Bree

di Blu Notte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***



Era venerdì.

Il vento era freddo e forte. Spingeva i pezzi di carta, le foglie, i mozziconi di sigaretta.. Forse stava facendo pulizia, spazzando un po'.

Le donne si tenevano una mano fra i capelli per non farseli scompigliare.

Andavano tutti di fretta.

Le madri con i bambini, gli uomini che tornavano da lavoro, un ragazzo a spasso con il cane..

Un signore la urtò, perché lei, a confronto con tutti loro, stava andando troppo piano.

Il signore si fermò e si voltò verso di lei, forse voleva chiederle scusa.

Lei lo guardò di rimando.

Vide che ce lo aveva già sulle labbra, glielo scorse in bocca. Quel leggero, prezioso “scusa”. Bastava solo una spinta così piccola per farlo uscire..

Ma il signore la mise a fuoco, e il piccolo “scusa” si dissolse sopra la sua lingua.

La scrutò con disappunto e indignazione, come se il solo fatto che lei esistesse fosse un insulto alla sua persona. Poi si voltò e tirò dritto.

Lei rimase un attimo ferma.

Osservò con i suoi grandi occhi marroni il signore allontanarsi.

La sua giacca nera, costosa, pulita. Il suo aspetto così professionale, così pulito e impeccabile.

Le avrebbe fatto piacere quello “scusa”, detto da lui.

La ragazza si voltò e proseguì.

I suoi capelli blu, del colore del mare, disorientavano sempre le persone.

Ma a lei piacevano così.

Il blu.. Il colore dell'acqua del cielo. Di blu c'erano mille tonalità. Chiaro, scuro, opaco, violaceo.

Anche l'azzurro non era che una sfaccettatura del blu. Con il suo verde acqua, cristallo, ceruleo, turchese..

Ci teneva che i suoi capelli fossero blu. Le piaceva acconciarseli, fermarseli con le forcine.

Farli scivolare nella piastra, farli diventare lisci e quieti come il mare in bonaccia.

Erano molto belli. Peccato solo che tutti, lungo quella strada di Torino, le lanciassero strane occhiate..

Lei abbassò lo sguardo. Affondò fino al naso nella sciarpa zebrata, si guardò le scarpe da ginnastica, e finse di non accorgersene.

Proseguì.

Provò ad aumentare il passo, provando a confondersi con tutta quella gente impegnata.

Ma la verità era che non aveva alcuna fretta.

Il tempo, in quel momento della giornata, ticchettava lento e monotono, e lei aveva la sensazione che ogni attimo rimbombasse assordante, da qualche parte nel cielo.

Tirò fuori dalla tasca dei jeans il suo cellulare. Un vecchio nokia, molto rotto.

Lo sbloccò per guardare l'ora.

Le 5:07. Aveva fin troppo tempo.. Come ogni giorno del resto.

Lo sfondo del suo cellulare era una donna dai capelli rossi, ricci. Sorrideva, un po' sorpresa, mentre guardava chi le aveva scattato la foto.

In quel momento, osservando il display del vecchio nokia, si accorse che l'icona dei messaggi lampeggiava.

Le era arrivato un messaggio? Non lo aveva nemmeno sentito vibrare.

Lo aprì.

Ciao, Bree. Siamo tutti in piazza, vieni? Kia

Sentì un sorriso spontaneo allargarsi sul suo volto.

Che bello! Non avrebbe dovuto stare fino alle otto da sola.

Non pensava che i suoi amici fossero in giro quel giorno. Le avevano detto che dovevano andare da qualche parte a Milano, a comprare della coca. Le avevano chiesto se voleva venire con loro, ma lei pensando che tornassero tardi aveva dovuto dire di no.

Non poteva rientrare dopo le otto.

Però che bello! Evidentemente avevano fatto presto.

Affrettò il passo, e rispose alla Kia.

Ciao Kia :) Si certo arrivo, dammi dieci minuti.

Inviò e poi ripose il cellulare.

Finalmente si sentiva come tutti gli altri, affrettata e con qualche pensiero per la testa.

Si infilò velocemente dentro un vicolo, lasciandosi alle spalle il flusso di gente.

Era pratica di Torino, era nata e vissuta lì fino ad allora. Fino ai suoi sedici anni e due mesi.

L'aria nel vicolo si fece immediatamente più fredda.

Sgusciava fra le case, prendeva velocità e la investiva spietatamente.

Aveva freddo alle gambe, i suoi jeans erano troppo leggeri. E sentiva le mani rattrappite. Provò a infilarsele nelle piccole tasche del giubbotto.

Ma d'altronde era più che normale che facesse freddo. Fra quattro giorni sarebbe stato Natale.

Le piaceva il Natale. Era pieno di luci, plaid, e profumava di cioccolato.

Torino, addobbata ogni anno, le metteva sempre dentro una grande allegria.

Uscì dal vicolo, e si trovò in una strada secondaria, un po' stretta, meno frequentata.

Proseguì rapida superando un signore anziano che parlava con il giornalaio. Un marocchino per terra che vendeva occhiali. Una signora indaffarata con quattro borse..

Svoltò un angolo. Una vecchia strada in cui il traffico era vietato, dovette stare attenta a evitare tutti i piccioni.

Poi si trovò di fronte alle scale di pietra, e prese a salirle.

In cima, si trovò nella piazza rialzata di fronte a una vecchia chiesa sprangata e inutilizzata.

Lì, come sempre, c'erano i suoi amici.

Erano quasi tutti seduti sui quattro scalini che portavano alla chiesa. Alcuni erano in piedi mentre fumavano una sigaretta.

Si voltarono verso di lei quando la videro.

C'erano tutti.

La Kia, della sua età e sua compagna di classe. Frequentavano entrambe una scuola professionale, ma, se non fosse stato per i propri genitori, Kia ne avrebbe fatto a meno.

Era una persona estroversa, e si mostrava decisa e tosta.

C'era Dennis, un tipo grosso, che lei trovava molto somigliante ad un simpatico orso bruno. Parlava poco, ma si diceva che picchiasse tanto.

Rayan, il più grande del gruppo, ventisei anni a Gennaio. Era quello che scarrozzava tutti se si doveva andare un po' più distante, e che qualche volta forniva fumo e droga.

Era bello, e aveva sempre sul volto un sorrisetto furbo e soddisfatto.

Megan. Una ragazza di colore, dagli spessi capelli neri raccolti in trecce. Era arrivata in Italia solo pochi mesi fa, non sapeva ancora dire una parola, ma tutti la avevano presa in simpatia.

Clara, una ragazzina di tredici anni. Venerava la Kia e la seguiva ovunque, anche se a lei la cosa irritava parecchio.

Leo, un ragazzo di ventidue anni, gay e il migliore amico della Kia. Era un piacere sentirlo parlare, con quei modi dolci e quella sua voce quasi femminile.. Era triste come la natura si divertisse a far nascere persone con il sesso sbagliato.

Si accorse con un piccolo sussulto che erano presenti anche Marco, e la sua nuova ragazza, Aisha. Erano seduti sugli scalini, lei in braccio a lui, e si stavano baciando.

Quando la videro smisero un istante. Lei le scoccò un'occhiata neutra, Marco una un po' divertita. Poi ripresero a baciarsi.

-Ehi, Bree!- La salutò la Kia.

-Ciao, Bree.-

-Ciao, Bree!-

-Bella, Bree!-

Le fecero eco Leo, Clara e Rayan.

Lei abbassò lo sguardo, e si avvicinò a loro sforzandosi di non guardare Marco e Aisha.

-Ciao ragazzi.- Disse loro, con un sorriso.

Megan ricambiò il suo sorriso, perché era una delle poche espressioni che non conoscevano differenze linguistiche.

I suoi denti brillarono sulla pelle scura.

Dennis le fece un cenno con il capo, burbero.

La Kia lanciò un'occhiata arrabbiata a Marco e ad Aisha, che non la avevano salutata. I due però non la notarono, perché erano troppo occupati.

Aisha aveva fatto scivolare la propria mano sotto la cintura dei jeans di Marco, mentre continuava a baciarlo..

-Vieni, Bree.- Sbottò la Kia, distogliendo lo sguardo. -Siediti qui.-

Lei obbedì. Si sedette vicino all'amica.

Avrebbe preferito che la Kia per messaggio le avesse detto che c'era anche Marco..

Non che volesse evitarlo, ma trovarselo lì davanti all'improvviso le aveva dato una strana sensazione.

Erano stati insieme per un po', loro due. Non per molto, a dire il vero.

Fino a quando non si era saputo che Marco la tradiva continuamente.

Bree in cuor suo non gli aveva mai dato veramente torto. Era un ragazzo molto carino, e si meritava una ragazza normale.. Una ragazza che lo facesse stare bene, con cui si potesse divertire, senza tutti i suoi problemi, le sue difficoltà.

No, non gli dava torto.

.. Solo ogni tanto si domandava come mai avesse giocato così con i suoi sentimenti.

Quando le aveva chiesto di mettersi con lui Bree aveva sorriso, e gli aveva affidato completamente tutto il proprio cuore. Non perché pensava che se lo sarebbe tenuto per sempre, sapeva che era più che altro un prestito.. ma credeva sinceramente che lo avrebbe trattato bene, che per quel poco tempo se ne sarebbe preso cura.

Quindi non si raccapezzava del modo in cui lo aveva gettato via, con sprezzo.

Aveva sofferto un po'.

Ma piano piano le era passata, e adesso stava bene.

Sì, tutto sommato, stava bene.

-Allora, piccolina, come va?- Le domandò Rayan, con il solito tono un po' tronfio. -Dove eri sparita?-

Bree lo guardò con simpatia. -Mi avevate detto che oggi sareste andati a Milano.- Gli fece notare.

Lui ghignò. -Già tornati.-

-È .. andato tutto bene?-

-Tutto liscio.- Intervenne la Kia, e la guardò. -Stasera ci aspetta una bella serata a base di coca. Ne avremmo presa un po' anche per te, ma so che tu preferisci di no.-

Bree scosse la testa. -Sai, Kia, che preferirei che non lo facessi neanche tu..-

-Anche io, Kia.- Intervenne Leo. -Arriverà il giorno che te ne pentirai.-

-Oh Dio! Non rompete le palle voi due.- Guardò prima Leo, poi Bree. -Vi ringrazio per il pensiero, ma sono abbastanza grande da poter scegliere da sola. Intanto non ho niente da perdere..-

Leo si sporse per scambiare un breve sguardo con Bree. Però non ribatté, sapevano entrambi che era inutile.

-Comunque, razza di benpensanti..- riprese Rayan, rivolgendosi a Bree, a Leo e anche a Megan -.. per voi abbiamo racimolato un po' di fumo. Siete contenti? Quello vi va bene, no?-

Bree si trovò a sorridere. -Oh, grazie Rayan!-

In quel momento le avrebbe fatto davvero piacere. Staccare la spina, di tanto in tanto..

-Ma figurati, bambolina. È un piacere. Ce l'ho in macchina, se aspetti un secondo te lo vado a prendere.-

-Ti accompagno.- Disse Bree, alzandosi in piedi.

Rayan la guardò, poi scoppiò a ridere. Si rivolse a Kia -Sai? Penso che quando la convincerai a passare a quelle serie sarà una di quelle persone che non riescono a farne a meno! Si farà tutti i giorni.-

Bree esitò appena sentendo quelle parole.

Le entrarono nelle orecchie e le si posarono con un tonfo in mezzo allo stomaco.

Ma durò solo un momento.

Vide con la coda dell'occhio Marco e Aisha che si baciavano sempre più spinti, le mani di lui sul suo sedere, e quella di lei che premeva dentro i suoi jeans.. e Bree si convinse di avere davvero bisogno di un po' di fumo.

Così seguì Rayan giù dalle scale di pietra, alla sua auto.

Si sedettero sui sedili anteriori e lui, con calma, iniziò a prepararle la canna.

Poi gliela passò insieme ad un accendino. -La signorina è servita.- Disse.

Bree sorrise mentre la prendeva in mano.

La accese, se la portò alla bocca e inspirò.

L'effetto fu immediato.

Il fumo sgusciò dentro di lei intorpidendole i sensi, provocandole un piacevole senso di nebbiosa confusione.

Non vedeva nulla di male in quello che stava facendo.

C'erano gli anestetici per il dolore fisico. Per quello dell'anima era forse differente?

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Erano le 7:50.

Era buio, e Bree stava tornando a casa.

Camminava sul marciapiede, spedita.

Anche se l'aria fredda della sera le faceva bene, le rimanevano ancora gli effetti della canna.

Faticava a camminare dritta, avvertiva il mondo come piacevolmente ovattato e semplice.

La ghiaia invisibile scricchiolava sotto le suole delle sue scarpe. Era l'unico rumore nell'aria.

Stava percorrendo un isolato periferico, con molte villette e graziosi alberi.

Oltre i cancelli delle case, splendevano luci di mille colori.

Flash blu. Verde, arancio, giallo..Attorno agli alberi, sui terrazzi.

Babbo Natali si arrampicavano sulle finestre, stelle comete brillavano come tante insegne..

La sua casa era là infondo, e anch'essa brillava.

Aveva messo lei stessa le illuminazioni.

Non aveva sempre vissuto in quella casetta bianca, con quella modesta striscia di giardino e quella piccola veranda.

Anni fa abitava in un condominio, assieme a sua madre.

La aveva cresciuta da sola, sua madre. Era la donna del display.

La aveva tirata su senza suo padre. In realtà, Bree non sapeva neanche che faccia avesse suo padre. Ma, a pensarci bene, non credeva che lui sapesse della sua esistenza.

Sua madre se l'era cavata bene, era stata una buona mamma. Però un giorno, quando lei aveva undici anni, aveva iniziato a fare i bagagli.

Il ricordo era confuso, ma se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentire le sue urla, e la puzza di fumo.

Urlava che lei le aveva rovinato la vita, che non avrebbe dovuto tenerla a soli vent'anni, che voleva indietro la sua giovinezza. Voleva andarsene.

E così fece.

Uscì dalla casa, lasciandosi tutto alle spalle, e Bree non la vide più.

Nessuno riuscì a rintracciarla, nessuno seppe che fine avesse fatto. Forse la polizia ce la avrebbe fatta, ma le poche persone vicine alla sua famiglia avevano deciso di tenere fra loro la faccenda.

Bree sarebbe finita in un orfanotrofio probabilmente, se non fosse stato per sua nonna. La mamma di sua mamma.

Quella dolce, cara vedova.

La aveva presa, con semplicità. La aveva portata in quella casetta bianca che profumava delle sue torte e delle pesche dell'albero del giardinetto.

Le aveva sempre dato dolci buffetti sulla testa, quando ancora i suoi capelli non erano blu, e sorriso con affetto e gentilezza.

Non ricordava esattamente quando quel bellissimo sorriso aveva iniziato a sfumare, ad avvizzire come una vecchia rosa.

Quando avesse incominciato a farsi ottuso.

Probabilmente era stata una cosa graduale.

Però ricordava perfettamente il giorno in cui per la prima volta la chiamò Miriam, il nome di sua madre.

Le disse, osservandola con i suoi occhi grigi: “Miriam.. Cerca di tornare a casa presto oggi.”

Da allora, non la aveva mai più chiamata Bree.

Credeva fosse Miriam, e lei non aveva mai avuto il cuore per dirle che sua figlia se ne era andata.

La vera Miriam, quando abitava con la propria madre, si alzava al mattino alle sette, andava a lavorare, e tornava la sera alle otto.

La nonna di Bree adesso non era più agile come una volta. Un tempo, quando era giovane, era una donna molto indipendente e coraggiosa, ma adesso aveva paura per l'alto tasso di criminalità. Quindi, quando Miriam non c'era, chiudeva sempre la porta a chiave, e la apriva solo alle otto. Solamente alle otto.

Alle otto apriva la porta, guardava quella ragazzina dai capelli blu sulla soglia, e le sorrideva.

Diceva: “Entra, Miriam, sarai stanca”.

Bree si fermò davanti al cancello. Osservò per un po' le luci nel salotto, oltre la tendina.

Poi girò la maniglia ed entrò, salendo il vialetto.

Una volta aveva provato a farsi fare delle chiavi, e a tornare lì, a casa, subito dopo scuola, senza attendere le otto.

Ma dopo quella volta aveva buttato via le chiavi e non lo aveva più fatto.

La nonna si era molto spaventata, aveva gridato, e le ci era voluto un po' per tranquillizzarla.

Non ne aveva parlato con nessuno.

All'unica persona a cui aveva confidato questo problema – l'infermiera che ogni tanto seguiva sua nonna – aveva detto che la faccenda si era risolta.

In realtà tutto questo continuava da quando aveva tredici anni.

Bree salì sulla piccola veranda.

Una sedia a dondolo, un portaombrelli, un piccolo tavolino dove sua nonna d'estate appoggiava i giornali.

Di fronte a lei, la porta di legno laccata di bianco.

Aspettò.

Dopo qualche minuto, udì dei passi lenti, affaticati. Poi vide la luce nel corridoio accendersi.

La serratura scattò, e la porta si aprì.

Apparve una signora anziana, con un curioso vestito lungo a fiori, un po' curva su sé stessa. I suoi capelli erano bianchissimi, come una nuvola, o un cumulo di panna.

I suoi occhi grigi osservarono Bree, senza metterla a fuoco realmente. Le labbra le si tesero in un sorriso.

-Vieni, Miriam.- Disse. -È pronto.-

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***



La classe era insolitamente silenziosa, mentre la prof passava fra i banchi a consegnare le verifiche di matematica.

Era una delle poche vere e proprie materie che facevano in quella scuola, assieme a italiano.

Posò la verifica sul banco di Bree, e lei vi lesse in rosso “2/3”.

Osservò quel numero senza fare una piega, perché infondo lo considerava privo di importanza.

Si voltò verso la Kia, e lei sollevò la sua verifica per mostrarle il grande “1”.

La Kia guardava Bree con una strana espressione. Di complicità mista quasi a sfida.

Aveva lasciato la sua verifica completamente in bianco.

La Kia non era stupida, e quello era un attacco diretto ai suoi genitori, che non volevano permetterle di abbandonare la scuola.

La prof Tortora tornò alla cattedra. Era una donna robusta, tosta. Teneva testa a quella trentina di ragazzi scapestrati e riusciva quasi a farsi rispettare.

-La verifica non è andata male.- Disse. -Siete riusciti quasi tutti a prendere la sufficienza.-

Bree si guardò attorno e in effetti notò che i suoi compagni avevano espressioni abbastanza soddisfatte.

-Mi aspetto che continuiate così.- Continuò. -La matematica è una materia che vi servirà sempre nella vostra vita, qualsiasi mestiere scegliate di fare. Ricordatevelo, ..-

La campanella suonò, interrompendo il resto del suo discorso.

La Tortora non proseguì, consapevole che era inutile. Si sedette alla cattedra, a compilare il registro, mentre i ragazzi prendevano giacche e zaini e uscivano in massa.

Bree si affiancò alla Kia, e stava per uscire, quando sentì la Tortora richiamarla: -Brenda! Qui un secondo, per favore.-

Bree si voltò, sorpresa.

Poi scambiò un breve sguardo con la Kia, che fece spallucce, come a dire: “boh”.

Bree si voltò nuovamente verso la prof e si avvicinò alla cattedra. Vide con la coda dell'occhio la Kia uscire dalla classe, e aspettarla lì fuori.

-La verifica è andata male, Brenda.- Le disse la prof, senza preamboli. -Da Chiara non mi aspettavo niente di più, ma speravo che tu riuscissi a strappare una sufficienza. Questo argomento era piuttosto elementare..-

Bree non rispose. In realtà, non sapeva cosa dire.

La Tortora la guardò negli occhi per un po'. Poi le chiese -Perché non studi, Brenda?-

Bree si sentì stranamente in colpa. Nel tono della prof non c'era solo severità, ma anche dispiacere.

Abbassò lo sguardo. -A me non dispiacerebbe studiare, prof.- Disse, sincera. -Solo non ne ho il tempo.-

Dopodiché attese la risposta, probabilmente sarcastica, osservandosi ostinatamente le scarpe.

Ci mise un po' a capire che non sarebbe arrivata, e un po' a decidersi di alzare lo sguardo.

Quello che vide le provocò un grande stupore.

L'espressione della prof non era beffarda o sarcastica, come avrebbe immaginato. I suoi occhi erano velati, vi leggeva una strana, sorprendente comprensione.

Come se la prof avesse capito che quella non era solo una patetica scusa..

-Brenda..- Disse infine la Tortora, posando la penna che aveva in mano. -Voglio proporti una cosa.-

Bree rimase in ascolto, sempre più stupita.

-Di pomeriggio io do corsi di recupero.- Disse. -Quello di oggi è l'ultimo, perché poi inizieranno le vacanze di Natale, ma mi farebbe davvero piacere se tu fossi presente. Per quello che può fare, la scuola cerca sempre di dare agli studenti un'ultima possibilità.-

-Io.. ehm.. non so..- Incominciò Bree, spaesata. -Sa, qualche pomeriggio alla settimana lavoro anche in un bar. Dovrei chiedere..-

-Fai quello che riesci a fare.- La interruppe la Tortora. -Tieni solo presente la mia proposta. Se hai voglia di venire, sei la benvenuta.-

Dopodiché la prof chiuse il registro, lo prese sottobraccio, si mise la borsa a tracolla e si alzò. La guardò. -Buona giornata, Brenda.-

-A lei, prof.- Mormorò Bree, mentre la Tortora usciva dall'aula.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Quella di Bree non era una scusa per non andare al corso di recupero. Lavorava veramente in un bar a qualche isolato da lì.

Il suo turno era un giorno sì e un giorno no, e durava dalle 14:00 alle 18:00.

La pagavano 30 euro a giornata, e in quel modo Bree era riuscita a metterne da parte già duecento.

Non aveva detto a nessuno di quei soldi, nemmeno agli amici.. Era certa che le avrebbero proposto di utilizzarli per comprare del fumo.

Lei non voleva spenderli così..

Li teneva lì, in attesa.

In attesa di cosa non sapeva nemmeno lei.

Quello che sapeva di menzogna – delle cose che aveva detto alla Tortora – era che avrebbe dovuto chiedere il permesso di andare al corso.. Perché quel giorno il locale era chiuso. Il proprietario era in settimana bianca, e avrebbe riaperto solo il 27.

Solo che.. la Tortora la aveva colta impreparata.

Bree si portò la sigaretta alla bocca, fece un tiro. Poi la allontanò e abbassò lo sguardo, pensierosa.

Era seduta su una delle panchine di un piccolo giardinetto. Stava bene lì, adorava quel posto. Però quel giorno faceva freddo.

Davvero freddo.

Il suo piumone bianco, la sua sciarpa grigia.. non potevano fare niente. Il freddo le gelava il viso e le gambe, che dolevano sotto i jeans, a contatto con quel metallo freddo e insensibile.

Tremando, si riportò la sigaretta alla bocca.

Uscendo da scuola aveva guardato gli orari dei corsi.

Dalle 14:05, alle 16:05.

In realtà, a quell'ora doveva vedersi con i suoi amici.

Però..

Cacciò fuori il fumo. I suoi occhi erano lucidi per il vento.

Però aveva freddo.

Aveva sempre più freddo.

I suoi amici stavano sempre all'aperto. Di solito non avevano 1 euro in tasca, non potevano neanche andare in un bar.

Solo ogni tanto si rintanavano in stazione.

Ma com'era triste vedere le persone che si muovevano, portavano avanti la propria vita, lì attorno! E loro fermi, immobili al confine. Sulla soglia, ma senza la possibilità di varcarla..

Fece un altro tiro, poi buttò via il mozzicone.

Rimase per un po' lì, immobile, con la testa bassa.

Aveva il sapore della sigaretta in bocca. Attorno a lei, solo lievi rumori.

Faceva troppo freddo perché anche altre persone stessero all'aperto.

Si udiva solo lo scalpiccio di uno scoiattolo, una foglia accartocciata che raschiava il terreno, una sirena lontana, sfumata..

Bree voleva solamente stare al caldo.

D'improvviso si alzò, e iniziò a camminare diretta alla fermata dell'autobus.

Si era allontanata troppo da scuola per raggiungerla a piedi.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Attraversò i corridoi della scuola quasi con circospezione.

Credeva di conoscerlo bene, quell'edificio. Lo frequentava ogni giorno.. E invece in quel momento si sentiva tutto fuorché a suo agio.

Un'intrusa.

I cartelloni appesi alle pareti gialle parevano diversi, quasi illuminati da un'altra luce. E poi tutto era silenzioso, i suoi passi martellavano sul pavimento.

Cosa ci faceva lì?

Avrebbe voluto tornare indietro, lasciare perdere.. Però il corridoio non era largo, e tirava dritto, senza nemmeno una curva. Come a suggerirle il cammino.

I suoi piedi procedevano meccanicamente, e prima che se ne potesse accorgere iniziò ad udire la voce della Tortora, attraverso una porta di legno bianco e plastica semitrasparente.

Si fermò lì davanti.

Vedeva, scura e deformata, la figura della professoressa che parlava animatamente alla classe.

Prese un bel respiro, poi bussò ed entrò.

Dapprima rimase qualche istante sulla soglia, ad osservare la classe. Era quasi completamente piena, non se lo aspettava.

I ragazzi la fissarono di rimando, con espressioni atone.

Poi Bree si voltò verso la Tortora – che al suo ingresso aveva smesso di parlare – e si decise a fare un passo avanti e a chiudere la porta dietro di sé.

-Scusi il ritardo, prof.- Disse.

-Affatto, Brenda, siamo noi che abbiamo iniziato un po' prima.- Le rispose, spiccia. -Prego, siediti vicino a Marchesi. Stavamo parlando degli esercizi che faremo nel corso di questa lezione. Dunque, ritengo sia meglio, visto che è lì che avete maggiori carenze, rivedere i problemi geometrici e i metodi di risoluzione, specialmente quelli che includono anche i radicali..-

Bree ovviamente non sapeva chi fosse Marchesi, ma lo intuì facilmente, visto che c'era un solo banco vuoto in ultima fila.

Vi si diresse, attenta a non urtare contro niente, appoggiò lo zaino ad una gamba del banco e si sedette sulla sedia.

Poi voltò la testa verso Marchesi – un ragazzo piuttosto carino che portava un cappellino verde – e vide che stava osservando i suoi capelli blu.

Marchesi notò che si era accorta del suo sguardo, e le rivolse un sorriso di simpatia.

Lei non poté non ricambiare.

Dopodiché estrasse dallo zaino un quaderno e l'astuccio, e prese a seguire la lezione.

Si rivelò stranamente piacevole.

Il tempo non sembrava interminabile, scorreva al giusto ritmo. Né troppo lento, né troppo veloce.

E Bree scoprì che gli esercizi, fatti con un po' più di calma e affrontati con la giusta razionalità, non erano affatto difficili.

Infondo, erano solo parole su un pezzo di carta.

Si aveva sempre la certezza che un metodo di risoluzione c'era.

Quando suonò la campanella Bree era nel pieno di un calcolo, e le diede quasi fastidio. Erano poche le volte che si applicava così, e voleva finire il problema.

Però, vedendo tutti che si alzavano e raccoglievano le proprie cose, si convinse a chiudere il quaderno. Magari quella sera, prima di andare a dormire, se ci riusciva, poteva darci ancora un'occhiata..

Si alzò, mise lo zaino sulla sedia e iniziò a metterci tutto dentro.

-Belli i tuoi capelli blu.-

Bree si voltò, e vide il ragazzo, Marchesi, di fronte a lei.

Sorrise, e si sistemò una ciocca dietro l'orecchio. -Ti piacciono?-

Annuì, senza smettere di osservarli. -Sono.. insoliti. Mi piacciono.-

Bree notò che aveva gli occhi verdi.

Il ragazzo staccò lo sguardo dai suoi capelli, e le tese la mano. -Sono Andrea, piacere.-

Gliela strinse. -Brenda, ma puoi chiamarmi Bree.-

-Allora tu puoi chiamarmi Andy, come fanno tutti.-

Rise.

-Allora Bree, come mai al corso? Non ti ho mai visto.-

Bree ridacchiò, e si voltò di nuovo verso lo zaino. Rispose mentre metteva dentro le ultime cose e chiudeva la cerniera. -Diciamo che le ultime prove sono state più disastrose delle altre e.. la Tortora mi ha proposto di venire a una lezione.-

-È davvero in gamba quella donna.-

La sua risposta la sorprese, e tornò a guardarlo.

Lui non sembrò imbarazzato. -È diversa dalle altre professoresse, a lei importa di noi.- Continuò. -Cerca di aiutarci, senza esagerare e senza diventare troppo soffocante. È in gamba.-

Bree annuì. -Sì, è vero..-

Lui le sorrise. Poi guardò il suo zaino. -Allora, andiamo?-

Bree notò solo in quel momento che la classe si era fatta praticamente vuota.

-Sì.. scusa.-

In realtà non aveva capito che Andy intendesse aspettarla..

Si mise lo zaino in spalla e uscirono assieme.

-E tu come mai sei qua al corso?- Gli chiese.

-Be', più o meno mi è successo come a te. Andavo male della sua materia, e la Tortora mi ha proposto di venire. Ovviamente dopo avermi fatto un bel culo, perché mi vede sempre fuori a giocare a pallone e a fumare invece che studiare.-

-Ti ha fatto il culo?-

-Sì.. Conosce più o meno la mia situazione e pensa che, parole sue, io sia un “ragazzo svogliato e scansafatiche”. Però credo che pensi anche che ho una buona testa, altrimenti non avrebbe sempre cercato di venirmi incontro e di farmi interessare. E devo dire che negli ultimi tempi c'è riuscita.-

Bree gli sorrise.

Era insolito vedere un ragazzo così maturo, così riconoscente..

Pensò che se la Tortora avesse provato a fare la stessa cosa con la Kia, o con chiunque altro dei suoi amici, le avrebbero risposto molto sgarbatamente.

Si faccia gli affari suoi” “Si limiti a fare il suo lavoro”..

Bree e Andy uscirono insieme da scuola.

Il cielo era nuvolo e gorgogliante, e faceva freddo.

Bree rabbrividì un poco, si era abituata al tepore della scuola.

-Ehi, Bree..- Le disse Andy, e lei si voltò a guardarlo. -.. Ti va di venire a prendere qualcosa da bere in un bar qua vicino?-

Lei non rispose, sorpresa.

I suoi occhi si sgranarono impercettibilmente, e Andy lo notò.

Le sorrise. -Non voglio che pensi che io rimorchio tutte le ragazze che incontro al corso di recupero.. Non ho mai sentito una cosa più sfigata.- Il suo sorriso si allargò. -Però non posso proprio non chiederlo a una ragazza con i capelli blu. Mi spiego? Potrei non incontrarla più.-

Bree sorrise a sua volta, ancora incredula. Un po' per la svolta che aveva preso il discorso con quel ragazzo appena conosciuto, un po' per la sua schiettezza.

-Allora va bene.- Disse, poi abbassò lo sguardo. -..Però non ho un soldo.-

-Pagherò io, un po' di galanteria non mi manca.. Ti da fastidio se fumo una sigaretta?-

-Oh, no!- Rispose, e Andy tirò fuori dalla tasca della giacca un pacchetto di Lucky Strike. -Anche io fumo.- Disse.

Andy si infilò in bocca la sigaretta, rimise il pacchetto in una tasca e frugò nell'altra in cerca dell'accendino. -Ah si?- Disse, le labbra serrate per non farla cadere. -E cosa fumi?-

Bree si fece scivolare lo zaino di fianco. Aprì la cerniera della tasca più piccola, e gli mostrò il pacchetto di Wiston blu.

Lui annuì.

Bree prese una sigaretta, se la mise in bocca. Poi ripose il pacchetto nello zaino, che si rimise in spalla.

Sentì lo schiocco dell'accendino di Andy.

Stava lentamente venendo buio, e quando Bree alzò lo sguardo vide la punta della sigaretta di Andy brillare rossa come un piccolo sole.

Andy fece un tirò, poi espirò.

-Serve anche a te?- Le chiese dopo qualche istante, mostrandole l'accendino.

-Sì.. Credo di averlo dimenticato a casa.-

Andy fece un passo verso di lei, e Bree, sorpresa, se lo trovò così vicino da potergli contare il numero delle ciglia.

Andy fece scattare l'accendino, e lo accostò alla sigaretta di Bree. Lei si affrettò ad abbassare le sguardo per controllare se si accendesse.

Durò meno di due secondi.

Poi la sigaretta si accese, e Andy sorridendo fece un passo indietro.

Solo allora Bree – senza darlo a vedere – riprese a respirare.

Fece un tiro, sballottata e confusa dalla sua stessa agitazione.

Rimasero in silenzio a fumare per qualche secondo..

Poi Andy disse -Allora, andiamo?-

E Bree annuì. Tentò un sorriso -Andiamo.-

Andy ricambiò, osservandola con simpatia.

Iniziò a farle strada, oltre i cancelli della scuola, oltre la strada, sui marciapiedi freddi e umidi di Torino.

E Bree rifletté che era strano, essere lì con quel ragazzo che aveva conosciuto poco fa. E soprattutto, che era strano quello che sentiva.

Si sentiva tranquilla, e al tempo stesso agitata..

Si rendeva perfettamente conto che era una contraddizione, ma non sapeva spiegarla.

Il mondo intanto si oscurava sempre di più, e i lampioni accesero la città di luci gialle e arancio.

Erano le 16:32.

Andy si fermò davanti a un locale piuttosto piccolo, ma dall'aria calda. Si chiamava “Lo Spazzacamino”.

Fece un ultimo tiro, poi buttò via la sigaretta e si voltò verso Bree. -È questo.- Disse.

Bree annuì e buttò via la sigaretta a sua volta.

Seguì Andy all'interno.

Dentro era esattamente come se lo era immaginato vedendolo dall'esterno.

Piccolo, con tavoli neri e rotondi e divanetti che vi correvano attorno. Luce un po' soffusa, e una donna dalle lunghe ciglia dietro al bancone.

A parte loro e la donna, c'era solo un uomo sulla trentina che leggeva la Gazzetta dello sport.

La donna alzò lo sguardo su Andy, e si aprì in un sorriso. -Ehi! Chi si vede.-

-Ciao, Anita.- La salutò lui, ricambiando il sorriso.

-È un po' che non ti vediamo da queste parti, Andy. Tua sorella? Tutto bene?-

Annuì. -Tutto bene.-

La donna chiamata Anita si sporse, per vedere oltre Andy. -Oh. Con la tipa?-

Bree arrossì.

Andy invece rise, calmo. -Purtroppo no, l'ho conosciuta solo oggi.- Lanciò un'occhiata a Bree, e poi tornò alla donna. -.. E grazie per avermela messa in imbarazzo, Anita. Grazie tante.-

Anita scoppiò a ridere. -Scusate ragazzi, non era mia intenzione. Andate a sedervi e scegliete cosa prendere, arrivo fra un attimo.-

Bree seguì Andy a un tavolino rotondo, e si sedette, ancora piuttosto imbarazzata.

Tuttavia quando Andy incominciò a raccontarle come aveva conosciuto quel posto, rimase ad ascoltarlo sempre più incuriosita, e l'imbarazzo svanì.

Le piaceva il suono della sua voce.

A quanto pare Andy era in macchina con sua sorella, Dana, quando un cretino aveva tagliato loro la strada. Dana aveva cercato di frenare, ma non aveva fatto in tempo.

Così avevano fatto un incidente, proprio lì, davanti a quel bar.

Andy non si era fatto niente, ma Dana aveva picchiato la testa e sanguinava.

La prima a soccorrerli era stata proprio Anita, che si era fiondata fuori dal suo locale, li aveva trascinati via dall'auto e aveva chiamato l'ambulanza.

Da quel momento era nata fra loro una bella, riconoscente amicizia.

Quando Anita venne al tavolo di Bree e Andy a prendere le ordinazioni, la ragazza non poté fare a meno di sorriderle.

Ordinarono due bottiglie di birra, che Anita portò loro quasi subito.

Bree bevve, e il sapore amarognolo della birra, insieme a quello piacevolmente acido del limone nella bocca della bottiglia, le donarono una bella sensazione, di leggerezza.

Andy parlò molto di sé, forse perché aveva capito dal primo sguardo che Bree era riservata.

Parlò di sua sorella, parlò di sua madre ormai vecchia, e parlò della propria passione. Il cinema.

A Bree l'argomento interessò molto.

Senza un'ombra di imbarazzo, Andy le spiegò che, quando aveva un po' di soldi da spendere in tasca, andava sempre al cinema.

Più che i film in sé, gli piaceva osservare le tecniche utilizzate dal regista. Le inquadrature, i trucchi, l'oscurità dell'immagine per nascondere eventuali errori.

Il suo sogno era di possedere una telecamera professionale, e gli sarebbe piaciuto fare il regista. Anche se – le disse, bevendo un sorso di birra – sapeva perfettamente che quello sarebbe rimasto solo un sogno, perché per realizzarlo occorrevano molti soldi.

Poi Andy le chiese dei suoi interessi, come passava normalmente le giornate, che gente vedeva.

Bree gli parlò dei suoi amici, della Kia, e venne fuori che Andy conosceva Marco. Ma non gli stava affatto simpatico.

Lo chiamò “il coglione travestito da grand'uomo”.

E quando Bree – con gli occhi bassi – gli raccontò di quello che le aveva fatto, Andy giurò che gli avrebbe spaccato la faccia, e a nulla valsero i tentativi di Bree di giustificarlo, tutto sommato.

-Tu mi sembri una di quelle persone che si danno la colpa per qualsiasi cosa.- Sbottò Andy. -Ma non dovresti farlo. Se avessi visto la cosa dall'esterno.. se avessi visto Marco trattare così un'altra ragazza, cosa avresti pensato?-

Lei non rispose immediatamente.

-Avresti dato ragione a lui, o a lei?- La incalzò.

-A lei, immagino..- Mormorò Bree.

-Esatto.- Rispose Andy. -Tu non vali meno di un'altra ragazza, ricordatelo bene.-

Poi Andy e Bree continuarono a parlare, e a parlare.

Il tempo trascorse rapido e silenzioso, le persone entravano e uscivano dal locale, e quando Bree guardò l'ora sul display del cellulare, si accorse che erano già le 18:34.

Posò il cellulare sul tavolo. -Mi sa che devo andare..- Disse. -Devo essere a casa per le otto, e devo attraversare metà città.-

Andy le sorrise. -Ti da fastidio se ti accompagno?-

Bree ricambiò, sorpresa. -No.. ma tu arriverai a casa tardi.-

Lui le fece l'occhiolino. -Non ti preoccupare.-

Raccolsero le loro cose, e Andy andò al banco, da Anita, a pagare.

Uscirono dal locale salutandola, e poi si diressero in tutta fretta alla fermata dell'autobus. La temperatura si era abbassata tantissimo.

Bree si sentiva il naso e le orecchie gelate.

Ogni loro respiro si condensava, e si perdeva nell'aria.

Per fortuna l'autobus arrivò quasi subito.

Vi salirono, e trovarono due posti liberi. Bree si mise vicino al finestrino, e osservò Torino passare.

Nelle vie principali, quelle piene di negozi, nonostante facesse molto più freddo di qualche ora prima, la gente popolava i marciapiedi. E i porticati, e i viali..

Andavano rapidi, di fretta, come loro poco fa, quasi a volere seminare il gelo, ma avevano comunque deciso di uscire di casa.

Avevano tutti nella mano guantata sacchetti colorati e, sebbene i loro nasi fossero rossi, espressioni serene sul volto.

Natale.

-Ehi Bree.- La chiamò Andy, con una punta ironica nella voce.

Lei lo guardò.

Lui le indicò un uomo. -Guarda.- Le disse.

Bree obbedì.

Era sulla cinquantina, sudato, e pareva proprio tenere tutto il corpo in contrazione per non lasciare scappare qualcosa.

Bree dovette premersi la mano sulla bocca per non ridere.

L'autobus si fermò, e l'uomo scese, ma Andy continuò per il resto del viaggio a fare la sua imitazione, facendo sfuggire a Bree grandi risate.

Quando scesero dall'autobus erano le 19:39, e avevano ancora un bel pezzo da fare a piedi.

Tuttavia Bree non aveva fretta.

Le piaceva la compagnia di Andy, le piaceva tantissimo.

Mentre camminavano, si fermavano continuamente per fumare e parlare. Fumare e parlare.

Si scambiarono i numeri di telefono, e Andy le promise di scriverle il giorno dopo.

Bree si lasciò scappare un grande, luminoso sorriso. Avrebbe preferito trattenerlo, ma non ci riuscì proprio.

-Qui va bene.- Gli disse lei, quando iniziò a scorgere la casetta bianca della nonna.

-Va bene.- Andy si fermò, e le sorrise.

Lei ricambiò.

Andy si curvò su di lei e le scoccò un bacio sulla guancia, poi le sussurrò -Sono stato bene con te, Bree. Non vedo l'ora di rivederti.-

Poi il ragazzo si raddrizzò, e le sorrise un'ultima volta. Si voltò, e si allontanò.

Bree rimase imbambolata lì, per qualche secondo, a osservarlo mentre camminava.

Si portò una mano sul cuore, e sentì che batteva come un tamburo.

Sospirò, sorridendo, e facendo uscire una nuvoletta calda dalla propria bocca.

Poi estrasse il cellulare dalla tasca e osservò l'ora. Le 20:14.

Quindi si decise a voltarsi e a procedere verso la casa della nonna.

Si sentiva stranamente leggera, e avrebbe voluto correre. Non perché era in ritardo, cosa che in realtà non era mai successa, ma perché aveva la sensazione che, con uno slancio deciso, avrebbe potuto anche alzarsi in volo.

Girò la maniglia del cancelletto, ed entrò nel giardino.

Proseguì, salì sulla veranda, e bussò alla porta.

Attese, muovendo un po' le gambe per scaldarsi.

Poi però si accorse che non c'erano rumori all'interno. Forse la nonna non aveva sentito.

Bussò di nuovo, un po' più forte, e provò a girare la maniglia.

Chiusa.

Solo in quel momento il suo sguardo corse sulla finestra del salotto, e notò le luci spente.

Un senso di orrore la avvolse, e la gravità la fece precipitare nuovamente, pesantemente sulla terra.

.. La nonna non sarà mica andata a dormire senza aspettarmi?

Incominciò a bussare, a tempestare la porta di pugni.

-Nonna, nonna! Mi senti? Aprimi, sono Bree!-

Niente.

Girò di nuovo la maniglia, molte volte.

-Nonna?-

I suoi occhi si fecero umidi.

-Nonna! Sono.. SONO MIRIAM! .. Aprimi, dai!-

Niente.

Si lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, e la notte le parve molto più aspra e fredda di quanto le era sembrata pochi minuti fa.

La disperazione la avvolse, la schiacciò a terra.

Si trovò seduta contro il muro della casa, e seppe – in un ultimo momento di lucidità – che non sarebbe più riuscita a muoversi da lì.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Sandra Tortora non aveva mai avuto figli.

La fortuna non le era mai stata alleata, e adesso che aveva finalmente trovato quel caldo, dolce compagno tanto a lungo atteso, era troppo tardi. I suoi cinquantadue anni non le permettevano di avere figli.

Potevano solo farsi compagnia durante le lunghe giornate invernali, di fronte a una tazza di tè caldo e a un orologio che, con il suo ticchettio monotono, scandiva il tempo. Potevano solo sperare di continuare a farsi compagnia così, fino alla fine.

Sandra Tortora non aveva mai avuto figli, ma aveva sviluppato una certa empatia verso le altre persone, e i ragazzi in particolare.

Lo vedeva nei loro occhi, nei loro gesti, nelle frasi..quel loro tentennamento, quella loro insicurezza che cercavano di nascondere coprendola di roba, sempre più roba, sperando che nessuno la notasse.

Sapeva che quella insicurezza aveva un ipocentro, un punto di origine – un episodio, o forse una mancanza di episodi – ma sapeva anche che ne avrebbero protetto il segreto con le unghie e con i denti. Come un prezioso tesoro maledetto, nascosto al centro della loro anima.

Quello che lei poteva fare, senza mai andare oltre, era cercare di aiutarli. Offrire loro un piccolo sostegno, un piccolo incentivo a non arrendersi.

Per questo il giorno della Vigilia di Natale, si alzava presto – molto presto – per fare il giro delle case dei propri alunni e, senza essere notata, lasciare un bigliettino d'auguri nella cassetta delle lettere.

Di quel giorno, il 24 Dicembre, alle ore 6:40 del mattino, in seguito ebbe modo di riflettere a lungo. E giunse alla conclusione che non potesse essere stati altri che Dio, o qualcosa di simile, a condurla alla casa di Brenda prima di tutte le altre.

Ripensandoci, chiudendo gli occhi, riusciva ancora a sentire l'orrore provato, e la propria supplica silenziosa, ma ripetuta, al cielo.

Salvala”.

Sandra Tortora aprì il cancello della casetta bianca, e corse sulla veranda.

Si buttò a fianco della ragazza sdraiata a terra, e il suo cuore perse un colpo.

Era rigida, come essiccata, la pelle era di un bianco cadaverico.

Il naso era nero, nero come un livido, e sulle guance si aprivano piccoli tagli rossi, come se il vento avesse lame.

Gli occhi di Brenda erano sbarrati, i capelli sparsi attorno al capo come un alone blu; le labbra tagliuzzate erano semi aperte. Ma da queste labbra, come un ultimo raggio di speranza, fuoriusciva un lieve alito caldo.

Salvala”.

La Tortora le afferrò il polso, rabbrividendo per la sua pelle gelida, e sentì che batteva ancora.

-Brenda! Mi senti?!- Urlò.

La sua voce squarciò il mattino freddo, ma dalla ragazza non arrivò nessuna reazione.

La Tortora non si perse d'animo.

Afferrò il cellulare e chiamò l'ambulanza.

Parlò rapidamente a chi le rispose, spiegò la situazione, disse che era un'emergenza. Che la ragazza non poteva morire, che aveva solo sedici anni! Disse di sbrigarsi.

E loro le promisero che lo avrebbero fatto.

Dopodiché buttò il cellulare a terra, si tolse il giaccone pesante e – cautamente – la avvolse con quello. Si tolse la sciarpa e la avvolse attorno al suo viso, lasciando fuori solo le labbra per permetterle di respirare.

Salvala”.

Rimase per qualche istante immobile.

Le veniva da piangere al pensiero di non sapere cosa altro fare. Al pensiero che Brenda sarebbe potuta morire per la sua incompetenza, per la sua ignoranza!

Salvala, salvala, salvala”.

Per fortuna l'ambulanza arrivò sfrecciando quasi subito. Anche se non avrebbe potuto stabilire quanti minuti fossero quel subito. In quel momento il tempo era come contorto, deformato.

Sapeva solo che vide gli uomini della croce rossa scendere, afferrare Brenda, correre a portarla nel furgoncino.

Sandra Tortora li lasciò fare. Si alzò in piedi e li seguì, passiva.

Li seguì sull'ambulanza, senza sapere cosa pensare.

Si rese solamente conto che la sua supplica era cambiata.

Adesso stava pensando: “Ti prego, permetti loro di salvarla”.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Bree aprì gli occhi, e per un istante credette davvero di aprire gli occhi nell'aldilà.

Non era mai caduta in un sonno così profondo, non aveva mai provato quella sensazione di annullamento. Non riusciva a ricostruire con esattezza ciò che era accaduto.

I suoi ricordi erano labili, lontani, quasi appartenessero ad un'altra vita.

Quindi non c'era altra spiegazione: doveva essere morta.

Tuttavia, guardandosi intorno, si rese conto che l'aldilà non poteva essere strutturato come un ospedale. Perché quello era chiaramente un ospedale.

Muri bianchi, un'ampia finestra dalle persiane azzurre, un cardiomonitor che risuonava da qualche parte, profumo di fiori e lenzuola pulite..

E poi.. il dolore. Non avrebbe dovuto provare dolore.

Non si sarebbe dovuta sentire come se il proprio corpo fosse stato selvaggiamente sfregato contro una grattugia.

Bree voltò la testa verso la finestra. Il cielo oltre il vetro era scuro, brillava di piccole, luccicanti stelle.

Rimase immobile, imbambolata, ad osservarlo per un po'.

Poi le giunsero alle orecchie dei bassi mormorii, e voltò la testa dalla parte opposta.

Vide la porta di legno bianco e vetro. Il vetro lasciava intravedere due figure che parlavano a bassa voce.

Non riusciva a captare le loro parole, e si chiese se dovesse chiamarle, dire “sono sveglia”, o semplicemente tossire.

Nell'incertezza rimase zitta, ancora confusa, ad osservare una figura annuire, l'altra gesticolare, animata.

Poi la tosse venne da sé.

Sentì qualcosa raschiarle nella gola, premendo per venire su. Fu così forte e improvviso da obbligarla a sedersi e a curvarsi su se stessa.

Non stava rimettendo, eppure le sembrava di rigurgitare tutto il dolore del proprio corpo.

Senza neanche che Bree se ne accorgesse, la porta si spalancò e le due figure furono immediatamente dentro.

Una era un'infermiera; le si parò subito davanti e la sostenne, massaggiandole la schiena.

Le diceva cose tipo “forza, tesoro” “adesso passa”.

L'altra – vide Bree con la coda dell'occhio, mentre era piegata in due – era la Tortora.

Nonostante la tosse, si sforzò di parlare. -Professoressa..- Gracchiò, con una voce che non le sembrò neanche la sua -.. cosa..?-

-Shh, non parlare, Brenda.- La interruppe.

Bree notò quanto la professoressa fosse pallida, e il suo aspetto prostrato. Si chiese perché si trovasse lì, e cosa fosse successo, ma non riuscì a domandarglielo.

Un altro attacco di tosse la costrinse a piegarsi.

Lo stomaco le faceva male da impazzire!

-Forza, forza.- Le sussurrò l'infermiera. -Adesso vado a chiamare il medico, eh? È qui in ospedale che sta visitando alcuni pazienti, ma arriva subito, eh?-

Bree annuì.

Piano piano la tosse sembrava migliorare..

-Si occupa lei della ragazza?- Sussurrò l'infermiera, alla Tortora probabilmente. -Vado a chiamare il dottor Silvestri e siamo immediatamente qui.-

-Sì, vada. Ci penso io.- Rispose la Tortora.

L'infermiera uscì rapidamente dalla stanza.

Bree appoggiò la schiena contro il muro, chiuse gli occhi e si sforzò di tenere a bada la tosse.

La Tortora si sedette sul suo letto.

-Come va, Brenda?- Le chiese. -Un po' d'acqua?-

Bree aprì gli occhi. -No, grazie prof.- Rispose, con un filo di voce. -Ma cos'è successo?- Chiese. -..Perché lei è qui?-

-Sarei io a dover chiedere spiegazioni a te, Brenda.- Rispose. -Perché ti ho trovata lì fuori al freddo? Perché non hai chiesto aiuto a nessuno?-

Bree abbassò la testa. Scrutò spaventata le proprie mani sul lenzuolo immacolato.

La scuola, Andy, la nonna.. La nonna, il gelo..

Sì, ricordava.

-Io.. non lo so.- Rispose, intuendo ciò che intendeva la prof.

-Io non ti capisco, Brenda.- Sospirò la Tortora, stanca e irritata. -Non ti importava veramente niente di morire? ..Ci sei andata troppo vicina, lo capiresti se ti fossi vista. Il dottor Silvestri ti dirà di più, comunque; credo che tu sia abbastanza grande e matura da poter sapere la verità sulle tue cose..-

Bree alzò la testa. -Ma.. mi ha trovata lei?- Domandò, ingenuamente.

La Tortora guardò quegli occhi marroni, sinceramente stupiti, e non poté fare a meno di sorridere. -Sì, Brenda.-

Bree si agitò nel letto. -Io.. ecco.. lei avrà pensato che sono una stupida! ..A vedermi lì, ma..-

-So cos'è successo.- La interruppe.

Bree tacque.

-Ho parlato con i tuoi vicini di casa, e con l'infermiera di tua nonna.- Continuò la Tortora. -Abbiamo facilmente ricostruito gli eventi.. Brenda, so che è difficile da accettare, ma ormai è chiaro che la malattia di tua nonna ha raggiunto uno stadio troppo avanzato. Deve essere trasferita in una struttura specializzata, e tu non puoi più vivere con lei. Ormai non è più in grado di farti da tutore.-

Gli occhi di Bree si fecero impauriti. -Cosa?!- Domandò. -Ma io.. io non ho nessun altro posto dove andare! Lei.. la prego, non mi faccia questo! Mia nonna va bene per me!-

-Brenda, lo scopo di un genitore, o a chiunque un ragazzo sia affidato, è quello di vegliarlo e di proteggerlo. Il fatto che la malattia di tua nonna ti abbia spinta a compiere questo gesto disperato, significa..-

-Ma io.. ma..-

-Shh, Brenda.- La prese per mano, un gesto istintivo.

Bree si calmò un poco.

-Ti fidi di me, Brenda?- Proseguì la Tortora.

Bree deglutì. -Da quello che dice, lei mi ha appena salvato la vita. Certo che mi fido.- Rispose, in un impeto di sincerità e di gratitudine.

La Tortora annuì. -Se le cose stanno così, voglio che tu sappia che penserò io al da farsi, te lo prometto. Non puoi più vivere con tua nonna, ma non lascerò che tu venga presa da assistenti sociali o altra gente del genere. Brenda, penserò io a una soluzione, quindi non voglio che tu ci pensi più. Mi prometti di non pensarci?-

Bree annuì.

-Goditi questi giorni di festa, cerca di guarire.. Troverò io una soluzione.-

Bree avrebbe voluto dirle qualcosa. Abbracciarla, dirle “grazie”.. ma non le venne niente.

Pensò semplicemente che era davvero una persona splendida, e sorrise.

La Tortora rimase ferma qualche istante, un po' esitante. Poi si sporse in avanti e baciò i capelli blu di Bree.

-Adesso riposati.- Le disse. -Tornerò domani mattina con delle novità.-

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Il giorno dopo era Natale.

Bree aprì gli occhi, svegliata dalla luce fresca del sole, e trovò ai piedi del letto due pacchetti regalo.

Uno era della Tortora, e conteneva un profumo. L'altro era dell'ospedale, e vi scoprì un braccialetto chiaramente economico ma davvero carino.

Si spruzzò il profumo sotto il palmo della mano e lo annusò. Poi si mise il braccialetto.

Il dottor Silvestri – un uomo piccolo e simpatico – le disse che sarebbe dovuta stare lì in ospedale per almeno qualche giorno. Le sue condizioni si erano stabilizzate e ora stava bene, ma aveva bisogno un po' di tempo di recupero e di riposo.

Infine, le disse che per qualunque cosa avrebbe potuto rivolgersi a Maura, l'infermiera, e le augurò buon Natale.

Bree, dopo, non poté fare a meno di alzarsi e aprire la finestra, per respirare appieno l'aria di quel magico giorno. Sapeva che fondamentalmente il mondo non cambiava, a Natale. Girava sempre allo stesso modo, le persone erano le stesse e mantenevano tutti i loro vizi e difetti, le guerre non si interrompevano.

Però.. però Bree pensava che qualcosa succedesse.

Era Natale, lei aveva perso casa propria e aveva rischiato di morire. Eppure era serena, pervasa da un senso di quiete, quasi allegria. Non pensava a niente, perché aveva promesso alla Tortora di non farlo.

Il Natale infondeva speranza.

Si fece un giro, e vide nel volto dei bambini ricoverati vicino a camera sua la gioia più pura. Anziani signori, che si appoggiavano ai girelli, dalle espressioni paghe, amorevoli. Vide, più avanti, donne e uomini dalle teste rasate per la chemio sorridere calorosamente ai parenti venuti a trovarli.

Si fermò davanti a quello spettacolo, e pensò che fosse un miracolo. Pensò che la speranza fosse l'unico sentimento in grado di purificare veramente ogni pensiero negativo, che dove essa c'era la morte non arrivava.

Tornò alla camera, perché Maura la aveva chiamata per fare una piccola iniezione. Dopo, Bree si guardò per la prima volta allo specchio.

Rimase un po' sorpresa da quello che vide, e con cautela alzò la mano fino a sfiorarsi il naso.

Era violaceo, come se qualcuno le avesse tirato un pugno. Che strano, non sentiva assolutamente nulla..

Sul suo volto poi si aprivano numerosi taglietti, alcuni praticamente invisibili, altri più lunghi e profondi.

Li sentiva bruciare, ma non fece assolutamente niente. Rimase imbambolata ad osservarli.

Fu Maura ad accorgersene.

-Ti devono fare male.- Le disse, e poco dopo tornò con una crema che Bree si poteva dare. Assieme alla crema, le aveva portato anche una cioccolata calda.

-Cerca di bere bevande calde, Bree. Ti fanno bene.-

Bree annuì e ringraziò.

Tuttavia, tolto questo e un certo indolenzimento generale, Bree stava bene. Molto meglio della sera precedente.

Passò il resto della mattinata a sorseggiare cioccolata e a sfogliare una rivista che le avevano portato. Un Oggi del 23/10, provvisto di un test all'interno, già fatto da numerose mani.

Bree decise di seguire il loro esempio, e, afferrata una matita, iniziò a chiedersi se la sua meta per un viaggio estivo sarebbe stata Barcellona, New York o Praga.

Fu a quel punto che sentì bussare. Voltò la testa e vide sulla soglia Andy.

Per un momento fu così sorpresa da non riuscire a dire niente; rimase con la matita sollevata sul giornale, pronta a cerchiare New York. Il suo cuore diede un tonfo singhiozzante e imbarazzato.

-Bree!- Esclamò Andy, scrutandola, come per accertarsi che fosse lei. Sembrava preoccupato.

-A-andy.. ma cosa..?-

-Posso?- La interruppe.

Bree deglutì e annuì.

Andy entrò. Aveva una T-shirt con Homer che masticava una ciambella , e sopra una giacca di jeans dall'aria pesante sbottonata. Un paio di pantaloni scuri e una catenina color argento attorno al collo.

-Come stai?- Le domandò, fermandosi di fronte al suo letto, e scrutandola ancora.

-Bene, grazie.- Rispose.

Ci fu qualche attimo di silenzio.

Bree si sentì arrossire dalla vergogna, e decise che parlare era il modo migliore per mascherarlo. -C-come facevi a sapere che mi trovo qui?-

Andy cercò di sorridere, e di rendere il tono più leggero. -Be', nessuna ragazza che ha avuto un appuntamento con me non mi ha poi cagato così. Quando non hai risposto ai miei messaggi, ho capito che era successo qualcosa.-

Già, chissà dov'era finito il suo cellulare.. Lì non c'era. Probabilmente le era scivolato dalla tasca dei pantaloni, sulla veranda, quando lei...

Rabbrividì.

-Ieri sera ho incontrato per caso la Tortora, per strada, e le ho chiesto di te. Mi ha detto che eri qui e mi sono preoccupato..- Guardò Bree, e lei ricambiò. -Le ho chiesto più volte cos'è successo, ma non ha voluto dirmelo. Cos'è successo, Bree? Hai un aspetto orribile.-

Lei abbassò lo sguardo e si vergognò ancora di più. Sì, aveva un aspetto orribile. Quanto avrebbe voluto mettersi un sacchetto in testa!

-Un incidente..- Gli rispose. -Niente di grave, sto bene.-

-Bree? Guardami, per favore.-

Lei alzò la testa.

Andy fece un paio di passi in avanti, e le esaminò silenziosamente il viso. Quello che vide sembrò fargli un gran dispiacere, perché cacciò fuori un sincero, doloroso: -Mi dispiace, Bree.-

Lo osservò, un po' confusa. -Ma non è colpa tua!- Le venne da dire.

Andy lo aveva detto con un tono..

-Probabilmente no,- rispose -ma qualsiasi cosa ti sia successa dev'essere stato poco dopo che ti ho lasciata sola. Posso?- Aggiunse, indicando il letto.

Bree annuì e lui si sedette.

-Avrei dovuto accompagnarti fino a casa, e invece.. Dio che idiota!- Proseguì.

-Ma no, davvero!- Si affrettò a dire. -Non sarebbe cambiato nulla!-

-Dimmi solo una cosa.. non ti hanno aggredita, vero? Non è stato qualche pezzo di merda che..?-

-No, no!-

-E..- La guardò intensamente. -E non è stato neanche.. chessò..?-

-Chi?- Lo esortò.

-Qualcuno in casa tua.. Tuo padre?-

A Bree venne da sorridere. -Non mi hanno picchiata, Andy.- Rispose, cercando di tranquillizzarlo. -E mio padre non l'ho mai visto in vita mia.-

-Ah.- Disse Andy. Distolse lo sguardo, a disagio. Poi tornò a guardarla. -Scusa.-

Bree rise, di gusto.

Strano, si sentiva meglio. Era in uno stato disastroso, e probabilmente Andy non la avrebbe mai più considerata carina.. però adesso era contenta che fosse venuto. Era stato così carino..

Andy sorrise a sua volta, divertito, poi si frugò nella tasca della giacca. -Ah, ti ho portato una cosa. Non ho fatto in tempo a comprarti un regalo vero e proprio, però..-

Bree sgranò gli occhi. -Scherzi? Davvero? Che figura.. io per te non ho niente.-

Alzò appena gli occhi su di lei. -Ma dai? Sei in un ospedale.-

Bree rise di nuovo.

-Ecco qua.- Tirò fuori un dvd, e glielo passò. -È uno dei miei film preferiti.. Nightmare before Christmas, di Tim Burton, non so se lo conosci, lui è un genio.. Sai Tim Burton? Quello della Fabbrica di cioccolato?-

-Ah, sì!- Esclamò Bree, girando il dvd per leggerne la trama.

-Mi piace nei film, ma secondo me da il meglio del meglio nelle animazioni. Nightmare before Christmas è il suo capolavoro, e poi la storia è davvero bella.-

Bree alzò lo sguardo su di lui. -Grazie, Andy.-

-Davvero ti piace?- Domandò, adesso un po' dubbioso. -Guarda che non mi offendo.. è che lì sul momento non avevo altro da portarti.-

-Mi piace, mi terrà compagnia nei giorni che resterò qui.- Rispose, convinta. -Ho visto che nella sala qui accanto c'è un televisore.-

Andy la guardò, e sorrise.

Bree arrossì, ma si sentì in dovere di confidargli una cosa. -Sai? Mi piace la tua passione per il cinema.-

-E a me piacciono i tuoi capelli blu.-

Bree sorrise.

Rimasero così per qualche istante, ad osservarsi, semplicemente.

Poi..

-Brenda?-

A Bree sembrò che la voce della Tortora la chiamasse da un altro mondo, o dal basso della terra mentre lei si stava librando nel cielo senza nemmeno accorgersene. Voltò la testa, spaesata, e la vide lì, sulla soglia.

C'era lei – con l'aria, chissà perché, piuttosto stanca, come se non avesse dormito – e dietro di lei un uomo.

Bree gli diede una breve occhiata, ma molto incuriosita.

Non lo aveva mai visto. Non era alto, ma era attraente. Aveva un bel fisico, i capelli scuri e un'espressione seria e quasi imbronciata. Teneva le braccia incrociate.

-Andrea!- Esclamò la Tortora, osservando Andy e corrugando le sopracciglia. -Cosa ci fai qui?-

-Prof!- Rispose. -Be', sa, quando ieri mi ha detto di Bree ho pensato che fosse carino, a Natale, venirle a fare una..-

-Andrea, forse è meglio che vai.- Lo interruppe. -Verrai a trovare Brenda in un altro momento.-

Bree pensò che quel comportamento era davvero strano, per la Tortora. Pensò che fosse successo qualcosa.

E, dalla faccia che fece Andy, doveva averlo pensato anche lui.

Si alzò.

-Sì..- Disse, anche se non ne pareva molto convinto. Si voltò verso Bree. -Allora ci vediamo, ok? Scrivimi appena ti lasciano uscire da questo posto.-

-Certo.- Rispose, mentre lui si abbassava per darle un bacio su una guancia. -E grazie per essere passato.-

Le scoccò il bacio. Poi si raddrizzò e sorrise. -Figurati, signorina Capelli Blu.-

Bree rise.

Ebbe la sensazione che, con quella battuta, Andy avesse voluto dire molto più di quello che sembrava. Come.. “Qualunque cosa adesso ti dirà la Tortora, voglio che per un momento tu possa sorridere grazie a me”.

Andy si voltò e uscì dalla stanza, stringendosi per passare senza urtare la Tortora e l'uomo dietro di lei.

Quest'ultimo si spostò impercettibilmente per agevolarlo, ma senza cambiare posizione.

Bree lo osservò, e si accorse che anche lui osservava lei.

I due vennero avanti nella stanza.

-Brenda,- incominciò la Tortora, senza perdere tempo -voglio presentarti Vincenzo Rebora.-

Bree e Vincenzo Rebora si guardarono, quasi a dirsi “piacere”.

Portava una maglia nera, attillata, a maniche semi-lunghe, che arrivavano sotto il bicipite. Nonostante ciò, dalle maniche riusciva a sbucare un lungo tatuaggio colorato, probabilmente un dono fattosi in gioventù, ma di cui adesso avrebbe preferito sbarazzarsi.
Avrà avuto quarantacinque, quarantotto anni..

-Brenda..- ricominciò la Tortora -.. quest'uomo è tuo padre.-

Bree guardò la Tortora.. si accorse dal suo volto che si aspettava una risposta, qualcosa, ma in realtà non aveva niente da dire.

L'unica cosa che le veniva era.. ah si?

Guardò Vincenzo Rebora. Chissà se quell'espressione imbronciata era perché aveva saputo, allo stesso suo modo, di punto in bianco, che lei era sua figlia.. Intuì però che quella fosse la sua espressione abituale, e che non doveva sentirsene intimidita.

Le labbra erano naturalmente piegate in giù, quasi ci avessero preso l'abitudine.

-Vincenzo abita in un paese nei pressi di Torino.- Sentì che diceva la Tortora. -Ma ha deciso di cercare casa qui in città, per permetterti di abitare con lui senza dover cambiare ambiente.-

Bree si schiarì la gola. -Verrò a abitare con lui.. con lei?- Si corresse, guardando Vincenzo.

Lui annuì, semplicemente.

-È l'unico tutore che hai, Brenda. Non ha importanza come l'ho rintracciato.. è bastato scavare nel passato di tua madre e parlare con qualche suo amico. Però sì, è una persona eccellente ed è disposto a prenderti con sé.-

Bree si fidava della Tortora, e questo non lo metteva in dubbio.

Scrutò Vincenzo, e si accorse che lui aveva intenzione di parlare.

-Io non sapevo di avere una figlia, Brenda..- Disse. -Brenda giusto?-

-Può chiamarmi Bree.-

-Dammi pure del tu.-

Lei tacque.

Aveva una voce secca, ma calda, a suo modo.

-Non sapevo di avere una figlia, l'ho scoperto solo ieri sera grazie alla tua professoressa.- Proseguì - .. Voglio che tu sappia che, se lo avessi saputo, avrei agito prima.. e che cercherò di rimediare, in un modo o nell'altro.-

Bree non parlò; adesso era un po' turbata.

Non era un turbamento spiacevole, era solo.. turbamento. Come le acque quando vengono scosse.

Quello che era strano era che quella sensazione non derivava dalle parole di quell'uomo, derivava dal modo in cui le aveva dette.

Quell'esitazione, quella rigidità.. quasi avesse preferito comunicare attraverso altro, e non attraverso suoni.

Ci si ritrovava. Quell'uomo era chiaramente suo padre.

-Forse hai bisogno di riposare un po', Brenda.- Suggerì la Tortora, fraintendendo il suo silenzio. -Immagino che questa rivelazione ti abbia stancata.. Parleremo noi con il dottor Silvestri, gli chiederemo quando ti dimetteranno, in modo che il signor Rebora si possa regolare.-

Bree annuì. Poi guardò Vincenzo. -Grazie.. è, voglio dire sei, gentile a.. ospitarmi. Per lei, per te, insomma.. sono un'estranea.-

Qualcosa scintillò nei suoi occhi scuri. -No. Immagino di essere molto più estraneo io per te di quanto tu lo sia per me.- Disse.

Bree ammutolì, impreparata a quella risposta.

Lo scintillio negli occhi di lui intanto si spense, e Vincenzo le disse solo: -Allora Buon Natale.-

-Altrettanto.- Rispose, piano.

-Arrivederci, Brenda.- Disse la Tortora, mentre uscivano. -Cerca di riposare, ora.-

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Bree rise, osservando Jack chiedersi: “Cos'é?”

Cos'era quel trenino colorato, che non aveva mai visto? Cos'erano quegli alberi illuminati? Cos'era tutta quella neve?

Cos'è?

Il motivetto le entrò in testa.

Bree capiva perfettamente i sentimenti di Jack e Sally, ed era sicura che li capisse anche Andy, ecco perché le aveva regalato proprio quel film.

Era semplice, chiunque lo avrebbe capito. Loro volevano un Natale caldo. Volevano gioia, volevano amore..

Vivevano sempre in quel loro mondo lugubre, triste, grottesco.. quanto avrebbero desiderato un poco di felicità, almeno un giorno all'anno!

Non pensava che Andy la avesse capita fino a tal punto..

Sally la turbò profondamente. Era stata creata da uno scienziato malvagio, ed era una bambola di pezza tenuta insieme da fili piuttosto sottili. Ogni tanto perdeva un braccio, e allora tirava fuori un ago e se lo riattaccava da sola.

A volte Bree si sentiva come lei, come Sally.

Il finale però le piacque. Alla fine Jack si accorse di lei, ed ebbero il loro happy ending, il loro Natale caldo.

Chissà se lei, Bree, avrebbe avuto la stessa loro fortuna..

Pensò a Vincenzo Rebora, suo padre, e si rese conto di avere guardato il film di Andy proprio per non pensarci.

Il dottor Silvestri le aveva detto che l'indomani sarebbe stata dimessa.

Dunque doveva andare con lui? Vivere insieme a lui?

La Tortora le aveva detto che sarebbero passati a prenderla alle 10 di mattina..

Il futuro si presentava a Bree come un qualcosa di incerto e pericoloso. Aveva la sensazione di stare sulla soglia di una porta, con di fronte una stanza completamente al buio.

Non aveva idea di cosa ci fosse nella stanza, né se ci fosse realmente un pavimento solido, che la reggesse.

L'unico modo per scoprirlo era fare un passo in avanti, ma temeva di farlo.

Chiuse gli occhi.

Pregò suo padre – quell'uomo apparso improvvisamente dal nulla, come un'allucinazione – di essere diverso dagli altri, di non farle del male.

Lei si sarebbe fidata di lui.



Il giorno dopo Vincenzo Rebora e la Tortora la vennero a prendere. A Bree sembrava che quella donna fosse diventata il suo angelo custode; che volesse assicurarsi che stesse bene prima di affidarla ad un nuovo essere umano.

Caricarono la poca roba che Bree aveva con sé all'ospedale sulla Dacia di suo padre – la Tortora le disse che nel pomeriggio lei stessa la avrebbe accompagnata a casa della nonna per riprendersi le sue cose – e partirono. Loro due davanti, e Bree seduta sui sedili posteriori.

Le sembrava così.. strano, destabilizzante. Essere lì su quella macchina sconosciuta, a guardare il mondo sfilare da dietro il finestrino. E poi quell'uomo, suo padre, che guidava serio là davanti..

Ne vedeva solo il profilo, la testa volta con attenzione verso la strada, e le mani sul volante.

Erano belle, le mani di suo padre. Erano come si immaginava dovessero essere le mani di un papà.

Grandi, abbronzate, con un po' di peluria sul dorso.

Arrivarono a quella che d'ora in poi sarebbe stata casa sua in circa mezz'ora.

Il primo pensiero di Bree fu che, vista così, non sembrava proprio un granché. Si trattava di un condominio, con un misero cortiletto senza nemmeno un filo d'erba.

I muri erano marroni e scrostati, tutto sapeva di vecchio.

Vincenzo Rebora entrò nel cortile con l'auto, parcheggiò e spense il motore.

Per qualche istante non volò una mosca.

Poi lui parlò. -È sicura di non voler salire, quindi?- Domandò.

Anche se non la stava guardando, doveva rivolgersi alla Tortora.

-No, la ringrazio. Ho parecchie commissioni da fare.-

Bree la guardò, con un po' di preoccupazione.

-Lasci almeno che la accompagni dove deve andare.- Insistette lui.

-Da qui sono vicinissima, davvero. A dire la verità, sono venuta solo per vedere come stava Brenda.- Si voltò un poco e le sorrise.

-Allora grazie, signora. Di tutto.- Disse.

-Ho fatto solo quello che consideravo giusto, e..- Allungò la mano e lui gliela strinse. -.. arrivederci, signor Rebora.. Brenda, io e te ci vediamo questo pomeriggio alle quattro.-

-Sì.- Rispose lei.

Scesero tutti dalla macchina, e la Tortora si allontanò salutando con un: -A presto, passate una buona mattinata.-

Bree avrebbe voluto trattenerla.

Sapere di essere restata sola con suo padre la mise a disagio. Lo sbirciò con la coda dell'occhio, e si rese conto che doveva pensare all'incirca la stessa cosa.

Lui la guardò dritta negli occhi, e Bree pensò che fosse carino ricambiare.

-Allora.. sei pronta?- Le domandò.

Bree annuì.

Vincenzo annuì a sua volta; pareva chiedersi cosa avrebbe dovuto dire un padre in quel momento. Non riuscendo ad immaginarlo, optò per un semplice, quanto naturale: -Vieni.- ,e Bree gliene fu grata.

Seguì Vincenzo Rebora al portone, che lui aprì con delle chiavi, e che poi tenne aperto finché non fu sicuro che Bree avesse allungato una mano per reggerlo a sua volta.

Dopodiché salirono le scale del condominio, e sentirono i loro passi – benché silenziosi – sbatacchiare metallici contro le pareti, come in una grotta.

Vincenzo Rebora si fermò di fronte ad una porta di legno del terzo piano. Con lo stesso mazzo di chiavi di prima, aprì anche quella, e Bree lo seguì all'interno.

Rimase sorpresa.

Se da fuori l'edificio sembrava brutto e scialbo, da dentro era completamente diverso.

Lo spazio era grande, arioso. Gli sprazzi di luce schizzavano fuori dalle persiane socchiuse, da sotto le porte, dalle altre stanze.. Rimbalzavano sugli specchi e sui vetri di quel salotto, che accoglieva chi entrava.

Tutto era arredato modernamente; i colori erano discreti, non eccessivamente vivaci.

C'era un divano di un verde pacato, un televisore al plasma, un acquario. Un tavolinetto basso, libri..

Ci mise un po' ad accorgersi che suo padre stava proseguendo.

-Qui c'è la tua stanza.- Disse Vincenzo Rebora, e lei si affrettò a seguirlo.

La sua stanza era vuota. Non vuota nel senso priva di mobilia.. C'era il letto, con un lenzuolo azzurro, c'era uno specchio e c'era un armadio color crema.

Però sembrava quasi che fosse stata fatta rimanere vergine volutamente, come per non soffocare Bree con cose non di suo gusto, come per lasciarle la possibilità di sentirla sua.

Forse fu per questo che Bree, quando vi entrò per dare un'occhiata, si sentì i polmoni così liberi.

-Ti piace?- Le chiese suo padre.

Lo guardò. -Molto.- Rispose, sincera.

-Bene.- Rispose lui. Si guardò attorno, quasi anche per lui ci fosse qualcosa di nuovo in quella stanza. Poi le disse: -Vieni.-

Bree obbedì.

-Qui c'è la cucina, non è tanto grande.. Qui c'è il bagno, la vasca fa anche da doccia, vedi? Puoi sistemare le tue cose dove vuoi, intanto che uso io c'è solo il rasoio e il dopobarba..-

Bree sorrise.

-Questa invece è camera mia.-

-C'è un letto matrimoniale. Hai una fidanzata?-

-No. Ma un letto singolo per uno della mia età fa ridere.-

E Bree rise.

Lui le fece strada di nuovo verso il salotto, e disse: -Lì dietro c'è il terrazzo. Lo vedi, dietro alla tenda? È abbastanza grande.. Ho preso questa casa proprio per quello.-

Bree andò a scostare le tende, e vide che effettivamente era molto grande. C'erano parecchie sdraio bianche, e parecchi fiori. Era sul retro dell'edificio, perché da davanti quella meraviglia non si vedeva.

-Ci puoi prendere il sole d'estate.- Le disse suo padre. Ma dopo qualche istante parve turbarsi. -.. Se vuoi, se non troverai un'altra sistemazione.- Si corresse.

Bree lo guardò.

Pensò a due cose. La prima era che era sola al mondo, che altra sistemazione poteva trovare? La seconda era che non le sarebbe dispiaciuto stare lì.

-Grazie.- Gli disse.

Il suo sguardo si accese, come quella volta. -Non hai niente di cui ringraziare.- Le rispose, serio.

Dopo qualche istante di esitazione, Bree annuì.

Aveva capito quello che voleva dire, ma non ce la aveva con lui. Non lo poteva sapere, lui.

Suo padre si riscosse. -Immagino che vorrai prendere confidenza con l'ambiente. Stare un po' in camera tua, o farti una passeggiata, dopo questi giorni in ospedale.. Se vuoi fai pure. Al pranzo ci penserò io.-

-Oh no! Voglio dare una mano.- Rispose.

-Per oggi no, Brenda.-

-Bree.-

-Giusto. Non ho mai capito questa vostra mania dei soprannomi.-

Forse Bree avrebbe dovuto offendersi per il tono sarcastico che aveva usato, ma si ritrovò a sorridere.

-Grazie davvero, allora.- Disse. -Ci vediamo dopo.-

Vincenzo Rebora fece un cenno affermativo col capo, e lei ritornò in camera sua.

Mentre camminava, realizzò che non sarebbe stato difficile vivere con quell'uomo. Era esattamente come lei.

Un pomeriggio Leo – l'amico gay della Kia – le aveva detto che lei gli ricordava una volpe. Timida e schiva, così abituata a vivere nel silenzio che quando incontrava qualcuno non riusciva ad avvicinarlo immediatamente.

Piegava appena le orecchie, e lo annusava da distante. Poi scattava via.

Forse la volta successiva sarebbe riuscita ad avvicinarlo di più.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


La Tortora la passò a prendere, e volle sapere con esattezza com'era andata con suo padre.

Bree glielo raccontò con piacere. Le disse che aveva cucinato lui, che aveva fatto la pasta al forno come primo e una svizzera per secondo – e cucinava anche molto bene! forse perché era stato solo a lungo –; poi le disse che lei lo aveva aiutato a sparecchiare, e che dopo avevano guardato la tv insieme. Certo, non avevano parlato, si erano limitati a guardare un vecchio telefilm degli anni 70 in silenzio, però Bree non si era sentita in imbarazzo. Al contrario.

La Tortora sorrideva, mentre guidava.

-Quell'uomo ti ha voluto bene dal momento in cui gli ho detto che ha una figlia.- Le disse. -È profondamente diverso da tua madre, pur avendo commesso all'incirca gli stessi errori in passato.-

Bree ascoltò, senza sapere cosa rispondere.

Passarono dalla casetta deserta della nonna. A Bree fece una strana impressione vederla così, vuota.

La caffettiera era ancora sul bancone della cucina, la luce filtrava dai vetri e dalle tendine pulite.. tutto era come se la nonna avesse dovuto tornare da un momento all'altro.

Bree andò in camera sua, e riempì il borsone che si era portata dietro con i vestiti del suo armadio.

Poi lei e la Tortora chiusero la porta della casetta e tornarono in macchina.

A quel punto la Tortora guidò verso il Ricovero di S. Margherita, fuori città.

Ci misero un po' ad arrivare, perché c'era tanto traffico. Poi entrarono nell'edificio – che cercava di sembrare il meno possibile un ospedale e il più possibile una grande villa – e chiedettero alla signora al banco informazioni della nonna di Bree.

Lei controllò nel computer, e poi chiamò un'infermiera per farle accompagnare alla stanza n° 112.

Bree trovò sua nonna non cambiata di una virgola, come se non si fosse accorta di essere stata trasferita da casa sua a un ricovero. L'unica differenza fu che, quando vide la nipote, i suoi occhi scintillarono e la chiamò, allegramente: -Bree!-

Lei si bloccò sul posto, e fu quasi per piangere.

Rimasero lì per una mezz'ora buona, a parlare dolcemente con quella donna piegata dall'età.

Poi Bree e la Tortora se ne andarono; mentre mettevano piede fuori dall'edificio, Bree sentì il proprio cellulare vibrare nella tasca dei jeans.

Lo tirò fuori e controllò i messaggi.

Da Kia.


Ehi bella ma dove 6 sparita?? Siamo al parco in centro raggiungici :)


Bree alzò la testa, turbata. Non seppe neanche lei perché.

La Tortora lo notò subito. -È successo qualcosa?- Chiese.

-N-no.- Disse, bloccando la tastiera del cellulare e rimettendolo in tasca. -No, solo mi sono ricordata che oggi è il compleanno di una mia amica.. e che mi sono dimenticata di comprarle il regalo.-

Aveva la sensazione che, se le avesse detto la verità, non le sarebbe piaciuta.

-Be', non è un problema.- Rispose la Tortora, mentre sbloccava le portiere della macchina. -Prima di tornare a casa possiamo passare a un centro commerciale.-

-Ma non è il caso che mi mi aspetti, davvero.- Ribatté. -Magari ne avrò per un po'.. So tornare a casa di mio padre da sola, so già che autobus passa di lì.-

La guardò. -Sei sicura, Brenda?-

Annuì.

-Va bene.. Allora ti accompagno solo fino a dove vuoi comprare il regalo per la tua amica.-

Salirono in macchina.

Bree si fece lasciare davanti al negozio della Guess in centro, e aspettò che la Tortora partisse e se ne andasse prima di attraversare la strada, diretta al parco.

Non era una giornata particolarmente fredda, ma era uggiosa. Probabilmente avrebbe piovuto, e tanto.

Bree era stranamente agitata.. Eppure stava andando solo dai suoi amici. Gli stessi amici che prima di finire all'ospedale vedeva tutti i giorni, a praticamente tutte le ore.

Già, prima dell'ospedale.. ma sembrava tutto così distante.

Pensò che li avrebbe solo salutati, e che poi se ne sarebbe andata, praticamente subito. Non voleva far preoccupare suo padre.

Come si aspettava, li trovò al solito posto, dai vecchi giochi.

C'erano tutti: la Kia, Leo, Rayan.. e poi della gente nuova. Un ragazzo dall'aspetto scorbutico, una ragazza dai capelli biondi un po' a disagio..

Bree era stata via così tanto da perdersi dei nuovi entrati nel gruppo?

-Bree! Bree!- La salutò la Kia, non appena la vide, agitando la mano da sopra lo scivolo arrugginito, ormai inutilizzabile.

Si lasciò scivolare giù, e corse ad abbracciarla.

-Ciao Kia!- Le disse Bree, ricambiando contenta l'abbraccio.

-Oh, ma dai! È tanto che non vedo la tua faccia!- Le rispose, staccandosi. -Mi sei mancata. Che ti era successo?-

-In realtà ero in ospedale.-

Leo, seduto su di una panchina, alzò lo sguardo su di lei con preoccupazione. -All'ospedale hai detto? Cos'è successo?-

-Probabilmente è finita in una rissa.- Sogghignò Rayan.

-Sta' zitto.- Gli intimò la Kia, secca, fulminandolo con lo sguardo. Poi tornò ad osservare Bree, con la stessa preoccupazione di Leo. -Adesso stai bene?-

Bree annuì. -Sì, non preoccupatevi. È stato solo un piccolo incidente.-

-Davvero?-

-Sì, davvero.. Dai, Kia, parliamo d'altro!-

-La ragazza vuole parlare d'altro!- Esclamò Rayan.

La Kia tornò a guardarlo male.

Bree non si ricordava che le fosse mai stato antipatico Rayan. Probabilmente era una cosa recente, che lei si era persa.. e Rayan doveva esserne ben consapevole.

Infatti esclamò: -Oh avanti, cherie! Non mi guardare in quel modo.. Se litighiamo chi ti porta quello che ti piace tanto?- Aggiunse, ammiccando.

-È l'unico motivo che mi fa stare brava, altrimenti ti avrei già spaccato la faccia.- Ribatté, fredda.

Bree la guardò con stupore.

-Come vuoi.- Rispose lui, beffardo. -E pensare che io e il mio amico ci siamo dati tanto da fare per racimolare del fumo, oggi.. Non è vero, Enea?- Disse, battendo un colpo sulla spalla del ragazzo dall'aria scorbutica.

Questo si limitò a sorridergli.

-Eh, hai fatto bene.- Disse la Kia. -Se continui così finirai per starmi simpatico.-

-Già, il problema è che io non ho nessuna voglia di starti simpatico.- Ghignò. -Qua sono tutti miei amici.. perché dovrei dare il fumo a te? Enea e la cara Amelia lo vogliono.. e anche Bree scommetto, vero Bree? E poi Leo!-

Bree non gli rispose, e guardò spaesata la Kia.

Questa fremette, e fissò con odio Rayan. -Sei proprio un pezzo di merda.- Disse.

Lui alzò gli occhi al cielo. -Dai, su, calmati, tigrotta permalosa. Lo do a tutti il fumo, lo sai. Enea, puoi andarlo a prendere in macchina un secondo?-

Enea annuì e si allontanò, la Kia si calmò.

Leo non disse niente.

Bree invece si guardò intorno, a disagio. Non aveva nessuna voglia di fumare, ma sapeva di non potersi tirare indietro.

Se avesse inventato una scusa per andarsene, sarebbe parsa ridicola.. Se avesse detto che oggi non ne aveva voglia, le avrebbero chiesto il motivo. E lei cosa avrebbe detto? Che non voleva deludere una persona che in pochissimo tempo le aveva dato tanto?

Enea tornò, e lei li osservò preparare le canne.

Ma quella persona non saprà mai niente, Bree! .. I suoi amici le avrebbero risposto così. E infondo era vero..

E allora, perché no?


Cercò di centrare la serratura con la chiave; le ci volle qualche tentativo prima di riuscire ad aprire il portone.

Quello si chiuse automaticamente dietro di lei, e Bree rimase immobile a sentire quel suono rimbalzare contro le pareti, per poi farsi più tenue, e infine dissolversi.. Il bello di quando fumava, era che tutto le appariva interessante.

C'erano così tante cose belle, in giro.. come poteva non notarle, normalmente? I suoni poi avevano un fascino indescrivibile.

Non sapeva che ore fossero, all'incirca le otto, forse. Per abitudine doveva essere tornata a casa per quell'ora.

Quando Bree si rese conto che era immobile nell'atrio del condominio già da qualche minuto, iniziò a salire le scale.

Dovette reggersi al corrimano, perché sentiva la testa girare.

Poi estrasse il mazzo di chiavi e aprì la porta di casa sua.

Non appena entrò, sentì da qualche parte avvolgerla il calore, la luce, un profumino delizioso e.. la voce di suo padre.

Diceva: -Finalmente! È già pronto da un pezzo, avevo paura che si raffreddasse.-

Bree non aveva tanto idea di dove si trovasse suo padre, nella stanza. E a dire il vero, nemmeno dove si trovasse lei.

Le girava la testa.

Proseguì dove l'istinto le suggeriva che ci fosse camera sua, e intanto si sforzò di dire: -Scusa, papà. Ho poca fame.-

Entrò in camera, senza accendere la luce. La luce la confondeva.. stava bene così, al buio.

Tuttavia, la luce esplose da sé, di botto, e lei strinse gli occhi. Sentì qualcuno metterle una mano sulla spalla, e farla voltare.

Alzando gli occhi, vide la faccia di suo padre.

-Stai bene?- Le chiese.

-Io? ..Certo.-

Lui ammutolì, sembrava confuso.

Poi sentì qualcosa, forse un odore famigliare nell'aria, o forse intravide semplicemente qualcosa sul volto di Bree, e i suoi occhi si oscurarono lentamente. -Hai fumato?- Domandò, infine.

Bree sentì il proprio cuore dare un colpo sordo. Quel colpo le portò un po' di lucidità, come se l'avesse ridestata. -Ma no, io..-

-Tu hai fumato, Brenda.- La interruppe. -Non provare a mentirmi.-

Bree non seppe cosa dire. Lo guardò, stupita, e intanto l'effetto della canna svaniva, come spazzato via dalla voce di lui.

-Mi dispiace..- Disse, perché non sapeva che altro dire.

Suo padre le tolse la mano dalla spalla. -Non so perché, ma ti facevo più matura. Molto più matura. Che grande idea! Scappare dalla vita in questo modo! Diventare scemi per non affrontare le cose! Ma la vita ti insegue sempre, ragazzina, e prima o poi ti raggiunge. Vuoi provarlo sulla tua pelle o svegliarti prima?-

Continuò a guardarlo, ancora stupita. -I-io..-

-Allora?!-

-Svegliarmi.- Cacciò fuori.

-Credi che sia un gioco? Credi che non ci saranno conseguenze? Tutti gli errori che fai dovrai scontarli, te lo assicuro. Credi che per te non sarà così?-

-No..-

-È infantile, è molto infantile quello che stai facendo! Credi che sia da grandi? Non lo è, è infantile e patetico.-

Bree sentì le lacrime salirle agli occhi. -Mi dispiace.- Ripeté, di nuovo. -Mi dispiace tanto.-

Suo padre la guardò. Mentre la osservava, la sua rabbia sembrava scemare.. Sospirò. -Va bene.. Chi è questa banda di delinquenti con cui lo hai fatto?-

-Una mia compagna di classe e.. dei nostri amici.-

-Non c'era anche quel ragazzo, vero? Quello all'ospedale con te.-

-No, no.-

Annuì. Poi la fissò severamente. -Brenda, devi lasciare perdere questa gente.-

Lo fissò a bocca aperta. -Ma, ma..-

-Non ti dico di non vederli mai più, ti dico solo di non uscirci assieme. Se stai con loro ti farai trascinare in basso, e io non posso permetterlo. Devi crescere.. e dovranno crescere anche loro prima o poi, ma non puoi essere tu quella che glielo farà capire. .. Intesi?-

-Io.. sì.-

Chissà perché, si sentiva sollevata.

-Se sono veri amici lo capiranno.- Le disse.

Bree pensò che Rayan non l'avrebbe fatto, ma la Kia sì.

Lo guardò. -Grazie.- Disse. -Non lo farò mai più, te lo prometto. Non voglio farlo.-

Suo padre le accarezzò i capelli, senza nemmeno rendersene conto. Quando lo realizzò ritrasse la mano, un po' impacciato, e tossì.

-Va bene..- Disse. -Adesso vai a distendersi nel letto. Ti porto la roba in un vassoio.. Da giovane avevo un amico che si faceva gli spinelli tutti i giorni, ed era grasso come un maiale.- Aggiunse, contrariato.

Bree scoppiò a ridere, perché effettivamente anche a lei era venuta una fame da lupi.

Obbedì a suo padre. Si tolse le scarpe e si infilò sotto le coperte.

Poi aspettò il suo ritorno.

Intanto, le lacrime che si erano accumulate nei suoi occhi scesero silenziosamente. Era strano, che si sentisse così bene.

Aveva fatto una figuraccia, ed era stata sgridata. Però.. però lei non era mai stata sgridata.

E forse, aveva solo bisogno di esserlo.


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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


-E così l'uomo che era con la prof in ospedale era tuo padre!- Ripeté per la terza volta Andy, ancora stupito.

Bree non poté fare a meno di sorridere, osservando la sua espressione. -Già.-

-E ieri ti ha sgridata perché si è accorto che hai fumato una canna.-

-Esatto.-

Stavano passeggiando tranquillamente davanti alle vetrine, imbandite per la festività. Manichini con cappelli da Babbo Natale, luci calde e scintillanti, addobbi imitanti la neve, e tanti tanti Alberi di Natale.

Era una mattinata fredda ma chiara, e Bree aveva le mani affondate nelle tasche del cappotto e il naso un po' rosso.

-Anche tu però, fattelo dire, sei un po' stupida.- Disse Andy. -Perché farti una canna così, il primo giorno che passate insieme? ..Io sarà sei mesi che non me ne faccio una, e sto benissimo.-

Bree lo guardò, e sorrise per quello che vide. -Sei davvero un bravo ragazzo, Andy.-

Lui ricambiò il sorriso. -Ma su, che anche tu sei una brava ragazza, Bree.-

Detto questo, le cinse le spalle con il braccio, e la attrasse affettuosamente a sé.

Bree provò un piccolo, impercettibile fremito, perché era la prima volta che Andy le stava così vicino. E, assieme a questo, sentì il proprio cuore iniziare a galoppare.

Si fermarono.

Andy la guardò, e le disse, schiettamente: -Sai? Tu mi piaci un sacco. Ma penso che questo lo sapevi già.-

Bree arrossì, e abbassò lo sguardo.

Avrebbe voluto dirgli la stessa cosa, ma non aveva una bella faccia tosta, come lui.

-E mi piaci anche quando arrossisci!- Esclamò Andy, divertito dalla sua reazione.

Bree rise.

Allora ti piacerò spesso, pensò..

-Ascolta, Andy..- disse, sforzandosi di fare un discorso di senso compiuto.

-Dimmi.-

-A te piacciono i miei capelli blu.. Ma pensi che ti piacerei lo stesso, se fossero semplicemente marroni?-

Andy sorrise, e le alzò il mento con la mano destra. -Tu mi piaceresti in qualunque modo.-

Lui la baciò, e lei rispose al bacio, chiudendo gli occhi.

In quel momento, si sentì più che mai come Sally. Non perché le si staccavano pezzi di gambe, braccia, e le saltavano via tutti i legamenti che la tenevano unita.

Ma perché aveva trovato il suo Natale caldo, e il suo Jack.


Quando Bree aprì la porta e varcò la soglia di casa sua, erano le 16:45.

Suo padre era accasciato sul divano, e stava guardando la televisione. Una partita di calcio, probabilmente; il telecronista continuava a urlare nomi di giocatori mai sentiti.

Alzò lo sguardo su Bree, quando entrò, e subito lo bloccò su di lei. I suoi occhi si fecero un po' confusi e un po' sorpresi.

Bree rimase zitta, in attesa.

-Come mai?- Chiese suo padre, dopo un po'.

Lei fece spallucce. -Perché è ora di crescere, forse.- Rispose.

Appese la giacca all'attaccapanni e andò a sedersi vicino a lui.

Suo padre continuò a studiarla. Abbassò senza guardare lo schermo il volume della televisione..

-Perché..- riprese Bree, senza guardarlo -.. sono stata infantile, tanto infantile. Era l'unico modo che avevo per stare bene. Prima la mamma, poi la nonna.. io scappavo. Però non voglio scappare per sempre.-

Suo padre annuì; lei lo guardò e gli rivolse un sorriso caldo.

Fu una mezz'ora strana.

Suo padre le raccontò del proprio passato. Le disse di essere stato una cattiva persona – che si vergognava solo al pensiero che lei avesse potuto vederlo allora – le disse che non aveva avuto nessuna sensibilità né verso la legge, né verso le persone.. Visto si sentiva ferito, un po' dalla vita e un po' dalla gente, non aveva rimorsi a ferire gli altri.

Lui e la madre di Bree si erano frequentati per poco, e si erano feriti a vicenda.

Poi era arrivato quel mese in prigione, e tutto era cambiato. Aveva appena trentacinque anni, e quando uscì da lì tutto gli parve diverso. Tutto il mondo che prima aveva conosciuto, gli parve illuminato da un'altra luce.

Improvvisamente i suoi sbagli gli pesavano, e gli davano la nausea. Così decise di utilizzarli in modo buono: di trasformarli in esperienza. Li sigillò, e li chiuse in un cassetto; poi voltò pagina e ricominciò a scrivere.

Alla fine del racconto Bree si sentì felice, felice perché le aveva detto quelle cose. Capì che infondo era normale sbagliare, l'importante era accorgersene e deviare in tempo.

Si alzò e andò in camera sua.

Si srotolò la sciarpa dal collo e la gettò sul letto. Passò per caso davanti allo specchio, e si fermò, per darsi una controllata.

I suoi occhi erano grandi e lucidi, le guance stavano ritornando rosee per il tepore della casa. I suoi capelli invece erano lucidi, splendenti, e di un bel marrone caldo.

Come aveva fatto a non notare la bellezza di quel marrone, Bree non lo sapeva.

Dava leggermente sul biondo, sotto la luce, ed era così fluido, così morbido..

D'ora in poi – ne era sicura – non avrebbe più avuto bisogno di tingersi i capelli in un certo modo, per sentirsi sé stessa. La Bree dai capelli blu mare, le rimaneva comunque dentro.


                                Fine

SPAZIETTO DI BLU NOTTE: The end (: spero che questa ff vi sia piaciuta! Ringrazio Loreena McKenzie, che ha pazientemente commentato tutti i capitoli.. E ringrazio anche le altre 4 persone che l'hanno aggiunta alle seguite. Mi mancano però le vostre recensioni! Voglio i vostri commenti sulla storia (:  Un bacio <3

       Silvia

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