Virus mentale

di eian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Priorità 1 ***
Capitolo 2: *** Riunione operativa ***
Capitolo 3: *** Momenti rubati ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Cetacea ***
Capitolo 6: *** Incontri sgraditi ***
Capitolo 7: *** In fuga ***
Capitolo 8: *** In fondo al mare e dintorni ***
Capitolo 9: *** Pausa ***
Capitolo 10: *** Stress ***
Capitolo 11: *** Complicazioni ***
Capitolo 12: *** Alghe miwari ***
Capitolo 13: *** Tempesta ***
Capitolo 14: *** Pazzia ***
Capitolo 15: *** Pezzi del puzzle ***
Capitolo 16: *** Sogni frattali ***
Capitolo 17: *** Tiro alla fune ***
Capitolo 18: *** Draghi a due teste ***
Capitolo 19: *** Sabbia rossa ***
Capitolo 20: *** Deserto di cristallo ***
Capitolo 21: *** Profezia ***
Capitolo 22: *** Solitudine ***
Capitolo 23: *** Del passato e del presente ***
Capitolo 24: *** Azzurro Pallido ***
Capitolo 25: *** Vulcaniani che amano umani ***
Capitolo 26: *** NON QUESTA VOLTA ***
Capitolo 27: *** La sfida ***
Capitolo 28: *** Il ricevimento ***
Capitolo 29: *** La Dependance ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Priorità 1 ***


Rieccomi.
Questa storia prende spunto dalla trama e da personaggi del mio racconto precedente, "attorno al fuoco e dintorni", che in molti (grazie, grazie) hanno letto.
Ho deciso di pubblicare il primo capitolo - anche se non sono molto più avanti - per vedere la risposta dei miei adorati lettori.

"Kirk inserì l’audiovisore – praticamente dei larghi occhiali a fascia dotati di  auricolare, per visionare i messaggi riservati – e lo attivò.
- Computer, qui capitano Kirk, codice di sicurezza Alfa–Bravo–Tango, zero zero uno zero – disse, poggiando la mano sul pannello del bracciolo.
- Riconoscimento vocale: positivo. Riconoscimento retina: positivo. Riconoscimento digitale: positivo. Accesso autorizzato, capitano Kirk – rispose la melodiosa voce femminile del computer nel suo auricolare.
Immediatamente il minischermo si riempì – solo per i suoi occhi - dell’immagine dell’ammiraglio Komak.
- Jim, questo messaggio è di quelli che non vorresti mai dover mandare durante tutta la tua carriera..."

 

1.  Priorità Uno

Le stelle fluivano sullo schermo principale, ingannevolmente placide.
Le porte del turbo elevatore si aprirono e Kirk uscì a grandi falcate.
Era stato richiamato poco prima con un messaggio Priorità Uno, mentre si rilassava nell’ufficio dell’infermeria col suo amico nonché medico di bordo al termine del proprio turno in plancia.
Il primo ufficiale vulcaniano stava già lasciando la poltrona al capitano, il quale si sedette fluidamente, ruotando verso l’ufficiale alle comunicazioni.
- Tenente Uhura? -
- Il messaggio è stato decriptato ed è pronto alla ricezione, capitano -
- Grazie, tenente –
La bantu premette alcuni pulsanti e la trasmissione fu trasferita alla poltrona.
Kirk inserì l’audiovisore – praticamente dei larghi occhiali a fascia dotati di  auricolare, per visionare i messaggi riservati – e lo attivò.
- Computer, qui capitano Kirk, codice di sicurezza Alfa–Bravo–Tango, zero zero uno zero – disse, poggiando la mano sul pannello del bracciolo.
- Riconoscimento vocale: positivo. Riconoscimento retina: positivo. Riconoscimento digitale: positivo. Accesso autorizzato, capitano Kirk – rispose la melodiosa voce femminile del computer nel suo auricolare.
Immediatamente il minischermo si riempì – solo per i suoi occhi - dell’immagine dell’ammiraglio Komak.
- Jim, questo messaggio è di quelli che non vorresti mai dover mandare durante tutta la tua carriera. Abbiamo un problema, grave.
Circa un mese fa su Cetacea, il quarto pianeta di Lambda Aurigae,  hanno cominciato a verificarsi degli strani casi di una nuova malattia, diversa da tutti i ceppi conosciuti, con sintomi piuttosto insoliti; in parole povere, si tratta di una malattia legata alle capacità telepatiche.
Forse tu sai che i Cetaciani sono un popolo essenzialmente marino – da qui il nome che gli hanno attribuito gli esploratori al primo contatto- con spiccate capacità telepatiche. E’ un popolo molto riservato, non lasciano volentieri il loro pianeta ne’ condividono la loro cultura con le altre specie della Federazione, per quanto accolgano gentilmente i visitatori; sembra che le loro capacità telepatiche siano molto sviluppate, forse più dei Vulcaniani, anche se di genere completamente diverso, più “empatico” che logico e strutturato.
Tornando alla malattia, inizialmente i sintomi erano lievi – emicrania, debolezza, difficoltà di concentrazione, diminuzione delle capacità telepatiche – e i casi isolati.
Poi, circa una settimana fa, la malattia ha cominciato a diffondersi molto più velocemente, quasi a livello epidemico, e la sintomatologia ha subito un’impennata, diventando terribilmente invalidante. Gli scienziati ritengono che il ceppo iniziale abbia subito una mutazione. Questo è possibile, tuttavia quello che non riescono a spiegarsi è l’origine della malattia, dal momento che sembra non avere niente in comune con i virus noti finora.
Ma la parte peggiore deve ancora venire.
Uno scienziato vulcaniano di nome Tepam, di stanza sul pianeta per studiare alcune capacità mentali tipiche dei cetaciani, si è ammalato ed è morto nel giro di poche ore, manifestando i sintomi del virus ma molto più dolorosi. A quanto pare per la mente vulcaniana gli effetti sono intollerabili e letali.
A questo punto si ritiene che siano a rischio di contagio tutte le specie del quadrante dotate di capacità telepatiche e il pianeta è stato messo in quarantena.
Non siamo sicuri di come Tepam sia venuto a contatto con la malattia, ma sembra che si fosse offerto volontario per studiarla.
Appena avvenuto il decesso è stata mandata una squadra ad indagare e abbiamo scoperto che Tepam, poco prima di morire, aveva mandato un messaggio criptato verso una sperduta zona di Vulcano, utilizzando una codifica che non siamo ancora riusciti a decrittare; tuttavia un cetaciano di nome Feelsh che lavorava con Tepam ha riferito alcune inquietanti notizie relative a contatti e discorsi sospetti che Tepam avrebbe avuto con dei personaggi del luogo.
Abbiamo motivo di ritenere che il vulcaniano sapesse qualcosa di molto importante relativamente al virus e che abbia trasmesso questa informazione su Vulcano nel corso della trasmissione criptata.
Il governo vulcaniano afferma di non saperne niente e di essere profondamente preoccupato per gli effetti del virus; io personalmente sono convinto che siano sinceri.
Vorrei che tu indagassi sulla faccenda con la massima discrezione; coinvolgi il minor numero di membri dell’equipaggio, possibilmente tutti ufficiali superiori, vincolandoli alla segretezza, codice Alpha-Omicron.
I migliori medici e scienziati del quadrante stanno convergendo verso il pianeta e vorrei che anche l’Enterprise partecipasse: questa sarà la vostra missione ufficiale e la vostra copertura, dato che avete uno dei migliori staff medico-scientifici imbarcato su nave dell’intera flotta.
Contemporaneamente svolgerai la tua indagine: scopri cosa sapeva Tepam sul virus, dove è stato spedito il messaggio crittato e cosa contenesse.
Te lo allego assieme a tutti i rapporti relativi al virus, così potrete cominciare a lavorarci.
Non serve che ti sottolinei l’importanza della missione.
Buona fortuna, Jim, a te e a tutta la tua nave.
Komak chiude. –
Kirk spense l’audiovisore e lo rimosse lentamente, assimilando l’enormità della questione.
Quando sollevò gli occhi incontrò lo sguardo interrogativo del suo primo ufficiale.
- Tenete Uhura, invii conferma di avvenuta ricezione e presa in carico della missione all’ufficio dell’ ammiraglio Komak e convochi tutti i capisezione e il tenente Layrys in sala riunioni tra venti minuti. Signor Chekov, calcoli la rotta per il sistema Lambda Aurigae, massima velocità di curvatura –
Il ritmo di scorrimento delle stelle sullo schermo si intensificò, mentre la vibrazione di fondo dei motori aumentava sensibilmente.
Contò mentalmente tamburellando sul bracciolo; arrivato a nove il suo intercom trillò.
- Sì, Scotty? – rispose, soffocando un sorriso.
Seguì qualche istante di silenzio, durante il quale il suo capo ingegnere si chiese se il suo capitano avesse sviluppato doti di preveggenza, poi disse:
- Capitano… ritengo che abbia un valido motivo per sottoporre le mie ragazze a questo sforzo -
- Sì, signor Scott, non mi permetterei mai altrimenti –
- Ecco… per quanto tempo dovremo mantenere questa velocità? –
- Signor Chekov? –
- Quattro giorni e dodici ore circa, capitano –
- Ha sentito, Scotty? Pensa di farcela a mantenere operativi i motori alla massima efficienza? –
Si udì chiaramente un sospiro dall’altra parte.
- Sissignore, certo signore – la voce suonava quasi offesa – dopotutto, abbiamo appena rifatto la suola alle scarpe, nei bacini di Risa –
Kirk vide il sopracciglio di Spock scattare verso l’alto alla definizione informale dell’ingegnere.
- Conto su di lei, signor Scott. Kirk chiude. Signor Sulu, a lei la plancia – disse, alzandosi e dirigendosi al turbo elevatore – Sarò in sala riunioni. Signor Spock, venga con me –
Il vulcaniano lo seguì nel vano e le portine si chiusero dietro di loro.

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Capitolo 2
*** Riunione operativa ***


Uhmm, secondo capitolo. Vorrei che fosse realistico come un film e pieno di aspettattive, ma è dura...


"- Jim, stai lasciando che il nostro rapporto personale influenzi la tua capacità di giudizio -

- Questo non è vero, e lo sai – rispose cercando di trattenere la rabbia - Per quanto insopportabile mi sia l’idea di perderti. Il mio dovere di capitano è innanzitutto proteggere la vita di ogni membro della mia astronave..."
 

2.  Riunione operativa

Spock rimase in silenzio, rispettando l’evidente necessità di Kirk di raccogliere le idee e preparare una strategia.
Era molto incuriosito dalla rotta inserita, anche se non l’avrebbe mai ammesso: l’unico pianeta di classe M del sistema Lambda Aurigae era Cetacea e alla riunione era stata convocata anche il tenente Layrys; ne dedusse logicamente che l’emergenza riguardasse il pianeta del tenente e che fosse anche piuttosto grave, data la massima velocità di curvatura. Stava procedendo a valutare e scartare i possibili scenari quando il turbo ascensore li scaricò a destinazione, 2.3 secondi dopo.
Uscirono nel corridoio e rientrarono nella sala riunioni.
Spock rimase in piedi mentre il capitano si accostava all’oblò, osservando l’esterno per altri lunghi istanti.
Infine Kirk si volse.
- Spock – disse – abbiamo un problema –
- Su Cetacea, immagino. Un’emergenza dalle origini sospette? –
Kirk rimase come sempre allibito dalle capacità deduttive del suo primo ufficiale.
- Centro. Un virus letale per i telepati. Ecco, leggi –
Attivò il touch screen inserito in una delle postazioni e digitò i codici di sicurezza.
Il vulcaniano si sedette e impiegò esattamente 25 secondi a leggere il rapporto, poi aprì gli allegati; tre minuti dopo aveva assimilato ogni informazione fornita.
Alzò gli occhi e incontrò quelli di Kirk.
- Jim… questo è… allarmante –
- Lo credo anche io –
In quella entrò McCoy, in anticipo di dieci minuti; doveva essere rimasto in attesa in infermeria fin da quando Kirk aveva ricevuto il messaggio, per poi precipitarsi in sala riunioni appena ricevuta la convocazione; strano anzi che non fosse piombato direttamente sul ponte a curiosare, come suo solito.
- Jim, Spock… che succede? Che voleva Komak? Perché è stata convocata anche T’Mar? – chiese ansioso.
Il dottore e il tenente T’Mar Layrys, esobiologa, una mescolanza di razze risiana, cetaciana e vulcaniana, avevano una relazione iniziata qualche settimana prima durante una burrascosa licenza su Risa assieme al capitano e al primo ufficiale.
- Un’emergenza medica? Una crisi su Risa? No, avreste chiamato anche il guardiamarina Qube… Massima velocità, piuttosto lontano… Cetacea? Sì, deve essere un’emergenza medica su Cetacea – dichiarò alla fine.
- Bones, sono impressionato. Sei sicuro di non essere in collegamento con Spock e di non aver attinto ai suoi ragionamenti? -
Spock lo stava guardando con entrambe le sopracciglia inarcate.
- Affascinante, dottore –
- Mi state prendendo in giro?  Non sarò un vulcaniano ma sono un medico! La deduzione è il mio mestiere! Allora, cosa… -
Fu interrotto dall’ingresso di alcuni ufficiali, che salutarono e presero posto.
In pochi minuti arrivarono tutti i convocati alla riunione, con due minuti di anticipo.
In pratica si trattava di tutti gli ufficiali superiori della nave, escluso solo Sulu, che non aveva potuto lasciare sguarnito il ponte da almeno un ufficiale superiore e che avrebbe seguito la riunione dalla sua postazione sulla poltrona di comando.
- Signori – esordì il capitano – abbiamo un’emergenza –
Riassunse brevemente la situazione dell’epidemia su Cetacea, senza nominare i sospetti dell’ammiraglio Komak su Tepam.
- Troverete i dettagli nel rapporto che vi sarà fornito a breve nei terminali dei vostri alloggiamenti – concluse – Tenente Layrys, per cortesia, verifichi le informazioni sul pianeta disponibili nel database; so che non sono molte e se ritiene di avere qualcosa di utile da aggiungere la prego di redigere una relazione e di metterla a disposizione. Signori, avete circa quattro giorni e mezzo per analizzare il materiale che possediamo e quello che continuerà a pervenire regolarmente dalle ricerche sul pianeta. Una volta arrivati sul posto potrete interfacciarvi con gli altri scienziati dei gruppi di studio. Spero che potremo essere d’aiuto, sono in gioco molte vite di questo quadrante. Siete congedati. Spock, Bones, Uhura, tenente Layrys, Chekov, trattenetevi per favore –
I nominati tornarono a sedere mentre gli altri uscivano alla spicciolata.
- Spock, li ragguagli sul resto della missione per cortesia – chiese, alzandosi e dirigendosi verso la finestra panoramica.
- Certo. Innanzitutto, quello che sto per dirvi è classificato, codice Alpha-Omicron. –
Kirk sentì distintamente trattenere il respiro dal gruppo al livello di segretezza richiesto.
- L’ammiraglio Komak ha motivo di ritenere – e io personalmente concordo con lui – che il virus sia di origine sintetica, data la sua mancata corrispondenza con qualunque altro ceppo esistente. Normalmente, i nuovi virus che appaiono hanno sempre delle strutture simili ad altri già manifesti, mentre questo è assolutamente nuovo. Inoltre, non si tratta nemmeno di un vero e proprio virus, ma di qualcosa di molto più piccolo; lo hanno isolato –
Il proiettore olografico tridimensionale al centro del tavolo rimandò l’immagine di una molecola sconosciuta, simile all’anello benzenico degli idrocarburi aromatici, ma in cui gli elettroni dislocati creavano dei minuscoli circuiti elettrici.
- Queste molecole di base si uniscono in serie, formando una specie di avvolgimento a spirale che genera un campo elettromagnetico in grado di interferire con i percorsi sinaptici delle menti telepatiche –
Alla molecola che girava pigramente al centro del tavolo se ne aggiunsero altre, collegandosi di seguito a formare un cilindro a sezione ottagonale; la simulazione raffigurava lo scorrimento della corrente e riportava l’intensità di campo prodotta.
- L’ intensità del campo elettromagnetico B generato è sufficiente ad interferire con le funzioni neuro elettriche di talamo, amigdala e nuclei del putamen – commentò T’Mar – questo vuol dire che può interferire con i centri emozionali di quasi tutti gli esseri pensanti evoluti di tipo umanoide –
McCoy la stava guardando, bianco come un fantasma.
- Questo significa che potrebbe avere effetti anche sulla psiche di tutti gli altri esseri intelligenti –
- Esatto, dottore – la voce di Spock suonava calma come sempre, stridente con la situazione e tuttavia rassicurante.
- Un attimo, signori. State dicendo che questo virus potrebbe contagiare anche gli esseri non telepatici? – chiese Kirk.
- Teoricamente sì –
- E che effetti avrebbe? –
- Paragonabili a quelli delle specie telepatiche: perdita di controllo sui centri emozionali del pensiero e di altre funzioni secondarie –
- Perché i non-telepati sembrano essere immuni, allora?- chiese McCoy – i dati dicono chiaramente che nessuno di loro è stato contagiato, nemmeno nelle zone di massima diffusione del virus –
- Non lo so dottore, ma deve essere qualcosa di legato alle capacità telepatiche. Ho bisogno di ulteriori dati. Quando sarò sul posto potrò esaminare… -
- Lei non scenderà sul pianeta, Spock - lo interruppe duramente Kirk - Ne’ lei, né il tenente Layrys –
- Ma capitano… - esclamarono contemporaneamente il primo ufficiale e l’esobiologa.
- Non voglio sentire obiezioni – disse Kirk, poggiando i palmi sulla scrivania e piegandosi verso di loro – Non vi esporrò al rischio di contagio. Lavorerete da qui e non metterete piede sul pianeta. Ci penseranno McCoy e chiunque riterrà opportuno del suo staff non-telepate. Io, Uhura e Chekov ci occuperemo del resto della missione. Spock, finisca il rapporto per cortesia –
- Sì, capitano – rispose con voce controllata il primo ufficiale, procedendo all’esposizione del resto della vicenda.
- Uhura – chiese Kirk alla fine – crede di essere in grado di decrittare il messaggio di Tepam e localizzarne con precisione la destinazione?-
- Devo avere accesso al sistema  da cui è stato spedito, capitano, ma penso di sì. Mi preoccupano di più eventuali sistemi di sicurezza del computer: ho una qualifica di terzo livello, ma i vulcaniani sono maestri di queste cose –
- Capitano...-
Kirk alzò una mano a bloccare il primo ufficiale.
- Signor Chekov, se non sbaglio lei ha una qualifica di quarto livello –
- Sì signore, dovremmo riuscire a spacchettare la protezione –
- Perfetto –
- Capitano…-
- Sì Spock, so che lei ha una qualifica di sesto livello, ma non scenderà lo stesso sul pianeta. Ci fornirà assistenza da qui. E questo è un ordine –
Si chiese quante altre navi avessero così tanti esperti di violazione di sistemi protetti: sembravano più una corsara orioniana ben addestrata che una ammiraglia della Flotta Stellare! Probabilmente gli anni di esperienze a dir poco “inconsuete” avevano spinto i suoi ufficiali a specializzarsi in settori poco ortodossi, ma certamente utili.
- Signori, in libertà –
Uhura e Chekov si ritirarono; il tenente Layrys tentennò leggermente, Spock e McCoy non si alzarono neppure.
- T’Mar, faremo tutto il possibile, mi creda – disse Kirk, gentilmente.
- Lo so , capitano. Grazie. Conti su di me –
Con un cenno del capo e uno sguardo a McCoy se ne andò.
I tre rimasero in silenzio per qualche minuto, dopo tutti quegli anni non sempre c’era bisogno di parole.
- Se quel virus trova il modo di trasmettersi anche verso i non telepati…- commentò cupo MCCoy ad un certo punto, dando voce alla principale preoccupazione di tutti.
- Capitano, dovrei scendere sul pianeta, sono la persona più logica per questa missione - insistette il vulcaniano - Le mie capacità informatiche e mentali... –
- Spock, l’argomento non è in discussione. Ci penseremo io e Bones con gli altri. D’altronde il medico è lui, no? Sappiamo bene quanti altri casi simili ha risolto brillantemente –
- Il dottore in questa circostanza non è sufficientemente qualificato -
- Sì, certo, dannato superman dalle orecchie a punta… sappiamo che lei sa fare tutto meglio di tutti, ma è a rischio di contagio di una malattia mortale, e da morto non potrebbe più fare i suoi calcoli. Si dovrà accontentare delle mie non-sufficienti qualifiche – Sbottò seccato McCoy, alzandosi – Vado a preparare il mio calderone e i denti di drago da bollire – e uscì.
- Spock, l’hai offeso… era necessario? – chiese Kirk quando la porta scorrevole si fu richiusa.
- Mi spiace – rispose l’amico – Non era mia intenzione. Forse la scelta di parole può aver urtato la delicata suscettibilità del dottore, ma resta la veridicità della mia affermazione: sono la persona più qualificata per la missione –
- Spock, non ti  manderò laggiù a morire –
- Jim, stai lasciando che il nostro rapporto personale influenzi la tua capacità di giudizio -
- Questo non è vero, e lo sai – rispose cercando di trattenere la rabbia - Per quanto insopportabile mi sia l’idea di perderti. Il mio dovere di capitano è innanzitutto proteggere la vita di ogni membro della mia astronave. Non sempre ci sono riuscito, in tutti questi anni, ma Dio solo sa se non ci ho provato – una nota amara si inserì nella voce, per tutti i caduti di cui si sarebbe per sempre sentito responsabile - Se per questo non manderò nemmeno T’Mar, che sarebbe un elemento utilissimo, forse anche più di te in questo caso. Non prima di aver esaurito ogni alternativa – aggiunse, indurendo i lineamenti.


 

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Capitolo 3
*** Momenti rubati ***


 gli addii son d'obbligo... tanto non resito al romance...

"- Io credo che abbiamo bisogno di sentirci vicini. Anche mentalmente. Perché non ti lasci andare, senza alzare i tuoi schermi mentali? Come quella volta, su Risa –
- Ne sei sicuro? – chiese lei – ti ho detto qual è il rischio che corriamo –
- Senti, non è molto diverso dal rischio di innamorarsi quando due che si piacciono decidono frequentarsi. Anche quello è un legame, anche quello fa paura… Per favore – chiese, baciandola poi in modo da toglierle il fiato. "

 

3.  Momenti rubati

Il tempo passò, volenti o nolenti, ognuno assorto nelle sue incombenze.
Il capitano studiò le planimetrie delle aree a cui avrebbero dovuto accedere, insieme ad alcune caratteristiche peculiari del pianeta, essenzialmente poco conosciuto.
In sala motori, Scotty coccolava i suoi motori con cura; non si era trasferito con una brandina lì affianco solo perché negli anni aveva capito che i suoi sottoposti – gente validissima, ma non erano lui – si sentivano squalificati e tendevano ad offendersi.
Nel ponte dell’infermeria erano stati attivati i laboratori medico-scientifici dì emergenza, due sale adiacenti dotate di apparecchiature extra, processori potenziati e schermi olografici interattivi per l’analisi e la gestione di grosse moli di dati.
La sezione scientifica era completamente mobilitata; tutti i membri dell’equipaggio con competenze scientifiche erano stati dirottati sul lavoro di ricerca.
T’Mar lavorava sedici ore al giorno, ma l’entusiasmo per l’incarico sopperiva alla stanchezza.
Inoltre, aveva la possibilità di lavorare con il suo superiore vulcaniano, una delle migliori menti che avesse mai incontrato.
Inizialmente era stato leggermente imbarazzante, dopo la strana licenza su Risa durante la quale si erano conosciuti poco prima che lei si imbarcasse sull’Enterprise. In quell’occasione era entrata in collegamento mentale sia con il capitano che con il primo ufficiale, dopo un incidente di una fusione mentale sbagliata che aveva danneggiato entrambi. Il comandante Spock aveva avuto accesso praticamente a tutte le sue memorie passate e lei all’episodio forse più imbarazzante della vita del vulcaniano, riguardante la nascita della sua attuale relazione con il capitano Kirk.
Per non parlare della relazione travolgente che era nata tra lei e il dottor McCoy…
Iniziare a lavorare normalmente tutti insieme dopo quella intimità mentale, praticamente tra sconosciuti, era stato davvero strano.
Tuttavia, lei non era un giovane cadetto ma un ufficiale addestrato, proveniente dai ranghi dei Corpi Speciali Marini di Risa, per cui si era affidata alla professionalità acquisita e alla propria naturale empatia per rendere le cose più semplici, accattivandosi le simpatie dei colleghi.
Lavorare con il comandante Spock era un’esperienza affascinante ed estremamente stimolante, anche se discutevano piuttosto spesso; in effetti, era stato per lavorare con il primo ufficiale dell’Enterprise che si era impegnata costantemente negli ultimi anni. Nel tempo aveva seguito le storie – leggende, praticamente - di quello strano semi-vulcaniano che aveva scelto la via delle stelle e aveva creato un legame simbiotico col suo capitano, un’altra leggenda. In effetti, con il suo improbabile ibrido di razze e la sua ricerca di se stessa, aveva sentito un’ istintiva affinità con lui, e così, eccola là, proprio dove voleva essere.
Quello che non aveva assolutamente previsto era il rapporto con l’ufficiale medico di bordo.
Si erano conosciuti su Risa e l’attrazione tra loro era esplosa immediatamente, anche nelle loro menti.
La cosa l’aveva lasciata del tutto spiazzata; non aveva provato un tale coinvolgimento mentale dalla morte del suo Compagno durante un incidente in una missione, anni prima su Risa, dopo il quale aveva lasciato i corpi speciali e si era ritirata in solitudine nelle caverne sottomarine di Cetacea per quasi tre anni, prima di entrare nella Flotta.
Ora Leonard sembrava essere al centro di tutti i suoi pensieri, al punto da dover schermare la propria mente durante i loro rapporti per evitare che il Legame si tendesse da solo tra loro.
Avevano bisogno di tempo per conoscersi veramente, si ripeteva razionalmente, ma la verità era che la perdita del suo primo Compagno l’aveva quasi portata alla follia e ora aveva paura, paura di perdere nuovamente l’altra metà di sé in qualche incidente.
Non era sicura che stavolta sarebbe sopravvissuta alla solitudine di un legame spezzato.
Lui sembrava molto più disposto a lasciarsi andare, senza troppe domande, “lì dove li avrebbe portati il cuore”, come aveva detto durante uno dei suoi irresistibili slanci romantici.
In quel momento, a poche ore dallo sbarco di Leonard sul pianeta, la sua mente era affollata di questi pensieri al punto da renderle difficile concentrarsi, complice anche la stanchezza delle lunghe ore di lavoro.
Un leggero sospiro le sfuggì involontariamente dalle labbra.
- Tenente, c’è qualche problema? – le chiese il suo superiore, dalla sua postazione di fronte allo schermo olografico tridimensionale dove assimilava e analizzava dati ad una velocità impossibile.
Con lei Spock era sempre molto gentile – oltre che terribilmente esigente.
- No… non proprio – T’Mar si accorse che non sarebbe riuscita a concentrarsi ulteriormente sulla sua relazione – Forse ho bisogno di una pausa. Le spiace, comandante? –
- Ovviamente no. Sta lavorando ininterrottamente da dodici ore consecutive, direi anzi che una pausa sarebbe consigliabile per non compromettere il suo rendimento. Due ore dovrebbero bastarle per riposarsi e salutare il dottor McCoy adeguatamente –
Lei rimase come al solito stupita dalla percettività di quell’essere, che professava di non provare emozioni ma che sembrava capire esattamente le sue.
- La ringrazio, signore – disse, alzandosi e lasciando il laboratorio: un’improvvisa urgenza di vedere Leonard le era montata dentro.

Mancavano poche ore al target su Cetacea e McCoy nel suo alloggio stava finendo di preparare i suoi bagagli per la discesa sul pianeta, quando il segnale alla porta trillò.
- Avanti – ordinò.
La porta scivolò di lato lasciando entrare T’Mar.
- Ciao! – esclamò andandole incontro, felice di vederla.
- Volevo salutarti – disse lei – sei già pronto? – aggiunse, vedendo i bagagli in un angolo.
- Sì. Purtroppo dovrò rimanere sulla superficie la maggior parte del tempo, la procedura di decontaminazione è troppo lunga per ripeterla spesso, perderei troppo tempo. Senza contare che c’è sempre un remoto rischio di portare a bordo qualche traccia del virus –
- Leonard… - lei si avvicinò, poggiandogli una mano delicatamente palmata sul petto – questa storia non mi piace…–
Non era da lei, sempre così padrona di se stessa, manifestare una tale preoccupazione: gli occhi blu cobalto erano pieni di ansia.
McCoy l’abbracciò.
- Starò attento, te lo prometto – e la baciò.
Come succedeva sempre tra loro, il bacio divenne immediatamente profondo e coinvolgente; McCoy non sapeva resistere alla personalità appassionata e insieme controllata di T’Mar, come un vulcano che cova sotto le ceneri, e appena si toccavano sentiva la lava fusa penetrargli nel cervello, facendolo impazzire.
Come al solito, in un attimo furono nudi, avvinghiati sopra il letto mezzo invaso dalle cose del dottore.
Nonostante lei avesse schermato la propria mente McCoy si accorse che qualcosa non andava.
- T’Mar? – la chiamò, fermandosi – cosa c’è? –
Lei scosse il capo, riprendendo a baciarlo con più urgenza del solito.
McCoy ricambiò, ma per un istante una sensazione estranea gli invase la mente. Paura. Puro terrore.
Capì che doveva essere un’emozione sfuggita al controllo degli schermi di T’Mar.
Si interruppe immediatamente, prendendole il volto delicatamente celeste tra le mani.
- T’Mar… tu sei spaventata a morte. Cosa succede? Ti prego, dimmelo – chiese preoccupato.
Lei distolse lo sguardo.
- Guardami, per favore – disse dolcemente il dottore, fissandola con i suoi occhi azzurri e comprensivi.
- Io… ho paura di questa separazione, Leonard –
- A causa della tua precedente relazione e di quello che è successo? –
- Sì. Non ho più provato un’ attrazione così forte da allora. Ho paura di legarmi a te e di perderti, ma ho anche paura di non sentirti quando saremo lontani… non so cosa fare –
Lui la accarezzò delicatamente.
- Io credo che abbiamo bisogno di sentirci vicini. Anche mentalmente. Perché non ti lasci andare, senza alzare i tuoi schermi mentali? Come quella volta, su Risa –
- Ne sei sicuro? – chiese lei – ti ho detto qual è il rischio che corriamo –
- Senti, non è molto diverso dal rischio di innamorarsi quando due che si piacciono decidono frequentarsi. Anche quello è un legame, anche quello fa paura… Per favore – chiese, baciandola poi in modo da toglierle il fiato.
Lei rispose appassionatamente.
Mentre i loro corpi si univano McCoy venne nuovamente sommerso da quella sensazione di calore che gli invadeva la mente, come ondate di lava incandescente.
Si sentì dentro il corpo e la mente di lei, percependo su di sé quello che lei provava sulla sua pelle.
Il centro di calore ed energia che era timidamente spuntato in un angolo del suo cervello la loro prima volta, su Risa, crebbe e fiorì, regalandogli un’emozione fortissima.
Sentì la paura di lei, ma anche l’eccitazione, il piacere di stare con lui.
L’amore.
Il ritmo del loro amplesso crebbe vertiginosamente, diventando frenetico, fino ad una conclusione di fuochi d’artificio nel corpo e nel cervello.
McCoy impiegò diversi minuti a riprendersi da quella esperienza sconvolgente. Meravigliosa, ma sconvolgente. Era stato anche più intenso della prima volta.
Quando si sollevò a guardarla vide che lei aveva le lacrime agli occhi.
- T’Mar… che succede? – le asciugò una lacrima, preoccupato.
- Il tranfert emotivo è stato molto forte. Ed è stato fantastico, Leonard. Grazie. Ne avevo bisogno –
Lui sorrise, malizioso.
- Un gentiluomo soddisfa sempre una signora…-
Lei rise, la sua risata di bollicine, poi tornò seria.
- Non so se adesso sarà più semplice o no lasciarti scendere sul pianeta senza di me… -
- Tornerò prima possibile. Dobbiamo trovare una soluzione a questa malattia, la situazione è troppo grave –
- Io e il comandante Spock faremo del nostro meglio di qui. Se c’è qualcuno che può trovare uno schema in questa storia quello è lui. Possiede una grande mente –
Lui la guardò aggrottando le sopracciglia.
- Non sono sicuro che questa cosa mi piaccia. Voi due passate un sacco di tempo insieme, tu lo adori e lui ha un’ottima opinione di te… per non parlare di quello che è successo su Risa, tutte quelle fusioni mentali che vi hanno messo in contatto intimo… Credo di essere piuttosto geloso -
Gli zigomi di lei si tinsero di una intensa tonalità azzurra.
- E’ vero, lo stimo molto, ma non ti devi preoccupare. E poi, lui è Legato al capitano Kirk –
- Uhmpf… questo non vuol dire nulla. Non è un legame monogamo, come hanno avuto modo di scoprire a loro spese … - rispose, piuttosto seccato.
Lei ridacchiò.
- Smettila, dai. Non credo che dopo questo tra noi potrò pensare a nessun altro-
- Lo spero –
- Ora devo andare – disse lei alzandosi – il comandante mi ha concesso due ore per salutarti e devo ancora farmi una doccia prima di tornare al laboratorio –
- Per salutarmi? Quel gelido computer dalle orecchie a punta? Ho davvero ragione di preoccuparmi…-
Si rivestirono velocemente.
- Ti prego, sta attento. Potrebbe essere pericoloso – disse lei, sulla porta.
- Stai tranquilla, non è la prima volta che mi trovo in questa situazione –
Si scambiarono un ultimo bacio, breve ma appassionato, poi lei si girò e le portine si chiusero dietro di lei.
McCoy sentì chiaramente una piccola fonte di calore scaldargli la mente, qualcosa di molto simile alla consapevolezza di T’Mar riposta in un angolo dei suoi pensieri.
Era una bella sensazione.
 

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


Torniamo alla missione e ai preparativi. Provate a immaginare tutto come un film, spero che funzioni.

"Si diresse a grandi falcate nel turboascensore, seguito a ruota dal primo ufficiale.
- Jim – disse il vulcaniano non appena le portine si chiusero con un sibilo – questa missione è pericolosa e piena di incognite –
- Se è il tuo modo di dirmi di stare attento, non preoccuparti: starò attento – sorrise Kirk.
- Non sappiamo molto di questo virus, né di coloro che ci sono dietro. La situazione potrebbe precipitare – la voce del suo amico era terribilmente seria.
- Lo so – il sorriso si spense – ma siamo tutti addestrati per questo. E siamo i migliori. Questo comporta delle responsabilità, a cui nessuno di noi può o vuole sottrarsi – "

4. Preparativi

- Capitano, siamo arrivati in prossimità di Cetacea. Rotta geosincrona standard inserita – segnalò Sulu.
- Sullo schermo – rispose Kirk, seduto a gambe accavallate sulla sua poltrona.
Sul monitor apparve una sfera completamente blu, a parte le formazioni nuvolose bianche e grigie.
- E’  bellissimo – commentò Uhura.
- Sembra completamente ricoperto dall’acqua – rilevò Chekov.
- La superficie emersa è pari al tre punto sette percento – affermò il primo ufficiale dalla sua postazione.
- Mi chiedo come si sia evoluta la razza umanoide… - si chiese Kirk a voce alta.
- Signore, ci chiamano dalla superficie – riferì Uhura.
- Sullo schermo –
Sul monitor l’immagine del pianeta sparì per lasciar posto ad una figura di donna, indubbiamente cetaciana. Aveva la pelle celeste intenso, gli occhi grigi, i capelli di una sfumatura verde chiara e le braccia ricoperte di squame iridescenti.
- Qui è il capitano Kirk dell’astronave Enterprise, della Federazione – si presentò il capitano, alzandosi fluidamente dalla poltrona e sistemandosi come al solito la casacca – con chi ho il piacere di parlare? –
- Sono il prefetto Windal, capo dell’Unità di Crisi. Benvenuto, capitano Kirk, vi aspettavamo. Abbiamo davvero bisogno del vostro aiuto –
La donna aveva l’aspetto stanco, ma gli occhi restavano incredibilmente vivi: sembrava che potessero leggere nel pensiero a anche a quella distanza.
 “Forse è così” pensò Kirk.
- Siamo qui per questo, prefetto. Speriamo di esservi utili. La mia squadra medico-scientifica è pronta a sbarcare sul pianeta. Il signor Spock, il mio primo ufficiale, coordinerà le ricerche –
Il vulcaniano entrò nell’inquadratura e rivolse un cenno del capo al prefetto.
- E’ un vulcaniano, non è vero? Non deve sbarcare sul pianeta, capitano. Un altro membro della sua razza è stato colpito dal virus ed è morto in poche ore -
- Lo sappiamo, abbiamo ricevuto i rapporti. Il signor Spock rimarrà sulla nave –
- Il centro Emergenza è localizzato presso l’Università, dove si trovano i migliori laboratori. Vi sto inviando le coordinate. Gli studenti sono stati evacuati e potrete usare i loro alloggi. Vi ricordo che tutto il pianeta è sotto quarantena di massimo livello, questo comprende un campo di energia che circonda la superficie per evitare la diffusione del virus. Mi spiace per i disagi. Buona fortuna, capitano –
- Grazie, prefetto – rispose Kirk, chiudendo la comunicazione.
Il meraviglioso pianeta blu e bianco tornò ad occupare lo schermo.
Il capitano si volse verso i suoi uomini.
- Come prevedevamo, non potremo effettuare teletrasporti non autorizzati al di fuori delle postazioni prestabilite sul pianeta. Signor Sulu, è pronta la navetta Stealth? –
- Sì signore, la navetta due è stata modificata appositamente per passare inosservata ai sensori del pianeta. Siamo in attesa dei codici di sicurezza per attraversare il campo di contenimento –
- Ci penserò io ad ottenerli una volta sulla superficie. Squadra medica, pronti al teletrasporto in dieci minuti – disse, aprendo un canale dal bracciolo della poltrona.
- Sì capitano - accusò ricevuta il dottore.
- Buona fortuna. Kirk chiude -
- Uhura – disse, ruotando la poltrona verso il tenente - la squadra Due entrerà in azione durante il primo turno di guardia notturno presso l’ufficio di Tepam presieduto da una membro della Flotta. Spero di scoprire la rotazione dei turni poco dopo lo sbarco. Riunione informativa con il tenente T’Mar tra quindici minuti per i dettagli. Uhura, Chekov, fatevi sostituire e raggiungetemi in sala riunioni. Sulu, a lei la plancia. Signor Spock, mi segua per cortesia –
Si diresse a grandi falcate nel turboascensore, seguito a ruota dal primo ufficiale.
- Jim – disse il vulcaniano non appena le portine si chiusero con un sibilo – questa missione è pericolosa e piena di incognite –
- Se è il tuo modo di dirmi di stare attento, non preoccuparti: starò attento – sorrise Kirk.
- Non sappiamo molto di questo virus, né di coloro che ci sono dietro. La situazione potrebbe precipitare – la voce del suo amico era terribilmente seria.
- Lo so – il sorriso si spense – ma siamo tutti addestrati per questo. E siamo i migliori. Questo comporta delle responsabilità, a cui nessuno di noi può o vuole sottrarsi –
- Non posso che concordare –
- Adesso chi è che lascia che la sua capacità di giudizio sia influenzata da questioni personali? – provocò l’umano con il suo sorrisetto ironico.
- Non permetterei mai che…-
- Spock, stavo scherzando –
- Quando scenderai sulla superficie? –
- Subito dopo la riunione con T’Mar. Ho giusto il tempo di passare in cabina a recuperare la mia attrezzatura. Ti va di accompagnarmi? Se non sei troppo occupato in laboratorio … -
- No, posso venire –
Tutti e due sapevano senza esprimerlo che il rischio sarebbe stato elevato e che non avevano modo di prevedere quando si sarebbero rivisti. O se.
Come sempre, il tempo passato insieme era un lusso prezioso.
In cabina Kirk ripose velocemente nello zaino a tenuta stagna la muta da immersione, lo snorkel da trenta minuti, la divisa grigio-azzurra da operazioni marine con casco a schermo di energia, phaser, coltello, comunicatore subacqueo, scanner e supporto di memoria universale con inserito un bel programmino preparato da Spock che avrebbe dovuto violare praticamente qualsiasi sistema, copiare contenuti, sbloccare serrature a codice magnetico, tutto senza lasciare traccia del suo passaggio.
- Spero veramente che non mi serva l’attrezzatura da immersione… è passata una vita dall’ultimo addestramento simulato! Quando torno prometto di sottopormi ad un intero ciclo di … –
- Jim –
La voce insolitamente tesa del vulcaniano lo fece voltare.
Lo sguardo del vulcaniano era incredibilmente preoccupato. Poteva sentirlo chiaramente anche nella sua mente.
- Spock… mi spiace, parlo a sproposito… - si scusò contrito.
- Jim, hai ragione. Il coinvolgimento personale sta influenzando la mia capacità di giudizio. In questo momento… vorrei solo fare qualcosa, qualunque cosa per non farti scendere sulla superficie. So che questo è altamente illogico, ma… non posso farne a meno –
Kirk rimase commosso dalla candida affermazione del vulcaniano.
- Spock… è normale, anche per me è così. E’ … umano. E non è un insulto! –
- Come fate a convivere con questa sensazione? - chiese, sinceramente interessato.
- La accettiamo e andiamo avanti. Ho paura che dovrai impararlo anche tu –
Si guardarono. Tante cose non dette…
L’umano sollevò lentamente la mano con due dita stese e unite verso l’amico, che ricambiò il gesto.
Al contatto tra le loro dita nel segno vulcaniano di affetto una corrente di emozioni e di parole si trasmise dall’uno all’altro.
Kirk sgranò gli occhi all’intensità delle sensazioni percepite, trattenendo il fiato; dopo solo un istante interruppe il contatto, sapendo che nessuno dei due avrebbe potuto sopportare altro.
- Puoi accompagnarmi alla riunione con T’Mar? – chiese, sollevando lo zaino con l’attrezzatura.
- Con piacere –
Qualche istante in più. Un lusso prezioso.


****************

mmmmh,  come al solito, il mio dannato animo romantico continua ad emergere in quella che dovrebbe essere una storia d'azione... rassegnatevi...
 

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Capitolo 5
*** Cetacea ***


E' ora di muoversi, diamo inizio alle danze!

"Come in un gigantesco acquario potevano vedere l’acqua e i suoi abitanti all’esterno, illuminati dal tenue bagliore delle lampade crepuscolari del corridoio. Piccole meduse fosforescenti e strane anguille a strisce gialle e rosse scivolavano sinuose lungo la parete esterna di duraplast, apparendo alla vista per brevi istanti per poi sparire nuovamente inghiottite dal buio degli abissi.
Era uno spettacolo mozzafiato, ma non poterono dedicargli più di un’occhiata."

 

5.  Cetacea

- Come sapete, è un pianeta marino e la popolazione di soli tre milioni di abitanti è umanoide con caratteristiche cetaciche –
In sala riunioni Il tenente T’Mar stava esponendo gli ultimi dettagli prima dello sbarco della squadra Due, quella addetta alla missione di spionaggio.
- Questo significa che i cetaciani sono mammiferi ma hanno un rapporto molto stretto con l’acqua. Hanno autonomia di apnea di circa settanta minuti, resistenza all’ipotermia, capacità di riscaldamento volontaria. Hanno arti palmati – aprì  una mano, tendendo la delicata membrana che univa le dita – e una membrana nittitante che permette di vedere a fuoco sott’acqua.
Sono telepati a distanza e in forma empatica, nel senso che percepiscono naturalmente più le emozioni che i pensieri, ma negli ultimi due secoli hanno studiato delle tecniche per migliorare il riconoscimento e la trasmissione di pensieri complessi. Normalmente hanno bisogno di essere a distanza di una decina di metri per percepire le emozioni e di uno stretto contatto visivo per distinguere pensieri coerenti. Non è chiaro quanto tutto questo valga nei confronti di esseri non telepatici come gli umani, potrebbero essere del tutto bloccati o avere delle vaghe percezioni, consiglio di tenerlo in considerazione.
La lingua è complessa e molto strutturata, e possiede suoni al di fuori della frequenza udibile degli esseri umani; il traduttore universale riesce ad agganciare e tradurre solo il 95% del linguaggio, anche di questo bisogna tener conto.
Sono essenzialmente gentili ma riservati, e gelosi della loro privacy verso gli stranieri.
Traggono sostentamento dal mare, dove hanno creato fattorie e allevamenti subacquei con tecniche molto evolute, - e il visore proiettò un’immagine di una fattoria sottomarina, con ordinati campi di alghe e pesci enormi che pascolavano - ma non sono altrettanto sviluppati in senso medico o scientifico; gli armamenti di superficie sono scarsi.
Le strutture civili sono semi sommerse, costituite da doppie semisfere di vetro o più recentemente di duraplast – una nuova immagine si sostituì alla precedente, mostrando una specie di capanna emisferica di vetro, semi sommersa e coperta da uno secondo emisfero dalla curvatura più grande.
- Tutte le unità abitative sono collegate tra loro da passerelle galleggianti che si adeguano alle maree, che si sollevano e abbassano di circa un metro ogni dieci ore, e sono dotate di almeno un accesso interno autonomo al mare – nel modello tridimensionale della casa si illuminarono delle aree, simili a piccole piscine – Alcuni di questi accessi sono ad espulsione ad aria compressa, altri a pelo libero. Il fondale nella zona abitata ha profondità variabile, al massimo trenta metri. Sulla parete della struttura vulcanica sommersa sopra il quale sorge il complesso sono presenti diverse grotte, tutte con accesso sottomarino ma alcune delle quali collegate all’esterno e con aria respirabile all’interno. Sono a circa trenta minuti di immersione dal centro universitario –
T’Mar concluse l’esposizione e si poggiò indietro sullo schienale.
- Grazie tenente – disse Kirk - Ora veniamo alla struttura dell’università – un nuovo modello prese a girare lentamente sopra il tavolo mentre il capitano spiegava – L’edificio è costituito da una decina di unità semisferiche adiacenti. Ci sono diversi accessi esterni – alcune frecce indicarono delle porte nella struttura – e accessi al mare – una quantità di piccole piscinette  si illuminò in varie semisfere – Il laboratorio è questo e questo è l’ufficio di Tepam – una camera interna si illuminò nel modello – come vedete, è piuttosto lontana dagli accessi esterni. Dovremo stare attenti. Io scenderò per primo, la mia presenza non desterà sospetti: accederò ai computer e otterrò i codici della schermatura planetaria. A quel punto potrete raggiungermi con la navetta e procedere con la missione. Ci sono domande? –
Nessuno rispose.
- Molto bene, in libertà. Ci rivediamo sul pianeta –
Uhura, Chekov e T’Mar lasciarono la sala.
Kirk e Spock, rimasti soli, si guardarono per un istante negli occhi, condividendo silenziosamente le preoccupazioni che non avevano lasciato trasparire di fronte agli altri durante la riunione, poi Kirk si alzò.
- Devo andare. Abbi cura della mia nave –
- Senz’altro. Abbi cura di te, Jim –
- Lo farò –
Il capitano si volse e uscì dalla sala a grandi falcate, diretto alla sala teletrasporto.
L’ingegnere capo in persona, non si sa perché, era alla postazione di comando del teletrasporto.
- Buona fortuna capitano –
- Grazie, Scotty. Energia – e scomparve in uno scintillio di particelle.
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Sul ponte di comando Spock era in attesa da due ore, portando avanti le sue ricerche  dalla postazione scientifica, quando il tenente Uhura lo chiamò.
- Signore, sono appena arrivati i dati che ci interessavano da parte del capitano-
- Una trasmissione criptata? – chiese, preoccupandosi che la trasmissione potesse essere stata captata, anche se non decifrata.
- No, signore. Un minuscolo allegato nascosto in una relazione tecnica del dottor McCoy – la donna sorrise alla sottile astuzia – Sto trasmettendo i codici dello schermo planetario di energia alla navigazione. Il prossimo turno utile delle guardie della Flotta all’ufficio di Tepam è fra sole due ore –
- Allora vada a prepararsi. Chekov, vada anche lei. Partenza immediata –
- Sì, signore – risposero in coro, lasciando immediatamente le loro postazioni e dirigendosi verso il turboelevatore.

Nell’ hangar la navetta Due, troppo piccola per montare un vero e proprio sistema di occultamento di tipo romulano, era stata resa invisibile ai sensori termo-vettoriali e visivi del pianeta grazie alla particolare forma, agli scudi energetici riflettenti e agli schermi interattivi a pellicola che la rivestivano, in grado di proiettare dinamicamente l’immagine retrostante alla navetta stessa, rendendola impossibile da distinguere dall’ambiente circostante a meno di non andarci a sbattere contro.
Uhura e Chekov caricarono la loro attrezzatura e salirono a bordo.
L’hangar si depressurizzò velocemente.
- Navetta Due, autorizzazione al decollo accordata. Buona fortuna – risuonò nell’abitacolo dal comunicatore.
- Grazie. Chekov chiude –
La navetta, abilmente pilotata da Chekov, lasciò la stiva e si lanciò nel vuoto.
Da là fuori la vista sul pianeta era spettacolare: un cammeo azzurro e bianco stagliato conto il nero dello spazio profondo punteggiato di stelle.
All’ingresso nella termosfera avvertirono un leggero rollio, ma per il resto il viaggio fu regolare.
All’altezza della troposfera incontrano lo schermo planetario anticontaminazione: Uhura inserì i codici ottenuti dal capitano adattando il loro segnale identificativo e lo attraversarono senza far scattare gli allarmi di intrusione sul pianeta.
Subito dopo apparve la città, vagamente simile ad un enorme villaggio vacanza su un atollo corallino della Terra.
Le case sembravano delle grandi bolle galleggianti, semi immerse nell’acqua verde. Le cupole di copertura erano specchiate, costituite da materiale fotovoltaico, e riflettevano i colori infuocati del tramonto e delle nuvole.
Sotto la guida delicata di Chekov la navetta si appoggiò leggera e silenziosa su una piattaforma rialzata sul mare, uno spiazzo deserto nel retro di una scuola chiusa a causa dell’emergenza.
Uhura e Chekov, con indosso le tute mimetiche marine e i loro zaini, sembrarono uscire dal nulla e quando richiusero lo sportello la navetta era nuovamente sparita alla vista.
Uhura mandò un segnale di una frazione di secondo per segnalare il loro arrivo al rendez vous, poi rimasero in attesa mentre la notte scendeva improvvisa.
Dopo una decina di minuti videro una figura raggiungerli, dotata della loro stessa attrezzatura.
- Capitano – salutarono.
- Uhura, Chekov, andiamo –
Si mossero furtivamente tra le ombre, evitando le zone illuminate, fino ad una porta chiusa sul retro della scuola.
Uhura avvicinò il suo tricorder, dotato del programma hacker di Spock, e quello si agganciò ai codici di sicurezza, forzandoli in meno di un secondo senza lasciar tracce. La porta si aprì sull’ambiente interno, una specie di corridoio circolare lungo la parete della costruzione, al di sotto del livello del mare  per un metro circa.
Come in un gigantesco acquario potevano vedere l’acqua e i suoi abitanti all’esterno, illuminati dal tenue bagliore delle lampade crepuscolari del corridoio. Piccole meduse fosforescenti e strane anguille a strisce gialle e rosse scivolavano sinuose lungo la parete esterna di duraplast, apparendo alla vista per brevi istanti per poi sparire nuovamente inghiottite dal buio degli abissi.
Era uno spettacolo mozzafiato, ma non poterono dedicargli più di un’occhiata.
Percorsero velocemente e silenziosamente il corridoio fino a giungere alla porta di ingresso, che non era bloccata dall’interno, e uscirono sulla larga passerella galleggiante antistante.
Per fortuna il mare era calmo e la passerella molto stabile, tuttavia si percepiva chiaramente il rollio trasmesso dal moto ondoso.
- Da questa parte – li guidò Uhura, controllando la planimetria tridimensionale sul suo tricorder.
Percorsero la passerella, poi un’altra che li portò all’ ingresso secondario di una struttura collegata al complesso più grande.
Ripeterono la procedura di forzatura dei codici e furono dentro l’edificio di ricerca dove si trovava l’ufficio di Tepam.
Dovettero percorrere ancora un lungo tratto di corridoi, che purtroppo non erano ancora del tutto deserti; per due volte dovettero nascondersi nell’ombra di arredi o di vani porta per evitare di essere visti da ricercatori attardati e addetti alle pulizie notturne.
- Ci siamo, quella porta laggiù è l’ufficio di Tepam – segnalò Uhura.
La stanza si affacciava poco più avanti sul corridoio circolare dove si trovavano e si riconosceva per i sigilli applicati e per il piantone di vigilanza, che indossava la divisa rossa della sicurezza della Flotta Astrale.
- L’ammiraglio Komak ha avvisato che la vigilanza notturna è affidata a elementi della Flotta – disse il capitano - A lui ci penso io. State indietro nell’ombra –
Si spostò, esponendosi parzialmente alla luce.
- Guardiamarina – chiamò, in tono basso ma autoritario.
La giacca rossa impugnò immediatamente il fucile a phaser pesante che imbracciava.
- Chi va là? - chiese all’erta.
- Guardiamarina, sono il Capitano Kirk, dell’Enterprise. La prego di fare due passi nella mia direzione. Ho delle istruzioni riservate da darle –
Il giovane si avvicinò cautamente.
- Capitano Kirk? –
- Guardiamarina, sono in missione per l’ammiraglio Komak, codice uno-zero-zero-uno. Ecco la mia autorizzazione – disse, mostrando il Dipad.
La guardia lesse la conferma di incarico di massima segretezza sgranando gli occhi e abbassando il fucile.
- Sissignore, certo signore. Cosa posso fare per lei? –
- Dobbiamo accedere all’ufficio di Tepam per ottenere informazioni di vitale importanza. Ovviamente da questo momento lei è vincolato dal codice di massima segretezza a non rivelare la nostra presenza qui – aggiunse.
- Sì, signore, non ho visto nessuno – rispose la guardia, dimostrando la propria professionalità.
- La prego, si volti dell’altra parte. Meno sa meglio è per lei –
- Certo signore. Terrò d’occhio il corridoio per voi – disse, ritornando leggermente oltre la porta del laboratorio; voltò loro la schiena e imbracciò il fucile phaser.
Kirk fece cenno agli altri due di raggiungerlo e rimosse velocemente i sigilli con un codice di accesso usa-e-getta assolutamente irrintracciabile.
Aprirono la porta, scivolarono dentro e la richiusero alle loro spalle.

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Cosa ne dite, come sta andando? Vi intriga almeno un po'? A presto!

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Capitolo 6
*** Incontri sgraditi ***


 

     6. Incontri sgraditi

 
    Le stelle emettevano un vago bagliore dal soffitto trasparente, insufficiente per muoversi con sicurezza nell’ambiente buio.
- Cosa facciamo? Se accendiamo delle luci saremo visibili dall’alto - fece notare Chekov sottovoce.
- Non credo che i tetti delle abitazioni siano sempre trasparenti di notte, non avrebbero nessuna privacy – Uhura si avvicinò cautamente al pannello di controllo ambientale accanto alla porta, studiandolo – Mmmmh, proviamo così: computer, polarizzare il soffitto, cento per cento – ordinò con voce chiara.
- In funzione, attendere prego – rispose una voce con uno strano accento.
Nel giro di qualche secondo il soffitto si oscurò fino a diventare completamente opaco, celando del tutto il chiarore stellare.
- Ottimo, tenente. Ora possiamo accendere le luci per muoverci con più sicurezza –
Attivarono le loro torce a multiled ed esplorarono l’ambiente.
Il laboratorio era una stanza piuttosto spoglia con un bancone al centro che ospitava alcuni emettitori olografici interattivi per l’analisi di dati.
- Queste sono postazioni di lavoro aperte, dubito che Tepam abbia usato queste –
Sulla parete in fondo si trovava un’ altra porta.
- Quello deve essere l’ufficio privato – disse il capitano, avviandosi in quella direzione.
- L’accesso è protetto – dichiarò Chekov, violando nuovamente i codici attraverso il tricorder – Ecco fatto – disse, abbassando lo strumento e aprendo la porta.
C’erano un tavolino, un letto, una piccola stanza da bagno e una postazione di lavoro con un personal computer. In un angolo una vasca rettangolare piena d’acqua costituiva uno di quegli accessi diretti al mare tipici dell’architettura del pianeta.
Era un alloggio piuttosto spartano, anche se la vista al di sotto del livello del mare da sola bastava a decorarlo. Kirk si chiese cosa pensasse un vulcaniano di quella sinuosa immagine da acquario.
Chekov aveva già messo mano al computer.
- Come pensavamo, ha un livello di protezione piuttosto alto. Ci metterò un po’ di tempo. Accidenti, quanta segretezza, questo tipo doveva avere proprio qualcosa da nascondere. Capitano, può passarmi la memoria universale con il programma preparato dal comandante Spock? Grazie -
Si mise rapidamente al lavoro.
- E’ un vecchio computer quantico, non positronico come quelli moderni. Questo rende incompatibili molti dei codici studiati dal comandante. Dovrò scassinarlo con metodi tradizionali… -
Chekov continuò a parlottare tra sé e sé mentre le sue mani volavano sugli schermi proiettati.
Uhura e il capitano attesero, rimanendo incantati dalla vista di una famigliola di pesci viola e celesti che si erano avvicinati attratti dalla luce e li osservavano  attraverso la parete di duraplast.
Il navigatore impiegò quasi venti minuti a forzare la protezione del computer.
- Ecco fatto - disse, alzandosi dalla postazione.
- Uhura, è tutto suo – disse il capitano, facendo un gesto verso la sedia.
La bella bantu scivolò con grazia e attaccò gli archivi del computer, tutti in vulcaniano.
Le sue agili mani erano ancora più veloci di Chekov, se possibile, leggendo e vagliando files ad una velocità che il capitano non credeva possibile in un essere umano.
Quello era il suo equipaggio, pensò, il suo fantastico equipaggio che faceva cose impossibili ai più, con coraggio e determinazione, mostrando alla galassia il meglio dell’essere umano.
Un sentimento di orgoglio lo pervase, come milioni di altre volte durante quei lunghi anni di avventure insieme.
- Capitano, ho trovato qualcosa di interessante – lo richiamò la voce del tenente, riportando la sua attenzione allo schermo anche se la sua conoscenza del vulcaniano era limitata – credo che sia una sorta di diario personale di Tepam. E’ criptato, ma forse…-
- Non perda tempo, copi tutto sulla memoria, ci lavorerà al rientro sull’Enterprise. Ha trovato gli appunti di lavoro?-
- Sì, già presi. Sto cercando di trovare tracce della trasmissione… -
Furono interrotti da alcuni rumori dall’esterno.
Inconfondibili rumori di colpi di phaser.
- Uhura, resti qui e continui. Chekov, venga con me –
Superarono la porta dell’alloggio chiudendola dietro di sé, passarono nel laboratorio impugnando i phaser, spensero le torce e si accostarono alla porta che dava sul corridoio.
Si sentiva rumore di colluttazioni; aprirono leggermente la porta e videro che la guardia, accovacciata dietro una cassettiera di metallo, stava rispondendo ai colpi di due cetaciani, a loro volta riparati dietro un divano.
La guardia era in gamba, ma uno dei due si spostò rapidamente dietro un altro riparo mentre il secondo la teneva impegnata, riuscendo così ad avvicinarsi abbastanza da colpire il guardiamarina, che si accasciò.
I due uscirono dai loro ripari, uno di loro verificò velocemente le condizioni della guardia, poi fece uno strano richiamo acutissimo, che sconfinò negli ultrasuoni; Kirk e Chekov dovettero ripararsi le orecchie, mentre altri due cetaciani, un uomo e una donna, raggiungevano i loro complici.
Si avvicinarono alla porta dell’ufficio; notandola socchiusa procedettero con maggiore circospezione, impugnando le loro armi.
- E questi chi sono? – chiese sottovoce il navigatore.
- No lo so, ma non sembrano molto amichevoli – rispose Kirk - Chekov, si nasconda dietro il bancone, presto. A lei il primo che mette il naso dentro, ma aspetti la mia mossa. Phaser su stordimento, mi raccomando – sussurrò il capitano, appiattendosi dietro la porta dotata di classica apertura su cerniere.
- Sissignore – rispose Chekov correndo piegato verso il riparo metallico e controllando l’arma contemporaneamente.
Dopo un minuto lungo un secolo, in cui trattennero il respiro, la porta si aprì lentamente e il primo cetaciano entrò con l’arma spianata, frugando con difficoltà con lo sguardo nel buio; lui, invece, era perfettamente illuminato dall’esterno.
Appena anche il secondo si stagliò nel vano Kirk diede una spallata alla porta dietro la quale si trovava, sbattendolo a terra, mentre Chekov centrava il primo entrato, che si accasciò.
Mentre la porta ancora rimbalzava sulle figure distese a terra, il capitano si mosse velocemente fino all’altra estremità del bancone.
A quel punto gli altri due aggressori si erano riparati all’esterno, ai lati del vano della porta; si affacciarono e spararono velocemente qualche colpo per poi ritirarsi, mentre Kirk e Chekov rispondevano al fuoco.
- Computer, accendere le luci – ordinò uno, con una strana voce acuta.
Le luci si accesero, bianche e abbaglianti dopo tutto quel buio.
Kirk sparò due colpi per far ritirare gli aggressori, poi si approfittò per strisciare velocemente lungo il bancone e raggiungere il compagno.
- Chekov – disse, appoggiando la schiena alla dura superficie metallica, mentre due raggi rossicci raggiungevano il punto dove era stato poco prima – dobbiamo raggiungere Uhura e barricarci nell’alloggio di Tepam. Ci serve un diversivo-
- Si signore, ci penso io. Mi dia un minuto –
Armeggiò velocemente col  tricorder .
- Sono pronto, questo dovrebbe disorientarli per qualche istante. Uno, due… tre -
Dal tricorder uscì un suono bassissimo, come un rombo di tuono, che andò ancora più abbassandosi di tono fino quasi a sparire dall’udibile umano, sotto i venti Hertz di frequenza. Per i due dell’Enterprise era estremamente sgradevole, la vibrazione permeava le ossa e faceva dolere i timpani, ma sui cetaciani l’effetto fu ancora più grave: si portarono le mani alle orecchie con un’espressione di profonda sofferenza, lasciandosi scivolare a terra.
- Ora! – esclamò il capitano, correndo verso la porta dell’alloggio.
Si tuffarono all’interno e si chiusero la porta dietro, facendo scattare la serratura.
- Capitano! – esclamò Uhura – Lei è ferito! tutto a posto?– esclamò, preoccupata ma sempre padrona di sé.
- Sì, certo – rispose Kirk, guardandosi la manica strappata e insanguinata come se se ne fosse accorto solo in quel momento – E’ solo un graffio – la rassicurò col suo sorrisetto impertinente – Lei a che punto è? Non c’è più molto tempo, abbiamo degli amici là fuori che vorrebbero assolutamente unirsi a noi – disse, iniziando a barricare la porta con tutto il possibile –Chekov, mi aiuti a spostare quell’armadietto –
In due si misero a spingere l’armadio di metallo contro la porta.
- Ho trovato traccia del messaggio emesso da Tepam, le coordinate coincidono in linea di massima. Sto lavorando sulla chiave di criptatura, credo sia contenuta nel computer stesso. Sto copiando tutta la memoria dei dati attraverso un programma selettivo, ci vorrà ancora qualche minuto –
Sentirono i primi colpi sulla porta.
- Non so se avremo abbastanza tempo – disse Kirk.
Si guardò rapidamente intorno alla ricerca di vie d’uscita, ma l’alloggio non aveva aperture verso l’esterno.
- Capitano, come facciamo ad uscire?- chiese Chekov, guardandolo con lo stesso sguardo, la stessa domanda negli occhi che lo aveva ossessionato per anni su tutti i volti dell’equipaggio, soprattutto del ponte; quando la situazione diventava critica, apparentemente senza via d’uscita, tutti si aspettavano che lui estraesse fuori l’ennesimo coniglio dal cappello, inventando soluzioni inesistenti e tirandoli fuori dai guai.
Sospirò. Era per questo che lo pagavano.
- Useremo il metodo locale: le uscite a mare. Tirate fuori le dotazioni da immersione e preparatevi, presto –
I due aprirono velocemente i loro zaini, si sfilarono la divisa da sbarco  e iniziarono ad indossare le tute da immersione.
Anche lui prese il suo zaino, ma un colpo di phaser alla porta lo interruppe.
- Presto! – ordinò, tenendo sotto tipo la porta.
Gli altri due erano pronti.
- Uhura, ha finito con quei dati? –
- Sì signore – confermò il tenente, sganciando tutta l’attrezzatura e riponendola nello zaino a tenuta stagna.
- E lei, signore? – chiese Chekov indossando lo zaino.
La porta stava per cedere, era evidente.
- Vi proteggerò le spalle. Lo scarico a pressione è per due persone alla volta. Vi seguirò subito dopo –
- Signore… - cercò di protestare Uhura.
- Tenente, non si preoccupi per me. So come cavarmela – riuscì a sorriderle rassicurante tra uno sparo e l’altro verso la porta – dirigetevi verso la navetta, tornate immediatamente a bordo e fate rapporto al comandante Spock. Ci vediamo più tardi – le fece l’occhiolino.
In quella la porta cedette e una figura si affacciò leggermente, subito ricacciata indietro dagli spari del phaser di Kirk.
- Andate, ora!  - esclamò in tono autoritario.
- Si, capitano. Buona fortuna – risposero;  si infilarono gli snorkel, azionarono i caschi ad energia e si immersero nella vasca.
Chekov azionò il pulsante di espulsione e furono sparati negli abissi in un’esplosione di bollicine.

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Capitolo 7
*** In fuga ***


        In fuga
 
Chekov e Uhura si trovarono a circa dieci metri di profondità.
Dopo un attimo di stordimento iniziarono a compensare la pressione esterna con quella interna, poi attivarono le mappe sul casco di energia.
Il freddo era intenso anche attraverso le mute e il buio profondo poteva spingere facilmente al panico.
Uhura, che aveva sempre preferito le alte temperature e le viste sconfinate, prese tre profondi respiri per contrastare il senso di schiacciamento che sempre la pervadeva nelle missioni subacquee.
Odiava stare sott’acqua, soprattutto di notte.
Lasciò che fosse Chekov a guidarli.
Avevano aria per trenta minuti, più cinque di riserva, per cui non c’era tempo da perdere; inoltre le piccole pinne in dotazione non fornivano una grande spinta, per cui dovettero nuotare con energia.
Si mossero lungo i fianchi degli atolli, che si ergevano come colonne sottomarine, seguendone i profili; ogni tanto incontravano strani animali, alcuni di dimensioni notevoli: il tenente si augurò di non incontrare l’equivalente degli squali locali.
Dopo appena dieci minuti di nuotata negli abissi, illuminati solo per un breve tratto dalle loro torce, si sentì già stanca.
“Nyota, non sei più una ragazzina per queste cose…” si disse, ripromettendosi di intensificare i suoi addestramenti una volta a bordo.
- Pavel, sei sicuro del percorso? Non dovremmo essere già arrivati? – chiese attraverso il comunicatore.
- Tranquilla, siamo quasi arrivati. Preparati alla riemersione in tre minuti –In effetti pochi minuti dopo si trovarono a nuotare lungo una colonna trasparente che portava verso la superficie, sbucando infine dentro la vasca di un locale buio simile ad una sala riunioni.
- Siamo dentro la scuola dove abbiamo lasciato la navetta. Ho usato le planimetrie delle uscite di emergenza – la informò Chekov, mentre si issava oltre il bordo per finire seduto,  gocciolante e senza fiato sul pavimento.Uhura lo seguì, abbandonandosi sfinita.
Si concessero due minuti per riprendersi, poi si tolsero le mute.
- Pensi che il capitano se la sia cavata? – chiese la bantu, indossando la tuta da sbarco.
- Lo sai com’è fatto, per lui queste cose sono ritempranti, sembra gli facciano bene alla salute – rispose il navigatore mentre si dirigevano  alla navetta attraverso i corridoi deserti.
- Non mi piace l’idea di dover riferire al comandante Spock di aver lasciato solo il capitano mentre due tizi cercavano di sparargli – ammise Uhura, salendo a bordo della navetta e, per un osservatore esterno, sparendo nel nulla.
- Neanche a me, lo confesso: quei due sono più uniti che mai. Per quanto Spock non faccia trasparire mai nulla, son sicuro che si preoccuperà da morire. E non dirmi che i vulcaniani non provano emozioni! – rispose il navigatore, avviando i controlli.
Terminata la pressurizzazione la navetta si alzò leggera e sfrecciò invisibile nel cielo stellato.
 
Kirk stava nuotando nel buio degli abissi, lottando contro il freddo.
Non aveva fatto in tempo ad indossare la muta stagna; dopo aver reso la porta incandescente e fuso col phaser l’armadietto che la barricava, continuando a sparare periodicamente dei colpi di dissuasione era riuscito a malapena ad infilarsi lo snorkel, il collare del casco ad energia, agganciarsi lo zaino sulla schiena e a spararsi in mare attraverso il condotto con le pinne ancora in mano.
Dopo un attimo di shock per l’impatto con l’acqua gelida si infilò le pinnette e si allontanò velocemente.
Attivò il tricorder, che si agganciò automaticamente al casco proiettando i dati sullo schermo.
Dopo soli tre minuti i sensori gli segnalarono che due figure lo stavano seguendo, molto più veloci di lui.
Sembravano pericolosi e determinati e non sapendo ancora con chi avesse a che fare non voleva che lo seguissero verso il centro principale di ricerca, rivelando la propria identità e mettendo in pericolo gli altri scienziati, per cui avrebbe dovuto prima seminarli.
La cosa non si presentava facile, i due erano esseri semimarini, resistenti e adatti al nuoto, l’avrebbero raggiunto presto.
Richiamò velocemente sul monitor alcune orografie tridimensionali del fondale e anziché riemergere si spinse più in profondità lungo la parete dell’atollo.
Gli abissi erano neri come lo spazio profondo e poteva usare solo una leggerissima luce verdognola che illuminava il minimo per non sbattere rovinosamente contro le pareti frastagliate e taglienti delle formazioni coralline, affidandosi al fatto che gli inseguitori non avessero sensori a cui affidarsi ma solo la loro vista.
Il gelo era paralizzante.
Dopo dieci minuti dovette ricorrere alle tecniche di training autogeno dell’addestramento speciale per frenare l’ipotermia.
A venti metri di profondità trovò quello che cercava: l’imboccatura di una grotta.
Purtroppo sembrava che i suoi due inseguitori riuscissero comunque a stargli dietro anche senza strumenti, per cui non perse tempo e si infilò velocemente dentro l’apertura.
 
Sull’Enterprise Uhura e Chekov avevano fatto immediatamente rapporto al comandante Spock, che ovviamente non aveva battuto ciglio; tuttavia un istante dopo aveva aperto un canale con la superficie del pianeta.
- Spock a dottor McCoy –
- Qui McCoy - aveva risposto la voce stanca del medico.
- Dottore, il capitano è lì con lei?-
- No, non in questo momento – rispose, subito sul chi vive.
- Da quanto tempo non lo vede? – chiese Spock con voce apparentemente indifferente.
- Da più di un’ora, direi. Vuole che lo vada a cercare? – rispose il dottore, con una  leggera sfumatura di ansia malcelata nella voce. Sapeva della missione e ora sembrava si fossero persi Jim!
- No, grazie, ma quando lo vede può chiedergli di contattarci, per cortesia? Non vorrei disturbarlo al comunicatore, potrebbe essere… impegnato –
- Certo, Spock, lo farò –
- Spock chiude – disse il primo ufficiale, troncando la comunicazione prima che il dottore potesse rivolgere qualcuna delle sue solite, inopportune domande.Rimase in attesa, apparentemente impassibile, ma i suoi compagni di viaggio avevano riconosciuto la maschera dei brutti momenti che aveva indossato per l’occasione.
Il tempo sembrò dilatarsi all’infinito nella ansiosa atmosfera di aspettativa creatasi sul ponte.
 
Dopo pochi metri l’apertura si allargava in un’enorme caverna, da cui si dipartivano innumerevoli cunicoli di ogni dimensione.
Kirk sapeva dalle relazioni di T’Mar che una volta era stata una miniera, ormai abbandonata.
Per seminare i suoi inseguitori, sapendo che seguivano le sue bolle d’aria come le briciole di Pollicino, scelse un vecchio trucco: si infilò inizialmente in un cunicolo senza via d’uscita e dopo un ventina di metri tornò indietro alla caverna; da qui, trattenendo il fiato il più a lungo possibile per non emettere bolle rivelatrici, si inoltrò velocemente in un’altra galleria accuratamente scelta.
Percorsi quasi cinquanta metri in apnea dovette riprendere a respirare, accorgendosi di essere già entrato negli ultimi cinque minuti di riserva d’aria.
Pregò che le planimetrie fossero accurate, altrimenti sarebbe stata la sua fine.
Le pareti della galleria, poco più larga di lui, sfilavano grigie e scabre, evidentemente di origine artificiale.
C’erano poche forme di vita data la totale mancanza di luce naturale; la sua illuminazione verdognola rendeva il tutto surreale.
Un vistoso segnale rosso d’allarme sul monitor del casco lo avvisò dell’imminente esaurimento dell’aria.
La galleria stava risalendo già da un centinaio di metri ma cominciò a disperare di farcela; inoltre il freddo lo stava facendo irrigidire, rallentandogli i movimenti.
Cominciava a sentirsi la testa pesante e poco lucido.
Solo qualche altro istante, pensò…
Mentre la vista gli si appannava del tutto gli parve di scorgere il pelo dell’acqua e una vaga luminescenza.
Il suo ultimo pensiero fu per il vulcaniano che lo attendeva sul ponte della sua nave, poi sprofondò nel buio.
 
In piedi sul ponte il comandante Spock serrò impercettibilmente una mano sul bracciolo della poltrona, sorreggendosi.
Improvvisamente era stato sul punto di svenire, senza causa apparente. Inoltre sentiva un freddo terribile.
Si riprese con uno sforzo, cercando di passare inosservato al resto dell’equipaggio e mantenendo il controllo sul proprio corpo.
Dopo qualche istante, tuttavia, iniziò ad avere difficoltà a respirare, come se gli mancasse l’aria.
Improvvisamente capì cosa stesse succedendo e la consapevolezza lo terrorizzò, completamente fuori controllo. Non per sè, ma per lui.
Sulu fu il primo ad accorgersene.
- Signore! – esclamò, alzandosi e avvicinandosi immediatamente ma senza toccarlo – si sente bene? – chiese preoccupato.In quella le gambe del primo ufficiale cedettero, facendolo crollare in ginocchio sul ponte; si teneva la gola con una mano e lottava per ogni respiro.
- Comandante! – Uhura si avvicinò e lo sorresse senza troppi complimenti facendolo appoggiare alla poltrona – Respiri! Riprenda il controllo, può farcela –
Uhura era un' eccellente ufficiale e una donna di grande perspicacia: aveva capito che in qualche modo quel legame tanto speciale che univa il capitano e il suo primo ufficiale era cresciuto, fino a renderli consapevoli uno dell’altro.
Questo significava anche che il loro capitano era in pericolo di vita e stava in qualche modo soffocando.
- Tenente Layrys sul ponte, emergenza medica – chiamò senza esitazione dal comunicatore del bracciolo della poltrona di comando.
In assenza di quasi tutto il personale medico, sul pianeta per le ricerche, il tenente, in qualità di esobiologa e avendo ricevuto un addestramento speciale in primo soccorso ed emergenze mediche, era quella maggiormente in grado di capire cosa stesse succedendo. Inoltre, era una potente telepate e questa, probabilmente, sarebbe stata la cosa più utile.
- Hikaru, è il capitano. Dovete cercare di localizzarlo – esclamò.
- Non è possibile attraverso lo schermo di contenimento! – esclamò Chekov.
- Ci provi lo stesso, si inventi qualcosa – ordinò Sulu al collega - e senza farsi identificare. Uhura, lo assista – I due annuirono e corsero alla postazione di navigazione, mettendosi al lavoro.
Le portine del turbo elevatore si aprirono e T’Mar scese con una valigetta di pronto soccorso, localizzando in un attimo il primo ufficiale a terra e dirigendosi verso di lui.
- Jim… - sussurrò in un soffio il vulcaniano, poi stramazzò esanime. 

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Capitolo 8
*** In fondo al mare e dintorni ***



T’Mar capì immediatamente cos’era successo.
Iniettò al primo ufficiale una dose di triossina che lo aiutò a respirare, tuttavia non riprese conoscenza come sperava.
- Comandante – disse sollevando lo sguardo verso Sulu – dovrò entrare in contatto mentale con il signor Spock, credo di poterlo aiutare –
- E’ il capitano Kirk, vero? E’ in pericolo e il comandante lo percepisce su di sé? –
Lei annuì.
- Proceda, tenente. E’ pericoloso? –
- No, non si preoccupi –
T’Mar inserì una mano sotto la testa del vulcaniano, posandogli le dita tra i capelli neri e lisci nei punti di contatto mentale che le erano più congeniali.
Immediatamente precipitò nella mente del primo ufficiale.
Durante la licenza su Risa dove si erano conosciuti aveva già avuto modo di entrare in contatto con il vulcaniano, per cui questa volta non rimase così stupefatta dalla meravigliosa struttura cristallina della sua aura.
Alma adamantis.
Quelle auree erano considerate di particolare pregio, su Vulcano, denotando menti eccezionalmente dotate e controllate.
T’Mar ricordava di averla vista scintillare come una pietra preziosa, una vista spettacolare.
In quel momento, tuttavia, pur se splendida nella sua struttura, l’aura era spenta: i Compagni rimasti improvvisamente soli subivano un terribile shock.
La propria aura, azzurrina e informe come una bolla d’acqua, “avvolse” quella del primo ufficiale  come liquido caldo.
Emanò ondate di empatia, per scacciare il gelo annichilente del vuoto dell’altro.
Spock – chiamò, entrando in contatto con la consapevolezza dell’altro, stordita da una solitudine dolorosa e infinita – Spock, separi la sua coscienza da quella del capitano. Deve alzare i suoi schermi mentali protettivi
La condivisione del dolore aiutò il vulcaniano a reagire, contrastando il desiderio di lasciarsi scivolare via nel buio.
Riuscì ad alzare nuovamente i suoi scudi mentali e ad allontanarsi dalla consapevolezza della mancanza del suo compagno.
T’Mar – l’aura cristallina si riscaldò nuovamente, brillando fioca – La ringrazio. Non ero preparato a questa possibilità, o meglio, non sapevo che sarebbe stato così… schiacciante – il dolore della perdita era fortissimo, lo avvertiva chiaramente.
E lei sapeva bene come potesse essere. Per esperienza personale.
Non è detto che il capitano sia… finito. Potrebbe essere solo incosciente. Si concentri: dovrebbe captare la differenza
Sentì la coscienza dell’altro ritrarsi e spingersi verso l’umano attraverso il Legame. Una fune di acciaio e oro.
Ha ragione, non è morto. Però gli è successo qualcosa, credo stesse soffocando e sia svenuto
E’ possibile. Riprenda il controllo, deve gestire la situazione
Scivolarono fuori dalla fusione.
T’Mar aprì gli occhi e dopo qualche istante lo fece anche Spock, ancora tra le sue braccia.
Il Vulcaniano sbatté le palpebre, mettendo a fuoco lo sguardo su di lei.
- Grazie, tenente – disse, formalmente ma con una sfumatura gentile nella voce.
Lei rispose con un piccolo cenno del capo.
Il vulcaniano si rialzò fluidamente, come se non fosse successo nulla, riprendendo completamente il controllo delle proprie funzioni fisiche e psichiche.
Avvertì su di sé lo sguardo preoccupato del personale del ponte: anche se trovava sempre piuttosto illogiche tali emozioni in ufficiali altamente qualificati come quelli dell’Enterprise, aveva imparato da tempo e a proprie spese a non ignorarle.
Per cui dedicò due-punto-tre secondi del suo tempo a rassicurarli.
- Signori, sto bene, vi prego di non preoccuparvi ulteriormente per la mia salute  - disse, volgendo lo sguardo su tutto il ponte – signor Chekov, tenente  Uhura, come procedono i tentativi di individuare il capitano? –


Nella caverna, in fondo al mare del pianeta sottostante, Kirk aveva intanto ripreso conoscenza.
In qualche modo doveva essere uscito dall’acqua, perché si ritrovò su una specie di spiaggetta sabbiosa, la luce verdolina di emergenza ancora accesa.
Il tricorder in modalità immersione doveva aver registrato aria respirabile, scollegando il casco ad energia.
L’aria aveva un odore di muffa salmastra, stantio e sgradevole.
Aumentò la luminosità della torcia a led al massimo, ma la caverna si estendeva molto oltre la portata della luce: era semplicemente gigantesca.
Stava tremando in maniera incontrollabile per il freddo; con difficoltà a causa del tremito delle mani tirò fuori il phaser dallo zaino e scaldò dei sassi tutto attorno, poi si spogliò, cercando di respirare normalmente e recuperare calore dalle rocce arroventate.
Ci mise quasi mezz’ora prima di recuperare piena sensibilità alle estremità, dopo una lunga serie di fitte dolorosissime.
Controllò l’ora e stabilì che doveva essere rimasto svenuto quasi venti minuti; questo, sommato al tempo impiegato a scaldarsi, significava che probabilmente suoi inseguitori avevano perso le sue tracce e avevano rinunciato alla ricerca nel dedalo di gallerie.
Per il momento.
Non si illuse: probabilmente sarebbero tornati con strumenti adeguati per stanarlo; per allora sarebbe dovuto già essere fuori da quella trappola di cunicoli.
Si sentiva esausto.
Pensò con rimpianto a quando riusciva a esplorare un nuovo pianeta, respingere alieni poco amichevoli, essere atterrato da una presa vulcaniana, teletrasportato in piena caduta libera dall’atmosfera di un pianeta direttamente sul ponte dell’Enterprise,  tutto nella stessa giornata, avendo poi ancora voglia di flirtare con qualche bella aliena cercando di impedire che uccidesse tutti loro.
Improvvisamente si sentì vecchio, troppo vecchio per queste cose.
Si concesse ancora qualche minuto, poi mangiò due barrette ipercaloriche dalle razioni di emergenza e si infilò la tuta da immersione.
Il bello dei nuovi snorkel in dotazione era che potevano essere ricaricati in qualunque momento con atmosfera esterna, garantendo però un’autonomia di soli diciotto minuti.
Ricontrollò le mappe e vide che avrebbe potuto raggiungere nuovamente il complesso di ricerca. A malapena. Se ci fosse stato anche solo un intoppo…
Indugiò ancora per un attimo presso il calore delle rocce arroventate, poi si infilò lo snorkel, attivò il casco e abbandonò la tetra caverna per il nero gelido e profondo del cunicolo sommerso.
Rotta: abissi di Cetacea.
Nonostante questa volta indossasse la muta, l’impatto con l’acqua gelata fu comunque traumatico.
Sospirò nello snorkel: era davvero troppo vecchio per queste cose.

Nel suo alloggio McCoy si strofinò gli occhi di fronte al monitor dove stava revisionando i risultati di quella prima, lunghissima giornata di lavoro.
Il virus si stava dimostrando molto contagioso ed estremamente resistente ai tentativi di cura.
Di una cosa si era convinto: era di origine sintetica, nessun organismo vivente poteva creare autonomamente quel tipo di struttura molecolare. La domanda era: chi poteva aver pensato una cosa così mostruosa, e perché?
Si chiese per l’ennesima volta dacchè lo aveva contattato Spock in che pasticcio fosse finito Jim; sapeva che il suo capitano era pieno di risorse, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi: se nemmeno Spock sapeva dove fosse…
Sentiva la stanchezza pesargli addosso.
Si stiracchiò contro lo schienale della scomoda sedia, fatta evidentemente per natiche meno ossute delle sue, anche se nelle ultime settimane era riuscito a metter su qualche chilo.
Si alzò, dirigendosi verso la parete che dava verso l’esterno, ammirando il paesaggio sottomarino; il movimento dei pesci attratti dalla luce era rilassante.
Sentiva la mancanza di T’Mar, in quel momento in modo particolare; se non fosse stato così tardi l’avrebbe chiamata con la scusa di avere un aggiornamento sui risultati dei suoi studi sull’Enterprise.
Anzi, probabilmente l‘avrebbe chiamata comunque, anche senza scusa; solo il timore di svegliarla lo trattenne.
Dopo il loro ultimo incontro sentiva ancora vagamente la sua presenza nella sua mente, una bella sensazione di calore che gli teneva compagnia contrastando efficacemente il senso di solitudine che da sempre lo accompagnava.
Lui non era tagliato per lo spazio, non come Jim o Spock, che sembravano nati per le stelle e sull’Enterprise prosperavano come germogli arturiani esposti a raggi UV.
No, lui era nato per la solida terra sotto i piedi, il sole sulla testa, l’alternarsi del giorno e della notte e delle stagioni, buon cibo, pazienti amichevoli, ricerca scientifica in comodi laboratori, una donna al suo fianco.
Invece, per qualche oscura ragione, il destino lo aveva condotto alle stelle, lontano da ogni cosa a lui gradita, regalandogli in cambio una specie di famiglia e un senso di utilità, di appartenenza che gli avevano scaldato il cuore e fatto delle stelle la sua vita e dello spazio la sua casa.
Tuttavia, non si era mai abituato alla solitudine, che si era fatta strada nella sua anima negli anni, scavando come un tarlo, inacidendogli ulteriormente il difficile carattere.
C’erano state tante donne, molte amate, tutte lasciate indietro o perdute per sempre.
Dopo ognuna di esse era tornato triste e ancora più solo dai suoi compagni di vita, che con gioioso affetto o rilassante pacatezza (ma questo non lo avrebbe confessato al vulcaniano nemmeno sotto tortura) lo avevano accolto con amorevole amicizia.
Negli ultimi mesi, però, le cose erano in qualche modo degenerate.
Aveva perso la voglia di mangiare e di sorridere, bevendo più del solito; aveva iniziato a fare degli imbarazzantissimi sogni erotici con i suoi due amici, era finito persino dentro il loro Legame senza nessuna volontà di farlo.
Almeno non consapevolmente.
Evidentemente nella sua tristezza doveva aver inconsciamente cercato conforto nei suoi amici, ma quell’extra di attrazione fisica, anche se solo onirica… beh, non faceva proprio per lui.
Ora c’era T’Mar, una donna fuori dal comune che per qualche oscuro motivo aveva voluto lui, e non i suoi irresistibili amici come succedeva quasi sempre.
Era bella, intelligente, ma soprattutto emanava affetto e amore come un fuoco caldo in un salotto d’inverno, un calore di cui sentiva disperatamente il bisogno.
Con lei sentiva di non essere più solo; aveva preso peso e smesso quasi completamente di bere e sognare cose assurdamente erotiche con Jim o Spock o entrambi.
Arrossì solo al ricordo.
Come evocato dai suoi pensieri il portello di duraplast che copriva il suo boccaporto verso il mare – oggetto che aveva trovato altamente inquietante – si aprì con uno scroscio d’acqua, facendolo sobbalzare di spavento e rivelando un’apparizione dalla pelle scura e viscida.
- Bones, avresti un bicchiere di brandy per un amico infreddolito?- chiese un Kirk ansimante e livido in volto, accasciandosi a terra in una pozza d’acqua salata.

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Capitolo 9
*** Pausa ***


9. Pausa

Nel laboratorio scientifico numero due Spock lavorava sui dati trasmessi da McCoy un’ora prima.
Erano passate tredici ore dalla rientrata emergenza “dove diavolo è finito il capitano”, come l’aveva definita in maniera poco ortodossa il dottore.
Mentre si arrovellavano alla ricerca si un sistema per scandagliare il pianeta con i sensori attraverso lo scudo di quarantena senza farsi notare era stato contattato dalla superficie.
- Signor Spock – lo aveva salutato la figura sorridente del capitano -  Ho saputo che mi ha cercato. Mi spiace, sono stato… trattenuto da alcuni conoscenti, volevano farmi assolutamente visitare le bellezze sottomarine del luogo. Ora mi son liberato. Ha avuto quei dati che le ho mandato? –
Il volto del vulcaniano era rimasto assolutamente impassibile, ma dentro di sé aveva provato un insopprimibile senso di sollievo.
- Capitano, lieto di rivederla. Abbiamo ricevuto i dati, ci stiamo lavorando. Spero che la sua escursione non sia stata troppo… stancante –
Kirk aveva ridacchiato.
- Diciamo che non è il mio modo preferito di rilassarmi, ma è andata bene, tutto sommato. La lascio al suo lavoro. Io rimarrò ancora qui per qualche ulteriore incontro – tradotto significava sicuramente altri guai; Spock aveva sospirato mentalmente – mi tenga aggiornato con i risultati di quei dati che le ho inviato, per favore. Kirk chiude –
A quel punto il primo ufficiale aveva lasciato il ponte al signor Scott ed era tornato alla sua attività di ricerca, a cui si dedicava ormai ininterrottamente da tredici punto sette ore.
Detestava ammetterlo ma concordava con le deduzioni del dottor McCoy, che nonostante i metodi a volte poco ortodossi era sicuramente un brillante ricercatore: il virus era di origine artificiale, e quindi si poteva supporre con ottime probabilità che avesse a che fare con l’aggressione al capitano e alla sua squadra.
Il ricordo di ciò che era successo sul ponte gli causò nuovamente una sensazione di imbarazzo.
Sapeva che il Legame mentale rendeva i Compagni molto sensibili alle reciproche emozioni ma non aveva mai sentito di svenimenti… per di più sul ponte di comando di un’ammiraglia della Flotta Astrale. D’altronde, non conosceva molti vulcaniani legati ad un umano… tranne i suoi genitori, ovviamente.
Si concesse un leggero divertimento all’idea di parlare di questa situazione con suo padre
Accantonò il pensiero, ma la preoccupazione per l’intensità emotiva portata dal Legame continuò a sfuggire al controllo.
- Dai dati direi che si tratta più di una specie di prione che un virus – lo riscosse il suo secondo, con la sua voce come bollicine in un acquario - La sua particolare catena proteica alpha e beta è ripiegata in maniera scorretta, il che induce altre proteine ad assumere la stessa conformazione anomala.  A loro volta queste proteine sono poi in grado di infettare quelle adiacenti -
- Il comportamento dei prioni è noto da tempo, tenente -
-  Solo che questo tipo di conformazione è del tutto sconosciuto in natura – rispose lei, alzando gli occhi dal microscopio molecolare.
Si guardarono per qualche istante, condividendo lo stesso timore.
- E’ di origine artificiale, signore – lo espresse a voce alta T’Mar – c’è qualcuno che ha volontariamente creato questo abominio –
- Purtroppo devo concordare con lei – rispose cupamente l’ufficiale scientifico – è un virus creato per contagiare e menomare le razze telepatiche. Anche uccidere, nel caso dei vulcaniani –
- La mia ipotesi è che Tepam sia stato ucciso dello shock neurologico: i vulcaniani, praticando il controllo delle emozioni da millenni, hanno perso la capacità di affrontarle in dose massiccia e questo può risultare fatale. I cetaciani, invece, sono esseri emotivi e profondamente empatici e per loro la perdita di controllo non è mortale, ma il virus può causare comunque gravi menomazioni –
Spock annuì, mentre la preoccupazione che si era insinuata in fondo alla sua mente riemergeva ancora una volta: perché il virus contagiava solo i telepati? I non telepati erano davvero al sicuro?
Una fitta di emicrania gli martellò il cervello, la mancanza di sonno cominciava a farsi sentire, probabilmente unita allo sgradevole incidente sul ponte.
Si fermò a metà del gesto di portarsi una mano alle tempie per massaggiarle, lasciando ricadere il braccio, ma il suo perspicace secondo se ne accorse comunque.
- Comandante, le andrebbe una pausa? Credo che potremmo averne bisogno –
Come d’abitudine Spock stava per rifiutare quando un’altra fitta, più forte della prima,  lo colse.
- Va bene – accettò quindi.
Si recarono in sala mensa, poco affollata a quell’ora del giorno.
- Posso farle provare una tisana di erbe? E’ gradevole. Ho inserito gli estremi nel replicatore qualche giorno fa –  propose il tenente.
Il vulcaniano annuì, cominciava a fidarsi di quella donna come del dottor McCoy .
Si sedettero ad un tavolino laterale e lei ordinò due tisane e dei biscotti alle mandorle.
Il profumo intenso delle erbe e dei fiori riportò in mente al vulcaniano una lontanissima memoria.
Una cucina scavata nella pietra, una teiera posata su un semplice letto di braci, miele di cactus del deserto.
Una tazza di terracotta piena di liquido profumato.
”Se non la lasci raffreddare ti scotterai. Trattieni i tuoi impulsi”.
Un saggio consiglio elargito con voce serena. Lui aveva provato a seguirlo, davvero, ma la prima volta si era scottato la lingua. Era stata anche l’ultima, però.
- Questa tisana mi ricorda mia nonna – affermò il vulcaniano, leggermente stupito.
- Anche a me l’ha insegnata mia nonna - T’Mar sorrise – vorrei che potesse essere qui, probabilmente saprebbe come aiutarci -
- E’ ancora viva, ne deduco –
- Sì, ha 172 anni. E’ una grande donna e un’esperta guaritrice. Mi ha aiutato molto - una leggera tristezza le attraversò il viso – Vedrà che l’infuso la aiuterà con l’emicrania –
Il primo ufficiale inarcò un sopracciglio.
- Come fa a dire che soffro di emicrania? – chiese incuriosito.
- Ha accennato il gesto di portarsi la mano alle tempie per due volte e francamente, dopo quello che le è successo sul ponte, sarei stupita se non ne soffrisse! –
Il secondo sopracciglio raggiunse anche il primo al centro della fronte del vulcaniano.
- Affascinante – replicò.
Lei ridacchiò, poi tornò seria.
- Come si sente, adesso che il capitano sta bene? – chiese.
- Io… molto meglio, grazie. Il suo intervento è stato efficace –
- I Compagni rimasti soli improvvisamente subiscono un forte trauma. La tendenza della consapevolezza è quella di ritrarsi in se stessa, rifiutando la realtà –
Lei aveva parlato con voce quieta, ma Spock avvertì comunque il dolore annidato in quelle parole.
- Deve essere stato difficile, per lei – disse gentilmente.
T’Mar bevve un lungo sorso prima di rispondere.
- E’ stato terribile. Lui era la mia metà, faceva parte di me, e all’improvviso… il vuoto. Seppi immediatamente che era morto, ma ritrovare il corpo dopo giorni… Ci ho messo tre anni, tre lunghi anni di silenzio, buio e meditazione per riacquistare l’equilibrio e continuare a vivere senza di lui –
Spock avvertì nuovamente quella sensazione di ansia che l’aveva turbato per tutto il giorno: l’idea di perdere Jim era semplicemente insopportabile, il senso di vuoto che l’aveva colto sul ponte era stato spaventoso.
Bevve un lungo sorso della tisana, che stava effettivamente avendo un ottimo effetto sulla sua emicrania.
- Non si lasci spaventare, la prego: il capitano è un umano dalle molte risorse, non lo perderà così facilmente – cercò di consolarlo lei, notandone il turbamento.
Il vulcaniano inarcò un sopracciglio.
- Credevo fosse una telepate a contatto, non a distanza – replicò, con un pizzico di ironia.
Lei sorrise.
- E’ esatto, ma non è necessario leggerle la mente per immaginare il corso dei suoi pensieri! Essere legati con un tipo vitale come il capitano deve essere un’ impresa titanica! –
- Non è sempre facile – concesse il vulcaniano – lui ha… una certa propensione ad infilarsi in situazioni difficili –
- L’eufemismo del giorno – lei rise, quella contagiosa risata come spuma del mare; si ritrovò quasi a sorridere a sua volta, ma si trattenne in tempo.
Ora che l’emicrania si stava affievolendo si scoprì affamato; allungò una mano a prendere un biscotto, annusandolo leggermente.
- Cannella? - chiese, mentre la cucina di sua nonna gli tornava prepotentemente in mente.
Lei annuì – Non si preoccupi, non contengono proteine animali –
Lui diede un cauto morso, apprezzando la consistenza croccante e il sapore delicatamente aromatico.
- Posso chiederle che cosa l’ha portata sull’Enterprise? – chiese, prendendo un altro biscotto.
- Ecco – il volto di lei aveva assunto una sfumatura azzurrina più intensa, ne fu certo – se glielo dico, promette di non rivelarlo a Leonard? –
Lui inarcò il sopracciglio, palesemente incuriosito.
- Riguarda il dottor McCoy? –
- No, in realtà no, ma son certa che non gradirebbe –
Il vulcaniano inarcò anche il secondo sopracciglio.
- Credo di poterglielo promettere –
- Lei –
Era un’impressione, o il volto della donna era ancora più azzurro?
Io? – chiese stupito – non capisco. Non ci conoscevamo prima del casuale incontro su Risa –
- Be’, certo lei non conosceva me, ma io ho seguito le sue imprese per molto tempo –
- Le mie… imprese? –
Lei si portò nervosamente una bianca ciocca di capelli ribelli dietro il delicato orecchio a punta.
- Ecco… la sua storia mi ha affascinato. Il primo vulcaniano per metà umano, imbarcato per una missione quinquennale su una nave di umani… Dopo il comandante T’Pol non era più successo. E quello che è riuscito a fare, la sua amicizia con il capitano... Ho sentito una specie di affinità, se mi perdona il termine -
Sì, era decisamente diventata più azzurra, notò Spock.
- Spero di non averla offesa – lei lo guardò con una leggera ansia negli occhi.
- Sarebbe illogico, tenente – rispose il vulcaniano – non provo emozioni a riguardo, ma se dovessi sentirne una, credo che il termine giusto per descrivere il relativo stato d’animo sarebbe “lusingato” –
 Lei sospirò mentalmente di sollievo.
– Di solito è il capitano Kirk a suscitare tale tipo di ammirazione, non io – continuò il primo ufficiale.
- Si sbaglia, comandante. Il capitano è un esemplare eccezionale della sua razza, ma lei… è proprio un caso unico. Sarebbe sorpreso da quanti giovani alieni hanno scelto la strada dell’Accademia per entrare nella Flotta e seguire il suo esempio –
Entrambe le sopracciglia del vulcaniano si sollevarono per la sorpresa.
- Tenente, se non la conoscessi direi che sta veramente cercando di lusingarmi –
Lei rise.
- Oh, no, signore. Sono troppo vecchia per queste cose! Ma non abbastanza da non saper riconoscere un buon esempio da seguire – concluse seriamente.
- In ogni caso, capisco la sua riluttanza a parlare della questione col dottor McCoy –
- Non glielo dirà, vero? Leonard è piuttosto… suscettibile a riguardo –
- Forse vuol dire “geloso”? Ammetto che la reazione del dottore sarebbe davvero… godibile, ma non lo farò “per amor di quieto vivere”, come dicono gli umani –
-  Non conoscevo questo detto –
- Credo che restando a fianco degli umani in generale e del dottor McCoy in particolare avrà modo di impararne più di quanti ne desideri. Ora, torniamo al lavoro? –
- Sì signore. Come va la sua emicrania?-
- E’ quasi sparita – si accorse lui con sorpresa.
- Mi fa piacere. La tisana di mia nonna ha funzionato nuovamente – sorrise lei,  alzandosi per seguire il suo superiore fuori dalla sala mensa.
 

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Capitolo 10
*** Stress ***


Ho pubblicato a tutti i costi, con la strana idea che altrimenti non l'avrei più fatto. Non garantisco la precisione, lo rivedrò in seguito!

McCoy è davvero sotto pressione, difficile reggere il carico di tanta responsabilità anche per lui.

10. Stress

- Devi proprio andare, Jim?- chiese McCoy per la terza volta da quando si erano seduti a mangiare.
- Bones, abbassa la voce, per favore -
Si trovavano nella mensa del complesso di ricerca; la sala era particolarmente affollata, medici e scienziati di mezzo quadrante erano arrivati per aiutare nelle ricerche sul virus.
Due denobulani passarono accanto al loro tavolo e salutarono con un cenno del capo.
Spiccavano per la loro assenza i vulcaniani, ma erano stati esclusi a causa dell’elevato rischio di contagio, nonostante molti di loro avessero insistito comunque per partecipare alle ricerche: semplicemente, il governo di Cetacea non voleva la responsabilità di ulteriori morti.
- Jim, è troppo pericoloso! Non sappiamo chi sia questa gente! Quel Feelsh… sembrava terrorizzato, non puoi fidarti! -
- Bones, devo sapere con chi si stava incontrando Tepam, è fondamentale -  ripeté pazientemente Kirk per la terza volta cercando di calmare l’amico.
- Solo ieri ti hanno quasi ucciso! – urlò McCoy, alzandosi in piedi e facendo voltare diverse facce verso di loro.
Anche Kirk si alzò velocemente – E’ vero, dottore, quello bombole difettose mi hanno quasi ucciso, ma non si preoccupi, non succederà più – disse a voce alta, sorridendo mentre prendeva il dottore fermamente per il braccio.
- Bones, che diamine stai facendo? Andiamo via – sibilò tra i denti continuando a sorridere e conducendo l’amico fuori dalla sala.
Lo trascinò con discrezione fino all’alloggio che condividevano, spingendolo dentro e chiudendo la porta.
- Dottore, uno scherzo del genere può annullare tutto il nostro lavoro di indagine! Cosa diavolo le prende? – chiese, con una certa durezza.
McCoy appariva insolitamente pallido e lo guardò con gli occhi azzurro cielo sgranati.
- Io… non lo so. Per un attimo ho perso la testa. Mi spiace –
Crollò su una sedia e sprofondò il capo tra le mani, arruffandosi i capelli.
Kirk si preoccupò vedendo l’amico in quelle condizioni. Gli si inginocchiò davanti, stringendogli un braccio.
- Bones… che ti succede? –
Il dottore fece un evidente sforzo per riprendere il controllo.
- Credo sia lo stress. Sto dormendo poco e ho tutti gli occhi puntati addosso. Hai visto i due denobulani che ci hanno salutato? Sai chi è lei? Almira Phlox, la nipote del dottor Phlox dell'Enterprise di Archer, praticamente una leggenda! E tutti vengono da me con moli di dati da analizzare o teorie strampalate da verificare. Non sono un computer vivente come Spock, e la preoccupazione per il continuo diffondersi dell’epidemia mi sta logorando. Dopo lo spavento che mi hai fatto prendere ieri…-
Kirk lo guardò attentamente negli occhi azzurri: il suo amico era un tipo emotivo, ma di solito reggeva piuttosto bene lo stress da lavoro e aveva gestito situazioni anche peggiori di quella senza cedimenti…
Sorrise, rassicurante.
- Starò attento, te lo prometto! E so che sei perfettamente all’altezza del tuo compito… qualunque cosa dica Spock! Anzi… credo che tu sia l’uomo giusto per questo –
-  Umpf… - sbottò il medico, alzandosi e passeggiando nervosamente nel piccolo alloggio – quel vulcaniano avrà la capacità di calcolo di un computer multifasico nell’analizzare terabyte di dati, ma senza un briciolo di intuizione ad incollare i pezzi certe volte non si va da nessuna parte! Per esempio, nessuno si era accorto – nemmeno lui – che il contagio è rarissimo tra gli orfani e i single da lunga data! Questo perché nessuno ha pensato di incrociare i dati provenienti dallo studio del Ministero delle Politiche Sociali con l’indagine statistica del gruppo di volontari dell’università di…-
Kirk sorrise tra sé, vedendo che l’amico era tornato quello di sempre.
Si versò un caffè dalla macchinetta nell’angolo, ascoltando McCoy che snocciolava sfilze incomprensibili di dati a memoria, ricollegandoli tra loro con quella straordinaria capacità di pensiero parallelo e creativo che lo rendevano di fatto un eccellente scienziato.
Quando il dottore tornò al suo lavoro nel complesso di ricerca dell’università, Kirk si dedicò ad organizzare l’attrezzatura per l’incontro che lo aspettava.
Riordinò la dotazione standard per le immersioni, aggiunse un secondo snorkel per ogni evenienza, raddoppiò le razioni d’emergenza e prese due micro localizzatori.
Questa volta, data la distanza da percorrere,  aveva deciso di utilizzare il sub-pod monoposto per gli spostamenti subaquei, una specie di capsula trasparente dotata di propulsori.
Ricontrollò con attenzione l’attrezzatura: la recente esperienza nelle grotte sottomarine gli aveva insegnato a non sottovalutare alcune cosette; anzi, ripensandoci, aggiunse un miniphaser subacqueo grande come una caramella e un secondo coltello nascosto nello spessore delle pinne.
Nel frattempo rifletté sull’incontro con Feelsh del giorno precedente.
Il cetaciano si era presentato da loro senza preavviso, piuttosto tardi, quando i corridoi degli alloggi erano poco frequentati; era entrato nella stanza chiudendosi immediatamente la porta alle spalle.
Fortunatamente sia Kirk che il dottor McCoy erano ancora svegli, anche se dopo la gita sottomarina e l’ipotermia subita Kirk stava letteralmente crollando dal sonno: aveva dovuto bere due caffè per restare sveglio durante il confuso discorso del biologo.
A quanto pareva, poco prima di morire Tepam si era incontrato con alcuni Cetaciani almeno in due occasioni; dalla descrizione non sembravano affatto scienziati, aveva aggiunto nervosamente Feelsh, tanto più che in quelle occasioni il vulcaniano aveva evitato che Feelsh, che pure era il suo collaboratore locale su Cetacea, potesse udire i loro discorsi.
Durante il loro ultimo incontro in particolare Tepam era apparso piuttosto teso, aveva persino alzato la voce.
- Ha sentito cosa ha detto? - aveva chiesto Kirk.
- Sì – aveva risposto il biologo dai capelli verdini - ha detto “questa è una follia, non vi rendete conto del pericolo”. Mi è sembrato davvero strano che urlasse, di solito era talmente composto! Ma forse erano i primi sintomi della malattia, pochi giorni dopo è morto tra terribili eccessi emotivi. Terrificante, su un vulcaniano –
- Lei sa chi fossero quelle persone? –
- Dicevano di essere i biologi responsabili di una grossa piantagione di alghe miwari a qualche chilometro dalla città. Si chiama Miwari-ta –
A quel punto il terrorizzato cetaciano era saltato su come una molla troppo tesa ed era scappato via.
Kirk e McCoy si erano guardati negli occhi per alcuni istanti.
- Cosa ne pensi?- aveva chiesto il capitano all’amico.
- Non saprei… cosa c’entrava uno psiconeurologo vulcaniano con i biologi di una piantagione di alghe? Hai visto quanto era nervoso Feelsh? Non mi piace per niente –
- E’ sicuramente sospetto – aveva concordato Kirk, mettendosi subito al terminale a cercare informazioni sulla piantagione.
Dopo pochi istanti, però, aveva iniziato a tremare e sbadigliare incontrollabilmente, finché McCoy gli aveva messo un bicchiere di scotch in mano e l’aveva spedito a letto.
- Perché non riesco a smettere di tremare? – aveva chiesto il capitano, rovesciando leggermente il contenuto del bicchiere sul lenzuolo azzurro cangiante.
- Non preoccuparti, è una conseguenza della fatica e dell’ipotermia – l’aveva tranquillizzato il medico col suo sorriso rassicurante, togliendogli il bicchiere vuoto dalle mani e aggiungendogli un’altra coperta sopra – devi solo riposare. Caro Jim, non siamo più ragazzini! –
L’ultimo ricordo era stato lo sguardo ironico del dottore, poi più niente.
Si era addormentato di colpo e aveva dormito per quasi dodici ore.
Al suo risveglio, dopo una colazione molto più abbondante del solito, aveva passato qualche ora a fare ricerche sulla piantagione di alghe Miwari-ta sul web di Cetacea.
Nonostante la traduzione fosse quasi perfettamente leggibile, alcune parole erano in originale, con una fonetica assolutamente impronunciabile e un significato presunto tra parentesi, segno della complessità della lingua locale.
La piantagione non era molto estesa, ma si era fatta un certo nome per la qualità eccellente dell’alga miwari che produceva, a quanto pare una vera prelibatezza locale; inoltre l’intera produzione era certificata biologica, senza l’aggiunta di OGM, concimi artificiali o altri elementi non completamente naturali.
Una parte del sito dell’azienda era interamente dedicata ai metodi biologici di coltivazione e una forte critica verso le tecniche artificiali di intensificazione delle colture. 
L’azienda era a conduzione familiare, diretta da due fratelli gemelli: uno era un biologo, che gestiva la parte agricola, e l’altro era un manager aziendale che si occupava della parte finanziaria.
Kirk non ebbe dubbi di chi fosse opera l’articolo naturalista.
Kirk studiò le foto dei due: era molo simili tra loro, a parte il colore dei capelli e l’espressione.
Il manager, dai capelli turchese chiaro, mostrava un sorriso accattivante che però  non arrivava agli occhi, piuttosto freddi.
Il biologo, con i capelli bianchi come T’Mar, non sorrideva e aveva un’espressione scontrosa nello sguardo, come un adolescente arrabbiato contro il mondo.
Un adolescente umano, si corresse.
Chissà se anche i giovani vulcaniani erano così ribelli, si chiese. La logica diceva di no, ma ricordando il suo primo ufficiale all’inizio della loro carriera fu sicuro che l’ambasciatore Sarek e sua moglie Amanda non avessero avuto vita facile durante la giovinezza del loro rampollo…
Sorrise al pensiero di Spock ragazzino.
Avrebbe voluto averlo al suo fianco, in quel momento, ma l’idea di metterlo a rischio di contagio con una malattia così orribile per sua brillante mente logica gli dava la nausea; nonostante la grande distanza che li separava poteva sempre avvertire il calore ordinato della sua presenza in un angolo remoto della propria mente: una presenza confortante.
La giornata volgeva al termine e aveva sperato di finire prima del rientro di Bones, ma purtroppo non fu così.
L'amico rientrò in anticipo come un rinoceronte in carica, sbraitando contro i colleghi, l' amministrazione, il sistema di raccolta dati, i computer del centro e ogni cosa si potesse incolpare dell'insuccesso della ricerca.
Sembrava un indemoniato e il capitano si preoccupò.
- Bones, calmati! Che ti prende? - gli chiese, ponendoglisi davanti e bloccandone l'andirivieni concitato per la piccola stanza.
Il medico  sollevò lo sguardo sull'amico: furia, disperazione, ansia, una miscela esplosiva e  dolorosa si agitava negli occhi azzurro mare, di solito così calmi se non proprio cinici.
- Dottore, si calmi - ordinò Kirk con il suo tono di comando più autoritario, riconoscendo una crisi di nervi.
McCoy si interruppe a metà di una parola e lo guardò stralunato, quasi non lo riconoscesse, poi crollò seduto sul letto, inebetito.
Kirk prese una sedia e si sedette di fronte all'amico, notandone le profonde occhiaie e qualche nuova ruga. Lo stress stava minando il suo equilibrio, si rese conto stupito; strano, davvero, di solito nei momenti di crisi il dottore dava il meglio di sé, controllando la sua notevole emotività dietro una maschera di professionalità e freddezza paragonabile a quella di Spock.
Stavolta, invece, qualcosa stava andando storto.
Si chinò verso l'amico.
- Bones... Credo che tu stia lavorando troppo e stia perdendo il tuo distacco professionale. Non so da cosa dipenda, ma voglio che ti prenda una pausa. Stasera stessa voglio che torni sull'Enterprise e ti prenda almeno ventiquattr'ore di riposo. Anzi, facciamo trenta,  considerando le quattro ore di decontaminazione necessarie -
- Ma Jim, non posso assolutamente...- esclamò il medico, facendo per balzare in piedi nuovamente.
Kirk lo bloccò prontamente con una mano sulla spalla, obbligandolo con la forza a sedersi nuovamente.
- E' un ordine, Bones. Riposati, stai con T'Mar, cerca di riacquistare la calma. Così non puoi lavorare, questa cura è troppo importante per sbagliare -
L'amico lo guardò con una tale rabbia negli occhi che Kirk per un attimo ne ebbe quasi paura, prima di indurire lo sguardo a sua volta.
- Dottore, le ho dato un ordine diretto. Spero non voglia disobbedire... Sarebbe insubordinazione. E la rimanderei sull'Enterprise comunque, in modo permanente. Lei è vitale per questa ricerca, ma non nelle sue condizioni mentali. Faccia un favore ad entrambi: ubbidisca -
Era da tempo immemorabile che non doveva usare quel tono con Bones, forse dai primi anni della missione quinquennale, quando il dottore trovava difficile accettare le sue decisioni più azzardate a causa della giovanissima età del suo nuovo capitano.
Ma il tempo era passato, ormai erano amici oltre che colleghi e lavoravano come una squadra molto affiatata; Bones si fidava della sua capacità di giudizio e non passava mai il segno.
Stavolta, invece...
La sensazione era difficile da digerire.
Il dottore lo guardò e cambiò improvvisamente atteggiamento; una espressione di paura gli riempì lo sguardo e cominciò a tremare.
- Jim... Scusami, davvero, non so cosa mi succeda. Forse sono gli effetti dei contatti mentali con T'Mar, le mie emozioni sono oscillanti. Sento molto la sua mancanza, tanto da avere difficoltà a concentrarmi -
Kirk si rilassò alla spiegazione, volendo, avendo bisogno di accettarla; la possibilità che il suo amico non si fidasse più di lui era troppo amara.
Lo prese affettuosamente per le spalle.
- E’ per questo che farai come ti dico –
Il dottore annuì, si fece una lunga doccia sonica e si buttò sul letto con l’asciugamano annodato attorno ai fianchi, osservando distrattamente i preparativi dell’amico.
Quando Kirk si voltò per salutarlo, caricandosi lo zaino sulla schiena, McCoy era scivolato nel sonno, l'asciugamano quasi completamente aperto.
Lo coprì con una leggera coperta, sorridendo intenerito dal burbero dottore addormentato, poi uscì dalla stanza senza far rumore, chiudendosi alle spalle l’antiquata porta a cardini.
Era appena iniziato il terzo quarto del ciclo diurno, che in estate su Cetacea durava circa 44 ore; in questo modo il suo sopralluogo alla piantagione sarebbe avvenuto di giorno.
Meglio così, gli abissi erano abbastanza inquietanti anche alla luce del sole.

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Capitolo 11
*** Complicazioni ***


11. Complicazioni

Spock era chino sul microscopio a diffrazione subatomica, l'unico nel settore di spazio in cui si trovavano e da lui richiesto espressamente durante l'ultimo ammodernamento della nave; il dottore aveva protestato, dal momento che la struttura del piccolo acceleratore di particelle abbinato al microscopio occupava un intero laboratorio scientifico, ma logicamente il capitano lo aveva accontentato.
 - Bones, se Spock ritiene che possa servire allora lo prendiamo - aveva commentato in tono definitivo Jim.
In quel momento l'ufficiale scientifico stava verificando una teoria ipotizzata da uno scienziato Andoriano secondo cui alcune delle particelle subatomiche della struttura del virus fossero state infiltrate con bosoni di Higgs modificati in camere di antimateria; questo avrebbe spiegato perché la struttura primaria del prione resisteva ai tentativi di annichilazione.
Personalmente, la trovava un'idea troppo azzardata, perché avrebbe richiesto una tecnologia talmente complessa da essere facilmente tracciabile, però si era sentito comunque in dovere di verificarla, dedicandole le ultime nove-punto-tre ore del suo tempo.
Sollevò lo sguardo dal visore, reprimendo un lieve sospiro sfuggito al controllo: come pensava, la teoria era sbagliata, nessun bosone di Higgs si era illuminato  al bombardamento di neutrini a cui aveva sottoposto il campione di prione, reso innocuo prima di essere trasportato a bordo.
Decise di prendersi un momento di pausa e recarsi sul ponte a verificare la situazione, dal momento che durante la delicata procedura aveva chiesto espressamente di non essere contattato se non per gravi e urgenti motivi.
Non aveva una reale necessità di recarsi fisicamente in plancia, poteva farsi aggiornare dal suo alloggio, ma sapeva che l'equipaggio era preoccupato e sentiva il bisogno di vedere il suo comandante.
Aveva notato che col tempo il personale di plancia si era adattato agli ufficiali in comando di volta in volta: con lui tutti facevano uno sforzo maggiore per apparire rilassati e non troppo emotivi, chiacchieravano in toni controllati e non  ridevano esageratamente. Quando Jim era sulla sua poltrona, invece, l'atmosfera era completamente diversa, anche se lui era comunque presente alla sua postazione: si rideva, Chekov raccontava strani e piccanti storielle che spacciava per russe, Sulu antiche leggende di guerrieri giapponesi che seguivano il Bushido, la via del guerriero, che aveva trovato particolarmente affine agli antichi codici di comportamento vulcaniano.
Personalmente apprezzava lo sforzo di autocontrollo dell'equipaggio nei suoi confronti, anche se in fondo doveva ammettere di invidiare la rilassatezza dei turni di Jim.
- Comandante in plancia - avvisò Uhura, sentendo aprirsi le portone del turbo elevatore.
- Signori - salutò il primo ufficiale - Tenente Sulu, rapporto per favore -
- Orbita standard, signore. Il signor Scott ha iniziato la procedura di ricalibrazione dei cristalli di dilitio come annunciato, dovrebbe averne per circa otto ore. Ha chiamato il prefetto per un aggiornamento sull'andamento del contagio; è confermato, signore: il trend è esponenziale, non geometrico -
Il vulcaniano annuì impercettibilmente: era quanto temevano, la progressione esponenziale era molto più veloce.
- Ha detto a che percentuale si è arrivati? -
- Sì signore, trentasei per cento -
"Così tanto? " si chiese, allarmato, ma esteriormente mantenne una serena maschera di impassibilità.
- Il capitano ha fatto rapporto regolarmente -  aggiunse Sulu.
- Trasmetta la registrazione alla mia postazione, per cortesia - chiese, infilandosi visore e auricolare.
- Qui Kirk - disse il volto del suo capitano, apparendo sul visore.
"Mi manca" si accorse suo malgrado alla vista del bel viso sorridente "da quando si è creato il Legame sento la sua assenza molto più acutamente. E  non posso controllare questa sensazione, solo... Conviverci" dovette ammettere con sé stesso.
- La situazione è tranquilla e ho deciso di prendermi un pausa di qualche ora per visitare una piantagione di alghe miwari, sapete quanto mi piacciano - Spock trattenne un altro sospiro: Jim odiava le alghe, evidentemente stava indagando su qualcosa. Guai, gli disse una vocina poco logica ma molto esperta al riguardo di un certo capitano.
- Ho convinto il dottor McCoy a concedersi un meritato riposo, credo stia lavorando troppo. Mi è parso affaticato. Dovrebbe risalire tra circa due ore per iniziare le procedure di decontaminazione. Signor Spock, la prego di verificare che si riposi, è importante che sia al massimo della concentrazione quando tornerà al lavoro -
Qualcosa non quadrava: non era normale che Jim si raccomandasse tanto per il dottore, né era previsto che tornasse a bordo.
Controllò l'orario della registrazione e  inarcò un sopracciglio: erano passate tre ore dal messaggio.
- Signor Sulu, il dottor McCoy è tornato a bordo o ha fatto rapporto nell'ultima ora? -
Hikaru si voltò verso di lui, cogliendo immediatamente il significato di quella semplice richiesta.
- No, signore, ma probabilmente sarà molto impegnato nel lavoro -
- È possibile, ma sarà meglio verificare - Ruotò la poltrona verso l'addetta alle comunicazioni - Tenente, rintracci  il dottor McCoy -
- Sì signore -
Mentre Uhura tentava di contattare il dottore l'intercom trillò.
- Tenente Layris -
- Sì tenente? - chiese Spock rispondendo.
- Comandante... scusi se la disturbo, ma... ha avuto notizie del dottor McCoy recentemente? -
Spock inarcò un sopracciglio.
- Stavamo giusto tentando di contattarlo, tenente. Inutilmente -  aggiunse, vedendo il segno di diniego che gli faceva Uhura dalla sua postazione - come mai lo chiede, tenente? Ritiene possa esserci qualche problema?-
- Ecco... Credo di sì - rispose esitante - ho una strana sensazione...-
- Sensazione, tenente? Non credo si possa ritenere una valida prova- rispose il primo ufficiale, leggermente spazientito.
- Una sensazione come quella che ieri l'ha fatta collassare sul ponte, signore - rispose rigidamente T'Mar.
Spock sentì il suo senso di allarme salire immediatamente di livello.
T'Mar aveva un legame mentale con Leonard, si rese conto con un certo stupore, e stava percependo che il suo compagno era in difficoltà, come lui aveva sentito Jim soffocare.
Ricollegando quello che aveva detto il capitano durante il suo messaggio Spock dedusse che qualcosa di strano stava già succedendo da prima che Jim  facesse rapporto.
- Tenente - aggiunse in tono più gentile - sa darmi qualche precisazione in più?-
- Ecco... Avverto un forte stress emotivo, una sorta di altalena umorale e una notevole confusione. C'è decisamente qualcosa di sbagliato-
- Ha bisogno di assistenza? -
- No signore, la ringrazio. Posso gestire la cosa -
- Non si preoccupi, rintracceremo il dottor McCoy in poco tempo. La terremo informata. Spock chiude -
Il vulcaniano soppresse senza pietà la morsa che gli aveva stretto lo stomaco al pensiero dell'amico.
- Signor Spock, ho finito di decriptare  il diario di Tepam - lo richiamò Uhura dalla sua postazione.
- Ebbene, tenente? - chiese il vulcaniano, ruotando la poltroncina verso di lei.
- Non le piacerà, signore - disse la Bantu con voce grave, i begli occhi scuri colmi di preoccupazione.
 
Kirk si stava godendo l'escursione, si accorse.
Dopo la preoccupazione iniziale per lo strano comportamento del suo amico, Kirk era riuscito a rilassarsi e godersi il viaggio; d’altronde la gestione dello stress era un qualcosa che i capitani d’astronave dovevano imparare molto presto, accantonando un problema quando non poteva essere momentaneamente risolto, così come il dormire a comando in ogni momento possibile, anche durante le emergenze.
Era dai tempi dell'accademia che non guidava un subpod, ma ricordava bene che gli era sempre piaciuto quasi quanto pilotare una navetta.
Il veicolo era piccolo ma potente ed estremamente maneggevole; la copertura  trasparente permetteva una visione completa del paesaggio marino: era come essere immersi in una bolla di sapone, una sensazione fantastica.
La fattoria era a circa un' ora di distanza dal centro di ricerca, su un fondale di una ventina metri.
Diede un'occhiata al percorso, proiettato direttamente sul cupolotto trasparente, e si infilò in uno stretto canalone.
La luce penetrava fino alla sua profondità, schiarendo l'acqua in un azzurro turchese e permettendo una larga visuale.
Pesci di ogni genere e forma gli sfilavano accanto: anguille viola, crostacei verdi e rossi, una specie di pesce palla gigante che si gonfiò al suo passaggio, mostrando una spaventosa chiostra di denti acuminati.
Questa piantagione lo incuriosiva parecchio e decise di adottare la tecnica dell’accensione della miccia, per studiare poi la reazione e cercare di carpire informazioni.
Sentì l’adrenalina scorrere più veloce all'idea del confronto: anche se non l’avrebbe mai ammesso con un certo vulcaniano, che già lo accusava di correre rischi eccessivi per motivi illogici, in realtà lui amava questo tipo di confronti, anzi, viveva per questo.
Un grosso crostaceo simile ad un calamaro di un quasi due metri scappò via impaurito, lasciandosi dietro una nuvola di inchiostro scuro per sfuggire allo strano predatore.
Sghignazzando come una recluta accelerò al massimo, facendo fare una rotazione completa al veicolo e sfiorando le pareti del canalone.
 
- Spock a sicurezza -
Il primo ufficiale sedeva in plancia, consapevole che non sarebbe tornato troppo presto alla sua ricerca.
- Qui Tarantino signore - rispose il capo delle giacche rosse.
- Tenente, organizzi una squadra di due persone per una ricerca Uomo sul pianeta, scenario cittadino scientificamente avanzato con ambientazione terro-acquatica. Dovete ipotizzare che la persona possa essere in stato confusionale, potrebbe nascondersi volontariamente o fare resistenza -
- Ricevuto,comandante. Chi è l'obiettivo, signore?-
- Il dottor McCoy -
- Oh no, signore, di nuovo! - si lasciò sfuggire Tarantino, ricordando la volta in cui il medico si era iniettato per sbaglio una dose massiccia di codrazina, per poi teletrasportarsi in piena crisi paranoica nel pianeta del Tempo e lanciarsi nel passato, modificando la storia in maniera catastrofica.
Ovviamente, era toccato a Spock e Kirk rimettere le cose a posto, ma era stato il capitano a pagare il prezzo più alto.
Durante i loro contatti mentali, Spock poteva ancora percepire in Jim un eco di tristezza per la perdita di Edith Keeler.
- Suggerirei lei stesso e il tenente Snarll, ma la scelta è a sua discrezione. Sarete guidati dal guardiamarina Chekov, che è già sceso sul pianeta -
Il tenente Snarll, il secondo di Tarantino, era un felinoide dall'aspetto e caratteristiche umanoidi... Se non si fissavano troppo i suoi occhi gialli a fessura verticale e le zanne che spuntavano quando sorrideva; quello che era più difficile da credere era che fosse dotato di un notevole senso dell'umorismo.
Grazie ai suoi sensi acuti e alla sua estrema resistenza alla fatica si era rivelato  un addetto alla sicurezza particolarmente adatto alla ricerca di dispersi o rapiti; era stata infatti questa la sua specializzazione prima di imbarcarsi sull'Enterprise.
- Concordo con la scelta, comandante. Saremo pronti in un quarto d'ora -
- Tenetemi aggiornato ogni venti minuti su un canale criptato, non importa se dal pianeta si chiedono cosa stiamo trasmettendo. Spock chiude -
Chekov si stava già dirigendo al turboelevatore.
- Guardiamarina... - si interruppe, non sapendo bene cosa raccomandare: l' ufficiale era perfettamente capace di svolgere al meglio il compito affidatogli.
- Sì, signor Spock? -
- La prego, riporti il nostro ufficiale medico a bordo incolume - fu il massimo che riuscì a dire, frenato dal suo naturale riserbo.
Chekov, conoscendo bene il primo ufficiale, capì perfettamente cosa intendesse.
- Certo, signore, stia tranquillo - rispose sorridendo dal turboelevatore, poi le portine si chiusero.
Spock ruotò nuovamente la poltrona verso Uhura.
- Tenente, mi passi la decrittazione del diario di Tepam -
- Sì signore, in arrivo sulla sua postazione – rispose la bantu.
 
 

 

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Capitolo 12
*** Alghe miwari ***


stavolta ve lo prendete com'è, non riesco a rileggerlo! Siate clementi...

12. Alghe miwari

Il canalone terminò, aprendosi in una meravigliosa distesa sottomarina.
Il fondale sabbioso era ricoperto da un'enorme, ordinata coltivazione di alghe nere, lucide come plastica e alte circa un metro, che fluttuavano dolcemente alla corrente; al di sopra passavano branchi di pesci di tutte le dimensioni e colori, come farfalle su un campo fiorito, compreso un gruppo di grossi cetacei che stazionavano giocando oziosi.
Ovunque un'intensa tonalità di azzurro e raggi solari leggermente obliqui che penetravano dalla superficie donavano al paesaggio un aspetto da favola.
Tra le file di alghe, simili a filari di viti, si trovavano alcune decine di cetaciani che lavoravano senza particolari attrezzature, a parte una muta leggera e delle zavorre alle caviglie per poter camminare sul fondale.
Ad intervalli regolari si avvicinavano a delle torrette diffuse un po' ovunque, attaccavano una mascherina e ci respiravano dentro per qualche minuto, per poi tornare al lavoro.
Da un lato della coltivazione si trovavano alcune strutture nella tipica architettura locale: bolle di materiale trasparente leggermente iridescenti si  susseguivano, unite da piccoli corridoi azzurri come un enorme filo di perle subacquee.
Kirk non aveva mai visto niente del genere: era uno spettacolo mozzafiato. Beh, era per queste cose che era entrato nella Flotta Stellare, no? Alla ricerca di strani e nuovi mondi...
Dopo una breve ricognizione si diresse verso una zona di stazionamento, dove si trovavano altri piccoli natanti monoposto ed enormi veicoli da carico.
Dalla trasmittente arrivò il segnale di una chiamata.
- Salve, benvenuto alla Miwari-ta, come posso aiutarla? - chiese una voce spumeggiante in inglese standard.
- Salve, sono James Kirk, vorrei visitare la vostra bellissima piantagione. Non ho un appuntamento - rispose il capitano.
- Un momento, prego -
Una musica delicata e dalle tonalità esotiche riempì l'abitacolo nell'attesa.
- capitano Kirk! Quale onore averla tra noi! - esclamò una voce maschile - prego, entri nella camera di compensazione alla sua destra, verrà svuotata e ripressurizzata in pochi minuti -
Kirk manovrò abilmente il subpod nella camera indicata, dove si era aperto un grosso portello stagno che si richiuse dietro di lui.
Quando l'acqua defluì Kirk scese sul grigliato del pavimento, che lasciava il pavimento sufficientemente asciutto per i suoi stivali.
Un cetaciano dai capelli turchesi e abbigliamento formale lo raggiunse da una porta a vetri laterale: il gemello manager, riconobbe Kirk.
- Capitano, che gradita sorpresa! Io sono Delia - esclamò quello, allungando una mano delicatamente palmata.
- vedo che sapete chi sono!  - Rispose il capitano, ricambiando la stretta forte e decisa.
- La sua fama la precede. Lei è il capitano dell'Enterprise, l'astronave della Flotta Stellare che sta coordinando gli sforzi per debellare il terribile virus che sta opprimendo il nostro pianeta. Cosa la porta da noi? -
Kirk era un esperto di schermaglie e aveva un ottimo intuito per la gente: il tipo, che avrebbe venduto sua madre per un incremento delle vendite dell'un percento, era sinceramente stupito di vederlo. Dunque probabilmente non era coinvolto.
 - Avevo bisogno di una pausa, volevo visitare il pianeta e ho visto la vostra pubblicità: le immagini erano così interessanti che mi hanno attratto - non disse che amava le alghe miwari, nel remoto caso gli proponessero una degustazione - spero possiate mostrarmi qualcosa, anche se non ho un appuntamento -
- Ma certo! Anche se stiamo per chiudere la giornata lavorativa sarò lieto di mostrarle io stesso la piantagione -
Dopo avergli offerto una strana tisana dal sapore gradevole lo condusse ad un veicolo anfibio rosso brillante e attraverso la camera di pressurizzazione si ritrovarono a sorvolare la coltivazione, che da vicino era ancora più stupefacente, mentre il suo cicerone forniva informazioni e dati sulla produttività.
- Facciamo quattro raccolti in un anno solare standard, che corrisponde a circa due cicli di rivoluzione di Cetacea attorno a Lambda Aurigae -
- La quarantena vi sta danneggiando le vendite? - chiese Kirk.
- Non molto, il nostro mercato è per lo più locale, sul pianeta; esportiamo solo circa l'un per cento del prodotto, abbiamo rallentato leggermente la produzione per evitare l'eccedenza e stiamo accumulando una piccola scorta per quando riapriranno le esportazioni -
"Avido bastardo " pensò Kirk "questo venderebbe davvero sua madre per quell'uno per cento! Questo però significa anche che non ha alcun interesse nella diffusione del virus, anzi, la quarantena danneggia i guadagni"
Rientrarono nelle strutture simili a bolle di sapone e Delia lo accompagnò a visitare i laboratori, stanze e stanze di attrezzature piuttosto avanzate.
- Non sono uno scienziato, ma mi sembrate piuttosto ben organizzati! -
- Ci teniamo al passo, è necessario. La parte della ricerca è tenuta da mio fratello, è lui il biologo!  È convinto che il futuro sia nelle coltivazioni biologiche e quindi studiamo i metodi per evitare concimi e repellenti artificiali: è difficile mantenersi competitivi in questo modo -
Il tono del cetaciano era perfettamente neutro, ma Kirk capì che Delia non approvava lo spreco di risorse a favore dell'ambiente.
Entrarono in una enorme bolla trasparente; Kirk vide all'esterno il branco di cetacei neri giocare scivolando sulla copertura tra una miriade di bolle multicolore.
All'interno si trovavano grandi  vasche piene di liquido gelatinoso, contenenti piccole piantine di alghe nere a vari stadi di grandezza; operai e tecnici di specie diverse lavoravano tra le vasche.
- Questo è il vivaio - disse Delia - normalmente le alghe si piantano direttamente sul fondale esterno, ma questo obbliga ad usare radicanti e repellenti artificiali, mentre così le piantine vengono tenute nelle vasche fino al raggiungimento di una grandezza che le mette relativamente al sicuro, per poi essere trapiantate a mano. Ovviamente questo aumenta i costi - aggiunse con una piccola smorfia che non sfuggì al capitano - parzialmente recuperati dal mancato utilizzo delle altre sostanze -
Kirk si guardò attentamente attorno, captando lo sguardo insistente di un tecnico che preparava delle sementi; appena ne incrociò lo sguardo quello si voltò, tuttavia continuò a sentirsi i suoi occhi addosso mentre attraversava la sala verso una porta dal lato opposto.
 - Qui è dove effettuiamo gli incroci e le selezioni, ottenendo varianti speciali coperte da brevetto -
La porta metallica era pesantemente blindata e chiusa da una serratura elettronica a codice e carta magnetica; telecamere a circuito chiuso riprendevano l'ingresso e un grosso cetaciano armato piantonava la porta.
Kirk lo fissò, riconoscendo un volto noto: uno dei scagnozzi che li avevano attaccati all'alloggio di Tepam.
"Bingo!" Pensò tra sé, distogliendo lo sguardo.
Quello tuttavia non diede segno di averlo riconosciuto, e il capitano era ragionevolmente sicuro che fosse proprio così: gli aggressori non erano riusciti a vederli in faccia e probabilmente non avevano idea di chi fossero in realtà.
Delia strisciò una carta magnetica e digitò un codice troppo velocemente perché potesse leggerlo ed entrarono nell'ambiente interno.
La luce era fioca e la temperatura spiacevolmente più bassa.
Sulla sala dove si trovavano si affacciavano alcune porte a prova di contaminazione biologica dotate di oblò e da ciascuna di esse si irradiava una luce azzurrognola.
Sui display di alcune di esse spiccava la scritta "sperimentazione in corso, vietato l'accesso" in inglese standard e in un'altra lingua dagli strani caratteri, evidentemente cetaciano.
Da una di queste stanze uscirono due biologi, impegnati in un'accesa discussione che rasentava il litigio vero e proprio.
- Ho detto che faremo così! Il livello di contenimento è più che sufficiente!- esclamò quello che Kirk riconobbe come Celia, il gemello ecologista.
 - Devo ricordarti cosa è successo l'ultima volta?- rispose l'altro biologo, prima di accorgersi del visitatore e interrompersi bruscamente.
- Celia - chiamò il fratello con un leggero tono di avvertimento - ti presento il capitano James Kirk, dell'astronave Enterprise -
Kirk fu certo di cogliere la paura, se non proprio panico nello sguardo del  cetaciano dai capelli bianchi, anche se quello fu veloce a nasconderlo; tuttavia il linguaggio corporeo non era affatto rilassato.
Si fece avanti con la mano tesa e il suo sorriso più disarmante sulla faccia
- Salve! Mi spiace per l'intrusione a fine turno, ma suo fratello è stato così gentile da offrirmi una visita guidata -
Il biologo gli strinse frettolosamente la mano, ritraendola immediatamente.
- Celia, potresti mostrare tu i laboratori al capitano?- chiese Delia - Sono il tuo regno, sicuramente potresti illustrare il lavoro molto meglio di me -
- Mi spiace ma ho un delicato esperimento in corso, non posso assolutamente spostarmi -
Kirk colse l'occhiata interrogativa che gli lanciò il collega e dedusse che non era affatto vero.
- Desolato capitano, ma devo lasciarla -
Con un rapido cenno del capo si allontanò, seguito dal suo collaboratore.
- Capitano, sono costernato. Normalmente non si comporta così, ma ultimamente è un po' sotto stress - disse Delia, sincero.
- Non si preoccupi, sono abituato agli scienziati! Vedesse il mio medico di bordo, in questi giorni... È intrattabile! Cosa turba suo fratello? - chiese con leggerezza.
- Ad essere sincero, di preciso non lo so. Credo che come biologo e naturalista questa epidemia lo sconvolga, oltre alla paura del contagio che sta affliggendo un po' tutti, anche se da noi non è ancora arrivata. Inoltre so che ha un esperimento molto importante in corso, ma onestamente io non ne capisco nulla.  Venga, le faccio vedere il resto della struttura -
Lo guidò fuori dalla saletta fredda e crepuscolare.
La porta si richiuse con uno scatto di chiusure robuste e Kirk sentì un brivido lungo la schiena; se fosse legato alla differenza di temperatura o ad una sgradevole sensazione non seppe dirlo.

Chekov guidava abilmente la navetta stealth con cui avevano deciso di compiere la missione di recupero, per evitare sgradevole pubblicità.
Snarll giaceva semi-arrotolato sul suo sedile, in una posa che nessun umano avrebbe trovato comoda per ronfare, letteralmente, come invece stava facendo il tenente.
Tarantino, invece, stava analizzando le planimetrie del complesso di ricerca.
- Claudio, dobbiamo proprio ascoltare questa roba? – gemette Chekov.
-  Credevo che i russi amassero la lirica! – rispose Tarantino, mentre il terzo “vincerò” della romanza pucciniana scaturiva dagli altoparlanti, sovrastando in potenza le voci degli ufficiali per tutto il tempo che il tenore riuscì a tenere la nota.
- Meraviglioso! – esclamò Snarll, rivelando di non dormire affatto come invece la sua posa aveva lasciato supporre – Vastarev è decisamente il più grande tenore di tutti i tempi, anche se io personalmente preferisco Wagner a Puccini –
- Non saprei, anche Caruso sembra che fosse veramente eccezionale, peccato che le riproduzioni arrivate fino ai nostri giorni non gli rendano affatto giustizia – rispose Tarantino.
- Una grave perdita – commentò Snarll con sincero rimpianto.
- Non ci credo! Snarll, come fai a conoscere la lirica terrestre? – esclamò Chekov.
- La mia razza ha un udito sensibile e adora la musica; la lirica terrestre ha conosciuto punte di rara perfezione e quando Claudio me l’ha fatta conoscere l’ho subito amata! Anche se i tenori terrestri sono scenicamente così poco credibili… - sospirò teatralmente, facendo ridere gli altri due.
-  Claudio, da che zona dell'Italia vieni, di preciso? - chiese Chekov .
-  Dalla Toscana, se sai dov'è, anche se la mia famiglia è originaria del Sud-
-  Firenze, giusto? Una volta ho visitato le principali città, un'esperienza incredibile! Tutta quell'arte, e l'archeologia. Son contento che le guerre Eugenetiche l'abbiano risparmiata, sarebbe stata una grave perdita per l'umanità -
-  Non posso che concordare. Dopo la Grande Crisi agli inizi del ventunesimo secolo e la rivoluzione che ne è seguita abbiamo rischiato di perdere molti monumenti importanti, ma gli italiani amavano troppo il loro patrimonio artistico e si son fermati di fronte ai musei piuttosto che di fronte agli sbarramenti antisommossa! Siamo davvero uno strano popolo...-
-  Avete della musica fantastica - commentò Snarll, mentre Vastarev attaccava con “Un dì all’azzurro spazio” dell’Andrea Chenier.
-  Per non parlare della cucina! Lasagne... - aggiunse Chekov con aria sognante.
-  Non hai provato la parmigiana di mia nonna! - replicò Tarantino.
-  Cos'è? - chiese Snarll, sempre curioso delle civiltà aliene.
- È un piatto che si fa con le melanzane, il sugo e il formaggio. Si fanno friggere le fette...- si lanciò Tarantino.
- Verdure? Orrore! -  lo interruppe sinceramente disgustato il felinoide.
Chekov scoppiò a ridere, inserendo i codici di accesso e attraversando lo scudo anticontaminazione.
Il pianeta apparve all'improvviso in tutto il suo azzurro splendore.

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Capitolo 13
*** Tempesta ***


Eccoci qua. Ora cominciano i guai (perchè, prima cos'erano?) ^_^
Ci tengo a ricordarvi, anche a costo di essere odiosetta, che gli scrittori vi offrono un intrattenimento gratis col sudore delle loro dita; sul livello non entro nel merito, ma sulla fatica posso assicurare che costa!
Quindi, a nome di tutti gli scrittori abbandonati sul ciglio di efp, vi esorto a lasciare traccia del vostro passaggio anche con un brevissimo commento.
Grazie mille e godetevi il capitolo!


13. Tempesta

Spock allontanò lentamente il visore dopo aver letto la trascrizione del diario di Tepam.
La situazione era più grave del previsto.
- Tenente... - iniziò ma venne interrotta da Uhura stessa.
- Signore, qualcuno dell'equipaggio ha attivato un intercom ma poi non ha trasmesso nulla, tranne un tonfo; la comunicazione è ancora aperta ma non rispondono -
- Individui il punto sulla nave - chiese Spock girando la poltrona verso di lei.
- Sì signore... È il suo laboratorio, comandante -
- Deve essere il tenente Layris - disse alzandosi e dirigendosi velocemente verso il turbo ascensore - signor Sulu, a lei la plancia -
All'aprirsi delle porte del laboratorio dapprima non vide nessuno, poi scorse il corpo a terra, semi nascosto dalla postazione di lavoro.
Si affrettò e le si inginocchiò accanto.
- Tenente Layris! - chiamò, girandola e sollevandole la testa in grembo.
Il colorito normalmente celestino della donna era quasi bianco e le righe di pigmentazione marroni attorno alle tempie spiccavano come ragnatele.
Spock si accorse con sorpresa di essere preoccupato, doveva essersi affezionato al suo secondo più di quanto si fosse reso conto.
- T'Mar - chiamò ancora, con gentilezza.
Le palpebre della donna tremarono e lentamente gli occhi color cobalto si aprirono.
- Spock... - sussurrò T'Mar - Leonard... - e svenne nuovamente.
Il vulcaniano la prese tra le braccia e la sollevò, trasportandola velocemente per i corridoi fino all'infermeria.
La adagiò su un lettino, poi con un pugno azionò l'intercom.
- Tenente, notizie del dottor McCoy dalla squadra di sbarco?- chiese, con un residuo di frustrazione nella voce.
- No signore, dovrebbero atterrare a minuti - rispose Uhura sorpresa.
- Mandi la dottoressa Chapel in infermeria appena esce dalla camera di decontaminazione. Chiudo -
Si concesse cinque-punto-tre secondi per riprendere il controllo così miseramente perso, poi tornò dal suo secondo.
Attivò il sistema di diagnosi e vide gli indicatori assestarsi su livelli normali per la risiana, tranne per quanto riguardava l'attività cerebrale, estremamente erratica.
La guardò in volto e il suo pallore lo turbò.
Sapeva che un contatto mentale in quelle condizioni era pericoloso, ma McCoy era in pericolo e lui doveva sapere.
Ripensò alle circostanze in cui aveva conosciuto T'Mar, durante la movimentata licenza su Risa; a tutto l'aiuto che lei aveva generosamente dato a quelli che erano ancora quasi degli estranei, lui compreso, permettendogli di curare la propria mente e la propria anima.
Sentì un'insolita tenerezza nei suoi confronti, qualcosa che assomigliava ai sentimenti che occasionalmente  il dottore risvegliava in lui.
Le spostò delicatamente una ciocca di capelli morbidi come spuma marina, rivelando un'elegante orecchia a punta, poi posò le dita affusolate nei punti di contatto del volto.
Scivolò facilmente nella mente della donna.
Si trovò in un mare in tempesta.

La squadra di sbarco aveva lasciato la navetta mimetizzata nello stesso posto della volta precedente e guidata da Chekov aveva ripercorso la strada attraverso i corridoi della scuola, fino al centro di ricerca.
Si recarono nell'alloggio del dottore, cercando indizi su dove potesse essere.
Agganciarono i tricorder al segnale del comunicatore del dottore e iniziarono le ricerche.
Purtroppo la portata era limitata a circa cento metri e inoltre molti laboratori erano schermati, per cui andavano perlustrati visivamente.
Procedettero minuziosamente allargando la griglia di ricerca e setacciando ogni laboratorio, cercando di passare inosservati e mantenendo un'aria disinvolta quando incontravano qualcuno; fortunatamente c'era diverso personale della Flotta nel complesso e nonostante le occhiate incuriosite a Snarll nessuno fece loro caso più di tanto.
In effetti Tarantino sembrava riempire tutto lo spazio dei corridoi con la sua stazza imponente, mentre Snarll sembrava scivolare sui pavimenti senza alcun rumore.
Chekov si sentiva quasi un imbranato accanto a quei due, ma si rincuorò quando cominciarono a scassinare gli accessi protetti ai laboratori: in quello aveva pochi rivali, tranne il signor Spock ovviamente...

Dopo quasi un' ora si trovarono di fronte al blocco di laboratori dove veniva studiato il virus.
Le porte erano pesantemente schermate e gli accessi protetti da numerosi blocchi, per cui impiegarono diverso tempo per accedere ad ognuno.
Al quarto tentativo la loro fatica venne ricompensata e all'apertura della porta trovarono quello che cercavano.

La mente di T'Mar era sconvolta, la sua aurea come liquido azzurro si era gonfiata e agitandosi aveva riempito ogni spazio di tumultuosi schizzi e alte ondate schiumose.
Ricordava come fosse piacevole quando era calma, come un gel caldo e avvolgente che proiettava empatia.
Ora non c'era traccia di tutto quello, il fluido senza forma si insinuava ovunque, come sul ponte di un antico vascello terrestre durante una tempesta particolarmente perniciosa.
Spock rischiò di affogare in tutto quel liquido, la sua aura cristallina e compatta  non era adatta a quel tipo di ambiente.
Dovette proteggersi, emanando onde di serenità e controllo che placarono il fluido circostante come olio sull'acqua.
Quando ebbe creato la calma attorno a sé poté inoltrarsi alla ricerca della consapevolezza di T'Mar, spersa tra le onde come un naufrago nella tempesta.
Torri d'acqua si avventavano contro di lui come predatori, per poi ritirarsi con correnti di risacca ancora più pericolose.
Dopo lungo vagare tra quelle masse agitate si rese conto che l'entità di T'Mar non era persa, bensì dispersa, era la massa stessa che aveva perso la sua coesione, come gocce d'acqua su una superficie idrorepellente.
Doveva aiutare il fluido a riprendere il suo stato di quiete, un po' come aveva fatto la donna con lui e Jim su Risa, solo che raccogliere gocce d'acqua in un oceano era estremamente più complesso.
Anzi, impossibile.
Decise di provare allora con la tecnica della quiete assoluta, cercando cioè di calmare le masse di liquido tutte contemporaneamente.
Era una tecnica complessa e necessitava di enormi quantità di energia; lui non l'aveva mai esercitata ma ne aveva imparato i fondamenti durante il suo ritiro spirituale sul monte Seleya alla ricerca del Kho-lin-har.
Iniziò a emanare pulsazioni frenanti in controfase col moto ondoso, spianando i picchi e riempiendo i vuoti, spingendosi sempre più lontano con tutte le sue notevoli capacità mentali.
Lentamente le onde si calmarono, come alla fine di una terribile tempesta, e il liquido riprese la sua coesione.
Di colpo l'aura si addensò in una dimensione omogenea, splendendo stranamente argentea come una massa di mercurio su un piano da lavoro ceramico.
La consapevolezza di T'Mar si levò, finalmente sotto controllo.
Esausto, Spock scivolò fuori dalla fusione mentale, ritrovandosi ansimante e inginocchiato accanto al lettino diagnostico, le mani ancorate al viso della donna.
Dovette forzare le dita ad aprirsi.

Il blocco della porta aveva ceduto sotto le abili mani di Chekov, rivelando il suo interno.
Il laboratorio era caldo e umido e pervaso da una inquietante luce rossastra.
Il dottore lavorava ad un banco, senza protezioni di nessun tipo, con quelli che sembravano campioni del virus stesso.
Aveva i capelli scompigliati e un aspetto orribile e borbottava tra sé qualcosa di intellegibile.
I tre si scambiarono uno sguardo preoccupato, poi Chekov si fece avanti.
- Dottor McCoy... - chiamò, ma quello non diede segno di averlo sentito; invece prese una provetta, la guardò controluce, poi la sbattè sul bancone, rompendola e tagliandosi la mano con i frammenti affilati.
Incurante del sangue che gli colava lungo il braccio e gocciolava sul pavimento ne prese un' altra e ripeté il processo, poi una terza che però non si ruppe subito; allora la riprese e la mise dentro un emettitore di microonde, regolandolo al massimo: la provetta esplose con uno schiocco sonoro e lui riaprì lo sportello per raccogliere i frammenti a mani nude, tagliandosi ancora e ancora e continuando a borbottare tra sé.
- Dottor McCoy! - esclamò Chekov, riprendendosi dallo stupore e lanciandosi verso di lui.
Il medico alzò lo sguardo, lanciò un grido inarticolato e lasciò cadere un rack di provette, poi corse verso una porta dall'altra parte della stanza, lasciandosi dietro una scia di sangue.
I tre gli corsero dietro, ma la porta fece uno scatto e al loro arrivo risultò chiusa con un ulteriore codice.
- Ci penso io! - esclamò Chekov, mettendosi al lavoro sul tastierino touch screen.
In quella sentirono dei passi sul ballatoio metallico sopra le loro teste e Snarll arretrò per verificare.
Il dottor McCoy stava scavalcando la balaustra, come se pensasse di scappare buttandosi nuovamente di sotto a più di quattro metri d'altezza, rischiando di ammazzarsi.
- Non c' è tempo! - esclamò.
Il felinoide prese la rincorsa, piegandosi fino a correre a quattro zampe, continuò la corsa sulla parete verticale e dandosi uno slancio si appese al parapetto, per poi saltare con un volteggio all'interno del ballatoio.
Afferrò quasi al volo il dottore, che stava per buttarsi di sotto, e lo tirò nuovamente dentro, trattenendolo con le braccia bloccate dietro la schiena e sporcandosi di sangue.
McCoy si agitò furiosamente, urlando parole incoerenti, finché anche Chekov e Tarantino non riuscirono ad entrare; a quel punto si afflosciò come un sacco, tanto che Snarll dovette sostenerlo per impedirgli di farsi male, e cominciò a singhiozzare penosamente.
Chekov lo guardò con una stretta al cuore - tutti, tutti amavano il burbero dottore -, quindi aprì il comunicatore sul canale criptato.
- Enterprise, qui Chekov. Abbiamo il dottore. Emergenza medica -

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Capitolo 14
*** Pazzia ***


Primo post dall'Australia...  aspetto i vostri commenti a conforto della lontananza!
 

14. Pazzia

Christine Chapel si fiondò fuori dalla camera di quarantena non appena la procedura di decontaminazione fu completata.
Da quando aveva conseguito la laurea in medicina al termine della missione quinquennale, in assenza del dottor McCoy era lei l'ufficiale medico di grado più alto; in questo caso anche l'unico.
In realtà era specializzata in esobiologia, ma nel tempo aveva completato la sua formazione con l'anatomia umanoide e il dottor McCoy era stato un ottimo maestro.
Durante le lunghe ore della procedura di decontaminazione era venuta a sapere della situazione sulla nave con sempre maggior preoccupazione.
Il capitano non c'era, il dottor McCoy pareva scomparso in circostanze sconosciute e inquietanti e ora anche il tenente Layris stava male.
Rimanere ferma nella camera azzurrognola con quel senso di urgenza era stato quasi impossibile, per poco non aveva fatto ricorso al suo codice medico di sicurezza per annullare il blocco della portina e correre fuori.
Al suo arrivo in infermeria trovò T'Mar su un lettino diagnostico e il signor Spock inginocchiato accanto, evidentemente prostrato.
Il cuore le mancò un battito, come sempre quando vedeva il vulcaniano in quelle condizioni.
Gli corse accanto e lo aiutò a raggiungere il lettino adiacente e a sdraiarcisi su, attivando automaticamente il pannello diagnostico.
Le funzioni vitali erano buone, a parte la pressione sanguigna un po' bassa e il battito ancor più veloce del suo solito.
 - Resti sdraiato - intimò, volgendosi poi verso l'altro lettino.
In quella sentì una mano ferma e forte bloccarle il polso, facendole accelerare improvvisamente le pulsazioni.
Si girò nuovamente verso il vulcaniano.
- Dottoressa, devo parlare con il tenente Layris - la voce di Spock uscì sottile e leggermente roca mentre la guardava intensamente negli occhi.
Oh Dio, pensò, sarebbe mai riuscita a negargli qualcosa quando la guardava così? Avrebbe mai smesso di sentire le gambe molli quando le rivolgeva la parola? Perché, che il Signore la aiutasse, non aveva mai smesso di amarlo da quando lui aveva messo piede sull'Enterprise all'inizio della missione quinquennale, secoli prima.
Tuttavia, era un medico ora e non gli avrebbe fatto un favore ad assecondarlo.
- Per favore, Christine, è importante - aggiunse lui, utilizzando l'arma letale del suo nome di battesimo; come previsto lei si sentì sciogliere e quasi cedette, ma si riprese.
- Resti sdraiato ancora un istante mentre verifico le condizioni del tenente - disse con più dolcezza, trattenendo la mano sul suo braccio quasi per un istante di troppo prima di rivolgere la sua attenzione alla donna sul lettino adiacente.
Spock impiegò quei minuti per stabilizzare le proprie condizioni, il contatto mentale era stato piuttosto difficile. E faticoso, non si sentiva così stanco da... Beh, forse dalla licenza di "riposo" su Risa, con tutto quello che era successo.
I ricordi lo turbavano ancora.
Per due-punto-tre microsecondi prese in considerazione l'ipotesi che tale stanchezza fosse dovuta al progressivo invecchiamento, ma la scartò: non avvertiva un effettivo calo delle sue prestazioni abituali, era la sua routine che era stata alterata dal legame con il capitano, creando una richiesta aggiuntiva di energie fisiche e mentali al di fuori delle sue mansioni di lavoro.
Vide la Chapel somministrare qualcosa a T'Mar, che quasi subito aprì gli occhi.
Si alzò e si avvicinò al lettino.
- Tenente, come si sente? - chiese.
- Ho un mal di testa terribile, per il resto... - scrollò le spalle - non sono io il problema. È Leonard -
Spock annuì.
- L'ho percepito, lo stiamo cercando sul pianeta. Cosa sa dirmi? - chiese, mantenendo un tono controllato nonostante l'ansia per il suo amico.
- Gli è successo qualcosa, posso sentire le sue emozioni totalmente fuori  controllo, lo stanno annientando. Potrebbe fare qualcosa di estremo, dovete trovarlo! - esclamò turbata.
- Stiamo facendo il possibile. Tenente... Pensa che sia stato contagiato dal virus? - chiese con la maschera più impassibile del suo repertorio.
Lei lo guardò con occhi angosciati.
- Non vorrei dirlo, ma ... Sì, ritengo di sì -
Lui annuì, sentendo la Chapel trattenere bruscamente il respiro.
- Come sospettavo. Lo porteremo a bordo comunque, le misure di quarantena dovrebbero essere sufficienti. Tuttavia... Tenga i suoi schermi mentali continuamente alzati, non possiamo permetterci che lei abbia altri tracolli mentali come prima -
- Ma così Leonard rimarrà completamente solo! Non posso farlo...- esclamò lei.
- Deve, assolutamente. Altrimenti dovrà spezzare il legame. Non ci sono alternative -
Lei lo guardò spaventata.
- Spezzare il legame... No, non di nuovo! Si rende conto di cosa mi chiede? -
Lui annuì.
- So di sembrare insensibile, ma mi creda, non è così. Nessuno più di me sa cosa vuol dire. Ma deve proteggersi. Inoltre non sappiamo ancora bene come si propaga il virus, lei potrebbe essere contagiata; dovrei metterla in quarantena, ma ho bisogno di lei. Posso fidarmi? -
Lei trasse un profondo respiro e annuì.
- Bene, ora riposi. Dottoressa - disse rivolgendosi alla Chapel - la prego, verifichi che il tenente riposi adeguatamente prima di tornare in servizio -
- Sì signor Spock - rispose Christine.
In quella l'intercom trillò.
- Qui Spock - rispose il vulcaniano, attivando l'audio.
- Signore, il tenente Chekov ci ha contattato dalla superficie: hanno trovato il dottor McCoy, le sue condizioni mentali sono preoccupanti. Chiedono il permesso di teletrasportarlo a bordo - comunicò Uhura.
- Permesso accordato, teletrasportatelo nella quarantena medica. Sto arrivando. Chiudo -
Si volse verso T'Mar, che stava già tentando di alzarsi.
- Tenente, faccia come le ho detto: è un ordine - esclamò piuttosto duramente, poi uscì dall'infermeria a lunghe falcate.

Il capitano Kirk aveva un ottimo fiuto per gli enigmi e una malaugurata attitudine a mettersi in situazioni incresciose, come l'avrebbe definito il suo primo ufficiale vulcaniano.
Dopo aver salutato e ringraziato Delia si era allontanato con il suo subpod, ma non era tornato al centro medico.
Si era nascosto dietro una formazione rocciosa vicina, attendendo la fine del turno di lavoro per dare un'occhiata al contenuto di quei laboratori.
Approfittò del tempo di attesa per fare rapporto all'Enterprise.
- Qui Kirk - disse quando apparve la plancia e Sulu sulla poltrona di comando - Ho finito la mia visita, è stata molto istruttiva. Stasera ho deciso di vedere gli amici dell'altro giorno, quelli che abbiamo incontrato nel complesso di ricerca -
- Capisco, capitano - aveva risposto Sulu, sentendo un brivido nella schiena - ha bisogno di qualcosa?-
- No grazie, ho già tutto quello che mi serve  - rispose sorridendo - il dottor McCoy è tornato a bordo? -
- Non ancora, signore. Tarantino, Snarll e Chekov lo stanno accompagnando, aveva bisogno di aiuto-
Il sorriso di Kirk si spense, sostituito da un'espressione concentrata.
- Capisco - disse però in tono neutro - il comandante Spock? - chiese, sperando di poterlo rivedere e chiedere maggiori spiegazioni; sapeva che sarebbero riusciti a comunicare la reale situazione dissimulata con parole ordinarie e non sospette.
- Mi spiace, non è disponibile, una piccola emergenza in infermeria con il tenente Layris. Credo sia impegnato ma se vuole glielo rintraccio -
Kirk sentì suonare tutti i suoi campanelli d'allarme.
McCoy e T'Mar? Che diamine stava succedendo sulla sua nave? Combatté l'impulso di farsi teletrasportare immediatamente a bordo.
- No, non è necessario. Sono sicura che il signor Spock è perfettamente in grado di gestire la situazione - rispose tranquillo - Vi contatterò io più tardi. Chiudo -
Spense il comunicatore, accigliandosi.
Aveva la più completa fiducia in Spock, era sempre stato il suo alter ego nel comando e anche se a volte le loro decisioni erano differenti il primo ufficiale  era estremamente capace.
Solo, gli dispiaceva che si trovasse in questa difficoltà. E gli mancava tantissimo.
"Se tutto va bene fra meno di tre ore rientrerò a bordo" si consolò.
Guardò il cronometro: ancora mezz'ora, per essere sicuri che tutti fossero andati via dalla piantagione.
Troppo tempo per impedirsi di pensare e preoccuparsi per i suoi amici.
Ricontrollò minuziosamente l'attrezzatura da immersione per la terza volta, cercando di tenere occupata la mente.


Spock era in piedi di fronte al vetro che separava la camera di decontaminazione tre, dove era stato teletrasportato direttamente il dottor McCoy.
Le mani serrate dietro la schiena, il volto composto in una rigida maschera inespressiva lo rendevano più alieno che mai.
Pochi sapevano quanto gli costasse in quel momento sostenere il suo retaggio vulcaniano, mentre guardava impotente la dottoressa Chapel in tuta anti-contaminazione di massima sicurezza prelevare dei campioni di sangue dal dottore e contemporaneamente somministrargli dei farmaci stabilizzanti.
Era uno spettacolo pietoso.
Quel brillante medico si contorceva e mugolava, alternando scatti di rabbia furiosa a scoppi di pianto straziante, che spezzavano il cuore e mettevano in difficoltà anche il vulcaniano.
- Leonard... - sospirò in un sussurro impercettibile, mentre una mano sfuggiva dalla stretta dietro la schiena e si appoggiava lievemente al vetro.
Il dottore gemeva e si dondolava avanti e indietro sulla branda, le braccia  allacciate attorno alle ginocchia, le mani fasciate da una bendatura leggera per evitare che danneggiasse involontariamente la pelle appena rigenerata sui tagli.
La Chapel diede un'ultima occhiata al mediscan, poi si voltò verso il primo ufficiale e fece un cenno affermativo.
Spock sentì una dolorosa stretta al torace alla conferma delle sue paure.
In quella le portine dell'anticamera si aprirono e entrò T'Mar.
Il vulcaniano impiegò un istante di troppo a recuperare il controllo e lei gli lesse in volto la cruda verità.
Si guardarono negli occhi per qualche tempo, condividendo il dolore, confortandosi lievemente, poi lei si volse verso la camera.
- Voglio entrare - disse dopo qualche istante.
- No- rispose seccamente il primo ufficiale.
- Devo, non posso lasciarlo solo. Non ha nemmeno il conforto del legame. Userò tutte le precauzioni possibili -
- Mi spiace, è troppo pericoloso. Non posso permetterglielo -
Lei lo guardò con gli occhi socchiusi, poi si voltò e prese una tuta anticontaminazione dall'armadietto.
- Tenente...- la chiamò in tono autoritario il vulcaniano, ma lei continuò ad infilarsi la tuta.
- T'Mar -
Non l'aveva mai chiamata per nome e questo la fermò a metà mentre si chiudeva il collare; si voltò verso di lui.
Spock allungò una mano e le riabbassò delicatamente le sue.
- Credi che non capisca? Lui è mio amico. Credi che non vorrei essere lì dentro per cercare di alleviare il suo dolore? Ma non possiamo permetterci di correre questo rischio! - disse con una certa asprezza nella voce.
Si confrontarono per qualche istante, poi lei riabbassò le braccia.
In quel momento Christine Chapel uscì dal passaggio filtrato, dove la sua tuta era stata sottoposta ad ogni genere di trattamento anticontaminazione compresa la depressurizzazione, e si sfilò il casco.
La sua espressione era grave ma controllata.
- Mi spiace, comandante, devo confermare la diagnosi: il dottor McCoy è stato contagiato. Non so come, dal momento che è l'unico non telepate a cui sia successo -
Spock assunse un'espressione concentrata, poi esclamò:
- Computer, attivare un campo di energia di livello tre attorno alla camera di quarantena -
- Campo energetico di terzo livello attivato - rispose la voce melodiosa del computer.
T'Mar lo guardò interrogativamente.
- Le onde theta di basso livello - spiegò - una piccola parte della comunicazione telepatica avviene tramite loro, e date le caratteristiche elettromagnetiche anomale del prione esiste la possibilità che si comporti in maniera ambigua tra materia e energia, come un fotone -
- Ma il dottor McCoy è umano e gli esseri umani non sono telepati! - esclamò la Chapel.
- E’ colpa mia - sussurrò T'Mar.
Gli altri due si voltarono a guardarla: il suo volto era pallido come un cielo invernale.
- È colpa mia. Ho permesso che il legame si stringesse e questo ha aperto i recettori theta di Leonard. Gli umani non possono attivare volontariamente questi campi, ma il contatto mentale con altri telepati e in particolare la creazione di un Legame li apre, rendendoli recettivi. Non avevamo ancora lasciato libero il legame di formarsi, ma prima che Leonard scendesse sul pianeta io... Avevo paura che gli succedesse qualcosa e ho abbassato i miei schermi mentali -
Guardò Spock, gli occhi di cobalto pieni di senso di colpa.
- Tenente, colpevolizzarsi è inutile, oltreché illogico. È ovvio che se fosse stata consapevole del pericolo non avrebbe corso tale rischio. Dobbiamo prima di tutto confermare questa ipotesi, ma non abbiamo più molto tempo, le onde theta non possono essere controllate durante il sonno. Quanto tempo può restare sveglia? -
- Grazie all'addestramento nelle Forze Speciali posso arrivare a novanta ore, tuttavia sono in piedi da più di diciotto e tenere gli schermi mentali alzati assorbe molta energia. Direi poco meno di tre giorni. Altrimenti... Dovrò spezzare il Legame - disse monotòna.
- Cercheremo di fare il possibile, glielo prometto. Le lascio la conduzione delle ricerche, ma voglio che non si stanchi eccessivamente, cerchi di guadagnare tempo. Io devo tornare in plancia, nel caso avessimo ragione c'è un altro rischio da prevenire immediatamente – disse gravemente.
- Quale, signore? - chiese Christine.
- Il capitano, dottoressa. Anche lui può essere contagiato. A causa mia –

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Capitolo 15
*** Pezzi del puzzle ***


Avviso: è coplicato tenere le fila di una storia del genere senza averla scritta per intero e potendo così modificare man mano quello che serve, per cui abbiate clemenza per qualche incongruenza. E fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!

"La sua coscienza si disperse come pulviscolo stellare"

 

15.  Pezzi del puzzle

- Tenente, il capitano ha chiamato? - chiese Spock appena uscito dal turboelevatore, ancor prima di essere arrivato alla poltroncina di comando.
- Sì comandante - rispose Uhura - ha fatto rapporto mentre lei era in infermeria. Non ha insistito per parlare con lei, per cui non l'ho disturbata -
Se fosse stato umano probabilmente Spock si sarebbe lasciato andare ad una imprecazione, ma il primo ufficiale dell'Enterprise era vulcaniano, in parte per nascita ma soprattutto per scelta, e non fece commenti.
- Lo contatti, per cortesia -
- Sì signore - la donna si volse verso la sua postazione con l'eterno auricolare inserito e fece alcuni tentativi.
- Signore, non risponde. Da quello che ha detto sembrava che non volesse essere contattato, ma che avrebbe richiamato lui -
- Va bene - si prese un istante per riflettere – Si può dedurre che il capitano è sulle tracce di qualche importante informazione. Aspetteremo un'ora, se non avrà dato sue notizie lo cercheremo con mezzi più incisivi -
Detto da un altro sarebbe sembrata una minaccia, e forse lo era.
Comunque iniziò la parte peggiore delle missioni, l'incubo di ogni capitano: l'attesa.

Kirk stava nuotando negli abissi marini di Cetacea, diretto verso uno degli ingressi che aveva visto usare dagli operai.
Fortunatamente c'era ancora luce, anche se la lunga giornata cetaciana volgeva ormai al termine.
La piantagione era deserta e le lunghe alghe nere ondeggiavano lentamente alla corrente; una miriade di pesciolini fluorescenti si aggiravano finalmente indisturbati tra i filamenti simili a plastica lucida.
Kirk evitò abilmente le poche telecamere che controllavano l'area e si diresse verso l'ingresso.
Con una scarica elettrica indotta costrinse la serratura elettronica ad aprirsi ed entrò nella stanza, richiudendo la porta dietro di sé.
Pinneggiando lentamente cercò il comando dell'impianto idraulico, una grossa leva rossa che abbassò.
Subito potenti pompe si azionarono e l'acqua venne spinta velocemente fuori,  sostituita da aria respirabile e pressurizzata.
Dopo pochi minuti poté togliersi l'attrezzatura da immersione, ripiegandola nello zaino mentre l'acqua finiva di defluire dalle griglie sul pavimento.
Rimasto in tuta mimetica azzurra si diresse verso il pannello di accesso e in pochi istanti lo scassinò.
"Cosa farei senza Spock e le sue capacità" pensò, abbassando il tricorder programmato dal primo ufficiale.
Entrò nella vasta area delle vasche di vivaio, mentre il tricorder emetteva un segnale elettromagnetico che disturbava le telecamere e sostituiva per brevi istanti immagini statiche della stanza inquadrata mentre lui ci passava davanti.
Si diresse verso i laboratori.
La stanza era soffusa di un chiarore verdazzurro che filtrava dalle vetrate   sommerse, sufficiente per muoversi agevolmente.
Superò i codici di accesso simulando una carta magnetica virtuale (questo trucchetto era suo, fin dai tempi dell'Accademia) e andrò dritto al laboratorio da dove era uscito Celia poche ore prima.
Il segnale di sperimentazione in corso campeggiava ancora sul monitor, ma Kirk entrò senza degnarlo di un'occhiata.
Il laboratorio era piuttosto esteso e pieno di macchinari; il capitano fece una breve esplorazione, poi si diresse presso una postazione che sembrava più usata delle altre.
Sul ripiano vi era una cornice digitale dove scorrevano in sequenza alcune fotografie di Celia e la sua famiglia, evidentemente in vacanza su qualche pianeta alieno.
Accese il terminale, agganciò il tricorder e violò i codici di sicurezza, decriptando i contenuti.
Finalmente trovò una specie di diario di lavoro di Celia.

Il dottor Leonard McCoy si dibatteva nel suo incubo personale.
La sua consapevolezza del mondo reale era andata affievolendosi, lasciandolo  in una realtà alternativa e dolorosa.
Era incredibilmente solo, come non si sentiva più da anni. Solo e vuoto, in maniera assoluta, come lo spazio profondo.
Gridò: l'uomo non è fatto per il vuoto cosmico, ma per stare con i suoi simili.
Jim...”
Non sapeva perchè, ma sapeva che il suo amico era morto.
Non è vero!” Si ribellò una parte di lui “sono solo allucinazioni”.
"È morto" ripetè quella specie di demone che si era sostituito alla sua coscienza. "E il tuo vulcaniano è tornato sul suo pianeta, ha abbracciato il Kolinhar, ti ha rimosso dalla sua mente come uno straccio vecchio! Eri solo un problema per la sua preziosa, pura anima logica."
No, no! Loro non mi lascerebbero mai solo!”
Strinse le ginocchia al petto e pianse, ma nulla poteva portare sollievo a quel vuoto immenso, non si può riempire il vuoto cosmico nemmeno con un milione di galassie, o di lacrime.
La sua coscienza si disperse come pulviscolo stellare.

Sul pianeta Kirk leggeva alla massima velocità gli appunti di Celia, copiandoli contemporaneamente sul suo tricorder.
Stralci di frasi in mezzo ad appunti tecnici e diagrammi gli diedero un'idea piuttosto chiara dell'accaduto nei mesi precedenti.
"... Non hanno capito, nessuno capisce l'importanza della mia battaglia! Mio fratello è l'esempio di come i soldi, il potere rendano sordi all'urlo della Natura disfatta. Come possiamo sopravvivere se avveleniamo tutto quello che tocchiamo, se distruggiamo il dono inestimabile che ci ha dato la vita? Almeno i miei compagni del Movimento sono d’accordo con me, loro hanno occhi per vedere...
... Ci vorrebbe una dimostrazione, molti compagni sarebbero d’accordo, ma non quel vulcaniano che ci segue, lui non deve sapere nulla...
...se la natura si ribellasse...
...la manipolazione genetica...
... Quello che è capitato lo dimostra: l'incrocio che abbiamo creato per aumentare le difese immunitarie dell'alga si è rivelato in grado di rilasciare prioni vitali nell'atmosfera, la natura si ribella. Forse dovremmo aiutarla, aiutare i ciechi a vedere...
...ho detto a Delia di aver distrutto il campione, ma non è vero. Voglio studiare come si evolve, lo terrò ben isolato... il tasso di riproduzione è altissimo...
...oggi il prione ha infettato una piccolo cetaceo, non doveva essere possibile ma è successo. Ho scoperto che l'ultima replica è mutata, forse ha interagito con qualche fattore esterno oppure un semplice errore di replica, a questa velocità di replicazione il tasso di modifica è elevato…"

Seguiva un modello del nuovo prione, la sequenza della breve tratto di RNA era colorata nel punto dove una catena di amminoacidi era mutata rispetto al modello precedente.
"...Non riesco tuttavia a capire come sia avvenuto il contagio, dato che il cetaceo si trova in una vasca nel laboratorio accanto, completamente isolato, come test di non-gradimento del sapore dell'alga. Escludo un trasferimento da contatto o attraverso l'aria, ma allora come diavolo ha fatto a trasferirsi così in fretta dal genoma vegetale a quello animale? È quasi impossibile...
...Il comportamento del cetaceo infettato è molto strano, passa da momenti di iperattività a momenti di catatonia. Il mio collega biologo Illis dice di non aver mai visto niente di simile, ma è certo che sia coinvolto il sistema neurale...
...Illis mi scongiura di distruggere il campione, ma vorrei aspettare e studiarlo ancora un po'...
... Il cetaceo è morto dopo atroci convulsioni... ho eliminato il campione, l'ho portato al centro di smaltimento rifiuti tossici vicino all'università...
...Illis mi ha parlato di una strana epidemia dei cetacei come la nostra cavia nella zona del Centro di Ricerca, ho paura che il prione sia sfuggito alla distruzione...
... Ho visto i filmati dei cetacei ammalati, povere bestie, mi sento talmente in colpa...
...il notiziario segnala alcuni casi anomali di neuropatie in città, dai sintomi simili: stato confusionale, sbalzi umorali... Non sembra grave ma i medici non sanno spiegarselo...
...oggi un bambino e sua madre sono entrati in coma a causa di quella che sembra una mutazione del prione... Nostra Signora del Mare, cosa abbiamo scatenato?...
…quel dannato Tepam continua a far domande, come ha fatto a risalire fino a noi? Qualcuno del Movimento deve aver spifferato...
…Tepam è stato contagiato ed è morto in pochissimo tempo! A quanto pare il virus è letale per i vulcaniani… che la Dea e il Consorte abbiano pietà di noi…
… La Flotta Stellare sta indagando su Tepam, alcuni di noi del Movimento hanno avuto uno scontro con dei membri della Flotta che stavano cercando di accedere al computer di Tepam. Purtroppo credo che siano riusciti nell’intento. Nel caso è solo questione di tempo prima che arrivino a noi…

Kirk finì di copiare tutto, accorgendosi di essere stato al monitor per quasi due ore. Era tardi, sulla sua astronave sarebbero stati di sicuro in pensiero e da là dentro non poteva comunicare, gli schermi biologici interferivano con le comunicazioni.
Poteva quasi vedere Spock in plancia, impossibile da smuovere, che dietro la sua solita maschera inespressiva si chiedeva dove diavolo fosse finito il suo capitano questa volta.
Si affrettò a recuperare l’attrezzatura, ma prima di riuscire ad infilarsi lo zaino sulle spalle un formicolio familiare lo avvolse.
"Phaser su stordimento" riconobbe per esperienza prima di crollare a terra privo di sensi.

Spock, in piedi davanti allo schermo principale della plancia, stava finendo di spiegare ad un infuriato Prefetto perché avessero a bordo un malato umano sfuggito alla quarantena.
- Mi spiace, Prefetto, abbiamo constatato l'infezione del dottor McCoy solo dopo averlo riportato a bordo - il che era tecnicamente vero - pensavamo ad un leggero esaurimento causato dal troppo lavoro -
Era una leggenda che i Vulcaniani non sapessero mentire, così come non provassero emozioni; la verità era che sceglievano di non farlo, per lo stress emotivo che comportava gestire una menzogna, ma un ufficiale anziano su una nave come l'Enterprise doveva per forza adottare alcuni... trucchi, come li avrebbe chiamati il capitano, anche se Spock non amava il termine.
Alternative, preferiva considerarle.
- Il malato dovrebbe rimanere sul pianeta, nel Centro di Cura - insistette  Windal dallo schermo.
- Prefetto, le assicuro che il sistema di isolamento della quarantena dell'Enterprise è efficace quanto e forse più di quello del pianeta. Il dottor McCoy è stato circondato da un campo di energia di livello tre -
La donna aggrottò la fronte.
- Livello tre? Per quale motivo? -
- Abbiamo il sospetto che il prione possa essere trasportato dalle onde energetiche Theta a bassa potenza -
Le sopracciglia della donna sparirono tra i capelli spumosi.
- Non sono un'esperta ma ho studiato tutto quanto possibile per questa emergenza e non sapevo che un prione potesse viaggiare come energia -
- Normalmente no, infatti, ma questo ha un comportamento ambiguo tra materia ed energia e non lo escludiamo, stiamo studiando l'ipotesi -
La donna rimase in silenzio per qualche istante, poi armeggiò con alcuni comandi sotto di lei; l'immagine divenne sfocata per qualche istante, poi tornò stabile.
- Signore - chiamò Uhura dalla sua postazione - il Prefetto è passato su un canale criptato di sicurezza della Federazione -
Spock inarcò un sopracciglio.
- Comandante - disse la donna sullo schermo, uno sguardo duro sul volto - voglio la verità: quante probabilità vi sono che questo prione così anomalo sia di origine naturale?-
Il vulcaniano rifletté per zero-punto-otto secondi sulla risposta da dare - meno dello zero punto due per cento - rispose poi, onestamente.
La donna esalò un lieve sospiro.
- Come sospettavo. Voi lo sapevate, vero? -
Spock non rispose.
- E’ per questo che avete distrutto il laboratorio di Tepam? Cercavate indizi? Qualcuno sta nascondendo le cose...- dedusse.
- Prefetto, le assicuro che stiamo indagando a fondo -
- Non crede che avrei dovuto essere avvisata? E’ la mia gente! - chiese, in tono sferzante in cui si percepiva chiaramente l'ira repressa, gli occhi saturi di elettricità.
- Stiamo conducendo un'indagine estremamente delicata secondo le indicazioni della Flotta, le informazioni sono ancora classificate al massimo livello. La prego di fidarsi, stiamo facendo il nostro lavoro. Mi spiace - aggiunse dopo un attimo di riflessione.
La donna parve stupita da quell'affermazione fatta da un vulcaniano, poi prese un profondo respiro e lo esalò lentamente, ammorbidita.
- Va bene. Mi fido. Però cercate di non coinvolgere la popolazione civile e forniteci ogni informazione possibile sul prione che possa aiutarci nella ricerca -
- Certo Prefetto, questo credo di poterglielo promettere - rispose il vulcaniano.
- E... Signor Spock, la prego di contattarmi personalmente se dovesse avere bisogno di qualcosa, qualunque cosa. Usi questo canale. La aiuterò per quanto mi è possibile -
Spock annuì con un breve cenno del capo e chiuse la comunicazione, poi si voltò verso la postazione delle comunicazioni.
- Tenente Uhura, rintracci il capitano. Con ogni mezzo -
Forse soltanto il dottor McCoy e il capitano stesso avrebbero potuto cogliere la traccia di durezza nella voce altrimenti inespressiva del vulcaniano.
- Sì signore - rispose Uhura, mettendosi immediatamente al lavoro.

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Capitolo 16
*** Sogni frattali ***


E' molto difficile per me tornare dopo tanto tempo e con tutti questi nuovi talenti in giro, per cui siate gentili!

"Così Spock di Vulcano si trovava lì, venendo meno a parte dei suoi doveri in plancia, la fronte appoggiata al freddo vetro della camera di isolamento, ad addolorarsi per il suo amico e preoccuparsi per il suo compagno.
Per dirlo con un detto terrestre, quegli umani gli avevano rubato l'anima, la sua anima vulcaniana. "


16. Sogni frattali

 
Nel laboratorio Numero Due T'Mar depose la provetta sulla piastra e sfilò le mani dal campo di forza, che si modellava sulla pelle come guanti chirurgici.
Mentre cercava un discriminatore fasico l'intercom trillò.
- T'Mar - rispose.
- Tenente, una chiamata per lei dalla superficie - riferì Uhura - la dottoressa Phlox -
- Me la passi pure, grazie -
Il volto della Bantu fu sostituito da quello della denobulana.
- Tenente, ho finito quella comparazione che mi aveva chiesto - la voce era stanca e tesa; anche se i denobulani avevano necessità di dormire solo pochi giorni all'anno, risentivano comunque dello stress - le confermo la sua ipotesi, credo che abbiamo finalmente capito il meccanismo del prione - nella stanchezza si inserì una punta di sollievo - ora potremo iniziare a prevenire il contagio in alcune fasce di popolazione, ma per la cura...- scosse il capo, sconsolata.
- Lo so, ci vorrà ancora del tempo, ma almeno questo è un passo avanti - cercò di essere incoraggiante, ma la tensione iniziava a procurarle l'emicrania e si massaggiò le tempie.
- T'Mar...- durante le lunghe ore di lavoro insieme si era creata una certa confidenza - hai un aspetto orribile, dovresti riposare un po' -
La risiana guardò la collega, mentre la disperazione filtrava per un attimo nel suo sguardo - vorrei poter seguire il tuo consiglio - rispose.
- Non credo che crollando dalla stanchezza otterrai qualcosa - la sgridò la denobulana nel Tono Universale di Rimprovero comune a tutti medici della Galassia.
- Credimi, lo vorrei, ma davvero non posso -
Il medico la guardò, intuendo che si trattava di qualcosa di diverso dalla pura testardaggine.
- Hai voglia di parlarne? - chiese gentilmente.
T'Mar fece per rifiutare, poi con un sospiro si abbandonò sullo schienale della sedia.
- Si tratta di Leonard - confessò.
- Il dottor McCoy? Le sue condizioni sono peggiorate? - chiese la denobulana preoccupata.
- No, sono stabili. Ma io e lui abbiamo un Legame -
Udì quasi la collega trattenere il respiro, cogliendo in un istante tutte le implicazioni.
T'Mar spiegò la situazione, sentendo un senso di sollievo nel condividerla con qualcuno.
- Mi spiace - disse gentilmente Almira al termine della spiegazione - è una questione delicata, dolorosa oltre che pericolosa per te - la guardò intensamente - spero che riusciate a trovare una soluzione per tempo, ma in caso contrario... Dovrai davvero considerare l'opzione di spezzare il legame -
T'Mar sospirò.
- Lo so, ma non sono ancora pronta - si massaggiò le tempie - è un dolore immenso, un vuoto assolutamente incolmabile, nessuna logica ti sostiene - sorrise ironicamente - comunque grazie, mi ha fatto bene parlarne -
Il sorriso di risposta della denobulana arrivò letteralmente da un orecchio all'altro, emanando un calore superiore alla media.
- Lieta di portare avanti la tradizionale collaborazione di famiglia con il personale delle Enterprise -
T'Mar inarcò lievemente un sopracciglio con aria divertita, molto vulcaniana, e chiuse la chiamata.
Nelle ore successive qualcosa in quella conversazione continuò a ronzarle in mente.
 
*****
 
Spock stava osservando il dottor McCoy.
Sulla plancia aveva sentito l'improvvisa urgenza di rivedere il suo amico -  il termine corretto era impulso, dovette ammettere suo malgrado - e per una volta aveva deciso di seguirlo.
Il dottore era seduto sulla branda, appoggiato al muro e con la testa sulle ginocchia; sembrava riposare, almeno era tranquillo.
Il vulcaniano aveva smesso da tempo di negare con se stesso i sentimenti che provava, e in quel momento provava compassione, e paura. 
Era spaventato all'idea di perdere il suo amico, la sua famiglia.
Questo tipo di dolore, così forte e condizionante, era esattamente quello che i Vulcaniani cercavano di evitare attraverso la soppressione delle emozioni, e in quel momento Spock avrebbe voluto essere come tutti gli altri della sua razza.
Ma questo avrebbe comportato anche la soppressione dell'affetto per il burbero amico, del piacere che provava in sua compagnia, e lui non era mai stato capace di rinunciarvi, fin da quando quel filo sottile si era teso tra loro anni prima.
Così Spock di Vulcano si trovava lì, venendo meno a parte dei suoi doveri in plancia, la fronte appoggiata al freddo vetro della camera di isolamento, ad addolorarsi per il suo amico e preoccuparsi per il suo compagno.
Per dirlo con un detto terrestre, quegli umani gli avevano rubato l'anima, la sua anima vulcaniana. 
Ripensò alla recente licenza insieme e a quanto McCoy l’avesse fatto spaventare quando aveva subito l’attacco della medusa-fuoco. La solitudine che aveva percepito in lui era grande come l’oceano di Cetacea, per usare una perifrasi terrestre.
Nonostante il proprio legame con il capitano, con la sua spiccata tendenza ad infilarsi in situazioni incresciose, era sempre stato il dottore a farlo preoccupare maggiormente; sembrava così fragile, troppo per sopportare quello che in realtà Spock gli aveva visto sopportare; la sua forza veniva da dentro, dal suo spirito indomito, dalla sua feroce compassione per ogni essere vivente. 
Compreso lui, Spock, che il buon dottore aveva raccolto sotto la sua ala protettrice spingendolo a superare la dicotomia della sua anima.
"Leonard..." Chiamò involontariamente la sua mente per l'ennesima volta. 
All'improvviso il dottore aprì gli occhi e lo fissò con sguardo limpido.
Spock allontanò la fronte dal vetro e si affrettò ad accendere l’interfono.
- Spock...- chiamò McCoy, riconoscendolo, ma la voce uscì debole e spezzata dal troppo gridare. Cercò di schiarirsela, ma cominciò a tossire.
- Spock a tenente Layris, recarsi in camera di contenimento, immediatamente. Chiudo- ordinò Spock nel comunicatore prima di rivolgersi nuovamente al dottore.
- Leonard - chiamò con insolita dolcezza - come stai? -
- Mi sembra di essere sprofondato nei peggiori incubi della mia vita - rispose acido il dottore.
Spock quasi sorrise.
- Che diavolo mi sta succedendo? - chiese.
- Sei stato contagiato - 
- Che cosa? Ma io non sono un telepate!-
- Il tuo legame con T'Mar ti ha reso vulnerabile al contagio, che avviene tramite onde theta a bassa frequenza tipiche dei contatti mentali. Abbiamo dovuto erigere un campo di forza attorno alla stanza -
- T'Mar... Non la sento più... Al suo posto c'è un vuoto orribile... - guardò il vulcaniano con una muta domanda negli occhi.
- Sta schermando la propria mente per evitare di essere contagiata -
- E' in pericolo! Devo fare qualcosa...- si alzò troppo velocemente e piombò a terra.
- Leonard, devi stare calmo. Hai bisogno di assistenza? - chiese il vulcaniano, avviandosi impulsivamente verso le tute anticontaminazione.
- No, e non provare ad entrare in questa stanza! - esclamò il dottore, massaggiandosi un gomito - tu sei un telepate, dannazione, il rischio per te è altissimo! Anzi, non dovrei nemmeno essere su questa nave! - 
Spock si fermò ma non rispose, sapendo che in realtà l'amico aveva ragione.
- Immagino che Jim non abbia voluto saperne di lasciarmi sul pianeta...-
Commentò acido il dottore.
- Il capitano è ancora irreperibile, non è stato lui ad ordinare di riportarti sulla nave -
McCoy smise di massaggiarsi il gomito e lo fissò, cogliendo al volo il significato.
- Spock... Spiegami la logica di questo gesto - chiese con calma.
- Quando ti abbiamo riportato sulla nave non eravamo sicuri che fossi stato contagiato e il tuo comportamento illogico e autolesionista imponeva un intervento immediato - rispose imperturbabile il primo ufficiale.
- Ma avevate sicuramente più di un sospetto in merito! - McCoy non si lasciò incantare.
Spock non replicò.
Il dottore lo scrutò qualche istante poi improvvisamente sorrise, quel suo sorriso che gli accendeva gli occhi azzurri di acuta ironia.
- Beh, che io sia dannato se mi lamenterò di essere qui tra i miei amici anziché su quella enorme pozzanghera di pianeta! -
Spock inarcò un sopracciglio.
- La massa d'acqua sul pianeta Cetacea è pari a quattro-punto-tre volte quella dell'oceano Pacifico sulla Terra, definirla pozzanghera è decisamente...-
Fu interrotto dall'ingresso di T'Mar, che si avvicinò alla finestra.
- Len... - chiamò, appoggiando una mano sul vetro.
Spock vide l'amico ricambiare il gesto con una intensa sensazione di deja vu - che teoricamente i vulcaniani non avrebbero dovuto provare - e si apprestò a lasciarli soli, sollevato che il dottore avesse trovato sollievo all’immensa solitudine che aveva percepito in lui.
 
Sul ponte riprese il lavoro di ricerca sul virus dalla sua postazione scientifica.
- Comandante - esclamò Uhura ad un tratto - sono riuscita ad isolare i segni vitali del capitano. Sono separati dal suo comunicatore e sembrano essere in movimento all'esterno dell'edificio della piantagione di alghe miwari -
- Riusciamo ad agganciarlo con il teletrasporto? - chiese alzando gli occhi dal visore.
- La massa d'acqua smorza il segnale... Il signor Scott sta cercando di potenziare il campo di confinamento - rispose l'ufficiale.
Spock si diresse alla poltrona di comando e aprì un canale con la sala teletrasporto.
- Signor Scott? - chiese.
- Un attimo signore, sto cercando di isolare la traccia di DNA umano e usarla come onda portante... - La voce dell'ingegnere arrivò con un forte accento scozzese, indice della concentrazione necessaria al compito.
Dopo un lunghissimo istante si sentì una sonora imprecazione.
- Mi spiace, signore, l'ho perso - 
Sul ponte Uhura si volse verso il Vulcaniano.
- Confermo, i sensori lo identificano ma un campo di energia impedisce il teletrasporto -
- Comandante, una traccia di propulsione a curvatura si sovrappone alle coordinate del capitano - segnalò Chekov.
- Sullo schermo - ordinò Spock.
Sul monitor apparve un'immagine tridimensionale della zona della coltivazione di alghe miwari; alle pendici del canalone una traccia rossa si sovrappose al segnalino verde lampeggiante che indicava la posizione del capitano, poi entrambi cominciarono a muoversi verso la superficie.
- Hanno superato lo schermo planetario! - esclamò Sulu.
- Signor Scott, qual'è la situazione dei motori?- chiese Spock con voce assolutamente controllata.
- Abbiamo solo i motori ad impulso, i motori a curvatura sono quasi in linea ma dobbiamo riavviare completamente la procedura di accensione e check up -
- Quanto tempo le occorre? - chiese il vulcaniano.
- Quattro ore, almeno -
- Signore, ho individuato il vascello su cui si trova il capitano. È un piccolo ricognitore, veloce almeno quanto l'Enterprise... E sta per lasciare l'orbita - informò Chekov.
- lo contatti –
Uhura tentò.
- spiacente Signore, le loro comunicazioni sono disattivate -
- signor Scott? Ha sentito? - 
- sì comandante -
- Come avrà capito abbiamo una certa urgenza. Può proporre una soluzione?-
- Ecco, ci sarebbe una possibilità...-
Spock rimase in silenzio, in attesa.
Scott , quando si rese conto che il vulcaniano non avrebbe stuzzicato il suo ego come era solito fare il capitano, si affrettò a proseguire
- Potremmo forzare la procedura effettuando manualmente la calibrazione materia-antimateria -
Spock inarcò un sopracciglio.
- I  rischi di tale procedura sono elevati, tuttavia se ritiene di esserne in grado la prego di cominciare immediatamente-
- Certo che sono in grado, anche se queste bellezze verrebbero un po' strapazzate! - replicò l'ingegnere in tono offeso - il problema è che non è consentito... Dopo l'ultima bravata del capitano è stato inserito un blocco apposito nel computer! Sembra che al Comando abbiano previsto un tentativo del genere da parte del capitano e si siano premurati di conseguenza -
Spock stava verificando sul computer quanto affermato dall'ingegnere capo.
Trovò il programma di blocco negli schemi del computer: a quanto pareva, neppure lo stesso comando di Flotta avrebbe potuto revocarlo, ma riconobbe qualcosa di familiare.
- Continui nel ripristino dei motori, signor Scott, ma si tenga pronto ad effettuare la procedura manuale. Chiudo-
Aprì un altro canale.
- Spock al guardiamarina Ramanujian. Rapporto immediato -
 
Kirk si era svegliato con il familiare mal di testa da phaser.
Si mosse lentamente, avendo imparato molto tempo addietro quanto questo fosse preferibile al violento attacco di nausea in caso di spostamenti troppo rapidi.
Si mise seduto, guardandosi attorno mentre il mal di testa svaniva velocemente.
Si trovava su una piccola nave dal design piuttosto avanzato, sicuramente non di origine terrestre, ed era intrappolato da un campo di energia, che tremolava leggermente di fronte a lui.
La postazione di fronte al monitor era occupata: due antenne delicatamente azzurre spuntavano dallo schienale.
Si rimise in piedi, tastandosi discretamente le tasche dell’anonima divisa da missione alla vana ricerca del comunicatore.
La poltroncina ruotò nella sua direzione e potè vedere l’alieno in volto.
Andoriano, certamente, ma aveva il colorito più chiaro che avesse mai visto; un andoriano pallido? Non sapeva che esistessero.
Per il resto i lineamenti erano tipici della sua razza ma particolarmente attraenti anche per gli standard terrestri; quarantacinque anni, come minimo, e un’ aria di tranquilla sicurezza.
I più pericolosi.
L’alieno lo scrutò come se gli leggesse nella mente.
Questo era improbabile, ma la sensazione rimase.
Poi l’alieno sorrise.
- Ben svegliato, umano – disse – ora… chi diavolo è lei? -
 
Rama, come lo chiamavano i colleghi, era seduto di fronte al suo schermo olografico multiprocessor.
Era stato convocato dal comandante Spock circa venti minuti prima durante il suo turno di riposo, strappato al sonno durante un meraviglioso sogno di frattali a matrice complessa.
I sogni su base matematica erano i suoi preferiti.
Di origine terrestre, indiano per la precisione, Rama era una specie di programmatore vivente, le sue capacità sfidavano anche quello del signor Spock, notoriamente uno dei migliori della Flotta.
Fin dal diciannovesimo secolo terrestre la sua famiglia sfornava periodicamente dei geni della matematica, a volte pura, come l’antenato Srinivasa Aiyangar Ramanujan, a cui si doveva peraltro la cosiddetta Funzione Theta di Ramanujian, a volte applicata alla programmazione, come nel suo caso.
Dopo secoli si era scoperto che nella sua famiglia un gene alterato provocava una particolare capacità connettiva del lobo parietale sinistro del cervello, permettendo ai portatori di questo gene recessivo di vedere la matematica come una sorta di immagine visiva.
Da lì anche la strana conseguenza di sognare la matematica.
Rama stava lavorando sul blocco applicato dal computer, un blocco studiato da lui stesso per essere inviolabile.
L’ironia della sorte aveva voluto che quando il Comando aveva voluto creare il blocco si era rivolto al migliore elemento, cioè lui, senza informarlo dello scopo di tale ricerca e poi, complice la solita burocrazia, non si erano preoccupati di verificare che lo stesso elemento era stato assegnato all’Enterprise e ad i suoi computer.
Il comandante Spock, da genio dell’informatica quale era lui stesso, aveva riconosciuto immediatamente la firma del giovane matematico sullo schema del blocco e lo aveva contattato.
Ora Rama doveva creare un algoritmo di programmazione che aggirasse il punto focale del blocco, perché si era rivelato veramente inattaccabile in modo  diretto.
La sua personale postazione era stata riadattata da lui stesso alle sue necessità “visive” della matematica, con schermi che proiettavano in 3D funzioni matematiche complesse nel campo della geometria non euclidea.
A volte le immagini erano prive di un ordine, del tutto casuali, e questo era di solito un segnale di errore; altre volte erano ordinate ad un tale microlivello che dovevano essere ingrandite a livello atomico per notarne lo schema.
Erano queste funzioni micro-ordinate la sua specialità, per le quali aveva un intuito assolutamente unico.
Lavorava con una mano tra le immagini sovrapposte, l’altra impegnata da una normale tazza di caffè nero, a volte rimanendo semplicemente fermo a guardare un frammento di ologramma mentre la sua strepitosa mente vi cercava l’ordine intrinseco.
L’intercom trillò.
Signor Ramanujian, potrebbe aggiornarmi per favore? – chiese la vece priva di ogni impazienza di Spcock.
- Sì signore, ho appena intravisto una possibilità, ho bisogno di altri dieci minuti per darle conferma –
- Resto in attesa. Chiudo –
Rama, assorto, posò la tazza sul ripiano e da quel momento le sue mani iniziarono a volare tra le immagini sospese con velocità sorprendente.
Che lui sapesse, nessuno lavorava in quel modo con la matematica.
Otto minuti dopo ricontattò il primo ufficiale.
- Signore, ho trovato il modo. Devo creare un diversivo per il sistema durante la processazione delle stringhe di blocco. Potrebbe aiutarmi in questa fase? –
- Affermativo guardiamarina, mi raggiunga in plancia, lavoreremo alla mia postazione –
Per gli ufficiali di plancia era davvero incredibile assistere a quei due al lavoro insieme sullo schermo olografico della postazione di Spock; ovviamente nessuno, nemmeno la formidabile mente di Chekov, riusciva minimamente a capire di cosa stessero parlando.
Ad un certo punto Spock annuì ed inserì un comando.
- Affermativo – rispose semplicemente la voce armoniosa del computer.
- Signor Scott – chiamò sull’interfono – può iniziare la procedura di accensione manuale. Velocità massima possibile –
- Sì signore – rispose l’ingegnere con voce stupita ma non troppo – ma balleremo un po’, la regolazione manuale non riesce a compensare gli squilibri –
- Signore – si intromise Rama – posso provare con un algoritmo autoequilibrante, che si adatti alle variazioni ncessarie –
- Proceda – rispose il vulcaniano, poi aprì nuovamente le comunicazioni interne – a tutto il personale, prepararsi ad una navigazione non lineare, livello quattro –
Dopo circa un minuto Sulu potè passare a velocità di curvatura, con uno scossone che scrollò la nave come un orso appena risvegliato.

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Capitolo 17
*** Tiro alla fune ***


Un capitolo di passaggio, giusto per levare la ruggine...

  17. Tiro alla fune
 
Sulla navetta Kirk sorrise a sua volta all'alieno, mostrandosi rilassato.
- Potrei chiederle la stessa cosa? Dal momento che mi ha rapito, sarebbe gentile da parte sua aggiornarmi sulla situazione...-
L'andoriano lo scrutò per qualche istante, dandogli nuovamente la sensazione di leggergli nella mente.
- Io sono Shrak, e questa è la Nadim, il mio orgoglio. Ora lei. E' della Flotta Stellare, giusto? Vi si riconosce a distanza. Cosa ci faceva nella piantagione?-
- Volevo i segreti della loro alga Miwari, lavoro per la concorrenza - Kirk mentì spudoratamente.
Shrak socchiuse gli occhi.
- Terrestre, non menta con me, non glielo consiglio - disse con voce tranquilla, confermando l'impressione di Kirk sul fatto che avesse capacità telepatiche di qualche genere: nessuno riusciva a capire quando lui mentiva, anni di pratica con alieni ostili di ogni genere avevano raffinato la sua tecnica tanto da ingannare anche parecchi macchinari.
Tuttavia, era evidente che Shrak non poteva leggere la mente a distanza, altrimenti avrebbe già saputo chi fosse.
- Dove stiamo andando? - chiese.
- A portare al mio cliente le interessanti informazioni che lei ha gentilmente estratto dal computer di Celia -
- Quelle informazioni sono vitali per la cura dell'epidemia - rispose secco Kirk,  scoprendosi.
- Vedo che sta dalla parte dei buoni! L'avevo capito subito, non ce la vedo come una volgare spia industriale - rise l'alieno - ma può stare tranquillo, anche io sto dalla parte dei buoni... Questa volta... Magari per ragioni meno nobili delle sue... Solo, altri buoni. Non mi dia problemi durante la navigazione e vedrà che andremo d'accordo -
- Non si aspetterà che rimanga qui fermo a farmi portare ovunque lei voglia, vero? - chiese il capitano in tono discorsivo.
- Glielo consiglio, e non vedo come possa impedirmelo. Se si agita dovrò stordirla nuovamente -
- Mi verranno a cercare, se ne rende conto? I miei compagni non la lasceranno andare così semplicemente -
Come a sottolineare quella affermazione un colpo centrò la nave, scuotendola ferocemente e facendo cadere Kirk a terra.
 
- Comandante, ho individuato la navetta, si dirige verso Alpha Aurigae - esclamò Chekov
- Li segua signor Sulu-
 Spock sedeva nuovamente sulla poltrona di comando, il volto assolutamente sereno che tanto aveva indisposto l'equipaggio i primi tempi ora era diventato una costante rassicurante.
La navigazione era stata piuttosto agitata, anche se gradualmente stava migliorando grazie al programma adattativo del guardiamarina Ramanujian.
- Signore, la navetta è diretta verso la stella doppia AB... sta cercando di passare attraverso le due stelle! - Esclamò Chekov -
Spock inarcò un sopracciglio per la sorpresa.
Alpha Aurigae, meglio nota dagli umani come Capella, era una stella multipla che distava dalla Terra 42.5 anni luce.
Era composta da due stelle doppie: la coppia CD, due nane poco luminose,  e la coppia AB, composta da due giganti di classe G prossime a trasformarsi in  giganti rosse.
Queste ultime avevano massa quasi identica e ruotavano una attorno all'altra in un'orbita piuttosto stretta, generando un campo gravitazionale molto intenso, probabilmente letale per una navetta piccola come quella.
- Sullo schermo - ordinò Spock.
Le due masse giganteggiarono sullo schermo, mentre la navetta appariva come un granello di sabbia sperduto in tutta quella grandezza.
A quella distanza si poteva notare anche a occhio il collasso del nucleo delle giganti e le onde di espansione gravitazionale che si propagavano, sovrapponendosi nella zona in mezzo alle due stelle.
- Signor Scott, ci dia tutta l'energia possibile - richiese Spock al comunicatore.
- Sì signore - la voce dell'ingegnere emerse carica di stress - ma siamo già in una situazione critica, non potremo mantenere la velocità a lungo, la calibrazione manuale sta portando ad una progressiva destabilizzazione del campo di curvatura -
- Faccia il possibile -
La nave sembrò ricevere una spinta in avanti mentre l'ingegnere tirava fuori il massimo dai suoi amati motori.
- Signor Spock, non credo che una navetta così piccola possa farcela attraverso quel campo gravimetrico! Andrà in pezzi!  - esclamò Chekov.
- Il pilota sembra essere consapevole delle sue azioni, tenente - replicò Spock con voce tranquilla - li segua. Deviare energia all'integrità strutturale -
La navetta si infilò direttamente in mezzo alle due giganti, seguendo il baricentro della coppia per cercare il punto a gradiente gravitazionale minimo.
La videro tremare come un tappo in una corrente e un attimo dopo anche l'Enterprise subì un violento scossone; immediatamente una dozzina di allarmi iniziarono a suonare.
In sala motori Scotty faceva del suo meglio per tenere insieme i suoi amati motori, sottoposti ad uno sforzo davvero indegno; la temperatura era attorno ai 45 gradi e varie consolle cominciavano a saltare, emettendo cascate di scintille; una postazione prese fuoco e un guardiamarina si affrettò a spegnere le fiamme con un estintore a schiuma.
Sul monitor principale della plancia la navetta appariva in difficoltà, mentre alte colonne di plasma incendiato e brillamenti solari si sollevavano per centinaia di chilometri dalla superficie delle due stelle; sarebbe stato uno spettacolo grandioso, in altre circostanze.
- Signore, l'integrità strutturale sta cedendo, non resisteremo ancora a lungo - avvertì Chekov .
- Siamo a portata di teletrasporto? - chiese il vulcaniano.
- A malapena signore, ma la navetta è pesantemente schermata, non riusciremo a superare i loro scudi - rispose Uhura.
- Attivare raggio traente - ordinò allora il primo ufficiale.
- Attivato -
Un raggio verde sembrò agguantare la navetta, che venne ribaltata due volte prima di riprendere l'assetto, poi iniziò il tiro alla fune.
- Stanno opponendo resistenza... Così andranno in pezzi! - esclamò Chekov.
La navetta tremò fortemente, sul punto di spezzarsi, poi improvvisamente il raggio verde si interruppe, lasciando la navetta libera di allontanarsi velocemente.
- Una tempesta di plasma solare ha destabilizzato il raggio traente - interpretò Spock, rilevando i dati trasferiti alla postazione di comando - signor Sulu, li segua...-
In quella la nave tremò violentemente, poi tutto si placò in maniera inquietante.
Il trillò del comunicatore dalla sala macchina risuonò sinistro nel silenzio.
- Signore, sono spiacente - la voce di Scott era assurdamente priva del suo accento scozzese - la regolazione manuale ha portato ad un sovraccarico, queste bellezze non hanno retto -
- Quanto ci vorrà per le riparazioni? - chiese il vulcaniano.
- Non saprei di preciso, devo prima fare la stima dei danni. Ma non meno di sei ore -
Il silenzio calò sulla plancia.
-  Signor Scott, la prego, proceda alle riparazioni. Non possiamo restare a lungo in questa posizione senza energia, dobbiamo compensare i campi gravitazionali sovrapposti o verremo distrutti -
 
Spock incontrò T'Mar presso la camera di decontaminazione, mentre osservava il dottor McCoy.
Purtroppo il periodo di lucidità era durato poco e ora il medico si dondolava sulla cuccetta, gemendo sommessamente.
La temperatura era insolitamente alta, a causa della vicinanza alla stella doppia che stava lentamente trasformandosi in gigante rossa.
Non si sapeva in realtà se ci sarebbero voluti ancora millenni o pochi giorni, quella fase del ciclo stellare rimaneva sempre un'incognita.
Lo sguardo della donna era fisso sul suo compagno.
Spock le si affiancò, rimanendo in silenzio.
- Lo perderò - sussurrò lei ad un tratto, in tono monocorde.
Spock si sentì suo malgrado obbligato a risponderle.
- Faremo tutto il possibile per...-
- Lo perderò - lo interruppe, girandosi verso di lui - non faremo in tempo, non resisterò abbastanza a lungo -
Lui la guardò, il volto azzurro pallido e la ragnatela pigmentata sulle tempie più evidente che mai, le piccole orecchie a punta così stranamente familiari.
- T'Mar...- disse, chiamandola per nome per poi bloccarsi come sempre di fronte alla necessità di esprimere un'emozione.
Lei lo guardò muta, ma urlando nello sguardo tutta la sua sofferenza per quella nuova, inutile ingiustizia.
Spock si trovò improvvisamente coinvolto dal dolore della donna, in un modo che non gli era capitato spesso.
Alzò una mano a scostarle una ciocca di capelli bianchi come il mare dietro l'orecchio, sentendo il bisogno di lenire quel dolore.
Al gesto lei sgranò gli occhi.
Spock si fermò, percependo qualcosa di sbagliato.
Quella empatia non era normale.
- T'Mar- chiamò con urgenza - i tuoi schermi mentali stanno cedendo -
Lei si riscosse e Spock notò lo sforzo per riprendere il controllo, ma le ondate emotive continuavano ad emanare da lei come acqua da una falla in una diga.
Spock poteva percepirle distintamente ora, e dovette alzare i propri schermi per non venire travolto.
Lei stava ansimando nel tentativo, mentre rivoli di sudore le colavano sul viso, ma con scarso successo.
Spock vide McCoy alzare improvvisamente lo sguardo verso di loro e capì che stava di nuovo percependo il legame mentale con la donna.
- Devi troncare il legame, immediatamente, o resterai contagiata- esclamò con più urgenza di quanta avrebbe voluto mostrare.
Ma lei scosse il capo, lottando ancora per riprendere il controllo.
McCoy intanto si era alzato e si era avvicinato a loro attraverso il vetro, come attratto da un richiamo irresistibile anche nel suo stato confusionale.
Spock posò una mano sul volto della donna.
"Dalla mia mente alla tua mente... I miei pensieri nei tuoi pensieri..."
Sapeva di correre il rischio di un contagio in quel momento, ma era necessario.
Invase la mente della risiana come una mareggiata, senza avere il tempo di procedere con più delicatezza.
Lei urlò, e McCoy le fece eco, prendendosi la testa fra le mani.
Spock procedette nella consapevolezza di lei, alzando barriere attorno all'aura informe di lei, una dopo l'altra, procedendo a rinforzare i suoi schermi che cominciavano a sgretolarsi come dighe di sabbia.
Era un processo relativamente rozzo e per questo piuttosto doloroso per lei, ma non poteva rallentare.
Percepì chiaramente l'agonia della separazione dal compagno e come un’ eco anche la stessa sensazione da parte di McCoy; sperò di non rimanere contagiato.
Appena fu sufficiente si ritrasse immediatamente dalla mente di lei, rialzando i propri schermi alla massima intensità.
La donna gli si era accasciata addosso, tremante per lo shock dell'invasione mentale subita.
La sostenne per qualche istante, poi la aiutò a recuperare l'equilibrio.
In quella sentirono un tonfo e si voltarono contemporaneamente verso l'oblò.
 McCoy giaceva accasciato a terra.
- Dottoressa Chapel in infermeria, emergenza - chiamò immediatamente Spock.
Mentre assistevano impotenti l'intercom trillò nuovamente.
- Plancia a comandante Spock - chiamò la voce di Sulu.
- Qui Spock- rispose prontamente il primo ufficiale.
- Signore, lo strato di idrogeno attorno al nucleo della stella sta raggiungendo la temperatura di ignizione della fusione nucleare. Sta per trasformarsi in gigante rossa -
- Allarme rosso - esclamò con voce piatta il vulcaniano - alzare gli scudi-

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Capitolo 18
*** Draghi a due teste ***


Dopo lunghissima attesa... chiedo perdono!!
 
Draghi a due teste
 
Sulla navetta aliena Kirk si teneva saldamente alla maniglia di sicurezza, dopo che il primo scossone l’aveva mandato a sbattere dolorosamente contro una paratia.
La navetta era sottoposta ad un fortissimo sforzo mentre cercava di contrastare il raggio trattore dell’astronave più grande – la sua nave – che pretendeva indietro il proprio capitano.
 - Smettila di opporti! Così ci farai andare in pezzi! – esclamò.
Fa silenzio, pelle-rosa –
- Sono dieci volte più potenti di questa navetta! Non hai nessuna possibilità, spegni i motori –
In quella udì la voce di Spock provenire dagli altoparlanti, dolorosamente familiare.
- Navetta aliena, spegnete i motori e lasciatevi rimorchiare a bordo. Non vi verrà fatto alcun male. Ripeto, spegnete i motori e rilasciate il prigioniero –
- Dovresti ascoltarli –
- I tuoi amici ti rivogliono proprio indietro! Devi essere un pesce grosso –
La navetta tremò nuovamente, mentre una luce abbagliante emanava dallo schermo.
- Reggiti! – urlò l’alieno sovrastando il ruggito dei motori, ma troppo tardi.
Nonostante si aggrappasse alla maniglia lo scossone lo mandò a sbattere violentemente contro una consolle, poi centrifugato come uno sciame di neutrini in un acceleratore Bolsom mentre gli smorzatori inerziali della navetta ruggivano per mantenere la coerenza strutturale del fragile guscio di metallo.
 
La sala macchine era un inferno, e non solo per la temperatura insopportabile.
Scotty non era famoso per il suo buon carattere, ma quando le sue dolcezze erano in difficoltà si trasformava in una belva inavvicinabile.
- Tu, tu! Idiota, che diavolo stai facendo? – stava urlando contro un disgraziato giovane guardiamarina – vuoi distruggere le mie ragazze? Levati! –
Con uno spintone spostò il ragazzo e ne prese il posto alla postazione diagnostica, mentre le sue mani volavano sul touch screen.
- Ma cosa diavolo ho fatto di male per trovarmi questi incompetenti attorno… -
Continuò a borbottare per i successivi 5 minuti, quando finalmente l’assordante allarme della postazione smise di suonare.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, e non solo per il relativo silenzio.
Scotty, da parte sua, odiava quel silenzio: per lui significava solo che i suoi adorati motori erano in agonia.
Odiava l’assenza del loro brusio, e la mancanza della costante vibrazione di sottofondo gli dava la nausea.
- Su su, da brave, ragazze, se tornate in funzione per me vi prometto una revisione completa nel miglior bacino della Terra! Non fate le difficili con il vostro Scotty… -
Il guardiamarina, al secondo mese di incarico, guardava il suo Capo Ingegnere come se avesse due teste. No, peggio, visto che il luogotenente Krritll con tre teste lo terrorizzava meno dello scozzese.
Un breve palpito di vita riportò l’attenzione di tutti sui motori.
- Vedi, ragazzo, devi amarle se vuoi ottenere la loro reazione… - ronfò felice il suo capo – ora, se per cortesia puoi tenere quell’indicatore sotto controllo… non farlo andare oltre i 2500 Tesla –
Sconvolto dal repentino cambiamento d’umore, il giovane fece come gli veniva detto.
In quella la postazione adiacente esplose in una cascata di scintille.
L’urlo proveniente dal capo ingegnere aveva ben poco di umano.
 
 
T’Mar alzò la testa dal microscopio atomico a cui stava lavorando.
Un pensiero inconscio la stava tormentando da qualche ora ma non riusciva  a metterlo a fuoco, e la fatica per mantenere i suoi schermi mentali alzati non aiutava.
Si strofinò le mani cercando di scaldarle, nonostante la temperatura fosse piuttosto alta in tutta la nave a causa della vicinanza alla coppia di stelle lei non riusciva a scaldarsi completamente.
Si alzò e si diresse in cambusa per un infuso caldo, ogni due ore si prendeva una pausa per riposare la mente ed impedire alla stanchezza di prendere il sopravvento.
La saletta era praticamente deserta, tutti erano inchiodati alle loro postazioni dall’emergenza in corso.
Solo un tavolino era occupato e fu sorpresa di riconoscere Uhura, completamente assorta da una lettura.
- Posso?- chiese avvicinandosi.
Uhura sollevò gli occhi dal DiPad che stava studiando e si accorse della cetaciana.
- Ma certo- sorrise invitante.
T’Mar prese posto e scrutò la collega per qualche istante.
La bella bantu non era giovanissima, ma l’età aveva solo accresciuto la sua notevole bellezza, come solo le donne intelligenti sanno invecchiare, donandole una maturità incredibilmente affascinante e consapevole.
Era certa che quegli occhi caldi e scuri avessero colto in un solo sguardo tutta la sua essenza e senza bisogno di parlare le offrirono il conforto di chi sa e capisce.
Sì sentì immediatamente meglio.
Avvolse le dita sottili attorno alla tazza di infuso bollente.
- Come procede?- chiese accennando al DiPad.
 - Frustrante. Sono ad un punto morto – rispose l’esperta di comunicazioni.
- Come mai?-
- Il messaggio non era indirizzato ad una specifica postazione ma ad una generica area vasta quanto il deserto Sahariano e ugualmente spopolata, se non di più. Contiene un codice di attivazione per almeno quattro ripetitori in quell’area, e solo il ripetitore giusto ritrasmette alla destinazione finale. Non abbiamo modo di sapere quale essa sia, le coordinate sono inserite nel ripetitore –
- Posso vedere? –
Uhura annuì, porgendole il DiPad e ripensando alle delicate orecchie a punta della cetaciana che aveva intravisto in plancia mentre assisteva il comandante Spock.
Orecchie vulcaniane, senza ombra di dubbio.
- Come ti dicevo, è una zona assolutamente deserta, alterata da violente variazioni metereologiche e tempeste elettromagnetiche –
- La Forgia – sussurrò la cetaciana assorta nella lettura.
Uhura sgranò gli occhi.
- Conosci quella zona? –
- Sì, è una zona sacra. Ci si trova un antico monastero dove è stato ritrovato il katra di Surak. Alcuni monaci vivono lì per curarne la memoria, dedicandosi allo studio delle discipline mentali tradizionali -
La bantu si sporse sul tavolino verso di lei.
- Come diavolo fai a saperlo?- chiese incredula.
Un leggero sorriso illuminò il volto azzurro pallido.
 - Mia nonna me ne ha parlato, è il suo campo di studio –
Uhura ripensò alla prontezza con cui aveva assistito Spock in plancia quando il comandante era collassato.
- Ha istruito anche te – indovinò.
La cetaciana annuì.
L’addetta alle comunicazioni riportò lo sguardo sul DiPad tra loro.
 - Certo che vivono davvero in mezzo al nulla –
- Sono solo poche persone e conducono un’esistenza estremamente ritirata. Durante le tempeste elettromagnetiche rimangono completamente isolate. Pensa che per comunicare fanno affidamento ad un’antica radio che raccoglie segnali multipli dall’esterno dell’area colpita dalle tempeste e li ricombina in… - la voce le si spense in un sussurro, le due donne si guardarono colpite dallo stesso pensiero.
Balzarono dalla sedia contemporaneamente e si precipitarono verso il turboelevatore dirette in plancia.
 
Sul ponte regnava una strana quiete, silenziosa ma frenetica.
Strano come l’equipaggio in servizio in plancia si adattasse alle caratteristiche dell’ufficiale in comando sul ponte.
Spock apprezzava il silenzio concentrato che i suoi ufficiali portavano avanti in sua presenza, gli permetteva di non distogliere ulteriori energie dai problemi.
Come quello attuale. Che giganteggiava sullo schermo, incombente.
La corona esterna stava gonfiandosi e i brillamenti solari lanciavano plasma in nastri sfilacciati lunghi migliaia di kilometri.
Sarebbe stato uno spettacolo affascinante, se non avesse minacciato di ingoiare l’intera astronave come un mostro della mitologia umana.
O Vulcaniana.
Curioso come mondi così diversi condividessero miti e paure primordiali come creature di fuoco.
Ovviamente, gli abitanti draghiformi di Berengaria non condividevano quella particolare paura…
La temperatura in plancia era insolitamente alta, persino per la sua costituzione vulcaniana, e stava mettendo a dura prova gli ufficiali umani.
Improvvisamente una vibrazione scosse la plancia.
 - Comandante, il campo gravitazionale ci ha aggiunti… stiamo scivolando verso la superficie della stella… O forse dovrei dire che la superficie della stella ci sta raggiungendo… - esclamò Sulu.
- Entrambi le affermazioni possono considerarsi corrette signor Sulu… Purtroppo per noi  il risultato finale è lo stesso – affermò laconico il vulcaniano – Signor Scott, aggiornamento – aggiunse premendo il tasto di comunicazione con l’ingegneria.
- E’ un dannato disastro signore – rispose l’ingegnere con una inquietante mancanza di ogni accento – ma stiamo provando qualcosa proprio ora… mi dia qualche minuto e la aggiorno –
- D’accordo signor Scott, ma consideri che le onde gravitazionali stanno cominciando a formarsi. Sono irregolari e gli smorzatori inerziali non sono in grado di adattarsi in tempo –
Come evocato  dal vulcaniano, un sinistro gemito di lamiere attraversò la nave silenziosa.
 
McCoy giaceva immobile in un sogno senza fine, nessun risveglio a liberarlo.
Era solo, nuovamente solo, infinitamente solo.
Era sempre stato un tipo introverso e aveva imparato presto a vivere con se stesso, ma quello era prima… Prima di conoscere la vera amicizia, la sintonia, i contatti mentali con le persone più care che aveva.
E prima di T’Mar. Della loro incredibile fusione di anime e corpi che con una sola ondata aveva spazzato via ogni solitudine e riempito ogni vuoto del suo animo.
Era una solitudine totale, profonda come lo spazio, incolmabile.
Il dolore era straziante. La sua mente provava a riempirla con sogni e allucinazioni, ma la realtà colpiva anche la dimensione onirica e i sogni finivano in incubi, orrori senza scampo.
La figura sorridente di T’Mar creata dalla sua mente si sciolse in sangue, subito assorbito dal terreno sabbioso di un deserto senza fine.
Si strinse la testa fra le mani e urlò.
 
Le porte del turboelevatore si aprirono e le due donne irruppero sul ponte.
- Signor Spock – ansimò T’Mar senza fiato, mentre Uhura si precipitava alla sua postazione – forse sappiamo dove era diretta la comunicazione di Tepam –
Spock ruotò la poltrona nella sua direzione, inarcando un sopracciglio.
- Sto tracciando il segnale signore – comunicò la Bantu – non posso avere la collocazione precisa, ma ho triangolato alcuni vecchi trasmettitori ricombinanti di segnale nell’area e c’è solo un insediamento in tutto l’arco della loro portata –
Spock si diresse alla sua postazione e osservò attentamente i dati trasmessi da Uhura.
Rialzò lentamente lo sguardo dal visore e tutti gli occhi puntati su di lui poterono cogliere il guizzo di emozione in quegli occhi altrimenti impassibili.
- Il monastero di Surak – esclamò sommessamente.
- Ma cosa c’entra con Tepam e questa storia? E’ assurdo – commentò Checkov
 - Questo lo ignoro signor Checkov, ma credo che dovremo indagare. Cerchi le ultime tracce della navetta che ha rapito il capitano e provi ad estrapolare una rotta. Signor Scott – disse attivando il comunicatore  - mi dia… -
- Attenzione, onda gravitazionale in arrivo! – esclamò Sulu.
- Deviare tutta l’energia di emergenza all’integrità strutturale! –
La nave tremò e per un attimo i loro corpi pesarono assurdamente troppo.
Alcuni membri dell’equipaggio che non erano seduti caddero in ginocchio e tutti emisero una sorta di sbuffo mentre l’improvviso aumento della gravità spingeva l’aria fuori dai polmoni.
Un gemito straziante di metallo contorto attraversò la plancia e da alcune postazioni scoppiarono scintille.
Dal comunicatore aperto emersero altri suoni poco rassicuranti provenienti dalla sala macchine e le colorite imprecazioni dell’ingegnere capo.
- Signor Scott, qualunque cosa stiate progettando di fare, vi consiglio di provarla immediatamente. Dubito che l’Enterprise possa sopportare un’altra distorsione gravitazionale. Abbiamo bisogno di energia –
- Sì signore, concordo – sbuffò lo scozzese – sto provando ora qualcosa che ho letto una volta su un manuale Rigelliano… -
Il sopracciglio del comandante si inarcò con sospetto ma non fece commenti, anche perché la nave in quel preciso momento si mosse lentamente in avanti.
 - Ottimo lavoro, ci permetta di almeno di spostarci da qui –
- Farò il possibile signore. Vero Bellezze? - Aggiunse con voce improvvisamente suadente come un amante tra le coltri, chiaramente non rivolto al Vulcaniano.
Il primo ufficiale scelse di ignorare la morbosa dedizione dell’ingegnere verso i suoi adorati motori e chiuse la comunicazione.
La nave cominciò a muoversi così lentamente che inizialmente fudifficile rendersene conto, poi divenne più evidente.
Il lento tragitto sembrò durare in eterno, mentre Sulu conduceva manualmente la nave lungo le linee isogravitazionali simulate dal computer, finchè il drago dalle due teste di fuoco che aveva campeggiato sullo schermo fino ad allora lasciò il posto al più rassicurante spazio nero e punteggiato di stelle a cui erano abituati.
Tirarono un sospiro di sollievo, mentre la temperatura si abbassava velocemente verso livelli più sopportabili.
- Signore, credo di avere una rotta per la navetta… ora che gli strumenti non sono accecati dalle radiazioni emesse delle due stelle ho rilevato alcune tracce dei loro motori… Hanno una leggera fuoriuscita di plasma, devono essere leggermente danneggiati. Ma signore… non crederà mai dove sono diretti… - Chekov  si volse vero il vulcaniano con aria attonita
- Credo di saperlo invece… - rispose il comandante con quieta impassibilità -  Vulcano -

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Capitolo 19
*** Sabbia rossa ***


Avete sentito la mia assenza ? spero di sì...
"Il vento sferzante li aggredì e il sole li abbagliò facendoli lacrimare dolorosamente.
“Sì, credo proprio di odiare questo pianeta” pensò Kirk, il sapore della sabbia in bocca che risvegliava dolorosi ricordi..."

Sabbia rossa

Kirk si era ritrovato ferito mortalmente in diverse occasioni nella sua movimentata carriera, quindi di certo non poteva lamentarsi del suo stato attuale, ma di fatto era stato centrifugato contro le paratie della navetta e si sentiva veramente ammaccato.
E impotente.
Quello era anche peggio.
Lui odiava quella sensazione, la frustrazione poteva spingerlo ad azioni sconsiderate molto più della rabbia o della disperazione.
Era bloccato senza via d’uscita dal campo di forza mentre l’andoriano alla guida della navetta sfuggiva all’Enterprise in un modo che avrebbe trovato ammirevole, in altre circostanze.
Spie e allarmi di tutti i generi avvisavano di una moltitudine di guasti ma l’andoriano li ignorava completamente, dando anzi l’impressione di divertirsi.
La navetta fece un’improvvisa giravolta e Kirk andò nuovamente a sbattere su una leva.
- Adesso basta, non sono una divisa in lavatrice! Fammi uscire così posso almeno agganciarmi da qualche parte! – sbuffò quando riprese fiato.
- Dillo ai tuoi amici là fuori, pelle-rosa, non vogliono mollare la presa – Un’altra manovra evasiva, ma stavolta scattò un allarme più insistente degli altri.
- Perdiamo propulsione – dichiarò il pilota. Ma questo Kirk l’aveva già capito dal cambiamento nel suono della curvatura.
Il suo sguardo venne attratto dallo schermo: qualcosa in quel che vedeva gli era dannatamente familiare.
Il pianeta al centro cominciò ad ingrandirsi, troppo in fretta per i suoi gusti.
- Ti libero, vieni ad agganciarti alla poltrona del copilota. Ti avverto: non è il momento di fare scherzi, umano: dobbiamo salvare la pelle… azzurra o rosa che sia – urlò l’alieno sovrastando le sirene.
Non appena il campo di forza si spense Kirk si lanciò sul sedile, attivando i braccioli e le bretelle di sicurezza.
Il pianeta sullo schermo si era ingrandito parecchio e Kirk sussultò, riconoscendolo.
Stavano precipitando.
Su Vulcano.
“che razza di ironica morte è mai questa” pensò, mentre la navetta si schiantava su una gigantesca duna di sabbia rossa.
  
40 Eridani, Vulcano.
L'aria rovente e rarefatta lo colpì come una cosa fisica, aggredendo i suoi sensi con la nota ferocia.
Sentì il proprio organismo reagire automaticamente, il respiro e la traspirazione rallentare, la seconda palpebra chiudersi a schermare la retina come uno schermo polarizzato naturale.
Poteva sentire l’odore della sabbia cotta dal sole, l’energia elettromagnetica sviluppata dall’attrito dei granelli di sabbia eternamente rotolati dal vento gli uni sugli altri.
I sottili capelli neri si agitarono lievemente alla brezza.
Vulcano.
Casa.
Sollevò il cappuccio della tunica tradizionale da viaggiatore vulcaniano che aveva scelto per la missione.
 
 
Vulcano.
L’ ondata di calore la colpì come un cosa fisica, tangibile, riverberando cocente dalla sabbia dorata.
Gli occhiali avvolgenti si polarizzarono automaticamente alla massima intensità, permettendo ai suoi occhi troppo chiari di vedere attraverso la luce abbacinante.
Nonostante la tuta e la sofisticata attrezzatura il suo corpo impiegò qualche tempo ad adattarsi.
Scrutò il suo compagno, apparentemente imperturbabile come suo solito, la semplice tunica agitata dal vento incessante.
Tuttavia qualcosa emanava da quella figura immobile, un lucore emotivo pallido come la luce delle stelle di notte...
Casa.
La figura di volse verso di lei, lo sguardo fermo come la roccia circostante.
- Andiamo - disse soltanto. Discesero la parete scoscesa e si misero in cammino lungo il canalone.
 
Quando 40 Eridani fu alto sulle loro teste decisero di fermarsi a riposare in una grotta.
Non avevano potuto contattare il monastero poichè una tempesta ionica,  fenomeno non inusuale in quella regione, bloccava le comunicazioni tra la superficie e l’orbita e Spock non aveva voluto rivolgersi alle autorità prima di aver indagato sulla fonte di quelle trasmissioni.
Avevano perso le tracce della navetta per lo stesso motivo: si era letteralmente tuffata nella tempesta ionica disperdendo la traccia residua che li aveva guidati fin là.
Spock non era stato sorpreso e non avendo modo di individuare la navetta aveva deciso in base a quella che poteva solo essere chiamata intuizione di indagare sull’unica struttura presente nella zona.
Era la sola cosa logica da fare, si era ripetuto quasi autoconvincendosi.
Avevano dovuto teletrasportarsi ai margini della zona colpita dalla tempesta, a circa un giorno di distanza a piedi dal monastero.
Nella grotta l'unica compagnia era il rumore del vento tra le rocce.
T'Mar era stanca, una stanchezza profonda che coinvolgeva corpo e mente.
Lasciò la mente libera di fluttuare in quel nimbo ovattato che erano ormai i suoi pensieri.
Leonard.
Tutto ruotava attorno a quella flebile percezione di lui che riempiva ogni anfratto della sua consapevolezza, riscaldandola.
La figura di fronte a lei sedeva immobile, lo sguardo fermo antico come la roccia e tuttavia la tensione evidente sugli zigomi marcati.
La tempesta aumentò di intensità; scariche elettrostatiche crepitavano attorno all'imboccatura della grotta facendo esplodere la roccia incrinata dal tempo.
Sospirò tra se’ ma il vulcaniano sollevò comunque lo sguardo su di lei.
- Tenente, dovrebbe riposare. Abbiamo ancora diverse ore di cammino per arrivare al monastero -
Aveva percepito chiaramente il piccolo sussulto mentale che la cetaciana dalla pelle cerulea aveva emanato.
La  donna appariva esausta e lui poteva capire esattamente quanto lo fosse.
Sembrava infinitamente fragile ma era una sensazione ingannevole, la sua forza era superiore a quella umana e le sue capacità mentali sfidavano le sue.
Tuttavia non poteva evitare di provare un senso di... protezione?  Nei suoi confronti. E di ammirazione, dovette ammetterlo.
Quasi sorrise al pensiero del suo amico Leonard e della sua felice scelta. Ovviamente persone così non vivevano vite tranquille in case piene di animali domestici...
- Qualcosa la diverte comandante? - Alzò un sopracciglio.
Ecco, questo era qualcosa che non gradiva di lei, la sua capacità di percepire i suoi più lievi guizzi emotivi che sfuggivano persino al suo capitano.
Si arrese con garbo.
- Soltanto una casuale immagine mentale di una improbabile vita di coppia di lei ed il dottor McCoy con molteplici felini in casa - Percepì il suo divertimento.
- Perché non una famiglia di tribli invece?- propose lei impassibile.
Non potè reprimere un moto di disappunto al ricordo di quelle bestiole pelose e disdicevolmente attraenti che avevano invaso l'Enterprise una volta.
- Non credo che il dottor McCoy gradirebbe... - si interruppe al sorrisino che spuntò sulle labbra della donna.
- Credo mi abbia appena preso in giro, tenente Layrys  - Lei ridacchiò.
 - I miei complimenti.  Era da tempo che qualcuno non "me la faceva" per apostrofare il capitano -
La donna rise apertamente e persino lui non poté negare un certo rilascio di tensione mentale.
Non sorrise, ovviamente. Ma era tentato.
- Ora riposi - la vide pronta a protestare - per favore-
Come si aspettava T'Mar capitolò di fronte alla cortesia.
Come Leonard. Proprio un scelta logica da parte del suo illogico amico umano.
Un ruggito non troppo lontano all'esterno della grotta sembrò concordare con lui.
 
Fu svegliata dal silenzio.
Era scivolata in un dormiveglia lieve nonostante la resistenza posta al sonno.
Sperò che le sue barriere mentali non si fossero abbassate troppo.
Si sollevò a sedere e prese un sorso d'acqua.
Spock non era presente.
Si guardò intorno e notò che la grotta continuava dopo una svolta nascosta. Dedusse che il vulcaniano si fosse inoltrato nel cunicolo in esplorazione, la curiosità del suo comandante era cosa nota nonostante lui la negasse come un’emozione umana...
Un rumore. Come un ticchettio sulla roccia. E come passi in corsa…
Si alzò con la borraccia in mano.
Il suono divenne quasi un rombo e il suo algido primo ufficiale piombò correndo nella stanza come una cascata.
- Corra!- esclamò senza perdere un passo. Lei reagì immediatamente correndo verso l’uscita della grotta, mentre un’ombra nera alle sue spalle sbucava dal cunicolo riempendo quasi completamente lo spazio interno.
Saltò fuori dal foro di ingresso e rotolò giù per il pendio roccioso fino alla valle sottostante, seguita più elegantemente dal vulcaniano che procedeva correndo alla massima velocità.
La sollevò per un braccio e ripresero a correre, mentre il le matya sbucava all’esterno nella notte illuminata da T’Khut e da milioni di stelle, così evidenti nell’aria rarefatta e secca del pianeta.
Ovviamente, non c’era tempo per ammirare le stelle, dal momento che uno dei predatori più feroci di un pianeta notoriamente spietato li stava inseguendo piuttosto infastidito.
Corsero lungo il fondo roccioso del canalone; la bestia sembrava leggermente confusa e li seguiva fermandosi ogni tanto, altrimenti non avrebbero avuto nessuna possibilità: evidentemente era ancora stata risvegliata durante il suo letargo.
- Di qua – chiamò Spock, risalendo il costone di fronte.
Si arrampicarono velocemente, poi il vulcaniano sparì inghiottito in una apertura.
T’Mar gli saltò sopra senza troppi complimenti proprio mentre il predatore allungava una zampata nella sua direzione: sentì lo spostamento dell’aria provocato dagli artigli tra i capelli, dove un istante prima c’era stata la sua testa.
Atterrò letteralmente sopra il suo comandante ed entrambi ruzzolarono sul fondo sabbioso dell’apertura pochi metri più in basso.
Senza fiato, videro la luce proveniente dal foro svanire mentre un paio d’occhi allungati e totalmente neri li fissavano dall’alto.
Il bestione fece un pigro tentativo di infilare la zampa nel foro, ma questo era troppo stretto per lui e dopo qualche minuto lo sentirono allontanarsi con un grugnito insoddisfatto.
Il vulcaniano si accorse di essere sdraiato sopra il tenente in un atteggiamento molto protettivo e la cosa lo disturbò: cominciava a trattare il suo secondo come trattava McCoy.
Mentre si spostava da quella posizione, la donna si rialzò, poi gli tese una mano per aiutarlo a sollevarsi, tirandolo su con una forza che gli ricordò quando poco fragile in realtà lei fosse.
- Come sta tenente? – si informò, notando del sangue di un pallido celeste filtrare attraverso il tessuto della manica della tuta.
- Abbastanza bene credo… un po’ ammaccata dal salto. Credo sia solo una graffio – solo allora lei si accorse di tenere ancora in mano la borraccia dell’acqua.
- Un caso veramente opportuno che lei l’abbia salvata, non credo potremo tornare nella grotta a recuperare il resto dell’attrezzatura – commentò il vulcaniano sollevando un sopracciglio.
Avrei voluto avere un phaser invece, ma suppongo di non potermi lamentare – ridacchiò la risiana.
Esplorarono la situazione, ma non c’era molto da vedere; la cavità era poco più larga di un pozzo e l’apertura era a circa tre metri di altezza.
- Dovrà salire sulle mie spalle, tenente, e raggiungere il bordo –
- No signore, lei dovrà salire sulle mie, non credo di poterla sollevare una volta uscita –
Lui la guardò scettico: era decisamente meno alta di lui e piuttosto sottile di corporatura.
- Crede di potercela fare? Non credo di raggiungere un’altezza sufficiente comunque – fece notare.
- Si fidi – Lei gli fece staffa con le mani, poi lui si arrampicò  fino ad essere in piedi sulle sue spalle.
- Non raggiungo comunque il bordo – commentò.
- Quanto le manca? – chiese lei con voce assolutamente normale.
- 0.5 metri circa –
- Venga giù, faremo diversamente. Le piace il Circo? – sogghignò la risiana.
- Mi scusi?- chiese lui perplesso, scendendo con un balzo.
- Prenda quei tre metri di rincorsa e salti sulle mie mani a staffa, la lancerò verso l’alto –
- Le sopracciglia di lui scomparvero sotto la frangia assurdamente ordinata.
Rettificò la sua opinione sulla donna: in quel momento era più simile ad un certo capitano che al dottor McCoy…
Lei si inginocchiò ma senza posare il ginocchio a terra, caricando i muscoli delle gambe come un corridore alla partenza, allacciò nuovamente le mani a staffa e disse:
- Prenda esattamente le misure dei suoi passi, al mio tre. Uno.. due… tre! – Il vulcaniano fece tre passi esattamente uguali, l’ultimo sulle mani allacciate.
Lei simultaneamente si sollevò lanciandolo verso l’alto con una forza davvero inaspettata.
Lui si ritrovò quasi a volare verso il foro, afferrandosi al bordo e tirandosi su.
Riprese fiato per un istante, poi si slacciò la lunga cintura della tunica e la usò per aiutare il tenente ad arrampicarsi fuori a sua volta.
- Si sente in grado di proseguire o ha necessità di riposare? – le chiese
- Credo dovremmo toglierci dai paraggi, il bestione potrebbe decidere di volere la colazione dopotutto… -
Lui annuì e si avviarono sotto lo sguardo impassibile di T’Khut.
 
 
Vulcano.
Avrebbe riconosciuto quel pianeta ovunque nell’universo, l’inconfondibile colore della sabbia che copriva l’oblò.
Ma non solo per quello.
Forse per le numerose volte che l’aveva visitato. Forse per la sensazione che gli proveniva dal legame con Spock.
Più probabilmente per il trauma della sfida mortale che vi aveva sostenuto tanti anni addietro nell’arena del Pon Farr, mentre il suo primo ufficiale trasformato in un letale assassino primordiale aveva cercato in tutti i modi di ucciderlo.
Il ricordo del sapore del sangue e di quella dannata sabbia rossa in bocca mentre il buon dottore lo dichiarava morto non sarebbe mai sbiadito.
Per non parlare della voce di Spock quando aveva realizzato l’enormità del suo gesto… Aveva contenuto un dolore che gli aveva trapassato l’anima.
lunga vita e prosperità Spock” salutò la sacerdotessa
“Non avrò né l’una ne’ l’altra, perché ho ucciso il mio capitano… e il mio amico”
“Credo di odiare Vulcano” pensò per un istante, finchè la mente gli si schiarì a sufficienza da rimuovere le costrizioni di sicurezza che ancora lo tenevano agganciato alla poltrona e scivolando sul pavimento notevolmente inclinato della navetta.
Si avvicinò all’andoriano, ancora allacciato al sedile e privo e di sensi; gli sottrasse il phaser e ne controllò le condizioni: a parte un’antenna piegata in un angolo innaturale, non riscontrò altri traumi visibili.
Recuperò una cassetta di pronto soccorso dal retro della navetta, si iniettò un antidolorofico per alleviare il dolore di tutte quelle contusioni e cercò qualcosa per l’alieno. Non aveva idea di come medicare un’antenna, così applicò una crema antibiotica generica e avvolse una delicata bendatura che raddrizzò la protesi azzurro pallido in una posizione apparentemente più naturale. Non si azzardò a stringere troppo, sapeva che per gli andoriani le antenne erano organi molto sensibili.
Quando la piccola protuberanza fu raddrizzata, l’andoriano riprese i sensi.
Allungò una mano a tastarsi la bendatura, poi  lo fissò intensamente e Kirk fu certo di avvertirne la presenza telepatica.
- Il dolore per il trauma all’antenna mi ha fatto perdere i sensi. Mi hai curato, Umano. Grazie –
- Faceva davvero impressione, non ho potuto semplicemente lasciarla così piegata. Ora, se non ti spiace, contatterò la mia nave per farmi recuperare e tu verrai con me. Hai molte cose da spiegarmi – replicò il capitano, puntandogli il phaser contro.
- Non credo che sarai in grado di contattarli – replicò l’alieno, muovendosi lentamente verso la consolle e premendo alcuni pulsanti: il pannello rimase muto e spento – la nave è completamente fuori uso e siamo nel mezzo di una tempesta ionica, non possiamo contattare né essere rilevati –
Kirk controllò a sua volta e dovette concordare con l’andoriano.
- Prima dello schianto ho rilevato la nostra posizione, è sul mio tricorder. Siamo a circa un giorno di cammino dalla mia originaria destinazione, un antico monastero in mezzo al deserto. Le persone che mi aspettano non ti sono ostili, credo che dovremmo raggiungerle. Io completerò la mia missione e me ne andrò per la mia strada e tu potrai provare a contattare la tua nave, scommetto che è in orbita alla tua ricerca come un cagnolino che rivuole il suo osso preferito –
- Prima rivoglio indietro i miei dati prelevati su Cetacea e delle risposte – In quella un allarme cominciò a risuonare fioco ma insistente.
- Frattura del nucleo a curvatura con fuoriuscita di radiazioni, dobbiamo lasciare immediatamente la nave – esclamò l’andoriano. Kirk balzò in piedi, agguantò un pacco di razioni di emergenza e aiutò l’alieno a trascinarsi verso il portello posteriore, che sembrava bloccato dalla sabbia; insieme dovettero spingere con tutte le loro forze mentre l’allarme diventava sempre più incalzante.
Alla fine il portello cedette con una pioggia di sabbia rossa che quasi li seppellì e gattonarono fuori tossendo e sputacchiando.
Il vento sferzante li aggredì e il sole li abbagliò facendoli lacrimare dolorosamente.
“Sì, credo proprio di odiare questo pianeta” pensò Kirk, il sapore della sabbia in bocca che risvegliava dolorosi ricordi.
Si alzarono e si allontanarono il più velocemente possibile dalla navetta.

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Capitolo 20
*** Deserto di cristallo ***


Rieccomi.
Sono un po' triste per la mancanza di recensioni, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, una storia così lunga davvero necessita di supporto, anche solo un pollice alzato di incoraggiamento!
Comunque ho qualche nuovo capitolo e sto ancora scrivendo, per cui spero di aggiornare presto.

Il suo katra gridò di esultanza e si lanciò nel buio.
Era un’esperienza terrificante, perché pur essendone pienamente consapevole era del tutto incapace di frenarla.
Come il capitano di un antico vascello, cavalcò onde smisurate in un’ euforia da battaglia, irridendo le intemperie, assaporando il rischio, corteggiando la morte, mentre si spingeva nel buio alla ricerca della consapevolezza dispersa della donna.
“E’ questo che prova Jim quando lo sento sorridere di fronte all’ebbrezza di una sfida? Questo il sentimento che lo spinge nelle situazioni più rischiose senza esitare? Affascinante“.​



Deserto di cristallo
 
Kirk incedeva tra le dune, affondando nella sabbia ad ogni passo.
Il caldo era peggiore di quanto ricordasse e l’aria rarefatta non sembrava essere mai sufficiente ai suoi polmoni.
L’alieno procedeva con lui, una razza che viveva nel gelo dei ghiacciai di Andoria pativa  enormemente in quell’inferno.
La tempesta si levò all’improvviso, la sabbia si sollevò attorno a loro ruggendo come una bestia adirata, riducendo la visuale a poco più di un metro e scorticando la pelle in maniera dolorosa.
Decisamente, odiava Vulcano.
L’andoriano lo afferrò per un braccio e lo condusse seguendo il tricorder per un tempo che sembrò interminabile fino ad un canalone di roccia; il ruggito del vento cessò quasi di colpo, rendendolo profondamente consapevole del silenzio circostante.
E del paesaggio.
I fianchi del canyon erano di pietra rossa rigata come graffi di un immenso essere unghiato e giganteschi cristalli bianchi appuntiti e lucenti sporgevano ovunque.
Rimase senza fiato dallo spettacolo e la sua mente non potè non paragonare quella bellezza a Spock. Quel pianeta aveva forgiato il suo compagno, così come aveva forgiato quei cristalli meravigliosi.
Forse, nonostante tutto, non odiava completamente Vulcano.
 
 
Era un inferno di cristallo.
Affascinante, splendido e letale.
Per sfuggire alla tempesta di sabbia che si era alzata improvvisa qualche ora prima stavano attraversando un canyon dalle alte pareti incrostate di cristalli di silice più alti di una persona; 40 Eridani al tramonto incendiava la roccia di rosso e accendeva i cristalli di bagliori accecanti.
T’Mar barcollava, il corpo esausto dalla sete e dal calore insopportabile, la mente logora nel tentativo di tenere sollevati i suoi schermi mentali per proteggersi dal suo stesso compagno.
Leonard
La sua mente continuava a ripetere quel nome in un ritornello insistente ed angosciante, totalmente fuori dal controllo di ogni logica.
Gli occhi azzurri di McCoy le danzavano davanti, pieni ora di tagliente ironia ora del più romantico degli amori.
Nessuno, neppure il suo primo compagno, l’aveva mai guardata così.
LEONARD urlò il suo incoscio.
Con gli occhi improvvisamente pieni di lacrime inciampò e cadde su un cristallo sporgente dal terreno, si tagliò ed il sangue blu cobalto colò come lacrime di cielo sul cristallo luccicante di inferno.
 
 
Il vulcaniano percorreva il canyon immerso in una rigido assetto della mente e del corpo per resistere al caldo e alla stanchezza.
Avevano finito l’acqua da tempo, era stata necessaria al tenente molto più che a lui, ma doveva comunque mantenere un ferreo controllo delle funzioni corporee.
Quando le condizioni ambientali erano peggiorate il suo corpo aveva reagito automaticamente: il respiro lento, il cuore che pompava molto più del solito per mantenere il livello di ossigeno sufficiente, tutti i sensi ad uno stato di allerta fuori dal normale.
Poteva percepire i singoli granelli di sabbia sul suo volto, l’odore della tempesta ionica, il rumore del vento tra i cristalli.
Solo poche altre volte il suo organismo aveva reagito in quel modo; una volta era stata all’età di sette anni, durante la prova del Kaswan che aveva dovuto superare nel deserto; un’altra durante il Pon Farr, nell’arena del duello.
Nessuna era legata ad un ricordo piacevole, e questa non era differente.
La risposta emotiva del suo corpo all’ambiente era così alta da preoccupare la sua parte più logica, ma un’altra parte di sé… una parte antica come le rocce circostanti… stava esultando, ferocemente consapevole di essere viva.
Era una sensazione affascinante.
In questo stato ipervigile Spock si accorse immediatamente che T’Mar era crollata in ginocchio e in un istante le fu accanto.
- Tenente, come si sente? Mi lasci vedere il suo braccio, quella ferita sembra profonda – disse, notando con preoccupazione il sangue che usciva in abbondanza.Lei alzò gli occhi verso di lui, uno sguardo doloroso e terribile.
In quel momento una presenza emotiva completamente fuori controllo gli invase la mente come una marea in piena.
I suoi schermi si alzarono automaticamente, come paratie di sicurezza, ma non prima di aver percepito un dolore immenso che lo lasciò scosso, e un sentore di pazzia.
Comprese che gli schermi mentali della donna avevano ceduto, lasciando penetrare la follia di McCoy.
La indusse ad alzarsi e passandosi un braccio attorno al collo la trascinò a ridosso del costone, all’ombra.
Lei si accasciò contro la parete di roccia, tenendosi la testa tra le mani e gemendo sommessamente, il sangue color cobalto che le inzuppava la divisa.
Spock sciolse la cintura della tunica e la lacerò, usandone una parte come lacciò emostatico; il sangue rallentò ma non smise del tutto di allargarsi sulla stoffa.
Il corpo della donna fu scosso da tremiti, che presto degenerarono in convulsioni.
Il vulcaniano sentiva un’ enorme pressione emozionale abbattersi sui suoi schermi mentali, come ondate su una paratia, e seppe che provare ad aiutarla sarebbe stata un’impresa probabilmente oltre le sue capacità, nonché estremamente rischiosa per lui stesso.
Tentennò.
Tuttavia… quella donna l’aveva aiutato, li aveva aiutati tutti sin dai primi istanti in cui si erano conosciuti, con una generosità davvero rara; ma soprattutto… senza di lei il suo amico Leonard sarebbe stato nuovamente, dolorosamente solo. Dopo averlo visto finalmente rifiorire con lei accanto, questo risultava ancora più inaccettabile.
Era consapevole del rischio, sapeva che Jim non glielo avrebbe perdonato anche se al posto suo avrebbe fatto la stessa cosa, ma doveva comunque provare ad aiutarla.
Allungò una mano sul volto della donna ed entrò in contatto con la sua mente.
 
Era totalmente buio, illuminato a sprazzi da bagliori come fulmini mentre cascate d’acqua si rovesciavano contro di lui da tutte le direzioni.
Credette di essere preparato a quello che lo aspettava, ma non era affatto preparato alla propria reazione alla tempesta in cui si ritrovò proiettato.
Aveva sottovalutato la potenza dei propri meccanismi ancestrali sotto le condizioni climatiche avverse di Vulcano; non erano solo i sensi e le percezioni che si  acuivano… era tutta la sua coscienza a reagire d’istinto alle sollecitazioni e al pericolo.
Il suo katra gridò di esultanza e si lanciò nel buio.
Era un’esperienza terrificante, perché pur essendone pienamente consapevole era del tutto incapace di frenarla.
Come il capitano di un antico vascello, cavalcò onde smisurate in un’ euforia da battaglia, irridendo le intemperie, assaporando il rischio, corteggiando la morte, mentre si spingeva nel buio alla ricerca della consapevolezza dispersa della donna.
“E’ questo che prova Jim quando lo sento sorridere di fronte all’ebbrezza di una sfida? Questo il sentimento che lo spinge nelle situazioni più rischiose senza esitare? Affascinante“.
Vide la tempesta peggiorare, le onde diventare più alte ed i lampi concentrarsi in una specie di ciclone di fronte a lui: vi si diresse senza cautela e senza esitazione alcuna.
 
 
L' andoriano appariva sul punto di crollare: aveva la pelle quasi completamente sbiancata dal caldo, l'antenna sana pendeva floscia come una fiore senz'acqua mentre l'altra svettava dritta e quasi commovente nella sua rozza bendatura a fiocchetto.
Non avevano potuto parlare molto, ogni tentativo da parte del capitano di carpire informazioni era andato a vuoto ed ormai risparmiava il fiato anche solo per mettere un passo dopo l'altro.
Al tramonto il canalone si era incendiato di riflessi rossi abbaglianti che ferivano la vista mentre la sabbia continuava ad infilarsi  ovunque.
L'alieno barcollò vistosamente e Kirk lo sorresse per una braccio.
- Dobbiamo riposare. Non puoi continuare così – esclamò.Non che lui non ne sentisse il bisogno, ogni fibra del suo corpo supplicava pietà da quell’inferno.
L' andoriano scosse la testa.
- Non manca molto al monastero, tre ore circa – ansimò con voce rauca.Così procedettero lungo il canyon, così meraviglioso e terrificante allo stesso tempo.
“Sto diventando troppo vecchio per queste cose” pensò Kirk per l’ennesima volta negli ultimi giorni.
 
 
Mentre la sua consapevolezza si avvicinava all’occhio del ciclone si rese conto che il vortice era in realtà creato da immagini deformi, che ruotavano  all’impazzata come anime in pena di un girone infernale umano.
Frammenti di ricordi, volti noti e altri sconosciuti, strani mostri come usciti da incubi di un bambino; vide un elefante rosa far capolino incuriosito dalla parete del vortice, per poi rituffarcisi dentro e correre in circolo, inseguito da una specie di Gorn azzurro..
Quelli che erano apparsi come lampi da lontano, in realtà si rivelarono parti di quelle immagini, frammenti di visioni che si scagliavano contro una figura rannicchiata al centro del vortice  in un’oasi di relativa calma.
“T’Mar” riconobbe l’alma della donna, come una bolla d’acqua dalle sembianze umanoidi.
Corse nella sua direzione, ma attraversare il vortice risultò davvero arduo.
Cercò di creare una sorta di scudo di quiete attorno a se’, ma nello stato primitivo del suo katra si ritrovò a correre  impudentemente attraverso il caos di immagini e ricordi che lo colpivano con violenza.
Sbucò nella radura mentre una visione che assomigliava vagamente ad un antico orologio terrestre liquefatto si scagliava contro la donna.
Si frappose tra loro facendole scudo, l’orologio lo colpì alla schiena e gli si avvolse attorno, stringendo e scottandolo finchè si sciolse al suolo.
Sulla forma liquida della donna sarebbe stato estremamente pericoloso.
Lei alzò gli occhi su di lui, la sua forma continuava a cambiare come se l’acqua scorresse sotto la superficie, i capelli che si scompigliavano e infrangevano come spuma del mare.
- Spock? -  chiese titubante.
- Sì sono io. Stai calma –
- sei … diverso. Guarda - Per qualche istante la superficie liquida della forma si quietò, come un lago di montagna perfettamente riflettente, e Spock si vide.
La sua alma non era più sfaccettata e brillante come un diamante.
Era  quasi liscia e di un colore giallo bruno molto intenso, come un topazio tagliato a cabochon, con bagliori rosso sangue che guizzavano al suo interno.
Ed era calda, non gradevolmente tiepida come prima, ma bollente da scottare la pelle di un umano, e dalla consistenza ancora più dura del diamante.
Rimase sconvolto da questa forma del suo katra. “Piacevolmente sconvolto” lo derise il suo io ancestrale che continuava a gioire di quella situazione.
Uno strano essere bidimensionale uscì dal vortice e si scagliò contro la donna.
Spock la protesse istintivamente e l’immagine si infranse contro di lui in una nuvola di polvere nera. Come carta bruciata all’istante.
- T’Mar, cosa sono queste immagini? –
- E’ McCoy – rispose lei dolorosamente – nella follia mi attacca tramite il legame. Non mi riconosce chiaramente. Non posso… non voglio difendermi –
- Devi, o danneggerà la tua aura fino ad ucciderti –
- L’unica maniera sarebbe di combatterlo: potrei sconfiggere il vortice ma danneggerei anche lui, probabilmente a morte. Non posso farlo – ripetè con la voce flebile di una risacca sulla spiaggia.
- Io posso proteggerti, ma sarebbe solo una soluzione temporanea –Uno sciame di insetti appuntiti si avventò contro di loro, schiantandosi sull’aura di Spock in una cascata di frammenti dorati.
L’aura brillò di rosso sangue, come un lago infernale.
- Perché hai questa forma? – chiese la donna preoccupata.
- Le condizioni climatiche e la stanchezza hanno attivato alcuni meccanismi ancestrali di risposta. Mi è capitato solo poche volte nella mia esistenza e mai avevo avviato una fusione in queste condizioni. Mi rendo conto solo ora che i meccanismi attivati non sono solo fisici ma per lo più mentali -
- Ed emotivi. Ti sento molto intensamente –
- Sì, sfortunatamente una parte arcaica del mio violento retaggio vulcaniano cerca di prendere il sopravvento. Non riesco a controllarla del tutto, ma per ora si sta dimostrando rozzamente efficace contro gli assalti – cercò di mantenere un topo piatto.
- Ti stai divertendo – esclamò lei, scioccata.Il vulcaniano sospirò.
- In un certo senso, diciamo che provo un’esagerata soddisfazione dal confronto con il pericolo e una disdicevole ricerca dello scontro diretto –
- Sembri il capitano – riuscì a ridacchiare lei.In quella una creatura vagamente simile ad un polpo viola si avventò contro di lui, cercando di raggiungere la donna e avvolgendo completamente l’aura di Spock.
Lui si voltò e il topazio cominciò a riscaldarsi, mentre i bagliori color sangue guizzavano come anguille di fuoco in un laghetto ghiacciato.
T’Mar potè sentire il calore crescente emanare da quell’aura, un’energia enorme e potente, ma così diversa da quella ordinata e adamantina che aveva incontrato in passato.
La creatura tentacolata si fuse come cioccolato alla fiamma, sfrigolando sul terreno.
Uno spettacolo incredibile.
Spock si volse verso di lei.
 - Dobbiamo raggiungere la consapevolezza di McCoy oltre le sue allucinazioni e fermarlo. Altrimenti dovrai spezzare il Legame –Lei lo guardò con quegli occhi liquidi color cobalto pieni di dolore, mostrando di aver già raggiunto quella consapevolezza.
- Preferirei morire e lo sai –
- Purtroppo rischi di essere accontentata. Lo rischiamo tutti, in effetti –
- Devi andartene, e al più presto. Io… credo di essere stata contagiata –Un orrendo vortice nero le apparse per qualche istante sullo stomaco, aprendo la sua struttura da parte a parte. Spock potè vedere la polvere del suolo retrostante prima che si chiudesse e sparisse.
Lei rantolò di dolore.
- No, non me ne andrò – disse lui.
- Spock, devi lasciarmi. Esci dalla fusione e alza i tuoi schermi –
- No – la voce era secca come il deserto del Ghol.
 - Rischi di contagiare anche Jim e lo sai –
- Lui  farebbe lo stesso –
- Questo non è logico, comandante –
- No. Non lo è – rispose il primo ufficiale dell’Enterprise con un ghigno satanico, mentre si voltava ad affrontare un drago piumato che lo avvolse in una nuvola di fuoco emessa dalle fauci.
- Andiamo –A lei non rimase altro da fare che seguirlo in quell’inferno.
 
 
Kirk era esausto ma da qualche tempo si sentiva stranamente irrequieto: qualcosa lo disturbava ad un livello inconscio molto profondo, troppo per essere identificata chiaramente.
Una sensazione di pericolo, ma anche di … euforia?
Non poteva essere Spock, non assomigliava affatto a nessuna delle sensazioni che gli erano mai provenute dal suo compagno così logico e controllato.
Ma allora? Cosa… chi poteva influenzarlo in quel modo?
Sempre più turbato continuò a concentrarsi nell’arduo compito di mettere un piede di fronte all’altro, quando la sensazione divenne improvvisamente più forte.
Gli si piegarono le gambe e si ritrovò carponi  nella polvere, boccheggiando.
Ma che diamine…
L’andoriano gli si inginocchiò accanto.
- Tutto bene,  Umano?  Che ti succede? – lo scrutò socchiudendo gli occhi.Kirk cercò di parlare ma la voce uscì strana. Se la schiarì  e tentò ancora.
 - Non lo so. Qualcosa mi è entrato nella mente e non so dire cosa possa essere –
- Lo sento anche io – rispose, confermando il fatto di avere capacità telepatiche di qualche tipo come Kirk aveva sospettato – è molto potente. Forse più di una entità. Hai una compagna, pelle-rosa? Gli umani non hanno capacità telepatiche autonome –
- Un Compagno, sì. Un vulcaniano – confessò il capitano, troppo scosso per nascondere informazioni ulteriormente.
- Oh, adesso capisco. Il comandante dell’Enterprise, immagino. Ecco perché quell’Orecchie A Punta non ti lasciava andare a nessun costo – ghignò.Kirk sarebbe arrossito in un altro momento, se avesse avuto la forza di farlo.
Per ora, era troppo impegnato a cercare di respirare normalmente.
- Ma non può essere lui. Ti sembra forse un’emanazione vulcaniana?? Sembra più un Klingon, da quello che sento! –
- In effetti, già il fatto che la senta anche io… vuol dire che è fortemente emotiva. Io sono un telepate empatico, e non molto potente, solo una nonna che mia ha lasciato una piccola eredità genetica –
- Eppure è  familiare… non saprei, sembra… affine al posto in cui ci troviamo… un Vulcaniano emotivo? – chiese perplesso.
 -Non credo di averne mai visto uno… sono delle macchine viventi – rispose l’andoriano con acida ironia.I due popoli continuavano a non andare troppo d’accordo.
 - Riesci a respirare? Dovremmo continuare –
- Sì – rispose Kirk rimettendosi in piedi – ma credo di sentire la direzione da cui proviene… è davanti a noi. Andiamo –
- Andiamo? Sei sicuro? – chiese Shrak perplesso.
- Non chiedermi perchè, ma so che dobbiamo andare – rispose l’umano, incamminandosi sempre più velocemente. L’ andoriano faticò a tenergli dietro.

**************************************************
Visto che ci siamo... SPOILER! E ditemi cosa ne pensate   *si butta inginocchio pregando

Il Vulcaniano non rispose.
- Ti ho detto di andartene – sibilò invece, furioso – stupido umano, così fragile e testardo… vattene –
A Kirk si gelò il sangue nelle vene.
- No Spock, non me ne andrò e lo sai – si avvicinò improvvisamente al vulcaniano, che rimase come paralizzato.
Jim alzò una mano verso quel volto scavato, tentando di toccarlo, di raggiungerlo in qualche modo, dato che non aveva accesso alla sua essenza bloccata dietro gli scudi mentali. Odiava non sentirlo nella sua mente.
- Non toccarmi – quasi urlò il vulcaniano, senza però muoversi...


 

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Capitolo 21
*** Profezia ***


Eccoci qua, the show must go on, quindi cercherò di finire quest'opera colossale in cui mi sono imbarcata anni fa... ad ogni costo.
Buona lettura.

"- Jim… - le parole accarezzarono la sua mente come il vento del deserto  - Jim… Perdonami, T’hy’la – sussurrarono.
- Per cosa? – chiese Kirk
- Per quello che ti ho fatto, per quello che stavo per farti… ma soprattutto per quello che devo fare per salvarti da me stesso. Perdonami, se puoi ... "


Profezia
 
Spock avanzava tra gli assalti di quelle visioni con la forza d’urto di un incrociatore pesante klingon, opponendosi con la sua enorme energia e la durezza del suo katra ancestrale.
T’mar gli rimase dietro finchè raggiunsero la sorgente di quel caos, una sorgente piuttosto piccola in realtà.
McCoy.
L’essenza del dottore, una volta una splendida struttura a forma di uovo color avorio, dalle delicate venature bianco puro, era ridotta a ben misera cosa.
Una massa ristretta, come sgonfiata, leggermente pulsante, da cui proveniva un abisso di dolore e solitudine insopportabile; ad ogni pulsazione scaturivano ondate di quel veleno di esseri e visioni informi, ululanti di follia, da cui la scorza di Spock riusciva a difendere entrambi.
T’Mar credette di morire di dolore alla vista di quell’essere miserabile. Il suo cuore si spezzò e il suo controllo cedette, la sua struttura per un attimo perse coesione, spargendosi al suolo come un fiume di lacrime.
Leonard…
Spock non aveva più controllo sulle sue emozioni.
La visione del suo amico in quelle condizioni gli causò un dolore immenso, a cui nessuna logica mise un freno; si senti come rivoltare da dentro verso l’esterno, come se qualcosa premesse per uscire…
Urlò, un urlo prolungato e disumano, che per un attimo fermò persino il vortice infernale, lasciandolo tremante di rabbia.
- T’Mar, cerca di contattarlo. Se riusciamo a farci riconoscere smetterà di attaccarci come una minaccia. Io ti farò da scudo – disse con una ferocia nella voce del tutto assurda per lui.La struttura sparsa della donna lentamente si ricompose con un minimo di consistenza e con esitazione si avvicinò a quella povera massa pulsante che era stato il suo più grande amore.
Ripensò a Leonard, un medico eccezionale che lottava per salvare ogni vita con una feroce compassione,  senza risparmiarsi, e fece un passo avanti.
Ripensò a loro due, al loro incontro su Risa, alla prima volta che avevano fatto sesso, una sensazione assolutamente meravigliosa e imprevista.
Un altro passo.
Ripensò all’ultima volta che si erano visti, quando avevano fatto l’amore e il Legame si era teso così naturalmente tra loro, sottraendoli per sempre alla solitudine.
Si protese verso la massa biancastra e lentamente la toccò.
Fu doloroso, come una potente scossa elettrica, ma la struttura smise immediatamente di pulsare.
Spock continuava a frapporsi per proteggere la donna, mentre quella bolgia infernale gli si riversava addosso come un branco di lupi affamati.
La sua attuale struttura si stava rivelando estremamente resistente, come roccia forgiata nelle profondità del pianeta e temprata dai fuochi dell’Ade, ma questo non significava che lui non ne risentisse.
Ogni attacco era più violento del precedente e tutti erano dolorosi, estremamente dolorosi.
In realtà il vero limite era la quantità di ulteriore dolore che poteva sopportare, perché era ormai stremato.
Le connessioni interne, che ormai brillavano di rosso sangue ininterrottamente, erano sovraccariche e stava percependo i primi cedimenti. Come a confermare i suoi sospetti, sentì una fitta terribile e scoprì un piccolo vortice nero sulla propria superficie cristallina liscia. Come una carie.
Non si lasciò sfuggire un gemito e continuò a sostenere il peso dell’assalto senza cedere di un passo.
Si accorse di avere un ghigno stampato in faccia.
Quanto T’Mar entrò in contatto con l’alma di McCoy le visioni rallentarono fino a fermarsi del tutto ed il ciclone lentamente si dissolse.
La struttura parve riempirsi un po’, pur rimanendo spenta, e improvvisamente avvertirono la presenza di McCoy.
- T’Mar? sei davvero tu o solo un’altra allucinazione? -  chiese ancora confusa.
- Leonard, amore mio… sono io – la massa liquida gli si avvolse attorno,  in un caldo abbraccio totale.
- Dove siamo?  - Si chiese il medico guardandosi attorno – Una fusione mentale… e questo chi è?? –Chiese attonito di fronte all’aura
 giallo bruno splendente di bagliori rosso sangue.
- Leonard – disse quella, con calore – sono davvero felice di ritrovarti –
- Spock???? Ma che diamine… che ti è successo?? – chiese sconvolto il dottore.
 - E’ complicato. La versione psichica dei meccanismi di adattamento climatici vulcaniani -
- Vuoi dire come quella volta nell’arena del Pon Farr – chiese preoccupato.
- Esatto dottore – sogghignò quella strana versione del suo solitamente imperturbabile amico.
- E’ per questo che sei così… uh … affettuoso? – chiese ancora sospettoso.
 - Riscontro notevoli difficoltà a controllare le mie emozioni, sono decisamente più potenti del normale. E nemmeno desidero controllarle, onestamente –McCoy lo guardò sconcertato, e lentamente un sogghigno come quelle del suo amico gli incurvò le labbra.
- Mi ci potrei anche abituare sai? Un vulcaniano carino con me… Sembra rilassante, per una volta… -
- Non lasciarti ingannare, l’emozione predominante in questo stato non è certo l’affetto… è la ferocia, e quella non ti piacerebbe  - esclamò con voce dura  quello Spock.McCoy ritornò serio.
- Ricordo molto bene anche quell’aspetto… purtroppo –Per qualche istante si crogiolò nell’amore di T’Mar e nell’affetto del suo amico vulcaniano, seppure in quella versione così strana; dopo tutto l’inferno che aveva passato, ne sentiva la necessità impellente.
Il suo katra riprese un po’ di forma e qualche venatura bianca riemerse.
Dio, come era piacevole, come gli era mancato tutto ciò…
Un gemito lo riscosse, mentre la presenza di T’Mar si ritraeva su se stessa.
Un vortice nero si era aperto sulla superficie azzurrina.
- T’Mar – esclamò lui – no, ti prego, dimmi di no… -Lei lo guardò, gli strani occhi liquidi della sua presenza pieni di dolore che era già una conferma.
- Sei stata contagiata. Io ti ho contagiato – McCoy era sconvolto – dannazione, io sono un medico! dovrei curare questi problemi, non contagiare le persone che amo! – imprecò con violenza.
- Smettila, Leonard. E’ un rischio che io ho voluto correre… e lo rifarei. Ne è valsa la pena – la voce di lei come bollicine che lui adorava.Avrebbe potuto urlare di frustrazione, ma un pensiero lo colpì.
- Spock… anche tu sei a rischio! Devi interrompere la fusione immediatamente! – esclamò, volgendosi verso l’amico che si era stranamente seduto.
- Credo sia troppo tardi, dottore… - un piccolo maelstrom si apriva sull’aura color topazio, facendo pulsare ferocemente le venature color sangue.
- Oh, Spock… perché? – chiese il medico, comprendendo immediatamente – perché l’hai fatto? Non dovevi correre questo rischio… Spiegami la logica di questo atteggiamento – la sua tristezza si spandeva attorno come onde in un laghetto.
- Come puoi vedere, in questo momento non sono controllato dalla logica. Ma anche se fosse… Leonard, tu sei mio amico, tu e Jim siete le persone più importanti della mia esistenza. Jim ha riempito un grande vuoto nella mia vita, mi ha amato così come sono, nessuno l’aveva mai davvero fatto per me. Ma lui è Jim, per lui è normale essere così, accettare le infinite diversità degli altri.Ma tu… tu mi hai davvero cambiato. Il tuo continuo confronto con me, senza mai arrenderti, mi ha obbligato ad affrontare le contraddizioni che mi stavano lacerando, e spinto a diventare migliore. Posso dire che senza di te, non sarei la persona che sono, e che può amare Jim –
Per una volta il medico rimase senza parole, ma erano in una fusione mentale e Spock potè percepire chiaramente i sentimenti dell’amico. Il suo affetto lo scaldò, dandogli la forza di fare quello che doveva fare a quel punto.
- Ora devo andare – disse semplicemente.
- Andare? Ma … dove? Cosa intendi? Spock?-
- T’Mar, rimanete insieme, credo che questo possa stabilizzare la follia e gli altri sintomi per entrambi. Cercherò aiuto per te presso il monastero – disse, recuperando abbastanza controllo sul dolore da rialzarsi – non posso trascinarti fin là, in queste condizioni –Lei annuì, avendo già capito cosa sarebbe successo.
- Spock aspetta…  in che senso devi andartene? – chiese McCoy.
- Devo uscire dalla fusione e rialzare i miei schermi mentali per proteggere voi e Jim, sia psichicamente che fisicamente. –
- Fisicamente? Ma…-
- Leonard, tu hai visto di persona che cosa succede ad un vulcaniano senza il controllo della logica –McCoy deglutì al ricordo di cosa era successo solo poche settimane prima su Risa, quando Spock aveva perso il controllo per un brevissimo tempo, causando danni enormi al suo amato T’hy’la
- Aggiungi la follia indotta sui vulcaniani dalla malattia ed il rischio di contagiare Jim. Capisci che sia dal punto di vista logico che da quello emotivo, io devo allontanarmi.  Sento che il capitano si sta avvicinando alla mia posizione e non deve raggiungermi –McCoy annuì piano, controvoglia.
- E’ vero, voi siete sulla superficie, me ne ero dimenticato… mi avete raggiunto fin qui… Non smetterai mai di stupirmi, folletto dalle orecchie a punta! – McCoy si sentiva così riluttante a lasciar andare il suo amico - Abbi cura di te, ti prego. Tiraci fuori da questo maledetto casino – cercò di recuperare il suo miglior tono burbero delle brutte occasioni.
- Lo farò, o morirò tentando. T’Mar, prenditi cura di lui, ti prego. Addio, Leonard. E’ stato un onore ed un privilegio averti come amico –Con queste parole così insolitamente intense Spock uscì dalla fusione, lasciandoli immersi in un improvviso senso di vuoto.
 
Spock riprese coscienza del proprio corpo con un senso di nausea.
Era notte, le stelle a lui familiari brillavano come diamanti su una coltre di velluto nel cielo terso del suo pianeta.
Sentiva i suoi percorsi sinaptici destabilizzarsi mentre il prione interferiva con campo magnetico delle onde Theta legate alla telepatia. Stranamente, la condizione primordiale in cui si trovava in qualche modo sembrava contrastare lo shock della perdita di controllo sulle emozioni, dal momento che era già in uno stato emozionale.
In pratica, le emozioni lo stavano salvando dalla follia.
Si mise a ridere dell’ironia della sorte, una risata selvaggia che risuonò nel canyon di cristallo.
Tuttavia, sapeva che era solo una questione di tempo: l’effetto era rallentato, non fermato. Doveva allontanarsi da quel posto prima di diventare un pericolo per i suoi amici.
E per Jim, il quale  - lo sentiva chiaramente –  gli stava letteralmente correndo incontro. Questo non doveva accadere mentre si trovava in quelle condizioni: non aveva sufficiente controllo su se stesso.
Adagiò T’Mar al suolo in una posizione confortevole, accertandosi che l’emorragia si fosse fermata, e si alzò in piedi.
Sentì la presenza del suo compagno arrivare da una direzione e si avviò in quella opposta, alzando quel che restava delle sue barriere mentali.
 
Jim si era ritrovato a correre, spinto da un improvviso senso di urgenza, lasciando indietro lo stremato andoriano.
Spock… era lui, ne era certo, ma qualcosa  stava andando terribilmente storto.
Emozioni, emozioni intense filtravano come un colabrodo dal suo compagno vulcaniano, che si supponeva non dovesse nemmeno averne, o almeno tenerle inscatolate sotto la rigida disciplina della logica.
Girò attorno ad un cristallo alto due metri che spuntava dal terreno e lo vide.
- Spock! -Il vulcaniano si fermò e si voltò verso di lui.
Aveva un aspetto orribile, notò Kirk, il volto scavato dalla sofferenza, e gli occhi…
Quegli occhi…
Kirk li aveva già visti, e anche di recente, anche se aveva sperato di non rivederli mai più.
Un vulcaniano antico, uscito dall’alba dei tempi, violento ed emotivo.
Si fermò, esitante, il ricordo di ciò che era successo su Risa fin troppo vivido e doloroso.
- Jim – disse il vulcaniano, una voce diversa, profonda e arrochita – vattene –
- Spock… cosa ti succede? – si avvicinò di qualche passo.
- Non avvicinarti. Ti ho detto di andartene –E quella voce… conteneva una durezza, una ferocia che non poteva appartenere al suo algido, imperturbabile vulcaniano.
Un brivido lo attraversò.
- Spock… spiegami – si avvicinò ancora – Adesso, Spock. Parla – ordinò con voce autoritaria e irrigidendo il volto.
- Stavamo cercando te, supponendo che tu e il tuo rapitore vi steste dirigendo verso il monastero; ma T’Mar… è stata contagiata. L’ho aiutata a fermare le visioni di McCoy che la stavano aggredendo – indicò un anfratto nella roccia e solo allora Kirk si accorse della figura della donna sdraiata a terra, apparentemente addormentata.
- Perché la stavi lasciando sola? Perché non devo avvicinarmi? Ma soprattutto perché, in nome del cielo, ti stai schermando da me??? –Il Vulcaniano non rispose.
- Ti ho detto di andartene – sibilò invece, furioso – stupido umano, così fragile e testardo… vattene –A Kirk si gelò il sangue nelle vene.
- No Spock, non me ne andrò e lo sai – si avvicinò improvvisamente al vulcaniano, che rimase come paralizzato.Alzò una mano verso quel volto scavato, tentando di toccarlo, di raggiungerlo in qualche modo, dato che non aveva accesso alla sua essenza bloccata dietro gli scudi mentali. Odiava non sentirlo nella sua mente.
- Non toccarmi – quasi urlò il vulcaniano, senza però muoversi.La mano esitò un attimo, poi si posò sulla guancia del suo compagno.
Per un istante tutto restò immobile, come congelato nella fredda luce di T’Khut… poi il mondo si capovolse e l’umano si trovò trascinato sulla sabbia, bloccato dal suo compagno in una morsa ferrea.
- Stupido – sibilò quello, prima di baciarlo con violenza.La mente di Kirk venne improvvisamente sommersa dalla presenza psichica di Spock… ma era uno Spock diverso.
La sua aura non assomigliava affatto al caldo diamante che aveva imparato a conoscere... era invece giallo ambrato, liscia e ribollente di venature color sangue che guizzavano sotto la superficie. Ed era calda, troppo calda per un umano. Era così diversa da sembrare appartenente ad un’altra persona, e lui non era affatto sicuro di volere quello sconosciuto nella sua mente.
Questo Spock era emotivo, appassionato, duro… e feroce. Come una belva.
Invase la sua mente senza alcuna riserva, insinuandosi in ogni anfratto più recondito.
Era sconvolgente. Era doloroso. La sua mente bruciava al suo passaggio.
L’umano rispose al bacio ma cercò di opposi a quella invasione così massiccia.
Invano. Sapeva di non avere speranze.
“Spock, ti prego…” cercò di farlo ragionare “non così… fermati… che ti succede?”
“Tu sei mio, mio! – urlò nella sua mente il vulcaniano mentre gli passava la mano sul torace sotto la maglia.
Oh Dio, no… non di nuovo…
Chiuse gli occhi, rassegnandosi, cercando di spegnere la mente a quello che stava accadendo. In fondo, si rese conto, aveva sempre temuto che succedesse… Il fatto che amasse il suo compagno non lo rendeva meno terribile. Anzi.
L’invasione mentale era molto peggiore di quella fisica; dopotutto, il corpo era solo un corpo, di carne ed ossa… ma nella mente, nella sua mente era racchiusa la sua essenza, tutto ciò che faceva di lui James T. Kirk, e che proprio Spock la violasse in quel modo andava oltre la sua capacità di sopportazione.
Si costrinse a non reagire, sapendo che avrebbe solo peggiorato le cose, ma una lacrima capitolò fuori dalle palpebre chiuse, atterrando nella sabbia rossa che tanto odiava.
“T’hy’la… Amico mio, fratello, amante… non farmi… non farci questo…”  la supplica affiorò incontrollata nella sua mente, mentre gli sovveniva la poesia che Spock aveva declamato per lui su Risa.
Sentì la pressione sulla sua mente e sulla sua bocca ridursi, quelle labbra ammorbidirsi sulle sue in un bacio appassionato, ma non più brutale.
- Jim… - le parole accarezzarono la sua mente come il vento del deserto  - Jim… Perdonami, T’hy’la – sussurrarono.
- Per cosa? – chiese Kirk
- Per quello che ti ho fatto, per quello che stavo per farti… ma soprattutto per quello che devo fare per salvarti da me stesso. Perdonami, se puoi –
E si ritrasse. Si ritrasse dalla sua mente. Portando con se’ il loro Legame, spezzando ogni connessione che si era creata tra loro negli anni, il filo d’acciaio e oro che si era teso indistruttibile ad ogni altra avversità.
Kirk spalancò gli occhi. Non si aspettava quello… Tutto, ma non quello… Dio no, ti prego…
Non era un processo istantaneo, ma metodico, come estirpare ogni singola radice di un albero, radici ormai insinuate ovunque nella sua mente.
- No no NOOO – continuava a ripetere Kirk, ad implorare, ma non sapeva come fermarlo.Sentì qualcosa di caldo gocciolargli dalle orecchie, probabilmente sangue.
Kirk urlò, con la voce  e con la mente, urlò e urlò ancora, scosso da un’agonia insopportabile mentre il suo Compagno cancellava ogni traccia della loro identità unita, dividendo la sua anima in due e portandosene via una metà, la metà migliore.
Non sarebbe sopravvissuto, questa volta ne era certo. Non voleva sopravvivere.

“Quanto sangue
Quanto sangue sulle piane infuocate del Gol.
T’hy’la, dove sei? Amico, fratello, amante mio, dove sei?
Sento il Legame spezzato
Lasciarmi solo e nudo nel deserto di cristallo.
Ecco il tuo amato corpo,
coperto di sangue e di mosche
Ecco i tuoi amati occhi,
sbarrati nella morte…”
 
Brandelli del poema gli risuonavano nella mente, incoerenti e disconnessi.
“era una profezia” pensò “una profezia che continua ad avverarsi, scritta per noi fin dalla notte dei tempi…”
Fu l’ultimo pensiero prima che il buio lo inghiottisse misericordioso e l’oblio lo salvasse da quell’inferno, gli occhi sbarrati che ancora fissavano quelle gelide stelle indifferenti.
 
Shrak aveva sentito le urla dell’umano echeggiare nel canyon e nella sua mente, agghiaccianti.
Si era affrettato per quando il suo corpo esausto e disidratato agli aveva permesso e superato un grosso cristallo uno spettacolo tragico gli si era parato agli occhi.
A quanto pareva, era arrivato troppo tardi.
Vide per prima la donna, sdraiata in un anfratto con una fasciatura zuppa di sangue color cobalto. Era viva, constatò, ma debolissima e priva di sensi.
E poi vide le due figure al centro dello spiazzo.
L’umano giaceva al suolo a faccia in su, gli occhi vitrei fissi verso il cielo, sangue porpora che gocciolava lentamente dalle orecchie nella polvere mentre il vulcaniano era accasciato sopra di lui in una specie di abbraccio, come a proteggerlo. Invano, evidentemente.
Shrak tastò il collo dell’umano, avvertendo una flebile pulsazione ma niente altro: la presenza psichica dell’umano era totalmente azzerata; gli chiuse delicatamente gli occhi per proteggerli dal vento infuocato della Forgia.
Controllò il vulcaniano; anche lui era ancora vivo ma non appena lo sfiorò un caos di emozioni gli aggredì la mente come un branco di lupi affamati.
Si ritrasse immediatamente, avvertendo la minaccia del virus e di qualcos’altro, qualcosa che non aveva mai visto.
Un vulcaniano preda delle sue emozioni?
Era certo che fosse stato lui a ridurre il suo compagno umano in quelle condizioni, ma cosa poteva averlo spinto fino a quel limite? Fu lieto che fosse svenuto.
L’antenna bendata faceva un male cane, compromettendo il suo equilibrio motorio, ma curandolo l’umano lo aveva salvato dalla navetta, dove altrimenti sarebbe rimasto svenuto fino a morire per la fuoriuscita di radiazioni. Questo dopo che lui l’aveva sequestrato.
Il pelle-rosa non era stato tenuto a farlo, ma l’aveva fatto, mostrando di avere un alto senso dell’ onore.
Shrak poteva essere una canaglia quando il suo lavoro lo richiedeva, ma era un andoriano: onore e debiti avevano un valore altissimo per lui e non sarebbe vissuto in pace finchè non avesse ripagato questo umano.
Si avviò arrancando verso il monastero alla ricerca di aiuto, sperando di non arrivare troppo tardi.

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Capitolo 22
*** Solitudine ***


Piccolo capitolo, grandi sorprese? Boh, speriamo, non ho idea di cosa ne pensiate da secoli...

"La vulcaniana si volse verso la figura ammantata nella tunica nera e argento e la osservò: era ancora un bell’uomo, era sempre stato una figura carismatica e conservava intatto il suo fascino..."

Solitudine

Spock di Vulcano era perso nel suo inferno personale.
La sofferenza, la pazzia, il flusso costante di emozioni che lo aggredivano era tremendo, ma nulla al confronto di quella singola sensazione che lo annientava.
Era solo.
Una solitudine devastante, un’agonia senza fine che aveva scelto volontariamente per proteggere il suo compagno da se stesso.
Sapeva che nella condizione in cui era, senza logica a controllarlo e sotto l’effetto del virus non solo avrebbe contagiato Jim, ma probabilmente lo avrebbe ucciso; era così che i Compagni si univano nella notte dei tempi, con feroce passione fisica e mentale e l’umano era troppo fragile da ogni punto di vista per quello che il suo istinto atavico di vulcaniano lo spingeva a fare.
Era perso in un oblio di solitudine senza fine, un inferno dove Jim non c’era e nulla aveva più un senso.
 
Qualcuno lo stava come trascinando.
Sentiva di scorrere sul terreno con un fruscio costante, la sabbia trasportata dalla tempesta gli graffiava la faccia.
Provò ad aprire gli occhi per un istante.
Tunica. Una tunica chiara gli svolazzava davanti agli occhi, ma non riuscì a vedere nient’altro. Forse era solo un’altra allucinazione.
Richiuse gli occhi, sprofondando nuovamente nell’incoscienza.
 
Quando la donna aveva sentito suonare il gong che annunciava un visitatore all’ingresso del tempio aveva immediatamente capito che sarebbe stata un’emergenza: nessuno affrontava la Forgia durante una tempesta come quella se non in casi estremi.
Si era affrettata all’ingresso, dove due monache stavano sostenendo un andoriano sbiancato dal sole e disidratato quasi a morte che mormorava qualcosa con estrema urgenza.
- Shrak – lo chiamò – Hai avuto successo? -L’andoriano aveva alzato gli occhi dalla tazza di pietra da cui stava bevendo avidamente dell’acqua e aveva fissato quella figura ossuta e anziana, ma dagli occhi imperiosi come sempre.
Le aveva allungato il tricorder e la memoria dati che aveva sottratto all’umano.
- Ecco quello che avevi richiesto. Mi dispiace per Tepam – Lei annuì, sfilando dalla tasca della tunica un oggetto che si era fermata a prendere dal suo alloggio, immaginando chi sarebbe stato il loro visitatore.
- La tua ricompensa – disse, porgendo la scatola all’andoriano.Lui la prese e la rigirò per un attimo nelle mani, prima di riporla in una tasca interna.
- Salverete gli altri nel canyon? – chiese rialzando lo sguardo sulla donna.La vulcaniana annuì.
- Stanno già andando a recuperarli –
- Grazie… Comandante – Un guizzo di qualcosa… divertimento?  Attraversò quegli occhi antichi come la pietra circostante.
- Nessuno mi chiama più così da almeno un secolo – rispose lei.Shrak fu quasi certo di vedere l’ombra di un sorriso sul quel volto imperscrutabile.
 
Ammantata nella tunica tradizionale color porpora aspettava sul muro più alto del monastero il ritorno dei sei monaci che si erano inoltrati nel canyon dei cristalli qualche ora prima
Il vento continuava a soffiare ma lei vi era abituata, erano quasi trent’anni ormai che viveva nel monastero per custodire il katra di Surak che il suo capitano e sua madre vi avevano ritrovato quasi un secolo addietro ed il vento, la sabbia ed il calore erano diventati parte integrante delle sua esistenza.
Dalla coltre di sabbia vide apparire le figure dei monaci che a coppie trascinavano le slitte di stuoia con sopra dei corpi.
Discese la scala intagliata nella parete di roccia e si diresse all’ingresso, dove la  sacerdotessa era già pronta a riceverli.
Durante l’attesa aveva letto tutte le informazioni che Shrak le aveva fornito e discusso i dettagli con la Curatrice, che aveva sbuffato disgustata.
- Ecco a cosa ci porta tutta quella logica… non sappiamo più far fronte alle emozioni! Basta un’influenza e moriamo per lo shock emotivo… -Aveva alzato un sopracciglio a quella interpretazione dei fatti.
- Paragonare questo virus ad un’influenza è assolutamente riduttivo e privo…- aveva cercato di obiettare, ormai abituata ai modi dell’amica.
- Hai visto lo schema? – l’aveva interrotta la Curatrice – è assolutamente banale… nei vulcaniani quell’interferenza con le onde theta può essere bloccata con una semplice manovra di Tamir. Si mette il soggetto in uno stato precognitivo di livello due, poi con un’emissione in controfase si stabilizza la struttura katrica… ma ovviamente nessuno studia più questo tipo di cose, perchè dovrebbero? I vulcaniani non hanno emozioni...-La curatrice aveva continuato a snocciolare la procedura che avrebbe adottato, ma lei non era stata in grado di seguirla nei dettagli più tecnici.
Fortunatamente in quel monastero erano tutti esperti telepati e grazie alle indicazioni della Curatrice sarebbero stati in grado di non restare contagiati.
Furono interrotte dall’arrivo dei monaci e del loro prezioso carico di vite da salvare.
Shrak aveva detto che provenivano da una nave della federazione che l’aveva inseguito fin là da Cetacea.
L’ Enterprise.
Era stato uno shock sentire nuovamente quel nome.
Aveva immediatamente capito chi fosse il vulcaniano e l’umano, ma la donna risiana non le era familiare... finchè un monaco non l’aveva sollevata tra le braccia per trasportarla all’interno e i capelli candidi avevano lasciato intravvedere un’orecchia decisamente vulcaniana.
Aveva inarcato un sopracciglio per la sorpresa, mentre un’intuizione si faceva largo nella sua mente.
 
La curatrice si era immediatamente dedicata ai malati per lunghe ore, cominciando da Spock, che aveva intuito essere colui che aveva subito più danni di tutti.
Non appena la tempesta ionica si era placata erano stati contattati dall’Enterprise, rimasta in fervida attesa di notizie dei suoi uomini per tutto quel tempo.
Aveva ricevuto la chiamata nella sua stanza, dove si era fatta installare un video comunicatore anni prima, quando era arrivata al monastero.
Quando sullo schermo era apparsa l’immagine della plancia dell’Enterprise e il comandante Sulu si era rivolto a lei con aria reverenziale chiamandola “subcomandante T’Pol” era stato come fare un tuffo nel passato.
Per un istante aveva rivisto la plancia della sua Enterprise, i suoi compagni alle loro postazioni... Sato, Mayweather, Malcom... E Trip, ovviamente, col suo sorriso impertinente, così biondo e … vivo.
Ovviamente non c’erano il capitano Archer e lei stessa, scesi sul pianeta nello stesso punto dove si trovava lei adesso, esattamente come il capitano Kirk e il primo ufficiale Spock...
 “I vecchi sono nostalgici”  giustificò con se stessa la propria perdita di controllo.
Le costò uno sforzo enorme ritornare al presente e cominciare la lunga conversazione chiarificatrice al momento necessaria.
Una volta chiusa la comunicazione aveva dovuto chiamare altre persone, in particolare due di queste erano state particolarmente difficile da reperire.
Da un giorno all’altro il monastero si era ritrovato immerso in un traffico di gente come probabilmente non avveniva dall’epoca del ritrovamento del katra di Surak.
I monaci non erano abituati a tutto quel movimento di umani e apparivano frastornati, ma T’Pol fu certa che dal momento che studiavano le discipline tradizionali, una certa dose di emotività umana sarebbe stata educativa.
 
Non appena la dottoressa Chapel aveva saputo che sul pianeta erano in grado di fermare il virus aveva sedato, impacchettato e teletrasportato il dottor McCoy sul pianeta.
Dopodichè aveva visionato le informazioni che le aveva spedito T’Pol ed aveva avuto una lunga conversazione con la guaritrice, assimilando quali procedure si dovessero seguire per bloccare l’effetto del prione.
Ovviamente, non si poteva immaginare di ripetere il procedimento applicato dalla guaritrice all’intero pianeta di Cetacea – un miscuglio di erbe, preghiere e complicate manovre mentali all’interno di una fusione mentale profonda – ma si poteva replicare utilizzando procedure più scientifiche.
Nel giro di pochi giorni, grazie alla incredibile competenza della dottoressa Almira Phlox, avevano messo a punto una procedura sperimentale: il paziente veniva messo in coma farmacologico del per fermare il propagarsi del prione attraverso ulteriori stimoli emotivi, che purtroppo erano presenti anche durante il sonno, ragione per cui la drastica soluzione del coma; una volta reso “dormiente” il prione, il paziente veniva bombardato con radiazioni a bassa intensità appositamente calibrate per annullare il microcampo magnetico del prione stesso.
La cura stava risultando efficace sul pianeta Cetacea, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti quanti.
 
Il dottor McCoy era stato curato da quella che chiamava “lo stregone del villaggio”.
Come un vero stregone, la vulcaniana aveva iniziato bruciando delle erbe nella cella dove si trovavano, procurando un fumo denso e irritante, poi lo aveva costretto con quello sguardo davvero temibile a bere da una tazza di pietra un intruglio scuro e amarissimo, che gli aveva fatto sentire la testa leggera e stampato un imbarazzante sorriso ebete sulla faccia.
Una volta reso più remissivo – domato, era la parola che aveva usato l’anziana sbuffando – lo stregone aveva effettuato qualcosa alla sua mente, che ovviamente lui non aveva capito affatto ma che lo aveva fatto sentire esausto come avesse corso per giorni senza sosta.
Non riusciva ancora a credere di averglielo lasciato fare… e ancor più che avesse funzionato perfettamente.
Si era risvegliato due giorni più tardi, con una leggera emicrania ma finalmente lucido pronto a preoccuparsi per i suoi amici.

Il visitatore entrò nella cappella scavata nella roccia dove T’Pol stava sistemando alcune antiche lampade.
La vulcaniana si volse verso la figura ammantata nella tunica nera e argento e la osservò: era ancora un bell’uomo, era sempre stato una figura carismatica e conservava intatto il suo fascino.
- Lunga vita e prosperità T’Pol – salutò lui con le dita allargate.
- Lunga vita e prosperità, ambasciatore Sarek. Sei arrivato… finalmente –Il tono era apparentemente neutro ma lui colse il rimprovero nella voce.
- Ero impegnato in un difficile trattato di vitale importanza – rispose, leggermente sulla difensiva.Quella donna era ancora capace di intimidirlo. Illogico, si disse.
- Vitale importanza… capisco –T’Pol si volse nuovamente verso la lampada a olio, sistemandone lo stoppino con precisione.
- Ho saputo di Amanda. Ti rinnovo personalmente le mie condoglianze -La moglie di Sarek era deceduta circa un anno addietro.
- Grazie. Ho ricevuto la tua premurosa lettera –
- Una persona speciale. Una dolorosa perdita – continuò lei, continuando a dedicarsi alla lampada.
- Non posso che concordare – rispose lui quietamente.
- Una Umana… una scelta difficile la tua, Sarek… Gli umani sono fragili – Lui annuì in silenzio, perplesso.
- Fragili e illogici – continuò T’Pol, spostandosi verso un’altra lanterna –eppure hanno qualcosa che affascina noi vulcaniani… ci affascina e ci irrita al contempo. Invidia da parte nostra, immagino… invidia che logicamente non dovremmo provare – la lanterna sfrigolò – immagino che la Famiglia ti abbia sorretto quando il Legame si è spezzato -
- Si sono uniti in una fusione per aiutarmi a superare la perdita – convenne l’ambasciatore, cominciando a capire dove T’Pol lo stava conducendo con quel discorso.
- Nonostante fosse un’ Umana… – mormorò lei pensierosa.Si voltò versò di lui, gli occhi penetranti che scrutavano direttamente la sua anima. Indossava un antico IDIC, notò. Non era una caso, dedusse.
Infinite Diversità in Infinite Combinazioni.
- Tuo figlio Spock. Ha perso il suo Compagno. Un compagno umano, come sua madre. Il Legame è spezzato –
- Ha scelto lui di farlo – rispose con una certa durezza sfuggita al controllo.
- Per proteggerlo – precisò lei.
- Per proteggerlo dalle sue emozioni – per essere un vulcaniano, stava quasi urlando.Lei lo fissò in silenzio, lasciandolo letteralmente a cuocere nel senso di colpa che solo lei riusciva ancora ad instillargli dentro. Come al suo primo incarico presso l’ambasciata vulcaniana sulla Terra, dove lei era stata per anni il suo mentore.
 - Emozioni su cui non poteva avere alcun controllo. Io direi nonostante le emozioni che lo divoravano, è riuscito a salvare la vita dei suoi amici, pagando un prezzo altissimo, una sofferenza che tu ora conosci. Il suo senso di abnegazione è stato esemplare. Come sempre –La voce era tagliente come la lama di un rasoio rituale.
Sarek resistette all’impulso di spostare il peso da un piede all’altro ma non potè impedire alle sue orecchie di tingersi di verde.
Erano almeno quarant’anni che non gli succedeva.
Lei continuava a trapassarlo con quel suo sguardo impietoso e alla fine lui dovette abbassare gli occhi.
- Tuo figlio è un eroe, Sarek, e te lo ha dimostrato persino salvandoti la vita in passato. La tua vergogna per la tua inadeguatezza come padre è rivolta verso la persona sbagliata –Lui pensava di essere abituato all’implacabile senso di giustizia di quella donna, ma a quanto pareva non era così.
L’insulto gli tolse il fiato, non tanto per la sorpresa ma perché era assolutamente vero.
Chiuse gli occhi per un istante, cercando di dominare la vergogna che lo pervadeva.
Quando li riaprì, T’Pol si era voltata nuovamente verso le sue lampade.
- Ora va da lui e compi il tuo dovere di padre. Tuo figlio ha bisogno di te –
Sarek si voltò e uscì senza una parola.
 
La curatrice lo introdusse presso la stanza di suo figlio.
Spock giaceva sul pagliericcio, gli occhi chiusi, le mani intrecciate sul ventre, così immobile da sembrare morto.
Per 0.5 secondi la paura lo bloccò, poi riprese il controllo.
Non abbastanza in fretta perchè la curatrice non se ne accorgesse.
- No, non è morto. Abbiamo curato il virus e richiamato la mente logica, spegnendo lo stato ancestrale a cui aveva dovuto ricorrere.Resta un mistero come sia sopravvissuto a tutto quello che ha passato, nelle sue condizioni. Ma la sua coscienza si è ritirata in profondità e non riusciamo a raggiungerla. Non vuole essere raggiunta. La perdita del Legame ha indotto uno stato di shock profondo. Non era un legame comune... era molto più simile ad una Fusione della Mente e delle Anime dell’epoca pre-Surak. Come potesse l’ umano reggere una pressione mentale del genere… Era anche reduce da una recente rottura della Struttura. Lo erano entrambi –
Sarek trattenne il fiato, prendendo piena consapevolezza dei rischi e dei danni a cui andava incontro suo figlio.
Regolarmente, a quanto pareva.
Fissò quel volto immobile e scavato.
- Grazie per le sue cure – disse all’anziana.Lei annuì, ritirandosi e lasciandolo solo.
Con un sospiro, Sarek chiuse gli occhi e posò le mani sui punti di contatto mentale, per la prima volta da quando Spock era un adulto, si rese conto con uno shock.
Dalla mia mente alla tua mente, i tuoi pensieri nei miei pensieri...
Si ritrovò in un’immensità vuota ed echeggiante, nel buio più totale; solo un vento gelido soffiava gemendo.
- Spock – provò a chiamare, invano.Si inoltrò in una direzione qualunque, emanando la sua presenza attorno come un richiamo per qualunque entità potesse essersi perduta in quel nulla.
“Non riuscirò mai a trovarlo in questo modo” pensò dopo qualche tempo di inutili vagabondaggi “mi serve una guida, qualcosa che io e lui condividiamo”.
Ma non aveva molto in comune con quest’ adulto che era diventato suo figlio, si accorse con dolore e vergogna.
Provò a rievocare ricordi di Spock da bambino, quando giocava con il suo cucciolo di le-matya nella corte interna della loro casa.
“E’ uno spreco di tempo, dovresti applicarti maggiormente agli studi se vuoi accedere all’accademia delle Scienze” lo riprendeva spesso.
“sì padre” rispondeva sempre lui, abbandonando il suo cucciolo e –si accorse con dolore – anche il suo momento di gioia.
Sarek realizzò che l’infanzia di Spock spiccava per la sua assenza di padre, sempre impegnato in qualche trattativa diplomatica, o per la sua intransigenza le poche volte che era presente.
Non avevano nulla in comune. Eccetto...
Amanda.
Per quanta sofferenza ancora gli costasse ripensare a lei, Sarek rievocò il suo sorriso, il suo odore, e lo emanò attorno a se come un’ esca per suo figlio, perduto in un dolore troppo grande per essere affrontato da solo.
In lontananza un lucore riverberò per un attimo in risposta e lui si diresse in quella direzione.
Era l’aura di suo figlio, ma la luce era troppo pallida per capire in che stato fosse.
- Figlio, sono qua – chiamò quando fu più vicino.
- Padre? – chiese una voce stupita.
- Sì sono io –
La luce aumentò, sufficiente a vedere più chiaramente la struttura… e Sarek di Vulcano restò senza fiato.
Era un brillante, sfaccettato e purissimo.
Alma Adamantis.
Suo figlio aveva un’aura del massimo pregio, e lui nemmeno lo aveva saputo.
Sentimenti misti di orgoglio per Spock e vergogna per se stesso lo scossero, difficili da controllare.
Non riuscendo a resistere, si allungò a sfiorare la struttura, aspettandosela fredda.
Invece era calda, piacevolmente calda al tatto.
Come lo era stata quella di Amanda. Lo stesso calore disdicevolmente confortante che aveva emanato la sua amata compagna.
Non riuscì a controllare la rinnovata pena per la morte della moglie, un dolore che si era attenuato ma che mai sarebbe davvero scomparso.
- Padre… sei davvero tu –
- Sì figlio mio –
- Io… ti ringrazio per essere venuto –
- Era mio dovere… e un onore. Spock, ti chiedo scusa per il mio comportamento indegno nei tuoi confronti – chiese formalmente.
- Non c’è nulla di cui scusarsi –
- Non posso concordare su questo. La tua alma adamantis… è perfetta –
- Non è fredda – rispose Spock, tristemente.
- No, è meravigliosamente tiepida… Come lo era quella di tua madre – L’essenza di Spock si illuminò maggiormente.
- Spock, il capitano Kirk non è morto –
- Lo so. Ma qui, per me lo è. Non esiste più – disse la presenza ritraendosi, con una pena assoluta.
- Mi rendo conto che in questa dimensione per te lui è come morto, ma non è così. Lascia che ti aiuti –
- Nessuno mi può aiutare. Io… sono solo – L’infinita tristezza di quella parola echeggiò nello spazio vuoto, riverberandosi a creare il vento che spazzava quella landa desolata.
Sarek, puro figlio di Vulcano, si accorse che stava piangendo per la prima volta nella sua vita da adulto.
- No, figlio mio. Non sei solo. Io sono con te. Io ti vedo – disse secondo l’antica formula - Lascia che ti aiuti – ripetè.
L’essenza di Spock non rispose ma nemmeno si ritrasse.
Così Sarek espanse la propria aura, allargandola fino ad avvolgere quella di suo figlio, proteggendola da quella solitudine infinita e trascinandola con sé, lontano da quel luogo di dolore e morte.



NdA:
Lei mi piace troppo e non poteva mancare. D'altronde, la storia e mia e ci metto quello che voglio! Privilegi dello scrittore.
Scherzi a parte, spero vi sia piacendo ancora. Lo so, la tiro per le lunghe...
Cosa pensate del dialogo fra T'Pol e Sarek? E' stato un po' come descrivere uno scontro tra titani e mi è piaciuto moltissimo scriverlo ma anche preoccupato.
credo che prima o poi mi cimenterò in una storia con T'Pol ai tempi di Enterprise, vi porebbe interessare?
A presto
 

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Capitolo 23
*** Del passato e del presente ***


Del passato e del presente
 
La notte era serena e T’Khut giganteggiava rossiccio nel cielo; le stelle non baluginavano come sulla Terra, si accorse, ma nell’aria rarefatta e assolutamente secca erano immobili come puntini colorati.
Da qualche parte, lassù, la sua nave in orbita procedeva alle riparazioni e faceva la guardia ai propri uomini sulla superficie, come una chioccia con i suoi pulcini.
Dal bastione più alto del monastero la vista sul deserto era mozzafiato, ingannevolmente placida.
Sentì distintamente qualcuno avvicinarsi.
- Bones –
- Ciao Jim – rispose il medico con voce quieta.
- Non riesci a dormire? –
- No, ho dormito fin troppo i giorni scorsi, i miei cicli circadiani sono ancora sfasati – McCoy fece una smorfia.
- Immagino –
- Jim… Spock si è risvegliato. E’ uscito da quella specie di coma in cui era scivolato –
Il silenzio si protrasse a lungo prima che l’altro rispondesse.
- Come sono riusciti a curarlo? – chiese Kirk infine.
- E’ stato Sarek. In qualche modo ha convinto la sua psiche - o katra, o chiamala come vuoi -  a ritornare alla realtà.
- Incredibile… Sarek – la voce era chiaramente sarcastica.Il silenziò calo nuovamente, mentre McCoy si sforzava di non assillare il suo amico.
- Non vorresti vederlo? – chiese alla fine cautamente.
- No –
- Jim… -
- Ho deciso di lasciare il comando dell’Enterprise – disse il capitano invece.
McCoy insipirò bruscamente per la sorpresa.
- Cosa? Sei impazzito? – non riuscì a trattenersi dallo sbottare.
- Sono troppo vecchio per continuare a giocare all’eroe spaziale –
 - Non dire stupidaggini, tu… -
- E non sono più abile al comando – interruppe le proteste del dottore.
- Tu sei il migliore capitano che la Flotta abbia mai avuto e lo sai…-Jim si voltò verso l’amico.
- Bones… guardami – disse – che cosa senti? –McCoy fu tentato di protestare ancora, ma qualcosa in quello sguardo freddo lo fermò.
- Niente – affermò con un sospiro.
- Esatto. Niente. –Ed era vero, tragicamente vero.
Lo avevano curato, aiutato la sua aura a stabilizzarsi e ridotto lo shock a cui era stato sottoposto quando Spock aveva spezzato il legame; si era risvegliato poco dopo McCoy e il dottore aveva saltato di gioia… prima di rendersi conto che qualcosa nel suo amico non andava, non andava affatto.
La presenza emotiva dell’amico… era completamente azzerata.
Quella gioiosa, vitale sensazione che portava con se’ come un fuoco scoppiettante, a cui tutti si avvicinavano per scaldarsi… era sparita.
Era come se non fosse nemmeno lì, accanto a lui.
McCoy deglutì, pericolosamente vicino alle lacrime.
- Jim… datti tempo. La curatrice non è esperta degli effetti di… di quanto è avvenuto sugli umani, ma pensa sia una questione di tempo –
- Quanto è avvenuto, come lo chiami tu, è che il mio Compagno ha sradicato il nostro Legame, la cosa più importante della mia vita, di cui avrebbe dovuto avere la massima cura, come se fosse un’erbaccia –McCoy non riuscì a rispondere.
- Il risultato è che ora le mie doti psichiche, il mio istinto o katra o qualunque cosa fosse… non esistono più. La mia emotività stessa è compromessa. Ridicolo vero? – quasi rise – sono quanto di più simile ad un vulcaniano potessi mai essere, adesso. E non posso più comandare –
Non c’era neppure dolore in quell’affermazione, solo una piatta esposizione di un dato di fatto.
McCoy aveva il cuore stretto in una morsa.
- Spock… voleva solo proteggerti. Mi hanno spiegato che in quelle condizioni poteva ucciderti –
- Sarebbe stato meglio – Kirk continuò a volgere lo sguardo sul deserto, sull’orizzonte insolitamente lontano – Avrei preferito morire avendo lui nella mia mente, persino per mano sua, che vivere senza –
McCoy strinse gli occhi alla pena che quelle parole gli causarono.
Improvvisamente Jim si volse verso di lui.
- Io sono… ero… il suo capitano, il suo amico, il suo compagno… ho comandato su di lui per vent’anni, sono passato attraverso centinaia di missioni impossibili salvando lui, la nave e l’equipaggio… si è rimesso alla mia capacità di giudizio in ogni occasione, persino le più assurde… tranne che in questo piccolo, cruciale dettaglio… dove non sono stato nemmeno interpellato, come un dannatissimo bambino che non possa decidere cosa è meglio per se stesso! – ora Jim stava quasi urlando – E lo ha fatto due volte… due volte nei primi tempi della nostra relazione. Come potrei mai fidarmi nuovamente? Hai idea di che cosa provo? Non solo ha distrutto il nostro legame, le mie doti psichiche, la mia capacità di comandare… Ma soprattutto ha distrutto la mia fiducia nei suoi confronti, la mia totale, incrollabile fiducia in lui. Il cardine attorno a cui ruotava la mia vita -
McCoy sentì  ogni parola come una coltellata… Il danno tra il Jim e Spock era enorme questa volta, l’abisso incolmabile.
Gli occhi di Jim… quegli occhi nocciola che avevano rispecchiato ogni più piccola emozione del loro proprietario… erano impossibilmente asciutti.
Jim non poteva più piangere.
Spock gli aveva levato anche questo.
Si udì un fruscìo e si voltarono verso la figura nella tunica color porpora.
Da quanto tempo era lì? Si chiese Kirk, quanto aveva udito di quella conversazione così personale?
Avrebbe dovuto essere infastidito, imbarazzato… invece non gliene importava niente.
- Scusate se vi ho interrotti. Ho sentito delle voci alterate e son venuta a controllare – disse la vulcaniana, che tradotto in gergo umano significava “mi avete svegliato con le vostre urla isteriche di umani e son venuta a calmarvi prima che svegliate  tutto  il monastero”Kirk fece una smorfia.
- Le mie scuse, subcomandante. Non era mia intenzione disturbare – disse.McCoy sembrava totalmente annichilito dall’anziana donna, tanto da restare senza parole… “per una volta” pensò ironico Kirk.
- Dottor McCoy, il tenente T'Mar si è svegliato e chiede di lei – disse la vulcaniana voltandosi verso il medico, il quale deglutì vistosamente e con un farfugliato “scusatemi” si volatilizzò, lasciandoli soli.
Rimasero entrambi in silenzio a guardare il deserto nella notte serena.
- “Non andartene docile in quella placida notte. Infuriati, infuriati contro il morire della luce.” - disse T'Pol ad un certo punto.Kirk fu suo malgrado turbato.
- Immagino dovrei essere stupito dalla sua conoscenza dei classici terrestri – affermò con una punta di sarcasmo.
- Al contrario, dopo oltre due decadi di interazione quotidiana con un vulcaniano non dovrebbe esserlo affatto –Ironia? Kirk non ne fu certo.
La donna ricadde nel suo silenzio imperscrutabile e dopo qualche minuto il capitano cedette con un piccolo sospiro.
- D'accordo, abboccherò all'esca. A cosa devo la sua erudita citazione?-
- Il senso, per quanto metaforicamente espresso, le dovrebbe essere più che chiaro. Quello che forse le potrebbe interessare, invece, è chi me la fece conoscere -
Ormai aveva catturato all'attenzione dell'umano, che si volse verso di lei aspettando la risposta con evidente curiosità.
- L' ingegnere capo dell'Enterprise - rispose la vulcaniana con uno sguardo assolutamente insondabile.
Per un istante Kirk si immaginò Scotty dopo un bicchiere di troppo declamando Dylan Thomas con un assurdo accento scozzese. Il pensiero gli strappò un sorriso.
La vulcaniana aveva seguito esattamente il corso dei suoi pensieri e l’ombra di un sorriso per un attimo guizzò in quello sguardo antico.
- Un altro tempo, un’altra Enterprise, un altro capo ingegnere – sottolineò infatti.
- Il suo – disse Kirk.
A quella parola, detta senza alcun secondo senso, la vulcaniana provò nuovamente quella vecchia sensazione al petto. Si concesse un istante per riprendersi.
- Durante la Guerra Fredda temporale, l’Enterprise e il suo equipaggio furono sottoposti ad una tensione elevatissima, scelte difficili e gravi perdite. Il capo ingegnere Tucker più di tutti, perse la sorella a cui era profondamente legato durante l’attacco che subì la Terra e ciononostante continuò la missione.
Io contrassi una malattia mentale e sviluppai una dipendenza alla droga che mi serviva per tenerla sotto controllo. Fu un periodo critico ed estremamente doloroso della mia esistenza –
T’Pol esitò un attimo, poi riprese:
- Un giorno, stremata dalla lotta contro le emozioni che dovevo combattere quotidianamente, pensai di rinunciare e “lasciarmi andare”. Ignoro come il comandante percepì questa mia ”resa” ma mi citò quelle parole e poi mi provocò fino a risvegliare la rabbia in me, spingendomi a reagire. Un metodo molto… umano… ma efficace, devo ammetterlo –
- Ha intenzione di provocarmi fino a farmi perdere le staffe? – chiese ironico Kirk.
- No capitano. Vorrei solo che non si arrendesse alla placida notte senza lottare. La notte è lunga, buia e… silenziosa –
- Lei, una vulcaniana, intende dire che una vita emozionalmente vuota è pertanto indegna di essere vissuta?? – chiese, stupito.
- Credo di aver ammesso esattamente questo – rispose lei, imperturbabile.
Rimasero in silenzio qualche istante.
- Come si chiamava il Comandante Tucker? – chiese Kirk – non ricordo di aver mai letto il suo nome di battesimo -
- Charles Tucker Terzo –
- E voi lo chiamavate così? Veramente? – Kirk sollevò le sopracciglia incredulo.
Ci fu un attimo di esitazione.
- Noi lo chiamavamo Trip – 
T’Pol era certa di aver mantenuto il tono assolutamente neutro, ma il capitano si volse verso di lei.
- Subcomandante… lei provava qualcosa per lui – affermò l’umano, in tono sorpreso ma sicuro.
T’Pol non rispose.
- Lei… lo amava?? – esclamò Kirk.
L’ombra di un sorriso ironico e forse un po’ amaro smosse involontariamente le labbra vulcaniane, stranamente ancora piene.
- Capitano, sembra che la sua percezione emotiva non sia totalmente azzerata. Il suo intuito umano è ancora stupefacente come si racconta -  replicò.
Kirk impiegò un attimo a capire l’ammissione implicita in quelle parole e un tempo ancor più lungo per riprendersi dallo stupore.
Il subcomandante T’Pol aveva amato un umano… amato e perso. Il comandante Tucker era morto precocemente, questo lo ricordava.
La mente prese a vorticargli in un turbine di domande, pensieri e confronti, risvegliando sentimenti che credeva ormai morti assieme al Legame.
- Dannazione – imprecò improvvisamente, volgendosi verso il deserto e serrando le mani sul parapetto di pietra.T’Pol inarcò un sopracciglio interrogativamente e lui continuò:
- Durante la mia carriera ho combattuto battaglie, mandato uomini a morire, amato, subito perdite… molto più dei normali esseri umani. Non mi sono mai “arreso alla placida notte”. Ora sono… stanco. Cosa c’è di male in questo? Non ho forse anche io il diritto di riposarmi di trovare la pace? – esclamò l’umano con angoscia - Ogni volta mi son ripreso, mi dicevo che l’Enterprise era la mia cura. Ma non era la nave… era sempre e soltanto Spock. La fiducia che avevo in lui, la sua costante presenza era una torre di incoraggiamento, un faro guida nella tempesta. Come posso tornare me stesso senza tutto ciò? Non riesco ad accettare quello che  ha fatto – disse amareggiato.
- Capitano, il suo sentimento è… -
- Illogico, lo so, ma …-  la interruppe Kirk.
- Stavo per  dire comprensibile – lo interruppe lei a sua volta – capitano… lei ha mai sbagliato? -
Kirk fu preso in contropiede dalla domanda
- Sì, certo che ho sbagliato in vita mia, a volte con conseguenze terribili – rispose gravemente.
- Immagino si sarà sentito profondamente in colpa, ma in qualche modo si sarà perdonato per continuare a vivere –
- Direi che è corretto -
- Ora, so che l’ammissione che sto per fare la stupirà, ma… anche noi Vulcaniani a volte commettiamo degli errori, anche gravi. Perché le risulta così difficile perdonare il comandante Spock? –
Kirk rimase spiazzato dal ragionamento e dovette fermarsi a riflettere sulla risposta. 
- Io… non saprei. Spock ha praticamente sempre ragione, anche quando io poi scelgo di non seguire i suoi consigli. Credo che sia la visione che ho di lui nella mia mente: Spock non può sbagliare
- Una visione idealistica e, oserei dire, anche piuttosto adolescenziale. Anche per un umano – sottolineò lei con voce secca.
- Subcomandante, non mi lascerò provocare così facilmente – rispose Kirk asciutto.
- Non era mia intenzione – affermò lei candidamente.
- Ne dubito, ma rifletterò sulle sue parole -
- Ritengo inoltre che dovrebbe impegnarsi nel suo recupero emotivo prima di prendere qualunque decisione definitiva riguardo alla sua carriera e alla sua vita privata. Il suo giudizio è attualmente compromesso e lo sa–
- Sembra di parlare con Bones – si lamentò  Kirk.
- Allora il suo ufficiale medico deve essere una persona saggia -  replicò prontamente lei.
Kirk scoppiò a ridere, un suono che si propagò lontano nell’aria secca del deserto.
- Sa una cosa? – riprese dopo qualche minuto di silenzio -  Ogni volta che credo di essermi arreso e aver raggiunto la pace, qualcuno arriva e mi tira indietro… –
- Spiacente capitano, ma se questa volta sarò stata io, non proverò alcun rammarico – rispose T’Pol.
- Ovviamente non ne avrà, i vulcaniani non provano emozioni…-
- Esatto – rispose lei, e Kirk fu certo di aver sentito dell’umorismo in quella affermazione.
Rimasero ancora in silenzio per qualche tempo, ognuno perso nei suoi pensieri e ricordi, poi Kirk disse:
- Credo che proverò a dormire un po’. Grazie della chiacchierata e dei suoi consigli, subcomandante –
- Che il riposo la ritempri – augurò formalmente lei.
Quando il capitano si fu ritirato scrutò le ombre sotto la terrazza e vide la figura che aveva notato fin dall’inizio ritirarsi a sua volta.
T’Pol sorrise tra se’.
Il comandante Spock doveva provare sentimenti molto profondi per il capitano per violare in quel modo del tutto inopportuno la privacy della loro conversazione.

***************

Ora... lo so, la tiro in lungo da anni ormai... J.J. Martin è una lepre a scrivere in confronto a me... ma spero che qualcuno ancora mi segua!
Lunga vita e prosperità (o non vedrete la fine di questa storia...)

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Capitolo 24
*** Azzurro Pallido ***


" la sua solitudine è incredibilmente chiara, come il cielo blu sui ghiacciai di Andoria in una giornata d’estate… altrettanto vuota e struggente"

Azzurro pallido
Spock entrò nel refettorio scavato nella pietra; le finestrelle a bocca di lupo posizionate appena al disotto del soffitto garantivano una naturale circolazione dell’aria che spingeva fuori il calore, lasciando la stanza gradevolmente fresca.
Nonostante fosse appena l’alba, sapeva che i monaci avevano già consumato il loro pasto mattutino; il personale della Flotta stellare presente si faceva cura di non presentarsi prima che avessero finito, per ridurre al minimo l’interferenza con la routine del monastero.
Ciononostante, alcuni tavoli erano occupati.
Esitò sulla soglia al vedere il capitano ad uno di questi, indeciso su come comportarsi e sentendosi ulteriormente in colpa per aver ascoltato la conversazione della notte precedente, ma Jim si stava già alzando e dirigendo nella sua direzione.

- Signor Spock – lo salutò con un leggero cenno del capo, prima di oltrepassarlo e uscire.
- Capitano – rispose formalmente, rimanendo quasi congelato dalla freddezza dell’altro.Si costrinse a riprendere il controllo e a dirigersi verso un tavolo libero, mentre l’enorme vuoto che permeava la sua coscienza laddove c’era stato il Legame riprendeva a pulsare dolorosamente, lasciandolo stordito e sofferente.
Non notò l’andoriano seduto in un angolo in ombra.

- E poi dicono che i Vulcaniani non provano emozioni… - esclamò quello sarcastico.
- Mi scusi? – chiese voltandosi, grato che fossero rimasti soli nella fresca sala.
- Venga, si sieda con me, sembra che stia per svenire – aggiunse Shrack, più gentilmente.
- Sono perfettamente funzionale – rispose Spock, accettando tuttavia la sedia che l’altro gli offriva – cosa intendeva dire con la sua affermazione? –L’altro si prese qualche istante prima di rispondere.
- Ho sentito le sue emozioni fin qui, Pelleverde, quando il suo capitano l’ha ignorata senza pietà – il nomignolo canzonatorio era tuttavia gentile.Spock stava per negare come d’abitudine, ma la sua naturale onestà lo bloccò.
- Immagino sia inutile negare… soprattutto dopo quello a cui ha assistito durante la scorsa settimana – sospirò impercettibilmente – però non ero a conoscenza di andoriani telepati e la sua pigmentazione cutanea è meno accentuata rispetto al normale colorito della sua razza. E’ un ibrido? - aggiunse, suo malgrado incuriosito.
- Non esattamente… Mia nonna era di una rara etnia chiamata Enar. Sono rimasti isolati per lungo tempo, hanno un colorito quasi totalmente bianco e sono potenti telepati. Mi ha trasmesso le sue caratteristiche, anche se diluite. Le mie capacità telepatiche non sono neanche lontanamente potenti come quelle di mia nonna, ho solo una lieve percezione empatica -
- Interessante. E tuttavia… ha captato le mie emozioni? –
- Non erano affatto così lievi, Vulcaniano – rispose l’alieno azzurro, sorseggiando il suo tè – la sua solitudine è incredibilmente chiara, come il cielo blu sui ghiacciai di Andoria in una giornata d’estate… altrettanto vuota e struggente –Spock sapeva che gli andoriani erano un popolo emotivo e drammatico nel parlare, tuttavia il paragone lo colpì per la sua adeguatezza alle sensazioni che provava.
Si versò dell’acqua di pozzo dalla brocca di terracotta sul tavolo, cercando di controllare il dolore che lo tormentava sin dal suo risveglio.
Il supporto da parte di suo padre era stato del tutto inaspettato ed estremamente utile, ma aiutava a sopportare il senso di vuoto, non a colmarlo.
Per quello non c’erano soluzioni…
Alzò gli occhi e vide che l’andoriano lo stava ancora fissando intensamente, le antenne lievemente piegate verso di lui come a captare le sue fievoli emozioni.

- Comandante Spock, perché il suo capitano è tanto infuriato con lei? – chiese senza mezzi termini. 
La domanda era di una sfrontatezza volgare per un vulcaniano, ma dopo anni trascorsi al fianco del dottor McCoy Spock non si offendeva più così facilmente.
Inoltre, per qualche strana ragione e nonostante tutto quello che aveva fatto passare loro, Spock trovava gradevole quell’andoriano che li aveva salvati tutti chiamando aiuto al monastero, anche se non era stato affatto tenuto a farlo.
Si sentì spinto a rispondere.

- Immagino abbia capito che io e il capitano eravamo Compagni, ma ho dovuto recidere il Legame –
- Per salvargli la vita! Che razza di ragione è questa per adirarsi? –
- Ho tradito la sua fiducia. Avevo promesso appena pochi giorni prima che non sarebbe successo… nuovamente – 
L’andoriano si piegò verso di lui sul tavolo.
- Cosa altro avrebbe dovuto fare, ucciderlo? Sarebbe stato molto probabile nelle condizioni in cui era ridotto –  esclamò sdegnato.
- Lei non può capire il trauma della recisione di un Legame per la vita a cui ho sottoposto il capitano… sta azzerando le sue capacità psichiche –
- Crede davvero che io non capisca? Sono un empatico, se c’è una persona capace di condividere quel dolore, quello sono io – lo interruppe l’altro – e le dico che il suo adorato capitano, che lei difende colpevolizzandosi di tutto, stavolta ha completamente torto! Lui guarirà – accantonò il problema con un gesto spazientito della mano – Ma io ho visto… ho sentito tutto il suo dolore di Vulcaniano, tutta la sofferenza che si è accollato, rischiando per sempre la sua sanità mentale pur di salvare il suo compagno. Il quale, se lo lasci dire, si sta comportando da vero ingrato – 
Spock guardò sorpreso l’andoriano così accalorato nella sua difesa, le antenne piegate in avanti che si agitavano contratte come piccoli pugni in aria.
- Kirk guarirà – ripetè l’andoriano – ma lei, Spock… lei deve smettere di accollarsi tutta la colpa. La sua non è più onestà con se stesso… è autocommiserazione. Banalissima, indegna autocommiserazione. Se non lo ammetterà con se stesso, perdonandosi, non potrà nemmeno pretendere il perdono del suo capitano, come invece dovrebbe fare –
Spock si alzò di scatto, sopraffatto da una rabbia improvvisa.
     – La questione non la riguarda, come si permette…? –
L’andoriano sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, aspettando in silenzio che il vulcaniano riprendesse il controllo.
Quando vide che si era calmato disse:

- Ha ragione, la questione non mi riguarda. La prego di scusarmi per l’ingerenza nelle sue questioni personali – 
Spock annuì lentamente, accettando le scuse e tornando a sedersi.
Sorseggiarono le loro bevande per qualche istante, poi Spock ruppe il silenzio.

- Mi dica, come è stato coinvolto in questa storia… Comandante Shrack? –
- Vedo che ha preso informazioni su di me – le antenne si mossero lievemente, quella ferita in modo asincrono.
- Comandante de facto dei corpi speciali informativi di Andoria, formalmente in congedo e tuttavia in qualche modo correlato alle maggiori azioni di spionaggio del governo andoriano, anche se impossibile da dimostrare – snocciolò Spock.
L’andoriano continuò a sorseggiare il suo the, senza prendersi la briga di negare.
- Ancora mi sfugge il legame di Andoria con Cetacea e Vulcano… Il suo governo non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale e dall’Alto Comando abbiamo ricevuto ordine di “dimenticare” il suo coinvolgimento –
- Il mio governo non è coinvolto, infatti – commentò pacato l’andoriano, posando la tazza – si trattava di una questione personale che casualmente si è intrecciata con la vostra missione –Shrack riprese la sua tazza e terminò la bevanda, poi si alzò.
- Mi sono arrivati dei pezzi di ricambio, sto andando a riparare la navetta. Vuole venire con me? Una mano da una persona con la sua esperienza mi farebbe molto comodo – propose improvvisamente.Spock inarcò un sopracciglio, sorpreso.
- E soddisferò anche la sua curiosità, Pelleverde – aggiunse ridacchiando – non lo neghi, la posso intuire anche senza doti empatiche! -
Spock rimase un attimo spiazzato, poi considerò l’offerta: aveva notato da tempo che dedicarsi a riparazioni complesse lo rasserenava quasi quanto la meditazione, a cui peraltro si era dedicato lungamente negli ultimi tempi… con scarso successo.
- D’accordo – accettò con un cenno del capo, alzandosi a sua volta e seguendo l’andoriano lungo i freschi corridoi fino al portone.Nel piazzale antistante era stato teletrasportato un piccolo container dotato di slitte anti-G.
- T’Pol mi ha permesso di utilizzare questo indirizzo per il recapito – commentò allegramente Shrack, aprendo con un codice la porta di metallo del container ed estraendo una moto a levitazione.Attaccò abilmente le slitte di carico alla moto, indossò il casco e montò in sella.
- Allora, viene o no? Le dò un passaggio – invitò con un tono ironico.Spock si decise a salire sul sellino posteriore, abbassandosi il cappuccio della tunica fin sul volto per difendersi dalla polvere.
Nonostante la velocità ridotta a causa del rimorchio, il percorso attraverso il canyon sembrò incredibilmente breve, paragonato alla volta precedente che l’aveva percorso; ricordi dolorosi lo colpivano nel riconoscere i vari punti di quel calvario.
Dovette fare uno sforzo per non lasciarsi nuovamente sopraffare dal vuoto del legame reciso.
Anche se parzialmente affondata nella sabbia, la navetta era veramente un modello all’avanguardia dalle linee essenziali e funzionali.
Staccarono il rimorchio, scaricarono i pezzi e lavorarono in silenzio per il resto della giornata; solo un ruggito lontano echeggiò verso mezzogiorno, quando si fermarono per una pausa.
Quando T’Khut fu basso all’orizzonte le riparazioni erano quasi ultimate.

- Lascerò le celle di energia a ricaricare fino a domani – commentò Shrack, scuotendosi la polvere di dosso – mi chiedo come farò ad estrarla senza ingolfare i motori con la sabbia… -
- Se accende solo i motori secondari senza avviarli, la vibrazione farà scivolare via gran parte della sabbia – 
Shrack lo guardò con rinnovato rispetto.
- Sa Vulcaniano, per essere uno scienziato è un ottimo meccanico –
- Anni di lavoro come primo ufficiale su una nave come l’Enterprise spingono a sviluppare una serie di capacità e conoscenze connesse – commentò Spock laconico.
Shrack scoppiò a ridere. 
– E la sua incredibile curiosità immagino l’abbia aiutata in questo –

- Io non… - cercò di obiettare il primo ufficiale, ma l'andoriano lo interruppe
- Non lo neghi, ho sentito la sua curiosità riguardo al mio coinvolgimento aumentare durante tutta la giornata, anche se devo dire è stato molto bravo a tenerla sotto controllo. La soddisferò come promesso –
Si spostò verso una paratia e aprì con un tocco un vano segreto, estraendo un supporto di memoria ormai obsoleto.
Quando lo attivò una voce emerse, una voce che Spock aveva già sentito ai tempi dell’accademia.

- Diario del capitano, data astrale…-
- E’ l’ammiraglio Archer – esclamò stupito.
- Capitano Archer, ai tempi di questa registrazione. Stia zitto ora –
- … questa missione ha soddisfatto ogni aspettativa di avventura e conoscenza che mi abbia mai spinto verso l’esplorazione spaziale… Il popolo Aenar è un gruppo di Andoriani rimasti isolati nelle caverne polari di Andoria, sviluppando un colorito della pelle quasi bianco e incredibili capacità empatiche, purtroppo così barbaramente abusate dai Romulani in questo particolare caso. Persino il comandante Shran è rimasto colpito da quella incredibile donna aenar, Jhamel, che ci ha aiutato nonostante il dolore per la tragica fine del fratello… una persona eccezionale.
Per il momento il coinvolgimento degli Aenar resterà fuori dai diari ufficiali, finchè il governo di Andoria non deciderà come comportarsi in merito… -
Shrack interruppe il file e passò ad un altro, evidentemente successivo, sempre registrato da Archer.

- Ho appena ricevuto un invito personale da parte di Shran al suo matrimonio con Jhamel… Mi chiedo se anche T’Pol sia stata invitata, l’avversione tra i due popoli è ancora molto forte ma il senso dell’umorismo del mio amico andoriano può essere infido… - si sentì Archer ridacchiare – lo chiederò a T’Pol a cena, con Trip, per goderci la sua reazione, anche se essendo così brava a contenersi potrebbe non darci soddisfazione… -
L’andoriano spense il dispositivo, godendosi con un sorrisino le sopracciglia inarcate del Vulcaniano.
- Gli altri files sono estratti dei diari di Archer contenenti riferimenti a Shran e la moglie Jhamel… mia nonna – si decise finalmente a spiegare – purtroppo non la ricordo ma la sua influenza nel mio DNA è molto forte, come avrà notato. Nella speranza di capire meglio il mio insolito retaggio misto sono andato alla ricerca di sue tracce per anni, finchè una decina di anni fa conobbi T’Pol durante una missione. Stranamente facemmo amicizia ma per quanto mi raccontasse delle sue avventure con gli andoriani non volle mai darmi nulla di registrato o ufficioso.Qualche settimana fa mi contattò, chiedendomi un favore: il suo ex marito, con cui era rimasta in buoni rapporti, le aveva chiesto aiuto per rintracciare il figlio Tepam, che si era recato su Cetacea per studiare alcune capacità mentali tipiche dei cetaciani ma che dopo alcuni messaggi piuttosto criptici e preoccupanti era sparito; in cambio delle informazioni mi avrebbe dato tutto il materiale relativo a mia nonna contenuto nei diari di Archer.
Il resto, pressappoco, lo conosce. E’ ovvio che non avevo connesso le informazioni in mio possesso con l’epidemia fino a che non abbiamo condiviso tutti i tasselli --
Spock riflettè per qualche istante, ricomponendo il quadro della situazione.

- Perché ha rapito il capitano ed è fuggito allora? – chiese infine
- Perché non sapevo chi fosse, cosa volesse o da che parte stesse. Inoltre, la mia era una missione “personale”, non volevo che il mio governo fosse coinvolto. Non avevo intenzione di fare del male al capitano Kirk, l’avrei rilasciato appena consegnate le informazioni a T’Pol. Ma sembra che avessi sottovalutato i suoi amici e la loro incrollabile volontà di recuperarlo… - ridacchiò nuovamente.
- La sua nave ci ha creato non poche difficoltà… Non sapevo che le milizie andoriane possedessero vascelli di questo tipo – ammise Spock
- Infatti non le possiedono, è un vascello “speciale” a mio uso personale, per le missioni “delicate” – ammise candidamente Shrack –
T’Khut era ormai quasi scomparso del tutto e Vulcano si stava immergendo nella sua notte piena di stelle quando rientrarono al monastero, scivolando silenziosamente tra le pareti del canyon punteggiate di cristalli. 

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Capitolo 25
*** Vulcaniani che amano umani ***


Sono peggio di Tolkien, scusatemi. Ho ripreso in mano il lavoro, spero di finirlo stavolta.
Un breve capitolo di passaggio, il prossimo è già pronto.


Vulcaniani che amano umani

Spock scivolò silenzioso per i corridoi scavati nella pietra, diretto verso la stanza di Sarek.
La notte precedente era stata leggermente migliore delle precedenti, la lunga giornata di lavoro e il discorso di Shrack avevano in qualche modo rasserenato il suo animo concedendogli qualche ora di riposo, seppur irrequieto.
Tuttavia non era ansioso di incontrare padre dopo la loro fusione mentale che lo aveva strappato dal suo deserto emotivo; l’emozione che tentava invano di sopprimere era imbarazzo.
Al suo ingresso nell’alloggio spartano riservato al padre scoprì che era presente anche T’Pol e nel constatare che avrebbe assistito al colloquio col padre l’imbarazzo che non avrebbe dovuto provare crebbe ulteriormente.
Sarek si alzò in piedi ad accoglierlo con inconsueta cordialità che in qualche modo lo rilasso’ un poco, mentre T’Pol rimase silenziosa sul suo sedile di pietra appena ammorbidito da un rozzo cuscino di fibre di agave vulcaniana intrecciate e rispose al suo saluto con un cenno del capo.
Il volto senza tempo della donna era invecchiato con grazia, nonostante la vita intensa che Spock sapeva aveva vissuto.
- Ambasciatrice, ho appena saputo che conosceva Tepam, le mie condoglianze – espresse con semplicità.
- Grazie Comandante. Suo padre era rimasto mio amico dopo il divorzio, avevo visto Tepam crescere. Era un ottimo studioso – rispose la donna con voce quieta.
 Dopo un istante di doveroso silenzio Spock si rivolse al padre.
- Mi volevi parlare? –
- Sì figlio mio. Ti prego, siediti.-
Spock fece come gli era stato chiesto, accomodandosi sullo sgabello di legno di fronte al padre.
Sarek si protese verso di lui, intrecciando le mani sul tavolo.
- Il capitano Kirk sta sperimentando una carenza di emozioni socio-dinamiche che lo sta disorientando, fino a considerare l’abbandono del suo ruolo di capitano e della Flotta Stellare.
Spock sussultò leggermente, non aveva sentito quella parte di conversazione durante il suo casuale ascolto.
La notizia lo sconvolse profondamente e si rese conto che gli altri due ne erano consapevoli.
- Sarebbe davvero deprecabile, è un elemento eccellente – rispose rigido.
- Inoltre La nostra fusione mentale mi ha chiarito esattamente la portata dei tuoi sentimenti per il capitano Kirk e il tuo dolore per la recisione del Legame  -
Spock frenò l’impulso di negare quelle emozioni, sarebbe stato illogico, e aspettò che suo padre continuasse, ma fu T’Pol a prendere la parola.
- La soluzione più logica ad entrambi i problemi è che voi due ricomponiate le vostre divergenze –
- Il capitano non sembra interessato in tal senso – rispose Spock asettico, come se tutto il suo essere non stesse anelando solamente, esattamente quello.
- Il capitano si sente tradito dalla scelta unilaterale da lei compiuta di recidere il legame. Sembra riponesse in lei una sorta di incrollabile fiducia che è venuta meno a seguito di tale scelta. Gli umani sono emotivi – sottolineò T’Pol quasi con una sorta di affetto – non sempre riescono ad accettare la logica di certe scelte quando ne vengono feriti. Ignorare tale emotività nelle relazioni con loro è illogico e controproducente –
- Credo di aver compreso questa necessità ormai da tempo – rispose secco Spock – vivo e lavoro in un ambiente prevalentemente umano da oltre due decadi –
- Quello che intendiamo dire – si inserì Sarek – è che a volte le semplici spiegazioni logiche delle proprie azioni e le conseguenti scuse non sono sufficienti per essere capiti e perdonati da un essere umano. Anche per uno speciale come il capitano Kirk. A volte hanno bisogno di essere rassicurati a livello puramente emotivo –
Spock avvertì un’eco di tenerezza nella voce controllata del padre e capì che si
stava riferendo in parte ad Amanda.
Si rese conto con stupore che tutti loro vulcaniani in quella stanza erano accomunati da un fattore comune: avevano amato degli umani, amato… e perso.
Ma quegli umani erano morti, perduti per sempre e relegati a ricordi.
Il suo, di umano, era ancora vivo, anche se sembrava ormai irraggiungibile.
Ripensò all’accusa dell’andoriano, di essere caduto nella trappola dell’autocommiserazione - un errore davvero indegno per un vulcaniano – e decise che non si sarebbe arreso senza lottare.
- Pur concordando con il concetto in generale non vedo come si possa applicare alla mia situazione, considerando che il capitano non sembra avere intenzione di “ricomporre il nostro rapporto”-
- E’ il tuo t’hyla, non si può sottrarre a questo – minimizzò suo padre con un gesto della mano piuttosto umano – quello che gli serve è un gesto drammatico, simbolico che lo convinca anche emotivamente –
Spock inarcò un sopracciglio.
- Hai in mente qualcosa in particolare? – chiese incuriosito: per un attimo gli era sembrato di parlare con il suo amico Leonard più che con il suo stoico padre.
- Per una volta ti serviranno i miei servigi – rispose quello criptico, con una luce ironica e divertita nello sguardo.

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Capitolo 26
*** NON QUESTA VOLTA ***


Stavolta sono tornata presto. Fatemi sapere cosa ne pensate se potete.

"La frustrazione si stava trasformando in rabbia, ma questa volta decise di  accoglierla.
La sua strada era diversa dagli altri vulcaniani, lui era diverso e doveva cambiare o soccombere. Reprimere le emozioni come aveva sempre fatto non aveva funzionato; avrebbe provato un metodo più umano.
Lasciò che la rabbia trasparisse controllata dalla sua voce.
- Allora ti sfido formalmente – dichiarò."


NON QUESTA VOLTA
Spock si prese un istante di fronte alla porta chiusa.
Per i ritmi del monastero era piuttosto tardi ma non per gli orari della Flotta a cui erano abituati.
La serata era perfetta, per gli standard di Vulcano.
L’aria era fresca, il vento si era placato e tutto appariva ingannevolmente placido dalle piccole finestre che si affacciavano sul corridoio di pietra decorato a bassorilievo.
Inalò l’aria profumata e bussò.
- Spock – esclamò Kirk aprendo la porta di legno dopo un attimo di stupore – cosa  ci fa qui? – aggiunse in tono piatto e distante.
- Posso entrare?-
Kirk esitò poi si fece da parte e richiuse la porta dopo che il vulcaniano fu entrato nella piccola stanza.
- Ho ricevuto delle notizie preoccupanti che mi hanno spinto a forzare la sua riluttanza a parlarmi – esordì il vulcaniano con le mani serrate dietro la schiena– notizie riguardo ad una sua eventuale decisione di lasciare il comando dell’Enterprise -
- Bones dovrebbe tapparsi la bocca qualche volta – replicò Kirk con una smorfia.
- Non è stato il dottor McCoy a riferirmi la questione –
- E allora chi? – chiese il capitano, corrugano la fronte.
- Non ha importanza – liquidò la questione Spock.
- Ha ragione, non ha importanza – concordò l’umano, girandogli le spalle per andare a versarsi dell’acqua dalla brocca di terracotta, senza offrirgliene.
- Perché? – chiese Spock
- Perché sono inabile al comando. E sono… stanco – rispose Kirk senza voltarsi.
- La curatrice è convinta che il suo azzeramento emotivo sia solo temporaneo, dovuto al sovraccarico neurale. Quanto alla seconda spiegazione, anche a quello si può facilmente ovviare con una vacanza. Lei sa che è vero. Quindi la domanda resta, perché? – chiese Spock, con un insolito tono pressante.
Kirk si girò, totalmente privo di espressione.
- Lei non è nella posizione di pretendere questa risposta. Non più. – affermò in tono glaciale.
Spock stavolta lo fronteggiò senza esitazione alcuna.
- Rispondimi – disse soltanto.
Jim sgranò gli occhi di fronte a quell’atteggiamento insolito, poi tornò a volgergli la schiena, respirando a fondo prima di rispondergli.
- Perché sarei solo e così… non ne vale più la pena –
La voce era quieta e lontana, come se l’umano fosse già venuto a patti con quella decisione che il Vulcaniano sapeva essere per lui la più straziante di tutte.
Sentirglielo dire così gli provocò un dolore pari alla sua assenza come Compagno nella sua mente.
- Jim – lo chiamò, ma quello non si voltò.
- Credevo che il danno neurale non comportasse anche una regressione comportamentale alla fase adolescenziale umana… capitano – affermò allora il vulcaniano blandamente affermativo.
Lo vide sobbalzare leggermente per l’insulto, poi Kirk si girò lentamente verso di lui squadrando le spalle.
- Come. Si. Permette – disse con suo tono di comando più duro.
- In qualità di suo primo ufficiale, amico e Compagno – rispose con fermezza.
- Lei non è  più nessuna di queste cose. Per colpa sua
Spock non aveva mai sentito quel tono usato dal capitano su di lui, nemmeno quando aveva disubbidito ai suoi ordini diretti nel modo più sfacciato agli inizi della loro carriera assieme.
Si fronteggiarono per lunghi istanti silenziosi ma Spock non cedette, non questa volta.
- Se ne vada, Spock. Mi lasci solo – esclamò improvvisamente  Kirk in tono piatto, voltandosi nuovamente, le spalle insolitamente accasciate.
- No –
- Se ne vada, è congedato –
- Dobbiamo parlare. Non me ne andrò –
Jim continuò a voltargli le spalle, chiuso in se’ stesso e apparentemente irraggiungibile.
- Jim, ti prego… - aggiunse allora Spock, prendendolo per un braccio in una mossa per lui insolita.
Come lo toccò un torrente di sensazioni gli si riversò addosso, tutte smorzate al minimo ma ugualmente opprimenti.
Tristezza, dolore, una solitudine infinita.
Jim lo stava fissando con occhi sgranati e si guardarono, entrambi stupiti della corrente emotiva che fluiva tra loro irruenta e caotica, ma in un istante l’espressione dell’umano cambiò e vide la paura. La percepì nitidamente.
Paura di lui.
Il capitanò liberò il braccio con uno strattone.
- Non mi toccare, mai più – sibilò.
La mente di Spock stava processando velocemente tutte le implicazioni connesse a quanto stava succedendo, rifiutando di lasciarsi scoraggiare dalla reazione di Jim.
- Capitano… - si fermò, cercando le parole in un turbine di pensieri – James – riprese, usando il nome più intimo che avessero tra loro. Solo lui lo chiamava così; lo vide sussultare.
– Tu provi ancora moltissime emozioni e fra di noi scorrono ancora liberamente… non puoi ignorare questo fatto, non puoi arrenderti – affermò, frustrato dalla propria incapacità di esprimersi a parole.
Allungò nuovamente il braccio verso di lui ma quello istintivamente indietreggiò.
- Credevo che fosse qui per delle scuse signor Spock, ma vedo che mi sbagliavo. Adesso la prego se ne vada – il tono voleva essere freddo ma Spock percepì la paura.
Jim, che non aveva paura di nulla, aveva terrore di lui.
Questa consapevolezza quasi lo vinse, ma ricordò l’accusa di eccessiva autocommiserazione che gli era stata rivolta e non cedette.
- No – rispose con fermezza – non sono qui per scusarmi, anche se mi dispiace immensamente per il dolore che ti ho inflitto, che ho inflitto a entrambi, ma era inevitabile.
Non mi scuserò, per delle ragioni che in fondo sai già.
La prima, non avevo alternative. Le mie scelte sono dettate dalla mia natura, secondo logica, non scommetto sul destino. Quello che ho fatto l’ho fatto per salvarti da me stesso, molto probabilmente ti avrei contagiato o ucciso nelle mie condizioni. Era la scelta più logica e lo sai -
- Sarebbe stato meglio di quello che provo adesso – rispose Kirk, amaramente.
Spock fece un enorme sforzo per tenere sotto controllo il dolore che quelle parole gli causavano.
- Lo capisco, Jim, a volte la mia parte emotiva crede lo stesso. Ma adesso sei qui, vivo e con la possibilità di andare avanti. Da morto, per mano mia… non ci sarebbe state alternative - 
Kirk non rispose, così Spock continuò.
- La seconda, se al posto mio fosse stato il dottor McCoy lo avresti già perdonato. Questo dipende dalle aspettative che tu hai da me, aspettative ingiustificatamente alte che normalmente mi spronano e lusingano il mio orgoglio vulcaniano, ma che alimentano il mio istintivo senso di colpa quando non vengono soddisfatte e rendono te meno disposto al perdono nei miei confronti di qualunque altro. Questo è… ingiusto. Non lascerò che il mio senso di colpa prenda il sopravvento, non questa volta. –
Kirk lo guardò in modo strano.
- Sei cambiato – affermò sorpreso.
- Sì, sono cambiato. Siamo tutti siamo cambiati, era impossibile il contrario. Le esperienze fanno questo, cambiano le persone. E’ il segreto per la sopravvivenza e la crescita. O cambiamo o soccombiamo –
- C’è un’altra ragione? – chiese leggermente sarcastico.
- Sì. Tu avresti fatto esattamente lo stesso nelle stesse circostanze –
Jim rimase in silenzio riflettendo per diversi minuti e Spock aspettò quietamente.
- Mi hai dato dell’immaturo, emotivamente immaturo - disse alla fine.
- Sì - rispose Spock senza tentennamenti – almeno, nella tua reazione alla situazione attuale –
- No credevo avrei preso lezioni di emotività da un vulcaniano… - affermò con il suo sorrisetto.
- Come in tanti altri aspetti…- replicò Spock impassibile.
Jim quasi sorrise, per poi tornare serio.
- Spock… io non riesco più a fidarmi di te, il trauma per il legame che hai spezzato è stato devastante. Io ho paura di te. Non riesco a rischiare di nuovo tutto questo un’altra volta – ammise.
Spock chiuse gli occhi per un istante, cercando di accettare la distanza incolmabile che si era creata tra loro, poi lo guardò intensamente.
- Toccami – disse semplicemente.
Allungò una mano verso di lui ma l’umano indietreggiò nuovamente.
- E’ questo che vuoi fare allora? Obbligarmi con la forza? Hai già chiarito di essere in grado con la farlo, non vedo l’utilità di una ulteriore dimostrazione – affermò Jim sferzante.
Spock si fermò, per un attimo annichilito da quelle parole.
- Non farò niente che tu in realtà non voglia. Ti chiedo solo di toccarmi, come prima. Voglio dimostrarti qualcosa –
Kirk fece ancora un passo indietro e Spock abbassò la mano.
La frustrazione si stava trasformando in rabbia, ma questa volta decise di  accoglierla.
La sua strada era diversa dagli altri vulcaniani, lui era diverso e doveva cambiare o soccombere. Reprimere le emozioni come aveva sempre fatto non aveva funzionato; avrebbe provato un metodo più umano.
Lasciò che la rabbia trasparisse controllata dalla sua voce.
- Allora ti sfido formalmente – dichiarò.
Kirk rimase impietrito.
- Cosa?? Ma sei impazzito? – chiese attonito, sconvolto al solo ricordo di quella altra esperienza con l’anima guerriera vulcaniana.
- No. Ti sfido, domani sera alle 8 nell’arena della mia famiglia. Conosci le coordinate –
- Se credi che verrò lì a farmi violentare o uccidere di fronte alla tua gente sei uscito di senno –
- Non succederà. Ti sfido semplicemente a toccarmi, qualunque cosa succeda sarai protetto dagli Esecutori, non lasceranno che ti sia fatto del male. E’ l’arena delle sfide e delle unioni, non tutte sono combattimenti, serve per gestire e sfogare l’emotività connessa, a qualunque livello –
- Perché diamine dovrei accettare un confronto del genere? –
- Perché anche tu non sai resistere ad una sfida. Perchè entrambi dobbiamo capire quanto ci odiamo o se siamo in grado di gestire la mia anima vulcaniana fra noi senza ucciderci. Perché è forse la tua unica possibilità di superare i traumi che questa ti ha causato, di uscire dalla notte in cui ti ritrovi. In cui entrambi ci ritroviamo –
Kirk rimase spiazzato come poche volte nella sua vita.
Chi era questo essere di fronte a lui? Era sicuramente Spock, ma anche qualcos’altro, quel qualcosa che lui aveva conosciuto e ormai temeva.
Il vulcaniano in realtà aveva ragione, dovevano in qualche modo superare quello che era successo se volevano andare avanti. Lui era vivo, che lo volesse o no, e doveva accettare la realtà come aveva sempre fatto.
- Mi vorrai nuovamente uccidere? – chiese cauto.
- Non ti ho mai voluto uccidere da quando il legame si è formato, il problema era gestire il desiderio di unione fisica e mentale. E quella volta nell’arena, io ero legato a T’Pring. Forse rifarei lo stesso per te, ma non contro di te. Semmai, sei tu che potresti uccidermi – affermò il vulcaniano.
- Io? Sappiamo che il confronto, sia fisico che mentale, è assolutamente impari tra noi. Non avrei nessuna chance – replicò amaramente l’umano.
- Sì invece. Qualunque cosa succeda tra noi io non potrei reagire e farti del male. La scelta sarà sempre tua, è così che funziona. Sarai al sicuro da me, ma non dalle tue stesse scelte –
Spock lesse negli occhi di Jim l’indecisione ed una tenue speranza si fece strada nel sua disperazione.
- Ora vado, ti aspetto domani all’arena. Sarek ti porterà l’invito ufficiale che tradizionalmente deve essere presentato dal padre dello sfidante –
- Sarek? Quindi sei serio riguardo alla sfida? – Kirk non riusciva ancora a credere alla faccenda, nonostante le innumerevoli stranezze a cui aveva partecipato nella sua carriera.
- Per usare un eufemismo umano… mortalmente serio – rispose Spock prima di girarsi e andarsene.
Kirk rimase a fissare la porta chiusa con la mente in tumulto.

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Capitolo 27
*** La sfida ***


- Cosa ci faccio qua?- Si chiese Kirk a voce alta per l’ennesima volta, sistemando il colletto della tunica tradizionale vulcaniana nera.
Erano le sette e mezza di sera e lui si trovava presso la casa di Sarek a prepararsi per l’incontro.
Lo definiva così nella sua mente, non avendo ancora il coraggio di definirlo sfida.
- Stai facendo quello che devi, come sempre – disse McCoy, entrando nella stanza.
- Stavolta non ne sono così sicuro… Ho una brutta sensazione-
- Si chiama fifa nera – ribattè McCoy – e sei assolutamente giustificato nel provarla. Ma è comunque la cosa giusta da fare -
La sera prima, quando gli aveva raccontato dell’incontro con Spock, McCoy era rimasto stranamente silenzioso.
- Bones, questa storia della sfida… non è una assurdità?- aveva chiesto, ancora piuttosto scosso dall’incontro.
- Jim… credo che stavolta Spock abbia ragione –
Kirk lo aveva guardato sconvolto.
- Dopo quello che successo l’altra volta? Proprio tu sei d’accordo con lui? –
- Nessuno lo sa meglio di me, ha popolato i miei incubi per anni… Ma la situazione è completamente diversa e io vedo come siete ridotti ora. Dovete fare qualcosa, e Spock ha ragione: dovete affrontare il suo retaggio vulcaniano -
- Odio Vulcano – aveva sbottato Kirk.
- E’ questo il punto. Spock è figlio di Vulcano, non puoi amare Spock e odiare il suo mondo, è quello che l’ha reso ciò che è, la persona che tu dicevi di amare. Ignorarlo vi sta uccidendo, letteralmente. Spock si è sempre adeguato a noi molto più di quanto noi ci siamo adeguati a lui, me ne sto rendendo conto solo adesso. Io stesso l’ho sempre canzonato a riguardo, senza pensare a quanto questo l’avrebbe condizionato.
Lui ha messo tutto in gioco per te, forzando la sua natura fino alla rottura, e forse tu non hai fatto abbastanza a riguardo –
Il dottore aveva parlato quietamente ma Kirk, nonostante riconoscesse che aveva ragione, aveva continuato a trovare l’idea di Spock una follia.
Ci era voluta tutta la capacità diplomatica di Sarek, passato per portare formalmente l’invito,  per convincerlo a recarsi all’ “incontro, per effettuare almeno un tentativo in nome dell’affetto che Kirk aveva dichiarato di provare per Spock”.
L’ambasciatore era stato estremamente convincente, Kirk aveva dimenticato quanto capace e testardo potesse essere.
“Proprio come il figlio” pensò, con un guizzo di ironia.
Spock era figlio di Sarek ed entrambi erano Vulcaniani.
Quella sera Jim avrebbe scoperto fino a che punto era davvero pronto ad accettarlo.
Il gong dell’arena risuonò nelle stanze della casa.
- E’ ora, Jim. Andiamo –
- Bones… perché sono qua? – chiese flebilmente per l’ultima volta all’amico.
- Perché purtroppo Spock ti conosce fin troppo bene: non sai resistere ad una buona sfida, e questa è La Sfida –
Kirk si avviò verso la porta a vetri polarizzati che si affacciava sull’arena e la aprì facendola scivolare di lato.
Il calore lo investì e sentì i suoi stivali scricchiolare sull’eterna sabbia rossa vulcaniana.
Sui sedili di pietra c’erano diversi vulcaniani,T’Pol, T’Mar e alcuni umani, che Kirk aveva voluto con se’ per quella occasione: Sulu, Checkov, Scotty e Uhura, che gli sorrise incoraggiante.
“La mia famiglia” pensò.
McCoy lo accompagnò fino al seggio della sacerdotessa, dove lo stava aspettando Spock.
Anche lui indossava la tunica tradizionale ma di colore rosso e al suo arrivo abbassò il cappuccio.
Kirk si sentiva particolarmente a disagio e fuori posto, cosa insolita per lui, ma l’accettò.
“E’ giusto, Spock si deve essere sentito così per anni mentre mi seguiva ovunque in una astronave prevalentemente umana, obbedendo ai miei ordini più azzardati e pericolosi. Glielo devo”
Spock lo stava scrutando insondabile, perfetto nel suo elemento naturale, e al fianco aveva Sarek che sarebbe stato il suo Testimone, come McCoy era il quello di Jim.
La sacerdotessa si alzò, recitando la litania di apertura in vulcaniano, mentre il traduttore traduceva per gli insoliti ospiti non vulcaniani.
- Com’era in principio, ora e sempre ci troviamo qui riuniti nell’Arena dell’Unione e della Sfida dei nostri antenati per celebrare il rituale che ci lega alle nostre tradizioni e al nostro retaggio.
Oggi la sfida sarà disputata tra Kirk e Spock, alla ricerca di se stessi e del loro Legame che sembrano andati perduti.
In questo caso non sappiamo a cosa questo condurrà i partecipanti, ma siamo qui per supportali ed essere testimoni del risultato. Ho parlato –
- Ti abbiamo sentito – replicò l’assemblea secondo il rito.
La sacerdotessa si rivolse ai due.
- Spock, Kirk, siete pronti ad affrontare la Sfida e tutte le conseguenze che ne deriveranno?- chiese
- Sì – rispose senza esitazione Spock
- Sì – rispose Kirk, più esitante.
- Avvicinatevi – ordinò la sacerdotessa, allungando le mani verso le loro teste.
Kirk si fermò.
- Pensavo ci saremmo toccati solo io e Spock – obiettò a bassa voce, solo per loro tre.
- E’ così che va fatto, è così che andava fatto fin dal principio – replicò la Sacerdotessa.
- Spock, non erano questi i patti, non voglio essere sottoposto ad oscure manovre mentali dalla sacerdotessa –
Spock cercò di replicare ma l’anziana donna lo interruppe.
- Capitano Kirk, il contatto tra di voi deve essere creato da una persona esperta. Vanno sbloccati alcuni inibitori che i moderni vulcaniani posseggono per poter raggiungere l’essenza profonda del nostro katra –
- Cioè Spock potrà sentirsi nuovamente libero di uccidermi? – chiese Kirk astiosamente.
- No, al contrario. Verranno attivati gli istinti ancestrali di difesa del Compagno, che impediscono ai membri dei legami di danneggiare il partner anche sotto condizioni estreme di stress emotivo, cosa che in questo caso particolare, tre due maschi di razze diverse e piuttosto belligeranti, si sarebbe dovuta fare fin dal principio. Se voi siete destinati ad un Legame, è quello che succederà, proteggendovi. Ma prima dovrete provare a voi stessi e ai testimoni di poter sopportare il Legame –
Anche Spock sembrava sorpreso da questo dettaglio.
La sacerdotessa inarcò un sopracciglio.
- E’ stato fatto anche con Sarek e Amanda a suo tempo. Sarek, non hai informato adeguatamente tuo figlio? –
Sarek sembrò colto alla sprovvista.
- Non abbiamo mai discusso questo dettaglio, non mi ero reso conto che ce ne potesse essere bisogno – ammise contrito.
La sacerdotessa lo guardò con severità, poi si rivolse a Kirk, con gentilezza.
- Ora, capitano Kirk, si sente pronto al confronto? Non le sarà fatto nulla che non voglia anche lei –
Il capitano deglutì, guardando l’altare con le armi rituali esposte per l’occasione. “Questa volta non serviranno” si ripetè.
- Sono pronto – rispose con sufficiente fermezza.
- Allora avvicinatevi -
I testimoni uscirono dal cerchio dell’Arena mente la sacerdotessa posava le mani sulle teste dei due partecipanti e effettuava il rituale preliminare.
Rimase in silenzio qualche istante, mentre Kirk sentiva la propria mente cambiare sottilmente, la sua percezione diventare più acuta e i suoi inibitori del superego sollevarsi rendendolo molto più istintivo del moderno, controllato capitano dell’Enterprise.
La sensazione era  liberatoria.
- Il rituale è strato eseguito, adesso potete confrontarvi – affermò la sacerdotessa, ritirandosi.
Il capitano aprì gli occhi, sentendosi vagamente euforico, e si girò verso Spock, che allungò una mano col palmo in su verso di lui.
Con una leggera esitazione vi posò sopra la sua e Spock la strinse.
Ci fu come un ronzio nella sua testa, poi la sua mente parve esplodere.
 
Poteva sentire Spock ma le emozioni tra loro fluivano caotiche, sommergendo ogni pensiero lucido e lui provava solo dolore e rabbia, una rabbia incontenibile e un rancore che non si era mai permesso di provare, rasentando l’odio.
- Cosa mi hai fatto – ringhiò attraverso il legame.
Spock pareva non avere più controllo di lui sulle proprie emozioni, ma da lui proveniva solo dolore e solitudine, il vuoto lasciato dal legame che bramava disperatamente di colmare nuovamente.
Non appena percepì nuovamente Kirk nella propria mente una nuova sensazione sommerse le altre: desiderio, un desiderio struggente e totale di unione.
Rabbia e desiderio, una combinazione esplosiva.
Non sapeva cosa avesse fatto la sacerdotessa alla sua mente, ma Kirk per una volta si sentiva in grado non solo di  trasmettere ma anche di agire all’interno nel contatto.
Accecato da una furia incontenibile aggredì la coscienza di Spock.
Spock, travolto dai suoi stessi sentimenti e sconvolto da quelli di Jim, non si accorse dell’attacco.
L’umano non aveva poteri telepatici ma aveva una mente potente e l’impatto fu devastante.
Vide la sua struttura katrica incrinarsi, incapace di accettare l’odio che Jim sembrava provare per lui.
Non poteva attaccare Kirk a sua volta, non l’avrebbe mai fatto, e quando cercò di innalzare i propri scudi scoprì di non riuscire nemmeno in quello, non voleva farlo, tanto era il suo desiderio di riavere l’umano non riusciva a tagliarlo fuori nuovamente, per quanto pericoloso fosse.
Kirk si scagliava ripetutamente contro la sua struttura in preda ad una ira cieca, distruggendola, e lui era completamente inerte, inerte a causa delle emozioni che lo sopraffacevano.
Era questo che aveva provato Jim? Era per questa la causa di quel risentimento feroce simile all’odio?
Percepì tutto il senso di impotenza, di dolore che Jim aveva sperimentato ad essere la vittima delle emozioni e delle scelte che Spock gli aveva imposto.
Il rancore di una vittima di tali esperienze poteva essere facilmente letale.
L’aura rosso rubino di Jim sembrava pulsare, incendiata da un fulgido bagliore dorato dall’interno.
Il dolore era paralizzante e non era a causa degli attacchi di Kirk, si accorse Spock, ma di quello che significava: lo stava rifiutando definitivamente, cercando semmai di ucciderlo.
- Jim – provò a chiamarlo – Jim, ti prego, smettila. Fermati –
- Tu mi hai usato! Tu hai reciso il nostro legame! Mi hai tolto la gioia, la sicurezza, tu mi hai lasciato SOLO – ringhiò Kirk, continuando nel suo assalto – Cosa provi tu adesso? Dov’è il glorioso guerriero vulcaniano adesso? Dov’è lo stoico vulcaniano in grado di gestire ogni emozione? Dov’è la tua potente mente telepatica in grado di immobilizzare un uomo? Dimmi, cosa si prova ad esseri inermi di fronte alla persona che dice di amarti? -
A quelle parole la struttura di Spock vacillò pericolosamente.
“Morirò qui, per mano di Jim“ si rese conto Spock “e lui continuerà a vivere con questa consapevolezza. Non posso lasciarglielo fare”
Con uno sforzo diede uno strattone e liberò la mano dalla presa, spezzando il contatto.
Finirono entrambi nella polvere, storditi dall’intensità dello scontro.
Spock incontrò gli occhi sgranati del dottore e si rese conto che i testimoni, la sacerdotessa e molti dei presenti avevano in qualche modo percepito la dinamica del confronto.
Persino Uhura, se non psichicamente almeno dal linguaggio corporeo, sembrava aver capito che le cose non stavano andando bene e si copriva la bocca con una mano cercando di non parlare.
Incontrò lo sguardo sconvolto di Sarek, che tuttavia provò ad incoraggiarlo.
“Provaci ancora, figlio mio. Cercheremo di proteggere Kirk da se stesso” gli trasmesse chiaramente.
Tuttavia, se non era stato abbastanza chiaro fino a quel momento, Kirk si rialzò e con urlo gli saltò addosso, colpendolo con un ginocchio al petto ed un pugno alla trachea.
Spock era troppo stordito dal desiderio e di nuovo fu colto impreparato.
L’impatto fu considerevole anche per il suo robusto fisico vulcaniano, il capitano era sempre stato un ottimo combattente e conosceva i suoi punti deboli; sentì le costole incrinarsi e la trachea venne danneggiata tanto da causare un dolore lancinante e rendergli difficile respirare.
Udì un boato provenire dai presenti e l’urlo di McCoy che cercò di raggiungerli, prontamente bloccato dagli Esecutori.
Tossì convulsamente alla ricerca di aria e sentì il sapore ferroso della sabbia rossa in bocca.
Avrebbe dovuto reagire, ma la sua mente non collaborava e il suo corpo era lento.
Kirk lo colpì nuovamente con una gomitata ma riuscì a deviarla parzialmente, limitando il danno.
Rotolò via e si rialzò a fronteggiare il suo amico, che lo voleva morto.
Ne incontrò lo sguardo e forse quello sguardo fu la cosa peggiore di tutte.
Il suo Jim. Cosa gli aveva fatto per ridurlo a quella massa urlante di rabbia e dolore?
Kirk attaccò nuovamente e Spock pensò di averlo scansato, ma era una finta e quello lo colpì violentemente al lato del ginocchio, provocando una torsione innaturale che lo fece crollare in ginocchio.
Kirk stava di nuovo venendogli addosso ma stavolta riuscì ad abbassarsi in tempo, facendo rotolare l’umano sopra di se’ sul terreno.
Si rialzò zoppicando, il ginocchio era proprio fuori uso e per un attimo perse di vista Kirk.
Quando lo ritrovò era troppo tardi, gli piombò addosso sbattendolo nuovamente a terra.
Lottarono avvinghiati per qualche tempo finché Spock riuscì a respingerlo, facendolo finire dietro l’altare.
Sangue verde gli colava dal naso macchiando la tunica e finendo nella sabbia rossa, unendosi al sangue dei suoi antenati che per millenni avevano combattuto in quella stessa arena.
Sentì il katra ancestrale lottare per riemergere e non ebbe la forza di combatterlo. Non aiutò.
Le sue emozioni schizzarono alle stelle in un delirio di desiderio per quell’umano e nessun istinto al combattimento, solo di possederlo anima e corpo.
Tuttavia i suoi movimenti si fecero più fluidi e il dolore meno importante.
Il capitano si avventò sull’altare e afferrò la corta lama ricurva per il combattimento ravvicinato e si fece di nuovo sotto, brandendola con maestria sufficiente da essere mortalmente pericoloso anche per il vulcaniano.
Si girarono attorno, poi Kirk cominciò ad attaccare e Spock a schivare finché quello non lo colpì con un calcio alla gamba sana facendolo finire a terra.
Nello stesso movimento fluido l’umano lo spinse a terra col ginocchio e gli poggiò la lama ricurva alla gola, pronto ad usarla.
I loro sguardi si incontrarono e per un attimo la lama esitò.
Spock se ne approfittò per penetrare la mente di Kirk.
Quello rimase spiazzato dall’improvvisa intrusione mentale e la lama rimase poggiata sulla gola senza tuttavia continuare la sua parabola mortale.
Dalla gola gocciolò del sangue verde scuro.
“Jim”  un'unica parola risuonò come un gong in una stanza troppo piccola nella mente dell’umano.
“James… T’hyla. Ti prego, smettila. Mi ucciderai “
Vide la mente dell’amico vacillare.
- Non mi importa di morire, ma non voglio tu subisca le conseguenze di questo. Non te lo perdoneresti mai. Se non possiamo tornare ad essere Compagni, o neppure amici o colleghi lo accetterò –
La lama premette leggermente più a fondo sulla trachea danneggiata e il dolore esplose nella mente di Spock.
Jim lo percepì a sua volta.
Questo in qualche modo lo fermò, rendendosi conto che nonostante la rabbia avrebbe comunque condiviso ogni istante della morte di Spock se avesse continuato.
Perché il Legame era sempre lì, nascosto tra le ceneri del loro inferno desolato, pronto ad incendiare nuovamente le loro menti di gioia e dolore puri se solo avessero potuto colmare il divario tra loro.
Il katra di Spock si ergeva tra loro, bellissimo nella sua forma ancestrale di topazio giallo arrotondato, ma rovinosamente danneggiata e fiocamente illuminata.
“Sta morendo” pensò Kirk “un altro colpo e la distruggerei e con lei Spock”.
“Sì” replicò Spock “sta a te decidere. Ma ti prego, non farti questo. Io… Ho capito, adesso io vedo il tuo dolore, permettimi di condividerlo con te”.
La mano con la lama tremò, qualcosa nella mente di Jim si aggrappava a quella rabbia istigandola.
“Perché non puoi reagire nemmeno nella tua forma ancestrale?” chiese duro.
“Perché non potrei più farti del male. Ora il mio istinto verso di te è chiaro, come sarebbe dovuto essere se ci fossimo sottoposti al rituale fin dall’inizio”
“stai dicendo che tutto questo non sarebbe successo se avessimo seguito la maniera vulcaniana?”
“Si. Sottovalutare ciò che sono davvero, cercare di piegarlo alle tue necessità è stato un errore molto grave”
“perché mi sembra di odiarti e non riesco a smettere?”
“Perché ti ho fatto troppo male e ti ho tolto troppo. I nostri strati di civiltà sono stati sollevati e questo è puro istinto. Se non riesci a perdonarmi in questo stato e a placare la tua rabbia mi dovrai uccidere. Puoi farlo, adesso, nella mia mente o col mio corpo. Come ti ho detto, la scelta in futuro sarà sempre tua. Ma dovrai assumerti il peso delle conseguenze. Non legali, tutto questo è protetto dalle leggi di Vulcano e accettato come giurisdizione locale dalla Flotta Stellare. Ma dovrai risponderne a te stesso”
Vide la mente di Jim tremare e ritrarsi in se stessa, l’aura spegnersi del tutto per un lungo istante.
“Spock” disse alla fine “non voglio farlo. Io… ora capisco cosa provavi, capisco la tua anima vulcaniana molto meglio. Grazie per avermela mostrata nella sua interezza. E’ terrificante e meravigliosa”
“Anche io adesso capisco cosa hai provato. Al di fuori del comando, nella vita privata, la differenza di forza fisica e mentale è diventata una paura per te, dopo l’uso sconsiderato che ne ho fatto, anche se involontario. Ho temuto per anni che succedesse e purtroppo è andata peggio di ogni aspettativa. Ma io sono quello che sono e non posso recidere la mia parte vulcaniana. Pensi di poterla accettare, logica e fuoco compresi?”
Forse una persona qualunque avrebbe lasciato perdere o l’avrebbe già ucciso, ma il capitano James T. Kirk non era persona comune sotto nessun punto di vista.
Era capace di crescere, di cambiare, di rivedere le sue convinzioni, ed essere completamente onesto con se stesso, qualità già di per se’ molto rara.
Queste doti sommate alla sua istintiva compassione lo avevano reso speciale, fra i migliori esempi della sua razza, e la persona che aveva scardinato Spock da ogni sua convinzione fino a trasformarlo in ciò che era.
Kirk sapeva cambiare se stesso e il mondo attorno a se’.
Impossibile non amarlo.
“Sì, posso farlo” rispose deciso.
“Abbassa le tue difese. Vediamo cosa succede” suggerì Spock.
Jim fece come gli veniva chiesto e lasciò andare lo scudo di rabbia che aveva eretto, lasciando le loro menti libere di incontrarsi.
Si avvicinarono cautamente, poi Spock toccò la sua aura e Jim sentì la landa desolata della sua mente come germogliare di nuovo, con timidi sentimenti di gioia, curiosità, empatia spuntare dalle ceneri.
Quanto gli erano mancate, si rese conto.
Sentì qualcos’altro pulsare al di sotto, un palpito dorato che cercava di levarsi nuovamente tra loro. Ma Spock lo impedì.
“No. Non può tendersi incontrollato, dobbiamo farlo alla maniera vulcaniana. Dovremo eseguire il Rituale. Le nostre menti verranno indirizzate. Te la senti?” chiese all’umano.
“Mi fido di te” rispose Jim, eliminando quell’ultimo ostacolo tra loro.
Sentì all’esterno la sacerdotessa esclamare:
- E’ abbastanza. Separateli –
Mani robuste lo tirarono indietro e si ritrovò solo nel proprio corpo, la lama gocciolante di sangue verde ancora stretta nella sua mano destra.
Stava per buttarla via ma si trattenne. Invece, la pulì dal sangue verde nella sabbia rossa, creando dei piccoli grumi che sarebbero rimasti lì per le future generazioni, e la rimise con attenzione al suo posto sull’altare.
Vide la sacerdotessa guardarlo con approvazione prima che parlasse.
- Dichiaro la sfida terminata. Spock, Kirk, avete ritrovato voi stessi? – chiese formalmente.
Ora tutte le parole del rituale che venivano scelte con cura avevano un senso molto più chiaro per Kirk, la loro forma concisa conteneva significati reali e molto più grandi. Proprio come Spock.
“Sì” risposero all’unisono.
- Avete ritrovato il vostro Legame? –
- Sì – risposero nuovamente.
- Molto bene. Ora, siete pronti ad accoglierlo nelle vostre vite alla maniera vulcaniana, unendovi in Uno per sempre? –
Jim tentennò, non aveva riflettuto su questa conseguenza a sufficienza.
Incontrò lo sguardo di Spock, perfettamente sereno e tuttavia… accogliente.
Non poteva percepirne i pensieri ma li indovinò facilmente.
Jim tentennò, ma fu solo un istante.
- Sì – rispose e Spock fece eco senza esitazione.
- Avvicinatevi –
Fecero come chiedeva la sacerdotessa e quella pose le mani sulle loro teste.
- Secondo l’antica formula dei nostri avi queste due persone hanno trovato la loro Via e il loro Legame di Compagni. Nonostante James T. Kirk non sia figlio di Vulcano si è dimostrato degno di condividere questo meraviglioso dono, e così Spock.
La loro è la via dei Guerrieri e si svolge lontano, seguendo l’onorevole esempio di Sarek e Amanda e portando il nostro glorioso retaggio tra le stelle.
Possa la Logica guidare le vostre emozioni e la vostra vita essere sempre degna di essere vissuta –
Nelle loro menti il legame si tese improvvisamente, la fune di acciaio e oro ma stavolta rivestita di una guaina di velluto nero a proteggerla, il contributo del rituale vulcaniano.
La presenza improvvisa di Spock di nuovo nella sua mente tolse il fiato all’umano.
“ Spock… mi sei mancato” comunicò mentalmente.
“Anche tu, t’hyla. Anche tu”

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Capitolo 28
*** Il ricevimento ***


Vorrei solo dirvi che ho finito di scrivere la storia e pubblicherò gli ultimi capitoli nei prossimi giorni.
Sarebbe un grande piacere sapere cosa ne pensate
.
 
- Non posso credere che tu abbia fatto il baciamano a mia nonna! – esclamò T’Mar, mentre il sopracciglio di Spock spariva sotto la frangia curata.
Stavano sorseggiando champagne terrestre e un liquore azzurro di origine sconosciuta durante un sontuoso ricevimento organizzato da Sarek nel salone della casa di famiglia, dopo che i due contendenti erano stati curati e si erano ripuliti.
La raffinatezza di Sarek si evinceva dalla semplicità dei dettagli, ma si notava la mancanza del tocco caldo ed elegante di Amanda.
- Sono stato colto alla sprovvista e lei mi guardava come un topo da laboratorio… ho applicato la Manovra di Kirk – rispose McCoy sulla difensiva.
- La Manovra di Kirk? – chiese lei insospettita.
- E’ la tecnica di Jim ad ogni situazione incerta o pericolosa in presenza di alieni… “per prima cosa, seducile” –
Spock rimase stranamente imperturbabile alla descrizione poco ortodossa.
- Tu… volevi sedurre mia nonna?? –
- No! Ecco… non proprio, solo distrarla con un contatto fisico giustificabile con un rituale di saluto… ma ha funzionato! –
- Si è distratta? –
- Veramente, si è praticamente paralizzata dallo stupore…-
- Posso immaginare… -
- Almeno ha smesso di guardarmi in quel modo! –
Vedendo la risiana senza parole, Spock intervenne:
- Dottor McCoy, si rende conto come può essere percepito il desueto rituale umano del baciamano da parte di una vulcaniana? –
McCoy ripensò a come si toccavano Jim e Spock in pubblico, sfiorandosi le dita in modo quasi casuale… un ricordo lontanissimo di come Amanda carezzava le dita di Sarek, e lui rispondeva nello stesso modo… e finalmente comprese.
- Mi stai dicendo… che i vulcaniani si baciano accarezzandosi le mani? – chiese sbiancando.
- Diciamo che può essere considerato l’equivalente di un bacio umano. Le dita, come le labbra, sono ricche di terminazioni nervose che permettono il passaggio di onde theta a bassa intensità, lasciando filtrare i sentimenti di affetto –
McCoy non riusciva a parlare, comprendendo i risvolti del suo gesto.
T’Mar, leggendogli lo sgomento negli occhi, confermò i suoi timori.
- Esatto, Leonard. Quel gesto può essere considerato estremamente erotico da un vulcaniano, qualcosa di riservato all’intimità dell’alcova –
- Dannazione… - persino la sua imprecazione preferita uscì fioca come un reattore a curvatura spento.
Spock, rimasto impassibile, infierì:
- Immagino che la somma curatrice S’Mhara abbia trovato piuttosto disdicevole che il Compagno di sua nipote abbia tentato un approccio… intimo con lei. Avrà ritenuto fondate quelle voci sulla promiscuità sessuale degli umani che tanto disturbavano i vulcaniani della sua generazione -
McCoy lo fissò, totalmente ammutolito dall’orrore, per poi sprofondare la faccia sul palmo delle mani.
T’Mar infine scoppiò a ridere, la comicità della gaffe del suo adorabile dottore era troppa; per fortuna, sua nonna era di aperte vedute e aveva molta esperienza di contatti interrazziali, così si era limitata a sollevare un sopracciglio per poi chiedere spiegazioni in privato alla nipote riguardo allo strano comportamento del suo compagno.
Era stato meraviglioso poterla rivedere, anche se le circostanze non erano delle più felici e l’incontro con McCoy quantomeno bizzarro.
Prese delicatamente la mano di Leonard nella sua, cercando di rassicurarlo con un sorriso, che lui dopo un istante ricambiò.
Il loro legame era rimasto fluttuante dopo il trauma del virus, e non si era stabilizzato.
Non sapeva se sarebbe durato oppure si sarebbe spento, ma era comunque felice al fianco dell’umano, con la sua notevole intelligenza e il suo inguaribile romanticismo.
Spock si alzò.
- Scusatemi, ora devo andare dal capitano -
Spock si allontanò, seguito dallo sguardo imperscrutabile di T’Pol dall’altra parte della sala.
Gli occhi senza tempo della donna lo osservarono avvicinarsi al suo capitano con le mani congiunte dietro la schiena, aspettando rispettosamente che quello finisse di raccontare un qualche aneddoto divertente ai suoi ufficiali e amici.
Sorseggiando con piacere il suo primo champagne degli ultimi venticinque anni si rivolse al suo interlocutore.
- Sei stato degno del tuo ruolo di padre e testimone, Sarek. Prevedo che tuo figlio e il suo t’hy’la ritroveranno la loro sinergia anche sul lavoro. Senza il tuo sostegno e la tua opera di persuasione non sarebbe accaduto –
Sarek osservò con affetto suo figlio, che appariva finalmente non più solo.
 - Ho avuto un ottimo mentore in fatto di negoziazioni – rispose l’ambasciatore, accennando un brindisi alla donna.
Un lieve sorriso ammorbidì lo sguardo di lei, che rispose impercettibilmente al gesto.
- Direi che Spock non poteva scegliere compagno migliore – affermò.
- Concordo. Amanda sarebbe fiera di lui, come lo è sempre stata. La sua influenza sul comportamento di Spock è evidente: è gentile, come lei, e la sua aura adamantis è calda e… accogliente. Di questa eredità non potrò mai esserle grato abbastanza. Lo ha reso una persona migliore di quanto abbia fatto io -
La donna aspettò qualche istante prima di rispondere.
- Eppure Spock ha scelto la via vulcaniana, la più antica e difficile, senza rinunciare alla sua eccellente logica e con un controllo delle emozioni estremamente avanzato, nonostante il suo retaggio misto. Questo non è merito di Amanda. L’esempio che segue è evidentemente un altro. Un ottimo esempio, direi, visti i risultati –
Sarek impiegò qualche istante a dominare il sentimento che quelle parole gli provocavano. Sentì una profonda pace calare finalmente su quella parte della sua anima che riguardava suo figlio, da sempre intrisa di rimpianto e amarezza.
- Grazie – rispose – significa molto per me -
- Non devi ringraziarmi, sto solo esponendo i fatti – disse lei, ma con una certa gentilezza nella voce.
- Allora, verrai con me sulla Terra per quel negoziato con gli andoriani? Ufficialmente sei ancora di ruolo e sembrano avere per te un maggiore rispetto comparato agli altri vulcaniani… Saresti fondamentale – chiese Sarek dopo qualche istante.
- Sto ancora valutando – rispose lei.
- Allora verrai, ti conosco. Questa storia ha risvegliato il tuo sopito spirito, un po’ di attività ti gioverà. So che la Terra ti manca. Potrai rivedere i luoghi che conosci -
“E visitare le tombe di alcuni amici…” pensò lei, ma non lo espresse ad alta voce.
Invece, sorseggiò l’eccellente champagne fornito da Sarek per i suoi ospiti umani.
 
- Capitano – chiamò infine Spock, durante una pausa della conversazione.
L’umano si volse, cogliendo qualcosa nello sguardo del suo primo ufficiale che lo indusse a scusarsi con i suoi interlocutori e dedicarsi finalmente a lui.
Non si erano ancora parlati in privato dalla fine dello scontro.
- Spock… - provò a dire, ma non c’erano parole sufficienti per esprimere tutto quello che avrebbe voluto dirgli.
Il vulcaniano percepì il dilemma del suo compagno.
- Secondo l’usanza ora possiamo ritirarci dal ricevimento e discutere in privato – disse –
- Va bene, dopo tutto quello che è successo credo di averne la necessità – rispose Kirk, mascherando la preoccupazione che provava a riguardo. Seppe però dallo sguardo gentile che Spock gli rivolse che il suo compagno l’aveva comunque percepita.
- Seguimi, Sarek ci ha fatto preparare un alloggio a questo scopo – disse infatti quello.
- Tuo padre non lascia nessun dettaglio al caso. Ed è molto convincente – rispose Kirk con una smorfia, seguendolo verso le porte che davano sul lungo corridoio elegantemente decorato.
- Non capisco la tua sorpresa, è uno dei migliori ambasciatori della Flotta, è parte del suo lavoro –
- Non posso che concordare. Ricordami di ringraziarlo –
- Credimi, non è necessario –
Si inoltrò nel fresco corridoio decorato con antiche stampe di battaglie e intricati motivi geometrici neri e Jim lo seguì.

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Capitolo 29
*** La Dependance ***


Siamo quasi alla fine, una sensazione molto strana. Però doveva succedere, prima o poi.

"Kirk sgranò gli occhi. Avrebbe dovuto essersi ormai abituato alle maniere di Spock e al suo modo di esprimersi, così diretto ed essenziale. Ma in quel contesto… assumeva una valenza erotica in modo indecente.
Deglutì un paio di volte prima di ritrovare la voce per rispondere."


La Dependance

- Che posto è  questo? Non ricordo di averlo mai visto prima nelle mie visite a casa tua – chiese Kirk
- E’ la dependance degli Sposi – rispose imperturbabile Spock, posando la mantella su un divano.
- Degli … Sposi?? – balbettò Kirk – Vuoi dire che… siamo sposati??-
- Secondo la legislazione vulcaniana, i membri di un legame hanno uno status pari se non superiore al quello di sposati. Volendo, potremmo confermare il rapporto anche per la legislazione della Federazione.
Jim rimase ammutolito. Non aveva minimamente pensato a loro in questi termini…
In effetti, durante il sontuoso ricevimento molti vulcaniani, compresa T’Pol, si erano congratulati con lui, lasciandolo costernato.
La dependance era appartata rispetto al resto della grande casa e arredata in modo elegante e spartano, con poche suppellettili ma ogni comfort.
La zona bagno era decorata con pigmenti bianchi, la vasca enorme era scavata nella pietra e coperta di piccoli fiori rossi freschi.
Il letto era un rialzo in pietra anch’esso, coperto di un materasso dall’aspetto molto invitante.
Kirk si sentiva esausto ma difficilmente avrebbe potuto dormire con tutta quell’adrenalina che ancora gli circolava in corpo.
Posò la piccola sacca con qualche oggetto personale e rimase a guardare Spock che, perfettamente a suo agio nel suo ambiente, gli offriva una bibita da una brocca smaltata.
Accettò il liquido fresco al vago sapore di mirtillo e si guardarono negli occhi, incerti.
– Mi spiace per quello che è successo nell’arena. Per poco non ti ho ucciso – si scusò il capitano.
- Le scuse sono illogiche, le tue azioni erano una conseguenza delle mie e andavano vissute per poter superare il trauma –
- Sono felice di essermi fermato – dichiarò l’umano sommessamente – non avrei potuto vivere con una consapevolezza del genere –
- Lo so –
Prendendo tempo Jim girellò un po’ per l’ambiente, aprendo i mobiletti e l’unità refrigerante, ben rifornita di cibo e bevande.
Quando si girò vide che il vulcaniano l’aveva seguito.
- Non so cosa fare -  confessò il capitano - La situazione è insolita persino per la mia vasta esperienza –
- Ovviamente vale anche per me, Jim. Conosco le tradizioni vulcaniane, ma viverle è diverso. E poi noi siamo diversi.-
- Su questo non ci sono dubbi - Kirk ridacchiò.
- Però so cosa vorrei fare – aggiunse Spock, mortalmente serio, togliendo la distanza tra loro.
Di colpo il battito cardiaco di Jim aumentò.
- E… sarebbe?- chiese con un guizzo di ironia.
- Darti piacere, alla maniera umana – rispose quello con un’espressione insondabile.
Kirk sgranò gli occhi. Avrebbe dovuto essersi ormai abituato alle maniere di Spock e al suo modo di esprimersi, così diretto ed essenziale. Ma in quel contesto… assumeva una valenza erotica in modo indecente.
Deglutì un paio di volte prima di ritrovare la voce per rispondere.
- Puoi procedere -
E il vulcaniano così fece, con la solita impareggiabile abilità che gli era propria.
Jim ci mise qualche minuto a riprendersi dall’esperienza.
- Wow – esclamò poi – e questo cos’era? No – fermò l’altro sul punto di rispondere – era retorico, Spock, lo so perfettamente cos’era. –
Respirò profondamente per riprendere il controllo del proprio corpo, poi si girò verso il vulcaniano, seduto al suo fianco.
- E’ stato fantastico, Spock, ma… non ti ho sentito nella mia mente –
In effetti Spock sembrava insondabile nonostante l’intimità appena condivisa e Jim sentiva terribilmente quella mancanza.
- Stai schermando la tua mente, perché? –
- Perché ritengo che tu abbia bisogno di tempo per abituarti alla nuova condizione di … -
Jim sorrise col suo sorrisetto assassino e lo baciò.
Se c’era una cosa in cui era indubbiamente più esperto del suo super esperto primo ufficiale era baciare.
Infatti la resistenza durò solo un istante, poi Jim si trovò nella mente di Spock, oltre che sulle sue labbra accoglienti.
Effettivamente Spock teneva ancora i suoi scudi mentali rigidamente sollevati.
“Abbassali, fammi entrare” sussurrò l’umano suadente nella sua mente, intensificando il bacio in modo irresistibile.
“Non credo tu sia ancora pronto a questo… “ cercò di obiettare Spock, ma Jim proiettò un’ondata grezza di pura lussuria umana, avvolgente, gioiosa e inebriante tipica del suo affascinante carattere.
Alcuni schermi di Spock cedettero, lasciando esposto un desiderio insoddisfatto così forte da togliere il fiato.
“Spock, perché ti stai trattenendo “ chiese perplesso.
“Io… voglio che sia piacevole per te“
“E’ più che piacevole per me!” esclamò l’altro, emanando altre emozioni di desiderio tipiche umane.
Spock non sapeva come resistere e inaspettatamente nemmeno come comportarsi, ma era evidente che il suo desiderio insoddisfatto gli procurava dolore.
“Sa una cosa, comandante? Vuol dire che per questa volta lei sarà mio!” rise diabolicamente Kirk, invadendo la mente di Spock con tutta la lascivia trattenuta fino a quel momento.
“Sì capitano… “ boccheggiò Spock, arrendendosi a quella ovatta dorata che gli andava penetrando ogni anfratto della mente, lasciandolo incapace di agire ma solo di provare. La mente di Jim non era addestrata ma era potente e l’erotismo era sicuramente uno dei suoi punti di forza.
Ogni logica venne tacitata da quella morbida spuma dilagante che cominciò a pulsare violentemente, facendolo ansimare.
Jim stava sicuramente facendo qualcosa anche al suo corpo, ma era difficile capire il limite fra proiezione mentale e fisicità reale.
Non era mai stato così prima tra loro e si rese conto che la libido umana aveva un fascino irraggiungibile per un vulcaniano.
Era… raffinata da millenni di utilizzo sistematico e cosciente, e sicuramente Jim eccelleva in quell’uso.
Quando l’ultima ondata dorata si ritirò lentamente dalla spiaggia delle loro menti si ritrovarono improvvisamente coscienti di se’ e del proprio corpo, in una stanza diversa e col T’Khut che giganteggiava nel buio della notte.
- Per dirla con parole tue, Jim… Wow – esclamò Spock, con voce stupefatta.
Kirk rise come un ragazzino.
- Non so cosa mi ha fatto la sacerdotessa in quell’arena, ma credo di aver imparato qualche trucchetto mentale più utile della semplice proiezione astrale verso l’esterno.
- Credo di poter concordare –
- Che ore sono? –
Probabilmente attorno alle 02.00, ma non so di quale giorno.
- Di quale giorno?? – chiese trasecolato Kirk.
- Questi stati mentali sono molto intensi. Di solito gli sposi vengono lasciati soli per  almeno un mese senza interruzioni –
Il capitano lo guardò cercando di capire se stesse scherzando, ma captò qualcos’altro nella mente del vulcaniano che continuava a rialzare i suoi scudi mentali.
- Spock… mi spieghi che ti succede?  Sei sempre schermato. Non è quello che ti aspettavi? – chiese preoccupato.
Spock si alzò, allontanandosi verso un distributore di bevande.
- The alla menta, zuccherato – richiese, rilassato nella sua elegante nudità.
Kirk inarcò un sopracciglio: Spock non metteva mai zucchero nel suo the. Ridacchiò, sentendo il proprio stomaco brontolare sonoramente, poi gli si avvicinò.
Quando Spock ebbe quasi finito gli prese la tazza e allungò le due dita della mano destra stese verso di lui.
Quello, dopo un attimo di esitazione ricambiò il gesto.
Una corrente di emozioni e parole fluì liberamente tra loro, poi Kirk cominciò ad accarezzare quelle due dita dall’interno all’esterno in un lento gesto languido e suadente.
A quanto pareva Kirk eccelleva in tutti i gesti erotici in cui si cimentava, a qualunque razza appartenessero…
Spock ansimò e sentendo i propri scudi cedere interruppe il contatto, girandosi.
Kirk aggrottò le sopracciglia, perplesso, poi ritornò all’attacco.
Gli infilò una mano tra i capelli fino a sfiorare le eleganti orecchie a punta e l’altra ad accarezzargli la schiena tra le scapole.
Quando sentì il corpo sotto le sue mani cominciare a tremare gli morse leggermente una spalla.
Il vulcaniano si irrigidì e un istante dopo Jim si trovò in terra, immobilizzato e con la sua mente invasa da quella del compagno.
Gli schermi erano caduti e poteva vedere oltre: una landa di roccia nera dove scorrevano fiumi di lava rossa ribollente.
Uno spettacolo feroce.
Lo osservò affascinato.
“Cos’è questo stato?”
“E’ il Pon Farr” rispose la voce dura di Spock “lo scontro lo ha attivato”.
Jim sussultò. “Ovvio’  si disse con un brivido.
La terra tremò e un gayser bollente scaturì a poca distanza.
“Hai paura?” chiese Spock.
“No” rispose convinto l’umano “ti prego, condividi la tua anima vulcaniana con me. Posso sopportare il calore dell’inferno“ rispose, con un ghigno satanico.
Spock annuì e Jim si mosse su quel terreno nero e ostile.
La lava lo raggiunse e lo lambì e lui la accolse senza esitazione.
Bruciava, un dolore intenso misto ad un piacere ancora più intenso. Inseparabili.
L’anima vulcaniana.
Sentiva il desiderio del vulcaniano ardere incontrollato, quasi insaziabile.
James T. Kirk non temeva una buona sfida e accolse il dolore, godendosi il piacere connesso in un’estasi apparentemente senza fine.
“Andiamo Spock, mostrami il tuo mondo” disse con il suo sorriso sfrontato, tendendogli la mano.
 
- Quanto… - provò a chiedere Jim, ma la voce uscì spezzata e se la schiarì.
- Tre giorni, 8 ore e 26 min…
- Spock…- lo zittì il capitano – tre giorni?? –
Jim si era appena risvegliato su un morbido tappeto al rumore dell’acqua che scorreva, mentre Spock riempiva la vasca di pietra bianca con i fiori rossi che iniziavano ad emanare il loro profumo intenso nel calore del liquido.
Si mise a sedere, evidentemente troppo bruscamente perché nella testa gli esplose un dolore lancinante.
Si sentiva completamente ammaccato e privo di forze.
Guardò il suo compagno che procedeva con metodo a preparare il bagno e notò anche in lui evidenti segni di stanchezza, nonché il contorno di un occhio verde scuro tendente al marron e diversi segni di … uh… morsi sul corpo.
- Ho un mal di testa che nemmeno dopo le sbornie con McCoy…- si lamentò Jim – e ricordi parecchio confusi e improbabili dei giorni trascorsi. Almeno questa volta Bones non dovrebbe lamentarsi dei miei intercorsi romantici con alieni!- sorrise con un angolo della bocca – I miei complimenti, signor Spock: il miglior trip mentale della mia pur vasta esperienza a riguardo –
- Come ti spiegavo, gli stati emotivi connessi al Pon Farr possono essere piuttosto… intensi –
- L’eufemismo del giorno. E anche quelli fisici direi! – esclamò Jim ridacchiando, subito interrotto da un dolore alla spalla che lo fece sussultare.
- Questo bagno dovrebbe alleviare i sintomi. Vieni –
Il vulcaniano gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Quando furono faccia a faccia Jim lo scrutò, non trovando alcun segno di tensione; anzi, Spock sembrava del tutto sereno, forse persino felice come non l’aveva mai visto.
- Spock… come stai? Sei… uscito dalla febbre del sangue? – chiese, anche se ora poteva sentire chiaramente nella sua mente lo stato d’animo del compagno.
- Bene. Il Pon Farr è passato –
- Quasi quasi mi dispiace…- ridacchiò Kirk – Sono stato un compagno… adeguato alle tue esigenze vulcaniane? -
- Direi più che adeguato… James –
Il modo in cui pronunciò il suo nome privato… l’umano provò un brivido, sentendosi pronto ad un'altra sessione di pon farr.
E quell’impercettibile sospiro di soddisfazione che il suo algido vulcaniano emise dopo quelle semplici parole fu ancora più elettrizzante.
Jim entrò velocemente nella vasca, la temperatura dell’acqua era ovviamente perfetta e con un sospiro si distese, sentendo i muscoli sciogliersi e il mal di testa dileguarsi.
- Le erbe sono scelte appositamente per questa evenienza – spiegò Spock seguendo il corso dei suoi pensieri.
- Mi hai atterrato con una presa vulcaniana per caso? Questo formicolio alla spalla mi è familiare – chiese Jim massaggiandosi il muscolo.
- Credo di averlo dovuto fare ad un certo punto… - confessò quello candidamente.
- Non ricordo molti dettagli fisici, la mia mente era completamente sommersa da immagini non coerenti con la realtà. Cose piuttosto… improbabili - 
Spock lo guardò con quegli occhi insondabili che – ora Jim lo sapeva con certezza – racchiudevano universi di profonda ricchezza emotiva.
Jìm si rilassò son un sospiro soddisfatto nel bagno perfetto, notando solo allora lo sfacelo del resto degli ambienti comunicanti.
- Come abbiamo fatto a ridurre la dependance in questo stato?? – chiese allibito.
- E’ stato quando hai cercato di…-
- No, ti prego… non credo di volerlo sapere… - gemette Kirk – ma come faremo a restituire la stanza a tuo padre in queste condizioni? –
- Secondo la tradizione vulcaniana, la probabilità che la coppia funzioni nel futuro è proporzionale al danno arrecato alla camera e ai suoi contenuti durante il pon farr– rispose impassibile Spock; allo sguardo attonito di Kirk si guardò attorno e aggiunse – la nostra sembra essere una unione piuttosto promettente -
Dopo qualche istante Jim iniziò a ridere convulsamente, senza potersi trattenere.
Quando si placò si lasciò scivolare con la testa sott’acqua per poi uscirne grondante e scuotendosi come un grosso cane inzuppato, bagnando Spock, che lo guardò benevolo senza battere ciglio.
Alla fine si decisero a mangiare qualcosa seduti al bancone con la meravigliosa vita sul deserto infuocato che il capitano non odiava più così tanto.
- Pensi ancora di lasciare il comando dell’Enterprise? – chiese improvvisamente il vulcaniano.
Kirk fu preso alla sprovvista da quella domanda, non aveva avuto la possibilità di riflettere su quel particolare negli ultimi giorni.
- Non riesco a pensare ad una vita diversa da quella che abbiamo sull’Enterprise insieme – rispose infine – Credi che potremo lavorare insieme con questo Legame tra noi? –
- Non l’abbiamo forse fatto ottimamente in tutti questi anni? – rispose il vulcaniano in modo molto … vulcaniano.
Un lento sorriso illuminò il volto di Kirk.
- Come al solito, signor Spock, lei ha ragione –
- Una costante non sarebbe tale se avesse delle eccezioni –
Jim rise di gusto, inseguendo l’ultima foglia di verdura blu nel piatto.
- Spero solo che Komack non obietti che non è appropriato… - fece una smorfia.
- L’ammiraglio Komack è una persona molto competente e dalle notevoli capacità strategiche. Sarebbe un grave errore perdere i due ufficiali superiori migliori della Flotta per una mancanza di apertura mentale, che peraltro non gli è propria. Inoltre credo che tutti ci considerino già da tempo come una ”squadra vincente”, per dirla con parole umane –
- I due ufficiali migliori eh? Non pecca certo di modestia, Spock –
- Sto solo esponendo un dato di fatto –
- Lei è una torre di forza ed incoraggiamento, signor Spock - sorrise Kirk - Non so cosa farei senza di te – aggiunse, più sommessamente.
- Il sentimento è reciproco, Jim. Credo di aver fugato ogni dubbio a proposito –
Una impercettibile traccia di malizia in quelle parole cambiò repentinamente l’atmosfera fino ad un istante prima distesa e rilassata, riempendola di aspettativa.
Jim fu felice di aver finito il suo cibo.
- Quanto tempo hai detto che possiamo passare qui dentro? – chiese candidamente, finendo il suo bicchiere di liquore di bacche maav vulcaniane e spostando il piatto.
- Ho concesso ad entrambi una licenza irrevocabile di 4 settimane – rispose il vulcaniano.
- Quindi altre due settimane… Molto bene, perché credo di voler innalzare la soglia del significato “devastazione” in questa dependance – disse Kirk, dondolandosi languidamente sulla sedia.
Spock si ripulì attentamente la bocca prima di alzarsi, liberò il bancone dalle stoviglie inserendole nella pulitrice sonica e si diresse verso l’umano, fermandosi vicinissimo al suo fianco e torreggiando su di lui con le mani dietro la schiena.
- La sacerdotessa ne sarà deliziata quando verrà ad ispezionare la stanza – rispose imperturbabile.
Jim smise di dondolarsi e si alzò di scatto, fronteggiando il vulcaniano.
- Ma niente gioco sporco, niente prese vulcaniane stavolta – comandò.
- Sì capitano, ricevuto – rispose quegli, alzando repentinamente una mano a sfiorargli le tempie e incendiandogli la mente di desiderio.
- Avevo detto niente gioco sporco – boccheggiò l’umano.
- Infatti, diciamo più un… trucchetto. Ne Ho imparato alcuni da un certo capitano…  Sei in grado di opporti, lo sai –
Era vero, si rese conto Jim, ridendo selvaggiamente.
Incanalò le proprie energie e si preparò al confronto, baciandolo subdolamente lascivo.
 
Per giorni le loro menti ed i loro corpi splendidamente uniti bruciarono, bruciarono ogni resistenza, ogni dubbio, ogni rancore mai provato e dalle ceneri di quel fuoco risorsero liberi, come non lo erano mai stati.
Liberi di essere felici assieme.

 

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Capitolo 30
*** Epilogo ***


Ebbene sì, dopo 10 anni siamo giunti alla fine... Lasciare andare questa storia è molto dura, mi ha accompagnato in periodi difficili e supportato grazie ai vostri generosi e graditi commenti.
Spero di avervi regalato momenti piacevoli.

Leonard… - Spock esitò, combattendo contro il suo naturale riserbo – Io… sentirò la tua mancanza – espresse infine con una punta di tristezza."

Epilogo
 
L’alloggio era cosparso in modo caotico di una varietà di oggetti, personali e tecnologici, che il proprietario cercava ostinatamente di far entrare in una sacca troppo piccola.
Il cicalino della porta emise il suo caratteristico rumore, al quale rispose con un seccato “avanti”, senza alzare lo sguardo sconsolato dal letto ricoperto di vestiti.
Le porte si aprirono e qualcuno entrò silenziosamente.
- Non riuscirò mai a finire in tempo – gemette sconfortato.
- Non avrà bisogno di tanti indumenti, potrà pulirli giornalmente e riusarli. Inoltre le attrezzature del centro medico dovrebbero essere sufficienti – disse una voce atona.
- Ah, è lei Spock – disse, McCoy, girandosi verso il vulcaniano – aspettavo Jim –
- Ne sono consapevole, ma volevo salutarla e ho pensato che sarebbe stato preferibile nella tranquillità del suo alloggio. Spero non le dispiaccia –
McCoy lo guardò accigliato.
- Questo è molto gentile da parte sua, Spock. Mi sembra che finalmente stia diventando più … umano – lo stuzzicò.
- Non c’è bisogno di sminuire il mio gesto con questi paragoni, dottore – replicò il vulcaniano imperturbabile – se non gradisce la mia presenza è sufficiente dirlo – e accennò ad andarsene.
McCoy rise e lo richiamò:
- Spock, aspetta… scusami, le vecchie abitudini sono dure a morire. Ovviamente sono felice che tu sia qui. Vieni a farmi compagnia mentre aspettiamo Jim, ho bisogno di un drink – disse, spazzando il tavolino dagli oggetti che andarono a ruzzolare disordinatamente ovunque e liberandone la superficie.
Si preparò un mint julep e si sedette, invitando Spock a fare lo stesso.
Dopo un attimo di esitazione Spock si versò dell’acqua e lo raggiunse.
Le stelle scorrevano come eleganti fili di luce multicolore all’esterno della finestra mentre l’Enterprise, alla fine della sua completa revisione nei cantieri astronavali di Vulcano, si dirigeva a velocità di curvatura 4.5 verso Cetacea per portare l’aiuto necessario a superare l’epidemia.
Il ronzio dei motori era diventato una nota rassicurante e McCoy, che all’inizio della sua carriera l’aveva odiato fino alla nausea, si chiese quando di preciso fosse divenuto tale.
Si godettero il silenzio reciproco che Spock, anche se mai lo avrebbe ammesso in pieno possesso delle sue facoltà mentali, trovava confortante.
Tuttavia, durante i recenti contatti mentali, molte delle parole che esprimevano i loro sentimenti erano state liberate dalla loro prigione di riserbo e la loro amicizia era diventata più forte e sicura.
Entrambi sapevano cosa rappresentavano l’uno per l’altro e questa sensazione di calore faceva loro compagnia in ogni momento.
- Il tenente Layris è pronta? – chiese Spock, rompendo il silenzio.
- Quasi, stava finendo di preparare un protocollo di procedura per la cura del virus e ha pensato di lasciarmi da solo con le mie dannate valigie – si lamentò – con la scusa che staremo insieme per almeno tre mesi su Cetacea non vede la necessità di passare questi momenti insieme –
- Il tenente ha già deciso se farà ritorno sull’Enterprise al termine dell’assegnazione su Cetacea? –
- No. Non ho idea di cosa succederà, dipenderà da questo periodo sul pianeta suppongo. Il Legame non si è teso tra noi, sta lentamente spegnendosi – rispose quietamente dottore.
-  Mi dispiace – disse gentilmente il vulcaniano
- Non è doloroso, ovviamente mi manca ma essendo il processo spontaneo anche T’Mar non sembra risentirne troppo. In ogni caso per me è sempre stato… estraneo. Noi umani non siamo fisiologicamente predisposti per questo. E’ piuttosto stressante – spiegò.
- Per esperienza non posso che concordare con lei – rispose il primo ufficiale, con il più impercettibile dei sospiri.
- Immagino che tu e Jim ne sappiate più di chiunque altro – rispose con gentilezza il dottore, sorseggiando il suo drink.
- Leonard… - Spock esitò, combattendo contro il suo naturale riserbo – Io… sentirò la tua mancanza – espresse infine con una punta di tristezza.
McCoy impiegò un istante a riprendersi da quella commovente affermazione del suo logico, rigido amico vulcaniano.
- Spock… grazie. Sei davvero diventato più gentile – alzò una mano per interrompere le proteste imminenti  dell’amico – e questo non è un insulto, non sminuisce minimamente la tua logica vulcaniana.
Ormai sappiamo che voi vulcaniani provate forti sentimenti… dopo gli ultimi eventi non si può più negare. Il fatto che non ve ne facciate dominare non li rende meno reali, così come il fatto che occasionalmente li esprimiate non sminuisce il vostro sforzo verso la logica e l’autocontrollo.
E dopo quello che ho visto… devo dire che siete dannatamente bravi in questo -
- Leonard … questo tuo apprezzamento è … insolito – rispose Spock, sorpreso.
McCoy prese un lungo sorso del suo mint julep, poi riprese:
- Non sono stato sempre corretto nei tuoi confronti in questi anni. E’ stato arrogante pretendere che ti adeguassi a noi comportandoti in maniera più  umana. Tu sei esattamente come dovresti essere ed io avrei dovuto accettarti, e apprezzarti, molto prima. Per questo ti chiedo scusa – disse il dottore, guardandolo intensamente negli occhi.
Spock quasi si schiarì la voce prima di rispondere al suo amico.
- Leonard… vorrei essere in grado di esprimere ciò che le tue parole rappresentano per me, sia per il mio lato vulcaniano che per quello umano –
- Credo tu lo stia già facendo egregiamente – minimizzò il dottore con un sorriso ed un gesto della mano – e il tuo medico nonché consigliere ti da’ un consiglio: smettila di separare le tue “razze” come se fossero due mostri che si scontrano quotidianamente. Non sei un tot vulcaniano, un tot umano. Tu sei una sintesi di entrambe le cose, intrecciate in modo imprescindibile. Tu sei Spock
Le sopracciglia del primo ufficiale sparirono sotto la frangia impeccabile mentre rifletteva su quelle parole.
Tu sei Spock
- Dottore, non gradisco ammetterlo ma stavolta lei ha ragione. Seguirò il suo consiglio – rispose alla fine con leggera sufficienza.
McCoy scoppiò a ridere e sollevò il suo bicchiere in un immaginario brindisi.
- Te lo dovevo, dopo tutto quello che hai affrontato per aiutare me e T’Mar, un buon consiglio mi sembra un ben piccolo ringraziamento! –
Si rilassò sullo schienale della sedia, mettendo i piedi sul tavolo senza nessuna eleganza.
- Spock – chiese dopo un certo silenzio il buon dottore – Sei felice? –
Il Vulcaniano impiegò diversi istanti per rispondere.
Non perché non conoscesse la risposta, ma perché si concesse di assaporarne la consapevolezza.
- Sì, Leonard. Sono felice – e la sua voce, pur sempre così controllata, risuonava tuttavia di una pienezza che scaldò il burbero animo del suo amico.
Il cicalino della porta avvisò della presenza di un ospite.
- Avanti – gridò McCoy, riempendosi nuovamente il bicchiere.
- Bones, scusa il ritardo ma l’ammiraglio Komack non smetteva più di farmi domande – entrò lamentandosi Kirk – Spock, anche tu qui? – notò con un sorriso.
- Io e il nostro logico vulcaniano ci stavamo scambiando consigli e ringraziamenti – proclamò il dottore con voce impostata.
Jim aggrottò le sopracciglia e li scrutò con attenzione, come ad accertarsi che non fossero affetti da postumi del virus.
- E’ vero, capitano – confermò il primo ufficiale con serietà.
- Non so se siate ubriachi o cosa, ma che io sia dannato se rovinerò un momento storico come questo! – esclamò ridendo Kirk, andandosi poi a versare un cocktail analcolico. McCoy lo guardò accigliato per la scelta.
- Sono ancora di  turno, dottore – lo ammonì Jim prima che protestasse, sedendosi al tavolo con loro.
- Allora, Bones… raccontami delle tue avances alla gran curatrice S’Mara, nonché nonna della tua attuale compagna. Non ti sapevo così libertino… - stuzzicò Kirk, sorseggiando il suo drink.
- Oh no, di nuovo questa storia! – gemette McCoy prendendosi la testa fra le mani - Non c’è stata nessuna avances, è stato solo un malinteso! E’ andata così… -
Jim guardò Spock e vide chiaramente il divertimento nel suo sguardo sereno.
 
Le stelle sfilavano nel buio del vuoto cosmico come sottili fili iridescenti, guidandoli verso l’ignoto del loro futuro, luoghi dove nessun umano o vulcaniano era mai giunto prima.
Proprio laggiù, dove volevano essere.
Insieme.
 
 Fine


Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito fin qui. La vostra opinione è sempre attesa e gradita
Lunga vita e prosperità

 

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