Piccolo Uomo

di Fanny77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kuzushi - Squilibrio ***
Capitolo 2: *** Katame-waza - “tecnica del controllo” ***
Capitolo 3: *** Atemi-Waza ***



Capitolo 1
*** Kuzushi - Squilibrio ***


PICCOLO UOMO

Kuzushi - “Squilibrio”

“It’s time to forget about the past
To wash away what happened last
Hide behind an empty face
Don’t ask too much, just say
‘Cause this is just a game
It’s a beautiful lie
It’s the perfect denial
Such a beautiful lie to believe in
So beautiful, beautiful it makes me”

“beautiful lie” 30 seconds to mars

 
Mentre il sole calava dietro le montagne, un bambino sedeva solo nella foresta.
Appoggiato ad un grande pino si stringeva le ginocchia al petto,raggomitolandosi su se stesso, quasi a difendersi dal buio opprimente che lo circondava.
Sul volto, seminascoste da ciuffi di capelli ribelli, spiccavano lacrime argentate che lentamente cadevano a terra senza alcun suono.
Piangeva il bambino, in silenzio, senza emettere un singhiozzo. Troppo orgoglioso per ammettere di avere paura.
Paura di quelle tenebre che parevano volerlo soffocare nel loro abbraccio gelido.
Paura di rimanere solo per un’intera notte in quei boschi che aveva imparato a temere anche con la luce del sole.
Paura delle creature notturne che presto avrebbero abbandonato le loro tane per dare inizio alla caccia.
Paura di allontanarsi e smarrirsi tra quegli alberi.
Paura, paura … c’era tanta paura.
Ma questa era la sua punizione e lui avrebbe dovuta scontarla senza fiatare.
Gli avevano detto che era stato cattivo, che meritava di essere punito. Lui non aveva potuto far altro che abbassare il capo, colpevole di aver aiutato un bambino più piccolo di lui.
Ma in quel luogo il mondo girava all’incontrario: ciò che era buono diventava cattivo e ciò che era cattivo diventava buono.
Sfregò tra di loro le mani gelate senza però ricavare alcun calore.
Non era il periodo né il luogo giusto per passare una notte all’aperto, in autunno dopo il tramonto la temperatura scendeva di parecchi gradi, inoltre i venti dal nord, in quei mesi spazzavano quelle campagne. Gli alberi in parte lo proteggevano dalle folate di aria gelida, ma non dal freddo, che implacabile lo stringeva nella sua morsa.
Era abituato ai clima rigidi, ma l’idea di dover aspettare il mattino per poter ritrovare il calore delle mura della sua stanza e delle coperte del suo letto, seppur molto leggere, gli fece sfuggire un sospiro sconfortato.
Probabilmente gli conveniva cercare di addormentarsi, nel sonno il tempo passa più veloce.
Ma era troppo teso per poter sperare di dormire. A ogni minimo rumore scattava spaventato e persino il frusciare delle foglie lo metteva in agitazione.
Un fruscio più forte degli altri lo fece balzare in piedi. Con circospezione scrutò nell’oscurità, deglutendo più volte a vuoto per cercare di calmarsi.
Rumori di passi leggeri spezzavano il silenzio della notte mentre una figura si avvicinava lentamente.
Un’ombra scura emerse dal fogliame entrando nello piccolo spiazzo erboso.
Il nuovo arrivato lo superava in altezza di un bel pezzo, il suo viso si intravedeva a malapena, grazie ai raggi lunari che lo illuminavano delicatamente. Il più piccolo lo riconobbe all’istante.
Sorpreso guardò il ragazzo che gli stava di fronte, mentre sentiva le mani smettere di tremare.
-Che ci fai tu qui?- domandò incredulo, cercando di rallentare i battiti del cuore che pulsava frenetico.
-Sono venuto a vedere come te la stavi cavando.- rispose l’altro. Sedendosi a terra con uno sbuffo.
Il bambino lo guardò silenzioso, non sapendo bene cosa pensare di quel comportamento tanto bizzarro. Non era certo possibile che quel tipo fosse venuto fin lì di notte solo per vedere se stava bene. Solo un pazzo lo avrebbe fatto.
-Perché?- domandò all’improvviso.
-Perché cosa?-
-Perché sei venuto?-
-Mi sembra di avertelo già detto!- esclamò il più grande esasperato -Invece di ringraziarmi ti lamenti pure, bell’ingrato!- detto questo si appoggiò al tronco dell’albero più vicino, incrociando le mani dietro la testa e accavallando le gambe.
Non sembrava per nulla spaventato. Anzi, il suo viso appariva calmo e rilassato.
Era più grande e si vedeva.
-Non ho bisogno del tuo aiuto … - sussurrò il bambino, sedendosi accanto a lui.
Bugia. Bugia bella e buona. Non voleva restare di nuovo solo.
-Ah giusto, quasi dimenticavo che tu sei un uomo grande e forte … - disse l’altro sorridendo ironico -Allora prima non stavi tremando di paura?-
-Certo che no!!- il più piccolo alzò lo sguardo indignato, ben deciso a difendere il proprio orgoglio -Io … -
Ma non poté continuare perché l’altro, con estrema delicatezza, gli aveva appoggiato una mano sulla guancia. Senza una parola, il giovane, fece scorrere le dita su quella pelle morbida, leggermente umida di lacrime.
Sorpreso il bambino non osò fiatare né muoversi, ricordandosi solo in quel momento delle leggere scie bagnate che gli percorrevano il viso.
Il ragazzo ritrasse la mano con un sospiro.
-Hai avuto tanta paura?- la domanda rimase per qualche istante sospesa tra loro,senza ricevere alcuna risposta.
Arrossendo appena il bambino aveva abbassato lentamente lo sguardo, consapevole che era inutile negare ancora.
Si sentiva stupido e debole, quei quattro anni che li separavano sembrarono raddoppiare, aprendo un abisso che gli pareva non sarebbe mai stato in grado di colmare.
Aveva paura di incontrare i suoi occhi pieni di compassione, che lo avrebbero guardato silenziosi ma carichi di significato.
-Guardami- lo richiamò la voce dell’altro. -E stai fermo.-
Il giovane gli si avvicinò lentamente, tra le mani stringeva un piccolo gessetto blu. -Questo l'ho preso in un’aula.- disse sotto il suo sguardo interrogativo.
Con movimenti precisi il più grande passò il gesso sul volto de bimbo, tracciando linee blu lungo le guance.
Il bambino, sorpreso provò a ritrarsi.
-Aspetta … - la sua voce gentile lo sorprese, non si aspettava quel tono.
-Non ti faccio nulla- continuò l’altro, senza smettere di dipingergli il volto -questi sono simboli di forza, di coraggio … venivano disegnati sui volti dei giovani che dovevano affrontare la prova per diventare uomini. Sono simboli sacri,affidati solo a coloro che si dimostravano meritevoli.-
Incantato il bambino lo fissava a bocca aperta.
-Simboli di forza …?- chiese titubante.
-Esatto … solo gli uomini possono portarli … e tu sei un uomo non è vero?-
Il più piccolo annuì con forza, desideroso di dimostrare che sì, lui era abbastanza grande e forte.
Il ragazzo si allontanò, mentre un sorriso dolce si affacciò sul suo viso. Osservò in silenzio il volto dell’altro su cui spiccavano quattro zanne blu, due per guancia.
Simboli di forza.
-Ora non puoi avere paura, perché questa notte tu sei un uomo e la tua forza e il tuo coraggio sono superiori a qualsiasi timore.-
L’altro annuì, guardandolo serio, mentre con mano tremante sfiorava quei segni che tanto coraggio gli infondevano.
Quella notte non dormì, ma non ebbe più paura, sentendosi abbastanza forte da affrontare qualunque cosa.
Il più grande rimase con lui.


Il giorno in cui Kai Hiwatari arrivò in Giappone pioveva.
Il ragazzo osservava il cielo plumbeo, appoggiato ad una delle colonne che sorreggevano l’imponente aeroporto di Tokio. Le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere a terra, mentre un vento freddo scuoteva le strade.
I passeggeri appena atterrati si sbracciavano sui marciapiedi nel tentativo di attirare l’attenzione dei taxi.
Con uno sbuffo infastidito il suo accompagnatore si accese una sigaretta, il fumo acre si disperse nell’aria.
Era un uomo imponente, dall’aria truce, a cui era stato affidato l’ingrato compito di scortarlo durante il viaggio.
Kai non aveva nemmeno provato a simpatizzare con quello che, sapeva essere, l’unico ostacolo tra lui e la libertà. Non si sarebbe presentata mai più un occasione come quella per andarsene, fuggire e non tornare mai più. Lasciarsi ogni cosa alle spalle … per sempre.
Di lì a poco si sarebbe ritrovato nuovamente rinchiuso fra quattro mura, prigioniero di uomini conviti di aiutarlo privandolo della sua libertà, per proteggerlo da tutto ciò che vi era al di là della loro gabbia di perfezione.
Credevano di fare il suo bene.
Si sentivano coinvolti da una vita che in fondo non li toccava da vicino, e che non poteva nuocere loro in alcun modo. L’unico a rimanere ferito era sempre soltanto lui.
Ma aveva smesso da tempo di sperare in un appoggio da parte di qualcuno che non fosse lui stesso. Aveva imparato ad ignorare e disprezzare qualsiasi tipo di aiuto esterno. Sapeva che se si fosse concesso di sperare per lui sarebbe finita, se avesse osato fidarsi tutto il suo mondo sarebbe crollato.
Non era più disposto a soffrire … non più.
-Sai, non sono sicuro che arriverà qualcuno … - disse l’altro, lanciandogli un’occhiata ironica.
Kai strinse le labbra, maledicendolo mentalmente. Non lo avrebbe mai ammesso ma il dubbio che nessuno sarebbe venuto a prenderlo, era più che reale.
In fondo chi avrebbe voluto accollarsi la responsabilità di uno come lui. Sicuramente un pazzo, uno in procinto di ricevere la beatificazione oppure un povero idiota che si era accorto troppo tardi della stronzata che stava facendo.
Probabilmente avrebbe finito col ritornare in Russia per essere rinchiuso in una casa famiglia, o in più probabilmente in un manicomio.
A quel pensiero sentì un moto di nausea assalirlo.
Una voce maschile richiamò la sua attenzione,distraendolo da quei cupi pensieri.
-Hiwatari? … Kai Hiwatari?-
Sorpreso, il ragazzo si girò di scatto, incontrando lo sguardo di un uomo imponente, che avanzava a fatica in mezzo alla folla, dirigendosi verso di lui.
Aveva un viso abbronzato, dai lineamenti marcati, a prima vista appariva molto giovane; solo delle leggere rughe agli angoli della bocca e degli occhi denotavano la sua reale età.
Doveva avere circa quarant'anni.
I suoi occhi, di un nero intenso, lo scrutavano curiosi.
Kai ricambiò lo sguardo, per nulla intimorito.
-Lei deve essere il sig. Kinomiya.- disse la sua scorta con voce annoiata -E’ in ritardo … -
-Ho avuto qualche leggero contrattempo.- replicò l’altro senza degnarlo di uno sguardo, per rivolgere tutta la sua attenzione verso Kai.
Stava proprio di fronte al ragazzo, e lo osservava silenzioso, ispezionando con cura ogni particolare del volto dell’altro. Pareva voler memorizzare ogni caratteristica di quel viso, in particolare si soffermò sui suoi occhi, che ricambiavano il suo sguardo con fermezza, ed una certa nota di inquietudine.
I due si scrutavano studiandosi, in una silenziosa battaglia di sguardi.
Il Sig. Kinomiya ruppe quel velo di tensione creatosi fra loro, curvando appena le labbra in un sorriso e lasciandosi sfuggire una leggera risata.
-Sono felice di conoscerti Kai, il mio nome Tatsuya, piacere.- detto questo porse la mano al ragazzo, che si limitò a ricambiare la stretta senza dire una parola.
Era sorpreso. Quell’uomo non era come se lo sarebbe aspettato. Lo aveva stupito con la forza del suo sguardo, aveva avuto l’impressione che mentre lo osservava stesse cercando qualcosa, gli era parso di essere sottoesame mentre quegli occhi scuri lo analizzavano. Il sorriso dell’altro non era altro che la conferma che l’uomo aveva trovato quel che stava cercando. E qualunque cosa fosse sembrava averlo reso felice.
-Ora che ci siamo presentati direi che è il caso di andare, mio figlio è a casa che ci aspetta, e tu hai atteso fin troppo sotto la pioggia.- detto questo rivolse una rapida occhiata all’accompagnatore di Kai, che fino a quel momento li aveva osservati perplesso, incuriosito da quel gioco di sguardi.
-Arrivederci a lei e grazie per aver accompagnato Kai in Giappone.- disse semplicemente, ricevendo in risposta un lieve cenno del capo da parte dell’uomo, che dopo aver rivolto un’ultima occhiata a Kai si diresse lentamente verso l’aeroporto.
Tatsuya seguì per qualche istante la figura dell’individuo, non riuscendo a nascondere il disprezzo che provava nei suoi confronti: non aveva dubbi su chi fosse l’uomo per il quale quel bastardo lavorava.
Ci volle qualche istante prima che si accorgesse dello sguardo perplesso del ragazzo accanto a sé, che lo guardava in silenzio. Kai alzò un sopracciglio in una muta domanda.
Tatsuya sorrise scuotendo lievemente il capo.
-Mi ero solo incantato … ero sovrappensiero, a volte mi capita …!-
Kai lo guardò scettico, ma non disse nulla. Quel tipo aveva decisamente qualcosa di strano, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Di solito tendeva ad ascoltare le proprie sensazioni e il proprio istinto.
Probabilmente avrebbe dovuto essere il più cauto possibile con quell’uomo, attento e all’erta, per evitare spiacevoli sorprese.
-Forza …!- lo richiamò Tatsuya facendogli cenno di seguirlo -Diamoci una mossa, è tardi e … ah quasi dimenticavo!!!- si bloccò di colpo.
Velocemente, l’uomo cominciò a frugarsi nelle tasche, preso nell’evidente ricerca di qualcosa. Attento, Kai osservava tutte le mosse dell’altro.
-Eccolo!!!- con impeto, Tatsuya, estrasse un braccialetto argentato da una delle tasche della giacca.
Prima che Kai potesse fare un solo passo si sentì afferrare per il braccio. Con movimenti precisi e veloci l’uomo allacciò il bracciale al polso del ragazzo, che disperato cercò invano di ritrarsi.
Appena Kinomiya lo lasciò andare, il giovane si lasciò sfuggire un’imprecazione.
-Ma che diavolo …?!?- invano tentò di sfilarsi l’odioso oggetto, che impassibile rimase ben allacciato al suo polso.
-Che cavolo è sta’ roba … !! … Toglimelo di dosso … toglimi sto’ cacchio … - urlò furioso strattonando il braccialetto.
-Finiscila!- esclamò Tatsuya, lanciandogli un’occhiata indecifrabile -non puoi toglierlo, solo io posso e non ho intenzione di farlo … e non guardarmi così, è stata la Corte dei Minori a proporre quel coso, io ho solo avuto l’ordine di fartelo indossare.-
Kai lo guardò incredulo -Che cavolo dici … la Corte … cosa c’entra la Corte … e cosa diavolo è …?-
-Contiene un segnalatore.- lo interruppe Tatsuya -Entra in funzione nel momento in cui superi i confini di Tokio. In questo modo eviteremo una tua possibile fuga. Infatti quell’affare è direttamente collegato con i computer della polizia, mostrerà loro immediatamente la tua posizione, non avrai nemmeno il tempo di provare a scappare che ti saranno subito addosso. A quel punto puoi ben immaginare cosa avverrà … una casa famiglia sarebbe la migliore delle ipotesi.-
Kai lo guardava a bocca aperta.
Lentamente il significato di quelle parole si fece largo in lui, mentre sentiva la consapevolezza di essere stato fregato. Quei grandissimi bastardi lo avevano anticipato, assicurandosi di poterlo controllare senza problemi. Lo avevano sbattuto in un vicolo cieco senza vie d’uscita, incatenandolo come un animale da circo.
Perché è questo che era: in catene, ironicamente rappresentate da un grazioso bracciale in argento. Oltre il danno, la beffa.
Ma la cosa peggiore era rendersi conto che persino gli avvocati e i giudici che avevano seguito la causa, erano ben consapevoli di quel che gli passava per la testa, tanto da indovinare le sue mosse future con estrema precisione. Si era sbagliato su di loro, non erano gli ingenui che credeva.
In un attimo vide tutte le sue speranze svanire, mentre la realtà lo colpiva in tutta la sua forza. Avrebbe dovuto vivere con Kinomiya e la sua famiglia. Almeno fino alla fine del processo.
Lanciò uno sguardo carico d’odio all’uomo, che si limito ad alzare le spalle con noncuranza.
-Dovrai abituarti. E ti avviso che guardarmi così non servirà a nulla, prova almeno a fingere di essere un minimo entusiasta di tutta la faccenda.-
Kai si limitò a sollevare il volto con fare altezzoso, ostentando noncuranza. Non avrebbe dato alcuna soddisfazione a quell’uomo.
Con un sospiro rassegnato Tatsuya afferrò una delle valigie del russo, per poi dirigersi lentamente verso il parcheggio dove aveva lasciato l’auto, seguito a pochi metri di distanza dal ragazzo.
-Sai- disse, continuando a guardare di fronte a sé -Quando ho deciso di prendermi cura di te mi avevano avvertito che eri un tipo particolarmente permaloso, ma così si esagera … sorridere ogni tanto non fa male … dovresti provarci.-
Dall’altro nessuna risposta.
Rassegnato Tatsuya si passò una mano tra i capelli bruni, in un gesto stanco.
Sarebbe stata dura, certo … ma in fondo una promessa è sempre una promessa.

Takao Kinomiya lanciò uno sguardo esasperato al pesante orologio appeso al muro della cucina.
Erano già le otto di sera e lui non aveva ancora cominciato a cucinare. Avrebbe tanto voluto scansare quell’ingrato compito, ma suo padre era stato molto chiaro al riguardo. Voleva fare buona impressione a quel ragazzo, quel Kei… Kai … o come diavolo si chiamava, così avevano passato tutta la mattinata a pulire e sistemare la casa, giusto per renderla presentabile. Un lavoro che Takao si sarebbe risparmiato volentieri. E ora pretendeva anche che preparasse chissà cosa per cena, senza consederare che lui ai fornelli era un vero incapace.
E tutto per un tizio che nemmeno conosceva, che tra parentesi doveva essere un mezzo delinquente con seri problemi familiari.
Fantastico, davvero fantastico.
Con uno sbuffo il ragazzo si lasciò cadere su una delle sedie, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo. Ignorò deliberatamente la montagna di libri e quaderni disseminati intorno a lui, segnò evidente del passaggio di Hilary.
La ragazza era stata lì nel pomeriggio, nel tentativo di aiutare Takao a rimettersi in pari con i compiti. Ovviamente con scarsi risultati.
Se ne era andata un’ora prima, con uno sguardo omicida negli occhi, lasciando dietro di sé un Takao a dir poco disperato.
Definire il giapponese poco portato per lo studio era dir poco, odiava la scuola, e tutto ciò che la riguardava.
Hilary, però, sembrava ben intenzionata a fare di lui una specie di genio, e nemmeno gli scarsi risultati ottenuti fino a quel momento l’avevano scoraggiata. Era la sua migliore amica e sembrava aver preso il suo compito fin troppo seriamente.
Con sguardo affranto Takao si alzò in piedi, doveva darsi una mossa altrimenti sarebbero rimasti senza cena. A quel punto chi lo sentiva suo padre.
Passò l’ora successivo impegnato nell’ardua impresa di organizzare una cena come si deve: apparecchiò la tavola, piazzandoci al centro un vecchio centro tavola tutto striminzito. Preparò il ramen, sperando che il padre non si accorgesse fosse di quelli istantanei, accompagnandolo con del pesce. Alla fine si fece una doccia nel tentativo di calmarsi. Doveva prepararsi a quella che non sarebbe stata una serata tranquilla.
Indossò senza fretta un paio di jeans e una maglietta leggera, mentre con un asciugamano si riavviava i capelli fradici. Lo specchio gli rimandava il suo riflesso, così simile a quello del padre: la stessa pelle abbronzata, lo stesso fisico robusto ma slanciato, gli stessi capelli scuri, che il ragazzo però teneva più lunghi, ma soprattutto gli stessi occhi neri e profondi.
Il ragazzo individuò il proprio cellulare appoggiato sulla scrivania. Con fare annoiato scorse i numerosi messaggi, mentre lentamente scendeva le scale che portavano in salotto.
Ma la sua testa era altrove. Non riusciva a non pensare a quel ragazzo, quel Kai.
Suo padre gli aveva detto poco su di lui. Sapeva solo che aveva avuto un passato difficile e che fin da piccolo viveva con il nonno in Russia. Quest’ultimo non era proprio uno stinco di santo e il nipote aveva vissuto in parecchie case famiglia. Ora l’uomo era incriminato in un caso importante e Kai era stato spedito in Giappone nella speranza di tenerlo lontano da orfanotrofi e quant’altro. Tatsuya si era offerto di prendersi cura del ragazzo, in quanto vecchio amico del padre, ora defunto.
Nient’altro.
Aveva un quadro generale della situazione, ma gli mancavano i particolari.
Invidiava suo fratello Hitoshi perso nei meandri delle università di Tokio. Troppo preso dai suoi studi per preoccuparsi dell’arrivo di un nuovo coinquilino. Probabilmente avrebbe ignorato l’intera faccenda.
Ma lui avrebbe vissuto ventiquattr'ore su ventiquattro con questo tizio, visto che avrebbero frequentato la stessa scuola e con la fortuna che si era trovato erano finiti pure nella stessa classe. Non era pronto per una cosa del genere.
Ne aveva parlato con i suoi amici, con risultati a dir poco sconfortati. Sembravano tutti entusiasti all’idea di un nuovo arrivato, infondo non erano loro a doverlo ospitare. Avevano persino proposto una festa in suo onore, ma Takao si era rifiutato categoricamente, anche perché visto quel poco che sapeva, dubitava che lui avrebbe gradito.
Aveva praticamente dovuto cacciare di casa Hilary poco prima, per impedirle di assistere all’arrivo di Kai. Non che non volesse i suoi amici con sé, semplicemente Tatsuya era stato chiaro al riguardo: doveva essere una cosa di famiglia.
Ma ovviamente non aveva protestato quando Hitoshi aveva declinato l’invito, inventandosi un improbabile corso serale dell’ultimo minuto.
Il rumore della chiave nella serratura, lo fece sussultare.
Fece appena in tempo a dirigersi verso la porta d’ingresso che la voce di suo padre risuonò per la casa -Eccoci arrivati …Takao siamo a casa!!!-
-Eccomi!!- esclamò di rimando, apparendo dalla porta del salotto, avanzando circospetto, timoroso di vedere il suo nuovo “fratello”.
Di tutto si sarebbe aspettato. Ma sicuramente non questo.
Sulla porta della sua piccola villetta c’era un angelo. Un angelo con le ali nere e lo sguardo di fuoco, uscito dalle schiere di Satana in persona.
Perché il ragazzo che aveva di fronte non poteva essere umano. Nessun umano poteva possedere quel fascino sinistro, che in parte ti ammalia senza pietà, ma che allo stesso tempo ti spinge a scappare il più lontano possibile.
Il fascino del leone che incanta con la sua bellezza regale, del lupo che ipnotizza con la fierezza del suo sguardo, della fenice che strega risorgendo dalle sue ceneri.
Una bellezza pericolosa. Affascinante, ma pericolosa.
Il ragazzo era alto più o meno come lui, ma era anche più asciutto e sicuramente più muscoloso. Attraverso la maglietta si indovinavano senza sforzo i muscoli del torace e delle braccia.
La sua carnagione era stupefacente, chiarissima di un bianco perlaceo, quasi che nessun raggio di sole avesse mai sfiorato la sua pelle. Solo le gote erano leggermente più rosee, donandogli un aspetto quasi infantile.
Aveva un volto bellissimo, in cui si mischiavano i tratti morbidi orientali a quelli più rigidi europei. Un naso leggermente all’insù, e una bocca morbida con delle labbra piene ma delicate.
I capelli erano pazzeschi. La frangia gli ricadeva disordinatamente sulla fronte, ed era di un argento brillante, che dietro la nuca sfumava in lucido nero. Ma i colori erano talmente splendidi che Takao dubitava seriamente che fossero tinti, erano troppo accesi, troppo luminosi.
Ma la cosa che più lo colpì furono gli occhi. Mai, in tutta la sua vita, aveva visto degli occhi simili. Le iridi avevano il colore dell’ametista più pura, ed erano di un’intensità stupefacente.
Era sorpreso. Mai avrebbe immaginato che il suo nuovo coinquilino sarebbe stato così … attraente.
Anche se nel suo sguardo aveva notato un’amarezza che in parte induriva i suoi tratti, dandogli una rigidità innaturale.
-Takao ti presento Kai … Kai questo è mio figlio Takao.- il giapponese si riprese di scatto, e con titubanza si fece avanti per stringere la mano al nuovo arrivato. La sua pelle era morbidissima, ma gelida, come se l’avesse immersa nella neve. Il russo gli aveva rivolto uno sguardo vuoto, privo di alcuna emozione.
Un pesante imbarazzo scese sulla scena, mentre un silenzio opprimente si faceva largo tra loro.
-Bene Takao porta di sopra le valigie, mentre io faccio vedere la casa a Kai.- esclamò Tatsuya facendo segno a Kai di seguirlo, quest’ultimo lo raggiunse senza degnare Takao di uno sguardo.
Con uno sbuffo infastidito il giapponese afferrò una valigia e imprecando la trascinò per le scale. Mentre nella sua mente era stampato ancora il bel volto di Kai Hiwatari.

Seduto a gambe incrociate sul suo letto, Kai cercava di non pensare a poche ore prima.
Aveva rovinato la cena a casa Kinomiya con il suo mutismo e le sue frasi appena accennate, rendendo l’atmosfera pesante e tesa.
Tatsuya aveva provato a coinvolgerlo in un discorso qualunque, e persino Takao si era dimostrato disposto a conversare con lui.
Ma lui niente, solo poche parole erano sfuggite al suo controllo. Non voleva simpatizzare con loro, non voleva dargli la possibilità di conoscerlo meglio. Troppo rischioso.
Meglio mantenere le distanze e alzare quel muro di diffidenza che era diventato la sua seconda pelle. Era bravo a fregarsene degli altri, a fare lo stronzo e l’egocentrico. Alla fine le persone si stufavano e gli stavano alla larga.
La sua era una tecnica affinata in anni di esperienza. Presto anche loro lo avrebbero capito e probabilmente lo avrebbero rimandato in Russia.
Con un sospiro Kai si guardò velocemente intorno. La stanza che gli avevano dato era piuttosto grande, ma cosa più importante aveva un enorme finestra che dava sui prati dietro la casa. Non avrebbe sopportato di rimanere rinchiuso tra quattro muri senza alcuna visuale sull’esterno.
Socchiuse gli occhi, affranto, mentre le ultime parole di Tatsuya gli rimbombavano ancora nelle orecchie “Domani andremo a parlare con il preside della scuola, verrai iscritto direttamente alla quarta di quest’anno insieme a Takao.Vedrai qui ti troverai bene”.
Sicuro, come no. Ma stiamo scherzando? Lui a scuola. Non era mai andato a scuola.
Aveva sempre preso lezioni private, e a dirla tutta non ci si vedeva proprio in un aula piena di suoi coetanei ad ascoltare vecchi professori ammuffiti e odiosi.
No, non faceva per lui.
Ma questa volta doveva farlo. Non aveva scelta.
Mestamente accarezzò il braccialetto legato al polso, sotto i suoi polpastrelli il metallo freddo era liscio e gradevole al tatto.
In un lampo di rabbia afferrò il monile cercando di strapparselo dal polso, ma quello rimase immobile quasi deridendolo per i suoi sforzi. Se non fosse stato per quel dannato coso se ne sarebbe già andato, ma non era tanto stupido da rischiare quel poco che aveva.
Avrebbe dovuto adattarsi a quella nuova vita. Almeno fino ai diciotto anni. E poi via per sempre.
Libero finalmente.

Takao cercava disperatamente di reprimere il disgusto. Ma dalla sua espressione dovette trapelare qualcosa, perché Kai inarcò un sopracciglio in una muta domanda.
Era da circa dieci minuti che il giapponese lanciava occhiate disgustate, verso il bicchiere che il russo teneva fra le mani.
-Takao che diavolo ti ha fatto quel bicchiere?- Tatsuya osservò perplesso il figlio, bevendo tranquillamente la sua tisana aromatica.
-Non è il bicchiere … ma quello che c’è dentro …!!- esclamò il ragazzo guardando inorridito il liquido biancastro.
-Latte?- disse Kai con ironia, mentre si portava la tazza alle labbra.
-Appunto!! Come fai a bere quella roba? Di prima mattina poi!!-
-Parla quello che mangia riso!- esclamò il Russo, scuotendo il capo, non ce l'aveva fatta a trattenersi dal rispondere.
-Scherzi!- replicò Takao con enfasi -Questa sì che è una colazione decente, altro che latte …- aggiunse agitando le mani con aria drammatica.
Erano le sette di mattina, e un pallido sole si affacciava nella piccola cucina di casa Kinomiya. Takao aveva già indossato la divisa, dei semplici pantaloni grigi abbinati a una giacca blu, Kai invece si era rifiutato di indossarla prima del previsto.
L’idea di dover portare un’uniforme non lo entusiasmava minimamente.
Tatsuya aveva cercato di trasmettergli un po’ di entusiasmo da “primo giorno di scuola”, ma senza successo.
Improvvisamente il suono del campanello li riscosse dalla contemplazione della tazza di Kai.
-Deve essere Hitoshi. Apri tu?- disse Tatsuya rivolgendosi al figlio, che sbuffando si alzò da tavola.
Kai lo seguì pochi istanti dopo, però proseguì dalla parte opposta. Imboccò le scale e si diresse verso la sua camera.
Non aveva nessuna voglia di conoscere l’ultimo membro della famiglia Kinomiya.
Aveva trascorso tutta la notte passando da un incubo all’altro, e al risveglio aveva trovato Tatsuya e figlio già attivi di prima mattina, che volevano propinargli del riso per colazione.
Ma stiamo scherzando.
Ora ci si metteva pure il fratello maggiore di Takao; una specie di secchione, genio in chimica e, a detta del fratello, un grandissimo stronzo. Proprio il suo tipo, non c’è che dire.

Al piano inferiore Takao si trovò di fronte un gioviale Hitoshi accompagnato da quello che doveva essere un suo compagno di università.
Suo fratello era molto diverso da lui e da suo padre. Non solo di aspetto, era infatti più asciutto di entrambi e decisamente più pallido, ma anche di carattere. Era uno strafottente, superbo e egocentrico, ma anche incredibilmente intelligente e questo decisamente stonava con la tradizione di casa Kinomiya.
Insomma, non si sarebbero detti parenti.
-Ciao Tak mi fai entrare o mi lasci qui sulla porta?- disse al fratello esibendo il solito sorriso strafottente.
-Sono indeciso!- replicò Takao storcendo il naso, irritato dall’esuberanza dell’altro.
Con una risata Hitoshi entrò in casa, seguito dall’amico.
-Accidenti fratellino!! Cos’è quell’aria da funerale? Fai venire la depressione!- esclamò il ragazzo dirigendosi con decisione verso la cucina, dove salutò con un cenno del capo il padre.
-Sta’ zitto và!- esclamò Takao irritato -Si può sapere come mai ti sei degnato di venire a trovarci?- mentre lo diceva si risedette al tavolo della cucina, per riprendere la sua colazione lasciata a metà.
-Volevo vedere il nuovo coinquilino, no! Allora; dov’è?-
-Di sopra- rispose il fratello ingoiando un boccone di riso -Ma non andare a disturbarlo. E’ appena arrivato, abbi un po’ di pietà. Non vorrà certo sorbirsi le tue battute già il primo giorno!-
-Che noia! Almeno dimmi com’è!-
Involontariamente Takao arrossì. Com’era? Bella domanda.
Non poteva certo dirgli che era il ragazzo più bello che avesse mai visto; ma che purtroppo era anche freddo come il ghiaccio e decisamente poco propenso alla conversazione.
No, decisamente non poteva.
-Non saprei …- cominciò, in parte per nascondere l’imbarazzo.
-Non riesci nemmeno a rispondere a una domanda tanto semplice? Ma che hai al posto del cervello? Rape?- lo rimbrottò l’altro sorridendo sarcastico -Sai almeno dirmi il nome?-
-Baka! Certo che lo so! Kai, Kai Hiwatari.-
-CHE COSA?!-
I due fratelli si voltarono, verso il giovane che aveva accompagnato Hitoshi.
Fino a quel momento il ragazzo se ne era stato in un angolo, facendosi gli affari suoi e ignorando deliberatamente i due.
Ma ora era scattato in avanti e li guardava con un volto a dir poco sconvolto.
-Ehi tutto bene?- domandò Hitoshi guardandolo preoccupato.
L’altro non rispose, limitandosi a guardare nel vuoto per lunghi istanti, ignorando gli sguardi perplessi dei tre Kinomiya.
Alla fine parve ritornare alla realtà.
-Devo andare.- disse semplicemente, e senza lasciare il tempo a nessuno di replicare, sparì oltre la porta che dava sul corridoio.
-Che strano tipo …- commentò Takao perplesso.

Ma il ragazzo non se ne andò.
Si diresse invece verso le scale, salendo i gradini a due alla volta.
Il cuore gli martellava frenetico nel petto, mentre una piacevole calore si diffondeva all’altezza dello stomaco. Nella sua mente un’unica parola rimbombava con la forza di mille voci: Kai, Kai, Kai e ancora Kai.
Spalancò diverse porte trovando solo stanze vuote. Fino a che, in fondo al corridoio, in una delle ultime stanze, lo vide. Appoggiato al davanzale della finestra, guardava silenzioso il paesaggio, mentre il vento gli scompigliava i capelli.
Troppo emozionato per parlare, il giovane si avvicinò lentamente beandosi della sua vista. Osservò intensamente la sua figura, ritrovandolo poi non molto cambiato. Sorrise.
Lentamente si avvicinò, fino a che, con studiata lentezza, non gli prese un polso tra le dita. Sospirò al contatto con la sua pelle.

Quando si sentì afferrare, Kai si girò di scatto, irritato che qualcuno si prendesse quelle confidenze.
Ma mai si sarebbe aspettato quel che avvenne.
Due labbra morbide si posarono sulle sue, in un bacio dolce e delicato. Sorpreso cerco di ritrarsi sentendosi però afferrare per la vita, da due braccia forti.
Poi quella bocca estranea si allontanò dalla sua, per sussurrargli con una voce fin troppo familiare.
-E’ bello rivederti Kai.-





Accidenti se è stata dura!!! Soprattutto perché questa è la nostra prima fanfic, e oltre a essere emozionate, siamo decisamente inesperte …! ;)
Ma ce l’abbiamo fatta, e adesso eccoci qui alla fine del primo capitolo.
Cosa c’è da dire? Bella domanda, non lo sappiamo nemmeno noi …
In fondo è difficile parlare dei propri lavori, alla fine si rischia di risultare noiosi.
Sappiate solo che il primo capitolo era un’introduzione alla storia vera e propria, ma già dal prossimo risponderemo ad alcune delle vostre domande.
Ammettetelo vi siete chiesti chi ha baciato Kai alla fine del capitolo?? Ma dovrete aspettare il prossimo per scoprirlo … xD!
Attendiamo i vostri commenti!!!
Abbraccio!!
Fanny e Kim

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Capitolo 2
*** Katame-waza - “tecnica del controllo” ***


PICCOLO UOMO

Katame-waza - “tecnica del controllo”

 “Show me the meaning of being lonely
Is this the feeling I need to walk with
Tell me why I can't be there where you are
There's something missing in my heart”

 
“Show me the meaning of being lonely”  backstreet boys



 
-Yuriy?!-
Kai arretrò incredulo sciogliendosi dall’abbraccio dell’altro.
Yuriy Ivanov lo osservava divertito.
I suoi occhi, due pozze gelate, lo scrutavano con gioia, catturando ogni minima reazione alla sua presenza. Accolse con un sorriso la serie di espressioni sorprese che attraversò il volto di Hiwatari, immaginando il suo sconcerto.
Il loro incontro non era previsto. Sicuramente non dopo anni di silenzi nei quali avevano deliberatamente ignorato l’uno l’esistenza dell’altro.
Anche lui faticava a credere che una tale coincidenza fosse possibile. In fondo era dai quei lontani giorni a Mosca che non si vedevano. Era passato troppo tempo per poter credere che il destino avesse voluto concedergli una nuova occasione.
Eppure ora si trovava lì, in compagnia dell’incarnazione di ogni suo ricordo. Non gli importava né il perché né il come. Ci sarebbe stato tempo per chiarirsi e allora avrebbero parlato. Ma in quel momento le parole erano di troppo, avrebbero rovinato quell’attimo, quel tempo di un respiro dove finalmente si erano riuniti.
Non si accorse Yuriy dello sguardo dell’altro. Troppo preso da quella gioiosa incredulità, non notò il gelo improvviso calato nella stanza, né il respiro di Kai che andava via via facendosi sempre più affannoso. Non notò i suoi occhi che lo fissavano vuoti e inespressivi. Non notò le mani dell’altro scosse da un lieve tremore.
Ma sentì distintamente la voce, che come una pugnalata gelida infranse la bolla di felicità che l’aveva avvolto.
-Cosa ci fai tu qui?- la voce di Kai era fredda e severa. Non lasciava spazio ad alcuna emozione e prendeva senza esitazione le distanze tra loro due.
Incredulo Yuriy non seppe cosa rispondere, mentre quel dolce calore che fino a poco prima avvertiva nel petto era scomparso improvvisamente, lasciando dietro di sé un gelido vuoto.
-Che razza di domanda è questa?- chiese quasi con rabbia, aggrottando le sopracciglia irritato.
-Smettila … e rispondi! Tu non dovresti essere qui, credevo fossi in Russia … perché il Giappone ...?-
-Quindi adesso non posso andare dove mi pare e piace … cosa ti aspettavi, che restassi a Mosca per sempre?- esclamò ironico -E poi potrei farti la stessa domanda!!- non gli piaceva il tono assunto da Kai. Sembrava quasi lo stesse accusando della sua stessa presenza.
-Perché sei qui?- ripeté imperterrito l’altro.
Yuriy sentì la terra scivolargli sotto i piedi. Perché continuava con quelle parole gelide? Alzò gli occhi in cerca di una risposta, ma incontro solo due iridi fredde che lo fissavano.
Ricambiò quelle occhiate gelide con altrettanta freddezza, desiderando però solo di poter colmare la distanza che li separava. Agognava il suo tocco, a lungo desiderato nei periodi di lontananza. L’impulso di stringerlo a sé era forte, frenato in parte dalla consapevolezza che in quel momento sarebbe stato rifiutato.
Sulle labbra sentiva ancora il sapore dell’altro. Prima così dolce e ora amaro.
-Rispondi!- l’ordine secco di Kai venne deliberatamente ignorato da Yuriy, che con uno sbuffo infastidito si appoggiò alla parete della camera, scostandosi un ciuffo di capelli rossi dal viso.
Il silenzio cadde tra loro come un macigno.

Kai scrutava l’altro con un certo nervosismo, pronto ad affrontare la rabbia che Ivanov sembrava controllare a malapena. Osservava con attenzione il suo viso teso, soffermandosi sulle labbra serrate e gli occhi ridotti a due fessure. Contò in silenzio i pesanti respiri del ragazzo, che non tentava nemmeno di nascondere il fastidio che provava.
Si era aspettato una reazione del genere. Aveva calcolato le conseguenze delle sue parole, sapeva che avrebbe ferito Yuriy con la sua freddezza. Ma davvero, non era pronto a fare i conti con quella parte della sua vita.
Non ancora.
Forse un giorno … ma di certo non ora. Era passato troppo poco tempo, e la ferita bruciava ancora, ora più vivida che mai.
Non che non fosse contento di rivedere Yuriy. Gli voleva bene, era come un fratello per lui, ma questo non bastava per poter rendergli meno doloroso quel momento. Perché la sua presenza aveva riportato a galla ricordi che aveva tentato in tutti i modi di sotterrare, nei recessi più profondi della sua mente.
Era stato uno shock trovarselo di fronte, non si era mai aspettato di rivederlo. In realtà aveva dato per scontato che i loro rapporti si fossero interrotti per sempre.
Era stato lui a volere quella separazione, in un periodo dove l’unica cosa che poteva lenire il suo dolore era la lontananza.
Lontananza da quei luoghi, da quelle persone …
Ma era stato inevitabile, appena aveva visto Yuriy, ricordarsi anche di lui.
Proprio ora che aveva cominciato una nuova vita, non più schiavo di un ricordo … ecco ogni cosa cadere a terra come vetro in frantumi.
Yuriy non poteva capire, per quanto ci provasse, quanto ancora non riusciva a liberarsi del suo ricordo. Anche se ormai per tutti gli altri era solo un'immagine nel passato, per Kai rimaneva più reale del realtà stessa.
Vedendo che l’altro non accennava a muoversi Kai si diresse verso di lui, cercando invano il suo sguardo. Con un sospiro si appoggiò accanto a lui, incrociando le braccia al petto, aspettando che Yuriy si decidesse a parlare.
Ivanov non si mosse, scrutando silenziosamente le loro immagini nello specchio di fronte. Gli sfuggì un sorriso nel notare la differenza di statura tra lui e Kai: lo superava di un bel pezzo, ma forse era normale visti i tre anni di differenza tra di loro.
Kai notò il sorriso ironico dell’altro e incrociò il suo sguardo nello specchio. Yuriy fissò quegli occhi severi, che lo osservavano con un’intensità devastante.
Alla fine si decise a parlare, più per spezzare quella tensione insopportabile, che per compiacere Kai.
-Sono qui su consiglio di Serjey. Ha pensato che fosse il posto adatto dove rifarsi una vita … ormai è circa un anno che frequento il corso di Legge insieme a quell’idiota di Kinomiya … sai ho pensato che l’Università fosse un buon punto di inizio … invece tu?-
Kai sospirò, mentre i pensieri volavano verso un ragazzone biondo dal sorriso perpetuo e lo sguardo caldo; anche lui gli era mancato. Sospirò.
-Avrai sentito della storia di mio nonno. La polizia lo ha beccato mentre trafficava con un importante gruppo mafioso, la solita storia. Non è la prima volta che succede, ma adesso hanno tirato in ballo i servizi segreti e solo Dio sa cos’altro. Così hanno trovato un sacco di vecchi casi in cui quel bastardo era implicato, tutti misteriosamente rimasti irrisolti, hanno aperto un processo e ovviamente in mezzo ci sono finito pure io. Gli avvocati hanno deciso che Mosca non era un posto adatto a un ragazzo … come è che mi hanno chiamato … ? Ah sì “altamente instabile”… alla fine salta fuori un certo Kinomiya, giapponese, che dice di essere un vecchio amico di mio padre, io ovviamente non l’ho mai sentito nominare, ma a chi importa?-
Yuriy rimasto stupefatto da quel fiume di parole, si girò verso l’altro, aggrottando le sopracciglia di fronte alla sua aria indiffifferente.
-Ne avevo sentito parlare, sì.- ammise -ma non pensavo che fosse una cosa seria. Insomma lo stronzo se l’è sempre cavata fin’ora.-
-Non questa volta a quanto pare! Spero che lo sbattano in prigione a vita!- mentre parlava Kai continuava a fissare le loro immagini riflesse, rifiutandosi di parlare direttamente all’altro.
- … Tu come stai?-
Quella frase sorprese non poco Kai, che si girò verso l’altro con le sopracciglia inarcate in una muta domanda.
-Bene, mi sembra ovvio.-
-Bugiardo.-
Yuriy lo scrutò a lungo. Conosceva l’altro da tempo, e sapeva riconoscere e interpretare i suoi sguardi e le sue parole. E di certo Kai non stava bene.
-Sembri stanco.- continuò, ricevendo in risposta uno sbuffo esasperato.
-Sto bene. Sei tu che hai bisogno di una visita dall’oculista.-
-Finiscila di fare l’orgoglioso del cazzo. Con me non funziona … tu hai qualcosa che non và!-
-Ma dai!? Non mi dire. Yuriy sinceramente quando mai nella mia vita qualcosa è andato per il verso giusto …? Sono appena andato a vivere in una casa piena di estranei, in un Paese che non ho mai visto, è ovvio che non sprizzi gioia da tutti i pori, e poi francamente ti sembro il tipo da esultare di gioia?- nel dire quelle parole sorrise, quasi ridendo all’idea.
-No.- replicò secco Yuriy -Ma il trasferimento non c’entra niente … c’è qualcos’altro, che non vuoi ammettere!-
-È l’Alzheimer. Tra qualche mese non mi ricorderò nemmeno come mi chiamo, allori sì che avrai il diritto di preoccuparti.-
-Da quando fai dell’ironia Hiwatari? Non sembri più tu. È l’aria del Giappone che ti fa questo effetto?-
-Ci sono lati di me che ancora non conosci … pensa che ho persino cominciato a scrivere un libro di barzellette!-
-Hai un futuro come comico, non c’è che dire!-
Kai non rispose, limitandosi ad accennare un sorriso ironico.
Yuriy al suo fianco rimase a osservarlo a lungo. Mentre una triste consapevolezza si faceva strada in lui. Quando parlò la sua voce gli parve terribilmente innaturale.
-Pensi ancora a lui … non è vero?
Dolore.
Solo dolore. Una stilettata di sofferenza che lo attraversò da capo a piedi, paralizzandolo. Kai spalancò gli occhi. La sua mente fu invasa da una quantità incredibile di immagini, sensazioni, emozioni … un caos senza fine. Un tornado di ricordi confusi e indistinti, dominati però da un’immagine comune: un volto.
Un volto che lo perseguitava. Un volto che aveva cercato di scacciare in un angolo della sua mente, ma che si faceva largo tra i suoi pensieri con una prepotenza inaudita, ogni volta che ne aveva l’occasione.
Kai si piegò su sé stesso, cadendo in ginocchio, mentre una nausea improvvisa lo assaliva. Sentì il disperato bisogno di urlare, piangere e correre. Tutto contemporaneamente. Ma si limitò a fissare il pavimento in silenzio.
Respirare era, per lui, un’impresa titanica. Gli pareva che l’aria non bastasse mai.
Yuriy lo fissò in silenzio, mentre una tristezza senza fine lo pervadeva. Senza una parola si inginocchiò di fronte all’amico, scrutando il suo volto sconvolto.
-Dopo tutto questo tempo, non sei ancora riuscito a liberarti di  … -
-ZITTO!- l’urlo di Kai gli bloccò le parole in gola.
Raramente lo aveva visto perdere il controllo. Guardò quel ragazzo distrutto dalla sofferenza e dal dolore, ormai ombra di sé stesso. Reduce da una guerra terminata da tempo, che non trovava il suo posto nel mondo. Viveva nel ricordo di un tempo passato, nutrendosi di quei momenti felici, ormai perduti per sempre.
Non provò pena per lui, solo una profonda comprensione che non era in grado di esprimere a parole. Non era bravo a parlare e temeva di allontanarlo con frasi stupide e insulse. Voleva comprendesse che lui non l’avrebbe abbandonato per nulla al mondo. Ma l’orgoglio gli impedì di confessare tutto ciò, mettendo a tacere quel sentimento.
-Tu devi andare avanti, devi smetterla di rifugiarti in un ricordo. Hai avuto tempo per accettare la cosa, ma ora è tempo di dimenticare e cercare la tua strada … non puoi continuare a nasconderti, devi capire che lui non è più qui tra noi e poi, insomma, lui non avrebbe voluto questo, lui … -
-ZITTO! T-TUNON SAI COSA LUI … TU NON PUOI IMMAGINARE … tu non capisci … !- Kai aveva portato entrambe le mani sulle orecchie, nel disperato tentativo di ignorare quelle parole così piene di verità.
Non voleva sentire. Non voleva credere.
Ogni cosa che Yuriy gli aveva detto era vera, ma sentirla pronunciare ad alta voce equivaleva a ricevere una pugnalata nel petto per ogni parola.
Perché doveva fare così male?
Perché doveva soffrire così?
Yuriy sospirò.
Sapeva che Kai non avrebbe accettato il suo aiuto. Non gli avrebbe concesso il piacere di consolarlo, anzi avrebbe fuggito qualsiasi contatto, agognando solo la solitudine dove avrebbe ripreso il controllo delle sue emozioni impazzite.
Sapeva di doverlo lasciare solo. Sapeva che il loro incontro era finito lì, e che era tempo di andare.
Ma non era disposto ad accettare una nuova separazione. No, non questa volta.
Senza una parola si alzò in piedi e raggiunse la scrivania in fondo alla stanza. Staccò un foglio da un piccolo bloc-notes e dopo aver rimediato una penna, segnò il suo numero di cellulare e il suo indirizzo. Quindi tornò da Kai.
-Ti lascio solo, ok?- non ottenne alcuna risposta. Sospirò scoraggiato, quindi fece scivolare nella tasca della felpa di Kai il biglietto.
-Questo nel caso avessi bisogno di me … -
Kai rimase perfettamente immobile, insensibile alle sue parole. Yuriy allora si avvicinò al suo volto e con delicatezza unì le loro labbra in casto bacio nella speranza di ottenere una qualche reazione da Kai. Senza però avere successo.
Per un istante assaporò il contatto, percependo la morbidezza delle labbra dell’altro, che erano fredde come il ghiaccio … o forse era Kai stesso ad essere completamente gelato.
Si staccò di pochi centimetri, e dopo un istante di silenzio sussurro sulle sue labbra, con voce a malapena udibile, quasi avesse paura di rompere l’incantesimo che li avvolgeva: -Sono felice di averti rivisto … -
Kai per un attimo parve riprendersi. Lo fissò e si limitò ad annuire in silenzio.
Yuriy si alzò e lentamente si diresse verso la porta della stanza.
Dietro di lui Kai strinse con forza il piccolo biglietto.
 
Takao tamburellava con le dita sul tavolo della cucina.
Accanto a lui Hitoshi si era lanciato, in un lungo e alquanto improbabile, resoconto sul suo ultimo appuntamento con una ragazza del suo corso. Appuntamento che, il giapponese, sospettava che il fratello si fosse solo inventato.
Non aveva fatto altro che vantarsi delle sue capacità di seduttore, intavolando discorsi immaginari da soap opera di serie B. Per di più la suddetta ragazza era una specie di top-model, terribilmente sexy, che assomigliava in modo sospetto alla protagonista di uno dei film preferiti di Hitoshi.
Ovviamente non credeva a una sola parola. Da quel che sapeva le uniche ragazze disposte ad uscire con il fratello erano le tipiche sfigatelle di turno, che non avevano altra scelta se non quella accontentarsi delle sue (terribili) avance.
Non le invidiava nemmeno un po’.
Ma in realtà non lo stava nemmeno ascoltando. Infatti non riusciva a togliersi dalla testa lo strano ragazzo dai capelli rossi che aveva dato in escandescenze poco prima, per poi andarsene senza una parola. Non capiva a cosa fosse dovuta la sua reazione o, per lo meno, non riusciva a trovarci un senso.
Malgrado sembrasse assurdo, il rosso aveva reagito non appena lui aveva pronunciato il nome di Kai. Che si conoscessero? Ma com’era possibile visto che Kai era appena arrivato in Giappone? E poi da quello che ne sapeva il ragazzo non aveva mai lasciato la Russia prima di allora. Quindi era matematicamente impossibile che quei due si conoscessero. Giusto?
Però … però a pensarci bene Yuriy era un nome russo. E i tratti del suo viso ricordavano quelli tipici del nord Europa. Di certo non era giapponese, ma non era in grado di dargli una nazionalità precisa.
Ma probabilmente le sue erano solo supposizione campate per aria. Non era possibile che Kai e quel tipo si conoscessero, era lui che si faceva un sacco di paranoie mentali. Si era costruito un castello immaginario, quel ragazzo era scattato in quel modo per un altro motivo e beh … perché con ogni probabilità non aveva tutte le rotelle a posto.
Le sue riflessioni furono interrotte dal suono del campanello.
-Lo so, lo so vado io … - esclamò Takao anticipando il padre, che sorrise divertito. Si alzò di malavoglia e con passi eccessivamente lenti raggiunse la porta in fondo al corridoio, trovandola stranamente già aperta.
Ad attenderlo sulla soglia di casa Kinomiya c’erano i suoi due migliori amici.
Max Tate da una parte: una furia bionda, con due occhi azzurro mare, da poco trasferitasi da New York nella capitale giapponese, un bravo ragazzo anche se aveva l’irritante tendenza a imbottire ogni frase con strane esclamazione tipicamente americane.
Dall’altra Rei Kon: un pacato ragazzo di origini cinesi che viveva a Tokio fin da bambino, un concentrato di buon senso e stravaganza, particolarmente legato alla lunga chioma scura (rigorosamente fermata in una coda) con la propensione ad elargire perle di saggezza a chiunque gli capitasse a tiro, senza nessuna esclusione.
Sorrise radioso nel vederli.
-Ragazzi!!- esclamò battendo il pugno ad entrambi e facendosi da parte per farli entrare in casa.
-Hi guy!!- 
-Ciao Takao.-
Avevano dei caratteri diametralmente opposti e una visuale del mondo anni luce l’uno dall’altro. Eppure, in qualche strano modo e grazie a chissà quale miracolo, riuscivano a far combaciare le loro personalità alla perfezione.
Erano i suoi amici e Takao li conosceva abbastanza da dubitare seriamente che fossero lì per lui.
-È già arrivato quel ragazzo … quello nuovo … hai capito no?- domandò Max sporgendosi nella piccola cucina, ma rimanendo alquanto deluso trovando soltanto gli altri due componenti della famiglia Kinomiya.
Takao sospirò rassegnato, chissà perché se l’aspettava.
-È di sopra, penso che si stia ancora cambiando … - con un cenno del capo alluse alle divise scolastiche che tutti e tre indossavano. Odiato obbligo scolastico per cui ogni alunno che si rispetti provava un viscerale disprezzo.
-Allora aspettiamo!!- disse l’americano appoggiandosi al bancone della cucina e ravviandosi i capelli biondi con un sorriso entusiasta.
Rei, ora seduto accanto a Hitoshi, lo guardavacon aria ironica.
-Ecco ritrovato il figliol prodigo!- disse con un ghigno rivolgendosi al maggiore dei Kinomiya -non dirmi che anche tu sei qui per vedere il tuo nuovo fratellastro: non è da te Hitoshi!-
A quelle parole quest'ultimo arrossì vistosamente, mentre intorno a lui gli altri si sbellicavano dalle risate.
-Colpito e affondato!- esclamò Takao, sogghignando con perfidia in direzione del fratello.
-Ma sta’ zitto và!- replicò l’altro cercando di nascondere l’imbarazzo e di ritrovare il contegno.
Ancora una volta ad interromperli arrivò il fastidioso suono del campanello.
-Ma che succede oggi!?- esclamò Takao esasperato mentre si avviava per l’ennesima volta ad aprire la porta.
Questa volta ad attenderlo sulla soglia c’era niente meno che Hilary. La ragazza lo aggredì prima che riuscisse ad accennare un saluto.
-Dov’è? Dove, dove?- i suoi strilli acuti ricordarono al povero giapponese gli urli di un’aquila infuriata. A stento riuscì a controllare l’irruenta amica e a impedirle di fiondarsi in camera del povero Kai, ancora ignaro di ciò che lo attendeva al piano inferiore.
Trascinò la ragazza in cucina obbligandola a sedersi e intimandole un minimo di controllo. Hilary sbuffò contrariata ma acconsentì ad attendere con gli altri. Ma era evidente che la curiosità la divorava, infatti continuava a sporgersi dalla porta lanciando occhiate inquisitorie lungo le scale.
Tatsuya guardava divertito il nutrito gruppo di ragazzi che, nel giro di pochi minuti, gli aveva invaso la casa. Un branco di scimmie nel periodo degli amori sarebbe stato meno invasivo e inopportuno. Ma in fondo tutto quel caos non lo infastidiva, anzi.
Solo si chiedeva come avrebbe reagito Kai di fronte a quel plotone d’accoglienza.
Non riuscì a trattenere una risata mentre si immaginava la scena.

Respira.
Calma.
Controllati.
Kai allacciò l’ultimo bottone della divisa cercando di frenare il tremito alle mani.
Doveva riprendersi e recuperare il suo solito autocontrollo. Non poteva mostrarsi debole e fragile, soprattutto di fronte a degli estranei. Si sarebbe comportato naturalmente e avrebbe soffocato quel mare di emozioni che poco prima lo aveva travolto.
Non era abituato a provare delle sensazioni così forti, non era in grado di gestirle. Perdeva subito il controllo su sé stesso, come era successo poco prima.
Ma non avrebbe permesso a Yuriy di sconvolgerlo. Lui era Kai Hiwatari e nessuno poteva pensare di piegarlo in quel modo … non più. Era stato un momento di debolezza. Un cedimento fisico e mentale che non si sarebbe ripetuto. Era tutta questione di autocontrollo. Tutto qui. Era facile.
Afferrò la giacca della divisa che aveva abbandonato sul letto.
Era facile … bastava solo controllarsi … facile … facile …
Stronzate! Tutte stronzate!
Si stava autoconvincendo come un idiota di qualcosa che sapeva non essere in grado di controllare.
E lui non poteva accettare che qualcosa sfuggisse al suo controllo, in particolare se quel qualcosa era lui stesso!
No! Ora basta! Avrebbe mandato a farsi fottere sentimenti e stronzate annesse. Come del resto aveva sempre fatto. Non si sarebbe lasciato sconvolgere.
Si infilò la giacca con estrema lentezza cercando di ignorare il disgusto verso quell’inutile costrizione.
Accidenti a quella cacchio di scuola. A che serviva poi? A nulla … ecco a cosa.
Ma ovviamente a nessuno era venuto in mente di chiedergli se a lui andava bene l’idea di entrare a metà anno in una nuova classe. Senza aver frequentato né la prima né la seconda. Certo teoricamente aveva il diploma per entrambi gli anni. Ma solo sulla carta. A suo nonno non c’era voluto molto per avere quel dannato foglio senza che lui avesse frequentato un solo giorno di scuola. Aveva cercato di chiarire questo facile concetto a Tatsuya che ovviamente non aveva capito un’acca.
“Riceverai un supporto in quanto studente straniero” così gli aveva detto. Ma lui non era semplicemente indietro per la lingua. Magari fosse solo quello! Il pinto era che non aveva mai studiato seriamente nessuna delle numerose materie contemplate nel suo ben poco veritiero curriculum.
Certo sapeva il giapponese, ma solo perché suo nonno era nato e cresciuto in Giappone.
Per il resto non sapeva nulla né di storia né di geografia, scienze, matematica o chissà cos’altro. Non sapeva distinguere un verbo al passato prossimo da un congiuntivo, né un protone da un elettrone, non conosceva il codice civile russo figurarsi quello giapponese, conosceva poche parole di inglese e non aveva idea se fosse esistito prima l’homo erectus o l’homo di Neandhertal.
In compenso sapeva distinguere senza difficoltà una AK-47 da un cecchino VSR10N, era in grado di curare ferite superficiali e contusioni senza l’aiuto di un medico, poteva orientarsi nelle grandi città o nei boschi senza una bussola e riusciva a capire l’ora dalla posizione del sole; in poche parole sapeva cavarsela, ma queste erano ovviamente cose che non importavano agli insegnati e che non gli sarebbero state d’aiuto nella nuova scuola, purtroppo.
Con uno sbuffo di rabbia afferrò lo zaino nero abbandonato contro la scrivania e si diresse verso le scale. Scese i gradini con calma, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto affrontare quei pazzi dei Kinomiya.
Una parte di lui sperava quasi che Yuriy non se ne fosse andato, per fargli da supporto morale. Ma era una parte molto piccola, che subito venne ignorata.
Un leggero nervosismo si impossessò di lui mentre si avvicinava alla porta della cucina. Sentiva un gran numero di voci che si accavallano una sull’altra. Aveva il terribile sospetto che non si trattasse della televisione.
Prima che potesse decidersi a fare dietro-front e ritornare in camera, Takao si sporse dalla porta e lo vide. Un gran sorriso illuminò il viso del giapponese.
-Finalmente sei arrivato! Ti stanno tutti aspettando!-
“Tutti” chissà perché questa parola non gli piacque. Ma prima che potesse accennare un passo indietro Takao lo afferrò per un braccio e lo trascinò in cucina.
“È un incubo.” pensò Kai di fronte a quella miriade di facce entusiaste e sorridenti che lo accolsero.
“Non può essere vero … è solo un incubo …!”
 
Ancor prima di incontrarlo, Rei, si era fatto un’idea precisa sul nuovo fratello di Takao.
Si era immaginato un ragazzo distrutto dalle numerose delusioni che la vita gli aveva riservato. Una persona fragile e insicura, desiderosa di un affetto che per troppo tempo gli era stato negato. Si era convinto che quel povero sfortunato gli avrebbe guardati con gratitudine, e si sarebbe affidato a loro per colmare tutte le sue insicurezze e paure.
Ebbene Kai era leggermente diverso da come si aspettava.
Di certo definirlo semplicemente distaccato voleva dire minimizzare. Era freddo, asociale, scontroso, distante, menefreghista … tutte “qualità” di cui si era accorto dopo appena dieci minuti di conversazione, se così si potevano definire i monosillabi che uscivano dalla bocca del russo.
Il suo comportamento non aveva però scalfito l’entusiasmo né di Takao né di Max, che si erano lanciati in una appassionata discussione sugli effetti del jetlag nel tentativo di coinvolgere anche il russo. Senza grandi risultati.
Hitoshi si era mostrato guardingo fin da subito e anche ora ignorava totalmente l’altro mostrando un’indifferenza che avrebbe irritato chiunque, ma che sembrava non dispiacere affatto a Kai. Era evidente che il ragazzo non era a proprio agio con le persone troppo invadenti e in questo il comportamento del maggiore dei Kinomiya doveva risultare perfetto. Ma definirla una scelta calcolata non era propriamente esatto, probabilmente si mostrava distaccato perché in parte la presenza di Kai minacciava il suo ruolo di maschio alfa.
Hilary, come era prevedibile, fin dal primo momento non aveva fatto che guardare il ragazzo con due occhi da pesce lesso e l’aria di che ha visto la luce divina scendere dal cielo. Le guance le si erano imporporate di un bel rosso acceso, e quando parlava con lui un leggero balbettio sostituiva il suo solito tono. Era pazzesco come quel ragazzo l’avesse mandata in crisi. Non era mai successo che la Tachibana reagisse in quel modo di fronte a qualcuno. Maschio o femmina che fosse.
Ma in parte Rei la capiva. Nemmeno lui, un etero doc, era riuscito a rimanere indifferente di fronte alla devastante bellezza del russo. Il suo aspetto attraente stonava con il carattere schivo, generando un’aria affascinante e misteriosa che avvolgeva il giovane da capo a piedi, ottenendo l’effetto opposto a quello che, evidentemente, il russo sperava.
-Vedrai la scuola qui ti piacerà! Certo forse sarà un po’ diversa da quella russa, ma ti abituerai … - la voce di Max lo distrasse e il cinese spostò lo sguardo sul gruppetto raccolto intorno a Kai, che con l’aria di un condannato a morte, scosse la testa.
-Non so … - disse Kai pentendosi pochi istanti dopo di aver aperto bocca e lasciando la frase in sospeso.
Gli altri aggrottarono le sopracciglia perplessi. Persino Rei non comprese il senso di quelle parole.
-Cosa intendi?- chiese sporgendosi leggermente in avanti sul tavolo della cucina -La scuola qui da noi non è così male, certo a parte le divise, comunque non dovrebbe essere così diversa da quella a cui eri abituato, o sbaglio?-
Kai non rispose e si limitò a fissarlo con uno sguardo indecifrabile.
Fu Tatsuya riempire il vuoto lasciato dal russo, chiarendo i dubbi di tutti al posto suo.
-Ragazzi, Kai non è mai andato in una scuola vera e propria, ma ha sempre preso lezioni privatamente. Per questo è molto importante che lo aiutiate ad orientarsi per i primi tempi, sapete quanto può essere difficile arrivare in una scuola nuova. Figurarsi se è la prima volta che la si frequenta.-
Tutti rimasero colpiti da quelle parole. Era strano immaginare che quel ragazzo non avesse mai fatto parte di una classe, ma avesse sempre dovuto seguire i suoi studi chiuso in casa con un insegnante privato. Oltre ad essere una prospettiva terribilmente deprimente, sembrava anche assurda. Perché qualcuno dovrebbe impedire a un ragazzo di studiare insieme ai suoi coetanei?
Un silenzio imbarazzante cadde nella stanza.
Fu la voce di Kai a rompere quella tensione, che per la prima volta prese la parola spontaneamente.
-Risparmiatevi la compassione, non me ne faccio niente della vostra pietà.-
Diretto. Preciso. Letale.
Lo guardarono tutti increduli. Stupiti da tanta sfacciataggine. Non si era fatto nessun problema a dirgli in faccia quello che pensava, parlando con la massima sincerità e tranquillità.
Tatsuya ridacchiò di fronte ai loro volti sorpresi. -Vi conviene abituarvi! Il nostro Kai, non si fa troppi problemi a dire ciò che gli passa per la testa, anzi vi consiglio cautela per il futuro … - a queste parole il suo sorriso si allargò in modo inquietante - … penso che il signorino non si farà troppi problemi a mandarvi a quel paese tutti quanti un giorno di questi!- detto questo scoppiò a ridere incurante degli sguardi imbarazzati dei suoi due figli.
-Papà!- Takao diede una leggera spintarella di protesta sulla spalla del genitore, poi lanciò uno sguardo di scuse a  Kai che però non sembrava minimamente offeso, anzi il suo sguardo aveva un’aria compiaciuta.
-Beh … - disse Hilary, cercando di nascondere il leggero tremito nella voce -sono certa che non avrai problemi, ma nel caso avessi bisogno di aiuto io, cioè noi siamo a tua disposizione.- mentre parlava il rossore sul suo volto aveva raggiunto livelli preoccupanti, tanto che Max si chiese se per caso non avesse mangiato del peperoncino per colazione.
-Sì! Sì!- intervenne un Takao entusiasta -E poi ti faremo conoscere tutti i nostri amici! Vedrai ti piaceranno … - a quelle parole Kai storse il viso in una smorfia sofferente.
-Potremmo pure iscriverlo al club di football o a quello di piscina e … - continuò Takao lanciando un’occhiata entusiasta al russo, ma vedendo la sua espressione lasciò cadere la frase scoraggiato.
-Certo, certo- intervenne Tatsuya -ma non farete proprio un bel niente se non vi decidete a darvi una mossa.- nel parlare indicò l’orologio appeso al muro della cucina -è tardi e di questo passo a scuola non ci arrivate proprio!-
Scattarono tutti in piedi e, afferrando zaini e cappotti dimenticati nell’ingresso, uscirono di casa.
 
Come era prevedibile Kai era l’ultimo. Non aveva fatto nemmeno un passo lungo il vialetto di casa Kinomiya quando si sentì chiamare.
-Kai!- sorpreso si voltò verso Tatsuya, che avanzava verso di lui con al seguito un annoiato Hitoshi.
-Torna pure in casa. Arrivo subito.- disse al figlio. Il ragazzo sbuffò esasperato e si allontanò non prima di aver rivolto al russo un’occhiata omicida.
-Ascolta Kai- comincio Tatsuya -so che adesso tutto questo può sembrarti assurdo. Ed è probabile che ora tu ci disprezzi tutti, ma vorrei che facessi uno sforzo per cercare di ambientarti. Non è così male come sembra, la scuola intendo. Non pretendo certo nulla, solo vorrei che tu fossi felice qui … ci proverai vero?- il suo sguardo era molto intenso, e Kai non poté non cedere a quelle parole.
Ma in cuor suo sapeva che malgrado i suoi sforzi nemmeno Tatsuya avrebbe potuto fare di lui una persona “felice”.
-Lei non deve aspettarsi nulla da me … quando la gente si aspetta qualcosa da me rimane delusa. Andrò a scuola perché devo, cercherò di provare simpatia per gli altri ragazzi perché devo, fingerò di far parte della sua famiglia perché devo. Ma non può chiedermi di essere felice … perché finirei solo per deluderla.- senza aggiungere altro Kai si voltò per raggiungere gli altri che lo attendevano pochi metri più avanti.
 
L’enorme scuola superiore di Tokio era un imponente edificio, che si apriva su un elegante parco in stile seicentesco, meta quotidiana di numerosi alunni in fuga dalle aule polverose.
La struttura poggiava su un basamento in pietra che la rialzava di un paio di metri da terra, una scalinata portava all’ingresso sorretto da grandi colonne. Dietro di esse si apriva l’ingresso principale: un grande portone in legno di fianco al quale a intermittenza comparivano le entrate secondarie.
La scuola contava quattro piani che terminavano in una terrazza recintata da una balconata anch’essa in pietra.
Intorno all’edificio si affollava un numero pazzesco di studenti che lentamente sciamavano all’interno.
Kai osservava quel mare di ragazzi con una leggera punta d’ansia. Non potevano pretendere seriamente di rinchiuderlo là dentro con tutta quella gente! Non avrebbe resistito un’ora, anzi nemmeno dieci minuti!
Provò l’impulso di sbattere la testa contro quelle stupide colonne. Magari con un po’ di fortuna sarebbe finito in coma. Sempre meglio che quello schifo di posto.
-Prima io e te passiamo in segreteria.- disse Takao indicando con un gesto l'ala destra dell'edificio. Kai si limitò a scrollare le spalle con aria indifferente.
Almeno poteva rimandare il supplizio … anche se di poco.
Si separarono dagli altri che si diressero verso le loro rispettive classi e si avventurarono in quel labirinto di corridoi e aule.

Mentre camminava di fianco a Kai, Takao cominciò a sentirsi osservato. Non c’era un solo studente in corridoio che al loro passaggio non si girasse a guardare il russo con tanto d’occhi.
Era impressionante il numero di sguardi che il russo aveva attirato su di sé. In parte il giapponese ipotizzò che la curiosità degli altri alunni derivasse dai tratti decisamente stranieri del ragazzo, ma in realtà sapeva che a calamitare quei visi su di lui era il suo aspetto e in particolare la sua bellezza.
Kai pareva indifferente a quelle occhiate. Quasi fosse abituato a quel genere di situazione. Non aveva degnato di uno sguardo nessuno dei numerosi ragazzi che si erano girati al suo passaggio. Aveva mantenuto la sua solita aria controllata e fredda, tanto che a Takao venne l’ironico dubbio che l’altro non si accorgesse di quelle occhiate, o che se anche le notava le interpretava in tutt’altro modo.
Comunque riuscirono a raggiungere la segreteria, incassata in fondo al corridoio del piano terra. Una stanza allungata disseminata di scrivanie, armadi ripieni di cartellette e vasi con piante dall’aria parecchio sofferente.
Di fronte alla stanza c’era anche una sala d’attesa lungo cui correva una fila di sedie in plastica. Takao fece cenno a Kai di aspettarlo lì mentre lui consegnava i documenti.
Con aria annoiata il russo si appoggiò al muro della saletta, che risultava fin troppo affollata per i suoi gusti. Un gruppetto di ragazze ridacchiava, per solo Dio sa cosa, nell’angolo opposto al suo. Lungo le pareti attendevano un’altra decina di ragazzi dall’aria forse più disperata e depressa di lui.
 
Fu allora che accadde.
Un gruppo di studenti fece il suo ingresso in sala.
Kai non li degnò di uno sguardo. Ma non poté fare a meno di provare un brivido lungo la schiena sentendo su di sé degli occhi che lo guardavano con insistenza, quasi a volerlo sondare. Ma c’era un che di lascivo nel modo in cui sentiva quegli occhi scivolare lungo il suo corpo, soffermandosi fin troppo su ogni particolare.
Infastidito cercò il proprietario di quello sguardo, pronto a fargli passare la voglia di guardarlo.
Incontrò due occhi di un blu elettrico che lo fissarono pieni di sottintesi. Rimase inchiodato da quelle iridi che ironiche non perdevano il contatto con lui, ma anzi si soffermavarono senza vergogna sulle sue labbra.
Il ragazzo che lo fissava in quel modo era a pochi metri da lui, appoggiato all’enorme finestra che dava sul parco.
Doveva avere un paio d’anni più di lui, ed era più alto. Sul suo volto spiccava un sorriso pieno di malizia, che gli gelò il sangue nelle vene.
A completare il quadro una massa di capelli rosso-arancione che gli conferivano un’aria decisamente accattivante. Intorno a lui i suoi amici parlavano tra loro ridendo e scherzando ignari di quel gioco di sguardi.
Sostenne gli occhi dell’altro ben deciso a mostrare tutto il suo disprezzo.
Ma si ritrovò presto a pentirsi della sua decisione.
Il rosso accentuò il sorriso beffardo, constatando di aver ricevuto la sua attenzione, rivolgendogli uno sguardo da lupo famelico. E infine con estrema lentezza si passò la lingua sulle labbra, in un gesto fin troppo chiaro.
E Kai arrossì.
Non potè farne a meno, le sue gote si imporporarono, mentre gli occhi si spalancarono in un’espressione incredula. Fissò l’altro senza riuscire ad articolare un suono, mentre questo rideva del suo imbarazzo.
Infine distolse lo sguardo, incapace di sopportare quelle iridi piene di malizia. Sentendo la vergogna bruciare in lui come fuoco, e l’umiliazione scorrere come elettricità nelle vene.
A salvarlo fu l’arrivo di Takao che con un sorriso a trentadue denti uscì dall’ufficio.
-Qui abbiamo finito, ora dobbiamo … ehi!- senza troppi complimenti Kai afferrò il giapponese trascinandolo fuori dalla stanza, mentre la risata del rosso accompagnava la sua fuga.

-Ragazzi vi presento il vostro nuovo compagno di classe: Kai Hiwatari. Viene dalla Russia!-
Così la professoressa Sakamoto, insegnante di lettere, lo presentò alla classe, sorridendogli con aria affabile.
Kai immobile davanti alla cattedra fissava con occhi vacui i venticinque ragazzi con cui avrebbe condiviso gran parte delle sue giornate. Quella prospettiva non gli piacque per niente.
Ad accoglierlo arrivarono le occhiate interessate e vogliose delle ragazze, ma anche quelle ostili e diffidenti della maggior parte dei maschi presenti in aula.
Cercando di ignorarli raggiunde il suo posto in ultima fila, accanto a Takao. Il giapponese gli sorrise incoraggiante, cercando di infondergli un po’ di ottimismo. Kai si sedette di malavoglia, ma ringraziando mentalmente il compagno per avergli lasciato il posto accanto alla finestra.
-Allora Kai, vuoi dire qualcosa per presentarti?- l’insegnante si protese verso di lui, appoggiando i gomiti sulla cattedra e guardandolo con un sorriso di incoraggiamento. Il resto della classe si era voltato nella sua direzione e lo osservava curioso.
-No.- rispose semplicemente.
-Come? Non vuoi dirci niente di te?-
-No.- ripeté. Perché, perché dovevano essere così invasivi? Non potevano lasciarlo in pace e basta?
La donna inarcò un sopracciglio perplessa. Mai, in tutta la sua carriera, un alunno le aveva risposto in quel modo così spudoratamente sincero. Guardava negli occhi quello strano ragazzo chiedendosi se la sua fosse una specie di sfida o se semplicemente non voleva rispondere alle sue domande.
Ancora un volta il provvidenziale intervento di Takao salvò il russo da una situazione non proprio piacevole.
-Mi scusi … ecco, vede Kai non voleva essere maleducato, è solo che come lei sa lui non è di qui e beh … in Russia le cose non funzionano come da noi … - il giapponese guardò speranzoso la donna, cercando nel suo volto la conferma che stava bevendosi tutte le balle che le aveva rifilato. La professoressa lo guardava con malcelato interesse, segno evidente che aveva abboccato all’amo. -Kai non sa ancora bene come comportarsi, ma vedrà che con nel giro di poco le cose miglioreranno e … -
-Basta così Takao.- lo interruppe la donna, alzando una mano come a fermare il fiume di parole del giapponese. Quindi rivolse la sua attenzione a Kai -Mi dispiace di essere stata troppo invadente, non era mia intenzione. Capisco il tuo desiderio di non esporti troppo e lo rispetto.- mentre parlava il suo sguardo si inchiodò a quello del russo, che rispose alle sue parole con un lieve cenno del capo.
Senza aggiungere altro la donna concentrò tutta la sua attenzione sul registro, e con la massima tranquillità cominciò a fare l’appello.
Con un sorriso orgoglioso Takao si girò verso il compagno, guardandolo con aria di superiorità.
-Come minimo pretendo un grazie- disse, accennando con il capo all’insegnante.
-Non ha creduto ad una sola parola di quello che hai detto.- replicò il russo, senza guardarlo.
-Cosa? Ma … - esclamò Takao perplesso.
-È più intelligente di quanto sembri- fu la vaga risposta di Kai. Ma prima che il giapponese potesse chiedergli altre spiegazione il richiamo dell’insegnante lo costrinse a riportare la sua attenzione sulla donna.
Il resto della giornata proseguì senza ulteriori intoppi. Gli altri insegnanti si limitarono a lanciargli occhiate curiose, senza però azzardarsi a fargli qualsiasi tipo di domanda. Di questo Kai sapeva di dover ringraziare la Sakamoto, che doveva aver raccomandato ai suoi colleghi di trattarlo con le pinze.
In un certo senso non gli dispiaceva essere considerato un soggetto instabile. Se sanno che sei potenzialmente pericoloso, le persone non ficcano il naso nella tua vita per paura di farti saltare i nervi. E in fondo a loro non fregava veramente nulla di lui, se facevano delle domande era solo per darsi l’aria di professori comprensivi e attenti ai bisogni dei ragazzi, che però non ci pensavano su due volte prima di rifilarti un bel tre.
Come volevasi dimostrare, durante le ore successive, Kai vide sfilare davanti ai suoi occhi una sfilza di brutti voti che avrebbero fatto impallidire chiunque, ma che non scalfirono minimamente quei severi giudici che implacabili coloravano di un bel rosso acceso tutti i fogli che gli capitavano tra le mani. Anche Takao rimediò il suo quattro nel compito di matematica. Che a quanto pareva doveva essere l’ennesimo visto la stoicità con la quale il ragazzo incassò il colpo.
Ovviamente Kai si limitava ad osservare, senza che nessuno dei professori lo interpellasse o facesse gran caso a lui. Ma sapeva che non sarebbe durato a lungo, dopotutto quello era solo il primo giorno.
Cercò di sopportare come meglio poteva quelle interminabili ore. In certi momenti cercò persino di concentrarsi sulle lezioni, senza avere successo. Così inevitabilmente finì per perdersi nei meandri della sua mente.
Più volte il volto del ragazzo della sala d’attesa si fece largo tra i suoi pensieri, provocandogli brividi di rabbia e vergogna. Si era comportato come un idiota, e aveva distolto lo sguardo per primo mostrando la sua debolezza. E quello stronzo ci aveva goduto, eccome se ci aveva goduto. 
In quei momenti, quando sentiva il proprio autocontrollo annullarsi e i livelli di rabbia e frustrazione salire pericolosamente, si concentrava sul paesaggio fuori dalla grande finestra e cercava di regolarizzare i respiri. Più volte sentì su di sé lo sguardo preoccupato di Takao.
Fu così che, finalmente, arrivò la fine di quella tremenda giornata.

Appoggiato alla testata del suo letto Kai scrutava silenzioso i fulmini che squarciavano il cielo, illuminando per un istante la sua camera altrimenti completamente buia.
Il temporale infuriava scaricando una cascata d’acqua su Tokio, che infreddolita e spaventata si chiudeva su sé stessa mostrando il suo lato più vulnerabile. Le strade erano tappezzate da specchi d’acqua che silenziosi osservavano i pochi passanti correre  e affanarsi per trovare un riparo. Un vento freddo si abbatteva sulla città, scuotendo le chiome degli alberi con violenza. Le macchine si muovevano con cautela nella foschia, timorose e nella cecità più completa.
Kai, abituato al clima ben più rigido della Russia, non si era certo fatto impressionare da un po’ d’acqua. Anzi. La pioggia gli piaceva. Sembrava voler ripulire il mondo dallo sporco che lo ricopriva. Gli dava un sensazione di pace.
A Mosca era raro piovesse. Di solito a cadere dal cielo erano i delicati fiocchi di neve che, ben lungi dall’imitare la loro sorella pioggia, si attaccavano al suolo, ricoprendo di bianco la fredda e cinica Russia.
Barriere bianche si innalzavano sui marciapiedi, mentre il ghiaccio rendeva scivoloso e insidioso l’asfalto.
I moscoviti, fin troppo abituati alle nevicate improvvise, accendevano i camini e tiravano fuori i cappotti pesanti. Poi, armandosi di coraggio, affrontavano la tempesta lasciandosi dietro di loro il nido sicuro delle case.
Capitava persino, che interi paesi rimanessero isolati per settimane. Ma la gente era pronta. Preparata al peggio. Non si faceva certo sorprendere del gelo. Le macchine venivano sostituite, dalle più pratiche slitte, e tutti si adattavano.
Lui faceva parte di un popolo forte che da secoli lottava a mani nude contro madre natura. E ne era fiero.
Queta era anche la frase preferita di suo padre. Amava elogiare il suo popolo, a dispetto dei mille difetti che da sempre venivano accreditati alla popolazione russa. Era un uomo sincero e malgrado le sue origini nipponiche non si era mai sentito parte del Giappone. Suo padre lo aveva sempre ammesso; malgrado il suo aspetto fosse orientale, il suo cuore era completamente e indiscutibilmente della “Grande Madre Russia”.
Con la mente rivide i tratti dell’uomo che mai aveva potuto chiamare padre. Solo una foto gli permetteva di ricordarsene ancora il volto. Nulla però più che un’immagine sfocata che certo non gli rendeva giustizia. Ma gli bastava. Gli bastata per poter rivedere l’uomo che gli aveva dato la vita.
Lentamente Kai si alzò. Attraversò la camera immersa nella penombra, sfiorando con la punta delle dita le superfici dei numerosi oggetti che affollavano la stanza. Si fermò solo quando senti sotto i polpastrelli una stoffa ruvida. La sua valigia.
Con delicatezza aprì una delle tasche laterali, da cui estrasse una fotografia spiegazzata, dall’aria molto vecchia. Aveva i bordi strappati in più punti e gli mancava persino un angolo.
Raggiunse la finestra, illuminata a tratti dai lampi. Appoggiò le spalle al vetro, che freddo gli trasmise l’umidità che regnava fuori. A malapena distingueva le figure ritratta nella fotografia. Ma non ne aveva bisogno. Conosceva quell’immagine a memoria. Sulla destra un uomo di circa venticinque anni che, sorridendo, si passava una mano tra i capelli neri scompigliandoli. Con l’altro braccio cingeva la vita di una donna, che doveva avere un paio d’anni meno di lui. Era molto bella, con quel viso delicato incorniciato da lunghi capelli scuri. Ma la cosa che più colpiva erano i suoi occhi; due iridi violette simili alle ametiste.
Con un sorriso triste Kai accarezzò la foto, facendo scorrere le dita su quei volti felici, ignari di quel che il destino aveva in serbo per loro.
-Ciao mamma, ciao papà.-

 
 

 
Rieccoci qua!! Sempre noi: Fanny e Kim!
Con un ritardo terribile, è vero!! Chiediamo venia, ma è tutta colpa della scuola che si avvicina e dei suoi esami!! (non avevamo il tempo nemmeno per pensarci alla storia!)
Però ora siamo qui e promettiamo che d’ora in avanti ci impegneremo per pubblicare più velocemente: fate il tifo per noi!! :D
Siamo felici di aver ricevuto tante recensioni positive solo con il primo capitolo!! Siamo davvero commosse!! GRAZIE!! Speriamo che continuerete a seguirci!
Ma ora passiamo al capitolo: molte di voi pensavano che il famoso baciatore fosse Boris … sorry! Ma il nostro Bo avrà un altro ruolo nella storia (speriamo che non ne rimarrete deluse!) …^^
In ogni caso speriamo che la comparsa di Yuriy non vi abbia troppo deluso, ma davvero noi non riusciamo a vedere Yu esile e deboluccio!! ;)
Anche nel cartone superava Kai di un bel pezzo in altezza … (Kai: Cosa dite?! Io sono altissimo!! Fanny: Certo tesoro! Un gigante! **)
In questo capitolo abbiamo conosciuto un nuovo personaggio … il ragazzo della sala d’attesa … non ci vuole molto a capire chi è, comunque la “risposta definitiva” nel prossimo capitolo!! Sappiate in ogni caso che sarà un personaggio fondamentale per la storia (anche se non diciamo se in senso buono o cattivo ++!)
Speriamo comunque che anche questo capitolo vi sia piaciuto, perché dovrete prepararvi ai prossimi dove si entrerà nel vivo della storia!! ^^
Prima di lasciarvi  ringraziamo tutti quelli che ci hanno seguito: PICH SHROOMS, REFYIA, CHARLENE, PICCOLA KUZNESTOV, AKY IVANOV, SA 92, INAZUMAHANTIKCHAN e DARK HIWATARI.
E anche tutti i lettori che sono rimasti nell’ombra!! ;)
Un abbraccio a tutti quanti!!
Fanny e Kim

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Capitolo 3
*** Atemi-Waza ***


Salve a tutti!!

Lo so … non pubblico da mesi!!! Il mio è un ritardo apocalittico, megagalattico, pazzesco e via dicendo. Come giustificarmi?? Beh comincio con il dire che io e Kim abbiamo litigato … di brutto. Perdere una persona a cui si voleva bene , era come una sorella per me, è orribile. Ci sono stata male per mesi e non ho avuto la forza di scrivere … idee 0, ispirazione 0, capacità 0…

Insomma uno schifo assurdo! Ho scritto e cancellato il terzo capitolo circa 10 volte, delusa dai risultati. Ma ora miracolosamente mi sono ripresa ( Ai piani alti qualcuno ha avuto pietà di me). Insomma eccomi qui, sola, ma più carica che mai! Basta mega pause ho intenzione di lasciarmi dietro il passato e ricominciare! Ok vi lascio alla storia … spero vi piaccia!!!

 

 

 

ATEMI-WAZA

(Tecniche di colpo)

I’m not afraid to take a stand
Everybody come take my hand
We’ll walk this road together, through the storm
Whatever weather, cold or warm
Just let you know that, you’re not alone
Holla if you feel that you’ve been down the same road

 

 

Numerose celle si aprivano davanti ai suoi occhi.

Una di fianco all’altra si estendevano lungo tutto il corridoio perdendosi nel buio. Le pareti erano in pietra scura e umida. Sbarre in ferro, arrugginite e consumate dal tempo, facevano da ingresso a quelle tetre stanze. Nessuna luce illuminava l’ambiente, le torce appese alle pareti erano tutte desolatamente spente. Un silenzio gelido e malsano regnava in quel luogo … un silenzio che sapeva di morte. Non vi era alcuna finestra o apertura che potesse indicargli una via d’uscita. Era prigioniero di quel luogo orribile.

Il ragazzo rabbrividì per il freddo, stringendosi le braccia intorno al corpo. Era abituato a temperature molto basse, ma questo era un gelo diverso. Ti entrava in corpo, penetrandoti nelle ossa e avvolgendoti in una morsa di disperazione.

Accennò incerto qualche passo in avanti, guardando di sottecchi le celle buie. La paura infantile che qualcosa potesse uscire da quelle tenebre di pece gli imponeva di non avvicinarsi a quei pertugi scuri. In generale l’idea di proseguire lungo il corridoio non lo allettava, oltre alla naturale paura del buio, percepiva un altro tipo di ansia. Più profonda e intensa. L’istinto gli imponeva di non avventurarsi in quel luogo sconosciuto.

Ma del resto non poteva restare per sempre lì , in attesa che avvenisse chissà cosa. Sarebbe stato molto più saggio cercare una via d’uscita, una volta fuori avrebbe cercato di capire dove diavolo si trovava. Da quel punto non vedeva porte o scalinate, ma probabilmente sarebbe bastato proseguire lungo il corridoio. Niente di più semplice … già.

Decise di accantonare le sue stupide paure, cercando di convincersi che era colpa di quell’oscurità che lo condizionava. Azzardò, incerto, un passo in avanti. Paralizzandosi immediatamente, tentando di captare eventuali suoni. Solo silenzio.

Proseguì più sicuro, procedendo lentamente rasente la parete opposta alle celle. Senza però toccarla, disgustato all’idea di sfiorare qualcosa di quel luogo orribile. Si fece avanti nell’oscurità a passi brevi, timoroso di quello che avrebbe potuto incontrare durante il tragitto.

Davanti a lui le tenebre lasciavano il posto a un paesaggio sempre uguale … celle, celle ed ancora celle. Tutte tristemente uguali, alle precedenti. Più volte gli venne il terribile sospetto di non muoversi affatto, allora la disperazione lo assaliva ed il ragazzo sentiva di non poter più continuare. Mentre la certezza che non sarebbe più uscito di lì lo assaliva. Ma ogni volta si imponeva di non pensarci e continuava la sua marcia, ignorando quei pronostici così catastrofici.

Passarono pochi minuti, o forse furono ore -non lo seppe mai con certezza- quando un lamento spezzò il silenzio che lo avvolgeva. Il ragazzo si bloccò di colpo. Lentamente si guardò intorno, scrutando le tenebre

Il ragazzo accennò un passo in avanti, spaventato all’idea di quello che avrebbe visto. Con titubanza allungo il collo, tentando di scorgere  qualcosa nell’oscurità , invano.

Facendosi coraggio proseguì lungo il corridoio, con lo sguardo inchiodato alle celle. Camminava lateralmente con la schiena contro la parete, pronto a scattare in caso di pericolo.

Stranamente mischiata all’ovvia paura percepiva una curiosità insistente. Malgrado tutto voleva scoprire cosa ci fosse dietro quelle sbarre.

Il silenzio fu di nuovo spezzato da un gemito, decisamente più vicino, che lo paralizzò. Aveva riconosciuto la  voce di un ragazzo, anche se stravolta dal pianto. Questo in parte lo rassicurò, mentre la speranza di non essere solo lo portò ad accelerare il passo. Sentiva qualcosa spingerlo verso ad una cella poco distante, perfettamente identica alle altre, ma appena la raggiunse notò una figura scura raggomitolata per terra. Non riusciva a distinguere molto in quell’oscurità, così si avvicinò lentamente cercando di fare il più piano possibile.

La figura stava evidentemente piangendo, il suo corpo tremava appena, scosso da singhiozzi.

Il ragazzo raggiunse le sbarre che sfiorò con la punta delle dita, percependone la freddezza e solidità sotto i polpastrelli. Tentennò a lungo incerto su cosa fare per attirare l’attenzione della figura rannicchiata a terra, che del resto non si era accorta della sua presenza. Continuava a singhiozzare sul pavimento e il ragazzo si chiese cosa potesse portare tale sofferenza. La disperazione che trapelava da quel pianto era tale da spingerlo verso di lui, desideroso di consolarlo .

Alla fine si decise a parlargli.

-N-non piangere ... – balbettò incerto – ora ci sono qui io … - non sapeva bene il perché di quelle parole. Gli erano parse in qualche modo giuste, perfette per quel momento. Come se una parte inconscia della sua mente gliele avesse suggerite.

Il pianto cessò di colpo e la figura con estrema lentezza alzò il volto verso di lui.

Aveva la fisionomia di un ragazzino, ma non riusciva a distinguerne i tratti che erano come oscurati, come se il suo viso fosse avvolto in un’ombra scura. Ma non fu quello a stupirlo, no perché quel ragazzino girandosi aveva involontariamente mostrato quelle che a prima vista potevano sembrare due braccia – anche se incredibilmente sproporzionate – ma che sollevandosi si rivelarono essere due enormi ali.

Ali nere, con un piumaggio meraviglioso e perfetto, composto da piume lucide ed eleganti di un nero uniforme. Si spalancavano a ventaglio dalla schiena del ragazzo, partendo dalle spalle e  innalzandosi per quasi due metri e avvolgendo il loro proprietario.

Ma l’attenzione del giovane fu immediatamente attratta dal volto del ragazzo, su cui spiccavano i suoi occhi splendenti in quel buio. Le pupille nerissime erano avvolte da fiamme violacee, che si miscelavano alla perfezione con lievi sprazzi di porpora scuro. Due tizzoni ardenti che bruciavano come fuoco vivo. Due preziose ametiste che brillavano nell’oscurità

Incredulo il ragazzo spalancò gli occhi, arretrando terrorizzato. Dentro di lui infuriava un turbine di emozioni e sensazioni, a cui non era in grado di dare un nome e un significato. Immagini si susseguivano nella sua mente, rievocando momenti e situazioni che non riusciva ad afferrare. Tempo e spazio si confusero in un turbinio indistinto.

Il ragazzo riversò, quell’insieme di pensieri e sensazioni, in un lungo urlo senza voce.

Boris si svegliò di colpo urlando.

 

 


Era passata una settimana dall’arrivo di Kai in Giappone. Lentamente il ragazzo stava prendendo confidenza con quella nuova vita, che sembrava non appartenergli. Si sentiva un estraneo nella pelle di un altro. Avvertiva l’inquietante sensazione di non essere adatto per il ruolo che il destino, volente o nolente, gli aveva affidato.  Nulla pareva andare per il verso giusto.

Non la scuola, dove le sue immense lacune erano tristemente venute a galla, mostrando quanto fosse realmente indietro rispetto agli altri studenti. I suoi tentativi di applicarsi si stavano già mostrando fallimentari in partenza. Giusto per avere il giusto incoraggiamento.

Non a casa dove, la convivenza con i kinomiya, si stava dimostrando essere una prova molto dura. L’esuberanza di Takao, mischiata con l’esasperante pacatezza di suo padre formavano un mix letale. Passavano gran parte del tempo a chiedergli “come stai?” oppure “ tutto ok ? Hai bisogno di qualcosa?” …. Sì che voi sparite dalla mia vista! Purtroppo questa risposta non era contemplata.

Nel complesso sopravviveva. Cercando di dominare la rabbia e frenando le sue risposte fin troppo spudorate. Ma il tempo passava lentamente … molto lentamente …


L’aria fredda lo investì all’improvviso.

Rei si strinse nella felpa leggera che indossava, rabbrividendo appena. Dietro di lui le luci delle casa risplendevano accoglienti, mentre ovattate risuonavano le voci dei suoi amici. Le ignorò, rivolgendo la sua attenzione al giovane, che silenzioso, scrutava il cielo notturno, comodamente seduto sulle assi del porticato che circondava la villa. Kai, insensibile alle basse temperature, indossava una maglietta leggera che gli lasciava scoperti gli avambracci.

-Non hai freddo?- mormorò Rei sedendosi al suo fianco. Il russo gli rivolse un’occhiata veloce, per poi scuotere lievemente il capo. Il suo fisico, temprato dagli anni in Russia, aveva acquisito un livello di sopportazione notevole. Che sommato al piacere che provava nel sentire i soffi del gelo accarezzargli la pelle,  gli permetteva di accontentarsi di una maglietta leggera.

Rei strappò alcuni fili d’erba, cominciando a tagliuzzarli con le dita. Il suo volto era teso e una piega nervosa gli irrigidiva le spalle. Il ragazzo si mordeva le labbra ansioso, preda di un conflitto interiore.- Ti capita mai di pensare che stai sbagliando tutto? Che tutto ciò che fai è in realtà un errore ?- aveva parlato lentamente, senza alzare gli occhi verso il ragazzo al suo fianco.

Kai non rispose subito. Per un attimo assaporò l’attesa che si percepiva nell’aria, mentre un moto di comprensione invadeva la sua mente. Se fosse stato una brava persona avrebbe risposto che sì, quei dubbi divoravano il suo animo continuamente, rendendolo fragile alle ingiurie della vita. Che anche lui, spesso si chiedeva quale fosse la cosa giusta da fare … e che la maggior parte delle volte finiva per fare la cosa sbagliata. Se fosse stato una persona sensibile avrebbe donato al ragazzo quel conforto, di cui sembrava avere disperato bisogno.

Ma lui non era ne buono ne gentile … ed era straordinariamente bravo a mentire.

-No- la voce monocorde di Kai non sorprese Rei, che sorrise impercettibilmente.

-Allora ti invidio … - sussurrò triste – perché sarai in pace con te stesso. Mentre io mi arrovello alla ricerca di una domanda a tutti i miei dubbi … - il suo tono era malinconico, velato da una leggera ironia. Malgrado si conoscessero da appena una settimana, Kai si stupì di quella amarezza, chiedendosi dove fosse finito il ragazzo allegro e pacato che aveva imparato a conoscere.

-I dubbi sono legittimi … - Kai si passò una mano fra i capelli in un gesto stanco – la troppa sicurezza porta alla rovina. – concluse con voce atona, fin troppo conscio di essere l’incarnazione vivente dei suoi stessi consigli.

-Alle volte i dubbi ti uccidono … - ribattè Rei con un sorriso tirato, fingendo una sicurezza che non sentiva. La maschera di ironia e finzione che aveva indossato aveva crepe troppo grandi per essere nascoste.

-Dipende … -  fu la vaga risposta di Kai. Non capiva perché fosse venuto a parlarne proprio con lui. Avrebbe potuto confidarsi con Takao, Max … e invece era lì a parlare con lui. l’asocialità fatta persona, il peggior esempio che si possa immaginare. Oltre che un pessimo dispensatore di consigli. Poi dicevano che era lui quello strano!

-Forse siamo noi stessi a complicare le cose, con le nostre scelte … forse siamo noi che ci facciamo involontariamente del male … -continuò monocorde Rei, osservando con sguardo vacuo il cielo notturno.

-Perché ne parli con me ?- esclamò con uno sbuffo esasperato Kai, infrangendo quella bolla soffusa che li avvolgeva.

-Magari ho bisogno di qualcuno che possa capirmi.-Rei ruotò appena la testa verso di lui, fissandolo con uno sguardo intenso, tanto che Kai sentì di non potersi difendere da quelle iridi dorate, che silenziose lo scrutavano.

-Dubito di essere la persona adatta … - disse in un soffio, socchiudendo appena gli occhi. Sembrava stesse parlando con se stesso più che con l’altro. Rei sorrise impercettibilmente –Io credo che tu lo sia … - per lunghi istanti si fissarono. Gli occhi si perforavano, pieni di significati e di parole non dette. La loro era una lotta, una lotta silenziosa e immacolata. Due anime affini si scontravano ispezionandosi a vicenda, dubbiosi se concedersi la fiducia reciproca.

Fu Kai a spezzare il silenzio con voce aspra- Parla … -esclamò perentorio. Vittorioso Rei sorrise, sapeva che quella sera avevano compiuto un enorme passo avanti nel loro rapporto. L’idea di poter parlare apertamente con il russo lo intrigava, in qualche modo – che ancora non capiva – sentiva molto vicino quello strano ragazzo. fu così che si decise a parlare, aprendosi a lui e confidandogli i suoi timori.

-Ti ho mai parlato di Mao?-così esordì, lasciando vagare lo sguardo tra le ombre del giardino. Kai scosse il capo, appoggiandosi a una delle colonne che sorreggevano la tettoia. Rei sospirò piano, come per raccogliere le forze, prima di continuare. –Mao Chou  è una ragazza del mio paese, quello da dove provengono entrambi i miei genitori. La conosco più o meno da sempre e sono cresciuto al suo fianco. Lai, suo fratello, è uno dei miei migliori amici e io li ho sempre visti come parte della mia famiglia “allargata” . Lei è una ragazza fantastica solare, dolce , sensibile … e da un anno a questa parte è anche la mia fidanzata.-

Quest’ultima affermazione sorprese Kai, che si voltò a fissare il compagno. Rei sorrideva appena, con amarezza. Il suo volto dimostrava molto più della sua reale età.

-Non puoi immaginare quanto tempo mi ci è voluto per trovare il coraggio di confessarle quello che provavo … la paura, l’incertezza … ma miracolosamente ho trovato la forza e quel sogno, che mi era sembrato tanto impossibile, si è realizzato … o almeno questo è quello che pensavo. – Rei ridacchiò tra sé, mentre una strana disperazione lo avvolgeva. Quella tristezza che aveva mitigato, con sorrisi falsi e frasi vuote trapelava dai suoi occhi, leggermente lucidi.-Sembrava perfetto Kai … davvero! Poi ci siamo ricordati di un piccolo particolare … io sono qua e lei è là … ci separano km di distanza … - Rei allungò un braccio come per afferrare qualcosa di invisibile- Non posso raggiungerla e lei nemmeno … -si rivolse al russo con uno sguardo strano … vuoto.- A quel punto l’amore non basta più … - quelle parole suonarono nelle orecchie di Kai come una condanna a morte.

Il russo inarcò  appena le sopracciglia, in un evidente gesto di disappunto. Lo infastidiva l’arrendevolezza dell’altro . Non capiva il motivo di tanta preoccupazione, ne riusciva a giustificare la mancata reazione a una situazione dopotutto semplice da risolvere. Fosse stato lui al suo posto, sarebbe tornato in Cina senza pensarci due volte, fregandosene di genitori e amici. La vita era sua e non loro. Inoltre aveva imparato a sue spese che le occasioni vanno colte, perchè nulla è eterno.

Ma era anche vero che il suo modo di pensare era anni luce da quello di qualsiasi altro. Purtroppo la sua determinazione, quasi sconsiderata, era impossibile da trovare in un ragazzo vissuto nella serenità e agiatezza, abituato a limitarsi di ciò che rientra nei suoi soliti confini. Rei era uno di questi, troppo chiuso per poter pensare per una volta di fare qualcosa di diverso. Ma non era uno stupido, questo no. Quindi forse, aveva solo bisogno di una scossa.

-Allora rinuncia. Lasciala là dov’è ora, e ricomincia qui con persone nuove, accettando che lei faccia lo stesso .-

La faccia di Rei assunse un colorito verdognolo, l’idea di Mao con un altro lo disgustava. Non poteva accettare che la sua, sottolineando sua, ragazza finisse nelle mani di qualche idiota … o di qualcun altro in generale.

-Assolutamente no! Io voglio stare con lei, non posso pensare che stia con un altro  … -

-Allora alza il culo e datti da fare.-

-Non è così facile … -

-Sei tu che rendi tutto complicato- Kai lo fissò per qualche istante, come per valutare la risposta più adatta- tu … tu ti fai troppi problemi .-

Rei alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

-Sono solo una persona prudente, mi limito a valutare tutte le opzioni prima di agire …- persino a lui risuonava come una scusa debole e patetica.

-No tu non agisci proprio … è diverso … -

-E sentiamo che diavolo dovrei fare?!- sbottò Rei, spalancando le braccia esasperato. Non riusciva ad accettare che Kai lo ritenesse un codardo, gli era sempre parso di fare tutto il possibile per la sua storia con Mao … ma forse …

Kai rivolse al cinese un’occhiata assassina, fulminandolo con lo sguardo.

-Visto come ti comporti, penso che farebbe meglio a trovarsene un altro con un po’ di spina dorsale … - il suo intento non era ferire Rei, ma le parole uscirono con eccessiva cattiveria. Rei spalancò gli occhi sorpreso da tanta veemenza. Ma appena fece per replicare si rese conto che non c’erano risposte possibili. Abbassò il capo affranto e pieno di vergogna.

Kai aveva maledettamente ragione e lui era un fottuto idiota. Solo che gli ci era voluto il russo per capirlo.

-Hai ragione …- sussurrò con voce a malapena udibile.

-Cosa?- Kai lo guardò perplesso, inarcando le sopracciglia.

-Ho detto che hai ragione .- replicò l’altro, alzando finalmente lo sguardo.

-Non è una novità.- disse il russo senza scomporsi, alzando appena gli occhi al cielo.

Rei sorrise. In fondo si trattava di Kai, che altro poteva aspettarsi?

-Grazie … ti devo un favore … - aggiunse infine, sollevandosi in piedi. Kai annuì appena, senza guardarlo.

Senza aggiungere altro, il ragazzo si diresse lentamente verso la casa, ancora fiocamente illuminata. Ma mentre stava per aprire la grande vetrata, che dava sul soggiorno, si bloccò.

-Kai? – chiese, con tono incerto.

Il russo si voltò appena per guardarlo, come per confermargli che lo stava ascoltando.

-Tu sei mai stato innamorato?-  a causa del buio non era in grado di vedere il volto del russo, ma intuiva che la domanda lo aveva spiazzato. Per lunghi istanti fra i due regnò il silenzio, spezzato solo dal frastuono del vento. Infine Kai si decise a rispondere.

- Certo che no.-

Rei annuì appena , a quelle parole e rientrò in casa.

Rimasto solo, Kai sorrise appena fra sé e sé . Lui era straordinariamente bravo a mentire

 


Pioveva.

Nubi scure si ammassavano sul cielo di Tokyo, oscurando il sole. Una nebbia leggera avvolgeva le strade, conferendo un’aria vagamente tetra al paesaggio. In quel grigiore spiccavano i colori vivaci degli ombrelli, nelle mani dei rari passanti già svegli di prima mattina.

Da una delle vie secondarie comparvero due ragazzi, che si dirigevano a passo spedito verso l’imponente edificio che giganteggiava nel livore mattutino : l’istituto superiore di Tokyo.

Da una parte Takao occhieggiava angosciato al suo orologio da polso – chiedendosi quale punizione doveva aspettarsi per quel mostruoso ritardo – teneva la cartella sollevata sulla testa, nel tentativo di riparasi dall’acqua. Accanto a lui Kai dava bella mostra del suo menefreghismo più sfrenato, procedendo con noncuranza protetto solo da un cappuccio leggero, dal quale spuntavano i ciuffi di capelli fradici.

-Sono morto … . mugolò Takao con aria sofferente – quella già mi odia! Come minimo mi interroga … e io non so un cavolo … cacchio, non posso prendere un altro votaccio … papà mi disconosce!!!- la strana scena tragicomica del giapponese non scalfì Kai, che decise di ignorarlo. In fondo lui odiava le persone che si auto commiseravano.

-Oh sono morto! … poi chi la sente quella lagna di Hlary?!  Tutta colpa di quell’idiota di Hitoshi e della sua fottutissima agenda!!-

La tragedia si era consumata quella mattina e aveva coinvolto tutta la famiglia Kinomyia –Kai compreso – nella furiosa ricerca dell’agenda di Hitoshi, andata dispersa e a detta del ragazzo di vitale importanza. Avevano a dir poco rivoltato la casa, sotto le incitazioni del capofamiglia passando preziosi minuti – solitamente adibita all’abbondante colazione di Takao – a setacciare ogni angolo, ogni scaffale … Fino a quando lo stesso Hitoshi, in preda a una crisi isterica, si era miracolosamente ricordato di aver messo l’agenda nella cartella la sera prima … per paura di dimenticarsela.

Impedire a Takao di uccidere sul momento il fratello, aveva richiesto le energie congiunte di Tatsuya e Kai. il giapponese sembrava in preda a una specie di sfogo furioso, con protagonista Hitoshi stesso, spesso accompagnato da epiteti non ripetibili. Ma alla fine erano riusciti a calmare il ragazzo, abbastanza da permettergli di riprendere quel minimo di autocontrollo che possedeva.

Sarebbe andato tutto bene se la cosa fosse finita lì … purtroppo Takao aveva avuto la malsana idea di sbirciare la suddetta agenda – spinto in parte da una rabbia vendicativa – trovandola piena di numeri … numeri di telefono! “Sono i numeri di tutte le ragazze che ho incontrato finora … che ne posso sapere se magari tra loro si nasconde la mia anima gemella ..?” La reazione di Takao fu immediata e contribuì ad accumulare un ulteriore ritardo.

Così ora i due ragazzi si trovavano a varcare il portone d’ingresso ben dopo il suono della campanella. Fradici e infreddoliti accolsero con sollievo il calore delle mura scolastiche. Il corridoio principale era deserto, le porte degli uffici erano tutte diligentemente chiuse. Facendo attenzione a essere il più silenziosi possibile si diressero verso la scalinata principale, lasciando dietro di loro una scia di impronte bagnate. Avvolta in quel silenzio la scuola faceva uno strano effetto, sembrava meno minacciosa e oppressiva. Ma non fecero in tempo a fare che pochi gradini quando sentirono un rumore di passi provenire dall’alto.

-Scappa!- sussurrò Takao con sguardo angosciato, afferrando il russo un braccio. Con una mossa decisa, Kai si liberò dalla stretta. –Finiscila … non fare il bambino e cammina! – ma non fece in tempo a finire la frase, che Takao, con una velocità impensabile, aveva ripercorso a ritroso la scalinata per poi infilare il primo corridoio a destra. Esasperato Kai alzò gli occhi al cielo, ripromettendosi di ammazzarlo . Con un sospiro si accinse a seguirlo, quando una voce risuonò alle sue spalle.

-Guarda … guarda chi si vede … - era una voce ironica e maligna, volutamente beffarda, di cui Kai era certo di non conoscere il proprietario.

Ma si sbagliava. E ne ebbe la conferma, appena ruotò il volto verso il nuovo venuto, scontrandosi con due occhi di un blu elettrico. Due occhi che non poteva dimenticare … il ragazzo della sala d’attese se ne stava davanti a lui, tranquillamente appoggiato al corrimano della scalinata.

La sua prima reazione fu la rabbia, il ricordo dell’umiliazione subita ancora bruciava come fuoco e l’idea che quel bastardo osasse solo rivolgergli la parola lo disgustava. Sentiva i battiti del cuore aumentare per la furia, mentre le mani tremavano desiderose di spezzare quel sorriso odioso.

-Vedo con piacere che ti ricordi di me … - disse il giovane con tono beffardo, senza smettere di fissarlo con sfrontatezza. Kai dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi travolgere dai sui istinti più violenti. Lo fissò con odio crescente, socchiudendo appena gli occhi minaccioso.

-Accidenti sei bagnato fradicio .- aggiunse il ragazzo, accennando con il mento ai suoi vestiti ancora gocciolanti. Scosse appena il capo con finta preoccupazione, come se avesse realmente a cuore la salute del russo. – Non puoi restare in queste condizioni … - aggiunse con voce volutamente accorta. Kai aggrottò la fronte perplesso, non capiva dove diavolo voleva arrivare quel tizio.

Con una mossa fulminea il ragazzo gli si avvicinò, sussurrandogli piano all’orecchio.

-Se vuoi ti do una mano a toglierli …-

Kai sentì i livelli di autocontrollo annullarsi, mentre la rabbia gli scorreva come adrenalina nelle vene. Udiva uno strano ronzio nelle orecchie, mentre le mani sembravano bruciare per il desiderio di picchiare quell’idiota. Era pronto a respingerlo con uno spintone … quando una voce riecheggiò nel corridoio.

-Kai dove diavolo ti sei cacciato?-Takao comparve da una delle porte laterali, ancora rosso per la corsa.

Fulmineo il ragazzo fece un passo indietro, allontanandosi da Kai e ritrovando il suo autocontrollo.

Il giapponese si sporse dalla balaustra, scrutando la scalinata.

-Kai eccoti! Che cacchio fai ….Brooklyn?- Takao spalancò gli occhi, guardando il ragazzo accanto al russo. La sua espressione aveva assunto una nota vagamente nervosa e preoccupata.

-Hey Takao!- Brooklyn sorrise gioviale e rivolgendo al ragazzo un lieve cenno del capo.- Io e Kai stavamo chiacchierando, ma tranquillo te lo lascio subito!- sembrava rilassato, come se non fosse stato appena colto in flagrante mentre molestava un altro ragazzo. La naturalezza con cui trattava Takao faceva presumere che fossero grandi amici, quando in realtà si erano rivolti la parola si e no due volte. Era evidente che era padrone della situazione e che non temeva la reazione di Kai.

Del resto il russo sembrava incapace di reagire. Fissava il pavimento respirando con calma, come se provasse dolore ad ogni contrazione del diaframma. Il corpo era innaturalmente rigido, e i pugni serrati.

A modo suo, Kai stava cercando di ritrovare la calma.

-Allora noi andiamo … - disse Takao, strisciando il piede a terra leggermente a disagio.-Sai è già tardi … poi la nota e … ecco … mio padre … l’eredità … ecco vado ...-

Brooklyn sorrise divertito di fronte al balbettio senza senso di Takao. Con un gesto del braccio fece loro segno di proseguire.

-Andate, non vi voglio sulla coscienza.- un nuovo sorriso ammiccante fece capolino sul suo volto.

Tentennante Takao afferrò Kai per un braccio e cominciò a risalire le scale, voltandosi di tanto in tanto per scrutare Brooklyn, ancora placidamente abbandonato sulla balaustra.

-Ah Kai è stato un piacere conoscerti.-


 

 

Boris afferrò una pila di magliette, per poi buttarle a casaccio nella valigia spalancata sul letto. Gli abiti più disparati si ammucchiavano senz’ordine in quello spazio ristretto. Il ragazzo non sembrava farci caso, completamente immerso nel suo lavoro.

Le sopracciglia aggrottate mostravano la sua preoccupazione, evidenziata dalla piega incerta delle labbra. Gli occhi, di un verde smeraldo, sembravano offuscati da nubi scure.

Intorno a lui regnava il caos più totale. Le ante degli armadi erano spalancate, il letto sommerso da una valanga di vestiti e il pavimento disseminato degli oggetti più disparati.

-Dove diavolo si è cacciato!?- Boris sollevò di colpo le coperte, rovesciandole a terra. Era alla disperata ricerca del suo passaporto, misteriosamente sparito in mezzo a tutto quel disordine.

-Accidenti … - borbottò nervoso, scostando una pila di libri dal comodino.

-Stai cercando questo?- il ragazzo alzò gli occhi di scatto, incontrando lo sguardo vagamente divertito di Eliza, che appoggiata allo stipite della porta gli sventolava in faccia il disperso.

-Sei la mia salvezza! – disse riconoscente, agguantando il passaporto e ficcandoselo in tasca, nel timore di perderlo ancora.

La ragazza sorrise, alzando i grandi occhi scuri  verso il soffitto con finta esasperazione.

-Me lo dicono tutti … - disse con finta noncuranza.

Con lentezza si fece largo nella stanza, per poi ricavarsi un angolo libero sul letto dove sedersi. Intorno a lei vi erano numerosi fogli sparpagliati e anche alcuni libri abbandonati sul cuscino. Quello spettacolo le metteva tristezza. L’idea che Boris se ne andasse era impossibile da accettare, non dopo tutto quello che avevano condiviso. Guardando la schiena china del ragazzo – intento a cercare una scarpa mancante- si chiese che cosa avrebbe fatto, cosa ne sarebbe stato di lei dopo la sua partenza. Ormai riteneva la presenza del suo fratellastro essenziale e non riusciva a capacitarsi di dover fare a meno di lui.

Già l’idea di doverlo perdere era terribile, ma la cosa che più la turbava era non aver ricevuto nessuna spiegazione, se non un laconico “ C’è una cosa che devo fare”. Oh beh grazie tante! Avrebbe fatto prima a non dirgli nulla.

Ma non era disposta ad arrendersi così facilmente. No signore … lei voleva una risposta e subito!

-Quanto ore di fuso sono più o meno? – la voce di Boris la riscosse dai suoi pensieri. La ragazza si passò pensierosa una mano fra i capelli, calcolando mentalmente le ore.

-Cinque ore? Più o meno … - chiese, tamburellando con l’indice sulle labbra. Boris riemerse da sotto il letto, con in mano la scarpa, annuendo appena.

-Sì più o meno … sì … non sono poi molte ... – un timido sorriso gli rischiarò il volto – Sopravviverò … -

 Eliza sospirò affranta, non sapeva se prenderla come una buona notizia. Mordicchiandosi incerta il labbro diede voce ai suoi dubbi.

-Hai intenzione di spiegarmi il motivo della tua partenza sì o no ?- si stupì di sentire una nota di isteria nella sua voce.

Boris abbassò lo sguardo, mentre un’espressione affranta gli incupiva il volto. Non era sua intenzione far soffrire Eliza, le voleva bene e avrebbe fatto di tutto per vederla felice … ma quella era una questione che riguardava lui, e lui soltanto. Non poteva coinvolgere nessun altro, non fino a che non fosse stato in grado di dare risposte sicure … e non semplici supposizioni.

Era conscio dell’importanza di quel viaggio, e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. La svolta che stavano prendendo gli eventi era troppo importante per potervi rinunciare.

-Eliza … ne abbiamo già parlato … - tentò impacciato di blandirla, giocherellando con l’orlo di una camicia.

-No Boris, non ne abbiamo parlato! Tu non mi hai detto nulla, se non qualche frase a caso senza senso! – Aveva alzato il tono di voce, quasi senza accorgersene. Sentiva già i primi segni della rabbia che lentamente prendeva possesso di lei. Le guance avevano assunto un colore rossastro e gli occhi erano più lucidi del solito, come se fosse sul punto di piangere. In realtà l’ultima cosa che voleva era farsi vedere versare lacrime per lui da Boris.

-Ti ho spiegato che è una faccenda complicata … - disse il ragazzo sollevandosi in piedi, e afferrando di scatto un mucchio di calze per poi lanciarle nella valigia.

-Non è una buona giustificazione per andarsene … così senza motivo … -le tremavano le labbra per il nervoso, mentre un fastidioso calore si propagava lungo il volto.

-Ho un motivo per farlo … un motivo più che valido! – Boris si stava arrabbiando. Odiava quando le persone interferivano nella sua vita, e se fino a quel momento ci era passato sopra trattandosi di Eliza, ora si stava veramente stufando. Lui non doveva rendere conto a nessuno delle sue scelte.

-E allora dimmelo! – esclamò lei spalancando le braccia esasperata.

Boris scosse piano il capo, passandosi una mano dietro al collo. I muscoli erano incredibilmente rigidi, e si contraevano al suo tocco.

-Non posso … - disse semplicemente.

Eliza annuì piano. Abbassando lo sguardo sulle proprie mani, strette in una morsa.

Quando – tanti anni prima – Boris era entrato a far parte della sua vita si era ripromessa di aiutarlo e di sostenerlo, di essere per lui un aiuto. Le cose nel tempo erano cambiate, e il loro rapporto si era solidificato. Anche se non nello stesso modo per entrambi.

Era lei quella innamorata fra i due. Era lei quella che rischiava di perdere una persona fondamentale per la sua vita. Era lei quella che avrebbe sofferto … non lui, solo lei.

A questo punto le sue priorità cambiavano. Il suo obbiettivo principale era stare accanto a Boris, che lui lo volesse o no …

-Bene. – cominciò, ostentando una sicurezza che non sentiva – visto che non vuoi darmi spiegazioni, dovrò passare alle maniere forti … verrò con te . – a quelle parole il silenzio piombò nella stanza.

Boris rivolse uno sguardo incredulo alla ragazza, che lo fissava decisa. Il russo tentò più volte di articolare una frase, ma le parole sembravano non volergli uscire di bocca. Uno macigno gli bloccava lo stomaco paralizzandolo.

-C-Cosa?!- riuscì a esclamare infine sconcertato. Non riusciva a credere in tanta sfacciataggine.

-E la soluzione migliore non trovi … - si limitò a dire Eliza facendo spallucce.

-No! – Esclamò lui guardandola incredulo- Dio … come riesco a farti capire che non voglio – non voglio !!! – che tu ti impicci in questa storia??!!-

-Sono tua sorella!- urlò lei alzandosi in piedi. Le prime lacrime le rigavano il volto, mentre le labbra erano scosse da vaghi tremiti.- Ho il diritto di essere preoccupata … diamine ti rendi conto che so a malapena dove vai!-  

-Sono un uomo non ho bisogno di te!- Boris fece un ampio gesto con il braccio come ad allontanarla .

-MA IO Sì!!-

Nella stanza calò il silenzio, rotto solo dai singhiozzi di Eliza. La giovane aveva entrambe le mani al volto, e sembrava parecchio sconvolta. Le spalle tremavano e sussultavano, facendola apparire molto fragile. Ed era così che si sentiva lei … fragile, debole e insicura. Quando avrebbe voluto che lui la vedesse come una persona forte e determinata.

Boris osservava la scena immobile. Incapace di fare qualcosa per consolare la ragazza, si sentiva di troppo. Come un intruso, un estraneo nel dolore altrui.

Impacciato si avvicinò al letto, afferrò la valigia, ormai finita, e fece per andarsene. Ma prima di uscire si chinò sulla giovane, sfiorandole appena la fronte con le labbra

-Mi dispiace … -

Senza aggiungere altro la lasciò sola.

 

 

Nel sogno il fuoco divorava ogni cosa.

Le fiamme consumavano tutto ciò che incontravano con il loro calore, lingue rossastre e aranciate si elevavano come bandiere scosse dal vento. Un caldo soffocante opprimeva l’aria, soffocando le gole aride alla disperata ricerca di ossigeno.  Un fumo scuro avvolgeva l’edificio innalzandosi verso l’alto e oscurando il cielo.

Gli alberi si schiantavano sotto la forza delle fiamme, i muri crollavano, i mobili esplodevano. Pezzetti di vetro perforavano l’aria, come armi mortali. Nell’aria risuonavano le urla delle sventurate vittime del fuoco, ce sovrastavano il frastuono del mondo che andava in pezzi.

C’era solo terrore, paura, disperazione … e fiamme … solo fiamme

La pioggia gli accarezzava la pelle surriscaldata. Le gocce fredde scivolavano indisturbate sul suo volto, come gelide lacrime. La felpa leggera che indossava, non bastava a proteggerlo dal freddo che gli perforava le ossa. Le mani erano ancora scosse da lievi tremiti, e anche i denti sembravano decisi a non smettere di battere.

Tutto per un colpa di un fottutissimo incubo! Come se non ne avesse a bizzeffe di sogni inquietanti, che lo sottraevano al sonno. Come se non fosse abituato a svegliarsi urlando, nel cuore della notte, con il cuore in gola.

Ma questa volta era stato diverso. Questa volta era tutto incredibilmente nitido, vivido e reale da fargli ancora accapponare la pelle al pensiero.

Odiava ammetterlo, ma aveva avuto paura. Aveva sentito il terrore strisciare verso di lui, e assalirlo a morsi.

Non era riuscito a rimanere in quella stanzetta claustrofobica. Dove gli sembrava non esserci abbastanza aria. Aveva bisogno di più spazio,di respirare liberamente, di sentire il freddo sulla pelle per convincersi di essere sveglio.

Ed ora eccolo lì sotto la pioggia, come un idiota, ancora spaventato,e a rischio di polmonite. Meglio di così non poteva andare …

Un soffio di vento lo paralizzò, scuotendogli i vestiti. Si strinse le braccia intorno al corpo, cercando di ignorare il freddo pungente.

Non poteva tornare indietro. Non era pronto ad affrontare la ramanzina di Tatsuya, e la sua preoccupazione. Nello stato in cui era avrebbe finito per commettere un omicidio.

Aveva solo bisogno di distrarsi, di non pensare. Anche solo per poco, di poter tornare a respirare liberamente.

Rabbrividendo infilò le mani in tasca, alla ricerca di un po’ di calore.

La mano destra venne a contatto con qualcosa di freddo e ruvido. Un foglietto di carta ripiegato più volte. Con cautela lo tirò fuori, aprendolo lentamente. Non ci fu nemmeno bisogno di leggerlo, conosceva a memoria le parole scritte  sopra quel pezzetto di carta.

Ora sapeva dove andare.

-yuriy ….-


Che dire?

Penso che ci starebbe “ che gran bordello!!!”. Concordo in pieno, questo capitolo è un mix indescrivibile di situazioni diverse. Come avrete notato è arrivato Boris!! Mi diverto un sacco a scrivere di lui, è un personaggio lineare e semplice, molto naturale … non come un certo russo di mia conoscenza ( Kai: parli di me?) … no certo che no!!^^

Per quanto riguarda Eliza, è un personaggio nato alle origini che o voluto mantenere. Non mi piace molto caratterialmente ma è necessaria per la storia!! XD

Comunque sappiate che Rei mi sta parecchio sulle scatole, ma purtroppo lo vedo benissimo come amico di Kai, quindi dovevo avvicinarli. Sappiate che non mollo qui la storia con Mao,mi piace pensare che la mia storia sia articolata e non a trama unica …

Eh Brookliyn!!! Il mio amore è arrivato … finalmente parliamo di lui, il piccolo, dolce, innocente Brook … seee come no …

Direi che non ho altro da dire se non RECENSITE IN TANTI!!!

E un grazie a tutti coloro che mi hanno seguito fino a oggi, e che mi perdoneranno per questo immenso ritardo … sorry -_-

Alla prossima XD


 

 

 

 

 

 

 

 

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