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Premessa: se “Il Gladiatore” è un film che amo
moltissimo, “Via col vento” rappresenta invece un’opera per la quale nutro
un’avversione viscerale. Del resto, chi come me ama la cultura afroamericana
non può pensarla diversamente, a proposito di un film(e di un libro) grondante nostalgia per un mondo dove i neri
erano considerati “cose” , in cui gli stessi sono rappresentati come dei poveri
deficienti el’eroina è una
borghesuccia viziata per la quale mi è difficile provare simpatia .Un paio di
appunti: non sembri strano che il protagonista, giovanissimo, sia già medico.
Nel secolo scorso, le cose andavano diversamente da adesso, anche perché la
formazione superiore intesa com’è attualmente non esisteva.Crow non c’entra niente con il mio grande
amore cinematografico. In realtà, sta per cornacchia ed era il nomignolo
insolente che la “ brava gente” del Sud appioppava ai neri, specie a quelli che
“non volevano stare al loro posto” vale a dire erano ambiziosi e desideravano
elevarsi anche grazie alla cultura.
Dai tempo al tempo Rossella.
Quante volte se l'era detto da sé sola, quando lui partiva per quei
viaggi di cui si sapeva la data della partenza e
quella del rientro era incerta?L'aveva aspettato senza
perdere la pazienza, quando se n'era andato sbattendo la porta, stanco, lui, un
uomo fatto, dei suoi capricci
da ragazzina viziata.Ma il tempo era rotolato
come un sasso lungo una discesa, da
quel giorno: era stato amore, ma anche parole che non si sarebbero mai
volute dire, di quelle che scolpiscono un segno
profondo, dentro il cuore, e lui non era uomo capace di dimenticare il male
ricevuto.
"Sono cambiata, non sono più la stessa di
vent'anni fa."E come
metterlo in dubbio?Era passata attraverso due matrimoni,
altrettante vedovanze, una guerra, la miseria,
l'abbandono,il dolore.Non
fosse morta in quel modo, la piccola Diletta sarebbe
stata ormai una bella signorina e avrebbe avuto il mondo
ai piedi. Il ricordo di Diletta le lacerava ancora il
cuore, nonostante gli anni trascorsi, nonostante, in qualche modo, Dio
gliel'avesse restituita nella piccola Kitty, figlia dell'amore
anche lei, figlia di quello stesso uomo che
era stato capace di adorarla e di odiarla, d'innalzarla
e di calpestarla, di dedicarle la vita e
di umiliarla, quasi avesse avuto a che fare non con una
signora ma con qualcuna delle sgualdrine che non
aveva mai smesso di frequentare.
Avevano cambiato
città, e forse la gente non sapeva di loro. O,
anche se sapeva, faceva finta di niente: New Orleans non era
Atlanta, la pettegola, provinciale, bigotta Atlanta, e poi si
sarebbero sposati, occorreva solo avere un
pochino di pazienza, aspettare che
gli affari si mettessero in sesto, e quando mai
non lo erano stati, aspettare che
la nuova fabbrica producesse a pieno regime, che
le commissionifioccassero, che i viaggi, quegli interminabili viaggi
in giro per il mondo, quei
viaggi misteriosi a proposito
dei quali non le raccontava mai abbastanza,
quelle lunghe assenze punteggiate da telegrammi e lettere che
sarebbero dovute essere rassicuranti e non lo
erano, avessero finalmente avuto termine. Aspettare, aspettare.Intanto i
sorrisi dei vicini cominciavano,anche a New
Orleans,a farsi ironici :era una mantenuta,niente
di diverso dalle belle mulatte di Rampart Street
nei loro abiti chiassosi e nei
loro gioielli pacchiani,oggetto
d'ironia e di commiserazione,e la piccola Kitty era…Non
osava nemmeno pensarle, quella parola volgare: una bastarda.
Gliel’avrebbero gridato dietro tutti, sibilato alle spalle le compagne di
scuola, fatto pesare con uno sguardo di pietà ipocrita perfino le sue
istitutrici. Niente era in grado di difenderla da una simile maledizione. E
presto avrebbe iniziato con le domande imbarazzanti, a sei anni era molto più
matura e precoce delle sue coetanee.
Eh già,corre,il
tempo,veloce come un grosso sasso che rotoli giùper una discesa.Io trentasette,lui
piùdi cinquanta,sei la
bambina...Le carezzò la testa,e lei strillò,quando uno dei suoi corti
riccioli scuririmase impigliato
nel castone dell'anello.Erano ricresciuti ricci e ribelli,dopo che la
malattia glieli aveva fatticadere, cresciuti in fretta e più belli di prima, grossi, folti e
accesi da riflessi rossicci,come il
mantello dei cavalli bai. Era la madre, ma avrebbe potuto affermarlo
anche un estraneo: Kitty era proprio una bella bambina anche se la
malattia le aveva lasciato quei riccioli corti da
maschiettoe occhiaie livide sopra la
pelle bianca della faccia.Il
peggio è passato,l'aveva rassicurata il dottor
Wharton,ma Rossella faceva fatica a crederlo.La bambina era
troppo pallida e magra,per
essere davvero guarita:sguazzava dentro i
vestiti,ti guardava con quegli occhi tristi da
vecchietta,aveva perso l'appetito e la vivacità che l'avevano sempre
contraddistinta,per diventare abulica e sonnacchiosa come
un vecchio cane.Forse neppure il
medico di famiglia ne capiva
nulla o forse,peggio,aveva capito
benissimo quale fosse la situazione,e preferiva tacere.E
Rossella trasaliva,paventando l'irrimediabile,ad ogni minimo colpo
di tosse,quale che ne fosse la causa.Se anche Kitty,Dio non avesse
voluto...Aveva trentasette anni,e per mettere al
mondo la sua ultima creatura s'era quasi ammazzata.Nel caso
fosse accaduto l'irrimediabile,cercare la magra consolazione di un
altro figlio sarebbe stato impossibile,i
medici le avevano parlato con
estrema franchezza. Allora il filo che l'univa a
Rhett si sarebbe definitivamente spezzato e,di tutte quelle che credeva
certezze,una sola sarebbe rimasta in piedi:era stata una pessima madre,frivola
e distratta,una donna incapace di amare chicchessia,neppure i figli che
aveva messo al mondo: Wade e Annabelle,frutto il primo
di un matrimonio per dispetto con un ragazzino e la
seconda di un matrimonio d'interesse con un vecchio,si facevano
vivi con lei solo a Natale per inviarle,dai collegi che
frequentavano,brevi e formali messaggi di augurio.Diletta non c'era più,
e Kitty...La strinse a sé ,forte.Non avrebbe permesso che le
accadesse nulla di male,avrebbe lottato con le unghie e
coi denti per...Rifiutò il pensiero di
quell'evenienza,col suo amore disperato di madre
capace di ricusare ogni logica.Ma stringendosi contro la piccola,sentiva le
ossa sporgere troppo sotto la vestina da casa,il
fremito leggero della pelle e il tepore maligno di quella
febbriciattola maledetta che non voleva
saperne d'andarsene. Lotterò,siripromise,lotterò con
tutte le mie forze,non chiuderòocchio e pregherò tutta la notte,smuoverò anche le montagne,se sarànecessario.Un paio di giorni
prima,Prissy le aveva parlato di un giovane
medico,arrivato fresco fresco
dal Nord."E'
bravo,dicono".C'era da credere alle stupide
chiacchiere di un serva pettegola?Forse che
il vecchio dottor Wharton,il medico di famiglia,non era
bravo abbastanza?"E'bravo,dicono".Già. E viene dal
Nord:sarebbe mai venuta qualcosa di buono,dal
Nord?Qualcosa di diverso
da ladri,profittatori,soldati blu ubriachi,con la
Reminghton stretta in pugno e un ghigno osceno a
storcergli la bocca?
*
-Il dottorButler, Miz Rossella.
Non voleva
credere ai suoi occhi,né le fu facile reprimere la
tentazione di prendere a schiaffi la faccia nera
e impudente di Prissy. Dunque,quello
sarebbe stato il luminare calato dal Nord per ridare la
salute alla piccola Kitty?Dove non era riuscito un
professionista di nome,un gentiluomo come il
dottor Wharton,sarebbe riuscito quel...quell'individuo
vestito come un vaccaro texano,che
ostentava amuleti pellerossa al collo e
ai polsi e che...Dio mio,ma dove l'aveva pescato,quella stupida
di Prissy?In qualche santeria del Vieux Carrè?
-Dottor
Butler.Wade Gabriel Butler,per
servirvi,Madame.
La voce era
bassa e rauca,l'accento quello duro del Nord. Wade,come suo figlio.Non
doveva essere molto più vecchio di lui. Butler,come l'uomo
che non aveva mai
smesso di considerare,aldilà del fatto che
legalmente non lo fosse,suo marito.Forse
era uno dei tanti bastardi che Rhett doveva aver
seminato in giro,anche se era impossibile
individuare qualsiasi somiglianza fra i due.Eppoi Butler era
un cognomeabbastanza
comune,si disse da sé sola, e sapeva che era per consolarsi.
-Harvard,1878.Sono undottore vero, madame, non uno stregone.
Wade come suo
figlio.Gabriel,come il piùbello
degli arcangeli.I capelli corti,a ricci serrati,erano del
nero più nero che
le fosse mai capitato
di vedere.Gli occhi,grandi e nerissimi anch'essi,facevano pensare a
quelli di un giovane cervo.Aveva le guance magre,il
mento ben modellato,segnato
da una leggera fossetta.La bocca era forse un
tantino troppo larga,la punta del naso appena schiacciata,ma
era inevitabile,in lui,che tali fossero.Doveva
esserestato un bambino bellissimo,non
c'era da stupirsi che sua madre l'avesse battezzato
col nome di un angelo.
-La paziente?Miss
Prissy mi ha parlato di una bambina.
"Miss
Prissy...Una stupida negra.Miss
Prissy,ma guarda un po’...e un medico color del cacao.Che razza di mondo
mi tocca vedere..."pensava Rossella,evitando di guardarlo in
faccia. Gliel'avrebbe pagata,e cara,quella
stupida.Miss Prissy, ma guarda un po'.
-Ha avuto il tifo,questa
bambina?
Mentre parlava,i denti gli
balenavano,candidi fra il roseo livido e screpolato delle
labbra spesse,grandi,ferini quasi,in
singolare contrasto con la dolcezza
dello sguardo.
-I capelli,già..Una signorina
della sua età dovrebbe portarli lunghi.
Ricresceranno,comunque,e più belli di prima.Quanti anni
ha,questa bambina?Otto?
-Sei e mezzo.E'... altina,per
la sua età.
Avrebbe voluto gridare a
Prissy di farsi gli affari suoi,di non immischiarsi
in faccende che non li riguardavano,lei
e quel ciarlatano nero,ma una rabbia
impotente le teneva dentro tutto quello che avrebbe
voluto urlare.
-E'molto pallida.Miss Prissy
mi ha riferito che èstata
salassata.Chi è il vostro medico curante,Madame?
-Il dottor Wharton.Un
gentiluomo.
Un sorrisetto fugace
illuminò per un istante la bella
faccia del Dottor Cornacchia.Aveva un
profilo nobile, notò Rossella.E un corpo magnifico,sotto
gli abiti dimessi:gambe lunghe e snelle,spalle poderose.
-Mi sembra di
vederlo:un vecchio signore con i capelli
grigi,il pizzo,gli occhiali a stringinaso...Rigorosamente
bianco,suppongo.Sarebbe ora che imparaste a guardare aldilà delle
apparenze,Mrs O’Hara.
-Io non permetto che...
-I miei consigli sono
disinteressati,ci crediate o no.Mi rendo conto che sbandierare una
laurea in medicina conseguita ad Harvard a ventitré anni
soltanto,con voi sarebbe tempo e fiato sprecato. Beh,il massimo che ci si
possa aspettare da un negro è che pulisca le scarpe alla
stazione …Eppure sarebbe sufficiente il buonsenso di un lustrascarpe
per capire-e abbassò il tono della voce-che quel macellaio
non sta facendo niente di
buono,alla vostra bambina:da una
nanigo bruja di Congo Square avrebbe ricevuto meno danni.
Che cosa
stava insinuando,adesso,quel maledetto negro?Che era una
cattiva madre,lei che si era consumata gli occhi
a piangere e le ginocchia a pregare,per la sua bambina che non voleva
guarire?Cosa ne sapeva,della sua pena per le lacrime di Kitty
davanti ai piatti di brodo insapore e
di riso scondito,davanti ai barattoli
di vetro pieni di quelle orribilisanguisughe,davanti ai bisturi del flebotomo che avrebbero aperto per
l'ennesima volta le sue piccole vene?Quante volte s'era
dovuta far forza per rimproverarla,quando pestava i
piedi per non lasciarsi curare,quando
voleva andare a giocare in giardino e non poteva,quando si vedeva negare
i cibi che le piacevano e propinare quel
solito riso scondito e quel solito brodo
insapore?
-Miss Prissy mi ha raccontato
tutto quanto, Madame.L'inappetenza della bambina,quel
pallore,quella febbriciattola...Non ha niente di
ciò che temete,stenta
solo a riprendersi,perché di
aria,sole e cibo buono che ha bisogno,non diassurdi regimi dietetici e men che meno di
salassi.Si rimetterà in fretta,allora,e
tornerà ad
essere quella di prima.Vi costa tanta fatica crederci?Eppure,a quel
Wharton che la stava rovinando avete creduto.
Rossella dovette
morsicarsi la bocca per non rispondergli male:era
difficile credere che potesse
aver ragione,uno come lui,uno dal quale al massimo ci si aspetta che
lustri gli stivali dei bianchi o svuoti i loro orinatoi
o,tutt'al più,che si occupi di qualche animale malato,cercando di curarlo
con amuleti,scongiuri e formule
magiche,non di una bambina
come la sua Kitty. Già,era terribilmente difficile
ammettere che potesse anche aver ragione.
-Guardatemi,Madame,e
cercate di non vedere un negro,ma un
medico capace al quale sta a cuore la salutedei suoi pazienti e, naturalmente,della vostra bambina.Miss
Prissy mi ha portato da voi perché vi vuole bene...
-Prissy èuna stupida.
-Avete ragione.E'proprio da
stupidi provare amore per chi non merita niente.
Il suo sguardo
vellutato,profondo come un pozzo,tagliava come una lama di
coltello.La fissò negli occhi,costringendola ad
abbassarli a terra,per la prima volta in
vita sua.Proprio una bella faccia di
bronzo:nemmeno Rhett l'aveva mai umiliata così.
-Non ho
più niente da dirvi...Dottore. Andatevene.
Lui si
allontanò ,le spalle dritte,la testa
alta,la figura elegante da danzatore.Era alto quasi
come Rhett,pensava Rossella,e aveva spalle ancora
piùlarghe e fianchi ancora
più magri.
-Cercate di farle prendere
qualche cucchiaio d' olio di fegato di merluzzo:ha un sapore
terribile,ma è un ottimo
ricostituente.E...-si voltò ,allungò una mano e le afferrò il mento con le
dita,costringendola ad alzare la testa,a guardarlo dentro quei suoi occhi
neri come il fondo di un pozzo.-Avete le pupille più piccole della punta
di un ago, Madame:smettetela di
prendere laudano.Vi fa male.Il laudano non è un
succedaneo della felicità.
"Succedaneo...Che
vorrà dire? Ne conosceva parecchie,di parole,quello strano
nero.Aveva imparato a leggere e a scrivere,era entrato ad Harvard ene era uscito medico,a ventitré anni solamente,a dispetto della sua
condizione,a dispetto del suo colore, a
dispetto di come il mondo doveva andare. Chissàchi era.Il sangue scuro delle sue origini si era imbastardito al
contatto con quello bianco; del resto,ormai
da parecchi anni,era diventato quasi impossibile
incontrare un negro puro,un africano
autentico."Succedaneo..."Beh,forse significava sostituto.Ma
come aveva fatto ad accorgersi che,aveva perso il conto dei
giorni,senza laudano non riusciva più ad addormentarsi?Forse quei suoi
occhioni da cerbiatto,quelle iridi nere nelle
quali era impossibile distinguere
il foro della pupilla,potevano leggere dentro.Non
aveva mai creduto,anche se ne
favoleggiavano in tanti,che la conoscenza del
soprannaturale,nei neri, potesse essere qualcosa di connaturato alla loro
stessa essenza, non aveva mai creduto alle loro stupide
superstizioni,eppure...Ma si poteva parlare di superstizione,di
soprannaturale,di lettura del pensiero,nei riguardi
del dottor Butler?Di un medico
laureato ad Harvard,non uno stregone,malgrado
quella pelle,quell'abbigliamento da mandriano,quegli amuleti indiani che
portava al collo e ai polsi?Lo sguardo le scivolò sulle sue
mani :erano bellissime.Si trovòa desiderare le loro carezze,per poi vergognarsi dei suoi
pensieri segreti. Quell'uomo era un nero,la colpa della rovina del suo
mondo ricadeva anche su di lui,era anche per causa sua se si
era scatenata una guerra che le aveva sconvolto la vita,che l'aveva fatta
piangere per la disperazione e la paura,che le aveva fatto provare cosa
significhi miseria,cosa significhi fame e quanto sia brutta la
morte.E poi,se si era laureto quattro anni prima,a ventitré anni,adesso
doveva averne ventisette, dieci in meno di lei.Anche se non
fosse stato nero,quello che le passava per la testa era peggio che
indecente,doveva dimenticare perfino
d'averlo pensato.
-Accompagnalo,Prissy.
-Non datevi
disturbo,Madame,posso fare da solo.La porta di servizio sta da quella
parte?
Un sorriso
ironico gli aveva scoperto quei suoi poderosi denti
da animale,bianchissimi tra le labbra livide.Che
cosa avrebbe provato,a baciarlo,si domandava
Rossella.Il suo cuore batteva talmente forte...Che cosa
le stava succedendo,era forse impazzita?
-Il vostro fazzoletto,Madame.
Nel chinarsi a
raccogliere il fazzoletto caduto,la camicia gli
si era scostata dal petto,scoprendo una piccola
striscia di pelle bruna,levigata:come sarebbe stato,senza
vestiti addosso?Bello come una statua di
bronzo,pensò la donna,le
guance in fiamme che lui sicuramente
aveva notato, compiacendosene per giunta, animale di un negro.
-Avete un buon
profumo.-le disse annusando il fazzoletto e guardandola come se
volesse sedurla,la grande bocca carnosa socchiusa,le
palpebre frangiate da ciglia incredibilmente lunghe
abbassate a metàsul candore
delle cornee,sul nero assoluto delle iridi.
-Andatevene.
Lo fissò negli occhi,la testa
alta,le labbra serrate,lo sguardo duro.Che
cosa ci faceva ancora lì?Possibile
che non avesse capito che quello
non era il suo
posto?Possibile che non si rendesse conto che quella
del Sud era una realtà diversa e che non sarebbe bastata una laurea a cambiargli il
colore della pelle?
*
Rossella si accasciòsulla
poltrona,la testa pesante della spossatezza consueta.Se n'era appena
andato alla malora,il Dottor Cornacchia,accompagnato alla porta da Prissy.Era
stata generosa con l'onorario,era giusto pagargli il
tempo perso e non fornirgli il pretesto per chiamarla spilorcia,lei,una
gentildonna del Sud.
Ma esisteva ancora,si domandò,afferrando
la boccetta del laudano,il Sud delle grandi dimore e dei viali
alberati,delle scampagnate e delle feste da
ballo,dell'ospitalità della
cortesia e dell'onore,delle belle dagli occhi
languidi e degli audaci cavalieri,della luna grande come una lanterna che
inargentava i campi e il muschio delle querce,quel mondo di
cui sentiva una nostalgia feroce e che la guerra
aveva distrutto?Un mondo perfetto,all'interno del quale
ognuno recitava il suo ruolo e perfino gli schiavi avevano accettato
la loro parte?Lui,forse,le avrebbe detto di schiene scorticate dalla
frusta,di
famiglie divise,di uomini marchiati a fuoco come bestiame da macello.
Favole,invenzioni di comodo,fantasie di gentaglia come quell'odiosa
Mrs Stowe con i suoi romanzacci che lassù al Nordqualcuno aveva perfino scambiato per la
realtà.A casa sua,lei non aveva mai
visto niente di tutto questo,solo facce
serene,espressioni sorridenti.Una come la sua vecchia
Mammy non avrebbe saputo che farsene,della libertà.
Versò il laudano nel cucchiaino
d'argento,lo ingoiò .Aveva un sapore terribile,ma l'avrebbe aiutata
a star meglio."Vi fa male"le aveva detto
lui.Che poteva saperne,dei suoi problemi e
delle sue esigenze,quello stregone di Congo Square,con i polsi
fasciati da amuleti barbarici e la lana crespa
sulla testa,al quale soltanto la dabbenaggine
di quelli
del Nord aveva potuto permettere di studiare?Fosse vissuto
al Sud,sarebbe rimasto al suo posto e per lui sarebbe stato sicuramente
meglio.Un nero intelligente e istruito è sempre un guaio,per
se stesso e per gli
altri.Quante volte lo aveva sentito ripetere da suo padre,da
Rhett,dagli amici di famiglia,da tutti quanti?
Il Sud che aveva
nel cuore era morto,pensò ,probabilmente non era mai neppure
esistito nella realtà,quel mondo ovattato e artificiale
incui era cresciuta,fatto di grandi
dimore neoclassiche,di lune d'argento e
feste da ballo.Gli intrepidi cavalieri erano in realtàfiacchi damerini infrolliti da quattro
generazioni di matrimoni fra consanguinei,le belle dagli
occhi languidi insipide pupattole allevate in collegio,destinate a
matrimoni precoci e a esistenze
tediose.Dolci reginette del loro mondo fatto d'ozio,di
noia e dei figli che
questi generano,i vizi.Tutte belle e
profumate fuori,ma fradice dentro,tanto marce da andare perfino con
i loro schiavi.Le era capitato d'origliare discorsi
sussurrati a mezza bocca,storie alle quali aveva
sempre rifiutato
di credere,troppo squallide per essere
vere:non riusciva proprio ad immaginarsela,una gentildonna,una
come lei,impastata d'orgoglio dalla testa ai
piedi,allevata nel culto per il lusso e per le cose belle,con
qualcuno dei braccianti di suo padre,esseri che era difficile credere uomini,neri
come il carbone,puzzolenti come capre e brutti
come diavoli dell'inferno.Sarebbe
bastato solo il pensiero a farla vergognare di se
stessa,ma pensieri del genere non le erano mai passati neppure per
l'anticamera del cervello.
E Wade,allora?La sua
pelle aveva la tonalità calda di un biscotto appena sfornato e i lineamenti
della sua faccia non davano certo l'impressione di essere stati sgrossati
con l'accetta da un ragazzino maldestro in vena di giocare
allo scultore, non tanfava di sudore rancido ed
era impastato d'orgoglio,esattamente come lei.
L'orgoglio.Il solo
pensare a quell'uomo come lo stava pensando era dimenticare
d'averne.Per una come lei doveva riuscire inammissibile perfino riconoscere
che quell'individuo era un bravo medico e che aveva
salvato sua figlia,altro che sorprendersi a pensarlo in
quel modo,a chiamarlo dentro di séper nome,lo stesso nome di suo figlio
(non doveva essere molto piùvecchio di lui),a richiamare il ricordo dei suoi
occhi bui quanto la notte,del bronzo fuso della pelle,delle spalle
poderose sotto la giacca di camoscio,delle
mani,di quelle bellissime mani dalle dita
affusolate e dalle unghie bianche.
Quanto tempo era
passato?Dieci giorni,non di più;.Kitty era rifiorita,divorava
i pasti col sano appetito di un lupacchiotto e le sue guance
avevano ripreso colore.Non tossiva piùe quella maledetta febbriciattola se
n'era andata.Per sempre.Di lì aqualche mese,i capelli le sarebbero ricresciuti,bruni
e ricci,e sarebbe stato bello
acconciarglieli con
nastri di raso.Ecco, Wade era un estraneo, uno sconosciuto
capitato per caso nella sua vita ma aveva il merito di averle restituito un
tesoro rubatoche aveva quasi
perduto la speranza di ritrovare. Il suo dovere l’aveva
fatto, e che scomparisse, adesso, lasciandole solo il ricordo di un
sogno angoscioso, di quelli che fanno svegliare nel cuore della
nottecol cuore in gola ma che si
dimenticano in fretta . Rhett, ne era sicura,stava per tornare.E
questa volta sarebbe stato per sempre.
*
-La bambina sta
bene...Adesso?
Rossella dubitava che
non avesse più avuto modo di saperne.Da
Prissy,per esempio,quella pettegola impicciona. Chissà perché
era tornato,tutto nero dalla testa ai piedi.E
bello,bello da spaccare il cuore.
-Benissimo.Mangia
con appetito,gioca,non ha piùla
febbre e neppure quella brutta tosse.Non so davvero
come ringraziarvi,dottor…Butler.Sapete,sentendola
tossire in quel modo ho temuto che...
-Potesse ammalarsi
di tisi? E’ il terrore di tutte le mamme, quandosentono tossire i loro bambini. Certo,la
tisi colpisce di preferenza gli organismi già debilitati per altre cause e la
piccola era debole...Ma ho visto che siripresa perfettamente,deve avere una fibra
d'acciaio.
"Vi somiglia
poco.Probabilmente ha preso da suo
padre".L'aveva pensato sicuramente, era quel che
pensavano tutti. Da lei, Kitty aveva preso solo i capelli scuri, del resto era
bruno anche Rhett. Le guance piene e colorite, l’ossatura robusta le erano
venute da lui.
Il padre dev’essere un pezzo
d’uomo, magari uno di quei mezzi irlandesi, sicuramente lo aveva pensato, il
dottor Butler, lo aveva pensato davvero. La madre, invece, era tutta diversa.Di
una bellezza fragile,fanée come direbbe un
francese,eufemismo gentile per non definirla sciupata.Aveva una piccola
testa altera dal profilo leggermente aquilino,la pelle
bianchissima in contrasto con la
massa bruna dei capelli,acconciati in una
morbida onda che le ombreggiava la fronte.Gli occhi,grandi e molto
distanziati fra di loro,le conferivano un'espressione malinconica e un
po'corrucciata:erano verdi,spruzzati di pagliuzze d'oro e leggermente strabici.Le
labbra,piccole e sottili ma disegnate
con finezza,si aprivano su dentini candidi e minuti,diversi
da quelli forti della gente di
colore,indubbiamente meno belli.Di statura media
e di complessione delicata,ostentava un vitino
incredibilmente esile,frutto dell'abitudine a quegli
infernali marchingegni ai quali nessuna dama del
bel mondo avrebbe rinunciato,pur sapendo quanto nuocessero alla
salute.Ma ci tenevano poi più di tanto,alla
loro salute,le dame del bel mondo?Anzi,sembravano
ostentare le loro complessioni gracili,il loro pallore anemico,i
loro dentini decalcificati come patenti irrinunciabili della
loro nobiltà di
sangue.Le contadine sono sane e forti,non le
signore.Le contadine e le negre.
Wade ripensòa sua madre.A quarant’ anni,era ancorabella come una ragazza,e non c'era niente di
fragile e delicato in lei:spalle grandi,lineamenti
forti,corpo flessuoso, la bellezza senza fronzoli
e senza orpelli della sua razza;nata schiava in
una piantagione della Virginia,prostituta in un
bordello di lusso dall'etàdi tredici
anni,madre a sedici e Dio solo sapeva
chi l'avesse ingravidata,fuggita al Nord a venti prima
che le vendessero il figlio...Poteva dire d'averla vissuta
altrettanto intensamente,la sua
vita,quell'altra?Forse l'unica sua preoccupazione,da
adolescente,era stata quella d'accalappiare un marito
purchessia,si fosse trattato d'un vecchiaccio impotente
non importava,purchéfosse ricco e disposto
a mantenerla nel lusso,a farla vivere servita e
riverita in una bella casa,a comprarle
gioielli e abiti di sartoria.Le voglie le avrebbe
represse,come reprimeva abitualmente il desiderio di una
passeggiata senza cappello e senza ombrellino,per paura che il sole le facesse
fiorire di lentiggini la pelle della faccia.O le
avrebbe soddisfatte
di nascosto,con un ospite di
passaggio,un cugino povero che scriveva poesie o magari con un uomo
di colore,un mulatto bello come lui da disprezzare in
pubblico e da desiderare fino allo spasimo in
privato.Quella donna non ne sapeva un bel niente,della vita.E
forse era proprio la consapevolezza della sua nullitàad averla indotta a decidere d’
avvelenarsi lentamente con quelmaledetto laudano.
-Perché siete tornato,dottore?I pettegolezzi
di quella Prissy sul nostro conto non sono
stati esaurienti?O non vi
ho pagato abbastanza?
Sembrava seccata
d'averlo ancora in mezzo ai piedi,quel negro che non era stato
capace di restarsene al suo posto,a lustrare sputacchiere d'ottone dicendo
“sìpadrone,sissignore..." e
condendo il tutto con quel sorriso melenso
che tanto piace ai bianchi perché è il segno manifesto
della debolezza di cervello che contraddistinguerebbe i
negri,la stigmata incancellabile del loro destino di
servi.Invece il sorriso del dottor Wade Gabriel Butler
balenava candido e sornione tra le labbra sensuali.
Chissàse ci aveva mai
tentato,con una
donna bianca,si ritrovò a pensare Rossella. Chissà se
ci tenterebbe…con me.
-Deontologiaprofessionale,Madame.Un codice di
leggi non scritte che qualsiasi bravo
medico,di qualsivoglia colore è tenuto a
osservare.Niente e nessuno mi garantiva che la vostra
cameriera dicesse la verità :forse la bambina era
finita dinuovo nelle grinfie di quel dottor Wharton,so benissimo
che è più facile fidarsi d'un macellaio che d'un
negro,da queste parti.Vi ringrazio di non averlo
fatto,Madame. E scusatemi se ho dubitato di voi.
Le iridi nere come il
carbone scintillavano tra le palpebre abbassate. Rossella notò un piccolo neo
proprio sotto l’occhio sinistro di Wade, poi osservò l’arco ampio delle
sopracciglia, il profilo regolare, l’angolo volitivo e delicato della mascella,
la grande bocca prepotente che, quando rideva, gli scopriva fino ai molari
tutti quanti i suoi denti bianchissimi. E si ritrovò costretta ad ammettere di
non aver mai incontrato,nel corso della sua vita, un uomo bello come quel
mulatto pieno d’arroganza, infettato dal veleno del Nord al punto da non
riuscire a ficcarsi in testa che una guerra perduta com’era stata perduta, a
New Orleans non bastava a renderlo uguale agli altri e che, laureato o
analfabeta che fosse, era sempre soltanto un negro.
-Eppoi…Ero preoccupato per
voi, Madame. Per quel maledetto laudano che prendete. E’ una droga, esattamente
come l’oppio. Avete mai visto una fumeria? Credo di no. Beh, provate ad
immaginate l’inferno, se ci credete, o qualcosa di molto simile. L’oppio riduce
peggio dell’alcol e impiega meno tempo a trasformare un essere umano in un
rottame. Voi siete ricca, avete un tesoro di bambina, siete giovane…e siete
bella. Non esiste al mondo una ragione che giustifichi il desiderio di distruggersi,
specialmente quando si ha tutto. I miei ventisette anni non sono tanti, ma ne
ho già viste di tutti i colori; eppure sono convinto che le difficoltà vadano
prese a calci in faccia, non annegate nell’alcol, nell’oppio o in qualche altra
porcheria. Qual è il vostro problema, Madame? L’insonnia? Una tazza di latte
caldo, la camomilla e la valeriana sono ottimi rimedi e non fanno male alla
salute. Perfino un libro noioso potrebbe tornarvi utile. Conosco molti titoli,
potrei suggerirvene qualcuno.
La camomilla. Boh, aveva un
sapore orribile. E la valeriana doveva essere qualche altro intruglio del
genere. Il latte non lo aveva mai digerito e in quanto ai libri noiosi…Un tipo
davvero curioso, il buon Dottor Cornacchia. A meno che i rimedi contro l’insonnia
che aveva in testa in quel momento non fossero altri. Non sono come dannati
animali sempre in fregola, i neri, pronti a saltare addosso alla prima cosa che
vedono muoversi, e se si tratta di una signora bianca tanto meglio? La mano di
lui s’era posata, asciutta e forte, sopra la sua, e la stringeva con
delicatezza. Rossella avrebbe voluto urlare, sbatterlo a male parole fuori da
casa sua, ma aveva ragione, anche se era dura da mandare giù. Ed era
terribilmente bello, il che poteva essere anche peggio.
-Chi vi autorizza a credere
che io…
-L’anomalo restringimento
delle vostre pupille, Madame: dimenticate che non potete nasconderlo, con
quegli occhi così chiari, men che meno a un medico. Io lo sono, anche se può
riuscirvi difficile accettarlo. Quando vi deciderete a gettare quella porcheria
giù dal lavandino, il favore lo farete a voi stessa e non a me.
-Andatevene.
-La verità può fare
parecchio male, ma spesso è un male necessario, come cavare un dente
guastoo amputare un arto incancrenito.
Se la pietà, la creanza, l’ipocrisia o non saprei che diavolo d’altromi trattenessero dal dirvi quello che devo,
vi farei un grave torto, Madame: vostra figlia non ha bisogno di una madre
pazza, men che meno di una madre morta. Mi sono stancato di ripetervelo,
neanche foste una bambina viziata. Se solo mi faceste il favore di dimenticare
che chi vi sta davanti è un negro e invece pensaste che è un medico, un medico
capace, scusate l’immodestia, se dimenticaste un attimo soltanto quello che
siete, se dimenticaste le idee con cui gente che ha la segatura al posto del
cervello vi hariempito la testa dacchè
state al mondo…Dio, che cose terribili riuscite a farmi dire. O forse sto solo
perdendo tempo: non ci capiremo mai, voi ed io, alla faccia della guerra, delle
leggi e di tutto quanto. Ma…Siete convinta che sia un bene? Sapete, ho
dissezionato parecchi cadaveri, quando ero studente. Le prime volte fa schifo,
poi ci si abitua, come a tante altre cose. Beh, posso garantirvi che, sotto la
pelle, siamo tutti perfettamente identici: il grasso è giallo sporco, i muscoli
dello stesso colore dei quarti di bue che si possono vedere appesi in qualsiasi
macelleria, gli intestini grigi, i vasi sanguigni bluastri, le ossa bianche e
il sangue vivo di un bel rosso ciliegia. Gli occhi, lo specchio dell’anima,
chiari come i vostri o neri come i miei, sono due bocce gelatinose piene di
liquido come acini d’uva; il cervello di un genio e quello di un idiota non
differiscono l’uno dall’altro, sono entrambeuna massa disgustosa di materia flaccida e grigiastra, impregnata di
sangue come una vecchia spugna. In quanto al cuore, poi, fate conto di vedere
un grosso grumo di carnescura e
coriacea, pieno di cavità invece che di sentimenti e figuratevi che quasi non
c’è differenza tra quello di un essere umano e quello di un maiale. Non siamo
proprio niente belli se ci guardiamo dentro, Madame, e sarebbe il caso che ce
ne ricordassimo, qualche volta. Scusate, dovevo dirvelo: forse sono stato
brutale, ma ne andava della vostra felicità, della vostra salute…forse perfino
della vostra vita. Quel vostro dottor Wharton non vi ha detto niente? O è stato
proprio lui a prescrivervi il laudano per farvi dormire? Beh, buttate il
laudano di quel criminale giù dallo scarico del lavandino e, dopo esservi
bevuta una bella tazza di latte caldo, leggetevi un paio di pagine del
“Capitale”.Dovreste addormentarvi come un angelo e, anche qualora la cosa non
dovesse riuscirvi, potreste trovarlo una lettura interessante: mi è stato detto
che vostro…marito è azionista di maggioranza di una delle più grosse fabbriche
di armi del Paese.
Fu l’orgoglio, quello
soltanto, a impedirle di scoppiare a piangere come una stupida in faccia a
quell’uomo insolente.
-Andatevene-gli sibilò come una vipera, i
pugni serrati, i lineamenti del viso irrigiditi dalla collera, gli occhi verdi
stretti come due fessure.
-…E cercate di non farvi più vedere, sporco
negro, altrimenti…
Le
sorrideva, mentre si calcava sulla testa il cappellaccio nero a larghe tese,
con quella faccia d’angelo ombreggiata da un filo di barba, un turchese
d’argento che gli luccicava appena sotto la gola. Wade
Gabriel Butler. Forse
non avevasbagliato, era davvero uno
dei molti bastardi che Rhett doveva aver seminato in giro.
*
Ho
buttato il laudano giù dallo scarico del lavandino. Vi aspetto.
Rossella
O’Hara
Il
sorriso del dottor Butler doveva indubbiamente costituire, per la donna, una
delle prove inconfutabili dell’esistenza di Dio, ma era troppo ordinaria,
troppo timorata e, quel che è peggio, troppo vecchia per un uomo del genere.
Vecchia? La padrona lo era più di lei e stava giocando a un gioco rischioso:
avrebbe voluto dirglielo, cercare di metterla in guardia per il suo stesso
bene, ma era cresciuta nella convinzione che non si potesse proibire a un
bianco di far quel che si era intestardito di fare, neanche dopo che la guerra
si era portata via i vecchi tempi ma non i vecchi pregiudizi.
-Riferitele che mi vedrà presto.
Se
il gioco fosse andato avanti, avrebbe finito col diventare pericoloso anche per
lui. Soprattutto per lui. Ma quell’uomo avevatutta l’aria di non aver paura di niente. L’affitto delle tre stanze che
occupava, lo pagava a Mexcal, il più temuto stregone vudù del Vieux Carré; né
meno terrificante appariva agli occhi di Prissy la creatura che il dottor
Butler tratteneva per il collare: uncane nero, gigantesco, tutto zanne acuminate e occhi rossi, che la
guardava truce e ringhiava sordo.
-Con chi non è animato da cattive intenzioni è un agnello: buono, Bear…
Difficile crederlo. Era bello anche più del solito, col sole che gli
illuminava la faccia, le brache di pelle aderenti alle gambe slanciate, il
collo della camicia aperto sugli amuleti indiani, lo sguardo che gli sorrideva.
L’arredamento della sua stanza era semplice, perfino sommario. Un paio di
quadri appesi al muro scabro, un tendaggio a fiorami scoloriti che nascondeva
un letto, alcune vecchie sedie, un armadio a muro, un tavolo con sopra un vaso
di fiori: camelie bianche.
*
-Accomodatevi dove meglio credete, dottor Butler.
Lo
aveva accolto con il sorriso dei bei giorni, la dama bianca graziosa, serena e
distesa come non l’aveva mai vista. E molto ben disposta nei suoi riguardi.
-Credevo di avervi offesa. E che non avreste più voluto che mi presentassi
davanti a voi nemmeno per tutto l’oro del mondo.
-In effetti, lì per lì vi ho odiato, dottore. Ma poi ho riflettuto su
quel che avete detto: anch’io ero abituata a prenderle a calci in faccia, le
difficoltà della vita…
Un
grazioso sorriso le aveva sollevato gli angoli delle labbra, disegnato due
leggere fossette sulle guance. Quali difficoltà aveva dovuto prendere a calci
in faccia, una donna come quella che sicuramente dalla vita aveva già ottenuto
tutto quanto? L’amore non ricambiato per un uomo? Guardare, impotente, il suo
mondo fatto di sopraffattori e di sopraffatti andare in pezzi senza poter fare
nulla per impedirlo? Dover tollerare che un negro le impartisse lezioni di
vita? E adesso, poi, perché aveva deciso, inaspettatamente, di riceverlo? Solo
perché, utilizzando più buonsenso che medicine, aveva restituito a Kitty il
bene della salute? O perché l’aveva convinta a gettare dallo scarico il laudano
con cui si stava lentamente avvelenando? O semplicemente per sbattergli sul
muso tutte le insolenze che non aveva fatto in tempo a sciorinargli l’altra
volta? Eppure, sembrava gentile. Lo sarebbe stata altrettanto, si domandava
Wade, se lui fosse stato vecchio e brutto, o forse…Capace che la cortesia di
quella donnicciola ricca e viziata fosse motivata da secondi fini sordidi, da
curiosità malsane che aveva sempre provato, da voglie che aveva deciso di
togliersi e lui era quello giusto, con la sua pelle chiara, i suoi lineamenti
regolari, il suo corpo perfetto che non smentiva, nemmeno in quel certo
dettaglio anatomico che balenava attraverso i calzoni di pelle, le dicerie
messe in giro i bianchi a proposito dei neri?
-Mi piace conoscere
persone interessanti e sapere tutto quanto sul loro conto, dottore.
-Mi
considerate…interessante?
-Un medico nero laureato
ad Harvard, giovane bello e bravo non può non esserlo.
La piccola mano bianca
gli si era posata sull’avambraccio, facendogli correre un brivido per la
schiena; e gli occhi verdi, freddi e distanti come quelli di un uccello da
preda, avevano cercato i suoi per conficcarvisi dentro come chiodi.
-La mia serva mi ha detto
che vivete a Congo Square.
-Sto bene in mezzo ai miei
simili. E poi mi sono trasferito in questa città per curare la gente che sta
male, non per sfidare i pregiudizi dei bianchi.
-E che pagate l’affitto a
Mexcal lo stregone.
-E’ un buon diavolo, in
fondo. Non credo che possa fulminare con lo sguardo, fare innamorare chi non
ama o rubarti l’anima: ma conosce il potere di guarigione delle erbe e questo
può tornare utile anche a un medico.
-Ha anche detto che tenete
in casa un grosso cane feroce.
-Amo gli animali. Eppoi Bear
non è affatto feroce.
-Eha notato delle camelie bianche in un vaso…
-Per me sono semplicemente
fiori e nient’altro. Del resto, il mio colore non dovrebbe dare adito a nessun
equivoco.
In Louisiana, i membri del
Klan avevano scelto quel fiore candido e innocente come simbolo, chissà perché.
E solo e nient’altro che quello doveva essere, per uno come Wade.
-Odio la loro vigliaccheria.
Chi ha qualcosa contro di me, deve dirmela guardandomi in faccia, senza
nascondersi dietro cappucci, lenzuoli e mascherate ridicole. Vengo dal Nord,
non sono stato capace di restarmene al mio posto, parlo bene, ho preteso di
studiare invece di fare il facchino o il lustrascarpe, non ho peli sulla
lingua, mi porto appresso con orgoglio e senza falsa modestia un bel cervello e
una faccia che le donne guardano volentieri…Potrei essere un bersaglio con
tutte le carte in regola, non trovate? E invece di nascondermi, me ne sto a
fare conversazione con una dama di qualità come voi. Basterebbero le
chiacchiere di una serva, un’osservazione innocente della vostra bambina, e
potrei ritrovarmi in un mare di guai.
Rossella si morse le labbra,
ricordando un passato che sembrava lontano secoli. Frank, il suo secondo
marito, il buon vecchio Frank Kennedy che l’aveva salvata da un’umiliante
indigenza quando aveva accettato di sposarlo fingendo d’ignorare che aveva il
doppio del suoi anni e il fiato che gli puzzava, era rimasto ucciso proprio nel
corso di una spedizione punitiva organizzata dal Klan per mettere a posto
qualche negro che s’era azzardato a tralignare, contando sulla presunzione che
i tempi fossero cambiati. Anche Rhett gli aveva dato manforte, e altri con lui.
-State attento.
Le stesse parole che aveva
detto a Frank, quella sera di tanti anni fa. Ma Frank era un vecchio, mentre
Wade era giovane e spavaldo. Era un buon tiratore, le aveva detto, e se la
cavava bene anche semplicemente menando le mani.
-So badare a me stesso. Se
dovesse capitare, i Lenzuoli ne uscirebbero malconci.
Non aveva sprecato troppe
delle sue lacrime, sul povero Frank, e aveva avuto modo di consolarsi in
fretta. Tutto si sarebbe risolto nell’oblio, non fosse stato per quella figlia,
Annabelle, tozza, brutta e musona quanto lei era vivace e graziosa. Una figlia
che malediva la sorte per averle negato i doni che aveva invece elargito a
piene mani a sua madre e che aveva scelto di vivere con gli zii paterni. Erano
anni che non la vedeva: doveva averne sedici, ormai, era una ragazza da marito.
O, più probabilmente, un’infelice destinata a restare zitella.
-In ogni caso,da me non
avete niente da temere, dottore. Io vi devo molto. La mia servitù sa essere
discreta. In quanto alla bambina, a quest’ora si recada Mademoiselle Berthaud per le lezioni…Ho sempre fatto quello
che ho voluto, ricevuto chi mi andava e intrattenuto chi desideravo, senza
renderne conto a nessuno.
E lui aveva annuito
abbassando le palpebre. Non l’aveva mai messo in dubbio, anche se quella non
era una donna del Nord, una come Miss Simpson che gli aveva tolto la verginità
e insegnato quel che un uomo deve sapere, quando lui aveva sedici anni e lei
più del doppio. A Miss Simpson non era mai importato un accidente del colore
della sua pelle anzi, sicuramente trovava eccitante l’idea di farsela con quel
ragazzo nero che mandava a comprarle l’inchiostro, era bello come un dio e
poteva esserle figlio. Aveva i capelli tinti e due grosse tette, Miss Simpson.
Non dipendeva da nessuno, si manteneva insegnando calligrafia alla scuola di
Belle Arti e faceva tutto quello che voleva, senza renderne conto a
chicchessia. “C’era proprio bisogno di una guerra, gli diceva sempre, per
stabilire che anche tu sei un uomo, Wade, angelo mio? Perché tu sei mille
voltepiù uomo di chiunque abbia mai
conosciuto…”
-Quel quadro, Madame. E’ un
Mc Rae.
-Credevo aveste intuito che
ho abbastanza denaro da potermi permettere un McRae originale.
-Non è quello che volevo
dire, Madame.
-Ve ne intendete anche di
arte, a quanto vedo.
-Più di quantosia lecito aspettarsi da un negro, anche da
un tipo strano come me.Forse non distinguo il tabacco dal cotone, ma mi piace
dipingere e disegnare, quando il tempo me lo permette. Da ragazzoho avuto buoni maestri: tutti dicevano che
avevo abbastanza talento da farmi un nome, ma io volevo aiutare gli altri e
così ho scelto di diventare medico. Un medico che dipinge, appena può. Beh,
forse se avessi scelto di fare il pittore e basta sarebbe stato tutto più
facile. “Il mondo dell’arte non conosce pregiudizi, nessuno farebbe caso al tuo
colore. Con il tuo talento e con la tua bellezza, potresti avere il mondo ai piedi,
Wade…” Ma non me ne importava un fico secco di avere il mondo ai piedi, anche
se era McRae in persona a dirmelo, un giorno sì e un giorno no.
-Conoscete…Leeland McRae?
-Sono cresciuto in casa sua.
Perché, come mai…Ve lo state domandando, lo so. E allora preparatevi ad
ascoltare una storia lunga. E ad arrossire, perché non ho intenzione di
nascondervi niente.
-Non sono nata ieri
dottor…Butler.
-Butler. Come il vostro
attuale…marito. Scommetto che vi siete domandata come mai ogni volta che vi
sono venuto in mente. Eppure non credo di avere molto a che spartire con lui,
se non il nome. E questo Paese è pieno di Butler.
-Potrebbe non essere
esattamente come dite. L’avete definito mio marito, e vi ringrazio della vostra
creanza. Siamo stati sposati, una bella manciata di anni fa, poi ci siamo
lasciati, quindi ritrovati. Forse ci risposeremo. Forse. Chissà quando. In
quanto a quello che volevate dirmi, avete ragione, l’America è piena di Butler.
Ma è anche vero che il mio uomo non è mai stato uno stinco di santo. Perdonate
la mia acredine, io…
-Lo amate ancora, questo
spiega tutto quanto. E immagino che, quando mi guardate come mi guardate, è per
vedere se in qualcosa gli rassomiglio, anche se non è facile individuare
somiglianze tra un bianco e un uomo di colore, mi sbaglio?
-No, come al solito.-
Sorrise, scoprendo per un attimo i dentini aguzzi tra le labbra pallide. Rhett
e Wade forse fisicamente non si somigliavano proprio, aldilà del fatto che uno
fosse nero e l’altro bianco. Ma il primo aveva la stessa diabolica intuizione
del secondo, perfino un pizzico del suo sarcasmo,raddolcito appena dal miele dell’eredità materna.-In ogni caso,
voi siete del Nord.
-Quanto lo siete voi:
Richmond, Virginia. Ma mi sono trasferito al Nord che avevo cinque anni.
-Continuate a stuzzicare la
mia curiosità e non mi dite niente di voi.
-Forse arrossireste.Io sono
abituato a chiamare le cose col loro nome e la mia vita, beh…non è stata un
tappeto di petali di rose, almeno non sempre. Non vorrei offendervi o turbarvi.
-Siete convinto che io abbia
vissuto un’esistenza fatata? Ho perso tutto quello che avevo a causa della
guerra: il mio mondo, i miei affetti, le mie fortune, e mi sono dovuta
rimboccare le maniche per riprendermi quello che era mio di diritto. Ho dovuto
lottare per difendere me stessa e chi mi era caro. Ho seppellito due mariti,
pianto la morte di una figlia piccola, sopportato, tutta sola, pesi che
schiantano. Mi sono trovata sposata senza amore, ho due figli ormai grandi che
non vedo da anni. Il maggiore si chiama Wade, come voi, ha vent’anni ed è
cadetto a West Point. Annabel ha scelto di vivere con i parenti di suo padre.
Avevo sposato il padre di Wade per andarmene da casa, alla vigilia della
guerra: era un ragazzetto insignificante, a stento lo conoscevo. E’ stata la
guerra a portarselo via. L’altro…Era vecchio e ricco. Io ero povera.
Quel Butler,invece, doveva
averlo amato davvero. Al punto da piegare il suo orgoglio e rinunciare alla sua
rispettabilità. Chissà se ne era valsa la pena. In ogni caso, niente avrebbe
potuto offenderla o turbarla, pensava Wade.
Le sembrò freddo,rigido, distante, una statua di sale
Le sembrò
freddo,rigido, distante, una statua di sale. Due giorni non gli erano bastati a
scordare quello che era successo, tra lui, nero, e la donna bianca del bel
mondo che l’aveva provocato fino a fargli fare quel che non avrebbe voluto.
-Sono stata
una stupida, Wade…
Quanto
costa al tuo orgoglio ammetterlo, donna? La fissò a lungo con quel suo sguardo
indagatore, nero come la pece,accarezzandosi lentamente la guancia, quasi a
voler cancellare anche il ricordo delle cinque dita di Rossella.
-Entra entro. A quest’ora non c’è nessuno
in giro, ma non vorrei che qualcuno potesse vederci: lo spettacolo di un negro
e di una bianca insieme potrebbe ferire la sensibilità di qualche onesto
cittadino e di noi due…sarei io quello che rischierebbe di più.
Lei lo
seguì senza discutere o recriminare, all’interno di un appartamentino spoglio e
disordinato, sommariamente arredato con vecchi mobili rimediati da qualche
rigattiere. Sul tavolo, spessi volumi dalle copertine scolorite, barattoli di
vetro pieni di matite e pennelli e imbrattati di colori. Rossella immaginava
così la soffitta di un artista a Parigi, e Wade era anche quello, oltre che
medico. I due grandi ritratti di donna che campeggiavano sulle pareti erano
opera sua.
-Mia
madre.
L’avrebbe
immaginato da sola. Gran bella donna, con gli stessi tratti delicati del
figlio.
-L’hai
fatto tu?
-Detesto
i dagherrotipi: riescono ad imbruttire anche la creatura più perfetta. E lei è
bellissima.
Le aveva
messe indubbiamente a profitto, le lezioni di Leeland McRae: ottima mano,
eccellente senso cromatico. Non che lei se ne intendesse più di tanto, ma
avevasempre avuto buon gusto. Gli
avrebbe chiesto di farle il ritratto. Nuda, magari, come si usava a Parigi:
avrebbe posato per lui senza vestiti addosso e poi…E poi lui avrebbe messo
sulla tela la sua anima di puttana, esattamente come era riuscito a dipingere
l’amore di madre negli occhi di Lola Butler. Le voleva bene, e c’era da
capirlo, con quel che la donna era riuscita a fare per amore di suo figlio. Lei
non aveva fatto nulla di nulla per il “suo” Wade. Le era stato difficile
amarlo, generato con un uomo che aveva sposato a sedici anni per andarsene da
casa e che le aveva fatto il solo favore di lasciarla vedova a diciassette. Il
piccolo, cresciuto da serve e bambinaie pronte ad accorrere ad ogni suo
capriccio, era venuto su viziato e arrogante. All’età giusta era entrato in un
collegio militare, quindiera stato
ammesso a West Point. Lì avrebbero fatto di lui un gentiluomo, un cavaliere del
Sud senza macchia e senza paura. Perché, esistevano ancora, il Sud e i
cavalieri senza macchia e senza paura? La dignità,l’onore, l’orgoglio? Che ne
era stato di loro? Rossella aveva sbagliato dacchè stava al mondo, a crederli
quel che li aveva sempre creduti. Altri li avrebbero chiamati arroganza,
alterigia, superbia fine a se stessa. E la dignità, l’orgoglio, il rispetto di
sé, quelli veri, avrebbe potuto insegnarglieli Lola Butler, una sgualdrina di
colore.
Si sforzò
di non pensare a niente, e gli occhi le finirono sull’altro quadro, giusto
giusto per non finire sopra la faccia impudente di Wade. Riproduceva il musetto
grazioso di un’adolescente un po’ selvatica, bruna ed arruffata.
-Anna.
La voce
di Wade si era incupita, prima di spezzarsi in un rantolo. Anna. Una ragazzina
dei quartieri bassi, una stracciona bianca di Philadelphia. Figlia d’immigrati,
italiana, forse spagnola. Un sudicio animaletto che a dodici, tredici anni
della vita doveva conoscere tutto quanto. Una puttanella da quattro soldi,
pensò Rossella. Capace che avesse tentato di farselo, Wade, o che se lo fosse
fatto, per pochi centesimi e una fetta di pane. Maledetta.
-Non c’è
più. L’ha ammazzata il tetano.
Un male
che non perdona. Doveva aver sofferto,la ragazzina, per quel poco che ne sapeva
lei.
-Era
figlia diitaliani. Ogni tanto, veniva
a pulire l’ambulatorio. Non portava mai le scarpe, solo certi zoccolacci troppo
grandi che le scappavano sempre dai piedi. Aveva piedini piccolissimi, come
quelli di una gran dama, come…come i tuoi. Si sarebbe fatta bella, a dispetto
di tutto quanto, anche se aveva i capelli arruffati, i vestiti sudici e non
mangiava abbastanza. Spesso andava scalza e non so, forse era un presentimento
che mi portavo appresso, temevo che potesse farsi male. Le ferite ai piedi sono
pericolose, il suo quartiere, la sua strada, la sua casa erano pieni di
sudiciume…Un giorno le ho dato dei soldi perché potesse comprarsele, quelle
benedette scarpe. Da allora non l’ho più vista: sana e in piedi sulle sue
gambe, intendo dire. Brannighan, il collega che lavorava con le all’ospedale,
mi aveva dato a intendere che probabilmente al padre della ragazzina non era
andato a genio che le avessi regalato dei soldi: forse aveva immaginato qualche
secondo fine, chissà, avevo sentito dire anch’io che gli italiani sono gelosi
delle loro donne, Anna stava crescendo, s’era fatta parecchio bellina…Ed io non
ero molto rassicurante, immagino, giovane, scapolo e con questa bella faccia
nera. Agli immigrati i neri non piacciono per niente, al Nord come al Sud:
parlano inglese, si accontentano di paghe da fame e lavorano come muli senza
accampare mai quelli che io chiamo diritti e i padroni pretese; gli italiani,
quando arrivano qui, non capiscono la lingua e faticano parecchio ad impararla;
gli irlandesi bevono e, ubriachi, diventano incontrollabili. E così finisce che
gli immigrati ci accusano di portargli via il lavoro, di tentarci con le loro
donne, non ci possono soffrire e non perdono tempo a dimostrarcelo coi fatti.
“Brannighan ha ragione”, pensavo. Poi, un giorno, mi hanno cercato. La
ragazzina stava male, terribilmente male, e nessuno capiva di che potesse
trattarsi: era coricata sul letto dei suoi genitori, la testa all’indietro,
rigida come un bastone, gli occhi sbarrati, le labbra stirate sui denti e tutte
imbrattate di bava e di sangue.
“Pregate
per lei”, ho detto a tutta quella gente. Aveva una ferita infetta sulla pianta
del piede destro: un chiodo arrugginito le si era conficcato nel calcagno mentre
tornava da fare la spesa, un paio di giorni prima, a sentire la madre. Avrei
pregato anch’io, perché una convulsione più forte delle altre mettesse fine a
quello strazio. Sapevo che non avrei potuto fare niente per salvarla, Anna era
la prima paziente che mi moriva…Aveva solo dodici anni.
Pieno
d’orgoglio anche lui, come sua madre. E altrettanto generoso e sensibile.
Magari aveva la testa pienadi idee
strampalate, modi poco ortodossi, la pelle del colore sbagliato, ma aveva un
cuore grande come una casa. Poteva dire altrettanto, Rossella, degli uomini che
aveva conosciuto, sognato, amato, il vuoto Ashley, lo sciocco giovane Hamilton,
il suo primo marito, il rozzo Frank Kennedy, perfino Rhett, furbo e falso?
Fatui, superficiali, arroganti, egoisti e pieni di sé, tutti quanti. Suo figlio
si chiamava Wade, e non doveva rassomigliare all’uomo che portava il suo stesso
nome, aldilà del fatto che non lo vedesse da anni, aldilà del fatto che fosse
bianco e non nero. Il suo, doveva essere unmondo di feste da ballo e di ragazze da far volteggiare nelle piroette
del valzer; o un mondo di divise e di armi e di sudici selvaggi a cui, così gli
era stato insegnato, bisognava far saltare le cervella.
Era
assurdo amare un uomo come quello, si disse Rossella, un uomo di dieci anni più
giovane, un nero duro, ostinato e orgoglioso, che non credeva in niente di ciò
in cui aveva sempre creduto lei. Le piaceva, ecco, le piaceva per la sua
giovinezza, la sua avvenenza, la sua pelle liscia e le sue carni sode. No, non lo
amava, le piaceva e basta. Ma era più che certa che le sarebbe stato difficile
se non impossibile amare un altro, dopo.
*
Lo guardava
avanzare verso di lei, la testa alta, gli angoli delle labbra sollevati in un
sorrisetto malizioso, gli occhi neri che la studiavano senza soggezione. La
vuoi provare, una cura efficace contro l’insonnia e il mal di testa, una cura
che se ci stai attento non ha effetti collaterali e non nuoce alla salute? Beh,
è indubbio che non saresti venuta qui sola e di nascosto, se non avessi avuto
per la testa quello che ci avevo io.
-Adesso si fa
a modo mio. E non ti permetterò di schiaffeggiarmi un’altra volta.
Non era diverso
dai suoi congeneri, anche se era cresciuto nella casa di un gran signore e
aveva studiato all’università: lascivo, sensuale come tutti i neri, pensava
Rossella e nessuna frusta lo teneva a bada, mentre avanzava verso di lei con
quel suo passo elastico da danzatore, i piedi scalzi, la camicia bianca senza
colletto arrotolata sugli avambracci ma abbottonata fino alla gola. La bocca
era ferma, seria, ma gli occhi gli ridevano come se avesse avuto voglia di
giocare. Rossella lasciò cadere lo scialle d’angora e il cappellino e si sfilò
i guanti, mentre lui continuava ad andarle incontro, sbottonandosi la camicia
con le lunghe dita brune e poi sfilandosela dalla testa con un solo gesto
agile, aggraziato e sensuale.
Faceva sul
serio, ma alla donna non rimase il tempo per rendersene conto. Bello da
lasciare senza fiato: alto ma non altissimo, meno di Rhett; un corpo che
sembrava scolpito, una pelle color bronzo fuso che luccicava come se fosse
stata unta con dell’olio e mandava, alla luce, riflessi ramati. Contrariamente
a quasi tutti i neri, aveva una spruzzata di pelo sul petto, probabile retaggio
del sangue bianco che gli scorreva nelle vene. Perfetto, perfino in quella sua
seduttività sfacciata, perfetto aldilà del suo colore. Beh, non sei proprio
nero nero, Wade…Ma non era neppure uno di quegli scoloriti ottavo sangue che
facilmente si possono prendere per bianchi: le sue narici erano strette ma
inconfutabilmente negroidi, le labbra spesse. Era un negro in tutto e per
tutto, le piacesse o no. Anche se aveva studiato ad Harvard era pur sempre il
figlio di una schiava. E tra poco, insieme avrebbero fatto qualcosa che non
avrebbe mai dimenticato, a trentasette anni, con due figli grandi, una bambina
di sei anni, un compagno che prima o poi l’avrebbe sposata. A trentasette anni.
A quell’età, pensava, sua madre era già nonna. Avesse potuto vederla, sua madre,
quella gran dama sussiegosa che l’aveva educata cercando d’inculcarle i valori
in cui credeva, nei quali avevano creduto i suoi antenati, nei quali tutti i
gentiluomini e le gentildonne del Sud credevano, in nome dei quali era stato
versato tanto sangue, erano state piante tante lacrime…Forse il mondo stava
andando a rotoli, ma lei non aveva nessuna intenzione di fermarlo, adesso che
Wade le stava di fronte e, accarezzandoglieli, le liberava i capelli dalle
forcine che glieli tenevano raccolti in quella solita composta, semplice ed
elegante acconciatura; e poi le slacciava i ganci del corpetto, era molto
abile, chissà quante altre volte l’aveva fatto, e quando il suo sobrio abito da
mattina le si era ammonticchiato ai piedi, con altrettanta abilità s’era messo
ad armeggiare con i legacci del bustino, con i nastrini che le chiudevano la
camiciola di batista.
-No, Wade.
-Avremo
giocato a modo mio…Non ricordi?
Gli aveva
posato il palmo aperto sul petto nudo, per respingerlo.Avrebbe voluto giocare
anche lei, ma mostrarsi a lui per quello che era le avrebbe procurato
imbarazzo. Aveva trentasette anni, il ricordo di quattro gravidanze sul corpo
troppo magro. E lui era giovane e bello.
-Sono vecchia
e brutta, Wade…
-Voialtri
bianchi vi vergognate di tutto fuorché di quello di cui fareste bene a
vergognarvi davvero. Gli imbecilli e i bigotti fanno sesso vestiti, e tu non
sei né vecchia né brutta. Il piacere è anche negli occhi, Rossella. E nelle
mani, nelle narici, nella bocca, dappertutto signora…O forse non sei mai stata
amata come si deve…
Sorrise
scotendo la testa. E le afferrò il polso, ma senza brutalità. Mi fa fare quello
che vuole, pensava Rossella, sentendo sulla mano, attraverso la stoffa dei
calzoni, il calore del sesso duro di Wade. Riesce a farmi fare quello che vuole
con la dolcezza, senza usare la sua forza. Avesse accostato gli scuri. Le
avesse lasciato tenere addosso la biancheria. Se avesse notato lo spettacolo
delle sue rughe e delle sue carni avvizzite, lui che era giovane e bello ne
sarebbe rimasto disgustato. Lui, che sperava nel domani, lo stesso domani che a
lei metteva paura. Con la mano sinistra, gli artigliò la schiena. Aveva le
unghie appuntite e non le sarebbe dispiaciuto sentirlo gemere per il dolore.
Così impari a mancarmi di rispetto, Wade, sporco negro.
-Non mi piace
avere segni che sanguinano sulla pelle. Non era nei patti, farsi male. Avremmo
giocato a modo mio…
e ci saremmo scambiati soltanto piacere, Madame. Non sono
il tuo giocattolo. E nemmeno il tuo…schiavo.
“Credi che non
l’abbia immaginato che cercavi proprio questo, quando mi guardavi e imploravi
da me il piacere,come una mendicante?” Le prese la mano, gliela baciò, sul
dorso, sul palmo, sulla punta delle dita sottili. E lasciò che lei gli carezzasse
le labbra, gliele socchiudesse fino a sentire l’interno umido e caldo della
bocca, la saldezza dei suoi grossi denti bianchi.
“E’ di essere
amate come si deve, che hanno bisogno quelle come te”, pensava Wade,
spogliandola degli ultimi indumenti. “Io conosco il tuo mondo, Rossella, lo
conosco anche se non ne ho mai fatto parte. So di te e di quelle come te,
cresciute convinte di essere al centro dell’universo, in un lusso artificioso
che vi guasta il carattere, dove ogni capriccio è soddisfatto ancor prima di
venire espresso.” Perché agli uominibianchi piacevano così, le donne, eterne bambine da sottomettere e
dominare, incapaci di fuggire dalla prigione delle consuetudini. Aveva letto,
da qualche parte, che in Cina si solevano sformare i piedi alle neonate,
fasciandoli stretti per impedir loro di crescere. Ai cinesi quell’andatura
esitante, conferita dai piedi minuscoli, ripiegati su se stessi, piaceva: la
trovavano sensuale. O forse era perché con i piedi storpiati in quel modo,
quelle povere creature non potevano fuggire, proprio come gli schiavi ribelli
che, prima della guerra, in certe piantagioni venivano sgarrettati. Nemmeno una
donna viziata ed infantile poteva fuggire via dal suo mondo, da consuetudini
come i matrimoni precoci di convenienza, come una vita fatta di vuoto e di
noia, come quel malinteso senso d’orgoglio che, in realtà, era tutto fuorché
rispetto di se stessi. Ma dovevano essere bastati pochi attimi e qualche
carezza impudica a cambiarla, la gran dama. Aveva giocato con il suo corpo e
con la sua pelle, ricambiato i suoi baci e i suoi morsi, dimenticando dieci
anni, un colore e un mondo intero di differenza. E adesso gemeva sotto di lui,
sul vecchio letto che cigolava e aveva il materasso troppo duro per i suoi
gusti, soddisfatti soltanto dalla seta e dalle piume. Da quanto l’aspettava,
un’occasione del genere? Un nero, il nero caldo selvaggio e lascivo di cui
aveva sentito favoleggiaree che, per
soprammercato, era pure bello,intelligente e pulito, aveva la pelle chiara e le
narici delicate. Quanti uomini hai avuto, prima di me, Madame? I due mariti, e
quel Rhett che lo è stato, mille anni fa, e adesso non lo è più, anche se dorme
con te, le poche volte che state insieme? Soltanto loro? Noo, non sono geloso,
che vai a pensare. Curioso, ecco, anche gli uomini lo sono. Qualche altro
rapporto? Qualche amante occasionale? Con la loro aria compunta e sussiegosa,
le gran dame del Sud, che scambiavano la spocchia per orgoglio, rivelavano
spesso insospettabili sorprese. Questa, comunque, non doveva mai essere stata
con un uomo di colore.Era la prima
volta che si godeva la pelle vellutata di un nero, la sua bocca di miele, i
suoi grossi muscoli, il suo impeto e la sua strapotente virilità. Era la prima
volta che affondava i denti nel frutto proibito, e doveva averlo trovato
straordinariamente gustoso.
La guardò
raccattare da terra i suoi abiti, rivestirsi. Doveva essere terribilmente
complicato farlo, con tutta quella bardatura di legacci e stecche di balena,
era centomila volte meglio essere uomo che donna. Si stiracchiò pigramente sul
letto, incurante della sua nudità, spudorato quanto lei era timida, spudorato e
orgoglioso di quel colore che era bellezza e non vergogna.
-Serve
aiuto?-biascicò lentamente ripensando al corpo di lei, fragile e pallido, bello
ancora, nonostante la magrezza, i trentasette anni e le quattro gravidanze che
l’avevano segnato. Hamilton, il ragazzino, l’aveva saputa amare? E il vecchio
Frank Kennedy? Rhett la canaglia, forse lui sì, doveva essere bravo a dar
piacere alle donne, e lei non lo aveva mai dimenticato, neppure quando, anni
prima, se n’era andato via sbattendo la porta. E di lui, quale ricordo avrebbe
conservato? Non un ricordo d’amore, forse, ma ugualmente caldo e forte, come
rhum e caffè mischiati insieme. Una volta e una sola, come animali del bosco,
come gatti randagi che si rincorrono sui tetti. Fa meno male del laudano. Fa
scordare i pensieri. E non ci saranno conseguenze, perché so stare attento: non
dovrai giustificare un figlio nero inventandoti chissà che scusa, Madame.
Wade finì di
rivestirsi, guardandola mentre si pettinava. Era complicato, farlo da sola,
quasi come vestirsi. Non l’aveva mai fatto senza aiuto, parimenti alle altre
dame del bel mondo, fin da ragazzina aveva potuto disporre di schiavette
addestrate alla bisogna e adesso doveva essere quella Prissy a provvedere alle
sue necessità. Quella donna dipendeva dagli altri, come una bambina piccola,
come un’invalida:era inconcepibile mancare di rispetto verso se stessi fino a quel
punto, pensava Wade, aiutandola ad allacciarsi la fila interminabile di
bottoncini che le chiudevano il corpetto. L’aiutò perfino a pettinarsi,
raccogliendo in una treccia che poi lei si arrotolò alla meglio intorno alla
testa, i suoi capelli. Erano splendidi, lunghissimi, lisci e morbidi come la
seta, di una tonalità castana piena e scura, accesa da ciuffetti che sarebbero
stati bianchi, se l’hennè non li avesse tinti d’un rosso fiammante per darle,
qualche anno ancora, l’illusione della giovinezza.
-Quello che è successo oggi…non si ripeterà
più e resterà segreto, vero?
-Wade Butler è
una tomba, bella signora. Eppoi solo la marmaglia se ne va in giro vantando le
sue conquiste.
“Ma una come te
sarebbe capace d’inventare che l’ho stuprata…E gli altri le crederebbero.”
*
Paddy
O’Malley: il suo primo amico, a New Orleans. Le circostanzeerano state curiose: stanco di sentir
parlare francese e desideroso di ascoltare una volta tanto la sua lingua, Wade
aveva oltrepassato Canal Street, la linea di demarcazione tra il Vieux Carré e
i quartieri nuovi, abitati dagli americani. Aveva vagato per un bel po’ senza
meta,andando dove lo portava il cavallo. In Magazine Street, l’animale s’era
fermato a brucare un po’ d’erbaccia stenta che cresceva lungo il cordolo del
marciapiede e lui aveva deciso che forse era il caso di fermarsi.
Quella
somigliava alle strade di Philadelphia che aveva frequentato quando, fresco di
laurea, era diventato l’aiuto di Brannighan: canali di scolo a cielo aperto
dove grufolavano maiali, capre, cani rognosi e bambinetti mezzi nudi, tuguri
squallidi che s’affacciavano su una stradaccia dissestata che, quando pioveva,
doveva riempirsi di pozzanghere fangose, un paio di magazzini, opifici e chissà
che diavolo d’altro, neri e puzzolenti come la bocca dell’inferno e, in fondo
alla strada, un edificio scuro, incombente, che aveva tutta l’aria di un
orfanotrofio o di un ospizio di mendicità, e che non era molto distante da un
casino da quattro soldi dove una mezza dozzina di mignotte men cheordinarie sollazzavano a buon mercato i
maschi del quartiere. In giro, facce bianche che lo squadravano torvo,
lentigginose facce irlandesi con la miseria stampata sopra. Quella gente non
aveva mai visto troppo di buon occhio la marmaglia nera, pericolosa concorrente
nell’accanita lotta tra miserabili per strappare una giornata di lavoro. Non
era stata una buona idea, non filarsela alla chetichella prima che qualcuno
potesse notarlo, pensava Wade. Ma, arrivati a quel punto, il partito migliore
era fingere indifferenza: e se qualcuno avesse provato a molestarlo, tanto
peggio per lui.
Scese da
cavallo, si sedette su di un gradino con il blocco degli schizzi sopra le
ginocchia: il maniscalco che stava ferrando un mulo a un paio di metri da lui
era un bel soggetto interessante, con quella mole gigantesca e quella barbaccia
rossa da guerriero vikingo.
-Ehi, ma questo
sono io!, aveva esclamato quando, incuriosito, s’era avvicinato a Wade per
vedere che diavolo stesse facendo. E Wade non avrebbe mai più dimenticato,
oltre al suo sorriso cordiale e incompleto incorniciato dai lunghi peli rossi
dei mustacchi, la pacca che gli aveva mollato sulla spalla e che lo aveva fatto
rintronare tutto.
-Chiedimi
quello che vuoi, ma quel tuo scarabocchio devo averlo a tutti i costi:
incorniciato, farà bella mostra nel salotto di casa e gli amici mi invidieranno
perché Paddy O’Malley si è fatto ritrarre da un artista, come i veri signori…Lo
sai che sei proprio bravo, ragazzo?
O’Malley doveva
aver passato da un pezzo la cinquantina, ma si manteneva forte e vigoroso come
una quercia: aveva una faccia rossa quasi quanto i capelli, paffuta e incisa da
poche rughe d’espressione, su cui facevano spicco il naso rincagnato da pugile
e gli occhi, due fessure di un azzurro chiarissimo. Era enorme, tanto alto che
Wade,il quale basso non era, gli arrivava a malapena alla punta del naso. Sul
polso scoperto dalla manica arrotolata della camicia, spiccava un curioso
tatuaggio bluastro.
-Sono un Feniano
(militante del Sinn Fein, il movimento per l’indipendenza dell’Irlanda che
allora era sotto il dominio inglese N.d.A.). Gli aveva borbottato
all’orecchio con un vocione da orco. Molti irlandesi che Wade aveva conosciuto
all’ospedale dei poveri a Philadelphia lo erano. Donne belle, bionde, ma spesso
sfatte dalle gravidanze o consumate dalla tisi, uomini dalle facce rosse e
allegre, che amavano la birra e menare le mani e che, come i negri, cantavano
canzoni dolci e struggenti per ammazzare la tristezza. Molti di loro si
definivano combattenti per la libertà, patrioti in esilio. Non erano stati solo
la miseria o le carestie ricorrenti a spingerli ad andarsene dall’Irlanda.
-Allora siamo
fratelli.
Fratello, gli
aveva detto così. Ma era giovane da essersi figlio, era nero e se la cavava
bene a parlare, proprio come se avesse studiato. In qualche scuola,
effettivamente, doveva averci messo piede, per imparare a disegnare così. Non
ne aveva conosciuti altri, come quello, di neri, Paddy O’Malley, il maniscalco
di Magazine Steet. I negri che aveva conosciuto e che popolavano il suo
immaginario grugnivano invece di parlare, non si lavavano, e sgranavano i loro
occhiacci bianchi sulle ragazze perbene, non avevano i modi da signore di
quello lì e il bel coraggio che aveva avuto lui a cacciarsi in un posto dove i
musi neri non mettevano mai piede. Era sfacciato, insomma. Sfacciato, ma
simpatico.
-Perché mi hai
detto fratello, dì, negro?
-Leggo i
giornali, irlandese. So che la causa dei Feniani è giusta. Gli inglesi non vi
trattano molto meglio di comei
nostalgici della Confederazione schiavista trattino noialtri: ammiro chi lotta
per ripigliarsi ciò che è suo.
-Per essere un
dannato sacco di carbone ne sai, di cose, tu…
Ma non c’era
animosità nella sua voce catarrosa: quel negretto che disegnava come un artista
e parlava come un libro stampato gli piaceva. Se qualcuno avesse osato fargli
del male, se la sarebbe vista con lui. E nessuno, in quella strada, osava
muovere un dito, se Paddy O’Malley non era d’accordo.
-Mi è
sembrato…Ma sì, mi è sembrato di sentire qualcuno lamentarsi, o mi sbaglio?
-Non ti
sbagli,sacco di carbone. E’ la mia vecchia. Sta male da tre giorni. Un dente
marcio le ha fatto gonfiare la guancia come un melone:non mangia, non dorme,non
sa più a che santo votarsi ma ha una paura maledetta del cavadenti.
-Penso che
potrei fare qualcosa.
-Un momento,
negro: noi siamo buoni cristiani, non venire a parlarci di quei vostri dannati gris-gris
o come diavolo li chiamate.
-Non correre,
O’Malley. Anche se potrebbe sembrarti strano, ho studiato da medico, su al
Nord. Ho la mia borsa, nella sacca della sella e anche del cloroformio: se ti
fidi, cavo il dente a tua moglie senza che nemmeno se ne accorga.
-Se lo farai,
Dio te ne renderà merito.
Casa O’Malley
non era molto grande, ma ordinata, pulita e dignitosa, conle stoviglie blu a vista nella piattaia e le
tendine di pizzo alle finestre. Ci stavano larghi, lui e Cait, dacchè tutti i
figli che avevano messo al mondo si erano sposati e se n’erano andati. E ci
stavano bene. Il lavoro di maniscalco rendeva discretamente, ed era stato quel
modesto benessere, unito all’imponente stazza fisica, a fare di O’Malley il
personaggio più rispettato di Magazine Street.
La povera Cait
O’Malley, coetanea del marito ma gialla e grinzosa come una mela cotta e più
brutta del diavolo, si era limitata a sgranare gli occhi sullo sconosciuto e,
abituata ad ubbidire senza fiatare oltre che sfinita da giorni di quell’orrendo
mal di denti, aveva aperto la bocca, inalato il cloroformio e non si era
lamentata mentre Wade, armato di tenaglie, faceva il suo lavoro.
C’era voluta
tutta la forza dei suoi robusti muscoli, pensava Wade mentre tornava per
l’ennesima volta in quella strada, per estirpare quel dente marcio che se ne
stava saldamente abbarbicato alla mascella di Mrs. O’Malley, ma ne era valsa
ampiamente la pena. La donna era guarita perfettamente, e lui ci aveva
guadagnato un amico: un amico dai modi rozzi, forse un po’ volgari ma leale e generoso,
in compagnia del quale era piacevole scambiare quattro chiacchiere e sorbirsi
un buon caffè forte corretto con uno schizzo di ottimo whisky. E, quel che più
contava, s’era guadagnato la stima dell’intero quartiere: il giovane dottore
nero non era venuto per strappareil
pane di bocca a quella povera gente, né per guardare in un certo modo le
ragazze bionde di Magazine Street. Il giovane dottore nero che sorrideva
semprefaceva nascere i bambini, curava
le febbri, metteva a posto le ossa rotte, strappava via senza dolore i denti
guasti. E, il più delle volte, non voleva neppure essere pagato.
*
Wade stava
aspettando che O’Malleyterminasse di
ferrargli ilcavallo. Era una bella
giornata d’autunno, una delle ultime, poi il vento freddo che soffiava dal Nord
avrebbe portato l’inverno anche a New Orleans: l’inverno breve ma intenso del
Sud che faceva gelare l’acqua dei bayou (paludi N.d.A.) e costringeva la
gente a tapparsi in casa; per fortuna durava poco, a Carnevale l’aria sarebbe
stata piacevolmente tiepida e la vitaavrebbe ripreso a pulsare, intensa come sangue giovane dentro le vene.
Nel magazzino
che stava dall’altra parte della strada, era il solito andirivieni di ragazze
che trasportavano ceste piene di bottiglie: si sfinivano per un tozzo di pane e
quattro soldi,curve in piedi a lavare
bottiglie anche per tredici ore al giorno. Dovevano essere una ventina, tutte
giovanissime: un sorvegliante controllava che lavorassero di lena e, se qualcuna
si fermava a tirare un po’ il fiato, erano bestemmie da far rizzare i capelli e
ceffoni che volavano. Tutte le ragazze erano bianche, aveva notato Wade, e
altrettanto il loro sorvegliante, un tipo alto, segaligno, con lunghi capelli
unti che gli spiovevano sul collo e grossi mustacchi macchiati di nicotina. Non
era diverso da quelli che per secoli avevano angariato gli schiavi nelle
piantagioni anzi, era possibilissimo che avesse fatto proprio quello, prima
della guerra: il cipiglio c’era, le bestemmie pure e perfino la lascivia con
cui, fingendo indifferenza, palpava il sedere alla piùcarina, una brunetta grassottella non più
alta di un metro e cinquanta.
-Una scena già
vista, in qualsiasi posto abbia messo piede. La schiavitù non finirà mai,
finché ci sarà gente che ha tutto e gente che non ha nulla. Maledetto denaro…
-Ragioni come
uno di quegli anarchici scomunicati, negro.
E O’Malley
continuò a giocherellare con la catena d’argento che portava al collo:
devotissimo e patriota, non se ne sarebbe separato per niente al mondo, dal grosso
crocifisso, dalla medaglietta della Vergine Addolorata e dall’emblema del Sinn
Fein che a quella catena erano appesi.
-Non credi che
Gesù Cristo l’avrebbe preso a calci nel culo, quell’individuo, se ne avesse
avuto l’occasione?
-Non bestemmiare,
negro.
-Ma io non sto
bestemmiando.
Un grido
stridulo e acuto richiamò la loro attenzione. Subito, Wade si precipitò di
corsa verso la ragazza che usciva urlando e piangendo dal cancello
dell’opificio, tenendosi con la mano sinistra ladestra che sprizzava sangue come il getto d’una fontana.Aveva
tutti i vestiti insanguinati, la faccia rigata di lacrime rosse di sangue e
nere di fuliggine, e urlò ancora per un bel pezzo, prima di accasciarsi,
svenuta,tra le bracciadi Wade. Era
minuscola, con una faccia più bianca del gesso e i capelli biondi tagliati
corti come quelli di un ragazzo.
-Sono un
medico.
Il sorvegliante
aveva borbottato qualcosa, forse l’ennesima bestemmia, ma l’aveva lasciato
fare. E Wade aveva esaminato la ferita. Buttava fuori a spruzzi sangue
arterioso, rosso come le ciliegie mature, e, nitida, precisa e pulita come
sempre lo sono i tagli prodotti dai cocci di vetro, le attraversala il palmo
della mano destra e le arrivava fino al pollice dove, profonda com’era, lasciava
intravedere il biancheggiare dell’osso.
-Vetro. E’
peggio di un coltello. Questo scempio va ricucito e alla svelta. Datemi un
fazzoletto, un legaccio, una corda, la prima cosa che trovate per fermare
l’emorragia. E qualcuno veda di farsi venire in mente un posto più pulito di
questo, quello che va fatto non è lavoro da far qui.
Il convento era
piuttosto lontano, le case d’abitazione più luride del magazzino, la ragazza
stava sempre peggio…Il bordello era a pochi passi di distanza, ma qualcuno storse
il naso. Emmeline era una bambina. Emmeline aveva un padre che…
-Rischia di
morire. E se l’unico posto pulito è quello…
-Suo padre…
-Vada a farsi
fottere, suo padre.
*
-Ciao piccola.
Ti chiami?
La ragazzina,
svaniti ormai gli effetti del cloroformio, strabuzzò gli occhi e fissò a lungo
la bella faccia nera che la sovrastava, sorridendole con gentilezza. La mano
fasciata le mandava al cervello punture acute di dolore e perché diavolo si
trovava sdraiata in quel lettone, dentro quella stanza che tanfava di chiuso,
profumo ordinario e cipria da quattro soldi?
-Io sono
Emmeline. E tu sei quello che mi ha curata, adesso ti riconosco.
-Eh, già.
Riesci a muovere le dita, Emmeline?
-Sì, ma mi fa
male.
Non doveva
avere più di tredici, quattordici anni e, se possibile, ne dimostrava anche di
meno. Era piuttosto bruttina, con quella faccia ossuta da scimmietta, quella
carnagione più bianca del latte cagliato e quelle stoppie gialle che le
spuntavano dritte sulla testa. Le dita erano gonfie e dolorati, ma riusciva a
muoverle. Menomale, segno che i tendini flessori ed estensori non erano stati
lesi. Diversamente, avrebbe rischiato di restare storpia per il resto dei suoi
giorni.
-Sono un
dottore, e posso assicurarti che va tutto bene. Se mi dici dove abiti, ti
accompagno a casa.
Emmeline si era
morsicata le labbra e lo aveva guardato con certi occhi che sembravano quelli
di una lepre di fronte al fucile spianato del cacciatore. Suo padre sicuramente
l’avrebbe caricata di busse, se si fosse presentata a casa in compagnia di un
negro, che fosse un bracciante di piantagione piuttosto che un medico yankee
giovane, bello e gentile poco importava. Non fu necessario che O’Malley
parlasse per raccontargli chi era Jackson Pusey, tanto lui aveva capito tutto.
Comunque i Pusey stavano in un tugurio che si affacciava su una stradaccia
parallela a Magazine Street: madre, figlia, patrigno e tre o quattro ragazzini
con le croste in testa e il moccio al naso. L’unica cosa nuova e pulita era la
bardatura sfoggiata con orgoglio dall’uomo quando si trattava di andare a
menare qualche negro poco rispettoso, vestaglione e cappuccio bianchi sempre
freschi di bucato e stirati a puntino. Pusey non era irlandese, a detta di
O’Malley detestava i “fottuti papisti” e Dio solo sapeva come facesse a
mantenersi e a mantenere la sua scalcagnata tribù. Forse Dio non lo sapeva,
precisò la grassa madame del casino con la sua parrucca bionda, i suoi denti
neri e i suoi ori falsi, ma gli abitanti del rione sì: moglie e figliastra si
spaccavano la schiena per portare quattro soldi a casa, e se entrambe
ostentavano teste rapate a zero come palle da biliardo, era perché quella
carognale aveva perfino costrette a
vendere i capelli a un fabbricante di parrucche. L’ultima volta che sua moglie
era rimasta incinta, il degno soggetto l’aveva fatta abortire a forza di calci
e poco c’era mancato che l’avesse ammazzata.
-Odia i negri.
Suo padre cacciava gli schiavi fuggiaschi coi cani.
Alla fine, fu
una puttana scalcagnata della casa ad accompagnare la povera Emmeline: vedere
la sua bambina in compagnia d’un simile arnese non avrebbe fatto granchéeffetto, a quel Pusey. Anzi, era possibile
che a quell’ora se ne stesse sdraiato sul suo letto a smaltire le conseguenze dell’ennesima
sbornia.
-E’ un buon
tiratore?
-Pessimo.
Buono a
sapersi. Ma era megliomettersi in
guardia.
*
Erano le otto
di sera, ed era stata una giornata faticosa.Molto lavorotra i neri di Congo Square .E quel parto
difficile,a Magazine Street, una ragazzina nubile, al primo figlio, che era
stata mollata dal fidanzato, aveva minacciato di uccidersi quando i genitori
l’avevano buttata fuori da casa e alla quale Wade aveva promesso di assisterla,
dopo essere riuscito a sistemare i più gravi tra i suoi problemi. Se non altro,
i genitori se l’erano ripresa in casa, dove si mangia in nove si mangia anche
in dieci. Forse il seduttore sarebbe tornato sui suoi passi, l’avrebbe sposata
accomodando tutto. Wade lo conosceva, e si era ripromesso di parlargli. Era un
bravo ragazzo, ma a diciannove anni soltanto le responsabilitàche gli erano piovutetra capo e collo lo avevano spaventato. Se
avesse visto il bambino, un bel maschietto di quasi quattro chili, forse…
Veder gli altri
nascere in un mondo di miseria e d’ingiustizie, vederli morire e non poterci
far niente. Essere medico significava anche quello, che gli piacesse o no. Era
stanco, e si sarebbe buttato nel letto vestito, senzaneppure toccare la cena di Mexcal. Ma bussarono alla porta e, da
come bussavano, sembrava dovesse trattarsi di qualcosa di serio. Non c’è posto
per la mia stanchezza, in questa vita che ho scelto: si nasce e si muore, e io
devo esserci, anche se preferirei pensare a me, una volta ogni tanto, evorrei potermi buttare vestito sul letto a
dormire, sperando almeno di riuscire a farmi passare il mal di testa.
-Prego?
L’uomo che lo
fissava come se avesse voluto mangiarselopoteva avere una trentina d’anni e si portavaappresso un’aria alquanto macilenta, ma sicuramente non l’aveva
cercato perché si occupasse della sua salute. Minuto, biondino, un ciuffo di
capelli dritti che gli spioveva poco sopra gli occhispiritati. Aveva in due incisivi centrali rivestiti d’oro, come
certi zingari e l’alito gli puzzava di whisky cattivo, di birra stantia e di
cipolle fritte.
-Che hai fatto
a mia figlia, negro?
“L’ho salvata,
compare. Aveva un’arteria recisa, e sarebbe anche potuta morire dissanguata. “
-Tu hai
addormentato Emmy con quella porcheria che ti porti appresso, e poi le hai
messo addosso le tue sporche manacce…
-Le ho salvato
la vita, compare. E mi dispiace solo che non posso salvarla date.
La mano scivolò
sull’impugnatura del coltello, ma Wade non si lasciò sorprendere: un colpo
vibrato col taglio della mano disarmò l’intruso e una ginocchiata sparata tra
le cosce lo fece crollare carponi sul piancito di legno.
-Fuori da casa
mia, Pusey.
“Sparisci,
verme, prima che ti aizzi contro il cane. Sparisci dalla mia vista, e vedi di
piantarla con la commedia del bravo padre che si preoccupa per la figlia. Senza
il mio intervento Emmeline sarebbe morta. Morta, hai capito? Ammesso che
t’importi più di lei che di quei quattro soldi che porta a casa rischiando di
storpiarsi e che tu ti bevi alla bettola. Se fossi un bravo padre non
l’affameresti, non la terrorizzeresti, non l’avresti costretta a vendersi
perfino i capelli. Un bravo padre, già…Beh, bravo o cattivo, mi sembri un po’
troppo giovane per esserlo davvero, ma non per imparare a comportarti da uomo.
Va’ a casa tua, e vedi di buttare nel fuoco la vestaglia e il cappuccio, Pusey.
Tanto io non ho paura.”
La luce incerta
del lampione a gas aveva illuminato quell’angolo di strada e la figura di Wade,
inquadrata dalla porta. Era quello che non avrebbe dovuto essere, pensava
Pusey: un maledetto nero messo lìper
far risaltare ancora di più la sua nullità. Il mondo era cambiato, e qualcuno
che stava in alto voleva che le cose andassero come stavano andando sotto i
suoi occhi chiari e spiritati. Suo padre le aveva cacciati con i cani, con i
rinsecchiti, pulciosi e feroci catahoula della sua muta, capaci d’inseguire il
selvatico, bestia o negro che fosse, da un sorgere del sole all’altro,
dall’inferno su questa terra a quello dell’aldilà. Li rispettavano tutti
quanti, allora, i Pusey, ed era prima che quel maledetto Lincoln, l’avevano
ammazzato e ben gli stava, che quella maledetta guerra perdutasovvertissero ogni logica. Ma anche il
dottore negro lo avrebbe conosciuto, il suo inferno in terra e nell’aldilà.
Molto presto.
*
Mexcal, lo
stregone, da morto non metteva più neanche tanta paura: un vecchio piccolo,
ossuto, con una barbetta da capra sul mento e occhi sporgenti da basilisco che
nessuno aveva osato chiudergli in Congo Square. Era anche possibile che
qualcuno credesse che sarebbe ritornato: la via e la morte gli ubbidivano, gli
avevano sempre ubbidito, come cuccioli docili, come scolaretti.Con la forza che appartiene ai non morti,
avrebbe sfondato il coperchio della bara, scavato la terradel cimitero con quelle sue dita che
sembravano artigli, e sarebbe tornato.
Ma chi gli
aveva piantato una pallottola proprio in mezzo agli occhi era certo che Mexcal
non sarebbe potuto ritornare per vendicarsi: l’aveva visto in faccia, quando
gli aveva strappato dallatesta il
cappuccio bianco, ma non avrebbe parlato, ammesso e non concesso che fosse
stato in grado di riconoscerlo. E gli occhi sgranati del vecchio, grandi occhi
sporgenti da basilisco, con le cornee iniettate di sangue non avrebbero
tormentato le notti di chi, per quello che aveva fatto, non avrebbe provato
rimorso. Il cane gli aveva lasciato il segno dei suoi denti sul braccio, prima
di farsi accoppare. Una brutta ferita: e se fosse stato idrofobo?Macché, se la sarebbe cavata, quella stupida
bestiaaveva semplicemente cercato di
difendere i padroni, il vecchio stregone e il dottore nero, come da che il
mondo è mondo i cani han sempre fatto.
Il sangue si
mescolava ai bossoli delle pallottole, ai petali appassiti delle camelie
bianche, ai cocci dei vetri che erano caduti giù dai quadri. Adesso pendevano,
sghembi e sforacchiati, dopo che lui e Pusey si erano esercitati al tiro al
bersaglio con le loro pesantiColt.
Prima il vecchio. Quindi il cane.Il
dottore l’aveva beccato di striscio a un braccio, prima che Pusey gli chiedesse
di lasciarlo a lui. Ma Pusey era un pessimo tiratore, e gli era rimasto un
colpo soltanto nel tamburo, dopo che aveva sprecato gli altri sui quadri e sui
vasi. Era anche ubriaco, ma andasse al diavolo. E c’era rimasto,
quell’imbecille, perché se la sua pallottola aveva fallito il bersaglio, il
coltello lanciato dal dottore gli era entrato nella pancia fino al manico.
L’avrebbero rimpianto in pochi, pace all’anima sua, men che meno la moglie e la
figlia, che trattava peggio di due negre. Comunque si era battuto da uomo e
anche chi lo aveva sempre disprezzato avrebbe accompagnato la sua bara al
cimitero fingendo di asciugarsi gli occhi.
Quando Pusey
era crollato a terra reggendosicon le
mani le budella che gli scappavano fuori dalla ferita, lui aveva scaricato il
tamburo della sua Colt contro il negro che fuggiva dalla finestra. Aveva tre
colpi a disposizione, la sua mira era buona, poteva anche essere che l’avesse
preso. O no, forse. Ci fosse stato qualcun altro dei loro…Ma avevano deciso di
fare da soli. C’erano tracce di sangue un po’ dappertutto, sangue chissà di
chi, anche in giardino, sotto la finestra. Ma il cadavere non era stato
ritrovato e il cavallo era sparito dallo stallaggio. Doveva essere riuscito a
farla franca, il maledetto.
*
I bravi uomini
del Sud avevano fatto giustizia. Mexcal, lo stregone, non camminava più sulla
terra e le mamme avrebbero dovuto inventarne un’altra, per minacciare i bambini
quando facevano i capricci. In quanto all’altro…Scomparso, letteralmente
inghiottito dalla notte. In città aveva molti amici, forse se ne stava nascosto
da qualche parte. Poteva anche essere fuggito. O giacere in fondo al fiume. Se
l’avessero preso, ammesso che fosse ancora vivo, avrebbe dovuto rispondere
dell’omicidio di un bianco e nessun tribunale avrebbe osato invocare lacircostanzadella legittima difesa: anche se erano entrati, non autorizzati nella
sua casa, anche se gli avevano sparato addosso per farlo fuori, dopo che avevano
ucciso il suo cane e un povero vecchio che, aldilà delle apparenze, non aveva
mai fatto male a una mosca. Quelli che Mexcal stringeva tra le dita artritiche,
un cappuccio bianco e qualche petalo avvizzito di camelia, non erano prove
sufficienti a scagionare un uomo che la gente voleva condannato e impiccato.
Perché era nero, non perché aveva ucciso, per difendersi, un pusillanime, una
spazzatura umana che viveva alle spalle della moglie e della figlia ma era pur
sempre un bianco. Questo bastava.
Rossella
rigirava tra le dita la lettera. Poche parole, vergate con la grafia
disordinata di Rhett. Poche parole che avrebbero dovuto renderla immensamente
felice.
Sarò da te fra cinque
giorni, una settimana al massimo. Prepara i documenti, ci sposiamo.
Bastava quella promessa a cancellare l’ansia per quel che
di terribile poteva essere accaduto a Wade? Al suo amante di una volta sola, di
cui non avrebbe mai detto a Rhett? Del suo amante nero e impetuoso che le aveva
promesso il silenzio e forse non camminava più sulla terra, come il vecchio
stregone, come il grosso caneche anche
lei aveva visto lanciarsi abbaiando contro la palizzata del giardino? Tra i
neri del Vieux Carré, compresi i suoi servi, le voci si sprecavano: c’era chi
lo dava in fuga, chi morto, chi nascosto in città, chi già catturato e in
galera, a girarsi i pollici in attesa di un processo sommario edi una condanna certa: che non meritava,
glielo diceva il cuore.
“Se fosse
morto, me lo sentirei dentro” pensava la donna. Le era capitato altre volte.
Non le erano passati presentimenti di morte per la testa, anzi, si sentiva
straordinariamente tranquilla: Wade stava bene, glielo diceva il cuore. Era in
salvo, dove niente e nessuno avrebbe potuto nuocergli, Wade che come tutti gli
idealisti non aveva mai avuto paura dei
suoi sogni e aveva fede nel futuro. Anche se, in fondo alla sua strada, forse
c’era la forca ad aspettarlo.
*
-Non toccare
quella cosa, signorina Kitty! E’ del diavolo!
Prissy si era
affrettata a strappare dalle mani l’oggetto che questa aveva raccattato da
terra, giocando in giardino:un sacchetto di pelle chiuso con una lunga stringa,
che sicuramente doveva contenere qualcosa. Di che genere, Prissy preferiva non
saperlo, anche se non era difficile immaginarlo: era un gris-gris, una di
quelle terrificanti fatture del cerimoniale vudù, capaci di mandarti malattia,
sventura e morte. La faccia della donna s’era fatta grigia, i denti le
battevano per la paura.
-Si può sapere
che…
-Non lo
toccate, Miz Rossella!
Gli occhi globosi di Prissy sembrarono lì lì
per schizzare dalle orbite, quando le mani della signora strapparono quel
sacchetto dalle sue, lo aprirono e ne rovesciarono il contenuto: un ciondolo
d’argento e di turchese; una piuma di pappagallo; alcuni petali avvizziti di
camelia; e la pagina di un libro, di un libro noioso che parlava di
capitalismo, proletariato e plusvalore, con sopra impressa l’impronta di una
grande mano dalle lunghe dita.
-Mia madre si
chiama Lola ed è ancora una bellissima donna. A Richmond, quando sono nato io,
ventisette anni orsono, faceva la puttana. Una schiava non può disporre di se
stessa, era per quello che l’avevano comprata, una bella jaloff di tredici anni
e di sangue quasi puro.
Parlava
lentamente, con quella sua voce bassa, ipnotica e un po’ roca, con
quell’accento duro del Nord, gli occhi chiusi,le mani strette l’una nell’altra,
la testa abbandonata all’indietro contro la spalliera del divano: una ruga
verticale profonda, netta come un taglio, gli spaccava in due la fronte, dalle
sopracciglia aggrottate all’attaccatura dei capelli.
-La
schiavitù, suppongo, non è una di quelle cose che vi abbiano mai fatta
inorridire, Madame, o mi sbaglio? Vostro padre trattava bene i suoi neri, non
gli faceva mancare il necessario e non ha mai picchiato nessuno.Da bambina,
probabilmente, qualche vecchio schiavo vi ha fatta ballare sulle ginocchia e a
casa vostra doveva senz’altro esserci qualche negra brontolona che si vantava
di aver tirato su tre o quattro generazioni di O’Hara e tutte queste cose vi
hanno aiutata a scaricarvi la coscienza…
Rossella
osservò la macchia nera dei suoi vestiti, le brache di pelle, la giacca
indianacon le frange, le borchie d’argento,
le decorazioni d’ossi di bisonte e aculei di porcospino, i tacchi consumati
degli stivali da cavallerizzo.Che ci
faceva un uomo simile nel salotto di casa sua? Perché si lasciava insultare a
quel modo, a dispetto di tutto quanto il suo orgoglio, da un uomo vestito come
un vaccaio, da un negroche, prima che
il mondo scoppiasse, avrebbe abbassato lo sguardo incontrandola? Invece era
come se Wade fosse davvero in grado di leggerle dentro e non volesse risparmiarle
niente. Era uno scorpione pieno di veleno, un diavolo a cui nulla sfugge,
presente, passato, futuro… A dispetto dei suoi pochi anni e della sua faccia,
bella come quella di un angelo, del suo corpo teso, che rifiutava di
abbandonarsi all’abbraccio morbido del sofà, quel corpo magnifico per il quale
la donna provava, malgrado se stessa, una fitta dolorosa di desiderio.
“There is a house in New Orleans…The House of Rising Sun…”
Adesso
si era messo a canticchiare una di quelle loro canzoni dalla melodia
dissonante, piena di tristezza, una canzone che, probabilmente, raccontava una
storia vera: quella di una prostituta bambina. La voce era quella rauca e
spezzata dei suoi congeneri, una voce che metteva i brividi addosso.
-Mia
madre era una di quelle ragazze: puttana a tredici anni, incinta a sedici e non
si sa di chi…Una cosa la so per certa:chiunque fosse, mio padre era sicuramente
un bianco, uno di quei ricchi porci che frequentavano il bordello e sganciavano
fior di dollaroni per sbattersi le ragazze e farsi spennare al tavolo verde. La
madama, naturalmente, non l’aveva presa bene. Ci ha tentato con l’elleboro
nero, con i decotti di prezzemolo, con i bagni bollenti…Quando ha visto che io
continuavo a starmene saldamente abbarbicato alle viscere di mia madre, si è
rassegnatae ha detto soltanto
“Speriamo che sia una femmina”. Già, un’altraprostituta bambina per la Casa del Sole Nascente, un’altra vergine da
mettere all’asta. Invece sono nato io. Per un po’ ci ha lasciati insieme, poi,
quando ha visto che ai clienti non andava d’avere un marmocchio in mezzo ai
piedi mentre facevano i loro porci comodi, si è risolta a vendermi: tra l’altro
le avrei fruttato un bel po’ di quattriniperché a quell’età ero parecchio bellino e promettevo bene, sempre che
la cosa interessasse a quel disgustoso pederasta che sembrava intenzionato a
comprarmi: a lui piacevano piccoli, quando cominciavano adavere nove o dieci anni se ne disfaceva
perché non gli interessavano più…Siete ancora convinta che la schiavitù possa
aver avuto un volto umano, Madame?
La
guardava fisso fisso, con quegli occhi bui come il fondo di un pozzo, e si
tormentava nervosamente il labbro inferiore con le dita.
-Io non
mi chiamo Harriett Beecher Stowe, e tutte queste cose non le ho inventate: le
ho provate sulla mia pelle, come altri hanno provato la frusta, il fuoco, le
botte, i lividi. Vi avevo avvertita che sarei stato sgradevole, che avrei anche
potuto…ferirvi Madame.
-Continuate. Vi prego.
-Scappare
non era facile, se l’avessero riacciuffata sapeva che cosa l’aspettava. Ma mia
madre è un diavolo di donna, non avete idea di quanto sia coraggiosa. E poi
abbiamo incontrato parecchia brava gente che ci ha aiutati. Ancora adesso le
capita di svegliarsi di soprassalto, con i latrati dei cani dentro le orecchie,
quei cani da pista addestrati alla caccia al negro, che non mancavano mai in
nessuna piantagione.
Anche suo
padre ne possedeva una muta, di quei cani: blodhound e coonhound dal fiuto
portentoso, capaci d’inseguire la loro preda da un sorgere del sole all’altro e
i terribili catahoula, i cani leopardo dai denti aguzzi come pugnali.
Sicuramente la madre di Wade aveva tremato più per il bambino che per se
stessa, quando aveva sentito ululare i cani a due passi dal confine, dalla
salvezza.
-Arrivati
a Philadelphia, tutto è stato molto più facile di quel che mia madre temesse: i
tempi erano quelli che erano, tutti provavano simpatia per noi e volevano
aiutarci. Leeland McRae, che già da allora dirigeva la Scuola di Belle Arti,
offrì lavoro a mia madre come donna delle pulizie.Non era molto, ma si poteva
tirare avanti decentemente.
Già:
probabilmente la bella Lola aveva arrotondato i suoi guadagni posando nuda per
gli studenti dell’Accademia e senz’altro aveva scaldato, nelle fredde notti del
Nord, il letto del Grande Maestro, fresco vedovo e ancora attraente e vigoroso,
malgrado i sessant’anni suonati. E il Maestro aveva finito col prendere in
simpatia il ragazzino, bello come un angelo, intelligente e sveglio, tanto da
pagargli gli studi fino al conseguimento della laurea nel più prestigioso
ateneo del Paese. Gli artisti non hanno i pregiudizi dei comuni mortali, gli
unici colori che contano, per loro, sono quelli da schiacciare fuori dai
tubetti e così vissero tutti felici e contenti: come nelle favole.
-Butler è il cognome di vostra madre?
-Il primo
che le sia venuto in mente, quando i funzionari dell’Ufficio Immigrazione
gliel’hanno chiesto. Butler era uno dei clienti del casino. Il più attraente e
il meno villano di tutti, a sentire mia madre.Le faceva spesso dei regalini, a
volte capitava che le lasciasse delle mance sottobanco. E lei metteva via quei
soldi, immaginava che le sarebbero tornati utili, prima o poi. Credo
desiderasse che io fossi davvero figlio di quell’uomo. Può essere che sì come che
no, chissà…
Butler,
come Rhett. Viaggiava spesso, niente di strano che si fosse trovato a passare
dalle parti di Richmond, anni prima, e a frequentare il locale dove lavorava la
madre di Wade. L’uomo che Lola Butler avrebbe desiderato fosse il padre di suo
figlio, galante perfino con una prostituta di colore, rassomigliava tale e
quale a Rhett.
-Sapete
se vostro padre era…bruno, olivastro, con i baffetti?
-Mia
madre non me ne ha mai parlato, ma che importanza può avere? So per certo che
era un bianco, e quando un bianco ingravida una negra, il figlio che viene
fuori è un po’ più chiaro di sua madre, ma molto più scuro di suo padre, conta
questo. Comunque scommetto che vostro marito è bruno, olivastro e con i
baffetti. Vi avevo avvertita che le mie parole avrebbero potuto ferirvi,
Madame.
“No,
Wade, anche se la verità può far male, me lo insegni tu stesso. Da queste
parti, tutti gli uomini bianchi hanno bastardi di colore, concepiti con una
schiava o con una puttana e le loro legittime consorti hanno finito col non
farci più caso. Io amo Rhett. Ma anche se lo amo questo non significa che lo
consideri un santo.” Solo il pudore la tratteneva dal dirglielo. Però aveva
ragione, al solito, il diavolo nero: Rhett non era diverso dagli altri uomini,
né s’era mai preoccupato di sembrarlo. E lei non era una a cui l’amore chiuda
gli occhi e turi le orecchie, era sempre stata cosciente del fatto che suo
marito potesse aver avuto altre donne. Tante, compresa una sgualdrina nera di
Richmondche gli aveva dato, a sua
insaputa, un figlio mezzosangue. Era un’ipotesi perfettamente realistica, sulla
quale era del tutto inutile arrovellarsi, arrabbiarsi, piangere…Eppoiindubbiamente l’unico uomo che Wade in
qualche modo doveva aver considerato come un padre era Leeland McRae, che si
era occupato di lui, gli aveva dato consigli, insegnato a scarabocchiare,
l’aveva calzato, vestito, aveva permesso che avesse una casa e che potesse
studiare. Rhett Butler: un semplice nome, per lui, né più né meno. Un nome
simile al suo, ma che apparteneva ad una persona del tutto diversa, un bianco
con i capelli bruni e i baffetti sottili, un perfetto sconosciuto, uno di quei
ricchi che gli facevano soltanto rabbia. Aveva letto“Il Capitale”, pensava Rossella. Di che cosa si trattasse con
precisione, lei non s’era mai curata di saperlo: un trattato politico, questo
era sicuro, forse il vangelo di quelli che sognavano di mettere il mondo
sottosopra in nome dell’uguaglianza. Di quelli come Wade, che sarebbe potuto
diventare un artista e invece aveva scelto di diventare medico per aiutare i
bambini mocciosi degli slums, gli operai che lasciavano le dita sotto le presse
delle fabbriche, gli immigrati che non sapevano una parola d’inglese e si
guadagnavano la fame pulendo le latrine pubbliche, magari perfino gli indiani
delle riserve. E chissà per quale misteriosa ragioneaveva deciso di curare la figlia e la mantenuta d’un mercante
d’armi. Il bisogno di denaro? Mah, uno che vive in Congo Square nella casa di
uno stregone vudù, che veste e cavalca come un vaccaio texano, che si vanta di
saper badare a se stesso, non può essere un uomo che abbia grandi esigenze:chi
doveva mantenere, oltre a se stesso? Il suo cavallo, le aveva detto Prissy, e
un grosso cane nero sempre affamato. Basta.
Lo
avrebbe fatto arrossire, a guardarlo come lo guardava, se fosse stato bianco.
Sì, lo avrebbe fatto arrossire, accarezzandogli leggera, con la punta dei
polpastrelli, il dorso della mano.
-E’
importante che un medico ne abbia cura: sono il suo strumento di lavoro. E che
le tenga pulite, soprattutto questo. Stein ,uno dei miei insegnanti ad Harvard,
uno che in Europa aveva studiato con il dottor Semmellweiss, non faceva che
ripetercelo.
Stein. Un
ebreo, sicuramente doveva essere quello. Solo un ebreo, anche al Nord, non
avrebbe recriminato, ritrovandosi tra i piedi un negro che pretendeva di
studiare per diventare dottore. E a lei gli ebrei non erano mai piaciuti, le
sapevano di nasi adunchi, animi gretti e mani sordide. Tutti, anche quel
dottore arrivato dall’Europa che se le lavava continuamente ed esigeva che
altrettanto facessero i suoi allievi. Ma era possibile che le mani di un negro
fossero pulite? I negri a lei avevano sempre messo paura, con quei denti
grossi, quegli occhi bianchi nelle facce nere, quei muscoli che sembrava
volessero scoppiare sotto i camiciotti di tela, quei capelli che dovevano
essere ruvidi come la lana delle capre. Negri ed ebrei, due facce della stessa
medaglia, gli assassini di Cristo e i reietti della terra. Non aveva mai
conosciuto un ebreo, negri sì. E le facevano ancora più paura, adesso che
quella maledetta guerra li aveva resi liberi com’era libera lei,i neri di casa e quelli dei campi,la stupida
Prissy e il dottor Butler, che era bello come un angelo e non abbassava gli
occhi incrociando il suo sguardo. Chissà se era vero che solo pensare alle
donne bianche mandava il loro sangue in fiamme. E chissà se era vero che…Con
tutti quelli che le erano passati davanti agli occhi in vita sua, non aveva mai
pensato che anche unuomo di colore
potesse essere bello e desiderabile. Come Wade, con i suoi occhi profondi e le
labbra socchiuse, con il suo leggero sentore di cuoio e di colonia che non
riusciva a mascherare l’odore eccitante della sua pelle.La stava osservando senza parlare. Che fosse
arrivato a comprendere la sua frustrazione di donna umiliata, a fiutare il suo
desiderio segreto, malato, vergognoso, che non doveva trapelare per niente al
mondo? Ci hai mai provato con un nero, bella signora?
-Mio
padre era arrivato a possedere anche quattrocento schiavi: li ho sempre avuti
sotto gli occhi, nei campi, in casa, dappertutto. Eppure…
“Eppure
te li sei sempre figurati come ti ha fatto comodo, bella signora: animali
creati per la fatica, con la schiena forte e il cervello debole, pigri,
sensuali, creduloni, i cui unici interessi sono ballare, mangiare e fottere e
molto più attrezzati tra le cosce che non dentro la testa. Eppoi ti mettono
addosso una terribile paura, perché non puoi più controllarli com’eri abituata
a fare e non li conosci abbastanza: è normale aver paura delle cose che non si
conoscono.”
Gli aveva
detto che la vita non era stata facile con lei e che spesso era stata costretta
ad affrontare con coraggio le difficoltà: stava con un uomo che non era suo
marito e dal quale aveva avuto una figlia; se n’era sempre infischiata di
schemi e convenzioni, e se un uomo le piaceva…Se le piaceva, non esitava a
farglielo capire, anche se le uniche cose che sapeva di lui erano il colore
della pelle e dieci anni e più di differenza d’età. Aveva mani morbide e
delicate, estremamente piacevoli mentre gli scorrevano dolcemente sulle
sopracciglia, sugli occhi, sugli zigomi alti e ossuti. Deglutì, quando gli
sfiorarono le labbra.
-Sei
bellissimo, Wade.
-Parecchi
uomini di colore lo sono. Non ve n’eravate mai accorta?
“Già, ai
bianchi ha sempre fatto comodo lasciarci credere il contrario, strapparci via
l’orgoglio di essere come siamo, insinuare nei nostri cuori l’invidia per gli
altri e il disprezzo di noi stessi. E noi ci siamo cascati. Quasi tutti i
sanguemisto come me sono orgogliosi di essere bianchi per metà, per tre quarti,
per un decimo soltanto; chi è nero, invidia i capelli lisci e la pelle chiara
di chi è meticcio. Chi è meticcio disprezza i neri e non si rende conto che i
bianchi disprezzano tutti allo stesso modo. Non è vero, Madame? Ai bianchi, il
loro mondo non basta più, e allora… Gli indiani vengono massacrati per
costruire la ferrovia. I neri, alla faccia di tutte le leggi, continuano a
restare la solita merda di sempre. In Asia e in Africa non è rimasto un solo
francobollo di territorio che non sia colonia. Che cosa ci abbiamo guadagnato,
noialtri? La vostra civiltà, che avete avuto la condiscendenza d’insegnarci a
colpi di frusta?”
Wade
aveva una pelle morbida e sensibile e un notevole autocontrollo. Un altro le
sarebbe saltato addosso, pensava Rossella. Lui si limitò a lasciarsi
sfuggiresospiro di piacere quasi
impercettibile e a guardarla con quegli occhi carichi di domande.
“Uh, ti
piace, il negro, eccome se ti piace, il negro grosso, puzzolente e sempre in
fregola, bella signora…Non te l’hanno insegnato, che le signore perbene
farebbero meglio a girare alla larga da quelli come noi? Ah, Rossella, piccola
mia, se continui a toccarmi in questo modo non so fino a che punto…”
Aveva
dita bianche e sottili, Rossella. Dita curiose e impudiche, che gli
sbottonavano la camicia e si divertivano a sfiorargli, leggere, la pelle scura
del petto. Che splendidi muscoli hai, Wade…Un bel paio di spalle, il collo
lungo e robusto, la nuca rotonda, coperta di riccioli fitti e ruvidi. E la
schiena liscia, lui che le aveva detto di frusta, fuoco, lividi e bastonate.
Non c’erano segni sulla sua pelle, pensava la donna assaporando le labbra piene
di lui, il sapore salato della sua lingua e della sua saliva. Parlava con le
parole degli altri, forse con le loro menzogne. La tua vita è stata meno
difficile di quanto non lo sia stata la mia.Che cosa ti hanno dovuto rubare e
ti sei dovuto riprendere, quando eri la scimmietta ammaestrata di Leeland
McRae? O quando tua madre, per farsi mantenere, gli faceva quello che aveva
imparato a fare nei bordelli di Richmond?
Sorrise,
sarcastica, continuando ad accarezzargli la nuca, le spalle, il petto, a
percepire il calore, la morbidezza, l’odore della sua pelle liscia e scura.
“Velluto di mezzanotte”, dicevano i signori bianchi parlottando tra loroa proposito delle grazie di qualche
sgualdrinella nera. E anche la pelle di Wade, che era figlio della degradazione
e della lussuria e non dell’amore, eracome velluto di mezzanotte.
-Tutto
questo…è molto meglio del laudano, non è vero, bella signora?
E’meglio
del laudano e non fa male. O fa male, forse. Uno schiaffo era l’ultima cosa che
Wade si sarebbe aspettato, quando anche lui cominciò a giocare con le mani.
Finché a dirigere il gioco era stata lei, tutto andava bene, ma poi il gioco
s’era fatto pesante: lei era una signora, lui uno straccione nero, inutile
illudersi.
La fissò
con quegli occhi bui come il fondo di un pozzo poi, sistemati alla meglio i
vestiti, infilata la giacca, calcato sulla testa il cappellaccio a larghe tese,
se n’era andato senza una parola.
*
-Wapiti!
Ricordò
di essere uscito dall’acqua in cui aveva cercato refrigerio, in quell’estate
torrida di cinque anni prima e d’essersi domandato, non senza imbarazzo, se lei
l’avesse visto nudo. Non doveva avere più di tredici, quattordici anni, ed era
una deliziosa ragazzina coi capelli neri che le arrivavano alle natiche, i
denti bianchi nella faccia cotta dal sole, gli occhi a mandorla
dall’espressione pungente. Masticava un po’ d’inglese,appreso alla scuola della
Missione cattolica che aveva frequentato fintantoché era stata in grado di
resistere rinchiusa, e gli stava sempre appiccicata alle costole. Era una
mocciosetta di quattro o cinque anni, quando l’Uomo Bianco Che Fa Vivere La
Gente Sulla Carta aveva preso l’abitudine di portarselo appresso quando lasciava
la città per andare da loro: un cucciolo di Uomo Bisonte, che le donne della
tribù avevano soprannominato Wapiti, come il grande cervo della foresta, che
aveva i suoi stessi occhi scuri, liquidi e dolci. Poi l’Uomo Bianco s’era fatto
troppo vecchio per cavalcare, e Wapiti tornava da solo a trovare i suoi amici
indiani, a schizzare sulla carta i loro tratti fieri, le loro facce aquiline
incorniciate dai lunghi capelli pesanti come coperte di lana, quei loro occhi
tristi che guardavano aldilà delle cose, cercando il ricordo di un passato che
niente avrebbe potuto richiamare indietro.
La
ragazzina gli sedeva sempre vicino per guardarlo disegnare, gli sorrideva
sempre. “Sei bellissimo,anche se sei diverso da noialtri”. Gli diceva. Era
maliziosa, per la sua età, più delle ragazzette bianche,doveva credersi già
donna. Gli aveva regalato i suoi braccialetti e le sue collane, dicendo che gli
avrebbero portato fortuna.
Quella
volta, se fosse stato bianco, di sicuro sarebbe arrossito fino alle orecchie,
vedendola correre verso di lui. Non potendo fare altro, s’era rituffato a
precipizio dentro l’acqua fredda del laghetto.
-Credi
che non abbia mai visto un uomo nudo, Wapiti?
-Agli
occhi della mia gente non sta bene che un uomo si mostri nudo davanti a una
donna.
-La tua
gente. I visi pallidi, come l’Uomo Che Fa Vivere La Gente Sulla Carta o gli
uomini bisonte?
Non lo
sapeva nemmeno lui, era come se vivesse tra due mondi. La sua pelle scura, fino
a quel momento, non gli aveva precluso niente, ma lui non era così sciocco da
non capire che era solo fortuna e non sarebbe stato per sempre: solo il denaro
e il prestigio sociale di Leeland McRae, l’Artista erano stati capaci di
scardinare le mille porte che la vita avrebbe potuto chiudergli in faccia. Il
denaro, quello, anche se non era più di un sogno o di un incubo, per gli
immigrati degli slums, per i bambini che lasciavano le dita negli ingranaggi
delle macchine, quando la stanchezza, la fame e il sonno intorpidivano i loro
riflessi; o per i piccoli spazzacamini costretti a sei, sette anni, a
guadagnarsi da vivere vincendo a forza di botte l’angoscia del buio, di quei
pertugi stretti come una bara nei quali dovevano calarsi a testa in giù, legati
per i piedi. Non erano schiavi anche loro, malgradola loro pelle bianca, malgrado il tempo della schiavitù fosse
stato cancellato dalla guerra? La Guerra Civile aveva spezzato le catene di
ferro dei neri per forgiarne altre, invisibili ma ugualmente pesanti da
portare: una schiavitù che non guardava in faccia nessuno, bianco, giallo,
nero, cittadino americano o immigrato.
-Non ti
si vede più spesso come prima, Wapiti.
-Ho
parecchio da studiare,se voglio diventare uomo-medicina.
-Un uomo
medicina…-il sorriso della ragazzetta s’era fatto scettico-Uno sciamano deve
vincere il dolore, se vuole conquistare la conoscenza. E il suo corpo porta le
tracce della sua lotta contro il dolore: non vedo cicatrici, sul tuo petto e
sulla tua schiena.
-Non la
conquistiamo in un’altra maniera, la conoscenza, piccola Donna Lupo:senza
bisogno di farci del male.
-E’difficile curare il dolore degli altri se non lo si è provato sulla
propria pelle,credo.
E lo
credeva il popolo di Donna Lupo: i guaritori si provocavano ferite,
scarificazioni e bruciature, arrivavano a forarsi i capezzoli e il prepuzio.
Forse era vero,non si riesce a curare il dolore degli altri, se non lo si
conosce.
Aveva
conquistato la conoscenza, quando era tornato; e Donna Lupo non era più la
stessa di tre anni prima: un essere febbricitante, deforme, terrorizzato, che
da due giorni e due notti urlava il proprio dolore per quel figlio, il primo,
che non voleva uscire da lei. Un dolore di cui un uomo non avrebbe conosciuto
la più pallida parvenza, neppure se si fosse strappato a brani la carne dalle
ossa. Donna Lupo sarebbe morta, se non avesse fatto qualcosa, e allora Wade
aveva preso il suo coltello, ne aveva arroventato la lama sul fuoco e aveva
allargato il canale del parto con un colpo secco. Il bambino era venuto fuori,
insieme con un fiotto di sangue e di materia purulenta. Morto.
Lei se la
sarebbe cavata, era giovane e forte, e poi gli sciamani della sua tribù
conoscevano le erbe che debellano la febbre. Ma l’amore non le avrebbe dato più
alcun piacere e forse non sarebbe stata in grado di avere altri figli: i suoi
simili l’avrebbero considerata una reietta, probabilmente il suo compagno
l’avrebbe ripudiata: era valsa la pena di salvarla?
-Sei
troppo sensibile, ragazzo: vedi di cambiare o per te saranno guai grossi. Un
medico deve abituarsi a convivere con i suoi fallimenti e i suoi errori: non
siamo dei padreterni.
Diceva di
parlare così perché aveva già avuto l’età di Wade, ma Wade non aveva ancora la
sua. Non era diverso da tutti gli altri neolaureati che gli mandavano come
tirocinanti, pieni di ideali eroici che, a contatto con la realtà, si
sgretolavano come legno marcio. Nessun problema economico, un facoltoso tutore
che, non avendo altri parenti, sicuramente gli avrebbe lasciato tutte quante le
sue sostanze…Era stato più fortunato di lui il cui padre, un modesto
insegnante,aveva dovuto tenere l’anima coi denti per farlo studiare. Più
fortunato di lui che, a quarantacinque anni suonati, non era ancora riuscito a
venir fuorida quel dannato ospedale
finanziato da un filantropo di cui non ricordava neppure il nome, dove si
curavano corpi fradici per la sifilide, occhi che suppuravano,dita tranciate
dai macchinari delle fabbriche, i malanni della fame e della miseria.Quando
rientrava a casa più morto che vivo, erano anni che ascoltava la solita solfa:”
Sei un fallito, un buono a niente, non ho più nulla da mettermi addosso che non
sia tutto rappezzato, i tuoi figli vanno in giro con le scarpe scalcagnate e si
vergognano di te…” Sua moglie aveva ragione. Quell’altro, invece, giovane e
bello com’era, e ricco come sarebbe diventato, avrebbe potuto avere il mondo ai
piedi, perfino sposare l’ereditiera più facoltosa e più carina della città
senza che nessuno osasse recriminare circa le sue origini o il suo colore.
-Il
denaro corrompe-diceva sempre. Se avesse ereditato tutte le sostanze di Leeland
McRae, come sembrava più che probabile, avrebbe lasciato un vitalizio a sua
madre e investito il resto in quel dannato ospedale. Pazzo. Poi sarebbe sceso
al Sud, per curare i malanni dei suoi simili e magari si sarebbe fatto linciare
dal Ku Klux Klannon appena quella
gentaglia avesse realizzato che non era stato capace di restarsene al suo posto
o una donna bianca gli avesse posato gli occhi addosso anche solo per
guardarlo. Dieci, cento, mille volte pazzo. Era un bel ragazzo simpatico, con
la parlantina facile, ricordava il dottor Brannighan, che cavalcava come un
centauro, non si tirava indietro se c’era da menare le mani e anche con la sei
colpi se la cavava mica male. Era bravissimo a disegnare, forse avrebbe fatto
meglio a non intestardirsi a diventare medico e sarebbe potuto diventare un
artista di vaglia come il suo tutore. Con le idee che gli frullavano in testa,
per lui sarebbe stata la scelta migliore, invece…
-Il
momento in cui un medico deve misurarsi con la morte prima o poi arriva sempre,
Wade. E non sempre a morire sono i vecchi, o chi ci vuole male. E’ dispiaciuto
anche a me, credimi, ma nessuno avrebbe potuto farci niente.
Inutile
dirgli che piangere di tristezza e urlare di dolore non è vergogna, Brannighan
tanto non lo avrebbe capito, e magari gli avrebbe rinfacciato di avere il cuore
di cera e le lacrime in tasca, come tutti quanti i maledetti neri, una
razzaimpastata di sentimento più
cheragione. “Ti saresti dovuto fare le
ossadove me le sono fatte io,
ragazzo”. Già, lui se l’era fatte come medico militare durante la Guerra, le
maledette ossa. Avesse visto anche solo una decimaparte di quello che aveva visto lui quando era chirurgo
dell’esercito, giovani rovinati per sempre, gente che pregava Dio di toglierla
dal mondo,avrebbe mollato tutto quanto
per tornarsene all’Accademia a dipingere. O sarebbe diventato duro come una
pietra, e non avrebbe dato una lacrima, per la piccola immigrata morta in
quella maniera spaventosa solo perché non aveva abbastanza denaro da comprarsi
un paio di scarpe.
-Forse
quella tua…Anna è stata più fortunata da certi che dalla guerra tornavano
ridotti a rottami. E non piangere come piangono le donne, Wade, maledizione!
*
Wade
cavalcava verso casa sotto la pioggia, la pioggia tiepida dell’autunno di New
Orleans. Quei pochi anni, quella città, l’avevano cambiato, indurito, come
l’allume di rocca aveva indurito la pelle delle sue dita. Aveva imparato, se
non ad accettarle, almeno a misurarsi con le numerose facce della morte che in
quella città putrida di fango erano le febbri, i serpenti velenosi, i morsi
incurabili dei cani arrabbiati, la presenza incombente del Padre delle Acque,
il grande fiume che fagocitava e non restituiva quel che si era preso, una
città che sembrava sempre sul punto di marcire, se non di sprofondare in quel
fango su cui si reggeva per puro miracolo. E poi c’era l’odio, il puntiglio
truccato da questioni d’onore, il fanatismo ciecoe senza ragione che armava le mani dopo essersi rivestito
d’ideali assurdi che, in realtà, servivano solamente a nascondere giochi di
potere: bianco contro nero. Uomo contro uomo. Quando sarebbe finita? Ne aveva
curate a decine, ferite d’arma da fuoco e ossa rotte dalle bastonate. Qualcuno
gli era morto tra le braccia, com’era successo a Papa Joe, un vecchio negro
mezzo svanito che era stato pestato chissà per quale motivo, dai fantasmi
bianchi che s’erano dati il nome di un fiore. Era stata dura non piangere,
anche se nessun Brannighan glielo avrebbe rimproverato.
Ma, per
fortuna, quella città era anche piena di vita, generosa e calda come una
vecchia puttana alla prese con un ragazzino a cui debba insegnare tutto: il
Carnevale, il profumo speziato del gumbo (minestra di gamberi, N.d.A.) e
delle callas (frittelle dolci N.d.A,), il mercato con il suo vociare, la
musica e le donnine dei locali malfamati di Storyville, la stupefacente
bellezza delle mulatte di Rampart, i tamburi del vudù. “L’appé
vini le Grand Zombi /L’appé vini pou fé gris gris…”(« E’ venuto il grande Zombi…E’
venuto per fare gris-gris… » si tratta di una sorta di formula di
scongiuro nel dialetto creolo di New Orleans N.d.A.)
*
Nell’accomodarsi la veletta, mentre la carrozza di avvicinava alla meta,,
Rossella si domandò se qualcuno avrebbepotuto riconoscerla. Con il viso velato e le mani coperte dai guanti,
niente la rivelava per una bianca. I riccioli neri che le sfuggivano dal
cappellino avrebbero potuto spacciarla per una quarto od ottavo sangue, per
qualcuna di quelle languide bellezze dalla pelle color avorio vecchio con le
quali i gentiluomini bianchi della città solevano formare,col beneplacito di
tutti quanti, mogli comprese, le loro famiglie clandestine. Rise dentro di sé,
sarcastica, al pensiero di come si sarebbe sentita, appena pochi giorni prima,
se qualcuno si fosse azzardato a scambiarla per una donna di colore. Nessuno
può mettere ipoteche sul proprio futuro. E le differenze, in fondo, non erano
poi molte, anche se nelle vene diRossella
scorrevano solamente sangue irlandese e francese. Anche di lei dicevano a bassa
voce puttana e mantenuta. Rhett era stato suo marito cento, mille, diecimila
anni prima, adesso era soltanto l’uomo che le giaceva accanto nel letto e per
il quale ogni scusa era buona pur di rimandare un matrimonio a lungo promesso.
Rhett non era mai stato una persona come si deve e mai che gliene fosse
importato qualcosa. Era ancora sposata a Frank, il buon vecchio Frank che non
amava, la prima volta che era stata con lui. Frank, marito di Rossella e socio
in affari di Rhett. Delle remore morali avevano fatto cartastraccia, sia lei
che lui, e la paragonassero a chi volevano, le malelingue di New Orleans: anche
a una negra. Per quel che gliene importava…
La vettura pubblica,
mai avrebbe immaginato in vita sua di doversi servire di una carrozza a nolo,
di dover sedere sulla stessa panca dove poteva aver posato le natiche una
prostituta, si era fermata.
-Congo Square,
Madame-aveva bisbigliato il vetturino, aiutandola a scendere. Era un negro
corpulento, di mezza età e sicuramente dalla voce, dal biancore delle mani,
dalla consistenza dei capelli o da qualche altro particolare, doveva averla
riconosciuta per quella che era. Ma non si era, grazie a Dio, meravigliato più
di tanto: da Mexcal,perché era lì che stava andando, a farsi preparare filtri
d’amore e fatture a morte, non andavano solo le negre.
La casa dello
stregone era un vecchio edificio fatiscente in fondo a un giardino incolto,
ombreggiato da alberi di catalpache da
anni non venivano potati. Un grosso cane nero latrava minacciosamente,
lanciandosi contro l’inferriata. Ringraziando il Cielo, la casa era dotata di
un piccolo ingresso secondario che si apriva direttamente sul muro esterno
della costruzione e doveva essere la porta che immetteva nell’abitazione di
Wade.
Bussò. Era
possibile che lui non fosse in casa, come capita spesso ai medici.
-Desiderate,
Madame?
-Ho un
terribile mal di testa…da un paio di giorni in qua.
Gli rispose,
sollevando la veletta e dedicandogli il migliore dei suoi sorrisi. Lui era
scalzo, in maniche di camicia, bellissimo.
-Non avrete
intenzione di ricominciare con quel dannato laudano, spero:detesto l’idea di
veder morire i miei pazienti.