Conosci te stesso.

di Fink
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una domenica d'estate ***
Capitolo 2: *** Un brutto guaio ***
Capitolo 3: *** Fagioli e file top secret ***
Capitolo 4: *** Non sempre è come sembra ***
Capitolo 5: *** Parole nella notte ***
Capitolo 6: *** Pescatori di marines ***
Capitolo 7: *** Conoscenza ***
Capitolo 8: *** Collaborazione? ***
Capitolo 9: *** Coppie ***
Capitolo 10: *** Visita di cortesia a Quantico ***
Capitolo 11: *** Un groviglio da sciogliere ***
Capitolo 12: *** Tra inviti e pioggia estiva ***
Capitolo 13: *** Chi vuol esser lieto sia ***



Capitolo 1
*** Una domenica d'estate ***


CAPITOLO PRIMO
 
Domenica, una domenica di fine agosto. L’acquazzone della notte aveva rinfrescato l’aria ma ora il cielo era terso di nubi e ora si prospettava una bella giornata. Con un sorriso sulle labbra la donna allungò le braccia alla ricerca dell’uomo al suo fianco. Il posto letto era vuoto. Aprì gli occhi e si guardò attorno, anche la stanza era vuota. “Nemmeno di domenica mattina riesce a starsene a letto” pensò tra sé. Scese al piano inferiore accolta dal profumo di caffè. Ne versò un po’ in una tazza e bevve un sorso “Bah. Come fa a bere questa roba?”
Un rumore dallo scantinato attirò la sua attenzione. Scese. Lo trovò che lavorava alla barca. La sua concentrazione era tale che per qualche minuto non si accorse della sua presenza. La donna ne approfittò per osservarlo; gli occhi le caddero sulle sue mani. Quelle stesse mani, implacabili quando aveva un’arma in pugno, ora stavano levigando con delicatezza le assi del ponte di coperta. Con la stessa dolcezza e determinazione, quelle mani le avevano accarezzato il viso e il corpo, mentre i loro respiri si confondevano l’uno nell’altro. Sorrise al pensiero della notte appena trascorsa.
Mentre scendeva le scale di legno, gli rivolse un saluto. “Buongiorno. Non dirmi che pensi di passare qui sotto tutta la giornata?”
“Buongiorno anche a te.” Rispose sollevando gli occhi dal lavoro che stava facendo. “È un invito a ritornare in camera da letto, direttore?” chiese e un tenero sorriso gli comparve sulle labbra.
“La cosa mi tenta, non poco, ma pensavo che potremmo uscire un po’. È una bellissima giornata. Potremmo fare una passeggiata lungo mare, come quella volta a Marsiglia, ricordi? Quest’ultimo periodo è stato stressante per tutti.”
Jethro restò per un poco in silenzio, pensieroso. Non erano passati che pochi mesi da quando Jen era stata gravemente ferita mentre indagavano su quel trafficante di armi. Poi c’era stato il caso del capitano di corvetta scomparso e di quell’ufficiale ucciso dalla moglie del suo amante. Forse Jen non aveva tutti i torti, una boccata d’aria avrebbe fatto bene ad entrambi.
L’arrivo di Jen Shepard al comando dell’agenzia aveva portato con sé dei cambiamenti, facendo riaffiorare dolci ricordi e riaprendo vecchie ferite. Ma da quando lei aveva ricominciato a riempire le sue giornate e le sue notti, si sentiva di nuovo felice. La stessa serenità che aveva provato con Shannon e che, doveva ammetterlo, solo Jen era riuscito a ridargli tempo prima.
Jenny stava in piedi davanti a lui, fissandolo, in attesa di una risposta; vedeva i fantasmi agitarglisi dentro.
“Mentre decidi vado a preparare del caffè e a farmi una doccia.” Disse.
“Forse hai ragione, cambiare aria ci farà bene. Ma prima volevo dirti una cosa.” Le si avvicinò di qualche passo e la strinse a sé. Jen appoggiò la testa sul suo petto aspirandone il profumo. Jethro le sollevò il viso e la guardò negli occhi “lo sai, mi sei mancata Jen.” Abbassò la testa e le sfiorò le labbra, delicatamente. Ma quel bacio non bastò ad entrambi; il loro bisogno reciproco era una fiamma latente sotto un mucchio di sterpaglie, bastava un soffio di vento per far divampare l’incendio. Le labbra di Jen divennero più avide e lui fu felice di assecondarla, approfondendo il bacio. Gibbs fece scivolare le proprie mani sotto la veste di Jenny posandosi sui fianchi e attirandola a sé, mentre faceva ruotare il proprio corpo verso la barca.
Seguendo il profilo di una delle assi di legno su cui si era appoggiata, Jen inarcò la schiena; sentì le mani di Jethro risalire dai fianchi fino a fermarsi ad accarezzare la cicatrice; trattenne il fiato quando le sue labbra le baciarono il seno, poteva sentire il respiro caldo attraverso la stoffa sottile. Con un movimento rapido ed esperto gli sfilò la t-shirt che indossava e rimase a guardarlo; il passare del tempo sembrava aver appena sfiorato quel corpo, non aveva nulla da invidiare a molti suoi colleghi più giovani. Gli baciò il petto tenendo le mani appoggiate alle sue spalle, poi sollevò la testa avvicinando il proprio viso al suo richiedendo un altro bacio.
Il silenzio nella stanza era interrotto solo dai loro sospiri, fino a quando il telefono sul tavolo da lavoro non iniziò a squillare incessantemente. Gibbs si stacco a malincuore dalle labbra di Jen e andò a rispondere.
“Sì, Gibbs!”
“Capo. So che è domenica, ma…” rispose la voce di Tim all’altro capo.
“Spero per te che sia una cosa estremamente importante.”
“Avevo dimenticato una cosa in ufficio, sono tornato a prenderla quando il telefono ha iniziato a squillare…”
“McGee!” ringhiò Gibbs.
“Un marines morto a Quantico, capo. Ed è sparito un file di codifica e decrittazione per il funzionamento di missili.”
“Arrivo subito. Avverti Tony e Ziva.”
Agganciò e si rivolse alla donna che stava ancora in piedi accanto alla barca “Marines morto a Quantico e un file di decrittazione svanito, direttore.” Poi aggiunse “Mi dispiace Jenny.”




Spero di essere riuscita ad incuriosirvi un po' con questo inizio un tantino diverso dal solito... spero vi piaccia...

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Capitolo 2
*** Un brutto guaio ***


CAPITOLO SECONDO
 
“Pronto?” rispose la ragazza alzando la cornetta del telefono.
“Ciao Abby. Non è che potresti venire ad aprirmi la porta? È da un po’che suono e busso.” Chiese una voce maschile all’altro capo del ricevitore.
“Il campanello è guasto.” Rispose e si precipitò all’ingresso ad aprire.
In piedi davanti a lei c’era un ragazzo sulla trentina con i capelli neri mossi e una lieve barba che gli copriva le gote e il mento. Indossava una polo a righe e un paio di pantaloni di tela chiari. Abby lo guardò con sorpresa.
“Ciao Eli!” disse con voce squillante, stringendo tra le mani uno spazzolone e uno straccio. I capelli raccolti e una tuta color lampone con una miriade di teschi neri disegnati.
“Ti sei dimenticata che avevamo un appuntamento, non è vero? Fa niente. Posso entrare?”
“Stavo pulendo la bara e riordinando un po’. Certo entra pure, ma dovrai uscire subito. Ti avrei lasciato un messaggio. Mi ha chiamata Gibbs, devo andare all’NCIS. Lo sai che quell’uomo è un veggente?. Ancora non so come faccia, ma ogni volta che sto per scoprire qualcosa lui compare nel mio laboratorio. Come sta Ria?”
Qualcuno bussò alla porta interrompendo il fiume di parole di Abby.
“Potresti aprire tu?” chiese la ragazza sollevando le mani con indosso ancora i guanti.
Loker si alzò dal divano e andò ad aprire.
“Devo parlare con la sig.na Abigail Sciuto.” Disse la sconosciuta alla porta con la voce tremante. Eli Loker la guardò per un attimo, aveva gli occhi sbarrati in un espressione di terrore, la camicetta e le mani sporche di sangue.
“Rebecca!” esclamò Abby quando vide la ragazza.
“Devi aiutarmi Abby. Forse ho ucciso qualcuno.”
 
 
“Ehi McGuastafeste. Avevo un appuntamento per pranzo con la donna della mia vita oggi. Si può sapere cosa ti salta in mente di andare in ufficio di domenica mattina. Chi ti ha dato il permesso di chiamar…” Tony non finì la frase.
“Sono stato io DiNozzo.” Rispose severo Gibbs imboccando il vicolo nel quale aveva scorto il medico legale.
“Adoro passare le domeniche con un cadavere, capo.”
“Cosa abbiamo Ducky?”
“Due proiettili sparati da distanza ravvicinata, uno all’intestino, l’altro gli ha colpito il collo.  Il poveretto ci ha messo qualche minuto prima di morire, come puoi vedere anche tu Jethro.” Una striscia di sangue indicava che il marine si era trascinato per qualche metro, prima di accasciarsi a terra esanime.
“Ora della morte?”
“Pochissimo. Un paio di ore al massimo.”
“Sappiamo già chi è?” Chiese Gibbs all’agente McGee che si stava avvicinando.
“Caporale Alan Green. Di stanza qui a Quantico da diciotto mesi. Siamo a cinque minuti dalla base, i suoi compagni hanno identificato il corpo.”
“Chi lo ha trovato?”
“Alcuni passanti. Ziva li sta interrogando.”
 “Capo. Ho trovato questo in un cestino dei rifiuti.” Tony si avvicinò al gruppetto con in mano un foulard azzurro ancora sporco di sangue.
“Timothy, per favore, vieni qui. Potrebbe essere la stessa stoffa” disse il dottor Mallard osservando alcuni fili azzurri che si erano incastrati nella divisa. L’agente li imbustò.
“Alcuni testimoni dicono di aver visto una ragazza verso le 7.00 di questa mattina. Capelli lunghi, castani, 1.70 circa, sui trent’anni. Indossava una gonna scura e una camicia bianca. L’hanno vista china sul corpo ma è scappata non appena ha visto che qualcuno si avvicinava.” Disse Ziva rivolgendosi ai suoi colleghi.
“Bene, fate diramare una segnalazione.” Poi rivolto al dottore “Ti do una mano a caricare il corpo Ducky?”
“Grazie Jethro. Il signor Palmer è a casa con l’influenza.” Si giustificò il medico. “Come vanno le cose con il direttore?” bisbigliò Ducky rivolto all’amico, cercando di non farsi sentire dal resto della squadra. Gibbs lo guardò con aria interrogativa. “Avanti Jethro. Ti conosco da più di dieci anni. Lo so. Anche se ammetto che riuscite a nasconderlo bene.”
Gibbs nascose un sorriso e salì in auto.
 
 
“Sei sicura di quello che dici?”chiese ancora Abby, sempre più allarmata. Rebecca Stuart era la sua ex vicina di casa, erano uscite spesso per un drink. Qualche anno prima Rebecca si era trasferita in un’altra zona della città e da allora non si erano più sentite molto.   
 “Sì. Cioè no. Non so. Ricordo solo un uomo steso a terra. Vedo delle mani che gli legano un foulard azzurro al collo e poi si spostano verso l’addome. Le mani premono ma il sangue continua ad uscire. Poi mi sono ritrovata a correre lungo una strada e ho riconosciuto il quartiere e casa tua. Ho bussato.”
Loker intanto guardava la nuova venuta con espressione incuriosita. C’era qualcosa che non lo convinceva. Non sembrava stesse mentendo, eppure nascondeva qualcosa, non era del tutto sincera.
“Perché non sei andata alla polizia? Cosa posso fare io.” Abby era sempre più agitata. Viveva circondata da scheletri, bare e quant’altro ma il pensiero reale della morte la intimoriva, soprattutto se ad esservi coinvolte erano persone che conosceva.
“Perché mi hai detto che lavoravi all’NCIS e perché il morto era un marine.”
“Gibbs!” esordì come colta da un’illuminazione. “Lui saprà cosa fare. Lui sa sempre cosa fare.”

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Capitolo 3
*** Fagioli e file top secret ***


CAPITOLO TERZO
 
Emily seguí il profumo dei fagioli e del pane tostato fino in cucina; suo padre era di nuovo alle prese con i fornelli.
"Ancora fagioli. Ti prego papà!" esclamò la ragazza.
"Ciao tesoro." rispose l'uomo girandosi in direzione del suono. Indossava un grembiule giallo con una serie di zucche disegnate e brandiva un mestolo di legno nella destra.
"Certo che è proprio buffo così conciato"pensò la figlia. "Come va con il tuo libro?" chiese avvicinandosi al portatile acceso sopra la penisola. "Capitolo uno. Tutti mentono. Impara a conoscere te stesso e forse potrai capire gli altri." lesse le poche righe ad alta voce. "Uaooo...è... filosofico!? Non hai niente di meglio come inizio?"
"Perchè? Non va bene? Aspetta..." Cal si avvicinò al pc e digitò qualcosa sulla tastiera. "Ecco!" Esordì soddisfatto.
"In principio fu Lightman!" "Beh, sì molto meglio!" rispose Emily con ironia. "Io vado papà. Ciao!"
"Fa la brava con tua madre." rispose Lightman e diede un bacio sulla nuca alla figlia.
Sugli scalini, davanti casa, la ragazza si scontrò con un uomo vestito casual che la salutò con un sorriso.
"Ciao Loker." ricambiò Emily "Papà è in casa, alle prese con il suo libro. Ha gli editori alle costole."
"è permesso?"
"Non so. Hai intenzione di riprovarci con mia figlia?" chiese Cal alludendo al bacio che qualche tempo prima la sua Emily aveva strappato ad Ely. "Cosa vuoi Loker?"
"Sottoporti un caso." rispose il ragazzo prendendo posto su una sedia in cucina ed iniziando il racconto.
 
 
"Ci siamo accorti che mancavano alcuni file solo dopo aver saputo della morte del caporale Green." rispose il generale di divisione.
"Di che cosa si tratta esattamente?" chiese McGee.
"Alcuni nostri uomini stanno lavorando ad un progetto di perfezionamento per la codifica e la decodifica degli armamenti nucleari."
"Il caporale era uno di loro?" chiese Gibbs.
"No. Il caporale non era al corrente del progetto. Non avrebbe neanche dovuto essere in servizio oggi, a giudicare dalle assegnazioni."
"Chi ne sono i responsabili allora?"
"Mi dispiace, ma non posso darle questa informazione finché il progetto non sarà concluso.”
“Un marines è morto e con molta probabilità c’è una falla nella sicurezza della base e lei non vuole darci queste informazioni?“ ripeté furente Gibbs senza staccare i propri occhi da quelli del generale.
“Allora faccia il suo lavoro agente Gibbs, trovi quei file. Io vedrò cosa e se posso darvi qualcosa. Ma ci vorrà un po’ di tempo.” Rispose l’ufficiale mentre accompagnava i due agenti verso l’uscita.
“Come facciamo a scoprire qualcosa sui file, se non ci danno accesso neanche alle informazioni minime, capo?” disse perplesso McGee.
“Già. E Ducky ha il cadavere di un uomo che non doveva essere al lavoro.”
“Forse il caporale si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Forse ha sentito o visto qualcosa che non avrebbe dovuto. Magari il ladro nonché suo carnefice.” Ipotizzò Tim.
Gibbs guardò McGee con aria compiaciuta; quel ragazzo migliorava ogni giorno. “O forse erano complici.” Concluse Gibbs.
 
 
“Novità riguardanti l’avviso di segnalazione?” chiese Gibbs ai due agenti quando entrò nel salone.
“Non ancora capo.” Rispose Tony.
“McGee. Vai ad aiutare Abby.”
“Abby non è ancora arrivata, Gibbs.” Intervenne Ziva “non risponde a casa e neanche al cellulare.” continuò prevedendo la domanda del capo.
“Riprovate!” ordinò l’ex marine alquanto preoccupato e prese lui stesso il telefono componendo il numero. Dopo qualche squillo qualcuno rispose “Ciao Gibbs.”
“Abby, dove sei?”
“Qui.”
Si girarono in direzione dell’ascensore, in tempo per vedere le porte aprirsi e Abby che rivolgeva loro un cenno con la mano. Ma rimasero tutti di stucco nel vedere la ragazza accanto alla scienziata; c'era moltissima somiglianaza con la foto segnaletica diramata poche ore prima. La carnagione abbronzata, lunghi capelli castani che riflettevano i raggi del sole; indossava una camicia bianca di seta e una gonna blu a pieghe. I grandi occhi verdi si spostarono da un agente all’altro, guardandoli con apprensione.
“Uaooo. È uno schianto!” esclamò DiNozzo, beccandosi un sonoro scapaccione sulla nuca da Gibbs e un’occhiata omicida di Ziva.
“Perché mi guardate tutti così?” chiese la scienziata; poi accorgendosi che l’attenzione di tutti era focalizzata sulla ragazza al suo fianco, si rivolse al suo capo “Gibbs. Rebecca ha qualcosa che vorrebbe dirti.”
 
 
“Ha detto di aver visto un uomo morto, sporco di sangue. Delle mani che toccavano il corpo. Poi si è ritrovata a correre e ha bussato alla porta di Abigail. Ma il racconto era confuso, era come se stesse raccontando un sogno fatto o un avvenimento del passato di cui aveva qualche vago ricordo.”
“Ma le sue mani erano coperte di sangue.”
“Appunto. Il fatto doveva essere accaduto. Ma quando ha detto che non era stata lei, mi è sembrata sincera. Ma se ha solo cercato di soccorre il tizio perché non ha aspettato l’ambulanza? Perché è scappata?”
“Semplice, aveva qualcosa da nascondere.”
“Non lo credo. No. Lightman. Ne sono sicuro c’è qualcosa di più.”
“È carina eh?” chiese Cal con fare malizioso,
 “È molto di più.”
“Dov’è ora?”
“Abigail l’ha portata all’NCIS, pare che il morto fosse un marine.”
“Al NCIS. Beh, ora che al comando c’è Jenny, forse riesco ad ottenere un colloquio con la ragazza misteriosa per domani” disse Lightman dirigendosi verso il telefono e componendo un numero.

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Capitolo 4
*** Non sempre è come sembra ***


CAPITOLO QUARTO
 
“Il maggiore Price e il colonnello Withman sono già stati informati?”
“Il maggiore sta arrivando, signore.” Rispose il sottoufficiale “quanto al colonnello, non riusciamo a metterci in contatto con lui, signore.”
“Generale Freeman.” Il maggiore salutò l’ufficiale superiore portandosi la mano destra alla fronte. “Mi ha fatto chiamare, signore.”
“Le devo parlare, maggiore Price.” Il generale non era un uomo che amava molto i giri di parole, prese da parte il maggiore e venne subito al punto “il caporale Green è stato assassinato.” Price sbiancò e si portò una mano alla fronte per asciugarsi il sudore. “Non è tutto.” Proseguì il suo superiore “qualcuno si è introdotto nella base e ha sottratto alcuni dei file riguardanti il progetto a cui stavate lavorando lei e il colonnello.”
“Tutti i file?” chiese il maggiore con il viso sempre più terreo.
“Abbiamo fatto solo un rapido controllo per constatare l’accaduto; sta a lei verificare il danno e se c’è modo di fare qualcosa.”
“Il colonnello Withman ne è già stato informato?”
“Non riusciamo a metterci in contatto con lui. Non risponde a casa e il cellulare risulta non raggiungibile. Sa dove può essere?”
“No, signore.” Price si massaggiò la nuca cercando di ricordare “l’altro giorno mi ha detto che avrebbe passato il fine settimana con la figlia. Sa, da quando ha divorziato non ha molte occasioni per vedere la bambina.”
“Non sa dove possano essere andati?”
“No. Mi dispiace.”
“Va bene, maggiore.” Rispose il generale con tono poco convinto “Controlli il danno. Qualche ora fa sono venuti alcuni agenti dell’NCIS; hanno aperto un’inchiesta sulla morte del caporale e li ho informati del furto. Il vostro lavoro è top secret, ma quell’agente Gibbs sembra un osso duro. Otterrà di sicuro il nulla osta dal Segretario della Marina per indagare su questo caso. Ma prima di dargli qualsiasi informazione voglio sapere tutto.”
“Mi metto subito al lavoro, generale.” Disse Price e si incamminò verso le scale che conducevano al laboratorio informatico.
“Dove diavolo si sarà cacciato Withmann.” Pensò il generale Freemann.
 
 
“Direttore, una chiamata per lei dal dottor Lightman.”
“Grazie Cynthia, passamelo sulla linea interna.”
Jennifer Shepard si schiarì la voce prima di rispondere. “Direttore Shepard.”
“Ciao Jenny, come stai?”
“Dottor Lightman, che piacere sentirla.”
“Dottor Lightman? Sono stato retrocesso per caso? L’ultima volta ero Cal.” Disse camminando in circolo nel salotto di casa.
Jenny abbozzò un sorriso “Cosa posso fare per te, Cal?”
“Cosa ti fa pensare che voglia qualcosa? Non potrei semplicemente voler scambiare due chiacchiere con una vecchia amica, che, guarda caso, è anche il direttore più affascinante di un’agenzia federale.” Rispose Cal accomodandosi sulla poltroncina al centro della stanza.  
A quelle parole Jennifer arrossì. Non era molto incline a lasciarsi influenzare dai complimenti, ma Cal riusciva a metterla in imbarazzo. Non sentendo risposta, il dottor Lightman proseguì. “Comunque questa volta hai ragione. Mi serve un favore, Jenny.”
“Ti ascolto Lightman.” Rispose il direttore dopo una breve pausa.
“So che lì da te è da poco arrivata una giovane donna, sulla trentina. Alta, bella presenza…”
“Sì. È sospettata di omicidio.”
“È già stata interrogata?”
“No, ma lo sarà tra poco. Se ne sta occupando l’agente Gibbs.”
“Vorrei che aspettaste.”
“Per qualche motivo?”
Lightman cercò le parole più adatte per convincerla a far desistere il suo agente dall’interrogare la sospettata. “Uno dei miei collaboratori, Loker, era presente quando la donna ha bussato alla porta della signorina Sciuto. Ha osservato attentamente il comportamento della donna e mi ha riferito ciò che ha visto. Sembrava stesse raccontando un sogno o una visione, eppure era convinta di aver assistito realmente ad un omicidio.” Fece una pausa lasciando a Jen il tempo di pensare.
“Non credi che i miei agenti siano in grado di capire come stanno le cose?”
“Non ho detto questo. Ma il caso mi incuriosisce. Da come mi ha descritto la cosa, sembra che la donna sia soggetta ad una forte amnesia, ma non ha riportato ferite o traumi e non sembrava sotto l’effetto di droghe.”
“E tu vuoi sapere cosa si cela dietro l’animo umano. Quando hai intenzione di venire?”
“Domani. Vorrei che fosse presente anche Foster.”
Se Lightman verrà all’agenzia, prendendo parte al caso, conoscerà Jethro. Forse potrebbero andare d’accordo, non prima di essersi scannati però. Pensò Jen.
“Va bene. Dirò all’agente Gibbs di aspettare il vostro arrivo.”
“Grazie Jenny. Ti devo un favore. Che ne dici di un invito a cena?”
“A domani, dottor Lightman.” Concluse la signora Shepard appoggiando il ricevitore.
 
 
“Dov’è l’agente Gibbs?” chiese il direttore scendendo nell’open space.
“Sala conferenze. È con l’amica di Abby.” Rispose Ziva, alzando gli occhi dalla scrivania “Qualche problema, direttore?”.
“No Ziva, grazie. Devo solo conferire con Gibbs.” La signora Shepard si diresse nella direzione indicata dall’agente David. Quando fu davanti alla sala si soffermò qualche istante alla porta prima di entrare. Sentì Abby rivolgersi all’amica “Coraggio Rebecca. Devi dire a Gibbs quello che hai detto a me.” posò una mano su quella della donna cercando di rassicurarla.
Rebecca sospirò appoggiandosi allo schienale della sedia “Non mi crederebbe. Mi prenderebbe per pazza, mi vedono già tutti come colpevole. L’ho notato quando sono entrata.”
“Non Gibbs. Lui non giudica mai una persona dalle apparenze. Puoi fidarti di lui. Lui è Gibbs.”
“Non le hanno insegnato che non si origlia?” chiese una voce familiare alle sue spalle.
Jen si voltò e si trovò davanti lo sguardo penetrante del suo migliore agente. “Ti stavo cercando Jethro. Ti devo parlare.”
“Se è per stamattina, vedrai mi farò perdonare.” allargò le labbra in un tenero sorriso.
Nel guardarlo, per un attimo, Jen dimenticò la ragione per cui era scesa a cercarlo. Scosse la testa per ritrovare la concentrazione. “Non è per stamattina. Ti devo parlare del caso.”
“Ci sto lavorando e sto giusto andando a parlare con una persona che potrebbe esserne coinvolta.”
“È proprio di questo che ti devo parlare. Non puoi interrogare la ragazza.”
“Non vuoi che parli con donne giovani e belle?” cercò di scherzare, ma l’espressione di Jen era tutt’altro che incline alla battuta. “Per quale motivo non posso parlare con la testimone, direttore?” riprese seriamente.
“Il dottor Lightman mi ha telefonato e ha chiesto di non interrogarla senza la sua presenza.”
“Chi?” chiese Gibbs stupito “Quello che studia le espressioni facciali? Non mi lasci interrogare una persona solo perché una specie di ciarlatano ti ha chiesto di non farlo in sua assenza?” sbottò lui.
“Agente Gibbs!” lo riprese il direttore.
“Da quanto ti avvali del Lightman Group, Jenny?”
“Abbiamo collaborato con loro una volta, mentre tu te ne stavi in vacanza in Messico a crogiolarti al sole in compagnia di Franks.”
“Questa è bella. Beh, non sarà certo una specie di psicologo a tenermi lontano dalla sospettata.” Appoggiò le mani sulle spalle di Jenny e la scostò dalla porta.
“No. Non una specie di psicologo, come lo definisce lei. Ma il suo direttore. Potrà interrogarla domani mattina, quando saranno arrivati il dottor Lightman e la dott.ssa Foster.” Vide che Jethro stava per ribattere. “È un ordine, agente Gibbs!” concluse camminando a passo deciso verso l’ascensore.




Ok, magari questo tentativo da parte di Lightman di provarci con Jenny giunge un po'inaspettato, ma chissà... magari strada facendo si scopriranno degli altarini... Grazie per aver trovato il tempo di leggere. Cercherò di aggiornare presto.

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Capitolo 5
*** Parole nella notte ***


CAPITOLO QUINTO
 
A quell’ora, l’edificio in cui aveva sede l’ NCIS era quasi completamente al buio; solo una luce, ad una finestra dei piani più alti, rivelava che non tutti erano tornati a casa. Alle nove di domenica sera, l’agente Gibbs stava ancora lavorando seduto alla sua scrivania.
Dopo aver riposto alcuni fascicoli sollevò lo sguardo in direzione del ballatoio; neanche il direttore era ancora rientrato a casa, se ne stava chiusa nel suo ufficio da più di tre ore ormai. Gibbs si alzò e preso l’ascensore, scese di qualche piano; una luce proveniente dalla sala autopsie lo informò che nemmeno Ducky era andato via.
“Ancora qui dottore?”
“L’assenza del signor Palmer mi rallenta il lavoro e io volevo finire l’autopsia prima di tornare a casa.” Rispose il medico sollevando la visiera di plastica del casco, che serviva a proteggerlo dai vari liquidi derivanti dall’autopsia.
“Novità?”
“A dire il vero sì. Infatti stavo per chiamarti. Guarda tu stesso Jethro.” Disse, invitando l’agente ad avvicinarsi al corpo disteso sul lettino e indicando un punto poco al di sopra dell’inguine. La pelle attorno al foro del proiettile aveva una colorazione più scura.
“Sembrano bruciature.”
“Esatto.”
“Gli hanno sparato da distanza ravvicinata.”
“Molto ravvicinata e dal basso verso l’alto.” Il patologo si avvicinò alla lavagna luminosa mostrando le lastre “il proiettile ha attraversato l’intestino e si è fermato tra la quarta e la quinta vertebra lombare” Ducky porse a Gibbs un vasetto con il proiettile “lo porterò ad Abigail appena avrò finito qui.”
“Non c’è fretta, Ducky. Abby è tornata a casa con Rebecca. È meglio che stia in sua compagnia.”
“Ah sì, ho sentito. Il direttore non ha lasciato che la interrogassi.” Nascose un piccolo sorriso “Pensavi che si addolcisse ora che…” interruppe la frase quando incrociò lo sguardo del suo amico.
“C’è altro che devi dirmi dottore?”
“Il colpo all’addome è stato quello mortale ed è successivo a quello al collo, che tra l’altro sembra essere stato sparato da distanza maggiore.”
“Mi stai dicendo che lo ha ferito e per assicurarsi che morisse gli ha sparato una seconda volta?”
“Più o meno. Il secondo colpo probabilmente doveva essere diretto al torace, guarda qui.” Il patologo sollevò le mani del caporale “ha le nocche arrossate e sotto le dita della meno destra ci sono residui di pelle, ha cercato di difendersi. Il colpo deve essere partito mentre cercava di togliere la pistola al proprio aggressore.”
“Bel lavoro Ducky.”
“Jethro! Credo che sia il caso che tu vada a parlarle!” gridò il dottor Mallard mentre le porte a vetri si richiudevano dietro alle spalle dell’agente.
“Ducky non ha tutti i torti” pensò Gibbs. Avere il privilegio di andare a letto con il direttore non cambiava certo le cose, doveva saperlo. Avevano lavorato assieme per molti anni come agenti e malgrado il coinvolgimento personale, erano rimasti pienamente professionali in ambito lavorativo. Ma lui odiava essere scavalcato nel proprio lavoro e questo Jen lo sapeva benissimo.
Decise che le avrebbe parlato, ma non sarebbe salito nel suo ufficio a chiedere perdono, avrebbe aspettato che fosse lei a scendere. Si sedette alla scrivania e attese. Incollato allo schermo di uno dei computer troneggiava un post-it giallo limone, lo staccò e lo lesse “Non disturbarti ad aspettarmi, sono già andata a CASA MIA. Buona notte, Jethro!”
Beh, almeno aveva scritto Jethro e non agente Gibbs, era un segno positivo. Accartocciò il foglio e lo gettò nel cestino.
 
 
“Come mai questo invito di Tony?” chiese dubbioso McGee alla sua collega, mentre aspettavano l’arrivo di DiNozzo davanti ad un pub.
“È in ritardo.” Sbuffò Ziva guardando l’orologio “Non vorrà stare da solo a pulirsi le ferite.”
“Leccarsi…si dice leccarsi le ferite.”
“Fa lo stesso. Oltre al pranzo è saltata anche la cena con la sua nuova fiamma e non sembra che la donna sia una persona paziente. Deve averlo scaricato.”
“Niente appuntamento galante?” infierì McGee vedendo arrivare Tony.
“Rigiri il coltello nella piaga Pivello?” si avvicinò ai due e insieme entrarono nel locale.
Il pub non era molto grande e la luce soffusa creava un senso di intimità. Si guardarono attorno alla ricerca di un posto per sedersi “Sembra tutto pieno. Anche a stare in piedi non se ne parla” Ziva fece un cenno verso il bancone che era invaso dalla clientela
“Meglio cercare posto fuori.”
“Ma si muore dal caldo.” Sbuffò Tony.
Uscirono e individuarono un tavolino di legno vicino all’ingresso.
“Siete sicuri che sia stata una buona idea?” chiese Tim, dopo che ebbero ordinato.
“Che cosa non dovrebbe essere una buona idea?”
“Stare qui a bere una birra, mentre il capo è in ufficio a lavorare.” Timothy  allungò la mano verso il piatto pieno di stuzzichini che il cameriere aveva portato assieme alle bevande.
“E su che cosa dovremmo lavorare, Pivello. Abbiamo passato l’intera giornata a scavare nella vita del caporale Green, risultato: niente. Non possiamo avere accesso alle informazioni sul progetto finchè il Segretario della Marina non ci autorizza e l’unica che può dirci qualcosa non può essere interrogata fino a quando non arriva quella specie di strizzacervelli con il suo gruppetto di comparse.”
“L’anno scorso non la vedevi così negativa. Sai quella volta che abbiamo collaborato con loro per quel caso del marine che era stato investito e che era rimasta praticamente paralizzato e impossibilitato a parlare1.” Disse McGee prendendo un sorso di birra.
“Ricordo bene il caso McMemoriainfallibile.”
“Già,  ma l’anno scorso si era preso una cotta per Ria Torres. Per quanto tempo siete usciti prima che si accorgesse che tipo sei? Due settimane?” chiese Ziva con sorriso beffardo.
“Un mese!” rispose acido.
“Povero, povero Tony.” lo schernì Ziva e prese l’ultimo tramezzino dal vassoio, sottraendolo a DiNozzo.
“Piuttosto perché non parliamo di te, agente David. Sei più uscita con il caporale Damon Werth?”
“Ti piacerebbe saperlo?. Mi dispiace Tony, resterai con questo dubbio.”
“E tu, Re degli Elfi, che fine ha fatto la coniglietta di Play Boy con cui dovevi uscire ad Halloween?”
“Sono ancora convinto che dovevamo stare in ufficio con Gibbs.” McGee cercò di sviare la domanda su un altro argomento.
“Non preoccuparti per Gibbs. Non credo passerà la notte da solo?”
“Cosa vuoi dire Tony?”
“Avanti ragazzi, non lo avete notato?”
“Notato cosa?” chiese ingenuamente Ziva che già sapeva la risposta. Probabilmente era l’unica, oltre a Ducky a conoscere il passato di Gibbs e Jen. Quando lavoravano assieme, al direttore erano sfuggite alcune allusioni al suo rapporto con un collega; non potevano certo immaginare che, a qualche anno di distanza, si sarebbero ritrovati a lavorare tutti assieme.
“Gibbs e il direttore.”
“Andiamo Tony. Non penserai mica… però in effetti ora che mi ci fai pensare. Ultimamente quando è con lei le cede sempre il passo e più di una volta li ho visti arrivare contemporaneamente in ufficio. Ma no dai, saranno solo delle coincidenze.” Rispose Tim, massaggiandosi la nuca.
“Da quando crediamo alle coincidenze, Pivello?”
“Ehi, guardate un po’ chi sta arrivando.” Disse Ziva alzando la il braccio e facendo un cenno con la testa ai nuovi arrivati.
“Loker. Torres. Come va ragazzi? Vi unite a noi?” chiese McGee scivolando sulla panca per dagli la possibilità di accomodarsi.
“Grazie agente McGee.” Rispose Ria, sorridendo a Tim e lanciando uno sguardo di rimprovero a Tony.
“Ho sentito che il nostro capo non vuole che il vostro interroghi la ragazza.” Disse Loker.
“C’è qualcosa che vuoi condividere con noi Eli?” chiese Ziva appoggiandosi allo schienale e incrociando le braccia.
“Non credo abbia ucciso il vostro marine. Tuttavia penso che abbia qualche problema o abbia subito qualche trauma, ma non di recente.”
“Lo credo, dice di avere avuto una specie di visione. E da quello che ci ha raccontato Abby sembra non sia la prima volta.” Intervenne nel discorso Tony.
“Una veggente? Ora capisco perché vanno così d’accordo, Abby ci va a nozze con le stranezze di ogni tipo.” Osservò McGee. “Tieni. Credo sia il tuo.” Aggiunse passando a Ria il drink che il cameriere gli aveva messo davanti.
“Credo che domani lo scopriremo. Sicuro che non abbia detto altro?”
“No. Io tra l’altro mi sono limitato a guardarla.” Concluse Eli sorseggiando la birra.
Il cellulare di Ziva squillò, la donna guardò il display "è Gibbs." disse ad alta voce anticipando la domanda dei colleghi.
"Ciao Gibbs." rispose.
"Abbiamo un altro cadavere. Chiama Tony e McGee e raggiungetemi al molo."
“Problemi?” chiese Ria vedendo l’espressione di Ziva.
“Un altro morto. Gibbs vuole che lo raggiungiamo.”
I tre agenti salutarono e si diressero verso le auto.
 
  
 
“Ciao Foster, ti ho svegliata?” chiese il dottor Lightman.
“Sono le undici di sera, Cal.” Gillian Foster si presentò all’ingresso con gli occhi assonnati.
“Scusami, tesoro. Posso entrare?”
Gillian si appoggiò alla porta e lo lasciò passare. Le stanze erano avvolte nella penombra ma un po’ovunque si poteva distinguere il profilo di alcuni scatoloni impilati.
“Alec non ha ancora preso tutte le sue cose.” Si giustificò la donna alludendo al disordine.
“Come stai?” le chiese Cal.
“Come una donna che passato le ultime settimane a compilare pratiche di divorzio e che ora, dopo anni, si ritrova con casa propria quasi vuota. Non credo che riuscirò ad abituarmi a vivere di nuovo da sola.” Gillian si passò il dorso della mano sugli occhi per asciugare le lacrime.
“Mi dispiace. Ce la farai tesoro.” Lightman le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé lasciando che sfogasse la propria tristezza. La tenne stretta finchè non sentì che la crisi era passata.
“Ho un caso da proporti.” Cal iniziò a spiegare la situazione.
“Lavorare con l’NCIS?”
“Beh, l’ultima volta non è andata così male?”
“Per chi? Per te forse. Come sta Jen?” chiese la donna.
“Bene.” Tagliò corto Cal “Il lavoro ti aiuterà a non pensare troppo al divorzio.” Diede un bacio sulla guancia a Foster e si alzò dal divano.
“Grazie Cal.”
“Quando vuoi tesoro. Buona notte.”
“Buone notte.”





[1] piccolo riferimento ad una puntata di Lie to me (2x15), nell'episodio si trattava di un poliziotto che rimane paralizzato, qui invece ho cambiato con un marine investito, al fine di spiegare il motivo della passata collaborazione con l'NCIS.

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Capitolo 6
*** Pescatori di marines ***


CAPITOLO SESTO
 
Con lo zaino in spalla i tre agenti scesero dal furgone e si incamminarono lungo il molo. Di fronte ad uno dei magazzini allineati sulla sinistra, distinsero la figura di Gibbs che, taccuino in mano, stava prendendo le deposizioni di due uomini in piedi davanti a lui.
Quando vide arrivare la sua squadra, fece cenno a McGee di avvicinarsi “Continua tu. Io vado a sentire cosa ha da dirmi Ducky.”disse porgendogli il block notes e la penna. Timothy scorse rapidamente i pochi appunti che il capo aveva scritto, prima di procedere.
“DiNozzo!”
“Schizzi e foto. Vado capo.”
“Ziva!”
“Io mi occupo della scena.” Rispose prontamente l’agente.
“Eri ad un appuntamento galante?” chiese Gibbs passandole accanto. Quando avevano ricevuto la chiamata si erano diretti subito al NCIS a prendere l’attrezzatura e il furgone, non erano certo passati a casa a cambiarsi; perciò, sotto alla giacca scura con la sigla identificativa, Ziva indossava ancora un corto abito color crema, di stoffa leggera.
“Scusa capo. Non è l’abito più consono ad una scena del crimine, ma…”
“Ti sta bene.” Affermò e si avvicinò a Ducky.
L’interno del magazzino non era molto grande circa 10m x 4m, l’unica fonte luminosa era una lampadina al centro della stanza. Anche il sistema di ventilazione non era dei migliori, l’unica finestra presente era chiusa e coperta da uno spesso strato di polvere, ad indicare non veniva utilizzata molto. C’erano reti da pesca, arpioni, nasse di ogni dimensione e numerosi attrezzi per la pesca erano allineati sugli scaffali. Tutto era impregnato di un tipico odore salmastro unito ad un più forte tanfo di un corpo in putrefazione. Il volto di Gibbs si contrasse in un’espressione di disgusto quando l’odore gli penetrò nelle narici. Il dottor Mallard era accovacciato accanto al cadavere, a pochi passi dall’ingresso. Il corpo era disteso al di sopra di una rete da pesca a maglie grandi e spesse, una di quelle che si usa per la cattura di pesci non inferiore ai 15 cm. Indossava ancora la divisa della marina, Gibbs ne distinse i gradi.
“Cosa puoi dirmi del colonnello, Ducky?”
“Un colpo d’arma da fuoco al petto, anche questo da distanza ravvicinata. C’è il foro d’uscita, ma dall’assenza di tracce di sangue, a parte quelle sul corpo, posso ipotizzare che non sia stato ucciso qui.”
“Da quanto è morto. Dato l’odore e lo stato in cui verte, di sicuro da un po’?”
“Perché me lo chiedi se sai già la riposta, Jethro?”
“Semplice abitudine.”
“Comunque sì, sicuramente da più di un giorno. Anche se c’è da considerare che le temperature di questi giorni e il fatto che si trovasse in una sorta di sauna, hanno accelerato il processo di decomposizione. Ma saprò darti informazioni più precise solo dopo, l’autopsia.”
“Cos’ha sui polpastrelli?” chiese l’agente NCIS.
“Ancora non lo so. Ma appena l’avrò su uno dei miei tavoli, ne darò un campione ad Abby.”
“Vuoi che ti chiami un assistente nel frattempo?”
“Non è necessario Jethro. Al signor Palmer hanno dato una settimana di malattia, perciò dovrebbe tornare al lavoro…beh, nella mattinata di oggi, suppongo.” Disse il dottore guardando l’orologio che teneva al polso, erano le due di notte.
Tony si avvicinò a Gibbs, portandosi una mano alla bocca “Dio mio che puzza!”
“Qualcosa da dirmi agente DiNozzo?”
“Ho scattato le foto dell’esterno, ora inizio qui. Ma come fai a stare qui dentro capo!?”
“Tieni” Gibbs gli lanciò una mascherina presa dallo zaino “continua il tuo lavoro.”
“Grazie capo.”
“Ricapitoliamo” disse McGee rivolto ai due pescatori “avete detto di essere arrivati verso le 23.00”
“Sì, circa. Volevamo essere in mare per mezzanotte o poco più. La marea cambia più o meno a quell’ora stanotte.” Rispose uno dei due. Il berretto calato sulla fronte bruciata dal sole e la sacca con alcune canne appoggiata alla spalla sinistra.
“Poi cosa è successo?”
“Sono andato verso l’imbarcazione a salutare i miei colleghi e controllare che tutto fosse in ordine. Mi hanno detto che mancavano un po’di nasse. Ho risposto che ce n’erano a sufficienza nel deposito.”
“È l’unico che può averne accesso?”
“No. Tutti abbiamo una chiave.”
“E poi?”
“Sono andato a prendere le nasse, ho chiesto a Trevor di accompagnarmi.” Fece cenno verso il suo collega. Aveva il volto segnato dal mare, dal sole e dal salso, una coppia di grandi baffi grigi sotto al naso.
“Abbiamo trovato la saracinesca forzata e leggermente sollevata. Ci ha colpiti subito uno strano odore proveniente dall’interno. Abbiamo aperto e ci siamo trovati davanti il corpo del colonnello. Abbiamo chiamato la polizia e lei ha chiamato voi.” Continuò l’uomo dai folti baffi. “ora se non le dispiace vorremmo tornare alla barca. Abbiamo già perso troppo tempo e il pesce non aspetta certo noi.”
“Cosa ti hanno detto?” chiese Gibbs avvicinandosi a McGee.
“Non molto più, di quanto abbiano detto a lei.” Tim sfogliò alcune pagine del block notes che aveva in mano e lesse al capo le deposizioni dei due pescatori. “Sappiamo già chi è?” chiese McGee accorgendosi solo dopo che quella era una domanda che solitamente faceva Gibbs. Ma visto che il capo era l’unico che finora si fosse avvicinato al corpo...
“Non ha documenti con sé.”
“Bene! Cioè non bene che non abbia documenti con sé, bene perché se è morto un marine possiamo identificarlo con il database… con questo non voglio dire che sia un bene che sia morto un marine…” si stava di nuovo incastrando con le proprie mani. Gibbs lo stava guardando con perplessità “mi metto al lavoro, capo” concluse e raggiunse i suoi colleghi che già erano arrivati al furgone.
Gibbs sbadigliò e guardò l’orologio. Non aveva ancora avvisato il direttore che c’era un altro marine morto. Erano quasi le tre. Beh ha avuto tutto il tempo per riposarsi pensò e con il cellulare in mano si diresse verso l’auto.
 
 
Il telefono squillò un paio di volte prima che qualcuno alzasse la cornetta. “Pronto?” rispose una voce assonnata.
“Ciao, Jen. Stavi dormendo?”
La donna ruotò la testa in direzione del comodino e guardò la sveglia “Sono le tre, Jethro. Cosa pensavi che stessi facendo?"
"Non saprei, ieri a quet'ora non dormivi di certo." azzardò.
"Mi hai chiamata per scusarti?”
“Non ne vedo il motivo. Non sono io che ti ho scavalcata.”
“Si da il caso che io sia il tuo capo, Gibbs. Ne ho la facoltà.”
“Certo, quando ti fa comodo. Comunque non ti ho chiamata per questo.”
“Se non è per questo e non è per scusarti, perché mi hai chiamata?”
“Hanno trovato un altro marine morto. Pensavo volesse esserne informata immediatamente, direttore. Così almeno non potrà dire che non la rendo partecipe delle indagini.”
“Bene. Siete già sul posto?”
“Stiamo tornando al NCIS, abbiamo già fatto tutti i rilievi, direttore.”
“Ma se l’avete appena trovato?”
“Mai detto questo. Ho solo detto che c’è un altro morto. Non ho mai specificato l’ora.”
“Perciò hai fatto tutto prima di chiamarmi. Bel modo di fare rapporto immediato agente Gibbs!”
La voce di Gibbs si addolcì all’improvviso “Volevo che almeno tu riposassi un po’, Jenny.”
Come ci riesce pensò Jen. Come era possibile che le bastasse una sua parola per farle cambiare stato d’animo. Si stava di nuovo preoccupando per lei. Le aveva già perdonato la sfuriata fatta al mattino, ne era certa. Ma il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di ammetterlo e scusarsi esplicitamente, però glielo aveva fatto capire con quelle poche parole, con quel nome pronunciato alla fine. Si sentiva come un’adolescente alla prima cotta, per la seconda volta. E in entrambi i casi il responsabile era lui, Jethro.
“Tempo di vestirmi e vi raggiungo. Il dottor Lightman e la dottoressa Foster saranno lì per le otto.”





D'accordo si tratta di un capitolo un po' statico, privo di grandi colpi di scena, però era una parentesi di (diciamo così) relax prima di affrontare la sfida Gibbs-Lightman. La parte finale tra Jen e Jethro mi è venuta un po' di getto, però secondo me le battute taglienti e le allusioni tra loro ci stanno, visto che beh, erano stati amanti... Sono pronta a tutte le critiche e a tutti i lanci di pomodori che volete...

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Capitolo 7
*** Conoscenza ***


Rieccomi, con un po'di ritardo. Gibbs e Cal si incontrano per la prima volta... speriamo bene. Buona lettura e recensite... spero vi piaccia.


CAPITOLO SETTIMO
 
L’agente speciale Gibbs fece il suo ingresso nell’open space e porse un bicchiere di caffè ai due uomini della sua squadra.
“Grazie capo!” risposero all’unisono guardandolo mentre di accomodava alla scrivania.
“Spero ve lo siate meritato.” Chiese attendendo una risposta.
“Abby è arrivata un’ora fa assieme a Rebecca; Ziva è con lei in sala riunioni.” rispose DiNozzo.
“Novità sul colonnello?”
“Abby ha il risultato delle impronte. Si tratta del colonnello Joseph Withman, 42 anni, divorziato da cinque. Ha una figlia di sette anni, Karoline. Fino a quattordici mesi fa era imbarcato sulla Eisenhower, poi è stato trasferito a Quantico.” Iniziò McGee.
“Era un esperto di informatica e a Quantico stava lavorando ad un progetto per la Sicurezza Nazionale. Indovina un po’ chi era il suo ufficiale superiore… il generale Nicholas Freeman.” Continuò l’agente DiNozzo.
“DiNozzo. Prendi con te Ziva e andate a  casa del colonnello Withman.”
“Vado capo.”
“McGee! Io e te torneremo a fare due chiacchiere con il generale Freeman.” Disse Gibbs mentre saliva le scale diretto verso l’ufficio del direttore.
“Capo. Ma non abbiamo l’autorizzazione per accedere alle informazioni sul progetto.” gli ricordò l’agente, alzando il tono di voce per farsi sentire dal suo superiore.
Gibbs lo ignorò, passò davanti alla scrivania di Cynthia “il direttore c’è?” chiese e, senza aspettare la risposta, entrò nell’ufficio della Shepard.
“Mi serve quell’autorizzazione del Segretario della Marina, Jenny.”
Attorno al tavolo al centro della stanza, il direttore dell’NCIS stava parlando animatamente con un uomo e una donna. L’uomo era di statura piuttosto bassa, i corti capelli gli incorniciavano il volto al centro del quale spiccava un naso pronunciato. Sopra una maglietta scura indossava una giacca dello stesso colore, un paio di Jeans e delle scarpe marroni scamosciate. Doveva avere qualche anno in meno di lui, ma nella chioma rossiccia i fili bianchi erano molto radi.
La donna, seduta accanto a lui, era più alta. I capelli biondi, mossi, le arrivavano alle spalle. Indossava un lungo abito scarlatto che le arrivava di poco sopra alle ginocchia; la scollatura a V era accentuata dalla presenza di un ciondolo che portava legato al collo. Era molto elegante.
“Agente Gibbs, le presento il dottor Lightman e la dottoressa Foster.” Si limitò a dire Jen alzandosi e indicandoli al suo agente.
Gibbs guardò per un attimo il suo direttore con fare interrogativo, poi allungò la mano verso l’uomo dai capelli corti e rossicci che gli stava avvicinando; aveva una buffa andatura dinoccolata. “Agente speciale Leroy Jethro Gibbs” si presentò.
“Dottor Cal Lightman.” Gli strinse la mano e scrutò per un attimo negli occhi di ghiaccio. “È molto determinato e non gradisce la nostra presenza” pensò. “Questa è la mia socia e collega...”
“Dottoressa Gillian Foster” lo anticipò lei, porgendo la mano a Gibbs.
“È lei l’agente che interrogherà la testimone?” chiese Cal.
Gibbs lo fissò senza battere ciglio.
“Jenny, mi ha parlato spesso di lei.” Continuò il dottor Lightman senza distogliere lo sguardo dall’uomo che aveva di fronte. “suppongo che non le faccia molto piacere questa intrusione nelle sue indagini. Jenny mi ha detto che lei è una persona diffidente.”
Lo stava provocando, era evidente; Gibbs incrociò lo sguardo eloquente di Jen e decise che per il momento non era il caso di controbattere.
“Ho una testimone da interrogare e mi serve quell’autorizzazione, direttore. Perciò se non le dispiace tornerei al mio lavoro; se i “suoi amici” lo vogliono, potranno assistere.” Disse e si avviò verso l’uscita.
 
 
“Bel quartiere.” Disse Tony svoltando in una stradina lungo la quale si affacciavano una serie di villette colorate attorniate da alberi e giardini. “quella dovrebbe essere la casa del colonnello.” affermò, indicando una casa a due piani intonacata di bianco e con un vialetto di ghiaia che conduceva al porticato d’ingresso.
Suonarono il campanello un paio di volte, ma non ottennero alcuna risposta; il colonnello doveva vivere solo. Meglio così, pensarono i due agenti. Dopo aver indugiato qualche minuto sulla soglia riuscirono ad aprire la porta ed entrarono. Sul piccolo atrio si affacciavano due stanze e i due agenti entrarono ognuno in uno di essi. A sinistra la cucina con i mobili di legno chiaro e con una penisola sulla quale era appoggiata una fruttiera con uva e mele. Il lavello sotto la finestra era colmo di piatti sporchi. Sul frigorifero erano attaccate una foto del colonnello assieme ad una bambina con lunghe trecce bionde e una lista della spesa.
“Libero.” Gridò Ziva dalla cucina.
Tony entrò nell’ambiente di destra, un ampio salotto con un divano di pelle bianco e un tavolino di cristallo posto al centro. “Libero.” rispose DiNozzo continuando a guardarsi attorno. Due delle pareti erano interamente occupate da una libreria; c’ erano libri di ogni genere: manuali d’informatica, libri d’autore, romanzi gialli, riviste di nautica etc. Un televisore al plasma era appoggiato al di sopra di un mobile in ciliegio a quattro ante. “Uoooo” esclamò quando guardò all’interno del mobile “un vero cultore di cinema.”
Salirono al piano superiore e perquisirono le stanze rimanenti. Entrarono nella camera da letto del colonnello; a differenza del resto della casa, la camera era abbastanza essenziale: un letto matrimoniale con lenzuola verde scuro troneggiava al centro della stanza, ai lati due comodini di legno chiaro.
“Bel letto. Che ne dici di provarlo agente David?” Ziva gli diede una gomitata nelle costole “sembra che qui la moquette sia stata lavata da poco” disse indicando un punto ai piedi del letto. “Meglio controllare.” DiNozzo spruzzò l’apposito liquido rivelatore e oscurò la stanza; al passaggio della luce bluastra il pavimento rivelò la presenza di alcune tracce di sangue. “Deve essere stato ucciso qui.”
I due agenti iniziarono a fotografare la stanza e a raccogliere prove; davanti al letto, accanto ad un armadio a tre ante c’era un mobile a cassettoni dello stesso colore chiaro dei comodini. Ziva aprì uno dei cassetti e prese uno degli album di fotografie che vi trovò all’interno; mentre lo sfogliava, dall’album cadde una foto.
“Mmmh non credo che queste appartengano al colonnello Withman” disse Tony uscendo dal bagno con in mano della biancheria intima tipicamente femminile e mostrandola a Ziva, “nel bagno inoltre ci sono un rossetto e… che c’è Ziva?” chiese vedendo l’espressione della sua collega.
“Guarda qui Tony.” l’agente David prese da terra la foto e la mostrò a DiNozzo.
Il colonnello Withman, in abito da sera cingeva con un braccio la vita di una donna, di circa dieci anni più giovane. Un lungo abito grigio metteva in evidenza il corpo abbronzato e longilineo della giovane, che teneva una mano appoggiata alla spalla del uomo.
“Ma questa è Rebecca.” Esclamò Tony, guardando negli occhi scuri della sua collega.
 
 
La sala interrogatori era stata preparata secondo le richieste di Lightman; oltre alla telecamera posta in alto, nell’angolo della stanza, una seconda telecamera era direttamente puntata sulla sospettata e una terza sull’agente Gibbs. Tutte e  due erano collegate ad un computer posizionato nella stanza accanto. L’agente Gibbs aveva accettato che il team del dottor Lightman assistesse all’interrogatorio ma ne aveva vietato l’accesso diretto alla sala; dovevano limitarsi ad osservare dal vetro alle sue spalle.
“Lo riconosce?” Gibbs posò sul tavolo la foto del caporale Green.
La donna guardò per un attimo l'immagine e si inumidì le labbra con la punta della lingua prima di rispondere“Sì, certo. È l’uomo che è stato ucciso vicino a Quantico.”
“Sappiamo che era sul luogo del delitto, abbiamo alcuni testimoni che l’anno vista accanto al cadavere.” Disse Jethro con voce decisa.
“Certo che il tuo agente non ama i preliminari; va subito al punto.” Disse Cal rivolgendosi a Jenny. Il direttore aveva voluto essere presente, conosceva troppo bene Gibbs e aveva imparato a conoscere il dottor Lightman, non si fidava di lasciare due lupi da soli nella stessa tana. “Dipende.” rispose sorridendo a Cal. Aveva notato lo sguardo che Gibbs gli aveva lanciato quando l’aveva chiamata Jenny e sapeva che Cal nutriva un certo interesse nei suoi riguardi.
“Sembra molto nervosa.” Intervenne Gillian, “continua a tormentarsi le mani.”
“Non l’ho ucciso io. Io ho cercato di salvarlo. Ho preso il mio foular, ho cercato di fermare il sangue. Lui… lui ha sparato.” La voce le tremava.
“Lui chi?”
Rebecca non rispose, rimase immobile per qualche secondo, gli occhi sbarrati fissi nel vuoto.
“Chi ha sparato.” La incalzò nuovamente l’agente NCIS. “Lo sa che possiamo incriminarla per omicidio.”
Ad un tratto Rebecca sollevò i piedi sulla sedia e portò le ginocchia al petto cingendole con entrambe le braccia. Iniziò a dondolarsi avanti e indietro, le lacrime le rigavano il viso mentre con voce più stridula e carica di paura esclamò “. Voglio tornare a casa. La prego, non mi faccia del male.”
Sia Gibbs, sia i tre nella stanza accanto guardarono la scena increduli. Sembrava un'altra persona; sembrava una bambina ed era spaventata a morte.
 “Nessuno le vuole fare del male.” Rispose Gibbs con voce calma e rassicurante. Si era accorto che qualcosa era cambiato, non era più la donna che era arrivata con Abby poche ore prima; era una bambina intimorita. Si avvicinò a Rebecca e le si inginocchiò accanto. Appoggiò una mano sui morbidi capelli castani della donna e le accarezzò la testa “va tutto bene, Rebecca. Qui sei al sicuro. Vieni. Ti voglio far conoscere un amico, si chiama Ducky.”
Rebecca lo guardò dritto negli occhi, in un mare cristallino nel quale ad un tratto si sentì protetta; gli gettò le braccia al collo e lasciò che lui le passasse una mano sotto le ginocchia sollevandola da terra. Era leggerissima e per un attimo a Gibbs sembrò di riavere tra le braccia sua figlia Kelly. Uscirono dalla sala interrogatori ed entrarono nell’ascensore, diretti verso la sala autopsie di Ducky.
“Cara Foster, sembra che abbiamo un altro caso di personalità multipla.”
“Tu dici Cal? Io non credo che sia un’altra persona. Credo piuttosto che la sua mente le stia facendo rivivere un trauma infantile e che davanti a noi non ci sia la trentaquattrenne Rebecca Stuart, ma la bambina Rebecca.”

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Capitolo 8
*** Collaborazione? ***


CAPITOLO OTTAVO
 
“Dove la sta portando?” chiese la dottoressa Foster osservando l’agente Gibbs uscire dalla stanza con Rebecca tra le braccia.
“Dal nostro medico patologo, vorrà farla visitare… ha da poco conseguito una laurea in psicologia forense” si affrettò ad aggiungere Jen vedendo un’espressione interrogativa comparire sul volto di Gillian.
“Credi di poterci accompagnare da lui o sei troppo impegnata ad immaginare l’agente Gibbs come padre dei tuoi figli?” chiese Cal. Per tutto il tempo non aveva potuto fare a meno di notare il modo in cui Jen aveva guardato Jethro comportarsi con Rebecca.
Jen ruotò di scatto la testa verso Cal, deglutì prima di rispondere con tutta l’autorità di cui era capace “non si azzardi ad usare di nuovo questo tono con me, dottor Lightman. Se è qui, è per un favore che la nostra agenzia fa a lei e alla sua squadra; non ci penserei due volte ad estrometterla dal partecipare al caso.” Fortunatamente la stanza era avvolta nella semioscurità e nessuno aveva notato il rossore che si era impossessato del suo viso quando aveva udito le parole di Cal.
 
“Jethro!” esclamò il dottor Mallard sentendo le porte a vetri aprirsi “stavo giusto per chiamarti, ho… ma cosa è successo?” chiese allarmato vedendo la donna in braccio all’agente.
“Vorrei che tu la visitassi Ducky. Che le parlassi e cercassi di capire che cos’ha.”
“Sono un patologo, Jethro; non un medico e tanto meno uno psicologo.”
“Ti sei laureato in psicologia forense, giusto. Vedi cosa puoi fare. Ha subito un trauma.”
“Fisico?”
“Credo emotivo.”
“Crede? Agente Gibbs.” La voce del dottor Lightman echeggiò alle sue spalle. “Quella donna è chiaramente sotto shock.”
“Non mi sembra di aver chiesto la sua opinione. Torni a studiare i suoi di casi e ci lasci lavorare al nostro.” Poi si avvicinò alla “bambina” che nel frattempo si era seduta su una sedia  “Come stai, Rebecca?” chiese prendendole delicatamente una mano.
Rebecca tirò su col naso “Non litigate. Papà e mamma gridavano sempre, non voglio.” Rispose guardando Gibbs con i profondi occhi verdi colmi di lacrime.
“Va bene, piccola.” Nonostante avesse davanti una donna adulta, in quel momento riusciva a vederla solo come una bambina spaventata “resterai qui con Ducky per un po’, ti farà qualche domanda e poi andremo a prendere un gelato, cosa ne dici?”
Fece per alzarsi ma Rebecca lo tenne per la giacca “non andare. Ho paura.”
“L’agente Gibbs ora ha del lavoro da fare” disse Gillian avvicinandosi e prendendole una mano “se vuoi posso restare io con te.” Rebecca la guardò per un istante poi posò nuovamente lo sguardo su Gibbs in cerca di una conferma. L’agente si limitò a sorriderle e annuì con la testa.
“Va bene.” Rispose tra i singhiozzi “ma torna presto.”
Gibbs fece un cenno con la testa al dottor Lightman e i due uscirono dalla sala autopsie entrando nell’ascensore.
“È in collera agente Gibbs?” chiese Lightman quando le porte si furono chiuse. “Sì, direi che è parecchio arrabbiato.” Aggiunse puntando l’indice verso il basso e indicando le mani strette a pugno.
“Sta interferendo con le indagini. Le mie.” Jethro fece fermare l’ascensore.
Il telefono di Cal squillò, rispose senza preoccuparsi che era nel bel mezzo di una conversazione; rimase in attesa qualche istante, dando il tempo all’interlocutore all’altro capo di finire “se vuoi renderti davvero utile Loker, viene al NCIS a prendere i video dell’interrogatorio.” Disse prima di riagganciare. “Ho saputo del caso; un mio collaboratore era in compagnia della signorina Sciuto quando è arrivata Rebecca. Mi sono incuriosito, ho chiesto al suo direttore ed eccomi qui. Non sono venuto a minare la sua autorità o … per provarci con Jenny.” continuò Cal rivolgendosi nuovamente a Gibbs.
“Crede di essere così bravo a leggere le persone, dottor Lightman. Sappia che anche io me la cavo discretamente.” Rispose Jethro cercando di mantenere un tono controllato.
“Oh lo so. Jenny ha parlato molto bene di lei l’ultima volta che ci siamo visti.”
Gibbs continuò a guardarlo fisso negli occhi; superava Cal di una spanna ed era più robusto di lui, ma il dottor Lightman non sembrava provare alcuna soggezione. “È sicuro di sé. Scorbutico e fa fatica a fidarsi del prossimo” disse “ma Jenny si fida. E questo caso sembra complicato. Forse…” pensò Gibbs “D’accordo.” Concluse alla fine “ma per ora lei si limiterà ad osservare. Il caso lo conduco io.” Azionò la leva e l’ascensore ripartì.
“Va bene… lei ha figli?” continuò Cal portando il discorso su un piano completamente diverso.
“Come?”
“Sembra saperci fare con i “bambini”. Anche se in realtà Rebecca non andrebbe considerata tale.”
Uno strano silenzio si impadronì dell'ascensore, fortunatamente le porte si aprirono ponendo fine alla conversazione. “Il laboratorio della signorina Sciuto.” Disse Cal riconoscendo il piano a cui si erano fermati “Ci sono entrato una volta durante l’ultima indagine” spiegò anticipando la domanda di Gibbs.
“Non ha la mia autorizzazione ad entrare qui. Le conviene salire di qualche piano e raggiungere l’uscita assieme alla sua collega.”
“CAL!!!” la voce di Abby sovrastò il suono della musica; prima ancora di potersene rendere conto, il dottor Lightman si ritrovò le braccia della scienziata al collo “Ciao tesoro.” la salutò cercando di divincolarsi delicatamente dalla stretta.
 “Ti sei fatto quel nuovo tatuaggio che avevamo visto assieme?” gli chiese allentando la presa. “Lo sai Gibbs, Cal ha un tatuaggio fantastico sull’avambraccio.”
“Abby!?”
“ Che ne dici di fartene uno anche tu? Ti starebbe bene, sembreresti ancora più macho. Un vero duro.”
“Abby!”
“Ok, niente tatuaggi.” Guardò Lightman “Lui preferisce costruire barche.” Aggiunse accennando a Gibbs con la testa. “Resti?”
“No. Non resta. Stava per raggiungere la sua collega all’uscita.” Disse Gibbs; il dottor Lightman decise che per il momento era meglio assecondarlo e raggiunse l’ascensore.
“C’è anche Gillian. Perché non me lo avete detto. Penserà che non voglia salutarla… vado…”
Gibbs la trattenne per il braccio “Abby! Si può sapere cosa vi capita a tutti.” Guardò la scienziata dritto negli occhi “allora, hai qualcosa per me, Abby o devo pensare seriamente di licenziarvi in tronco tutti quanti.”
La giovane si avvicinò al tavolo delle prove e prese un sacchetto che mostrò al suo capo “ proiettile estratto dal corpo del colonnello Withman; calibro 9.” Prese un altro sacchetto e lo passò a Gibbs che lo portò ad altezza occhi, erano quelli estratti dal caporale Green “stesso calibro, una 9mm.”
“Ho confrontato le rigature dei proiettili, coincidono. Hanno usato la stessa arma per sparare.”
“Immagino che sia troppo chiederti qual è l’arma che ha sparato.”
“Calibro diffusissimo… ma se avrete un arma sospetta, potrò confermare o smentire.”
“Della polvere ritrovata sulle mani del colonnello, cosa mi dici?”
“Sembra un composto a base di gesso, ma non ho ancora avuto modo di analizzarla.” Gibbs la guardò un po’ spazientito “Posso dirti che ne ho trovate tracce anche sugli abiti e sui capelli. Sembra che ci sia stato arrotolato…Gibbs?”
“Sì Abby?”
“Come sta Rebecca?”
“Da quanto la conosci?” chiese avvicinandosi alla scienziata.
 “Dieci anni, circa. Si è trasferita nel mio quartiere nel 1997 o 1998. Però da qualche mese ha cambiato zona.”
“E prima di allora non la conoscevi? Non ti ha mai parlato della sua infanzia?”
 “Mmmmmh…” il viso di Abby si fece pensieroso, infilò le mani nel camicie e rimase un po’in silenzio, come se da quella risposta dipendesse il mondo intero “no. Però mi ha detto di essersene andata di casa a diciotto anni, litigava spesso con i suoi.”
“Li hai mai visti?”
“No. Non sono mai venuti a trovarla, per quello che ne so.”
“Si è mai comportata in modo strano, mentre era con te?”
Abby si rifece pensierosa “se per modo strano intendi che ogni tanto restava immobile a fissare il vuoto o che, per non so quale ragione, voleva sempre cambiare strada quando passavamo davanti ad una delle case di George Town, beh…sì…un po’strana lo era…ma chi non lo è? Tu ti chiudi nello scantinato a costruire barche anziché uscire con le donne. Guarda che così diventerai un vecchio orso brontolone, un po’ di vita sociale ti farebbe bene. Ti posso presentare qualcuno se vuoi.”  
A quelle ultime parole Gibbs sorrise, se avesse saputo che lui e Jenny stavano assieme avrebbe cambiato idea, ma nessuno, tranne Ducky, lo sapeva e per il momento era meglio così.
“Va bene, Abby. Quando hai finito qui, voglio che tu vada a casa e porti con te Rebecca. Ha bisogno di riposare.”
“Mi vuoi dire cosa sta succedendo Gibbs? Dov’è Rebecca?”
Non poteva nasconderle la verità a lungo, Abby lo avrebbe tormentato fino allo sfinimento, decise di dirglielo subito “è con Ducky. Quando l’ho interrogata ha ricordato l’assassino, ma ha avuto un crollo psicologico e ora crede di essere una bambina di meno di dieci anni…”
Abby guardava il suo capo con espressione incredula, mentre Gibbs le raccontava tutta la vicenda, alla fine concluse “di te si fida. Conosce casa tua e si sentirà al sicuro. Magari a te parlerà.”
“Va bene, Gibbs. Appena avrò i risultati dallo spettrometro di massa te li comunicherò e poi andrò a casa con Rebecca.”
“Grazie Abby.” Rispose Gibbs dandole un bacio sulla nuca e sparendo verso l’uscita.
“Tutto quello che vuoi, lo sai Gibbs.” Gli sussurrò Abby, ma lui se n'era già andato.
 
 
“Cosa puoi dirmi Ducky?” chiese Jethro quando si trovò da solo, faccia a facci con il suo amico. Gillian aveva accompagnato Rebecca da Abby e le due erano ritornate a casa.
È un caso abbastanza singolare. Credo che il direttore abbia fatto bene a chiamare il Lightman Group, ci servirà il loro aiuto. La dottoressa Foster è davvero una bella donna, e se la cava molto bene con i bambini, un vero peccato che non sia riuscita ad avere figli…”
“Ducky!” lo riprese Gibbs “non sono qui per ascoltare l’opinione che hai del dottor Lightman o della sua collega.”
“Peccato, perché se non stessi con il direttore, ti consiglierei di uscire con Gillian, credo…”
“Credo che ora tu ti stia allargando un po’ troppo dottor Mallard.” Concluse Gibbs appoggiando le mani su uno dei tavolini vuoti per le autopsie e guardando il suo collega. Ducky fece spallucce e con un sorrisino beffardo continuò “credo che Rebecca abbia subito un forte trauma quando era poco più di una bambina. Deve aver passato molto tempo in terapia, ma alla fine lo aveva superato. Qualcosa, o qualcuno ha risvegliato in lei il ricordo di quell’esperienza e ora le sembra di riviverla. La mente umana è davvero affascinante, Jethro. Appena si è tranquillizzata è tornata ad essere la donna Rebecca Stuart; purtroppo non ricordava quasi nulla dell’interrogatorio e di quello che ne è seguito.”
“Quindi ora è tornata sé stessa?”
“Per il momento. Ma la sua mente è fragile, potrebbe avere una ricaduta.”
“Però ha riconosciuto l’assassino, è questo che l’ha traumatizzata. Potrebbe essere utile per identificarlo quando avremo un sospettato.”
“Sì, ma devi usare molta cautela, Jethro”.
“Capo!” Tony  entrò nella sala autopsie con un sorriso sulle labbra, accompagnato da McGee “grandi novità!” il viso si fece corrucciato quando vide l’espressione seria sui volti di Gibbs e Ducky. “Cosa succede?”
“Le grandi novità?”
“Ziva e io siamo stati a casa del colonnello Withman. La casa era vuota. Abbiamo fatto i consueti rilievi e abbiamo trovato tracce di sangue accanto al letto e questo…” DiNozzo prese dalla tasca una busta con un all’interno un bossolo “era scivolato sotto ad uno dei comodini, l’assassino non si è preoccupato di cercarlo.”
“Ottimo lavoro.”
“Non è tutto.” Continuò “abbiamo trovato una foto che ritraeva il colonnello in compagnia di una splendida donna…”
“Vuoi un rullo di tamburi DiNozzo?”
“Lo faresti capo?” lo sguardo di Gibbs era fin troppo eloquente “la donna era Rebecca Stuart.”
 “Va bene.” Disse l’agente “fate una ricerca su Rebecca.
“Qualcosa in particolare?” chiese McGee mentre tutti e tre entravano nell’ascensore.
“Tutto, quando e dove è nata, chi erano i suoi genitori, dove ha studiato, cosa mangia, come dorme…tutto.” Incamminandosi verso la sua scrivania.
 
Il sole stava già tramontando quando il direttore scese le scale e raggiunse l’open space, se ne  erano andati quasi tutti, solo gli uomini di Gibbs stavano ancora lavorando; McGee era impegnato in una ricerca al computer, mentre Tony e Ziva si erano appena allontanati per andare da Ducky. Jen si avvicinò al capo della squadra “ ecco l’autorizzazione che aspettavi, Jethro” disse porgendo alcune carte all’agente. “Credi di riuscire ad allontanarti da questa scrivania e venire a casa per cena?" Gli chiese bisbigliando per non farsi sentire da McGee.
“Grazie, direttore.” e prese le carte appoggiandole sul tavolo “Forse.” Bisbigliò e la seguì con lo sguardo fino all’ascensore “hai già i risultati che avevo chiesto?” disse rivolto a McGee accorgendosi che l’agente lo stava fissando.
“Ehm…non ancora capo… sembra che Rebecca Stuart non esista. Ma sto vagliando tutte le strade possibili.”
“Molto bene.”
Gibbs lavorò per circa un ora dopo che gli altri agenti erano ritornati, poi poco prima delle otto raccolse le sue cose “Per oggi abbiamo finito. McGee, domattina andremo a Quantico a parlare con il generale Freeman. Andate a casa.” Lui stesso si avviò verso l’uscita e, presa l’auto, guidò verso casa.

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Capitolo 9
*** Coppie ***


Non è un capitolo in cui non ci sono grandi progressi in merito al caso, ma ci si sofferma un po sui rapporti interpersonali... diciamo che sono piccole pause dal lavoro... buona lettura e mi raccomando, non astenetevi dal recensire :)



CAPITOLO NONO

“In fin dei conti siete molto simili.” Disse la donna prendendo il suo interlocutore sottobraccio per farlo rallentare.
Camminavano da molto, senza una meta precisa; cercando di rimandare il più possibile il momento di rientrare nelle proprie case, soprattutto lei che non si era ancora abituata all’idea di vivere di nuovo da sola.
“Sai tesoro, se non ti conoscessi bene penserei che tu stia parlando seriamente.”
“Dico davvero Cal… ti va di sederti un po’?” chiese indicando una delle panchine vuote. A quell’ora a Rock Creek Park i patiti del jogging avevano lasciato posto alle giovani coppie e ai cani accompagnati dai loro padroni.
“E in che cosa saremmo simili?” chiese accavallando le gambe e allungando un braccio sulla spalliera della panchina.
“Inizio dalle cose più ovvie? Amate il vostro lavoro e siete determinati a risolvere i casi che vi vengono presentati. Richiedete il massimo dalle persone che lavorano con voi, tenendoli sempre sul “chi vive”; non siete molto propensi ad elargire complimenti ma vi fareste in quattro per loro…”
“Stai dicendo che sono troppo duro con Loker?”
“Sto dicendo che ogni tanto non farebbe male se invece di continuare a punzecchiarlo
gli dicessi che ha fatto un buon lavoro.” Rispose Gillian.
“C’è altro, Foster?” chiese un po’stizzito.
“Non amate le critiche, pensate che il vostro modo di agire sia praticamente l’unico possibile. Siete diffidenti verso il prossimo e non amate la burocrazia… volete avere sempre l’ultima parola.”
“Pensi di includere anche qualche aspetto positivo?”
“Visto? Avevo ragione? Non ami le critiche.”
“Grazie tante…”
“Comunque sì, qualcosa di positivo c’è.” Sorrise guardandolo.
“Siete determinati, leali e pronti a farvi ammazzare per difendere ciò in cui credete e le persone a voi care. E siete degli ottimi genitori.”
“Siete?” Non sapevo che l’agente Gibbs avesse figli.” Disse Cal che cercò di approfittare di questa rivelazione per spostare l’argomento su un altro piano. Voleva sapere qualcosa in più sull’agente Gibbs; si era reso conto che strappargli qualche informazione era un’impresa difficile, come lo era leggere in quegli occhi azzurri.
“Ho parlato con Jen.”
“Cosa ti ha detto?”
“Non è una donna che si lascia andare alle confidenze, ma come ben sai, io e Jen ci conosciamo da un bel po’, da quando ero ancora psicologa al Pentagono.” Gillian fece una piccola pausa e continuò “Qualche mese fa, quando l’agente Gibbs era in “pensione” ci siamo incontrare per un caffè; era mia amica e vedevo che era molto combattuta. Le chiesi se voleva parlarne e mi disse di aver commesso un errore otto anni fa e ora ne aveva appena commesso un altro, lasciando andare Jethro. Mi accennò ai suoi sentimenti…”
“Ora capisco perché aveva quello sguardo distante quando siamo usciti assieme.” Intervenne Cal ripensando a quando, qualche mese prima, lui e Jen avevano iniziato ad uscire assieme ma senza risultato. “E in tutto questo i figli di Gibbs cosa centrano?”
“Parlammo per un bel po’, poi, credo senza volerlo, Jen accennò alla prima moglie di Jethro. Disse che era stato sposato e che aveva avuto una figlia… Erano morte entrambe mentre lui era in Qwait.” Gillian si interruppe e guardò Lightman, si era rattristato. “Stai pensando a Emily, vero?”
“Vieni tesoro, ti riaccompagno a casa.” prese la dottoressa Foster sottobraccio e si avvicinò un uno dei taxi posteggiati vicino al parco.
 
 
Un intenso profumo di carne lo accolse quando varcò la porta di casa; appese la giacca all’attaccapanni e si diresse verso la cucina. La tavola era apparecchiata per due, piatti e bicchieri erano adagiati su una tovaglia gialla ricamata a mano “Non ricordavo di avere una tovaglia simile” pensò Jethro mentre prendeva il cestino del pane e lo appoggiava sulla tavola.
Il rumore del televisore acceso lo guidò fino al salotto, vi trovò Jen distesa sul divano, le mani strette ad abbracciare il cuscino a righe gialle e grigie; si era cambiata e indossava una canotta leggera e un paio di shorts coperti da un corto grembiule.
“Uno si precipita a casa dopo il lavoro e questa è l’accoglienza che trova” si disse sorridendo. Le si avvicinò cercando di evitare anche il minimo rumore e le sfioro la guancia con un bacio, Jen non aveva alcuna intenzione di svegliarsi. Lasciò che riposasse ancora un po’e salì al piano di sopra, diretto verso il bagno; aveva bisogno di una doccia.
“Ti sei preparato per un appuntamento galante che ci hai messo così tanto ad uscire da quel bagno?” lo rimproverò scherzosamente Jen sentendo lo scricchiolio delle scale in legno.
“Non sono io quello che si è addormentato sul divano.” Rispose posandole le mani sui fianchi e baciandole una guancia “te lo ha mai detto nessuno che sei molto bella mentre dormi?”
“Perché non ti siedi così ceniamo.” Non si era ancora abituata a ricevere complimenti da lui, era passato così tanto tempo che a volte faticava a credere di essere davvero sua, di nuovo.
Jethro prese posto accanto a lei e le versò del vino nel bicchiere mentre Jen distribuiva le porzioni; aveva preparato dello spezzatino con patate e un ottimo soufflé di funghi.
“Mmmh, sai Jenny, se ti dovessi dimettere come direttore, troveresti sicuramente un impiego come cuoca. Questo soufflé mi ricorda quello che mangiammo una sera a Marsiglia, ma non era così buono.”
“Se mi dimettessi, non avresti più nessuno con cui cercare di far valere la tua autorità.”
“C’è la mia squadra.” Rispose addentando un pezzo di carne.
“Quella non vale, sei il loro capo, è normale che ti ascoltino. Se poi parliamo di Abby, quella ragazza pende dalle tue labbra.”
“Non sarai per caso gelosa di lei, direttore?”
“Affatto. So che per te è come una figlia e lei ti considera come un padre…”Jen sorseggiò il vino.
“e te come una madre.” Si affrettò a concludere Gibbs “ti vuole bene. A dire il vero credo che tutta la mia squadra sia molto affezionata a te; DiNozzo per primo… soprattutto da quando gli hai affidato quella missione sotto copertura.”
“Chi è il geloso ora?” scherzò Jen strappando un sorriso all’uomo che aveva di fronte.
 
 
McGee uscì dall’ascensore e si guardò attorno; il salone era immerso nella semioscurità e il silenzio inconsueto era quasi assordante. Nessuno che pigiava sulla tastiera del computer, nessun rumore di stampanti, niente vociare di persone; nessun Gibbs che impartiva ordini, né DiNozzo che battibeccava con Ziva. Era solo. Si sedette alla propria scrivania e accese il portatile; alcuni istanti dopo iniziò a digitare sulla tastiera, soffermandosi ogni tanto a leggere i risultati.
“Chi c’è?” un uomo alto, con i capelli rasati ed una tuta color senape si fece avanti cautamente spingendo un carrello per le pulizie “Oh, agente McGee, è lei. Cosa ci fa ancora qui?”
“Buona sera, Paul. Scusa non volevo spaventarla.” Rispose cordialmente l’agente.
“Non mi ha spaventato, è solo che… beh, non pensavo di trovarla ancora qui.”
“Non riuscivo a dormire, così ho pensato di portarmi avanti con il lavoro. Me ne vado subito e le lascio finire il suo…”
 “Non si preoccupi, ho ancora metà dell’edificio da pulire…ripasserò più tardi.”
“Ti ringrazio Paul. Buon lavoro.”
“Anche a lei.” Concluse e fischiettando si diresse verso i bagni del personale.
McGee lavorò per più di un’ora senza ottenere alcun risultato incoraggiante; tendendo l’orecchio poteva sentire Paul che canticchiava sottovoce, sembrava avere una predilezione per Stairway to Heaven, ma il risultato non era dei migliori.
Il rumore di alcuni passi lo indusse a fermarsi per un attimo “Ora vado, Paul, ti lascio finire, tanto qui non ottengo nulla…”
 “Ehi, McInsonnia. Cosa ci fai in ufficio a quest’ora?”
“E tu?” chiese Tim stupito alzando lo sguardo verso Tony che, con una barretta in mano, si era fermato proprio davanti a lui.
“Ziva mi ha cacciato dal suo letto e non avevo un posto dove andare.” Scherzò DiNozzo facendo l’occhiolino.
McGee gli lanciò un’occhiata interrogativa e riabbassò gli occhi sullo schermo del computer.
Tony decise di seguire l’esempio del suo collega e si mise al lavoro ma la sua concentrazione non durò a lungo e ricominciò ad infastidire Tim tirandogli palline di carta.
“La vuoi piantare, DiNozzo!” sbuffò l’agente quando una pallina gli colpì la testa.
“Siamo in un vicolo cieco. Non c’è nulla su Rebbecca Stuart.”
“Perché il suo vero nome non è Rebecca Stuart, ma Rebecca Scorzari.” Esultò alla fine Timothy.
“Come?” Tony lasciò la sua sedia e si avvicinò al collega.
“Guarda qui.” L’articolo di giornale comparso sulla schermata del portatile riportava la notizia del rapimento di una bambina di cinque anni “il padre, il dottor Scorzari,era primario di chirurgia plastica e insegnava al Georgetown University Hopsital, pagò il riscatto per il rilascio della figlia. Il colpevole un certo M.V. fu processato e incarcerato…” fece scorrere la pagina e riprese “…il dottore ha fondato un centro per la ricerca su nuovi farmaci; alla morte del padre, la giovane figlia Rebecca, che ha da poco concluso gli studi in Scienze Farmaceutiche, ha rilevato il centro…” lesse McGee.
“Rebecca quindi ha cambiato cognome. Da quanto?”
“Un’attimo, controllo… ecco. Ha cambiato il cognome del padre con quello della madre, una certa Melinda Stuart. Dagli atti risulta che lo abbia fatto appena compiuta la maggiore età…”
“Quindi più o meno quando è andata via di casa.” constatò Tony.
Tim ritornò alla pagina degli articoli; in allegato c’erano due foto in bianco e nero: in una era ritratta una bambina con un vestito a fiori accanto ai suoi genitori. Nell’altra una donna in abito da sera grigio con accanto a sé un uomo distinto, anch’egli elegantemente vestito.
“Ma quello non è il colonnello Withmann?”
 Tony guardò stupito l’immagine. “Dove è stata scattata?”
“Mmmmh, vediamo. Una serata di beneficienza al Memorial Hospital, la foto è di circa un anno fa.”
 
 
“Ho parlato con la dottoressa Foster?” esordì Jen intenta a sfogliare alcuni rapporti, seduta sul divano. Gibbs alzò le sopracciglia interrogativo, aspettando che lei continuasse “qualche mese fa, quando tu eri andato in Messico… le ho parlato di te e le detto di Shannon e Kelly…” si fermò con i fascicoli in mano aspettandosi una sfuriata.
“Lo so.”
“Lo sai? Si può sapere come?...non importa. Comunque mi dispiace, non avrei dovuto…”
“Anche io ho parlato di te a Mike… confidenze tra uomini…” Ora fu Jen a guardarlo con fare interrogativo. “Credi che sia tornato solo per il lavoro o per Ziva?” Jenny si appoggiò con la testa al petto di Jethro, lasciando che lui le accarezzasse i capelli e le cingesse la vita con un braccio.  
“A cosa pensi?” le chiese dopo qualche minuto di silenzio
“A Cal… oggi mentre eri con Rebecca ha visto come ti guardavo e ha ipotizzato che ti stessi immaginando come padre dei nostri figli…”
“E lo stavi facendo?” chiese Jethro mentre una mano saliva a sfiorare il seno di Jen.
“Ni…stavo solo constatando che ci sai fare.”
“Per quanto siete usciti assieme?”
“Un paio di settimane.” Era inutile nascondergli la verità, in fin dei conti anche lui aveva avuto una relazione con il colonnello Mann.
“Ci…ci sei andata a letto?” chiese. Supponeva che in otto anni Jen avesse avuto relazioni con altri uomini e si sentì improvvisamente geloso di tutti coloro che avevano fatto parte della sua vita in quel lasso di tempo.
“No, non…” rispose lei facendo una piccola pausa. Gibbs la guardò stupito, gli sembrava impossibile che qualcuno potesse resisterle; Jen se ne accorse e riprese a parlare“…non ci sono riuscita. Cal è un uomo intelligente e molto affascinante, ma… vuoi sapere la verità?”
Jethro la guardò aspettando che continuasse.
“In questi otto anni, ho conosciuto molte persone, ho avuto diverse relazioni, ma mai durature e a troncare ero sempre io.”
“Insomma, non sei cambiata affatto.”
“Non mi pento di aver chiuso le storie con quegli uomini, con nessuno di loro… tranne con uno…con te.” Sollevò la testa e gli sfiorò le labbra con un bacio “tu ti sei risposato tre volte cercando in ognuna qualcosa che ti ricordasse Shannon, io cercavo te negli uomini con cui stavo.”
“Sei tu che mi hai lasciato a Parigi.”
“Lo so. Ma te l’ho detto, a quel tempo non rientravi nei miei piani e tu comunque vivevi ancora con il fantasma di Shannon.”
“Su questo ti sbagli direttore. Eri riuscita a trasformare quel fantasma in un ricordo.”
Gibbs si alzò e prima che potesse accorgersene Jenny si ritrovò sospesa a mezz’aria tra le braccia di Jethro; gli cinse il collo e lasciò che la portasse al piano di sopra. La adagiò sul letto e si sedette accanto a lei "Sì, sei davvero bellissima." Jen lo attirò a sé cercando le sua bocca che coprì con un bacio. Con un movimento del bacino, Jenny capovolse la situazione, trovandosi sopra di lui; sentì le sue mani infilarsi sotto la maglia e percorrerle la spina dorsale prima di sfilarle i vestiti con un movimento esperto. Si abbassò su di lui cercando nuovamente le sue labbra, mentre i suoi seni gli sfioravano il petto; gli sfilò i pantaloni e la biancheria e rimase per un attimo a contemplare l’uomo che aveva davanti. Conosceva ogni centimetro di quel corpo, ogni cicatrice eppure ogni volta era come se lo vedesse per la prima volta e il desiderio che provava accresceva ad ogni bacio, ad ogni carezza. Gibbs approfittò della sua esitazione e si ritrovò nuovamente il viso di Jen sotto al suo, a pochi centimetri di distanza. Abbassò la testa e le baciò il collo mentre con una mano percorreva ogni curva del suo corpo. La desiderava con ogni fibra del suo essere, non poteva immaginarsi nessuna altra donna accanto a lui, lo aveva capito in Messico e lo aveva capito con il colonnello Mann. Solo Jenny era in grado di ridargli quella pace e quella serenità che aveva a lungo cercato dopo la morte di Shannon.  Jen gli passò una mano tra i capelli e lo attirò nuovamente a sé assaporando le sue labbra, un gemito le sfuggì dalla gola quando finalmente Gibbs si impossessò della sua intimità.
Erano insieme ed erano di nuovo felici.





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Capitolo 10
*** Visita di cortesia a Quantico ***


CAPITOLO DECIMO
 
Il sole del mattino entrò di prepotenza nella stanza non appena Rebecca tirò le tende soffermandosi per qualche istante alla finestra a guardare attraverso il vetro. Il quartiere non era cambiato molto: i giardini delle palazzine erano sempre ben curati, con arbusti e cespugli di fiori profumati.  Dalla casa di fronte la signora McGregor stava uscendo con il suo cagnolino, un meticcio dal pelo scuro con lunghe orecchie bianche e nere; spostando lo sguardo verso destra vide  un camioncino del servizio postale  svoltare nella via principale e fermarsi davanti ad uno dei palazzi permettendo così al postino di compiere il suo lavoro.
“Dormito bene?” chiese Abby quando Rebecca la raggiunse in cucina.
“Sì, grazie. E tu?”
“Non molto.”
“Beh, non mi meraviglio, non so come tu faccia a dormire in una bara. Le tazze sono qui?” Chiese Rebecca aprendo una delle ante sopra il lavandino.
“Il caffè è quasi pronto. Comunque la bara è molto più comoda di quanto possiate immaginare.” Rispose versando la bevanda bollente nella tazza; fecero colazione in silenzio, poi, mentre riponevano le stoviglie nel lavandino, Abby chiese all’amica “posso farti una domanda?
“Certo.”
“Tempo fa mi avevi raccontato di essertene andata di casa a causa dei problemi con la tu famiglia.” La scienziata fece una breve pausa cercando le parole più adatte “non mi hai mai detto che da piccola eri stata rapita.”
Rebecca sbiancò e appoggiò entrambi i palmi sulle ginocchia. Forse non avrebbe dovuto essere così diretta, pensò Abigail, ma era difficile usare parafrasi in certi casi.
“Non avrei dovuto, perdonami.” Cercò di scusarsi la giovane, vedendo l’agitazione crescere nella sua amica. La donna respirò a fondo per qualche istante, cercando di calmare il forte tremore che l’aveva colta “non fa niente” rispose infine, “ho passato dei brutti momenti… Poi sono andata in terapia e le cose sono migliorate.” Si sforzò di sorridere “Tu invece, cosa mi racconti? Come vanno le cose con McGee? L’ultima volta che ci siamo visti uscivate insieme.”
Abby capì che non aveva nessuna voglia di parlare con lei, perciò decise di non insistere e si limitò a rispondere alla domanda “Mah, in realtà abbiamo rotto, non…non poteva funzionare e poi stavamo infrangendo una delle regole di Gibbs.”
“Regole?”
“Sì. La 12 per essere precisi: mai uscire con un collega.”
“Ah…mi dispiace. Siete così carini assieme.”
Abby arrossì leggermente e abbassò lo sguardo “E tu? Ti vedi con qualcuno?”
A quella domanda le guance di Rebecca assunsero una sfumatura più intensa “beh… a dire il vero sì, da quasi un anno.”
“Sbaglio o ti senti a disagio a parlarne…relazione pericolosa?” chiese la dark con un po’di malizia.
“No, è solo che lui è divorziato, ha una figlia piccola e beh… lei ancora non sa che io e suo padre abbiamo una storia.”
“Capisco. E chi sarebbe il fortunato, lo conosco?” chiese Abby pensando a quanti dei suoi conoscenti erano divorziati e con figli, a parte Gibbs, ovviamente.
“È un colonnello della marina. Ero appena rientrata da un viaggio di lavoro e mi ero presa una settimana di ferie arretrate; l’altro giorno, quando ho visto il marine morto, stavo andando da lui. Volevo fargli una sorpresa”
“Il tuo colonnello ha anche un nome?” chiese Abby.
“Joseph…Joseph Withman.” Rispose Rebecca. “Ehi Abby, tutto bene?” chiese vedendo che era sbiancata all’improvviso.
 
 
Le porte scorrevoli si aprirono di scatto e un Gibbs stranamente di buon umore uscì dall’ascensore, in mano l’immancabile caffè e accanto a sé una donna elegantemente vestita che lo salutò con un sorriso e si diresse verso il suo ufficio, al piano superiore.
“Visto? Cosa vi avevo detto?” commentò DiNozzo con i palmi protesi verso i suoi colleghi.
“E va bene, Tony, avevi ragione tu.” disse Ziva porgendogli 10 $; McGee fece altrettanto “ma non significa che abbiano passato la notte assieme o che abbiano una relazione” si permise di aggiungere.
Uno scappellotto ben piazzato di Gibbs li convinse a porre fine alle loro elucubrazioni “scommettete ancora su di me?”
“Nooo, certo che no, capo. Non potremmo mai…”
“Avete scoperto niente?”
“In effetti sì.” Iniziò Tony “Ieri sera sono riuscito a sapere qualcosa in più su Rebecca.” L’agente fece un breve riepilogo al suo superiore che, alla fine, rivolto al “pivello” si limitò a dire “ottimo lavoro…McGee!”
“Grazie, capo.”
Rivolse un cenno a Tim “Noi due ce ne andiamo a Quantico, abbiamo avuto l’autorizzazione dal Segretario”
“E noi capo, Abby e Ducky non sono ancora arrivati?”
“Voi vi occuperete dei nostri ospiti.” Rispose Gibbs accennando uno sguardo verso i due giovani appena entrati nell’open space; poi, con McGee al suo fianco si avviò all’ascensore.
“Possiamo fare qualcosa per voi?” chiese amichevolmente Ziva rivolgendo la parola a Loker.
“Vorremmo parlare con il vostro direttore.” Rispose Ria.
“Ci sono problemi?”
“No. Ma abbiamo bisogno di parlare con la signora Shepard.” Continuò Ria lanciando uno sguardo di sfida a Ziva; l’israeliana ricambiò con un sorrisino glaciale.
“Ehi, ragazze, andateci piano, se state litigando per me…sono disponibile per entrambe” Tony cercò di smorzare la tensione con una battuta ma, per tutta risposta, ricevette un pugno su ciascuna spalla. “Ok. Scherzavo.” Disse riprendendo fiato “venite, vi accompagno di sopra.” E così dicendo salì i gradini seguito da Eli e Ria.
 
 
“Agente Gibbs, non mi aspettavo di vederla così presto.” Disse il generale Freeman porgendo la mano ai due agenti federali.
“Abbiamo il mandato e l’autorizzazione del Segretario della Marina” si limitò a rispondere l’interpellato “dove sono i file?”
Il generale prese il foglio dalla mani di Gibbs e lo lesse attentamente “da questa parte.” Fece un cenno ai due uomini che lo seguirono all’interno dell’ufficio personale di Freeman “scusate, ma non sarebbe prudente parlare in corridoio. Prego accomodatevi.” Disse invitando gli agenti a prendere posto su due sedie di pelle nera. “ Circa un anno fa è stato avviato un progetto per migliorare le funzionalità dei missili a testate nucleari” cominciò a spiegare Freeman “abbiamo ricevuto l’ordine di realizzare un nuovo programma che ne permettesse la decrittazione e la codifica utilizzando dei particolari sistemi numerici.”
“E come funzionano?” chiese interessato McGee.
“A dire il vero io non ci capisco molto di sistemi informatici…è per questo che ci sono stati assegnati due esperti di computer ” cercò di giustificarsi.
“I nomi.” disse Gibbs.
“Maggiore Robert Price e colonnello Joseph Withman” si affrettò a rispondere.
“Withman?” ripetè McGee.
“Sa dove sono?” chiese Gibbs non ancora intenzionato a rivelare la verità sul colonnello.
“Il maggiore Price si trova nel laboratorio, due piani sotto a questo. Quanto al colonnello Withman, non so dove sia, nessuno lo vede da venerdì.”
“Nessuno ha provato a contattarlo?”
“Sì, ma senza esito. Ha detto al maggiore Price che avrebbe passato il finesettimana con la figlia.” Il generale si passò una mano sul mento, pensieroso. “Non si è presentato nemmeno ieri, ho mandato i miei uomini a cercarlo a casa, ma nessuno lo ha visto.” Seguì una breve pausa; Freemann era un po’ nervoso e si aspettava che uno degli agenti intervenisse, ma sia Gibbs che McGee non parlarono; poi Gibbs ruppe il silenzio “Price e Withman erano gli unici ad avere accesso al progetto?”
“Non proprio. Erano gli unici che potevano entrare nel laboratorio, per potervi accedere bisogna superare la lettura delle impronte e del timbro vocale, il laboratorio e l’ingresso sono sorvegliati da telecamere, tuttavia…”
“Tuttavia?” chiese McGee accorgendosi che Freeman si era interrotto.
“Tuttavia, ipoteticamente parlando, se accompagnati da Price o Withman, chiunque può
accedervi.”
“E…ipoteticamente parlando, è mai accaduto?”
“Sì.” Rispose il generale “vede, agente Gibbs. Per il progetto ci avvaliamo anche di un esperto di armi nucleari, il dottor Martin Ventris, un civile.”
“Sa dove possiamo trovarlo?”
“Un attimo…” il marine si alzò e rovistò nell’archivio alla ricerca dei fascicoli su Ventris “…Vander, Veltran…Ventris…ecco qui. Lavora presso la CKI Chemical Kaster Industry.”e ripose la cartellina nell’archivio.
“Grazie, ma ci prendiamo tutto il fascicolo” disse Gibbs “Chiama Tony, digli di cercare informazioni su Martin Ventris.” Poi rivolto nuovamente a Freeman “Vorremmo fare qualche domanda anche al maggiore Price.”
“Certo. Lo faccio chiamare.”
“Mi ha fatto chiamare, signore.” Il maggiore entrò qualche minuto dopo nell’ufficio del suo superiore portando la mano alla testa.
“Sì. Questi due agenti del NCIS vorrebbero farle alcune domande.” Disse Freeman vedendo lo sguardo interrogativo del maggiore.
“Agenti speciali Gibbs e McGee” si presentò l’uomo dai capelli brizzolati e lo sguardo di ghiaccio. Il maggiore sembrava nervoso “Da quanto non vede il colonnello Withmann?” chiese Gibbs.
“Perché me lo chiede? È forse successo qualcosa?” gli occhi si posarono ora sull’uno, ora sull’altro degli uomini che aveva davanti.
“Risponda alla domanda.”
“Mmmh, non ricordo, forse giovedì o venerdì.”
“Il maggiore Freeman è di altra opinione” disse McGee “ha detto che il colonnello ha parlato con lei per l’ultima volta.”
“Sì…forse…” si passò nervosamente una mano sul collo “sì… l’ho visto venerdì. Mi ha detto che avrebbe passato il finesettimana con la figlia.”
“Non l’ha più sentito da allora?”
“No. Di solito, quando sta con la figlia si isola dal mondo.”
“Credo che questa volta si sia isolato dal mondo completamente.” Disse McGee.
I due marines lo guardarono con espressione interrogativa.
“È morto.” Rispose Gibbs "vorremmo vedere il laboratorio" aggiunse e senza aspettare i commenti uscì dalla stanza seguito dal suo collega.




Finale di capitolo un po'sospeso...sì, ma è voluto :) Spero di riuscire ad aggiornare presto e intanto ringrazio anticipatamente tutti coloro che hanno letto e che vorranno lasciare una recensione. A presto....

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Capitolo 11
*** Un groviglio da sciogliere ***


Lo so... sono molto, molto in ritardo, è passato quasi un mese dall'ultima pubblicazione; ma spero che il capitolo undicesimo valga l'attesa...finalmente forse qualche nodo sta venendo al pettine...e soprattutto ci sarà una piccola sorpresa Tiva...nulla di ecclatante, ma si stanno costruendo le basi :) Che aggiungere se non che tutte le opinioni e recensioni sono sempre molto gradite...BUONA LETTURA e alla prossima.




CAPITOLO UNDICESIMO

“Arrivi giusto in tempo Gibbs, ho finito l’ultimo bicchiere di Caf-pow e mi serviva una ricarica.” Abby stava dando le spalle alla porta del suo laboratorio, ma questo certo non le impedì di distinguere i passi del suo capo.
“Come facevi a sapere che ero io?” chiese Gibbs nonostante sapesse già la risposta.
“Perché appena scopro qualcosa tu arrivi. O è telepatia oppure hai nascosto una telecamera in laboratorio…mmmmh.” La scienziata guardò il suo capo di sottecchi “l’hai fatta inserire nello spettronomo di massa?” chiese avvicinandosi all’apparecchiatura “oppure è qui nel computer. L’altro giorno ho visto McGee che si allontanava furtivamente…”
“Abby!?” Gibbs cercò di richiamarla all’ordine.
“Nel laboratorio di balistica?” e corse nella stanza accanto uscendone con aria soddisfatta “niente neanche qui…allora è telepatia…lo sapevo, hai poteri magici.”
“Abby!”
“Sì, Gibbs?”
“Hai qualcosa per me oppure sono sceso qui per niente.”
“Oh… certo che ho qualcosa per te… la casa di Withman è stata ripulita, tuttavia a qualcuno è sfuggito questo.” Abby mostrò a Gibbs un bicchierino da grappa racchiuso in un sacchetto. “Ci sono tre impronte digitali, mentre dalla camera proviene l’impronta di palmo.” Proiettò le immagini del computer sullo schermo al plasma.
“Abbiamo un riscontro?”
“Per le impronte sì, ma non credo ti farà piacere… sono del generale Freemann. Nulla di fatto invece per l’impronta del palmo che Ziva ha rilevato sul comodino…almeno finchè non avrò un campione per un confronto.”
“E cosa mi dici della sostanza bianca sul corpo del colonnello?”
“Speravo me lo chiedessi.” La ragazza si avvicinò al computer  “come sospettavo è semplice polvere di gesso, ma non è tutto” il viso di Abby si illuminò “sugli abiti ho trovato anche polvere, tracce di alghe, grasso di pesce e alcuni frammenti di una moquette per auto…sto già controllando se ci sono riscontri.”
“Grazie Abby.”
“Ehi, dove vai, non ho mica detto di aver finito. Possibile che tu cerchi sempre di andartene a metà.” Disse Abby fingendosi arrabbiata. “ho trovato tracce di un'altra sostanza sui polpastrelli del morto. Si tratta di una pasta sintetica a base minerale… più comunemente noto come DAS. Sai quella pasta che si usa a scuola per creare oggetti e poi si lascia essiccare...”
“Hanno fatto un calco delle sue impronte.” Asserì Gibbs con un mezzo sorriso.
“beh, io una volta alle elementari ho modellato una bara completa di scheletro, ma credo che anche per un calco possa andare bene.”
“Grazie Abby” le schioccò un sonoro bacio sulla guancia e le diede il caf-pow che fino a quel momento aveva tenuto in mano.
“Ah, Gibbs.” Lo richiamò la giovane “il direttore vuole vederti.”
 
 
“Buongiorno!” il saluto dell’agente DiNozzo era rivolto alla donna mora dagli intensi occhi nocciola seduta dietro ad una scrivania “Agenti DiNozzo e David, NCIS. Vorremmo parlare con il direttore.”
“Avete un appuntamento?” chiese la segretaria.
“No. Ma se stasera è libera sarei felice di invitarla a cena.” Ammiccò Tony con sguardo languido.
La donna finse un sorriso “Mi dispiace, ma il signor Kaster è uscito con un cliente, non tornerà prima di pranzo e subito dopo ha una riunione” rispose dando una rapida occhiata agli impegni del suo capo. “vi conviene tornare domani o fissare un incontro.”
“Lei non ha capito” intervenne Ziva “noi vogliamo parlare con il suo capo adesso. E non ci serve un appuntamento.”
“Ma il signor Kaster non è qui.”
“Aspetteremo che torni.” Concluse Ziva e si accomodò su una delle poltroncine di tela vicino alla porta dell’ufficio.
“Non ci faccia caso. È scesa dalla parte sbagliata del letto.” Disse Tony rivolto alla donna prima di accomodarsi accanto alla sua collega.
“Non riesci proprio a farne a meno eh?” Ziva lo guardò irritata.
“Invidiosa perché le donne mi adorano, agente David?”
Ziva non rispose e rivolse la sua attenzione alle riviste disposte a ventaglio sul tavolino di vetro, dopo un attenta osservazione ne prese una di argomento scientifico, mentre Tony rivolse la sua attenzione verso una rivista femminile.
Passò quasi un’ora prima che il signor Kaster comparisse nel salone d’ingresso. “Signore” disse la segretaria “ci sono qui due agenti del NCIS che vorrebbero parlare con lei.”
“Ha riferito loro che oggi non ho tempo?”
“Sì, ma non hanno desistito.” Si scusò la donna.
“Il signor Kaster?” chiese Ziva avvicinandosi e bloccando l’uomo prima che potesse rifugiarsi nel suo ufficio.
“Con chi ho il piacere?” il direttore guardò l’agente con interesse.
“Agenti David e DiNozzo, siamo del NCIS”
“Il servizio investigativo della marina. Mi spiace ma ora non ho tempo, se volete prendere un appuntamento la mia segretaria sarà felice di… Erika potrebbe…”
“Le ruberemo solo qualche minuto signor Kaster…grazie Erika” si intromise Tony “conosce un certo Martin Ventris?” chiese l’agente guardandosi attorno nell’ufficio, era il trionfo del lusso, mobili intagliati a mano, uno scaffale con liquori e bicchieri di cristalli e una scrivania, anch’essa intagliata a mano posta davanti ad un ampia vetrata che dava sulla città.
“Vetris? Sì, è uno dei miei migliori tecnici, è un ingegnere nucleare di alto livello.”
“Possiamo parlare con lui?” chiese Ziva.
“Al momento no… non si presenta al lavoro da lunedì.” Si affrettò ad aggiungere “ha chiesto qualche giorno di malattia.”
“Lo conosce molto bene?”
“No. L’ho assunto cinque anni fa. So solo che è uno in gamba e che non è sposato.”
“Sa nulla di una collaborazione con la marina?”
“Sì… so che sta lavorando ad un progetto con il generale Freeman e per questo mi ha chiesto un contratto part-time. Ma non so molto. Come le ho già detto non faccio molte domande a chi lavora per me, mi interessa solo che siano puntuali e svolgano bene il loro lavoro.”
“Perciò non ha idea di cosa facesse prima?”
“No e sinceramente non mi riguarda.” Rispose Kaster con disinteresse. “Ora scusate, ma ho una riunione che mi aspetta.” Aprì la porta e poco educatamente invitò i due agenti ad uscire.
 
 
“McGee sei con me.” annunciò Gibbs passando davanti alla scrivania del pivello.
“Prima dovrebbe vedere una cosa capo.” Azzardò l’agente consapevole dello sguardo che Gibbs gli aveva appena lanciato. “Ho notizie su Ventris.”
“Vediamo.”
“Tony e Ziva mi hanno appena chiamato. Ventris non era al lavoro, si era dato per malato, ma non l’hanno trovato nemmeno a casa sua. Ho fatto un piccolo controllo su di lui…beh capo, non è chi dice di essere.”
“Sii più preciso McGee” tuonò Gibbs che ormai stava perdendo la pazienza.
“Ehm, sì… il vero nome è Martin Velles. E non ci crederai capo, ma Martin Velles è il nome del rapitore di Rebecca. Uscì per buona condotta e cambiò cognome. Era laureato in ingegneria nucleare con il massimo dei voti; si costruì un nuovo passato e non gli fu difficile farsi assumere dalla CKI. Tuttavia sembra abbia il vizio del gioco. Ho controllato i conti di Ventris e sono tutti in rosso: era pieno di debiti.”
“Ottimo lavoro. Vieni.”
“Dove andiamo capo?”
“Torniamo da Freeman, a quanto pare anche il generale ci ha nascosto qualcosa.” Prese la pistola dal cassetto e si avviò all’uscita.
“Agente Gibbs!” la voce del direttore Shepard echeggiò alle sue spalle “l’avevo fatta chiamare.”
 “Ora non ho tempo per lei, direttore.” Premette il pulsante del piano terra ma Jen blocco la chiusura delle porte con una mano.
“Invece credo proprio che dovrà trovare il tempo e subito.” Il tono era alquanto indispettito e sorpreso, non ci poteva credere, si era di nuovo opposto ad un suo ordine diretto.
Gibbs sospirò e fece un cenno con il capo a McGee “chiama Tony e Ziva, dì loro di portare qui Freemann e fa’ diramare un mandato di fermo per Ventris.”
“Subito capo.” Rispose l’agente risedendosi alla sua scrivania.
“Si può sapere cosa c’è di tanto urgente Jen?”
“Rebecca!” rispose il direttore fulminando il suo compagno “si è recata al Lightman Group, vuole parlare con Cal.”
“Cioè quel presuntuoso di uno strizzacervelli decide di parlare con i miei testimoni senza la mia autorizzazione.”
“A parte che semmai è la mia di autorizzazione che deve chiedere. Comunque Rebecca è andata spontaneamente dal dottor Lightman e Cal è stato così gentile da informarmi. Ha mandato qui la dottoressa Torres e il dottor Loker perché accompagnassero te uno dei tuoi al Lightman Group, non voleva che Rebecca si confidasse in tua assenza, d’altronde il caso lo seguite assieme.” Rispose con tono pungente e aprì la porta del suo studio, presentando a Jethro i due ospiti.
 
 
“Va bene, Pivello, andiamo subito.” Tony riagganciò e guardò la sua collega “andiamo a Quantico. Il capo vuole fare qualche domanda al generale.”
“Bene.” Ziva si appoggiò al finestrino dell’auto sorreggendo la testa con il palmo della mano.
“Ehi, va tutto bene?” chiese Tony.
“Certo.” Il tono di voce era poco convincente; Tony però sapeva che se Ziva non voleva parlare non era il caso di insistere, perciò cambiò argomento.
“Apri il vano portaoggetti.” Ziva allungò la mano. Dentro c’era un pacchetto di forma rettangolare con carta regalo arancione adornata da un nastro viola. Ziva lo rigirò per un attimo tra le mani poi guardò Tony con fare interrogativo.
“Tranquilla, non è una bomba. Puoi aprirlo.”
La donna guardò nuovamente il pacchetto, lo soppesò per un po’ e infine si decise ad aprirlo; lo fece delicatamente cercando di non strappare la carta. Tony si sorprese dei gesti accurati della collega, si era aspettato che la strappasse senza farci molto caso. “Un lessico con i più diffusi modi di dire americani?”
 “Così forse imparerai le espressioni della nostra lingua.” Scherzò Tony “volevo ringraziarti per l’ospitalità dell’altra notte. Dormire con la casa semi allagata non sarebbe stato molto piacevole. Comunque tranquilla, sono venuti a controllare i danni, solo un tubo scoppiato. Casa mia dovrebbe essere agibile già da stanotte.” Aggiunse l’agente fermando l’auto davanti alla base di Quantico.
“Bene, così almeno stanotte riuscirò a dormire…lo sai non ho mai sentito nessuno russare quanto te”
“Beh, non che tu sia più raffinata, sembri un marinaio ubriaco con l’enfisema.” Controbatté DiNozzo.
“Comunque… se hai bisogno di un posto dove stare, il mio divano è sempre libero.” Concluse Ziva.
Tony le sorrise “andiamo a prendere Freemann.”

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Capitolo 12
*** Tra inviti e pioggia estiva ***


Lo so, anche questa volta è passato moltissimo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma questo periodo è parecchio impegnativo a causa degli esami e della tesi da preparare, perciò faccio fatica ad aggiornare con rapidità, però non temete, anche se i tempi saranno un po' lunghi non mancherò di aggiungere i capitoli. Vi chiedo solo un po' di pazienza e intanto...Buona lettura.



CAPITOLO DODICESIMO
 
L’agente speciale Leroy Jethro Gibbs restò in silenzio ad ascoltare il motivo per cui i due collaboratori del dottor Lightman erano venuti a disturbare la sua giornata lavorativa, spostando la sua attenzione ora sull’uno, ora sull’altra e infine sul direttore, nella vana speranza che lei stessa ponesse fine a quella situazione assurda nella quale era stato coinvolto. Lasciare che qualcun altro, per di più un civile, interferisse nelle sua indagine era qualcosa che lo rendeva furioso, ma per l’amore che provava per Jen, era disposto ad ascoltare quei due per qualche altro minuto, prima di esplodere.
“È arrivata questa mattina presto, dicendo di voler parlare con la dottoressa Foster.”
“E a nessuno di voi è venuto in mente di consigliarle di venire al NCIS o addirittura di portarla qui, visto che il caso è di nostra competenza.”
“Non ha voluto, agente Gibbs.” Intervenne Ria “glielo abbiamo detto, o meglio il dottor Lightman le ha detto che doveva venire da voi, ma ha insistito di voler parlare con la dottoressa Foster e di non voler uscire dall’edificio” Ria prese fiato e continuò “tuttavia, agente Gibbs, ha chiesto esplicitamente la sua presenza. Ecco perché siamo qui. Il dottor Lightman ha voluto che la accompagnassimo.”
Gibbs alzò lo sguardo oltre la spalla della ragazza e la sua attenzione fu attirata da una composizione floreale di girasoli e iris di un intenso colore viola, disposta al centro del basso tavolino di vernice nera e si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia con un lieve disappunto, pensando a chi potesse aver regalato quel bouquet a Jen.
“Potete scusarci qualche minuto?” si intromise il direttore “l’agente Gibbs vi raggiungerà subito.”
Torres e Loker acconsentirono con un cenno del capo e uscirono dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
“Vedo che siamo sempre allo stesso punto.” Iniziò il direttore.
“Quella ragazza è testimone di un omicidio. L’accordo era che fosse lasciata a Abby assieme ad una scorta e che le domande venissero fatte qui.”
“Non ha lasciato la scorta…si è fatta accompagnare al Lightman Group dall’agente Steele…”
“Non mi interessa Jen. Doveva portarla qui.” Ringhiò Gibbs.
“L’ultima volta che è stata qui, se ben ricordi, ha avuto un crollo psicologico e…”
“Bene. Allora veniva assieme al dottor Lightman o alla dottoressa Foster, ma veniva qui.” Gibbs diede particolare enfasi all’ultima parola.
“Dannazione Jethro!” Jen fece qualche passo verso di lui ma dovette fermarsi accanto alla scrivania colta da un improvviso giramento di testa, le gambe sembrarono non reggerla più e dovette appoggiare le mani sulla superficie del tavolo per evitare di cadere a terra.
“Jen…Jenny, va tutto bene?” chiese Gibbs scorgendo il volto terreo della sua compagna.
“Sì…sì, tutto bene… è solo colpa del caldo. Ascolta Jethro, non ne voglio fare una questione di autorità” riprese Jen con voce pacata “ma quella ragazza era sotto shock. Non so se Cal sia in grado di fare qualcosa per lei o di aiutarci, ma Gillian è una psicologa e lì sono ben attrezzati, lascia che facciano un tentativo, forse riusciranno a farsi dire qualcosa in più da Rebecca. Magari ricorderà il viso dell’assassino.”
“Credo di averlo già. Mi servirebbe solo la conferma di Rebecca.” Rispose. Una folata di vento caldo entrò nella stanza, attraverso una delle finestre aperte alle spalle di Jennifer, scompigliandole i capelli. Il suo viso stava riprendendo un colore naturale e la tensione si dissolse dalle membra di Gibbs.
“Va bene Jen, andrò dal dottor Lightman e porterò con me Abby. Ma tu fammi un favore…fatti visitare da Ducky… sono giorni che ti vedo strana.”
Gibbs si avvicinò alla porta e prima di uscire rivolse un ultimo sguardo al direttore che gli sorrise, non avrebbe mai chiamato spontaneamente Ducky, perciò decise che avrebbe provveduto lui stesso ad informare il dottore.
Eli e Ria erano seduti sul divanetto di fronte alla scrivania di Cynthia e stavano scambiando qualche parola con la segretaria, ma appena videro l’agente Gibbs si interruppero in attesa di una sua risposta.
“Faccio chiamare la signorina Sciuto e vi raggiungiamo al parcheggio auto qui fuori.” Annunciò passando loro accanto, senza quasi voltarsi.
Non appena sceso nell’open space Gibbs fu raggiunto da Tony “capo. Freeman è in sala interrogatori che ti aspetta, poveretto…ha dovuto farsi il viaggio di ritorno con Ziva alla guida, è un miracolo che io sia qui a raccontartelo…”
“Come posso imparare a vivere qui, se non mi lasci neanche guidare.” Ribattè l’israeliana.
“Tu non guidi, sembra di essere…”
“Ehi! Basta! Ci penserete voi all’interrogatorio, io ho un altro impegno.”
“Dove vai?” chiese Tony non potendosi immaginare un motivo abbastanza importante per allontanare Gibbs dalla sala interrogatori.
“Da Abby” si limitò a dire e sparì  verso gli ascensori.
Tony e Ziva raggiunsero McGee nella stanzetta di osservazione “Cosa fa?”chiese Ziva.
“È rimasto lì seduto tutto il tempo, quasi immobile da quando lo avete portato qui mezz’ora fa.”
“Sarà sotto shock per la guida di Ziva.” Scherzò Tony ricevendo in cambio una gomitata dalla sua collega.
“Forse hai ragione, pivello, credo abbia aspettato abbastanza.”
“Dov’è Gibbs?”
“Da Abby. Ha detto che l’interrogatorio è nostro, anzi…tuo.” Tony passò a McGee il fascicolo sul generale Freeman.
“Vuoi che lo interroghi…io?”
“Devi fare pratica…McInesperto…su, su.” Lo incitò il collega con un movimento della mano.
McGee uscì dalla stanza per comparire poco dopo in quella accanto, sbattendo il fascicolo sul tavolo “lo sa vero che è sospettato di omicidio, generale Freeman?” cominciò McGee.
 
 
Lo squillare incessante del telefono all’ingresso coprì il lento ticchettare dell’orologio sulla parete, svegliando l’uomo appisolato sul divano che si alzò di malavoglia per andare a rispondere.
“Pronto?”
“Ti devo parlare.” Rispose una voce all’altro capo.
“Ti ho detto che non mi devi mai chiamare su questo numero, potrebbero intercettare la telefonata.”
“Lo so, ma ho un compratore, vediamoci tra un’ora al solito posto.”
Riagganciarono entrambi.
Una Mercury grigia svoltò in una stradina laterale non lontano dal porto, l’auto si fermò e l’uomo spense il motore restando in attesa, mentre le prime gocce di una leggera pioggia estiva cadevano sul parabrezza. Un uomo alto, dai capelli castani e con il bavero della giacca sollevato a coprirgli il volto si avvicinò alla vettura e salì, sedendosi sui sedili posteriori.
“Cosa c’è di tanto urgente?” chiese la persona alla guida. Indossava abiti da civile e portava un cappello da baseball calato sulla fronte per evitare di farsi riconoscere,
“Come ti ho già detto, abbiamo un compratore. Ma resterà in città per pochi giorni, dobbiamo concludere l’affare velocemente.”
“Alcuni agenti dell’NCIS sono stati alla base e sono venuti in laboratorio. Hanno dei sospetti e non metterò in circolazione la merce finché questa faccenda non sarà conclusa.”
“Ma io ho bisogno di quei soldi.” Rispose Velles dal retro dell’auto.
“Tu forse non rischi più nulla, ma io ho una carriera, è troppo rischioso per me. E poi quella ragazza ci ha visti..”
“Di questo non ti devi preoccupare, alla ragazza ci penso io. Tra l’altro è una mia vecchia conoscenza.” Sghignazzò.
“Non voglio neanche sapere… mi viene il voltastomaco solo a pensarci. Occupati della ragazza e poi ne riparleremo.”
“Basta che io non debba aspettare troppo, non ci metterei molto ad occuparmi anche di te.”
“Mi stai forse minacciando.” Chiese l’autista girandosi di scatto e piantando gli occhi scuri in quelli grigi del suo interlocutore che si limitò a rispondere con un mezzo sorriso. “Ora scendi da quest’auto e non chiamarmi più a casa.”
Martin Velles scese, chiuse la portiera e guardò la vettura rimpicciolirsi sempre più, a mano a mano che si allontanava da lui, fino a vederla scomparire nelle caotiche strade di Washington, poi si incamminò dalla parte opposto, cercando di ripararsi il meglio possibile dalla pioggia che aveva preso a cadere con maggior violenza.
 
 
“Sai Tony, McGee se la sta cavando molto meglio di te…e soprattutto riesce ad imitare Gibbs meglio di quanto non faccia tu.” Lo schernì Ziva.
“Perché io non cerco di imitare Gibbs, io uso la tecnica DiNozzo, una tecnica infallibile…”
“Spero non sia la stessa che usi con le donne? Forse è per questo che tutte di danno un buco.”
“Danno buca…Ziva…danno buca. Credo proprio che quel dizionario ti sarà utile...” i due agenti rivolsero nuovamente la loro attenzione oltre il vetro, McGee aveva appoggiato entrambi i palmi sul tavolo e stava fissando il suo interlocutore dritto negli occhi.
“Senta, io non ho ucciso nessuno. Non so che prove abbiate ma io non ho mai visto il colonnello all’infuori del lavoro e lì siamo sorvegliati. Non so se l’ha notato ma ci sono telecamere in quasi tutta l’area.” Dichiarò il generale.
“Abbiamo trovato le sue impronte nella casa del colonnello Withmann e lei non ha un alibi per il giorno dell’omicidio.”
“Le mie impronte? Non sono mai entrato nella casa del colonnello. L’unica volta che sono stato a casa sua ero andato per portargli alcuni documenti, ma non c’era e me ne sono andato; sarà stato un mese fa.”
“E questo come lo spiega?” McGee prese una busta all’interno della quale c’era un piccolo bicchiere da liquore e lo appoggiò sul tavolo “È su questo bicchiere che abbiamo trovato le sue impronte. Abbiamo la sua arma, ci basterà confrontare i proiettili.”
Freeman si fece più vicino e osservò con attenzione il bicchierino attraverso l’involucro di plastica, era sicuro di aver già visto qualcosa di simile, era molto particolare, di vetro opaco con una bordura argentata e una piccola incisione a foglia sul fondo.
“Velles era al verde…”
“Chi?”
“Martin Velles, meglio noto come Martin Ventris… Lei non ha famiglia, è vicino alla pensione e un po’di soldi da parte possono far comodo. Ventris le ha proposto di rubare il progetto e di venderlo a qualche suo contatto. Probabilmente avete proposto l’affare anche a Withman, ma lui si è opposto, però avevate bisogno di un modo per entrare, perciò lo avete ucciso e avete fatto un calco delle sue impronte. Probabilmente avete coinvolto anche il caporale Green ma quando non vi è più servito lo avete ucciso.”
“Però… il Pivello ci va giù pesante.”
“Beh, le prove sono tutte a carico di Freeman, aveva i mezzi, le opportunità, abbiamo le sue impronte…”
“Sì, ma il movente…secondo me non regge. Insomma lo stipendio da generale è molto buono e per un uomo che non ha famiglia?”
“Avidità. Ingordigia. Desiderio. Molti uomini non si accontentano di ciò che hanno.” Rispose l’israeliana guardando negli occhi il suo collega.
Tony si guardò attorno nello stanzino, per accertarsi che fossero soli, poi, senza quasi rendersene conto, le parole gli uscirono di bocca fluide “A proposito di desiderio, ti andrebbe di uscire a cena con me, stasera. Vorrei sdebitarmi come si deve per la tua ospitalità.”  
“Mi stai chiedendo un appuntamento, agente DiNozzo?”
“No…non proprio. Una cena tra colleghi per sdebitarmi…allora, accetti?”
“Sì. Va bene, ma non credo che stasera ce ne sarà il tempo” Acconsentì Ziva dopo averci riflettuto per un attimo.
“Ottimo. Allora a caso risolto sei ospite a casa mia. Cucina italiana.” Tony consentì ai polmoni di liberarsi dal fiato che aveva trattenuto fino a quel momento, temendo la reazione della sua collega.
“Quel bicchiere.” Freeman aveva ricominciato a parlare “Non è del colonnello Withman. Era a casa del maggiore, mi aveva offerto qualcosa da bere qualche settimana fa, quando ero passato per un aggiornamento sul progetto.”
“Il maggiore? Sta parlando del maggiore Price?” Chiese McGee.
“Controllate a casa sua, sono sicuro che troverete altri bicchieri così. Io non ho ucciso nessuno.”
 
 
Ducky entrò nella sala d’attesa che precedeva lo studio del direttore, Cynthia, come sempre era alla sua scrivania e stava svolgendo alcune mansioni di cancelleria “la signora Shepard c’è?” chiese rivolto alla segretaria.
“Sì.” Rispose la donna, premendo il pulsante dell’interfono e annunciando il dottor Mallard, senza ottenere risposta.
Ducky battè un paio di colpi alla porta, ma dall’interno della stanza non si sentì alcuna voce, riprovò invano per la seconda volta e decise di entrare.
“O Santo cielo, Jennifer!” esclamò vedendola distesa a terra priva di sensi. Accucciato accanto a lei, il dottore portò istintivamente due dita alla carotide, il battito c’era, apparentemente sembrava solo svenuta.
“Cynthia” chiamò dall’interno “Cynthia, non resti lì impalata, apra una finestra, faccia entrare un po’ d’aria e mi porti anche dell’acqua.” ordinò sollevando le ginocchia a Jennifer per permettere al sangue di fluire meglio.
Aveva iniziato a piovere e la stanza fu presto invasa dall’odore dell’asfalto rovente appena bagnato. Jen rinvenne poco dopo “Ducky. Ducky, cosa ci fai tu qui?” chiese mentre il dottor Mallard la aiutava ad alzarsi e le porgeva il bicchiere di acqua che aveva portato Cynthia.
“Mi manda Jethro, era preoccupato per te, e ora mi accorgo che non aveva poi tutti i torti.”
“Sto bene, Ducky, è stato solo un capogiro, deve essere il caldo di questi giorni. Non è la prima volta che mi succede” Rispose sedendosi al tavolo centrale bevendo qualche sorso di acqua fresca che le stuzzicò piacevolmente la gola riarsa.
“Perciò ti è capitato spesso, ultimamente?”
“Cynthia, potresti scusarci.” Chiese gentilmente Jen.
“Certo direttore, se ha bisogno di qualcosa sa dove trovarmi.”
Quando la donna fu uscita Jennifer riprese a parlare “Ducky, ti ringrazio per il tuo interessamento, ma sto bene…”
“Non ha risposto alla mia domanda direttore.” Incalzò il dottor Mallard, senza prestare attenzione al tentativo di Jennifer di congedarlo.
“Nelle ultime due settimane…sì, mi è capitato alcune volte.”
“E non hai pensato di farti visitare? Di sottoporti a qualche analisi?”
“Sì, l’ho fatto”
“E…”
Jen esitò, indecisa se rivelare la cosa al dottor Mallard, ma in fin dei conti prima o poi lo avrebbero saputo tutti comunque, tanto valeva iniziare con una persona di cui si fidava e che, bene o male era del mestiere; confidarlo a qualcuno l’avrebbe sollevata “Sì, mi è arrivato il responso questa mattina.” Andò verso la scrivania e prese alcuni fogli da un cassetto e li porse al dottore.
Ducky scorse velocemente i risultati delle analisi, poi sollevò la testa “Gibbs lo sa?” Si limitò a chiedere.
Jenny scosse la testa “non ancora… ha già abbastanza pensieri con questo caso, non voglio dargli una preoccupazione ulteriore.”
“Jennifer.” La ammonì il dottore.
“Per favore Ducky. Vorrei che per il momento restasse tra noi.”
“D’accordo direttore.” Promise e uscì dallo studio chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Jenny seduta accanto al tavolo con i referti medici tra le mani.



Immagino che dopo aver letto questo capitolo, vi rifiuterete di leggere i prossimi, vi capisco, per certi versi anche a me stavolta ha convinto poco.

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Capitolo 13
*** Chi vuol esser lieto sia ***


Eccoci al round finale di questa storia. Buona lettura.


CAPITOLO TREDICESIMO

Loker arrestò l’auto nel parcheggio sotterraneo del palazzo che ospitava la sede del Ligthman Group, i quattro scesero chiudendo le portiere con un tonfo sordo. Lo spazio era invaso dall’odore dei gas di scarico delle auto e da un inconfondibile puzzo di urina, pari a quello che si sentiva nei sottopassaggi della metro o delle stazioni ferroviarie, come se quei luoghi fossero gli unici gabinetti in tutta Washington: Abby arricciò il naso e si coprì la bocca con una mano per evitare di inalare quell’odore nauseabondo.
“Sono due giorni che è così. Il sistema di areazione è difettoso, hanno chiamato i tecnici, ma non si sono ancora visti.” Cercò di spiegare Eli.
Gibbs e Abby seguirono i due collaboratori di Lightman nell’ascensore e insieme salirono al quinto piano e poco dopo entrarono nel lungo corridoio sul quale si affacciavano i vari uffici e laboratori. La parete di destra, accanto all’ingresso, era coperta da un enorme poster sul quale erano raffigurati uomini politici, personalità dello spettacolo e autorità religiose e su ciascun volto si leggeva un’espressione diversa. Abby si fermò incuriosita davanti al pannello “ehi Gibbs…questa faccia la fai sempre quando Tony dice una cavolata… questa invece quando il direttore Shepard ti richiama all’ordine…”
“Abby!”
“…oh, ora invece hai un’espressione più simile a questa.” Disse puntando il dito verso un J. F. Kennedy alquanto indispettito.
Gibbs non riuscì a nascondere un sorrisino divertito, poi si ricompose e si rivolse a Torres “ci porti dal dottor Lightman. Voglio parlare con Rebecca.”
Ria li accompagnò nell’ufficio di Cal: Jethro notò che era molto spazioso, con una bella scrivania di fronte alla grande vetrata che si apriva sulla città; c’era inoltre una seconda porta alla sinistra del tavolo, probabilmente uno stanzino, pensò Gibbs.
Rebecca era seduta sul divanetto assieme a Gillian e scattò in piedi non appena vide Jethro “scusi agente Gibbs, so che non avrei dovuto lasciare la casa di Abby se non per venire al NCIS, ma volevo tentare con l’aiuto della dottoressa Foster per far riaffiorare i miei ricordi ed esserle di aiuto.”
Gibbs annuì “dov’è il suo collega?” chiese rivolto a Gillian.
“Il dottor Lightman vi sta aspettando in uno dei laboratori.” Rispose uscendo dallo studio assieme agli altri “so che avremmo dovuto portare Rebecca da lei” iniziò Gillian “ma credo che qui saremo in grado di venire a capo dell’intera faccenda.”
Gibbs si limitò a sorriderle, Ducky aveva ragione, era davvero una bella donna. Camminarono lungo il corridoio ed entrarono in una stanza buia con un grande cubo di vetro al cui centro c’era un tavolino con due sedie affrontate. Abby guardò con interesse l’ambiente e l’unica cosa che pronunciò fu un’esclamazione di stupore davanti a tutta quella tecnologia informatica “McGee andrebbe in brodo di giuggiole.” Esclamò.
Il dottor Lightman stava armeggiando con uno dei computer e si limitò a rivolgere un cenno del capo ai nuovi arrivati.“Siamo pronti. Tesoro, entra con Rebecca. Voi invece restate qui.” Ordinò a Gibbs e Abby.
Appena presero posto sulle sedie Gillian iniziò a far rilassare Rebecca che ben presto entrò in uno stato di semincoscienza. “Bene Rebecca, ora torniamo indietro di qualche giorno, sei a Quantico, perché ti trovi lì?
“Stavo andando a trovare il mio compagno, il colonnello Joseph Withman.”
“E come mai non sei andata da lui?”
“Non..non potevo… c’erano due uomini…uno ha sparato era…i suoi occhi…ricordo i suoi occhi, erano grigi…sì era lui…” la ragazza iniziò ad agitarsi.
“Va bene, va bene Rebecca, al mio tre ti sveglierai…1...2…3.”
“Ora ricordo!”
“Ce ne vuoi parlare?”
“Vivevo con i miei George Town, papà era un medico molto conosciuto e molto bravo come chirurgo plastico. Io ero l’unica figlia e i miei sono sempre stati molto apprensivi. Un giorno un uomo alto, con i capelli castani e degli splendidi occhi grigi si presentò a me come collega di papà, disse che i miei non potevano venirmi a prendere, c’era stata un’emergenza, anche mamma era medico. Mi mostrò il tesserino dell’ospedale. Gli credetti.
Mi tenne rinchiusa per una settimana, non so dove…ma i suoi occhi. Non dimenticherò mai i suoi occhi, né la sua voce. L’ho risentita quando hanno sparato a quel povero marines e lì che l’ho visto.”
Gillian mise davanti a Rebecca a foto segnaletica di Ventris “è questo l’uomo?”
La ragazza annuì con la testa.
“Visto, agente Gibbs. Anche noi ce la caviamo discretamente.” Sentenzò ironico Cal.
“Non direi. Ha parlato di due uomini. Ne manca uno. Le mostri la foto di Freeman.”
Cal entrò nel cubo e sussurrò qualcosa all’orecchio della dottoressa Foster, poi ritornò accanto a Gibbs e Abby.
“L’altro uomo. Chi era? Forse questo?”
“No.”
“Ne se sicura, Rebecca?”
“Assolutamente, l’uomo che ho visto io era piccolo, con corti capelli scuri ed era piuttosto giovane, questo è troppo vecchio.”
“Il maggiore Price” esclamò Gibbs e prese il cellulare. “Ziva, il nostro uomo è…”
“Il maggiore Price, capo. Tony e McGee hanno trovato a casa un set di bicchierini dello stesso tipo di quello trovato nella casa del colonnello. Price è in stato di fermo, ma non parla. Prima che lo arrestassimo ha fatto una telefonata. McGee ha ristracciato il numero, è quello di Ventris…”
“Se uccideranno Rebecca, non ci sarà nessuno a testimoniare…”Gibbs riagganciò.
 Rebecca e Gillian uscirono dal cubo “soddisfatto agente Gibbs?”
“Ve la cavate bene. Ma Rebecca è ancora in pericolo, temiamo che Ventris miri a lei per far sparire le prove. Perciò torna sotto la nostra protezione.”
Lightman e Foster accompagnarono gli ospiti alla porta e Gibbs uscì salutando cordialmente, accompagnato da Abby e dalla sua amica.
Stavano attraversando la strada quando un’auto partì a tutta velocità cercando di travolgerli; Gibbs spinse di lato sia Rebecca che Abby, estrasse la pistola e sparò alle ruote dell’auto che si fermò sul marciapiede a poca distanza da loro. Si avvicinò al conducente con la pistola spianata, Ventris aveva battuto la testa sul volante e un rivolo di sangue gli colava dalla fronte. L’uomo fu ammanettato e Gibbs aspettò che arrivassero i suoi uomini per portare via Ventris.
Appena rientrati al NCIS Tony guardò Ziva con un sorriso sornione “beh, il caso è chiuso…mi devi una cena, ricordi?”
Ziva lo scrutò per qualche istante, davvero voleva invitarla a cena? Aveva pensato si trattasse solo di uno scherzo. Continuò a fissarlo senza rispondere.
“Allora, siamo d’accordo. Domani sera a casa mia alle otto.”
Ziva si limitò ad annuire.
 
 
L’appartamento di Tony si trovava al secondo piano in pieno centro città. Ziva suonò al campanello che mancavano cinque minuti alle otto: sentì alcuni rumori provenire dall’interno, poi lo scatto della serratura che si apriva. “Sei in anticipo…prego accomodati.” Le disse apparendole davanti con un grembiule con l’immagine di Spock e con mezza faccia sporca di pomodoro
Ziva lo guardò e scoppiò in una fragorosa risata, subito interrotta da un’occhiata del suo collega “EHI!”
“Scusami Tony…è che sei così buffo. Ho portato un dolce e del vino.” Disse ricomponendosi.
“Grazie David ma non ti dovevi disturbare, sei mia ospite.” Tony si comportava in modo stranamente cortese, doveva esserci sotto qualcosa pensò Ziva,
L’appartamento non era molto grande ma era arredato con gusto, anche se mancava qualcosa, un tocco femminile, forse.
“Ti mostro la casa.” disse Tony.
“So com’è fatta casa tua…quando Gibbs è andato in pensione sono venuta a trovarti ogni tanto.” Rispose l’agente del Mossad.
Tony non le prestò ascolto e indicò un ambiente alla destra dell’ingresso “Ecco, questo è il salotto.” C’erano un comodo divano di pelle e un televisore a schermo piatto affiancato da due mobili colmi di dvd, cd e, Ziva non se lo aspettava, libri. “Da quando ha una libreria?” le chiese alquanto stupita.
“Da sempre…solo che erano nascosti dietro al resto…ho fatto un po’di ordine.”
Proseguirono il giro turistico entrando in cucina e il profumo delle pietanze nel forno stuzzicò le narici di Ziva “il profumo sembra invitante.”
“Siediti.” La pregò Tony indicando una tavola apparecchiata per due con al centro un candelabro che sorreggeva due candele accese. Ziva provò una strana sensazione, l’atmosfera era eccessivamente romantica per una semplice cena tra colleghi.
Tony estrasse dal forno una teglia di crespelle coperte da un abbondante strato di besciamella, si tolse il grembiule e si sedette di fronte a Ziva che guardava incuriosita la portata.
“Guarda che è commestibile.”
“Complimenti Tony, è davvero buona” si congratulò l’iraniana dopo aver assaggiato un boccone delle crespelle “non pensavo sapessi anche cucinare.”
Tony si limitò a sorridere compiaciuto.
Finita la prima portata, Tony ritornò vicino ai fornelli e prese una pentola che conteneva delle polpette di carne al sugo e le servì a Ziva, la quale guardò il suo collega, sempre più sorprese dalle sue abilità.
Mangiarono con tranquillità, discutendo dei risvolti del caso, della collaborazione con il Lightman Group, fino ad arrivare a parlare di film.
“Scherzi Ziva, non hai mai visto “La stangata” con Robert Redford e Paul Newman, nei panni di due imbroglioni che vogliono fregare un boss della malavita per vendicare un amico? È un classico! Un capolavoro della commedia americana!”
“Per te tutti i film sono dei classici e dei capolavori.”
“Ma questo lo è davvero. Vieni.”
“Si è fatto tardi. Meglio che vada.” Rispose Ziva alzandosi.
“Eh, no. Non mi sentirò del tutto sdebitato per la tua ospitalità se non ti avrò fatto vedere questo film. E poi non abbiamo ancora mangiato il dolce.”
Ziva si lasciò convincere e si accomodò sul divano mentre Tony inseriva il dvd e avviava il film. Non passò molto tempo che l’agente DiNozzo, si alzò e sparì in cucina per riapparire poco dopo con due fette della crostata di mele fatta dalla sua collega “mi sono permesso di aggiungere un po’ di panna” riferì Tony appoggiando i piattini sul basso tavolino davanti al divano e versando dello spumante in entrambi i bicchieri.
Forse fu colpa del caldo, della compagnia o del coraggio datogli da qualche bicchiere di troppo, ma ad un tratto Tony prese una mano di Ziva tra le proprie e le parole gli salirono alla bocca semplici e dirette “credo di essermi innamorato di te, agente David.”
Ziva sbiancò e arrossì di colpo “piantala Tony, non scherzare.” Disse vedendo gli occhi del collega lievemente offuscati dall’alcool.
“No, Ziva. Lasciami parlare e per favore non dire nulla finchè non avrò finito… sì, forse è il vino a darmi coraggio, ma è la verità. Mi sono sentito attratto da te dal primo giorno in cui ti ho vista varcare la porta del NCIS, con quei tuoi pantaloni di tela chiari e quei tuoi occhi caldi. Quando il direttore mi ha affidato quella missione sotto copertura, mi sono sentito male, vedendo quanto la mia relazione con Janne ti facesse soffrire. L’amavo, ma non quanto amo te. L’ho capito quando ho visto che provavi interesse verso quel caporale che ci aveva quasi ammazzatti di botte. Non erano i colpi ricevuti a farmi male, ma il fatto che tu fossi attratta da lui e non da me…ero geloso. ”
“Tony…”
“No, aspetta. La verità è che non mi importa se non sarò corrisposto, ma era giusto che lo sapessi, è giusto che tu sappia che io farei di tutto per te, per renderti felice, anche se questo significa che dovrò lasciarti andare. E non me ne frega niente della stupida regola di Gibbs…io ti amo Ziva David.”
Con una rapida torsione del torace Tony si girò verso Ziva, le prese il viso tra le mani e le sfiorò le labbra con un bacio delicato.
“Ora puoi anche picchiarmi.” Disse, aspettandosi una reazione violenta dalla sua collega.
“No, Tony….perchè anche io ti amo. E quanto alla regola di Gibbs, non credo sarà un problema, visto che lui per primo l’ha infranta.”
“Ahaha. Avevo ragione. McGee mi deve 20 $.”
Ziva gli gettò le braccia al collo e lo baciò, lasciando che i loro respiri si confondessero l’uno nell’altro.
 
 
L’open space era semideserto: dopo che i suoi uomini avevano passato la mattinata a stillare il rapporto sul caso, Gibbs aveva concesso loro il pomeriggio e la serata liberi; tuttavia lui era ancora lì e stava scendendo in sala autopsie dove era sicuro di trovare il dottor Mallard ancora al lavoro.
“Ciao Jethro.” Lo salutò Ducky “sei ancora qui?”
“Ti devo parlare.”
“Dimmi tutto, nonostante ami dominare la conversazione, so essere anche un buon ascoltatore.”
“Si tratta di Jen.”
“Me lo immaginavo.” Ducky avvicinò una della due sedie a Gibbs mengtre lui prendeva posto sull’altra.
“Tu le hai parlato…lo so che l’hai fatto. Puoi dirmi che cos’ha?”
“Sì, le ho parlato. A dire il vero quando sono andato da lei era a terra svenuta…”
“Pensavi di dirmelo?”
“…si è ripresa subito. È già stata da un medico, ha ricevuto il risultato delle analisi ieri mattina.”
“E…”
“E niente. È con lei che devi parlarne, non con me… mi avvalgo del segreto professionale.”
“Vuoi scherzare dottor Mallard?”
“No, Jethro. Mi dispiace. Vai a parlarne con lei.” Concluse Ducky alzandosi dalla sedia e ritornando a sfogliare alcuni referti.
Gibbs spalancò la porta dell’ufficio del direttore, aveva l’aria preoccupata e furibonda allo stesso tempo “vuoi dirmi di cosa si tratta?”
“Moderi il tono agente Gibbs.”
“No. Jen. Basta con questa farsa del direttore. Sono stato da Ducky e mi ha detto che non spetta a lui dirmelo. Allora si può sapere che cos’hai!”
“Non qui Jethro…ne parliamo a casa.”
“No! Smettila di usare questo tono con me. Smettila di fare la donna orgogliosa; ti comporti come quella volta a Parigi, ma sappi che la prossima volta non tornerò più…”
“Aspettiamo un bambino.” Disse Jen tutto d’un fiato sorridendo al suo compagno.
Gibbs sgranò gli occhi e le ultime parole gli morirono in bocca “ma come è possibile…cioè so come…ma…”
“Lo so. Neanche io ci pensavo più. Insomma, ho quasi quaranta anni , eppure…”fece una pausa mentre i suoi occhi si posavano su quelli increduli di Gibbs “…sarai di nuovo padre Jethro.”
“Padre.” Sussurrò Gibbs “Jen...ti ho mai detto quanto ti amo!” disse e la abbracciò con slancio dandole un bacio.
Jen sentì la morbida dolcezza di quel bacio mescolarsi al sapore salato delle lacrime: l’agente speciale Leroy Jethro Gibbs stava piangendo.


FINE



ANGOLINO AUTRICE:
Gibbs che piange? Lo so, finale pessimo, però ho cercato di immaginare cosa potesse provare, scoprendo, dopo anni e anni dalla morte di sua figlia, quando ormai non pensava mai più di poter avere una famiglia e all'improvviso, non solo ha Jen ccanto, ma addirittura diventa padre.
Io ho dato le mie motivazioni, ora vado a prendere un ombrello molto grande per ripararmi dai lanci di pomodori.

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