La Triade Bianca di GiuEGia (/viewuser.php?uid=13113)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
La Triade Bianca
ATTENZIONE: questo racconto è l’unione creativa di vari
personaggi pescati da vari film, libri, storie che mi hanno colpito e uniti in
un racconto che non segue linee storiche, quindi non urlatemi contro se
troverete strafalcioni di questo genere, Grazie!
Capitolo primo
Rutie era seduta nel gazebo ad ammirare lo spettacolo che le se
presentava davanti. I colori rosseggianti del tramonto davano al laghetto e allo
splendido bosco circostante un'aria speciale, quasi paradisiaca. Ma tutto ciò
non alleviava il vuoto che aveva dentro; infatti si sentiva ancora sola al
mondo, anche se i suoi genitori adottivi le offrivano tutto il loro amore. Più
il tempo passava, più sentiva il bisogno di scoprire di più sulla famiglia che
18 anni prima l’aveva lasciata, davanti alle cristalline porte del palazzo di
Bosco Atro, avvolta dentro delle coperte e accompagnata soltanto da un
biglietto:
"Vi preghiamo, benevoli padroni di Bosco Atro, di occuparvi
della nostra bambina Rutie, di proteggerla dal male che sta
impadronendosi il mondo e di donarle tutto l’amore che donereste
a una
vostra figlia. Inoltre vi chiediamo di darle il ciondolo
contenuto in questa
busta, che un giorno la aiuterà a ritrovare la sua famiglia. Vi
siamo grati.
I & G C."
Aveva letto quel misero messaggio milioni di volte da quel
giorno di qualche mese passato, quando durante la festa del suo diciottesimo
compleanno i suoi tutori l’avevano informata che non era figlia loro. Infatti
più volte si era chiesta perché quelle due persone non le assomigliavano per
nulla; Rutie aveva infatti splendidi occhi azzurri e lunghi capelli castani,
mentre i suoi falsi genitori erano biondi con profondi occhi verdi. Inoltre
nessuno era mai riuscito a dargli altre spiegazioni su quel bellissimo pendente
con frammenti in diamante e acquamarina a forma di fiore; sapeva che l’avrebbe
aiutata, ma non riusciva a capire in che modo. Sapeva soltanto che doveva
cercare, ovunque nel mondo, la sua famiglia e che l’unico modo per trovarla era
quel ciondolo. Era immersa in mille pensieri, quando sentì una mano posarsi
sulla sua spalla destra. Allora mise in pratica i mille insegnamenti del maestro
di autodifesa: afferrò senza esitazione il braccio dello sconosciuto e senza
guardarlo in faccia lo rigirò in un baleno e lo stese a terra, nonostante avesse
un colpo snello e poco muscoloso. Solo a quel punto vide chi era il suo
avversario, aveva biondi capelli lunghi fino alle spalle e occhi verdi, era
infatti il figlio più giovane dei padroni di Bosco Atro, il suo fratellastro.
Per questo mollò la presa salda e aiutò il diciottenne ad alzarsi.
-Oddio! Scusami Michele! – disse Rutie, con un'espressione
dispiaciuta – Mi hai preso di sorpresa.
-Non importa. L’importante è che non mi rivolti in questo modo
davanti a qualcuno, se no che figura faccio con i miei amici, rigirato come un
calzino da una ragazza! – gli rispose Michele cominciando a ridere.
-La figura che si merita un ragazzo che si lascia battere da
una ragazza – gli rispose a tono la moretta.
-Spiritosa! Comunque, ti stanno cercando mamma e papà, hanno
bisogno di parlarti di qualcosa di importante, credo, perché mi sembravano
piuttosto agitati – la informò Michele, con faccia interrogativa.
-Ok, grazie! Vado a sentire cos’altro hanno da dirmi – rispose
Rutie. Salutò il fratello adottivo e si allontanò con malavoglia dal gazebo per
dirigersi verso il palazzo; curiosa di sapere cosa avessero da aggiungere i
falsi genitori ai milioni di discorsi aperti e mai chiusi sulla sua famiglia
sconosciuta e su i vari modi per trovarla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
La Triade Bianca - Cap. 2
Capitolo secondo
Seduto ad uno dei tavoli della famosa biblioteca di Gran
Burrone, un alto moro dagli splendidi occhi blu era intento a consultare un
centinaio di libri, tutti su amuleti e ciondoli. Il suo nome era Aragorn. Il
diciottenne stava cercando qualche informazione in più sul ciondolo, a forma di
fiore celeste e bianco, regalatali da quei genitori che non aveva mai visto e
che lo avevano abbandonato davanti alla porta del palazzo di Erlond, re di Gran
Burrone. Erlond lo aveva informato, gia quando avevo 10 anni, di non essere suo
padre; ma soltanto dal giorno del suo diciottesimo compleanno, qualche mese
prima, aveva sentito la voglia di sapere crescergli dentro. Ricercava senza
successo su ogni libro possibile se quel ciondolo fosse uno stemma di qualche
famiglia del mondo: poiché era l’unica cosa, secondo quello che diceva il
biglietto lasciato dai suoi genitori, che l’avrebbe aiutato a scovare la sua
famiglia. Dopo aver sfogliato anche l’ultimo libro rimastogli, lo chiuse con un
tonfo secco, che lasciava comprendere benissimo che non era un ragazzo dalla
grande pazienza. Si alzo dal tavolo e con il volto deluso si diresse verso
l’uscita. Prima che riuscisse ad aprire la porta sentì una voce che alle sue
spalle lo chiamava:
- Aragorn, aspettami, vengo con te! – esclamò Arwen, sua
coetanea e ultima figlia di Erlond.
- Ok, ma datti una mossa che ho molto da fare – rispose il
moro, appoggiandosi al muro ad attendere la ragazza.
- Uffa! Come sei uggioso stasera. Cosa ti ha detto mio padre
che ti ha fatto diventare così irritabile? – gli chiese la bruna, curiosa.
- Non sono affari tuoi, e nemmeno di tuo padre. Lui vuole
controllare le vite di tutti, compresa la mia, ma non ci riuscirà tanto
facilmente, io sono un osso duro! – replicò secco e poco cortese Aragorn, con la
voce di uno difficile da domare.
- Ok, ma non ti arrabbiare! Volevo solo fare un po’ di
conversazione - rispose Arwen, dirigendosi verso l’uscita.
Per tutto il resto del percorso verso casa nessuno dei due
spiccio più parola; lui troppo preso da pensieri sulla sua famiglia e lei
timorosa di scatenare ancora la sua ira e di perderlo per sempre. In qualche
minuto arrivarono a casa, e prima che Arwen potesse aggiungere qualcosa sulla
loro ultima discussione Aragorn salì le scale con l’agilità per nulla tipica
della sua razza, bensì di un elfo, e si chiuse in camera. Arwen guardò delusa la
porta da dove era sparito il moro. Era sempre stata innamorata di lui fin da
piccola, ma lui non aveva mai dimostrato di contraccambiare quel sentimento. Era
sempre stato troppo preso dai piani d’indipendenza da Erlond, che ogni giorno
tentava di trasformare la sua energia di ribellione nel educazione appropriata
ad un uomo di alta aristocrazia. |
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
La Triade Bianca - Cap. 3
Capitolo terzo
Tra le antichissime stanze del palazzo d’oro di Roan si senti
echeggiare una voce ferma e sicura, che ripeteva più volte lo stesso nome,
aumentando man mano d’intensità.
- Seth! Seth! Seth!
Ma dove diavolo ti sei cacciato! Esci fuori, perché se ti
trovo io ti tiro il collo come ad una gallina! – urlava il re di Roan,
Theoden.
- Eccomi, sto arrivando! – esclamò il diciottenne dagl’occhi
color cielo dalla fine del corridoio.
- Ma dove eri finito! E’ da un'ora che mi sgolo per cercarti! –
chiese Theoden.
- Ero nella mia stanza a rileggere la lettera, sai, pensavo che
ci avrei trovato qualche indizio……….- cominciò Seth, con un tono deluso. A
quelle parole il re dimenticò di doverlo chiamare per la cena.
- E’ inutile, te l’ho già detto, di questi tempi tutta la tua
famiglia sarà già morta! – lo interruppe il re – Mettiti l’anima in pace; ormai
gli unici "parenti" che ti sono rimasti siamo noi!
Quelle parole buttarono ancora più giù il ragazzo, che se ne tornò in camera,
sfiduciato. Ma dentro di se c’era qualcosa che ancora credeva che fossero ancora
tutti vivi, una speranza alimentata dai bagliori fiduciosi di quel ciondolo a
forma di fiore donatogli dai suoi veri genitori.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo quarto ***
Capitolo quarto
Nonostante la brutta aria di guerra che girava per Minasth
Thirith, la locanda "Il Condottiero" era affollata di persone, ma non i soliti
giovani in cerca di un posto dove bere qualcosa, ma i vecchi veterani e saggi
della città, che approfittavano della poca confusione per discutere dei problemi
di Gondor. Tra i soliti fedeli clienti, seduto ad uno dei tavoli rovinati, c’era
un vecchio mago vestito di grigio che da tanto tempo non si faceva vedere in
città, Gandalf. Con il cappuccio tirato giù, sorseggiava il suo tè caldo
ascoltando qualche conversazione qua e là. Quando sentì quattro vecchi saggi,
seduti ad un tavolo vicino, discutere dei rimedi per salvare la loro città natia
e il resto del mondo………
- Secondo me l’unico modo per salvarci tutti la pellaccia è
riaprire le vecchie alleanze, unirci in un unico potente esercito e sconfiggere
tutti quegli orchetti puzzolenti…… – cominciò uno dei quattro, con la voce
sicura di uno che se ne intende.
- Ma cosa dici! L’unico modo è attaccarli di sorpresa, con il
nostro esercito in un batter d’occhio li uccideremo tutti e diventeremo i più
potenti al mondo – esclamò il secondo, interrompendo malamente l’amico.
- Nooo! C’è un solo modo per sconfiggere un male così
potente……– cominciò il terzo, abbassando la voce-…la Triade Bianca!
- Cosà?! – esclamarono i primi due – ma è impossibile, non
nascono gemelli da moltissimi anni, e poi non ci sono i segni…….
- E invece sì! – rispose il quarto – i segni ci sono, eccome!
Ricordate la leggenda?
- Ma certo! - esclamò il primo -…Si narra che al momento della
fondazione di Minasth Thirith, gli abitanti organizzarono una festa in onore
della dea delle acque, Beatrice, per chiederle di proteggere la città. La dea,
commossa da tanto amore dimostratogli, non solo dichiarò la città sua protetta,
ma emanò questa profezia:
"Quando sentirò che la città avrà bisogno del mio aiuto nel
futuro, poiché verrà attaccata dal male, io farò in modo che la regina,
legittima moglie del re, rimanga incinta di 3 gemelli, tutti con il mio
simbolo.
Ma questi 3 bambini dovranno essere divisi nelle tre città
alleate; Bosco Atro,Gran Burrone e Roan; per fare in modo che oltre alla cultura
di Gondor, che per nascita avranno nel sangue, apprendano anche costumi di
quest’altre città: in previsione di quando, una volta compiuti 18, si
ritroveranno grazie a ciondoli, creati con una goccia di sangue ciascuno.
Qualche tempo dopo l’albero bianco fiorirà e loro si riuniranno guidando gli
eserciti del bene verso un'unica durissima battaglia contro il male che, grazie
alla loro forza e alla loro totalità, sconfiggeranno e riporteranno la pace nel
mondo".
- Questo non cambia niente, non c’è nessuno dei segni
menzionati dalla profezia! – esclamò il secondo, appena l’amico ebbe
terminato.
- Ne sei proprio sicuro!? – chiese il quarto, con un sorriso
divertito – elenchiamo tutti i segni e controlliamo.
- Allora, il primo segno è la regina che improvvisamente rimane
incinta e partorisce dei gemelli……….- cominciò il secondo.
-Diciotto anni fa la regina Girlaen rimase incinta prima di
partire, ma appena partorito disse a tutti che il bambino era morto, era una
menzogna! Mio fratello era uno dei medici di corte in quel periodo e vide la
regina partorire tre gemelli! – informò il terzo.
- Ma ancora non vuol dire niente……- disse il primo.
- Il secondo segno è che i tre bambini hanno il segno di
Beatrice, cioè occhi azzurri….- continuò il secondo.
- Mio fratello giura di aver visto che i bambini avevano
gl’occhi azzurri – esclamò il terzo.
- Non ci sono ancora prove plausibili…..- dichiarò il
primo.
- La terza è che i 3 bambini siano divisi…….- disse il
secondo.
- Subito dopo aver partorito la regina e il re sono partiti in
segreto con i figli e quando sono tornati i bambini non erano con loro –
dichiarò il terzo.
- Ma ancora non basta…- insisté il primo.
- L’ultima è che l’albero bianco fiorisca. – terminò il
secondo.
- E anche questo è successo. Stamani sono passato davanti
all’albero e con la coda dell’occhio ho notato due o tre fiori sull’albero………la
profezia si sta avverando! – concluse il quarto.
- Quindi la leggenda è vera……….e quindi tra qualche mese la
triade si dovrebbe riunire e dovrebbe salvare il mondo dal male! – esclamò il
secondo.
- Ma come facciamo ad essere sicuri che siano stati costruiti i
3 ciondoli? – chiese il primo, ancora convinto della sua idea. A quel punto
Gandalf si senti come interpellato nel discorso e avvicinandosi al tavolo dei
saggi si presentò:
- Buonasera Signori! Il mio nome è Gandalf, e penso che abbiate
bisogno di me –disse il mago stringendo la mano a tutti gli anziani seduti al
tavolo.
- E perché? – chiese sprezzante il primo anziano.
- Perché sono stato io a costruire i ciondoli 18 anni fa per
ordine del re – rispose Gandalf , lasciando tutti a bocca aperta.
- Avete visto, ci sono tutte le prove. Adesso dobbiamo soltanto
aspettare che la triade si riunisca e il mondo sarà salvo! – esclamò il quarto,
alzandosi dalla sedia.
I cinque anziani passarono tutto il resto della sera a
discutere sulla profezia e su i tre ragazzi, fino a che il locandiere non li
buttò fuori alle 5 di notte, dopo di che ognuno tornò per la sua strada.
Gandalf, mentre tornava alla sua stanza dell’hotel, pensò che forse doveva dare
una mano alla triade a riunirsi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo quinto ***
Capitolo quinto
Rutie entrò nella sala reale e si accorse subito che il
discorso che stavano per farle era qualcosa d’importante, vitale, almeno per
loro. La fecero sedere su una sedia, come per controllare e reprimere meglio la
sua ira, e le chiesero di non dire nulla fino a che non avessero finito di
parlare. Sostennero che non doveva partire, non doveva assolutamente andare a
cercare la sua famiglia; perché, secondo loro, il mondo in quel periodo era
"troppo pericoloso per una ragazza come lei". Questo ordine, chiaro e deciso, fu
seguito da alcuni minuti di silenzio, durante i quali i due adulti aspettarono,
vigili, la reazione di Rutie. Ma proprio nel momento in cui i due si
tranquillizzarono la scenata iniziò. Rutie si alzò dalla sedia, apparentemente
tranquilla, e iniziò a gridare contro di loro, con il viso rigato di lacrime.
Gli urlò contro che non avevano nessun diritto di dirle cosa fare, perché non
erano i suoi veri genitori, e che avrebbero potuto chiuderla a chiave nella sua
stanza, ma che avrebbe trovato il modo di fuggire per cercare la sua famiglia.
Detto questo girò i tacchi e se ne tornò in camera sua. Appena chiusa dietro di
se la porta con un tonfo si gettò sul letto scoppiando in lacrime. Pianse per
più di due ore, senza alzare la testa dal cuscino, che diventò in poco tempo una
spugna. Erano le otto di sera, quando si accorse di non aver più lacrime da
versare e, dopo aver passato qualche minuto a riflettere sul da farsi, decise di
prendere un po’ delle sue cose e di fuggire durante la notte. Per un uomo
qualsiasi uscire vivo dal Bosco Atro era un impresa impossibile, da quanto era
intrigata la linea di sentieri per uscirne; ma lei, che da quando era piccola
viveva li, conosceva uno o due sentieri senza sentinelle che potevano
permetterle di fuggire. Bastava quindi sgattaiolare da palazzo, raccontare qualche scusa allo stalliere per prendere il suo Zodiach
(splendido cavallo arabo dal mantello pezzato grigio) e fuggire per uno dei
sentieri. Dopo aver cenato, badando di realizzare una perfetta espressione
indifferente, si ritirò nella sua stanza dicendo di aver molto sonno e cominciò
a preparare lo zaino. Aspettò che fossero tutti a letto e usci con passo felpato
dal palazzo. Ci volle qualche minuto per convincere lo stalliere, ma alla fine,
preso il suo cavallo, imbocco il primo sentiero e dopo una mezz’oretta scovò
l’uscita e si trovò davanti ad un’immensa prateria che terminava notevolmente
lontano con imponenti montagne. Da lì cominciava la sua avventura.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo sesto ***
dd
Capitolo sesto
Aragorn restò chiuso nella sua stanza per 3 giorni, senza uscire: ne per
mangiare, ne per andare a scuola, a riflettere su quello che doveva fare. Mille
domande gli affollavano la testa, tenendolo occupato per tutta la giornata,
senza lasciargli pace. Non sapeva cosa fare; per la prima volta nella sua vita
era indeciso: poteva restar o partire. Fino a quel momento Erlond aveva deciso
per lui. Era difficile da ammettere, ma il re degl’Elfi, con le sue regole e i
suoi consigli aveva contrassegnato la strada giusta da seguire, permettendogli
di diventare il ragazzo forte e coraggioso che era adesso. Ma questa volta no,
Erlond non aveva detto niente, era rimasto in silenzio. Ma aveva fatto capire
che si fidava di lui, che era diventato un uomo e che quindi poteva prendere le
sue decisioni. E quindi gli aveva lasciato via libera, doveva scegliere da solo.
Solo alla sera del terzo giorno arrivò ad una conclusione, capì cosa doveva
fare, doveva partire. Non poteva più restare a Gran Burrone a viver sulle spalle
di una famiglia che non era la sua. Doveva andare a cercare la sua vera famiglia
e capire perché l’avevano abbandonato lì. Si alzò di scatto dal letto e cominciò
a raggruppare le sue cose. Preparò la sua borsa, in fretta e furia, riponendoci
soltanto lo stretto necessario per un lungo viaggio, comprese le sue amate armi.
Dopo aver controllato più volte di non aver dimenticato nulla, scese nelle
cucine e racimolò qualche provvista per il viaggio. Non andò a salutare nessuno
della sua finta famiglia, perché tutti avrebbero cercato di fermarlo e qualcuno
avrebbe pianto, peggiorando soltanto le cose. Si diresse verso la stalla,
passando con passo felino davanti alle stanze del re e della principessa,
eludendo abilmente il controllo delle guardie. Montò in groppa al suo magnifico
baio Brego e uscì al galoppo dalle stalle, lasciando tutti stupefatti. Da sempre
il moro era stato un ragazzo rivoluzionario, ma non aveva mai tentato di
lasciare la città. Si era sempre limitato a rifiuti e ragazzate, ma non aveva
mai oltrepassato il limite impostogli dal suo tutore. Così per la prima volta
nella sua vita, con i capelli al vento e il mondo davanti a se, si sentì grande,
grande davvero. Spronò ancora Brego, portandolo ad un galoppo più forzato e si
diresse verso la pianura a sud di Gran Burrone, verso una nuova avventura.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo settimo ***
Capitolo settimo
Theoden lo aveva scoraggiato molto, aveva distrutto i suoi
progetti, i suoi sogni. Rimase a lungo a pensare, disteso sul letto, stancandosi
subito. Dopo aver scaricato la rabbia giocando alla playstation, abbandono tutto
per leggere Fumetti. Arrivò in poco tempo al suo fumetto preferito e allora capì
che doveva andare a cercare la sua famiglia vera, anche se Theoden non voleva.
In fondo ormai era un uomo, non poteva certo farsi comandare
da un vecchiaccio antipatico! Così, preso da un momento di massima sicurezza in
se stesso, infilò nello zaino qualcuno dei suoi fumetti e altre cose necessarie
e uscì deciso dalla sua stanza. Scese in cucina furtivamente e riempì lo spazio
rimasto nello zaino con il cibo che trovò. E infine scrisse un biglietto per
Theoden, dove spiegava di partire non per rabbia o ribellione, ma per cercare la
sua famiglia e inoltre lo ringraziava di averlo allevato e di averlo trattato
come un figlio legittimo. Seth si diresse a passo veloce verso le stalle, dove
sellò il suo cavallo Berio e salutò gli stallieri, a cui era molto affezionato.
Una volta pronto saltò in sella e parti a galoppo verso l’uscita e verso una
nuova vita.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo
Ottavo
Appena
si risvegliò dal suo sonnellino disturbato dai postumi di una sbronza, Gandalf
si diresse in bagno con un espressione disorientata in
volto.
Si
sciacquò più volte il viso per recuperare anche le ultime gocce di lucidità
permessa dalla vecchiaia e si blocco ad osservare il suo viso riflesso nel
vecchio specchio della sua stanza.
Profonde
rughe e occhiaie facevano da contorno al suo viso stanco e stressato, ormai da
troppo tempo non riusciva più a dormire tranquillo.
Colpa
soltanto di quell’aria salubre di odio e paura che premeva sulla Città
Bianca.
Si
spostò lentamente in terrazza, alla ricerca di almeno un po’ d’aria fresca e
buona, che non trovò.
Fece
scorrere gli occhi stanchi sui palazzi grigi e logori di quella che una volta
era una delle città più belle della terra di Mezzo.
Alzò
lo sguardo verso il cielo.
Era
ormai poco il cielo azzurro visibile sopra la città, oscurata quasi del tutto da
un fitto gruppo di nuvole nere e poco rassicuranti.
Sospirò
al ricordo di com’era prima Minas Thirith: lucente piena di vita e di
speranza.
Adesso
la poca gente che vi viveva ancora era triste e rassegnata a quell’orribile
sorte che li aspettava.
Vagava
tra i suoi nostalgici ricordi di una terra di mezzo ancora felice, quando
qualcuno bussò alla sua porta attirando la sua attenzione.
Tornò
nella sua stanza per andare incontro alla persona che era appena apparsa sulla
porta.
Uno
dei paggi di corte, visibilmente inquieto, attendeva che il vecchio stregone gli
desse il permesso d’entrare.
Gandalf
si sedette su una vecchia poltrona e si accese la vecchia
pipa.
-Entra
pure ragazzo – disse guardandolo dritto negl’occhi – Hai qualche novità per
me.
Il
ragazzo si avvicinò timoroso allo stregone.
Aveva
sentito molte storie su di lui, non tutte rassicuranti.
-
Beh…ecco io… - rispose l’intimorito ragazzo torcendosi le mani e abbassando lo
sguardo - …ho svolto la ricerca che mi ha chiesto…
Gandalf
annuì soddisfatto.
-
Ottimo – esclamò lo stregone – Cos’hai trovato in
biblioteca?
Il
ragazzo alzò lo sguardo e frenetico iniziò a mostrare a Gandalf i libri che
aveva appoggiato sullo scrittoio della stanza.
Lo
stregone sorrise soddisfatto; quel ragazzo non l’aveva
deluso.
Ogni
libro che gli aveva portato era attinente a ciò che gli aveva
chiesto.
Aveva
pregato al ragazzo di cercare nella biblioteca del Palazzo Reale alcuni libri
che parlassero di profezie e amuleti.
Lasciò
andare il paggio, dopo averlo lautamente ringraziato e premiato, e si mise a
sfogliare i tomi posti sulla sua scrivania.
Passo
sui libri il resto della giornata, senza concedersi pause.
Solo
quando scoccarono le nove di sera terminò di studiarli.
Dopo
averli accuratamente riposti, si distese sul suo letto a baldacchino a
riflettere.
La
sua mente pullulava d’informazioni preziose che lo avrebbero aiutato nella sua
missione.
Oramai
aveva deciso. Sarebbe partito alla ricerca dell’unica salvezza rimasta per
l’umanità: la
Triade Bianca.
Con
questi pensieri e una piccola speranza di riuscita si addormentò; e finalmente
dormì tranquillo.
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo Nono ***
Capitolo
Nono
Lo
stallone grigio discese la collina ad alta velocità, liberando la sua intera
potenza.
Rutie
si lasciò andare, con gli occhi chiusi e i capelli liberi di svolazzare al
vento.
Finalmente
dopo tanto tempo si sentiva libera.
Libera
di correre, gridare e buttar fuori
le emozioni che da troppo tempo teneva chiuse dentro di
se.
Solo
quando Zodiach rallentò la sua corsa, ansimando, si accorse di un piccolo
paesino arroccato su una collina.
Il
sole era ormai calato del tutto sulla terra di mezzo, lasciando il posto ad una
luna argentea.
Tese
le redini, arrestando il grigio, e osservò la cittadella.
Formata
soltanto da un piccolo numero di case, il paesino non aveva un aria molto
rassicurante.
Le
sue mura erano rovinate e semi distrutte dal tempo e gli edifici, costruiti in
legno, erano ricoperti di muffa.
Una
raffica di vento la oltrepassò, procurandogli un’ondata di
brividi.
Ferma
davanti all’arco d’entrata, Rutie calcolava le sue probabilità di sopravvivenza
se avesse dormito fuori.
Si
morse il labbro, tesa, e tallonò il ventre del grigio.
Attraversò
il portale e si diresse verso il centro.
Era
completamente deserto.
Il
profondo silenzio infranto dagli zoccoli poggiati sulla vecchia pietra.
Nella
completa oscurità della strada che stava percorrendo, Rutie scorse delle
luci.
Si
avvicinò per capire da dove proveniva e con sollievo scoprì che si trattava di
una piccola taverna.
Dopo
aver frugato nel suo zaino alla ricerca di qualche spicciolo, condusse Zodiach
nella stalla ed entrò.
Appena
mise piede dentro la taverna, venne invasa da un’ondata di calore rassicurante
che le fece chiudere gli occhi.
Appena
li riaprì ciò che vide la portò storcere il naso,
disgustata.
Il
locale era sporco, puzzolente e pieno di ubriaconi.
Per
un attimo le passo per la mente l’idea di girare i tacchi e andarsene, ma la
stanchezza le fece cambiare idea.
Si
avvicinò al balcone, dove un uomo calvo puliva il piano logoro con uno straccio
unto, e vi si appoggiò.
L’uomo
alzò lo sguardo dal suo lavoro e la scrutò con gli occhi
neri.
-Posso
aiutarla, Signorina? – mentre parlava un ghigno si dipinse sul suo viso segnato
dal tempo.
Rutie
attese in silenzio, perplessa, prima di rispondere.
-
Vorrei prenotare una stanza – La mora alzò la testa, tentando di ottenere
un’aria da superiore.
-
Vediamo un po’… - L’uomo tirò fuori da sotto il balcone un registro sgualcito e
iniziò a sfogliarlo.
Solo
dopo più di un minuto rialzò lo sguardo dalle pagine ingiallite per rivolgersi a
Rutie, che stava quasi per perdere la pazienza.
-
Ecco qua! Trovata! – chiuse con un tonfo il registro e afferro una chiave da un
barattolo – Mi segua…
L’uomo
uscì da dietro il balcone e si diresse verso le scale.
Rutie
lo seguì titubante, passando tra i tavoli rovinati.
Una
volta salite le scale scricchiolanti, si ritrovò in un corridoio ammuffito e
illuminato soltanto da una debole fiaccola appesa al
soffitto.
Il
locandiere l’attendeva impaziente davanti alla porta situata in fondo al
corridoio.
Appena
lo raggiunse, l’uomo aprì la porta davanti a lui, facendo gesto a Rutie
d’entrare.
La
ragazza entrò titubante, tentando d’immaginarsi le condizioni della
stanza.
Quando
alzò lo sguardo per guardarsi intorno ciò che vide la lasciò
spiazzata.
La
stanza era costituita da poco più di due metri quadrati ed era ricoperta da una
carta da parati ingiallita e da una moquette unta e
spelacchiata.
Ad
arredarla c’erano soltanto un vecchio armadio scassato e da un lettino dalla
rete arrugginita.
Nessuna
finestra permetteva lo scorrimento dell’aria.
Si
coprì il naso con una mano.
Nella
stanzetta aleggiava un odore terribile, un misto tra palude e cibo
muffito.
L’uomo
notò l’espressione disgustata della ragazza e le si
avvicinò.
-
Cos’ha che non va questa stanza?! – le chiese indispettito – E’ forse troppo
umile per uno come lei!?
Rutie
si voltò verso di lui, pronta a controbattere, ma non ne ebbe il
tempo.
L’uomo
le puntò un dito contro e continuò a parlare.
-
Comunque questa è l’unica stanza libera che ho, quindi si deve accontentare! –
L’uomo usci dalla stanza, continuando a parlare – Il bagno è infondo al
corridoio…Sogni d’oro!
L’uomo
si allontanò, bofonchiando qualcosa che lei non riuscì a percepire, ma che
sicuramente non erano complimenti.
Rutie
chiuse la porta dietro di se e lasciò andare lo zaino sul pavimento, andando a
sedersi con un tonfo sul letto, che per poco non cedette sotto di
lei.
Si
portò le mani tra i capelli e sospirò.
-Iniziamo
bene!
Si
distese sul letto e esaminò il soffitto pieno di macchie
scure.
Solo
dopo quasi un’ora riuscì a dimenticarsi del brutto odore e si lasciò andare alla
stanchezza, inoltrandosi in un sonno agitato.
Quando
la mattina dopo si svegliò un dolore acuto alla schiena peggiorò il suo umore
già nero.
Raccolse
le sue cose e scese disotto nella locanda, impaziente di lasciare quel
posto.
Quando
entro nella stanza notò che gli alcolisti della sera prima erano stati
sostituiti da un paio di vecchi seduti in un angolo e da un gruppo di
uomini.
Si
avvicinò al balcone, dove l’oste puliva con lo stesso straccio della sera prima,
per pagare ed andarsene.
L’uomo
non la degnò di uno sguardo, si limitò a darle il conto ed ad
intascare.
Rutie
scosse la testa, sdegnata, e uscì dalla locanda.
Solo
una volta tirato fuori dalla stalla Zodiach si accorse di essere seguita
dagl’uomini che prima erano dentro il locale.
Si
morse il labbro inferiore, nervosa, e si allontanò, facendo finta di
niente.
Ma
gli uomini non demorsero e salirono a cavallo.
Con
un balzo la mora montò in groppa al grigio e si sporse verso il suo
orecchio.
-
Corri, Zodiach, corri! – Il grigio scalpitò, ansioso di partire – Facciamo
vedere a loro di cosa siamo capaci!
Il
grigio si lanciò al galoppo verso l’uscita della città e il gruppo degli
inseguitori li inseguì.
Raggiunsero
la radura davanti alla cittadella, dove Rutie incalzò il grigio per raggiungere
il prima possibile il bosco che si stanziava più in là.
La
mora si voltò per vedere quanta distanza la divideva
dagl’inseguitori.
Si
accorse con sgomento che oramai le erano alla calcagna.
Zodiach
si addentrò nella foresta, facendosi largo tra gli
arbusti.
Rutiè
si accucciò il più possibile al suo cavallo, tenendo sempre d’occhio il gruppo
d’uomini dietro di lei.
Era
girata indietro quando si verificò un imprevisto.
IL
piccolo sentiero percorso al galoppo dal Grigio s’interrompeva improvvisamente
davanti ad ammasso di rocce.
Zodiach
riuscì in tempo ad interrompere la sua corsa e s’impennò.
Rutie,
che era ancora voltata verso gli inseguitori, fu scagliata a
terra.
Gli
uomini la raggiunsero e, ridendo, scesero da cavallo.
Prima
che potesse riprendersi dalla caduta, Rutie fu circondata e trascinata contro un
albero.
-
Volevi scapparci, eh!? – uno degl’uomini si avvicinò a lei, alzandole il mento
con un dito – Ma noi siamo riusciti a prenderti lo stesso,
dolcezza.
L’uomo
si accostò ancora di più a lei,
avvicinando la sua bocca al collo della mora.
Rutie
gemette, disgustata, e tentò di
liberarsi dalla stretta degl’uomini.
-
Lasciatemiii! – calde lacrime le rigarono il viso.
Per
la prima volta dalla sua fuga desiderò di non essere
partita.
Dopo
quella che a lei sembrò un’eternità uno dei due uomini che osservavano la scena
ridendo cadde a terra, colpito alla testa.
Poco
dopo anche l’altro venne disarmato e buttato a terra,
svenuto.
Rutie
non riuscì a capire come, ma in poco tempo tutti gli uomini che l’avevano
aggredita erano a terra e lei era libera.
La
mora si lasciò andare, scivolando lungo il tronco dell’albero, sedendosi a
terra.
Le
girava terribilmente la testa e non riusciva a smettere di
piangere.
L’ultima
cosa che vide fu finalmente il volto del suo soccorritore, che si chinò su di
lei.
Era
un elfo, non riuscì a scorgere altro. Poi svenì…
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo decimo ***
Capitolo
Decimo
Il
sole scompariva lentamente dietro le imponenti montagne.
Aragorn
osservava lo spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi
azzurri.
La
sfera infuocata tingeva di rosso l’immensa superficie del paesaggio che si
stanziava sotto di se.
Un’immensa
prateria s’allungava fino a perdita d’occhio, interrotto qua e là da piccole
chiazze di selva.
Lo
stallone baio scalpitò, ansioso di riprendere il viaggio.
Il
moro sorrise.
-
Finalmente libero…
Aragorn
fischiò, facendo scattare Brego in una corsa sfrenata.
I
due si avventurarono nell’intrigata rete di cespugli e arbusti, scaricando la
tensione al tempo di galoppo.
Solo
dopo quasi un’ora furono costretti
a rallentare l’andatura a causa della stanchezza.
Era
ormai buio, quando decisero di fermarsi al limite di una piccola
boscaglia.
Aragorn
sapeva che lì vicino c’era un piccolo paesino, ma preferì accamparsi per restare
un po’ solo.
Dopo
aver tolto sella e briglia al proprio baio, accese un piccolo fuoco per
scaldarsi durante le ore più fredde della notte.
Aveva
già passato qualche notte fuori casa, quindi sapeva come
comportarsi.
Mentre
Brego gli trotterellava attorno, organizzò le provviste in modo da farle bastare
il più possibile.
Consumò
in silenzio la misera razione di cena, difendendosi dai ripetuti attacchi golosi
del baio, che invano cercava di divorare tutto ciò che trovava.
Una
volta terminato assicurò con una corda il cavallo ad un albero e si distese
vicino al fuoco.
Cercò
più volte senza effetto di addormentarsi; ma le ventate gelide, i lamenti di
Brego e la tensione non gli diedero pace.
Mancavano
ancora lacune ore al sorgere del sole, quando radunò le sue cose e rimontò a
cavallo.
Viaggiarono
a lungo, attraversando la pianura che si estendeva al di sotto di Gran
Burrone.
Si
fermarono solo per una piccola pausa vicino al laghetto, ed era già il primo
pomeriggio.
Senza
esitazioni ripresero il cammino, senza però utilizzare grandi
andature.
Un’altra
notte si abbassò sulla coppia affaticata e ansimante, con le sue stelle lucenti
nel cielo e le folate di vento gelido.
Vampate
di brividi attraversarono Aragorn, mentre cercava di accendere il
falò.
All’ennesimo
tentativo fallito, il moro lanciò irato lontano le due rocce, facendo allarmare
il baio.
Si
lasciò andare a sedere a terra, sfiduciato.
Abbassò
la testa, strusciandosi gli occhi stanchi.
Quando
li riaprì, l’attenzione gli cadde sul ciondolo appeso al suo
collo.
Il
fiore in diamanti continuava ad emanare bagliori di luce bianca e
rassicurante.
Mille
domande gli affollarono la testa, e anche mille dubbi.
-Sono
sicuro di aver fatto la cosa giusta? – si tolse la collana per osservarla
meglio.
Adesso
che la teneva sul palmo aperto, quella luce sembrava che gli stesse parlando,
stimolandolo a non arrendersi.
Era
assorto nei suoi pensieri, quando un leggero e soffice tocco vellutato gli
sfiorò la testa.
Aragorn
alzò di scatto la testa e incrociò lo sguardo con quello del suo
cavallo.
-
Hai ragione – sussurrò, sorridendo e accarezzando il muso marrone – non devo
arrendermi al primo momento di sconforto…
Dicendo
questo, si alzò in piedi e radunò un’altra volta le sue cose e
ripartì.
Si
diresse verso il piccolo paesino situato lì vicino.
Questa
volta deciso a non arrendersi.
Pronto
ad affrontare ogni difficoltà con forza d’animo.
Deciso
a scoprire le sue origini.
Stringendo
in mano il ciondolo a forma di fiore, unico ricordo dei suoi
genitori.
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
Capitolo
undicesimo
-
“Sole…caldo…sete…fame…stanco…” - le stesse cinque parole echeggiavano
all’infinito nella mente affaticata del moro.
Da
oramai molto tempo non sostava in una città e la voglia di un qualche di confort
cominciava a farsi sentire.
Seduto
scomposto sulla sella e attaccato per un pelo alle redini del baio, Seth fissava
la strada davanti a se con sguardo perso.
Per
fortuna che Berio era perfettamente in grado di mantenersi da solo sul
sentiero.
-
“Sole…caldo…sete…fame…stanco…” – la vista cominciava ad offuscarsi e la forza ad
affievolirsi.
Ad
un piccolo saltello del cavallo, il moro si destò, tornado a sedersi esattamente
sulla sella.
Si
stropicciò gli occhi con una mano libera e si guardò attorno, con aria
spaesata.
-
Ma dove siamo finiti, Berio?! – Si chinò in avanti verso le orecchie vivaci e
erette del baio.
Lui
sbuffò e scosse la testa, scalpitando sul sentiero
scomposto.
-
Guarda, che sei stato tu a scegliere la strada fino a qui – esclamò, stizzito
Seth - quindi è colpa tua se ci siamo persi!
Di
risposta Berio, con uno scatto fulmineo, parti al galoppo, come adirato dalle
parole del suo cavaliere.
Il
povero ragazzo, preso alla sprovvista, riuscì solo per qualche secondo a
trattenersi in groppa al suo destriero, poi venne sbalzato a terra, con un
tonfo.
Il
baio fermo e, trotterellando soddisfatto, si avvicino al
ragazzo.
Quest’ultimo
si alzò dolorante, con una mano appoggiata dietro schiena.
Berio
si avvicinò a lui, cominciando ad annusarlo.
Seth
si drizzo, stiracchiandosi, e togliendosi la polvere di
dosso.
Alzò
lentamente lo sguardo furente.
-
Maledet….!! – imprecando, si stava avvicinando irritato al cavallo, quando una
voce sicura e calma divento di lui lo distrasse.
-
Credo che tu abbia qualche problema di tipo disciplinare con il tuo
cavallo……
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML
Editor
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo dodicesimo ***
> Prima di
cominciare vi chiedo scusa per tutto il tempo che ho fatto passare prima di
aggiornare di nuovo, ma il tempo libero è assai scarso!! Perdonatemi!! Inoltre
vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto questa modesta (e a dir poco
orribile!) storia, in particolare Chan, Kessachan ed Elfa, che hanno recensito
con mooolta pazienza. Grazie 1000 di cuore! Siete fantastici! ;-) GiuEGia
Capitolo
dodicesimo
Uno
strano senso di stordimento prese lentamente posto al leggero sonno che l’aveva
tenuta occupata per chissà quanto tempo. Poco dopo si aggiunse anche un
costante, ma tenue, dolore alle ossa, come se un branco di elefanti le fosse
passata sopra mentre era svenuta. Per di più il sapore ferreo del sangue e la
sofferenza del compiere ogni respiro faceva sembra ogni minuto lungo più di un
anno. Tentò più volte di aprire le deboli palpebre, inutilmente, riuscendo
soltanto ad aumentare il ritmo del faticoso respiro e l’intensità del dolore.
Dopo mille tentativi, esaurite le ultime forse che le erano rimaste, cadde in un
leggero assopimento, in cui sentiva e percepiva tutto. La sua mente, oramai
sveglia e riposata, iniziò a vagare, rivivendo sensazioni dell’infanzia e
rielaborando il percorso migliore da intraprendere per il viaggio. Solo a quel
punto si rese conto di spostarsi, ma senza aver il controllo del suo cavallo.
All'istante i suoi sensi, sviluppati come quelli di un elfo, si affinarono,
allargando la sua percezione di ciò che la circondava. Senti l’odore di un
cavallo che non era il suo (aveva imparato con gli anni a riconoscere il suo
Zodiach dagl’altri cavalli), rumori di zoccoli su una strada ciottolosa, ma ben
assestata. Analizzò a lungo i rumori e arrivò alla conclusione che venissero
prodotti da almeno due cavalli. Per qualche secondo il suo animo si rasserenò
alla speranza che lo stallone grigio fosse vicino a lei. Inaspettatamente anche
il suo senso del tatto, lasciato in disparte, si risvegliò dal torpore. Due
braccia robuste, ma allo stesso tempo delicate, la sostenevano, impedendole di
cadere dal cavallo. Il panico la invase. Il terrore di essere fra le braccia di
uno di quegli sporchi briganti gl’invase la testa. La sicurezza svanì, lasciando
il posto alla nostalgia e alla voglia di piangere. Come era già successo durante
il suo viaggio, si pentì di esser scappata dal Bosco Atro e di non aver
ascoltato i suoi genitori adottivi. Non li avrebbe rivisti mai più, e mai
avrebbe incontrato i suoi veri genitori. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi
chiusi, ma non riusciva a lasciarle andare. Era come se il suo corpo fosse stato
paralizzato da chissà quale veleno e la mente fosse l’unica cosa libera di
muoversi. La paura di morire, acquietata per qualche minuto dai pensieri
malinconici e afflitti, la invase di nuovo come un’onda durante una brutta
tempesta, e tentò ancora senza successo di liberarsi da quelle braccia suo
parere nemiche. Rivide improvvisante le ultime immagini della sua giovane vita.
Il gruppo di malintenzionati che l’inseguivano, la caduta da cavallo, le
percosse…e poi la luce. Ricordò con gioia il ragazzo che, rischiando la vita,
l’aveva salvata da una brutta fine. Questa pallida speranza di salvezza le
diffuse nel piccolo corpo la forza necessaria per riprendersi dal sonno e
riaprire gli occhi. Con un peso sullo stomaco riaprì lentamente le palpebre,
sperando con tutta se stessa in un finale felice. Passarono alcuni secondi prima
che gli occhi stanchi si riabituassero alla luce forte del giorno; ciò che vide
fu prima una sagoma che andava definendosi man mano che la sua vista tornava
normale. Un corpo snello e muscoloso, che stava ben eretto sulla sella. Poi
finalmente il viso. Quello di un giovane, sicuramente elfo, che la fissava con i
suoi occhi verdi e apprensivi. Un sorriso dolce e gentile, che lentamente si
dipinse sul suo volto affascinante. Poi gioia. Rutie capì con felicità di essere
in buone mani e, appoggiandosi alla spalla del ragazzo, tranquilla e
gratificata, si lasciò andare in un pianto che aveva contenuto per fin troppo
tempo…
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=83469
|