L'angelo biondo

di Querthe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Sotto la pioggia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Percentuali ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Un gioco e un'amica ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Panettone e veleno ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - La Kasba ubriaca ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Gemelle ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Spiegazioni ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Un patto tra due demoni ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Giochiamo a carte ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Sotto la pioggia ***


L'uomo attese paziente che la porta del vecchio ascensore finisse la sua corsa nel muro, quindi uscì nel corridoio e si diresse stancamente verso la porta del suo appartamento. Infilò la chiave e tentò di aprire, ma la serratura come ogni sera era restia a recitare il suo ruolo.
- Che il diavolo ti mastichi e ti... - iniziò ad imprecare.
- Buonasera Signor Chiba. Ha fatto tardi anche questa sera...
L'uomo si voltò bloccando la frase e sbattendosi in faccia il migliore sorriso di cortesia che riuscì a trovare.
- Buonasera signora Kino. Già. Al commissariato c'è stato del lavoro extra e...
- Capisco. - sorrise dolce la donna, sulla sessantina, i capelli brizzolati ancora a mostrare il marrone della chioma originale. Indossava un completo verde scuro e dalla porta aperta arrivava profumo di arrosto alle mele e torta di nocciole. Lo stomaco del trentenne commentò sommessamente. - Vuole cenare con me e mia figlia? Ho preparato tanta roba e la sua compagnia è certo più adatta della mia... Noi madri sappiamo essere davvero pesanti, a volte.
Mamoru sospirò.
- Come accettato, ma preferisco riposare. Sarei un ospite scortese stasera... - si scusò finendo di aprire la porta. La sua vicina non perdeva occasione. La sua crociata per sposare la figlia con lui era innocua, ma a volte, come quella sera, estenuante. - Buonasera, Signora Kino.
- Makoto! Mi chiami pure Makoto! - gli urlò mentre lui chiudeva la porta e gettava l'impermeabile grigio scuro sul divano.
La testa gli doleva, i piedi avevano già mandato lettere minatorie e lo stomaco stava chiaramente protestando per il poco cibo e le troppe sigarette. Meccanicamente si allentò la cravatta, abbandonò le scarpe sul pavimento e aprì la porta del frigorifero, arraffando una lattina di birra e aprendola. Solo alla fine del secondo sorso abbassò lo sguardo sui due gatti che si strusciavano il fianco sulle sue caviglie e sui suoi stinchi.
- Luna. Artemis. Scommetto che avete fame anche voi, eh?
Sia la gatta nera con la macchia a forma di luna in bianco che il suo compagno colorato in negativo rispetto a lei lo guardarono curiosi, per poi miagolare all'unisono. Mamoru aprì due scatole di cibo per gatti e lo scodellò in una ciotola di plastica, quindi si mosse nel bagno dove si concesse una doccia bollente. Si osservò allo specchio, una volta uscito, il volto ben delineato, la barba sfatta dovuta alle trenta e oltre ore in commissariato, gli occhi rossi con occhiaie scure e profonde per lo stesso motivo e per l'acre piacere del fumo. I muscoli del petto guizzarono nel muoversi, sebbene stanchi, mentre si massaggiava con la mano il mento e le guance. Incerto, decise infine di non rasarsi, preferendo infilarsi un paio di pantaloni da ginnastica e una maglietta nera di una squadra di basket americana. Prese un'altra lattina di birra, scongelò e fece cuocere una pizza nel microonde e si gettò sul divano accendendo la televisione sul canale dell'informazione sgranocchiando patatine al bacon. Addentò una fetta triangolare coperta di pomodoro, mozzarella e salame e finalmente si rilassò. Le notizie scorrevano veloci e cariche di disgrazie, ma lui non ci badò, perso nella sua personale catalogazione degli avvenimenti della giornata. Allungò la mano verso la lattina, ma la mancò per la stanchezza, facendola cadere. Parte della birra cadde sul basso tavolino velocemente quanto le imprecazioni. Si alzò verso la cucina per prendere della carta assorbente e un'altra lattina. Uno stridere di freni attirò la sua attenzione. Dalla piccola finestrella accanto al lavabo vide una figura camminare come sonnambula, illuminata solo dai fari della macchina che aveva dovuto inchiodare per evitare di ucciderla.
- Cretina! Guarda dove vai, imbecille! - le gridò il conducente, ripartendo.
Mamoru vide la figura di una donna, da quello che poteva intuire, arrivare sul marciapiede e fermarsi. Si rannicchiò sotto un lampione e lì rimase.
- Di matte ce ne sono in giro... - ridacchiò tornando al divano e scolandosi la birra.
La pizza era diventata fredda quando decise di mangiarsi il terzo pezzo. L'uomo chiuse il cartone che aveva ospitato il cibo e lo buttò nella spazzatura. La donna era ancora sotto il lampione, e aveva iniziato a piovere. Lui scosse la testa, e si voltò. Si fermò sulla porta della cucina, imprecò e si infilò l'impermeabile oltre a delle scarpe da ginnastica slacciate. Scese le scale velocemente, afferrando un ombrello dal contenitore a lato della porta di un inquilino del secondo piano e si ritrovò all'aperto, diretto verso quella che sembrava il suo ennesimo caso da poliziotto. Nella sua mente passarono automaticamente le possibili ipotesi del suo comportamento. Poteva essere pazza, drogata, sonnambula, vittima di uno stupro o sa il diavolo che altro. Avvicinandosi notò che era vestita con una tunica bianca senza maniche. Aggiunse adepta di qualche setta satanica alla rosa di possibilità. Non era una tunica, ma una sorta di camice da ospedale. Aveva i capelli biondi, lunghissimi e fini, quasi luminosi. Si era rannicchiata e si stava dondolando lentamente. Meccanicamente cercò la sua pistola, ma l'arma stava riposando tranquilla nell'appartamento nella sua fondina di pelle. La donna voltò il capo verso di lui. Si bloccò. Sembrava un angelo, lo sguardo perso in un'altra dimensione, il viso delicato con grandi occhi azzurri, una bocca sottile. L'insieme non era per nulla imbruttito dalla pioggia che le colava sulla pelle. Lei sorrise e tornò a dondolarsi. Mamoru ricominciò ad avvicinarsi, coprendole la testa con l'ombrello. Lei sollevò lo sguardo, incuriosita dall'improvvisa scomparsa del delicato ma incessante tamburellare della pioggia.
- Grazie...
- Prego. - rispose lui.
- Parlavo con l'ombrello, non con te. E' lui che mi ripara dalla pioggia.
Mamoru decise che era scappata da qualche manicomio.
- Ah, scusa. Cosa ci fai qui? Intendo dire, sola e sotto l'acqua? E' anche tardi.
- Non lo so.
- Scusa?
- Non lo so. Non so nemmeno dove sono. Io volevo solo uscire dalla mia stanza, poi non ricordo più nulla. - Tremò. - Ho freddo...
- Ci credo. Senti, che ne dici se parlassimo al caldo?
Lei sorrise e si alzò. Sembrava una bambina a cui avevano preannunciato un gioco nuovo. Lei seguì Mamoru nello stabile e in ascensore. L'uomo le gettò sulle spalle l'impermeabile, in parte per scaldarla, in parte per nascondere il camice. Quando la fece entrare nell'appartamento, oltre lo sguardo indagatore della signora Kino, Luna e Artemis stavano giocando con le stringhe di una scarpa non riposta nella giusta scatole. Si fermarono per osservare la nuova arrivata, che reagì violentemente abbracciando Mamoru e nascondendo il volto nel petto di lui.
- Brutti. Paura! - esclamò spaventata.
I gatti se ne andarono di corsa in cucina, come se avessero capito cosa l'aveva spinta a reagire così.
- Ma no. Ma no. Luna e Artemis non saranno dei tesori, ma non hanno mai ucciso nessuno. - La staccò da sé, inspirando il suo profumo misto all'acqua. Sapeva di latte e di tranquillità. - E ora non ci sono più. Non dirmi che hai paura dei gatti?
- Gatti?
- Gatti. Che cosa credevi che fossero? Leopardi?
- Tigri. Le tigri mangiano gli uomini.
Mamoru rise.
- Le tigri sono più grosse di me. Al massimo devi aver paura di loro se sei una topolina. Cosa che non sei.
Lei lo guardò poco convinta.
- Giura.
- Scusa?
- Giura che non mi mangeranno.
- Lo prometto. Parola di poliziotto. Ma ora buttati nel mio bagno e fatti una doccia bollente, mentre cerco qualcosa da farti infilare. Poi parliamo.
Lei annuì lentamente, poi gettò un occhio sul pacchetto di patatine semivuoto sul divano e iniziò a fissarlo, avvicinandosi lentamente alla sua preda.
- Le mangi?
- No. Direi di no. Falle pure fuori, ma dopo la doccia. Fila! La porta è quella.
La ragazza si avviò titubante, senza perdere di vista le patatine. Quando si chiuse dentro Mamoru cercò qualcosa per lei nel suo armadio, trovando solo dei vecchi pantaloni da ginnastica troppo stretti per lui e una camicia sul rosa che gli aveva regalato al suo compleanno la sua collega. Decise di far scaldare anche un panino con del prosciutto e del formaggio. La sconosciuta sembrava affamata, e a stomaco pieno si parlava meglio, lo aveva imparato presto durante gli interrogatori. Tagliò il pane e lo farcì con quello che riuscì a trovare in frigorifero, per poi accendere la piastra grigliante sbattendoci su il tutto.
- Posso assaggiare? - disse la voce della donna. La crosta strava bruciacchiando allegramente spandendo un buon profumo per la cucina; il formaggio accennava a colare ad indicare che lo spuntino era pronto. - Ho fame...
Lui si voltò, stupito di non averla sentita uscire dalla doccia. Un asciugamano era avvolto attorno alla folta chioma, un altro, più lungo, fungeva da vestito dalle ascelle a metà coscia. I piedi nudi avevano lasciato un paio di impronte umide sul pavimento di piastrelle bluastre.
- Ce... certo. Ma prima che ne dici di vestirti? Ci sono una camicia e dei pantaloni sul divano. Io intanto finisco di scaldare questo...
- Grazie. - sorrise lei abbandonando l'asciugamano che stringeva con la mano destra. Il soffice cotone cadde a terra con un debole fruscio mentre lei si voltava e zampettava nell'altra stanza. - Non ho mai messo dei vestiti veri. Solo visti sugli altri.
Mamoru seguì con gli occhi il fondoschiena della bionda, ma l'odore di formaggio bruciato lo fece uscire dal suo piccolo e personale momento di estasi.
- Porca... - bofonchiò mentre toglieva il panino dalla piastra, scottandosi i polpastrelli.
Sospirò per non imprecare nuovamente, quindi calcolò mentalmente il tempo necessario a permettere alla bionda di coprirsi e si mosse nel salotto. Trovò la ragazza che giocava con i due gatti, stuzzicandoli con una ciocca dei suoi capelli. Luna e Artemis erano sulle zampe posteriori, gli artigli anteriori a tentare di afferrare gli strani fili dorati. Rideva come una bambina, la camicia troppo larga e le maniche troppo lunghe.
- Non sono pericolosi. Avevi ragione... - gli disse, smettendo di muovere i capelli, passandosi le mani ai lati della testa e buttando indietro la chioma.
I gatti sembrarono rimanerci male, tornando a quattro zampe e muovendosi lentamente verso il loro angolo, dove le due piccole lettiere li aspettavano.
- I poliziotti non mentono mai. Ecco il tuo panino... - sorrise. - Sciocco. Non mi sono presentato. Io sono Mamoru. E tu?
- Ushahi... - mormorò a bocca piena.
- Ushai... Nome particolare. - La prese in giro bonariamente.
Lei ingoiò il boccone rumorosamente, bevve un lungo sorso di acqua dal bicchiere che aveva davanti e scosse il capo.
- Usagi. Mi chiamano Usagi. - sospirò. - Buono il panino. Più buono dei pasti che mangio di solito.
- Dove eri prima di finire sotto un lampione?
- Nella mia stanza.
- E dove era la tua stanza?
Lei si strinse nelle spalle.
- Non lo so. Loro non mi facevano uscire. Ogni tanto, se ero brava, mi facevano vedere la televisione. Lì ho visto le tigri, che erano grosse come i gatti.
- E loro chi erano? Uomini o cosa altro?
Lei lo guardò curiosa.
- Non sono stata rapita dagli omini verdi con tre occhi. Erano uomini, come te, e donne. La dottoressa Meiou era la più simpatica, ma era strana, secondo me... Ma mi portava le caramelle dopo che giocavamo e lei era contenta.
Finì il panino in silenzio, senza parlare nonostante altre leggere domande del poliziotto, quindi arraffò le patatine e le spazzolò come una affamata. Si rilassò sul divano e chiuse gli occhi.
- Ora che sei a posto, credo che dovremmo andare alla polizia per vedere di farti tornare a casa... o dovunque abitavi. Sono curioso di conoscere la dottoressa. - le disse, ormai convinto di avere davanti una in cura alla vicina clinica psichiatrica.
Lei non rispose, già addormentata. Mamoru decise di non svegliarla, e con delicatezza la sollevò spostandola sul letto, convincendosi che per lui anche il divano era comodo. La sistemò sotto le coperte e si gettò sul divano con una coperta e si addormentò cedendo alla fatica. Fu in sonno profondo ma agitato, riempito dei distorti fatti che avevano riempito la sua lunga giornata al commissariato. Vide i volti del suo capo, i suoi colleghi e la sia compagna mentre redigeva un verbale, mentre si stiracchiava stanca e accettava da lui una tazza di bollente e schifoso caffè.
- Grazie Mamoru... - gli sorrise nel sogno, poi la usa voce risuonò monocorde ma sempre più alta di volume. - Mamoru! Mamoru! - pugni sulla scrivania come arrabbiata. No, non sono pugni, lei sta bussando violentemente alla porta. - Mamoru! Ci sei?
L'uomo aprì gli occhi lentamente, impastati come la lingua. Biascicò qualche cosa alzandosi e aprendo la porta, in bocca un sapore amaro e metallico. Deglutì.
- Ciao Rei. - biascicò mollemente. - Non urlare, è piena notte.
La donna, sui trentacinque anni era vestita in un completo elegante, rosso, dal taglio classico, dove potevano risaltare i capelli lisci e neri. Lo guardò appena con gli occhi penetranti e sollevò la manica sinistra a mostrare l'orologio.
- Piena notte un corno! Sono le undici, tre ore che ti aspetto. E il commissario Tomoe non è più contenta di me...
L'orario lo colpì come un pugno, la testa a faticare per poter ragionare.
- Cristo, ieri notte con Usagi...
La sua compagna lo guardò tra il curioso e lo schifato.
- La conosco? Deve essere una dura per conciarti così. Nemmeno io...
- Entra. Ho bisogno di un caffè. - sbadigliò grattandosi la guancia. - E di aiuto. Questa qui deve essere fuggita da qualche manicomio. - indicò la sua camera, dove Rei si mosse, curiosa.
- Non solo da un manicomio, direi. Ti ha rotto la finestra e se ne è andata... - rise, ma subito divenne scura, il volto concentrato. - Aveva un amichetto fuori...
- Che cosa stai dicendo? Se ne è andata? Un amichetto?
Lei indicò i rimasugli del vetro, sparsi sulla moquette della stanza vicino alla finestra in frantumi.
- I frammenti sono all'interno. Chi l'ha rotta era fuori...
Mamoru rimase imbambolato sulla porta, la tazza di caffè istantaneo in mano. Lei si avvicinò e notò la pupilla dilatata del suo compagno di squadra.
- Non sono più il tuo tipo... - sorrise lui, un sorriso un po' ebete, come se non fosse totalmente in sé.
- Cretino. - gli rispose asciutta. - Ti sei fatto una canna ieri sera?
- Magari. Solo una pizza congelata.
Rei non aveva atteso la risposta e si era incollata al telefonino.
- Ispettore Hino. La scientifica a casa dell'ispettore Chiba. Sospetta rapina e ho un uomo probabilmente drogato. - ci fu una pausa. - Ma dille il cazzo che vuoi alla Tomoe! E muoviti con la scientifica! - Urlò.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Percentuali ***


- Spiegamelo un'altra volta.
La voce del comandante Tomoe era salda e tagliente come un rasoio. Tra le mani aveva una lunga e sottile sigaretta, spenta, con cui giocherellava mentre camminava avanti e indietro dietro la sua scrivania. La pistola di ordinanza era sul tavolo assieme al computer, ad alcuni fascicoli e alla foto del marito, un professore universitario dagli occhiali tondi e spessi sempre vestito con un camice bianco. Dall'altra parte del tavolo Rei e Mamoru la osservavano in silenzio, seduti su due sedie in alluminio e pelle nera finta. L'uomo era vestito con dei jeans slavati e una maglietta nera, in mano l'ennesima tazza di caffè forte ad aiutare gli eccitanti che il medico gli aveva prescritto contro il sonnifero che ancora circolava nel suo corpo. Sospirò bevendo un sorso del liquido nero e posò la tazza sulla scrivania.
- Sono tornato a casa dopo la fine del mio turno... cioè, dopo che me ne sono andato da qua...
- E poi?
- Poi mi sono fatto una birra...
Rei gli diede un pugno nemmeno troppo leggero sul braccio.
- Mamo...
- Va bene. Di birre me ne sono fatte tre, ma giuro che ero sobrio quando ho sentito la macchina stridere e la ragazza attraversare. L'ho trovata sotto il lampione vestita solo da un camice da ospedale. Era bionda, venticinque, ventisette anni al massimo. Usagi, mi ha detto di chiamarsi. Non mi ha detto nulla di interessante e poi l'ho messa a letto.
- Hai avuto rapporti con lei?
- Cazzo, Tomoe...
- Comandante Tomoe... - lo corresse gelida.
- Comandante Tomoe. No. Non ho avuto rapporti con lei. Dio, ero così stanco che non mi sarei fatto nemmeno Pamela Anderson!
- Bei gusti...
- Hino. - la gelò con lo sguardo la donna. - Nessuno ha chiesto il tuo parere sui gusti del tuo compagno. - Guardò di nuovo Mamoru. - Insomma tu non hai dormito con lei.
- No. Ho dormito sul divano. - bevve altro caffè. - Poi l'unica cosa che mi ricordo è Rei che bussa alla mia porta.
- Notizie dalla scientifica, Hino?
- Nulla di importante. Da una prima ricostruzione hanno inondato la stanza di gas, poi hanno rotto il vetro per entrare, hanno prelevato la fantomatica Usagi e tutto quello che la riguardava e se ne sono andati. Professionisti. Molto. Ma sto aspettando altre notizie dalla Mizuno.
La donna si portò la sigaretta alla bocca meccanicamente, per poi toglierla e passarsi la mano nei capelli neri, lisci e a caschetto. Tamburellò con le dita vicino al telefono, quindi lo afferrò con rabbia pigiando i numeri di un interno. Squillò a vuoto alcune volte, il suono metallico nel silenzio della stanza.
- Pronto?
- Dottoressa Mizuno. Tomoe. Cosa mi sa dire della casa di Chiba?
- Che Mamoru avrebbe bisogno di una brava donna delle pulizie. - rispose atona la voce femminile. - Solo sul divano...
- Tagli corto. Qualcosa di utile. Mi fa girare le palle sapere che un mio uomo si sia fatto prendere per il culo così facilmente.
- Nessuna cosa interessante, ma siamo solo all'inizio. - le rispose lei. - Ci stiamo lavorando.
- Mi tenga informata.
- Non ne dubiti. - concluse la telefonata la donna, una sorta di esperta tuttofare nota come medico legale. Era da alcuni anni al commissariato Zeichi di Tokio, e ancora trovava modo di stupire colleghi e superiori. - Comandante...
Hotaru rimise la sigaretta in bocca e si sedette. Guardò Rei e Mamoru dura.
- Allora? Aspettate un invito scritto o tornate al lavoro per conto vostro? Persone scomparse e omicidi ce ne sono in abbondanza. O preferite il traffico e gattini sugli alberi?
- Nossignore. - risposero assieme alzandosi e uscendo dal suo ufficio.
I due ispettori camminarono fino alle loro rispettive scrivanie e si sedettero, osservando lo schermo del computer come se fosse un'opera d'arte. Passò del tempo, in silenzio. Un silenzio pesante.
- Come era a letto? A me puoi dirlo... - borbottò Rei.
- E che ne so? - sbottò lui. - Io dormivo. Ma perché siete tutti convinti che io me la sia fatta?
La donna lo guardò.
- Non ti rispondo. Se sei capace di dormire con una donna senza toccarla eri posseduto...
Il telefono dell'uomo squillò impedendogli di insultare la compagna.
- Chiba. - rispose bruscamente. - Ah, sei tu. - ci fu una pausa. - Arrivo subito. Grazie, Ami.
- Dove vai?
- Al laboratorio. Con me.
Arrivarono all'ascensore. Scesero tre piani. Le porte si aprirono in una grande stanza dai muri bianchi affollati di scaffali, schermi piatti e scrivanie con microscopi e altre diavolerie più o meno elettroniche. Tre figure con un lungo camice da laboratorio erano impegnate nel loro lavoro, dando le spalle alla porta di ingresso, ma i due si diressero decisi alla figura più lontana. Era una donna minuta, apparentemente persa nel grosso camice, i capelli azzurri tenuti a posto da una fascia elastica bianca con alcune striature verde scuro.
- Dottoressa Mizuno! - le disse in modo falsamente autoritario.
- Mamoru, grazie per essere venuto subito. - Si voltò tranquillamente Ami, sulla quarantina. Guardò la donna vestita di rosso un po' freddamente. - Rei, ciao.
- Ciao. - rispose secca lei guardandola negli occhi, nascosti da piccoli occhialini dalla montatura in titanio.
- Hai trovato qualche cosa?
- Forse... - sorrise debolmente, afferrando un piccolo telecomando e puntandolo sullo schermo gigante che riposava alla sua destra.
Si illuminò mostrando le foto fatte nella casa di Mamoru.
- Davvero è così casa mia?
- Diciamo che ho scelto le angolazioni migliori. - scherzò la donna. - Comunque come vedi sembrerebbe che l'unico punto in cui i tuoi... visitatori... abbiano lasciato delle tracce sia la finestra, e che la tua ospite non ne abbia lasciate. Come se fosse stato un fantasma...
- O un'allucinazione da sbornia... - lo derise Rei, anche se sapeva benissimo che il suo compagno era stato drogato. Le analisi parlavano chiaro. - Te la sei sognata. Ecco perché non te la sei...
- Perché hai detto "sembrerebbe"? - la bloccò lui, osservando le foto da vicino, come se volesse vederci qualche cosa di particolare, qualcosa che gli avrebbe permesso di venire a capo di un piccolo mistero che gli dava molto fastidio.
Ami sorrise, schiacciando un'altra volta uno dei tasti del telecomando. Sullo schermo le immagini divennero degli schemi a linee verde fosforescente tridimensionali, un'estrapolazione vettoriale dei singoli pixel delle fotografie per poter trasformare una struttura bidimensionale in una struttura completamente modificabile e visitabile virtualmente. I modelli wireframe si fusero tra loro e vennero ricoperti da textures a simulare i materiali reali della casa di Mamoru, finchè sullo schermo non ci fu solo un'immagine simile a quelle dei videogiochi di ultima generazione.
- Bel trucchetto. Cosa ci serve? - chiese l'ispettore Hino
- A stupirvi. Il programma di conversione l'ho creato io nei ritagli di tempo durante le pause pranzo....
- Mangiare no, eh, Ami?
- Mangiare ingrassa. Far funzionare il cervello fa dimagrire. Rei, sbaglio o sembri un po' gonfia?
- Vaffanculo!
- Calme, calme ragazze. Come mai hai voluto usare questo programma sulla mia casa?
Ami sorrise di nuovo, come un lampo negli occhi, di soddisfazione. La rotellina del mouse grattò impercettibilmente, e l'immagine si rimpicciolì, mostrando tutto l'appartamento e i contorni dei locali accanto al suo.
- Questa è una mappa tridimensionale dell'appartamento, e come vedi c'è segnato il punto in cui ti hanno rotto la finestra nella camera da letto, la tua porta e tutto il resto. Ora, da quello che mi hai detto, e dai dati che abbiamo recuperato guardando il tuo divano, stavi dormendo ieri notte con la testa rivolta verso questa parete... - indicò con un piccolo laser rosso inserito nel mouse la parete dove c'era la porta di ingresso.
- Va bene. Quindi?
- Ora, considerando che abbiamo trovato la finestrella della cucina aperta, o almeno socchiusa, e simulando una diffusione ottimale del gas soporifero che ti avrebbe addormentato... - mentre parlava una sorta di nuvoletta verdastra iniziava a diffondersi dalla finestra rotta verso la camera da letto e gli altri locali, con un numero percentuale in caratteri rosso acceso che aumentava ad ogni secondo. Altri numeri analoghi comparivano in ogni stanza in cui il gas penetrava. - chiaramente stiamo vedendo una ricostruzione accelerata della diffusione.
- Chiaro...
Rei si stava osservando le unghie delle mani.
- Quindi? Cosa vuole dimostrare questo?
- Un attimo di pazienza, Rei, e sarai soddisfatta. Ecco, il gas nel salotto ha raggiunto la concentrazione minima necessaria per dare nel tuo sangue l'anestetico nelle quantità che abbiamo rilevato. Noti qualcosa?
- Che ho bevuto troppo caffè e mi scappa. - borbottò lui. - No Ami, non noto nulla di strano, considerando che non so cosa dovrei notare.
- Guarda i numeri in rosso, e considera che sono la percentuale del gas nella stanza rispetto all'atmosfera.
Mamoru e la sua collega guardarono i numeri come se si aspettassero che i dati avrebbero detto loro qualcosa, quindi Rei sgranò gli occhi.
- Cazzo! Ma nella stanza da letto e in parte del salotto il numero è oltre il cento.
- Esatto! - gridò entusiasta la donna. - Esatto! Non lo hanno drogato con il gas, ma con qualcosa di altro. Non è possibile che il gas superi il valore cento, cosa comunque impossibile, visto che si diluisce con l'aria, per cui il sonnifero è entrato in circolo in altro modo, già concentrato. Ho una possibile teoria, ma per averne conferma devo controllarti i capelli, Mamoru.
- I capelli?
Ami annuì. Lui si abbassò e chinò il capo per mostrarle il cuoio capelluto. La scienziata si era già infilata un paio di guanti monouso in vinile, e con perizia e delicatezza spostava le ciocche di capelli, finché non trovò quello che cercava.
- Bingo! Umi, vieni qui con la macchina digitale. Subito!
Una delle due assistenti, una ragazza alta e dai lunghissimi capelli blu si avvicinò dinoccolata, tra le mani un apparecchio per scattare foto digitali ad alta risoluzione. Il flash indicò che aveva scattato due o tre foto del punto indicato, una piccola porzione di cuoio capelluto.
- Le metto sullo schermo?
- Sì, grazie.
Dopo nemmeno un minuto i capelli di Mamoru riempirono il televisore ultrapiatto.
- Grazie al cielo non ho la forfora...
- No, direi di no. Vedi questo punto rosso?
- Sì. Una puntura, Un ago?
- No. Non potevano arrivare a te con un ago senza entrare nella stanza. Ho una teoria, ma dobbiamo verificarla da te. Credo che troveremo una traccia sulla tua porta di casa...
- Hai già detto queste cose alla Tomoe? A parte il discorso dei capelli...
- Niente. Secondo te glielo dovremmo dire?
- No! - rispose deciso lui. - Se è successo qualcosa del genere, dovremo aprire un caso, e io non sarò messo in mezzo. Sarei coinvolto personalmente. Voglio arrivare io a capire chi mi spacca i vetri e mi frega le ospiti. - lo sguardo era duro, arrabbiato.
- Immaginavo. Io avrei un'idea, ma credo che anche se questo ti lascerà spazio libero per le tue indagini personali, dall'altro ti farà scendere di un gradino nella scala delle preferenze della Tomoe.
- Sono già in cantina, non posso andare oltre... Dimmi.
- Ecco. Io posso redigere un falso rapporto, secondo il quale tutto quello successo è una serie di coincidenze, e il tuo stato era dovuto ad una sbornia legata ad alcune medicine che avevi in casa...
- Passo per pirla, quindi...
- Non esattamente.
- Solo per uno scemo un po' sfortunato...
- Grazie Rei. - mormorò lui ironico. - Se non ci fossi tu... - Sospirò. - Va bene, facciamo questa ennesima figuraccia. E della mia ospite, di Usagi, che mi dici?
- Ancora nulla, ma le mie assistenti sono al lavoro. Hikari è ancora al tuo appartamento per gli ultimi accertamenti. Dovrei incontrarla da te. Umi e Fu stanno controllando altre cose. Dammi un po' di tempo, e troveremo chi ha combinato questo scherzetto e troveremo anche il tuo angelo biondo.
Lui sorrise mesto, per poi dirigersi all'ascensore, e da lì ai parcheggi, dove, con Rei come autista e seguiti dalla macchina della loro amica, si diresse al suo appartamento.
- Usagi, piccola pazza che parla agli ombrelli, dove sei finita? - pensò mentre guardava fuori dal finestrino, al città di Tokio sveglia e attiva, frenetica sotto la luce del sole o nei negozi illuminati artificialmente. - Dove sei?
Nello stesso momento, da qualche parte, una porta si aprì su un corridoio illuminato da potenti luci al neon azzurrine. Tre figure protette da una sorta di fantascientifica armatura rigida, un fucile automatico sulle spalle, buttarono come se fosse un sacco di patate il corpo di Usagi nella piccola e buia cella senza finestre che era collegata al corridoio solo dalla porta blindata in quel momento spalancata.
- Ah! - urlò di dolore la ragazza, vestita solo da un camice da ospedale in più punti macchiato di sangue.
- Non lamentarti, stronza! - le disse uno dei tre, la voce alterata dall'elmetto in kevlar rinforzato con fibre di vetro e di carbonio. - Te la sei cercata, puttanella... E almeno sei viva, non come i nostri due compagni! Cazzo, a mani nude... - borbottò mentre chiudeva la porta, l'ultimo spiraglio di luce ad illuminare le calde lacrime della ragazza.
Ci furono singhiozzi e lacrime per alcuni minuti, quindi Usagi si calmò improvvisamente. Una sorta di sorriso malvagio si formò sul suo volto, mentre due piccoli soli rosso fuoco risplendettero nei suoi occhi per alcuni secondi.
- Tanto me la pagherete, piccole sciocche scimmie senza peli... - mormorò, per poi chiudere gli occhi, rannicchiarsi sul freddo pavimento e addormentarsi in posizione fetale.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Un gioco e un'amica ***


La porta della piccola stanza in cui stava dormendo la bionda si aprì lentamente, senza fare rumore. Lo spiraglio di luce che entrò nel locale illuminò la figura addormentata, ancora rannicchiata in posizione fetale. I passi di una donna, le scarpe con il tacco, risuonarono sul lucido pavimento di metallo, fermandosi a pochi centimetri dal volto serafico della ragazza.
- Chi l'ha conciata così? - chiese la donna, la voce autoritaria e piena, quasi sensuale se non per una venatura velenosa e tagliente che la rendeva a malapena sopportabile. Le due guardie alle sue spalle, ricoperte dall'armatura in kevlar rinforzato si guardarono, ma non fiatarono, stringendo inconsciamente i fucili mitragliatori che tenevano in mano. - Allora?
- Non lo sappiamo, Dottoressa.
- Non lo sapete? O ve lo siete dimenticati apposta?
- Non lo sappiamo. - risposero in coro i due. - Siamo montati di guardia tre ore fa.
- Chi era a capo della squadra che avete sostituito?
- Bob. Il sergente Bob Robertson.
- Capisco. - sospirò, socchiudendo gli occhi. - Lasciatemi sola con lei.
- Dottoressa, lo sa che non possiamo. Dopo quanto avvenuto ieri sera...
- Ho... detto... lasciatemi... sola... con... lei! - scandì le parole una per una. - Me ne assumo la piena responsabilità. E lasciate aperta la porta.
- Dottoressa...
Lo sguardo della donna impedì al soldato di completare la frase. Ci fu un rumore secco, di tacchi battuti uno contro l'altro, e le due figure si allontanarono nel corridoio, borbottando tra di loro.
- Piccola mia creatura, come ti hanno lasciato dormire? - le chiese, accarezzandole i capelli scompigliati. La ragazza si mosse impercettibilmente, spostando i piedi e le gambe, quindi si voltò del tutto. - Nemmeno un letto, un vestito pulito. E solo perché hai ucciso due miseri umani. Ah, se capissero quanto poco valgono due delle loro vite...
La dottoressa si inginocchiò, il camice immacolato, abbottonato fino alla vita, ad aprirsi e mostrare sottili pantaloni a sigaretta in tessuto nero. Spostò e sollevò la testa di Usagi per appoggiarla meglio nell'incavo creato dalle due cosce, e iniziò a d accarezzarle la tempia e i capelli finché la ragazza non aprì gli occhi e si stiracchiò delicatamente, mugolando.
- Che dormita... Mi sentivo così stanca. - borbottò girandosi e piantando i suoi occhioni in quelli della donna. - Buongiorno Dottoressa Meiou. Ha dormito anche lei qui con me?
- No, piccola. Io sono arrivata da poco. Come va? - le sorrise.
- Bene. Ma sono ancora stanca. Posso avere un panino come quello di ieri? Ho fame...
- Un panino?
Lei si sollevò, si voltò per essere di fronte alla donna e incrociò le gambe, iniziando a giocare con una ciocca di capelli.
- Sì. Con formaggio e prosciutto e pane bruciato. Buono...
- E chi te lo avrebbe fatto?
- Momo... No, Mamoru. Mamoru il poliziotto.
- E come lo hai conosciuto? - le chiese curiosa, sorridendo, nascondendo le sue vere emozioni.
- Ero sotto la pioggia. Un ombrello mi ha riparato, e io l'ho ringraziato.
- Mamoru.
- No. - rispose sgranando gli occhi come se la donna, sulla quarantina, avesse detto una sciocchezza enorme. - L'ombrello. Ma attaccato all'ombrello c'era il poliziotto, che mi ha fatto fare la doccia e mi ha fatto un panino molto buono. Posso averne uno uguale?
- Magari dopo.
- Uffi.
Lei si imbronciò, ma non smise di giocare con la ciocca di capelli alla sua sinistra.
- Ma dimmi un'altra cosa.
- Solo se posso avere il panino di Mamoru.
- Dopo.
- Ma...
- Dopo, Usagi.
- No, no e no. Io non dico nulla se non ho il panino. - Incrociò le braccia e non si mosse, chiudendo gli occhi e facendo la faccia imbronciata, socchiudendo con fare furbo le palpebre per vedere come reagiva la donna davanti a lei.
La dottoressa le sorrise tenera, come una madre.
- E va bene. Dimmi come era, così posso fartene uno uguale.
- Uguale uguale? - sorrise, gli occhi lucidi e felici.
- Uguale uguale. - le rispose lei.
- Allora. C'era il pane, bianco e nero, bruciato ma caldo e tanto buono, poi il prosciutto, il prosciutto più buono che io abbia mai mangiato, buono così tanto che sapeva... Sapeva... Sapeva di buono. E il formaggio, che fondeva e sapeva di latte e filava in bocca anche se non scottava e poi...
- Calma, calma... - rise lei. - Non ti seguo. Sei un po' confusionaria... Devi dirmi che tipo di pane era, che formaggio era, il prosciutto era cotto o crudo?
Usagi ci pensò un attimo, poi sorrise e chiuse gli occhi.
- Aspetta. Te lo mostro.
- Usagi, sai che non devi usare i tuoi poteri se non sono necessari.
- Ma è necessario, o il panino non sarà buono come quello.
- Va bene, va bene. - chiuse anch'essa gli occhi. - Mostramelo, per favore, piccola. Lentamente, come ti ho insegnato.
Lei annuì, iniziando a tempestare con una serie di informazioni sensoriali e di ricordi la mente della donna, che non solo vide con gli occhi della ragazza il panino, ma poté riviverne il sapore, il profumo e tutto il resto, oltre a parte delle emozioni che Usagi ebbe nel momento in cui lo mangiò.
- Buono, eh?
- Decisamente. - strinse gli occhi Setsuna. - Ma per favore, smetti. Sai che le tue emozioni sono... forti per me. - Una perla di sudore scivolò dalla tempia verso la guancia, mentre la trasmissione mentale veniva interrotta. - Grazie. - sospirò. - Direi che posso fartene fare uno uguale, ma in cambio ora mi dovrai dire come hai fatto a spostarti fuori dalla tua stanza e poi mi dovrai dare una mano per un gioco.
- Mi piacerà?
- Ne sono sicura. Dovrai fare un giro fuori dal tuo corpo e giocare con un signore...
- Come l'altra volta?
- Quasi. L'altra volta ci sei entrata nella testa per sapere alcune cose che non voleva dirmi.
- E' stato divertente, ma aveva dei pensieri scuri, a volte erano oleosi...
- Capita con i politici.
- Però i suoi ricordi con i figli erano carini. Ho sentito il sapore del mare e il freddo della neve sulla faccia quando sciavo. Cioè, sciava lui, ma io sentivo quello che sentiva lui...
- Sono contenta. Ma ora dimmi come hai fatto?
- Fatto cosa?
- Dai che lo sai. Come hai fatto ad uscire dalla stanza? Avevi delle guardie fuori, siamo in un posto molto riservato e di sicuro non sai guidare una macchina, quindi dove ti abbiamo trovato ci sei arrivata solo tu sai come.
- Segreto... - sorrise sorniona lei alzandosi e girando su se stessa con le mani braccia aperte. - Sono un aeroplano!
- Usagi... - Si alzò anche la dottoressa, sistemandosi il camice e sospirando. - Usagi. Fermati, o mi farai girare la testa. Dai, andiamo nella tua stanza. Ti cambi, ti fai un bagno mentre ti preparo il panino e poi giochiamo, va bene?
Lei annuì e si mise sulla porta, aspettando che la dottoressa la oltrepassasse, per poi seguirla nei corridoi asettici della struttura dove aveva sempre vissuto, da quel che si ricordava. Arrivarono ad una porta rinforzata. Setsuna digitò un codice alfanumerico estremamente lungo, oltre la quindicina di caratteri, prima che uno scatto metallico e un rumore oleoso indicarono che la serratura era sbloccata e che i cardini si sarebbero aperti a momenti, spinti dai pistoni. La pesante porta blindata finì di ruotare, permettendo alle due figure di entrare, prima di richiudersi alle spalle della dottoressa.
- Posso avere un vestito?
- Forse. Ora vai a farti una doccia. Io preparo il panino.
Appena la bionda chiuse la porta della piccola stanza da bagno la dottoressa estrasse dalla larga tasca destra del camice una ricetrasmittente, azionandola.
- Qui è la Dottoressa Meiou. Sono nella camera del soggetto Undici. Un panino al formaggio e prosciutto con alcuni cetrioli sottaceto entro cinque minuti. Il pane bruciacchiato e il formaggio molto filante.
- Dottoressa... - rispose una voce nell'apparecchio. - E' sicura di quello che chiede?
- Sì. Con dell'acqua minerale. Naturale. Fresca, non fredda.
- Ricevuto Dottoressa.
La donna attese, sentendo il rumore dell'acqua scorrere nella vasca da bagno. La porta si riaprì quasi in contemporanea a quando quella del bagno si spalancava e una gocciolante Usagi usciva sorridendo, vestita solo da un candido camice da ospedale troppo grande per lei e incollato al suo corpo in alcuni punti a causa dell'acqua.
- Panino. Panino, Pani... - Si bloccò. Setsuna era in piedi, accanto a lei due guardie con la tuta da combattimento che sempre indossavano quando erano in presenza della bionda. Uno dei due aveva tra le mani un piatto con il cibo richiesto dalla donna dai capelli verdi. - Voi siete cattivi! Siete cattivi! - urlò mettendosi a piangere, strizzando gli occhi e stringendo i pugni all'altezza del petto.
Un'onda d'urto investì le tre figure, spostandole di due spanne. Setsuna si piegò dal dolore, un piccolo rivolo di sangue dalla bocca, mentre i due soldati imbracciarono le armi, lasciando cadere il piatto, che però rimase sospeso a mezz'aria, come se fluttuasse.
- Fuoco al tre! - gridarono uno all'altro.
- No! Fermi. - Mormorò la donna tenendosi lo stomaco con la mano sinistra, mentre la destra era appoggiata alla spalla di uno dei due soldati, a sostenersi. - Ci penso io. Voi uscite. Ora!
- Signora, la sua incolumità...
- Siete voi il problema, non lei. Uscite.
- Dottoressa Meiou.
- Uscite, cazzo!
- Agli ordini.
- Usagi. - Tossì, ingoiando poi un po' di sangue che le si era formato in bocca. - Usagi, ora andranno via. Non colpirli più, non colpirmi più...
Le guardie sparirono nel corridoio.
- Loro sono cattivi. Loro devono...
- No. Non devono morire, ti prego, Usagi. Mi hai fatto male, lo sai?
- Non è vero!
- Lo è. Guardami. - Osservò con la coda dell'occhio che le due guardie fossero uscite. - Guardami.
La bionda aprì gli occhi, e immediatamente il panino cadde a terra, assieme a lei, che si accasciò al suolo piangendo.
- Scusa. Ti ho fatto male. Sono cattiva. Sono cattiva...
- Non è vero. Devi solo imparare a non avere spesso paura, e a controllare i tuoi poteri. Sei speciale, ma molti non ti capiscono. Come i soldati, che hanno paura. Mentre io voglio che tu ti senta felice. Ma per farlo devo convincere i cattivi che tu sei brava.
- Ma io sono brava?
- Sì. Dammi una mano. Facciamo un gioco assieme. Ma prima il panino.
- Posso davvero?
- Certo. E se sarai brava potrai smettere di portare i camici e ti darò un vestito.
Lei corse a prendere il panino e lo annusò, per poi addentarlo.
- Non è uguale, ma è buono comunque. Allora, facciamo il gioco?
- E la mia domanda? Come sei uscita?
- Non lo so. - la guardò mentre mangiava con voracità il panino. - Non lo so. Davvero. Ad un certo punto ho desiderato uscire, volevo solo andarmene, poi ho sentito un grande calore dentro... qui. - Indicò il petto, proprio al centro della gabbia toracica. - E quando ho chiuso gli occhi per un attimo, poi li ho riaperti ed ero fuori, poco lontano da un lampione. E poi è venuto Mamoru e l'ombrello... Ma non so altro, dottoressa.
- Va bene così, non ti preoccupare. Ora giochiamo. Ti ricordi come si fa, vero?
- Certo. E' facile. - La bionda incrociò le gambe, sedendosi a terra. Si appoggiò con la schiena un po' all'indietro, sostenendosi con le mani e le braccia tese ai suoi lati, quindi sospirò quasi con gioia, mentre chiudeva gli occhi. - Che bello. Sono fuori, sono vicino ad un bar. C'è tanta gente e molti stanno bevendo una cosa nera e calda. Che cattivo sapore. Eppure a tutti piace.
- E' caffè, piccola. Alzati, finché la città non sarà grande come un piatto.
- Facile facile. Fatto.
- Brava. Ora vai verso la grande torre bianca e rossa, con le spalle al grattacielo più alto.
- E poi?
- Sempre dritto fino alla strana villa con tanti cani nel parco e uomini con le facce scure e le pistole nelle fondine.
- Ci sono. Che bei fiori. E i cani sono così simpatici, anche se sembrano affamati. Toh, dentro la casa c'è un signore anziano che sta telefonando.
- E' calvo?
- Cioè?
- E' senza capelli?
- Ne ha pochi, dietro, vicino al collo, e sono bianchi. Sembra arrabbiato, sta urlando al telefono. Parla di soldi, di sangue e di altre cose che non conosco.
- Va bene. E' con lui che devi giocare.
- Cosa devo prendergli dalla mente?
- Nulla. Devi arrivare da lui e toccargli il cuore.
- Il cuore?
- Già. Come hai fatto con i cattivi ieri sera.
- Cosa ho fatto io? - chiese sinceramente stupita. - Io non so toccare il cuore, solo la testa.
- Pensaci bene. Lo hai fatto ieri sera, puoi rifarlo adesso. Saresti davvero una brava bambina se tu riuscissi a farlo...
- Ma io non posso... Non sono capace...
- Ma lo hai fatto. Dai, ritentaci. Sarà una cosa molto bella, mi darai una mano. Lui mi ha fatto del male, vuole allontanarmi da te.
- Non sono stata io. Lei...
I lineamenti di Usagi cambiarono improvvisamente, si fecero duri, sprezzanti. Un sorriso cattivo increspò le labbra della ragazza.
- Lei non è in grado di farlo, ma io sì. E' così che ho ucciso quelle scimmie senza peli. Così farò anche con te.
- Oh. Quindi sei tu che ha sfoggiato quella dimostrazione di forza. Pensavo che fosse stata lei senza poi ricordarlo. - sorrise la donna, per nulla spaventata o sorpresa. - Posso sapere come ti chiami?
- Ci manca anche che lei si ricordi di aver spappolato il cuore a due umani. Quasi tre, ora...
- Non ci tentare, piccola, chiunque tu sia.
- Che paura. - disse ironica. - E come mi fermeresti?
Setsuna sentì il suo cuore rallentare, come preda di una morsa di ghiaccio.
- Guardati in giro... - le disse mentre con un dito azionava un radiocomando nella tasca sinistra. Simboli arcani si formarono sulle pareti, tappezzando anche il pavimento e il soffitto.
- Maledetta! - gridò la voce di Usagi, terrorizzata e dolorante. - Falle smettere. Falle smettere. - Quasi sibilò come un serpente. - Come sai che odio queste cose? Falle smettere! Falle smettere, mi uccidono...
- Uccidi quell'uomo. Fagli fermare il cuore. Non devono scoprire che è stato ucciso.
- Perché?
- Vuoi saperlo o vuoi che spenga gli Arcani?
- Troia. - Ringhiò. - Un giorno ti strapperò quel cuore marcio. L'ho ucciso. Infarto.
La donna estrasse la ricetrasmittente.
- Bersaglio ucciso. Ripeto. Bersaglio ucciso. Confermate.
Passarono dieci secondi, quindi una scarica statica.
- Confermato. Nella villa c'è il chaos. Ripeto. Confermato.
- Bene. - Mise via la radio. - Allora, mia cattivella sconosciuta. Devo ringraziarti. Ora fai tornare la nostra amica comune, o la prossima volta vedrò di tatuare alcuni arcani sulla candida pelle del nostro coniglietto biondo.
- Sei morta! Sei morta e non lo sai, puttana. Ti caverò gli occhi, ti piscerò nel cranio dopo aver banchettato con il tuo cervello mentre ancora sei viva. Soffrirai così tanto che... - si bloccò. Il voltò si addolcì. Setsuna spense i proiettori dei simboli. - Che... che cosa è successo? Dottoressa, mi sono addormentata?
- Direi di sì, ma solo per pochi secondi, cucciola.
- E il gioco?
- Una nostra amica lo ha fatto per te. E' stata brava.
- Ma io non ti ho detto nulla. Lei mi ha fatto promettere di non dirti nulla.
- Non mi hai detto nulla. Tranquilla. Ora stai tranquilla. - Sorrise accarezzandole i capelli. - E direi che per l'impegno ti meriti comunque il vestito. Come lo vuoi?
Lei chiuse gli occhi ancora una secondo, poi sorrise.
- Rosa... con dei gatti bianchi e neri. Come Luna e Artemis.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Panettone e veleno ***


Le ho detto che non le apro! - gridò soffocata dalla porta la voce della signora Kino. - Io sono una donna rispettabile!
- Signora Kino, la prego... - sospirò Mamoru. - Le ho detto che ho bisogno di farle alcune domande per una indagine ufficiale!
- E poi lei mi travia come ha fatto con quella ragazzina ieri sera. Ma io non ho visto nulla, sia chiaro! Io non voglio avere nulla a che fare con certe cose!
- Io questa la ammazzo appena apre la porta... - ringhiò sommessamente l'uomo scorato, dirigendosi nuovamente verso l'ingresso del suo appartamento, seguito da Rei, mentre Ami, vestita ancora con il suo camice bianco e i guanti da chirurgo che sempre portava quando era sulla scena di un crimine, rimase davanti all'ingresso della donna.
Sembrava pensierosa. Osservava intensamente la maniglia della porta, come se ci fosse qualche cosa che la attirava in maniera particolare. Si diresse senza parlare alla maniglia della porta di Mamoru, la osservò senza toccarla, non disturbando il lavoro di Hikari, quindi tornò davanti alla maniglia dell'altro appartamento e si chinò ad osservarla da vicino, passando un dito guantato sulla superficie di ottone lucidato a specchio. La porta si aprì di scatto, e la donna dai capelli azzurri si ritrovò ad osservare parte del grembiule della signora Kino.
- Cosa stava guardando? - le chiese con tono indagatorio e brusco.
Ami si rialzò e le sorrise.
- Pura curiosità scientifica. Scusi se l'ho disturbata.
- Cosa aveva la mia maniglia di tanto interessante? Non è mica diversa da quella del signor Chiba.
- Al contrario, direi che c'è un abisso tra le due. - controbatté Ami. - La superficie presenta un'assoluta mancanza di ossidazione acida che denota una cura professionale della maniglia stessa. Sarei curiosa di sapere come è possibile tale differenza di pulizia.
La donna la squadrò un attimo.
- Lei è un medico? Un dottore?
- Non esattamente. Polizia scientifica. - Annusò l'aria un paio di volte. - Sento uno strano profumo... Oddio, che sbadata. Sono uscita dal laboratorio senza nemmeno mangiare, e ora mi sembra di sentire profumo di torta anche qui in corridoio. Che languore...
- Ha fame?
Ami abbassò lo sguardo come una ragazzina che non ha il coraggio di rispondere.
- Ho appena sfornato uno strudel usando una ricetta che ho trovato sul settimanale di cucina che compro sempre. Le andrebbe di assaggiarla? Solo lei. Il signor Chiba e la sua... amica... non li voglio in casa mia. Sono una donna per bene io. Ma lei mi sembra diversa. E poi se uno fa il medico mica può essere cattivo. E tra donne ci si intende... Sa, mia figlia vorrebbe iscriversi... - iniziò trascinando dentro Ami e chiudendo la porta alle sue spalle, lasciando a bocca aperta Mamoru e ancora di più Rei.
- Solo lei ci poteva riuscire.
- A farmi dare della donnaccia dalla tua vicina? - borbottò la scura di capelli
- No, scema, quello ci riesce chiunque. - sorrise lui. - Mi ha chiesto se sapevo qualcosa di lei mentre venivamo qui, ti ricordi? E io le ho detto che è una maniaca del cibo e della pulizia. L'ha beccata su quei punti, e si è fatta invitare in casa. A parte con lo stomaco pieno, vedrai che uscirà con qualche notizia. La signora Kino è la spia di questo piano. Meglio di un sistema di telecamere a circuito chiuso. Se non ha visto lei qualche cosa, non l'ha vista nessuno. E il fatto che non voglia avere a che fare con me vuol dire che mi ha visto con Usagi.
- Ma potevamo anche portarla al commissariato e chiederle cosa aveva visto...
- Come una criminale, Rei? Certo, come no. Poi ci vivi tu accanto a una che come minimo ti insegue con il matterello della pasta ogni volta che tenti di arrivare a casa tua... - ghignò triste il poliziotto, per poi guardare la giovane ricercatrice e aiutante di Ami, una ragazza che dimostrava a malapena venticinque anni, dai lunghi capelli mossi e rossi, un camice bianco più grosso di lei di almeno tre taglie e delle scarpe da ginnastica nemmeno allacciate. - A che punto sei, Hikari?
- Non mi manca molto, ispettore Chiba. Devo solo finire di rilevare alcune tracce che ho trovato all'interno della serratura e poi ho finito. Direi comunque che l'ipotesi della dottoressa Mizuno dovrebbe essere confermata...
- E quando mai sbaglia, quella? E' così frigida... fredda, volevo dire, che sembra un computer. - disse sardonica la collega dell'uomo, che le diede una gomitata. - Ahi!
- Te la sei cercata. Mica tutte possono essere delle schiave del sesso come te.
- Io non sono... - Lui la guardò di sottecchi. - E va bene. Ammetto di divertirmi parecchio... e allora? Geloso?
- Ormai la cosa non mi riguarda più. Dai, vieni che ti offro una birra...
- Ispettore Chiba, mi permetta di sconsigliarle di assumere alcolici, anche se di bassa gradazione, finché ha ancora tracce di sonnifero nel sangue. Uno dei possibili effetti collaterali è un intenso vomito.
- Pure... Non basta il mal di testa... - sospirò lui, entrando comunque in casa. Sentì dei rumori provenire dal bagno. - Un altro della scientifica. - pensò aprendo il frigorifero e passando una lattina di Asahi a Rei. - alla salute. Dammi il tempo di trovare un bicchiere e di prendermi dell'acqua dal rubinetto...
- Sembri uno sul patibolo...
- Sono anni che bevo birra o quella cosa nera che chiamiamo caffè... Chissà se il mio corpo non ha sviluppato nel frattempo un'allergia all'acqua?
- Ritengo la cosa decisamente improbabile, Mamoru, ma con te nulla è sicuro. - rise sommessamente l'amica dai capelli azzurri, che comparve sulla porta, appoggiandosi sullo stipite. - Hai una vicina interessante, oltre che un'ottima cuoca.
- Hai saputo qualche cosa di utile?
- Direi di sì. La signora Kino sostiene di aver sentito dei rumori verso l'ora in cui tu hai portato da te la tua biondina...
- Usagi...
- Usagi, appunto. Lei ti ha osservato dallo spioncino, pensando che fosse una donna di malaffare.
- Così giovane.
- Beh, diciamo che la cosa l'ha messa ancora più in allarme, ma fortunatamente le ho detto che lei era una nostra collega, apparentemente molto giovane, che era sotto copertura, e che la stavi aiutando visto che era stata maltrattata.
- E lei ci ha creduto? - esclamò Rei, a momenti sputando il sorso di birra addosso al collega sentendo la notizia.
- Direi di sì, visto che si è subito rilassata e mi ha raccontato anche che ha sentito degli altri rumori verso le due di notte, e che avendo paura che fossero i gatti che le sporcano il tappetino di ingresso, si era già preparata con gli zoccoli per scacciali, ma che quando aveva guardato dallo spioncino, aveva visto alcune figure passare. Scure e chine, oltre che con degli strani occhi verdi.
- Visori all'infrarosso!
- Ottimo Rei. Non sei esperta solo del contenuto della biancheria intima maschile. Mi stupisci... - mormorò Ami. - Comunque la signora ha anche detto che le figure si sono fermate vicino alla tua porta per un po', per poi andarsene, mentre in lontananza ha sentito un bicchiere di vetro cadere.
- La mia finestra. Ma ancora non capisco tutto sto casino per una ragazzina scappata da un ospedale psichiatrico.
- Potrebbe essere la figlia di qualcuno di importante, e questo vuole non far sapere la cosa...
- Potrebbe essere, Rei, ma il mio intuito mi dice che non è così. Mi ha detto che non ha mai visto altro che la sua stanza, ha visto il mondo solo in televisione e che non ha mai indossato vestiti. Poteva anche essere il delirio di un pazzo, ma...
- La cosa non ti convince, eh?
- No, Ami.
Hikari si avvicinò alla donna.
- Qui abbiamo finito, dottoressa Mizuno. Abbiamo trovato alcune impronte parziali nel bagno, in parte cancellate in fretta e furia, direi, ma la cosa più importante l'abbiamo trovata analizzando la sabbia della lettiera...
- Anche quella? Alla faccia della privacy...
- Tu non hai un bagno, Rei? Non dirmi che vai matta per l'erba gatta?
- Solo se poi posso rifarmi le unghie sulle colleghe...
- Allora ricordami di regalati un tronchetto, "Selina"...
- Cos'è, avete le vostre cose? - le zittì l'uomo, spazientito. - Cosa hai trovato nella lettiera, Hikari?
- Sembrerebbe un capello...
- I gatti! - si picchiò la fronte con il palmo aperto Mamoru. - Ma certo! Ieri sera lei stava giocando con loro, usando i suoi capelli come se fossero fili di un gomitolo. Uno di questi deve essere finito tra le unghie di Luna o Artemis e poi lo hanno lasciato sulla sabbia della loro lettiera...
- Ringraziali con un pesce intero tutto per loro! - sorrise Ami prendendo in mano la busta di plastica già sigillata al cui interno faceva bella mostra di sé un lungo capello biondo, quasi bianco. - con questo ti dico esattamente il DNA della tua fantomatica ospite, e con le impronte vediamo se la ragazza è schedata.
- Finalmente un po' di fortuna... - pensò l'uomo, passandosi la mano tra i capelli e grattandosi la barba sfatta. - Ma Ami, tu mi avevi detto di una tua teoria su come mi avevano addormentato. Trovato conferme, da quello che mi ha detto la tua assistente...
- Già. Come sospettavo devono aver individuato la ragazza in qualche modo, ma prima di entrare nel tuo appartamento hanno dato un'occhiata al suo interno senza aprire la porta. Nella serratura ho trovato tracce di graffi che possono essere ricondotti all'uso di una fibra ottica prima e di una lancia telescopica dopo. In pratica hanno usato la serratura come spiraglio per osservare chi c'era nella stanza, poi con lo stesso metodo ti hanno sparato direttamente un ago intriso di sonnifero, e solo dopo hanno spaccato il vetro dall'esterno e hanno immesso il gas nella stanza da letto dove dormiva Usagi.
- Tutto questo è assurdo...
- Lo penso anche io, Rei, ma fattibile. Bisognerebbe sapere che segreti ha con sé quella ragazza. Datemi del tempo, e vi saprò dire qualche cosa di più. Ora noi andiamo. Mamoru, datti una rasata e mettiti un attimo in ordine, credo che la Tomoe abbia in serbo qualche cosa di strano per te, visto che ha bevuto la palla che ti eri sbronzato...
- Cazzo, me ne ero dimenticato. Come minimo mi sbatte a dirigere il traffico!
In quel momento il telefonino di Rei squillò.
- Si parla del diavolo... - borbottò aprendo il modello a conchiglia... - Hino. - Ci fu una pausa. - Sì è con me. Glielo dico. Mezz'ora... - ci fu un'altra pausa, durante la quale la donna staccò il ricevitore dall'orecchio e strizzò gli occhi come dolorante. - Dieci minuti, va bene. Siamo già là.
Chiuse il telefonino.
- La Tomoe dove ci ha sbattuto? Attraversamento bambini dell'asilo?
- Al più dove ti avrebbe sbattuto. No. E' stato trovato un morto nel quartiere residenziale. Era un dottore. Molto vicino al governo.
- Omicidio?
- Si è impiccato, sembrerebbe.
- E noi cosa centriamo con i suicidi? Che ci vada la squadra di Seiya...
- Ai suoi piedi sembrano esserci decine di fogli scarabocchiati in cui compare continuamente un coniglio, una luna e un nome...
Mamoru strabuzzò gli occhi.
- Usagi! Tsuki no Usagi, il Coniglio della Luna. Non può essere una coincidenza... - sorrise, segnandosi mentalmente di togliere un po' di stricnina dalla farcitura del panettone da regalare a Natale al suo capitano mentre correva giù per le scale inseguito dalla sua compagna.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - La Kasba ubriaca ***


Quando i due poliziotti arrivarono alla casa del dottore ucciso, ad entrambi sembrò strano che non ci fosse nemmeno una macchina della polizia, un'ambulanza o che altro. Notarono invece subito le tre macchine nere ed eleganti, oltre al camioncino apparentemente anonimo parcheggiato poco lontano dall'abitazione.
- Affari interni?
- O servizio segreto. In entrambi i casi ci saranno guai.
- Andiamo via dritti?
- Impossibile, Rei. Abbiamo la luce sul tetto anche se non ho innestato la sirena e loro ci hanno già visti. Guarda là. Due uomini sono usciti dall'auto e altri due stanno arrivando dal retro della villettina. Sfodera le tue armi, anche se questi credo che si eccitino e facciano sesso solo è prescritto nel manuale.
- Dubito...
- Anche io. Quindi in guardia. - concluse mentre parcheggiava nel vialetto della casa, con un piccolo giardino ai due lati e sicuramente un altro sul resto, se non addirittura una piccola piscina. Era un quartiere da ricchi, dopotutto. - Buongiorno. Polizia di Tokio.
- Il caso non è di vostra giurisdizione. - declamò atono uno dei due che erano spuntati dal retro. Ognuno di loro aveva un piccolo cavetto elastico che finiva nell'orecchio, lo sguardo truce e il vestito nero.
- Non sapevo che avessero deciso di fare un remake di Matrix qui. Però voi con l'agente Smith centrate poco, ragazzi. - sorrise Rei.
- Non cogliamo la battuta, agente. Il caso non è di vostra giurisdizione. E' il secondo avvertimento ad andarvene.
- Ispettore, prego. E voi, siete...
- Non siete tenuti a saperlo. Il caso è nelle nostre mani, quindi, come direste, voi, smammate...
- Un dottore si impicca dopo aver scarabocchiato decine di disegni e si scomoda il servizio segreto? Deve esserci sotto qualcosa di grosso, decisamente. Eppure noi abbiamo avuto ordini precisi dal nostro superiore. Dobbiamo indagare, e per indagare dobbiamo entrare.
- Voi... non... entrate. Il caso non è di vostra giurisdizione. E' il terzo e ultimo avvertimento.
Rei si avvicinò di un passo all'uomo. Era a meno di mezzo metro da lui, ed era chiaro che la sovrastava di almeno una spanna, oltre a vari chili di muscolatura in più. Gli sorrise nello stesso momento in cui gli sferrò una potentissima ginocchiata al cavallo. Lui si piegò bianco in volto, osservandola con occhi sgranati, giusto in tempo per essere colpito in piena faccia da un mezzo calcio rotato, il massimo che poteva fare con la gonna di ordinanza, facendolo stramazzare a terra senza sensi. L'altro mosse la mano per afferrare la pistola nella fondina, così come fecero gli altri due che erano scesi dalla macchina, ma Mamoru spianò la sua pistola di ordinanza e un'altra piccola ma letale bocca da fuoco che teneva nella tasca dei pantaloni, le canne rivolte alle fronti dei due, che si fermarono, la mano ancora nascosta nella giacca, mentre Rei aveva bloccato e stortato il braccio all'ultimo dei quattro.
- Fossi in voi ci ripenserei a non farmi vedere tutte e due le manine. - sorrise sghembo l'uomo. - Ho bevuto molto caffè stamattina, ho le dita un po' nervose. Potrebbe partirmi un colpo...
- Vediamo se adesso che hanno capito che sappiamo usare le buone maniere riescono a farci passare senza troppe storie?
- Mi sa di no, Rei...
- Scusa? - chiese lei, che stava dando le spalle alla strada.
- Guarda dietro di te. E molla il tipo, tanto non è di lui che mi preoccupo...
La donna fece come le era stato detto, reprimendo una bestemmia vedendo che sia dal camioncino, sia dalle altre due macchine dai vetri oscurati altre otto persone, colleghi dei quattro che avevano già incontrato, a giudicare dagli abiti, erano scese con pistole puntate e alcuni addirittura con fucili a pompa.
- Gettate le armi ed andatevene.
- Mamoru?
L'uomo si fece duro in volto. Un fucile venne caricato, e le sicure di alcune pistole scattarono.
- Bah, che se lo tengano l'impiccato. Di rogne ne ho quante ne voglio già al commissariato. - disse alla fine, facendo cadere le due pistole e alzando le mani in segno di resa.
I tre vicino a loro aiutarono il quarto a rialzarsi e lo portarono nel camioncino. Uno degli altri, lo sguardo serio e consapevole della sua importanza, si avvicinò a loro, raccolse le pistole e le riconsegnò all'uomo.
- Ci sapete fare. Avremmo bisogno di gente come voi. Ma avete una coscienza. E' una grave pecca nel nostro lavoro.
- Immagino. - sibilò Mamoru mettendo via le armi. - E adesso?
L'uomo, dai capelli bianchi e radi, tagliati cortissimi, sorrise.
- Quella è la vostra macchina, se non sbaglio. Saliteci e andatevene, senza dire nulla. Al resto ci pensiamo noi. Non faremo rapporto, sono cose che capitano, incomprensioni tra capoccia, no? Noi siamo solo pedine.
- Vero. Mi spiace per il tuo amico, ha trovato l'Ispettore Hino in una pessima giornata... Sai, ha le sue cose...
- Sì, trentuno giorni al mese. Muoviti, prima che decida di usarti come sacco per l'allenamento. E' da stamattina che non ce ne va una giusta. Io dico che porti rogna... - mormorò lei, pulendosi le mani sbattendole tra di loro e salendo in macchina.
Anche Mamoru salì, e si diresse verso il commissariato, mentre la donna si dava da fare con il computer portatile collegato alla centrale.
- Le mie cose, eh?
- Beh, la scusa del caffè l'avevo già usata... - sorrise lui. - Trovato qualche cosa?
- Forse. E se io non avessi deciso di mettere a mente le targhe delle macchine e del camioncino?
- Le avevo messe a mente io.
- Ti fidi così poco della tua collega?
- E tu? Perché le hai memorizzate? Ti fidi così poco di me?
- Fanculo.
- Grazie. Allora, cosa ci dice la nostra sibilla cumana elettronica?
- Nulla di davvero interessante. Sembrerebbe che quei pinguini fossero davvero quello che dicono di essere. Tutte le targhe sono registrate sotto la voce top secret del servizio segreto.
- E di quel simbolo, la spilletta sul risvolto destro di tutti i pinguinazzi che abbiamo visto, cosa mi dici?
- Scusa?
- Ah-ah, beccata la mia pivella! - scherzò lui rallentando e fermandosi al semaforo.
- Perché volti a destra? Il commissariato è dritto.
- Ma il ristorante no. E' quasi la una, io direi che possiamo anche mangiarci qualche cosa mentre vediamo se riusciamo a trovare qualcosa sullo strano simbolo che ho visto. E ripeto che ho visto io.
- Ma quei caffè con cosa li hai tagliati? - scosse la testa in parte divertita Rei. - E come pensi di trovare qualcosa al ristorante?
- Non io. - rispose lui componendo un numero di telefono e mettendosi in attesa che rispondesse. - Pronto? Sì ciao? No, no tranquilla, lo so che stai lavorandoci. Ti va una pausa? Al ristorante dietro il commissariato? Esatto, alla "Kasba ubriaca". Pago io.
- Solo il nome è tutto un programma... - Pensò con una smorfia la donna. - Come minimo è una tavola calda. Certo che la sua tirchieria non è cambiata da dopo che abbiamo rotto. La cena più importante l'ho fatta al fast-food... - ridacchiò mettendosi una mano davanti alle labbra.
- Che cos'hai da ridere?
- Nulla, nulla. Ami viene, allora?
- Sì. Tra dieci minuti. Con il suo amichetto.
- Lei?! - a momenti si strozzò nel gridarlo. - E chi è?
- Chi?
- Il suo amichetto!
- Cos'è, piuttosto. Ha assemblato un portatile che dice fa faville. E' sicura che riuscirà a trovare ciò che cerchiamo.
- Modesta come sempre... - mormorò Rei.
Mamoru parcheggiò e si diressero all'entrata, modesta ma sobria, del ristorante, che non pareva decisamente una tavola calda.
- Avete un tavolo libero per tre? - chiese lui alla cameriera poco lontana dall'entrata.
- Certo. Prego... - li fece accomodare.
- La terza arriva subito. Intanto se ci fa vedere il menù.
- Subito. Scusi se mi permetto, ma non è la prima volta che la vedo. Birra media e... salatini, giusto?
- Alabi per l'esattezza. Ma per la birra media ha ragione.
- Alabi...
- Chieda a Roberto. Gli dica che li chiede l'ispettore Chiba, e se non li porta gli faccio chiudere il locale. - disse ridendo l'uomo.
- Vado subito. Signora, per lei?
- Andrà bene dell'acqua minerale, non gasata. Fresca, non fredda, o mi gonfia lo stomaco.
- E un'altra birra media per la terza persona.
- Subito.
- Sembra carino. Strano che non ci sia mai entrata...
- Hai visto i costi?
- No. Non ho visto il menù.
- Sono bassi, e si mangia bene. E' per questo che tu non ci vieni. Se non spendi un patrimonio per mangiare male non se contenta...
- Grazie. - rispose gelida l'altro poliziotto. - Visto che sei di casa, che cosa mi consigli?
- Il cuoco cucina delle lasagne favolose. Non potrebbe essere altrimenti, visto che è arabo.
- E che cosa centra?
- Beh... - sorrise sedendosi al tavolo, con quel sorriso che Rei aveva imparato a riconoscere come foriero di battutacce. Si preparò. - Sono più vicini all'Italia di noi, sono certo che sanno farle meglio.
- Salvatemi... - alzò gli occhi al cielo la donna, per poi scuotere la testa e afferrare dalle mani della cameriera il foglio stampato a computer e plastificato su cui erano scritti i piatti, che comprendevano portate uniche o divise, oltre ad alcune offerte speciali della casa che Rei sorvolò senza nemmeno degnarle di uno sguardo.
- Il cuoco mi ha detto che se li vuole, deve andarseli a prendere con la forza... - mormorò imbarazzata la donna, una biondina dai capelli cotonati, porgendo l'altro menù al poliziotto, che sorrise.
- Ottimo. Ci vado subito. Tanto so dove si trova la cucina. - si alzò Mamoru, sotto gli occhi della cameriera, dirigendosi sicuro verso una porta su cui c'era una targhetta inchiodata.
- Pazzesco... Sono capitata in una gabbia di matti... - Guardò la cameriera. - L'acqua...
- Ah, sì... subito. - rispose prima di incamminarsi a passo svelto verso il bancone del bar.
- Vedo che hai già fatto amicizia con la fauna locale...
- Ami!
- Scommetto che il nostro amico è finito da Hani. Mi pare di averlo visto sparire nell'entrata a quella coltivazione di germi che insistono a chiamare cucina...
- Già. Ma chi è sto tizio, e come mai entrambi lo conoscete?
- Roberto, o Hani come si chiama davvero, è un mio caro amico che ho aiutato quando sono tornata dal mio viaggio in Russia durante l'apprendistato di scienza criminale. Era finito lì per giri strani, al seguito di una compagnia di montatori turchi per una centrale elettrica, e poi lasciato lì per motivi ancora oscuri anche a lui. Si stava arrabattando come poteva a Mosca in un ristorante italiano, da cui il nome tipicamente dello Stivale, e ci siamo ritrovati a condividere una serata al commissariato. Lui per lavoro clandestino, io... beh, io per altri motivi subito chiariti. A volte quello che si dice e si fa dopo una gara di vodka è incredibile... Comunque, dopo di che ho fatto in modo che finisse qui e l'ho perso di vista, salvo ritrovarlo tempo fa qui a cucinare. Ogni tanto vengo qui. E' tranquillo, la cucina non è orribile e il costo è ottimo.
Mamoru tornò al tavolo, la bocca piena di salatini come quelli che riempivano le due ciotole assieme a dei pistacchi glassati nel sale alla maniera siriana.
- Alabi... Vuoi? - sorrise come un bimbo felice. - Pistacchi, e altre schifezze dal nome impronunciabile, ma buone, se non per la linea...
- Sopporterò. Sai, ho pensato molto, ho bisogno di rifocillarmi, o rischio un calo di zuccheri... - rispose Rei guardando la scienziata, che fece finta di non aver sentito.
- Hai il tuo amichetto?
- Eccolo. - esclamò Ami aprendo un portacomputer ed estraendovi quello che sembrava un normalissimo portatile, nemmeno troppo moderno, considerando il telaio e le finiture.
- Come lo hai chiamato? Fufi?
- Non è mica un cane, anche se ha il fiuto di un cacciatore di tartufi. Se dovessi chiamarlo in qualche modo, direi che Franky è il migliore appellativo. Ogni cosa al suo interno è overcloccata, rimaneggiata, jumperata e boosterata come solo raramente ho visto fare. Io ho unito il meglio. Chiedigli qualcosa, e lui ti risponderà.
Arrivarono le birre e l'acqua. I tre ordinarono e aspettarono che la donna si allontanasse. Ami accese il suo portatile, che emise alcuni sommessi strani rumori prima di presentare la schermata principale.
- Ok. Siamo in linea con tutte le banche dati a cui posso accedere legalmente, più un paio che vorrei evitare si sapesse in giro. Cosa dobbiamo cercare?
- Un simbolo. Uno stemma, qualcosa di simile ad un marchio.
- Hai una foto o un disegno dello stesso?
Lui scosse la testa.
- Ma posso descrivertelo molto bene. L'ho visto poco, ma mi è rimasto impresso. Verde, a forma di clessidra, con una chiave viola al centro, messa di sbieco.
- Chiave come? Di quelle moderne o stile antico?
- Hai presente quella della Becks? Ecco, uguale, ma viola. E due lettere sotto, ma non chiedermi quali, erano troppo deformate per vedersi. Potevano essere anche cirillico.
- Mmmm, mica facile, ma ci tentiamo. Datemi un po' di tempo. Mentre mangiamo credo che possa saltare fuori. Ho messo una chiave multipla di ricerca, vediamo cosa mi dice il mio amichetto. Non mi ha mai deluso...
Arrivarono i loro pranzi, e tutti e tre li mangiarono in silenzio, se non poche parole sul lavoro, il tempo e la cattiveria della Tomoe, cosa su cui furono completamente d'accordo.
- Buono. Devo ammettere che il tuo amico Roberto è molto bravo. Ho mangiato degli spaghetti così solo ad un lussuosissimo ristorante a Sapporo.
- Grazie, bella signora.
- Roberto! Come va? E' tanto che non ci vediamo! - lo salutò con trasporto Ami, alzandosi e abbracciandolo calorosamente.
- Bene. Come sempre quando io ti vedo. Tu sai che è in Giappone anche mio fratello?
- Davvero?
Lui annuì sorridendo, la pelle leggermente scura in contrasto con il bianco perfetto della sua tenuta da chef con tanto di bottoni sul lato, baffetti curatissimi e cappello a fungo.
- Lavora come uomo che fa le pulizie per una casa...ditta che si occupa di lavare alcune industrie. Ma vuole cambiare. Dove lo hanno mosso una settimana scorsa... la settimana scorsa si trova male. Ha paura.
- Paura?
- Già dice che sente le voci, e che le persone là sono strane. Il primo giorno è entrato senza volerlo in un piano protetto, e è mancato poco che lo uccidevano... uccidessero. Ha avuto tanta paura.
- Strana fabbrica. - mormorò Mamoru. - Eppure se si occupano di ricerche particolari alla privacy ci tengono parecchio. Non è la prima che sento. Magari è una fabbrica governativa.
- No. Laboratorio di ricerca. Gormat, Gormet...
- Garnet Laboratories?
- Esatto Ami. Tu sai sempre tutto.
- Non io. Il mio amichetto.
- Scusa? Ah, devo andare, mi chiamano in cucina. Ciao e shokran per la visita.
- Grazie a te. - Ami sorrise rivolgendosi al collega. - Abbiamo trovato i proprietari del tuo simbolo. E' una apparentemente piccola ed insignificante ditta che si occupa di ricerche conto terzi nel campo farmaceutico e della biologia. Ha sede poco lontano dal tuo quartiere, Mamoru.
- Bene, bene, bene... Girettino?
- Io torno in laboratorio, magari riesco prima di sera ad avere un nome ed un volto per la tua sconosciuta. E grazie per il pranzo. Soprattutto visto che lo paghi tu.
Mamoru borbottò qualche cosa di non ben definito e si alzò anche lui, seguito a ruota a Rei che tracannò l'ultimo sorso di acqua di corsa.
Il viaggio sembrò interminabile per l'ispettore Chiba, ma finalmente arrivò all'indirizzo che gli aveva dato Ami. Parcheggiò poco lontano, e si avvicinò con Rei a quella che poteva essere un'entrata. Si fermò e si voltò, finendo addosso alla donna, che grugni.
- Cazzo. Il piedmmmmghtt! Mmmmghtt! - mugugnò lei, le sue labbra pressate su quelle dell'uomo, che la strinse a sé con passione, come aveva sempre fatto finché lei non aveva deciso di rompere con un rapporto strano e per lei inaccettabile sotto molti punti di vista.
- Shai buona. - bofonchiò lui fingendo di continuare a baciarla. - tehehamera ietro hi me.
- Diamo hehhacolo... - sorrise lei colta da una adolescenziale smania, stringendolo anche lei e baciandolo davvero, non ricordandosi il sapore delle sue labbra, misto al dopobarba che gli era rimasto addosso anche se non si era rasato quella mattina.
Lei si accorse di aver sollevato una gamba e di averla piegata a lato del busto di Mamoru, strusciandosi in maniera molto provocante contro di lui. Con un colpo deciso lui si fece girare, e lei con lui, finendo addosso alla recinzione che delimitava l'area della Garnet Laboratories. Lei afferrò le maglie per potersi premere di più contro di lui.
- Ehi piccioncini, andate a tubare da un'altra parte! - giunse dall'altoparlante, mezza divertita, mezza metallica la voce dell'addetto della sicurezza che stava osservandoli. - Siete praticamente dentro una proprietà privata.
I due corsero via dandogli sempre le spalle, fermandosi solo quando giunsero di nuovo alla macchina.
- Bel casino... - dissero assieme.
- Se hanno telecamere servocomandate e dotate di microfono solo per la recinzione esterna, dentro ci sono i Gundam! - mormorò lui.
- Già... - sospirò Rei, anche se il suo commento era riferito al cuore che le batteva all'impazzata come credeva avesse smesso di fare tempo prima, sebbene si fosse resa conto che il trasporto era solo suo. Le labbra dell'uomo, nonostante le sue insistenze, erano rimaste chiuse e ferme alla sola simulazione.
Il telefonino di Mamoru squillò.
- Dimmi Ami. - ci fu una pausa. - Non ci credo. Che botta di culo! Aspetta che ti metto in vivavoce, così la dai a tutti e due la buona notizia. - schiacciò un pulsante e allontanò l'apparecchio. - Dicci pure.
- Le impronte digitali sono di una nostra vecchia conoscenza, anche se del reparto della buoncostume.
- L'ho detto io che ti eri portato una puttanella... - mormorò acida la collega, dimenticandosi immediatamente delle sensazioni che aveva provato.
- Dubito, è troppo di bassa levatura per i gusti, per quanto sudici, di Mamoru...
- Grazie...
- Comunque il nome della nostra carissima amichetta è Minako Aino, detta Mina L'Amour.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Gemelle ***


Arrivarono al locale che era l'ultimo indirizzo conosciuto della Signorina Aino quando ormai il sole era tramontato da un paio di ore. Rei sbadigliò vistosamente, non preoccupandosi di mettere la mano davanti per educazione, mentre Mamoru finì di sorseggiare il suo terzo caffè che aveva raccattato alle macchinette disseminate ai distributori di benzina.
- Ma dove cazzo abita questa?
- Diciamo che ho l'impressione che o Ami si è sbagliata o qualcosa non mi torna in questa storia... - mormorò in risposta l'uomo, massaggiandosi il mento, la barba ispida di quasi una giornata a solleticargli i polpastrelli. - Siamo a duecento chilometri da Tokio, e l'indirizzo che mi ha dato Ami non è esattamente quello che mi aspettavo. Questo è un bar un po' malfamato, viste anche le insegne rosse al neon lampeggianti e i due gorilla depilati sulla porta. Certo che il nome "Catena dell'amore" mi sembra più da localino sado-maso che da bar...
- Torniamo indietro?
- Avevo pensato anche io a questa ipotesi, ma vediamo di usare la nottata, visto che ormai ci siamo. Vieni con me o preferisci dormire in macchina?
Lei tastò come per provarne la comodità il sedile su cui era seduta, quindi sospirò.
- Vengo con te. Ma non credo che mostrare il distintivo a quei due sosia di King Kong sarebbe una bella idea.
- Già. Però noi formiamo una bella coppia, bella davvero, e abbastanza porca da infilarsi in un locale del genere per trovare e provare nuove emozioni, no? - sorrise lui mentre armeggiava in uno dei cassetti della macchina ed estraeva una mazzetta molto alta di banconote di grosso taglio.
- E quelli da dove spuntano?
- Un piccolo regalo dei falsari che abbiamo beccato tempo fa. Ne ho tenuti un po' come ricordo...
- Ricordo, eh? Comunque è già la seconda volta oggi che mi fai proposte del genere. Prima mi baci e poi mi dici una cosa così. E' una velata richiesta di metterci assieme?
Lui sorrise forzatamente.
- Credici, credici pure alle favole. - Scesero dalla macchina. - Dai, vediamo di recitare bene la parte. - le disse sottovoce mentre si avviavano, lei praticamente avvinghiata al suo braccio sinistro, gli occhi sognanti. Aveva lasciato la giacchetta in macchina, per mostrare meglio le rotondità del suo corpo che teneva in esercizio quel tanto che bastava per far cadere l'occhio di ogni uomo sul suo petto e sulle sue gambe.
I due energumeni, se li videro, non diedero segno della cosa, finché non li bloccarono estendendo un braccio ognuno di traverso la porta di entrata. Da quella distanza si poteva udire una musica cupa e ritmata scappare dall'edificio.
- L'ingresso è vietato a chi non è socio. - disse uno dei due.
- Immaginavo. - disse serio l'uomo, infilando una mano nella tasca della giacca. - Ho avuto l'indirizzo da un amico, che mi ha detto di essere socio da tempo. Ma sfortunatamente non mi ha detto come si diventa soci di questo club. - sorrise, estraendo parte della mazzetta e mostrandola ai due buttafuori. - Credo che di essere sulla strada giusta, vero?
Loro grugnirono, sorridendo, anche se era più una smorfia che li rese ancora più brutti.
- Diciamo che stai compilando il modulo bene. - disse l'altro, gli occhi fissi sulle banconote ondeggianti.
- Vediamo se così lo compilo del tutto... - sospirò Mamoru aggiungendo altre banconote a quelle già in vista. I gorilla allungarono le mani, ma lui fu veloce a ritrarre il denaro. - Prima la porta.
- Mi sembra giusto...
- Oh caro, come sei virile... - squittì Rei nella migliore versione della gallinella idiota che le poté riuscire.
La porta venne aperta, il denaro sparì nelle tasche degli energumeni e loro due entrarono, colpiti immediatamente dalla musica ad alto volume che veniva dall'interno. I muri insonorizzati schermavano buona parte del rumore, come le orecchie di entrambi poterono notare.
- E ora che siamo dentro, mio prode cavaliere? Cerchiamo la biondina che ti ha stregato il cuore?
Mamoru non rispose, intento ad osservare il locale. Era abbastanza frequentato, quasi tutti i divanetti ricoperti di similvelluto rosso cupo erano occupati, altra gente era al bancone del bar intenta a bere o ad osservare le bariste, tutte giovani e al limite dell'età legale, come buona parte della cameriere, il cui abito succinto sarebbe stato più adatto a prendere il sole che a servire long drink o alcolici. In un angolo, quasi sul fondo della sala, un piccolo palco su cui era presente un palo lucido di acciaio era occupato da una brunetta che si stava dimenando, vestita solo con la tenuta adamitica fornitale da Madre Natura.
- Non credo che la troveremo qui...
- E allora mi spieghi che cosa siamo venuti a fare qui, se non per trovare la tua amata Minako?
- Lei si chiama Usagi, e non Minako. - mormorò lui muovendosi verso un divanetto vuoto e accomodandosi.
- Già, ma le impronte non si sbagliano.
- Non può essere lei. Non ce la vedo a lavorare in un locale come questo.
- Anche perché sarei curiosa di sapere come si è fatta tutti quei chilometri da sola. A meno che tu non ti sia bevuto il cervello del tutto e non ti ricordi di averla conosciuta qui e portata a letto per una serata divertente.
- E tutto il resto? Il sonnifero, il vetro rotto, la Garnet Laboratories?
Lei non rispose.
- Cosa prendete? - cinguettò una rossa di capelli con addosso un fazzolettino bianco e nero che qualcuno si era ostinato a chiamare uniforme.
- Una vodka doppia e un Bloodymary. - sorrise lui. - E una Minako, se disponibile...
La ragazza non si scompose.
- Non so se può ricevervi. Chi devo dire?
- Due amici. Di Usagi.
- Va bene. - ridacchiò la ragazza allontanandosi sui tacchi alti e rosso fiammante.
Mamoru la seguì con lo sguardo vedendola sparire dietro il bancone, e poi oltre la sua visuale. La musica stava pompando un rap molto veloce, che gli impediva di concentrarsi del tutto. Rei iniziava a tenere il ritmo con la mano, battendola sulla coscia.
- Se non fossimo in servizio... - iniziò lei.
- Ma lo siamo, per cui risparmiami i tuoi tentativi. Abbiamo provato, è andata male. Mettici una pietra sopra e sfogati con qualcun altro. Qualche pazzo lo trovi di sicuro.
- Fottiti.
Lui le rispose sorridendo e mandandole un bacio simulato. La cameriera ritornò con i drink.
- Mi hanno chiesto di chiedervi se siete amici di qualcuno in particolare...
- Garnet Laboratories.
- Immaginavo. - esclamò una voce a lato, apparentemente quella di un uomo biondo molto femminile, senza barba, vestito elegantemente, che entrambi non avevano notato prima. - Alzatevi e seguitemi. Lady Minako vi sta aspettando.
- E se io non volessi seguirti?
- Vediamo se sei più veloce tu a prendere la pistola dalla cintura o io a premere il grilletto. - sorrise lo sconosciuto, mostrando che sotto la giacca la sua mano sinistra già impugnava una automatica con il silenziatore.
Il poliziotto si alzò porgendo la mano alla sua compagna, ma una mano femminile e coperta da un guanto oltre il gomito di raso verde le premette sulla spalla obbligandola a non muoversi.
- Tu stai qui, pollastrella. - disse acida una donna sulla quarantina, dai capelli verdi e mossi, il volto aristocratico, accentuato dal vestito lungo, senza maniche e fasciante nei toni del blu e del verde acqua. - Sono sicura che troverai qualcosa da fare, oltre a goderti lo spettacolo. I buttafuori hanno l'ordine di non farti uscire, e per quanto forte, dubito che tu possa avere la meglio su di loro. Per intanto inizia a darmi la piccola pistola che hai con te alla caviglia destra.
- Come...
- Acuta osservatrice. Forza bella. - rispose brusco l'uomo che continuava a mostrare la pistola con il silenziatore. - Inizio a stancarmi.
Con riluttanza Rei porse la piccola quattro colpi alla donna elegante e si sedette di nuovo sul divanetto.
- Brava. Stai lì e non ti succederà nulla.
- Quanto a te, non prometto niente. - mormorò il biondo spintonando in avanti Mamoru, che digrignò i denti, ma non lo diede a vedere, camminando davanti alle due figure, che lo guidarono verso una porta seminascosta poco lontano dal palco dove al momento si esibivano una coppia di ragazze a dir poco assatanate.
Oltre la porta la musica era attutita, le pareti bianche e pitturate di fresco emanavano ancora l'odore tipico di intonaco, nascondendo quasi del tutto la puzza di sigarette che ancora però aleggiava leggera e fastidiosa.
- La terza porta a sinistra, quella rossa. - disse la donna.
Mamoru afferrò la maniglia rotonda, la girò e aprì la porta, che ruotò sui cardini senza alcun rumore. Si aspettava una stanza fumosa, poco illuminata, mentre davanti a lui una stanza pulita e in qualche modo spoglia, solo una scrivania e due sedie davanti ad essa, oltre ad un divanetto sul lato sinistro, sotto un piccolo quadro. La grande sedia in pelle marrone era occupata, ma non poté vedere chi era l'occupante, poiché gli dava le spalle.
- Benvenuto, signor... - iniziò la voce, appartenente ad una persona non più giovane.
- Chiba, signora, Mamoru Chiba. E posso sapere con chi sto parlando?
Ci fu una piccola risata, più di scherno che di divertimento.
- Viene da me, cercandomi, e non sa con chi sta parlando? Alla Garnet ora hanno agenti così stupidi da farsi beccare in così poco tempo e così sprovveduti? Mi sorprende molto, Signor Chiba.
- Francamente non sono della Garnet Laboratories, ma credo che in qualche modo siano stati loro a mandarmi da lei.
La sedia fu voltata, e una signora sulla sessantina, dai capelli ancora biondi ma con ampie striature candide, il corpo ancora seducente ma appesantito dall'età lo guardò fisso negli occhi. Indossava un vestito sui toni dell'arancione, con una pesante e in qualche modo pacchiana cintura in oro realizzata con anelli a forma di cuore. Si alzò, appoggiandosi ad un bastone bianco, in avorio, dal pomolo nero e lucido. Zoppicava vistosamente dalla gamba sinistra.
- Si sieda, Signor Chiba. O posso chiamarla Mamoru?
- Mamoru va benissimo, signora Aino. Raramente mi stupisco, ma per lei farò un'eccezione... - disse rimanendo in piedi.
- Siediti, ti ha detto! - ringhiò il biondo, dandogli uno spintone per farlo cadere sul divano. Accanto a lui si posò lieve la donna dai capelli verdi.
- Non essere scortese con gli ospiti, Haruka. Io mi domando quando imparerai ad essere un po' più femminile, come tua sorella. - ridacchiò Minako, sedendosi su una delle sedie, il bastone davanti a sé. - Dunque, Mamoru, tu cercavi me, ma eri stupito di vedermi, e non sei della Garnet, se mi devo fidare di quello che mi hai detto. Scusa una povera vecchia, ma non capisco molto della tua storia. E non capisco come tu abbia quel nome, se non sei di quei fottuti bastardi.
- Usagi...
- Esatto. Come fai a conoscere quel nome?
- Me lo ha detto lei. Mi ha detto il suo nome. E ho le sue impronte.
Lei rise, divertita. Quindi divenne serissima.
- Non raccontarmi balle. Se tu l'avessi vista, saresti della Garnet. E Haruka odia quelli della Garnet, vero, figliola?
Come risposta la donna mascolina tolse la sicura alla pistola.
- Non sono della Garnet, e l'ho vista. Ho parlato con lei, ha dormito nel mio letto mentre io ero sul divano...
- E poi?
- Sparita, volatilizzata, mentre io sono stato drogato e la mia finestra rotta da qualcuno. E a me piacciono poco quelli che si credono più furbi di me. Mi ruga...
- Capisco... E a me come sei arrivato? Ah, già le impronte... Le stesse hai detto?
- Uguali identiche, come se voi due foste gemelle. Probabilmente il primo errore di Ami.
- Nessun errore. Noi lo siamo. - rispose calma lei. - Vedo nei tuoi occhi curiosità. E' una lunga storia. La vuoi sentire, poliziotto?
- Come?
- Soldi falsi alla porta, la tua compagna con una pistola che solo alcune poliziotte hanno, e il tuo nome e cognome corrispondono a quelli di un poliziotto di Tokio che ha la tua faccia. Michiru ha già controllato. Haruka darà l'ordine ai buttafuori di lasciare andare la tua compagna. Credo che sappia guidare fino a casa, no? Tranquillo, ti riporteremo a Tokio. - sorrise, le spalle curve e gli occhi persi nel vuoto. - Sembri pulito, e io stasera sono stanca di vedere gente divertirsi nel mio locale. Voglio perdermi nei ricordi. Tutto iniziò sessant'anni fa...

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Spiegazioni ***


Era un luogo buio. Non era nero, solo buio, una sorta di grigio scuro che le dava fastidio, perché non le dava nessun riferimento. E lei, abituata alla sua piccola cella illuminata, era sull'orlo delle lacrime.
- Dove sono? - chiese Usagi, accorgendosi di essere in piedi, scalza, su un pavimento rigido e tiepido, come se fosse fatto di piastrelle alla sua stessa temperatura. - Dove sono? Dottoressa Meiou? Doc? C'è qualcuno?
Nessuna risposta, se non un piccolo bagliore in lontananza, un leggero rossore che si stava velocemente diffondendo e avvicinando.
- Cucciola, certo che c'è qualcuno... - disse una voce dolce, calda e gentile, proveniente dal nulla, o forse dal rossore, visto che il colore pulsò al ritmo delle parole.
- Chi sei?
- Io sono te. E sono oltre te.
- Hai la voce della mia amica, ma non ti vedo. E perché sono qui?
- Stai dormendo, o meglio, ti hanno fatto dormire con un potente sonnifero. Non possono fermarmi se non impedendoti di avere una coscienza, e senza la tua coscienza io non posso emergere nel loro mondo.
- Loro chi? - continuò a chiedere Usagi, mentre il rossore si stava concentrando di fronte a lei, prendendo le forme della sua amica che spesso la visitava quando aveva gli occhi chiusi. Il corpo rosso e tremolante iniziò a coagularsi e a vestirsi di bianco.
- Gli uomini, gli umani, quelle maledette scimmie senza pelo!
Usagi rise, mettendosi una mano davanti alla bocca, una risata fanciullesca e semplice.
- Ogni volta che li chiamo con il loro nome tu ti metti a ridere. Che cosa hai tanto da essere divertita? Se non ci fossi io con te tu saresti solo una di loro...
- Ma ci sei, quindi rido. - sorrise la biondina, osservando l'altra che era la sua copia esatta, se non per il vestito bianco e di taglio classico, con piccole pieghette lungo la gonna, una cintura dorata alla vita e le maniche a sbuffo a coprire giusto le spalle. L'attacco dei lunghi codini dorati erano impreziositi con dei gioielli di platino e rubini, come una sorta di tiara con una mezzaluna crescente adornava la fronte. - Come mai mi hanno addormentato? E perché mi trovo qui?
- Te l'ho già detto... - sospirò la sua copia, accovacciandosi vicino a lei e sistemandosi la gonna, come se volesse evitare di stropicciarla. - Mi hanno messa tranquilla, stavo facendo un po' di caos dalle loro parti, e francamente anche se mi facevano male, non volevo mollare nemmeno di fronte a quei maledetti simboli.
- Perché loro ti considerano cattiva e ti fanno male? Tu sei buona...
Lei sorrise facendo una smorfia.
- Non credo che la penserebbero così gli altri. Non sono esattamente una persona gentile o accondiscendente.
- Ma io so che sei buona.
- Solo con te, Usagi, solo con te. Io e te siamo un'unica cosa, e non posso di certo essere cattiva con me stessa, no? Su, ora alzati, che andiamo a fare un giretto.
- Dove?
- E' una sorpresa, ma credo che ti piacerà. Hanno bloccato buona parte dei miei poteri, ma credo che questo non possano farlo, e così tu potrai vedere una persona che ci sta molto a cuore... Lui e i suoi panini bruciacchiati.
- Panino. Buono. Andiamo da Mamoru?
- No, cucciola. Non possiamo andarci come l'altra volta. Sei riuscita ad arrivare ai miei poteri, ma non sai come controllarli, e francamente non saprei nemmeno io come mai sei arrivata a poterli usare volontariamente a parte quelli che ti ho concesso in quanto siamo fuse assieme. Ma dopo quella volta hanno aumentato le difese e i blocchi, e credo che non potremo ripetere il trucco. Ma possiamo ancora uscire dal nostro corpo e fare un giro come fai spesso.
- Facile facile. Ma tu come sai dove si trova il mio amico?
- L'ho cercato un po' prima di venire da te, sapendo che ti avrebbe fatto piacere. Ci vorranno un paio di secondi per raggiungerlo. Ti va?
Lei annuì vigorosamente, ed entrambe scomparvero da quel luogo buio e spoglio, che smise di esistere nell'istante in cui loro se ne andarono. Usagi aveva chiuso gli occhi per un istante, e quando li riaprì si ritrovava in cielo, sopra una città che non conosceva, la sua mano destra stretta in quella dell'altra sé stessa, che si diresse decisa verso un locale dall'insegna luminosa. La bionda notò di sfuggita una macchina su cui due uomini stavano caricando di peso una donna dai capelli neri che si agitava e imprecava. Si stupì dei pensieri nella testa della donna che si chiamava Rei, ma si stupì anche che lei conosceva Mamoru.
- Chi è? - disse indicando la donna.
- Un'amica del nostro amico. Nulla di interessante. Anima appetitosa ma monotona. Manca di sale e troppo carica di passioni momentanee. Ecco chi ci interessa, anche se credo per motivi diversi.
- Fa dei panini stupendi...
- Diciamo che ti interessa per quello. E che ci interessa anche per un altro motivo... - sorrise la donna più adulta, mentre il loro corpo spirituale si infilava nei muri e si arrestava a mezz'aria nella stanza dove il poliziotto stava ascoltando Minako, come lo stavano facendo le sue due figlie.
- Mi sembra famigliare...
- Certo che è famigliare. E' tua sorella, anche se non esattamente la tua, ma quella di una tua vecchia te. Credo che sia il numero uno la sua vera sorella. Brutta fine, e mi spiace di esserne la causa.
- Non ti capisco. - piagnucolò lei. - Parli come fanno a volte la Dottoressa Meiou o Doc.
- Immagino. Ascolta, la storia è appena iniziata.
- Come ti dicevo, i nostri genitori si erano interessati per anni alle pratiche magiche e sciamaniche giapponesi, iniziando ad intuirci uno schema ripetibile e riconducibile ad una vera e propria scienza sotto la coltre di superstizioni e di sciocchezze che l'avevano ricoperto. Erano convinti che fosse possibile creare vere e proprie equazioni per spiegare il sovrannaturale, per evocare esseri di altre dimensioni e controllarli. Le loro ricerche li avevano portati a contatto con un dottore che era stato espulso dalla comunità scientifica ufficiale, uno studioso delle nuove tecnologie legate alla biologia ed estremamente interessato alle potenzialità dei materiali radioattivi nel mutare le cellule viventi. Questo scienziato era arrivato a credere che le mutazioni non erano errori, bensì tentativi del corpo colpito di adattarsi ad una evoluzione troppo repentina, e che spesso portava alla morte dell'organismo. I dati raccolti da quest'uomo avevano mostrato ai miei genitori che c'erano delle forti analogie con i risultati da loro conseguiti, finché non arrivarono a formulare una teoria per cui mutazioni e possessioni avevano un'origine comune. I loro studi si spostarono sul pilotare le mutazioni tramite evocazioni e riti, ed ebbero alcuni buoni risultati, che li portarono, o meglio portarono nostra madre a fare forse il suo più grande errore della sua vita. Durante uno dei tanti esperimenti, non sapendo ancora di essere incinta di noi, nostra madre ha dimenticato di portare un amuleto che l'avrebbe protetta durante l'evocazione per pilotare una mutazione su una mucca, e solo dopo che tutto fu finito si accorse dell'errore, visto che l'esperimento fu un pieno fallimento.
- Era stata posseduta?
- No, poliziotto, non lei. Noi. Io e la mia gemella, Usagi, anche se in modo decisamente diverso, ma nessuno se ne accorse se non dopo la nostra nascita, dopo che gli esperimenti ebbero notevole successo e provocarono non solo la felicità dei miei e del loro collega, ma anche l'ingordigia di quest'ultimo, che inoltre aveva contratto notevoli debiti con dubbie persone, che a quel punto erano molto, troppo interessate ai risvolti economici di quanto da noi scoperto.
- Fammi indovinare. L'accordo scientifico saltò per vile denaro?
Minako sorrise forzatamente e annuì.
- Saltare è esattamente il termine giusto.
Usagi iniziò a piangere copiosamente.
- Cosa hai, piccola?
- Sto vedendo due persone insanguinate, sofferenti, e anche se non le conosco sono triste. Perché le vedo, se non le conosco?
- Mi spiace, sono i miei pensieri, i miei ricordi. Tu, scusa, la tua vera tu, era troppo piccola, ancora un feto nel ventre materno, quando accadde, ma io ero conscia già di tutto. Sono decisamente più antica di te, dei tuoi e credo di buona parte di questa palla di terra e acqua. Ma ascolta, credo che questo ti potrebbe interessare, anche se non sarà piacevole.
- Mi terrai la mano?
- Certo, sciocchina... - sorrise la donna, stringendole dolcemente la mano con entrambe le sue e annuendo.
- Grazie.
- Esplosivo?
- Già. Un regalino degli amici dello scienziato. Lui aveva venduto loro i suoi segreti... quasi tutti, non era così stupido, e loro volevano essere sicuri che nessuno potesse sfruttarli oltre a loro. Quello che non sapevano era che per qualche oscuro motivo mio padre morì sul colpo, praticamente dilaniato, mentre nostra madre si salvò. - La donna accanto ad Usagi sorrise furba. - Era grave, ma sopravvisse abbastanza per mettere al mondo due sanissime bambine prima di morire. Anche se entrambe erano segnate da un piccolo problema.
Mamoru aggrottò le sopracciglia.
- Una delle due era nata con una malformazione stranissima alla gamba sinistra. Era secca, come un ramo senza linfa. Era rigida, immobile, come finta, ma non ebbero il coraggio di amputargliela, Non sarebbe migliorata con una protesi. L'altra ragazza era segnata da una strana voglia a forma di mezzaluna sulla fronte. Nulla di particolarmente strano, se non che questo simbolo appariva e spariva senza alcun senso logico.
- Lei e sua sorella, immagino. Usagi. Anche se non le ho visto il simbolo.
- Ringrazia il cielo che non si è mostrato ... - mormorò cupa la donna. - Le poche volte che si è fatto vedere erano i momenti in cui compariva l'altra Usagi, quella pericolosa, quella crudele.
- Non è vero che sei crudele! E' cattiva quella donna.
- Buona, Usagi. E' sempre tua sorella, e non è cattiva. Ha ragione. I primi tempi ero impossibile, e intrattabile. Non ero una persona facile...
- Ma...
- Zitta e ascolta. E poi vediamo se dici ancora che la dottoressa Meiou è gentile. - Usagi borbottò qualcosa di inintelligibile e si rimise in ascolto, incrociando le gambe a mezz'aria in maniera molto poco femminile. - E mettiti composta, che non sei una bambina. Guarda tua sorella...
- Sembra mia nonna...
Lei scosse la testa divertita e rassegnata. La bionda si mise composta, sedendosi su un'immaginaria sedia, le mani in grembo.
- Quella crudele? Che cosa sta dicendo?
- Usagi, la vera, prima Usagi, ma credo che anche le altre non siano dissimili, aveva una doppia personalità, se così la si può chiamare... Era una bambina stupenda, gentile, fragile, forse anche un po' troppo innocente, ma a volte affiorava un altro carattere, duro, crudele, inumano, che mostrava un'età che mal si addiceva a quella reale. Era adulta, e con la maturità oltre che un intelletto superiore aveva con sé la cattiveria propria delle persone ormai disincantate dalla realtà. Quando eravamo piccole, credo avessimo poco più di sette anni, lei si arrabbiò moltissimo con una nostra amica che si era rifiutata, all'orfanotrofio, di farla giocare con la sua bambola. In pochi minuti il simbolo sulla sua fronte si fece ben visibile e quasi pulsante, e sia la bimba che la bambola presero fuoco, improvvisamente, dall'interno. Non fu uno spettacolo piacevole, e ancora spesso ho l'incubo in cui rivedo la scena, io che piangevo disperata e lei che sorrideva divertita, per poi mettersi a piangere come se non si ricordasse nulla di quello che aveva fatto.
- Terribile.
Lei annuì.
- Poi le nostre strade si divisero. Io venni adottata, lei rimase all'orfanotrofio, ma seppi poco dopo che anche lei non era più là. Qualcuno ne aveva ottenuto l'affido, ma non certo per darle una bella casa e una famiglia tranquilla.
- Una bella bustarella a chi dico io e i bimbi li danno anche agli orchi. - borbottò lui, visibilmente contrariato.
- Anima nobile decisamente. Sarà un piacere leccarlo... - sorrise la Usagi adulta.
- Cosa?
- Niente, niente Usagi. Torna ad ascoltare.
- Sarebbe stata fortunata se fosse finita con un orco. Invece finì con quelli che avevano ucciso i nostri genitori, e con lo scienziato che li aveva traditi. Era riuscito ad ottenere un campione dei tessuti di Usagi, forse del sangue o altro, e facendo delle analisi aveva scoperto che lei era stata posseduta durante il fatidico esperimento, e che quindi lei era la prova vivente che le teorie sviluppate da lui e dai nostri genitori erano corrette. Usagi credo fu usata per esperimenti di ogni tipo, coperti dal governo, da imprenditori e da gente decisamente oltre la legalità. Tutti sotto il nome della Garnet Laboratories.
- Posseduta? Come nei film dell'orrore?
- Non esattamente, poliziotto. La possessione in quel modo rimuove la volontà dell'umano e sostituisce quella dell'essere, mentre nel suo caso la possessione è a un livello infinitamente più sottile. Non è la sua mente ad essere posseduta, ma le singole cellule. Ogni fibra del suo corpo, ogni molecola è posseduta da questa entità, conferendole poteri inimmaginabili, ma che fortunatamente non è mai riuscita a controllare, e l'utilizzo degli stessi da parte del demone all'interno è così spossante per lui che non può reggere oltre pochi minuti. Ma era comunque un'arma da sfruttare, e non poteva certo morire, anzi bisognava preservarla per altri esperimenti e per manipolare le sue cellule per poter meglio controllarne le potenzialità.
- Clonazione! - strabuzzò gli occhi lui. - Decenni prima che si sapesse anche solo cosa volesse dire questa parola.
- Esatto, ma non solo. Mutazioni, indotte con radiazioni, operazioni chirurgiche, riti magici. Non sempre andati a buon fine.
- Immagino. Ma lei, se mi permette la domanda, come fa a sapere tutto questo? Intendo dire, se ci sono arrivato io, ci sarà arrivata anche la Garnet, e lei è una sorta di testimone scomodo...
- Vero, ma ho anche io i miei contatti, e sanno che se mi succedesse qualcosa, o se capitasse anche il minimo incidente alle mie due figlie, un bel po' di informazioni finirebbero nelle mani delle persone giuste, che sarebbero entusiaste di far saltare un po' di poltrone e teste in giro per il Giappone e il mondo.
- Lei sa tutto questo e non lo divulga, o nemmeno si preoccupa di sua sorella, tenuta prigioniera nei laboratori?
- Non è più mia sorella, quella ragazza che tu hai visto! - alzò la voce e gli occhi Minako, pestando il bastone a terra con forza. - Se non ho le informazioni sbagliate, lei è l'esemplare undici, il primo dopo quattro esperimenti che non è impazzito, non si è ridotto ad un ammasso fumante di tentacoli viscidi o che non ha mangiato tutti i presenti prima di ridursi in cenere o tornare nella sua dimensione originaria. La Usagi che tu conosci è solo un essere che ha la pelle di lei, ma il cuore di un mostro.
- Quella la ammazzo... - brontolò l'essere accanto ad Usagi.
- Ma non è lei che lo ha voluto.
- Vero, Mamoru, vero. Siamo tutti vittime delle macchinazioni di pochi folli, e solo il Cielo sa che cosa potrà succedere se riusciranno davvero a poterla controllare e usare come arma. I suoi poteri sono illimitati. Lei è oltre l'uomo. E' un angelo, o un demone, è un dio per adesso sciocco, ma che un giorno prenderà coscienza dei meschini che le stanno attorno. E allora saremo finiti. Io, tu, l'umanità, la Terra stessa forse.
- Non sta esagerando?
- No cucciola, no... Non sta assolutamente esagerando, e io ci sono vicina, maledettamente vicina... anche se ora...
- Ora cosa?
- Niente niente, non ci pensare. - Disse lei prendendola per mano e portandola fuori, oltre le pareti del locale, in altro, verso il cielo, finché non si fermarono quando la Terra non fu che una grossa sfera bianca e azzurra con tracce di marrone.
- Ti piace? Posso dartela. E' tua, potresti farci quello che vuoi. Bruciarla, sommergerla, distruggerla, abbandonarla al suo destino nel buio del vuoto senza la dolce e calda stella gialla qui vicino.
- Posso anche farci i panini e mangiarli con Mamoru?
Lei rise.
- Certo, ma solo se poi con Mamoru ci facciamo anche qualcosa d'altro. Ora torniamo, il sonnifero sta finendo il suo effetto sul nostro corpo.
Scomparvero, un lampo invisibile nel buio della notte.
Mamoru alzò gli occhi, rabbrividendo leggermente fuori dal locale, perso in quello che Minako gli aveva raccontato. Un'idea gli frullava nella testa. Si odiò per averla avuta.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Un patto tra due demoni ***


- Allora? - chiese la Dottoressa Meiou al chirurgo che aveva appena lasciato la camera sterile.
- L'intervento è riuscito perfettamente. Ho aggiunto quello che lei mi ha richiesto all'interno dei principali organi del soggetto, anche se devo ammettere che le ecografie e le TAC non rendevano merito a quello che ho visto.
- E pensare che esternamente sembra un normale essere umano.
Lui fece un sorriso sghembo mentre si toglieva con un rumore gommoso i guanti in lattice trasparenti e si avviò verso il locale dove si sarebbe cambiato, mentre la donna si mise a guardare dal vetro la sala sottostante dove una squadra di medici, infermieri e anestesisti stava finendo di chiudere le varie piccole ferite sul corpo nudo di Usagi, che a volte sembrava muoversi leggermente, come se fosse preda di qualche strano sogno. Aprì l'interfono per sentire cosa stavano dicendo.
- ... Battiti nella norma, come pressione e encefalogramma. - disse monocorde una infermiera.
- Anestesia?
- Nella norma, anche se la curva di ripresa è più veloce del calcolato. Sto incrementando la portata di beta-abbattitori e il flusso di gas modificato.
- Manca solo la sutura della pleura e della pelle toracica. Tutto secondo le previsioni. - confermò il chirurgo, lavorando veloce con ago e filo.
Setsuna chiuse il collegamento e si voltò, diretta verso il suo studio.
- Piccolo mostriciattolo, vedremo se ora potrai tentare di nuovo di uccidermi. Certo ho gli arcani, ma se tu riuscissi a eluderli sarei in un mare di guai. Ma ora... - sorrise sedendosi alla scrivania e aprendo il computer, cercando se tra le mail ve ne era qualcuna interessante.
La individuò subito. Anonima, solo un numero di varie cifre e un codice alfanumerico, spedita da una mail pubblica. La aprì, inserendo il codice di accesso corretto, e sorrise. La morte di quel politico, un membro influente del partito al governo, aveva aperto la strada ad una piccola legge, che lui osteggiava, che avrebbe permesso nel breve periodo di ottenere varie sovvenzioni per le ricerche che facevano da paravento ai veri scopi della Garnet. La mail informava inoltre che il suicidio del dottore che studiava le cellule totipotenti di Usagi era stata insabbiata totalmente, sebbene la presenza sul luogo di una coppia di poliziotti avesse creato un piccolo problema subito risolto. I nomi degli agenti non le dissero nulla la prima volta che li lesse, ma uno dei due, quando lo rilesse, la fece sobbalzare. Non poteva essere una coincidenza. Fece un numero di interno e attese che dall'altro capo del telefono rispondessero.
- Investigazioni.
- Sono la Dottoressa Meiou. Codice Pluto 15-15-3.
- Mi dica, Dottoressa.
- Ho bisogno di tutte le informazioni disponibili nei nostri database relative all'individuo Mamoru Chiba.
- Attenda. - le disse, per poi metterla in attesa. La musica classica riempì l'auricolare per una decina di secondi, per poi sparire, sostituita dal sommesso ticchettio di tasti. - Ho recuperato le informazioni. Le mando il tutto via intranet in questo momento.
- Grazie.
- Mio dovere. Arrivederci.
La dottoressa posò il ricevitore e controllò la posta in arrivo. Un piccolo rumore elettronico seguito da una nuova riga di testo in grassetto la avvisò di una nuova missiva, che lesse velocemente, per poi aprire l'allegato e divorare le informazioni.
- Un poliziotto esemplare, non c'è che dire, il mio ispettore. Hai quasi dei precedenti penali. Risse, pestaggi, abuso di potere, arresti illegittimi a causa di cavilli. Proprio un bel peperino. Eppure per il resto non sei nulla di speciale. Non sei nessuno, non hai nessuno, la tua compagna di lavoro ti tradiva praticamente dal primo giorno in cui vi siete messi assieme, sei uno sfigato, solo con due gatti che ti danno retta perché li nutri. Bevi birra nazionale, hai un paio di debiti per la casa e l'auto, un conto in banca che mi fa sorridere. - i suoi occhi si fecero duri. - E allora per che cazzo Usagi è venuta da te? Cosa l'ha spinta? Cosa hai di speciale?
Lesse il resoconto dell'azione di recupero nell'appartamento dell'uomo. Era stato facile ritrovare la sua cavia, il piccolo chip di trasmissione coordinate sottopelle si era messo immediatamente in funzione, permettendo alla squadra di recupero di tracciare la preda con una precisione di pochi centimetri e di recuperarla senza troppi problemi, mentre nei laboratori tentavano di capire come il soggetto avesse eluso i blocchi fisici e magici di cui era dotata la sua cella. Il telefono squillò, facendola sobbalzare.
- Chi è? - chiese in tono maleducato.
- Dottoressa, il soggetto Undici è sveglio e vorrebbe vederla.
- Non ora. Datele un sedativo. Non deve agitarsi, le sue ferite...
- Sono sparite. Sembrerebbe che si siano cicatrizzate senza lasciare alcuna traccia. E i suoi occhi...
- Capisco. Arrivo subito. Per adesso procedura di contenimento a livello quattro. Nessuno tranne me potrà avvicinarsi alla porta della cella. E controllate che i simboli siano pronti per essere messi in funzione..
- Va b... - la frase si perse a metà, mentre venne chiusa la comunicazione.
Le guardie a lato della porta della cella di Usagi scattarono sull'attenti nel vederla.
- Va bene, va bene. - sembrò quasi non vederle lei, mentre con la tessera sbloccava parte della serratura, seguita dal controllo retina e impronte digitali. La porta scattò, permettendole di entrare.
- Benvenuta nella mia umile dimora, dottoressa... - disse con malvagità la bionda, seduta sulla barella in cui l'avevano trasportata dalla sala operatoria.
- Grazie, ma tu non dovresti essere a dormire, o almeno a riposare, visto l'intervento? - sorrise la donna, allungando le dita sul telecomando che aveva in tasca.
- Vero, ma quello se fossi stata Usagi, la vostra cara e tenera coniglietta. Sfortunatamente, l'ho messa a dormire per un po', era così stanca, e così ho aggiustato un paio di cosette. Il corpo umano è decisamente facile da aggiustare. Fragile, ma molto semplice. Tanto da aggiustare quanto da rompere.
- Quindi tu sei l'altra...
- Esatto! - saltò giù dal letto la ragazza, che non aveva addosso nulla, mostrando alla dottoressa come nessuna cicatrice era presente sulla candida pelle, anche se c'era qualcosa che agli occhi della biologa non quadrava, sebbene non riuscisse a mettere a fuoco che cosa. - Molto intelligente, per essere una scimmia senza peli. Ma ho un nome.
- Ovvero?
Lei sembrò pensarci per un istante.
- Padrona Assoluta o Mia Signora credo che possano andare bene... - la prese in giro. - Possibilmente inginocchiandoti mentre lo dici. Sai, aggiunge quel qualcosa che mi fa sempre piacere.
Setsuna non si scompose, e si avvicinò.
- Scherza poco. Ti ricordo che sei solo una cavia, un esperimento, qualcosa che ho creato e che posso distruggere in qualsiasi momento. Ho altre come te.
- Che paura. Se valgo così poco, perché mi tieni? Perché non sviluppi i progetti dodici o tredici?
- Come... - si sorprese la donna, per poi maledirsi per essersi fatta trascinare dalle emozioni.
- Come so che esistono altri esemplari oltre a me? Piccolo essere schifoso peggio di questa palla di sterco e piscio su cui ci troviamo, credi che davvero io non mi renda conto di ciò che state facendo? Usagi non ricorda, ma io non ho mai dimenticato. Io sono la stessa da quando sono finita su questa palla umida di merda che insistete a chiamare Terra. Semplicemente sono legata alla materia cellulare di Usagi, bloccata in un periodo fissato di tempo e spazio, ma sono sempre l'entità che i vostri vaneggiamenti che chiamate religione hanno identificato con vari nomi, nessuno dei quali legato a particolarmente gentili azioni che ho compiuto o che potrei compiere.. ammetto che è sono da fin troppo tempo legata alla immanenza di questa materia. Inizio a stufarmi.
- E perché non te ne vai, se sei così stufa? - la derise cautamente la donna.
- Non mi pigliare per il culo, dottoressa. - la guardò con occhi rossi e cattivi lei. - Non tentarmi, o potrei far fallire un paio di esperimenti. E i tuoi capi non credo la prenderebbero bene. Anni di studi e di soldi, molti soldi finiti in cenere. E' da un po' che non provo l'autocombustione... Chissà se sono ancora in esercizio?
- Volevi vedermi? - cambiò argomento la donna. - Perché?
- Ah già. Sono abbastanza stufa di farvi giocare con me e con il corpo di Usagi, che poi è anche il mio, per cui arriviamo ad un patto. Ditemi cosa volete da me, io ve lo do e poi mi lasciate libera.
- Scendi a patti con una scimmia senza peli?
- Diciamo che le concedo di credere di aver vinto. Per adesso.
- Ammettiamo che io accetti...
- Le conviene, Dottoressa Meiou, le conviene. Sono sicura che l'idea di poter disporre di me, o meglio dei miei poteri, per i suoi fini personali, oltre che per quelli della sua organizzazione, l'alletta molto. O mi sbaglio?
Setsuna si accorse che il suo respiro era accelerato, e che le mani erano sudate. Anche l'entità in Usagi se ne accorse, oltre a leggere abbastanza chiaramente l'anima della donna.
- Ammettiamo... - sospirò per calmarsi. - Ammettiamo come ho detto che io accetti, come pensi di potermi dare quello che io non sono riuscita ad avere in tutti questi anni?
- Facile. - rise lei. - I miei poteri e la mente di Usagi, manipolabile e candida come la neve appena caduta. Voi fate quello che volete fare, le chiedete quello che volete sapere e il gioco è fatto. Quando avrete tutto il necessario, distruggerete tutti i campioni delle cellule, compreso questo corpo e gli esperimenti dodici e tredici, e io sarò libera. Sono sicura che a quel punto trovare entità più...remissive sarà facile per voi.
- Possibile. Ma ci manca ancora il segreto per una clonazione stabile. Attirare entità non è il problema, stabilizzarle, beh, tu sei il primo caso che non finisce in un fallimento, oltre ovviamente all'originale.
- Come ho detto, il corpo umano è facile da capire, toccare, modificare. Per me i vostri cosiddetti segreti della genetica sono solo un mero esercizio per tenermi occupata alcuni secondi. In una settimana, se mi darete accesso alle vostre risorse, avrete più risultati che negli ultimi cinquant'anni di studi intensivi.
- Un patto. Vorresti un patto. Mi sta bene, ma come posso essere sicura che non mi tradirai?
Un lampo di cattiveria e di divertimento attraversò gli occhi dell'essere.
- Non può. Deve fidarsi. Anche se ammetto che fidarsi di me, dopo quello che ho passato per causa vostra, e non solo sua, negli ultimi decenni è come dire di trovare sicuro buttarsi da una scarpata senza un paracadute. Ci sta? - le tese la mano.
- Devo sentire i miei superiori. - tagliò corto lei, uscendo dalla cella e chiudendola dentro.
- Hai sentito tutto, Usagi? - chiese dentro di sé l'essere.
- Sì. Ma davvero quello che mi hai detto e che ho sentito è vero?
.- Ti ho mai mentito?
La biondina scosse la testa dentro la sua mente.
- Sei sicura che tutti vorranno giocare a questo gioco che stai preparando?
- Certo. Setsuna, tu, gli uomini cattivi, tutti giocheranno. E si divertiranno da morire, te lo assicuro.
- Anche Mamoru?
- Anche lui.
- Chissà dov'è adesso?
- Più vicino di quanto tu possa credere. - le disse accarezzandole la testa l'altra se stessa, sapendo che l'uomo era nel suo appartamento, distrutto dalla stanchezza, addormentatosi sulle piantine della Garnet Laboratories che Ami gli aveva trasmesso via mail.
L'essere che era nella biondina sorrise e lanciò un segnale mentale al poliziotto, quindi si ritrasse, facendo tornare la giovane in pieno possesso del suo corpo.
- Usagi! - si svegliò di soprassalto lui, una stretta al cuore, una paura che gli aveva gelato il sangue. Si alzò, aprì il frigorifero e prese una birra aprendola mentre pensava alla strana sensazione che aveva provato, la scolò guardando distrattamente le mappe catastali e i lucidi scannerizzati che l'amica aveva recuperato illegalmente da varie banche dati. Posò la lattina praticamente vuota e si sedette nuovamente al portatile, ma dopo poche volte che apriva e chiudeva i file scosse la testa, sbuffò e spense il computer, gettandosi sul divano, in mutande, la barba sfatta e una nuova birra in mano. Luna era in giro per il quartiere, mentre Artemis si spostò mollemente, quasi annoiato, dalla lettiera al divano, accoccolandosi accanto a lui. L'uomo lo guardò. - Beato te. - gli disse. - Tu sei già sistemato, e con una della tua razza. - Il gatto lo guardò, sbadigliò mostrando i lunghi canini, quindi si stirò e scese dal divano, sparendo alla sua vista. - Mentre io... - sospirò. - Io mi dovevo innamorare proprio di un demone.
Si scolò la birra, gettandola sul pavimento, e si addormentò poco dopo.
Usagi sorrise.
- Buonanotte, Mamoru... - mormorò nel sonno.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Giochiamo a carte ***


La bionda dai lunghi codini entrò nella stanza tranquilla, guardandosi distrattamente in giro. Indossava dei jeans stinti ad arte e una maglietta di cotone aderente che metteva in risalto la sua figura adulta, sebbene ancora acerba.
-Come stai oggi, Usagi?
- Bene, grazie, Dottoressa Setusna. Lei come sta? Non si è ancora stancata di sottopormi a tutti questi test?
- Al contrario. I risultati che sto ottenendo sono a dir poco incredibili. Ammetto che potrei compiere queste prove tutto il giorno.
- Io no. - rispose secca la ragazza, sedendosi di fronte a lei. Erano ai due estremi di uno stretto e lungo tavolo di laminato bianco. Solo due sedie, semplici quanto il tavolo, e un grande specchio alla sinistra della porta, alla sinistra di Usagi. - Cosa facciamo oggi?
- Ripetiamo i test delle carte, poi passiamo ad altri esercizi più complicati.
- Ancora le carte? Ma sono cinque giorni che lo facciamo. Sta diventando noioso.
- Non dicevi così i primi giorni.
- I primi giorni avevo ancora il cervello di una ragazzina.
- E adesso? - chiese la donna, estraendo un mazzo di grandi carte dal dorso nero.
- Lo sa benissimo. Questi test, e quelli che ho fatto prima e quelli che farò sono per controllare il mio QI. Non mi prenda in giro con queste domande. Sappiamo entrambe che ho superato abbondantemente la soglia dei duecentocinquanta.
- Ammetto che hai fatto notevoli progressi.
La bionda rise, mettendosi elegantemente una mano davanti alla bocca.
- Notevoli progressi? E' così che voi scienziati pazzi definite un salto di quasi centottanta punti di QI in tre giorni? Notevoli progressi?
- Non essere irriguardosa con me. Sono cose che ti dice Selenity, eh?
- No. Lei non centra. Certo mi sta aiutando molto, e piano piano che scopro come controllare i miei poteri imparo anche come essere più intelligente. Le nostre menti si stanno avvicinando.
- Spero non i caratteri.
- Questo è il mio vero carattere. Era prima che ero una sorta di Dottor Jekill, mentre lei era Mr Hide. Miss Hide direi più appropriato. Ma non siamo qui per perderci in chiacchiere. Cominciamo con le carte?
- Come preferisci. Conosci le regole. Io sollevo una carta, e tu mi dici che simbolo vedi, va bene?
- Va bene. Adesso comunque solleverà una stella a cinque punte rossa.
La Dottoressa prese una carta, ma non la guardò. La rimise nel mazzo, lo mischiò e ne prese un'altra, a caso.
- Sempre convinta della carta che hai detto?
Usagi scrollò le spalle, quindi annuì.
Voltò la carta. Era una stella rossa a cinque punte.
- Come potevi saperlo? Le probabilità erano molto basse, e dopo la mia mossa di mischiare le carte, erano diventate pressoché nulle.
Usagi rise, una risata adulta, fresca, e in qualche modo di scherno, non di piacere.
- Effettivamente le probabilità sarebbero state molto basse, se non avessi fatto un piccolo trucco.
- Che cosa?
- Volti un'altra carta.
La donna la guardò.
- Volti un'altra carta, le ho detto. Una qualsiasi.
Era una stella rossa a cinque punte.
Un'altra carta, un'altra stella rossa a cinque punte.
- Tutto il mazzo è fatto solo di questa carta! Come hai fatto? Come puoi aver piegato la materia al tuo volere.
- Un nuovo potere forse. E' facile manipolare la materia inorganica, molto di più che quella organica, che comunque non ha nulla di speciale dopo che impari le regole che puoi rompere e quelle che non puoi. Direi che con le carte abbiamo finito. Altri test idioti sui miei poteri, Dottoressa?
- Non per oggi. Possiamo passare a cose che credo troverai più interessanti.
Usagi si alzò, seguita immediatamente dalla dottoressa, che la precedette poi nei corridoi della Garnet Laboratories fino ad un piano sotterraneo protetto da pesanti porte blindate e da un sofisticato sistema di sicurezza, oltre che da varie guardie vestite con una forma avanzata dell'armatura rigida che Usagi aveva visto molte volte in quegli anni.
- Sembrano robot piuttosto che uomini, o come li chiama sempre Selenity, scimmie senza pelo. - ridacchiò.
- Sembrano perché in buona parte lo sono. Queste armature sono quello che di più sofisticato abbiamo a disposizione, secoli avanti rispetto a quello che ha in mano l'esercito. Esoscheletri potenziati, parzialmente comandati dal sistema nervoso del soldato stesso.
- Suona come una cosa fantascientifica.
- Probabilmente lo è. Ora avrai a disposizione le attrezzature che ti hanno creato. Come promesso, voglio dei risultati velocemente. Prima li ottieni, prima tutto questo finirà e tutto tornerà come deve essere.
- Già. Vediamo cosa può fare Selenity con questi giocattoli troppo costosi.
Il corpo di Usagi ebbe uno spasmo,come presa da convulsioni leggere.
La sua postura cambiò, divenendo in qualche modo autoritaria. Le dita delle mani si flessero per alcuni istanti, come a testare le giunture, e due occhi rossi e come infuocati apparvero al posto di quelli della giovane.
- Come sta andando la nostra pupilla?
- Direi bene, Selenity.
- Da quando ti ho dato il permesso di chiamarmi per nome, scimmia senza peli? - chiese la ragazza, cattiva.
- Mai, ho deciso io. Ho sentito Usagi usare questo nome un po' di volte in questi giorni, per cui direi che è il tuo nome.
- Uno dei tanti, piccola umana.
Si guardò in giro.
- E così questo è il laboratorio dove avete messo mano per l'ennesima volta alle cellule della prima Usagi. Grezzo, roboante, ma in qualche modo direi funzionale.
- Grezzo? Abbiamo usato le nostre migliori tecnologie per crearlo. Siamo almeno cinquant'anni avanti rispetto ogni altro laboratorio di questo mondo. - rispose piccata la dottoressa. Buona parte della sua vita era stata impiegata per potenziare e perfezionare le apparecchiature di clonazione accelerata.
Selenity rise, chiudendo gli occhi e gettando indietro la testa, in una postura che poco si addiceva al corpo che la conteneva. Vederla era disturbante, per chiunque. Anche per la Dottoressa Meiou, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
- Certo, certo. Ma tempo fa, delle scimmie senza peli scoprirono la ruota di pietra, e anche in quel momento erano al massimo delle loro conoscenze e tecnologie. Ora, se vuole che l'aiuti mi faccia vedere come credete di giocare a Dio con le vostre macchine.
Mentre Selenity e la dottoressa iniziavano a compiere il giro nel laboratorio, Usagi fluttuava nel nulla della coscienza comune che aveva con l'altra se stessa. Nelle poche settimane trascorse dopo il patto che aveva proposto l'altra Usagi, la mente della biondina aveva subito un processo di crescita accelerato, portandola non solo a recuperare il tempo perduto, ma anche aumentare le proprie conoscenze e facoltà oltre i limiti imposti dall'essere un semplice umano. Aveva riflessi incredibili, una capacità di osservazione e di analisi degne dei migliori scienziati, oltre a svariati poteri a livello mentale.
Il trucco che aveva fatto poco prima sarebbe stato scoperto durante la visione delle registrazioni. Non poteva ancora piegare la materia ai suoi scopi, quello era qualcosa che solo Selenity ancora sapeva fare, ma la mente umana non aveva quasi più segreti. Empatia e manipolazione delle informazioni sensoriali a livello cerebrale erano abbastanza facili per lei, sebbene alcune menti erano più difficili da controllare o da penetrare, avendo eretto consciamente o meno, in sua presenza, delle barriere mentali a volte estremamente potenti, o trovando i percorsi mentali di alcune persone orribili, viscidi o vomitevoli.
Una di quelle persone era la dottoressa Meiou. Toccare la sua mente era come toccare un lago di pece calda e puzzolente, dove viscidi serpenti fatti di schifosi pensieri pieni di denti acuminati nuotavano incessantemente verso un unico punto, un'enorme cascata di desiderio di potere assoluto, su tutto e tutti. Solo dopo giorni aveva trovato una piccola sponda sicura dove poter controllare parzialmente la sua mente, giocando sulle sue sensazioni visive, facendole credere di guardare sempre la stessa carta, mentre invece stava guardando cerchi, cubi e forme varie di colori diversi.
- Mi sto stufando. - borbottò poco dopo, mentre il suo corpo stava scrivendo vari grafici e formule di fronte a degli strabiliati uomini in camice bianco e mascherina.
In un istante, staccò la sua coscienza dal corpo, che si bloccò impercettibilmente.
- Dove vai? - risuonò nella sua testa la voce di Selenity, identica alla sua.
- A fare un giro. Tu ti stai divertendo, io no. Ho bisogno di svago...
- Svago?
- Voglio vedere il mondo, sai anche tu che da quando ci stiamo unendo sempre di più le quattro mura della mia stanza e di questa struttura non mi bastano. A volte mi domando se non era meglio rimanere stupida e felice.
- Se vuoi possiamo tornare indietro.
- Non mi tentare. E comunque no, non voglio tornare indietro. Questa mia nuova condizione ha anche dei lati positivi.
- Lo sento. Ti ricordo che il tuo corpo è anche il mio. E sento cosa stai provando, così come tu senti ciò che provo io.
- Cosa vorresti dire con questo? Non mi piace il tono con cui lo hai detto.
Selenity rise.
- Non devi prendermi in giro, Usagi. So benissimo che non vai a fare un giro per vedere il mondo, tu vai a vedere Mamoru.
- Come puoi esserne così sicura?
Un'altra risata, dolce come la prima, molto diversa da quelle che elargiva agli umani.
- Ho il respiro accelerato, il battito cardiaco alle stelle, piccole vampate di calore e certe sensazioni che mi fanno intuire alcune cose su di te e su ciò che provi per lui.
- Proviamo, a questo punto, visto che il corpo è uno solo.
- Proviamo. Te lo concedo. Mai vista un'anima così pura e nobile, sebbene grezza e ricoperta dal sudiciume della società.
- Tempo fa tu hai parlato di leccarla. Cosa intendevi?
- Hai buona memoria, piccola. Io sono nata, se si può dir così, come essere immateriale, spirituale in qualche modo. Io mi nutro non di panini o di birra, ma di sentimenti, di emozioni, di anime a volte, se ho particolarmente fame. Lui per me è come un cono gelato al limone. Fresco, pulito, delizioso dopo un pasto abbondante. Un pasto che farò presto, che faremo presto.
- Quando parli come i vecchi saggi dei film mi fai incazzare.
- Non dire certe parolacce, Usagi. Lascia a me l'appannaggio di essere scurrile. Ora va, Mamoru ti sta aspettando.
- Come vuoi. Ci vediamo tra poco.
Selenity sorrise come una madre alla figlia, e annuì, per poi vederla sparire nel nulla, alla velocità del pensiero.
Usagi si fermò solo quando si trovò con il suo corpo etereo in piedi accanto all'uomo che per primo le aveva dimostrato un po' di umanità, forse non conoscendola, ma aveva capito in quei giorni che non era così, visto che anche dopo aver appreso la verità sulla pazza che lui aveva soccorso, non le aveva voltato le spalle, ma al contrario un angolo del suo cervello rimuginava continuamente come salvarla.
La sua mano astrale gli sfiorò la guancia mentre lui dormiva, crollato dal sonno dopo un lungo e duro turno in centrale.
Le piaceva la sensazione della barba sfatta, quel suo profumo forte, così vivo, e le piacevano i pensieri che lui a volte faceva su di lei, così simili a quelli che lei faceva spesso su di lui, scaldandole il cuore e facendoglielo battere molto forte.
Come in quel momento.
Mamoru mormorò qualcosa di indistinto nel sonno.
- Anche io. - rispose lei, sorridendo felice.

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