Porta Neve, il Vento di Tempesta. di Sophrosouneh (/viewuser.php?uid=77545)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vhes “del Connubio” ***
Capitolo 2: *** Thaet “dell’Ego” ***
Capitolo 3: *** Inarwe “della Desolazione” ***
Capitolo 4: *** In gloria alla Morte. ***
Capitolo 1 *** Vhes “del Connubio” ***
Avviso! Le protagoniste di questa
raccolta sono le Erinni, ma non stupitevi se i loro nomi non saranno
quelli canonici (Aletto, Megera e Tisifone), infatti, in quanto storia originale, anche i personaggi sono da
me rivisti e descritti. Insomma, l’unico elemento di
continuità con il mito è la loro funzione di
personificazioni femminili della vendetta. Il loro compito è
quello di vendicare i delitti, soprattutto quelli compiuti contro la
propria famiglia, torturando l'assassino fino a farlo impazzire.
Su queste tre figure
avevo già scritto un’altra storia (Inarwe) la cui lettura non
è indispensabile per capire questa, anzi, è
proprio in questa raccolta che delineerò con maggior
precisione i caratteri e le attitudini di ciascuna di loro.
Porta Neve, il Vento di Tempesta.
Autore: Ss904 (Sophrosouneh)
Fandom:
Originale/Epico
Personaggio: Vhes
Set: Tempo
Prompt: Vento
Storia partecipante
alla Challenge Think Angst di Simph8 e Vogue91
Vhes “del
Connubio”
Vhes era sempre andata fiera del proprio carattere.
Si considerava una persona matura, responsabile e capace di tenere
sempre saldamente la situazione nelle proprie mani.
Poteva definirsi una maniaca
del controllo, ma il termine non le andava molto a genio.
La sua sola presenza incuteva timore e rispetto alle creature di tutti
i mondi e realtà esistenti.
Era conosciuta come “la Furia del Connubio”,
poiché aveva una chioma baciata dai più fulgidi
raggi dell’empireo Divino, e due occhi del colore
dell’ossidiana del trono di Satana.
Eppure in lei questi due aspetti si fondevano in un'unica forma
armoniosa, tanto stupefacente quanto inquietante.
Era nata libera, e per la propria libertà combatteva a spada
tratta.
Era il vento stesso che gonfiava le ali del falco pellegrino, suo
animale simbolo, l’unica forma che potesse acquisire per
divenire visibile agli occhi dei mortali.
Fosse dipeso da lei, si sarebbe affrancata molti secoli orsono da quel
mondo di dolore e morte in cui era costretta a vivere. Era
sufficientemente esperta per andarsene, ed abbastanza forte
perché nessuno osasse opporsi alla sua decisione.
Così avrebbe potuto realizzare il suo sogno: lasciarsi ogni
cosa alle spalle.
Non avrebbe più avuto ordini e confini: una nuova vita.
Tuttavia, per quanto tenesse a quel suo mondo senza barriere o
costrizioni, un freno era stata costretta ad imporselo.
Per loro.
Perché lei era l’unica a cui importasse qualcosa
della sopravvivenza di quei due esserini maldestri.
Perché era nella sua natura pensare prima agli altri che a
se stessa.
Perché ogni volta che scorgeva Thaet leccarsi in un angolo
le ferite dell’ennesima zuffa, o quando sentiva Inarwe
singhiozzare nel cuore della notte, il suo cuore si crepava un
po’di più di quanto già non fosse.
E, in fondo, perché sapeva che, per ottenere la sua
libertà, avrebbe dovuto abbandonarle.
E anche la stoica, rigorosa e saccente Vhes aveva timore della
solitudine.
Loro tre erano sorelle, le Erinni.
Esseri disprezzati e temuti da ogni essere vivente e non.
Solo insieme avrebbero potuto tentare di ricostruire quella pace che
non era loro appartenuta mai.
“Lezione del giorno: la famiglia prima di tutto!”
esordì alzando l’indice al cielo e calamitando
l’attenzione delle due sorelle minori che, sebbene fossero
abituate alle massime giornaliere che Vhes era solita sfornare, la
guardarono un poco intimorite.
“E come mai adesso, di punto in bianco, vieni fuori con
questa frase? Non è che l’età ti sta
facendo perdere colpi?”.
Quella notte Thaet ebbe tutto il tempo per maledire –per
l’ennesima volta- quella sua lingua biforcuta, dopo essere
stata sonoramente messa tacere dal poderoso destro dell’
irascibile sorella maggiore.
Ma, nonostante i raptus di follia e la terribile inclinatura saccente, Vhes era sempre andata fiera
del proprio carattere!
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Capitolo 2 *** Thaet “dell’Ego” ***
Autore:
Ss904
(Sophrosouneh)
Fandom:
Originale/Epico
Personaggio: Thaet
Set:
Tempo
Prompt:
Tempesta
Storia
partecipante alla Challenge
Think Angst di Simph8 e Vogue91
Thaet
“dell’Ego”
Gli occhi
color ocra del serpente a sonagli spazzarono la piana in lungo e in
largo.
Quella volta gli
ordini imponevano di fermarsi in uno sperduto paesello in mezzo alla
steppa e, per combattere la dilagante monotonia, Thaet aveva cercato,
non appena si era presentata l’occasione propizia, di
sgattaiolare via dagli impegni.
Aveva assunto quella
forma animale, a lei tanto congeniale, e si era inoltrata nel brullo
panorama desertico.
Il calare del sole era
ormai prossimo, e anche la percentuale di umidità
nell’aria era in rapido aumento.
Fece schioccare di
nuovo la lingua biforcuta per averne l’estrema certezza.
Avvolse le spire
corvine, dai brillanti riflessi violacei, attorno ad una roccia, molto
probabilmente precipitata da uno dei rilievi porosi della zona.
Svettanti come
pinnacoli e guglie di una cattedrale gotica, quelle strutture naturali
si alzavano al cielo, modellate dal corso incessante dei secoli.
Lentamente distese le
spire per riacquisire la sua forma originale.
Avevano concluso il
lavoro molto prima del previsto: il peccatore era stato lambito e
ammansito dalla voce dolce e pia di Inarwe, per venir poi trafitto
mortalmente dalle grida possenti di Vhes. Non c’era nessuno
che avesse mai potuto resistere alla timida compiacenza e alla forza
distruttiva delle sue due sorelle.
E lei? Cosa aveva
fatto per rendersi utile?
Era da tempo che ci
pensava, ma, per quanto si sforzasse di trovare una risposta, alle
volte percepiva di non avere un sicuro posto nel mondo.
Lei era quella dei
piani e delle meditazioni.
Era furba, scaltra,
sibillina e anche decisamente sadica.
A lei spettavano le
torture psicologiche.
Un ruolo che
però non si rivelava fondamentale per la riuscita di ogni
lavoro.
Infatti
c’erano dei giorni –come quello- in cui si sentiva
di non aver dato il minimo contributo.
E Thaet odiava
l’inutilità.
Nutriva il preponderante bisogno di sentirisi necessaria.
Voleva
cacciare ed uccidere con i suoi morsi letali, o avvincendo la vittima
tra spire di ricordi opprimenti e strazianti.
Il suo animo era
sempre e comunque scosso da una nube di tempesta.
Instabile, devastante,
inaspettata e lunatica.
Sbuffò
sonoramente, facendo sprofondare le dita nella ribelle massa di capelli
color catrame.
Non sapeva neppure lei
perché si fosse rifugiata in quel luogo, lontano dalle
sorelle.
O meglio, lo sapeva,
ma le costava fatica ammetterlo: aveva bisogno di riflettere.
Era talmente
egocentrica da finire per far passare qualsiasi altra cosa in secondo
piano.
Sentirsi importante e
apprezzata era il suo pane quotidiano. Adorava salire sul piedistallo e
accattivarsi l’attenzione delle persone.
Rimanendo inattiva non
raccoglieva che silenzi e incuranza.
Thaet trovava la sua
piena realizzazione solo e soltanto quando gli altri si accorgevano di
lei.
Fossero lodi o biasimi
a lei non importava: l’unica cosa necessaria era nutrire il
suo ego.
Da questa
peculiarità era nata la “Furia
dell’Ego”, nota per la sua fine, ma spietata
tortura.
Infondo, anche per qualcuno come lei, avere qualcuno accanto non era
poi tanto male.
Avrebbe potuto sopportare che le rubassero la scena?
Molto probabilmente non ci sarebbe mai riuscita del tutto, ma qualcosa
le suggeriva che, se le lacrime di Inarwe non l’avessero
trattenuta dall’abbandonale, ci avrebbe pensato la successiva
–e assolutamente certa e inevitabile – vendetta di
Vhes.
Mentre era ancora
intenta nelle sue elucubrazioni, il fragore di un tuono
squassò la calma della piana.
Si accorse solo in
quel momento che il sole era già calato da tempo.
Forse era il caso di
riunirsi con le altre, prima che Vhes decidesse di abbandonarla
lì.
Sorrise al cielo,
quella notte si preparava un bello spettacolo: c’era aria di
tempesta.
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Capitolo 3 *** Inarwe “della Desolazione” ***
Autore: Ss904 (Sophrosouneh)
Fandom: Originale/Epico
Personaggio: Inarwe
Set: Tempo
Prompt: Neve
Storia partecipante
alla Challenge Think Angst di Simph8 e Vogue91
Inarwe
“della Desolazione”
Inarwe era sempre stata la più piccola ed indifesa.
Aveva ideali fin
troppo nobili se considerato che il suo lavoro era sterminare peccatori
nel mondo più terribile possibile.
Era una sorta di
avanguardia dell’Inferno: carpiva i mortali facendoli dannare
ancor prima che potessero venir sottoposti al giudizio di Minosse. Solo
i più terribili e marci di loro passavano sotto la sua
giurisdizione. Solo coloro per cui non c’erano
possibilità di redenzione e per cui il Dio Creatore aveva
disposto una pena ancor più grave del semplice confinamento
nel regno Sotterraneo: dovevano assaporare lentamente e anticipatamente
ciò che avrebbero patito fino alla notte dei tempi.
E questo era il ruolo
suo e delle sue sorelle.
Trascendeva
l’amore.
Malediceva le misere
promesse di gloria.
Questa era la
terribile natura delle Erinni: le matrone del dolore.
Le era spesso capitato
di venir messa in secondo piano e sottovalutata.
E a lei andava bene
così: se avesse potuto si sarebbe volentieri nascosta in un
angolo buio e non sarebbe più venuta fuori, per paura di
fare qualcosa di sbagliato.
Era
pressoché da quando era stata creata dal mantello stesso di
Madre Morte che Vhes tentava di rafforzarla e renderla più
sicura di se stessa.
E in parte il suo
allenamento aveva funzionato: adesso riusciva ad esprimersi con
disinvoltura in compagnia delle sorelle. I primi tempi aveva paura
anche della propria ombra.
Con il tempo aveva
acquisito sempre più sicurezza –per quanto il suo
introvertissimo carattere le permettesse.
Ma, man mano che il
tempo passava, si accatastavano nella sua mente ricordi
agghiaccianti delle morti che procurava.
Era una Erinni e
sapeva che uccidere e torturare sarebbe sempre stato suo preciso
compito, ma, alle volte, questo le sembrava tremendamente difficile ed
ingiusto.
Era stata sempre Vhes
–in uno dei momenti in cui amava dare sfoggio della propria
intelligenza- che le aveva insegnato a dosare i sentimenti: contrastare
la timidezza ed accantonare il rimorso.
Perché
nella loro vita avrebbe potuto dimostrarsi nocivo provare determinate
emozioni.
Ed Inarwe questo lo
aveva capito, ma ogni tanto non poteva evitare di lasciarsi sopraffare.
Come quella mattina,
quando si era affacciata all’imboccatura della grotta in cui
avevano deciso di fermarsi per la notte.
In pochi secondi gli
occhi malva della piccola Furia si spalancarono increduli, e le labbra
sottili si stesero in un sorriso raggiante.
Quasi senza riflettere
si alzò sulle proprie gambe, ancora un po’
intorpidite per il sonno, e passò quel sottile confine che
la divideva dal mondo esterno.
Quel mondo adesso
tanto bianco e splendente.
“Sta
nevicando!” urlò a squarcia gola prima di gettarsi
a capo fitto nel candore che la circondava.
E mentre piroettava
sospesa in aria, poteva avvertire una leggera scossa non appena uno di
quegli sfuggenti fiocchi la attraversava.
E mai le era parso di
essere più viva
che in quel momento, provare quelle emozioni tutte assieme
la stava sconvolgendo, causandole una sorta di isteria
(così l’avrebbe definita –molto
pragmaticamente- Vhes).
E le piaceva, le
piaceva moltissimo, e, se avesse saputo cosa volesse dire vivere,
era certa di poter asserire che provare quello scombussolio certamente
ne avrebbe fatto parte.
Sembrava una
contraddizione in termini, ma sentirsi viva, anche solo
per un momento, era sempre stato il più intimo desiderio
della “Furia della desolazione”.
Rideva, Inarwe.
Rideva
perché il mondo tutto bianco le era sempre piaciuto.
Sotto tutta quella
neve non c’era spazio per il dolore e l’odio.
Dalla neve nascevano
solo le primule.
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Capitolo 4 *** In gloria alla Morte. ***
Autore: Ss904 (Sophrosouneh)
Fandom: Originale/Epico
Personaggio: Vhes
Set: Tempo
Prompt: Notte
Storia partecipante alla Challenge Think Angst di Simph8 e Vogue91
In gloria alla Morte
C’era qualcosa di magico nell’aria quella notte.
Non soffiava neppure la minima brezza, tacevano immote le zampe dei grilli e neppure una placida stella osava squarciare il nero pece della volta celeste.
Era in momenti come quelli che Vhes non poteva che amare il proprio lavoro.
Quella sera si era premurata di lasciare addormentate le due sorelle minori, ed era saltata giù dalla mansarda abbandonata in cui avevano trovato rifugio per svolgere quel lavoro.
Thaet ed Inarwe erano state fuori tutto il giorno, occupandosi della loro ultima vittima.
Le avevano poi riferito puntualmente le condizioni del soggetto.
Adesso toccava a lei.
Inspirò l’aria notturna, mentre planava scalza sui tetti dai comignoli ritorti.
Era talmente fredda da perforarle i polmoni: una vera gioia per il suo animo tumultuoso.
Aveva bisogno di concentrazione per quest’ultimo atto.
Stava per entrare in un mondo in cui la follia assumeva un significato completamente nuovo.
Per un istante i ruoli si sarebbero invertiti, sarebbe stata vulnerabile.
Avrebbe dovuto lottare per ottenere il controllo in un territorio tanto insidioso in cui sarebbe sempre partita con un piede in fallo.
I sogni erano il suo territorio di caccia preferito, perché, per quanto pericolosi, accrescano in lei una sorta di delirio di onnipotenza. Arrivare a manipolare i sogni di un uomo era il suo primato indiscusso.
E per quanti rischi sapesse di correre, il suo orgoglio la spronava ogni volta a trascendere quel sottile limite tra realtà e distorsione.
Correndo a perdifiato verso il suo obbiettivo la luna irrorò di un bagliore perlaceo i biondi capelli sparsi nel aria immobile.
Non esistevano timori o esitazioni, soltanto un’innata sicurezza di sé.
Sarebbe potuta morire lei stessa, ne era al corrente.
Eppure il gioco valeva la candela.
Continuava ad avvicinarsi, poteva sentire l’odore deliziosamente appagante della contesa pizzicarle le narici.
Era vicina ormai.
Spiccò un balzo e disparve nel limbo dell’immateriale.
Ancora una volta si perse in un mondo abitato da paure, tenebre e spettri.
Eppure non era niente per lei, se non l’ennesima prova del fato.
Divorava tenebre, risplendendo della stessa forza della fiamma divina.
Tagliava il vento, gareggiando con il tempo.
Obbediva strenuamente al comando di tutta una vita: vincere e dominare.
Sorrideva, Vhes, in gloria alla Morte.
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