It Was Only Just a Dream

di Stella cadente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Era solo un sogno ***
Capitolo 2: *** Tre biglietti ***
Capitolo 3: *** Ansia da concerto ***
Capitolo 4: *** L'ora si avvicina ***
Capitolo 5: *** Il concerto più bello della mia vita ***
Capitolo 6: *** Sotto un'altra luce ***
Capitolo 7: *** One Direction ***
Capitolo 8: *** Il ragazzo di Long Island ***
Capitolo 9: *** Zayn Malik ***
Capitolo 10: *** Semplicemente Sam ***
Capitolo 11: *** Parole mai dette ***
Capitolo 12: *** Legami ***
Capitolo 13: *** Zayn ***
Capitolo 14: *** Domani ***
Capitolo 15: *** Specchi d'acqua ***
Capitolo 16: *** Sprazzi di magia ***
Capitolo 17: *** Biondo chiaro ***
Capitolo 18: *** Consapevolezze ***
Capitolo 19: *** Prometti soltanto di non dimenticare che noi avevamo tutto ***
Capitolo 20: *** Come neve in settembre ***



Capitolo 1
*** Era solo un sogno ***






Questa è la storia di un sogno. Questa è una storia dolce, una storia che parla di felicità. Quella felicità che colma il cuore, che lo fa straripare, quella felicità che non a tutti può essere accessibile. La felicità di un momento, di uno sguardo, di un sorriso.
Sì, questa è la storia di un sogno. O forse no. 
Dipende soltanto dai punti di vista.


 





Parte Prima









1.
Era solo un sogno

 

 

Sam

 
 
New York, 5 aprile 2012
 

 
Avevo finalmente finito di attaccare l’ultimo poster, e ora della parete verniciata di verde pastello restava ben poco, visto che ormai quasi la mia intera camera era tappezzata da foto, poster e notizie che avevo trovato sui giornalini.
Ora, a lavoro finito, i loro sguardi mi osservavano sorridenti dalle mura un po’ sbiadite, donandomi un intenso moto di soddisfazione.
Cinque ragazzi, niente di più. Eppure sembravano essere tutto il mio mondo, uno dei principali motivi della mia felicità.
Mi sdraiai sul letto, notando quanto il loro aspetto fosse così bello, pulito, immacolato. Una foto era più carina dell’altra, e immaginai che mi stessero indirizzando quei sorrisi speciali, dai poster. Sapevo perfettamente che non avrei mai potuto averli vicino, ma ogni volta che li sentivo cantare o vedevo un loro video il cuore mi si gonfiava inevitabilmente di felicità, e non riuscivo a trattenere un sorriso.
Continuai a guardare quelle facce angeliche, persa nei miei pensieri.
“Come fai a provare un sentimento del genere verso persone che neanche conosci?” era la frase che sentivo così spesso. Ma io alzavo le spalle elusiva, pensando che chi lo diceva non avrebbe mai compreso come mi sentivo.
Inserii con un gesto automatico il loro  cd nello stereo, “Up All Night”, che avevo ormai ascoltato fino allo sfinimento;  non appena premetti il tasto play le note della prima canzone si diffusero nella stanza, chiudendomi come in un guscio indistruttibile.

 “You’re insecure, don’t know what for, you turn your head when you walk through the door...” 

What makes you beautiful. 
Era con quel concentrato di pura allegria e vitalità che li avevo conosciuti, che li avevo ascoltati, che avevo iniziato a sognare.
Cominciai a canticchiare quasi senza volerlo e mi lasciai scivolare nel mio invisibile e trasparente mondo musicale. La canzone era contagiosa, orecchiabile, irresistibile; era inevitabile, ogni volta che ascoltavo un loro brano riuscivo sempre a tornare di buon umore. Ogni singola nota sprigionava magia, energia ma anche amore o tristezza.
Immaginai, con un sorriso, che potessero sentirmi cantare insieme a loro. Cantavo con passione, come se davvero fossero stati davanti a me, a guardarmi orgogliosi.
Loro erano i One Direction, cantanti che stavano ormai spopolando sempre più, mentre io Samantha Chase, una qualsiasi adolescente americana. 
Sapevo che le mie probabilità di incontrarli e conoscerli erano pari a zero, ma partecipare ad un loro concerto, vederli, ascoltare le loro voci dal vivo sarebbe bastato a farmi andare in fibrillazione e a, ne ero certa, ricordare quel momento per sempre.
Il cd andava avanti con One thing, mentre io, immersa in questi pensieri, venivo dolcemente cullata dalle loro melodie allegre e dalle loro voci limpide.
– Sam! – sentii strillare improvvisamente dal piano di sotto.  – È pronta la cena, stasera c’è hamburger con patatine!
La voce acuta e forte di mia madre interruppe il mio piccolo mondo astratto fatto di musica e sogni. Roteai gli occhi con un gesto plateale e scesi rapidamente la scala a chiocciola, continuando a canticchiare.

 

****

 


“I was thinking about you, thinking about me, thinking about us, what we gonna be... open my eyes, it was only just a dream...”  la suoneria del  cellulare interruppe il ticchettare delle mie mani sulla tastiera del portatile bianco, a cui ultimamente stavo sempre connessa. Non mi curavo del fatto che cominciassi a diventare miope, ed ogni sera mi connettevo regolarmente per leggere qualche notizia succosa riguardo ai ragazzi.
– Pronto? – risposi, senza guardare il display. Ero, come al solito, presa da uno dei lunghissimi articoli che qualcuno aveva pubblicato sui One Direction.
– Ehi bellezza! – sentii dall’altra parte. Quella era una voce dal timbro allegro ma ribelle, che conoscevo bene.
Corey.
– Ciao –  le risposi di rimando con un tono vacuo, distratto. Ero felice di sentirla, era pur sempre la mia migliore amica; non staccai però lo sguardo dallo schermo del computer, connesso alla solita pagina Internet, divorando lo spazio, le righe, le notizie con occhi attenti, veloci, affamati di informazioni.
– Senti... – cominciò lei, con un tono di voce che conoscevo anche fin troppo bene. Era il tono che di solito assumeva quando aveva in mente qualcosa, o quando era arrivata a conoscenza di un pettegolezzo sensazionale – sto per darti una notizia bomba... – continuò infatti, senza dirmi il motivo per cui mi aveva chiamata.
Sapevo che le piaceva l’idea di tenermi sulle spine, come sempre. La sua voce però tremava, come se tradisse una certa emozione.
– Dimmi – risposi, cercando di mantenere la calma. Fremevo dalla voglia di sapere cosa stesse per dirmi.
– Pronta? – chiese, con la voce colma di eccitazione.
In quel momento non seppi cosa aspettarmi; sembrava che stesse per esplodere da un momento all’altro.
– Sì –  incalzai, sempre continuando a guardare il computer.  – Corey, che cosa c’è?
– Il ventisei maggio i One Direction torneranno qui a New York! – urlò di colpo nella cornetta nera del telefono.
Nell’istante in cui lo disse sentii come una fitta al petto.
– D..davvero? – riuscii a balbettare, mentre camminavo nervosamente per tutta la stanza. Era come se le mie gambe avessero acquistato una vita propria ed avessero deciso di muoversi a loro piacimento, senza tener conto della mia opinione.
– No, per finta –  rispose con sarcasmo. – Ci pensi? Sarà il loro primo tour! Però dobbiamo sbrigarci a prendere i biglietti, perché sono sicura che andranno a ruba. Scommetto che molti sono già finiti... dobbiamo sbrigarci e andarli a prendere domani mattina, okay? Verso le nove va bene?
Aveva detto tutto questo quasi inciampando tra una parola e l’altra; si sentiva che era emozionata.
– Certo, ma... –  indugiai un poco. Lei aveva solo detto che avremmo dovuto prendere i biglietti alle nove, ma non aveva detto dove.
– Perfetto! – disse soddisfatta, senza lasciarmi rispondere.
– No aspetta – la fermai io, prima che potesse riattaccare.
– Cosa c’è? – ribatté, un po’ infastidita.
– Non mi hai detto dove prenderemo i biglietti –  le dissi, con la risata nella voce.
– Ah, giusto, scusa – fece la mia amica, imbarazzata. – Beh, le vendite online sono tutte esaurite, dobbiamo andare nei punti vendita – si riprese poi, più determinata che mai. – Quindi... che ne dici di Macy’s? Mi sembra che lì non siano finiti i biglietti. E noi dobbiamo assolutamente prenderli.
Quel tono di voce così fermo e deciso mi spaventava vagamente: quando Corey faceva così, voleva dire che niente e nessuno l’avrebbe fermata.
– Okay, –  dissi, entusiasta – allora ci vediamo domani.
– Mi raccomando Sam, puntuale – concluse per tutta risposta, minacciosa.
Sapeva che ero un’inguaribile ritardataria, che amavo fare le cose con calma.
– Va bene – la rassicurai io, prima di salutarla e riattaccare.
Mi lasciai cadere di colpo sulla poltroncina bianca girevole; sembrava incredibile che i One Direction venissero proprio a New York. Non riuscivo a credere al fatto che, forse, li avrei rivisti dal vivo. Almeno, sempre che avessimo avuto un po’ di fortuna e avessimo preso i biglietti.
Io e Corey li avevamo sentiti cantare in live per la prima volta qualche mese prima, quando avevano accompagnato i Big Time Rush – altra band che seguivamo assiduamente – in concerto. Ormai quei ragazzi stavano avendo successo anche negli Stati Uniti, e noi, che li seguivamo dai tempi di XFactor, ne eravamo felicissime. Ci sentivamo fiere di loro, fiere del fatto che si stessero affermando come artisti veri e propri.
Non riuscii più a contenermi ed esplosi in un “Sì!” saltando di gioia, proprio come una ragazzina.
 Sam? Stai bene? –  chiese una voce familiare alle mie spalle.
Vanessa, mia sorella.
I suoi occhi color smeraldo mi squadravano da capo a piedi, il viso contratto in un’espressione a metà tra l' inorridito e il preoccupato.
 – Sì – feci, con un gran sorriso. – Perché i One Direction torneranno a New York – canticchiai, contenta.
– Davvero? –  i suoi occhi grandi si spalancarono dalla sorpresa.
– Già – continuai. – Non sto scherzando, io e Corey andremo a prendere i biglietti domani – conclusi. Ero entusiasta all'idea, non potevo fare a meno di sentirmi emozionata.
– Oddio...
– Ragazze, tutto bene? –  fece mio padre passando da lì, con il giornale in mano. Ci guardò storto, come per chiederci una spiegazione a tutto quel trambusto.
– I One Direction verranno a New York! –  facemmo all’unisono, come sincronizzate.
– Bene – sorrise lui.
Lo ricambiai, con gli occhi che brillavano. Improvvisamente volevo con tutta me stessa mandare avanti il tempo per prendere i biglietti con Corey. La mia amica aveva deciso di trovarci davanti a Macy’s alle nove di mattina; non ero mai stata abituata a quell'orario, ma decisi immediatamente che, per loro, mi sarei svegliata anche alle cinque se fosse servito.
Li avrei visti dal vivo, per la seconda volta, al loro primo vero concerto.
Esultai di nuovo, mentre un sorriso che andava da un orecchio all’altro mi si stampava in faccia.
Ancora non lo sapevo, ma anche se in quel momento ero soltanto una normale ragazzina felicissima per l’arrivo dei suoi idoli, questa storia avrebbe preso una piega del tutto inaspettata.

 



 

 



 

Buongiorno, directioners!
Questa è la mia prima FF ... spero vi piaccia :)
Ho modificato un po' il capitolo, per chi l'avesse già letto in precedenza (nella sua forma più arcaica)...
Non so, mi sembrava troppo sintetico, non mi piaceva.
E poi è molto meglio ora, no?
Fatemi sapere se vi piace con qualche recensione <3
Baci a tutti quelli che sono arrivati vivi fin qui,

Stella cadente

 

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Capitolo 2
*** Tre biglietti ***


2.
Tre biglietti

 
 
 Sam


  “He takes your hand, I die a little, I watch your eyes, and I’m in riddles, why can’t you look at me like that…”

Le note di I wish mi accarezzarono in quella mattina tiepida. Aprii gli occhi dolcemente, con un sorriso sulle labbra; la stanchezza che si attaccava al mio corpo tutte le mattine svanì in un attimo. Probabilmente, se fosse stato un giorno come gli altri avrei tastato sul comodino, per spegnere la sveglia che continuava a strillarmi nelle orecchie e continuare a dormire.
Ma quello non era affatto un giorno come gli altri: era il giorno in cui avrei preso i biglietti per assistere al primo concerto dei miei idoli.
Mi precipitai subito sulle scale, diretta in cucina.  – Oggi andrò a prendere i biglietti – esordii entusiasta, facendo sobbalzare mia madre, seduta a bere il caffè.
Lei si ricompose e sorrise, prima di dirmi dolcemente:  Sono contenta per te, tesoro. 
Aprii il frigo, e consumai velocemente la mia colazione; sapevo che, finché non avessi avuto i biglietti in mano, non mi sarei data pace.
– Sam, calmati, non ti sta rincorrendo nessuno – sbottò improvvisamente mia madre, vedendomi così agitata.
Scusa mamma  dissi, sempre più tesa. – Faccio la doccia e poi vado con Corey  a prendere i biglietti, okay? Scusa ancora, ma sono di fretta, mi ha detto che devo essere puntuale – risposi, prima di dileguarmi nel bagno. Presi al volo un vestitino e un cardigan abbinato: fuori la giornata era luminosa e si prospettava calda, assolata, la tipica giornata primaverile che sapeva anche un po’ di estate, così avevo deciso di vestirmi leggera.
Quando spalancai la porta del bagno, liberando una folata di vapore lungo tutto il corridoio, mi ero già infilata il vestito in tutta fretta, sistemandomi il cardigan con nervosismo, l’ansia che scorreva veloce e repentina nelle mie vene.
Buttai una rapida occhiata allo specchio, tanto per essere sicura di essere presentabile; poi presi al volo la borsa, controllando che ci fossero abbastanza soldi, e guardai l’orologio, prima di salutare mamma e uscire di casa.
Subito venni investita dal calore del sole primaverile, che con il tepore dei suoi raggi mi accarezzava dolcemente la pelle; iniziai a canticchiare, cullandomi nella mia felicità. Mi ero completamente estraniata dall’ambiente circostante, senza curarmi dell’abituale frastuono newyorkese, dei passanti nervosi, delle strade affollate; già fantasticavo sul concerto, su cosa quell’evento avrebbe significato per me, su quali ricordi ed emozioni mi sarei portata via in una sola serata.
Presi un taxi al volo, sperando di non arrivare in netto ritardo.


 
****
 
 
 
Macy’s.
Una calca immensa si stagliava decisa davanti al centro commerciale. Potevo sentire il lontano chiacchiericcio rumoroso, l’ ansia, il desiderio di avere i biglietti, la possibilità di vedere i propri idoli dal vivo. Sentivo la tensione, una tensione che ormai si era impossessata anche di me, ora più che mai.
Con le movenze di un automa estrassi il cellulare dalla tasca della borsa e chiamai Corey, ma dall’altro capo della linea mi rispose il vuoto.
Rispondi, ti prego.
 Sam,  ma dove sei? Io sono già qui.
Finalmente.
– Anche io sono già qui, – risposi – ma non ti vedo. Puoi dirmi con esattezza dove ti trovi?
– Aspetta, ti vedo! – esclamò, e prima che io potessi aggiungere altro, riattaccò. Mi guardai intorno, sperando di individuare la sua sagoma minuta e la sua chioma castana e spettinata.
Sam! – sentii chiamare improvvisamente, alle mie spalle.
 Corey, eccoti finalmente! – dissi io, contenta che fosse finalmente lì.
 Sì sì, anche io sono felice di vederti, ma ora dobbiamo andare a prendere i biglietti – tagliò corto lei. – Ah, c’è anche Shelby con noi, ci sta aspettando. Muoviti! – concluse, sbrigativa.
 Shelby? E quando è venuta? – le chiesi, stralunata.
 Sam! Corri! – urlò di rimando, invece di rispondermi. Ci infilammo nella massa confusionaria, Corey che sgomitava ed io che cercavo disperatamente di seguirla. Il rumoreggiare delle ragazze echeggiava nelle mie orecchie come fosse ormai un suono ovattato, mentre la folla si dimenava intorno a noi. 
– Ragazze – fece d’un tratto una familiarissima voce. E, quando roteai gli occhi, intravidi una ragazza magra e bionda, che gesticolava per farsi notare tra le altre.
 Shelby! – esclamai andandole incontro, seguita da Corey – Come stai?
 Non male, tu? – fece lei, di rimando.
 A dire il vero, sono un po’ nervosa – ammisi. – Ho paura di non prendere i biglietti.
 Ascolta Sam, non lo dire nemmeno, capito? – disse lei, ottimista. – Ce la faremo, vedremo i nostri idoli. Te lo dico io, noi dobbiamo farcela – aggiunse decisa. – Ti immagini come saranno dal vivo? Non riesco ad immaginare una cosa simile, non mi sembra vero che siamo qui e che tra poco compreremo i biglietti per un loro concerto –  concluse, con un grande sorriso.
E in quel momento, tra le urla e le spinte della folla di ragazzine accalcate, capii che forse, quella possibilità non era poi così lontana come sembrava.
– Forza, fate largo, dobbiamo passare! – sbraitò Corey per l’ennesima volta, continuando a sgomitare e a correre trascinandomi dietro di sé. Man mano che ci avvicinavamo all’entrata dell’edificio, una strana mescolanza di ansia ed emozione si contorceva nella mia mente e nel mio stomaco, azzerando ogni mio pensiero.
I minuti che passavano sembravano interminabili, trascinarsi con una lentezza estenuante, e sebbene cercassimo di ingannare il tempo chiacchierando, nella mia testa c’era un solo desiderio: quello di poter partecipare al concerto, di rivederli dal vivo. E stavolta c’era anche Shelby con noi, perciò sarebbe stato ancora più emozionante.
Shelby era la mia compagna di banco fissa a scuola, e una delle mie migliori amiche. Ci conoscevamo da quando avevamo tre anni, e da quando ne avevamo dieci aveva cominciato a suonare la chitarra e a scrivere canzoni; con la profonda passione per la musica che aveva sin da bambina, era impossibile che non adorasse la band del momento.
– Sono riuscita a rimediare francese – mi disse, contenta. – Quindi stavolta i miei non hanno pretesti per non mandarmi con voi.
Ricordai quanto era stata male per fatto che fosse stata messa in punizione proprio il giorno del concerto dei Big Time Rush; le sorrisi e le battei il cinque, per poi abbracciarla.
 Vorremmo dei biglietti per i One Direction – sentii dire poi dalla voce di Corey. Mi sporsi appena dalla sua spalla e notai un uomo sulla quarantina dietro un bancone. Un sorriso si dipinse sul mio volto.
 Quanti, e per dove? – rispose lui con un cordiale sorriso.
Non sono ancora finiti!
 Tre, per il Beacon Theatre – disse lei con voce sicura. La vidi afferrare tre foglietti rettangolari, e subito un’ondata di soddisfazione mi travolse. Già immaginavo la sera del concerto come un film: il teatro gremito di gente in delirio per loro, mentre cantavano con le splendide voci di cui erano dotati. Cominciai a contare i giorni che mi separavano da loro mentalmente: 26 maggio 2012, One Direction a New York.
 Ragazze, ce l’abbiamo fatta! – esclamò Corey rivolta a noi.  Mio Dio, ci pensate, andremo tutte e tre al loro concerto! – esultò. Poi aggiunse con tono soddisfatto, diretta alle altre ragazze in attesa:
 Alla faccia vostra!
 
 




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Ciao, carotine!
Ecco che, in data 10 novembre 2012, ho modificato pure questo capitolo :D
Vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno recensito il robino insignificante che c'era prima,
e vorrei avvisare tutti che modificherò un po' i capitoli finora pubblicati,
perché...perché li ho scritti da cani.
Seriamente, già l'idea di per sè non è originalissima, quindi almeno vorrei scriverla bene.
Mi auguro che questo capitolo non sia risultato noioso, perchè ho davvero paura che lo sia.
Ma naturalmente spetta a voi dirmelo, quindi.. attendo con impazienza le vostre recensioni. Un bacio,


Stella cadente

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Capitolo 3
*** Ansia da concerto ***


3.

Ansia da concerto

 

Sam
 

 
New York, 25 maggio 2012
 
 
Ero sdraiata sul fresco prato di Central Park, in quel caldissimo giorno di maggio inoltrato, e i raggi del sole formavano pennellate luminose sul prato verde smeraldo. Mentre la calura della primavera cadeva delicata sul mio viso, guardavo il cielo limpido e senza l’ombra di una nuvola, completamente rilassata. Il fatto che fossi riuscita a prendere i biglietti aveva alleviato un po’ la tensione degli ultimi mesi del mio senior year; i professori non facevano che ricordare a tutti del college e del fatto che dovessimo cercare di pensare al futuro. L’idea mi spaventava; avevo sempre avuto e idee abbastanza chiare su quello che volevo fare, eppure sapere che quel momento si stava avvicinando mi metteva un po’ d’ansia addosso. E come sempre, la musica mi aiutava a staccare la spina, a dimenticarmi per un momento di dover pianificare la mia vita. Corey aveva ragione, quando nell’ultimo periodo mi diceva che quel concerto mi avrebbe fatto bene. Non avevo ancora realizzato; il concerto dei One Direction, l’evento più importante di quell’anno, era ad un passo dal diventare finalmente realtà.



 

I've tried playing it cool
Girl when I'm looking at you
I can never be brave
Cause you make my heart race 



 
La voce profonda di Liam nella testa era già così reale e nitida, che sembrava che il cantante fosse stato proprio lì accanto a me. Era incredibile cosa potesse fare la mia immaginazione; quelle note continuavano a rimbombarmi nelle orecchie, erano straordinariamente vicine e vere.
 

 
Shot me out of the sky
You're my kryptonite
You keep me making me weak
Yeah, frozen and can't breathe 



Ora sentivo anche quella roca di Harry. Un senso di curiosità si destò subito dentro di me; qualcosa mi spingeva a voler guardare, ma non ci riuscivo. Avevo paura, paura che il mio sogno si infrangesse di colpo, paura che rimanessi delusa, paura che le mie aspettative si spezzassero per lasciarmi soltanto malinconia. Come quando fai un bel sogno che preferiresti fosse realtà.
Aprii gli occhi.
 
 

 
 Some things gotta get loud
Cause if not, they just don't make you see 

That I need you here with me now
Cause you've got that one thing
 
 


Con grande stupore distinsi dei visi familiari, dei visi che conoscevo bene: cinque ragazzi cantavano sorridendo, proprio sotto quell’albero di Central Park.
Fu più forte di me; sorrisi. Un sorriso felice, ma anche disperato, un imploro a non andare via; mi precipitai ad abbracciarli uno ad uno, mentre loro mi ricambiavano con affetto, con tenerezza, come se non avessero voluto farmi andare più via.
Cantammo insieme il brano, la mia voce che si fondeva con le loro formando un armonioso tutt’uno. Il mio sogno si era realizzato davvero, stavo cantando con i ragazzi, e mi stavo perdendo nei loro sguardi luminosi e dolci; quegli sguardi da me tanto desiderati e ambiti, che prima ero riuscita a vedere soltanto nelle foto. Le note della canzone abitavano l’aria, rendendola fitta e magica.
Non ne avrei più potuto fare a meno.
 
Improvvisamente, senza che io me lo aspettassi, Zayn mi avvolse in un abbraccio. Due braccia muscolose, ma allo stesso tempo delicate, mi circondarono come una protezione, un rifugio sicuro.
Sorrisi raggiante mentre lo ricambiavo, ma quando i nostri sguardi si incontrarono il mondo sembrò fermarsi. La musica era diventata ormai un vago suono ovattato, come se si sentisse da lontano.
Che stava succedendo?
Cominciò ad avvicinarsi lentamente a me, mentre io non sapevo come reagire. Perché Zayn si stava avvicinando? Era una sensazione strana, inspiegabile, come una forza che mi teneva stretta a quegli occhi magnetici, irresistibili. Rimasi immobile, mentre lui si avvicinava ancora, sempre di più. E d’un tratto, compresi ciò che, probabilmente, sarebbe accaduto da lì a poco.
Zayn stava per baciarmi.
E adesso?




– Sam... Sam... Sam! – sentii improvvisamente una voce prima lontana, poi sempre più vicina, che adesso mi stava urlando nell’orecchio.
Mi svegliai, e lentamente misi a fuoco il viso di Corey.
– Come ci vestiamo per il concerto? – propose con una scintilla maliziosa negli occhi, reclinando appena la testa. Era una domanda retorica, naturalmente: presupponeva che io avessi già in mente cosa mettermi.
– Cosa? – chiesi con la voce ancora impastata di sonno, faticando a comprendere appieno le sue parole.
Mi guardai intorno : i One Direction non erano accanto a me, sotto quell’albero di Central Park.
Era stato solo un sogno, e appena presi conoscenza di questo fatto fui invasa da un’opprimente tristezza, sentendomi allo stesso tempo turbata. Era come un granchio allo stomaco, quella sensazione di caduta che ti si annida dentro dopo un sogno bello e irreale. E io, nel mio sogno, stavo per baciare Zayn Malik.
Era solo un sogno.
Eppure sembrava tutto così nitido, reale, come se fosse successo davvero. 
– Sam, ma stavi dormendo? – chiese Corey, interrompendo il fluire libero dei miei pensieri.
Non le risposi, mentre guardavo un punto lontano, forse inesistente. Avevo sognato che i One Direction cantavano insieme a me.
Probabilmente l’ansia da concerto mi stava facendo strani scherzi.
– No, sono perfettamente sveglia – dissi alla mia amica, che mi guardava interrogativa. Non capivo perché, ma decisi di non raccontarle del sogno; forse non avrebbe capito, malgrado tutto.
– Ah, okay – rispose sorridendo, visibilmente più tranquilla.
Per fortuna aveva tagliato corto, e l’argomento era caduto senza creare situazioni imbarazzanti.
Si sdraiò sull’asciugamano accanto al mio, da cui fino a poco tempo prima si era alzata per andare a prendere qualcosa da bere; poi aprì la sua lattina di coca cola iniziando a sorseggiarla con avidità.
– Allora, tu cosa ti metterai? Io ho comprato un vestito fantastico da Macy’s, lo adoro, e sicuramente lo metterò per quella che sarà la sera più importante della mia vita; almeno, finora – disse, decisa. – E tu? – mi chiese, senza farmi rispondere.
– Beh... – tentennai – io non lo so – dissi, alzando le spalle.
– Sei un caso disperato – rise lei. – Come fai a non aver pensato a cosa metterti? Quella sera la ricorderemo per sempre, quindi dobbiamo essere bellissime. Forza, alzati e andiamo da Macy’s.
La guardai come per supplicarla di rimanere sul prato, ma lei mi ignorò; così, rassegnata, mi alzai e misi l’asciugamano in borsa. – E va bene – dissi alla fine.



 
****
 
 
Feci un’altra giravolta davanti allo specchio della mia camera, ammirando il vestito che mi ero appena presa. Color crema, corto, bellissimo. Non riuscivo a smettere di sorridere, e sentivo l’emozione del concerto vibrarmi sempre di più nel petto, ad ogni secondo che passava.
– Domani è il gran giorno eh? – disse improvvisamente Vanessa, irrompendo improvvisamente nella mia camera.
– Già... – risposi solo. – È buffo che io mi senta così emozionata anche se li ho già visti una volta – riflettei ad alta voce.
– Vorrei poter venire anch’io con voi... – sospirò lei.  Era la prima volta che vedevo Vanessa così abbattuta, e non ero abituata a questo fatto.
– Non preoccuparti, faremo video e tante foto – la rassicurai. D’un tratto ripensai al sogno di quel pomeriggio: era come se mi fosse rimasto impresso nella mente, come se fosse sfumato nella realtà, ma vivo e presente nella mia testa. Riuscivo ancora a percepire lo sguardo di Zayn nei miei occhi, i suoi movimenti lenti e reali, concreti, come mai mi era sembrato in un sogno.
– Davvero? Grazie... carino il vestito – disse, con mia grandissima sorpresa.
Vanessa non avrebbe mai detto una cosa simile; non mi capitava spesso di ricevere dei complimenti da parte sua.
– Però non lo indosserei mai – ribatté infatti, dopo qualche secondo di silenzio.
– Ora riconosco la mia sorellina – le dissi, sorridendo scherzosa. Lei mi ricambiò, poi mi rivelò, sincera:
– Sei molto bella, Sam.
Riportai lo sguardo allo specchio. Anche se davanti a Vanessa mi dimostravo solo felice, il pensiero del concerto mi rimandava a quell’insolito sogno: che cosa significava? Forse che sarebbe successa davvero una cosa simile e avrei incontrato i One Direction? Non poteva essere.
Eppure, avevo comunque la sensazione che sarebbe successo qualcosa.


 




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Hey, miei amati lettori!

Allora, inizio dicendo che sono consapevole del fatto che sia obbrobrioso, ma abbiate pazienza, il bello deve ancora venire!
Abbiate pietà per questa storia indecente u.u
Dovete scusarmi, so che questi primi capitoli sono un po' corti e noiosi, ma il fatto è che non siamo arrivati al clou della storia... spero che comunque siano di vostro gradimento lo stesso :3
With love

Stella cadente

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Capitolo 4
*** L'ora si avvicina ***


4.
L'ora si avvicina


Sam
 
 
 
La sera dopo, a casa di Corey, realizzai che ormai il giorno del concerto era arrivato, e l’ora fatidica si stava avvicinando sempre di più.
Mi sembrava quasi che dovessi salire io su quel palco al posto loro, ero davvero nervosa. Non era normale che mi sentissi così: in fin dei conti, li avevo già visti. Ma allora perché mi sentivo quasi impaurita da quel concerto? E poi lo strano presentimento del giorno prima  mi aveva tormentata per tutto il tempo; non capivo in nessun modo da dove venisse, e sebbene cercassi di arginarlo non riuscivo a farlo.
Forse era l’ansia. Sì, era tutto nella mia testa, non  sarebbe potuto succedere niente, assolutamente niente. Del resto, era solo un concerto. Non potevo davvero credere che sarebbe accaduto qualcosa di profondamente sconvolgente.
Sbuffai, lasciandomi cadere sul letto di Corey, quel letto che mi era così familiare con il suo solito lenzuolo rosso acceso. Osservai il soffitto candido e curato, senza nemmeno una piccola crepa, i libri ammucchiati disordinatamente in un angolo e i fogli con gli approfondimenti di economia aziendale sparsi sulla sua scrivania enorme.
– Sam! Che ne dici, per una volta nella tua vita, di truccarti un pochino? –  mi riscosse la voce della mia amica che mi richiamava dal bagno.
Era davanti allo specchio e si metteva il mascara. Era precisa, e la sua mano disegnava linee piccole, seguendo le lunghe ciglia che le adornavano gli occhi.
– Non so – esitai. Non mi ero mai truccata prima, ero sempre stata una ragazza acqua e sapone, mentre Corey... beh,  semplicemente non lo era affatto.
Distolse lo sguardo dalla sua immagine riflessa, osservandomi con un’espressione inorridita e preoccupata.
– Sam, davvero – disse, serissima. – Non è che muori se ti metti un po’ di matita.
Scoppiai a ridere nel vedere la sua espressione, poi la guardai, poco convinta.
– Devo proprio? – chiesi, con un tono tra il divertito e lo scocciato.
– Sì – rispose decisa, sorridendo.
– Sicura? – chiesi ancora. Sperai che lasciasse perdere; ma quando si trattava di Corey, era difficile che queste mie speranze si avverassero, e avrei dovuto capirlo fin da subito.
– Tu stai zitta e ferma, al resto ci penso io – fece infatti, prendendo una matita per gli occhi dalla sua trousse nera. Rimasi immobile, mentre mi passava la matita e il mascara, sorridendo soddisfatta per la sua vittoria; un quarto d’ora dopo avevo sulla faccia una dose abbondante di matita e mascara ben marcati, insieme ad un lucidalabbra scarlatto.
Mi guardai allo specchio; non sembravo neanche più io.
– Ho esagerato, eh? – disse, studiandomi. Doveva essersi accorta che avevo ragione, quando le dicevo di non conciarmi così; per tutta risposta le scoccai uno sguardo inceneritore.
No. Tu dici? 
Forse quel tipo di trucco stava bene a lei, ma di certo non si sposava con il mio viso pallido.
– Sì, effettivamente truccata così sembri dark – concluse, mentre mi porgeva un flacone di latte detergente. Sciacquai bene la mia faccia, riempiendo il lavandino di liquidi rivoletti neri.
– Potrei mettermi semplicemente  ombretto e  lucidalabbra – azzardai, prendendo un po’ di ombretto rosa e un lucidalabbra color fragola. Fui sorpresa di trovare delle cose del genere nella sua trousse, ma se non altro avevo trovato quello che volevo davvero: l’essenziale, un trucco acqua e sapone e dalle tinte delicate.
– Sì, ma te li metto io. Senza offesa, ma tu sei impedita – rispose lei sorridendo.
– Okay... – dissi, ricambiando il sorriso e lasciandomi applicare il trucco. Sentii che Corey mi passava l’ombretto dando più pennellate con colpetti decisi, sfumando il colore con mano sicura ed esperta.
– Ecco, – disse, ad un certo punto – ora apri gli occhi.
Feci come mi aveva detto e mi guardai allo specchio, mentre  lei esclamava, esaltata:
– Sei perfetta! Oddio, Sam, non sto nella pelle... li vedremo dal vivo. Di nuovo. Saremmo lì alla loro prima vera tappa a New York.
 
 
 
****
 
 
 
 
Prendemmo un taxi per passare a prendere Shelby in Fifth Avenue, con i biglietti stretti gelosamente tra le mani. Ora eravamo emozionate più che mai; ogni nostra cellula poteva sentire le vibrazioni provocate dalla tensione, che ad ogni secondo diventava sempre più intensa, sempre più forte. Quando arrivammo dove abitava, a Wall Street, la chiamammo al cellulare.
Uno squillo. Due squilli.
– Pronto?
– Shelby, siamo Sam e Corey, sei pronta? – le chiesi, con la voce che mi tremava.
– Sì, io ci sono... ma siete già ad aspettarmi?
– Sì, siamo qui. Sbrigati.
– Okay, farò presto.
Riattaccai e attesi con impazienza. I minuti che scorrevano sembravano interminabili, mentre continuavo a fissare il suo palazzo, implorandola mentalmente di uscire.
Quando la vidi apparire, il passo svelto, i capelli biondi che ondeggiavano al vento lieve di quella sera, tirai un sospiro di sollievo. Osservai meglio come era vestita: un paio di stivali di pelle marrone, interamente ricoperti da frange che ricadevano intorno, maglia bianca e larga e una cintura spessa, vistosissima sui pantaloncini di jeans strappati, erano le componenti dell’immagine curata di Shelby, che entrò nel taxi raggiante. Uno straordinario scintillio spiccava sulle sue labbra, mentre i suoi occhi erano circondati da matita nera e un particolare mascara blu.
– Wow! Shelby, sei bellissima – le feci, ammirandola.
– Grazie – rispose lei, con uno dei suoi grandi e bellissimi sorrisi, leggermente imbarazzata. – Ehi ma... ti sei truccata? – chiese, notando l’ombretto che circondava i miei occhi.
– Già – risposi, abbassando leggermente lo sguardo.
– Oddio, Samantha Chase si è truccata – continuò, con tono meravigliato, come se la cosa la avesse colpita davvero.
– A quanto pare sì, ed è solo grazie a me – intervenne Corey serissima. Scoppiai a ridere, e in breve tempo contagiai anche Shelby, che forse rideva anche per l’emozione. Cominciai a pensare a come sarebbero state le loro voci, a come sarebbe stato vederli nel Beacon Theatre, sul palco, circondati dal sipario e dalle decorazione settecentesche che caratterizzavano il teatro. Ci sarebbero state 2894 persone, e io e le mie amiche saremmo state tra quelle.



 
 
****
 

 
Fortunatamente e con mia grande sorpresa, appena arrivate trovammo subito i nostri posti; in prima fila, come dicevano i biglietti.
Avevamo speso una fortuna per averli ma sicuramente ne era valsa la pena. Mi accomodai sulla sedia rossa, vicinissima al palco, insieme a Corey e Shelby, sorridente ed emozionata.
Al contrario di quel che mi aspettavo non c’erano molte persone, ma non feci in tempo a pensarlo che nel giro di circa due minuti vidi il Beacon Theatre riempirsi pian piano di numerosissime fans, così tante che lo spazio enorme che avevo visto poco prima sembrava non bastare più.
Ragazze di tutte le età, chi con le maglie dei 1D, chi con uno striscione con su scritto “I love carrots” oppure “Mrs Horan”, chi mangiava, chi parlava, chi, addirittura, urlava dall’emozione, invadevano il teatro a vista d’occhio. Era incredibile come stessero diventando famosi non solo in Inghilterra, ma anche qui negli Stati Uniti; la tensione era palpabile, nell’aria si avvertiva un brusio fitto, quasi elettrico. Ma eravamo tutti lì, tutte le directioners erano lì per vedere dal vivo i propri idoli insieme, come un’unica, grande famiglia.
Mi guardai intorno, cercando di scorgere volti, di ricordare emozioni, di assaporare quegli attimi di pura trepidazione.
E ad un tratto, il mio cuore arrestò per un secondo il suo battito regolare, assumendo un ritmo nettamente più veloce.
Le luci si erano abbassate.
 

 

阿丽克西斯·布莱德尔写真图片- Mtime时光网


 
 
 Ciao a tutti!
Eccoci qui, con il capitolo quarto di questa storia (sì, ho fatto un'altra revisione LOL),
che alla fine non ha neanche la pretesa di esserlo, visto che non mi sembra un granchè...
Non so, mi piacerebbe sapere che ne pensate, ma ho paura di sembrare troppo banale.
Attendo altre opinioni con impazienza, perchè davvero, questa storia non mi convince, ora come ora.
Grazie  a tutti quelli che seguono e che recensiscono questa storia, e un grazie anche alle lettrici silenziose,
davvero vi adoro <3
Un bacio enorme,

Stella cadente

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Capitolo 5
*** Il concerto più bello della mia vita ***


5.
Il concerto più bello della mia vita

 

 

 Sam
 
 
– Ehi New York!! – sentii urlare da una voce amplificata che mi era così familiare.
La riconobbi immediatamente; quello che parlava era Louis Tomlinson.
Stavo sentendo la voce di Louis Tomlinson a due passi da me, mentre finora lo avevo visto da lontano o solo su youtube. Mi sorpresi ad esultare e ad urlare come una ragazzina, anche se in mezzo a quel trambusto in cui tutti urlavano nessuno mi avrebbe notata; intorno a me, Corey ora non sembrava neanche più in sé, mentre Shelby aveva cominciato ad esultare e ad agitarsi entusiasta.
Eravamo felici, immensamente felici, e non facevamo neanche più caso a quello che ci stava intorno, perché eravamo troppo prese da chi era sul palco: i One Direction, in carne ed ossa.
Ed erano così vicini da sembrare per la prima volta tremendamente reali.
– Salve gente! – continuò Niall, e alle sue parole si levò un urlo potentissimo. Intorno a noi c’era un pubblico formato in gran parte da ragazze; sembravano tutte scatenate e non smettevano più di urlare talmente forte da coprire la voce di Louis, Harry, Liam, Niall  e Zayn.
Visto che il boato di accoglienza non dava segno di voler finire, anche loro furono costretti ad urlare per farsi sentire; la confusione generale era assordante, una confusione che mi trasportava come in un altro mondo.
– Allora, siete felici di averci qui? – sentii la voce di Zayn, che sorrideva soddisfatto nel vedere tutte quelle persone.
Un altro urlo di gioia da parte di tutte le fan.
– Non vi sentiamo! – disse Liam sorridendo.
La folla gridò più forte. Ero quasi stordita da quel suono insistente e penetrante, ma nonostante questo mi unii anche io alle altre ragazze urlanti.
– E allora... che inizi la festa! – concluse esaltato Harry, seguito da altri boati di acclamazione; partì una melodia che conoscevamo molto bene, e mentre sentivo l’inizio mi ricordai di quando l’avevo ascoltata per la prima volta su Mtv.
Vedevo questi ragazzi su una spiaggia che cantavano, sorridendo felici, amici durante una giornata di divertimento, mentre il sottofondo del video  mi dava una sensazione di allegria. Una canzone che preannunciava l’estate, il mare, il sole, il caldo, la spensieratezza e il divertimento.
Era  solo l’estate prima, ma mi sembrava che il tempo fosse volato in un batter d’occhio.
Riconoscevo alla perfezione quella melodia. Era What makes you beautiful.
Le loro voci creavano un' atmosfera magica, impregnando l’aria e aleggiando tra le persone come una fitta nebbia musicale. Vedevo le directioners saltare e cantare come se fossero state al rallentatore; appena la canzone finì, venni riportata bruscamente al mio presente, al mondo reale, a quello che stavo vivendo.
– Buonasera NEW YORK!!! –  esclamò Louis. Era davvero iperattivo, un’esplosione di energia, proprio come me lo ricordavo. Alla sua voce seguì un urlo che sembrava quasi amplificato, mentre lui sorrideva felice insieme agli altri, che sembravano trovarsi perfettamente a loro agio anche se erano di fronte a più di duemila persone.
– Allora, vi state divertendo? –  chiese Harry, con uno dei suoi dolcissimi sorrisi sulle labbra.
– Sì! – urlò la folla impazzita.
– Bene, ne siamo felici, perché adesso non saremmo qui senza voi fan, e vi ringraziamo per tutto il sostegno che ci avete dato. Senza di voi non saremmo niente, grazie davvero, vi vogliamo bene – terminò Liam, prima che iniziassero a cantare One thing.
Quando partì la base sentii di nuovo quella sensazione, la sensazione di essere vicina a loro come una specie di amica. Quella strana ma piacevole fitta mi dette l'impressione che io non considerassi i One Direction come miei idoli, come persone da cui prendere esempio; piuttosto che li sentissi come fratelli, come se li conoscessi e li apprezzassi non solo come cantanti, ma anche come persone. Cantai la canzone fino a che le corde vocali non mi fecero male, insieme a tutte quelle seguenti; ero accompagnata dalle mie amiche, assaporando quegli istanti fino in fondo e versando qualche lacrima di tanto in tanto.
Le luci che illuminavano il palco, i loro volti, i loro sorrisi,  rendevano tutto magico e decisi di godermi quella sera fino in fondo. Anche se la consapevolezza che sarebbe passata anche troppo in fretta si faceva ogni secondo più evidente.
Guardai Corey che si dimenava a ritmo di musica, con i bracciali che tintinnavano, e Shelby che cantava a squarciagola una canzone dietro l’altra.  I One Direction sembravano divertirsi come non mai, mentre io provavo ad immaginare quanto avessero faticato per raggiungere la perfezione e fare in modo che il loro concerto fosse indimenticabile per tutti.
Sentii un bisogno viscerale di conoscerli meglio, al di là delle notizie sui social o di quel palco che li faceva così vicini, eppure così immensamente lontani. Avrei voluto abbracciarli tutti, uno per uno, e alla sola idea mi andava il cuore in gola; ma nonostante tutto continuai a cantare, stavolta più forte.
Mi soffermai a guardare meglio i ragazzi: potevo vederli molto bene, potevo vedere i loro volti, le loro espressioni, i loro occhi; potevo sentirne la presenza, ora più che mai. 
Il brano che avrebbe poi chiuso la prima parte del concerto, Save you tonight, venne cantato con grande intensità. Erano molto carichi, soprattutto Niall, che sembrava rimbalzare da un lato all’altro del palco senza fermarsi mai. Quando l’ultima nota venne eseguita alla perfezione, Zayn disse, spezzando la magia:
– Adesso se volete, prima di ricominciare con un nuovo brano, risponderemo ai vostri messaggi. Siete d’accordo? – continuò prima che esplodesse un lungo – Sì! – che si spense molto lentamente.
– Bene, vediamo un messaggio di Twitter – cominciò Harry.
Cercai di immaginare chi potesse essere la fortunata che avrebbe ricevuto le loro attenzioni, e sperai con tutte le mie forze che fosse Shelby o Corey. Già immaginavo le loro facce incredule. Sorrisi: e se avessero letto un mio twitt?
Scossi la testa. Assurdo. 
– “Ciao ragazzi, sono una vostra fan americana. Non so se leggerete mai questo messaggio, comunque ci tengo a dirvi che la vostra musica mi aiuta molto nei momenti difficili; siete semplicemente fantastici, bravissimi, spettacolari! Siete davvero tutto per me, il mio punto di riferimento, e vi voglio davvero bene. Con affetto, Sam” – lesse Harry, mostrando su un grande schermo apparso dal nulla il messaggio di twitter.
Appena lesse le prime parole qualcosa scattò nella mia testa; quello era il messaggio che io avevo mandato. Ed Harry lo aveva letto, davanti a duemila persone, al Beacon Theatre.
Volevo urlare di felicità, ma ero talmente stordita che quell’urlo mi morì in bocca, e rimasi come congelata con gli occhi increduli, mentre al mio fianco Corey e Shelby esultavano per me.
– Dove sei, Sam? – chiese Harry, mentre io arrossivo violentemente, sperando che non mi notasse.
– Coraggio, vai, porca miseria! – mi incoraggiò Shelby. – Fatti vedere! Questa è un’occasione unica nella vita. Quello è Harry Styles, ti sta cercando e tu devi farti trovare, va bene?
Ma io non ero neanche più in grado di replicare, i muscoli non rispondevano più ai miei comandi.
– Sì, aspetta e spera – sbuffò Corey sarcastica, prima di urlare indicandomi:
– E’ qui, è lei!
– Ah, – disse Harry – eccoti, non ti vedevo – continuò, sorridendo.
Ricambiai il sorriso, sollevando appena gli angoli della bocca e abbassando subito lo sguardo. Dentro di me esplose qualcosa che assomigliava all'adrenalina, un'onda calda che mi investiva con forza: stavo parlando con il mio idolo. Harry Styles mi aveva rivolto la parola. Mi venne voglia di chiedergli tante cose, ma in quel momento non mi venivano in mente; il mio cervello era completamente vuoto, incapace di concentrarsi su altro che non fosse i suoi occhi chiari e penetranti. Sentivo il suo sguardo, che da sorridente cominciava a farsi perplesso, premermi addosso; continuava a fissarmi con un’espressione preoccupata, ma allo stesso tempo comprensiva. Doveva capire che ero agitata, sconvolta, in difficoltà.
– Sei molto tenera, sai? – disse infatti, facendomi capire con lo sguardo che non voleva mettermi in imbarazzo. Poi continuò:
– Ci ha fatto davvero piacere ricevere questo messaggio, è davvero gentile da parte tua. Grazie – concluse, lasciandomi senza parole.
Vidi tutte le Directioners che mi guardavano con invidia e le mie amiche fissarmi felici e sorridenti; avrei voluto dire qualcosa, ma non sapevo cosa e questo mi mandava nel panico.
– Ehm... – balbettai. – Grazie.
Harry mi notò e mi mise il microfono davanti alla bocca per farmi sentire.
– Come? Scusami ma non ti ho sentito, bellezza – mi disse, facendomi l’occhiolino. – Dillo.
– No, niente, solo... grazie, è davvero incredibile per me essere qui davanti a voi, sul serio – sussurrai timidamente, la voce che tremava un pochino amplificata dal microfono.
– Che ragazza dolce – disse Liam con un’espressione intenerita.
– Già – fece Louis, sorridendomi.
Ancora faticavo a credere a ciò che mi stava accadendo.

 
****
 


– Okay, adesso il nostro nuovo brano! – annunciò Louis con allegria. – Si chiama Na Na Na e sarà un singolo.
Appena la base partì, i ragazzi iniziarono a battere le mani a ritmo di musica e attaccarono a cantare con le loro voci giovani e limpide. La canzone trasmetteva gioia, come gran parte dei loro brani del resto, e coinvolse tutti in maniera particolare, molto più di quanto io credessi. La folla iniziò a ballare; il rapporto tra loro e i fan era davvero straordinario e in quel momento, nel vedere che si abbassavano per dare la mano al loro pubblico, dimenticai la pessima figura che avevo fatto con Harry. 
Notai però che si stava avvicinando pericolosamente nella mia direzione, e subito mi assalì una strana paura. Il respiro mi si mozzò come se i miei polmoni fossero stati perforati, la mia testa iniziò a girare, le immagini di ciò che mi circondava vorticavano e si ripiegavano in una strana giostra di colori: sarei svenuta in mezzo alla folla accalcata, e le mie amiche avrebbero dovuto rinunciare al concerto per colpa mia.
Improvvisamente, prima che avessi il tempo di ragionare ancora, mi sentii afferrare  la mano con delicatezza.
Alzai gli occhi: era Harry, che sorrideva guardandomi intensamente, mentre io sentivo gli occhi illuminarsi. Riuscii a fare un sorrisino imbarazzato, e allo stesso tempo una specie di scarica elettrica a livello epidermico mi attraversò il corpo dalla testa ai piedi.
Harry Styles mi aveva dato la mano sorridendo.
Lo guardai a mia volta quasi spaventata, quasi come se temessi che fosse stata solo la mia immaginazione. Ma Corey aveva ragione: era tutto vero.
 


Il concerto andò avanti con Tell me a lie, Stole my heart, I wish e More Than This.

 I'm broken, do you hear me
I am blinded, 'cause you are everything I see
I'm dancing, alone
I'm praying, that your heart will just turn around

And as I walk up to your door
My head turns to face the floor
Cause I can't look you in the eyes and say..

 
La voce di Liam si interruppe improvvisamente. Perché non andava avanti?
Lo guardai, e rimasi colpita come non lo ero mai stata fino a quel momento: sorrideva, guardando con i suoi occhi scuri  tutte le fan, ma continuavo a non capire come mai si fosse bloccato, perché avesse smesso di cantare. Guardai meglio; una lacrima fece capolino dai suoi occhi, per poi scivolare sulla sua guancia.
Liam stava piangendo.
Stava piangendo dalla gioia, guardando tutte noi, tutti questi occhi che stravedevano per lui e per gli altri ragazzi.
Automaticamente una lacrima scivolò su una delle mie guance. E poi un’altra. E un’altra ancora.
Era tutto un imperversare di emozioni, che si susseguivano velocemente. Non facevo in tempo a definirne una, che ne emergeva subito un'altra.
Mi voltai a guardare le mie amiche; anche loro si erano commosse, piangendo senza controllo e sorridendo tra le lacrime.
Gli altri vennero in suo soccorso, modificando la canzone per non interrompere l'equilibrio del  concerto. Mentre li osservavo sempre più rapita, capii che  sarebbero stati dei veri amici, come se ne trovano pochi; sì, la musica aveva lo straordinario potere di legare le persone, di unirle.
E lì, vicino a quel palco, capii che quell’esperienza avrebbe lasciato per sempre un bellissimo ricordo in me.
Avrei ricordato quel concerto come il più bello della mia vita.

 





Bridge Theatre Seating


Ciagente!!

Allora....sono risorta lol. Mi scuso se non ho più aggiornato, ma ero mooolto impegnata. Comunque ho postato il capitolo.
Spero vivamente che vi piaccia, recensite in tanti, ho bisogno di sapere se...insomma..se è decente :/
Grazie per le 18 recensioni che mi avete scritto finora, tutte molto carine, vi voglio bene!
Un grazie particolare a:
Keep calm and enjoy life, che è la mia fan numero uno ed è sempre la prima a recensirmi i capitoli (non mi deludere stavolta eh!)
Downy_muffin che mi scrive messaggi stupendi e che recensisce tutti, proprio tutti, i capitoli
E a..a...beh, tutte! Siete tutte molto carine, grazie davvero <3

Stella cadente

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Capitolo 6
*** Sotto un'altra luce ***


6.
Sotto un'altra luce



Sam
 
 
Quando uscii dal teatro la notte era avvolgente, nera, calda. Nel cielo limpido e senza stelle sguazzavano morbide nuvole opache, che preannunciavano una lieve pioggia per il giorno dopo. Corey era in lacrime, Shelby aveva un’espressione affranta dipinta sul viso, ma io non ci facevo caso.
Era come se fossi stata in un altro mondo, in un certo senso. Mentre venivo sballottata nel mare di fan sciamanti lungo l’uscita mi sembrava di fluttuare, di muovermi lentamente in mezzo ad un sogno che svaniva in maniera evanescente. Harry era stato indimenticabile; quegli occhi verdi sembravano avermi come stregata, intrappolata in un’altra dimensione, trasportata per un attimo in un mondo limpido e trasparente. Per un attimo niente aveva avuto più una consistenza, la realtà nella quale vivevo si era dissolta nel nulla. Doveva essere un sogno, non era possibile che avessi stretto la mano ad Harry, ad Harry Styles, eppure in qualche modo realizzai che non lo era. Ora me ne rendevo davvero conto e sentivo come un legame con lui; ma con ogni probabilità, al di là di quel concerto, dal vivo non l’avrei più visto.
Non l’avrei più visto.
Questo pensiero mi rimbalzò in testa con una nota odiosa, lasciandomi dubbi e fin troppi interrogativi.
Come mai mi dispiaceva?
Non lo conoscevo di certo, ma sentivo che mi sarebbe mancato. Come se fosse stato il mio ragazzo.
Harry mi sarebbe mancato. Mi sarebbe mancata la sua voce, il suo sguardo, quel tono che aveva usato quando mi aveva chiamata “bellezza”. Mi sarebbe mancato vederlo, accarezzare con lo sguardo i suoi ricci castani e perdermi in quei suoi smeraldi; non potevo accettare che il concerto fosse già finito, non potevo accettare che il sogno fosse già terminato.
Non seppi spiegare bene perché, ma dentro di me sembrò che qualcosa si fosse rotto irrimediabilmente.
– Non voglio andare via... – sussurrava Corey mestamente, mentre Shelby non riusciva neanche a proferire parola. La mia migliore amica aveva lacrime che le solcavano il viso, lente, come bagnate carezze sulle sue guance colorite.
 
Under the lights tonight
Turned around, and you stole my heart
Just one look, and I saw your face
Fell in love
Take a minute girl, and steal my heart tonight 



– Sam! – Shelby mi scosse per un braccio. – Ma ci sei?
Annuii, vacua. Pensai ad Harry; mi sarebbe mancato, sì, ma quel concerto era stato bellissimo, e non l’avrei mai dimenticato. Al contrario di ogni mia aspettativa, mi sorpresi a sorridere. Un sorriso spontaneo, semplice, intriso di ricordi. Quei ricordi che in qualche modo confortano, che conducono indietro nel tempo e fanno riportare in vita la felicità di un momento speciale.
– Non doveva finire... – si lamentò Corey.
– Beh, – dissi – sapevamo che sarebbe finito, ma sapete una cosa?
– Cosa? – fece lei, con la voce incrinata.
Shelby piantò i suoi occhi azzurri nei miei, improvvisamente curiosa.
– Non dimenticherò mai questa serata – sussurrai, con un gran sorriso sulle labbra.  Ci fermammo su un marciapiede solitario, sedendoci a terra. – Sono contenta, ecco – proseguii, visto che le mie amiche non dicevano niente. Corey tirò in su col naso.
– Beh, anche io – convenne Shelby. – È finita, ma andremo al prossimo, giusto?
– Ovvio – disse finalmente Corey.
– Non so voi, ma... mi mancheranno. Molto – aggiunsi, con una punta di malinconia nella voce.
– Mancheranno a tutte e tre, Sam – disse Shelby. – Ma siamo state tra le poche fortunate ad aver preso i biglietti. Ti immagini quanta gente avrebbe voluto essere al nostro posto, stasera, così vicine a loro? Quei cinque ragazzi stanno diventando la band più gettonata a vista d’occhio. E poi, se proprio noi non ce l’avessimo fatta?
Sorrisi. La mia amica era sempre propensa ad essere ottimista. Non c’era una volta che non vedesse le cose in maniera positiva. E soprattutto, non si arrendeva mai.
– Sarebbe stato terribile – mormorò Corey.
– Già – convenni, pensosa.
Shelby prese fiato per parlare:
– Che ne dite se prendiamo un taxi? Non so voi, ma io vorrei dormire nel mio letto al posto che su un marciapiede.
Ridacchiai prima di alzarmi faticosamente, mentre Corey si mise in piedi con uno scatto veloce e deciso.
– Ehi! Ehi! – urlò, gesticolando verso un taxi giallo che non accennava a raggiungerci. – Qui! Cristo santo, ma è cieco? – sbraitò, infastidita.
Bentornata, migliore amica.

 

****
 
 

Le luci di New York trapelavano attraverso i finestrini del taxi giallo, riempiendo i miei occhi di sera e di ricordi. Era come se quella sera avesse lasciato un’impronta dentro di me, come se dal concerto ad ora fossero stati passati anni.
Accanto a me, Shelby ticchettava sul cellulare mentre Corey guardava distrattamente fuori dal finestrino opposto.
Con un gesto quasi automatico mi portai gli auricolari alle orecchie.

 
Shut the door, turn the light off
I wanna be with you, I wanna feel your love
I wanna lay beside you, I cannot hide this, even though I try 

 
Moments.
Assaporai le prime note, la voce di Liam che risuonava delicatamente nelle mie orecchie, dolce, profonda, suadente.
Mi abbandonai a quella voce. Lasciai che mi accarezzasse, che mi portasse nel suo mondo di tenerezza e sentimento. Era così diverso ascoltare un loro brano, ora. Era come ascoltare un amico, un conoscente, una persona molto speciale. Ed era... strano.
Chiusi gli occhi, concentrandomi sulla canzone, riportando alla memoria quei magici momenti in cui li avevo visti muoversi sul palco e mostrare l’anima davanti a duemila persone.
Senza saperlo, senza esserne davvero consapevole, mi ritrovai a provare una fitta di malinconia; adesso erano di nuovo lontani, impossibili, irraggiungibili. Ma la musica sembrava poter essere un conforto, un modo per farmi vivere ancora nel mio sogno, almeno per un po’. Un mezzo per farmi sentire di nuovo vicina a loro, anche se per breve tempo.
Appoggiai la testa al finestrino e caddi nel sonno, lasciandomi cullare da cinque voci giovani e armoniose. Nel mio cervello una sola certezza, un’ idea che sovrastava le altre: da quel momento in poi, avrei visto quei ragazzi sotto un’altra luce, completamente diversa.

 





Risultati immagini per new york tumblr


Ehi, lettori!
Sì, ho fatto un'altra delle mie revisioni. Volete sapere perché?
Perché questo capitolo mi faceva leggermente schifo. Ammettiamolo, come era prima non sapeva di niente,
si vedeva che era stato scritto senza entusiasmo e che era solo un capitolo di passaggio.
Senza dubbio anche questo lo è, ma almeno ci ho messo impegno e non ho scritto a caso.
Spero si veda, per chi vuole passare a vedere com'è, o per chi, ancora meglio, si trova davanti a questa storia per la prima volta.
Pensate che all'inizio volevo addirittura eliminarlo, ma poi ho visto le vostre recensioni e mi è dispiaciuto, quindi non l'ho fatto :DD
Siete importanti, davvero, perché mi incitate e mi le vostre belle parole mi spronano a continuare.
Un bacio a tutti,

Stella cadente

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Capitolo 7
*** One Direction ***


7.
One Direction 


 
Harry



 
Vi siete mai chiesti come sia incredibile che, da un giorno all’altro, il vostro futuro possa cambiare? Ecco, io mi sentivo così.
Quella sera, il nostro ritorno dietro le quinte fu trionfale, intriso dalle  emozioni che provavamo dopo ogni concerto. Le fan americane erano state fantastiche, e con quel senso di soddisfazione  di avercela fatta, avevamo abbandonato il Beacon Theatre, felici come non mai. Sui volti di ognuno di noi era dipinto un sorriso che esprimeva tutto il turbinio di emozioni che avevamo dentro; mi sentivo apprezzato, accettato, adorato quasi, come non mi ero mai sentito prima. Ai miei amici apparivo come l’egocentrico del gruppo, pronto a scherzare e a fare battutine in ogni momento, ma in realtà, da quando avevo ricevuto commenti negativi su Twitter, ero diventato molto fragile alle critiche e a quello che la gente pensava di me. Ma adesso quei commenti, che erano stati come cento lame che mi attraversavano il corpo tutte insieme, sembravano spariti, cancellati dalla mia mente, e tutto grazie a quelle ragazze che avevano il potere incredibile di farmi stare bene: le directioners.
Sorridevo nel vedere gli striscioni con su scritto “Mrs Styles” oppure “I love Harry”, che riuscivano sempre a farmi tornare il sorriso. Ero grato a quelle ragazze che urlavano il mio nome con entusiasmo, gli occhi che luccicavano di gioia non appena incontravano il mio sguardo.
– Ehi, Harry, ce l’abbiamo fatta! – esclamò Louis con energia.
Sorrisi al mio migliore amico, quello che più mi stava vicino, che mi sosteneva in ogni concerto, in ogni difficoltà che mi si presentava davanti. Notai che era allegro, sorridente, come sempre del resto; in sottofondo, sentivo le urla di gioia di Niall simili a quelle di una rockstar, e la voce profonda di Liam che esultava, seguito da Zayn.
– Ragazzi, anche questo concerto è andato! E direi anche discretamente – disse, con la risata nella voce.
– Le directioners ci adorano – lo seguì Zayn, facendo uno scatto con la testa per sistemare il ciuffo, dandosi come suo solito una certa aria di importanza. Era quello che più sembrava essere soddisfatto di dove eravamo arrivati; anche se all’inizio ci era apparso distante, con il tempo avevamo capito che era un tipo ambizioso, ma anche molto legato a noi. Si era rivelato un vero amico, nonostante la sua aria da duro.
– Vi ricordate quando eravamo ad XFactor, a fare i video diari? – chiesi, riportando alla memoria i cinque ragazzi giovani ed inesperti, con un’ ipotetica carriera che dipendeva da un “sì” o un “no”; gli stessi che avevano paura di non emergere, di rimanere in anonimato per sempre, di non mostrare mai ad un pubblico la passione per la musica che accomunava ognuno di loro.
– Già... – sentii che diceva Zayn, con una nota vagamente nostalgica nella voce, mentre cominciavamo ad imboccare l’uscita del Beacon Theatre; subito delle fan ci accolsero, chiedendoci autografi e complimentandosi per il concerto. Louis persino ne abbracciò una, sorridendole. Era sempre stato quello più disponibile verso le fan, quello più entusiasta della nostra fama sempre crescente. Vedeva tutto come un’avventura, e ripeteva spesso che quella era la più bella che avesse mai vissuto.
– Ecco a te – disse mentre porgeva un foglietto ad una ragazza bionda, ancora col sorriso nonostante fossero le due di notte ed avesse già firmato il decimo autografo. – E grazie per essere venuta al nostro concerto! – le urlò dietro, allegro, mentre quella scappava via tutta emozionata.
– Accidenti, sono davvero carine, non trovi, Haz? – chiese, rivolto a me.
– Molto – assentii. – È davvero bello vedere che ci sono persone che ci supportano in questo modo.
– Concordo in pieno, e a proposito del concerto vi sfido anche solo ad imitare l’assolo di chitarra che ho improvvisato – si inserì Niall, scherzoso.
– Ma stai zitto – lo riprese Liam, ridendo. Niall lo ricambiò, e la sua risata attirò un’altra fan, che lo abbracciò di slancio.
– Oh-oh, Horan ha fatto colpo – scherzò Zayn, con un mezzo sorriso ad increspargli le labbra.
– Come sempre – feci io, facendo un occhiolino al nostro amico biondo.
– Ragazzi, non so voi, ma io avrei tanta voglia di tornare in hotel – irruppe Louis, passandosi una mano tra i capelli castani. – Taxi! – urlò, agitando le braccia magre in mezzo di strada.
Zayn rise sotto i baffi, mettendosi la lingua tra i denti in quel suo gesto che lo caratterizzava.
– Che c’è? – chiese lui. – Funziona così, qui, no?
Poi accadde tutto troppo velocemente. Riuscii solo a sentire la voce di Liam che urlava a squarciagola un “Louis, attento!” che mi fece rabbrividire. Un secondo dopo, il nostro amico era sdraiato a terra tenendosi una gamba, e le fan rimaste erano accorse tutte insieme.
Sapevo che già il giorno dopo la notizia sarebbe stata in prima pagina.


 
****
 
 
 
 

E ora eravamo lì, in uno studio bianco dalle pareti bianche, il soffitto bianco, l’arredamento bianco. Era un ambiente incolore, accecante quasi, e dall’enorme finestra proveniva con violenza la luce del sole. Mi feci schermo con la mano, cercando di ripararmi dalla luce che penetrava ostinata nei miei occhi verdi, mentre Louis, seduto sul lettino con una gamba ingessata e  inerte, ascoltava le parole di un signore dall’aria seria e accigliata.
Avevamo passato la notte in ospedale; ero consapevole che adesso il mio aspetto fosse paragonabile a quello di un senzatetto e che i ragazzi non fossero da meno, ma eravamo tutti così preoccupati che non ce l’avevamo fatta a tornare in hotel. Nonostante le rassicurazioni dei dottori, Louis ci aveva fatto prendere un colpo con quel suo incidente.
Intanto il dottor Chadwick – così si chiamava il medico – diceva, con tono perentorio:
– Ragazzi, il vostro amico si è fatto male sul serio. Temo che non possiate continuare il  tour fino a quando non si sarà rimesso completamente.
– Che cosa? – sbottò Zayn, allargando gli occhi in un’espressione incredula.
– Beh, –  disse Liam, con fare lievemente ovvio – dopotutto, ha una gamba rotta.
Zayn lo guardò come se avesse voluto incenerirlo. – Può farcela benissimo, avanti! Perché dobbiamo mandare a monte il tour solo per un piccolo inconveniente?
– Non è un piccolo inconveniente – lo zittì il dottor Chadwick. – La frattura è chiusa, ma il femore si è incrinato, perciò per circa un mese non potrà camminare in maniera autonoma e dovrà usare le stampelle – concluse, porgendo a Louis un paio di stampelle, dai manici anch’essi bianchi.
– Cosa? – fece lui, tra il perplesso e il preoccupato, le stampelle tenute con presa indecisa.
– Buona fortuna – lo ammonì il dottore, con tono rigido.
I ragazzi stettero in silenzio, i loro occhi che scrutavano interrogativi il povero Louis.
– E come farò? – chiese, guardando il medico con occhi imploranti. Aveva in faccia un’espressione preoccupata.
– Puoi iniziare da ora – fece lui, per tutta risposta.
Louis provò maldestramente ad alzarsi, cercando di reggersi sulle stampelle, mentre Niall gli dava una mano. Aveva gli occhi così tristi, opachi, senza più quella luce che avevano prima; era terribile vedere il mio migliore amico ridotto in quel modo.
Era così abbattuto, come mai lo era stato in vita sua da quando lo conoscevo, che non potei fare a meno di stare in pensiero per lui.
– Grazie dottore, arrivederci – riuscì a sussurrare con voce flebile, prima che anche noi ci congedassimo con il signor Chadwick e uscissimo da quell’improbabile studio.
Dalla porta, ormai abbastanza lontana, intravidi Liam parlare per qualche istante con il dottore, annuendo con aria coscienziosa, come se sapesse perfettamente cosa fare;  poi, dopo averlo salutato con una stretta di mano, ci raggiunse velocemente.
– Comunque non definirei l’incidente di Louis “un piccolo inconveniente”, Zayn – disse Niall, con un tono serio ma bonario, rivolto al nostro amico pakistano, che si limitò a stare in silenzio.
– Ragazzi, non sapete quanto io mi senta male nel sapere che per colpa mia il tour ritarderà – sospirò Louis mestamente, mentre camminavamo lungo gli interminabili corridoi dell’ospedale.
– Ehi, non ti abbattere – gli dissi io, sorridendogli. – Guarirai, prima o poi, e a quel punto potremmo proseguire con la nostra tappa a Camden.
– Però intanto che facciamo per un mese qui? – chiese Niall con fare pensieroso, guardandoci come se cercasse riposta in ognuno di noi.
– Non solo un mese – disse Liam camminando verso di noi, con il suo tono da responsabile che usava così spesso. – Il dottore mi ha appena detto che, prima di proseguire il tour, dobbiamo rimanere due mesi qui, come minimo. Dopo che Louis si sarà tolto il gesso non dovrà fare eccessivi sforzi per un altro mese almeno. E ballare e saltare lungo un palcoscenico, beh, mi sembra rientri nella lista.
– Oh, al diavolo! – sbottò Zayn.
– Amico, rilassati – sbuffai, per cercare di riportare la calma. – Magari non ci farà poi così male, rimanere un altro po’ di tempo a New York. Ricordate? Le fan ci adorano, e, beh, non mi sembra poi così brutto qui. Ragazzi, siamo  a New York, la città che non dorme mai! Perché non guardate il lato positivo? Potremmo trovarci anche delle belle ragazze...
– Sempre il solito, eh? – fece Liam, dandomi una pacca sulla spalla.
Sorrisi scherzoso. In fondo non era la prima volta che mi sfiorava l’idea di poterci svagare in quella grande e luminosa città, dove tutti sembravano senza preoccupazioni. E chissà, magari ci sarebbero state, appunto, anche delle ragazze particolarmente carine con cui divertirci un po’.
Dentro me sorrisi al pensiero; amavo sedurre, ma non avevo mai osato impegnarmi seriamente nelle relazioni. Non volevo relazioni, volevo soltanto qualcosa di passeggero, una botta e via. E quale città migliore se non la caotica New York?
I ragazzi dovevano vedere anche il lato positivo di questo incidente, ed io ero ben deciso a metterglielo in testa.
– Allora, siete con me? – chiesi, con gli occhi che speravano in un “sì”, proprio come ad XFactor.
Louis, finalmente, sorrise, riacquistando la sua solita aria spensierata. Liam fece lo stesso, con un’espressione di assenso.
Niall mi guardò, come se cercasse di capire che cosa avessi in mente, ma alla fine si disegnò un sorriso anche sul suo volto.
Li ricambiai, e il mio sguardo si posò sull’ultimo componente, sul più testardo e orgoglioso di noi.
– Zayn? – chiesi, speranzoso.
Mi guardò storto per un interminabile secondo, poi sospirò e si arrese, dicendo:
– Va bene, va bene. D’accordo, hai vinto.
Sorrisi, raggiante. Ci stavano tutti.
– E vai! – urlai, felice della mia vittoria, facendo riecheggiare la mia voce lungo il corridoio candido e luminoso dell’ospedale.

 


 


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Hi, i'm back!

Eccomi tornata, con il settimo capitolo.
Sono in ritardo di un mese e mezzo, però va bene.
Spero proprio che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative,
a me piace abbastanza, ma non voglio montarmi la testa, se è carino me lo dovete dire voi.
Detto ciò, mi auguro che questa sia stata per voi una buona lettura :D
al prossimo capitolo!

Stella cadente

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Capitolo 8
*** Il ragazzo di Long Island ***


Parte Seconda











8.
Il ragazzo di Long Island



Sam
 

Un’alba breve, che si sarebbe trasformata in poco tempo in una delle solite, chiassose mattine newyorkesi,  mi si presentava davanti nei suoi bellissimi colori. Dalla finestra di camera mia osservavo gli sbuffi di nuvole dal colore blu intenso galleggiare al di sopra della mia testa.
Sorrisi lievemente, mentre nei miei occhi si riflettevano i colori pastello che il cielo stava assumendo. Non avrei mai dimenticato quel concerto; lo avrei sempre ricordato così vivido davanti ai miei occhi, un ricordo che non avrebbe mai accennato ad andarsene da me, mai.
Guardai l’enorme, spropositata quantità di foto appese ai muri della mia camera, e lì, in quell’alba di maggio, sentii le emozioni di quella magica sera ripresentarsi dentro me più nitide e vive. Per un attimo rividi i minerali scintillanti di Harry, i suoi occhi dal colore così intenso, così particolare, così luminoso...
Sbattei le ciglia e tornai con lo sguardo alla finestra.
Una superficie gialla, infuocata e piatta emergeva lentamente da un grattacielo che ne ostacolava il percorso, rendendola appena visibile. La stanza venne riempita di luce a poco a poco, riscaldandomi il viso.
Rimasi immobile per qualche secondo, pensando ai miei sogni, poi mi riscossi. Avevo un approfondimento di psicologia da fare, e la professoressa Skyler mi aveva consigliato di presentarlo per mercoledì. Ero un po’ nervosa all’idea, ma sapevo di potercela fare; era la strada che volevo prendere al college, ed avrei fatto di tutto per far sì che andasse bene. Guardai gli appunti: sul foglio più fitto di annotazioni spiccava la scritta a caratteri cubitali Psicologia di Gruppo. Seguivano Gruppi di Appartenenza e Psicologia Sociale, tutti sparsi a ventaglio sulla scrivania in camera. Mi passai una mano sul viso; non ce l’avrei mai potuta fare, se non avessi preso un po’ d’aria.
Presi tutti gli appunti e li infilai in un quaderno, poi, dopo essermi armata di libri e del pc, uscii di casa, già sicura di dove sarei andata.

 
 
 
****
 
 
 
 

Long Island.
La brezza marina faceva svolazzare leggermente tra le mie gambe il leggero vestito celeste, mentre il mare mormorava, sussurrando parole blu.
Amavo quella spiaggia; ci andavo sempre, o per studiare o per stare da sola a pensare. Con Corey ci organizzavamo le feste durante l’estate e ci andavamo per stare un po’ per conto nostro, oppure dormivamo lì, addormentandoci tra una chiacchiera e l’altra, mentre la mia migliore amica si fumava una sigaretta. Era diventato simbolico per me.
Con le infradito bianche in mano immersi i piedi nella soffice sabbia fredda e asciutta, camminando sulla spiaggia. Osservai i colori del cielo e, dopo aver steso un asciugamano, mi abbandonai su una piccola duna di sabbia, assaporando la calma della spiaggia solitaria. Aprii il computer e feci qualche ricerca, ascoltando nel frattempo un po’ di musica e godendomi il profumo della salsedine. Non c’era nessuno; il silenzio era quasi inquietante, ma era perfetto. C’era così silenzio che potevo sentire il mio stesso respiro. Un silenzio un po’ assurdo, in effetti, quasi innaturale.
Un silenzio che venne interrotto improvvisamente da un soffice tonfo, come di qualcosa che cade sulla sabbia, seguito da un’imprecazione.
Mi voltai ancora col computer sulle gambe, cercando di non farmi notare da, chiunque fosse, la persona che aveva inciampato. Mi venne da ridere, pensandoci: come si faceva a cadere su una spiaggia?
La persona che ci era riuscita doveva essere senz’altro molto scoordinata.
Sarei curiosa di conoscerlo, questo tizio.
Poi, lo vidi.
Era un ragazzo, alto e muscoloso, con una maglia nera a maniche corte che gli faceva risaltare le possenti braccia. Degli occhiali da sole scuri rendevano impossibile  notare i suoi lineamenti e uno strano cappello ne faceva quasi irriconoscibili i capelli. Era intento a liberare la sua maglietta dalla sabbia, borbottando.
Mi soffermai a guardarlo con curiosità, chiedendomi perché si fosse vestito in quel modo. Qualcosa teneva incollato il mio sguardo a quella sconosciuta sagoma, senza che io potessi capirne il perché.
Lo distolsi subito quando vidi che si stava sedendo a pochi passi da me, e tornai alle mie ricerche. Per quanto ci provassi, però, non riuscivo a smettere di guardarlo; mi ricordava qualcuno, anche se non capivo chi e perché avesse un’aria così familiare.
Cercai di analizzare la situazione ponendo tutta la mia attenzione su di lui. Gli enormi occhiali da sole quasi gli coprivano interamente il viso, ma avevo comunque l’impressione di averlo già visto.
– Che c’è? Vuoi una foto? – sentii una voce spigolosa e brusca.
– Eh? – chiesi con voce flebile, colta di sprovvista, spostando istintivamente il portatile sull’asciugamano.
A parlare era stato proprio lui, il ragazzo, ancora seduto a pochi passi da me. Arrossii violentemente; doveva essersi accorto che lo stavo guardando. Subito mi venne spontaneo abbassare lo sguardo, mentre sentivo le guance prendere fuoco.
– Vuoi una foto, per caso? È da un quarto d’ora che mi stai guardando.
La sua voce era così spigolosa, ma allo stesso tempo così musicale, così armoniosa. Avevo già sentito quella voce, ma non riuscivo a capire dove.
C’erano troppe cose che non quadravano, troppe domande senza risposta, troppi dubbi che si affollavano gli uni sugli altri.
– No, è che...
– Cosa?
– Niente.
– Avanti, dimmelo – insistette, voltando la testa verso di me.
Aveva la pelle color caffellatte, la bocca carnosa, e sebbene gli occhi fossero nascosti mi sembrava di aver già visto quei lineamenti, quella carnagione, quella forma del viso. La curiosità iniziò a divorarmi, ad invadermi, a consumarmi con prepotenza davanti a quel ragazzo che, lo sapevo, mi guardava confuso e anche un po’ irritato da dietro le lenti scure degli occhiali.
– Posso fare una cosa? – gli chiesi, curiosa.
– Prima dimmi cosa, ragazzina – il suo tono sembrava sempre più infastidito, ma ebbi il coraggio di chiedergli ancora:
– Posso... toglierti gli occhiali?
Lui sembrò spaventato da questa richiesta, e contrasse i muscoli facciali; potevo immaginare il suo viso confuso, in tensione, intimorito quasi.
– Perché? – chiese, stavolta decisamente meno spavaldo di prima, nervoso. Potevo  sentire che nella sua voce era disegnata tutta l’ansia del mondo.
– Vorrei vederti in faccia, dato che sto parlando con te – sorrisi dolcemente, per cercare di metterlo a suo agio.
– No – disse, secco.
– Perché no? – chiesi, delusa. Mi domandai su quale motivo si fondasse quella conversazione così strana con uno sconosciuto a tutti gli effetti, ma la parte più nascosta di me sembrava pensare che, invece, tutto ciò si stava facendo molto interessante.
Provai, nonostante cercasse di impedirmelo, a tendere la mano verso il suo viso. Lui cercò velocemente di allontanarmi, ma non fece in tempo e in un nervoso gesticolare  gli occhiali caddero a terra, insieme al cappello che era stato urtato dalla mia mano.
Non appena riconobbi il suo volto, mi portai le mani alla bocca. – Oh mio Dio – sussurrai, incredula, senza possibilità di dire altro. La mia lingua era come bloccata, le parole intrappolate nella laringe, soffocate, strozzate da quel groppo che non andava via, mentre spalancavo gli occhi.
Davanti a me c’era un ragazzo dai lucenti capelli corvini tirati su in un ciuffo. Gli occhi nocciola,  la bocca carnosa, i marcati lineamenti pakistani ora così familiari.
Era bellissimo, la pelle scura che sembrava scintillare alla luce del sole.
– ...Zayn Malik? – riuscii a dire ancora, mentre un urlo mi moriva in gola. – Tu... cosa... Come mai sei qui? – sbottai, incredula.
– Iniziamo dal fatto che Louis si è fatto male, siamo bloccati a New York per due mesi e non possiamo continuare il tour... e poi, beh... sono venuto qui perché ho discusso con i ragazzi –  disse, strafottente, volgendo i suoi splendidi occhi altrove. Provai a seguire la direzione del suo sguardo, perso tra le onde del mare, poi  la sua voce mi distolse.
– E tu? – chiese, i suoi occhi verso di me.
– Io... niente di importante  – minimizzai, guardando il mare. – Studiavo.
Lui mi imitò, portando gli occhi su quella distesa blu che si stagliava davanti a noi.
– Capisco – disse, vago.
Lo osservai, in tutta la sua bellezza. Osservai le sue labbra rosee, i suoi capelli color della pece, i suoi occhi in cui guizzava quel bagliore nocciola, reso lucente dai raggi solari. La sua vicinanza era spaventosa, talmente intensa da darmi alla testa. Nell’aria elettrica potevo percepire il suo profumo, un odore fresco, come di menta.
Lo osservai, nella speranza che dicesse qualcosa, qualunque essa fosse, ma dalla bocca di Zayn non uscì più nulla.
Calò il silenzio, interrotto solo dal mormorio sommesso delle onde e dallo stridere di qualche gabbiano. Ma non mi importava. Non mi importava neanche che Zayn fosse stato brusco con me.
Lo avevo incontrato, era proprio accanto a me. Questo contava realmente.
Quel misterioso ragazzo che avevo visto su una normalissima spiaggia di Long Island era Zayn Malik.

 



 



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 Ciao, miei carissimi lettori,

Innanzitutto, un GRAZIE MILLE per tutte le recensioni che mi avete lasciato finora.
E poi...beh, come potete vedere siamo arrivati ad uno dei momenti clou della storia!
Che ne pensate? La nostra protagonista ha finalmente incontrato Zayn, un personaggio che sarà fondamentale ;-)
Ad ogni modo, credo di aver parlato abbastanza, anche perchè se no finisco col raccontarvi tutta la storia lol
Quindi, inutile dirvi che mi piacerebbe tantissimo ricevere le vostre opinioni,
perciò:
alla prossima puntata di questa FanFiction directionosa <3
un abbraccio a tutti, e buon Natale <3 (anche se era due giorni fa)

Stella cadente

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Capitolo 9
*** Zayn Malik ***


9.
Zayn Malik



Sam
 
 

 
– Vuoi che ti riaccompagni a casa? – chiese di colpo.
Cosa?
Lo guardai per qualche secondo, sorpresa che mi avesse fatto una domanda simile. Aveva rotto il silenzio, con quella domanda; Zayn non era un ragazzo espansivo e chiacchierone, era taciturno, ermetico, come sigillato da un enorme lucchetto. Mi guardava come se fossi la cosa più curiosa che avesse mai visto, e sentii le guance colorarsi di imbarazzo; abbassai lo sguardo, indugiando un po’ prima di rispondere. Mi morsi l’interno della guancia, nervosa.
– No, non importa.
– Allora, – iniziò a dire, stavolta senza guardarmi, con gli occhi persi nelle onde del mare – vuoi mangiare qualcosa? – provò a chiedere ancora.
Rimasi interdetta: davanti a me c’era Zayn Malik che voleva portarmi a mangiare qualcosa in sua compagnia. Ed era così tenero mentre lo diceva, che il mio cuore perse un battito nel vedere come, dal ragazzo brusco e chiuso, fosse diventato improvvisamente gentile e premuroso.
Senza volerlo, irruppi in una risatina:
– Beh, forse mi piacerebbe – dissi, guardandolo intenerita.
Le sue labbra si arricciarono in un morbido sorriso: – Come ti chiami, ragazzina?
– Te lo dico solo se la smetti di chiamarmi così – dissi, scherzosa. Era come se dentro di me fosse scattato qualcosa. Come se fossi stata rivestita da una serie di ricordi, ricordi persi e dimenticati, ma che da sempre erano incamerati in un profondo angolo della mia testa.
E come se Zayn avesse sempre fatto parte di quei ricordi.
Perché stava accadendo? Perché mi sembrava che l’avessi incontrato, conosciuto e amato molto tempo prima che diventasse famoso?
Lo osservai ridere; nonostante l’impressione di averlo già conosciuto si facesse sempre più forte, mi sentivo ancora in soggezione ad avere davanti una delle persone che da sempre desideravo di incontrare, e restavo lì, basita, senza sapere cosa dire.
Fissai la sabbia, impacciata.
– Perché ridi? – chiesi debolmente.
– Perché... – iniziò lui, mentre tornava a guardarmi sorridendo. – Ma tu... – disse, senza finire il discorso, mentre la sua espressione si faceva più seria.
– Cosa? – chiesi in un soffio. Rimasi con le labbra appena dischiuse, tra le quali era bloccata una domanda che non si decideva ad uscire. Ero bloccata, intrappolata in una gabbia di indecisione e timore.
– Tu sei quella del concerto – disse di botto. – Sei quella che ha inviato quel messaggio su Twitter, che poi Harry ha letto al concerto. Giusto? – fece, guardandomi sempre più intensamente.
La risposta oscillava tra le mie labbra, ma non sapevo se era giusto farla uscire, o trattenerla per sempre. Rimasi in silenzio per qualche secondo, guardando Zayn come se lui stesso fosse la risposta. Poi mi decisi, e d’istinto dissi, seppur timidamente:
– Già, sono io.
– Com' è che ti chiami? – divenne improvvisamente curioso, e nei suoi occhi saettò un barlume che non seppi come interpretare. Ero come ipnotizzata da quel colore caramellato dei suoi occhi; avevano la capacità di farmi restare con il fiato sospeso, e non potei fare a meno di sentire un brivido salirmi lentamente lungo la schiena.
 Zayn curvò le labbra in un sorriso sghembo: doveva essersene accorto.
– Samantha – dissi lentamente. – Ma puoi chiamarmi semplicemente Sam – conclusi, quasi scandendo le parole.
Sorrise ancora, strafottente:
– Okay, allora, semplicemente Sam, dov’è che vuoi andare? – chiese con una strana espressione in viso.
– Non lo so – dissi solo, sentendomi immediatamente stupida per aver dato una risposta così comune.
– Perfetto – fece lui, alzandosi di colpo. – Allora io so già dove andremo.
– Andremo?
– Sì, io e te – rispose lui, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. – E sbrigati, che ne abbiamo di strada da fare – concluse, mentre il vento di mare che cominciava a salire gli scompigliava lievemente il ciuffo corvino.
Non potevo resistere. Non potevo resistergli, sebbene non sapessi con esattezza che tipo di persona fosse.
Fu un attimo, e le parole mi scivolarono immediatamente di bocca:
– Zayn... io non... posso venire con te.
Lui fece una faccia stralunata:
– Perché no?
– Perché... – tentennai – perché io dovrei andare a casa.
Ma che diavolo stavo dicendo? Tutto quello che volevo era rimanere con lui.
Perché stavo scappando?

 
 
 
****
 


Il sangue mi defluì bruscamente nei muscoli, non appena saltai su una metropolitana, come se le mie gambe si fossero fatte improvvisamente lente e pesanti, ma allo stesso tempo cariche di rabbia e adrenalina. Avevo fatto il tragitto fino alla fermata praticamente correndo, dopo aver raccolto le mie cose in tutta fretta, senza neanche sapere cosa stessi facendo di preciso.
Appena mi sedetti in un posto a caso, sentii immediatamente il mio corpo sciogliersi. Non ce l’avrei fatta a rimanere con lui un secondo di più, in quella soggezione ed emozione talmente accentuata da farmi quasi perdere i sensi.
Quando la metro partì, strizzai gli occhi e mi trattenni dal dare un calcio alla parete metallica dell’abitacolo. Fino a poco prima ero con il mio idolo, e ora avevo infranto il mio sogno con le mie stesse mani.
Guardai fuori dal finestrino frustrata, la faccia contratta in un’espressione sofferente, la lacrime che mi salivano amare negli occhi. Mi guardai intorno, come se avvertissi ancora la presenza di Zayn accanto a me; ma ciò che ne restava era soltanto un ricordo vivo, eppure così  insopportabilmente lontano.
Non ebbi neanche la voglia di accendere l’iPod ed ascoltare, come sempre, una canzone degli One Direction. Riuscivo solo a fissare a vuoto i grattacieli che mi scorrevano davanti, ma in realtà pensavo a tutt’altro. Pensavo a Zayn, e a come mi ero fatta sfuggire la possibilità di conoscerlo, oltretutto per un motivo inesistente.
Chissà se lo rivedrò, mi chiesi, mentre guardavo le strade, il mare in lontananza e i taxi che sfrecciavano lungo l’asfalto. Non sapevo se avrei realmente rivisto il suo volto così perfetto, ascoltato la sua voce vibrante e spigolosa, assaporato quell’adorabile sorriso sghembo.
Una strana sensazione di rimpianto si impossessò di me, come se avessi perso per sempre qualcosa di estremamente importante.

 

 
 
 

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Well, well, well,
Eccomi con il nono capitolo.
Quello che prova Sam verso il nostro Zayn è avvolto in un alone di mistero, non trovate?
E a quanto pare, lui l'ha riconosciuta :)
Chissà che cosa accadrà tra quei due...secondo voi si incontreranno di nuovo?
Vi confido una cosa, so che dicendovelo comincio a sfiorare il ridicolo, ma mentre scrivevo del dialogo tra Sam e Zayn
mi sono sciolta come neve al sole, del tipo che mi sono ritrovata a dire tra me e me:
"Ma quanto sono teneri!"
sarò scema io, ma ho avuto un moto di tenerezza per loro.
Detto questo, avrei bisogno di una vostra opinione :)
è importante per me, ci terrei che le vostre recensioni siano lunghe, magari ditemi cosa vi è piaciuto di più e che cosa di meno, così riesco ad
inquadrare come vedete la storia :) potete scrivermi anche supposizioni, domande...
tutto quello che volete, insomma chi più ne ha più ne metta!
Dire che mi piacerebbe ricevere molte recensioni ovviamente è un eufemismo, ma comunque mi accontento :)
Spero davvero di non avervi delusi.
Beh, alla prossima!

Stella <3

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Capitolo 10
*** Semplicemente Sam ***


10.
Semplicemente Sam

 
 
Zayn
 
 
 
In un attimo, prima che me ne potessi rendere conto, quella strana ragazza era già scappata, con il computer e tutti i libri in mano. Mi aveva lanciato un’occhiata che non avevo saputo come interpretare, come se avesse voluto esprimere qualcosa che non poteva essere tradotto in parole.
Non capivo. Perché mi aveva guardato così? Che cosa significava quell’espressione sul suo viso? Era come se in qualche modo stesse soffrendo.
Restai immobile. Quello che mi aveva sorpreso, era come mi ero sentito subito legato a lei, come mi ero sentito subito interessato, attratto. Insomma, chi era per farmi perdere la testa così?
“Andiamo Zayn, riprenditi! Non puoi provare sentimenti simili per una sconosciuta a tutti gli effetti!” mi dissi, quasi a rimproverare i miei pensieri.
Anche questo era strano: stavo parlando di sentimenti.
Io stavo parlando di sentimenti.
Io provavo sentimenti verso quella che era una sconosciuta.
Tutto ciò non aveva molto senso.
Sbuffai, sforzandomi di concentrarmi su altro. Ero ormai incollato lì da più di un quarto d’ora, come se ogni singola cellula del mio corpo mi avesse imposto la calma più assoluta.
Solo che, a differenza di come apparivo, non ero affatto calmo. Potevo essere di tutto in quel momento, ma non calmo.
Anzi, ero euforico.
E non ne capivo il perché. Non l’avevo mai vista prima, non così da vicino; fino a quell’istante in cui ci eravamo incontrati sulla spiaggia, ovviamente non ci avevo mai parlato, eppure sembrava così familiare.
E attraente.
Il suo modo di fare, così schivo e misterioso, così differente rispetto a quello delle altre fan che mi saltavano addosso, aveva fatto in modo che tutti i miei pensieri andassero a lei. E questo mi infastidiva.
Mi distolsi e inspirai a fondo, tentando di mettere a tacere tutta quella confusione. 
Intorno a me sciamavano famiglie, donne, uomini, ragazzi e turisti; quella era New York. Una città caotica, ma a suo modo bellissima.
Mi piaceva, l’America. Mi piaceva New York. Alla fine, l’idea di Harry non era stata poi così male, anche se all’inizio mi era sembrata una cavolata colossale. I raggi del sole si riflettevano sui vetri dei grattacieli, che facevano da contorno ad un cielo limpido.
Era presto, eppure faceva già un caldo assurdo. Raccolsi occhiali e cappello, li indossai per passare più o meno inosservato e infilai le mani nelle tasche dei jeans, decidendomi finalmente a raggiungere l’hotel – tanto per far vedere ai ragazzi che ero ancora vivo. Iniziai ad incamminarmi per raggiungere la fermata della metrò, quando notai a terra un piccolo oggetto rettangolare.
In un primo momento non capii che cosa fosse; poi lo guardai meglio, prendendolo tra le mani. Sembrava un... portafoglio?
Sì, era proprio un portafoglio.
Era color crema, decorato con delicate stampe floreali rosa. Una scritta in rilievo che recitava “Country rose”, anch’essa rosa, era recata sul davanti. Un’idea assurda mi balenò nella mente; qualcosa mi diceva che doveva essere suo, che doveva essere lei la proprietaria di quel portafoglio. In fin dei conti, se ne era andata un attimo prima, prendendo le sue cose in tutta fretta e scappando con la borsa aperta; sarebbe stato perfettamente plausibile che le fosse caduto accidentalmente.
Forse quel piccolo oggettino poteva anche rappresentare un modo per incontrarla di nuovo.
Sospirai pesantemente, senza riuscire a mettere a posto tutti i pensieri che si aggrovigliavano nel mio cervello.
Che mi sta succedendo?
Guardai un punto a vuoto; dovevo fare qualcosa. Dovevo farci qualcosa, con quel portafoglio, che ne so... scoprire se fosse stato effettivamente un oggetto di sua proprietà. L’idea mi allettava molto, alla fine. Potevo aprirlo, magari ci sarebbe stata una carta di identità. Ciò che era più sorprendente, era che avessi come una sorta di sesto senso. Avevo come la sensazione che fosse suo sul serio, che ci fosse una possibilità concreta di poter rivederla. E questo mi faceva sentire emozionato.
Mi sorpresi ad essere stranamente curioso verso quella ragazzina, come se avessi voluto conoscerla meglio. Intanto il piccolo oggetto color crema sembrava farmi le boccacce, come se percepisse tutta la mia ansia. Sospirai; dovevo almeno tentare.
Feci saltare il bottone che ne richiudeva il contenuto, e lo aprii. Ne osservai le varie tasche, piccole o grandi.
Non c'era nulla. Non vidi assolutamente nulla, se non un piccolo pezzo di carta.
Aspetta un attimo. 
Afferrai con decisione il foglio e aprii di colpo quello che sembrava un libriccino.
Una foto.
C’era una foto attaccata dentro. Una fototessera, per l’esattezza, di quelle che si fanno nelle cabine con l’autoscatto. E ritraeva una ragazza dai capelli neri e gli occhi chiari.
Aggrottai le sopracciglia, mentre abbassavo lo sguardo sulle informazioni, scritte sotto alla foto a caratteri sottili e un po’ sbiaditi.

 
Samantha Chase, anni 17.
66 Perry Street, Manhattan, New York.
 
“Bingo” pensai, sorridendo soddisfatto.
 
 
 
****
 
 
– Ragazzi, sono tornato – dissi come in automatico.
– Ehi Zayn! Che fine avevi fatto? – mi accolse la voce di Louis.
– Louis smettila! Te lo avevo detto che non era il caso di preoccuparsi – lo ammonì Harry.
– Ma che hai combinato? – mi chiese Liam con una faccia seccata.
Ecco. In pochi secondi i miei amici mi avevano fatto pentire di essere tornato.
– Ragazzi, sto bene! Sto bene, okay? E non ho combinato un bel niente – sbottai improvvisamente. Volevo evitare discorsi inutili, e anche volendo non sarei stato psicologicamente in grado di reggere un discorso, qualunque esso fosse. La mia testa era troppo affollata, troppo incasinata.
Dopo la mia affermazione, nella stanza calò un silenzio tombale. Alzai lo sguardo; gli occhi di Harry si erano ridotti a due fessure, mentre mi scrutava pensieroso.
Lo guardai male; che voleva da me?
– Che c’è? – chiesi, forse un po’ troppo sulla difensiva.
– Ti è successo qualcosa? – fece lui, senza darmi il tempo di aggiungere altro.
– No, perché?
– Sei strano... – osservò Niall, che fino a quel momento non aveva detto niente.
– Strano? – risi, accorgendomi troppo tardi di averlo fatto in modo isterico. – No di certo. Forse sei tu quello strano – ribattei deciso, sperando che non si fossero accorti di niente. Ma evidentemente non era così, perché Harry non si arrese e insistette chiedendo di nuovo:
– Hai incontrato qualcuno, per caso?
Colpito e affondato.
“Merda” pensai, mentre il mio cervello cercava di elaborare un discorso sensato da portare avanti.
– Ma che stai dicendo, Harry? Stai diventando ridicolo – mi difesi, sperando che se la fosse bevuta.
Sul viso di Harry, al contrario di quel che mi aspettavo, si disegnò un sorriso soddisfatto:
– Amici, Zayn ha incontrato una ragazza che gli ha fatto perdere la testa! – esclamò vittorioso.
– Ma chi, io? Non se ne parla, non è vero – dissi, con quanta più decisione mi riuscisse in quel momento.
– Oh sì che è vero, e ti si legge in faccia – continuò lui entusiasta, scambiandosi un cinque con Niall. – Sai com’è, con quell’espressione trasognata non puoi darla tanto a bere.
– Da quando riesci a capire gli stati d’animo degli altri con un solo sguardo, mh? – lo provocai scherzosamente.
– Oh, da sempre, amico – si vantò lui. – E comunque, credi di poter nascondere certe cose a noi?
Non avevo mai capito come facesse Harry a sapere sempre cosa mi passava per la testa. E soprattutto, perché non si facesse mai gli affari suoi. – Non avrai visto la ragazza dell’altra sera, quella che ci ha scritto il twitt? – mi canzonò poi, ridendo. – Sai, mi sembrava che al concerto, mentre le parlavo, tu l’avessi già adocchiata.
Harry stava scherzando, lo sapevo, ma in quel momento mi vergognai del fatto che lo avesse notato; era vero, mi ero soffermato un po’ troppo sui suoi occhi azzurri e sul viso dolce, mentre il mio amico le parlava di fronte a tutti. Ma era solo una constatazione che avevo tenuto per me: quella ragazza era oggettivamente carina. Tutto qui. Non significava che me ne fossi innamorato.
Feci comunque del mio meglio per non dare a vedere che aveva fatto centro, ma istintivamente abbassai lo sguardo.
La bocca di Louis si arricciò in un sorriso che non mi piaceva per niente. Sembrava andare da un orecchio all’altro.
– Sì invece, sì! È esattamente la ragazza del concerto! – esclamò come avevo temuto, indicandomi.
– Veramente? – intervenne Liam, spalancando gli occhi.
Feci correre lo sguardo da un lato all’altro della stanza, guardando negli occhi prima Liam, poi Niall, Harry e infine Louis. Tutti e quattro tenevano le braccia conserte, come se si aspettassero qualcosa.
– Beh? – fece Louis, retorico.
– Ehm... cioè... – tentennai.
Ormai dovevo dirlo.
I ragazzi mi avevano messo alle strette, i miei piani erano andati in fumo e non potevo più nascondere loro niente, come aveva detto Niall.
– Ecco... non so, è che...
– Parole tue, fratello – mi prese in giro Harry, ridendo.
Per tutta risposta gli scoccai uno sguardo inceneritore, poi ripresi:
– Il punto è che quella ragazza, Sam, ha qualcosa di strano, di interessante. Non saprei spiegarlo, è così e basta.
– Quindi è quella del concerto – affermò Niall, tenendosi il mento tra il pollice e l’indice con aria pensosa.
– Sì Niall – lo zittì Liam. – Continua – disse poi, rivolto a me.
– Non c’è molto da dire – iniziai. – L’ho incontrata in spiaggia, ed abbiamo parlato un po’. Ma... non so, il fatto che non abbia reagito come un’altra fan qualunque, il modo in cui mi ha parlato... come se fossi un ragazzo normale...
– Le hai detto di quanto sono figo? – chiese Harry sollevando un sopracciglio.
– Harry! Ma la vuoi smettere? – lo ammonì Louis.
– Scusa. Continua, Zayn.
– ...mi ha incuriosito, non so perché – terminai. – Comunque, alla fine è scappata e le è caduto il portafoglio – conclusi, mostrando ai miei amici il piccolo rettangolo in pelle.
I ragazzi si avvicinarono per vederlo meglio, poi aggiunsi: – Penso che potrei riportarglielo. Tanto per essere gentile.
– Senza offesa Zay, ma quand’è che di solito ti mostreresti gentile? – rise Niall, prendendomi bonariamente in giro. Sul viso di Harry comparve un sorriso sghembo, e i suoi occhi si animarono di una luce che conoscevo anche troppo bene:
– Sì, certo, il portafoglio... – disse sarcastico, commentando la mia frase.
– O a riprendersi il suo cuore – mi stuzzicò Liam.
– Liam, la vuoi piantare? – sbottai scocciato. Il mio migliore amico era sempre stato il romanticone del gruppo, mentre io invece... beh, semplicemente non lo ero.
– Come siamo suscettibili! – continuò lui, imperterrito.
– Voglio solo parlarci come si deve, tutto qui – replicai.
– Come no – fece Harry ironicamente.
– Quella ragazza ti ha dato proprio alla testa, eh Zayn? – rincarò Louis.
Sbuffai. Ecco perché non volevo dire niente riguardo a Sam. Sapevo che i ragazzi stessero solo scherzando, ma in quel momento la mia mente era altrove.
E tutti i miei pensieri andavano irrimediabilmente a quella ragazza dai capelli neri e il viso dolce. 
 
 





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Salve, miei carissimi e dolcissimi lettori :)
Prima di tutto, spero di non essermi fatta aspettare troppo,
e poi... niente :)
Per ora la storia come vi sembra? Vi piace?
Zayn è molto determinato a incontrare nuovamente Sam,
mentre lei si sente legata a lui in modo quasi irreale, anche se qualcosa l'ha fatta scappare, nel capitolo precedente.
Ovviamente, come avrete ormai capito, non vorrei in alcun modo che questa storia risultasse scontata,
e spero di riuscirci, in una qualche maniera. Ad ogni modo, spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto,
perchè io non sarei in grado di dire se a me piace o no.
Boh, non so... ditemi voi <3
Alla prossima ;)

Stella cadente

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Capitolo 11
*** Parole mai dette ***


11.
Parole mai dette

 
 
Sam
 
 


New York si spegneva pian piano in un tramonto rosso fuoco. La guardavo con il suo brulicare di persone e di voci dal balcone di camera mia, che si affacciava su un tranquillo viale alberato. In casa non c’era nessuno; i miei genitori avevano accompagnato Vanessa a fare shopping, e la casa era rimasta tutta per me. Amavo quei momenti, perché il silenzio che c’era faceva proprio al caso mio. Appoggiata alla ringhiera, mi godevo la leggera brezza estiva e il chiacchiericcio sommesso dei passanti. Era bello passare del tempo lì; era come una finestra aperta su quei rumori continui così familiari. Perry Street era abbastanza lontana dal centro della città, ma l’anima di New York non si spegneva mai.
– Sam...
Una figura indistinta, la stessa che mi era rimasta impressa per tutto il giorno, comparve improvvisamente sul marciapiede. Mi sentii pietrificare e sobbalzai.
– Zayn? – feci, stupita. – Che ci fai qui?
– Anche io sono felice di vederti, sai? – Era proprio lui, riconoscevo la voce.
Per qualche secondo rimasi in un silenzio tombale, senza sapere cosa rispondere; Zayn Malik era sotto casa mia. Cosa lo aveva portato lì? Forse aveva anche rinunciato a degli impegni particolari, magari qualche intervista...
Non riuscivo a smettere di chiedermi cosa ci facesse a Perry Street, a così poca distanza da me, che ero per lui una completa sconosciuta.
– No, scusa, non intendevo dire che...
– Ho capito benissimo, Sam. Non serve che ti scusi – la sagoma fece un passo avanti, fino ad essere illuminata dalla luce del sole. – Stavo solo scherzando – aggiunse con voce vellutata.
Sul mio volto nacque un sorriso di una strana e improvvisa tranquillità, quando riuscii a distinguere una leggera felpa nera insieme a dei capelli corvini, uno sguardo luminoso e dei lineamenti pakistani che ben conoscevo.
– Ciao – mi salutò, sorridendo a sua volta.
– Ciao – lo ricambiai timidamente, tentando di azzerare tutti i miei pensieri.
– Come stai?
– Bene, tu?
– Niente male, direi. Potresti – sembrò impacciato, e per un attimo pensai che fosse adorabile. – Potresti scendere un attimo? Devo restituirti una cosa.


 
****
 


– Sai, – disse improvvisamente, interrompendo il silenzio – è strano, ma mi sembri così... familiare. Non ci siamo già visti da qualche parte?
Non ci potevo credere. Era la stessa cosa che pensavo io di lui.
– Beh – tergiversai, facendo vagare velocemente lo sguardo da un angolo all’altro della strada. – Al concerto; ero in prima fila, ricordi? E ho... ho già partecipato ad un concerto dei Big Time Rush, quando voi vi siete esibiti all’inizio. Ma ero lontana, non credo che...
Lui mi fissò, come se stessi dicendo qualcosa di straordinariamente profondo.
– No, non dicevo in questo senso. Che strano – disse, pensieroso. – È come se ti avessi già incontrata, prima di adesso. Non riesco a spiegarmelo, ma... è assurdo.
Sorrisi lievemente. C’era così poca distanza tra noi che potevo sentire il suo profumo arrivare al mio naso, quel piacevole aroma di menta che, ne ero certa, non avrei mai dimenticato.
Ero scesa a raggiungerlo, ed ora eravamo seminascosti dalle scalinate per evitare che qualcuno lo vedesse. Più il tempo passava, più la situazione mi sembrava totalmente impossibile: davanti a me c’era Zayn Malik, che per di più mi stava dicendo che sentiva le stesse cose che provavo io. Anche se lui questo non lo sapeva.
– In ogni caso – si riprese – sono qui per restituirti il portafoglio.
– Il portafoglio? – chiesi, guardandolo di sottecchi. Sapevo che se il mio sguardo avesse incontrato il suo avrei perso totalmente la mia lucidità, ma sapevo anche che ero inconfutabilmente attratta da quel ragazzo. Cercavo di seppellire questa sensazione, ma invano.
– Sì, il portafoglio che ti era caduto stamattina – continuò, scandendo meglio le parole.
– Oh – dissi solo, in un sussurro. – Grazie.
Gli lanciai un’occhiata timida, appena accennata, per poi guardare di nuovo bruscamente sull’asfalto.
– Sam, ascolta... – cominciò Zayn, facendomi gustare di nuovo il suono spigoloso ma profondo della sua voce.
Quelle due parole rimasero in aria per un denso secondo, un secondo in cui sussultai e il mio sguardo si scontrò violentemente con il suo. Appena aveva pronunciato il mio nome mi ero sentita affondare il cuore in petto.
– Sì? – chiesi con esitazione.
Indugiò un po’, poi la sua voce solcò nuovamente il silenzio.
– Come mai te ne sei andata? Ti ho spaventata, per caso? – chiese, guardandomi deciso. Fece un passo avanti, e la luce fece in modo che vedessi di nuovo il miele in quegli occhi. Miele dolce, confortevole, caldo, in netto contrasto con i suoi modi di fare cortesi, ma per qualche strano motivo distanti.
Quella domanda, comunque, mi spiazzò.
– Beh – iniziai – no, è che... – continuai, prima di accorgermi che stavo solo tentennando in maniera confusa.
Sospirai lievemente, cercando di non rendere troppo evidente il fatto che fossi in difficoltà.
– Ecco... Insomma, tu sei un cantante, sei famoso, perciò... – mi bloccai di colpo e abbassai gli occhi. Che diavolo stavo dicendo? Perché stavo balbettando in quel modo?
– E’ che mi è sembrato strano ricevere attenzioni di quel genere, da parte tua, – continuai a voce un po’ più alta – come se fossi una persona che vedi tutti i giorni.
Silenzio.
– Comunque, – ripresi, sentendomi leggermente a mio agio – come hai fatto a procurarti il mio indirizzo?
Sul suo viso, una sagoma scura su cui scintillavano gli occhi dorati, comparve un’espressione furba.
– Non sarò uno stalker, ma so guardare nelle carte di identità – rispose semplicemente, sorridendomi.
– Quindi hai rovistato nel mio portafoglio – dissi, fingendomi indignata.
– Mi scusi signorina Chase. Potrà mai perdonarmi? – stette al gioco lui.
– Uhm... magari sì – scherzai. Pensai che mi dovevo ancora abituare al fatto che mi trattasse così, ma  con un sorriso pensai anche che non era una brutta cosa, né Zayn sembrava così lontano come era sempre stato.  Ci alternavamo tra momenti in cui eravamo cordialmente distaccati, come se ci fosse una lastra di vetro tra noi, a momenti in cui quella lastra sembrava scomparire. Era... bello, quello che stava accadendo.
– Ehi – mi chiamò Zayn.
– Sì?
Sembrò indugiare per un attimo, con le labbra appena dischiuse, come fosse sul punto di dire qualcosa.
– Devo andare – disse infine. – I ragazzi mi staranno aspettando. E poi non voglio che qualcuno mi veda, altrimenti nel giro di cinque minuti qui sarà pieno di ragazzine urlanti.
– Già, hai ragione.
– Comunque mi ha fatto piacere passare del tempo con te. E poi te lo dovevo. Il portafoglio, dico – precisò, con la sua voce dal tono freddo e spigoloso.
– Grazie – mi limitai a  dire, imbarazzata. Lui mi fece un cenno con la mano come per salutarmi, poi si avviò a passo svelto calandosi il cappuccio della felpa sulla testa, probabilmente per non farsi riconoscere.
Lo osservai inoltrarsi nelle strade di New York, mentre dentro di me montava qualcosa di forte, qualcosa fuori dal mio controllo.
Qualcosa che però sembrava al tempo stesso quasi rassicurante.
Lo guardai fino a che non sparì, per poi sentirmi svuotata.

 

 
 

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 Questo capitolo mi fa leggermente schifo.
Dico sul serio. Mi sembra che io non abbia azzeccato le parole, che non le abbia combinate bene.
*Feel depressed*
Spero davvero che le mie impressioni siano sbagliate ^-^
Teoricamente questo capitolo dovrebbe essere romantico,  mi auguro di averlo raccontato bene e di, come dico sempre, non avervi deluso.
Ho paura di sì, ma in cuor mio spero di no :')
Attendo con impazienza le vostre recensioni, sapete quanto sia importante il vostro sostegno.
Una cosa sola: vi piace la coppia Zamantha?
A me sì, tanto, ma non so se l'ho descritta bene..
*lo dice per l'ottantesima volta*
Basta, sto sclerando.
Adesso non posso far altro che congedarmi e andare a cena <3
Mangio l'hot dog <3 buono <3
Ok non vi interessa :)
Ciao a tutti, vi voglio tanto bene <3

Stella cadente

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Capitolo 12
*** Legami ***


12.
Legami 

 

Sam

 
 
 
Due occhi. Due grandi occhi magnetici, di un intenso e limpido color miele, trafitti dalla delicata luce del sole. Mi fissavano con intensità.
L’elettricità che potevo percepire nell’aria era allucinante, sembrava aver neutralizzato del tutto i miei sensi.
Ero come legata a quegli occhi. Sentivo un legame, uno strano nesso tra i miei occhi celesti e gli occhi dorati, come se in qualche modo non potessero staccarsi.
Gli occhi dalle sfumature auree continuavano a fissarmi.
Come se mi appartenessero.
 

Lo squillo insistente del cellulare mi svegliò d’un colpo dalla mia abituale dormita prima dei compiti, facendomi alzare dal divano con uno sbuffo indispettito. Mi misi a sedere, mentre sentivo che la sensazione strana del giorno prima mi si era ormai annidata nello stomaco. Ero torpida, ma allo stesso tempo incredibilmente lucida; avvertii un profumo che non era mio aleggiarmi intorno ad ogni mio spostamento, come di menta, che invadeva fresco le mie narici.
Zayn.
Non avevo pensato ad altro anche mentre, quel lunedì mattina, prendevo appunti durante la lezione di letteratura. E anche durante quella di matematica, e tutte le altre lezioni della giornata. Era diventato il mio chiodo fisso ormai.
– Pronto? – dissi distrattamente, rispondendo alla chiamata, senza aver prima visto il numero sul display.
– Ehi, come stai? – sentii dall’altro capo.
Il cuore mi balzò in gola. Assaporai per un istante quel suono così spigoloso e vibrante, eppure così angelico, soave. Sentii che un sorriso emergeva dalle mie labbra inevitabilmente.
– Zayn?
– In persona.
– Come fai ad avere il mio numero? – gli chiesi, sorpresa.
– Te lo ripeto: carta d’identità – rispose lui, telegrafico.
– Okay, ehm, – mi passai una mano tra i capelli scompigliati – e come mai mi hai chiamata?
– Non posso, per caso?
– Non volevo dire questo, è solo che non è possibile che tu... insomma...
Mi sentii arrossire di rabbia: ma perché dovevo balbettare sempre, quando parlavo con lui?
Lo sentii ridere dall’altro capo del telefono.
– Non hai ancora risposto alla mia domanda – disse poi.
– Come sto? – scherzai io.
– Esatto.
– Bene – mi limitai a dire. Sentii le mie guance farsi più rosee. Non avevo intenzione di rispondere che il suo viso e la sua voce avevano irrimediabilmente infestato anche i miei sogni, ma quella domanda mi aveva messa comunque in difficoltà.
Attesi che lui dicesse qualcosa, ma rimase in silenzio per un tempo che mi sembrò interminabile.
– Sam, volevo chiederti una cosa.
– Che cosa? – chiesi in un sussurro, titubante.
– No, niente, è che... – indugiò. Assaporai quella nota dolce che la sua voce aveva preso, e lo supplicai mentalmente di finire la frase, mentre sentivo che le mani avevano preso a tremarmi.
– Sì? – chiesi, timida.
– Volevo soltanto chiederti se... se ti andava di vederci, nel pomeriggio. Sempre se ce la faccio a non farmi notare troppo. È solo che mi andava di conoscere meglio la persona che ha voluto togliermi il travestimento a Long Island – scherzò. – Tutto qui – cercò di sminuire le sue stesse parole, incurante di cosa il suo discorso avesse provocato in me.
Dimmi che è vero, dimmi che non è un sogno.
– Ehm, okay – dissi con la poca voce che mi era rimasta.
– Non vuoi, per caso? – chiese, notando evidentemente il mio tono di voce.
– No. No, non è quello, è che...
– Meno male, – disse, interrompendomi improvvisamente – anche perché adesso non potresti darmi una risposta negativa – aggiunse beffardo.
Aggrottai le sopracciglia in un’espressione perplessa.
 – Che vuoi dire?
Mi sembrò di vederlo sorridere furbo, dall’altra parte della linea.
 – Voltati – disse solo.
Feci come mi aveva detto, trepidante. Mi voltai lentamente verso la finestra, scostai le tende colorate a motivi floreali e mi affacciai.
E lì, sull’asfalto, con gli occhi che luccicavano, c’era lui.
Zayn.


 
 
 

****


 
 
– Senti, sei sicuro di non aver sbagliato persona? – chiesi, sorseggiando la mia granita Tropical Blu.
– Io non sbaglio mai, Sam – disse lui per tutta risposta, di fronte a me.
– Modesto il ragazzo – lo presi in giro io. – Comunque... cosa ti ha portato ad incuriosirti di una fan qualunque?
– Mhm – fece, come se stesse cercando le parole giuste. – Forse il fatto che la fan qualunque è una ragazza... interessante – disse in tono neutrale, come se niente fosse. – E poi te l’ho detto, mi piacerebbe capire chi sei.
Mi sentii avvampare e non potei fare a meno di abbassare lo sguardo, tentando di mascherare a tutti i costi un sorriso. Quel ragazzo aveva uno strano effetto su di me; sembrava che potesse plasmare le mie emozioni a suo piacimento, che con una frase o una parola riuscisse a scatenare in me reazioni incontrollabili e stupide.
E la cosa più strana era che, nonostante l’imbarazzo, io mi sentivo felice – stupidamente felice, come non lo ero mai stata. Felice con la persona a cui, probabilmente, tenevo più di ogni altra cosa, anche se non lo sapevo.
Avevamo raggiunto un bar vicino a casa mia, di cui non avevo neanche guardato l’insegna, poi eravamo entrati, notando con sollievo che non c’era nessuno. Lui dava le spalle alla porta e continuava a tenersi il cappuccio della felpa calato sulla testa; ovviamente non potevo aspettarmi che facesse altrimenti.
– A che pensi? – mi riscosse la sua voce.
– A niente – risposi, quasi automaticamente.
– Dai non è vero, è solo che non me lo vuoi dire.
– Davvero, non stavo pensando a niente.
– E allora perché avevi lo sguardo perso nel vuoto?
– Non avevo lo sguardo perso nel vuoto, stavo solo... – balbettai, senza sapere cosa dire.
– Non mi sfuggi Sam. È inutile che provi a nasconderti, ti capisco solo guardandoti – ribatté per tutta risposta.
Alzai lo sguardo e affondai in quei due topazi, desiderando attimo dopo attimo di restarci più a lungo possibile. E vi scovai qualcosa di insolito, qualcosa che non avevo mai visto, qualcosa a cui mai avevo fatto veramente caso.
– Stavi pensando a me, vero? – chiese, con un sorrisetto furbo.
Dovevo ammetterlo, poteva capirmi con un solo sguardo. Sorrisi imbarazzata, riuscendo a malapena a dire un fievole: – No, è solo che...
– Sì invece, te lo leggo negli occhi.
– Ehi, ma sei troppo presuntuoso per i miei gusti – scherzai, ridendo un pochino.
– No, ti sbagli, sono solo realistico. E dico che stavi pensando a me.
Quella affermazione mi fece arrossire più di quanto non lo avessi già fatto. Ora le mie guance ribollivano di un calore troppo forte.
Tentai con tutte le mie forze di sviare la discussione.
– Fa caldo oggi, eh?
Mi guardò per un secondo, poi sollevò la testa per incrociare i miei occhi e sorrise.
– Sei così dolce, Sam – disse, sfiorandomi la guancia con un tocco lieve, appena accennato.
Sembrava che fino a quel momento si fosse preso gioco di me, facendo di tutto per provocarmi o mettermi in imbarazzo, eppure con lui mi sentivo insolitamente a mio agio.
– Oh mio Dio, quello è Zayn Malik!
Una ragazzina che non doveva aver più di dodici anni, era entrata nel bar e lo aveva riconosciuto – come aveva fatto? La felpa gli copriva il viso e lui dava le spalle alla porta.
– Merda – imprecò. – Devo andarmene – disse, afferrandomi una mano. – Scusami – aggiunse, prima di fuggire via.
Restai al tavolo per qualche secondo, le mani ancora serrate intorno al bicchiere di granita  e due stati d’animo completamente diversi che si arrotolavano dentro di me.
Uno era l’incapacità di realizzare cosa stava succedendo.
L’altro era il desiderio di rivedere Zayn il prima possibile, che pian piano mi stava divorando.

 





 

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Finalmente mi sono decisa ad aggiornare, gente.
Era da un po' che avevo scritto questo capitolo, ma in questi giorni sono stata molto impegnata con la scuola,
quindi non ho potuto aggiornare.
Mi dispiace tantissimo :'( potrete mai perdonarmi?
Parlando del capitolo: come vi sembrano questi due? A me piacciono molto, mi sono quasi
affezionata a loro, e solo a pensare che un giorno finirò di scrivere questa storia mi viene da piangere..
Sentimentalismi della scrittrice a parte, ringrazio tutti quelli che mi recensiscono sempre, che mi seguono e ricordano,
e ringrazio di cuore soprattutto i nuovi recensori, che mi hanno lasciato commenti fantastici. Grazie a tutti, non so come farei
senza di voi. Questa storia è cresciuta e si è evoluta soprattutto grazie a voi che mi lasciate gentilmente le
vostre opinioni, riempiendomi di felicità ogni giorno. Sono felice che la apprezziate, davvero.
Detto questo spero, come sempre, che il capitolo sia stato di vostro gradimento :)
Un bacione,

Stella cadente

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Capitolo 13
*** Zayn ***


Parte Terza









13.
Zayn

 

Un mese dopo
 
Sam
 

 
Da quel giorno non avevo più sentito Zayn; era sparito, come avrebbe fatto un sogno meraviglioso e impossibile. Perché probabilmente era questo che era stato: un sogno.
Non lo avevo dimenticato – e come avrei potuto? La scuola mi aveva tenuta molto impegnata in vista della fine del mio ultimo anno, ma nemmeno per un secondo avevo scordato quei due giorni in cui avevo parlato con Zayn come se fosse il ragazzo della porta accanto, quello di cui ti innamori subito; dell’atmosfera così distante eppure così familiare tra noi due, che mi aveva lasciata spiazzata. Mi ero innamorata con una rapidità sconcertante – un amore che andava aldilà di quello che si prova verso un idolo – e non potevo farci nulla.
Con le ragazze ovviamente non ne avevo fatto parola; avevo cercato di tenermi occupata ricercando i vari moduli di iscrizione al college, ma niente era riuscito a tenere la mia mente lontana da quel ragazzo dagli occhi dorati.
Ora era notte, ed io non riuscivo a dormire; perché non mi aveva più richiamata? Perché era sparito, come se tutta la curiosità che aveva verso di me fosse scomparsa nel nulla?
Tic.
Tic.
Tic.
Sbattei gli occhi.
Tic.
Un rumore impercettibile mi svegliò di colpo. Un rumore che sembrava attraversare la finestra.
Tic.
Sembrava un sassolino.
Mi voltai di scatto, spaventata; era un rumore lieve, eppure aveva risvegliato in me un profondo senso di panico. Rimasi immobile nel buio di camera mia, mentre percepivo di nuovo quel ticchettio spigoloso, che sembrava scrivere nel vetro tutta la mia ansia.
Che ore sono?
Camminai silenziosamente verso la finestra e guardai l'orologio: le due del mattino. Chi diavolo mi tirava i sassolini sulla finestra alle due del mattino?
Mi avvicinai piano, poi sollevai di colpo la finestra, osservando attentamente l’asfalto sottostante.
Non c’era nessuno.
Perfetto, sto impazzendo.
– Dobbiamo parlare – sentii che faceva una familiare voce spigolosa.
Sobbalzai. Il cuore si fermò, la quiete si trasformò in agitazione, la gola si fece secca. Non ero abituata a tutte quelle sensazioni in una volta sola.
Sto sognando?
Sapevo bene di chi fosse quella voce. Ormai mi era diventata fin troppo riconoscibile. Come in un flash, gli attimi di quel pomeriggio che sembrava così lontano si risvegliarono nella mia mente, dandomi improvvisamente un lieve formicolio alle guance.
Abbassai gli occhi di colpo; Zayn indossava una maglietta bianca, che metteva in risalto la sua carnagione scura. I capelli neri scompigliati, il portamento fiero e lo sguardo acuto, attento, mi riportarono a quei magici momenti, ora catturati per sempre nella mia testa.
– Di che cosa? – chiesi istintivamente, mentre ogni mio muscolo si tendeva sotto la pelle. Ero consapevole del fatto che dovessi chiedergli come mai fosse tornato; di chiedergli, in realtà, perché avesse dimostrato di tenere a me, di chiedergli com’è che quella storia fosse cominciata. Ma non lo feci, e restai lì impalata a guardarlo come si guarda un miraggio.
– Di noi.
Rimasi interdetta a fissarlo.
– Di noi? – feci, perplessa, anche se quel noi mi aveva provocato un tuffo al cuore.
– Sì, Sam – la voce ferma, gli occhi forti, ora come non mai.
– E che cosa c’è da dire? – chiesi con circospezione. Il modo in cui mi guardava mi aveva come disorientata; era talmente serio che per un attimo mi sentii crollare il mondo addosso.
Si guardò intorno, mentre un’espressione tesa e nervosa si faceva spazio sul suo viso dai tratti decisi.
– Ho bisogno di parlarti... davvero – ripeté, trafiggendomi di nuovo con lo sguardo. Avevo capito cosa intendesse: voleva che scendessi.
Mi limitai ad annuire, per poi chiudere la finestra silenziosamente.



 
 
Quando mi richiusi il portone dietro, lentamente per non fare rumore, vidi che Zayn si era seduto sui gradini delle scale e si stava accendendo una sigaretta.
– Fumi? – chiesi, un po’ perplessa.
– Meno di quanto vorrei – rispose, criptico, sbuffando una nuvola di fumo che si dissolse piano nell’aria. – Sai, per mantenere la figura del ragazzo pulito e tutto il resto.
Lo disse con una nota malinconica nella voce che mi incuriosì, ma prima che potessi chiedergli qualunque cosa, lui mi prese per mano e disse:
– Vieni.
La sua mano scottava sulla mia, pallida e affusolata, che stringeva debolmente le sue dita color caffellatte. Scavalcò il muretto che cingeva i lati del mio palazzo e si andò a sedere sotto la scala, come aveva già fatto una volta.
– Sono le due del mattino, non c’è nessuno in giro in questa zona – provai a rassicurarlo, ma il ragazzo scosse la testa.
– Non si sa mai. Tu... tu non capiresti, Sam – fece, serio, per poi fare un altro tiro. – Io... – riprese quindi – non so perché abbia cominciato tutta questa storia. È una pazzia, ci siamo visti solo due volte e come persone ci conosciamo a malapena. Con il fatto che poi i giornali mi stanno alle calcagna, so che ti metterei a rischio e non voglio.
Aveva lo sguardo nel vuoto, come se fosse completamente perso nei meandri della sua mente.
– Però – concluse, rigirandosi distrattamente la sigaretta tra le dita. – Per qualche motivo ho bisogno di te, della tua semplicità, del modo in cui per te tutto è facile.
Intuii che mi stesse parlando della fama sempre crescente, di lui e dei ragazzi.
– Naturalmente saprai di Louis – disse poi, gettando il mozzicone a terra e guardandomi negli occhi. Ancora, lo constatai con un brivido, quei topazi avevano il potere di attrarmi a loro come fossero calamite. Sarebbe stato perfettamente normale da parte mia – da parte di una directioner – sentirsi così, ma continuavo a pensare che non si esaurisse tutto all’amore per i ragazzi, che ci fosse di più, in qualche modo.
– Certo – mi schiarii la voce. – Voglio dire, sì. Negli articoli che pubblicano su internet ho letto che i tempi di guarigione non sono quelli previsti e che...
– Potrà togliersi il gesso solo tra due settimane, già – finì, con voce un po’ strascicata. – Proprio così.
Restai in silenzio, senza sapere cosa dire, spiazzata di fronte alla brutalità in cui il suo reale stato d’animo si era mostrato di fronte a me. Sembrava angosciato, oppresso quasi, e in quel momento mi sentii idiota per non aver pensato, anche solo per un secondo, che quei ragazzi faticassero a fare i conti con la fama. Nel frattempo era calato il silenzio, e nessuno di noi due si accingeva a romperlo.
Il momento in cui le nostre labbra si incontrarono fu come cadere in un burrone, ma allo stesso tempo come rimanere in un unico punto di non ritorno. Un punto fermo, un punto da cui è difficile muoversi, perché il desiderio che quel momento duri per sempre è troppo forte per essere superato da ogni altra cosa.
Il bacio di Zayn non fu freddo, come avrei immaginato che fosse, ma neanche dolce. Era uno strano misto che mi faceva impazzire, passionale e delicato allo stesso tempo, e sapeva di tabacco e di tutti i pensieri che gli si arrovellavano nella testa. Riuscivo a sentire i battiti del mio cuore riecheggiare anche nelle tempie: stavo baciando un ragazzo che, fino a poco tempo prima, era uno dei miei cantanti preferiti. Come era possibile?
Non ci furono altri contatti tra noi; Zayn non mi attirò a sé, né mi sfiorò in qualche modo, ma sentire il suo respiro infrangersi sul mio viso fu la cosa più vera e intensa del mondo. In quel momento mi sembrò improvvisamente chiaro perché non avessi mai avuto relazioni prima; forse era per lui che non mi ero mai interessata ad altri ragazzi, perché quello che aspettavo e che volevo davvero era lui.
Quel ragazzo dalla pelle scura e i capelli color mogano che ora non era più Zayn Malik. Quell’idea sembrava essere una certezza, emersa all’improvviso, senza che io me lo aspettassi.
Per me, lui adesso era Zayn.
Un nome, solo un nome.
Un nome che era scolpito a chiare lettere dentro di me, deciso a non andare via.
Mai più.

 
 
****
 
 
 

Quella fu una notte insonne. Una notte fatta di sogni, di speranze, in cui le ore sembravano essere ridotte a minuti, secondi, attimi in cui era come se fossi appena cosciente di ciò che mi stava accadendo.
I miei pensieri andavano tutti a Zayn, a quel bacio improvvisato – forse dettato dalla debolezza di quel momento – che sarebbe rimasto tra le braccia oscure della notte per sempre. Era come se non potessi più fare a meno di lui e  del suo modo di fare così freddo ma così dolce allo stesso tempo. Come se avessi appena capito, con un po’ di spavento, che mi ero davvero innamorata.
Perché alla fine, andava sempre così. Ogni volta le novità rappresentavano una fonte di timore e preoccupazione, l’unico motivo di un’ansia costante.
Mi rannicchiai in un angolo della camera buia, vicino alla finestra. C’era la luna piena, in quel cielo scuro, che emergeva tra un palazzo e l’altro. Immersa nel buio, così dolce e confortevole, sentii i pensieri correre selvaggiamente e macinare nella mia testa; era tutto così folle, così precipitoso, così nuovo, per me.
Io e Zayn. Era assurdo, ma qualcosa dentro di me gridava il contrario. Qualcosa mi diceva che, invece, ce l’avremo fatta. Non sapevo come, eppure qualcosa in lui mi aveva dato speranza.
Abbassai lo sguardo sul pavimento, invaso dal riflesso argentato della luna. C’era una strana confusione nella mia testa, pensieri che sembravano gridare contemporaneamente idee diverse fondendosi nella paura.
La solita paura delle novità e della consapevolezza di non riuscire a gestirle.
Quel tipo di paura a cui, ormai, avevo fatto l’abitudine.
Mi trattenni dal tirare un calcio al muro con rabbia. Perché in quel momento mi era sembrato tutto così perfetto, mentre ora invece ero così insicura?
Mi ero trovata a fronteggiare qualcosa che fino a quel momento era sempre stato soltanto un sogno, una storia che si ripeteva tutte le sere solo nella mia testa, come un film.
Solo che quello non era un film.
Ora, la situazione che avevo sempre vissuto in sogno, si era trasformata in realtà.

 


 




safaa malik •

Buondì a tutti quanti!
Ok, mi vergogno anche di postare a questo punto, il mio ritardo è veramente colossale.
Sono vergognosa. Scabrosa. Terribile. Deplorevole. Pessima.
Ok, basta. Il punto è che sono stata impegnatissima e non ho avuto tempo, ho fatto uno sforzo abnorme con la scuola (ahh, il liceo classico! :3)
e non ho potuto neanche guardare il computer. Me lo sono personalmente bandito, negli ultimi mesi.
Quindi..mi scuso. Mi sento in colpa, soprattutto per il fatto che molti di voi si saranno chiesti se fossi tipo morta o cosa..
Sì, sono lenta, lo so. Abituatevi :3
Comunque sia, eccoci al tredicesimo capitolo! Ci credete che tra sette capitoli qui abbiamo finito?
C'è sempre un po', certo, ma da ora mi impegno a  scrivere e a postare con regolarità, che tanto adesso ho molte idee e molto tempo libero :DD
Tant'è che il quattordicesimo è già pronto :DDD
Spero che vi sia piaciuto, non è un granchè però..o almeno, a me non convince per niente -.-
E' frustrante essere insoddisfatti del proprio lavoro, ma spero comunque che vi piaccia, anche perché ho notato un calo delle recensioni nel capitolo precedente..se vedete che c'è qualcosa che non va, non esitate a dirmelo, ok?
Detto questo, vi saluto :-)
Un bacione a tutti!

Stella cadente

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Capitolo 14
*** Domani ***


14.
Domani

 
Sam
 




Ci sarà un meet & greet domani al Beacon Theatre. Appena abbiamo finito ti avviso, ti presenti e poi andiamo in un posto con gli altri ragazzi. Ci stai?
Zayn
PS Ricordati di presentarti per ultima, così il Beacon chiuderà, noi usciremo dal retro e non ti vedrà nessuno. Abbiamo già organizzato tutto con il nostro manager. E non preoccuparti, non sarà come al concerto; Paul ha detto ai giornalisti che non passeremo dal retro, quindi ogni fan sa che usciremo dall’entrata principale. Sarai al sicuro ;)
 
Quel messaggio accolse il mio risveglio, ricordandomi ancora una volta che la sera prima avevo veramente baciato Zayn Malik. Sorrisi, improvvisamente felice: non avrei mai detto che la mia vita potesse cambiare grazie a lui – o almeno, non in quel senso. Il giorno del concerto mi sembrava distante anni, anziché due mesi a malapena; erano successe troppe cose, e sentivo Zayn troppo vicino per vederlo soltanto come un cantante della mia band del cuore. E poi sembrava determinato a vedermi comunque, nonostante gli impegni e i problemi a causa della fama; e quel tono protettivo che avevo percepito nell’ultima parte del messaggio mi aveva fatta intenerire. Ci teneva davvero a me, si vedeva. Anche se non avrei mai giurato che potesse accadere una cosa del genere.
Ero ancora a rileggere quelle sue parole, quando lo schermo del telefono si illuminò e comparve il nome di Corey.
– È da una vita che non ti fai sentire, che è successo? – esordii, non appena risposi. Non avevo notizie di Corey da una settimana, il che era piuttosto strano. Mi chiesi che cosa avesse combinato, anche se, conoscendola, probabilmente non l’avrei voluto davvero sapere.
– Neanche tu mi hai chiamata chissà quanto, comunque – ribatté lei piccata, senza salutarmi.
Sospirai; se avessi continuato saremmo finite a litigare, perciò lasciai perdere.
– Come mai mi hai chiamata?
– Oh, ehm... senti, c’è qualcuno in casa tua, per caso?
Era una cosa incredibile, Corey riusciva a cambiare discorso con un’abilità impressionante.
– Sono le dieci del mattino, sai com’è – la rimproverai io, che avevo già capito che era già sulle scale, magari fumandosi una sigaretta come suo solito. – Dai, mi preparo e scendo. A tra poco.
Riattaccai e mi recai in bagno, preparandomi psicologicamente a quello che la mia migliore amica avrebbe potuto dirmi.
 
 
 
La vidi, come avevo immaginato, sulle scale, con una sigaretta tra le dita e lo sguardo distratto.
– Allora, che cosa c’è? – chiesi, sedendomi accanto a lei. La guardai meglio: aveva i capelli scarmigliati e un’aria stanca.
– Sono stata ad Atlantic City; ecco perché non mi sono fatta sentire.
Non mi guardava nemmeno, mentre lo diceva, forse perché sapeva già in anticipo che le avrei fatto la predica come sempre.
– Cosa? – sbottai infatti. – Perché sei andata ad Atlantic City?
– Ero con Trevor – la sua aria colpevole sparì quasi subito, lasciando spazio ad una leggerezza che mi diede ai nervi.
– Chi accidenti è Trevor?
– Ti ricordi quel ragazzo che ho incontrato in discoteca due settimane fa?
– In realtà no...
– Insomma, ero con lui. Ma non mi importa di quell’idiota, non è per questo che sono venuta qui.
Aggrottai le sopracciglia; perché si era presentata sotto casa mia, allora?
Improvvisamente non volevo chiederle spiegazioni sul perché fosse andata ad Atlantic City con uno sconosciuto; dall’espressione che aveva, sembrava che quello che doveva dirmi fosse molto più importante, così la guardai, come per incoraggiarla a continuare.
– Ho incontrato Harry, laggiù. Harry Styles, Sam – quasi scandì le parole, mentre io spalancavo gli occhi dallo stupore. – Molte ragazze lo stavano praticamente aggredendo, ed io mi sono sentita in dovere di difenderlo, in qualche modo. E così – rise un pochino, prima di riprendere – mi sono improvvisata sua cugina sfruttando la somiglianza che c’è tra noi, e ho detto a tutte che doveva venire con me, mentre lui mi guardava sorpreso. Per fortuna non c’erano giornalisti in giro, se no col cazzo che avrebbe funzionato.
Silenzio; ero allibita, non potevo crederci. Fui tentata di chiederle se fosse uno scherzo, ma la sua espressione e il suo tono di voce mi dicevano che non lo era affatto.
– Poi lui mi ha invitata ad un meet & greet che ci sarà domani, per sdebitarsi immagino – a quelle parole sentii un tuffo al cuore – ed io... non riesco ancora a crederci.
Quando si voltò verso di me, vidi che aveva gli occhi lucidi e un sorriso emozionato sulle labbra.
– Io sono stata invitata da Zayn – mi sfuggì di bocca.
La mia migliore amica cambiò espressione con una rapidità sconcertante.
– È uno scherzo, vero? – fece, passandosi una mano tra i capelli color miele.
– Non te lo avrei detto così seriamente, altrimenti – replicai, atona.
– Cioè... fai sul serio? Esci davvero con Zayn? Quello Zayn che è un componente della band per cui stravediamo da quasi due anni?
– Non è che ci esco, è che mi ha invitata. È successo tutto molto in fretta, neanche io riesco a capacitarmene, ed è tutto così strano che non riesco a capire se sia reale oppure no – dissi, con una punta di felicità nella voce.
Corey si guardò le unghie laccate di rosso.
– Cazzo, Sam – mormorò. – E in tutto questo non mi hai detto niente? – continuò, alzando un po’ la voce.
Le sorrisi, imbarazzata, e alzai le spalle, senza dire niente.
– Che è successo, di preciso? – chiese, con una nota maliziosa nella voce, mentre sollevava un sopracciglio.
– Beh, ero in spiaggia, una mattina, e... ci siamo incontrati lì. Anche se non so cosa ci facesse, o come ci fosse arrivato senza essere fermato. Forse non è stato visto perché era presto...
– Okay, e quindi? – incalzò lei, guardandomi.
– All’inizio non ci credevo, ma poi... – proseguii. – È successo tutto talmente in fretta che non me ne rendo neanche conto – ripetei, mentre mi guardava interessata.
– Ci credo! – convenne lei. – Comunque davvero, sono felicissima per te – sorrise, sincera.
Sorrisi con lei, con il bagliore lanciato dai suoi occhi, come un’immensità color mare che riluceva di sole, di un luccichio che solo la felicità per qualcun altro può dare.
– Ma non so nemmeno se continueremo a vederci – risi un pochino.
– Stai scherzando, spero. Voglio dire, Zayn Malik ti ha invitata ad uscire e vorresti rifiutarlo?
Esitai, guardandola negli occhi.
– Tu sei fuori, Sam – concluse, senza farmi replicare. – Ci uscirai invece, e se non lo fai ti uccido – aggiunse, con l’aria di chi non è affatto intenzionato a scherzare.
– Non sarà un po’ insolito? – chiesi, dubbiosa.
– Perché insolito? Sarà incredibile, ne sono sicura – si addolcì lei. – Tentare non costa nulla. E nella vita bisogna rischiare. Non te ne pentirai, fidati – concluse, con un sorriso sulle labbra.
In quel momento non sapevo che cosa avrei veramente voluto desiderare, ma il sorriso gioioso sul volto della mia amica era come un incoraggiamento. Sapevo che delle sue parole potevo fidarmi ciecamente.
– Ragazze!
Subito dopo aver sentito quella voce, mi trovai davanti un tornado di capelli biondi e un paio di occhi azzurri che mi guardavano increduli.
– Shelby – mi alzai in piedi, seguita da Corey, per guardare meglio la mia migliore amica. – Che è successo?
– Ascoltate, – iniziò, rivolgendosi ad entrambe, – ci sarà un meet & greet con i ragazzi domani, e Niall mi ha invitata personalmente – esclamò, con il fiatone. – Lui e Louis erano a Times Square, qualche ora fa. Ho aiutato Louis a rialzarsi, e allora... Il fatto è che troppe ragazze volevano una foto con lui, e non ce la faceva, lo vedevo; così ha inciampato, allora gli ho dato una mano, Niall era lì, mi ha ringraziata e mi ha messo questo di nascosto nella tasca dei jeans – ci mostrò un bigliettino.
– No, no, aspetta – la fermò Corey. – Quindi ci stai dicendo che anche tu sei stata invitata da uno di loro?
Shelby fece guizzare i suoi occhi chiari da me a Corey e da Corey a me, allibita.
– E voi invece mi state dicendo che anche voi siete state invitate?
– Già – rettificai io.
Ci fu un attimo di silenzio, poi lei sussurrò a malapena, lasciandosi cadere su un gradino: – Non ci posso credere.
– Neanche noi, se ti può consolare – le dissi, appoggiando la testa sulla sua spalla. Corey si sedette accanto a me e si accese un’altra sigaretta.
– Trascorreremo del tempo con i One Direction – fece, come se non le sembrasse neanche vero.
– E non solo – riprese Shelby. – Sono stati proprio loro ad invitarci.
Non dissi nulla, persa nei miei pensieri. Avevo paura. Avevo paura di buttarmi perché sentivo che, forse, presto sarebbe sparito tutto.
In uno stato come di trance, cercavo inutilmente di dare un senso a tutto ciò.
Non sapevo che cosa aspettarmi, dal pomeriggio successivo. Era un domani che era vicino, ma anche immensamente lontano.
Avrei rivisto Zayn. E quel pensiero, così vivo, aumentava sempre più il mio nervosismo.
Non riuscirò a dormire, stanotte. Come sempre, ultimamente.
 

 



 
Pablo Roberto (Pablol73) en Pinterest
 
Buonasera ♥
Ok, ammetto che avrei voluto arrivare ad almeno otto recensioni prima di continuare,
ma visto che ho deciso seriamente di impegnarmi ad aggiornare con regolarità,
ho deciso che mi sarei accontentata anche di queste cinque.
Peace ♥
anche perché questi pareri che mi avete lasciato nello scorso capitolo sono fantastici, quindi non vedo perché dovrei fare tanto la pretenziosa ;)
Insomma, vi piace? A me no. Yeah!
Ma tanto ci ho fatto l'abitudine, non mi piacerà mai quello che scrivo.
Naturalmente l'opinione che conta più di tutti è la vostra. Per questo spero che non abbiate avuto la stessa mia impressione,
ovverosia quella di un capitolo totalmente inutile e scritto malissimo.
Spero che, malgrado tutto, vi sia piaciuto ♥
Un bacione,

Stella cadente

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Capitolo 15
*** Specchi d'acqua ***


15.
Specchi d'acqua


 
Sam





Il Beacon Theatre era deserto, calmo, silenzioso; sentivo soltanto i miei passi affrettati ticchettare sul pavimento nervosamente, mentre un denso e insolito silenzio era calato su di me e sulle mie amiche. Persino Corey sembrava come ammutolita.
Zayn mi aveva avvertita circa un quarto d’ora prima, ed io e le altre ci eravamo subito recate al teatro, impazienti. Non facevo altro che guardarmi intorno; il luogo magico dove tutto aveva avuto inizio era ora un semplice palco, accerchiato da semplici posti, tutti liberi. Il senso di vuoto, la consapevolezza di essere l’unica presenza in quel luogo, insieme alle mie due amiche, era allucinante.
– Ehi? – ebbi il coraggio di dire ad alta voce, mentre sentivo i nervi vibrarmi sotto la pelle. – C’è nessuno? Zayn? – sussurrai, forse più a me stessa che a lui. – Ragazzi? – tentai ancora, vedendo che non ottenevo risposta.
Guardai le mie amiche. Gli occhi di Shelby saettavano da un lato all’altro del teatro, mentre leggeri fremiti scuotevano il corpo minuto e slanciato di Corey, che tormentava con una mano abbronzata il ciondolo della sua vistosissima collana. – Credi che siano davvero qui? – chiese con la voce tremante dall’emozione.
– Spero di sì... – mi limitai a dire.
– Eccovi, finalmente!
Queste parole riecheggiarono all’interno del Beacon, riempiendo le nostre orecchie, e sui nostri volti si disegnarono, quasi all’unisono, degli enormi, luminosi sorrisi.
Louis Tomlinson ci venne incontro. Zoppicava leggermente e tra le mani aveva delle stampelle, ma gli occhi blu scintillavano e un caldo sorriso animava la sua faccia dai lineamenti fini. Dietro di lui, ben presto vidi sopraggiungere dal palco gli altri ragazzi: Liam, Niall, Harry. E Zayn, che non appena mi vide agitò la mano in un cenno di saluto.
– È un piacere conoscervi, ragazze – esordì Liam, una volta che ci furono abbastanza vicini. – Anche se, indirettamente, vi conoscevo già per sentito dire – sorrise furbetto in direzione di Niall, che guardò in basso, impacciato. Rimasi subito colpita dagli occhi di Liam: espressivi, di un intenso e limpido color cioccolato fondente. Rabbrividii di stupore; non mi erano mai sembrati così profondi, nelle foto.
– Io sono Sam – dissi, sorridendo gentilmente.
– Ciao – ricambiò lui.
– Ragazzi, non penso sia necessario dire loro i nostri nomi, giusto? – si intromise Harry, ammiccando in direzione di Corey. – Direi che ci conoscono.
– Già – farfugliò lei. Sembrava una bambina intimorita, e quell’immagine mi strappò un sorriso. Era incredibile come i ragazzi riuscissero a ridurre la forte e carismatica amica che conoscevo ad una ragazzina timida e silenziosa.
– Ciao – disse Niall rivolgendosi a Shelby – Ci rivediamo, finalmente.
– Sì – sorrise Shelby, con una punta di imbarazzo.
– Ehi – sentii sussurrare una voce ormai nota, delicata ed emozionante alle mie orecchie.
– Ciao – ricambiai con un grande sorriso. – Come stai?
– Normale. Contenta di essere qui? – Zayn si scostò dalle mie spalle sorridendo con una dolcezza che non avevo mai visto. Il suo sguardo sembrava brillare più del solito, un immenso mare luminoso fatto di scintille.
– Molto.
Mi accarezzò con lo sguardo di sfuggita per un bellissimo attimo che sembrò eterno, poi si ricompose.
– Bene, allora – esordì, schiarendosi la voce. – Immagino che voi ci conosciate già.
– Infatti – lo interruppe Corey, con un’espressione estasiata sul volto.
Lui sorrise divertito.
– Ad ogni modo, credo che questo sia il momento delle presentazioni. O sbaglio?
– Io sono Corey – incominciò la mia amica, prima che Zayn potesse aggiungere altro.
– E io Shelby – continuò la bionda alla mia destra.
Notai che Niall la guardava di sottecchi, senza riuscire a distogliere gli occhi dalla mia amica. In un moto di tenerezza, sorrisi. Era strano vederlo così, sotto un aspetto totalmente diverso dall’immagine del cantante famoso e amato da tutto il mondo. Ora era diventato improvvisamente un ragazzo semplice, allegro, un po’ impacciato.
Distolsi lo sguardo in fretta, prima che potesse vedermi, e lo riportai sugli altri ragazzi.
Vidi Louis scambiarsi un’occhiata di intesa con Harry. Gli occhi blu si mescolarono a quelli verde chiaro in uno sguardo complice, seguito da un sorriso diretto a noi ragazze.
– Allora, non volete sapere qual è la sorpresa? – disse Harry con un’ espressione allusiva, contemplando le nostre facce incredule.
 
 
 


Vento. Vento che mormorava nelle mie orecchie, gentile e caldo.
– Zayn, posso togliermi la benda? – protestai.
– Non ancora – disse lui, con una nota dispettosa nella voce.
I ragazzi, senza far caso alle occhiate perplesse che ci scambiavamo, avevano coperto gli occhi a tutte e tre e ci avevano guidate verso un posto di cui non volevano far parola, o almeno non fino al nostro arrivo. Fino a quel momento io e le ragazze avevamo sentito solo che eravamo in una macchina, il fischio rumoroso delle metropolitane e il rumoreggiare del traffico newyorkese. Niente di più, niente di meno. Oltre ai rumori della città, non avevo sentito altro che un’insopportabile ansia che mi serpeggiava nello stomaco. Ora sentivo solo il vento. Un vento dolce, sussurrante, che a volte cambiava la sua rotta sferzandomi lievemente le guance.
– Dove siamo? – chiesi ancora, impaziente.
– Lo vedrai – sussurrò Zayn, facendo scuotere il mio corpo in un brivido.
Sentii le sue mani sciogliere il nodo dietro alla mia testa e il fazzoletto cadde a terra con un fruscio, prima di essere dolcemente smosso dalle dita fresche della brezza.
Il mare.
Un ondulato tappeto di azzurro si stagliava davanti a me e alle mie amiche. Riconobbi la consistenza calda e morbida della sabbia sotto i miei piedi, la brezza satura di salsedine scompigliarmi lievemente i capelli. E riconobbi la spiaggia, quel luogo fatto di sole e di blu.
– Ci avete portato a Long Island – dissi, confusa.
Zayn mi guardò come se quelle parole lo avessero sconcertato, ma non disse niente.
– Già – fece Louis, soddisfatto.  – E come vedete, non c’è nessuno. Abbiamo anche una scusa nel caso veniste notate: avevate un biglietto bonus – ghignò, astuto.
– Sam – mi sentii chiamare alle spalle subito dopo. Mi voltai, incontrando subito gli occhi di Zayn. – Vieni, devo farti vedere una cosa – disse a bassa voce, come se temesse che qualcuno origliasse.
Lo guardai per pochi, interminabili secondi.
– D’accordo – dissi infine.
 
 
 
 
****
 
 


 – Sai, la vita di noi ragazzi non è poi così facile – disse, mentre camminavamo fianco a fianco sulla sabbia morbida e bianca, ora costeggiata da arbusti e alberi. – Non è tutto semplice come sembra. Era questo che volevo dirti, l’altra sera.
Mi crogiolai in quelle sue parole, dette col solito tono distante, che però sembravano volermi dire che stava cominciando ad aprirsi con me.
– Ma avete il mondo ai vostri piedi, che cosa c’è di difficile? – provai poi, incoraggiata da quella confessione.
– Beh, niente, in realtà, – convenne lui – è solo che a volte vorrei tornare ad essere un normale ragazzo di Bradford che non ha alcun dovere di sembrare perfetto in ogni circostanza, tutto qui.
Si nascose furtivamente dietro un albero, prima di tirare un sospiro di sollievo.
– Che c’è?
– Niente, niente... mi sembrava di aver visto un’altra fan pronta ad assalirmi. Sai com’è, specialmente in questa chiassosa città dobbiamo andare in giro praticamente travestiti per non farci riconoscere. E a volte non basta neppure quello – disse, con una punta di stizza nella voce.
Non risposi.
– È  un po’ stressante, sai, avere l’impressione di non poter essere te stesso, a volte.
Ascoltandolo, me lo rividi in quella sera che sembrava vicina e lontana al tempo stesso, mentre mi diceva che fumava meno di quel che avrebbe voluto per mantenere l’immagine da ragazzo pulito.
– Come mai hai questa sensazione?
– Perché semplicemente ora sono Zayn Malik, il cantante dei One Direction, non più solo Zayn, il ragazzo di Bradford – disse, come avevo previsto. – E non tutte le directioners mi vedono come mi vedi tu.
– Cioè? – chiesi. Sapevo che gli stavo facendo troppe domande, ma ero curiosa di sapere cosa avrebbe risposto.
Per un attimo sembrò in difficoltà, poi ammise: – Nel senso che tu, anche se praticamente non ci conosciamo, mi vedi per quello che sono realmente, non per quello che appaio o dovrei apparire.  E questo fa di te una persona... beh, diversa.
Da come lo disse riuscii a percepire che gli costasse molto ammetterlo, e d’istinto sorrisi appena, bene attenta a non farmi notare.
– Forse perché anche tu sei un po’ diverso da come ti immaginavo.
Lo sentii sorridere. – Ah, sì? E come mi immaginavi?
– Così come sei, ma... pensavo che io mi aspettassi un po’ troppo da te. Ti immaginavo quasi perfetto – rivelai.
– Mhm – fece lui. Sembrava seguire ogni parola con attenzione e interesse. – Ed invece?
Arrossii. Se c’era una cosa che quel ragazzo sapeva fare bene, era provocare. Era intelligente, acuto; sembrava che sapesse sempre dove andare a parare.
– Beh... invece sei ancora meglio, perché sei una persona vera – mi aprii in un sorriso. – Sei forte e a primo impatto potresti sembrare scontroso, ma non lo sei. Quando vuoi sai essere anche sensibile e molto saggio – aggiunsi, continuando a rievocare le sue parole di due sere prima.
Io non so perché abbia cominciato tutta questa storia. È una pazzia, ci siamo visti solo due volte e come persone ci conosciamo a malapena. Con il fatto che poi i giornali mi stanno alle calcagna, so che ti metterei a rischio e non voglio.
Sorrise ancora, stavolta in maniera più tranquilla, come se ciò che avevo appena detto lo avesse in qualche modo rasserenato.
– È  bello sapere che tu pensi questo, Sam. Non so; te l’ho detto, sei semplice, mi fai quasi dimenticare il peso dell’essere famoso, di dover fare i conti con quello che la gente si aspetta da me. È come se tu riuscissi in qualche modo a far emergere la parte più bella di me stesso.
Guardava lontano, lo sguardo perso tra i morbidi solchi nella sabbia disegnati dal vento.
– Grazie – dissi istintivamente.
– Siamo arrivati.
– Dove?
Gli alberi disegnavano un quadro della natura con le loro fronde rigogliose e il mare lambiva appena la spiaggia deserta.
– Dove è cominciato tutto.
– Non capisco.
– Guarda bene.
Feci come mi aveva detto, cercando di scorgere il minimo particolare.
– Qui ho incontrato una persona particolare. Lo vedi?
– No, veramente no – ammisi con innocenza. Continuavo a non capire. Ero confusa, e leggermente turbata. Allora non provava per me le stesse cose che provavo io per lui?
Zayn mi sfiorò una mano delicatamente, lasciandomi calore e un gradevole brivido a corrermi lungo la schiena.
– È perché ci sei, esattamente in questo momento.
Un tuffo al cuore mi assalì d’improvviso, dandomi l’impressione di, per un momento, non essere più materialmente presente. Nello stesso fugace istante, riconobbi immediatamente gli angoli smussati della sabbia, la sabbia umida accarezzata dal mare, quegli alberi in lontananza. Conoscevo quel punto della spiaggia.
Oh mio Dio.
Era lo stesso posto in cui ci eravamo conosciuti.
Mi voltai verso di lui, senza impedire che le mie labbra si aprissero in un sorriso.
– È dove ci siamo conosciuti – ammisi, senza smettere di sorridere.
– Esatto – sussurrò lui, piano, come se fosse un segreto destinato a rimanere solo fra noi. – So che posso non sembrare il tipo ma... tengo molto ai dettagli. Sono un po’ pignolo, in realtà – rise, e per un attimo sembrò davvero spensierato, come se fosse tornato bambino.
Le sue labbra trovarono le mie, iniziando a disegnare storie, a dipingere sentimenti, ad imprimere momenti nella memoria. A suggerire e a regalare amore, quello di cui entrambi, forse, avevamo sempre avuto un disperato bisogno. Fu un bacio più dolce rispetto al primo, in qualche modo più profondo, più sereno.
E lontano, silenzioso, il mare sospirava tranquillo, assorbendo le nostre immagini nei suoi limpidi specchi di acqua trasparente.

 
 


 
 

scogli | Tumblr




Eccomi di nuovo qui, in ritardo come al solito :')

Mi scuso umilmente, avevo promesso a voi e a me stessa che avrei aggiornato con regolarità..
sono pessima, via. C'è poco da fare.
E' che finora ero in Spagna, in più scrivere questo capitolo è stato un parto, sono stata sveglia più o meno fino alle tre di notte prima di finirlo, è stato davvero impegnativo...
Mi faccio un secondo un'autocritica: sono ripetitiva. Troppo. No?
Insomma, pensate che io dica sempre le stesse cose, in questa storia? O è solo una mia impressione?
Bah, la devo smettere di farmi paranoie.
Spero, come dico sempre, di non avervi deluso. Rileggendo questa storia mi sono accorta che c'erano alcune imperfezioni in precedenza, così ho modificato il sesto capitolo (completamente),
il quarto capitolo (quasi impercettibilmente)
l'ottavo e il nono capitolo (leggermente)
Sarei felice se deste un'occhiata, tanto per farmi capire se vi piace di più oppure no ;-)
Detto questo, mi auguro che questa sia stata una buona lettura.
Un bacione a tutti!

Stella cadente <3  

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Capitolo 16
*** Sprazzi di magia ***


16.
Sprazzi di magia
 
 
 
Sam
 
 
 
New York, agosto 2012
 
 
– Spero vorrete venire alla festa di compleanno di Liam – sentii che diceva Harry dal telefono, in vivavoce.
– Non so... – risposi, dubbiosa. Non sapevo come sarebbe stata quella festa e già mi sentivo insolitamente fuori luogo.
– Senti Harry, mi spieghi cosa c’entro io ad una festa di celebrità? – fece Corey, una nota svogliata ben evidente nella voce.
Eravamo sedute sulla lunga scalinata di Times Square, e il sole che faceva capolino dalle nuvole biancastre ci pungeva gli occhi in sprazzi di luce sottili. Sentivo la mia amica urlare per coprire il solito frastuono del traffico e il chiacchierare confuso dei passanti sempre frettolosi.
– Beh, sei la mia ragazza ora, – replicò Harry – quindi vorrei, anzi mi correggo, voglio che tu venga.
Vidi lo sguardo di Corey abbassarsi di colpo, come mai l’avevo vista fare.
– Non sono la tua ragazza, idiota – ribatté, con quanta più spavalderia le riuscisse. Ora, dopo quasi due mesi che passavamo del tempo con i ragazzi, anche lei si era abituata alla loro presenza e li trattava con la medesima strafottenza con cui trattava quasi tutti. Notai che, però, sulle sue guance spiccava improvvisamente un colorito più accentuato del solito.
– Allora voglio che lo diventi – la sorprese lui. Corey sobbalzò senza ribattere.
Sorrisi. Era quasi divertente vedere come quel ragazzo avesse un certo effetto su di lei. Harry era carino, a modo suo; un insieme confuso di sentimenti trapelati, un’ ironica dolcezza tenuta nascosta sotto una maschera finta e allo stesso tempo trasparente.
– Ma se vuoi, – continuò, reagendo a quel silenzio sospeso – mi troverò qualcun’altra con cui andarci... – la provocò sadicamente. La sua voce era così intensa da potergli percepire il ghigno dispettoso che gli si stava disegnando in faccia.
– E’ per questo che me lo hai chiesto? – ribatté lei, aspra.
Harry rimase qualche secondo in silenzio.
– No – ammise. Il suo tono di voce non era più scherzoso, allegro. Era più profondo stavolta, più sincero.
– Corey... tu mi piaci. Vorresti essere la mia ragazza? – chiese amabilmente.
Sentii la mia amica irrigidirsi, come se si stesse congelando.
– Come?
– Non farmelo ripetere, dai – fece lui.
Repressi una risatina. Tra quei due era una guerra continua; non sarebbe potuto andare diversamente, del resto.
Corey tirò un breve sospiro, come per raccogliere coraggio. – Va bene, va bene – concesse, cercando di sembrare dura e svogliata, come al solito. Ma non lo era, si vedeva benissimo che, invece, era felice.
– Lo sapevo – fece lui, con un sorriso di soddisfazione nella voce.
Bella mossa, Harry, pensai ironicamente.
– Fottiti, Harold Edward Styles – fece infatti lei, con una pungente innocenza che vibrava nella voce ribelle. Disse il suo nome per esteso, lentamente, come per assaporarlo, perché sapeva che gli dava fastidio.
– Ti odio – rispose lui. Ma lo sussurrò piano, la voce amorevole e candida, un suono che accarezzava quelle parole.
– Lo so – ricambiò lei.
Aveva un luccichio negli occhi, mentre lo diceva.


 
****

 
 
– Sam, te lo avevo detto che festeggeremo il compleanno di Liam ad Ellis Island?
La voce di Shelby mi arrivò alle orecchie con questa immediata domanda, non appena accettai la sua chiamata quella sera.
Fino a quel momento ero in terrazza, ad ascoltare i rumori di New York. A pensare, a godermi l’estate. A ricordare l’inizio di quella che ora era diventata una meravigliosa avventura.
Vederci con i ragazzi era ogni volta un’impresa; ci trovavamo sempre di notte, e sempre in posti in cui nessuno avrebbe potuto vederci. Si preoccupavano molto di tenerci fuori dal loro mondo, quello in cui venivi continuamente fotografato e intervistato, perciò non avevamo molte libertà. Ma non ci importava, perché stavamo bene.
Aggrottai le sopracciglia.
– Ellis Island?
– Sì – annuì lei.
– No, non me lo avevi detto...
Dall’altra parte della linea ascoltai il silenzio che mi intasava le orecchie.
– Ehm... – vacillò lei – Beh, ora lo sai – concluse.
– Come? E cosa dico ai miei? – mi allarmai.
– Di’ che vieni a dormire da me, dov’è il problema?
– Il problema è che non abbiamo ancora organizzato niente, ecco dov'è il problema. E poi non posso mentire in questo modo.
Lei sbuffò, spazientita.
– Andiamo, Sam, ti sto chiedendo di passare una serata con noi, con le tue amiche e con i tuoi amici, nonché cantanti preferiti. È, come si può dire... una bugia a fin di bene. E poi non puoi programmare sempre tutto, nella vita – mi rispose, convinta.
Questa affermazione mi strappò un sorriso. Shelby sapeva sempre come difendere le sue opinioni, in tutti i casi. E a nulla servivano le mie obiezioni, che di fronte alla sua parlantina sembravano quasi ridicole.
– Va bene – mi arresi, con un sospiro. Non avevo altra scelta, quando si trattava di lei. Era quasi peggio di Corey, a volte.
– Brava ragazza – disse la mia migliore amica, contenta.
– Ma perché proprio ad Ellis Island? – mi informai.
– Non lo so, i ragazzi hanno detto che volevano festeggiare in spiaggia, facevano un falò e cantavano, cose così, insomma... – divagò. – Ha già pensato a tutto Paul, non preoccuparti. Non ci sarà nessuno; siamo coperte al massimo.
Roteai gli occhi e trattenni una risata, pensando a quanta pazienza dovesse avere il povero manager dei ragazzi. – Ho capito – feci soprappensiero, rimuginando. – A che ore dovremo esserci?
– Loro sono già lì; ci troviamo come al solito sotto casa mia verso le nove e mezzo.
Guardai l’orologio.
Erano le nove e un quarto, ed io dovevo ancora prepararmi.
 
 


Ellis Island era un centro quasi totalmente disabitato, un’isola poco distante da New York, silenziosa, calma, in cui la quiete regna sovrana. Io e le altre avevamo affittato una barca, ed entro un’ora circa ci eravamo trovate insieme a Liam, Niall, Zayn, Louis ed Harry sul fine prato dell’isola, ad assaporare l’odore salato del mare che si stagliava a pochi passi. Camminavamo spediti, un enorme gruppo unito e confusionario che riempiva quella quiete leggera. Io stavo vicina a Zayn, per sentire la sua presenza vicino a me. Volevo ascoltare il suo cuore che batteva regolare, la sua voce ora indispensabile per le mie orecchie, percepire che c’era, che era lì con me.
– Non c’è nessuno – osservai, mentre camminavamo sull’erba umida e fresca. – Oltre noi, intendo.
– Esatto, – mi rispose Zayn a bassa voce – ecco perché siamo venuti qui. Liam voleva festeggiare il compleanno solo con noi, e voi naturalmente – spiegò.
– Che pensiero carino – constatai. – Quindi siamo solo noi? – chiesi.
– Solo noi – ripeté lui.
Un sorriso nascosto si aprì sul mio viso, un sorriso che allo stesso tempo era anche radioso, bellissimo. Uno di quei sorrisi che sono effettivamente bellissimi, perché in qualche modo te ne accorgi. Te ne accorgi da quella felicità che senti arrotolarsi nel cuore, da quel calore che si fa spazio in tutto il corpo.
Fu un fugace attimo, un attimo breve in cui erano però condensate mille emozioni.
– Sam, – la voce lontana di Harry mi riportò al mondo reale – sai che stanotte dormiremo tutti qui, vero? – urlava, per farsi sentire.
– Cosa? – ricambiai, incredula. – E dove dormiamo?
Lo vidi tornare indietro, per poi pararsi davanti a me con un gesto deciso. La luce chiara della luna illuminava i suoi occhi color smeraldo.
– In spiaggia – mi rispose prontamente.
– Ma... ma poi? – insistetti, leggermente preoccupata. Ero sempre stata abituata a programmare tutto, a non avere imprevisti, e con quell’ affermazione Harry mi aveva letteralmente spiazzata.
– Poi che, Sam? – chiese, cambiando espressione. Ora aveva assunto uno sguardo interrogativo, come se non capisse quello che stavo dicendo.
– Nel senso, – tentennai – come ci organizziamo?
– Oh – fece lui. Rise, una risata libera e in qualche modo affettuosa. – Ci organizziamo come capita, okay? – mi appoggiò una mano sulla spalla – Non preoccuparti – concluse, prima di allontanarsi di nuovo.
Guardai gli steli di erba verde scuro, pensando a quanto mi aveva detto.
Come capita.
Andiamo, Sam, ti sto chiedendo di passare una serata con noi. E poi non puoi programmare sempre tutto, nella vita.
Sorrisi appena: forse dovevo godermi quella serata, e basta.
 
 
 
**** 
 


“Up all night, like this, all night, yeah!”
Zayn, preceduto dagli altri, concluse la canzone in maniera impeccabile, mentre i bagliori rossi del fuoco danzavano sulla sua faccia. Raccolti intorno ad un falò, stavamo seduti sulla sabbia morbida, in prossimità del mare che mormorava alle nostre spalle. Una falce di luna gettava i suoi bagliori argentei su quella distesa scura e in movimento, impregnando l’aria di magia, semplicità. Era tutto così autentico. Così tanto che non mi sembrava vero.
– Che ve ne è sembrato? – chiese, rivolto a tutte noi.
– C’è bisogno di dire che siete bravissimi? – fece Corey, sarcastica, alzando un sopracciglio.
– No, tranquilla, – proruppe Harry, circondandole la vita con un braccio – lo sappiamo già.
Per tutta risposta lei gli diede un morso sul collo.
– Ahi! – esclamò lui. – Mi hai fatto male! – si portò una mano alla pelle bianca, su cui spiccava un vistoso segno rosso.
– Scusa – disse la mia amica con finta innocenza. – Non l’ho fatto apposta – continuò, sorridendo maliziosa.
Harry la guardò con un luccichio di sfida negli occhi.
– Vedi di non aggiungere altro, altrimenti...
– Altrimenti che mi fai? – lo prese in giro lei. Nel blu scuro dei suoi occhi saettava una luce provocante ma giocosa, quasi tenera. Ed era strano, vederla così. Era come una bambina allegra e con tanta voglia di scherzare.
Lui sembrò spiazzato.
– Altrimenti... io... ehm...
Corey scoppiò in una sonora risata derisoria.
– Che c’è? – disse Harry, infastidito.
– Niente – fece lei, senza togliersi dalla faccia quel sorriso sornione.
Lui, di rimando, sorrise inaspettatamente, stringendola a sé. – Sei adorabile quando fai così – le disse dolcemente, prima di stamparle un bacio sulla guancia.
– Che ne pensi di quei due? – mormorai a Zayn. – Sono carini, secondo me. Harry è molto dolce.
– Io lo sono di più – ribatté lui, fissandomi.
– Sì, certo – feci sarcastica, ridacchiando sommessamente.
– Che cosa vorresti dire?
– Niente – nascosi un sorriso. – Assolutamente niente.
Trascorsero alcuni secondi di silenzio. Quel silenzio che adoravo, il silenzio che calava ogni tanto quando eravamo insieme. Assaporai il parlottare delicato del mare, il crepitare del fuoco, le risate degli altri. Era bello, calarsi in quel silenzio; era come un modo per affidarmi alle mie riflessioni, ma anche per assaporare la presenza di Zayn accanto a me.
Il fatto che, ormai da un mese, passassi del tempo con i ragazzi molto spesso, aveva fatto sì che ci avvicinassimo di più. Avevo scoperto un lato di lui – un lato in qualche modo dolce – che non sapevo neanche esistesse: Zayn si concedeva a piccole dosi, ma quando lo faceva appariva in qualche modo fragile, tenero. Amavo quei momenti, quei momenti in cui mi faceva sentire come se fossi davvero speciale e importante.
Appoggiai lievemente la testa sulla sua spalla, lasciando che i capelli mi ricadessero sul petto. Sentii la sua mano sfiorarmi delicatamente la guancia, in un gesto che mi fece sorridere istintivamente. Chiusi gli occhi, beandomi della sensazione che mi aveva regalato il suo tocco leggero.
– Zayn? – lo chiamai, senza sollevare la testa.
– Sì?
La sua voce era tranquilla, leggera, quasi impercettibile; sembrava poter acquietare qualunque cosa.
Ti amo. Ti amo davvero tanto. Sai, non pensavo di provare tutto questo, in così poco tempo e con una tale intensità. Ma è successo, e proprio con la persona sbagliata. Apparteniamo a mondi diversi, ma non mi importa. Perché ti amo. Ti amo come non ho mai amato nessun altro.
– Ti voglio bene.
Lui mi guardò intensamente, con i suoi occhi che in quel momento sembravano sorridere,  quegli occhi che, alla luce del fuoco, sembravano racchiudere gli stessi colori passionali del cielo al tramonto.
– Anche io. Tanto.
Lo disse in maniera così bella, così semplice, che il cuore sembrò scoppiarmi. Quello era un ti voglio bene diverso, differente da tutti gli altri che ci eravamo detti finora. Era più significativo, come se celasse qualcos’altro, di più importante, al suo interno.
Non ce ne era bisogno. Non c’era bisogno di dirlo, perché i nostri occhi parlavano per noi e si capivano da soli, senza che facessimo niente. Rannicchiati l’uno all’altra, guardando l’esplosione delle scintille e il pallido riflesso della luna, un legame si rafforzava. Come se, ormai, niente e nessuno avesse potuto sconfiggerci.
– Facciamo il bagno di mezzanotte? – sentii la voce di Niall arrivarmi lontana, distante. Mi strinsi di più a Zayn, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
– Andiamo? – sussurrò piano, facendomi fremere.
Scostai il viso lentamente, fissandolo per un denso secondo, come se non volessi far sfuggire le emozioni.
Poi sorrisi.
– Va bene – assentii, felice.
E, tra gli scherzi dei ragazzi e i riflessi lucenti sul mare, ci tuffammo in quella notte tiepida, accogliente, senza tempo.
Una notte magica.


 

 

 
 
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Mononucleosi.
Questa è la giustificazione per il mio immenso ritardo.
Scusate, scusatemi davvero, ma ho passato giorni orribili.
Vi ringrazio se starete ancora qui a seguirmi, vi ringrazio se state ancora seguendo questa storia perché
i miei ritardi sono imperdonabili.
Comunque sia, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Spero che questa storia continuerà a piacervi, dopotutto.
Mi dileguo e vi mando un abbraccio pieno di ammmore :3

Stella cadente

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Capitolo 17
*** Biondo chiaro ***


17.
Biondo chiaro

 
Shelby

 



– Shelby... Shelby, svegliati...
Una voce limpida stava sussurrando al mio orecchio. Stavo sognando, forse?
Cambiai posizione voltandomi dall’altra parte, cercando di scacciarla, ma qualcuno mi scosse, rendendo inutili i miei tentativi.
– Ehi! Shelby! – ripeté quella voce, stavolta più forte.
Mi girai con uno scatto, il nervosismo che mi montava addosso. Senza troppi preamboli sbottai, masticando un’imprecazione: – Non posso neanche dormire in...
Mi bloccai di colpo, senza terminare la frase.
– Niall? – chiesi, improvvisamente sorpresa e imbarazzata. Abbassai istintivamente gli occhi sulla sabbia, maledicendomi mentalmente per aver reagito in quel modo.
Il ragazzo stava lì, quasi immobile, e mi guardava. Il fuoco lanciava nastri rossi che lampeggiavano sul suo viso e si riflettevano negli occhi azzurro ghiaccio, animando il suo sguardo di un bagliore speciale.
– Beh... sì – farfugliò lui, abbassando lo sguardo a sua volta.
Rimasi ammutolita a fissarlo, come in uno stato di trance, senza sapere cosa dire.
– Ehm... – tentennai come un’idiota; mi sentivo tremendamente in imbarazzo.
Lui sollevò gli occhi, disegnando un’espressione incredibilmente tenera. Li sentii bruciare nei miei, come per cercarli e scavarci dentro. Aspettai che dicesse qualcosa, ma rimase in silenzio a fissarmi.
– Scusa, per prima – mi sorpresi di averlo detto davvero. Che stavo facendo?
Prima che potessi aggiungere altro, sul suo volto si disegnò un adorabile sorriso.
– Wow, ci hai messo un po’ a dirlo – ridacchiò, divertito.
– Già – annuii, cercando di mascherare la mia agitazione. – Perché mi hai svegliata?
– Oh – disse  lui, senza smettere di sorridere. – Niente, mi chiedevo se ti andava di fare una passeggiata con me. Io, ehm... non riesco a dormire e mi piaceva l’idea di... insomma...
Era così tenero, mentre balbettava così, che dovetti reprimere con tutta me stessa la voglia di abbracciarlo. Il mugghiare delle onde era come rassicurante; dava una sensazione di confidenza, di una strana intimità che mai avevo avuto con qualcuno, mentre la luna proiettava dischi candidi sul mare nero, creando un’atmosfera surreale.
– Okay – mi limitai a dire, facendo un cenno di assenso con la testa.
Mi liberai delle coperte e ci lasciammo alle spalle i nostri amici disordinatamente sdraiati sulla spiaggia.
Ci incamminammo nel buio, ascoltando i nostri passi sulla battigia sotto un cielo stellato.


 
 
– E così ti piace suonare? – chiese Niall, mentre camminavamo a riva, l’acqua calda che lambiva appena i nostri piedi scalzi.
– Sì – assentii timidamente. – Suono la chitarra acustica, ma anche quella elettrica mi piace parecchio – le parole si precipitarono fuori dalla mia bocca, la mia voce era come un nastro che fendeva l’aria.
– Davvero? Anche a me piace la chitarra acustica e... so suonare qualcosa – scherzò lui.
– Non credo che tu sappia solo “suonare qualcosa” se sei in una band – lo ricambiai.
– In effetti suono da un po’ – fece Niall con modestia. – Ma più che altro, all’interno della band, canto. La chitarra non appartiene un granché al nostro sound, almeno per ora – disse, con una vaga nota di dispiacere nella voce. – Ed è un peccato – aggiunse poi, con lo stesso tono.
– Beh, un po’ sì – convenni. – Sarebbe bello se nelle vostre canzoni ci fosse anche la chitarra. Ma andate benissimo anche così, siete bravi – dissi poi con un sorriso. Mi sentivo elettrizzata; stavo avendo una vera conversazione con Niall.
– Ti ringrazio – la carnagione pallida del ragazzo si tinse lievemente di una tonalità più rosea.
– Di cosa, scusa? Quel che è vero è vero – replicai, sincera. – Avete un sacco di fan in tutto il mondo, ogni ragazza sognerebbe di incontrarvi e... – mi arrestai di colpo.
– E...? – mi incoraggiò lui.
– Niente. C’è un motivo se avete spopolato così. Alle persone piace la vostra musica.
– Ehi, ma stai facendo troppi complimenti – mormorò lui. Potevo percepire l’imbarazzo, nel suo marcato accento irlandese, mentre abbassava impacciato i luminosi occhi azzurri.
– Non sono mica complimenti, è la verità – ribattei io. Sentii uno strano formicolio nel petto, come se avergli provocato quella reazione fosse stato in qualche modo soddisfacente. Repressi un sorrisetto e attesi che dicesse qualcosa.
– Sei la prima che dice che facciamo buona musica – ammise dopo qualche secondo. Lo sguardo perso, la leggera curva di un sorriso sul suo volto liscio e roseo.
Mi lasciai scappare una risatina. – Non ci credo – replicai, inarcando un sopracciglio.
– Beh, credici invece. La maggior parte delle fan sembra pendere dalle nostre labbra per il nostro aspetto, non per la nostra musica. A volte, penso che siamo stati messi insieme più per essere un prodotto commerciale che per altro. Certo, sono contento del successo che stiamo avendo, quello è chiaro, ma... ecco, tutte quelle foto, le interviste su che gusti abbiamo in fatto di ragazze... che poi io non ho determinate preferenze, a dire il vero. Non ho un tipo ideale. Mi basta trovarmi bene con una persona, e il resto non conta più – dopo aver detto quest’ultima frase si passò una mano fra i capelli biondi in un gesto imbarazzato, spettinandoli amabilmente.
– Che siete dei bei ragazzi non c’è dubbio, – risposi, diretta – ma per quanto riguarda me e le altre, vi apprezziamo più che altro per la vostra musica. Per intenderci, di voi ci piace anche l’aspetto, ma soprattutto le vostre voci e le vostre canzoni.
Niall sorrise felice di fronte alla mia schiettezza disarmante.
– E’ bello sentirselo dire – disse – cioè, noi amiamo le nostre fan, ma non avevo mai avuto l’occasione di avere, diciamo... un incontro ravvicinato con una di loro. Se devo essere sincero, al concerto ho visto molte più persone di quanto immaginassi e...
– C’ero anche io – lo interruppi improvvisamente. E, malgrado non lo volessi ammettere neanche a me stessa, non avevo potuto evitare che la mia voce assumesse una tonalità fredda, tagliente.
La sua risposta mi colpì però come un pugno, lasciandomi di sasso.
– Lo so.
Silenzio.
– Quindi è la prima volta che incontri una vera e propria fan? – gli chiesi, interessata.
– Esattamente. La vita da star non è poi così facile come tutti credono. Vorresti fare un sacco di cose, ma alla fine non ci riesci mai – disse con tono incolore, vago, perso in quella notte così nera, ma allo stesso tempo così luminosa. – I più positivi sono Louis e Liam. Liam riesce sempre a mantenere i nervi saldi, in qualunque circostanza. E Louis, beh... Louis vede ogni cosa come un gioco, per cui capirai che essere pedinato dalle fan non lo disturba; anzi, spesso è divertito da quello che ci succede. Adesso dobbiamo lavorare al nostro secondo album – continuò con un sospiro. – Certo, abbiamo già pronti molti brani ma non è completo. Per di più non sappiamo ancora come chiamarlo. Siamo un po’ stressati, ultimamente, soprattutto per la faccenda del ritardo del tour...
– Posso immaginare.
– Già, è davvero stancante. Ancora non ci credo; quell’idiota di Louis è stato investito mentre cercava di chiamare un taxi.
– No, davvero?
– Sì – annuì Niall, senza smettere di ridere.
– Me lo immagino già.
– Davvero, è stato bellissimo – continuò lui. – Si sbracciava in mezzo di strada come un forsennato. Ci ha fatto prendere uno spavento a tutti quando lo abbiamo visto sdraiato a terra, ma non appena abbiamo saputo che stava più o meno bene abbiamo iniziato a scherzarci su. Zayn lo ha preso in giro per giorni; gli diceva che non era neanche in grado di prendere un taxi, e intanto rideva come un matto.
– Ci credo, lo avrei fatto anche io – confessai. – Però non dirglielo, okay?
– Non preoccuparti, non lo saprà – scherzò lui.
In quel momento non seppi che cosa si stesse contorcendo, dentro di me; non seppi dare una definizione a cosa mi stava succedendo. Eppure, sembrò che qualcosa stesse oltrepassando la mia solida corazza di orgoglio. Non sapevo, in realtà, che cosa ci fosse in quella notte tra me e Niall. Forse era amicizia, forse qualcosa di più. Forse un legame destinato a durare, forse no.
Ma stranamente non mi interessava.
Era come se il buio rendesse tutto più accogliente e in qualche modo rassicurante.
Come se il buio avesse fatto sì che mi sentissi più a mio agio in sua compagnia, più rilassata e tranquilla rispetto alle altre volte. Più libera di essere me stessa. 
 
 
****
 
 
 
 
Era l’alba, un’alba fresca che aveva un che di strano, quasi ultraterreno.
Niall mi aveva ormai raccontato di XFactor, dei primi concerti in Inghilterra e di questo loro primo, vero tour. Era particolarmente contento, mi aveva detto, di tutto l’appoggio che dimostravano le fan, e per un momento il ragazzo che aveva paura della sua carriera era sembrato sparire. Diceva che  lui e i ragazzi amavano le fan americane, perché erano pazze e scatenate. Diceva anche che erano stati accolti con allegria ed entusiasmo dall’America, che il loro concerto a New York sarebbe stato sempre indimenticabile, per ognuno di loro.
Fino a quel momento avevo ascoltato con interesse e attenzione. Era sorprendente come quei ragazzi avessero coronato il proprio sogno, come una semplice audizione avesse cambiato radicalmente le loro vite, come da ordinari ragazzi inglesi fossero diventati cantanti così amati.
Niall, del resto, era un bravissimo narratore, e mentre raccontava i suoi occhi gli  risplendevano di felicità. Era bellissimo vederlo così emozionato, così preso dalle sue stesse parole.
Ora, però, c’era solo il sussurro sommesso del mare ad interrompere il silenzio.
– Come mai avete voluto farci una sorpresa anche stavolta? – ripresi parola, vedendo che Niall non si accingeva a farlo.
Non avevo mai sopportato il silenzio. La calma mi infastidiva; mi era sempre sembrata piatta, assurda, inquietante. Ecco, il silenzio era assurdo, per me. E così sentivo il bisogno costante di riempirlo.
Alla fine, non sapevo perché quella domanda mi fosse uscita così naturale, così spontanea; d’altra parte, non c’entrava niente con quello che mi stava dicendo fino a poco prima. Eppure sembrò quasi voler venire fuori a forza, come se qualcuno l’avesse spinta via, senza che io potessi fare niente.
Niall mi fissò per un attimo che mi sembrò infinito, poi sfoderò un altro dei suoi sorrisi. Era fantastico il suo sorriso, semplice, sereno; sembrava chiudere in sé tutto ciò che di bello può esserci al mondo.
– Ci piace sorprendere le nostre fan – rispose solo.
Allora sono solo una fan, per lui? Allora non prova le stesse cose che provo io?
Cercai di sorridere, ma sebbene tentassi di mettere a tacere quella sensazione, sentii come se qualcosa dentro di me si stesse accartocciando.
– Shelby? Tutto bene? – la voce del biondo mi richiamò alla realtà.
– Sì – risposi prontamente, una finta allegria a mascherarmi il sorriso. – Perché?
– No, è solo che non dicevi più niente, quindi ho pensato che ci fosse qualcosa che non andava.
– No, per niente. È tutto okay – minimizzai, cercando di evitare il suo sguardo.
– Mi piace ascoltare la tua voce – disse di colpo con naturalezza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Cosa? Che hai detto?
Mi trattenni per non sobbalzare, mentre sentivo il battito cardiaco aumentare rapidamente.
– Ma... cioè... – stavo tentennando come una stupida. Sembravo quasi Sam, quando iniziava a balbettare non appena un ragazzo carino le rivolgeva la parola.
Lui mi guardava, con quei suoi occhioni celesti che ora sembravano grandi e lucidi.
– Ti piace la mia voce?
– Sì.
Sentii le gambe squagliarsi, le mani iniziare a tremare.
– E come mai? – ebbi la forza di dire.
– Non so... è forte, grintosa, ma allo stesso tempo è anche... rassicurante – si voltò verso di me lentamente, come se avesse voluto assaporare quell’attimo sino in fondo.
– Wow – sussurrai, incapace di aggiungere altro. Ero spiazzata, debole, come se quella specie di confessione mi avesse in qualche modo tolto le energie.
Che mi sta succedendo?
– Cosa? – la voce di Niall mi distolse.
– Nulla – replicai, quasi sulla difensiva. – Solo che non pensavo che tu avessi questa impressione.
– E’ una cosa positiva, – disse lui – perché ti ho sorpresa di nuovo.
Ci sedemmo sulla sabbia soffice, ascoltando il mare e il venticello lieve che giocava nell’aria calda.
– Sai, sono contento di essere qui – aggiunse dopo poco.
– Anche io – lo ricambiai, senza incrociare il suo sguardo. Quelle parole erano uscite fredde, come se fossero state dette in automatico. Come se non fossero state vere, sincere.
Non voglio guardarlo, odio mostrare le mie emozioni.
– Davvero?
– Beh... – indugiai – penso di sì. Voglio dire... sì – conclusi alla fine.
– Ne sei sicura?
La sfida nei suoi occhi. Uno sguardo amichevole, eppure così intenso, così profondo, che sembrava voler essere qualcosa di più.
Quello sguardo mi attraeva in maniera spaventosa. Aveva fatto scattare in me qualcosa di cui neanche io sapevo l’esistenza.
Senza pensarci troppo, attirai il ragazzo a me con un gesto veloce e intraprendente, e lo baciai.
 


 


Eccomi! 
Finalmente sono riuscita a trovare un po' di tempo per aggiornare questa storia, che in realtà ho già finito di scrivere ma non di pubblicare :3
Spero che questo capitolo dedicato a Niall e Shelby vi sia piaciuto e che magari vi abbia strappato un sorriso.
Voi siete tutti meravigliosi, non vi ringrazierò mai abbastanza per i vostri pareri ed i vostri incoraggiamenti.
Ringrazio tantissimo anche i lettori silenziosi, che seguono la mia FF senza recensire. 
Sappiate che mi farebbe piacere anche avere un vostro commento, ma va bene anche così, io sono contenta alla fine :)
Grazie mille a tutti quanti,
Stella cadente

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Capitolo 18
*** Consapevolezze ***


 18.
Consapevolezze

 
 
 Sam
 
 
 
– Buongiorno.
Labbra che sussurrano in segreto, un profumo di menta e il suono ovattato della risacca. Associai tutto questo a Zayn, mentre aprivo gli occhi.
– Ehi. Dormito bene? – chiesi, con la voce scheggiata dal sonno.
– Sì, niente male.
Lo sentii avvolgermi in un abbraccio, un abbraccio straordinariamente gentile, caldo. In un attimo era sopra di me, ed io ero immobile, senza sapere – per l’ennesima volta – come reagire.
– Che hai? – la sua voce fece irruzione fra i miei pensieri.
– Nulla.
Un sorriso malizioso si curvò sul suo viso in un’espressione giocosa. – Nulla? Sul serio? – inarcò un sopracciglio.
– Sul serio.
Aspettò qualche secondo in cui mi guardò sospettoso, poi disse, con una nota sarcastica nella voce:
– E secondo te io ci credo.
– Perché non dovresti?
– Perché hai spalancato leggermente gli occhi. E adesso stai tremando.
– E allora?
– E’ da quando mi sono sdraiato su di te che tremi – fece, senza vergogna.
Un lampo di imbarazzo mi rimbalzò in tutto il corpo, andando immediatamente ad infiammarmi le guance. Cercai di abbassare gli occhi, ma ero in trappola; con il suo viso a pochi centimetri di distanza dal mio, era impossibile evitare il contatto visivo.
Restai con le labbra sospese in una risposta che non sarebbe mai arrivata, incapace di estrapolare un pensiero sensato dalla mia mente. La risata calda e familiare di Zayn mi costrinse a riprendermi.
– Mi piace vederti arrossire – mi stuzzicò, stampandomi subito dopo un leggero bacio sulla guancia. Si allontanò da me lentamente senza staccarmi gli occhi di dosso, e mi si sdraiò accanto con delicatezza, senza far rumore.
– Bello, vero? – mormorò dopo qualche secondo di silenzio. L’atmosfera che abitava l’aria era rilassante, come se fossimo in una specie di bolla in cui ogni suono veniva inglobato nel nulla. A farci compagnia c’era lo sciacquio ovattato e lontano delle onde, nient’altro.
– Già – assentii, lo sguardo perso lontano.
– Mi è sempre piaciuta l’alba – continuai. – Insomma, secondo me è il momento più bello. Amo vedere che il cielo si tinge pian piano di azzurro e amo anche il fatto che c’è meno traffico del solito. Il silenzio non esiste, a New York, ma almeno di mattina il rumore non è così invadente come di pomeriggio.
Sentivo il suo sguardo intenso premermi addosso, mentre parlavo. – Cioè, – aggiunsi – ci sono abituata, non mi fraintendere. Però mi piace quando c’è anche un po’ più di tranquillità, ecco. Come adesso, ad esempio.
– Sì, a New York c’è un frastuono terribile – mi fece eco lui. – Quando abitavo a Bradford non credevo che potesse essere così, l’America – sorrise. – Beh, un po’ me l’ero immaginata rumorosa, ma...
– Ma non in questo modo – terminai per lui la frase.
Annuì vacuo guardando quel cielo chiaro, poi si voltò verso di me in un gesto calmo. Qualcosa mi spinse a girare la testa verso di lui, in modo che potessi incontrare i suoi occhi; attraversati dalla luce del sole sembravano due topazi brillanti, di un colore abbagliante che somigliava quasi al giallo, e, senza volerlo, mi feci improvvisamente seria. Guardavo quegli occhi con attrazione, come se fossero stati la cosa più bella che avessi mai visto. E forse, effettivamente, era proprio così.
– Zayn – tentai di dire che avevo paura, che avevo paura che tutto finisse bruscamente. Tentai di dirgli che forse mi ero affezionata tanto a lui, in un modo che non potevo aver provato davvero, e che probabilmente non era così che dovevano andare le cose.
Volevo dirgli che, ormai, era come se lui stesse diventando parte della mia vita. E che non era giusto.
– Shh – mi zittì, avvicinandosi nuovamente a me. – Parli troppo – concluse.
E immediatamente portò via tutto con un altro abbraccio, semplice, sincero.
Per qualche motivo ho bisogno di te, della tua semplicità, del modo in cui per te tutto è facile.
Ci tenemmo stretti a lungo, come se volessimo fondere le nostre anime e unirle per sempre. Come se ogni momento non bastasse e avessimo bisogno di un altro, e un altro ancora.
– Sono così belli, i tuoi occhi.
– Grazie.
Era stato così sincero, era sembrato così innocente con quelle parole così poco da lui, che mi aveva lasciata spiazzata.
Il ragazzo sorrise di un sorriso amabile e sbieco, con un’ombra quasi di ironia.
– Mi ringrazi per averti fatto un complimento? – alzò un sopracciglio in un’espressione meravigliata.
– Sì. Cioè, no. È solo che...
– Ehi – Zayn mi prese il viso tra le mani in un gesto affettuoso, che mi fece sciogliere. – Va tutto bene – mormorò, con il lieve accenno di un sorriso. – Dove eravamo rimasti? – chiese, la voce come un nastro di seta. – Ah, già: a quanto mi piacciono i tuoi occhi – mi provocò.
– Perché ti piacciono tanto? – feci, cercando di mantenere un tono disinteressato.
– Perché sono limpidi, tra il verde e un celeste chiarissimo. Sono davvero... vedi, non riesco neanche a trovare un termine per descriverli – rise piano, un mormorio che solcava il vuoto dell’alba.
– Addirittura? – scherzai, con un sorrisetto divertito sulle labbra.
– Sì. Davvero – ribatté lui, serio.
Nascosi un sorriso e mi guardai intorno: gli altri dormivano ancora. La luce appena accennata del sole donava piccole carezze brillanti ai lineamenti fini di Louis, e colpiva in bagliori dorati i capelli castani di Liam. Corey era accoccolata tra le braccia pallide di Harry, i lunghi riccioli biondo miele sparsi sulla sabbia e il viso che plasmava un’espressione rilassata.
Un momento.
– Zayn – lo chiamai, vagamente allarmata.
– Sì? – si alzò improvvisamente sui gomiti, guardandomi preoccupato.
– Dove sono Niall e Shelby?


 
 
 – Harry! Svegliati! – strattonai il ragazzo in preda al panico, mentre sentivo la voce di Zayn che, poco più in là, scrollava Liam e Louis dal sonno in maniera decisamente poco gentile.
Lui mugugnò qualcosa e si portò una mano verso gli occhi socchiusi, come per ripararsi dal sole.
– Mio Dio, Sam – farfugliò. – Non potresti essere un po’ più gentile?
– Senti, Niall e Shelby non sono qui – dissi di colpo, senza tanti giri di parole.
Per tutta risposta mi guardò confuso.
– E allora?
– Harry – dissi il suo nome lentamente, come per mantenere la calma – non ti agita nemmeno un po’ il fatto che due dei tuoi amici siano spariti?
– Che succede? – fece Corey stiracchiandosi vistosamente sull’asciugamano.
– Niall e Shelby sembrano essersi volatilizzati nel nulla – ripetei.
– Oh, beh, e perché ti preoccupi? – mi chiese lei, indifferente. I suoi occhi blu petrolio mi guardavano come se la cosa non la turbasse minimamente.
– E perché a te non sembra importare per niente? – la ricambiai.
– Perché semplicemente avranno voluto rimanere un po’ da soli, ci hai mai pensato? – ribatté prontamente.
– Ragazzi – una voce familiare mi arrivò alle orecchie.
Mi voltai, e lontano, che camminava tranquilla sulla spiaggia, vidi una felicissima Shelby affiancata da Niall, che agitava la mano per farci un cenno.
– Finalmente – dissi, sollevata. – Ero preoccupata – aggiunsi, non appena furono abbastanza vicini.
Notai Corey roteare gli occhi palesemente, per poi buttarsi di peso sulla sabbia.
– Tranquilla, – mi rassicurò Niall – non ci è successo assolutamente nulla. Non riuscivo a dormire, così le ho chiesto se le andava di fare una passeggiata con me e ci siamo messi a chiacchierare.
Un sorriso illuminava il suo volto, mentre diceva queste parole. Le guance leggermente più rosee, gli occhi azzurri che splendevano.
E in quel momento, capii che probabilmente Corey aveva ragione. Feci guizzare lo sguardo su Shelby, che subito voltò la testa in direzione del mare, e repressi un sorriso: non era difficile da capire.
– Ragazzi, che ore sono? – biascicò Liam stropicciandosi gli occhi.
Louis diede una veloce occhiata all’orologio che portava al polso.
– Le sei in punto – fece allegro, notevolmente arzillo rispetto all’amico, ancora raggomitolato sulla sabbia.
Shelby si scambiò un’occhiata con Niall.
– Mi sa che dobbiamo andare – disse piano.
– Già – ricambiò lui. Si passò una mano tra i capelli biondi distrattamente, poi abbassò lo sguardo.
– Ci sentiremo presto, però – sussurrò a fior di labbra. – Giusto?
Lei sorrise.
– Giusto.
 
 
****
 
 
La barca scivolava tranquillamente in mezzo alle onde, mentre io me ne stavo stretta tra le braccia accoglienti di Zayn, il vento tra i capelli e un sorriso sulle labbra.
– Mi piace stare qui, con te – dissi, senza voltarmi, con lo sguardo perso nel mare. Lui mi lasciò un delicato bacio sul collo, facendomi rabbrividire. – Anche a me – sussurrò.
C’era qualcosa di strano nel suo tono di voce. Era una sincerità che sembrava voler dire qualcos’altro.
– Zayn – lo chiamai, inquieta.
– Dimmi tutto.
– Che hai?
– Niente – sospirò pesantemente, e lo sentii abbozzare un sorriso.
Mi girai a guardarlo storto. – Seriamente, cosa c’è? – insistei, senza però calcare troppo sul tono della voce.
Vidi i suoi occhi viaggiare lungo l’ambiente circostante, come se volesse a tutti i costi evitare il mio sguardo. Sospirò di nuovo, prima di piantare quei minerali preziosi nel mio azzurro chiaro.
– Samantha, c’è una cosa che devo dirti.
Perché sei così serio?
Il fatto che avesse pronunciato il mio nome per intero mi dava come un senso di preoccupazione, come se avessi ormai capito che quello che avrei saputo da lì a poco non mi sarebbe piaciuto per niente. E l’espressione che aveva preso il suo viso mi spaventava; Zayn si era rabbuiato improvvisamente, aveva assunto di colpo un’aria cupa.
– Dimmelo – anche la mia voce era cambiata. Era più fonda, più seria.
– No Sam, ti prego, non fare così.
– Così come? – non capivo.
– Sei diventata truce.
– Non è vero.
– Sì invece – mi trapassò di nuovo con quello sguardo luminoso.
– Vuoi dirmi che c’è o no? – la mia voce calma, gli occhi che cercavano risposta.
Zayn prese un respiro profondo, guardandomi a lungo.
– Noi ragazzi dobbiamo partire. Per Camden. La prossima settimana. Volevo essere corretto con te ed evitare di dirtelo il giorno prima – aggiunse, abbassando lo sguardo, palesemente a disagio.
Nelle mie orecchie, il rumore del mare si faceva ovattato, lontano, inesistente. Nella mia testa, la spensieratezza scompariva in un attimo, come una nuvola di fumo che si dissolve nell’aria.
Annaspai nei miei pensieri, incapace di risalire a galla.
Una frase, una semplice frase, aveva distrutto ogni cosa.
 
 


 
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Eccomi, carissimi lettori.
Dopo un'eternità, sono ancora qui.
Prima di tutto, mi scuso. Sinceramente, davvero. Ma sono riuscita a trovare del tempo solamente adesso.
Poi, domanda: come ci siete rimasti?
Sono curiosissima di saperlo, non vedo l'ora di leggere i vostri commenti  :D
Sapete che mi rendete felice, perciò dite tutto quello che pensate, scrivetemi impressioni, pensieri, supposizioni..le vostre opinioni mi fanno sempre piacere.
A questo punto la storia, come avete visto, sembra prendere una piega un po' diversa.
Finora è stato tutto dolce, romantico, un sogno insomma; ma adesso?
Ciò che i nostri protagonisti hanno davanti va al di fuori delle loro aspettative.
Zayn è intristito da questa situazione; Sam non riesce a crederci, le sembra che tutto le stia crollando addosso.
Vedremo meglio nel prossimo capitolo come affronteranno la cosa, intanto mi auguro davvero che per voi questa sia stata una buona lettura.
Detto ciò, me ne torno tra i libri di matematica :)
Un bacione,
Stella cadente

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Capitolo 19
*** Prometti soltanto di non dimenticare che noi avevamo tutto ***


 19.
Prometti soltanto di non dimenticare che noi avevamo tutto


 
Sam
 


Long Island, settembre 2012
 
Cinque giorni.
Erano passati cinque giorni da quella volta.
Non avevo più chiamato Zayn, e lui non si era fatto più sentire. Era come se di colpo fossimo diventati due estranei, come se noi stessi fossimo andati in fumo, dissolti nel nulla.
Lo avevo evitato, in quei cinque giorni. Sapevo che, se non lo avessi fatto, avrei solo reso tutto più difficile e straziante.
Volevo solo dimenticare, preferivo cercare di aggirare il problema invece di affrontarlo.
Eppure adesso ero lì, seduta sulla spiaggia. Alle sei del mattino, come sempre. Osservavo le grigie onde della marea infrangersi a riva, sotto il braccio di Zayn che mi stringeva come aveva fatto diverse volte. La timida e pallida luce che filtrava dalle nuvole riempiva i miei occhi, mentre nella mia testa regnava sovrano il caos.
Quelle mani, ogni volta accoglienti e morbide, sembravano ora essere distanti anni luce.
In fin dei conti, eravamo arrivati al capolinea. Sarebbe finito tutto quanto. E poi sarebbe rimasto solo il rammarico di non averlo avuto per me un po’ più a lungo. Mi ero innamorata della persona sbagliata, e non avevo fatto niente per impedirlo.
Strinsi i pugni nella sabbia. Non dovevo essere lì, dovevo andare via. Dovevo frenare tutto per impedire a me stessa di crollare ancora.
Non doveva andare così.  
Il silenzio era pesante, insopportabile. Un silenzio struggente, un silenzio impossibile, irreale.
Dovevo accettarlo, dovevo accettare che se ne sarebbe andato, e che sebbene ci promettessimo di scriverci o di chiamarci non sarebbe successo.
Non ci riesco.
Quello che stavo provando bruciava più di una ferita aperta. E io cercavo di curare quella ferita, di fermare il sangue, di alleviare il dolore, ma senza successo. Mi stavo infliggendo un colpo dopo l’altro.
– Ci pensi che tra poco dovrò andare via? – chiese Zayn in tono vago, senza guardarmi, come se mi avesse letto nel pensiero.
Rimasi anche io a fissare un punto lontano, a vuoto, assaporando per un attimo il suono della sua voce libera nell’aria, come uno schiaffo ma una carezza allo stesso tempo.
Sì. Lo so.
 – Sì... – sospirai, dando voce ai miei pensieri. Ero completamente priva di espressione. Odiai quella domanda, quella situazione, odiai anche lui, che sapevo mi sarebbe mancato da morire.
Sarei stata sola.
Sono già sola.
Per qualche secondo ci fu solo il rumore della risacca a fare da sfondo ai nostri pensieri. Su di noi, un cielo increspato da nuvole leggere, impercettibili, che sembravano esser fatte di vetro.
Zayn tirò un sospiro pesante, nostalgico; sembrava aver già vissuto per secoli.
 – Sam, andiamo, continueremo a sentirci. O perlomeno, io ci proverò – cercò di rassicurarmi, voltandosi finalmente a guardarmi negli occhi.
Il suo volto non era che una maschera di dolore soffocato. Appariva così... sofferente.
Non potevo vederlo in quello stato.
Scossi debolmente la testa, mentre sentivo le lacrime salire immediatamente e bruciarmi negli occhi.
– Non è finita, non è assolutamente finita, mettitelo in testa – continuò lui. Ma la sua voce era solo un fievole sussurro, sembrava più un tentativo per non cadere, una convinzione assurda e lontana come le immagini di noi due, che ora sembravano quasi appartenenti ad un’altra epoca.
Tornai ad abbracciarlo debolmente. – Zayn – mormorai, la voce cupa, persa. – Questo è quello che pensi tu.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo guardati. L’ultima volta che sarei sprofondata tra le sue braccia sicure, l’ultima volta che avrei sentito il suo sapore sulle mie labbra, l’ultima volta che avrei avvertito il suo profumo sui miei vestiti, fra i miei capelli, sulla mia pelle.
Era così che sarebbe successo, lo sapevamo entrambi sin dall’inizio. Fra un concerto e l’altro si sarebbe dimenticato di me, e dopo poco il nome “Samantha” non gli avrebbe più detto niente, non avrebbe più significato niente. Sapevo che sarebbe stato così.
Eravamo appartenenti a mondi troppo diversi, troppo distanti l’uno dall’altro, incompatibili tra di loro, e io non potevo farci niente. Tutto quello che avevo vissuto fino a quel momento era solo e soltanto un sogno.
E i sogni, si sa, svaniscono al risveglio.
– Ehi, ehi non fare così – sussurrò piano, con dolcezza, come mai lo avevo sentito fare, la sua voce come il miele dei suoi occhi. – Andrà tutto bene, fidati. Troverò un modo.
La sua mano mi accarezzava delicatamente la guancia, come se avesse paura di farmi del male. Forse quelle parole suonavano false anche alle sue orecchie; il pensiero che tentasse comunque di essere forte per me mi fece stringere il cuore in una morsa.
Io, intanto, mi ostinavo a mantenere lo sguardo basso sulle ballerine che avevo ai piedi.
Bianche.
Bianche come l’inverno.
Era così che mi sentivo. Come se l’inverno incombesse dentro di me e scolorisse tutti i sentimenti che avevo provato, rendendoli privi di vita. Scendeva il freddo dentro di me, lento, inesorabile, terribile. Era come se, il giorno dopo, la sua assenza avesse azzerato tutto.
Non potevo sopportarlo. Da lì a poco sarei stata persa, completamente persa. Senza quella che era già diventata la mia metà mancante.
– Ti sbagli, niente andrà bene! – scattai, improvvisamente. –Abbi almeno il coraggio di ammetterlo!
Ormai non ce la facevo più. La mia voce si era incrinata come un pezzo di vetro, mentre lui mi guardava sconvolto.
– Smettila, Sam! Perché devi essere così pessimista, eh? Dimmelo, perché io sinceramente non riesco a capirlo!
– A che serve farci promesse, ormai? – chiesi, mentre un groppo in gola sembrava stringersi sempre di più. – Solo a peggiorare la situazione. È così. È così che andrà a finire, ed io...
– Shh – sussurrò lui. Quel sussurro si spense piano, un conforto e una croce insieme.
Avrei dovuto dirgli che mi piaceva da morire quando lo mormorava in quel modo.
Le sue braccia mi catturarono improvvisamente, e mi tennero stretta in un attimo che mi sembrò infinito.
– Te l’ho sempre detto io che parli troppo – continuò malinconico.
La sua voce mi fece venir voglia di piangere.
Mi aggrappai a lui con tutte le mie forze, gli occhi ormai come pozzi traboccanti acqua.
– Per favore, non fare così... – riuscii a dire a stento, imprigionata in quel dolore che non mi lasciava in pace. – Non... non lo fare, Zayn.
– Shh – ripeté lui. Mi cullò nell’abbraccio, mentre io mi abbandonavo ad occhi chiusi. Come se non volessi vedere.
Buio. Ecco di cosa avevo bisogno. Volevo il buio, non volevo vedere più niente.
– Andrà tutto bene, – disse di nuovo – ne sono sicuro.
Mi allontanò da sé per un momento, in modo che potessi guardarlo negli occhi.
Non appena mi vide, le sue sopracciglia si aggrottarono in un’espressione piena di tristezza. Subito mi racchiuse ancora nella bellissima trappola delle sue braccia, stringendomi forte.
– Stai tranquilla, piccola – aggiunse a fior di labbra, mentre mi accarezzava le spalle.
Piccola. 
Non mi aveva mai chiamata così.
Era la parola più bella che avessi mai sentito.
Il cuore sembrò rimbalzarmi nel petto in un istante che scivolò via. – Non posso – dissi in un soffio.
Lui chinò leggermente la testa verso di me.
 – E perché?
– Perché so come andrà a finire. Ti dimenticherai di me, e non posso impedirlo.
Lui sembrò come trafitto dalle mie parole. Mi guardava fisso, gli occhi tristi, vuoti, senza più quel bagliore color topazio; come se lo avessi ferito in profondità, colpito in un angolo del suo cuore che non era mai emerso. Un angolo fragile come un sottile foglio di carta, che lui non si era mai azzardato a mostrare.
– Sam, – cominciò – so che non ti ho mai detto una cosa simile, so che i sentimenti non sono il mio forte. So che magari non sono stato il massimo, in questi mesi.
Quanto si sbagliava.
– Ma – riprese – la verità è che io mi sono legato a te. Ora sicuramente non mi crederai, ma è così. La verità... – indugiò ancora. – La verità è che ti voglio bene. E molto.
– Lo so – dissi dolcemente, facendogli una carezza sul viso.
Riportai lo sguardo su Zayn, osservando i suoi perfetti e amabilmente aggressivi lineamenti pakistani, i suoi occhi nocciola, ora vitrei e lontani, le sue labbra rosate che contrastavano con l’incarnato olivastro. Guardai il suo ciuffo corvino, l’espressione che era un misto tra tristezza e perplessità, guardai lui come si guarda un ricordo.
Era diverso da me.
Quest’idea era come scolpita nella mia mente e non dava segno di volersene andare. Perché non me ne ero accorta prima? Perché, fino a quel momento, avevo vissuto nella convinzione che tutto ciò non avesse mai potuto avere una fine?
– Zayn, noi non possiamo più continuare questa cosa – dissi di botto.
No, non volevo dirlo.
Non è quello che voglio davvero.
Ci fu un attimo in cui lui sembrò frastornato, come se non avesse capito bene ciò che avevo detto; ma allo stesso tempo sembrò che avesse capito benissimo e fosse incapace di accettarlo. Mi lanciò uno sguardo che non seppi come decifrare, prima di chiedere, con una nota quasi di sfida nella voce:
– Perché?
Deglutii quando sentii quel tono, e conficcai le unghie nei palmi delle mani fino a farmi male.
– Perché siamo diversi, troppo diversi. Perché viviamo in realtà troppo distanti tra di loro, incompatibili. Perché tu sei un cantante famoso, e io solo una fan qualunque.
– Che cosa significa? – chiese, con lo stesso tono duro e arrabbiato. Vidi la sua faccia contrarsi con rabbia, con confusione.
– Esattamente quello che volevo dire, Zayn – la voce rotta e abbassata dal pianto non tradiva quanto mi costasse dire quelle parole, e lui doveva averlo notato, fin troppo. Mi conosceva, fin troppo.
Doveva capirlo, per forza.
Avanti, fa’ qualcosa.
Cerca di capire...
In risposta ebbi solo il silenzio. Zayn era diventato immobile, rigido, come fosse una statua di sale.
 – Se è quello che vuoi, non posso che lasciarti fare... – disse, restio, ma vidi i suoi occhi cambiare espressione, il suo volto rabbuiarsi all’improvviso.
– Non è quello che voglio – confessai, guardandolo appena. – Ma non vedo altra soluzione.
Non ce la faccio.
Mi lanciò uno sguardo di sufficienza. Sospirai.
– Credevo che ci fosse qualcosa tra noi...
... e credevo che questo potesse anche oltrepassare la tua carriera da cantante, ma mi ero illusa, stavo per dire. Ma lui mi interruppe.
– Già. Lo credevo anche io, sai? E come al solito, mi sbagliavo.
Lo guardai.
– Zayn – dissi. – Non intendevo dire che...
– Lascia perdere – evitò il mio sguardo, improvvisamente scontroso.
Volevo dirti che tu sei stato, sei e sarai ancora importante per me.
Che sarai indimenticabile.
Che niente sarà più lo stesso senza di te.
Che tutto sembrava perfetto, ma qualcosa doveva andare male, evidentemente.
Volevo solo dirti che mi dispiace.
Per tutto.
– No, non posso lasciar perdere, io...
– Senti, se per te va bene così, allora anche a me sta bene. Okay? Vedila in questo modo. Cancella tutto quello che c’è stato, eliminalo totalmente. Perché, stanne certa, è quello che farò anche io. Molto più facilmente di quello che credi.
Era tornato di nuovo chiuso come due mesi prima, freddo, distante. Anzi, adesso era anche peggio: era diventato cattivo, insensibile.
Mi sentii perdere in polvere e feci del mio meglio per non arretrare, di fronte a quelle parole.
Non c’ero più.
– Devo andare.
Due parole, due pugnalate. Inerme, lo guardavo allontanarsi, diventare un’immagine sfocata, come un fantasma. Un fantasma dalla pelle dorata e gli occhi scintillanti.
Non era quello che volevo.
Volevo almeno che mi ricordasse, nell’istante in cui il cielo era grigio.
Volevo soltanto che non dimenticasse che noi avevamo tutto.
 
 





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Okay, allora, va bene che è da un mese e passa che non aggiorno,
ma la mononucleosi ha avuto le sue conseguenze e, 
oltre al fatto che avessi problemi con il pc, avevo anche problemi di salute.
Detto questo, abbiamo capito che non auguro la mononucleosi a nessuno.
Comunque.
Ho messo l'anima in questo capitolo, ma non mi è piaciuto scriverlo.
I miei protagonisti si separano, come avete visto c'è una svolta repentina nella storia.
Mentre scrivevo, sentivo il dolore di Sam, perché, anche se poi le cose potrebbero andar meglio, so quanto siano brutti gli addii.
Sono tremendi, un pugno nello stomaco. 
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, perciò spero di vedervi in tanti.
E spero che questa FanFiction un po' assurda e inverosimile non vi abbia mai annoiati.
Grazie per seguirmi,

Stella cadente

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Capitolo 20
*** Come neve in settembre ***


 20.
Come neve in settembre
 
Zayn
 
 

Aeroporto di New York, 5 settembre 2012
 
 
Tu sei un cantante famoso, e io solo una fan qualunque.
I suoi occhi avevano trattenuto a stento le lacrime, quando aveva detto queste parole. Si era sforzata di essere lucida, di vedere tutto in maniera razionale, come suo solito. Sam cercava sempre di fare la cosa giusta, di dire la cosa giusta, anche se significava andare contro quello che provava lei. Nel profondo, tutto quello che voleva era soltanto un abbraccio. Ed invece, ciò che ero riuscito a fare era stato prendermela con lei e andarmene.
Davvero brillante, Zayn. Complimenti, sul serio.
Mi passai stancamente una mano sulla faccia, sospirando. Lasciai il mio sguardo a vagare lontano, tra le persone che affollavano l’aeroporto; chissà dove andavano, chissà quali storie si celavano dietro a quei volti sconosciuti. 
Guardavo i turisti, le famiglie, le coppie, e in ogni angolo speravo di vedere quel lampo di capelli neri, lisci, sempre puliti e ordinati. Quegli occhi chiarissimi, verdi o celesti a seconda della luce, grandi, dolci. Gli occhi che avevo esplorato più volte e che lo stesso mi erano sembrati sempre misteriosi, gli stessi occhi che esprimevano dolcezza, la ritrosia di una ragazza timida e introversa. Quelle labbra rosse, fini, una sottile curva che spiccava sulla pelle bianca.
Tutto questo, ora, mi sarebbe stato negato per sempre. Lo sapevo, eppure non volevo accettarlo. Ed ora avevo anche il rimpianto di non averle dimostrato pienamente quello che provavo per lei – di non averglielo mai dimostrato abbastanza, e tutto per colpa del mio stramaledettissimo nome.
Zayn Malik, cantante dei One Direction.
Ora ero lì, e piangevo come un idiota in mezzo a quel continuo andirivieni di persone e valigie.
Io che piango?
Non mi era mai sembrata una cosa possibile. Eppure avevo gli occhi lucidi, li sentivo bruciare per lo sforzo di trattenermi dal lasciar cadere lacrime. Lacrime che sarebbero state amare, che mi avrebbero corroso la pelle. E non volevo.
Non avevo mai pianto per questo genere di cose. Non avevo mai pianto per gli addii. Forse non avevo mai pianto in generale.
– Zayn – la voce di Liam mi richiamò, la sua mano appoggiata sulla mia spalla. – Tutto okay?
Risi di una risata amara, appena accennata. Sentii Liam allontanarsi leggermente alle mie spalle.
– Sono un cretino – dissi, senza voltarmi.
Lui si fermò. – Perché dici così? – la sua voce era trattenuta, come se stesse scegliendo con cura le parole.
Mi voltai. – Perché ho lasciato quella ragazza di punto in bianco. L’ho trattata da schifo, Liam – mi limitai a sussurrare, come a non volerlo confessare neanche a me stesso. – E mentre voleva solo un abbraccio, o anche solo un ciao, io mi sono arrabbiato e l’ho lasciata lì, solo perché mi aveva sbattuto la verità in faccia. Perché forse ci tengo troppo! – alzai un po’ la voce, la rabbia che si contorceva nel mio cervello. – E lo sapevo che sarebbe andata così, ma ho comunque continuato con questa storia, senza avere il minimo rispetto anche per quello che lei avrebbe potuto provare!
– Ehi, ehi! – mi fermò Liam, trattenendomi per un braccio. – Calmati, d’accordo? Tutti noi volevamo bene a quelle ragazze. Nessuno è felice di andare via da qui, capito? Guarda tu stesso.
Si fece da parte, indicando il resto dei ragazzi con un cenno della testa: i nostri amici erano seduti su una panchina poco lontano da noi, le facce serie, gli occhi tristi. Nessuno di loro sembrava essere particolarmente entusiasta di partire per Camden. Una ragazzina li riconobbe e andò a chiedere un autografo, ma persino Louis sembrò firmarlo malvolentieri.
– Li vedi? – la voce familiare di Liam mi riscosse. – Lo vedi come stiamo, tutti quanti?
– Dovrebbe farmi sentire meglio? – replicai freddo.
– Non ho detto questo... Era solo per farti capire, amico, che hai tutta la nostra comprensione. Davvero.
– Liam, come posso fare, per riparare a quello che ho fatto?
Il mio amico tacque, impensierito. – Forse non puoi risolvere adesso – disse serio. – Ma puoi sempre sperare.
In quel momento desiderai con tutto me stesso che le sue parole fossero vere.
Non era neanche venuta all’aeroporto per vedermi un’ultima volta, come poco prima avevano fatto Corey e Shelby.
Avevo detto addio alle ragazze con malinconia. Dopo averci salutati tutti, Corey si era stretta forte ad Harry, e Shelby aveva abbracciato Niall con lo stesso trasporto.
Lei non c’era. Non era lì. E come darle torto, del resto? Mi ero comportato malissimo; era perfettamente normale che non mi volesse più vedere.
Tirai un sospiro di frustrazione; era mai possibile che, in soli due mesi, mi fossi affezionato così tanto?
Non ero mai stato il tipo, a dirla tutta. Non mi legavo facilmente alle persone, eppure con lei era sembrato tutto così facile, così spontaneo, che la situazione mi sorprendeva e mi stordiva contemporaneamente.
Partenza aereo per Camden tra un’ora circa.
La voce metallica proveniente dall’altoparlante mi costrinse a riscuotermi dai miei pensieri. Mi trascinai con riluttanza vicino ai ragazzi, portandomi svogliatamente dietro la valigia. Niall ed Harry tenevano lo sguardo basso, mentre Louis aveva un’aria assente.
– Ragazzi, per favore, andiamo – disse Liam. – Dobbiamo fare il check-in. E cercare di non rendere la cosa più straziante del dovuto.
Lo seguimmo di malavoglia; non era questo che volevamo.
Nessuno di noi lo voleva.
 
 
 
****
 
 
 

Salimmo sull’aereo, un mostro di metallo che ci avrebbe portati via da quella città carica di ricordi.
Non appena mi sedetti accanto a Louis, lanciai la borsa ai miei piedi; avevo solo voglia di nascondermi per il rimorso.
– Ehi – mi chiamò Louis. – Ti manca, vero?
Annuii mestamente. – Già.
Fuori dal finestrino, le nuvole bianche increspavano appena un cielo grigio. Era solo settembre, ma sembrava potesse cadere la neve.
Neve in settembre.
Forse perché la neve, il freddo, il gelo, stavano cadendo anche dentro di me.
– Ragazzi – la voce di Niall mi fece voltare la testa. Lo sguardo di tutti si posò sul nostro amico irlandese. – Dovremmo scrivere una canzone su questi mesi passati a New York. Non possiamo lasciar sfuggire il loro ricordo così... Dobbiamo fare in modo che quelle ragazze facciano parte di noi – disse con decisione, malgrado avesse gli occhi lucidi.
Mi trattenni dal ridere amareggiato.
– Forse. O forse no. Servirebbe solo a tenere in vita fantasmi del passato – ribattei, gelido.
Senza aspettare una risposta, mi voltai nuovamente verso il finestrino. Il tour sarebbe andato avanti, i One Direction sarebbero andati avanti. Probabilmente, ero solo io quello che non voleva andare avanti.
Tutto ciò che desideravo era rimanere fermo. Non fare niente, non pensare a niente, non essere niente.
Volevo che Sam ci fosse, malgrado tutto. Volevo che fosse lì con me.
Ma forse, in futuro, le cose sarebbero cambiate. L’avrei rivista, avrei potuto riabbracciarla, sentire di nuovo il suo profumo.
O almeno, era quello che speravo.
Forse, un giorno ci rincontreremo, Samantha Chase. 
Forse.

 
 
 
 
 
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Eccoci alla fine.
Sono emozionatissima, ho concluso la mia prima storia.
Ancora non ci credo.
So che a questo punto voi lettori vorrete uccidermi, ma purtroppo è andata così.
Dispiace anche a me, sapete? Mi ero affezionata a quei due, e farli separare è stato dolorosissimo.
Come avrete ormai capito, nelle note della storia ho messo che è una SongFiction perché si ispira a Summer Love, una canzone dei nostri amati ragazzi che mi ha ispirata e toccata nel profondo.
Vi ringrazio, lettori.
Vi ringrazio per avermi seguita finora, vi ringrazio per incoraggiarmi sempre.
Vi ringrazio per avermi fatto amare un po’ di più questa storia e per avermi fatto credere che sia davvero capace di donare emozioni. È quello che voglio, alla fine. Donare emozioni.
Vi starete chiedendo perché l’ho conclusa così.
Ma vedete, il fatto è che non voglio scrivere favole.  Le cose erano andate anche fin troppo bene, finora. Ripeto, so che mi starete odiando per questo, ma pensateci un secondo: la storia avrebbe avuto un significato, se fosse sempre stata tutta rose e fiori fino alla fine?
Io, per qualche ragione, credo di no.
Spero che anche voi la pensiate in questo modo.
It was only just a dream è stata ed è ancora parte di me, alla fine. La timida e piccola Sam nella grande New York rimarrà sempre nel mio cuore.
Mi auguro che a tutti voi rimanga un bel ricordo di questa storia.
Grazie a tutti di cuore,

Stella cadente

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