Due qualunque nella leggenda

di Roxette
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sera tra l'1 e il 2 marzo - 1 ***
Capitolo 2: *** La sera tra l'1 e il 2 marzo - 2 ***



Capitolo 1
*** La sera tra l'1 e il 2 marzo - 1 ***


1

Chiedo scusa già in partenza per le incoerenze e cose che magari non corrispondono al vero in questa fiction che non so nemmeno se vale la pena di continuare.. Chiedo davvero scusa, ma non ho mai letto i libri di Moccia e nemmeno ho mai visto i film..

Non voglio offendere nessuno e niente, voglio solo farvi vedere cosa, questa notte, mi è venuto in mente di scrivere dopo aver sentito le notizie ai telegiornali.

Spero interessi, sennò, sono pronta per le critiche. ^^”

Due qualunque nella leggenda

La sera tra l’1 e il 2 marzo

Ogni giorno, passavo davanti a quel lampione e mi tornava a memoria..

Quella volta io..

Per la prima volta, mi innamorai davvero…

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Roma/ Tranciati i "lucchetti degli innamorati" di Ponte Milvio

Venerdí 02.03.2007 15:00


I lucchetti degli innamorati, che nei giorni scorsi avevano suscitato polemiche tra i residenti del quartiere di Ponte Milvio, sono spariti nel corso della notte dal lampione dove erano agganciati. La moda per gli innamorati di attaccare i lucchetti nel lampione di Ponte Milvio per poi lanciare la chiave nelle acque del Tevere era stata rilanciata da un romanzo di Federico Moccia da cui è stato tratto l'ultimo film "Ho voglia di te". Il lampione con tutti i lucchetti agganciati è stato anche ripreso nell'ultimo video di Tiziano Ferro. Contro la presenza dei lucchetti era stato anche creato un comitato di quartiere. Questa mattina alcuni passanti hanno notato che erano stati staccati tutti i lucchetti della parte inferiore del lampione e a terra sono rimaste alcune tracce della catena andata a pezzi. Sul posto in mattinata sono intervenuti i vigili urbani del XX Gruppo.

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Friday, February 09, 2007

Tre metri sopra il cielo fa ancora tendenza.

Tre metri sopra il cielo fa ancora tendenza.

Proprio di fronte al ponte che ispirò il libro da cui ha preso vita il film,
continua a vivere la tradizione, per gli innamorati, di incatenare lucchetti intorno ad un lampione per sancire il loro legame in eterno .... gettando la chiave nel Tevere!

Come se non bastasse il carico di rifiuti tossici e non nelle acque del povero fiume, ci si mette anche la nuova moda a recare danno all'ambiente.
Per dimostrare al mondo e a se stessi di essere innamorati, i moderni Romeo e Giulietta, hanno pensato bene di addobbare i lampioni di Ponte Milvio (la prima menzione del ponte risale al207 A.C.) con una selva di lucchetti firmati.
Oltre a deturpare il ponte in questione, oramai considerato un monumento, la tradizione vuole che, sempre per lasciare un segno nell'eternità del proprio amore, le coppie debbano gettare la chiave del Tevere, con le ovvie conseguenze per le acque del fiume.
Tanto non importa sempre lungo gli argini sono presenti nell'ordine: carcassa di vespa, carcassa di cariola, radioline e chi più ne ha più ne metta!
Una volta ci si scambiava l'anello e una promessa, ora oltre alla promessa che, considerando le statistiche il più delle volte non viene mantenuta, si acquista un lucchetto dal ferramenta e il gioco è fatto: milioni di cittadini sapranno, passando sul ponte, che per esempio 'Antonio e Sara stanno 3 metri sopra il cielo e si amano per sempre come marito e moglie' ... sarà colpa della crisi?

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Ponte Milvio, un lucchetto per giurarsi amore eterno

Sulla scia del successo del libro di Moccia, il luogo storico è diventato meta degli innamorati: da diversi anni è consuetudine delle giovani coppie, mettere un lucchetto sul lampione e gettare le chiavi nel Tevere

Roma, 14 febbraio 2007 - È uno dei più antichi e, storicamente, dei più importanti ponti di Roma e ora è definito anche il luogo degli innamorati. Da diversi anni a Ponte Milvio, grazie soprattutto al successo editoriale di "Tre metri sopra il cielo", è consuetudine delle giovani coppie scrivere i loro nomi su un lucchetto, chiuderlo sul lampione centrale del ponte e gettare le chiavi nel Tevere, in modo che nessuno in futuro potrà spezzare il sentimento che li unisce. L'usanza sembra essere stata iniziata dagli allievi ufficiali della Scuola di Sanità in Costa San Giorgio, che al congedo legavano il lucchetto del loro armadietto su qualche appiglio del ponte per poi ritornarci con la propria ragazza e la medesima tradizione esiste anche sul Ponte Vecchio di Firenze, dove veniva utilizzata la cancellata del monumento dedicato a Benvenuto Cellini.
Contagiato dal successo del rito anche il XX Municipio che ha promosso il concorso "San Valentino a Ponte Milvio": una giuria di Vip premierà l'email o sms più romantico inviato dal 16 gennaio fino al 9 febbraio. Al vincitore verrà consegnato un lucchetto d'oro e due biglietti per la tappa romana del concerto di Tiziano Ferro.

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Da sempre una tra le mete predilette degli innamorati, sull'onda del successo del libro di Federico Moccia "Tre metri sopra il cielo" e dell'ultimo video di Tiziano Ferro il ponte dell'amore è diventato una vera e immancabile tradizione cittadina. La leggenda è diventata così popolare che centinaia di turisti e adolescenti romani si recano sul posto per realizzare questo rito e il palo dell'amore è oramai sommerso da ferraglia di ogni tipo (c'è chi addirittura ha voluto legare con la catena una ruota del motorino) tanto che i neo innamorati sono costretti a chiudere i loro lucchetti su altri pali.
"Siamo venuti qui da Milano per festeggiare San Valentino e i due anni di fidanzamento - raccontano Mirko e Guendalina di 18 e 17 anni - prima di vedere il video di Tiziano Ferro non sapevamo dell'esistenza di questo luogo, ma appena l'abbiamo guardato in Tv, la decisione di venire a Roma è stata immediata". Nessun viaggio invece per Cecilia e Simone di 16 anni: "Siamo della Capitale e anche noi abbiamo messo il nostro lucchetto e dopo averla baciata, abbiamo gettato la chiave nel fiume. Prima di leggere il libro di Moccia non conoscevamo questa tradizione".

Io.. in tutto quel turbine.. sentivo che non c’entravo niente.

Ma..

Ogni giorno ero costretta a passare su quel ponte per andare e tornare da scuola.. e io..

Non ne potei più di veder quel palo così pieno d’amore.

Non lo sopportai più..

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Sono rimasti solo quelli che si trovano nella parte alta del lampione

Spariti nella notte i lucchetti di Ponte Milvio

La moda, nata da un romanzo di Moccia, ha suscitato polemiche a Roma, anche nel mondo politico

ROMA - Dopo la polemica, anche politica, esplosa nei giorni scorsi diversi lucchetti attaccati al lampione di Ponte Milvio, a Roma, noto come quello degli «innamorati» sono spariti. La segnalazione è arrivata stamani ai vigili urbani del XX Gruppo da parte di alcuni passanti che hanno notato la mancanza dei lucchetti. Sarebbero rimasti soltanto quelli che si trovano nella parte alta del lampione che affaccia sul Tevere e a terra, tutto intorno al palo, ci sono piccoli resti di catena e degli stessi lucchetti.

La moda per gli innamorati di attaccare i lucchetti nel lampione di Ponte Milvio per poi lanciare la chiave nelle acque del Tevere era stata rilanciata da un romanzo di Federico Moccia, da cui è stato tratto anche tratto l'ultimo film «Ho voglia di te». Il lampione con tutti i lucchetti agganciati è stato anche ripreso nell'ultimo video di Tiziano Ferro. Contro la presenza dei lucchetti era stato anche creato un comitato di quartiere.

02 marzo 2007

I giornali ne parlano molto questa mattina..

Per tutti gli innamorati, ieri notte si è compiuto un delitto.

Un azione imperdonabile sul loro amore.

Ma per me.. è stato diverso.

È stata una liberazione, sì certo, ma..

Non fu la rottura in se dei lucchetti a farmi ritrovare la voglia di andare avanti o di farmi svegliare, per la prima volta da quando nacqui, in uno stato di trance estremamente piacevole.

Perché..

La notte del primo di marzo.. fui liberata da una persona..

Una persona che so che non dimenticherò mai per il resto della mia vita..

                                                                                                                      Giovedì 1, marzo 2007

Questa notte non la dimenticherò mai, per nulla al mondo..

-Preparati. Oggi, dopo la scuola, andremo da tuo padre.- mi disse mia madre questa mattina alle sette mentre mangiava colazione con caffè e cornetti comprati il giorno prima alla pasticceria di fianco a casa. Io, come al solito, non mangiai nulla.

Mi sistemai gli occhiali.

Stupida ferraglia inutile sul naso.. potevo benissimo usare le lenti a contatto, se solo avessi potuto. Mia madre non ne voleva sapere e, una volta che avevo tentato, mi riproverò e mi ritrovai con un segno in più sul corpo.

Meglio evitare ed indossare quei cosi.

Il suo cellulare squillò e lei rispose. Lei, era mia madre Claudia che fece cenno con la mano che doveva andare, mi misi a sparecchiare mentre usciva dalla porta con addosso una giacca in pelle nera e dei alti tacchi che facevano un rumore odioso sul parquet di casa nostra.

Appena lei fu uscita e sistemata la tavola, mi avviai al bagno.

E, come facevo spesso, mi misi davanti allo specchio e ricominciai a pensare a quello che realmente pensavo delle mie giornate da studentessa di superiori.

Schifo..

Mi fa schifo questo mondo..

Mi sento sempre soffocare in mezzo ad una classe piena di gente che ho rinunciato a capire e che posso solo ignorare. Le loro battutine, le loro azioni, le loro incoerenze e la loro mancanza di rispetto per qualcuno che sia meno di loro..

Bambocci che credono di sapere tutto sul mondo solo perché hanno passato un’infanzia infelice o perché sono secchioni e credono di sapere tutto o perché hanno trovato qualcuno con cui soddisfar una parte del proprio essere.. Ma la conoscenza, l’esperienza e l’amore.. non sono cose che possiamo proferire di aver raggiunto a 16, 17 o 18 anni.. nemmeno fossero 20.

La conoscenza e l’esperienza si avrà solo quando in prima persona si sperimenteranno svariate cose del mondo.. e l’amore..

L’amore vero, non è così facile da trovare.

Non quell’amore che arriva e ti trova così impreparato che potresti morire sul colpo non appena ti senti vibrare fortemente il cuore e ti fa mancare battiti pompando più sangue, riscaldandoti e facendoti passare in viso dal rosso fuoco al bianco glaciale per i tremolii che intanto si sono sparsi per il tuo corpo. E ti senti come se i tuoi piedi siano bloccati su una lastra di ghiaccio alla deriva mentre, davanti a te, la conseguenza di tutto questo, ti guarda come se solo tu valorizzassi la sua vita. Come se con la tua assenza arrivasse anche la sua morte.

Tutto ciò posso solo immaginarlo, perché non mi sono mai innamorata veramente, e nemmeno per finta.

Mai amato e mai desiderato amare.. mai capitato.

Non capisco la necessità di questo sentimento al quanto futile e banale.

Oramai è diventato un cliché stupido e senza significato alcuno. Tanto vale arrangiarsi e arrivare al nostro punto della vita dando il massimo.

E io ho intenzione di iniziare la mia scalata di oggi.. andando a scuola.

Capelli lunghi e castani-rossi, mossi con la frangia mal-tagliata. Occhi di un banale color verde chiaro ma macchiato di azzurro.. nemmeno il colore dei miei occhi doveva essere normale.. o i miei capelli.

Gli occhiali rettangolari e rosa. Un colore che odiavo come l’oggetto sul quale era posato quella tinta.

Il mio fisico anche era banale, ma nemmeno mi interessava più oramai.

L’importante era solo arrivare al punto della mia vita: soldi, conoscenza ed esperienza. Sapere tutto e avere tutto il possibile.

Questo è il vero significato dato ad una vita.

Mi sistemai un poco la sciarpa non troppo pesante che mi ero arrotolata attorno al collo e, casualmente, mi sfiorai il viso.

Brufoli.

Orribili segni dell’adolescenza che sembra colgano le persone e i momenti meno opportuni per questo genere di problemi.

Due sulla fronte e uno sulla guancia.

Uno schifo, certo, ma che potevo farci?

Ormoni.

Ed ecco il momento più odioso della mia giornata..

Il ponte Milvio.. quel palo tanto amato e da me tanto odiato..

Pieno di quelle promesse banali, segnate con quei lucchetti che non facevano altro che rovinare il bel panorama del Tevere.

Ma perché lo stesso non lo hanno fatto al ponte dei Sospiri?

Il nome sarebbe stato di più dalla loro parte, in fondo..

Rimasi lì, avvolta nel freddo abbraccio del mio poncho nero. Indossavo una maglia di lana pesante e un paio di pantaloni scuri sempre di un tessuto pesante, con ai piedi un paio di scarpe da tennis.

Sbuffai, e mi voltai.

Mi faceva rabbia.

Perché la mia banalità, seppur accettata, doveva sopportare giorno dopo giorno quella visione palese di amore e tenerezza? Che avevo fatto di male nei miei 17 anni di vita?

Odiosa la vita..

Una volta in classe, mi posizionai al mio banco in fondo alla classe, verso la finestra. La mia vicina di banco era una dark che non faceva altro che dormire sul banco mentre la lezione andava avanti ignorandola.

La mia era una scuola pubblica di Roma, e già si dovrebbe capire l’andamento e la disciplina che vi erano..

Non che nelle altre scuole superiori dell’Italia cambiasse qualcosa, ma da noi vi era l’anarchia più assoluta.

I ragazzi della classe impazzivano in fretta..

Non potevo far a meno di compatirli.. poveri ragazzini in presa alla tempesta ormonale della loro vita..

Con che dignità vivranno dopo aver fumato uno spinello tanto per provare. Dopo aver fatto sesso con una che non conoscevano senza preservativo tanto per sfidare il caso. Dopo aver picchiato un uomo della legge o uno dell’istruzione..

Cosa, di tutto questo, servirà alle loro vite e a quelle dei loro figli?

Non capivo il loro modo di agire e mai lo avrei capito, lo sapevo.

Le ragazze, anche loro, parevano in una sorta di sogno della mente.

Sembravano delle dive che si degnavano di andare a scuola con noi comuni mortali..

Caratterialmente e fisicamente, tentavano di essere delle vamp, piangendo per un unghia spezzata, per la riga dei capelli non lineare o per i propri genitori che, conoscendo bene i propri figli, non le lasciava uscir la sera o fissando il coprifuoco per le undici di sera.

Menti troppo ristrette le loro? O non volevano crescere?

Sono ottimista, e dico, che l’intelligenza e la maturità, un ragazzo di sedici anni e poco più, c’è ma è fermata dalla voglia di provare, il rischio e lo sfidare la morte e la vita.

Ma di questo a me non importa.

Interrogazione.

Spero interroghi me, dopo aver studiato come una demente per tutto il pomeriggio prima, sarebbe stato anche il minimo, ma niente..

Se gli altri sapessero che strepito per essere interrogata mi direbbero: “ma perché cavolo non ti presenti volontaria!? Ci vuoi così male??” bhè, non faccio così, per il semplice motivo che non ci tengo a presentarmi volontaria per loro. Perché dovrei? Che me ne verrebbe in cambio?

Nulla.

Quindi, cavoli vostri che non studiate, perché, se lo aveste fatto, non stareste in queste situazioni scomode.

Raccogliete ciò che seminate. Idioti.

Vengono interrogati quattro casinisti, l’ora dopo anche e dopo ancora, seguono due ore di film, cioè, totale libertà, visto che è un film che la maggior parte di noi ha già visto..

L’ora dopo è buca e veniamo tenuti d’occhio da un altro professore che si mette a chiamare la sua amante in classe, sapendo benissimo che la moglie lavora in quella stessa scuola e come professoressa come lui, di lettere.

L’amore non esiste affatto.

Finite le ore di scuola, mi dirigo verso il ponte.

Non riesco proprio a sopportarlo e, passo davanti ad esso fulminandolo con gli occhi e correndo un poco per arrivare a casa ed avere il tempo per farmi la doccia e cambiarmi.

Se mia madre Claudia voleva andare a trovare papà, non mi aspettava affatto un buon e tranquillo pomeriggio..

Come pensavo.

Fu un pomeriggio disastroso.

Mio padre era un idiota e mia madre pure.

Franco, mio padre, si è trovato una ragazzina da viziare con i soldi ereditati alla morte del nonno, mia madre si è incavolata e lo ha imitato trovando un ragazzino anche lei da viziare con i soldi ereditati dal nonno, visto che ne avevano fatto a metà di tutto.

Io sapevo già tutto ma, lo si poteva anche intuire..

La ragazza di mio padre e il ragazzo di mia madre, in realtà stavano assieme. Li avevo visti entrambi una sera attaccare un lucchetto in modo significativo al dannatissimo palo di quel maledettissimo ponte.

Robe da matti..

Quella sera, dovetti tornare a casa da sola, visto che mia madre andò direttamente in un locale con il suo ragazzo e che mio padre aveva del lavoro da sbrigare e doveva correre in ufficio per problemi urgenti. La sua ragazza, Giulia, rimase a casa di mio padre Franco con me.

Capii che avrebbe cercato di attaccar bottone, e me la svignai con la scusa che dovevo dar da mangiare al gatto o sarebbe morto di fame..

Che scusa idiota..

Lei sembrava dispiaciuta sinceramente, strano ma vero.

Bhè, me ne andai lo stesso e mi diressi a piedi verso casa mia.

Dopo mezz’ora, mi ritrovai sul ponte deserto.

Erano le undici oramai e guardai il palo della luce che si ergeva fiero con tutti i lucchetti chiusi attorno a lui.

Sbuffai e feci per andarmene, ma qualcosa me lo vietò.

Mi voltai ancora e mi avvicinai ad essi. Vi erano scritti diversi nomi di tutte le nazionalità. Mi poggiai con i palmi al parapetto freddo e rovinato da gomme da masticare e sigarette spente, oltre che a ricordi in un volatile passato in giornata o nel mese..

Vidi il Tevere davanti a me, appoggiata lì, come un corvo ai piedi di una maestosa statua, qual era quel palo della luce con tutte quelle dimostrazioni di un amore che, secondo la gente, non si sarebbe mai fermato fin tanto che ci sarebbe rimasto quel lucchetto lì fisso.

Una rabbia mi assalì. Incomprensibile cosa mi spinse a tentare di staccare tutte quelle speranze.

Sarà che, all’improvviso, mi apparse la mia vita come lo era veramente..

Vuota, insignificante, senza fine e senza un vero inizio.

Le speranze che aveva quella gente, erano pugnalate che mi facevano aprire, per ogni giorno di fila, gli occhi sulla mia vera vita.

Faceva male.

Ogni giorno, un male terribile.

Perché gente così dovrebbe sperare su un qualcosa di così stupido?!

E perché tutto ciò dovrebbe farmi così male?!

 

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Capitolo 2
*** La sera tra l'1 e il 2 marzo - 2 ***


1

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-Ehi, sta per arrivare una coppia proprio ora, ti conviene toglierti da lì o sembrerai più matta di quello che sei.. se è possibile..- borbottò una voce che pareva bassa e disinteressata. Veniva da lì vicino, guardai alla destra del palo della luce pieno di lucchetti, da me odiato, e lo vidi.

Era sul parapetto, accucciato, seduto sui talloni e con l’aspetto selvatico.

Il braccio con il gomito poggiato sul ginocchio sinistro e lasciato a penzoloni in avanti. La destra poggiava anche sul rispettivo ginocchio e teneva una sigaretta consumata fino a metà.

Stranamente, mi fece tornare alla mente una vecchia storia che lessi qualche anno prima.

Indossava una maglietta a maniche corte bianca e semplice con un icona "Hard Rock" scolorita sulla parte della spalla posteriore. Un paio di jeans strappati in fondo sugli orli a furia di andare a contatto con l’asfalto. Aveva degli attrezzi attaccati alle gambe.. doveva fare un lavoro da meccanico o simile. Le scarpe all star bianche e nere anch’esse dall’aria consumata e usata.

I capelli medio-lunghi e scompigliati di un castano chiaro e scuro al tempo stesso. All’orecchio sinistro aveva un orecchino circolare e normale.

Che sfortuna avere un occhio come il mio, perché ai miei occhi, parve solo come un gran bel modello per un disegno di un esperto. Sarebbe stata una scena davvero da immortalare, con quel soggetto, seduto alla sua maniera sul parapetto sporco e di colori che variavano dal marrone al nero e il grigio. La luce del lampione proprio lì di fianco e davanti a lui il Tevere, le sue luci lontane e cittadine, il tutto sotto di un cielo stellato e valorizzato ancor di più da una luna quasi piena.

Dovetti risultare al quanto idiota, ferma ancora lì mentre tentavo di togliere via a forza i lucchetti poco prima e ora a guardarlo attonita senza nemmeno rispondere alla sua frase. Intanto lui continuava a boccheggiare la sua sigaretta senza problemi al mondo.

Sentendo l’avvicinarsi di quella coppia di cui parlava lui, spense la sigaretta gettandola nelle fredde acque sottostanti e saltò giù dal suo trespolo.

Si infilò le mani in tasca e mi osservò con indifferenza mentre rimanevo ancora lì.

-Dì, sei sorda per caso?- chiese lui.

Ora gli vedevo gli occhi, erano azzurri, ma non sporchi come i miei verdi, no..

I suoi erano limpidi sotto la luce del lampione sembravano brillare.

Ma.. tutto ciò, non saprò mai come mi venne in mente.

Mi scrollai dalla testa certi pensieri idioti e mi allontanai da quel palo della luce il più che potevo. Andai all’altra sponda del ponte e mi appoggiai al parapetto lì.

Era inutile continuare a guardarlo, se ne sarebbe andato ora, disinteressato quanto me a parlarci ancora.

Sbuffai e ripensai a quanto era ridicola la mia vita. Ero passata dalla rabbia per l’amore e per quel palo, all’odio puro e infine, passai all’analisi di quel ragazzo che tanto mi faceva tornare alla mente una storia che avevo letto e riletto.

Sentii a malapena i passi alle mie spalle. Pensavo fossero di quella coppia che stava arrivando. Ma non lo erano.

Saltò ancora sul parapetto freddo il ragazzo e, questa volta, si sedette con le gambe a penzoloni verso il Tevere sotto di noi.

Pareva totalmente disinteressato al fatto che se fosse caduto se la sarebbe vista brutta..

-E se cadessi?- chiesi a lui voltandomi a guardarlo con sguardo arrabbiato, alludendo proprio a lui.

Mi guardò e sospirò poi tornando a guardare davanti a se.

-Non cadrò.- rispose deciso poggiando i palmi sulla pietra ai lati del suo bacino.

-Come fai a saperlo?- chiesi guardando anche io l’orizzonte davanti a noi. Che vi era di così interessante lì da guardare per un ragazzo simile?

Lui non rispose subito, ricordo che si incrociò le braccia dietro la testa e si buttò la schiena all’indietro. Rimase lì in quella strana posizione in equilibrio con la schiena. La testa poggiava nella parte interna della balaustra, se fosse caduto, avrebbe solo battuto la testa fortemente e basta. Le gambe, prima a penzoloni, poi ancorati contro la pietra della parte esterna della balaustra.

Era un ragazzo insolito proprio.

-Lo so.- mi disse, e impiegai un minuto buono per capire se avesse risposto a quel che avevo pensato, ma dopo ricordai il nostro scambio di domande e risposte insensate.

-Lo sai?- chiesi scettica tornando però a guardare l’orizzonte – ci si ostina a credere di sapere sempre tutto alla nostra età, ma in realtà non abbiamo niente.. non sappiamo niente.. non crediamo in niente..- non piangevo, ma sembrava che in me qualcosa perdesse forze pian piano. Più quella sera pensavo a ciò e più mi rendevo conto di ciò che ero in realtà.

Già, cosa ero in realtà?

-Ognuno crede ciò che vuole, pensa ciò che vuole e ha ciò che merita.- borbottò il ragazzo ancora in quella posa strana.

Distrattamente mi chiesi se il sangue non gli stesse andando al cervello oramai.

Ma le sue parole mi fecero pensare.

-Bhè.. sono parole già sentite, strasentite e ripetute fino allo sfinimento. Ma hanno un vero significato, dopotutto?- chiesi più a me che a lui.

Mi trovavo a parlare con un acrobata da circo, nel posto che odiavo di più al mondo e di discorsi filosofici senza fine.

Dietro di noi, arrivò la coppia. In ritardo perché continuavano a sbaciucchiarsi ogni secondo.

Mi voltai un poco ad osservarli.

Erano ubriachi a quanto pareva..

Lui prese qualcosa dalla tasca e la baciò. Salì in piedi sul parapetto e, reggendosi al palo, attaccò in cima il loro lucchetto a due chiavi e con su scritti i loro nomi con indelebile nero. Saltò giù e, assieme alla sua ragazza, lanciò le chiavi nelle acque del Tevere. Testimone della loro promessa.

-Come due sposi che, davanti al prete, che sarebbe il palo della luce, giurano amore eterno chiudendo il loro lucchetto. Buttano poi via le loro due chiavi come per suggellare la loro unione. Fedi che in realtà non servono se non come fatto simbolico buttandole al Tevere, il loro testimone prediletto in questo scenario d’amore e magia..- mormorò il ragazzo lì di fianco a me.

Rimasi colpita dalle parole che usò e dalle sue allusioni.

Mi voltai del tutto e poggiai i gomiti dietro di me sulla roccia fredda. I due innamorati si allontanarono sempre sbaciucchiandosi e tubando come tortore..

-Ma.. quello..- mormorai guardando ancora il lampione dei lucchetti – quello io non..- voltai il viso dalla parte opposta al ragazzo ancora in posa acrobata. Faticai a parlare ancora, dentro di me continuai a perdere le forze ancora, sempre di più. Mi chiedevo quanto tempo ancora resisterò così..

-Dì, non dirmi che non sopporti quel palo di lucchetti.. è da idioti pensare una cosa simile..- disse il ragazzo castano rimanendo ancora così.

Io reagii dentro di me, ma feci una risatina al quanto nervosa e guardai l’oggetto in questione.

-Hai ragione.. è da idioti patentati..- proferii con gli occhi fissi su quella torretta di lucchetti e, senza accorgermene, un liquido caldo scivolò sulle mie guance. Era caldo e allo stesso tempo appiccicoso e freddo sulla pelle.

Stavo piangendo.

Non ci credei.

Stavo davvero piangendo lì? Davanti a un ragazzo sconosciuto? Così?

Non era da me piangere, figurarsi a quel modo e così..

Lui se ne doveva essere accorto perché, sentii un sussulto e mi voltai verso di lui.

Lo guardai proprio cadere e sbattere la testa a terra. E, mentre lui si rialzava e si tastava la testa con la destra, non potei fare a meno di ridere.

Non capisco ancora ora perché. Prima piangevo come una deficiente e poi ridevo come una.. deficiente..

Quale mistero.. l’umore di una ragazza adolescente in certi momenti della sua vita..

Ridevo continuamente e in quel mentre piangevo anche come una fontana. Finii per piangere e basta.. Tanto che quel ragazzo non sapeva che fare, muoveva le mani, agitato, vicino al mio viso mentre io ero un po’ piegata su di me per proteggere gli occhi dalla luce di quel dannato lampione. Con le lacrime agli occhi era anche peggio osservare la luce di esso. Così forte e abbagliante..

Ad un tratto, lo sentii sospirare ampiamente e mi posò la mano destra sulla testa. La muoveva un poco a casaccio, tanto che non fece altro che scompigliarmi i capelli..

Ma in quel momento, il tocco così caldo di qualcuno.. mi prese alla sprovvista.

Era piacevole e rilassante.. avrei potuto rimanere in quella maniera con lui per ore e ore.

Ma poi lui cantò, e rovinò tutto..

- Ricorderò e comunque e so che non vorrai.. Ti chiamerò perché tanto non risponderai.. Come fa ridere adesso pensarti come a un gioco.. E capendo che ti ho perso.. Ti scatto un' altra foto.. - la voce tonante e voleva essere tranquilla, ma..

Alzai il viso e lo guardai in maniera dubbiosa che poi diventò arrabbiata e irritata. Come poteva cantare una canzone simile, lì, così.. La odiavo!

Mi sembrava insensato al massimo. Non vi era un perché logico. Non doveva e basta.

-Dì, mi hai presa per una di quelle ragazzine che smania dietro i libri e i film di Moccia e che, dopo una delusione amorosa, sia arrivata qui per prendermela con i lucchetti che simboleggiano amore eterno?- chiesi tirando su col naso. Mai niente fazzoletti quando servivano..

-Già, in principio avevo pensato questo, ma..- si allontanò da me e si diresse verso il lampione dei lucchetti detestati – ma.. quando ti ho vista meglio, il tuo sguardo non era ferito per un amore finito.. Non avevi un atteggiamento tale.. anzi.. sei molto orgogliosa, eh?- mi chiese sorridendo.

La prima volta che lo vidi sorridere davvero. Rimasi un po’ lì impressionata da quella visione.. Era un ragazzo uscito da una rivista? Era perfetto in estetica..

Mi adombrai di nuovo..

-Odio troppo quei lucchetti..- mi confidai abbracciandomi le braccia al petto. Era difficile di solito esternare un pensiero così profondo, ma con lui niente era difficile. Lo avevo imparato in quell’ora buona.

-Io.. ogni mattina.. devo passare di qui per andare a scuola e al ritorno a casa..- dissi tenendo lo sguardo basso – e.. ogni volta che passo qua davanti e li vedo.. tutti questi lucchetti.. fanno male. Non li sopporto tutti questi..- mi fermai sentendo il rumore di qualcosa di forte che cadeva a terra. Alzai la testa e lo vidi tagliare con una pinza potente i lucchetti attaccati lì.

Mi venne il panico, il terrore e la paura di colpo a fior di pelle.

-Fermo!! Cosa fai!?- urlai.

Corsi da lui e tentai di fermarlo afferrandogli il braccio con forza, ma non si fermò del tutto. Con l’altra mano continuò a staccare i lucchetti da lì.

-Perché?? Che diavolo ti è saltato in mente!?- il tono mio incredulo, ma non si fermò per questo.

-Ehi! Parlo con te! Che diavolo fai?!- urlai ancora.

Che strano urlare così apertamente e a voce alta.. Non l’avevo mai fatto.. Si stava bene però.

-Voglio aiutarti.. quindi, tolgo i lucchetti..- mormorò lui, mentre continuava a staccare catene e altra ferraglia attaccata lì.

Io cedetti e lo lasciai continuare. In quel momento non so cosa mi spinse a lasciarlo fare..

Era strano..

Faceva tutto con impeto e determinazione spontanea..

Tutti trovavano romantico attaccare i lucchetti e gettare le chiavi nel Tevere giù di sotto..

Ma, in quel momento, trovai più sentimentalmente coinvolgente e più espressivo, distruggere tutto quello. Caddi pian piano a terra sedendomi lì, sul ponte, fu il momento in cui le forze mi lasciarono del tutto..

Lui continuava imperterrito con il suo silenzioso lavoro con le pinze, che ho scoperto poi essere un attrezzo che usava proprio sul lavoro da meccanico, come avevo pensato.

-Rei Kashino..- mormorai, quasi senza rendermene conto, a voce alta e udibile.

Lui si fermò un secondo per poi continuare ascoltando le mie parole.

-Rei Kashino?- domandò interessato.

-Sì.. insieme a Kira Aso, è il protagonista di un fumetto giapponese di Fuyumi Souryo.. una disegnatrice straordinaria..- iniziai a raccontargli a grande linee la loro storia e arrivai circa a metà, poi mi bloccai.

-Sai.. c’è una frase di quel manga che mi ha colpito particolarmente.. rimasi a pensarci per giorni e mi sembra sempre, ancora ora, bellissima..- mormorai, mentre lo sentii fermarsi.

Sorrisi un poco con le lacrime agli occhi, sempre seduta a terra senza forze per il troppo pensare e le troppe realtà scoperte..

Sentii un rumore, i suoi passi che si avvicinavano e poi lui si sedette davanti a me a gambe incrociate e con i gomiti sulle ginocchia. Le mani a penzoloni davanti a se. Eravamo poco distanti l’una dall’altro.

-Dì, sono curioso.. ti ascolto..- mi disse.

Strano.. in effetti, non molte persone mi dissero cose come: "ti ascolto.." quella giornata era strana dalla nascita..

-Dunque.. la frase era così..- mi schiarii la gola e tossicchiò un poco, ma poi parlai.

-I due protagonisti, parlano della fine del mondo, e Kira chiede a lui cosa avrebbe fatto se fosse successo davvero.. allora lui le risponde: "Beh...se dovesse arrivare la fine del mondo...mi faresti un favore? Baciami un attimo prima della fine!"..- sorrisi e mi sedetti meglio, per abbracciarmi le ginocchia al petto.

-Trovo che questa frase.. non lo so.. credo sia stupenda..- commentai.

-Hm.. troppo mielosa forse..- disse lui grattandosi un poco il mento.

Il sorriso mi rimase.

-Ma, mi è tornato in mente perché.. tu assomigli tantissimo al protagonista. Rei Kashino..- sospirai, mi misi a giocherellare con un filo del mio poncho nero.

-Hm.. bhè, scommetto che però, il carattere non è affatto compatibile..- si grattò ora un poco dietro alla nuca con distrazione.

-Una sua frase è: "Ho pensato un attimo che... se posso provare una sensazione del genere allora non ho più paura di morire" e me l’hai fatto venire in mente dal tuo modo di fare e da prima.. Quando stavi sul parapetto, prima.. e abbiamo iniziato a parlare..- dissi sospirando e guardando in un punto imprecisato del pavimento.

-Se lo dici tu..- mormorò lui, e seguì il mio sguardo, cercando di capire dove guardavo.

-I lucchetti..- mormorai alzandomi in piedi e avvicinandomi a quelli.

-Non capisco più ora.. perché mai questi oggetti dovevano farmi male?.. Mi sentivo nauseata non appena li guardavo anche solo di striscio..- poi capii e di colpo lasciai cadere il lucchetto che avevo appena preso in mano da terra. Possibile che..!?

Abbassai lo sguardo e mi abbracciai le braccia da sola, ancora. Le lacrime di nuovo negli occhi.

-Già, ho capito.. ero solo gelosa..- mormorai mentre tentavo di guardare tutti quei lucchetti per terra. Promesse svanite per molti ora..- ero gelosa di ciò che loro avevano e io no.. gelosa delle loro facce felici e contente.. della loro spensieratezza.. e gelosa di non poter, anche io come loro, attaccare un lucchetto qui con loro..- lacrimai ancora un poco. Ero stata davvero un’idiota.

Mi tolsi subito il poncho guardandomi poi attorno se vi era gente o no. La fortuna volle che non vi era nessuno.

Posai il poncho a terra e vi misi dentro i lucchetti, i pezzi più importanti, d’orati, e scritti. Li misi bene e li arrotolai nel poncho scuro.

-Devo a loro delle scuse..- mormorai voltandomi verso di lui. Lo vidi sorridere un poco.

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