il Barone Rosso I serie

di Vandel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0.1 Omicidio in treno ***
Capitolo 2: *** 2. Giochi di ombre ***



Capitolo 1
*** 0.1 Omicidio in treno ***


Il paesaggio correva veloce fuori dal finestrino, così tanto che i colori si mischiavano fra loro dando l’impressione, agli occhi di chi guardava, che fossero una grande macchia informe. Un ragazzo, che era seduto su quel treno, guardava fuori dal finestrino. Era abbastanza alto, capelli neri leggermente lunghi e indossava una maglietta sportiva e dei jeans. Il suo nome era Lucas Attinori e aveva sempre odiato i treni, soprattutto i viaggi su di essi che era obbligato a fare. In particolare quello, che avrebbe cambiato la sua vita per sempre, una volta arrivato dove doveva arrivare. Gli eventi che erano successi quel giorno, lo avevano sconvolto. Se ripensava a quello che era successo, ancora stava male. Ed ora avrebbe cambiato vita. A dire la verità, l’ignoto lo spaventava un po’. Decise di scacciare quei pensieri che lo tormentavano, con una passeggiata. Lentamente si alzò e chiedendo permesso al signore seduto di fronte a se, arrivò alla porta. L’aprì e uscì nel corridoio. Si stiracchiò, poi cominciò a camminare per il corridoio del treno. Arrivò alla porta della sala mensa e vi entrò.
Trovò una sedia ad un tavolo libero e si sedette, guardando dal menù, cosa ci sarebbe stato per pranzo. Poi alzò gli occhi. Nella stessa stanza, vi era un po’ di gente. Al tavolo davanti al suo era seduto un uomo a occhio e croce sulla trentina, con capelli neri e un vestito dello stesso colore scuro. Più avanti, una coppia stava consumando il proprio pranzo. La donna indossava un alto cappello di colore blu che lasciava fuoriuscire una cascata di capelli di colore rosso scuro, mentre l’uomo portava un completo elegante con tanto di cravatta. Sul tavolo di destra invece, sedeva un signore anziano, che non smetteva un attimo di fissare la coppia. Lucas si chiese il perché, poi decise che non erano affari suoi e si concentrò sull’ordinare qualcosa.
Chiamò dunque il cameriere e ordinò il pranzo. Aveva fame, era dalla sera prima, quando era partito, che non aveva mangiato niente. Semplicemente non aveva potuto, e ora la pancia si faceva sentire, contrariata.
“Un ragazzo solitario” esclamò il tizio davanti, voltandosi verso Lucas “sei forse scappato di casa?” l’uomo sorrideva con aria provocatoria. Il ragazzo da prima lo ignorò, poi lo fissò con aria seccata al che l’uomo si voltò di nuovo.
“Si faceva tanto per dire!” urlò l’altro alzando le braccia al cielo.
Poco dopo, il cameriere tornò dalle cucine con due piatti in mano. Uno lo sistemò al tavolo della coppia di signori e l’altro lo portò a Lucas.
“Grazie mille” esclamò il ragazzo congedando il cameriere che sorrise prima di sparire di nuovo nelle cucine. Lucas guardò il suo pranzo. Sembrava invitante!
“Papà, ti dispiace aprire il finestrino, grazie” sentì improvvisamente dire alla donna del secondo posto. Senza dire niente, l’uomo anziano si alzò dal posto e sollevò a fatica il vetro della finestrella sopra il suo posto. Ora Lucas capiva! L’anziano signore era il padre di lei, ecco perché fissava la coppia! Bè, mistero risolto, era ora di mangiare. Il ragazzo avvicinò la forchetta alle labbra ma fu interrotto ancora un volta. Stavolta fu l’uomo della coppia ad alzarsi. Prese il piatto che gli aveva portato precedentemente il cameriere e lo porse al vecchio.
“Padre, gradisce qualcosa da mangiare?” sorrise.
“Non chiamarmi così! Non ne hai il diritto!” esclamò burbero il vecchio, afferrando violentemente il piatto e iniziando ad addentare il panino contenuto.
L’uomo tornò con lo sguardo basso al suo posto, deluso e consolato dalla moglie.
“Sai che mio padre è fatto così, non prenderla a male…” gli sussurrò lei.
L’uomo seduto davanti a Lucas si voltò di nuovo e sussurrò: “Strani davvero non trovi?!”. Poi sorrise e si rivoltò. “Mai quanto te…” pensò fra se il ragazzo iniziando a mangiare. Voleva uscire al più presto da quel vagone di matti prima di ritrovarsi in un conflitto familiare. Aveva appena ingoiato il primo boccone che l’uomo anziano urlò, facendolo saltare per la paura.
Era un urlo innaturale, quasi strozzato. Il vecchio si contorceva su se stesso toccandosi il collo con le mani. Subito i presenti in sala passarono sull’attenti: l’uomo non fingeva!
“Papà!” urlò la donna schizzando verso di lui per sorreggerlo. Ma era troppo tardi. Gli occhi vitrei dell’uomo, persi in un punto qualsiasi dell’infinito erano indicatori di una sola cosa: quell’uomo era deceduto! Le urla della donna percorsero tutto il treno. Il marito non riusciva a muoversi dal suo posto, paralizzato. Lucas lasciò la forchetta. Oggi non era proprio giornata per mangiare!

Il gelo era caduto nel vagone. Ormai nessuno osava fiatare. Si sentivano solo i singhiozzi della donna che riempivano l’aria, già elettrica e colma di paura. Un uomo era morto proprio sotto gli occhi dei presenti e nessuno si era accorto di niente. Quello bastava a spaventare chiunque.
Il ragazzo che era seduto davanti a Lucas si alzò, dirigendosi alla porta.
“Nessuno dovrebbe lasciare il luogo del delitto prima dell’arrivo della polizia!” ricordò Lucas quasi come fosse un promemoria. Tutti gli sguardi si concentrarono sull’uomo che voleva lasciare la stanza. Quello si bloccò e poi, tornando indietro esclamò seccato: “Volevo solo andare in bagno!”. Poi si mise seduto al suo posto.
Nel frattempo il cameriere era sopraggiunto, sentendo le urla, ed era rimasto fermo sulla porta della cucina, paralizzato. Le lacrime ininterrotte della donna gli facevano presagire il peggio, che era poi ciò che era successo realmente.
“D-devo f-fermare il treno…” balbettò timidamente il cameriere.
“No” esordì Lucas alzandosi dal posto “il treno deve continuare la sua corsa, o l’assassino fuggirà! Chieda piuttosto se c’è un poliziotto sul treno”.
“Assassino? Ma cosa stai dicendo?” si alzò anche l’uomo seduto davanti a lui, con aria severa. Lucas però non si fece intimorire e continuò: “Nessuno si sarebbe mai suicidato usando del veleno, non trova?”.
“Del…veleno…?!” la donna strabuzzò gli occhi. Lucas allora si avvicinò a lei e le fece segno di scansarsi dal corpo. “Le labbra, sono violacee. Il tipico colore di avvelenamento da cianuro.” Spiegò. Era vero! Le labbra dell’uomo erano viola.
Tutti ora guardavano quel ragazzo che aveva dimostrato grande personalità in un momento tragico come quello.
Poi Lucas si alzò in piedi. “Il mio nome è Lucas Antimori, ho 19 anni e abito a Milano, ma sto per trasferirmi a Roma, per motivi personali” iniziò fissando i presenti. Dopo attimi di silenzio, l’uomo che sedeva davanti a lui, continuò: “Il mio nome è Dwane Edveens, ho 24 anni e viaggio da Milano a Roma per lavoro”.
Chi l’avrebbe mai detto che proprio lui avrebbe capito?! O forse non voleva mostrarsi con qualcosa da nascondere. Seguirono ancora attimi di silenzio, poi la donna ruppe il silenzio: “Perché…perché ci stiamo identificando?!” chiese temendo la peggior risposta. Risposta che invece arrivò fredda come il ghiaccio, da Lucas: “L’assassino è uno di noi e io medito di scoprire chi è prima dell’arrivo!”.
Tutti sgranarono gli occhi.
“Identificatevi, non ho voglia di restare chiuso in una stanza con un assassino!” continuò anche Dwane “a meno che non abbiate qualcosa da nascondere, s’intende”. Poi sorrise debolmente suscitando il nervoso degli altri. Lui che era proprio il primo sospettato, almeno per Lucas.
“Non abbiamo nulla da nascondere!” disse contrariata la donna “il mio nome è Dafne Acroid e lui è mio marito Joahn Acroid…noi…eravamo in…viaggio di nozze”. Le lacrime che sembravano essere cessate, ripresero più copiose di prima mentre la donna si copriva il volto con le mani. Il marito, quel tale Joahn, si avvicinò a lei e l’abbracciò.
“Ora tocca a lei, signore” disse Lucas guardando il cameriere.
“I-io?!” si meravigliò quello.
“Mi sembra ovvio, no?” rispose Dwane mettendo i piedi sul tavolo “lei ha portato il piatto, può aver messo il veleno in ogni momento nella pietanza!”.
Il cameriere assunse un espressione sconvolta per essere tra i sospettati. Lucas si portò una mano a grattarsi il mento, mentre guardava il piatto del pover uomo deceduto. Il panino che stava mangiando era quasi finito. Che il veleno fosse stato messo nel cibo era da escludere! Quel piatto era destinato al signor Joahn Acroid, seduto dalla parte opposta, era impossibile prevedere che l’avrebbe offerto al suocero. Non poteva essere stato il cameriere, ne tantomeno qualche cuoco, sarebbe stato un azzardo. Non avrebbero potuto prevedere chi sarebbe morto.
“Sono Alfred Miller, lavoro sul treno come cameriere ormai da molto tempo e…” “Basta così, grazie” interruppe Lucas, reputando comunque inutile quella presentazione. il ragazzo si avvicinò al corpo a terra dell'uomo e si inginocchiò accanto a lui. Sollevò le braccia dell’uomo e gli guardò le mani. Come sospettava! Sulle dita dell’uomo c’era del veleno. Ecco come si era intossicato.
“Stai inquinando la scena del delitto!”. Lucas saltò spaventato alle parole di Dwane, che gli era arrivato vicino.
“Hai ragione, meglio allontanarsi…” sorrise il ragazzo alzandosi e dirigendosi al tavolo dov’era seduto l’anziano signore.
Controllò dappertutto ma non trovò tracce di veleno da nessuna parte. Dove accidenti poteva averlo preso quel veleno? La cosa sicura era che avesse toccato con le dita sporche di cianuro il panino che poi si era mangiato, avvelenandosi. Ma se il veleno non era sul tavolo…allora…ma certo! la finestra! L’uomo aveva alzato la finestra! Forse è proprio lì che…Lucas superò il corpo e salì sulla sedia dove era seduto l’uomo, poi guardò la finestra alzata. Non c’era la maniglia, qualcuno l’aveva tolta con la forza dati gli evidenti segni di scasso. Forse per costringere chi volesse aprirla a toccare il fondo del vetro. Lucas guardò sotto alla base del vetro. Il veleno era lì, come sapeva!
“Chi ha chiesto al signore di aprire questa finestra?” chiese poi Lucas tornando al suo posto.
“Sono stata io…faceva caldo” rispose la donna “C’è qualche problema?”.
“Nessuno, ora però vi pregherei di sedervi tutti” disse Lucas fermandosi davanti al corpo dell’uomo anziano “vorrei dirvi chi ha ucciso questo poveretto!”.
Un brivido corse per la schiena dei presenti. Poi cadde il gelo per tutto il vagone ristorante.
“Cos’è, hai visto troppi polizieschi?” stuzzicò Dwane serio “vorresti dire che hai capito chi di noi è l’assassino?”.
“Ebbene si” sorrise sicuro il ragazzo.
“Per favore, preferiremmo aspettare la polizia all’arrivo” esclamò il cameriere.
“Si, infatti!” interruppe bruscamente il signor Joahn, spingendo la moglie verso l’uscita “siamo tutti scossi, ora porto mia moglie a riposarsi in camera”.
“Per eliminare anche l’ultima prova, signor Acroid?” quest’ultima frase di Lucas, paralizzò tutti “perché è stato lei, signore, ad uccidere suo suocero!”.
Dafne Acroid strabuzzò gli occhi gonfi di lacrime.
“Stai attento ragazzino!” invenne l’uomo, fermo sulla porta.
“Hai detto che c’è una prova, qual è?” disse pure Dwane, facendo per alzarsi. Lucas aveva attirato l’attenzione su di se. Era il momento giusto!
“Il viaggio è ancora lungo, prima vorrei spiegare come ci sono arrivato, se non vi dispiace!” esordì indicando la finestra “il veleno era lì, e non nel cibo, come qualcuno ha voluto far pensare!”.
“Perché avrei dovuto mettercelo proprio io!? Perché non un qualsiasi altro passeggero?!” urlò ancora di più Joahn, volendo forse intimidire il ragazzo, che però, continuò imperturbabile: “Mi sembra che nessuno di loro lo conosca. Tu e tua moglie siete gli unici a poter avere un movente per ucciderlo”.
“Come poteva prevedere che la finestra fosse aperta proprio da lui? Questo è un vagone ristorante pubblico, può entrare chiunque” suggerì il cameriere, fermo sulla porta della cucina. Lucas scosse la testa. “I sospetti su di lui non fanno che aumentare a questo proposito. Se per esempio chiedo alla signora Dafne chi ha voluto sedersi sul lato sinistro, lasciando volutamente il posto destro al padre cosa risponde? Ha persino scambiato il suo panino con il signore, dato che doveva usare le dita sporche per mangiarlo e avvelenarsi”.
La donna, accanto al marito, sgranò gli occhi. “Sono…sono stata io…a chiedere di aprire la finestra a mio padre…” balbettò timidamente la donna, sconvolta dagli eventi. Lucas aveva una risposta anche a questo: “lo ha fatto a sua insaputa, signora. È stata condizionata da suo marito che probabilmente, ma solo lei potrà confermarlo, era da tempo che si lamentava di avere caldo. Personalmente l’ho visto sventolarsi con la mano e sbottonarsi leggermente la camicia. Sbaglio forse?”.
Joahn Acroid si coprì con una mano la camicia sbottonata.
“Nessuno di noi sentiva caldo, perché non faceva caldo. Non serviva aprire la finestra, però suo padre doveva farlo!” continuò Lucas sorprendendo tutti i presenti.
“Condizionamento psicologico?” si meravigliò Dwane.
“Mi dispiace, signora Acroid…” sussurrò poi, Lucas.
“Sono Dafne Johnson da ora!” disse la poveretta, sconvolta, divincolandosi dalle braccia del marito. “Dafne, aspetta!” provò a urlare l’uomo, sempre più nervoso “non hai prove, ragazzino!”.
“E invece una ne ho, ed è nascosta in camera sua!” non si fermò Lucas “come far toccare il veleno al suocero e a nessun altro? Basta togliere la maniglia subito dopo la colazione, quando qui non c’è nessuno e arrivare per primi a pranzo, a prendere i posti. Senza maniglia bisogna alzare la finestra prendendola da sotto il vetro, lì dove c’è il veleno. La signora…Johnson, può confermare che suo marito è venuto qui solo tra la colazione e il pranzo?”.
Quando Lucas finì di parlare non servì aggiungere altro. Era chiaro che la maniglia era la prova e si trovava nella stanza dell’uomo.
“Mi tormentava! Non accettava che potessi sposare sua figlia e mi tormentava dal giorno in cui ti conobbi. Non ne potevo più…dovevo eliminarlo una volta per tutte! Per noi!” urlò Acroid cercando forse un motivo “Maledetto ragazzino! Maledetto!” fece per gettarsi su di Lucas con l’orgoglio a pezzi, scoperto proprio da un ragazzino, e con gli occhi rossi d’odio. Ormai era una bestia senza ragione alcuna.
A due passi dal ragazzo, l’uomo fu immobilizzato da Dwane, che, con un abile mossa, lo stese a terra.
Lucas si lasciò cadere stremato al suo posto. Era distrutto. Troppe emozioni, troppi pensieri quel giorno. Il campanello che sanciva l’arrivo del treno in stazione, fu una vera liberazione.
 

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Capitolo 2
*** 2. Giochi di ombre ***


Lucas scese dal treno con le valigie alla mano. Finalmente un po’ d’aria fresca! Respirò a lungo un’ aria macchiata dallo smog. Era finalmente giunto a Roma. Alzò gli occhi al cielo e incrociò una luna piena e candida, che brillava sovrana nel cielo notturno privo di nuvole. C’era qualcosa di magico in quella luna, Lucas lo aveva sempre detto. Aveva il potere di calmare l’animo, oltre quello, molto più poetico, di guidare i viaggiatori nella notte. “Stessa meta, stesso destino, diceva qualcuno…”. Una voce da dietro riscosse il ragazzo. Quando si voltò riconobbe il tizio seduto davanti a lui nel vagone ristorante, quel tale Dwane. Lucas sbuffò: ancora lui! “Te la sei cavata egregiamente in treno, però dovresti passare per la deposizione domani” continuò il tizio poggiando un braccio attorno alle spalle del ragazzo. Lucas assunse un espressione confusa mentre cercava di divincolarsi da quell’eccesso di confidenza che l’altro si era preso. “Non dirmi che un detective bravo come te non se n’è ancora accorto…” sorrise Dwane vedendo crescere la confusione sul volto di Lucas. Poi l’uomo estrasse dalla tasca qualcosa che mostrò al ragazzo. Era un distintivo da poliziotto! “Sei…sei uno sbirro!” esclamò Lucas strabuzzando gli occhi. “Già, quando mi hai fermato non volevo davvero andare al bagno, ne tantomeno fuggire. Andavo in camera a prendere i ferri del mestiere!” continuò Dwane con aria da superiore “A proposito, bravo davvero! Dove hai imparato?”. Lucas abbassò lo sguardo: “Non è importante…”. Dwane lo guardò incuriosito: “Non ami il tuo passato? Mi incuriosisci ragazzo!”. Non ebbe il tempo di dire altro che una macchina della polizia inchiodò davanti ai due. Ne uscì un poliziotto che dopo averle prese, sistemò le valigie di Dwane nel portabagagli. “Domani passa in centrale per la deposizione” disse quello entrando in macchina al posto del passeggero “Mi raccomando, ci conto” concluse strizzando l’occhio. Poi l’auto ripartì e sparì così come era comparsa. Lucas guardò l’auto allontanarsi, per poi accorgersi che un’altra ne arrivava. Era un panda verde scuro e si fermò a pochi passi da lui. Ne uscì un ragazzo dai capelli castani e arruffati, alto e vestito di una giacca sbottonata in più punti. “Eric!” sorrise Lucas alla vista del cugino, che non vedeva da tempo. I due si abbracciarono sinceri e sorridenti. “Hai tante cose da raccontarmi!” esclamò l’altro “Intanto però andiamo a casa”. Provò a prendere la valigia, ma dovette dargli una mano Lucas per farla entrare in macchina. Salirono anche loro e l’auto si mise in moto. “Ora sei più alto di me?” scherzò Lucas. “Era ora! Ho due anni in più!” ribattè l’altro sorridente. Poi l’aria si fece seria all’improvviso quando Eric disse: “Piuttosto, ho saputo della tragedia. Tu come stai?”. Lucas trasalì, poi abbassò lo sguardo. “Vorrei non pensarci, per quanto possibile. Ora sono qui, sono con te, abbiamo tanto di cui parlare…”. “Hai ragione! Facciamo che non ne parliamo più!” interruppe Eric “Quando ti mostrerò Roma, Milano sarà solo un ricordo, vedrai!”. E passò così il viaggio, tra i ricordi di quando da bambini giocavano insieme alle avventure che Eric aveva avuto una volta partito da Milano. Arrivarono a casa e Lucas si sistemò, stando molto attento a non svegliare la cugina (sorella di Eric) che dormiva nella stanza accanto. “Così dovrebbe andare, poi domani svuotiamo le valige” esclamò Eric una volta finito il letto per il cugino. Lucas annuì e si lanciò sul suo letto, rimbalzando per poi fermarsi con le braccia larghe. Quel gesto fece sorridere i due. “Ah, un ultima cosa!” esordì Lucas mentre il cugino entrava nel proprio letto “Puoi indicarmi la strada per la centrale di polizia. A quanto pare domani dovrò svegliarmi presto”. Eric lo guardò sorpreso: “Cos’è successo?”. “Ma niente” rispose Lucas assonnato “Domani te lo dico, ora dormiamo che sono esausto”. “Sempre stato un tipo misterioso, mio cugino!” sorrise Eric alzando le coperte “Buonanotte!” “Buonanotte!”. Detto questo anche l’ultima luce sul comodino fu spenta. Lucas sbadigliò, alzando lo sguardo. L’imponente centrale di polizia si ergeva davanti a lui mentre si avviava all’ingresso. Non ci mise molto a trovare l’ufficio di Dwane. A quanto pare, lì dentro era abbastanza famoso. Quando il poliziotto lo vide, lo accolse con un sorriso e scansò le carte a cui stava lavorando. “Prima iniziamo, prima finiamo!” esclamò sottoponendo al ragazzo un foglio da compilare. Mentre Lucas scriveva, il poliziotto lo guardò con insistenza. “Che c’è?” si stupì Lucas. “Stavo pensando che già che sei qui, potrei sottoporti un caso…” rifletté Dwane. “Non mi piace fare il detective!” sbuffò Lucas. “Però ti riesce bene! Molto meglio di chiunque altro qui dentro!” affermò l’uomo, prendendo un postit giallo dalla scrivania e leggendone il contenuto. “Si, si, mi servi!” disse alzandosi “vieni con me!”. Poi afferrò la giacca dall’attaccapanni e aprì la porta, facendo strada al ragazzo che dopo aver alzato gli occhi al cielo sbuffando, si alzò per uscire con il poliziotto. “Dai che ci divertiremo!” sorrise quello chiudendo dietro se la porta del suo ufficio. Durante il viaggio in macchina, i due ebbero il tempo di parlare. “Ascolta bene perché non lo ripeterò” esordì Dwane “ieri notte è avvenuto un omicidio in un albergo poco fuori città. C’è una testimone che giura di aver visto l’assassino fuggire da una finestra dopo aver sparato alla vittima”. Lucas ascoltava attentamente senza far domande. Poi l’albergo iniziò a farsi vedere. Si componeva di molti piani e aveva il tetto a spiovente. Tutto intorno era recintato. Il poliziotto alla guida stava per entrare nel parchetto privato dell’hotel quando Lucas lo fermò: “Se possibile vorrei prima sentire la testimone”. Il poliziotto guardò Dwane che gli fece un segno d’assenso. Dopo di chè, svoltarono dalla parte opposta, arrivando nella casa di fronte l’hotel. La donna che si presentò quando bussarono era sulla cinquantina d’anni, con capelli neri raccolti dietro la nuca. Era bassa e abbastanza cicciottella. Quando Dwane mostrò il distintivo si trovò disposta a rispondere alle domande del giovane Lucas. “La finestra dalla quale quell’uomo è uscito è quella del secondo piano” disse la signora indicando il punto “Era agile e snello, mi sembra. Era molto buio…”. “Non importa. Mi dica piuttosto se ha sentito qualcos’altro prima?” domandò Lucas da vero esperto. La donna non esitò a rispondere: “si, si è sentito chiaramente uno sparo”. “Uno solo, signora?” “Si, lo hanno confermato anche altri condomini” si intromise Dwane leggendo da un rapporto “è qui che la faccenda si complica!”. “Una cosa per volta” lo fermò Lucas, alzando una mano. Il ragazzo era immerso nei suoi pensieri. “lo ha visto fuggire una volta a terra?” chiese poi alla donna. Quella scosse la testa: “Mi dispiace ma era buio e non sapevo…non ho visto nient’altro. però non ho sentito altri rumori se non quello del poliziotto che chiamava aiuto…” “Poliziotto?” si stupì Lucas. “Stavo appunto dicendo” interruppe Dwane “che uno dei nostri uomini ha assistito all’omicidio”. “Grazie signora, è stata utilissima” sorrise Lucas, congedando la testimone. “Voglio parlare con il poliziotto” disse poi, tornando alla macchina con il compagno poliziotto. “C’è un ulteriore problema” aggiunse Dwane mentre attraversavano la strada “l’arma del delitto, ovvero la pistola, non si trova. Eppure abbiamo cercato dappertutto”. “Ok, credo sia arrivato il momento di vedere la vittima!” cambiò idea Lucas, volgendo all’Hotel. La vittima era una donna, a prima vista sulla trentina, con lunghi capelli biondi sciolti. Il suo corpo era stato ritrovato nella camera, da lei affittata, in condizioni orribili. Presentava segni e ferite in quasi tutto il corpo e i suoi vestiti erano a brandelli. Per metà era nuda, si intravedevano chiaramente le sue forme. Inoltre, come se non bastasse, all’altezza dello stomaco aveva la ferita causata dal proiettile. Lucas inizialmente inorridì, poi si mise a pensare. La cosa era parsa subito strana. Perché i segni della colluttazione se l’assassino aveva una pistola? Perché non freddarla subito? Ne aveva avuto il tempo di ridurla così dopo averle sparato. Lucas si portò due dita sulla tempia, come faceva quando doveva concentrarsi. La stanza presentava un balcone parallelo alla porta d’entrata. Poi un bagno sulla sinistra e un letto a due piazze sulla destra. “Lucas, c’è il poliziotto che ha assistito all’omicidio” esclamò Dwane entrando con un collega. Quello si presentò e poi spiegò la dinamica: “Ero in giro per l’albergo a controllare come faccio ogni notte, quando ad un certo punto ho visto la porta aperta di questa camera. Ho sentito la donna urlare di lasciarla stare, così mi sono avvicinato. Ho visto mentre voleva violentarla e così sono intervenuto! Ho sparato un colpo di avvertimento, al che l’uomo si è spaventato ed è fuggito. Però era buio, non saprei dire ne come fosse d’aspetto, ne dove sparì. La luce della stanza era spenta”. Lucas sgranò gli occhi. Aveva captato qualcosa in quel racconto che non quadrava. “Ha sparato un colpo di ammonimento? E dove?” chiese allora. “bè, alla mia destra, vedendo loro davanti alla porta e non potendo sparare in alto, ho sparato alla loro destra, nella stanza”. Rispose il poliziotto a quella che sembrava una domanda strana. Lucas tornò a riflettere. La signora della casa di fronte ha giurato d’aver sentito un solo sparo, che probabilmente doveva essere stato quello. In più il tipo uscito dal balcone, non poteva avere la pistola, il che significa che l’aveva posata da qualche parte prima. Però nella stanza non ce ne è neanche l’ombra. Allora perché la vittima si ritrovava una pallottola nel petto? Lucas uscì nel balcone mentre i poliziotti erano impegnati ad esaminare il corpo. Dopo una piccola ringhiera c’era il nulla. Si cadeva di sotto. Eppure l’assassino era riuscito a fuggire da lì. Il ragazzo scrutò un attimo i movimenti, poi saltò dietro alla ringhiera aggrappandosi con le braccia ad essa. “Hei, ragazzo!” “Lucas!” Dwane e il poliziotto accorsero per vedere cosa stava facendo quel folle ragazzo. Lucas però non li considerò. Allungò un piede ed arrivò quasi a toccare la ringhiera del balcone di sotto. “si” esclamò poi “Qualcuno più alto di me lo avrebbe potuto fare!”. L’assassino era ancora nell’hotel, non era fuggito, era semplicemente tornato in camera sua, al piano di sotto, passando per il balcone. Lucas si sollevò, tornando di sopra, poi comunicò la cosa a Dwane. “ci avevo pensato anche io sai?” disse quello, mandando a chiamare da due agenti l’inquilino di sotto. Poco dopo essi tornarono con l’uomo che si dibatteva. “Lo sparo l’ho sentito eccome!” rispose alle interrogazioni colui che per ora era l’assassino “sono fuggito spaventato, senza pensare! Ma non ho ucciso quella donna! Ve lo giuro!”. Mentre Dwane e gli altri poliziotti lo stavano interrogando, Lucas si toccò la tempia. Forse aveva capito…anzi, sicuramente era andata così! Il quadro generale era chiaro ormai, però…mancava ancora qualcosa. Pensieroso, vagò per la stanza, in cerca di quel qualcosa. Tornò sulla porta, da dove il poliziotto aveva visto i due che lottavano, per capirci di più. Dovette coprirsi gli occhi però, perché la luce entrava potente dai grandi finestroni della stanza. Abbassando lo sguardo, Lucas notò le ombre dei poliziotti sul muro, com’era normale, visto che era mezzogiorno e il sole era bello alto, nel pieno del cielo. Stava per rientrare senza un nulla di fatto quando sgranò gli occhi. Impossibile! Si disse, eppure aveva trovato quel qualcosa che mancava. Era andata proprio così! “Ho capito!” esordì a gran voce, facendosi notare da tutti i presenti. “Questo non è omicidio…almeno credo” iniziò “partiamo dal principio: quest’uomo era in camera della vittima e la stava violentando”. L’uomo fra i poliziotti abbassò la testa, colpevole. “Però, non è lui che l’ha uccisa. È scappato prima, come dice. La cosa strana fin da subito era che la testimone ha sentito un solo sparo, eppure i proiettili dovrebbero essere due, visto che anche l’agente ha sparato un colpo di avvertimento. E Il motivo per cui la pistola dell’assassino non si trova è che…non esiste! Ad uccidere questa donna è stato proprio quel proiettile di ammonimento!”. Il gelo cadde nella stanza. “Non…non è possibile” esclamò poi il poliziotto che aveva sparato “io…li ho visti chiaramente alla mia sinistra mentre ho sparato a destra!”. “Anche questo si può spiegare” riprese Lucas “con un subdolo gioco di ombre!”. La confusione si dipinse sui volti dei presenti, al che, il ragazzo continuò a spiegare: “quei grandi finestroni ora stanno facendo entrare la luce del sole, vedete? Le vostre ombre sono proiettate sul pavimento” poi Lucas si spostò sulla porta “Ecco, da questa posizione, vi posso assicurare che quelle ombre sembrano i vostri corpi reali!”. Dwane sgranò gli occhi, cominciava a capire. “Il poliziotto che veniva da lì, ha scambiato le proiezioni per le persone che lottavano e ha sparato a destra, dove effettivamente erano i due!” esclamò portandosi le mani sulla testa, incredulo. Il poliziotto che aveva sparato, si lasciò cadere in ginocchio, con gli occhi spenti. Aveva…ucciso una persona. “La notte non l’ha di certo aiutato…” aggiunse Lucas che si sentiva un po’ in colpa per aver scoperto la verità. “Infatti!” si intromise Dwane, che non riusciva davvero a rassegnarsi “Ora è giorno, ma di notte non c’è una fonte di luce grande quanto il sole! Come è possibile proiettare delle ombre se lo hai detto anche tu, la luce della stanza era spenta?!”. “Pensaci bene” suggerì Lucas “non c’era niente ieri sera che potesse produrre così tanta luce?”. Dwane rifletté un attimo, poi sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo, sconsolato, ripensando a quando era uscito dal treno: “La luna piena…”. Era andata veramente così. Quello sfortunato poliziotto aveva ucciso quella donna, nel tentativo di salvarla. Com’era assurdo il fato! I due uomini furono portati via, tra il clamore dei presenti. Uno accusato di stupro, l’altro di omicidio colposo. I provvedimenti per i due verranno discussi in caserma. Così almeno aveva detto Dwane mentre riaccompagnava Lucas a casa. Per quello non gli piaceva fare il detective, alla fine di un caso si sentiva uno straccio e un verme. Non era per lui, quella vita!

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