Lacrime e scarabocchi

di Willy Wonka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lacrime e scarabocchi ***
Capitolo 2: *** Il riflesso è figlio unico ***



Capitolo 1
*** Lacrime e scarabocchi ***


Buonanotte Lacrime e scarabocchi


“E prendimi la canzone, e guarda se va bene, e modificala nel ritornello, e provala alla tastiera… comincio a  non sopportarlo più! Sembra che non l’abbia capito che sto attraversando un periodo schifoso” borbottò Nick percorrendo il corridoio dell’albergo a pugni stretti. Si era appena lasciato alle spalle l’ennesima relazione andata male, l’ennesima litigata, l’ennesimo fallimento. Ma Simon sembrava non gliene fregasse niente, anzi, lo mandava pure in giro a fare i propri comodi mentre lui era chissà dove! Era furioso, decisamente fuori di sé, e se lo avesse avuto lì davanti avrebbe tanto voluto tirargli un pugno sul naso. E non era tutto: per completare la giornata in bellezza, si erano messi in mezzo pure John e Roger che non facevano che compatirlo, e che gli facevano ribollire il sangue nelle vene. Voleva tanto bene a tutti, ma quando si sentiva dire cose del tipo “Nick mi dispiace”, “Nick se vuoi parlare io ci sono”, “sei un uomo eccezionale, era lei che non capiva chi eri veramente” la rabbia aumentava, e tutto finiva in una bella litigata. Simon invece se ne stava zitto, gli dava una pacca sulle spalle, lo guardava, a volte sorrideva. E se ne stava in silenzio.
Raggiunse la stanza di Simon ed inserì la chiave prestatagli da quest’ultimo. Quando aprì la porta, lo scenario fu terrificante.
“Oh Cristo…”
C’erano cartacce ovunque, per terra, sul letto, sulla scrivania, sulla sedia.
“Accidenti… detesto quando a Simon viene l’estro creativo!” brontolò facendosi spazio fra tutto quel casino.
“Allora… ha detto che c’era una canzone sulla scrivania… fortunato chi la trova!”
Buttò a terra qualche pagina spiegazzata e fogli appallottolati, fino a quando non trovò un foglio a righe sopra al quale troneggiava un "Nicky!!!! Questa canzone spacca di brutto!!!!" con accanto un orrido scarabocchio di due pupazzetti che si tenevano a manina. O meglio, di un mostriciattolo dalla faccia da ebete con una... macchina fotografica? (boh) e uno ancor più ebete con quello che sembrava un microfono in mano. Gli si raggelò il sangue nelle vene. Oooh Gesù.




"S-sì... è decisamente questa".
Fece per voltarsi ed andarsene, quando sempre sulla scrivania non posò lo sguardo su un foglietto azzurro piegato e ripiegato più volte, uno spazio color cielo riempito di parole, fra le quali il musicista vi ritrovò stupito anche il suo nome. “Chissà che diavolo vorrà farmi suonare quel pazzo” pensò prendendo il pezzo di carta e mettendoselo in tasca.
“Se c’è il mio nome sopra, allora vuol dire che mi riguarda. Prima che mi faccia scherzi in sala registrazione, voglio sapere che strambe idee ha per me” pensò richiudendosi la porta alle spalle.
“tanto lo so che finirò per litigare anche con lui”.
Raggiunta la sua stanza vi si rintanò dentro con una velocità pari a quella di un fulmine. A pensarci bene non era stata una cattiva idea quello di mandarlo a prendere la canzone per controllarla e modificarla, così almeno poteva occupare il tempo a non pensare alla sua malinconia, ma soprattutto era la scusa tanto aspettata per non vedere nessuno. Stava male, soffriva di un malessere che nemmeno lui stesso era capace di spiegarsi, ma manifestava il turbinio di emozioni che gridava ed impazzava dentro di lui in un modo solo: isolandosi. Aveva sempre fatto così, e così fece anche quella volta.  Non voleva far vedere a nessuno quanto si sentiva inutile per la comunità, quanto si giudicava stupido e senza speranza, quanto si accusava di essere anomalo e destinato ad una vita senza amore. Ad essere solo. Sì, si sentiva maledettamente solo al mondo.
Sbuffò sedendosi alla piccola scrivania decisamente più in ordine rispetto a quella che aveva appena tristemente visto, e decise di tirare fuori dalla tasca la canzone con la quale Simon lo tormentava da mesi. Lesse il testo un po’ a fatica a causa delle innumerevoli cancellature e dei tagli feroci sparsi un po’ ovunque, ma tutto sommato non era niente male. "Falling down... sì, non male come titolo. Bravo Charlie" disse più che altro a se stesso. Però la canzone andava ritoccata, così decise di metterci del suo riscrivendo tutto in un altro foglio ben più ordinato, visto che quello aveva già patito abbastanza sofferenze. Camminò in su e in giù per quella stanza facendosi venire delle idee, picchiettandosi il mento con la penna per disperdersi nei suoi sogni e nelle sue idee più strambe. Dedicò parte dei suoi pensieri anche alla base, che doveva essere ad effetto e in concordanza con le parole. Infine, dopo circa un’oretta, riuscì a terminare il lavoro, e come accadeva solo pochissime volte nella sua vita, si sentiva soddisfatto. Si stiracchiò le ossa mugugnando, per poi commettere l'errore di posare gli occhi su quel cielo newyorkese incorniciato dalla finestra dell'albergo. Fra i vari e splendenti grattacieli si poteva scorgere una grande macchia d'immenso che andava via via scurendosi per cedere il posto alla sera, una pennellata di blu chiaro che inghiottiva le nuvole soffici e una pallida luna. Da piccolo credeva che le nubi fossero di cotone, come quel cotone che arrotolavano su uno stecchino al Luna Park e che sapeva di zucchero. E' così dolce sognare, ma quando ti svegli, la vita reale ti colpisce in testa senza che tu le abbia fatto nulla di male, ed aprendo gli occhi ti accorgi che le nuvole non sono fatte di quello che sembrava così ovvio, e che alcuni di noi non meritano zucchero, nè tantomeno amore. Questo era il giudizio che come un pipistrello svolazzava sconsolato nella sua mente, questo era ciò che si sentiva. Uno dei tanti. Uno. Punto.
Si allontanò dalla finestra giusto per guardare un paio di foto nella sua macchina digitale che poco dopo si infilò nella tasca dei pantaloni. Fu in quel momento che le sue dita sottili percepirono la rugosità della carta, una sensazione che gli fece ritornare alla mente il misterioso foglietto targato "Nick" precedentemente "preso in prestito". Così, incuriosito ma anche spaventato da cosa potesse mai essere saltato in testa al suo amico, lo tirò fuori e lo spiegò. Lo lisciò per bene sulla scrivania, mormorando qualcosa che sembrava un “come diavolo tiene le cose quello lì”. Miracolo. Non un taglio nè una correzione, nemmeno un minuscolo scarabocchio idiota di loro due in qualche angolino. Persino la scrittura era leggibile, tanto che inizialmente gli balzò l'idea che non fosse stato Simon a scriverci sopra. Ma ponendo ben bene l'attenzione su quelle f così incurvate e le n e le m così soffocate, non vi era di certo discussione: la calligrafia era la sua. Prese in mano il testo e cominciò a leggere più insospettito di prima.
 
-Tu che sai di vento.
Tu che se ti vengo vicino tremi, e sai di ambra e miele mescolati insieme, e ti sfioro con i miei sogni ripensando a quel vento.
Tu che mi fai sentire come se fossi immerso in un campo di grano.
Tu che suoni il pianoforte, e mi spingi a desiderare di essere ogni singolo tasto.
Tu che non parli, che mi controlli, che ti preoccupi, e mai di te stesso.
Mi piace quando ridi, punto. Quando stendi quelle labbra velate di trucco e scopri un sorriso spontaneo e che spesso non comprendi. Dio, mi fa impazzire.
Tu che nella mia mente rovesci cassetti, getti a terra libri, che mi guardi veloce e mi fai impazzire di nuovo.
Tu che sotto la pioggia hai tirato sassolini alla mia finestra e non avevi dove stare, o lo avevi, ma mancava l’amore.
Tu che avevi freddo, tu che non capisci che ora sono io ad avere freddo, già da un po’.
Tu che possiedi delle labbra che mi tormentano, e vorrei tanto, tanto sapere di cosa sanno.
Tu e i tuoi occhi, verdi e magnetici, che attirano qualcosa in me quando ti passo davanti.
Occhi profondi che mi fanno capire sempre chi sei, occhi allegri che mi fanno capire che soffri.
Fotografi il tuo mondo: ingrandisci, metti a fuoco, ed imprimi ciò che ami su un pezzo lucido di carta.
Tu che sei alla ricerca di qualcosa che ti dia pace. Che inconsapevolmente fai di tutto per spingermi ad amarti. Per farmi desiderare di essere quel pianoforte.
Mi manca sempre il coraggio di dirti che vorrei renderti felice ogni tanto, giusto per rivedere il tuo sorriso. Tu che ti senti solo. Come potrei avere la presunzione di abbracciarti, o consolarti, o farti stare meglio? Chi sarei io per fare questo? Vorrei solo poterti sospirare all'orecchio, mentre piangi la notte (ti sento soffocare il pianto nel cuscino...), che sei solo perchè sei unico. Che sei unico perchè sei una cosa rara. Che sei una cosa rara perchè sei semplicemente Nick Rhodes. E che splendi, qualunque cosa ti dicano gli altri, tu splendi. Sempre. -
 
A Nick scappò una lacrima che scese lungo la sua guancia, si fermò appena sulla punta del mento, e cadde a bagnare quel pezzetto di carta che aveva in mano. Non si accorse nemmeno che aveva portato una mano alla bocca in modo che il palmo potesse nascondere le labbra, quelle labbra morbide che tremavano e non sapevano che dire. Le sue iridi verdi erano ferme su quelle righe, due iridi scintillanti in uno sguardo che si faceva lievemente arrossato. Tirò su col naso, giusto per rendersi conto che era ancora sul pianeta terra e non da chissà quale altra parte. Non si era mai sentito così debole, così bisognoso di appoggiarsi alla scrivania per non cadere. Si sentì improvvisamente un bambino con un calore dentro che non riusciva a spiegarsi. Portò un dito al suo volto, e si accarezzò una guancia. Osservò la punta del suo indice: bagnata. Non riuscì a formulare pensieri logici se non quello che stava piangendo davanti a delle parole d’inchiostro.
 
 
 
Rientrato da poco nella sua stanza d'albergo Simon provava una canzone seduto a gambe incrociate sul suo letto disfatto. O meglio, improvvisava qualcosa strimpellando con la chitarra prestatagli da John, in cerca di buone idee che non si facevano mai acchiappare. Sbuffò grattandosi disperato la guancia sulla quale campeggiava la barba, e continuò sperando che prima o poi qualcosa di buono potesse pur saltare fuori. Cominciò a canticchiare delle parole a caso che potessero adattarsi a una melodia totalmente improvvisata e nemmeno molto orecchiabile. Sentì una nota che non voleva sentire, così si armeggiò a stringere le corde, stringere e stringere, fino a quando, con un suono acuto che non prometteva nulla di buono, la corda della chitarra non saltò via per arricciarsi appena e penzolare sconsolata. Gettò lo strumento sul letto in malo modo, borbottando che quella chitarra non valeva niente e cose del genere. Si buttò sul materasso sfinito ed insoddisfatto, fissando il soffitto di quella camera d’albergo e desiderando con tutto se stesso di trovarsi altrove. Quando improvvisamente non sentì un colpo sordo, si alzò di scatto e non vide la porta della camera aperta. In piedi sulla soglia stava Nick. Quando vide i suoi occhi gonfi e la sua espressione disperata si sentì come paralizzato. Ma fu quando notò che in mano aveva un foglio azzurro, quel foglio azzurro, che si sentì morire. Gli si fermò il fiato in gola, ed andò come in tilt. Guardò Nick annegando nella paura, poi fissò il foglietto e poi ancora Nick. Ben presto alla paura fece spazio l’imbarazzo.
Voleva parlargli, voleva giustificarsi o per lo meno inventare qualcosa che avesse senso, ma non riusciva a dire una sola sillaba. Tentò di aprire la bocca, ma ne uscirono solo suoni incomprensibili.
In piedi davanti a lui, Nick respirava veloce, cominciava a tremare, e non faceva che guardarlo.
“S-Se è uno scherzo bastardo io-”
Ahia, brutto, brutto inizio. Simon quasi sbiancò in volto.
"Cos-? No no no è... ah..." doveva darsi una calmata. Ma soprattutto doveva, per quanto potesse riuscire a convincerlo, chiarire la situazione.
“N-Nick” riuscì a dire infine “posso spiegarti, p-per davvero, posso spiegarti. Io ho scritto quelle… cose, e non so nemmeno che diavolo siano, se una canzone o una poesia o una stu-”
Pensi davvero ciò che hai scritto?” lo interruppe il musicista con una voce che non si poteva più definire tale, bensì un fragile sussurro. Alzò la mano nella quale stava il foglio.
Simon si zittì. Si perse nel suo sguardo pieno di lacrime ed abbassò il capo, sconfitto. “… sì”.
Nick chiuse gli occhi disperato, appoggiò un gomito allo stipite della porta per sorreggersi il capo, e con la mano che affondava fra i capelli biondi, rivolse nuovamente il suo sguardo verso l'amico, uno sguardo ancor più arrossato e dal quale cominciava ad uscire un pianto. “…giuramelo”.
“Lo giuro…” disse sottovoce il cantante. Si sentiva terribilmente in colpa, e il perché sinceramente non lo sapeva.
Vide Nick entrare nella stanza, vide Nick a testa bassa, vide Nick sedersi sul letto accanto a lui e guardarlo dritto negli occhi.
“Quando mi sento solo faccio delle foto… o suono la mia tastiera…” disse liberando le lacrime silenziose sul suo volto. Guardò Simon, lo guardò sofferente. “…ma a volte questo proprio non basta”  finì scuotendo la testa e scoppiando in singhiozzi proprio davanti all’altro. “Perdonami…” sussurrò “… Charlie perdonami…” Questo lo prese fra le braccia e lasciò che si abbandonasse sulla sua spalla, sul suo corpo. Lo abbracciò cercando di tenerlo fermo, ma tremava e sussultava a causa di un pianto devastato, un pianto che lo scuoteva e lo faceva respirare a scatti. “… m-mi comp-porto da bamb-bino-
“Shhh, calmati ora…”
C-Charlie…
“calmati…”
S-stai piangendo anche tu…
“Ma no, che dici…”
Ma Nick si spostò appena da lui, quanto bastava per vedere il suo volto arrossato e rigato dalle lacrime. Tutto quello che il cantante sentì fu un brivido. Giù, per tutta la spina dorsale. Le mani sottili di Nick si posarono sulla sua guancia, sentiva che lo chiamava a sé con timidezza. Percepì il suo respiro caldo sulla sua pelle, fino a quando le sue labbra non furono accarezzate da quelle morbide e gentili dell’altro. La punta della sua lingua sfiorò piano quella del tastierista, fino a quando quest’ultimo non sentì il corpo dell’altro rilassarsi e abbandonarsi completamente a quel bacio. Che buon profumo hai, avrebbe voluto confessargli Simon. Era una strana sensazione per entrambi, ma era piacevole, era confortante. E in più Nick baciava alla grande, di questo Simon ne era certo. Le dita del minore si persero fra i suoi capelli, lo coccolarono, e il cantante si sentì prima morto e poi resuscitato. Gemette rapito dal gusto dell’altro. Quando i due si staccarono per riprendere fiato, Nick si appoggiò contro la fronte dell’altro, lasciando che entrambi rimanessero ancora con gli occhi chiusi e dispersi nel loro turbinio di fantasie.  Un suo sussurro ruppe il silenzio.
…di cosa sanno?” 
Simon si leccò il labbro inferiore, se lo morse, poi sorrise a pochi centimetri dalla bocca dell’altro.
mela caramellata
Alle orecchie di questo arrivò il suono di un sorriso.
“Mmmh…” mugugnò Nick incuriosito. Inclinò la testa quanto bastava per posarsi sul suo incavo, poi prese a far scorrere la punta inumidita della lingua sulla pelle morbida e fresca del suo collo, violandolo con la sua saliva in maniera tanto indecente da far saltare alla mente di Simon pensieri che non possono esser detti.
"A-ahn..."
Ritornò ad osservare il più grande che era in uno stato di estasi e che ancora lo racchiudeva fra le sue braccia. Si fece pensoso, poi sospirando scosse il capo arreso.
“Mi dispiace Charlie, ma non sei buono come me”
“Va al diavolo Nicolas!” esclamò l’altro ridendo.
Stettero abbracciati ancora per un po’, fino a quando Simon, preso un po’ dalla stanchezza, non si stese sul letto sistemando la chitarra di John ai piedi del materasso e lasciando che Nick reclamasse spazio per potersi accucciare accanto a lui. Mentre il cantante gli accarezzava con dolcezza i capelli, l’altro gli cinse la vita con un braccio ed ascoltò il cuore battere sotto al suo orecchio.
“Mi domandavo” disse “se potevo rimanere a dormire con te stanotte…”.
A Simon scappò un sorriso comprensivo e triste allo stesso tempo, gli diede un leggero bacio sui capelli e tirò un sospiro con gli occhi serrati e la punta del mento appoggiata ai suoi ciuffi biondi.
“Ho capito… non posso” sorrise amaramente l'altro.
Nessuno dei due ebbe voglia di pensare a cosa avrebbero detto gli altri se li avessero trovati insieme nello stesso letto, o peggio ancora cosa avrebbero detto i giornali o i fans. Niente sarebbe stato come prima. E così, per il bene di entrambi, per il bene dei Duran Duran, Nick si alzò facendo scricchiolare le molle del materasso, si sistemò la giacca e si avviò verso la porta.
Simon si mise a sedere a gambe incrociate sul letto, guardando l’altro afferrare la maniglia per rinchiudersi nella propria camera.
Delle parole ritornarono a girare nella mente di Nick.
La vita reale ti colpisce in testa senza che tu le abbia fatto nulla di male, ed aprendo gli occhi ti accorgi che le nuvole non sono fatte di quello che sembrava così ovvio.
“Aah Nick…. ecco volevo dirti che, se per caso ci capita di uscire insieme, chessò magari per comprare delle corde nuove a John, sì ogni tanto… uhm…ecco… mi piacerebbe tenerti per mano”.
Ma forse per una volta, almeno per una volta, Nick si sbagliava.
Lasciò andare la maniglia e si voltò verso un Simon arrossito in volto e imbarazzato da morire. Una cosa rara. Inclinò leggermente il volto perdendosi in quell’uomo, sorridendo, e ritornando magicamente bambino.
“Voglio farti una foto”
“Uh? C-come?”
Prese dalla tasca la sua piccola macchina digitale, la puntò verso il cantante e prima che questo avesse il tempo di mettersi in una posa decente premette il tasto dello scatto, fissandolo lì, su un pezzo lucido di carta. Dopodiché la rimise in tasca e lo guardò ancora una volta con il cuore che gli impazzava in petto.
“Buonanotte…” bisbigliò prima di chiudere la porta.
“Buonanotte” rispose Simon vedendolo sparire. Si lasciò cadere all'indietro, e non smise di sorridere.

 













AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH MI CI E' VOLUTO PIU' TEMPO PER CAPIRE COME SI INSERISCONO I MIEI DISEGNI CHE ALTRO.




Perdonate lo sclero :B




Comunque, rieccomi qui, ancora una volta con i Duran Duran.  Ancora una volta con una storia smielosa. Ancora una volta con Simon e Nick. Uhm °--°  forse dovrei piantarla.
Spero che la storia vi piaccia, ma piuttosto, spero che venga letta X°D
Non saprei che altro aggiungere. Nick hai qualcosa da dire?

N:"Sì. Sono disgustato dai disegni di Charlie".
S:"Gnegnegnegnegnegneh."
N:"..."



BENE.

 

No a parte gli scherzi, auguro a Nick di riposarsi il più possibile e di rimettersi presto in sesto, ti vogliamo un gran bene Nick!!!! Get better soon! <3

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Capitolo 2
*** Il riflesso è figlio unico ***


Il riflesso è figlio unico



“Simon!!!!! Dannazione!!!”

“John aspetta è la chitarra che- “
“Aaah sei sempre il solito! Non ti presto più niente! ROGER! Ricordami di non prestargli più niente!”
E Roger, dalla bocca piena della brioche alla crema che stava mangiando, guardò il bassista come un ladro che è stato colto in flagrante, per poi guardare il povero Simon con occhi pieni di comprensione.
“Ma nooooo John ti sbagli, tutte le chitarre hanno cinque corde, eh!”
“Che??? Tu vuoi dire a me che le chitarre hanno cinque corde??!!”
“Ma certo! Pure il tuo basso ne ha cinque!”
“Quattro!”
“E vedi? Una corda in meno, che male c’è. Non gliene frega a nessuno”
Roger si coprì gli occhi con una mano.
Fu proprio in quel momento che nella sala da colazione dell’hotel fece capolino Nick, con i capelli tutti arruffati e due palpebre pesanti che dolcemente reclamavano altro riposo. Percorse la sala facendo attutire i suoi passi su una morbida e costosissima moquette rossa, e la sua attenzione era tutta rivolta verso quell’invitante profumo di caffelatte e brioches calde che riempiva l’aria della mattina. In fondo alla stanza sentì due persone gridare come matte: “Trovati” pensò con un sorrisetto.
“E Nick?” chiese Roger giusto per tentare di troncare la discussione e fermare John che tirava abbondanti manciate di cereali a un Simon che urlava e strizzava gli occhi come un bambino di cinque anni.
“Nick è qui” rispose egli stesso spuntando da dietro il batterista, rallegrato di vederlo. Sbadigliò sonoramente stiracchiandosi le ossa, infine prese lo schienale della comoda sedia e lo tirò verso di sé per sedersi proprio di fronte al cantante che implorava pietà.
“ ’Giorno a tutti… mi avete lasciato qualcosa?” disse con voce impastata dal sonno.
“Qui c’è roba per un armamento” rispose Roger passandogli un piattino con delle fette biscottate ricoperte da marmellata di tutti i tipi e colori. Il tastierista ne prese una e ne azzannò un angolino combattendo, morso dopo morso, la voglia di crollare dal sonno lì sul tavolo, fino a quando i suoi occhioni verdi e stanchi non si posarono su Simon davanti a lui. Rimase a fissarlo perplesso.
“Lo sai che hai dei cereali tra i capelli…vero?” esclamò a bocca piena e con ancora la fetta biscottata in mano “… che li mangi tutti?”
Simon fece una smorfia che fece crepare Roger dal ridere, mentre Nick, scrupolosamente, cominciava a prendergli i cereali dai capelli e a mangiarseli uno a uno.
“Come le scimmie!” esordì John a braccia conserte, ancora ricolmo di rabbia per la sua chitarra.
“Ma dai John, sono anche i miei preferiti” rispose il tastierista indaffarato nella sua esplorazione “prova le stelline alla vaniglia”
Il bassista lo fissò con occhi ridotti a fessure, per poi osservare con lieve curiosità Simon, una povera vittima che stava per tirare qualcosa dietro a Nick. Allungò una mano verso di lui, prese una stellina dalla sua chioma e se la mangiò.
“E’ buonissima!” disse cambiando totalmente umore.
“Te l’avevo detto” continuò Nick tutto rivolto verso Simon, che questa volta aveva non una, ma ben due persone che gli mangiavano dai capelli, ed apprezzavano pure.
“Aspetta ci metto un po’ di latte”
“PIANTATELA  ADESSO!!!” esplose fermando John che già era pronto a versargli il latte in testa.
Roger dal canto suo non la smetteva più di ridere a vedere quei tre pazzoidi farsi la guerra l’un l’altro. Rideva talmente di gusto che aveva smesso persino di fare colazione.
“Pagliacci!!!”
“Ma solo un po’ di latte!”
“Ho detto basta!!!”
“Mettigli anche il cacao!”
“Buono quello!”
“E la panna! La panna!!”
Simon minacciò ad alta voce di lasciare il gruppo, per poi alzarsi e scrollarsi gli ultimi cereali rimasti dai capelli.
Dopo altri cinque minuti buoni di battibecchi e risate che avevano infastidito un paio di clienti snob seduti accanto al loro tavolo, i quattro decisero di ritornare ognuno alle proprie stanze per fare una doccia e sistemarsi come si deve. Simon, giunto da poco al secondo piano ed intento a girare la chiave nella toppa della sua porta dipinta di bianco, vide Nick salire le scale stropicciandosi gli occhi e percorrere il corridoio per raggiungere la stanza a lui destinata, che stava proprio tre porte più in là rispetto a quella del cantante. Per quelli che furono pochi secondi gli occhi color oceano si posarono fulminei su quelli color bosco dell’altro, credendo fermamente che quest’ultimo non lo avesse nemmeno notato. Ma una cosa che Simon doveva tenere a mente era che ai fotografi non sfuggiva mai nulla. Così il tastierista gli passò davanti facendo finta di niente, ma intascando in realtà quel piccolo attimo di libertà che avevano appena vissuto insieme.
Rinchiusi nei rispettivi bagni, entrambi si lasciarono coccolare dal getto della doccia, lavando via il sonno, per poi darsi un’accurata sistemata allo specchio che campeggiava sulla parete di fronte alla cabina.
Spesso in momenti come quelli Simon si concedeva qualche minuto per viaggiare con la mente verso le cose più disparate, anche verso tutto ciò che riguardava sé stesso.
Si pettinò con le dita  i capelli all’indietro e si perse a guardare il proprio riflesso in quella lastra di vetro appannato dal vapore; ci passò sopra una mano in modo da vedersi più chiaramente, e rimase lì, a contemplare la sua figura avvolta per metà da un asciugamano da chissà quanti soldi. Osservò le goccioline d’acqua raccogliersi sulla sua pelle fresca, fece scorrere l’indice sulla guancia punteggiata dalla barba accorgendosi che gli era appena saltata in mente un’immagine di Elvis.
Cosa rifletteva quello specchio? Questo si chiese senza distogliere gli occhi da se stesso.
Ruotò leggermente il polso arrivando a sfiorarsi le labbra morbide e sensuali per alcuni, appena screpolate al centro, per poi accarezzarsi pensoso il mento bagnato.
Aprì lievemente la bocca accorgendosi degli occhi di quell’immagine riflessa, emisferi blu chiaro che sembravano così ridenti e così malinconici allo stesso tempo. C’era chi ci vedeva le onde del mare dentro, un mare salato e cristallino, limpido come un cielo in estate ed innocuo come la luce della Luna. Abbassò le palpebre con quella sua tipica espressione di quando era serio e concentrato, con quello sguardo che lo rendeva dannatamente enigmatico, impenetrabile in tutta la sua figura, e che ti sconvolgeva totalmente i pensieri.
Che ci trovava, in fin dei conti, la gente in lui?
Dipinse coi pensieri immagini di colorati concerti fino a tardi e case discografiche pronte ad ingoiare i loro album nuovi di zecca.
Sarebbe durato?
E quelle palpebre che lo rendevano un ingenuo bambino racchiusero improvvisamente un mare in tempesta, una spiaggia presa a frustate da onde d’inchiostro cariche di pioggia ed arricciate dalla schiuma, un cielo blu notte che minacciava di fare a pezzi i satelliti.
La sua mano esperta scese fino alla gola, e terminò il suo cammino. Eccola lì, l’unica cosa che gli rimaneva. Tolta quella, era uno, nessuno, centomila. Era dimenticato. Era l’ormai superato Simon Le Bon, era quel cantante carino e dalla faccia paffuta che campeggiava nei poster delle ragazzine negli anni 80, e che ora aveva passato il testimone ad altri gruppi, ad altri frontman bellocci e dallo sguardo languido. Il mondo cambiava là fuori, lui invecchiava lì dentro, e chissà, forse nemmeno più la voce avrebbe potuto salvarlo. Lui, i Duran Duran, il New Romantic che cercava un tv sound, erano roba passata, spazzatura che probabilmente interessava solo i più nostalgici. Ciò in realtà non lo deprimeva più di tanto, ma lo metteva quasi in guardia, suonava come un campanello d’allarme che gli ricordava che quando si raggiunge l’apice del successo, dopo non si può far altro che scendere, un poco alla volta. Forse i pionieri dei lontani anni 80 dovevano rimanersene là, perché nei tempi odierni, sebbene saltellassero ancora da un capo all’altro del palco e cantassero con tutta la loro potenza, mascheravano un senso di disadattamento in un mondo che non era loro, in un’epoca a loro quasi sconosciuta. Erano tante piccole trottole che giravano e non sapevano più dove andare, tanti vecchi giocattoli che le nuove generazioni nemmeno conoscevano. Pensò questo, immaginandosi di guardare allo specchio i Duran Duran. Pensò questo, iniziando a canticchiare una magica canzone di quegli anni d'oro.
"All around me are familiar faces, worn out faces, worn out places..."

Restò a scrutare il riflesso di quell’uomo che forse non capiva appieno, bisbigliando con voce velata che Nick non era l’unico, non era l’unico a sentirsi ormai uno dei tanti, sebbene ben sapesse che da alcuni fosse considerato attraente e ancora pieno di carisma.
Qualcuno d’improvviso bussò alla porta, e fu costretto a precipitare nella realtà per rivestirsi di tutta fretta ed andare ad aprire.
 

 






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 Sjnjkvsndjvnjwnjknbjnsjrgunjsguh, che volete, amo gli anni 80 ç-ç *fissa il suo taglio di capelli

PERCHE' NON POSSO VIVERE QUEGLI ANNI???????  
Anywaaaay, spero che la storia vi piaccia, ho aggiunto un nuovo capitolo ma ancora non so se continuerò -w-




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R: "Detesto quando litigate tu e John"
S: "Tranquillo Roger, non sarà mai peggio di quella volta alla conferenza anni 80"

*alla conferenza dei gruppi anni 80*

J: " D:< Non mi incanti sai, tu ti sbaciucchi con tutti quelli che ti  capitano, Snoffy, Al, Lio"
S: "DDD:"
J: "Little Moe, sì proprio lui lo zoppo, Cif, Mony Bob, NICK"
N: "oAo"
*tutti gli anni 80 si girano verso di lui
N: "No! non è vero!!! OAO"
*Roland tossicchia
*Nick piange


Solo quelli che hanno visto il mitologico Mamma ho riperso l'aereo possono capirlo X°°°D

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