Dreams are Wishes

di Frytty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ordinary Life ***
Capitolo 3: *** Her ***
Capitolo 4: *** Crazy ***
Capitolo 5: *** Edward ***
Capitolo 6: *** I can show you who I am ***
Capitolo 7: *** Help Me ***
Capitolo 8: *** Open Window ***
Capitolo 9: *** Five questions ***
Capitolo 10: *** Stay ***
Capitolo 11: *** I Don't Want You to Suffer ***
Capitolo 12: *** Possible ***
Capitolo 13: *** I'm not the only one ***
Capitolo 14: *** More ***
Capitolo 15: *** There is something I see in you ***
Capitolo 16: *** Trouble ***
Capitolo 17: *** Gift ***
Capitolo 18: *** Goodbye ***
Capitolo 19: *** It's not a good sign ***
Capitolo 20: *** Leonard Finch III ***
Capitolo 21: *** Disturb ***
Capitolo 22: *** Square Root-Radice quadrata ***
Capitolo 23: *** Lights ***
Capitolo 24: *** Alone ***
Capitolo 25: *** Her ***
Capitolo 26: *** Still Alive ***
Capitolo 27: *** Rushed Quiet ***
Capitolo 28: *** Could It Be Worse? ***
Capitolo 29: *** Normal ***
Capitolo 30: *** Pieces ***
Capitolo 31: *** Be the one adored ***
Capitolo 32: *** Protect Me ***
Capitolo 33: *** Dreams are Wishes ***
Capitolo 34: *** Life or Death ***
Capitolo 35: *** Epilogo-Reality ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve!

Premetto che, nonostante non sia la mia prima volta nel fandom di Twilight, questa è la prima Long-Fic che mi accingo a scrivere sul genere.

Secondo, la storia è nata da un mio personalissimo sogno e, inizialmente, non aveva nemmeno come protagonisti i personaggi di Twilight; è stato solo successivamente che, con la collaborazione di PiccolaKetty, che merita un ringraziamento speciale, che l'ho adattata su di loro.

Terzo, questa Ff doveva essere frutto della mia mente e di quella di PiccolaKetty, che ha poi rinunciato, con mio grande dispiacere, per un questione "personale" e perciò, mi sono assunta io la responsabilità di portarla fino alla fine con il suo aiuto e consiglio.

Quarto, a prescindere dalla risposta che questa Ff riceverà, aggiornerò una volta a settimana.

Quinto, i commenti sono sempre ben accetti, così come le critiche costruttive.

Sesto, i personaggi di Twilight sono di proprietà della Meyer.

Settimo, questa Ff non è scritta a scopo di lucro, ovviamente.

Ottavo, i personaggi di mia fantasia, non sono persone reali.

Nono, se questa vi sembra una lista di un partito, è solo una vostra impressione xD

Decimo, il banner è © to Graphic Addicted, perciò, non copiate o prelevate senza permesso ^^

 

A parte gli scherzi, spero che questa Ff vi piaccia, così come piace a me scriverla e portarla avanti *.*

In attesa di vostri commenti, alla settimana prossima con il primo capitolo :)

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

< Tu chi sei? > La voce minacciosa di chi sa di essere il padrone.

Lei, immobile, non riesce a distogliere lo sguardo dai suoi lineamenti perfetti e dai suoi occhi color ambra, sebbene ora siano ridotti a due fessure per la rabbia e la delusione, la mascella contratta e le labbra strette.

< Come hai fatto a entrare? > La sua voce è armoniosa, eppure fredda e tagliente come metallo.

< Beh... lei... > Tenta di rispondere, ma diventa tutto troppo difficile e mentre quella creatura perfetta incrocia le braccia al petto e le si avvicina di un passo, lei indietreggia fino a cozzare la schiena contro uno scaffale ricolmo di libri, gli stessi che non ha fatto altro che leggere in quelle settimane, senza sosta.

< E' stata mia figlia a portarti qui? > Domande. Troppe domande. Domande che esigono una risposta.

< Ha... detto che potevo restare... > Arrossisce e balbetta.

Lo vede spostare la testa di lato e imprecare a bassa voce, i riflessi ramati sui suoi capelli che risplendono ai deboli raggi del sole che riescono a penetrare dalla piccola finestra socchiusa.

< Restare... ce l'hai una famiglia? > Dirgli la verità è difficile.

< Lei ha detto... io... > Incespica nelle parole e urta con il braccio un tomo voluminoso che cade a terra con un tonfo pesante.

I suoi occhi si concentrano sulla copertina rossa screziata d'oro: un libro di favole.

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Capitolo 2
*** Ordinary Life ***


Eccomi di nuovo qui con l'aggiornamento settimanale :)

Lo so, dal Prologo non si comprende molto della storia, ma vi prometto che tutto sarà chiaro con il "passare" dei capitoli :)

Ringrazio chi ha commentato, chi ha letto e chi ha deciso di inserire tra le ricordate/seguire/preferite <3

Almeno per questo primo capitolo, me lo lascereste un commentino, piccino piccino? *sguardo da cucciolo abbandonato*

In ogni caso,

 

Buona lettura e a lunedì prossimo! <3

 

 

 

 

 

 

1. Ordinary Life

 


Audry Hepburn è una ragazza tranquilla. Sa che nelle piccole cittadine è quello che dicono di tutti, ma lei lo è davvero.

Frequenta il primo anno alla University of Washington e studiare le piace. Non ha molti amici e sua zia spesso la rimprovera di non essere sufficientemente socievole, ma quando ne hai vissute così tante, di esperienze, nella vita, la maggior parte terribili, il non essere conforme allo standard adolescenziale della città di Seattle non rientra nei tuoi problemi quotidiani.

E' la prima della classe nel corso di fisica e matematica e spesso dà ripetizioni al figlio dei vicini, Tim, che ha solo nove anni e che da grande non vuole fare il professore né l'astronauta, ma l'uomo dei dinosauri, per come lo definisce lui.

Lei a nove anni credeva che sarebbe diventata una principessa, una principessa di quei regni fatati che esistevano al di là delle montagne e invece la vita ha già un fascicolo di te nei suoi raccoglitori e ha già le idee chiare circa il tuo futuro.

< Non voglio fare tardi! Ho lezione tra quindici minuti! > Sua zia Jenna gestisce un piccolo negozio di libri storici, una di quelle librerie stipate in un angolo e che non noti subito, ma che appena ci entri, vieni catturato dall'odore della carta antica e dall'essenza di lavanda che sua zia adora e che dissemina ovunque, e ci vorresti rimanere per sempre.

< Sono pronta! > Jenna scende veloce le scale e afferra il cappotto e le chiavi.

< Hai fatto colazione? > Le domanda con un sorriso, osservando il lavello in ordine.

< Non ne ho avuto il tempo, prenderò qualcosa all'università. > Borbotta Audry, afferrando la sua tracolla e scendendo veloce i gradini dell'ingresso, stringendosi il bavero del cappotto intorno al collo per ripararlo dal freddo di Ottobre.

< I signori Gray hanno chiamato ancora. Non puoi proprio trovare una soluzione? Sei la persona più affidabile che conoscono. > I signori Gray hanno una bellissima villetta in periferia e un bambino adorabile, Cody. Audry si è offerta spesso per fargli da baby-sitter durante la settimana e i week-end, quando i suoi genitori lavorano o vogliono ritagliarsi una serata tranquilla solo per loro.

< Ho un esame la settimana prossima. > Si allaccia la cintura e cerca di prendere in considerazione l'idea che, dopotutto, potrebbe studiare lì, dopo aver messo Cody a letto.

Sospira e sorride.

< Va bene, cercherò di fare entrambe le cose. > Decide alla fine, mentre la zia le rivolge uno sguardo di gratitudine.

Da quando i suoi genitori sono morti in quel terribile incidente stradale Jenna si è sempre presa cura di lei. Ha provveduto al suo mantenimento, si è fatta carico delle tasse scolastiche prima e universitarie ora, ha cercato di alleviare il dolore della perdita e della mancanza, facendosi in quattro per lei e ha "sostituito" sua madre nella lezione più importante, quella sul mondo e sulla vita reale. Le deve tutto in un certo senso e quando riesce a vederla felice per lei è un gran traguardo. E poi con lei è difficile essere arrabbiati, lo diceva anche sua madre.

< Accosta, posso scendere qui. > Le indica la piazzola di sosta a pochi passi dall'entrata principale dell'università e si slaccia la cintura di sicurezza, sistemandosi la tracolla sulla spalla destra.

< A stasera allora. > Jenna le bacia una guancia e le scompiglia i capelli con affetto, sorridendole e osservandola avanzare tra i gruppetti di ragazzi che invadono il cortile.

E' così fragile che ha quasi paura che possa scomparire con un alito di vento.

Ha sempre saputo che se la sarebbe cavata, in ogni situazione, ma a volte il panico prende possesso di lei e si ritrova a pensare a come sarebbe la sua vita se anche lei scomparisse, morisse, le capitasse qualcosa, come a sua sorella.

Ne sarebbe annientata, distrutta e non riuscirebbe ad andare avanti, di questo ne è sicura.

Eppure Audry non le ha mai dato preoccupazioni: è una brava studentessa, ha degli amici di cui si fida e si è perfino imposta un coprifuoco per i week-end, quando approfitta della compagnia degli amici per andare al cinema o a mangiare una pizza e tutto per non farla preoccupare.

Audry sa quello che fa e ciò dovrebbe bastarle.

L'aula di fisica quantistica è sempre la più affollata, anche se, con il passare dei mesi, Audry sa che tenderà a svuotarsi, come sempre.

La maggioranza dei ragazzi si è appena iscritto, attirato dalla fisica da quel poco che hanno scoperto su Internet e da ciò che sono riusciti ad apprendere dai documentari televisivi, poi, quando capiscono che la fisica quantistica non è soltanto un'accozzaglia di formule da studiare a memoria, ma è soprattutto inventiva, scoperta, ricerca e sperimentazione, abbandonano il corso delusi e decidono di studiare a casa, magari con l'aiuto di un tutor che li supporti fino all'esame.

Forse l'avrebbe pensata anche lei così se a otto anni non avesse vinto un premio per la costruzione del miglior modellino acceleratore di particelle, o forse no, chissà.

Lei è l'unica che prende appunti e si sistema i capelli dietro le orecchie con praticità quando le danno fastidio, continuando a scrivere ed è l'unica che rimane in aula a fine lezione per discutere con il professore di alcune incongruenze con quanto scritto sul libro.

< Allora, ci vieni con noi al cinema, domani sera? > Sarah, sua compagna di banco nel corso di fisica e matematica applicata, le si siede vicino con semplicità, rivolgendole un sorriso sicuro.

< Non posso, ho promesso ai signori Gray di fare da baby-sitter a Cody. > Replica tranquilla, tornando al libro di testo.

< Quel bambino è una palla al piede! Ma non hanno nessun altro a cui rivolgersi? > Si lamenta, sbuffando e aprendo la borsa da cui estrae un bloc-notes e una matita.

< Sono l'unica di cui si fidano e poi ho bisogno di studiare per l'esame di matematica, lo sai. > Le lancia uno sguardo divertito mentre l'aula si riempie.

< Posso venire a farti compagnia allora? Ho bisogno dei tuoi appunti. > Sbatte le ciglia nel tentativo di trasformarsi in un angelo innocente.

< Puoi, ma solo se prometti che studieremo sul serio e non passeremo la serata a guardare film horror. > La ammonisce divertita, puntandole la penna contro, assumendo un cipiglio severo che la costringono ad alzare le mani in segno di resa.

< Ok, d'accordo, terremo la tv spenta. > Sospira rassegnata, lasciando cadere la borsa a terra e osservando il professore che sta depositando la sua ventiquattro ore sulla cattedra con la sua solita aria stanca.

Il vociare nell'aula non smette neanche quando il professore sistema i suoi appunti e cancella la lavagna, recuperando un gessetto per cominciare a spiegare.

< Siamo diminuiti ancora. > Osserva Sarah, gettando un'occhiata alle sue spalle, notando come i banchi superiori siano deserti.

< Rimarremo solo in dieci, come l'anno scorso. > Conclude per lei Audry, facendo spallucce.

< Il professore non ha nemmeno il fascino dalla sua, è perennemente abbattuto, stanco e dimostra cinquant'anni, non trenta. > Fa una smorfia buffa, osservandone la schiena.

Audry ridacchia, cominciando a scrivere.

< E' la fisica quantistica che bisogna amare, non il professore. > Mormora per non sovrastare la spiegazione.

Forse è come dice lei, ma Sarah è convinta che seguirebbe più volentieri quelle lezioni se ci fosse un aitante giovanotto a dirigerle.

 

< Ness, tuo padre è in casa? > Jacob si affaccia nella stanza della sua fidanzata, distesa a pancia in giù sul letto e intenta a leggere, la radio accesa che diffonde una musica rilassante, classica.

< E' uscito mezz'ora fa per andare a caccia, perché? > Risponde, volgendo indietro i suoi bellissimi occhi dorati e sorridendo.

< Seth ha bisogno di parlare con lui, sai, la questione della nuova suddivisione del territorio. > Sbuffa, entrando definitivamente nella stanza e sedendosi accanto a lei, accarezzandole i capelli e baciandole una tempia.

< Oggi non è di ottimo umore. > Riflette, lasciandosi accarezzare, mettendo da parte il libro e poggiando la testa sulle sue gambe per osservarlo.

< E' per via di Bella, vero? > Chiede conferma, tracciando con l'indice il contorno delle sue bellissime labbra.

< E' strano sentirti parlare di lei come se fosse ancora in vita. > Devia la domanda, sorridendo appena e sospirando rassegnata.

< Non possiamo cambiare quello che è successo. Sono stato il primo a soffrirne, lo sai, lo ricordi anche tu. > Ribatte triste, gli occhi che diventano liquidi e il volto che si indurisce per la rabbia.

< Non so cosa gli passi per la testa e quando cerco di comunicare con lui mi vieta l'accesso ai suoi pensieri e abbassa lo sguardo. > Sanno entrambi che comunicare significa aprirsi un varco nei pensieri dell'altro. 

< Vuole proteggerti da quello che prova, è normale. > Jacob si sente quasi in dovere di giustificarlo. Sa cosa vuol dire perdere qualcuno di importante, ci è passato anche lui, prima con Bella e poi con suo padre.

< Sono abbastanza grande per aiutarlo e lui lo sa, solo che non me lo permette. Non lo permette a nessuno, nemmeno ad Alice o a Jasper. > Borbotta con risentimento, sospirando rassegnata.

< Stai cercando di farlo maritare di nuovo, Ness, ovvio che non voglia tu ti intrometta nelle sue emozioni! > Sbuffa, sorridendo appena e carezzandole i capelli rosso scuro.

< Io non voglio maritare nessuno! Deve solo capire che comportandosi in questo modo non resusciterà mia madre, sua moglie, ma si auto-distruggerà e quando io non sarò più con lui, cosa deciderà di fare? Andare dai Volturi e cercare di farsi uccidere? > Si mette seduta con le gambe incrociate e fissa Jacob negli occhi seria e amareggiata.

< L'amava, era tutto per lui. Non puoi costringerlo a fare qualcosa che non desidera. Sei tutto ciò che gli resta e cerca solo di essere un buon padre per te, il resto non gli interessa. > Cerca di convincerla lui, avvicinandosi al suo viso, scostandole i capelli che le coprono una guancia con una mano e baciandole la pelle morbida.

< Desidero solo un po' di felicità per lui e so che non è sereno adesso. > Mormora, godendo delle sue carezze e inginocchiandosi accanto a lui per accarezzargli i capelli corti della nuca, morbidi e setosi tra le dita.

< Lo sarà. Ha bisogno di tempo. > Sorride e le bacia leggero le labbra.

< Leah ha organizzato una festa alla riserva, ti va di venirci? > Le chiede un attimo prima che lei lo baci di nuovo, approfondendo il contatto e portando le braccia dietro il suo collo.

< Non sono obbligata, vero? > Mugola, gli occhi socchiusi, persa nel suo sapore buono.

< Odi le feste proprio come tua madre. > Ride lui di rimando, lasciandosi cadere sul materasso e trascinandosela addosso, intrecciando le mani con le sue.

< Difetto genetico, temo. > Fa una smorfia, sistemandosi a cavalcioni su di lui.

< E cosa ti va di fare allora? > Le solletica i fianchi, osservandola mentre si sistema i capelli su una spalla e si avvicina al suo viso, sfiorando i lineamenti del suo volto con la punta del naso.

< Avrei un'idea... > Bisbiglia, baciandogli la gola e scostando appena l'elastico della maglietta che indossa per proseguire nel suo percorso.

< Nessie... se tuo padre dovesse vederci... > Si rende conto di star perdendo il controllo; se non la ferma ora non ne avrà più la forza.

< Avvertirà la tua presenza e ci lascerà soli, vedrai... > Gli scopre lo stomaco, sorridendo compiaciuta quando osserva i suoi muscoli tendersi, man mano che continua ad esplorare la sua pelle ambrata con le labbra.

< No... Ness... non credo sia il caso di... > Tenta di fermarla, rabbrividendo quando avverte le sue dita sbottonargli i jeans.

< Ness... non voglio che... > Sospira impaziente e stringe i pugni per costringersi a rimanere fermo e a non spogliarla.

< Ti desidero. Ora. > Gli mormora accanto al suo orecchio, scoprendo la pancia dalla camicia che indossa.

< Non posso, Ness... > Fa quasi male doverglielo dire.

Renéesme smette di spogliarsi e gli rivolge uno sguardo stranito e preoccupato.

< Non posso, mi dispiace. > Le sorride appena, accarezzandole una guancia con il dorso del dito indice.

< Che... cosa vuol dire? > Gli domanda confusa.

< Sei ancora così... giovane e non voglio che debba pentirti poi... > Le spiega calmo.

La osserva sbuffare e alzare gli occhi al cielo in segno di esasperazione.

< Sono intellettualmente più grande di te, Jake! > Supera il suo corpo con agilità, sedendosi di schiena contro la testiera del suo letto matrimoniale.

< Io ti amo, Nessie e ti desidero. Voglio solo aspettare. > La raggiunge e le bacia la fronte con tenerezza, scrutandola.

Lei gli rivolge uno sguardo rassegnato ed è costretta a sorridere e a scuotere la testa, pensando che, in fondo, è pur sempre Jacob e non cambierà mai.

< Andiamo a questa festa. > Replica, baciandolo e alzandosi per vestirsi.

 

Audry ha sempre avuto uno strano rapporto con i sogni. A volte ha pensato di essere speciale, nel senso che ha creduto, per un periodo, di essere una sorta di sensitiva. Sognava cose che andavano verificandosi dopo qualche giorno, nell'esatta sequenza in cui le aveva sognate e anche se i suoi genitori le avevano spesso ribadito che guardava troppi film di fantascienza, lei ha continuato a pensare di essere anomala. Prima che i suoi genitori morissero aveva ripetuto lo stesso, identico incubo per diversi mesi: un camion che sbanda e colpisce la macchina in cui stanno viaggiando per andare a trovare la nonna; il sorriso di sua madre qualche secondo prima dell'impatto; la voce stonata di suo padre che canticchia Halleluja e la sua espressione esasperata, ma divertita, che osserva i campi verdi che si susseguono al di là del finestrino.

Si svegliava sempre nel momento in cui sua madre afferrava il volante e cercava di sterzare per evitare il camion, sudata e spaventata.

La realtà era stata più terribile, sì, ma la sensazione che le ha comunicato quell'incubo a volte la tormenta ancora.

Per questo quando si sveglia, quella notte, e osserva il buio della sua camera da letto, il soffitto rischiarato soltanto dai fari delle poche macchine di passaggio, rimane perplessa: il primo sogno dopo mesi di sonni tranquilli. Niente di spaventoso, soltanto un viso, quello di una ragazza della sua età forse, dai capelli ramati e dagli occhi d'oro che si stringe ad un ragazzo dalla pelle abbronzata e dai muscoli evidenti; sono intorno a un fuoco sulla spiaggia, il mare è calmo e la luna risplende alta nel cielo.

Perché ha come la sensazione, allora, che ci sia qualcosa di pericoloso? Perché la sua coscienza continua a ripeterle che quei due ragazzi non sono come lei? E perché sente di avere un legame con quella ragazza dagli occhi dorati?

E' solo un sogno, Audry, solo un sogno. Hai semplicemente immaginato una coppia di fidanzati sulla spiaggia, niente di più. Continua a ripeterselo mentre lancia un'occhiata alla sveglia sul comodino, pensando che tra meno di dieci minuti suonerà e lei dovrà alzarsi per andare all'università.

Stende le braccia in alto e prova a rilassarsi, godendosi il tepore confortante delle lenzuola e chiudendo nuovamente gli occhi, l'immagine dei due giovani che va riformandosi nella sua testa e la sensazione che presto avrà qualcosa di più grande di lei di cui occuparsi.

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Capitolo 3
*** Her ***


Salve!

Rieccomi con l'aggiornamento!

Ringrazio tutti per le recensioni, le letture e le preferite/seguite/da ricordare *.*

Forse da questo capitolo comincerete a capirci qualcosa in più, spero ^^

Volevo dirvi che, purtroppo, lunedì prossimo, 4 luglio, e quello successivo ancora, 11 luglio, non potrò aggiornare, perché partirò per Londra per due settimane per una vacanza studio in un college. Avrò la connessione Internet, ma porto con me il pc da cui non riesco a far funzionare l'html come si deve, per cui sarò proprio impossibilitata all'aggiornamento ç.ç

Vi lascio al capitolo, buone vacanze a tutti, per chi parte in questo periodo, ma anche a chi finirà gli esami (di maturità o universitari).

Ci ri-leggiamo il 18 luglio!

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

< Nottataccia? > Le chiede Sarah il mattino successivo, mentre Audry sprofonda la testa tra le braccia conserte sul banco.

< Ho dormito malissimo. > Bofonchia, sperando che non le chieda altro.

< Incubi? > Continua l'amica, imperterrita.

< Mm. Ho sognato una coppia su una spiaggia, davanti al fuoco. > Risponde con un pigolio.

Sarah insisteva da mesi sul fatto che avrebbe dovuto seriamente prendere in considerazione la proposta che le aveva fatto un certo Joe, alto, muscoloso, fanatico di football e migliore alunno nella classe di latino e lei non aveva fatto altro che ripeterle che i muscolosi non le piacevano e che la lode dei suoi esami poteva anche ficcarsela in un ben noto luogo anatomico per quanto la riguardava.

< Oh. Bene. Ed eri tu la fortunata? > Ammicca, anche se lei non può vederla.

< No. Qualcuno che non conosco. > Ha voglia di dimenticare quei due visi.

< Ma se era solo un sogno e non un incubo, come mai dici di aver dormito malissimo? > Sarah continua il suo interrogatorio e ad Audry sembra di essere in commissariato, come quando sono morti i suoi genitori.

Jenna l'ha condotta da un poliziotto dall'aria gentile e lei, stretta nella coperta che le avevano messo sulle spalle gli infermieri dell'ambulanza, si è nascosta dietro la schiena della zia e non vuole saperne di proferire parola.

Si sente così in questo momento, ma è grande ormai e nascondersi non servirebbe.

< Sentivo che dovevo evitarli, che erano pericolosi per me. > Si giustifica, alzando il viso nella sua direzione e accigliandosi.

< Ma non li conosci, no? > Il chiacchiericcio degli altri studenti che si recano alle lezioni non le infastidisce.

Audry scuote la testa e abbassa lo sguardo sulle sue Converse consumate.

< Magari ti ha condizionata qualcosa alla tv. A me succede. > Fa spallucce l'amica, sicura.

Per lei la situazione è chiusa, risolta. 

Per Audry no. 

Quei due visi, quello della ragazza in modo particolare, l'hanno tormentata fino all'arrivo in facoltà.

E' una strana sensazione la sua: sente di conoscerli, di averli conosciuti magari, di non ricordare i loro nomi, ma di essere ad un passo dallo scoprirli e sente di doversi proteggere. Non da qualcosa legato strettamente a loro, ma da qualcosa, o qualcuno, che a loro è legato in maniera imprenscindibile.

< Sei ancora decisa ad andare da Cody, stasera? > La richiama Sarah, distogliendola dai suoi pensieri.

< Sì, sì, non posso mancare; gliel'ho promesso. > Risponde con foga, alzandosi per andarsi a preparare un caffè.

< Dimmi per che ora posso raggiungerti. Quest'esame di matematica mi ucciderà, lo sento. > Borbotta ad alta voce, massaggiandosi le tempie e chiudendo gli occhi, come se il dolore potesse semplicemente sparire e portarsi via i brutti pensieri o le delusioni.

< Sei brava, non hai bisogno di preoccuparti. > Le rammenta con un sorriso.

Sarah sbuffa e la accompagna al distributore deserto.

< Lo so, è che non ho voglia di ripetere, ma grazie lo stesso. > Ricambia il sorriso e decide che, per quella mattina, può anche offrirlo lei il caffè.

 

< Papà! Papà! > Renéesme sembra svolazzare da una stanza all'altra, la voce melodiosa mentre cerca di attirare l'attenzione di suo padre. In realtà lo sta cercando.

Sente il suono armonico di un pianoforte e cambia direzione.

Edward è un pianista eccezionale ed un ottimo compositore. Ha avuto secoli per esercitarsi.

< Papà, Jacob mi ha chiesto di riferirti che... > La voce le muore in gola quando entra nella stanza ed Edward ha lo sguardo basso, la fronte poggiata contro il suo stesso braccio, a sua volta piegato sul ripiano della tastiera. L'altra mano viaggia veloce sui tasti, senza fermarsi.

E' strano vedere una persona soffrire; è strano sapere che non puoi farci niente, ma che vorresti; è strano lasciarsi influenzare dal suono distinto della sua tristezza e della sua rabbia; ed è strano, nel caso di Renéesme, non avere accesso ai suoi pensieri, perché bannata dalla sua mente.

La melodia continua, struggente e Nessie vorrebbe piangere, mettersi seduta a terra e dondolare su se stessa mentre le lacrime le bagnano il viso, ma non può farlo e se suo padre non è abbastanza forte, lo sarà lei per entrambi e cercherà di tirarlo su, se glielo permetterà.

< Ho già parlato con Sam. > La sua voce è estremamente controllata e, mentre rialza il viso, gli occhi dorati bellissimi, Nessie riesce soltanto a pensare che suo padre è un ottimo attore e che dev'esserlo stato anche con la mamma, per non farla soffrire.

Edward deve leggerle nel pensiero, perché abbozza un sorriso e smette di suonare e la stanza si riempie di silenzio.

< Dov'è zia Alice? > Chiede, cercando di cambiare argomento.

< Jasper l'ha portata in campeggio. > E un sorriso nasce spontaneo sul suo bel volto, illuminandolo per una manciata di secondi.

< Credevo avessero smesso di organizzare lune di miele. > Bofonchia lei, sedendosi sul primo sgabello disponibile.

< L'eternità stanca, Ness e tu sei ancora troppo giovane per saperlo. > Preme un tasto a caso, producendo un suono simile ad un leggero scampanellio.

< Lo so, me ne rendo conto. > Sussurra, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe e giocherellando con le mani intrecciate sul grembo.

< Jacob non è con te, come mai? > Sembra Edward, questa volta, a voler cambiare argomento.

Renéesme sa benissimo che i vampiri non hanno bisogno di dormire, di riposarsi, nemmeno di chiudere gli occhi, ma quando alza lo sguardo su suo padre, le sembra così stanco e così incredibilmente umano, da farle credere che lo sia davvero e che abbia bisogno di una bella dormita, anche solo per schiarirsi le idee.

< Aveva delle cose da fare alla riserva... noiosa burocrazia. > Fa spallucce, mettendo il broncio e osservando suo padre alzarsi per dirigersi verso l'immensa libreria che occupa l'intera parete nord della stanza.

Accarezza con un dito le coste dei libri, pensieroso, fin quando non trova quello che sta cercando: un volume non troppo voluminoso, dalla copertina appena lisa e di colore azzurro.

Glielo porge, un sorriso mal celato sulla bella bocca e un velo di malinconia nel dorato dei suoi occhi.

< Cos'è? > Gli domanda ancor prima di afferrare il volume e rigirarselo tra le mani. 

Cime Tempestose.

< Era di tua madre, era il suo libro preferito. > Risponde e se avesse potuto piangere lo avrebbe sicuramente fatto.

< E perché me lo stai regalando? > Domanda curiosa.

< Perché suppongo che avrebbe preferito che qualcuno lo amasse quanto lei e sono sicuro che non avrebbe perso tempo a fartelo leggere. > Si abbandona sul divano di pelle nera.

< A te non piace? > Aggrotta le sopracciglia, sfogliando il volume come un bambino avrebbe sfogliato un libro di favole illustrate.

< Lo conosco a memoria, ormai e no, non è uno dei miei libri preferiti. > Ammette.

< Grazie, lo leggerò. > Si alza con un sorriso, avvicinandoglisi per baciarlo su una guancia, mentre lui si concede una lunga carezza tra i suoi capelli castani che le ricordano Bella e il suo profumo che non ha più dimenticato.

 

< Posso restare a guardare la tv con te? Ti prego! > Cody sapeva essere davvero testardo ed Audrey stava tentando da ben venti minuti di mandarlo a letto, perché doveva studiare e perché le stava decisamente facendo perdere la pazienza.

< Non devo guardare la tv, Cody, devo studiare. Ho un esame tra meno di una settimana e non sono pronta! > Sbuffa, strattonando il braccio per fargli mollare la presa.

< Ma io non ho sonno! E mamma e papà mi lasciano guardare la tv con loro! > Incrocia le braccia al petto e mette il broncio.

Audrey sbuffa, esasperata.

Sarah non le é d'aiuto: sta guardando un nuovo telefilm in tv, mangiando pop-corn e bevendo cioccolata calda, i libri sparsi sul pavimento.

< Sarah, vuoi spegnere quell'affare e smettere di mangiare? Sto cercando di convincere Cody ad andare a dormire! > Quasi urla.

< Sbraitando non otterrai proprio un bel niente. Puoi guardare la tv con me, Cody, se vuoi. > Sorride al bimbo che corre verso di lei e la travolge per impossessarsi del posto accanto al suo, soddisfatto.

< Bene! Sì, viziatelo pure! Poi i genitori non dovranno lamentarsi con me se diventerà un delinquente ignorante e accattone! > Si lascia cadere di peso sulla poltrona, stringendo un cuscino tra le braccia e rinunciando ad aprire i libri anche per quella sera.

Si era anche fidata di Sarah, che le aveva promesso di studiare con lei e non di ingraziarsi la simpatia di Cody.

Borbotta indignata ed estrae il cellulare dalla tasca dei jeans, rendendosi conto di non aver risposto ad una chiamata e di avere un messaggio non letto.

Aveva telefonato sua zia e le aveva mandato un messaggio breve: passeresti a prendere il latte, domani mattina? Me ne sono totalmente dimenticata. Divertiti a casa di Cody :) buonanotte!

E' tardi per rispondere e non ne ha nessuna voglia, perciò poggia l'aggeggio lì accanto e si accinge anche lei a guardare quel maledettissimo telefilm.

Inutile dire che dopo neanche dieci minuti, non solo non ha capito assolutamente nulla della trama, ma le è venuto anche un gran sonno, mentre Sarah è sveglia e vigile e continua a seguire attenta la storia e Cody ruba pop-corn dalla ciotola tra le sue braccia.

Chiude gli occhi, rilassandosi e sprofondando in un sonno profondo, ma agitato.

Gli stessi volti dei giovani della notte precedente; poi il viso della ragazza, da sola, in un'enorme stanza dorata, una libreria considerevole ad una parete con una piccola scala per raggiungere i ripiani più alti, una porta-finestra che affacciava su un piccolo terrazzo e un letto matrimoniale a baldacchino. La ragazza é stesa a pancia in giù e regge tra le mani un volume dalla copertina azzurra e sorride serena, sospirando di tanto in tanto.

L'immagine sfuma e lei si ritrova ad osservare il volto di un giovane uomo che non aveva mai sognato: bello, incredibilmente bello, dalla pelle diafana e dai capelli ramati sbarazzini, due occhi color dell'oro. E' seduto scomposto su un divano di pelle nera e sembra assorto nei suoi pensieri; pensieri tristi, perché scuote la testa di tanto in tanto e le sue labbra si atteggiano in una smorfia di dolore che non si addice al suo viso perfetto.

Vorrei che fossi qui. 

Una sensazione di mancanza, di malinconia e di angoscia travolgono anche lei, lasciandola disorientata e sbalordita.

Si sveglia di soprassalto, il fiatone come dopo una lunga corsa e la sensazione sgradevole dei vestiti incollati alla pelle per via del sudore.

< Ehi, tutto bene? > Sarah.

< Ho... fatto un incubo, credo. > Mormora, stropicciandosi il viso con le mani e impedendosi di chiudere gli occhi.

< Ho preparato la colazione, se hai fame. > Le sorride gentile prima di alzarsi e ritornare in cucina.

< Cody? > Chiede, recuperando una tazza dalla mensola più alta della credenza e versandosi una generosa quantità di caffè, addolcendolo con due cucchiaini di zucchero.

< Si è appena svegliato; dobbiamo accompagnarlo a scuola, giusto? > Le domanda Sarah incerta, controllando prima l'orologio e poi l'agenda.

Audrey annuisce, dimentica persino di che giorno é.

< Abbiamo lezione alle undici. > La informa l'amica, addentando una brioche alla marmellata e porgendo il vassoio anche a lei.

< Sicura di star bene? Vuoi che chiami Jenna? > La scruta accigliata.

< No, no, sto bene. Mi sembra di non aver dormito affatto. > Risponde sicura, rievocando il viso del giovane sul divano e la sua espressione afflitta e sofferente.

< Forse è il caso che ricominci quella cura del dottor Johnson, no? Era da tanto che non avevi più incubi. > Sarah la osserva preoccupata, sorseggiando il suo caffè.

< Non sono veri e propri incubi; sono come dei... salti nel tempo, ecco. Mi sembra di assistere a scene che si stanno svolgendo da qualche altra parte nel momento stesso in cui le sogno. > Cerca di spiegarsi, sperando di non risultare una pazza da rinchiudere.

Sarah fa spallucce.

< Magari è un dono. > Propone.

< Eppure avverto un pericolo, come se dovessi stare alla larga dalle persone che sogno. > E' così, in effetti. Ha la strana sensazione di essere la soluzione e la causa insieme di quelli che sognava e avvertiva il pericolo, l'avvertimento di non lasciarsi coinvolgere troppo.

< E' qualcuno che non conosci, come potresti starne alla larga? > Le domanda lei, curiosa.

< Non ne ho idea; forse è solo suggestione, forse la mia fantasia lavora troppo. > Fa spallucce e l'entrata di Cody nella stanza le permette di cambiare definitivamente argomento.

 

< Jake, l'hai vista anche tu? > Nessie si volta nella sua direzione, incredula.

< Quella ragazza... è stranamente familiare, non trovi? > Sbadiglia, corrugando le sopracciglia.

< Assomiglia a mia madre. > Proclama lei, sicura.

< Chi poteva essere? > Domanda lui, facendo spallucce.

< Un prodotto della mia fantasia, suppongo. > Risponde, incerta.

< Tuo padre la vedrà, vuoi mostrargliela? > La abbraccia, poggiando le labbra sui suoi capelli profumati.

< Soffrirebbe, ma non posso tenergliela nascosta. Potrebbe essere la sua unica chance di ricostruirsi una vita. > Si rilassa contro di lui, sospirando leggera.

< E se non fosse reale? Se non fosse una ragazza in carne ed ossa? > Domanda lecita.

< Zia Alice mi aiuterà a scoprirlo. > Dichiara ferma, richiudendo gli occhi e cercando di ricordare i tratti di quel volto così simile a quello di sua madre.

< Lui non ne sarà contento. > Afferma Jacob semplice.

< Voglio solo il suo bene, dovrebbe saperlo. > Si volta per fronteggiarlo, assumendo un'espressione corrucciata e malinconica.

< Forse non vuole il tuo aiuto; forse vuole trascorrere il resto dell'eternità ricordando Bella, da solo con i suoi pensieri. > Tenta di persuaderla.

< Ne abbiamo già discusso, Jake. Non ho intenzione di lasciarlo marcire nella sua autocommiserazione. Me lo hai raccontato tu, no? Quando mia madre era incinta non la smetteva di incolparsi, quando io so che mia madre mi voleva, che era felice che stessi per nascere, come testimonianza dell'amore che provava nei suoi confronti e che lui ricambiava. Mia madre non c'è più e lui deve imparare ad accettarlo e a smetterla di piangersi addosso. Deve tornare ad essere felice. > Spiega a bassa voce.

Edward non sta ascoltando, concentrato sui suoi, di pensieri, per poter anche solo controllare quelli di Jacob o di sua figlia.

< Avvertimi quando deciderai di dirglielo; voglio trovarmi il più lontano possibile da questa casa. > Accenna ad un sorriso, chiudendo gli occhi e stringendola a sé e anche lei non riesce a rimanere indifferente a quella battuta smaliziata.

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Capitolo 4
*** Crazy ***


Salve!

E torno ad aggiornare anche qui ^^

Mi spiace molto non aver rispettato la mia "regola" del "si posta ogni lunedì", ma ieri è stato un casino, perché sono dovuta andare ad una laurea e poi, finalmente, a vedere "Harry Potter" e quando sono tornata a casa non avevo più voglia di far nulla, ma vi prometto che d'ora in poi sarò puntuale *incrocia le dita*

Ho visto che ci sono molte letture all'ultimo capitolo che ho postato, "Her", ma nessuna recensione. Come mai?

Sia chiaro, non voglio obbligarvi a recensire, ma mi sento un tantino demoralizzata dalla cosa perché ho paura di star scrivendo un mucchio di fesserie, senza contare che potrebbe non piacervi e senza contare che è la mia prima long-fic in un fandom come "Twilight", nel quale ho sempre preferito non mettere le mani, perché la adoro molto come Saga e ho paura di "rovinarla".

Ci terrei davvero a conoscere il vostro parere, positivo o negativo che sia, non importa. Accetto qualsiasi cosa e non mordo xD

Ringrazio intanto le persone che hanno letto o inserito tra le preferite/seguite/da ricordare <3

 

A lunedì!

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

< Sono tornata! > Urla, chiudendosi la porta di casa alle spalle e abbandonando lo zaino sulla sedia all'ingresso.

< Jenna! Sono a casa! > Urla ancora, svestendosi del giaccone e occhieggiando preoccupata alle scale che conducono al piano superiore.

Lancia un'occhiata distratta all'orologio, le cui lancette segnano le sei di un pomeriggio particolarmente freddo. Jenna dovrebbe essere a casa.

< Jenna! > La chiama un'ultima volta, dirigendosi, quasi spinta da qualcuno o da qualcosa, verso le scale.

La porta della sua stanza è chiusa, il bagno è vuoto e così anche il ripostiglio. Forse sua zia sta dormendo e non l'ha sentita.

Non sa perché, ma ha paura di aprire la porta di quella stanza e le curvature del pomello sotto la sua mano sembrano scottare.

Apre la porta in silenzio, cercando di non fare rumore. Sembra tutto in ordine. Si blocca quando nota qualcosa di denso e rosso sulla moquette beige: sangue.

Non sa come, ma urla, urla così forte che la testa le scoppia e le fa male.

< Shh! Audry, va tutto bene, va tutto bene, ci sono io. > Due braccia forti e gelide la stringono, mentre una mano sale a carezzarle i capelli e lei smette di urlare e chiude gli occhi, affannata.

< Era solo un incubo, va tutto bene. > Quella voce melodiosa e ipnotica la ricorda, come se l'avesse già sentita.

Si libera della sua stretta con dolcezza e riapre gli occhi.

Quella voce appartiene al ragazzo più bello che abbia mai visto. Ha i capelli color bronzo, spettinati e gli occhi di un innaturale dorato.

< Ed... Edward?!? > Allunga una mano a sfiorargli una guancia e lui chiude gli occhi al suo tocco delicato e gentile, lasciandole un bacio freddo sul palmo della mano stessa.

< Sono qui. > Lo sente rispondere.

 

< Audry! Audry! Devi svegliarti, è tardi. > Apre gli occhi a fatica, riconoscendo la figura sorridente di sua zia e rendendosi conto che è già mattina.

< Che ore sono? > Domanda, stropicciandosi gli occhi.

< Le nove, dormigliona. > La rimprovera dolcemente, scompigliandole i capelli.

< Stavo sognando. > Sospira, lasciandosi ricadere con la testa sul cuscino morbido.

< Ah sì? Qualcosa di bello? > Audrey osserva sua zia mentre le sistema i jeans del giorno prima nell'armadio.

< Qualcosa di... strano. Era un ragazzo. > Perché ne sta parlando? Lei non dà quasi mai importanza ai sogni, ma era così reale, che avrebbe potuto essere vero.

< Qualcuno dell'università? > Le lancia un'occhiata maliziosa.

< No, non l'ho mai visto prima. > Scuote la testa, girandosi su un fianco e pensando che, in fondo, non sarebbe male conoscerlo, o anche solo vederlo.

La sua stretta era gelida, ma rassicurante e i suoi occhi, semplicemente bellissimi.

< Il tuo ragazzo ideale? Lo sognavo anch'io quando avevo la tua età, sai? Era alto, moro, con gli occhi verdi e giocava a rugby. > Le sorride.

< E lo stai ancora cercando? > Le chiede, mettendosi seduta.

< Oh, ancora con questa storia! Dovresti saperlo che sto bene da sola. > La rimbrotta dolcemente. < E poi ho te. > Continua, dandole un buffetto sulla guancia.

< La colazione è pronta e ha chiamato Sarah; ha detto che più tardi ha intenzione di passare a trovarti. Io scappo in negozio, qualunque cosa, sai dove trovarmi. > La saluta con le chiavi in mano e quando sente la porta chiudersi e il motore della vecchia Chevrolet rombare, tira un sospiro di sollievo e si alza definitivamente dal letto, svestendosi del pigiama e indossando una tuta morbida.

Non ha ancora idea di chi siano le persone che sogna ogni notte, regolarmente da ormai tre settimane. Non sa i loro nomi, non conosce i loro volti, se non qualche particolare e le fanno paura. Eccetto il ragazzo, Edward. Lui non le fa paura e forse è per la sua espressione tragicamente sofferente o per il suo tocco gentile, ma non lo teme.

Ma c'è quel particolare che non riesce a darle pace. Quella scia di sangue nella camera di sua zia, sulla moquette e l'innaturale silenzio di quella casa, quasi come in quell'istante.

Rimane piegata con il volto vicino al lavandino nel quale si è appena lavata via i postumi del sonno e ascolta. Nessun rumore, se non si tiene conto degli uccelli che stridono sugli alberi e del suo respiro

Devo essere impazzita. Cosa dovrei sentire? Jenna è appena uscita.

Nel suo sogno sua zia è ancora viva? Cosa implica quella scia di sangue? E perché le urla?

Non vuole che sia l'ennesima predizione di un disastro, come per la morte dei suoi genitori.

Sente il cuore batterle furiosamente all'interno della cassa toracica.

Poi, qualcuno suona il campanello e lei, convinta che sia Sarah, scende le scale precipitosamente e spalanca la porta, mesta.

< Ciao! Tu sei Audry, vero? > La ragazza di fronte a lei non è esattamente Sarah: ha i capelli corti, nero corvino e sorride felice; sembra sprizzare energia da tutti i pori.

< Sì... tu chi sei? > Le domanda sospettosa, notando il suo abbigliamento casual, ma alla moda. E' tutto perfettamente abbinato: la giacca, il maglioncino e i jeans sono tutti di tonalità diverse di azzurro.

< Sono Alice Cullen e lui è mio marito, Jasper. > Audry alza lo sguardo per posarlo alle spalle della ragazza. Non aveva notato l'uomo in giacca bianca dietro di lei che la osserva pensieroso e concentrato, le folte sopracciglia chiare aggrottate.

In quel momento realizza di essere in pigiama, di fronte a due perfetti sconosciuti, ma stranamente non riesce a provare vergogna, o imbarazzo. E' affascinata dai loro visi pallidi e perfetti e dai loro occhi dorati, così simili a quelli del ragazzo nel suo sogno.

< Posso... esservi utile in qualcosa? > Sposta lo sguardo dall'una all'altro, alternativamente.

< Beh, abbiamo letto l'annuncio di ripetizioni nella bacheca dell'università e c'era il tuo indirizzo, così abbiamo pensato che potevamo venire a parlarti di persona. > Era una sua sensazione, o c'era dell'altro? Qualcosa che quell'Alice non aveva intenzione di dirle subito?

< Oh... le informazioni le ho inserite tutte nell'annuncio, quindi... non so, volete sapere qualcosa di particolare? > Domanda, stringendosi nelle spalle e rammentandosi che, forse, dovrebbe quanto meno invitarli ad entrare.

< Nostra nipote, Renéesme, ha intenzione di intraprendere la tua stessa facoltà e vuole potenziare le sue conoscenze in ambito matematico. Dicono che sei la più brava del tuo corso. > Alice sorride, stringendo la mano di Jasper.

E' indubbiamente lei quella giusta. E lo avvertono entrambi.

< Per me non c'è problema: domani pomeriggio alle cinque sarebbe perfetto, se vuole cominciare nell'immediato. > Considera, il tono professionale che assume sempre quando si tratta di prendere un appuntamento.

< Perfetto! Allora a domani! > Trilla felice, salutandola con la mano e trascinandosi dietro Jasper.

Audrey li osserva allontanarsi a bordo di una Porche giallo canarino, prima di richiudersi la porta alle spalle e scuotere la testa come a liberarla di un pensiero assurdo.

Alice e Jasper le sono stranamente familiari, eppure è sicura di non averli mai visti prima, né in città, né all'università.

E poi quegli occhi... dovrebbe esserne terrorizzata; non sono di un colore comune, eppure non riesce a provare sentimento diverso da quello della curiosità.

A meno che non stia cominciando a soffrire di allucinazioni.

Quello sì che sarebbe un bel problema.

 

< Hai un appuntamento per domani alle cinque! > Alice raggiunge Renéesme nella sua stanza, al primo piano, senza prendersi la briga di bussare.

< L'hai trovata? > Ness abbandona il libro al suo fianco e sorride raggiante, raggiungendo la zia e ignorando le proteste di Jacob, appisolatosi lì vicino e svegliato dal baccano.

< Non c'è voluto molto: la tua descrizione era abbastanza precisa e Jasper ha distratto la segretaria mentre io rovistavo nell'archivio degli studenti. Si chiama Audry Pensier ed è di origini francesi. Frequenta l'università di Seattle, facoltà di Matematica e Fisica ed è la migliore del suo anno. > Completa sorridente.

< E' fantastico, zia! Grazie! Sapevo mi avresti aiutata. > La abbraccia felice, avvertendo la familiare stretta allo stomaco che la coglie sempre quando si sta avvicinando qualcosa di speciale.

E quella ragazza, Audry, è sicuramente qualcosa di speciale.

< Abbiamo tutti a cuore la serenità di Edward, lo sai. Non sappiamo molto su di lei, quindi, confido che riuscirai a farla parlare. > Alice le sistema i capelli dietro le orecchie con attenzione, non abbandonando mai la sua aria felice.

< So che è quella giusta, lo sento. > Risponde Nessie, dando voce anche ai suoi pensieri.

< Non è così semplice, lo sai. E' come essere tornati indietro, con tua madre. Anche Audry non è una di noi e sembra così fragile che rivelarle il nostro segreto non sarà facile e preservarla dai possibili risvolti negativi di questo aspetto, neanche. > I suoi occhi diventano cupi per un istante.

< Ed Edward impazzirà. > Termina Jacob.

< Non ho avuto visioni, non posso esserne certa. Quello che so è che ancora del tutto intenzionato a rimanere da solo. > Risponde, voltandosi verso di lui.

< Intenzionato a rimanere solo? Parlavate di me? > Edward poggia una spalla contro lo stipite della porta di legno, le braccia incrociate al petto e un'espressione di pura curiosità sul volto, intervenendo nella conversazione.

Renéesme annuisce, assorta. Sa che sta leggendo i suoi pensieri e che sta vedendo il volto di quella ragazza così simile a Bella e non ha certo bisogno di alzare lo sguardo su di lui per capire che tutto quello gli fa male.

< Ma cosa vi salta in mente! Farmi conoscere una ragazza! > Deve trattenersi per non urlare e Jasper, accanto a lui, non accenna ad utilizzare i suoi poteri: con Edward non serve, capirebbe subito le sue intenzioni.

< Vogliamo solo il tuo bene, Edward, cerca di ragionare. > Lo prega Alice, avvicinandoglisi di un passo. < Comportandoti così non farai che peggiorare la situazione. E' passato così tanto tempo, ormai... > Continua, gli occhi tristi di chi ha visto un fratello dilaniato dal dolore e dal terrore.

< Tempo! Tempo... per noi il tempo non esiste, Alice, il mio tempo si è arrestato quando Carlisle mi ha trasformato e rimarrò così per sempre. > Grugnisce.

< Non puoi rimanere da solo, papà! Non voglio! > Renéesme stringe i pugni, combattiva, mentre Jacob la affianca e le circonda le spalle con un braccio per cercare di calmarla.

< E' una mia decisione. Ho promesso a Bella che l'avrei amata per sempre e non sono disposto a rinunciarvi. > Risponde, ritrovando la calma e posando gli occhi in quelli della figlia, in tutto e per tutto simili a quelli di sua madre.

< La mamma è morta. Sai bene che non tornerà. > Sussurra, mordendosi le labbra e stringendosi a Jacob per evitare di esplodere.

Cosa crede di risolvere con la sua ostinazione? Crede forse che la sua testardaggine riuscirà a riportare indietro Bella, la sua vita?

< Ed è stata colpa mia, non permetterò che succeda ancora. > Le volta le spalle e fa per uscire dalla stanza.

< Puoi scegliere, Edward, lo sai. Avevi una scelta anche con Bella. > Le parole di Alice lo fermano, costringendolo a voltare il capo verso di lei.

< Gli umani hanno delle scelte, i mostri no. > Termina, allontanandosi definitivamente senza possibilità di replica.

< Sapevamo che sarebbe stato difficile... > Tentenna Jacob, osservando la porta.

 

< Allora, qui dovrebbe essere... x+-1 che sarebbe la reazione all'azoto, giusto? > Sarah mordicchia la matita con i denti, cercando di risolvere il problema di fisica quantistica.

Audry, invece, è presa in altri pensieri. Non riesce a togliersi dalla mente quella Alice, i suoi occhi e il suo sorriso.

< Mi stai ascoltando? > Sarah le sventola una mano davanti agli occhi, attirando la sua attenzione.

< Sì, sì... certo. Dicevamo? > Si riscuote, sistemando il quaderno e afferrando una penna a caso dall'astuccio.

< Hai la testa fra le nuvole, si può sapere cosa succede? > Le chiede l'amica, osservandola sospirare rassegnata.

< Non riesco a smettere di pensare a quel ragazzo, quello del sogno. > Non ha molta voglia di parlarne, ma Sarah ha ragione, è distratta e non riesce a concentrarsi su nulla per più di qualche istante.

< Ma se non l'hai mai visto! > Le fa notare.

< Lo so, ma è proprio questo il punto! Il suo dolore era... vero ed intenso e non posso averlo solo immaginato. Sembra assurdo anche a me, ma è come per la morte dei miei genitori, quegli incubi che non facevano altro che ricordarmi che doveva succedere qualcosa di terribile; è la stessa sensazione, ma non è generalizzata, è concentrata in lui. > Tenta di spiegarle senza risultare una pazza scatenata.

< Era solo un sogno, Audry. Quanto puoi essere sicura di quello che hai visto, che sia reale? > Cerca di farla ragionare, abbozzando un sorriso come a scusarsi per quelle parole. Le crede, non ha mai nutrito dubbi al riguardo; le ha creduto quando le parlava degli incubi sui suoi genitori e le ha creduto anche adesso, ma potrebbe essere solo un illusione, uno scudo che il suo inconscio ha creato per difendersi dal dolore, qualcuno che soffre come te per permetterti di affrontare meglio la realtà.

< Non lo so; forse ci sto solo dando troppo peso, forse dovrei smetterla di pensare che esista. > Scuote la testa, giocherellando con la matita sul foglio di carta spessa.

< Secondo me hai bisogno di un ragazzo. Sono settimane che ti dico che dovresti uscire con quel Michael! Non fa altro che ronzarti intorno come un moscone. > Sorride, prendendola in giro, sperando che serva a farle tornare il buonumore.

< Non è vero e poi un tipo come lui non ha bisogno di una ragazza come me. > Ride, ripetendo il calcolo dell'esercizio.

< Ti sottovaluti; ha cercato di invitarti alla serata di beneficenza un mucchio di volte, ma tu non ci hai mai fatto caso. > La rimbrotta.

< Ma se l'ha chiesto a Tracy Evans! > Ribatte, indifferente.

Sarah sospira, alzando gli occhi al cielo.

< Dopo che l'hai bellamente ignorato! > Evidenzia con cura.

< Non sono interessata a lui e non farei altro che prenderlo in giro. > Perché impegnarsi se non ne hai l'intenzione?

< Il principe azzurro non abbatterà il mondo delle favole per entrare nel tuo e corteggiarti, lo sai. > Riprende in mano la matita e continua a scrivere, rendendosi conto di essere rimasta indietro.

< Ne sono al corrente, grazie e poi, chi l'ha detto che cerco il principe azzurro? > Sorride, battendole la matita in testa con ironia.

< Non stai con un ragazzo da... ere! L'ultimo che hai frequentato è stato quel Chris del liceo. > Le restituisce il gesto, fintamente offesa.

< E con ciò? Non voglio stare con un ragazzo solo per il sesso. > Recupera il libro di testo da una mensola in alto e spulcia l'indice alla ricerca del capitolo che le interessa.

< Ti farebbe bene, però. > E le fa una linguaccia, rischiando di essere colpita dal dizionario di francese.

Quella notte, però, quando ripensa al suo volto, raggomitolata sotto le coperte, prima di chiudere gli occhi, sente una fitta all'altezza del cuore, qualcosa che le ricorda l'emozione e l'agitazione per qualcosa che sarà sicuramente fantastico e indimenticabile.

< Non voglio perderti. Non anche te. > Le sue braccia sono confortevoli come sempre.

< Non succederà. > E' la sua voce quella che lo rassicura.

Sente le sue labbra baciarle i capelli e poi le tempie, la fronte e le gote arrossate, fino a raggiungere le labbra, che assapora delicato, mentre lei lo stringe a sé e poco importa se il suo corpo è caldo e quello di lui freddo come marmo. Non desidererebbe essere in nessun altro posto.

Il bacio da dolce, diventa passionale e ardito e lei non riesce a fare altro se non accogliere la sua urgenza, facendogli spazio tra le gambe, aiutandolo a sovrastarla senza pesarle addosso.

< Se dovessi... > Tenta di dirle, ma lei lo ferma.

< Non succederà. Andrà tutto bene. > Sussurra, accarezzandogli i capelli e incrociando i suoi occhi neri come la pece.

Si libera dei vestiti sotto il suo sguardo, baciandogli la mascella e di nuovo le labbra.

Si sveglia di soprassalto con il respiro affannato e la maglietta del pigiama incollata alla pelle per colpa del sudore.

Erano insieme.

Nel suo sogno erano insieme e lui la desiderava.

Erano insieme, ma lei avrebbe preferito non fosse solo una sua fantasia.

Scosta le coperte, alzandosi e avvicinandosi alla finestra: deve essere l'alba. 

I contorni degli alberi in lontananza si fanno più definiti e le nubi diventano chiare.

Scosta la tenda per guardare fuori e vede una Volvo argentata parcheggiata dall'altro lato del vialetto, una Volvo che non ha mai visto.

Sembra sia vuota, ma é ancora troppo buio per riuscire a distinguere con chiarezza la presenza di un guidatore.

Forse é il nuovo acquisto dei vicini milionari, non sarebbe una sorpresa, eppure avverte il cuore accelerare i suoi battiti e una strana sensazione coglierla.

Che sia...?

No, il suo era un sogno; quella, é la realtà.

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Capitolo 5
*** Edward ***


Salve!

Eccomi qui con il consueto aggiornamento del lunedì ^^

Finalmente la nostra Audry incontrerà Edward, ma corrisponderà all'Edward dei suoi sogni?

Ringrazio chi ha commentato, chi ha inserito la Ff tra i preferiti/da ricordare/seguiti e chi ha letto soltanto! <3

 

A lunedì prossimo!

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

L'indomani arriva troppo velocemente e Audry si rende conto di essersi alzata, lavata e vestita senza rendersene neanche conto.

La sua testa è altrove e le piace pensare che, forse, dopo l'incontro con quella ragazza, quel pomeriggio, per le ripetizioni, tutto tornerà come prima.

Jenna è uscita da un po' e le ha lasciato il caffè sul tavolo, insieme alla tazza che usa di solito per fare colazione e ai suoi biscotti preferiti.

La Volvo è ancora lì, parcheggiata nello stesso, identico punto nella quale ricorda di averla vista all'alba, ma al volante non c'è nessuno.

Deve essere sicuramente il nuovo acquisto dei vicini.

Smette di pensarci e dopo aver riempito la cartella dei libri che le serviranno all'università, afferra le chiavi della macchina, una modesta berlina usata, ed esce di casa.

E' abituata a guidare con la radio accesa e, nonostante il percorso per raggiungere l'università non sia eccessivamente lungo, l'accende comunque, sintonizzandosi sulla frequenza che sta trasmettendo uno dei successi del momento.

Controlla lo specchietto retrovisore prima di svoltare verso destra, verso il piazzale dell'università, e la Volvo è dietro di lei, riesce a vederne il muso e il parabrezza.

Per poco non inchioda spaventata, mentre il suo cuore sembra voler esplodere.

Perché si sta facendo condizionare così? E' solo una macchina, un'innocua, moderna e bellissima macchina.

La Volvo continua il suo percorso, non la segue e quando si rende conto di essere ormai circondata dagli studenti che si sono riuniti prima delle lezioni e di aver parcheggiato nel primo posto disponibile, tira un sospiro di sollievo e appoggia la fronte contro il volante freddo, regolarizzando il respiro e il battito del suo cuore.

Cosa diavolo le prende?

Quante probabilità ci sono che un maniaco possa averla individuata e possa aver pensato di seguirla a casa e poi lungo la strada per l'università? Poche, pochissime.

E quante probabilità ci sono che lei diventi pazza prima della fine del semestre accademico? Molte, moltissime.

Deve calmarsi, o rischierà un infarto.

Afferra lo zaino e scende dalla macchina, salutando alcuni suoi compagni di corso ed entrando in Facoltà, l'unico posto dove si sente davvero al sicuro.

< Ehi! Hai appena visto un fantasma? > Riconosce la voce, Michael.

< No! Cioè... ho avuto l'impressione che qualcuno mi stesse seguendo. > Aggrotta le sopracciglia.

< Nell'innocua Seattle?!? Guardi troppi telefilm, cervellona. > La prende bonariamente in giro, scompigliandole la frangetta con una mano e sorridendo.

Sorride anche lei.

< Allora... verrai al ballo di beneficenza? > Appoggia una spalla al muro e la osserva, la felpa di basket che mette in risalto gli addominali mediamente scolpiti e lo zaino in spalla.

< Non ho ancora deciso. > Risponde, facendo spallucce.

< Il mio invito è ancora valido. > Le fa presente, divertito.

Audry spalanca gli occhi per un secondo, poi aggrotta le sopracciglia e sorride stranita.

< Non avevi già invitato... ? > Ma non ha il tempo di terminare la frase.

< Tracy? Però, corrono in fretta le notizie. > Conclude per lei. < Mi ha dato buca. Ha un impegno con i suoi, cose di famiglia e poi non volevo davvero andare con lei al ballo. La prima ragazza che ho invitato sei stata tu. > Continua, scrollando le spalle.

< E' che... > Sospira rassegnata. Quale altra scusa può inventare perché la lasci stare?

< Oh, andiamo! Una sera fuori non ti ucciderà, te lo garantisco. > Sorride complice, supplicandola con lo sguardo.

Audry lo fissa negli occhi per qualche istante, indecisa. Forse Sarah ha ragione, dovrebbe distrarsi, ecco perché fa quei sogni, la notte. Trascorre troppo tempo a studiare e la sua mente ne risente.

< D'accordo, accetto. > Ricambia il sorriso.

< Bene! Beh, in ogni caso, mancano ancora due mesi, perciò... insomma, non vorrei esserti sembrato troppo precipitoso. > Abbassa lo sguardo, in difficoltà.

< No, no, figurati. Come si dice, meglio avvantaggiarsi, no? > Si schiarisce la voce e si sistema una ciocca di capelli dietro un orecchio.

< Già... beh, allora... ci vediamo in giro, no? > Cammina all'indietro in attesa di una sua risposta.

< Sì, certo. > Lo saluta con la mano e procede verso la prima lezione del giorno, francese, tirando un ennesimo sospiro di sollievo.

Non può succedere niente di strano, giusto?

E' stato solo un caso se la Volvo abbia deciso per lo stesso percorso che prende solitamente anche lei per andare all'università, non poteva davvero volerla seguire.

Deve solo calmarsi e concentrarsi sulle parole del professor McKenzie che, con la sua solita voce monotona, si accinge alla spiegazione di Voltaire e alla lettura di alcuni testi in lingua.

Sta prendendo appunti, come suo solito, quando una pallina di carta atterra nel centro esatto della pagina che sta riempiendo della sua scrittura ordinata e minuta. Si volta automaticamente verso Sarah che le sorride, aggrottando le sopracciglia e scuotendo la testa in una domanda muta: che succede?

Lei fa spallucce, sillabando un dopo e continua a scrivere, giocherellando con la pallina di carta.

La campanella trilla qualche minuto dopo e gli studenti, precipitosamente, si accalcano verso l'uscita, raccogliendo gli zaini e i libri, lasciando il professore a sistemare le sue carte per la prossima lezione, Audry a finire di trascrivere una frase importante riportata alla lavagna e Sarah a terminare la sistemazione dei numerosi libri nella tracolla.

Salutano il professore quando abbandonano la classe e camminano l'una di fianco all'altra in direzione del cortile, in attesa della lezione di Matematica Applicata.

< Allora? Che succede? > Sarah la osserva curiosa, non riuscendo a trattenersi.

< Stamattina ho avuto l'impressione di essere seguita. > Borbotta. Non è un mistero per nessuno che le si legga in faccia quando qualcosa non va, ma spesso si schermerebbe volentieri con una maschera pur di evitare le domande, anche se sono quelle della sua migliore amica.

< Sul serio? E da chi? > La vede spalancare gli occhi per la sorpresa.

< Non lo so di preciso, era una Volvo metallizzata. Era ferma da ieri sera sotto casa mia e ho pensato fosse un nuovo acquisto dei vicini miliardari. > Spiega.

< Sicura ti stesse seguendo? Magari era davvero il tuo vicino che andava a fare la spesa. > Fa spallucce. A volte vorrebbe essere come Sarah: ha sempre una soluzione a tutto e tutto le sembra semplice, o, per lo meno, tutto quello che per lei, di semplice, non ha nemmeno il concetto.

< Mi sono spaventata quando l'ho intravista nello specchietto retrovisore, ma potresti aver ragione; magari non me l'aspettavo e quindi ho pensato al peggio. Sto diventando paranoica con tutta quella storia dei sogni strani. > Sbuffa, sedendosi sul muretto circondato da colonne e godendo del chiacchiericcio tranquillo degli altri studenti che studiano, chiacchierano con gli amici, leggono o ripassano per l'esame.

< Passeranno, sei solo tesa. > Sarah si sistema accanto a lei, estraendo dalla tracolla gli appunti di Matematica.

< Michael mi ha invitata al ballo. > Aggiunge atona, abbassando lo sguardo.

< Di nuovo? Ma non ci andava con Tracy? > L'amica alza la testa dal quaderno per osservarla.

< Ha detto che gli ha dato buca per colpa di un impegno con la famiglia e che comunque non aveva davvero intenzione di andarci con lei. > Riassume brevemente.

< E tu cos'hai risposto? > Le si avvicina curiosa.

< Gli ho detto di sì. Distrarmi mi farà bene, suppongo. > Sorride appena, contagiandola.

< Era ora che ritrovassi il senno! Stavi per andare in letargo come gli animali della foresta! > Protesta, dandole una pacca sulla spalla con vigore.

< Ma quale letargo! I ragazzi non mi interessano, ecco tutto. > Tira fuori anche lei gli appunti, cominciando a ripassare.

< Ma Michael è carino, gioca a basket, ha un bel sorriso, è pazzo di te e dicono che sia un vero portento sotto le lenzuola. > Le fa l'occhiolino, facendola scoppiare a ridere.

< Guarda che è solo un ballo, non ho accettato nessun appuntamento galante, né, tanto meno, un invito a nozze. > Scuote la testa, sottolineando il concetto.

< Sì, ma sai, da cosa nasce cosa... potreste trovarvi in un'aula deserta, cominciare a baciarvi... > Lascia la frase in sospeso, facendone intendere benissimo il prosieguo.

< Non succederà. > Mette in chiaro Audry, sollevando il quaderno per ripararsi dalla luce del sole.

Sarah alza gli occhi al cielo e riprende a leggere, fin quando il rumore di un'auto potente che ha appena fatto il suo ingresso in cortile, non la distraggono, costringendola ad alzare lo sguardo.

E' una Volvo argentata, forse la stessa di cui le ha parlato Audry.

< Audry... > La chiama, poggiandole una mano sul braccio, intimidita, come se quell'auto mettesse soggezione anche a lei.

< Cosa? > Chiede lei, voltando il viso nella sua direzione.

< Quella non è una Volvo? > Indica l'auto, ferma, dalla quale non è ancora sceso nessuno.

Audry comincia a sudare freddo, impaurita.

Abbassa lentamente il quaderno per riuscire a vedere e le si blocca il respiro in gola quando si accorge che è la stessa, identica auto che ha visto posteggiata di fronte casa sua e la stessa che l'ha seguita quella mattina. In zona non sono molte le famiglie che possono permettersi una macchina del genere, per cui è semplice riconoscerla, come è altrettanto semplice capire che nessuno, prima di quel momento, aveva avuto modo di notarla.

< Vuoi andare via? > Le chiede Sarah, notando che un nutrito gruppo di ragazzi ha circondato l'auto, esprimendo apprezzamenti.

< Perché non è ancora sceso nessuno? > Devia la domanda con voce tremante e sottile. I vetri oscurati non le permettono di riconoscere la figura seduta al volante.

< Non ne ho idea. Forse aspetta qualcuno. > Suggerisce l'amica, facendo spallucce.

< E se aspettasse... me? > Il quaderno le sfugge dalle mani, ricadendo aperto sull'asfalto, esattamente nella metà. I fogli ancora da ricopiare si librano leggeri nel vento fresco di ottobre, ma lei non se ne preoccupa, troppo presa a pensare alla portiera dell'auto che si è appena aperta e al viso che, questione di attimi, le si rivelerà.

Una figura alta, slanciata e dal fisico presumibilmente asciutto, si regge alla portiera, sfidando il vento e il gruppo di ragazzi che, tuttavia, pian piano, hanno cominciato a disperdersi.

I capelli scomposti, color bronzo e gli occhi dorati con leggere sfumature castane, occupano la sua visuale e quella di Sarah ed Audry sente il cuore cominciare a batterle furiosamente nel petto e il respiro accelerare.

E' l'uomo più bello che abbia mai visto ed è l'uomo dei suoi sogni, letteralmente parlando. Lo stesso di cui ha avvertito le braccia circondarla e la voce tranquillizzarla, lo stesso che ha visto preda di un dolore lancinante, ricurvo sui tasti di un pianoforte, lo stesso che ha baciato.

I loro occhi, come attratti da qualcosa di magnetico, si incrociano per un lunghissimo istante: duri e freddi quelli di lui e curiosi e spaventati quelli di lei.

< E'... bellissimo. > Sente il sussurro di Sarah, ma non vi bada.

La scena sembra cristallizzata in un quadro, o in una di quelle bocce dalle quali cade la neve, quelle che lei adora e di cui sua madre faceva collezione.

Lo sconosciuto si allontana dall'auto, chiudendo la portiera e si avvicina, a passo sicuro e cadenzato, a lei, non smettendo di fissarla.

< Sta venendo qui, Audry. > Sarah le stringe un braccio per la tensione e lei vorrebbe dirle che le sta facendo male, ma non ci riesce. Rimane immobile mentre Sarah si alza, raccogliendo le sue cose e scomparendo all'interno della struttura.

Neanche si rende conto di essere rimasta da sola.

Una folata di vento le scosta una ciocca di capelli, facendola volare davanti al suo viso e oscurandole, per un solo istante, la vista nitida dell'uomo che le si avvicina, perfetto nella sua giacca scura da cui si intravede il colletto di una camicia candida e nei jeans appena sbiaditi, dal taglio moderno.

Le è di fronte in una decina di passi e la osserva, mentre lei deglutisce saliva inesistente e pensa che forse quell'uomo con i suoi sogni non c'entra nulla, perché nei suoi sogni non ha quello sguardo di ghiaccio, non ha la mascella contratta e l'espressione forzata.

Pensa a Jenna e a cosa potrebbe succederle se sapesse che qualcuno le ha fatto del male. Neanche si rende conto di essere all'università, in un luogo pieno di gente, ragazzi che li stanno fissando e che, al suono della campanella, si dileguano, pensandoli, a torto, amici o conoscenti.

Lo sconosciuto si abbassa sulle ginocchia a raccogliere il suo quaderno, mantenendo lo sguardo fisso nel suo.

< Questo dev'essere tuo. > Le dice in un rantolio rauco che le scatena una cascata di brividi lungo la spina dorsale. Ha la stessa voce dei suoi sogni.

< G-grazie. > Riesce a mormorare, stando ben attenta a non sfiorare la sua mano quando riprende il quaderno.

Ma cosa succede?

Quell'uomo irreale la sta fissando, non accennando a muoversi. Lo vede aggrottare le sopracciglia, quasi si stesse concentrando per qualcosa di particolarmente complicato.

< Ehm... io dovrei... andare a lezione... > Arrossisce e non sa il perché, alzandosi in piedi e trovandosi troppo vicino a lui: i lembi della sua giacca nera sfiorano il suo cappotto invernale a quadri colorati.

Lui continua a non dire niente, immobile come una statua.

Vorrebbe chiedergli se c'è qualcosa che non va, se si sente bene, ma non ci riesce ed opta per allontanarsi lentamente verso l'entrata per recarsi a lezione.

Quando riesce a voltargli le spalle, lui la ferma, trattenendola per un polso.

< Dove vai? > Ancora quella voce simile ad un rantolio rauco.

< A... lezione. > Risponde, osservando prima la mano che la trattiene, e poi il viso di lui, gli occhi fattisi improvvisamente più scuri, tendenti al nero.

< Credo tu possa farne a meno per oggi. > La lascia andare, lasciandola perplessa, continuando a mantenere attivo il contatto visivo.

< Ma... > Cerca di protestare, venendo irrimediabilmente interrotta.

< Sali in macchina. > Le ordina, cominciando a camminare lui stesso verso la vettura.

Audry si guarda intorno spaesata, sperando in qualcuno che possa dirle cosa fare, ma il cortile è deserto, tutti sono già andati a lezione.

Estrae dalla tasca il suo cellulare, controllando la batteria: è carica. Potrà sempre telefonare a qualcuno se dovesse trovarsi in pericolo.

Alza gli occhi e lo vede al posto del passeggero, in piedi, mentre attende che lei si avvicini, la portiera aperta per farla sedere.

Prende un bel respiro e gli si avvicina, ringraziandolo per il gesto cortese prima di sedersi e attendere che lui faccia il giro per occupare il posto al suo fianco.

Dove ha intenzione di portarla?

Non si è nemmeno presentato, anche se lei, il suo nome, lo conosce già perché l'ha mormorato nei suoi sogni: Edward.

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Capitolo 6
*** I can show you who I am ***


Salve!

Ebbene sì, alla fine ce l'ho fatta ad aggiornare e mi scuso sin da ora per il ritardo mostruoso, ma è stata tutta colpa mia, perché non avevo capitoli pronti e nei giorni scorsi l'ispirazione non mi è stata d'aiuto ç.ç

Questa Ff sta finalmente uscendo allo scoperto e sono contenta che piaccia a così tante persone *.*

Ringrazio tutte quelle che hanno commentato, aggiunto tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno solo letto *.* thank you! <3

Vi ricordo che potete chiedermi l'amicizia su Facebook, in modo da essere sempre aggiornate su sviluppi, ritardi e così via ^^ vi lascio il link   Frytty su Facebook

Vi lascio al capitolo, chiedendovi ancora scusa per il ritardo T.T

 

A lunedì!

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry si fa piccola piccola sul sedile del passeggero, stringendosi le braccia intorno al busto e cercando di non aver paura.

In effetti, non ne ha, solo che è in macchina con un quasi-sconosciuto che a stento le rivolge la parola e che ha appena imboccato la strada che li condurrà nel bosco.

Dovrebbe telefonare a Jenna e avvertirla che potrebbe fare tardi per cena; almeno non si preoccuperà più del necessario se non la vedrà rientrare alla solita ora.

Estrae il cellulare dalla tasca, cominciando a cercare in rubrica il numero della zia. Lo conosce a memoria e le basterebbero pochi secondi per comporlo, ma vuole illudersi di star facendo qualcosa e poi ogni scusa è buona per non guardare il ragazzo alla sua sinistra che sta guidando veloce.

< Cosa fai? > Quasi sussulta quando sente la sua voce all'improvviso. Alza lo sguardo su di lui, perdendosi subito nell'oro dei suoi occhi, arrossendo.

< Telefono a mia zia. Si preoccuperà se non mi vedrà tornare in tempo. > Spiega in un mormorio che lei stessa fatica a comprendere.

< Torneremo per ora di cena, non ce n'è bisogno. > Cambia marcia, spingendo ancora sull'acceleratore.

< Ho una lezione nel pomeriggio. > Sbuffa, scontrosa. Insomma, ma chi si crede di essere?

< Lezione? > E lo osserva ridere e scuotere la testa, come se lei non capisse.

< Sì, con una ragazza. E non è divertente, quindi non vedo perché tu debba ridere. > Continuò piccata, lasciando perdere il cellulare e tornando con le braccia incrociate al petto, lo sguardo perso al di là del finestrino della vettura.

La vegetazione fuori della città è rigogliosa e umida: l'odore di pioggia e terriccio riesce a penetrare anche nell'abitacolo, anche se i finestrini sono chiusi e le ventole spente.

< Lo è, invece, perché si dà il caso che quella ragazza sia mia figlia. > Commenta lui a sorpresa, lasciandola di stucco.

Avrà la mia età! E poi è... impossibile, lui è così giovane e una donna non può dare alla luce figli senza essere sviluppata! E' un'assurdità!

< Certo, e io sono la Strega Morgana. Si può sapere dove stiamo andando? > Al diavolo la paura! Sarah l'avrebbe rimproverata certamente per quel tono sarcastico ed estremamente irritante, ma lei non era stata rapita dalle lezioni per essere portata chissà dove.

< C'è una cosa che devo farti vedere. > Chiarisce, lo sguardo fisso alla strada.

< Far vedere a me? Senti, forse ti sei confuso, magari mi hai scambiata per qualcun'altra... > Ma viene interrotta, senza neanche aver terminato la frase.

< Sono sicuro che sia tu la ragazza giusta. > Sorride sbieco, fermandole il cuore per un breve attimo.

< Io non ti conosco! E poi, non puoi andare a rapire la gente e portarla con te nei meandri della giungla! > Rinuncia alla sua posizione raggomitolata, sedendosi composta.

< Io non ti ho rapita. Sei salita su questa macchina di tua spontanea volontà. > Obietta lui, divertito dalla situazione.

< Assolutamente no! Mi hai costretta! > Quasi urla.

< Non ti ho sfiorata e non mi sembra di averti spinto con forza a fare qualcosa che non volevi. > Replica, freddo e sereno.

In fondo, ha ragione.

< Ok, senti, hai ragione tu, ora potresti riportarmi indietro, per favore? Voglio tornare a casa. > Alza gli occhi al cielo rassegnata.

< C'è una cosa che devi vedere, prima. > Decelera appena prima di imboccare un sentiero fangoso.

< Non vuoi uccidermi, vero? > Maledetta Sarah e la sua passione per i film horror. Lei odia i film horror e odia ancora di più la sua amica, perché la costringe a vederli e poi la prende in giro per almeno una settimana perché ha urlato come una psicopatica per tutto il tempo e si è nascosta il viso dietro un cuscino nei momenti clou.

Edward ride, calmo.

< Questo è ancora da vedere. > Le lancia uno sguardo breve, ma intenso prima di fermare la macchina e spegnere il motore.

Audry trema e lui se ne accorge. Alice e Renéesme avevano ragione, assomiglia a Bella, ma in maniera differente; è fragile come lei e bellissima, tremendamente testarda e orgogliosa e non ha nessuna paura sebbene tremi di fronte al pericolo. L' odore è differente da quello della sua defunta sposa, è buono ma più delicato, come differente è il colore dei capelli e quello degli occhi: Audry ha gli occhi chiari, verdi e i capelli rossi, lunghi fino a metà schiena, ondeggianti e morbidi.

Si concede un'altra occhiata al suo viso, poi scende dalla macchina, in attesa che lei faccia lo stesso.

Vorrebbe piangere, ma a cosa servirebbe? Vorrebbe che ci fosse sua zia ad infonderle coraggio, o magari i suoi genitori, ma neanche loro potrebbero fare molto per far svanire la paura.

Paura dell'ignoto e di quel bosco che per lei rappresenta pericolo e oscurità.

Gli si avvicina lentamente, cercando di non produrre il minimo rumore, tanto che persino la ghiaia che scricchiola sotto le sue scarpe le fa temere per la sua incolumità.

Il volto di Edward è concentrato e inespressivo come dura roccia, gli occhi ridotti in due fessure e le braccia lungo il corpo, come una statua posizionata lì e lasciata a deteriorarsi alle intemperie.

Qualche istante dopo Audry è in movimento, senza neanche rendersene conto. Abbassa lo sguardo sul suo braccio avvolto nella morsa ferrea di una mano di lui. La sta trascinando verso gli alberi e la vegetazione fitta, dove la luce a stento riesce a crearsi un varco.

Il cuore batte frenetico all'interno della sua cassa toracica e ha quasi paura che possa schizzarle fuori da un momento all'altro.

Inciampa in una radice, ma non ha neanche il tempo di cadere, che sta già proseguendo oltre. Edward sembra conoscere il luogo come le sue tasche, quasi ci sia vissuto e non ha difficoltà a schivare rocce e piante.

< Dove andiamo? > Urla in un lamento stanco, ma lui non risponde, fin quando un ruscello non occupa la sua visuale, placido e regolare nel suo corso.

L'acqua è bassa e il ruscello è circondato da ciottoli ricoperti di muschio scivoloso.

Edward le lascia andare il braccio, distanziandosi da lei che quasi si aspetterebbe di vedere una fossa scavata da qualche parte, lì, nella terra bagnata di pioggia e rugiada.

< Tu credi alle leggende? > La sua voce è bassa e roca e le causa un brivido lungo la schiena, come poco prima, davanti all'università.

Non sa cosa rispondere e preferisce rimanere in silenzio, in attesa, perché ha come l'impressione che quella non sia l'unica cosa che vuole dirle.

< Se ti dicessi che io provengo da una leggenda? > Si volta a fronteggiarla, lo sguardo furioso e i lineamenti duri.

< Che... che vuoi dire? > Domanda timorosa.

< Tu credi ai vampiri? > Nella mente di Audry si affollano immagini di strani uomini dal mantello rosso e dai denti aguzzi che si nutrono di giovani fanciulle vergini, adescate grazie al loro fascino e alle loro maniere eleganti. Istintivamente indietreggia di un passo, facendo smuovere i ciottoli a riva.

< Perché dovrei? Non ne ho mai visto uno. > Risponde ovvia. Non crede nemmeno alle favole, immense bugie avvolte nello zucchero per far credere ai bambini che nella vita esiste sempre il lieto fine e che il bene sconfigge sempre il male e che i desideri, se ci credi davvero, si avverano. Anche lei desidera che i suoi genitori non siano morti, ma perché il suo non si avverava?

< Ne hai uno di fronte a te. > E sorrise malinconico.

< Ok, ne ho abbastanza di questi scherzi e voglio tornare a casa, quindi, riportami indietro. > Perché aveva come la sensazione che non fosse uno scherzo? Dopotutto, gli incubi che aveva fatto, i volti che aveva sognato le incutevano timore e lei aveva come l'impressione che dovesse starne alla larga. Forse era quello il motivo?

< Qui nessuno sta scherzando. > Ringhia, mostrando i canini.

Audry fa un altro passo indietro, decisamente spaventata, scivolando su di un ciottolo e cadendo all'indietro, un braccio che sfiora appena l'acqua limpida del ruscello.

Edward le è accanto in un istante, aiutandola a rimettersi in piedi.

< Ti ho spaventata, mi dispiace. > Mormora, offrendole il suo appoggio.

< Dimmi che era una bugia, dimmi che stavi scherzando. > Si divincola dalla sua presa, allontanandosi i capelli rossi dalle guance puntellate di lentiggini chiare.

Lui scuote la testa e abbassa lo sguardo, come se si vergognasse della verità e avesse preferito dirle una bugia.

< Cosa vuoi da me? Perché mi hai portata qui? > Inizia a piangere, sconvolta dal fatto che adesso, probabilmente, sarebbe stata in aula con Sarah a cercare di risolvere l'ennesimo problema matematico ed invece è in compagnia di una creatura soprannaturale che ha deciso di cibarsi di lei. Si è sempre chiesta che cosa avevano provato i suoi genitori nel momento dell'impatto con il camion, che cosa avevano pensato: forse avevano pensato a lei, forse a quanto avessero paura di morire, forse ai loro genitori o forse, semplicemente, erano troppo spaventati e increduli da pensare a qualunque cosa. Magari, adesso lei l'avrebbe saputo, magari adesso avrebbe preso in considerazione l'idea di chiederglielo, se esisteva un Paradiso o un Purgatorio.

< Mia figlia aveva lezione con te oggi pomeriggio ed io ho pensato che... avrei dovuto conoscerti. > Tentenna, cercando di apparire tranquillo.

Audry sbuffa, sconcertata.

< Potevi farlo davanti all'università, perché in un bosco? > Domanda, trattenendo le lacrime e incrociando di nuovo le braccia al petto, ma non con aria di sfida, quanto più per proteggersi.

< Non volevo che ci sentisse nessuno e questo mi sembrava il posto migliore. Non voglio farti del male. > Risponde, avvicinandosi a lei di qualche passo.

Lo osserva, diffidente. E' bellissimo anche con la mascella contratta e l'espressione tesa e malinconica. Non è difficile fidarsi di lui e la paura è cessata, scomparsa non appena i suoi occhi hanno incontrato l'oro liquido di quelli di lui.

< Io sono Audry... Audry Hepburn. > Si avvicina indecisa, la voce sottile e ancora diffidente.

< Nome francese? > Accenna un sorriso.

< Sì, mia... madre era di Parigi. > Ammette, arrossendo.

< Il mio nome è Edward Cullen, lieto di fare la tua conoscenza. > Le tende il palmo della mano e Audry, accigliata e in imbarazzo, gli porge la sua, rabbrividendo al contatto con la sua pelle fredda e spalancando gli occhi quando avverte le sue labbra posarsi sul dorso in un delicato e leggero baciamano.

< Tu... tu mi prendi in giro, non è così? E' impossibile che tu sia un vampiro. > Dichiara semplice, un lieve sorriso ad incresparle le labbra mentre ritira la mano.

< Vorrei fosse un gioco, Audry, ma non lo è. > Scompare, quasi per magia ed Audry si guarda intorno intontita, gli occhi spalancati dallo stupore, cercando di individuarlo.

< Vorrei non coinvolgerti in tutto questo. > La sua voce le arriva chiara da un albero alla sua destra e lei ci si avvicina, cercandolo con lo sguardo e poi trovandolo appollaiato sul ramo più alto e resistente della conifera, sbilanciato in avanti per osservarla.

< Coinvolgermi? Di cosa stai parlando? > Non si meraviglia neanche della sua incredibile velocità, troppo presa a studiare le sue parole e a cercare di capirle.

< Mia figlia... lei vorrebbe conoscerti. > Omette la parte principale del piano di Renéesme, ma pensa che, in fondo, non può rivelarle cosa sua figlia ha davvero in mente, senza considerare che lui non ha intenzione di assecondarla affatto. Bella è stata una vittima sufficiente, non ha bisogno di altri sensi di colpa in cui crogiolarsi.

< E' così grave? > Chiede, osservandolo atterrare dolcemente accanto a lei dopo un considerevole salto.

< Beh, noi siamo... diversi e mia figlia lo è in modo particolare. > Infila le mani in tasca casualmente e riprende a camminare.

< Tu sei già padre e... avrai la mia età! > Esclama raggiungendolo.

Edward ride divertito, lanciandole uno sguardo accigliato.

< Il nostro concetto di tempo è diverso da quello di voi semplici, fragili umani, Audry. > Continua a sorridere, portando un dito ad accarezzarle una guancia in una fredda e lieve carezza che la fa avvampare.

< Vuoi dire che non hai la mia età? > Riprende il controllo della sua voce, adeguandosi al suo passo.

< Voglio dire che all'apparenza sono un innocuo ragazzo di diciassette anni; in realtà, ne ho centododici. > Fa spallucce mentre Audry sembra faccia fatica a credergli.

< Sei... Dio, sei... vecchio! > E realizza un minuto più tardi le sue parole, ascoltando la risata cristallina dell'essere perfetto accanto a lei, rendendosi conto di averlo, probabilmente, offeso.

< Grazie! > La prende in giro.

< Cioè... non nel senso che... voglio dire... tu vivi da più di un secolo! Com'è possibile? > Edward nota che arrossisce esattamente come Bella, ad ogni suo sguardo, ad ogni suo gesto e tocco.

< Per noi vampiri funziona così. Quando veniamo trasformati il tempo si cristallizza, rimaniamo sempre gli stessi, per sempre. > Spiega pratico.

< Ma come puoi avere una figlia? Voi siete... insomma, siete... > Viene interrotta.

< Morti? Sì, lo siamo, almeno in parte. Possiamo procreare, ma solo con gli umani. > Abbassa lo sguardo avvilito, perché sa che sta arrivando la parte più difficile dell'intera storia.

< Quindi tua figlia è umana? > Si rende conto di star facendo troppe domande, ma non riesce a smettere, come non riesce a far finta che quello che le sta succedendo sia normale. Potrebbe essere uno dei suoi sogni; magari si sveglierà e si ritroverà nell'aula di matematica, con Sarah che cerca di svegliarla e il professore che, al solito, non si è accorto di nulla.

< Solo per metà. E' una Mezzosangue, se può esserti di aiuto per comprendere. Metà umana e metà vampiro. > Sospira, riconducendola per il sentiero che li riporterà alla Volvo.

< Se hai una figlia, hai anche una moglie... > Forse non dovrebbe chiedere di cose così personali, forse dovrebbe solo pensare al fatto che è in compagnia di un mostro che potrebbe ucciderla in qualsiasi momento, ma non ci riesce. Edward è così fragile e umano ai suoi occhi che faticherebbe a credere alla possibilità che possa aver già ucciso. Sa che non le farà del male e forse sa anche che la sua curiosità non è mancanza di rispetto nei suoi confronti.

< Sarebbe ancora qui se solo non fossi stato tanto sciocco. > Le apre la portiera e la lascia salire prima di prendere il suo posto al volante.

Audry lo osserva attenta: la stessa espressione fredda di poco prima, gli occhi fissi in un punto imprecisato dello spazio fuori del cruscotto e la strana sensazione che potrebbe mettersi a piangere da un momento all'altro. Avverte la sua tristezza e la sua malinconia; gravano su di lei come un enorme sacco di cui non può liberarsi.

Non ce la fa ad insistere e smette di chiedere, di pensare; allaccia la cintura di sicurezza e lascia vagare lo sguardo sul paesaggio esterno.

Neanche si rende conto di essere nel cortile dell'università, affollato di studenti che hanno appena terminato le lezioni del giorno e sono pronti per tornare a casa.

La osserva slacciare la cintura di sicurezza e prepararsi a scendere e ha come la sensazione che abbia accompagnato Bella a casa, come ai tempi del liceo, che stia per salutarla e per prometterle che verrà a trovarla, entrando dalla finestra della sua stanza, solo per osservarla dormire e assicurarsi che non faccia brutti sogni.

< Passo a prenderti per la lezione di oggi pomeriggio, se sei d'accordo. > Le propone, facendola arrossire ancora.

< Posso raggiungervi io se solo mi lasciassi l'indirizzo... > Prova a sottrarsi senza risultati, visto che lui la interrompe subito con un'occhiata che non ammette repliche.

< Seattle è pericolosa di notte e non voglio tu debba guidare così a lungo da sola. > Audry annuisce, anche se vorrebbe dirgli che la lezione potrebbero tranquillamente svolgerla a casa sua.

< D'accordo, allora... > Tentenna, aprendo la portiera.

< A più tardi e fa' attenzione. > Le scosta un ciuffo di capelli dal viso, sistemandoglielo sulle spalle e stupendosi, lui stesso, del gesto così naturale e spontaneo che le sue dita hanno eseguito.

Quando Audry chiude la portiera e si allontana in direzione della sua macchina, la osserva nello specchietto retrovisore, attento ai suoi movimenti.

E' da quando Bella è morta che non gli capita più di incontrare un essere umano i cui pensieri gli siano preclusi e la cui sicurezza e incolumità siano tra le sue principali preoccupazioni.

La vede lanciare uno sguardo nella sua direzione e arrossire inconsapevolmente. 

Deve smetterla. Lei non è Bella e non potrà mai sostituirla, nessuno potrà farlo, anche se Renéesme è convinta del contrario.

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Capitolo 7
*** Help Me ***


Salve!

Eccomi con l'aggiornamento ^^

Finalmente Audry e Nessie si conoscono *.*, ma non tutto va esattamente secondo i piani... Con questo capitolo ho provato qualcosa di nuovo: siccome erano molti i personaggi coinvolti ho cercato di interpretare le emozioni di ciascuno di loro, senza fare confusione, ma se non ci sono riuscita gradirei un vostro parere, benvenuti anche quelli negativi ^^

So che la reazione di Audry, probabilmente, non è quella che molti di voi si aspettano, ma io mi sarei comportata nello stesso identico modo, quindi se vi sembra strano, la colpa è solo mia ^^

Detto questo, a lunedì prossimo!

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry svolta a destra per imboccare il vialetto che la condurrà a casa, un misto di emozioni diverse che le si agitano nello stomaco e nel cuore, e intravede la macchina di Sarah. L'amica la sta aspettando sotto il portico, per ripararsi dalla leggera pioggia che è incominciata a cadere, e sembra avere un'espressione piuttosto contrariata sul viso latteo. L'ha lasciata da sola per la lezione di matematica, ma lei ha fatto lo stesso non appena ha riconosciuto la Volvo della sua descrizione.

Si prende tutto il tempo necessario per scendere dalla vettura e avvicinarsi a lei, lo sguardo basso e lo zaino sulle spalle.

< Si può sapere che fine hai fatto? Sono stata in pensiero! > Sbotta non appena si accorge di essere a portata d'orecchio.

< Sono stata con Edward. > Risponde, recuperando le chiavi dalla tasca del cappotto e avvicinandosi alla porta. Sua zia non è ancora tornata e non se ne meraviglia: capita spesso che si ritrovi a trascorrere al negozio tutta la giornata.

< E chi sarebbe questo Edward? > Domanda Sarah, sarcastica, le braccia incrociate al petto, indispettita.

< Il ragazzo della Volvo, quello di cui ti ho parlato durante la pausa. > Sistema lo zaino sull'appendiabiti, insieme con il suo cappotto e Sarah fa lo stesso, seguendola su per le scale in direzione della sua stanza.

< Il maniaco che ti ha seguita fino all'università? > E non c'è più traccia di risentimento nella sua voce, solo di curiosità e sorpresa.

< Sì, lui. > Rovista tra i libri e i quaderni per individuare quello di cui ha bisogno per la lezione di quel pomeriggio, mentre l'amica si accomoda sul suo letto, guardandosi attorno, quasi fosse la prima volta che vede la sua stanza.

< E sei andata con lui? Ti ha seguita, Audry! > Sbotta perplessa.

< In realtà non ho avuto molta scelta, mi ha praticamente obbligata, ma non è un maniaco, di questo ne sono sicura. > Alza gli occhi al cielo, riempiendo una cartellina trasparente di fogli.

< E cosa vuole da te? > Domanda lecita, in fondo.

< La ragazza a cui devo fare lezione oggi pomeriggio è sua figlia. > Non ha molta voglia di parlare; vorrebbe rimanere da sola a rimuginare sulle parole di Edward, su quello che le ha raccontato, cercando di spiegarsi il perché di tutta quella malinconia celata nei suoi occhi dorati bellissimi.

< Scherzi? L'ho visto, sai? Avrà la nostra età! > Come dirle che era quello che aveva pensato anche lei fin quando lui non le aveva rivelato la sua natura? Non poteva dirle che era un vampiro. Come minimo Sarah sarebbe scappata via urlando e le avrebbe dato della matta.

< Beh, ha una figlia. Tutti fanno degli errori, no? > Lo giustifica. Sarah avrebbe creduto che Edward avesse messo incinta una ragazza per sbaglio alle scuole superiori e la situazione si sarebbe risolta: niente spiegazioni, niente vampiri.

< Ok, quindi ha solo voluto conoscerti perché, d'ora in poi, sarai l'insegnante di matematica di sua figlia, giusto? > La osserva attenta.

< Esatto. Voleva verificare di persona che fossi così competente come aveva sentito dire all'università. Niente di strano, insomma. > Fa spallucce, indifferente.

< Tutto è bene quel che finisce bene, no? E tu che pensavi che fosse un maniaco! > Scherza, picchiettandole sulla spalla fraternamente.

< Ma se l'hai detto anche tu! > La rimbrotta Audry, sedendosi alla scrivania e girando la sedia verso di lei.

< Ehi, ne avevo tutto il diritto! Sono o non sono tua amica? > Si difende, ancora sorridente.

< Cosa avete fatto a lezione? > Si informa Audry curiosa. Non è da lei non prendere parte alle lezioni quotidiane di matematica applicata, ma, tutto sommato, non ne faceva un dramma; almeno aveva scoperto chi era il protagonista dei suoi incubi.

< Solito, niente di nuovo. Michael ti ha cercata, era a lezione con noi del secondo; il professor Ferguson gli ha chiesto una ricerca sulle origini della matematica e lui non frequente Storia della materia, perciò, aveva pensato di chiederti gli appunti. > Le brillano gli occhi quando lo dice, cosa che fa sospettare ad Audry che Sarah la veda già sistemata con lui.

Michael è un bravo ragazzo, anche se lo conosce poco, ma lei non ha davvero voglia di impegnarsi. Gli aveva detto di sì per il Ballo di fine anno solo perché aveva voglia di staccare un po' la spina e perché non avrebbe mai avuto il coraggio di andarci da sola, ma non ha intenzione di fargli promesse che non potrebbe mantenere o di cui si potrebbe pentire.

< Avresti potuto dargli i tuoi, sono molto più chiari dei miei. > Risponde, fingendo di non aver capito.

< Lo sai che era una scusa per incontrarti fuori dall'università, non fare la finta tonta! > La rimprovera divertita.

< Ok, senti, la mia possibilità gliel'ho data: andremo al Ballo insieme, non è sufficiente? > Sbuffa risentita.

< Lui è davvero interessato a te, perché non provi ad uscirci? > Alza gli occhi al cielo di fronte al viso eloquente dell'amica, poi sospira.

< Te l'ho detto, non voglio illuderlo. Lo ferirei e mi sentirei una schifezza a trattarlo male. > Ripete con calma. Hanno già affrontato la questione, ma sa che se Sarah si mette in testa una cosa, è irremovibile; potrebbe cascare il mondo.

< Come vuoi, io ci ho provato. > Replica, alzandosi e avviandosi alla porta. < Ho lezione di ginnastica tra un'ora, vieni a vedermi? > Le propone candida.

Audry guarda l'orologio.

< Tra un'ora Edward verrà a prendermi... > Mette su la sua migliore espressione contrita, facendo sospirare l'amica, esasperata.

< Non dirmi che adesso siete diventati migliori amici. Non ci avrai fatto sesso, vero? > Punta le mani sui fianchi, studiandola come studierebbe un'equazione estremamente difficile.

Audry arrossisce, presa alla sprovvista.

< Ma cosa ti salta in mente! Certo che no! E comunque è lui che ha insistito, io volevo andarci da sola! > Sbotta offesa.

< Ah, il fascino del gentiluomo... > Sospira Sarah con un sorriso, facendole un segno di saluto con la mano, lasciando la porta della camera aperta.

Quando sente la porta di casa chiudersi con un tonfo, Audry si rilassa, abbandonando la sedia per lasciarsi cadere sul letto, lo sguardo alla finestra e al cielo nuvoloso di Seattle.

Non è sicura di volerlo rivedere, anche perché sono stati pochi i ragazzi che le hanno fatto quell'effetto con una sola, semplice occhiata. Le torna in mente Mark, un bambino delle scuole elementari che non faceva altro che seguirla e a cui aveva dato il suo primo, quasi vero, bacio. Per la prima volta aveva avuto un motivo per affrontare le arpie, un gruppetto di bambine bionde e dai vestiti firmati che si permettevano di fare le prepotenti con lei solo perché portava gli occhiali e i suoi genitori erano sempre via per lavoro. Mark era il bambino più bello della classe e aveva scelto lei. Forse era stato l'unico per cui aveva provato una sensazione forte, anche se di breve durata. Il tempo di concludere con successo le elementari, e poi avevano scelto scuole medie differenti, perdendosi di vista. Comunque, non sarebbe continuata, perché crescendo le sensazioni erano scomparse e Audry se ne era quasi dimenticata.

Con Edward, però, è tutto centuplicato: era confusa circa le sue intenzioni, così come presupponeva che lui avesse voluto dirgli cos'era solo perché non corresse il rischio di ritrovarsi in difficoltà, anche se difficoltà non sarebbe stato il termine più appropriato. Forse gliel'aveva svelato perché non scappasse a gambe levate; ecco, quella poteva essere una motivazione plausibile.

Sospira, curiosa di conoscere sua figlia e, in fondo, di vedere il posto in cui vivono.

I vampiri abitano in case normali, o è come nelle leggende, quelle in cui si costruiscono strane tane scavate nella terra e ci posizionano le loro bare? Cielo, si sarebbe messa ad urlare se avesse visto una bara. Non ne sopportava la vista, specie dopo la morte dei suoi genitori.

Cerca di calmare il battito del suo cuore, spaventata da quell'eventualità, fin quando il rumore di un clacson non la distraggono, facendola scattare in piedi.

E' in anticipo, sono i suoi unici pensieri prima di afferrare le sue cose e correre nell'ingresso e poi in cucina per lasciare un messaggio a Jenna.

 

< Nessie, dovresti smetterla di agitarti tanto. > La rimprovera Jacob divertito. La sua anima gemella sta praticamente saltellando davanti all'ingresso della sua abitazione, nell'attesa che la ragazza non più misteriosa compaia, scortata da suo padre.

< Non ci riesco, sono troppo felice! E papà è andato a prenderla, ti rendi conto? Non è fantastico? > Esulta, gli occhi brillanti e i capelli simili a quelli di Edward che svolazzano liberi al leggero venticello.

Jake incrocia le braccia al petto e scuote la testa rassegnato, un sorriso divertito a deformargli le labbra piene.

< Non vuol certo dire che accetterà la tua proposta. > Le ricorda, evitando di farle costruire inutili castelli in aria.

< Zia Alice è convinta che, prima o poi, le darà una possibilità e ne sono convinta anch'io. > Sventola una mano, come se stesse scacciando una mosca, liquidando in tal modo la faccenda.

L'eternità è troppo lunga perché suo padre si rassegni a viverla da solo.

< Allora, non sono ancora tornati? > Chiede Esme, guardando alternativamente da Jacob a sua nipote, sorridente come sempre e quell'espressione in viso che persino a Jacob ricorda quella di una mamma amorevole.

< No, nessuna traccia. > Risponde lui, decidendo di bloccare la corsa di Renéesme, afferrandola per la vita prima che si allontani di nuovo, facendola ridere. Non prova a divincolarsi dalla sua stretta, conscia che potrebbe, e rimane accoccolata contro il suo petto caldo, accarezzandogli i capelli corti con una mano.

< Sono cresciuti ancora. > Nota, guardandolo negli occhi.

< Non mi trasformo più così spesso. > Si giustifica, facendo spallucce prima di baciarla leggero e prima che Esme avverta il profumo di Audry, emettendo un urletto eccitato degno di Alice.

La macchina di Edward si ferma esattamente di fronte al portico ed Audry ne esce poco dopo, senza aspettare che sia lui ad aprirle la portiera, ritrovandosi di fronte i volti eccitati di due vampiri e di un ragazzo, lo stesso che ha visto nel suo primo sogno, quello sulla spiaggia. Anche la ragazza è la stessa.

< Tutto bene? > Le domanda Edward, stringendole un braccio con premura, gesto che non sfugge a Renéesme che interiormente esulta.

< Sì, bene. > La sua voce flebile ricorda a Nessie quella di Bella. Riusciva a sentirla mentre cresceva dentro di lei, così come riconosceva la voce di suo padre e quella di Jacob.

< Lei è mia figlia, Renéesme, lui è il suo fidanzato, Jacob e lei è... in un certo senso lei è mia madre, Esme. > Sorride, presentandole la sua famiglia, anche se incompleta.

Jacob nota come sia spaurita e imbarazzata mentre allunga la mano per stringerla educatamente a tutti e gli fa tenerezza.

< Tu... tu non sei come loro, vero? > Nota Audry quando avverte la sua presa calda. Se lo aspetta da Renéesme, considerato che è una mezzosangue, come l'ha definita Edward stesso, ma da lui decisamente no.

< Oh no, io sono un licantropo. > Risponde lui gioviale.

< Un... licantropo? > Cerca di sorridere, nervosa, ma quello che le viene fuori è solo un rantolio di puro terrore.

< Non devi avere paura, Jacob è mansueto, se non si tratta di vampiri da uccidere. > La tranquillizza Renéesme con un sorriso aperto e sincero. Audry nota come abbia la stessa sfumatura di rosso tra i capelli di Edward e di come gli occhi, a differenza di Edward ed Esme, siano di un caldo color cioccolato.

< Vampiri da uccidere?!? > Domanda spaesata.

< E' una lunga storia. Entriamo? > Jacob le fa l'occhiolino, stringendosi Nessie al petto e avviandosi verso l'entrata.

Esme li segue, mentre lei ed Edward rimangono appena indietro.

< Sei turbata. Vuoi che ti riaccompagni a casa? > Sebbene non possa leggerle nel pensiero, la sua espressione è piuttosto chiara per Edward e non riesce a non preoccuparsene.

< No, non lo sono. Sono sorpresa e... spaesata, direi, ma sto bene. > Si morde un labbro, tradendo il nervosismo.

< Ti sorprende cosa, esattamente? > Ha bisogno di sapere, adesso che sono soli.

Audry alza gli occhi alla casa, immensa, rivestita di vetrate ed estremamente elegante.

< Voi vivete in una casa vera. > Fa spallucce, come se fosse già tanto di cui rimanere sconvolti.

Osserva Edward aggrottare le sopracciglia e sorridere appena, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

< Insomma, io credevo dormiste in bare, fossati scavati nella terra e cose del genere. > Arrossisce, abbassando lo sguardo e facendolo sorridere di più.

< Solite leggende... > Lo sente mormorare, scuotendo la testa. < Vieni, ti accompagno nella stanza di Renéesme. > Continua, facendole strada.

Se l'esterno è strabiliante, l'interno è assolutamente magnifico per lei, abituata alla sua classica villetta, dal mobilio essenziale.

Lì è tutto estremamente elegante e curato nei minimi particolari.

< E' Esme che si occupa dell'arredamento, le è sempre piaciuto. > La informa lui, osservandola, divertito dalla sua sorpresa e dalla sua curiosità genuina.

< E' incredibile... > La sente mormorare mentre sfiora la ringhiera in ferro battuto delle scale che conducono al piano superiore, quello delle camere da letto.

La precede nella seconda stanza a sinistra, bussando leggermente. Renéesme è già alla scrivania, Jacob le siede accanto e osserva pensieroso la pagina di un libro. Audry, troppo presa dalle novità, quasi non ci fa caso, quasi dimentica il motivo per cui è lì. La stanza è quasi il triplo della sua, con le pareti dipinte di una meravigliosa tonalità pastello e un enorme letto a baldacchino che vi campeggia al centro. La scrivania è accanto alla porta, sormontata da un computer ultimo modello e da un portapenne colorato, senza contare i numerosi libri e quaderni, mentre la parete opposta è interamente occupata da un' enorme porta-finestra che offre la visuale spettacolare della foresta.

Forks è diversa da Seattle, ma, in un certo senso, lei ci si sente comunque a suo agio.

< Avrete bisogno di concentrazione, perciò vi lascio ai vostri studi. > Osserva Edward deliziandola di un meraviglioso sorriso e scomparendo in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.

< Vieni, entra! Accomodati pure, io stavo per andar via. > Jacob le fa segno di occupare la sua sedia, cordiale, mostrandole una fila di denti perfetti e bianchissimi.

< Grazie. > Arrossisce leggermente, prendendo posto e posando le sue cose sulla scrivania.

Il ragazzo saluta Renéesme con un bacio tra i capelli e una carezza dolce e scompare, lasciandole sole.

< Allora, tua zia mi ha detto che hai intenzione di intraprendere la facoltà di Matematica... > Comincia, cercando di rompere quel silenzio imbarazzante.

Gli occhi di Nessie la studiano vispi.

< In verità, non ho nessuna intenzione di andare all'università. > Sorride.

< Ah, no? Allora vuoi approfondire qualche conoscenza per tuo semplice desiderio? > Domanda lecita, sgranando appena gli occhi all'affermazione precedente.

La osserva scuotere la testa e continuare a sorridere.

< Ok... > Tituba. Magari Sarah aveva ragione, doveva rifiutare quell'assurdo incontro e andare ad assistere alle sue prove di ginnastica.

< C'è un motivo se ti ho... convocata e, mi dispiace comunicartelo, ma no, non è la matematica che mi interessa. > Le spiega Nessie pacata.

< Presumo che mio padre non ti abbia detto che mia madre è morta dandomi alla luce. > Continua, un velo di malinconia che si posa sulle sue iridi castane.

Audry scuote appena la testa, stordita.

< Io non sono come te, non sono umana al cento per cento, ma non sono nemmeno come mio padre; sono una via di mezzo, un ibrido, per così dire. Cresco più velocemente di ogni altro essere vivente e tra qualche anno la mia crescita cesserà ed io rimarrò un'eterna diciassettenne proprio come mio padre. Ho quasi cinque anni, ma ne dimostro sedici. > Spiega veloce, convinta che lei sappia già qualcosa sulla sua natura.

Audry annuisce, anche se in realtà, l'unica cosa che vorrebbe fare è andar via, inventare una scusa e tornare a casa.

< Comunque, non è questo il punto. Mia madre era tutto per mio padre, la sua unica ragione di vita e posso comprenderlo, perché non riuscirei ad immaginare le mie giornate senza Jacob accanto, ma non voglio che si crogioli nell'autocommiserazione. E' già successo in passato ed io e il resto della famiglia vogliamo soltanto che sia felice e che non trascorra l'eternità da solo. E' qui che entri in gioco tu. > Osserva la sua reazione, sperando che accetti la sua proposta.

< Cosa dovrei fare? > Riesce a chiedere flebile e impaurita.

< Ti ho vista nei miei sogni e so che saresti la compagna perfetta per lui. > Termina.

< C-compagna?!? Vuoi dire che io e lui dovremmo... insomma, vorresti combinare un matrimonio? > Quasi urla, scattando in piedi.

< Non un matrimonio, no! Credo solo che, se imparaste a conoscervi, potreste stare bene insieme, tutto qui. > Fa spallucce, calmandola e convincendola a prendere nuovamente posto sulla sedia.

< Insomma mi hai convocata qui per propormi un contratto... > E' furiosa. Lei neanche li conosce e questa... ragazzina si permette di combinarle un appuntamento con il padre, quasi fosse normale. Può anche accettare le loro nature, ma non di certo le loro imposizioni.

< Credimi, non voglio importi nulla, Audry. Sarai libera di fare ciò che vorrai, quello che ti chiedo è di sforzarti di conoscere mio padre, di farlo sentire meno solo, tutto qui. Mi ricordi così tanto mia madre che... > Renéesme abbassa lo sguardo, preda delle lacrime ed Audry si sente improvvisamente in colpa. Lei, meglio di chiunque altro, sa cosa significa essere soli, crescere senza poter gioire con i tuoi genitori delle tue piccole vittorie nel mondo dei grandi.

Le poggia una mano sui capelli morbidi e setosi, cominciando ad accarezzarli per confortarla.

< Mi spiace. So cosa vuol dire, ma non credo che il tuo sia un buon piano. Io non sono come voi. Faccio ancora fatica a credere a tutto questo! E magari tuo padre non ha bisogno di una compagna, magari vuole rimanere da solo. In fondo, ha te. > Risponde gentile, sentendosi una bugiarda. L'ha visto anche nei suoi sogni quanto Edward fosse solo e triste.

< Anche mia madre era un'umana, sai? Era contenta di me, era felice di aspettare un bambino da mio padre ed era così... amorevole nei miei confronti... > Balbetta tra i singhiozzi, in difficoltà.

< Non sono la persona giusta, Renéesme, lo sai anche tu. Stai cercando di convincerti che obbligare tuo padre a ricostruirsi una vita, sia qualcosa che gli devi, ma la morte di tua madre non è colpa tua, credimi. I miei genitori sono morti qualche anno fa, in un incidente stradale. Da allora mia zia si occupa di me. Ho sempre creduto di essere un impedimento per lei, qualcosa che non le permettesse di farsi una famiglia, di sposarsi, ma è stata una sua scelta quella di occuparsi di me e lei è felice così. > Spiega. Ha come la sensazione che debba darle qualcosa in cambio delle sue confidenze. Renéesme soffre come ha sofferto lei. Crede che la morte di sua madre sia colpa sua, che suo padre abbia dovuto rinunciare all'amore della sua vita, per lei, lei che non può dargli niente in cambio della sua tristezza e della sua solitudine, che non può alleviare.

< Mio padre non è felice, lo sanno tutti. Fa finta di esserlo, ma io lo sento quando si rinchiude nella sua stanza e ascolta Debussy fino a notte fonda, perché è l'unica musica che gliela ricorda, o quando passa ore al pianoforte a suonare la sua ninnananna. > Tira su col naso, sforzandosi di smettere di apparire debole.

Audry abbassa gli occhi, triste. Non può aiutarla, sa che non può. Edward è bellissimo, attraente e le scatena emozioni nuove ed elettrizzanti, ma non può prenderlo in giro. Lei non vuole impegnarsi, né con Michael, né tanto meno con Edward. Non può aiutarla.

< Mi dispiace. > Le mormora prima di alzarsi e allontanarsi.

Deve tornare a casa.

Deve tornare alla normalità e riordinare le idee.

Deve stare lontano da quella casa.

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Capitolo 8
*** Open Window ***


Salve!

Che ritardo imperdonabile, me ne rendo conto ç.ç

Questa Ff per me è molto difficile da scrivere, specialmente perché mi tocca entrare nella testa di più personaggi contemporaneamente e riuscire, allo stesso tempo, a non stravolgere il bellissimo mondo creato dalla Meyer, perciò devo essere super concentrata per scrivere e spesso e volentieri, questo non succede. Se poi ci aggiungiamo anche lo studio... beh, ne viene fuori un bel garbuglio...

Passando a questo capitolo, la motivazione per cui Audry non vuole impegnarsi con nessun ragazzo sta cominciando a venir fuori, ma sarà totalmente chiara nei prossimi capitoli.

Ringrazio tutti coloro che hanno commentato, letto e inserito tra le preferite/da seguire *.*

Spero di riuscire ad aggiornare sabato prossimo, ma, in ogni caso, vi terrò aggiornate sul mio profilo autore di Facebook ^^

Ne approfitto per augurarvi un buon week-end <3

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry non riesce a smettere di pensare alle lacrime appena accennate di Renéesme mentre Edward la sta riaccompagnando a casa.

Non ha fatto domande quando l’ha vista comparire in salotto, dove lui stava leggendo un libro, e l’ha sentita mormorare un flebile puoi riaccompagnarmi a casa?, quasi si vergognasse.

Ha fatto cenno di sì con la testa e ha chiuso il libro, posandolo sul bracciolo del divano e precedendola fuori, fino alla Volvo metallizzata; ed ora erano a nemmeno dieci centimetri di distanza e non riuscivano a parlarsi, perché lei aveva distolto lo sguardo dalla sua mano sul cambio che si muoveva veloce quando ce n’era bisogno, e aveva preso ad osservare il vetro del finestrino con un certo interesse. Non poteva dire certo che stava osservando il bosco, perché quello sguardo vacuo l’aveva visto tante volte anche a Bella, quand’era confusa, spaventata e voleva essere lasciata in pace.

Lui, d’altronde, non prova nemmeno a rompere il ghiaccio e si limita ad osservarla, di tanto in tanto, con un piccolo sorriso fugace. Non dovrebbe ridere, anche perché sa quello che Renéesme le ha detto, ma non riesce a farne a meno. Il pensiero che, se solo avesse voluto, avrebbe anche potuto prendere in considerazione l’idea di corteggiarla, lo stuzzica e lo fa sentire euforico come non mai, come neanche con Bella è mai riuscito ad essere, troppo preoccupato per la sua incolumità. Non che Audry non sia fragile, ma saprebbe controllarsi.

< Mia figlia ti ha… spaventata? > Le chiede alla fine, lanciandole un’occhiata attenta e facendola sussultare sul sedile. E’ stanco di quel silenzio.

< Beh, ecco… lei vuole che… > La vede arrossire e abbassare gli occhi.

< So cosa vuole, ecco perché ti ho chiesto se ti avesse spaventata la sua richiesta. > Le va in aiuto con un sorriso dolce.

< Tu sapevi che non aveva intenzione di prendere lezioni di matematica? > Lo stupore la costringe a spalancare gli occhi.

Edward annuisce mesto e torna con gli occhi alla strada.

< Avresti dovuto dirmelo! Perché hai voluto incontrarmi all’università? > Teme di essere dura, ma non le importa, perché l’unica cosa che percepisce è l’essere stata utilizzata come un oggetto, per un altro scopo.

< Volevo che conoscessi la nostra natura prima di incontrare mia figlia. Non ci nutriamo di sangue umano, ma non per questo non continuiamo ad essere le creature più pericolose. > Fa una smorfia, cercando di reprimere il ribrezzo che prova per se stesso, un ribrezzo che è tornato a fargli compagnia subito dopo la scomparsa di Bella.

< Non sapevo di tua… moglie. Mi dispiace. > Il suo tono si addolcisce e, per la prima volta, Edward capisce che quel mi dispiace appena sussurrato è quanto di più vero e sentito abbia mai ascoltato tra tutti coloro che hanno provato a consolarlo. Lei sa cosa prova.

< Hai perso anche tu qualcuno a cui tenevi, vero? > E quella domanda Audry la percepisce come un grazie, so che non lo dici solo per farmi stare meglio.

Annuisce, puntando lo sguardo oltre il finestrino.

< I miei genitori. Qualche anno fa. > Risponde, una traccia di malinconia nel tono di voce caldo.

Edward ne rimane sorpreso, anche se non lo dà a vedere. La scruta mentre Audry cerca inutilmente di trattenere le lacrime: è sempre così. Quando glielo chiedono riesce a far finta di niente per un po’, ma se solo ci ripensa non riesce a trattenersi ed esplode.

< Mi dispiace, è una cosa terribile. > La mano sul cambio si sposta a cercare la sua che tiene ancorata al sedile, solleticandola appena con i polpastrelli. Lui ricorda solo che sua madre è morta di spagnola e che stava per morirne anche lui prima che Carlisle lo salvasse, trasformandolo in un vampiro. Suo padre non lo ricorda.

< Lo so. Grazie. > La sua mano si irrigidisce naturalmente, senza che lei possa evitarlo: quel tocco freddo, marmoreo, le provoca sensazioni strane che dovrebbe dimenticare.

< Tua moglie era umana, come mai? > Chiede intimorita, mentre osserva le sue dita spostarsi nuovamente sul cambio.

Lo osserva distogliere lo sguardo in fretta, puntandolo sulla strada. Respira profondamente, quasi dovesse trovare il coraggio per parlarne.

< Non volevo saperne di trasformarla, ma lei era così… testarda e incredibilmente ostinata. Le avevo proposto un compromesso: avrebbe dovuto sposarmi per ottenere l’immortalità. E’ rimasta incinta durante la nostra luna di miele e… la vedevo soffrire, la vedevo convincermi che non c’era niente di sbagliato nel mettere al mondo una creatura frutta del nostro amore; la osservavo stringere i denti quando un leggero movimento del feto, per lei era come una coltellata e la vedevo sorridere, nonostante tutto. Mio padre avrebbe potuto liberarla da tutta quella sofferenza. Semplicemente lei non ha voluto, ha scelto di morire ed io non ho potuto nulla per aiutarla. > Stringe le mani intorno al volante, l’intenzione di spezzarlo e di sentire la consistenza della plastica e del cuoio, ma si ricorda che Audry è con lui, che non è solo e che rischierebbe di spaventarla e allora si trattiene, rilassa i muscoli delle spalle e del viso e sbatte le palpebre un paio di volte velocemente per riprendere il controllo.

Sembrava così difficile raccontarlo a qualcuno, sembrava una sofferenza incredibile.

< Tua moglie ti amava, ne sono certa, ecco perché rifiutava di separarsi da qualcosa che potesse, in qualunque modo, rappresentarti, essere simile a te. > Afferma. Quando si ama una persona alla follia si è disposti a qualsiasi cosa e lei lo sa bene.

< Non studiavi matematica? > Sorride, facendole intendere che è soltanto una battuta e che non vuole offenderla in alcun modo.

< Sì, dovrei limitarmi al mio campo di conoscenza, in effetti, ma conosco bene quello che si prova. > Ricambia il sorriso, rendendosi a malapena conto di essere arrivata a casa.

Si slaccia la cintura di sicurezza, recuperando le sue cose e portando una mano alla maniglia della portiera per aprirla.

< Grazie per avermi accompagnata. > Sorride al suo indirizzo, accorgendosi della luce accesa in cucina, segno che sua zia è già rientrata e che sta sicuramente preparando la cena.

< E’ stato un vero piacere. > La scruta con attenzione e lei, indecisa, mormora appena un saluto e apre definitivamente la portiera, portando un piede sull’asfalto, lo sguardo già rivolto verso la sua abitazione, prima di venir fermata da una mano di lui che si chiude prontamente intorno al suo polso.

Audry si volta, incerta e imbarazzata per quel contatto inatteso. Attende una giustificazione.

< Mi spiace averti mentito, all’inizio. > Dichiara, schiarendosi appena la voce, anche se non ne ha bisogno.

< Non importa, Renéesme è pur sempre tua figlia, non hai saputo dirle di no ed è comprensibile. > Lo tranquillizza con un’occhiata dolce ed accondiscendente.

< Spero di rivederti presto. > Le lascia il polso, mentre lei rimane un attimo a pensare a quella frase.

Quando decide che è meglio non pensarci e abbandonare la compagnia rassicurante di Edward, scende dalla Volvo e chiude la portiera, avviandosi lungo il vialetto di ghiaia, rovistando nelle tasche alla ricerca dello zaino.

Lui la osserva, fin quando non la vede infilare la chiave nella serratura e sorridere, annunciando che è tornata. Non sa neanche lui cosa gli sia preso, cosa si sia scatenato in lui per fargli mormorare quell’ultima frase.

Dovrebbe stare lontano da lei, smettere di pensarci e smettere di essere ossessionato dalla sua vita.

 

< Sono a casa! > Alza la voce Audry per farsi sentire. Le prime cose che colpiscono i suoi sensi sono lo scrosciare dell’acqua nel lavandino e la radio accesa su una frequenza pop, la musica preferita di sua zia.

< Sono in cucina! > Le risponde Jenna e lei quasi se la immagina afferrare lo strofinaccio e asciugarsi le mani, muovendosi in sincrono con il ritmo della canzone.

Audry la raggiunge, abbandonando le sue carte sul mobile dell’ingresso e liberandosi del cappotto, un sorriso sereno sul volto.

< Come è andata la lezione di recupero? > Le domanda la zia mentre lei le sfiora una guancia con un bacio. Può riferirsi soltanto ad Edward e a sua figlia.

< Bene! La ragazza voleva solo qualche chiarimento in merito ad algoritmi e funzioni, niente di troppo complesso. > Fa spallucce, afferrando una carota dalla ciotola e cominciando a masticarla con noncuranza.

< Ti ha riaccompagnata un ragazzo, Audry, ti ho vista. > Sa che non è un rimprovero. Sua zia non conosce quella parola.

< E’ il padre della ragazza. > Arrossisce e si maledice in tutte le lingue che conosce mentre si rende conto che alla zia, quel particolare, non può passare inosservato.

< Un ragazzo-padre? > Domanda scettica, mescolando il minestrone in pentola con attenzione.

< Già. > Asserisce con rassegnazione.

< E la sua fidanzata? > Non si ricordava che sua zia potesse essere così impicciona.

< E’ morta in un incidente stradale. > Inventa sul momento. Non che sia impossibile morire di parto, ma è la prima cosa che le viene in mente.

< Oh. Terribile. > Audry nota come i suoi occhi si intristiscono a quella risposta e non può fare a meno di riportare alla mente anche i suoi genitori per quella che è, ormai, la terza volta in meno di ventiquattro ore.

< Beh, comunque Edward è un padre in gamba e sua figlia è adorabile. > Commenta, decidendo di cambiare argomento.

< Siamo passati già al nome, dopo un solo incontro? > Occhieggia maliziosa nella sua direzione, facendola arrossire ancora di più.

< Zia! > Borbotta contrariata.

< Scherzavo! E’ un bel ragazzo? > Jenna è d’ottimo umore per smettere di chiedere e Audry è fin troppo attenta a non mancarle di rispetto e a non farla preoccupare per poter anche solo rifiutarsi di saziare la sua curiosità.

< Fin troppo, direi. > Ammette con un sospiro di rassegnazione, giocherellando con un tovagliolo.

< Avete già stabilito il prossimo appuntamento? > Le si avvicina con una ciotola di minestrone caldo.

< Devo ricordarti che non siamo usciti insieme? > Le fa presente, assaggiando.

< Intendevo per le lezioni, Audry. > Sorride, confermando il suo sospetto: sua nipote ha appena provato l’emozione di un colpo di fulmine. La vede arrossire e le fa tenerezza.

< Non ha bisogno di altri approfondimenti, perciò mi è sembrato opportuno non insistere per altre lezioni. > Chiarisce. < E poi abita a Forks. > Conclude, come se fosse dall’altra parte del mondo.

< Lui ti piace, non è così? > Le sistema i capelli dietro le orecchie.

< No! E’ un bel ragazzo, tutto qui, ne saresti attratta anche tu! > Sbotta. E’ così evidente, dopo un solo incontro?

< D’accordo, non voglio insistere. Devo aggiungerci altro sale al minestrone? > Si arrende, alzando le mani e dirigendosi nuovamente ai fornelli.

 

< Allora, come è andata questa fantomatica lezione? > Sarah ha un tono di voce sarcastico mentre mastica una fetta di pane spalmata di burro d'arachidi. La ginnastica le mette sempre fame.

< Bene, niente di eclatante; aveva bisogno di un paio di chiarimenti. > Audry continua a scarabocchiare forme indistinte sul foglio di carta che ha recuperato dalla scrivania della sua stanza prima di telefonare a Sarah per sapere come fossero andati gli allenamenti. Anche lei aveva frequentato la palestra, un tempo. Suo padre aveva sempre insistito sul fatto che lo sport era importante per mantenersi sani e in forma ed era riuscito a convincere Audry che sarebbe potuta diventare un'ottima ginnasta se si fosse impegnata. Dopo l'incidente, aveva smesso di frequentare quel luogo, ad eccezione delle volte in cui Sarah la invitava ad assistere ai suoi allenamenti o alle sue gare; in fondo, glielo doveva e anche se spesso era stata travolta dai ricordi nell'entrare nella struttura in cui aveva speso gran parte delle sue giornate libere dallo studio, si imponeva di non pensarci e riusciva persino ad assistere ad una competizione intera senza sentire il bisogno di scappare.

< E questo Edward, com'è? Avete parlato? > Le domanda ancora. In fondo, non è mica colpa sua se la sua migliore amica non ha potuto partecipare ai suoi allenamenti. Dovrebbe smetterla di essere così suscettibile.

< Non molto. Mi ha riaccompagnata a casa e... non so, ha detto che spera di vedermi presto, anche se sua figlia non ha più bisogno di me. > Dichiara, ripensando al tono di voce sensuale e caldo del ragazzo. Lei vive a Seattle e lui a Forks, dove spera di incontrarla ancora?

< Attiri soggetti di sesso maschile come i fiori attirano le api. > Ride appena, contagiandola. Sarah sa bene che Audry è una bellissima ragazza, intelligente, piena di potenzialità, dolce, comprensiva ed estremamente sensibile, così come sa che meriterebbe un ragazzo capace di farla sentire protetta e al sicuro e che le lasci continuare a coltivare le sue passioni, tra cui la matematica e lo studio.

< Non scherzare, non ho nessuna voglia di attirare ragazzi, lo sai. > Borbotta.

< Lo so, infatti non te ne stavo facendo una colpa, anzi! Dovresti approfittarne per divertirti e rilassarti. > Le consiglia, stendendosi a pancia in su sul letto e osservando il soffitto decorato di stelline fosforescenti.

Audry sospira, esasperata.

< Credi che Michael voglia solo divertirsi? > Chiede sarcastica.

< Sono due anni che cerca di attirare la tua attenzione; non credo voglia divertirsi, ma non credo nemmeno che si lamenterebbe se gli paventassi questa tua condizione. > Dichiara, facendo spallucce, anche se, ovviamente, Audry non può vederla.

< Non ho voglia di divertirmi e di utilizzarlo come un giocattolo. > Risponde chiara. Quante volte dovrà ripeterle che non intende intraprendere una relazione?

< Stai ancora aspettando il tuo bel principe azzurro su un cavallo bianco che ti porti a visitare il suo castello incantato? No, perché in questo caso sarebbe tutto più chiaro. Per quale motivo ti rifiuti di avere una relazione con chicchessia? > Quasi urla e nemmeno si preoccupa di abbassare la voce. Odia quando Audry si nasconde nel suo guscio di insicurezze, facendo finta che non le importa.

Conosce le conseguenze che la rottura con James le hanno provocato, ma non potrà punirsi per sempre per qualcosa di cui non ha colpa e non può far finta che vada tutto bene, che sta bene da sola e che non ha bisogno di una presenza maschile al suo fianco che la aiuti a superare i momenti difficili.

< Lo sai. > Quasi strappa il foglio tanta è l'intensità con cui preme la penna per disegnare.

< Vuoi impedirti di vivere allora? E' questo che vuoi? Perché non l'hai seguito, perché non l'hai implorato di portarti con sé? > Non vuole rimproverarla, vuole soltanto aprirle gli occhi.

< Credi che non l'abbia fatto? Credi che me ne sia stata con le mani in mano ad osservarlo mentre riempiva le valigie? > Urla anche Audry, mentre le lacrime le cominciano a rigare le guance e la penna le sfugge di mano, rotolando sulla scrivania e fermandosi contro il portapenne viola.

< Devi smetterla di punirti, Audry, lo sai. Non hai colpe e se ha deciso di andarsene non è stato certo per causa tua. > Addolcisce la voce perché odia sentirla piangere e disperarsi. Sa che ha lottato per mesi prima di riuscire a riacquistare una serenità apparente, anche se estremamente labile.

< E' colpa mia, invece. Quando i miei genitori sono morti non facevo altro che starmene a letto tutto il giorno, rifiutandomi di uscire, di mangiare, di parlare e di dormire. Ero diventata un automa e lui non mi sopportava, non sopportava di vedermi triste, stanca e piena di paure; preferiva uscire con gli amici e lasciarmi sola. > Singhiozza afflitta. Nonostante tutto il tempo passato, le parole rassicuranti di sua zia, che continuava a ripeterle che tutto si sarebbe sistemato, che avrebbe cominciato una nuova vita con lei, la ferita brucia ancora, come se ci avesse premuto sopra del sale.

< Non sono tutti come lui, devi convincertene e poi adesso sei più forte, hai ripreso in mano la tua vita, hai ricominciato a studiare, ad uscire e ad essere la Audry di un tempo. E' questo l'importante e se lui non ha deciso di esserti accanto, beh, peggio per lui, perché ha perso una persona splendida. Audry, sono tua amica e sai che non ti farei mai del male; se ti consiglio di frequentare dei ragazzi, se ti sprono a concedere una possibilità a Michael, è perché voglio vederti felice. Non posso garantirti che non soffrirai, che non ci saranno momenti difficili, ma ci saranno anche momenti in cui ti sembrerà di toccare il cielo con un dito, in cui non avrai voglia di fare altro se non sorridere e, credimi, dovesse durare anche solo un giorno, ne varrebbe comunque la pena. > Vuole solo aiutarla, non forzarla. Audry lo sa e non è arrabbiata con lei, ma è difficile credere che tutto tornerà come prima, che riuscirà ad essere pienamente felice, senza la paura di svegliarsi la mattina e rendersi conto che è stato tutto un sogno. Ne morirebbe, ne è sicura, perché gli incubi non sono mai scomparsi del tutto e potrebbero ripresentarsi, senza preavviso.

Si asciuga le lacrime con il dorso di una mano, sforzandosi per trattenere i singhiozzi, poi tira su col naso e respira profondamente.

< Lo so, Sarah e ti ringrazio per il tuo sostegno. > Ammette con voce sottile. Ripensa alle parole di Renéesme, alla sua richiesta di approfondire la conoscenza con suo padre per tentare di capire se fossero fatti l'uno per l'altra. Dovrebbe parlarne con Sarah? Rivelarle quel piccolo particolare? Scuote la testa, rendendosi conto che sta pensando a lui come ad un possibile fidanzato, quando non potrebbero essere più diversi: lei umana e lui un vampiro, probabilmente centenario, che si nutre di sangue e che potrebbe anche decidere di ucciderla. Niente di più diverso e incompatibile.

< Allora ci penserai? > Sente la voce di Sarah, dolce e comprensiva e sorride appena.

< Lo prometto. > Dichiara, conscia che avrebbe dovuto lottare contro le resistenze della sua mente testarda e orgogliosa.

Abbandona il cellulare sulla scrivania e decide di prepararsi per la notte, svestendosi con calma e ripiegando con cura i jeans e il maglione, sistemandoli sulla sedia accanto all'armadio.

Una dormita l'aiuterà a rimettere ordine tra le sue idee e a fare chiarezza tra le sue decisioni.

Sta per infilarsi il suo solito pigiama caldo, quando avverte una presenza nella stanza e, immaginando possa essere sua zia, entrata silenziosamente come suo solito, si prepara psicologicamente per un'altra delle sue confessioni, quando, girandosi, si rende conto che quella che ha appena fatto irruzione nella sua stanza non è sua zia, ma Edward, l'espressione corrucciata e preoccupata.

Istintivamente Audry si porta al petto il pigiama, nel tentativo blando di coprirsi e arrossisce.

< Come sei entrato? > Riesce a domandargli in un mormorio appena udibile.

< Hai lasciato la finestra aperta. > E gliela indica. Audry segue il suo sguardo e nota che ha ragione, ha lasciato la finestra aperta, troppo presa dalle sue elucubrazioni mentali per rendersi conto che avrebbe anche potuto ammalarsi con tutto quel vento.

< Cosa ci fai qui? > Domanda allora, infilandosi la maglia e poi il pantalone, muovendosi per chiudere l'infisso e sedersi sul letto.

< Ti ho vista piangere e ho pensato che ci fosse qualcosa che non andava, così ho approfittato della tua distrazione e sono entrato. > Risponde, socchiudendo appena le palpebre, forse nel tentativo di studiare il suo viso.

< Mi stavi spiando? > E' allarmata, ma non riesce a spaventarsi, nonostante tutto. Edward emana sicurezza, anche se è un vampiro.

Lo vede fare spallucce e sedersi accanto a lei. Il suo profumo dolce lo investe in pieno, costringendolo a trattenere appena il respiro e a non pensare a quanto dev'essere buono il suo sangue.

< Avresti potuto bussare ed entrare dalla porta, come qualsiasi altro. > Affermò, studiando il suo profilo.

< Tua zia non sta ancora dormendo e ho come l'impressione che mi abbia visto quando ti ho riaccompagnata a casa. > Più che un'impressione è una sicurezza.

< Lo ha detto anche a me. > Sospira lei, fissandosi le ginocchia come se fossero la cosa più interessante del mondo.

< Stai bene? > Si sente estremamente impacciato a rivolgerle una domanda del genere, strettamente personale e intima, ma qualcosa lo spinge verso di lei e non è sicuro sia solo il sangue, o il suo profumo. Non può leggerle la mente, ma ha capito che Audry ha un'anima buona e gentile, disposta a sacrificarsi per la felicità degli altri, è tutto quello che anche lui ha sempre anelato ad essere e si sente in dovere di prestarle attenzione e di proteggerla, conoscerla.

La osserva fare spallucce e rannicchiare le gambe al petto, poggiando la schiena contro il muro freddo, lo sguardo fisso nel vuoto.

< Sì, bene. > Anche se sanno entrambi che è una bugia.

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Capitolo 9
*** Five questions ***


Salve!

Oggi sono letteralmente morta di sonno, quindi non chiedetemi come ho fatto a scrivere questo capitolo, perché non lo so nemmeno io, indi per cui, senza neanche rileggerlo, lo posto ^^

Ho notato che ci sono state parecchie visite (103), ma nessuna recensione ç.ç la Ff non vi piace più, o il caldo vi ha fatti impigrire? Non sono una di quelle ragazze che cerca recensioni a tutti i costi, anche perché sono fermamente convinta che chi recensisce, debba farlo quando ne ha voglia e quando ha il tempo di farlo, ma questa è la mia prima Ff nel fandom Twilight e sono tutti personaggi di cui non sono solita scrivere, perché per me rappresentano la perfezione così come zia Steph li ha creati, quindi per continuare a postare avrei bisogno del vostro sostegno.

Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate della storia, sono qui ^^ (accetto anche critiche, ovviamente!)

Ringrazio comunque chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/da ricordare e chi ha letto soltanto <3

Detto ciò, vi lascio alla lettura e spero, come sempre, di poter aggiornare tra una settimana!

 

 

Buona lettura e buon fine settimana! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Vuoi parlarne? > Le chiede ancora, sfilandosi le scarpe con attenzione ed imitando la sua posizione.

Ad Audry non sembra infastidire quell'improvviso guadagno di audacia e intimità.

Sospira e una lacrima le scivola lungo la guancia, fino al mento ed Edward ne segue il percorso ipnotizzato dai riflessi che quella goccia salata riesce a carpire attraverso la sua pelle, leggermente illuminata dai raggi della luna.

< E' successo tanto tempo fa e ormai non ha più importanza. > Risponde con difficoltà, sentendosi minacciata dal sopraggiungere dei singhiozzi e della debolezza, la stessa che la invade sempre quando qualcuno le chiede di parlare di James e della loro storia.

< Stai piangendo e le lacrime non si versano se non per qualcosa di importante. > Le scosta una ciocca di capelli dalla guancia e gliela sistema dietro un orecchio.

Le sue dita fredde sfiorano appena la sua pelle calda, ma i brividi li avvertono entrambi ed Edward pensa che non è affatto tenuto a sapere tutto della vita di questa ragazza, non deve perché finirebbe per diventare importante, finirebbe per assumere un altro significato per lui e non può permettere che un'altra giovane, bellissima e fragile umana si innamori di lui; è troppo rischioso e la posta in gioco sarebbe troppo alta.

< Lo amavi molto? > Si ostina a chiedere e non sa neanche lui il perché. E' evidente che Audry non ha voglia di parlare, è evidente che non ha intenzione di confidarsi con lui, ma gli manca la sua voce e gli mancano i suoi occhi che lei mantiene costantemente bassi, fissi nella contemplazione di un punto troppo lontano persino per essere identificato. Ha ascoltato parte della conversazione a telefono di poco prima e ha capito il minimo indispensabile. Vorrebbe conoscere di più di quella storia, vorrebbe approfondire i suoi sentimenti al riguardo, ma Audry è chiusa nel suo mutismo e sembra non avere nessuna intenzione di cedere.

< Vuoi che vada via? > Le domanda allora, conscio che annuirà e che dovrà andarsene, accontentandosi di spiarla dalla finestra per assicurarsi che dormi serena.

< No! > Esclama, alzando il viso di scatto nella sua direzione e arrossendo l'istante successivo.

Gli sfugge un sorriso e torna a rilassarsi contro il muro.

Attende con pazienza che rimetta ordine nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti e nel frattempo si ritrova a pensare che con Bella non si è mai comportato così: sì, le ha fatto spesso compagnia durante la notte a sua insaputa, ha cercato di interpretare i suoi mugugni dettati dal sonno e ha sorriso quando le ha letto sulle labbra il suo nome, ma aveva speso più tempo affinché lei si abituasse alla sua presenza e lui al suo odore dolce e non l'avrebbe mai messa in pericolo, entrandole dentro casa mentre lei si stava cambiando, rischiando di spaventarla e di sentire i battiti del suo cuore accelerare all'improvviso.

Con Audry non esistevano le mezze misure: voleva conoscerla, sapere ogni dettaglio della sua vita, la sua infanzia, i suoi genitori, sua zia, le sue abitudini e passioni e, sebbene sia consapevole dei rischi ai quali la sta esponendo, non riesce a privarsi del suo profumo e del suono delicato della sua voce.

< Credevo che ci saremmo sposati, un giorno. > Sente la sua voce e si volta nella sua direzione, curioso. Audry ha un sorriso malinconico dipinto sulle labbra rosso ciliegia.

< Credevo fossimo perfetti insieme. In fondo, tutti non facevano altro che ripetercelo ed era diventato anche piuttosto frustante dover eguagliare le aspettative, ma eravamo andati avanti. Quando sono morti i miei genitori, si è offerto di farmi compagnia per un po', almeno fino all'arrivo di mia zia ed io ho accettato, pensando che un po' di compagnia mi avrebbe distratta dai pensieri. Non ero riuscita a superare così in fretta il dolore come mi aspettavo: avevo trascorso giorni interi a letto a piangere, rifiutandomi di mangiare, di parlare, di permettere che qualcuno mi alleviasse la pena e lui si è semplicemente stancato di me. Ha detto che non potevo continuare la mia vita in quello stato, che disperarmi non sarebbe servito a riportare indietro i miei cari ed io lo sapevo, ne ero cosciente, ma avevo bisogno di tempo. Tempo che lui non mi ha concesso. Ha radunato le sue cose ed è semplicemente andato via tra le mie urla di disperazione. Non avrei sopportato un altro abbandono, ma a lui non importava. > Si asciuga le lacrime con il dorso della mano, tirando su col naso e cercando di regolare il respiro per calmarsi.

< Ha avuto paura. Non sapeva come aiutarti. > Prova a ribadire lui, cercando in qualche modo di difenderlo.

Audry lo osserva con gli occhi rossi e gonfi di pianto e si chiede se anche lui si sarebbe comportato nello stesso modo, oppure avrebbe fatto di tutto per starle vicino.

< Non avevo bisogno di essere lasciata sola. Avrebbe dovuto sapere che non mi serviva un altro addio. > Risponde sicura e gelida.

< Non vi siete più sentiti? > Le domanda gentile.

< Ha provato a telefonarmi prima che mi trasferissi qui con mia zia, ma appena ho riconosciuto la sua voce ho attaccato. > Fa spallucce.

< E adesso hai paura che qualcun altro ti faccia soffrire... > Termina per lei con un sorriso comprensivo.

Edward é decisamente più attraente di Michael, sotto tutti i punti di vista. Aveva uno sguardo ferito e triste che avrebbe potuto riconoscere come proprio e in più é gentile e premuroso.

Ed è un vampiro. Le ricorda la sua coscienza.

Ed è un vampiro, si costringe a riconoscere.

< Tu non lo faresti. > La sua lingua pronuncia quelle parole prima che il suo cervello ritorni abbastanza lucido da poter evitarlo.

Il suo sorriso sghembo la fa arrossire e le manda in tumulto il cuore. Chissà se lui può sentirlo rimbombare all'interno della sua cassa toracica.

< Credi che non ti abbandonerei? Credi che non ti lascerei andare, se fosse per il tuo bene? > Si era pentito di aver abbandonato Bella, le sue parole erano state un'incredibile prova di coraggio per lui, ma l'avrebbe rifatto se necessario.

< Ci riusciresti? > Sussurra con sorpresa.

< Perché non dovrei. > Risponde con gelida e calcolata sicurezza.

< E' facile per noi della nostra specie attrarre gli umani: tutto di noi li attira. Possiamo catturarli con facilità, divertirci e poi sbarazzarcene, non sarebbe difficile. > Spiega, avvicinandosi al suo viso.

Nota come lei trattenga il respiro, mentre il battito del suo cuore si fa sempre più debole, rallenta inesorabilmente.

< Ti sei dimenticata di respirare, Audry. > Le mormora ad un centimetro dalle sue labbra, lasciandola disorientata e confusa.

Audry si rende conto che ha ragione, respira e cerca di far tornare lucida la mente, anche se vorrebbe solo rifugiarsi sotto le coperte e dormire per far scomparire la stanchezza.

< Tu non sei in grado di fare del male. > E' una convinzione e poi, lei non ha paura.

< Ne ho fatto in passato. > Il suo sguardo è serio, gli occhi color miele esprimono tristezza e pentimento.

< Tutti sbagliamo, è quello che sei adesso, quello che sei diventato che conta. > Se avesse potuto, anche lei avrebbe fatto a meno di tutte quelle sottigliezze del suo carattere che, spesso e volentieri, avevano fatto infuriare i suoi genitori; se avesse saputo, non si sarebbe risparmiata nelle sue dimostrazioni d'affetto.

< Parli come lei, sai? > E non c'è bisogno che lo dica, perché Audry sa che si riferisce a sua moglie. < Anche lei diceva che non potevo essere un mostro, che non contava quante persone avessi ucciso nei secoli passati. La mia vera anima risiedeva in quello che ero capace di donare a chi mi stava intorno, alla mia forza di volontà, che mi aveva permesso di cambiare strada. > Quante volte se l'era ripetuto nei momenti di sconforto? Quante volte aveva rivisitato quella scena nella sua mente, quando Bella lo guardava dritto negli occhi e gli faceva capire con un solo sguardo che non avrebbe potuto amarlo se fosse stato diverso?

< Aveva ragione, è così. > Afferma Audry. Le lacrime si sono asciugate e lei non ha più voglia di piangere.

Lo osserva in silenzio ed è come se lui volesse liberarsi di qualcosa, di un peso troppo grande, solo che non ha i mezzi giusti, gli mancano le parole e non pensa sia il caso. Lo sa, perché è quello che provava anche lei tutte le volte che Sarah le diceva che se aveva bisogno di lei, ci sarebbe stata, nella buona e nella cattiva sorte, alle tre del pomeriggio come alle tre di notte.

< Vuoi parlarne? > Imita la domanda che le ha rivolto poco prima, ma non ottiene risposta.

Edward è immobile come una bellissima statua in esposizione, di fredda, dura e solida roccia. Dentro, però, sta sanguinando esattamente come lei.

< Io non mordo! Hai ascoltato le mie paturnie, posso sopportare le tue. > Scherza e ha quasi voglia di immergere una mano tra quei capelli scomposti, dal colore così singolare. Se lo toccasse davvero, cosa succederebbe?

E se scappasse?

< Facciamo così: giochiamo al gioco delle cinque domande. Comincio io, cinque domande per te a cui dovrai rispondere obbligatoriamente e in maniera sincera. Poi toccherà a te. > Gli propone, considerato che lui non sembra intenzione a rispondere.

Edward sorride della sua ostinazione, che le ricorda tanto quella di Bella, senza considerare che anche con lei aveva fatto un gioco simile. La osserva recuperare da un cassetto delle carte e cominciare a sfogliarle.

< Sono domande preconfezionate? > Domanda con scetticismo.

< E' un gioco, ma funziona! Ci giocavo sempre da bambina. > Fa spallucce, accomodandosi con le spalle rivolte al cuscino, invitando anche lui a fare lo stesso.

< Questa è semplice: dove sei nato? > Sorride e poggia la carta da un lato, scartandola da quelle del mazzo.

< A Chicago. > Non ha senso mentire.

< Americano quindi! Avrei detto inglese. > Esclama senza pensarci, mordendosi la lingua l'istante successivo.

Edward nota la sua espressione contrita e buffa e scoppia a sua volta in una risata divertita.

< Perché mai? > Chiede, curioso.

< Non lo so... i tuoi modi di fare, la tua gentilezza... > Fa spallucce, incerta se aggiungere qualcos'altro.

< Mmm... devo dedurne che tutto ciò ti piaccia? > Le sorride malizioso e sente il suo cuore cominciare a battere più velocemente, ma lei continua a fare finta di niente, quasi non avesse sentito la domanda.

< Hai fratelli o sorelle? > Continua, scartando la seconda carta ed evitando di rispondere.

< Due fratelli, Emmett e Jasper, e due sorelle, Rosalie ed Alice. Non siamo consanguinei, ma li considero parte della mia famiglia, ormai. > E' sicuro che Alice ha previsto quell'incontro notturno, così come ha previsto che si sarebbe trovato in tale predisposizione d'animo da acconsentire a qualsiasi richiesta di Audry, altrimenti non l'avrebbe mai lasciato andare da lei.

< Bene... ehm... ti sei mai innamorato? > Terza carta. Conosceva già la risposta, ma non avrebbe saputo cos'altro chiedere.

< Affermativo. > Rispose con un sorriso.

< E' stato doloroso, voglio dire, la trasformazione? > Per quanto ne sapesse lei di vampiri, in ogni libro il tutto veniva descritto come un'esperienza simile alla morta, ma più dolorosa.

< Ricordo che stavo morendo di spagnola e che mia madre pregò Carlisle di salvarmi. Soffrii molto per tre giorni, fin quando non aprii gli occhi e mi scoprii sano. Mia madre era morta, ma io sarei vissuto per l'eternità. A volte rimpiango quello che ha fatto Carlisle; sarei potuto essere un ragazzo normale, forse sarei guarito, mi sarei arruolato nell'esercito e avrei preso moglie. Poi penso che non avrei mai conosciuto Bella, che forse il mio destino era attendere che lei nascesse. > Audry ebbe come l'impressione che i suoi occhi fossero diventati lucidi, ma i vampiri non potevano piangere, o sì?

Si riscosse, pensando alla sua ultima domanda.

< Perché avete scelto di abitare qui, nello Stato di Washington? Perché non... la California? > I vampiri non amavano le grandi metropoli?

< La luce del sole mostra come siamo veramente e non possiamo farci riconoscere. Te lo mostrerò un giorno. > Le promette.

< Non ti trasformerai nella brutta copia di Nosferatu, vero? > Chiede, allarmata.

Edward sorride e allunga un braccio per afferrarle le carte dalle mani, facendole arrossire ancora. E' incredibile quanto somigli a Bella.

< E' il mio turno, o sbaglio? > Domanda malizioso.

Audry non riesce a fare altro che deglutire e annuire, incantata.

Assorto, comincia a sfogliare le carte, pensando ad una domanda di cui vorrebbe conoscere assolutamente la risposta.

< Perché la matematica ti appassiona così tanto? > Non è una domanda personale, ma una curiosità che vuole soddisfare. Lui l'ha sempre trovata piuttosto noiosa e, se ha preso buoni voti, è solo perché ha avuto molto tempo per esercitarsi.

< Me lo chiedono in tanti; affermano che io sia la classica ragazza da romanzi rosa e letteratura. > Alza gli occhi al cielo e sorride appena. < In realtà, è stata mia madre a farmici appassionare. Da piccola non la sopportavo, ma mia madre ha reso tutto più magico quando mi ha insegnato quante cose potessero prodursi con il calcolo, l'ingegno e i numeri. Ha catturato la mia curiosità e da allora non l'ho più abbandonata. > Sistema meglio le gambe, mentre la maglia che indossa, decisamente troppo scollata per un clima come quello di Seattle, lascia intravedere un'ampia porzione di pelle bianca come il latte, dalla quale Edward non riesce a distogliere lo sguardo.

Non lo fa con malizia o presunzione, semplicemente, non ha mai visto pelle più bianca della sua, lattea, con una sottile spolverata di lentiggini sulle guance che, tuttavia, non diminuiscono la sua bellezza, anzi, la rendono più particolare.

< Io ho studiato medicina e capisco quello che vuoi dire, è stato lo stesso per me. > Sorride di rimando e torna alle carte.

< Hai detto che tua madre era francese, di Parigi. Tu sei nata lì? > Audry nota come le sue dita lunghe e affusolate accarezzano il bordo delle carte che regge in mano e trova che sarebbe bellissimo osservarlo suonare il pianoforte. Ne ha già avuto modo in sogno, ma la realtà è un'altra cosa.

< Sono nata a New York, in effetti. Quando i miei genitori si sono sposati, mia madre era già incinta di otto mesi ed io sono nata con qualche settimana di anticipo, quindi i miei genitori erano ancora in luna di miele e l'ospedale più vicino era New York, quindi... > Risponde, ricordandosi di quanto aveva riso quando sua madre gliene aveva parlato. Era piuttosto bizzarro, in effetti.

< Beh, piuttosto singolare. Hai qualche segno particolare? > Sorride ancora e scarta una carta.

< La cicatrice dell'appendicite, ma non credo rientri nei segni particolari. Insomma, se mi perdessi e dovessero tentare di trovarmi, non andrebbero certo a guardare se sono stata operata di appendicite, no? > Ride, perché è una cosa alla quale ha sempre pensato. Nessuno si preoccuperebbe di abbassarle i pantaloni e cercare una cicatrice sul limitare del basso ventre.

< Tu cerca di non sparire, nel frattempo. > La prende in giro e lei arrossisce. Ha perso il conto di quante volte le sue guance si sono colorate di rosso.

< Collezioni qualcosa di particolare? > Scarta un'altra carta e si guarda intorno nella stanza, quasi potesse spuntare una collezione di insetti rari da qualche mensola.

< Penne. Ne ho di ogni tipo. > Si allunga appena verso un cassetto della scrivania, aprendolo. E' stipato di penne, penne di tutti i colori e di tutte le dimensioni.

< Non l'avrei mai detto. Pensavo mi avresti risposto che collezionavi insetti rari, animaletti imbalsamati, volumi di matematica, ma penne... non ci avrei mai creduto. > Replica lui meravigliato e sbalordito.

< Ho mille risorse, io! Non sono una sprovveduta! > Lo prende in giro, sedendosi nuovamente e scostandosi i capelli dalle guance.

< Il tuo colore di capelli è naturale? > Non ci ha riflettuto davvero nel porre questa domanda, la sua lingua si è mossa da sola.

< Sì, li ho ereditati da mia nonna paterna, suppongo, o perlomeno tutti dicono così. > Spiega.

< Sembrano lingue di fuoco. > Osserva la luce della luna riflettere il rosso sangue delle sue ciocche e automaticamente, senza che possa fare nulla per impedirlo, allunga una mano per afferrarne una tra le dita e saggiare la loro morbidezza, il profumo del suo shampoo alle fragole che arriva fino a lui, stordendolo.

Audry lo lascia fare, meravigliata, godendosi la vicinanza del suo meraviglioso viso.

Poi, quasi si fosse risvegliato da una trance, senza che Audry quasi riesca a registrarne i movimenti, Edward è in piedi, accanto alla scrivania.

< E' tardi e dovresti riposare ed io non dovrei essere qui. > La sua voce gelida le fa venire i brividi. Ha fatto qualcosa che non doveva?

< Vuoi andare via, ma... perché? Ho fatto qualcosa di sbagliato? > Allunga un braccio per trattenerlo e i suoi occhi dorati sono di nuovo su di lei, ammaliatori.

< Il tuo profumo è... una tentazione troppo grande per me. > Risponde flebile, abbassando gli occhi.

< Io non riesco a sentire il tuo se mi stai così lontano. > Bisbiglia, torturandosi le mani.

< Potrebbe essere pericoloso per te. > Si avvicina di un passo alla volta, con attenzione e studiata lentezza.

< Resta. Ti prego. > Lo supplica, mettendo via le carte. < Ti prometto che dormirò, ma tu resta. > Continua, scostando le coperte e intrufolandovi sotto.

Edward ubbidisce, paziente: si stende accanto a lei e le sistema i capelli sulla fronte con la punta delle dita.

Audry lo osserva con i suoi occhi grandi e azzurri e assomiglia tanto ad una bambina.

< I tuoi occhi sono sempre stati di questo colore? > Chiede curiosa.

< Questa è la sesta domanda, o sbaglio? > Sorride divertito. < Erano verdi quand'ero umano, ora cambiano in base alla nostra sete: dorati se siamo sazi, neri se siamo affamati. > Continua a bassa voce.

< Sono sicura che erano meravigliosi anche allora. > Conferma ad alta voce ai suoi pensieri.

Non dovrebbe innamorarsi di lei.

Non dovrebbe succedere di nuovo.

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Capitolo 10
*** Stay ***


Hola!

Salve a tutti, come va?

Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo *.* questa volta le parti sono sostanzialmente tre e ho cercato di entrare anche nella mente di Edward per farvi avere più punti di vista rispetto alla stessa situazione.

Spero di non aver stravolto nulla dell'Edward originale, perché, in caso contrario, provvederò subito ad aggiungere come avvertimento OOC, onde evitare confusioni ^^

Al solito, ringrazio coloro che hanno inserito questa Ff tra le preferite/seguite/da ricordare, chi ha commentato e chi ha soltanto letto *.*

Alla prossima settimana, buon week-end e...

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry si sveglia e Edward è ancora lì. La osserva e sorride e lei vorrebbe sapere davvero a cosa sta pensando, se è qualcosa che la riguarda o se è semplicemente il suo personale modo di osservare il mondo.

Sbatte le palpebre più volte per abituarsi alla luce che riesce a invadere una piccola porzione della scrivania e della sedia, lasciando il letto in ombra e poi sorride anche lei, reprimendo uno sbadiglio.

Ha dormito stranamente bene e non ha sognato.

< Buongiorno. > Le mormora lui, accarezzandole una ciocca di capelli.

< Sei sveglio da tanto? > Gli domanda invece.

< Noi non dormiamo. > Risponde lui, facendo spallucce e osservandola divertito.

Audry sgrana gli occhi e cerca di immaginare la sua vita senza un delizioso sonno ristoratore, anche se spesso costellato di sogni ed incubi che hanno sancito la sua condanna sin da quando era una semplice bambina.

< Mai? > Domanda stranita.

< Mai. Questo ti turba? > Aggrotta le sopracciglia e studia i lineamenti del suo viso.

< Credo di no... per me è inconcepibile non dormire, ma per voi è assolutamente normale non farlo. > Fa spallucce e sorride di nuovo, stirando le braccia in alto e chiudendo gli occhi, sbadigliando.

< Hai fatto dei bei sogni? > Ridacchia divertito dalla sua espressione ancora assonnata e lei gli si avvicina, anche se sono materialmente divisi dalla coltre di coperte che la copre, e, non sa come, non sa neanche se può farlo, ma poggia la testa all'altezza del suo cuore muto, lasciandolo sorpreso.

Per Audry è come essere distesi su un manto erboso fresco di rugiada, alle prime luci dell'alba, quando l'aria è frizzante e chiara.

< E' stato un sonno senza sogni. > Risponde, rimanendo rigida, non sapendo come interpretare l'assoluta immobilità di Edward.

Gli sta chiedendo un abbraccio?

Vuole affetto e protezione?

Il suo profumo squisitamente delizioso lo invade, stordendolo e si ritrova a socchiudere gli occhi per poterlo assaporare meglio, cercando di tenere a bada l'istinto più selvaggio della sua natura.

Le circonda una spalla con un braccio, accarezzandole la schiena con un dito, notando come la sua pelle diventi d'oca e lei rabbrividisca, ma forse non di freddo o paura, semplicemente di piacere; anche a Bella succedeva sempre.

Audry dimentica per un istante che deve andare all'università, che nel pomeriggio deve seguire il seminario del suo professore sulla matematica applicata alla realtà e che deve incontrare Sarah e raccontarle di lui, di Edward, perché quello che prova è sconvolgente ed è sicura che non riuscirebbe a tenerlo nascosto per sempre. Dimentica anche sua zia, dimentica di domandarsi il perché non l'abbia ancora svegliata, perché la casa è ancora così silenziosa e si concentra solo sulle dita di Edward che la sfiorano leggere e la coccolano, senza contare il suo respiro freddo sui capelli e il profumo che la circonda come una coperta calda e morbida, in cui ti senti al sicuro.

< Che silenzio... > Si ritrova ad osservare, stringendo la mano sul tessuto morbido della maglia di lui.

< Tua zia è uscito qualche minuto fa, doveva incontrare un cliente importante, ma ti ha preparato la colazione e ti ha lasciato un biglietto. > Le risponde, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

< Oh... e tu come fai a saperlo? > Aggrotta le sopracciglia e alza lo sguardo verso il suo viso, curiosa.

< Leggo nel pensiero. > Risponde cauto.

< Vuoi dire che... sai quello che gli altri pensano in ogni istante, ora, minuto e giorno? > Si allontana appena da lui, quel tanto per osservarlo meglio, mentre la mano le scivola lungo il suo fianco, rimanendovi aggrappata.

Edward annuisce e sembra in difficoltà.

< Sai quello che sto pensando adesso? > Gli domanda in un sussurro. Non sa nemmeno lei a cosa sta pensando: forse al fatto che, probabilmente, da lì a qualche minuto si ritroverà a fare una figuraccia tremenda, considerato quello che ha pensato la sera prima, dal momento in cui lui è entrato nella sua stanza e che sicuramente lui si spaventerà, perché, anche se dovrebbe essere lei quella spaventata dall'uomo-vampiro che ha di fronte, lui è estremamente fragile, combattuto tra quello che è giusto e quello che vorrebbe e lei è convinta che un suo passo falso lo porterebbe a scappare.

Lo vede scuotere la testa con un piccolo sorriso.

< Non riesco a leggere nella tua mente ed è la seconda volta che mi succede con un essere umano. Anche di Bella non conoscevo i pensieri. Mi erano preclusi e, ironia della sorte, erano gli unici pensieri che avrei accettato volentieri di lasciar turbinare nella mente. > Spiega con calma.

< Non hai idea di quello a cui sto pensando ora? > Spalanca gli occhi per la sorpresa e poi assume un'espressione pensierosa che le dona, come Edward ha modo di notare.

< A cosa stai pensando? > Le chiede invece, interessato.

< Vorrei un gatto. > Risponde con sicurezza.

< Un gatto? > Le fa eco, divertito.

< Sì, un gatto, per farmi compagnia. Voi vampiri avete paura dei gatti? > E' una domanda stupida, se ne rende conto, ma il suo tono divertito l'ha spiazzata. Cosa c'è di male nel desiderare un animaletto domestico?

< Sono loro che non amano la nostra presenza, piuttosto. > Ride, scuotendo la testa.

Audry arrossisce e sente caldo, tanto caldo, tanto che scosta appena le coperte e sembra notare solo in quel momento che la sua mano è ancora ancorata al fianco di lui.

Arrossisce di nuovo, al punto che sospetta che sia diventata un colore unico con i suoi capelli.

Edward le poggia una mano sulla guancia, rinfrescandola e sorridendo divertito e curioso.

< Che succede? > Le domanda piano. < Sei bollente. > Continua, spostando la mano sulla fronte.

< E' la tua presenza che mi fa questo effetto, suppongo. > Risponde, chiudendo gli occhi e godendosi il refrigerio.

< Sei meravigliosa quando arrossisci, sai? Sembri una bambina. > Le sfiora una guancia con la punta del naso, inspirando e sembra rendersi conto solo con un secondo di ritardo di quello che le ha detto, perché improvvisamente si scosta dal suo viso e, senza che Audry abbia anche solo la possibilità di rendersi conto di cosa sta per fare, è in piedi, di fronte alla scrivania, proprio come la sera prima.

Lei si siede sul letto, scostando definitivamente le coperte e infilando i piedi nelle pantofole calde, osservandolo alla luce fioca del sole.

< Che-che succede? > Balbetta, intimorita dalla sola possibilità di avvicinarglisi, perché sembra diventato improvvisamente furioso.

< Devo andare. E' tardi e tu devi prepararti, non voglio rubarti altro tempo. > Anche la sua voce è più dura e gelida.

Audry non ha il tempo di fermarlo, solo di allungare una mano per trattenerlo, ma lui è già andato via e anche se si affretta alla finestra per capire dove sia andato, l'unica cosa che riesce a vedere è la sua macchina che si allontana veloce.

 

< Audry? Audry, mi stai ascoltando? > Sarah le sventola un libro davanti al viso, ma Audry è come incosciente; non sente niente e nessuno, se non la voce dei suoi pensieri. Sta ancora rimuginando su ciò che è successo quella mattina con Edward: perché quell'improvvisa furia? Perché quel repentino cambiamento d'umore? La sua vista era diventata improvvisamente insopportabile, tanto da non riuscire a contenere la sete?

< Audry, mi stai facendo preoccupare, che succede? > Sarah la scuote, cercando di ottenere una qualsiasi reazione in cambio ed Audry sbatte le palpebre un paio di volte, come per riprendere contatto con la realtà, e la fissa, stranita.

< Dicevi? > Le chiede, aprendo la porta dell'aula in cui si terrà il seminario di matematica.

< Che succede? E' successo qualcosa che dovrei sapere? > Individua due posti liberi in penultima fila e, prima che qualcuno possa anche solo pensare di occuparli, lei appoggia sul banco libri e borsa, imitata da Audry.

< Ero soprappensiero, niente di importante. > Risponde poco convinta. E' da quella mattina, da quando ha visto l'auto di Edward sfrecciare via veloce, che non riesce ad eliminare il suo viso dai suoi pensieri confusi. Dovrebbe raccontare tutto a Sarah, in fondo, è la sua migliore amica da sempre, eppure non ci riesce, preferisce mentire.

< Lo sguardo da pesce lesso non è niente. Avanti, sputa il rospo. > Si siedono e Sarah rinuncia a tirare fuori il suo block-notes per ascoltare l'amica.

< Non c'è molto da raccontare: ieri sera è venuto a trovarmi Edward. > Dovrebbe dire in verità, mi è praticamente piombato nella stanza dalla finestra mentre mi stavo cambiando, ma Sarah le riderebbe in faccia e poi non può spifferare tutto sulla sua identità, questo lo ha capito.

< Avevi dimenticato qualcosa? > Evidentemente, per lei l'unica opzione possibile è quella, perché, come non ha fatto altro che ricordarle un giorno sì e l'altro pure, Michael è il ragazzo giusto per lei e dovrebbe dargli una possibilità, perché le farebbe bene; in quel momento, però, se solo Michael le si presentasse davanti, lo ignorerebbe al pari di una mosca fastidiosa. Sa che Sarah lo dice per il suo bene, la capisce e ha già deciso di seguire il suo consiglio, ma è Edward il ragazzo che vuole conoscere e non Michael.

< No, non avevo dimenticato nulla. Voleva solo... conoscermi meglio. > Risponde con nonchalance, sapendo di averla colpita, giocherellando con la penna a sfera.

< Dici sul serio? E cosa avete fatto? > La vede sgranare gli occhi e vorrebbe avere il potere di Edward per leggerle nella mente e scoprire cosa pensa.

Audry fa spallucce, osservando il via vai di studenti.

< Chiacchierato. E' rimasto a dormire con me e stamattina è come... scomparso, senza motivo. > Spiega a grandi linee, evitando tutti i particolari.

< Ok, stop, frena: cosa vuol dire che è rimasto a dormire con te? > Sarah la blocca, togliendole la penna dalle mani per avere tutta la sua attenzione.

< Quello che ho detto: ci siamo addormentati chiacchierando nella mia stanza, perché, cosa voleva poter dire? > Domanda scettica.

< Beh, sì, hai ragione, ma... insomma, e Michael? > Quasi urla e Audry è costretta a lanciarle un'occhiataccia per farle abbassare la voce.

< Michael cosa, Sarah? Lui non è mica il mio fidanzato! > Sbotta risentita. Non può decidere neanche chi incontrare, adesso?

< Sì, lo so, ma come la mettiamo con lui? Hai deciso di andare al Ballo di fine Anno con lui e, visto che non vi conoscete affatto, sarebbe una buona occasione per tutti e due cominciare a frequentarvi un po', no? > Obietta lei, un'aria falsamente innocente dipinta sul viso.

< So che pensi che Michael sia il ragazzo giusto per me e, forse, in fondo al mio cuore, ne sono convinta anch'io, ma non ho intenzione di frequentare nessuno al momento, nemmeno Edward. E' stato un episodio, è successo e basta; mi ha solo lasciata perplessa il suo comportamento di stamattina. > Chiarisce semplice.

< Beh, magari per l'imbarazzo è andato via. In fondo, lui ha una figlia e lui è così giovane... non voleva metterti nei guai con tua zia. > Propone. Sta cercando una scusa qualsiasi per evitare che ci pensi troppo.

< No, non credo e poi mia zia è uscita presto, stamattina, doveva incontrare un cliente importante. > Spiega, riflettendoci.

Sarah non conosce tutta la verità, non potrebbe capire. E' scappata da lui perché aveva paura, paura di farle del male e di farsene, soprattutto. Se potesse leggere nella sua mente, non ha dubbi che vi troverebbe centinaia di immagini di Bella e di sua figlia. Doveva essere estremamente legato a quella ragazza e rimpiange ancora il fatto di non averla salvata, di non essere potuto intervenire in nessun modo.

Sarah fa spallucce e non proferisce altro e lei, nell'attesa del professore, fissa i suoi appunti di matematica, fingendo di ripassare.

 

< Sei scappato come un ladro, Edward. > Alice, le mani ai fianchi e il cipiglio severo di una mamma arrabbiata per l'ennesima marachella del figlio, lo osserva contrariata.

< Cosa dovevo fare? Fingere? > Edward rilassa le spalle contro il divano di pelle bianca, l'espressione indifferente e imperturbabile di chi non ha voglia di affrontare una discussione o di rimuginare.

< Perché sei così testardo? Hai deciso di darle una possibilità, hai deciso di conoscerla meglio, perché scappare, perché lasciarla da sola ad arrovellarsi sul tuo comportamento? > Sua sorella sospira, lasciandosi cadere accanto a lui, il cipiglio severo scomparso e un'espressione dolce e comprensiva a prenderne il posto.

< Non ho deciso di dare nessuna possibilità a quella ragazza. L'ho vista piangere e ho pensato che avesse bisogno di aiuto, tutto qui. > Replica distaccato.

< E' esattamente quello che hai fatto anche con Bella, o sbaglio? L'hai vista in pericolo e sei corso a proteggerla. Perché non vuoi ammetterlo? > Sa che con Edward ci vuole pazienza, sa che spesso tende a negare i suoi sentimenti e le sue emozioni, ma trova superfluo il suo accanimento nel diniego.

< Ammettere cosa, Alice? Io non ho bisogno di nessuno, sto bene da solo. > Borbotta, cercando di non leggerle i pensieri: sarebbero solo un trionfo di possibilità che gli si aprirebbero se solo decidesse di ricominciare a vivere. 

< Ammettere che sei attratto da lei, che ti incuriosisce e che non riesci a non seguirla solo per vedere se sta bene. > Sorride dolce. Sono le stesse cose che si è cercato di negare quando ha conosciuto Bella; non faceva altro che tentare di trovare una spiegazione a quello che aveva cominciato ad agitarsi dentro di lui, a quell'istinto che non era solo istinto animale, ma qualcos'altro, qualcosa di più potente che avrebbe cambiato la vita ad entrambi.

< Lasciami solo, non ho bisogno di uno psicologo. > E' burbero, ma ottiene l'effetto desiderato: Alice scompare con un sospiro rassegnato, lasciandolo libero di pensare e di odiarsi.

Ha ragione, Audry lo attrae. Lo attrae quel suo volersi nascondere da tutti, lo attraggono quei capelli rosso fuoco ribelli e quegli occhi verde-azzurro, lo attrae la sua pelle calda e la sua voglia di sentirlo più vicino, l'inconsapevolezza con cui ha deciso di scoprire un po' di più sul suo conto e il suo rossore sulle guance quando le ha detto che era meravigliosa.

Ma cos'è l'attrazione, se non qualcosa di fugace?

Non poteva correre il rischio di innamorarsene e farla soffrire, non poteva ripetere l'errore che aveva commesso anche con Bella.

Sarebbe stata lei l'unica donna che avrebbe mai amato: Bella. Come potevano anche solo pensare che si sarebbe privato del suo ricordo per far entrare nella sua vita una sostituta?

Alice aveva probabilmente ragione, era scappato come un ladro, ma cos'altro avrebbe potuto fare? Rimanere, imporle la sua presenza perché lei non lo dimenticasse più?

Avrebbe comunque dovuto dirle addio. Audry era giovane, intelligente, capace, sveglia, incredibilmente bella e piena di vita, perché privarla di tutto quello per poter, lui, un mostro, vivere sereno?

Eppure, non riusciva a smettere di pensarla, non riusciva a non far ritornare la sua mente a quella notte, quando l'aveva osservata dormire, quando aveva visto i suoi lineamenti rilassarsi e assomigliare a quelle di un bambino, a quando se l'era ritrovata tra le braccia senza essersene neanche accorto, a come aveva avvertito un senso di vuoto e di mancanza quando era uscito da quella stanza confortevole.

Avrebbe potuto controllare se era già tornata a casa, se stava bene.

Non si sarebbe manifestato, ma si sarebbe sentito più tranquillo.

 

< Vai già a dormire? > Jenna la osserva con curiosità, vedendola imboccare le scale per il piano superiore.

< Devo finire alcuni esercizi e poi sono stanca. > Spiega, mangiando un biscotto. Quand'era piccola aveva l'abitudine di portare nella sua stanza un piatto pieno di biscotti al cacao e una tazza di latte tiepido. La aiutavano a rilassarsi prima di andare a dormire e, quella sera, di rilassarsi, ne aveva proprio bisogno, così aveva ripreso quel vecchio rito.

< D'accordo, dormi bene allora e non rimanere sveglia fino a tardi per studiare, sai come la penso. > Sorride.

< Sì, che mi si fonderà il cervello, un giorno. > Le fa una linguaccia mentre sale le scale, alzando appena la voce per farsi sentire.

Jenna sghignazza e lei apre la porta della sua stanza con ancora il sorriso dipinto sulle labbra. Vuole bene a sua zia, e non solo perché è l'unica famiglia che le è rimasta.

Non fa in tempo a chiudersi la porta alle spalle, che sa già che Edward è lì; avverte la sua presenza.

Alza gli occhi e lo vede, bellissimo nella sua camicia bianca e nei jeans scuri.

Arrossisce, come se avesse paura che potesse leggere nella sua mente che, in realtà, ha lasciato la finestra aperta perché sperava che arrivasse, prima o poi.

< Cosa ci fai qui? > Non vorrebbe essere un rimprovero, ma il comportamento di quella mattina l'ha ferita, anche se non è disposta ad ammetterlo, neanche a se stessa.

< Volevo controllare che stessi bene e che fossi rientrata a casa. > La sua voce è roca e maledettamente sensuale alle sue orecchie.

< Sono viva e sto bene. > Risponde, posando la tazza e il piatto con i biscotti sulla scrivania, prima di liberarsi delle scarpe e rimanere a pieni nudi.

Edward la osserva.

< Mi dispiace per stamattina. > E' suo dovere scusarsi e, anche se il suo cuore accelera, anche se probabilmente lui lo avverte, non vuole dare l'impressione di averlo già perdonato, di aver già dimenticato quell'episodio, e rimane impassibile, indifferente.

< Non mi devi le tue scuse, non sono niente per te. > Si siede sul piumone morbido e afferra il quaderno degli esercizi.

< Vuoi che vada via? > Stessa domanda della sera precedente, ma probabilmente questa volta otterrà una risposta diversa. E' orgogliosa e quasi ne sorride.

Fa spallucce, prendendo a scrivere come se lui non ci fosse, fermandosi a riflettere con gli occhi fissi al cielo scuro, la matita che cozza contro la superficie liscia del libro ritmicamente, perché lei la trattiene tra due dita.

Si siede accanto a lei, silenzioso, e sorride.

Ha deciso di restare.

Per ora.

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Capitolo 11
*** I Don't Want You to Suffer ***


Salve!

Eccomi qui con l'aggiornamento ^^

Devo essere sincera, sarà che in questo periodo sono molto ispirata, sarà che non sembra tutto più così complicato in questa Ff (anche se lo è, effettivamente e lo sarà ancora per un pò), sto scrivendo molto più velocemente rispetto ai primi capitoli e ne sono immensamente felice.

Su questo capitolo non c'è da dire molto, se non che, ancora una volta, Edward per paura di fare qualcosa di sbagliato o di avventato, scappa via, lasciando Audry sola soletta a piangere lacrime amare ç.ç ma, ok, sto spoilerando troppo, quindi, mi scuso e mi zittisco xD

Ringrazio tutte le persone che hanno commentato, inserito tra le preferite/seguite/da ricordare e tutti coloro che hanno letto soltanto *.* vi lovvo, sappiatelo <3

Non mi resta che augurarvi un buon fine settimana e...

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry sta risolvendo equazioni, calcolando somme e prodotti, dividendo e sottraendo, da più di un'ora e sembra non avere la minima intenzione di fermarsi. Spesso si distrae e i suoi pensieri vagano su Edward, sul vampiro che si è comodamente disteso sul suo letto, una mano a reggergli il capo, e che la sta osservando da sessanta minuti, attento e paziente.

Si è resa conto quindici minuti prima di star svolgendo più esercizi del necessario, e non sa se lo fa per non avere occasione di parlare con lui, o perché sta cercando di resistere all'impulso di fronteggiarlo e chiedergli effettivamente se c'è qualcosa che non va, perché si è comportato in modo così assurdo quella stessa mattina. Non vuole affrontare una discussione e vorrebbe che per lei non fosse così importante, ma fino ad un mese prima, ignorava l'esistenza dei vampiri, dei lupi mannari, di bambine che crescono troppo in fretta e che non sono totalmente vampiri, ma nemmeno totalmente umane; ignorava il mondo del sovrannaturale, lei, così logica nei suoi ragionamenti, così appassionata di quella scienza, la matematica, che le permetteva di far quadrare tutta la realtà, di renderla gestibile. Adesso, però, si trovava catapultata in un mondo che non conosceva, il cui unico abitante libero, aveva deciso di conoscerla meglio e di frequentarla; la cui figlia aveva messo in atto un piano diabolico per farla diventare la nuova sposa di suo padre. Senza contare la sua amica Sarah, che continuava ad insistere affinché proponesse a Michael di uscire per andare al cinema a vedere uno di quei film romantici strappalacrime che i ragazzi, solitamente, odiano.

Non era previsto un cambiamento simile nella sua vita; nella sua vita, Edward sarebbe dovuto appartenere al mondo delle leggende, delle fiabe e avrebbe dovuto popolare i sogni delle ragazzine innamorate del principe azzurro e della sua idea ispiratrice di amore eterno e incondizionato fino alla fine, per sempre. Perché aveva dovuto sconvolgere la sua, di vita?

Non aveva già sofferto abbastanza?

E perché proprio lei?

E perché tutte queste domande le stavano riempiendo il cervello proprio in quell'istante?

Si accorse dello sguardo di Edward su di lei solo un secondo dopo la sua voce.

< Hai bisogno di aiuto? > Le chiede, gentile, occhieggiando al quaderno.

Audry si rende conto di aver fissato per più di dieci minuti la finestra aperta della sua stanza, tamburellando con la matita sul foglio: lo fa sempre quando è nervosa e vuole qualcun vicino che le dica che va tutto bene, non deve preoccuparsi perché è solo un periodo e passerà.

Scuote la testa e ritorna con gli occhi al quaderno.

< No, no, stavo solo... mi sono solo distratta un attimo, ecco... > Arrossisce, riprendendo a scrivere.

Sente il suo respiro freddo sul collo un attimo prima che le sue dita le scostino un ciuffo di capelli per accarezzarlo come se fosse la cosa più preziosa al mondo.

Rimane immobile al pensiero che, molto probabilmente, lui senta distintamente il battito furioso del suo cuore, così come il calore improvviso della sua epidermide. Possibile che sia l'unico ragazzo in grado di farla sentire così? Non le era mai successo, nemmeno con James. Stava bene con lui, è innegabile, eppure non era mai arrossita per un complimento, non era mai rabbrividita ad un semplice contatto e, se in un primo momento i suoi baci le erano sembrati fantastici, passionali e assolutamente perfetti, dopo qualche mese si era ritrovata a pensare che, in fondo, erano baci normali, non avevano nulla di eclatante.

Edward è in grado di risvegliare parti del suo corpo che lei nemmeno si era mai resa conto di possedere.

D'altro canto, lui ha deciso di andarla a trovare, lui ha permesso che quell'attrazione che prova per lei e che sente di non poter scacciare, abbia il sopravvento sull'istinto di ferirla e di farle del male.

Probabilmente, sperimentare il desiderio con Bella non era stato sufficiente, perché si rende conto che non conosce quella parola; l'ha adoperata con sua moglie moltissime volte, ma ben presto si è trasformata in un ricordo e il ricordo è stato sepolto da mille immagini; ma la realtà è diversa e lui lo sa.

Il profumo dolce dei suoi capelli rossi, selvaggi sulle spalle e lunghi fin quasi alla vita, sembrano chiamarlo in ogni istante, lo tentano come un fiore velenoso, come tenta lui gli umani ignari o le sue prede quando è a caccia.

E' una fitta di desiderio quella che lo coglie nel momento esatto in cui avverte Audry trattenere il respiro e concentrarsi sulle sue dita che hanno cominciato lentamente a percorrere la linea della sua spina dorsale?

La bocca si fa arida e lui ha voglia solo di baciarla e di non lasciarla andare più via.

Eppure, l'immagine di Bella è ancora nella sua mente, fissa e ha come l'impressione che lei possa vedere, che lei sappia cosa ha intenzione di fare e che, fosse anche uno scherzo della sua mente, non sia molto accondiscendente.

Eppure vorrebbe così tanto assaggiarla, sentire il suo sapore e verificare che quelle labbra meravigliosamente rosse siano davvero così succose come appaiono...

Chiude gli occhi e ferma la sua carezza silenziosa a metà schiena, concentrandosi sul suo respiro e sul profumo di lei che, nel frattempo, si è voltata e ora lo sta osservando con un misto di preoccupazione e muta apprensione; riesce a leggere i suoi occhi anche se i suoi sono chiusi.

Sente un fruscio di fogli e qualcosa che cade a terra, una matita e un libro, e poi il suo tocco caldo farsi spazio tra i suoi capelli e sulla nuca, solleticando con gentilezza.

Il suo respiro è più vicino; deve essersi inginocchiata di fronte a lui. Sente il dorso di un dito carezzargli la guancia e poi le labbra e cerca di trattenersi dallo schiuderle per morderle la carne tenera e verificare se sia davvero così gustosa.

< Hai paura. > Soffia gentile e non è una domanda.

Sì, ha paura e tanta anche.

Non riesce a starle lontano e questo lo spaventa.

Solleva le palpebre, anche se gli costa un certo sforzo, e le sue iridi rosse, colme di desiderio, non sembrano spaventarla.

< Non puoi farmi del male. > Mormora, continuando ad accarezzargli i capelli e poi le spalle.

< Come puoi esserne certa? > Chiede in un ringhio basso.

< Lo so. > Risponde lei in un tremito di convincimento. < Mi sei stato vicino mentre io ero addormentata, incosciente; avresti potuto mordermi, ma non l'hai fatto. Non ho paura. > Continua con fierezza e determinazione.

< Cosa credevi che avessi voluto fare? > Domanda con un sorrisetto che di innocente, forse, ha solo l'intenzione.

Audry esita, indecisa.

< Non lo so, ma... > Non le lascia terminare la frase.

< Volevo assaggiarti. > Sa che quel verbo potrebbe essere interpretato in mille modi diversi e sa anche che non ha intenzione di rivelarle la giusta interpretazione, a meno che non ci arrivi da sola. La osserva arrossire e si chiede se abbia già compreso.

< Tu... volevi... tu... volevi... assaggiare il mio... sangue? > Rabbrividisce e per un attimo ne ha quasi pena, vorrebbe tranquillizzarla.

Non risponde, forse perché quella non è la risposta giusta, forse perché non ha voglia di farlo e preferisce lasciarla affogare nel dubbio, ma Audry sembra prendere quel silenzio come un assenso e l'unica cosa che fa, imprevedibile agli occhi di Edward, è poggiare il suo indice sulle sue labbra fredde, come a saggiarne la consistenza.

< Fallo. > E' determinata e non si tirerà indietro.

Lo vuole davvero?

Vuole fargli assaggiare il suo sangue?

< Audry, non... > Tenta, strattonandole leggermente il polso per allontanare il dito dalle sue labbra.

< Fallo. > Ripete lei, calma e controllata.

Non ha senso resistere e poi, è sicuro di riuscire a controllarsi.

Schiude le labbra e vi lascia penetrare appena il dito.

Audry trattiene il respiro e chiude gli occhi per un istante quando i denti di lui la feriscono, poi li riapre per osservarlo suggere la sua carne con devozione per un breve istante.

C'è qualcosa di erotico nel modo in cui lo fa, Audry non riesce a non pensarlo ed è contenta che non le riesca a leggere nel pensiero.

< E'... buono? > Si azzarda a chiedere con una punta di imbarazzo a colorarle il viso, osservando il piccolo taglio sul lato destro dell'indice.

Edward sorride, quasi avesse appena superato una prova difficile.

< Delizioso. > Specifica con voce suadente. < Io, però, non intendevo questo quando ti ho detto che volevo assaggiarti. > Continua, poggiando la testa sul cuscino e obbligando anche Audry a stendersi per poterlo osservare meglio e senza sforzo.

< E cosa...? > Domanda lei, confusa. Il taglio brucia appena, ma è niente in confronto a quello che si sta scatenando nel suo cuore.

Lo vede socchiudere le palpebre, le iridi ritornare al loro rassicurante color oro, e avvicinarsi al suo viso.

Audry capisce che vuole baciarla quando sente il suo respiro freddo sulle labbra e i suoi occhi chiudersi automaticamente.

E' sospesa nel momento in cui avverrà, nel momento in cui sentirà quelle labbra rosso ciliegia sulle sue, labbra che, probabilmente, hanno impresso ancora il sapore del suo sangue.

Non riesce a respirare, eppure, quando le sue labbra combaciano con quelle di lui, le sembra di aver appena trovato la sua oasi di ossigeno e respiro.

Le sue labbra sono fredde, ma sembrano scottare a contatto con le sue e lei, semplicemente, non riesce a trattenersi: schiude le labbra per approfondire il contatto, mentre le sue mani si aggrovigliano intorno ai suoi capelli di bronzo, terribilmente setosi e profumati.

Edward risponde al suo bacio con titubanza, timore e, neanche la possibilità di realizzare la separazione, l'ha già allontanata dal suo viso, senza che lei potesse, ovviamente, opporsi, vista la sua forza.

Solleva le palpebre, rivelando i suoi occhi dorati, due gemme d'ambra meravigliosi, e la osserva incantato, incredulo.

Audry arrossisce per l'ennesima volta, sentendosi desiderata e al sicuro come mai prima di allora.

Nessuno dei due sembra abbia qualcosa da dire; i minuti trascorrono inesorabili, l'uno perso negli occhi dell'altra, nessun movimento, è quasi un dialogo silenzioso il loro.

La voce di Jenna li riscuote entrambi.

< Audry, spegni la luce, è ora di dormire. > La sua voce è gentile e premurosa.

E' costretta a riscuotersi dal torpore in cui è caduta dopo il bacio con Edward, allungando un braccio all'indietro, alla cieca, alla ricerca dell'interruttore.

< Buonanotte, zia. > Risponde, facendo frusciare le lenzuola per farle capire che è già a letto.

< Notte, tesoro, dormi bene. > I suoi passi si allontanano e la porta della sua camera si chiude con un leggero click.

Audry sospira di sollievo e torna a volgere la sua attenzione ad Edward, ancora immobile nello stesso punto di poco prima.

< Sei una pessima attrice, sai? > Le mormora, scostandole i capelli dalla fronte e sorridendo appena.

< Perché? > Chiede, invece, lei, arrossendo.

< Se fosse entrata? Cosa avresti fatto? Non hai ancora indossato il pigiama e i tuoi libri di matematica sono a terra. > Le sfiora una guancia con la punta del naso, facendola fremere.

< Avresti dovuto avvisarmi che stava venendo. > Borbotta lei poco convinta, mettendo su un broncio adorabile che lui scioglie con un piccolo buffetto sulla guancia opposta alle sue carezze.

< Sono stato imperdonabile, lo ammetto. Potrai mai perdonarmi? > E' diverso dal solito, si ritrova a pensare Audry, più spensierato, più felice e più... umano.

< Che ti succede? Sembra tu abbia bevuto troppo. > Controbatte, posizionandosi seduta per recuperare i libri caduti e sistemarli sulla scrivania, attenta a non fare rumore.

Non ha voglia di pensare al bacio di poco prima, non ha nemmeno voglia di sapere cosa ne pensa lui, ma i suoi cambiamenti d'umore repentini la destabilizzano e, in un certo senso, la irritano.

< Penso ancora che non dovremmo vederci. > Ammette candido, ricordandole la discussione che avevano avuto tornando da Forks.

< Era un bacio d'addio, allora? > La sua intenzione non è certo quella di essere velenosa o offensiva, ma il suo tono di voce la tradisce, rivelando i suoi sentimenti.

Già, sentimenti. 

Cosa dovrebbe aspettarsi? Che lui si metta in ginocchio e le giuri amore eterno, promettendole di trasformarla in una di loro? Che ritratti la sua versione e appoggi in pieno il piano di sua figlia?

Edward sospira, rassegnato.

< Ho già commesso lo stesso errore. > Abbassa lo sguardo sul copriletto.

< Non posso obbligarti a restare. > Risponde gelida, allontanandosi verso l'armadio, recuperando la sua solita tenuta da notte.

E' stato un errore, deve convincersene anche lei.

Solo nei romanzi d'amore l'eroe sposa l'eroina sfortunata, senza genitori e abbandonata da tutti.

< Non volevo ferirti. > Edward è dietro di lei e i tratti del suo viso sono carichi di compassione e tristezza, la stessa che ha avuto modo di osservare nei suoi sogni.

Controlla le lacrime e si lascia cadere sul letto, spossata da tutte quelle emozioni.

Non ha la forza di rispondere e mentre le tende si gonfiano a causa dell'improvvisa folata di vento, si rende conto che Edward è già andato via, anche se il suo profumo non è scomparso dalle lenzuola e dal cuscino.

Si alza, scuotendo la testa e chiudendo le imposte, permettendosi di piangere solo una volta al sicuro sotto le lenzuola.

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Capitolo 12
*** Possible ***


Salve!

Sono trascorse più di due settimane da quando ho postato l'ultimo capitolo, lo so, ma sono stata a corto di ispirazione e l'inizio dell'università non mi ha di certo semplificato le cose ç.ç 

Chiedo venia e vi prometto che cercherò di essere il più puntuale possibile nel postare, ispirazione permettendo.

Volevo ringraziare le persone che hanno cominciato a leggere questa Ff da poco e che mi hanno dedicato qualche minuto del loro tempo per farmi sapere cosa ne pensavano, ringrazio chi ha commentato, come sempre, chi ha aggiunto la Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare e chi ha soltanto letto *.* sapete quanto siete importanti per noi scrittori, no? <3

Passando a cose serie, volevo attirare la vostra attenzione qui, su questo sito Respect Him! è una campagna di "sensibilizzazione" circa gli "abusi" che i paparazzi stanno compiendo nei confronti di Robert. Insomma, per quanto ci possa essere anche antipatico, ognuno ha diritto alla sua privacy, a vivere in maniera "dignitosa" dal punto di vista del rispetto e questo mi sembra non sia il caso di Robert. Per citare le parole della stessa petizione, Robert non è un giocattolo, ma un essere umano con sentimenti e limiti. Basta una vostra firma per mostrare solidarietà per questo progetto (ci sono cose sicuramente più gravi al mondo, ma come ci sentiremmo noi se venissimo privati della nostra privacy e della nostra libertà?). Pensateci e firmate ^^

Ed ora, non voglio dilungarmi in spiegazioni o simili, quindi preannuncio soltanto che le problematiche non sono ancora finite, anche perché Audry è molto "tranquilla" rispetto ai suoi sogni/incubi, ma non ha una precisa idea a riguardo, non sa perché sogna determinate cose piuttosto che altre e, molto presto, questo diventerà anche un problema di Edward... vedrete! ^^

Mi scuso ancora una volta per il mostruoso ritardo, vi auguro un buonissimo inizio di settimana e, ovviamente, una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Suonare gli fa bene, lo rilassa.

E’ come bere una camomilla, nella speranza che il sonno decida di impossessarsi delle tue membra, donandoti qualche ora di pace.

Non ricorda nemmeno come sia nata la sua passione per la musica, non ricorda se era qualcosa che coltivava già prima di diventare un vampiro, oppure se è stato qualcosa di recente, un passatempo come un altro per occupare l’eternità che lo aspetta.

Ricorda quando ha deciso di comprare quel pianoforte, però. Ricorda di aver camminato per chilometri senza avvertire alcuna fatica, ricorda di essersi soffermato presso la vetrina di un meraviglioso negozio di strumenti musicali e di aver notato un bellissimo pianoforte a coda, nero e lucido, i tasti color avorio.

Era entrato nel negozio quasi senza rendersene conto e aveva occupato il posto a sedere sullo sgabello morbido posizionato esattamente di fronte allo strumento. Aveva cominciato a suonare con naturalezza, la melodia che fluiva veloce dalle sue dita, quasi fossero un tutt’uno con i tasti. Non aveva bisogno di spartiti, la musica era nella sua testa, nei suoi ricordi e nelle sue emozioni.

Il commesso, un uomo anziano ma gioviale, gli si era avvicinato con un sorriso ammirato e gli aveva proposto l’affare del secolo. Era restio a vendere i suoi strumenti a chi non mostrasse la minima cura nei loro confronti, a chi non cercava di venerarli come si venererebbe una dea greca, a chi, di musica, in fondo, non importava poi molto, voleva solo un suppellettile per abbellire il salone e fingere di avere altri interessi oltre alla vanità.

Ma lui, Edward, era semplicemente perfetto per quel pianoforte. Era stato un colpo di fulmine, a suo parere.

E così, l’aveva comprato e aveva iniziato a trascorrere le notti componendo ed improvvisando, lasciandosi trasportare dal suono armonico dei tasti e dalle note che sembravano scorrergli in testa senza che lui potesse far nulla per arginarle.

Se glielo avessero chiesto qualche anno addietro, probabilmente avrebbe risposto che utilizzava il pianoforte unicamente come strumento di piacere; in fondo, quando hai un’eternità davanti, cosa potresti mai fare?

Adesso, invece, risponderebbe che non c’è niente di meglio di un pianoforte. Sa ascoltarti e prova a consolarti con i tuoi stessi pensieri, riuscendo a schiarirti le idee. Neanche un diario potrebbe fare meglio.

Quando suona, Edward si estrania dal mondo, dalla sua famiglia e dalle sue priorità e pensa solo a se stesso, a cosa potrebbe alleviargli l’immenso vuoto che avverte al centro del petto, al posto del cuore, alla bocca dello stomaco, nella pancia e in ogni altro anfratto del suo essere, anche il più piccolo e insignificante.

Quella sera, però, i suoi pensieri non sono soli e, anche se è notte fonda, anche se sa che dovrebbe essere a letto, Renéesme è con lui, i capelli scompigliati di chi si è svegliata all’improvviso, gli occhi lucidi e la sua solita maglietta troppo lunga che le lascia le gambe scoperte.

E’ seduta sullo sgabello morbido accanto al padre e osserva le sue mani scorrere veloci lungo i tasti, liberando una melodia struggente, ma dolcissima.

Renéesme sa che è successo qualcosa, sa che tutto quel dolore ha un’origine, ma non domanda, incapace di interrompere quel momento idilliaco, un momento in cui suo padre, stranamente, l’ha ammessa.

La melodia, alla fine, diventa triste, una cascata di tintinnii che a lei ricordano molto la pioggia, e si chiude con una nota stonata, separata dal contesto. Edward ha sferrato un pugno alla tastiera e la sua mano è ancora lì, stretta e tremante quasi come se si stesse preparando ad uno scontro.

Renéesme lo osserva, triste e amareggiata e fa l’unica cosa che ritiene giusta: appoggia il capo sulla sua spalla, stringendogli il braccio per fargli capire che lei è lì, ci sarà sempre e forse non è quello che suo padre si aspetta, forse farebbe meglio a lasciarlo da solo con il suo dolore, ma quella è l’unica cosa che può dargli, oltre ai ricordi.

< Hai lasciato che mi immischiassi in qualcosa più grande di me. > La sua voce è bassa, ma feroce, eppure Nessie non ha paura.

Sa a cosa si riferisce: Audry.

< Non è come pensi. Se ho agito così, è stato solo per te, lo sai. > Risponde, sollevando il capo per studiare il suo profilo alla debole luce che riesce a penetrare dalle vetrate sprovviste di tende.

< Io non ho bisogno di nessuno. > Si volta verso di lei, le iridi che, nonostante la furia, continuano a mantenere il loro color ambra.

< Perché ti ostini a negarlo? La mamma era tutto per te, posso comprenderlo. Non riuscirei a sopravvivere neanche un giorno senza Jake, la sua assenza mi consuma, eppure non sai quanto vorrei non essere mai nata pur di non avere davanti agli occhi la tua espressione arresa e insoddisfatta. Pensi che evitando i sentimenti, proteggendo gli altri da quello che sei, da quello che puoi ancora donare, riuscirai a colmare il vuoto che hai dentro? > E’ sull’orlo delle lacrime e non può impedirlo. Quello che ha detto è la verità, quello che sente, quello che vorrebbe fosse stato. Nessuno le hai mai fatto pesare il fatto di essere sopravvissuta a costo della vita di Bella; tutti le hanno offerto amore, protezione e ricordi di cui poter essere felice per sempre, eppure l’ha sempre pensato; si è sempre chiesta che cosa ne sarebbe stato, adesso, di sua madre e suo padre, di come la vita di tutti sarebbe potuta essere. Jacob ha sempre liquidato la faccenda con un semplice era destino, doveva andare così, ma in fondo ha sempre saputo che non è la verità, che neanche lui pensa davvero ciò che dice.

Jacob voleva bene a sua madre, ne era innamorato, invece lei? Lei era solo un mostro, qualcosa di innaturale che le stava facendo del male e che non sarebbe dovuta esistere.

Quando le aveva raccontato queste cose, Jacob aveva cercato di essere obiettivo e di non spaventarla; non voleva che pensasse che si erano presi cura di lei perché costretti, eppure, le immagini che quei racconti avevano evocato, l’avevano perseguitata per notti intere, lasciandola tremante e impaurita.

Era stata colpa sua se sua madre era morta.

E’ colpa sua se adesso tutti sentono la sua mancanza e suo padre non ha più la forza di lasciarsi andare.

< Non posso rischiare che succeda ancora, non ho la forza di lasciarmi tutto alle spalle. > Edward non trema più, sembra più calmo e controllato e la sua mano è andata a carezzare i riccioli scomposti di sua figlia, facendola sorridere e arrossire.

< Non devi dimenticare, sarebbe impossibile, devi solo lasciarla andare, papà. Hai deciso di stringere il suo ricordo in una morsa e gli stai permettendo di consumarti. Non è quello che vuoi, non è quello che vogliamo. > Risponde con sicurezza.

Lo vede abbassare gli occhi e scuotere la testa e, per un attimo, se solo non sapesse che per i vampiri è impossibile versare lacrime, giurerebbe che stia piangendo.

< Quella ragazza, Audry, lei è… > Non riesce a continuare, a trovare le parole giuste per descriverla.

< E’ così simile a lei, a tua madre, che ho paura, ho paura di farle del male, ho paura di legarla a me. > Continua dopo qualche istante, incerto.

< E’ lei a dover decidere, è lei che deve scegliere, ma se scappi, se non le dai modo di conoscerti, la perderai e lei è semplicemente perfetta per te. > Sorride appena, ricordando il volto di Audry e la sua timidezza.

Edward non riesce a risponderle, rapito dalla sua sicurezza e dall’improvviso pensiero che, in fondo, Alice ha ragione, Renéesme non è più la bambola da accudire e vestire; è una donna, ormai e una parte del merito, anche se gli duole ammetterlo, è di Jacob.

 

Si sente prigioniera di un corpo che non è il suo, che non le appartiene e avverte la furia e la rabbia incendiarle il sangue nelle vene.

Si sente potente, capace di poter distruggere una casa, ma, allo stesso tempo, infinitamente insicura e spaventata.

E' a casa, sulle scale di legno che conducono al piano superiore, alle camere da letto, e ha i pugni stretti lungo i fianchi, come se si stesse preparando ad affrontare un nemico.

Sa di non essere in lei, sa che c'è qualcosa che non va.

Avanza di un passo, di un gradino e avverte un odore pungente, forte, che le fa salire l'acquolina in bocca: sangue.

Perché dovrebbe voler bere del sangue?

Le scale terminano e i suoi passi risuonano sul parquet del piccolo corridoio.

E' come se una parte di lei stesse lottando per sfondare una porta, una barriera e un'altra parte, la seconda e, forse, la più forte, glielo impedisse, costringendola a compiere azioni che non comprende fino in fondo.

Si volta quando si accorge dello specchio alla sua destra e si ritrova ad indietreggiare spaventata contro il corrimano.

Trattiene il respiro e, cercando di vincere la paura e lo sgomento, si avvicina alla superficie riflettente, studiando il suo nuovo viso: la pelle più pallida del solito, le occhiaie violacee che le segnano il contorno occhi e che, tuttavia, non le impediscono di vedersi bella e diversa, le lentiggini di un rosso più marcato e le iridi color del sangue.

Chi è? Possibile che si sia trasformata in un essere così perfetto ed etereo?

Si sistema i capelli dietro le orecchie, quando, all'improvviso, un'altra ondata di quel meraviglioso odore che ha avvertito all'inizio, le raggiunge il senso sviluppato dell'olfatto, rendendola affamata e furiosa.

Sa che deve proseguire, sa che non può ingannare la sua natura, come sa che deve continuare a camminare verso la camera da letto di sua zia, l'unica che ha la porta chiusa.

Abbandona la sua immagine e questa volta non perde tempo a verificare quanto rumore producono i suoi passi, questa volta ha fretta; fretta di uscire, fretta di ritornare a casa, perché quella non lo è più.

Apre la porta con uno spintone, scardinandola, ma non ha tempo di meravigliarsene, perché il corpo di sua zia giace inerme sul pavimento, il sangue che le circonda la testa e parte del collo, come un'aureola, gli occhi sbarrati dal terrore e il vento di settembre che scuote le tende sottili, visto che la finestra è stata dimenticata a terra.

Lo spettacolo terribile a cui sta assistendo, la costringe a piegarsi in due e a chiudere gli occhi, la convinzione che potrebbe morire anche lei da un momento all'altro.

Non ha più fame, non prova più rabbia, solo tristezza, tristezza e delusione e pietà per se stessa.

Non era con lei quando è successo, avrebbe potuto salvarla, ma non c'era, era impegnata e non può perdonarselo.

< Dobbiamo andare, è pericoloso qui. > Non si spaventa quando ode quella voce, quando sente una mano posarsi sulla sua spalla.

Si rialza, fronteggia un Edward serio e arrabbiato e l'unica cosa che riesce a fare, è annuire, andandogli incontro e mostrando una sicurezza e una lucidità che sanno di finzione.

Vorrebbe urlare, ma è diventata improvvisamente afona, non riesce ad emettere neanche un suono.

Attraversa il vialetto, si accomoda in macchina, dal lato del passeggero e, tempo una manciata di secondi, è già in viaggio, forse verso casa.

 

Audry apre gli occhi, vigile, osservandosi intorno nella stanza per controllare che sia tutto in ordine come al solito e tira un sospiro di sollievo.

Era solo un sogno, uno dei suoi soliti incubi.

La sveglia sul comodino segna le sette e cinque e lei, stiracchiandosi, decide di potersi permettere ancora una decina di minuti di relax prima di alzarsi. Si sistema sotto il piumone caldo e cambia posizione, la mente che vaga ancora sulle immagini dell'incubo, sovrapposte da quelle di ciò che è successo la sera prima con Edward.

Ha baciato diversi ragazzi prima di Edward, e sa che potrebbe risultare patetico o smielato, ma non può evitare di considerare quell'esperienza con Edward, come se fosse la prima. Sarah l'ha sempre rimproverata di essere una persona eccessivamente romantica, una di quelle che crede alle fiabe e ai lieto fine dei film per depressi sentimentali, ma lei non crede di essere poi così fuori dalla norma. Tutte le ragazze sognano il loro Principe Azzurro, sin da bambine, salvo poi rendersi conto che di Principi Azzurri ne esistono ben pochi e che, spesso e volentieri, bisogna accontentarsi del meno peggio.

Beh, Edward si era dimostrato un perfetto Principe Azzurro/Vampiro la sera precedente, da quando le aveva chiesto se aveva bisogno di aiuto con gli esercizi, a quando aveva deciso, sotto sua richiesta, di assaggiare il suo sangue, fino a quando l'aveva baciata con dolcezza e desiderio.

Quando era scappato, però, era stato come se il Principe di Cenerentola avesse fatto rompere la scarpina di cristallo e si fosse rassegnato a sposare una delle cattive sorellastre di lei, solo che a rompersi, non era stata una stupida scarpetta, ma il suo cuore e, doveva ammetterlo, aveva fatto anche più rumore.

Le lacrime avevano alleviato il senso di imbarazzo e di inadeguatezza, ma non erano state in grado di far rimarginare la ferita.

Di delusioni d'amore c'è sempre da farne il pieno, ma ha come l'impressione che non sia solo questo a farla stare così male, c'è dell'altro.

Abbandona le coperte, infilando i piedi nelle pantofole di spugna calde, prendendosi un momento per auto-convincersi che, in fondo, se non con Edward, sarebbe potuta essere felice anche con Michael, o con qualunque altro.

Riordina i libri nella solita tracolla, occhieggiando alla finestra e non per verificare se sia o meno una bella giornata.

Non deve pensarci.

E' scappato, non vuole avere niente a che fare con te, devi fartene una ragione. Pensa, scuotendo la testa, afferrando un asciugamano e dirigendosi in bagno per una doccia calda.

Sente sua zia armeggiare in cucina per preparare la colazione e sorride perché la normalità le permette di rimanere con i piedi per terra e di non fantasticare troppo.

< Mattutine? > Le domanda Jenna, sorridendole e porgendole una tazza di caffè fumante, mentre lei si protende per ringraziarla con un bacio sulla guancia.

< Sarah vuole ripassare matematica prima della lezione e le ho promesso che sarei arrivata puntuale. > Fa spallucce, afferrando un biscotto e sedendosi con un balzo sul tavolo, facendo oscillare le gambe, come una bambina.

< Hai chiesto a quel ragazzo di darti un passaggio? > Le chiede la zia, scostando appena le tende della finestra per osservare la linea elegante della Volvo di Edward.

Audry assume un'espressione confusa e interdetta, ma il suo cuore ha preso già a pompare più sangue nelle vene e più velocemente. Lo avverte persino nelle orecchie il suo tum tum. 

< Quale ragazzo? > Tentenna, scendendo dal tavolo e avvicinandosi anche lei alla finestra.

Edward è appena uscito dalla vettura, un sorriso storto ad incurvargli le labbra e lo sguardo basso di chi sa di essere osservato.

Ad Audry quasi le cade la tazza nel lavello: arrossisce e si allontana dal vetro, lasciando perdere la tazza e dirigendosi all'attacca-panni per recuperare il suo cappotto invernale e la tracolla.

La zia le sorride maliziosa, ma lei sembra non farci caso e la saluta con un frettoloso a più tardi.

Quando la porta di casa si chiude dietro di lei con un piccolo tonfo sordo, si rende appena conto di essere all'esterno; nella sua mente sta, ancora una volta, rivivendo il bacio della sera prima, i suoi capelli morbidi tra le dita e la sua pelle fredda.

< Buongiorno. > La saluta. Ha le braccia incrociate al petto, così come le caviglie ed è totalmente a suo agio appoggiato alla portiera del passeggero quasi fosse un modello pronto per un servizio fotografico.

< Non lo accetto un tuo passaggio. > Commenta, avvicinandoglisi con le mani in tasca per il freddo. Non vuole essere scortese, ma si sente oltraggiata e non bastano la sua bellezza o la sua galanteria a promuoverlo.

< La strada è completamente ghiacciata e la tua vettura non ha le gomme adatte. > Aggrotta le sopracciglia, serio.

Audry decide di credergli, ma non accenna a salire in macchina, ancora diffidente.

< Hai un appuntamento, o sbaglio? Vuoi arrivare in ritardo? > Continua, accennando un sorriso.

< Accetto solo perché so che mia zia ci sta guardando. > Sbuffa, lasciando che lui le apra la portiera, arrossendo per quell'ennesima galanteria. E' proprio vero che proviene da un'altra epoca; nessun ragazzo le aprirebbe mai la portiera, se non per mettersi in mostra, e lei sa che non è questo lo scopo che Edward persegue.

< Come vuoi. > Ammicca nella sua direzione prima di spostarsi sul lato del guidatore e prendere posto.

Possibile che l'appuntamento con Sarah sia già passato in secondo piano? Possibile che avverta ancora il suo sapore fresco sulle labbra? E possibile che ne voglia ancora, dopo il modo con cui l'ha lasciata la sera prima?

 

 

 

 


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Capitolo 13
*** I'm not the only one ***


Salve!

Ancora una volta sono costretta a cominciare questo aggiornamento con delle scuse ç.ç mi spiace non essere riuscita ad aggiornare lunedì, ma, sarò io che non riesco a raccapezzarmi quest'anno all'università (perché l'anno scorso riuscivo, bene o male, a scrivere sempre e ad aggiornare con costanza), sarà che le cose si sono fatte più impegnative e con i corsi hanno combinato un disastro, sono sempre piena fino al collo e il risultato è che vorrei scrivere, ma non ne ho il tempo ç.ç quindi, chiedo, ancora una volta, venia ç.ç

Che dire del capitolo? Audry sta facendo passi da gigante per entrambi, come noterete ^_^ ci vorrà del tempo, ma, forse, riuscirà a trarne qualcosa... *si cuce la bocca*

Ne approfitto per pubblicizzare una piccola Shot che ho presentato per il contest indetto da SerenaEsse First Date-Primo Appuntamento e che si è posizionata seconda *.* Se volete leggerla e farmi sapere cosa ne pensate, ecco il link: Missing Date.

Ringrazio, al solito, tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo, che hanno letto soltanto, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* GRAZIE! <3

Ho parlato fin troppo, quindi non mi resta che augurarvi una buona continuazione di settimana e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Dove stiamo andando? > Chiede Audry, imbronciata, allacciando la cintura di sicurezza. Non ama particolarmente la guida spericolata e decisamente troppo veloce di Edward, ma, in un certo senso, riesce a capirlo: quando sei un vampiro e sei agile, veloce e forte, come puoi accontentarti della vita e dei ritmi di un semplice essere umano?

< Sta' tranquilla, non ho intenzione di rapirti, se è questo che temi. > Le rivolge uno sguardo calmo e profondo.

< Ho un appuntamento, come hai gentilmente fatto notare tu stesso poco fa, e non ho intenzione di boicottarlo per seguirti. > Incrocia le braccia al petto, torva e furiosa. Se solo il suo stupido cuore smettesse di battere così forte!

Edward sospira, cambiando velocemente marcia e azionando il riscaldamento: la temperatura è scesa ancora e non vuole che Audry si ammali per colpa sua, per una sua sciocca disattenzione.

< Mi dispiace per quello che è successo ieri notte. Mi sono comportato da codardo e ti ho ferita. > Ammette, guardandola ancora, ma è troppo orgogliosa per ricambiare l'occhiata, per fargli capire che ha ascoltato le sue scuse e che gli crede. Non si aspetta di essere perdonato, almeno, non subito.

< E' stata una tua decisione, hai deciso in base a ciò che ritenevi giusto; non puoi fartene una colpa. > Ribatte decisa, osservando il paesaggio al di fuori del finestrino sfrecciare veloce, conducendola al suo appuntamento con Sarah.

< Ho agito senza pensare a te; sono stato un egoista. > Riprende lui, stringendo la presa intorno al volante, maledicendosi. Non aveva abbondantemente sperimentato cosa significasse agire senza tener conto dei desideri dell'altro? Non aveva già fatto soffrire Bella in passato per lo stesso, identico sentimento d'egoismo?

Audry si volta verso di lui, accarezzando con lo sguardo il suo profilo perfetto, la sfumatura dorata delle sue iridi e i riflessi bronzei nei suoi capelli disordinati.

E' vero, l'ha pensato anche lei, la sera prima, rintanata sotto le coperte. Nella sua mente gli ha rivolto un mucchio di epiteti poco carini, ma sentirlo dalla sua voce è tutta un'altra storia. E' come se volesse farsi del male, come se ad ogni accusa corrispondesse anche una frustrata punitiva, inflitta, non da un carnefice assetato di sangue, bensì da lui stesso, il suo più grande nemico.

< In fondo, hai ragione, sai? Non dovrei avere niente a che fare con te: sei un vampiro, ti nutri di sangue, potresti mordermi da un momento all'altro, potresti uccidermi da un momento all'altro, sei forte, veloce; non avrei possibilità contro di te. > Afferma tranquilla, ritornando con gli occhi alla strada.

Edward si volta, incredulo, non riuscendo a capire se il suo sia un semplice gioco, oppure la verità.

< Tu sei d'accordo con me? > Ripete ad alta voce, scettico, svoltando nel cortile dell'università.

Audry fa spallucce, indifferente, il cuore che ora le rimbomba anche nelle orecchie, stordendola.

< Sì, sono d'accordo con te. > Annuisce, aprendo la portiera e sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla prima di slacciare la cintura di sicurezza.

< L'unico problema è che a me non importa. > Continua, sporgendosi verso il suo viso per incontrare le sue labbra fredde. Lo fa senza pensarci, con naturalezza, inspirando il suo profumo di muschio e foglie bagnate, avvertendo una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale.

Edward ricambia il bacio con qualche secondo di ritardo, cosa insolita per un vampiro, ammettendo a se stesso che quel contatto l'aveva desiderato sin da quando l'aveva intravista spiarlo dalla finestra della cucina insieme alla zia.

Le accarezza una ciocca di capelli rossi con due dita, separandosi dalla sua bocca calda e profumata. Audry arrossisce e abbassa lo sguardo, incapace di sostenere ancora i suoi occhi, la pancia in subbuglio per un semplice bacio.

< Ti passo a prendere. > Le mormora lui, la voce roca che le dà i brividi, la punta del naso che le sfiora la pelle morbida e bianca del collo, annusandola per poi depositarvi un bacio, quasi un piccolo sigillo, un marchio.

Audry non riesce a rispondere; ha appena la forza di scendere dalla vettura e di chiudere la portiera, prima di avviarsi a passo incerto verso l'ingresso dell'università, la sagoma di Sarah che si intravede al di là dei vetri opachi della sala lettura a piano terra.

< Ehi! > Quasi le cade la tracolla a terra quando si accorge del volto di Michael pericolosamente vicino al suo; dire che non l'ha visto arrivare è riduttivo. Si allontana di un passo, sorridendo imbarazzata.

< Ciao. Tutto bene? > Chiede, riprendendo fiato. Si sente osservata e automaticamente sa che Edward è ancora lì, nel cortile, attento ad ogni sua mossa. Il solo pensiero la manda in brodo di giuggiole, cosa estremamente inusuale per lei, costantemente preoccupata a nascondere ciò che prova.

< Mi spiace averti spaventata. Sbaglio, o non sei qui per seguire i corsi? > Michael le sorride, scrutandola.

< Sarah mi ha chiesto di farle compagnia e di aiutarla in vista dell'esame di Analisi Matematica, tu? > Risponde, indicando la sala lettura.

< Oh, niente di che, solite beghe amministrative. Senti, pensavo che potremmo vederci una di queste sere, sai, per rompere un po' il ghiaccio prima del ballo, no? > E' a disagio e si ritrova a grattarsi la nuca e ad evitare il suo sguardo.

< Beh, non saprei... mia zia è stata poco bene e non me la sento di lasciarla sola per un'intera serata... > Finge dispiacere, rendendosi conto che solo quella mattina aveva preso in seria considerazione l'idea di chiedergli di uscire, fosse anche solo per vendetta nei confronti di Edward.

< D-d'accordo, va bene, non c'è problema. In fondo, manca ancora molto al ballo! > Arrossisce, non sapendo bene cosa dire. Ad Audry fa quasi pena; non vorrebbe mentire, ma l'unica cosa che desidera, al momento, è conoscere meglio Edward, trascorrere del tempo con lui.

< Scusa, sarà meglio che vada, sono già in ritardo. > Lo saluta così, con un cenno della mano e un sorriso, scomparendo nell'aula e lasciandolo perplesso nel bel mezzo del corridoio d'ingresso, incapace di spiegarsi come mai sia così sfuggente, così inafferrabile. 

 

Quando si lascia cadere sulla sedia accanto a quella di Sarah, Audry sospira e si libera della sciarpa, cercando di intravedere la sagoma della Volvo argentata attraverso i vetri bagnati di pioggia.

< Dieci minuti di ritardo. > Borbotta Sarah, continuando a scrivere sul suo block-notes.

< Buongiorno anche a te. > La riprende Audry scherzosamente, tirando fuori i libri e la calcolatrice.

< Sì, come vuoi. Posso dare un'occhiata ai tuoi esercizi? Temo di aver fatto confusione con qualcosa. > Risponde brusca, senza degnarla neanche di uno sguardo.

Audry le passa il quaderno, facendo spallucce, osservandola esaminare ogni singolo esercizio, prima di rendersi conto di dover ricominciare tutto daccapo.

< C'è qualcosa che non va? > Le chiede, aggrottando le sopracciglia.

< No, certo che no! Cosa vuoi che succeda? > Strappa l'ennesimo foglio con violenza eccessiva, facendo voltare molti nella sua direzione, compresa la signorina Ruth, l'addetta bibliotecaria.

Sarah incrocia lo sguardo eloquente della sua migliore amica e sospira, sconfitta, rendendosi conto che, forse, confessare l'aiuterebbe.

< Eric mi ha invitata al ballo. > Lo dice così veloce, che Audry dubita di aver capito bene.

< Non era quello che volevi? Un aitante giocatore di football che ti invitava a fargli da dama di compagnia? > Era sempre stato il sogno di Sarah essere accompagnata da Eric al ballo. In fondo, stravedeva per lui dal primo anno, anche se non aveva mai trovato il coraggio di avvicinarlo.

< Beh, sì, è sempre stato il mio desiderio più grande, ma... non lo so, sto ritornando ad essere la solita paranoica di sempre... > Mette il broncio e abbassa lo sguardo, giocherellando con la matita.

< Ovvero, quella che si dispera perché a soli quattro mesi dal ballo non riuscirà a trovare il vestito perfetto? > La prende in giro, sbirciando la pagina del libro, premurandosi di cominciare ad analizzare gli esercizi, un sorriso sul volto fine.

< Smettila di prendermi in giro! Come mai oggi hai così voglia di scherzare? Niente incubi? > Le dà una spinta scherzosa, contagiata dal suo sorriso.

< Sempre lo stesso: mia zia in un lago di sangue. > Audry fa spallucce, recuperando il quaderno dalla postazione di Sarah e cominciando a scrivere.

< Santo cielo, ma è terribile! > Prorompe l'amica ad occhi sgranati.

< Lo so, non voglio dire che non lo sia, ma faccio questi incubi da quando ho nove anni e non è detto che si avverino, che siano sogni premonitori. > Scuote la testa, ripensando a quello che le ha sempre detto il suo psicologo: i brutti sogni sono all'ordine del giorno, è della realtà che dovremmo preoccuparci.

< Con i tuoi genitori è successo, però. > Mormora, mordendosi la lingua per essere stata così indiscreta e insensibile.

< Forse era solo giunta la loro ora, forse doveva succedere e basta. > Non incrocia il suo sguardo e Sarah capisce che ripensarci fa ancora troppo male. 

< Allora, qual è l'esercizio che non riesci a fare? > Cambia argomento, sorridendole come a rassicurarla.

< Il nove. Sai, mi è sembrato di notare ancora quella Volvo in cortile, poco prima che arrivassi. > Sa che non dovrebbe impicciarsi degli affari che non la riguardano, ma loro hanno sempre avuto l'abitudine di dirsi tutto e Sarah non vede perché dovrebbe tenere nascosta quella notizia. Ha capito che Edward non è una persona pericolosa per Audry, ma le sembra comunque sospetto il fatto che continui ad aggirarsi nei luoghi in cui frequenta, come se potesse essere semplice far finta di niente, non riconoscerlo.

Audry arrossisce, colta alla sprovvista e pensa quasi di poterle rifilare una scusa, una bugia, ma alla fine non ci riesce, non con Sarah.

< Mi ha accompagnata lui. > Si morde il labbro inferiore, temendo l'ennesima paternale su quanto sia più saggio frequentare Michael.

< Perché non inviti lui al ballo? > Quasi le domanda con stizza. Non riesce nemmeno a nascondere le sue emozioni con lei. Michael le ha fatto la corte per mesi, anni, e lei a malapena ha accettato il suo invito, quasi potesse così farla smettere di parlare di lui, e poi dal primo sconosciuto disponibile, si fa addirittura accompagnare all'università. E' assurdo.

< Era davanti casa mia, non potevo ignorarlo! > Si giustifica Audry, continuando a scrivere.

< Potevi semplicemente rifiutare. > Le fa eco Sarah.

< Oh, andiamo! Perché lo odi così tanto? Neanche lo conosci! > Sbuffa, spazientita dalla sua ostinazione.

< Esattamente! E' uno sconosciuto, Audry, come puoi fidarti di lui? > Le fa notare senza troppi scrupoli.

< So quello che faccio, e poi non eri tu quella che diceva che dovevo tentare, buttarmi a capofitto in una relazione? > Le fa il verso, facendola scoppiare a ridere.

< Io non intendevo con un maniaco! > Borbotta Sarah offesa, sbirciando lo svolgimento dell'esercizio.

< Ascolta, so che sei solo preoccupata per me ed io ti ringrazio, davvero, ma non ho intenzione di cominciare ad essere sprovveduta proprio adesso, quindi non c'è bisogno che ti preoccupi per me, ok? > Lascia cadere la matita tra le pagine del libro, afferrando entrambe le mani della sua migliore amica.

Conoscere non vuol dire necessariamente stare insieme per sempre.

E' cosciente che quello che cerca, che cercano entrambi, anche Edward, vada al di là di una semplice conoscenza, come sa che ben presto dovrà fare i conti con tutte le sensazioni che la sola visione di Edward le suscita, con i baci che gli ha donato e con la sensazione che siano perfetti insieme, almeno dal punto di vista intellettivo.

 

Audry è ancora impegnata ad avvolgersi la sciarpa intorno al collo e a prestare contemporaneamente attenzione a Sarah, che le sta raccontando, nei minimi particolari, il resoconto di alcune ex-ragazze di Eric, quando nota gli occhi dell'amica spostarsi al di là del portone d'ingresso ed intercettare un qualcosa che le prova fastidio, costringendola a sbuffare.

< Cosa? > Le domanda Audry, guardando nella sua stessa direzione. Il cuore perde un battito alla vista della Volvo di Edward.

< E' anche puntuale, brutta storia... > Borbotta Sarah, incrociando le braccia al petto e lasciandosi baciare una guancia da una Audry decisamente accaldata e su di giri. Non l'ha mai vista così allegra e così innamorata, ma se fosse l'ennesima cantonata? Sa quanto ha sofferto per James; ogni singola volta che accenna a lui, gli occhi le diventano liquidi e lo sguardo le si abbassa automaticamente, quasi ce l'avesse di fronte e non solo nella testa. Non sopporterebbe vederla soffrire ancora.

< Ci sentiamo più tardi, va bene? > Le urla, camminando all'indietro.

< Conosci il numero della Polizia, vero? > Le risponde lei di rimando, facendola sorridere divertita.

La vede allontanarsi di corsa verso la vettura, aprire lo sportello e accomodarsi all'interno.

< Ciao. > Lo saluta, allacciandosi la cintura e sorridendo, felice che abbia mantenuto la sua promessa.

Edward la ricambia con uno dei suoi soliti sorrisi storti, lasciandola senza fiato.

< Tutto bene? > Le domanda solo, sfiorandole una guancia con il dorso di un dito e sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Audry annuisce e lo osserva mettere in moto e partire, svoltando a destra subito dopo essersi lasciato alle spalle il cancello della scuola.

Non sembrano avere molto da dire, o, forse, le cose sono così tante, che nessuno dei due riesce a prendere per primo la parola.

< Tua zia non è ancora tornata. > Osserva Edward ancora prima che imbocchino il vialetto giusto, lasciandola perplessa. Forse sua zia si è dovuta trattenere un po' di più al negozio a causa di qualche cliente esigente; non sarebbe la prima volta che succede.

Le luci della casa sono tutte spente, le finestre chiuse e il portico deserto, eccezion fatta per le foglie autunnali che stridono sul legno grezzo, spostate dal vento.

Audry slaccia la cintura e osserva il suo profilo, ancora perso nello studio

dell'abitazione.

< C'è qualcosa che non va? > Gli domanda, aggrottando le sopracciglia.

< No, va tutto bene. > Le risponde, voltandosi per incrociare il suo sguardo preoccupato.

< Vuoi... entrare? > Gli chiede. In fondo, è a base dell'educazione chiedere ad una persona che ti ha riaccompagnata a casa di entrare, no?

< Non vorrei metterti in difficoltà con tua zia. > Accenna un sorriso.

< No! Nessun problema, davvero! A lei farebbe piacere avere un ospite a cena. > Si muove imbarazzata sul sedile, fingendo di cercare una posizione più comoda, evitando i suoi occhi color dell'oro per non arrossire.

< Non sarei di molta compagnia, temo. > Si giustifica ed Audry sente il suo sguardo perforarla, centimetro per centimetro, come se le stesse leggendo l'anima.

< Vorresti lasciarmi da sola? E' tardi e questa non è una zona molto frequentata, potrebbe aggredirmi qualcuno. > Tenta un altro approccio, mostrandosi sicura, ma soprattutto fintamente indignata e fintamente scioccata dal comportamento poco cavalleresco di Edward.

< Non hai paura di un vampiro, ma hai paura del buio? > Scuote il capo, pensando a quanto sua figlia avesse ragione su di lei: è cocciuta, coraggiosa e molto logica e dannatamente perfetta per lui.

Sì che aveva paura del buio, e allora? I suoi incubi le avevano insegnato a temerlo, il buio.

< Non ho paura del buio! > Mente, arrossendo l'istante successivo. Non è mai stata molto brava a mentire.

< Non mi avresti chiesto di restare. > Le fa notare con un sorriso malizioso.

< E' così strano che io abbia voglia di trascorrere del tempo con te? > Ecco, l'ha ammesso e adesso, pensa, può anche scappare e non ritornare più, ma non riusciva più a tenersi dentro quello che sentiva.

Edward sembra sorpreso, disorientato; il sorriso gli muore sulle labbra e, per un istante, un solo, brevissimo secondo, Audry teme che possa farle del male; non sa perché, sa solo che i suoi occhi sono diventati più scuri e che potrebbe scappare, far finta di non aver mai pronunciato quelle parole, ma non riesce a muoversi, ferma immobile al suo posto, il volto di Edward che sembra essere diventato persino più bello del solito, più bello di cinque minuti prima.

Edward avverte la sua paura, il suo timore di aver detto qualcosa di sbagliato e quando solleva una mano per accarezzarle il volto, pensa che lei si ritrarrà e scapperà via, invece la sente rilassarsi a quel tocco, socchiudere gli occhi e accomodare meglio la guancia sul palmo della sua mano.

La pelle è calda a contatto con la sua, gelida, ma nonostante ciò, Audry non si lamenta, accoglie quella carezza come il più prezioso dei regali.

Quando riapre gli occhi e gli si avvicina, scrutandolo con attenzione, vorrebbe sapere cosa riesce a leggere nei suoi occhi, cosa nota dal suo studio scrupoloso, ma gli manca la voce per chiedere e si accontenta di perdersi nel verde smeraldo delle sue iridi.

Audry gli accarezza i capelli, quelli più corti della nuca, e sente il suo sapore sulle labbra ancor prima di baciarlo, quasi fosse acqua dissetante e lei una povera sprovveduta che si è persa nel deserto e sta morendo di sete.

Quando trova la forza necessaria per separarsi da lui, riapre gli occhi e incontra i suoi.

< Dimmi che non sono l'unica a sentirsi così piena. > Piena di emozioni, di paura, di desiderio e di amore.

Edward congiunge la fronte alla sua e sospira, chiudendo gli occhi e scuotendo impercettibilmente il capo.

Audry continua ad accarezzargli dolcemente i capelli, sentendolo rilassarsi. Edward le accarezza i fianchi con entrambe le mani, dolcemente, e quando decide di sollevarla appena per permetterle di sedersi sulle sue gambe, Audry si sente quasi una bambina e, proprio come una bambina, si accoccola contro di lui, nascondendo il viso nei risvolti morbidi del suo cappotto, certa di potersi anche addormentare così, avvolta da quel senso di protezione e cura che solo Edward sa donarle.

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Capitolo 14
*** More ***


Salve!

Aggiorno di volata, visto che i miei programmi per la serata sono inesorabilmente cambiati esattamente 10 minuti fa e, purtroppo, non ho tutta la serata per me come avevo previsto.

Vi chiedo ancora scusa per il ritardo e suppongo che ormai vi siate stufate di leggere mie giustificazioni, quindi dico solo che non garantisco l'aggiornamento settimanale, perché mi diventa difficile scrivere, considerata l'università e la sessione d'esami di novembre che si sta avvicinando. L'unica cosa che posso promettere è di non farvi attendere un mese o cose del genere, cercherò di fare il possibile, anche perché scrivere è il mio modo di evadere dalla realtà, mi piace farlo e lo farò in ogni momento possibile, anche in bagno, se necessario xD

Detto questo, spero che questo capitolo vi piaccia. Posso solo dirvi che sarà l'ultimo capitolo "calmo" della Ff, dal prossimo cominceranno le complicazioni.

Vi auguro un buon fine settimana e una...

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Sei stanca. > Mormora, e non è una domanda, ma un'affermazione.

Audry non risponde, continua a mantenere gli occhi chiusi, rilassata dalle carezze leggere di Edward tra i suoi capelli, lungo le spalle e le braccia. E' come se avesse cento mani e non due. Le doti da vampiro qui non c'entrano, le sue mani sembrano percorrerla tutta e lei si sente nuda, nuda e meravigliosamente al sicuro sotto il suo tocco.

< Hai freddo? > Il sussurro le raggiunge l'orecchio e per un attimo le viene da sorridere. Dovrebbe smetterla di preoccuparsi così tanto.

< Sto bene. > Risponde, strofinando la guancia contro il tessuto nero del cappotto di lui.

< Forse dovremmo entrare in casa. > Soppesa, osservando l'abitazione ancora vuota e silenziosa.

Audry solleva il viso e lo osserva, sospirando di rassegnazione.

< Non puoi proprio fare a meno di parlare? Non devi preoccuparti per me, sto bene. > Alza gli occhi al cielo per avvalorare meglio il suo inutile sentimentalismo. 

Edward accenna un sorriso divertito.

< Scusami. Sono iper-protettivo, lo so. > Cerca di difendersi. Non è da lui cedere così ai sentimenti, con Bella non era successo. Aveva dovuto lottare a lungo contro la sua natura, aveva dovuto convincersi che non le avrebbe fatto del male, erano passate settimane intere prima che si sentisse davvero pronto a baciarla, ad avvertire il suo profumo e il suo sapore così vicino. Con Audry, invece, aveva rotto qualsiasi schema. Sì, forse era l'abitudine, forse non c'era bisogno di allenamenti, questa volta, forse era stato legato a Bella così a lungo, che semplicemente era diventato automatico per lui avvicinare gli umani ed essere cosciente di non dover far loro del male, di non poter far loro del male.

< Sento il ronzio del tuo cervello, sai? A cosa stai pensando? > Audry ha sollevato di nuovo il volto verso il suo e sta sorridendo.

Edward abbassa gli occhi nei suoi e, ancora una volta, si ritrova a pensare a quanto sia incantevole con i capelli rossi che le scivolano leggeri lungo le spalle, quasi fino a toccare le sue mani, legate intorno alla vita di lei, e le lentiggini che la rendono unica. 

< E' più semplice la tua compagnia. > Risponde, un velo di malinconia che si stende sulle sue iridi dorate.

Anche Audry perde il sorriso e si ritrova a mordersi le labbra, quasi fosse sua la colpa, quasi gli stesse facendo un torto solo a trovarsi lì, tra le sue braccia.

< Con Bella, inizialmente, non lo era. > Continua piano, soppesando le parole e puntando lo sguardo lontano, oltre il parabrezza, verso il bosco. < Ricordo ancora il suo profumo invadermi quando entrò nell'aula di biologia: forte e dolce, irresistibile. Avevo dovuto trattenermi, avevo evitato di rivolgerle la parola, di sfiorarla e prima che la campanella annunciasse la fine della lezione, io ero già corso via. > Scuote il capo, come a rimproverarsi.

< Eri attratto da lei, è comprensibile. > Audry fa spallucce. Non sa cosa significa essere un vampiro, ma può immaginare quale tormento interiore abbia afflitto Edward. Se con lei è schivo, ansioso e costantemente preoccupato, con Bella doveva essere stato cento volte più terrorizzato.

< Ero attratto dal suo sangue, Audry. Era quello che bramavo. Avrei potuto ucciderla di fronte a tutti, mettendo a rischio la mia famiglia, tutto quello che Carlisle mi aveva insegnato. > E' un ringhio il suo e l'unica cosa che Audry riesce a fare, è cercare di tranquillizzarlo, giocherellando con i capelli corti della nuca, delineando il profilo alabastrino del suo collo bianco come marmo.

< Non ti eri mai... innamorato di un'umana, prima? > Gli chiede dolce. Non vuole essere invadente, né ferire la sua sensibilità; è solo curiosa ed Edward lo sa, sa che una domanda del genere è più che lecita.

< Non mi ero mai innamorato prima di Bella. Carlisle aveva soccorso Rosalie, mia sorella, credendo che potesse farmi compagnia, diventare qualcuno per me, ma io non ero interessato, non volevo legami, amavo la mia solitudine. > Spiega calmo.

< E poi è arrivata lei... > Audry insinua due dita nel colletto della camicia, mai sazia della bellissima sensazione della sua pelle liscia e perfetta.

Edward sospira e accenna un sorriso. Vorrebbe aprirsi di più con lei, rivelarle quali sono stati i suoi veri sentimenti, le sue vere sensazioni, eppure non ci riesce, c'è qualcosa che lo frena. E' ingiusto, lei gli ha raccontato delle sue sofferenze, del suo dolore e lui, di nuovo, decide di non dare niente in cambio, di tenere tutto per sé, di custodire gelosamente i suoi pensieri e le sue emozioni.

< Dovresti andare, tua zia tornerà a momenti. > Le sistema i capelli sulle spalle, sfiorandole la pelle sensibile del collo, sentendola rabbrividire.

< Non posso lasciarti. > Mormora, stringendosi di più a lui.

< Se lasci la finestra aperta, potrò entrare appena tua zia sarà andata a letto. > Le bacia la fronte, leggero e prudente.

< Non voglio aspettare. Voglio stare con te adesso. > Sbotta, imbronciandosi, scatenando la sua ilarità.

< Sei proprio testarda. > Afferma dolce, stringendosela al petto, annusando i suoi capelli, beandosi di quel profumo di pesca e miele, dolce e deciso proprio come lei.

< Dovresti entrare con me. Mi faresti compagnia. > Mormora, allontanandosi appena dal suo corpo.

< Cosa dirai a tua zia? > Le domanda, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli rossi.

Audry fa spallucce, perplessa.

< Cosa vuoi che dica? > Non è una domanda retorica, ma una vera e propria richiesta.

< Mi ha visto riaccompagnarti a casa, venire a prenderti... pensi che possa crederti se le dicessi che sono solo un amico? > Sorride, forse perché neanche lui vuole essere definito tale. Eppure vuole che sia lei a stabilire il grado del loro rapporto.

Audry abbassa lo sguardo e ricorda lo sguardo malizioso e felice della zia quella mattina, quando ha notato la macchina di Edward di fronte casa, quando ha finto di non notare il rossore che aveva preso possesso delle sue guance, quando l'ha osservata salire in macchina. Probabilmente si sarebbe tradita immediatamente; il suo viso l'avrebbe tradita, i suoi occhi e il suo imbarazzo.

< Non devo necessariamente definirti. Non puoi essere semplicemente Edward? > Lo osserva speranzosa.

< Prima o poi te lo chiederà ed esigerà una risposta. > Le accarezza una guancia con il dorso delle dita, osservandola arrossire a quel contatto.

Audry sbuffa esasperata. E' opportuno definire il loro rapporto una relazione? Può considerarlo il suo fidanzato, anche se si conoscono solo da pochi giorni? E' confusa e non sa come la prenderebbe Edward nell'esposizione dei suoi dubbi. Lo offenderebbe.

< Sei... un amico intimo? > Sente improvvisamente caldo, troppo caldo.

< Intimo?!? > La prende in giro, assottigliando lo sguardo e sorridendo divertito. < E quando, esattamente, sarei diventato tale? > Continua, provocandola spudoratamente.

< Beh... voglio dire... ci siamo baciati... > Non riesce ad incrociare lo sguardo di Edward, troppo imbarazzata.

< Oh, e quindi adesso chiunque tu abbia baciato in un passato recente, è tuo amico intimo. > La prende in giro con benevolenza, divertendosi a vedere come la sua pelle diafana si riscaldi e assuma una colorazione rossastra, specialmente sulle guance. Quel particolare le ricorda Bella, solo che adesso non gli sembra più così strano paragonare Audry a lei, notare le piccole cose che le accomunano. Forse anche la presenza di Bella che alberga ancora in lui si è rassegnata a vederlo con un'altra; o forse sono semplicemente i suoi pensieri che hanno smesso di essere così chiassosi, insieme alle sue paranoie e ai suoi continui dubbi.

< No! Dio, cosa vai dicendo? > Si copre il viso con entrambe le mani.

< Insomma, perché ci stiamo preoccupando di questo, adesso? Non devo giustificarmi con mia zia. > Continua, risoluta.

< Lo so, e non devi farlo neanche con me. > Le bacia una guancia, aprendo la portiera e aiutandola a scendere.

Audry corre sotto il portico, rovistando nelle tasche alla ricerca delle chiavi. Edward la raggiunge, evitando di mettere in mostra una delle sue qualità, la velocità, per non spaventarla e per non destare troppi sospetti nei vicini. Il quartiere dove abita Audry è poco abitato e, si sa, la gente mormora quando sono in vista novità e la sua macchina costosa non deve certo essere passata inosservata.

Le permette di fargli strada lungo un corridoio piuttosto stretto che si apre immediatamente verso la prima stanza principale della casa: la cucina e poi verso quello che Edward immagina essere il salotto, dall'arredamento semplice ed essenziale.

Audry si libera del cappotto, che appende all'ingresso, e lo incoraggia a fare lo stesso mentre lo precede in cucina.

< Posso offrirti qualcosa? > Gli chiede, aprendo il frigorifero e tirandone fuori un cartone di succo di frutta all'arancia.

< Noi non mangiamo, né beviamo. > Come quando le ha rivelato che la loro razza non ha bisogno di dormire, anche adesso Audry spalanca appena gli occhi e poi scuote la testa.

< Non dormite, non vi nutrite... c'è qualcos'altro che dovrei sapere? > Afferra un bicchiere dalla credenza e lo poggia sulla penisola al centro della stanza, osservando Edward, perfettamente a suo agio con gli avambracci a contatto con la superficie di legno e il corpo leggermente sbilanciato in avanti.

< Tecnicamente no, anche se suppongo che non ne saprai mai abbastanza. > Le strizza un occhio, facendola sorridere.

< Credi che mia zia stia bene? > Sposta lo sguardo verso la finestra, quasi sperasse di notare i fari della vecchia Peugeot di Jenna illuminare la vegetazione.

Edward sembra rifletterci sopra, le sopracciglia incurvate e gli occhi scuri.

< E' raro che faccia così tardi? > Le chiede, invece, soppesando la cosa.

< No, non direi. Capita che qualche cliente particolare si soffermi oltre l'orario in libreria per esaminare qualche testo. > Risponde, facendo spallucce.

< Sarà qui tra poco, vedrai. > La rassicura, sorridendole. < Allora, qualche idea per trascorrere la serata? > Continua, distraendola e riassumendo la posizione eretta per raggiungerla al di là della penisola.

< Dopo secoli di tempo libero, dovresti essere tu l'esperto. > Ripone la confezione di cartone nel frigorifero prima di procedere verso il salotto e accendere la tv. Preferirebbe l'intimità della sua stanza, ma in casa non c'è nessuno e non c'è pericolo che vengano disturbati.

< Vuoi guardare un film? > Si accomoda accanto a lei sul divano, osservando lo schermo riempirsi di immagini colorate.

< Puoi scegliere tu, se vuoi, io li ho visti già tutti un milione di volte. > Edward prende il suo sorriso come incoraggiamento e si alza per rovistare con lo sguardo la grande libreria dietro l'apparecchio audio-visivo, contenente centinaia di titoli tra libri e dvd.

Audry dev'essere un'appassionata di film drammatici, mentre sua zia una fanatica della fantascienza e del thriller. 

Puntò su uno dei classici per eccellenza, Amleto. Chissà se l'aveva già visto. Quando Audry scorse il titolo, alzò su di lui uno sguardo perplesso: quel film doveva avere come minimo cinquant'anni!

< Hai lasciato scegliere a me, avresti dovuto immaginare che avessi gusti un po' antiquati. > Rise.

< Con questo siamo nella tarda Preistoria, o dovrei dire piuttosto al tempo dello scontro del Big Bang con la terra? > Scherzò, avvicinandosi al televisore per inserire il dvd. Quando tornò a sedersi, dimezzò le distanze, tanto che le loro ginocchia quasi si sfioravano.

Edward memorizzò il suo profilo, la curva delle labbra, la linea dritta del naso, la mascella lievemente pronunciata e i boccoli rossi che le coprivano la tempia e l'orecchio sinistri.

< E' imbarazzante! Dovresti smetterla di guardarmi così. > Audry incrocia le braccia al petto, arrossendo sotto lo sguardo divertito di Edward. Sembra che quella sera non riesca a fare altro che sorridere, con le labbra e con gli occhi. Lei, invece, sembra non fare altro che arrossire.

Le accarezza una guancia, scostandole i capelli con delicatezza e attenzione, avvicinandosi per baciarle una tempia.

Amleto non gli interessa; l'unica cosa che vuole è averla vicino e sa che non sta facendo altro che contraddirsi, ma è l'istinto che prevale in lui, lo stesso che gli ha permesso di salvare Bella nel parcheggio della scuola, lo stesso che l'ha convinto ad osare. Questa volta, però, il sangue non c'entra; è lei, è Audry che lo chiama, che sussurra il suo nome.

Il bacio, leggero come una carezza, le fa chiudere gli occhi e la costringe a voltarsi per fronteggiarlo, per avere di più. Vorrebbe essere più disinibita e sciolta, invece, raggiunge le sue labbra con goffaggine, maledicendosi per la sua inesperienza e rilassandosi quando Edward approfondisce il contatto, mandandole in tilt il cuore.

Si separano al rumore della chiave nella serratura e al suono della voce di Jenna che chiama il suo nome, annunciandole che è tornata.

< Sono in salotto! > Risponde, schiarendosi la voce. Lancia un'occhiata a Edward che le sorride in risposta, posando la mano fredda sulla sua.

I passi di Jenna si fanno sempre più vicini, fino ad arrestarsi sulla soglia della stanza, quasi avessero paura di proseguire oltre.

< Oh, non mi avevi detto che avremmo avuto ospiti. > Sorride, incrociando lo sguardo della nipote.

< Nessun ospite, signora, stavo giusto andando via. > Edward si alza, sornione, tendendole la mano. < Io sono Edward Cullen, piacere di fare la sua conoscenza. > Continua.

< Jenna, il piacere è tutto mio. Ma davvero vuoi andar via? Puoi fermarti a cena... > Ovvio che Edward l'abbia già conquistata.

Audry lo segue in corridoio e osserva i suoi movimenti eleganti mentre infila il cappotto e poggia una mano sulla maniglia.

< Davvero, non voglio essere di troppo e la mia famiglia mi starà aspettando. Audry è stata molto gentile ad invitarmi ad entrare, ed io non me la sono sentita di lasciarla sola. > E' educato, composto e ammaliatore: il fidanzato perfetto, insomma, quello che ogni genitore sogna per la propria figlia.

< Sarà per la prossima volta, allora. > Acconsente Jenna, sgattaiolando in cucina, mentre Edward apre la porta e una folata di vento gli scompiglia i capelli color bronzo.

< Lascerò la finestra aperta. > Gli sussurra Audry prima di baciarlo leggera e lasciarlo andare.

Lo osserva fare retromarcia e accelerare per imboccare il vialetto d'uscita, e solo quando non riesce più a distinguere la sagoma della Volvo chiude la porta, appoggiandovisi contro con la schiena, chiudendo gli occhi e sospirando prima di raggiungere la zia.

Jenna è di buon umore, trita il prezzemolo con un coltello affilato e canticchia una vecchia canzone. Ha persino indossato il grembiule, cosa che rifiuta di fare perché non vuole sembrare una vecchia casalinga. Audry si schiarisce la voce, recuperando dal frigorifero una carota.

< E' il ragazzo di stamattina, vero? > Le domanda la zia senza scomporsi, continuando il suo lavoro.

< Già. > Risponde, assumendo il colore del pomodoro che ha deciso di affettare.

< E ti piace. > Continua, ovvia.

< Ehm... già. > Ammette con un sospiro, rendendosi che mentire non servirebbe.

< E' molto bello. > Commenta Jenna, lanciandole un'occhiata distratta.

Cosa dovrebbe rispondere?

< Cosa avrei dato alla tua età per avere un ragazzo del genere. > Si ritrova a sognare ad occhi aperti, accendendo il gas sotto il tegame pieno d'olio.

< Non siamo fidanzati! > Protesta Audry debolmente.

< Lo sarete presto, lui stravede per te! > Liquida la faccenda con un gesto della mano, quasi volesse zittirla dal dire assurdità.

 

< Fosse per lei, saremmo già sposati con tanto di prole! > Sbuffa all'indirizzo di Edward, steso accanto a lei sul letto, le braccia incrociate. Lo sente ridere e, automaticamente, anche lei sorride.

< Ti vuole bene ed è felice per te, non c'è da meravigliarsene. > Risponde, incrociando i suoi occhi azzurri.

< Lo so. > Sospira, osservando il soffitto scuro. Poi, il terrore che lui possa cambiare di nuovo idea, lasciandola sola, le chiude lo stomaco e si ritrova a reprimere una smorfia di dolore.

< Scapperai di nuovo? > Gli chiede in un sussurro, nascondendosi sotto le coperte.

< Non vado da nessuna parte, Audry. Sono qui. > Le accarezza la testa, intuendo i suoi timori e maledicendosi per averle fatto del male, per non essere stato in grado di ammettere i suoi sentimenti.

< E sarai qui anche domani? > Continua, voltandosi verso di lui e poggiando una mano all'altezza del suo cuore muto.

< Veglierò su di te, non devi preoccuparti. > Vorrebbe abbracciarla, infonderle calore, ma sa che non può e la osserva rannicchiarsi contro di lui, la coltre di coperte a dividerli, chiudere gli occhi e accennare un sorriso rilassato e felice.

Vorrebbe fare di più, senza doversi limitare a stringerle la mano. Sa che non può essere un ragazzo normale, così come una parte di lui sicuramente sa che ad Audry tutto questo non interessa, che lei non ha bisogno di un ragazzo normale, non ha bisogno di carinerie o di gesti smielati. Lei ha solo bisogno di lui, di Edward.

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Capitolo 15
*** There is something I see in you ***


Buon salve a tutti!

Sono in ritardo di un giorno, ma giuro che ieri mi sono impegnata come non mai per aggiornare, solo che alla fine ero troppo stanca per aggiornare e oggi sono stata continuamente in movimento, tanto che mi sono seduta solo due secondi fa.

Premetto che non ho riletto il capitolo, quindi perdonate possibili erroracci/strafalcioni grammaticali ù.ù

Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare, che hanno commentato o che hanno comunque apprezzato silenziosamente *.* GRAZIE!

Come detto nello scorso capitolo, da qui cominceranno i guai e siccome nelle recensioni molte mi hanno chiesto se c'entrasse con il rapporto tra Audry e Edward, ribadisco anche qui che il loro rapporto non è in pericolo, anzi, tutt'altro, perché queste difficoltà li avvicineranno ancora di più <3

Spero il capitolo vi piaccia e spero che riesca ad emozionarvi almeno la metà di quanto ha emozionato me scriverlo *.*

 

Buon fine settimana e a venerdì prossimo <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry si sveglia la mattina dopo e sa, ancora prima di aprire gli occhi, che Edward è accanto a lei, che ha mantenuto la sua promessa e non l'ha abbandonata ancora.

Arrossisce ancora prima di incrociare il suo sguardo color miele e si nasconde sotto le coperte ancora prima che lui possa ridere del suo dolce imbarazzo.

< Dove stai cercando di sgattaiolare? > Le chiede, intrufolando le mani tra le lenzuola e riuscendo ad arpionarle un braccio.

< Sto cercando di nascondermi da te. > Asserisce lei, la voce ovattata dalle coperte.

< Non puoi vincere contro un vampiro. > Ride, scostando le coperte e osservando la sua espressione contrariata e minacciosa che hanno solo l'effetto di farlo ridere di più.

Audry si sistema nuovamente con la testa sul cuscino, sbuffando rassegnata.

< A proposito, buongiorno. > Le mormora roco, avvicinandosi al suo viso per baciarla, cosa per cui Audry non si tira indietro.

Assaggia le sue labbra con dovizia e la sua mano, quasi animata di volontà propria, corre ai suoi capelli color bronzo, arruffandoli ancora di più.

Mentre spinge Edward contro il materasso, sedendosi su di lui a cavalcioni e liberandosi delle coperte per avere più libertà di movimento, continuando a baciarlo e a tentare di vincere le sue difese ostinate, il suo cellulare vibra sul comodino di legno, producendo un rumore sgradevole e avvisando la proprietaria dell'arrivo di un messaggio.

Si separa dalle labbra di Edward di malavoglia, allungandosi con il busto per afferrare l'oggetto e ritornare, l'istante successivo, nella medesima posizione di pochi istanti prima, sentendosi perfettamente a suo agio, anche se vestita del suo orrendo pigiama con i maialini rosa, vecchio di almeno un decennio.

Se dovesse spiegare a qualcuno cosa ne è stato della Audry timida e perennemente in imbarazzo, direbbe semplicemente che è ancora lei, ma che ha allentato la presa sul freno a meno e ha deciso di lasciarsi andare un po' di più. Con Edward è tutto così estremamente naturale e perfetto, che le viene da chiedersi come mai non l'abbia fatto prima, come mai abbia dovuto attendere un'intera notte prima di prendere lei l'iniziativa e sederglisi sopra come converrebbe solo ad una coppia di fidanzati collaudati.

Edward le scosta i capelli dal viso e con entrambe le mani le massaggia piacevolmente i fianchi, stando attendo a non farle male, a dosare bene la sua forza.

E' un messaggio di Sarah che le chiede un passaggio per l'università, visto che la sua macchina ha deciso improvvisamente, dopo un anno di resistenze, di abbandonarla.

Audry sorride e le risponde svelta, abbandonando il cellulare accanto a lei e concentrando nuovamente la sua attenzione ad Edward che, perso nei suoi pensieri, continua a massaggiarla con cura, un sorriso dolce ad incurvargli le labbra rosse e perfette.

Quando incrocia il suo sguardo, dopo quelli che a entrambi sono parsi secoli, Audry sorride e si allunga su di lui per poggiare il mento sul suo petto e osservarlo attenta.

< A cosa pensi? > Le domanda curioso, giocherellando con i suoi capelli morbidi e profumati.

< Al fatto che, nonostante le tue resistenze, siamo entrambi qui, sul mio letto, a coccolarci come due adolescenti. > Le costa un rossore diffuso sulle guance quest'ammissione, ma ad Edward non riesce a mentire e poi, vuole che lui sappia che, qualunque cosa sia la loro relazione, sta diventando importante anche per lei, perché sarebbe pronta a lottare contro chiunque pur di non abbandonare Edward e sua figlia.

< Ieri sera eravamo amici intimi. > La prende in giro, accarezzandole una guancia con il dorso di una mano.

Audry nasconde la testa, poggiando la fronte sulle sue mani unite, proprio sotto il suo mento, e scuote la testa esasperata, i capelli rossi che vanno sparpagliandosi sulle sue spalle e sul maglione di Edward, creando un contrasto netto.

< E' stata la prima cosa che mi è venuta in mente. > Si difende, pigolando.

< Lo so, ed è per questo che mi sembrava strano che fossimo regrediti allo stadio adolescenti innamorati. > La consola divertito.

< Se ci sentisse Sarah, penserebbe che siamo, testuale, fritti e senza speranza. Mi toccherebbe darle anche ragione. > Afferma, fintamente sconsolata.

< Tieni molto a lei, vero? > Le chiede Edward, ignorando la sua affermazione.

Sarah è un altro caso irrisolto per lui, un po' come Audry. Non riesce a leggere la sua mente se è in sua compagnia, ma, appena Audry si allontana, come due sere prima, quando si è offerto di andare a prenderla a scuola, i suoi pensieri fluiscono leggeri nella sua mente, confusi e assurdamente incomprensibili. Il suo sguardo, poi, è imperscrutabile, di ghiaccio.

< E' la mia migliore amica qui, se escludiamo mia zia. > Afferma, facendo spallucce. < E non le stai particolarmente simpatico. > Continua, alzando gli occhi al cielo, rotolando su un fianco per acquistare la sua posizione originaria e mettersi seduta, stiracchiandosi.

Nota lo sguardo perplesso di Edward e, anche se non vorrebbe essere costretta a rivelargli anche che Sarah preferirebbe Michael per lei, si sente in dovere di fornirgli una spiegazione, sennonché, Edward ha tutti i diritti di esibire un'espressione scettica, visto che Sarah non lo conosce e il suo giudizio sembra essere semplicemente prevenuto.

< Preferirebbe che concedessi una possibilità a Michael, piuttosto che a te. Credeva fossi un maniaco. > Si alza definitivamente, aprendo l'armadio e scegliendo i vestiti, gettando uno sguardo distratto alla sveglia che segna le sette e mezzo in punto.

< Ha ragione. Sono potenzialmente un pericolo per te. > Edward ha incrociato le braccia e assunto i tratti di una statua di marmo immobile e perfetta, seria e severa. Ne hanno già parlato, ma non è l'unico ad essere testardo in quella stanza e, così come è sicuro che Audry continuerà a ribadire il contrario, è altrettanto sicuro che lui non si darà per vinto, così come non si è dato per vinto con Bella.

La osserva chiudere l'armadio con in mano gli abiti che ha scelto per la giornata e poi alzare gli occhi al cielo.

< Sì, certo. Chi mi assicurerebbe che con Michael sarei al sicuro? Potrebbe rivelarsi diverso da quello che appare. > Rispose, rovistando alla ricerca delle scarpe.

< Lui è come te, Audry. Io sono un vampiro, il predatore più letale che esista. > Ribadisce lui con forza.

< Anche gli uomini sanno essere dei bravi predatori quando vogliono fare del male, Edward. > Lo osserva, sicura delle sue parole. Alla mente le sovviene l'immagine del camionista che si è scontrato con la macchina dei suoi genitori. Ha osservato il suo volto mentre la polizia lo portava via senza neanche un graffio, una contusione, mentre i suoi genitori erano lì, a pochi metri di distanza l'uno dall'altra, coperti da un lenzuolo bianco macchiato di sangue e circondati da tanti piccoli tasselli con le lettere dell'alfabeto là dove i detriti e le prove erano più evidenti.

Ha incrociato i suoi occhi e vi ha letto shock, confusione, rammarico e debolezza; poi, ha osservato per un lungo istante il muso del suo camion piegato a fisarmonica, il rimorchio di traverso ad occupare l'intera corsia opposta, per poi spostarsi su di lei e su sua zia che la teneva stretta tra le sue braccia, mormorandole che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbe presa cura di lei.

Non ha mai provato rabbia nei confronti di quell'uomo, non ha mai desiderato vendetta. In fondo, non ha ucciso i suoi genitori in maniera intenzionale: era stanco, aveva guidato tutto il giorno senza fermarsi pur di raggiungere la sua meta in tempo e ricevere denaro sufficiente a sfamare la sua famiglia, aveva chiuso per un istante gli occhi e si era ritrovato ad osservare i cadaveri di una coppia sull'asfalto, senza essersi neanche reso conto dell'accaduto.

Se fosse stata anche lei in quella stessa macchina, ora probabilmente avrebbe riposato accanto alla tomba dei suoi genitori e qualcuno, forse, si sarebbe ricordato di lei e le avrebbe posato un fiore o una pietra sulla lapide, avrebbe detto una preghiera e avrebbe accarezzato il suo nome in punta di dita, come lei faceva sempre quando andava a trovare i suoi genitori al cimitero, preferibilmente da sola.

< Io ho ucciso intenzionalmente, Audry, non ho neanche cercato di fermarmi, non ho neanche riflettuto. > Edward scuote la testa e Audry crede che, da un momento all'altro, possa piangere, anche se sa che i vampiri non hanno lacrime da versare.

< Sei molto più di quello che credi. > Gli sussurra, sedendosi accanto a lui e accarezzandogli dolcemente i capelli per consolarlo.

Edward volta il capo verso di lei e vorrebbe ribadire che non è vero, che è soltanto un mostro, un corpo vuoto e senza cuore, ma l'espressione di Audry gli dice che non servirebbe, perché lei non gli crederà mai, qualunque cosa lui dica, di qualunque cosa lui si accusi, non riuscirà a farle cambiare idea e allora si rassegna, sospira e la vede allontanarsi per recarsi in bagno, lasciandolo solo con i suoi pensieri e i suoi sensi di colpa.

Ricorda ancora come avrebbe voluto piangere quando Bella non ha aperto gli occhi, quando ha sentito il suo urlo di dolore e quando neanche la vista di Renéesme riusciva a farlo sentire meglio. Avrebbe preferito essere umano, rintanarsi in un cantuccio, nascosto al mondo, e piangere per ore, giorni, secoli, fin quando il suo corpo non si fosse liberato di tutto, fin quando non sarebbe crollato stremato a terra, fin quando un Dio non gli avesse concesso la morte, semplice e confortante.

Invece aveva dovuto farsi forza, invece aveva dovuto cambiarsi la camicia sporca di sangue e ritornare nello studio di Carlisle per osservare, per l'ultima volta, il volto di sua moglie, meraviglioso anche nel dolore, anche sporco di sangue. Le aveva accarezzato i capelli con gentilezza, quasi potesse ancora farle del male e le aveva baciato la fronte in un addio che non rendeva giustizia a quello che provava. Aveva osservato le lacrime di Jacob e l'aveva invidiato, l'aveva invidiato perché era tutto quello di cui Bella aveva bisogno: calore, amore e protezione, invece lei, testarda, aveva scelto lui, aveva scelto di partorire qualcosa più forte di lei, che l'aveva distrutta, solo perché lo amava e non aveva potuto farne a meno.

Si era reso conto che neanche l'affetto della sua famiglia sarebbe bastato a risanare quella ferita e si era reso conto che non sarebbe stato come al corso di medicina, dove bastavano due punti per ricucire una ferita e far finta che niente era successo.

Era rimasto giorni e giorni accanto alla lapide di Bella, quella su cui Charlie aveva fatto inscrivere per sempre, come un invito a non dimenticarla, come il per sempre che avevano deciso di condividere insieme, e quando si era rassegnato all'evidenza che Bella non sarebbe tornata, che non l'avrebbe più baciato e che non sarebbe più arrossita ai suoi complimenti, era tornato a casa e aveva guardato il volto di sua figlia, così simile a quello di lei da fare male e le aveva promesso di amarla per sempre, ad ogni costo, perché a lei non sarebbe dovuto accadere niente di male.

Audry ritorna dalla doccia e lo trova così, afflitto e disperato, la testa tra le mani e un cuore muto che, nonostante tutto, è ancora in grado di soffrire e sanguinare.

< Tutto bene? > Gli domanda in un sussurro, le lacrime che minacciano di sopraffare anche lei al solo vederlo così consumato dal dolore.

< Ero soprappensiero, scusami. > Forza un sorriso e le sfiora una ciocca di capelli ancora umida.

Neanche Audry merita di soffrire, anche lei merita un per sempre come Bella e come Renéesme.

< Devo passare a prendere Sarah, prima di andare all'università. La sua macchina ha deciso di esalare l'ultimo respiro proprio oggi. > Cerca le chiavi della berlina nello svuotatasche all'ingresso, infilandosi, nel frattempo, il cappotto, Edward che la osserva attento, non perdendosi neanche un suo gesto.

< Posso accompagnarti da lei, se vuoi. > Propone con un sorriso, balzando in piedi e lanciando una vaga occhiata al biglietto che Jenna ha lasciato per Audry e che ha appiccicato, come sempre, al frigorifero, in bella vista.

< La tua guida è a dir poco terrificante. Non voglio morire contro un albero. > Continua a guardarsi intorno alla ricerca del mazzo di chiavi giusto. Possibile che sua zia non si fosse ancora decisa a sistemare quel disordine? Tra le chiavi del negozio, quelle di casa, del garage, della cantina e della sua vecchia casa, senza contare quelle delle due macchine, rischiava di diventare vecchia prima di trovare quella giusta.

< Non dovresti sottovalutare così i miei sensi iper-sviluppati, sai? > La prende in giro, raccogliendo al volo la piccola ciotola indiana che sua zia ricevette in regalo il Natale scorso da alcuni lontani parenti e che Audry odiava, perché le ricordava la vaschetta da cui beveva sempre Grey, il suo vecchio gatto.

< Non sto sottovalutando i tuoi super poteri, solo non voglio trascorrere un quarto d'ora in macchina, sperando che non mi succeda niente. Sto sottovalutando la mia capacità di sopportazione, semmai. > Risponde pratica, sbuffando contrariata.

< Non trovi neanche le chiavi. Vuoi andare a piedi? > Infila le mani nelle tasche dei jeans, sapendo di aver appena vinto.

< Non ti difenderò dalla velenosità di Sarah, sappilo. > Sorride furba, aprendo la porta di casa e precedendolo fuori, nel portico.

< D'accordo, saprò cavarmela. > Neanche una manciata di secondi e sta già aspettandola con la portiera del passeggero aperta.

< Sappi che su di lei il tuo fascino non funziona. > Lo mette in guardia, sorridendo della sua espressione compiaciuta.

Edward si limita a rispondere al sorriso e a procedere verso il lato opposto della vettura, accendendo il motore.

Sarah la sta aspettando davanti al portico di casa sua, la strana staccionata dipinta di verde e rosso che ad Audry ricorda il Natale, le braccia conserte per riscaldarsi e l'espressione imbronciata. Alza gli occhi al cielo quando riconosce Edward.

< Non morde, vero? > Le chiede quest'ultimo un istante prima che lei scenda dalla vettura per far accomodare Sarah sui sedili posteriori.

< Tu devi essere Sarah, è un piacere conoscerti, Audry mi ha parlato molto di te. > Edward le tende la mano, ma Sarah non accenna a protendere la sua.

< Sì, certo, immagino. Andiamo? Siamo in ritardo. > Lancia un'occhiata omicida ad Audry e lei, per tutta risposta, fissa Edward, facendo spallucce, quasi volesse dire te l'avevo detto.

 

L'università e stranamente deserta, come quasi tutti i fine settimana, perciò non si meraviglia molto del parcheggio vuoto e dell'assenza di studenti chiacchieroni nell'atrio, ma sente Edward irrigidirsi, quasi come se qualcosa l'avesse spaventato e con lui sussulta anche lei.

< Non è sicuro qui. > Borbotta contrariato, facendo marcia indietro.

Audry si immobilizza. 

Che vuol dire che non è sicuro? Sicuro per chi?

< Ehi, fermi un attimo! Si può sapere perché stiamo tornando indietro? Io ho lezione e sono in ritardo! > Sbotta Sarah, colpendo con una mano la testiera del sedile di Audry, spaventandola.

< Edward sa quello che fa. > Risponde la sua amica, glaciale, fulminandola con lo sguardo.

C'è qualcosa nell'aria di cui ha paura, ma non saprebbe spiegare di che si tratta.

< E questo che significa? Non posso tornare a casa! > Sbraita.

< Posso lasciarti qui, se preferisci. > Sibila Edward, sull'attenti, continuando ad accelerare.

Sarah emette un verso a metà tra il sarcastico e il divertito.

< Certo! In piena campagna! > Replica.

< Ora basta! > Sbotta Audry. < Devi solo fidarti, Sarah. Fidati di me. > Continua, voltandosi verso di lei.

Incrocia le braccia al petto e volge lo sguardo al paesaggio industriale che intravede dal finestrino appannato dalla nebbia e dalla pioggia. Non risponde, presa in contropiede.

Per Audry attraverserebbe anche un muro di fuoco.

E' di lui che non si fida e non riesce a capire il perché.

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Capitolo 16
*** Trouble ***


Salve!

Avete visto come sono veloce, eh?

Inizio col dire che risponderò alle vostre recensioni appena finito di aggiornare le mie Ff, quindi tra una mezz'oretta/oretta al massimo, perché, purtroppo, non ho potuto farlo prima, visto che sono stata super impegnata con l'università, spero non vi dispiaccia ç.ç

Parlando del capitolo, si comincia ad intravedere quale sia il guaio che avevo annunciato, ma non sappiamo molto. Mi rendo conto che, forse, come capitolo è piuttosto confuso, o forse dovrei dire azzardato, ma, vi assicuro, che è tutto voluto, anche perché non avrei mai presentato un capitolo che non mi convinceva, per rispetto nei vostri confronti che seguite e commentate e per rispetto anche nei confronti della Ff, a cui tengo particolarmente perché è la mia prima Long-Fic sul fandom Twilight.

In caso abbiate dubbi, consigli, critiche costruttive (non insulti, please) da evidenziare, sarò felice di rispondervi ^.^

Ringrazio, come al solito, tutti coloro che hanno letto lo scorso capitolo, che hanno commentato, che hanno inserito la Ff tra le seguite/preferite/da ricordare o che hanno solo letto *.* GRAZIE! Senza il vostro sostegno non avrei mai continuato questo progetto <3

Non mi resta che augurarvi un buon week-end e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry si rende conto che la destinazione di Edward è casa Cullen ancora prima di riuscire ad intravederla tra la folta vegetazione.

< Dove siamo? > Sbotta Sarah appena Edward scende dalla macchina per andare ad aprire la portiera anche ad Audry. Deve controllare la sua velocità: se Sarah lo vedesse sospetterebbe sicuramente qualcosa e lui non vuole incrinare la poca fiducia che la ragazza gli ha tacitamente accordato durante quel breve viaggio fino a Forks.

< Qui è dove viviamo io e la mia famiglia. > Le spiega Edward, precedendo entrambe verso l'ingresso.

< E' dai tempi della gita a Londra che non vedo una casa così grande. > Si stupisce Sarah, guardandosi attorno e studiando ogni singolo dipinto appeso alle pareti.

< E' un complimento? > Sorride lui, sornione, salendo le scale che conducono al salotto e alla cucina. Ha fretta, deve parlare con Carlisle, ma non può sparire senza essersi almeno comportato come un degno padrone di casa con i suoi ospiti.

Esme li raggiunge subito, un sorriso incoraggiante a dipingerle il volto gioviale.

< Audry! E' un piacere rivederti! > La abbraccia con calore, poi i suoi occhi si spostano sulla figura di Sarah, che si nasconde, per la prima volta impacciata, dietro la sua amica.

< Lei è Sarah, la mia migliore amica. Sarah, lei è Esme, la madre di Edward. > Spiega Audry con un sorriso imbarazzato e le guance che le si colorano di rosso acceso.

Cerca lo sguardo di Edward, ma lui non c'è.

< Piacere, cara, è bello averti qui con noi. Perché non vi accomodate nella stanza di Nessie? Si sta annoiando e avrebbe bisogno di compagnia. > Indica loro la giusta direzione per poi scomparire nella stanza da cui provengono due voci maschili e una terza femminile e preoccupata.

< Dov'è andato il tuo prode principe? > Le domanda Sarah, seguendola e continuando a guardarsi intorno, quasi potesse sbucare fuori dal nulla.

< Non ne ho idea. > Risponde, individuando la stanza di Renéesme e bussando.

Neanche il tempo di capire se ci sia o meno qualcuno, la porta si apre e il viso meravigliosamente sorridente di Renéesme ne fa capolino.

< Audry! Sapevo saresti tornata! E lei dev'essere Sarah, vero? > La indica, lasciandola perplessa e sconcertata. Pare che questi estranei conoscano fin troppo bene Audry e le sue frequentazioni, cosa che la lascia piuttosto perplessa.

Renéesme somiglia molto ad Edward, specialmente per il colore dei capelli e per la forma del viso ed è bellissima, come lui.

< Piacere di conoscerti. > Risponde incerta, entrando nella stanza subito dopo Audry, meravigliandosi della magnifica vista sulla foresta di cui si può godere attraverso la porta-finestra e del magnifico letto a baldacchino.

< Sei sola? Dov'è Jacob? > Le chiede Audry.

< Oh, ehm... affari importanti. > Risponde, occhieggiando a Sarah e Audry capisce che anche gli affari di Jacob riguardano la stessa cosa che ha spaventato così tanto Edward poco prima.

< Hai tantissimi libri! Ne hai letti così tanti? > Sarah sta osservando ogni singolo titolo disposto sugli appositi scaffali, meravigliata. Darebbe via la sua intera casa per una libreria come quella.

< La maggior parte erano di mia madre. Mio nonno li ha conservati per me. > Spiega Nessie con un sorriso. < Vi andrebbe di ascoltarmi al pianoforte? > Propone.

Audry annuisce con un sorriso che fa eco al suo e la segue in corridoio.

Le sembra così strano trovarsi in quella casa, magnifica al pari di una reggia, la cui storia sembra essere rappresentata su ogni singolo dipinto appeso con cura alle pareti che conducono ad ogni singola stanza, eppure, al tempo stesso, è quasi naturale: seguire Renéesme in salotto, percorrere il corridoio che ha percorso anche la prima volta che era stata lì, ascoltare il borbottio vivace delle voci qualche stanza più in là, godere del rumore vicino della natura al di là delle vetrate. Potrebbe essere casa sua.

Entra nello stesso salotto in cui è entrata quando ha chiesto ad Edward di riaccompagnarla a casa, ma solo adesso ha modo di notare lo splendido pianoforte a coda nero che campeggia al centro della stanza. Sembra molto antico, tanto da fondersi perfettamente con l'arredamento generale.

< Sicura non sia davvero un principe, questo Edward? > Le mormora Sarah, accomodandosi sulla poltrona accanto allo strumento di cui Nessie si è già appropriata, allegra.

Audry le si siede accanto, sullo sgabello rivestito di tessuto morbido, nero e lucido e la osserva muovere le dita con maestria sui tasti, quasi ne fossero un tutt'uno, riproducendo la meravigliosa sinfonia di Claire de Lune di Debussy.

Chissà come sarebbe osservare Edward concentrato al pianoforte mentre suona qualcosa solo per lei.

< Sei molto brava. > Si complimenta alla fine.

< Era la preferita di mia madre. Mio padre l'ha suonata così tante volte, che alla fine l'ho imparata. > Sorride ancora, non ha mai smesso.

< E' anche la mia preferita! Mia madre me la suonava sempre per farmi addormentare, quand'ero piccola. > Si meraviglia, chiedendosi se sia solo frutto di una strana, quanto singolare, coincidenza.

Sarah sospira dalla sua comoda poltrona, alzando gli occhi al cielo.

< Ho saltato un'intera giornata di lezioni per ascoltare brani al pianoforte? > Borbotta, incrociando le braccia al petto.

Audry le lancia un'occhiata di rimprovero, ammonendola.

< Non puoi tornare lì. > La voce di Renéesme è triste, dispiaciuta.

< Certo, e perché mai? > Sa che dovrebbe vergognarsene, sa che sua madre non sarebbe contenta di lei se la sentisse rivolgersi così a qualcuno che la sta gentilmente ospitando, ma le sembra tutto irreale, a partire da quella villa nel bel mezzo della foresta, dove Dio solo sa cosa si nasconde; senza contare che Edward le ha lasciate in balia di sua figlia, svignandosela chissà dove; Audry che sembra essere perfettamente a suo agio in quello strano ambiente paranormale, e lei che sente di essere di troppo, di non far parte di quella casa o di quell'atmosfera.

< Mio padre vi ha condotte qui perché possiate essere al sicuro. Quel luogo non lo è più, ormai. > Ribatte, voltandosi nella sua direzione.

< Tutto questo è assurdo, lo pensi anche tu, vero, Audry? > Sarah la osserva nella speranza che dica qualcosa, che ragioni e che non pensi soltanto ai suoi sentimenti.

< Penso che Renéesme abbia ragione, Sarah. Edward sa quello che fa, dobbiamo solo attendere che la situazione ritorni normale. > Replica con sicurezza, scambiandosi un'occhiata d'intensa con Nessie.

< E quando pensi che potremo uscire? Oppure dobbiamo ritenerci schiave? > Domanda, sbuffando e alzandosi in piedi, cercando di trattenere la furia e la frustrazione.

< Puoi andartene, se vuoi. Nessuno ti obbliga a stare qui. > Edward fa il suo ingresso nella stanza, silenzioso e leggero, le braccia conserte e gli occhi cupi. Lancia un'occhiata ad Audry, che ricambia, cosciente che lo sta facendo per il suo bene, il suo e quello di Sarah, sebbene lei sembra non voglia capirlo.

< Non posso attraversa la foresta da sola. > Audry quasi immagina il fumo uscirle dalle orecchie, tanta è la rabbia. Sarah è, solitamente, una persona piuttosto accomodante, disponibile e calma. La presenza di Edward, però, la fa infuriare più di qualsiasi altra cosa al mondo e Audry vorrebbe credere sia solo per via di Michael, ma sente che c'è dell'altro, sebbene non sappia identificarlo.

< Allora, suppongo tu sia costretta a rimanere qui con noi. > Edward si avvicina di qualche passo, serio e risoluto. < Renéesme, perché non vai in cucina ad aiutare la nonna con i biscotti? Sarah può venire con te. > Continua, sorridendo dolcemente alla figlia.

< Evviva. Io adoro i dolci. > Sbotta Sarah, seguendola di malavoglia, un'espressione tutt'altro che felice sul volto.

Edward prende il posto di Renéesme e attende di sentire le voci di sua figlia e sua madre sovrapporsi in cucina, prima di prendere la parola.

< Non le sto affatto simpatico, vero? > Sorride appena.

< Oh, beh, te l'avevo detto. > Fa spallucce Audry, sorridendo.

< Magari crede che io sia troppo vecchio per te. > Ipotizza, premendo un tasto del pianoforte.

< Vecchio, con una figlia... decisamente sconveniente per una come me. > Concorda anche lei, fintamente seria.

< Già. Voglio dire, vivo ancora con i miei genitori, dipendo economicamente da loro, come potrei pretendere di offrirti un futuro? > Continua, premendo un secondo tasto.

< Senza contare che io sto ancora studiando e che se me ne vado di casa, sicuramente mia zia si rifiuterebbe di continuare a pagarmi la retta. > Annuisce, convinta delle sue stesse parole.

Le piace quando Edward è così con lei; libero, spensierato e sereno, come se si fosse liberato delle catene che non gli permettono di essere se stesso al cento per cento.

< Dovresti darle ascolto, sai? > La guarda e Audry si sente arrossire, come tutte le volte.

< O forse no. > Replica, ricambiando lo sguardo e avvicinandoglisi per congiungere la fronte alla sua.

< E se dovessi pentirtene? > Le chiede, desiderando baciarla.

< Non posso pentirmene; sei tutto quello che desidero. > Mormora, ponendo fine all'agonia e assaggiando le sue labbra fredde, ma dolci come sempre, mai troppo pretenziose.

< Cosa succede? > Gli domanda quando si separano.

< Complicazioni. > Risponde, tornando con lo sguardo ai tasti del pianoforte.

< Complicazioni? > Gli fa eco.

< Alice ha visto un vampiro avvicinarsi a Forks, stamattina. > Spiega.

< Vuoi dire, non uno di voi, vero? > La risposta è ovvia, ma ne vuole essere sicura.

< No. Si nutre di sangue umano, ma non siamo stati in grado di riconoscerlo. Non appartiene ai Volturi, né ad uno dei clan a noi vicini. Non sappiamo cosa voglia, cosa cerchi qui, fatto sta, che non è semplicemente di passaggio. > Rimugina, aggrottando le sopracciglia alle sue stesse parole. Probabilmente quella di Alice è solo un'intuizione sbagliata, probabilmente questo vampiro non sta cercando davvero Audry, perché, se la storia si è già compiuta una volta, le probabilità che venga riscritta sono poche, ma lui non può esserne sicuro, così come lei, e preferisce avere Audry con sé, piuttosto che saperla a casa da sola.

< Aspetta un momento: chi sono i Volturi? > Domanda curiosa.

< Sono la famiglia di vampiri più antica del mondo e agiscono da garanti dell'unica legge dei vampiri: tenerne segreta l'esistenza agli umani. > Risponde. E' tutto molto più veloce rispetto a quando è accaduto con Bella: lei ha conosciuto i Volturi per il suo stupido desiderio di auto-flagellazione.

< I vampiri hanno dei reali? > Sgrana gli occhi, stupita dalla rivelazione di Edward. Lei, che dubitava persino che potessero esistere creature soprannaturali come vampiri e licantropi, adesso si trova costretta ad accettare che, non solo sono più vicini di quanto si pensi, ma hanno un'organizzazione statale quasi speculare a quella degli umani.

< Esistono da circa tremila anni. > Afferma lui, annuendo.

< E'... incredibile. > Si ritrova ad esclamare, senza rendersene pienamente conto.

< E pericoloso, aggiungerei. Bella ha quasi rischiato la morte davanti al loro cospetto. > Grugnisce in disappunto. Agli occhi di un umano il loro mondo ha il fascino di una fiaba, il fascino dell'estremo e dell'inconoscibile, ma non è tutto oro quello che luccica e, allo stesso modo, anche il mondo dei vampiri riserva sorprese e pericoli più grandi di quanto un essere umano possa sopportare.

Audry si rende conto di non essere a conoscenza di tanti particolari; conosce appena la storia di Edward e quella di Renéesme e non conosce affatto quella di Bella. Vorrebbe chiedere, soddisfare la sua sete di curiosità, ma ha paura che sia troppo presto, ha paura di vedere Edward erigere nuovamente le sue barriere difensive, tagliandola fuori.

E' sciocco da parte sua, forse, ma non riesce più a vivere senza di lui, ne è quasi diventata dipendente, come si diventa dipendenti dalla droga, o dal cibo.

< E questo vampiro è qui per una ragione precisa? > Chiede cauta. Ha come la sensazione che ci sia dell'altro, qualcosa che Edward non ha intenzione di dirle.

< Alice pensa che sia qui per te. > Sospira, incrociando i suoi occhi e leggendovi stupore e paura.

< Per me?!? Com'è possibile? > Cos'ha lei di così speciale da spingere un vampiro a cercarla?

< Non è sicura di questo. Vedi, Alice riesce a vedere nel futuro delle persone, riesce a capire quando qualcuno sta prendendo una decisione, quando sta per cambiare i suoi piani. Le sue visioni non sono sempre corrette, ma piuttosto attendibili. Non sappiamo cosa lo spinge qui, ecco perché preferisco che tu stia qui con me. > Le spiega, cercando di calmarla, prendendole una mano.

< E mia zia? Se è me che vuole, mi cercherà a casa. > Obietta.

< Emmett e Jasper si sono proposti per sorvegliare l'area intorno alla tua abitazione: se dovessero vedere qualcosa di sospetto, sarebbero i primi ad intervenire. Audry, ascoltami: nessuno farà del male a tua zia, né a te. > La osserva, gli occhi di chi è sul punto di piangere e, senza rimuginarci sopra, la attira a sé, sperando di confortarla con un semplice abbraccio.

< Non voglio che corriate rischi inutili per me. > Borbotta contro il maglioncino profumato di Edward, la voce appena ovattata.

< Non devi preoccuparti per noi, sappiamo cavarcela in battaglia, meglio di quello che credi. > La rassicura con un sorriso.

< E se dovesse far loro del male? > Domanda, rifiutandosi di darsi pace.

< Audry, devi stare tranquilla. Nessuno farà loro del male, nessuno ne farà a te. Devi calmarti. > E' forte e testarda e ostinata, ma è come Bella: darebbe tutto quello che ha per le persone che ama ed è un lato di lei che lo spaventa.

Ricorda ancora come Bella lo abbia salvato da morte certa alla corte dei Volturi, a come, nonostante James le stesse dando la caccia, si sia rifiutata di prendere il traghetto per Vancouver prima di essere sicura che suo padre avesse la giusta protezione, di come abbia rischiato la sua vita per mettere al mondo sua figlia.

Audry annuisce, stringendosi a lui, lo sguardo vacuo. Deve avvisare sua zia che rimarrà via per quella notte, che dormirà a casa di Sarah, ma non ha la forza di recuperare il cellulare dalla tasca della sua borsa e di comporre il numero della libreria.

E' con Edward, è al sicuro.

Sarah è con lei e non può succederle niente di male, allora perché quell'angoscia, perché quel peso al cuore che avverte e che sembra voglia schiacciarla, consumarla?

Le sembra come quando si sveglia dopo aver appena avuto un incubo, la testa che gira, il battito cardiaco a mille, la paura che ci sia davvero qualcosa che voglia farle del male.

< Andrà tutto bene, vedrai. > Le mormora Edward, accarezzandole i capelli e lei vorrebbe crederci, con tutta la forza di cui dispone.

< I biscotti sono pronti, perché non venite ad assaggiarne uno? > Renéesme fa capolino nella stanza, vestita del grembiule, un mestolo in mano e il solito sorriso smagliante sulle labbra.

< Arriviamo subito, tesoro. > Le risponde Edward, sorridendole appena e osservandola scomparire nuovamente verso la cucina.

< Tutto bene? > Domanda poi ad Audry, osservandola critico.

Lei annuisce, allontanandosi dal suo abbraccio confortevole.

< Vorrei solo che i miei genitori fossero qui. > Mormora, asciugandosi una lacrima. Avverte così tanto la mancanza di sua madre e di suo padre, che darebbe qualsiasi cosa per averli accanto e ricevere da loro una parola di conforto, come quando scappava nella loro stanza dopo un incubo e loro erano lì, pronti a sorreggerla, ad aiutarla a rialzarsi.

< Loro vegliano su di te e sono fieri della tua forza, ne sono sicuro. > Le bacia una tempia e le tende una mano per aiutarla a rialzarsi, mano che Audry accetta volentieri.

E' contenta che Edward sia lì, che sia disposto a proteggerla come ha fatto in passato con Bella. Le dà sicurezza e forza e, forse, ha ragione, i suoi genitori la osservano, anche se da lontano, anche se lei non può vederli, loro ci sono e le sorridono come hanno sempre fatto, le tendono la mano e le vogliono bene.

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Capitolo 17
*** Gift ***


Salve!

So che vi ho fatto attendere molto per questo capitolo e mi dispiace, ma, purtroppo, non ho capitoli già pronti e spesso e volentieri trascorro l'intera giornata all'università, senza neanche un misero spazietto per riordinare le idee (sono arrivata a pensare alle nuove scene nel letto, prima di addormentarmi); quindi, perdono *me fa la faccina da cucciolo sperduto e triste* e, onde evitare dovermi scusare ogni singola volta per i ritardi, premetto già da adesso che gli aggiornamenti rallenteranno un po'; non tantissimo, anche perché non ho intenzione di aggiornare una volta al mese o cose del genere *mettete pure via i coltelli e i pomodori, che vi ho visti!*, ma perlomeno credo di aggiornare una volta ogni due settimane, per avere anche la possibilità di scrivere al meglio i capitoli e di avere una visione chiara delle cose che devono succedere.

Ricordo, comunque, che per gli aggiornamenti costanti sui capitoli è a disposizione la mia pagina autore su Facebook: Frytty; Potete tranquillamente richiedermi l'amicizia (accetto tutti :)), specificando che seguite una mia Ff su EFP e, se non è di troppo disturbo, specificando il vostro nick di EFP (se non già specificato diversamente, ad esempio come nel mio caso).

Passando al capitolo che vi accingete a leggere, non ho molto da dire, se non che, piano piano, sta venendo fuori qualche notizia in più sul misterioso vampiro che sta cercando Audry e che parte del capitolo riprende il prologo, nel quale tutte voi ci avete visto la figura di Edward "maltrattare" la povera Audry e invece... *si cuce la bocca* lo scoprirete :) Per il resto, ho ripreso un po' quello che è successo a Bella quando è partita per la luna di miele con Edward dopo il matrimonio, ritrovandosi nel borsone solo capi d'abbigliamento decisamente succinti e, niente, i nostri piccioncini si stanno avvicinando sempre di più e spero che questo possa farvi solo piacere <3

Prima di lasciarvi al capitolo, ringrazio tutte coloro che hanno commentato, che hanno recensito, che hanno soltanto letto e che hanno inserito questa Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* Non smetterò mai di ripeterlo: siete il mio sostegno morale, specialmente quando l'ispirazione è poca o non ne vuole sapere di tornare, quindi GRAZIE! <3

Ok, la smetto di tediarvi :) Aggiungo soltanto una buona continuazione di settimana e un'altrettanta...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< No, zia, starò bene, sono a casa di Sarah, no? Cosa vuoi che succeda? > Audry cammina avanti e indietro nella stanza di Edward, mentre parla a telefono con Jenna e sente lo sguardo caldo e concentrato di lui che la segue, facendola arrossire e accaldare.

< Non hai preso nemmeno qualcosa per dormire, come farai? > Ribatte sua zia, apprensiva. E' stata sempre così: odia dover lasciare Audry da sola, odia non essere con lei se si sveglia per colpa di un incubo. Sa che è a casa di persone fidate, sa che non dovrebbe preoccuparsi così, ma è più forte di lei. Ha fatto una promessa a sua sorella, che si sarebbe presa cura di lei, qualunque sarebbe stato il costo e non ha intenzione di infrangerla.

< Mi presterà qualcosa Sarah. Non devi preoccuparti, va bene? Ti chiamo domani mattina, prima di andare all'università. Buonanotte, zia, ti voglio bene. > Audry chiude la comunicazione e si lascia cadere con uno sbuffo sul letto a baldacchino che Edward ha conservato solo perché gli ricorda la sera in cui Bella ha accettato di sposarlo, di diventare legalmente sua.

< Non devi temere per lei. > Le ricorda Edward, accarezzandole i capelli sulla schiena con dolcezza.

< Lo so, ma odio sentirla così preoccupata. > Si volta per cercare i suoi occhi dorati e rassicuranti, annegandovi come se si trattasse di un mare meraviglioso e da scoprire.

< Ti vuole bene ed è il suo modo di proteggerti, non puoi certo biasimarla per questo. > Le sorride appena, accarezzandole una guancia con il dorso di un dito, leggero come una piuma e altrettanto delicato.

Un bussare leggero alla porta li distrae.

< Alice. > Le spiega Edward, allontanandosi di qualche centimetro.

Sua sorella fa il suo ingresso nella stanza con una pila di asciugamani puliti e un cambio d'abito, un sorriso eccitato e felice sulle labbra sottili.

< Ciao! Io sono Alice e tu devi essere Audry, vero? > Si presenta, posando la pila di vestiti e asciugamani sul letto e tendendole la mano che Audry prontamente stringe, sorridendo.

< In persona. > Conferma.

< Sono contenta che tu sia qui! > La abbraccia di slancio, lasciandola perplessa e sorpresa.

< G-grazie. > Mormora, arrossendo, mentre Alice le augura la buonanotte e lascia la stanza come una ballerina lascerebbe il palco dopo un'esibizione particolarmente impegnativa, con leggerezza e grazia.

< Ci farai l'abitudine. Alice è... piuttosto esplosiva. > Audry non ha neanche il tempo di realizzarlo, che si trova avvolta dalle braccia di Edward, il suo respiro freddo sul collo e le labbra che, tempo qualche secondo, si appropriano della pelle sensibile dietro l'orecchio destro, disorientandola.

Suo malgrado, Audry sospira, portando un braccio all'indietro, permettendo alle sue mani di stringere tra le dita i capelli di Edward, rabbrividendo di piacere.

< Sarai stanca. Dovresti dormire. > Le mormora, la voce roca, bassa ed eccitante.

< Vado a... prepararmi... sì... dormire... > Si rende conto di star pronunciando un mucchio di parole senza senso, ma non le importa: vuole solo raggiungere il bagno per una doccia fredda che spera possa placare il suo desiderio.

Afferra due asciugamani e il cambio d'abito pulito e, senza la forza di guardarlo ancora negli occhi, entra in bagno e chiude la porta, imponendosi la calma.

Esme ha preparato per lei e per Sarah un'ottima cena, tenendo in considerazione le sue origini francesi e, neanche il tempo di sedersi sul divano dove Emmett e Jasper stavano seguendo una partita di football, aveva sbadigliato ed Edward, fin troppo premuroso, aveva suggerito che, forse, era il caso di avvisare la zia e andare a dormire. Renéesme si era offerta per ospitare Sarah nella sua camera, mentre Edward aveva guidato Audry nella sua stanza, la più appartata di tutte, in fondo al corridoio. Si era guardata intorno, ammirando la libreria che occupava un'intera parete, la collezione di cd e il meraviglioso letto a baldacchino dorato che campeggiava al centro della stanza e che Edward le aveva spiegato di aver comprato per Bella. Aveva cercato di protestare, asserendo che le sarebbe bastato anche un divano, ma lui non aveva voluto sentir ragioni: Bella ci aveva dormito una sola notte e poi, era soltanto un letto.

Non aveva preso in considerazione l'idea che avrebbe dovuto dividerlo con lui, quel letto.

Sì, l'avevano già fatto, avevano diviso il letto nella sua stanza, ma sarebbe stato diverso, anche se in casa era presente l'intera famiglia Cullen.

E poi, da quando l'ha sentito così arrendevole alle sue carezze, non ha fatto altro che pensare a come sarebbe stato fare l'amore con lui, sentirsi un unico corpo.

Lascia che l'acqua le accarezzi il corpo con dolcezza, liberandola dallo stress e dalle preoccupazioni e, quando ripone il flacone di shampoo sull'apposita mensola e si allaccia un asciugamano intorno al seno, si rende conto di quello di cui Alice l'ha provvista: un completo intimo abbinato color avorio, corredato da una vestaglia trasparente e decisamente corta per i suoi gusti, lei, abituata a dormire con indosso il suo pigiama di quand'era ancora un'adolescente.

Arrossisce senza ritegno, dirigendosi davanti allo specchio che sormonta il lavabo, cercando di considerare la possibilità che possano anche starle bene, che non debbano per forza farla sentire ridicola.

Prende un respiro profondo e si libera dell'asciugamano, indossando il reggiseno e gli slip coordinati, evitando di specchiarsi, completando il tutto con la vestaglia trasparente.

Osserva le sue gambe nude e il primo istinto è quello di chiedere ad Edward di prestarle un paio di suoi pantaloni pur di non entrare in camera da letto così; si volta verso lo specchio, riconoscendo il suo viso paonazzo dalla vergogna e spaventato e la sua pelle diafana messa in risalto dal completo, i capelli selvaggi e ancora umidi.

Apre un cassetto, estraendone un phon e cominciando ad asciugarli, nel tentativo di renderli presentabili senza risultati particolarmente apprezzabili.

Dopo aver tentato in tutti i modi di rendere umani i suoi capelli, si lascia cadere seduta sullo sgabello accanto alla vasca da bagno, la testa tra le mani.

Ma cosa le sarà mai passato per la testa ad Alice? Lei non ha nessuna intenzione di sedurre Edward.

< Audry, tutto bene? > La sua voce la spaventa e lei alza subito la testa in direzione della porta, quasi potesse vederlo entrare da un momento all'altro.

< Sì, tutto bene. > Risponde, cercando di non far tremare la voce.

Non è sicura che si sia allontanato, veloce e silenzioso com'è, ma decide di fare un tentativo e aprire di poco la porta, solo uno spiraglio, per rendersi conto della situazione.

Si vergogna come una ladra colta con le mani nel sacco.

Quando si rende conto che è tutto tranquillo e che Edward dev'essere ritornato in camera da letto, apre definitivamente la porta che cigola appena e spingendola ad imprecare. Non ha la presunzione di poter affermare con sicurezza che sia in grado di ingannare un vampiro, ma avrebbe preferito avere almeno dalla sua l'effetto quasi-sorpresa; invece, ora, Edward sa che è uscita dal bagno e che sta per rientrare in camera con quel coso addosso.

Cammina in punta di piedi, attenta a non fare neanche un rumore e quando è sulla soglia della porta, vi sbircia all'interno, incrociando subito gli occhi di Edward.

Si ritira, nascondendosi e arrossendo, chiudendo gli occhi per regolarizzare il battito del suo cuore, certa che Edward, anche da quella distanza, possa sentirlo distintamente.

< Audry, che succede? > Lo sente domandare con una nota di preoccupazione nella voce.

Non può nascondersi per sempre, così, prende un bel respiro e avanza nella stanza a piedi nudi, lo sguardo basso e pieno di vergogna, un rossore diffuso sulle guance. Scosta le coperte e ci si fionda al di sotto, coprendosi fin sopra alla testa, desiderando ardentemente di scomparire in quello stesso istante, inghiottita da una voragine.

< Ehi, cosa c'è che non va? > Le chiede lui con un sorriso comprensivo, scostando le coperte per scoprirle il viso, rendendosi conto che è sull'orlo delle lacrime.

Solo allora Audry si rende conto che anche lui si è cambiato e non indossa più la sua camicia azzurra e i suoi jeans neri, ma una semplice canottiera maschile grigia e un paio di pantaloni morbidi dello stesso colore.

< Mi dispiace! > Brontola, voltandosi a pancia in giù per nascondere la testa sotto il cuscino, non conoscendo bene neanche lei il motivo per il quale si sta scusando.

< Di cosa? > Si sorprende, non cercando nemmeno di tirarla fuori dal suo nascondiglio.

< Della mia mise oscena! > Sbotta, la voce ovattata dal cuscino.

Edward ride, accarezzandole i capelli profumati, riordinandoli sulla schiena.

< Pensi che tu debba chiedermi scusa per essere semplicemente meravigliosa e incredibilmente adorabile? > Le accarezza la schiena e sorride, lasciandole un bacio tra i capelli.

Audry abbandona il suo rifugio, emergendone con timidezza, voltandosi verso di lui, dimentica di star indossando soltanto una vestaglia trasparente che le lascia scoperte le gambe.

< Tu mi trovi... attraente? > Arrossisce e trema mentre glielo chiede, desiderando baciarlo.

< Per la tua età, sei ancora incredibilmente ingenua, Audry. > Sorride. Non vuole essere un'offesa, e questo Audry lo sa, così come sa che Edward non potrebbe mai mentirle.

< E' solo che è così... incredibile che tu possa pensare questo di me... > Spiega, accarezzandogli, quasi involontariamente, un braccio, solleticandolo.

Edward ride, scuotendo la testa.

< E' incredibile che tu possa essere innamorata di uno come me. > Ribatte, allontanandosi e stendendosi accanto a lei, la testa sul cuscino e gli occhi dritti nei suoi.

Audry scuote la testa e alza gli occhi al cielo.

< Non m'importa se sei un vampiro o l'erede di Frankenstein. Ti amerei comunque. > Gli si accoccola contro, avvolgendogli un fianco con un braccio, come se fosse lui la sua unica ancora.

Si rende conto con qualche istante di ritardo di quello che ha appena ammesso; non solo ad Edward, ma anche a se stessa: lo ama, l'avrebbe amato anche se fosse stato umano e lo ama anche se è un vampiro.

Edward non risponde; le bacia i capelli e tenta di conciliarle il sonno con le sue carezze appena accennate.

Automaticamente pensa a Bella, alla loro luna di miele, a tutti quei completi sexy con cui cercava di irretirlo, nella speranza di fargli cambiare idea.

Sorride e in Audry rivede lei, timida e impacciata, insicura del suo corpo e inconsapevole della sua straordinaria bellezza semplice, genuina e pura.

Quando crede che si sia addormentata, raggiunge con una mano le lenzuola, cercando di coprirla, ma Audry è troppo tesa per essere dormiente, infatti, ha ancora gli occhi aperti e sembra particolarmente concentrata su qualcosa.

< Non riesci a dormire? > Le chiede in un sussurro, dolce.

Audry scuote la testa e si rannicchia ancora di più contro di lui. Ha paura di chiudere gli occhi e avere uno di quegli incubi orrendi delle notti precedenti, di rivedere sua zia circondata dal suo stesso sangue, di scoprire che avrebbe potuto proteggerla. Non sa perché quell'angoscia l'abbia assalita proprio in quel momento, proprio quando dovrebbe sentirsi al sicuro, protetta dal resto del mondo; forse è solo perché sa che nella stanza accanto non sta dormendo sua zia, forse perché sa di essere lontana da lei.

< Ho paura di sognare. > Ammette, stringendosi a lui così forte che Edward, per un attimo, pensa che, se solo non fosse un vampiro, ma un umano, gli resterebbero i segni.

< Shh! Sei al sicuro qui, Audry, nessuno può farti del male. > Cerca di tranquillizzarla, carezzandole gentilmente la schiena e mormorandole all'orecchio la ninna nanna che ha composto per Bella anni addietro e che è sempre riuscita a farla dormire tranquilla.

La osserva chiudere gli occhi e rilassare tutti i muscoli, abbandonandosi tra le sue braccia, arrendevole, vinta dalla stanchezza e dal sonno.

La copre con il lenzuolo perché non prenda freddo e le bacia la fronte, osservandola dormire.

 

< Tu chi sei? > La voce minacciosa di chi sa di essere il padrone.

Lei, immobile, non riesce a distogliere lo sguardo dai suoi lineamenti perfetti e dai suoi occhi color ambra, sebbene ora siano ridotti a due fessure per la rabbia e la delusione, la mascella contratta e le labbra strette.

< Come hai fatto a entrare? > La sua voce è armoniosa, eppure fredda e tagliente come metallo.

< Beh... lei... > Tenta di rispondere, ma diventa tutto troppo difficile e mentre quella creatura perfetta incrocia le braccia al petto e le si avvicina di un passo, lei indietreggia fino a cozzare la schiena contro uno scaffale ricolmo di libri, gli stessi che non ha fatto altro che leggere in quelle settimane, senza sosta.

< E' stata mia figlia a portarti qui? > Domande. Troppe domande. Domande che esigono una risposta.

< Ha... detto che potevo restare... > Arrossisce e balbetta.

Lo vede spostare la testa di lato e imprecare a bassa voce, i riflessi ramati sui suoi capelli che risplendono ai deboli raggi del sole che riescono a penetrare dalla piccola finestra socchiusa.

< Restare... ce l'hai una famiglia? > Dirgli la verità è difficile.

< Lei ha detto... io... > Incespica nelle parole e urta con il braccio un tomo voluminoso che cade a terra con un tonfo pesante.

I suoi occhi si concentrano sulla copertina rossa screziata d'oro: un libro di favole.

Osserva il volume, agghiacciata, indecisa se raccoglierlo o lasciarlo lì, fin quando altre mani lo sollevano, osservandolo con curiosità.

< Tu credi nelle fiabe, Audry? Credi che esista un lieto fine per qualsiasi storia, per qualsiasi amore? > Le domanda gelido, avvicinandosi ancora di un passo.

Audry non può più indietreggiare, costretta tra la libreria e il corpo di lui.

< Le fiabe non sono altro che sogni e senza sogni una vita non vale la pena di essere vissuta. > Risponde rapida, gli occhi fissi in quelli di lui, rossi come la brace più ardente.

< Ho accolto una poetessa tra le mie mura! > Ride sarcastico, sbilanciandosi verso di lei per rimettere il volume insieme agli altri, facendole trattenere il respiro per la paura che possa farle del male.

< Non sono una poetessa. > Ribatte offesa. Ha sempre sognato di diventare una scienziata, non certo di decantare la natura o di scrivere romanzi.

< Che importa? Sei qui, ormai e non hai scampo... > Avvicina il volto al suo, pregustando il sapore del suo sangue, dolce e prelibato come il nettare degli dei.

 

Audry riprende il controllo del suo corpo e delle sue sensazioni e la prima cosa che fa è urlare; non ne conosce il motivo, non sa perché lo sta facendo, ma, come tutti gli altri incubi che ha avuto le notti precedenti, questo era così dannatamente reale, che aveva avuto paura di morire in quel sottoscala buio e pieno di polvere, stipato di libri e dagli scaffali alti fino al soffitto.

< Audry! Audry, calmati, sono qui, era solo un incubo. > Le braccia di Edward la circondano, facendola esplodere in lacrime e nascondere il viso nell'incavo tra il collo e la spalla.

< Shh! Sei al sicuro, va tutto bene. > La culla come si farebbe con un bambino, accarezzandole i capelli e la schiena.

< Era lui. Il vampiro che mi sta cercando è lo stesso del mio incubo. > Riesce a mormorare tra i singhiozzi.

Ne è sicura, anche se non sa spiegarsi il perché. E' come Edward, bello e perfetto come se fosse stato scolpito nel marmo, ma ha gli occhi color sangue e il suo unico desiderio è quello di far del male, di veder soffrire.

< Cosa? > Le domanda lui, incredulo, scostandola appena dal suo corpo.

Audry annuisce, consapevole che Edward abbia compreso benissimo le sue parole, ma che sta comunque cercando un'ulteriore conferma.

< Come puoi esserne così sicura? > Continua, scrutandola e asciugandole le lacrime con il dorso di un dito.

< Mi aveva imprigionata, ma sembrava non esserne al corrente; era come se qualcuno l'avesse fatto per lui. Mi desiderava, voleva bere il mio sangue... > Spiega, non riuscendo a trattenere i brividi di terrore.

< Nessuno ti farà del male, Audry, te lo prometto. Sei al sicuro qui. > Le solleva il mento, perdendosi nel suo sguardo azzurro e vacuo, impaurito e insicuro. Quante volte gliel'ha ripetuto quella sera, quante volte ha cercato di tranquillizzarla?

Le accarezza una guancia mentre lei si avvicina al suo viso e reclama un bacio, più intenso e intimo dei precedenti.

Edward la sente allacciare le braccia dietro il suo collo, mentre lui non può fare altro che stringerle i fianchi e assecondarla.

E' in ginocchio, davanti a lui, seduto con la schiena contro la testiera in ferro del letto a baldacchino, le gambe scoperte e il suo profumo dolce invitante e sensuale per cui sente di star perdendo la testa.

Audry spinge il bacino contro il suo in un riflesso involontario, costringendolo ad emettere un verso a metà tra un gemito e un ringhio gutturale. Le sembra così naturale rifugiarsi tra le braccia dell'unico che sembra comprenderla, che quasi dimentica di trovarsi di fronte ad un vampiro.

Solletica con i polpastrelli i profili perfetti dei suoi addominali, giocherellando con l'elastico dei pantaloni di stoffa morbida che indossa, non smettendo, neanche per un solo istante, di baciargli le labbra, come se da esse dipendesse la sua vita, la sua felicità.

Eppure, quando le carezze si fanno troppo insistenti e voluttuose, Edward la ferma, allontanandola dal suo corpo, le iridi improvvisamente nere, assetate.

< Non voglio farti del male, Audry. > Le sistema una ciocca di capelli dietro le orecchie, sorridendole appena.

< Non potresti mai. > Risponde sicura, sebbene sia solo un sussurro.

< Credimi, potrei; è già successo. Bella è morta a causa mia ed io non voglio che succeda ancora. > Ribatte.

Audry abbassa lo sguardo sulle lenzuola dorate, sentendosi improvvisamente a disagio, imbarazzata.

< Mi spiace, non so cosa mi sia preso... > Scuote la testa e arrossisce, incapace di incontrare i suoi occhi nuovamente dorati, rassicuranti.

< Non devi chiedermi scusa, non ne hai motivo. > La attira a sé, l'abbraccia e le bacia una tempia.

Ha atteso un secolo prima di incontrare Bella, la sua anima gemella, ma Audry?

Chi è stato così clemente con lui da inviargli l'ennesimo, immeritato e inaspettato regalo?

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Capitolo 18
*** Goodbye ***


Salve!

Ho pochissimo tempo per aggiornare, ma non volevo farvi aspettare oltre, quindi, ecco il nuovo capitolo. Doveva essere il capitolo di presentazione del nuovo vampiro, quello che starebbe dando la caccia ad Audry, ma purtroppo, il capitolo ha preso una piega tutta diversa e, mi spiace per chi sperava in un seguito più action, perché rimaniamo ancora focalizzati sulle paranoie di Edward e il tentativo di Audry di non rimanerci poi così male. Non si limita solo a questo, tuttavia, e spero sarete in grado di cogliere anche la sfumatura recondita del tutto, in vista del prossimo capitolo; so che siete lettori molto attenti <3.

Ringrazio chi ha aggiunto la storia tra i preferiti/seguiti/da ricordare, chi ha recensito lo scorso capitolo e chi ha soltanto letto *.* GRAZIE MILLE! <3

Il prossimo aggiornamento suppongo avverrà prima di Natale; in ogni caso c'è la mia pagina autore Facebook (link nello scorso capitolo) in cui tengo aggiornati i lettori sulla scrittura, pubblicazione ecc.

Vi auguro un buon prosieguo di settimana e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Cielo, che aspetto orribile! > E' il saluto di Sarah la mattina successiva, quando Audry, reggendosi a malapena in piedi, richiude dietro di sé la porta della stanza che ha diviso con Edward quella notte.

< Non ho dormito molto. > Si giustifica, sforzandosi di sorridere, raggiungendola.

< Ancora incubi? > Le chiede comprensiva, guardandola attentamente negli occhi, leggendovi stanchezza, rassegnazione e delusione. Possibile che una sola notte le abbia portato via lo spirito che animava la Audry del giorno prima?

Audry annuisce, ma non ha la forza di fare nient'altro: si sente stanca, spossata e senza forze e, solo in parte ha a che fare con la sua veglia notturna.

E' come se qualcuno le avesse risucchiato tutte le energie.

In cucina aleggia un delizioso profumo di pancakes e caffè. Esme è affaccendata ai fornelli con Renéesme, Emmett e Jasper si divertono a lanciarsi una mela, quasi fosse una palla da baseball, Alice sta disegnando qualcosa seduta su uno sgabello e Rosalie, l'unica della famiglia che Audry non ha ancora avuto modo di conoscere, finge di spalmare marmellata su alcuni toast.

< Buongiorno! Avete fame? > Carlisle sembra sbucare fuori dal nulla, sorridente e gentile, un vassoio pieno di pasticcini in entrambe le mani.

< Se non mangio qualcosa, rischio di svenire. > Risponde Sarah, portandosi entrambe le mani allo stomaco, come a sottolineare il concetto.

< Bene, allora, servitevi pure! > Anche Esme sorride ad entrambe.

Audry, anche se con fatica, si accomoda a tavola, fingendo di sorseggiare la sua tazza di caffè.

Edward non è lì; non era con lei neanche quando si è svegliata.

< Mio padre ha dato il cambio ad Emmett e Jasper. > Le spiega Renéesme, quasi le avesse letto nella mente, porgendole un piatto di pancake.

Audry la ringrazia e accenna ad un sorriso.

Non ha neanche fatto caso al fatto che sua zia potesse essere senza protezione giacché Emmett e Jasper erano con loro, lì, a casa.

Si sente come sospesa in un mondo che non è il suo, eppure, lì si sente a casa, come se avesse ancora una famiglia, come se i suoi genitori non se ne fossero andati, come se la vita avesse continuato il suo corso in maniera regolare per tutti i suoi cari.

< Saremo costrette a rimanere qui anche oggi, oppure abbiamo il permesso di uscire? Sapete com'è, dovremmo anche studiare... > Sarah si abbandona con la schiena contro lo schienale di legno della sedia, storcendo appena la bocca in un'espressione sarcastica.

Audry vorrebbe tanto darle una gomitata nello stomaco pur di farla stare zitta: come si può essere così scortesi nei confronti di chi ti ha accolta come una figlia, nonostante fossi semplicemente un'estranea?

Certo, Sarah non conosce i dettagli della faccenda, ma Audry reputa comunque inconcepibile la sua mancanza di gratitudine.

< Edward sarà di ritorno a breve; può riportarvi a casa lui. > Risponde Esme con il solito sorriso sincero sulle labbra, porgendo a Sarah un secondo piatto di pancake al cioccolato.

Audry ha un tuffo al cuore in quel momento, quando sente pronunciare il suo nome e nemmeno riesce a spiegarsene il motivo.

Ci ha pensato solo pochi secondi prima, eppure non ha avvertito nessuna sensazione strana; adesso che Esme ha pronunciato il suo nome, però, è come se una molla abbia acceso dentro di lei qualcosa. 

Forse è solo suggestione, o forse è solo il brutto presentimento che ha avvertito per tutta la notte: quello che, in qualche modo, Edward la stesse evitando. Ne ha avuto conferma quando al suo risveglio non l'ha trovato lì e lei si è sentita improvvisamente sola e amareggiata, per la prima volta estranea in una casa amica. 

Si è ripetuta più e più volte che la sua è solo paura: paura che succeda quello che è successo anche a Bella; paura di vederla soffrire per colpa sua; paura di farle del male, ma niente le ha impedito di pensare anche al fatto che, in fondo, lei non è Bella e lui non è più l'Edward sprovveduto di quel periodo.

Renéesme le si siede accanto per consumare la sua colazione, sorridendole e lei, in ritardo, si rende conto di aver soltanto bistrattato con la forchetta il pancake che Esme le ha preparato, senza ingoiare nessun boccone. Ha ancora il bicchiere di succo d'arancia colmo sino all'orlo.

< Stai bene? Qualcosa non va? > Sta facendo preoccupare tutti. Sta facendo preoccupare una povera ragazza che, sebbene sia un vampiro e non abbia bisogno di temere niente e nessuno, ha già dovuto sopportare molto per la sua età e poi, lei odia far preoccupare chi le sta intorno.

< No, tutto bene. Non ho molta fame, tutto qui. > Si sforza di sorridere e il suono del suo cellulare la esonera dall'imbarazzo di dover altre spiegazioni.

La sedia stride sul parquet quando lei la spinge all'indietro per alzarsi, recuperando il cellulare dalla tasca destra dei jeans: è sua zia; è solo Jenna, eppure avrebbe voluto fosse Edward.

Si allontana in corridoio per parlare con tranquillità e Esme segue il suo percorso con occhio attento, sorridendo appena.

< Credi sia successo qualcosa? > Le domanda Renéesme a bassa voce, anche se non ce ne sarebbe bisogno, visto che Sarah è stata completamente assorta dal telefilm che stanno trasmettendo in tv: sono pur sempre il suo punto debole, dopotutto.

< E' solo stanca, starà bene. > La rassicura con un sorriso, allungando una mano per scompigliarle i capelli.

 

La conversazione con Jenna è breve e non occorrono più di dieci minuti per rassicurarla sul fatto che ha dormito perfettamente e che non ha avuto nessun incubo, che ha appena finito di fare colazione e che sta finendo di prepararsi per andare a lezione di trigonometria, come ogni mercoledì mattina. Jenna è sollevata, sospira e la lascia andare, chiudendo la comunicazione.

Quando Audry rientra in cucina, sente, ancora prima di vedere, che Edward è tornato. Avverte il suo sguardo su di sé, cerca i suoi occhi, ma Audry glieli nega, troppo fragile per riuscire ad affrontarlo, chinando il capo e rimirando le sue scarpe da tennis consunte.

Presta poca attenzione alle chiacchiere di Esme e al vociare della televisione e quando Sarah si alza per recuperare il suo zaino, lei fa altrettanto, come un robot, dirigendosi, l'istante successivo, in corridoio e poi nell'ingresso.

< Sarai sempre la benvenuta qui. > Esme la abbraccia, quasi si aspettasse di non vederla per un po' e Carlisle le sorride, abbracciando teneramente le spalle della sua compagna.

Renéesme le bacia una guancia ed Alice sventola una mano nella sua direzione; Emmett e Jasper, invece, portano una mano alla fronte e la salutano alla maniera dei marines, facendola sorridere divertita.

Se non fosse sicura che si tratti del contrario, sembrerebbe quasi che vogliano tutti dirle addio.

Segue Sarah e Edward verso la Volvo, riparandosi dalla pioggia sottile e fastidiosa con il cappuccio del suo impermeabile.

Sale in macchina e allaccia la cintura, strofinandosi vicendevolmente le mani nella speranza di ricavarne calore.

< Principe azzurro, potresti azionare il riscaldamento? Credo di stare per diventare un ghiacciolo. > Si lamenta Sarah, sporgendosi tra i due sedili anteriori.

Edward solleva appena un angolo della bocca, divertito, esaudendo la sua richiesta. Immediatamente un piacevole calore comincia ad irradiarsi nell'abitacolo, riscaldando entrambe e facendole sospirare di sollievo.

La radio è l'unica voce udibile e sarebbe anche un piacevole sottofondo, se non celasse un silenzio pesante e imbarazzato.

Audry ha poggiato la testa contro il vetro del finestrino, cullata dalle fusa del motore e dal calore che proviene dai bocchettoni dell'aria semi aperti, persa nel paesaggio selvaggio senza in realtà vederlo.

Chiude gli occhi ancora prima di rendersene conto, in un dormiveglia che la spaventa, ma che, allo stesso tempo, non riesce ad evitare.

 

Dolore è tutto quello che sente.

Si sente bruciare, come se stesse andando a fuoco, come se avesse ingoiato dell'alcol e il suo effetto abbia cominciato a devastarla dall'interno.

E' insopportabile, ma sa che deve resistere, sa che deve sopportare.

Probabilmente sta urlando, ma non riesce a sentire la sua voce e intorno a lei le cose hanno assunto dei contorni sfocati.

Chiude gli occhi, ma è ancora peggio; si sente soffocare, si sente morire ed è l'unica cosa dalla quale sta scappando.

Riapre gli occhi e sente il cuore batterle furiosamente nelle orecchie, un costante e veloce tum-tum che le permette di capire che è ancora viva, che, nonostante il dolore, è ancora lì e può ancora ammirare il meraviglioso volto a pochi centimetri dal suo: Edward.

Ha gli occhi tristi, dorati e malinconici e lei vorrebbe chiedergli perché non sta sorridendo, perché è così distrutto, quando lei è felice, felice perché è così che deve essere.

Lo vede muovere le labbra, ma non riesce a sentire alcun suono; la sua voce cristallina e appena roca è solo un vago ricordo della sua mente, come un nastro spezzato che non può essere recuperato.

Poi, quasi come se qualcuno avesse riattivato la corrente o acceso improvvisamente la luce dopo giorni di buio, sente uno schianto e qualcosa che si rompe, voci che parlano, bisbigli, la voce di Alice che le dice di stare calma, la voce di Carlisle che sta discutendo con Edward e le sue grida.

E' un suono che non sopporta, una sirena fastidiosa, e così smette, si trattiene e gli occhi dorati di Edward sono nuovamente concentrati sul suo viso.

< Andrà tutto bene, Audry, te lo prometto. > Le mormora, accarezzandole con dolcezza i capelli e a lei viene da piangere, perché sa che non sta andando tutto bene, che è successo qualcosa che non le hanno ancora detto, che se sta soffrendo così, ci dev'essere un motivo e non può essere banale.

< Non piangere, si sistemerà tutto. > Le stringe la mano così forte, che ha paura possa fratturargliela.

< Alice, corri a chiamare Esme e Rosalie, dobbiamo portarla via di qui. > Carlisle si allontana, ma lei non riesce a piegare la testa per seguire la sua direzione. Si rende conto solo in quel momento di essere distesa, di essere a contatto con qualcosa di freddo e che profuma di terra bagnata.

< Che sta succedendo? > Chiede con fatica, riconoscendo appena la sua stessa voce.

< Non devi preoccuparti di nulla, Audry. Andrà tutto bene. > Edward le accarezza il viso e Audry può sentire un odore più pungente e più fastidioso di quello della terra: sangue. Che sia il suo?

< Sono ferita? > Non riesce a sentire il suo corpo come vorrebbe, le sembra di essere stata sotto sedativi per troppo tempo e adesso qualcuno ha deciso che è ora di cominciare a farla camminare.

Edward scuote la testa e abbassa lo sguardo e lei non riesce a capire cosa voglia dire. Se non è ferita, allora chi...?

< Mi dispiace, Audry, mi dispiace davvero... > I vampiri possono piangere?

Perché ha come l'impressione che Edward lo stia per fare.

< Mi scoppia la testa. > Si lamenta, chiudendo gli occhi, ma le labbra fredde di Edward sulla fronte, sembrano darle sollievo per qualche istante e Audry ha come l'impressione che si tratti di un altro addio.

 

Si risveglia di soprassalto, recuperando ossigeno come chi è appena emerso da una nuotata negli abissi profondi dell'Oceano.

Ha l'affanno e le sembra di aver corso per chilometri senza mai fermarsi. Le ci vuole qualche minuto per rendersi conto di trovarsi ancora nella Volvo di Edward, di essere appena arrivata a casa.

La berlina di sua zia non c'è e sospira di sollievo quando la immagina già al lavoro, sommersa dai suoi preziosi libri antichi, che profumano di storia.

< Un brutto sogno? > La voce di Edward la riscuote e lei si ritrova ad osservarlo muta, incapace di parlare.

< Dov'è Sarah? > Chiede invece, voltandosi verso i sedili posteriori.

< L'ho accompagnata a casa più di quindici minuti fa. Non ha voluto svegliarti e mi ha pregato di riferirti che ti chiamerà più tardi. > Le risponde, una mano sul cambio e una sul volante, un sorriso appena accennato sulle labbra e le sopracciglia aggrottate.

Audry arrossisce quando si rende conto di aver studiato ogni più piccolo dettaglio del suo viso e si nasconde nel bavero del suo impermeabile.

< I vampiri possono piangere? > Le viene spontaneo domandargli, osservandolo.

Edward la osserva di rimando, perplesso e confuso.

< No, non possiamo. Perché me lo chiedi? > Risponde alla fine, lanciando una breve occhiata alla casa silenziosa al di là del piccolo cancello di ferro battuto.

< Ho fatto un sogno e tu sembrava stessi per farlo. > Spiega, facendo spallucce.

< Un sogno o un incubo? > Vorrebbe stringerla tra le sue braccia, tanto piccola e indifesa le appare in quel momento.

< Rientra nella categoria dei non so. > Risponde, liberandosi del cappuccio.

< Ti va di raccontarmelo? > Non vuole turbarla o farle rivivere cose spiacevoli, vuole solo aiutarla.

< Voglio andare a casa. > Mormora, ma Edward la sente perfettamente e, per un attimo, rimane colpito e sorpreso.

Audry si libera della cintura e afferra il suo zaino dal manico, aprendo la portiera.

Prima che possa anche solo poggiare un piede sull'asfalto bagnato, Edward le afferra un polso con delicatezza, costringendola a voltarsi.

< Ho fatto qualcosa di sbagliato, vero? > I suoi occhi sono tristi proprio come nel sogno di Audry e, proprio come in quel sogno, lei non riesce a parlare, ma rimane immobile a specchiarsi in quello sguardo bellissimo.

Abbassa gli occhi, confusa sulla risposta che dovrebbe dare, che vorrebbe dare.

Avrebbe dovuto dirgli che si era sentita perduta quando non l'aveva visto accanto a lei, appena sveglia? Avrebbe dovuto confessargli che il rifiuto della notte precedente bruciava ancora?

< Sei... distante. > Riesce solo a dire in un sussurro.

Edward le libera il polso e sembra arrendersi, confuso: abbassa lo sguardo e stringe tra le mani il volante dell'auto e Audry sa che sarebbe capace di romperlo.

Le fa male vederlo così, le fa male perché sa a cosa sta pensando in quel momento. Sa, anche senza conoscere la storia nei dettagli, che è di Bella l'immagine che gli si sta formando nella mente, forse dei suoi occhi sofferenti, forse del suo volto pallido di morte, forse dei pochi istanti precedenti la sua scomparsa.

Audry allunga una mano verso di lui, gli sfiora le dita contratte intorno alla plastica rigida del volante e, anche se sa che probabilmente Edward neanche avverte la sensazione della pelle calda contro la sua, tenta di sciogliere quella presa ferrea.

< Va tutto bene, Edward, io sono qui. > Mormora, allentando la presa intorno al manico dello zaino, accostando la portiera.

< Ti ho fatto del male. > Quasi digrigna i denti e ringhia, ma Audry non lo teme, non potrebbe mai.

< Sono qui e sto bene, Edward. Hai solo voluto proteggermi e lo capisco, non devi fartene una colpa. > Cerca di rassicurarlo, mentre la presa intorno al volante si allenta e Audry riesce ad incastrare le dita tra le sue, come una catena.

< Mi hai a stento rivolto la parola ed io me ne sono accorto troppo tardi; non hai fatto colazione ed eri triste, lo sei ancora. > Le sfiora una guancia dolcemente, con la punta delle dita.

Audry scuote la testa.

< E' stata colpa mia, ho affrettato troppo le cose e ho frainteso le tue parole. Non avrei dovuto reagire così. > Si morde un labbro nervosamente, convinta di ogni singola parola.

< Non posso perdere anche te, non sopravviverei. > Edward congiunge la fronte alla sua, accarezzandole una guancia e inebriandola del suo profumo muschiato.

Audry ripensa al suo sogno, alla sensazione che Edward le stesse dicendo addio, alla stessa sensazione di addio che ha provato quando Esme l'ha abbracciata e quando tutti sembravano essersi riuniti lì per congedarla dalle loro vite.

Chiude gli occhi e gli accarezza i capelli setosi, spingendo la sua ansia e le sue preoccupazioni in un cantuccio del suo cuore, lasciandosi pervadere dal senso di sicurezza e protezione che avverte solo in presenza di Edward.

< Non vado da nessuna parte. > Mormora.

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Capitolo 19
*** It's not a good sign ***


Buon salve a tutte!

Finalmente eccomi qui ad aggiornare <3 Scusate il ritardo (anche se, effettivamente, sarei in tempo, visto che avevo preventivato che avrei potuto aggiornare anche una volta ogni due settimane ù.ù), ma l'università quest'anno mi sta davvero uccidendo e credo che, fino alla fine di luglio, potrebbe anche riuscirci -.-"

Comunque, ciance a parte, ho qualcosa da dire circa questo capitolo (sarò breve, lo giuro ù.ù): primo, non mi piace per niente; lo so, può sembrare la classica frase "attira-recensioni-smentite", ma non è così. Solitamente sono molto obiettiva circa le mie cose e quando dico che un capitolo mi piace è perché lo penso davvero, se dico che non mi piace è perché penso davvero che non sia un granché. Secondo, non so bene perché non mi piaccia: probabilmente, perché volevo finalmente introdurvi il vampiro rompiscatole e, invece, ancora una volta, ho dovuto rimandare, perché il capitolo ha preso una piega del tutto inaspettata rispetto a quella che aveva preso nella mia mente -.- (lo maledico ancora per questo ù.ù), o forse perché il sogno che ha Audry mi sembra qualcosa di "appiccicato", messo lì come tappabuchi, anche se tanto tappabuchi non è, e avrà la sua importanza; comunque il concetto è quello. Terzo (e ultimo punto), nel prossimo capitolo, vi prometto, vi giuro (anche se non si fa) e farò di tutto affinché esca finalmente fuori questo vampiro guasta-feste, potessi riscrivere il capitolo mille volte ù.ù, oh.

Detto ciò, faccio soltanto presente che le recensioni sono calate di molto rispetto al capitolo precedente l'ultimo e mi sto arrovellando da giorni a capire il perché, visto che le visite ci sono. Ora, non è che io voglia una giustificazione scritta del perché non avete recensito, sia chiaro, ma se vi avesse dato fastidio qualcosa, o vorreste solo dirmi che il capitolo faceva schifo perché blablabla, io sono qui anche per affrontare le critiche costruttive e per cercare di migliorare. Se non avete recensito per puri problemi di tempo, altro da fare, fatti-vostri, chiedo venia, non intendevo obbligarvi a farlo, ci mancherebbe ;D

Ringrazio comunque le persone che hanno letto, Francy che ha recensito *.* e tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e anche tutti coloro che mi hanno inserita tra gli autori preferiti (che è una cosa per cui non ringrazio mai ù.ù). GRAZIE, SIETE, COME SEMPRE, FANTASTICI ED IO VI VOGLIO UN MONDO DI BENE, SAPPIATELO <3

Ultima nota importante: probabilmente non riuscirò ad aggiornare la prossima settimana, quindi ci tenevo ad augurarvi un buonissimo e felicissimo Natale in compagnia delle persone alle quali volete più bene <3 Mi raccomando, non mangiate troppo panettone/pandoro, scartate un mucchio di regali e riposatevi dallo studio/lavoro/qualunque cosa facciate *.* AUGURI!!! <3

Siccome a momenti le note introduttive sono più lunghe del capitolo stesso, vi lascio alla lettura e vi auguro, al solito, un buon fine settimana, un buono shopping natalizio e, ovviamente, una...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

P.S Perdonate gli errori, ma non ho riletto ù.ù

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Dovresti entrare con me, sai, per proteggermi. > Audry si separa dalle sue braccia e, anche se sa che, in fondo, non è propriamente una scusa quella che ha appena rifilato ad Edward, sa anche che tutto quello che vuole è averlo accanto, vampiro-sconosciuto-che-ha-intenzione-di-ucciderla in giro per la città o meno.

< Per proteggerti, certo. > Edward le sorride e lei arrossisce, aprendo la portiera e uscendo dalla vettura, avviandosi verso il portico.

< Non sarà sconveniente farci trovare a casa da tua zia, completamente soli? > Le chiede, entrando in corridoio e guardandosi attorno, come se il vampiro potesse essere stato lì.

< Vuoi dare una festa, per caso? > Scherza, disfandosi del cappotto, sorridendo e avviandosi in cucina: ha voglia di cioccolata calda.

Edward la segue, sedendosi su uno degli sgabelli girevoli posizionati intorno alla penisola.

< E comunque, oggi mia zia non torna a casa per pranzo; ha un appuntamento piuttosto importante con uno dei suoi migliori clienti. > Continua, versando il latte in un pentolino e disponendolo sul fuoco affinché si riscaldi.

Edward sembra pensieroso e non risponde e, soltanto quando Audry ha finito di preparare la sua cioccolata e si è seduta di fronte a lui, soffiando sulla tazza per non scottarsi, Edward sembra avere qualcosa da dire.

< Hai detto di essere sicura che il vampiro che hai sognato sia lo stesso che ti sta dando la caccia; da cosa l'hai capito? > Le domanda, aggrottando le sopracciglia e osservandola attento.

Audry fa spallucce e sembra cercare le parole adatte per rispondere.

< Non lo so, non ne sono sicura; tempo fa, prima di conoscerti, ho fatto lo stesso, identico sogno, ma non sono mai riuscita a raggiungere la fine; vedevo soltanto quest'uomo, bellissimo, dagli occhi rossi e dall'espressione infuriata. Non voleva che fossi in casa sua, questo l'avevo capito già da allora e mi chiedeva se era stata sua figlia a farmi entrare. Io rispondevo che mi aveva detto che potevo restare e lui mi accusava di non avere più una famiglia; quando uno dei libri cadeva dalla mensola alla quale ero poggiata, il sogno si interrompeva. > Spiegò, scuotendo la testa e cominciando a sorseggiare il contenuto della tazza.

< Credi che qualcuno ti avesse rapita? > Edward è all'erta e questo lo nota anche Audry. Sembra essere sul punto di affrontare qualcuno, di lottare, ma forse è solo la tensione.

< Forse rapita non è il verbo giusto; era come se qualcuno mi avesse condotto in questa libreria e mi avesse proposto di restarvi per tutto il tempo che volevo, come se fossi una semplice visitatrice. > Risponde con calma, riflettendoci sopra.

< Alice ha pensato potesse cercare te perché ha visto anche il tuo viso nella visione, come se provenisse dai suoi pensieri. Lo sta tenendo d'occhio da ieri, ma non sembra volersi avvicinare a Seattle; si è fermato al limitare della foresta e non si è mosso di lì se non per cacciare qualche animale. > Edward si rilassa sullo sgabello, aggiornandola sulle ultime notizie.

< Mi avevi detto che non si nutriva di sangue animale. > Ribatte Audry, perplessa.

< Deve farlo se vuole sopravvivere qui. Quando ci nutriamo di sangue animale non siamo così in forze come quelli della nostra specie che si nutrono di sangue umano, ma riusciamo a sopravvivere comunque. > Le spiega pratico, sorridendo appena.

< Hai mai... ucciso qualcuno in passato? > Audry glielo domanda con timore, perché ha paura di come potrebbe reagire. Edward è molto fragile, nonostante la sua corazza e ha continuamente paura di fargli del male.

< Non è un periodo della mia vita di cui vado fiero. > Abbassa lo sguardo e sorride con amarezza e delusione: delusione verso se stesso e verso quello che non ha scelto di diventare, di essere.

Audry allunga una mano a cercare la sua e quando incontra le sue dita fredde, Edward alza gli occhi dorati su di lei, facendola arrossire.

< C'è stato un periodo in cui mi sono ribellato a Carlisle, al suo stile di vita, al suo voler essere diverso dagli altri della nostra specie; credevo che saremmo stati comunque dannati per sempre e per me uccidere umani non era così tragico. Mi nascondevo nei cinema, nei vicoli delle strade e mi fingevo affabile, disposto ad aiutarli: naturalmente erano feccia umana, assassini, ladri, stupratori. > Spiega, giocherellando con le sue dita, accarezzando il dorso della sua mano con gentilezza, come potrebbe fare soltanto una piuma e Audry rabbrividisce, senza riuscire a capire se quei brividi nascono dal suo racconto o dalle sue carezze.

< Hai salvato centinaia di altre persone... > Afferma con sicurezza e sincerità ed Edward non può fare a meno di pensare alle parole che Bella gli ha rivolto quando le ha raccontato la stessa, identica storia, quasi che lei volesse o fosse disposta a cambiare idea su di lui, sui suoi sentimenti.

< Era come tentavo di giustificare a me stesso, alla mia coscienza, ma ciò non toglie che li ho privati della vita. > Chiude per un secondo gli occhi e quando li riapre sono tristi e malinconici e Audry vorrebbe fare di più, vorrebbe riuscire a trovare un rimedio per non farlo sentire così disperato e in disappunto con la sua natura.

< Commettiamo tutti degli errori, l'importante è riconoscerli e tentare di ripararvi. > Gli sorride, terminando la sua cioccolata calda.

Le ritorna alla mente, come in un flash, la scena del sogno di pochi minuti prima, di quando si è addormentata in macchina: l'odore di erba bagnata, quello più forte e deciso del sangue, le voci, gli occhi di Edward e il suo cuore comincia a battere più forte, fino a quando non lo sente persino nelle orecchie, amplificato.

Non crede di averlo realizzato nell'immediato, quando si è risvegliata, ma adesso che riesce a pensarci con maggior lucidità, può dire, e con una certa sicurezza anche, di aver appena sognato la sua morte.

< Audry, tutto bene? > Sente la voce di Edward e si riscuote dai suoi pensieri, osservandolo stranita.

< Cosa? > Chiede, persa.

< Tutto bene? Sei diventata improvvisamente pallida. > Ripete lui.

Audry scuote la testa e si sforza di sorridere.

< Sto bene, mi sono solo... persa. > Risponde, anche se ha il sospetto che Edward non le creda.

Qualche minuto dopo sono in salotto, Audry accoccolata contro il suo petto come l'ultima volta che Edward è stato lì, solo che, questa volta, sanno che non ci sarà nessuna Jenna ad interromperli. Hanno deciso di guardare nuovamente Amleto e, mentre Audry sembra completamente assorbita dalle immagini e dai dialoghi del film in costume, Edward viene continuamente distratto dal suo profumo delizioso, lo stesso che ha avvertito quella notte, quando Audry sembrava non voler fare altro che l'amore con lui.

Le sfiora i capelli con un dito, scostandoli appena a scoprire la pelle nivea del collo, seguendone il profilo fino a raggiungere la spalla, con attenzione e dolcezza, leggero come un alito di vento, tanto che lei sembra non farci neanche caso.

Intreccia le dita con le sue e le bacia la mascella, osservando il rossore diffonderlesi sulle guance, sorridendo. Audry reclina la testa all'indietro sulla sua spalla, incrociando le sue iridi dorate, sorridendogli serena, sporgendosi per baciargli le labbra.

Vorrebbe di più, vorrebbe fare l'amore con lui e avvertire il suo tocco delicato su ogni singola parte di sé, ma Edward sembra così costantemente misurato e controllato, capace di decidere quando è meglio fermarsi, che lei ha paura persino di discutere con lui della situazione, di cercare una soluzione.

Si baciano per un tempo che ad Audry sembra infinito, fin quando le labbra non le fanno male, anche se è un dolore dolce, desiderato. 

Edward la stringe a sé con attenzione e fermezza, immergendo il viso tra i suoi capelli, inspirandone il profumo dolce, mentre Audry allunga un braccio verso di lui per carezzargli la nuca, il collo e le spalle, insinuandosi al di sotto della camicia chiara che indossa, avvertendolo immediatamente irrigidirsi.

Si volta verso di lui con tutto il corpo, sistemandosi tra le sue gambe distese e appena schiuse, guardandolo negli occhi e sfiorandogli appena le labbra con le sue, cercando di rassicurarlo, cominciando a ripetere gli stessi gesti di pochi secondi prima, sperando che si rilassi.

Forse, dopotutto, non c'è bisogno di parlare, perché può benissimo esprimergli i suoi sentimenti attraverso i gesti, attraverso la sua cura e attenzione.

Qualche bottone della camicia cede, lasciando intravedere una porzione piuttosto ampia di pelle pallida, perfettamente liscia.

Audry lo abbraccia, nascondendo il volto nell'incavo tra il collo e la spalla, respirando l'odore della sua pelle, lasciandovi, di tanto in tanto, un bacio leggero.

Edward ha gli occhi chiusi e sembra completamente rilassato, il profumo di Audry che minaccia di sopraffarlo, l'odore intenso del suo sangue e il suo corpo  che si strofina contro il suo quasi inavvertitamente, quasi per sbaglio, aumentando il desiderio che ha di lei.

Sa benissimo che, oltrepassato un certo punto, non potrebbe più tornare indietro, così come sa fin troppo bene quali sono i rischi che Audry potrebbe correre, così la ferma, bloccandole i polsi in maniera delicata, ma decisa.

< Audry... no. > Le mormora con la voce roca, scuotendo la testa e osservando i suoi occhi azzurri spegnersi afflitti.

< Tu... non... insomma, non vuoi... fare l'amore con me. > Abbassa lo sguardo e arrossisce per quella constatazione.

< Non desidero altro che appartenerti, Audry, ma non posso lasciare che tu corra un rischio simile. > E' deciso, ma fa male anche a lui ammettere l'evidenza che sono diversi, troppo. Le libera i polsi e le sistema i capelli dietro le orecchie con attenzione.

< Quali rischi? > Chiede sorpresa. Ha paura che lei possa farsi male? Crede che sia ancora vergine?

< Bella è rimasta incinta per colpa della mia disattenzione. > Risponde scuro in volto.

Quindi è solo quello il problema, che lei possa rimanere incinta e andare incontro alla morte come è accaduto a Bella?

Si morde le labbra, indecisa se continuare quella discussione o accettare semplicemente il suo secondo fallimento. 

< Voi non avete... insomma... utilizzato precauzioni. > E' una constatazione, non una domanda e quando Edward ride, quasi si pente di aver parlato, arrossendo come una sciocca.

< Non credevo fosse possibile per noi vampiri procreare, non se ne era mai sentito parlare. > Le accarezza una guancia calda, pensando a quanto sia meravigliosamente adorabile nella sua timidezza e ingenuità.

< Beh, ma noi potremmo... provare. > Le sembra di avere la febbre per quanto scotta.

Edward sorride dolce e se la stringe al petto, accarezzandole i capelli e la schiena.

< Sei davvero testarda. > Le mormora divertito.

< Mi stai facendo sentire come una specie di ninfomane, lo sai? > Borbotta, nascondendo il volto nella sua camicia.

< Anch'io ho le mie colpe: sono un vampiro, ma sono pur sempre un uomo e tu mi stai provocando degnamente. > Ammette con un sorriso malizioso, tanto che Audry crede stia per liquefarsi.

< Allora dovresti smetterla di rifiutarmi. > Gli fa presente, facendogli una linguaccia.

Edward la bacia un'ultima volta prima di permetterle di poggiare il capo sul suo petto per continuare a guardare il film.

 

< Siamo venuti a trovarti, Audry, non sei contenta di vederci? > E' la voce di Sarah quella che sente, eppure non riesce a riconoscerla.

Ha gli stessi capelli biondi e gli stessi lineamenti della Sarah che sente di conoscere, ma i suoi occhi sono rossi adesso e il suo sorriso non ha niente di amorevole.

Accanto a lei c'è un'altra figura in ombra e Audry non riesce a distinguerne il volto: potrebbe essere chiunque, anche se ha un brutto presentimento.

Non sa dove si trova, si sente persa e sola, ma dietro di lei ci sono i Cullen e c'è anche Jacob.

Sembrano tutti nervosi e pronti allo scontro, ma lei non vuole che si combatta e quando incrocia gli occhi di Edward, sa che neanche lui vuole si arrivi a tanto.

< Chi è lui? > Chiede, indicando l'ombra alla sinistra di Sarah e, quasi avesse sollevato un telo, il volto del vampiro che le dà la caccia appare, spaventandola.

La osserva con ostinazione, come se volesse farla cedere, come se non stesse facendo altro che combatterla con lo sguardo, ma lei non cede.

< Non ci presenti i tuoi ospiti, Audry? > Sarah accenna ai Cullen con un'occhiata sprezzante.

Che ne è stato della Sarah che conosce lei?

Che ne è stato della ragazza sempre pronta ad elargire consigli a tutti, trascurando se stessa?

Che è stato della sua dolcezza e della sua lealtà?

< Lei mi appartiene. > Ringhia il vampiro al suo fianco, anche se nessuno sembra avergli chiesto nulla.

< Potresti far parte anche tu del nostro clan, Audry. I tuoi poteri sarebbero sprecati con loro. > Sorride perfido e Audry indietreggia, atterrita.

< Non gli permetterò di farti del male. > Le mormora Edward, affiancandola e stringendole un braccio senza farle male.

Nella mente, come fotografie antiche incollate su un vecchio album, le si riversano mille immagini: Edward che la bacia con dolcezza, Renéesme che chiede di farle compagnia al pianoforte, Jacob che si diverte a prenderla in giro perché non è abbastanza forte da batterlo a braccio di ferro, Esme che le prepara uno dei suoi piatti preferiti, Emmett che la obbliga a scommettere su una lotta-allenamento tra Jasper e Carlisle e poi ancora Edward, le sue carezze, le sue parole, la sua voce, il suo modo di desiderarla, le sue paure, il suo amore e il suo voler proteggere tutti.

Le viene da piangere: sente le lacrime scivolarle lungo le guance, ma neanche si preoccupa di fermarle.

Ha perso tutto: i suoi genitori, sua zia, la sua migliore amica e adesso sta per perdere anche Edward.

Come potrebbe avere più senso la sua vita?

Come riuscirebbe ad andare avanti e a dimenticare?

 

< Audry, stai piangendo, che succede? > Edward la sveglia con dolcezza, baciandole la fronte e tentando di asciugarle le lacrime che non hanno intenzione di fermarsi.

Deve essersi addormentata senza neanche accorgersene, colpa della notte insonne.

Non riesce a rispondere, riesce soltanto a singhiozzare e ad aggrapparti a lui come ad un'ancora, facendolo preoccupare.

I suoi incubi stanno aumentando e, Audry lo sa, non è mai un buon segno.

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Capitolo 20
*** Leonard Finch III ***


Salve a tutte!

Scusate l'imperdonabile ritardo, so che avrei dovuto aggiornare stamani, ma quando cominciano a venire a trovarti parenti e amici così, all'improvviso, sono capaci di stravolgerti la giornata, per cui chiedo venia e perdono ç.ç

Che dirvi di questo capitolo? Innanzitutto, che mi dispiace averlo dovuto troncare così, ma purtroppo ho dovuto necessariamente farlo in quanto, non solo il dialogo che ne seguirà sarà un punto cruciale dell'intera Ff, ma anche e soprattutto perché non ho ancora bene impostato lo schema del suddetto dialogo e avrei rischiato di metterci millenni prima di arrivare a qualcosa che avrebbe soddisfatto in pieno le mie idee, con il rischio che non avreste visto il capitolo prima di Carnevale e questo non mi andava per niente bene -.-"; secondo, ho fornito una specie di identikit del vampiro, ovvero tratti puramente fisici, ma, a cominciare dal nome, siete libere di immaginarlo come più volete, visto che io lo vedo un po' come un miscuglio tra Aro e Caius, anche se qui i Volturi c'entrano poco o niente; terzo, una di voi nelle scorse recensioni, ha individuato bene il ruolo del vampiro ficcanaso (che ora avrà un nome e un cognome) e il suo legame con Sarah, l'amica di Audry; per tutte le altre, riprendetevi in fretta dallo shock :D.

Credo sia tutto. Spero che le vostre feste, fin ora, siano state liete, serene e felici, in compagnia dei vostri cari <3

Tengo a precisare che non so con precisione quando aggiornerò con il capitolo 20, perché, come già detto, è un capitolo piuttosto delicato e ho bisogno di rifletterci bene. In linea di massima, esami permettendo, dovrei farcela entro il 10-11 gennaio e comunque, in ogni caso, vi terrò aggiornate grazie al mio account autore su Facebook, che trovate nella mia pagina personale, qui, su EFP.

Approfittando di questo, vi auguro anche una felice fine e uno scoppiettante inizio d'anno a tutti! BUON 2012! *.*

Buona continuazione di settimana e, come di consueto,

 

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Cosa c'è, Audry? > Le chiede, scostandola appena dal suo petto per osservarla in volto.

< Io... devo chiamare Sarah. > Riesce a borbottare, alzandosi di scatto e dirigendosi in cucina per recuperare il telefono.

Edward la segue e, tempo qualche secondo, le è accanto, le sopracciglia aggrottate e un'espressione indecifrabile sul bel viso.

Audry compone il numero della sua amica nervosamente, scostandosi i capelli dal viso per riordinarli dietro le orecchie, passeggiando da un lato all'altro della stanza, borbottando qualcosa come fa' che risponda, ti prego. 

Quando Sarah risponde, Audry sospira di sollievo. Sente una canzone come sottofondo e uno sfogliare lento di pagine.

< Stavo cominciando a preoccuparmi. > Risponde, accasciandosi su uno sgabello della penisola, Edward che la osserva da lontano, appoggiato allo stipite della porta, curioso. Non riuscire a leggerle nella mente e non sapere a cosa stia pensando è davvero frustrante.

< Perché mai? > E' la domanda di Sarah, che sembra stia masticando qualcosa.

< Di solito rispondi al secondo squillo... > Obietta.

< Ho acceso la radio per avere un po' di compagnia e non ho sentito il telefono squillare, mi dispiace. Il tuo Principe Azzurro non ti ha avvertita che ti avrei telefonato io più tardi? > Il suo tono è sarcastico e forse in un altro momento, Audry le avrebbe risposto a tono, ma è troppo felice di sentirla per obiettare.

< In verità sì, ma... insomma, mi stavo annoiando e ho pensato di chiamarti prima. Ti ho disturbata, forse? > Lancia un'occhiata a Edward, mordendosi le labbra.

< Assolutamente no, non stavo facendo niente di particolarmente interessante e mi stavo annoiando anch'io, quindi, in definitiva, hai avuto una buona idea. > Sta sorridendo e Audry riesce a percepirlo anche attraverso la cornetta.

< Tua madre non è ancora rientrata? > Spera che i suoi sospetti siano infondati.

< No, ha detto che si sarebbe dovuta incontrare con un tizio dell'agenzia per verificare alcuni documenti. Mi ha lasciato la cena pronta. > Spiega, sbuffando.

I suoi hanno divorziato quando lei era ancora una bambina e suo padre non ne ha più voluto sapere di lei. Sua madre, invece, ha sempre cercato di non farle mancare niente: giocattoli, vestiti, libri, università, anche se ciò significava essere obbligata a lavorare undici ore al giorno. Sarah le ripete spesso che un giorno vorrebbe essere come lei, una donna forte ed indipendente, in grado di distinguere quello che è giusto e quello che è sbagliato senza l'aiuto di nessuno e Audry, d'altra parte, l'ha sempre ammirata per questo.

< Puoi venirmi a fare compagnia, se ti va. Mia zia non tornerà prima delle nove. > Le propone, occhieggiando ad un Edward sempre più perplesso.

< E rovinare la vostra seratina romantica? > E' stupita e incredula.

< Non abbiamo in mente niente di particolare e poi a lui non dispiace. > Neanche si chiede come faccia Sarah a sapere che Edward è a casa con lei; forse perché non ha sottolineato il fatto di essere anche lei da sola?

< Oh, andiamo! A chiunque dispiacerebbe avere un terzo incomodo attorno, in questi casi! > Borbotta, ovvia e Audry sente distintamente il fruscio di una pagina.

< Te l'ho detto: non abbiamo niente in programma. > Ripete, alzando gli occhi al cielo.

< Ma siete soli! Ci sono così tante cose da fare insieme! > La voce maliziosa non ispira niente di positivo ad Audry, tanto che arrossisce senza che la sua amica abbia pronunciato una sola parola.

Si schiarisce la voce, cercando di ritrovare un contegno, Edward ancora immobile nella stessa, identica posizione di poco prima.

< Giocare a scacchi? > Domanda stupidamente.

Sarah sospira prima di rispondere, quasi fosse esasperata.

< Scacchi?!? No, ma dico, sei impazzita? Capisco che è trascorso molto tempo da quando sei uscita con un ragazzo, ma non pensavo questo ti avesse fatto regredire allo stadio di verginella! > Audry vorrebbe sotterrarsi, invece, si limita ad imitare il colore di un pomodoro maturo, facendo ridacchiare Edward che, ovviamente, non si è perso una sola battuta della conversazione.

< Senti, ok, possiamo cambiare argomento? Non mi sembra il momento adatto per discut- > Ma Sarah la blocca prima che possa anche solo completare la frase.

< Avete un'intera casa a disposizione e tu sei al telefono con me, Audry! Hai una vaga idea di quanto questo sia grave? Te lo ripeto e, per l'amore del cielo, non userei un linguaggio così scurrile se solo tu non mi avessi fatto perdere la pazienza in questo modo, hai-bisogno-di-una-sana-e-prolungata-giornata-di-sesso-selvaggio, ok? > Ripete, scandendo ben bene le parole come si farebbe soltanto con un bambino.

Edward esplode in una risata divertita, cosa che fa arrossire ancora di più Audry, ormai sul punto di andare a recuperare la vecchia vanga in soffitta per cominciare a scavarsi da sola una fossa abbastanza profonda che possa contenere lei e tutte le figuracce che ha fatto in sua presenza.

< Non ho bisogno di una sessuologa frustrata, grazie. > La prende in giro con quella poca decenza che le è rimasta e che non è ancora arrossita.

< Sarà, ma dovresti darti da fare e alla svelta anche. > Quasi la immagina fare spallucce, completamente indifferente alle sue provocazioni e dire che le ha telefonato solamente per accertarsi che stesse bene, non per ricevere consigli su come impiegare il tempo con Edward. Che poi, come se non ci avesse provato a sedurlo; d'accordo, i suoi potevano anche essere stati tentativi maldestri e piuttosto ingenui, ma pensava di essere almeno riuscita a dimostrargli quanto desiderio avesse di lui, di donarsi completamente, di fidarsi di un'altra persona, ma lui l'aveva respinta e, anche se comprende le sue paure e i suoi dubbi, crede che dovrebbe lasciarsi andare di più e non erigere un muro di fortificazione attorno a sé e ai suoi sentimenti.

< Sbaglio, o adesso sei tu quella che deve darsi da fare per trovare un ragazzo, miss so-tutto-io? > La prende in giro, facendosi aria con un depliant del supermercato per attenuare il rosso accesso delle guance.

< Non rigirare la frittata! Stiamo parlando di te! > Sbotta, punta nel vivo. Audry non vuole essere certo indelicata o offensiva, ma fino a quel momento ha insistito così tanto perché lei trovasse qualcuno in grado di farla stare bene, in grado di farla uscire dal suo guscio, che non ci trova niente di drammatico nel consigliarla di fare lo stesso.

< E comunque, non volevo certo che stessi con Edward. > Continua Sarah, abbassando la voce. Insomma, quel ragazzo non le sta particolarmente simpatico e non pensa possa essere adatto ad una persona come Audry, e allora? Non può farci niente se preferirebbe vederla accanto a Michael.

Audry abbassa lo sguardo, torturandosi un'unghia, poi alza gli occhi sulla figura di Edward, il sorriso ormai spento e le sopracciglia ancora aggrottate. E' già al corrente di quello che pensa Sarah di lui, certo, solo che, ogni volta che ci ripensa, non può non essere d'accordo con lei e cercherebbe di far cambiare idea ad Audry se solo non ci avesse già provato e se solo non fosse così irrimediabilmente innamorato di lei.

< Sì, ne sono al corrente, grazie per avermelo ricordato. > Alza gli occhi al cielo e scuote la testa, convinta che niente potrà farle cambiare idea.

< Sono tua amica e ti voglio bene, lo sai. Non ho niente contro di lui, insomma, ti ama e questo è innegabile, è sempre così protettivo nei tuoi confronti e riuscite a capirvi con uno sguardo, solo... forse non dovresti fossilizzarti. > Replica Sarah, tentando di rimediare dopo essersi resa conto di essere stata un po' brusca.

< Cosa vorresti dire? > Le chiede Audry, timorosa.

< Non voglio che tu soffra, ma penso che dovresti... insomma, fare nuove esperienze, provare... non è detto che sia lui l'uomo perfetto. > Fa spallucce, anche se Audry non può vederla.

Sospira.

< Sto già facendo nuove esperienze e forse hai ragione, forse non sarà lui l'uomo perfetto, ma non voglio arrendermi. > Risponde, incontrando nuovamente gli occhi dorati e meravigliati di Edward.

< Ho sempre saputo che eri una testarda. > Sarah ride e Audry la imita. < Non voglio rubarti altro tempo e non voglio rovinare i vostri piani, perciò, direi che possiamo tranquillamente darci appuntamento per domani mattina alla lezione di Hubert, ok? > Continua. Hubert è il loro nuovo professore di chimica applicata ed è un omaccione simpatico, dalla folta barba bianca e dagli occhi azzurri sorridenti, che ha scelto Audry come possibile aspirante ad una cattedra di chimica, eppure lei l'ha quasi dimenticato, travolta dagli eventi.

< Sì, certo, la lezione di Hubert. D'accordo, ci vediamo domani, allora. > La saluta anche lei, chiudendo la comunicazione, poggiando maldestramente il telefono sulla penisola di legno e sospirando, voltandosi verso Edward che ora ha incrociato le braccia al petto e sembra particolarmente interessato alle venature del parquet.

< Tutto bene? > Gli chiede e la voce, inspiegabilmente, le trema, quasi avesse paura.

Edward annuisce e rialza lo sguardo sul suo, accigliato.

< Perché hai voluto chiamarla? > Le domanda in risposta. Non le si avvicina, non muove neanche un passo nella sua direzione, resto fermo, immobile, come una statua del Bernini.

< L'incubo di poco fa mi ha... fatto sospettare qualcosa, qualcosa di pericoloso che aveva a che fare con lei e con quel vampiro. > Risponde, perdendosi nelle immagini che il suo inconscio le ha inviato.

< Hai visto Sarah e il vampiro insieme? > Sembra allarmato e scioglie l'incastro delle sue braccia con una mossa veloce, tanto che Audry non fa neanche in tempo a rendersene conto. I suoi occhi sono preoccupati e vigili.

< Sembrava fossero venuti a trovarci: c'eravate tutti, la tua famiglia e anche Jacob ed io ero tra di voi, come uno spartiacque tra il bene e il male. Lei sorrideva e aveva gli occhi rossi come quelli del vampiro, non la riconoscevo più, non era la Sarah che ricordavo. Mi ha detto qualcosa circa i miei poteri, qualcosa come devi venire con noi, perché con loro i tuoi poteri saranno sprecati. Mi sono spaventata. > Spiega e adesso non è solo un'impressione, sta tremando davvero e sembra ancora più atterrita di prima, quando si è svegliata piangendo.

< Credi abbia un legame con lei? > Le si avvicina, facendola alzare dallo sgabello e sedendocisi lui, costringendola sulle sue gambe.

Audry si sente come una bambina così, come quando suo padre, per darle il buongiorno, la sollevava dalla sedia su cui era seduta a fare colazione e se la stringeva al petto, baciandole i capelli. Era un gesto che non le piaceva, specialmente dopo che sua madre aveva trascorso una buona mezz'ora a pettinarle i capelli e a vestirla, ma ora darebbe qualsiasi cosa per essere ancora quella bambina e per avere suo padre che le scompigli i capelli in maniera dolce e affettuosa.

Scuote la testa e fa spallucce, accarezzandogli i capelli e osservando il suo viso.

< Non ne ho idea. Erano insieme e questo è tutto ciò che ho visto. > Risponde.

< Non devi preoccuparti di nulla, d'accordo? Io sono qui per te e anche la mia famiglia, niente riuscirà a farti del male, non fin quando ci sarò io. > Se la stringe al petto, inspirando il profumo dolce della sua pelle e dei suoi capelli, chiudendo gli occhi al pensiero delle parole di Sarah poco prima, quelle che li avrebbero visti insieme, pronti a godere l'uno del corpo dell'altra, pronti ad appartenersi.

< Mi dispiace per quello che ha detto Sarah, prima. > Mormora, la voce attutita dal tessuto della camicia di Edward sul quale ha poggiato le labbra.

< E' stata una conversazione piuttosto lunga, non posso ricordare ogni singola battu- > Ma Audry lo interrompe prima che possa completare la frase.

< Sai bene di cosa parlo; l'idea che ha in merito alla mia vita sessuale. > Arrossisce e, anche se probabilmente Edward se ne è accorto, è grata alla posizione che ha assunto, il viso dalla parte opposta rispetto alla sua.

< Beh, è tua amica, conosce le tue esigenze e ha voluto solo darti un consiglio, no? > Risponde, sorridendo appena e accarezzandole i capelli lunghi e incredibilmente setosi.

< La mia non è... > Si scosta dal suo abbraccio e lo guarda negli occhi, sbuffando alla vista della sua espressione smaliziata e del suo sorriso incantevole, le parole che le sono morte in gola, ormai. < ...un'esigenza, chiaro? Volevo solo... > Si ferma di nuovo, arrossendo e facendolo ridere divertito. < ...stai ridendo di me! Sei un gran maleducato, sai? > Riprende, imbronciandosi.

< Perdonami, ma la tua espressione era davvero buffa. > Si giustifica, tornando serio e assumendo un'espressione contrita.

< In ogni caso, volevo solo...approfondire la conoscenza. > Gira il viso alla sua destra e si morde le labbra al pensiero che ha pronunciato davvero quelle parole tremendamente e disgustosamente imbarazzanti.

< Audry... > Edward le sistema una ciocca di capelli dietro un orecchio, sorridendo dolce e affascinato, costringendola a guardarlo. < E' solo un problema mio, tu non c'entri nulla. Mi dispiace averti respinta e mi dispiace averti offesa, sono stato imperdonabile, me ne rendo conto. > Continua, accarezzandole una guancia con il dorso di un dito.

< So che hai paura e so che dev'essere difficile per te dopo quello che hai vissuto, ma io non sono Bella, il nostro destino non deve essere necessariamente simile. Abbiamo questioni più importanti da risolvere e non voglio che questo diventi un problema. > Gli sfiora le labbra con un dito, avvertendole schiudersi al suo tocco delicato.

< Hai ragione. > Sussurra soltanto, prima di incontrare le sue labbra e baciarla.

Audry pensa, mentre sente il suo sapore invaderle la bocca e le sue mani stringerle i fianchi, che non vi sia niente di più perfetto, che probabilmente è soltanto un sogno e che presto si sveglierà e, quando la suoneria di un cellulare spezza l'atmosfera idilliaca che si era venuta a creare, distraendo entrambi, comincia a credere che sia proprio così.

Edward afferra il cellulare che ha con sé e non esita neanche un secondo prima di rispondere.

Non proferisce parola e tutto ciò che Audry riesce a capire è che devono andare e devono fare in fretta, perché Edward la solleva con attenzione dalle sue gambe e afferra il suo cappotto, porgendoglielo e invitandola ad indossarlo.

< Che cosa succede, Edward? > Ha paura, perché la sua espressione non promette niente di buono e i suoi occhi sono diventati assenti.

< Sta arrivando e vuole vederti. > Risponde glaciale, aprendo la porta di casa e spingendola fuori con dolcezza e premura.

< Vedere me? Cosa c'entro io? > Lo segue verso la sua Volvo, ma la mente è come paralizzata, cristallizzata all'attimo prima della telefonata.

< Alice dice che vuole parlarti, ma non ha idea di cosa possa riguardare. > Mette in moto e sfreccia fuori dal vialetto d'ingresso ad una velocità che Audry stenta a credere possibile.

 

Quando Edward parcheggia frettolosamente, ma con precisione, davanti casa Cullen, Audry riesce soltanto a pensare che non ha mai percorso la distanza da Seattle a Forks in così poco tempo.

Alice e Jasper vanno loro incontro, le espressioni tetre e preoccupate.

< Tra quanto sarà qui? > Chiede Edward mentre Audry lo affianca e si stringe a lui.

Alice fissa un punto in lontananza, tra la vegetazione e sembra sia sul punto di svenire.

< Stavate aspettando me, per caso? > E poi quella voce, la voce che Audry ha avuto modo di sentire nel suoi incubi più recenti, le fa gelare il sangue nelle vene ed immobilizzare.

E' comico, teatrale quasi, eppure, quando Audry volta il capo per incontrare il viso del nuovo arrivato, frammenti della sua vita le vengono proiettati nella testa, confondendola, facendole credere che sia sul punto di morire, perché è un po' così che succede, no? La tua intera vita ti scorre davanti agli occhi sotto forma di fotografie, di piccole immagini in movimento: i tuoi fallimenti, i tuoi successi, le tue perdite, le tue lacrime, i tuoi sorrisi, le persone che sono state per te importanti.

Deve aggrapparsi ad Edward per non cadere, stringendo la mano intorno alla stoffa del suo giaccone scuro, chiudendo gli occhi.

< Non sei il benvenuto qui. > La voce di Edward è dura e gelida e il suo unico pensiero è quello di proteggere Audry.

< Oh sì, lo immaginavo, ma è questione di pochi minuti, non ci vorrà molto, vero Audry? > Al suo nome, Audry riapre gli occhi e lo osserva: i capelli neri e lunghi fino alle spalle, gli occhi rossi come la brace più ardente, il sorriso sardonico e i vestiti eleganti, di un'altra epoca, di un'altra vita. 

E' tutto come nei suoi sogni, come nei suoi incubi, ma cosa vuole da lei, le è ancora oscuro.

< Oh, che sbadato! Non mi sono neanche presentato; perdonate la mia assoluta mancanza di rispetto. Sono Leonard Finch III e voi dovete essere i Cullen, giusto? > Si inchina, come se fosse dinanzi ad una corte e continua a sorridere.

< Come... come fai a conoscere il mio nome? > Audry riesce a porgli questa domanda non senza difficoltà, Edward che la tiene stretta a sé, quasi potesse volare via.

< Ti ho osservata e poi è stato semplice, sei amica di mia figlia. >

 

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Capitolo 21
*** Disturb ***


Salve!

Dunque, cosa dire? Spero che le vostre vacanze si siano concluse in bellezza e che l'inizio d'anno nella vostra carriera lavorativa/scolastica sia stato altrettanto positivo. Io ho due esami da preparare (se ci riesco anche tre -.-), più ho due contest ai quali con autorevole spirito di auto-flagellazione mi sono voluta iscrivere, perciò direi che il mio anno è cominciato all'insegna dell'impegno, in tutti i sensi :)

Purtroppo, devo ammettere che non riesco ad aggiornare questa Ff se non una volta ogni due settimane, perché, più vado avanti, più i capitoli si fanno complessi e se voglio portare avanti l'idea che ho sempre avuto io di come dovesse procedere la Ff, devo fare tutto con calma, senza affrettarmi e senza scrivere cose senza senso, altrimenti non rispetterei il progetto; quindi vogliate perdonarmi se siete costretti ad attendere un po' di più, nonostante mi sia liberata di una Long e manchino solo due capitoli per portarne a termine un'altra. Sicuramente, appena mi sarò liberata degli esami, delle altre Ff in corso e lezioni all'università permettendo, avrò più tempo da dedicare a questo piccolo esperimento sull'universo di Twilight.

Sul capitolo non ho molto da dire, tranne che le cose tra Edward e Audry si stanno evolvendo in meglio, mentre la situazione dal punto di vista dei nemici è sempre molto critica. Ho la bocca cucita riguardo a successivi sviluppi, ma, secondo me, ne usciranno tutti bene, secondo voi?

Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare, chi ha commentato, chi ha soltanto letto e chi ha dato una sbirciata *.* vi voglio bene, dal primo all'ultimo, ricordatevelo sempre <3

Sono stata prolissa, per cui direi che è ora di lasciarvi alla lettura ;)

Buona continuazione di settimana e...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Sarah?!? > Audry è sbalordita e forse lo è ancora di più Edward che non riesce a distogliere lo sguardo dal nuovo vampiro.

< Esatto. Proprio lei. > La indica e sorride, come se Audry avesse appena vinto un premio. < Uno dei miei peccati è sempre stato quello di innamorarmi delle umane. Era più forte di me. > Continua, come se fosse una spiegazione sufficiente, come se ciò non implicasse il genere di persona con cui hanno a che fare.

Sembra tutto irreale, come in uno dei suoi incubi.

< Saresti potuto andare direttamente da lei, perché hai cercato Audry per prima? > Edward stringe più forte la presa sui fianchi di Audry e il pensiero che possa lasciarle dei lividi non lo sfiora neanche. E' riprovevole anche per lui immaginare una donna, un'umana, con un individuo del genere, ma non sta a lui giudicare, non spetta a lui emanare una sentenza, non quando si è visto protagonista della medesima storia.

< E' semplice: Sarah non sa di essere stata adottata. Mi sono disfatto del corpo di sua madre e l'ho lasciata sul portico di una piccola casa a Seattle. Il resto, è leggenda, come si suol dire. > Si avvicina di qualche passo e Audry, automaticamente, indietreggia, Edward che le fa scudo con il suo corpo.

< Non voglio farti del male, sta' tranquilla; non ancora, almeno. > Continua, avvicinando il viso al suo e scrutandola negli occhi, quasi come se stesse cercando qualcosa, quasi come se vi vedesse un altro universo.

Audry non sa cosa prova, non riesce a pensare, e quando incrocia gli occhi rossi del vampiro davanti a lei, le sembra impossibile che sia il padre di Sarah, un essere sovrannaturale e dai chiari istinti violenti. Il modo in cui ha ammesso di essersi sbarazzato del corpo della sua amante, dopo che aveva rischiato la vita pur di mettere al mondo sua figlia, la fa rabbrividire di orrore e disgusto, ma sono sufficienti una manciata di secondi, perché Leonard distolga lo sguardo, distratto da un nuovo arrivo.

Carlisle si pone esattamente di fronte ad Audry, ancora protetta dall'abbraccio di Edward, sorridendo affabile.

< Le vostre abitudini di caccia potrebbero causarci qualche problema. > Nessun saluto, nessuna presentazione, come se non ce ne fosse bisogno, come se già avessero avuto modo di conoscersi.

< Non sosterò a lungo nel vostro territorio, avevo solo una piccola questione da chiarire. > Risponde, sollevando le mani per dichiararsi innocente e Audry non riesce a fare a meno di chiedersi quante vite quelle mani hanno spezzato, quanto sangue le abbia bagnate e di quale violenza siano state artefici.

< Vuoi che Audry interceda per te, non è così? > La voce rabbiosa di Edward sembra risuonare nel largo spiazzale, confondendosi nella foresta.

< Sei un abile lettore di menti, giovane Cullen. > Sposta lo sguardo rubino su di lui, sorridendo in maniera sarcastica e giungendo le mani, come se stesse per recitare una preghiera.

< Voglio solo conoscere mia figlia, tutto qui. Dopotutto, ha metà del mio sangue, mi appartiene. > Continua supplicante.

< Perché ora? Perché dopo tutto questo tempo? > Audry trema quando Leonard si avvicina ad Edward. E' irrazionale e forse illogico, ma non riesce a non preoccuparsi per la sua incolumità. Non sa molto del regno dei vampiri o di quello dei licantropi, ma basta una sola occhiata per accorgersi che Leonard possiede una forza superiore a quella di tutta la famiglia Cullen al completo.

< Ero spaventato e non avevo idea di come crescere una bambina completamente da solo. Ero un nomade, non avevo fissa dimora e avrei dovuto costringerla a cibarsi di sangue fin da neonata e non potevo sopportarlo, ecco perché l'ho affidata agli umani. > Il suo volto esprime solo tristezza e apprensione e tutti hanno come l'impressione che non può che essere la verità quella che racconta, che non possa esistere altra versione della faccenda, come se i loro dubbi fossero sempre stati infondati fino a quel momento.

< Non posso dirle che è figlia di un vampiro. Io stessa non ci crederei. > Commenta Audry, avanzando appena.

< Non ti sto chiedendo qualcosa di così drastico, ma potresti avvicinarla al nostro mondo, rivelarle cosa sono i tuoi amici e spianarmi la strada per un approccio diretto e semplice. > Le fa notare, assottigliando lo sguardo.

< E se lei rifiutasse, se si opponesse al tuo desiderio? > La domanda giunge inaspettatamente da Carlisle.

< Non mi piace usare la violenza sui miei simili e non voglio scatenare una guerra inutile, quindi, rimetto la faccenda nelle vostre mani. > Lascia schioccare la lingua, come se già sentisse in bocca il sapore della vittoria.

Le fronde scosse dal vento sono l'unico rumore percepibile; nessuno osa muovere anche solo un muscolo.

< Tornerò a reclamare una risposta molto presto. > Aggiunge con un sorriso, scomparendo tra la folta vegetazione.

Audry tira un sospiro di sollievo e si concede una respirazione più rilassata, Edward che non smette di mantenerla ancorata al suo corpo, come se temesse che, lasciandola, possa svenire.

< Non è qui solo per conoscere sua figlia; vuole qualcos'altro. > Commenta Carlisle, lo sguardo rivolto verso Edward.

< Non sono riuscito a leggergli la mente così a lungo da scoprire i suoi piani; non appena ha scoperto dei miei poteri, mi ha negato l'accesso. > Risponde.

< E' tutto nelle mani di Audry, è lei che deve decidere. > Interviene Jasper, serio e ragionevole.

Audry alza lo sguardo su di lui e, anche se è sorpresa di sentirlo dire, anche se vorrebbe solo continuare a vivere in pace la sua vita, sa che Jasper ha ragione, sa che tutto dipende esclusivamente dalla sua volontà: aiutare o meno Leonard Finch III.

Non dovrebbe essere così difficile prendere una decisione, ma se rispondesse negativamente, Leonard ha promesso la nascita di un conflitto e allora come si sentirebbe, sapendo che la famiglia che l'ha accolta con così tanto affetto e con così tanto amore, corre un rischio simile? Come si sentirebbe al pensiero che Edward potrebbe non far parte più della sua vita? Sarebbe un rimorso troppo grande da digerire, un peso eccessivo per le sue spalle esili.

Ma, d'altra parte, se la sua risposta fosse affermativa, sopporterebbe il pensiero di Sarah nelle mani di un così meschino essere? Dovrebbe convincerla ad accettarlo come suo padre naturale, quando neanche lei riesce a fidarsi completamente di lui? 

E' tutto così assurdo che, per un attimo, invidia la sua vecchia vita, quella basata solo su università, studio e preparazione della cena in vista del rientro di sua zia da un turno completo in libreria.

< Stai bene? > Edward le scosta i capelli con delicatezza, scrutandole il volto, riportandola bruscamente alla realtà. Non si era neanche resa conto degli altri membri della famiglia che rientravano in casa, così assorta nel da farsi.

Annuisce e si lascia condurre su per le scale del portico, fino alla porta d'ingresso e poi nel salone, dove Nessie e Jacob, costretti a simulare la curiosità di quanto stava avvenendo all'esterno da una preoccupatissima Esme, sembrano completamente assorbiti da un blockbuster in tv, accoccolati sotto un plaid.

Audry li osserva con discrezione, cercando di non rovinare la loro intimità, mentre Edward, silenzioso e veloce, la costringe a seguirlo per le scale fin nella sua stanza, afferrandola per i fianchi come una bambina e adagiandola sul letto a baldacchino, facendola arrossire.

Audry scivola sul piumone fino alla testiera in ferro battuto, poggiandovi contro la schiena, attendendo che Edward faccia lo stesso, ma lui, senza preavviso, le si siede semplicemente accanto, quasi attendesse solo che lei si addormenti per sgusciare via.

< Sembri scossa. Hai paura? > Le afferra una mano con dolcezza, solleticandone il palmo con la punta delle dita, costringendola a rabbrividire di piacere.

Audry osserva i suoi occhi dorati e rassicuranti, così diversi da quelli di Leonard, e non può fare a meno di pensare al fatto che è stata sfacciatamente fortunata ad incontrarlo, che, in fondo, era proprio come le ripeteva sempre sua madre, che, se lo si chiama troppo ad alta voce, l'amore non giunge, ma, proprio quando meno ce lo aspettiamo, eccolo pronto a risollevarci, ad offrirci una carezza e un sorriso sinceri.

Scuote la testa e rafforza la presa sulla mano di Edward, incurante della sua pelle gelida, abbassando lo sguardo.

< Non voglio che Sarah si ritrovi in pericolo per colpa mia, perché ho preso la decisione sbagliata, ma non voglio costringervi ad affrontare Leonard e non posso chiedervelo. > Risponde, dando voce ai suoi pensieri.

< Abbiamo già combattuto in passato, Audry. Le guerre non ci piacciono, così come l'idea di seminare morte tra i nostri simili, ma se non abbiamo scelta, è quello che faremo. > Le chiarisce, rassicurandola, il tono di voce duro e determinato.

< Il punto è che abbiamo una scelta, che io ho una scelta, quella di evitare tutto questo, ma entrambe sono rischiose e dolorose ed io non sono in grado di compiere un passo simile. > Mormora.

< Hai tutto il tempo che ti occorre, Audry, non c'è nessuna fretta e sappi che qualunque cosa deciderai, sarà quella giusta, perché te l'avrà suggerita il tuo cuore. > Le accarezza i capelli dolcemente e lei, che avverte già la mancanza del suo abbraccio e del suo profumo, ne approfitta per trarlo a sé, sbilanciandolo e cogliendolo di sorpresa, costringendolo a ridere di se stesso.

< Un vampiro che non riesce a prevedere la mossa di un avversario è molto grave. > Commenta, inspirando l'odore dolce dei suoi capelli e della sua pelle vellutata.

Audry sorride, poggiando il mento sulla sua spalla e accarezzandogli i capelli setosi.

< Sono tua avversaria? > Gli chiede, scherzando.

< Mm... la più bella e la più tentatrice di tutte. > Mormora roco, baciandole il punto sensibile dietro l'orecchio.

Audry continua ad accarezzargli i capelli, perdendosi nei suoi pensieri, per un tempo che sembra infinito ad entrambi.

< Vuoi rimanere qui stanotte? > Le domanda lui, accarezzandole un fianco, premuroso.

Lei lo stringe ancora di più a sé e scuote appena la testa.

< Non voglio che mia zia rimanga da sola. Ha soltanto me. > Spiega, ricordandosi improvvisamente che, nella fretta di uscire, ha dimenticato il cellulare. E' ancora presto perché Jenna possa essere rientrata a casa, ma da quando ha avuto quegli orribili incubi con lei protagonista, non si sente sicura, pensa sempre che possa esserle successo qualcosa.

Edward si allontana da lei, baciandole la fronte e sorridendole sereno.

< Posso accompagnarti a casa, se vuoi. > Le propone allora, giocherellando con una sua ciocca di capelli. < Torniamo a guardare Amleto... > Continua concentrato.

Audry sorride e abbassa lo sguardo, rialzandolo subito dopo per incontrare i suoi occhi.

< Non sembravi così attento al film... > Sa che lo sta provocando e sa che è scorretto, ma non riesce a farne a meno.

< Una ragazza dal buonissimo profumo mi ha completamente distratto, hai ragione. > Ammette, avvicinandosi alla pelle diafana, come trasparente, del suo collo per annusarla e depositarvi un piccolo bacio, facendole trattenere appena il respiro e arpionare una mano sulla sua camicia azzurra, all'altezza delle spalle, strattonandola.

< Una-una ragazza che conosco, quindi... > Trema di desiderio; desiderio di sentire la sua bocca dappertutto su di lei, di avvertire le sue mani carezzarla dolcemente.

Edward continua la sua personale esplorazione, costringendola a reclinare leggermente il capo all'indietro, baciandole la gola e risalendo verso il mento, lasciandola boccheggiante, come se fosse a corto di ossigeno.

< Oh sì, direi che la conosci molto bene. > Risponde, incontrando le sue labbra in un bacio lento e dolce, prendendosi tutto il tempo necessario per gustare il suo sapore.

Audry sfiora con la lingua il suo labbro superiore, timidamente, conscia che la sua reazione potrebbe non essere positiva, eppure, quando sente Edward suggerle con delicatezza il labbro inferiore, non può che gioire al pensiero che lui si sia concesso qualcosa di più.

Si allontana dalla sua bocca solo per riprendere fiato ed Edward la osserva, sinceramente impressionato: un rossore diffuso sulle guance, gli occhi lucidi, i capelli leggermente scomposti per il passaggio delle sue dita, il fiato corto e le sue dita calde che continuano a solleticargli i capelli più corti della nuca quasi distrattamente, come se l'avesse sempre fatto e non avesse più smesso.

La bacia ancora, più brevemente questa volta, lasciandosi trascinare più vicino, così vicino che Audry schiude le gambe per permettergli di assumere una posizione più comoda, mentre lei si lascia scivolare con la testa sui cuscini, sorridendo dolce.

Edward fa leva con i palmi delle mani per non pesarle addosso, cercando ancora le sue labbra e la sua pelle calda, solleticandola con i suoi baci appena accennati, facendola sorridere divertita. Non protesta neanche quando Audry, più audace, lascia che la camicia si apra di un paio di bottoni per accarezzargli più facilmente il collo e le spalle, avvertendo sotto le dita i muscoli tesi e la pelle perfettamente liscia.

Edward è come una scultura: perfetta, levigata e curata in ogni più piccolo dettaglio. Pensare che, esattamente come una statua, immutata e immutabile, abbia conosciuto differenti epoche, la lascia basita.

Da piccola ha sempre fantasticato su come sarebbe stato diverso vivere durante i grandi conflitti Mondiali, oppure nell'epoca dei corsetti e delle gonne ampie o durante l'uscita di un romanzo che avrebbe segnato intere epoche. Chissà se avrebbero avuto modo di incontrarsi e conoscersi, se lei fosse vissuta durante la sua epoca; chissà le cose come sarebbero risultate differenti ai loro occhi.

Torna a concentrarsi su di lui, sui suoi occhi appena più scuri del solito, sul suo respiro gelido che le accarezza il viso.

Edward le permette di sbottonargli la camicia ancora un po', all'altezza delle costole e Audry, impaziente, saggia anche la pelle del suo petto ampio e mediamente scolpito, delle sue braccia forti e tese.

Lo osserva attenta, pronta a captare qualsiasi sua espressione contrariata, ma non riesce a leggere altro che piacere e tensione nei suoi occhi cupi, anche se i tratti del suo viso, improvvisamente rigidi, sembrano affermare il contrario.

Audry si ripete che deve soltanto abituarsi alle sue carezze, che deve solo abituarsi al suo odore, e poi tutto sarà semplicemente perfetto, ma se continua ad essere il solo a lasciarsi spogliare, le sue paure non diminuiranno.

Allontana le mani dalla sua pelle a malincuore, portandole al bordo del maglioncino che indossa, scoprendosi la pancia e lo stomaco, fino a quando la stoffa non incontra la naturale resistenza dei suoi seni.

Edward schiude appena le labbra, meravigliato che la sua pelle sia così chiara, così profumata e così seducente, tanto che non riesce ad impedirselo, ma china il capo e sfiora con le labbra il cerchio perfetto del suo ombelico, mentre Audry non riesce ad evitare che i suoi muscoli si contraggano naturalmente a quel tocco.

Sospira e inarca la schiena a chiedere di più, portando una mano tra i suoi capelli e accarezzandoli con foga.

Il suo profumo è così forte, che si sente stordito, come se gli avessero iniettato un tranquillante e solo adesso cominciasse a fare effetto.

Quando risale al suo viso per baciarle di nuovo la bocca, Audry nota come i suoi occhi abbiano cambiato colore e dal dorato liquido di poco prima, si siano trasformati in nero pece.

Ha sete di lei, o è piacere quello che prova?

Vorrebbe chiederglielo, vorrebbe sapere cosa gli passa per la testa, ogni più piccolo pensiero, ma lui glielo impedisce, assalendo le sue labbra, facendo morire ogni protesta.

Il cuore le batte così veloce che teme possa uscirle dal petto e la testa le gira, anche se ha gli occhi chiusi.

Libera Edward dalla costrizione della camicia, accarezzandogli le braccia e le spalle, rabbrividendo.

< Se dovessi... > Mormora lui, stringendo gli occhi e obbligandosi di non pensare.

< Shh! Va tutto bene, sono qui e va tutto bene. > Gli sorride lei, accarezzandogli il viso.

Inverte le posizioni e lui la lascia fare, scostandole i capelli dal viso, afferrandole una mano e facendo intrecciare le loro dita.

Audry gli riserva lo stesso trattamento che ha riservato a lei: accarezza e bacia ogni singola porzione di pelle disponibile, costringendolo ad ansimare e a rafforzare la presa sulla sua mano.

Quando il bordo dei jeans la ferma, si solleva, liberandosi del maglioncino e torna a baciargli le labbra, Edward che slega la presa dalla sua mano per afferrarle i fianchi, per prendere maggiore confidenza con la sua pelle.

E' tutto così intenso e così irrimediabilmente vero, che Audry fatica ancora a crederci, fatica ancora a pensare al fatto che di lì a poco farà l'amore con Edward. Le farfalle nel suo stomaco non smettono di danzare neanche quando Edward si solleva a mezzo busto, imitandola e reclama la sua bocca, meravigliandosi di quanto i suoi capelli sembrino lunghi in quella posizione, quasi a toccare il materasso, cadendo in onde morbide e soffici.

Audry sfiora con entrambe le mani il bordo dei jeans di lui, raggiungendo il bottone e la cerniera ed è proprio in quel momento, quando lei si sente arrossire per quello che sta per fare e lui osserva il movimento delle sue mani come ipnotizzato, che la voce di Esme li raggiunge al di là della porta di legno, spaventandoli.

< Audry, tesoro, ti fermi a cena? > E' la semplice domanda di Esme.

Edward sorride, la abbraccia e le bacia i capelli, tranquillizzandola, mentre lei assume la pericolosa sfumatura di un pomodoro maturo.

< Ehm... sì, perché no, grazie. > Riesce a rispondere dopo qualche secondo, spingendo Edward lontano da lei, facendolo ridere.

< Non è divertente! > Sbuffa, recuperando il suo maglioncino, l'atmosfera idilliaca di poco prima scomparsa come neve al sole. < Se fosse entrata e ci avesse visto in atteggiamenti intimi? > Continua, imbronciandosi come una bambina.

Edward la raggiunge, costringendola a sedersi tra le sue gambe, le sue braccia a circondarla completamente.

< Mi dispiace, avrei dovuto immaginarlo che ti saresti sentita in difficoltà con tutti questi vampiri in libertà. > Le bacia i capelli e la culla appena, poggiando una guancia contro la sua.

Audry ha solo una vaga idea dell'imbarazzo che avrebbe potuto provare se Esme fosse entrata senza fermarsi davanti alla porta chiusa, trovandoli semi-nudi e in procinto di darsi da fare. 

< E' la prima regola avere una casa libera e vuota. > Alza gli occhi al cielo, voltandosi per baciarlo, prima di lasciarlo libero di vestirsi della camicia.

< Mi farò perdonare. > Le promette, facendole l'occhiolino e accompagnandola nuovamente al piano inferiore dove Esme ha già imbandito un'intera tavola di leccornie e dove Jacob, Renéesme, Leah e Quil si stanno già sfamando.

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Capitolo 22
*** Square Root-Radice quadrata ***


Salve!

Chi non muore, si rivede ed io non sono decisamente morta, perciò eccomi qui con il nuovo aggiornamento =P

Sono in ritardo, lo so e me ne vergogno, ma avevo avvisato che, probabilmente, avrei aggiornato intorno al primo, due febbraio e, invece, alla fine, contro tutte le aspettative (della sottoscritta, ovviamente), sono riuscita a farlo con ben due giorni d'anticipo, anche se sempre di ritardo parliamo, considerato che questa Ff era nata con lo scopo di avere un capitolo ogni settimana ç.ç non pensavo che l'università mi avrebbe impegnata così tanto e mi dispiace per chi legge e commenta sempre, perché capisco che a volte è difficile attendere la continuazione di una Ff e alla fine, ci si stanca di seguirla.

Tornando al capitolo, sono riuscita, in extremis, ad inserire una domanda ad un dubbio che mi è stato posto nelle recensioni; avevo già in programma di affrontarlo, più avanti, però ho trovato coerente inserirlo in questo capitolo, perché più vicino a quello dell'incontro con Leonard. Ciance a parte, la domanda che mi è stata posta era: come mai Edward non si è accorto che Sarah fosse una Mezza-Vampira come Renéesme? Beh, ho fatto delle ricerche sui Mezzo-Sangue e quello che ne è uscito fuori è parte della risposta che troverete in questo capitolo.

Anche questo, come quello precedente, è un capitolo di passaggio, dove, sostanzialmente non c'è molto movimento; so che può essere noioso leggere questi capitoli, ma per me sono necessari, perché ho a cuore la psicologia e l'introspezione dei personaggi e ritengo necessario dovermi soffermare anche un po' su di loro, di tanto in tanto. Non so quando riprenderà l'azione vera e propria, ma leggerete sviluppi, in ogni campo.

Detto ciò, ribadisco di non sapere con precisione quando potrò nuovamente aggiornare; sicuramente, non prima di due settimane, non me ne vogliate <3

Ringrazio, al solito, tutte le persone che hanno commentato, che hanno letto o sbirciato lo scorso capitolo e tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare <3 vi voglio bene <3!

 

Buona continuazione di settimana e...

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Jenna non è ancora rientrata. > E' la semplice osservazione di Edward quando ferma la Volvo di fronte all'abitazione di Audry, osservando la casa, assorto, come se potesse venirne fuori un mostro.

< Probabilmente ha chiamato per avvertirmi che avrebbe fatto più tardi, ma ho dimenticato il cellulare nella fretta di uscire. > Audry non è preoccupata: sono solo le nove e mezza e sua zia ha l'abitudine di rimanere in negozio fino a tardi, specie quando qualche cliente le ha chiesto consulenza circa un particolare testo, oppure quando deve sistemare i nuovi arrivi; non è così inusuale. Slaccia la cintura di sicurezza e sorride ad Edward che la sta osservando.

< Cosa c'è? > Gli chiede divertita, arrossendo appena.

< Hai della crema al cioccolato sul naso. > Sorride anche lui, indicandole il punto esatto vittima della deliziosa crema al cioccolato bianco con cui Esme aveva pensato bene di farcire il dessert.

< Oh cielo, sul serio? > Comincia a strofinarsi il naso con fare convulso, fin quando non si rende conto che adesso la crema è sulle sue mani.

Edward ride divertito e scuote la testa, rafforzando la sua convinzione che Audry è, in certe situazioni, ancora una bambina, una dolcissima e splendida bambina.

< Sai che non è educato ridere delle disgrazie altrui? > Gli fa presente con un pizzico di astio, portandosi il dito alle labbra e pulendolo dalla crema.

< Scusami, ma eri così preoccupata che non ho potuto farne a meno. > Si giustifica.

< Avresti potuto avvertirmi! Sono andata in giro con della crema sul naso per tutto questo tempo! > Borbottò.

< Me ne sono accorto solo una manciata di minuti fa, Audry e poi, suonerà paradossale, ma il bianco ti dona e nessuno pare essersi reso conto della differenza con la tua pelle. > Le accarezza un ciuffo di capelli che il cappellino di lana verde che ha indossato non riesce a nascondere, facendola arrossire nuovamente.

< Lo dici solo per rabbonirmi, confessa. > Gli punta un dito contro il petto, lo sguardo minaccioso.

Edward sembra pensarci un po' sù prima di rispondere.

< Uhm... forse. > Sorride maliziosamente, avvicinandosi alle sue labbra per baciarla e Audry, docile, ricambia con fervore, agganciando le braccia dietro il suo collo. I guanti non le permettono di immergere le mani tra i suoi capelli rossicci e quasi maledice la sua pelle così maledettamente sensibile al freddo che la costringe ad equipaggiarsi come un'eschimese.

< Vuoi che ti faccia compagnia per un po'? > Le domanda accorto, non appena si separano, sistemandole la sciarpa colorata.

< Non ho bisogno di un baby-sitter. > Scherza, allontanandosi e aprendo la portiera.

< Uhm... tutta sola, in una zona così isolata, con questo tempaccio... non avrai paura? > Una folata di vento la costringe a socchiudere gli occhi, facendola stringere ancora di più nel suo cappotto invernale.

< Il vento non può uccidere, quindi, credo di essere al sicuro. > Soppesa con semplicità.

< Non vuoi che resti, è così? > Esibisce il suo solito sorriso sbilenco e le farfalle nello stomaco di Audry cominciano ad agitarsi, lasciandola disorientata per un istante.

< E' che... sto monopolizzando il tuo tempo e non voglio essere una di quelle fidanzate appiccicose, perciò... > Fa spallucce, gesticolando con le mani, grata al vento freddo che le impedisce di arrossire come una sciocca per l'ennesima, stravolgente volta.

< Forse dovrei essere io a chiedermelo, forse sono io che sto monopolizzando il tuo tempo. > Risponde pensieroso.

< No! No! Certo che no! > Replica lei con foga. < Non è mai abbastanza il tempo che trascorro con te; ho solo paura che tu possa... annoiarti. Non sono una ragazza così interessante. > Continua. Non vuole che si senta in colpa.

< Solo perché preferisci studiare, leggere e trascorrere la serata con tua zia? > Le chiede quasi con scherno, come se progettare serate in discoteca, uscire con gli amici, rientrare a casa ubriachi, potesse renderla più interessante.

< Non ho molti interessi, tutto qui. > Abbassa gli occhi, torturandosi le mani guantate.

< A me non interessa quello che fai per divertirti, Audry. A me piace la tua forza, il tuo coraggio, la tua dolcezza e il tuo arrossire costantemente, anche quando non ti faccio un complimento. Mi piaci esattamente così come sei. > Le accarezza una guancia fresca in punta di dita, soffermandosi sulle piccole lentiggini che proseguono verso il naso.

Audry si morde un labbro, indecisa. Non è in fondo lo stesso anche per lei? Non le importa se Edward è un vampiro, non le importa se può nutrirsi solo di sangue, non le importa che abbia ucciso delle persone in passato e non le importerebbe neanche se dovesse essere lei a morire di sua mano. 

Provano esattamente le stesse cose.

< Puoi farmi compagnia, se vuoi. > Mormora, evitando i suoi occhi, scendendo dalla vettura. Non fa neanche in tempo a voltarsi verso di lui per attenderlo, che le è già accanto e sta sorridendo, i capelli mossi dal vento e la stessa camicia azzurra da cui l'ha spogliato solo poco tempo prima.

< Invidio la tua completa indifferenza agli agenti atmosferici. > Borbotta assorta, estraendo le chiavi di casa dalla tasca dei jeans.

< Il mio cappotto è sul tuo attaccapanni, al momento. > Si posiziona dietro di lei per ripararla dal vento, poggiando entrambe le mani sui suoi fianchi, facendola rabbrividire, anche se Edward sospetti non si tratti semplicemente della sua pelle fredda, guidandola quasi all'interno dell'abitazione, come se Audry non la conoscesse a memoria. Avverte il suo respiro freddo tra i capelli e vorrebbe liberarsi in fretta e furia da tutti gli indumenti troppo pesanti, solo per avvertire il suo petto contro la sua schiena, le sue braccia circondarla.

Quando la lascia andare, superandola per recarsi in cucina, Audry si libera del cappotto, della sciarpa, del cappello, dei guanti e degli stivali in fretta, ammucchiando il tutto sull'attaccapanni per seguirlo.

Edward ha in mano il suo cellulare che, non appena avverte la sua presenza, le tende con semplicità.

< Due messaggi da parte di tua zia. > Le comunica, mentre Audry afferra l'aggeggio e si appresta a verificare il contenuto degli sms, notando come, anche se liberissimo di farlo, Edward non li abbia letti, rispettando la sua privacy.

< Dice che un cliente piuttosto particolare l'ha invitata a cena e che farà tardi, quindi non c'è bisogno che io l'attenda in piedi. > Torna indietro alla casella di posta per aprire il secondo messaggio, leggendolo in fretta. < Se ho fame c'è della pasta al forno in frigo. > Continua.

Edward nota come sia pensierosa, come se ci fosse qualcosa che non quadri in quella faccenda.

< Cosa c'è? > Le domanda, avvicinandosi.

Audry scuote la testa, quasi a liberarsi di una brutta sensazione.

< So che è stupido, ma ho un brutto presentimento; di solito mia zia non utilizza i messaggi per avvisarmi dei ritardi, mi telefona ed è raro che qualche cliente la inviti a cena. Forse mi sto solo preoccupando senza motivo, solo che dopo Leonard, dopo gli incubi con lei come protagonista, ogni minimo ritardo, ogni piccolo cambiamento alla nostra solita routine, mi manda in paranoia. > Dichiara, incontrando gli occhi meravigliosamente dorati di Edward.

< Forse è stato qualcosa di inaspettato e non voleva che il suo cliente la vedesse discorrere al cellulare. > La giustifica.

< Sì, forse hai ragione, forse è andata così. > Poggia il cellulare sulla mensola accanto al tostapane, non totalmente convinta.

< Puoi sempre chiamarla. > Ipotizza allora lui.

< Non voglio disturbarla e, se è vero che sta cenando con un cliente, potrei metterla in imbarazzo e non voglio. > Scuote la testa.

< Vedrai che andrà tutto bene; Emmett e Jasper controllano Leonard e se fosse diretto da tua zia sarei stato il primo a saperlo. > La rassicura, prendendole una mano.

Audry gli sorride grata, abbracciandolo, lasciando che lui le accarezzi i capelli con dolcezza, cullandola come una bambina, inspirando il buon profumo della sua pelle.

< Cosa le va di fare, mademoiselle? > Le domanda con un piccolo sorriso ad increspargli le labbra morbide, scostandola appena dal suo petto per osservarla negli occhi.

Audry si morde il labbro inferiore, indecisa: non le dispiacerebbe continuare il discorso che Esme aveva avuto la prontezza di interrompere, ma, d'altra parte, arrossisce al solo pensiero di confessare. In quell'istante si sente la ragazza più fortunata del mondo solo per il semplice motivo che Edward non ha accesso alla sua mente e, quindi, ai suoi pensieri.

< Sei indecisa. > La scruta attento, aggrottando le sopracciglia e districando con il pollice il suo labbro torturato dai denti, accarezzandolo dolcemente, come se stesse dando sollievo ad una ferita da lui inferta. < Posso aiutarti nella scelta? > Continua.

La osserva arrossire splendidamente, le guance acquistare colore e pensa che non ci sia nulla di così bello e prezioso della vita, del sangue che le scorre nelle vene, del profumo delizioso che lo circonda, della morbidezza della sua pelle e del calore che ogni particella di lei emana.

< Uhm... non è una buona idea... > Mormora con difficoltà, allacciando un braccio dietro il suo collo, avvicinandosi alle sue labbra, socchiudendo gli occhi.

< Perché no? > Domanda fintamente innocente, sfiorandole il naso con il suo.

< Perché i nostri desideri non coincidono. > Risponde, incontrando la sua bocca, chiudendo gli occhi, abbandonandosi al bacio e alle sue carezze lievi.

< Io, infatti, pensavo di aiutarti a studiare. > Pronuncia, allontanandosi da lei, per quanto con riluttanza estrema, afferrandole entrambe le mani, costringendola a seguirlo lungo il corridoio e poi in salotto.

< Ecco, appunto. > Alza gli occhi al cielo. Sapeva di non avere speranze. Si era lasciato così andare poco prima, che aveva quantomeno sperato che potesse essere un ottimo inizio per approfondire la loro conoscenza; peccato che non avesse messo in conto che vincere le sue resistenze non sarebbe stato così facile.

< Non voglio studiare. > Continua, imbronciandosi come una bambina capricciosa.

< Ah, no? Credevo avessi un esame, tra qualche giorno. > Edward aggrotta le sopracciglia, studiandola con attenzione, facendola voltare affinché possa sedersi sul divano.

< Ho studiato a sufficienza. > Borbotta, pur sapendo che non è andata esattamente così.

Edward afferra il telecomando e cambia canale, il lettore dvd che, quasi per protesta, decide di espellere di sua iniziativa Amleto. Avevano dimenticato il televisore acceso, statico e immobile su una delle scene iniziali dell'opera.

< Puoi fare yoga; dicono sia un ottimo metodo di rilassamento. > Le propone, alludendo al programma su cui si è appena fermato, in cui un gruppo di donne emulano gli esercizi della loro insegnante.

Audry si volta verso di lui con sguardo incredulo.

< Stai scherzando, spero. > Obietta, assottigliando gli occhi.

Edward, per tutta risposta, scuote la testa e cambia ancora canale: un documentario sugli insetti della foresta Amazzonica, un talent-show canoro, una telenovela di serie B, un notiziario locale, un programma di musica classica e un film poliziesco, colorano lo schermo dell'apparecchio senza che Audry si senta particolarmente interessata a fermarsi su uno di essi.

< Possiamo semplicemente stare insieme? Non voglio guardare la tv, non voglio studiare, voglio solo starti accanto. > Rompe il silenzio lei, rubandogli il telecomando dalle mani e posandolo lontano, al capo opposto del divano.

Edward la osserva, poi, memore della bellissima sensazione di averla tra le braccia, poggia la schiena contro un bracciolo del divano, allungando le gambe e facendole posto perché lei possa posizionarcisi esattamente in mezzo, avvolgendola nel suo abbraccio.

Audry sorriso e strofina la guancia contro la sua camicia, come un gatto desideroso di coccole e lui, d'altro canto, le accarezza la testa, baciandole una tempia con dolcezza.

La sente schiarirsi la voce e poi sospirare, lo sguardo concentrato fintamente sullo schermo della televisione, in attesa di porre una domanda, perché Edward sa che si tratta esattamente di questo.

< Chiedi pure. > Le mormora piano, scostandole i capelli dalla schiena, scoprendo il collo niveo, cominciando a carezzarlo in punta di dita. Non riesce a fare a meno della sua pelle e del suo calore ed è qualcosa di fondamentalmente nuovo per lui; con Bella non era così: avrebbe voluto averla sempre vicina, sì, per proteggerla, non avrebbe mai smesso di baciarla, né di inebriarsi del suo profumo, ma era terrorizzato all'idea che una carezza sbagliata avrebbe potuto ferirla, farle del male. Con Audry è più semplice e più naturale e il suo calore e il suo profumo non scatenano in lui brama o sete.

Lei, colpita dalla constatazione e dalla sagacia di Edward, neanche le avesse letto nel pensiero, rimane per un secondo basita, poi, stringendosi di più a lui e rabbrividendo alle sue carezze, ripensa a Jacob e a Renéesme.

< Ecco... era solo una curiosità, niente di importante... > Spiega in imbarazzo.

< Mm-mm. > Lo sente chinare il capo per baciarle il punto di pelle sensibile tra il collo e l'orecchio, facendola arrossire di piacere.

< Pensavo a Jacob e a Renéesme... insomma... sono diversi, eppure sono intimi, stanno insieme... sembrano... umani, ecco. > Risponde con fatica, portando una mano a carezzargli i capelli.

< Sono anime gemelle, é normale, per loro. > Sorride appena. Se c'era stato un tempo in cui non aveva sopportato le continue moine di Jacob per sua figlia, doveva essere adesso solo un ricordo, perché, non appena aveva visto come Jacob fosse l'unico in grado di ritornare a far sorridere Renéesme, l'aveva accettato come parte della famiglia, a tutti gli effetti.

< Loro... si conoscono da molto, vero? > Chiede curiosa.

< E'... una storia complicata, in effetti. Quando Bella rimase incinta, Jacob era l'unica persona che potesse capirmi al riguardo; voleva che Bella si liberasse della creatura tanto quanto me, ma lei era così testarda. > Sorrise nel ricordarla, Audry che gli strinse una mano, consapevole quanto potesse essere doloroso.

< Quando è nata, è bastato uno sguardo perché se ne innamorasse; una cosa da lupi. > Continua, ricambiando la stretta senza farle male.

< Sono cresciuti insieme, quindi. > Crescere è una parola forte, ma Audry crede che Edward saprà darle il giusto peso, e ne è sicura quando lo vede annuire e baciarle ancora i capelli, allentando la stretta sulla sua mano, accarezzandole la schiena.

< Credi che a Sarah succederà la stessa cosa? > Domanda poi, piano. Ci ha riflettuto in macchina, durante il tragitto per tornare a casa e ha realizzato solo in quel momento che anche la sua migliore amica è una mezzo-sangue.

< Vuoi dire, innamorarsi di un licantropo? > Edward aggrotta le sopracciglia.

Audry annuisce incerta.

< Potrebbe succedere se uno di loro la vedesse, ma ai vampiri è vietato girovagare nella loro riserva. Se Jacob non fosse esistito, Renéesme avrebbe potuto innamorarsi di un suo simile, oppure scegliere un umano; i mezzo-sangue non sono costretti ad innamorarsi di un licantropo. Quello che è successo a Jacob e a Renéesme è qualcosa di assolutamente atipico: i vampiri e i licantropi non sono mai andati molto d'accordo... > Spiega con una smorfia.

< Come hai... voglio dire, nessuno si è mai accorto che Sarah fosse un vampiro. > Audry cerca di pensare ad una sua qualsiasi azione, ad un suo qualsiasi ragionamento, eppure, Sarah non le è mai sembrata una persona strana; un po' eccentrica, a volte, e lunatica.

< Neanche i vampiri sono così semplici da riconoscere. Siamo in grado di nasconderci tra gli umani senza che nessuno sospetti assolutamente nulla. Siamo freddi e pallidi e non possiamo uscire alla luce del sole, ma niente che non possa essere spiegato con una buona scusa. Per i mezzo-sangue è la medesima cosa e forse per Sarah è stato ancora più semplice: non ha mai conosciuto la sua vera natura, non è stata costretta a confrontarsi con un'alimentazione a base di sangue, è vissuta tra gli umani e ha imparato a comportarsi come loro. Probabilmente è lei stessa all'oscuro delle sue capacità, anche se, sospetto, prima o poi ne sarà ben più che consapevole. > Cerca di farle capire, pensando a Leonard e al piano che ha sicuramente in mente.

Audry sospira: si sente come dopo una lezione di fisica quantistica, con la mente in subbuglio per le troppe informazioni e la voglia di una sana e soddisfacente dormita, eppure non vuole chiudere gli occhi, non vuole che Edward vada via.

< I tuoi occhi sono più scuri, adesso. > Osserva, puntando le sue iridi verdi nelle sue, color oro macchiato.

< E' da un po' che non vado a caccia. > Sembra giustificarsi, occhieggiando alla sua espressione per verificare se è spaventata o disgustata.

Audry ride, nascondendosi nel risvolto della sua camicia azzurra, sentendosi una sciocca.

< Che succede? > Le domanda confuso.

< Ho solo pensato a come dev'essere la caccia per un vampiro. > Risponde lei, scuotendo la testa.

< E, secondo te, è divertente? > Le domanda ironico.

Audry fa spallucce, fingendo indifferenza.

< Dev'essere un'esperienza adrenalinica. > Osserva con fare impacciato.

< Se te lo raccontassi, non capiresti cosa si prova. > La sua espressione è malinconica e lui non sorride più.

< Scusami, non volevo essere invadente. > Gli bacia una guancia con leggerezza, sollevandosi appena ed Edward la stringe a sé, rifiutandosi di lasciarla andare. Se solo ne fosse capace, piangerebbe; piangerebbe fino a non avere più lacrime da versare, fino a morirne.

Vorrebbe maledirsi per aver introdotto quell'argomento: prima Bella e poi le sue vittime; non poteva esserci conversazione peggiore e adesso si sente in colpa, tremendamente in colpa, specie perché Edward non è così forte come vorrebbe far credere, almeno, non nell'anima e lei, invece di proteggerlo, gli ha scagliato addosso tutte le sue insicurezze, tutte le sue paure e debolezze. Vorrebbe prendersi a schiaffi.

< No, sono io il problema. > Mormora, così piano che Audry fatica a sentirlo.

< Vorrei poter essere la soluzione. > Mormora anche lei in risposta, gli occhi lucidi.

< Lo sei già, Audry. Sei la mia radice quadrata. > Sorride tra i suoi capelli e sente lei fare lo stesso, mentre tira su col naso e si allontana appena dal suo corpo.

< Sono la tua radice quadrata, allora? > Scuote la testa e sorride, fintamente offesa, quando in realtà, vorrebbe soltanto baciarlo e farci l'amore fino a dimenticare il suo nome.

< Semplifichi il mio mondo e me. > Le accarezza una guancia con il dorso di un dito, realizzando quanto significhi per lui avere qualcuno accanto, qualcuno che lo accetti per quello che è, qualcuno che aveva creduto potesse essere soltanto Bella.

< Le radici quadrate, però, prima o poi, vanno via. > Al solo pensiero di lasciarlo, avverte una fitta dolorosa all'altezza del cuore.

< Tu sei qui per restare, non per andar via. > Non permetterà a nessuno di farle del male, neanche a se stesso.

Audry incontra le sue labbra dolci e possessive e vorrebbe potesse essere vero, vorrebbe garantirgli che non andrà via, che non le accadrà nulla; vorrebbe poter confermare la certezza che sia davvero la sua radice quadrata, ma non può; nessuno può.

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Capitolo 23
*** Lights ***


Salve!

In ritardo anche qui, lo so. Mi scuso anche perché avrei potuto aggiornare ieri, ma il capitolo l'ho concluso alle nove di sera ed è stata una giornata piuttosto stressante, perciò ho preferito rimandare e chiedo venia.

Che dire? Per un po' questa sarà l'unica Ff a cui mi dedicherò, quindi sarà più semplice avere i capitoli pronti in minor tempo (spero) e gli aggiornamenti, mi auguro, diventeranno più veloci.

Non siamo ancora nel vero clou della vicenda, ma ci stiamo avvicinando, posso garantirvelo; purtroppo ci sono dei passaggi intermedi che non posso saltare a piè pari, perché a mio avviso sono molto importanti, quindi vi chiedo di pazientare per un po' di azione :)

Ringrazio, al solito, le persone che hanno commentato lo scorso capitolo, che hanno soltanto letto o che hanno aggiunto la Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare <3 I love you all, you know that <3

Non mi resta che augurarvi un buonissimo fine settimana e, come sempre, una...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

P.S. Perdonate gli errori, ma non ho avuto tempo di rileggere ç.ç

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edward si lascia distrarre dalla contemplazione del volto serenamente addormentato di Audry, dal rumore di un auto che parcheggia: dev'essere Jenna.

Il motore si spegne e il rumore di una portiera che si apre lo sostituisce, poi uno scampanellio di metallo, probabilmente le chiavi di casa, dei passi cadenzati sui gradini di legno del portico e il familiare rumore della chiave che gira nella serratura. Jenna è attenta, non vuole svegliare Audry e Edward, attraverso i rumori che ha la possibilità di captare, ricostruisce il suo percorso all'interno dell'abitazione: un fruscio indica che si è liberata del cappotto e un tonfo sordo gli fa credere che abbia deciso di fare lo stesso con gli stivali; un piccolo click e la luce in cucina si accende, poi lo sportello del frigorifero che viene aperto e chiuso, il tintinnio di un bicchiere di vetro e lo scorrere dell'acqua nel lavello; un altro click e la luce si spegne, i passi dolci di Jenna raggiungono le scale, fino a fermarsi di fronte alla stanza di Audry: un cigolio appena accennato, segno che ha tentato di abbassare la maniglia il più silenziosamente possibile, e il volto di Jenna fa capolino nella stanza, sorridendo alla vista di sua nipote addormentata.

Edward osserva la scena dall'angolo più buio della stanza, quello dove neanche le luci esterne riescono a raggiungerlo. Jenna si abbassa per essere all'altezza del letto di Audry e le sfiora i capelli con dolcezza, sistemandoglieli in modo tale che le non diano fastidio, poi si avvicina per baciarle la fronte e prima di andar via le sistema il piumone intorno al corpo, affinché non prenda freddo. E' in quel momento che Audry si volta verso il muro, verso il posto che ha occupato lui fino a pochi istanti prima.

< Edward... > Mormora nel sonno, cercando il suo corpo con una mano, imbronciandosi appena per non averlo individuato.

La zia sorride soltanto, tornando indietro sui suoi passi, chiudendo delicatamente la porta e avviandosi verso la sua stanza, appannando la porta in caso Audry abbia un incubo.

Edward torna ad occupare il suo posto sul piumone colorato, incontrando la mano di Audry, la stessa che solo qualche secondo prima l'aveva cercato, incastrandola con la sua.

Sa che non dovrebbe essere lì, sa che starle vicino così a lungo non fa altro che peggiorare la sua condizione di assuefazione, ma non riesce a farne a meno, non quando Audry lo supplica, con gli occhi e con le mani aggrappate alla sua camicia, di rimanere, che farà la brava e dormirà; non mantiene mai la parola, solitamente, perché non fa altro che parlargli, accarezzargli i capelli e baciarlo e se solo lui prova a convincerla che è tardi e che sarebbe meglio che dormisse, lei protesta, affermando con convinzione che non è stanca, che vuole godere ancora un po' della sua compagnia.

Quella sera non è andata diversamente: Audry si è addormentata solo quindici minuti prima dell'arrivo di sua zia, nonostante le insistenze di Edward affinché chiudesse gli occhi e dormisse. Hanno parlato poco, in verità; Edward si è limitato a stringerla tra le braccia e ad accarezzarle i capelli, mentre lei aveva lo sguardo perso in chissà quali pensieri.

< Edward... > Mormora ancora, poggiando il capo sul suo petto e rilassandosi.

< Shh! Sono qui, sono qui. > La culla appena, anche se ha paura che, così addossata sul suo corpo freddo, possa avvertire la differenza di temperatura, anche se lei non sembra farci caso.

Rimane immobile tutta la notte, concentrato sul suo respiro, sul suo volto disteso e sulle loro mani intrecciate, sulle sue ciglia che fremono, di tanto in tanto, segno che sta sognando e vorrebbe poter leggere nella sua mente di quali sogni si tratta, vorrebbe poter verificare che ci sia anche lui in quelle immagini, vorrebbe poter rendersi conto personalmente che l'amore che li lega è reale e che, questa volta più che mai, riesca a superare le difficoltà.

Con Bella sembrava essere tutto così semplice, una volta abituatosi al suo profumo delizioso, alle sue carezze leggere; era tutto così naturale, che aveva creduto, per pochi istanti al giorno, che niente avrebbe potuto tenerli lontani, che neanche la sua testardaggine sarebbe riuscita a mietere quello che avevano così faticosamente costruito insieme; poi erano bastate poche semplici parole per distruggere il loro mondo ed erano state quelle di Carlisle quando aveva confermato il suo più terribile presentimento: Bella era incinta. Sapeva che non sarebbe riuscita a sopravvivere, sapeva che era pura ostinazione tentare di convincerla che non sarebbe servito avere un bambino se lei non avesse potuto crescerlo e accudirlo, ma era così testarda e così sicura che tutto si sarebbe risolto, che non gli aveva dato scelta.

Quando Renéesme era nata e quando gliel'aveva poggiata tra le braccia, aveva creduto davvero che si sarebbe sistemato tutto, aveva pensato che la bambina era sana e bellissima e Bella si sarebbe rimessa in fretta; poi aveva chiuso gli occhi, il polso inesistente, i battiti rallentati e non era servito a niente cercare di iniettarle il suo veleno perché potesse continuare a vivere, non era servito scuoterla, come se avesse potuto riprendere conoscenza.

E' quando pensa a tutto ciò che crede che sia meglio fare a meno di Audry; è in quegli istanti che pensa che non potrà sopportare un'altra ferita del genere, che non potrà veder morire un'altra persona per colpa della sua natura sbagliata, per colpa di tutto quello che non avrebbe mai voluto essere. Audry è speciale e per lui, che non avrebbe mai creduto possibile innamorarsi ancora dopo Bella, è un vero e proprio regalo, ma se perdesse anche lei? Se dovesse vederla morire sotto i suoi occhi senza poter essere d'aiuto?

Le prime luci dell'alba lo colgono impreparato e, abbassando lo sguardo, si rende conto di aver stretto Audry a sé in maniera spasmodica, come se avesse potuto fuggire via, invece, è ancora tra le sue braccia e dorme tranquilla, ignara delle sue riflessioni, delle sue domande.

Cerca di rilassarsi e attende che la sveglia segni le sette per ascoltare, come di consueto, Jenna che si alza, spalanca la finestra sull'alquanto singolare giornata di sole e cammina in punta di piedi fino al bagno per una doccia calda. Neanche mezz'ora dopo, è già pronta e si accinge a scendere le scale per cominciare a preparare la colazione e il tintinnio delle tazze, delle posate, dei piatti e dei bicchieri, distrae Edward, permettendogli di accantonare le sue paure. Alle otto puntuali, Jenna esce di casa, dopo aver lasciato il solito post-it per Audry sul frigorifero, mette in moto e si dirige verso la sua libreria, lieta della giornata soleggiata.

Audry ha lezione quel giorno e, anche se non vorrebbe svegliarla, anche se rimarrebbe a guardarla dormire per ore, Edward le accarezza dolcemente una guancia, scostandole i capelli fastidiosi, solleticandole il collo e poi una spalla, anche se coperta dal tessuto morbido del pigiama.

Audry mugugna qualcosa di incomprensibile e si stringe di più a lui, stringendo gli occhi, rendendosi conto, dopo qualche istante, che è già mattina, socchiudendo gli occhi e alzando lo sguardo su di lui.

Sbadiglia, arruffandosi i capelli e ricadendo sul cuscino, facendolo sorridere.

< Mia zia è già andata via, vero? > Gli domanda con voce sonnolenta, gli occhi chiusi.

< Qualche minuto fa. > Le risponde, incrociando le braccia al petto e osservandola. < Non si dice buongiorno da queste parti? > La prende in giro, chinandosi verso di lei per baciarle la fronte con premura.

< 'giorno. Ho sonno. > Ribadisce il concetto, tirandosi il piumone fin sulla testa, sospirando di piacere per il tepore confortevole delle coperte.

< Non vuoi andare all'università? > Gioca con una ciocca dei suoi capelli e poi, ancora pericolosamente vicino al suo viso, le bacia le labbra morbide.

Audry che, appena si rende conto del gesto, così tanto intenzionata a continuare a dormire tranquilla, apre gli occhi di scatto, portandosi due mani davanti alla bocca come se avesse appena detto una parolaccia davanti ad estranei.

< Che succede? > Le chiede lui, aggrottando le sopracciglia, perplesso.

< Non mi sono lavata i denti! > Sbotta inorridita.

< E allora? > Edward sorride divertito, cercando di tranquillizzarla.

< Allora?!? Allora, avrò un alito da far invidia al più temibile degli animali della giungla! > Scosta le coperte con un gesto secco e gli lancia un'occhiataccia.

< Credi davvero che possa importarmi? Credi davvero che mi interessi la tua igiene orale? > Le domanda con calma.

< Ma dev'essere disgustoso! > Esclama frustrata.

< Ho solo voglia di baciarti, Audry, non è necessaria una visita dentistica per questo, sai? > Le fa presente, scompigliandole i capelli e avvicinandosi per reclamare un altro bacio.

< Sicuro che non t'importi? > Lo osserva con un misto di circospezione e terrore.

< Sicurissimo. > Sussurra, prima di posare le labbra sulle sue ed augurarle il buongiorno.

 

< Perché ho così sonno? > Brontola Audry davanti alla sua solita tazza di latte caldo con cereali, preparatale accortamente da Edward. Vederlo alle prese con i fornelli l'aveva così divertita, che non era riuscita a trattenere una risata.

< Perché era mezzanotte passata quando ti sei decisa ad addormentarti. > Le risponde lui, sporgendosi in avanti per osservarla meglio.

Lei sbuffa, alzando gli occhi al cielo: sa benissimo che ha ragione, ovviamente, ma non riesce a fare a meno della sua presenza, della sua voce e delle sue carezze gentili, può forse biasimarla per questo?

< A che ora hai lezione? > Continua, sorridendole e facendole mancare un battito.

< Ho Fisica Applicata alle undici. > Risponde atona, poggiando una guancia contro il palmo della mano, continuando a far scontrare l'acciaio del cucchiaio contro la porcellana della tazza.

< E non hai voglia di andarci. > Completa per lei, poggiando la schiena contro lo schienale della sedia, le braccia incrociate.

La guarda annuire mesta ed è in quel momento che decide che, in fondo, una giornata in meno di lezioni non condizionerà certo il suo andamento universitario.

< Posso guidare la tua Volvo? > Gli chiede così, d'improvviso, non appena varcata la soglia di casa per uscire nella fredda mattina di Seattle.

Non sa neanche lei perché l'ha fatto: forse perché, per una volta, vuole guidare qualcosa di più potente di una semplice berlina usata; forse perché è solo annoiata dal fatto che non ha dormito decentemente.

< Ne sei in grado? > Le chiede frastornato, quasi fosse impossibile.

< Certo che ne sono in grado! Ho la patente! > Risponde fintamente offesa.

< Ma non hai mai guidato una macchina così potente. > Le rammenta, passandole un braccio intorno alla vita e traendola a sé per baciarle i capelli profumati.

< Non dev'essere così difficile... > Arrossisce e non è solo per quel gesto di estrema possessività; è anche perché il figlio del suo vicino di casa, un ragazzo alto e biondo, con il fisico scolpito dagli allenamenti di football costanti, alza una mano a mo' di saluto nella sua direzione, sorridendole cordiale.

Audry ricambia il gesto ed è inevitabile per lei chiedersi che cosa pensi di loro, di lei, così abbracciata ad un ragazzo. Non che le importi, ma ha sempre pensato che, al di là del fatto che Edward sia un vampiro, dovrebbero sembrare una coppia piuttosto bizzarra: lei, non molto alta, i capelli lunghi e rossi e le orribili lentiggini sul viso e lui, alto, occhi magnetici, capelli color bronzo e, indubbiamente, bellissimo.

< Comunque, la tua guida mi innervosisce. > Riprende Edward, distraendola dai suoi pensieri, accompagnandola fino allo sportello del passeggero, aprendole elegantemente la portiera per farla accomodare.

< E la tua mi terrorizza: siamo pari. > Ribatte lei, non appena lo vede accomodarsi al volante e mettere in moto.

< Non corri nessun pericolo, Audry, non se ci sono io nei paraggi. > Le ricorda, voltandosi brevemente verso di lei e accarezzandole una mano con dolcezza.

Audry arrossisce per l'ennesima volta, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi dorate e posandolo sul paesaggio al di là del cruscotto, rilassandosi.

< Non stiamo andando all'università? > Gli domanda dopo qualche minuto, non appena Edward oltrepassa l'istituto, la radio in sottofondo che diffonde una melodia dolce e rilassante che ad Audry ricorda le vecchie ninnananne che i suoi genitori le facevano ascoltare da bambina.

< Pensavo che ti avrebbe fatto piacere vedermi sotto... una luce diversa. > Rise, mantenendo lo sguardo concentrato sulla strada, mentre lei aggrottava le sopracciglia.

Le ricordava molto quando l'aveva rapita per trascinarla in un bosco e mostrarle la sua identità di vampiro.

< Suppongo che non saprò di cosa si tratta fin quando non saremo arrivati. > Studiò il suo profilo. Era una sorpresa e non c'era voluto molto per capirlo: bastava osservare i suoi lineamenti rilassati, il suo sguardo luccicante e la sua strana propensione al sorriso; poteva apparire un quadro piuttosto normale ad un osservatore esterno, ma Audry conosceva Edward, o, quantomeno, aveva imparato a farlo e, chiaramente, il posto in cui si stavano dirigendo aveva per lui un significato particolare, così particolare, che aveva pensato le sarebbe piaciuto.

< Non ci vorrà molto, te lo prometto. > Incrociò i suoi occhi verdi e la vide rilassarsi contro il sedile e incrociare le braccia al petto, rassegnata.

La sua mente doveva aver partorito quell'aggettivo un milione di volte soltanto quella mattina, eppure non riusciva a fare a meno di pensarlo: incantevole.

Guidò veloce fino a Forks, per poi immettersi sulla statale e raggiungere il bosco.

Aveva accantonato quell'idea fin troppe volte: la radura era un posto speciale, era il cantuccio in cui si rifugiavano lui e Bella quando volevano essere lasciati in pace, quando non volevano far parte del resto del mondo e lui aveva fin troppo ricordi legati a quel luogo per potervi ammettere chicchessia.

Aveva trascorso così tante ore da solo, a pensare a Bella, disteso su quella soffice erba, che é quasi innaturale vederla calpestare da qualcun altro, eppure, in cuor suo, sa che é la cosa giusta da fare, sa che é quello che deve succedere.

Non la solleva in braccio e non corre con lei attraverso il bosco per arrivarvi più velocemente; vuole godersi la passeggiata in sua compagnia.

< Ora posso sapere dove stiamo andando? > Gli chiede, stando ben attenta a non inciampare nelle radici e sul fogliame bagnato disseminato lungo il percorso.

< Ci siamo quasi. > Le sorride di nuovo e le tende la mano che Audry accetta volentieri, facendo incastrare le loro dita come tessere perfette di un puzzle.

< Sei stranamente felice. > Gli fa notare con un'espressione furba che non ammette repliche.

< E' un problema per te? > Sa che non lo è.

< No! Certo che no! Non volevo intendere che fosse fastidioso. Pensavo soltanto che, da quando ci siamo conosciuti, non sei mai stato... così. > Spiega, arrossendo.

< Mi stai dando del musone? > La punzecchia divertito. Ha ragione, non si è mai sentito così pieno. 

Audry sorride e alza gli occhi al cielo.

< Sembri più te stesso. > Ribadisce, stringendosi al suo braccio.

Non ha più tempo di dire niente, perché davanti a loro, non appena Edward scosta un intrico di rami, si staglia una distesa di erba bagnata, puntellata di piccoli fiori selvatici gialli che, nonostante le temperature, sembrano del tutto intenzionati a crescere.

Il cinguettio di qualche uccello e i gocciolii dalle foglie umide degli alberi sono gli unici rumori udibili; persino Audry ha smesso di respirare.

< E'... questa è... una radura? > Riesce ad articolare, meravigliata, avanzando leggermente, le suole dei suoi stivali immersi nella morbidezza dell'erba.

Edward annuisce e le si fa incontro, lasciandosi inondare dalla luce del sole debole che attraversa la distesa.

La sua pelle diafana, come sotto influsso di qualche incantesimo particolarmente potente e affascinante, comincia a brillare, come un piccolo cosmo; miriadi di stelle gli attraversano il viso e il collo scoperto, così come le mani.

Audry spalanca gli occhi e indietreggia, attonita: neanche nei suoi sogni più fantasiosi ha mai immaginato una cosa del genere.

< Ti ho spaventata? > Edward si ritrae nell'ombra, lasciandola sola al centro della radura, confusa.

< No! Non devi nasconderti, non per colpa mia. Io... mi dispiace, è solo che non ho mai visto niente di simile e... > Non riesce a mettere una parola dopo l'altra, la sua lingua sembra di legno e l'unica cosa che riesce a fare è protendere una mano nella sua direzione per incoraggiarlo a raggiungerla.

Neanche il tempo di pensarlo ed è già di fronte a lei, la pelle nuovamente splendente. 

< Sembra un cielo puntellato di stelle... > Commenta sottovoce, sollevando una mano per sfiorargli una guancia.

Edward chiude gli occhi a quel tocco, intrappolandole il polso, la mano libera che cerca il suo fianco per farla avvicinare e per poter così avvertire il suo profumo dolce.

< Sei bellissimo. > Mormora ancora lei ed è strano come quelle parole risultino vagamente familiare alle sue orecchie, anche se la voce non è la stessa, anche se gli occhi che può osservare da vicino non hanno il colore caldo del cioccolato, ma quello mite e splendente del verde di un prato in primavera.

< Tu sei bellissima. > Le mormora in risposta, chinando il viso per raggiungere la sua bocca e baciarla dolcemente.

 

Qualche minuto dopo, Edward è placidamente disteso sull'erba umida di pioggia e rugiada e Audry è seduta a gambe incrociate al suo fianco e si diverte a far incontrare le loro mani come una bambina che poggia il palmo contro quello del genitore per definirne la differenza.

< Questo posto è bellissimo. > Rompe lei il silenzio, calmo e piacevole, con un sussurro.

< Ti piace davvero. > E non è una domanda, quanto una constatazione la sua, una meravigliata presa di coscienza: i suoi occhi diventano più scuri quando è felice.

< E' un posto speciale, vero? > Assume un'espressione contrita che, però, non raggiunge gli occhi; quelli rimangono illuminati di una luce che non ha niente a che vedere con quella che irradia il suo corpo sotto il sole.

< Ho portato qui Bella durante uno dei nostri primi incontri e poi Renéesme. > Risponde lui, voltando gli occhi al cielo nuovamente nuvoloso.

< E hai portato me adesso. > Constata lei, facendo intrecciare le loro mani.

< E ho portato qui te adesso. > Ripete lui, tornando con gli occhi al suo volto e sorridendo.

< Perché? Non hai paura... non so, che possa essere un'offesa nei loro confronti? > Forse la memoria di Bella non è più un problema, forse hanno già tutti accettato che la vita, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, continuerà il suo percorso e non rallenterà; forse è lei che ha paura di fare qualcosa di sbagliato o di poco opportuno.

< Non posso negare la tua importanza nella mia vita. Per quanto abbia tentato di oppormici, per quanto abbia cercato di dirmi che era sbagliato, non ci sono riuscito e questo perché sono stato cieco per troppo tempo ed era ora di ritornare a vedere. Mi sono crogiolato nella mia autocommiserazione, non ho fatto altro che opporre resistenza a qualsiasi offerta di aiuto, a qualsiasi proposta di ricominciare. L'avevo fatto così tante volte, che non ne sentivo più il bisogno. La mia vita senza Bella, la mia esistenza senza di lei, era vana. Poi ti ho vista e ho capito che c'era ancora speranza, che potevo ancora risollevarmi, che potevo ancora amare. Bella è stata, e forse lo è ancora, la persona più importante della mia vita, ma tu, Audry, tu sei la persona più affine al mio cuore che io abbia mai potuto incontrare. > Avrebbe dovuto esporsi giorni prima, avrebbe dovuto rivelarle ciò che pensava non appena aveva capito di non potersi allontanare da lei.

Audry scuote la testa e arrossisce e una lacrima le bagna una guancia, scivolando velocemente verso il mento.

< Non ho mai... creduto all'esistenza delle anime gemelle e tu... quando ti ho visto nei miei sogni, quando ho capito cosa avremmo potuto condividere... io... ero già legata a te. > Risponde lei in un mormorio spezzato dai singhiozzi, rendendosi conto che quella che ha ammesso non è altro la verità.

< Perché piangi? > E sembra non rendersene conto davvero mentre le asciuga le lacrime con il dorso di un dito.

< Perché mi sento completa e sono felice, stupidamente felice. > Ride. Piange e ride insieme e l'unica cosa che riesce a fare è abbracciarsi a lui, inspirare il suo odore di autunno e dimenticare per un attimo tutto il resto.

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Capitolo 24
*** Alone ***


Salve!

Scusate, al solito, il ritardo; questa storia è più impegnativa di quanto pensassi e, visto che non sono solita fare progetti sulle storie che mi accingo a portare avanti, non so ancora di quanti capitoli consterà -.- confido saranno meno di 50, anche perché, non voglio velocizzare troppo le cose, però neanche portarle troppo per le lunghe e, infatti, già da questo capitolo, avremo una bella novità, soprattutto per Sarah... *si cuce la bocca giusto in tempo*

Ovviamente ringrazio tutte le persone che hanno letto, commentato, preferito e inserito tra le ricordate e seguite questa Ff: GRAZIE <3

Spero che il capitolo vi piaccia e se notate qualche incongruenza, non fatevi scrupolo a farmelo sapere :)

Buona continuazione di settimana e...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando decidono di tornare indietro, mano nella mano come due adolescenti alla loro prima esperienza d'amore, il cellulare di Audry squilla, costringendola a rallentare l'andatura e a slegare la sua mano da quella di Edward per poterlo recuperare nella tasca anteriore destra dei jeans.

Sarah lampeggia sullo schermo insistentemente e lei si ritrova a sospirare senza essersene neanche resa conto.

Edward le sorride con semplicità e le accarezza i capelli con una mano, baciandole una tempia.

< Ti precedo, così hai modo di parlare in tutta tranquillità. > La osserva con attenzione in cerca di qualche indizio su quello che sta pensando, poi, quando la vede annuire e ricambiare il sorriso, si allontana veloce, lasciandola immersa nella natura e nel canto armonioso degli uccelli sugli alberi.

Osserva il cielo terso sopra di sé prima di decidersi a rispondere.

< Alleluia! Si può sapere dove diavolo ti sei cacciata, Audry? Ero preoccupata! Stavo per chiamare tua zia e dirle che, probabilmente, il tuo nuovo ragazzo ti aveva rapita! > La voce di Sarah è nervosa e squillante e non le lascia neanche il tempo di salutare.

< Ho solo saltato una lezione, Sarah, non c'è bisogno di essere così pessimiste, sai? > Tenta di scherzare, ma la sua migliore amica sembra essere davvero prossima ad una crisi isterica.

< Voglio che tu venga qui. Subito. > Le intima e Audry capisce che si sta trattenendo dal piangere.

< Che succede? > Le domanda preoccupata, evitando una radice e un cumulo di foglie secche, intravedendo già la fine del sentiero e la scintillante carrozzeria argentata della Volvo di Edward.

< Tu vieni qui e basta. > Le risponde lei, sospirando e tirando su col naso.

< Sei ancora all'università? > Le chiede allora, conscia che è costretta a cedere. Avrebbe preferito trascorrere la mattinata con Edward, ma Sarah ha bisogno di lei e, potrebbe anche essere la figlia di un vampiro privo di scrupoli, lei non può lasciarla da sola ad affrontare i suoi demoni.

< Ti aspetto in cortile. > Aggancia senza darle modo di dire altro e quando raggiunge la Volvo, non si rende neanche conto che Edward non vi è ancora salito e che la sta aspettando con le braccia incrociate sul tettuccio; entra senza pensarci e rimane con lo sguardo fisso sullo schermo del suo cellulare, fin quando Edward non le domanda se sia successo qualcosa.

< Devo incontrare Sarah, adesso. Nel cortile dell'università. > Risponde concisa senza alzare lo sguardo su di lui.

< Qualcosa che dovrei sapere? > Domanda ancora, allontanandosi veloce dal bosco.

Audry scuote la testa in senso di diniego e poi sospira.

< Non mi ha detto di cosa si tratta, ma stava per piangere, quindi ne deduco che debba essere qualcosa di piuttosto grave. > Spiega. Certo, non è sicura e, considerato che spesso le tragedie di Sarah si limitavano ad un Mark mi ha lasciata e non si è neanche degnato di spiegarmi il perché!, non dovrebbe essere così tesa, eppure il suo sesto senso le dice che c'è qualcos'altro, qualcosa che non ha niente a che vedere con un ragazzo o con l'università.

< Forse è successo qualcosa con sua madre. > Tenta Edward, imboccando l'autostrada in direzione Seattle.

< Poco probabile... Tessa non è mai a casa e quando c'è si limita alle domande di rito. > Aveva sempre pensato che non fosse una madre ideale, quella per cui tutte le figlie impazziscono, quella con cui si divertono ad andare a fare shopping, oppure con cui si confidano e, forse, adesso capisce il perché: Tessa non è la madre naturale di Sarah.

E se avesse scoperto qualcosa circa l'adozione?

Se avesse trovato per caso il certificato o qualsiasi altra carta inerente il suo stato di famiglia?

Come le avrebbe spiegato che lei sapeva tutto, ma non aveva avuto il coraggio-non ancora, perlomeno- di riferirglielo?

< Pensi... possa aver scoperto qualcosa sull'adozione? > Si volta verso Edward, il viso contratto in una smorfia preoccupata.

< Beh, sua madre avrà sicuramente conservato le carte inerenti quel periodo, perciò è probabile. Sei preoccupata per lei, vero? > Ricambia lo sguardo, accigliandosi.

< Come posso non esserlo? E' la mia migliore amica. > Sospira per l'ennesima volta, le immagini della radura e di ciò che Edward le ha confessato estremamente lontane, quasi come se facessero parte di un'altra lei.  Se fosse così, un aspetto positivo ci sarebbe: non avrebbe dovuto comunicarle che era stata adottata, ma rimaneva il problema di Leonard; come avrebbe fatto a dirle di lui? Come avrebbe potuto presentarle Edward sotto una veste diversa rispetto a quella umana? E, soprattutto, come avrebbe potuto farle capire che anche lei era diversa?

< Andrà tutto bene, vedrai e non sei obbligata a dirle tutto e subito. Ha bisogno di metabolizzare le informazioni un po' alla volta e tu hai bisogno di rifletterci sopra per capire quali siano le parole giuste da usare; non avere fretta. > Edward ferma la macchina all'interno del cortile dell'università, affollato di studenti in pausa. La sua Volvo non é più una novità, ormai.

Audry individua la figura di Sarah in disparte, lontana dalle panchine dove sono solite sedersi, il viso basso, gli occhi intenti a scorrere un foglio di carta semplice.

< Vuoi che venga con te? > Le domanda premuroso, posando una mano sulla sua, accarezzandola con lo sguardo.

< Lo faresti? > E' terrorizzata; non dovrebbe, ma é la verità.

< Certo che lo farei, lo sai. > Si avvicina per baciarle una guancia e per accarezzarle i capelli.

< Non credo di farcela da sola. > Ha bisogno della sua presenza, della sua stretta di mano decisa e confortante, dei suoi occhi dorati rassicuranti.

< Rilassati, Sarah non ha intenzione di mangiarti, posso assicurartelo. > Cerca di tranquillizzarla, attirandole il capo contro la sua spalla, avvertendola aggrapparsi al suo cappotto come ad uno scoglio, in cerca di protezione e salvezza.

< E' quello che so io che mi spaventa, non lei. > Mormora, la voce ovattata dal contatto con la stoffa del cappotto di lui.

< Shh! Cerca di calmarti. > Le accarezza la schiena e la tiene stretta a sé per un tempo che ad entrambi sembra eterno, il cortile che, nel frattempo, ha iniziato a svuotarsi lentamente.

Sarah è ancora lì, nella stessa, identica posizione in cui l'hanno trovata, gli occhi ancora rivolti al foglio che regge in una mano guantata.

Prende un bel respiro e apre la portiera, emergendo timidamente dall'abitacolo.

Raggiunge Edward in fretta, tesa, tanto che cammina come se stesse attraversando un sentiero di vetri rotti e lei fosse a piedi nudi. Gli circonda la vita con un braccio e gli si stringe vicino.

Man mano che la figura di Sarah si fa più vicina, i battiti del cuore di Audry aumentano per la tensione, tanto che, quando sono abbastanza vicini a lei e Edward la lascia andare perché possa parlarle da sola, mentre lui rimarrà nei paraggi in caso di necessità, Audry si aggrappa ad una sua manica del cappotto come una bambina e lo guarda con gli occhi liquidi di un cucciolo.

< Sarò qui e non ti lascerò. Sarò qui se avrai bisogno di me. > Le ripete, stringendosela al petto.

Audry fissa i suoi occhi per un istante ancora, prima che lui la sospinga gentilmente verso Sarah con un sorriso esitante e incerto.

< Va'. > Le mormora, cominciando ad allontanarsi nella direzione opposta, quella che conduce alla dependance dove sono stati installati i laboratori di chimica e fisica.

Sarah non si è accorta di lei, troppo concentrata, anche se ogni tanto Audry la nota asciugarsi gli occhi con una manica.

< Sarah... > La chiama quando le è abbastanza vicina per farsi sentire.

Lei solleva di scatto lo sguardo liquido sulla sua migliore amica, abbandonando il foglio al suo fianco e precipitandosi ad abbracciarla, lasciandola sconcertata e confusa.

Quando la sente singhiozzare sulla sua spalla, però, Audry la stringe e le mormora che andrà tutto bene, che tutto potrà essere risolto.

Sarah continua a piangere, ma i singhiozzi sono diminuiti e quando si separa da Audry, asciugandosi le lacrime con una manica e tirando su col naso, le si allontana di qualche passo per recuperare il foglio che reggeva in mano solo pochi minuti prima.

Lo mantiene distante da sé, quasi come se l'abbia letto fin troppe volte e adesso non voglia averci più niente a che fare.

< Leggi. > Quasi le ordina, la voce rotta.

< Cos'è? > Domanda stupidamente. Sa cos'è, lo sa senza neanche gettargli uno sguardo.

Sarah muove il foglio in un gesto impaziente e Audry lo afferra, osservando il timbro dei servizi sociali che svetta in alto, colorato di blu.

Ci sono il nome, il cognome, la data di nascita e il luogo di nascita di Sarah scritti in stampatello, ben evidenziati e poi, dopo le successive righe che illustrano gli articoli ai quali si è fatto riferimento per il certificato, la parola che Audry ha udito quando i suoi genitori sono morti e i servizi sociali discutevano su cosa farne di lei: adozione. A seguire, i dati di Tessa e una copia del suo documento di riconoscimento.

Alza gli occhi per cercare quelli di Sarah e quello che vi legge è frustrazione, delusione e tristezza, quello che ha provato lei quando è andata a vivere con Jenna, quando sapeva che sarebbe stato diverso dal vivere con i suoi genitori, quando non poteva immaginare quanto Jenna le volesse bene.

< Mi... mi dispiace, Sarah, dev'essere orribile venirlo a sapere all'improvviso. Dove l'hai trovato? > Finge stupore, anche se non vorrebbe, ma le lacrime nei suoi occhi non sono finte, non sono forzate.

< Nella scrivania di mia madre, nel suo studio. Cercavo dello scotch e mi è capitato questo foglio tra le mani... > Spiega, fingendo indifferenza, la sua miglior arma per difendersi dagli attacchi del mondo esterno.

< Mi spiace che tu sia venuta a saperlo così... ma com'è possibile che Tessa non ti abbia mai detto niente? > La invita a sedersi sulla pietra lì vicino e Sarah accetta come un automa, facendo spallucce.

< Non voleva ferirmi, non è così che si dice? Ero troppo piccola e non avrei capito e quando sono diventata grande lei ha perso il coraggio. > Risponde sicura.

Audry aggrotta le sopracciglia, scrutandola curiosa.

< Gliene hai parlato? > E' l'unica cosa che le viene in mente di chiedere, ma, come prevedibile, Sarah scuote la testa e abbassa lo sguardo sull'asfalto.

< Non voglio accusarla e so che se le parlassi adesso sarebbe esattamente quello che farei. Devo metabolizzare la cosa e poi potrò affrontare l'argomento con più tranquillità. > Spiega incerta.

< Non vuoi fare come nei film in cui l'adolescente di turno irrompe in casa piangendo e minacciando i genitori di dirgli la verità? > Sorride appena, cercando di asciugarle le lacrime con una risata e per un istante crede di esserci riuscita quando le labbra della sua migliore amica si tendono in un sorriso obliquo, ma poi la tristezza e la delusione hanno la meglio e vincono.

< Ci ho pensato, ma non servirebbe. Non avrei mai creduto di essere orfana. Non ho neanche mai pensato di assomigliare a mia madre e quanto a mio padre... sono stata abituata ad immaginarmelo lontano, in Europa, con un'altra compagna, un'altra famiglia. Sapere che la mia vera famiglia non è qui e che qualcuno mi ha abbandonata è triste; triste e deludente. > Una lacrima le scivola lungo la guancia e lei non fa nulla per fermarla; alza solo gli occhi al cielo per evitarne altre.

< Tessa ti vuole bene, lo sai; è stata un'ottima madre e sono sicura che c'è un motivo per il quale non ti ha confessato tutto in questi anni ed io credo che non si tratti solo di codardia. > Audry si morde le labbra per evitare di dire altro. Edward ha ragione, non può dirle tutto e subito, anche se per lei sarebbe una liberazione.

La tensione è svanita nel momento in cui ha visto Sarah piangere e aggrapparsi a lei, così come la paura che avesse potuto scoprire qualcosa anche su Leonard e non solo sulla sua adozione.

< Grazie per essere accorsa subito. > Sarah si alza e recupera la sua tracolla, infilando il certificato di adozione in una cartella plastificata.

< E' a questo che servono gli amici, no? > Le sorride e le stringe un braccio a mo' di conforto.

< Già. > Si guarda intorno, rendendosi conto di essere in ritardo per la lezione. < Dov'è il tuo Principe Azzurro? > Continua, indicando con il capo la Volvo perfettamente parcheggiata.

< Voleva lasciarci sole, suppongo sia nei dintorni. > Audry fa spallucce. < Dovresti saltare le lezioni, oggi; ti farebbe bene un po' di compagnia: possiamo andare a fare shopping, oppure andare a prendere una cioccolata calda nel nostro bar preferito, o potremmo organizzare un pigiama party a casa mia, solo noi due. > Le propone con entusiasmo. Veder soffrire le persone non le è mai piaciuto, specie se sono sue amiche.

< Grazie, ma declino. Le lezioni mi terranno occupata e mi distrarranno quel tanto che basta da farmi tornare a casa distrutta e pronta per una bella dormita. > Cammina all'indietro di qualche passo, infilando le mani nelle tasche calde del cappotto.

< Come vuoi, ma se ti senti sola, sappi che puoi sempre venire a trovarmi. > Si alza anche lei, sistemandosi i capelli scompigliati dal vento.

< D'accordo, sai che lo apprezzo tantissimo. > Le manda un bacio con la mano e corre verso l'ingresso, sparendo all'interno dell'edificio.

Edward le è accanto senza che Audry abbia avuto la possibilità di sentirlo arrivare. Si siede sul muretto di roccia dove si è accomodata anche Sarah poco prima e la trascina sulle sue gambe, abbracciandola e inspirando il profumo dolce dei suoi capelli mossi dal vento.

< Non sono abituata a queste dimostrazioni d'affetto... > Lo prende in giro, circondandogli il collo con un braccio.

< Scusami, è che il tuo profumo mi tranquillizza enormemente. > Con gli occhi chiusi le bacia la testa, stringendola a sé un po' di più. E' rassicurante avvertire il suo corpo caldo contro il suo, sentire il suo cuore battere ritmicamente, godere del rossore diffuso sulle sue guance.

< Hai ascoltato tutto, vero? > Cambia argomento, sfiorandogli una guancia con la punta del naso.

Lo vede annuire tristemente e poi riaprire gli occhi, osservandola con attenzione.

< Avrei preferito che Tessa l'avesse informata. > Replica, giocherellando con il bavero del cappotto di Edward, cercando di nascondergli le sue emozioni.

< Era solo una bambina, come avrebbe potuto capire? > Le sistema i capelli sulla schiena, afferrandone una ciocca, rigirandosela tra le mani, apprezzandone la setosità e la morbidezza.

< Ma non puoi vivere vent'anni con una donna che hai sempre considerato tua madre e poi scoprire, d'un tratto, che è sempre stata una perfetta estranea, è inverosimile! > Borbotta. Non vuole remare contro Tessa, ma comprende lo stato d'animo di Sarah e non può certo prendere le sue difese.

< Credi che, se fosse successo a te, sarebbe andata diversamente? > Le chiede dolce, accarezzandole una guancia con il dorso di un dito, la pelle diafana che si riscalda immediatamente.

< Per me è stato diverso: ho saputo fin dall'inizio che qualcuno mi avrebbe adottata, ero pronta. > Risponde con semplicità.

< E se fossi stata una neonata? Avresti saputo anche allora cosa stava succedendo? > Cerca di farla ragionare. Anche lui, in un certo senso, è stato adottato. Ha sempre saputo a cosa andava incontro unendosi alla famiglia di Carlisle e aveva avuto abbastanza esperienze da comprendere quanto un posto stabile e delle persone che ti volessero bene fossero importanti per riuscire a cambiare.

< Non biasimo Tessa; ovviamente avrei aspettato che Sarah compisse un'età ragionevole per parlargliene, ma tutto questo tempo è troppo e ritrovarsi improvvisamente soli è sgradevole, specie perché so come ci si sente. > Per un attimo, Audry riporta alla memoria i momenti appena successivi all'incidente, quando i poliziotti in divisa varcarono la porta d'ingresso della casa di Jenna, che si era offerta di fare da baby-sitter per quella sera, annunciando la catastrofe. I cartoni animati non erano riusciti a distrarla e le lacrime della zia le erano giunte distinte fino in salotto; aveva cercato di non piangere e aveva stretto forte il suo peluche preferito, quello che sua madre aveva spruzzato con il suo profumo, in modo che, quando lei non ci fosse stata, avrebbe almeno avuto un oggetto che potesse ricordargliela. Aveva chiuso gli occhi e aveva cominciato a dondolarsi avanti e indietro come faceva sempre quando si sentiva triste e quando i poliziotti erano andati via e sua zia era ritornata in salotto e l'aveva avvolta nella coperta, prendendola in braccio e baciandole il viso, non era riuscita a trattenere le lacrime e Jenna non aveva cercato di indorarle la pillola, era andata dritta al sodo, senza tanti preamboli. 

La mamma e il papà sono volati via, dolly. Sono in un posto felice adesso e pieno di luce, ma continuano a guardarti da lassù e ti vogliono bene, più di prima.

Era quello che le ripeteva sempre quando piangeva disperata, chiedendo della mamma.

< Mi spiace averti riportato alla mente un brutto episodio. > Edward la culla e Audry lo abbraccia, grata della sua presenza.

< Ci convivo da quando avevo otto anni... > Mormora, come se non facesse più così male.

< Avevi detto di aver perso i genitori solo qualche anno fa... > Edward è visibilmente stupito. Non ha mai pensato di approfondire con lei l'argomento, anche perché immagina quanto debba essere difficile anche solo parlarne e aveva accettato per vere le sue risposte durante uno dei loro primi incontri.

< Non voglio che gli altri provino pena per me; è quello che dico sempre a tutti quando ne parlo. > Si giustifica, facendo spallucce.

< Puoi parlarmene, se vuoi. > Le bacia il lobo dell'orecchio in vista e lei rabbrividisce di piacere.

< Non voglio tediarti con la storia della mia vita. E' deprimente. > Sorride e si scosta da lui, sistemandosi sulle sue gambe.

< Non è deprimente, e poi fa parte di te e a me le cose che fanno parte di te piacciono. > Mormora, quasi si trattasse di un segreto, avvicinandosi al suo viso per baciarle le labbra.

Audry si lascia andare al suo bacio gentile, arrossendo. Non può fare a meno di pensare a quella sera, quando credeva che avrebbe fatto l'amore con lui, se solo Esme non li avesse interrotti.

Non può fare a meno di lui e non può non ammetterlo, non può far finta di niente.

Vuole essere sua e di nessun altro.

Geme sulla sua bocca e con la lingua gli sfiora il labbro superiore, proprio come quella sera, aspettandosi una reazione negativa e ricevendo, invece, in risposta, un gemito gutturale simile ad un ringhio, proprio come quella sera.

< Non mettere alla prova la mia resistenza... > Le mormora ancora ad occhi chiusi, separandosi da lei.

< Perché no? > Lo provoca, sfiorandogli le labbra con un bacio leggero e dolce.

< Perché sai che ti desidero. > E la bacia ancora. < E sai anche perché sono costretto a tirarmi indietro. > Continua, scrutando le sue iridi verde prato.

Audry sorride, poggiando la fronte contro la sua spalla e scuotendo la testa. Non riuscirà mai a vincere quella battaglia.

Si risolleva in piedi e Edward la imita, baciandole i capelli e accompagnandola gentilmente, una mano dietro la schiena, verso la sua Volvo.

< Dove andiamo? > Gli domanda curiosa, allacciando la cintura di sicurezza.

< Voglio mostrarti un altro posto. > Le sorride, accendendo il motore e allontanandosi nuovamente verso Forks.

 

 


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Capitolo 25
*** Her ***


Salve!

Sì, so che, probabilmente, non vorreste far altro che lanciarmi i pomodori più marci che avete (magari li avete conservati appositamente per quest'occasione, chissà) e, sicuramente, avreste anche ragione di farlo, perché è quasi un mese che non aggiorno e dovrei solo vergognarmi ç.ç *me tapina*

Non voglio tediarvi con le solite scuse, perciò, riassumendo, ecco le principali cause per cui non sono riuscita a scrivere in questo lasso di tempo: università, studio matto e disperatissimo (non me ne voglia Pascoli), mancanza di ispirazione, stanchezza cronica, mancanza di tempo e di volontà.

Sembra il riepilogo di un caso umano, ma tant'è e più che scusarmi non posso far altro, quindi: perdono!!! *.* me la concedete una chance, vero? *.* dai, lasciatevi commuovere da questi occhietti innocenti *.*

Ok, la smetto, ma prima di lasciarvi al capitolo, ci tengo a precisare alcune cose: la descrizione della casa che troverete è quasi totalmente desunta da Breaking Dawn, anche se ho rielaborato qualche frase (cambio dal passato al presente) e riorganizzato qualche altra, minima cosa, quindi non accusatemi di plagio, perché siete state avvertite xD

Questo è uno degli ultimi (se non proprio l'ultimo) capitoli di quiete prima del ritorno di Leonard, perciò, godetevelo!

Non so dirvi con precisione quando avverrà il prossimo aggiornamento, spero solo di non far passare così tanto tempo, ispirazione permettendo, così come spero che questo capitolo vi ripaghi dell'attesa (ne dubito, comunque, ci ho provato -.-).

Prima di lasciarvi definitivamente, ringrazio tutte coloro che hanno letto lo scorso capitolo, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e, in particolar modo, chi ha commentato, rendendomi la donna più felice del mondo <3

Per gli aggiornamenti in tempo quasi-reale sull'andamento della scrittura dei capitoli, vi ricordo il profilo Facebook: Frytty Efp

 

Buona continuazione di settimana e, come al solito, Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Comincia a piovere e Audry si ritrova, suo malgrado, a seguire con lo sguardo le gocce di pioggia che tracciano il loro sentiero lungo il finestrino della Volvo argentata di Edward. La pioggia, in fondo, le piace; il cielo plumbeo la fa sentire protetta, come avvolta da un caldo plaid, il freddo le acuisce i sensi e l'acqua le dona quel senso di libertà di cui ha sempre sentito il bisogno, ma che, in realtà, non ha mai avuto il coraggio di sperimentare fino in fondo.

Edward, impeccabile nella sua guida coraggiosamente sostenuta, le lancia un'occhiata interrogativa, cedendo nuovamente all'impulso di sondare la sua mente, sebbene conosca fin troppo bene la sfavillante luce del nulla che lo accecherà e lo confonderà per un attimo. E' più forte di lui, non riesce a fare a meno di arrovellarsi sui suoi pensieri, sulle sue osservazioni, su tutto quello che preferisce mantenere per sé, semplicemente inviolato.

< Ti piace la pioggia. > Osserva, rendendosi conto di come stia seguendo il percorso di ogni singola goccia con il dito indice, fino al bivio materiale del vetro dove scompaiono.

Audry, riscossa dal suono della sua voce, annuisce e sorride, tornando con lo sguardo sulla strada che stanno percorrendo e sulla vegetazione ai bordi di essa che si fa sempre più rigogliosa, man mano che si avvicinano al bosco.

< Bella la odiava. > Ride nel ricordarlo, nel rivivere nella sua memoria l'espressione di una Bella ripugnata dalla completa assenza di sole.

< Non puoi odiare la pioggia se sei di Seattle. > Audry corruga le sopracciglia, confusa.

< Bella era della California, si è trasferita a Forks per non essere d'impiccio alla madre e al suo nuovo compagno. Aveva voglia di trascorrere del tempo con suo padre. > Spiega con difficoltà. Non ha mai dovuto parlare di Bella con nessuno, almeno, non in questi termini. Nei mesi successivi la sua morte non aveva fatto altro che annuire ai commenti di tutti su quanto fosse straordinaria, gentile e di buon cuore e di quanto fosse stata ingiusta la sua morte. Non era solito parlare di lei, neanche con Nessie; a lei, in fondo, bastava Jacob e lui, non poteva non ammetterlo, era una fonte inesauribile di ricordi su Bella, forse, molto più di lui stesso.

< Oh. Credevo fosse... non importa. > Scuote la testa, liberandosi del pensiero formulato su ciò che aveva appreso di Bella. Se l'era sempre immaginata come una ragazza di Seattle (Forks, avrebbe dovuto precisare) ligia ai doveri e alle regole e che, in qualche modo, le somigliasse, se non fisicamente, quanto meno nel carattere e nel modo di agire.

Non ha mai avuto modo di osservare una sua foto e, a dirla tutta, non é neanche sicura voglia farlo, ma adesso la immagina un'aitante ragazza californiana, perennemente abbronzata, totalmente diversa da come deve apparire lei. E poi, non ha voglia di affrontare l'argomento con Edward; conosce bene la sfumatura che assumono i suoi occhi quando si ritrovano a parlarne e non vuole rovinare la giornata ad entrambi con delle stupide supposizioni.

< Dove stiamo andando? > Chiede per spezzare il silenzio e rendere l'atmosfera più leggera.

< Voglio mostrarti un altro luogo. > Le fa l'occhiolino, svoltando per raggiungere il giardino di casa Cullen.

< Casa tua l'ho già vista. > Osserva lei, sospettosa.

< Questa è solo una deviazione; possiamo raggiungere il posto a piedi. > Edward spegne il motore e, prima che Audry abbia anche solo la possibilità di slacciarsi la cintura di sicurezza, lui le ha già aperto elegantemente la portiera, aspettando che scenda dalla vettura.

Arrossisce quando le sfiora i capelli con le dita; ne è come affascinato: il loro profumo intenso, il loro colore deciso e il modo in cui le incorniciano perfettamente il volto, lo rendono dipendente.

Imboccano un sentiero verso nord, semi-nascosto dalla vegetazione rigogliosa.

< Un'altra radura? > Azzarda, lasciando che Edward le afferri la mano con dolcezza, ma decisione.

Lo osserva scuotere la testa ed Audry si ritrova a sospirare di frustrazione: le piacciono le sorprese, d'accordo, ma non si poteva essere così misteriosi tutto il tempo!

L'unica cosa che le resta da fare è guardarsi intorno: le foreste, i boschi, sembrano tutti uguali; stessi alberi, stesse tonalità di verde, stessi versi di uccelli, stessi arbusti spezzati, stessi insetti che sondano il terreno, stesso buio, ma, in realtà, ogni bosco della regione ha un profumo diverso.

Suo padre trascinava spesso lei e la madre in lunghe passeggiate nel verde; non sceglievano mai i sentieri battuti dai turisti, preferivano addentrarsi al centro esatto della vegetazione rigogliosa, evitando rami, foglie bagnate e muschio scivoloso. Aveva imparato a riconoscere moltissime piante e uccelli così, osservando e lasciandosi guidare dai consigli di suo padre.

< Qualcosa non va? > Edward è chiaramente più veloce di lei e, quando lo osserva, ha come l'impressione, non solo che si stia trattenendo dal lasciarle la mano e cominciare a correre, ma che si stia sforzando per adeguare il passo al suo, più lento e incerto, considerate le insidie del terreno.

< No, tutto bene. > Sorride e, per un solo istante, vorrebbe essere come lui, una vampira: non dovrebbe trattenersi dal fare l'amore con lei, non dovrebbe aver paura di farle del male con una carezza, non dovrebbe temere per la sua incolumità fisica. Forse era quello che aveva pensato anche Bella, forse, erano state le sue stesse preoccupazioni.

< Siamo quasi arrivati. > Le annuncia con un sorriso sincero e dolce ed Audry, distratta dal colore intenso dei suoi occhi, dal bagliore magnifico del suo sorriso, dal profumo di miele e mare che proviene direttamente da lui, inciampa senza neanche rendersene conto, finendogli contro.

Le braccia di Edward la sostengono con fermezza, anche se lei ha stretto gli occhi per paura dell'impatto con il terreno, e solo quando avverte il suo cuore tornare a battere regolare, il respiro di lui tra i capelli e i rumori calmi del bosco intorno a loro, ha il coraggio di riaprirli, scoprendosi al sicuro, schiacciata contro il corpo di colui che non ha mai smesso di desiderare.

< Problemi di coordinazione? > La prende in giro, scostandola appena da sé per riordinarle i capelli sulla fronte.

Audry arrossisce, abbassando gli occhi.

< La colpa è tua, mi hai distratta. > Solleva lo sguardo e incontra il suo, divertito e dolce.

Le si avvicina di un passo, tanto che a separarli non restano che pochi centimetri, una mano le sfiora una gota ancora arrossata, l'altra va ad agganciarsi alla sua vita sottile.

Vuole baciarlo, è l'unica cosa che desidera e, proprio quando si solleva sulle punte per raggiungere il suo viso, anche Edward le si avvicina lentamente, socchiudendo gli occhi.

< Mi farò perdonare, promesso. > Le mormora prima di incontrare la sua bocca calda e profumata.

Le mani di lei vagano indisturbate tra i suoi capelli rossicci, stringendone qualche ciocca e l'unica cosa che riesce a pensare, l'unica cosa che non può controllare, è il vorticare del bosco intorno a sé, l'idea che stia per perdere l'equilibrio; perciò, quando si separa dalla sua bocca, rimane per un secondo frastornata, reggendosi al braccio di lui, attendendo che il mondo smetta di girare senza sosta.

< E' impossibile che io non ne abbia mai abbastanza. > Edward chiude gli occhi, poggiando la fronte contro la sua, sospirando di piacere e frustrazione.

Audry non sa se è una domanda o una constatazione, fatto sta' che è ciò che prova anche lei: come si può essere sazi di amore?

Non risponde, limitandosi ad ascoltare il suo respiro che le solletica gentilmente la pelle. Senza preavviso, e senza che Audry possa emettere altro che un piccolo grido sorpreso, Edward la solleva in braccio come una bambina con facilità, lasciandole agganciare le braccia dietro il suo collo, le gambe penzoloni.

< Così faremo più in fretta. > Le spiega, tranquillizzandola. < Chiudi gli occhi. > Le raccomanda ed Audry li stringe più forte che può, come se aspettasse la detonazione di un ordigno nucleare.

L'aria fredda le sferza il viso e avverte appena i capelli svolazzarle intorno incontrollati. La velocità non la spaventa, ma non ha il coraggio di aprire gli occhi e quando avverte l'odore pungente della terra umida e quello della resina degli alberi intorno, si rende conto che Edward si è fermato, ma che sta, tuttavia, continuando a mantenerla ancorata a sé.

< Tutto bene? > Le domanda preoccupato, facendole poggiare con attenzione i piedi sull'erba morbida.

Audry annuisce e ha il coraggio di aprire un solo occhio per guardarsi intorno, poi, pian piano, anche l'altro, prendendo coraggio.

Edward ride della sua reazione, tenendole entrambe le mani, come se si aspettasse di vederla cadere.

< Alla fine è una radura. > Pronuncia, rendendosi conto di avere la gola terribilmente secca.

< Mmm... non hai guardato con attenzione. > Si sposta dietro di lei, voltandola alla sua destra, le mani sui fianchi che la fanno arrossire.

Istintivamente, compie un passo indietro alla vista della piccola abitazione di pietra. E' così perfettamente integrata nell'ambiente circostante, da sembrare scaturita direttamente dalla roccia. Uno dei muri esterni é coperto da una pianta di caprifoglio che si avvita oltre il tetto, ricoperto di legno. In un fazzoletto di giardino, proprio sotto le finestre incassate, regnavano cespugli di rose tardive e un piccolo sentiero di pietre piatte, conduce ad un pittoresco ingresso ad arco con la porta in legno.

< Questa è... insomma, è la casa di Biancaneve... > Non ha idea di quello che sta blaterando, ma sente Edward ridere divertito, segno che l'ha sentita.

< La mia famiglia aveva pensato di regalarla a me e a Bella per quando avremmo fatto ritorno dalla luna di miele. Le cose non sono andate come previsto, perciò... è disabitata adesso, come quando non era altro che un vecchio rudere. > Le afferra una mano e la trascina lungo il sentiero di pietre, estraendo una chiave decorata dalla tasca dei jeans, inserendola nella fenditura apposita, facendone scattare la serratura.

L'interno assomiglia così tanto all'illustrazione di un libro di favole, che Audry non riusce a trattenersi dal portarsi entrambe le mani davanti alla bocca, meravigliata: il pavimento é un patchwork di pietre levigate, il soffitto basso é attraversato da lunghe travi a vista, le pareti sono a sezioni di legno e pietra. Il caminetto è spento e da' l'idea di non essere stato mai acceso. L'arredamento eterogeneo da' l'impressione di un puzzle, con una sedia dall'aria vagamente medievale, l'ottomana bassa vicino al camino in stile moderno, la libreria piena zeppa di libri di fronte alla finestra più lontana.

Edward la conduce lungo un corridoio di pietra stretto con il soffitto ad archetti, come in un castello in miniatura.

< Questa dovrebbe essere la stanza di Renéesme, anche se non l'ha mai utilizzata. > Tutto quello che si intravede è un pavimento di legno chiaro, per il resto la stanza non sembra essere stata dipinta o riempita in alcun modo.

< Questa è la stanza matrimoniale. > Spiega ed Audry ha come l'idea che sia spiacevole per lui pronunciare ancora una volta il nome di Bella.

Il letto è grande e bianco, avvolto da nuvole di tulle che scendono in morbide ondulazioni fino a terra, il pavimento color sabbia tropicale, le pareti di un azzurro quasi bianco che hanno certe giornate di sole e su quella di fondo una grande portafinestra che da' su un giardinetto segreto, con rose rampicanti e un piccolo stagno rotondo con la superficie a specchio e il bordo di sassi lucidi, come un piccolo oceano.

< E' tutto bellissimo, etereo. > Sono le uniche parole che riesce a pronunciare e quelle che le sembrano più vicine alla realtà delle cose.

Eppure.

Eppure, ha come la sensazione di non sentirsi normale, ha come l'impressione di vivere la vita di qualcun'altra, di avere la vista di una Bella che non ha mai potuto godere delle meraviglie che la morte le ha strappato e qualcosa le accelera i battiti del cuore, mentre l'unica cosa che riesce a fare è accasciarsi sul letto morbido, immacolato, lo sguardo spento e spaesato.

< Forse non dovrei essere qui. > Pronuncia, riconoscendo a malapena la sua voce.

< C'è qualcosa che non va? Che succede? > Mette a fuoco gli occhi dorati di Edward, i suoi movimenti veloci e precisi che lo portano a sedersi al suo fianco.

< Non sono io a dovermi trovare qui. > Ribadisce, cercando di spiegarsi meglio.

< Cosa vuoi dire? > E' confuso, ma è più forte di lei, non riesce a non pensare a Bella, a Renéesme, ad Edward e a tutto quello che hanno vissuto insieme: il matrimonio, la luna di miele, la gioia di poter avere una famiglia, una casa da condividere, una vita che avrebbe potuto essere normale. 

< Voglio andare via, non riesco a stare qui. > Si alza senza neanche aspettarlo, attraversando il corridoio in fretta, scivolando fuori dalla porta di legno rimasta aperta, respirando l'aria fredda a pieni polmoni e dirigendosi verso il punto da cui sono venuti, arrancando lungo il sentiero disseminato di radici, il respiro affannoso e il cuore a mille.

E' costretta a fermarsi quando le gambe le diventano improvvisamente molli e la vista le si offusca per colpa delle lacrime. Cade in ginocchio sul terreno bagnato e singhiozza forte, le mani che cercano di impugnare la terra e invece riescono solo a raccogliere foglie e pietre.

La sua presenza nella vita di Edward è inopportuna; perché farle vedere tutti quei posti, perché cercare di paragonarla a Bella, perché farla sentire inferiore?

Non era sua intenzione, lo sai. Vuole renderti partecipe della sua vita prima del tuo arrivo, non vuole sminuirti.

E' quello che la sua coscienza continua a ripeterle, e allora perché tutta quell'angoscia?

Forse Sarah ha ragione quando afferma che Edward non è il ragazzo giusto per lei, quando le consiglia di provare qualcosa di diverso. 

E' solo che le sembra così legato al ricordo della moglie, che, in qualche modo, non stia facendo altro che sostituirne la figura con la sua, confondendole e non rendendosi conto di quanto siano diverse, in realtà.

Continua a piangere sommessamente anche quando si rende conto della sua presenza, dei capelli che vanno ad oscurarle la vista per l'improvvisa corrente dettata dalla sua velocità.

Edward, indeciso, la osserva, la sua figura carponi, come una bambina che impara a gattonare e che muove indecisa i suoi primi passi, le lacrime che le solcano le guance appena arrossate per il freddo, le mani sporche di terra e il cuore che batte veloce, come le ali di un colibrì.

Non ha pensato a quanto potesse essere doloroso per lei, non ha tenuto conto delle conseguenze, ha solo creduto che, integrandola maggiormente nel suo mondo, quello vissuto e quello, purtroppo, rimasto sepolto, in tutti i sensi, potesse renderla partecipe delle sue emozioni, facendoli avvicinare ancora di più; credeva di poter colmare così il desiderio di lei e, invece, ancora una volta, si era sbagliato, ancora una volta aveva agito egoisticamente.

Le si inginocchia accanto, allungando una mano verso di lei con timore, scostandole i capelli rossi dal viso con delicatezza e quando lei solleva lo sguardo, gli occhi lucidi e rossi, e lo osserva con aria spaesata e fiduciosa, lui non fa altro che pensare a quanto sia inadatto per lei, a quanto Audry abbia bisogno di qualcuno che la protegga, di qualcuno che non la ferisca e non la faccia piangere. Ha deciso di tentare, ha deciso di amarla senza riserve e sa che non può tornare indietro, sa che non può abbandonarla, non come è successo con Bella, perché un altro dolore come quello lo spezzerebbe.

< Non avrei dovuto portarti lì, mi dispiace. > Le mormora, accarezzandole il viso con entrambe le mani, cercando di cancellare le tracce salate delle lacrime.

< Io non sono come lei e so che è difficile rendersene conto, so che fa male, ma io non mi sono innamorata di te per sostituire Bella; mi sono innamorata di te perché riesco ad essere me stessa, anche se siamo diversi, perché non ho mai desiderato qualcuno come desidero te e perché il mio cuore non ha mai battuto così forte come quando mi sfiori. Sembrano un mucchio di stupidaggini, lo so, e magari crederai che sono impazzita, ma è la verità, Edward. Voglio che tu sia in grado di scindere la mia persona dalla sua. > Risponde con semplicità, senza neanche sapere bene come facciano le parole a fluirle con tanta semplicità dalle labbra. La spiegazione più semplice è che sentiva il bisogno di dirglielo, che non avrebbe potuto rimandare a lungo; la radura poteva anche essere stata una coincidenza, un modo come un altro per condividere un posto speciale, ma la casa nel bosco, quella è un'altra storia.

Osserva i suoi occhi dorati incupirsi, dilatarsi dallo stupore, poi un'ombra di rassegnazione gli attraversa lo sguardo e un sospiro gli sfugge dalle labbra.

< Ho sbagliato tutto, vero? > Sorride amaro e, all'improvviso, le sue mani non la sfiorano più, sono abbandonate mollemente a toccare il terreno e tremano, come se avesse freddo, ma, probabilmente, è solo rabbia.

< E' difficile, Edward. Perdere una persona cara è qualcosa che sconvolge le vite di ogni singolo essere vivente, anche quelle dei vampiri. > Afferma a voce bassa, cercando di farlo ragionare. < Nessuno è pronto per la morte. > Continua semplice.

< Non dovresti essere così comprensiva con me; non me lo merito. > Scuote il capo con aria rassegnata, raggiungendo le sue mani, sfiorandole appena, anche se l'unica cosa che Audry avverte è il terreno di cui sono sporche.

< Tu meriti tutto quello che hai, Edward e probabilmente molto di più. > Sorride, accarezzandogli i capelli con la mano libera, avvicinando la fronte alla sua, chiudendo gli occhi.

< Come puoi starmi ancora così vicino dopo quello che ho... > Ma Audry lo interrompe.

< Shh! > Lo ammonisce prima di baciarlo con dolcezza.

 

Quando Edward la riaccompagna a casa, un cipiglio severo e disperato che non ha ancora deciso di abbandonare, nonostante tutti gli sforzi di Audry, la macchina di Jenna non è parcheggiata, segno che non è ancora rientrata.

Edward la segue in casa, dove Audry legge l'ennesimo post-it appiccicato allo sportello del frigorifero che le annuncia che Jenna rientrerà tardi e che non c'è alcun bisogno di preoccuparsi.

< Due cene di lavoro in un mese? Strano. > Commenta, facendo spallucce e issandosi a sedere sul bancone della cucina.

< Non ti ha parlato dell'incontro della volta scorsa? > Le chiede Edward, rileggendo il biglietto.

Audry scuote la testa e osserva i suoi movimenti. Ha ancora i vestiti sporchi di terra e fogliame, eppure è sicura di poter ammettere di non aver mai visto un ragazzo più attraente e improvvisamente ha voglia di averlo vicino, non così lontano, dall'altra parte della cucina. Vuole toccare la sua pelle fredda e immergere le mani nei suoi capelli profumati.

< Sei troppo lontano... > Si imbroncia, allungando un braccio nella sua direzione, in un chiaro invito a raggiungerla.

Edward sorride divertito e le si fa incontro, posizionandosi tra le sue gambe appena schiuse, poggiando le mani sui suoi fianchi.

< Così va meglio? > Mormora, lasciandosi avvolgere dal suo profumo inebriante.

Audry gli accarezza le spalle, sospirando di sollievo e annuendo.

< Non ti merito affatto, lo sai. > Le lascia un bacio sul mento e un altro sul collo, ma le sue labbra sono così leggere, che Audry crede di esserselo solo immaginato.

< Credevo fossi intelligente abbastanza da capire che qui, quella sfacciatamente fortunata, sono io. > Mormora in risposta, socchiudendo gli occhi, avvicinandosi alla sua bocca e pregustando già il suo sapore.

< Non hai tenuto conto degli aspetti negativi. > Le fa presente, evitando le sue labbra.

< Ovvero, che sei un irrimediabile testardo? > Sbuffa rassegnata, incrociando le braccia al petto.

< No, che potrei farti del male se perdessi il controllo. > Le accarezza i capelli, scompigliandoli con le dita.

< Ammettilo: è solo una delle tue tattiche per apparire più misterioso e affascinante. > Ammicca, prendendolo in giro e, questa volta, la sua espressione si distende e le sue labbra si tendono in un sorriso sincero e spontaneo.

< Come hai scoperto il mio segreto? > Decide di stare al gioco.

< Ci sono ancora molte cose che non sai di me. > Risponde con un sorriso malizioso prima di baciargli le labbra e dimenticarsi di tutto il resto.

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Capitolo 26
*** Still Alive ***


Buon Salve a tutte!

Manco da tantissimo, me ne rendo perfettamente conto e mi dispiace, soprattutto perché questa volta non è dipeso da me, ma dalla maledettissima Telecom che ha deciso di interrompere il mio collegamento Internet senza nessun tipo di preavviso e che non si è ancora decisa a ripristinarmelo (sto sopravvivendo grazie alla chiavetta nuova di zecca acquistata ieri -.-).

Che dirvi d'altro? Suppongo che questo sia un capitolo che aspettavate in molte, purtroppo, ultimo capitolo di quiete, perché dal prossimo si ritorna a Leonard. Secondo voi, cosa potrà aver architettato?

Non voglio tediarvi oltre, perciò vi lascio al capitolo, non prima, però, di aver ringraziato tutte le persone che hanno letto, commentato e inserito questa Ff tra le preferite/seguite/da ricordare. Siete tutto ciò che mi permette di continuare questo progetto, quindi, sentitamente, GRAZIE <3

Buona continuazione di settimana e...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Audry non ha idea da quanto tempo trascorrano lì a baciarsi, lui ancora tra le sue gambe schiuse, le mani sui suoi fianchi, lei che non riesce a fare a meno di accarezzargli i capelli e le spalle, di stropicciargli la camicia e di gemere sommessamente di tanto in tanto; non ne ha idea, sa solo che, quando Edward si allontana quel tanto che basta per guardarla negli occhi e accennare un sorriso, non ne ha ancora abbastanza, ha ancora bisogno delle sue labbra fredde sulle sue.

Socchiude gli occhi e gli sfiora il naso con il suo, reclamando un altro bacio.

Edward le bacia la fronte, traendola a sé, inspirando il suo profumo e accarezzandole i capelli splendidamente setosi.

Rimangono qualche istante in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, fin quando Audry non si schiarisce la voce con imbarazzo, arrossendo al solo pensiero di aver finalmente deciso di parlarne.

Il cuore le batte così forte, che teme possa uscirle fuori dal petto e le orecchie le fischiano, neanche stesse per svenire.

Prende un respiro profondo e chiude gli occhi per un istante, giusto il tempo di rendersi conto che non balbetterà e non dirà frasi senza senso.

< Pensavo... insomma, mi chiedevo se noi potessimo... ecco... riprovarci. > Le sue parole non sono altro che sussurri e ha come l'impressione che Edward non l'abbia sentita affatto, se non fosse per il fatto che, il tempo di rielaborare la sua frase e di darle il giusto significato, lo sente irrigidirsi appena e porre fine al giocherellare distratto con i suoi capelli.

< Voglio dire... l'ultima volta non stava andando male, no? Se non fosse stato per Esme... > Ma lui non le dà la possibilità di terminare la frase.

< Se non fosse stato per lei, avrei anche potuto ucciderti. > Termina, scostandola dal suo petto e osservandola serio, lo sguardo tormentato.

< Non l'avresti fatto, non avresti potuto. Insomma, non sono una sprovveduta, mi rendo conto che dev'essere difficile per te e che potrebbe essere potenzialmente pericoloso per me, ma non ha importanza; voglio appartenerti, voglio essere parte di te e non conosco metodo migliore... > Arrossisce e abbassa lo sguardo, torturandosi le mani con fare nervoso.

Non ha mai avuto il coraggio di affrontare l'argomento dopo quella sera e adesso che ha deciso di farlo, non vuole demordere. Non è una questione di bisogno fisico, come direbbe Sarah, è qualcosa che va al di là anche della sua comprensione; non ha mai desiderato nessuno come desidera Edward, non ha mai avvertito la necessità, l'urgenza di fare l'amore con un ragazzo se non con lui. Vuole amarlo e fargli capire che non ha paura di lui, della sua natura, del suo nutrirsi di sangue, di tutte le conseguenze che comporterà stargli accanto; vuole fargli capire che una parte di lui, per quanto dolorosamente consapevole di ciò che sarebbe avvenuto, ha contribuito a dare alla luce una creatura meravigliosa come Renéesme, e come potrebbe un padre così affettuoso e attento, fare del male a qualcuno che ama, che proteggerebbe ad ogni costo?

Forse non dovrebbe paragonarsi a sua figlia, ma sa che Edward tiene a lei, sa che la ama, che farebbe qualsiasi cosa per tenerla lontano dai guai, che sarebbe disposto a lasciarla andare se solo fosse convinto che la sua vita senza di lui sarebbe migliore.

< Non ti basta sapere che sono già tuo, anima e corpo? > Le sfiora la fronte con i polpastrelli, scostando ciocche di capelli ribelli.

< Non voglio esserti così lontana. > Ribadisce con testardaggine, abbandonandosi alle sue carezze gentili e premurose.

< Eppure, io ti sento, Audry e sei più vicina di quanto pensi. > Le sorride dolce, delineando con l'indice il profilo delle sue labbra appena arricciate in una smorfia di disappunto.

< Non vuoi rendermi felice. > Borbotta, incrociando le braccia al petto.

E' così simile ad una bambina, che Edward non può fare a meno di ridere divertito.

< E' l'unica cosa a cui miro, devi credermi. > Le risponde, nuovamente serio, le iridi dorate splendenti alla luce debole del tramonto, filtrata dalle tende candide.

< E allora perché non puoi, solo per un istante, mettere da parte le tue paure, la tua testardaggine e il tuo senso morale? > Gli domanda, aggrottando le sopracciglia.

< Perché ho paura di perderti, Audry. E' già successo e non voglio che si ripeta. > Torna con le mani ai suoi fianchi, massaggiandoli delicatamente.

< Io e Bella non siamo legate dallo stesso destino. > E' un mormorio indistinto, pronunciato a sguardo basso.

< Forse è così, forse la causa della mia ritrosia è soltanto quello che potrei fare, la paura di poter perdere il controllo e ucciderti con le mie stesse mani; non posso dirti di sì, Audry. > Scuote la testa come a sottolineare la sua decisione, gli occhi che incontrano l'espressione delusa e contrita di lei.

< Non ci abbiamo neanche provato! Ti stai fasciando la testa prima di rompertela, Edward. > Vorrebbe urlare, ma risulterebbe una pazza sclerotica ed è l'ultima impressione di sé che vuole dare, perciò si trattiene.

< Lo sai che ti desidero anch'io... > Avvicina la guancia alla sua, sfiorandola con il suo alito fresco, costringendola a rabbrividire di piacere.

< Allora puoi lasciarti semplicemente andare... ti prego. > Gli accarezza i capelli della nuca con dolcezza, chiudendo gli occhi al suo profumo deciso e familiare.

< Non stanotte. > Le sussurra nell'orecchio con malcelata malizia prima di sollevarla in braccio senza preavviso, cogliendola di sorpresa.

< Quando, allora? > Mugola contrariata, senza riuscire, tuttavia, ad essere arrabbiata con lui.

Edward le bacia la porzione di pelle scoperta all'altezza della nuca, camminando lentamente in direzione del salotto, Audry aggrappata alla sua camicia come una bambina in attesa che il suo papà le canti la ninna nanna per farla addormentare.

Lui, invece, la adagia semplicemente sul divano.

Audry, però, non sembra affatto intenzionata a mollare la presa dalla sua camicia così facilmente, quasi volesse, con quell'atteggiamento tipicamente infantile, fargli cambiare idea.

< Non andare via... > Lo supplica, allentando la presa pian piano, ritardando il momento in cui dovrà fare a meno del suo profumo squisito.

< Non vado da nessuna parte; come potrei? > Le risponde, sorridendole e baciandole la fronte, prendendo posto accanto a lei che, subito, gli si rannicchia contro, circondandogli la vita con un braccio, la testa sul suo petto.

< Cambierai mai idea? > Gli domanda, alzando gli occhi sul suo viso rilassato e sorridente.

Le accarezza una guancia con il dorso di un dito, facendola arrossire.

< Dovrei trasformarti in qualcosa che non sono disposto a concederti. > Audry sa bene che si riferisce alla sua natura, a quello a cui è stato condannato ad essere per sempre.

< Non vuoi fare l'amore con me, non vuoi trasformarmi in una vampira, non vuoi che mi cacci nei guai... dimentico qualcosa? > Elenca con l'aiuto delle dita. < Dovrei cercarmi un altro ragazzo. > Borbotta, incrociando nuovamente le braccia al petto, sperando, almeno, di farlo ingelosire.

Lui, per tutta risposta, l'attira a sé e le bacia i capelli, sostando con il mento su quel soffice manto rosso.

< Avresti tutta la mia comprensione. > Mormora. 

Audry geme di frustrazione, rendendosi conto di quanto possa essere inconcepibile per lei figurarsi qualcosa di così sgradevole, da non meritare l'amore e la comprensione di nessuno.

< Perché ti è così difficile capire che esistono persone a cui non interessa quanto tu sia diverso? Perché non accetti semplicemente che qualcuno possa amarti? > Si scosta da lui, trattenendo a stento la rabbia.

< Perché siamo esseri costretti a vivere nell'ombra, a camuffarci continuamente per non mostrare la nostra vera natura, ad evitare gli sguardi curiosi della gente. Se tutti sapessero cosa siamo, come viviamo, l'ultima cosa che proverebbero per noi sarebbe amore. > Risponde, lo sguardo spento.

< Io so cosa sei, eppure non sono scappata. > Se solo non ci si fermasse alle apparenze...

Edward le sorride triste, allungando una mano per sfiorarle i capelli, per solleticare gentilmente e casualmente la pelle nivea.

< Sono stato molto fortunato, tutto qui. Non avrei mai pensato, dopo la morte di Bella, di potermi sentire nuovamente completo. > Gli occhi indugiano sulle sue labbra, la sua mente indugia su quello che è successo nella sua stanza soltanto qualche settimana prima, su quello che sarebbe successo se Esme non avesse bussato alla sua porta; indugia sulla luna di miele che ha trascorso con Bella in Brasile, sulla sua pelle calda e morbida, sulla sua dolce arrendevolezza, sui suoi sospiri, sulle sue mani che correvano tra i suoi capelli, sulla sensazione di completezza e appartenenza che aveva provato quando erano diventati una cosa sola.

Sarebbe così diverso con Audry? Sarebbe così difficile trattenersi? Sa che la risposta è negativa, sa che ha raggiunto un livello di autocontrollo sufficiente, affinché Audry non corra il rischio di essere travolta dalla sua bramosia, eppure c'è qualcosa che gli impedisce di pensarci, di accettare il fatto che Audry voglia essere sua in ogni modo umanamente concepibile, di prendere in considerazione l'idea che possa davvero spogliarla dei vestiti, accarezzare la sua pelle nuda, donarsi. 

< A cosa stai pensando? > Gli occhi di Audry cercano i suoi e un sorriso delicato e gentile le addolcisce le labbra.

Scuote la testa, ricambiando il sorriso. La desidera, non può negarlo, così come ha desiderato Bella tempo prima, con la stessa intensità e lo stesso bisogno con cui ha accettato di fare l'amore con lei durante la loro luna di miele.

La osserva mordersi le labbra in attesa di una risposta, gli occhi meravigliosamente verdi che indugiano sul suo viso, le guance appena arrossate per l'imbarazzo; vorrebbe poter essere in grado di leggerle la mente, di scoprire i suoi pensieri. Invece, riesce solo a concentrarsi sul suo profumo, sulla sua bocca e sulle leggere lentiggini che la fanno assomigliare ad una bambina.

Si avvicina lentamente al suo viso e, anche se vorrebbe guardarla negli occhi, cercare di carpire anche la più piccola sfumatura di quel verde prato, abbassa le palpebre e la bacia con dolcezza e urgenza, accarezzandole il viso e traendola a sé.

Audry, spaesata e confusa, impiega qualche secondo di tempo per corrispondere il bacio, le mani che cercano i capelli setosi e morbidi di lui, quasi come se fossero il suo unico appiglio.

Edward la trascina su di sé, costringendola a schiudere le gambe per avvolgere le sue, continuando a baciarla e ad accarezzarle i capelli. Avverte le sue mani piccole, delicate e calde, incontrare la pelle fredda, marmorea, del collo, superato l'ostacolo del colletto della camicia che indossa.

La lascia andare per permetterle di riprendere fiato e i suoi occhi sono più scuri e più luminosi, bagnati da un'urgenza che avverte come propria.

Ascolta il suo cuore che batte frenetico e quasi immagina lo stomaco stringerlesi per l'emozione. Cosa darebbe per ritornare umano, anche solo per un'ora, anche solo per scoprire come ci si debba sentire in una situazione simile, cosa si debba provare.

Audry, sorpresa dal capovolgersi della situazione, incredula del cambio d'idea repentino di Edward, riesce solo ad osservare le sue mani tremanti che si apprestano a liberare i bottoni della camicia di Edward dalle rispettive asole. Di tanto in tanto abbassa le palpebre, come a ritrovare la concentrazione necessaria, ed è in quei momenti che le sembra di osservare tutto dall'alto, quasi non fosse lei in quel corpo, quasi si stesse immedesimando nella parte di un'attrice di un film romantico in tv: ha paura, perché sa che non ci sarà nessuno ad interromperli questa volta, che sua zia rientrerà tardi, che il telefono potrà squillare all'infinito, perché nessuno dei due risponderà.

Avrebbe bisogno di bere, perché avverte la gola così arida, che si ritrova a deglutire più volte saliva inesistente e a schiarirsi la voce come se fosse raffreddata, man mano che il tessuto chiaro rivela la pelle pallida e fredda di lui.

Quando i bottoni si esauriscono e le mani non smettono di tremare, Audry non ha il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, di guardarlo negli occhi; ha l'affanno e ringrazia il cielo di essere seduta, perché le gambe le sono improvvisamente diventate molli come gelatina e ha la sensazione che non la reggerebbero se solo provasse a mettersi in piedi.

E' Edward a sollevarle il mento con due dita, delicato e gentile come sempre. I suoi occhi dorati la scrutano con intensità, forse cercando di scoprire l'origine del tremore che sembra averle invaso anche il resto del corpo.

< Stai tremando... > Osserva, prendendole una mano e stringendola appena. La sua pelle è così fredda, che potrebbe far concorrenza alla sua.

Audry si sforza di sorridere, ma tutto quello che ne risulta è una smorfia nervosa.

< Sono agitata... > Confessa, arrossendo, in un sussurro.

Edward le sorride comprensivo, infondendole sicurezza, stringendola nel suo abbraccio, massaggiandole le spalle perché si rilassi completamente, baciandole una tempia con premura.

< Non siamo obbligati. > Le fa presente in un mormorio, ma non riesce a smettere di carezzarle la pelle tesa e liscia del collo con il dorso di un dito, facendole venire la pelle d'oca.

< Io ti desidero, Edward. Nessuno mi sta obbligando. > Risponde con sicurezza, decisa e cosciente della sua decisione.

E' normale essere agitati e nervosi, no? E' una cosa importante, in fondo.

Edward incrocia i suoi occhi e la osserva arrossire mentre, ancora intrappolata nel suo abbraccio, porta una mano a sfiorargli lentamente la pelle del torace, leggera come una piuma, scostando la stoffa morbida.

Delinea con i polpastrelli la muscolatura mediamente sviluppata, perfetta, saggia la setosità della sua pelle, il modo in cui sembra risplendere alla fievole luce dell'abat-jour accanto al divano.

Una scarica di brividi la investe quando incontra il cerchio perfetto dell'ombelico, la peluria appena accennata che scompare nei jeans scuri. Non separa gli occhi dai suoi neanche per sbaglio, continua ad osservarlo per captare anche la minima reazione, anche il minimo disagio e, sembra assurdo anche solo pensarlo, è del suo piacere che si preoccupa, non del proprio; a stento riesce a rendersi conto dei suoi movimenti, quasi stesse perdendo il controllo della sua mente e dei suoi pensieri, perché sa solo che le dita di Edward si sono intrufolate al di sotto della stoffa del suo maglioncino celeste, guidate dalla sua mano, e stanno continuando il loro percorso in salita, oltrepassando i fianchi, arrestandosi in prossimità del suo seno.

Rabbrividisce vergognosamente e la mano si aggrappa, quasi per un riflesso involontario, alla camicia di lui, sgualcendola.

Arrossisce, nel momento esatto in cui le iridi di Edward cambiano colore, trasformandosi in un avvolgente nero pece.

Non ne è spaventata, è solo l'urgenza che lo anima e ne ha la conferma quando si avvicina alla sua bocca per reclamare un bacio che, per quanto cerchi di essere semplicemente delicato, non riesce a celare la bramosia e l'ardore e lei si sente incredibilmente desiderata e compresa e amata, come non le è mai successo.

Continua a baciarlo, allontanandosi a malincuore dalle sue labbra per riprendere fiato e liberarsi del maglioncino, lanciandolo in un punto imprecisato della stanza, tornando ad avvinghiarsi al suo collo, lasciando che le sue mani le percorrano i fianchi e prendano confidenza con il suo calore e il suo profumo.

Edward, incantato, non ha in mente altro che la sua pelle morbida e chiara, i suoi capelli rossi che le sfiorano, leggeri, la base della schiena, i suoi occhi verdi che lo rassicurano e lo confondono, le sue mani gentili che percorrono il suo corpo come se non avessero fatto altro.

Ha paura, paura per la sua incolumità fisica e la sua postura rigida non può niente per nasconderlo, ma, allo stesso tempo, è come se non potesse contemplare l'ipotesi di farle del male, di nutrirsi del suo sangue e di lasciarsi andare al suo istinto; è come se la sola idea di ferirla, di privarla del battito del cuore, del calore della pelle, del rossore delle guance, lo disgustasse.

Ha ucciso molti uomini, conosce bene la frenesia che invade il corpo e la mente di ogni vampiro che si nutra di sangue umano, ma con lei è semplicemente diverso, migliore.

Non desidera il suo sangue, non desidera la sua vita; vuole solo godere del suo profumo, delle sue carezze, dei suoi baci appena esigenti ed esitanti, del suo imbarazzo e della sua pura ingenuità.

Le bacia una spalla, risalendo verso il collo, sentendola ridere appena per via del solletico che le ha provocato, ridendone insieme a lei e attirandola più vicina per baciarle ancora le labbra e il mento e ogni centimetro di pelle che riesce a raggiungere.

Quando la sente rabbrividire per l'ennesima volta, però, si irrigidisce, bloccandole i polsi, le mani intrufolate tra i suoi capelli.

< Hai freddo, stai ancora tremando. > Le fa notare con un cipiglio severo.

Audry volta appena la testa per osservare le sue stesse braccia, pallide, violacee, come se non avesse fatto altro che gironzolare per Seattle a maniche corte e si sorprende a rabbrividire di nuovo e, questa volta non può negarlo nemmeno lei, a battere appena i denti.

Non vorrebbe interrompere il loro idillio, ma, prima che possa anche solo proporre di prendere un plaid, Edward l'ha già sollevata in braccio, ha già percorso metà del corridoio e si sta apprestando a salire le scale che lo condurranno nella sua camera da letto.

Spalanca la porta con una spalla e scosta le coperte con un braccio, reggendo Audry ancora tra le braccia che, non può evitare di pensarlo, si sente come una bambina in braccio al suo papà, un papà che vuole prendersi cura di lei e coccolarla.

Nel momento in cui sente la presa di Edward cedere, segno che la sta adagiando tra le lenzuola, si rintana sotto il piumone, scoprendosi al caldo, sospirando di sollievo.

Osserva Edward con la camicia completamente sbottonata, i capelli sconvolti dal passaggio delle sue dita, gli occhi neri e lo sguardo dubbioso di chi non ha capito bene cosa fare.

< Abbiamo un discorso in sospeso, o sbaglio? > Gli sorride maliziosa, facendolo ridere e scuotere il capo.

< E dovresti anche spogliarti, sai? Sarebbe più... comodo. > E anche se arrossisce mentre lo dice, anche se osservare Edward liberarsi dei jeans è la tortura più penosa di cui si sia mai resa partecipe, anche se il suo solito sorriso sghembo minaccia di farle scoppiare il cuore, non potrebbe mai pentirsene, perché è sicura che andrà tutto bene, è sicura che non le farà del male, è sicura che dimenticarsi, anche se solo per un'ora, del resto del mondo, non farà così male, non potrà fare così male.

 

La prima cosa che Edward riesce a sentire quando diventano una cosa sola, sono i pensieri di Audry. Non sa come, non sa perché, considerato che non è riuscito a leggerle la mente neppure una singola volta, sa solo che ha accesso ai suoi ricordi, alle sue emozioni e ai suoi pensieri che, in quel momento, non sono altro che un groviglio di sensazioni indistinte e piacevoli, così piacevoli che gli si stringe lo stomaco.

Rimane immobile per un lungo istante, disorientato, le braccia che fanno leva sul materasso per non pesarle addosso, gli occhi incatenati ai suoi.

Audry gli sorride, accarezzandogli il volto con entrambe le mani, i capelli morbidi e la pelle fredda del collo, del torace, dei fianchi.

Quando abbassa il volto verso di lei per baciarla, muovendosi con quanta più attenzione possibile, chiudendo gli occhi, è solo un flash, un'immagine che permane nella sua mente per pochi istanti, eppure ha il potere di sconvolgerlo: è il viso di Audry, ma è come se non fosse davvero il suo, come se fosse cambiata nell'arco di pochi giorni, come se si fosse travestita da qualcun'altra; la pelle nivea, gli occhi dorati come i suoi, la solita cascata morbida di capelli rossi, lo stesso sorriso dolce e sincero, i suoi movimenti rapidi. Una Audry vampira, una Audry che potrebbe essere la sua compagna, che potrebbe amare per sempre.

Torna alla realtà quando sente pronunciare il suo nome, quando il corpo caldo di Audry va incontro al suo, quando i suoi gemiti e i suoi sospiri non sono più lievi e sussurrati, ma riempiono la stanza, il silenzio pacifico della casa.

< Edward... > Sussurra, stringendo i suoi capelli tra le dita, inarcando la schiena e raggiungendo le sue labbra.

Lui continua a respirare sulla sua pelle accaldata, il respiro accelerato, anche se, di respirare, non avrebbe bisogno affatto, i sensi completamente annebbiati dal profumo di lei, dal calore della sua pelle, dai suoi sospiri e dall'invocazione dolce del suo nome.

Un'altra immagine lo disorienta, costringendolo a chiudere gli occhi; quella di una Audry bambina in braccio al suo papà, sorridenti entrambi davanti all'obiettivo, felici al sole estivo, immersi nella natura rigogliosa e splendente, il vestito di Audry del colore dei suoi occhi, i capelli acconciati in due adorabili codine, le braccia strette intorno al collo dell'uomo che la osserva con adorazione, come se fosse un tesoro da tempo cercato.

Riapre gli occhi, colpito, fin quando il respiro gli viene meno e lui rivive il momento in cui l'ha baciata per la prima volta dal punto di vista di lei, con i suoi occhi, con le sue sensazioni, i suoi pensieri, pensieri che lo sconvolgono, pensieri di un amore che, per quanto rassicurato dalla stessa Audry, non pensava potesse mai provare un essere umano per un mostro come lui.

E poi, in successione, altri ricordi: i genitori di Audry che si stringono la mano, lei chiusa nella sua stanza ad osservare il soffitto, una musica struggente come sottofondo, sua zia Jenna che la stringe in un abbraccio protettivo, due bare bianche che sfilano davanti ai suoi occhi afflitti e liquidi, lei che piange con una foto dei suoi genitori tra le mani, il suo impegno nello studio come antidoto ai brutti pensieri, alle delusioni, alle amarezze.

Quando ritorna alla realtà, ha il fiatone e, inquadrando il viso di Audry, i capelli scomposti sul cuscino, le sue braccia e le sue gambe a circondarlo completamente, il piacere che la scuote e la fa rabbrividire, si accorge che sta piangendo e che le lacrime le solcano le guance appena arrossate, mentre lei si morde le labbra nel disperato tentativo di trattenerle.

Aggrotta le sopracciglia e teme, per un istante, di averle fatto del male, di non essere stato sufficientemente accorto, di essersi lasciato travolgere dai suoi ricordi senza pensare alle conseguenze, e così si immobilizza ancora, nasconde il viso nell'incavo tra il collo e la spalla e le bacia delicatamente la pelle bollente.

< Perdonami. > Le sussurra come in una nenia, infinite volte, fin quando Audry non gli accarezza i capelli e lo costringe a poggiare il capo sul suo seno, all'altezza del cuore che batte ancora all'impazzata e che non sembra voler calmarsi.

< Per cosa dovrei perdonarti? > Gli domanda, la voce spezzata dai singhiozzi.

< Stai piangendo, Audry. Ti ho fatto del male. > E' la sua unica opzione, l'unica cosa che riesce a pensare.

La sente scuotere la testa freneticamente e sospirare.

< No, non avresti potuto. > Replica.

< E allora...? > Non riesce a terminare la frase, ma si allontana dal battito del suo cuore, sollevandosi nuovamente sulle braccia per osservarla, incredulo.

< Sono solo felice. > Si asciuga le lacrime con il dorso di una mano, ridendo appena. < Sono immensamente felice. > Ripete, sollevandosi per sfiorargli le labbra con le sue.

Edward corrisponde il suo bacio leggero, trascinandola su di sé, ricadendo con la schiena sul materasso morbido, stringendole i fianchi e percorrendola con lo sguardo: i capelli scomposti che le incorniciano magnificamente il viso e che sfiorano leggeri le coperte, la pelle tiepida che profuma ancora d'amore, gli occhi luminosi e ancora bagnati di lacrime, la serenità e la quiete che distendono i tratti del suo viso.

Le sorride, meravigliato dalla sua bellezza, dalla sua reazione.

< E' illegale, non potresti guardarmi così, sai? > Borbotta con imbarazzo, scivolando sul suo corpo per nascondersi nell'incavo tra il collo e la spalla come ha fatto lui poco prima, continuando ad accarezzare la sua pelle liscia e ad incrociare il suo sguardo.

< Posso chiederti cos'hai provato? Insomma... magari per un vampiro è diverso, forse le sensazioni non sono le stesse, forse non sono stata sufficientemente... brava... > Arrossisce, continuando a tracciare cerchi immaginari con la punta del dito indice sul suo petto.

< Stai farneticando, Audry. > Le sorride, baciandole una tempia, sussurrando per non infrangere l'incanto di quel momento.

Come potrebbe spiegarle che un'unione così completa non l'ha sperimentata neanche con Bella? Come può esprimere a parole le sensazioni che gli hanno sconvolto la mente e il corpo come se fosse stato appena investito da una tempesta deciso a neutralizzarlo? Come può anche solo pensare di riuscire a farle capire che, se il suo cuore potesse battere ancora, in quel momento, non avrebbe smesso di sentirlo rimbombare nelle orecchie come un tamburo? Come può convincerla che era stato qualcosa di molto più potente e distruttivo di qualsiasi cosa avesse mai conosciuto? I suoi ricordi, i suoi pensieri, le sue sensazioni, tutto aveva contribuito a renderlo partecipe, a fargli comprendere il suo amore e la sua devozione, una devozione che non era solo fiducia e rassicurazione, ma che consisteva, soprattutto, nell'essere disposti a privarsi di tutto pur di riuscire ad essere accanto alla persona desiderata e, anche se non poteva fare a meno di pensare a quanto non meritasse tutto quell'affetto, non poteva neanche fingere di non esserne lusingato, riconoscente e altrettanto devoto.

< Sei stata perfetta. > Continua, accarezzandole la schiena in punta di dita, sentendola rabbrividire.

< E sono ancora viva. > Completa per lui con un sorriso che sa di presa in giro.

< E sei ancora viva. > Ripete anche lui, ricambiando il sorriso e stringendola a sé con la voglia di non lasciarla andare più via.

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Capitolo 27
*** Rushed Quiet ***


Salve, salvino, salvemini!

Ok, perdonate il mio umorismo post-universitario -.-" Se molti di voi mi avevano ormai decretata "elettronicamente" morta, ta-daaan!, sono ancora viva e vegeta *risata malefica in sottofondo*.

A parte gli scherzi, mi dispiace per questo IMMENSO ritardo (e ci tengo a scriverlo in maiuscolo, con tanto di grassetto), ma era un capitolo difficile e la mancanza d'ispirazione mi ha fatto compagnia per un po', senza contare che non riuscivo a scrivere più di due righe al giorno e a volte era così frustante, che chiudevo il file dopo due minuti. Avevo tutto in mente, ma non si decideva a venir fuori in maniera decente e so che, chi di voi è anche una "scrittrice in erba" come me, possa capirmi.

Ergo, chiedo venia *.*, ma so che voi siete buone, gentili e mi volete taaanto bene, quindi mi accoglierete a braccia aperte, vero? *occhi supplichevoli/da cucciolo*

Prima di una piccola nota introduttiva al capitolo, ci tenevo a ringraziare le gentilissime persone che hanno letto lo scorso capitolo e coloro che hanno commentato pazientemente, senza tener conto di tutti quelli che hanno inserito la Ff tra le seguite/preferite/da ricordare <3 Non avete idea di quale onore mi fate *.*

Ecco, veniamo al dunque: so che questo capitolo risulterà piuttosto confusionario, specie nella seconda parte, ma non temete, perché le tenebre si diraderanno già a partire dal prossimo e se volete inveire contro Leonard nei commenti, fate pure, potete sfogarvi come volete e, se non ne avrete ancora abbastanza, posso inviarmi un bel punching-ball con la sua faccia xD

Detto ciò, direi di avervi fatto attendere già troppo, perciò vi auguro una buona continuazione di settimana e, come sempre, una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

P.S Scusate, ho dimenticato una cosa! Oltre al banner solito, ho pensato di mostrarvi un disegno che ho trovato per caso su Facebook e che mi ha ricordato moltissimo Edward e Audry e capirete perché non appena comincerete a leggere il capitolo *.* Hasta luego!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Drawing

 

 

 

Audrey si sveglia con calma, assapora ogni singolo istante: il sole pallido che riesce a fare capolino dalle persiane semi abbassate e che le riscalda piacevolmente la schiena, la sensazione di estremo benessere che la pervade, la mano fredda e gentile che le accarezza i capelli, quasi volesse cullarla, le gambe appena infreddolite, perché sono ancora intrecciate alle sue, le mani che cercano di allungarsi, a tentoni, verso il suo viso, i suoi capelli, facendolo sorridere e, automaticamente, facendo sorridere anche lei.

< Buongiorno. > Le mormora, baciandole la testa, stringendola a sé con attenzione e premura.

Audry, che fatica ancora a trovare le parole per descrivere quello che ha provato la scorsa notte, e che fatica ancor di più a trovarne, di parole, per descrivere cosa prova adesso al ricordo della notte ormai passata, si esprime in un semplice mugolio, a metà tra il desiderio di tornare a dormire, e quello di fare ancora l'amore con lui.

Ancora indecisa, allunga le braccia all'indietro, sbadigliando, e accoccolandosi, l'istante successivo, contro di lui, rendendosi solo vagamente conto di essere ancora nuda.

< Dimenticavo che nel tuo vocabolario la parola buongiorno non esistesse. > La rimprovera bonariamente, esibendosi nel suo sorriso storto, fermandole il cuore e il respiro.

< Non posso augurare buongiorno a qualcuno che, tecnicamente, non ha neanche dormito. > Si giustifica, decidendo di cambiare posizione per occupare la restante metà di cuscino e poterlo così guardare negli occhi.

Sono più scuri della sera prima, leggermente tendenti al bronzo, ma non hanno perso la loro bellezza, né la loro disarmante unicità.

< Basterebbe anche un ciao, allora. > Porta una mano ad afferrare uno dei suoi riccioli rossi, cominciando a giocherellarci assorto.

< D'accordo... > E nel mormorare il suo assenso, gli si avvicina maliziosa, studiando il suo viso e la sua espressione rilassata e divertita, nascondendosi nell'incavo tra il collo e la spalla, inspirando il suo profumo di muschio e sole.

< ... ciao... > Continua dopo qualche istante, avvolgendogli la vita con un braccio, intrecciando nuovamente le gambe tra le sue.

< Non dovresti nasconderti, sei bellissima. > Le sistema i capelli sulle spalle e le accarezza la tempia esposta, costringendola a rabbrividire.

Audrey sorride e arrossisce, aggrappandosi al suo collo, torturandogli i capelli corti della nuca e accarezzandogli le spalle forti.

< Mia zia è già andata via? > Chiede, invece, rifiutandosi di abbandonare il suo profumo deciso.

< Diversi minuti fa. > Risponde, sollevando appena il capo per annusarle il collo niveo e depositarvi un bacio leggero, scostandole appena i capelli setosi.

< Sa che sei stato qui, immagino. > Osserva, non senza una punta di imbarazzo nella voce e nelle guance.

< Ha ritrovato il tuo maglioncino nel salotto... sarebbe stato inutile nascondermi. > Le spiega, percorrendole il profilo del viso in punta di dita, come se Audry non fosse altro che un pianoforte rarissimo.

Annuisce e si stringe a lui, non importa quanto freddo possa essere.

< La cosa ti infastidisce? > Le domanda piano.

< No, certo che no. E' un po'... strano, tutto qui. Mia zia non mi ha mai vista in compagnia di nessun ragazzo, perciò... è solo leggermente imbarazzante. > Arrossisce ancora e lui sorride, intrufolando una mano sotto le lenzuola profumate e accarezzandole un fianco.

Perché è più semplice stringerla senza aver paura di farle del male?

Perché quando si è addormentata, non si è semplicemente rivestito ed è andato via?

In fondo, la mattina successiva alla loro prima notte, Bella non l'ha ritrovato accanto a sé, non ha goduto del buongiorno di cui ora gode Audry.

Si sente in colpa nei suoi confronti, nei confronti di Bella, di ciò che non ha potuto darle, di ciò che avrebbe dovuto avere, di ciò che, ora, sta donando ad un'altra donna, qualcuna che le assomiglia nello spirito e nell'anima, ma che non potrà mai, fino in fondo, essere come lei.

Sa che è ingiusto nei confronti di Audrey pensare a Bella, specialmente in un momento del genere, eppure non riesce a controllare le istantanee di vita passata che gli scorrono nella mente come un fiume in piena, estraniandolo dalla realtà, eppure non riesce a non rendersi conto che, nonostante tutto, Audrey sa benissimo cosa deve provare, sa benissimo come ci si sente.

Lo scruta un istante negli occhi ed è in grado di captare ogni suo singolo stato d'animo, ogni sua più lieve incertezza.

< Vorrei che mia madre fosse qui; mi sarebbe piaciuto fartela conoscere. > Sospira contro la sua pelle.

< Vi assomigliate molto? > Per un secondo ripensa alle immagini che ha potuto osservare brevemente nella sua mente, ma non riesce a mettere a fuoco il volto della donna dai capelli rossi come quelli di Audry.

< Ho una sua foto. > Audry sorride e allunga un braccio verso il comodino, aprendone il primo cassetto ed estraendo un fascio di fotografie tenute insieme da un elastico colorato.

Le porge ad Edward e riacquista la posizione precedente, gli occhi appena lucidi di nostalgia e rimpianti.

Lui osserva le foto con attenzione, il volto di una donna dai capelli mossi e rossi in primo piano, un sorriso aperto e sincero, molto simile a quello di Audry, il naso all'insù tipicamente francese, gli occhi del colore dell'acquamarina e i lineamenti delicati, eleganti. L'avesse vista per caso, una fotografia del genere, avrebbe capito subito che si trattava di sua madre.

< Era una donna bellissima e tu le assomigli moltissimo. > Le sorride, lanciandole un'occhiata gentile, sfogliando le altre foto che ritraggono Audry e la donna insieme.

< Jenna non fa che ripetermelo; dice che se fosse ancora con noi, sarebbe orgogliosa di me, di quello che sono diventata. > Fa spallucce, incerta.

E' sempre stata modesta e i complimenti espliciti non le sono mai piaciuti. Sa che sua zia non le mentirebbe mai, sa che, se le dice una cosa, è perché la pensa davvero, fatto sta' che, il più delle volte, non riesce a non figurarsi l'immagine dei suoi genitori che la giudicano, che ribadiscono le sue scelte, che litigano per lei. E' assurdo, perché è una cosa che non sarebbe mai potuta accadere; i suoi genitori l'amavano, l'avevano supportata sempre, nel bene e nel male, e avevano sempre cercato di trovare insieme a lei una soluzione ai suoi sbagli, mai le avrebbero fatto pesare un errore, una scelta sbagliata.

Forse è solo troppo critica con se stessa, forse non ha acquisito la consapevolezza necessaria per essere sicura di sé e delle sue capacità.

< E tu? Sei orgogliosa di ciò che sei? > Le chiede, mettendo via le foto e osservandola attento.

La vede sospirare e poi annuire.

< Non mi pento delle mie scelte e poi è inutile rimpiangere il passato. > Risponde infine con un sorriso dolce, accarezzandogli una guancia con il dorso di un dito, avvertendo la pelle liscia e fredda.

Edward rimane in silenzio, pensieroso, ma si lascia accarezzare, godendo del suo tocco leggero e del suo profumo delicato, beandosi della sua pelle calda e del rossore diffuso sulle guance che fa da contrasto con quello dei suoi capelli appena arruffati.

< Vuoi che ti prepari la colazione? > Le chiede, scostandole una ciocca di capelli dal viso e sorridendole tenero: Audry è come Renéesme, ha ancora bisogno di essere guidata e incoraggiata, ma, soprattutto, ha bisogno di amore e fiducia.

< Mmm... questo implica l'allontanarti da me? > Mugugna, chiudendo gli occhi e stringendosi a lui ancora di più, come un gattino desideroso di coccole.

< Solo per qualche istante. > Le bacia la fronte e le solletica la pelle sensibile del collo con la punta delle dita, facendola rabbrividire.

< Sono troppi. > Proclama.

Edward ride, divertito dalla sua reazione, poi, come se non pesasse affatto cinquantacinque chili, la solleva appena, adagiandola nella parte di letto che dovrebbe, teoricamente, occupare, coprendola con le lenzuola e il piumone.

Lui, invece, si mette seduto e comincia a rivestirsi con calma, anche se gli basterebbero una manciata di secondi.

Audry lo osserva; studia i muscoli della schiena che guizzano ad ogni movimento, le linee eleganti delle braccia, le gambe forti e si rammarica di non aver potuto imprimere, nella notte appena trascorsa, ogni più piccolo particolare di quel corpo che già ama.

Sospira impercettibilmente e si volta verso di lui, distendendo un braccio fino a sfiorarlo: la sua pelle, anche se fredda, le piace; è liscia e perfetta.

< Non ti accorgerai neanche della mia assenza. > Le mormora, baciandole la fronte e schizzando via.

Si stiracchia con piacere, occupando tutto il letto e sorridendo; sembra non sia capace di fare altro, ma la cosa non la sorprende come dovrebbe: era da tanto che non si sentiva così piena e viva e sa che una parte di queste sensazioni sono dovute proprio a colui che le sta preparando la colazione in cucina.

Decide di alzarsi, trascinando con sé il lenzuolo e arruffandosi i capelli con una mano, guardandosi intorno alla ricerca dei suoi vestiti, ritrovandoli poco dopo ammucchiati sulla vecchia sedia di vimini nell'angolo.

Afferra un cambio pulito e l'accappatoio azzurro e si dirige in bagno per concedersi una doccia.

Quando rientra nella stanza, non fa neanche in tempo ad afferrare un asciugamano per frizionarsi i capelli, che Edward fa irruzione dietro di lei, lo sguardo preoccupato e teso.

< Cosa succede? > Gli chiede, osservandolo afferrare un borsone dall'armadio, cominciando a riempirlo dei suoi vestiti.

< Dobbiamo andare. > E' la sua risposta concisa, mentre afferra una pila di magliette e le dispone velocemente nella borsa.

< Andare dove? Perché? > Confusa, Audry non riesce a fare altro se non osservare i suoi movimenti rapidi, ancora a piedi nudi, vestita solo dell'accappatoio, i capelli bagnati che le si appiccicano al viso.

< Vestiti, dobbiamo fare in fretta. > Le lancia un'occhiata decisa, che non ammette repliche, ma lei non riesce a muoversi, ha come l'impressione di avere i piedi incollati al pavimento.

Un attimo prima stava vivendo un sogno e adesso? Adesso é, all'improvviso, precipitata all'Inferno?

< Posso sapere che diavolo sta succedendo? > Alza la voce, riuscendo ad avvicinarglisi per bloccargli un polso e costringerlo ad alzare gli occhi su di lei.

< Non c'è tempo per le spiegazioni. Leonard sta venendo qui. > Si divincola con facilità dalla sua presa, richiudendo il borsone.

< E perché stiamo scappando? > Hanno già avuto modo di affrontarlo una volta senza il bisogno di nascondersi, perché adesso dovrebbe essere diverso?

< Perché adesso c'è qualcosa di più grande in gioco di Sarah. > Non aggiunge altro, scompare al piano terra e a lei non resta da fare altro che vestirsi in fretta e raggiungerlo.

< Dove andiamo? > Gli chiede quando, ormai, la sua casa è solo un puntino in lontananza.

< Dobbiamo parlare con Carlisle prima. > Accelera, schivando un paio di macchine.

< E Jenna? Non posso lasciarla sola. > Pensa a sua zia, ignara, nel suo negozio di libri antichi, dal profumo di cannella e chiodi di garofano; pensa al suo sorriso e alla sua gentilezza.

< Lei ha fatto la sua scelta, non ci sarebbe modo di farle cambiare idea. > Audry aggrotta le sopracciglia, stranita.

Scelta?!? Quale scelta? 

< Quale...? > Sta per domandargli, ma Edward fa segno di no con la testa e, in risposta al suo sguardo confuso, le stringe una mano.

Cosa sta succedendo, e perché lei sembra essere l'unica ad ignorarlo? Cosa c'entra sua zia e perché devono lasciarla sola, perché non possono proteggere anche lei dalla confusione e dal caos?

Ricambia la stretta di Edward e si morde le labbra per non fare domande, volgendo lo sguardo al paesaggio del bosco verso cui si stanno dirigendo.

 

Audry non ha neanche il tempo di varcare la soglia della lussuosa abitazione dei Cullen, che Renéesme le va subito incontro, lo sguardo preoccupato e teso.

< Stai bene? > Le domanda, come se si aspettasse di vederla ferita.

< Sì... perché? > Aggrotta le sopracciglia e si lascia guidare verso il salotto, facendo appena in tempo ad incrociare lo sguardo di Edward, prima che sparisca nello studio di Carlisle.

< Alice ha avuto una visione... > Renéesme si accomoda sul divano di pelle bianca e la trascina accanto a sé.

< Una... visione? > E' ancora più confusa; ricorda solo che Edward le aveva accennato di una sorella adottiva con poteri particolari, simili ai suoi, ma non ha mai avuto modo di fare domande.

< Alice ha questo... dono: riesce a prevedere le decisioni degli altri, prima che queste accadano. Le sue visioni non sono sempre precise, ma se qualcuno cambia idea, anche la visione cambia. E' piuttosto utile quando vuoi... controllare le persone, capisci? > Le spiega con calma.

< Ok, ma questo cosa c'entra con me e con mia zia? Perché devo scappare? > Vorrebbe poter rivolgere quelle domande a qualcun altro, a Carlisle magari, o ad Emmett, ma Renéesme sembra l'unica disposta a soddisfare la sua curiosità nell'immediato.

< Leonard ha... cambiato i suoi piani; voleva ritrovare sua figlia, voleva che lei sapesse di essere una Mezzosangue, ora le sue priorità sono cambiate. Tua zia non ti ha mai accennato della persona con cui ha trascorso queste ultime sere, con cui è andata a cena? > Sa che è così, sa che Audry ignora totalmente che colui che si è finto uno spasimante modello, sia in realtà il nemico da sconfiggere.

Audry scuote la testa in senso di diniego, poi, ricollegando tutte le tessere, trattiene il respiro come se stesse per immergersi sott'acqua.

< Vuoi dire che Leonard ha... > Non riesce a terminare la frase, ma non ce n'è bisogno, perché Renéesme annuisce e lei, senza che possa impedirlo, scatta in piedi e comincia a correre verso lo studio di Carlisle, verso Edward.

Renéesme, però, è più veloce di lei e riesce a bloccarla ad un passo dalla porta di legno chiaro.

< Non puoi farci niente, Audry! Il tuo intervento non la salverà! > Cerca di farla ragionare, afferrandole i polsi, cercando di riacquistare un contatto visivo.

< Non posso lasciarla morire! E' l'unica famiglia che mi rimane! > Continua a divincolarsi, cercando di sfuggire alla sua presa, mentre le lacrime le offuscano la vista.

Renéesme la sente cedere tra le sue braccia, come una marionetta a cui hanno tagliato improvvisamente i fili. Le gambe le cedono e lei si ritrova in ginocchio a nascondersi il volto tra le mani, i singhiozzi che si fanno sempre più forti, senza che lei possa fare nulla per impedirle di soffrire.

< Voi sapevate! Voi sapevate e non avete fatto nulla per impedirlo! > Urla in preda alla disperazione, ritrovando la forza per rimettersi in piedi.

< Avremmo messo in pericolo anche te, Audry... > Tenta di difendersi, ma senza successo, perché il furore di Audry è inarrestabile.

< Avrei potuto impedirle di uscire! Avrei potuto evitare che succedesse tutto questo! > Pesterebbe i piedi come una bambina, se solo la sua coscienza non continuasse a ricordarle che è una donna, ormai.

< Leonard è un vampiro, Audry! Non sarebbe bastato il tuo divieto per impedirgli di prendersi ciò che considera suo! > La raggiunge al centro della stanza e cerca di spiegarle le loro ragioni, i loro perché.

< Ma è mia zia, e voi avete permesso ad un assassino come Leonard di farla diventare la sua prossima preda. > Pronuncia quelle parole con una calma gelida che ha il potere di scalfire anche la fragile corazza di forza di Renéesme.

Non la lascia replicare e, ancora le lacrime agli occhi e i singhiozzi incastrati in gola, sale rabbiosamente le scale di legno che la conducono al piano superiore, aprendo una delle prime porte che le si presentano davanti, ritrovandosi nella stanza familiare di Edward.

Il letto a baldacchino è come lo ricorda: le coperte dorate, i cuscini morbidi e la piacevole sensazione di poter essere risucchiati in quell'ammasso confortante di morbidezza e calore.

Perché Edward non le ha detto come stavano le cose? Perché ha dovuto mentirle?

Si guarda intorno un istante, poi si stende sul letto e si raggomitola come un gatto, come se, in quella posizione, niente possa farle del male, come se possa non provare dolore.

Vorrebbe essere con sua zia, vorrebbe dirle quanto le vuole bene e quanto ha apprezzato il fatto di essersi presa cura di lei dopo la morte dei suoi genitori; vorrebbe abbracciarla e sentirsi scompigliare i capelli, vorrebbe raccontarle di Edward, di come era stato perfetto fare l'amore con lui la notte prima, di come si era sentita protetta e al sicuro; vorrebbe aiutarla a sistemare la spesa e a preparare la cena, vorrebbe insegnarle come infilare una cassetta nel video-registratore e come inviare un'e-mail, perché sua zia è negata con la tecnologia ed è più a suo agio con i libri che odorano di polvere e di storia, di epoche ormai perdute.

Vorrebbe, e invece è lì, a domandarsi il perché di tutto quel dolore, il perché delle bugie, il perché della sua strana sensazione di dejà-vu, del suo strano sogno in cui sua zia era a terra e lei non poteva più aiutarla, era troppo tardi.

Audry chiude gli occhi alle lacrime e stringe il lenzuolo tra le mani, come se bastasse a fermare il dolore.

Cosa vuole Leonard da lei?

Perché deve essere tutto così difficile?

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Capitolo 28
*** Could It Be Worse? ***


Salve!

Scusate se vi ho fatto attendere tanto per questo capitolo, ma purtroppo è periodo d'esami e solo questa settimana ne ho in programma tre, per cui chiedo venia :/

Mi rendo conto che con l'ultimo capitolo vi ho lasciato con un sacco di domande in testa e quasi nessuna risposta, ma mi auguro che con questo capitolo le cose inizino ad essere più chiare per voi :)

Che dire d'altro? Probabilmente la reazione di Audry alla vista di Edward, sebbene credo che voi tutti ve la siate immaginata peggiore di quella che la stessa ha avuto con Renéesme, vi stupirà, ne sono sicura e non so se in positivo o in negativo. In caso risulti in negativo, volevo soltanto dire a mia discolpa che Audry mi assomiglia e che, se mi fosse successa una cosa del genere, io avrei reagito esattamente così e poi, in fondo, è nelle corde di Audry una reazione così, no? Nella seconda parte del capitolo ho voluto lasciare un po' di spazio anche a Sarah, perché, volente o nolente, è anche lei un personaggio fondamentale in questa Ff ed è l'unica, fino ad ora, a non aver capito assolutamente nulla dell'intera faccenda, povera ;), quindi mi sembrava giusto dedicarle uno spazietto piccino-picciò :)

Detto questo, volevo ringraziare le gentilissime e bellissime persone che hanno aggiunto questa Ff tra le preferite/seguite/da ricordare, che hanno commentato l'ultimo e i precedenti capitoli e che mi hanno inserita tra le scrittrici preferite *.* no, ma dico, volete forse farmi morire? *.* <3

Vi ricordo che potete unirvi al gruppo che ho creato recentemente su Facebook dal titolo You thought you know me e che potete trovare esattamente QUI. Il mio profilo autore su Facebook è comunque attivo e continuerò ugualmente ad accettare amici anche lì, ma siccome non riesco ad essere molto presente con quell'account, visto che utilizzo più spesso il mio privato, ho creato il gruppo per interagire maggiormente con voi, sperando possa farvi piacere :)

Vi ho tediati abbastanza, quindi direi che non mi resta che augurarvi un buon inizio di settimana e, come sempre, una...

 

 

 

...Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si rende conto di essersi addormentata soltanto quando il cigolio della porta che si apre la sveglia.

Socchiude gli occhi, rendendosi conto che la stanza è al buio: dev'essere tardi e lei ha freddo, perché si è dimenticata di coprirsi prima di prendere sonno.

Vorrebbe voltarsi verso la porta per capire chi sia entrato, ma ha paura possa essere Edward, ha paura della reazione che potrebbe avere se lo vedesse, così rimane immobile. Cerca di regolarizzare il respiro per far credere a chiunque sia entrato che stia ancora dormendo profondamente e chiude gli occhi.

Cosa sarà successo a Jenna?

Sente il cuore sprofondare nel petto alla possibilità che l'abbia persa, che Leonard l'abbia davvero designata come sua preda.

Si morde l'interno di una guancia per non piangere e percepisce il passo vellutato e silenzioso di qualcuno che non desidera svegliarla e che ha circumnavigato il letto per poterle osservare il viso.

Il materasso si piega sotto il peso di un corpo familiare e quando si ritrova ad annusare l'aria in cerca di un indizio, avvertendo odore di miele e pioggia, suo malgrado, sorride appena: aveva ragione, è Edward.

Lo sente stenderlesi accanto con attenzione e portare una mano tra i suoi capelli scomposti per riordinarli, affinché non le diano fastidio. Lo immagina sorridere, una piccola smorfia che gli deformerebbe solo un angolo delle labbra sottili e morbide e poi accarezzarla con lo sguardo, con attenzione.

< So che non stai dormendo. > Le mormora vicinissimo al suo viso, tanto che avverte il suo respiro freddo sulla guancia.

Audry apre gli occhi e li fissa nei suoi, impassibile e fredda, come non ricorda di essere mai stata nei confronti di Edward.

Si studiano in silenzio, come due nemici prima della battaglia; non hanno il coraggio di muoversi, nessuno dei due, ma sembrano dirsi tutto con lo sguardo, in una conversazione muta che non riesce a decretarli vincitori sull'altro.

< Renéesme ti ha raccontato tutto... mi dispiace non averlo fatto io. > E' lui il primo a prendere la parola, ma, anche questa volta, Audry non sembra essere intenzionata a rispondere.

< Ti ho trascinata fuori di casa in tutta fretta senza una spiegazione e avresti tutte le ragioni del mondo per essere furiosa con me. > Continua, incontrando, quasi per caso, le dita della mano che lei ha nascosto sotto il cuscino.

Audry non si sottrae al tocco, ma non ricambia la stretta. Lo osserva in silenzio, l'espressione indecifrabile e le tracce salate delle lacrime ancora sulla pelle diafana.

< Volevamo proteggerti, volevo proteggerti e temevamo avrebbe fatto del male anche a te se fossi venuta a conoscenza dei suoi piani. Non potevo permetterlo e mi dispiace averti ferita, mi dispiace averti delusa, ma ho dovuto scegliere, ancora. > Sfiora i profili del suo viso con lo sguardo. Vorrebbe leggerle la mente, sapere cosa pensa di lui.

Non aggiunge altro, semplicemente, attende; qualsiasi cosa.

< Dì qualcosa, ti prego. > La supplica dopo diversi minuti, sfiorandole una guancia con un dito, accorgendosi di come debba essere infreddolita dalla pelle d'oca che si scatena al suo gesto delicato.

C'è un plaid dalla sua parte di letto e con la velocità che lo contraddistingue, Audry si rende conto, qualche istante più tardi, di essere al caldo, protetta.

Apre la bocca per dire qualcosa, anche un semplice grazie, ma si accorge di essere afona, di non riuscire a produrre neanche una sillaba, così, si morde le labbra e abbassa le palpebre, mentre una lacrima ripercorre il sentiero già tracciato dalle precedenti.

< Non... lei è... non... > Singhiozza e non riesce a terminare la frase, non riesce a pronunciare la parola morta.

Dovrebbe esserne capace, ormai, dopo quello che è successo ai suoi genitori. Ha sentito quella parola rimbombarle nelle orecchie per così tanto tempo, che era diventata qualcosa di immancabile anche nei suoi discorsi; adesso, però, non ci riesce, o forse non vuole.

Vorrebbe dormire ancora e non svegliarsi più, far finta che sia stato solo un brutto sogno, tornare indietro nel tempo a quando si è svegliata tra le braccia di Edward, serena, piena, senza pensieri. Rimandarlo indietro così tante volte, da imprimere quegli istanti nella mente, indelebili anche durante la sofferenza.

< Mi dispiace, Audry... > Edward la stringe in un abbraccio disperato e pentito e lei si afferra alle prime cose che ha sotto mano: i suoi capelli color bronzo, dapprima, poi il suo maglione e il suo collo e per un solo istante, è contenta che lui sia un vampiro e che non possa fargli del male, perché lo stringe così spasmodicamente da poterlo soffocare.

Vorrebbe urlare, e per un attimo l'istinto sembra avere la meglio, perché mugola qualcosa di indistinto tra le lacrime, poi si morde le labbra e si accontenta dei singhiozzi e del leggero movimento che Edward fa compiere al suo corpo mentre la culla come una bambina, cercando di calmarla.

< E' colpa mia... mi dispiace... > Le mormora Edward, accarezzandole i capelli e la schiena.

Audry si rifugia con il volto nell'incavo tra il collo e la spalla. Il suo profumo la confonde, come sempre, impedendole di rispondere, ma continua comunque ad accarezzargli i capelli e il collo.

Hanno bisogno di conforto entrambi e, anche se potrebbe sembrare lei quella in difficoltà, quella da proteggere, sono fragili insieme e insieme potrebbero cadere a pezzi. Nel loro abbraccio c'è tutto questo, la volontà di mantenere i pezzi in ordine e quella di non frantumarsi come ceramica.

Dovrebbe rimproverarlo, dovrebbe essere arrabbiata con lui, furiosa, oserebbe dire, ma non ci riesce e non ci riesce semplicemente perché sarebbe illogico, semplicemente perché non ha voglia di morire, lei, non ha voglia di sentirsi sola e vuota, non dopo che ha perso tutto, di nuovo. 

Tira su col naso e si asciuga le lacrime con il dorso di una mano, stringendosi di più a lui, permettendogli l'accesso sotto il plaid, anche se sa che non potrà riscaldarlo come sta riscaldando lei, solo per farlo sentire protetto, compreso e amato. 

< Ti raffredderai di nuovo. > Le fa presente, muovendosi per allontanarsi, ma Audry non vuole sentire ragioni, così lo strattona per il maglione e assume la sua espressione più perentoria.

Edward sospira e cede, come al solito, vinto dai suoi occhi tristi e dalle sue mani disperate.

La osserva raggomitolarsi contro il suo petto come un gatto, la testa all'altezza del suo cuore muto, i capelli rossi sparpagliati sul suo maglione.

Li riordina con le mani, sperando serva a rilassarla, anche se sente i muscoli della sua schiena completamente rigidi e contratti.

< Perché... perché mi hai detto che Leonard ha cambiato i suoi piani, perché ha dovuto rivedere le sue priorità? > Domanda in un sussurro, osservando le ombre della stanza.

< Ha capito che non avrebbe mai ottenuto quello che desiderava. > Risponde con un sospiro, intrecciando una mano con la sua.

< Gli avevo promesso che avrei cercato di mediare con Sarah, non era sufficiente? Non era quello che voleva, ritrovare sua figlia? > Non riesce ad impedire alla sua voce di assumere un tono deciso e accusatorio, ma non ce l'ha con Edward, non ce l'ha neanche con Renéesme, che ha ingiustamente accusato solo qualche ora prima; ce l'ha con Leonard e con se stessa, per non aver agito subito, per aver preferito attendere che Sarah familiarizzasse con l'idea dell'adozione prima di farle scoprire la vera identità del padre.

< Non pensava occorresse così tanto tempo e, in fondo, avresti davvero avuto il coraggio di confessare alla tua migliore amica che suo padre era un vampiro, un assassino che si nutre di sangue umano e che non conosce distinzione tra una belva e un uomo? > Cerca di farla ragionare, solleticandole piacevolmente il dorso della mano e i capelli.

< L'avrei fatto se solo mi avesse concesso più tempo... > Borbotta con disappunto.

Forse, però, dopotutto, Edward ha ragione: come avrebbe potuto ammettere con la sua migliore amica, l'unica che le era stata vicina sempre, che aveva mentito anche lei, che conosceva la storia della sua adozione da prima che lei ritrovasse quel certificato nel cassetto di Tessa? E come avrebbe mai potuto presentarle un uomo come Leonard, cercando di convincerla che era suo padre e che era diverso dagli altri esseri umani, che era un vampiro? Probabilmente l'avrebbe creduta una povera matta, la solita Audry che aveva troppa fantasia e che si rifugiava spesso e volentieri nei suoi sogni disturbati, invece di guardare in faccia la realtà.

Avrebbe perso anche lei e allora, cosa avrebbe fatto?

Sì, avrebbe potuto far parte anche lei della famiglia Cullen, come un'ennesima figlia adottiva, qualcuno da considerare parte della squadra, ma a cosa sarebbe servito se Edward si rifiutava di trasformarla, se non voleva che diventasse un mostro? Prima o poi si sarebbe stancata della normalità, prima o poi sarebbe invecchiata, avrebbe continuato a festeggiare compleanno dopo compleanno con la consapevolezza che si stava allontanando sempre più da tutti quelli che la circondavano e poi avrebbe potuto desiderare qualcosa di più, avrebbe potuto rendersi conto di essere pronta per il matrimonio, per avere un bambino; sarebbe stata disposta a rinunciare ad Edward per inseguire i suoi sogni, per sentirsi realizzata?

E Leonard? Sarebbe scomparso totalmente dalle loro vite, o avrebbe comunque trovato il modo di vendicarsi?

< Ne sei davvero sicura? > La domanda di Edward la riscuote dai suoi pensieri.

< No, forse hai ragione tu... forse non l'avrei fatto, non ne avrei avuto il coraggio... > Ammette a bassa voce, come se fosse vergognoso essere consapevoli delle proprie debolezze e fragilità.

< Non sarebbe stata una questione di coraggio, Audry. Tu vuoi bene a Sarah, avete condiviso tanto e c'è un motivo se vi fidate l'una dell'altra. Non volevi perderla, né ferirla ed è perfettamente normale e giustificabile e non devi fartene una colpa. > La osserva stendersi a pancia in giù e fare leva con gli avambracci per guardarlo negli occhi.

< Perché Jenna? Perché ha dovuto punire lei e non me? > E' una domanda difficile da porre, specie perché il suo cuore sta ancora sanguinando per la notizia di poco prima, specie perché la risposta potrebbe non essere altro che l'ennesima pugnalata.

< Era quello che avevi di più caro, l'unica persona più vicina ad una famiglia per te e poi, con me nei paraggi, non avrebbe mai potuto attaccarti direttamente senza richiamare la mia attenzione. Voleva ferirti, vendicarsi. > Spiega, sistemandole il plaid sulle spalle.

< Non cercherà più di avvicinare Sarah? Non vuole più conoscerla? > Si acciglia, perplessa.

< Probabilmente far del male a tua zia è stata solo la punta dell'iceberg. > Distoglie lo sguardo, fissandolo al soffitto nero.

< Che vuoi dire? > Domanda ancora, cercando di incontrare i suoi occhi.

< La sua vendetta non è ancora conclusa, Audry ed Alice non riesce ad avere visioni sui suoi progetti. Sembra non faccia altro che cambiare idea e questo non fa altro che confonderla. > Risponde infine, l'espressione indecifrabile.

Audry rabbrividisce: sono tutti in pericolo, così; non ci sarebbe modo di tenere sotto controllo tutte le persone alle quali tiene, tutti gli obiettivi più fragili che Leonard potrebbe colpire.

La suoneria di un cellulare la spaventa e la porta a voltarsi verso il borsone ai piedi del letto che Edward ha preparato per lei prima di raggiungere casa Cullen. Era stato così previdente, da aggiungere anche l'unico oggetto che probabilmente lei non avrebbe mai portato con sé, oltre ai suoi vestiti.

Si scambiano un'occhiata perplessa prima che Audry possa liberarsi del plaid e gattonare fino all'estremità del letto per rovistare alla ricerca dell'aggeggio.

Quando lo estrae e sullo schermo legge il nominativo di Sarah, non ci pensa su due volte e risponde all'istante, preoccupata.

< Audry... dove sei? > La sua voce è preoccupata e sembra sia sul punto di piangere.

< Sarah, che succede? Stai bene? > Lancia un'occhiata anche ad Edward, lo sguardo spaurito di chi pensa stia per succedere il peggio.

< Audry, Jenna è... è in un mare di sangue, Audry e tu non c'eri ed io ho pensato che fossi... > Non riesce a continuare perché le lacrime la sopraffanno.

Audry registra l'informazione e, per un momento, sente l'aria venirle a mancare dai polmoni, sente il cuore accelerare e gli occhi bruciare, poi sente la stretta forte e sicura della mano di Edward chiudersi intorno alla sua e, anche se ha paura, anche se probabilmente sarà difficile affrontare quello che verrà, si rende anche conto che non può mollare, che deve essere forte e che Sarah, contrariamente a lei, non conosce tutti i dettagli della vicenda, non può ancora capire.

< Sarah, Sarah, ascoltami: devi andare via da lì, va bene? Non è sicuro e... non posso spiegarti tutto per telefono, ma devi fidarti di me, ok? > Cerca di mantenere un tono di voce sicuro e calmo, non vuole spaventarla.

< C-cosa devo fare? > Chiede tra i singhiozzi e le lacrime.

< Ricordi la strada per arrivare dai Cullen? > Spera di sì, spera che sia ancora in grado di concentrarsi abbastanza da aver registrato il percorso che l'aveva condotta a casa di Edward diverso tempo prima.

< Sì, credo di sì, perché? > Audry sente la portiera di una macchina chiudersi e un motore accendersi.

< Devi venire qui, Sarah e devi fare in fretta, d'accordo? Ti spiegherò tutto. > Le promette.

< D'accordo, d'accordo, farò in fretta. Tu stai bene? > Le domanda, spingendo sull'acceleratore e imboccando la statale.

< Passerà. > Sospira, mettendo fine alla comunicazione.

< Vuoi davvero dirle tutto? > Le domanda Edward, abbracciandola e baciandole una tempia.

< Glielo devo. Ha visto mia zia... morta e... insomma, ha diritto di sapere quello che sta succedendo. > Risponde sicura.

 

Ad accogliere Sarah, ci pensa Esme, che, senza che lei abbia anche solo il tempo di dire nulla, la stringe in un abbraccio confortante, che sa di protezione, amore e affetto. Vorrebbe piangere, ma trattiene le lacrime e lo fa per Audry che osserva avanzare verso di lei, pallida in volto come se avesse appena visto un fantasma, gli occhi lucidi, i capelli arruffati e una mano che stringe, all'altezza della vita, la maglietta di Edward.

E' così piccola e fragile in quel momento, che la sente quasi frantumarsi sotto il suo sguardo triste e preoccupato.

Si separa dall'abbraccio di Esme con dolcezza, ringraziandola con un sorriso e si avvicina alla sua migliore amica, la voglia di poter alleviare il dolore immenso che sa che sta provando e la consapevolezza di essere totalmente impotente.

< Problemi durante il tragitto? > Si informa Edward, lo sguardo accigliato e l'aria tesa e preoccupata.

Riesce solo a scuotere la testa, gli occhi ancora fissi su Audry.

< Jenna... lei... è, insomma... > Riesce a mormorare flebilmente, le lacrime che vogliono sopraffarla.

Audry annuisce e abbassa lo sguardo.

< Lo so. >

< Ma perché? Insomma... lei non ha fatto del male a nessuno, lei... > Sospira e cerca di riprendere il controllo dei pensieri e della voce.

< E' una lunga storia ed è il momento che anche tu ne venga a conoscenza. > Le risponde mesta, allentando la stretta dalla maglia di Edward, tirando su col naso e precedendola verso il salotto.

< Vuoi che rimanga con te? > Edward sembra spaventato, le stringe un polso con dolcezza e la scruta negli occhi.

Sarah non ha mai visto tanto amore in un solo, semplice sguardo e, anche se non dovrebbe, arrossisce, come se stesse succedendo a lei.

< Posso farlo da sola, ma se dovessi... > Audry non ha neanche bisogno di terminare la frase; Edward la stringe in un abbraccio e le accarezza i capelli, baciandole la testa.

< Sarò di là con Esme, in caso di bisogno. > La rassicura, lanciando un'occhiata anche a Sarah che annuisce.

Prendono posto entrambe sul divano di pelle bianca, vicine e Audry raccoglie le ginocchia al petto, come se ciò servisse a proteggerla.

< C'è una cosa che non sai su Edward. > Comincia, lo sguardo fisso sul tappeto color antracite al di sotto del tavolino da caffè in vetro.

< Probabilmente sono molte le cose che non so di lui, perciò... > Ma Audry la interrompe, scuotendo il capo.

< E' una cosa importante, questa; non è come scoprire qual è il suo piatto preferito, la musica che gli piace, è qualcosa di diverso. > Cerca di spiegarle.

< Ok. Va bene. Tutto qui? > Domanda, voltandosi verso di lei, non solo con il capo, ma anche con il corpo, liberandosi delle scarpe, sovrapponendo le gambe.

< Lui è un vampiro, Sarah. > Preferisce dirlo subito, senza troppi preamboli. Si sente immediatamente più leggera, più libera.

< Un vampiro? Intendi, quei personaggi dei film, con tanto di canini aguzzi, che dormono in bare, vestiti di nero, che se ne vanno in giro a dissanguare vergini? > Aggrotta le sopracciglia. Forse lo shock per la morte di Jenna le ha provocato qualche allucinazione.

< Sì, solo un po' diversi. Lui non dorme in una bara, non va in giro a nutrirsi del sangue delle vergini e non veste sempre di nero. > Alza gli occhi su di lei, incredula che non abbia cominciato a urlarle contro di essere una pazza svitata.

< Sì, certo. Audry, sicura che vada tutto bene? Mi sembri piuttosto sconvolta e posso capirlo, con quello che è successo a tua zia, ma forse non dovresti... > Viene interrotta ancora.

< No! Non va bene, Sarah! Non sto bene, ok? Mia zia è morta ed io ho dovuto mentirti per tutto questo tempo su Edward, su tuo padre e... > Le lacrime si fanno strada sul suo volto pallido e i singhiozzi le impediscono di parlare.

< Mio padre? Che vuoi dire? > E' attenta adesso e sembra non curarsi delle sue lacrime.

< So chi è, l'ho sempre saputo, per tutti questi mesi. E' un vampiro, Sarah ed è stato lui ad uccidere mia zia. > Non era esattamente così che avrebbe voluto comunicarla la notizia, ma sapeva che, se solo Sarah avesse dato segno di non crederle, lei sarebbe esplosa.

< Ma cosa stai dicendo? Un vampiro? Audry, i vampiri non esistono, sono solo delle stupidissime invenzioni! E tua zia potrebbe essere stata uccisa da chiunque! Non posso starmene con le mani in mano, devo chiamare la Polizia e mandarla a casa tua, loro troveranno una spiegazione alla vicenda... > Sembra stia parlando tra sé, infilandosi nuovamente le sue scarpe da tennis blu.

Audry non ha il coraggio di fermarla; riesce solo a piangere, come una bambina.

Forse non è stata una buona idea volerla informare della situazione, forse non avrebbe dovuto dirle tutto, o quasi. 

Sente i suoi passi allontanarsi, ma prima che la porta di casa si apra e si richiuda, sente la voce di Edward e quella di Carlisle.

< Non puoi chiamare la Polizia, Sarah. > La voce di Edward è dura e inflessibile, non ammette repliche.

< Non risolverebbero la situazione. > Continua Carlisle.

< Voi siete impazziti! Come sarebbe a dire! Dovremmo seppellirla così, senza che abbia giustizia? > Si oppone lei, cocciuta e testarda.

< Possiamo occuparcene noi, tu dovresti rimanere vicino ad Audry. Ha bisogno di te, ha bisogno che tu le creda. > Carlisle le poggia le mani sulle spalle, come un padre e lei si calma, come per magia, come se avesse ritrovato il lume della ragione, come se tutto le fosse improvvisamente più chiaro, limpido come acqua di fonte.

Sospira rassegnata e lascia cadere la mano ancora aggrappata alla maniglia. Non vuole più andare via.

< Voi siete davvero... vampiri? > Riesce a pronunciare alla fine, osservando i loro volti bellissimi e pallidi, le iridi dorate e splendenti come ambra.

< Sì, e anche tuo padre lo è. Sei come Renéesme, una mezzosangue: metà vampira, metà umana. > Le spiega con dolcezza e fermezza.

< Io sono... una vampira? > Quasi le viene da ridere.

< Per una parte sì, lo sei. Sei in tutto e per tutto simile ad un essere umano. > Carlisle le sorride appena.

< E quindi voi vi nutrite di sangue? > Rabbrividisce e Carlisle deve notarlo, perché le sorride più apertamente, rassicurandola.

< Sangue animale, non umano, a differenza di... beh, di tuo padre, Leonard. > Non ci sono altre parole per spiegarlo, non c'è modo di indorare la pillola.

< E' stato davvero lui ad uccidere Jenna? > I suoi occhi si fanno tristi e cupi.

< Sì. Purtroppo sì. > Trattiene le lacrime, nonostante tutto, mordendosi un labbro, mentre Carlisle le stringe un braccio a mo' di conforto, anche se non esiste cura ai dolori del cuore.

< I-io... forse è meglio se vado da Audry... > Si divincola dalla sua stretta e abbassa lo sguardo per non lasciar intravedere le lacrime, per fingere di non star soffrendo.

Non aveva più una famiglia.

Aveva urgente bisogno di essere abbracciata e, come se non bastasse, suo padre era un assassino ed aveva appena ucciso l'unica persona al mondo sulla quale Audry avrebbe potuto mai fare affidamento.

Poteva andare peggio?

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Capitolo 29
*** Normal ***


Salve, salvino, salvemini!

Ok, battuta pessima, lo so, ma oggi sono così, quindi lasciatemi sfogare xD Ancora una volta devo cominciare questo aggiornamento con delle scuse per il ritardo ç.ç

Non sono praticamente riuscita a scrivere niente nelle settimane scorse (dannato caldo e dannata ispirazione, oh!) e gli esami hanno fatto il resto. Adesso respiro un po' d'aria fresca, finalmente, visto che mi mancano due esami per concludere la sessione estiva, poi per gli altri se ne parla a settembre, così potrò dedicarmi ben benino alle mie Ff :)

Ma bando alle ciance, devo avvisarvi che questo capitolo sarà più corto dei precedenti: primo, perché inserire un'altra scena avrebbe significato dividere il capitolo in due parti, non potendo garantirvi tempi brevi per la pubblicazione del successivo; secondo, perché, appunto, la scena successiva, così come l'ho in mente io, è abbastanza lunga e sarebbe venuto fuori un polmone da leggere e da digerire anche, quindi ho pensato fosse meglio così.

Sostanzialmente, in questo capitolo non succedono grandi cose, non abbiamo grandi rivelazioni o che, ma mi serviva per "staccare un po' la spina" dal capitolo precedente e per far "socializzare" un po' Sarah e Edward *-*

Credo di avervi fatto attendere abbastanza, quindi, mi limito solo a ringraziare tutte le persone che hanno letto il precedente capitolo, che hanno commentato, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno inserito me tra gli autori preferiti *-* GRAZIE! <3

Vi auguro un buonissimo fine settimana e una...

 

 

... Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sara attraversa il piccolo corridoio che la condurrà nuovamente nel salone con un senso di angoscia e impotenza che, per un attimo, la spaventano; lei, che non si è mai sentita così sola, così maltrattata, così abbattuta. E se pensa a quello che deve provare adesso Audry, la ferita non fa che sanguinare ancora più copiosamente: brucia e non c'è medicina, non ci sono garze o cerotti, che possono guarirla.

Audry è ancora rannicchiata sul divano, ma, questa volta, è tra le braccia di Edward che cerca conforto, mentre lui le accarezza i capelli e le asciuga le lacrime con il dorso di un dito.

Prende posto sul cuscino disponibile, osservandoli, sentendosi un po' come una terza incomoda. Edward è ancora un estraneo per lei e si sente a disagio in sua presenza, soprattutto perché non ha fatto altro che convincere Audry a lasciarlo andare, a cercare qualcosa di migliore. 

Si dà della stupida per quei giudizi troppo affrettati, per aver anche solo messo in discussione il fatto che Audry potesse esserne davvero innamorata.

E' un tipo di amore, di devozione, oserebbe dire, che lei non ha ancora sperimentato: si parlano con gli occhi, non hanno bisogno di parole, e sa che potrebbe essere una frase da poeti, di quelle che lei detesta così tanto, perché cosa fanno, in fondo, i poeti, se non mettere in versi verità riconosciute da tutti?

Edward le lancia uno sguardo, come se si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento, e lei arrossisce e abbassa gli occhi, torturandosi le mani per la vergogna.

< Hai fatto bene a farlo, sai? > Le mormora, mentre sistema Audry accanto a sé, facendole stendere le gambe e coprendola con un plaid. Alla fine, stremata dal dolore e dalle lacrime, si è addormentata come una bambina.

Sarah si accorge che si rifiuta di lasciargli la mano e Edward, dopo qualche insistenza, si rassegna e ricambia la stretta, sorridendo dolcemente, sistemandole qualche ciocca di capelli ribelle.

< A fare cosa? > Chiede confusa, ritornando con lo sguardo al suo viso.

< A consigliarle di trovare qualcosa di migliore. > Le sue labbra sottili si deformano in una smorfia contrita, ma non arrabbiata.

< Tu... come...? > Le legge nel pensiero?

< Perdonami, non avrei dovuto, ma il più delle volte non mi rendo neanche conto di farlo; riesco a leggere nella mente delle persone che mi circondano. > Spiega, mentre Audry cambia posizione e mormora il suo nome. Edward le accarezza una guancia con premura e attenzione e lei sorride, sorride nel sonno, rassicurata.

< Oh... beh... io, ecco... non so perché l'ho fatto; insomma... non avrei avuto il diritto di giudicarti, pensavo solo che... > Balbetta, colta alla sprovvista, in imbarazzo.

< Non devi sentirti in colpa, l'hai fatto per il suo bene, lo so. Ho provato a farla ragionare, a dirle che, forse, avrebbe fatto meglio a seguire il tuo consiglio, a dare una possibilità a quel Michael, ma lei è così testarda... e mi ricorda così tanto Bella, che non riesco a separarmi da lei. E' egoistico da parte mia, lo so, ma è così. > Osserva Audry con tenerezza, come se fosse un gioiello a lungo cercato, come se fosse qualcosa di inestimabile valore, da proteggere ad ogni costo.

< L'amore lo è; egoista, intendo. > Si ritrova a rispondere, facendo spallucce.

Edward scuote la testa, distogliendo lo sguardo da Audry e puntandolo su di lei.

< La lascerei andare, se volesse; non posso obbligarla a vivere una vita che non desidera. La lascerei andare. > Sarah nota malinconia e tristezza nel suo sguardo, come una vecchia ferita che si riapre, come qualcosa che torna a fare male.

< Bella... lei era tua moglie, vero? > Preferisce chiederlo, piuttosto che pensarlo.

< Sì, lo era. > Le sue iridi cambiano colore, come se avesse premuto un pulsante, o girato una manovella; assumono una sfumatura di dorato meravigliosa, che a Sarah fa pensare ai ricordi, ai vecchi album di foto dei suoi nonni e che Tessa le faceva sfogliare sempre quando era piccola. Forse anche Edward sta ricordando, forse anche lui sta rivivendo un passato che non c'è più.

< E' stata una donna fortunata. > Non sa neanche lei perché lo dice; non si può entrare in simbiosi con un'altra persona così in fretta, non si può cambiare idea su qualcuno così velocemente, ma le sue labbra lasciano uscire quelle parole prima che abbia anche solo il tempo di rendersene conto.

Edward sorride amaramente, abbassando lo sguardo.

< Fortunata... non è esattamente l'aggettivo che utilizzerei per descrivere la sua vita... > Risponde.

< Ha avuto qualcuno che l'amava al suo fianco: è stata fortunata. > Ribatte. Tessa non ha avuto la stessa sorte; è stata abbandonata da suo marito quando lei è stata lasciata sulla soglia di casa, e si è sempre rifiutata di cercare qualcun altro, adducendo come scusa il fatto che aveva lei, non era sola.

Le sue parole sono dure, sicure ed Edward non ha il coraggio di ribattere. Ha amato Bella, non può negarlo, probabilmente continua ad amarla, sebbene in maniera diversa, ma cosa ne ha ricavato lei da quell'amore? Sofferenza e morte e una figlia che non ha avuto la possibilità di conoscere, di crescere, di amare.

Non era ciò che lui avrebbe definito fortuna. 

Non è quello che desidera per Audry.

Si volta a guardarla, placidamente addormentata, le labbra schiuse, un braccio accanto al suo viso, la mano che si rifiuta di lasciare la sua, il suo respiro tranquillo e profondo.

< Non ho mai conosciuto nessuno in grado di amare così... così profondamente. > Anche Sarah osserva il volto della sua migliore amica, così fragile, come vetro, come porcellana.

Edward sorride appena e si morde un labbro nel tentativo di mascherare i suoi sentimenti.

< Non è mai stata capace di fare altro, vero? Di amare con tutta l'intensità che conosce, con tutte le sue forze, intendo. > Commenta alla fine, spostando gli occhi su di lei. In questo è simile a Bella: non riesce a fingere i suoi sentimenti, non riesce a nascondere le sue emozioni, e non riesce ad amare gli altri come se fosse un passatempo; lo fa come se ne dipendesse la sua stessa vita, come se non avesse altri mezzi a disposizione.

< Non parlavo di lei; parlavo di te. > Sarah gli rivolge un sorriso comprensivo. Non è difficile leggere Edward, anche se lei non ha i suoi poteri.

Lo vede allargare gli occhi, quasi non potesse credere alle sue parole e lo vede ritrarsi contro lo schienale del divano, come se gli fosse stato lanciato addosso qualcosa, come se lo avesse sorpreso un brivido di consapevolezza.

< Credi di non esserne capace, vero? Credi di essere la persona sbagliata per amare e per ricevere amore, non è così? > Sarah sposta gli occhi sulle sue stesse mani che si torturano a vicenda. E' abituata a studiare gli altri e la sua mente razionale glielo permette senza difficoltà, senza coinvolgimenti devastanti.

Edward non risponde; in compenso, non sposta gli occhi dalla sua figura, mentre la stretta sulla mano di Audry è aumentata impercettibilmente.

< Ma non puoi fare a meno di lei o lei di te; è un circolo vizioso, che vi porterebbe alla distruzione. > Come fa a saperlo? Come fa a capire? 

Sarah sembra leggere il suo sguardo curioso e stranito, e sorride appena.

< E' quello che succede a tutti quando si è innamorati: si pensa di non essere pronti, si crede di non meritarlo tutto quell'affetto, si ha paura di fare del male, di ferire l'altro, ma, in fondo, non si può fare a meno di lui, anche se si cerca di allontanarsene. > Fa spallucce, ovvia.

Forse è così, forse succede davvero a tutti, forse hanno tutti paura dell'amore, di quella forza indescrivibile capace di mettere in moto il mondo; ha paura anche lui, paura di non essere all'altezza, di non sapere amare Audry nel modo giusto, di farle del male, di poter essere uno sbaglio, una perdita di tempo per lei, ancora così giovane, ancora impregnata di voglia di vivere, di costruire, di cambiare, mentre lui rimarrà sempre lo stesso, immutabile.

< Dovresti avvisare tua madre: sarà in pena per te. > Le fa presente con un sorriso lieve di gratitudine.

< Posso restare a fare compagnia ad Audry, se per voi non è un problema. > Propone.

< Certo, quanto vuoi. > Annuisce, continuando a sorridere.

Audry mormora il suo nome ancora una volta, corrugando le sopracciglia, come se stesse avendo un incubo, come se stesse vivendo qualcosa che non comprende, voltandosi da un lato, per poi socchiudere le palpebre e rilassarsi, ormai sveglia.

< Dove...? > Prova a dire, ma non sa neanche lei cos'è che vorrebbe chiedere.

< Shh! Dovresti provare a riposare, sai? > Edward le sorride e le accarezza una guancia, mentre Sarah si allontana per poter telefonare in tranquillità.

< Non sono stanca. > Protesta, mettendosi seduta, cercando il suo profumo nell'abbraccio freddo che non le riesce a negare.

< Sono state ore difficili per te... > Ma non riesce a terminare la frase, perché lei lo interrompe, sistemandosi su di lui a cavalcioni per poterlo guardare negli occhi, accarezzandogli con una mano i capelli corti della nuca, solleticandolo piacevolmente.

< Ti ho sognato, sai? Eravamo nel giardinetto segreto della casa nel bosco, accanto al laghetto, seduti nell'erba alta ed era l'alba. C'era così tanto silenzio e così tanta quiete, ma era... strano, diverso, come se io fossi stata un'altra persona, come se la mia vita fosse cambiata nel giro di un battito di ciglia. > Racconta perplessa.

Edward la osserva e ripensa a ciò che ha visto soltanto la notte prima, mentre facevano l'amore, il volto di una Audry trasformata, forse solo nel corpo, ma comunque diversa.

< Sta cambiando tutto per te, è normale esserne spaventati. > Le mormora, sistemandole i capelli dietro le orecchie con attenzione. Ha sognato anche la casa che avrebbe dovuto essere il simbolo del suo matrimonio con Bella, un ennesimo regalo di nozze; la stessa casa dalla quale era scappata.

< E' solo questo? Solo paura di cambiare? > Domanda in un sussurro, come a cercare conferma.

< E' normale avere paura, Audry; tutti hanno paura. > Le risponde, evitando la sua domanda diretta. Cosa dovrebbe risponderle, altrimenti? Che non è sicuro si tratti solo della questione di non avere più una famiglia? Che teme possa succederle dell'altro? Che c'è la remota possibilità che diventi una di loro? La spaventerebbe e lui non vuole questo. Fin quando Alice non riuscirà a fare chiarezza tra le sue visioni, non ci sarà niente di sicuro.

< Sarah ha paura dei ragni... > Pensa ad alta voce, corrugando le sopracciglia ed Edward sorride, perché sa che è il suo modo di alleggerire il discorso.

< Dei ragni? Davvero? > Deve avere una faccia buffissima, perché Audry scoppia a ridere, arrossendo.

< Sì, diventa isterica quando ne vede uno. Secondo me ha paura di contrarre il virus di Spiderman. > Scherza, avvicinandosi al suo viso con fare cospiratorio.

< Il virus di Spiderman... > Ripete lui, incantato dalle sue labbra troppo vicine.

< Sì, sai, lui all'inizio è un ragazzo normale, una specie di sfigato, se vogliamo e poi, tutto a un tratto, viene morso da questo ragno e si trasforma in un supereroe che salva New York dalla criminalità. > Fa spallucce, allontanandosi per tornare a guardarlo negli occhi.

< A proposito... > Continua, guardandosi intorno. < ... come l'ha presa? Voglio dire... che voi siete vampiri e che suo padre ha ucciso Jenna... > Abbassa lo sguardo e comincia a torturarsi le mani, gli occhi di nuovo improvvisamente lucidi.

< Lei ti vuole bene, Audry e non ti lascerà mai, di questo ne sono sicuro. Dovreste parlarne, di nuovo. > Le accarezza i capelli, sfiorandole la linea del collo niveo e perfetto.

< Già, forse dovremmo. > Concorda, alternando lo sguardo dai suoi occhi alle labbra sottili, il desiderio di baciarlo.

E' così indecisa, o forse vuole soltanto pregustare al meglio quel momento di estasi che precede l'incontro con le labbra di Edward, che sembra dimenticare di avvicinarsi, tanto che è lui a prendere in mano le redini della situazione e a baciarla dolcemente, gli occhi chiusi e il profumo di lei che, come sempre, lo stordisce.

Audry gioca con i suoi capelli corti, stringendoli e tirandoli e lui, in risposta, emette un verso che è a metà tra sofferenza e voglia di continuare, facendole pensare ad un gatto che fa le fusa.

D'altro canto, Edward si aggrappa ai suoi fianchi, riprendendo confidenza con le curve del suo corpo, fin quando lei non si separa controvoglia dalle sue labbra in cerca di ossigeno, gli occhi ancora chiusi e le labbra più rosse.

Stringe il colletto della sua camicia azzurra tra le dita e appoggia la fronte sulla sua spalla, apprezzando il tocco freddo delle mani sulla schiena e tra i capelli.

< Tutto bene? > Le domanda dopo qualche istante, stringendola a sé.

Audry annuisce e ricambia la stretta, cercando di fare scorta del suo profumo di muschio e sole.

< Hai bisogno di cacciare, vero? > Gli chiede, accarezzando la pelle fredda della guancia, perdendosi nei suoi occhi non più tendenti al bronzo.

< Non possiamo allontanarci troppo; cacceremo nei dintorni e tu rimarrai qui con Renéesme, Jacob e Sarah. > Le spiega, imprigionandole una mano tra le sue e tracciando cerchi immaginari sul suo palmo.

< Pensi che verrà a cercarmi? Credi che voglia uccidere anche me? > Dovrebbe esserne spaventata, dovrebbe temere Leonard, in fondo, ha visto cosa è in grado di fare, ma sente solo una forte pena e un'acuta disperazione, non per lei, ma per tutti coloro che, consapevolmente o meno, ha trascinato con sé in quel vortice, a partire da Sarah.

< Non ti farà del male, non finché noi saremo qui, te lo prometto. > La rassicura, lo sguardo deciso e fermo.

Audry scuote la testa e abbassa lo sguardo.

< Non è per me che mi preoccupo, ma per voi, per Sarah, per Jacob, per Renéesme; loro non c'entrano con tutta questa storia, eppure la mia codardia li ha trascinati in un vicolo cieco. > Sospira.

< Audry, nessuno ti sta accusando per quello che è successo! La colpa è solo di Leonard e della sua irresponsabilità. > Vorrebbe aggiungere dell'altro, vorrebbe essere più convincente, ma Sarah rientra nella stanza, sorridendo appena, riprendendo posto sulla poltrona, giocherellando con il cellulare che regge ancora in mano.

< Ho interrotto qualcosa? Se volete posso... > Comincia, arrossendo d'imbarazzo, ma Audry la interrompe.

< No, va tutto bene. > Le sorride, scostandosi dal corpo di Edward per prendere posto accanto a lui, un ginocchio al petto.

< Sarà meglio che vada a definire gli ultimi dettagli con Carlisle, non manca molto al tramonto. > Si alza in piedi e poi si sporge verso Audry per baciarle la fronte e accarezzarle i capelli.

< Sta' attento. > Gli sussurra, incontrando una sua mano.

< Non ti accorgerai neanche della mia assenza. > Gli mormora in risposta prima di allontanarsi verso lo studio di Carlisle.

Trascorrono qualche istante in silenzio e, proprio quando sembra che Sarah sia intenzionata a rompere il ghiaccio, fanno il loro ingresso Jacob e Renéesme con un vassoio colmo di tramezzini.

< Esme ha pensato che dovevate avere fame. > Jacob sistema il vassoio sul tavolino da caffè, servendosi per primo, seguito da Renéesme, che si sistema accanto ad Audry e le sorride, come se la sera prima lei non l'avesse accusata di essere una bugiarda e un'egoista.

Audry ricambia il sorriso e arrossisce, sporgendosi verso il vassoio per afferrare un tramezzino, rendendosi conto solo in quell'istante di quanta fame ha, lanciando un'occhiata anche a Sarah, che non sembra più così spaesata e fuori luogo come quando Esme l'ha abbracciata nell'ingresso.

Osserva Renéesme e ripensa alle parole di Carlisle, al fatto che è come lei, che è nata dall'incrocio tra un vampiro e una donna umana, esattamente come la figlia di Edward e si ritrova a domandarsi come possa essere possibile, come abbia potuto rimanerne all'oscuro per così tanto tempo, perché nessuno le ha mai detto che era stata adottata. Ma Carlisle potrebbe essersi sbagliato, no? In fondo, lei non è bella come Renéesme, non ha la sua eleganza, o il suo modo aggraziato di camminare, come se stesse danzando, la sua voce simile ad una scrosciata di campanellini.

Se fosse semplicemente e banalmente normale?

Se fosse tutto un brutto sogno, un incubo?

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Capitolo 30
*** Pieces ***


Buonasera a tutte!

Or dunque, come al solito, direi che mi tocca scusarmi, ma non ho scuse abbastanza convincenti, se non la mia totale mancanza di ispirazione, quindi, chiedo solo venia per il ritardo con cui mi ritrovo a postare, che, se mi seguite da sempre, è una costante per me :)

Spero di risolvere alcuni dei vostri dubbi con questo capitolo, specialmente con la seconda parte u.u

Mi vedo costretta, inoltre, a farvi un annuncio: dopo questo non ci saranno aggiornamenti per circa un mese e questo, non perché vado in vacanza o cose simili, ma perché ho bisogno di staccare un po' la spina da questa storia e da questi personaggi, devo riflettere bene sull'ultima parte della Ff e non voglio che la fretta di postare o il caldo combinino qualche guaio, quindi, probabilmente, riprenderò la scrittura la settimana precedente a quella di Ferragosto e, forse, pubblicherò un capitolo; in caso contrario, pubblicherò dopo il 15 Agosto, nella settimana successiva, ispirazione permettendo. Ci tengo a precisare, che non abbandonerò questa storia e che ho solo bisogno di un po' di tregua, tutto qui. Per tutti gli aggiornamenti su aggiornamenti e simili, c'è il mio Gruppo su Facebook: You thought you know me al quale potete tranquillamente richiedermi l'accesso, specificando il vostro nick su EFP.

Ringrazio tutte le persone che hanno letto, commentato, sbirciato lo scorso capitolo e che hanno aggiunto la Ff alle preferite/seguite/da ricordare e che hanno aggiunto me agli autori preferiti *.* GRAZIE MILLE! <3 Non avete idea di cosa significhi per me ç.ç

Detto questo, sperando di non essere risultata troppo tediosa, vi auguro una buona continuazione di settimana, di trascorrere delle bellissime vacanze al mare/montagna/Europa e, in tutti i casi, un buon Ferragosto, anche se in anticipo di più di un mese ;)

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuno ha molta voglia di parlare e alla fine sembra che tutti acconsentano a guardare un vecchio film in bianco e nero alla tv. Audry non segue la storia, poggia distrattamente il capo contro lo schienale morbido del divano e cerca di rilassarsi, lanciando, di tanto in tanto, qualche occhiata a Sarah, ancora seduta sulla poltrona con le ginocchia al petto, che, invece, sembra essere stata completamente assorbita dal video.

Sospira e osserva il soffitto, la casa silenziosa e tranquilla, se non fosse per le voci del film, il calore di uno dei maglioni di Edward che la circonda, mischiandosi con il suo profumo, la sera limpida al di là delle finestre, come se non ci fosse un assassino in libertà, come se quello fosse un mondo parallelo dove niente può sfiorarli o raggiungerli.

Se Leonard non è lì, a Forks, o nella foresta, o a Seattle, continua, in ogni caso, a vivere ancora nella sua mente, quando rivive il loro primo incontro, lei stretta ad Edward, le iridi rosse di lui, assetate, il suo modo di parlare, scandendo bene ogni singola sillaba, la sua lingua ad umettarsi le labbra, come se stesse assaporando qualcosa di prelibato e raro, i suoi vestiti un po' retro', con il merletto candido ai polsi della camicia, la giacca di velluto rosso e i capelli acconciati come un principe.

Rabbrividisce al pensiero che sia stato per così tanto tempo a contatto con sua zia, che sia uscito a cena con lei, che abbia finto di essere un gentiluomo, una persona di cui fidarsi, per poi pugnalarla alle spalle, uccidendola e lasciandola lì a soffrire, da sola.

E' una fortuna che Sarah non sia rimasta con lui e, per quanto possa risultare meschino o crudele, Audry è felice che l'abbia abbandonata sotto il portico della casa di Tessa, in una famiglia dove ha potuto conoscere l'amore, il rispetto e la giustizia. Cosa ne sarebbe stato altrimenti di lei, della sua migliore amica? Sarebbe diventata un'assassina come suo padre?

Le lancia l'ennesima occhiata e sorride appena: forse si sarebbe ribellata, forse avrebbe deciso di lasciarlo per seguire la sua strada, forse si sarebbero incontrate comunque.

Senza di lei, tuttavia, non saprebbe come affrontare tutti i cambiamenti che le stanno stravolgendo la vita, e lei, che ha sempre creduto di essere la più forte, adesso si ritrova ad appoggiarsi al bastone che la famiglia Cullen, Sarah e Jacob le porgono, facendola sentire piccola e fragile, una delicata statuina di cristallo.

Non ha neanche più pensato a Michael, o all'università, o allo studio, o al Ballo di Beneficenza; quanto mancherà, ormai, perché tutti i più grandi benefattori di Seattle si radunino nell'università omonima per dare il via alle danze e alle offerte in favore dei più sfortunati? Qualche settimana, qualche giorno? 

Chiude gli occhi e cerca, solo per un istante, di non pensare, di svuotare la mente e di rilassarsi.

I suoi genitori sono morti, sua zia è morta, non ha più una famiglia, ma non è sola, le responsabilità che ne deriveranno, non dovranno necessariamente gravare sulle sue spalle, almeno non tutte. E' stata così coraggiosa da non impazzire, da non urlare come una pazza, da non rinchiudersi nel suo bozzolo come invece avrebbe fatto da bambina; ha solo pianto fino a non avere più lacrime a disposizione e, anche se piangere non ha resuscitato sua zia, né le ha fatto ritrovare il suo abbraccio o la sua freschezza, le ha alleviato la pena, quella più insidiosa, quella nascosta in fondo al cuore, quella che ancora sta sanguinando e per cui non può fingere, né con Edward, né con Sarah.

Quando riapre gli occhi, si accorge che il film è terminato, che Jacob e Renéesme si sono addormentati l'una nelle braccia dell'altro, e che Sarah la sta scrutando, come se le potesse leggere nel pensiero.

< Va tutto bene? > Le chiede con timore, mormorando.

Audry annuisce e cerca di sorridere. E' stanca e vuole andare a dormire, anche se le sarebbe piaciuto attendere Edward sveglia.

Si alza dal divano con cautela, come se potesse cadere da un momento all'altro, e Sarah la imita.

< Credi che dovremmo svegliarli? > Occhieggia a Jacob e a Nessie, placidamente addormentati.

< Dormono così bene... e poi sono stati giorni difficili per tutti. > Risponde con un sorriso tenero, incamminandosi verso le scale che le condurrà alle stanze da letto.

Esitando il tempo esatto per cui Sarah la raggiunga, Audry poggia con delicatezza estrema la mano sulla maniglia dorata della porta color ghiaccio della stanza di Edward, entrandovi con calma, guardandosi intorno, come se potesse spuntare un mostro dal buio.

Sarah nel frattempo la supera e accende le abat-jour ai lati del letto, inondando la stanza di arancione.

Audry nota che Alice ha fornito ad entrambe degli indumenti da notte morbidi e profumati, ma lei ha ancora freddo e non vuole privarsi del profumo di Edward, così, si libera solo dei jeans, indossando i pantaloni morbidi del pigiama, e si intrufola svelta sotto il piumone, rabbrividendo.

Vorrebbe sospirare di sollievo, ma non ci riesce, ha un groppo in gola che le impedisce di respirare e di parlare e, prima che possa rendersene conto, prima che possa fermarsi e ritrovare il controllo, si rende conto di star piangendo per l'ennesima volta.

Credeva di aver dato fondo a tutte le sue lacrime? Evidentemente si sbagliava.

Sarah la stringe tra le braccia e le accarezza i capelli, cullandola come una bambina.

< Mi spiace di non averti creduta e di averti accusata di essere in stato di shock. Avrei dovuto capirlo che non potevi mentirmi. > Viene da piangere anche a lei.

< Ne avevi tutte le ragioni, Sarah. Ti ho mentito per mesi sull'identità di tuo padre. > Audry tira su col naso, sforzandosi per rispondere, anche se la gola brucia come se avesse ingoiato dell'acido.

< So perché l'hai fatto e non posso biasimarti. > Le risponde, slegando l'abbraccio e guardandola negli occhi.

Audry sgrana gli occhi e sembra aver dimenticato le lacrime e il groppo alla gola.

< Tu... lo sai? Come? > Riesce a chiederle.

< Ci ho riflettuto: mio padre è un vampiro sanguinario, tornato da chissà dove per cosa? Riprendermi con sé? Conoscermi? Uccidermi? Tu e i Cullen eravate gli unici a saperlo, come credi che avrei preso una notizia del genere mesi fa, quando ancora non avevo idea di essere stata adottata, quando ancora credevo che Tessa fosse la mia madre naturale e quando immaginavo mio padre in qualche Stato straniero con una nuova famiglia, felice e contento? Ne hai avuto una prova anche tu, ti avrei detto che eri sotto shock, che guardavi troppi film di fantascienza, che i vampiri non esistevano e cose del genere, e poi ci avrei riso su di gusto. > Risponde diretta.

E' esattamente quello che ha pensato anche Audry quando aveva riflettuto sul modo in cui dirglielo. Edward le aveva consigliato di fare le cose con calma, un passo alla volta, che non poteva andare da lei e dirle semplicemente che lei sapeva che era stata adottata e che era figlia di un vampiro; non le avrebbe creduto nessuno, non solo Sarah.

< Tuo padre mi ha cercata, sapeva che ero la tua migliore amica e ha voluto propormi un patto: ti avrei raccontato di lui e del fatto che era qui, che voleva incontrarti, conoscerti, e lui se ne sarebbe andato senza provocare alcuna strage. > Le spiega, abbassando lo sguardo. Non è andata esattamente così, ed è chiaro ad entrambe. Il sangue di sua zia bagna ancora il pavimento di quella che, solo il giorno prima, era casa sua, la casa che l'aveva vista crescere dopo la morte dei suoi genitori, che aveva conosciuto le sue lacrime, le sue paure e le sue speranze. Cosa ne sarebbe stato, adesso? Avrebbe potuto continuare a vivere lì, sapendo che sua zia non c'era più? Sarebbe riuscita ad entrare ancora nella sua camera da letto senza piangere, senza sentirsi in colpa?

< So quello che pensi, che è colpa tua. > Riprende Sarah, osservandola attentamente.

< Colpa mia? > Ripete Audry, fingendo di non capire.

< Sì, colpa tua: la morte di Jenna, il fatto che io abbia un padre vampiro, la morte dei tuoi genitori... senti che avresti potuto fare di più, vero? Che se fossi stata più attenta, non sarebbe successo niente di tutto questo. > Le spiega, gli occhi lucidi.

Audry non risponde. E' la verità, è così che si sente: colpevole, e poco importa se la sua coscienza continua a ripeterle che non avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, che, anche se avesse provato ad avvertire sua zia del pericolo, Leonard avrebbe trovato un altro modo per ucciderla, che, forse, anche se i suoi genitori avessero dato retta ai suoi sogni, sarebbero potuti morire comunque; inutile continuare a ripeterselo, perché ciò che sente e che prova è un'accozzaglia inutile di sensazioni che, prima o poi, la annienteranno, la piegheranno al loro volere e lei diventerà una marionetta, un'insulsa e inutile marionetta nelle mani delle emozioni.

< Sai che non credo al destino, al fato e a tutte quelle cose lì, dopotutto, sono un'accademica, sono votata alla ragione e alla scienza, ma forse è proprio il destino che ha causato tutti questi avvenimenti. In fondo, solo nei film il protagonista riesce ad intervenire in un evento, altrimenti catastrofico, per evitare la morte delle persone a lui più care; noi, però, viviamo nella realtà, la nostra vita non è la trama di un film o di un libro, non possiamo stravolgerla a nostra piacimento. Possiamo condurla come vogliamo e dove vogliamo, ma se qualcosa dovrà succedere, succederà comunque e non c'è logica e non c'è colpa in questo. E' così da sempre. > Continua, sorridendo appena e facendo spallucce.

Audry si morde un labbro per frenare le lacrime e annuisce piano, consapevole che, quello che ha detto Sarah, ha una sua fonte di verità, ha una sua logica. In fondo, tutto è destinato a finire, prima o poi.                                                                          

< Lo so, è che non riesco a farne a meno. Di sentirmi in colpa, intendo. > Risponde, nascondendo il viso nel cuscino morbido.

< E' quello che succede sempre quando qualcosa non va per il verso giusto. Mi sono sentita in colpa per anni per Tessa: il fatto che lei non riuscisse a rifarsi una vita perché troppo impegnata ad accudirmi... beh, mi ha fatto stare male per gran parte della mia adolescenza, fin quando non mi sono resa conto che, in fondo, era lei che non voleva trovare un compagno, era lei che preferiva il mio affetto a quello di qualunque uomo, perché le occasioni d'incontro non le erano certo mancate. Parlandone con lei, ho capito che avevo vissuto per anni con la sensazione di essere un peso, invece ero stata un regalo per la sua vita, l'avevo aiutata a non pensare al divorzio, ad essere forte. > Le spiega, accarezzandole la schiena come una mamma premurosa, riscaldandola e confortandola.

< Come farei senza di te? > Le chiede con il magone, abbracciandola e ringraziandola.

< Sei più forte di quello che pensi, Audry. Devi solo credere di più in te stessa e nelle tue potenzialità. > Le scompiglia i capelli con affetto e sorride. < Dovresti provare a riposare, adesso. > Continua, separandosi dal suo abbraccio.

Audry annuisce e ricambia il sorriso, sistemandosi nella sua porzione di letto e chiudendo gli occhi, in attesa che il sonno abbia la meglio sui suoi pensieri confusi.

 

Riapre gli occhi qualche ora più tardi, ma non è ancora l'alba. Se ne rende conto, perché la luce che proviene dalle finestre è debole e non sono le nuvole ad offuscarla. Sarah dorme profondamente accanto a lei e, se in un primo momento cerca di imitarla, chiudendo nuovamente gli occhi, cercando di ricadere nell'incoscienza, quando si rende conto che c'è qualcosa che le impedisce di farlo, anche se non ha capito ancora cosa, ci rinuncia, tornando ad osservare il soffitto che va rischiarandosi pian piano, spandendo luce sugli arredi della stanza: la libreria di fronte al letto, il ripiano con i cd, una poltrona di pelle bianca e i quadri astratti alle pareti.

La casa è silenziosa e, se non sapesse che è abitata da vampiri che non dormono e non si rinchiudono in bare per tutto il giorno come quelli dei vecchi film, direbbe che tutti stanno placidamente dormendo, esattamente come Sarah al suo fianco.

Tende le orecchie per captare anche il minimo fruscio, nonostante sappia benissimo come i vampiri siano in grado di essere veloci e silenziosi, e si è quasi arresa alla possibilità di udire alcunché, quando lo sente: un piccolo scampanellio, come una cascata di note in crescendo.

Si siede a mezzobusto, scostando le coperte, in attesa e quando sente le note inconfondibili di una canzone di Debussy, riconosce anche il suono limpido e puro del pianoforte. Arrossisce senza rendersene conto, pensando ad Edward seduto sullo sgabello morbido che pigia elegantemente i tasti.

Non l'ha mai visto suonare, se non nei suoi sogni. La sua decisione di raggiungerlo è repentina: cercando di non svegliare Sarah, abbandona la stanza, cercando di fare meno rumore possibile, stando ben attenta affinché neanche la porta cigoli. Scende le scale che la condurranno in salotto a piedi nudi, guardandosi intorno nella penombra che precede l'alba, individuando in pochi istanti lo strumento rivolto alle vetrate che accedono al giardino, distinguendo subito la figura di Edward.

Gli si avvicina piano: forse, preso dalla musica, non si accorgerà della sua presenza.

Lo ha quasi raggiunto, quando lui interrompe la melodia e sembra immobilizzarsi per un istante, le spalle che si irrigidiscono e tutti i sensi all'erta. Si immobilizza anche Audry: non sa perché non vuole farsi scoprire, sa solo che non vuole rovinare quel momento perfetto con le parole.

Edward, più tranquillo, rilassa i muscoli e riprende a suonare: chissà se non ha avvertito davvero il suo profumo o il battito accelerato del suo cuore, o se sta solo assecondando il suo piano. 

Audry mette fine alla loro distanza dopo qualche istante e, arrivatagli alle spalle, indecisa sul come manifestarsi, si tortura le mani per un po', abbandonandosi alla musica.

Allunga timidamente un braccio verso di lui e poi anche l'altro e in breve, si ritrova a circondargli le spalle e ad avvicinarsi a lui, stringendolo a sé.

Edward si irrigidisce per un istante, il tempo necessario per concretizzare la presenza alle sue spalle, poi si lascia andare, interrompendo la cascata di suoni.

< No, non smettere... continua a suonare. > Lo prega Audry in un sussurro, osservando le sue mani muoversi con agilità sulla tastiera, gli occhi seguire i loro movimenti.

< Siediti accanto a me. > Le fa posto sullo sgabello morbido e lei abbandona di malavoglia la sua posizione e il tocco rassicurante della sua pelle, per sederglisi accanto, osservando il suo profilo perfetto alla luce naturale.

< Mi spiace averti svegliata. > Mormora, abbandonando le mani sulla stoffa dei jeans scuri, l'eco dell'ultima nota suonata ancora nelle orecchie.

Audry scuote la testa.

< Ero già sveglia. > Fa spallucce e gli sorride, tornando con gli occhi ai tasti del pianoforte, premendone uno per curiosità, per vedere cosa si prova.

< Hai mai suonato? > Le domanda divertito.

< No... ecco, io non volevo... insomma, ho voluto solo... > Arrossisce e abbassa lo sguardo, facendolo ridere.

< Non hai fatto niente che non va, Audry. Vieni, ti insegno una cosa. > Sorride prima di sollevarla appena per i fianchi e depositarla tra le sue gambe divaricate quanto basta per accoglierla, il mento sulla sua spalla.

Le cattura una mano, distendendone delicatamente le dita, facendo in modo che le poggi senza troppa pressione sulla tastiera.

< Prova. > La incoraggia e Audry, senza farselo ripetere due volte, spinge i tasti in corrispondenza dei suoi polpastrelli, producendo un suono appena stonato che la fa ridere e arrossire d'imbarazzo e vergogna.

< Sono un disastro... > Commenta alla fine, ritirando le mani.

Edward sorride, sistemandole i capelli dietro l'orecchio e baciando la porzione di pelle semi-nascosta del collo, facendola rabbrividire di piacere.

< Hai delle bellissime mani, avresti dovuto diventare una musicista e non una matematica. > Le sussurra, intrecciando le dita con le sue.

< Ho studiato violino da bambina, ma non era davvero la mia passione; presi lezioni solo per accontentare mio padre. > Fa spallucce, stringendosi a lui.

Rimangono in silenzio per un po', il sole che comincia a fare capolino oltre le cime degli alberi.

< Il motivo per cui io non sono stata messa al corrente del pericolo che correva mia zia, va al di là della mia sicurezza, vero? Voglio dire, c'è dell'altro, non è così? > E' il suo pensiero fisso da quando Edward le ha detto che voleva solo proteggerla, che i piani di Leonard avrebbero potuto estendersi anche a lei, ma fino a quel momento, non era sicura di voler conoscere la risposta; adesso ha bisogno di sapere, ha bisogno di non sentirsi in disparte.

Edward sospira e scuote appena il capo, quasi come se volesse farle ritrattare quella domanda.

< Ho bisogno di sapere, Edward, ti prego. > Lo supplica, stringendogli le mani fredde.

< I vampiri rispondono a delle autorità, un po' come i capi di uno Stato: i Volturi. Esistono da secoli e sono tra i più forti della nostra specie, perché più anziani. Amano l'ordine e la giustizia e cercano di far rispettare l'unica vera legge in cui credono, quella secondo cui l'esistenza dei vampiri deve rimanere estranea agli umani. > Audry sembra voglia interromperlo, ma Edward è più veloce di lei e precede la sua domanda. < Solitamente, siamo in grado di scegliere attentamente i custodi umani del nostro segreto, perciò, sono stati rari i casi in cui si è reso necessario il loro intervento. Tuttavia, Leonard sta creando scompiglio a Seattle: ha ucciso tua zia, ha ucciso diversi umani per nutrirsi del loro sangue e la Polizia è impegnata su tutti i fronti; credono sia colpa di un animale o di un killer particolarmente spietato, ma non è questo ad averci preoccupati. Possiamo risolvere la questione senza l'intervento dei Volturi, ma non possiamo scavalcare la loro autorità o la loro influenza. Leonard è uno dei pochi vampiri anziani ancora in vita e noi non possiamo fingerci garanti di un potere che non ci spetta. I Volturi osservano e monitorano ogni nostra e sua mossa, in attesa di intervenire, nel caso ce ne fosse bisogno; non possiamo compiere passi falsi e ingaggiare una lotta contro Leonard per proteggere un'umana, li avrebbe attirati qui, avrebbe messo a nudo i nostri poteri di fronte ad un'intera comunità e ci avrebbe resi vulnerabili, soprattutto al loro giudizio. Forse Leonard non si sarebbe spinto a tanto, forse avrebbe valutato la situazione in maniera differente se avesse saputo che avremmo fatto di tutto per ostacolarlo, ma non ne potevamo essere sicuri. Le visioni di Alice sono semplici premonizioni e spesso sbagliano: avevamo il sentore di un attacco, ma non sapevamo di quali proporzioni, né che avrebbe colpito tua zia. Le sue intenzioni sono diventate chiare la mattina in cui tutto è successo e quando Alice me le ha comunicate, ho dovuto scegliere. Ho dovuto proteggerti e mi dispiace non essere stato in grado di fare altrettanto con la tua famiglia. > Termina, abbassando lo sguardo.

E' il discorso più lungo che Audry gli abbia mai sentito pronunciare e per un momento, ancora scossa da quelle rivelazioni, rimane in silenzio, stretta nel suo abbraccio, la stanza che acquista luce e forma dopo il buio fitto della notte, i vetri che scricchiolano appena per la differenza di temperatura, i primi sentori di un movimento attutito al piano di sopra.

Ripensa a quello che le ha detto Sarah, al fatto che, non importa cosa avrebbero deciso di fare, probabilmente Jenna sarebbe morta ugualmente, e non si pente dell'illogicità di una sua possibile reazione negativa all'indomani di quello che era successo; in fondo, se si fosse trovata lei in una situazione simile, cosa avrebbe fatto? Non c'è tempo di scegliere in situazioni del genere, ed Edward aveva dovuto farlo, nel bene e nel male. E' come quando scoppia un incendio nel cuore della notte, mentre la tua famiglia dorme tranquilla e solo il cane del vicino riesce a svegliarti con il suo abbaiare fastidioso; quando ti rendi conto della situazione, hai appena il tempo di uscire di casa e di tentare di mettere in salvo i tuoi cari, non puoi soffermarti a valutare cosa portare via e cosa no, non c'è tempo, non c'è possibilità alcuna di salvare le fotografie, o i ricordi, o il peluche di tuo figlio: devi solo andare via.

Lei, il coraggio di scegliere, non l'aveva mai avuto. Conoscendosi, probabilmente sarebbe morta con sua zia, si sarebbe arresa, come davanti ad un burrone: saltare o non saltare?

Edward aveva deciso di salvarla per non esporla a pericoli più grandi di lei, per non mettere lei in condizione di scegliere.

Non riesce a fare altro se non abbracciarlo, stringerlo a sé fino a non sentire più le braccia, fino ad illudersi di poter diventare una cosa sola con il suo corpo, fino a desiderare di potersi confondere e perdere in lui.

< Grazie. > Gli mormora in un orecchio infinite volte, come una nenia.

< Tu, mi stai ringraziando, Audry... > Edward la allontana appena da sé, scettico e confuso, le sopracciglia inarcate e l'espressione severa.

La osserva annuire e pensa si tratti di un sogno.

< Tua zia è morta per colpa mia, Audry! Avrei potuto avvertirla, avrei potuto salvare anche lei... > Non riesce a completare la frase, perché Audry lo zittisce con un bacio dolce, trasformando le sue parole in proteste smorzate.

< Doveva succedere, Edward. Anch'io avrei potuto fare qualcosa, essere d'aiuto, ma a cosa serve pensarci adesso, ora che non c'è più niente da fare, niente da cambiare? I se e i ma sono dei buoni complici per il senso di colpa... > Gli sorride appena e gli accarezza il viso e i capelli, voltandosi verso di lui quel tanto che basta per incrociare i suoi occhi dorati.

< Non dovresti giustificarmi così... > Ribatte, poggiando la fronte contro la sua tempia e chiudendo gli occhi.

< Non è una giustificazione, è la verità. > Gli solletica i capelli con le dita, sentendolo abbandonarsi alle sue carezze e ai piccoli baci che dissemina sul suo viso, quasi come se volesse portar via il dolore e la rabbia.

< Esme e Carlisle possono occuparsi dei funerali se tu... se tu non dovessi sentirtela. > Riapre gli occhi e la osserva: gli occhi color del prato sereni, le labbra rosee e perfette, i capelli appena scomposti e il suo maglione troppo grande per lei, di cui ha dovuto arrotolare le maniche fino al gomito per non essere impacciata nei movimenti.

Audry tentenna, abbandonando i suoi occhi e volgendoli alla stanza, alle scale da cui è discesa poco prima.

< Non devi vergognarti di quello che senti; è comprensibile sentirsi in difficoltà, ma la loro è solo una proposta, sta' a te decidere. > Cerca di tranquillizzarla come può, accarezzandole una guancia fresca.

< Se mi sarai accanto, sarà più semplice. > Risponde alla fine, incontrando nuovamente i suoi occhi, cercando sicurezza e affetto.

< Sempre. > Risponde lui sincero, baciandole il dorso di una mano con delicatezza.

Audry gli sorride grata e si nasconde nel suo petto, chiudendo gli occhi e sospirando di sollievo, come quando dopo una lunga camminata, ti ritrovi a sederti su una poltrona particolarmente morbida e comoda.

Edward la stringe a sé e le accarezza i capelli e la schiena in gesti esperti e confortanti, lasciando vagare lo sguardo sulla distesa di alberi oltre la finestra e sul sole che sta pian piano alzandosi, ad annunciare una giornata stranamente soleggiata, ma particolarmente fredda per essere quasi primavera.

Audry, così rannicchiata e serena, sembrerebbe addormentata, se non fosse per le dita che giocano con le ciocche dei suoi capelli color bronzo e gli solleticano piacevolmente la nuca.

Quando Esme compare nella stanza, sorridendo alla vista di entrambi di fronte al pianoforte, facendo cenno ad Edward in direzione della cucina, segno che la colazione è già pronta e che Audry ha bisogno di mangiare, cosa che pare essere stata relegata in secondo piano, si limita semplicemente a sollevarla in braccio e a baciarle la testa, quasi fosse una bambina.

< E' già ora di andare? > Borbotta, infatti, contrariata.

< Esme ha preparato la colazione. > Le risponde sorridente, il suo stomaco che, alla parola colazione, prende a brontolare vergognosamente, facendola arrossire e nascondere.

< E non dirmi che non hai fame. > Scherza, facendo in modo che possa reggersi sulle sue gambe, mentre anche Sarah, Renéesme e Jacob si aggiungono al gruppo, augurandosi vicendevolmente il buongiorno.

Strano pensarlo, o anche solo rendersene conto,ma con Esme ai fornelli come una mamma normale, Carlisle concentrato su alcune carte, gli altri intenti a fare colazione, lei seduta sulle gambe di Edward che si lascia imboccare di fette biscottate e marmellata come una bambina, Rosalie, Emmett, Alice e Jasper che studiano attenti il notiziario locale poco distanti, le sembra di essere a casa, nel luogo a cui appartiene e che, nel bene e nel male, in un modo che le è difficile spiegare, sarà sempre suo.

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Capitolo 31
*** Be the one adored ***


Salve!

Sono riuscita ad aggiornare prima di Ferragosto, visto? Ad una settimana esatta, volendo essere precise O.o

Ok, la smetto di gongolare per le coincidenze e vengo al dunque: allora, visto che il capitolo chiarificatore della faccenda "morte di Jenna" c'è stato, ho pensato che, per rigor di logica, dovesse essere inserito anche il momento del suo "ritrovamento" da parte di Audry, con annesso funerale. Non avevo voglia di descrivere tutto molto nel dettaglio, perché avrei rischiato di annoiare, così mi sono limitata piuttosto alla parte del "ritrovamento" per quanto riguarda l'accuratezza; la parte circa il funerale è stata soltanto accennata, proprio perché non volevo sembrare ridondante e noiosa.

Questo è un secondo momento clou per la coppia Audry/Edward, e anche se sembrerà strano che sia accaduto proprio dopo il funerale di sua zia, beh... che posso dire, a volte le coincidenze sorprendono e dopotutto, anche dopo un temporale spunta nuovamente il sereno e perché non dovrebbe essere lo stesso anche per Audry?

Inizialmente la seconda parte doveva essere un tantino diversa, poi ho pensato di ambientarla all'esterno, piuttosto che all'interno, perché credo che la natura rafforzi il tutto e crei il luogo ideale di riposo dell'anima e della mente turbata.

E' stato piuttosto difficile scrivere questo capitolo, quindi spero vi soddisfi e spero di essere riuscita a centrare i miei obiettivi :)

Ringrazio, naturalmente, tutti coloro che hanno letto lo scorso capitolo, che hanno commentato, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno inserito me tra gli autori preferiti *-* Un immenso GRAZIE mi sembra più che doveroso da parte mia *-*

Vi auguro un Buon Ferragosto, delle Buone Vacanze, se non ci siete già stati, e Buono studio per chi, come me, ha già iniziato a studiare per gli esami di settembre :)

 

Buona continuazione di settimana e...

 

 

 

 

 

 

 

... Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tornare a casa è difficile; tornare nel luogo dal quale sei stata strappata via con violenza, anche se per il tuo bene, fa male, un male che è a metà strada tra il dolore fisico e quello mentale; dolore fisico, perché ti paralizza le gambe e ti stringe lo stomaco e la gola, riempiendo i tuoi occhi di lacrime; dolore mentale, perché la razionalità che ha sempre albergato in te, si rifiuta ancora di poter credere alla disfatta totale della tua famiglia, alla morte della persona sulla quale avevi fatto affidamento, nelle cui mani avevi riposto non solo la vita, ma anche il cuore.

Edward parcheggia la sua Volvo accanto all'auto di Jenna, mentre Audry pensa di non farcela, di non poter entrare in quella casa, anche se è ancora, a tutti gli effetti, la sua; mentre osserva la vecchia berlina usata della zia ed è come se fosse cambiata anche lei, come se in quei due giorni, un velo sottile si sia impadronito anche della lamiera, rendendo il suo colore verde scuro opaco e spento, accentuando tutti i difetti della carrozzeria, dai piccoli graffi, alle ammaccature, ai segni della colla sul vetro, dove lei, ancora bambina, aveva appiccicato una delle tante figurine raccolte.

Carlisle ed Esme li raggiungono, scrutando Audry dal finestrino, in attesa di una sua mossa. Sarah è con loro.

< Non sei obbligata, Audry. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi, non devi affrettare le cose se non te la senti. Carlisle ed Esme possono occuparsi di tutto, se credi di non farcela. > La voce di Edward penetra nell'obnubilamento dei suoi sensi, nella leggerezza che sembra averle invaso la mente, quasi non fosse lì, in quella macchina, nel vialetto di casa sua, ma stesse osservando la scena dall'alto, da una prospettiva che le sembra più congeniale per lei e per il suo dolore.

< Quando sono morti i miei genitori, mia zia non mi ha permesso di vederli. Ero poco più che una bambina, e so che voleva solo proteggermi, ma adesso, quando penso a loro, non riesco a non pentirmi di non averlo fatto. Forse ne sarei rimasta segnata per sempre, forse mi sarei ricordata il loro volto così, freddo e privo di emozioni, forse la mia mente avrebbe cancellato tutti i bei ricordi che avevo di loro, ma non posso saperlo, perché non mi è stato concesso. Non voglio che succeda la stessa cosa con mia zia; non voglio dovermi pentire di non aver visto il suo volto per l'ultima volta. > Riflette ad alta voce, le lacrime che le offuscano la vista.

< Se è quello che senti, fallo. > Edward poggia la mano fredda sulla sua e le sorride dolce e comprensivo, sistemandole una ciocca di capelli sfuggita al fermaglio azzurro.

< Probabilmente sverrò come una codarda... > Ride tra le lacrime, tirando su col naso e intrecciando la mano con quella di lui.

< Non ti lascerò cadere, per nessun motivo al mondo. > Le bacia il dorso della mano ancora intrecciata con la sua e rafforza la presa, quel tanto per darle sicurezza e fiducia.

Audry annuisce grata e apre la portiera, slacciando la cintura di sicurezza dopo aver abbandonato la mano di Edward, facendosi forza per uscire dalla vettura, incontrando subito gli occhi di Esme che la rassicurano e quelli di Carlisle che la scrutano attenti e fiduciosi, senza contare la stretta e il calore che sente provenire dalla mano di Sarah, che si è posata senza indugi sul suo braccio, per sostenerla e farle forza.

Audry sorride a tutti, grata di tutto quell'affetto e della piacevole sensazione di aver, sì perso la propria famiglia, ma di averne guadagnata un'altra in pochissimo tempo, come se fosse stato tutto progettato.

Salgono insieme le scale di legno del patio, fino a ritrovarsi di fronte la porta color mogano socchiusa, come se Jenna avesse tentato di scappare, ma non ci fosse riuscita.

Audry prende un respiro profondo e allunga la mano verso la maniglia dorata, a rallentatore quasi. Ha paura di quello che vedrà, ha paura di quello che sentirà quando vedrà sua zia, ma il braccio di Edward che le circonda la vita, la sostiene e la invita a continuare.

La maniglia è fredda, come sempre, e Audry accompagna l'apertura della porta con i passi, avanzando sempre di più, fin quando l'ingresso è ben visibile a tutti, perfettamente in ordine, come se non fosse successo nulla, come se non fosse cambiato niente. Audry avverte quasi l'impulso di chiamare sua zia e chiude gli occhi, rievocando il rumore familiare delle pentole in cucina, delle posate, della radio accesa, quando lei rientrava dall'università e sua zia era già intenta a preparare la cena per entrambe.

Si morde un labbro per non cedere alle lacrime e prosegue verso la cucina: tutto in ordine, le tazze della colazione che Edward stava preparando per lei quella mattina, ancora sul tavolo.

< Tutto bene? > Le mormora Edward, vicinissimo, così vicino, che potrebbe abbracciarla.

Audry annuisce e deglutisce saliva inesistente. Sente le gambe molli e le forze venire meno, ma non può cedere, non può lasciarsi andare proprio adesso.

La televisione, in salotto, è ancora accesa, e trasmette la trasmissione preferita di Jenna, quella che non aveva mai la possibilità di guardare a quell'ora del mattino, ma che seguiva volentieri la sera, rientrata dalla libreria, quando ne trasmettevano le repliche. Anche lì sembra tutto in ordine: i libri, la collezione di film, i soprammobili e i vasi di fiori.

Audry torna indietro, verso le scale che conducono ai piani superiori, rendendosi conto dell'assenza di Carlisle e di Esme, ma impossibilitata ad emettere alcun suono; sente che il dispendio di energie che comporterebbe il porre una domanda, potrebbe farla crollare e lei non vuole cadere a pezzi, non vuole rompersi.

Sale i gradini uno alla volta, piano, Edward che ancora la sostiene e Sarah che si guarda intorno, alla ricerca di chissà cosa, seguendoli più adagio e con più attenzione.

Audry non ha bisogno di entrare nella sua stanza; sente che sua zia non è lì, ma è inevitabile per lei fermarsi anche solo per lanciarle uno sguardo: la scrivania in ordine, le lenzuola disfatte, qualche vestito sparso sul pavimento e la finestra aperta, le tende chiare che svolazzano alla brezza fredda.

Sospira e una lacrima le solca una guancia: quella mattina doveva essere l'inizio di una bellissima giornata; aveva fatto l'amore con Edward, si era addormentata tra le sue braccia ed era finalmente riuscita a vincere le sue resistenze fisiche; invece, si era tutto trasformato in un incubo.

Quando riprende il percorso verso la stanza di sua zia, nota la figura di Esme proprio accanto alla porta, un cellulare all'orecchio e la sua voce, appena udibile, che sembra dare disposizioni per qualcosa che Audry non riesce ad afferrare.

Le torna, ancora una volta in mente l'incubo di qualche settimana prima, quando la stanza di sua zia era rossa di sangue e il suo corpo giaceva scomposto accanto al letto, il volto pallido e lei aveva sete, sete di quel sangue, sete che si era estinta non appena aveva compreso che si trattava di Jenna.

Scuote la testa, cercando di liberarsi di quei pensieri.

< Sicura di volerlo fare? > Edward la osserva con attenzione, stringendole una mano, guidandola.

Audry annuisce: deve.

Quando oltrepassa la soglia della camera da letto di Jenna, quasi si aspetta che sia tutto come nel suo sogno, invece la realtà la disorienta, facendole girare la testa.

Jenna è accasciata sul letto, come se si fosse semplicemente addormentata, i capelli scomposti sul viso, un braccio disteso lungo il corpo e l'altro piegato sotto il capo, come un cuscino, le gambe rannicchiate, come una difesa e il volto sereno, quasi sorridente.

Qualcuno ha aperto la finestra, forse Carlisle, e la brezza ha portato via gran parte dell'odore stantio della stanza.

Audry le si avvicina con timore, un passo dopo l'altro sulla moquette chiara. Non riesce a piangere, non riesce neanche a capire cosa ha di fronte: è davvero sua zia, o è il cadavere di un estraneo? Nessuna traccia di sangue, nessun segno di lotta, niente di niente. I tratti del suo volto sono rigidi, esangui: non c'è traccia di vita in lei, non più, eppure, ad Audry sembra come se potesse risvegliarsi da un momento all'altro, come la Bella Addormentata nel bosco, la sua favola preferita.

Le sfiora appena la mano fredda e un'altra lacrima le rotola giù lungo la guancia, infrangendosi sul copriletto colorato, costringendola a tirare su col naso. Non riesce a fare altro e subito volta il capo verso Edward e Sarah, rimasti silenziosi e in disparte. Cerca di far loro un sorriso, cerca di far loro capire che va tutto bene, che sta bene e che ha solo voglia di piangere, e loro sembrano capirlo, sembrano essere in grado di interpretare la sua sofferenza, perché accennano anche loro ad un sorriso e anche sul volto di Sarah risplendono le lacrime. Jenna l'ha sempre trattata come una seconda figlia, come parte di una famiglia di cui si sentiva membro attivo, in qualsiasi occasione, alle dieci del mattino della domenica, quando stava preparando la colazione per sé e per Audry, come alle due di notte di un sabato in cui aveva costretto Audry ad accompagnarla in discoteca e lei era rimasta sveglia davanti alla televisione e quando le aveva viste entrambe entrare in casa in silenzio, aveva sorriso e la prima che aveva avuto modo di accorgersene, era stata proprio Sarah.

< Non ha sentito dolore, vero? > Gli occhi verdi di Sarah si spostano sulla figura rassicurante di Carlisle, in disparte accanto ad Edward, una mano sulla sua spalla.

< E' stata aggredita alla sprovvista; Leonard ha attinto al suo sangue fino all'ultima goccia. > Abbassa lo sguardo ed Audry singhiozza piano, ancora immobile accanto al letto matrimoniale.

< Avrebbe dovuto uccidere me. Jenna non c'entrava niente con quello che stava cercando di ottenere. > Mormora Audry, lo sguardo perso e distante.

< Non avresti potuto salvarla, nessuno avrebbe potuto. > Carlisle le si avvicina e Audry, per un solo istante, rivede suo padre, le linee dolci del viso, lo sguardo amorevole e comprensivo. < Leonard si nutre di sangue umano da centinaia di anni, per lui ogni vittima è identica, persino il sapore del sangue lo è diventato al suo palato. Nella furia della caccia e della determinazione di portare a compimento la sua vendetta, non avrebbe risparmiato neanche te, Audry, così come non avrebbe risparmiato nessuno di noi, anche se suoi simili. Avremmo potuto lottare, certo, ma la sua forza è incomparabile alla nostra e probabilmente avremmo perso. Uccidere tua zia è stata la dimostrazione della sua potenza di manipolazione. > Continua e Audry si rende conto che ha ragione: Jenna non le ha mai raccontato dei suoi appuntamenti, non le ha mai spiegato il perché di tutti quei cambi di programma, del perché di tutte quelle serate fuori e, d'altronde, lei non aveva avuto modo di parlarci così spesso, né di osservarla, visti i suoi orari di lavoro in libreria; come avrebbe potuto sospettare qualcosa?

Sospira e comprende che è inutile attribuirsi la colpa per qualcosa che non avrebbe comunque potuto evitare.

< Cosa devo fare, adesso? > Alza lo sguardo lucido su di lui.

< Hai già fatto abbastanza, possiamo occuparcene noi, ora. > Carlisle le sorride appena e le poggia le mani sulle spalle, confortandola.

Audry annuisce, concorde: non ha voglia di organizzare il funerale, non ha voglia di occuparsi dei fiori, del sacerdote per la funzione, della bara, del discorso che tutti si aspettano di sentirle pronunciare. Non ne è in grado, e, al solo pensiero, il cuore accelera e gli occhi le ritornano lucidi, così come torna ad essere presente la sensazione di malessere che ha avvertito anche in macchina, malessere e disagio. Vuole solo rintanarsi in un angolo e aspettare che tutto finisca.

 

Il giorno dopo, quando la cerimonia funebre è ormai finita e quando i pochi amici di Jenna e qualche compagno di corso di Audry sono ormai andati via, dopo aver partecipato al piccolo buffet che Esme ha preparato, Audry è seduta sulla vecchia panchina di legno sotto il patio, vestita di scuro, e osserva gli alberi di fronte a lei, il loro leggero e sinuoso ondeggiare alla brezza.

Ha vissuto quella giornata come se fosse stata la giornata di qualcun altro, come se l'avesse letta in un libro e lei non fosse stata lì presente con la mente, ma soltanto con il corpo, come una sorta di fantasma, di spirito. E' esattamente come ha vissuto il giorno del funerale dei suoi genitori, con Jenna che insisteva affinché mangiasse qualcosa, che la consolava perché non piangesse e che le metteva in mano il suo orsacchiotto preferito. Ma Jenna non c'è, è volata via anche lei, ed è Esme che si è preoccupata di ricordarle di nutrirsi. Edward le è stato accanto, esattamente come aveva promesso che avrebbe fatto: le ha tenuto la mano durante la cerimonia, l'ha abbracciata quando i singhiozzi l'hanno fatta tremare senza controllo e l'ha tenuta stretta a sé, anche se poteva sembrare sconveniente.

E' accanto a lei anche adesso, ed anche se Audry si è accorta della sua presenza, l'unica cosa che riesce a fare è sorridere, un sorriso appena accennato.

< Esme ed Alice stanno riordinando. > Le mormora, afferrandole delicatamente una mano e sfiorandone il dorso, solleticandola.

< Mi dispiace di non poter essere di grande aiuto... > Risponde, voltando il viso verso di lui, osservandolo. Ha indossato un completo classico, nero, che mette in risalto ancora di più la sua carnagione pallida e i suoi capelli color bronzo, ed è ancora più bello del solito, con gli occhi dorati che risplendono alla fievole luce del tramonto.

< Siamo qui per questo, Audry, non devi preoccuparti di nulla. > Le sorride appena e le scosta una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro un orecchio con dolcezza, facendola arrossire.

< Vuoi che rimanga con te, stanotte? > Le domanda poi. Nonostante le sue resistenze, Audry ha comunque deciso di voler dormire a casa sua, nella sua stanza. Se è potenzialmente pericoloso, non le importa, vuole solo ritornare alla sua vita di sempre, anche se non sarà facile o indolore, e per farlo, ha bisogno di tornare a casa.

< Sarah mi ha promesso di farmi compagnia, perciò... > Tituba, osservandolo.

< Sareste più al sicuro, sai, in caso Leonard tornasse. > Le spiega. Non ha voglia di lasciarla sola, così fragile e indifesa.

< Sì, lo so. > Sorride e annuisce.

< Ma se non vuoi che resti... > Non lo lascia terminare la frase.

< Certo che voglio che tu rimanga. > Gli si avvicina, baciandolo su una guancia, leggera come una piuma, inspirando il suo profumo di muschio.

Edward le accarezza una guancia con il dorso di un dito, cercando di imprimere nella mente la disposizione di ogni singola lentiggine.

< Cosa c'è? > Gli chiede lei dopo qualche istante di silenzio, osservando i suoi occhi ambrati e sorridendo appena.

Edward abbassa gli occhi per un solo istante, le labbra piegate nel sorriso che le fa, puntualmente, fermare il cuore, poi lascia scorrere l'indice lungo la sua pelle perfetta, fino alle labbra rosse e leggermente schiuse, delineandone il contorno con precisione.

Audry arrossisce, imbarazzata, la voglia improvvisa di baciarlo, di mandare via tutti e di fare nuovamente l'amore con lui, senza dolcezza, senza grazia, né attenzione: solo desiderio e voglia di appartenersi, di lasciarsi travolgere dai sentimenti, perché è così che vuole sentirsi, travolta da qualsiasi altra cosa che non sia il dolore, la frustrazione, la rabbia di aver perso tutto, ancora.

Si muove a disagio sulla panca, avvicinandoglisi ancora di più, senza distogliere gli occhi dai suoi. Poggia una mano sulla sua coscia, distrattamente quasi, avvertendo la sensazione familiare del tessuto pregiato a contatto con la pelle accaldata.

Edward smette di indugiare e, finalmente, la bacia, lambendo con delicatezza le sue labbra, lasciando che sia lei ad approfondire il contatto e le mani tra i capelli non si fanno attendere. Ha imparato a familiarizzare con quel tocco deciso, ma allo stesso tempo calibrato e dolce, delle dita di lei che si chiudono attorno alle ciocche di capelli corti, o che gli massaggiano piacevolmente la nuca e la base del collo, fin quasi ad intrufolarsi oltre il colletto della camicia, per poter accarezzare anche le spalle perfette.

Quando Audry si separa da lui, ha il fiato corto e le guance ancora arrossate, le mani che vagano tra i suoi capelli bronzei.

Edward le sorride ancora, per poi afferrarle un polso, facendole distendere la mano che Audry, nonostante non abbia paura di lui, ha istintivamente stretto in un pugno, come se fosse pronta a difendersi, annusando la sua pelle come il più pregiato dei profumi, strofinando appena le labbra su ogni singolo centimetro, fino alla punta delle dita.

Lei lo osserva con curiosità e stupore, chiedendosi cosa ci sia di tanto speciale nella sua mano da ricevere così tante attenzioni.

< Ho qualcosa che non va? > Domanda alla fine, facendosi forza, nonostante si renda perfettamente conto dell'assurdità della sua domanda.

< Qualcosa che non va? > Ripete lui, aggrottando le sopracciglia.

< Voglio dire, la mia mano; ha qualcosa che non va? > Arrossisce, sentendosi ancora più stupida.

< Assolutamente no, è perfetta. > Le risponde, intrecciandola con la sua. Il contatto la fa rabbrividire, come sempre.

Quando scioglie la presa, Audry ha appena il tempo di rendersi conto dei suoi movimenti, ma, qualche istante dopo, si trova ad osservare un meraviglioso bracciale di platino, impreziosito da piccoli diamanti, meravigliosamente splendenti, e da un delicatissimo motivo centrale a traforo. E' così sorpresa, che, per un attimo, l'unica cosa che riesce a fare è osservare il gioiello con espressione stupita e incantata.

< E' uno dei tanti preziosi che ho ereditato da mia madre. > Le spiega Edward, sfiorandole una ciocca di capelli.

< E'... insomma, bellissimo, anche se mi sembra un aggettivo fin troppo riduttivo... > Ha la forza di rispondere, incontrando i suoi occhi e sfiorando il bracciale con così tanta delicatezza, che Edward sorride.

< Non so se posso accettarlo; insomma, è un ricordo di tua madre e non è giusto che lo tenga io e p- > Ma viene interrotta prima ancora che possa completare la frase.

< Appartengono a me, adesso e posso donarli a chi desidero; questo bracciale ti appartiene d'ora in avanti. Avrei preferito farti dono di un anello, ma non ero sicuro della tua reazione al riguardo. > Sorride malizioso, rischiando di causarle un infarto.

< U-un a-anello? > Si ritrova a balbettare, quasi ridendo per il nervosismo.

< Per rendere ufficiale il nostro rapporto. > Spiega, traendola a sé, facendola sedere tra le sue gambe schiuse.

< Ufficiale... > Ripete quella parola diverse volte, abituandosi al suono e alla consistenza di ogni singola lettera, continuando ad accarezzare il bracciale.

< Ufficiale, nel senso che tu vorresti... sì, insomma... > Non ha il coraggio di pronunciare il verbo sposarmi, semplicemente perché le sembra tutto così assurdo e impossibile che, se non fosse assolutamente sicura di essere sveglia, penserebbe si tratti di un sogno, un meraviglioso sogno.

< Non sono ancora del tutto sicuro di meritarmi un simile onore da parte tua, ma, sì, vorrei che diventassi mia moglie, un giorno. > Le bacia una tempia e le accarezza i capelli, sorridendo del suo dolce imbarazzo.

< Io non... non so cosa dire e... mi sembra tutto così... > Balbetta vergognosamente, arrossendo come una ragazzina.

< Non devi rispondere adesso, Audry, non hai ancora ricevuto una degna proposta. > Le fa presente, stringendola tra le braccia.

< Sì, certo... ovvio, solo che non so cosa dire e vorrei essere in grado di poter ricambiare... > Risponde con difficoltà, osservando il suo viso perfetto.

< Ho ripreso a vivere grazie a te e non ci sono gioielli o promesse in grado di poter ricambiarti di ciò, Audry. > Cerca i suoi occhi verdi e poi il profumo delizioso della sua pelle, baciandole con gentilezza la fronte.

< Vorrei solo che non fosse tutto così difficile. > Sospira, stringendosi a lui, alla sua camicia candida, chiudendo gli occhi.

< Andrà tutto bene, vedrai. > Cerca di tranquillizzarla, accarezzandole dolcemente i capelli.

Audry non ha bisogno di altro; chiusa nel suo abbraccio freddo, cullata gentilmente e dolcemente dalle sue mani tra i capelli, sente di essere al sicuro, protetta e amata. Si aggrappa con entrambe le braccia alle sue spalle, sollevandosi appena per raggiungere le sue labbra, coinvolgendolo in un bacio che lui non riesce a negarle.

< Credo di non essermi mai sentita così parte di qualcuno come, invece, sta accadendo con te. > Gli confessa, separandosi dalla sua bocca e incontrando i suoi occhi meravigliosi e rassicuranti.

< Ed è una cosa negativa? > Le chiede curioso.

Audry sorride e scuote la testa.

< E' appagante e confortevole, sensazioni di cui non conoscevo il significato da quando i miei genitori sono morti. > Ammette, avvicinandosi di nuovo alle sue labbra, sfiorandole.

Edward la bacia ancora e ancora, fino a lasciarla senza fiato, le gote arrossate di piacere e imbarazzo.

Lo abbraccia con tutta la forza che possiede, strofinando una guancia contro la sua, come un gattino in cerca di coccole.

< Ti amo. > Gli mormora in un orecchio, veloce come se temesse una reazione negativa da parte sua.

Edward l'allontana da sé e la osserva alla fioca luce del tramonto, mentre già le prime stelle cominciano ad illuminare il manto blu della notte e, per un istante, sembra attratto dai suoi capelli ribelli che svolazzano leggeri alla brezza fredda senza che Audry possa nulla per riordinarli.

< Vorrei dirti che è quello che provo anch'io per te, ma la verità è che non posso farlo. > Abbassa gli occhi e scuote la testa, come se tentasse di convincersene anche lui.

Audry non sa cosa pensare; i pensieri la confondono e le lacrime minacciano di sopraffarla nuovamente. Perché ha deciso di dirlo? Perché rovinare tutto?

< Sei molto più che semplice amore, Audry, ma non ho parole per esprimere qualcosa di così grande e un ti amo non è sufficiente. Sei la cosa più importante per me adesso, insieme a Renéesme ed ti adoro, come credo neanche i Greci abbiano adorato le loro divinità. > Continua, osservando l'incredulità dipingersi sul suo viso innocente, sostituita poi dall'imbarazzo.

< Nessun ragazzo di oggi direbbe delle cose così ad una ragazza, lo sai questo, no? > Tenta di stemperare la tensione e la felicità con una piccola presa in giro ai suoi danni.

Edward sorride e torna a baciarla.

< Perché non sono fortunati come me. > Ribatte con un sussurro sulla sua bocca, gli occhi semichiusi e le mani intorno alla sua vita sottile.

Audry riemerge dopo qualche istante dalla bolla che ha costruito insieme ad Edward, quella fatta di carezze e parole dolci, cose che Sarah considererebbe vomitevoli, quando si rende conto che gli unici rumori udibili sono il soffio del vento tra gli alberi e qualche ululato in lontananza.

< Dove sono gli altri? > Domanda, guardandosi intorno come se potessero sbucare improvvisamente da un angolo.

Edward sorride malizioso.

< Temo che sarà costretta a dividere la casa con me, signorina; spero non le dispiaccia. > L'attrae a sé, cogliendola alla sprovvista e baciandole il collo niveo, costringendola a trattenere il respiro.

< Affatto, signor Cullen. > Risponde, cercando di mantenere la voce ferma e sicura.

Sa che dovrebbe pensare a Jenna, al fatto che è morta per qualcosa di cui neanche era a conoscenza, al funerale che si è appena celebrato e a quanto dolore ancora le provochi la sua assenza, ma non riesce a pentirsi dei sorrisi che dona a Edward, dei baci che si rubano vicendevolmente o delle carezze innocenti che condividono.

Per una volta, ha voglia di leggerezza, lei, che leggera non lo è stata mai.

 

 

 

 

 

Bracciale di Audry

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Capitolo 32
*** Protect Me ***


Salve!

Il venerdì é il mio "giorno delle consegne", per cui eccomi qui a "consegnarvi" questo nuovo capitolo. Era pronto da qualche giorno, ma ho voluto terminare il capitolo di una Ff che aggiorno di pari passo a questa prima di pubblicare, quindi, perdonatemi per il ritardo :)

Quando ho terminato di scrivere questo capitolo, mi sono resa conto, facendomi due conti, che alla fine della Ff mancano circa 5-6 capitoli, comprensivi di Epilogo. Ripeto che, di questa Ff, avevo in mente, inizialmente, soltanto l'inizio e la fine e che tutti gli avvenimenti che si sono svolti fino ad ora, non erano stati affatto preventivati prima della stesura dei capitoli stessi. Tutto questo, solo per dirvi che sto seguendo "la rotta", nel senso che la fine non cambierà dai miei progetti iniziali, rimarrà sempre quella e che, per quanto abbia bene in mente quello che dovrà succedere nei prossimi capitoli, tutto potrebbe cambiare, ma la fine no, quella rimane "già scritta", in un certo senso, anche se solo nella mia mente, per ora.

Ad ogni modo, dopo questa premessa noiosa, torno a parlare del capitolo, annunciandovi che sarà l'ultimo in cui le cose sembreranno finalmente sistemate, perché dal prossimo Leonard tornerà per portare a termine il suo piano. Solo perché voi lo sapeste, certo ;)

Ringrazio le persone che hanno letto lo scorso capitolo, chi ha commentato, chi ha inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e chi ha inserito me tra gli autori preferiti: GRAZIE *.* Non riesco ad esprimere la mia gratitudine in nessun altro modo e spero che a voi basti :)

Cercherò di essere celere con i prossimi aggiornamenti, perché la storia sta volgendo al termine e non voglio tenervi sulle spine, ma ho in programma tre esami da sostenere a settembre, per cui, cercherò di scrivere durante le pause studio e farò del mio meglio per non farvi attendere.

Ok, la smetto di ciarlare e vi lascio alla lettura.

 

Buon fine settimana e...

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando rientrano in casa, tutto è silenzioso e in ordine. Esme, Alice e Sarah hanno davvero fatto un ottimo lavoro.

Le cibarie rimaste sono state sistemate accuratamente in frigo, i centro tavola sono ritornati ai loro posti e la cucina non è più il campo di battaglia di qualche ora prima: i piatti, già perfettamente lavati e asciugati, sono stati risistemati nella credenza, così come i bicchieri e, se Audry non fosse sicura che, fino a poco tempo prima, quella casa aveva ospitato una trentina di persone pronte a farle le condoglianze per la perdita di Jenna e ad offrire il loro gentile sostegno, crederebbe di aver appena varcato la soglia di casa in una giornata qualsiasi.

< E' tutto in ordine. > Commenta meravigliata.

< Già. > Edward la stringe a sé con un braccio intorno alle sue spalle e le bacia i capelli, sorridendo della sua meraviglia.

< Vi invidio per la vostra sorprendente velocità... sarebbe utile nello studio... > Soppesa, alzando il viso verso di lui, il cuore che accelera in automatico quando gli occhi si scontrano con quelli di lui.

< Ti annoieresti. Non è così divertente come sembra. Per un umano magari sì, ma quando ormai ci hai fatto l'abitudine, diventa piuttosto noioso. > Le risponde, aggrottando le sopracciglia.

< Ma avete la possibilità di impiegare il tempo in mille modi diversi! Come potrei mai annoiarmi? Potrei fare tutte le mille cose che non riesco a fare adesso, in una giornata di ventiquattro ore. > Ribatte con serietà.

< Stai tentando di convincermi a fare cosa, esattamente? > La osserva con perplessità, seguendola in direzione delle scale che li condurranno alle camere da letto.

Audry sospira e scuote la testa.

< Niente, stavo solo cercando di portare avanti la mia tesi. > Fa spallucce. In realtà, quella è solo una parte della verità. Insomma, magari non ne ha mai fatto parola con nessuno, ma nella sua mente, specialmente dopo quell'incubo orrendo in cui aveva sete di sangue, in cui si era vista completamente diversa allo specchio, come se fosse diventata un'altra persona, è cominciata a vorticare l'idea di poter diventare una di loro, una vampira.

Non sa molto del loro modo di vivere, o delle loro leggi, o del loro mondo, ma crede di poter imparare, così come ha imparato a convivere con il fatto che Sarah è una mezza-vampira.

Sa che Edward non è disposto a concederglielo; d'altronde, lui è restio per quanto riguarda un mucchio di cose che potrebbero, in via del tutto ipotetica, farle del male, ma, in fondo, sulla questione fisica della loro relazione è riuscito a farlo cedere; potrebbe farlo cedere anche sulla questione trasformazione. 

< Sei una pessima bugiarda, lo sai? > Le afferra con delicatezza un polso, costringendola a voltarsi per fronteggiarlo.

Audry sbuffa, determinata a non guardarlo negli occhi.

< La tua testa sta elaborando qualcosa, riesco a capirlo, anche se non posso leggerti nel pensiero. > Sorride appena, sfiorandole i capelli, le tempie e poi il viso.

< Non è una cosa di cui ho intenzione di parlarti. > Ribatte risoluta.

< E perché no? > Delinea con concentrazione il profilo delle guance, delle labbra, del mento e poi del collo, fino alle clavicole, nascoste dal tessuto sottile del vestito nero.

< Perché conosco già la risposta. > Spiega ovvia, arrossendo per le sue carezze leggere.

< Mettimi alla prova. > Le soffia ad un centimetro di distanza dalle sue labbra, costringendola a socchiudere gli occhi per respirare meglio il suo profumo.

< E' scorretto da parte tua distrarmi in questo modo... > Mormora, legando entrambe le braccia dietro il suo collo, facendo congiungere la fronte con la sua.

< Vuol dire che sta funzionando? > Divertito, la bacia leggero, appena uno sfioramento, che la lascia insoddisfatta. Fosse per lei, non smetterebbe mai di baciarlo, neanche per riprendere fiato.

< Vuol dire che mi sto dimenticando di essere arrabbiata con te. > Sospira, mentre Edward le accarezza i fianchi, risalendo lungo la schiena.

< Sei arrabbiata con me? > Aggrotta nuovamente le sopracciglia, raggiungendo l'orlo del vestito e sfiorandolo, senza sollevarlo.

Audry, paralizzata dalle sue attenzioni, riesce a malapena a stringere i suoi capelli tra le dita, come per implorarlo di non smettere.

< Molto arrabbiata... > Biascica con difficoltà, incontrando ancora le sue labbra per un istante.

Le scappa un gemito di frustrazione che fa sorridere Edward, mentre slega la presa delle braccia di lei intorno al collo e la bacia ancora, questa volta un bacio più profondo dei precedenti, i polsi costretti nella sua morsa decisa, ma delicata.

< Ho fatto qualcosa che non va? > Mormora, separandosi dalle sue labbra bollenti, costringendola a reclinare il capo all'indietro per avere accesso anche alla pelle morbida del collo.

< Per adesso no, nulla che non va... > Riesce a rispondere prima di gemere piano.

Se vuole irretirla, deve ammettere che ci sta riuscendo benissimo; ha le gambe molli, come gelatina e si sente fremere, fremere dal desiderio di liberarlo dei vestiti e di accarezzarlo senza restrizioni, di poter imprimere nella mente ogni singolo dettaglio del suo corpo.

< Odori di fresia... > Le scopre una spalla, piano, come se stesse rivelando un tesoro e vi strofina le labbra, come se si stesse preparando ad un assaggio.

Audry si aggrappa con le mani ai lembi della sua giacca scura, strattonando, affinché se ne liberi, ma prima che la stoffa possa andare oltre le sue spalle, Edward l'ha già sospinta con gentilezza nella sua stanza, in direzione del letto, mantenendola contro di sé con le mani sulla vita sottile.

La bacia ancora, portandole indietro i capelli con entrambe, facendola arrossire di piacere, poi, quando si separa da lei, la osserva: gli occhi lucidi di eccitazione e brama, le guance arrossate, le labbra gonfie, i capelli in disordine e le mani ancora aggrappate alla sua giacca elegante.

Se ne disfa velocemente, ricambiando il suo sorriso, mentre Audry con precisione e candore, sguscia via dalle ballerine nere che ha ai piedi, tirando giù la cerniera del vestito sul fianco, tornando a guardarlo negli occhi.

Edward si libera della cravatta e della camicia: potrebbe farlo in un istante, potrebbe far saltare via tutti i bottoni con un solo gesto, ma non lo fa. Osserva l'espressione concentrata di Audry sulla pelle che, piano, la stoffa espone alla sua vista, le labbra appena schiuse, rosse.

Audry, a sua volta, si libera del vestito, lasciando che cada ai suoi piedi, sollevando prima un piede e poi l'altro, per liberarsene definitivamente, rimanendo in intimo. Dovrebbe provare vergogna, essere imbarazzata da quella situazione inusuale, ma stranamente si sente a suo agio, al sicuro, come sempre quando è in compagnia di Edward.

Lo osserva liberarsi anche dei pantaloni e delle scarpe, trattenendo il respiro: il suo corpo è perfetto, ed è conscia di cominciare ad essere ripetitiva nei giudizi, ma è l'unica cosa che può dire, l'unico aggettivo che riesce a mettere in relazione con lui.

Gli accarezza le braccia in punta di dita, come se volesse graffiarlo, il petto ampio, gli addominali mediamente scolpiti e il cerchio perfetto dell'ombelico.

Gli occhi di Edward seguono i suoi movimenti e a tratti, sembrano sofferenti, angosciati, tanto che Audry gli sorride per tranquillizzarlo e lui aggrotta solo le sopracciglia e le sfiora i capelli.

La bacia con gentilezza, sospingendola verso il letto, portandosi su di lei senza pesarle addosso, vezzeggiando ogni singolo centimetro di pelle esposta, ottenendo in cambio sospiri e gemiti appena accennati.

Le accarezza la pancia, sollevando appena la canotta, mentre lei porta le mani tra i suoi capelli, non per guidarlo, ma solo per tranquillizzarlo, accarezzandogli la nuca e poi le spalle. Si fida di lui, sa che non potrebbe mai farle del male.

La canotta finisce sul pavimento insieme agli altri vestiti, mentre le loro labbra si incontrano ancora, mentre le gambe di Audry gli circondano la vita e lo stringono, formando una gabbia che gli impedisce di scappare, di allontanarsi dal suo calore invitante, dal suo nome sussurrato tra un bacio e l'altro, dai suoi occhi che si chiudono quando il piacere diventa troppo intenso e crede di non riuscire a sopportarlo, dai suoi capelli sparsi sul cuscino, dalle sue mani che lo spingono più vicino e dai suoi gemiti vanamente trattenuti.

Questa volta, non riesce a penetrare la sua mente, non riesce a leggervi ricordi o pensieri, ma non gli dispiace, perché riesce a concentrarsi maggiormente su di lei, sulle sensazioni che animano entrambi, sulla bellezza del suo viso stravolto dal piacere, sul suo sguardo dolce e sereno quando riapre gli occhi, il respiro affannato e un velo di sudore che le ricopre le membra stanche.

Edward le sorride appena e le bacia una spalla, spostandosi su un lato per non darle fastidio, ma lei lo trattiene su di sé, bloccando i suoi movimenti.

< Rimani. > Mormora, ricambiando il sorriso.

< Potrei schiacciarti, Audry, e non è una metafora. > Le fa presente, scostando le coperte ed aiutandola ad infilarcisi sotto, affinché non prenda freddo.

Lei sbuffa, mettendo il broncio, ma alla fine si arrende, voltandosi verso di lui e accoccolandosi contro il suo petto, chiudendo gli occhi, ma continuando ad accarezzarlo leggera.

< Sono riuscito a distrarti abbastanza? > La prende in giro, riordinandole i capelli sulla schiena e sorridendo.

Audry emette un verso a metà tra un sospiro e un grugnito di rabbia, ma non accenna a riaprire gli occhi, preferendo lasciarsi coccolare.

Edward ride della sua risposta non-verbale e le bacia la fronte.

< Lascerai mai che diventi come te? > Gli domanda e immediatamente lo sente irrigidirsi, tendere tutti i muscoli e smettere di accarezzarle i capelli.

< Ne abbiamo già parlato, Audry. Non sono disposto a trasformarti in un mostro. > Risponde serio e freddo.

< Ma tu vivrai in eterno, io, un giorno, morirò! > Protesta, riaprendo gli occhi e osservandolo.

< Non è necessario che entrambi viviamo in eterno; ti amerò fino alla fine, non è sufficiente? > Ha detto le stesse cose anche a Bella, anni prima, ma lei non si era comunque arresa e dubita che Audry lascerà correre con tanta facilità.

< No, certo che no! Conoscerai qualcun'altra e ti innamorerai di lei e vorrai sposarla, ma non trasformarla e allora arriverà il giorno in cui ti lascerà e tu ricomincerai tutto d'accapo... > Risponde, imbronciandosi.

< Dunque è questa la tua preoccupazione? Pensi che possa dimenticarti e ricominciare con un'altra donna? > La osserva divertito, traendola a sé, godendo del suo calore confortevole.

Audry arrossisce. E' gelosa, certo; chi non lo sarebbe?

< Beh... dopo Bella ti sei innamorato di me, anche se non lo credevi possibile, eppure è successo. Cosa ti fa credere che non accadrà di nuovo? > Ribadisce, abbassando gli occhi sul piumone colorato.

< Ne avrò abbastanza dell'amore, per allora. Sono stato fin troppo fortunato e non credo che avrò bisogno di un'altra donna. > Sprofonda il viso nell'incavo tra il collo e la spalla di lei, respirando il suo profumo deciso.

Audry gli accarezza dolcemente i capelli, indugiando sulla nuca.

< Non mi amerai più, una volta che sarò diventata vecchia e rugosa e piena di acciacchi patetici. > Brontola con rassegnazione.

< Hai ancora così tanto tempo davanti a te... > Le bacia il collo e poi la spalla, leggero come una piuma.

< Sono già più vecchia di te, ed è... insomma, potrei essere accusata di pedofilia! > Sbotta.

Edward ride, sinceramente divertito, sollevando il viso, incontrando le sue labbra morbide.

< Stai vaneggiando, Audry. Nessuno penserebbe che sono più giovane di te. > Osserva pratico.

< E perché mai? > Domanda con sarcasmo, sentendosi tremendamente ridicola.

< Perché ho due lauree e una figlia. > Afferma con sicurezza.

Audry sospira, realmente rassegnata, adesso che le ha tentate davvero tutte. Sì, ci sarebbe un'alternativa: potrebbe chiedere a qualche altro membro della famiglia Cullen di trasformarla, ma la verità è che vuole che sia Edward a farlo e nessun altro.

< Non riuscirò a spuntarla, vero? > Gli accarezza le spalle con gentilezza e dolcezza, mentre Edward le solletica la gola con la punta del naso.

< Sei un'inguaribile testarda, sai? Piuttosto, dovresti preoccuparti del Ballo di Beneficenza, e non di come diventare una vampira. > Scuote la testa, tornando a posarla sul cuscino l'istante successivo, sorridendo del suo smarrimento.

< Oh cielo! > Si passa una mano tra i capelli, osservando il soffitto, disperata.

< Che succede? > Edward le accarezza un braccio, cercando di capire cosa non va.

< Ma non capisci? Mi sono completamente dimenticata del Ballo! E avevo promesso di andarci con Michael! > In un istante è seduta e rovista nel cassetto del comodino accanto a lei per recuperare una canotta e un paio di slip, ed infilarli svelta, prima di allontanarsi dal letto per raggiungere la scrivania ed estrarre da un libro l'invito al Ballo.

Quattro maggio, recita; possibile che avesse perso totalmente la cognizione del tempo?

< Puoi ancora andarci con lui, se vuoi. > La voce di Edward la risveglia dallo stato di agitazione nel quale é caduta, facendola voltare di scatto verso di lui che, nel frattempo, ha indossato, come lei, gli indumenti intimi e adesso la sta osservando, la schiena poggiata contro un paio di cuscini a ridosso della testiera del letto, le braccia incrociate al petto.

< Non voglio andarci con lui. > Ribatte, richiudendo l'invito nel libro e poggiandosi con la schiena contro la scrivania, facendo leva con i palmi delle mani all'indietro.

< Perché no? > Le domanda scettico.

< Perché mi piacerebbe andarci con te. > Risponde ovvia, sistemandosi i capelli dietro le orecchie con imbarazzo.

< Forse è giusto che tu ti goda una serata normale, dopo tutto quello che è successo, senza esseri sovrannaturali intorno. > Nonostante la paura che possa succederle qualcosa in sua assenza, non può negarle l'opportunità di un ritorno alla vita di sempre, alla quotidianità che si è costruita negli anni, non dopo che Jenna è stata brutalmente assassinata da un loro simile.

< Posso disdire con Michael, non ci sarebbe niente di male... > Considera, avvicinandosi nuovamente al letto, sedendosi accanto a lui e prendendo a giocherellare distrattamente con le lenzuola.

< Hai promesso che ci saresti andata con lui tempo prima di conoscere me; cosa penserebbe di te? > Le fa presente, avvicinandola a sé, allargando appena le gambe per farle spazio in mezzo ad esse, accarezzandole i capelli, pettinandoli con le dita, come se volesse acconciarli.

< Semplicemente che adesso ho un fidanzato e che preferisco essere accompagnata da lui al Ballo. > Risponde, rilassandosi alle sue carezze gentili e attente.

Edward le bacia il collo, spostandole di lato i capelli, annusandola come farebbe un segugio.

< Ti prego! E' l'unica cosa che ti chiedo! Perfavoreperfavoreperfavore! > Tenta di convincerlo, cambiando posizione, inginocchiandosi tra le sue gambe e congiungendo le mani, come se stesse per pregare, assumendo la sua espressione più convincente.

Edward sorride e scuote la testa. Sa essere davvero testarda, quando vuole.

< D'accordo, ma ad una condizione. > Cede, abbagliato dal suo sorriso felice.

< Quale? > Domanda impaziente.

< Che trascorrerai del tempo con i tuoi amici umani. > Completa.

< Affare fatto! Ma non voglio ballare con nessuno che non sia tu. > Chiarisce, circondandogli il collo con le braccia e avvicinandosi al suo viso.

< E' ora di dormire. > Le sorride, dopo essersi separato dalle sue labbra, sollevandola per adagiarla sul materasso e coprirla con il piumone.

< Ehi! Sono grande abbastanza da sapere quando è ora di andare a letto! > Protesta, facendogli spazio accanto a sé.

Accoccola la testa sul suo petto, ora coperto da una canottiera sottile, azzurra e sospira beata, chiudendo gli occhi.

< Sogni d'oro. > Le mormora, baciandole una tempia e lei sorride e si stringe a lui, già completamente rilassata.

 

La luce la sveglia e lei borbotta qualcosa di indistinto, voltandosi a pancia in giù e sprofondando la testa nel cuscino per continuare a dormire, ma i raggi di sole sembrano non volerle dare nessuna tregua.

Ha dimenticato di chiudere le tende, la sera prima e sembra che il meteo abbia deciso di concedere una tregua al freddo pungente, dando modo agli abitanti di Seattle di godere della primavera.

Audry sbuffa e socchiude gli occhi, rendendosi conto di essere intrappolata in un abbraccio dolce e possessivo.

Volta il viso ad incontrare quello di Edward: ha gli occhi chiusi, e se Audry non sapesse che i vampiri non dormono mai, penserebbe che sia profondamente addormentato, invece, deve essersi solo rilassato in attesa che si svegliasse.

Sorride e gli si avvicina, strofinando la punta del naso contro la sua guancia fredda, costringendolo a riaprire gli occhi e a ricambiare il sorriso.

< Ciao. > Lo saluta, baciandogli le labbra.

< Buongiorno. Mattiniera, oggi? > Le sistema i capelli sulla schiena e si lascia abbracciare di buon grado. Il suo corpo conserva ancora il calore del sonno e delle coperte ed è piacevole sentirlo stretto al suo.

< Che ore sono? > Domanda, cercando con lo sguardo la sveglia sul comodino.

< Solo le sette e mi duole informarti che mia sorella sarà qui tra un'ora per portarti a fare shopping. > Le accarezza le braccia, leggero, facendola rabbrividire.

< Shopping?!? > Spalanca gli occhi verdi, incredula.

< Per il Ballo; sempre che tu te la senta. > Le accarezza la schiena e automaticamente Audry pensa a sua zia, alle sue cose da sistemare, al suo armadio da svuotare, alle cose da riporre nelle scatole. Dovrà farlo, prima o poi, anche se adesso le sembra quasi un insulto dare via la sua roba, dimenticarla.

Sospira e poi scuote la testa, liberandosi di quel pensiero e sforzandosi di sorridere.

< Sì, d'accordo, perché no. > Fa spallucce.

< E' una cosa da donne, quindi non posso partecipare, ma ti lascio in buone mani. > Continua a stringerla, baciandole il mento e poi la gola, facendola sospirare estasiata.

< Non vale come per le spose, sai? Puoi vedere il vestito prima del Ballo. > Sorride, sistemandosi i capelli dietro un orecchio.

< A me piacciono le sorprese. > Sorride di rimando, baciandole una tempia.

< D'accordo. > Gli fa una linguaccia, prima di liberarsi della sua stretta per cominciare a prepararsi.

Vorrebbe che sua zia fosse lì, vorrebbe che fosse lei ad accompagnarla a scegliere un vestito. I suoi pensieri sono una continua altalena tra sua zia e la quotidianità che sta cercando di riconquistare. Non dovrebbe sentirsi in colpa per aver semplicemente deciso di andare avanti, in un modo o nell'altro, eppure  vive come un'ingiustizia il fatto che adesso lei sia lì, a casa, intenta a prepararsi per una mattinata di shopping, mentre sua zia non c'è più, non le lascerà più i post-it appiccicati al frigorifero, non cucinerà più per lei e non potrà dirle che è bellissima e che i suoi genitori sarebbero fieri di lei, prima di andare al Ballo. Non ha neanche avuto modo di conoscere Edward, non sa neanche cosa, effettivamente, ha pensato di lui, come vedeva la loro relazione. Ci sarebbe dovuta essere lei al posto di Jenna, era lei che Leonard voleva. Non può incolparsi per quello che è successo, ma non può neanche rinnegare la verità e la verità è che forse quella di Leonard è soltanto la quiete prima della tempesta, come se volesse, in qualche modo, farle godere gli ultimi giorni di spensieratezza prima della fine. 

Avere Edward accanto, la sua famiglia, Sarah e Jacob, anche se non lo conosce così bene, la fa sentire più protetta, al sicuro, ma per quanto ancora? Un uomo ferito e umiliato sarebbe capace di qualsiasi cosa, perché dovrebbe essere diverso per un vampiro? Lui, che ha più forza di un intero esercito?

Se qualcun altro dovesse morire per causa sua, non riuscirebbe a perdonarselo, ma cosa può fare se non attendere, aspettare che sia lui a fare la prima mossa?

 

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Capitolo 33
*** Dreams are Wishes ***


Buongiorno a tutte!

Come va? Avete concluso bene queste vacanze estive? Avete già ricominciato la scuola? Ok, troppe domande e tutte in una volta sola, ma voi rispondete pure con calma :P

Dunque, mi scuso per il ritardo, avrei dovuto postare già lunedì, slittato poi a martedì e, infine, ad oggi; perdono! Come consolazione, posso annunciarvi, però, che questo è, quasi sicuramente, il penultimo capitolo della Ff, escluso l'epilogo, che io non considero un vero e proprio capitolo. Quindi, il prossimo sarà l'ultimo e poi ci sarà un epilogo piuttosto breve e del tutto inaspettato. Voi come credete che si concluderà la vicenda? Sono curiosa di sentire le vostre supposizioni.

Che dire di più? Questo capitolo è piuttosto tranquillo, in fondo, i nostri personaggi si stanno preparando per un Ballo *.* (come vorrei parteciparvi anch'io), ma vi prometto che, se anelate un altro po' di azione, il prossimo sarà il capitolo per voi ;)

Ringrazio tutte le persone che hanno letto, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno inserito me nella loro lista di autori preferiti *.*: GRAZIE! <3

Non posso fare altro che augurarvi una buona continuazione di settimana e, al solito, una...

 

 

 

 

 

 

...Buona Lettura! <3

 

P.S. In fondo al capitolo troverete un link per visionare il vestito che ho scelto per Audry. Vi piace?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'università è già in fermento in vista del Ballo di Beneficenza. Sono apparsi i primi manifesti in città e i primi volantini sulla cattedra del Banco Informazioni all'ingresso dell'edificio; persino il parcheggio sembra diverso, con le bandiere riportanti il logo dell'Università e quello dell'Associazione Umanitaria a cui saranno devoluti i proventi della serata, che sventolano leggere.

Audry, guardandosi intorno, accompagnata da Sarah che deve recarsi, come lei, alla lezione di Fisica e Teoria del Calcolo, l'ultima del semestre accademico prima dell'esame finale, si rende conto che tutti non fanno altro che parlare di vestiti, accompagnatori, progetti e celebrità invitate al Grande Evento. 

< Sembra che il Ballo di quest'anno sia ancora più importante dei precedenti. > Commenta, rivolgendosi a Sarah, sbuffando appena.

< Forse perché fino ad ora ti sei sempre rifiutata di prendervi parte. Eri un eremita: ti chiudevi in casa settimane prima con la scusa che dovevi studiare per l'ultima sessione di esami, e ti perdevi il meraviglioso clima pre-evento. > Fa spallucce la sua migliore amica, stringendo i libri al petto.

Audry sbuffa ancora, questa volta più sonoramente, tanto che Sarah, udendola, non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo.

< E' una cosa stupida! Insomma, noi siamo solo studenti, non ricchi ereditieri che prendono parte alla serata per sfoggiare i loro quattrini e per fingere di donare di più, in modo tale che la città non faccia altro che parlare di noi. Dobbiamo partecipare a questo Ballo, solo per vederli sfilare con le loro accompagnatrici? No, grazie. > Si giustifica lei, infervorandosi nel sostenere la sua tesi.

< Ma qui non succede mai nulla, Audry! E' l'unica occasione per divertirsi un po'! > Continua Sarah, neanche dovesse supplicarla di parteciparvi.

< Beh, direi che quest'anno ne sono successe di cose... > Abbassa lo sguardo all'asfalto, ripensando ad Edward, a Renéesme, alla famiglia Cullen, a Leonard, alla morte di sua zia Jenna.

La mano di Sarah si poggia prontamente sul suo braccio, stringendo appena, a mo' di conforto, mentre un sorriso le si fa strada sul volto rischiarato dai timidi raggi di sole di una primavera che sembra non abbia alcuna intenzione di sbocciare.

< Andrà tutto bene, lo sai, vero? > Annuisce, a maggiore sostegno della sua fiducia.

Audry prova a ricambiare il suo sorriso, annuendo pensierosa.

Entrambe, non fanno neanche in tempo ad avvicinarsi alla cattedra del Banco Informazioni per recuperare qualche volantino e qualche tessera di partecipazione, che vengono distratte dalla comparsa di Michael, che sembra aver appena dato conferma della sua partecipazione al Ballo, visto la coccarda blu che ha in mano e che ogni partecipante alla serata, uomo o donna che sia, deve obbligatoriamente indossare.

< Ciao! > Saluta entrambe, focalizzando, tuttavia, la sua attenzione su Audry.

< Ehm... allora io ti aspetto in aula... > Sarah, imbarazzata dal dover presentarsi come la terza incomoda, li lascia soli, rinunciando anche ad afferrare un volantino.

Audry si sente terribilmente in imbarazzo, che l'unica cosa che vorrebbe fare, sarebbe scappare. Non gli ha ancora detto che non ha più intenzione di essere la sua accompagnatrice al Ballo e la cosa la rende nervosa; insomma, mancano solo due giorni e, nonostante abbia avuto più volte occasione di incrociarlo nei corridoi, o nelle pause tra una lezione e l'altra, nei trascorsi tre giorni, non è mai riuscita ad avvicinarsi o a farsi avvicinare per comunicargli la sua decisione. Ha paura di deluderlo, di frantumare i suoi desideri, perché sa che Michael è interessato a lei, lo sa perché ha notato i suoi sguardi, la luce che gli si accende negli occhi quando la osserva da lontano, quando le sorride appena per salutarla e quando arrossisce, anche se deve solo chiederle un'informazione per un esame.

D'altra parte, non sarebbe giusto illuderlo così, fornirgli una falsa speranza e poi correre il rischio che la veda con Edward. Non è con lui che vuole andare al Ballo e, anche se le dispiace, non può fingere di volerlo.

< Ciao. > Risponde dopo qualche istante di indecisione.

< Ho saputo di tua zia. Mi dispiace molto, davvero. Se posso fare qualcosa, qualsiasi cosa... > La osserva, lo sguardo triste e davvero dispiaciuto.

< Grazie, lo apprezzo molto, sul serio. > Audry annuisce e sorride appena. Non sta facendo altro che ripetere le stesse cose a chi la ferma nei corridoi e le dice che è dispiaciuto per la morte di sua zia, ma lo apprezza davvero, anche se la maggior parte di loro non sanno cosa voglia dire perdere una famiglia.

< Senti, per quanto riguarda il Ballo, io... > Audry distoglie gli occhi dai suoi, colpevole, ma viene interrotta.

< Non te la senti di andarci, è comprensibile. > Completa per lei la frase Michael.

< No, non è questo il punto. Ti ho promesso che sarei stata la tua accompagnatrice, solo che adesso le cose sono un po' diverse e... > Viene interrotta per la seconda volta.

< Ci andrai con qualcun altro, non è così? > Le domanda, amareggiato.

Audry sospira.

< Sì, è così. Mi spiace davvero non averti avvertito prima, solo che sono successe tante, troppe cose in quest'ultimo periodo e non avevo programmato di fidanzarmi. > Sfiora con le dita della mano sinistra il bracciale che le ha regalato Edward solo qualche giorno prima, Michael che studia il suo gesto, pensieroso.

< Comprensibile. D'accordo, non c'è problema, davvero. > Sorride e ad Audry sembra sincero, quasi ci fosse abituato ai rifiuti.

< Mi spiace che tu ci vada da solo. E' troppo tardi per trovare un'altra accompagnatrice... > Riflette ad alta voce.

< Posso sempre costringere mia sorella. > Ride, contagiando anche lei.

< Verrebbe davvero? > Gli domanda curiosa.

< No e non farebbe altro che assillarmi su quanto siano noiose queste serate, se solo ce la portassi con la forza. > Ammette, facendo spallucce.

< Verrai da solo, quindi? > Le sembra l'unica soluzione possibile, stando così le cose.

< Ho bisogno di divertirmi un po' e poi, ho la coccarda, ormai. > La solleva, osservandola. < Mi concederai almeno un ballo? > Continua.

< D'accordo; in fondo, è un ottimo compromesso e devo pur sempre farmi perdonare. > Gli stringe la mano, come se stessero suggellando un patto, continuando a sorridere.

< D'accordo. A venerdì, allora. > La saluta, scompigliandole i capelli e augurandole una buona giornata.

Audry ricambia prima di sospirare di sollievo e avvicinarsi alla cattedra lì vicino per ottenere due coccarde: una per lei e una per Edward.

Ritrova Sarah in classe, che chiacchiera amabilmente con David, il suo accompagnatore al Ballo. Sorride, perché, nonostante tutto, anche Sarah merita di trovare qualcuno che la faccia sentire protetta, al sicuro e, soprattutto, amata.

Incrocia il suo sguardo e le fa cenno di continuare tranquillamente a parlare con David, mentre lei occupa uno dei posti liberi in penultima fila. Le lezioni di Fisica e Teoria del Calcolo sono sempre quelle più seguite dell'intera università, e sono anche le uniche materie che Audry, suo malgrado, è stata costretta ad inserire nel suo Piano di Studi.

Il professore è in ritardo; se ne rende conto, lanciando un'occhiata distratta al display del suo cellulare, estraendolo dalla borsa, verificando anche che nessuno l'abbia cercata. L'assenza di Leonard, di segni tangibili della sua voglia di vendetta, preoccupa un po' tutti, specialmente Carlisle ed Edward, che non la lascia mai sola, tranne in università: Leonard non scatenerebbe mai una guerra lì, in un luogo pieno di testimoni, ma Audry, nonostante senta di potersi fidare di Edward senza sforzo, ha imparato a guardarsi intorno, a studiare i visi di tutti coloro con i quali condivide le lezioni, di tutte le persone che, seppur casualmente, le fanno cadere lo zaino, o le pestano un piede, o le rovinano addosso; tutti atteggiamenti che, solo qualche mese prima, avrebbe trovato normali, casuali.

Sarah la raggiunge qualche istante prima che il professore faccia il suo ingresso in aula, le guance rosse d'imbarazzo e gli occhi lucidi di gioia.

< Che succede? > Le domanda Audry, scrutandola attenta e premurandosi di abbassare la voce per non disturbare la lezione.

Sarah sospira sognante.

< Credo di essere profondamente innamorata di lui. > Ammette in un sussurro, abbassando lo sguardo l'istante successivo per cercare i libri nella tracolla che ha poggiato distrattamente sulla sedia accanto alla sua.

< Di David. > Non è una domanda, la sua, ma un'affermazione. Sorride, complice.

< E' stato così... carino! Insomma, ha detto che verrà a prendermi venerdì sera con la limousine che ha prenotato con i suoi amici; ti rendi conto? Una limousine! > E' sorpresa ed eccitata dalla notizia e Audry non può che esserlo per lei.

< E' fantastico, Sarah. Suo padre è uno dei maggiori benefattori della città, dire che è un ottimo partito è fin troppo riduttivo. > Afferma. Ogni anno i proventi ottenuti dal bonifico del signor Levithan costituiscono più del cinquanta percento delle entrate locali del Ballo di Beneficenza.

< Dovreste venire anche voi; potremmo raggiungere l'università tutti insieme. > Le propone, rivolgendo un'occhiata al professore per assicurarsi che non si sia accorto delle loro chiacchiere.

< Non so se sia una buona idea... voglio dire, con la storia di Leonard e della sicurezza, non credo che Edward voglia rischiare di mettere in pericolo altri innocenti. > Risponde, rendendosi conto che quella corrisponde solo ad una parte della verità; è lei che non vuole macchiarsi di altro sangue. Non sopporterebbe la morte di qualcun altro per causa sua.

< Oh, andiamo, è solo una limousine! Non morirà nessuno, e poi non conosco nessuno dei suoi amici! > Mette su una delle sue espressioni più convincenti, cercando di muoverla a compassione.

< Conosci David. > Replica l'amica, sorridendo appena del suo tentativo di corromperla.

Sarah alza gli occhi al cielo e sbuffa.

< Sei la mia migliore amica, non puoi lasciarmi in balia di un mucchio di ragazzi! E se fossero dei maniaci stupratori? > Controbatte.

< Jill e Julia accompagneranno Simon e Kevin, non sarai sola. > Risponde ovvia.

< Sai che non le sopporto! > E' la volta di Audry di sbuffare e alzare gli occhi al cielo.

< D'accordo, vedrò cosa posso fare. > Sospira alla fine, rassegnata, ottenendo un urletto muto di gioia.

Scuote la testa e sorride prima di prestare la sua completa attenzione alla lezione in svolgimento.

 

< Sarah ha già un accompagnatore per il Ballo, vero? > E' la prima domanda che le rivolge Edward, non appena apre la portiera e sistema la borsa sul sedile, prima di sedervisi. Da quando sua zia è morta, si rifiuta categoricamente di lasciarle guidare la sua berlina, così è costretta ad accettarlo come autista. Non che questo le dispiaccia: la fa sentire al sicuro, protetta e, inoltre, vedere il suo viso non appena oltrepassata la soglia dell'università, le fa dimenticare immediatamente la stanchezza accumulata durante la giornata.

< Sì, perché? > Si allaccia la cintura di sicurezza e lancia un'occhiata a Sarah attraverso il finestrino, salutandola con la mano, mentre lei sorride e attende che David la riaccompagni a casa.

< I suoi pensieri cantilenano un ti prego da oltre dieci minuti; è snervante. > Osserva, fissando i due allontanarsi verso l'auto sportiva del ragazzo, che prima le apre elegantemente la portiera.

< Credo che sia rivolto a te. > Ammette Audry, facendo spallucce e seguendo il suo sguardo.

< Perché dovrebbe pregarmi? > Chiede, corrugando le sopracciglia, voltandosi ad osservare lei.

Audry sospira, pronta all'ennesimo non se ne parla. 

< David andrà a prenderla con una limousine per il Ballo, venerdì sera, insieme ad alcuni suoi amici e Sarah vorrebbe che andassimo con loro, tutti insieme. Le ho detto che avresti sicuramente... > Non fa in tempo a terminare la frase.

< D'accordo. > La precede lui, rilassandosi.

< D'accordo? Davvero? Voglio dire... niente paternale sulla sicurezza, sulla possibilità che Leonard potrebbe essere nei dintorni, su quanto sia necessario prevedere le sue mosse? Ne sei sicuro? > E' scettica. Non è da lui rispondere in maniera così diretta.

< Voglio che tu trascorra una serata umana, Audry, era la mia condizione perché ti accompagnassi al Ballo. Mi sembra un buon compromesso: tu converserai con umani ed io ti accompagnerò; manterremo entrambi le nostre promesse. > Chiarisce, accennando un sorriso.

Audry lo studia perplessa, ma Edward sembra tranquillo, perfettamente padrone di sé, come sempre, francamente convinto delle sue stesse parole.

< D'accordo. > Ricambia il sorriso, sistemandosi la borsa sulle ginocchia.

< Sei stanca? Vuoi andare a casa? > Le domanda, invertendo il senso di marcia, oltrepassando il cancello d'accesso all'edificio.

< Renéesme ha detto che andrete a caccia, stanotte. > Ovviamente, non può aspettare il suo ritorno a casa, da sola. Sarah si è offerta di farle compagnia, ma non sarebbe una protezione sufficiente in caso di attacco, senza contare che Sarah, probabilmente, è il secondo obiettivo di Leonard, quindi, Jacob, Seth e Leah pattuglieranno la zona e Renéesme si unirà al loro pigiama party.

< Potremmo farne a meno, ma venerdì è vicino e, se abbiamo sete, sarà più difficile mischiarci agli umani. > Osserva.

< La tua famiglia parteciperà al Ballo? > Solitamente i beneficiari appartengono ad esponenti di spicco della città, non pensava potessero parteciparvi anche i non residenti.

< Mio padre si è unito da poco alla loro lista. Collabora con l'ospedale della città, e non è stato difficile convincere il Consiglio. > Le sorride, celando a malapena un velo di malizia negli occhi color bronzo.

< Dovrei smetterla di meravigliarmi di quello che siete in grado di ottenere. > Scuote la testa e sorride, allungando una mano per accendere la radio.

< Proteggiamo solo le persone alle quali vogliamo bene. > Prima che Audry possa ritrarre il braccio, Edward le ha afferrato il polso con delicatezza, facendo intrecciare le loro dita. < E tu sei una di quelle. > Completa, rafforzando la presa con gentilezza per paura di farle del male.

Con la mano libera, Audry si slaccia la cintura e, stando attenta al cambio, si sporge verso il sedile del guidatore, ritrovandosi premuta contro il fianco di Edward che, senza difficoltà alcuna a mantenere il controllo della vettura, accoglie il suo abbraccio caldo e il suo sentito grazie.

 

< Non sono sicura che mi stia poi così bene, sai? > Audry si sta osservando allo specchio da ormai venti minuti, il vestito che Alice le ha aiutato a scegliere, già indossato, le scarpe non esageratamente alte che le ha prestato Sarah, già calzate, i capelli lasciati ribelli e mossi sulla schiena.

< Stai scherzando spero! Il celeste ti sta benissimo e questo vestito è semplicemente perfetto per te. > Sarah le si avvicina, l'abito lilla, stretto in vita da una cintura nera, le fascia perfettamente il corpo, donandole un look fresco e spensierato che le si addice particolarmente.

< Tu sei perfetta. > La rimbecca, osservandola compiaciuta.

Sarah arrossisce e, nel fingere indifferenza, si sistema la gonna, lisciando pieghe immaginarie.

< Beh, ad ogni modo, siamo in ritardo e i nostri cavalieri ci stanno aspettando. Andiamo? > Le sorride, afferrando la sua pochette e precedendola lungo le scale di casa Cullen che condurranno entrambe nel salotto, dove le stanno aspettando tutti.

Audry ha lo sguardo fisso sulle scale, nella paura che possa inciampare, e sente soltanto l'urletto eccitato di Alice alla loro vista e il chiacchiericcio composto degli ospiti.

Raggiunta la fine della scalinata, gli accompagnatori si avvicinano, ciascuno con in mano una coccarda da applicare sul petto della compagna.

Quando raggiunge Edward, Audry ha le guance rosse di imbarazzo e non riesce ad incrociare i suoi occhi; osserva solo le sue dita affusolate che armeggiano con la chiusura della spilla e l'appuntano sul petto, all'altezza del cuore. Poi sente il suo profumo più vicino e alza gli occhi, solo per incrociare i suoi, nuovamente dorati e per leggervi meraviglia e amore.

< Sei bellissima. > Le mormora, baciandole leggero una guancia, sfiorandole i capelli.

E bellissima, ai suoi occhi, lo è davvero, con il bustino arricciato che le fascia egregiamente i seni e i fianchi, lasciandole le spalle e il decolleté esposti, e la gonna di tulle celeste non molto ampia, che la fa assomigliare ad una principessa delle fiabe.

< Anche tu. > Risponde di rimando. Anche se sono circondati da altre persone, Audry ha la sensazione di essere sospesa in una bolla insieme a lui, mentre i rumori si fanno ovattati, così come le parole e loro sono soli, meravigliosamente soli, eppure insieme. 

Lo abbraccia, stringendo tra le mani la stoffa blu scuro della sua giacca, aggrappandosi quasi alla sua schiena, come ad uno scoglio dal quale potrebbe scivolare, risucchiata dalla corrente.

< Grazie per tutto questo. > Mormora riconoscente, trattenendo le lacrime.

< Non ho fatto nulla. > Le risponde, ricambiando la stretta, inebriandosi del suo profumo dolce.

< Non sarei riuscita ad andare avanti senza di te. Hai messo ordine tra i pezzi rotti del mio cuore e sei riuscito a completarne il puzzle. > Perché adesso le tessere sono finalmente in ordine, disposte in modo da rendere chiara l'immagine di un loro futuro insieme, concreto, possibile. 

Nonostante la minaccia di Leonard, nonostante quello che potrebbe accadere, nonostante la possibilità che il loro mondo venga distrutto in meno di un secondo, sanno di appartenersi, sanno di essere devoti l'uno all'altra, grati per ciò che sono riusciti a sperimentare insieme.

< Faremo tardi, sarà meglio andare. > Sarah le sfiora un braccio, riportandola alla realtà e lei si separa a malincuore dalla stretta di Edward che, rifiutandosi di lasciarla andare, intreccia una mano con la sua, sorridendole.

Vorrebbe abbracciare anche Jenna, dirle che le vuole bene e che è stata la miglior famiglia che avrebbe mai potuto desiderare, dopo la morte dei suoi genitori, e anche se, probabilmente, non può sentirla, lei quelle parole le mormora lo stesso, mentre raggiunge la limousine e osserva il cielo limpido, puntellato di stelle luminose.

A volte, i desideri si avverano.

 

 

 

 

 

 

Abito di Audry

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Capitolo 34
*** Life or Death ***


Salve a tutte!

Siamo giunte alla fine (quasi, considerato che manca l'Epilogo) di questa Ff. Sono felice di aver concluso un altro progetto, ma allo stesso tempo triste al pensiero di non dovermi più "occupare" di Edward, di Audry, di Sarah e di tutti gli altri personaggi ç.ç. Dovrei esserci abituata, perché, da quando ho iniziato a scrivere Ff, ho portato a termine diversi progetti, eppure, penso che alla malinconia che subentra quando chiudi il file, sapendo di aver appena messo il punto ad una tua piccola creazione, non ci si possa semplicemente abituare, perciò, anche se lo ribadisco tutte le volte, mi mancheranno questi personaggi e mi mancherà dedicare a loro del tempo, senza contare che mi mancheranno i miei viaggi mentali su come costruire una determinata scena.

Dovrei rimandare i ringraziamenti all'Epilogo, ma considerato che sarà breve (un po' come il Prologo), c'è il rischio che la sequela di ringraziamenti diventi più lunga dell'Epilogo stesso, quindi preferisco farli adesso;

innanzitutto, mi sembra doveroso ringraziare Graphic Addicted, che ha realizzato il primissimo banner di questa Ff e che ho sostituito dopo qualche capitolo con quello realizzato da Demoiselle •, che ho inserito per tutti i capitoli successivi.

Un ringraziamento speciale a Piccola Ketty , perché l'idea di questa Ff è nata da lei, rielaborando un mio sogno; e a Love_in_London_night, che mi ha aiutata a liberarmi da una situazione incresciosa in merito alla faccenda dei motivi per cui i Cullen avevano permesso a Leonard di uccidere Jenna, disarmandomi con la semplice constatazione che la semplicità è l'arma vincente, in tutti i campi.

Un ringraziamento doveroso a chi ha inserito la Ff tra i preferiti, ovvero:

1 - A Midsummer Night_s Dream [Contatta]
2 - anto32 [Contatta]
3 - AriStone06 [Contatta]
4 - Elisabeth Sparrow [Contatta]
5 - flyovertherainbow [Contatta]
6 - Hiro_san [Contatta]
7 - imperialdolly [Contatta]
8 - Lesley_Gore [Contatta]
9 - Maria Swan [Contatta]
10 - micia [Contatta]
11 - nessieejake [Contatta]
12 - pulciolotta 90 [Contatta]
13 - simpatia95 [Contatta]
14 - Sognatrice85 [Contatta]
15 - svampitella [Contatta]

Un altro doveroso ringraziamento a chi ha inserito la Ff tra le seguite, ovvero:

1 - A Midsummer Night_s Dream [Contatta]
2 - A p r i l [Contatta]
3 - bellaedward98 [Contatta]
4 - BennySmolder [Contatta]
5 - Beth90 [Contatta]
6 - BRIGIDA [Contatta]
7 - BrokenWings [Contatta]
8 - cesarina89 [Contatta]
9 - crys [Contatta]
10 - epril68 [Contatta]
11 - espa2009 [Contatta]
12 - fede95 [Contatta]
13 - francytwilighter80 [Contatta]
14 - frassrock [Contatta]
15 - hermione851 [Contatta]
16 - ilaila92 [Contatta]
17 - isabbellina [Contatta]
18 - je911 [Contatta]
19 - Lilith82 [Contatta]
20 - lira [Contatta]
21 - luna09 [Contatta]
22 - M Pesca [Contatta]
23 - micia [Contatta]
24 - monet [Contatta]
25 - nessieejake [Contatta]
26 - nickka [Contatta]
27 - ornella [Contatta]
28 - paoletta75 [Contatta]
29 - Pocha [Contatta]
30 - Quick96 [Contatta]
31 - RenesmeeandJacob [Contatta]
32 - sara_89 [Contatta]
33 - Sasha_T [Contatta]
34 - sissiniessie [Contatta]
35 - sister82 [Contatta]
36 - Sognatrice85 [Contatta]
37 - ssaphiras [Contatta]
38 - Sybilcla [Contatta]
39 - Sybill Aster [Contatta]
40 - Tata Vin [Contatta]
41 - twilightina92 [Contatta]
42 - valina_babi [Contatta]
43 - vero98 [Contatta]
44 - WeloveSneakers [Contatta]
45 - yako_chan [Contatta]
46 - _Elisewin_ [Contatta]
47 - _rainbow_ [Contatta]

Ancora, un altro ringraziamento a chi ha inserito la Ff tra le da ricordare, ovvero:

1 - annapaola85 [Contatta]
2 - 
aurora julia [Contatta]
3 - 
fata93 [Contatta]
4 - 
Lilith82 [Contatta]
5 - 
lira [Contatta]
6 - 
mimi84 [Contatta]
7 - 
nessieejake [Contatta]
8 - 
vanylol [Contatta]
9 - 
vero98 [Contatta]

Per finire, ennesimo ringraziamento a tutte le persone che hanno commentato e mi hanno sostenuta in quest'avventura con consigli e fiducia.

GRAZIE DAVVERO A TUTTI!

Prima di lasciarvi al capitolo, voglio ricordarvi il mio gruppo su Facebook, You thought you know me, il mio profilo autrice sempre su Facebook, Frytty Efp, il mio profilo Twitter, se dovesse interessarvi, Frytty, e per concludere, il mio profilo su Goodreads, Mara.

Sono stata tediosa e prolissa, me ne rendo conto e mi scuso, ma davvero, era tutto necessario.

Vi lascio al capitolo, finalmente, annunciandovi che l'Epilogo sarà pubblicato venerdì pomeriggio e che, da quel momento, la Ff sarà davvero conclusa.

Vi auguro, quindi, per la penultima volta, una Buona Continuazione di settimana e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La serata è, come ogni anno, popolata dai maggiori benefattori della città, a cui si è aggiunta la famiglia Cullen e, proprio come ogni anno, la palestra dell'istituto è stata trasformata in una sala ricevimenti degna del miglior ristorante: le luci soffuse che riscaldano e illuminano piacevolmente l'ambiente, i tavolini circolari di vetro in fondo alla sala, lo schermo rettangolare che mostra, in rosso, la somma acquisita di volta in volta, un leggio di legno ampio dietro cui si staglia la figura imponente del Rettore che, oltre ad incrementare le entrate con i suoi discorsi circa la beneficenza e l'importanza che ogni singolo cittadino ha di aiutare il prossimo più bisognoso, accoglie con un sorriso pieno di gratitudine i benefattori che gli allungano con totale nonchalance assegni a sei zeri, il tavolo del buffet offerto dall'agenzia di cartering più in voga di Seattle e bottiglie di champagne ovunque.

Audry non si è mai sentita particolarmente a suo agio in un ambiente simile, pieno di chi non fa altro che mostrare la propria ricchezza e il proprio benessere, sventolando assegni e lasciando mance come se non fossero altro che semplici fogli di carta.

Si stringe al braccio di Edward, cercando di individuare qualche volto conosciuto, per non sentirsi così persa.

< Tutto bene? > Le domanda il suo accompagnatore, sorridendole.

Annuisce e ricambia il sorriso, continuando a scrutare la folla divisa in piccoli gruppi, tutti intenti a chiacchierare e a sorseggiare champagne, una musica rilassante in sottofondo.

< Audry! Credevo non saresti venuta! > Michael le si fa incontro, vestito del suo completo blu scuro elegante, la coccarda in bella mostra e un flute di champagne in mano.

Le sorride con fin troppa cordialità, segno che ha già fatto scorta di alcol prima che lei arrivasse.

< Sì... ehm... siamo leggermente in ritardo, è vero... > Risponde, sorridendo con difficoltà e lanciando un'occhiata implorante ad Edward che, tuttavia, sta scrutando con attenzione il ragazzo che ha di fronte, le sopracciglia aggrottate nella sua classica espressione seria e concentrata.

< Non mi presenti al tuo cavaliere? > Continua Michael, tendendo la mano ad Edward.

< Oh, sì, che sbadata! Edward, lui è Michael, un mio compagno di corso; Michael, lui è Edward, il mio fidanzato. > Arrossisce.

< Molto piacere, Edward. > Rincara la dose Michael stesso, stringendogli vigorosamente la mano e sollevando in aria il calice di champagne come per richiamare l'attenzione per un brindisi.

< Vorrei poter affermare lo stesso. > Risponde lui in tono freddo, circondando la vita di Audry con un braccio.

< Volete qualcosa da bere? Posso recuperare un paio di calici di champagne. > Propone, per niente turbato dal tono di voce di Edward, continuando ad occhieggiare ad Audry con fare ammiccante.

< Perché no... > Risponde lei, considerandola una buona scusa per allontanarsi.

< Torno subito, allora. > Si allontana baldanzoso, salutando chiunque incappi sulla sua strada, decisamente un comportamento che non gli appartiene.

< Sono contento di averti accompagnata, sai? Se l'alternativa era quella di affidarti ad uno scellerato come lui... > Edward si fa largo tra la folla per raggiungere Sarah e il suo cavaliere, che stanno chiacchierando allegramente accanto ad uno dei tavoli del buffet.

< E' senza una dama, probabilmente è l'unico da solo. > Fa spallucce, non potendo rinunciare a giustificarlo, almeno in parte, per il suo comportamento.

< La sala è piena di dame abbandonate dai loro cavalieri; non avrebbe fatto fatica a convincerne qualcuna a trascorrere la serata con lui. > Le fa presente.

Audry si guarda intorno per l'ennesima volta, dando conferma alle parole di Edward: ci sono gruppi di ragazze completamente isolate rispetto ai loro coetanei di sesso maschile e che occhieggiano alla sala nella speranza che qualcuno di loro, prima o poi, trovi il coraggio per invitarle a ballare.

< Forse le altre non gli interessano... > Osserva, sorridendo a Sarah e afferrando dal tavolo una tartina al caviale.

< Hai intenzione di giustificarlo per aver approfittato dello champagne in tua assenza? > Le domanda scettico, rivolgendole la sua completa attenzione.

< No, certo che no; sto solo cercando di convincermi che, probabilmente, sta cercando di divertirsi come può, considerato che l'ho piantato in asso un giorno prima del Ballo. > Ingoia l'ultimo boccone di tartina, pulendosi le mani e le labbra con un tovagliolino di carta e accettando di buon grado lo champagne che Andrew, uno degli amici di David, le porge con cortesia, porgendone un calice anche ad Edward che, ringraziandolo, lo afferra solo per giocherellarci distrattamente, senza berlo.

Mantenere le apparenze, specialmente in occorrenza di un'apparizione pubblica come quella, è importante per i vampiri.

< Ti senti in colpa per aver ritirato il tuo nei suoi confronti? > Le domanda accorto, sistemandole una ciocca di capelli sulle spalle.

Audry sospira, alzando gli occhi al cielo.

< Volevo che fossi tu ad accompagnarmi. Credi che avrei insistito tanto, se il mio intento fosse stato quello di trascorrere una serata con Michael? > Sorride esasperata.

< D'accordo, ma avevi promesso che avresti trascorso più tempo con i tuoi amici umani, quindi, cosa ne dici se ti lascio chiacchierare con loro, mentre io raggiungo la mia famiglia? > Audry individua Carlisle, Esme, Alice, Jasper, Rosalie ed Emmett al lato opposto della sala, intenti a chiacchierare amabilmente con altri benefattori.

< Devi proprio? > Gli stropiccia la stoffa all'altezza del braccio, nel tentativo di trattenerlo.

< Io ho mantenuto la mia promessa, adesso tocca a te. > Le sorride, avvicinandolesi maggiormente per sfiorarle le labbra con le sue e per accarezzarle dolcemente i capelli.

< Non voglio rimanere da sola! > Protesta come una bambina capricciosa, facendolo scoppiare a ridere.

< Sarò solo dall'altra parte della sala, Audry e prometto che non sarà per molto. Cerca di divertirti. > Le bacia una guancia e le sorride, prima di allontanarsi per raggiungere la sua famiglia.

Audry sbuffa appena, ma accetta di buon grado il compromesso e non impiega molto ad ambientarsi con il gruppo di amici di David e con David stesso.

Il più delle volte, è più forte di lei, cerca Edward con lo sguardo, incrociando i suoi occhi dorati e il suo sorriso dopo qualche istante, sentendosi subito più tranquilla, ma tenta, allo stesso tempo, di divertirsi come le ha suggerito, intervenendo nella conversazione e scherzando serena con gli altri. Non si è mai sentita così a suo agio in un gruppo di ragazzi appena conosciuti, lei, che fatica ad emettere una frase di senso compiuto, anche solo se qualcuno le domanda l'ora.

Dopo mezz'ora trascorsa a chiacchierare con i suoi amici, il Rettore dà inizio alle danze, invitando sua moglie ad accompagnarlo in un lento. Presto viene raggiunto da altre coppie, mentre David invita Sarah a ballare e i suoi amici si defilano con eleganza per cercare una dama libera. Audry sorride ad ognuno di loro quando le comunicano che si allontaneranno, traendosi in disparte per non intralciare i movimenti lenti e cadenzati dei ballerini. 

Cerca Edward con lo sguardo, alzandosi sulle punte per riuscire ad avere una visuale migliore e, proprio quando sembra aver perso le speranze, deducendone che deve essersi allontanato con Carlisle verso uno dei tavolini rotondi più in disparte, si sente circondare la vita con un braccio.

< Così bella e così sola? > La voce di Michael la fa ritrarre ed irrigidire. Non avrebbe avuto una reazione simile se lui non fosse stato ubriaco. Riesce a percepire l'odore di champagne e di qualcosa di più forte, mischiato al profumo della sua colonia scadente.

< Edward dovrebbe tornare a momenti... è andato alla toilette... sì... > Si scosta dal suo tentativo di abbracciarla, arrossendo.

< Mi avevi promesso un ballo, o sbaglio? > Le fa presente, riavvicinandosi.

Gli sorride in maniera forzata, cercando di rifiutare l'invito.

< Non ho intenzione di rapirti, Audry. Prometto che non appena il tuo accompagnatore tornerà, ti lascerò a lui. E' solo un ballo, in fondo, no? > Alza le mani in segno di resa e Audry, pur desiderando che Edward si manifesti il prima possibile alla sua vista, cede, lasciandosi accompagnare in pista.

Michael le circonda la vita con gentilezza, lasciando che lei, invece, gli circondi il collo con le braccia, sorridendole appena.

< Hai dei bellissimi occhi, sai? > Le mormora, assottigliando appena lo sguardo, come per studiarla meglio. 

< G-grazie. Devo averli ereditati da mia nonna, perché i miei genitori avevano entrambi gli occhi scuri. > Puntualizza, arrossendo e abbassando automaticamente lo sguardo.

< E i capelli? Hai ereditato anche questi da tua nonna? > Continua lui, accarezzandole una ciocca di capelli e sistemandogliela dietro un orecchio con attenzione.

< No, da mia madre, credo... > Risponde. Non si rende conto che la sta mettendo in imbarazzo? E dov'è Edward?

< Mi piaci molto, Audry, davvero... > Ha gli occhi socchiusi e la voce che è quasi un sussurro.

< Michael, mi dispiace, ma io ho già un fidanzato e... > Ma non ha neanche il tempo di terminare la frase, che sente una mano afferrarle un polso e strattonarla.

< Te la rubo un momento, ok? > Riconosce la voce di Sarah e automaticamente sospira di sollievo, seguendola verso un angolo più appartato, dove la musica non è di nessun disturbo per la conversazione.

< Grazie al cielo, Sarah! Temo avesse intenzione di farmi una dichiarazione d'amore e non so cosa sarebbe successo se non fossi arrivata tu... > Comincia, prima di interrompersi quando nota l'espressione contrita e accigliata dell'amica.

< ... Non mi hai portata via perché ero in difficoltà con Michael, vero? > Sospetta, mentre Sara, lentamente, annuisce.

< Credo che Leonard sia qui; non posso dirlo con certezza, ma i Cullen sono scomparsi e l'illuminazione esterna è saltata; forse è solo una coincidenza, ma ho un brutto presentimento... > Confessa in fretta, notando l'espressione di Audry mutare: il sollievo si è trasformato in terrore.

< Che vuol dire che i Cullen sono scomparsi? Dove sono? > Si guarda intorno, come se si fossero solo nascosti per farle uno scherzo.

< Non ne ho idea! Ho provato a cercarli, ma non potevo lasciare David da solo troppo a lungo con la scusa che ero alla toilette e così ho pensato che fossero soltanto andati a fare un giro di ricognizione, per assicurarsi che fosse tutto sotto controllo; Carlisle aveva detto che l'avrebbe fatto, di tanto in tanto. > Spiega, Audry che sembra combattuta tra il rimanere ad ascoltare quello che ha da dire, e il mettersi subito a cercare la sua nuova famiglia.

< Dobbiamo trovarli. > Afferma, cominciando a correre in direzione dell'uscita d'emergenza, quella che sbuca sul retro dell'edificio.

< Audry, aspetta! E se fosse una trappola? Se Leonard tentasse solo di farci abboccare all'amo? In fondo, è noi che vuole, no? > Sarah le corre incontro, fermandola prima che possa raggiungere la porta.

< Cosa dovremmo fare, allora? Restare qui e aspettare che tornino? E se fossero in difficoltà? > Quasi urla. Non può permettere a nessun altro di morire per causa sua.

< Loro sono in sette, noi siamo soltanto in due e siamo delle semplici, insignificanti umane, cosa credi che potremmo fare per salvarli? > Cerca di farla ragionare, la rabbia e la frustrazione che stanno contagiando anche lei.

< Non posso permettere che Edward combatta da solo. Lo hai detto tu stessa: Leonard cerca noi, non loro, sarebbe disposto ad ucciderli solo per farci del male, per averci in pugno; credi che cambierebbe qualcosa se adesso decidessimo di non andare a cercarli? Credi che ci risparmierebbe? > Ribatte, determinata e sicura come non lo è mai stata.

< D'accordo, hai ragione. > Sarah annuisce, facendole cenno di proseguire.

Non hanno neanche il tempo di uscire allo scoperto, che vengono entrambe travolte da qualcosa che non hanno modo di riconoscere.

Audry sente qualcuno gridare, Carlisle forse, e avverte il sapore della terra e del sangue in bocca, come se qualcuno l'avesse colpita in pieno viso.

Sarah è qualche metro più in là, apparentemente illesa.

< E' tanto che non ci vediamo, piccola Audry, vero? > Leonard le compare davanti, inginocchiato alla sua altezza, un ghigno sprezzante a deformargli le labbra, gli occhi rossi spaventosi.

< E' me che cerchi, è me che hai sempre cercato, anche quando hai dovuto uccidere mia zia, vero? > Spera che la sua voce non tremi mentre pronuncia le parole lentamente, mantenendo il contatto visivo con lui.

< Che bambina perspicace! Credevi di essere al sicuro solo perché Edward Cullen ti aveva scelta come suo... giocattolo? Credevi che non ti avrei trovata? > Ride, sollevandosi in piedi, aggirandola con lentezza, costringendola a seguirlo con lo sguardo, incapace di rimettersi in piedi.

< Dov'è? Cosa ne hai fatto di loro? > Riesce a chiedergli, prima che Leonard prorompa in una nuova, agghiacciante risata.

< Non devi temere, Audry, mi assicurerò che la loro morte sia lenta e dolorosa, proprio come quella che attende anche te. > Si lecca le labbra con lascivia e desiderio, mettendo in mostra i canini affilati.

< Io non credo proprio, padre. > Sarah è accanto a lei, lo sguardo determinato e forte. Sfida un avversario che non ha mai conosciuto, che non ricorda e che, dopotutto, non le appartiene, non è sangue del suo sangue, non come lei avrebbe voluto, perlomeno.

< Non costringermi a fare del male anche a te, figlia. Questi non sono affari che ti riguardano. > Il suo tono è freddo e sprezzante, la scosta dal suo cammino con un braccio, facendole male.

< Sei qui per me, no? Sei qui perché vuoi conoscermi, o sbaglio? E' per questo che stai punendo Audry, perché non mi ha portata da te; ma d'altronde, come avrebbe potuto? Non avrebbe certo immaginato che mio padre potesse essere una bestia. > Continua a sfidarlo e, per quanto Audry le sia grata, vorrebbe dirle di smetterla, di non provocarlo, perché finirebbe per peggiorare la situazione, ma non ci riesce; si sente debole, spossata e l'odore del sangue la stordisce, facendole venire voglia di vomitare. Vorrebbe che Edward fosse lì, vorrebbe il suo tocco freddo sulla fronte, vorrebbe potergli ripetere che lo ama e che non importa se lui crede di non riuscire a fare altrettanto, perché il suo amore basta per entrambi.

< Lo sei anche tu, sai, Sarah? Una mezza-vampira, una parte che hai ereditato da me. > Si diverte a provocarla, proprio come un bambino, ma Sarah non è disposta a cedere.

< Il tuo sangue è l'unica cosa che mi rende simile a te. Puoi riprenderlo, se vuoi, non opporrò resistenza, ma lascia stare Audry. > Cos'ha da perdere, in fondo? Audry ha già perso troppo, non può negarle l'unica felicità che le è rimasta, l'unica speranza che ha di continuare a vivere serena.

< Credimi, lo farò, non appena avrò terminato con lei. > Audry percepisce solo un tonfo sordo, come di qualcuno che è appena caduto per una rampa di scale e adesso non riesca più ad alzarsi.

< Possiamo tornare a noi, adesso, piccola Audry. > Le si inginocchia nuovamente accanto, afferrandole un braccio, facendo in modo che lo guardi, pregustando il sapore del suo sangue caldo, il momento di pura libidine che lo invaderà non appena avrà addentato la sua carne bianca.

Audry avverte la sua pelle lacerarsi, il sangue scorrerle lungo il braccio, mentre i canini di Leonard che affondano nella sua carne, sono l'unica immagine ad occupare la sua visuale e l'unica cosa che riesce a fare è gridare, gridare così tanto da farsi mancare la voce.

 

Dolore è tutto quello che sente.

Si sente bruciare, come se stesse andando a fuoco, come se avesse ingoiato dell'alcol e il suo effetto abbia cominciato a devastarla dall'interno.

E' insopportabile, ma sa che deve resistere, sa che deve sopportare.

Probabilmente sta urlando, ma non riesce a sentire la sua voce e intorno a lei le cose hanno assunto dei contorni sfocati.

Chiude gli occhi, ma è ancora peggio; si sente soffocare, si sente morire ed è l'unica cosa dalla quale sta scappando.

Riapre gli occhi e sente il cuore batterle furiosamente nelle orecchie, un costante e veloce tum-tum che le permette di capire che è ancora viva, che, nonostante il dolore, è ancora lì e può ancora ammirare il meraviglioso volto a pochi centimetri dal suo: Edward.

Ha gli occhi tristi, dorati e malinconici e lei vorrebbe chiedergli perché non sta sorridendo, perché è così distrutto, quando lei è felice, felice perché è così che deve essere.

Lo vede muovere le labbra, ma non riesce a sentire alcun suono; la sua voce cristallina e appena roca è solo un vago ricordo della sua mente, come un nastro spezzato che non può essere recuperato.

Poi, quasi come se qualcuno avesse riattivato la corrente o acceso improvvisamente la luce dopo giorni di buio, sente uno schianto e qualcosa che si rompe, voci che parlano, bisbigli, la voce di Alice che le dice di stare calma, la voce di Carlisle che sta discutendo con Edward e le sue grida.

E' un suono che non sopporta, una sirena fastidiosa, e così smette, si trattiene e gli occhi dorati di Edward sono nuovamente concentrati sul suo viso.

< Andrà tutto bene, Audry, te lo prometto. > Le mormora, accarezzandole con dolcezza i capelli e a lei viene da piangere, perché sa che non sta andando tutto bene, che è successo qualcosa che non le hanno ancora detto, che se sta soffrendo così, ci dev'essere un motivo e non può essere banale.

< Non piangere, si sistemerà tutto. > Le stringe la mano così forte, che ha paura possa fratturargliela.

< Alice, corri a chiamare Esme e Rosalie, dobbiamo portarla via di qui. > Carlisle si allontana, ma lei non riesce a piegare la testa per seguire la sua direzione. Si rende conto solo in quel momento di essere distesa, di essere a contatto con qualcosa di freddo e che profuma di terra bagnata.

< Che sta succedendo? > Chiede con fatica, riconoscendo appena la sua stessa voce.

< Non devi preoccuparti di nulla, Audry. Andrà tutto bene. > Edward le accarezza il viso e Audry può sentire un odore più pungente e più fastidioso di quello della terra: sangue. Che sia il suo?

< Sono ferita? > Non riesce a sentire il suo corpo come vorrebbe, le sembra di essere stata sotto sedativi per troppo tempo e adesso qualcuno ha deciso che è ora di cominciare a farla camminare.

Edward scuote la testa e abbassa lo sguardo e lei non riesce a capire cosa voglia dire. Se non è ferita, allora chi...?

< Mi dispiace, Audry, mi dispiace davvero... > I vampiri possono piangere?

Perché ha come l'impressione che Edward lo stia per fare.

< Mi scoppia la testa. > Si lamenta, chiudendo gli occhi, ma le labbra fredde di Edward sulla fronte, sembrano darle sollievo per qualche istante e Audry ha come l'impressione che si tratti di un altro addio.

Poi, improvvisamente, ricorda: Leonard che discute con Sarah, il suo corpo scaraventato diversi metri più in là, forse contro il muro dell'edificio, il sapore del sangue e della terra in bocca, l'espressione soddisfatta di Leonard mentre assaggia il suo sangue.

Sta per morire.

Nessuno vuole dirglielo, eppure è così, è quello che succederà. 

E' tutto come nel suo sogno, quello che ha fatto mentre Edward la stava riportando a casa, dopo aver riaccompagnato Sarah, quando Leonard era ancora lontano e indistinto per essere avvertito come una minaccia.

Scruta gli occhi di Edward, le sue labbra appena sporche di sangue, i suoi vestiti strappati.

Ha bisogno di acqua, vorrebbe bere, ma non riesce a parlare.

< Carlisle, dimmi cosa devo fare. > La voce di Edward è disperata e i suoi occhi lo cercano ancora, solo per individuare, invece, il viso di Carlisle a pochi centimetri dal suo.

E' tutto sfuocato, fuori forma e lei non riesce a tenere gli occhi aperti, come se avesse improvvisamente sonno.

< E' troppo tardi, Edward. Il veleno è già entrato in circolo, sarebbe inutile succhiarlo via, morirebbe dissanguata. Devi lasciare che si trasformi. > Sente la voce di Carlisle, ma non riesce a capire quello che sta dicendo, quasi parlasse una lingua straniera che lei non comprende.

< Non posso sopportare che diventi un mostro. > Edward continua a stringerle la mano, la pelle che diventa sempre più fredda, mentre la vita la abbandona lentamente, scivolando via placida come un fiume.

< Succederà, a meno che tu non voglia... > Esita, timoroso. < ... ucciderla. > Completa.

Sente Edward emettere un verso gutturale a metà tra un ringhio e un lamento, e riesce, strattonando appena la sua mano, a richiamare la sua attenzione.

< Edward, io... > Deve dirlo adesso, perché sa che tra un attimo le sarà impossibile continuare a parlare.

< Io... voglio che tu sappia che... ti amo e che ti sono grata per tutto quello che abbiamo condiviso, qualunque sia la tua scelta. > Perché vuole che sia lui a scegliere, ancora una volta: vivere o morire.

< Non posso perderti, Audry, ne morirei. > Le mormora, avvicinandosi al suo viso, nascondendolo tra i suoi capelli setosi e, nonostante tutto, ancora profumati.

< Allora lascia che mi trasformi. > Mormora, le forze che la abbandonano, gli occhi che le si chiudono e il bacio freddo di Edward che riesce appena a percepire.

 

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Capitolo 35
*** Epilogo-Reality ***


Salve!

Come promesso, eccomi qui con l'Epilogo di questa Ff :)

Tutti i ringraziamenti sono stati fatti, tutte le spiegazioni date e vorrei solo ringraziare le meravigliose persone che hanno commentato l'ultimo capitolo *.* Grazie infinite, ancora una volta devo dirvi che senza di voi non sarei mai andati avanti con questo piccolo progetto.

Mi rendo conto che l'Epilogo si chiude in maniera piuttosto criptica, nel senso che sembra dare l'avvio ad un'altra storia, piuttosto che chiuderla, ma, per il momento, non è nelle mie intenzioni scrivere una sorta di sequel di Dreams are Wishes; un giorno potrei anche ripensarci e riprendere da dove l'ho lasciata, chissà...

Ovviamente, come avevo avvertito già diversi capitoli or sono, l'Epilogo era nelle mie intenzioni renderlo qualcosa di completamente inaspettato, per cui, [*ALLERTA SPOILER EPILOGO, chi non vuole rovinarsi nulla, legga solo dopo aver letto l'Epilogo stesso*, spero si capisca che la storia raccontata fino al capitolo 33° sia stata solo frutto di un sogno della stessa Audry e che lei abbia questa sensazione di dejà-vu quando incontra l'Edward "reale" proprio per via del suo sogno. Da ciò, anche il titolo della Ff Dreams are Wishes, perché è come se Audry, sognando di questo Edward (condizionato dalla lettura di Twilight), avesse in qualche modo fatto sì che si avverasse un suo desiderio, ovvero incontrare il famoso principe azzurro che poi, guarda caso, si rivela un ragazzo-padre di nome, casualmente, Edward Cullen.] Spero di essere stata sufficientemente chiara :) in caso contrario, basta un commento e chiarirò ogni dubbio.

Vi auguro un Buon fine settimana e vi ringrazio ancora per questo Viaggio attraverso la mia immaginazione, trasportata in questa Ff <3 *.*

 

 

 

 

 

Buona Lettura e a rileggerci presto, spero ;)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Audry! Audry, per l'amor del cielo, svegliati! > Mi sento strattonare con forza e, nonostante non abbia nessuna voglia di aprire gli occhi, mi costringo a farlo, avvertendo, l'istante successivo, un tonfo, qualcosa che, evidentemente, reggevo sulle ginocchia e che, nel tentativo di muovermi ad una posizione più comoda, devo aver fatto cadere.

Mi ritrovo davanti il volto esasperato della mia migliore amica, Sarah, le mani ai fianchi, come una mamma pronta a rimproverare il figlio per l'ennesima marachella.

< Ti sei di nuovo addormentata leggendo! > Sbuffa ancora ed io, intontita dal brusco risveglio, getto un'occhiata ai miei piedi, il libro che lei stessa mi aveva prestato qualche settimana prima, sul parquet.

< Non sono riuscita a dormire molto le notti scorse... > Mi giustifico, maledicendo la mia insonnia.

< Me ne sono accorta... > Raccoglie il libro, poggiandolo accanto a me sul divano ed io noto la copertina nera, come se non ci avessi prestato abbastanza attenzione in precedenza; due mani che reggono una mela rossa e il titolo, "Twilight" che svetta in basso.

Ho come l'impressione di aver fatto un sogno piuttosto strano e piuttosto lungo in merito ai personaggi del suddetto libro, ma non ricordo molto.

< Quanto ho dormito? > Domando, arruffandomi i capelli rossi e sbadigliando.

< Tre ore circa. Non sono riuscita a svegliarti neanche i rumori della ditta di traslochi! > Risponde lei, allontanandosi in direzione della cucina.

< La ditta di traslochi?!? > Chiedo, scettica, mettendomi in piedi e seguendola.

< Oggi si trasferisce il nuovo vicino. > Spiega con semplicità, sbirciando fuori dalla finestra in direzione della villetta di fronte alla nostra, dove un via vai concitato di persone che trasportano pacchi e mobili, sembra non finire mai.

< Credevo fosse una famiglia. > Aggrotto le sopracciglia, perplessa.

< A quanto pare il nostro vicino è single. > Fa spallucce, ovvia.

< Dovremmo dare una mano? > Chiedo, continuando ad osservare il via vai di pacchi.

< Vai se vuoi, io devo finire quel lavoro per mia madre. > Sbuffa, lasciando andare la tenda e recuperando gli schizzi per un nuovo quadro dal tavolo.

Raggiungo la casa del "nuovo vicino" con circospezione, come se mi aspettassi di incontrarci un mostro, e busso, nonostante la porta aperta, con discrezione.

< Avanti! > Mi raggiunge una voce maschile calda e leggermente roca da una parte imprecisata del salone.

Cerco di farmi strada tra i cartoni e gli operai che stanno sistemando i vari oggetti, fino ad arrivare al salone, ancora vuoto, ad eccezione di un meraviglioso pianoforte nero e lucido.

Il suo proprietario, piegato in avanti, intento a sistemare alcune corde, non sembra accorgersi della mia presenza.

Mi schiarisco la voce, palesandomi e lui, come se si fosse reso conto solo in quell'istante di aver appena permesso ad una sconosciuta di entrare in casa sua, si volta, osservandomi dapprima meravigliato, poi esibendosi in un sorriso che ho come l'impressione di aver già visto.

< Ehm... salve! Scusi l'intrusione, sono la sua nuova vicina e mi chiedevo se non avesse bisogno di aiuto con tutti questi scatoloni... > Arrossisco, ignorandone il motivo, osservando i suoi occhi verde prato e la sfumatura bronzea dei suoi capelli ai raggi di sole che riescono a penetrare dalla porta-finestra alla sua sinistra.

< Se proprio insiste, ma certo! Comunque, piacere, io sono Edward, Edward Cullen e lei è...? > Mi si avvicina, tendendomi la mano che io impiego qualche secondo a stringere, ancora confusa.

< Edward Cullen? Come il personaggio di "Twilight"? > Ignoro la sua domanda, pentendomi troppo tardi della mia assoluta mancanza di tatto.

Abbasso gli occhi, arrossendo di vergogna, ma lui non sembra essersi offeso, perché, cogliendomi del tutto alla sprovvista, ride, lasciando andare la mia mano.

< Sì, beh... una questione di omonimia, suppongo. A mia difesa, però, posso assicurarle che non sono un vampiro. > Sorride, sollevando le mani in segno di resa.

Sorrido anch'io.

< Io sono Audry Leroi, piacere mio. > Mi presento.

< Francese? > Aggrotta le sopracciglia, divertito dalla situazione.

< I miei genitori lo erano, sì. > Confermo non senza una certa nostalgia.

< Ho visitato Parigi, una città splendida, senza ombra di dubbio. > La sua espressione si fa pensierosa e mi ritrovo a chiedermi a cosa stia pensando così intensamente.

< Allora... posso darle una mano? > Indico il pianoforte con fare impacciato.

Segue il mio dito con lo sguardo prima di rispondermi.

< Sì, perché no; stavo giusto sistemando qualche vecchia corda. In realtà, non sono un musicista, ho ereditato questo pianoforte dai miei nonni e non sono riuscito a separarmene. > Spiega, mentre ci avviciniamo allo strumento.

Ho come l'impressione di averlo già visto, sia lui, sia questo stesso pianoforte, ma in un ambiente differente, non in un salotto vuoto, al contrario, in una stanza calda e accogliente.

Ho come l'impressione di conoscerlo già.

Qualche ora più tardi, quando gli operai hanno ormai finito di montare i mobili scaricati, mentre noi siamo ancora intenti a svuotare qualche scatolone, veniamo distratti da una voce allegra e sottile.

< Papà! Papà! Guarda cosa ho trovato? > Una bambina deliziosa, dai riccioli rossi come i miei e dagli occhi vispi, corre incontro ad Edward, reggendo tra le braccia un minuscolo gatto color sabbia.

< Posso tenerlo? > Lo supplica con lo sguardo da cucciolo abbandonato che mi ricorda moltissimo me da piccola quando chiedevo qualcosa ai miei genitori.

< Beh, non saprei... un animale comporta responsabilità. > Le fa presente Edward, riflettendo.

< Ma io sono responsabile! > Esordisce la bambina, stringendo a sé il gatto che, nel frattempo, ha preso a miagolare.

Rido appena e la bambina, accorgendosi finalmente di me, mi osserva curiosa, indicandomi.

< Chi è lei, papà? La mia nuova mamma? >

Arrossiamo entrambi ed io piego la testa, rivolgendo la mia totale attenzione al contenuto dello scatolone che sto svuotando.

< No, tesoro, lei è la nostra nuova vicina di casa e si chiama Audry. Perché non vai da lei e le dici come ti chiami? > Edward le sorride e le accarezza i capelli con dolcezza.

Neanche qualche istante dopo, la bambina, con il suo vestitino celeste che si intona perfettamente ai suoi occhioni blu mare, mi compare davanti con un saltello e mi tende la mano, quasi come un adulto.

< Io mi chiamo Amanda, ma tu puoi chiamarmi Ady se prometti che giocherai con me qualche volta. > Si presenta, mettendomi in palese imbarazzo.

< D'accordo, Ady, mi sembra una bellissima idea. > Le rispondo con un sorriso, stringendola la manina calda, osservandola poi correre in giardino con il gatto alle calcagna.

< Scusala, è una bambina piuttosto vivace ed intraprendente, come avrai potuto notare tu stessa. > Commenta Edward, raggiungendomi e inginocchiandosi per recuperare altri libri da sistemare nella libreria in fondo alla stanza.

< Lei... è tua figlia? > Ovvio che lo sia, considerato che l'ha chiamato papà, ma mi sembra ancora incredibile, considerato che sembra solo qualche anno più grande di me.

< Sì, lei è... beh, il risultato di una relazione finita in tragedia. La madre è rimasta incinta e ha deciso di terminare la gravidanza, ma non ha voluto sapere della bambina, così l'ha affidata completamente a me, richiedendomi di non nominarla mai e di non andarla più a trovare e così ho fatto. I miei genitori mi hanno aiutato a crescerla, ma sono stanco di dipendere da loro, ecco perché ho cercato una casa per conto nostro. > Mi spiega con semplicità, lasciando perdere i libri, sedendosi a terra sul parquet e torturandosi le mani con fare impacciato.

< Mi spiace. Dev'essere stato difficile per te... > Commento, realmente dispiaciuta. Io non so cosa darei per riavere i miei genitori accanto.

< Sono preoccupato per lei, piuttosto. Non sono sicuro di darle tutto ciò di cui ha bisogno... > I suoi occhi si spengono ed io avverto una fitta al cuore dolorosa che mi fa agire d'impulso, obbligandomi a sedermi accanto a lui e a posargli una mano sul braccio, cercando di fargli rialzare lo sguardo.

< E' una bellissima bambina e anche se non la conosco, né conosco te, sono sicura che è felice e che ti vuole bene e sono oltremodo convinta che tu sia un ottimo padre per lei. > Ho ancora quell'impressione di dejà-vu che ho avvertito entrando in casa e conoscendolo, ma non sono certa a cosa sia effettivamente dovuta; forse mi sto solo lasciando condizionare dal sogno che sono sicura aver fatto durante il mio pisolino di tre ore sul divano del salotto.

< Grazie, lo apprezzo molto. > Risponde, cercando di sorridere.

< Allora? Terminiamo di sistemare la libreria? > Lo incoraggio, alzandomi in piedi e recuperando i libri sparsi a terra, prima di dirigermi verso il mobile al lato opposto della stanza.

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