal bambino, che
evidentemente aveva già capito che aria tirasse.
“Somigli al sole, eh? Non è forse il migliore dei complimenti, Konzen?”
Quella donna.
Trova sempre il modo di divertirsi alle mie spalle.
Addirittura, ora mi ha nominato padrone di un animale così
stupido.
Un essere eretico.
Un paio di occhi dorati che significano maledizione. Tzè, come se qualcuno, in questo mondo, possa
permettersi di criticare.
Gli esseri eretici…non sono affatto comuni, ma se n’è
sempre visto qualcuno nella storia del Tenkai: anche loro hanno una qualche
utilità.
Nel Tenkai non è permesso uccidere.
Ma qualcuno si dovrà pur sporcare le mani, ne?
Esseri impuri…ecco a chi tocca tale compito.
E io…che vengo sempre tenuto all’oscuro di tutto. Io…che tecnicamente dovrei essere una delle maggiori
personalità del mondo celeste…io, che tutti si sforzano di compiacere con
qualunque parola o gesto. Però…mi disarma il modo con cui mi chiama.
Konzen.
Non “Sommo Konzen”, non “Konzen Sama”: nessun titolo
onorifico fasullo.
Una pura e semplice richiesta di attenzione.
Forse è vero che sono davvero cambiato, da quando lui
è giunto qui. Non appena distolgo gli occhi da lui anche solo per un
secondo, non so che cosa farà.
Corre dovunque, è impossibile dirgli qualunque cosa.
Alla fine, mi fanno male i muscoli della gola e dello stomaco.
Ho scoperto che quando non fai altro che gridare, ti si sforzano.
Poi le mie gambe…corrergli intorno tutto il santo
giorno è dannatamente stancante.
Spesso mi sveglio nel cuore della notte perché mi
vengono i crampi al polpaccio. Dannazione a lui. E anche le spalle…non fa altro che saltarmi addosso. E io lo guardo…e mi sento rassegnato.
Forse vuol dire questo essere un padrone. Davvero quella è una creatura eretica?
Dovrò proprio trovargli un nome…
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 02/03/08]
Commozione, commozione...si
è aperta finalmente la saga del Gaiden. Vedrete cosa
ha preparato la mente preoccupante di questa folle... Alcuni di questi capitoli
saranno più cupi, altri un pò meno, ma comunque spero di aver ottenuto ciò che avevo in mente, una
volta tanto. Chi o cosa sarà Shioka? Qual è stato il suo rapporto con Kenren,
Tenpou, Konzen, Goku, Gojuin? Memorie. Vecchie memorie spezzate. I cui
rimpianti continuano a influire sul presente.
Godetevi questi capitoli che rappresentano una piccola sotto-storia. E che daranno un fondamento a ciò che è nel presente.
Spero vi piacciano...come ho già accennato, non sarà
nulla di tranquillo.
Finito lo spazio serio, passiamo allo sclero-time...Saluti
e risposte: PerPalanmelen(che nick simpatico, ho impiegato venti
minuti a capire come si scriveva, prima di ricordarmi che esiste ancheil copia-incolla...): Non credo che i Saiyuki boys fonderanno mai una banda, o perlomeno nella mia fic. Se ti piace l'idea, leggi
Yellow Submarine di Yuri,
pubblicato qui su EFP...merita davvero, come fic. Per
quanto riguarda i testi, li trovi su animelyrics.com ma
purtroppo non tutti sono tradotti in inglese, e meno che mai quelli di Saiyuki Reload, di cui purtroppo non sono disponibili nemmeno
tutti...Grazie molte per i complimenti.
A proposito di Yuri: Quando proseguirà YellowSubmarine?
Sto agonizzando, io e credo anche le altre lettrici, per sapere come si
evolveranno le vicende di Yuri-personaggio e degli Evil's Dream...Spero che non te la sarai
presa se ho 'sponsorizzato' la tua fic... (e, per le
altre: non crediate che sia di parte, ho citato questa perchè Palanmelen mi aveva parlato di band...)
Per Jastine: Grazie di
tutto nee-chan! Ci sentiamo presto!
Per Black_Moody, cleo_mirai, Kairi84, Kakashi,
Kiana, Nasty86, Poisonapple:
Grazie di cuore per
continuare a commentare. Avete per caso un nickmsn o yahoo? Mi piacerebbe, un giorno o l'altro, chattare
con voi...il mio èsakura_mizu2000 per entrambe le chat. Spero di poter conversare con voi!
Infine, ultima ma non meno importante, ringrazio Francesca_ferrara, che commenta sempre via mail:
Grazie per i consigli e per i complimenti, sei una delle persone che mi
schiariscono meglio le idee mentre scrivo...ah,
dimenticavo. Per quanto riguarda il discorso di Hakkai, che secondo te ha una parte più marginale perchè non si relaziona in
particolar modo con nessuno di tutti, volevo rispondere, dato che un pò tutti lo hanno osservato: bene, hai perfettamente
ragione, ma mettergli accanto una ragazza non mi sembra molto opportuno...(mi
dispiace, Yuko_angel,
mia amica e iscritta da poco a EFP, che si prostrava chiedendomi di inserirla
come pseudo-ragazza di Hakkai...^^": se inizio a
inserire personaggi così personali, la fic diventa
una farsa...non mi uccidere per favore, prima devo diventare almeno
maggiorenne...)...che ne dite, gli organizziamo una yaoi
con il povero Gojuin (anche lui a bocca asciutta), o magari un menage a trois(non mi sfottete se ho scritto male, non ho mai
studiato una parola di francese e la mia ignoranza è palese...durante
l'interrogazione di arte sugli impressionisti, la prof si stava strappando
tutti i capelli...ho ripetuto trenta volte Dèjeunner
sur l'herbe, ma quando la prof si stava buttando dalla finestra -siamo al
secondo piano- ho deciso di ribattezzarla 'colazione sull'erba') con Shinobu e
Gojyo? No? Va bene...scherzavo...potete rimettere gli ortaggi nelle buste della
spesa della nonna...lo so che dovrei darmi all'ippica...ma
per queste cose ho una jella tremenda. Scherzi a
parte, vedremo come continuerà la fic. Grazie ancora a tutte, Simona. Ps (nota lettori: e ancora non ti sei tolta dalle
palle?): Dimenticavo! Domani è il 31 Maggio! Compio 18 anni! Vi dice
niente questa data? Hihihi...la stessa in cui Shinobu
ne ha compiuti 17...ho usato la mia data di compleanno
perchè si posava proprio tra l'incidente e l'estate...e quindi proprio in quel
giorno sono riuscita a far quadrare i conti per farle 'chiarire' le cose con
Gojyo...
Ps2 (importante): Per un po’ dovrò stare lontana da qui...sto staccando Alice
che mi dà solo problemi e spero in pochi giorni di potermi ricollegare con
qualche altra connessione...per favore, commentate! Ci vediamo tra poco...
Una ragazza piuttosto sporca, coperta solo da qualche
cencio, i lunghi capelli castani lunghi fino alla vita, veniva
condotta senza che opponesse la minima resistenza da due individui che la scortavano
tenendola per le braccia; i loro occhi mal celavano un profondo timore,
nonostante la ragazza non dimostrasse più di quindici o sedici anni.
Il suo viso non esprimeva che rassegnazione, il sentimento di chi osserva i
momenti della propria vita come scene di un film, senza poter però minimamente
opporvisi; si trascinava stancamente, lo sguardo distante, come se la cosa non
la riguardasse, impassibile alle occhi della gente
attorno a lei, ancora più incurante dell'ambiente che la attorniava. Non sembrava
provata fisicamente, a giudicare dal passo sicuro, nonostante recasse evidenti
segni di denutrizione e portasse pesanti catene arrugginite attorno a polsi e
caviglie. Era incrostata di sangue, dai vestiti ai capelli.
Tutto in lei sembrava opaco; in quel momento, gli unici due colori che chi la
osservava avrebbe potuto associarle sarebbero stati il
rosso sangue e il nero. Per contro, al suo lobo sinistro rilucevano due
orecchini d’oro.
Dopo aver percorso il sontuoso corridoio, i due si fermarono, e, gettatala a
terra senza troppi complimenti, si affrettarono ad inginocchiarsi di fronte
alla divinità che li sovrastava, e che li osservava con un’aria a metà tra
l’annoiato e il divertito. Certamente erano già stati annunciati.
“Somma KanzeonBosatsu…”, mormorò
quello alla destra della ragazza, “Abbiamo condotto qui un essere eretico, che
si è macchiato della colpa di…”. Si bloccò.
La prigioniera alzò la testa per capire la causa della momentanea pausa del suo
carceriere; non che avesse bisogno di sentirsi rammentare i suoi delitti,
beninteso.
Solo allora guardò per la prima volta la divinità davanti a lei, che sedeva
compostamente su un trono, una mano a sostegno del mento e l’altra poggiata sul
grembo; sembrava un essere femminile, anche se, trattandosi di un dio, non
poteva esserne sicura: in ogni caso, aveva un abbondante seno che si notava
spudoratamente da sotto il velo trasparente che la ricopriva, e lunghi capelli
castano scuro, mossi. La divinità aveva appena fatto cenno di tacere; quindi si
alzò, mentre i due déi che l’avevano condotta fin lì, sbigottiti, si facevano
da parte.
Si chinò sulla ragazza, ancora accasciata sul pavimento, e le sollevò il viso.
“Qual è il tuo nome, bambina?”, chiese, fissandola.
“Shioka”, rispose lei, semplicemente, senza che la sua voce tradisse alcun
sentimento. KanzeonBosatsu si alzò.
“Molto bene”, sentenziò con voce sicura, “La terremo qui”. Ci furono diversi mormorii di dissenso.
“La divina Bosatsu crede che il Tenkai
sia un ricovero per esseri eretici?”
“E’ inammissibile: prima quel ragazzino, e ora…”
“Il Tenkai non è una cloaca per esseri impuri!”
Una divinità dallo sguardo accigliato si accostò a Kanzeon:
“Somma KanzeonBosatsu…siete
sicura di quello che fate?” La dea lo scrutò con un sorriso divertito, poi,
per tutta risposta, fece un cenno di commiato ai due che l’avevano scortata fin
lì, e che, visibilmente sollevati, si affrettarono ad allontanarsi; si riavviò
quindi verso il trono. Mentre si sedeva,
un'altra figura si avvicinò a KanzeonBosatsu, parlandole a voce udibile. “L’imperatore celeste
non ne sarà per nulla contento,
SommaKanzeon. Ma dato che ormai è fatta, suggerirei di
rinchiudere l’essere eretico nelle segrete". No.
Non di nuovo. Voglio morire. “No”.
Tutti i presenti, con sussurri concitati, si voltarono verso
la ragazza.
“No.", ripeté lei. "Per tutta la mia vita ho imparato a morire. E sono stata uccisa infinite volte. Ogni
minuto trascorso sulla terra, è stato un minuto che la morte mi ha strappato. E ora, se vorrete uccidermi
ancora una volta, esigo che sia almeno l’ultima”.
La voce, leggermente roca ma udibilissima e fluida, vibrò nell’aria,
ammutolendo tutti per lo stupore. Probabilmente, rifletté la ragazza, li aveva stupiti il fatto che osasse ancora esigere. Per alcuni secondi, nessuno parlò, mentre
un sorriso ancora più divertito si allargava sul volto di KanzeonBosatsu.
“Non è necessario, per il momento. Vedrò di affidarla ad una delle divinità” Gli altri dèi tacquero: anche se non era la
prima volta che la dea prendeva questa decisione, chi mai si sarebbe preso tale
impegno? L’unico che aveva accettato di prendersi cura di un essere eretico
fino a quel momento
era stato lo stesso nipote della dea Kanzeon, Konzen
Douji, e certamente non avrebbe accettato che gliene venisse lasciato un altro in
custodia.
"Somma KanzeonBosatsu",
parlò qualcuno.
Shioka alzò lo sguardo. Fino a quel momento l'unica presenza che l'aveva
colpita era stata quella della divinità seduta sul trono, ma lo sguardo lascivo
che il nuovo arrivato le aveva lasciato scivolare lungo tutto il corpo
semisvestito le causò brividi di fastidio in
tutto il corpo.
Viscido...troppo somigliante a loro.
"Sì, consigliere Li
Touten?", chiese la dea, guardandolo con aria annoiata.
"Esprimo la mia più sincera e magnanima disponibilità ad accettare tale
onere...potreste affidare a me l'essere eretico.", continuò, mellifluo.
"No". Il rifiuto della dea fu categorico, ma dal tono cortese.
"Come?", chiese il dio, sconcertato dal tono improvvisamente
autorevole della dea.
"I vostri consigli, Li Touten...teneteveli per l'imperatore celeste"
Diversi mormorii di dissenso si propagarono per l'immensa sala.
“Ho già in mente qualcuno”, continuò KanzeonBosatsu, ignorando i bisbigli e sorridendo divertita.
Libera. Se mai potrò esserlo davvero. Come posso anche solo osar credere che la vita mi
riservi qualcosa di buono?
Non ho vissuto ormai abbastanza da aver chiaro qual è
il mio posto?
“Se è uno scherzo, non è affatto
divertente!”, sbraitò Kenren gesticolando con la sigaretta accesa in mano.
“Non ho potuto fare altrimenti. E ti prego di stare attento con quella
sigaretta” , rispose
Tenpou evitandola per un soffio.
“Non posso crederci!”, mormorò l'uomo dai capelli rosso scuro. “Un essere
eretico! E’ assurdo!”
“Non sapevo che condividessi i pregiudizi dei
cosiddetti assennati, Ken”
“Ma che pregiudizi! Scusami, sai, se trovo assurdo che, tra capo e collo, mi
tocchi condividere la casa con qualcun altro! Perché proprio a noi? E perché non hai rifiutato?”
Tenpou si grattò la testa con un gesto imbarazzato. “Credi che sia facile
rifiutare qualcosa a KanzeonBosatsu?
Sai di chi stiamo
parlando, vero?”
“Non posso crederci…”, ripeté ancora una volta il compagno. “Siamo due militari
scapoli e impegnati. Come credi che possiamo occuparci di un bambino, Ten? Ci hai pensato?”
“Ho forse parlato di bambini, io?”
Kenren aggrottò le sopracciglia, la sigaretta a mezz’aria. “Allora, chi
diavolo…”
Tenpou strinse le labbra, stringendosi
contemporaneamente nelle spalle. “Shioka, ti dispiace entrare?”
Fu con gli occhi sgranati che la divinità dai capelli rossi vide entrare a
piccoli passi una ragazza. Tutto si sarebbe aspettato, dal gigante sanguinario
al bambino pestifero, ma non una giovane donna. Mosse qualche passo in avanti, ma la nuova arrivata se ne stava con le
braccia lungo i fianchi, il volto un po' chino. Non diede segno di volerlo
nemmeno guardare in faccia. Prima che potesse dire
qualunque cosa, Tenpou spezzò il silenzio, sorridendo tranquillamente.
“Shioka…questo è il mio subordinato, Kenren Taisho.
Come avrai capito, convive con me. Se vuoi darti una
ripulita, l’ultima porta a destra nel corridoio è la stanza da bagno”.
Senza dire una parola, chinando il capo per esprimere il suo assenso, la
ragazza tornò sui suoi passi.
Quando fu dentro la
stanza da bagno, appoggiò la schiena alla porta, sospirando. Sì, neanche lì
sarebbe di certo cambiato niente. E
non doveva aspettarsi alcun cambiamento, non doveva nuovamente cader preda
delle emozioni.
Non doveva far altro che continuare ad andare sempre
avanti, nella speranza che qualcuno, prima o poi,
frenasse la sua corsa.
Fece vagare lo sguardo attorno alla stanza in cui era entrata: era un grande bagno, e una vasca
di acqua tiepida, davanti a lei, la invogliava a spogliarsi e ad entrare. Così
si sfilò i cenci ed entrò in acqua. L’acqua, piacevolmente tiepida, le fece dimenticare
appena per un attimo chi era e che cosa facesse lì, in quel mondo. L’oblio però
svanì immediatamente quando la pelle, finalmente
pulita, mise in mostra le sue mere cicatrici, che le erano state inferte nel
corso di tanti anni.
C’era veramente stato un breve tempo in cui era stata felice?
Davvero lei, anche se solo per alcuni anni, era vissuta felicemente sulla
terra, prima che la portassero via e la
rinchiudessero, torturandola per tanti anni?
Forse no…gli anni felici erano stati cancellati dalle torture fisiche cui era
stata sottoposta.
Tutto per la colpa di essere nata.
Si godette ancora per un po’ il tepore dell’acqua, pettinandosi con le mani i
lunghi capelli castani; vide ancora un po’ di sangue ormai secco confondersi
con l’acqua. Rimpianse di non avere uno specchio, di non poter rendersi conto
di quanto il suo viso fosse cambiato in quei sette
anni. Se lo tastò con le mani, percorrendosi le
sopracciglia, le palpebre, il piccolo naso un po’ all’insù, e infine le labbra;
chissà come si presentava agli occhi di chi la guardava? Non lo sapeva più. Nétantomeno le interessava,
beninteso.
Passò alla visione del proprio corpo: un corpo minuto, denutrito; il seno scarno, solcato da una brutta cicatrice che scendeva fino
alle costole, i polpacci sodi. Altre cicatrici ovunque, nel torace, nella parte
interna delle cosce, e sicuramente la sua schiena
doveva esserne costellata. Sospirò; d’altronde, a
che le sarebbe servito sapere come si presentava fisicamente?
…freddo. Se anche l’acqua
fosse stata bollente, avrebbe provato freddo.
Era l’unica temperatura che riuscisse
a percepire; se anche il sole avesse l’avesse illuminata con la sua luce, si
sarebbe sentita ugualmente avvolta nell’ombra. E nulla sarebbe
cambiato.
Chiuse gli occhi ancora una volta, abbandonandosi ad un profondo sospiro,
quindi uscì dall'acqua. Non le avevano dato degli abiti da indossare; meditò se
uscire nuda oppure no, arrivati a quel punto la pudicizia era l’ultimo dei suoi
pensieri. Poi vide, poggiato per terra, un soprabito nero con i bordi dorati.
Dopo essersi asciugata, lo indossò. Le arrivava quasi alle ginocchia.
“Deliziosamente cordiale”, osservò sarcasticamente Kenren, irritato dal fatto
che lei non l’avesse nemmeno guardato. “Una ragazzina…cos’ha può mai aver
fatto per essere portata qui?”. Spense la sigaretta
sulla suola della scarpa. “Kanzeon non l’ha detto”,
rispose Tenpou stringendosi leggermente nelle spalle. “E' sudicia di sangue...possibile che una ragazza...”
"E' un essere eretico, Kenren, non una semplice donna del mondo
sottostante"
"Non eri tu a dirmi di non avere pregiudizi, poco fa?"
"Non stavo esprimendo un pregiudizio; non possiedo nessun elemento per
giudicare. Ma il fatto che possieda una forza superiore alla nostra...questo
è innegabile", concluse aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Kenren fece una smorfia, poco convinto. “Questo mi sembra eccess...”
Fu interrotto dall’ingresso di Shioka nella stanza. Adesso la pelle era pulita, metteva in mostra l'incarnato pallido. I capelli, bagnati e riavviati dietro le orecchie, non più sporchi
di sangue rappreso. Adesso i suoi occhi erano perfettamente visibili.
Uno verde. L’altro dorato.
Il marchio degli esseri eretici.
Kenren si passò la lingua sulle labbra, impressionato, cercando qualcosa da
dire. Ma ancora una volta fu Tenpou a parlare. “Anche se ti dona il
soprabito di Kenren, credo che sarebbe meglio procurarti degli abiti adeguati
alla tua taglia”
La ragazza alzò finalmente lo sguardo; Kenren, invece, fremette d’impazienza:
nonostante Tenpou le stesse parlando con tutta la gentilezza di cui fosse
dotato –ed era molta, sincera o no-, lei a malapena lo considerava. Eppure,
doveva essere fin troppo grata di ritrovarsi a casa
loro, e non in una delle segrete, o peggio ancora negli alloggi di Li Touten.
Sbuffò, grattandosi il naso, quindi forzò un sorriso. Le tese la
mano.
“Sono il generale di prima divisione Kenren Taisho.”
In quel momento i loro sguardi si incrociarono.
Il dio fu scosso da brividi. Ha gli occhi...più penetranti e...distrutti che io abbia mai visto. Nessuno
ha questo sguardo, qui. Nessuno. La ragazza guardò la mano che lui le porgeva, ma non la prese. Gli scoccò
ancora un’occhiata, quindi lo evitò e andò a poggiare la schiena al muro, lo
sguardo perso nel vuoto.
La venetta del
nervosismo iniziò a pulsare sulla fronte di Kenren. Ma certo. Gli
imponevano di vivere con una ragazzetta, e quella non si degnava nemmeno di
guardarlo in faccia né di presentarsi. Si posizionò nuovamente davanti alla ragazza,
tendendole ostinatamente la mano.
“Forse non ci siamo capiti…non parli la mia
lingua? Mi sono appena presentato e sarebbe quantomeno educato che tu facessi
altrettanto”
Shioka strinse le labbra, ma continuò a non accettare la mano di lui, e anzi, spostò lo sguardo. “Mi
chiamo Shioka. Soddisfatto,
adesso?” Evidentemente no, perché Kenren la prese per le
spalle. “E guardami quando parlo con te”
Vide che il volto della ragazza si animava di una scintilla di
astio. Si scostò violentemente le sue mani dalle spalle, infastidita da
quel contatto. “Chi ti ha dato
il permesso di toccarmi?”
“Io faccio poi quello che mi pare e piace! E ti comunico che non è per volere nostro se
sei stata affidata a noi. Perciò
vedi di non dare problemi!”
“Sei tu a creare problemi”
“Alt! Time out! Time out!”, s’intromise
Tenpou, anche se l’amico non mancò di osservare che appariva alquanto divertito
dal battibecco. Shioka inarcò un sopracciglio, sprezzante. “Ha
cominciato lui”
Kenren si appoggiò al muro con un gomito, infastidito. Si accese una sigaretta,
prese la fiaschetta di saké dalla cintura e ne bevve un lungo sorso.
“Fastidiosa”
“Il sentimento è ricambiato”, gli rispose Shioka, risentita. Sembrava
improvvisamente essersi riscossa dal suo torpore.
Tenpou sospirò e uscì dalla stanza, scuotendo la testa.
Pochi minuti dopo vi rientrò con due tazze in mano; Shioka era
rimasta tutto il tempo con la testa reclinata, abbracciata alle proprie
ginocchia. L’altro, quello con i capelli rossi, non aveva più
detto una parola, sembrava perso nei propri pensieri. “Tieni!”, le disse Tenpou chinandosi e porgendole una tazza di tè.
Shioka, improvvisamente frastornata da un atteggiamento così gentile, alzò gli
occhi verso quelli di Tenpou, che sorrise
mentre i loro occhi si incontravano. Quello sguardo così diretto
eppure gentile la disarmò, costringendola a riabbassare gli occhi. Mormorando
un ‘grazie’ appena
udibile, che però non sfuggì al ragazzo dagli occhi verdi, che le sorrise
benevolmente, prese la tazza di tè è la portò alle labbra. Si accorse di avere
molta più sete di quanto pensasse.
Tenpou sospirò, accomodante, offrendo l’altra tazza di tè a Kenren, che vi
versò dentro un gran quantitativo di sakè dalla sua fiaschetta.
“Shioka”, parlò ancora Tenpou, “Voglio che tu sappia
che qui non sei prigioniera. Ho accettato la tua custodia, ma considerala una
convivenza, più o meno
libera. Né io, né Kenren intendiamo farti alcun male, quindi se cerchi di
rilassarti un po’
sarà più facile per tutti convivere, non trovi?”
Quindi il ragazzo le si avvicinò lentamente. La sua mano, inizialmente un po’
incerta, si avvicinò al viso di Shioka, poi si sollevò e andò a cercare la sua
testa. Shioka strinse gli occhi, istintivamente, ma poi rilassò i muscoli del collo
e permise all’uomo di poggiarle una mano sulla testa.
Rabbrividì al contatto. Perché, fino a quel momento,
non aveva ricevuto altro che violenza.
Quelle mani maschili...fino a quel
momento l’avevano picchiata.
Le avevano causato
ferite, contusioni, sangue.
Il sapore metallico del sangue, in bocca, non l’avrebbe mai dimenticato.
Quella mano, invece, era fresca e calda al tempo stesso.
Fresca rispetto alle mani, sudaticce dall’eccitazione e da chissà cos’altro,
che le sferravano
violenti schiaffi.
Calda rispetto a quelle fredde e convulse degli uomini che avevano paura di
lei, che la legavano,
la slegavano, la agguantavano. Non…non devo permettermi di
essere tranquilla. Se
non ho nulla, non ho nulla da perdere. Prima che potesse sottrarsi al tocco di Tenpou, fu
il maresciallo a ritirare la mano. “Quel che intendo, Shioka, è che puoi uscire e
tornare quando vuoi. Non ho la minima intenzione di chiuderti in casa, e se ti
consiglierò di stare alla larga da certi posti o
persone, sarà solo per evitarti problemi. Vieni, ti faccio vedere l’edificio e
ti mostro la stanza in cui potrei sistemarti. Kenren è fuori
per gran parte della giornata, più a perdere tempo dietro alle donne che per
lavoro, aggiungerei. Quanto a me, io sbrigo in gran parte lavoro
d’ufficio, quindi passerò una discreta quantità di tempo in casa. Chiedi pure a
me per tutto”
“Almeno io so godermi la vita, Ten. Non come te”, ribatté un po’ accigliato
Kenren, emergendo dal suo silenzio. “Io avrei detto
che sei un gran piantagrane”
Silenzio…
Quanto le piaceva il silenzio…
Era un silenzio che le faceva sentire freddo, ma almeno poteva stare
tranquilla…
…perché almeno di notte loro non sarebbero
venuti. Un silenzio liberatorio, che le permetteva di rilassare le
membra e di abbandonarsi ad alcune ore di sonno tranquillo…
…finché, con la luce, tutto non ricominciava. Era tardi, quella
notte, quando Kenren rientrò nell’appartamento, al buio. Si mosse a tentoni, ma non urtò nulla, almeno finché non sobbalzò con
un gemito, incespicando in una delle sue ginocchia.
“Ragazzetta! Si può sapere che ci fai qui?” Si strinse nelle spalle; non era riuscita a prendere
sonno, nel letto, e provava timore ad abbandonare la casa, almeno per quella
notte. Non che volesse scappare: dove sarebbe potuta andare? Non c’era altro
posto per lei, al momento. Eppure, non era riuscita a restare distesa; si era
alzata e, muovendosi impacciatamene nel buio, era tornata nella piccola sala
dove le due divinità l’avevano accolta, e lì, la schiena al muro, si era
lasciata scivolare sul pavimento. La casa era silenziosa e tranquilla, e stare
seduta piuttosto che distesa l’aveva fatta sentire meglio.
Non ricordava quand’era stata l’ultima volta che avesse dormito, nel senso proprio del
termine. Eppure, quando aveva avuto l’occasione di chiudere gli occhi e
abbandonarsi al temporaneo oblio che a tutti è concesso, non ne
era stata capace.
“Non ho sonno” Kenren si slacciò il corpetto e lo lasciò scivolare per terra, rimanendo
a torso nudo, poi si appoggiò al muro anche lui. “E tu non hai sonno? Che ne diresti di andare a letto e di lasciarmi in pace?”, lo
affrontò, con voce risentita. Non aveva voglia di compagnia
né tantomeno di conversazione.
“Sono a casa mia, posso andare dove voglio”, la rimbeccò Kenren
sbuffando e ostinandosi a rimanere appoggiato al muro.
“E allora me ne vado io”, risolse lei, alzandosi e
incamminandosi al buio verso il corridoio.
“Non sei più abituata ai letti?”, chiese ancora Kenren.
Shioka piegò leggermente le labbra verso il basso, scuotendo ancora una volta
la testa, e fermando i suoi passi davanti all'entrata del corridoio. “Non sono
più abituata a dormire, forse” “Beh, ti abituerai. Non credo che tu voglia
trascorrere ogni notte seduta per terra a fissare il vuoto, no?”
Shioka non rispose; con un sospiro, tornò a sedersi
accanto a lui. Facciamo buon viso a cattivo gioco... Kenren si accese una sigaretta, apparentemente pensieroso. “Anche se probabilmente non posso saperne niente. Non so chi
o cosa sei, se soffri la fame, la sete o il sonno”
“Non credo di essere molto diversa da te, almeno in
questo senso. Non so dirti, in realtà, se posso morire di fame o sete, ma ti
assicuro che le patisco anch’io. Dormo, bevo, mangio, e soffro il dolore fisico
se mi ferisci”. La fiamma tenue dell’accendino di Kenren, con cui continuava a
giocherellare, la illuminò un poco. Si avvide che Kenren la osservava
divertito.
“Il vestito?”
“Me l’ha dato Tenpou”
Il dio, un’ora o due dopo il suo ingresso in casa, aveva bussato alla porta
della camera che le aveva assegnato con un vestito sottobraccio, che si era poi
rivelato più o meno della sua taglia: era un abito
verde pallido che le lasciava scoperte le gambe e le braccia; le aveva portato
anche un paio di scarponcini beige, dal tessuto leggero e comodo.
“E i capelli?”
“Ha detto che erano bruciati e rovinati, e mi ha
portato un paio di forbici per accorciarli”
Sentì Kenren trattenere una risatina o qualcosa di simile. “E’ sprecato come scapolo”, disse. “Andrebbe piuttosto bene come papà, credo”
Shioka non rispose, massaggiandosi le braccia. Poteva aver un
aspetto meno dimesso, ma le cicatrici non sarebbero
mai scomparse; le davano un’aria fragile e selvaggia allo stesso tempo, fragile
come uno specchio già incrinato al quale manca poco per spezzarsi, o magari uno
già spezzato e ricostruito alla meno peggio; selvaggia, robusta, come un
oggetto che, dall’usura, ormai è già stato tante volte sul punto di rompersi
che non c’è il rischio che accada davvero. Come a voler tirar fuori qualcosa che gli frullava dentro da
un po’, Kenren, aspirata una boccata di fumo e assaporatala, la sorprese con
una domanda. “Qualunque cosa ti sia successa, è stata dura, vero?”
Shioka aggrottò le sopracciglia. “Cosa te ne importa?”
Kenren ignorò un’altra volta le frecciatine: “Me ne
importa perché, volenti o nolenti, vivremo assieme, per chissà quanto tempo. E francamente non vorrei dividere la casa con una persona
che sprizza scintille non appena mi vede. Voglio sapere qualcosa in più su di
te, tutto qui. Possiamo provare ad andare d’accordo”
“Non ci tengo particolarmente”
“E a cos’è che tieni, allora? Che pensi di fare?”
Shioka non rispose.
“Non lo so. Non chiedermelo”
Kenren scosse le spalle. “Non è il mondo sottostante, questo. Le cose cambiano
lentamente: la gente non invecchia e non muore, e probabilmente è ciò che
accadrà anche a te, giusto? Non sperare di vedere le stagioni susseguirsi e la
gente cambiare. E’ quello che là sotto chiamate paradiso.
Tutto è immobile e immutabile, nel bene e nel male. Gli ingranaggi cigolano, ma
ci vogliono eternità intere perché si inceppino. Trova
qualcosa che desti il tuo interesse, perché davanti a
te c’è un tempo senza fine”.
La ragazza soppesò quelle parole, una a una. Eppure,
eternità o no, tutto ciò che si profilava davanti a lei appariva come una
galleria oscura. Non riusciva ad abbracciare ciò che Kenren intendesse
con eternità, perchè aveva vissuto
solo diciassette anni. Neanche un battito di ciglia, visto dall’ottica di una
divinità. Avrebbe vissuto anche lei quanto Kenren? Non era stata forse
condannata perché sua madre era una dea? Aveva la sensazione che il sangue
divino avrebbe prevalso su quello mortale ereditato dal padre, chiunque egli fosse.
“Un tempo senza fine…”, disse, ripetendo le ultime parole di Kenren. “Non…pensi
di chiedermi troppo, adesso? Ho vissuto da mortale, prima da libera e poi da
prigioniera. L’ultima volta che mi sono guardata allo specchio avevo il volto
di una bambina di dieci anni. Ora pare che io ne abbia
diciassette. Probabilmente per voi non sono nulla, ma per un
mortale diciassette anni sono un periodo di tempo molto lungo. Come
pretendi che possa entrare improvvisamente nell’ottica
del mondo divino?”. Si prese la testa tra le mani. “Non…”
“D’accordo. Scusami”, la sorprese Kenren.
“Probabilmente ho esagerato. Prenditi il tuo tempo con calma, ne hai quanto
vuoi, adesso”
Shioka si ritrovò ad annuire. L’altro non parlò più.
Lo sentì accendersi più di una sigaretta, inspirare, espirare, continuamente.
Scivolò lentamente in un torpore che non sperimentava da tempo immemore.
“…fiori”, mormorò.
“Come?”
“Vorrei vedere dei fiori.”
Tutto divenne nero. Per la prima volta dopo anni, Shioka si addormentò
profondamente.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 19/01/2009]
“Bakasaru! Giuro che se ti
trovo te la faccio pagare!”, sbraitava Konzen
Douji percorrendo ad ampi passi il salone e tutte le stanze della casa per
trovare l’essere pestifero che in teoria avrebbe dovuto custodire.
“Calmatevi, sommo Konzen
Douji, state forse cercando l’essere eretico?”
“Quello stupido ha trasformato tutto il mio lavoro in un mucchio di… aeroplanini di carta! Se
lo trovo…Andate tutti a cercarlo!”, gridò
continuando a percorrere il corridoio e ad aprire tutte le porte che gli si
paravano davanti.
Ben lungi dall’idea di farsi beccare, il bambino se ne stava nascosto dietro
una parete. Risolse che la cosa migliore sarebbe stata… sparire per un po’,
almeno finché a Konzen non sarebbe svanita la vena omicida.
Lanciando ancora un’occhiata alla schiena dell’uomo che sembrava tutto, fuorché
propenso ad abbandonare l’idea di cercarlo, mentre le divinità addette al suo
servizio lo attorniavano preoccupate (ben consce che, in mancanza di meglio,
Konzen Douji non avrebbe esitato a scatenare il suo malumore su di loro), imboccò la porta dietro le
sue spalle e svanì. Spaventoso! Questa volta ne impiegherà di tempo per sbollire la rabbia…ma
perché? Erano solo delle stupide carte! Io volevo solo giocare, e lui invece perde tutta la giornata alla scrivania! E’ bellissimo, ma si
arrabbia troppo facilmente. Il ragazzino decise di eclissarsi in fretta da quell’ala del palazzo, prima che qualcuno lo
notasse e avvertisse Konzen. Si incamminò per i corridoi piastrellati, circospetto. Ma purtroppo non poteva impedire alle catene di tintinnare.
Stupidi pezzi di ferro. Freddi, e pesanti. E gli
scorticavano i polsi. Ma doveva sopportarle, perché gliele avevano messe le
persone che l’avevano condotto fin lì, e Konzen non gli aveva mai detto che doveva tenerle per forza, ma non aveva nemmeno
detto il contrario. Forse…lui avrebbe avuto dei problemi. Solo…vorrei sapere perché non potevo
rimanere sul monte Kaka, si chiese con un lungo sospiro. Perché mi hanno portato
qui? Lì c’era il sole, il verde,
l’azzurro del cielo…Qui sembra tutto così finto, c’è tanto
bianco. E le persone sono tutte così noiose… Ma…c’è lui. C’è
Konzen. Lui è ancora meglio del sole, perché mi parla, mi risponde. Se me ne andassi non potrei più vederlo… Guardò ancora le catene, continuando a camminare. Uscì nell’atrio,
incamminandosi per le strade.
Ormai aveva compreso che qualcosa, nel suo corpo, non andava.
C’era qualcosa di sbagliato, qualcosa che spingeva gli altri a maltrattarlo, o a evitarlo. E aveva anche capito
cosa: tutti, quando lo incrociavano, guardavano i suoi occhi e trasalivano. Era
forse il colore? Ma perché il colore degli occhi
doveva essere sbagliato? Perché solo Konzen non lo trattava male?
Si ritrovò d’improvviso davanti ad una grande porta di bronzo. Doveva essersi
allontanato parecchio dal palazzo di Konzen, perché non aveva la minima idea di
dove si trovasse. Decise che la stanza oltre quella porta sarebbe stato il
posto migliore per nascondersi, così vi entrò, un po’ timoroso.
Mise appena un piede dentro la stanza, chiudendosi la porta alle sue spalle.
Non ebbe il tempo di osservarla del tutto, perché una voce alle sue spalle lo
fece sussultare.
“Ehi! E tu si può
sapere chi sei?”
Era un bambino, forse poco più grande di lui. Lo squadrava con sospetto,
aggrottando le sopracciglia sottili sopra i suoi occhi…sì, sopra i suoi occhi dorati. Forse appena un po’ più scuri dei suoi,
ma erano inequivocabilmente dorati. Si sentì improvvisamente emozionato, ma si
accorse di non sapere cosa rispondere. Non aveva un nome. Konzen non gliene
aveva ancora dato uno. “Io non…”
“Shht!”, lo zittì il
compagno, afferrandogli un braccio e sospingendolo dietro una grande statua di Buddha. Il bambino imitò il compagno, appiattendosi come lui
dietro la statua, e tentando di non emettere un fiato.
Ne comprese la ragione non appena alcune
guardie entrarono nella sala, chiamando a gran
voce un certo ‘Principe’, che immaginò dovesse essere
il ragazzino al suo fianco. Cercò di non muovere le mani o le gambe, altrimenti
le catene avrebbero rivelato la loro presenza. Le
guardie, tuttavia, non si preoccuparono di cercare dietro la statua, e così
uscirono quasi subito.
“Ah, meno male, se ne sono andati!
Anche tu ti nascondi? Che hai
combinato?”. Cercò di non parlare a voce troppo alta.
“Oh, una figata! Ho disegnato i baffetti
all’imperatore celeste mentre dormiva!”, esclamò il
ragazzino, con voce orgogliosa e un ampio sorriso soddisfatto stampato sul
volto.
“Aaaah!”, commentò emozionato il bambinetto,
“Avrei tanto voluto vederlo!”. Anche se, in realtà, non sapeva chi fosse
questo imperatore
celeste, né d’altronde, a sentire come ne parlava Konzen, aveva alcuna voglia
di conoscerlo.
“Uffa, lo sapevo! Avrei dovuto
scattargli una fotografia!”, imprecò l’altro bambino schioccando le dita a
vuoto. Ora il suo sguardo freddo e sospettoso era scomparso, lasciando il posto
ad un sorriso ampio e infantile.
“Io sono Nataku, e tu?”
“Io…non ho ancora un nome, veramente”
“Eh? Davvero?”
Il piccolo annuì, serio. “Sì…non capisco tanto bene, in realtà. Dicono tutti che sono nato
da una roccia, e per questo mi chiamano eretico. Dicono anche che gli
occhi dorati portano sfortuna, e così mi hanno portato qui per custodirmi. C’è un uomo,
bellissimo, però si arrabbia sempre, e lui si occupa di me, ma non mi ha dato un nome, accidenti!” Nataku parve meditare per un attimo. “Io non
ne so molto, ma…se sei nato da una roccia, allora sei unico
al mondo, no? E non è
una cosa fantastica?”
“Unico al mondo…io?”, ripeté incredulo il ragazzino. Unico al mondo? In quel momento, un uomo irruppe dietro la statua, sbraitando. Sobbalzarono
entrambi.
“Principe Nataku! Vi ho trovato, finalmente! I
vostri scherzi hanno superato il limite oltre ogni misura! Tornate
immediatamente alla casa principale”
Gli occhi dell’uomo, posatisi su quelli del ragazzino dai capelli color
cioccolata, si diressero nuovamente altrove. Succedeva spesso, più spesso di
quanto avesse voluto. Anche Nataku aveva abbassato lo
sguardo, e il suo volto era tornato nuovamente duro; non sembrava aver tanta
voglia di seguire quell’uomo, ma si
incamminò insieme a lui.
Li osservò allontanarsi per un po’, prima di prendere coraggio e gridare. “Nataku…la prossima volta giochiamo ancora insieme?”
Il volto di Nataku per un attimo di illuminò
nuovamente di un ampio sorriso. “Certamente! Ci vediamo!”
Un mondo. Un mondo che odiava,
che appariva grigio, spento, spesso rosso, ai suoi occhi. Nessuno che si preoccupasse per lui
per ciò che era. E non era nessuno, d’altronde. Né aveva nessuno.
Figlio rinnegato.
Era solo una bambola assassina, come gli era stato più volte ripetuto.
Si era convinto di non possedere sentimenti, perché questo era ciò che gli
altri si aspettavano da lui. Ed era meglio così.
Se avesse dovuto
continuare a spargere sangue, era meglio non fermarsi a riflettere.
In fondo...cosa poteva fare?
Odiava quel mondo, ma non poteva rinunciarvi.
Odiava quell’uomo,
ma era l’unico che gli indicasse
una via da seguire.
Odiava quella gente, che lo trattava con ribrezzo e finto rispetto. Mai con
affetto. Ma questo...questo non era forse provare dei
sentimenti?
Allora...era una bambola difettosa? Se avesse dimostrato a qualcuno di poter provare
qualcosa, sarebbe stato gettato via?
No. Non voleva che accadesse.
Nessuno doveva sapere che lui soffriva come un comune ragazzino.
Corpo senz’anima.
Era questo che doveva dimostrare di essere. La sua apparenza. Nient’altro.
Nessuno doveva assolutamente penetrare le sue difese, leggere la sua sofferenza. Ma quel bambino...quel bambino, primo tra tutti, gli
aveva sorriso, non con paura, non con ipocrisia. Gli aveva rivolto un sorriso
sincero, puro.
Un sorriso che mai e poi mai avrebbe dimenticato.
Era stato capace di infrangere tutte le sue difese in un attimo. Anche quello era provare sentimenti. Ma, chissà come mai, temeva che questi non sarebbe
riuscito a reprimerli.
Quel ragazzino...dagli occhi dorati...
...voleva rivederlo.
Il ragazzino dagli occhi dorati era rimasto solo nella stanza. Una nuova
idea stava facendo capolino nella sua mente: Konzen avrebbe dovuto dargli un nome.
Assolutamente. Non avrebbe accettato un ‘no’ come
risposta, tutti avevano un nome! Perché lui doveva essere da
meno? E poi voleva rivedere Nataku, e dirgli il suo
nuovo nome. Era stata l’unica persona estranea a non temerlo, a
sorridergli. E poi non aveva ancora incontrato nessun
altro bambino come lui.
Si diressefuori dalla stanza correndo. Doveva tornare
al più presto da Konzen, quindi accelerò il più possibile. Non vedeva l’ora che
Konzen gli desse un nome. Arrivato nell’atrio, si
scontrò con qualcuno, rimbalzando al suolo. Le catene tintinnarono, come
sempre. Ma, con sua grande sorpresa, il suono fu
doppio.
Davanti a lui si stava rimettendo in piedi una ragazza dai lunghi capelli
castani, che in quel momento si stava scostando dal volto. Non era una donna
bellissima, alta e dalle curve morbide come tutte quelle che fino a quel
momento aveva incontrato, proprio il contrario: era
più alta di lui, sicuramente, ma non troppo, e poi era molto magra. Ma fu quando la guardò in volto che ebbe la sorpresa più
grande. Un occhio dorato…anche lei è come me! E come
Nataku! “Stai attento a dove vai, moccioso!”, si lamentò, irritata, la ragazza
in questione. “Quanta fretta! Neanche un carro
con trenta cavalli mi avrebbe sbalzata
all’indietro così...”
Senza dubbio, anche se era una ragazza, il suo carattere somigliava un po’ a
quello di Konzen, se si era arrabbiata per così poco. Quando
lo sguardo della ragazza incontrò direttamente il suo, la sua espressione
cambiò: probabilmente anche lei aveva visto i suoi occhi dorati. Al ragazzino
piacque immediatamente il suo volto, un po’ spigoloso ma grazioso.
“Come ti chiami, bimbo?”, gli chiese, con tono pacifico. Decisamente, era la
giornata delle persone che gli chiedevano il nome. Il bambino si stava quasi
stizzendo per non saper rispondere a quella domanda.
“Non ce l’ho, un
nome”
“Eh? Davvero? Non pensavo fosse possibile!”
“Non preoccuparti, lo chiederò subito a Konzen quando
tornerò a casa! Poi se vuoi te lo verrò a dire!”
La sua espressione non cambiò di molto, ma al ragazzino parve divertita. “Chi è
Konzen? Si occupa di te?”
Annuì energico. “Sì, Konzen è bellissimo, e mi piace stare con lui,
anche se non ha mai tempo di giocare con me e si arrabbia sempre! E tu dove abiti? Posso venirti a trovare,
così giochiamo insieme? A proposito, come ti chiami?”
“Mi chiamo Shioka”, gli aveva risposto la ragazza, ma
in quel momento Goku si sentì afferrare violentemente. Era Konzen,
naturalmente, e gli stava suonando una buona dose di pugni sulla testa. Non gli
faceva tanto male, anzi, un po’ si divertiva quando
faceva così, perché finalmente gli prestava attenzione.
“Aspetta! Konzen! Mi disp…”, cercò di scusarsi.
“Razza di bakasaru!”,
sbraitava Konzen. Sembrava furioso, e ancora per quei pezzi di carta? Guardò
verso Shioka, che li fissava con la bocca semisocchiusa. Aveva le braccia per
metà distese con i palmi rivolti verso di loro, come se avesse voluto separarli ma poi avesse pensato di non farlo.
“Ahi!”. Con un ultimo, sonoro pugno, finalmente Konzen mollò la presa. Lui
restò sul pavimento a massaggiarsi la testa. Il biondo parve accorgersi solo in
quel momento di Shioka, e la guardò dritto in volto.
“Tu…perché sei sola, ragazzina?”, le domandò. “Dovresti tornare a casa di
Tenpou. Non vorrai dargli problemi? Di guai bastano già quelli che abbiamo”. Il
bambino si sentì penetrato da un suo sguardo assassino.
Shioka inarcò un sopracciglio, infastidita,
fissando Konzen con astio. “Tenpou non mi ha proibito di uscire. Posso sapere
chi è lei?”
“Konzen Douji”, rispose il tutore, di malavoglia. “E ora che mi ci fai pensare, non lo vedo da un po’. Riferiscigli
che vorrei parlargli”
“Sfortunatamente non sono una serva. Forse, se me lo chiedesse
con maggior educazione…”
Il ragazzino osservò affascinato il ping-pong tra i due. Capitava veramente di
rado che qualcuno rispondesse in quel tono a Konzen,
solitamente tutti avevano paura di lui.
“Sfacciata”
“Superbo”
Strinse la mano di Konzen, prima che i toni si accendessero. “Konzen…non
litigare con la nee-chan, non ha fatto niente. Torniamo
a casa?”
Gli sembrò di vedere il volto di Konzen distendersi leggermente
mentre si voltava verso di lui. Forse, più tardi, non sarebbe stato così
maldisposto a dargli un nome.
Riuscì a tirarlo con sé per qualche passo. “Ciao, nee-chan,
ci rivediamo presto!”
Lei lo guardò, ma non rispose.
Quella sera, il bambino stava saltellando sul letto di Konzen, che se ne stava
disteso, tentando di escludere tutto il baccano che quel bambino faceva
continuamente. Non gli sarebbe dispiaciuto, in fondo, se fosse
stato davvero una scimmia. Le scimmie non parlano.
“Che bello! Oggi ho conosciuto un amico e una nee-chan!”, cantilenò sorridendo e saltellandogli tutto
intorno.
“Mh…ah sì?”, rispose Konzen con tono poco
interessato. Nee-chan...quel piccolo
animale selvatico e presuntuoso. “Sì! Il mio amico è un tipo un po’ rude, ma
divertente! Dovrebbe avere più o meno la mia età…”
I pensieri di Konzen frenarono immediatamente con uno stridio da brivido. Non
era possibile... Più o meno la sua età? Ma
l’unica persona della sua età in questo castello è…no, è impossibile, pensò
Konzen scuotendo la testa. O si era sbagliato il
bambino, o c’era qualcuno che gli sfuggiva. Perché lui
non provava sentimenti, tantomeno affetto.
Mentre pensava, si accorse che il ragazzino si era ammutolito e lo stava
fissando.
“Che c’è?”, gli chiese, brusco, e spiazzato dal ritrovarsi quegli occhi dorati
a così poca distanza dal suo volto.
“Ehi, Konzen…Dammi un nome!”, ordinò lui, serio.
“Ma si può sapere che ti prende adesso?” Un nome? E chi ci ha mai pensato?
“Io…oggi ben due persone mi hanno chiesto il mio nome…e
la prossima volta voglio dirglielo! Voglio essere chiamato con un nome!”,
esclamò il ragazzino ricominciando a saltellare sul letto.
“Un’altra volta”, concluse Konzen poggiando la testa sul cuscino. Un nome!
Stupida scimmia…come si fa a rispondere a bruciapelo a
una domanda del genere? “No! Io lo voglio adesso!” E io voglio dormire.
“Allora…il tuo nome sarà…scimmia!
E’ deciso per scimmia”
Irritato, il bambino lanciò un cuscino in testa a Konzen: “Stupido Konzen! Dammi un nome! Un nome vero!”
“Stupida scimmia! Non fare così!”. Konzen aveva perso le speranze di riuscire ad addormentarsi in pace. Era molto, molto tentato dall’idea
di spedirlo con un vaglia postale alla sua zietta
adorata, se non altro solo per la notte. Così da poter vedere
quanto avrebbe resistito quella vecchiaccia.
Intanto il moccioso gli aveva voltato le spalle e se ne stava in silenzio.
Offeso.
Konzen, al vederlo così imbronciato, ebbe voglia di fare qualcosa, ma non aveva
idea di cosa. Qualcosa che probabilmente avrebbe coinvolto
i suoi muscoli facciali, precisamente quelli al di sotto del naso.
“…Goku”.
“Eh?”
“Il tuo nome sarà Goku. E’ un nome così corto che anche una stupida scimmia con
il cervello minuscolo come il tuo potrà memorizzarlo”, tagliò corto Konzen
distendendosi, e chiedendosi se finalmente l’avrebbe lasciato dormire.
“Ehe!”, esclamò compiaciuto Goku, “Goku! Questo è il
mio nome…”
Konzen schioccò la lingua contro il palato, rilassando la testa sul cuscino e
chiudendo gli occhi.
“Cosa vuol dire? Eh? Cosa vuol dire?”
“Adesso fammi dormire, eh?!”
“Spilorcio!”
“Kenren, l’hai fatto un’altra volta?”, chiese Tenpou divertito, proteggendosi
gli occhi dal sole con una mano, mentre guardava in
alto.
Kenren era infatti
appollaiato sul ramo di un alto ciliegio, con l’immancabile fiaschetta di sakè alle labbra. Non
appena aveva sentito la voce di Tenpou, era sobbalzato...prendeva sempre più
piede, in lui, l’idea che fosse stato addestrato da ninja. “Prima o
poi, tu mi farai venire un
infarto”
Tenpou sorrise furbamente. “Si dice
che chi ha la coscienza sporca sia più incline a questo tipo di incidenti...e infatti non dovresti essere qui”
“Oh, non rompere. Perché dovrei andare ad adulare quei vecchi
barbosi, quando posso starmene qui in pace a sorseggiare tranquillamente il sakè sotto i ciliegi?”
“Perchè dovresti portar loro rispetto. Guarda, tutti
i tuoi subordinati ti stanno cercando”, gli fece notare indicando la
radura poco distante, certo che il compagno, dall’alto dell’albero, potesse
vederne i disordini.“Hai disertato di
nuovo il banchetto!”
“Vedo comunque che non ti
sei lasciato sfuggire l’occasione di disertare anche tu con la scusa di venirmi
a cercare”, chiese Kenren strizzando l’occhio a Tenpou.
“Touché, Kenren”, ammise lui
sorridendo e scuotendo la testa.
Entrambi tacquero,
ascoltando divertiti il vociare delle divinità poco distanti, celati dalla
macchia d’alberi.
Kenren si lasciò scivolare la bocca della fiaschetta di saké tra le labbra. Lo
sorseggiò con piacere, godendosi il tepore del sole penetrante dalle fronde
degli alberi. “La vita è più movimentata, ultimamente, non trovi?”
“Già”, rispose l’amico con un leggero sospiro. “Lo consideri un bene o un
male?”
Si strinse nelle spalle. “Non mi dispiace, qualche mutamento. Non è esattamente spiacevole.”
Lo credeva sul serio. La routine che durava da tempo lunghissimo era
stata leggermente modificata. Gli orari erano lievemente
cambiati, l’atmosfera in casa era più vivace. Naturalmente dipendeva tutto dalla presenza di Shioka.
“Neanche a me dispiace tanto. Shioka spezza un po’ la noia, vero?” Decisamente, pensò Kenren. “Ti sei fatto
qualche idea su di lei?”
Gli occhi di Tenpou brillarono di un sentimento indecifrabile. “Un paio di
certezze e qualche supposizione. Vuoi sentirle?”
“Spara”
Tenpou alzò il viso verso di lui, sempre riparandosi la vista dal sole. “Prima
certezza, è un essere eretico: l’occhio dorato la dice lunga. Seconda certezza,
è una donna. Probabilmente sterile, aggiungerei, dato che gli
ibridi nascono nella quasi totalità dei casi senza la capacità di riprodursi.
Ha sangue divino, quindi è quasi certamente immortale: la sua crescita si è
fermata intorno ai sedici, diciassette anni. Potrebbe averne molti di più,
naturalmente, ma io non credo che superi i venti. E’
solo una sensazione a pelle, in ogni caso, nulla di certo. Adesso entriamo nel
campo delle mere supposizioni: qualcuno delle alte sfere, immagino Kanzeon Bosatsu ma non posso esserne sicuro, ha ordinato a una
squadra di esploratori di condurla qui: non inganniamoci, Kenren, quella
ragazza ha versato del sangue. Secondo me gli orecchini d’oro
che porta al destro assorbono il suo potere maligno. Non
chiedermi perché Kanzeon Bosatsu abbia affidato proprio a noi la sua tutela:
non ne ho la minima idea. Avrebbe potuto farla rinchiudere, e qualsiasi
pericolo sarebbe stato ugualmente scongiurato: invece ha scelto di lasciarla
relativamente libera. Non conosco bene Kanzeon Bosatsu e non so se sia stata
mossa da generosità o da calcolo. Non credo che lo scopriremo mai.”
Kenren rabbrividì per la voce asettica, da
ricercatore, con cui Tenpou aveva affrontato quel lungo e ininterrotto
discorso. Quasi priva di calore umano. Ogni tanto quell’uomo lo raggelava. Si massaggiò gli avambracci,
tenendo la fiaschetta stretta al petto, quindi decise che aveva bisogno di un
altro sorso.
“Bene”, disse, dopo aver bevuto abbondantemente. “Queste sono le informazioni
che il Professor Gensui ha raccolto sul caso Shioka. Vuole
gentilmente dirmi il Signor Tenpou, adesso, cosa ne pensa?”
Inaspettatamente, Tenpou rise. Si sfilò gli occhiali, e iniziò a
ripulirseli sul camice. “Mi piace. E’ intimorita, ogni tanto assume
un’espressione feroce, ed è quasi…selvatica, oserei dire. Ma, paradossalmente, è molto più viva di tutte queste mummie
con cui ho a che fare ogni giorno. Mi piace”, ripeté, “E non so come spiegarlo,
mi fa sentire meno sporco”
Kenren appoggiò i gomiti alle ginocchia, tenendosi in
equilibrio. Sorrise, recuperando una sigaretta dal taschino e accendendosela.
“So cosa vuoi dire”
“E tu, Kenren? Non mi hai detto le tue, di idee e
supposizioni”
Il rosso si era aspettato la domanda. In realtà non si era fatto ancora un’idea
precisa, ma concordava pressappoco con i sentimenti espressi da Tenpou. Decise di buttarla sullo scherzoso: “So solo che è una gran gatta
da pelare, Ten: vivo con una donna, e non posso farci nulla!”
“Kenren, non metterti strane idee in testa”, fece Tenpou. “C’è l’esilio.”
Il suo tono asciutto lo spiazzò. Non comprendeva fino a che punto l’amico scherzasse, dato che il suo sguardo non era molto divertito.
E non comprendeva, posto che non scherzasse, perchè avesse pronunciato quelle
parole: gli piaceva il sesso, decisamente, ma non al
punto da allungare le mani su una ragazza spaventata. Che
poteva metterlo nei guai, per di più.
“Tenpou, mi auguro che la tua fosse solo una battuta di dubbio gusto.”
Il sorriso di Tenpou fu più rassicurante. “Naturalmente”
Kenren ridacchiò di rimando. “E poi alla mia
mogliettina va tutta la mia fedeltà, Tenchan! ♥”
“Ne sono convinto”. Il maresciallo si unì alla risatina, ma in quel momento
Kenren vide avvicinarsi Shioka. L’amico si voltò in sua direzione, salutandola
con un cenno della mano.
“Ehi, Kenren!,
lo chiamò la ragazza, avvicinandosi sul sentiero. Ultimamente, rifletté Kenren,
la si poteva sentir pronunciare qualche parola in più,
anche se il suo atteggiamento scostante e distaccato gli faceva ancora venir
voglia di prenderla per le spalle e scrollarla. Né i
suoi occhi, né le sue labbra, avevano ancora sorriso.
“Oh, Shioka”. Kenren la salutò da sopra l’albero
facendole anche lui un cenno con la mano. “Non dovresti essere da queste parti.
C’è un viavai continuo di militari”
“L’ho notato, grazie. Infatti credo che tornerò
subito a casa. A proposito: i tuoi subordinati ti stanno cercando da circa
mezzora. Uno di loro, molto ubriaco, ti ha apostrofato con una sfilza di
nomignoli di cui mi limito a riferirti solo ‘piantagrane mentecatto’”
Oh, ma che novità,pensò Kenren divertito. La
cosa non lo tangeva più di tanto. “Lasciali parlare.
Non hanno neanche tanto torto”
“Come preferisci. Ma sappi che, la prossima volta che mi tocca”, andò con la
mano a massaggiarsi il collo, al di sopra del ceppo di
metallo, “gli stacco il braccio dal resto del corpo. Poi lo spieghi tu ai tuoi
superiori.”
Kenren comprese in quel momento che il fomentato vociare della radura non era dovuto solo alla sua scomparsa. Si morse leggermente il
labbro inferiore, irritato. Nessuno dei suoi uomini doveva
permettersi una simile meschinità.
“Chi è stato?”
”Non ha importanza”, tagliò corto l’altra con una scrollata di spalle.
“Come ne sei uscita?”, s’intromise Tenpou.
Shioka eruppe in un piccolo sbuffo divertito. “Me ne sono andata e
basta. Vi faranno rapporto?”
“Ma che rapporto, Tenpou è il maresciallo dell’armata
dell’Ovest. La carica più alta dell’esercito. Sotto sta
quella di generale di divisione, la mia”
“Oh, allora siete due pezzi grossi”
Kenren sorrise sardonico. “Due pezzi grossi molto, molto chiacchierati.”
“Non so Tenpou, ma tu non hai esattamente l’aria del generale. Come puoi
imporre disciplina ai tuoi uomini se tu stesso non ne sembri
minimamente provvisto?”
Tenpou rise rumorosamente. “Cento punti, Shioka. Il nostro Kenren è la testa
più calda dell’esercito, ma è anche la migliore spada del Tenkai. E anche un
ottimo tiratore, aggiungerei”
“Oh, Tenpou, piantala. Sai benissimo che sono solo la terza
migliore spada”. Kenren stiracchiò la schiena, allungandola contro il tronco
del ciliegio. Si passò la lingua sulle labbra.
“Vuoi sapere chi è la prima spada, Shioka?”
Shioka aggrottò un sopracciglio e si voltò verso Tenpou.
“Le lodi di Kenren sono esageratamente sperticate”, osservò la divinità con una
scrollata di spalle, grattandosi la nuca con un ampio sorriso in volto. “Lui ha
più forza fisica. La mia è più che altro tecnica:
niente di eccezionale, si può imparare sui libri”
“Come hai fatto a capire che si trattava di Tenpou, Shioka? Il suo aspetto è
più che altro quello di un impiegatucolo”
Tenpou iniziò a ridacchiare, ma Shioka, con un’espressione incomprensibile che
Kenren poteva notare solo fino a un certo punto dal
ramo dell’albero, tese un braccio verso di lui, come se volesse afferrare la
sua figura con la mano.
“Non so se c’è un termine esatto. L’aria attorno a Tenpou è…affilata. Belligerante.”
Suo malgrado, inspiegabilmente, Kenren si sentì rabbrividire. Ha una
sensibilità selvatica come quella di un soldato. O di
un animale. Si chiese, forse per la prima volta seriamente, quale fosse la sua vera forma. Aveva visto Nataku all’opera, già
ormai diverse volte, e si era sempre augurato di non trovarsi mai nella
posizione di averlo come nemico. Di umano, quando
combatteva, aveva solo il corpo. Anche Shioka era
capace di divellere con una stretta la testa di un uomo? Di provocare
un’esplosione rilasciando l’aura maligna? Quella che avvertiva attorno a lei
era sì pericolosa, ma non esplosiva. Davvero quelli che portava
all’orecchio erano dispositivi di controllo?
Tenpou, intanto, aveva iniziato a frugarsi nel taschino del camice, sfilando
poi una sigaretta dal pacchetto per mettettersela tra
le labbra. “Beh, Shioka. Si direbbe che tu riesca a
sentire un po’ l’aura. Non è una cosa insolita, per un combattente”. Si piantò
le mani in tutte le tasche, una dopo l’altra.
Kenren sospirò, giocherellando ancora un attimo con l’accendino che teneva tra
le mani, poi glielo lanciò. Probabilmente non l’avrebbe mai più rivisto. Adieu, drago d’argento: sarebbe finito in un qualche
cantuccio occultato dello studio di Tenpou.
Il maresciallo lo afferrò al volo, ringraziandolo con
un cenno del capo e un sorriso; poi si accese la sigaretta e, senza nemmeno
rendersene conto, lo fece scomparire meccanicamente nello stesso taschino in
cui erano riposte le sigarette. Kenren gli diede l’ultimo, triste addio.
”Ma io non sono un combattente, Tenpou”, osservò Shioka con voce
asciutta.
Tenpou alzò per un attimo la testa, guardando brevemente Kenren. Il rosso ebbe
la fastidiosa impressione che l’amico gli avesse letto
nel pensiero, fino alle viscere. O, più verosimilmente,le loro idee nei confronti della
ragazza erano analoghe.
“Forse no. Ma ce l’hai nel
sangue”
Kenren s’irrigidì, in guardia: Shioka aveva voltato di scatto la testa verso il
maresciallo, e per un’unica frazione di secondo il rosso temette che,
combattente o no, la ragazza gli sarebbe saltata al collo. Tenpou, dal canto
suo, non batté ciglio.
Si fissarono entrambi, per qualche secondo, e Kenren fu improvvisamente felice
di essere appollaiato su quel ramo di ciliegio, e non ritto sul prato in mezzo
a quel silenzioso fuoco incrociato.
Il maresciallo si mosse solo quando la sigaretta gli
si consumò tra le dita. La gettò sul prato e si affrettò a schiacciarla con la
suola della scarpa.
“Nessuno può pervertire la propria natura”, enunciò. “Siamo tutti mostri, qui,
ognuno a modo suo. Tu hai una bestia nel sangue, non è
forse così?”. Si portò due dita alla tempia, e Kenren non riuscì a scorgere la
sua espressione, ma poté immaginarla. “Noi l’abbiamo qui. Per quel che può
valere, io non ti giudico per la tua. Non temo la donna che ho davanti, e la
considero meno sporca di tanti altri individui con cui ho avuto a che fare.”
Non riuscì a decifrare l’espressione di Shioka, ma le vide
aprire e chiudere le labbra più volte. Sentì che un sorriso spontaneo gli
invadeva le sue, senza possibilità di difesa. Mezza eternità lì con lui, e
Tenpou continuava a stupefarlo.
Una folata di vento un po’ più sostenuta –se mai il vento nel Tenkai potesse esserlo- rubò all’albero una consistente quantità di
fiori, che si sparsero nell’aria. Kenren ebbe l’indistinta sensazione che
qualcosa di importante stesse accadendo all’ombra di
quel ciliegio, e provò il desiderio di esserne partecipe. Si slanciò felinamente dal ramo, atterrando poco dietro Shioka, che
non si voltò a guardarlo. La ragazza si passò le dita tra i capelli, afferrando
tre o quattro petali che vi erano rimasti adagiati. Li osservò
con aria assorta.
“Siete…ben strani, voi due”, mormorò, con voce raddolcita.
Kenren sorrise -gli capitava di rado di farlo così spontaneamente-, sgomitando
leggermente ai danni di Tenpou. “E’ per questo che siamo le
pecore nere del Tenkai”
Si chinò, raccogliendo un fiore di ciliegio che, probabilmente sospinto
dall’ultima raffica di vento, si era staccato integralmente dal ramo. Lo offrì
a Shioka con una risatina.
“Avevi detto che volevi vedere i fiori, se non
sbaglio”
Lei non disse nulla, ma lo prese, rigirandoselo tra le mani. “Li ho visti. Qui
i prati sono così fioriti da sembrare finti. Uno splendore simile è impossibile da immaginare, sulla Terra”
Tenpou incrociò le braccia dietro la schiena. “Uno splendore simile ti
stancherà presto: la perfezione non è divertente. Personalmente, preferisco i
paesaggi del mondo sottostante. Le foglie d’autunno sono belle quasi quanto le
fioriture di primavera”
Kenren sorrise sotto i baffi, dato che, ancora una volta, Tenpou aveva palesato un sentimento analogo al suo. La bellezza
troppo perfetta diventa squallida, quando tutto è
immoto.
“Ah, Kenren. Ieri Shioka mi ha riferito di aver incontrato Konzen Douji. Non lo
vedo da parecchio, e pensavo di andare a fargli visita
adesso…vuoi venire? E’ il momento adatto per presentartelo,
direi”
Il generale si strinse nelle spalle. Konzen Douji era una divinità esile e
distaccata, con una lunghissima capigliatura biondo oro. Il suo aspetto era
androgino, ma da quelle poche volte che l’aveva visto liquidare sbrigativamente
una qualche altra divinità, non aveva dubbi che avesse le palle ben messe al
posto giusto. Sedeva spesso al consiglio, al fianco di Kanzeon Bosatsu di cui
si diceva fosse nipote, ma Kenren non aveva mai avuto
modo di discutere con lui, e aveva idea che non gli sarebbe risultato
eccessivamente simpatico.
“Nah, penso che tornerò al banchetto. Non mi va poi
tanto, ma è il caso che mi faccia rivedere prima della
fine”
Tenpou annuì. “Sarà per la prossima volta, allora. Preparati alla ramanzina di
Gojuin”
“Non farmici pensare”, rispose
Kenren tirando fuori la lingua con una smorfia. “Che
uomo noioso!”
Tenpou sbuffò divertito, accendendosi una seconda sigaretta. Kenren meditò se
chiedergli indietro l’accendino, ma tanto sapeva che
gliel’avrebbe richiesto in prestito entro poco, quindi lasciò perdere. In ogni
caso, ne aveva un altro in tasca.
“Vuoi venire anche tu, Shioka?”, chiese inaspettatamente Tenpou, sulle labbra,
nascosto dall’involucro di nicotina, uno di quei rari sorrisi autentici che
così poco spesso si concedeva. Kenren non poté fare a meno di sorridere anche lui. Era un alito di affetto quello che aveva sentito nel tono del laconico Tenpou?
Shioka abbassò lentamente le palpebre, ammiccando. Quindi
nei suoi occhi guizzò quella stessa patina di forse dolcezza che aveva
fatto capolino in precedenza. “D’accordo. Andiamo. Ma il tuo amico Konzen è
davvero irritante.”
“Dall’ultima volta che sono venuto a farti visita…”, mormorò Tenpou
guardandosi intorno e soffiando il fumo dalla bocca, “…questo posto è diventato
più vivace, o sbaglio?”
Konzen dovette convenire che il suo ufficio, una volta impeccabilmente ordinato,
sembrava l’aula di un asilo nido. Aeroplanini di carta, spesso costruiti con i suoi fogli da bollare, disegni,
carta strappata, macchie di colore. A nulla valeva l’ordine che la
servitù metteva ogni giorno: tempo poche ore, e il caos tornava a regnare sovrano.
Avrebbe dovuto metterlo a pane e acqua, quel moccioso, per ottenere un po’ di
disciplina. Tanto più che mangiava come un esercito.
“Puoi dire così…”, gli rispose, snervato, massaggiandosi le tempie. Tenpou non
gli prestava visita da diverso tempo, e ancora non aveva avuto modo di conoscere
Goku. Non che si perdesse granché. E, a tal proposito, dietro Tenpou aveva appena varcato
la soglia la donna, anzi, la ragazzina irritante e supponente che aveva
incontrato recentemente. Come volevasi dimostrare, il suo sguardo si alzò a incontrare il suo e, immediatamente, se ne discostò con
sprezzo.
“A quanto pare hai già avuto modo di conoscere la mia coinquilina…Shioka, ti
presento ufficiosamente il nipote di Kanzeon Bosatsu, Konzen Douji”
La ragazza tornò a guardarlo, sgranando impercettibilmente gli occhi. Nessuno
dei due commentò la presentazione.
“E dov’è il piccolo…”
“Konzen!”, risuonò istericamente chiassosa la voce di Goku. La porta venne spalancata con malagrazia, e andò a schiantarsi contro
il muro, aumentando di dieci gradi ancora la sua irritazione. “Abbiamo ospiti?”. Spalancò gli occhi, festoso,
quando vide Shioka, e strillò il suo nome.
Konzen lo afferrò al volo mentre stava per scagliarsi
sui visitatori. Aveva voglia di gridare, di shakerarlo: quell’animale
non era minimamente capace di comportarsi in maniera civile. Uno di questi giorni lo ammazzo. Dopo avergli affibbiato un pugno sulla testa, che il ragazzino commentò con
un pietoso lamento, gli lasciò lo scollo della canottina.
Il suo sguardo si incrociò con quello di Tenpou; e la
sua irritazione crebbe a dismisura. Stronzo. Si sta divertendo.
“Su, Konzen, lascialo fare…in fondo, è ancora un ragazzino”. Tenpou si chinò
fino a poggiare i gomiti sulle ginocchia. “Ciao, io sono Tenniichan!
Qual è il tuo nome?”
“Goku!”, esclamò festosamente –e con voce orgogliosa- il ragazzino. “Il
mio nome è Goku, Tenniichan! E’ Goku, capito, neechan Shioka? Adesso ho un nome anch’io!”
La ragazza commentò con un cenno del capo, ma non
sorrise. Konzen dubitava che l’avesse mai fatto. Aveva il volto smagrito,
qualche cicatrice di troppo in tutto il corpo, e un’aria feroce, ma non gli
sembrava pericolosa. Inoltre, era pur sempre affidata a Tenpou: e Tenpou sapeva
placare gli animi di chiunque.
Goku si slanciò verso la ragazza, saltellandole attorno; Konzen pensò che
probabilmente vi vedeva in qualche modo un suo simile, dato che, almeno
fisicamente, non dimostrava più di una quindicina d’anni, ed era minuta di
statura e di fisico. Lo superava di tutta la testa e di parte delle spalle, ma rispetto a Tenpou, o a lui stesso, appariva
piuttosto piccola.
“Andiamo a giocare in giardino? Eh? Non c’è mai nessuno che voglia giocare con
me, qui, vieni? Vieni?”. Le afferrò un braccio, e la
ragazza ebbe un leggero sussulto, ma non si scostò. Konzen vide che osservava
prima lui e poi Tenpou, silenziosa.
“Non vuoi venire?”, piagnucolò Goku. “Ci sono dei fiori bellissimi!”
La ragazza parve sospirare. I suoi lineamenti si addolcirono improvvisamente.
“Va bene, Goku. Andiamo”, rispose pacatamente al
ragazzino, e si lasciò trascinare da lui. Lanciò un’ultima
occhiata a Tenpou, poi scomparve dietro la porta, sommersa dalla fiumana
di chiacchiere scomposte e infantili di Goku.
“Potremmo aprire un asilo nido, noi due”, commentò Konzen rassegnato, prendendo
posto sulla poltrona presso la scrivania. “Tenniichan, eh? L’esperto
stratega e alto maresciallo della divisione orientale dell’esercito, pfui. Sembri una balia”
L’amico rise. “I bambini portano allegria. Quelli piccoli e quelli
grandi. E, Konzen, noto che il tuo viso è diventato
più animato ed espressivo, o sbaglio? Dov’è finito il
tuo piglio da burocrate?”
Konzen accusò il colpo. C’era dentro fino al collo, ormai.
“E’ davvero un bel nome, Goku, sai?”, continuò il maresciallo, andando
ad affacciarsi alla finestra. Konzen seguì il suo sguardo: Goku inseguiva
allegramente una farfalla, mentre Shioka sedeva compostamente sul prato. “Go: comprendere ciò che è…Ku: ciò che è invisibile ad occhio nudo. Una capacità che probabilmente difetta in noialtri, non
trovi?”
“Piantala. A proposito di bambini…ne ho sentite di
cotte e di crude riguardo al tuo subordinato, che non
ho ancora avuto il dispiacere di conoscere”
Tenpou rise, rivolgendo la testa verso di lui. “Kenren, rispetto a Goku, di più
grande ha solo il fisico” “Ho sentito dire anche che è il più prestante tra tutti i guerrieri
delle armate. Escluse, naturalmente, le creature eretiche” “Già”, rispose l’amico, pensieroso, “E’ una gran
testa calda, e si è fatto molti nemici perché, in fondo, è una persona davvero
intelligente. I vertici della milizia…lo tengono sotto tiro. Staranno
tramando qualcosa?”, insinuò con un sorrisino sagace.
Konzen sospirò. Si sentiva sempre all’oscuro di tutto. Una sensazione
assolutamente seccante. “Cosa ne sai tu?”
“Nulla di preciso. Ma nutro parecchi sospetti riguardo
ad alcuni dei vertici militari. La milizia…è stata creata originariamente per
correggere i comportamenti che turbano il perfetto ordine del Tenkai. Ma non dimenticare che la guerra, in
fondo, è un’arma per imporre i propri ideali. Pertanto ho ragione di credere
che…se qualcuno controllasse le milizie, potrebbe facilmente ottenere il
dominio del mondo celeste. E
con milizie non intendo semplicemente i combattenti ordinari”, disse facendo un
cenno con la testa verso Goku e Shioka. “Se non sbaglio, la carica di un generale di
divisione è inferiore alla tua, Tenpou. Perché non lo tieni a bada?”
La risposta fu un sorrisetto enigmatico: “Preferisco
non espormi troppo”
Tenpou e la ragazzetta lasciarono la stanza una decina
di minuti dopo. Goku saltellava ancora eccitato, contento della visita, e gli
stava già chiedendo quando avrebbe potuto rivedere
Shioka e Tenniichan. Konzen era troppo pensoso
per poter fermare il suo fracasso. Lo sta usando...per provocare i piani alti. E' una persona dotata di una
notevole capacità strategica. E quella vecchia megera di Kanzeon Bosatsu,
adesso, gli ha anche praticamente dato in consegna un
essere eretico. Siamo sicuri che non è stato affidato
il fucile carico al cacciatore? Mph…i miei occhi non possono raggiungere tutti i
luoghi dove si agitano movimenti sospetti...
Continua...
[leggermente riveduta e corretta nel Marzo 2010]
Tenpou stava camminando lentamente per i corridoi del comando militare,
una lunga pila di documenti da revisionare,
firmare e smistare in mano; nonostante fosse il maresciallo di una delle
quattro principali divisioni dell’esercito del mondo celeste, e possedesse una
forza fisica che non gli permetteva di competere con Kenren, ma che lo metteva
in una posizione di superiorità rispetto a quasi tutti i combattenti delle
milizie, a lui gli incarichi pratici restavano interdetti; mentre Kenren
scendeva raramente nel mondo sottostante, impegnato in qualche missione, a lui
prevalentemente erano affidati lavori d’ufficio, e il suo unico passatempo,
nonché attività preferita, era leggere; il suo studio, infatti, somigliava più
ad una biblioteca, perennemente in disordine, nonostante spesso Kenren si
prendesse la briga di aiutarlo a riordinare; inutilmente, perché in capo ad una
settimana si ritrovava di nuovo sommerso dai libri.
Si era recato al
comando per ricevere altro lavoro; la cosa non lo entusiasmava più di tanto, ma
nel complesso non poteva lagnarsi, dato che, rispetto a Konzen che raramente si
muoveva dalla sua tana, aveva una maggiore libertà d’azione; ma si era dovuto
ricredere quando aveva ricevuto quella mole di documenti arretrati, che
occorreva sistemare entro breve. Il lavoro plus era dovuto al fatto che
ultimamente l’equilibrio del suo tran tran, che durava ormai da secoli, era
stato bruscamente minato dall’arrivo di Shioka. Non che la ragazza gli desse
dei problemi: da quando era arrivata, gli episodi di disordine erano stati più
limitati di quanto si fosse aspettato; sì, veniva talvolta molestata da qualche divinità
che non sapeva cos’altro fare della sua vita, ma Shioka aveva l’abitudine di
trascorrere le giornate a girovagare in luoghi semideserti, ovunque trovasse un
po’ di pace, insomma, quindi non si era lasciata coinvolgere più di tanto nelle
beghe.
Il problema era lui; da un po’ di tempo, si era trovato preso –incredibile a
dirsi- insieme a Kenren nel tentativo di far sì che la ragazza si ambientasse
il più possibile, spiegandole le dinamiche
del Tenkai, e illustrandole le persone da cui doveva più tenersi alla larga. Il
tè delle cinque era diventato ormai un rito, e la ragazza a quell’ora si faceva
sempre trovare a casa, e sorprendentemente anche Kenren faceva lo stesso.
Non era da molto che lei viveva con loro, ma Tenpou aveva capito come doveva
sentirsi Konzen; la vita del biondo, per l’appunto, si era animata da quando il
piccolo Goku gli era stato affidato, e Tenpou fiutava che la cosa sarebbe
accaduta, a lungo andare,
anche a quella sua e del suo compagno. Sebbene Shioka non fosse un tipo di
molte parole, né sorridesse nemmeno per sbaglio, quando c’era lei in una stanza
si avvertiva immediatamente la sua presenza; e non si poteva fare a meno di venire colpiti dall’aura
indescrivibile che emanava. Un'aura diversa da quella che possedeva quand'era
arrivata lì, e contemporaneamente diversa da quella degli dei - un'aura viva.
Camminando con
lo sguardo basso, Tenpou rifletteva; forse, tuttavia, quella ragazza era giunta
lì in un momento sbagliato; magari, adesso che sentiva che le cose ai vertici
del Tenkai si stavano muovendo, un essere chiave come Shioka avrebbe potuto
trovarsi nel mezzo; ma finora il problema non si poneva, finché sarebbe rimasta
sotto la sua protezione, non avrebbe corso nessun rischio.
Non si accorse della persona che, altrettanto silenziosa nel
passo e nei modi, si era ritrovata davanti a lui, finché non la urtò,
scusandosi.
“Maresciallo Ryuu Ou Sekai Gojuin...”, mormorò Tenpou abbassando il capo in
segno di saluto. Non era un suo superiore, anzi, il loro grado era uguale,
poiché anche l’altro era un maresciallo, per la precisione della divisioneoccidentale.
“Buongiorno, maresciallo Tenpou Gensui”, salutò altrettanto
cortesemente il nuovo arrivato.
Tenpou si affrettò a chinarsi per raccogliere i fogli sparsi
per terra. “Mi dispiace di avervi urtato”, disse avvicinando a sé i fogli, “Ma
ero soprappensiero e...”
“Nulla”, mormorò a mezza voce l’uomo. Non a caso faceva
parte della famiglia dei dragoni: a tratti aveva la pelle a scaglie, i suoi
capelli erano argentei, e aveva gli occhi rossi. Si chinò anche lui, almeno per
mostrare la sua disponibilità verso un generale di rango elevato come il
proprio.
“Ah, non è necessario, vi ringrazio”, disse frettolosamente
Tenpou terminando di raccogliere i fogli e rialzandosi. “Arrivederci”, lo
salutò facendo per andarsene. Non so...lui che parte abbia
in tutta questa storia. Alcuni vertici sono sospetti, e, mentre mi sembra ovvio
da che parte si schiereranno i generali d’armata del nord e del sud, su di lui
ho ancora qualche riserva. “Aspettate!”, lo fermò Gojuin con scarso
entusiasmo.
“Ditemi?”, rispose cortesemente Tenpou voltandosi a guardarlo.
“Mi è giunta voce...che un nuovo essere eretico sia stato portato qui nel
Tenkai. E che sia stato affidato a voi e a Taisho”
“Sì”, confermò Tenpou non capendo dove volesse andare
a parare, “E’ sotto la nostra tutela”
Gojuin assentì chinando il capo. “Mi scuso a nome di
un paio di miei uomini. A quanto pare hanno causato
disordini”
Tenpou scosse la testa, agitando la mano. “Non è necessario. Purtroppo sono
cose che capitano quando...” ...quando non si appartiene al luogo in cui
ci si trova.
Pochi minuti dopo, anche Gojuin era uscito dal quartier
generale; gli era difficile sostenere tutta quell'incompetenza per più di
cinque ore di seguito.
Ultimamente, giravano parecchie voci strane sul conto del maresciallo Tenpou
Gensui e su quello del suo stesso sottoposto Kenren Taisho.
Voci che mettevano in dubbio la loro fedeltà all'imperatore
celeste.
Ma per l'appunto, si trattava soltanto di voci senza
fondamento; gli risultava
alquanto difficile credere, per la verità, che il maresciallo Gensui, la cui
incorruttibilità gli sembrava fuori questione, potesse prendere parte a manovre
del genere. Per quanto riguardava Taisho...era una testa calda che gli dava
soltanto problemi, ma non era uno stupido, e nemmeno un sovversivo, almeno dal
punto di vista pratico del termine, perchè, quanto ad infrangere le più comuni
regole della disciplina, non lo batteva nessuno.
Lui...lui si riteneva semplicemente al di sopra delle parti. Aveva giurato
fedeltà all'imperatore celeste, per
cui non avrebbe preso parte ai 'giochi di potere' che avevano
iniziato a muoversi fin da quando il Principe Dio della Guerra Nataku era stato
nominato tale, e il suo genitore, Li Touten, già ben insinuato nella fiducia dell'imperatore,
aveva iniziato a spadroneggiare anche nell'esercito.
Se fosse stato possibile, a lui sarebbe piaciuto se tutto si
fosse trascinato così per l'eternità; ma, successivamente alla nomina di Nataku quale
Dio della Guerra, l'ordine perfetto del mondo celeste era stato turbato
dall'arrivo di due esseri la cui potenza e malvagità, si diceva, avesse
dell'incredibile;uno di tali esseri,
detti eretici, era stato affidato al nipote della dea Kanzeon Bosatsu. Una decisione più che obiettiva, essendo Konzen
Douji una divinità al di fuori dell'esercito e da qualunque conflitto.
Ma il fatto che il secondo essere eretico fosse stato affidato proprio alla
coppia nella hit-parade
delle chiacchiere, Gensui e Taisho per l'appunto, ciò aveva dato da pensare a chiunque.
Cosa aveva per la
testa Kanzeon Bosatsu? Se
giravano tante voci sul conto dei due, perchè affidare proprio a loro una
creatura con una capacità tanto pericolosa?
Gojuin scosse la testa; non doveva
pensarci, non erano affari suoi. Lui sarebbe sempre stato fedele
all'imperatore.
Iniziò a camminare, lo sguardo ben
fissato avanti, come sempre; era un uomo tutto d'un
pezzo, impossibile da smuovere come un grosso masso piantato nella sabbia. Un
muro di cemento, senza fessure, senza crepe nascoste.
Sentì alcune voci dal tono più alto. Si mosse verso quella
direzione per placare eventuali disordini, trascinando i piedi.
Gli dei erano davvero creature stupide. Infime e calcolatrici,
dal primo all'ultimo.
Si era persa un'altra volta. Non aveva la minima idea di dove si trovasse, ma il vedere
tante divinità in divisa le suggerì che era finita nei pressi degli edifici
militari.
In ogni caso, non sapeva tornare al palazzo di Tenpou.
Si guardò attorno più volte con la speranza di scorgere
qualche punto di riferimento, o, ma per quello sarebbe occorsa molta fortuna, notare Tenpou
o Kenren da qualche parte, ma una gomitata in piena schiena che la fece quasi
cadere per terra glielo impedì.
“Vuoi stare attenta a dove vai? Che cosa ci fa una donna qui?”, furono le
“scuse” che ricevette per l’urto.
Shioka si voltò tranquillamente. Niente risposte provocatorie, niente
problemi. Tra l'altro, erano miliziani, il che rendeva il tutto ancora più problematico. Fece un paio
di passi avanti per allontanarsi.
Una mano, afferratala per la spalla, la voltò, mettendola
faccia a faccia con un soldato: “Ma aspetta…tu sei un essere eretico…la donna
affidata a Kenren Taisho e Tenpou Gensui?” E con
questo?. Shioka, ripensando alle parole di Tenpou, non rispose, ma
probabilmente il suo sguardo aveva
parlato per lei.
Frattanto altri due soldati si unirono al compagno; “Che abbiamo qui, Wei?”,
disse uno, tacendo immediatamente dopo aver notato l’occhio dorato della
ragazza.
“Ma sei un essere
eretico! Come ti permetti a
girovagare qui intorno?”, disse l’altro.
Shioka ignorò i commenti; spostò la mano dell’uomo dalla
propria spalla, dicendo loro: “Se mi permettete…avrei da fare”
“Mi domando perché quell’idiota del maresciallo Gensui non
la tenga rinchiusa”, disse uno dei tre ai compagni.
Shioka contò: 1,2,3…decisamente la pazienza non era il suo forte,
perché non riuscì a contare oltre.
“Quelli che dovrebbero stare rinchiusi siete voi deficienti.
Non osate parlare male di Tenpou”,
rispose.
“Abbiamo una piantagrane! E’ la vicinanza di Taisho? Presto
quella testa calda sarà espulsa dall’esercito…si dice che resti ancora solo grazie agli
interventi della sua ‘mogliettina’ Gensui”
“Mph. Scommetto che tutte le cazzate che state dicendo
adesso non avreste
mai le palle per riferirle ai diretti interessati, vero?”
Uno dei tre le
si avvicinò, sperando d’intimorirla, ma lei non mosse nemmeno un
passo indietro. “Adesso vedi di non esagerare”, la avvertì, “Se non fossi un
essere eretico, saprei
io come metterti un po’ di sale in zucca. Le donne sono come cavalli: vanno...domate,
dalla prima all'ultima”. La ragazza strinse i pugni; non doveva assolutamente
colpirli, per nessuna ragione.
“Spero che abbiate impegni
importanti da sbrigare, visto che dovreste essere al comando da un bel pezzo…se
avete rimostranze da sporgere verso i vostri superiori, parlatene pure a me”,
disse una voce fredda alle sue spalle.
Le tre divinità si misero
immediatamente sull’attenti, e dopo aver salutato velocemente si allontanarono
in fretta.
Shioka si voltò: era un uomo alto,
più alto persino di Kenren, dai capelli argentati e gli occhi rossi, glaciali.
Aveva la pelle che sembrava a tratti ricoperta di
scaglie, quasi appartenesse ad una famiglia di dragoni.
I loro sguardi si
incontrarono. Non posso crederci. A Konzen Douji è stato affidato un bambino...dunque
questa ragazza è... Ma allora quell'uomo è veramente spostato...lasciarla
vagare in questo modo per il Tenkai. "Torna a casa", le disse freddamente, allontanandosi.
“Aspettate!”, esclamò Shioka compostamente, appendendosi ad una delle sue
lunghe maniche. “Volevo ringraziarvi per essere intervenuto…”
Quell'uomo...l'aveva difesa.
“La tua posizione qui è molto difficile, ragazzina. Cerca di non complicare le
cose a Gensui più di quanto non lo faccia già Taisho”
“Conoscete Kenren e Tenpou?”
“Faccio parte da sempre delle milizie. Sono il capo della
divisione occidentale dell’esercito”
“Quindi
siete un superiore di Kenren?”
“Per quanto lui se ne
dimentichi troppo spesso, sì”, rispose lui, rassegnato; avrebbe preferito di
no: quell’uomo gli dava solo problemi.
Shioka rimase per alcuni secondi in silenzio, guardando
fissa negli occhi la divinità. Uno
sguardo freddo e penetrante...un portamento serio...e una dignità profonda che
emanava da ogni parola o atteggiamento, da ogni centimetro del suo corpo.
Se c'era qualcosa che
non le mancava...era la capacità di intuire un po’ la personalità delle persone
già ad una prima occhiata, capacità scaturita dalle sue dure esperienze
personali.
“Il mio nome è
Shioka”; aveva deciso di presentarsi; chissà perchè, non voleva che lui
associasse alla sua immagine, se per qualche motivo gli fosse sovvenuta in
mente, il nome di 'essere eretico'. Voleva che sapesse il suo
nome. Gli porse la mano.
L'altro rimase per un paio di lunghi secondi guardingo; il
suo sguardo si portò dagli occhi della ragazza al palmo della sua mano,
costellato da alcune cicatrici, forse bruciature.
“Ryuho Gojuin”, si presentò, accettando la stretta.
Tornò a fissarla negli occhi: per quanto uno dei due fosse
dorato, in essi c’era
molta più purezza che in qualsiasi essere del mondo celeste che avesse mai
visto.
“Torna a casa”, ripeté infine,
“Non è prudente per una donna girovagare qui, e tanto meno lo è per te. Troppe
persone sono come quelle che hai appena visto”
"Beh...non mi dispiacerebbe affatto, ma purtroppo a volte mi capita di
perdermi. Non sapevo nemmeno di
essere finita nella zona degli edifici militari...", rispose
l'altra con voce contrita.
La divinità tacque per un momento, indecisa. Trascinarsela
dietro non era la cosa migliore che poteva fare, ma lasciare che girovagasse da
sola, attirandosi le reazioni stupide di coloro che si trovavano al comando, avrebbe significato essere
come tutti gli altri. Niente di più, niente di meno. Annuì. “Vieni con me”
Shioka lo guardò
ancora una volta, come sempre senza cambiare espressione, e lo seguì; una volta
tanto, aveva conosciuto una persona che non la temeva, o la scherniva; forse
non tutte le persone del Tenkai, esclusi ovviamente Tenpou, Kenren, Goku e
Konzen, erano ipocrite e inutili.
Mentre
camminavano, lui davanti, lei un paio di passi indietro, vigeva il silenzio; ma
non era un silenzio imbarazzato, né freddo;
semplicemente, la ragazza aveva intuito che non fosse una persona di molte
parole, e lei non era da meno. Sentendo lei che lo seguiva, la
divinità ebbe una sensazione che non seppe definire spiacevole o piacevole.
Sentì come se si fossero formate delle crepe in un muro di cemento.
*
L'acqua le scivolava giù dai capelli, sul seno, sulle gambe
incrociate.
Scosse la testa, per spostare i ciuffi che le ricadevano
sugli occhi.
Li chiuse. Sentiva in lontananza la voce di Tenpou che
discuteva, forse con Konzen. A quanto aveva capito, Tenpou era l'unico amico di
quel biondino con lo sguardo da psicopatico.
Il mondo celeste era molto diverso da come se l'era sempre immaginato.
Pensava fosse un mondo placido e incorruttibile, ma aveva
capito che anche le divinità che lo popolavano, primo tra tutti l'imperatore celeste, possedevano
vizi e virtù analoghe a quelle degli uomini. C'erano gli ipocriti, i meschini,
c'erano le dee che se la tiravano, c'erano quelli che si nascondevano
nell'ombra, c'erano gli sbruffoni.
E
poi c'erano le divinità di cui era impossibile intuire i pensieri; perchè, ad
esempio, quella dea che l'aveva accolta quando l'avevano trascinata lì sporca
di sangue, non se n'era lavata le mani e non l'aveva fatta rinchiudere? Perché l'aveva affidata
proprio a quei due?
Non le dispiaceva essere lì; non le dispiaceva avere tutto
quel tempo per sé, tanto da non sapere che farsene, non le dispiaceva leccarsi le ferite piano piano, per
tentare di recuperare un minimo di personalità.
Ma
soprattutto, non le dispiaceva stare con Tenpou e Kenren. Anche se quei due erano impenetrabili, a
dispetto delle apparenze, a dispetto della cortesia che Tenpou dimostrava a
chiunque, e della sfacciataggine che costituiva il perno del carattere di
Kenren.
Sapere cosa legava i due, perchè vivevano insieme, perchè
avevano accettato di prendersi cura di lei, era impossibile; era impossibile
superare la barriera costituita dal sorriso di Tenpou, e impossibile capire
cosa si nascondesse sotto la maschera di 'tombeur des femmes' di Kenren, che
trascorreva ogni notte con una donna diversa.
Cosa
c'era? Noia? Rassegnazione? O
forse, al contrario, una voglia di vivere, di vivere davvero, non di 'esistere'
al di fuori del tempo e dello spazio?
Si coprì avvolgendosi un asciugamano attorno alla vita,
coprendosi il petto e metà delle cosce.
Uscì dal bagno, sistemandosi i capelli bagnati dietro le
orecchie; si avvicinò allo studio di Tenpou, senza fare troppo rumore, ma
nemmeno con l'intenzione di ascoltare senza essere vista.
Come pensava, lo psicopatico era lì, appoggiato alla
scrivania di Tenpou, mentre l'altro sedeva con un libro in mano; parlavano, i
volti abbastanza seri, anche se sul volto di Tenpou c'era il solito sorriso
ipocrita.
Il biondo fu il primo ad accorgersi di lei; le scoccò un'occhiata non troppo
interessata, mentre lei si appoggiava allo stipite della porta, salutandolo con
un cenno del capo.
"Salve, Konzen",
aggiunse, accavallando un po’ le gambe.
"Tsk, ci mancavano solo le
donne mezze nude per casa", fu il saluto di Konzen.
"Che
c'è, hai qualche tipo di problema con le donne?", lo punzecchiò Shioka
aggrottando le sopracciglia.
Tenpou invece le sorrise.
"Vieni, ho preparato il tè"
"Volentieri, ma prima credo
che andrò a vestirmi, o a Konzen potrebbe venire il sangue al naso",
concluse allontanandosi.
Il biondo sospirò. "E io
pensavo che la scimmia desse a me dei problemi..."
"E' fin troppo
tranquilla", rispose Tenpou ridacchiando. "Piuttosto...”, attese il
rumore della porta di Shioka che veniva accostata. “Possiamo anche smetterla di
chiacchierare del più e del meno. Stai tentando di sincerarti che non userò
Shioka per provocare ancora di più i piani alti, no? O peggio, che non la metterò contro Li Touten?", disse, con un sorriso furbo
sul volto.
Konzen aggrottò le sopracciglia.
"Dato che l'hai capito, è inutile che continuiamo a prenderci in
giro"
I due si guardarono per un momento. Poi Tenpou esibì un
sorriso più rilassato. "Non la coinvolgerò nelle faccende del Tenkai, se è
quello che ti chiedi. Il tuo è un sospetto legittimo, ma posso assicurarti che
l'ultima cosa che vorrei è che Shioka diventasse una pedina, un ingranaggio di
questo mondo contorto. E' la verità"
Anche
il viso di Konzen si rilassò. "Non sono affari che mi riguardano, in ogni
caso", mormorò, cercando di ostentare la sua naturale indifferenza.
"E' ciò che provo anch'io verso l'animale che mi è
stato affibbiato", disse ancora, alzandosi e incamminandosi verso
l'uscita.
"Ma...",
aggiunse, "...è sempre meglio mantenere un atteggiamento distaccato verso
queste situazioni. Altrimenti
potrebbero complicarsi. Cerca di controllare soprattutto il tuo subordinato, da
quello che mi hai raccontato è una persona che si lascia trasportare"
"Ho fiducia in Kenren", rispose Tenpou con un
sorriso.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]
Commentucci speciale esami di maturità: Saaaalve! Simona è
qui di ritorno dalla prima sessione d'esami! Tutto è andato abbastanza bene,
nei temi me la cavo, e la versione è stata una farsa dato che a scuola ci hanno fatto entrare alle
8,50 per iniziare l'esame, e ci sono arrivati spoiler da un altro liceo
classico di Palermo, così abbiamo avuto il tempo di procurarci la versione.
Quando la prof è
arrivata: "Allora, ragazzi...l'autore è oh, ma guarda, Tacito!" dopo
aver aperto la busta, la classe si è esibita in un coro di
"Ohhhhhhhhh...non ci posso credere!"
Il resto della versione è stato divertentissimo, perchè
davanti alla professoressa stessa chi aveva la versione l'ha dettata agli
altri, e ogni tanto il professore di spagnolo arrivava: "Ragazzi, si copia
bene qui? A posto?"
Ora ci sarà da vedere come dovrò fare la quarta prova...dato che devo fare in
quattro giorni il programma di storia spagnola e storia italiana di un anno...
Sfiga
ha anche voluto che uscisse la lettera con il mio nome, quindi sono la prima
della classe agli orali. E
la tesina è in alto mare...
*posa figa da culturista: Yeah! Posso farcela!
^^" ehm...sono più sclerata del solito.
Porgo i miei più sinceri auguri (con tanto di condoglianze)
agli altri maturandi.
Come avrete capito, ho avuto la testa occupata quindi non ho
potuto aggiornare prima. Spero, dopo gli orali, di postare il prossimo
capitolo, o, se ci riuscirò, anche prima, dato che è già pronto (questo ho dovuto
scriverlo).
Avvertenze: a partire da dopo i tre asterischi, partirà un
monologo. Il monologo passerà dalla prima alla terza persona qui e lì. Enjoyyourself!
Li Touten si stiracchiò compostamente, rilassandosi
maggiormente sulla poltrona di raso rosso che occupava.
Con gesti annoiati, sistemò le carte che giacevano, non ancora rivisitate,
sull'ampia scrivania dove lavorava quotidianamente.
L'assenza del figlio Nataku, inviato per ordine dell'imperatore celeste sul
mondo sottostante allo scopo di sconfiggere il demone Gyumao, non si faceva
sentire; d'altronde, i rapporti che intratteneva con quel ragazzino si
limitavano agli ordini che gli affidava, e alle comparse ufficiali che teneva
con lui davanti ai sudditi o all'imperatore celeste.
Per il resto, dava disposizioni che il figlio uscisse il meno possibile dal palazzo, che insomma
intraprendesse legami con il mondo esterno ridotti al minimo indispensabile.
L'influenza che stava esercitando sul Principe della guerra
non doveva venir meno in alcun modo; sebbene a volte il bambino dimostrasse
parte della sua umanità, comportandosi com'era consono, per l'appunto, ad un
bambino, era certo dell'obbedienza nei suoi confronti; l'importante era che non
venisse 'guastato' da qualche mela marcia.
E la mela marcia poteva essere quella scimmia di Son Goku.
Li Touten provava una spiccata antipatia a pelle per Konzen
Douji, antipatia che in gran parte gli veniva dall'altrettanto astio che
provava per la parente del biondo, Kanzeon Bosatsu.
Quella vecchia strega, sebbene facesse in
modo da restare sempre 'al di sopra delle parti', più
volte l'aveva guardato con aria di sfida, e aveva anche interferito
indirettamente con i suoi piani; prima di tutto, aveva l'impressione che lei
fosse a conoscenza dei suoi traffichi ancora neonati; secondo, che non vedesse
di buon occhio la fiducia che l'imperatore provava per lui (per la verità, che
non vedesse di buon occhio l'imperatore stesso); terzo, la strega aveva osato
sbeffeggiarlo davanti all'intera corte celeste, rifiutandosi di assegnargli la
custodia della donna eretica che era stata portata lì degli esploratori del
mondo sottostante.
Mettersi contro la dea più ben vista, forse ancora di più
dell'imperatore, del Tenkai, non era esattamente una buona mossa; e mettersi
contro il suo nipote prediletto avrebbe significato dichiarare guerra alla dea
della misericordia.
Ma fatto stava che il pericolo che Konzen Douji
rappresentava era più che reale; l'essere eretico a lui affidato, che
rispondeva al nome di Son Goku, essere la cui forza doveva sicuramente
corrispondere a quella di Nataku, avrebbe potuto al primo passo falso
sostituire Nataku in qualità di dio della guerra, e di conseguenza ogni suo
potere, ogni sua fatica sarebbero svaniti come una bolla di sapone.
Il fatto poi che Son Goku fosse entrato in contatto con il figlio, non poteva che
mandarlo fuori dai gangheri: non doveva mettergli strane idee in testa, Nataku
non doveva intrattenere alcun rapporto con quel marmocchio che in qualsiasi
momento sarebbe potuto divenire suo nemico.
Li Touten indossò gli occhiali e si apprestò a spulciare i
documenti, sperando che gli venisse un'idea capace di sollevare la situazione;
il malloppo di documenti riguardava gli eserciti; scorse i nomi svogliatamente,
ignorando meccanicamente quelli che non destavano in lui alcun interesse.
I primi quattro fogli riguardavano
l'armata del Sud; il maresciallo che la comandava era di una discreta infidia, e guadagnarsi la sua fiducia non aveva
rappresentato un problema; sebbene i suoi uomini non possedessero particolari
capacità combattive, tanto meno il suo primo generale di divisione, le unità al
suo servizio erano molteplici e si sarebbero rivelate utili.
Altri tre fogli riguardavano l'armata del maresciallo del Nord, un incapace che
chissà come era riuscito a distinguersi negli incarichi pratici sul mondo
sottostante, ottenendo così l'incarico di generale d'armata; anche insinuarsi
nella sua fiducia non era stato difficile, ed era sicuro che avrebbe potuto
contare sul suo appoggio quando sarebbe venuto il
momento.
Quando l'occhio di Li Touten cadde sui documenti
concernenti l'armata dell'Est, un tremolio prese le sue mani e un ghigno
furioso apparve sul suo volto. Gensui!
Tenpou Gensui!
Strinse i bordi dei fogli, quasi stropicciandoli.
Odiava quell'uomo, quell'abile stratega che si nascondeva dietro un'aria
gentile e cortese, al limite della dabbenaggine, somigliante quasi ad un
cagnone fedele.
...un cagnone fedele pronto a mordere la mano del padrone.
Più volte quel cafone si era messo di mezzo per proteggere
il suo migliore 'amico', un generale di divisione che peraltro non apparteneva
alla sua armata, ma a quella dell'Ovest, quella al diretto seguito di Nataku.
Più volte l'aveva indirettamente sbeffeggiato, e più volte gli si era
dimostrato, anche se non apertamente, ostile.
Lui...la persona più vicina, dopo
Kanzeon Bosatsu, a Konzen Douji...e quindi all'essere eretico Son Goku.
Lui...era sicuro che sospettasse dei suo traffichi, lo scrutava beffardo e indignato ogni
volta che offriva un consiglio all'imperatore celeste...
Lui era il primo nel suo taccuino
delle persone da eliminare il prima possibile, a qualunque costo. Certo non si
sarebbe sporcato le mani lui, oh no, ma andava eliminato.
Ma soprattutto...era stato a lui
che quella strega di Kanzeon Bosatsu aveva affidato la donna eretica.
Adesso...temeva, sì, si ritrovava
a temere, che quell'uomo si trovasse quasi in una posizione di superiorità
rispetto a lui...
La donna eretica in casa...poteva
godere della protezione del nipote di Kanzeon Bosatsu...era vicino
a Son Goku...
No...non era così. Lui era il
Sommo Li Touten, l'uomo più vicino all'imperatore.
E l'altro -pfui- era semplicemente un maresciallo, dotato di un
buon intuito e di finissime capacità intellettive, questo sì, ma...pur sempre
un maresciallo.
Che, peraltro, si trovava al centro di numerose polemiche.
Tralasciando le malelingue che ipotizzavano un suo rapporto più che platonico
con il generale Kenren, concui divideva l'abitazione, con il suo genio lui, Li Touten, era
riuscito a rigirare la frittata, dando ad intendere che fosse proprio Gensui a
tramare qualcosa.
"Già...l'armata dell'Ovest", mormorò Li touten gettando via i fogli che aveva in mano. Afferrò
spasmodicamente i documenti che riguardavano l'armata in questione.
Ryuu Ou Sekai Gojuin.
Superiore di Kenren Taisho, il 'protetto'
di Gensui.
Un uomo impenetrabile, che non gli aveva mai dato adito.
Sarebbe riuscito ad averlo dalla sua parte, a poter così
contare sull'appoggio di almeno tre delle armate?
O, almeno...sarebbe riuscito ad evitare che si alleasse con Gensui? Non aveva
mai notato nulla che potesse suggerirlo, ma la cerchia
di amici di Konzen si faceva man mano sempre più folta.
Li Touten ripensò a quella figura smagrita e sporca di sangue
che Kanzeon Bosatsu aveva accolto nella sala delle udienze, rifiutandosi di
farla imprigionare e di affidarla a lui.
Com'era il suo nome...non che avesse importanza...
"Ah, sì, ecco: Shioka"
Era pur sempre una donna...era pur
sempre un essere eretico...manovrarla a suo piacimento sarebbe stato semplice e
piacevole.
Se avesse avuto l'occasione di
allontanarla da Gensui e Taisho, beninteso.
* * *
I sorrisi di Kenren, di Tenpou, di Goku, non sono come
quelli che ho sempre visto.
Come sorridevano ‘loro’?
I loro...erano sorrisi che non mi rassicuravano.
Che mi spaventavano.
Perché sorridevano mentre mi
picchiavano, mentre mi toccavano.
Quando mi slegavano, mi gettavano sul pavimento, e facevano
di mi ciò che più li aggradava.
Quando, sazi di violenza, mi riportavano nell’angolo della
mia prigione e mi legavano nuovamente.
Quando andavano via. Quando mi ripetevano che avrei
trascorso l’eternità in quel modo. Quando mi dicevano: ‘a
domani...’, rinnovando ogni giorno il verdetto di una condanna a morte.
Il sorriso di Tenpou mi fa stare bene. Tenpou mi ricorda un
padre, il fratello maggiore che non ho mai avuto, ma anche un po’ una madre.
Sorride con calore, come se tutto andasse bene, qualunque
cosa accada.
Come per assicurarmi che anch’io ho il diritto di essere
felice.
Ma Tenpou ha anche un’ombra scura: sorride sempre,
continuamente, ma non lo fa perché è felice.
Lo fa per mostrare i suoi falsi sorrisi agli altri.
Io...riesco a capire quasi sempre quando
sorride con o per, quando quel suo vago incresparsi delle labbra
è sentito o no. Basta leggere nei suoi occhi, come ho
imparato a fare.
Kenren è diverso.
Lui...ha sempre un sorriso spaccone, da maniaco, come se
tutti fossero lì solo per riconoscere la sua superiorità.
E per questo non è ben visto dagli altri.
Il suo è un sorriso arrogante, presuntuoso, da far venire
voglia di allontanarsi da lui.
Ma...è anche capace di sorridere in maniera premurosa. Lo fa
solo con Tenpou, tanto che a volte ho quasi l’impressione che tra di loro ci
sia più che una sana amicizia.
Ma da un po’ di tempo, ha iniziato a farlo anche con me. E
quando vedo i suoi occhi posarsi su di me, e le sue labbra piegarsi in quel
sorriso, facendo in questo modo muovere leggermente la sua sigaretta, mi batte
forte il petto.
Ma non di paura, come succedeva quando
ero con ‘loro’.
Quando arrivavano loro, quando sentivo anche solo
leggermente i loro passi, iniziavo a tremare. Sentivo le mie labbra ribollire,
il respiro mozzarsi nel petto, e la testa annebbiarsi.
Ogni giorno, ogni mese, ogni anno.
E il cuore iniziava a battere in una folle corsa, mancando
un battito di tanto in tanto.
Può la paura continuare ad attanagliarti anche quando la
provi ogni giorno, per tanto tempo?
Ho imparato la risposta: sì.
Però...
Imparai che non potevo farci proprio nulla.
Che avessi tremato, che avessi urlato, pianto, o che fossi
rimasta con il viso impassibile, ‘loro’ avrebbero
comunque fatto i loro comodi.
Quindi scelsi la soluzione più facile.
Cioè quella di isolarmi dal mio corpo.
E chiudermi in un mondo fatto di nebbia, di colori mischiati
come quelli di un acquerello che è stato bagnato dalla pioggia, dove solo
confusamente arrivano i suoni, gli odori, il dolore.
Nient’altro. Solo lo sguardo fisso nel vuoto.
E ora c’è lui, al posso di quella
massa informe di percezioni: lui che mi sorride e mi fa battere il cuore.
E io che inizio a provare un sentimento nuovo.
Poi c’è Goku...giuro che non saprei come definire il suo
sorriso.
E’...è puro, è innocente, è...buono.
Non ride di nessuno, per lui, sorridere, è facile come
battere le mani.
E lo fa sempre, sinceramente, con chi sa che lo tratterà
male, con chi sa che lo guarderà con freddezza e timore, con tutti.
Anche con me.
Con me, di cui tutti dovrebbero avere paura.
Con me, che sono maledetta proprio come lui.
Il suo sorriso...mi riempie di gioia.
Ora so come sono davvero i sorrisi.
L’avevo dimenticato da tempo, da quando
la mamma mi insegnava a intrecciare le ghirlande di fiori, da quando papà mi
portava sulle spalle.
Ricordo, indelebile nella mia mente, quell’ultimo sorriso
che entrambi mi avevano regalato prima che mi portassero via.
Quel sorriso si era spento in una giornata di pioggia.
E non rividi mai più i loro volti.
E io?
Riuscirò più a sorridere, io?
Macerie...
Si guardava intorno, non poteva credere di essere stata
lei...
Corpi ovunque, schizzi di sangue, brandelli di carne umana...
Mentre si trovava nel suo solito mondo nebbioso, qualcosa
aveva avuto il potere di riportarla giù sulla terra.
Una mano.
Una mano che, più insolente delle altre, era arrivata a
strapparle ciò che le copriva le intimità.
Se si fosse trattato solo di quello... - Facciamolo...
- Ne abbiamo già parlato...che accadrebbe se...se nascesse un altro come lei?
- Lo uccideremo.
- Non possiamo farlo...
- Guardala. Sembra ieri che è arrivata qui, una
mocciosa senza alcuna attrattiva, sottile e impalpabile. Ora invece è una
donna... Le loro mani, come altre volte prima di
allora, avevano iniziato a palparle il seno... - La sua carne è soffice. Per quanto l’abbiamo intaccata, possiede ancora un
suo fascino… Le mani scesero, iniziando a intrufolarsi dentro ciò
di cui lei aveva una seppur debole coscienza di che cosa rappresentasse. Shioka...questa rappresenta l’io più intimo di una donna. Ormai sei grande
per capire che non va ceduto a chiunque. Dovrà essere un uomo speciale...a
prenderne possesso. Aveva annuito a sua madre quando gliel’aveva
detto, aveva capito. La sua femminilità...che non doveva essere violata a meno
che lei non ne fosse stata pienamente convinta. La sua verginità che, seppur
già perduta, spazzata via da mani e persino dal freddo metallo, esisteva ancora,
anche se idealmente.
Perché nessuno l’aveva penetrata
con... - Prendiamocela. Adesso. - In fondo...anche se accadesse qualcosa del genere...non credo che
arriverà mai a concepire.
- Le faremo passare la voglia di riprodursi... Le mani degli uomini si portarono quasi spasmodicamente alle vesti
cerimoniali, slacciandole. Vesti che non rappresentavano più nulla. Uno di essi la tenne ferma davanti a sé, le gambe spalancate in una
grottesca V. - Lasciatemi... Da quanto tempo non pronunciava queste parole? Da quanto tempo era caduta
in un’apatia tale da disinteressarsi di ciò che facevano del suo corpo?
E solo adesso si risvegliava?
Un uomo si era avvicinato a lei, ghignando, provando ad introdursi nella sua
intimità. No. Questo no. - Potevi far cessare tutto questo molto
prima.
No. Non voglio.
- Perché continuare a subire?
Lasciami in pace. Aveva sentito una voce nella sua testa, che nessuno pareva aver udito, ma
che le risuonava forte come un gong, come una tempesta violenta. Il dolore che
aveva provato era stato lancinante.
E allora...sentì come se il mondo attorno a lei diventasse davvero nebbioso
e indistinto.
Tutto ciò che ricordava era il sapore metallico del sangue,
per una volta non il suo.
Sentiva urla indistinte, finché non si sentì come divorata
dalle fiamme.
La sua aura demoniaca era esplosa, travolgendo tutti.
Macerie...
Si guardava intorno, non poteva credere di essere stata
lei...
Corpi ovunque, schizzi di sangue, brandelli di carne
umana...
Il suo piede, scalzo, sentì qualcosa sotto di sé.
Era una donna.
Una donna...in un tempio?
Probabilmente era qualcosa di molto simile a lei...non un
essere eretico, ma qualcosa che si diceva portasse sfortuna quasi quanto loro.
Era una donna dai capelli rossi.
Si chinò sul suo viso.
“Stai...stai bene?”
Ovviamente, la donna non rispose, continuò a guardarla con i
suoi rossi occhi vitrei, aperti e che fissavano qualcosa che ormai non
avrebbero potuto più vedere.
Un urlo che le usciva dal cuore si perse tutto intorno.
Ormai era chiaro che non aveva ucciso solo ‘loro’: la
sua furia repressa aveva coinvolto ragazzini, mezzidemoni,
monaci che non sapevano nemmeno della sua esistenza lì.
Aveva sporcato le sue mani di sangue innocente.
Con che acqua avrebbe mai potuto lavarle?
Se le guardò, osservando il liquido vermiglio che ancora
colava giù.
Che sporcava il suo corpo nudo.
Che imbrattava i suoi capelli.
Che ricopriva il suo viso, le sue labbra, come una grottesca
maschera.
Un altro urlo lacerò l’aria attorno a lei.
Si gettò per terra, percuotendo il terreno invaso da carne,
vetri infranti e ossa, ferendosi le mani, le gambe.
Non potendo nemmeno piangere.
Sì, adesso capiva che avevano ragione.
Lei era un mostro.
E non sarebbe mai potuta tornare indietro, adesso che ne
aveva preso coscienza.
Sai,
Shioka...tu sei nata solo per caso.
Mi sembra impossibile come una dea abbia potuto fare questo. Una dea... un
essere celestiale... concepire un simile mostro. Con un essere umano.
Tu...hai ucciso tua madre.
Tu...non dovevi nascere.
Sei stata solo un errore.
Se sei nata è per fare soffrire la gente...per portare sfortuna.
Sei maledetta.
Anche i genitori...che con tanto amore si sono presi cura di te...
...sono morti.
E’ solo colpa tua se sono morti.
Perché tu sei nata.
La tua non può essere chiamata nemmeno esistenza.
Se sei qui è solo perché nessuno ti ha ancora ucciso.
Non meriti di vivere, ma morire sarebbe troppo poco per te.
Meriti solo di vivere senza rispetto, perché sei solo un essere sporco di
sangue.
E rimarrai qui per sempre...
...per sempre sporca.
Proprio lui mi diceva così...
Proprio lui, le cui mani mi sferzavano più violentemente
degli altri...
Proprio lui, che aveva per primo proposto di...
Quando persi il controllo...
...quando, in un impeto di furia animalesca, cancellai ogni
cosa che si muoveva e che si ergeva più alta di me nel raggio di non so
quanto...
...solo un pensiero lucido mi rimase in testa.
Lui doveva essere l’ultimo.
Lui doveva pagarla più degli altri.
Perché lui...era quello che meno mi temeva. Che più mi
umiliava.
Quando mi accorsi che nulla più accennava a muoversi attorno
a me...
...fu allora che andai a cercarlo.
Fu allora che tornai in possesso momentaneamente della mia
freddezza.
E andai a cercarlo.
Lui...che tanto si era fatto forte davanti ad una ragazza
(una bambina, prima che diventasse ragazza) incatenata. Lui, che tanto si
vantava davanti agli altri di non avere paura di me, né di nessun altro sporco
essere eretico...
...ricordo la delusione. Lui gattonava, sì, gattonava davanti a
me, cercando di sottrarsi alla mia vendetta.
Chiedendomi scusa, supplicandomi di risparmiargli la vita.
Persi quasi la voglia di farlo a pezzi.
Ma giuro che anche se fossi stata
ancora la bambina che giocava con le bambole e raccoglieva i fiori, prima che
le facessero tutto questo, prima che, lui in testa, le rubassero l’innocenza...
...l’avrei ucciso comunque.
Tremava, quasi piangeva.
Era terrorizzato da quella smagrita figura nuda che lo
fissava.
Non lo fissavo nemmeno con odio.
Solo compassione, solo freddezza.
Non lo risparmiai.
Con tutta la lucidità che possiedo
ancora adesso, non lo risparmiai.
Mi chinai su di lui, afferrandogli la testa per i capelli;
il suo corpo ancora tremava spasmodicamente, anche se non aveva più tempo per
vivere, a pezzi com’era ridotto.
Ma le sue labbra tremavano ancora.
“Allora, maiale...Ti penti di tutto quello che hai fatto?”
Le sue labbra si mossero ancora, lievemente. Forse voleva
rispondermi. Forse voleva chiedermi perdono. Forse voleva ingiuriarmi ancora,
darmi della puttana, dello sporco essere eretico. Forse voleva chiedermi ancora
di risparmiarlo.
Ma non udii la sua risposta, perché i suoi occhi si
rivolsero verso l’alto, mostrando solo il bianco.
E lasciai ricadere il suo corpo inerte.
Adesso ero davvero un mostro, come diceva lui. Perché se
avessi ucciso solo lui e loro, sarei stata semplicemente un’assassina. Invece
ero un mostro.
Persi nuovamente la lucidità.
Perché, pur nella mia follia, sapevo precisamente una cosa:
che adesso avrei potuto morire.
Che adesso non c’era più nulla che potessi fare, né un posto
ad accogliermi.
Ripresi lentamente conoscenza.
Non so dire per quanto tempo
rimasi lì, a crogiolarmi, seduta nuda sul sangue, sulle viscere, sulle macerie.
Osservando, per la prima volta
dopo tanto tempo, il sole che sorgeva e tramontava eseguendo una perfetta
parabola, sostituito dalla luna, che a sua volta lasciava nuovamente posto al
sole.
E tutto ricominciava.
Osservavo le pozzanghere di sangue
brillare della luce gialla del sole e di quella bianca della luna.
E il vento. Non più simile a
coltelli acuminati, come quando gli spifferi entravano nel mio carcere.
Uniforme. Mi sferzava tutto il
corpo nudo.
Nei momenti di maggior forza,
sospingeva via la patina coagulata delle pozzanghere di sangue, rimestandolo,
rendendolo di nuovo vivo.
E poi venne anche la pioggia.
Non le gocce gelide che mi
cadevano addosso, producendo quell’angosciante rumore continuo.
Plic. Plic.
No. Una pioggia che doveva essere
provvidenziale, ma che non riusciva a lavare via il mio corpo dal sangue che
urlava.
Così come il sole non riusciva a
seccarlo.
E invece la pioggia lo sciolse, le
gocce rosse scendevano giù per il mio corpo, ma non riuscivano a cadere a
terra.
E il sole lo seccava.
E la pioggia lo scioglieva.
Ma i miei capelli ne rimanevano lo stesso imbrattati, appesantiti.
Così pesanti che mi avrebbero
trascinata giù, all’inferno.
Poi, negli sfumati ricordi dei
giorni successivi, ricordo che vennero a prendermi.
Volti che, schifati dal massacro
la cui scenografia appariva ancora fresca ai loro occhi, si fissarono su di me.
Terrorizzati e disgustati.
Stavo per essere portata su, in
quello che da bambina chiamavo ‘paradiso’, ‘cielo’,
come le persone che avevano la ancora la speranza per credere in qualcosa.
Di nuovo
prigioniera.
“Uccidetemi...”, ricordo di aver
mormorato.
Ma nessuno mi udì, o non volle
udirmi.
La prigionia questa volta sarebbe
stata una punizione equa.
Perché avevo dimostrato di essere
davvero un mostro.
Qualcuno mi gettò addosso degli
stracci.
Ricordo un gran calore e una fitta
all’orecchio destro, nel quale, toccandomeli, riuscii a distinguere due
orecchini ancora tiepidi.
Sentii che buona parte delle mie
forze mi abbandonava.
Avevo distrutto un monastero
buddista.
Avevo massacrato tutti coloro che
vi stavano dentro, indiscriminatamente.
Monaci, novizi, persino coloro che
tenevano rinchiusi come me.
Perché non era un monastero.
Era una prigione per capri
espiatori.
Eio li avevo uccisi insieme ai loro
torturatori.
Andai con loro.
...e allora, ditemi...
...perchè voglio ancora vivere?
...perchè voglio ancora piangere, urlare che voglio
sorridere?
...e perchè, quando faccio questo, vedo tutti i volti delle
persone che ho ucciso sanguinare, e le loro mani bianche tentare di portarmi
giù con loro?
...perchè voglio ancora stare con qualcuno?
...perchè provo il desiderio di sentire calore attorno a me?
...perchè provo piacere nel mangiare, nel bere,
nell'ascoltare risate nell'ambiente che mi circonda, nel guardare i fiori, il
verde, il tramonto, la luna, le stelle?
...ditemi perchè?
...c'è qualcuno che può farlo?
...c'è qualcuno che può spiegarmi perchè, nonostante tutto
quello che ho fatto, non mi rassegno?
...ci sono loro, a ricordarmelo ogni giorno:
Tu puoi ancora vivere.
Il tuo posto adesso è questo.
"Merda!"
Shioka si svegliò si scatto, ritrovandosi davanti Kenren.
Si passò una mano sulle goccioline di sudore che le
imperlavano la fronte, e si riavviò i capelli dietro le orecchie. Si sentiva un
groppo alla gola, le lebbra secche e gli occhi gonfi.
"Brutto sogno?", chiese il ragazzo, piegato sulle
ginocchia davanti a lei. "Ti sei addormentata un'altra volta in cucina.
Sono arrivato, e..."
Si accorse che la ragazza non lo stava ascoltando neanche
lontanamente. Shioka aveva lo sguardo perso nel vuoto, le labbra serrate, un'espressione addolorata e insieme spaventata sul volto.
"Senti...", disse ancora, sbuffando, ma
sinceramente dispiaciuto che lei provasse ancora tutto
questo. Non sapeva cos'avesse passato, non sapeva cos'avesse fatto per essere
portata lì. Indubbiamente, nulla di buono in tutti e due i casi. Però si
sentiva un groppo al petto quando le vedeva
quell'espressione così dura negli occhi.
"Ti stavi agitando nel sonno come se ti stessero
massacrando. Da almeno un'ora", buttò giù, infastidito da quelle
sensazioni di compassione che provava, ma che si ostinava a voler ricacciare
dentro.
Vide la ragazza alzarsi dal pavimento e andare ad
appoggiarsi al tavolo.
"Brutto sogno", confermò lei, sospirando.
"Che mi ha reso di pessimo umore"
Kenren le si
avvicinò e si sedette sul bordo del tavolo. Prese la fiaschetta di saké
che portava sempre con sé, e gliela porse.
"Non è una novità, che tu sia di pessimo umore. Ogni tanto, dovresti provare qualcosa
per esorcizzarlo. Prova a bere un po’ di questo, ti si schiariranno le
idee"
Shioka osservò per un momento la
fiaschetta. "Alcool?"
Con un po’ di titubanza,
l'afferrò, la stappò, e ne bevve un lungo sorso.
"Ehi, ehi, aspetta!", si agitò Kenren tentando di
togliergliela dalle mani. "E' saké, non succo di frutta! Non vorrai mica
sbronzarti adesso?"
Troppo tardi, la fiaschetta era già vuota. Io e le mie idee...,
pensò appoggiando sul tavolo la fiaschetta vuota. La curiosità ebbe la meglio:
che effetto le avrebbe fatto?
Si immaginò la ragazza ubriaca impegnata in uno spogliarello, e dovette
ammettere che l'idea non gli sarebbe dispiaciuta affatto. Poi tornò serio:
anche se pensare a cose simili era lecito per un uomo nel fiore degli anni come
lui, non era la situazione adatta per perdersi in quelle sciocchezze.
"Grazie, ma...non credo che una roba da bere potrebbe avere effetti sul
mio malumore...", disse l'altra scostando una sedia e occupandola,
appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa sulle braccia. Non esiste niente che potrebbe farmi anche solo assomigliare lontanamente a
com'ero prima. "Nessun effetto? E io che mi aspettavo uno spogliarello...come
minimo...", scherzò il rosso.
Shioka assunse un'espressione malinconica. "Non credo
che sarebbe così piacevole vedere un corpo pieno di cicatrici come il mio..."
"Ma le cicatrici sono medaglie al valore! Una cicatrice
significa che sei sopravvissuta ad un pericolo, e il tuo corpo si è riparato,
anche se non è tornato bello come prima...", osservò Kenren languidamente
accendendosi una sigaretta.
"Allora...", mormorò Shioka chiudendo gli occhi,
"...vuol dire che nel mio cuore non c'è nessuna cicatrice...è ferito e
basta"
"Però può sempre risanarsi, no?", fece Kenren
abbassandosi per guardarla bene in viso.
L'assenza di risposta e l'abbassarsi e rialzarsi ritmico del
suo petto gli suggerì che si era riaddormentata.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]
Questo è senza dubbio il capitolo che riguarda Shioka in cui
più ho messo il cuore. Scriverlo mi ha messo addosso una
tristezza infinita, anche se riguarda una parte della sua vita ormai chiusa.
Le sue avventure non sono ancora finite. Avrà ancora più di
un’occasione in cui dimostrare il suo sangue freddo e la sua determinazione.
Se mi chiedete di fare un paragone tra lei e Shinobu, vi
risponderò così: non sovrapponete le loro immagini, Shioka non è una
scopiazzatura di Shinobu o viceversa; sono due personaggi così distinti che ho
faticato il doppio per renderli meglio che ho potuto.
Shioka ha perso ogni illusione, anche se a tratti la sua infantilità che non ha vissuto emerge; crede di aver già
sperimentato tutto ciò che c’è da sperimentare, e di aver toccato già il fondo,
tanto da non poter cadere più giù di così. E sarà proprio allora che qualcuno
le farà capire che può ancora risalire, trovare di nuovo il posto che ha
perduto.
Shinobu è lievemente più ingenua, anche se ciò dipende in
gran parte dal dislivello tra il passato delle due ragazze; sa che ancora un
mucchio di esperienze la aspettano, anche se si ripropone di affrontarle con il
massimo distacco possibile. In questa sua “maschera” di distacco si aprono
sempre più crepe, che tenta di nascondere. La sua nonè ipocrisia, né finzione: crede
davvero che il suo sia il miglior modo di affrontare le vita.
Spero che Shioka vi sia piaciuta allo stesso modo in cui
avete apprezzato Shinobu.
Entrambe hanno dentro un ulteriore io, qualcosa di violento
e incontrollabile, che però Shinobu riesce a soffocare interamente con la sua
purezza, che Shioka, costretta dalle circostanze, ha perduto.
La parte iniziale (quella su Li
Touten, la cui infidia ha dell'incredibile), e quella
finale sono aggiunte dell'ultim'ora; non credo che
sarei oggi capace di riscrivere un frammento triste come quello sul passato di
Shioka, nè che sarei stata capace di scriverne uno
così 'composito' tempo fa (sto tentando di affinare la parte 'strategica' della
fic, ovvero i meccanismi per il potere e le reti di
alleanze che Li Touten tenta di tessere...); sono a periodi ^^"...
Grazie a tutti per i commenti, le osservazioni e gli auguri
per gli esami...grazie davvero!
I miei sforzi (veramente mi sono grattata la
pancia tutto l'anno...^^"""") sono stati finalmente
ripagati: gli esami sono finiti, e checchè la gente
dica che la parte spensierata della mia vita sia finita, io rispondo loro con
un bel medio alzato e dico...
...non è così. Se voi adulti siete diventati ombre di voi
stessi, dediti al lavoro, alla famiglia e al denaro, è solo colpa vostra: non
lamentatevi della famiglia, se avete voluto sposarvi; non lamentatevi del
lavoro, dato che vi fa guadagnare. Mi riferisco soprattutto agli sposati
frustrati che devono far da balia a marmocchi frignanti che hanno rovinato la
loro vita. Ogni momento della vita non è casuale, non è
voluto da nessuno: è causato da una specifica successione di scelte già
compiute. Scelte che possono essere ad ogni momento cambiate, se non all'ultimo
bivio, perlomeno al seguente.
C'è sempre un'alternativa. Non esistono cose che 'vanno fatte', non esistono cose che non possono essere evitate.
Vi chiederete perchè spreco tempo a scrivere queste
sciocchezze, e perchè faccio perdere tempo a voi che arrivate inconsapevoli
alla fine del capitolo e leggete...la verità è che farei meglio ad aprirmi un blog, no? ^^""",
invece di inserire questi commentucci alla fine dei
capitoli. Bè, la vita non è una fiction! Ogni tanto
mi va di mettere i miei pensieri per iscritto, e quelli che mi vengono in mente
dopo aver scritto un capitolo li inserisco proprio lì...non me ne vogliate a
male! ^^
Grazie per la pazienza di leggere ciò che scrive una pazza
dal cervello bucherellato qui e lì.
saludosYbesosfrom Simo
Ps: Per Palanmelen...Sul
discorso su Gojuin hai pienamente ragione, anche se non credo che anche lui,
come Kenren, dica proprio tutto quello che gli passa per la testa.
I fiori e i ciuffi d'erba si piegavano al suo passaggio, quasi
inchinandosi di fronte a quello spettacolo da togliere il fiato che era il
cielo del Tenkai.
Le foglie dei rami a lei più vicini soffiavano a poca
distanza dalle sue orecchie, tanto da invogliarla a inginocchiarsi sotto l'albero, alzando lo
sguardo al cielo sopra di lei.
La luna. C'era la luna. Non pensava fosse possibile vederla
dal mondo celeste.
Però
era lì, silenziosa e innocente, e anche un po’ impassibile a tutto ciò che
avveniva a poca distanza da lei.
Dardi di luce bianca penetravano il fogliame, creando un
affascinante gioco di macchie che si spostavano sull'erba dov'era distesa.
Osservò il gioco di luce mobile sulla propria gamba. Una macchia le individuò una cicatrice nella parte
superiore della coscia, così distolse lo sguardo.
Un rumore ritmico, rilassante, seducente la spinse ad
abbandonare il suo rifugio; attraversò il campo di fiori, godendo della piacevole sensazione di
solletico che avvertiva alla parte bassa dei polpacci. Si chinò e sciolse i
lacci che legavano i suoi scarponcini; dopo esserseli tolti, affondò i piedi
nell'erba, rabbrividendo al lieve contatto con le punte dei ciuffetti e con le
foglie dei fiori.
Era come se l'unica vita che meritasse di esistere, quella
della natura, fosse esplosa,
e fosse rimasta lei sola, immeritatamente, a poterne godere. Il rumore
seducente la invitò di nuovo a muoversi, così, gli scarponcini in mano, riprese
a percorrere il prato.
Camminò per cinque minuti buoni, gli occhi appena aperti per
non cadere, non per orientarsi: tutto ciò a cui si affidava erano le sue
orecchie; stava seguendo quel rumore d'acqua, che la affascinava enormemente.
Il rumore, frattanto, si faceva sempre più persistente,
sempre più vicino.
Si ritrovò davanti un piccolo ruscello che scorreva
tranquillamente, ignaro della strada da percorrere e della sua destinazione;
non era lui a decidere dove andare, ma la conformazione del terreno a
suggerirglielo. E lui
si faceva guidare, docile. Sulla riva opposta, che distava forse appena una
cinquantina di metri da dov'era lei in quel momento, si innalzavano alberi che vedeva torcersi in
sincronia, dalle forme scure e i contorni indefiniti. Alzò lo sguardo al cielo,
respirando forte l'aria e l'odore della natura.
Quasi senza accorgersene, si lasciò scivolare in acqua. La
temperatura era fresca, e piccoli
brividi di piacere scalarono le sue gambe fino ad arrivarle in
gola. Si fece scivolare prima l'una, poi l'altra spallina del vestito, e se lo
tolse completamente. Tolte anche le piccole mutandine che le coprivano
l'intimità, entrò lentamente in acqua, dopo aver abbandonato ogni capo sulla
riva.
Si portò le mani sui capelli, facendole scivolare sulle
spalle, fino al seno, allontanandosi di poco dalla riva. Si lasciò scivolare
completamente nell'acqua, seduta sul fondo con i capelli sciolti dietro di lei,
il viso appena un po’ fuori dall'acqua,
ad osservare il cielo. Se non avesse avuto le catene che la appesantivano così tanto, le sarebbe
piaciuto lasciarsi galleggiare. Se solo fossi nata in un luogo
come questo...anche da sola...se solo potessi stare sempre così... Socchiuse gli occhi a quel pensiero, abbracciandosi le ginocchia in un
gesto di abbandono.
Un rumore.
Un rumore la fece sobbalzare.
Credeva di
essere sola, in piena tranquillità.
Sperava di
essere sola.
Era stata imprudente. In giro, in piena notte, nuda in quel
posto.
Fu incerta se rimanere in acqua, china su se stessa, o
correre sulla riva a rivestirsi.
Poi, percepì effettivamente la presenza di qualcuno. Il
rumore che l'aveva messa in allarme era stato quello di un cespuglio che veniva mosso un po’ più
forte. Non poteva essere stato il vento. Portò lo sguardo presso l'altra riva
del fiume.
"Chi c'è lì?", chiese, a voce alta per farsi ben
udire.
Aveva la bocca arida. Si sentiva così solo prima di fare
sesso.
I suoi occhi si rifiutavano di spostarsi, la sua voce si
rifiutava di uscire, le sue gambe si rifiutavano di muoversi.
Poteva solo fissarla, guardare i suoi occhi infastiditi, in
cerca di chi aveva turbato la sua tranquillità.
Anche
lui aveva sentito qualcosa muoversi in un cespuglio, poco lontano da lui.
C'era qualcun altro.
Qualcun altro si era ritrovato lì a spiarla, forse
involontariamente.
Qualcuno che si era fatto scoprire, e aveva fatto scoprire anche lui.
Un'ombra si levò all'improvviso, staccandosi dal ciliegio
che si ergeva a metri da lui. Troppo
distante, e troppo buia, perchè potesse vederla.
Riportò lo sguardo su Shioka.
"Allora? Chi c'è lì?", chiese di nuovo la ragazza,
con tono più irritato.
Kenren si arrese, e si vide costretto ad alzare le mani.
S'introdusse nella piccola apertura tra i due alberi, nascosta dai cespugli, e
li attraversò.
"Sono io, Shioka", si fece riconoscere, puntandole
in volto uno sguardo penetrante.
La ragazza non si mosse. Una sensazione di calore le
attraversò il corpo. Non sapeva se fosse d'imbarazzo, o di sollievo. Non era uno sconosciuto, era
Kenren.
"Che....cosa
ci facevi lì? Hai preso l'abitudine di spiare, adesso?"
Kenren mosse alcuni passi in acqua e le si avvicinò. "Ero lì già da
prima". Non disse nulla
riguardo alla presenza di una terza persona in quel luogo, non ne valeva
la pena. "Ti ho vista appena", si giustificò senza pensare.
"Non ti avvicinare!", gli intimò la ragazza,
piuttosto freddamente per la verità, coprendosi il più possibile con i capelli.
Kenren aprì le labbra per rispondere, ma non disse nulla. Si
tolse il soprabito, e lo lanciò verso di lei. La ragazza lo prese al volo e se lo appoggiò
addosso.
"Va'...a vestirti", mormorò Kenren voltandosi
appena. Si può sapere che mi è preso? O
le salto addosso, perchè in fondo è pur sempre una donna nuda davanti a me, o
me ne vado. Perché
sto esitando qui? Aspetto che torni? Cosa
dovrei dirle? Avrebbe dovuto scusarsi? Con lei? No, perchè avrebbe dovuto? Lui...quello
era il luogo dove evadeva da tutto. La notte, quando non aveva visite notturne
da portare a donne varie, si rifugiava lì a fumare. A riflettere. Era il suo
posto. Era lei che doveva scusarsi.
Il rumore di passi sull'acqua lo fece voltare. Shioka, la
luna che ne individuava le fattezze, stava in piedi davanti a lui, indossando
il suo solito vestitino. Aveva gli scarponcini in una mano.
"Mi hai quasi spaventato", disse, placida.
"Credevo chissà chi fosse..."
"Ma
di' un po’...", l'apostrofò l'altro, "Ma...ogni tanto ti rendi conto
che sono un uomo anch'io?"
Shioka sospirò. "Hai ragione. Ma...se qualcuno doveva vedermi, non avrei
voluto che fossero altri che tu...o Tenpou" Allora ti è andata male per
metà...perchè non credo che quello di prima fosse Tenpou. Kenren
andò a sedersi sull'altra riva. Si tolse anche lui gli stivaletti neri,
impermeabili, e le calzette,
e poggiò i piedi in acqua. "Ti piace questo posto?", le chiese,
alzando lo sguardo verso il cielo.
Shioka lo imitò, sedendosi di fianco a lui. "Sì",
ammise, "Mi piace molto"
Un piccolo sorriso fece capolino sulle labbra di Kenren.
Davvero, si somigliavano più di quanto si aspettasse. Shioka si gettò sull'erba, le braccia lunghe
distese sulla testa. Il cielo, da lì, appariva, come una
cartolina, incorniciato in un angolo dai rami fronzuti degli alberi.
Kenren si lasciò sfuggire un piccolo sospiro divertito, e si distese
anche lui, nella sua stessa posizione, specularmente. Le loro dita si sfioravano
appena.
Anche
lui tacque, osservando il cielo sopra di loro, la sigaretta spenta.
Il silenzio fu rotto da Shioka: “Non avrei mai pensato di
poter vivere un momento simile…di poterlo
condividere”, mormorò senza staccare gli occhi dal cielo.
“Neanch’io…pensavo
che le notti fossero buone solo per scopare con belle donne… e quando mi soffermavo
a guardare il cielo ero sempre da solo”, le rispose.
“Riesci sempre a stupirmi con la tua perversione”, lo
rimproverò lei.
“Touchè!
Che altro si può volere da una
bella notte?”
Shioka si girò un po’ verso di lui. “Come può venirti in
mente il sesso in un momento come questo?”
“Ogni momento è buono per pensare al sesso”, rispose lui
alzando il mignolo.
La ragazza
decise che era meglio tacere, sperando che lui la imitasse. Aveva
la capacità di dire le cose sbagliate al momento sbagliato praticamente sempre. Così tornò a
concentrarsi sul cielo.
“Sai…” disse Kenren dopo un po’ di silenzio.
“Che
cosa?”
“Quando
provo a gridare, di fronte a questo cielo… è come se la mia voce si perdesse”
“Hai ragione. Il cielo è così grande…chemi fa
venire freddo”. Si strinse a sé.
“E
poi...”, allungò una mano verso l’alto, “Sembra così vicino che ti rassicura,
ma se provi a toccarlo...scopri che non puoi. Ti illude. Come i sentimenti”
“Come la vita”, lo corresse Shioka sospirando.
“Non avevo mai provato una simile sensazione di impotenza davanti al
cielo”, rise Kenren, allungando una mano per poi sfiorarle il viso con un dito.
“Finché
si vive...si scoprono sensazioni nuove ogni giorno, non è vero? Io
pensavo...che per me non fosse possibile. Eppure...stasera sono qui, e mi sento così
tranquilla...”, rispose lei.
“Forse hai ragione. Anch'io pensavo che qui non fosse così…prima
ogni giorno si ripeteva uguale all’altro, eternamente. E' difficile che
qualcosa cambi, sai? Non mi dispiacerebbe avere un altro posto…”
“Almeno tu ce l’hai
un posto…L’altra sponda del fiume sarà sempre triste per non poter essere da
questa parte…questa tristezza è il sentimento più insanabile del mondo, poiché
non può essere compensata nemmeno con un ponte. Tu lo sai, vero? Tutti cerchiamo di essere qualcosa
che non siamo, tutti aneliamo ad una felicità che appartiene ad altri. In
questo…gli déi non
sono tanto diversi dagli uomini, non trovi?”
“Non possiamo farci niente…anche questa è una peculiarità dell’essere vivi, no?"
Si strinse nelle spalle. Parlare di quelle cose con qualcun'altro...anche
quella era un'esperienza così nuova...
Doveva chiederglielo.
"Shioka…non credi che ormai tu possa considerare questo
il tuo posto?”
La ragazza scosse la testa, senza sapere cosa rispondere.
Ogni parola le morì in bocca. Trovare delle certezze le riusciva così
difficile... “Chissà se lo troverò mai, un posto…forse vagherò come una
presenza inutile per tutto il resto della mia esistenza, purtroppo eterna”.
Nascose la testa tra le braccia.
Kenren si accese
la sigaretta, poi si alzò sui gomiti per osservare la ragazza. Si
era addormentata.
Allungò le dita verso di lei, e spostò le ciocche che le
ricadevano sul viso, accorgendosi che non aveva mai compiuto quel gesto prima d’ora con nessun’altra persona. Ritrasse immediatamente le dita, impressionato. Accidenti!
Non mi si addice per niente…
Poi le portò di nuovo al viso della ragazza. Questa
ragazza potrebbe spazzare via il più forte degli dei
in un momento, ma non appena la guardi in volto vieni colto dall’irrefrenabile
impulso di stringerlaa te…sembra così
fragile... La sua mente venne invasa dall'immagine della
ragazza nuda, bagnata dalla luce della luna e dal ruscello, che si lasciava
scivolare in acqua. Non mi si addice per niente... Si distese accanto a lei, facendole scivolare la mano nell'incavo della
schiena. Poggiò il viso sull'erba, e anche lui si addormentò.
*
Shioka stava distesa sul pavimento, le gambe distese, di cui una
sollevata, concentrata su un libro. Sapeva leggere e scrivere, l'aveva imparato
molto tempo addietro e mai più dimenticato. Tenpou le aveva assicurato che poteva prendere qualunque
libro dalla sua biblioteca le fosse sembrato lontanamente interessante, e
talvolta lei lo faceva davvero. Erano quasi tutti libri che provenivano dal
mondo terrestre, ciò significava che ben pochi déi si cimentavano nella
scrittura...
La sua lettura procedeva lenta (non avendo esercitato tale capacità
per anni, ed essendo i caratteri lì utilizzati leggermente diversi da quelli
che aveva imparato a decifrare), ma costante. In quel momento, era concentrata
su un libro che parlava dei mezzosangue...un'ampia trattazione sul perchè le creature nate con
capelli e occhi rossi fossero nella fattispecie considerati maledetti...e la
risposta era che c'era una spiegazione razionale, oltre alla superstizione: i
bambini nati da demoni ed esseri umani erano sterili, incapaci quindi di
perpetuare la razza, e perciò contro natura...
La porta si aprì e un affaccendato
Tenpou entrò con un mazzo di papiri arrotolati e stretti l'uno contro l'altro;
il dio si affrettò a depositarli contro la libreria giusto in tempo per non
farli crollare.
"Fiuuu",
sospirò poi, rimettendosi in posizione eretta.
"Tenpou, non sono affari
miei, ma quando credi che la sistemerai questa benedetta biblioteca?",
chiese Shioka senza alzare lo sguardo dal libro.
L'altro si guardò intorno un paio di volte, poi si portò un dito alle labbra e
osservò: "Ma non ce n'è ancora bisogno..."
Le ultime parole famose: il ripiano
della libreria a cui aveva addossato i papiri crollò miseramente, spargendo
libri e fogli a destra e a manca. Un timbro cilindrico tappato rotolò fino alle
ginocchia di Shioka, che lo prese in mano guardando Tenpou con aria eloquente.
"D'accordo, forse è il
momento di dare una sistemata...", mormorò l'altro grattandosi la testa.
"D'accordo, forse è il
momento di defilarmi...", proclamò Kenren sbucando dalla porta e facendo
per tornare sui suoi passi, sentendosi in qualche modo chiamato in causa.
"Ah, Kenren! Pensavo giusto a te!", ridacchiò Tenpou voltandosi
verso l'amico.
"Ma guarda...non ci avrei mai
creduto!", lo schernì l'altro accendendosi una sigaretta e andandosi a
sedere vicino Shioka.
"Tenpou, questa biblioteca è
a dir poco indecente", rincarò la dose il rosso guardandosi attorno e
soffiando il fumo.
"Glielo stavo dicendo fino a
pochi secondi fa...", sospirò Shioka giocherellando con il timbro in mano.
"Inguardabile...",
continuò l'altro.
"Invivibile...",
confermò la ragazza.
"Va bene, va
bene, ragazzi, ho capito...", fece l'uomo portandosi le mani ai fianchi e
sorridendo bonariamente. "Dato che la pensate in questo modo, vorrà dire che sarete voi due ad aiutarmi a metterla a posto..."
Il rosso si alzò con nonchalance e si avviò verso la porta. "Devo andare al
comando..."
"Traditore!", gli gridò
dietro Shioka, affrettandosi a raggiungerlo. "Avevi detto
che oggi dovevi lavorare solo fino all'ora di
pranzo...che hai, un appuntamento?"
"E
se anche fosse? Non ho la minima intenzione di passare il pomeriggio dietro a
quelle stupide carte. Byebye!",
si defilò Kenren.
Shioka lo guardò allontanarsi
sbuffando. Tornò sui suoi passi e si chinò a raccogliere due libri.
"Allora, Tenpou? Dove li mettiamo questi finché non si
ripara quel ripiano?"
Il moro ridacchiò e si chinò anche
lui. "Per il momento, mettiamo in salvo le pergamene!"
"Konzen!"
Il piccolo Goku, saltellando, aprì di scatto la porta,
facendo come al
solito sobbalzare il suo tutore, che dipinse un grande sgorbio sul documento
che avrebbe dovuto firmare. Mentre
la sua fronte diveniva un tripudio di venuzze che danzavano e il pennino che teneva
in mano scricchiolava pericolosamente, il ragazzino, ignaro del pericolo, si
accostò al suo tutore.
"Konzen! Mi sto annoiando!"
Il biondo sfogò tutta la sua irritazione prendendo a pugni
la testa del bambino. "E si può sapere che diavolo vuoi da me, stupida scimmia
rompiscatole?!"
"Ahi! Konzen, smettila! Ti dico che mi annoio!"
In realtà, l'attenzione che Konzen gli stava in quel momento
dedicando compensava
benissimo i pugni in testa che si stava sorbendo. L'unica cosa che odiava di
quel posto, era il dover restare un mucchio di tempo chiuso in casa, mentre
Konzen non faceva altro che perdere tempo a scrivere su quegli inutili fogli
tutti uguali.
"Posso andare a giocare con Tennichan e con la sorellina?"
"No", sbottò il biondo,
categorico.
"Posso andare a cercare il
mio amico Nataku?"
"No!", sbraitò il
biondo, ancora più deciso.
"Allora posso andare al prato
a raccogliere i fiori?"
"Adesso basta!", fece
serio il biondo, portandogli una mano al viso.
Non lo schiaffeggiò, semplicemente
gli sfiorò delicatamente il livido che gli rovinava una guancia.
Goku non volle intendere ragioni,
e mise il broncio.
"Goku...è meglio che per ora
non esca da solo", spiegò, più tranquillamente, Konzen. Stava iniziando
vagamente a comprendere di avere a che fare con un bambino.
"Ma
perchè?"
"Ma
sei stupido o cosa? Ieri non hai attaccato briga con quei due che ti hanno
spinto per terra?"
"Ma
non è stata colpa mia!"
"Non sta
bene chiudere gli animali in casa, Konzen...hanno bisogno di respirare
aria fresca!"
Con un gran sorriso dipinto sul
volto, la dea Kanzeon Bosatsu fece il suo ingresso nella stanza, trascinando
languidamente il proprio mantello semitrasparente.
"Tsk!
A quando un vestito più coprente, vecchiaccia? Ormai hai la tua età...", osservò Konzen facendo spallucce.
La dea, imperturbabile come
sempre, ignorò la frecciatina, sopprimendo un moto di irritazione.
"Non sono venuta qui per parlare del mio
abbigliamento, nipote!"
"Allora sei venuta a insegnarmi come educare la scimmia?", fece l'altro
aggrottando un sopracciglio.
Kanzeon, con un sorrisino sul
volto, si chinò verso Goku: "Va' fuori a giocare, scimmia!"
"Non sono una scimmia!",
si lamentò il bambino. Quella donna non era cattiva, però era molto, molto
strana. E anche un po’ antipatica:
lo chiamava sempre scimmia. E poi, quando se ne andava
lei, Konzen era sempre di pessimo umore.
"Non osare venire qui a spadroneggiare in casa mia!", s'infuriò il
giovane.
Goku socchiuse gli occhi: ecco,
come volevasi dimostrare.
"Ma
guarda...il paparino si è arrabbiato con la zietta perchè vizia il nipotino?", osservò
ridacchiando Kanzeon Bosatsu.
"Grrr....andatevene subito fuori di qui!"
"Anch'io?
Allora posso andare a giocare fuori?"
"Sparisci subito anche tu,
va' dove vuoi!"
"Evviva! Grazie,
Konzen!"; il ragazzino si affrettò a dileguarsi, prima che il tutore
cambiasse idea.
Kenren stava camminando per i corridoi lucidi e puliti del palazzo imperiale.
Non sapeva perché, ma aveva voglia di tornare presto a casa.
Ultimamente...nei confronti di Shioka...aveva iniziato a
provare qualcosa di molto, molto simile all’affetto. Lui, che mai avrebbe
pensato di poter provarne.
Quelle labbra...voleva vederle incresparsi ancora e ancora.
Voleva poter...toccarle?
No...era impossibile.
Razionalmente, ragionando con la logica maschile, avrebbe
convenuto che Shioka, una volta
spariti i segni della denutrizione cui era stata sottoposta, che
l’avevano resa una specie di scheletro vagante, ma sempre affascinante, sarebbe
stata una gran bella ragazza. Sempre minuta, ma una bella ragazza.
Il problema era che, almeno nei suoi confronti, aveva un
rifiuto psicologico per il comportarsi da uomo: quando stava accanto a lei,
sentiva di dimenticare tutti i sentimenti carnali che provava per le donne, e
persino la sua noia cronica; voleva semplicemente...trascorrere il tempo così,
tranquillamente. Non si annoiava, né si eccitava. Era semplicemente...sereno.
Si era accorto di questo...quella sera in cui erano rimasti
distesi sul prato a guardare il cielo. La componente carnale, inevitabilmente,
riaffiorava quando ripensava al suo corpo nudo che si bagnava nel ruscello, ma
si mescolava rapidamente con l'affetto, in un vortice che complessivamente non
portava né da una parte, né dall'altra.
E,
se n’era accorto, Shioka donava quella stessa sensazione di serenità che
provava lui anche al ligio Tenpou, che mai e poi mai aveva voluto accanto a sé
una donna. Mai e poi mai quell’uomo
aveva dato confidenza ad una persona che
non fosse lui o Konzen (che non aveva mai conosciuto di persona,
ma di cui aveva sentito abbondantemente parlare), ma adesso gli sembrava di
trovarsi davanti ad un fratellone
protettivo verso la piccola sorella. E, parola sua, fiutava che anche il
severissimo Gojuin, colui che, per eccellenza,
non avrebbe mai e poi mai provato alcun sentimento, almeno per come lo
conosceva lui, provava un lieve piacere inconfessato a trovarsi davanti quella
ragazza. I due infatti
si erano incontrati, sia pure per caso, altre volte. E la cosa non gli piaceva più di tanto.
Tornando a lui, le cose si facevano seccanti; ormai sempre più donne l’avevano
scaricato, rammaricate che lui non passasse più così tanto tempo con loro. Ciò fomentava
diverse voci secondo le quali aveva una relazione con la sua ‘mogliettina’ Gensui, e qualche timido
suono che iniziava già a
insinuare che preferisse la compagnia dell’essere eretico.
Sospirò, camminando. Il Tenkai, più che ad un grande mondo celeste fatto
di divinità serie e onnipotenti, sembrava un piccolo paesino di vecchie
pettegole. Qualsiasi voce si spandeva a macchia d’olio, e in capo a poco tempo
era sulla bocca di tutti,
arricchita da chissà quanti particolari inventati...
In quel momento, qualcosa di molto irruente si slanciò fuori dal corridoio alla
sua destra che stava per superare, e cadde a terra, producendo un rumore
metallico. Non rumore di monili, collanine, orecchini e gingilli vari che le
dee e persino gli dei amavano sfoggiare. Era un suono più irregolare, che
peraltro era sicuro di aver già sentito...
Kenren alzò gli occhi verso quell’apparizione, ottenendo una risposta a
tutti i suoi interrogativi. Un essere eretico... Occhi dorati, catene ai polsi, alle caviglie, e persino al collo. Inutile chiedersi a chi somigliasse.
Se non che, il suo
sguardo era vivace e allegro. Il bambino
gli chiese scusa velocemente, poi fece per defilarsi. Fin troppe
volte era stato
infastidito e rimproverato.
Kenren lo afferrò prontamente per i lunghi capelli castani.
“Ehi, ehi...aspetta!”
Il ragazzino si fermò, non percependo in lui alcun
atteggiamento violento o negativo. “Ahi! Si può sapere che stai facendo?”, disse massaggiandosi
l’attaccatura dei capelli.
“Sei tu il Goku di cui mi parla sempre Tenpou e che è sotto
la protezione di Konzen?”
“Eh?”, esclamò il bambino sorpreso. “Zio, sei per caso amico
di Tenniichan?”
“Zio? Sono ancora giovane!”
In quel momento, accorsero due guardie trafelate. Goku si
tirò un po’ indietro.
“Generale Taisho!”
Tsk. “Cosa
volete?”
“Quel ragazzino si aggirava senza permesso attorno al
palazzo imperiale”
Kenren lanciò uno sguardo al bambino, che rapidamente era sparito dietro la sua
schiena.
“Uhm...è tutto a posto”, assicurò il rosso.
“Che
intendete dire? Lo conoscete?”
“Beh...vedete...”.
Cercò immediatamente una scusa, qualunque cosa potesse distrarli. “E’ il mio figlio
segreto!”, proclamò abbassandosi e cingendo le spalle del ragazzino.
Le due guardie rimasero basite a osservarli. “Ge…generale Taisho?”, mentre il ragazzone si
affrettò ad allontanarsi ridendo della loro stupidità, con Goku che gli
trotterellava dietro.
Poco lontano da lì, la dea Kanzeon Bosatsu si era
pericolosamente avvicinata al nipote Konzen.
“Sei cambiato,
Konzen...”
“Che
dici? Vattene via!”, l’aveva
immediatamente allontanata il biondo, stizzito.
La dea non si mosse,
stette nella stessa identica posizione, il busto appoggiato al
legno della scrivania, facendo perno sulle
esili braccia, il volto a pochi centimetri da quello del giovane.
“E non è una buona
cosa?”
Sorrise divertita. “...le cose che non cambiano...sono
noiose”
Kenren aveva condotto Goku all’aperto, allontanandolo dal
palazzo imperiale, nel quale si sarebbe messo sicuramente nei guai. Si accese
una sigaretta, sedendosi su una pietra, sotto un albero di ciliegi. Sollevò la
testa per osservarne i fiori, e immediatamente il suo pensiero tornò a Shioka.
Le piacevano i fiori...le piaceva il saké...queste erano le uniche due cose che li accomunavano.
Ma tutto il resto era relativo.
Esseri eretici, dei...in cosa erano diversi? Il colore
degli occhi? La forza fisica? O forse la malvagità?
Non sapeva dirlo...che gli esseri eretici fossero peggiori degli
dei, era una cosa ben radicata nella mente di tutti.
Rivolse lo sguardo al ragazzino. “Non dovresti essere al palazzo di Konzen,
tu?”
Il bambino, che non stava fermo un attimo, passeggiando avanti e indietro con
le braccia piegate dietro la testa, gli rispose; in lui non vedeva traccia di
quella freddezza che caratterizzava quegli strani esseri
chiamati dei. “Oh, è solo che qui per la prima volta ho incontrato
Nataku...quindi speravo di incontrarlo di nuovo”
Kenren alzò lo sguardo, serio. “Nataku...intendi Nataku Taishi?” Il bambino sorrise in maniera solare. “Sì! E’ mio
amico. La prima volta che ci siamo visti non avevo un nome, adesso che ce l’ho vorrei dirglielo!”
Il ragazzo lo guardò senza sapere che rispondere. La bambola assassina...per
come l’aveva vista lui, non poteva avere sentimenti.
Non insieme alla freddezza con cui obbediva agli ordini.
Era il Dio della Guerra. Spargeva sangue, non poteva e non doveva avere
sentimenti.
“Nataku non è qui adesso”, mormorò infine Kenren.
“Cosa? Non è qui?!”
“Dovrebbe tornare oggi o domani. Quindi, puoi andare a
cercarlo a casa sua quando torna”, concluse Kenren
mettendo le mani sotto le ascelle del bambino e facendo per tirarlo su.
Tutti i suoi muscoli si stirarono quando tentò di
sollevarlo. Pesava terribilmente...e dire che sembrava
tanto esile...
“Non sei...troppo pesante?”, chiese seccato e con il
fiatone.
“Uhm...ah sì! E’ per colpa di queste!”. Goku alzò un braccio, facendo
tintinnare la catena che portava al polso. Queste catene...una di queste, da sola, peserà 20 kg...e
lui riesce a muoversi
così agilmente?Ma allora...anche Shioka... Dunque le creature
eretiche sono pericolose a tal punto? Anche lei? Non si era ancora reso conto del punto a cui potesse arrivare la potenza di
un essere eretico.
Il bambino lo stava guardando incuriosito, quando arrivarono dei soldati che
corsero a chiamare Kenren.
“Kenren Taisho!”, gridò trafelato uno di loro, “Il principe
Nataku è tornato dopo aver sconfitto Gyumao!”
“Eh? Davvero?”, s’intromise allegro il bambino. Che bello.
Potrò rivederlo. Potremo giocare ancora insieme. Potrò dirgli il mio nome! “Che è successo?”,
chiese Kenren, facendo cadere la cenere dalla sigaretta.
“La battaglia è stata un completo successo, ma...”
Kenren e Goku alzarono lo sguardo dietro le sue spalle, e si
accorsero di Nataku, sporco di sangue e malfermo sulle gambe, che camminava stentatamente.
Molte persone gli si avvicinarono per aiutarlo, ma lui
respingeva tutti rabbiosamente. “Non toccatemi!”, continuava a dire. Non voglio. Non voglio che fingano di preoccuparsi di me. “Nataku! Nataku!”, si avvicinò correndo Goku. Ma lui
è...è quello dell’altra volta. Sentiva che le forze lo stavano abbandonando. Non avrebbe permesso a nessun
altro che a lui di...
Svenne tra le sue braccia.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]
Iniziamo con le doverose scuse per il catastrofico ritardo che speravo non si sarebbe mai verificato da
parte mia.
Chiedo scusa davvero, ma non si è verificato per problemi
d’ispirazione o di tempo, ma perché avevo il computer infettato da virus che
non mi consentivano
di aprire Internet Explorer.
Oggi sono riuscita a collegarmi, ma non credo che la situazione sia definitiva.
Prima di lanciare gli ortaggi, sappiate che non ho la minima
intenzione di lasciare Rebirth a metà. Detesto lasciare le cose incomplete, men che meno le fan fiction, e specialmente
quelle che vengono
lette da un pubblico che deve essere rispettato.
Spero di tornare
su queste pagine in tempo breve con un nuovo capitolo.
“Uhm…” Non voleva alzarsi.
Il grattare alla porta si fece più insistente, quindi faticosamente si tirò su
ancora prima di aprire gli occhi. La schiena le doleva leggermente, di sicuro
doveva essersi addormentata in una posizione piuttosto scomoda. La prima cosa
che realizzò aprendo gli occhi fu il libro che giaceva, la copertina verso
l’alto, a pochi centimetri da lei. Perfetto, si era addormentata mentre
leggeva. Ma quanto tempo prima? Nella casa non aleggiava alcun rumore, oltre
all’insistente bussare, quindi Tenpou non doveva ancora essere tornato. Ma era
uscito dicendo che sarebbe stato via una mezzora…come aveva fatto a entrare
nella fase più profonda del sonno in pochi minuti?
Si alzò e si trascinò verso la porta. Il risveglio per lei era sempre
traumatico, le sembrava di essere trascinata qui e lì senza ritegno. Vagando
per la casa, la mente le si faceva sempre più lucida. Tenpou era uscito per un
impegno urgente proprio mentre aspettava un ospite, quindi le aveva chiesto
gentilmente di aspettarlo lei al posto suo e di avvertirlo che sarebbe tornato
entro poco tempo. Tirò il portone verso di sé, ammiccando.
Si ritrovò davanti Gojuin. Il tempo di sommare due e due, e risolse che doveva
essere lui l’ospite che Tenpou aspettava.
“Il maresciallo Gensui…è
in casa?”, chiese compostamente l’uomo. Shioka notò che era vagamente a
disagio, come se non si aspettasse di imbattersi in lei e non sapesse bene come
comportarsi.
“Dovrebbe arrivare tra poco. Entra pure, Gojuin”, gli rispose
scostandosi dalla soglia per farlo passare. Chiuse la porta alle sue spalle.
Si osservarono per un attimo, lì nella saletta, senza sapere bene cosa dire.
“Gensui ti ha assunta come segretaria?”, chiese lui poco dopo, sempre con quella
sua voce fredda e formale. Shioka intuì tuttavia che voleva essere un modo di
fare conversazione. Il che, almeno a giudicare dall’apparenza, non doveva
accadere molto spesso. A prima vista era facile identificare Ryuu Ou Gojuin
come un automa da guerra, completamente indifferente a tutto il resto. Ma sotto
quella scorza le sembrava di notare altro. In fondo, con lei era
sempre stato cordiale.
“E’ solo un caso. Tenpou è dovuto uscire improvvisamente e mi ha chiesto
un favore: ma non sapevo che aspettasse te”
La ragazza condusse Gojuin nello studio di Tenpou. Si sedette sulla scrivania
con le gambe penzoloni, mentre quello si accomodava sulla poltrona antistante.
“Ti sei ambientata abbastanza bene”, osservò la divinità incrociando le
braccia.
“Mi sono ambientata e basta”, rispose l’altra. “Non mi è stato concesso di scegliere”
L’uomo si chinò leggermente in avanti, poggiando i gomiti sulle cosce. La
poltrona scricchiolò un po'. “In definitiva non ti piace stare qui?”
Shioka lo fissò, poi s’inumidì le labbra. “Questo è un
mondo di vetro: tutta apparenza e freddezza. Vi muovete tutti con compostezza,
ogni cosa è esattamente come dovrebbe essere, o almeno…tutti sembrate credere
che sia così. E’…strano, per me che ho vissuto altrove
si muove tutto troppo lentamente. Ma mi piace qui, per
fortuna ho incontrato chi non mi fa sentire un rifiuto. Chi mi dà il diritto di
vivere senza catene”. Si strinse nelle spalle. “Non rimpiango
affatto il mio mondo” S’imbarazzò lievemente nel pronunciare queste
parole. In fondo, Gojuin era poco più di un estraneo con cui aveva scambiato poche parole, per caso, prima d’allora. Ma
quel dio…aveva in sé qualcosa d’indefinito, qualcosa che riusciva a leggere
solo in Kenren, Tenpou, Konzen e Goku.
Un alone di vitalità soffocato a forza. “Tu, però…”, mormorò
con lo sguardo basso, “…sei un po’ ipocrita”
Quella frase catturò definitivamente l’interesse di Gojuin. “Che cosa vuoi dire?”
Shioka si strinse ancora una volta nelle spalle. “Dai l’idea di qualcuno che
china la testa. Che procede avanti sforzandosi di non
guardare nient’altro che la strada dritta innanzi a sé” Ed è per questo che non vai d’accordo con Kenren. Perché lui fa sempre tutto quello che gli passa per la testa. “Io sono un militare”, rispose Gojuin freddamente, come se questo bastasse
a spiegare tutto.
“E allora?”, chiese semplicemente Shioka.
L’altro la guardò come se venisse da un altro mondo. Cosa che, in effetti, era vera, pensò Shioka.
”Qui ognuno ha il suo ruolo, delle cose a cui pensare. Non ci sono
contrattempi, non ci si può permettere di fare tutto ciò che passa per la
testa”
Shioka aggrottò un sopracciglio. “Dunque, in fin dei
conti, non sai spiegarmi. Ognuno persegue la propria
tranquillità, anzi, ognuno non persegue proprio nulla. Agisce perché
così dev’essere, e nessuno si chiede se possa essere in altro modo. Giusto?”
“E’ inutile che ti spieghi”
”Sto solo cercando di capire. Sulla Terra si vive per vivere:
restare in vita, mangiare, procreare, e possibilmente non soffrire troppo, ecco
tutto ciò che importa. Qui non si muore, non si combatte, si vive e basta. Cosa significa?”. Si pizzicò una guancia. Perché
mai stava divagando a quel modo? Perché chiedere
spiegazioni su un mondo che non ha spiegazioni? Perché proprio a uno sconosciuto come Gojuin?
”Hai altre domande?”, tagliò corto l’altro, naturalmente senza rispondere. Aveva
aggrottato un sopracciglio alle sue parole, ma non aveva avuto nessuna altra reazione apparente. “Continuando di questo
passo, dovrò avvertire il maresciallo Gensui che è il caso di posticipare il
colloquio, perché sembri così piena di domande esistenziali che non basterà
un’eternità qui. A proposito, perché non li poni a lui, questi quesiti?”
Shioka scattò giù dalla scrivania, un po’ seccata. “Va bene,
ho capito. Scusami se ho sprecato il tuo tempo. Vado a farti una tazza
di tè, mentre aspetti Tenpou?”
”Visto che hai tanta voglia di parlare, perché non parli
anche un po’ di te?”
La ragazza si bloccò lì dov’era, sulla soglia dell’ufficio. “Sono un essere eretico: quindi, evidentemente, uno dei miei
genitori apparteneva a questo mondo e l’altro a quello terreno. Mia madre, nel
caso ti interessasse. Non c’è
nient’altro da sapere.” Gojuin scosse la testa.
“Cos’hai fatto…per essere portata qui?”
Shioka sentì improvvisamente freddo. Lo sentì salire, viscosamente, dai piedi
alle gambe, al busto, alla gola, alla nuca, quasi gli si arrampicasse
addosso. Il suo respiro divenne irregolare, mentre rischiava di abbandonarsi ai
ricordi da un momento all’altro.
“Esistono molti tipi di delitti”, le scappò detto, enigmaticamente. “Esiste il furto, che è diverso dalla rapina; esiste l’aggressione,
che è diversa dalla violenza sessuale; esiste l’imprigionamento, che è diverso
dalla tortura; e infine…esiste l’assassinio, che è ancora diverso dal massacro”
“Non parlare a me di delitti”, osservò severamente la divinità appoggiandosi
sulle ginocchia in una posizione composta; “Non credere che gli dei ne siano
esenti. Le divinità rubano e rapinano, chiedendo offerte agli esseri
umani in cambio di miracoli che non potranno né vorranno mai concedere loro; le
donne umane vengono spesso aggredite e stuprate da
qualche divinità scesa sulla terra che non sa come occupare il suo tempo e che
sfoga istinti repressi. Decine di creature nel mondo sottostante sono sigillate
preventivamente dalle stesse divinità”, chinò leggermente la testa, “che dovrebbero garantire l’ordine. Perché è
come dicevi tu, in fondo: qui tutto funziona come deve funzionare, ma appena
usciti da questo mondo di vetro…”. Chiuse il pugno con forza, per
rendere chiaro il concetto.
Sempre la stessa espressione in viso, Gojuin si sollevò dalla poltrona,
muovendo qualche passo verso Shioka.
“Hai parlato anche di assassinio. Gli dèi uccidono, ma
non in prima persona. Esseri come te si occupano degli assassinii. Sai qual è l’unica differenza tra dei e uomini? Che gli dèi non si sporcano le mani” “Perché sono ipocriti”, assentì Shioka, gli occhi
lucidi, muovendo inavvertitamente un passo indietro. “E
tu? Anche tu sei così? Anche
tu rubi, aggredisci, razzii,
torturi, uccidi?”
Gojuin scosse la testa. “Fino a questo momento, non mi è stato ordinato nulla
del genere”
“Allora, se ricevessi l’ordine dall’imperatore celeste in persona di razziare
un villaggio, lo faresti? Prima mi hai parlato dei delitti della specie a cui
appartieni. Saresti molto meglio di loro, se obbedissi ad un ordine del
genere?”
Gojuin non rispose, ritto in piedi davanti a lei.
“Lo faresti o no?”, insistette l’altra.
Gojuin abbassò lo sguardo, apparentemente spazientito.
“Prima rispondi tu alla mia domanda di prima. Perché sei
qui?”
La ragazza sentì che il freddo di prima prendeva prepotentemente possesso della
sua gola, stringendola in una morsa. Non voleva pensarci. Non voleva rispondere. “Sei il terzo essere
eretico del Tenkai. La provenienza del primo, il Dio
della guerra, è sconosciuta. Dicono che sia figlio
naturale di Li Touten,
ma nessuno ne è pienamente convinto. Il secondo è stato affidato a KonzenDouji, ma non è nato dall’unione di
due esseri di provenienze diverse: è nato dalla condensazione dell’aura della
terra. Un essere eretico di generazione particolare, ma pur
sempre analogo a te. Non ha mai visto anima viva prima di giungere qui, e se vi è stato portato, è solo perché degli
esploratori del mondo sottostante si sono imbattuti in lui casualmente. Ma
tu…”, mosse un altro passo verso di lei, “…le milizie che ti hanno trascinata qui, appartenenti alla divisione nord, hanno
ricevuto l’ordine direttamente da KanzeonBosatsu. Di che delitto ti sei macchiata?”
Shioka mosse un passo indietro, ritrovandosi con la schiena al muro. Non
riusciva a smettere di fissare Gojuin. Non riusciva ad articolare parola.
Il dio si portò ancora in avanti. “Anzi…”, disse la
voce gelida di Gojuin, gelida quanto i suoi occhi rossi: “…quante persone hai
ucciso?”
“…adesso basta!”, riuscì a dire Shioka, trattenendo la frustrazione che aveva
in corpo. “Basta…”, ripeté, a voce alta. Non volevo.
Non volevo farlo.
Non è stata colpa mia.
E’ uscita per colpa loro. Non si sarebbe mai manifestata, se loro non mi
avessero…
Non guardarmi così. Si sentì pericolosamente vicina alle lacrime. “Non…”
Il rumore del portone che sbatteva e quello di passi veloci echeggiò fino alle
loro orecchie. I volti di Kenren e Tenpou fecero capolino dalla porta, poco
dietro di lei, guardando smarriti la stanza.
La ragazza ne approfittò per voltarsi e correre via,
passando tra Kenren e Tenpou.
Sentì la voce di Kenren che chiamava il suo nome, ma non si fermò.
***
Quest’albero di ciliegio è fantastico.
Pensavo che il paradiso non avesse forma né colore, che fosse semplicemente
un’isola evanescente in mezzo al nulla. Ho scoperto che, in realtà, il tanto
agognato dai mortali ‘paradiso’ è qualcosa di molto più concreto, di molto meno
lontano dall’umano
di quanto si possa immaginare.
Sono qui, a cavalcioni su un ramo, in bilico. Proprio come lo era la mia vita.
Peccato, colpa, punizione.
Devo davvero espiare tutto ciò che mi sono addossata?
O forse il semplice fatto che me ne stia qui a contemplare un paesaggio che si
estende a perdita d’occhio, persa tra le ombre che queste fronde profumate
emanano, vuol dire che mi sono già perdonata ogni
delitto?
La luna viene coperta da una nuvola; la luce si smorza, ma qui nel Tenkai non fa freddo né piove, è solo una nuvola
passeggera. Ora mi chiedo: è stato il nostro mondo a
essere costruito a immagine e somiglianza del paradiso, oppure il contrario?
Ciò di cui sono appena certa, è che adesso è il mondo reale, quello da cui
vengo, a sembrarmi sempre più incerto, più sfuggente. E’ forse la prospettiva
del dover vivere qui eternamente? O forse è semplicemente che sento emanare
calore da questa terra sterile e falsa, da questo albero
così finto, sempre in fiore com’è, da questa luna che non tramonta mai, da
queste nuvole che non portano pioggia e non si muovono nemmeno con il vento?
Un paio di puntini luminosi si muovono in lontananza. Torce,
deboli segni della presenza di gente che esiste.
Io non emano nessuna luce.
Non voglio manifestare la mia presenza.
Tutto ciò che voglio per stanotte è confondermi con le ombre notturne. E invece, una lucina di
sigaretta che cammina sospesa mi fa accorgere di lui, la vedo tra le fronde.
Come faccio a sapere che è proprio lui?
Chi altri se ne starebbe in giro di notte, appoggiato ad un albero con una
sigaretta in mano?
Scommetto che si è accorto di me già da un bel po’. Per quanto cerchi di scomparire, arriverà sempre
qualcuno che mi illuminerà il viso con una torcia dicendomi: -Ah, sei qui?-
Kenren
alzò lo sguardo, giusto per vederla precipitare rozzamente dall’albero,
atterrando a pochi passi da lui con le gambe piegate.
“Ah, la scimmia ha deciso di scendere dall’albero?”, la schernì con la voce
disturbata dalla sigaretta che aveva in bocca.
Shioka si rialzò, spolverandosi distrattamente il vestito. Tutto ciò che la
illuminava era la luce della sigaretta di Kenren. “Ma
passi mai una notte a letto, tu?”, gli chiese di rimando la ragazza,
avvicinandosi a lui di un paio di passi. L’ombra di tristezza che Kenren,
guardandola per un attimo negli occhi, aveva letto, era quasi scomparsa.
“Se sono solo, no”, rispose provocatoria la divinità,
soffiando il fumo.
Shioka sospirò, sedendosi accanto a lui.
“Come va?”, fu la domanda banale di Kenren.
“Perché me lo chiedi?”
“Secondo te? Ho incontrato Tenpou mentre stava
tornando a casa. Entriamo e, neanche il tempo di chiudere il portone, sentiamo
te che urli: ‘Adesso basta!’. Cos’è
successo, il composto maresciallo Gojuin ti è saltato addosso?”
“Non mi è saltato addosso proprio nessuno. Abbiamo
semplicemente sostenuto una discussione un po’ pesante”
Seguirono alcuni secondi di silenzio. Kenren si chiese, con qualcosa di
orrendamente simile a una punta di gelosia, da quando
in qua Shioka sostenesse discussioni con il suo comandante. E, adesso che ci penso, da quando in qua RyuuOuSekai Gojuin sostiene una
qualsiasi discussione con qualcuno?
Non riusciva a immaginare di cosa potessero aver discusso. Non riusciva a intuire bene il carattere del suo comandante, ma una cosa
era certa: non era esattamente una persona aperta e solare. Di qualunque cosa fossero finiti a parlare, era stupito. Non comprendeva cosa
potesse aver avvicinato la ragazza all’austera divinità. Certamente non la
simpatia.
Forse non era una deliziosa personcina, ma Gojuin non era nemmeno il tipo che si divertiva a
infierire crudelmente su qualcuno, quindi non credeva che l’avesse
volontariamente schernita.
In ogni caso, non era esattamente certo che un qualche tipo di rapporto tra i
due gli facesse piacere.
“Ti ha detto qualcosa che ti ha ferita?”
Shioka non rispose, né
il rosso chiese altro. Non era un tipo curioso, solo i
mocciosi non hanno segreti da rivelare. O
almeno, era quello che pensava prima di conoscere Shioka. In realtà, da quando
la ragazza aveva iniziato a vivere con loro, si era accorto di voler conoscere
il suo passato. Cosa avesse formato quell’ombra che
aveva negli occhi. Cosa le avesse sottratto il sorriso.
Cosa le facesse rifuggire il contatto fisico fino allo stremo.
Cosa, insomma, l’avesse resa simile ad una bambola con le
batterie quasi scariche. E quando realizzò questa sua incoerenza, si accorse
che quello poteva essere chiamato interesse.
Da un po’ di tempo non era completamente sincero con se stesso, per troppe
cose.
“Cosa…ti è successo, prima di venire qui?”, le chiese,
stringendosi un ginocchio, su cui aveva poggiato la mano. Ignorando di averle posto la stessa domanda di Gojuin, sia pure in
modo diverso.
“Non ne vale la pena”, rispose semplicemente la ragazza. Ma
Kenren la vide impallidire leggermente, alla luce della luna.
“Perché questo non lo lasci stabilire a me, che voglio ascoltare?”
“Perché non ne vale la pena!”
“Perché non dici più chiaramente ‘non sono fatti tuoi’?”, replicò
Kenren, lievemente stizzito.
La ragazza richiuse la bocca immediatamente. Lo sguardo deciso vacillò, fino ad
abbassarsi verso terra. Kenren si sentì leggermente in colpa, ma non voleva
demordere.
Le prese il viso e glielo sollevò, fino a costringerla a guardarlo negli occhi.
“Perchè non dici chiaramente ciò che pensi?”
“Lasciami”, mormorò debolmente Shioka facendo perno con le mani sulle sue
braccia per liberare il viso.
La lasciò. E lei non perse tempo ad alzarsi in piedi. “Forse è meglio che vada”
“Scappa ancora una volta, forza. Non è che Gojuin ti
ha posto la stessa, identica domanda?”. L’aveva detto tanto per dire, ma un suo sguardo gli suggerì che ci aveva azzeccato.
Il senso di colpa lo pungolò un’altra volta, lievemente.
”Coraggio, siediti”, le disse, con voce più dolce. “Non ti chiederò
nient’altro, se non vuoi. Hai probabilmente il diritto di restartene in pace”
Shioka non si mosse, ma neanche si risedette. Voltò di
scatto la testa verso il ciliegio, tanto che Kenren seguì il suo sguardo, certo
che avesse notato qualcosa. Ma poi comprese che voleva solo nascondere un probabile luccicore negli occhi.
Senza poterselo impedire, le afferrò un polso e la tirò debolmente verso il
basso. “Siediti”, le ripeté. “Tranquilla”
Shioka si inginocchiò, ma ritirò bruscamente il
braccio. “Non mi piace essere toccata” Kenren si riportò la mano in grembo. Era ancora ritrosa al contatto
fisico, sia con lui, che con Tenpou, che con chiunque. Il suo sguardo diceva
implicitamente: non mi toccare. Più di una volta la ragazza aveva
rifiutato abbastanza nettamente la sua mano, che gli porgeva aiuto, o che
semplicemente ricercava un gesto scherzoso. Lui si considerava un tipo diretto:
ogni momento in cui
sentiva di dover ricorrere al contatto fisico, lo faceva. Che
si trattasse di una scazzottata, di una scopata, di una pacca.
Ovviamente le cose non dovevano funzionare così semplicemente per il circuito
mentale di Shioka. Per certe cose, Kenren accettava di autodefinirsi animalesco,
ammettendo di avere azioni e reazioni mosse dal puro istinto. E accettava anche
di ammettere che il suo comportamento era a dir poco
singolare in un mondo come quello. E ancora più
singolare e spaesante
doveva apparire agli occhi di una ragazza che doveva sicuramente aver subito
maltrattamenti. Non c’entrano i maltrattamenti...ci dev’essere stato di
peggio, si ritrovò a pensare
Kenren.
”Shioka”, mormorò, perplesso. Vide che la ragazza lo scrutava, guardinga. Sollevò il busto dal prato, si strofinò i gomiti.
”Che c’è?”
”Posso…toccarti?”
Il silenzio che seguì la sua affermazione fu gelido.
“Non
interpretare male”, spiegò il rosso. Si sentiva imbarazzato dal dover chiedere
il permesso per un cosa simile, ma doveva pur iniziare
da qualche parte. “Intendevo…il viso, la spalla, il polso, qualcosa, insomma,
senza che tu ti scostassi bruscamente come se fossi sporco”
Vide che lei spalancava un po’ gli occhi. L’ombra di diffidenza c’era ancora,
ma più che altro le leggeva in viso che l’aveva spiazzata.
”Perché mi chiedi una cosa del genere?”
Kenren si strinse nelle spalle. “Per mostrarti che non mordo. Ad essere sinceri, mi irrita un po’ che tu debba trattarmi
come se fossi un sacco di letame. Il che forse è vero, comunque.”
Aspettò una qualche reazione. La vide ammiccare un paio di volte, poi,
lentamente, porgere una mano, con il palmo verso il basso. Gli venne da
sorridere.
Kenren si spostò di qualche centimetro verso di lei, nonostante non ve ne fosse
bisogno, dato che allungando una mano poteva benissimo toccarla. Tese il braccio, le afferrò delicatamente la mano, e la trovò
leggermente ruvida sul palmo; probabilmente aveva delle cicatrici. Quando provò a scuoterla, come per un saluto o una
presentazione, si ricordò improvvisamente che i cappi che indossava ai polsi
pesavano quasi dieci chilogrammi: e nonostante questo, la ragazza si muoveva
agilmente.
Scuotendo in su e in giù la sua mano, la guardò fisso
in volto.
“In alcuni paesi, giù nel mondo sottostante, questo è il modo in cui due
persone fanno conoscenza. E’ un po’ strano, vero?”
Shioka annuì impercettibilmente.
Kenren, conscio di star spingendosi forse un po’ troppo in là, sollevò l’altra
mano e le sfiorò il viso. Le sorrise.
”Chiunque qui ti alzi un dito senza che tu lo voglia…dovrà vedersela con me. E
con Tenpou, ovviamente.”
E improvvisamente, con sua grande sorpresa, vide che
le sue labbra si piegarono timidamente in un lieve sorriso, illuminato dalla
luce della luna.
Shioka si portò immediatamente la mano libera alle labbra, imbarazzata.
Non sapeva cosa le fosse successo; non ricordava l’ultima volta in cui avesse
sorriso.
Sapeva soltanto che la mano di Kenren era calda e asciutta sopra la sua, che le
sue dita sul viso odoravano un po’ di tabacco e la sfioravano
piacevolmente. Il suo tocco somigliava a quello di Tenpou
quando, il primo giorno, le aveva accarezzato gentilmente la testa.
Un contatto affettuoso, nient’affatto spiacevole. Così diverso da quelli che
aveva sperimentato negli ultimi sette anni, prima di giungere nel Tenkai…
E poi…le parole di Kenren…
Si sentiva il volto caldo, e da oscuri e lontani recessi della sua memoria ricordò che un essere umano può anche arrossire.
Sfilò la mano da quella di Kenren, ma con delicatezza, e rimase a guardarla. Fu
certa di dover dire qualcosa, di dover spiegare a Kenren cos’era, perché era
lì, tutto, qualsiasi cosa la riguardasse, perché non meritava un simile
affetto, un simile rispetto, lei, con tutto ciò che
aveva fatto. Aprì la bocca per parlare, certa che tutto ciò che voleva
esprimere sarebbe emerso in un ammasso disordinato, ma
Kenren parlò prima di lei.
”Hai una mano minuscola, ma il polso non dev’essere
niente male, se riesce a sorreggere una catena da dieci chilogrammi”
Shioka richiuse la bocca; non importava, tutto sommato. Ci sarebbe stato il
tempo per spiegare, per conoscere. Gli sorrise ancora
una volta.
”Allora un giorno o l’altro potrei sfidarti a braccio di ferro”
Kenren si alzò in piedi, porgendole ancora una volta la mano, per aiutarla a
tirarsi su. “Ma non sperare che ti faccia vincere,
solo perché sei una donna”
Shioka tese la mano, intrecciando le dita con quelle di Kenren, e si tirò su.
“Non ce ne sarà bisogno. A proposito, dove andiamo?”
”A prendere il tè a casa”
“Allora? Questo tè è pronto?”, si lamentò il rosso, seduto con le gambe sul
tavolo.
“Non pensavo che il tuo ‘andiamo a prenderci un tè’implicasse il fatto che dovessi prepararlo io”, si lamentò
di rimando l’altra, aggrottando le sopraciglia.
“Sbrigati!”, ordinò perentoriamente il rosso, battendo le mani.
Incerta se continuare a bollire tranquillamente il tè, oppure fracassargli un
paio di stoviglie in testa, Shioka sospirò e decise, per buona pace del sonno
di Tenpou, che dormiva di sopra, di non distruggere le forse preziose tazze del
servizio di Tenpou per spaccare la zucca vuota di Kenren.
“Credi che queste tazze valgano qualcosa?”, chiese infine, voltandosi verso
l’altro.
“Bah! Sarà la solita paccottiglia!”
“Paccottiglia? A me sembrano abbastanza antiche…”
“Potrebbe essere”, convenne Kenren avvicinandosi a lei
e scrutando le tazze che aveva in mano. In un’eternità non aveva mai degnato di
uno sguardo quelle tazze da tè, che appartenessero al servizio del primo
imperatore del Giappone, oppure fossero state comprate
in un qualsiasi mercato del regno sottostante. Però
quella posizione, lui e Shioka ad osservare uno stesso oggetto inutile, a pochi
centimetri l’uno dall’altro, lo divertiva parecchio. Senza contare che da lì godeva di una completa vista del solco tra i seni della ragazza,
appena al di sotto del cappio metallico che le cingeva il collo.
“Sarà, ma, come la maggior parte degli oggettini che Tenpou ha comprato sulla
terra, sono di cattivo gusto. Guarda, questo a forma di ombrello
con la lingua di fuori e un solo occhio lo conosco! Si chiama Kasabake: sulla terra si dice che dopo un secolo di vita, gli oggetti acquisiscano
un’anima…ma chi comprerebbe un servizio da tè decorato con mostri a forma di
ombrello?”
“Tenpou, evidentemente”,
commentò Kenren, più interessato tuttavia a quello che vedeva sotto, che alla
tazza di cattivo gusto che Shioka si rigirava tra le mani.
“Ah, l’acqua sta bollendo”, mormorò Shioka avviandosi verso il fornello e
lasciando Kenren ad osservare un punto non meglio precisato del pavimento, finché un rumore di ceramica
infranta non lo avvertì che Shioka aveva fracassato la preziosa e kitsch
tazzina del servizio di Tenpou a terra.
“Dannazione!”, imprecò Shioka, che si era già chinata a raccogliere i cocci. Un
coccio l’aveva ferita al dito. Mentre Kenren si chinava accanto a lei per aiutarla
con i frammenti di ceramica, nel medesimo istante in cui la vide poggiare lo
sguardo sul taglio che le solcava l’indice, vide i suoi occhi farsi
improvvisamente assenti. La sua testa vacillò per un istante.
”Shioka?”
Al risuonare della sua voce, la ragazza scosse la testa in maniera estremamente brusca, tanto che poté sentire lo schiocco del
suo collo. Aveva le labbra semiaperte, e sembrava concentrata su un pensiero
distante. Forse, pensò, la vista del sangue la impressionava.
“Su, è solo un graffio”, la canzonò Kenren, che senza pensarci afferrò delicatamente il
suo polso, proprio sotto il cappio, e si portò il dito di Shioka alle labbra,
leccandosi via delicatamente la goccia di sangue che sgorgava dai capillari.
Per un istante, l’atmosfera parve congelarsi; Shioka non si mosse, lo sguardo
fisso su Kenren. Poi si riscosse, ritraendo la mano dalle labbra di Kenren con
un gesto violento e stringendosela con l’altra.
“Non è nulla. Mi sono semplicemente tagliata con un coccio
della tazza rotta. Complimenti per la faccia tosta,
sicuramente le tue donne andranno matte per questi tuoi gesti così sensuali. Ma ti prego di non esercitarti con me”, mormorò freddamente,
rialzandosi, sempre con la mano tagliata stretta nell’altra.
Kenren la fissò per un istante, sbalordito dalla violenza del suo gesto.
Iniziava a farsi strada dentro di lui una certa
irritazione. Le sue labbra si piegarono, senza che poté
farci nulla, in un sorriso beffardo, scontroso.
”D’accordo, bimba. Ci vediamo più tardi”
Una
volta fuori dal palazzo, Kenren si stiracchiò,
incrociando le braccia dietro la testa e alzando lo sguardo al cielo. Quel gesto era stato
automatico, assolutamente smaliziato, e non tollerava che lei avesse reagito così. Eppure, gli aveva sorriso, prima. Aveva accettato la sua mano. Forse è stato un po’ troppo? In fondo, potrebbe essere ancora un po’
diffidente. Probabilmente era così. Avrebbe lasciato trascorrere qualche giorno senza
forzarla, senza imporle la sua presenza. E poi…forse…
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 23/06/09]
“Ehi,
Tenpou!” Kenren bussò alla porta dell’ufficio del suo superiore nonché
migliore (o meglio dire unico) amico.
Non ottenne risposta. Decisamente
Kenren non era una persona dotata di grande pazienza. Specialmente in quei
giorni, in cui il suo nervosismo stava iniziando una lenta ma costante
scalata verso mete estreme, neanche fosse una donna in pieno ciclo.
Due giorni prima aveva visto Shioka sorridere; e si era per un attimo illuso
che questo avrebbe creato un qualche legame particolare tra di loro. Così,
inconsciamente…automaticamente, aveva compiuto un gesto di grande confidenza,
un qualcosa che l’aveva preoccupata,probabilmente infastidita, comunque, un qualcosa che l’aveva spinta a
riprendere un po’ le distanze, che Kenren credeva di avere accorciato. Potrebbe provare ancora
qualcosa di…? La divinità dai capelli rossi si riscosse improvvisamente. Che
razza di pensiero stava iniziando a formulare il suo unico neurone adibito al
ragionamento? Tutti gli altri erano, e dovevano essere,
concentrati sulla riproduzione (per dirla in termini blandi). Provava sentimenti contrastanti: si
sentiva compiaciuto per aver fatto sì che Shioka sorridesse nuovamente (in
realtà sapeva benissimo che il merito suo era ben poca cosa; se era successo,
era per la situazione di generale tranquillità in cui si trovava; insomma,
buona parte del merito la deteneva Tenpou); si sentiva frustrato, anche se non
l’avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, perché la ragazza aveva ‘frainteso’
il suo gesto; infine, si sentiva un po’ infastidito dal fatto che quel sorriso che
gli aveva mostrato, sia pure a lui per primo, aveva iniziato a mostrarlo un po’
a tutti.
E
quello stesso sorriso le conferiva un’aura incredibilmente seducente.
Kenren bussò ancora alla porta dello studio di Tenpou, ma nuovamente
non ottenne risposta.
Si era recato al comando perlomeno quattro ore prima, e prima
di uscire aveva trovato la porta chiusa proprio come lo era in quel momento.
Chiusa da chissà quanto. Conoscendolo, si era nuovamente perso nel suo mondo
fatto di libri, per ore e ore.
Ma
adesso aveva urgenza di parlargli. E non di Shioka. Quelli erano
sentimenti di cui il generale non doveva assolutamente essere messo al corrente.
“Io sto entrando, Tenpou!”, disse spazientito, girando la
maniglia.
Si scostò appena in tempo per evitare una cascata di libri,
pergamene etsimilia
che si erano letteralmente catapultati fuori dalla stanza, rischiando
seriamente di seppellirlo.
“Non può essere! Hai messo ordine con Shioka appena poco
tempo fa, ed è di nuovo tornato tutto come prima? Fino a due giorni fa si
poteva ancora camminare!”
Nessuna risposta.
“Ehi, Tenpou?”, chiamò, quasi convinto che l’amico non fosse
riuscito a trovare l’uscita, bloccato da quel mare di carta.
“Sì?”, rispose tranquillamente la divinità, seduta dietro la
scrivania con un libro in mano, come se avesse sentito la voce di Kenren solo
in quel momento.
“Come sarebbe a dire ‘si’? Sai da quanto tempo ti sto
chiamando?”
“Ah, scusa, non me n’ero accorto”, rispose semplicemente
l’altro, riabbassando lo sguardo sul libro.
Kenren alzò gli occhi al cielo esasperato, mentre Tenpou continuò:
“Quando inizio a leggere la storia delle guerre del regno sottostante, non
riesco a smettere di leggere…Senti qua: La
guerra rispecchia il modo d’essere degli esseri umani. L’ideologia chiamata ‘nessuna ideologia’
spesso compare nella loro storia. Essa si alterna a periodi di pace e…”
Il dio dagli occhi rossi mise le mani avanti. “Non
sono venuto a sentire le nozioni che hai appena imparato!”
Mentre
Tenpou gli sorrideva e si accendeva una sigaretta, Kenren si appoggiò alla
libreria.
“Come sai, è tornato il principe Nataku,
dopo aver sconfitto Gyumao.
Oggi ci hanno riferito i dettagli della missione”
“E’ stato un po’ troppo veloce, no?”, commentò Tenpou
alzando lo sguardo verso l’amico.
Kenren annuì. “Ed è rimasto ferito gravemente, questa
volta”, fece incrociando le braccia sul petto. “Non ha ancora ripreso
conoscenza”
L’altro si strinse nelle spalle. Kenren continuò: “Ma c’è
una cosa che mi lascia perplesso. Nonostante lui fosse in condizioni
penose…gli altri, i soldati che aveva come seguito…non avevano una sola ferita”
“Hanno lasciato fare tutto alla bambola assassina,
ovviamente”, spiegò Tenpou come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“A proposito, ora che ci penso”, aggiunse Kenren. “L’altro
giorno ho incontrato il ragazzino affidato a Konzen”
“Intendi Goku?”
Kenren annuì. “Proprio lui. Non sono troppo severi con gli
esseri eretici? Anche
Shioka…catene che pesano almeno 80 kg…mi chiedo perché tutti abbiano paura del
suo occhio dorato: il suo sguardo è puro, il suo corpo è così minuto...non la
diresti proprio una creatura che porta distruzione!”
Tenpou soffiò il fumo dalla bocca, chiudendo il libro. In
fondo, c’era un discorso che da un po’ di tempo voleva affrontare con lui.
Sapeva di non sbagliarsi, ma voleva sincerarsi di un paio di cose.
“Tutta la sua natura demoniaca...è assorbita dai dispositivi
che porta alle orecchie”
“Qual è lo scopo delle sue catene, allora?”, continuò
Kenren, che delle catene
ormai aveva fatto un chiodo fisso. Non riusciva a sopportare quei...segni
d’inferiorità che lei, che Goku, erano costretti a portare ogni giorno.
Umiliazioni. Ecco
come considerava quei ceppi. Tentativi di frustrare
moralmente quelle creature.
“Nessuno”, puntualizzò Tenpou. “Quelle catene...potrebbe
spezzarle in qualunque momento: non servono assolutamente a nulla; sono solo
patetiche ostentazioni di arroganza e sicurezza da parte di
noi dei”
Il rosso sospirò rumorosamente. “C’è qualcosa qui nel Tenkai
che abbia
un senso? Una, Tenpou:
dimmene solo una!”
Tenpou puntellò un gomito sulle gambe e appoggiò il viso sui
palmi delle mani. “Da quando ti preoccupi così tanto per lei, Ken?”
Il rosso si sedette accanto
all’amico, poggiando la propria spalla contro la sua. “Trovo...che sia una
creatura fantastica”
Un secondo
carico di silenzio raggelante percorse la stanza. Kenren non aveva ancora realizzato di aver pronunciato
simili parole; a Tenpou fu immediatamente palese che aria tirasse.
“Non avrei...mai creduto di
sentirti dire una cosa del genere”. Il tono divenne immediatamente più serio.
“Non innamorarti di lei, Kenren Taisho”
L’amico esplose in una fragorosa
risata. “Ma che diavolo dici?
Ci conosciamo da sempre, no? Ti sembro tipo da innamorarmi?”. Tacque un attimo.
“Non sono contrario all’amore. E’ solo che senza amore vivo lo stesso, e vivo
meglio. E poi...che c’entra
lei? Shioka? Stai scherzando o cosa?”
“Meglio per te”, fece, non troppo
convinto, Tenpou. “Siamo entrambi militari, e dovremmo sapere meglio d’ogni altro quali sono le
idee dei vertici rispetto a simili sentimenti. Non si scherza, potresti finire male persino per una notte
di...”, mosse eloquentemente le mani.
Tenpou Gensui
era una persona sempre abituata a calcolare tutto. Ogni piccola azione, sua e
degli altri, era sempre stata preventivamente immaginata e prevista dalla
divinità, insieme ad
ogni possibile conseguenza e reazione. Pertanto...si sentiva irrimediabilmente vuoto quando
qualcosa gli sfuggiva di mano. E Kenren...anche se aveva immaginato un possibile coinvolgimento
emotivo con le vicende della ragazza che aveva accettato di accogliere in casa...
...Kenren gli stava scivolando via dalle mani.
“Non c’è il minimo pericolo, Ten”, lo rassicurò
l’altro. “Ho semplicemente detto che è una persona in gamba, ma
stop. Anzi, sai che ho un appuntamento proprio adesso con la figlia di quel
vecchio rimbambito di Kawashinari?”, ammiccò.
“Quella è sposata, Ken”
Kenren strizzò ancora l’occhio. “E allora? Peggio per
suo marito. Ci sta,
ci sta!”, fece il rosso alzandosi e stiracchiandosi.
La divinità uscì chiudendosi la porta dietro le spalle.
“Non hai semplicemente detto che è in gamba...non avevi mai
detto di nessuno ‘è una creatura fantastica’...Ken, spero solo che
tu sappia in che situazione stai per affondare”
Il terzo essere eretico, Shioka e i suoi ricordi.
Giaceva rannicchiata ai piedi dell’albero, gli occhi chiusi,
ma non perché avesse sonno.
Proprio come, bambina, una sera sua madre l’aveva trovata,
quasi nascosta dietro il tronco di un albero.
“Shioka!” La donna aveva fatto il giro dell’albero e l’aveva trovata lì,
raggomitolata su se stessa, proprio come lo era adesso, la stessa aria
colpevole, lo stesso
sguardo basso.
Si era chinata, l’aveva indotta ad alzarsi, e le aveva spolverato con le
mai il vestito lacero e sporco di terra ed erba, ripulendole poi le labbra dal
sangue. “Ti sei di nuovo azzuffata con uno dei
bambini del
villaggio?” Lei aveva annuito, silenziosa, evitando lo sguardo della madre.
La madre aveva invece sospirato. “Gli hai
fatto del male?”
“Io...”, aveva
tentato di giustificarsi, “…non volevo. Ho cercato di trattenermi, ma mi ha preso
in giro e…però non ho usato tutta la mia forza, ma lui è caduto un po’ troppo
forte e…” La donna aveva scosso la testa.
“Ne abbiamo
già parlato. Non voglio che usi la violenza, perché…” Non aveva saputo continuare.
Aveva concluso
lei per la madre: “Perché sono un mostro,
vero? Perché
nessuno sa da dove vengo e perché ho un occhio dorato. Perché sono diversa…perché
potrei…”
-…Uccidere qualcuno-
“Non potrei mai!”
Porti distruzione e morte.
- Il sangue è ciò che vorresti bere, ammettilo-
“Non è vero!”
Il tuo villaggio è stato distrutto dai demoni.
-E ciò mi ha richiamata- “Non è stata colpa mia!” Perché credi di
essere stata l’unica a sopravvivere? -Perchè
sei un mostro-
“Perché volevo vivere, e mia madre mi ha nascosta”
Essere eretico…
-Essere sporco di sangue…-
“Che vuol dire?”
Vivrai rinchiusa qui…
-Potresti uccidere tutti in qualunque momento, e andartene
con la tua colpa scolpita dentro-
“Non voglio!”
Imprigionate questo demone…nel corpo di una bambina!
-Fallo, adesso!-
“Perché? La mia colpa è dunque quella di essere
nata?”
Morte dell’animo.
Mortificazione del corpo.
Sangue, dolore.
Umiliazione.
Impotenza.
Colpa.
Rimorso.
Buio.
Violenza.
Pena.
Ma
adesso… …Vivi!
Il primo essere eretico del Tenkai, il Dio della Guerra,
Nataku Taishi, il re delle bambole…
“Sei eretico!”
“Sei un eretico!” Un dito accusatore puntato su di lui. “Io non ho mai partorito un simile mostro!” Ma
tu…non sei mia madre? “E’ spaventoso…com’è potuto accadere?” Volti terrorizzati, io vi sento! Smettetela,
io non ho fatto nulla! Perché sono nato? Perché vivo? “Obbedisci…” Il volto di quest’uomo mi fa ribrezzo! Ma è l’unica
persona che non ha paura di me! Eretico!
Eretico! Basta…
Basta!
BASTA!
Mi chiudo le orecchie per non sentire.
Ma
il mio cuore di bambola sente tutto.
Cuore? Io ho un cuore? Le bambole hanno un
cuore?
“Nataku!”
Nataku Taishi, sudato e ansimante, aprì
gli occhi di scatto.
Mise lentamente a fuoco la stanza.
Un sogno. Era solo un sogno.
No, non era proprio un sogno. Aveva semplicemente sognato la
realtà.
Alzò la testa. L’ultimo suono, il suo nome, l’aveva
pronunciato una voce ben conosciuta.
“Tu…”
Occhi dorati. Un
gran sorriso, un sorriso sincero, che ti dice: “Perché non sorridi anche tu?”,
come se fosse fuori dal
mondo, da tutto. “Grazie al cielo! Non aprivi gli occhi, e
non sapevo cosa fare! Stai bene?” Sento caldo nel petto…è il cuore?
Allora ho un cuore?
E gli altri, ce l’hanno?
Lui di sicuro sì… “Sì”, mormorò Nataku socchiudendo gli occhi e attendendo che i battiti del
suo cuore decelerassero.
“Questa è la tua camera?”, continuò a parlare a raffica
Goku, guardandosi intorno. Arricciò il naso davanti allo squallore di quella
camera: vuota e spoglia, con un semplice futon disteso per terra, e ben pochi
mobili. Buia. “E’ orribile! Sei ferito, e ti lasciano tutto solo
in questa stanza buia!”
“…Non fa nulla. E’ così tutte le volte”. Nataku si
tirò su. “Ma comunque
non ha importanza. Nessuno si preoccupa di me, qualunque cosa accada”
“Cosa stai dicendo?”, gridò Goku, incapace di
credere alle proprie orecchie. “Non è vero, perché io…”
Goku gli rivolse uno splendido sorriso, incrociando le
braccia dietro la schiena.
“Io sono venuto apposta per vedere te, Nataku. Ero così felice quando
mi hai detto che sono fantastico!”
Nataku,
sbalordito al sentire quelle parole così ingenue e…rassicuranti, non potè controbattere.
“Ed ero felicissimo quando mi hai sorriso e mi
hai detto che ci saremmo potuti vedere ancora!”, rincarò la dose Goku.
“Davvero?”, mormorò Nataku. Sorrise anche lui. “Ehi, quando
mi sarò ripreso, ti farò vedere il regno celeste! Ti porterò in posti che non
conosce nessuno, conosco
un posto dove ci sono alberi alti, un posto dove ci sono tante bacche
selvatiche…”
“Verrò, verrò! Ci verrò sicuramente!”, esclamò Goku
felice, già pensando a come avrebbe potuto dileguarsi dal cane da
guardia-Konzen.
Nataku, tanta era l’eccitazione, si era dimenticato di
essere gravemente ferito. Fu quando un improvviso dolore al torace, tanto forte
da togliergli il fiato e da costringerlo a piegarsi, che si ricordò di essere
ferito.
“Ehi! Se non ti senti bene, penso che
dovresti dormire!”, gli consigliò Goku avvicinandoglisi.
Poi cambiò idea e fece per dirigersi verso la porta. “Vado a chiamare qualcuno…”
Ma
Nataku lo afferrò con forza per il polso.
“Sto bene”, disse, con convinzione. “Sto bene, resta qui”
Non voleva vedere altri che non fosse lui.
Goku gli sorrise, rassicurandolo.
“Ok” Ti sarò vicino.
Il secondo essere eretico del Tenkai: Son
Goku e la sua luce.
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 03/01/08]
Bene…questa volta partiamo dai ringraziamenti, è da un po’ che non saluto e
rispondo persona
a persona…
Palanmelen: Grazie per esserci sempre; sono
contenta che ti sia piaciuto il capitolo sul passato di Shioka, la scena ‘romantica’
in riva al fiume, e la discussione con Gojuin. Spero che ti piaccia anche
questo; come vedi, Kenren sta facendo di tutto per occultare le prime
avvisaglie di una tenerezza che lamenta soddisfazione!
Poisonapple: Nonostante per ora non l’abbia sentita,
ringrazio vivamente anche Pois, che mi segue fin dal primo capitolo. Mi
piacciono un mondo
le tue fic, senpai!
Kairi84: Altra
commentatrice ‘storica’…Grazie di tutto!
Nasty86: Anche
lei, pur non avendo commentato gli ultimi due capitoli (spero che cmq
ti siano piaciuti), si è fatta sentire per così tanto tempo che sarebbe stato un
delitto non ringraziarla e non annoverarla tra le altre!
Jastine: Non commenta ma si fa
sentire (ed è spesso nei miei pensieri)! Buona fortuna, nee-chan!
BlackMoody: Come potevo non citare la
compagna di tante chattate? Speriamo di beccarci alla fiera di Lucca,
allora! Io con Kanzeon
ho un rapporto di
amore-odio, dipende a che livello è sul momento la sua
schizofrenia. Perdonami, non conosco la canzone “Big black horse
and the cherrytree",
di chi è?
Nadia Sakura Kan:
Il tuo nome mi ha ricordato subito la mia giovane zietta che mi ha portato Saiyuki in inglese dagli Stati Uniti! Me
contenta che ad una new entry sia piaciuta la mia fic…grazie!
Miky: Altra new entry…grazie per
i complimenti!
Kano_chan: Grazie mille all’altra new
entry!
Barbara: Quarta new
entry…Grazie mille! Tenterò di postare regolarmente…Hai ragione, nel Reload
lo stile della Minekura
è migliorato notevolmente, e anch’io adoro la saga Burial, ma mi sono
piaciute tutte le storie! Quella del demone costretto a uccidere i
bambini…quella in cui spuntano le copie dei SaiyukiBoys…quella in cui Sanzo perde la Gold Card,
ma soprattutto quella in cui si risveglia Kou! Hai visto poi
la mini-storia su Hakuryu?
Tenerissima…(me in un brodo di giuggiole), per non parlare poi di quella sul
cambio d’abiti!
Kiana: Ringraziamenti anche
all’ultima new entry.
Grazie per esserti fatta sentire, mi fa piacere che ti sia piaciuta la mia fic.
Alla prossima!
Infine, ultima ma non meno importante, ringrazio DeepDerk, alias Emanuelona
(non te la prendere, questo soprannome te l’ha messo Lucy/Luca/Lucia, lo sai
che preferivo Tettezinga…),
l’amicona
a cui ho passato la fic tempo fa (e sì, anche parecchie
anticipazioni e bozze non ancora complete, e persino un paio di appunti scritti
due secondi prima…) e che l’ha sempre apprezzata e mi ha sempre tartassato per
leggere la fine. Thanks!
Ps:
Gojyo non si
tocca, eh?
“Kenren…perché c’è tutta questa confusione in giro?”. Shioka sfiorò
delicatamente la manica del generale per richiamare la sua attenzione.
Ultimamente la sua espressione era diventata ancora più dolce, pur restando i suoi
modi, a tratti,un
po’ scostanti. Ma, ipotizzò Kenren, forse anche quei
modi facevano parte del suo vero io, che finalmente riusciva a vedere davanti a
sé. Si era reso conto da poco di quanto la ragazza fosse mutata, dall’animale
selvatico che era entrato senza una parola nell’appartamento suo e di Tenpou,
in una giovane e graziosa donna, dai lineamenti sottili e il fisico minuto. Piccolo dettaglio, che stonava nel complesso come una macchia di
vernice fuori posto su un quadro, le catene che portava al collo e agli arti, e
che ne tradivano la fragilità.
Kenren le sorrise; “Tsk! E’ il compleanno dell’imperatore celeste Tentei. Una di quelle stupide feste che non servono a nulla, se non a consentire agli dei di mostrare la
propria ipocrisia”
Del famoso incidente, sembravano aver
concluso il tacito accordo di non parlarne. Come se non fosse
successo niente. Avevano ricominciato a parlare come prima, entrambi
però con una strana sensazione di amaro in bocca.
“Davvero? Anche qui nel Tenkai si festeggiano simili
ricorrenze?”
“Solo perché si tratta dell’imperatore. E’ il giorno in cui è salito al potere,
non di certo quello della sua nascita”
Shioka annuì, riportando lo sguardo oltre la finestra
cui era affacciata. “E’ la prima volta che vedo tanto movimento in giro. Ci
sono anche espressioni emozionate. Sembrate quasi…umani”. Dalle labbra le uscì
uno sbuffo che forse voleva essere una risata. “Ma presumo che una simile
affermazione risulterebbe un’offesa…”
Kenren si allacciò le fibbie della divisa, passando la sigaretta da un lato
all’altro della bocca.
“Vorresti venire anche tu?”
Un altro sbuffo.
“Seh, come no. Così
coglierebbero l’occasione per allestire un patibolo davanti il palco
dell’imperatore”
Il generale si assicurò la pistola alla fondina.
“Non se ci vieni con me”
“Così le corde appese al patibolo diventeranno due”
Kenren emise un profondo sbuffo – che tradiva una leggera delusione-, sedendosi
per lucidarsi gli scarponcini. “Fa’ come ti pare, Shioka”
Silenzio.
“E comunque, ci sarebbe stato da annoiarsi parecchio.
Il vecchio barboso pronuncerà uno dei suoi soliti discorsi pomposi e
interminabili, e poi finirà tutto lì. L’avevo detto solo
per…”
“Vengo”, annuì Shioka interrompendolo, dando le spalle alla finestra.
Aveva sorriso.
“Chi ti capisce è bravo”
“Voglio venire”, ripeté Shioka.
Kenren abbassò lo sguardo per lucidarsi le scarpe e, già che c’era, per celare
un po’ il sorriso che gli era comparso sul volto. “D’accordo. Cerca di non
perdermi di vista, però. Ci saranno tutti gli dei del mondo celeste, e sarebbe seccante doverti sottrarre ad un linciaggio”.
“Cercherò di non pestare i piedi a nessuno, allora”
L’uomo ridacchiò; davvero, non sembrava la stessa persona che prima guardava
tutti torva, che rispondeva con mezze sillabe o cenni del capo, o tutt’al più
aggrediva verbalmente, e che trascorreva gran parte del tempo seduta per terra
a fissare il vuoto.
Il generale si tirò su dalla sedia. Il suo primo impulso era stato quello di
afferrarle un gomito per condurla verso la porta, ma poi si limitò
a sfiorarglielo.
“Tu…”
Shioka scostò leggermente il gomito, a disagio. “Cosa?”
“…Niente” Cosa voleva dirle? Non lo sapeva nemmeno lui. Sapeva
soltanto che ormai quella ragazzina così mutevole era diventata una presenza
insostituibile. Era lei che cercava con lo sguardo quando
non la sentiva accanto a sé; era per tornare a casa e vedere il suo volto che
Kenren reclinava gli inviti delle belle donne che gli chiedevano sempre
numerose di trascorrere la notte con loro. Stava iniziando a
isolare in sé un sentimento, un’attrazione nuova...qualcosa che dubitava che
sarebbe riuscito a controllare a lungo.
Le
divinità che partecipavano alla festa sostando nella hall
erano davvero tantissime. Quelle più potenti, che avevano la fortuna di
possedere un palazzo che si affacciava sulla grande
piazza, osservavano la festa dall’alto dei loro balconi.
Tra queste, la dea Kanzeon Bosatsu, che sbadigliava rumorosamente.
“La prego di ricomporsi, Somma Kanzeon!”, la rimproverò ancora una volta Jiroushin.
La divinità alzò gli occhi al cielo. Quant’era
noioso! “Mh. Ma perché devo
assistere ai festeggiamenti di quel vecchio baffone?”
La sua attenzione si spostò sulla folla che crepitava sotto di lei.
Le sue labbra si allungarono in un sorriso sornione. “Tanto, credo che
quest’anno assisterò ad una performance davvero divertente!”, soggiunse la dea.
“Cosa intende?”, chiese Jiroushin
preoccupato; quando la dea parlava così, c’era ben poco da stare tranquilli.
Anche
Nataku osservava, in compagnia del padre Li Touten, la
festa dall’alto.
“Ti stai annoiando, Nataku?”
“No”, mentì il ragazzino, tradendosi con una voce estremamente assonnata.
“Mi raccomando, osserva con attenzione la cerimonia. Quel posto che vedi,
quello dell’imperatore, sarà mio. E tu erediterai la
mia posizione”
Per nulla interessato, e anzi disgustato dai discorsi abominevoli del padre,
Nataku tornò a concentrarsi su ciò che si estendeva oltre la ringhiera. Un altro mondo…che gli sembrava di poter toccare con mano
appena allungandola davanti a sé…ma che non riusciva a raggiungere.
Si era illuso di poter trovare una scappatoia negli occhi dorati di quel bambino...ma quel bambino era sparito dalla sua vita.
Semplicemente, come una bolla di sapone; aveva chiesto di lui in giro, ma
naturalmente nessuno si era preoccupato di rispondergli. Tutti avevano paura di lui, tutti tentavano di tenerlo sotto
controllo. Il padre gli dava continuamente ordini, la
madre (ma era fermamente convinto che non fosse stata lei ad averlo generato)
lo odiava. Una volta aveva sentito un discorso che gli aveva fatto gelare le
vene.
Lui...non
è vivo.
E’ stato creato.
Per essere il dio della guerra.
Per uccidere.
Per servire il signore Li Touten.
Era
svenuto dopo essere tornato dal mondo sottostante per una missione, e giaceva a
terra. Non credevano che avrebbe potuto sentirli. Non avevano aggiunto più
nulla, né le sue orecchie avrebbero potuto recepire
altro. Quelle parole...circolavano nel suo sangue come scritte di una
maledizione. Non le avrebbe mai dimenticate.
“Padre...”, mormorò.
Lo sguardo severo di Li Touten lo fissò, incerto. “Che c’è?”
“No...niente”
Non avrebbe mai potuto chiedergli nulla sull’argomento. Non avrebbe mai avuto
il coraggio di ascoltare la sua risposta.
Un’altra esile figura, intanto, si guardava intorno, nella folla.
“Ma dov’è finito Konzen?”
Detestava perderlo di vista. Si arrabbiava sempre con lui, quando si allontanava…però trovava confortante il modo del biondo di
preoccuparsi per lui, seppur strano.
Era il suo sole. E non lo avrebbe mai abbandonato.
“E’
passato molto tempo da quando una guerra ha avuto
effetti su questo mondo dove ora regna la pace…blablabla…i soggetti devono
rendersene conto…blabla…ed
è per questo…”
Goku si accorse appena che l’imperatore Tentei
aveva iniziato il suo discorso. Le sue parole e il suo
tono avevano un’aria così noiosa che non perse nemmeno tempo ad ascoltarle.
Doveva trovare Konzen.
Sicuramente l’avrebbe colpito sulla testa, dandogli
della bakasaru, e…
Fu sbalzato indietro. Diede una violenta schienata per terra, e le sue catene
tintinnarono miseramente.
“Uno sporco moccioso?”
“Smettila di correre qui intorno!” Di nuovo. Di nuovo gente che si arrogava il
diritto di criticarlo. Di nuovo, stavano cercando di sopraffarlo.
“Non scherzate! Siete stati voi due a venirmi addosso!”
“Ehi…ma? Questo moccioso ha gli occhi dorati!”, disse uno dei
due.
“E’ vero! Dev’essere una delle creature
eretiche…il ragazzino affidato all’ostinato Konzen”
Non dovevano parlare male di lui. Non potevano
permetterselo.
“Il suo disinteresse per le donne dunque era dovuto al
suo interesse per i bambini?”, ridacchiò uno dei due.“Io…non ho capito molto
bene, ma…hai appena detto qualcosa di cattivo su Konzen, vero? Non ti perdonerò
per aver parlato male di lui!”, gridò Goku tirandogli
un calcio in uno stinco.“Merda! Fottuto
moccioso!”, imprecò l’uomo scagliandosi contro il bambino.
Il suo braccio, prima che potesse avventarsi sul volto di Goku, fu prontamente
fermato da una presa forte e ferma: “E’ di cattivo gusto usare la violenza su
un bambino indisciplinato”
“Ma voi siete…il generale dell’armata dell’Est, Tenpou Gensui?”
“Non vi è lecito chiamarlo moccioso senza prima considerare la vostra stessa
immaturità”, fece notare Tenpou con un sorrisino.
In quel momento, Shioka arrivò con il fiatone. “Ten,
meno male che sei tu! Ho perso Kenren, e ti ho visto tra la folla. Ma…” Alzò lo sguardo e finalmente si rese conto che tirava
una cattiva aria.
“Tutto bene?”, chiese, lo sguardo accigliato e incuriosito. C’era aria di
divertimento, quelle sporadiche volte che Tenpou si irritava
con qualcuno.
“Ma certo, Shioka. Stavo semplicemente insegnando un po’ di
buone maniere a questi gentili signori”, le rispose, sempre sorridente.
“Su, andiamo a cercare Kenren”
“Tzè. Mi chiedo perché difendere questi sporchi
esseri immondi. Non hanno nemmeno il diritto di vivere”, commentò l’uomo che
poco prima aveva tentato di colpire Goku.
In un attimo, tutti i buoni propositi di Shioka di mantenere il buon senso si infransero.
“Se ci fossero davvero persone che non hanno il diritto di vivere, voi sareste tra
queste”
“Cosa?!”
Mentre l’imperatore Tentei continuava a parlare,
sempre certo chequalcuno lo stesse
ascoltando, per riportare tranquillità e silenzio intervennero le milizie.
“Cacciate fuori questi esseri maledetti!”, ordinò quello che sembrava essere il
capo.
Uno di loro afferrò Goku per un braccio, “Andiamo!”.
Ma il bambino glielo morsicò senza tanti complimenti.
“Merda! Bastardo!”, gridò quello scagliandosi contro di lui.
In quel momento, un calcio mise fine alla furia della divinità. Il famoso
pulpito dalla quale era venuta la predica, il generale Kenren Taisho, iniziava
a scaldarsi per intraprendere quella che sarebbe stata la rissa più divertente
dopo tanto tempo.
“Sembra divertente! Posso partecipare?”, commentò il
giovane con il suo solito sorriso spaccone sulle labbra.
“Kenniichan!”, gridò Goku, eccitatissimo.
“Meno male che dovevo essere io a non attaccare briga…”, commentò acidamente
Shioka.
“Ehi! Anche se siete il generale Kenren Taisho, non
potete usare violenza di fronte all’imperatore!”, lo aggredì una divinità.
“Mi stavo giusto addormentando al sentire tutti quei discorsi stupidi di quel
vecchio baffone. E’ arrivato il momento di scrollarmi di
dosso la mia sonnolenza”, disse ammiccando e stiracchiandosi. “Per
cui…tutti quelli che provano risentimento verso di me, si facciano avanti e mi
sfidino!”, gridò alzando un braccio, mentre Tenpou e Shioka sospiravano di
quella testa calda.
“Grrr! Ti stai prendendo gioco di noi?”, gridarono alcune divinità scagliandosi
contro di lui.
“Questo sì che è divertente!”, commentava Kenren menando le mani a destra e a
manca.
“Wow! Dovevano essere davvero tanti quelli che ti detestavano!”, fece notare
Tenpou osservando la grande quantità di gente accorsa.
“C’è la comunione dei beni, mogliettina! Attento anche tu!”, gli gridò Kenren
ridendo.
Tenpou atterrò un uomo dietro di sé. “E da quando ci sarebbe tra
di noi un simile rapporto coniugale?”
Intanto qualcuno aveva afferrato Shioka per le spalle, e stava tentando di gettarla
a terra, quando la ragazza, senza nemmeno voltarsi, afferrò i polsi dell’uomo e
li strinse fino a che le sue nocche non diventarono bianche.
“Ouch! Ma che…”
“Attaccare alle spalle…sei un vigliacco. Ringrazia che non ti rompa le ossa”.
Strinse ancora un po’ la presa, e uno scricchiolio ai polsi convinse l’uomo a
lasciarla andare.
“Questa non me la aspettavo!”, commentò Tenpou assestando una gomitata in
faccia ad un uomo che lo aveva attaccato alle spalle. Wow! Questi qui sono davvero forti!, pensò Goku
entusiasta, osservando i tre. Si stanno
divertendo un mondo!. In quel momento si accorse di una divinità gigantesca che si stava
scagliando alle spalle di Tenpou. “Tenniichan! Dietro di te!”, ma prima che il
moro si potesse voltare, il ragazzino l’aveva già steso con un calcio.
“Wow! Niente male davvero, scimmia!”, si congratulò Kenren.
“E non chiamarmi scimmia!”.
Finalmente l’imperatore si era vagamente reso conto che tutti gli sguardi erano
concentrati sulla rissa in atto, e non su di lui, e aveva ordinato di fermare
il clamore.
“Visto, Jiroushin? Non trovi
che sia il compleanno più divertente di quel vecchio barboso?”, commentò
Kanzeon Bosatsu dal suo punto di osservazione.
“…non posso far altro che compatire il povero imperatore”
Intanto, anche Konzen era giunto lì, attirato dal chiasso, e
con suo sommo disappunto scoprì che ciò che temeva si
era avverato: all’origine di tutto quel chiasso stava proprio la sua petulante scimmietta.
“Goku! Cosa diavolo stai
facendo!?”, sbraitò facendosi largo tra la folla.
“Visto? Il proprietario è venuto a
riprendersi il suo animale!”, disse piano Tenpou a Kenren.
“Konzen!”, lo salutò Goku agitando un braccio.
Kenren ridacchiò. “E così è lui
quello di cui tanto si parla”
“Ahi! Il padrone è arrabbiato!”, mormorò
Shioka.
Konzen si scagliò su Goku e iniziò a tempestarlo di pugni:
“Bakasaru! Ti avevo detto di non allontanarti da me!”
Kenren gli fece passare un braccio attorno alle spalle e gli
disse: “Suvvia! Non te la prendere tanto! I bambini devono pur giocare!”
“Non toccarmi! Chi diavolo sei tu?”
“Quello che chiamano…il turbolento generale. Specialmente
nella parte bassa del corpo!”
“Disgustoso!”, commentò Shioka.
“Kenren Taisho, presumo”, borbottò Konzen.
Intanto, ulteriori milizie erano
intervenute.
“Queste persone sono con me. Mi prenderò
la responsabilità delle loro azioni e lascerò la sala”, annunciò Konzen
allontanandosi.
“Sei sicuro? E’ una responsabilità
nostra…”, gli disse piano Tenpou.
“Zitto! Lo faccio solo per avere una scusa
per allontanarmi da questo mortorio”, mormorò Konzen. “Andiamo!”
E così, osservati da una grande
quantità di gente, i cinque si allontanarono.
Silenzioso, alla testa delle sue truppe, Gojuin fissava il gruppetto che si
allontanava. E’ dei loro, ormai.
Giunti al palazzo di Konzen, il biondo si voltò di scatto. “Per quanto ancora
avete intenzione di seguirmi, voi idioti?”, sbraitò.
“Veramente sei stato tu a dire ‘andiamo’!”, gli fece notare
Kenren.
“Konzen! Io voglio giocare con loro!”, si lagnò
Goku.
Massaggiandosi le tempie per fugare l’irritato mal di testa che già stava
iniziando ad assalirlo, Konzen si sentì circondato e in netta minoranza. “Grrr…e va bene! Ma non osate
disturbarmi, ho un mucchio di lavoro da sbrigare!”
La reazione di Goku non si fece attendere. Con un gridolino
d’esultanza, si aggrappò al braccio di Shioka. “Hai sentito, Shioka? Andiamo a
giocare a baseball!”
Rimase spiazzato quando Shioka strappò via bruscamente
il braccio dalla sua presa. La ragazza si stava fissando i palmi sporchi di
sangue. Aveva lo sguardo assente, lontano, la bocca
semiaperta in un’espressione di torpore.
Sangue.
Ancora una volta.
Ricordi affiorarono nella mente della ragazza.
Grida…sangue. Distruzione. Ricordati…io sono in te.
Qualunque cosa tu possa fare, in qualunque posto tu
possa trovarti, io sono parte di te.
Non credere di poter essere felice.
Non credere di potermi rinchiudere a lungo. Perché io sono la tua parte maligna. La ragazza cadde in ginocchio, il volto nascosto tra le braccia.
Tremava come una foglia, ogni muscolo del corpo in tensione,
il respiro affannato.
Kenren, Tenpou e Konzen si voltarono. Forse temevano che si
fosse ferita durante la rissa.
Kenren fu il primo ad avvicinarsi a lei. Si fermò ad un paio
di passi di distanza, improvvisamente memore dell’episodio precedente, e si
appoggiò le mani alle ginocchia.
“Shioka? Che ti prende? Ti sei solo
sporcata del sangue di quegli idioti. Va’ a darti una ripulita”
“Non voglio…”, mormorò.
Il rosso si chinò sulla ragazza, sorpreso.
D’improvviso, Goku si portò le mani alla testa.
“C’è…c’è qualcosa che mi fa paura…”, mormorò il ragazzino,
stringendosi a Konzen. “Ha…un odore diverso…”
Shioka, intanto, continuava a tentare un minimo di autocontrollo. Si sentiva la testa sul punto di
esplodere, e tentava in tutti i modi di isolare quella voce, che, al contrario,
si faceva sempre più insistente. Che credi di fare? Pensi
di poter essere ancora felice?
Io sono in te. “Io…sono forte”, si disse. “Non voglio. Non voglio!”
Perse improvvisamente i sensi, cadendo distesa sullo stomaco.
“Diavolo! Tenpou! Si può sapere che cosa le sta succedendo?”, gridò il ragazzo dai capelli rossi affrettandosi a sollevare
il corpo svenuto di Shioka. Nell’agitazione, non si ricordò delle catene; gli
sfuggì un gemito e i muscoli si contrassero allo
sforzo: era infinitamente pesante. Davvero si muoveva abitualmente, così come
Goku, con quelle catene pesantissime addosso? Una rabbia improvvisa lo pervase.
Tenpou si avvicinò all’amico, scostando i capelli dal viso
di Shioka e tastandole il polso.
“Non so che dirti. Ha perso i sensi”,
scosse la testa la divinità. “Possiamo solo aspettare che si riprenda”
Goku, intanto, si era avvinghiato alla veste di Konzen,
mentre il biondo osservava con il viso impassibile, eppure chiedendosi cosa
avesse spaventato la scimmietta.
“Dove posso distenderla?”, chiese
Kenren.
“Di là”, disse il biondino con la sua consueta voce,
incamminandosi.
Kenren annuì e lo seguì
lentamente, le braccia doloranti per lo sforzo, insieme a Tenpou e Goku che gli
trotterellava dietro.
Stese Shioka sul letto che Konzen
gli aveva indicato. Nulla: la ragazza non mosse un muscolo.
I minuti passavano lenti, ma la ragazza non accennava a
riprendersi né tanto meno a muoversi.
“Non serve che restiamo tutti qui ad attendere che si
svegli”, disse improvvisamente Tenpou per rompere l’atmosfera gelida che si
stava creando. “Konzen, mostrami dov’è la cucina. Andrò a
preparare del tè!”
Goku lanciò ancora uno sguardo a Shioka, quindi, dopo aver guardato
Tenpou, si affretto ad annuire non troppo entusiasticamente. Konzen, sbuffando,
diede una manata brusca (che probabilmente a suo modo voleva essere affettuosa)
alla nuca di Goku, spingendolo leggermente in avanti. “Tsk! Andiamo, visto che oggi non sembra essere giornata per i miei documenti…”
Silenziosamente grato della quiete, Kenren si frugò le tasche alla
ricerca di un fazzoletto e, trovatolo, ripulì la ragazza del sangue di cui si
era sporcata.
Ancora una volta, la ragazza l’aveva sorpreso. Ancora una volta, aveva mostrato
un lato di sé del tutto nuovo. Ora, guardandola, non riusciva quasi a ricordare
il volto sorridente di quella mattina.
L’uomo incrociò le braccia,
perplesso. “Cosa ti è successo per esserti comportata
così alla vista del sangue?”, mormorò, quasi senza accorgersene.
Ci vollero un paio di minuti perchè Shioka aprisse gli
occhi lentamente. Non mosse immediatamente il viso, pareva
tenere lo sguardo fisso sul soffitto. Accettami…dentro di te. L’ho già fatto e me ne sono pentita. Lascia che prenda il sopravvento sul tuo corpo. Scordatelo. Io non voglio combattere, non voglio
usare violenza su nessuno. Come se non l’avessi già fatto… E’ stato un errore. Non ti permetterò mai più di decidere per me. E’ per merito mio se sei qui…anche ate piace l’odore del sangue. “Ehi…sei tra noi?” Finalmente Shioka voltò il viso verso di lui. Stavolta i suoi occhi si
concentrarono davvero su ciò che stavano vedendo, perché la ragazza mormorò il
suo nome con voce tenue. “Cretina! Ti sembra il modo di concludere
una giornata così divertente?”, scherzò lui, sorridendo.
Shioka non rispose, distogliendo lo sguardo. Le doleva la gola, una sensazione
che non provava da diverso tempo.
In quel momento, Tenpou, Goku e persino Konzen sostavano
dietro la porta della stanza, immobili e muti.
“Tenniichan, perché siamo nascosti qu…”,
tentò di dire Goku.
“Shttt!”, fece Tenpou mettendosi
un indice sul naso.
“Tsk!”
“E’…è stato il sangue. Non ne vedevo
da tanto…non credevo…”. Il groppo alla gola s’intensificò, tanto che
trovò faticoso persino articolare le parole.
Kenren, spiazzato, strinse le labbra. Non sapendo decidere cosa fare, si limitò
ad appoggiare timidamente una mano sulla sua. Ma evidentemente fu tutto ciò che
Shioka chiedeva per dar finalmente sfogo alle lacrime che credeva di aver
terminato tanto tempo prima.
Gocce interminabili che andavano ad inumidire il sottile cuscino e le lenzuola
bianche…che andavano a posarsi sui suoi capelli e a introdursi
nelle sue labbra…gocce salate. Era quella l’acqua che avrebbe potuto
purificarla dal sangue.
Kenren restò a guardarla per tutto il tempo in silenzio,
impressionato.
Lacrime. Piangere.
Era la prima volta, per lui.
Non aveva mai spezzato un cuore. Non aveva mai visto le lacrime di una donna.
Nel Tenkai, tra gli dei, piangere non era previsto.
Il petto ancora scosso da singulti, Shioka sentì finalmente di ritrovare
un po’ d’autocontrollo. Si accorse che Kenren teneva ancora la mano sulla sua, ma questa volta non si ritrasse.
Si sentiva debole, indifesa, per la prima volta dopo tanto tempo. Era così fragile da permettere all’altra parte di sé di minacciarla
alla sola vista del sangue?
“Il sangue…ne ho versato tanto un po’ di tempo prima di essere portata
qui. Loro…mi hanno portata via dalla mia famiglia perché avevo un occhio
dorato. Mi hanno rinchiusa per…”, strinse le labbra in
una smorfia, tentando di non rimettersi a piangere: “…sette anni,
capisci?”
Kenren si accorse che aveva sottratto la mano al suo tocco, ma con sua sorpresa
lo aveva fatto solo per rivolgere il palmo verso l’alto, richiudendo le dita
sulle sue. Il generale non parlò: qualunque cosa avrebbe detto sarebbe suonata
banale e inutile. Solo il silenzio avrebbe potuto rendere giustizia alle sue
parole.
La voce di Shioka tremava come quella di una bambina.
“Mi hanno…torturata in molti modi diversi. Passavo
giornate senza cibo né acqua, soffrendo per le mie ferite che non potevo nemmeno raggiungere perché ero incatenata ad una
parete, e per il freddo che entrava da ogni foro della cella. Mai…mai un raggio
di luce! E loro ridevano, si divertivano. E io crescevo, da una bambina sono diventata una donna. E cambiavano anche i loro sguardi, i posti dove mi ferivano.
Speravo di morire presto, ma non mi lasciarono nemmeno questa speranza: mi dissero che ero immortale, e che sarei rimasta nelle loro
mani per sempre. Che sarebbe stata la mia punizione
per essere nata…Poi…mi hanno tolto tutto. La mia dignità, la mia
libertà. Ma…un giorno uno di loro propose di togliermi
anche la mia femminilità. Alcuni erano reticenti, si chiedevano che cosa
sarebbe potuto accadere se sarebbe nata un'altra
creatura come me. Ma altri risposero che non aveva importanza, che avrebbero
sistemato anche quella. E così…”
Kenren distolse lo sguardo, senza accorgersi di aver stretto la presa intorno
all’esile mano di Shioka. Non aveva il coraggio di guardarla negli occhi, e
leggervi quella disperazione che si era illuso di poter cancellare.
“A quel punto…i miei ricordi sono un po’ confusi.
Ricordo di aver sentito in me una grande forza, una voce che mi diceva: -Perché
continuare a subire? Avresti potuto far cessare tutto questo
molto tempo fa-. E così…ricordo di aver rotto le catene…Gli sguardi
intorno a me, che prima erano tutti divertiti e
sicuri, adesso erano schiacciati dal terrore. Già…avevano risvegliato una
creatura che sarebbe stato meglio non vedere. E quella
stessa creatura…io, lucidamente,…fece strage di loro.
Uccise tutti coloro che si trovavano nel tempio,
distrusse tutto ciò che trovava a tiro, anche, forse, persone che c’entravano
ben poco, e che nemmeno sapevano dell’esistenza di una creatura eretica nel
tempio. Io…ho sparso tanto, troppo sangue. Ricordo di essere rimasta a
crogiolarmi in quel liquido vermiglio per un paio di giorni…giorni in cui, come
in trance, osservavo i riflessi del sole nelle
pozzanghere che si erano venute a formare, nelle iridi vuote di coloro che fino
a poco tempo prima mi avevano torturato. E io, mi
perdonino gli dei, in quel momento mi sono sentita viva, per la prima
volta nella mia vita…”
Non poté continuare; i singhiozzi spezzarono nuovamente la sua voce, al ricordo
di ciò che aveva subito e di ciò che aveva fatto.
A quel punto Kenren fece l’unica cosa che si sentì in animo di fare: si sporse
sul letto e le cinse le spalle con le braccia, stringendola a sé.
“Non sono gli dei a doverti perdonare…né gli uomini. Sei tu che devi
perdonarti”
Tenpou, con lo sguardo addolorato, si richiuse silenziosamente la porta alle
spalle.
“Andiamo”, disse a Konzen con voce spenta; per quanto
avesse immaginato la sofferenza di quella ragazza, adesso che era diventata
parte della sua vita non riusciva a non rimanerne impressionato. Era stata la
sua forza a condurla fuori dal baratro in cui si era
trovata. “Sono disgustato. E non credo che gli uomini siano molto diversi dagli dei, in questo. Se non avesse parlato per lei Kanzeon
Bosatsu, in questo momento si troverebbe in una situazione assai simile”
“Credo che gli esseri eretici non portino sfortuna
agli altri”, mormorò Konzen guardando Goku, che non aveva compreso buona parte
delle parole di Shioka. Per fortuna. “Ne portano solamente a loro stessi”
Tenpou annuì tristemente, e tutti e tre si incamminarono
verso le cucine. Kenren…vedi di non farti coinvolgere più
di così.
Shioka era rimasta fino a quel momento con le braccia inerti, ma quando le
sollevò leggermente per appoggiare le mani sulla schiena di Kenren, l’uomo non
poté impedirselo: sollevò una mano fino al viso della ragazza e, dicendosi che forse stava commettendo un errore, ma avrebbe
avuto tutto il tempo più tardi per pentirsene, la baciò sulle labbra.
Le mani di Shioka si strinsero per un istante attorno ai suoi fianchi, in un
moto di sorpresa; poi si sollevarono fino al petto di Kenren e iniziarono ad
opporre una debole resistenza. Ma ai singulti si
sostituì una tutt’altro che spiacevole sensazione di
calore. Non poté che schiudere le labbra, abbandonandosi per un attimo al
bacio. Ma quando le loro lingue si unirono, il piacere
fu subissato da un cocente senso di colpa.
La spinta sul petto di Kenren divenne ferrea, finché
non l’ebbe spinto via.
“Adesso basta”, mormorò, portandosi il pugno chiuso alle labbra.
Sul volto di Kenren passò per un attimo lo smarrimento più totale, misto ad
imbarazzo. “Perché?” Non dovevo? Perché…? “Non voglio e basta.”
Il rosso le prese il viso tra le mani. “Questo non è vero”
La baciò ancora, ma di nuovo lei si sottrasse.
“Fallo ancora una volta e non rispondo delle mie azioni”. Allo sguardo bagnato
di lacrime se ne sostituì uno duro come la pietra. “Finirà male, Kenren, e non
posso permetterlo”
“Non importa. Non riesco mai a pensare al dopo”
“Stavolta dovresti. Non ti permetterò di rovinare la vita a te e a me
per uno stupido divertimento!”
Il nuovo sguardo di ghiaccio ricomparso sul volto di Shioka indusse
un moto di rabbia in Kenren, che reagì con violenza. La afferrò
per i polsi, bloccandole ogni movimento.
“Non mi sto divertendo, Shioka. Sono serio come mai lo sono stato
finora. Io voglio che tu…”
La voce di Goku risuonò dal corridoio. Shioka si
sottrasse alla sua presa con un movimento repentino, ma non quanto l’ultimo
bacio a fior di labbra di Kenren. Quindi si alzò dal
letto, lanciandole un ultimo sguardo penetrante prima di andare ad aprire la
porta.
“Ah, Kenren!”, fu la reazione sorpresa di Tenpou. “Si è ripresa Shioka?”
Il generale gli sorrise forzatamente, afferrando la
tazza di tè. “Sta molto meglio, adesso”
Tenpou fece per entrare, ma fu battuto sul tempo dal
piccolo Goku, che dopo averlo superato si affrettò a saltare sul letto dove
Shioka, intanto, si era velocemente ricomposta.
“Nee-chan! Stai bene?”
Shioka annuì distrattamente, guardando ancora una volta Kenren. “Sì, Goku.
Adesso sto bene”. Forzò un sorriso anche lei.
“Che bello! Allora andiamo a
giocare tutti a baseball?”
La ragazza aggrottò le sopracciglia: quel bambino era così
ingenuo che la sorprendeva ogni giorno di più. “D’accordo”, rispose.
“Tieni”, disse Tenpou sorridendo e porgendole la tazza,
“Sono felice che tu stia bene”
La ragazza sorrise ancora e prese la
tazza, gettandosela quasi addosso quando Goku la afferrò per un braccio e
iniziò a tirarla dicendo: “Di là, di là!”
Shioka, seguendolo, si ritrovò nello studio di Konzen, che
stava compilando documenti sorseggiando il tè.
“Tsk! Finalmente l’addormentata si è svegliata. Non dico
‘bella’ perché sarebbe paradossale”, borbottò.
Shioka sorrise e rispose: “Grazie di tutto, Konzen!”
“Tsk!”
Un’altra creatura che lo chiamava
semplicemente, senza vezzeggiarlo e adularlo. Quasi Konzen si sentiva
sollevato che avesse ripreso i sensi.
“E allora, Goku? Come giochiamo?”,
chiese Kenren al bambino.
“Baseball! Baseball! L’altra volta ho trovato in magazzino
una mazza e una palla!”
Mentre Konzen, illudendosi di poter
lavorare, continuava imperterrito a scrivere…
“Io farò il battitore! Dammi la mazza, scimmia!”
“Non sono una scimmia!”
Mentre Konzen, sempre cercando di continuare a lavorare,
cominciava a irritarsi…
“Lancia, Goku! Tu sarai il lanciatore!”
“Yeah!”
…in quel momento il calamaio dal quale Konzen stava attingendo
volò via dalla scrivania, e l’uomo lo scansò per un pelo.
Sotto gli occhi esterrefatti di Tenpou e quelli pensierosi
di Shioka, mentre Kenren, assolutamente ignaro di quello che aveva appena
fatto, diceva: “Ops! Me
cattivo!”, Konzen afferrò la palla e, mormorando “Bastardi! Vi ucciderò!”, la scagliò addosso a Kenren, che si apprestò a ribatterla.
La palla fu ribattuta e terminò il suo gioco fuori dalla finestra, mandandola in mille pezzi.
“Fuori campo!”, gridò Kenren sorridendo.
“Maledetti…”, sussurrò Konzen.
“Non arrabbiarti, Konzen, sei stato tu a rilanciarla!”
“Sì, ma tu hai proposto di giocare a baseball, stupida
scimmia!”
“E tu l’hai colpita verso il vetro,
idiota!”
“State zitti!”
Tenpou sospirò.
“Ahhhhhh…La vera amicizia è una
cosa meravigliosa!”
Il suo sguardo si portò, pronto a scrutare, su Shioka.
La ragazza rimase a guardare i tre “ragazzini” che
litigavano. Si soffermò sull’immagine di Kenren.
“Mi dispiace”, mormorò a se stessa. “Ma
non ho intenzione di coinvolgerti, Kenren. Proprio perché provo qualcosa per
te, non permetterò che succeda qualcosa di grave. Non permetterò che si turbi
il delicato equilibrio che ho raggiunto”
Si passò una mano sulle labbra, pensierosa.
E scoprì di aver ancora voglia di piangere al pensiero che,
se entrambi, in un’altra vita, si fossero trovati in una situazione ben
diversa, non avrebbe avuto alcuna esitazione a
mostrargli ogni suo sentimento.
Continua…
[leggermente riveduta e corretta in data 06/01/08]
Adesso non è più tempo di seghe
mentali inutili. Adesso è tempo di passione, di momenti di vita vera. Una
passione effimera purtroppo destinata a concludersi
presto, e non per colpa di una punizione temuta, ma per la conclusione di una
vecchia guerra che volge a un termine, una guerra in cui rimanere invischiati è
inevitabile se la propria natura è eretica. I momenti felici non saranno stati
lunghi, ma saranno ricordati per sempre.
If I couldchange I would, (Se potessi cambiare lo farei,)
take back the pain I would
(riportare indietro la sofferenza lo farei) Retraceeverywrongmovethat
I made I would
(riconsiderare ogni mossa sbagliata che ho fatto lo farei) If I could stand up and
take the blame I would (se
potessi alzarmi e prendere la colpa lo farei) If I could take all the shameto
the grave I would (se potessi portare tutti i miei
peccati nella tomba lo farei)
It'seasiertorun (E’ più facile scappare) Replacingthispainwithsomethingnumb (sostituendo questo dolore con qualcosa
d’intorpidito) It's so mucheasierto go (è molto più facile
andare avanti) Than face allthispainhereall alone (anziché affrontare tutta questa sofferenza
qui da solo)
[It’s easier to run, LinkinPark]
//Rebirth//
Capitolo 38 – It’s easier to run: choice
"Tenpou...sono a casa! Tenpou!"
Kenren si guardò intorno, e, non ottenendo risposta, sbuffò; o il maresciallo era
seppellito in mezzo ai suoi libri, o non era in casa.
Si chinò e appoggiò al muro la katana di legno, l'elmo, e la rudimentale
pistola. Poi si tolse il soprabito, e lo gettò per terra. Dove sarà Shioka? Un fantasma non avrebbe potuto competere con lei, in evanescenza. Quando non aveva voglia di affrontare qualcosa, sapeva
svanire meglio di una macchia sulla scrivania dell’ufficio di Tenpou
(disordinato sì, ma maniaco del pulito). Impossibile da sorprendere, forse
aveva antenati tra i cani da fiuto, dato che avvertiva immediatamente
quando cercava di prenderla di soppiatto. Anche quella notte era
silenziosamente scivolato per i corridoio, e si era
introdotto di soppiatto nella sua stanza. Per parlarle, ovviamente, non
l’avrebbe mai e poi mai sfiorata con un dito; ma la stanza era miseramente
vuota. Forse se l’era aspettata, una sua visita notturna.
Ormai, affrontare con lei quel determinante discorso,
che era stato impossibile concludere il giorno prima, era diventata una
questione di principio. Non poteva ignorarlo, non poteva
continuare ad evitarlo per sempre. Una parte di lui
sapeva benissimo che Shioka era stata ben chiara, l’altra non si rassegnava
all’idea e, anzi, bruciava un po’ d’umiliazione per il rifiuto brusco. Eppure si intestardiva, anzi, credeva veramente, che quel rifiuto
non fosse dovuto all’assenza di sentimenti verso di lui. E
la cosa lo faceva incazzare ancora di più.
Il caldo di quella giornata era quasi opprimente. Kenren si sventolò in faccia
e nel torace nudo con le mani, sperando di trovare un po’ di sollievo, poi
decise di dirigersi verso le cucine per buttarsi su qualcosa di ghiacciato,
preferibilmente alcolico. Molto alcolico. Niente di meglio di
una bella sbronza, per distrarre l’attenzione dal pensiero di quella stupida.
Percorrendo il corridoio, passò davanti la porta della camera di Shioka,
chiusa. I suoi occhi sostarono sul legno rosso, quasi potessero
vedervi attraverso. Gli piaceva la sua camera...aveva un buon odore e, anche se
non era esattamente ordinata, si sentiva la presenza femminile di lei.
Trovarla a inizio serata in camera era praticamente
impossibile. La mattina e la notte erano i momenti in cui non si trovava quasi
mai a casa, i momenti migliori per vagare per gli enormi prati del Tenkai senza
imbattersi in idioti pronti a molestare per un nonnulla. Tuttavia,
senza sapere perché, si ritrovò ad afferrare la maniglia e ad aprire la porta.
Fu subito piacevolmente raggiunto dal consueto odore familiare di lei, di cui
non si stancava mai. E fu allora che la vide, avvolta soltanto da un telo
leggero e quasi trasparente. Probabilmente si stava asciugando, dato che
accanto a lei, sul letto, giacevano i vestiti, e aveva
i capelli bagnati.
Non disse nulla, nonostante sapesse benissimo che in quel momento doveva
chiaramente avere l’aria del maniaco guardone. E non si preoccupò di sparire
dietro la porta, prima che l’altra, già irritata per la tirata del giorno
prima, gli scagliasse addosso pezzo per pezzo tutta la
mobilia, cominciando dallo sgabello per poi culminare con il letto. La forza
fisica non le mancava di certo.
La ragazza si voltò in quel momento, i capelli che si stava pettinando
intrecciati tra le mani. "Kenren?!" esclamò,
scattando in piedi.
Il primo impulso che la divinità provò non fu certo molto pulito. In un
istante, il suo cervello elaborò centinaia d’immagini molto eccitanti
che si trasmisero immediatamente alle sue parti basse. Il caldo parve
improvvisamente aumentare. Diamine, per un uomo l’immagine quasi nuda e bagnata
di una ragazza può avere effetti devastanti. Quando il carosello d’immagini fu terminato, e le sue parti
basse iniziarono a premere rudemente sulla dura stoffa dei pantaloni, si rese
finalmente conto che, prima di ricevere il primo pezzo d’arredamento in testa,
gli sarebbe convenuto quantomeno voltarsi.
Sentì il rumore della stoffa che si tendeva sul corpo di lei,
il suo respiro un po’ accelerato per la fretta, e lo strofinarsi dei lacci del
vestitino tra di loro, mentre una parte della sua mente continuava a
fantasticare su quel corpo che il giorno prima aveva toccato così da vicino, e
che adesso si trovava a pochi metri da lui, spoglio.
Quando fu certo che si fosse vestita, data l’assenza di movimenti, si voltò.
"Pensavo che non ci fossi", si giustificò, appoggiandosi alla porta.
"Infatti sei rimasto lì, fermo, a guardare la stanza vuota", gli
rispose l’altra voltandosi verso la grande finestra, con la voce forzata.
Sembrava quasi che non volesse guardarlo in faccia.
"Dov'è Tenpou?", le chiese lui avvicinandosi. Non si stava praticamente rendendo conto di quello che faceva,
semplicemente metteva un piede avanti e poi un altro, per avvicinarlesi.
"E' andato al comando d’urgenza e...ma che stai facendo?". Tentò di
voltarsi solo in quel momento, quando le braccia di Kenren le cinsero la vita
con le braccia, e le sue labbra erano scese al collo.
Kenren non le permise di voltarsi. Non lo stava facendo volontariamente, per
forzarla: semplicemente, aveva perso il suo po’ di autocontrollo.
Era sempre stato un uomo d’istinto, lui. Le mani continuavano a carezzarle il
corpo, mentre con le braccia la stringeva a sé.
"Mi stai dando fastidio", fece lei riuscendo finalmente a scostarsi;
appoggiò la schiena al davanzale della finestra e lo guardò dritto negli occhi.
Kenren, trovata un po’ di lucidità, si passò una mano tra i capelli,
riscuotendosi. "Ti sto dando fastidio? Allora parliamone". Si portò
in avanti, e le afferrò i polsi, temendo che gli sarebbe scappata ancora una volta.
"Kenren...ti dispiace andare di là e lasciarmi sola?", gli chiese lei
senza muovere i polsi, nemmeno per tentare di liberarsi.
"Sì. Mi dispiace. Perchè sto iniziando a seccarmi
di farmi seghe mentali, e adesso voglio che tu parli chiaro"
"Non credo che ci sia altro da dire, devo essere
più chiara di ieri?"; il volto di Shioka era adesso lievemente arrossato,
ma sempre gelido come una lastra di marmo. "Per il bene di tutti e due, è meglio che tu stia lontano da me". Forse
non avrebbe voluto dire questo, perché si azzittì immediatamente.
Kenren strinse la presa attorno ai suoi polsi. Ammesso questo, gran parte delle
sue elucubrazioni acquistavano un senso."E perchè?"
Shioka s’inumidì le labbra, distogliendo lo sguardo da quello duro e serio di
Kenren.
"Inutile stare a parlare di cose ovvie”, si sbottonò infine. “Tenpou...ha
detto una volta che un essere umano e uno del mondo celeste non possono unirsi.
Se si uniscono nonostante tale divieto, nasce un essere ancora più infimo degli esseri umani: un essere eretico”.
S'interruppe eloquentemente. "Unirsi con un essere umano qui è punito con
l'esilio, ovvero la reincarnazione, dato che la pena
di morte è prevista solo per i casi di omicidio. E
unirsi con un essere eretico è ancora più infamante. Perchè ieri mi hai baciata?", fece, con la voce che le tremava un po’.
"Vuoi divertirti? Non ti bastano le dee e vuoi provare l'ebbrezza di
scoparti un essere eretico?"
Kenren la spinse con il bacino sul davanzale, piegandole dolorosamente la
schiena, finché le gambe di Shioka non abbandonarono il pavimento, e si ritrovò
completamente distesa sul legno, con il ragazzo sopra di lei.
"Questa è l’opinione che molti hanno di me qui nel Tenkai: il piantagrane,
il maiale che non esita ad andare con chiunque, ignorando i sentimenti di
ognuna. Quest’opinione mi ha sempre fatto sorridere…ma
non credevo che pensassi anche tu la stessa identica cosa".
Avvicinò il viso al suo.
Allontanati da me, maledizione. Non introdurti più di così. "Kenren...mi
dispiace deluderti, ma io non provo nulla per te. Viviamo
insieme solo perchè Kanzeon Bosatsu l'ha imposto. Io...non ho intenzione
di cedermi a nessuno. Troppe persone, per troppo tempo, hanno disposto del mio corpo. Adesso...voglio stare da sola. Non
proverò più alcun sentimento"
Kenren le si avvicinò ancora e la baciò. Non attese
che lei gli schiudesse le labbra per farlo entrare, ma
vi penetrò con la forza.
Abbandonò i polsi di Shioka e andò a stringerle la schiena, per tenerla stretta
a sé. Sentì il petto della ragazza abbassarsi e alzarsi velocemente, e le sue
braccia iniziare a tempestargli di pugni la schiena. Poi, poiché non accennava
a mollarla, Shioka tese le ginocchia e lo spinse via con le gambe.
Si passò il dorso della mano sulle labbra, guardando Kenren
rabbiosa.
“Fallo un’altra volta…e giuro che…”
S’interruppe. Un risolino di scherno era comparso sulle labbra di
Kenren.
“Non mentire. Tu hai paura di perdere di nuovo tutto”
“Non ho paura”, sibilò l’altra, le labbra strette.
“Oh, sì, invece…sei arrivata qui con la certezza di
dover espiare. Hai scoperto invece che non ti è più toccato soffrire, ma
trascorrere giorni in una tranquillità che non ti saresti
mai nemmeno sognata di poter provare. E ora…hai paura
che, lasciandoti andare, quella tranquillità vada in pezzi. Non è forse così?”
Shioka mosse qualche passo in avanti, superando l’altro, poi si voltò di
nuovo verso di lui. “Cosa vuoi capire di me? Hai
vissuto sempre qui. Hai sempre ottenuto tutto ciò che volevi semplicemente
allungando una mano. Hai sempre avuto almeno una persona dalla tua parte. Non
hai mai provato paure e vuoi comprendere le mia?”
Kenren la lasciò allontanarsi. “Invece una paura ce l’ho:
l’eterna noia. Il tuo modo di pensare non ti porterà da nessuna parte. Te l’ho detto, qui c’è l’eternità…vuoi trascorrerla in ammollo
nell’acqua tiepida? Vuoi non-vivere come tutti questi zombie
che si trascinano giorno dopo giorno, in punta di piedi? Oppure…vuoi provare a
vivere, una libertà che ti è stata negata anni fa?”
Per un momento , la divinità si chiese se stesse
parlando a vuoto, il vuoto che leggeva adesso negli occhi di Shioka. Poi quello
stesso vuoto si riempì di lacrime. La ragazza si appoggiò al muro nascondendo
il volto, il torace mosso a intervalli di tempo da
singulti.
“Qualunque modo di esistere è una scommessa”, continuò, più fiducioso per
averla almeno smossa, “Non-vivere è una scommessa che
sai già di aver vinto. Vivere, invece…è una scommessa rischiosa”. Le sue labbra
si incresparono in un sorriso malizioso. “Ed è proprio per questo che mi piace” Andiamo…di’ qualcosa. “Io…”
“Avanti, scegli. Siamo stati chiari entrambi: a seconda della
tua risposta, uscirò dalla stanza e faremo come se non fosse successo nulla”.
Un po’ colpevole, si nascose le mani in tasca. “Mi dispiace di aver esagerato
con le mani, se non vorrai non lo farò più”
Shioka si voltò, passandosi più volte il dorso della mano contro gli occhi,
arrossati.
Aveva ucciso.
Poteva vivere serena. Però non sarebbe stata una vita vera, questo lo sapeva
anche lei.
Voleva rischiare?
Doveva
scegliere, adesso. E avrebbe scelto Kenren.
“Voglio vivere”
Kenren non poté che sorridere. Forse non si era mai sentito così…eccitato,
incredulo e inquieto, allo stesso tempo. Già una piccola parte di lui iniziava
a chiedersi se avesse fatto la cosa più giusta, ma
tale parte era completamente messa a tacere dalla contentezza. Era sua, ora,
più di quanto non fosse di Tenpou, o di Goku, o di
chiunque altro. Trasse le mani dalle tasche per toccarla, per sfiorarla,
qualsiasi cosa, ma quello che non si sarebbe aspettato, fu che ad avvicinare il
proprio viso al suo e a far combaciare le labbra in un bacio spontaneo e
consapevole, fu proprio Shioka.
Lo stomaco di Kenren si aggrovigliò come un calzino.
Il sapore delle lacrime era nuovo, per lui.
La sera era ormai
scesa; il cielo, così finto e così bello, splendeva di un blu ancora non del
tutto pieno; tirava una leggera brezza, che tuttavia non riusciva a rinfrescare
l’opprimente calura di quella giornata.
Konzen spalancò completamente la finestra, respirando a pieni polmoni l’aria,
nella speranza di dissipare l’atmosfera chiusa della stanza. Si soffermò
a guardare in lontananza i puntini luminosi che segnavano la presenza degli
abitanti del mondo celeste; udì senza ascoltarle le voci, arrabbiate,
entusiaste, atone, nelle strade principali che si diramavano poco oltre lo
spiazzo della propria abitazione. Nonostante fosse
ancora presto, nel palazzo non echeggiava più una voce: la servitù doveva già
essersi ritirata da tempo (odiava avere attorno a sé persone affaccendate per
eseguire i suoi ordini, quindi era sua abitudine liberarsene non appena finiva
di lavorare), le carte da firmare erano per una volta a posto, e la scimmia
dormiva, almeno al momento tranquillamente, nel futon
in quella stessa stanza.
Konzen si sciolse i lunghissimi capelli del colore del grano, osservandoli
distrattamente. Ormai, era passato molto tempo da quando
una certa stupida scimmia gli aveva detto che ‘splendevano come il sole’. Lui li aveva sempre considerati biondi,
punto. Non che gliene importasse granché.
Tintinnare di armi oltre i cancelli del palazzo. Un
paio di soldati, parlando a bassa voce e ogni tanto indugiando in una risatina,
stavano camminando a passo spedito.
Le milizie del mondo celeste. Quanto di più inutile esistesse.
Konzeon si ritrovò a formulare pensieri del genere,
mentre schioccava la lingua sul palato in quella sua maniera così seccante. I
suoi pensieri si trasferirono sul generale d’armata dell’Est, suo unico
‘amico’, come poteva definirlo, e su quell’antipatico eppure interessante del
suo coinquilino. Quella era gente che prima o poi
sarebbe finita male. E sarebbe finita male proprio
perché era gente con le palle al posto giusto. Che facessero pure ciò che li aggradava. L’importante
era che non coinvolgessero anche lui nei loro disordini: per il resto, non
erano affari suoi. Eppure…doveva ammettere che essere
tenuto all’oscuro delle manovre dei piani alti lo irritava parecchio. Certe
cose non le sapremo mai, se non ci prenderemo la briga
di scoprirle, aveva detto la vecchiaccia. E, tutto sommato, doveva
ammettere che per una volta aveva ragione. Se, come
aveva insinuato Tenpou, nelle manovre c’entravano gli esseri eretici in seconda
persona, lui prima o poi sarebbe stato coinvolto. E la sua scimmia non si toccava. Alle sue proprietà non ci
si doveva avvicinare.
Pensando che urgevano un altro paio di chiacchiere con Tenpou, Konzen si voltò,
udendo un debole mormorio alle sue spalle. Ovviamente era la scimmia che
parlava nel sonno.
Seccato, scostò le coperte del proprio letto, scaraventandole letteralmente sul
pavimento per non trovarsele tra i piedi con il caldo che faceva, e si gettò
con la testa sul cuscino. Rimase per un paio di secondi con gli occhi aperti,
senza trovare la sonnolenza sufficiente a chiuderli; cambiò più volte
posizione, mettendosi infine di fianco, con il viso rivolto verso il futon della scimmia. Una volta Goku, svegliandosi e
trovandolo a sua volta sveglio nel letto con gli occhi
aperti, gli aveva consigliato di contare le pecore che saltavano il recinto, e
anzi, come faceva lui, di contare i nikuman che
finivano immaginariamente nella sua bocca. Solo che, la scimmia aveva
confessato, la maggior parte delle volte, più che sonno, quella visione gli
richiamava una fame incontenibile. Il consiglio era stato premiato con una
sonora successione di pugni in testa preceduta da una cuscinata
in pieno volto.
Intanto la sonnolenza era già scesa, e inspiegabilmente aveva iniziato sul
serio a vedere dei nikuman saltellanti, quindi,
maledicendo le idee balzane della scimmia, si voltò di
scatto, sistemandosi, sempre di fianco, con il viso verso la finestra. Questa
volta il sonno iniziò a scendere, diluendo ogni pensiero, passato presente o futuro, immagine o ricordo.
Non sentì quindi distintamente il rumore dietro le proprie spalle; Goku si era
raggomitolato contro la sua schiena.
“Che c’è, scimmia?”, mugolò infastidito il biondo, troppo assonnato al momento
per alzarsi e picchiarlo.
“Io…”, mormorò Goku, la voce assonnata e lamentosa, stringendosi più a Konzen.
“Ho fatto un brutto sogno. Ho sognato…che mi portavano
via da Konzen”
Il biondo non rispose. Non aprì nemmeno gli occhi. Si limitò a sospirare e a
rilassare la schiena.
“Non ti porteranno via da me”, mormorò il biondo, un attimo
prima di scivolare completamente nel sonno con il ragazzino nel suo
letto. Quella frase, pronunciata dall’apatico, freddo, misantropo Konzen Douji,
segnava l’inizio di un’accettazione definitiva e inconfessata d’affetto verso
qualcun altro. Ma il Tenkai non presupponeva l’affetto tra le sue
manifestazioni.
Intanto,
un’altra definitiva accettazione avveniva altrove, per la precisione in una
delle più discrete e nascoste macchie verdi del Tenkai. Una macchia verde
frequentata solo da chi ne apprezzava il silenzio, il
frusciare delle foglie nei rami, il mormorio del fiume che la attraversava, la
solitudine.
In quella macchia verde, due persone stavano distese su un lenzuolo, al momento
in silenzio. Kenren, nudo sino alla cintola, e con addosso solo un paio di boxer neri, sovrastava con il fisico asciutto e modellato il
corpo completamente svestito, e apparentemente fragile, di Shioka. Cicatrici lo
deturpavano un po’ ovunque, ma aveva conservato una
freschezza palpabile, e una sensualità individuabile in ogni movimento o
atteggiamento. Il respiro della divinità era irregolare, gli occhi puntati su
ogni centimetro visibile di quella pelle così a stretto contatto con la sua,
un’eccitazione non nascosta.
Kenren passò le labbra sulla calda curva dei suoi seni, salì il dolce pendio
del suo collo e ricongiunse la propria bocca con quella di Shioka. La sua mano,
naturalmente e con fare esperto, scese ad accarezzare l’inguine della ragazza,
che rabbrividì al contatto.
La sensazione della soffice peluria della sua intimità sotto i suoi
polpastrelli fece aumentare non di poco la sua
erezione, alimentata da stimoli visivi e tattili. Fece scivolare le dita ancora
di più verso la zona centrale, mentre le labbra ripercorsero lo stesso sentiero
di prima, in maniera inversa, tornando ai suoi capezzoli.
Sentì il corpo della ragazza sotto di lui irrigidirsi di
colpo, contemporaneamente ad una nuova sensazione tattile che lo lasciò
perplesso. Seppur di malavoglia, Kenren si staccò
dalla pelle di Shioka per portare lo sguardo tra i suoi inguini. Una cicatrice,
lievemente in rilievo sotto le sue carezze esperte, attraversava
trasversalmente l’ingresso della vagina di Shioka.
Si sentì un nodo in gola, mentre avvertiva la ragazza sotto di lui irrigidirsi
un po’ di più e cambiare posizione.
Shioka si tirò su. Un singulto le attraversò il petto, mentre chiudeva le gambe
contraendo i muscoli delle cosce.
“Scusami”, disse, la voce che le tremava leggermente. “Io…”
Non continuò, perché Kenren le aveva aperto le gambe,
e le stava percorrendo la cicatrice con le labbra. Sussultò.
“Ti ho fatto male?”
Shioka scosse la testa. “Non tu. E’ che…avevo quasi
dimenticato…”
“Ti hanno fatto violenza?”
“Non nel senso proprio del termine”. Abbassò lo sguardo. “Ma mi hanno violata con le dita…e con…”, strinse i pugni, “Con un coccio
di vetro. Mi chiedo ancora come faccio ad essere viva,
e perché. Ho perso tanto sangue da passare giorni in stato di semincoscienza, ad osservare le pozze sotto di me. Mentre lo facevano urlavo. Urlavo a squarciagola.
Speravo che la smettessero, che mi sentisse qualcuno, ma…ero sola”
Kenren raggiunse le sue labbra e la baciò ancora, liberandosi completamente dai
boxer.
“Allora…non hai mai provato una sensazione del genere. Sta’ calma e
rilassati…”. Le sue labbra le baciarono gli occhi, il seno, il ventre, poi il pube.
Introdusse piano un dito, ruotandolo delicatamente, e trovandolo bagnato. Quindi, appoggiando gli avambracci ai lati della testa di
Shioka e molleggiandosi sulle gambe, iniziò a penetrarla.
Il primo gemito della ragazza non si fece attendere. Kenren non seppe se fosse
di piacere o di dolore. Tuttavia continuò e,
puntellandosi sulle ginocchia, spinse ancora di più.
“Senti un gran calore…vero?”, mormorò il rosso, il respiro sempre più stentato,
continuando ad affondare.
“Kenren…basta…non va giù più di così…”, mormorò l’altra con voce spezzata.
“Shttt”, fece lui, piantando i palmi per terra e
spingendo più con l’anca. Affondò ancora un po’ nel corpo di Shioka, sentendo
che la lucidità lo andava pian piano abbandonando.
La ragazza
si lasciò sfuggire un altro gemito.
“Adesso…inizio
a muovermi”
Sentì che
Shioka gli portava le braccia alla schiena e stringeva. Iniziò
a muoversi su e giù, prima lentamente, poi sempre più violentemente. Le
mani della ragazza risalirono la schiena e si portarono alla base della nuca,
esercitando una lieve pressione verso il basso. Kenren emise un buffo mugolio
di soddisfazione e compiacimento, aumentando il ritmo e accelerando il respiro.
Ora, tutto ciò che risuonava nel posto, era qualche gemito a stento trattenuto,
un respiro affannoso, e un ansimo profondo e sempre più agitato.
A Shioka
parve per un attimo che la lucidità di Kenren fosse scomparsa
del tutto, lasciandogli addosso un ‘uomo’, ansioso di godere sempre di più e di
venire dentro di lei. Ma poi Kenren fece scivolare le
braccia e intrecciò le mani con le sue, stringendole. Le rivolse un ultimo
sguardo, prima di chiudere gli occhi e di venire, inondandola da dentro di un
calore unico, che per un attimo le fece dimenticare l’intero mondo attorno a
lei.
Un attimo prima, non esisteva altro che la pressione delle mani di Kenren sulle sue,
il suo respiro esausto. Quello dopo, il nulla totale. Solo
quella sensazione di calore dentro di lei. Quella voglia di esplodere.
Kenren
cadde spossato di fianco a Shioka, la sensazione che questa volta gli sarebbe
occorsa un’eternità per riprendersi dall’orgasmo per poi ricominciare. Affondò il viso nella spalla della ragazza, e nessuno, per un po’,
disse più nulla. Quando Kenren dispose
nuovamente del fiato per parlare, mormorò: “Tutto bene?”
Shioka
annuì, lasciandosi sfuggire un ultimo, profondo,
sospiro. Il suo respiro era ora tornato regolare, quindi chiuse gli occhi e si
abbandonò a quella sensazione di tranquillità che le trasmettevano
i battiti, ancora così agitati da essere uditi, del cuore di Kenren, e il suo
respiro ancora affannoso.
Nessuno
dei due si mosse più per alcuni minuti lenti come ore. Quando pulsazioni e respiro furono tornati normali,
Kenren si tirò su. Cercò a tentoni la giacca,
traendone accendino e sigarette, e accendendosene una, poi cambiando
improvvisamente idea, riprendendola e spegnendola nel terriccio. Allontanò
pacchetto, accendino e giacca con un calcio.
Shioka giaceva distesa accanto a lui, gli occhi aperti, lo sguardo perso verso
l’alto, come l’avevano ritratta le sue notturne fantasie erotiche a lei
dedicate, le settimane precedenti. Aveva fatto di tutto per convincersi che era
la naturale conseguenza dell’averla vista nuda quella notte nel torrente, che
sarebbe stato lo stesso per qualunque altra, ma non era così, e in fondo
l’aveva sempre saputo.
Stette ancora per un pezzo a rimirare la sua pelle, che un tempo doveva essere stata bella, cosi chiara com’era, e che ora era attraversata
da cicatrici, alla stregua di macabri ghirigori su un muro.
Ora che poteva osservarla senza il rischio di essere malmenato dalla ragazza,
si appoggiò sui gomiti e iniziò a far vagare lo sguardo su ogni centimetro del
suo corpo a lui visibile. I seni, piccoli e ben fatti, dai capezzoli rosa, che
adesso avevano assunto una colorazione più rossastra, il fisico minuto, che però recava evidenti segni di ripresa: non più spigoloso
come quando era arrivata, ma armonico.
La sua attenzione fu catturata dalla cicatrice più evidente di tutte; gliela
percorse con un dito, sfiorando in questo modo la pelle sopra il seno sinistro,
attraversando il solco, scendendo fino alle ultime costole.
“Si vedeva…da sotto il vestito”, mormorò, “Ma non pensavo che fosse così
estesa”
“Già…non mi ricordo bene quando o come me l’hanno fatta. Forse…con
un coccio d’argilla, o qualcosa del genere. Però
ricordo il dolore e il sangue”. Parlare di quelle umiliazioni le risultava estremamente doloroso e frustrante. Però,
nel momento in cui aveva scelto di stare con Kenren e di non distogliere più lo
sguardo dal mondo, adattandovisi, ma anzi, fissarlo con sicurezza e fiducia in
se stessa, implicitamente aveva scelto anche di venire a patti con il suo
passato. Non di dimenticarlo, quello era impossibile, ma ancora di più codardo.
E lei lo era stata fin troppo, era venuto il momento
di essere forte. Ed essere forte non significava continuare a
espiare, perché quello era solo un meschino modo di mascherare la realtà:
significava continuare a vivere con un peso dentro e a sostenerlo con tutte le
sue forze. Significava vivere il più degnamente possibile, cercando di essere felice; lo doveva a se stessa, ma lo doveva anche
alle persone che si erano presecura di lei: a cominciare dai suoi genitori, per concludere
con Tenpou e specialmente con Kenren.
“Non vale
la pena di pensarci adesso”, mormorò il rosso, percorrendole ancora la
cicatrice, questa volta con le labbra.
“No.
Però…io sarò forte”, rispose l’altra, più a se stessa che a Kenren, stringendo
le labbra.
“Lo sei”,
rispose la divinità.
Shioka si
lasciò solleticare, piacevolmente soddisfatta. Gli cinse la testa con le
braccia e lo attirò di più a sé.
“Uhm…stiamo
tentando di recuperare il tempo perduto?”, chiese Kenren, tramutando lo
sfiorare delle labbra in piccoli morsi affamati.
“Vuoi
andartene via?”
“Neanche
per sogno, mocciosa”, rispose l’altro allungando le braccia, appigliandosi alle
sue spalle, e tirandosi su di lei, facendo combaciare i due bacini. Si appoggiò
con i gomiti ai lati della testa di Shioka, e chinò il viso per baciarla
ancora. Sentì il bacino della ragazza inarcarsi automaticamente.
“E allora
recuperiamolo, questo tempo perduto…”, mormorò mentre
sentiva che il suo corpo reagiva nuovamente, e piuttosto violentemente, al
contatto con il bacino di Shioka.
La ragazza
gli accarezzò la schiena, sorridendo soddisfatta. “Voglio sentirti di nuovo
dentro di me”
“Sei…così
calda…”, sussurrò appena Kenren, facendosi ancora
strada dentro di lei. Incrociò gli avambracci, mentre Shioka vi poggiava su la
testa. Strinse le gambe attorno ai suoi fianchi, sussultando
mentre seguiva i movimenti di lui.
“Mi
permetterai ancora…di essere così vicino a te come stanotte, vero?”, mormorò Kenren mentre il suo respiro affannoso si trasformava in
violenti ansimi.
Shioka
trattenne a stento un gemito. “Finchè…ci sarà
permesso…mi auguro di sì”
Kenren non
parlava più. Ora era tutto preso a tentare di carpire ogni più piccolo momento
di piacere, ogni minima sensazione di calore, ogni
percezione. Gocce di sudore andavano scivolandogli sulle
tempie, mentre, le labbra serrate e gli occhi socchiusi, cercava di
arrivare più a fondo, ancora più a fondo. Quanto a fondo si può penetrare in
una persona? E’ possibile toccarne la parte più profonda?
Con le
mani, affondate nel lenzuolo, spingeva. Shioka gli stava stringendo le braccia
in una stretta contenuta, e premendo nella vita con le ginocchia. Ogni più
piccolo muscolo del suo corpo era teso come una corda di violino.
Fu allora
che, in uno spasmo incontrollabile, venne, lasciandosi sfuggire un gemito. Anche questa volta, la
sensazione di nebbia più totale la avvolse completamente, al punto da farle
invocare il suo nome senza nemmeno averne coscienza.
Con il cuore che gli batteva a mille e la vista annebbiata, il respiro
affannoso, riversò tutto il suo peso sul corpo di Shioka, immobile, gli occhi
chiusi, per alcuni secondi. Ansimò ancora per qualche secondo, non potendo né volendo
muoversi da quella posizione.
Lentamente si gettò di lato, afferrandola e stringendosela al petto. “E con questo sono due. Tsk, tsk, ancora troppo poco. Voglio
continuare…per tutta la notte”
Shioka sorrise, chiudendo cautamente le gambe e riavviandosi dietro le orecchie
i capelli. Si asciugò il sudore dalla fronte. “Lo faremo. E lo faremo ogni
momento in cui saremo sicuri di non essere visti”
“Ho trovato una buona allieva, allora…”, scherzò la
divinità.
Pochi secondi di silenzio. Il tono di voce di Shioka cambiò
improvvisamente.
“Senti…pensi che sarebbe il caso di…parlare a Tenpou di tutta questa storia?”
Kenren tacque per un attimo. “Vorrei…aspettare un po’. Mi fido ciecamente
di lui, senza dubbio…ma…non vorrei metterlo in
difficoltà. Non voglio che mi copra anche questa volta, non so se mi sono
spiegato. Però so che devo farlo…ho solo da trovare il
momento e il modo migliore.”
Lei annuì. “Ho capito. Se pensi sia la soluzione
migliore…”
Sospirò.
“Kenren…come credi che finirà?”
L’altro non rispose subito. “Vuoi proprio saperlo?”
Shioka annuì.
“…Non bene. Le sceneggiate non durano in eterno, e il futuro che ci aspetta non
è del tutto roseo…anche per altre ragioni. E’ guerra fredda, Shioka, tra Tenpou
e il generale Li Touten. E
neanche questa potrà durare in eterno. Nonostante tutto questo…”,
le sollevò una ciocca di capelli e avvicinò le labbra al suo orecchio.
“…io non voglio tornare indietro”
Shioka sorrise, sollevandosi e mettendosi a cavalcioni sul suo torace. “Nemmeno
io, Ken. Ormai ho scelto”
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 24/02/08]
Commenti: Innanzi tutto le mie condoglianze a chi ha già iniziato la scuola.
Io prima dovrò sostenere un test per entrare alla facoltà di Lingue e culture
moderne (spero successivamente di fare un master di
lingua giapponese, l’unica mia passione), precisamente il 23, altrimenti dovrò
scegliermi in tre giorni un’alternativa.
Mi dispiace, ma la mia mentalità è: quando sarò sicura che non mi avranno
presa, ci penserò. Adesso non ne ho la capacità.
Parliamo del capitolo: se nella ‘realtà’ avevo descritto una scena di sesso
molto velata, questa volta ho voluto essere più esplicita, perché più ‘crudo’ e
‘adulto’ è il tono delle vicende del Tenkai. Spero di non
aver urtato la sensibilità di nessuno, avendo posto sin dall’inizio il rating R
(moderato) e non il PG17. Fatto sta che credo che quasi nessuno pensi al
rating quando si appresta a leggere una fic, e comunque non credo che il mio modo di descrivere
certe situazioni sia vm18 (certe autrici mettono rating vm18 anche se appena il
loro testo contiene parolacce. Allora, ogni mia frase dovrebbe essere vm18…non
sono decisamente una con peli sulla lingua o dalla
bocca pulita…e questo mio modo di parlare si riflette sul mio modo di scrivere
– l’ironia stessa dei personaggi è di provenienza personale, perché è con
l’ironia che affronto la vita)…se qualcuno si lamenterà dicendo: scrivi cose
pornografiche!, lo prenderò come un complimento…:p. Ma
soprattutto, spero di non essere stata troppo volgare.
Comunicazioni: un bel ‘bentornata!’ per Pois, in tutti i sensi, sia per aver
ricominciato ad aggiornare che per aver ricominciato a commentare. Per Palanmelen:
come vedi la signorina ha smesso di farsi ‘pippementali’…Quanto a Tenpou, lo vedremo all’opera nel prossimo
capitolo…Per Nadia: ti ringrazio
per i complimenti sull’interpretazione del Tenkai…in effetti, è una saga di
saiyuki che adoro, e la mia prima fic, vecchia e
orribile, era proprio incentrata sulle pre-reincarnazioni
dei quattro bellissimi…Per DeepDerk: come
vedi, il capitolo che non avevi letto in anteprima è arrivato…scritto tra l’altro,
per una buona parte, in classe al primo banco…(la prof parlava e io scrivevo lemon…come gira il mondo!). Per Black Moody: Le cose alla fine si sono smosse eccome, e anche un bel po’
velocemente, ma tutti conosciamo fin troppo bene il
nostro kappa pervertito…che tanto kappa non era, nel Tenkai. Per Nasty86: Buona fortuna per gli esami di ammissione, se non li hai ancora sostenuti…grazie per
essere passata a leggere e commentare nonostante i tuoi impegni. Per Kanochan: presto le cose precipiteranno, per colpa di Li
Touten…Per Barbara: il
ritorno alla normalità dovrà attendere ancora qualche capitolo, ma ti anticipo
che per alcuni sarà alquanto traumatizzante…Per Kairi84: la passionalità di Kenren come al
solito ha sovrastato il buonsenso…e come tutte immaginavate, si è dato fin
troppo da fare per ottenere quello che voleva. Infine,
ringrazio la new entry Lady Snape, facendole ancora i complimenti per la bella fic che ho letto e commentato.
Volevo segnalarvi infine che il prossimo capitolo deve
essere scritto ex-novo, quindi forse ci vorrà un po’ di tempo…ma naturalmente
tutto dipende dall’ispirazione, quindi spero di mettermi a scrivere il prima
possibile. Grazie ancora a tutte, spero che continuerete a seguire i prossimi
sviluppi della fanfiction.
Shioka passeggiava tranquillamente,
indecisa su dove recarsi.
La giornata, al contrario di quella precedente, era fresca e piacevole, e le
nuvole bianche nel cielo sopra di lei si muovevano sospinte dal venticello.
Non pensava a nulla. Se avesse iniziato a pensare, si sarebbe sentita in torto,
per quello che era successo tre giorni prima, e che si
era ripetuto anche la sera precedente. Aveva fatto l’amore. Si sentiva come se
avesse cancellato sette anni di torture fisiche in due notti. Due notti
intense, durante le quali aveva riso, aveva goduto,
aveva sentito che le sue forze venivano canalizzate in qualcosa di…piacevole.
Tenpou, in casa, non sapeva ancora nulla. Probabilmente immaginava, ma Kenren
si era ripromesso di dirglielo quella sera stessa. Così si era allontanata sin
dal primo pomeriggio, per rilassarsi imponendosi di non pensare. L’unica cosa a
cui concedeva ai suoi pensieri di rivolgersi era la
macchia verde, il loro posto. Il suo posto, che
ormai aveva trovato. E, parola sua, questa
volta avrebbe combattuto fino allo stremo pur di non perdere quello che aveva.
Rumori di passi pensanti e imponenti, appartenenti senza dubbio a miliziani,
almeno a giudicare dal rumore metallico di katane e
armi varie, giunse sino alle sue orecchie, ma non se ne preoccupò.
Ormai gli screzi, trascorsa la novità del suo arrivo, si erano fatti rari.
Continuò dunque a camminare tranquillamente, finché non fu ovvio che i
miliziani, tre, avevano cambiato bruscamente direzione per dirigersi verso di
lei. Non affrettò il passo, tuttavia. Si fermò, voltandosi tranquillamente, e
attendendoli.
“Gentile da parte tua, aspettarci”, parlò uno dei tre quando
fu arrivato nei suoi pressi, dinoccolandosi con le braccia incrociate.
“Non avevo voglia di affrettarmi”
“Allora, dato che hai tanto tempo per te, non ti dispiacerà troppo seguirci,
immagino.”
La ragazza si portò le mani ai fianchi, sulla difensiva. “E
con chi ho il piacere di parlare?”
“Questo non è importante”, interloquì uno degli altri due.
Shioka lasciò vagare lo sguardo sul volto di tutti e tre. “Se
si tratta di un colloquio formale, conto che ci sarà già una comunicazione ufficiale
sulla scrivania del maresciallo Gensui. In caso contrario…non ho la minima intenzione
di seguirvi.”
Il terzo, grattandosi una delle basette, sospirò divertito. “Una donna dal
carattere forte. Se unirsi ad un essere eretico non fosse
un delitto, ti assicuro che già molte persone ti avrebbero messo le mani
addosso. Peccato, magari ti avrebbero inculcato un po’ di
rispetto in quella testolina da donna”
“Smettila. Siamo qui per un motivo ben preciso”, lo
riprese bruscamente il primo che aveva parlato.
“Benissimo”, lo interruppe Shioka. “Posso sapere qual è, allora?”
“Il nostro signore vorrebbe discutere con te”
Le labbra di Shioka si piegarono in un sorriso divertito. “Riferite al sommoLi Touten
che non ho alcun argomento di discussione da intrattenere con lui”
I tre miliziani si guardarono per un momento, incerti.
“Non dovresti gettare al vento l’occasione di parlargli, donna”
“Non ho intenzione di intrattenere alcun rapporto con lui”
“Sei poco intelligente. Quello che il nostro signore vorrebbe proporti, è
semplicemente di metterti sotto la sua protezione”
“Per l’appunto, non sono stupida. Quindi…vogliate riferire al vostro signore
che mi vedo costretta a declinare la sua gentile offerta”.
Sorrise tranquillamente.
“Te ne pentirai”
La voce di Shioka si abbassò notevolmente.
“E’ una minaccia?”, soffiò.
L’aria parve congelarsi per un istante, durante il quale lo sguardo di Shioka
si scontrò con quelli dei miliziani.
“Non è
una minaccia…è solo un avvertimento”, disse infine il primo dei tre, voltandosi
e facendo cenno agli altri di allontanarsi.
“Tenpou…”, sospirò Kenren, “Dobbiamo parlare”
Si diede mentalmente dell’idiota, mentre si muoveva su e giù davanti alla porta
chiusa dell’ufficio del generale. “No, così va troppo sul melodrammatico! Vediamo…”
Incrociò le braccia sul petto. “Tenpou…ho fatto sesso con Shioka, e né
tu né il più potente bigotto del Tenkai potranno farmi pentire di ciò!”
Scosse ancora la testa. “Ma no, così è troppo
arrogante! Non sono davanti alla corte celeste!”
“Tenpou…parliamo tutti e due da uomo a uomo, ti va?”.
Annuì. “Ecco, così è perfetto”. Alzò il braccio per bussare.
“Scusa, Kenren, ma stai parlando da solo?”, lo sorprese alle spalle il
suddetto interessato, con una pila di libri in mano.
Il rosso sobbalzò, poi si voltò verso l’amico con un
sorriso sorpreso e imbarazzato. “Oh, beh…in realtà…” Maledizione, questa
volta non rispondeva perché non era nella stanza! “Aiutami, aprimi la porta”, chiese gentilmente il generale, avendo entrambe
le mani occupate, senza però sorridere.
“Ah…sì”, fece Kenren, facendo girare la maniglia.
Il generale si fece strada tra i cumuli di libri,
depositando per terra quelli che aveva in mano. “Dovrebbero essere gli ultimi
in giro per casa. Ho deciso che oggi farò un po’ d’ordine, Goku ha convinto
Konzen a venire a darmi una mano”
“Oh…”, fece Kenren, ancora imbarazzato. “Mi dispiace,
ma non potrò esserti d’aiuto oggi, perché hanno indetto un raduno militare
nell’edificio principale”
“Un altro? Perché non sono stato avvisato?”, chiese
Tenpou alzandosi.
“Perché è stata convocata solo la sezione Ovest”, puntualizzò il rosso.
“C’entrerà di sicuro Nataku: mille a uno che gli
affideranno un’altra missione. Spero solo che le sue condizioni di salute siano migliorate dall’ultima volta che l’ho visto”
“Uhhm, Kenren?”, si accigliò il generale
aggiustandosi gli occhiali. Per un attimo i suoi occhi sparirono dalla visuale
di Kenren, sostituiti dal riflesso sul vetro delle lenti, cosa che fece venire
i brividi al rosso.
“Che c’è, Ten?”, chiese di rimando Kenren, sorridendo, forzando gli angoli
della bocca.
“Non riesco a trovare altra spiegazione al fatto che
tu sia ‘dispiaciuto di non potermi dare una mano a mettere in ordine lo studio’, se non quella che ti sei di nuovo messo nei guai.
L’ultima volta che mi hai aiutato spontaneamente a riordinare
è stato quando ti sei...intrattenuto…con la moglie del generale dell’armata del
Nord, che ti avrebbe volentieri fatto sputare l’anima”
“E…?”, tentò di deviare il discorso l’altro.
“E non ti ho mai visto esercitarti sul tono da assumere per parlarmi davanti ad
una porta chiusa”, concluse con un gran sorriso il generale.
“Veramente…infatti, volevo appunto parlarti…”. Kenren si sentiva l’acqua alla
gola. Ci mancava poco che iniziasse a boccheggiare.
“Prego, allora”, lo incitò gentilmente Tenpou sedendosi sul pavimento con le
spalle sulla scrivania. Tra le mani si rigirava l’orrido e ridicolo posacenere
a forma di rana con la bocca aperta, dentro la quale stava accatastata una
massa informe di mozziconi di sigaretta.
Kenren sospirò e si sedette accanto a lui. Dopo aver storto il naso alla vista
del posacenere estremamente kitsch che Tenpou si
ostinava a non voler buttare, si portò le mani alla cintura e sganciò la
fiaschetta di saké, dalla quale attinse un lungo sorso.
Fu invaso dalla consueta vampata di calore, che si dileguò subito; si passò la
lingua sulle labbra per assaporare ancora un attimo la dolcezza della tiepida
bevanda alcolica bevuta. Offrì la fiaschetta a Tenpou, che la rifiutò con un
cenno del capo.
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza, senza guardare negli occhi Tenpou.
“Io e lei…è successo”, disse infine,
certo che l’amico avrebbe capito.
Tenpou sospirò; si tolse gli occhiali lentamente e se li ripulì sul camice. Gli
piaceva, quel brivido che provava quando riusciva a
intuire qualcosa prima che accadesse. Ma, in certi
casi, era estenuante macerare nel margine di scarto che restava tale finché le
intuizioni non diventavano realtà inconfutabile.
“Lo immaginavo”, rispose semplicemente. L’atmosfera fin
troppo palpabilmente fredda che aleggiava in casa tra i due da alcuni
giorni, un paio di sguardi che aveva intercettato, erano elementi inequivocabili.
E lui non credeva alle coincidenze.
Nessuno parlò per decine di secondi. Poi Kenren s’inumidì le labbra e continuò,
più deciso. “Non me ne pento, Ten: lo farò ancora. Non
è come sembra…”, fece mettendosi tra le labbra una
sigaretta e offrendone il pacco all’amico. Si pentì subito della frase che
aveva usato: sembravano le classiche parole di un bambino colto con le mani nel
vaso della marmellata, o di una moglie beccata in castagna dal marito a letto
con l’amante.
Tenpou annuì e, avvicinato il pacchetto alle labbra, ne tirò fuori una
sigaretta, che si accese. Si avvicinò a Kenren e accese anche la sua. “Che
vorresti dire con quel ‘non è come sembra’?”
“Che non ho fatto quello che ho fatto perché non sapevo che altro fare. Il
problema è che…”
“Il problema è un vero problema”, concluse per lui
Tenpou annuendo. “Mi sarei preoccupato meno se mi avessi
detto che è stato un episodio, nulla di più”
Il rosso non rispose, né mosse la testa.
“Quando ci sono di mezzo i sentimenti, le cose diventano indistricabili”,
soggiunse Tenpou.
Kenren sospirò, aspirando a fondo il fumo della sigaretta, fin quasi a
sentirselo nello stomaco. “La situazione è questa. Si può dire
che abbiamo una relazione, per quanto il termine sembri ridicolo”
“Relazione? Credevo di avere io l’esclusiva!”, scherzò il moro, ma poi tornò
serio. “Tu sai cosa rischi, vero?”
“E’ naturale. Ma proprio adesso che sto rischiando, mi
sento di vivere”, rispose, ricordando le sue stesse parole dette a Shioka.
Tenpou inclinò la testa sorridendo lievemente, la sigaretta in mano. “Se sai già a cosa vai incontro, non ho più nulla da dirti se
non: Buona fortuna!”
Kenren non sorrise. Il sorriso di Tenpou era sincero e affettuoso, ma metteva a tacere troppe cose. “Tenpou…finirà male, vero?”
L’altro si strinse nelle spalle. “Finirà sì, ma non so
dirti come. Questo dipende da voi. Il problema non è se l’equilibrio si spezzerà…ma quando”.
Tenpou spense la sigaretta nel posacenere. “Goditi questi giorni, Ken, potrebbero essere il bottino più prezioso della tua
intera esistenza”. Kenren…hai imboccato una via lunga e
tortuosa. E nessuno ti assicura che ci sia la luce, in
fondo. Ma so che la seguirai fino alla fine, ormai.
Li Touten, affacciato alla finestra,
guardava la strada di sotto con impazienza, le mani incrociate dietro la
schiena. Il vetro rifletteva il suo volto invariato negli anni: la stessa barba
ispida, la stessa malizia infida dipinta negli occhi
piccoli, lo stesso sguardo superbo.
Gensui e
la sua manica d’idioti avevano i giorni contati. Che si divertissero pure, come avevano fatto giorni prima alla
festa dell’imperatore celeste, trasformandola in una farsa: presto si sarebbe
divertito lui. Ballando sul cadavere degli esseri
eretici e, perché no, anche su quello di Gensui, Taisho, Douji. Ma, soprattutto, ballando sul trono dell’imperatore celeste.
“Avete
un piede nella fossa….”, mormorò a bassa voce. “Un
passo falso, uno qualsiasi…e convincerò l’imperatore a reclamare la vostra
testa su un piatto d’argento” I tempi sono ormai maturi…
…ed è tempo di pensare a come chiudere la partita. Le pedine avevano ormai iniziato a muoversi; tutte, da
quelle bianche a quelle nere; e quasi tutte appartenevano a lui. Quei
pochi pezzi bianchi ancora liberi stavano per essere circondati.
A dirla tutta, due pezzi rimanevano ancora al centro della scacchiera, né neri
né bianchi. Uno era biancastro, ma poteva trasformarsi in nero in un nonnulla,
l’altro era grigio: impossibile dire, dunque, a quale schieramento si sarebbe
unito.
Il pezzo grigio: Ryuu Ou Sekai Gojuin.
Il pezzo biancastro: la donna eretica.
“Tsk. Solo una donna: voltagabbana, stupida, infida”, commentò Li Touten facendo il giro della stanza ad ampi passi.
“Portarla dalla parte della mia causa non sarà troppo difficile. Basterà
intimidirla, vezzeggiarla un po’ non appena sarà alla mia presenza, e cederà.
Senz’altro. Tutte le donne sono così”
Quanto diavolo ci mettevano i suoi uomini a portargli
la ragazza?
Si fregò le mani, costringendosi a restare composto com’era consono a una
persona della sua importanza, appoggiandosi alla poltrona. Se la donna non avesse accettato di collaborare…
…sarebbe finita male. Insieme agli altri.
Un lieve bussare alla porta lo fece quasi sobbalzare. Si affrettò a far ruotare
la poltrona verso la porta, ringhiando un ‘avanti!’.
Un servitore aprì timidamente la porta con un inchino, rimanendo lì, la schiena
piegata in due, ad attendere il permesso di parlare.
“Parla”, buttò giù lì Li Touten, senza tradire la delusione provata nello
scoprire che non erano i suoi uomini. “Cosa c’è, dunque?”
“Signore…”, mormorò il servo, “C’è un messo del Sommo Imperatore Celeste che
chiede di voi”
“Che aspetti? Fallo entrare!”, ordinò la divinità, lisciandosi
il pizzetto con fare compiaciuto. E fu ancora più compiaciuto nel vedere
entrare il fido messo dell’imperatore, colui che si
faceva formalmente portavoce degli incarichi da affidare.
“Sommo Li Touten…”, mormorò il dio prostrandosi, “Il Consiglio Celeste richiede
la convocazione del Dio della Guerra per oggi pomeriggio. Un nuovo incarico gli
verrà affidato, i dettagli vi saranno comunicati
personalmente dal Sommo Imperatore Celeste in persona”
“Comunica al Sommo Imperatore Celeste che saremo più che puntuali, e ben felici
di poter portare a compimento una missione volta alla salvaguardia del regno
celeste e di quello terrestre”, rispose, con tono di finta umiltà, Li Touten. Magnifico…non potevo chiedere nulla di meglio! Il
prestigio del nome Li Touten aumenterà a dismisura
agli occhi dell’imperatore…finché… “Con permesso…”; la divinità s’inchinò ancora e uscì dalla stanza,
chiudendosi la porta alle spalle. Poco ci mancava che Li
Touten iniziasse a spiccare salti per la contentezza. Si era quasi dimenticato
dell’importante ospite che attendeva.
Quel mostro…il Dio della Guerra…era stata per lui una
benedizione. Ricordava ancora quando aveva stretto il
neonato per la prima volta, non ancora del tutto formato, e grondante sangue e
liquido amniotico, sentendosi tra le mani tutto il potere del Tenkai. Quell’essere…creato artificialmente nei laboratori
sotterranei del suo palazzo…la cui vista aveva fatto perdere il senno alla
moglie. Piccoli sacrifici da pagare in nome del potere. Della moglie non poteva
importargliene di meno. Quell’essere…non nato, creato, costruito, grazie a
lui…gli avrebbe obbedito fino alla morte, ne era certo. Una bambola, ecco come
Nataku era conosciuto nel mondo celeste…ed ecco cos’era in realtà: una bambola
assassina. Pronta a sporcarsi di sangue ai suoi ordini…
Un nuovo bussare non si fece attendere. Sempre più impaziente, Li Touten si carezzò ancora una volta la barba ispida,
comandando nuovamente ‘avanti!’.
E, questa volta sul serio, non rimase deluso, quando vide i volti degli uomini
che aveva mandato per…la missione speciale.
Almeno finché non vide che gli uomini non erano accompagnati dall’ospite che
aspettava con impazienza.
“Dov’è la ragazza? Allora?”
“Sommo Li Touten…”, mormorò uno dei tre uomini,
prostrati a terra, “Non ha voluto intendere ragioni. Se la Vostra Signoria ci
avesse concesso di usare la forza, magari…”
Li Touten imprecò a bassa voce. “No. Avreste dato nell’occhio
a tutto il regno celeste”
“Ma signore…”, fece uno degli altri due, “La ragazza è meno stupida di quanto
pensassimo tutti noi. Ha subito intuito per conto di chi…”
“Cosa? Come diavolo…”
Ghignò. Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Evidentemente la donna era
stata ben istruita dal maresciallo Gensui. Aveva già calcolato la possibilità
che Gensui le avesse spiegato le faccende del Tenkai. E, se l’aveva fatto, l’essere eretico doveva possedere
un’intelligenza superflua. Doveva averla messa in guardia contro di lui. Ben fatto, Gensui. Avresti dovuto lasciare quella donna nell’ignoranza, così
non mi è di alcuna utilità…Hai segnato la sua sorte. “Mio signore…cosa dobbiamo fare?”
Li Touten si voltò verso la finestra. “Toglietela di mezzo, appena potrete, nel
modo più pulito possibile”
“Tennichan? Dove li metto questi?”
Il bambino saltellava qui è lì, con una pila di libri e pergamene in mano, che
oscillavano pericolosamente a ogni suo balzo.
“Oh, ordinali nello scaffale, Goku”, rispose Tenpou, sorridendo, chiudendo il
libro che aveva in mano e riponendolo a sua volta su uno scaffale.
“Sono venuto qui solo perché mi ha pregato Goku”, mormorò Konzen, “Ma perché
devo aiutarti a pulire il tuo studio?”, continuò, con voce scocciata, mentre
spolverava gli scaffali con una ridicola cuffietta rosa in testa e uno
spolverino in mano.
“Suvvia, Konzen!”, rise Tenpou, “Sembri davvero portato per fare la donna di
casa!”
“E Kennichan?”, chiese Goku, inginocchiato su una
pila di libri accatastati sulla scrivania.
“E’ andato ad un raduno militare nell’edificio principale”
Konzen si strappò la cuffietta e posò lo spolverino, passandosi una mano sui
lunghi capelli biondi. “E tu non vai?”
“Non è stata convocata la mia divisione”, rispose Tenpou con le mani nelle
tasche. “L’unica a essere stata chiamata è quella
sotto il comando di Nataku Taishi”. La divinità si
accese una sigaretta.
Konzen si rabbuiò appena in volto. “Nataku…non è ancora convalescente?”
“Sì. Ma i livelli superiori non si preoccupano di
questo. Dopotutto…è la loro bambola assassina”, osservò
Tenpou, osservando Goku che sistemava i libri sullo scaffale. Konzen tacque,
pensieroso.
“Come sai, il lavoro principale dell’armata celeste”, continuò Tenpou muovendo
l’indice per spiegarsi meglio, “E’ sigillare gli abitanti del mondo terrestre
che potrebbero avere influenze nocive sul Tenkai”. Si
portò le mani nelle tasche. “Sottomettere chi commette malvagità…pfui…non esiste una sciocchezza più idiota di questa. Alla
fine, combattono solo coloro che sono una minaccia per
il paradiso”
“E chi si sporca le mani…è Nataku”, concluse per lui Konzen.
Tenpou annuì. “Sembra stupido, ma noi abitanti del Paradiso non possiamo
uccidere”. Si accese l’ennesima sigaretta, prendendo una boccata di fumo.
“L’unico che ne ha l’autorizzazione è Nataku Taishi.
E’ solo uno dei metodi che usano quelli dei livelli superiori…per tenersi
lontani da tutto ciò che è impuro”
Ancora una volta, il biondo non rispose.
“Potrei tediarti per ore spiegandoti perché Nataku può, e dove affondano le
radici della credenza dell’essere ‘impuro’, ma…”
“Ehi Tennichan!”
I due si ammutolirono all’istante.
“Posso prendere per un po’ in prestito questo libro?”, chiese, sollevandolo
verso il generale.
“Certo!”, rispose l’altro
bonariamente.
“Da quando ti interessano i libri?”, chiese sorpreso
il tutore della scimmia. Ma il bambino non lo stava ascoltando. “Fantastico!
C’è il panino al prosciutto che sa volare in cielo! Ci sono
un sacco di panini…guarda, questo è il panino al curry!”
“Ah, ecco…”, mormorò Konzen, sempre più esasperato.
“Suvvia, Konzen!”, lo incitò Tenpou. “Sembra che Goku abbia acquistato la
padronanza base per leggere e scrivere. In genere, i bambini e non solo loro si
applicano meglio sulle cose che trovano più interessanti…”
Il biondo sospirò, guardandosi intorno. “Hai molti
libri, qui, vero?”
“Eh….sì! Lo sai che è il mio hobby, raccoglierli…tutti, dai testi filosofici a
quelli più popolari”, rispose il generale guardandosi intorno
orgoglioso e appoggiando la schiena alla scrivania.
“Trovami qualche libro interessante da leggere, va bene?”
Frattanto, il cuore lievemente più
leggero per aver messo al corrente la persona di cui
più si fidava della sua situazione, Kenren Taisho batteva impazientemente un
piede per terra, le mani nelle tasche, attendendo che il vecchiaccio iniziasse
a parlare; come aveva intuito non appena aveva saputo che ad essere convocata
sarebbe stata solo la sua divisione, avevano intenzione di affidare una nuova
missione al principe Nataku. Lanciò un’occhiata al ragazzino, che sembrava
tutto meno che in forma per affrontare nuovi scontri sulla terra.
“Continuano a mandare uomini al fronte”, bisbigliò qualcuno accanto a lui. “E’
vero, ma non dovremo temere, finchè con noi ci sarà
la bambola assassina”
Kenren si concentrò sull’accendino che aveva in tasca, stringendolo.
“Silenzio!”, ordinò l’imperatore con quel po’ di onnipotenza
che paventava. I mormorii cessarono di colpo. “Notizie appena giunte ci informano di nuovi disordini sulla terra” Cazzate. Avete paura che la gente perda fiducia nelle divinità. “Trascurare questo fatto comprometterebbe la nostra autorità” Appunto. “Quindi…noi ordiniamo all’armata del principe Nataku di partire per la
battaglia. Inteso?” Idiota…mandare un bambino ferito. Nataku chinò umilmente e remissivamente la testa.
“Sì” No, cazzo! Adesso basta! Ne ho abbastanza. “Un momento, per favore!”. Kenren si guardò intorno, vedendo che tutti
adesso lo stavano guardando, e fornendogli la prova definitiva che a parlare
era stato proprio lui.
“Chi è?”, tuonò l’imperatore celeste. Tua sorella. “Kenren Taisho, dell’armata dell’Ovest del
maresciallo drago Ryuu Ou Sekai Gojuin”
Gojuin, qualche passo dietro di lui, ebbe un fremito. Che diavolo ha
in mente quel folle?
Nataku alzò lo sguardo, sorpreso.
“Qual è il problema, generale?”, fece l’imperatore celeste squadrandolo. Che sei un gran testa di cazzo. “Se
posso avere l’ardire di parlare…”, s’inchinò, “Credo che le ferite del Principe
Nataku, riportate a seguito dello scontro con Gyumao, non si siano ancora
perfettamente sanate”
Alzò lo sguardo, fiero, ma serio. “Questa
battaglia…chiedo che venga affidata alle mie truppe”
Si diffusero diversi mormorii di dissenso. “Ma cosa?”,
fece uno.
Nataku riconobbe al volo Kenren, che aveva visto dal proprio balcone, in
compagnia di Goku, alla festa di compleanno dell’imperatore celeste.
Fu allora che prese la parola Li Touten. Superato lo
sdegno iniziale, aveva capito che non poteva farsi sfuggire questa
occasione. Doveva provocarlo, doveva fargli commettere qualche
sciocchezza.
“Un inutile soldato come te pensa davvero di poter
prendere il posto di Nataku?”, chiese, lisciandosi la barba. Coraggio…parla.
Probabilmente no. Ma… “Per niente. Ma mi piace poter credere di essere nettamente superiore…”,
fece vagare lo sguardo, “…a tutti questi soldati che si nascondono dietro il
corpo di un ragazzino, tornando senza nemmeno un graffio”
Lo sdegno generale non tardò a farsi sentire. Ma la voce che sovrastò tutti i
mormorii fu quella, solitamente calma e mai alterata, di Ryuuou
Gojuin.
“Kenren! Finiscila con questa insolenza!”. Sta
facendo il gioco di Li Touten, non lo capisce? “Kenren, giusto?”, finse di ricordarsi a malapena Li Touten. “Mi delude il fatto che voi possiate sottovalutare mio figlio…”.
E con questo, la tua posizione è già
compromessa. Scacco. Fece qualche passo in avanti. “Mio figlio Nataku è il
guerriero perfetto. Qualche piccola ferita non è nulla. Lui è preparato a
sacrificare la sua vita nell’interesse del regno celeste. Lui desidera
combattere. Non è forse vero, Nataku?” Qualcuno ha mai ascoltato la sua vera opinione? Kenren si
volse a guardare il bambino, ancora prostrato alla sua sinistra.
“…Certamente”, rispose infine Nataku.
“Puoi andare, Nataku”, ordinò l’imperatore celeste.
Il bambino si allontanò solennemente, mentre le sue truppe si prepararono a
seguirlo. Passando accanto a Kenren, gli affibbiò un pugno nel torace, che da
tutti fu frainteso, meno che dall’interessato, che fu l’unico ad ascoltare le
sue parole.
“Grazie, amico”
Kenren sentì una terribile oppressione al petto, mentre sentiva i passi del
ragazzino allontanarsi nel corridoio. E intuì che la questione non era ancora
finita.
“Bene, ora…poiché abbiamo finito…”. Era la voce
melliflua di Li Touten. “Arrestate il generale Taisho
per aver contravvenuto alle decisioni dell’imperatore”
L’imperatoreTentei non ebbe
nulla da ridire.
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 24/02/08]
Ciao a tutte: spero che questo capitolo vi sia piaciuto, magari è un po’
difficile da leggere perché salta da parte a parte…l’ho intitolato Movements perchè, come vedete, l’infingardo Li Touten si è finalmente deciso a muovere guerra, sia pure
velatamente. Il prossimo capitolo vedrà un po’ di azione;
il successivo sarà, credo, di transizione; gli altri due, per ultima cosa,
metteranno la parola fine alle vicende nel Tenkai. Quindi
si tornerà alla realtà…scommetto che siete tutte curiose di sapere come la
prenderanno i vari personaggi…io, d’altro canto, sto morendo dalla voglia di
tornare a parlare di Shinobu, che ho un po’ trascurato…(non me ne voglia
Shioka).
La parte, a mio avviso, più divertente da scrivere di questo capitolo, è stata
quella in cui Kenren si esercitava su come affrontare il discorso con Tenpou.
XDD. Quanto al posacenere a forma di rana…quello esiste davvero nel manga, anche se a me piace molto…^O^
Kenren, magari sarà un po’ kitsch, ma è adorabile! è_é
Volevo segnalarvi due cose: anche se è un discorso molto prematuro, alla fine di
Rebirth (non so ancora il numero esatto di capitoli, che comunque si
aggireranno intorno alla cinquantina), ci saranno due episodi speciali,
correlati con la fic, che vedranno protagonisti sia
il presente che (in un certo senso) il passato, e che riguarderanno un periodo
immediatamente seguente alla fine della fic stessa.
Ultima cosa, sono al lavoro su una nuova fic, come al solito malinconica, che posterò alla fine di Rebirth.
Spero che vi piaccia come vi è piaciuta questa (non anticipo più nulla…^^”)
Per Nasty86:
Spero che tu sia riuscita ad entrare a lingue e culture moderne; io ho il test
domani, venerdì…ci vado a cuor leggero, portando solo il mio bagaglio di
cultura personale (e vedi che bagaglio…-.-)…non ho studiato nulla. Grazie per i
complimenti sulla lemon, non sono un tipo che si
censura…
Per BlackMoody: che mi è sempre vicina, che riceve
alcune anteprime e me ne fa sapere il suo giudizio,
che ama alla follia Saiyuki proprio come me, che rivedrò a Lucca…Thanks a lot!
Per PoisonApple: Li Touten
morirà, anche se non esattamente atrocemente…meriterebbe di essere sciolto
nell’acido, altrochè!è_é Sono felice che ti sia
piaciuta la lemon, era molto diversa dalla prima…
Per Nadia Sakura Kan: Buona fortuna con il con il
liceo scientifico…me è sempre stata una frana in matematica etsimilia…^^”…13 anni? O.o
hai la stessa età di mio fratello…lo vuoi regalato?
Per Barbara: Tutte al liceo scientifico? O.o
sta diventando di moda…anche tutti i miei amici non universitari, a parte due, sono al liceo scientifico…auguri per la scuola, e grazie per
i complimenti.
Per Kairi84: Grazie per gli auguri e per il commento; studi giapponese da due
anni? *_* io adoro il giapponese…ho iniziato a
studiare la grammatica da autodidatta…
Infine, per DeepDerk: -manoinposa-
Emanuela, sciocchina! Ohohohoho! ^^” non ti ho
passato questo capitolo perché non volevo turbarti con scene di sesso ben poco
velate…scherzi a parte, PAZIENTA! Leggerai anche tu la fine… Ringrazio di nuovo tutte, salutandovi qui e
ricordandovi che il 17 Ottobre (miii e ce lo dici un
mese prima? Ndtutti) Rebirth compierà un anno ^///^
dal suo primo post. Ciao a tutte!
Sakura aka Simona
Aaaaaah che sbadata! Volevo comunicare a tutti la mia felicità per essere riuscita a scaricare
Saiyuki Requiem…STU-PEN-DO!!! L’ho visto tre volte in due giorni, ho scaricato
l’Ost e la canzone principale…se ne avete la
possibilità, guardatelo! Uscirà tra poco anche per la Dynit,
ma il doppiatore di Hakkai non sarà Patrizio Prata… Ok, ultimissima news e non
rompo più…ho creato un nuovo bloggino, col quale ho un po’ (molte) difficoltà.
E’ ancora in restauro, ma potete dare un’occhiata… http://kappasakurapage.altervista.org
Volevo semplicemente informarvi che, da questo capitolo in poi, la
storia si discosterà leggermente dalla trama originale della Minekura, per poi
prendere una strada totalmente diversa
Volevo
semplicemente informarvi che, da questo capitolo in poi, la storia si discosterà leggermente dalla trama originale della Minekura, per poi prendere una strada totalmente diversa.
Leggete.
//Rebirth//
Capitolo
40 – Hurts&Wounds
Tenpou sedeva tranquillamente
presso la scrivania, le gambe accavallate sotto il ripiano di legno, un pennino
in mano intinto nell’inchiostro che correva su e giù per il foglio di pergamena
accuratamente spiegato davanti a lui. Prendere appunti lo aiutava spesso a
riflettere e a riordinare le infinite idee, che circolavano per le numerose e
traverse vie del suo cervello, neanche fosse la
tangenziale di Los Angeles. Le lenti perfettamente lucide dei suoi occhiali
riflettevano in parte il foglio giallino, in parte la
metà inferiore, rivestita di bianco, di Konzen, addossato ad una delle librerie
dello studio. Erano lì da parecchie ore; nessuno dei due sembrava voler dire
qualcosa in particolare, ma la presenza dell’altro fungeva in qualche modo da
tranquillante.
“Uhm…tutto bene?”, chiese la divinità bionda, pensierosa, scrutando il volto
serio del dio dagli occhi verdi.
“Tutto bene”, confermò Tenpou alzando lo sguardo e facendolo incontrare con
quello del biondo.
“Il tuo coinquilino squilibrato non è ancora tornato”, osservò Konzen, facendo
vagare lo sguardo e posandolo sulla testolina castana di Goku, ancora
concentrato silenziosamente sul libro di panini.
“No”, osservò sospirando l’altro. “Dovrebbe essere al comando, ma sta tardando,
in effetti”. Sospirò un’altra volta. “Però non sono la
sua balia, e lui è adulto e vaccinato”
“E la mocciosa?”
Tenpou ridacchiò, Konzen aveva intuito l’andazzo di tutta la situazione prima
ancora che si evolvesse. Kenren, a dispetto di ogni
convinzione, era troppo sempliciotto rispetto a lui. “Se
ti riferisci a Shioka, non è ancora tornata”
Konzen tacque un attimo. “Com’è la situazione?”
Tenpou si sistemò gli occhiali sul naso. “Ha avuto sviluppi impensati”
“Ma davvero? Non l’avrei mai immaginato…”, commentò
ironicamente il biondo, lasciandosi scivolare ancora un po’ addosso alla
libreria. “Dev’essere difficile da
tenere a bada”
La divinità dagli occhi verdi sorrise. “Spero solo che si guardino bene
le spalle”
“Quindi sei d’accordo con la scelta presa?”
“Più che d’accordo, non mi sento di rimproverare nessuno. Anzi,
vorrei avere anch’io il coraggio, per una volta, di contravvenire apertamente
alle regole inutili di questo postaccio”
“Già…”, mormorò Konzen abbassando lo sguardo.
Un bussare insistente alla porta li strappò dalla loro conversazione.
“Strano, solitamente nessuno dei due bussa al portone
principale”, fece Tenpou alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso il
corridoio.
“Aspetta, Tennichan, faccio io!”, si offrì la scimmietta
con un gran sorriso, superandolo e slanciandosi nel corridoio.
Tenpou sorrise, sospirando.
“Era da tempo che voleva venire a giocare con quei due perditempo”, osservò
Konzen pensieroso. “Probabilmente avrà sentito il loro odore, quella scimmia”
“Mi spiace, ma resterà deluso”, commentò Tenpou, sentendo l’improvviso silenzio
che era calato nel corridoio. Se fossero stati Kenren o
Shioka, Goku avrebbe iniziato a saltellare come un ossesso e a vociare
concitatamente.
“Stai cercando Tennichan?”, stava infatti chiedendo
Goku al nuovo venuto, una divinità con una lunga treccia color platino e due
glaciali occhi rossi, e dal fisico imponente.
Tenpou si affrettò ad incamminarsi nel corridoio per accogliere l’ospite, ma la
figura di Gojuin, con Goku che gli trotterellava dietro, si era già stagliata
contro la porta.
“Maresciallo Gensui…mi dispiace disturbarvi, ma…” Tenpou sorrise sollevato. “Maresciallo Gojuin…potremmo evitare i formalismi inutili? Dammi pure del tu…”
Gli occhi rossi della divinità fecero il giro della stanza, quasi volessero stabilire se le orecchie presenti fossero atte ad
ascoltare ciò che aveva da dire. Vide solo il nipote della dea Kanzeon Bosatsu,
al di sopra delle parti, e il bambino che aveva aperto
la porta, una creatura eretica.
“Kenren Taisho…”
S’interruppe. Tutti gli occhi di quella stanza erano ora
puntati su di lui, interessati.
“E’ stato arrestato”, continuò semplicemente.
“Come?”, fu il coro dei presenti, sbalorditi.
Gojuin annuì. “Il consigliere Li Touten ha dato
indicazioni ben chiare” Li Touten? Tenpou strinse forte i pugni, per trattenere l’irritazione.
“Qual è la motivazione ufficiale del suo arresto?”
“Ha contravvenuto alle decisioni dell’imperatore. Si è offerto volontario per
sostituire il principe della guerra Nataku, al quale è
stata affidata una nuova missione”
Ci furono alcuni secondi di silenzio. Tenpou raccolse velocemente le idee. “E’
stato un ordine dell’imperatore, l’arresto?”
Gojuin scosse la testa. “L’ha arbitrariamente deciso Li
Touten”.
Tenpou si passò la mano sui capelli. Bastardo… “E…suppongo che nessuno
abbia aperto bocca per non metterselo contro”
Il tono di Gojuin, da freddo e distaccato, divenne indignato. “Nessuno, almeno
non davanti all’imperatore. Ma una cosa è certa…”, la
voce gli vibrò leggermente, mentre si metteva una mano sul petto. “Non ammetto
che qualcuno si arroghi diritti che solo io, in quanto suo superiore, possiedo.
Quell’uomo non deve immischiarsi nelle faccende dell’esercito. Parlerò io
personalmente con l’imperatore celeste”
Le occhiate stupite di Konzen e Tenpou parvero fargli
rendere conto che la sua reazione, dall’esterno, doveva essere sembrata
alquanto sorprendente. Si ricompose. “Se non altro per
ottenere la sua liberazione”
“C’è dell’altro?”, domandò Tenpou, sospirando e lasciandosi ricadere sulla poltrona.
Quantomeno, aveva avuto la conferma che il maresciallo dell’armata dell’ovest
non era dalla parte di Li Touten.
“Sì”, continuò Gojuin. “Li Touten ha ordinato la sua
destituzione” Non può permetterselo…, pensò, e non tanto freddamente, Tenpou, alzandosi
di scatto dalla scrivania.
“Dove vuoi andare?”, s’intromise Konzen.
“Da chi sta avanzando poteri assurdi senza averne diritto”, rispose il moro.
“Non è la mossa migliore”, consigliò Gojuin, di nuovo freddo e distaccato.
“Almeno, non finché il generale Kenren è nelle mani dell’esercito”
“Cosa proponi, allora?”, fece dunque la divinità
bionda.
“Prima di tutto”, rispose Gojuin incamminandosi verso il corridoio, “Lasciate
che parli all’imperatore celeste. Sono pur sempre il maresciallo legittimo
della sua armata”. Si bloccò di colpo all’ingresso del corridoio. “Dov’è la ragazza?”
“Non è in casa. Dev’essere in giro…”, rispose
distrattamente Tenpou, chiedendosi perché al maresciallo interessasse tanto.
“Io farei sì che ci restasse, in casa”, sottolineò
Gojuin. “Non vedo perché la mossa successiva di Li
Touten non dovrebbe essere più esplicita.” Come ho fatto a non pensarci prima? Lo sguardo di Tenpou vagò per un
attimo. “Devo andare a cercarla”
“Bene”, approvò Gojuin, sperando con tutto se stesso di avere torto. “Io vado
alla residenza imperiale”
“Tu va’ a casa con Goku, Konzen, e non perderlo di
vista per un istante”, consigliò Tenpou avviandosi a grandi passi verso la
porta, seguito da Gojuin.
Konzen annuì, prendendo il libro che l’altro gli aveva prestato e chiamando a
sé la scimmia.
“Merda!”
Shioka si sollevò cautamente, mettendosi seduta. Le catene tintinnarono. Non
vedeva ad un palmo dal suo naso, e un dolore lancinante alla tempia le
provocava una gran nausea. Doveva essere rimasta svenuta per un po’.
Tentò, senza grandi risultati, di dissipare la nebbia che aveva in testa e di
capire dove si trovasse. Non sentiva alcun suono, probabilmente il luogo dove
era stata portata doveva essere lontano dalle zone frequentate. Respirò a
grandi boccate l’aria, che sapeva di chiuso, di sporco, sentendosi
improvvisamente un groppo al cuore quando avvertì
l’atmosfera di chiuso della stanza. Allungò le mani dietro la propria schiena,
toccando la superficie della parete dietro si sé.
Legnosa. Doveva trovarsi quindi nella stanza piuttosto vecchia e non
frequentata di un palazzo. O in una casupola. Ma ciò che la preoccupava, erano le dimensioni ridotte della
stanza. Non soffriva di claustrofobia, ma l’aver trascorso sette anni in una
cella aveva lasciato il segno. Il buio, e l’odore chiuso e sporco, poi, le
erano fin troppo familiari.
Una porta. Doveva trovare una porta. Abbatterla non sarebbe stato un problema.
Tentò quindi alzarsi completamente, allungando le braccia davanti a sé per
ottenere più equilibrio, ma le catene che aveva ai polsi e alle caviglie erano
saldamente ancorate al legno. Merda…tutto ma non questo! Iniziò disperatamente a dibattersi, conservando ben poca lucidità; ma le
sovvenne presto in mente che questo non l’avrebbe portata da nessuna parte.
Respirò furiosamente, iniziando già a credere che presto le sarebbe mancata
l’aria.
“Non sono più nella cella del tempio”, disse a se stessa, ad alta voce.
Sentire la propria voce la fece sentire meglio. Quindi chiuse gli occhi, fece un profondo respiro, e li
riaprì. Se rimaneva calma, poteva trovare la forza
sufficiente a rompere le catene e guadagnare rapidamente l’uscita. Fece un
altro respiro.
Capì immediatamente che qualcosa non andava. Odore di bruciato. Alzò lo sguardo
verso il tetto; ora la stanza non era più buia, ma
illuminata da lingue rossastre che si dibattevano: il soffitto stava prendendo
velocemente fuoco.
La stanza si riempiva sempre più di fumo, tanto da farle mancare l’aria. Si
accucciò a terra per respirare l’aria ancora disponibile e diede sonori strattoni
alle catene. Il legno dietro di lei scricchiolò, ma i ganci non cedettero.
“Cazzo! Cazzo!”, gridò, tentando di alzarsi in piedi.
“C’è qualcuno fuori?”, gridò ancora, ben certa che comunque,
anche se qualcuno c’era, non era decisamente interessato a farla tornare viva a
casa. Mille a uno che c’entra Li Touten con tutto questo… Iniziò nuovamente a tirare con tutte le sue forze le catene che le
rendevano impossibili i movimenti alle braccia. Tirò e tirò,
ma non riuscì a spezzarle. E i polsi le avevano
iniziato a dolere. Se avesse tirato ancora, se li sarebbe
slogati o rotti.
Alzò nuovamente, preoccupata, lo sguardo al soffitto; ormai a tratti si vedeva
il cielo, ancora illuminato dai raggi solari.
In quel momento, una grossa trave, probabilmente una delle travi
portanti del tetto, si spezzò; la metà staccata, ancora avvolta dalle fiamme,
iniziò a cadere verso di lei.
Un dolore lancinante la avvolse quando un enorme e incandescente peso le cadde
sulla schiena. Non riuscì ad impedirsi di gridare. Doveva trovare le forze…e in
fretta.
Tenpou percorreva velocemente i prati del Tenkai; purtroppo, non conosceva la
ragazza bene come sperava: non sapeva in quali degli spiazzi verdi soleva
trascorrere il tempo, aveva vagato per almeno tre ore in giro senza alcun
risultato. Se almeno potessi
chiedere a Kenren… Vagliò l’opzione di attendere l’eventuale scarcerazione di Kenren, ma
qualcosa gli diceva che sarebbe stato troppo tardi.
“Hai sentito? Pare che ci sia un incendio vicino al confine nord…”
Tenpou ascoltò distrattamente la conversazione tra le due divinità che lo
avevano appena sorpassato.
“Sì, ne parlano tutti…pare che sia stata data disposizione di non spegnerlo. E’
solo un vecchio magazzino, e sarebbe inutile mettere
in pericolo l’incolumità delle milizie per nulla…”
I suoi passi si fermarono prima ancora che l’input arrivasse al suo cervello.
Magari non sarebbe servito a nulla, ma qualcosa gli diceva di sbrigarsi,
mentre, il respiro affannoso, aumentava il passo, per poi mettersi
letteralmente a correre verso il confine nord. Il confine nord…in quella zona
vi erano alcune proprietà di Li Touten. Non credeva
nelle coincidenze. Tutto aveva un significato. E, diamine, era sempre stato razionale. Ma in quel momento sentiva che affidarsi all’intuito non
sarebbe stato un errore. Ma pregava, almeno quella volta, di essersi sbagliato.
Non rallentò il passo, sebbene sentisse che i suoi polmoni sarebbero presto
scoppiati, se non avesse preso fiato. Era appena arrivato nella zona del
confine nord, ed effettivamente si vedeva del fumo che si innalzava
da dietro il pendio che stava percorrendo. Aumentò ancora di più l’andatura,
sentendosi il petto pericolosamente piccolo rispetto alla quantità d’ossigeno
di cui aveva in quel momento bisogno. E finalmente
vide il fuoco: un magazzino, piccolo e isolato, guardato a vista da un paio di
miliziani che, annoiati, controllavano che il fuoco non si espandesse.
Si avvicinò a loro, incapace di parlare. Respirò a fatica, chinandosi sulle
ginocchia. Dieci minuti buoni di corsa avrebbero sfiancato chiunque.
“Ma…siete il maresciallo Gensui?”, chiese uno dei due miliziani,
accostandosi a lui e offrendogli aiuto. Tenpou riconobbe in lui e nel compagno due dei suoi uomini. Annuì.
“Avete controllato…che il magazzino fosse effettivamente vuoto?”
“Perché lo domandate?”, osservò, sulla difensiva, uno dei due. “Ci è stato ordinato di controllare che l’incendio non
coinvolgesse altre proprietà. Non vale la pena di spegnerlo, ci
è stato detto, tanto è in disuso…nessuno ha accennato alla presenza di
qualcuno, né abbiamo sentito voci”
Tenpou si avvicinò comunque all’entrata.
“E’ pericoloso, comandante!”, gli gridò dietro uno dei
due miliziani. “Maresciallo Gensui, mi permetto di consigliarvi di tornare
indietro!”, fece l’altro. Ma Tenpou non parve ascoltarli e continuò. Si tolse il
camice, mettendoselo sulla testa per evitare che qualche scintilla gli
bruciasse i capelli. Nulla è una coincidenza, ripeté e se stesso.
Probabilmente, e lo sperava davvero, se avesse avuto torto sarebbe
stato preso per matto. Ma ne valeva la pena.
“Shioka! Ci sei?”
Nessuna risposta. Deglutì e, per un momento, pensò di tornarsene indietro.
“Shioka!”, ripeté invece, urlando per sovrastare lo scoppiettare delle fiamme e
i boati delle travi che continuavano a cadere.
Tra i rumori, sentì un tintinnio metallico. Catene? No…non può essere. Un rumore metallico ancora più forte, seguito dal
probabile crollo di una delle mura legnose del magazzino.
Poi, due rimbombi contro la porta. Uno, due…
Tenpou si precipitò anche lui contro la porta e la tirò violentemente a sé.
Shioka lo guardò per un momento con i suoi occhi disuguali, arrossati dal fumo,
prima di
svenire.
Le scarpe bianco immacolato di Gojuin scricchiolavano sul selciato delle
prigioni. Odore di muffa, sporco e polvere annidato
ovunque. Si guardò intorno tranquillamente, alla ricerca della cella che doveva
contenere quel piantagrane di Kenren.
Aveva facilmente ottenuto udienza dall’imperatore. Quella volta la malleabilità
del regnante si era rivelata utile, dato che, sfruttando l’assenza di Li Touten, non aveva impiegato molti giri di parole per
convincerlo a far rilasciare Taisho. Consegnato l’ordine di rilascio alle
guardie del carcere, si era incamminato verso la sua cella.
“Ehilà!”, lo chiamò vivacemente una voce a lui fin troppo nota. “Sei
venuto per un gran tour?”
Gojuin rimase senza parole, osservando le condizioni in cui versava il suo
sottoposto. Incatenato con le braccia verso l’alto, nudo dalla cintola in su, aveva numerose ferite da frustate, chiazze di sangue
ovunque, un rivolo secco che gli scivolava dalle tempie coprendogli l’occhio
destro, e il torace tumefatto. Ciononostante, sembrava non
aver perso il suo spirito.
“Ho sempre pensato che fossi un folle…”, mormorò Gojuin, non sapendo che
altro dire, “…ma fino ad ora non sospettavo che fossi uno dei più grandi”
Kenren sorrise. “E’ seccante aver a che fare con uno
come me, vero?”
Gojuin gli lanciò il mazzo di chiavi. “Io sono il tuo comandante”, disse,
sottintendendo che evidentemente l’altro se lo dimenticava troppo spesso. “Se lo avessi chiesto a me prima di parlare all’imperatore…se
lo avessi suggerito io…forse mi avrebbe ascoltato”
“Umph”, rise Kenren, “Non credo che sarebbe cambiato
qualcosa”. Rimase pensieroso. “Inoltre…dovevo dire
qualcosa, là fuori. Qualunque cosa. O mi sarei sentito
come tutti gli altri…”
Era la prima volta che manifestava i suoi pensieri al suo superiore.
Improvvisamente, sentì che non dovevano essere poi tanto dissimili.
“Anche se sapevi che saresti finito così, hai voluto farlo lo stesso?”,
chiese Gojuin, incrociando le braccia. Improvvisamente, gli tornò alla mente il
discorso di Shioka. Sei un po’ ipocrita…non dici mai quello che pensi: chini
la testa e basta, non è vero? “Non sono le ferite che ho adesso in corpo a farmi male”, scherzò Kenren
afferrando le chiavi dal pavimento con un piede e lanciandole in aria,
prendendole al volo con una mano. Si liberò le braccia dalle catene, quindi
fece scricchiolare leggermente le ossa. Si passò una mano sul viso, per
liberare l’occhio destro dal sangue. “Mi ha fatto molto più male
quando Nataku mi ha dato quel pugno”
“Si atteggia sempre come un adulto…quando è soltanto un ragazzino. Vederlo
comportarsi così è sempre doloroso…”. Alzò lo sguardo verso l’alto, pensieroso.
“Si fa del male. Proprio come se ne faceva lei fino a poco tempo fa…Ma quello che colpisce realmente…è che lui non può
dire a nessuno che ‘fa male’…”
Gojuin rimase lì, pensieroso anche lui. Condivideva le idee di Taisho, ma non
condivideva il modo che aveva di esprimerle.
Kenren si alzò dolorosamente e aprì la porta della cella, che si spalancò con
un cigolio. Si ritrovò faccia a faccia con Gojuin.
“Sbrigati a tornare a casa”, disse, freddamente, “Ho paura che Tenpou abbia
bisogno di te”.
“In che senso?”
“E’ andato a cercare la ragazza”
Kenren si bloccò lì sul colpo. “Le è successo qualcosa?”
Gojuin scosse la testa. “Non so dirtelo. Va’ a casa”. Tacque
un attimo, poi aggiunse: “Vengo anch’io”
Shioka aprì gli occhi. Le faceva male dappertutto, specialmente la nuca, il torace
e la schiena.
Impiegò un po’ di tempo per focalizzare. La pelle le bruciava in più punti, e
doveva avere la febbre. Tentò di tirarsi su, mordendosi le labbra per
trattenere un gemito quando il torace scricchiolò e la
invase di dolore lancinante. Si portò contemporaneamente una mano dietro la
testa.
Aprì finalmente gli occhi. Si trovava nella sua stanza, nel suo
letto, accuratamente coperta e già medicata. Quanto tempo era passato da quando era svenuta praticamente addosso a Tenpou?
“Tenpou? Dove…?”
Si ammutolì all’istante.
Davanti a lei stava seduto Tenpou, sul letto, che la osservava con uno sguardo
preoccupato, e Kenren, sporco di sangue, seduto di traverso su una sedia, con
una sigaretta in bocca. Sembrava malconcio quasi quanto lei.
“Ma che diavolo…?”, tentò di dire, ma un giramento di testa improvviso le
annebbiò la vista, costringendola a poggiare nuovamente la testa sul cuscino.
“Stai calma”, la fermò Tenpou, mettendole cautamente una mano sulla spalla.
“Hai respirato molto fumo, e hai la febbre alta per la scottatura alla schiena.
Come ti senti?”
“Di merda, grazie”, rispose finemente la ragazza, scoccando ancora
un’occhiata a Kenren. “Che diavolo ti è successo?”
“Arrestato e torturato”, rispose semplicemente l’altro, leccandosi le labbra.
“Credo di avere un paio di costole rotte, oltre a ferite varie”
“Allora mi sa che siete in due”, fece Tenpou, più serio, indicando la stretta
fasciatura che copriva il petto di Shioka.
“E a me sa che mi dovete raccontare un po’ di cose…”,
sbuffò la ragazza.
Kenren cacciò indietro una smorfia di dolore quando si
alzò dalla sedia e si sedette cautamente sul letto. Respirò piano con gli occhi
chiusi per attenuare il dolore: le costole rotte si facevano sentire.
“Allora inizia tu”, mormorò, distendendosi di fianco a lei, cercando una
posizione adatta ai dolori alle ossa.
Shioka si spostò un po’ per farlo accomodare meglio, trattenendo a sua volta un
gemito. “Non saprei nominarti, in questo momento, un osso di mia conoscenza che
non mi faccia male”. Chiuse gli occhi, sentendosi improvvisamente addosso tutto il caldo della febbre che aveva. La pelle
della schiena iniziò lentamente a dare in escandescenze. Strinse il lenzuolo
sotto di lei tra le mani.
“Shioka, tutto bene?”, le chiese, preoccupato, Tenpou. “Ah, scusami tanto. Dev’essere finito l’effetto della morfina”.
Si allontanò dal letto e prese ad armeggiare con boccette di vetro sul tavolo
della stanza. “Un momento di pazienza”
Kenren accanto a lei le passò una mano sulla fronte.
“Scotti davvero! Parliamo dopo, se non te la senti”
Shioka scosse la testa. “No, no, voglio
sapere cos’è successo! Perché credo di essermi
persa qualche mossa sulla scacchiera”
“Esattamente il termine esatto a definire questa situazione!”, si complimentò
Tenpou avvicinandosi al letto con una siringa in mano. Iniettò
qualche goccia di liquido nella vena sul braccio di Shioka, poi si allontanò
per riporre la siringa. “Allora inizia, per favore, così poi passo a medicare
quell’idiota lì”
La ragazza si voltò verso Kenren. “Perché non ti sei
ancora medicato?”
Kenren si strinse nelle spalle, per quanto gli fosse possibile, ma non rispose.
Shioka interpretò quel suo gesto come una sorta di ‘volevo
aspettare che ti svegliassi tu’. “Anche
Gojuin era qui fino a poco tempo fa”, disse invece. Anche Gojuin? Si ammutolìper un
istante. Avrebbe voluto dire ‘mi dispiace’, o
‘grazie’, ma sapeva anche che nessuna delle persone
presenti in quella stanza avrebbe dato eccessivamente peso a quelle parole.
“Non so chi sia stato, perché mi hanno colpito alle
spalle e trascinato lì dentro. Ma posso immaginarlo: questa mattina, due
divinità con tutta probabilità mandate da Li Touten
hanno cercato di condurmi da lui. Ma…mi sono
rifiutata. Devono aver confidato nel fatto che non rinvenissi
prima di…bruciare lì dentro”. Sentì Kenren imprecare a bassa voce, naturalmente
nei confronti di Li Touten, e sospirò. “Purtroppo, hanno fatto male i conti con l’argutezza di Tenpou”, sorrise
in sua direzione. Altro che argutezza… Tenpou strinse i pugni, ma non rispose. “Nessuna
prova, dunque”, disse invece, pur non avendo nemmeno per un momento osato
sperare nel contrario. “Quello che mi chiedo, è perché si sia mosso proprio
adesso”
“Quello che mi chiedo io”, commentò Kenren abbastanza acidamente e in tono
polemico, “E’ perché non sei tornata a casa dopo che sei stata minacciata” Shioka si strinse nelle spalle. “Non
l’ho reputato necessario…non potevo pensare che
facesse una mossa così esplicita. Tu avresti pronosticato, Ten, che
appena il poche ore dopo Li Touten avrebbe tentato di
farmi bruciare viva e di far marcire in carcere Kenren?”
Tenpou tacque, preso sul vivo. In effetti, una simile mossa esplicita non gli
sarebbe mai venuta in mente. Evidentemente, Li Touten
doveva sentirsi pienamente sicuro della sua posizione d’inattaccabilità. Stando
così le cose, la situazione si sarebbe mantenuta in equilibrio ancora per poco.
Kenren sospirò, quasi avesse intuito i pensieri del
compagno. “Siamo alla frutta, ormai”
“Andiamo”, mormorò Tenpou prendendo Kenren per una manica del soprabito. “Hai
bisogno di medicazioni”
“Ehi, aspettate! Ancora non avete detto nulla a me!”
“Ne parleremo più tardi. Adesso riposati, cinque minuti più in là e
saresti morta bruciata o soffocata”, ordinò Tenpou
chiudendola dentro la stanza.
Tenpou si chiuse la porta dietro le
spalle. Senza dire una parola, indicò a Kenren la porta del suo ufficio e, dopo
esservi entrati entrambi, la chiuse.
Si lasciò scivolare sulla poltrona, nascondendo per un momento il viso tra le
mani. “Pochi minuti…solo pochi minuti ancora…e non ce
l’avrebbe fatta. Siamo stati imprudenti, tutti quanti, io per
primo”
Kenren mollò un calcio ad una delle sedie di legno dello studio,
piegandosi poi in due dal dolore al torace. “Non è colpa tua, Ten. Non potevi
prevedere…”
“Dovevo”, lo contraddisse l’altro, scuotendo la testa.
“Tenpou…”, disse più seriamente Kenren, sedendosi sulla sedia che poc’anzi
aveva preso a calci. “Adesso basta. Non puoi sentirti in
dovere di prevedere sempre tutto, siamo divinità, non esseri
onnipotenti. Anche tu”. Sottolineò
quest’ultima frase, come a indicare che all’amico, in quell’ultimo periodo, era
passato di mente. “Anche a me è quasi preso un colpo quando
Gojuin mi ha detto che eri andato a cercare Shioka. Credimi, ho una gran voglia
di sciogliere nell’acido quel figlio di puttana, per quel che fa continuamente
a Nataku, per l’arroganza che dimostra, per quello che ha tentato di fare a
Shioka”. Tacque. “Ma dobbiamo aspettare il momento
opportuno. Non sei di questo parere, solitamente?”
Tenpou sospirò, ma non rispose. Forse stava pensando.
Kenren non aggiunse più nulla. Certamente l’amico doveva essersi affaticato e
preoccupato, quel pomeriggio, per più di una persona. Come al
solito, doveva essere pieno di rabbia da sfogare, ma non riusciva a
sbarazzarsene in nessun modo; né divertendosi con una donna, né riempiendosi di
saké fino a scoppiare, né allenandosi con la katana.
All’improvviso il maresciallo si alzò dalla poltrona, appoggiandosi alla
spalliera della sedia su cui era seduto lui, e guardandolo con un sorriso
furbetto. “E ora veniamo a noi”
Il riflesso sugli occhiali sostituì nuovamente i suoi occhi, e come al solito Kenren intuì di aver sbagliato: la persona su cui,
sia pur velatamente, Tenpou avrebbe sfogato la sua rabbia, era proprio lui.
“Ti rendi conto delle sciocchezze che hai detto davanti all’imperatore
celeste?”, mormorò mentre gli bendava la ferita alla tempia.
Kenren sussultò per il dolore, prevedendo che non avrebbe usato la stessa
dolcezza con cui aveva curato le ferite di Shioka. “Veramente…”
“Forse non hai capito la posizione in cui ci troviamo…”, disse
mentre gli suturava la ferita alla spalla.
“Fa’ piano!”, si lamentò l’altro. “Non potevo fare altro…”
“Quando ti deciderai a raffreddare i tuoi bollenti spiriti prima di
parlare?”, continuò incerottandogli poco cortesemente
le ferite al volto.
“Ti ho già detto che…”
Kenren lasciò che l’amico si sfogasse, anche se avrebbe preferito non lo
facesse su di lui. Era già abbastanza malconcio, e se si fosse trovato tra le
mani quelli che gli avevano fatto tutto quello, avrebbe ben
saputo come trattarli. Peccato che non fossero suoi
sottoposti.
In quel momento la porta si aprì. Ne entrò Konzen, con
Goku per mano.
“Vedo che vi siete ripresi entrambi”, commentò riferendosi alla vivacità con
cui stavano ‘discutendo’. Si guardò intorno. “La mocciosa?”
“E’ di là che riposa”, rispose Tenpou sorridendo. “Si rimetterà in un paio di
giorni, è parecchio robusta”
“E il piantagrane?”
“Lui si rimetterà in un po’ più di un paio di giorni…”, rispose fulminando il
rosso con un’occhiata che gli fece venire nuovamente i brividi.
“Molto bene. Posso affidarti Goku per un paio d’ore?”
Il maresciallo sorrise. “Certamente. Per la verità, credo che dovrò andare a sbrigare una faccenda…ma sono sicuro che il
nostro Kenren avrà una voglia matta di occuparsi di lui…”. Kenren, pur sfinito
per la giornataccia, non osò protestare.
“Allora, d’accordo”, approvò Konzen squadrando il rosso con uno sguardo gelido,
che stava a indicare ‘perdilo di vista un secondo e ti
faccio secco con le mie mani’. “Voleva venire a tutti
i costi e temevo che sarebbe uscito da solo, di nascosto”
Aveva proprio voglia di scambiare due parole con la sua zietta adorata.
Goku annuì. “Ero preoccupato per la nee-chan e per Kennichan”
“Ma certo! Konzen, va’ pure, ci vediamo più tardi!”
Il biondo annuì e scomparve dietro la porta, mentre un
sorriso perverso attraversò il volto di Tenpou.
Si avvicinò a Goku con un paio di bende arrotolate. “Adesso, Goku, che ne
diresti di farmi un favore?”
Al bambino si illuminarono gli occhi.
Un minuto dopo, tutto il palazzo sentì delle urla sovrumane che provenivano
dall’ufficio di Tenpou, mentre il generale ne usciva con uno sguardo terribile
in volto.
“Maresciallo Tenpou! Maresciallo Tenpou”
L’uomo, strappato bruscamente ai suoi pensieri, si voltò. Tutta la sua truppa,
al completo, trafelata, si accalcava attorno a lui. “Oh, ci siete tutti…”,
mormorò. Era bello vedere, una volta tanto, una simile manifestazione di
fedeltà.
“Ci scusi, maresciallo…ma volevamo sapere…è vera la
voce secondo cui il generale Kenren è stato destituito?”, chiese una delle
giovani divinità, dai capelli chiari.
Tenpou si accese una sigaretta. “Si è già sparsa la voce, vero?”
“Ma allora…”, disse ancora il militare di prima.”Abbiamo sentito che il
generale Kenren ha protetto il principe Nataku, e che è stato punito per
questo. Per di più, l’ordine non è arrivato dall’imperatore, ma da Li Touten!”, disse un altro, indignato. “Con la sua ascesa
nelle alte sfere sociali…pensa di potersi intromettere con noi?”, fece un altro
ancora.
A Tenpou venne da sorridere. “Per favore, smettetela…”
Gli altri tacquero, impressionati.
Il maresciallo alzò un indice a mo’ di professorino. “Visto che non sappiamo
chi ci potrebbe stare ascoltando…non c’è bisogno che restiate coinvolti”. Si
ficcò le mani nelle tasche del camice, muovendo qualche passo verso lungo il
corridoio. “Questo è compito mio!”
Pochi minuti dopo, si trovava già davanti il portone del sontuoso palazzo di Li Touten. Spense la sigaretta, gettandola per terra, e se
ne poggiò un’altra, spenta, tra le labbra. In quel momento, le sue interiora
stavano ribollendo come una caffettiera sul fuoco. Alzò lo sguardo verso
l’alto, verso la finestra di Li Touten. Adesso
basta…far la parte di quello che si controlla. Non ci volle molto perché venisse scorto dalle
guardie del cancello.
“Andate a chiamare il vostro signore”, disse loro, un sorriso sprezzante sul
volto. “E ditegli che il maresciallo Gensui, a capo
della divisione Est, vorrebbe conferire con lui”
Portò violentemente le mani dentro le tasche, per nasconderne il tremolio.
L’indignazione era troppa, anche per l’incarnazione dell’autocontrollo quale
era lui.
Come aveva previsto, non trascorsero che un paio di minuti, prima che la
guardia che era corsa ad avvertire Li Touten facesse
ritorno, intimando all’altra di aprire il cancello.
Eccolo lì, pochi minuti dopo, a fissare l’odioso volto dell’odioso Li Touten, circondato dalle sue odiose guardie.
“Maresciallo Tenpou, siete qui per vedermi di persona?” Li Touten, un sorriso viscido sul volto, reclinò il
capo sul palmo di una mano, guardandosi intorno, e poi fissando lo sguardo sul
suo interlocutore. Probabilmente si sentiva le spalle coperte. Nel grande salone, Tenpou era controllato a vista da tre
guardie, comunque inutili. Il Maresciallo Gensui, Re della Compostezza, non
avrebbe mai fatto nulla per compromettersi. Il ‘cagnone
fedele’ avrebbe latrato un po’ per ottenere la
reintegrazione di Taisho, e sarebbe tornato al suo posto. Poco male che la
ragazza si fosse salvata, nessuno aveva uno straccio di prova e aveva
un’eternità per liberarsene, davanti a sé…o magari, prima si sarebbe
liberato del suo seguito per poi ottenerne la custodia. Sarebbe stato
interessante…avere ben due degli esseri che nel Tenkai erano allo
stesso modo più invisi eppure desiderati.
“Cosa posso fare per te?”. Abbandonò il tono formale e rispettoso, marcando il ‘te’ quasi a sottolineare il divario che c’era tra loro.
“Salterei i convenevoli e verrei dritto al punto”. Tenpou parve ignorare la
frecciatina. “Vorrei che l’ordine di destituzione del generale Kenren venisse ritirato” Latra, latra. Li Touten contrasse la sua
espressione emettendo una sorta di finto sospiro. “Sapevo che saresti venuto”,
continuò parlando come dall’alto verso il basso. “Beh, siediti”, offrì,
indicando una sedia posta davanti alla scrivania.
Lo sguardo di Tenpou si accese, affrontando quello di Li
Touten, che non si scompose. “Non vorrei essere rude, ma….”, la sua voce
divenne più ferma e autoritaria, per quanto gli fosse
possibile, data l’indignazione. “Da quando sei nella posizione per ordinarmi
di sedermi, Li Touten?”. Anche lui abbandonò il
tono formale, cosa che divertì Li Touten, che non
rispose, lisciandosi la barba.
“Primo: si presuppone che tu non abbia nulla a che fare con l’esercito del
mondo celeste, vero?”, puntualizzò Tenpou. Il maresciallo si ricompose subito.
“Possibilmente, evitate di pensare di avere l’autorità di immischiarvi negli
affari concernenti i componenti dell’esercito,
chiaro?”
“Tsk”, commentò li Touten, divertito, intrecciando le dita a sostegno del
mento. “L’imperatore mi ha affidato tutti gli affari riguardanti
l’esercito. I miei ordini sono i suoi ordini”
“Non vi vergognate? Questa posizione…l’avete ottenuta solo sfruttando
vostro figlio, Nataku Taishi”. Incrociò le braccia al
petto, per tenere ferme le mani. Sarebbe bastata una parola fuori posto, una
soltanto… Li Touten aggirò la scrivania, muovendo qualche passo
verso Tenpou e scoccando sguardi complici alle tre guardie nella stanza. “Ti
trovo innervosito, maresciallo Gensui…”, mormorò, avvicinandosi a piccoli passi
verso l’altro. “C’è una ragione particolare? Per caso…la situazione con la
donna eretica è diventata…scottante?”
Tenpou artigliò l’interno dei propri avambracci, per continuare a mantenere il
proprio autocontrollo.
“Già…pare si siacasualmente risvegliata dentro
una delle vostre proprietà, che proprio in quel momento ha preso fuoco. Buffo, non trovate? Questi giovani…in quanti guai vanno a cacciarsi…”
Li Touten si avvicinò ancora, così tanto che Tenpou avrebbe potuto contarne i rasta. “Oh, ma anche i meno giovani trovano cento modi per
divertirsi, non è così?”. Un ghigno gli attraversò il volto
mentre afferrava il mento di Tenpou, sollevandogli il volto. “Hai
davvero un bel viso…Si dice in giro che Kenren sia il tuo braccio destro…ma in realtà…la ragione per cui stai così tanto
appiccicato a quell’uomo è che ti senti a tuo agio sotto il tuo padrone, eh?”
“Chiedo scusa”
Non era passata una frazione di secondo tra le sue parole e le sue azioni; il
suo destro scattò fulmineamente, colpendo Li Touten in pieno volto e mandandolo
a sbattere contro il fianco della scrivania.
“Pazzo insolente! Prendetelo!”. Le tre guardie si scagliarono contro Tenpou,
inchiodandolo sul pavimento con le lance. Avrebbe potuto facilmente liberarsene,
ma decise saggiamente di non muoversi e di osservare
l’evolversi della situazione. E comunque, ormai era
troppo tardi per pensarci: aveva ogni movimento bloccato, e Li Touten, questa
volta, avrebbe potuto facilmente farlo incriminare per aggressione.
“Come sempre, tieni la testa alta…”, mormorò Li Touten, rialzandosi da terra
con il fiatone, “Mi piace vederti a terra…maresciallo Tenpou!”
Si godette ancora per un momento quella sensazione, l’ergersi in tutta la sua
altezza mentre Gensui, che tanti problemi gli aveva causato, giaceva
immobilizzato ai suoi piedi.
“Hai capito in che condizione ti trovi? Non hai il diritto
di guardarmi in questo modo…MAI!”
Gli assestò un calcio in faccia, approfittandosi della posizione. Gli
occhiali di Tenpou rotolarono via, mentre la divinità si chinava, gli afferrava
il ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla fronte, e
gli sollevava con forza il viso. “Che c’è? Vorresti la
stessa punizione che abbiamo inferto al tuo signore? Ormai hai finito di darmi
problemi…tu sarai il primo degli insetti che ti girano intorno ad essere
schiacciato…”. Mentre si preparava a colpirlo ancora
al viso, si sentì sbalzare in avanti, colpito molto violentemente alla nuca.
“Chi diavolo è questo ragazzino? Come ha fatto ad entrare?”,
esclamò una delle guardie che teneva fermo Tenpou.
“Goku?”, esclamò sorpreso Tenpou, sgranando gli occhi. Che diavolo ci
faceva lì?
Il ragazzino si affrettò ad aggredire anche le altre
guardie, gridando: “Lasciate andare Tennichan!”. Nonostante il suo modo di fare
fosse infantile, la sua forza non lo era affatto, e
infatti in pochi secondi gli scagnozzi di Li Touten, ancora in stato
semi-shockato per la sorpresa, furono costretti a mollare la presa. Tenpou si
affrettò a rialzarsi, tergendosi il sangue che gli sgorgava da appena sotto
l’occhio sinistro. “Goku, che ci fai qui?”
“Me lo ha chiesto Kennichan! Mi ha chiesto di
seguirti perché, quando ti arrabbi, ha detto, sei più impe..inpu…impulsivo di lui!”
Tenpou recuperò gli occhiali, senza parole. Improvvisamente si chiedeva se
avesse fatto o no la cosa giusta. Aveva tante volte rimproverato a Kenren di
non agire prudentemente, e adesso si era dimostrato più infantile di lui.
“Quell’uomo è davvero…premuroso”, scherzò, sentendosi per un momento pieno di affetto verso il suo coinquilino nonché migliore amico.
“Quanto a te…”, fece Goku puntando un indice verso Li
Touten, “Non ti perdonerò mai per aver fatto picchiato Tennichan!”. Si voltò di
nuovo verso il suo amico, e , prendendone una delle
larghe maniche del camice, fece per trascinarlo via con sé. “Andiamo,
Tennichan!”. Tenpou, faticando per non mettersi a ridere, lo seguì, senza premurasi di lanciare la benché minima occhiata a Li Touten.
“Sì. Andiamo, Goku”
“Siete sicuro di volerli lasciare andare via così, Sommo li
Touten?”, gli chiese una delle guardie, massaggiandosi la schiena, che Goku gli
aveva percosso.
La divinità, intanto, si era già ricomposta, ed era riaffondata
nella sua poltrona, frizionandosi il punto in cui aveva ricevuto ben due pugni
nel giro di due minuti. Le cose non erano andate come
pensava, ma gli andava bene ugualmente. “Sì, non
importa. Tanto…”
…è solo una questione di tempo…
Quando quella sera Konzen andò a
recuperare Goku, fu sorpreso di trovare anche Tenpou incerottato
e malconcio, al pari di Shioka e Kenren. I tre, insieme a Goku, erano impegnati in una partita a Mah Jong.
“Che altro diavolo è successo?”, domandò, incerto se volerlo sapere o
no, Konzen. Si rivolse a Goku.
“Ehm…ehm…niente, perché?”, rispose incrociando le dita dietro la schiena.
Tennichan ha detto che poi parlerà lui con
Konzen…non è il caso di farlo preoccupare adesso. Rivolse lo sguardo verso Tenpou, che ridacchiò, Kenren, che finse di
fischiettare, e Shioka, che aggrottò le sopracciglia intimando a Kenren di
giocare. Quest’ultimo, in particolare, soggiunse: “Perché? Non siamo molto più virili, così?”
“Parla per te”, lo rimbeccò Shioka. “Io ne avrei
fatto volentieri a meno”
Il biondo rinunciò a chiedere informazioni. Sospirò. “Fate come volete, ma vi
prego di non coinvolgere Goku nelle vostre beghe. Sapete bene anche voi quanto sia influenzabile…”
“Signor tutore!”, lo apostrofò Tenpou. “Sembra che Goku non se la cavi tanto
bene a Mah Jong…che ne pensa di unirsi a noi e
giocare insieme a lui?”
Konzen sospirò ancora, e, poggiando una mano sulla testa di Goku, si sedette
per terra accanto a lui. “Spero almeno che non mi farete ripartire con il suo
punteggio”.
Continua...
[leggermente riveduta e corretta in data 06/03/08]
Kyaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Finalmente l’ho finito! Ragazzi,
questo capitolo è stato un’agonia…L’ispirazione mi deriva quasi
sempre dal leggere continuamente fanfiction di tutti i tipi, e, con EFP,
la mia risorsa principale, out, la situazione si era fatta drammatica…
Come vedete, è stato un capitolo abbastanza lungo e intenso. Sul prossimo ho
già qualche idea…spero proprio di riuscire a postarlo esattamente il 17
Ottobre, giorno in cui Rebirth festeggerà il suo primo compleanno!
Grazie alle solite commentatrici, e in particolare alle new
entry Mewrobby e Sanzina89…oltre naturalmente a Kia_Linus che aspettava questo capitolo da tanto…kissesfrom Simo aka Sakura87
Erika, grazie per tutto quello che hai fatto per noi…EFP, per la gioia di
tutti, è di nuovo on-line!
“Domina
il vasto oceano, soggioga il mare di diaspro.
Riceve il tributo dell’oceano
Quando le onde spingono i pesci nelle sue grotte marine.
Riceve il tributo del mare
Quando le spume le portano strane conchiglie.
Da sud-est, presso il Bosco di Fuoco, salgono le alture,
Si slanciano verso il mare orientale.
Scogliere rosse, rocce bizzarre, scarpate e picchi.
Cantano sugli scogli variopinte fenici.
Dorme l’unicorno nei cavi delle scarpate.
Si ode sui picchi il grido del fagiano dorato.
Nelle grotte rocciose si avvicendano i draghi.
Nel bosco vivono l’antico cervo e la volpe immortale.
Sui rami, uccelli leggiadri e nere gru.
Primavera perpetua offre fiori
Che mai appassiscono, verdi pini, cipressi alteri.
Maturano le pesche degli immortali. Nei bambù s’impigliano le nuvole.
Erba novella, liane e viticci tappezzano ogni dove.
È il pilastro del cielo, sbocco di mille fiumi,
Asse immutabile della terra per diecimila kalpa.”
Wu Ch’eng – en, Viaggio
verso Occidente, Capitolo 1: Descrizione della montagna dove vivono gli
Immortali
Shioka,
le gambe pigramente immerse in acqua, si godeva la sensazione dell’acqua piacevolmente tiepida che le lambiva i polpacci. Il
vento leggero faceva frusciare le fronde degli alberi in una melodia ritmica e
rilassante, e talvolta increspare l’acqua del torrente, che in quei casi le
accarezzava anche le cosce.
Le labbra leggermente dischiuse, il respiro pacato, la
fronte assolutamente libera da qualunque corrugamento, la ragazza osservava i
giochi di luce nell’acqua cristallina. Aveva imparato ad amare il silenzio
innaturale di quelle lande, quellacompostezza quasi soprannaturale della
natura. Persino il vento, lì, sembrava misurare i suoi passi.
Era felicedi essere
ancora viva. Di aver potuto sentire la pelle di Kenren contro
la sua, ancora una volta; di aver potuto ascoltare la voce suadente di Tenpou,
che aveva teso le braccia verso di lei in un gesto protettivo proprio nel
momento in cui le stavano per venir meno le forze. Kenren,
che la amava con trasporto; e Tenpou, che la sorreggeva. Li amava,
entrambi. Sentiva di adorarli con ogni fibra del suo essere, come forse aveva
amato solo i suoi genitori in quel tempo in cui era bambina, che adesso sembrava lontano mille e mille eoni.
Sì. Era felice di essere ancora viva.
Ma quel nuovo attaccamento alla vita la spaventava. Forse,
anche solo pochi mesi prima, si sarebbe lasciata morire, lì, tra le fiamme,
ecco: la fine. Il manto nero della morte. E invece
aveva lottato, aveva scelto ancora una volta la vita. E c’era di più.
Spezzare le catene che la tenevano ancorata alla parete del magazzino
l’aveva costretta ad usare la sua forza ad un punto a cui non giungeva da
quando aveva causato il massacro. Eppure, dopo
l’iniziale tensione, dopo quel primo scatto, aveva sentito come se qualcosa si
sciogliesse nel suo sangue. Come se quella forza, in fin dei conti,
appartenesse a lei, e non fosse una
caratteristica dell’altra. L’altra era sanguinaria, violenta, assetata
di vita altrui. Ma la forza era sua, di Shioka. Una forza che le aveva salvato la vita.
Alzò le mani, portandosele verso il viso e guardandole, come se le risposte avrebbe potuto trovarle nei solchi, naturali e cicatrici,
che le attraversavano le mani.
Nessuna risposta, ovviamente.
Quelle erano le mani di un’assassina. Appartenevano alla donna che stringeva a
sé Tenpou, alla donna che accarezzava teneramente la testa del piccolo Goku, alla donna che amava con passione Kenren. Ma appartenevano anche al suo lato oscuro, sempre pronto a
prendere il sopravvento nei momenti di maggior debolezza. Lo
stesso lato oscuro che aveva causato la morte di tante persone, sulla terra.
Shioka abbassò le mani e fissò a lungo il proprio riflesso sulla superficie
liscia del torrente. Quel frammento di sé le apparteneva, almeno quanto le apparteneva anche il riflesso che scorgeva davanti a lei.
Impossibile da scindere, ma…
Scalciò in acqua.
Il riflesso si scompose, per poi riformarsi quando
l’acqua fu tornata calma.
Non poteva cancellarlo. Ma poteva controllarlo e accettarlo.
Sorrise tra sé e sé. E forse…poteva far suo quel potere che tanto la
spaventava.
Gettò la schiena all’indietro sull’erba, un sorriso incontrollabile sulle
labbra, che si trasformò in una smorfia di dolore quando la schiena e le
costole protestarono per la tensione a cui erano state sottoposte. La sua forza
era tutto ciò che poteva donare a Tenpou e Kenren, anche se non gliel’avrebbero mai chiesta.
Era giunta nel Tenkai durante i preliminari di uno
scontro che si profilava all’orizzonte, mentre le due squadre si stavano
studiando per decidere che tattica adoperare. Le squadre avevano presto
iniziato a muoversi, e già i primi episodi di scontri diretti si erano già
verificati: inizialmente suo malgrado, ma ora più che consapevolmente, si era
trovata nel campo, e aveva naturalmente stabilito da che parte stare. Da quella
di Tenpou, da quella di Kenren. Non c’erano dubbi.
Il rumore ovattato di passi che si avvicinavano lentamente tra il fogliame la misero sul chi vive. Si raddrizzò di scatto,
nonostante la fitta atroce che le attraversò le costole: malgrado
le fratture fossero guarite innaturalmente in fretta, le ossa non erano ancora
a posto. Contrasse ogni suo muscolo, temendo che, da un momento all’altro, LiTouten - o più probabilmente
qualcuno dei suoi- avrebbe mostrato lo sgradevole viso tra le fronde.
Shioka rimase in guardia, aspettando che comparisse il visitatore; ma il volto
che comparve tra i rami fu a lei molto più familiare e gradito.
Il primo sguardo di Gojuin fu teso, quasi avesse avvertito
l’apprensione che c’era nell’aria, ma poi, quando le labbra di Shioka si
socchiusero liberando un sospiro, anche il suo piglio si ammorbidì.
”Ti ho spaventata?”
Shioka sorrise, alzandosi in piedi con cautela. Le costole pulsavano ancora.
“Non proprio. Ma qui è raro che venga qualcuno. Sai, temevo di essere stata seguita”.
Diede le spalle per qualche momento a Gojuin, tornando sulla riva del
torrente, qualche passo dietro di lei. Quindi si
lasciò scivolare lungo la sponda, immergendo le gambe in acqua.
“Come mi hai trovata?”
Gojuin si avvicinò a lei di qualche passo. “Non ti stavo cercando, in realtà.
Ogni tanto vengo qui. E’ tranquillo”
La ragazza fece un piccolo movimento con le spalle. “Sì. E’ tranquillo”, ripeté. Kenren, lei e Gojuin. Tutti,
autonomamente, avevano trovato quel posto e l’avevano amato, pensò.
“Dev’essere la posizione congiunta della radura,
delle fronde che si toccano come a formare un tetto, e del ruscello che in
questo punto non è molto profondo”, completò ad alta voce, più a se stessa che
a lui. “Fa venire voglia di sedersi e di chiudere fuori il resto del mondo”
“Fa venire voglia di vivere”
Curiosamente, quella frase così straordinariamente fuori posto sulle labbra di
Gojuin coincise con l’impatto del suo piede contro un sasso levigato
particolarmente sporgente dal fondale. Shioka crollò lunga distesa in acqua, le
costole troppo doloranti per impedirsi di cadere.
Riuscì a rimettersi seduta, un mezzo sorriso in volto, senza sapere se fosse di scherno per la propria caduta o d’incredulità per
le parole di Gojuin.
“Che cos’hai detto, Gojuin?”
“Assolutamente niente”
“Guarda che ti ho sentito”
“Meglio così, dunque non dovrò ripeterlo”
Gojuin sentì che la sua circolazione sanguigna aumentava leggermente
d’intensità. Non comprendeva pienamente perché si fosse lasciato sfuggire una frase del genere. E, lastbutnotleast, si chiedeva come diamine quella ragazza fosse caduta proprio in quel momento. Le si avvicinò, tendendole una mano dalla riva.
“Non dovresti trattarti con tale leggerezza. Ieri ti sei
ferita gravemente”, disse per dirottare il discorso altrove. Shioka si
sporse, afferrò la sua mano, quindi con l’altra si tenne al suo avambraccio,
sollevandosi cautamente. Gojuin la tirò un po’ su, quindi,
facendole passare delicatamente una mano dietro la schiena, la aiutò a
risalire sulla riva. Non aveva mai sollevato in quel modo una donna, e lei gli sembrò straordinariamente leggera.
”Grazie”, gli rispose Shioka lasciandogli la mano. “Ma
non preoccuparti: le mie ferite...guariscono molto in fretta”. La ragazza
abbassò lo sguardo e si strizzò i lembi del vestito, completamente bagnato, poi
se lo sfilò del tutto.
Dopo un attimo di smarrimento, Gojuin si voltò appena, spiazzato dalla completa
mancanza di pudore della ragazza. Il vestito bagnato che le aderiva ai fianchi,
quel guizzo di pelle inguinale che aveva intravisto prima di voltarsi, gli
richiamarono alla mente i ricordi di una certa notte in cui sedeva lì, sempre
in quella radura ormai evidentemente affollata. Poteva vedere la pietra su cui
era seduto, sotto il faggio; lui se ne stava lì, senza pensare a nulla,
semplicemente ascoltando il soffio del vento nel silenzio della notte, come
faceva sempre. Ma il silenzio era stato spezzato da
rumori umani. Aveva avuto appena il tempo di sporgersi per stabilirne la
provenienza, quando aveva visto Shioka liberarsi completamente degli abiti e
immergersi lentamente nell’acqua del torrente. Se il suo
primo pensiero razionale era stato: Ignora, non sono fatti tuoi, non
riuscì a celare a se stesso che quella visione aveva insinuato in lui viscosi
pensieri; e in quel momento, aveva pensato, non gli sarebbe dispiaciuto averla
sotto le proprie coperte, idea che mai prima d’allora aveva considerato, nei
confronti di nessuno.
“…rti”
“Come?”, chiese Gojuin, con voce che alle sue orecchie apparve un po’
colpevole, ruotando leggermente la testa.
“Ho detto che puoi girarti. Non sono mica nuda”
Con un mezzo sospiro, Gojuin si voltò completamente; e in
effetti vide che aveva delle bende strettamente avvolte attorno al
torace, che le coprivano il petto.
Sbuffò, sfilandosi il mantello e porgendoglielo con un gesto brusco. “Copriti comunque”, gli sfuggì con voce un po’ burbera.
Shioka sorrise, abbassando lentamente le sopracciglia in un modo che a lui
sembrò languido, e allungò le mani per prendere il mantello. “Grazie”, mormorò, in maniera stranamente sentita.
“Per così poco…”, le rispose Gojuin a mezza voce, risistemandosi il
soprabito.
Shioka scosse la testa, poggiandogli una mano sul braccio. “Kenren e Tenpou mi
hanno detto di ieri”
“Ah”, si lasciò sfuggire Gojuin, sedendosi sull’erba. Non trovava nulla di
valido da rispondere, dunque aspettò che lei dicesse qualcos’altro.
Shioka si sedette al suo fianco, poggiandosi il mantello sulle spalle. “Sono
contenta che tu…”, parve soppesare immensamente le parole “non
sia contro di noi. Cioè, intendo, che non…”
Gojuin fu divertito dal vederla imbarazzata. Aveva afferrato pienamente il
concetto: Shioka intendeva comunicargli che, se battaglia doveva esserci, avrebbe
preferito non vederlo dalla parte opposta. E le fu
mentalmente grato di quel pensiero.
“E’ dalla mia parte, che sto”, disse
accorrendo in suo aiuto. “Quella di ieri era una questione che mi riguardava in
prima persona: LiTouten si
è intromesso negli affari dell’esercito, sorpassandomi e arrogandosi il diritto
di far condannare un mio uomo. Non l’ho fatto per Kenren,
avrei fatto lo stesso per chiunque”. Dall’espressione che l’altra assunse, comprese che forse, nella seconda parte della
risposta non era stato poi così convincente.
Shioka socchiuse gli occhi. “Non importa. Grazie,
Gojuin. Qualunque cosa accada nei prossimi giorni, voglio che tu sappia che…”,
si strinse nelle spalle, “che ti sono riconoscente. Per
non essere come tutti gli altri.”
Gojuin prese due lunghi respiri, poi deglutì. Da quando l’aria era diventata
così pesante? Perché avvertiva quella sensazione di ineluttabilità?
Improvvisamente, fu sicuro che presto
sarebbe successo qualcosa. Qualcosa. Qualcosa di…
Aprì la bocca, sentendosi come se non gli appartenesse più.
“Ho intercesso per far liberare Kenren soprattutto perché volevo essere
coerente con me stesso” Non posso. Non
posso più fingere che nulla mi riguardi. I tempi sono cambiati. E’ tempo di
scegliere. E io ho già scelto. ”Mi hai dato tu dell’ipocrita, un giorno non troppo lontano. E avevi ragione. Ho sempre finto di non vedere. Non ho mai desiderato
di guardarmi intorno. Ma i tempi sono cambiati. Tutto
è cambiato. Sono stato costretto a
guardare. E ho intenzione di continuare a farlo”
Vide che Shioka si abbracciava le ginocchia. “So come ti senti, Ryuho. Credimi. Sono di nuovo…attaccata alla vita. Ho vissuto quello che per voi è un battito di
ciglia, ma per me è tanto tempo. E buona parte di questo tempo è stato terribile. E adesso…mi sento…”.
Nascose il viso tra le braccia.
Gojuin distolse lo sguardo. Lo sapeva già; sapeva qual
era il motivo principale che spingeva Shioka a vivere, ciò che l’aveva
strappata al suo torpore e le aveva riportato il sorriso sulle labbra. Era lo
stesso motivo che aveva cambiato lo sguardo di Kenren, quello che spiegava l’espressione
addolorata che il giorno prima gli
aveva visto negli occhi, in cella.
“Un tempo non avrei compreso”, le disse. “Ma ora credo
di capire. Purtroppo…sento che il tempo sta cambiando. Per tutti noi.”
“E’ quel che sento anch’io. Ma non ha importanza. Pochi
giorni simili valgono una vita d’indifferenza”. Sorrise, a nessuno in
particolare. “Sono contenta di averti conosciuto”
Gojuin si sentì mancare un battito. Un’altra di quelle
sensazioni che non aveva mai sperimentato. Si sporse verso di lei,
allungò una mano verso il suo viso e lo sfiorò. Poi la lasciò scorrere fino a una ciocca dei suoi capelli, che accarezzò fino a
ritrovarsene la punta sul palmo della mano.
Chinò il viso e baciò i suoi capelli.
“Non voglio che ti succeda qualcosa. Sei l’unica cosa del Tenkai
che non merita di sfiorire”. Lasciò andare lentamente la ciocca, quindi si alzò,
senza guardarla in volto. Non occorrevano altri saluti: senza
più voltarsi, si allontanò. Il futuro sarebbe stato tutt’altro
che roseo, ma aveva preso la sua decisione.
***
Calò
la notte. L’atmosfera del Tenkai era particolarmente
tranquilla, come se l’intero mondo celeste fosse stato chiuso in una teca
trasparente, che gli conferiva un’aura spirituale superiore alla norma. Nessuno, quella notte, aveva voglia di urlare, di
agitarsi. Solo voglia di tranquillità. Perché neanche per gli dei è possibile leggere il futuro.
Ma gli avvenimenti si leggono nell’aria, si avvertono nel profumo del vento,
persino nei raggi di luna che vengono riflessi dalle
foglie.
E per chi sa catturare i segni del tempo, per chi riesce a cogliere l’intensità
della tensione nell’aria, può essere vitale godersi l’ultima
notte immerso nella normalità della sua vita, per quanto monotona,
inutile, noiosa possa essergli sembrata tante volte.
Quella
sera c’era chi prendeva silenziosamente il tè con una persona che mai si
sarebbe aspettata di trovare dalla propria parte, eppure era successo.
I casi strani della vita…quasi gli veniva da ridere.
Fino a poco tempo prima gli dava del voi, e adesso sedevano tranquillamente,
quasi spalla a spalla, sorseggiando senza dire una
parola, in un’atmosfera di rilassata tensione (sì, per quanto possa sembrare un
paradosso, era l’unico termine che aveva la capacità di coniare in quel
momento, in quella situazione). Tenpou socchiuse gli occhi assaporando il
calore della bevanda, dovuto alla temperatura del tè, ma soprattutto alla grande percentuale di saké che vi aveva versato dentro. Accanto a lui, senza abbandonare un momento la sua compostezza,
Gojuin, con la tazza di tè alle labbra e la fiaschetta del saké nell’altra mano.
Più volte si erano ritrovati seduti nella stessa stanza, ma mai con la stessa atmosfera di quella sera; più volte avevano discusso
dei movimenti nei piani a loro superiori del Tenkai,
ma mai avevano convenuto che quello che stavano vivendo fosse l’ultimo momento
di tranquillità a loro concesso. La tentata radiazione di Kenren dall’esercito,
il tentato omicidio di Shioka, l’aver entrambi convenuto che LiTouten avrebbe presto dato un ordine al figlio,
l’ultimo, quello definitivo, erano segni dei tempi ormai maturati, come i
boccioli delle rose che si aprono in maggio.
Nessuno dei due parlava, entrambi sapevano che
qualunque parola sarebbe stata superflua se non dannosa, in quel momento. Stavano bevendo tè alternato con saké da ore, ormai, e presto
nessuno dei due sarebbe stato pienamente padrone delle proprie parole.
La finestra si aprì di scatto quando un’improvvisa
folata di vento soffiò in loro direzione, scompigliando i lunghi capelli di
entrambi.
Tenpou, non troppo fermo sulle gambe, si alzò e andò a chiuderla, ma prima di
accostare le ante si soffermò per un attimo sul vento che gli sferzava il viso.
“Gojuin…è una splendida serata, vero?”, disse.
Il generale dietro di lui non rispose; si limitò ad annuire, sebbene l’altro
non potesse vederlo, perché di spalle. Tenpou scoppiò a ridere. “Chissà…se
avessi cambiato qualcuna delle mie decisioni…se questa situazione penderebbe a
nostro favore, adesso”
“Non ci è dato saperlo”, rispose l’altro, portandosi
alle labbra nuovamente la fiaschetta di saké.
“Perché hai deciso di unirti alla nostra causa?”, chiese ancora Tenpou,
chiudendo finalmente le imposte e tornando a sedersi accanto a Gojuin.
L’altro non rispose subito. Finì la fiaschetta, passandosi poi la lingua sulle
labbra. “Hai mai promesso qualcosa a te stesso, Tenpou?”
“Spesso”, rispose l’altro, abbracciandosi le ginocchia.
“E hai sempre mantenuto quelle promesse?”
“Fino a questo momento mi è stato possibile”, concluse
l’altro sorridendo.
“Uhm. Anch’io…sto tentando di essere coerente con me stesso. Un giorno…una
persona che tu conosci molto bene mi ha dato dell’ipocrita, e mi ha fatto
notare che la differenza tra me e Kenren non sta nelle idee, ma nel modo di
dimostrarle. Ci ho riflettuto, e sono giunto alla conclusione
che l’unica cosa che posso fare per dimostrarmi coerente con le mie idee, al
momento, è schierarmi dalla parte dell’unica persona che, finora, è stata
capace di leggermi dentro, da qualunque lato lei decida di stare. Forse questo è un modo corretto di vivere”
Tenpou sorrise; forse era l’alcool, forse l’atmosfera, ma in quel momento
Gojuin, ai suoi occhi, si era trasformato in una delle uniche persone alla cui
spada avrebbe affidato la sua stessa vita.
“Sai…”, mormorò l’altro, abbassando lo sguardo. “Ti devo anche delle
scuse”
“Per quale ragione?”, chiese sorpreso Tenpou alzandosi e recuperando da un
armadietto un’ennesima bottiglia di saké.
“Perché ho dubitato, per un periodo, della tua, vostra, contando anche Konzen e Kenren, integrità. Ho creduto…che tu e gli altri
avreste usato Shioka e anche il bambino contro l’imperatore celeste. Che rispecchiasse il mio vero pensiero, o semplicemente si
trattasse di una forma infantile di gelosia, non saprei dirtelo”
Tenpou si accese una sigaretta, pensando. “Non ho mai vagliato l’ipotesi di
usarla nemmeno per un secondo, e lo stesso vale per Konzen.
Né ho mai cospirato contro l’imperatore. L’unica
persona…che vorrei vedere sprofondare…è LiTouten”
“Perché, Tenpou…stasera non sei con Kenren?”
Il generale aspirò il fumo. “Kenren è con Shioka. Credo che anch’io volessi trascorrere la serata con qualcuno”
Gojuin intrecciò la dita dietro la propria testa. “Sai qual è
la cosa più piacevole di tutte?”. Quella sera i residui dell’immagine che si
era costruito in tanti secoli si stavano sgretolando
lentamente, frammento dopo frammento. Ma non gliene importava nulla.
“No. Qual è?”
“Che tutti stiamo combattendo per noi stessi. Non per
proteggere qualcuno: il voler proteggere è una
conseguenza dell’agire per sé. Per il proprio orgoglio. Non trovi?”
Sorrise, anche se l’altro non poté vederlo, cosciente della persona a cui si stava
riferendo. Anche Tenpou sorrise, distendendosi sul pavimento e
appoggiando la testa sulle braccia. “Hai perfettamente ragione”
Quella
sera, c’era chi si era ritrovato un pupazzo tra le mani, incapace di credere
che davvero se lo fosse procurato proprio lui. C’era
chi osservava gli occhi entusiasti di un bambino che trovava il mondo degno di entusiasmo. Che aveva insegnato a lui che esisteva
qualcosa nel mondo degno di entusiasmo. C’era Konzen che, appoggiato all’intelaiatura della porta senza
emettere un fiato, osservava Goku disegnare su un
foglio con dei pastelli, seduto sul pavimento. Stava disegnando un grande sole. E sotto il sole, si
distingueva una figura vestita di viola, con i capelli dello stesso colore del
sole, che teneva per mano un’altra figura, dai capelli castani e le catene agli
arti. Konzen teneva stretto il pupazzo a forma di coniglio
tra le mani, le labbra socchiuse, lievemente inarcate. Se
qualcuno quella sera avesse potuto vedere Konzen, si
sarebbe certamente accorto, con somma sorpresa, che Konzen
stava sorridendo.
Il bambino, avvertendo la presenza del tutore, alzò lo
sguardo, poi lo riportò sul foglio. Finì di colorare di giallo i lunghi
capelli della figura che aveva appena disegnato, e poi si alzò di slancio con
il disegno in mano. “Konzen!”, esclamò, porgendogli
il disegno con fare orgoglioso. Poi scrutò con interesse il coniglio di pezza
che il biondo aveva tra le mani, osservando che non aveva mai visto un oggetto
del genere tra le mani di Konzen.
Il biondo, trattenendo la prima intenzione, cioè
quella di far sparire il pupazzo dietro la schiena, non disse nulla, ma, ancor
prima di prendere il disegno, porse leggermente il coniglio verso Goku.
Il ragazzino lasciò cadere il disegno per la sorpresa, afferrando il coniglio e
rigirandoselo tra le mani, quasi il fiato sospeso, come se stesse tenendo in
mano una boccia di cristallo fragilissima. Poi tornò a
immergere il suo sguardo da bambino negli stretti occhi ametista di Konzen.
Le sue labbra, prima piegate in un’espressione perplessa, si incresparono un
uno splendido sorriso che fece abbassare al biondo lo sguardo. “Konzen, è per me?”
La burbera divinità non rispose, borbottando un secco ‘tsk’,
ma in quel momento Goku gli si avvinghiò alla vita
come non mai, nascondendo il volto nella veste di Konzen.
Dopo un primo, timido tentativo di liberarsi, il biondo fu costretto a
rilassare i muscoli e anzi, quasi spontaneamente, poggiò le mani sulle spalle
di Goku, di nuovo l’espressione incontrollabile che gli era apparsa sul volto pochi minuti prima.
“Voglio che tu sappia…”, mormorò, abbassando lo sguardo e portando una delle
mani sulla testa castana del bambino. Le parole gli erano sorte spontanee. “…che non ti succederà nulla. Farò di tutto per impedire che
ti accada qualcosa di male” Gokualzò lo sguardo,
stringendosi il pupazzo al petto. “Perché dici questo,
Konzen?”
Il biondo scosse la testa, portandosi una mano alle labbra. “Niente. Andiamo a
letto”
Quella
sera, c’era chi nuotava liberamente nell’acqua fresca del fiume, ormai libero
da ogni pregiudizio nei propri confronti, ogni paura,
ogni turbamento. Che ironia, il fatto che avesse cominciato a vivere proprio
ora che le cose stavano per finire…C’era Shioka, libera da ogni abito e da ogni
pensiero, che rideva felice mentre si lasciava
massaggiare dall’acqua fresca, lievemente increspata.
La ragazza si avvicinò alla riva, strizzandosi i capelli, e si accostò a Kenren
che, disteso sul prato con il mento poggiato sui palmi delle mani, l’osservava.
Un sorriso sul volto, Shioka gli schizzò l’acqua fredda sulla schiena nuda,
cosa che fece scostare di botto, imprecando, la divinità.
“Tu…bastarda!”, ringhiò afferrandola per la vita e rabbrividendo al contatto
con la sua pelle bagnata.
“Oh, dai, sempre il solito indolente…perché non vieni anche tu a bagnarti?”
“Perché, se non te ne fossi accorta, l’acqua è gelida!”, continuò a lamentarsi
Kenren, ma sorridendo.
Rimettendola sull’erba dopo quel breve momento infantile, la divinità tornò
pensierosa. Siridistese,
fissando il cielo, o meglio, quei frammenti di cielo che affioravano dalle
fronde degli alberi, un braccio dietro la nuca, e l’altro a stringere Shioka
per un polso.
La ragazza avvertì immediatamente quel cambiamento d’umore,
così si stese accanto a lui, silenziosa. Attendeva che desse voce ai suoi pensieri, se mai volesse farlo.
“Prenderai freddo, così”, mormorò invece Kenren cercando a tentoni
il proprio soprabito con il braccio libero, e avvicinandoglielo. “Non è il modo
in cui vorrei vederti bagnata…”
Shioka forzò un risolino, nonostante la battuta non fosse
niente affatto divertente, sperando che magari quel senso di oppressione
che aveva iniziato a far capolino dentro di lei svanisse così com’era venuto.
Ma sentirlo tacere…quando era chiaro come il sole che gli unici momenti in cui
il suo generale testacalda lo faceva, erano quelli in
cui aveva pensieri non proprio positivi per la testa…
“Ehi”, disse lei, mandando a quel paese ogni buon proposito di tacere, “Si può
sapere cosa ti prende?”
“Nulla”, rispose un po’ troppo immediatamente Kenren. Le lasciò il polso,
portandosi anche l’altro braccio dietro la nuca. “Perché
me lo chiedi?”
“Secondo te?”, rispose l’altra con voce ironica, alzandosi a sedere e
sovrastandogli il viso con il suo.
“Che ne so, io?”, sbuffò lui, un po’ spazientito.
Shioka sospirò. “Come vuoi. Hai sempre la tendenza a voler risolvere i tuoi
problemi da solo, non posso e non potrò mai farci
nulla”
“Non ho nessun problema. E’…è solo un po’ di
nervosismo, tutto qui. Dopo quello che è successo in
questi ultimi giorni, è più che comprensibile, no?”
Shioka chinò ancora un po’ il capo, fino a posargli un bacio fugace e dolce
sulla fronte. “Quello che è successo in questi giorni…non importa, d’accordo?
L’importante è che nessuno si sia fatto troppo male, e che…”. Tacque anche lei,
un rossore innocente sul viso, quando Kenren fissò in lei uno sguardo cupo e
addolorato. Quello che avrebbe voluto dire, era che magari LiTouten se ne sarebbe stato buono per un altro po’,
che tutto sarebbe comunque andato per il meglio, ma l’atteggiamento di Gojuin
quella mattina, lo sguardo di Kenren, il rumore delle fronde, lo scorrere del
fiume, persino il soffiare dell’aria, le avevano suggerito che quella, forse,
era l’ultima serata tranquilla. Si distese accanto al rosso, affondando il viso
nel suo petto. Qualche secondo dopo, sentì la mano della divinità posarsi sulla
sua testa bagnata e carezzarle la nuca, scendendo e salendo in movimenti dolci
e languidi.
“Ascolta…”, suggerì Kenren, “Per stasera lasciamo perdere
tutto, ok? Niente LiTouten, niente scacchi, niente Tenpou, niente regole. Solo
tu, e io. Sei d’accordo?”. In un unico movimento rapido, ribaltò le posizioni,
portandosi di nuovo su di lei.
“Intesi”
Kenren sorrise, scostandole i capelli e chinandosi per baciarla sul collo, proprio sopra il cappio.
“Un’altra cosa, Kenren”, mormorò Shioka inclinando la testa di lato.
“Cosa? Se mi dici qualcosa di diverso da ‘Ahhh,
Kenren, scopami subito!’, ti stacco la giugulare a morsi”, rispose l’altro
soffocando una risata contro il suo collo.
“Eh, no…aspetta, non azzannarmi ancora…volevo dirti
che, qualunque cosa succeda, io sarò con te. E non
prendermi in giro!”, fece ancora la ragazza, arrossendo velatamente.
Kenren si bloccò, sollevando il viso. “Questi discorsi da ‘domani potremmo non
aver più tempo per parlarne’…tieniteli per quando e
se arriverà il momento”. La baciò con foga, cosciente che il tempo sarebbe
arrivato senz’altro, e forse non così tardi. Resistette
all’impulso di prenderla con forza, di farle male, la voleva
disperatamente, ancora e ancora, per quella notte, per l’indomani, per sempre.
Sentiva che il momento sarebbe stato troppo impietoso con loro, quindi voleva
afferrare ogni istante, ogni suo battito, ogni suo
respiro, ogni suo gesto. Dire che ti amo…non renderebbe giustizia a
quello che davvero provo per te, si ritrovò a pensare Shioka, aggrappandosi
disperatamente anche lei ad ogni sensazione. “Io…”
Non continuò. Le sue mani andarono a stringere le spalle
della divinità in una sorta di smarrito tentavo di sentirlo dentro di
sé, più violentemente possibile, più appassionatamente possibile.
Io…
ieri…per la prima volta nella mia vita ho provato qualcosa di molto simile a un rimpianto.
Ho pensato che…ti fossi trovata in pericolo per colpa mia. Perché ti avevo
spinto verso una decisione che potevi anche non
prendere.
E forse, se davvero provavo qualcosa di non egoistico verso di te…dovevo occultare ogni sentimento per non permettere che
soffrissi ancora…
Non ho mai sperato nulla davvero…
Ma adesso…
Spero con tutte le mie forze che gli dei siano davvero onnipotenti come credono
quelli del mondo sottostante…
…perché se è così…
…avrò la capacità di proteggerla sul serio.
Quella sera, c'era chi tramava. LiTouten, un bicchiere di
vino rosso in mano in un calice brillante, si compiaceva per ogni sua mossa. I
tempi erano maturi, se lo sentiva sotto la pelle.
Era stato bistrattato a lungo, schernito e umiliato, ma adesso era venuto il
momento di dimostrare definitivamente cosa
era capace di fare.
Non aveva mai dimenticato come i generali e le milizie, quando era solo una
miserabile militare, lo schernissero. Compreso quel giovane capo di divisione che, grazie a discrete
capacità fisiche e intellettuali, aveva sorpassato tutti ed era diventato
maresciallo d'armata dopo una brevissima carriera. Il
suo volto compiaciuto quando gli era stata conferita la carica gli era rimasto
da allora impresso nella mente. Adesso quello stesso maresciallo
d'armata si trovava in posizione di squilibrio sull’orlo di un baratro. Sarebbe
bastato un soffio…e sarebbe scivolato giù, aggrappandosi ai suoi compagni e
trascinandoli giù con loro. Occorreva solo l’occasione per soffiare…
Si beò ancora per un momento dell’aroma vino nel calice, prima di
tracannarlo. Si stese meglio sulla poltrona, inclinandola sulle due gambe
posteriori. Si rilassò, assaporando l’aria che proveniva da uno spiraglio
lasciato aperto nella finestra. Pezzi neri posizionati, pezzi
bianchi da lui controllati, regina, alfieri e torri bianchi bloccati.
Ora…restava solo da ordinare alla regina nera di attaccare il re bianco. Scacco matto.
“La vita, in fondo, cos’è se non una partita in cui usi ogni trucco
concesso e non concesso per assicurarti la vittoria?”
La regina nera sarebbe presto tornata. E avrebbe fatto
di tutto per compiacere il re nero, come suo solito.
Scacco matto.
Davvero è possibile percepire quando sta per succedere
qualcosa? Davvero gli dei, e non solo loro, scoprono di avere questo potere nei
momenti più impensati?
Tutto accade per volere del destino?
O più semplicemente, in un modo o nell’altro, ogni nodo viene al pettine e ogni
retta infinita prima o poi si curva fino a
ricongiungersi con l’origine?
Nulla resta senza risposta per sempre.
Nulla si trascina in eterno.
Neanche in un luogo che eterno dovrebbe essere per antonomasia, il Paradiso.
***
“Eh? Come, scusa?”
“Mi hai sentito!”, annuì, serio, il bambino dagli occhi dorati. “E’ l’ora
del bagno, e voglio farlo con te!”
Shioka sgranò gli occhi, poi sorrise. Aprì la bocca per rispondergli, ma
Kenren, vestito in ‘tenuta formale’,
abbracciò da dietro il collo del ragazzino, quasi strozzandolo, e prese a
scombinargli i capelli.
“Tu, scimmietta! Non sei già troppo grande e ancora
troppo piccolo per fare il bagno con le donne?”
“Lasciami, Kennichan, mi fai
male! Non essere geloso!”
“Ehi, reintegrato!”, aggrottò le sopracciglia Shioka. “Molla Goku, gli stai facendo male”
Kenren si aggiustò l’elmetto, lasciando in questo modo Goku,
che si affrettò a ripararsi dietro Shioka, facendogli la linguaccia. “Tsk! Se la scimmia ti infetterà i
batteri della stupidità, non venire da me!”
”Se non me li hai già infettati tu, non so proprio come potrebbe accadere”
E lasciandolo ancora con la bocca aperta –probabilmente nel tentativo di
trovare qualcosa di arguto da risponderle, Shioka prese per mano Goku e avvertì Tenpou che sarebbero andati a fare un bagno.
Il moro, sorridendo, alzò la mano in segno di risposta, silenziosamente grato
alla ragazza di aver allontanato il bambino dalla stanza, lasciandogli modo di
discutere con Konzen liberamente. Konzen
si limitò ad annuire, accomodandosi sulla sedia davanti alla scrivania di
Tenpou, di nuovo in disordine dopo pochi giorni.
La ragazza inviò un’ultima occhiata sorridente a Kenren, che
sorrise a sua volta, poi sparì dietro la porta.
Pochi minuti dopo, Shioka si era spogliata, e stava entrando lentamente nella grande vasca da bagno, dove già Goku
stava sguazzando e giocando con le bolle. Si rilassò
completamente, sollevando i capelli e ripiegandoli sulla testa.
“Ah! Neechan, guarda quanta schiuma ho fat…”; si bloccò alla vista della cicatrice nel
petto della ragazza. Tacque, perplesso. Shioka alzò lo sguardo per capire cosa avesse bloccato il bambino, e immediatamente intuì. Sorrise.
“Ti ha spaventato questa?”; chiese toccandosi la cicatrice sopra il seno
sinistro.
Il bambino annuì, rosso in viso, lo sguardo basso.
“Ah, ma è così vecchia…non preoccuparti!”, esclamò scattando in avanti e
seppellendo il bambino tra la schiuma. “Ne ho molte altre, la più nuova è
quella nella schiena”, si bloccò ammiccando alle proprie spalle. Che si è appena formata.
Il bambino riemerse dall’acqua boccheggiando per prendere aria. “Chi te le ha
fatte?”, disse, in tono serio e arrabbiato.
Shioka si sistemò i capelli. “Ah, ma non sono tutte della stessa persona…”,
rise divertita.
“Non perdonerò chi ha fatto male alla neechan!”, la interruppe il bambino stringendo i pugni.
“Chi ti ha fatto quella nella schiena? Chi ti ha ferita
l’altro giorno?”
“Certo che sei proprio una stupida scimmia!”, rise ancora Shioka. Lui e Kenren,
sebbene il secondo lo nascondesse, avevano le stesse
reazioni: da mocciosi. Goku era proprio tenero. Non sapeva nulla di lui, ma,
sebbene appartenessero ad una stessa razza, sperava che il bambino non avesse
trascorso gli stessi momenti disgustosi che aveva dovuto patire lei.
“E' stato quel brutto faccia da poppa che ha fatto del
male anche a Tennichan?”, fece Goku
incrociando le braccia. “E’ stato lui?” Faccia di poppa? Shioka cercò di non ridere. “Forse sì. Ma ora smettiamola di parlare di cicatrici!”, esclamò
abbracciandolo e ributtandolo con la testa sott’acqua, solleticandolo.
Il bambino si affrettò a riemergere, ridendo e sputando acqua e sapone, e
aggredendo a sua volta la ragazza, bloccandola con la schiena nella parete
della vasca. “Ho vinto io, stavolta!”.
“Senti, Goku…”, mormorò lei tentando di farsi uscire
l’acqua dall’orecchio. “Tu…cosa facevi, prima di venire qui
da Konzen?” Goku rimase per un attimo pensieroso. “Veramente…non
mi ricordo bene…non c’era nessuno come me, che parlava, c’era solo un bel posto
con tanto verde e acqua che scorreva…e gli animali…le prime persone che ho
visto sono stati quelli che mi hanno trascinato qui…poi quella strana donna mi
ha detto che dovevo stare con Konzen…”
“Quella strana donna sarebbe la divinità con i capelli neri, lunghi e ricci che
ha anche lei gli occhi viola come Konzen? Quella che sembra un po’ strana?”
“Sì, proprio lei. Quella che sembra sempre nuda…credo
si chiami ‘vecchiaccia’, anche se quelli che
mi hanno portato qui la chiamavano in un altro modo che non ricordo”. Goku continuava a giocare con la schiuma, mentre parlava,
bagnando ovunque.
Shioka rise. “Dimmi, ‘vecchiaccia’ l’hai sentito dire
a Konzen, vero?”
Il bambino annuì. “Proprio così…e Vecchiaccia lo
chiama sempre ‘nipote’, oltre che ‘Konzen’. Ma non può essere sua zia, vero? Perché Konzen
urla sempre e diventa nervoso quando la vede…”
Shioka sorrise. “Sai, quando Konzen urla, non sempre
è arrabbiato. A volte è imbarazzato…e spesso vuole dimostrare che prova
interesse verso la persona a cui le sue grida sono rivolte. Mi capisci?” Goku rimase perplesso. “E’ strano, però. Quando una persona vuole bene ad un’altra, non dovrebbe
sorridere invece di urlare? Tu, adesso, non sorridi perché vuoi bene a Kennichan e Tennichan?”
Shioka si strizzò i capelli, nascondendo il lieve rossore che le aveva colorato le gote. “E’ vero. Ma non sempre è
indispensabile sorridere per dimostrare l’affetto, Goku”
La ragazza gli rivolse un altro, dolcissimo sorriso, che fece arrossire Goku e gli fece realizzare che
Shioka era molto più carina di quando era arrivata lì e non guardava in faccia
nessuno. La guardò profondamente negli occhi, come faceva
quando voleva sondare l’umore di Konzen. Una
delle sue iridi era dorata come le sue: loro due erano simili.
Promise a se stesso che, se si fosse avvicinato di nuovo a
uno dei suoi amici, questo Li Touten l’avrebbe pagata
per tutto.
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 23/06/09]
Capitolo 42 *** Still time, Act 1: 'Till the end ***
//Rebirth//
//Rebirth//
Capitolo 42 – Still Time, Act I: ‘Till the end
Konzen si
strinse nelle spalle. La voce di Tenpou giungeva alle sue orecchie come da un
mondo distante, distorta e lontana. Aveva lo sguardo fisso sulla scrivania
dell’ufficio del maresciallo, ma non vedeva nulla.
“Mi
dispiace”, concluse il generale dagli occhi verdi,
dopo avergli esposto i fatti per un’abbondante ora. “Ma credo che dovresti
tenere d’occhio Goku più di quanto tu non abbia mai
fatto da quando è arrivato qui”.
Non aveva
bisogno che glielo dicesse. Era un discorso superfluo.
“Stavolta non mi stai dicendo nulla di nuovo, Tenpou”.
Tenpou
annuì, gettando il capo indietro e togliendosi gli occhiali per pulirli. “Fatto
sta, Konzen, che siamo agli sgoccioli. E purtroppo…non ho la minima idea di come affrontare questa
situazione, stavolta”
“Tu che
non hai la minima idea di qualcosa?”
Il
maresciallo ridacchiò, una risata senza gioia né divertimento. “Un’osservazione
poco arguta da parte tua, Konzen, considerando che hai constatato personalmente
come non avessi previsto né l’arresto di Kenren né l’incidente occorso a
Shioka”
“Adesso
non sto parlando di ‘prevedere’. Sto parlando di
‘contromisure’”, rispose il biondo, incrociando le braccia sul petto.
“Nessuno si aspetta che tu sappia anticipare ogni singolo evento che accadrà
nel Tenkai, ma, e mi costa ammetterlo, sei quello che riesce a pensare più a
fondo di tutti. Mi sto chiedendo, Tenpou, cosa dovremmo fare noi alla prossima
mossa di Li Touten”
Il biondo
strinse i pugni. Solitamente, non si sarebbe mai e poi mai
dimostrato inerme nelle mani di qualcuno come in quel momento, ma aveva bisogno
che Tenpou lo rassicurasse. In qualunque modo, forse avrebbe preferito
addirittura una bugia.
Ma
Tenpou non era tipo da bugie, né da rassicurazioni. Tenpou si sarebbe potuto
appellare ‘la divinità della razionalità fredda’.
Il
maresciallo si osservò i palmi delle mani. “Shioka, Kenren, me. Mi dispiace, ma
il prossimo credo proprio che sarà Goku. Ho ragione di credere…che Li Touten tema lui e Shioka in
particolare, non tanto per la loro forza, ma per l’utilizzo che ne potremmo
fare noi. Sa che potremmo usarli per fermare una sua eventuale insurrezione
contro l’imperatore, e che potremmo addirittura tentarne – e portarne a
compimento- una noi stessi, anticipandolo. Ha cercato ogni ragione per
allontanare Goku da te. Ha tentato con l’inganno di allontanare Shioka da qui.
Ha cercato di ucciderla al suo rifiuto. Adesso…vuole la loro morte. O la loro segregazione, non importa. E
non ti nascondo che non esiterebbe a sfruttare l’amicizia e il legame che c’è
tra il figlio e Goku. Per questo, e me ne rammarico…dovresti
evitare che i due bambini si rivedano”
Konzen
alzò lo sguardo per la prima volta dopo più di un’ora. Non era esattamente
quello che sperava di sentirsi dire, ma almeno era la pura e semplice verità. “Cosa pensi? Che…”
“Nataku
non è un essere naturale. E’ una vita creata artificialmente da Li Touten, utilizzando il cuore di un drago sacro che noi
milizie abbiamo sigillato molto tempo fa. Così tanto
tempo fa, che credo sia stata la prima missione che io e Kenren abbiamo
combattuto insieme. Nessuno, a parte me, quel giorno, si avvide che quel pavido
di Li Touten, che aveva evitato ogni scontro diretto
fino alla fine, aveva sottratto il cuore di quel drago e, probabilmente, in
seguito ne fatto uso per creare una vita artificiale. Nataku. Sì. Li Touten ordinerà a Nataku di uccidere Goku. E Nataku non si ribellerà, perché è stata e sarà sempre una
sua creatura. E’ l’unico ‘affetto’ che crede di avere, non lo rifiuterà”.
Tenpou abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di ciò che stava dicendo.
Un rumore
di qualcosa che cadeva per terra li fece voltare di scatto. Erano così presi
dalla discussione, che non si erano accorti di essere
osservati.
“Ma…”
Goku,
lasciato cadere il pupazzo a forma di coniglio che era tornato
nello studio a prendere, in silenzio, era lì, gli occhi sgranati e inumiditi,
incapace di pronunciare parole di senso compiuto.
Non può
essere…, era
l’unico pensiero che riuscisse a formulare.
“Goku…”.
Konzen si alzò in piedi. Non doveva sentire queste parole. Non avrebbe dovuto.
Una fitta improvvisa gli fece rivoltare lo stomaco come un calzino: Konzen
aveva provato per la prima volta il dolore.
Sentì che
Tenpou, dietro di lui, si alzava così in fretta da far cadere la sedia che
occupava. “Goku, non…”
Il bambino
pestò un piede in terra con forza, una rabbia indicibile negli occhi. “Non può
essere! E’ una bugia! Nataku è mio amico! Non
farebbe mai una cosa simile!”
“Goku,
stai…”, fece per dire il biondo, avvicinandoglisi. In realtà, non sapeva cosa
dirgli. Negare la realtà dei fatti? Metterlo in guardia? Cosa…
Goku
rifiutò una delle sue mani tese, facendo dietro-front e sparendo nel corridoio
di gran corsa.
“Konzen! Corri!”, esclamò Tenpou, aggirando la scrivania e imboccando
anche lui il corridoio in tutta fretta. “Sa della nuova missione, temo che
voglia raggiungere Nataku al palazzo imperiale!”
Il biondo
non se lo fece ripetere due volte, scattando in avanti, e iniziando a correre
anche lui.
“Ma che cosa…?”. I due, correndo per il corridoio, urtarono
Shioka, che si era rivestita e si stava asciugando i capelli.
“Shioka,
non muoverti da qui, hai capito?”, l’ammonì Tenpou senza fermarsi, prendendo il
portone e sparendo nel cortile, seguito da Konzen.
“Non
muovermi? Stai scherzando o cosa?”, esclamò la ragazza facendo cadere
l’asciugamano e iniziando a correre anche lei. Tenpou e Konzen che
corrono…come minimo, sarà la fine del mondo!
In capo a
pochi minuti, i tre avevano raggiunto l’entrata del palazzo imperiale, Tenpou
aveva sospinto via le due guardie che ne controllavano l’ingresso, e stava
correndo all’impazzata per gli infiniti corridoi della residenza.
Shioka e
Tenpou tenevano bene il passo, ma Konzen non era mai
stato un atleta. Rimpiangendo di non poter fare di più, crollò lungo il muro
del corridoio, spossato e senza fiato. Tenpou non si voltò nemmeno e continuò a
correre, mentre la ragazza rallentò, voltandosi verso la divinità bionda.
“Che…che stai facendo ancora?”, la rimproverò Konzen. “Va’!”
“Dimmi che succede!”
“E’
Goku…Ha sentito….”, ansimò forte, “…Tenpou dire che Li
Touten ordinerà a Nataku di ucciderlo. Forse…”
Shioka
fece cenno che bastava, rimettendosi a correre più forte di quanto stesse
facendo Tenpou, già in fondo al corridoio. “Vado con lui”. Non aveva nemmeno il
fiatone.
Rimasto
solo con se stesso, guardando le due sagome ormai lontane, Konzen si lasciò
cadere sul pavimento, non prima di aver colpito con forza il muro.
“Maledizione…”, imprecò, sentendosi girare la testa.
Una frase
gli ronzava in mente come fosse un mantra:
Credi
che sarai per sempre il sole di quel bambino?
Goku si richiuse alle spalle la porta della sala imperiale, ansimando
leggermente. Il
silenzio scese improvvisamente tra i presenti, l’unico suono che riecheggiava
era il suo ansimare.
“Nataku!”
Kenren
aggrottò le sopracciglia, notandolo, ma non parlò. Che
ci faceva lì la stupida scimmia?
Goku si
avvicinò a Nataku avanzando velocemente, e gli afferrò un lembo della tunica.
“Non…non è vero, giusto?”
Nataku lo
guardò senza capire.
Goku forzò
un sorriso, che tradiva tutta la sua ingenuità e preoccupazione. “Tu non mi uccideresti mai…non è forse così? Nataku…?”
Mormorii
concitati si diffusero in tutto il salone. Nataku aprì la bocca per rispondere,
ma non seppe cosa dire. Si sentiva improvvisamente confuso, lì, davanti
all’intero esercito, suo padre alle spalle, e l’unica persona che poteva
considerare ‘amica’ davanti.
“Goku…?”.
Kenren, stupito e confuso, ma troppo scosso dagli ultimi avvenimenti per
suscitare entro così poco tempo dalla sua reintegrazione polemiche inutili, non
poté che osservare il bambino chiedendosi cosa avesse
in mente. Dov’era Konzen? E
Tenpou?
“Cosa ci fa qui quel bambino? Cacciatelo immediatamente
via!”. La voce impaziente dell’imperatore celeste riportò tutti al silenzio. Li Touten gli si avvicinò con deferenza, inchinandosi
leggermente.
“Aspettate,
sommo imperatore celeste…ho ragione di credere…che
quel bambino sia stato abilmente plagiato. Dal maresciallo Tenpou Gensui,
ovviamente. Ma non preoccupatevi…vi libererò da ogni
seccatura immantinente…” Si rivolse al proprio figlio, poggiandogli una mano
sulla spalla.
"Nataku...uccidilo"
Dalla sua
voce autorevole traspariva impazienza. Chissà quanto aveva
aspettato per poter pronunciare quest'ordine; nonostante si sforzasse di
dissimularlo, il suo sguardo appariva compiaciuto. Finalmente,
finalmente era giunta l'occasione per liberarsi del mostriciattolo, e
possibilmente anche del fastidioso Konzen, insieme a tutta la sua combriccola. Quando la donna eretica si fosse trovata da sola, le avrebbe
posto l'aut aut. O sottomettersi a lui, o la
segregazione. O magari la morte.
Attese che
il figlio obbedisse all'ordine, certo che, come
sempre, l'avrebbe fatto. Il fatto che provasse simpatia per quel mostro, per
lui aveva ben poca importanza. Li Touten si guardò
intorno alla ricerca dei suoi obiettivi, ma, con delusione, si accorse che
nella stanza era presente solo Taisho.
Goku alzò
lo sguardo. Sentiva il sangue ribollirgli, non aveva
mai provato una sensazione così…così…furiosa. Le labbra gli tremarono per la
rabbia.
“Tu…bastardo!”
Non avrà intenzione di…Kenren si portò una mano alla fondina, pronto a
qualunque evenienza. L’intero pubblico nella sala osservò con il fiato sospeso
Goku che si gettava su Li Touten e lo colpiva al volto
con una violenza inaudita. Il dio venne sbalzato
contro il pavimento.
“Tu…è
tutta colpa tua!…come osi…Tenchan…Kennichan…Shioka…e Nataku…”
Levò di
nuovo il pugno il pugno contro la divinità, ma una
presa ferma gli bloccò i movimenti del braccio.
“Nataku!”,
esclamò, la voce stupita e tremante.
“Allontanati
da mio padre”, mormorò il ragazzino, anche lui con voce tremante. “Qualunque
cosa mi ordini…mio padre è l’unica ragione di vita…il mio signore”.
Sguainò la
spada. “E questi sono i suoi ordini”
A Goku
parve che la realtà, per un momento, vacillasse. Negli occhi di Nataku non
leggeva più l’innocenza e la complicità che tanto lo avevano
attirato, ma semplice passività.
Il
ragazzino abbatté la sciabola sul piccolo essere eretico.
Goku
chiuse gli occhi, sentendosi impotente. Uno stridio davanti a sé lo convinse a
riaprirli.
“Si tende
troppo spesso a dimenticarsi di me…”
Kenren,
infatti, si era prontamente messo tra i due ragazzini, bloccando l’assalto con
la sua lancia. “Allontanati, Goku”
“Kennichan…”
“Sei
ancora qui? Ti ho detto di spostarti!”
“Questo è
un manifesto atto di ribellione, generale Taisho”, proclamò Li
Touten, che nel frattempo si era rialzato, senza aver perso il suo spirito.
“Nataku, liberati di quell’uomo immediatamente!”
Benone,
Taisho. Se volevi essere il primo, non avevi che da
dirlo. Per me non fa alcuna differenza. Mi dispiace soltanto che le tue adorate
coinquiline non siano qui per assistere all’evento.
Nataku, senza più alcun esitamento, si scagliò su Kenren, che, per
quanto più alto e prestante, faticava a tenerne a bada gli attacchi. Era
incredibile quanta forza avesse quell’essere.
Il
generale fu sbalzato a terra; non ebbe il tempo di spostarsi, che fu costretto
a proteggersi nuovamente con la propria arma. L’elmo militare gli cadde a terra
con un rumore sordo, mentre stringeva i denti per non lasciarsi sfuggire di
mano l’asta, che vibrava pericolosamente sotto i colpi di Nataku.
Maledizione…quanta
forza ha questo bambino? Non mi lascia nemmeno il tempo di respirare…
“Taisho!”.
Gojuin aveva, in un moto involontario, estratto la spada, ma, ad un cenno di Li Touten, si era trovato circondato dai suoi stessi uomini.
“Maledizione…”
“Signor
Dragone, vedi di farti gli affari tuoi!”, gli gridò dietro Kenren, ma non
riuscì a parare a debita distanza un affondo più potente degli altri, cosicché
la grande sciabola di Nataku gli lambì una spalla. Avvertì un’esplosione di
dolore in testa, che fece vacillare la sua guardia.
“Kennichan!”.
Goku, le lacrime agli occhi, non poteva far altro che assistere inerme.
“Nataku, fermati!”
“Merda…”.
Kenren recuperò in fretta l’equilibrio, bloccando un ulteriore
attacco. Quel modo di combattere non l’avrebbe portato da nessuna parte, ma
d’altronde riusciva a malapena a parare i colpi:
Nataku era troppo veloce e potente perché potesse tentare un affondo lui
stesso.
“Tenpou,
lì!”. Shioka, spintonando gli spettatori, riuscì a
intravedere la sagoma di Kenren, impegnato nel combattimento contro la bambola
assassina. Aveva distanziato Tenpou di una buona decina di
metri, così dovette urlare e agitare una mano per farsi vedere in mezzo
alla folla di persone attonite.
Il
maresciallo, che ansimava leggermente, la inquadrò, spostandosi nella sua
direzione.
“Sta….sta…”
“Combattendo
contro Nataku”, completò per lei Tenpou, mentre il suo volto si deformava in
un’espressione insieme di odio e di preoccupazione.
Troppo.
Era troppo. L’imperatore guardava distante, come se la faccenda non lo toccasse
minimamente; Goku piangeva come un bambino impotente, gridando a tratti a
Nataku di fermarsi; Kenren, palesemente più debole e impreciso del solito,
vacillava sotto i colpi del ragazzino; mentre Li
Touten…
…Li Touten ghignava.
“Uccidilo!
Nataku, cosa stai facendo?”
Adesso
basta! Un lampo di
rabbia cieca esplose nella testa di Tenpou. Come una
bottiglia di bibita gasata agitata troppo a lungo a cui venga
tolto il tappo.
Sorprendendo
persino Shioka, il maresciallo sottrasse una spada a
un militare lì vicino a loro.
Con una
velocità incredibile, si fece largo tra la folla, scagliandosi, spada tesa,
contro Li Touten.
Il suo
affondo non arrivò a destinazione, perché Nataku, abbandonato
il combattimento contro Kenren, si era lanciato a proteggere il padre.
Parò il colpo di Tenpou con la spada, respingendolo poi con un fendente tale,
che il maresciallo si trovò contro il muro, a pochi metri da Kenren e Goku.
Tenpou
ricadde a terra con il capo chino, mentre i due si affrettavano a soccorrerlo.
“Sta
succedendo tutto troppo in fretta!”. Confusa dalla rapida successione di eventi, Shioka si slanciò anche lei, senza pensare,
contro Li Touten, ma fu fermata dalle guardie personali della divinità, le
stesse guardie che avevano quasi causato la sua morte.
Con la coda
dell’occhio, intuì che anche Gojuin, sebbene più esperto, si trovava
nella sua stessa situazione. Il maresciallo si era a
una ventina di metri da lei, dandole le spalle, minacciato da una quindicina di
uomini. Senza pensarci troppo, si spostò nella sua direzione, schivando i colpi
dei nemici senza contrattaccare.
“Bene,
bene, direi che siamo sulla stessa barca!”, mormorò,
quando si fu portata alle sue spalle.
“Io direi che ci troviamo con l’acqua alla gola”, rispose
freddamente il generale, senza voltarsi.
“Avviciniamoci
a Tenpou e agli altri. Coprimi le spalle, e io farò altrettanto”
“Come
vorresti coprirmi le spalle senza un’arma?”
“Lascia
fare a me”
Gojuin
sospirò. “Vedi di non farti male”
“Contaci”
“Al mio tre…uno…due…”
“Tre!”,
rispose Shioka, e si scagliò, in contemporanea con Gojuin, nella direzione in
cui Goku, Kenren e Tenpou si stavano trovando in difficoltà. Nella stessa
direzione, più lentamente, stava avanzando Nataku.
“Cosa aspettate? Fermateli”, sbraitò ancora Li Touten, in cuor suo sempre più soddisfatto di come si
stessero mettendo le cose. Con un unico ordine, aveva infinocchiato
Taisho, Gensui, l’essere eretico femminile, e persino il maresciallo drago
dell’armata dell’ovest.
Gojuin,
evidentemente più svelto con la spada che con la lingua, si dimostrò un buon
combattente; parava i colpi dei guerrieri che Li
Touten aveva loro aizzato contro, senza neanche scalfirli. Non fu versata una
goccia di sangue nemmeno da Shioka, che bloccava ogni fendente diretto a lei e
a Gojuin semplicemente facendosi scudo con quegli stessi cappi metallici che
gli dei le avevano imposto. Sembrava danzare tra i
nemici, con una tecnica combattiva che nessuno le aveva mai
insegnato.
Nataku,
intanto, stava ancora avanzando, ma Shioka, abbandonata la schiena di Gojuin
tutto d’un tratto, si frammise tra lui e il gruppo, le braccia ai fianchi.. “Adesso basta, Dio della Guerra. Stai conducendo una
battaglia che non ti compete”
Gojuin si
chinò presso Tenpou, non abbandonando però la ragazza con lo sguardo. “Pare
che…alla fine…siamo tutti qui”.
“Già…si
sono finalmente aperte le danze. Ormai è impossibile interrompere i balli”, confermò Tenpou annuendo dolorosamente e pulendosi il volto
dal sangue che lo sporcava.
“Non ci ho
pensato nemmeno per un attimo”, rispose Kenren a tono, sorridendo e
strofinandosi a sua volta la ferita alla spalla.
“Ma…Shioka nee-chan…”
Goku si
stava avvicinando alla ragazza, un braccio teso come per afferrarla. Anche Kenren, adesso, la stava seguendo con sguardo
preoccupato e intristito. Anche lei, ormai,
deve ballare con noi.
Nataku,
intanto, non pareva avere ascoltato le parole della ragazza. Il dio della
guerra chinò il capo, sollevando la spada, e, chiusi gli occhi, iniziò a
mormorare strane formule.
“Quello…è
uno degli attacchi più potenti del Dio della Guerra”,
mormorò Kenren. “Shioka, spostati da lì immediatamente!”
La spada
del ragazzino si illuminò di luce propria, mentre
un’aura enorme e opprimente esplodeva nel salone, causando panico tra gli
astanti, e persino nello stesso imperatore.
“Li Touten, fate smettere vostro figlio immediatamente!”
“Imperatore
Tentei…osservate la vera potenza di mio figlio Nataku. Ogni ribelle sarà
immediatamente sistemato”, rise Li Touten.
Il
pavimento tremò; dai muri iniziarono a crollare pezzi d’intonaco. Kenren, Goku,
Gojuin e Tenpou furono costretti a pararsi gli occhi per non venire
accecati dai frammenti di polvere e mattone che saettavano in aria, come mossi
da un’arcana forza elettrostatica.
Konzen
aveva il cuore in gola, ma i suoi pensieri avevano dimenticato il significato
del termine ‘razionalità’. Quasi fosse stato soltanto
un corpo in movimento, Konzen non poteva far altro che correre, correre,
correre.
Ormai non
sapeva quasi più perché stesse correndo. Le sue gambe erano mosse dal
puro istinto.
Parve
riscuotersi solo quando imboccò un corridoio enorme,
dalle pareti ornate di sete preziose.
Vide alcuni uomini sparpagliati, non ne sentiva le parole, ma, a giudicare dai
movimenti e dalle voci concitate, stava succedendo qualcosa.
E temeva
di sapere chi ne fosse responsabile.
Una truppa
formata da una ventina di militari, rumorosamente, lo superò, raggiungendo un
gruppuscolo di persone che sostavano davanti una delle
enormi entrate del salone.
“Cosa sta succedendo?”, chiese un giovane militare dalla barbetta
bionda, mettendo mano alle armi.
Konzen usò
le ultime energie residue per insinuarsi tra la truppa, spintonandone i membri,
e ascoltare ciò che un’altra divinità riferiva loro.
“Pare che Li Touten…abbia ordinato al principe della Guerra di uccidere
il generale Taisho, i marescialli Gojuin e Gensui…”
Konzen
sgranò gli occhi, ansimando.
“…e
insieme a loro i due esseri eretici, il bambino di
nome Goku e la ragazza”
Il biondo
non volle sentire altro; si lanciò dentro la stanza a testa alta.
Trascorsa
quella prima, violenta ondata, causata dall’esplosione dell’aura di Nataku, la
visuale tornò limpida.
“Shioka!”,
gridò Kenren, temendo per la sua incolumità. Si trovava proprio davanti a
Nataku, e certamente doveva aver preso in pieno l’esplosione.
“Questa…”,
mormorò Shioka rialzando lo sguardo. Non aveva mosso un passo all’indietro, era
rimasta immobile, le braccia incrociate davanti il volto, eppure sembrava
assolutamente illesa.
“…questa è
aura maligna”
Nataku
avanzò, ignorando Shioka. Il padre non le aveva ordinato
di ucciderla, non ancora, almeno. Si avviò verso Goku, come
il padre gli aveva comandato.
Tutti si
misero in posizione di guardia, attendendo.
"Nataku...",
mormorò Goku, con le lacrime agli occhi. Sentì una stretta al cuore: non poteva
ancora credere che ciò che avevano ipotizzato Tenpou e Konzen fosse vero.
"Nataku...ti prego", disse ancora il bambinetto dagli occhi dorati.
Si avvicinò, passo dopo passo, a colui che credeva un
amico.
Nataku
alzò gli occhi, osservando Goku. Quest'ultimo credette di leggere una richiesta
di aiuto nei suoi occhi. Poi, delle scuse. Infine, più
nulla: solo il vuoto.
Il ragazzo
si scagliò su Goku e gli puntò la spada alla gola.
"Nataku...",
esordì Goku, mentre le lacrime cominciavano a bagnare il suo volto ferito,
"Tu...quando mi hai detto che eravamo amici, eri
sincero...vero?". Si asciugò le lacrime. "E
allora...perché?"
Nataku non
disse nulla, ma il vuoto che aveva negli occhi sparì per un attimo, e le sue
labbra tremarono leggermente. Come a voler chiedere una risposta al padre,
voltò la testa verso di lui.
Le labbra
di Li Touten si piegarono in un ghigno: "Che
commovente scenetta...". Si avvicinò lentamente al figlio, scrutato con
odio dagli altri quattro. "Lui...è il Dio della guerra. Non è un bambino, non ha sentimenti. Né tanto meno ha bisogno di amici. E' solo una bambola...una
bambola assassina", disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Nataku
annuì guardando Goku, ma i suoi occhi spaesati lo tradirono.
"E
ora...uccidilo", sibilò Li Touten, guardando
anche lui Goku.
Il dio
della guerra si avvicinò al ragazzino, alzando la spada.
Goku
aspettò che gli fosse vicino, senza muovere un muscolo. "Nataku...ti avevo
detto che ti avrei fatto sapere il mio nome, non
appena ne avrei avuto uno, vero? Beh...è Goku..."
Nataku
restò lì, con la lama a mezz'aria, sospesa sopra la testa del piccolo essere
eretico.
Io...l'avevo
detto.
Perchè
sto esitando?
Mi ero...mi ero ripromesso di fare la bambola.
La
bambola perfetta.
Perchè
così non sarei stato gettato via.
Ma lui...ma lui...
- Nataku!
-
E' venuto da me...mi ha sorriso...è tornato a
trovarmi...abbiamo giocato insieme...
Mi ha
sorriso!
Mi
vuole bene!
Devo
ucciderlo...
Devo...così dimostrerò ancora una volta di essere una
bambola.
Le mie
mani si sporcheranno ancora di sangue.
...elui
sarà contento e...
Goku...
- Non
appena avrò un nome te lo dirò -
Goku...
- Siamo
amici., vero? -
Goku...
- Eri
sincero... vero? -
...Goku
non mi sorriderà più.
Non
giocherà mai più con me.
Tutto
ciò che mi resterà di lui sarà il suo sangue, finchè non lo laverò via.
Non
voglio ucciderlo!
Devo
ucciderlo...
Altrimenti...
Altrimenti...tutti si accorgeranno che sono una bambola difettosa...
E sarò gettato via, perchè nessuno ha bisogno di una bambola
difettosa.
Non
voglio.
Piuttosto
che essere una bambola difettosa...
Piuttosto
che essere una bambola dimenticata...
Preferisco
essere una bambola rotta.
Sotto gli
occhi dell'imperatore, del padre, delle milizie, di Kenren, di Gojuin, di
Shioka e di Tenpou, e anche di Konzen che, ancora con il fiatone, aveva appena
raggiunto il quartetto, il bambino versò calde lacrime. Rivolse la spada verso
se stesso, tra lo stupore generale, e si tagliò un
braccio.
Calde
gocce di sangue schizzarono su Goku; l'arto mozzato cadde a terra con un rumore
sordo, tra il silenzio totale degli astanti. Poi il ragazzino, ancora gli occhi
bagnati, si ripiegò su se stesso, perdendo i sensi.
Li
Touten si chinò sul figlio. Nei suoi occhi non vi era preoccupazione,
affetto, nessun sentimento. "Nataku...alzati. Devi
ancora eseguire i miei ordini", disse scuotendo il figlio.
A quelle
parole, Goku sentì che qualcosa gli esplodeva, dentro. Si chinò su se stesso,
lanciando gemiti lancinanti. Chiunque avrebbe potuto testimoniare di aver
sentito come se la terra si stesse squarciando. Un’aura
maligna cento volte più potente di quella emessa da
Nataku, si ritrovò a pensare freddamente Shioka.
Le sue
gambe si mossero inavvertitamente verso il ragazzino.
Fermarlo…dobbiamo
fermarlo…
Konzen la
afferrò violentemente per un braccio, scuotendo la testa. Aveva brividi così forti lungo tutto il corpo, da fargli venire la
nausea. Il suo Goku, se mai c’era ancora, non era lì con loro.
Shioka non
si divincolò. Lanciò uno sguardo agli occhi del bambino; e il vuoto che vi
lesse dentro confermò ciò che le aveva detto l'aura
demoniaca appena esplosa: quello non era più Goku.
Il diadema
d'oro che cingeva la fronte del ragazzo si era
infranto; i suoi capelli si allungarono tutto d'un tratto, così come i suoi
artigli, le sue orecchie, le sue zanne.
Quello che
rialzò la testa, in un malvagio ghigno di gioia perversa, era il Seitentaisei.
I suoi
occhi maligni, in una sorta di macabro imprinting, si concentrarono sulla prima
cosa che videro muoversi: Li Touten, adesso
terrorizzato, che arretrava lentamente.
Appena un
ghigno, e la testa del dio volò via tra spruzzi di sangue e urla terrorizzate
dei presenti.
"Che aspettate?", ordinò l'imperatore con voce tremante,
"Fermatelo!". Per quanto stupido, aveva intuito di trovarsi di fronte
a una minaccia di pericolosità inaudita.
Le
milizie, seppur terrorizzate, lance in pugno, si slanciarono verso quello che,
un tempo, era il 'piccolo' Goku.
Gli occhi
di tutti, impotenti, attoniti, consapevoli, osservavano il Seitentaisei che,
ghignando, attendeva che i suoi giocattoli si gettassero spontaneamente tra le
sue braccia.
Konzen,
intanto, non aveva ancora mollato la presa al braccio di Shioka. La ragazza
sentì la morsa stringersi quando Goku, in poche
frazioni di secondo, squartò completamente la dozzina di militari. Poi rimase
immobile, leccandosi il sangue dagli artigli. La sua canotta nera appariva più
scura che mai, dai riflessi color porpora; i suoi jeans beige erano
completamente imbrattati di sangue.
Shioka si
guardò intorno. La sala, adesso, era semideserta. Un gruppo di
uomini, intanto, era riuscito a scortare l’imperatore fuori dal salone,
e probabilmente avrebbero radunato un numero ancora più alto di uomini in una
decina di minuti.
"In
capo ad un paio di minuti, sarà qui praticamente tutto
l'esercito del Tenkai. Siamo nei guai fino al collo!",
mormorò Kenren passandosi una mano sui capelli, senza sorridere.
La ragazza
sentì improvvisamente che Konzen non si trovava più dietro le sue spalle: infatti si stava avvicinando con circospezione al
Seitentaisei.
Quello era
il suo animale.
Stava a
lui fermarlo.
Nessuna altro doveva permettersi di farlo.
“Stupida
scimmia”, mormorò, “Vedi di tornare in te, idiota!”
Il
Seitentaisei gli rivolse un’occhiata divertita e si avvicinò a lui, un passo
dietro l’altro.
Allungò
una mano, sotto gli occhi esterrefatti di tutti.
Le sue
dita si chiusero sulla gola del dio; il biondo rimase così, inerte, biascicando
parole che il mostro non poteva sentire.
“Giuro...che...se
mi dai ancora da fare...ti ammazzo...”
Kenren
portò le mani, tremanti, non certo per la paura, ma per l'esitazione, alla
fondina, e fece per afferrare il calcio della pistola. Una presa ferma eppure
dolce gli impedì di sollevare il polso. Alzò il viso; Shioka lo stava
guardando.
"Che credi di fare? Qualunque cosa farai...Konzen
non te lo perdonerà mai, lo sai?"
"Allora
cosa suggerisci? Di lasciarlo ammazzarsi?"
La ragazza
scosse la testa, ma non gli lasciò il polso. Portò lo sguardo su Konzen, sempre
più in difficoltà.
Neanche
Kenren tolse la mano dalla fondina. Rimasero così, entrambi.
“Konzen!
Per la miseria, sei o no un dio?”, gli urlò Shioka, decisa.
“Sta’ zitta...stupida donna...”, disse lui tentando di divincolarsi.
La presa
attorno alla gola di Konzen si strinse, lasciandolo senza fiato; il dio annaspò
per tentare di respirare.
Ho
fallito...non è vero che sono il suo sole.
Kenren
portò lo sguardo su Tenpou. Un altro secondo e, Shioka o non Shioka, Goku o non
Goku, avrebbe sparato a quel mostro.
“Razza di
dio ossigenato, non è il momento per la tua solita apatia! Se
sei un dio, se addirittura sei il nipote di Kanzeon Bosatsu, perché diavolo non
tenti di ricreare un dispositivo di controllo?”
Piantala, stupida donna....
Che potrei fare, io?
Non
sono riuscito a proteggerlo...
“Konzen,
Shioka ha ragione! Sei in grado di farlo!”, s’intromise
Tenpou.
Nulla.
Iniziava ad avvertire l’assenza di aria dai polmoni. O magari, il suo collo si sarebbe spezzato prima.
Osservò
per un attimo gli occhi dorati di quello che prima era il suo animaletto.
Dannazione...stupida
scimmia!
“Se non tenterai qualcosa ora...sarà la fine”, commentò
gelido Gojuin.
Il biondo
si diede ad un bieco sorriso di scherno. Cosa ne
potevano sapere tutti quanti?
I suoi
occhi si posarono per un momento sulle mani di Kenren. Il rosso, bloccando il
polso di Shioka con una mano, aveva tirato fuori l’arma.
Non…non
osare sparare, idiota!
La mia
scimmia…Goku…gli avevo promesso che non gli sarebbe accaduto nulla!
Allungò faticosamente le mani verso la fronte del Seitentaisei, che,
incuriosito, allentò per un attimo la presa.
Giuro
che ti prendo a pugni, la prossima volta che mi fai faticare così
tanto...
Dai suoi
palmi si sprigionò una luce dorata, la stessa luce che, per
tanto tempo, era stato convinto di rappresentare per Goku.
E, sotto
gli occhi sollevati di tutti, un sottile dispositivo
di controllo si formò sulla fronte del Seitentaisei, che, con un ultimo,
terribile, gemito, perse i sensi.
Konzen
cadde per terra insieme al corpo svenuto di Goku, ansimando e massaggiandosi la
gola. Un’espressione di infinita dolcezza sulle
labbra. La prima, e l’ultima.
Sono...ancora
il suo sole...
“Tutto
bene?”, gli chiese Tenpou porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
“Tsk!”,
rispose lui rifiutandola e raccogliendo il corpo di Goku tra le braccia.
Osservò i suoi lineamenti che, con il dispositivo, erano tornati normali.
Il biondo
si rivolse a Kenren, puntandogli un dito contro. “La prossima volta che ti impicci di affari che non ti riguardano…giuro che ti
ammazzo!”
Kenren,
enormemente irritato, si portò le mani ai fianchi. “D’accordo, domatore! La
prossima volta ti lascerò sbranare dal tuo animale
prediletto!”
“Se solo sapessi usare il buonsenso appena la metà che la tua
lingua…”
“Questo
dovrei dirlo io, idiota! Stavi per farti ammazzare!”
“Adesso
basta!”, s’intromise Gojuin, alzando la voce. “Non è il momento di litigare!
Non mi sono messo in questa situazione per stare dalla parte di
idioti!”. Gli altri due gli lanciarono un’occhiataccia, ma non fiatarono
più.
Tenpou
sospirò, si tolse gli occhiali, e se li pulì sul camice bianco.
"Ragazzi...credo che sia giunta l'ora di
pianificare un attacco, o forse una difesa, chiamatelo come volete. Le milizie
tenteranno di prendere Goku vivo. E' probabile che la sua sorte sarà quella di
morire per mano del principe della guerra, di essere
segregato per l'eternità, o di...essere lui stesso il prossimo dio della
guerra". Alzò lo sguardo per scrutare i presenti, poi lo
posò su Shioka. "E’ molto probabile che...a Shioka tocchi la stessa
sorte"
Si
sentirono migliaia di passi, di voci, provenire dall'esterno del palazzo. Tutti
si voltarono verso la porta.
"Io," disse Konzen togliendosi prima uno, poi l'altro
guanto bianco, "Non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa. E la scimmia è di mia proprietà". Gettò i guanti per
terra. "Voi da che parte starete?". Il cerchio argentato che aveva al
collo tintinnò. “Vi arrenderete o morirete combattendo?”
Kenren e
Tenpou si guardarono.
“Non credo che abbiamo più molta scelta, no?”, mormorò Tenpou.
“Arrendersi? Questo verbo non esiste nel mio dizionario”,
confermò Kenren.
Shioka
incrociò le braccia sul petto e sorrise. Non ebbe bisogno nemmeno per un attimo
di pensare: "Preferisco morire, piuttosto che restare qui a farmi
schiavizzare. Sono con voi, in tutto e per tutto: proteggerò Goku, voi, e me
stessa, per quanto mi sarà possibile"
Le porte
si aprirono, ed iniziarono ad entrare centinaia di milizie. Kenren si voltò
verso Gojuin: "Ryuu Ou Sekai Gojuin...te lo chiedo formalmente...sarai un
nostro nemico? Non avrò remore a combattere, né contro di te, né contro gli
uomini che io stesso ho addestrato"
Gli occhi
rossi del dragone lo squadrarono, poi si posarono su Shioka, che in un attimo
intuì. Le sue labbra si incresparono in un sorriso, forse
il primo che avesse mai mostrato. "Tempo fa mi ero
ripromesso una cosa...ho intenzione di mantenere quella promessa. Avete la mia
parola e la mia spada, come ti ho già detto"
"Se verserai una sola goccia di sangue...sarai vincolato al
nostro destino, che si presenta tutt'altro che roseo", lo avvertì Tenpou.
"Non
importa. Ho preso la mia decisione"
"Allora,
andiamo!", disse Kenren iniziando a molleggiarsi sulle gambe.
In un
attimo si ritrovarono circondati.
Un uomo
abbozzò un inchino. "Marescialli Sekai Gojuin, Gensui. Generale Taisho.
Sommo Konzen. Siete stati condannati per alto tradimento. Verrete
processati insieme alle due creature eretiche, vi preghiamo di arrendervi"
Kenren
sorrise al militare che aveva seguito nell'addestramento fino al giorno prima. Come va la vita...un
giorno sei da una parte, l'altro ti schieri da quella opposta. Recuperò da terra la lancia, finalmente estrasse la pistola
dalla fondina. "Mi dispiace, ragazzi"
E, così
dicendo, si slanciò nella folla, imitato dagli altri. Solo Shioka rimase
immobile, osservando il corpo svenuto di Goku. Mi dispiace che sia finita
così, piccolo...già, nonostante il modo in cui ti sei
mostrato, rimani sempre il piccolo Goku. Per tutti, soprattutto per Konzen.
Vedrai che tenteremo di uscirne a testa alta.
Non più
spalleggiata dagli altri quattro, la ragazza fu immediatamente circondata da
cinque uomini. Si portò le mani ai capelli, stringendosi il nodo che li legava,
e sospirò. Forse, in fin dei conti, era nata proprio
per giungere a quell’arrivo. Fu quando sentì il gelo
di una lama puntata alla schiena, che capì. Qualcuno la trasse a sé. La spada
si spostò rapidamente dalla sua schiena alla sua gola.
Doveva giocare ogni più piccolo vantaggio che aveva: il maggiore, era che nel
Tenkai era proibito uccidere.
"Puttana
eretica...passerai tutta l'eternità in catene...tutti
potranno disporre di te come meglio vorranno!". Riconobbe la voce di uno
degli uomini che l'avevano più volte molestata, quando si trovava da sola.
Guardò le
lance e le spade davanti a lei, e improvvisamente provò la voglia di ridere
amaramente; la forza che tanto aveva maledetto, ora le tornava più che utile.
Controllarsi?
Limitare
le proprie forze?
Decisamente no.
Adesso era
venuto il momento di esplicitare al massimo ciò che era in grado di fare.
Alzò il
braccio, mentre sentiva il filo della lama lambirle la stoffa del vestito e poi
la pelle. Fu un movimento rapidissimo, la catena agganciata al cappio metallico
che le cingeva il polso destro ebbe appena il tempo di tintinnare. In quella
frazione di secondo, Shioka si voltò, afferrò la lama della spada a mano nuda,
e si liberò dalla presa. La mano sinistra, invece, andò a cercare il collo
della divinità, troppo poco veloce per fermare il contrattacco, e le sue dita le si strinsero intorno alla gola in una morsa mortale. Quando l’essere eretico si fermò, il collo del dio si era
già spezzato con un sinistro schiocco, e il suo corpo già esanime si ripiegava
languidamente su se stesso.
Shioka, il
braccio sinistro ancora teso, con le dita ancora lievemente ripiegate, fissava
il vuoto. Nella sua mano destra scintillava una lama di bronzo immacolata,
anche se per poco. Si sentiva quasi più
sollevata. Ormai, sia lei che gli altri, avevano
definitivamente varcato il punto di non ritorno.
La
velocità e la potenza, impensabili per una creatura di quella struttura fisica,
e lo sguardo gelido, impassibile, che le era approdato negli occhi al posto
quello profondo di poco prima, spiazzarono non poco le
divinità, che, già terrorizzate dalle esibizioni di Nataku e Goku, si muovevano
in maniera caotica e disorganizzata.
Già
totalmente inebriata dalla lotta e dal profumo di sangue, Shioka iniziò il suo,
di ballo: un ballo aggraziato e mortale. La sua
velocità, sebbene difettasse di tecnica, non avendo mai preso in mano una
spada, era impressionante. La precisione con cui sferrava i
colpi, e la potenza delle sferzate, inarrestabili per quei deboli combattenti
male in arnese.
Prese per
un attimo fiato. Si portò le mani ai polsi, poi al collo, poi alle caviglie. Le
pesanti catene caddero a terra, spezzate. Adesso, anche ciò che aveva
rappresentato fino a quel momento la sicurezza degli
dei, si era infranto.
Adesso...succeda
ciò che deve succedere.
Quando
rialzò gli occhi, i polsi sanguinanti e scorticati, si ritrovò circondata. Non
perse tempo a contare i militari che si accalcavano attorno a lei, ma erano
tanti, troppi.
Qualcos’altro
la preoccupava.
Fece
vagare, per quanto le fosse possibile, lo sguardo
verso il resto del salone, nella speranza di riuscire a notare gli altri.
Vide Konzen utilizzare solo una delle due braccia; l'altro arto gli
pendeva inerte lungo il fianco, sporco di sangue; il camice bianco di Tenpou
era color porpora, come poteva esserlo quello di un macellaio dopo uno scanno. Appariva affannato, la cravatta
sempre così ordinata e perfetta per traverso; i suoi occhiali giacevano rotti
per terra.
Kenren combatteva strenuamente, agitando la lancia; la sua pistola
giaceva a terra, probabilmente scarica. Forse era quello nelle migliori
condizioni fisiche, essendo il più abituato alle risse; ma la sua spalla
destra, squarciata, continuava a sanguinare, sottraendogli le forze per
affrontare degnamente gli avversari. Quanto a Gojuin, al momento era per terra,
e tentava disperatamente di parare i colpi che tre militari tentavano di
infliggergli.
Shioka
provò improvvisamente una poco piacevole sensazione di amaro
allo stomaco. Si trovavano più in difficoltà di quanto pensasse.
La tecnica militare di Tenpou, Gojuin e Kenren non avrebbe resistito tanto a
lungo contro quel numero incredibilmente alto di avversari;
quanto a Konzen, che lei sapesse, era un topo d’ufficio, non un militare. Ciò
che stava muovendo la divinità era la disperazione e l’attaccamento a Goku,
nulla di più.
L’odore di
sangue giunse improvvisamente più forte alle sue nari, così forte
da farle girare la testa. Piantò la spada per terra e vi si appoggiò,
respirando affannosamente; poteva sentire il suo respiro rimbalzarle
amplificato dentro la calotta cranica.
Il respiro
si tramutò in voce.
Fammi
prendere il sopravvento.
"No!",
sibilò Shioka, stringendo l’elsa.
Finirete
tutti male!
"Posso
farcela!"
Puoi
proteggere te stessa, ma non gli altri...
"No!
Ce la faccio da sola!"
E allora...sarà la fine.
Shioka
strinse l'impugnatura della spada con tutta la forza che aveva, fino a che le
nocche non le divennero bianche per lo sforzo; dovette riconoscere amaramente
che probabilmente, se non si fosse liberata in fretta degli avversari che la
stavano minacciando, qualcuno degli altri sarebbe stato preso.
"Ricordati
che...non ti lascerò il mio corpo. Sarò cosciente per tutto il tempo...non posso permetterti di rovinare tutto per la tua brama di
sangue. Non questa volta"
Sarà la
mia brama di sangue a salvarci tutti.
Shiokastaccò
una delle due mani dalla spada e se la portò all'orecchio sinistro.
"Promettete
di fermarmi, se succederà qualcosa", mormorò a se stessa.
Si slacciò
i due orecchini che contenevano il suo potere maligno.
La prima
cosa che percepì fu un dolore violento e improvviso alla testa, così lancinante
da strapparle un gemito. I soldati attorno a lei le si
scagliarono contro, temendo un nuovo, terribile attacco, ma in
pochissimi attimi di loro non rimasero che pochi brandelli di carne.
Shioka
sentiva la sua lucidità svanire poco a poco...ma non poteva
permetterglielo. Resistette, stringendo i denti e mordendosi le labbra fino a
farle sanguinare. In poco tempo Konzen, Kenren, Tenpou e Gojuin ebbero respiro.
Si accasciarono uno dopo l'altro per terra, ansimanti.
Alzarono
lo sguardo, osservando la sagoma di Shioka che si avvicinava loro, tra gli
schizzi di sangue e le urla degli uomini che in pochi secondi sarebbero morti.
La dea
della distruzione.
Fu ciò che
passò per le loro menti, come un lampo, al vedere
quella creatura dagli occhi dorati.
Adesso era
un demone completo.
Tutti,
almeno per un attimo, temettero di aver perso anche lei.
Ma
quando fu abbastanza vicina perchè potessero vedere il suo sorriso, non crudele
come quello del Seitentaisei, ma il sorriso dello stesso animale ferito che era
giunto fin lassù, furono definitivamente certi che quella era ancora Shioka.
La ragazza
si avvicinò a Kenren, sorridendo, e gli sfiorò la spalla ferita, facendolo
gemere. "Non capita molto spesso di sentirti gemere...è davvero eccitante", scherzò.
Il rosso
alzò il viso per incontrare i propri occhi con quelli della ragazza,
accorgendosi che ora erano entrambi dorati.
Le sfiorò
il viso con una mano. "Complimenti. Sei riuscita
a far paura anche a me. Per un attimo ho temuto...che ti fossi lasciata
prendere"
L'altra
scosse la testa. "Mai. Ho promesso di proteggere voi, non di fare una
strage"
Konzen con il corpo di Goku, Tenpou e Gojuin si trascinarono fin lì,
approfittando delle milizie superstiti che tentavano di riordinarsi e di
studiare un piano d'attacco. Probabilmente, attendevano altri rinforzi e, questa
volta, il loro numero sarebbe stato ancora più alto.
"Mi
dispiace interrompere questa scenetta idilliaca, ma abbiamo cose più urgenti a
cui pensare!", disse, ansimando, ma gentilissimo come sempre, Konzen.
"Non
possiamo uccidere tutte le milizie del Tenkai", disse Tenpou, preoccupato.
"Che possiamo fare?"
In quel
momento, un rumore di passi tranquilli li fece voltare tutti. Kanzeon Bosatsu,
composta come sempre, si avvicinava tra di loro,
camminando tra il sangue degli uccisi. Le restanti milizie tentavano di
riorganizzarsi.
"Konzen...lascia
il bambino. Finiamola qui", disse con voce calma.
Nessuno
dei presenti osò attaccarla, ma il suo arrivo non era esattamente motivo di
sollievo, nonostante i suoi ovvi legami con Konzen.
"Allontanati
da qui", ringhiò Konzen allontanandosi di un paio
di passi. Si lasciò dietro un rivoletto di sangue.
"Sarete
presi vivi. Non pregiudicate più di così la vostra posizione", l’ammonì
Kanzeon puntandogli contro una delle sue lunghe dita
smaltate.
“Forse
saremo presi vivi…ma preferisco morire qui piuttosto
che lasciar disporre agli altri della mia sorte!”, mormorò Konzen, colpendola
al torace con un pugno. La dea si piegò in due, l’espressione, per la prima
volta, deformata dal dolore. Il nipote la superò dignitosamente. “Era una vita
che volevo farlo”. Una delle sue mani si portò all’attaccatura dei capelli di
Goku, accarezzandola.
Shioka
osservò pensierosa la scena, provando una grande
dolcezza nel vedere il modo in cui il burbero Konzen stava tentando di salvare
il suo affetto. Un'idea iniziava a formarlesi in mente, e si voltò per
ottenerne l'approvazione degli altri. Quando i loro sguardi si furono
incontrati, osservò con piacere che tutti, più o meno,
avevano avuto la stessa idea. Annuì.
Di scattò, i quattro superarono Konzen, e, in pochi minuti, gli
ebbero spianato la strada.
"Che cosa credete di fare?"
"Beh...non
so te, biondino ossigenato, ma io ho voglia di divertirmi un altro po’",
ammiccò Kenren.
"In effetti...sarebbe alquanto scortese andarcene tutti
adesso...", aggiunse Tenpou.
"Konzen...va'
via con Goku, per favore. Ti copriamo le spalle". Shioka sorrise,
inclinando la testa per indicargli una delle uscite che stava
sgombra davanti a loro. Andarsene tutti era
impossibile. Ma potevano coprire Konzen e Goku.
"Per
una volta, mi ritrovo d'accordo con loro", aggiunse Gojuin.
Konzen
rimase interdetto per un attimo. Che speravano di
fare? Ormai stavano solo temporeggiando, perchè nessuna delle alternative che si presentavano davanti a loro era proprio
rosea.
"Che aspetti, che ti consegnino il pass? Muoviti!",
fece Shioka muovendo la testa.
Le labbra
di Konzen si incresparono in un sorrisino ironico e
sarcastico. "Tsk...non sperate che vi ringrazi"
"Non
lo speravamo proprio, ossigenato!", gli rispose di rimando Kenren.
Con un
ultimo schioccare delle labbra, Konzen uscì e si allontanò.
"Bene
bene, ragazzi...che si riaprano le danze!", mormorò Shioka osservando le
truppe che si riorganizzavano e si avvicinavano a loro.
Un
rivoletto di sangue misto a sudore scivolò lungo il volto di Kenren.
Merda...ne arriveranno degli altri. Nessuno di noi, nemmeno Shioka
al pieno delle sue facoltà demoniache, potrebbe fare qualcosa: anche a costo di
perdere ogni combattente del Tenkai, tenteranno di prenderci. E se anche li
eliminassimo tutti...cosa ne ricaveremmo? Ormai lo
sappiamo tutti quello che ci aspetta. Nel migliore dei casi saremo imprigionati
fino a che saremo uccisi da Nataku, nel caso si riprenda,
o da un nuovo dio della guerra. O chissà cos'altro...
Si voltò a
guardare il viso teso di Shioka. Lo sa anche lei. Rischia più di noi, perchè
per lei la peggiore alternativa non è la morte.
Kenren si
sentiva strano, stanco, distrutto. Non erano tanto le ferite fisiche che lo
abbattevano, né la situazione stessa che lo spaventava, sapeva già, da molto
tempo, che prima o poi le cose si sarebbero evolute in
maniera simile. Quello che gli faceva morire ogni parola in gola…che gli faceva
rivoltare lo stomaco come un calzino…era che lì con loro ci fosse anche Shioka.
Non
avrebbe dovuto essere lì…
Avrebbe
dovuto proteggerla da tutto questo…
"Shioka...",
disse improvvisamente. Gli occhi dorati della ragazza lo guardarono. Il suo
sorriso, sebbene la situazione non fosse delle migliori,
non si spense.
"Va' con
Konzen"
Il sorriso
della ragazza si tramutò in un’esclamazione di sorpresa. "Come? Che stai dicendo?"
"Avrà
bisogno di aiuto", gli diede manforte Tenpou, che
intuiva sempre quello che il suo compagno di vita pensava ancora prima che lo
pensasse. "Seguilo, è ferito"
"Ma...come potete pretendere che vi lasci qui?", fece
lei, abbassando la spada.
"Andiamo, non ci accadrà nulla. Ci rivedremo, prima o poi", mormorò Gojuin.
Gli occhi
di Shioka, fiammeggianti, scrutarono i tre. "Ragazzi, credete che sia
cretina o cosa? Ormai stiamo solo temporeggiando, non riusciremo a..."
Non poté
continuare. Deglutì per ricacciare indietro la voglia di piangere, dopo aver
espresso a parole ciò che tutti stavano pensando: era la fine. Occorreva solo
scegliere che tipo di fine riservarsi. In fondo, che restasse lì o andasse con
Konzen, non sarebbe cambiato proprio niente. Ma, se doveva succederle qualcosa,
voleva che le succedesse mentre era con Kenren.
"Shioka....sul serio. E' l'ultima cosa che ti chiedo. Va' con Konzen", disse serio il rosso. Non riuscirò
a salvarla...però...vorrei darle altro tempo. Forse da
sola riuscirà...a fare qualcosa. E poi potrebbe essere
d'aiuto a Konzen.
La ragazza
abbassò lo sguardo. Che devo fare? Devo
andarmene e abbandonarli? Oppure...
Non c'è
speranza. Non c'è assolutamente speranza. Perchè vogliono allontanarmi da qui?
Eppure....dovrebbero capire che vorrei essere con loro
fino alla fine.
Vogliono
darmi altro tempo...ma io...da sola, che potrei fare?
Kenren si
passò una mano sui capelli, inumidendosi le labbra. Si sentiva un groppo in
gola. “Voglio che te ne vada. E’ l’ultima cosa che ti chiedo, Shioka. Fa’ come
ti suggerisce l’istinto…combatti…uccidi…scappa…tutto. Ma
non farti prendere”. Forzò un sorriso, porgendole una mano.
Shioka si
strofinò gli occhi lucidi.
E'
l'ultima cosa che posso fare per Kenren...per Tenpou, per Gojuin. E forse, per Goku e Konzen.
Si
avvicinò a loro. Diede una leggerissima pacca sulla spalla a Gojuin e Tenpou,
poi si portò vicino a Kenren. Gli strinse la mano,
come se stessero stipulando un accordo tra due uomini, quindi gli si aggrappò
al torace come una disperata.
"Va
bene...", mormorò, la voce che le tremava. "Va bene…Se...volete
questo da me...lo farò. In fondo, avevo detto che sarei stata per sempre dalla vostra parte"
Si staccò da Kenren, poi fece qualche passo in avanti.
"Gojuin...Tenpou...Kenren...ci
rivedremo, prima o poi, vero?", sussurrò
voltandosi verso di loro e sorridendo.
"Ne
sono sicuro!", ammiccò Kenren, e almeno di questo ne
era sinceramente convinto. Gli altri due annuirono.
"Allora...vado...".
Si voltò in avanti e uscì velocemente dalla porta.
Rimasti
soli, i tre si guardarono. "Allora...siamo rimasti solo
noi maschioni...che ne dite di darci da fare?", disse Kenren
stiracchiandosi. Aveva ancora lo sguardo abbattuto, ma, almeno, una nuova
speranza nel cuore.
L’ignoranza
genera speranza, aveva detto una volta Tenpou.
Era un
comportamento da stolti, ma, il saperla via da lì dove certamente sarebbero
stati uccisi o catturati, era un’incognita di cui non poteva sapere la
risposta.
E lui
amava le incognite.
"Sicuro...diamo
del filo da torcere a tutti questi signori che ci
stanno onorando delle loro attenzioni...in modo da non dare loro il disturbo di
concentrarsi su Konzen e Shioka", aggiunse Tenpou. Per una volta, proprio
non sapeva cosa gli riservasse il futuro.
"Facciamo
capire alle milizie, una volta per tutte, che sono
degli incapaci, la vergogna di noi comandanti", disse anche Gojuin,
sciogliendosi la lunga treccia color platino.
Per
tutto ciò che non possiamo più difendere...per tutto ciò che speriamo...andiamo
avanti!
Continua… [leggermente riveduta e corretta in data 07/03/08]
Intanto
volevo scusarmi con voi per il ritardo con cui questo capitolo è stato postato.
Il fatto, anzi, la scusa, è che questi ultimi due capitoli volevo
fossero il più accurati possibile. Non so se ho raggiunto il risultato sperato,
questo dovrete dirmelo voi, ma ci ho messo davvero tanto impegno.
Si apre
qui la fine del Tenkai.
Nel
prossimo capitolo, l’ultimo di questa saga, finalmente si saprà la sorte di
Shioka e quella degli altri personaggi.
, per
domande, commenti extra, qualunque cosa. Ringrazio sentitamente ognuna di voi
che ha commentato, sul serio. Grazie a tutte, specialmente a
BlackMoody che spesso mi da una mano a riordinare le idee ^^”
Alla
prossima (spero presto), Simona aka Sakura
Dimenticavo...ho
iniziato a rivedere i primi capitoli, anche se non ho il cuore di modificarli
poi così tanto dato che segnano praticamente il mio
punto di partenza...
Il fiatone, Shioka correva per i corridoi deserti del
palazzo dell'imperatore celeste. Sentiva urla di battaglia provenire dalla sala
da cui era uscita.
Si morse lievemente le labbra, non rallentando il ritmo:
non doveva pensarci. L'unica cosa che le restava da fare, era trovare Konzen e
Goku. La porta del salone che si era chiusa alle sue spalle con un suono sordo
le risuonava ancora nelle orecchie come una barriera impenetrabile che le
impediva di tornare sui suoi passi.
Davanti a lei sfrecciavano le mura decorate, i quadri, i
tendaggi. La sera era appena scesa, quindi le finestre non irradiavano alcuna
luce: la finta luce dei lampadari preziosi che pendevano dal soffitto e dei
candelabri seminascosti in nicchie che si aprivano sulle pareti illuminava in
maniera quasi surreale i corridoi. Nessun suono, oltre a quello dei suoi passi
affrettati e del suo lieve ansimare.
Konzen non
può essere andato lontano, pensò mentre continuava la sua
corsa: la divinità aveva un braccio ferito, era certamente senza forze
dopo la battaglia estenuante che le sue spalle da ‘burocrate’ non
erano state capaci di sopportare se non per disperazione, e sulle spalle Goku
svenuto, sebbene il bambino non avesse più agli arti le catene. In quel
caso, trascinarlo via con sé sarebbe stato impossibile per Konzen, e non
solo per lui.
Shioka fermò rapidamente i propri passi, chinando
la schiena per appoggiarsi al muro, le mani puntellate sulle proprie
ginocchia; correre senza meta non aveva il minimo significato: Konzen aveva
lasciato il salone una decina di minuti prima di lei, quindi, se era uscito dal
palazzo imperiale, poteva essere andato ovunque.
Massaggiandosi distrattamente una ferita al fianco che
pulsava con fastidioso pizzicore, lasciò vagare lo sguardo, riflettendo,
e contemporaneamente tendendo le orecchie per avvertire in tempo
l’eventuale presenza di divinità a lei nemiche.
Che si fosse rintanato nella sua residenza?
Scosse la testa; chiudersi in casa propria dava troppo
l’idea di animale rintanato. Il circuito mentale di Konzen aveva di
sicuro scartato a priori questa opzione. Nonostante, a quel punto, ogni dove
fosse ugualmente privo di significato, conosceva troppo bene il dio.
Qual era, dunque, quale poteva essere un altro luogo che
aveva una sia pur minima valenza affettiva per il biondo, e che
contemporaneamente non avesse l’odore di trappola per topi?
Shioka ne conosceva solo uno. Tanto valeva iniziare da lì.
E queste sarebbero le divinità? Hanno fiutato il
pericolo e si sono rintanati tutti nelle case…
Non una voce risuonava nell’aria. Neanche
un’ombra per le strade.
Shioka spinse le ante del cancello, la spada stretta in
mano pronta a scattare. Lasciò vagare per un attimo lo sguardo in giro,
i muscoli e i sensi tesi a percepire ogni più piccolo movimento o
rumore.
Fortunatamente, la casa sembrava deserta. Percorse quei
corridoi a lei tanto familiari, con un velo di nostalgia e di tristezza nello
sguardo, soffermandosi ad accarezzare con gli occhi i mobili, gli oggetti,
quegli stessi oggetti che aveva tanto affettuosamente ingiurato
per tutto il tempo che aveva trascorso lì come ospite.
Aprì infine la porta dell’ufficio di Tenpou.
I cardini cigolarono lievemente.
Stava per pensare: “Tenpou dovrebbe oliarla”,
ma quel pensiero fu stroncato sul nascere: eppure…il solito costante
disordine, il lieve odore di polvere e di fumo, sembravano aver congelato il
tempo in quella stanza. Il mondo era cambiato in quelle ore, ma l’ufficio
di Tenpou non lo sapeva.
Superò una libreria guardandosi attorno. Camminava
piano, senza fretta, sapendo che, se Konzen non era lì, allora
probabilmente non l’avrebbe più trovato. Le librerie, che
sembravano sul punto di crollare da un momento a causa del peso (quando erano
piene, dato che Tenpou lasciava più libri in giro che al loro posto), si
alternavano in una successione quasi ipnotica, rendendole impossibile
abbracciare con lo sguardo l’intero perimetro dello studio-tana di Tenpou.
S’inumidì le labbra. “Konz…”
Un movimento rapido colto con la coda dell’occhio,
un luccicare di lama. Shioka parò senza fatica, con la spada,
l’affondo nemico.
Restò per un attimo con l’arma tesa, gli
occhi sbarrati, incapace di pronunciare parola.
“Ma tu sei idiota fino al midollo!”,
sbraitò, riabbassando la spada con un gesto secco, e tergendosi il
sudore dalla fronte.
“Che diavolo ci fai tu qui?!”, rispose,
gridando altrettanto, il biondo, lasciando cadere la sua per terra in un impeto
di nervosismo.
La ragazza sbuffò rumorosamente. “Se non mi
fossi limitata a parare e avessi contrattaccato, a quest’ora avresti una
bella fessura di ventilazione nella gola!”
Facendo schioccare le labbra, Konzen si lasciò
ricadere stancamente sul pavimento, poggiando una mano sulla fronte di Goku,
che, privo di sensi, giaceva a pochi centimetri da lui. Il suo tono era
sfinito, aveva perso la sua consueta, irritantissima, vena polemica.
“Tanto, ormai…è solo questione di tempo”,
mormorò. Per un attimo i suoi occhi furono oscurati dalla sciolta
capigliatura bionda.
Shioka non seppe cosa rispondere. “Mi hanno chiesto
di seguirti…”. Con un movimento stanco, che probabilmente non
avrebbe mai compiuto in casi normali se non dopo averci pensato tre volte, la
ragazza si lasciò scivolare accanto a Konzen, appoggiandogli il capo
sulla spalla.
Konzen aprì la bocca per replicare, ma lei si
voltò e gli offrì un sorriso. I suoi occhi erano stanchi. Ma non
era certo una stanchezza fisica...erano occhi di chi voleva accasciarsi a terra
per dormire, dormire, e svegliarsi in un altro mondo, in un altro momento, ma
anche di chi sa che ciò non potrà mai accadere; non esisteva
nessuno, oltre a lei, che potesse assicurarle tale riposo e, al suo risveglio,
potesse dirle: le cose sono cambiate. Si sarebbe svegliata, e anzi si sarebbe
pentita di non aver fatto nulla per cambiare la realtà, semmai potesse
essere cambiata.
"Io non volevo andarmene, ma è l'ultima cosa
che posso fare per Kenren...se vuole allontanarmi dalla battaglia, lo
farò". Lo disse, già certa che Konzen non avrebbe capito.
Che l'avrebbe derisa.
Inspiegabilmente, Konzen non fece alcuna osservazione
sulla sua risposta. Abbassò lo sguardo verso Goku. "Tsk...che
credete di fare? Ormai...possiamo solo sperare di venirne fuori nelle migliori
condizioni possibili"
Shioka chiuse per un attimo gli occhi. Lo sentiva vicino,
voleva stargli vicino. Lui e Goku erano le uniche cose a cui doveva pensare,
adesso. "E’ vero. Nessuno di noi vuole morire, nessuno di vuoi vuole
più vivere qui. Siamo ben strani, vero? Non sappiamo dove ci ritroveremo
domani, o addirittura tra poche ore. Possiamo solo combattere" In
fondo, se è per combattere che sono nata, è combattendo che
morirò.
Konzen si morse il labbro inferiore. "Perchè
hai scelto di stare dalla nostra parte? Qual è il tuo guadagno? L'hai
fatto solo per quell'idiota di Taisho?"
Shioka corrugò la fronte. Pensò alla frase
di Gojuin. “No, credo che tutto sia riconducibile al mio egoismo. Gli
altri hanno scelto per me per sette anni, e il futuro senza voi tutti sarebbe
stato molto simile…e poi…per una volta nella mia vita, volevo
proteggere qualcuno”
"Stupida...non hai ancora imparato che le relazioni
con gli altri causano solo guai? Il combattere per proteggere...rende
deboli"
"Ma allora questo vale anche per te, vero
Konzen?". La ragazza indicò furbescamente Goku.
Il biondo dovette chinare il capo, ma non rispose.
Sentì che Shioka si alzava, portandosi davanti a lui e chinandosi. Gli
prese il tra le mani il braccio sinistro che, da intorpidito che era,
iniziò a inviare sprazzi di dolore acuto. Konzen imprecò,
tentando di sottrarlo alla presa.
“Credo sia rotto, Konzen. Non so per quanto riguarda
i legamenti, ma stai perdendo molto sangue. Aspetta un attimo, cerco qualcosa
per bendartelo”, mormorò Shioka rialzandosi.
“Tsk. Non ho bisogno di nulla!”,
sbraitò, come da copione, Konzen. Lo innervosiva vedere gente che si
preoccupava per lui.
Shioka, altrettanto prevedibilmente, non diede segno di
averlo ascoltato, e prese a guardarsi intorno. Al contemplare di
quell’ufficio, che per tanto tempo era stato teatro di scenette
familiari, sentì la gola improvvisamente secca, la schiena percorsa da
brividi di freddo. Fino a poche ore prima, loro erano stati lì dentro,
senza sapere cosa li aspettasse. Era il realizzare ciò che le fece
capire improvvisamente come il futuro di ogni essere vivente, mortale o
immortale che sia, fosse appeso ad un filo così sottile.
La sedia di Tenpou era ancora rovesciata sul pavimento, il
pupazzo a forma di coniglio di Goku giaceva grottescamente vicino alla soglia
dell’ingresso. Lo raccolse, ponendoselo sottobraccio, e continuando a
girovagare in cerca di un pezzo di stoffa.
Fu allora che vide, svogliatamente appoggiata alla
spalliera di una sedia, una camicia di Kenren. Solitamente indossava il
soprabito della divisa militare, ma era parecchio scomoda, quindi era solito
camminare per casa a torso nudo, o indossando quella semplice camicia beige.
Alla vista del capo, si sentì stringere lo stomaco, la sensazione di chi
entra in camera di una persona in viaggio che manca da morire.
Si avvicinò la camicia al petto, assaporandone il
profumo. E per un attimo dimenticò tutto: attese, in assoluto silenzio,
che Kenren emergesse dal corridoio dietro di lei, imprecando per il disordine
dell’ufficio di Tenpou, e cingendole il collo con le braccia,
deridendola. La sua voce…aspettava il momento in cui avrebbe sentito la
sua voce.
Aprì gli occhi lentamente. Ma non vide Kenren: il
suo sguardo si fermò su Konzen, che guardava un punto non precisato
della stanza.
Non è possibile tornare indietro. Smettila di
fare la bambina, disse a se stessa scuotendo la testa.
Osservò la camicia ancora per un attimo, quindi,
avanzando verso Konzen, la stracciò, ricavandone una mezza dozzina di
striscioline. Adesso basta.
Gli occhi del biondo si posarono sul pupazzo che Shioka
aveva portato fin lì. Voglio che
tu sappia…che non ti succederà nulla. Farò di tutto per
impedire che ti accada qualcosa di male. La divinità allungò
una mano e toccò i bottoni che formavano gli occhi dell’animale
di pezza.
“Cosa facciamo?”, mormorò Shioka pacatamente,
stringendogli le strisce di stoffa beige attorno al braccio.
Konzen si morse un labbro per non gemere. “Cosa vuoi
che ne sappia?”
“Qualcosa dovremo pur fare. Non possiamo starcene
qui per l’eternità, non trovi?”
Konzen chiuse gli occhi. “Per il
momento…aspettiamo che Goku riprenda i sensi”
La ragazza annuì, restando in ginocchio davanti al
biondo.
"E cosa vorreste fare?", disse una voce loro ben
nota.
Shioka rimise mano alla spada, pur sapendo chi si sarebbe
trovata davanti.
"Vecchiaccia...già ripresa dal pugno?",
mormorò Konzen, freddo.
La dea scosse la testa. "Perchè non vi
arrendete? Che prendano gli altri tre, ormai è solo una questione di
tempo"
Shioka strinse l’elsa della spada.
"Kanzeon...che ne sarà di noi, nel caso in cui venissimo
arrestati?"
"Konzen seguirà la sorte degli altri
tre", disse placidamente la dea, "Mentre tu e Goku sarete sigillati
in luoghi diversi"
"Che intendi con sigillati?"
"Che verrete rinchiusi in un luogo dal quale non
potrete uscire, nè avere contatti con alcuno.
Per l'eternità"
Shioka sorrise amaramente. "Pensi che, a queste
condizioni, accetteremo di arrenderci? Pensi che io lascerò Goku al
buio, dopo che ha conosciuto la luce? Pensi che io accetti di lasciarmi portare
al freddo, dopo che ho conosciuto il calore? Kanzeon...pensaci. Sia io che Goku
siamo esseri eretici. Le catene, materiali e non, che sempre ci avete imposto
sono state spezzate. Non abbiamo nulla da perdere. Fisicamente, nessuno sarebbe
in grado di resisterci, non adesso che Nataku…"
La dea la guardò amareggiata. Eppure, anche in quel
momento quella bambinetta le piaceva. Stava tentando
il tutto per tutto, pur di non essere sottomessa.
"Non sottovalutarmi, bambina. Non sottovalutare gli
dei"
Lo sguardo che Shioka le riservò di rimando fu
molto eloquente. "E tu non sottovalutare me"
Le due rimasero a fronteggiarsi con gli sguardi per alcuni
secondi. Shioka era determinata a seguire la sua strada, ma dentro di se non
poteva dimenticare che era stato per intercessione di Kanzeon Bosatsu se Goku
era stato affidato a Konzen, e lei a Tenpou e Kenren. Kanzeon, dal canto suo,
era sinceramente rammaricata che una simile personalità, che tanto aveva
agitato le acque di quel posto tanto asettico come il Tenkai, avrebbe fatto una
brutta fine, insieme agli altri, compreso il suo stesso nipote.
Un gemito di sorpresa di Konzen richiamò alla
realtà le due.
"Che credevi di fare, nipote?", disse senza
scomporsi la dea. "Non hai mai creato un dispositivo di controllo, Konzen.
La tua forza spirituale non è abbastanza forte da creare un dispositivo
stabile". Lo sapeva, sapeva che sarebbe finita così, per questo si
era faticosamente fatta strada per uscire dal salone e ritrovare il nipote fuggiasco.
"Tsk...stà...zitta...vecchiaccia"
Il corpo di Goku si stava rapidamente trasformando come
già aveva fatto. Il sottile diadema che Konzen, a rischio della vita,
aveva ricreato, pulsava pericolosamente. Il piccolo corpo era scosso da
violenti spasmi, tanto che il biondo era stato costretto ad allontanarsi
lievemente.
Shioka fissava decisamente preoccupata la scena.
"Konzen...spostati da lì", sussurrò, gli occhi
sbarrati, muovendo un passo all'indietro.
Kanzeon incrociò le braccia."Fatevi da parte.
E' ora di finirla con questa storia, ci penserò io a sigillarlo"
Il dio guardò le due, senza rispondere. Per un
attimo non si mosse, e Shioka temette sinceramente che non l'avrebbe fatto. Ma
poi lo vide appoggiarsi alla libreria, da cui caddero un paio di libri,
tenendosi il braccio, che, dopo le attenzioni di Shioka, era tornato reattivo,
e trascinarsi faticosamente; non varò nemmeno per un attimo la
possibilità che Konzen stesse obbedendo alla divinità, si era
spostato semplicemente per allontanarsi dal raggio di azione del Seitentaisei.
Non le permetterà mai di toccarlo. Piuttosto, la
ucciderà.
Goku, intanto, come prima, aveva iniziato a gemere. Shioka
sentì una vampata di energia ardente provenire dal suo corpo. L'aura
maligna sarebbe di certo esplosa nuovamente entro pochi secondi.
Il corpo di Goku si trasformò come già prima
era successo, rivelando ancora una volta i suoi occhi bramosi di sangue. Due
finestre spalancate sulla malvagità.
Il Seitentaisei si guardò intorno, di nuovo sulle
labbra quel suo ghigno crudele e spietato. Il suo sguardo si portò su
Konzen, felice di aver ritrovato il giocattolo che prima gli era sfuggito.
Il biondo rimase impassibile. Ormai, era chiaro che la
situazione gli era sfuggita di mano. Smise di cercare di allontanarsi. La
vecchia aveva ragione, la storia sarebbe finita lì. Ma non per una delle
sue mani smaltate.
“Cosa vuoi, Goku? Cosa?”
Per tutta risposta, il mostro alzò gli artigli
verso di lui. Mentre Konzen continuava ad osservarlo con gli occhi di chi non
ha intenzione di batter ciglio, vide il Seitentaisei sbalzato indietro, contro
una delle librerie. Il mobile si rovesciò con frastuono, e l’aria
si coprì di polvere.
Shioka brandiva la spada, uno sguardo in volto che
probabilmente non aveva mai avuto. Un groppo le stringeva la gola.
Perché finalmente aveva capito che Goku non sarebbe
più tornato.
Goku, il suo Goku, il Goku di Konzen, la scimmietta
rumorosa e innocente, non era più tale.
Combattere.
Era l’unica cosa che le restava da fare.
“Konzen…mi dispiace”, mormorò.
Senza attendere la sua risposta, si slanciò in
avanti. La sola cosa che poteva fare era fermare Goku. Perché, se non
l’avesse fatto lei, sarebbe stato sigillato.
Goku...tu lo
vorresti, vero? Dimmi che faccio la cosa giusta…
Ucciderlo. Il cuore le batteva a mille, per la tristezza,
per l’adrenalina che le scorreva in corpo a causa di quel difficile
scontro, per il senso di colpa. Le lacrime le appannarono ben presto la vista
senza che lei se n’avvedesse.
Kenren…mi hai
chiesto di difendere Goku. Lo sto facendo.
Lui non vorrebbe
essere sigillato.
Giuro che mi
accontenterò di qualsiasi punizione.
Se riuscirò a
salvarlo, mi accontenterò persino di essere sigillata io stessa.
Ma per
favore…qualcuno mi dica che sto facendo la cosa giusta…
“Dimmelo tu, Konzen!”, pianse, scagliandosi
sul Seitentaisei. “Dimmi che sto facendo la cosa giusta!”
Kanzeon Bosatsu si avvicinò al nipote, sfiorandogli
un gomito. “Konzen…cosa farai? Hai intenzione di fermarli? O
lascerai che quella ragazza impedisca che venga sigillato?”
Il dio si staccò violentemente da quel lieve
contatto. “Mi stai chiedendo di lasciarlo morire?”. I suoi occhi
saettavano dall’uno all’altra. Il Seitentaisei era emerso dal
cumulo di libri, ed entrambi si stavano squadrando. Poi il mostro
attaccò, riuscendo a sfiorarle il volto con gli artigli, nonostante
l’altra fosse riuscita ad evitare di prendere in pieno il colpo. Shioka
contrattaccò roteando la spada, e riuscendo a sua volta a colpirlo di
striscio al fianco. La loro velocità era impressionante, così
come la potenza dei colpi che stavano cercando di infliggersi l’un
l’altro. La spada e gli artigli del Seiten si
unirono ancora una volta in uno scontro mortale, dal quale questa volta
entrambi uscirono danneggiati: Shioka era riuscita ad affondare la spada in una
delle gambe del mostro, che cadde su un ginocchio con un animalesco gemito di
sorpresa, mentre tre grandi squarci, che corrispondevano agli artigli del Seiten, laceravano il vestito e la pelle della ragazza. Con
una velocità di recupero disumana, il Dio Scimmia scattò
nuovamente, lacerando nuovamente la carne di Shioka, questa volta
pericolosamente vicino al collo. Colta di sorpresa, non era riuscita ad evitare
il colpo, ma almeno, brandendo la lama della sua spada, era riuscita nuovamente
a colpirlo, questa volta al braccio.
Entrambi scattarono all’indietro, portandosi a pochi
metri l’uno dall’altro e ansimando. Sembrava che lo scontro sarebbe
durato a lungo, ad ogni azione dannosa dell’uno coincideva
un’altrettanto dannosa reazione dell’altro.
Ma il Seiten aveva due punti a
favore: era più potente di Shioka…ed era mosso dal puro istinto
animale, che la ragazza reprimeva a forza. Dunque, ormai, la lotta assumeva i
contorni di un titanico scontro tra l’autocontrollo ‘umano’
di Shioka, e la forza bruta di Goku.
Konzen scrollò la schiena, scossa da brividi di
freddo. Non si sentiva nuovamente più il braccio sinistro, e, nonostante
la fasciatura di Shioka, aveva perso molto sangue. Ma questa non era di certo
l’unica causa del freddo che provava.
Sentiva dentro di sé sentimenti contrastanti, mai
provati prima.
L’animale. Il suo animale…non voleva perderlo.
La sua consueta fredda razionalità stava scontrandosi per la prima volta
contro la neo irrazionalità. Come uno scontro tra le due
estremità opposte di una calamita, che non sono mai venute a contatto
tra di loro.
Se morirà,
c’è qualche speranza che si reincarni.
Non deve morire.
Deve morire.
Non voglio perderlo.
E’
l’unica cosa che posso fare per lui…
Sono ancora il suo sole?
Ed è proprio
per questo che…
Per la prima e ultima volta, in Konzen vinse
l’irrazionalità.
Si vide, come dall’esterno, correre verso il luogo
dello scontro, mentre le orecchie registravano ma non sentivano
l’esclamazione di sorpresa di Kanzeon Bosatsu.
Shioka era riuscita a braccare il Seitentaisei, che stava
mordendole un braccio, ed aveva alzato la spada contro di lui.
Prima che Konzen potesse rendersi conto di ciò che
aveva fatto, il Seitentaisei l’aveva trapassato con gli artigli.
Prima che Shioka potesse rendersi conto di ciò che
aveva fatto, Konzen si era posto tra lei e il Seitentaisei, e questi
l’aveva trapassato con i suoi artigli.
L’ultima cosa che Konzen, nipote della dea Kanzeon
Bosatsu, riuscì a vedere, fu il viso ghignante del suo Goku.
L’ultima cosa che riuscì a udire, fu il suo ringhio
e l’urlo strozzato di Shioka, alle sue spalle.
Poi, più nulla. Silenzio e buio completo.
“Konzen!”, gridò Shioka, ma in
quell’attimo di smarrimento fu raggiunta dagli artigli del demone, che le
squarciarono l’addome. Sangue caldo zampillò, e andò a
unirsi a quello di Konzen.
Si portò una mano all’addome, gemendo, e si
gettò sul corpo di Konzen, prima che il Seiten
potesse infierirvi, mentre il demone alzava nuovamente gli artigli verso di
lui. Li evitò, e riuscì, con sommo sforzo a causa del dolore
lancinante, a trascinarlo al sicuro, appoggiandolo ad una delle librerie.
Proprio quella presso cui giaceva il coniglietto di Goku, il volto
costantemente sorridente in maniera grottesca.
Rialzò lo sguardo annebbiato dalle lacrime.
Perché,
Konzen? Dimmi, perché?
L’espressione corrucciata e composta di quello che
una volta era Konzen, le suggerì la risposta.
Perché era
giusto così.
E ora? Cosa doveva fare lei ora? Cadde in ginocchio,
svuotata di sentimenti e pensieri.
Il Seitentaisei si portò fulmineamente alle sue
spalle, e iniziò a infierire su di lei.
Doveva decidere in poco tempo. Rispettare il volere di
Konzen, e non uccidere Goku?
Restare al suo fianco e proteggerlo?
O…
Non potè formulare
l’ultimo pensiero. Evidentemente, il Seitentaisei si era stancato di
giocare col suo nuovo giocattolo, e aveva deciso di farla finita.
L’azzannò all’addome, con una potenza spropositata.
Le gambe le cedettero, e si ritrovò per terra,
senza avere la forza di sollevare il braccio che brandiva ancora la spada.
Vide gli occhi dorati alzarsi verso il suo volto, mentre
la lingua del demone esplorava lentamente l’interno del suo addome. Poi,
vide un’ombra sovrastare lei e il Seiten, e un
nuovo dispositivo di controllo, più robusto, apparve sulla sua fronte.
Poi Goku svenne.
Ancora una volta, sentì che i condotti lacrimari stavano cedendo. Per il dolore, e perché
aveva fallito.
Kanzeondepose
il corpo svenuto di Goku accanto a quello, pallido e senza vita, di Konzen.
Visti così, accanto quel coniglietto, se non si faceva caso al sangue
che copriva completamente la tunica del biondo, e che sporcava anche il Seiten dagli artigli ai denti, potevano sembrare padre e
figlio profondamente addormentati.
Senza batter ciglio, la dea tornò verso Shioka.
“Goku…Gok…”,
tentava di mormorare l’essere eretico, con voce stentata e spezzata.
“L’ho sigillato. Si riprenderà
presto”
La ragazza tossì sangue: le sembrava come se il suo
corpo fosse trafitto da spilli. Un dolore insopportabile le attanagliava il
torace, mozzandole il respiro. Voleva gridare, ma aveva il sospetto che non le
sarebbe uscita abbastanza voce. “Cosa…ne sarà di lui?”
“Verrà giudicato come assassino, per di
più eretico”. La voce della dea era impietosa.
“Probabilmente gli verrà cancellata la memoria, e verrà
segregato in un luogo remoto”
Il cuore di Shioka ebbe un guizzo. Il sapore metallico del
sangue che aveva in bocca divenne insopportabilmente amaro.
“Non…non deve finire così”. Iniziava a mancarle il
fiato. Artigliò le dita sul pavimento, tendendo ogni muscolo per
riuscire ad alzarsi. Riuscì solo a muoversi leggermente.
“Mi…mi dispiace, Goku…non credo che riuscirò
più ad alzarmi. Ormai…”
Tossì ancora, con più forza.
Kanzeon Bosatsu lanciò un’occhiata neutra
alla ferita; ciò le fu pienamente sufficiente per rendersi conto che le
restava ben poco: le zanne del Seiten le avevano
passato quasi da parte a parte il torace, sradicando tessuti e organi interni.
Se le restava ancora qualche minuto di vita, era proprio perché aveva
una forza e una resistenza superiori. “Non ti resta molto”
Shioka chiuse gli occhi. “Lo immaginavo…ma va
bene così. Però…Goku…non vogl…”.
Si morse le labbra per non gemere. Un singulto le attraversò la gola, e
provò voglia di piangere ancora. “Non sono riuscita a fare
niente…non ho protetto nessuno…”. Il tono di voce si era
notevolmente abbassato.
“Hai combattuto per te”, concluse Kanzeon con
voce un po’ più dolce.
“Ho combattuto…per la prima cosa che credevo
valesse la pena difendere…e non ci sono riuscita”. Cominciava a vedere
e sentire tutto confuso, persino la sua stessa voce le appariva distorta e
deformata.
“Gli…altri?”
“Se non li hanno presi, è solo questione di
tempo. Non saranno uccisi…qui è vietato, e il principe Nataku
è…”
“Cosa…ne sarà di loro?”
Kanzeon scosse la testa.
“Proteggi Goku…ti prego…è stata
la persona a cui tuo nipote ha voluto più bene in assoluto…non
farlo esistere senza il suo sole…”, la sua voce si ridusse ad un
sospiro…”…per l’eternità…”
La dea strinse le labbra, chinando il capo, ma non rispose.
“Non voglio il perdono per la mia anima…era
già scritto al momento in cui fui concepita, che non l’avrei
ottenuto…Ma almeno…ti prego…sei l’unica che può
ancora salvarli. Tenpou…Gojuin…Goku…mi dispiace,
Konzen…e Kenren…io…non gli ho mai detto…”
Kanzeon si chinò su di lei, chiudendogli in uno dei
palmi aperti i suoi orecchini dorati, che aveva gettato nella Sala Grande
quando si era trasformata.
“…io…”
Il respiro le morì in gola, tutto divenne nero.
Così finì la vita dell’essere eretico.
Continua…
Fiato alle trombe…
Il Gaiden è finito, gente.
Sebbene sarà ancora personaggio di secondaria
importanza, il Gaiden tornerà tra queste pagine, ma mai più con
capitoli a sé stanti.
Spero non sia risultato troppo pesante, inizialmente non
avevo la minima intenzione di allungarlo così tanto…
Grazie a tutte voi che siete arrivate fin qui.
Volevo ringraziare in particolare voi che avete commentato
gli ultimi capitoli:
Sanzina89
Barbara
Nadia
Sakura Kan
Black_Moody
PoisonApple
Bibi
Kairi84
Kano-chan
DeepDerk
Lady Snape
Elisapuchu
Mewrobby
Nonchè la rediviva Palanmelen, che mi ha fatto sapere che continua a leggere
la mia fanfiction, sebbene mi abbia detto di non
riuscire a commentare più qui su EFP,
e naturalmente Kia_Linus
Grazie a tutte voi. Ci vediamo al prossimo capitolo, Comingsoon!
“Ma porca…”
Gojyo non aveva fatto in tempo ad aprire gli occhi, che già aveva tirato su il
busto di scatto, un’inspiegabile lucidità in testa nonostante fosse appena
uscito dalla fase rem del sonno. Il suo sguardo si
gettò immediatamente a destra, nella porzione di letto che avrebbe dovuto
occupare Shinobu.
Non si stupì troppo di non trovarla accanto a sé. Il suo cuscino era bagnato,
molto bagnato. Storditamente,
Gojyo si portò alle labbra l’indice dopo averlo fatto passare sulla stoffa.
Lacrime.
Il suo colorito raggiunse il rosso porpora
non appena si accorse di avere anche lui gli occhi umidi, e rivoli secchi e
salati che gli solcavano il volto.
Si era vestito di fretta, quasi senza accorgersi di cosa indossava e di come lo
indossava. Aveva avuto appena
la lucidità di afferrare un casco e le chiavi della moto, prima di correre fuori da casa, verso dove, chissà.
Si sentiva un groppo in gola; adesso sapeva tutto, Shinobu sapeva tutto. Il
legame che c’era stato tra Shioka e Kenren...
Shinobu. Quella ragazza si poneva troppi problemi.
Lo sapeva che sarebbe finita così, ne era
certo...
Doveva trovarla, immediatamente. In una situazione del genere, non era il caso
di augurarsi che la ragazza potesse risolvere i conti con se stessa in
solitudine. La conosceva, la conosceva
troppo bene per non pensare che si lasciasse coinvolgere più del dovuto.
Scese le scale di corsa. Si sentiva la bocca estremamente amara, la mente invasa da frammenti
sparsi del sogno, frasi di Sanzo, di Shinobu, sue. Afferrò la maniglia
selvaggiamente, girandola più in fretta che poteva, e spingendo il portone con
un calcio.
Si ritrovò davanti un paio di occhi
verdi, nei quali poteva leggere la stessa confusione, lo stesso smarrimento che
stava provando lui in quel momento. Hakkai, che come al solito comunicava senza parlare, capiva senza
chiedere. Gli bastava il contatto tra il suo sguardo e quello della persona che
gli stava davanti. Inutile chiedersi, quindi, se anche lui
avesse saputo tutto. I suoi occhi parlavano fin troppo
eloquentemente.
“Stai andando a cercare lei?”
Gojyo annuì, confuso, ansimando per le scale che aveva sceso di corsa.
“Andiamo a casa sua insieme?”. Si sentiva coinvolto anche lui, non quanto
Gojyo, ma più degli altri. Tenpou, Shioka, Kenren. Il rapporto che lo legava a
Shinobu era fin troppo simile a quello che legava Tenpou allo sfortunato essere
eretico.
“No. Era a casa mia. Ieri sera...”, non continuò,
tanto Hakkai avrebbe capito. “Stamattina ha avuto una discussione
con la madre. Non tornerà a casa per un paio di giorni, quindi non so proprio
dove...” I suoi pensieri vagavano, ricercando i punti
salienti della loro relazione, dal primo momento in cui si erano conosciuti fin
lì.
Si sentiva sollevato per aver incontrato
Hakkai, gli era silenziosamente grato. Sapeva per certo che, se
non si fosse trovato davanti lui,
sarebbe salito sulla moto e si sarebbe messo a correre come un pazzo senza una
meta, con ben magre possibilità di condurre una ricerca che avrebbe portato a
trovarla sul serio. Era bastata la sua presenza, per infliggergli come uno
schiaffo morale, che lo aveva portato a riflettere sul serio a dove Shinobu
potesse effettivamente essere andata. Intanto, il sole di tardo pomeriggio
iniziava lentamente a ritirarsi, rendendo sempre più vane le possibilità di trovarla prima che calasse la
sera. La scuola. Un bar dove andiamo di solito. Il parco. Casa sua.
Dove, dove? Maledizione, è troppo imprevedibile! I suoi ricordi tornarono ancora una volta,
inevitabilmente, al sogno, e a quelle prime sensazioni di complicità che
entrambi avevano provato per la prima volta, un paio di mesi prima. Dove diavolo…?
Hakkai attendeva, tradendo la propria impazienza battendosi un avambraccio con
i polpastrelli dell'altra mano.
“Un luogo molto simile a quello in cui Shioka e Kenren si davano appuntamento: il parco che c’è non troppo
distante da qui...se prendiamo la moto arriviamo in venti minuti. Sono certo che è andata lì, me lo sento nelle
ossa”. Parlò velocemente, troppo, tanto che poi si chiese se Hakkai l’avesse inteso.
In due minuti era salito e tornato giù con un altro casco.
Aprì il garage, seguito da Hakkai, salirono
sulla moto e, senza nemmeno preoccuparsi di richiudere, sfrecciarono via.
Shinobu, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi inumiditi dalle lacrime, se ne
stava lì, nel parco riscaldato dal sole. Il vento caldo e umido di giugno
muoveva le fronde degli alberi, attraverso i cui rami si vedeva a chiazze il sole.
Non era più tempo di petali di ciliegio.
Non era più primavera.
Niente...non esiste niente.
Non c’è mai stato niente tra me e Gojyo. E nemmeno tra me e gli altri.
Solo stupide...sensazioni…provocate da avvenimenti passati. E non riesco nemmeno a recriminare...
E’ stata una storia così triste...quella ragazza...me, prima di essere Shinobu, ha provato sentimenti così
forti...
...è morta...
Scoppiò a piangere a quel pensiero. La testa le faceva male, gli occhi le bruciavano per la gran
quantità di lacrime già versate durante il sonno. Sentiva tutti i muscoli
indolenziti, come se lei stessa avesse condotto la battaglia che aveva portato Shioka alla morte.
Non sono Shinobu.
Sono un...un...surrogato di
Shioka.
Niente di più.
I palmi delle mani scivolarono lungo il
terreno, andando a sfiorare un petalo ormai secco dal sole.
Alzò lo sguardo e lo prese. Se lo avvicinò agli occhi,
rigirandolo e guardandolo.
Tutto finisce.
Come i fiori, tutto appassisce. E qualcos’altro rinasce, a
primavera. Ma non sono gli stessi
fiori...
Sono altri.
Per me, per noi tutti, è diverso.
Non siamo ‘fiori’ nuovi.
Siamo rinascite di vecchi fiori ormai appassiti.
Non voglio essere solo questo...
Riprese a piangere, coprendosi il
viso con le mani. Forse, se la situazione non l’avesse riguardata così da
vicino, avrebbe guardato la parte mezza piena del bicchiere, ripensando a
quanto fosse bello che l’anima di una persona continuasse a morire e a
rinascere, per poter provare tutte quelle sensazioni ed esperienze che non aveva avuto il tempo di provare
nelle vite precedenti. A quanto fosse bello
sapere come l’anima sopravvivesse al corpo, come in definitiva lo spirito di
una persona fosse eterno. Ma
in quel momento riusciva a vedere solo la parte di bicchiere mezza vuota:
ovvero, a come lei non fosse Shinobu Ori e solo Shinobu Ori, ma l’aspetto
temporaneo di un’anima che rispondeva a chissà quale nome, e che in precedenza
era stata Shioka.
“E’ davvero qui!”
“Shinobu!”
Alzò lo sguardo.
Le sue labbra si piegarono involontariamente in un sorriso cinico.
“Ma guarda...Tenpou Gensui
e Kenren Taisho sono venuti a cercare Shioka...”,
mormorò.
Gojyo rimase lì, a due passi di lontananza dalla ragazza. L’ha presa persino peggio del previsto...Cazzo,lo sapevo! Hakkai, non perse tempo, chinandosi vicino a lei.
“Shinobu, che stai dicendo? Su, andiamo, smettila di piangere e torna con noi.
Ne discuteremo tutti insieme”
“Smettila di piangere?”, alzò la voce la ragazza. “Ti rendi conto che la mia
presenza qui è gia stata
stabilita da qualcuno? Ti rendi conto che qualcuno si è permesso di decidere
che io diventassi amica tua, di Sanzo, di Goku, di Gojuin e che
mi…innamorassi…di Gojyo?”
Hakkai rimase piuttosto turbato da quelle parole. In
effetti, un pensierino su questo ce l’aveva
fatto anche lui. Ma l’aveva
subito rimosso. “Io non credo che sia così grave...”
“Non è così grave? Io, tu e tutti...non siamo niente! Viviamo solo in
funzione di quelli che una volta eravamo!
Non siamo né completamente noi, né
completamente quelli che eravamo. Io non sono solo Shinobu, né
sono solo Shioka, come forse lei sperava che accadesse. Io...non c’è ragione
perché io sia qui!”
Gojyo la squadrò rabbioso. La preoccupazione e la
confusione avevano fatto spazio ad una strana ira mista ad umiliazione,
sopravvenuta al sentire che Shinobu potesse anche solo lontanamente pensare che
tutto ciò che era successo tra loro due fosse accaduto
solo perchè qualcuno l’avesse stabilito. Si avvicinò a
lei senza dire una parola e le assestò uno schiaffo in pieno volto.
“Gojyo!...non credo che...”,
fece Hakkai alzando le mani, lievemente irritato dall’uscita violenta
dell’amico.
Il rosso squadrò furiosamente anche lui. Il messaggio che i suoi occhi veicolavano era chiaro: ‘Stanne fuori’.
Il ragazzo dagli occhi verdi sarebbe stato anche pronto ad iniziare una lite non proprio velata con l’amico di sempre, se non
gli avesse letto negli occhi più preoccupazione che rabbia. Probabilmente,
l’unico in grado di far ragionare Shinobu era proprio il rosso, con i suoi
metodi più o meno secchi.
“Va bene...vi lascio discutere...io sono qui in giro”. Hakkai sospirò
rassegnato e si allontanò senza voltarsi.
Finalmente fu la ragazza a protestare. “Tu...che credi di fare? Non permetterti
mai più di fare una cosa del genere!”, mormorò Shinobu massaggiandosi la
guancia, con voce stupita, furiosa e ancora confusa allo stesso tempo.
Gojyo, per tutta risposta, la spinse contro il tronco dell’albero, rendendole
impossibile ogni movimento, e assumendo le sembianze dell’unica cosa che fosse capace di darle i brividi: se
stesso infuriato.
“Potrei sentirmi molto offeso da queste tue parole, sai?”, mormorò, il viso a
pochi centimetri dal suo.
La ragazza distolse lo sguardo, appigliandosi con tutte le sue forze all’unico
sentimento che in quel momento poteva ostentare: il sarcasmo.
“Non eri tu quello del ‘la
donna non si tocca neanche con lo stelo di un fiore?’”
“Che intenzioni hai, Shinobu?”. Questa volta non era
intenzionato a lasciar correre.
Shinobu non rispose, abbassando lo sguardo. uesQueqqqq
“Coraggio, dimmelo…vuoi morire,
mollare tutto, solo perché uno stupido sogno ti ha
mostrato chi eri in realtà?”
Aveva centrato perfettamente il problema. Shinobu continuò ad
evitare di guardarlo senza dire una parola, stringendo le labbra.
“Vuoi mollare me, Shinobu? Non te lo permetterò. Perché tutto ciò che hai fatto, l’hai deciso tu, non
Shioka. Per quel che ne so, avresti
anche potuto innamorarti di Gojuin.”
La ragazza tentò di scuotere la testa, ma i gomiti di Gojyo glielo impedirono.
“Mi stai facendo male, Gojyo...”
“No. Tu ti stai facendo del male. Abbandona ogni stupida riflessione idiota e
guardami. Chi sei tu?”
“Shinobu”, mormorò l’altra con un filo di voce.
“Come?”, ripeté il rosso, esasperato. Una buona scrollata era proprio ciò che urgeva, per farla
tornare in sé.
“Io sono Shinobu Ori”
“Esatto, ti bastava aprire la carta d’identità per saperlo. Sei Shinobu Ori. Te
l’ho già detto, no? Tu sei padrona delle tue scelte. Puoi mollarmi in questo
momento e metterti con Gojuin, oppure andare a sedurre Sanzo, o mandare a ‘fanculo Hakkai. Solo tu puoi deciderlo. E Shioka non potrebbe impedirtelo. Semplicemente
perché lei non esiste più”
Shinobu annuì. Forse... Gojyo continuò, sempre più infervorato. Si scaldava a quel modo per ben
poche cose. “Cosa te ne frega
di Shioka, di cosa sei stata e di cosa sarai in futuro? La tua coscienza inizia
e finisce con la vita di Shinobu Ori. Cosa
te ne frega di cose tanto lunghe e lontane nel tempo che non puoi nemmeno
immaginare? Vivi preoccupandoti di ciò che puoi toccare, di
ciò che puoi vedere e sentire, nient’altro”
“Io...ho avuto paura. Uno dei miei chiodi fissi della è il non farmi
influenzare da nessuno. Ho temuto…che la mia mente, la mia volontà, fossero in realtà qualcosa di
inesistente, mi sono sentita un treno che corre su binari già stabiliti, un
pesce in una boccia che crede di vivere per conto suo. Non mi sono sentita più
padrona della mia vita. Tu…e Kenren…”
Ora si iniziava a ragionare.
“Kenren non sono io, chiaro?”
Il rosso mollò la presa ferrea intorno alla ragazza, dandole
modo di scostarsi un poco dal legno del tronco. Io...non ho esitato nemmeno per un attimo. Sapevo già
la risposta quando mi sono
svegliato: non sono più Kenren e voglio stare con Shinobu perché ho bisogno di
lei. Non mi importa di
Shioka, potesse anche essere Miss Mondo. “Mi dispiace, Gojyo”, sussurrò la ragazza cingendogli un braccio. In quel
momento si sentiva una perfetta idiota, di solito, tra i due,
era lei quella che ragionava.
“Scusati con te stessa, piuttosto. Scusati con Shinobu Ori”
Shinobu aggrottò un sopracciglio. “Ora ti stai buttando troppo sul
melodrammatico!”
Il rosso si portò una mano alle labbra, assumendo una delicata tonalità color porpora.
Adesso, era lui che si sentiva un perfetto idiota: la razionalità se l’era
persa per strada quando si
era svegliato e si era scapicollato giù dalle scale per andare a cercarla. Si
scostò violentemente dalla presa della ragazza e, con un ‘vaffanculo’ piuttosto sentito, si alzò in piedi
ficcandosi le mani nelle tasche alla ricerca delle sigarette.“Sei una deficiente
complessata”
Non era vero, ma in quel momento si sentiva troppo compiaciuta per
contraddirlo: lo strafottente Sha
Gojyo si era preoccupato per lei, le aveva fatto
ritrovare un minimo di quella stabilità mentale che era stata sul punto di
andare a farsi benedire. Ha ragione lui.
Ho compiuto milioni di scelte nella mia vita. E non posso credere che tutte fossero influenzate da un’essenza
che non esiste più, celata in me. Le ho compiute io. Fino a quella di accettare
i miei sentimenti per Gojyo, sono stata io a compierle. E non mi pento di
nessuna di esse. E disse l’unica cosa che in quel momento si sentisse di dire.
“Gojyo, parola mia, non esiste un cazzone
più cazzone di te, ne sono
sicura adesso e ne sarò sicura anche dopo aver
conosciuto ogni singolo uomo del globo”. Ridacchiò. “Ma ti voglio bene. Non sai quanto”
Il rosso, che le dava la schiena, scosse le spalle in un atteggiamento
orgoglioso e simil-indifferente,
poi si voltò verso di lei. “Era una dichiarazione
d’amore o di odio?”
“Tu che ne dici?”
“L’ho presa come una provocazione bell’e
buona nei miei confronti”
“Provocazione di che tipo?”
“Tu che ne dici?”, le rifece il verso Gojyo, ammiccando.
L’altra non rispose, aggrottando le sopracciglia. Riappoggiò la schiena al
tronco dell’albero, alzando lo sguardo verso il cielo, che adesso aveva assunto
una colorazione violacea, stinto dalla luce del tramonto quasi completato, e da
quella delle prime ombre della sera.
“Posso chiederti un’ultima cosa?”
L’altro soffiò il fumo della sigaretta, abbassando lo sguardo in un’espressione
guardinga. Poi si rilassò. “Cosa?”
Lo sguardo di Shinobu, seppur tranquillo, si rifece per un attimo serio. “Perché questi sogni?”
L’altro scosse le spalle, gettando a terra la sigaretta e sedendosi a gambe
incrociate. “Non lo so”, rispose semplicemente.
“E’ tutto troppo organizzato, abbiamo iniziato a ricordare qualcosa quando è arrivato Sanzo
a Tokyo…i sogni si bloccavano sempre in punti cruciali, e al risveglio non
ricordavamo i volti degli altri…ci hanno ‘preparato’ finché
non abbiamo avuto la forza d’animo necessaria a sopportare questo peso, e…” L’altro le infilò una sigaretta accesa tra le labbra. “Ma
insomma, vuoi stare un po’ zitta?”
Shinobu soffiò fuori il fumo e sospirò. “In genere, nei film, si tappa la bocca
della partner con un bacio, quando si parla troppo”
“Davvero? Con un bacio? Nelle riviste che leggo io si usa…”
La ragazza, indignata, gli assestò una gomitata in pieno
petto, facendolo ritrarre, dolorante.
“Non vuoi sentire il resto?”
“No, ne ho già avuto abbastanza”
“Però sono istruttive quelle riviste, potresti
imparare qualcosa di divertente…”
“Ne faccio volentieri a meno, grazie”
“Ma io intendevo che sarei io a divertirmi…”
“Il sangue non è acqua”, mormorò esasperata Shinobu alzando
gli occhi al cielo, chiedendosi contemporaneamente se il proverbio che aveva
citato fosse giusto. “Da quello che ho potuto vedere, anche un certo dio di un certo
sogno si esprimeva in maniera così depravata…”
Gojyo si alzò in piedi, come realizzando improvvisamente
qualcosa. “Ti rendi conto che ero un dio? Quante persone possono vantare una divinità tra le proprie
vite precedenti?”
Shinobu scoppiò a ridere. “Ah, caro, ti batto di almeno tre
lunghezze! Secondo
te quanti sono gli ex-esseri eretici?”. Spense la
sigaretta sul selciato, passandosi il dorso di una mano sugli occhi ancora
umidi.
“Che ne pensi, andiamo a cercare Hakkai? Ormai è
buio”, realizzò Gojyo
quando si accorse di come la luce pomeridiana fosse stata
sostituita da quella artificiale dei lampioncini. Le tese una mano, che Shinobu
accettò.
“Andiamo…”
Lo trovarono poche centinaia di metri più in là, appoggiato
alla balaustra di un ponticello, concentrato su un laghetto ad osservare i
pesci che guizzavano. I due si scambiarono un’occhiata, poi Gojyo ammiccò
all’amica.
“Non è un po’ freddo per buttarsi giù oggi?”, mormorò
inspiegabilmente il rosso all’indirizzo di Hakkai, accendendosi una sigaretta.
Shinobu vide il ragazzo dagli occhi verdi sobbalzare
lievemente, poi voltarsi, guardare Gojyo, e infine entrambi scoppiare a ridere
a crepapelle. Rimase per un attimo interdetta, guardando prima
l’uno, che aveva addirittura lasciato cadere la sigaretta per terra, e l’altro,
appoggiato alla balaustra.
“Ehi?”
I due impiegarono un po’ per tornare seri.
Hakkai si passò una mano tra i capelli, reprimendo un altro
accesso di risa. Sorrise a Shinobu. “Tutto bene?”
“Benissimo”, rispose Gojyo al posto della ragazza. Superò
Shinobu, e andò a cingere il collo dell’amico con una delle sue lunghe braccia,
piuttosto rudemente, per la verità.
“Il sottoscritto ha molta capacità persuasiva, dovresti ben
saperlo”
“Sì, ma ne hai anche un’altra piuttosto accentuata”, e,
mentre l’altro già si gasava, pronto a rispondere ‘sì, me lo dicono in molte’,
Hakkai continuò,
un sorriso inquietante in volto: “…quella di peggiorare notevolmente ogni
situazione in cui metti naso”
Gojyo si morse la lingua per impedirsi di aggredire
verbalmente l’amico, tramutando l’abbraccio in una stritolata che costrinse
Hakkai a chinarsi, ridendo, facendo cadere gli occhiali.
“Hakkai, ti odio!”
“Desolato…”
Shinobu si chinò a raccogliergli gli occhiali. “Gojyo,
Hakkai non è un energumeno come qualcuno
di mia conoscenza! Prova a lasciargli un livido, e te la vedrai con me! C’è
già in conto lo schiaffo di poco fa…”
Hakkai si liberò, pettinandosi i capelli con le mani. “Torniamo
a casa? Devo prendere la metro…”, propose il ragazzo dagli
occhi verdi incamminandosi nel sentiero, seguito a ruota dagli altri due.
“Hakkai...posso farti una domanda?”, chiese d’improvviso
Shinobu.
“Ancora? Ne parliamo domani, con gli altri! Urge un sonno
tranquillo, prima…”
“Certamente! Che cosa vuoi sapere?”, lo interruppe l’amico,
disponibile a chiarire eventuali dubbi della ragazza.
Shinobu sorrise. “Tu...non hai dubitato neppure per un
momento?”
“Solo uno. Poi ho capito”
“E come?”
Hakkai non ci pensò nemmeno per un attimo. “Kanan. Lei non c’era...eppure non c’è dubbio che sia
stata l’unica donna che io abbia mai amato, e che amerò”
Il silenzio di approvazione che ne seguì fu la
migliore risposta che potessero offrirgli gli altri due.
“Piuttosto...c’è qualcosa che mi chiedo anch’io...”,
continuò il ragazzo dagli occhi verdi.
“Cosa?”, chiesero quasi simultaneamente Shinobu e
Gojyo.
“Sanzo. E Goku. Come...”
Non completò. Né nessuno degli altri due rispose.
“Forse Goku…”, azzardò Shinobu, incrociando nervosamente le
dita. “Ecco…lui…dopo quello che è successo…non è stata
colpa sua, ma potrebbe pensarlo…”
Gojyo scosse la testa, sistemandosi poi i capelli
discretamente lunghi. “E’ meglio non chiamarli, per stasera. Innanzitutto,
potrebbero stare ancora dormendo. E poi…è meglio dar loro qualche ora
per riflettere”
Continua...
Ciaaaaaaaaaaaaao!
Salve a tutte voi, o lettrici! Passate belle vacanze? Se avete riposto i
fazzoletti dopo la lettura delle ultime scans di Zerosum (e qui Simona riceve ortaggi da minestrone
per aver riaperto le ferite), avrete sicuramente acceso il pc
per trovare il nuovo aggiornamento di Rebirth…ebbene,
cosa ne pensate? Uh, uh, continuate a leggere…tra il
prossimo capitolo e quello dopo, potrete leggere le reazioni di Sanzo e Goku, e
vi assicuro che ne vedrete delle belle…Grazie a tutte voi che leggete, che
siete sempre con me, che commentate, che mi fate sentire in qualche modo la
vostra voce! Mi riferisco, per esempio, alla cara Giulia, che, pur non avendo commentato su EFP, mi ha fatto sentire
la sua voce su Msn, così come fa abitualmente anche Kia_Linus, ma anche la buona
vecchia Palanmelen, che ha
problemi con EFP e commenta su Manganet.it! Grazie anche aEyesice, che mi ha fatto i
complimenti su manga.it! Grazie a PoisonApple, LadySnape,
DeepDerk
conosciuta qui come Emanuelona, BlackMoody, Kairi84, Elisapuchu, Nadia SakuraKan, Bibi, Sanzina89, Mewrobby,
Kanochan, che hanno commentato gli
ultimi capitoli!
Dimenticavo…se andate a
visitare il mio blog
(vi metto il link
così non andate a cercarvelo http://kappasakurapage.altervista.org),
potrete scaricare il mio primo AMV, ovviamente aboutSaiyuki,
sulle note della canzone Pushing me away dei Linkin
Park. Sono abbastanza soddisfatta del risultato, essendo questo il mio primo anime
video, perché ho voluto subito cimentarmi con qualcosa d’impegnativo, non
essendo una successione d’immagini statiche, ma di scene in movimento
incastrate, in alcuni punti parecchio velocemente, come piace a me!
Fatemi sapere sul blog
stesso cosa ne pensate, se vi va di guardarlo! ^-^
Anche il più candido dei gigli si sporca, se entra in contatto con la
pece
Capitolo 45: Equations
Anche il più candido dei gigli si sporca, se
entra in contatto con la pece.
Meglio allontanare subito
il giglio dal lerciume.
La cenere gli cadde dalla Marlboro,
ma Sanzo non se ne avvide, o non volle avvedersene. Si
portò alle labbra la tazza di caffè appena tiepido, che aveva preparato almeno dieci minuti prima e di cui si era dimenticato l’esistenza.
Forse era meglio così. Già. Forse era stato davvero un bene,
che Goku si fosse alzato di scatto dal letto, e fosse andato
a rinchiudersi nello stanzino che usavano come ripostiglio per le scope.
Non avrebbe dovuto affrontare i suoi occhi dorati.
Già. Era meglio così.
Lui non era Konzen. Konzen assomigliava molto di più a suo
padre, Komyo Sanzo. E, dannatamente vero, la scimmia,
la sua stupida scimmia, gli ricordava
troppo dolorosamente ciò che lui era stato cinque anni prima: un moccioso. Un
moccioso in lacrime.
L’equazione era perfetta: Konzen; Komyo;
Genjo Sanzo di tredici anni; Goku.Senonché,
era lui, il Sanzo di diciotto, che ne rimaneva fuori, senza trovare un
minuscolo spazio in cui inserirsi. Komyo era una persona
meritevole, Goku era…semplicemente Goku.
Lui, invece, che…?
E’ autocompatimento,
questo? , pensò Sanzo con un ghigno cinico. Lui non era fatto per l’autocompatimento. E se, cazzo, gli cadeva anche la cenere dalla sigaretta mentre
osservava senza accorgersene una porta vuota, era proprio giunto il momento di
far prendere aria alle idee.
Si diresse ad ampi passi verso il saloncino,
cercando di non ascoltare i gemiti soffocati che da ore, ad intervalli alterni,
risuonavano per la casa, e che il sottile legno della porta non riusciva a
celare.
Quando aprì la grande finestra
della stanza, la calda aria di un altrettanto caldo pomeriggio estivo riempì la
casa. Fortunatamente, la calura non era insopportabile, anche
se avrebbe fatto volentieri a meno di qualche grado. Gettò il mozzicone
dalla finestra, osservandolo cadere giù dal terzo piano, finché la debole luce
della sigaretta ancora accesa non si fu occultata al suolo.
Sanzo fece perno con i palmi sul davanzale di marmo, e vi si
sedette su a cavalcioni. Quindi,
portò entrambe le gambe nel vuoto, rilassando i muscoli ed osservando con
noncuranza la distanza che lo separava dal suolo.
Quella posizione aveva il potere di tranquillizzarlo.
Bastava sporgere il bacino di due o tre centimetri, ed era
fatta.
Bastava chiudere gli occhi solo per un istante, lasciando
che il corpo si muovesse per conto suo, ed era finita.
Bastava persino voltare la testa per seguire con lo sguardo
qualunque cosa catturasse la sua attenzione, ed era
morto.
In bilico su pochi centimetri di marmo,
tra la vita e la morte. In una squallida città
moderna, in uno squallido tempo in cui si poteva morire ogni giorno per
qualunque minima cazzata, lui provava piacere nel
trovarsi seduto su un davanzale, con le gambe penzoloni nel vuoto.
Probabilmente, avrebbe dovuto chiamare la scimmia.
Probabilmente, sarebbe anche riuscito a tirarlo fuori dal ripostiglio.
Probabilmente, diamine, sarebbe stato suo dovere dirgli
almeno una parola, una frase, qualunque cosa.
Magari, un ‘non è colpa tua’.
Ma in quel momento, quel ‘non è
colpa tua’ non riusciva a dirlo nemmeno a se stesso.
La verità era che non riusciva a smettere di pensare. Gli
era capitato, qualche anno prima. Gli era capitato di
trovarsi per la testa pensieri così assordanti che
quasi gli impedivano di ascoltare i rumori reali. Di non riuscire a sentire
altro che le proprie invocazioni disperate. Quelle che non aveva mai gridato ad
alta voce.
La verità era che Genjo Sanzo provava disgusto per se
stesso.
Perché non riusciva a dare forma ai pensieri che lo
assillavano in quel momento, pensieri che normalmente non avrebbe
minimamente considerato se non si fosse trattato di…
…della stupida scimmia.
Sentiva un’oppressione al petto che non riusciva a spiegare
né con il ricordo del passato, né con i problemi del presente, né con il timore
del futuro.
E proprio l’impossibilità di
trovarne una spiegazione razionale si tramutava in rabbia. Verso sé stesso,
verso il mondo intero. Verso Goku, soprattutto. Poi la rabbia diventava senso
di colpa. Il senso di colpa diventava di nuovo rabbia.
Un circolo senza fine.
Sanzo chiuse le palpebre per una frazione di secondo, poi le
riaprì quando il suono del campanello riecheggiò per tutta la casa. Il biondo rimase
per qualche secondo immobile, indeciso sul da farsi. Sapeva fin troppo bene chi
fosse; purtroppo, la vita umana comportava
necessariamente seccature del calibro di rapporti sociali troppo invadenti.
Aprire avrebbe comportato l’irruzione in casa di almeno tre persone, due delle
quali rumorose quanto la scimmia. Non aprire avrebbe comportato il continuo
risuonare del campanello, anche per delle ore intere (specie se tra loro c’era
una certa mocciosa, e ci scommetteva le palle che un’irruzione in casa sua per
compiangerli entrambi non se la sarebbe fatta scappare per tutto l’oro del
mondo), non esattamente un toccasana per il suo mal di testa. In un caso o
nell’altro, comunque, era fregato. Persino per aprire
la porta e andarsene avrebbe dovuto davanti a loro.
Sanzo ascoltò l’ennesimo trillo, così irritante nel silenzio
della casa. Guardò ancora un momento, indeciso, l’asfalto tre piani sotto di
lui, quasi propenso a trovare un modo per scendere da lì e lavarsene le mani.
Infine, sbuffando, riportò i piedi sulle piastrelle del pavimento, passandosi
una mano sulla fronte per reprimere un accesso di rabbia e di furioso mal di
testa.
Non avrebbe mai isolato volontariamente un pensiero del
genere, ma l’unico motivo per cui era andato ad aprire
quella porta era la consapevolezza che loro sarebbero riusciti a tirarlo fuori
da lì.
Le sue mani abbassarono la maniglia della porta principale,
quindi la socchiuse facendosi immediatamente da parte
per far passare la mandria disordinata. Ma nessuno si
abbandonò ad un’azione tanto scomposta: la porta si aprì lentamente, non
schiantandosi come si sarebbe aspettato; nessuno irruppe dentro l’appartamento
scalpitando o vociando a gran voce. Il volto leggermente pallido di Shinobu fu
il primo a comparire, compassato, serio, privo della consueta irritante vivacità
che lo caratterizzava. Dietro di lei, in silenzio, uno con le
braccia conserte e l’altro appoggiato alla parete del pianerottolo con una
sigaretta tra le labbra, gli altri due, anche loro silenziosi e
composti.
“Sanzo…”, mormorò Shinobu muovendo un passo sulla soglia.
“Ci avrei scommesso qualunque cosa, che sareste venuti qui a dannarmi l’anima”, borbottò seccamente il biondo,
incrociando anche lui le braccia. “Cosa volete?”
“Ma Sanzo…tu non…?”, esordì Hakkai.
“Se parlate di strani sogni
sconclusionati, paragonabili ad una tragedia di serie B, allora la risposta è
sì”
“Sanzo…”, mormorò di nuovo Shinobu con le labbra che le
tremavano. Sembrava sul punto di rimettersi a piangere.
Il biondo diede loro le spalle, accendendosi una sigaretta e
incamminandosi nel corridoio. “La smetti di pronunciare il mio nome in quel
modo? Mi da’ i brividi”
La ragazza scosse la testa, quindi entrò completamente
nell’appartamento e con tre passi andò ad appoggiarsi alla schiena del ragazzo,
le mani che le tremavano leggermente.
“Mi dispiace…”
Gojyo e Hakkai si strinsero nelle spalle, aspettandosi una
risposta bruschissima da parte del biondo, magari corredata da un pugno sulla
testa della ragazza, ma non ci fu niente del genere; Sanzo non rispose, né si
voltò. Riprese ad avanzare normalmente nel corridoio.
“Dov’è Goku?”, parlò per la prima
volta Gojyo, gettando per terra, nel pianerottolo, il mozzicone di sigaretta, e
calpestandolo.
Sanzo si infilò le mani nelle
tasche. “Si è chiuso nel ripostiglio. Stanotte. Non ha detto una parola”
“E tu lo hai lasciato lì dentro,
immagino”, ribatté il rosso, polemico.
“Tsk! Da quando mi paga metà
affitto, questa è anche casa sua, e finché non mi impedisce
di girare per casa o di andare al cesso, può chiudersi dove vuole!”
“Scendi dal tuo piedistallo, stronzo!”
“Gojyo, piantala”, ringhiò Shinobu,
che per una volta non aveva voglia di sentire battibecchi. Non era esattamente
il momento giusto. Aggirò Sanzo, percorrendo il corridoio fino in fondo, quindi
attraversò il salotto e si fermò davanti ad una porta chiusa.
“Goku!”, mormorò battendo le nocche sul legno. “Sono
Shinobu. Apri un momento, per favore”
Silenzio.
“Uff…”. La ragazza appoggiò
rumorosamente le spalle alla porta, riavviandosi i capelli. Naturalmente, non
era quello il modo giusto per farlo uscire.
“Goku…”
“Per favore…ho voglia di restare solo”
Shinobu strinse le labbra. “Lo capisco. Però,
vedi…in questo modo sarai assalito solo da brutti pensieri. Apri la porta,
concedimi un po’ di tempo, e poi se vorrai potrai tornare lì”
“Hai fatto anche tu quel sogno, vero?”
“Sì”, annuì Shinobu, anche se ovviamente Goku non avrebbe
potuto vederlo.
“Perché sei qui, allora?”
La ragazza si fregò le mani. La voce del ragazzino,
solitamente squillante e vivace, risuonava alle sue orecchie
quasi cadaverica.
“Perché voglio parlare con te. Ho
paura…che tu l’abbia presa troppo sul serio”
“Perché sei qui?”, ripeté, con voce
rotta dal pianto, il ragazzino. “Shioka…l’ho uccisa io. Perché
non mi odi? Anche Sanzo lo sa. In fondo, Goku o
Seiten, sono sempre io. Mi odia anche lui”
“Ma non è vero!”
Shinobu batté i pugni con forza sulla porta. Aveva urlato.
“Non è vero…”, ripeté, con voce più calma, ma anche più stentata. “Noi
tutti…non siamo più quelli che eravamo. Altrimenti…io stessa
avrei più di una colpa da espiare”
“Ma tutta quella gente…Konzen…e
Shioka…e gli altri, che sono stati condannati per colpa mia…”
“Goku!”. Alla
ragazza tornarono le lacrime agli occhi. Appoggiò la fronte al legno. “Non è
stata colpa tua…non eri in te…non potevi…e poi loro l’hanno voluto!”
“Calmati”. Gojyo, dietro di lei, le aveva poggiato
una mano sulla testa. Si schiarì la voce. “Gojyo alla stupida scimmia! Se non esci da lì entro un minuto, butto giù la porta!”
“Provaci e io butto giù te dal terzo piano!”, ringhiò Sanzo
dietro di lui.
“Non credo che la priorità sia litigare, adesso!”, li sedò
Hakkai con voce seria. “Sanzo, se solo gli parlassi….”
Il biondo si appoggiò alla parete, portandosi una sigaretta
alle labbra. Fissò i suoi occhi gelidi in quelli di Hakkai. La sua irritazione
aumentò di una decina di gradi. Nessuno doveva osare dirgli cosa fare, non in
quel momento, in cui una minuscola parte della sua mente già lo sapeva.
“Quello che devo o non devo fare, è
affar mio. Non ho intenzione di farmi condizionare da
voi individui che non sapete un cazzo
della mia vita”
Prima che Hakkai potesse rispondergli a tono, prima che
Gojyo potesse afferrarlo per il bavero e scagliarlo contro il muro, fu Shinobu
ad urlare.
“Adesso basta!”
I tre la squadrarono, in silenzio.
“L’unica cosa che conta adesso…è che Goku esca da quella
porta e si convinca che non è colpa sua. Solo questo”. Si passò la mano sugli
occhi. “E Sanzo è l’unica persona che può convincerlo…”
Il biondo non la fece finire di parlare. Girò sui tacchi, e
pochi secondi dopo lo schianto della porta d’ingresso riecheggiò in tutta la
casa.
Shinobu non parlò, ma
le sue labbra articolarono una parola senza suono che somigliava a ‘bastardo’. Con lo sguardo più testardo che mai, si
riposizionò davanti alla porta del ripostiglio.
“Goku…voglio che tu sappia che non mi muoverò da qui finché
tu non uscirai”
Hakkai aggrottò le sopracciglia, per nulla sorpreso
dall’uscita di Shinobu. Conosceva fin troppo bene la testardaggine della
ragazza. Si accomodò nel divano del salone, le braccia conserte, lo sguardo
perso nel vuoto.
Forse…lei è il punto
d’incontro tra l’infantilismo di Goku e la razionalità di Sanzo. Potrebbe
riuscirci.
“Pare che dovremo fossilizzarci qui per un po’ di tempo”,
richiamò la sua attenzione Gojyo sedendosi accanto a lui. Accavallò le gambe.
“Spero solo che uno dei due ceda prima che mi girino davvero le palle”
Sospirò.
“Ti trovo più nervoso del solito o sbaglio?”
“Non sbagli”, confermò il rosso appoggiando la testa alla
spalliera del divano. “E quello che mi fa più incazzare è che non ne conosco la ragione”
“Lui…”, mormorò Shinobu, che intanto si era accucciata con
la schiena appoggiata alla porta, il mento nascosto tra le ginocchia raccolte
al petto, “Non c’entra. E
Sanzo…era strano. Era più…remissivo, non aveva la
solita voglia di attaccare chiunque. Però sono sicura
che non sia arrabbiato con Goku. L’unica persona con cui potrebbe seriamente
infuriarsi…è se stesso”
“Shinobu”, l’apostrofò Hakkai con voce gentile. “Non pensi
che dovremmo lasciare che Sanzo e Goku risolvano i loro problemi da soli?”
Shinobu scosse la testa. “Voglio restare qui. Per favore. So
cosa Goku sta provando in questo momento, e più tempo passa, più i pensieri si
fanno neri”
Hakkai annuì. “Va bene”. In fondo…forse sarebbe riuscita a
convincerlo.
Perché devi mentirmi?
Siete crudeli. Perché vi sentite tutti in dovere di trovare rassicurazioni
fasulle?
In realtà…non mi interessa cosa ne pensiate voi.
Ci sono io, qui. Solo
io. Non siete voi a dover fare i conti con la mia coscienza.
Mi sento devastato.
Non ho quasi nessun
ricordo di ciò che è successo negli ultimi momenti. L’ultima cosa di cui ho
memoria è quel ragazzino, Nataku, e quell’uomo disgustoso. Poi…il vuoto.
Però…so. Non so come, ma ho idea di quello che
ho fatto. So chi ho ucciso, cosa ho causato. Ho visto tutto dall’esterno.
C’è un pezzo che mi
manca, però.
Non so perché e come
sono finito qui. Per espiare quello che ho fatto? O è
solo un’altra chance?
Non lo so e non mi interessa, non l’ho chiesta io.
In una notte è come se
si fossero cancellati 17 anni di vita, quella di adesso.
Sarebbe meglio
addormentarmi, sì.
E sperare di risvegliarmi e di scoprire che
tutto questo sia un sogno nel sogno, che tutto quel che è successo non sia mai
accaduto, che non sia niente di più di un semplice sogno, appunto.
Oppure…di non svegliarmi mai più.
E’ Shinobu?
La ragazza gettò la schiena all’indietro,
spalle a terra nel prato. Così facendo, le ciocche di capelli le
scivolarono via dal viso, rivelando i suoi occhi diseguali.
No…è Shioka.
Scusami…
Scusami…
E’ stata tutta colpa
mia…
Vi ho messo io in
quella situazione…
Poi ho perso il
controllo…
…e
ho ucciso.
…ho massacrato decine
di persone.
…ma
soprattutto…
Konzen.
Il petto mi brucia al
solo pensarci.
L’ho ucciso con le mie
mani, per di più mentre stava tentando di proteggermi…
E poi ho ucciso te, Shioka.
Scusami…
Shioka sollevò le spalle da terra e gli sfiorò il naso con
un indice. “Goku, perché sei così pensieroso?”
Sulle sue labbra comparve un sorriso dolcissimo.
Quanto era bello il
suo sorriso…
“Che hai, stupida scimmia?”
Una cascata di
splendidi capelli color dell’oro.
Il biondo sbuffò seccato, poggiandogli una mano sulla testa.
Il tuo calore, Konzen…
Il calore del sole…
Sono stato io a
spegnerlo.
“Ti ho già detto di non pensarci più…era
solo…pensavo che tu…”. Konzen s’imbronciò. Odiava sentirsi stupido, e ci stava
riuscendo eccome.
Shioka aggrottò le sopracciglia, una vena polemica e
accusatrice nella voce. “Konzen, cosa gli hai detto questa volta ?”
“Non sono affari tuoi, mocciosa”, rispose l’altro alzando le
spalle.
“Oh, quello”,
s’intromise ridacchiando Tenpou. “Ieri Konzen ha proposto a Goku di rimandarlo
a vivere sul mondo sottostante”
Konzen si morse il labbro inferiore. Era confermato, Tenpou
era non solo un impiccione patentato, ma anche un aspirante suicida.
“Non sono affari vostri”
Il calore di un
abbraccio.
Shioka sfiorò con il mento la testa castana di Goku.
“Ormai il posto di Goku…è questo. Anzi, è con te. Sbaglio?”
Non ti sbagliavi.
Konzen…
Volevo stare con te,
proprio come lo vorrei adesso.
Avrei voluto esserti
ancora più vicino, ma temevo di infastidirti.
Due vite, non una…che
senso ha avuto tutto ciò?
“Che belle parole escono da un
faccino sì deciso!”, rise Kenren, portandosi alle labbra il bicchiere di sakè.
La giornata era così calda, che si era slacciato la parte superiore del
soprabito. In grembo aveva sparsi petali di ciliegio
che si erano adagiati sospinti dal vento, altri tra i capelli ribelli. Ma il generale pareva non rendersene conto. Tutto, comunque, contribuiva a rendere più pittoresca quella scena
di assoluta tranquillità.
Tenpou, dietro di lui, ridacchiò, gli occhiali appuntati nel
colletto della camicia e il camice ripiegato sull’erba. “I fiori di ciliegio
rendono tutti un po’ romantici…non è forse vero,
Konzen?”
“Avete proprio voglia di morire, voi…”
“Oh. Aspettatemi un attimo”
E Shioka svanì, la veste
svolazzante dietro di sé al pari della lunga capigliatura. Non fu necessario
seguirla con lo sguardo per molto, perché tutti la videro aggrapparsi
allegramente al soprabito di Gojuin dopo aver scambiato con lui qualche parola,
e trascinarselo dietro.
“Ecco. Adesso ci siamo proprio tutti”
Tenpou sorrise, salutando il Maresciallo con un piccolo
inchino della testa. Kenren assunse un’aria indignata, ma probabilmente solo
per presa di posizione, dato che pochi secondi dopo
anche lui sorrise dietro al suo bicchiere di sakè. Shioka si gettò spalle a
terra sul prato, con un largo sorriso sulle labbra. Anche
Gojuin si sedette insieme al quintetto sotto gli alberi di ciliegio. Ovviamente
non sorrise, ma il suo volto si illuminò di
un’espressione distesa. Konzen, dopo aver commentato con uno ‘tsk’, si affrettò
a portarsi alle labbra la fiaschetta di sakè.
Erano
tutti così felici, dopotutto…è
stata tutta colpa mia.
Perdonatemi…
“Scimmia, ma sei ancora giù?”, lo
derise Kenren, abbracciandolo da dietro. “Konzen il cattivone non ti
rimanderebbe mai indietro! Perché cedere il proprio
animale da compagnia?”. Ed esplose in una risata
sguaiata, senza però mollare la presa.
“Kenren, sei già ubriaco…”, rise Tenpou.
“Non credo…sai quanto lo diverte prendere in giro Konzen!”,
gli fece eco Shioka, spostandosi dietro le sue spalle e poggiandogli il viso
nell’incavo del collo. Tenpou le posò una mano sulla testa, ancora
ridacchiando.
“Adesso me ne vado!”, minacciò il biondo,
ma la sua minaccia, non accompagnata dal suo alzarsi in piedi, rimase
vana.
Kenren ridacchiò sotto i baffi, quindi mollò le spalle del
ragazzino e gli si inginocchiò davanti.
“Goku…facciamo una promessa da uomini sotto questi alberi…”,
e così facendo tese il mignolo. “Qualunque cosa accada…anche se qualcuno di noi
dovesse rimanere da solo…ci rivedremo”
Gli altri quattro socchiusero gli occhi,
respirando a piene nari il profumo dei fiori portati dal vento. Non si
sentiva una voce, solo il fruscio dei petali e dei rami degli alberi mossi dal
vento. Nessuno parlava, ma era implicito che tutti stessero legando il proprio
destino a quello degli altri, con un filo rosso a doppia mandata.
“E’ una promessa?”
La mia mano si sta
muovendo da sola…
E’ una promessa,
Kennichan.
Scusatemi…
Le immagini sfumarono. Come in un caleidoscopio, volti
vecchi e nuovi, paesaggi antichi o recenti si sintetizzavano o si separavano,
creando nuove forme.
Goku si risvegliò, madido di sudore, il respiro affannoso.
Era stato un sogno vivido…proprio come quello della notte precedente. Si
asciugò furiosamente le lacrime, iniziando per la prima volta ad avvertire,
oltre alla fame, il senso di claustrofobia di chi è chiuso
da ore al buio in uno spazio ristretto.
Avvertendo per la prima volta dopo
più di un’ora un movimento proveniente dall’altra parte della porta, Shinobu
rialzò la testa dalle ginocchia.
“Goku!”
Gojyo sbuffò, perdendo
improvvisamente le speranze di poter tornare a casa. “Shinobu…per quanto tempo
ancora hai intenzione di restare lì?”
“Te l’ho detto, finché Goku non si
deciderà ad uscire”
“Ma siamo
qui da più di tre ore e non ha ancora dato segni di resa!”
Hakkai si appoggiò meglio al muro,
pensando, tentando di escludere le voci dei due che andavano facendosi sempre
più concitate.
Shinobu strinse le labbra,
abbracciandosi le ginocchia. “Voglio semplicemente fargli capire che non è
colpa sua!”
Il rosso sbuffò per l’ennesima
volta. Quegli attacchi di infantilismo di Shinobu,
simili a capricci di un bambino desideroso che tutto il mondo la pensi come
lui, lo facevano infuriare da matti. “Basterebbe lasciarlo da
solo per un po’, non puoi costringerlo ad ascoltarti! Non puoi
pretendere che tutte le persone affrontino le situazioni con il tuo stesso
metro, Shinobu!”
L’aria si congelò improvvisamente;
Hakkai chinò il capo, rassegnato. Gojyo, le sopracciglia corrugate, aspettava
senza batter ciglio che la ragazza levasse gli occhi e
gli rispondesse a tono. Metà di lui esultava per la frecciata
andata a segno, l’altra metà si sentiva già schifosamente in colpa.
Il torace di Shinobu sussultò una, due volte. Poi la ragazza si alzò e, passando tra
Hakkai e Gojyo con il capo chino, uscì dalla stanza.
“Gojyo…”, mormorò Hakkai
riassettandosi le ciocche di capelli che gli ricadevano sul viso.
“Hm?”
Hakkai sospirò. “Niente”
Il rosso chiuse gli occhi e sospirò anche lui. “Non era il momento, vero?”
L’amico si strinse
nelle spalle, mentre il rosso, con un ultimo, sonoro sospiro, si affrettò
ad uscire anche lui dalla stanza.
Hakkai, indeciso se aspettarsi
urla furiose o silenzio glaciale, reclinò per un attimo il capo in avanti. Tese
le orecchie, ma evidentemente si era verificata la
seconda situazione, almeno per il momento.
“Goku…chi più, chi minimamente,
tutti abbiamo risentito dei sogni. Shinobu più di
tutti, insieme a te. Il motivo principale, è che vi riesce difficile tracciare
una linea di demarcazione ben chiara tra la fine della vita del vecchio Goku e
di Shioka, e l’inizio della vostra. Non importa come nel Tenkai le nostre vite
precedenti abbiano vissuto, ciò che conta è la fine comune che hanno visto.
Shioka e Konzen sono stati uccisi; Goku, Tenpou, Kenren e Gojuin sono stati
fatti reincarnare; i loro corpi, comunque, sono morti.
Ma quel che è importante…è che tutti loro hanno
ucciso. Ti dirò di più: il Seiten l’ha fatto inconsciamente, gli altri l’hanno
scelto per proteggerlo”.
Hakkai sospirò. “La verità
è che ognuno di noi cammina sui cadaveri di qualcun altro. Non mi riferisco
solo al Goku del passato, a Shioka, o a Kenren e gli altri…Ma non c’è un modo
diverso per vivere. Oggi stesso…”. Tacque. La gola gli doleva per le parole
dette. Aveva pensato per un momento a Kanan. “Oggi
stesso, tutti noi abbiamo cadaveri distesi nella strada che ci lasciamo alle
spalle. Non importa se non li abbiamo uccisi noi, fatto sta che non abbiamo
potuto impedirne la morte”
“Sanzo è arrabbiato con me?”, mormorò Goku da dietro la
porta.
“Sanzo è arrabbiato con se stesso, come sempre”, sospirò
Hakkai dando ragione alle precedenti parole di Shinobu. “E comunque
non avrebbe motivo di esserlo con te: tu non hai ucciso Sanzo. E’ stato il
Seiten ad uccidere Konzen, inconsciamente”
“Ma…”
“Il Seiten è morto del tutto, perché era insito nella natura
del vecchio Goku, non nella tua. Allo stesso modo, la parte maligna che era
presente in Shioka è morta con lei. Ognuno di noi ha sviluppato un nuovo
carattere, una nuova vita indipendente. Siamo vivi, Goku. Ognuno per sé”
“Non so cosa mi prenda in questi giorni, davvero…sono
particolarmente nervoso”.
Gojyo aspirò il fumo della sigaretta, tamburellando sul muro
con le dita dell’altra mano. “Mi…”
“No, hai perfettamente ragione”, lo interruppe Shinobu pochi
metri accanto a lui, strofinandosi gli occhi lucidi con l’avambraccio. “A parte
il fatto che non ho nessun diritto di far la predica a Goku, visto come mi sono
comportata io ieri…mi stavo solo imponendo”
Il rosso non rispose. Spense la sigaretta nel bicchiere di
carta che stava usando per posacenere, le si avvicinò
e le poggiò una mano sulla testa. “Non sono bambini, se la caveranno”
“Sono la prima a sapere che Goku non è uno sprovveduto,
ma…Sanzo ha la capacità di ferire la gente, senza rendersene conto”
“L’hai detto tu stessa”, le fece notare Gojyo. “Goku non si
fa ferire da atteggiamenti simili. E’ troppo ingenuo perché sia così”
Shinobu non rispose. Si passò la punta dell’indice sul naso.
“…andiamo. Penso che tenterò di farmi riammettere a corte, cercherò di
sfruttare la mia ars orandi per
convincere mia madre che quella che ha visto seminuda a casa tua era mia
sorella gemella da cui sono rimasta separata alla nascita”
Gojyo arricciò le labbra, emettendo un fischio ammirato,
come a sottolineare che un’evenienza del genere
sarebbe stata di suo gradimento, poi tornò serio.
“Quindi torni a casa?”
Shinobu annuì, appoggiandosi allo stipite della porta che
separava il bagno dal corridoio. “Sono stati tre giorni di totale astrazione
dalla realtà. Ho bisogno di tornare con i piedi per terra”
“Anche se ciò volesse dire tornare
alla solita vita?”
La ragazza aggrottò un sopracciglio. “Nel bene e nel male, non
sarà più lo stesso. Credo”
E sparì nel corridoio. Gojyo
sospirò, grattandosi la nuca e facendo per tornare anche lui nel soggiorno.
“Hakkai, io vado…”
Shinobu si arrestò proprio dietro il divano del salone,
notando la testa castana che spuntava appena da sopra la spalliera.
Le mani nelle tasche, la ragazza sorrise e si appoggiò allo
schienale del divano. “Uh, la scimmia è ricomparsa…”. Gli scompigliò i capelli,
uncinandogli il collo con l’altra mano.
“Dai, Shinobu…smettila!”, si lamentò il ragazzino tirando
un’ultima volta su col naso, ma non fu accontentato: piuttosto, un altro paio
di mani robuste andarono ad unirsi a quelle di
Shinobu, strattonandogli la testa qua e là.
“Ragazzi…così lo farete diventare calvo!”, rise Hakkai, ma
non intervenne in difesa di Goku.
“’Mbè?”,
ridacchiò Shinobu mentre il ragazzo strepitava per ottenere di essere lasciato
in pace. Ma sorrideva.
Scavalcò la spalliera del divano, atterrando tra Goku e
Hakkai. Avvicinò il viso a Goku fino quasi a far sfiorare le loro fronti. Anche Gojyo smise di torturargli la testa.
“Dal momento in cui siamo nati al momento in cui moriremo…la
storia…la riscriviamo noi”
Continua…
E sì, gente. Simona non è morta, Rebirth non è stata
sospesa. Non ci ho pensato nemmeno per un istante, credetemi.
Sono molto affezionata a questa fanfiction, e voglio
vederne la fine a tutti i costi, bella o brutta che sia.
La mia totale e quasi silenziosa (chi ha letto il mio blog
lo sa) assenza di tutti questi mesi si interrompe qui,
spero, fino alla fine della fic, che sarà tra breve.
Le ragioni del mio scarso voler scrivere sono molteplici: mancanza di tempo
causato da studio e impegni personali; mancanza d’ispirazione, sebbene questa
mi sembri tanto una scusa puerile e stagionata, ma soprattutto presuntuosa: da mediocrucciaimbrattatastiera
qual sono non posso certo parlare d’ispirazione…semmai
di voglia: e la voglia è stata tranciata via da un tecnico fallito che mi ha
cancellato il capitolo già finito. Non ho scuse, lo so, sono fatti risalenti a
parecchio tempo fa…
Altra ragione è stato lo
spopolamento della sezione Saiyuki di EFP, dovuto ad
inagibilità del sito, discussioni con la webmistress,
eccetera. Se siete ancora lì, a leggere, mi piacerebbe che me lo facciate sapere.
Spero di postare presto il quarantaseiesimo capitolo.
“Avremo fatto bene a
lasciarlo solo?”. Shinobu appoggiò il viso alla spalla di Gojyo, che distolse
appena lo sguardo dalla strada, scrutandola attraverso uno degli specchietti
retrovisori.
“Non potevamo fare altro,
per loro”, rispose il rosso tornando a guardare davanti a sé. “L’abbiamo, anzi,
l’avete tirato fuori di lì, e questo è già tanto. Troppo”
“Mh”. Shinobu non disse
più nulla per un po’. Osservò la strada che scorreva, le insegne luminose già
accese nonostante non fosse nemmeno sera. “Abbiamo bisogno di un pomeriggio
libero. Mi piacerebbe mettere per iscritto tutto. Hai ben vividi i vari momenti
del sogno, vero?”
“Sì. Ma a cosa ti serve
fare una cosa del genere?”
Shinobu chiuse gli
occhi. “Per non dimenticare”
Gojyo, superando una
camionetta, si riportò al centro della strada. “Pensi che qualcuno si
dimenticherà di tutto questo?”
“Credo sia più giusto
che questa storia non rimanga tale solo nella nostra memoria”
“Se lo dici tu…”. Il
rosso sospirò. In realtà, sperava che i risvolti concreti di quella tutta
storia sul presente non si protraessero più di tanto. Due crisi erano state
scampate in corner, tanto per cominciare. E poi aveva un brutto presentimento.
E quando ne aveva lui, c’era sempre da tremarne.
Avvistò l’imbocco della
strada laterale in cui si trovava lo stabile di Shinobu. Erano passati a
prendere il borsone a casa sua, e la ragazza era ben decisa a tornarsene
all’ovile un po’ prima del previsto. Sperava solo che risolvesse i suoi dilemmi
con la madre: ci mancava solo che si trasferisse a tempo indeterminato da lui…
Fermò la moto a qualche
metro dall’atrio. Si sfilò il casco, tergendosi il sudore: le giornate si erano
fatte fastidiosamente calde. Giugno imperversava con la sua afa, rendendo il suo
mal di testa fastidiosamente pulsante.
“Bene”. Shinobu scese
dalla moto, si sfilò il casco, recuperò il borsone. “Augurami buona fortuna, o
domani a quest’ora sarò a Shinjiku a prostituirmi per racimolare il denaro
sufficiente a trovarmi un tetto”
“Mettimi in lista”,
ridacchiò il rosso. “Gratis, naturalmente”
“Scordatelo”. Shinobu tirò fuori la lingua e caricandosi il
borsone in spalla. “Tariffa straordinaria, semmai…”. Vide che Gojyo, che prima
era rivolto verso di lei, aveva voltato di scatto la testa in avanti.
“E lui, cosa ci fa qui?”
Shinobu seguì il suo sguardo, notando finalmente, davanti
l’atrio, un ragazzo di spalle, con le mani nelle tasche. Ciò che colpiva erano
i suoi capelli dal colore inusuale. Teneva lo sguardo alto, come se stesse cercando
una risposta nelle spesse coltri di nubi che si erano addensate nel cielo
appena estivo, quella sera.
“Gojuin?”, mormorò, a voce abbastanza alta, Shinobu. Gettò
il borsone per terra, e si avvicinò lui con passo celere.
Il ragazzo si voltò, rivolgendo verso di loro gli occhi
rossi e il pallore del viso dalla carnagione chiarissima. Aprì le labbra per
rispondere, ma in quel momento il suo sguardo si scontrò con quello di Shinobu.
La ragazza non perse nemmeno un momento per pensare. Gli si
fermò dinnanzi, lo guardò per un attimo negli occhi, quindi lo abbracciò. Non
sapeva perché l’avesse fatto: eppure, prevedibilmente, quella volta Gojuin era
apparso ai suoi occhi come un caro, vecchio amico che non si vede da una vita.
Probabilmente, pensò, anche l’altro doveva aver visto lei, loro, in maniera non
dissimile, per tutto quel tempo, senza poter però sfogarsi. Gojuin era una
persona sola, dannatamente sola. E terribilmente orgogliosa.
Il ragazzo estrasse le mani dalle tasche e le alzò, indeciso
sul da farsi. Guardò prima Shinobu e poi, inevitabilmente, per un attimo,
Gojyo. Il rosso rispose con uno sguardo lievemente infastidito, tuttavia Gojuin
poggiò le mani sulle spalle della ragazza.
“Mi ha chiamato Hakkai, ieri sera”, mormorò, tentando di
spiegare la sua presenza lì. “Abbiamo parlato un po’ al telefono. Oggi,
comunque, ho pensato fosse meglio che vi vedeste voi da soli. Però volevo
passare…sono arrivato da poco, ero indeciso se bussare o no”
Shinobu non mollò subito la presa, ma alzò lo sguardo. “Mi
dispiace…”, non poté evitare di dire. “Tu…per tutti questi mesi hai sostenuto
il peso dei tuoi sogni da solo”
“Se quei sogni si sono manifestati, è stato solo per una mia
maturazione interiore. Significa che era giunto il momento di venire a
conoscenza di chi ero in realtà. Mentre voi…non avevo nessun diritto di
raccontarvi come stavano realmente le cose. Non crucciartene, è stata una mia
decisione”. Parlò a voce bassa, alzando ogni tanto lo sguardo su Gojyo.
La ragazza lasciò finalmente la presa, strofinandosi gli
occhi umidi. “Ci siamo rivisti”, sussurrò, quasi commossa.
“Te l’avevano detto, loro, no?”
Shinobu annuì, sorridendo lievemente.
“Ehm, mi dispiace disturbare, ma…sapete com’è…”
Gojyo, le sopracciglia aggrottate,
soffiò il fumo della sigaretta che aveva in bocca. “Shinobu, avevi una pace
familiare da salvare, sbaglio?”
Annuendo, la ragazza si girò verso
di lui. “Vado immediatamente. Gojuin, mi dispiace di dover scappare. Ti
inviterei a salire, ma al momento quella non è nemmeno casa mia”
L’altro la squadrò con
un’espressione un po’ interrogativa, al che Shinobu agitò la mano. “Niente di
grave, mi hanno temporaneamente buttato fuori casa, o meglio, mi ci sono
buttata fuori da sola. Ti faccio sapere, d’accordo?”
Tornò alla moto. Recuperò il
borsone, ammiccò a Gojyo, e si diresse verso l’atrio. “Ciao a tutti e due!”
Quando fu sparita dalla loro
visuale, Gojyo alzò lo sguardo su Gojuin.
“Generale Ryuu Ou Sekai Gojuin…mi
fa piacere rivederla”
Gojuin ricambiò l’occhiata beffarda.
“Divertente, esserci ritrovati qui dopo tanto tempo…e per di più, di nuovo
legati alla stessa donna, oltre che allo stesso partito, non trovi?”
“Tsk…divertente…se lo dici tu…”.
Gli venne voglia d’aggiungere
qualcos’altro, qualcosa di pericolosamente simile a ‘e per due volte l’ho
spuntata io’, ma non se la sentì, per una volta, di esprimere una battutina
tanto sagace.
In fin dei conti, erano stati
compagni d’arme. In guerra, e in amore.
Gojyo si rimise il
casco. Incredibilmente, le labbra di entrambi si incresparono in un sorriso,
mentre le loro voci si ammorbidirono. “Alla prossima, Gojuin”
L’altro annuì. “Alla
prossima”
Sanzo calciò con rabbia una lattina mezza schiacciata
che gli aveva intralciato il cammino. Il coccio di alluminio fu scagliato
contro la ruota di un’auto posteggiata, quindi rimbalzò nella strada. Sanzo non
si degnò nemmeno di seguirne il percorso con gli occhi, già intento a cercare
altri eventuali ostacoli da prendere a calci, fossero animati o no.
Si sentì urtare una spalla.
“Sta’ attento a dove vai, ossigenato!”. Un ragazzo, o
meglio, un armadio in divisa scolastica, che lo superava di un’abbondante
ventina di centimetri in altezza e almeno di una ventina di chilogrammi in
peso, gli si parò davanti con intenti poco pacifici. Probabilmente, come lui,
cercava una valvola di sfogo. Sanzo fu quasi deluso quando, dopo che lo ebbe
fulminato con uno sguardo assassino, l’armadio proseguì il suo cammino con uno
‘tsk’.
Riprese a camminare. Improvvisamente, un paio di
vetture della polizia sfrecciarono per la strada a sirene spiegate; le auto si
facevano da parte per permetterne il passaggio, invadendo le corsie opposte.
Sanzo ne seguì svogliatamente la scia per un paio di secondi, quindi fece per
proseguire; le auto, contrariamente alle sue aspettative, si fermarono nella
strada. Presto sentì altre sirene lontane sostituirsi a quelle precedenti.
Suo malgrado, il biondo dovette rallentare il passo e
poi fermarsi per non travolgere il campanello di gente incuriosita che si stava
formando sul marciapiede. Finalmente alzò lo sguardo, incontrando quello che
molto probabilmente doveva essere lo scenario di una rapina o qualcosa del
genere. Nastro giallo delimitava un’area di una trentina di metri quadri
attorno ad una gioielleria, e Sanzo si chiese come mai la polizia non avesse
ancora evacuato la strada. La risposta gli venne nell’osservare come una decina
di poliziotti armati entrarono nel negozio e ne uscirono subito dopo: tutto si
era già concluso. Un’autoambulanza andò ad unirsi alle volanti della polizia.
Poco dopo, cinque o sei carrelli trasportavano nella vettura corpi coperti da
teli neri, seguiti da due individui presumibilmente vivi ma feriti. Un paio di
poliziotti salirono armati a bordo dell’ambulanza, che partì, tallonata da due
delle volanti della polizia.
“Una disgrazia…due rapinatori sono entrati nella
gioielleria di Tamazaki-san e hanno sparato sugli avventori. Pare che anche il
signor Tamazaki fosse armato, e che abbia sparato a
sua volta sui rapinatori prima di essere ucciso…”
Sanzo si voltò appena verso le due donne che stavano
parlando accanto a lui. La loro voce sembrava più eccitata, che spaventata o
densa di compassione verso i morti.
“I rapinatori erano poco più che ragazzi”, e Sanzo
giurò che la seconda donna gli avesse scoccato
un’occhiata sdegnata. “Il nostro paese sta andando in rovina per colpa lo…”
Il biondo non si degnò d’intervenire nella
discussione, ma avrebbe tanto voluto far notare loro che il 70% dei reati
gravi, ogni giorno, veniva commesso da maggiorenni e disoccupati.
Il suo sguardo terminò immancabilmente su una grande
macchia di sangue davanti il negozio.
Improvvisamente gli tremarono le mani. Il tremore si
estese a tutto il corpo, tanto che dovette farsi largo tra la folla che ormai
cominciava già a dipanarsi, e imboccare un’anonima strettoia. Si appoggiò al
muro, scivolando poi fino a terra.
“Non…non erano affatto ragazzini, quelli”, mormorò
tra sé e sé. Le immagini della rapina non avevano avuto su di lui un effetto immediato,
tanto che per un attimo si era sentito forte e orgoglioso di sé. Ma i ricordi, evidentemente, si erano presi il loro porco
tempo, prima di tornargli alla mente. Sanzo ebbe il tempo di ripiegare il busto di lato, prima di rimettere tutto ciò che non aveva
mangiato quel giorno.
Si guardò le mani, quasi
aspettandosi di trovarle sporche di sangue, quindi se le portò alle
tempie, improvvisamente sudate.
I suoi pensieri andarono automaticamente alla saru. Non credeva a segni e sogni, ma la
rapina vista pochi minuti prima gli tornò alla mente come un monito,
confondendosi con quella di cinque anni prima.
Era uscito per schiarirsi le idee e per non sentirsi
rinfacciare i suoi errori (debolmente consapevoli) dalla massa di rompicoglioni
che gli aveva invaso la casa. Ma non aveva ottenuto niente: non solo le idee
non se le era ancora schiarite, ma le voci di ciò che
i ‘rompicoglioni’ avevano e non avevano detto gli
risuonavano in testa, mischiandosi a ricordi, scene, sogni, pesi. Troppe cose
perché la confusione non si trasformasse in un mal di testa tale da dargli la
nausea.
Sanzo respirò profondamente per darsi un contegno.
Per calmarsi, iniziò ad osservare distrattamente il luogo in cui era finito
quasi senza accorgersene. Un nuovo conato di vomito gli attraversò lo stomaco.
Rimise nuovamente.
Quello era il vicolo in cui aveva trovato Goku.
Ancora una volta si sentì schiacciato da pesi troppo
gravi per essere sostenuti.
Il suo sole…come avrebbe potuto esserlo?
Il suo sole? Che cazzo si
aspettava da lui quel ragazzino? Che cazzo si aspettavano
da lui tutti?
Cosa doveva fare? Continuare
così?
No, non poteva continuare così. Come un castello di
sabbia, tutte le sue certezze stavano crollando. Prima tra tutte, quella di non
avere bisogno di nessuno.
Ed era tutta colpa di Goku.
L’aveva già vista, quella scena. Non stava forse schifosamente diventando
simile a Konzen Douji? Konzen Douji, che addirittura si era immolato…?
Sanzo scattò in piedi, debole e ancora tremante. No, no, no.
Non avere legami. E’
questa la vera forza.
L’unico
insegnamento che il padre gli aveva lasciato. L’unica cosa in cui doveva
credere.
E lui un legame ce l’aveva. Non ne comprendeva la natura, ma era
dannatamente certo che un legame con Goku ce l’aveva.
Bene, e con ciò?
L’avrebbe reciso quanto
prima.
Goku spense la
televisione, il cuore che gli palpitava a mille. Sentì la chiave girare nella
toppa, e la porta aprirsi. Si comandò mentalmente di calmarsi, altrimenti non avrebbe fatto altro che farlo arrabbiare. Era eccitato e
spaventato al tempo stesso. Cosa doveva fare, prima?
Scusarsi? Spiegare le sue ragioni? O aspettare che
fosse Sanzo a dire qualcosa?
Deglutì, mentre sentiva
i passi lenti ma decisi che solcavano il corridoio. Infine, la consueta testa
bionda apparve. Incorniciava un volto ancora più pallido del solito, abbrutito
da uno spaventoso paio di occhiaie. Una chiazza di
sudore scuriva la maglietta scura del ragazzo, proprio sotto il collo.
“Sanzo!” Goku gli andò
vicino. Si nascose le mani in tasca per controllarne il tremore. “Ti stavo
aspettando, io…Ma cosa ti è successo? Ti senti male? Vieni,
siedi…”
Il biondo prese
l’ennesima boccata dell’ennesima sigaretta della giornata. “Goku…”. Il
ragazzino lo guardò, il suo solito sguardo da cane bastonato che aspetta di conoscere la sua sorte.
Sanzo distolse gli occhi da lui. Non riusciva a
sostenere il suo sguardo, in quel momento.
Sapeva che l’avrebbe ferito cento volte più di quanto
avesse fatto il suo patrigno, ma non poteva assolutamente andare avanti così.
Non avere legami. E’
questa la vera forza.
“Goku…devi andartene da qui”. Lo disse semplicemente,
come se gli stesse chiedendo di andare a comprare il
riso.
Sanzo fu certo di aver visto come se i suoi occhi si
fossero frantumati in mille pezzi, ma non poteva farci più nulla, ormai.
“Per…perché? Sanzo, perché?”. Non era certo di aver
capito bene. Non poteva averlo detto davvero.
Il biondo scosse la testa: “Non voglio più averti
intorno”. La sua voce, in un attimo, si era fatta dura.
D’altronde, quella era la
pura e semplice verità; non voleva più averlo intorno, perché lui lo stava
rendendo debole, infinitamente debole.
Si aspettò una tirata melodrammatica di Goku. Ma sarebbe rimasto sulle sue decisioni persino se l’avesse
implorato.
Niente di tutto ciò. Vide Goku inghiottire
ripetutamente, chiudere gli occhi per un attimo, quindi piegare le labbra in un
abbozzo di amarissimo sorriso.
“Va bene, Sanzo. Ho capito. Scusami. Verrò a prendere
il resto delle mie cose quando…”
“Goku…vattene”
Il ragazzino annuì. Non perse nemmeno il tempo di
mettere qualcosa in una borsa. Goku uscì dalla porta della casa di Genjo Sanzo,
che per quasi tre mesi era stata anche casa sua.
Ascoltando il rumore dell’uscio che veniva chiuso con forza, Sanzo strinse i pugni così forte
che si lacerò i palmi delle mani con le unghie. Gocce di sangue caddero per
terra, ma non se ne avvide. Ecco, adesso era di nuovo
solo, e non sarebbe più stato un debole.
Shinobu addentò un biscotto al cioccolato, ascoltando
distrattamente un notiziario. Parlava di una rapina avvenuta poco lontano da
lì, che aveva causato sei morti e due feriti. Se ne sentivano
tante, del genere, non vide perché soffermarsi proprio su questa.
“La cena che abbiamo ordinato a quel ristorante cinese era buona, vero? Non era nemmeno troppo piccante”
La ragazza si voltò perplessa verso sua madre.
L’aveva fatta entrare in casa, ma non le aveva ancora
rivolto la parola. Poi erano arrivati il padre e il fratello,
che, ipotizzò dalla strana pace famialiare,
non avevano saputo nulla, quindi non avevano avuto il tempo di discutere.
Abbozzò un sorriso. “Vero. Dovremo ricordarcelo per il futuro”
“Stavo pensando…che ultimamente non conoscevo più
nemmeno i tuoi gusti in fatto di cucina”
Shinobu appoggiò il viso sui palmi delle mani. “Ah,
mangio un po’ di tutto, non preoccuparti. Però la prossima volta compriamo il
sushi in un posto che conosco io, lo fanno buonissimo
e anche a buon mercato!”
“Davvero? Fanno anche il servizio a domicilio?”
“Senz’altro. Me l’ha fatto conoscere Gojyo”
Un silenzio imbarazzato scese sulla cucina.
“Senti, Shinobu…”
L’altra scosse la testa, scostando la sedia in modo
da guardare direttamente sua madre. “Se non vuoi
parlarne, non è necessario”
“No, invece voglio parlarne”
Shinobu sospirò e strinse le palpebre. “Va bene, mamma.
Ti ascolto”
La madre fece cadere un piatto
nella lavastoviglie, quindi si voltò, asciugandosi le mani in uno
strofinaccio. “Mi dispiace…per quello che ho sempre detto su di lui. Non ho mai
neppure lontanamente pensato che potesse essere un bravo ragazzo”
Shinobu si abbracciò le ginocchia. “E infatti non lo è”
La donna prese una sedia e si sedette al tavolo
accanto a lei.
“Non lo è nel senso canonico del termine, almeno. Non
nego il fatto che beva, fumi, e sia anche un tipo
violento. Però è affidabile. E,
se hai bisogno di qualcosa, lui ci sarà sempre”
L’altra la ascoltava, le sopracciglia tirate, senza
però dare segni di impazienza.
“Ed è stato anche a letto
con molte donne. Però, mamma…”, deglutì. Si alzò in
piedi, parandosi davanti alla madre. “Mi stavano…mi sono
trovata nei guai. Ed è arrivato lui a difendermi.
Non…non trovo altro di meglio da dire. Ho passato un periodo
orribile, è stato solo per merito suo e degli altri se…”
La donna chinò il capo. “Non…non ne sapevo niente.
Mi…”
“Non potevi saperlo. Non te l’ho mai detto. Mi
dispiace di averti dato dei problemi, mi dispiace per l’incidente, per la
scuola, per la sera in cui non sono rincasata senza avvertire, per tutto”.
Aveva iniziato a piangere senza accorgersene. “Io…non volevo darvi problemi. Se
tu stasera non mi avessi fatto entrare in casa, me ne
sarei andata per non darvi più preoccupazioni. Ma è
stato tutto…dannatamente difficile…”. Piangeva per tutto lo stress accumulato
quel giorno, il giorno prima, i mesi, gli anni precedenti.
“Shinobu…mi dispiace”. La madre le sfiorò il viso,
asciugandole le lacrime, e poi la trasse a sé.
“Non mi importa se non mi
ritieni una brava ragazza”, mormorò Shinobu appoggiandole la fronte sulla
spalla. “Non voglio esserlo, e mi dispiace che tu voglia che io lo sia. Però…mi
è sempre dispiaciuto perché non hai mai cercato di capire come io mi sentissi. Né d’altronde ho
mai aperto io una via di comunicazione”. Si staccò dall’abbraccio della madre,
asciugandosi gli occhi. “E’ difficile vivere felicemente, oggi. Sto solo
cercando di trovare un modo mio”
La madre di Shinobu si strofinò gli occhi lucidi.
“Nessuna delle due ha sbagliato meno dell’altra. Hai proprio preso da me; tu
pensavi che non volessi capirti, e io pensavo che non volessi essere capita.
D’altronde, è un errore di tutti i genitori, il non considerare che dopo una
certa età i figli non possono più comportarsi come
vogliono loro”
Shinobu tirò su col naso, sorridendo. “Io…te lo
vorrei almeno presentare, Gojyo. Cioè, probabilmente
non incontrerà mai i tuoi gusti, ha un carattere davvero difficile, però…”
“Ho capito. Ti piace sul serio, non
è vero? E’ anche un bel ragazzo, non posso dartene torto. Anche se ha i capelli tinti…”
L’altra ridacchiò. “Mamma, non se li tingerebbe mai…sono veri, quelli. E
nessuno sa come mai, dato che è giapponese al 100%...Anche il colore degli
occhi è autentico. Però non potrebbe parlare una
giapponese con gli occhi verdi come me, no? Confessa, abbiamo parenti
occidentali…”
Anche la madre sorrise.
“Assolutamente no. Tutti giapponesi puri. Penso che tuo padre abbia tuttora
dubbi sulla tua paternità…”
Entrambe scoppiarono a ridere. Suonò
il campanello, così Shinobu si diresse verso il corridoio. Era tardi, e
non riusciva proprio a immaginare chi fosse.
La voce della madre la richiamò in cucina. “Shinobu?”
Il suo volto rifece capolino nella stanza. “Che c’è, mamma?”
La donna sorrise. “In
futuro, quando hai un problema a scuola o altro…per favore, mettimene a
conoscenza, d’accordo?”
Shinobu ricambiò il sorriso. “Intesi”. Però, e perdonami mamma, di tutta questa faccenda
dei sogni non posso dirti nulla. O è la volta buona che mi mandi
in terapia.
Non ci aveva pensato poi troppo, alla destinazione. E non si stupì quando si ritrovò davanti l’atrio del
condominio di Shinobu. Il portone era socchiuso, quindi si
affrettò ad entrare e a premere il tasto per far scendere l’ascensore.
In realtà, non sapeva nemmeno se ci fosse, in casa. O se
l’avesse trovata in mezzo a discussioni con i suoi genitori. Aveva detto
di aver avuto problemi con la madre, quindi poteva trovarsi ancora a casa di
Gojyo. Non aveva nemmeno una moneta per telefonare a qualcuno. Tuttavia, quando
fu arrivato davanti alla porta del suo appartamento, suonò il campanello.
Nessuno rispose per almeno una trentina di secondi.
Goku stava già per pentirsi di essere arrivato fin lì, quando la porta venne aperta da Shinobu in pantaloncini e magliettina.
Essendo sabato sera, era strano che l’avesse trovata in casa, e non da qualche
parte con Gojyo.
“Goku? Che ti succede?”
Era corso a casa sua quasi meccanicamente. Non sapeva
dove altro andare. Gli occhi gli bruciavano per le lacrime che non aveva ancora
versato.
“Sanzo…ha detto che non posso più stare da lui!”
“Come?”, chiese Shinobu, incredula. Non poteva
credere a quello che aveva appena sentito. Ormai conosceva Sanzo da mesi, e non
credeva che potesse essere capace di tanto. Dopo che l'aveva portato via al suo
patrigno! ...specialmente dopo aver saputo ciò che
rappresentava per Goku nella loro vita precedente.
Merda. Lo sapevo, dovevamo parlare anche con lui, prima.
Evidentemente, era Sanzo quello che aveva più bisogno
di essere dissuaso dai suoi pensieri.
E loro non erano stati
capaci di accorgersene.
Shinobu arrossì al pensiero di non essere stata
capace di leggere negli occhi impenetrabili, ma pur sempre umani, dell’amico.
Avrebbe voluto aiutarlo, anche se lei, con la scenata del pomeriggio prima, era
quella che meno ne aveva diritto.
Ma avrebbe voluto parlargli.
“Che diavolo…può essere
successo?”, chiese la ragazza, allibita. Credeva che la situazione in casa
Sanzo fosse risolta. Pessimo errore, pensare solo a Goku.
“I sogni! C’entra quello!”. Goku scoppiò, iniziando a
piangere a dirotto. Shinobu si accorse solo in quel momento che, presa com’era
dalla sorpresa, non l’aveva nemmeno fatto entrare. Si scansò dalla porta,
giusto in tempo perché il ragazzino le si gettasse al
petto. La ragazza non poté fare altro che stringerlo a sé, mentre sentiva una grande rabbia mista a delusione che gli montava dentro.
“Sanzo mi odia perché io...io sono un mostro! Io ho
ucciso Konzen!”
Shinobu non sapeva se stringerlo ancora di più, o
mollargli uno schiaffo. Non era per quello, no di certo. Sanzo non era così
stupido.
“Non dirlo nemmeno per scherzo...andiamo, Goku. Ne abbiamo parlato prima. Non c’entri, non tu”
Il ragazzino negò con la testa, non accennando a
smettere di piangere.
“Dai…vieni dentro. Per
stasera rimarrai qui…vedrai che Sanzo è solo nervoso”, disse,
cercando di apparire convincente. In realtà, era se stessa che stava cercando
di convincere. Non aveva dubbi che la ragione che avesse spinto Sanzo a
prendere quella decisione non coincidesse con i timori
infondati di Goku. Era assolutamente impossibile credere che covasse rancore
per la morte di Konzen. Ci doveva essere qualcos’altro. Qualcosa che solo nella
mente contorta di quel maledetto biondino aveva potuto prendere vita.
Shinobu chiuse la porta. Lo prese per mano,
conducendolo con sé nel corridoio. “Anche quell’altra
parte di Shioka è ancora dentro di me...la sento sotto la pelle. La sento
dentro la gola. La sento dietro il mio cuore. Ma lì è,
e lì resterà. Ti racconto una cosa...una volta ho
parlato con Shioka. Faccia a faccia. Mi ha detto che, dentro di me, quel
qualcosa è quasi interamente soffocato. Perché quella cosa ha
preso il sopravvento su di lei perché la sua purezza era stata cancellata da
tutto ciò che aveva trascorso. Finché ci saranno persone che ci vogliono
bene, Goku...finché avremo qualcuno al nostro fianco a ricordarci chi siamo veramente, resteremo così come siamo. Nulla di ciò che
è stato prenderà il sopravvento su ciò che siamo adesso. Mi hai capito?”.
Shinobu si fermò e strinse a sé Goku, che tremava leggermente, e piangeva. Non
poteva far altro, per il momento.
“Shinobu, chi era alla porta?”. La donna rimase sulla
soglia della cucina, indecisa se chiedere spiegazioni o no.
“Mamma…credo che Goku abbia qualche problema. Ti
spiace prendere il futon per gli ospiti e metterlo in
camera mia?”
“B...buonasera, signora”, salutò Goku, asciugandosi
le lacrime dagli occhi e accennando un piccolo inchino.
La donna li guardò, sorrise e annuì.
Poco dopo, Shinobu era seduta sul
suo letto, con Goku accanto a lei che continuava a piangere; le faceva male al
cuore vederlo così; gli porse un asciugamano.
“Dai, Goku…raccontami per bene quello che è successo.
Si sistemerà tutto, vedrai”
Sono di nuovo solo.
Mi hai donato un raggio di sole, e mi hai lasciato
di nuovo al buio.
Sanzo scosse ancora la testa, rigirandosi nel letto.
Aveva proprio ragione a credere che fosse lui
a chiamarlo.
Quando l'aveva preso con sé,
la voce si era dissolta; ora che l'aveva mandato via, la voce aveva ripreso a
tormentarlo.
Si nascose la testa sotto il
cuscino; quell'atto di completa arrendevolezza gli fece venire pena di se stesso;
come si era ridotto?
Morire...
O vivere...
Stava solo a lui decidere che fare.
Perché sarebbe dovuto
morire?
Perché avrebbe dovuto
continuare a vivere?
Il materasso, che sarebbe
dovuto essere piacevolmente tiepido per il suo calore corporeo, e per il caldo
di quell’estate che ormai era iniziata da un pezzo, gli sembrava invece freddo.
Perché?
Perché mancava quella
piccola presenza dall’altra parte?
Perché quell’altra metà del
letto sembrava vuota?
Quando aveva capito che, alla fine,
avrebbe perso con lui la battaglia per sfrattarlo dal suo letto...
Quando, adesso, capiva che quel
letto era di nuovo vuoto...
Non riusciva a decidere se valesse
la pena di restare ancora in quel mondo in cui non aveva nulla da fare, o
andarsene via, così, con un ghigno stampato sul volto, a farsi beffe di chi
ancora non aveva trovato le palle per fare come lui.
Non puoi lasciarmi.
Non puoi ignorarmi.
Non puoi vivere così.
"Maledizione!", imprecò Sanzo alzandosi dal
letto e andando ad appoggiare i gomiti sulla finestra. Inspirò un poco l'aria
della notte, mentre i capelli gli venivano
scompigliati dall'irrequieto venticello estivo.
Si ordinò un poco i capelli biondi, sistemandoli
dietro le orecchie.
Un ghigno di autocompatimento
si dipinse sul volto del ragazzo, che si accese una sigaretta.
Sentì le sue labbra scosse da un brivido non appena
il lieve sapore del tabacco ebbe solcato la sua lingua.
Quelle sigarette...erano il suo appiglio alla noia,
alla delusione, alla solitudine, all’angoscia.
Gettò fuori il fumo, osservando come si disperdeva
nell’aria della notte.
Il ghigno di autocompatimento
ricomparse ancora, così com’era scomparso all’accendersi della sigaretta.
Perché aveva iniziato a capire...che tutte le
richieste di aiuto non venivano da Goku.
Venivano da se stesso.
Era lui che aveva bisogno di essere salvato. Chi lo
chiamava non era Goku, bensì il Sanzo tredicenne morto tanti
anni prima. Era la sua parte bambina rimasta nascosta dentro di sé.
E aveva allontanato volontariamente l'unica persona
che potesse salvarla.
Il giorno dopo, Shinobu uscì di casa che ancora Goku
dormiva. Di certo se l’avesse vista uscire, avrebbe
intuito immediatamente cosa stava per fare e magari avrebbe cercato di
fermarla.
Forse ciò che stava facendo
era inutile, ma non poteva stare lì a guardare quei due che si distruggevano la
vita.
Avrebbe parlato a Sanzo, l’avrebbe picchiato, se
fosse stato necessario; magari non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea, ma
almeno voleva sapere le ragioni del suo comportamento idiota.
Goku…aveva continuato a piangere per tutta la notte;
quando si era addormentato, il suo volto era così innocente…che Shinobu pensò
che avrebbe potuto uccidere chiunque l’aveva fatto soffrire. Non era riuscita ad addormentarsi nemmeno dopo che l'aveva fatto Goku.
Sanzo…era stato il suo sole, si era avvicinato così
tanto a lui da bruciarlo, e poi si era allontanato, lasciandolo di nuovo al
freddo. Goku non se lo meritava…chi era Sanzo per fargli questo?
Arrivò finalmente a casa di Sanzo; inspirò, poi suonò
il campanello.
Il biondo, una sigaretta in mano che doveva essere
l’ultima di una lunga serie, le venne ad aprire, sporgendosi appena dalla
porta.
“Che cosa vuoi?”, le chiese con la solita gentilezza
che lo contraddistingueva. Due borse sotto gli occhi
avevano reso spento il viso più bello del mondo. Probabilmente neanche lui
aveva chiuso occhio, quella notte.
“Non essere stupido. Credo che tu lo sappia meglio di
me”, rispose secca Shinobu. Era proprio di cattivo
umore per la nottataccia, e non le importava se quella di Sanzo non fosse stata
migliore.
“Qualunque cosa riguardi la scimmia, non sono fatti
tuoi. E nemmeno miei”, disse facendo per richiudere la
porta.
“Con me non puoi fare lo sbruffone, Sanzo. Sai che
non mi muoverò da qui finché non mi spiegherai perché l’hai fatto”, continuò lei impedendogli di chiudere la porta e, anzi,
facendo per entrare con la forza.
Sanzo, esasperato, si scostò un poco per lasciarla
entrare; altrimenti, sarebbe stata capace di rimanere ore e ore lì, dietro la
porta, a dargli dello stronzo, dell'idiota, a chiedergli di aprire. L’aveva
fatto il giorno prima con Goku, sarebbe stata capace
di farlo con lui.
Rimasero a fronteggiarsi lì, nell’ingresso, per
alcuni secondi.
“Ti ho già detto che non sono affari tuoi”, ripeté
lui.
“Sono affari miei eccome, invece. Perché,
Sanzo? Ti spaventano così tanto i rapporti interpersonali? Ti spaventa così
tanto affezionarti a lui?”, riprese, velenosa.
“Non parlare di cose che non conosci, stupida
mocciosa!”
Un sorriso furente e sarcastico le apparve sulle
labbra. “Che c’è…inizio a far centro, Sanzo?”
“Vattene da casa mia”
“Vuoi buttarmi fuori come hai fatto con Goku? Avanti, buttami fuori con la forza, se ne hai le palle. Ma prima dimmi perché”
“Perché non voglio averlo
più intorno. E’ solo una seccatura”, tagliò corto il
biondo.
Shinobu lo squadrò; stava per
esplodere; “Non lo pensi davvero.Smettila di
nasconderti dietro una maschera di cinismo, non ti servirà assolutamente
a nulla!”
“Adesso che hai trovato qualcuno che ti sbatta la
sera, ti senti tanto superiore?”, andò a parare il
ragazzo, con un sorriso ironico.
“Mi spiace, ma con me i tuoi morsi non attaccano. Piantala di sputarmi veleno in faccia, perché non me ne
andrò finché non mi dirai perché non vuoi più Goku qui con te”. La distanza tra di loro andava diminuendo progressivamente. Ormai era
chiaro che nessuno dei due avrebbe fatto marcia indietro.
Lo sguardo freddo di Shinobu fece
ricordare a Sanzo il loro primo battibecco; era una delle uniche due persone
con cui forse non sarebbe riuscito a spuntarla a parole; avrebbe dovuto
buttarla fuori di casa con la forza, per zittirla.
“Tu….lo sai che cosa Goku prova per te. Lo sai che
cosa ti considera. Perché ti ostini ad allontanarlo
volontariamente?”, continuò lei, imperterrita.
“Come credi che dovrei
comportarmi, con lui? Perché tutti non aspettate altro
che vedermi diventare debole?”, si sbottonò finalmente Sanzo, assolutamente
esasperato.
Shinobu rimase un po’ interdetta dalle sue parole:
“…Ho capito! Tu….ti stai paragonando a Konzen! Hai paura che Goku possa
cambiarti come il vecchio Goku ha cambiato lui, e contemporaneamente temi di
non poter essere per lui ciò che si aspetta…E’ vero, Sanzo?”, disse lei avvicinandosi ancora. Ultimamente il suo intuito
era migliorato al punto da mettere in difficoltà persino il biondo
impenetrabile. “Hai paura…di finire come Konzen! Hai paura di non poterti
confrontare con il suo gesto estremo, e contemporaneamente di poter finire per
emularlo!”
“Smettila di dire cazzate!”.
Il self control di Sanzo vacillò e poi si spezzò. Spinse Shinobu con tutta la
forza che aveva; la ragazza terminò la sua caduta sbattendo la nuca su un
mobile. Non perse tempo a rialzarsi e lo aggredì a sua volta con un pugno.
“Ho colpito nel segno, Konzen Douji?”
Sanzo non evitò il colpo, che lo prese in pieno
volto. La sua espressione non vacillò neanche per un istante.
“Perché non l’hai scansato? Perché sai che te lo meritavi, vero?”
Il biondo la squadrò con i suoi occhi di ghiaccio;
strinse i pugni, facendo appello a tutto il suo sangue freddo: se la storia
fosse continuata così, avrebbe finito per farle del male davvero, donna o meno.
Shinobu abbassò la testa sospirando, e mosse alcuni
passi verso la cucina. Con quel pugno, gran parte della sua rabbia era svanita.
Tornò con del ghiaccio, che lanciò al ragazzo,
rimasto nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, e si apprestò a
metterne dell’altro sulla propria nuca.
“Tu non sei Konzen. Sei solo questo
violento rompipalle che corrisponde al nome di Genjo Sanzo. Cerca di
vivere come tale, allora... Non paragonarti a qualcuno
che non c’è più, anzi, che esiste solo come parte di te... Goku non ti vuole
bene perché sei la reincarnazione di Konzen, ma perché tu sei Sanzo…ma se ti
ostini a non ammettere che Goku è ormai diventato parte della tua vita, allora
non meriti l’affetto di quel ragazzo. Mi dispiace tantissimo per lui…”
Il suo tono si era notevolmente abbassato. Osservò
per un momento Sanzo che si tamponava il ghiaccio sul viso, senza nemmeno
guardarla. Sospirò ancora e, dopo aver gettato il ghiaccio sul pavimento e aver
sfiorato la spalla del ragazzo nel passargli accanto, era
uscita dalla porta.
“…e mi dispiace anche per
te”.
Tutto è ora nelle mani di Goku.
Shinobu sedette sulla gradinata nell’atrio del suo
stabile, le gambe accavallate. La botta al collo era stata abbastanza forte,
anzi, si chiedeva come mai non sanguinasse, e continuava a dolerle.
Maledetto psicopatico…
Tirò fuori il telefonino dalla tasca dei jeans, e compose il numero di Gojyo, ben sapendo che
l’orario era molto prossimo a quello in cui il ragazzo andava a dormire il
sabato sera.
Prevedibilmente, il rosso impiegò due minuti buoni a
rispondere. Il suo ‘pronto’ non era
dei più svegli e scattanti.
“Ehilà, Gojyo!”
“Shinobu? Sei una deficiente. Sono andato a letto tre
ore fa al massimo! Perché cazzo mi chiami a quest’ora del mattino?”
La ragazza coprì il ricevitore del telefono per
soffocare una risatina. Fin troppo prevedibile. E
ancora più prevedibile era la reazione che avrebbe avuto pochi secondi dopo.
“Ti dispiace venire sotto casa mia?”
Alcuni secondi di doveroso silenzio. “Buonanotte…ci
sentiamo ad un orario più consono…”
“Non fare l’imbecille e ascoltami!”
Sentì un rumoroso sospiro. “…almeno mi spieghi...”
"E chiama anche
Hakkai!". Shinobu chiuse la telefonata, come se non lo avesse nemmeno
sentito.
Rimise il telefonino in tasca, quindi si appoggiò
alle ginocchia e sbadigliò. L’orologio appeso alla fermata del bus lì vicino
segnava le otto e un quarto.
Le mani le tremavano lievemente; il breve attimo di
spensieratezza che aveva trascorso la sera prima, quando aveva chiarito ogni
cosa con sua madre, le sembrava solo un ricordo. Se
non avesse convinto Goku ad andare a parlare con Sanzo, le cose avrebbero preso
una piega definitiva. Occorreva battere il ferro finché caldo.
Perché aveva chiamato Gojyo?
Semplice. Primo tra tutti i motivi, si sarebbe incazzato
da matti se fosse stato l’ultimo ad essere messo al corrente
della ‘bella’ notizia. Inoltre…nel caso in cui non
fosse riuscita a spingere Goku da Sanzo, forse avrebbe potuto
riuscirci lui. O Hakkai.
Più semplicemente, forse, non voleva gestire da sola
quella situazione.
L’orologio segnava le otto e trenta, quando il rombo
della moto di Gojyo spezzò il silenzio mattutino. Il rosso parcheggiò la moto e
ne smontò, seguito da Hakkai.
“Allora, mi dici che è successo? Se te ne salti fuori
con un ‘mah, avevo voglia di vederti’,
ti faccio a pezzi”, disse un po’ irritato. Aveva un paio di vistose
occhiaie, probabilmente aveva fatto le ore piccole a bere.
Shinobu finse una risatina. “Prego, accomodati anche
tu se vuoi”
“Cos’è successo, allora?”,
s’informò Hakkai.
La ragazza piroettò su sé stessa, sollevandosi i
capelli e mostrando agli altri due il livido sul collo che aveva già raggiunto
un discreto gonfiore. “Ho avuto uno…scambio di vedute con Sanzo”
I due ragazzi rimasero per un
attimo interdetti.
“Hai fatto a botte con Sanzo? Ma
sei impazzita? E perché, poi?”
"Che ragione avevi
per..."
“Entrate in casa e lo vedrete”, disse, trattenendo un
gemito quando Gojyo le picchettò sul collo.
I due ragazzi la seguirono dentro casa e poi in
camera sua, dove un Goku appena sveglio sedeva sul
letto della ragazza con il volto nascosto tra le braccia.
“Goku…?”, mormorarono Gojyo e Hakkai, sorpresi.
Sentendoli entrare in camera, il ragazzino dagli
occhi dorati alzò lo sguardo.
“Ah…Gojyo…Hakkai...Shinobu, dov’eri? Mi sono
preoccupato quando non ti ho trovato”
Shinobu incrociò le braccia, stringendo le labbra.
“Sono andata da Sanzo”
Il ragazzino la squadrò con sorpresa. “Tu…hai fatto
cosa?”
“Ma insomma, spiegate anche
a me?”, chiese Gojyo, ma Hakkai gli fece cenno di tacere.
“Pensavi che me ne stessi qui a guardarvi farvi del
male? Sono andata a dirgli due paroline”
“Perché l’hai fatto? Tanto
non ha nessuna importanza, non cambierà nulla!”, gridò
il ragazzino scattando in piedi.
Shinobu sbuffò. Si era aspettata una reazione simile.
Si rivolse agli altri due, sperando di ottenere manforte. “Sanzo ha detto a
Goku di andare via dall’appartamento”
“Come?”, chiese stupito Gojyo, mentre Hakkai taceva,
perplesso. “Quella checca ti ha buttato fuori di casa?”. Si rivolse a Shinobu:
“Ed è per questo che hai fatto a botte con lui?”
“Cos’hai fatto?”, s’intromise Goku, allibito.
Shinobu si sedette sul bordo del letto. “Non abbiamo
proprio fatto a botte…gli ho detto qualcosa che lo ha colpito, e lui ha colpito
me. Adesso io ho la nuca gonfia, mentre lui ha un livido nel suo bel faccino”,
disse massaggiandosi il collo.
“Hai preso a pugni Sanzo?”, chiese, a metà tra
l’ironico e il divertito, Gojyo.
Shinobu annuì. “Non si alzano le mani sulle fanciulle. E soprattutto, non
troncano i legami per intricatissime pippe mentali da
psicopatico”, asserì con tono serio.
Goku negò tristemente. “Legami? Lui non ha legami.
Non con me”
“Adesso non sparare cazzate
anche tu, Goku. Certo che tra voi due c’è un legame…ma
non lo ammetterà mai. L’unica cosa che puoi fare adesso è andare a dirgli due
paroline anche tu. Non sottometterti a lui, digli in faccia ciò che provi, se
necessario fagli un altro livido”. Annuì convinta. “In qualunque caso…ricordati
che puoi tornare qui da me”, continuò sorridendo.
Goku si lasciò sfuggire un
sorriso triste. Si stropicciò la stoffa dei jeans,
mordendosi le labbra, combattuto. Poco dopo, con un sorriso, uscì dalla stanza.
Gojyo si appoggiò al muro. "Proprio una brava mammina", commentò, ma non riuscì a trattenere uno
sbadiglio.
"Parlando d'altro, ti rendi conto che Sanzo mi
ha messo le mani addosso?", mormorò lei.
"Lui non ci va sul fino, nemmeno se si tratta di
donne. Piuttosto..."
"Sì?"
"Non hai 'consolato' la scimmia,
stanotte...vero?"
"Non la smetti mai di dire cavolate, tu?"
Hakkai tossicchiò per richiamare l'attenzione.
"Scusate se interrompo la scenetta, ma mi piacerebbe sapere qualche cosa
di più..."
Shinobu scosse la testa:
"Tutto ciò che so, è questo: non esiste una persona più complicata di
Sanzo"
Il campanello suonò di nuovo, facendolo sussultare.
Si avvicinò a grandi passi verso la porta. Se fosse
stata di nuovo la stupida donna, le avrebbe fatto
ingoiare tutti i denti, dal primo all'ultimo. Era la sua ultima parola.
Aprì la porta di scatto, pronto ad ogni evenienza.
E si trovò davanti un Goku
col fiatone e le lacrime agli occhi.
"Goku...", si lasciò sfuggire il suo nome. Poi riprese possesso del suo abituale self-control.
"Ti avevo detto di non venire più qui"
"Sanzo...", mormorò Goku, avvicinandosi.
"Vattene via da qui", ripeté il biondo. La
cenere gli cadde dalla sigaretta che aveva tra le labbra.
La voce di Goku tremò per un attimo. Mordendosi il
labbro inferiore, si diede dello stupido per essere tornato lì, per il suo
inutile masochismo. Fu tentato di esordire con un ‘giusto
il tempo di prendere la mia roba e sparirò per sempre dalla tua vita’. Dopotutto, con un rifiuto così esplicito da parte di
Sanzo, che altro avrebbe potuto fare? Non lo voleva più tra i
piedi, e, qualunque fosse la ragione, che avesse ragione lui o Shinobu,
era irrilevante. Aprì le labbra per rispondergli come aveva pensato. Poi notò
il livido sulla guancia del ragazzo, ricordandosi delle parole della ragazza. E improvvisamente si sentì forte, deluso, bistrattato. No.
Quella era anche casa sua. Quello era il suo coinquilino. Quello era la persona
a cui tenesse più al mondo. Non se ne sarebbe andato.
Non senza saperne il perché, almeno.
"No. Non me ne vado, Sanzo"
Il biondo gettò la sigaretta a terra con un gesto
nervoso, ma non si mosse. "Cosa credi di
fare?". La reazione di Goku non se la sarebbe mai aspettata, ma gli
avrebbe tenuto testa. Eccome.
"Parlare con te. Finché
non mi avrai spiegato le tue ragioni, non mi muoverò da qui. Chiaro?", ribadì fermamente il ragazzino, posizionandosi a pochi
centimetri da Sanzo. Alzò gli occhi, affrontandolo con lo sguardo.
Smettila di fissarmi così. Credi di intimorirmi?
"Da dove ti è uscito tutto questo coraggio,
moccioso?"
"Dalla delusione che ho dentro. In un attimo,
Sanzo, hai distrutto tutto quello che avevo, che avevamo, costruito", rispose Goku, sicuro. Adesso non temeva più di parlare
chiaro. Sanzo avrebbe dovuto usare un carro-attrezzi, per smuoverlo da lì senza
nemmeno una spiegazione.
Rimasero a fronteggiarsi sullo stipite della porta,
uno da una parte, l'altro dall'altra, quasi fosse una
trincea, a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro.
"Goku, vai via da qui o giuro che...". La
sicurezza di Sanzo parve vacillare per un attimo.
"'Giuriche'? Cosa farai? Mi ucciderai?", lo interruppe Goku. "Fallo.
Forza!". Allungò il viso sempre di più verso Sanzo, alzandosi sulle punte
dei piedi.
Nei secondi successivi, Sanzo non fu più cosciente.
Semplicemente, fu debolmente consapevole di stare facendo una cazzata: si
ritrovò a posare un fugace bacio sulle labbra di Goku. Perché
l’avesse fatto, sarebbe rimasto un mistero abaeternam, sapeva solo che si era trattato di un
riflesso incondizionato.
Intimorito da ciò che era bruscamente successo, Goku
si fece indietro di scatto, posandosi una mano sulle labbra. Si sentiva la gola
asciutta, le labbra bollenti. "Perché?",
riuscì appena a sillabare.
Adesso fu Sanzo a battere in ritirata; passandosi una
mano sul viso, si fece indietro, dando a Goku il tempo di intromettersi tra la
porta e l’intelaiatura. Il ragazzino fece un po’ di forza con le spalle, e
finalmente si ritrovò dentro l'appartamento.
Sanzo, lo sguardo perso nel vuoto, con una mano sulle
labbra, non reagì. Appoggiato al muro, sembrava fissare un punto non
identificato della stanza.
Goku comprese che in quella
situazione doveva essere lui il primo a riscuotersi. Si avvicinò a lui.
"Che cosa provi, Sanzo? Cosa
vuoi, cosa vai cercando disperatamente e insieme vai allontanandolo?"
Io non ho nulla da insegnarti. L’unico in grado di
insegnarti qualcosa sei tu stesso; tutto ciò che posso dirti è: non avere
legami. Vivi solo per te stesso, e per te stesso sii forte. Ed ecco che avrai
trovato qualcosa per cui vale la pena vivere, in
questo mondo.
Dimmi...in che modo riesci a leggere dentro di me,
come se i miei occhi fossero porte aperte?
“Goku...per favore, va’ via”. Il tono di Sanzo si era
abbassato fin quasi a ridursi a un soffio.
Il ragazzino scosse energicamente la testa.
“Non mi muovo, Sanzo. Perché
me lo stai chiedendo”
“Ti sto chiedendo di andartene”
“No. Sento che mi stai implorando di rimanere”
“Io non imploro proprio nessuno”
Goku sbuffò. Si appoggiò al mobile. Improvvisamente,
non si sentiva tanto più sicuro di sé. Per dirla tutta, si sentiva le gambe
infinitamente deboli. Si appoggiò anche lui alla parete, senza spostare lo
sguardo dal biondo.
"Voglio restare da solo!", mormorò Sanzo,
intuendo che Goku non aveva la minima intenzione di levare le tende, almeno per
il momento.
"C'entrano tutti quei sogni, vero? Dovevo immaginarlo...", sussurrò Goku abbassando lo
sguardo. "Se...se il loro scopo era quello di
rovinarci la vita, sarebbe stato meglio non averli mai fatti! Se doveva finire così, sarebbe stato meglio essere
sigillato...". Sentiva che stava per rimettersi a piangere. E non voleva farlo, dannazione. Ormai era arrivato fin lì,
era successo quello che era successo, e adesso voleva spiegazioni.
Sono patetico. Per colpa mia siamo arrivati a
questo punto, e ora tento disperatamente di tirarmi indietro. Sono proprio
patetico.
Si accese nervosamente un’ennesima sigaretta. Si sentì immediatamente meglio, cercando di non ripensare al gesto
che aveva inspiegabilmente compiuto. Sentiva lo sguardo di Goku
nuovamente puntato su di sé. Bruciante, quasi.
“Dimmi qualcosa, Sanzo. Voglio sapere…che peso ti
porti dentro”
Con una lentezza estenuante, la mano del biondo andò
a massaggiarsi le tempie. Una pulsante nevralgia nervosa aveva iniziato a
dolere fastidiosamente. Non un rumore risuonava nell’appartamento, ma Goku poté
giurare di aver sentito distintamente il proprio battito del cuore.
Finalmente Sanzo s’inumidì le labbra.
“…mi è stato insegnato a non avere legami”
Goku alzò lo sguardo, perplesso. "Chi te lo ha
insegnato?"
"L'unico che io abbia mai riconosciuto come
'padre'"
"Che stai dicendo? Chi ti avrebbe detto una cosa del genere?"
"Un tempo avevo
qualcosa da difendere e, quando l'ho perduta, per la prima volta ho capito
quanto io fossi debole. Ho scoperto che il massimo che riesco
a fare è pensare solo a me stesso. E da allora ho voluto solo cose che non
sarebbe stato necessario difendere."
Goku scosse la testa, incredulo. “Chi era, Sanzo?”
“Era il mio padre naturale. L'unico legame che ho avuto,
l’unica persona che si sia presa cura di me, l’unica persona a cui l’ho permesso”
"E ti avrebbe insegnato
a rifuggire il contatto umano?"
Sanzo scosse la testa. "Mi ha insegnato a
cavarmela da solo. Ad essere forte solo per me stesso, e a
vivere solo per me stesso"
“E' per questo che mi hai
mandato via? E' per questo che hai rifiutato il mondo
intorno a te?". Goku sentì che gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Triste…non aveva altri aggettivi per definire Sanzo.
Sanzo non rispose. "Io...non posso essere per te
quello che tu ti aspetti, Goku", disse invece.
"Cosa mi aspetto io da
te? Dimmelo. Come puoi saperlo?". Il ragazzino si strofinò gli occhi.
"Non posso essere Konzen Douji. Non ne sono
all'altezza"
E non voglio che
tu mi cambi più di quanto non l'abbia già fatto.
Calde lacrime iniziarono a bagnare il viso di Goku,
senza che tentasse più di trattenerle. "Io...io non voglio Konzen Douji!
Io…voglio soltanto Genjo Sanzo!"
Sanzo alzò finalmente lo sguardo. "Smettila di
dire stupidaggini. Anzi, smettiamola tutti e due. Non
so nemmeno che cosa mi sia preso poco fa...". Si scostò dalla parete a cui
era appoggiato, come tornato finalmente in sé, e fece per allontanarsi.
"Sanzo..."
"Che vuoi ancora? Non
voglio più avere niente a che fare con nessuno. Non voglio più fidarmi di
qualcuno che immancabilmente scomparirà"
Si portò la mano alla bocca, come se si fosse
lasciato sfuggire qualcosa che non doveva.
Goku iniziava a capire. "Sanzo...che fine ha
fatto tuo padre?"
Il ragazzo abbassò lo sguardo; gli aveva posto
proprio l'unica domanda che sperava non sentirsi rivolgere. Adesso che era
riuscito a chiudere tutto in un dimenticatoio e a gettarne via la chiave, o
almeno, adesso che credeva di esserci riuscito...tutto gli tornava alla mente,
più vivido che mai. Ma era stata colpa sua: lui aveva
tirato fuori quel discorso, quella persona...
Komyo Sanzo.
L'unica persona che avesse mai venerato.
L'unica persona che avesse avuto il potere di fargli
credere in qualcosa.
Ovvero...nel non credere in
nulla.
Tutto ciò in cui puoi
credere prima o poi ti tradisce.
Tutto ciò in cui puoi
credere prima o poi ti fa soffrire.
Se non credi in nulla che ti
sia esterno, nulla ti tradirà, nulla ti farà soffrire.
Per non soffrire...per non essere traditi...tutto ciò
che si può fare è evitare di esporre la parte più interna di se stessi.
Non credere in nulla.
Vivere, ed essere forti, solo per se stessi.
Komyo Sanzo...
...l'amava, l'aveva anche
odiato.
"E' morto", disse semplicemente Sanzo.
Goku abbassò lo sguardo, rammaricato.
"E' morto...per salvare la vita di un inutile esistenza come me. Lui, che diceva che la peggior
cosa da fare fosse sacrificarsi per qualcuno, perché la sofferenza maggiore
l'avrebbe provata chi fosse rimasto in vita, è morto per me, che non ero
nulla"
Per un attimo, la sua mente fu affollata dai ricordi.
Ricordi di quello che avevano fatto insieme, della presenza materna che non
c'era mai stata, morta subito dopo la sua nascita, e sostituita da quella di
Komyo Sanzo.
Komyo Sanzo, che era stato ucciso al suo posto,
durante una rapina.
I due assassini, fuggiti e mai più ritrovati.
Lui, che, solo, in una giornata di pioggia, a soli
tredici anni, si era ritrovato padrone della propria vita.
Nessun parente, non che avrebbe voluto il loro aiuto,
s'intende.
Diversi istituti avevano tentato di prendersi cura di
lui. Ma si rifiutava di aprirsi a chiunque. Nessuno
voleva occuparsi di un ragazzino tanto tetro e problematico.
Finalmente, riuscì ad essere libero. Non voleva la
carità di nessuno: fuggì, sebbene questa parola gli risuonasse alle orecchie terribilmente umiliante, dall’ultimo istituto
in cui era stato sballottato. Un anno dopo aver girovagato per i sobborghi di
una sporca provincia di Tokyo, decise di dare un minimo di ordine
alla sua vita. Tentò di trovarsi un lavoro, un appartamento. Si
iscrisse persino al liceo.
La vita alla giornata in quell’immonda cittadina che
lo aveva visto evolversi in un violento teppista gli
stava stretta, lo faceva soffocare. Se quella era la
libertà…allora preferiva la morte. Veniva coinvolto in
risse sempre più pericolose, in giri sempre più sordidi. Fuggì ancora. Poco
dopo aver quasi ammazzato un coetaneo, si trasferì a Tokyo con il solo
sostentamento di una borsa e di una spessa mazzetta di banconote risparmiate
con i denti. E quel ragazzino di tredici anni c’era
ancora. Un ragazzino che non vedeva più luce, che andava giù, sempre più giù,
nelle tenebre.
Eppure, che continuava ad
urlare.
Che sperava di essere
salvato.
Sanzo si sentì cingere la vita da due braccia
maldestre.
E capì di non essere più
sepolto.
"Non l'hai ancora capito, Sanzo?", mormorò
Goku con il viso contro la sua schiena.
"Che cosa? Cosa dovrei capire?". La voce gli si era fatta
stentata.
"Se è morto...se è
morto per te...è perché si è reso conto che la sua vita dovesse avere quel
senso. Alla fine la sua vita ha avuto un significato. Non vuoi che anche per te
sia lo stesso?"
Silenzio. Sanzo non rispose. Non riusciva ad
articolare nessun suono nella gola.
Sovrappose le sue mani sui polsi del ragazzino, che
gli cingevano la vita.
“Stupida scimmia...”
Continua...
Ciao a tutte. Sono davvero contenta che mi abbiate
dato segno di esserci ancora, non sapete quanto. Temevo che il mio stile fosse
peggiorato, temevo che molte si sarebbero dimenticate di questa fanfiction, ma non è stato così. Grazie a tutte, sul serio.
La voglia di scrivere mi è tornata più di prima. Spero che
questo capitolo, così lungo, vi sia piaciuto. Così come spero che vi
piaceranno i seguenti. E spero che li commenterete
così come avete commentato il precedente.
Mi sono rimessa al lavoro anche su un’altra fanfiction, Burial. No,
non parla della stupenda saga del Reload, bensì
appunto del tema della sepoltura. Lo vedrete, comunque, se avrete la pazienza
di attendere la fine di Rebirth, e la voglia di leggerla.
Grazie ancora a tutte. Alla prossima,
Simona aka Sakura87
PS: Grazie alla mia mogliettina Devy (chibimiao), Allegoria, PoisonApple, Miyuk, Sanzina89,
alla Black, a Kairi, a Megumi,
alla ninfusBibi, a LadySnape, a Kia_linus e a Kano-chan. E ad Emanuelona
che non mi ha ancora fatto sapere cosa ne pensa, del capitolo precedente.
Dopo che mi ha tartassato per mesi chiedendomi di continuarla
XD
Goku aprì gli occhi, stringendoli non appena i raggi
della luce gli ebbero sfiorato le pupille.
Si sentiva intirizzito, e, a dirla tutta,
un po’ dolorante.
Quel giorno...erano successe tante, troppe cose.
Si era risvegliato con gli occhi colmi di lacrime a
casa di Shinobu, lei era tornata da casa di Sanzo con un livido sul collo, a
quel punto era stato lui ad andare a casa di Sanzo...
Avevano litigato. Litigato per la prima volta, perché mai si era potuto parlare di
litigi tra loro due, dato che mai e poi mai si era arrabbiato con il biondo.
Ma quella mattina gli aveva parlato francamente, e in
quel modo era riuscito a strappare dalle labbra del ragazzo cose che mai più sarebbe
riuscito a sentirgli dire.
Il sole aveva, per la prima volta, mostrato segni di
debolezza.
Il sole aveva mostrato la sua faccia oscura.
Lui, che era stato un mostro, era riuscito, sia pure
per un solo attimo, a scalare la vetta più alta e a raggiungere il sole, a
sfiorarlo con un dito. E non si era scottato. Anzi,
l’aveva trovato piacevolmente tiepido, come se l’astro avesse voluto
comunicargli che era stato per milioni di anni lì per
essere toccato da lui.
A quel punto, aveva sentito come se tutte le sue
difese fossero crollate.
Troppe cose che non riusciva
a comunicare a parole, e che, ammesso che ciò fosse stato possibile, non
avrebbe voluto comunque mai ammettere, gli erano uscite dalle labbra come
falene attirate dalla luce.
Si erano sparse nell’aria, erano
arrivate fino a lui.
- Ti amo.
Se ciò che provava fosse
stato così semplice da definire, l’avrebbe definito così.
Lo disse comunque, cosciente
che anche Sanzo avrebbe capito che non era così semplice.
Non era proprio amore, quello che provava, anche se
sì, lo ammetteva, aveva anche provato desiderio fisico verso di lui.
E nemmeno di desiderio
fisico poteva parlarsi.
Almeno, non nel senso canonico dell’espressione.
Non voleva...godere. Non voleva...eccitarsi.
Voleva bearsi del suo calore.
Voleva unirsi a lui, voleva
diventare parte del sole.
Voleva, per sempre, essere una fiamma che ardeva con
lui.
L’unica.
L’aveva ammesso. Due parole, e il volto di Sanzo si
era illuminato di qualcosa che mai avrebbe creduto di vedergli. Qualcosa di cui
non si sarebbe mai accorto, se non avesse pronunciato quelle parole.
Il suo sole...forse...poteva iniziare a credere che
provasse qualcosa di simile per lui.
Non gli importava.
L’unica cosa fondamentale...era che aveva fatto
l’amore con il suo sole, quella mattina.
Quella mattina, quando le grandi mani di Sanzo erano
scivolate sui suoi polsi che gli cingevano la vita, aveva inconsciamente
stretto la presa, spaventato che lui avesse potuto sgusciargli via dalle mani,
quasi fosse stato sabbia.
Quella mattina, Sanzo aveva delicatamente forzato la
presa, liberandosi dal suo abbraccio.
E lui aveva creduto che
avesse voluto picchiarlo con un giornale come faceva quando era irritato,
sollevato o imbarazzato.
Aveva creduto che Sanzo l’avrebbe allontanato da sé,
avrebbe ribadito il concetto che doveva andarsene via
dalla sua vita.
Ma Sanzo si era voltato e
l’aveva baciato, ancora, di nuovo.
Quella volta non era stato solo uno sfiorarsi di
labbra, improvviso e leggero.
Quella volta Sanzo gli stava comunicando
disperatamente qualcosa, con quel gesto.
Gli stava dicendo: non andartene.
Non andartene, perché tu sei qualcosa che non dovrò
sforzarmi di proteggere.
Non andartene, perché, pur pensando unicamente a me
stesso, una parte di me è rimasta vuota perché tu potessi occupare quel piccolo
posto.
Non andartene, perché tu sei l’unico a consolare quel
tredicenne sepolto dentro di me.
E...
Non andartene, perché io non sono il Konzen che deve
fare da padre al piccolo Goku eretico, io sono Sanzo, posso essere Sanzo e
voglio essere soltanto Sanzo, e posso fare del nuovo Goku ciò che voglio.
Nessuno mi costringerà ad essere qualcosa di diverso.
Tutto questo gli aveva comunicato con quel gesto.
Quel gesto, che aveva chiuso momentaneamente a Goku
un vecchio mondo e gliene aveva aperto uno nuovo.
Un mondo in cui, finalmente, avrebbe potuto
dimostrare a Sanzo ciò che provava senza averne paura.
E lo fece.
Al momento stesso in cui aveva schiuso le labbra al
bacio di Sanzo, aveva deciso di non tornare più indietro.
Non l’avrebbe più lasciato andare.
Tutto era andato avanti, le
sue mani erano scivolate in basso, aveva sentito il corpo di Sanzo reagire al
suo.
Finché non aveva intuito che
quello era il momento, finché non aveva intuito ciò che doveva fare.
Le labbra e le mani di Sanzo avevano
esplorato cautamente il suo corpo, tutto, ogni singolo centimetro di pelle
ormai era divenuto di proprietà del biondo.
Lo aveva percorso con foga, come se temesse che lui
svanisse in quel medesimo istante. E ciò gli era parso
buffo...non era lui a dover temere una cosa del genere? Non era Sanzo che aveva
tentato di allontanarlo da sé fino all’ultimo?
E se fosse stato proprio per occultare tali
sentimenti che Sanzo lo aveva cacciato via?
Non gli importava, in quel momento. Tutto ciò che
sentiva era calore, piacere, soddisfazione, tutte sensazioni che trovarono un
culmine al momento in cui Sanzo, dopo averlo trasportato sul letto, quello
stesso letto in cui l’aveva accolto fin dalla volta in cui l’aveva raccolto per
strada, l’aveva preso.
Goku arrossì violentemente al ricordo dei gemiti e
del calore di Sanzo, a quelle sensazioni fisiche così intense come non avrebbe
mai immaginato di provare.
Aveva capito che anche Sanzo avrebbe voluto unirsi a
lui.
Aveva anche capito che ciò che Sanzo provava per lui
era diverso da ciò che lui provava per Sanzo.
Sanzo avrebbe brillato, brillato,
rivolto verso di lui i suoi raggi, ma anche verso l’altro lato dell’universo in
cui si trovava.
Lui, invece, sarebbe rimasto per sempre sulla sommità
della vetta più alta che era riuscito a scalare, osservandolo per tutta la vita
e accontentandosi di toccarlo di tanto in tanto.
E gli andava bene così.
Era proprio questo, fin dal profondo del suo essere,
tutto ciò che voleva essere per Sanzo.
Un piccolo punto, così piccolo che il sole si sarebbe
soffermato a guardarlo, non potendone scorgere le forme.
“Scimmia, sei sveglia?”
Goku si era voltato appena. Non aveva ancora avuto il
coraggio di voltarsi a guardarlo, da quando si era svegliato.
“Sì, Sanzo”
Sentì il rumore di un accendino e l’odore di una
sigaretta. Gli piaceva, quell’odore. Non quello di tutte le
sigarette, e nemmeno quello delle Marlboro rosse.
Solo l’odore di quelle di Sanzo, mischiate ad un odore di
sandalo, il profumo che il ragazzo sempre indossava. Lo stesso odore,
mischiato a qualcos’altro di dolciastro, che adesso impregnava anche il suo
corpo.
Il biondo non si mosse; rimase lì, impenetrabile, a
squadrare il soffitto, fumando la sua sigaretta.
Non parve voler aggiungere nient’altro, e poiché quel
silenzio per Goku pesava più di un macigno, il ragazzino si fece coraggio e gli
si avvicinò, poggiando la testa sul braccio che lui teneva disteso.
Sanzo non si mosse, né si scostò da lui in alcun modo.
Il ragazzino ne fu incoraggiato.
Il biondo, dal canto suo, si era svegliato ben prima
di Goku, ed era rimasto a rimuginare come suo solito.
Che diamine ho
fatto? Con lui mi sono comportato da padre, fratello, amico, e poi amante. Poiché gli parve che Goku non avesse intenzione di
dir nulla, decise che a rompere il silenzio sarebbe stato lui.
“Goku...”. Sanzo s’inumidì le labbra. “Voglio che tu
sappia che quello che è successo oggi...”
“No, Sanzo, fa’ parlare me”, lo interruppe il
ragazzino, raccolto tutto il coraggio a cui in quel momento gli era possibile
fare appello. “Io...non so cosa tutto questo abbia
significato per te, ma...io...sono stato felice. Felice
perché mi hai reso parte di te. Felice perché...ho sentito il tuo
calore, ho raggiunto una parte dentro di te che prima mi sembrava di non poter
minimamente intravedere. Felice...perché sono stato
bene...veramente bene. Ora…se vuoi possiamo fingere che non sia successo
niente. Se vuoi dirmi che per te è stato tutto uno
sbaglio, io lo accetto. Accetto di essere stato tuo solo per
poco tempo, solo per una volta”
Si passò la lingua sulle labbra. Sanzo lo ascoltava
senza dire una parola, lo sguardo ancora sul soffitto, la sigaretta ancora
poggiata sulle labbra.Stupida
scimmia...
“Voglio che tu mi dica soltanto una cosa, Sanzo. Non
ti chiederò altro, e, se davvero lo vorrai, sparirò e
non mi vedrai più. Per te...ha significato qualcosa?”
Il biondo finalmente si mosse. Alzò leggermente il
busto, spegnendo la sigaretta nel posacenere sul comodino. Lo sentì flettere il
braccio su cui poggiava la testa fino a sfiorargli la spalla nuda.
Dentro di sé, in quelle ore durante le quali Goku aveva dormito, aveva pensato di ‘mettere una pietra sopra’. Su tutto. Mandarlo via come aveva risolto di fare
era l’unica soluzione, perché tornare a vivere insieme a
lui dopo quel che era successo, facendo finta di niente, sarebbe stato
impossibile. Il loro legame non sarebbe mai tornato a com’era prima di quel
giorno. Probabilmente...si stava evolvendo già da tempo,
anche se nessuno dei due se n'era reso conto. Da quando aveva realizzato che troppo spesso ormai si fermava a guardarlo
per tentare di scrutare il suo umore quando lui non se ne accorgeva.
Ma difficile gli risultava
anche mandarlo via come se nulla fosse successo...lui, Genjo Sanzo, si era
avvicinato così tanto a lui da fondersi insieme, e ciò gli aveva fatto
comprendere di...
Cosa restava dunque da fare,
aveva riflettuto? Tornare a vivere insieme e...
“Tsk. Stupida scimmia.
Dovresti ormai sapere che non faccio nulla che non abbia un senso”
Gli occhi dorati di Goku lo guardarono. “Allora vuoi
dire che ha significato qualcosa?”
Inutile. Una stupida scimmia è sempre una stupida
scimmia.
“Vuol dire che è successo, e basta”
Goku tacque, deluso. Non si aspettava certo che Sanzo
lo illuminasse su tutta la situazione, maalmeno una risposta più chiara...
“Sanzo…almeno dimmi questo: posso restare con te?
Posso rimanerti accanto?”
Neanche questa volta il biondo rispose subito.
“Fa’ come vuoi”, risolse infine. Quello che sarebbe
successo dopo non aveva importanza. Ormai aveva capito di aver trovato qualcosa
di cui non poter fare a meno, e il minimo che poteva fare era evitare che
cadesse nelle mani di qualcun altro.
“Sanzo...io...”. Si sentiva strano, diverso; sentiva
di essere diventato, piano piano, schiavo dell’altro.
Lo voleva, lo voleva ancora. Sanzo aveva detto che
poteva restare vicino a lui, se voleva, e ciò non significava dunque che
l’aveva accettato al suo fianco? Che gli avrebbe
permesso di...amarlo?
Sentì tornare in lui tutta la vitalità che la sera
prima lo aveva abbandonato. Non poté reprimere un sorriso dolcissimo, non poté
fare a meno di stringersi più vicino a lui e di cingergli la vita con un
braccio, un braccio di pelle ambrata, che spiccava per contrasto con la pelle
candida dell’altro.
Non gli importava se Sanzo l’avrebbe scostato da sé,
seccato dalle sue effusioni, voleva sentirlo di nuovo vicino, vicino come lo
era stato quella mattina.
Sentì la mano di Sanzo percorrergli la schiena, e
allora capì. Non sarebbe stato mai più solo, adesso aveva stabilito un contatto
definitivo con il suo sole, un contatto che non avrebbe mai permesso si intaccasse.
"Sanzo, io..."
Il biondo gli pose un dito
sulle labbra, avvicinandolo un po’ più a sé.
“Sta’ zitto, Goku...sta’
zitto...”
Gojyo, Hakkai e Shinobu stavano discutendo. Erano
trascorse cinque ore da quando Goku era andato via, e avevano passato il tempo
raccontandosi precisamente i loro sogni. Shinobu prendeva febbrilmente appunti.
A Gojyo, in realtà, raccontare il tutto sembrava assolutamente noioso e inutile
(e si chiedeva come mai alla ragazza non fosse ancora caduta la mano destra),
senza contare che molti degli episodi coincidevano sistematicamente con quelli
di Shinobu e Hakkai. Ma il nervosismo con cui lei stringeva la penna in mano,
probabilmente cercando di non pensare a cosa stesse
accadendo in casa Sanzo, lo spronava a continuare. Per distrarla dai suoi
pensieri, quantomeno. Le raccontò del processo a Tenpou, Kenren e Gojuin.
Il suo interesse si risvegliò un po’ quando Shinobu
raccontò degli ultimi momenti di vita di Shioka. Sapevano
già quanto era accaduto a Konzen e a Goku, e come Shioka fosse morta, ma
sentire il suo racconto era tutto un altro paio di maniche.
“Shioka...non voleva che Konzen finisse così. Il
risultato, alla fine, è stato lo stesso che se fosse stato
processato. Si è reincarnato ugualmente. Ma ha
sofferto. Ha visto il suo protetto trasformarsi in mostro e ucciderlo. Ha visto
combattersi i due esseri eretici”
“Non so se dover considerare la nostra una morte o la
vostra una grazia...”, osservò Hakkai sistemandosi gli occhiali sul naso. “In
ogni caso...è stato un bene che Kanzeon Bosatsu abbia parlato in favore di
Goku. Se non fosse stato per lei... Mi sarebbe
piaciuto che Konzen l’avesse saputo. I loro ultimi istanti insieme non sono
stati molto teneri, a quanto mi hai raccontato”
“Sì, ma Konzen si è sentito tradito dalla zia.
Temeva, a ragione, che volesse allontanare da lui Goku
dopo che gliel’aveva affidato. E’ stato solo dopo aver visto il sacrificio del
nipote che si è risolta a proteggere Goku...”, rispose
Shinobu.
“Io...”, esordì Gojyo. Gli altri due si voltarono a
guardarlo.
“Cosa?”, chiese Shinobu.
“C’è una parte che non ricordo ancora. Hakkai, tu
ricordi della condanna, quando Kenren, Gojuin e Tenpou si sono specchiati e
hanno perso i sensi, vero?”
“Sì, certo. Perché me lo chiedi?”
“Quello lo ricordo anch’io. Ma
non ho memoria del periodo tra la pronuncia del verdetto e l’esecuzione della
condanna. Insomma, non mi ricordo di come siamo arrivati alla sala dello
specchio Trascendentale”, rispose il rosso. Si accorse
dell’errore. “Oh, intendo di come loro siano arrivati lì”
“Beh, ricordo che Kenren non era molto in
forma...aveva la spalla squarciata e si teneva in piedi a fatica...ha quasi
perso i sensi quando è arrivata la notizia della morte di Shioka e di
Konzen...può darsi che il periodo successivo gli risultasse
parecchio confuso”
Gojyo annuì non molto convinto. “Può darsi, ma...”.
Scosse la testa. “No. Niente”
“Come se la starà cavando Goku?”. Finalmente Shinobu,
perplessa, si decide a dar voce ai suoi pensieri.
“Meglio di te sicuramente”, rispose Gojyo toccandosi
il collo e sorridendole.
“Su questo non ci sono dubbi. Io e Sanzo andiamo d’accordo in un modo piuttosto complicato. Sai qual è stata la cosa buffa?”
“Quale?”
“Che, paradossalmente, dopo
lo spintone e il pugno mi sono sentita molto vicina a lui. Come se avessimo
stabilito un contatto”
“Nulla do strano: tra animali ci si
intende con il contatto fisico”, rise Gojyo.
“Già”, sottintese Shinobu guardandolo di sbieco.
“Insomma, si può sapere cosa gli hai detto di tanto
pungente per farti colpire seriamente? Di solito si limita al tiro di oggetti, alle gomitate o tutt’al
più a qualche calcio o pugno...”
Shinobu sospirò. “Vi riassumo tutto”
“E questo è quanto, ragazzi.
Vi ho detto come la penso io”
“Che Sanzo…abbia iniziato a
provare qualche tipo di sentimento per Goku...diverso rispetto a quello che
Konzen provava per il vecchio Goku?”, domandò Hakkai.
Shinobu si strinse nelle spalle. “Ci ho pensato anch’io.
Se questa supposizione è valida, penso che abbia avuto
un peso non indifferente nella decisione di Sanzo”
Gojyo si accese una sigaretta. “Dunque,
Hakkai, credi che il nostro biondo abbia una cotta per la scimmia?”
Shinobu, seduta sul letto, gli lanciò un sandalo,
prendendolo su una costola. “Primo, niente sigarette in camera mia. Secondo,
non ti vergogni a fare queste battute di spirito quando non è proprio il caso?”
Gojyo prese con due dita il sandalo e lo poggiò per
terra. Si tolse la sigaretta dalle labbra, la spense sul tacco della propria
scarpa e la rimise nel pacchetto. Poi guardò Shinobu a metà tra il seccato e
l’ironico. “Parli proprio tu, dopo tutte le frecciatine che hai sempre lanciato
a Sanzo sull’argomento?”
“Se è per questo, tu non sei
stato da meno. La situazione è abbastanza complessa, non c’è
da scherzare...Sanzo deve decidere se convivere con questa situazione,
affrontarla o scapparne. Nel primo caso, è difficile dire se accetti Goku di
nuovo in casa. Nel secondo, il problema sarà vedere come la prenderà Goku. Nel
terzo, non ci sono dubbi sul fatto che farà di tutto per farlo uscire dalla
propria vita”
Hakkai sospirò. “Hai centrato perfettamente la
questione. Noi non c’entriamo per niente in questa storia. Possiamo solo
aspettare e vedere se, quando e come la situazione si evolverà”
Lo squillo del telefono li strappò alle loro
elucubrazioni.
“Risponderà mia madre”, mormorò Shinobu senza muovere
un muscolo.
“Veramente è passata qui dieci minuti fa dicendo che
usciva...e tu le hai anche detto ‘ok’”,
le fece notare il rosso.
“... ... ...ah, è vero”
“Scusa se mi intrometto, ma
non dovresti rispondere tu, dato che non c’è nessun altro in casa?”, fece
notare a sua volta Hakkai.
“... ... ...vero anche questo”
E, scavalcando Gojyo rischiando di
assestargli un calcio in faccia, si fiondò a cercare
il cordless.
Hakkai e Gojyo si guardarono, sospirando come due
vecchietti ottuagenari.
Rientrò pochi secondi dopo nella camera. “Sì, casa
Ori...ah ciao Goku...GOKU???? Sì, ti sento, no che non
disturbi, ci mancherebbe...no Goku, non ho niente di meglio da fare, Goku
insomma vuoi usare quella boccaccia per dire qualcosa di utile?
Com’è finita?”
Hakkai e Gojyo rimasero, quasi senza respirare, a
scrutare lo sguardo di Shinobu perso nel vuoto, pronti a cogliere ogni leggero
indizio.
Un ampio sorriso si allargò sul volto della ragazza,
il cui nervosismo si sciolse in una parlantina da fiume in piena. “...Tutto a
posto? Hai risolto ogni cosa con Sanzo? Ma è
meraviglioso! Digli che appena lo vedo gli spacco la
faccia e poi me lo sbaciucchio da capo a piedi...anzi, sbaciucchio te che
almeno non mi ammazzi...digli che è un idiota e che poteva pensarci prima di
far trascorrere nottata in bianco a me e a te...e...no, non c’è bisogno che ti
scusi, dicevo per dire! No, non mi hai disturbato stanotte, certo che no, se avrai
altri problemi in futuro, cosa che non ti auguro
assolutamente, potrai venire qui! Goku, lo sai che ti voglio bene...Ma alla
fine l’hai picchiato? No? Peccato...vorrei tanto farlo io...ma visto che tu sei
tranquillo è meglio così. Allora ci vediamo e parliamo
a quattr’occhi appena vuoi, ok?”
Un bip annunciò agli altri due che la chiamata era
definitivamente chiusa. “Tutto a posto, ragazzi”, li rassicurò la ragazza. “A
quanto pare…l’egregio e onnipotente Genjo Sanzo ha
deciso che poteva anche concedere a Goku, in tutta la sua magniloquenza, il permesso
di restare. Non so quali argomentazioni possa aver
tirato fuori la scimmia, ma senza dubbio devono essere state più che buone”
Hakkai si grattò la testa
perplesso, quindi sorrise. “Speriamo che questa volta sia davvero finita…”
“Lo spero anch’io”, osservò Gojyo. “Non vorrei dover
accogliere in casa una scimmia senzatetto”
Continua...
Ci sono giorni in cui mi sveglio spento / e tutto sommato provo a starci dentro
nella mia stanza aspetto il mio
momento / sono qui…aspetterò…
Io…aspetterò…
Quando la vita sembra un treno lento / penso agli amici fuori e
muoio dentro
la mia generazione è senza
vento / sono qui…aspetterò…
Io…aspetterò…
Finchè arriverà il mio momento /
stammi accanto
col pensiero tu…tu stammi accanto…
Sole spento / io ti sento con me.
Quando sei condannato al pentimento / stanco di sentir dire ‘non ho tempo’
come in un sole in cui sentire
freddo / sono qui…aspetterò…
Io…aspetterò…
Finchè arriverà il mio momento /
stammi accanto
col pensiero tu…tu stammi
accanto…
Sole spento / tu sei dentro di me.
Ragazze, la storia è quasi finita, lo sapete?
Il penultimo nodo è venuto al pettine. Ma come immaginerete, non filerà tutto liscio…
Penso che molte di voi saranno, se non contente
(causa assenza di lemon esplicita), perlomeno
soddisfatte ^^” fatemi sapere.
A proposito di commenti…ci sono di
nuovo casi di commenti che sembrano inseriti ma poi magicamente non
compaiono. Vi consiglio, dopo aver inserito il commento, di controllare che sia
effettivamente comparso. ^^ Al prossimo capitolo (che spero sia il terzultimo),
Simona
Ps: Grazie a Kialinus,
Didiblack, Kairi84, Ema, Melchan,
Chibimiao, Megumi, PoisonApple, Sanzina89, BlackMoody,
che hanno commentato il capitolo 46, e a Bea che l’ha
fatto e non è comparso il commento ^^”
Per
l’ultima cosa, ne avreste ogni diritto. Ho aggiornato
a Luglio, a Luglio ca**o!!! >_<
E lo so,
ma la scusa è sempre la stessa, non sapevo come andare avanti.
Per
fortuna molte lettrici e amiche mi sono state vicine e mi hanno spronato, chi
gentilmente, chi minacciando! E così ho finalmente
ripreso. Non so quanto ci vorrà per il capitolo 49, ma sappiate
che non sono in alto mare, so già come Rebirth dovrà
finire e quando. Il problema è, come sempre, mettere per iscritto.
Il
capitolo che state per leggere è preparatorio agli
ultimi due. Spero che il mio stile non sia peggiorato nel
frattempo. Volevo dirvi anche che ho intenzione
di riprendere in mano i vecchi capitoli e revisionarli. La trama non subirà
variazioni, ma lo stile sì. Mi sono resa conto che qui e lì ci sono errori di
battitura, parti non troppo chiare e scorrevoli…insomma, ci vorrei rimettere
mano ^O^
Che
narrarvi di me?
Che
sono di nuovo uccel di bosco, non nel senso che mi hanno rilasciata,
ma che al momento sono single e contenta…passate belle vacanze, e ovviamente mi
viene voglia di scrivere quando in teoria dovrei studiare ç_ç
Mi
odio!
Beh,
anche altro dirvi? Buona lettura, e ci vediamo in fondo al capitolo…
Capitolo 48 - Cigarettes
Sanzo camminava, trascinandosi
dietro le borse della spesa.
Maledizione alla scimmia che ingoia tutto
peggio di una fogna. La
prossima volta la spesa la fa lui.
Il biondo ci pensò un po’ su.
No. Mi costringerebbe a fare un mutuo.
Imprecando ancora un po’, ché tanto male non faceva, Sanzo attraversò la strada. Per
fortuna non si trovava tanto distante dall’appartamento, quindi non si sarebbe fatto i muscoli alla Big Jim
percorrendo la strada tra supermercato e casa.
Sorpassò sbuffando un paio di
ragazze, che ridacchiarono dietro di lui. Tra il resto, sentì la parola ‘culo’. Si voltò,
giusto il tempo di fulminarle con un’occhiata, pensando a come le stupide
femmine non avessero nulla di meglio da fare che rompere le balle a lui.
Quando tornò a guardare avanti,
scoprì di ritrovarsi a distanza molto ravvicinata con un corpo solido, e non
fece in tempo a frenare che quasi vi inciampò. Riuscì
a mantenere in equilibrio le borse della spesa. Il corpo solido in questione
era una ragazza sul metro e sessanta, di spalle, con
un colore di capelli improponibile.
“Vuoi guardare dove metti i
piedi?”, sbraitò la ragazza rimettendosi eretta e voltandosi verso di lui.
Sanzo alzò gli occhi al cielo.
“Si può sapere che cazzo hai fatto ai capelli?”
Infatti,
la ragazza in questione era Shinobu. Non ci voleva un gran genio per notare
che, dai capelli lunghi, castani e retti che aveva prima, era passata adesso ad
un taglio più spettinato, e soprattutto…
…ad un colore di meches che definire appariscente sarebbe stato un tenero
eufemismo.
“Non sono bellissimi ♥?”,
cinguettò Shinobu con occhi sbriluccicosi,
continuando ad accarezzarsi i capelli. “Oggi sono andata dal parrucchiere per
cambiare taglio, poi ho visto il colorante blu e non ho saputo resistere! Sono
belli, vero? Eh ♥?”
“Fanno schifo”, commentò Sanzo,
provando l’irresistibile voglia di accendersi una sigaretta. Ma
aveva le mani fin troppo occupate. “Eri già assurda prima, figuriamoci con quei
capelli da demente”
“Hai proprio i gusti da vecchio”,
commentò acidamente la ragazza, smontata dal suo piedistallo. “Da’ qua, che i
tuoi muscoli mollicci potrebbero sfilacciarsi per lo sforzo!”, e, così dicendo,
gli strappò via un paio di borse della spesa, liberandogli una mano. Pessima
idea, dato che Sanzo la usò subito per sferrarle un
pugno sulla testa.
“Ma guarda.
Ho un senso di deja-vu. Proprio ti piace l’idea che
io abbia una serie di lividi causati dalle tue
delicate manine, vero?”
Sanzo, finalmente libero di
accendersi una sigaretta, non perse tempo a farlo. S’incamminò anche lui,
seguendo di pochi passi Shinobu.
“Allora? Come vanno
le cose a casa tua?”
Silenzio.
“Beh, mi auguro quantomeno che
Goku sia ancora vivo e che tu non te lo
sia mangiato per intero”
Silenzio, contornato da venetta pulsante.
“Che
c’è? La lingua non ti funziona più per il troppo
uso?”
Silenzio. Rumore d’esplosione.
“Ma vuoi tacere, pettegola demente??!!”, sbottò il biondo tentando
di assassinarla coi sacchetti della spesa pieni.
Shinobu si scansò giusto in tempo per non ricevere in testa 10 kg di peso moltiplicati
per il coefficiente di ira di Sanzo.
“Ma sei pazzo? Volevi uccidermi?!”. Shinobu, a mo’ di
arma per autodifesa, brandì anche lei i sacchetti della spesa che aveva
in mano.
“Pensavo che fosse stato fugato ogni dubbio, a riguardo!”
“Ritiro la domanda, sei un folle e basta!”
Com’era prevedibile, entrambi smisero ben presto di fissarsi in cagnesco, provando la
fastidiosa sensazione di essere osservati.
Shinobu sospirò rassegnata, tornando a
camminare e lasciandosi dietro le spalle gli sguardi furtivi e impiccioni della
gente, presto imitata dal biondo.
“Mi stai seguendo?”
“Andiamo dalla stessa parte, idiota! E poi hai le mie borse della
spesa”
“Mh, quasi quasi ti
accompagno e basta, tanto non ho nulla da fare”
Sanzo sperò ardentemente che il ‘quasi
quasi’ diventasse meno ‘quasi’
e più ‘completamente no’. Ma ormai conosceva la
ragazza da abbastanza tempo per immaginare che il suo
‘quasi quasi’ significava ‘ovviamente sì’. Quindi si rassegnò all’idea.
Shinobu adattò il proprio passo a quello di Sanzo, affiancandoglisi.
“Cos’è quel sorriso idiota che hai stampato in faccia?”
La ragazza ridacchiò. “Non posso essere contenta? E’ una
bella giornata, sono in giro e ho cambiato taglio di capelli”
“Mi chiedo perché dobbiate tutti essere necessariamente
contenti per qualcosa”
“Eh, sta nella condizione umana”, rispose la ragazza
stiracchiandosi. “Forse tu ne sei esente?”
Sanzo non rispose immediatamente, rimuginando una risposta.
“No, non ne sei esente”, ammiccò Shinobu passando le borse
nell’altra mano. “Sbaglio o hai le rughe meno accentuate del solito, oggi?”
“Ma vuoi tacere un po’?”, sbuffò
l’altro, seccato.
“Bene, solo una cosa…”. Il lieve porsi di lei a distanza di
sicurezza poco rassicurò Sanzo su ciò che stava per dire.
“…una persona che non riesce ad essere felice, è una persona
triste”. Pausa. “Ma una persona che non vuole essere felice…è una persona
stupida”. Lo guardò eloquentemente. “L’essere felici è
una potenzialità insita in ognuno di noi. Basta cercare. Non si vive per essere felici, ma l’essere felici aiuta a vivere meglio”
“Hai finito le perle di saggezza? Dovresti
aprire un telefono amico, sai?”
“Temo di essere l’ultima persona al
mondo che possa consigliare qualcosa a qualcuno…”
Tacquero entrambi, mentre percorrevano il viale. Non c’era molta gente in quel tratto di strada, iniziavano le ore
calde della giornata.
Sanzo tirò fuori il pacchetto di sigarette e, dopo averne
afferrata una tra le labbra, le avvicinò l’accendino.
“Me ne
dai una, Sanzo?”
Il biondo, con uno sbuffo
seccato, le offrì il pacchetto. “E da quando fumi?”
Shinobu ne prese una, estrasse anche
lei un accendino dalla tasca e se l’accese. “Infatti non fumo”, rispose. Aspirò a piccole boccate il
fumo. “Tengo l’accendino in tasca perché Gojyo se lo dimentica sempre, e ormai
mi ha declassata ad accendisigarette”.
Fumò ancora per alcuni secondi.
“E poi...tu ti appigli a queste sigarette come un disperato...ho pensato che fossero chissà quale elisir di lunga vita. Ma invece sono normali sigarette, anche se senza dubbio
hanno un sapore migliore di quelle di Gojyo”
Sanzo continuava a tacere.
“Lui...”, continuò
Shinobu, “ha un rapporto diverso con le sigarette. Ne tiene spesso una
in bocca, ma non sempre è accesa. Tu invece...le fumi
immediatamente, una dopo l’altra, come se non ne sentissi nemmeno il sapore”.
Tossì lievemente, togliendosi la sigaretta dalle labbra e rigirandosela tra le
mani.
“La vita di un uomo è come una
sigaretta. Una volta che brucia, e il fumo si dissipa nell’aria, ti sorprendi
di come sia corta”, mormorò Sanzo, più a se stesso che
a Shinobu.
“Come?”, chiese lei incuriosita,
sporgendosi un po’ per guardarlo in volto.
“Nulla. E’ una cosa che mi è
stata detta da un vecchio vagabondo, non so più quanto tempo fa”
“Bè,
doveva essere una persona pazza. O una persona saggia,
dipende dai punti di vista”
Perché non torni a casa?
Perché...non
trovo un posto a cui far ritorno.
Vero...con quegli occhi spenti che hai, non sei in grado di trovare
niente.
Hai ragione. Puzzo di sangue.
Non ho saputo proteggerlo, con
queste mie mani.
Ora sono solo.
Tu...inali molto più di quanto credi. Forse è per questo che ti sei bloccato.
Che
intendi dire? Che vuoi capirne di me, vecchio?
Smettila di blaterare cose senza senso.
La vita di un uomo è come una sigaretta. Una volta che brucia, e il
fumo si dissipa nell’aria, ti sorprendi di come sia
corta.
Farsi carico della vita di una persona è come...inalare tutto il fumo
dentro ai polmoni e inghiottirlo.
E così...i tuoi polmoni neri diventano il tuo karma.
Tieni...
Non fumo. Ci manca
solo questo, la mia vita è già abbastanza insana...
Qual è il tuo nome?
Genjo. Genjo Sanzo. Lo stesso
nome che portava mio padre.
Lo sai, Genjo? Chiunque sia vivo è pieno di
sangue. Se pensi di puzzare di sangue...allora probabilmente
è l’odore del tuo stesso sangue che scorre nelle tue vene.
Un pacco di Marlboro
Rosse?
Tienilo come regalo di addio.
Shinobu rallentò, imboccando la
stradina che conduceva allo stabile di Sanzo. Si asciugò il
sudore dalla fronte con la mano libera, iniziava davvero a fare caldo.
“Sanzo, ti sei incantato? In
quale mondo arcano sei finito, stavolta?”
Il biondo scosse la testa,
rallentando anche lui. “I tuoi discorsi del cazzo mi hanno fatto venire in
mente una conversazione altrettanto stupida”
Shinobu tirò fuori la lingua, non
sperando nemmeno per un momento che il biondo la mettesse a parte delle sue
seghe mentali. “Onorata di averti riportato alla memoria simili ricordi”.
Finì la sigaretta e la gettò per
terra. “Comunque, se tu e Gojyo non vi date una
calmata, vi ritroverete prima dei trent’anni con il
catrame che vi esce dal naso”
“Vuoi morire tu prima dei trent’anni?”
“Uffa”, si lamentò la ragazza,
annoiata. “Ripetitivo. Come gli anziani che ti fregano il posto in autobus e
poi ti rimproverano pure”
Sanzo alzò gli occhi al cielo,
tastandosi le tasche alla ricerca delle chiavi.
Non ce ne fu bisogno, perché Goku
aprì il portone esattamente davanti a lui. Non notando la presenza di Shinobu,
il ragazzino fu lesto a gridare un ‘Sanzoooo!’ estasiato, saltandogli al contempo al collo, ma
il biondo fu più lesto di lui a colpirlo con il mazzo di chiavi.
“Cosa credevi di fare, stupida scimmia???!!!”, gridò Sanzo con quanta voce aveva
in corpo, il colorito pericolosamente tendente al violaceo piuttosto che alla
mozzarella, com’era solito.
“Ma
scusa…Sanzo…io…”, piagnucolò l’altro massaggiandosi la testa, seduto sul
selciato.
Sanzo fece per
replicare, ma una risata sonora, incontenibile, violenta, lo dissuase
dai suoi propositi omicidi, o meglio, lo persuase a cambiare bersaglio.
“E sta’ zitta, tu!”
Shinobu non ebbe né il fiato per
rispondere, né la forza per evitare il mazzo di chiavi, che la colpì sul petto.
Continuò a ridere a crepapelle, anche lei seduta sull’asfalto, senza riuscire a
fermarsi.
Goku avvampò notando la sua
presenza. Balbettò appena il suo nome e un saluto, ma non ottenne come risposta
nulla che non fosse la risata spropositata della
ragazza.
“Vi prego…rifatelo
ancora…”, riuscì a biascicare Shinobu cercando il telefonino,
“Voglio riprendervi…con la videocamera!”
Un sonoro ‘Slam!’ le suggerì che
il biondo, per non rischiare l’omicidio, era salito in
casa.
Goku non parlò per un paio di
minuti, durante i quali la ragazza tentò più volte di riprendersi. Il caldo era improvvisamente aumentato a dismisura, così Shinobu si sbottonò
un po’ la maglietta. Represso l’ultimo attacco di risate isteriche, si alzò dal
selciato, spolverandosi i jeans e riavviandosi i
capelli in disordine.
“Allora”, bofonchiò Goku, un po’
seccato, “Finito di ridere delle mie figuracce?”
“Credo di sì”, rispose la ragazza
mordicchiandosi un labbro per costringersi a non riprendere. “Avrei voluto
chiederti ‘come va?’, ma dopo quella performance lo reputo inutile”
Goku borbottò ancora qualcosa,
arrossendo. “Stavo andando proprio a casa tua”, mormorò infine.
“Davvero?”, chiese Shinobu
recuperando le borse della spesa che portava lei e porgendole al ragazzo.
“Sì, volevo salutarti…e
ringraziarti”
Shinobu sorrise. “Non ce n’è
ragione. Hai fatto tutto da solo, è merito tuo”
“Se non mi avessi
spronato tu...non avrei fatto nulla di nulla, davvero”, continuò Goku. “Grazie.
A te, e anche agli altri. Sono fortunato...”
La ragazza gli si avvicinò e gli
scompigliò i capelli. “E’ vero…noi tutti lo siamo.
Abbiamo avuto l’occasione di ricominciare”
Improvvisamente, non provava più
rabbia nei confronti di Shioka, ma solo…
…gratitudine…
Hakkai asciugò
il bicchiere, quindi si rivolse a Gojyo.
Ridacchiò, sorridendo all’amico
mentre lo riponeva. “Allora, dimmi…cosa ti affligge stavolta, Gojyo?”
Il rosso aggrottò un
sopracciglio. “Deve per forza affliggermi qualcosa?”
“Eh bè”,
Hakkai sorrise sornione, “te ne stai qui al locale alle quattro del pomeriggio,
bevendo cognac liscio al bancone. Ce n’è abbastanza da farmi presupporre che
non fili esattamente tutto liscio”
Gojyo per tutta risposta vuotò il
bicchierino. “Ma no, sto bene…E’ che…”
“Che
succede? Problemi con la ragazza?”
“Oh, Gojuin, avevo quasi
dimenticato che c’eri anche tu”, mormorò seccato il rosso, voltandosi appena a
guardarlo. “No, non ho problemi con la mia
ragazza”, sottolineò.
L’albino ignorò la frecciatina.
“Chiedevo solo”
Hakkai, intanto, continuava a
lavare i piatti, dando loro le spalle. Lo scorrere dell’acqua era l’unico suono
che animava il salone, dal momento che Gojyo era tornato al suo cognac, e
Gojuin alla sua lettura silenziosa.
“Va bene, sono un po’ nervoso
ultimamente”, tagliò corto il rosso, raddrizzandosi sullo sgabello. “E non so perché”
“Sono stati giorni duri per
tutti”, rispose Hakkai chiudendo l’acqua e asciugandosi le mani su uno
strofinaccio. “Immagino che ci vorrà un po’ di tempo per digerire”
L’attenzione di Gojyo si spostò
immediatamente su Gojuin. Roteò di 180 gradi sul suo sgabello girevole, per
poter abbracciare con lo sguardo il tavolino a cui l’albino stava seduto, il
volto appoggiato ad una mano, leggendo un libro.
“Gojuin”, richiamò la sua
attenzione. “Tu…”
Il ragazzo alzò lo sguardo dal
libro.
“Non sappiamo nulla della tua
situazione. Continuo a chiedermi perché tu sia stato il primo”
L’altro si passò dignitosamente una dito sulla punta del naso, riportando lo sguardo sul
libro.
Anche
Hakkai, nel frattempo, aveva abbandonato bicchieri e stoviglie per addossarsi
al bancone, interessato. “E’ vero, Gojuin…quando è successo?”
L’interessato sospirò, quindi chiuse rassegnato il libro. Incrociò le
braccia appoggiandole al legno del tavolo, quindi s’inumidì le labbra.
“Le sensazioni strane sono
iniziate tre anni fa, credo”. Pausa. “Poco prima che
conoscessi Shinobu, direi”
Gojyo arricciò il naso, ma
continuò ad ascoltare in silenzio.
“Inizialmente c’era solo qualche deja-vu, ogni tanto. Cose piuttosto
banali, come alberi di ciliegio, per esempio. Poi sono iniziati i sogni,
più o meno nel periodo in cui Sanzo si è trasferito nella nostra scuola. Al
mattino non li ricordavo mai, avevo la sensazione che fossero
ancora lì, pronti per essere ripescati dalla memoria, ma non riuscivo a farlo.
Non erano sensazioni spiacevoli però…non che fossi
particolarmente entusiasta dell’andamento della mia vita, ma chi lo è, tra
tutti noi?”
Nessuno rispose, ma sia Gojyo che Hakkai annuirono, comprensivi. Capivano fin
troppo bene cosa intendesse.
“Beh, suonano cose dette da un
adolescente melenso, ma…avevo la sensazione che ci fosse una donna, nei miei
sogni”. Il ragazzo si fece schioccare le nocche. “Poi ho conosciuto Shinobu.
All’epoca ero spesso per strada, e lei…”. S’interruppe. “E’ stato solo un
pomeriggio, poi non l’ho più vista fino al suo ingresso al nostro stesso liceo”
“Comunque,
in quel periodo sono iniziati i sogni veri e propri. Finché
non c’è stato…l’incidente in
infermeria”. Gojyo sbuffò, ripensando a tutti i guai di quel periodo.
“L’incidente”, ripeté il rosso.
Hakkai gli scoccò un’occhiata
seccata, ma Gojuin lo ignorò. “Qualcosa è scattato in me in quel momento…come
se nella mia testa ci fossero pensieri non miei. Non dico che l’attrazione che
provavo non fosse mia, però…c’era qualcos’altro. Come
se fossero sentimenti molto più ancestrali”
Gli altri due tacquero. Ancora
una volta, non occorrevano spiegazioni alle sue parole: si trattava di
sensazioni che anche loro avevano condiviso.
“Quella notte c’è stato il sogno.
Tutto. Penso che mi capirete, se vi dico che al risveglio mi sono sentito
schiacciato da tutte quelle informazioni, da tutti quei sentimenti non miei. E’
faticoso, portare il peso di due, o chissà quante vite”. Si riavviò i capelli
dietro le orecchie. “Però non è male. Perché in fondo vuol dire che c’è qualcos’altro, dopo. Se già c’è stato dopo il vecchio Gojuin, vuol dire che ci
sarà anche dopo di me”
I tre si guardarono
complici, un abbozzo di sorriso comparve sulle loro labbra. Poi Gojuin
si alzò, avviandosi verso la finestra.
“Il primo impulso, ovviamente, è
stato quello di venire a raccontarvi tutto…non ci voleva
chissà quale sforzo d’intuizione per capire che si trattava di voi. Sono andato
da Shinobu, ma quando ho capito che lei non sapeva ancora nulla, e
probabilmente nemmeno voi…ho pensato che fosse meglio non dir niente”. Aprì la
finestra, sedendosi poi sul davanzale.
“Ho intuito che, se tutto mi era
improvvisamente apparso chiaro, si doveva ad una mia personale
maturazione…qualcosa che avesse fatto scattare la molla, insomma. Nel mio caso,
penso sia stata l’accettazione dei sentimenti che provavo per lei. Di
conseguenza, non avevo il diritto di raccontarvi tutto, non avreste
capito e non avrebbe avuto alcun significato”
“Alla fine, comunque,
è successo. Non so il motivo per cui dovessimo fare
quei sogni, forse dovevamo riappropriarci di frammenti perduti di noi
stessi…comunque io non ho subito cambiamenti di sorta. Non ho avuto crisi
d’identità come Shinobu, né dubitato di me stesso come Goku, né avuto reazioni
violente come quelle di Sanzo. Chissà, magari io vedo la cosa con più distacco…”.
Appoggiò le mani sulle ginocchia. “Dall’esterno potrebbe sembrare che io, pur
passando di vita in vita, non riesca mai ad ottenere quello che voglio”. Fissò
apertamente Gojyo.
“In realtà, mi va bene così.
Forse, in fondo, è la ricerca che mi si addice di più, e non il traguardo…”
Il rosso sostenne lo sguardo,
pensieroso.
“Ma a te
possono sembrare i discorsi di un perdente, vero?”
Gojyo si alzò, appoggiando il
bicchierino ormai vuoto da un pezzo sul bancone. Si cacciò le mani nelle
tasche.
“Non sei un perdente, Gojuin”. Lo
fissò negli occhi per un attimo, poi riabbassò lo
sguardo. Gli costava dire cose del genere al cugino che aveva sempre considerato
un rivale e un nemico. “Nessuno di noi lo è. Il fatto che siamo qui, a
riprovarci ancora…qualunque cosa stiamo riprovando…è
una vittoria”
Trasse una
banconota dalla tasca per il cognac, quindi la poggiò sul bancone.
“E’ una vittoria faticosa, ma pur
sempre una vittoria. Non importa dove finiremo…siamo tutti in cerca di
qualcosa. Possiamo solo continuare a cercare…”, guardò
Hakkai, accennando un sorriso. “…e a cercare. E non è
una metà che tutti dobbiamo tentare di trovare. E’ la serenità, penso. Nel mio caso, e credo anche in quello
di Goku e Sanzo, il ritrovamento di quella metà ha avuto come conseguenza la
serenità che cercavamo. Ma ci sono molti altri modi di
trovarla”
Gojyo si avvicinò all’ingresso
del locale, non prima però di essersi accostato a Gojuin e avergli sfiorato una
spalla. “Non sei un perdente, Gojuin”, ripeté.
Quindi, con un cenno di saluto ad Hakkai, uscì dal locale.
Gojyo sbuffò amaramente. La sua
inquietudine non si era minimamente appianata, ma forse…almeno…aveva capito che
il tempo dei litigi infantili con Gojuin era finito.
Si avviò fischiettando verso la
moto, ripensando a quanto aveva detto.
Sì. Erano stati tutti…molto
fortunati.
Continua…
Squillino le trombe…ed è finita!
*O*
Spero che il capitolo non sia stato
noioso, ma ripeto, era di preparazione…
Volevo puntualizzare come ultima cosa la maturazione del
rapporto Gojuin/Gojyo, e spero di esserci riuscita. E naturalmente accentuare quella di Sanzo.
Bon, non so quanto ci vorrà per i prossimo
capitoli. Poco, spero. Scusatemiiiii >_<
però, ragazze, sappiate che ho sempre tenuto a questa fanfiction
e a voi tutte lettrici, e non ho mai pensato di
accantonarla. Troppe fatiche per giungere fin qui, non intendo mollare!
Ormai sono passati due anni e quasi tre mesi da quando il
primo capitolo fece timidamente capolino su EFP. Non
mi aspettavo di arrivare a questo punto, né di trovare gente così calorosa e
pronta a commentare. Vi voglio bene!
A questo proposito, ringrazio chi ha commentato il capitolo
47, cioè la mogliettina chibimiao, Bea, Melchan, Kairi84, cappellaiomatto,
naturalmente la mia amante BlackMoody, didiblack, sanzina89,
PoisonApple, Rika, DeepDerk(che spero finirà di minacciarmi ><), kano-chan, bonjovi86, Duff,
Lyla, e naturalmente KiaLinusche si è fatta sentire via msn, e infine silvia
che si è fatta sentire via mail e sul forum smo!
Spero di non aver dimenticato nessuno…e spero che le persone
in questione commentino anche il nuovo capitolo ^^ il
vostro appoggio è stato fondamentale, sul serio!
“Allora? Sei pronto?”
Shinobu socchiuse leggermente la porta del bagno, sbirciando dentro. In quel
momento, una chioma rossa si agitò nell’aria, mentre Gojyo si asciugava il
volto con un asciugamano.
“Sì, sì”, mugugnò il rosso facendo scivolare la testa dentro una t-shirt nera.
“Che noia!”, si lamentò la ragazza addossandosi
all’intelaiatura della porta. “Solitamente non è l’uomo che è tenuto ad
aspettare i comodi della ragazza?”
Per tutta risposta, Gojyo spalancò la porta e le spruzzò in faccia del
dopobarba. “Fammi un fischio quando inizierai a comportarti come tale, allora,
azzurrina!”. Shinobu strepitò, facendosi indietro e strofinandosi gli occhi.
“Sei un…”
“Lo so, lo so ♥”, cinguettò il ragazzo caricandosela sulle spalle. “Sono un
gran bel figo e tu sei pazza di me. Ora però andiamo,
azzurrina, che ghiacciolo al limone lì bestemmierà contro i nostri parenti di
settima generazione, se arriviamo in ritardo” …io stavo per dire ‘testa di cazzo’. E’ la volta buona che lo faccio fuori.
E smettila di chiamarmi azzurrina!
E, continuando a tenerla in spalla con un braccio e recuperando borse, chiavi e
quant’altro con l’altro, aprì la porta fischiettando
e la richiuse dietro di sé con un calcio.
Ignorò ancora una volta il fastidioso mal di testa che lo opprimeva ormai da
giorni.
“Che ti prende? Ti vedo distratto”.
Stranamente, infatti, nel tavolo regnava la tranquillità più assoluta. Si sarebbe potuto definire un pacifico incontro di un manipolo
d’amici al bar, più che una delle loro solite uscite del sabato sera: rissa
verbale di biondo e rosso; tentativo di rappacificamento del moro;
punzecchiamenti in grado di peggiorare la situazione da parte della
castana; altra rissa verbale.
Al contrario, Goku, quasi annoiato, si sorbiva un’aranciata, scambiando di
tanto in tanto qualche parola con Shinobu e Hakkai. Aveva l’aria più compassata
e adulta rispetto a qualche giorno prima, tanto da far venire i brividi a
Gojyo, le cui facoltà intellettive per un istante erano state annullate da
visioni poco caste e molto disgustose riguardo a lui e il
biondo, visioni che la sua fertile immaginazione non aveva mancato di
creare. Un primo accenno di discussione aveva riguardato i commenti sul nuovo
look di Shinobu: entusiastici da parte di Goku, che si accorgeva solo in quel
momento del cambio di colore dei capelli della ragazza (nonostante si fossero
già visti il giorno prima, pensò Shinobu: ormai la dabbenaggine
di Goku non era più messa in discussione da nessuno), perplessi da parte di
Hakkai e Gojuin, mentre Gojyo, dal canto suo, l’aveva definita ‘eccitante’ già al primo momento in cui si erano incontrati,
poi aveva preso a chiamarla ‘azzurrina’. In quel
momento, Hakkai chiacchierava tranquillamente con Gojuin, di università
probabilmente, rivolgendosi di tanto in tanto a Sanzo o a qualcun altro per
inserirlo nella conversazione. Ormai era iniziato il tanto temuto rush finale:
la primavera successiva, lui e gli altri tre ‘veterani’
si sarebbero diplomati, e avrebbero intrapreso vie differenti. Per la verità,
nessuno avrebbe scommesso contro la loro ammissione all’università prescelta
(il discorso non valeva per Gojyo, ovviamente, le cui idee riguardo al suo
futuro erano praticamente nulle).
Il biondo, per una volta senza le sue solite sopracciglia corrucciate,
sorseggiava in pace il suo primo drink, rispondendo ad Hakkai quando questi gli
rivolgeva qualche domanda. Oh, non che naturalmente il suo
carattere avesse subito un qualche minimo cambiamento: anzi, aveva apostrofato
i due ritardatari con epiteti che avrebbero fatto svenire qualunque brava
vecchietta transitante di lì per caso, come d’altronde era stato profetizzato.
Gojyo, dal canto suo, continuava a portarsi il suo bicchiere di vodka lemon alle labbra e, dopo averlo appena piluccato, lo
riabbassava, guardandosi intorno con aria distratta. Dopo la prima decina di
minuti di totale noncuranza, Shinobu aveva avvertito l’assenza della sua voce,
concentrandosi quindi prima sul suo volto, poi nelle immediate vicinanze alla
ricerca di eventuali belle ragazze la cui vista avesse
avuto il potere di ridurlo al mutismo più totale.
Il rosso era quasi sobbalzato, addirittura, quando l’aveva apostrofato, quindi
aveva concentrato la sua attenzione su di lei, aveva sorriso, e aveva risposto:
“Nulla. Solo un po’ di mal di testa”.
“Ah”, commentò semplicemente Shinobu, inclinando lievemente la testa di lato
con fare indeciso. La sua mano andò a cercare, sotto il tavolo, quella che
Gojyo teneva poggiata sul ginocchio. Ma ebbe appena il
tempo di sfiorarla, che il rosso la portò al bicchiere senza nemmeno guardarla.
La conversazione continuò più o meno tranquillamente (escluso un pugno di Sanzo
ai danni del povero Goku, colpevole di aver ordinato il quinto doppio
hamburger), almeno finchè Shinobu, dopo aver chiesto a Gojyo se volesse
ordinare qualcos’altro ed essersi sentita rispondere con l’ennesimo mugolio, si
era alzata dal tavolo di colpo.
“Vado a prendermi un altro drink”, si giustificò
allontanandosi nervosamente.
Pochi minuti dopo, era appoggiata al bancone con un Martini
alle labbra. Naturalmente l’aveva ottenuto, così come solitamente tutti gli
altri, solo grazie alla conoscenza di Gojyo del barista e di chi lavorava nel
locale. In quanto minorenne, non le sarebbe toccato
nemmeno un Aperol.
Era dannatamente irritata. Quando avrebbe capito,
quell’idiota, che lei risentiva subito del suo nervosismo, per quanto tentasse
di dissimularlo? Per quanto ancora doveva ostinarsi a tener tutto dentro quando
qualcosa non andava per il verso giusto? E per quanto
ancora lei si sarebbe irritata, pur sapendo benissimo che quella era l’indole
di Gojyo, che lei lo accettava così, e che non sarebbe mai cambiato?
“Ehi”
Toh, forse si era vagamente
accorto che si era alzata dal tavolo. Impressionante, dato
che per tutta la sera era stato in un mondo tutto suo.
Il rosso le passò una mano tra i capelli, avvicinandolesi
alle spalle. “Scusa, ero un po’ distratto”
Shinobu sbatté le palpebre, pensierosa, mugugnando qualcosa di molto simile a ‘lasciami in pace’, ma non si
mosse.
“Mi dispiace non averti dato retta, sul serio. Stasera vieni da me?” La ragazza scosse appena la testa. Si era allontanata appositamente per lasciar defluire la rabbia. Quando si trovava in una disposizione d’animo alterata, diceva
sempre qualcosa di sbagliato. Di
dannatamente sbagliato.
Sentì nuovamente la voce di Gojyo, questa volta dall’inflessione ironica. “Dai,
lo so che il tuo ego ha bisogno di costanti attenzioni, questa volta vuole sua
signoria la principessa perdonarmi per la mia disattenzione?”
Come se fosse quello il punto.
Shinobu strinse le labbra, poi si accostò il bicchiere di Martini alla bocca e
lo bevve tutto d’un fiato. Sentì che il rosso le
appoggiava le labbra alla base del collo, solleticandola, e cingendole le
spalle. “Dai, Gojyo, non è serata…”, mormorò lei.
“Dai, principessa azzurra”, le sussurrò lui, con le labbra
ancora a sfiorargli il collo. “Un paio di drink ancora e andiamo a casa mia”
“Ma dai, almeno fammi entrare a
casa!”. Shinobu soffocò una risata divertita, tentando di aprire la porta,
mentre il rosso, da dietro, cercava di sfilarle la canotta.
I drink successivi non erano stati un paio, ma sette. A testa. E al settimo
Shinobu aveva deciso che non le importava più così tanto se Gojyo non voleva metterla al corrente dei suoi pensieri.
“Così risparmiamo tempo!”, esclamò l’altro, con voce rotta
dalle risa.
“Aspetta, ho detto!”, protestò l’altra continuando ad
armeggiare con le chiavi di casa del rosso. Ma era
inutile: quando partiva in quarta, Gojyo non lo fermava più nessuno. Cercando
di non far cadere le chiavi, operazione resa difficile anche dalle mani che le
tremavano per l’adrenalina, Shinobu riuscì ad aprire la porta e a muovere due
passi dentro l’appartamento, prima che Gojyo la chiudesse con un calcio distratto,
e la sollevasse quasi di peso per depositarla in
camera da letto.
Una fitta peggiore delle altre alla testa, quando le portò
le labbra al collo, lo costrinse a rialzarsi quasi di scatto, le mani a
massaggiare le tempie.
Shinobu rialzò il busto di scatto. Alcool o no, non era
ancora ridotta alla morte della ragione. “E’ la testa?”
Il rosso annuì, allungandosi sul letto, fino a poggiare la
testa sul cuscino, attendendo che la fitta si placasse.
Se la sentiva pulsare, al pari del cuore, contro la stoffa
tesa. Sembrava incredibile, ma la fitta l’aveva colpito…
…quando
l’ho toccata con le labbra.
“Ehi, dove stai andando?”
“Semplice”, rispose Shinobu alzandosi dal letto. “Mi preparo
ad andare a dormire. Mi sembra la cosa più stupida del mondo, far sesso mentre
stai male”
“Non dire sciocchezze!”, la derise lui, prendendola
per le spalle e ritirandola sul letto.
“Oh, dai, lasciami!”, si divincolò lei. “Seriamente, Gojyo.
Non…”
Il rosso la puntellò con i gomiti al letto, baciandola senza
darle possibilità di risposta.
Gojyo si muoveva con foga, come se stesse cercando di
scrollarsi dalle spalle chissà quale peso. Ansimava e sudava più del solito, e
la sua fronte era contratta dallo sforzo.
Lo sapevo che c’era
qualcosa che non andava, si ritrovò a pensare lucidamente Shinobu, prima di
perderla completamente, la lucidità, per un attimo.
Nel momento culminante dell’orgasmo, Gojyo sentì come se la
testa gli si spaccasse in due. Gemette più del solito, uscendo quasi
immediatamente dal suo corpo, e abbandonandosi sul cuscino, respirando
rumorosamente.
Trascorse un minuto prima che Shinobu si decidesse a
reagire. Si riavviò i capelli, si portò a sedere sul letto, s’inumidì le
labbra.
Rimase a guardarlo ancora per un po’: il rosso le dava le
spalle, i capelli scompigliati appiccicati alla schiena imperlata di goccioline
di sudore.
Fece quello che qualunque ragazza preoccupata avrebbe
fatto: si sporse oltre il suo fianco, portando il viso sopra il suo, e
contemporaneamente allungò una mano verso le sue tempie. “Ehi”, mormorò.
“Stai…”
Non arrivò nemmeno a sfiorargli la fronte. Gojyo la respinse
con un repentino scatto della mano. L’atmosfera divenne improvvisamente gelida,
Shinobu con la mano ancora per aria, e lui a guardarla.
Senza una parola, il rosso si alzò dal letto afferrando i
boxer, e sparì nell’altra stanza.
Il rosso si lasciò cadere sulla poltrona, la testa che
ancora pulsava, i battiti accelerati. Il suo era stato un movimento riflesso,
senza alcun apparente fondamento logico: eppure, e non sapeva perché, quando
Shinobu aveva allungato la mano verso di lui, aveva improvvisamente saputo che avrebbe provato un dolore
terribile alla testa.
E’ illogico…è
impossibile…è da pazzi soltanto pensarlo! Però era così. Da alcuni giorni, senza dubbio.
Più il contatto con Shinobu si faceva
intimo, più provava dolore.
Come se…
E d’altronde, da quando erano
iniziati i sogni, si erano forse verificati fatti logici, possibili,
accettabili?
“Gojyo…”
Era Shinobu. Aveva l’aria un po’ spaesata, stranita. Poggiò
sul tavolino accanto alla poltrona un bicchiere dal contenuto effervescente.
“Ti ho portato un’aspirina”, mormorò sedendosi sul
pavimento, alle spalle della poltrona. Poi, la sua voce incerta risuonò ancora
una volta.
“Ho fatto qualcosa di male?”
Gojyo si sporse verso di lei. “No, scema! Te l’ho detto, è solo mal di testa!”
Prese il bicchiere dal tavolino, conscio che comunque non avrebbe sortito alcun effetto, e lo mandò giù
tutto d’un fiato.
Shinobu non si voltò a guardarlo, nascondendo le mani in
grembo. “Potrebbe essere…correlato alla commozione celebrale
di Maggio? In fondo, sono passati solo due mesi…”
“No, è escluso”, la tranquillizzò
il rosso. “Ho fatto un controllo di routine nemmeno una settimana fa, ed era tutto a posto…”
“Però…”
“Dev’essere solo stanchezza,
stress…”. Le sorrise, tentando di apparire convincente. Shinobu storse il naso,
aggrottando le sopracciglia. I pensieri che l’avevano attanagliata al locale,
quella sera, sospinti via dall’alcool, stavano facendo nuovamente capolino. “Dai,
tranquilla! Credo che stia anche facendo effetto l’aspirina che mi hai portato”
Shinobu s’inumidì le labbra, annuendo con aria non troppo persuasa.
“Ti dispiace…se dormo qui? Occupa pure tutto il letto”
“Va bene”, rispose semplicemente lei, dopo averlo squadrato
con perplessità ancora una volta. Si alzò dal pavimento e s’incamminò verso la
camera da letto. Si soffermò sulla soglia.
“Ehi”
Gojyo, che nel frattempo si era acceso una sigaretta, si
voltò con un ‘uhm?’ interrogativo.
“Sicuro che non c’entro io?”
“Sure”
Shinobu sospirò. “Va bene. In ogni caso, mi piacerebbe se ogni tanto mi mettessi a parte dei
problemi che ti affliggono. Altrimenti, resto solo una con cui scopare”
“Ci penserò, scema”
“E chiamami subito se stai male”, concluse lei sparendo nel buio dietro la
porta.
Ci stiamo avviando
verso la fine.
Ci reincarneremo. Almeno, è quello che immagino. Nataku è
morto, forse l’ha mormorato Tenpou, forse Gojuin, chissà. Uno dei due
sicuramente, ma avevo la mente troppo annebbiata per
ricordarmi chi dei due.
Eppure…
Sono scampato alla
morte o è proprio a morire che sto andando?
Non lo so più.
Non so più niente…
Avverto un’oppressione al petto.
Fitte incredibilmente
dolorose.
L’ignoranza genera
speranza, avevo pensato quando l’ho mandata via.
E lei l’ha fatto, mi ha sempre dato retta. Mi
ha sempre seguito ciecamente.
Davvero ho sempre
pensato al suo bene?
O in fondo, era al mio che pensavo, quando
l’ho convinta ad accettare i suoi sentimenti per me?
Persino quando le ho intimato di seguire Konzen?
Vorrei non essere un
dio, in questo momento.
Perché se non lo fossi…
…avrei qualcuno da
pregare perché sia ancora viva.
Che strazio.
Non credo d’aver mai
provato un dolore così lancinante.
Non sono
le ferite, è il petto…è il cuore.
Shioka è morta.
Ha
combattuto contro il Seiten, deve aver sofferto fino a prendere quella
decisione. Non avrebbe mai voluto far del male a Goku, diamine! Gli voleva un bene dell’anima…
Konzen…non fatico ad immaginare cosa dev’essergli
passato per la testa. Quello stupido! Quell’idiota, lui e la sua tiritera ‘io esisto soltanto per me stesso’…
Scommetto quel poco di vita che mi resta che ha protetto Goku. Non si sarebbe
lasciato ammazzare in nessun altro modo.
…
Ci rincontreremo,
vero?
Tenpou, Konzen, Goku, Gojuin…
…e Shioka. Che testa di cazzo sono...dovrei essere
sollevato, tra poche ore la mia agonia fisica e mentale sarà finita...e la mia
coscienza si assopirà finchè non sarà il momento del risveglio.
Sono sicuro che ci
rincontreremo. Abbiamo fatto quella promessa sotto i ciliegi, io e Goku. Ci
rivedremo sotto un albero di ciliegio. E succederà, ne sono certo.
Perché, allora, ho voglia semplicemente di urlare?
Perché vorrei annullare la mia sporca coscienza e
morire qui, senza reincarnarmi, distruggere la mia anima, spaccarla,
schiacciarla?
Io ho usato Shioka.
L’ho amata, è vero, ma non ho saputo darle nulla, a parte quel senso di
felicità effimera che abbiamo provato quei pochi giorni insieme. Oh, e la
morte, non dimentichiamocene.
Mi sono aggrappato a
lei per dare alla mia esistenza quella cazzo di ragione che cercavo da mezza
eternità.
E dannazione, la amo ancora. Ma la verità è che l’ho usata.
Io e anche Tenpou.
Ci siamo fatti
trascinare entrambi da ciò che consideravamo uno
spiraglio nell’eterna immutabilità in cui abbiamo sempre vissuto.
L’abbiamo
usata, abbiamo abusato dei suoi sentimenti. Io per primo…
E l’abbiamo trascinata con noi nel baratro in
cui lentamente stavamo scivolando e sul cui fondo saremmo immancabilmente
caduti.
Non mi sono mai
pentito di quello che ho fatto. Mai.
Ma stavolta non posso farne a meno.
E’ una sensazione così
forte che non riesco a smettere di pensare a cosa sarebbe accaduto se quel
giorno non l’avessi baciata.
Se non le avessi detto che avevo bisogno di
lei.
Se il giorno successivo non l’avessi costretta
a fare i conti con se stessa, a scegliere tra me e una vita tranquilla.
Se non avessi fatto l’amore con lei.
Io di sicuro non sarei
ancora lì a trascinarmi nel niente, io e Tenpou eravamo
in una situazione precaria già da prima che arrivasse; ma forse lei non sarebbe
stata con noi, a massacrare innocenti e a farsi uccidere da Goku.
Basta, non ho voglia più di pensare a niente.
La mia vita è stata un
profondo buco nero, una palude: una palude di angoscia
e noia da cui credevo di essere uscito grazie a lei.
Ma la verità è che non
la sentivo vicina perché mi aveva tirato fuori da quel
buco.
La sentivo vicina
perché ci era caduta anche lei, insieme a me.
E’ troppo tardi per
tirarla fuori.
Ma almeno un’ultima
cosa posso fare.
Sono sicuro che ci
rincontreremo.
E in quel caso…le restituirò
tutto ciò che le ho strappato senza accorgermene.
Se ci unirà lo stesso sentimento che ci ha
unito qui, adesso…
La lascerò libera
prima che possa farle ancora del male.
Lo giuro.
“Merda!”
Gojyo si svegliò, madido di sudore. Si strofinò più volte il
viso umidiccio, sfinito.
Quelli erano i pensieri di Kenren.
Che stronzate!
“Io non sono te, dannazione!”, mormorò a denti stretti. La
testa era tornata a dolergli. Si alzò pesantemente dalla poltrona. Poi un
dubbio lo colse.
Socchiuse la porta della propria camera. Shinobu era distesa
sul suo letto, profondamente addormentata. No, lei non ne sapeva nulla di
quella storia. E non doveva saperne nulla, diamine!
Lei non era Shioka, e lui non era Kenren. Stabilito questo,
Kenren poteva andare a farsi fottere.
Non aveva nessun diritto di intervenire fisicamente
nella sua vita, nessun diritto di allontanarlo da Shinobu. Lui l’avrebbe
protetta. Se quell’idiota di un dio non c’era riuscito
con Shioka, diamine, non significava che lui non ci sarebbe riuscito con Shinobu!
Gojyo entrò nella stanza, il mal di testa che continuava a
pulsare. Shinobu dormiva tranquillamente, addosso solo una sua giacca,
naturalmente troppo grande per lei, di cui stringeva i lembi, il viso affondato
nelle maniche troppo lunghe.
Si piegò sulle ginocchia, appoggiando il mento sul
materasso. Il sonno della ragazza era abbastanza profondo,
poteva vedere le sue sopracciglia rilassate e ascoltarne il respiro
ritmico. Qualunque cosa potesse essere fatta, doveva
farla per lei. Per quel qualcosa che andava costruendosi tra
loro giorno dopo giorno. Per quel sentimento che a volte chiamavanoinnamoramento,
ma che in realtà non sapevano nemmeno loro come definire. Se
mai potesse essere definito.
Quel senso di vuoto quando Shinobu mancava.
Quel calore che avvertiva quando lei gli
dormiva accanto, anche senza che si sfiorassero.
Che forse l’amore fosse solo un assuefarsi totalmente
l’uno all’altra, provando però un moto di felicità ad ogni sguardo, come se
fosse il primo?
Il rosso non riuscì a trattenere un sorriso, mentre allungava una mano per
sfiorarle il viso. No, diamine, lei era la sua ragazza, e non c’era motivo per cui dovesse starne alla larga.
Non appena le ebbe posato una mano sulla fronte, il
mal di testa si fece sempre più fastidioso. Dal sordo pulsare appena
percettibile, diventò un palpitare sgradevole, quasi di onde
che vanno però ingrossandosi man mano che raggiungono la riva. Intestarditosi,
Gojyo allungò il viso verso di lei, e la baciò sulle labbra.
Un’esplosione di dolore in testa, simile a tanti piccoli
spilli, lo costrinse ad allontanarsi.
No.
Non poteva continuare così.
Aveva bisogno di un esorcista, di uno psicologo, di un
neurologo, di tutti e tre.
O meglio, aveva bisogno di Hakkai.
Fosse anche stata solo una questione di puntiglio personale,
non avrebbe mollato senza lottare. Avrebbe combattuto, non di spada né di
pugni, e l’avrebbe avuta ugualmente vinta.
Si recò a grandi passi in cucina, tentando di fare il minor rumore possibile.
Ormai non era più tempo per confusione e sbandamento. Aveva trovato qualcosa da
proteggere. Un sentimento che non voleva perdere, in special
modo per ostacoli immateriali.
Si accostò al tavolo, appoggiandovi le mani. Guardò per un attimo il foglio di
carta bianco che vi aveva steso, quindi prese tra i denti il
tappo della penna che teneva in mano, sturandola. Rimase pensieroso
davanti al foglio per un po’, poi iniziò a scrivere.
Esco per un po’.
Non preoccuparti, ci
vediamo per pranzo.
Mi raccomando, non
cucinare gli okonomiyaki, sai che li bruci sempre! Se proprio devi, fai del riso.
Senza
darmi fuoco alla casa, please ♥ e non
dimenticare il sale come l’altra volta.
Chiudi bene la porta appena ti svegli, sai che non è una bella zona.
A
più tardi, principessa azzurra.
Non scrisse la sua meta. Non voleva che lei lo seguisse a casa di Hakkai,
appena sveglia. Non sapeva perché, ma era un problema che voleva risolvere da
solo, forse poiché, paradossalmente, sapeva di non esserne responsabile eppure,
contemporaneamente, di esserne l’unico colpevole.
“Tutto questo è surreale, Gojyo”, mormorò Hakkai conciliante, sedendosi sulla
poltrona e stringendosi le mani l’un l’altra. Lo disse
col tono di chi sta tentando di tranquillizzare
qualcuno in stato confusionale, cosa che il rosso notò e non apprezzò di certo.
“Negli ultimi mesi c’è stato qualcosa che non lo fosse?”,
ribatté polemico Gojyo. Il ragazzo accavallò le gambe, tirò un respiro profondo
e portò il busto in avanti. “Sei l’unico che può darmi una mano, lo sai”
Il moro si portò un dito alle labbra. “Secondo me dovresti farti vedere da un medico. Aspetta un po’ di
tempo, e, se il dolore non va via…”. Tacque, ma non perché non sapesse come
continuare, né perché Gojyo avesse detto qualcosa. L’altro lo stava
semplicemente guardando. Guardando, sì, ma…
“Hakkai”. La voce di Gojyo non era più pronta a scattare, ma
morbida e asciutta. “Sei il mio migliore amico. Sei la persona che mi capisce
di più. Ci sei dentro fino al collo, in questa storia. Troppo dentro per
liquidare il tutto con un ‘vai da un medico’. Mi credi così fuori?”
Hakkai sorrise. “No, Gojyo. Lo so”. L’atmosfera si rilassò. Un
sorriso, sia pure più debole, comparve anche sulle labbra di Gojyo.
“Non intendevo dire che fossi matto. Se
sei matto tu, lo siamo tutti. Ma è passato troppo poco tempo dall’incidente per
scartare completamente l’ipotesi che i dolori alla testa siano
causati dalla commozione celebrale, lo sai”
“Lo so”, concedette il rosso con tono annoiato. “Lo pensava anche Shinobu. E, come ho detto a lei, ho fatto un controllo di routine
pochissimo tempo fa. Ed era tutto a posto. Non credere
che sia stato così tardo da non pensare per prima alla
soluzione più banale”
Hakkai sospirò, un po’ più tranquillo. “Bene. Allora,
scartato questo punto…sebbene non possiamo essere sicuri che i problemi non
siano insorti dopo il controllo…”
Gojyo lo squadrò con aria polemica.
“…raccontami di nuovo tutto, con calma e magari senza vagare
per la stanza come una tigre in gabbia”. Gli indirizzò un sorrisino sagace.
“Allora”, esordì Gojyo, più calmo. “Ti ho detto poco fa…che
ho mal di testa da un paio di giorni”
“Fin qui c’ero arrivato”
“E che, sembra uno scherzo di
cattivo gusto ma è la dannatissima realtà, il dolore…cresce d’intensità man
mano che Shinobu è più vicina a me”
“Questo è il punto controverso”. Hakkai riunì le mani. “Presupponendo che sia davvero così, come potrei aiutarti io?”
Gojyo continuò a parlare per due minuti buoni, spiegando
alla meno peggio ciò che ricordava delle ‘seghe mentali’ di Kenren, inframmezzando il tutto con espressioni
colorite e imprecazioni furiose.
Quando gli parve che ebbe finito, Hakkai
sospirò, rassegnato, lo sguardo fisso su un punto non precisato della stanza. In effetti, dall’esterno, tutta la situazione da mesi a
quella parte sarebbe potuta sembrare come una psicosi di gruppo.
Va
bene, Hakkai…facciamo i matti
fino alla fine.
“Intanto siediti e calmati, altrimenti non arriviamo a
nulla”, disse perentoriamente il ragazzo, ormai entrato nell’ottica
che qualunque cosa avrebbero o non avrebbero fatto, non avrebbe avuto senso
logico.
Gojyo si sedette, un po’ risollevato, ma questa volta fu
Hakkai ad alzarsi e a girovagare per la stanza, le mani poggiate sui fianchi.
“Dunque. Tu e Kenren condividete l’anima. I residui della sua coscienza si
mettono in contatto con il tuo subconscio, e in questo modo ti mostra i suoi
ricordi”
“Se vuoi tradurre in paroloni tutto quel che ti ho
detto, possiamo dire così”
Hakkai annuì. “Quindi è in sogno e solo in sogno,
oltre a sparuti deja-vu, che possiamo comunicare con
quei frammenti che rimangono delle nostre vite passate”
“Deliziosamente romantico, sì. Ma come puoi
immaginare, non posso trascorrere i giorni dormendo sperando che Kenren si
faccia vivo in qualche modo, come Shioka ha fatto con Shinobu”
“Possiamo provare, però”
“Vuoi ibernarmi a tempo indeterminato?”
“Vuoi essere lasciato nel tuo brodo?”. Hakkai sorrise
inquietantemente da dietro le sue lenti spesse.
Gojyo incrociò silenziosamente le mani davanti la bocca, per annunciare
all’altro che sarebbe stato muto come una tomba da quel momento in poi.
L’altro riprese il discorso da dove l’aveva terminato. “E’ difficile da
spiegare a parole, ma messa giù nella maniera più semplicistica possibile, e
anche disgustosamente ottimista, se mi concedi, la mia proposta è che tu prenda
un sonnifero e che tenti di richiamare a te la coscienza di Kenren”
“Come posso fare una cosa del
genere? Kenren è un lume di coscienza nella mia testa, io un uomo in carne ed
ossa che ha ben poco potere sul proprio inconscio, o vuoi dirmi che tu hai
qualche risorsa nascosta che ti permetta di gestire la tua psiche?”
Hakkai sbuffò, lievemente spazientito. “Non c’è altro da
fare. Non sono uno psicologo, né uno psichiatra, né uno psicanalista. Se vuoi rivolgerti ad un medico vero, fa’ pure, ma prova a
raccontargli la tua storia e vediamo se non ti ricovera per schizofrenia”
Gojyo aprì le labbra per rispondere, ma non trovò nulla di
convincente da dire. Incrociò le braccia, innervosito.
“Cos’ho da perdere?”
“Allora, in teoria tutto il tuo piano sarebbe un
pisolino pomeridiano sul tuo divano”, concluse Gojyo accavallando le gambe e
incrociando le braccia dietro la testa.
Hakkai gli porse un bicchiere d’acqua e due pillole, che il rosso prese, e si accomodò
sulla poltrona. Mesi prima, mentre Shinobu agonizzava
seduta al suo tavolo, aveva detto a sé stesso che casa sua, di recente,
sembrava uno studio psichiatrico. Bé, in quel momento
ne aveva sul serio tutta l’aria. Paziente sul divano e
medico sulla poltrona. Medico matto quanto il paziente, nel
loro caso.
“Dai, Gojyo, rilassati”, mormorò con voce calma, tentando di non mettersi a
ridere.
Il rosso chiuse gli occhi, distendendo le gambe e mettendosi
più comodo. Aveva tanta voglia di ridere di sé stesso e della situazione
paradossalmente ridicola in cui si era andato a cacciare. Una nuova
determinazione crebbe dentro di lui al pensiero che quello che stava tentando
di proteggere non era poi così ridicolo.
La voce di Hakkai risuonò al buio.
“Pensa al niente. Svuota la mente da ogni pensiero”
Gojyo si concentrò sul suono del proprio respiro. Sentiva in
lontananza, forse in un'altra camera, i rintocchi di un orologio. Ben presto il
suono andò facendosi sempre più fioco, finchè ne fu così assuefatto che non lo
sentì più.
La voce di Hakkai si faceva sempre più lontana. Sentiva che
parlava, diceva qualcosa, ma non afferrava le sue parole, quasi fossero lucciole che sfuggivano al maglio della rete…
Ad un certo punto fu certo che i sonniferi avessero fatto
effetto, perché non sentì più nulla di nulla.
Si sentiva galleggiare in uno spazio nero, morto: nessun
suono, nessun colore, nessuna percezione.
Ebbe voglia di alzarsi in piedi, di dire ad
Hakkai che era tutto inutile, ma non riuscì a muoversi. Il corpo non gli rispondeva, poteva solo ‘essere’.
Fu un lasso di tempo estremamente lungo. O estremamente breve, non lo sapeva: aveva perso la concezione
del tempo. Ma era ancora vagamente consapevole di ciò che voleva dal profondo del cuore: venire a capo di quella situazione.
Non seppe quanto tempo passò, prima che il quadro della sua
coscienza si scomponesse in un mosaico di immagini tra
di loro sconnesse, che riusciva a visionare in parte e contro la sua volontà:
un ricordo, un odore, una frase, un altro ricordo. I mosaici continuavano ad
intrecciarsi in sensazioni sempre nuove, incoerenti, sfuggevoli. Come quando ci
si perde tra pensieri incontrollabili nel dormiveglia,
Gojyo sperimentò tutte quelle sensazioni, un unico pensiero nitido in testa:
Kenren. E finalmente, scivolò in una sorta di torpore totale. Quando si riebbe, per un attimo fu sicuro di essersi
svegliato davvero, di trovarsi davanti Hakkai seduto sulla sua poltrona.
Invece, si trovò in un luogo indefinito. Si guardava intorno
un momento, e sembrava un giardino verde e rigoglioso. Se si concentrava nuovamente, adesso lo vedeva spoglio e
secco. L’unica cosa che rimaneva immutabile, era un ciliegio al centro della
radura, ora fiorita, ora arida: a differenza dell’ambiente in cui era piantato,
le sue foglie, i suoi petali, la sua luminescenza quasi surreale non
appassivano.
Gojyo scoprì di riuscire ad alzarsi. Nonostante la natura attorno a lui mutasse
repentinamente, il suo corpo, più solido e concreto di
qualunque altra cosa vedesse attorno a sé, gli apparteneva. Si avvicinò al
ciliegio, la sua unica sicurezza in quel miraggio onirico (ma davvero lo era
ancora?).
E lì vide Kenren.
Continua…
…
Non so che dire…
Se non che mi sto quasi
commuovendo.
E’ il penultimo capitolo. Il penultimo, capite?
ç_ç
Con Rebirth se ne va una parte della mia giovinezza.
No, ok, la smetto coi melodrammi XD
L’ho iniziata che ero una tenera
sedicenne. L’ho postata che andavo per i 17. Finisco di postarla che ho quasi vent’anni.
Un travaglio, un traguardo, tante soddisfazioni.
Sì, soddisfazioni che mi vengono da tanta gente che l’ha
apprezzata, che mi ha sempre fatto sentire la sua presenza, che…
Non so che altro dire.
Grazie a tutte voi.
►Chibimiao: “LO SO non posso che
essere io” Eh moglie, tutte credo ci saremmo
voltate facendo commenti (e non solo *uh uhuhuh* ) sul bel fondoschiena di
Sanzo! Avrebbe avuto un bel daffare con noi…
Per la fine della “grande
opera”(*rotola con modestia*) non manca tanto…anzi… ►cappellaiomatto:
Come vedi, il capitolo 49 è uscito relativamente presto rispetto allo
stacco 47/48…questo perché mi è tornata alla grande la voglia di scrivere! Shinobu
con i capelli strambi vorrei proprio vederla anch’io, ma le mie capacità
artistiche sono pressoché inesistenti ç_ò e non me ne vanto.
►PoisonApple e Kairi: E in effetti pensavo proprio a voi quando scrivevo la scena di
Goku e Sanzo *rotola* …Sapete che siete le mie lettrici più ‘datate’? Non nel senso di vecchie ovviamente ^O^ ma riguardando i commenti mi accorgo che siete state con
me fin dai primissimi capitoli…grazie! ►Kialinus:
Le Marlboro rosse sono le uniche sigarette che
fumo, quando capita ^^ proprio perché quando le vedo penso immediatamente a
Sanzo! Trovassi le Hi-lite…anzi, no, meno male che
non le trovo…altrimenti morirei di tumore ai polmoni… ►Black: Amante cara *_* lieta
di aver trovato un tuo commentino…e lieta che il
capitolo ti sia piaciuto! La parte 3x9 è quasi finita, purtroppo…e dico quasi perché
ci sarà un siparietto alla fine che vedrà coinvolti tutti… ►Francesca Akira89: Finora non si era mai
lamentato nessuno, ma dato che qualcuno l’ha fatto reputo sia il caso, per il
rispetto di tutti, di mettere VM18 la fanfiction. C’è
una ragione di fondo per cui non l’ho fatto finora: la
fanfiction inizialmente era molto ingenua e ‘infantile’, ma dato che sono
anni che la scrivo lo stile è
cambiato radicalmente. Prima EFP permetteva di mettere VM18 i capitoli ‘caldi’, cosa che avevo fatto con quelli incriminati, ma
adesso non è più possibile…conto di metterla sotto il
rating giusto dopo averla finita e revisionata. Grazie per essere passata ed
avermi dato un tuo parere! ^^/
►Melchan: Guarda…che dire oltre a quello di cui abbiamo
abbondantemente parlato su msn e che ho ribadito sul blog? Grazie mille di tutti i complimenti…auguro
una lettrice come te a ogni scrittore di fanfiction…
►Sanzina89: Quello
che ho detto a Melchan vale anche per te ^^ vi sono davvero
grata per l’entusiasmo dimostrato, non credo di meritarmelo appieno (e la mia
non è falsa modestia…sono la prima a lodarmi quando credo che sia giusto).
Grazie mille!
►Duff: Eh sì, la lettrice più vecchiotta di
tutte credo sia proprio lei! *rotola e scappa* Grazie mille per i
complimenti, amica ottosa!
►Lyla: Benvenuta ^^ grazie di aver letto e commentato Rebirth!
Spero di avere una tua opinione anche degli ultimi due capitoli…
Parliamo un attimo del titolo di questo capitolo: Swamped.
Swamped è una canzone dei LacunaCoil. Una canzone che stavo ascoltando al momento di scrivere il capitolo.
Swamped vuol dire ‘palude’. La palude in cui Kenren crede di aver trascinato
Shioka.
Swamped vuol dire ‘inondato’. Gojyo, dai sentimenti di Kenren. Kenren, dal
senso di colpa.
Nel prossimo capitolo ringrazierò tutte coloro che
hanno letto e che hanno commentato, che mi hanno fatto sentire in qualche modo
la loro voce. Se avrò da postare qualche special, divertente
o meno, sui personaggi di Rebirth, lo farò nel mio blog: http://kappasakurapage.altervista.org
Se, infine, avete qualche domanda da
pormi…qualcosa che ho dimenticato di precisare da qualche parte, qualche
curiosità che vi viene in mente…di qualunque tipo…non esitate a chiedere nelle
recensioni. Risponderò a tutto in calce al prossimo
capitolo o, eventualmente, nel mio blog stesso.
Ancora grazie a tutte voi. Ci vediamo presto nel cinquantesimo e ultimo
capitolo di Rebirth.
Ci stiamo avviando
verso la fine.
Ci reincarneremo. Almeno, è quello che immagino. Forse
l’ha mormorato Tenpou, forse Gojuin, chissà. Uno dei due sicuramente, ma avevo
la mente troppo annebbiata per ricordarmi quale.
Eppure…
Sono scampato alla
morte o è proprio a morire che sto andando?
Non lo so più.
Non so più niente…
Avverto un’oppressione al petto.
Fitte incredibilmente
dolorose.
L’ignoranza genera
speranza, avevo pensato quando l’ho mandata via.
E lei l’ha fatto, mi ha sempre dato retta. Mi
ha sempre seguito ciecamente.
Davvero ho sempre
pensato al suo bene?
O in fondo, era al mio che pensavo, quando
l’ho convinta ad accettare i suoi sentimenti per me?
Persino quando le ho intimato di seguire Konzen?
Vorrei non essere un
dio, in questo momento.
Perché se non lo fossi…
…avrei qualcuno da
pregare perché sia ancora viva.
Kenren, i polsi scorticati e sanguinanti, si trascinava a
stento verso il banco imputati. In realtà, in casi normali non sarebbe nemmeno
riuscito a camminare: aveva trascorso quarantott’ore gettato in cella, incatenato fino al collo, in uno stato
di torpore mentale, quasi di delirio incosciente; le ferite gli avevano divorato
il corpo; la febbre gli aveva divorato la nitidezza mentale; ma la preoccupazione
che lo abbrancava, simile ad una morsa silente e totale, annullava tutto il
resto.
Gojyo non poté far altro che osservare, inerme. Non seppe se
vide tutto questo nella sua mente, o se l’ombra di Kenren l’avesse
materializzato davanti a lui. Ma non aveva molta
importanza, in quel momento.
Si sfiorò i polsi quasi senza accorgersene. Anche lui
provava un vago disagio fisico, non così nitido da riconoscervi il dolore, ma…
Tenpou veniva dietro Kenren, Gojuin
chiudeva la fila. Nessuno di loro verteva in condizioni molto migliori
di quelle del generale, quelle che un tempo erano nobili divise militari ormai laceri cenci insanguinati. Pallidi fantasmi dei fieri e
imponenti militari che erano stati, parevano.
Ognuno era scortato da un numero impressionante di guardie armate. Buona parte di quelle che erano rimaste in vita, almeno.
Avevano fatto strage di milizie la cui unica colpa era
quella di trovarsi dall’altra parte della trincea.
Al momento però, il rimorso verso le vite spezzate era l’ultimo dei pensieri di
Kenren. E, ci scommetteva, anche degli altri due.
“Maresciallo dell’armata dell’ovest RyuuOuSekai Gojuin. Maresciallo
dell’armata dell’est Tenpou Gensui. Generale
dell’armata dell’ovest Kenren Taisho”
Al sentirsi nominare, ognuno di loro chinò il capo in un
leggero, dignitoso, cenno di assenso.
La voce del dio, delegato dall’imperatore celeste per
rappresentarlo al processo, tremava leggermente. “Non ci sono parole per
qualificare la carneficina che avete commesso. Non c’è pena adeguata per i
vostri crimini. Non si è mai verificata un’…azione…simile da che si ha memoria”.
L’espressione della divinità si contorse in una maschera di disgusto, o forse rabbia;
o magari paura. “E tuttavia, ci è negata qualsiasi azione violenta. Questo è uno dei casi
in cui l’intero mondo celeste vorrebbe non essere così puro come gli è
riconosciuto. Questo è un momento in cui ognuno vorrebbe correre alle armi e
prendersi la sua vendetta. Questo…”
Non continuò. Kenren abbassò la testa, per quanto lo squarcio alla spalla gli
consentisse di muoversi, e riuscì a trattenere a stento un’acre risata, che
rimpiazzò con un sorriso altrettanto asprigno. Erano riusciti a far perdere la
calma all’intero regno celeste.
“Il dio della guerra Nataku Taishi è morto. Al
momento…non ci è possibile…”
Spazientito, l’imperatore celeste prese la parola, interrompendo
l’arringatore.
“Basta. Non è momento, questo, di confusione. E’ il momento
della condanna”
Il dio si ricompose, impallidito. “Non essendoci un dio della guerra, ci è impossibile eseguire la vostra condanna. Le leggi del
mondo celeste ci vengono meno, persino per punire degli…assassini quali siete”
La stanza risuonò di grida furiose. ‘Assassini’, ‘Traditori’,
‘Sterminatori’, ‘Esseri impuri’, ‘A morte’.
“Basta! Silenzio!”, tuonò la voce dell’imperatore celeste. Prese nuovamente la
parola.
“La prigionia eterna sarebbe la giusta punizione. Sì, un
eterno esistere in catene, oppressi da dolore fisico e morale. Ma…”
E lì tacque. …ma avete paura di noi. Nessuna prigione
sarebbe abbastanza sicura per gli sterminatori di dei.
“Non potete ucciderli perché vi macchiereste di una colpa pari alla loro. Non
potete imprigionarli perché li temete. Non potete farli uccidere perché nessuno
adesso può farlo. Non sapete prendere una decisione
nemmeno in un momento come questo. Siete patetici…”
Gojyo si strinse nelle spalle, tentando di escludere le
fitte di apprensione che lo opprimevano.
Nondimeno, lui sapeva benissimo che
fine avesse fatto Shioka.
Shinobu l’aveva raccontato quel giorno con occhi lucidi, ma
com’era prevedibile, la sua reazione non aveva superato lo stadio della mera
depressione mentale. Era solo adesso che riusciva a capire cosa dovesse aver
provato Kenren. Come se si fosse rotta una diga e fosse stato
travolto dall’acqua, senza riuscire più a stare in piedi né a trovare un
appiglio.
“Verrete condotti al cospetto dello Specchio
Trascendentale. Lì abbandonerete le vostre spoglie divine, ma pur sempre
mortali, e la vostra anima inizierà un viaggio che allontanerà per sempre il
vostro cammino dalla nostra esistenza. A proposito di ciò…”, e nel pronunciare
tali parole il voltodell’imperatore
celeste tradì una nota di sollievo e soddisfazione, “…la donna eretica e il
nipote della dea Kanzeon Bosatsu, Konzen Douji…hanno
trovato la morte”
Gojyo fu costretto quasi a piegarsi in due, senza fiato.
Kenren cadde in ginocchio, improvvisamente svuotato da qualunque forza e
pensiero, le labbra che articolavano un nome senza voce.
Il dio fu rimesso brutalmente in piedi dalle guardie armate,
che lo gettarono in avanti. Kenren si accasciò sul banco
imputati, un fiotto di sangue misto a bile che gli scivolava dalle
labbra.
Si sforzò di distogliere lo sguardo dall’imperatore celeste,
concentrandosi su Tenpou. Al maresciallo era impossibile
accorrere in suo soccorso, non poté che riflettere il suo sguardo.
Negli occhi suoi e di Gojuin lesse un
sentimento simile al suo.
Dolore?
No…troppo poco…
Strazio.
Shioka…e Konzen…
“Siamo stati informati…che la donna eretica e il bambino
hanno combattuto tra di loro uno scontro che ha
portato la donna alla morte. Konzen Douji è rimasto ucciso in circostanze
confuse”. Altre grida, questa volta più soddisfatte, risuonarono per il salone, ma Kenren non le udì, né vennero messe a tacere. Il
volto dell’imperatore celeste si illuminò leggermente.
Il dolore delle ferite fisiche esplose in tutta la sua interezza, mozzandogli
il fiato, annebbiandogli la mente. Non riusciva a pensare a nulla che non fosse
il viso di Shioka, il suo ultimo abbraccio prima che lui la mandasse a morire.
Sì. Era stato lui. Qualunque cosa avesse
portato Shioka a combattere contro Goku, lui ne era stato la causa. Non
voleva vederla morire, aveva sperato che riuscisse a trovare una via di fuga.
Sapeva che i suoi ragionamenti erano dettati dal dolore, ma non gliene
importava nulla.
Anzi, a dirla tutta, non gli
importava più di niente.
Riusciva solo a biasimare se stesso. Per
non averla protetta, per averla anzi mandata alla morte con la sua
sconsideratezza.
Chissà…magari…se non le avesse detto
di seguire Konzen, in quel momento sarebbe stata lì, accanto a lui. In catene,
forse. Maviva.
Un groppo alla gola rischiò seriamente di far accadere ciò che non era mai accaduto prima ad un dio.
Kenren usò tutta la lucidità residua per non lasciarsi sfuggire una lacrima.
Gojyo si accasciò, sfinito. A lui sì, era scivolata una lacrima lungo uno
zigomo. Se la asciugò con aria colpevole.
Non mi riguarda, tutto
ciò che è qui non mi riguarda.
Quello non sono io,
quella non è Shinobu.
Sì. Non c’è ragione…non devo… Ma non riuscì a trattenerne
una seconda. Non c’era nulla da fare.
In quel luogo, in quel momento, lui e Kenren erano una cosa sola.
Kenren…lasciami andare.
L’annuncio di ciò che era stato di Konzen e Shioka
parve soddisfare, e anzi, rallegrare, tutta la popolazione divina che assisteva
al processo.
“Dov’è l’altro mostro?”, si stagliò una voce più
nitida delle altre.
“Cosa ne sarà di lui?”, tuonò un’altra.
All’imperatore celeste bastò un cenno della mano per ottenere il silenzio. “Non
vi sono dubbi”, dichiarò, “che verrà imprigionato.
Esistono kekkai molto potenti per
contenere gli esseri eretici, una volta che i loro poteri siano
contenuti da dispositivi di controllo. Sarà portato nel mondo
sottostante, e sigillato con un incantesimo tale che nessuno potrà scioglierlo
per l’eternità”
Si udirono voci e plausi.
Kenren non ascoltava già più. Se dovevano condurlo a
reincarnarsi, sperava che avvenisse nel più breve tempo possibile. Si morse un
labbro immediatamente dopo, dandosi dell’egoista. Goku…non era in sé. Non era
stato lui ad uccidere Shioka, bensì il Seitentaisei.
Non si meritava la prigionia. Una parte di lui,
bruciante di umiliazione, insorse: sapeva vagamente che, se si fosse trovato in
sé, in quel momento avrebbe affrontato nuovamente l’intero impero celeste per
salvare Goku.
Se mai potesse salvare davvero
qualcuno.
Il dio abbassò la testa verso la spalla sana per tergersi il
sangue.
Ormai erano al capolinea.
Non avevano più forze né armi. A
giudicare dalle ferite, se anche non fossero stati condannati alla
reincarnazione, non sarebbero di certo sopravvissuti a lungo.
Guardò a lungo, ancora, Tenpou, che rispose al suo sguardo stanco. Erano al capolinea, ripeté a sé stesso.
“Aspettate un momento!”
Una voce tuonò in sala, imperiosa, profonda.
Kenren alzò appena lo sguardo, giusto in tempo per vedere Kanzeon Bosatsu che
avanzava per il corridoio interno, un passo dopo l’altro, l’atteggiamento
fiero.
Eppure, non poté mancare di notare
che la dea sembrava profondamente stanca. Era seguita a pochi passi dal fido Jiroushin.
“Sommo imperatore degli dei…”; la dea s’inginocchiò,
tra il visibile stupore del dio che la seguiva, e quello di tutti i presenti.
Mai, la dea Kanzeon Bosatsu si era inginocchiata dinnanzi all’imperatore
celeste.
“Kanzeon Bosatsu…”. Il dio chinò leggermente il capo, poi
ritrovò la sua imperiosità. “Per quale motivo interrompete un così
importante processo?”
La dea alzò lo sguardo, rialzandosi con un gesto fluido ed elegante. I capelli
le scivolarono dietro le spalle, scoprendo lo sguardo fiero.
“Sommo imperatore Tentei, chiedo
che la sorte dell’essere eretico sia pari a quella dei traditori che l’hanno
protetto”
La sala esplose di esclamazioni contrarie, fischi e
grida furiose.
“Silenzio, ho detto!”, tuonò
l’imperatore. Poi si rivolse alla dea. “Kanzeon Bosatsu, ho
ragione di credere che siate mossa semplicemente da spirito di pietà
verso il protetto di vostro nipote. Ditemi, come potete provare compassione per
un mostro simile? Vi rendete conto che la metà della gente qui presente ha
perso fratelli, padri, figli, per opera del mostro che mi state chiedendo di
graziare con la condanna alla reincarnazione?”
Kanzeon Bosatsu aveva ascoltato in silenzio. “Sommo
imperatore Tentei. Non parlo mossa da compassione, né
pietà. Mio nipote era un traditore, e il ragazzino che proteggeva merita la peggior pena possibile”. Fissò gli occhi in quelli
dell’imperatore, probabilmente certa che, mancando il sostegno del viscido Li Touten, l’avrebbe trovato più malleabile.
“Dunque, perché state parlando in suo favore?”
“Non fraintendetemi. Il mio scopo non è privare il regno celeste della peggior
vendetta che possa ottenere, ma proteggerlo. Cosa ci assicura, infatti, che il kekkai messo a protezione della
prigione dell’essere eretico sarà davvero così infrangibile?”
“Il kekkai…”
Kanzeon non gli consentì di finire. “Cosa ci assicura
che, riprese le forze, l’essere eretico non trovi nuovamente modo di attaccare
il mondo celeste? Sommo imperatore, sapete bene, come me, che è impossibile
ucciderlo. Le leggi di questo mondo, che i traditori hanno profanato, hanno
ancora una valenza per noi. Non possediamo un essere impuro che possa operare al posto nostro. E
tuttavia, molti dei militanti capaci di creare un valido kekkai sono morti. Io
stessa non potrei giurare di saper creare una barriera incorruttibile per
l’eternità. Cosa ne sarebbe dell’impero celeste se l’essere eretico si
liberasse e commettesse nuovamente una simile strage?”
Kenren sorrise amaramente, appoggiato al proprio banco
imputati. La vecchia se lo sta
lavorando bene…
Le voci furiose, intanto, si erano placate, sostituite da un
mormorio nervoso. Gli animi degli dei sopravvissuti erano
ancora troppo turbati perché non trovassero spaventosamente possibile una
simile opzione.
Il tono di voce dell’imperatore celeste si indebolì. “Cosa consigliate di fare dunque, Kanzeon Bosatsu?”
Un rapido sorriso apparve sulle labbra della dea, ma sparì così com’era venuto.
“L’ho già suggerito, sommo imperatore: di applicare la pena prevista per gli
altri traditori. L’anima dell’essere eretico inizierà un naturale ciclo di
reincarnazioni, riapparendo su questo mondo tra centinaia o migliaia di anni. Non sarà più un problema per il
regno celeste”
La volontà dell’imperatore vacillò. “Ma…non è mai successa una cosa
simile prima d’ora…un’anima eretica, portatrice dello yin, non può…”
“Non ci sono precedenti nemmeno per negare che ciò sia possibile, sommo
imperatore”, fece notare con un sorrisetto malizioso
Kanzeon Bosatsu.
L’imperatore tacque. Un sospiro stanco gli scivolò via dalle labbra.
Probabilmente, se fosse stato ancora vivo, in quel momento avrebbe chiesto
consiglio a Li Touten.
“…vigilate voi sulla condanna, che sia eseguita immantinente. Prima che
l’essere eretico riprenda i sensi, esigo che lui e i tre traditori siano
condotti davanti allo Specchio Trascendentale”
Kanzeon s’inchinò. “Sarà fatto, sommo imperatore”
Kenren riuscì a vedere una gocciolina di sudore scivolare via
sul collo della dea.
Gojyo sospirò di sollievo. La tensione si era un po’
allentata, il contatto con Kenren non era così nitido come poco prima.
Adesso che riusciva a pensare lucidamente, iniziava a capire perché Kenren
avesse tentato di tenerlo lontano da Shinobu.
In un turbinio d’immagini, vide la pronuncia ufficiale della condanna contro i
quattro. Vide portare dentro, a braccia, il piccolo Goku, privo di sensi. Vide
lo Specchio Trascendentale, sentì la sgradevole - e fortunatamente breve-
sensazione della vita che gli veniva risucchiata dal
corpo.
Poco prima che tutto svanisse in un turbinio indistinto, vide Kanzeon
avvicinarsi a Kenren, sfiorandogli una spalla. E sentì
nitidamente dirgli:
“Le sue ultime parole, che non ha completato, erano per te”
Un’esplosione di tristezza.
Poi, il nulla.
Shinobu mugugnò nel dormiveglia, deglutendo. Con un sospiro,
si decise ad aprire leggermente gli occhi, sollevando contemporaneamente il polso
dal cuscino per controllare l’orologio. Le dieci e venti.
Inarcò la schiena, sollevandosi dal materasso e guardandosi
intorno. Gli avvenimenti di quella notte le sovvennero ben presto, spiegandole
perché Gojyo non si trovava accanto a lei, nel letto.
Si diresse dunque verso il saloncino, sorpresa dalla mancanza del russare di lui. E infatti, la
poltrona era vuota. Appoggiò il mento allo schienale, sbadigliando, e chiedendosi
stolidamente dove potesse essere. In casa non aleggiava alcun rumore, se non
gli schiamazzi cittadini che provenivano dalla strada di sotto.
Nessuno nemmeno in cucina, naturalmente.
Un biglietto sul tavolo, fermato da una biro nera. Shinobu lo lesse
velocemente, trattenendo un sorriso alla vista dello stupido cuoricino che
quell’idiota aveva disegnato. E corrugando le sopracciglia al
veder messe in discussione le sue doti culinarie. Esco per un po’. Bene, concesso. Però poteva scrivere anche dove stava andando. Non preoccuparti, ci vediamo per pranzo.
Era quello che sperava. Perché non ci voleva un grande sforzo
d’immaginazione per sapere dove il rosso si fosse rifugiato – e, dunque, dove
avrebbe potuto trovarlo allo scadere di tale termine. Il perché, quello era un altro paio di
maniche.
Ora che la quasi sbornia era passata, lasciandole solo un lieve e sordo pulsare
alle tempie come souvenir, i ricordi si facevano più nitidi. E
si chiese, non senza un filo di vergogna, perché avesse permesso a Gojyo di
aggirare la discussione più di una volta, la sera precedente. Perché avesse lasciato perdere così in fretta l’assenza di spiegazioni sul
suo comportamento evidentemente anormale.
Scostò una sedia dal tavolo, appoggiando i gomiti sul ripiano in legno, e rileggendo più volte il biglietto, nonostante le
avesse già comunicato tutto ciò che doveva comunicarle.
Era sabato, e dunque niente lezioni. Oh, non che si sarebbe
ricordata di mettere la sveglia, alticcia com’era la sera prima. Era già
tanto che si fosse ricordata di avvertire a casa che non sarebbe tornata. Ormai
tale notizia era accolta con una sorta di tacita rassegnazione. Meglio così.
Shinobu arricciò le labbra, seccata. Non le piaceva quando
aveva la sensazione che altrove prendessero vita chissà quali arcani progetti
che la riguardavano, senza che lei ne venisse messa al corrente. Ed aveva la
stramaledetta impressione che, in quel momento, a casa di Hakkai si stesse svolgendo un’edificante chiacchierata su argomenti a
lei sconosciuti ma che, ci scommetteva, la toccavano da vicino.
In realtà, non c’era nessun apparentemente plausibile motivo per cui Gojyo dovesse evitarla. A
meno che non volesse lasciarla, ovvio, ma in quel caso non c’era bisogno
di una simile sceneggiata, quella notte. Non si trattava nemmeno di rancore, e
dunque era superfluo interrogarsi su eventuali sue pecche nei confronti del
rosso, ultimamente.
Scartate le ipotesi razionali, tutto ciò che restava era
l’irrazionale, lo sconosciuto.
E tutto ciò che di irrazionale e assurdo era avvenuto
in quegli ultimi tempi aveva una matrice comune: il Tenkai.
Si chiese se Gojyo in realtà non sapesse qualcosa che lei
non sapesse e non volesse farle sapere.
Beh, concluse controllando nuovamente
l’orologio, che segnava le dieci e quaranta. Avrebbe aspettato l’ora di
pranzo. Cucinando anche, perché no? Non si sa mai, magari
Gojyo sarebbe rientrato davvero per quell’orario. E magari
con una soluzione a qualunque cosa lo tormentasse. Altrimenti irromperò a casa di Hakkai con
un blitz che farebbe impallidire la miglior squadra
antidroga.
Gojyo si ritrovò disteso sul prato. Stranamente, non era
sudato, né provato. Si sentiva praticamente svuotato
da ogni emozione, adesso.
Dopo aver provato quelle intensissime di Kenren, non
riusciva quasi a sentire le proprie.
L’ombra di Kenren era ancora lì, appoggiata al ciliegio in
fiore, più evanescente che mai. Forse era proprio quell’albero a rappresentare
la sua anima.
Il ragazzo si alzò, leggermente frastornato. Si avvicinò
all’ombra, le braccia inerti lungo i fianchi.
Kenren aveva sofferto.
Kenren tentava di agire per il bene di Shioka.
Ma doveva fargli capire, a
qualsiasi costo, che adesso toccava a lui. Perché non c’era solo Shioka, c’era anche Shinobu.
Tentò di placare ogni spirito aggressivo. Tentò di placare
qualunque spirito, in effetti. Se mai nella sua vita ci fosse
stato un momento in cui era fondamentale mantenere la calma più completa, era
quello.
Le sue labbra si schiusero in un sussurro.
“Io…la proteggerò, Kenren. E’ una promessa”
L’ombra scosse la testa.
Era quello che credevo
di fare anch’io. Come fai ad essere così sicuro che tu, che voi tutti, non la
trascinerete di nuovo in un baratro?
L’irritazione di Gojyo iniziò a fremere. Mantenere la
calma era più difficile del previsto.
E lui non era mai stato bravo nel restare calmo, per quello c’era Hakkai.
“Tu non puoi capire! Tu non puoi costringermi…!”
Kenren inclinò la testa di lato. Non sono io a costringerti, Gojyo. Tu e io condividiamo
la stessa anima. E’ una parte di te, quella che contiene i ricordi e i
sentimenti di Kenren, che ti impedisce di toccarla.
L’ombra alzò un braccio. E fu di
nuovo buio.
Gojyo si guardò intorno, chiedendosi, questa volta, cosa gli
avrebbe mostrato per convincerlo.
E vide se stesso.
Se stesso bambino, in macchina, mentre i suoi genitori
morivano.
Se stesso affidato alla famiglia della
donna che chiamava ‘madre’.
Vide l’indifferenza, il dolore, la violenza.
Vide Jien, l’amore e l’odio che
provava per lui. L’amore verso un fratello, l’odio verso il figlio amato da
quella donna da cui lui voleva essere
amato.
Vide ancora l’odio, sfogato verso il mondo esterno, dopo la
morte della madre. Sfogato verso il cugino, sfogato verso chiunque passasse per la sua strada.
La violenza di un bambino verso un mondo che non l’aveva
amato.
La calma di Gojyo si infranse come
un’onda sul bagnasciuga. Si sentiva nuovamente un ramoscello inerme ai piedi di
una diga rotta.
Ma questa volta i sentimenti erano pienamente
suoi.
Si circondò il viso con le mani per non guardare, per non
sentire.
Questo è il baratro in
cui la trascinerai, Gojyo, mormorò la voce secca e
profonda di Kenren, così fastidiosamente simile alla sua. Cazzo, gli sembrava
di star parlando a se stesso, e forse era esattamente quello che stava
succedendo. Forse stava semplicemente impazzendo.
E probabilmente era la soluzione
più comoda.
Le immagini cambiarono ancora. Questa volta era il passato
di Hakkai. Kanan, il desiderio carnale verso di lei. Il senso di colpa. La
morte, il sangue. L’odio verso se stesso. La voglia di morire. La voglia di
vivere per espiare.
Tu, Tenpou…e persino
gli altri…ci siamo tutti reincarnati, ma tutti continuiamo
ad arrancare in una palude. Non importa quante volte ci reincarniamo,
non importa quante volte abbiamo la possibilità di rimediare…finiamo sempre per
fare la cosa sbagliata. Non c’è pace duratura per noi, Gojyo. E siamo destinati a coinvolgere anche le persone che ci sono
vicine, com’è successo a Kanan. Lascia che almeno lei
viva in pace.
Gojyo cadde nuovamente in ginocchio. Stava cedendo, lo
sentiva. I sentimenti di Kenren, uniti ai suoi, lo stavano facendo
impazzire. Troppi pensieri, troppe sensazioni per una
mente sola.
“Hakkai, ciao.”
Shinobu forzò un sorriso, appoggiandosi allo stipite mentre si sfilava le scarpe. Eppure,
la sua voce risuonava tranquilla, ragionevole.
Il ragazzo la salutò con un cenno del capo, un lieve sorriso preoccupato.
“Dimmi”, sussurrò quindi, scostandosi per farla entrare.
“E’ qui, vero?”
L’altro tacque un momento, poi assentì. “E’ di là. Sta
dormendo”
Le sopracciglia di Shinobu ebbero una repentina contrazione.
“Come sarebbe, sta dormendo?”. La ragazza sospirò, riabbassando
la voce. “Cosa sta
succedendo, Hakkai? Lo so che tu ne sei al corrente. Dimmelo, per favore”
Hakkai s’inumidì le labbra. “Adesso sta…per favore, so che sembra
strano, ma…”
Shinobu inclinò la testa di lato, attendendo una spiegazione
di senso compiuto. Di fronte al silenzio impacciato di Hakkai, che tentava di
trovare le parole giuste, alzò gli occhi al cielo e si diresse verso il salone.
Hakkai le tenne dietro.
“Non svegliarlo”
La ragazza si avvicinò al divano, chinandosi. Gojyo aveva il
sonno agitato, sudava e si muoveva in continuazione.
“Non lo farò”, sussurrò, allungando una mano per liberargli la fronte da un
ciuffo di capelli. Le sue dita gli percorsero la cicatrice dell’incidente.
“Allora”, mormorò, con tranquillità, ma con la voce di una
persona che non ammetteva repliche. “Mi spieghi cosa sta succedendo, o ti ha
proibito di parlarmene?”
Accomodandosi sulla poltrona lì vicino, Hakkai sospirò
e appoggiò il viso ad una mano.
“No, non è questo. E’ che è difficile da spiegare, non conosco di preciso la
situazione. Gojyo è venuto qui stamattina, in stato un
po’ confusionale. Ha detto di aver comunicato con Kenren, stanotte. Ecco…Kenren…”
“C’entra in qualche modo col fatto che Gojyo da ieri sera
evita qualunque contatto fisico con me?”
Hakkai annuì. “Così pare. Non ne conosco
esattamente la ragione, Gojyo non è stato molto chiaro. Kenren crede di aver fatto torto a Shioka, penso di aver capito. E per questo si era ripromesso di non interferire più nella
vita di Shinobu. Allontanando Gojyo da te, naturalmente. Ha detto lui…di
provare un intenso dolore alla testa nel contatto con te”
Shinobu, che intanto si era seduta, gambe incrociate, ai
piedi del divano, sul pavimento, si schiaffò una mano sugli occhi, in un gesto
sconsolato. “Hakkai, stai scherzando?”, mormorò.
La voce del ragazzo vibrò, decisa. “Ti sembra momentoper gli scherzi? Certo,
non sai quanto mi sto divertendo. Tra un attimo Gojyo si alzerà dal divano ed
entrambi rideremo di te”
Shinobu sospirò.
“Scusami”, bisbigliò la ragazza con voce contrita. “Ma…è
assurdo…cioè, non tanto il fatto in sé, ma…che torto
avrebbe fatto a Shioka?”. Si fece scivolare la mano dal viso fino a
ricongiungerla con l’altra, in grembo. La voce le tremò.
“Kenren ha cercato di proteggerla con le
sue forze fino alla fine…l’ha persino allontanata per tentare di
metterla in salvo. L’ha accolta con affetto, come pure Tenpou, anzi, di più,
l’ha tirata fuori dall’apatia in cui viveva e…”
L’altro si sfilò gli occhiali e iniziò a ripulirli con un
lembo della maglietta, con gesti nervosi. “…e crede di averla
messa lui nella situazione che l’ha portata alla morte”
La ragazza tacque, chinando il capo. Scoccò
un’occhiata preoccupata al rosso, che, intanto, si era fatto stranamente
tranquillo.
“Non è possibile…non può…”
Hakkai si alzò e le andò davanti. S’inginocchiò davanti a
lei, poggiandole le mani sulle ginocchia.
“Ascolta. Penso che Gojyo stia combattendo. Sono sicuro che
sta tentando di convincere Kenren. O meglio, di
convincere se stesso”
Shinobu continuò a tacere, lo sguardo basso.
Era una situazione in cui non aveva nessun peso, nessuna
possibilità di intervenire. Era una questione tra Gojyo e Gojyo, o meglio, tra
Gojyo e Kenren.
“Se lo conosco, Shinobu…non mollerà, finchè non gli
sarà dato di agire di testa sua”
“Kenren…”
Gojyo risollevò testardamente la testa, ancora una volta, sfinito.
“Lasciami libero di decidere”
Kenren lo guardò ancora con sguardo compassionevole.
Prima la calma. Poi l’irritazione. Poi la disperazione. I
sentimenti di Gojyo si trasformarono improvvisamente in rabbia, cieca, bruciante.
“Non hai nemmeno le palle di prenderti
le tue responsabilità, Kenren…Le azioni passate non si guardano con rammarico e
desiderio di cancellarle, ma con la consapevolezza di avere imparato una
lezione…”
L’ombra si scompose leggermente.
Cosa credi di capire, tu? Non hai vissuto un
centesimo di quanto ho vissuto io! Gojyo arrancò verso Kenren, ormai totalmente furioso per la supponenza del
dio. “Cosa credi di aver capito tu, presuntuoso arrogante del cazzo? Stai solo persistendo nei tuoi
errori! L’hai spinta ad accettare i tuoi sentimenti
per te, poi l’hai persuasa ad andare via, e ora vorresti proibirle di starti
vicino? Ma chi credi di essere, per poter disporre
così della sua vita? Shioka era una persona con le palle. Sapeva badare a se
stessa, sapeva a cosa andava incontro quando ha preso,
man mano, tutte quelle scelte. E ora pretendi di ‘lasciarla libera’,
di ‘restituirle tutto ciò che le haisottratto’ quando l’hai ‘trascinata con te nella palude’? Ebbene! Lascia che ti
parli da Gojyo, stronzo: sono solo parole del cazzo!”
Sferrò un pugno al tronco del ciliegio, che lasciò ricadere
i petali dei fiori, quasi deridendolo.
“E ora pretendi che io non stia con la mia ragazza a causa delle tue
idiotissime seghe mentali? Bene, sai cosa ti dico? A
costo di farmi esplodere la testa, io starò con lei. La toccherò, la bacerò, ci
farò sesso quando mi aggraderà. Chiaro? Non mi interessa se io ero Kenren e se Shinobu era Shioka. Non mi interessano tutti questi sogni di merda. Voglio vivere la
mia vita come voglio, e non sarà una stupida ombra
nella mia testa ad impedirmelo!”
Ansimò, senza fiato, appoggiandosi allo stesso albero che
aveva colpito. Si impose un minimo di controllo, ma
era difficile fermarsi quando aveva finalmente trovato un modo di sfogarsi.
Shinobu appoggiò la nuca sul cuscino del divano, allungando
una mano per prendere quella di Gojyo.
“La verità…è che vorrei solo che lui stesse bene. Non mi piace quando non è tranquillo, e non si accorge che mi
trasmette ogni sentimento che prova. Che sia triste o felice”
Sorrise. “Kenren ha fatto molto per Shioka. E
Gojyo…ha fatto moltissimo per me”
Strinse la mano del rosso.
“Mi piacerebbe…se riuscisse a comunicare a Kenren che
Shioka, per quel po’ di tempo che hanno passato insieme, non avrebbe
esitato a dare la vita. Cosa che, alla fine, è
un po’ successa”
Ed è lo stesso per me.
“Ho trascorso…più di diciott’anni a cercare qualcuno che mi accettasse veramente.
Qualcuno che potesse darmi calore”. Tese con violenza una mano verso Kenren ma, dopo aver stretto vigorosamente il pugno per la
rabbia, spiegò le dita verso di lui. “Sono certo che mi capisci. E anche per lei era così, Kenren. Non c’è
abisso, non c’è palude. Vi siete salvati a vicenda”
Ripensò al calore di Shinobu: quando stava per morire,
quando si era distesa accanto a lui su quel letto d’ospedale. Quando l’aveva baciata. Quando era stata
con lui nel magazzino dei ricordi. Quando
l’aveva tenuta stretta tra le braccia.
“Sì”, confermò ad alta voce Gojyo. “Se
tornassi indietro, sarei disposto a qualunque cosa, per rivivere quei momenti.
E sono sicuro che anche per Shioka è stato così”
Impercettibilmente, fu sicuro di riuscir a sfiorare Kenren,
con la mano tesa, fu sicuro che questa volta non avrebbe attraversato la sua
ombra.
“Kenren, vieni. Riuscirai a sentire anche tu la voce di
Shioka, in quella di Shinobu”
E finalmente l’ombra si dissolse.
Anzi, Gojyo giurò di averla vista entrare in sé.
Shinobu si sentì stringere la mano di rimando. Gli occhi di Gojyo si riaprirono
lentamente.
Gli sorrise, alzandosi, mentre
sentiva Hakkai avvicinarsi a lei.
“Bentornato”
Gojyo socchiuse le labbra, sorridendo. In realtà, non fu troppo
stupito dal vederla lì.
“Non hai bruciato il riso, vero?”
Shinobu gli mostrò la lingua. “No, ma ormai sarà una gelida massa informe”
Si guardarono per un momento, prima che il rosso le tendesse le braccia e
Shinobu ci si gettasse a capofitto.
~Epilogo~
“Sanzo, sbrigati!”
Goku trotterellava allegro, col viso rivolto verso Sanzo,
che camminava senza fretta lungo il viale.
“Si può sapere cos’è tutta questa fretta?”
“Siamo in ritardo, uffa!”
Il biondo scosse la testa, borbottando seccato uno ‘tsk!’.
Goku si fermò, irritato. Sanzo, che aveva lo sguardo basso
perché stava cercando con lentezza snervante accendino e sigarette, non lo vide
e quasi gli andò a sbattere contro.
Il ragazzino si sollevò sulle punte dei piedi e, un sorriso
furbetto in volto, gli posò un veloce bacio sulle labbra. Sanzo si fece
indietro di scatto, strofinandosi la bocca col dorso della mano.
“Scimmia, giuro che se ti prendo è la fine dei tuoi giorni!”
Ridendo, il ragazzino si slanciò in avanti di corsa, seguito da Sanzo – che
improvvisamente aveva velocizzato il passo, chissà come mai?
“Finalmente!”, lo provocò ancora un po’ Goku, continuando a ridere e a correre.
I due si rincorsero fino alla collina, scivolosa per i petali di ciliegio, che
quell’anno si prospettavano bellissimi. Erano fioriti molto prima dell’inizio
di marzo. Sanzo riuscì ad afferrare Goku, ma entrambi scivolarono
per il pendio, riducendosi ad una posizione molto poco consona a due ragazzi.
“Ehi, le oscenità a casa vostra, grazie!”, cinguettò Gojyo
con un capiente bicchiere di sakè in mano.
“Posso unirmi a voi?”, si unì al
coro Shinobu, anche lei palesemente brilla.
Sanzo si affrettò a togliersi da sopra Goku, spolverandosi
la giacca e borbottando insulti. Hakkai scoppiò a ridere, seguito a ruota da
Gojuin, che si ricompose immediatamente.
“Allora!”, gridò Goku raggiungendoli e gettandosi nuovamente
sul suolo ricoperto di petali.
“Esigo che mi comunichiate i risultati!”
Hakkai mostrò la V della vittoria. “Ammesso! Per un attimo
avevo creduto di non farcela, ma…”
“Hakkai, Hakkai, non sparare cazzate!”,
abbaiò Gojyo ridendo sguaiatamente. “Eri talmente
sicuro di non farcela, che non solo sei entrato a medicina, ma pure con il punteggio più alto tra tutte le matricole”
“Per un attimo, avevo detto”, fece
notare l’altro.
“Gojuin? Giurisprudenza, vero?”
“Passato anch’io”, rispose modestamente l’albino,
riempiendosi dignitosamente il bicchiere di sakè.
“E anche Sanzo, abbiamo visto sui
tabelloni”, osservò Shinobu. “Lettere, giusto?”
“Tsk!”, commentò il biondo – che nel frattempo si era
spolverato minuziosamente la giacca - raggiungendoli infine e strappando un
bicchiere di sakè dalle mani di Hakkai.
“A questo punto…”, Goku si voltò scodinzolante verso Gojyo.
“Com’è andata?”
“Bè”, fece per dire Gojyo.
Shinobu gesticolò selvaggiamente.
“…poteva il futuro genio della musica non entrare al
conservatorio più rinomato di Tokyo?”, esclamò il rosso scattando in piedi e
continuando a ridere in maniera sguaiata.
“Goooooooooooku!”, piagnucolò
Shinobu, versandosi per consolazione dell’altro sakè, mentre il rosso
prolungava il suo ‘oh ohoh’.
“Sta vantandosi da stamattina, non c’è bisogno di gonfiare
ulteriormente il suo smisurato ego!”
Goku chiuse gli occhi in una smorfia, non smettendo però di
ridacchiare. “Basta, ho capito, zitto!”
Gojyo si strinse nelle spalle in un gesto di falsa modestia.
“Un medico, un musicista, un avvocato, un professore di
lettere e due sfaccendati…conquisteremo il mondo,
ragazzi!”
“Tzè, vedi di non farti buttare fuori, invece!”, fu il
commento sarcastico di Shinobu.
Il pomeriggio trascorse sereno tra piccoli litigi, propositi per il futuro,
ricordi, chiacchiere senza senso. La sera li sorprese decisamente
alticci, distesi al suolo a poca distanza l’uno dall’altro. Il tramonto rosso
illuminò gradualmente i loro visi, lasciando pian piano spazio alla luce serale
che sfumava delicatamente l’arancio degli ultimi barlumi di luce.
Gojyo aprì gli occhi, soddisfatto. Iniziavano già a vedersi
le prime stelle, così lontane eppure così scintillanti; avvertiva il peso di
Shinobu, addormentata con la testa appoggiata sul suo petto. Non c’era più
nessuno, nel parco: dovevano essere andati via tutti, l’immagine dei ciliegi
illuminati dalla luna che iniziava a fare capolino era tutta per loro. Si
sentiva il lieve russare di Goku.
“Hakkai…”, mormorò, certo che l’amico fosse sveglio.
“Mh?”
“Ricordi quando ti ho detto…che per
me vivere era una punizione?”
L’amico si distese di fianco, per distinguere il suo viso nella penombra. “Sì,
certo”
Gojyo sorrise al cielo.
“Peccherei ancora e ancora…pur di ricevere altrettante volte una punizione
simile”
Chiuse gli occhi, carezzando distrattamente la testa di Shinobu. Distesi fianco a fianco, le labbra di Hakkai, Sanzo e Gojuin si
piegarono in un accenno di sorriso.
Fine
Bene…
Cioè, non va bene.
Vorrei saper cosa dire. Vorrei chiudere questa nota in
allegria. Ma temo che, se dessi libero spazio ai miei
pensieri come sempre sono solita fare in questa sede, scriverei un papello che arriverebbe addirittura a superare il capitolo
stesso, e non avrebbe molti toni allegri.
Quindi misurerò le mie parole per
non farvi perdere altro tempo.
Non c’è nulla che non vi abbia già detto altrove, non aggiungerò altri ringraziamenti (anche se ve li meritereste per essermi
‘state dietro’ per due anni e mezzo) né altri
commenti mielosi. Però sappiate che continuo ad essere grata
a tutte voi.
Sono contenta di come si sia evoluta Rebirth, anche se
penso ci siano dei punti deboli qua e là, che non è troppo tardi per sistemare.
Lo farò a tempo debito. E dovrò
anche metterla NC 17, credo.
Continuate a tenerla d’occhio ogni tanto, se vi va. Vi assicuro che continuerò a rimaneggiarla.
…che,
chi una, chi più, chi tantissime volte, hanno
commentato.
Spero di non aver dimenticato nessuna. Nel qual caso, fatemelo sapere, e farò ammenda ^^”